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Italian Pages 544/538 [538] Year 2007
Sacra Pagina Volutne4
Il Vangelo di Giovanni Francis J. Moloney, S.D.B.
"
ELLEDICI
Titolo originale: The Gospel ofJohn © The Liturgica! Press, Collegeville, Minnesota (USA) Traduzione di Giovanni VISCHIONI, a cura del Centro Evangelizzazione e Catechesi «Don Bosco» di Cascine Vica - Rivoli (Torino)
Revisione italiana a cura di Don GIOVANNI PERINI (Biella)
© 2007 Editrice
ELLEDICI - 10093 Leumann TO
Internet: www.elledici.org E -mail: [email protected] ISBN 978-88-01-02061-8
SOMMARIO
Presentazione della Collana . . . . Prefazione. . . . . . . . . . Nota circa i riferimenti e la traduzione . Abbreviazioni
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IX XI XII
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INTRODUZIONE A. La letteratura giovannea B. L'autore . . . . . . C. « l Giudei» nel Quarto Vangelo . . . . . . . D. Approcci al Quarto Vangelo . E. L'approccio adottato in questo commentario F. Contributo teologico e importanza contemporanea del Quarto Vangelo . . . . G. La struttura del Vangelo Bibliografia generale . . .
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TRADUZIONE, INfERPRETAZIONE E NOTE l. PROLOGO (1,1-18) Il. IL LIBRO DEI SEGNI (1,19-12,50)
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A. I primi giorni di Gesù (1,19-51) .
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l. Il primo miracolo a Cana: fede nella parola di Gesù (2,1-12)
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Il. Gesù e « i Giudei» (2,13-22) .
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B. Da Cana a Cana (2,1-4,54) .
Introduzione
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LA REAZIONE A GESÙ IN ISRAELE
(2,1-3,36) . .
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V. Gesù e Giovanni Battista (3,22-36)
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III. Il commento
del narratore (2,23-25)
N. Gesù e Nicodemo (3,1-21).
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LA REAZIONE A GESÙ FUORI D'ISRAELE
(4,1-54) .
VI. Gesù e la Samaritana: I (4,1-15) .
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VII. Gesù e la Samaritana: II (4,16-30) .
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V III. Il commento di Gesù (4,31-38) .
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IX. Gesù e i paesani della Samaritana (4,39-42) .
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X. Il secondo miracolo a Cana: fede nella parola di Gesù (4,43-54)
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VI
Il Va ngel o d i G io va n n i
C. Le feste de «i Giudei)) (5,1-10,42)
Introduzione
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pag. 143
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l. Gesù e il sabato (5,1-47) . . . . . . a) Gesù opera una guarigione di sabato (5,1-18) b) Vita e giudizio (5,19-30) . . . . . . . c) Testimonianza e accusa (5,31-47) . Il. Gesù e la Pasqua (6,1-71) . . . . . . . . . . a) Introduzione (6,1-4) b) Il miracolo dei pani e dei pesci (6,5-15) . c) Il miracolo sul lago (6,16-21) . . . . . . d) Seconda introduzione (6,22-24) . . . . e) Discorso sul pane disceso dal cielo (6,25-59) f) Crisi creata dalla parola di Gesù (6,60-71) .
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l. Una risurrezione che porterà alla morte (11,1-54)
È giunta l'ora (11,55--12,36) . . . . . . . III. Conclusione del ministero di Gesù (12,37-50) . Il.
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A. L'ULTIMO DISCORSO (13,1-17,26)
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Il. Partenza (14,1-31)
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l. Far conoscere Dio: lavanda dei piedi e il boccone di Giuda (13,1-38) a) La lavanda dei piedi (13,1-17) . . . . . b) Far conoscere Dio (13,18-20) . c) L'offerta del boccone (13,21-38).
III. Rimanere, amare ed essere odiati (15,1-16,3) a) Rimanere (15,1-11) . . . . . . . . .
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m. IL LIBRO DELLA GLORIA (13,1-20,29)
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V. Gesù e la Dedicazione (10,22-42) D. Gesù va verso «l'ora» (11,1-12,50)
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III. Gesù e i Tabernacoli: I (7,1-8,59) . . . . . La festa dei Tabernacoli . . . . . . . . . a) Prima della festa (7,1-9) . . . . . . . . . . b) Durante la festa a Gerusalemme (7,10-13) c) Circa a metà della festa (7,14-36) . . . . l. Gesù, «i Giudei» e «la folla» (7,14-24) . . . 2. Gli abitanti di Gerusalemme e «la folla» (7,25-31) . 3. Gesù e «i Giudei» (7,32-36) . . . . d) L'ultimo giorno della festa (7,37-8,59) . . . . . l. Gesù, «la folla» e i capi (7,37-52) . . . . . . . . Digressione: la donna colta in adulterio (7,53-8,11) 2. Gesù si manifesta come luce del mondo (8,12-30) . . 3. Gesù e «i Giudei» in polemica sulle rispettive origini (8,31-59). IV. Gesù e i Tabernacoli: D (9,1-10,21) .
144 144 153 161
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S o m m a r io
VII
b) n comandàmento dell'amore (15,12-17) c) Essere odiati dal mondo (15,18-16,3)
pag. 370
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373
IV. Partenza (16,4-33)
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381
V. Far conoscere Dio: la preghiera finale di Gesù (17,1-26) .
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400
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420
l. Gesù e i suoi nemici in un giardino (18,1-11) .
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IV. La crocifissione di Gesù (19,16b-37)
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V. Gesù sepolto in un giardino dai suoi nuovi amici (19,38-42)
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B. LA PASSIONE (18,1-19,42)
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Il. Gesù compare davanti a «i Giudei» (18,12-27) TII. Gesù davanti a Pilato (18,28-19,16a) .
C. LA RISURREZIONE
(20,1-29)
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l. Scene presso la tomba (20,1-18) . . . . . a) Visite al sepolcro vuoto (20,1-10) . b) Gesù appare a Maria Maddalena (20,11-18)
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Il. Scene in casa (20,19-29) . . . . . . . a) Gesù appare ai discepoli assente Tommaso (20,19-23) b) Gesù appare ai discepoli presente Tommaso (20,24-29) .
IV. CONCLUSIONE DEL VANGELO (20,30-31)
V. EPILOGO (21,1-25)
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ALTRE APPARIZIONI DEL RISORTO (21,1-25).
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l. Gesù appare ai discepoli sul lago di Tiberiade (21,1-14)
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Il. Gesù, Pietro e il Discepolo Prediletto (21,15-24).
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483
III. Seconda conclusione del Vangelo (21,25)
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Conclusione: Giovanni 21 fa parte del racconto?
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497 506 512
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INDICI fudice scritturistico . . . Indice degli scritti antichi . Indice degli autori .
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PRESENTAZIONE DELLA COLLANA
La collana Sacra Pagina è un commentario in diversi volumi ai libri del Nuo vo Testamento. L'espressione Sacra Pagina originariamente si riferiva al testo della Scrittura. Nel Medioevo fu estesa anche allo studio della Scrittura, nel quale l'interprete applicava gli strumenti della grammatica, della retorica, del la dialettica e della filosofia. Così Sacra Pagina venne a comprendere sia il testo che si voleva studiare sia l'attività di interpretazione. Questa collana presenta un commento moderno di tutti i libri del Nuovo Te stamento. Scritta da un gruppo internazionale di biblisti cattolici, la collana è pensata per i biblisti, per gli studenti universitari, per i teologi, per il clero e per gli insegnanti di religione. I volumi presentano per ogni libro informazioni in troduttive fondamentali e una dettagliata esposizione. Pur adottando prospet tive metodologiche specifiche in ogni caso, non perdono di vista i temi presen tati dalle singole composizioni del Nuovo Testamento. Lo scopo che si propone la collana Sacra Pagina è quello di presentare una solida analisi critica senza compromettere in alcun modo la sensibilità per il significato religioso. La colla na pertanto è cattolica nel doppio senso della parola: universale nell'impiego di metodi e prospettive, e plasmata nel contesto della tradizione cattolica. Il Concilio Vaticano II ha definito lo studio della Sacra Pagina «l'anima stes sa della sacra teologia>> (Dei Verbum 24). I volumi di questa collana illustrano il modo in cui gli studiosi cattolici contribuiscono all'invito del Concilio di ren dere la Sacra Scrittura accessibile a tutti i fedeli cristiani. Anziché aver la pretesa di dire l'ultima parola su un qualsiasi testo, questi volumi si propongono di far notare le ricchezze del Nuovo Testamento e di invitare quanti più fedeli possibile a studiare seriamente la Sacra Pagina. DANIEL}. HARRINGTON, S.J.
PREFAZIONE
n Quarto Vangelo ha acceso la mente, il cuore e l'immaginazione fin dai pri missimi tempi del cristianesimo. Gli gnostici del secondo secolo l'hanno usato per costruirvi i loro sistemi, e la sua importanza per il filone dominante del cri stianesimo è evidente fin dai tempi di Ireneo (ca. 130-200 d.C.). Questo Vange lo è stato fondamentale per la formazione della teologia cristiana, particolar mente nei dibattiti trinitari e cristologici che hanno portato ai grandi Concili ecumenici, da Nicea (325) e Calcedonia (451). Ogni interprete del Quarto Van gelo è l'erede di ricche ed estremamente variegate tradizioni interpretative. In vero, io sono convinto che 1-2-3 Giovanni abbiano dato del Vangelo la prima in terpretazione dall'interno delle stesse comunità nelle quali ha avuto origine. Questo genere di commentario ha continuato ad essere esercitato ininterrotta mente sin d'allora. Neppure uno studioso che dedica la maggior parte della sua attività accademica al Quarto Vangelo riesce a tener dietro al flusso conti nuo di monografie e di articoli specializzati su questo argomento. Fortunata mente, gli studiosi del Quarto Vangelo hanno a disposizione alcuni commen tari molto pregevoli. All'inizio del secolo scorso (1925) Marie-Joseph Lagrange ha scritto un'opera notevole per averne individuato le difficoltà esegetiche, sebbene lo studioso contemporaneo possa accettare o respingere le soluzioni da lui proposte a questi problemi.
Pubblicato originariamente nel 1941, il commentario di Rudolf Bultmann rimane una lettura quanto mai stimolante e provocatoria del testo giovanneo. Il commentario in lingua tedesca al Vangelo, egregiamente rappresentato dai due volumi di Jiirgen Becker (1979-1981 ), continua la tradizione bultmanniana. Gli studiosi britannici sono sempre stati affascinati dal Quarto Vangelo. L'inte ressante studio di Sir Edwyn C. Hoskyns (1947) a volte presenta le movenze poetiche del Vangelo stesso, e il volume Interpretation di C.H. Dodd (1953) rap presenta uno studio senza confronti dello sfondo e del significato del Vangelo. In seguito, i commentari in diversi volumi di Raymond E. Brown (1966-1970) e di Rudolf Schnackenburg (1965-1975), e la meticolosa ma ricca seconda edi zione dell'opera di C.K. Barrett (1978) offrono al lettore una miniera di infor mazioni di fondo e un commentario erudito ed equilibrato. Nessun altro libro del Nuovo Testamento ha esercitato tanta attrattiva sui commentatori. C'era dunque bisogno di un altro commentario al Quarto Vangelo? Nello scopo generale della collana Sacra Pagina di commentari al Nuovo Testamento, io ho cercato di presentare un nuovo tipo di commentario. Sulla base della mia vasta lettura di critica narrativa del Quarto Vangelo, pubblicata in tre volumi tra il 1993 e il 1998, questo contributo alla collana dedica una particolare atten zione al disegno narrativo del racconto evangelico. In esso cerco di ricreare l'impressione che la forma giovannea del racconto di Gesù esercita sul lettore. Il mio scopo è quello di capire il modo in cui l'autore ha narrato la storia di Ge-
x
Il Va ngelo d i G i o va n n i
sù.fino a portare i lettori al punto di prendere una decisione (cf Gv 20,30-31). Commenterò lo svolgersi delle argomentazioni pi un autore che comunica con i lettori per mezzo di una forma narrativa del Vangelo unica nel suo genere. Il mio assunto è che - qualsiasi fonte possa avere utilizzato - la forma attuale del Vangelo cerca di narrare una storia che presenta in modo articolato una co erente teologia, cristologia ed ecclesiologia. Chiunque possa essere stato l'au tore storico, si scorge nella narrazione un «punto di vista» identificabile che le conferisce unità letteraria e teologica. La narrazione giovannea è suddivisa in evidenti blocchi di materiale che, dopo il Prologo (1,1-18), trattano il ministero pubblico di Gesù (1,19-12,50), l'ultima sera trascorsa con i suoi discepoli (13,1-17,26) e infine il resoconto del la sua morte e risurrezione (18,1-21,25). n racconto, tuttavia, presenta anche punti di svolta più sottili (vedi 2,1; 5,1; 11,1-4; 13,1; 18,1-3; 20,1; 21,1). In corri spondenza a questi punti nel racconto mi propongo di presentare un'introdu zione generale a ciò che segue. È in questo genere di introduzioni che si mani festa la visione distintiva di questo commentario. n testo del Vangelo e le più dettagliate Interpretazioni e Note che seguono cercheranno di dare sostegno al la più ampia visione presentata nelle introduzioni generali. Seguendo l'esem pio del commentario alla lettera di Paolo ai Romani scritto dal mio collega Brendan Byme, S.J., per questa stessa collana, confinerò il grosso del commen tario nella parte «Interpretazione». Le «Note» avranno lo scopo di giustificare particolari posizioni adottate nel commentario, presentando e valutando pun ti di vista alternativi e convalidando quegli spunti tratti dalla storia dell'inter pretazione del Vangelo che gettano luce sul commentario. Per questo motivo l' «Interpretazione» precede le «Note» apposte ad ogni segmento. Dal testo del Quarto Vangelo emergono diverse questioni critiche nella storia della teologia cristiana e nella storia dell'interpretazione biblica contemporanea. Non potrò dedicare uno studio completo e dettagliato a tutte queste questioni. Ad alcune accennerò nelle Note; e comunque sono tutte trattate diffusamente nei com mentari classici al Vangelo. Altri commentari e studi specializzati di rilievo sa ranno elencati nella bibliografia generale riportata alla fine dell'Introduzione e nelle bibliografie più brevi riportate al termine di ogni segmento del presente commentario. Molte persone hanno contribuito alla realizzazione di questo studio. Posso nominare solo quelle il cui interesse e appoggio immediato l'hanno portato al la conclusione. Marshall Johnson, allora Direttore Editoriale della Fortress Press, mi ha gentilmente consentito di scrivere questo commentario che tanto attinge ai tre volumi pubblicati dalla Fortress. Daniel Harrington si è dimo strato un coordinatore attento, saggio e incoraggiante. Sono particolarmente grato a Linda Maloney, Redattore di The Liturgica! Press, per la sua prepara zione critica paziente, dettagliata e rispettosa del mio manoscritto per la pub blicazione. Brendan Byme, anch'egli autore di un egregio commentario in que sta stessa collana, mi ha incoraggiato ad assumermi questo compito e ha letto alcune delle prime stesure del mio lavoro. Somma gratitudine, infine, a Nerina Zanardo, F.S.P., che ha letto il manoscritto diverse volte, e a Rino Zanardo che
Prefazio n e
XI
ha gentilmente messo a disposizione «Xanadu>>, per gran parte di questo lavo ro. Mi assumo ogni responsabilità per tutto ciò che appare nelle pagine che se guono, ma l'attenta lettura di Nerina ha prodotto un testo migliore di quello che avrei potuto fare per conto mio. FRANCIS J. MOLONEY, S.O. B. Australian Catholic University Oakleigh, Victoria Australia
NOTA CIRCA I RIFERIMENTI E LA TRADUZIONE
I riferimenti all'Antico Testamento riguardano la Bibbia ebraica e in questa versione italiana sono riportati secondo la traduzione della Conferenza Epi scopale Italiana. Nei casi in cui i riferimenti interessano direttamente i LXX, ciò è indicato. I riferimenti agli Pseudepigrafi dell'Antico Testamento sono ri portati secondo la raccolta a cura di J .H. Charlesworth (The Old Testament Pseu depigraphs, 2 voli., Doubleday, Garden City, N.Y. 1983). I riferimenti al materia le di Qumran seguono l'edizione di F. Garcia Martinez (The Dead Sea Scrolls Translated, E.J. Brill, Leiden 1994). Eccetto che per gli «Inni di ringraziamento» (lQH), è stata conservata la tradizionale numerazione delle colonne. Il greco del Vangelo di Giovanni è normalmente semplice e diretto, ed è re so molto bene nella traduzione italiana sia della CEI che da quella interconfes sionale in lingua corrente. In questa versione italiana saranno usate come base. Tuttavia, il testo presenta alcuni punti, indicati nelle Note, dove l'interpreta zione del greco richiede una diversa traduzione. In alcuni punti, inoltre, si è sentita la necessità di rendere il linguaggio più esplicito.
ABBREVIAZIONI
Antico e Nuovo Testamento in ordine al abetico
f
Ab Abd Ag Am Ap At Bar Col 1 Cor 2 Cor l Cr 2 Cr Ct Dn Dt
Eb Ef Es
Esd
Est Ez Fil Fm Gal Gb Gc Gd Gdc Gdt Ger Gio Gl Gn
Abacuc Abdia Aggeo Amos Apocalisse Atti degli Apostoli Baruc Lettera ai Colossesi Prima lettera ai Corinzi Seconda lettera ai Corinzi Primo libro delle Cronache Secondo libro delle Cronache Cantico dei Cantici Daniele Deuteronomio Lettera agli Ebrei Lettera agli Efesini Esodo Esdra Ester
Ezechiele
Lettera ai Filippesi Lettera a Filemone Lettera ai Galati Giobbe Lettera di Giacomo Lettera di Giuda Giudici Giuditta Geremia Giona Gioele Genesi
Giosuè Gs Vangelo di Giovanni Gv 1 -2-3 Gv Lettere di Giovanni Isaia Is Vangelo di Luca Le Lamentazioni Lm Levitico Lv Vangelo di Marco Mc 1-2 Mac 1-2 Libro dei Maccabei Mie Michea Malachia MI Mt Vangelo di Matteo Neemia Ne Naum Na Nm Numeri Osea Os 1 -2 Lettera di Pietro 1-2 Pt Proverbi Prv Qoelet Qo 1-2 Re 1-2 Libro dei Re Lettera ai Romani Rm Rut Rt Salmi Sal 1 -2 Sam 1-2 Libro di Samuele Siracide Sir Sof Sofonia Sap Sapienza Tobia Tb 1-2 Tm 1-2 Lettera a Timoteo 1-2 Ts 1-2 Lettera ai Tessalonicesi Lettera a Tito Tt Zc Zaccaria
Abbreviazio n i
XIII
Apocrifi Adamo ed Eva Libri di Adamo ed Eva Apocalisse di Abramo Apoc. Abr. 2 Bar. Apocalisse siriaca di Baruc 3 Bar. Apocalisse greca di Baruc Assunzione di Mosè As. Mos. Bib. An t. Pseudo Filone, Antichità bibliche 1-2-3 Enoch Enoch etiopico, slavo, ebraico 1 Esdr. l Esdra ( 2 Esdra in slavo 3 Esdra in Appendice alla Vulgata). 4 Esdra Apocalisse di Esdra ( 2 Esdra 3-14) fub. Libro dei Giubilei Odi di Salomone Odi Sal. SSal. Salmi di Salomone Testamento di Adamo T. Adamo T. !sacco Testamento di !sacco T. Giacobbe Testamento di Giacobbe T. Giobbe Testamento di Giobbe T. Mosè Testamento di Mosè T. Sal. Testamento di Salomone T. 12 Patr. Testamenti dei Dodici Patriarchi T. Ben. Testamento di Beniamino T. Levi Testamento di Levi [ecc.] =
=
=
Altra letteratura giudaica
Giuseppe Flavio Ant. Antichità Gudaiche Guerra Guerra Giudaica Vita Vita Filone di Alessandria I riferimenti alle opere di Filone sono fatti secondo le abbreviazioni latine dei titoli usati nell'edizione Loeb (cf vol. l, pp. XXIII-XXIV). Manoscritti del Mar Morto CD Documento di Damasco (dalla Genizah del Cairo e Qumran) Inni di ringraziamento l QH lQS Regola della Comunità (Manuale di disciplina) 3Ql5 Rotolo di rame 4QFlor Florilegium Letteratura rabbinica Le citazioni della Mishna nominano il trattato con il prefisso m., mentre le citazioni del Talmud Babilonese hanno il prefisso b. davanti al trattato, e le citazioni del Talmud di Ge rusalemme hanno il prefisso j. davanti al trattato; il prefisso t. indica la Tosefta. I Midrashim Rabbah sono indicati con l'abbreviazione del libro biblico seguita da Rab. (p. es. Exod Rab.) . I Midrashim Tanhuma, Sifre, ecc., sono indicati col prefisso Tanh. ecc., seguito dal libro bi blico (p. es. Tanh. Bereshit; Sifre Lev). Gli altri documenti rabbinici sono indicati per disteso.
XIV
Il Va ngel o d i G i o van n i
Periodici, opere di consultazione, collane
AB ABD ABR ABRL AGJU AGSU AnBib ANRW Ant. AThANT Aug. BAGD BBB BDF BeO BEsB BET BEThL BEvTh BGBE Bib. BiblntS BiKi B] BJRL BLE BN BS BSRel BT BTB BThSt BU BWANT BZ BZNW CB CBET CBQ CBQ.MS CCSL C]
«Anchor Bible» D. N. FREEDMAN, ed., Anchor Bible Dictionary, 6 voll., Doubleday, New York 1992 Australian Biblica! Review «Anchor Bible Reference Library» «Arbeiten zur Geschichte des antiken Judentums und des Urchristentums» «Arbeiten zur Geschlchte des Spatjudentums und Urchristentums» «Analecta Biblica» W. HAAsE e H. TEMPORINI, ed., Aufstieg und Niedergang der romischen Welt. Teil Il: Principat. Religion, de Gruyter, Berlin 1979 ... Antonianum «Abhandlungen zur Theologie des Alten und Neuen Testaments» Augustinianum W. BAUER, W. F. ARNDT e W. F. GINGRICH, A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature, za ed. riv. e aumentata da F. W. Gingrich e F. W. Danker, University of Chicago Press, Chicago 1979 «Bonner Biblische Beitrage» F. BLASS e A. DEBRUNNER, A Greek Grammar of the New Testament and Other Early Christian Literatur, riv. e trad. da R. W. Funk, University of Chicago Press, Chicago 1961 Bibbia e Oriente «Biblioteca Escuela Biblica» «Beitrage zur biblischen Exegese und Theologie» «Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaviens1um» «Beitdige zur Evangelischen Theologie» «Beitrage zur Geschichte der biblischen Exegese» Biblica «Biblica! Interpretation Series» Bibel und Kirche Bibbia di Gerusalemme Bulletin of the John Rylands Library Bulletin de Littérature ecclésiastique «Biblische Notizen» Bibliotheca Sacra «Biblioteca di scienze religiose», Roma Bible Translator Biblica! Theology Bulletin «Biblisch-theologische Studien» «Biblische Untersuchungen» «Beitrage zur Wissenschaft vom Alten und Neuen Testament» Biblische Zeitschrift «Beihefte zur Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft» «Coniectanea biblica)) «Contributions to Biblical Exegesis and Theology)> Catholic Biblica] Quarterly «Catholic Biblical Quarterly. Monograph Series» «Corpus Christianorum Series Latina>> Classica! Joumal
A b b re v i a z i o n i CNT
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«Coniectanea neotestamentica» «Cahiers de la Revue Biblique)) L. PIROT, A. RoBERT, H. CAZELLES e A. FEUILLET, ed., Dictionnaire de la Bible. Supplément, Letouzey, Paris 1928Downside Review Euntes Docete Exegetical Dictionary of the New Testament Eglise et Théologie Expository Times «Etudes Bibliques» Ephemerides Theologicae Lovanienses Etudes Théologiques et Religieuses Evangelica} Quarterly Evangelische Theologie «Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testa ments» «Frankfurter theologische Studien» Foi et Vie Forschung zur Bibel «Guides to Biblica! Scholarship, New TestamentSeries» Gregorianum Heythrop Joumal «Handbuch zum Neuen Testamenb> «Herders Theologischer Kommentar zum Neuen Testament» Harvard Theological Review «Hermeneutische Untersuchungen zur Theologie» Irish Biblica! Studies «lnternational Criticai Commentary» The Interpreter's Dictionary of the Bible, 5 voli., Abingdon, New York e Nash ville 1962-1976 Interpretation International Review of Missions Irish Theological Quarterly Joumal of the American Academy of Religion Journal of Biblica! Literature Joumal of Near Eastem Studies Journal for the Study of the New Testament «Joumal for the Study of the New Testament. Supplement Series» Joumal for the Study of the Old Testament «}oumal for the Study of the Old Testament. Supplement Series» Joumal of Theological Studies Laurentianum «Lectio Divina» Louvain Studies H. LIDDELL, R. Scorre H. S. }ONES, A Greek-English Lexicon, Clarendon, Ox ford 1968 «Louvain Theological and Pastoral Monographs» Lavai théologique et philosophique Lumière et Vie
XVI
Mar. MSR MSSNTS MThZ NCB Neo test. NIC NT NJBC NRTh n.s. NT NT.S NTA NTD NTG NTS NVB OBO OBS OBS OTBK PG PL PNTC QD RB RevSR RExp RHPhR
RivBib RSR RThom RTL Sal. SBFA SBL.DS SBL.MS SBS SBT SeE c Sem SJTh SPFTM SRivBib StANT StBi StEv Str-B
Il Va ngelo d i G i o va n n i
Marianurn Mélanges de science religieuse «Society for New Testament Studies. Monograph Series» Mi.inchener theologische Zeitschrift «New Century Bible» Neotestamentica «New International Commentary on the New Testament» R. E. BROWN, J. A. FITZMYER e R. E. MuRPHY, ed., The New Jerome Biblica! Com mentary, Prentice Hall, Englewood Cliffs 1990 Nouvelle Revue Théologique nuova serie Novum Testamentum Supplements to Novum Testamentum «Neutestamentliche Abhandlungen» «Das Neue Testarnent Deutsch» Novum Testamentum Graece (Nestle-Aland, 2J7ih Edition) New Testament Studies «Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali» Orbis biblicus et orientalis «Oxford Biblica! Series» «Osterreichische Biblische Studien» «Okurnenischer Taschenbuchkommentar zum Neuen Testament» J.-P. MIGNE, Patrologia graeca J.-P. MIGNE, Patrologia latina «Pelican New Testament Commentaries» «Quaestiones disputatae» Revue Biblique Revue des Sciences Religieuses Review and Expositor Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuses Rivista Biblica Recherche de Science Religieuse Revue Thorniste Revue Théologique de Louvain Salesianum «Studii Biblici Franciscani analecta» «Society of Biblica! Literature. Dissertation Series» «Society of Biblical Literature. Monograph Series» «Stuttgarter Bibelstudien» «Studies in Biblica! Theology» Sciences ecclésiastiques Semeia Scottish Journal of Theology «Scripta Pontificiae Facultatis Theologicae Marianum» Supplementi alla Rivista Biblica «Studien zum Alten und Neuen Testamenb> «Studi Biblici» Studia Evangelica H. STRACK e P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, 6 voli., C. H. Beck, Miinchen 1922-1961
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ThDiss Theol. ThLZ ThR ThStKr ThV ThZ TS
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Studia Theologica St. Vladimir 's Theological Quarterly G. KITIEL e G. FRIEDRTCK, ed., Theological Dictionary of the New Tes ta men t, 10 voll., Eerdmans, Grand Rapids 1964-1976 ( trad . it.� Grande Lessico del Nuovo Testamento, 15 voli. Paideia, Brescia 1 965-1 988) «Theologische Dissertationen» Theology Theologische Literaturzeitung Theologische Rundschau Theologische Studien und Kritiken Theologische Versuche Theologische Zeitschrift Theological Studies Trierer Theologische Zeitschrift «Theologie und Wirklichkeib) Tyndale Bulletin Verbum Domini Vigiliae Christianae Vetus Testamentum «Word Bible Commentary)) «Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament» «Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testamenb) M. ZERWICK, Biblica[ Greek Illustrated by Examples, Biblica! Institute Press, Ro me 1963 Zeitschrift fiir katholische Theologie Zeitschrift fiir die Neutestamentliche Wissenschaft Zeitschrift fiir Theologie und Kirche
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Una delle caratteristiche dello sviluppo della critica storica è stata il disco noscimento del Vangelo di Giovanni quale documento storico. Una volta che gli studiosi hanno cominciato a rendersi conto dell'importanza del Vangelo di Marco e del suo impiego come fonte sia di Matteo che di Luca, è diventato chia ro che nel Vangelo di Giovanni c'era molto poco di attinente alla vita di Gesù. Questo ha riportato a una sua lettura come «vangelo spirituale)), come era già
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stato definito da Clemente Alessandrino nel secondo ·secolo (Eusebio, Stor. Eccl. 6.14.7). Era una riflessione profondamente religiosa, semi-filosofica, ellenistica e forse gnostica sull'importanza di Gesù. Aveva un legame tenue o addirittura nullo con la storia della vita dell'uomo che era Gesù di Nazaret. I fattori che avevano maggiormente influenzato la formazione del Vangelo erano le tradi zioni greche, ermetiche o gnostiche, e al ricupero delle varie religioni riflesse nel Vangelo sono stati dedicati approfonditi studi (cf i commentari di Bauer e di Bultmann e la critica di questa posizione in Painter, Quest 52-61). Alcune im portanti scoperte archeologiche e un graduale riconoscimento che perfino Mar co, il più antico dei vangeli, era un sottile e profondo trattato teologico ha por tato a una «nuova visione» del Quarto Vangelo. Esso non è l'unico vangelo «teologico» e non è il solo a usare luoghi, feste e personaggi del racconto in maniera simbolica e non storica. Tutti i vangeli sono, ciascuno a modo proprio, «teologici», e comunque molti dei luoghi nominati nel Quarto Vangelo e le de scrizioni di Gerusalemme ai tempi di Gesù si sono rivelati esatti. A partire dal 1959 circa, con un rinomato articolo di J. A. T. Robinson («The New Look on the Fourth Gospel», Twelve New Testament Studies, SBT 34, SCM Press, Londra 1962, 94-106), c'è stato un maggiore apprezzamento del Vangelo di Giovanni come documento cristiano che rispecchia gli avvenimenti della vita di Gesù e la suc cessiva esperienza di una comunità cristiana che deriva la sua cristianità pro prio dal racconto di quella vita tramandato di bocca in bocca. La rinascita dell'interesse per il Quarto Vangelo come documento storico, tuttavia, non ha riportato gli studiosi all'uso ingenuo della narrazione come se si trattasse di un resoconto accurato della vita, insegnamento, morte e risur rezione di Gesù. La storia della vita di Gesù riportata in questo vangelo n specchia piuttosto la storia di un'antica comunità cristiana. Negli ultimi tre de cenni i principali studi sul Quarto Vangelo hanno cercato di individuare le fa si della crescita nella fede della comunità giovannea, sbucciando, per così dire, i vari strati letterari presenti nella forma attuale del Vangelo (cf i commentari di Schnackenburg, Brown e Becker). In tempi più recenti alcuni dei lavori mag giormente creativi sono stati fatti da studiosi che hanno cercato di ripercorrere il cammino della fede dei membri della comunità giovanne a stessa (cf Martyn, History and Theology; Brown, Community). La comunità è iniziata con un picco lo gruppo di cristiani di Gerusalemme e i suoi appartenenti hanno sviluppato un concetto sempre più personale di Gesù man mano che dovevano affronta re diverse situazioni, sia religiose che sociali. Nella comunità venivano grada tamente _amem sse persone estranee e perfino ostili alle tradizioni di Israele (cf 4,1-42), e questo ha portato a uno stadio in cui i membri della comunità gio vannea primitiva non erano più accettati dai loro connazionali Ebrei. Perciò venivano espulsi dalla sinagoga (cf 9,22; 12,42; 16,2). Liberi dal controllo di questa tradizione, ha cominciato ad affermarsi tra loro un'altra forte tendenza verso una visione unificata e potenzialmente pericolosa di Dio, del Cristo di Dio e della sua Chiesa. Da questo lungo cammino ed esperienza di fede è emer so il Vangelo di Giovanni, il prodotto finale di una lunga e complicata storia let teraria. Le polemiche che troviamo nelle Lettere di Giovanni mostrano che i potenziali pericoli nascosti dietro il messaggio del Vangelo si sono realizzati.
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Ora c'erano a]ineno due tipi di cristiani giovannei: quelli che condividevano le prospettive dell'autore delle Lettere, e quelli contro i quali le scriveva: «Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sareb bero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei no stri» (l Gv 2,19). Dagli studi giovannei sono emerse molte idee stimolanti, istruttive e assai utili. Tuttavia, dopo l'opera fondamentale di R. A. Culpepper (Anatomy), gli studi contemporanei stanno dedicando sempre maggior attenzione all'impat to che la storia di Gesù nel suo insieme, come narrata in questo particolare van gelo, esercita sul lettore. Per quasi tutto il ventesimo secolo è stata dedicata una massiccia dose di erudizione alla riscoperta delle religioni ebraica, greca e gno stica che hanno influenzato la composizione del Vangelo, al sezionamento del Vangelo nei suoi diversi strati letterari e al rintracciare la storia della comuni tà. Ora è tempo che ci concentriamo sul potere della narrazione come è giunta a noi nella sua forma definitiva. Ammesso che la critica storica tradizionale debba continuare il suo cammino (cf Painter, Quest; Schnelle, Antidocetic Chri stology), il racconto del Vangelo di Giovanni deve essere apprezzato nel suo in sieme, come un pronunciamento unificato e coerente, anziché essere sezionato nelle sue parti componenti da lasciare sparpagliate sul tavolo dello studioso. E. L'approccio adottato in questo commentario D presente commentario è basato sulla convinzione che nel Quarto Vange lo è possibile rintracciare una marcata unità narrativa. Nel valutare questa uni tà narrativa, tuttavia, non dobbiamo mai perdere di vista il mondo che si cela dietro il testo. Le mie osservazioni sull'uso dell'espressione «i Giudei» sono solo un esempio, dichiaratamente critico, dell'importanza di quel «mondo». Tuttavia, io mi concentrerò sul mondo descritto nel testo, cercando di dimo strare come il racconto sia stato studiato e narrato per influenzare il mondo da vanti al testo. Gli studi biblici sono gradatamente giunti alla conclusione che esistono più di due «mondi» che interessano l'interpretazione di un antico te sto. Lo studio critico-storico ha impiegato quasi duecento anni a riscoprire il mondo dietro il testo che ci consente di capire correttamente il mondo nel testo. I critici contemporanei stanno rivolgendo maggiore attenzione al mondo davan ti al testo (cf Sandra M. Schneiders, The Revelatory Text. lnterpreting the New Te stament as Sacred Scripture, Harper, San Francisco 1991), assecondando il gran de interesse attuale nell'affrontare ogni documento, per quanto limitato e di fettoso possa essere, come un'opera d'arte. Il presente commentario è un contributo a questo tipo di approccio attraverso la lettura che dà del Quarto Vangelo. Gli studi contemporanei del vangelo mostrano un crescente interesse per ciò che è stata chiamata la critica narrativa. Adattando ed applicando le teorie della narrativa sviluppate dai critici letterari, gli studiosi del Nuovo Testa mento sono stati i primi ad appropriarsi di questo possibile approccio, vista la grande quantità di testi narrativi presenti nelle pagine della Bibbia. I critici del
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Nuovo Testamento non hanno esitato ad approfittare di questa opportunità (per il Quarto Vangelo vedi Culpepper, Anatomy; Moloney, Belief in the Word 1-22). Dietro ogni «racconto>> c'è un autore reale che ha in mente una persona o un gruppo di persone specifiche per il quale scrive il proprio racconto. Perciò esiste anche un lettore reale. Nessuna di queste persone si trova nel racconto stesso. Uno lo produce e l'altro lo prende in mano per leggerlo, o lo sente leg gere. Un autore costruisce un racconto come mezzo per comunicare un mes saggio a qualcuno. Il Quarto Vangelo è uno di questi scritti, ma è anche qual cos' altro. Il vero autore, chiunque possa essere stato, è morto da lungo tempo, come sono morti i destinatari originali del libro. E tuttavia, il Vangelo ha anco ra un grande numero di lettori. C'è un qualcosa in questo libro che ha tenuto vi vo l'interesse dei lettori per quasi duemila anni. Benché il vero autore e i veri lettori non svolgano alcun ruolo attivo negli eventi del racconto, essi lasciano comunque delle tracce. I racconti presentano trame appositamente studiate e personaggi che interagiscono dal principio al la fine secondo una certa cadenza di tempo attraverso la sequenza degli even ti. L'autore si inventa certi accorgimenti retorici per tenere assieme trama e per sonaggi in modo che il lettore non perda il filo del punto di vista dell'autore. Questi accorgimenti retorici si trovano nel racconto. Anche se i teorici della nar rativa non sono d'accordo sull'esatta estensione dello schema, si può generi camente dire che la comunicazione tra un autore reale e un lettore reale che so no fuori del testo avviene mediante un presunto autore, narratore o soggetto, e un presunto lettore che sono dentro il testo. Per quanto oscuri possano essere i particolari riguardanti la situazione concreta del vero autore originale e dei ve ri lettori originali, noi comunque abbiamo sempre il testo e da esso possiamo dedurre molte cose. Questo linguaggio può sembrare indebitamente complesso, ma rispecchia l'esperienza pratica di ogni lettore. Sia che sappiamo o meno chi è o chi è sta to l'autore storico, e sia o meno che un racconto sia stato scritto specificamen te per il lettore che lo ha tra le mani, ogni lettore percepisce la presenza di uno scrittore, che in questo commentario chiameremo «il narratore», e dietro il narratore si cela un autore che è quello che tira le fila. Una lettera smarrita che va a finire nelle mani di un estraneo dice immediatamente al lettore qualcosa sulla persona che l'ha scritta. Lo stile in cui è scritta inoltre rivela qualcosa de gli atteggiamenti dello scrivente e di come si rivolge al suo destinatario. La persona che ha trovato la lettera non conosce né il vero autore né il destinata rio originale, ma il vero lettore - quello che ha raccolto la lettera da terra - è in grado di conoscere la comunicazione contenuta nella lettera. La persona che ha raccolto la lettera scopre un autore «presunto» e un lettore «presunto» dal la lettera. Anzi, una lettera molto bella può perfino contenere dei «sottintesi». Quando ciò avviene, si stabilisce una mutualità tra il lettore «presunto» dalla lettera e il vero lettore della lettera. Non è necessario far parte del processo di comunicazione originale tra lo scrittore originale della lettera e il destinatario originale per essere mosso e ispirato dal potere emotivo espresso dalla lettera. La forma letteraria di una lettera è molto diversa dalla complessa struttura letteraria di una narrativa, particolarmente se questa è stata scritta quasi due-
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mila anni fa. Tuttavia, il processo di comunicazione tra un autore e un lettore si svolge in entrambi i casi. Gli approcci contemporanei alla narrativa dei van geli cercano di penetrare nel processo di comunicazione tra un autore e un lettore che noi non conosciamo e che sono morti da tempo, per far sì che il let tore contemporaneo possa sentirsi mosso e ispirato dalle entusiastiche con vinzioni dell'autore. Pur senza trascurare le questioni storiche che inevitabilmente si celano «die tro» il testo del Vangelo, questo commentario si concentra sulle caratteristiche letterarie che si trovano nella narrativa del Quarto Vangelo. Sarà prestata par ticolare attenzione alla forma letteraria di ciascuna suddivisione del racconto; il modo in cui ogni suddivisione consegue logicamente da ciò che è stato det to prima e conduce direttamente a ciò che segue; il ruolo del vari personaggi della storia; il trascorrere del tempo; gli enigmi irrisolti che emergono, costrin gendo il lettore a guardare più avanti nel racconto per dare un senso a questi in terrogativi; la coerenza del punto di vista fondamentale dell'autore che ha im postato e narrato una storia della vita di Gesù in un modo che non ha paralle li tra tutti i più antichi scritti cristiani. Come il lettore che «legge tra le righe» della lettera che ha raccolto per terra e si è lasciato prendere dalla sincerità e dal potere emotivo espressi nella lettera, anche noi «leggiamo tra le righe» di un'antica storia della vita di Gesù. Il «leggere tra le righe)) di questa particola re storia, tuttavia, è di lunga data ed è servito da ispirazione a molti cristiani di qualsiasi condizione per quasi duemila anni. Il presente commentario si pro pone di ripercorrere, attraverso le caratteristiche letterarie dell'arte del conta storie, la comunicazione che si svolge nel racconto tra un autore e un lettore. Noi dobbiamo }asciarci sedurre dal punto di vista dell'autore - ma quale autore? Per un autore è possibile scrivere un racconto che comunica un punto di vista del tutto estraneo alla propria vita vissuta, sentimenti, personalità ed esperienza personale. Come George Steiner ha giustamente notato: «Aristofa ne nel suo intimo può essere stato il più infelice degli uomini, ipotesi che è una sorta di inversione romanticizzata. La nostra convinzione che una qualche pro fonda turbolenza di spirito e di sessualità sia stata alla base della composizio ne di King Lear e di Timon of Athens può essere nient'altro che una triviale ra zionalizzazione. Non abbiamo alcuna prova né in un senso né nell'altro)> (G. Steiner, Real Presences. ls there anything in what we say?, Faber & Faber, Londra 1989, 169). C'è pertanto un autore nel testo del Quarto Vangelo, così come c'è un autore nel testo della lettera descritta sopra. Qualunque possa essere stata la si tuazione storica dell'autore in carne ed ossa, noi possiamo unicamente cercare di ricostruire il punto di vista teologico di un autore come ci appare nel testo stesso. Tale autore generalmente è chiamato l'autore presunto. Questa figura ca ratteristica di qualsiasi narrativa non è una persona storica, per quanto il pun to di vista possa rispecchiare o no le scelte di quella persona del passato che do vrebbe essere chiamata l'autore reale. A differenza di alcuni racconti contempo ranei, generalmente si può supporre (ma mai provare) che l'autore reale dei � l'autore presunto nei racconti del Nuovo Testamento parlino la stessa lingua. E difficile immaginare che un libro tanto intenso qual è il Quarto Vangelo possa essere qualcosa di diverso dalla comunicazione di una convinzione profonda-
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mente sentita e passionale d i una persona storica riguardo a ci ò che Dio ha fat to in Gesù e per mezzo di Gesù. Come l'autore storico del libro, morto da lungo tempo e al di là delle nostre possibilità scientifiche e conoscitive, così anche i primi veri lettori storici in car ne ed ossa sono al di fuori della nostra portata. Non possiamo sapere con cer tezza l'accoglienza riservata a questa calorosa storia di Gesù. La continuità di questo Vangelo dimostra che è stato accolto, apprezzato e tramandato, ma gli accenni contenuti nelle Lettere giovannee indicano che i lettori non erano sem pre d'accordo su ciò che l'autore intendeva comunicare. Anzi, ben presto co minciarono le polemiche, e perfino le divisioni, circa il significato cristologico e cristiano del Vangelo. Ciò è comprensibile. La mia reazione davanti a un qual siasi racconto dei vangeli può variare da una volta all'altra, a seconda delle cir costanze del momento. Ci rendiamo tutti conto delle numerose circostanze che possono influire sul processo di lettura, in meglio o in peggio. Eppure nel rac conto c'è un lettore al quale il presunto autore si rivolge, così come c'era un identificabile lettore presunto dalla lettera descritta sopra. Man mano che il racconto procede vengono offerte al lettore informazioni ed esperienze che egli non può fare a meno di notare. Questo lettore viene plasmato dai desideri del l' autore ed emerge col procedere del testo. Questo lettore non è soggetto ai ca pricci che possono insinuarsi nel processo di lettura. I critici parlano di un co strutto letterario insito nel racconto stesso, e le reazioni che suscita sono sotto il completo controllo dell'autore presunto. Tale «lettore» generalmente è chia mato lettore presunto. Il lettore presunto non è una persona storica. Storicamente esistono solo lettori reali. Il lettore presunto è prodotto dallo svolgersi del rac conto. Ricostruendo la conoscenza e l'esperienza del lettore presunto man ma no che si sviluppa ad ogni nuova pagina del testo, io sono maggiormente in grado di constatare il flusso temporale della narrativa e di apprezzarne lo svol gimento. Stanley Fish ha descritto l'uso che un critico di narrativa fa del letto re presunto in questi termini: La base del metodo è una considerazione del flusso temporale dell'esperienza di lettu ra, e si suppone che il lettore reagisca in base a questo flusso anziché all'intero discor so. Ossia, in un discorso di qualsiasi lunghezza, c'è un punto in cui il lettore ha assor bito solo la prima parola, poi la seconda, e poi la terza, e così via, e la conoscenza di ciò che accade al lettore è sempre una conoscenza di ciò che è accaduto fino a quel punto (S. Fish, Is There a Text in This Class? The Authority ofInterpretative Communities, Harvard Universi ty Press, Cambridge 1988, 26-27).
Ad ogni fase dello svolgimento del racconto il commentario si limiterà a fa re riferimenti alla parte della storia già narrata. Man mano che si apre una nuo va pagina si impara qualcosa di più riguardo a Gesù e al Padre che l'ha man dato, ma ci saranno altre cose da imparare nella parte della storia rimasta ine splorata. Solo quando l'autore avrà posto fine al racconto in modo evidente con la sua firma (cf 20,30-31) il lettore potrà riposare. Ma la citazione di Fish ab bisogna di un'ulteriore puntualizzazione, poiché essa non rispecchia appieno l'esperienza del lettore di fronte a testi canonici antichi qual è il Quarto Vange lo. Il lettore emerge gradualmente dallo svolgersi del racconto plasmato dal-
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l'autore, sapendo solo ciò che ha letto fino a quel punto e può solo guardare in• dietro per ricordare i fatti già narrati. Ma è impossibile che il lettore di nn van gelo cristiano non abbia alcuna conoscenza o esperienza della storia di Gesù di Nazaret e della vita e della pratica cristiana. L'applicazione diretta dell'analisi letteraria agli studi del Nuovo Testamento a volte ha presupposto questo tipo di lettore «vergine», ma ciò è irrealistico. L'autore del Quarto Vangelo dà per scontato che il lettore sappia già molte cose. Questo presunto lettore conosce il greco! Il lettore presunto nel Quarto Vangelo è in grado di afferrare il doppio si gnificato di alcune parole greche (es.: 3,3-5. 14; 8,28; 12,32) e della sottile ironia (es.: 9,28-29; 19,14-15); il linguaggio usato nella vita sacramentale della comu nità (6,51-58; 19,35) e gli accenni alla risurrezione di Gesù si suppone che ven gano capiti fin quasi dall'inizio della storia (cf 2,22). Da parte del lettore del Quarto Vangelo si presuppone molto di più della conoscenza del greco sintat ticamente corretto e semplice del testo (cf Barrett 5-11). L'uso senza alcuna spie gazione di certe categorie rnessianiche ebraiche (es.: in 1,19-51), di usanze reli giose (es.: 2,6; 5,9; 6,4; 7,2; 10,22) e della geografia della Palestina (es.: 5,2; 18,1; 19,17) indica che queste cose erano ritenute già note. Il lettore sa tutto ciò che l'autore non spiega. Il lettore del racconto del Quarto Vangelo può essere rite nuto a conoscenza della storia di Gesù, ma la sua forma giovannea viene pre sentata in modo da indurre il lettore (o l'ascoltatore) ad accettare un particola re punto di vista. Il lettore sa che Gesù è morto sulla croce, ma l'autore di que sto vangelo insiste che questa morte è stata sia un «innalzare» (cf 3,14; 8,28; 12,32) sia una glorificazione (11,4; 12,23). Anzi, in due diverse occasioni l'auto re del Quarto Vangelo non esita a spiegare al lettore perché questa storia sia sta ta scritta in questo particolare modo (19,35; 20,30-31). Sarebbe disonesto non riconoscere che ogni parola del Vangelo è soggetta a condizionamenti storici e culturali. Il fatto che il vangelo sia scritto in greco koiné è già una dimostrazione di questa verità. C'è inevitabilmente qualcosa di «strano» e di «estraneo» riguardo al testo biblico che richiede spiegazioni. La storia e la cultura del primo secolo devono essere prese in considerazione nel l'interpretazione. Il Quarto Vangelo, come tutti i testi biblici tramandatici dal la tradizione ebraica e cristiana, è un testo difficile, e gran parte delle difficoltà derivano dalla sua estraneità quando lo leggiamo nel nostro attuale contesto culturale. I lettori originali del Vangelo sono un importante punto di riferi mento nel seguire l'interazione tra l'autore e il lettore del testo. Adela Yarbro Collins ha giustamente insistito che noi dobbiamo dare maggior peso al contesto storico originale del testo. Questo contesto non può e non deve condizionare completamente tutto il successivo significato e l'uso che fac ciamo del testo. Ma se ... il significato è legato al contesto, il contesto e il significato ori ginali hanno un certo carattere normativa. A mio parere, i teologi biblici non sono sol tanto mediatori tra generi letterari; sono anche mediatori tra diversi periodi storici ... Qualsiasi tensione possa esistere tra i metodi di critica letteraria e critica storica, i due approcci sono complementari (A. Yarbro Collins, «Narrative, History and Gospel», Sem 43 [1988] 150, 153).
Ogni racconto genera un lettore nel suo svolgimento, ma sarebbe un errore
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pensare di avere esaurito il compito di interpretazione qu ando si è riusciti a ri costruire il flusso temporale del racconto attraverso l'esperienza di un lettore emergente. Tale uso delle tecniche letterarie sarà ancora limitato a dirci in che modo l'autore ha raggiunto un certo effetto, ma ci sono altri elementi da tener presenti per una valida lettura critica di un testo antico e normativo. l/ mondo dietro il testo deve essere rispettato e studiato se vogliamo capire la strana di stanza che lo separa dal nostro mondo e dai nostri interessi. Dobbiamo chie derci: in che modo il lettore che è nel testo che emerge dallo svolgersi di questa antica storia di Gesù parla alla conoscenza e all'esperienza del lettore cristiano del testo nel ventunesimo secolo? Esiste, naturalmente, un contesto che unisce i lettori originali e tutti i lettori successivi del Vangelo di Giovanni: un contesto generato dalla fede cristiana, una comunità di lettori credenti. Il segreto del va lore perenne di un racconto sta nella reciprocità che si viene a creare tra il lettore presunto nel testo e il lettore reale del testo, e il contesto comune della fede cri stiana rafforza questa reciprocità. Un racconto che parla di Gesù il Cristo do vrebbe esercitare una forte attrattiva sui cristiani. Eppure vi sono intere bi blioteche di libri cristiani che lasciano indifferenti! Cosa c'è nel Quarto Van gelo che ha generato un flusso costante di lettori? Dev'esserci una visione e un rispetto per il mondo che sta dietro il testo e che ha plasmato il lettore nel testo, ma c'è anche di più. Quando io leggo un bel romanzo per la prima volta, ne di vento il lettore presunto. Divento parte del racconto, preso dai suoi personag gi, eventi, tempo e luoghi con lo scorrere delle pagine. Questo accade per qual siasi libro bello, ma nel caso di un classico c'è un rapporto ancora più profon do tra il lettore presunto dal testo e il lettore del testo. È la reciprocità generata tra il lettore presunto dal testo e il lettore reale del testo che fa di un dato testo un classico. Come ha detto David Tracy: «La vera rivelazione di un testo classico è la sua capacità di attrarre l'attenzione per il fatto che in esso ha trovato espres sione un evento di comprensione adeguato alla finitezza dell'essere umano)) (D. Tracy, The Analogical lmagination: Christian Theology and the Culture of Plura lism, Crossroad, New York 1981, 102). La pratica della lettura e la comunità dei lettori che hanno prodotto la Bib bia sono un esempio di questa verità. Il Quarto Vangelo può vantarsi di essere un classico cristiano. Continuando a leggere il Quarto Vangelo dopo quasi due mila anni di lettura nei contesti più disparati, possiamo essere certi che c'è sta ta reciprocità tra i suoi lettori presunti e i lettori reali. Lo svolgersi del raccon to del Quarto Vangelo solleva problemi che il lettore risolverà man mano che procede nella lettura della storia di Gesù. In che modo queste soluzioni parla vano ai membri della comunità giovannea, i primi destinatari del libro, che fa cevano parte del mondo dei racconti dei vangeli nella misura in cui il lettore reale contemporaneo non potrà mai esserlo? Essi parlavano greco, o almeno lo capivano quando il libro veniva letto; erano in grado di afferrare le sottigliez ze delle parole con doppio significato e dell'ironia. Nessuna di queste capaci tà può essere data per scontata per la maggior parte dei lettori contemporanei del Quarto Vangelo. Le domande sollevate e le soluzioni proposte da questa storia di Gesù parlano ancora ai lettori reali dell'inizio del terzo millennio? Questo testo è veramente un classico? La sua pretesa a continuare ad attrarre
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l'attenzione dei lettori è veramente basata sul fatto che «qui ha trovato espres sione un evento di comprensione adeguato alla finitezza dell'essere umano» (Tracy)? La teoria della critica narrativa giustamente fa la distinzione tra il let tore presunto che emerge dallo sviluppo del racconto, il lettore destinatario per il quale originariamente il racconto è stato scritto (al quale un autore reale l'aveva originariamente «destinato») e il lettore reale, chiunque esso sia che in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo prende in mano il testo. La pratica della lettura invece non fa tutte queste distinzioni. E non le farà neppure il presente commentario. La nostra esperienza nella lettura ci dice che alcuni racconti ci parlano da soli, mentre altri ci lasciano indifferenti. Il commentario, pur tenendo presente l'emergere di un lettore nel testo, si ri volge esclusivamente al lettore moderno del testo. Cercherà di dimostrare che i lettori a cavallo tra il secondo e il terzo millennio sentono ancora che la loro rea zione a questo vangelo, dialogando con l'esperienza di quasi duemila anni di vita cristiana, è in sintonia con l'esperienza del lettore presunto e dei lettori originali della comunità giovannea. Possiamo anche trovare (e senz'altro alcu ni lo troveranno) che una tale reazione nel nostro ambiente mondano è fatua. E questa non è la sola cosa che può accadere. A volte potremmo avere un'ulte riore reazione che è indipendente dal lettore presunto e come tale al di fuori del controllo dell'autore. È inevitabile che la nostra reazione, di simpatia o di anti patia, sia il risultato della nostra posizione privilegiata di eredi e continuatori della lunghissima pratica cristiana della lettura dei vangeli. Come il narratore di Honoré de Balzac informa il suo presunto lettore all'inizio di Père Goriot: «Puoi stare certo che questo dramma non è né invenzione né romanzo. È tutto vero, talmente vero che chiunque può riconoscere gli elementi della tragedia nella propria famiglia, fors'anche nel proprio cuore» (H. de Balzac, Père Goriot, Penguin Books, Harmondsworth 1951, 28). Nella lettura del Quarto Vangelo che segue mi propongo di ricreare l'espe rienza del lettore emergente man mano che viene narrata questa particolare storia della vita, dell'insegnamento e della morte e risurrezione di Gesù. Due mila anni di storia cristiana sono un'indicazione attendibile che, generazione dopo generazione, lettori cristiani hanno «sottoscritto il contratto narrativo» del Quarto Vangelo; si sono immedesimati nel lettore presunto (cf Seymour Chatman, Story and Discourse. Narrative Structure in Fiction and Film, Cornell University Press, lthaca, N.Y. 1978, 150). Cercherò di evitare il gergo sviluppa to nell'ambito della critica letteraria e brevemente descritto sopra. Userò sem plicemente le espressioni «l'autore» e «il lettore». Esiste una distinzione teori ca tra i vari elementi che concorrono a creare una soddisfacente esperienza di lettura, ma il commentario cercherà di stabilire un incontro tra gli orizzonti dei mondi che si celano dietro il testo, nel testo e davanti al testo. Lo studio critico tradizionale verrà combinato con un approccio letterario contemporaneo per creare uno spazio dove possa nascere un lettore cristiano soddisfatto.
I n t ro d u z i o n e
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F. Contributo teologico e importanza contemporanea
del
Quarto Vangelo
La cristologia e la teologia di questo vangelo hanno fornito il materiale grez zo dal quale sono state forgiate le grandi dottrine cristiane (cf T. E. Pollard, ]o hannine Christology and the Early Church, MSSNTS 13, Cambridge University Press, Cambridge 1970). Importanti questioni riguardanti Gesù, Dio e la vita cristiana erano state lasciate irrisolte da Gesù stesso e dalla tradizione aposto lica. Con la diffusione del cristianesimo nel mondo e nella cultura del bacino mediterraneo e oltre, queste questioni lasciate in sospeso emergevano con una incalzante urgenza. Chi era Gesù di Nazaret? In quali rapporti era con Dio? Se era il Figlio di Dio, qual era la natura dei suoi rapporti con Dio? Era «dello stes so essere» del Padre? In caso positivo, egli era divino. Ma se era divino, in che modo poteva essere umano? Queste domande assillavano l'emergente Chiesa cristiana, e in seguito la società cristiana dopo che l'impero ebbe abbracciato il cristianesimo con la decisione di Costantino nel 313 d.C. di concedere la tolle ranza a tutti e di restituire ai cristiani i beni confiscati. Ci sono voluti quasi quattrocento anni prima che i grandi concili ecumeni ci di Efeso (431 d.C.) e di Calcedonia (451 d.C.) formulassero la risposta cri stiana a queste domande, ed è stato il Quarto Vangelo che ha fornito il lin guaggio per questi dibattiti. Gesù era il Figlio dell'uomo, il Figlio di Dio e la Pa rola di Dio; Gesù e il Padre erano una sola cosa, egli era nel Padre e il Padre in lui. Invero, la sfida intellettuale di accordare l'umano e il divino in Gesù è al centro sia del Quarto Vangelo che di tutti i successivi dibattiti cristologici. Cal cedonia può aver formulato un accettabile credo cristologico; ma non ha posto fine al dibattito cristologico. Questo commentario fa notare il modo in cui il Quarto Vangelo presenta il Dio d'Israele come il Padre e Gesù come il Figlio, in un rapporto che sta alla ba se di tutto. La Chiesa successiva ha preso una diversa direzione e ha usato il lin guaggio giovanneo nei suoi dibattiti sulla metafisica del Figlio di Dio. Questo spostamento di prospettiva comportava che il linguaggio del Quarto Vangelo rispondesse a domande che il racconto giovanneo non aveva sollevato. Come attesta la storia della teologia, questo spostamento ha causato molti problemi allora, e questi problemi sono ancora aperti. Uno dei contributi importanti che gli studi biblici contemporanei hanno dato alla teologia si può vedere nel ri torno teologico a una maggiore riflessione sul rapporto di Gesù Cristo con Dio e con il creato. Il Quarto Vangelo pone anche alcune domande riguardo a Dio che lascia senza risposta. Il tradizionale Dio d'Israele è ancora saldo al suo posto, ma Dio ora è il Padre di Gesù e Gesù è suo Figlio, unito in un'unità di volontà e di amo re con il Padre. L'Antico Testamento aveva già parlato dello spirito di Dio, e il Nuovo Testamento, particolarmente Paolo e Luca, avevano parlato a più ri prese dello Spirito (es.: Romani 8; Le 24,44-49; At 2,1-13). Nel Quarto Vangelo il Paraclito, lo Spirito Santo, diventa il personaggio che il Padre invierà dopo la partenza di Gesù. Lo Spirito Paraclito sarà la presenza di Gesù in sua assenza, a guidare, istruire e confortare i cristiani e a giudicare il mondo (cf 14,15-17.
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I l Va ngelo di Giova n n i
25-26; 15,26-27; 16,7-11 .12-15). Vi sono diversi passi nel Vangelo in cui l'intera zione tra Padre, Figlio e Spirito Santo è intensa (es.: 14,1-31). Ancora una volta
questi diversi «personaggi del racconto» sono chiaramente in rapporti reci proci. Dio è il Padre del Figlio, Gesù Cristo. Il Padre manda e ama il Figlio co me il Figlio ama il Padre. Il dono del Paraclito è intimamente legato alla conti nuazione del ministero di Gesù in sua assenza, e il Paraclito è mandato tanto dal Padre quanto da Gesù che è partito. Il Quarto Vangelo, tuttavia, non cerca mai di chiarire la natura di questo rapporto. Qui abbiamo l'inizio della tradizionale dottrina cristiana della Tri nità. La dottrina cristiana di un Dio in tre Persone è un tentativo di spiegare in termini filosofici, spesso metafisici, ciò che nel Quarto Vangelo è stato descrit to in una serie di relazioni. La Chiesa primitiva ha dibattuto queste questioni con grande passione, spostando la discussione dalla relazione alla metafisica fino a quando non sono stati compiuti i primi passi verso la formulazione del la dottrina tradizionale della Trinità al Concilio di Nicea nel 325 d.C. Nicea può aver formulato un credo trinitario, ma non ha posto fine al dibattito tri nitario. Ciò che è stato detto sopra circa il pensiero cristologico contemporaneo poteva essere detto anche circa gli scritti contemporanei sulla Trinità. Senza abbandonare la sua ricerca filosofica, gran parte della teologia contemporanea è arricchita da un ritorno alla riflessione sul rapporto esistente dentro e oltre la Divinità. Si potrebbero aggiungere molte altre cose riguardo al contributo teologico di questo vangelo, ma le rinvieremo al commentario: l'effetto salvifico della cro cifissione di Gesù, la rivelazione specifica di Dio per mezzo di Gesù Cristo, i sa cramenti cristiani del Battesimo e dell'Eucaristia, la natura comunitaria della vita cristiana, la tensione tra una visione della vita realizzata e di quella della fi ne dei tempi, la vita eterna e il giudizio: per accennare alle questioni più im portanti. Nessuna meraviglia che il Quarto Vangelo sia stato uno dei docu menti più amati in tutti questi secoli di cristianesimo. Esistono tuttavia altri motivi che rendono il libro affascinante oltre al con tributo che ha dato al pensiero cristiano e alla formulazione delle grandi dot trine cristiane. Esso ha soprattutto catturato la mente e il cuore dei suoi lettori. Alcuni passi sono diventati talmente centrali per i cristiani che hanno, per co sì dire, sviluppato una vita propria (cf 1,14; 3,16-17; 8,32; 1 0,30.38; 11,26-27, ecc.). Mentre il commentario cercherà di far risaltare l'impatto che il Vangelo esercita sul lettore, cercherà anche di sottolineare l'efficacia narrativa del rac conto giovanneo. Ma c'è un qualcosa dietro questo racconto che spiega tale ef ficacia narrativa e che non ha mai mancato di affascinare i lettori volenterosi. Il Quarto Vangelo riferisce la storia di Gesù di una comunità in transizione (vedi sopra: A. La letteratura giovannea). Non essendo più in grado di vivere la loro fe de in Gesù il Cristo, il Figlio di Dio, nel mondo in cui il cristianesimo aveva avuto origine, i cristiani giovannei hanno portato la loro storia di Gesù in un mondo nuovo (cf 9,22; 12,42; 16,2). Nel passaggio tra un mondo e l'altro, essi inevitabilmente, anche se forse inconsciamente, hanno prodotto una storia del la vita, morte e risurrezione di Gesù che rispecchiava la situazione permanen te di tutti i cristiani. L'invito a credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e che
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egli ha fatto conoscere Dio in modo che tutti quelli che credono possano avere la vita (cf 20,31; 17,3) è diretto a un popolo in transizione. La fede cristiana chiama costantemente gli uomini di tutte le generazioni ad essere un popolo in transizione. Un seguace di Gesù non può adagiarsi co modamente in un «sistema chiuso>> di credenze e di impegni religiosi, per quanto bene articolati possano essere. Nuovi mondi pongono continuamente al credente nuove sfide a raccontare e a vivere l'antica storia in modo nuovo, e il Quarto Vangelo l'ha fatto in modo paradigmatico nella Chiesa primitiva. Il commentario che segue farà notare con insistenza che il Gesù giovanneo ri chiede ripetutamente «di più» da quelli che si v�tano di essere approdati a credere e a capire lui e il Dio che egli ha rivelato. E questo «di più» che rende il cuore del cristiano inquieto e che conferisce a questo antico testo, con tutte le sue stranezze, un potere tutto proprio. G. La struttura del Vangelo
Pur con qualche voce di dissenso (cf Brodie 21-45), la grande maggioranza degli interpreti concorda nel suddividere il Quarto Vangelo in quattro parti principali: il prologo (1,1-18), il ministero di Gesù, spesso chiamato il «libro dei segni» (1,19-12,50), il resoconto dell'ultima sera di Gesù con i suoi discepoli, della passione e della risurrezione (13,1-20,29) e una solenne conclusione del Vangelo (20,30-31). Gli studiosi contemporanei, con il loro marcato interesse per l'unità letteraria del racconto come ci è stato tramandato, mettono in dub bio la validità del parere sostenuto per lungo tempo secondo cui Giovanni 2 1 è un'aggiunta al Vangelo originale. In questo commentario noi sosteniamo che si tratta di un'aggiunta. Le suddivisioni dettagliate delle parti principali sono più difficili da stabilire. La struttura presentata qui di seguito presuppone le dettagliate spiegazioni presentate nel commentario, particolarmente nelle in troduzioni generali che si trovano all'inizio di ciascuna parte principale. Per motivi di chiarezza, tuttavia, non riporterò i blocchi più piccoli di materiale che costituiscono le mie suddivisioni. Per il lettore sarà sufficiente tener pre sente lo schema degli argomenti del Vangelo che danno forma alla struttura del commentario. I motivi alla base dell'articolazione dettagliata di ciascuna parte di questa struttura generale saranno spiegati nel corso del commentario.
SCHEMA DELLA STRUTIURA DEL VANGELO l.
PROLOGO (1,1-18)
Il. IL LIBRO DEI SEGNI (1 ,19 1 2,50) A. I primi giorni di Gesù (1,19-51 ) B. Da Cana a Cana (2,1-4,54) -
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ll primo miracolo a Cana (2,1-12) II. Gesù e «i Giudei» (2,13-22) m.
Il commento del narratore (2,23-25)
Gesù e Nicodemo (3,1-21) Gesù e Giovanni Battista (3,22-36) VI. Gesù e la Samaritana (4,1-15) VII. Gesù e la Samaritana (4,16-30) VIII. Il commento di Gesù (4,31-38) IX. Gesù e i paesani della Samaritana (4,39-42) Il secondo miracolo a Cana (4,43-54) x. C. Le feste de «i Giudei» (5,1-10,42) 1. Gesù e il sabato (5,1-47) II. Gesù e la Pasqua (6,1-71) III. Gesù e i Tabernacoli, I (7,1-8,59) IV. Gesù e i Tabernacoli, n (9,1-10,21) v. Gesù e la Dedicazione (10,22-42) D. Gesù va verso «l'ora» (11,1-12,50) 1. Una risurrezione che porterà alla morte (11,1-54) II. È giunta l'ora (11,55-12,36) m. Conclusione del ministero di Gesù (12,37-50) IV.
v.
III. IL LIBRO DELLA GLORIA (13,1-20,29) A. L'ultimo discorso (13,1-17,26) I. Far conoscere Dio: la lavanda dei piedi e il boccone (13,1-38) II. Partenza (14,1-31 ) m. Rimanere, amare ed essere odiati (15,1-16,3) IV. Partenza (16,4-33) v. Far conoscere Dio: la preghiera finale di Gesù (17,1-26) B. La passione (18,1-19,42) I. Gesù e i suoi nemici in un giardino (18,1-11) II. Gesù compare davanti a «i Giudei» (18,12-27) III. Gesù davanti a Pilato (18,28-19,16a) IV. La crocifissione di Gesù (19,16b-37) v. Gesù sepolto in un giardino dai suoi nuovi amici (19,38-42) C. La risurrezione (20,1-29) Scene presso la tomba (20,1-18) 1. a) Visite al sepolcro vuoto (20,1-10) b) Gesù appare a Maria Maddalena (20,11-18) Scene in casa (20, 19-29) II. a) Gesù appare ai discepoli assente Tommaso (20,19-23) b) Gesù appare ai discepoli presente Tommaso (20,24-29) Iv. CONCLUSIONE DEL VANGELO (20,30-31)
V. EPILOGO: Altre apparizioni del Risorto (21,1-25) I. Gesù appare ai discepoli sul lago di Tiberiade (21,1-14)
I n t r o d u z i one n. m.
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Gesù, Pietro e n Discepolo Prediletto (21,15-24)
Seconda conclusione del Vangelo (21,25) B I B L I O G R A FI A G E N E R A L E
È impossibile riportare una bibliografia completa. I lettori che ne sono inte ressati dovrebbero consultare GILBERT VAN BELLE, Johannine Bibliography 1 9661985. A Cumulative Bibliography on the Fourth Gospel (BETL 82), University Press, Leuven 1988. Si tratta di un volume di 563 pagine di stampa fitta e il flusso del le pubblicazioni ha continuato ininterrotto anche dopo il 1985. Nella biblio grafia generale che segue mi sono limitato per lo più ad opere in lingua ingle se; ma esistono alcuni eccellenti commentari e studi in altre lingue che sono troppo importanti per poter essere tralasciati. (Questa Bibliografia generale è stata aggiornata con opere recenti italiane ed estere, vedi pp. xviii-xx). Nelle bi bliografie che seguono ogni parte del commentario ho citato altre opere più specializzate, alcune delle quali sono in altre lingue europee. La maggior par te degli studi citati, tuttavia, rimane in inglese. I libri elencati qui di seguito so no citati in forma abbreviata nell'Introduzione e nel testo del commentario. Commentari BARRETI C. K., The Gospel according to St. fohn, S.P.C.K., London 21978. BAUER W., Das fohannesevangelium erkliirt, HNT 6, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Ti.ibingen 1933. BEASLEY-MURRAY C. R., John, WBC 36, Word Books, Waco 1987. BECKER J., Das Evangelium des fohannes, 2 voli., OTBK 4/1-2, Echter Verlag - Gerd Mohn, Gi.itersloh - Wiirzburg 1979-1981 . BERNARD J. H., A Criticai and Exegetical Commentary on the Gospel according to St John, 2 voli., ICC, T & T Clark, Edinburgh 1928. BoiSMARD M.-E. - A. LAMOUILLE, L' Évangile de fean (= Synopse des Quatre Évangiles en Fran çais, ill), Cerf, Paris 1977. BRODIE T. L., The Gospel according to John. A Literary and Theological Commentary, Oxford University Press, New York 1993. BROWN R. E., The Gospel according to fohn, 2 voli., AB 29-29a, Doubleday, Garden City, N.Y. 1966-1970 (trad. it.: Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, 2 voli., Cittadella, Assisi 1979). BULTMANN R., The Gospel of fohn. A Commentary, Blackwell, Oxford 1971 (orig. ted.: Got tingen 1921.261986). BUSSCHE H. VAN DEN, fean. Commentaire de l' Évangile Spirituel, Desclée de Brouwer, Bruges 1976 (trad. i t.: Giovanni, Cittadella, Assisi 1970). CARSON D. A., The Gospel according to fohn, Eerdmans, Grand Rapids 1991 . DELEBECQUE E., Évangile de Jean. Texte Traduit et Annoté, CRIB 23, Gabalda, Paris 1987. ELLIS P. E., The Genius of]ohn. A Compositional-Critical Commentary on the Fourth Gospel, The Liturgica! Press, Collegeville 1984. GNILKA J., Das fohannesevangelium, Echter Verlag, Wiirzburg 1983.51999. HAENCHEN E., fohn 1-2, 2 voli., Fortress, Philadelphia 1984. HosKYNS E. C., The Fourth Gospel. Edited by E. N. Davey, Faber & Faber, London 1947. KYSAR R., fohn, Augsburg Commentary on the New Testament, Augsburg Publishing House, Minneapolis 1986.
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poito
=
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1-2), e in tal modo manifesta Dio, sia nel creato (v. 3ab) che nella presenza del lo stesso Verbo nella storia umana (vv. 3c-4). Questa conoscenza assicura la vi ta verso la quale aspira l'umanità, una vita che dà senso e direzione: la luce. È possibile tracciare una storia della salvezza dalla preesistenza del Verbo al la vita e alla luce portate nella storia umana mediante la presenza di una figu ra umana non ancora identificata: l. Un Verbo preesistente presso Dio (pros ton theon).
2. Manifestazione di Dio nella creazione (di'autou), nella quale il Verbo può già esse
re sperimentato. 3. Il Verbo nella storia umana sotto forma di vita che è la luce dell'umanità (en aut�).
Per quanto rimanga ancora da dire sul come ciò si è verificato, i vv 3-4 af fermano che la rivelazione portata dal Verbo sta venendo nel mondo. L'ultimo versetto di questa prima parte è segnato da un altro cambio di tem po del verbo: la luce splende (presente: phainei) nelle tenebre. C'è uno stretto le game tra il v. 4 e il v. 5, ma mentre il primo annuncia che il Verbo è la luce del mondo, il secondo indica che questa luce continua ad essere presente nono stante l'accoglienza ostile che le è riservata. Anche se può sembrare il contrario, sia che consideriamo la crocifissione come la fine della storia di Gesù, sia per la continua esperienza della presenza del male nel mondo, la luce che è il Verbo continua a splendere. L'autore introduce una forma del verbo lambanein, «rice vere, accogliere», che sarà usata regolarmente in tutto il Vangelo per descrive re il modo in cui l'umanità risponde o reagisce alla rivelazione di Dio realizzata in Gesù. Le tenebre non hanno sopraffatto la luce (ou katelaben). Può sembrare che l'umanità risponda negativamente alla presenza della vita e della luce, ma non è così. La luce continua a splendere nelle tenebre. A questo punto del Pro logo non ci può essere che un lontano annuncio che la risposta umana sarà ostile. Ulteriori dettagli su colui che dovrà essere accolto con fede saranno svi luppati nelle due parti successive (vedi vv. 14.17-18). L'incarnazione del Verbo (vv. 6-14) . La sublime poesia dei vv 1-5 scompare momentaneamente mentre i vv. 6-8 danno una descrizione più narrativa della figura e del ruolo di Giovanni Battista. Da molti considerati un'aggiunta se condaria al Prologo, questi versetti sono in realtà essenziali per la presente struttura e messaggio del Prologo. Gli accenni al coinvolgimento del Verbo ne gli eventi della storia che troviamo nei vv. 3c-5 continuano con l'entrata nella storia (egeneto) di una figura storica dal nome appropriato di «Giovanni». Gio vanni non era un uomo qualsiasi, poiché egli era mandato da Dio (v. 6). Questa affermazione è importante, poiché di nessun altro nel racconto giovanneo al l'infuori di Gesù è detto che è stato mandato da Dio. Giovanni faceva parte di un piano divino: egli è venuto a dare testimonianza alla luce, perché altri po tessero essere indotti a credere per mezzo della presenza vivificante della luce. Il tema del Verbo come luce riprende dai vv. 4b-5. Giovanni non era la luce; il suo ruolo era quello di rendere testimonianza alla luce. Non deve esserci con fusione. Giovanni Battista era una grande figura, ma non era lui la luce. La sua comparsa nei vv. 6-8 apre tuttavia la seconda parte del Prologo (vv. 6-14) con una descrizione del Verbo come luce, colui per mezzo del quale l'uomo può .
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giungere alla fede che dà la vita. Il Prologo ora è saldamente ancorato nella storia e, come i vv. 1-5, la sua seconda parte (vv. 6-14) si apre con una descrizio ne del Verbo e con una accurata separazione del ruolo del Battista dal ruolo del Verbo. La sola e l'unica autentica luce (to phos to alethinon) che dà la luce vera ad ogni uomo sta venendo nel mondo (v. 9). Gli accenni all'incarnazione già presen ti nei vv. 3c-4 adesso vengono esposti apertamente. Il riferimento alla venuta del Verbo nel mondo non può essere rinviato fino al v. 14. Era già stato accen nato nella prima parte del Prologo (vv. 1-5) ed è ripetuto nel v. 9. Il Verbo era nel mondo che deve la propria esistenza a lui (v. 10b; cf v. 3ab) ma il mondo non lo ha riconosciuto. Da questa affermazione generica l'autore passa a una più spe cifica individuazione del luogo e della gente che non l'hanno accolto: venne nella propria casa (eis ta idia) e fra la sua gente (hoi idioi). I documenti gnostici parlano del luogo agognato dall'anima, la sua vera dimora, definendolo ta idia (cf Odi Sal. 7,12; 26,1; Liturgia Mandea 114,4-5). Questo linguaggio poteva esse re ben noto a molti dei primi lettori del Quarto Vangelo, ma il suo significato è stato radicalmente trasformato. Per il Quarto Vangelo ta idia non è un qualche luogo celeste di esistenza ideale come pensavano gli gnostici. ll Verbo si è calato in una storia umana per essere respinto dalla sua stessa gente. Alcuni in Israe le non hanno accolto (ou parelabon) il Verbo. Compare ancora una forma del verbo lambanein per descrivere il primo momento della risposta dell'umanità. A differenza del v. 5 dove questo messaggio di una risposta negativa si trova per la prima volta, la risposta negativa da parte di quelli ai quali il Verbo si è pre sentato (v. 11) è controbilanciata dalla descrizione della risposta positiva da parte di altri e dei risultati di tale risposta (vv. 12-13). Nel v. 12 i verbi «accogliere» (lambanein) e «credere» (pisteuein) sono messi in parallelo: «A quelli che lo hanno accolto» (hosoi de elabon auton); «a quelli che credono nel suo nome» (tois pisteuousin eis to onoma autou). Accogliere il Verbo significa credere nel suo nome. Nel v. 5 e nel v. 11 il rifiuto del Verbo era stato descritto con la forma negativa del verbo «accogliere». Esiste un modo giusto e un modo sbagliato di «accogliere» il Verbo. Il modo giusto di «accoglierlo» è di «credere» nel suo nome. Per quanto riguarda il Prologo stesso, il Verbo non ha ancora un nome, nessun ruolo nella storia umana. Ciò nonostante, i risulta ti della credenza nel nome del Verbo sono descritti con un tempo al passato: ha dato loro (aoristo: edoken autois) il potere di diventare figli di Dio. Il potere con ferito non è una promessa ma un fatto compiuto per quanti lo accolgono e cre dono nel suo nome. È stata abbozzata per la prima volta una visione giovannea della vita e della vita eterna: non è necessario aspettare fino alla fine dei tempi per diventare figli di Dio. La scelta dell'aoristo infinito «diventare» (genesthai) indica che la fede giovannea e la cosiddetta «escatologia realizzata» richiedo no un impegno continuativo. In una escatologia tradizionale il credente aspet ta la risurrezione e la fine dei tempi per avere il dono finale della vita e della vi ta eterna. Nel Quarto Vangelo questi doni sono dati in anticipo. Sono a dispo sizione del credente adesso, e pertanto sono «realizzati». Si diventa figli di Dio attraverso un processo di crescita, e tuttavia tale fi gliolanza non può essere spiegata con l'esperienza o con la comprensione urna-
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na perché non è il risultato di un'iniziativa umana (v. 13). Gli antichi vedevano nella generazione di un bambino il risultato della coagulazione meccanica del sangue della donna che si mescolava con il seme maschile. Ma i figli di Dio non nascono «dal sangue». I figli vengono inoltre generati per effetto della con cupiscenza umana, ma i figli di Dio non nascono «dalla carne». Ci sono mo menti in cui i genitori decidono che vogliono avere un bambino e si comporta no di conseguenza, ma i figli di Dio non nascono «dal volere di uomo». I figli di Dio sono generati da Dio (ek theou egennethesan). Molti considerano il v. 14 il punto culminante del Prologo, il luogo dove viene annunciata l'incarnazione del Verbo. Ma l'indicazione che il Verbo veni va nel mondo si trova già nei vv. 3c-4 e nel v. 9. Il fatto della venuta nel mondo è già stato assodato. Questo adesso viene ribadito (v. 14a), ma l'idea centrale del v. 14 è quella di descrivere colui nel cui nome si deve credere: l'unico Figlio del Padre (v. 14bcd). Come il Battista è entrato nella storia umana (cf v. 6: egeneto anthropos) così anche il Verbo entra nella storia umana (sarx egeneto). Il Verbo preesistente, così intimamente associato a Dio (vv. 1-2), ora incarnato, può es sere la comunicazione e la rivelazione di Dio nella situazione umana, nella qua le adesso egli abita (v. 14b). Questa seconda affermazione, che il Verbo è venu to ad abitare in mezzo a noi, fa entrare nell'inno il mondo del lettore. Il verbo scelto per parlare dell'abitare del Verbo in mezzo a noi (eskenosen) può signifi care «abitare» oppure «vivere» e può essere legato all'abitare della Sapienza in Israele descritta in Sir 24,8: «il mio Creatore scelse il posto per la mia tenda e mi disse: "Fissa la tua dimora (kataskenoson) in Giacobbe, e prendi la tua eredità in Israele"» (cf anche 24,10). Il verbo greco skenein può anche essere legato al ver bo ebraico �akan usato per l'abitazione di YHWH in Israele (Es 25,8; 29,46; Zc 2,14) e radice di un'importante parola nel giudaismo rabbinico per parlare del la presenza della gloria (klibod) di YHWH sopra il tabernacolo (cf Es 25,8; 40,35). Il suo abitare «in mezzo a noi» guarda all'esperienza di una comunità creden te che può ulteriormente vantarsi di avere contemplato la sua gloria (ten doxan autou). Durante l'esistenza storica del Verbo i credenti rappresentati dall'auto re del Vangelo hanno visto la doxa. L'Antico Testamento ha parlato spesso del la manifestazione di YHWH visibile al popolo usando la parola ebraica kabod che i LXX hanno (stranamente) reso con doxa (cf, ad esempio, Es 33,22; Dt 5,21; 1 Re 8,11; Is 10,1; Ab 2,14). Vista l'intimità del rapporto esistente tra il Verbo e Dio da prima del tempo (cf vv 1-2), l'autore può dichiarare che contemplare l'incarnazione del Verbo equivale al vedere la rivelazione del divino nella sto ria umana. Questa affermazione è ulteriormente rafforzata nel v. 14d. La gloria con templata era la «gloria come dell'unico Figlio che viene dal Padre». Il rappor to descritto in precedenza tra il Verbo e Dio è ora articolato nel rapporto tra «Figlio» e «Padre». È stato così affermato un rapporto fondamentale per la sto ria che sta per cominciare. Come nei vv 1 -2, tuttavia, l'autore è attento a man tenere la distinzione tra il Figlio e il Padre. Il lettore non vede la gloria del Pa dre nel Figlio, una gloria «come del» (hos ) . La gloria che il Figlio aveva con il Pa dre prima del tempo (cf 17,5) è sconosciuta e inconcepibile per la situazione umana (cf v. 18). L'autore dichiara che ciò che la storia umana può contempla.
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re del divfuo è stato visto nell'incarnazione del Verbo, l'unico Figlio del Padre. Viene aggiunta un'ulteriore descrizione. L'ultima frase tradizionalmente viene tradotta «pieno di grazia e di verità», che ricalca l'ebraico di Es 34,6 (besed we'e met), ma è anche possibile che la parola greca charis nel Prologo giovanneo mantenga il suo significato originale: un dono gratuito. La traduzione presen tata sopra rispecchia questo punto di vista e poi legge il sostantivo che segue la congiunzione «e» (kai esplicativo) come un'ulteriore spiegazione del dono gra tuito. Questo dà la traduzione: «la pienezza del dono che è la verità» (cf Nota 14). La comunità che sta dietro la storia che inizia con questo Prologo ha con templato la manifestazione visibile di Dio, nel Verbo incarnato, l'unico Figlio del Padre, la pienezza del dono che è la verità. Il rivelatore: l'unico Figlio rivolto verso il Padre (vv. 15-18). La storia entra di nuovo nell'inno con il Battista che pronuncia le sue prime parole di testimo nianza. La prima descrizione del Verbo (vv. 1-2) è ripresa in forma di discorso di retto quando il Battista proclama che colui che viene (erchomenos: participio presente: «il veniente») segue Giovanni in termini di sequenza temporale degli eventi. Tuttavia, in termini del suo posto nel piano di Dio egli esisteva (gegonen: perfetto di ginomai) prima di lui. Usando di nuovo l'imperfetto del verbo «es sere» del v. l, Giovanni spiega come ciò possa essere: «perché era prima di me
(hoti protos mou en)». Della venuta del Verbo nel mondo è stato detto abbastanza (cf vv. 3c-4.9.14). L'autore passa immediatamente a un'osservazione finale sull'accoglienza e la ri sposta dell'umanità al dono del Verbo. Usando ancora un linguaggio che doveva
suonare familiare a molti lettori e ascoltatori originali del Vangelo, l'autore spiega che dalla sua [del Verbo] pienezza (ek tou pleromatos autou) noi tutti ab biamo ricevuto (v. 16). Anche qui, tuttavia, questo ben noto linguaggio è usato in una maniera sorprendentemente nuova. Per gli gnostici il pleroma esisteva nelle sfere celestiali; per il Quarto Vangelo i credenti ricevono da questa pie nezza nel contesto dell'esistenza umana. Essi ricevono un dono che perfeziona, e quindi porta a termine, un dono precedente. Tradizionalmente il termine gre co charis è stato tradotto con «grazia», e i critici sono stati perplessi circa il si gnificato della preposizione che unisce i due diversi usi del termine nell'e spressione charin an ti charitos. È difficile capire, se si prende l'espressione nel senso teologico cristiano, come una «grazia» possa essere contrapposta a un'al tra «grazia», ma possono invece esserci due «doni» dei quali nno perfeziona l'altro (cf Nota 16). Questi due doni, e il loro rapporto, sono immediatamente spiegati dal v. 1 7. Nella storia umana ci sono stati due speciali doni di Dio. In primo luogo Dio ha dato la Legge per mezzo di Mosè (dia Moiiseos edothe). Adesso invece abbiamo nn altro dono, già accennato nel v. 14 («la pienezza del dono che è la verità») e nel v. 16 («nn dono al posto di un dono»): il dono che è la verità (v. 17b: he cha ris kai he aletheia). I due sostantivi del v. 14 compaiono di nuovo, questa volta con un articolo definitivo, ancora uniti da un kai esplicativo. Il dono che è la verità sorpassa e perfeziona il precedente dono dato per mezzo di Mosè (cf v. 17a) ed è stato dato («ha avuto luogo»: egeneto) per mez zo di Gesù Cristo (dia Iesou Christou). Questa non è nna valutazione negativa
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del precedente dono; è una visione cristiana che rispetta il dono di Dio dato per mezzo di Mosè, ma insiste che il dono precedente adesso è perfezionato o tra mutato nel dono della verità che si è realizzato nell'evento e grazie all'evento di Gesù Cristo. Al termine della parte centrale del Prologo (vv. 6-14) l'oggetto dellafede cristiana è stato descritto come l'unico Figlio del Padre (v. 14). Questo Figlio (v. 14), il Verbo incarnato (vv. 1-2.14), adesso viene ulteriormente specificato: egli è la perfezione dei doni di Dio, ed ha un nome: Gesù Cristo (v. 17). C'è un altro punto che l'autore deve trattare prima di cominciare la narrazione. Ora che la storia sta per aver inizio, dev'esserci un'altra descrizione di ciò che Gesù Cristo ha fatto. Per quanto la comunità cristiana possa vantarsi di aver visto la rive lazione della gloria di Dio nel Figlio (v. 14), nessuno ha mai visto Dio (v. 18a). C'è un solo personaggio storico che ha raccontato la storia dell'atteggiamento di Dio verso il mondo (exegesato: vedi Nota 18): l'unico Figlio. In tutta la storia che verrà narrata, l'attenzione del Figlio sarà ininterrottamente concentrata sul Padre. Come nel preesistente rapporto tra il Verbo e Dio, così anche il Figlio, Gesù Cristo, è continuamente «rivolto verso il Padre» (ho iin eis ton kolpon tou pa tros. Vedi Nota 18). Il lettore incontra poi la congiunzione kai (v. 19). Gli eventi che verranno subito narrati sono legati al Prologo. Anzi, la narrazione deve da re un senso al Prologo così come il Prologo è stato scritto per dare un senso al la narrazione. Conclusione di 1 , 1 -1 8. Il Prologo del Quarto Vangelo è uno dei passi più no ti del Nuovo Testamento. Il simbolo giovanneo dell'aquila trae origine da que sto. Ancora più importante, il Prologo esprime i principali principi cristologi ci del cristianesimo: il Verbo esisteva con Dio prima della creazione; la crea zione è stata fatta per mezzo del Verbo; per i credenti è possibile l'affiliazione divina; Gesù Cristo è l'incarnazione di Dio, il Verbo diventato carne; il Verbo condivide la divinità con Dio, pur essendosi addossato pienamente la condi zione umana; Gesù è l'unica e irripetibile rivelazione di Dio nella storia uma na; il perfezionamento del precedente dono di Dio della Legge di Mosè si rea lizza in Gesù Cristo e per mezzo di Gesù Cristo. Nonostante il marcato accen to cristologico che ha contraddistinto l'uso del Prologo nel corso dei secoli, al centro di questo passo si trova una teologia. Ciò che il Prologo dice riguardo a Gesù dipende interamente da ciò che l'autore vuole dire riguardo alla rivela zione di Dio in e per mezzo di Gesù Cristo. Come prodotto di un'esperienza cristiana che ripensa con rispetto alle pro prie origini ebraiche, il Prologo deve essere capito alla luce della visione tradi zionale del Dio della Genesi e del Dio del Sinai. Il chiaro legame tra Genesi l e il primo versetto del Prologo imposta lo scenario. Prima che esistesse qualsia si cosa, c'era Dio. Giovanni 1,1 afferma che c'era anche il Verbo. Il ruolo del Verbo, come di qualsiasi parola, è quello di essere pronunciato. Il Verbo che era rivolto verso Dio rende noto Dio, e questa rivelazione comporta delle con seguenze per il creato e per le tenebre della condizione umana. Ora è possibile diventare figli di Dio. Non è che Dio non si sia mai preoccupato dell'ambigui tà della situazione umana. In tempi andati Dio si è manifestato; ha rivelato la sua gloria (Es 19,16-25) mediante il dono della Legge del Sinai, per mezzo di Mosè (Es 20,1-26). Il Prologo afferma che i cristiani hanno accesso al perfezio-
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namento di questo primo dono. Essi possono vedere la rivelazione della gloria di Dio nel suo Figlio Gesù Cristo. Dio ci ha fatto il dono due volte. Il suo pre cedente dono della Legge di Mosè è stato perfeziona to nella pienezza del suo
dono in e per mezzo di Gesù Cristo. · Solo il Figlio ha visto Dio e la storia della sua vita narrerà la storia dell'azione amorosa di Dio nella storia umana.
NOTE l. Il Verbo: Si è discusso a lungo su ciò che costituisce lo sfondo per l'uso dell'espressio
ne ho logos nel Prologo del Quarto Vangelo. L'espressione è usata diffusamente nella letteratura religiosa dell'antichità, da Erodoto a Filone nel mondo greco-ellenistico e in tutti i diversi sistemi gnostici. Presenta molti paralleli con la sophia del giudaismo el lenistico e si trova in molti passi della Bibbia ebraica, particolarmente nei profeti che annunciano la parola di YHWH. Nella letteratura rabbinica e targumica spesso si evi ta l'uso del nome e della presenza di Dio sostituendolo con l'aramaico memra: «la pa rola». Nell'uso cristiano pre-giovanneo «la parola di Dio» è il messaggio cristiano del la salvezza (cf Le 8,11; A t 13,5; l Ts 2,13; 2 Tm 2,9; Ap 1,9; ecc.). È difficile stabilire ca tegoricamente se qualcuna di queste influenze sia stata determinante per l'uso di ho lo gos, ma - come avviene spesso in questo Vangelo - l'espressione era certamente ben no ta a una molteplicità di lettori e di ascoltatori. In fondo, l'uso giovanneo di logos è de terminato dalla verità universale che la parola serve essenzialmente a comunicare. verso Dio: È spesso negato che nel greco koiné del Nuovo Testamento la preposizione pros seguita dall'accusativo mantenga questa idea di «moto verso». Il contesto generale deve determinare ciò che è possibile, per quanto il greco del tempo possa avere perso parte di queste sottigliezze; cf E. Delebecque, Saint fean 143. ciò che era Dio lo era anche il Verbo: Sin tatticamente kai theos en ho logos, mettendo il com plemento, senza articolo, davanti al verbo «essere» e facendolo seguire dal soggetto con l'articolo mantiene la distinzione tra ho logos e ho theos nel v. lb, ma indica che la lo ro intimità fa dell'uno ciò che è l'altro. Come Dio è divino, così il Verbo è divino, ma il Verbo non si identifica con Dio. 3-4. tutto è stato fatto: Il verbo greco ginomai è versatile e si presta a diversi possibili signi ficati. La mia lettura del v. 3ab interpreta il panta come un riferimento alla creazione e l'aoristo di ginomai (egeneto) come l'atto del creare. Questo significato vale per l'uso di egeneto sia in v. 3a che in 3b. Nel v. 3c il tempo cambia con il comparire del perfetto, ge gonen. Qui il riferimento non è più all'atto del creare ma a nn atto che «ha avuto luogo>> o «è accaduto» in passato e che continua fino al presente: la presenza della vita e della luce nella storia umana che «hanno avuto luogo» o «si sono verificate» per mezzo del Verbo. La maggior parte degli studiosi che non vogliono ammettere che la venuta del Verbo nel mondo sia già presente così presto nel Prologo, interpretano questa presen za della vita e della luce nei termini delle tradizioni sapienziali delle Scritture ebraiche, oppure parlano più vagamente della promessa di ciò che deve ancora venire. senza di lui nulla è stato fatto. Ciò che era in lui: I vv. 3-4 presentano un noto problema te stuale. Dato che i nostri manoscritti più antichi erano scritti in lettere maiuscole, sen za spazi tra una parola e l'altra e senza punteggiatura, è difficile stabilire dove termi na la frase. In tutti questi anni sono state suggerite diverse possibilità, che hanno an cora riscontro nelle traduzioni moderne. La mia traduzione fa terminare la frase con «e senza di lui nulla è stato fatto». n cambio di tempo nel verbo della frase che segue (cf Nota precedente) porta direttamente alle parole dell'attuale v. 4 senza alcuna interru zione: «Ciò che era in lui era la vita». Per una discussione dettagliata del problema te stuale vedi E. L. Miller, Salvation-History 79-86.
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la vita era la luce degli uomini: Al pari dell'espressione ho logos, gli importanti simboli gio vannei della «luce» e della «vita» sono ampiamente diffusi nella letteratura pagana, ebraica, cristiana e gnostica. Ora è opinione comune che la terminologia sia entrata nella tradizione giovannea dalle tradizioni bibliche ed ebraiche (cf H. Preisker, «Judi sche Apokalyptik» 673-678) ma, al pari di ho logos, queste espressioni erano facilmen te comprensibili dai lettori e ascoltatori appartenenti a diversi ambienti religiosi, na zionali e sociali. 5. le tenebre non l'hanno sopraffatta: Il simbolo de «le tenebre» (he skotia), evidente con troparte de «la luce», determina il significato del verbo katalambanein nel v. 5. Il ver bo può avere il significato di «comprendere intellettualmente», e alcuni esegeti han no interpretato il passo nel senso che le tenebre non sono state in grado di compren dere la luce. Ma le tenebre non devono essere collocate nella mente e nel cuore del l'umanità, incapace di accettare la luce e la verità portate dal Verbo. Questo sarebbe estraneo alla teologia giovannea della rivelazione e del giudizio che ne consegue (cf 3,11-21.31-36; 12,44-50). L'essere umano è libero di accettare o di respingere la luce. Le tenebre, pertanto, sono il potere del male che milita contro la luce. Perciò occorre at tribuire al verbo l'altro possibile significato di «sopraffare» (BAGD 412-413). Le te nebre non hanno sopraffatto la luce, che continua a splendere nel bel mezzo delle te nebre. 6-8. Venne un uomo mandato da Dio: È stato spesso fatto notare che i passi del Prologo che parlano del Battista sono fuori luogo. Nonostante un diffuso disaccordo su altri detta gli, tutti gli esegeti che cercano di ricostruire un inno pre-giovanneo omettono i vv. 6-8 e 15 perché ritenuti aggiunte giovannee fuori posto. Molti pensano che queste ag giunte siano un tentativo da parte dell'autore giovanneo di asserire la superiorità di Gesù rispetto al Battista in una comunità cristiana che coltivava un culto esagerato per il Battista (cf v. 8). Per un approfondimento di questo argomento vedi M. Theobald, Die Fleischwerdung des Logos 67-119. venne lc'era] un uomo: Giovanni Battista è presentato con l'aoristo del verbo ginomai. La frase presenta bruscamente gli eventi di un dato tempo e un dato luogo: egeneto an thropos: «apparve un uomo». Oltre all'indicazione data in questo passo che il Battista è stato «mandato da Dio», l'unica altra persona nel racconto ad essere descritta in que sto modo è Gesù (cf 1,14; 6,46; 7,29; 9,16.33; 16,27; 17,8). In qualsiasi modo si possano interpretare le asserzioni negative del v. 8, il Vangelo giovanneo non può essere consi derato un documento anti-Battista. doveva dare testimonianza alla luce: L'associazione del Battista con la testimonianza (eis martyrian, hina martyres�) imposta la scena per il ruolo del Battista nel racconto del Vangelo. Egli non è mai presentato come un precursore messianico. L'unica sua fun zione è di rendere testimonianza a Gesù. 9. veniva nel mondo la luce vera: Questa frase si presta ad almeno due traduzioni diverse. Oltre a quella appena riportata, la frase potrebbe riferirsi al Battista: «Egli era la vera luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo». Per la traduzione adottata qui ve di P. Borgen, «Logos was the True Light» 95-110. L'aggettivo vero (alethinon) nel Quar to Vangelo è usato per indicare ciò che è autentico e genuino, contro tutti i falsi pre tendenti. In questo caso, tra le tante possibili «luci», c'era una sola «vera luce». lO. egli era nel mondo: L'uso giovanneo di «il mondo» (ho kosmos) si presta ad almeno tre in terpretazioni, tutte presenti in questa frase: v. 10a: realtà creata (cf 11,9; 17,5.24; 21,25); v. 10b : l'arena in cui si attua la rivelazione salvifica di Dio in e per mezzo di Gesù Cri sto (cf 1,29; 3,16; 4,42; 6,51; 8,12; 9,5); v. 10c: il luogo in cui il potere delle tenebre regna come principe di questo mondo (cf 7,7; 12,31; 14,17.22.27.30; 15,18-19; 16,8.11 .20.33; 17,6.9.14-16). Cf N. H. Cassem, «A Grammatica} and Contextual Inventory» 81-91.
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il mondo non lo Ira riconosciuto: La forma negativa del verbo gin�skein, che qui troviamo
per la prima volta (ouk egna), è usata spesso nel Vangelo per indicare un rifiuto inten zionale da parte del mondo ostile di accettare la rivelazione portata dal Verbo (cf 3,1 0; 8,27.43.55; 10,6.38; 16,3; 17,23.25a). 11. vennefra la sua gente [nella sua casa]: L'aoristo elthen guarda indietro al momento nel pas sato quando il Verbo è venuto nel mondo. Come in tutto il Prologo e nel resto del Van gelo, l'uso di una forma negativa del verbo base lambanein indica il rifiuto del Verbo da parte dei suoi stessi familiari (ou parelabon). Per una trattazione più approfondita e do cumentata dell'uso di ta idia e hoi idioi nel m.isticismo ellenistico e gnostico vedi Schnac kenburg, Gospel 1,259-260. 12. a quanti lo hanno accolto ... che credono nel suo nome: L'uso positivo del verbo lambanein (elabon) parla dell'accoglienza del Verbo, messa in parallelo con il verbo pisteuein (tois pisteuousin). Nella visione giovannea della risposta cristiana c'è uno stretto rapporto tra «accogliere» il Verbo e «Credere» in lui. n suo significato verrà sviluppato ulterior mente nel corso del racconto evangelico (cf in particolare 2,1--4,52). figli di Dio: Figli nel senso di «bambini». Nel Vangelo giovanneo i credenti non sono mai chiamati figli adulti di Dio (huioi tou theou). Solo Gesù è huios, «il Figlio (adulto) di Dio». ll concetto teologico dell'affiliazione è reso con l'espressione «bambini di Dio» (tekna tou theou). ha dato il potere di diventare: L'uso dell'aoristo edaken indica che il potere di diventare fi gli di Dio è già stato dato e non è una semplice possibilità, anche se l'aoristo infinito ge nesthai indica che è richiesto un impegno continuativo. 13. i quali non ... sono stati generati: Nelle antiche tradizioni patristiche e nei manoscritti greci in lettere minuscole si trova una certa giustificazione per una lettura al singola re: «quello che non è nato» (ho ouk ... egennethe). Alcuni importanti esegeti vedono in questa lettura un riferimento alla tradizione del concepimento verginale. Cf l. de La Potterie, «Il parto verginale del Verbo incarnato» 127-174. La nostra traduzione segue la principale tradizione greca onciale e la maggioranza degli studiosi nella lettura al plurale (hoi ouk ... egennethesan) riferita ai «bambini di Dio» per effetto dell'iniziativa di vina. Cf J. W. Pryor, «Of the Virgin Birth» 296-318; Theobald, Die Fleischwerdung des Logos 238-247. non da sangue: L'insolita forma al plurale «dai sangui» (ex haimaton) deve essere pro babilmente intesa come la mescolanza del sangue femminile con quello maschile. Cf Bernard, Commentary 1,18. da volere di uomo: Questa traduzione apparentemente esclusiva (maschilista) rende be ne il greco ek thelematos andros, che rispecchia il mondo patriarcale del primo secolo nel quale il partner maschile era considerato il promotore determinante del processo che portava alla nascita di un bambino. 14. il Verbo si è fatto carne: C'è uno stretto parallelo tra la proclamazione della venuta del Battista nel v. 6: egeneto anthropos e la venuta del Verbo nel v. 14: ho logos sarx egeneto. la pienezza del dono che è la verità: L'aggettivo greco pllrls quando è seguito da un geni tivo è indeclinabile (cf BAGD 669-670) e la traduzione lo prende per un sostantivo (cf BDF § 263): «la pienezza». Questa «pienezza» è ulteriormente descritta dai due geni tivi che seguono: charitos kai aletheias. La traduzione attribuisce a charis il suo significato normale di gentilezza, manifestazione di buona volontà, dono, favore gratuito (cf LSJ 1978-1879). L'espressione compare solo nel Prologo giovanneo e in nessun altro passo del Vangelo. Molte interpretazioni e traduzioni sono state spesso indebitamente in fluenzate dall'importante utilizzo teologico che Paolo ha fatto del termine per parlare dell'amore gratuito di Dio per un'umanità peccatrice e immeritevole. Bisogna con sentire al Quarto Vangelo di usare la parola a modo suo, qualunque significato possa
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avere nella letteratura paolina. D secondo sostantivo (alftheias) ùnit6 a charls dalla con giunzione kai e anch'esso al genitivo è un esempio di un kai esplicativo o della cosid detta endiadi, in cui il secondo sostantivo non è un qualcosa di aggiunto al primo, ma lo spiega: un dono che è la verità (BDF § 442.9, 16). Questo dà la traduzione riportata sopra: «la pienezza del dono che è la verità». Cf de La Potterie, «Charis paulinienne et charis johannique» 265-282; Edwards, «Charin anti charitos Oohn 1,16)» 3-15. 15. quello che viene: L'espressione «il veniente» (ho erchomenos) in altri passi del Nuovo Testamento può avere connotazioni messianiche, ma questa possibilità non sembra valida in questo caso. Cf E. Arens, The ELTHON Sayings in the Synoptic Tradition: A Historico-Critical Investigation, OBO 10, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1976,
288-300. 16. dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: La parola greca hoti con cui comincia questa frase da molti Padri della Chiesa e da alcuni esegeti moderni è intesa come un'indica zione che chi parla è ancora il Battista. Alcuni scribi si sono resi conto della difficoltà e hanno sostituito hoti con kai. Anche se improprio, hoti può essere letto come se fosse kai («e»). E questo è il modo migliore di vederlo. Vedi Schnackenburg, Gospe/ 1,275-276. L'espressione tradotta con «pienezza» (pleroma) riprende il termine pleres del v. 14. Tut tavia, questo è un sostantivo molto usato nei sistemi gnostici, specialmente nello gno sticismo valentiniano, per parlare della «pienezza» celeste dei desideri degli iniziati. Cf Gerhard Delling, «pleres » ktl, TDNT 6:300-301; Kurt Rudolph, Gnosis: The Nature and Hi story of an Ancient Religion, T&T Clark, Edinburgh 1983, 320-322. Come nel caso di ta idia (cf v. 11) la parola doveva essere ben nota a un grande numero di lettori, ma il suo significato è radicalmente cambiato. Qui la comunità credente «riceve» dalla pienezza di qualcosa elargito nel contesto degli eventi umani. Ancora una volta compare il ver bo lambanein per descrivere il modo in cui la rivelazione del Verbo è incontrata dai cre denti (cf anche vv. 5.11.12). un dono al posto di un dono: L'enigma di due diverse «grazie» contrapposte (kai clulrin an ti charitos) generalmente è stato risolto traducendo la preposizione an ti con «SU», che dà l'espressione «grazia su grazia» con il significato di una sovrabbondanza di grazia. Questo significato attribuito ad anti è stato messo in discussione (vedi Edwards, «Cha rin an ti charitos» 5-6) e la mia precedente traduzione di charis con «un dono» dà un senso diverso alla frase, che fa sì che an ti mantenga il suo significato normale: «un do no al posto di un dono» (cf BAGD 73). 17. la legge: Nella descrizione dei due diversi «doni», il primo verbo è l'aoristo passivo del verbo didomi e indica che la Legge data per mezzo di Mosè (dia Mouseos) è un dono di Dio. Il secondo verbo, egeneto, riprende l'uso dello stesso verbo nel v. 14 (kai ho logos sarx egeneto) e indica che il dono viene per mezzo dell'incarnazione del Verbo, al qua le viene dato un nome riconoscibile, storicamente identificabile, per la prima volta nel Prologo (dia Iesou Christou). Entrambi sono doni di Dio. Uno non può sostituire l'altro. Uno prolunga e perfeziona l'incessante tenerezza di Dio. Il dono della Legge è perfe zionato nel dono dell'incarnazione. il dono che è la verità: Per descrivere ciò che si è realizzato in Gesù Cristo, il secondo do no, l'autore usa di nuovo il kai esplicativo, o l'endiadi. I due sostantivi allo stesso caso, uniti da kai, ripetono il v. 14e, ma questa volta i due sostantivi hanno l'articolo deter minativo: he charis kai he aletheia: «il dono che è la verità». Il termine aletheia è molto usa to nelle religioni greche e in quella gnostica. Nell'uso giovanneo, tuttavia, aletheia è strettamente legato all'idea della rivelazione autentica di Dio. Cf de La Potterie, La Vé rité 1,23-36. Una parafrasi che coglie compiutamente il significato del v. 17b potrebbe essere: la pienezza di un dono che è la rivelazione definitiva di Dio nella storia umana realizzata in Gesù Cristo.
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18. Dio, nessuno lo ha mili visto: ta·recrsa affermazione che nessuno ha mai visto Dio (theon oudeis horaken p')pote) è una negazione polemica di tutte le pretese, tanto ebraiche quan to gnostiche, che i grandi santi d'Israele o lo gnostico messaggero-salvatore abbiano mai potuto vedere Dio. Cf W. Carter, «The Prologue and John's Gospel» 43-48; C. H. Talbert, «The Myth of a Descending-Ascending Redeemer in Mediterranean Anti quity», NTS 22 (1975-1976) 41 8-443. l'unico Figlio: Esistono testimoni molto attendibili che leggono «l'unico Dio» (mono genes theos) al posto di «l'unico Figlio» (monogenes huios), compresi P66, P 75, l'antica pri ma versione del Sinaitico, il Vaticano e l'Ephraim Rescript. A fronte di questo, non ostante la sua base testuale alquanto debole, sembra che un riferimento a Gesù Cristo quale «l'unico Dio» sia piuttosto fuori posto in questo contesto e nell'ambito della cri stologia e teologia generale del Quarto Vangelo (cf 3,16.18; l Gv 4,9). La confusione può essere dovuta a un errore di trascrizione delle forme abbreviate di theos e huios. Vedi Brown, Gospel 1 1 7. che è rivolto verso il Padre: Spesso viene giustamente stabilito un parallelo tra il v. 1: ho logos èn pros ton theon e il v. 18: ho an eis ton kolpon tou patros. Tuttavia, occorre fare un'im portante distinzione tra le due affermazioni riguardanti l'intimo rapporto tra il Verbo e Dio (v. l) e tra Gesù Cristo e il Padre (v. 18). L'autore l'ha fatta risaltare mediante l'e spressione eis ton kolpon. L'espressione non indica una sede interiore o un ritorno allo stato preesistente del Verbo, come molti sostengono. Il termine greco kolpon indica il se no, il torace, una parte esterna del corpo (cf 13,23). Gesù Cristo è rivolto verso il Padre in continuazione nel corso della storia che sta per essere narrata. Il participio presente ho an rende chiaro l'aspetto continuativo di questa unicità. Il Prologo non termina con le parole riguardo alla vita nel Padre al di fuori del tempo. Gesù Cristo, l'unigenito Fi glio, per tutta la sua esistenza storica è stato rivolto verso il seno del Padre. è lui che lo ha rivelato: Il significato principale dell'ultima parola del Prologo (exegesato) deriva da un verbo ampiamente usato nella letteratura delle religioni elleniche che ha il significato fondamentale di «dire per intero», «esporre ampiamente», hanno indicato che egli ha l'autorità di far risuscitare «il Tempio» dopo tre giorni (v. 19). Il narratore spiega che il tempio che sarà distrutto e fatto risorgere dopo tre giorni non è lo hieron di pietra, ma il naos del suo corpo (v. 21). Gesù Cristo è il dono che sosti tuisce un dono precedente (cf 1,17). La trasformazione dell'acqua delle sei an fore usate per i riti di purificazione ebraici in ottimo vino è stata il primo «se gno» (cf 2,11) della pienezza dei doni di Dio che perfeziona il precedente dono di Dio a Israele. Il narratore adesso informa il lettore che rimangono ancora da vedere trasformazioni ben più meravigliose. Il costante uso dei verbi al futuro nei vv. 17 e 19-20 promette che la passione di Gesù per le cose del Padre suo lo condurrà ad essere divorato e che dopo un tempo molto breve egli farà risor gere il tempio del suo corpo (v. 21). La presenza di Dio nel Tempio sarà perfe zionata dalla rivelazione di Dio che si manifesterà nella distruzione e nella ri surrezione del tempio che è il corpo di Gesù. In un periodo in cui il Tempio di Gerusalemme non esisteva più, i lettori credenti del Quarto Vangelo spe rimenteranno la presenza del Gesù crocifisso eppure risorto come il loro «Tempio». Il narratore conclude le sue riflessioni su questo episodio guardando oltre il lasso di tempo del racconto a una futura esperienza dei discepoli. Nel v. 17 i di scepoli «si ricordarono» della parola della Scrittura che parlava di una persona divorata dalla passione per la casa di Dio, ma nel v. 22 diventa evidente che un tale «ricordo» non è sufficiente. Non rispecchia appieno una corretta visione della passione di Gesù per le cose del Padre suo. Il narratore fa notare che ver rà un tempo, «quando poi fu risuscitato dai morti», in cui il loro «ricordo» (em nesthesan) sarà più profondo e saranno portati a credere e a capire corretta mente le parole della Scrittura e la parola di Gesù. Il racconto guarda in avan ti alla risurrezione di Gesù per il superamento della limitatezza della fede dei discepoli. Al momento della morte e risurrezione di Gesù accadrà qualcosa che
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trasformerà i discepoli. Essi crederanno nella Scrittura e nella parola · pronun ciata da Gesù (episteusan tr graph� kai tq log{) hon eipen ho Iesous). Questo com mento finale del narratore è un'ulteriore indicazione della natura della vera fe de giovannea: è necessario credere alla parola di Gesù. La madre di Gesù ha indicato e seguito questa strada (cf 2,5), ma «i Giudei» hanno rifiutato la parola di Gesù (cf vv. 19-20). Se le tradizionali confessioni cristologiche usate nei primi giorni di Gesù (vv. 35-51) non rispecchiavano una fede autentica (cf vv. 38.41 .45.49), cos'altro è richiesto? Una risposta sta emer gendo dalla reazione della madre di Gesù e de «i Giudei» alla parola di Gesù
(2,1-5.19-20).
NOTE 13. la Pasqua dei Giudei: La Pasqua de «i Giudei» è nominata nei due passi che fanno da cor
nice all'azione (2,13.23). In questo Vangelo si parla spesso di diverse feste, e si è di scusso a lungo sulla loro importanza in relazione alla teologia e alla struttura del Quar to Vangelo nel suo insieme. La festa di Pasqua associata all'episodio della purificazio ne del Tempio non ha un legame teologico o letterario diretto con l'uso sistematico delle feste de «i Giudei» nei capp. 5-10 né con l'ultima Pasqua che fa da cornice tem porale per i ca pp. 11-20. Qui serve a concentrare l'attenzione sulle pratiche tradizionali d'Israele e de «i Giudei», che svolgono un ruolo centrale in 2,13-25. Brown giustamente vede nelle tre Pasque del Quarto Vangelo un' «ambientazione per un particolare rac conto» anziché delle «bandierine per le divisioni del Vangelo» (Gospel 1,cxxxix). È stato spesso notato lo stretto rapporto letterario tra i racconti di 2,1-12 e 2,13-25. Ve di, ad esempio, Koester, «Hearing, Seeing and Believing» 327-348. Gesù salì a Gerusalemme: È difficile stabilire con certezza il tempo e le circostanze esat te di questo evento nella vita del Gesù storico. Molto probabilmente il viaggio ha avu to luogo verso la fine della sua carriera ed è stato uno dei motivi che ha portato alla de cisione che doveva essere eliminato (cf Brown, Gospel 1,116-120). Per il Quarto Vange lo la sua collocazione all'inizio della storia di Gesù è un'ottima introduzione letteraria al tema dei conflitti tra Gesù e «i Giudei», e fa parte di una serie di risposte a Gesù nel l' ambito del mondo d'Israele. L'uso del verbo anabainein, «salire» (a Gerusalemme), si riferisce alla posizione della cit tà nella regione collinosa della Giudea. Il verbo tuttavia è stato usato (come qui) come termine tecnico per il pellegrinaggio alla capitale e al suo Tempio (cf Barrett, Gospel 197). 14. nel Tempio: Si dà per scontato che la celebrazione della Pasqua è incentrata sul Tempio. Con molti altri, Brown (Gospel 1,115) afferma che hieron si riferisce al cortile esterno del Tempio, mentre naos si riferisce al santuario. In realtà, hieron sta per il complesso del Tempio (cf BAGD 372). Questo è il significato inteso dall'autore nei vv. 14-15 e spiega l'equivoco che si verificherà nei vv. 19-21 . 15. e scacciò tutti: Secondo la maggior parte dei commentatori, pantas nel v. 15 comprende anche tutti gli esseri umani associa ti al commercio degli animali e al cambio delle mo nete oltre agli animali stessi (cf H. K. Moulton, «pantas in John 2,15», BT 18 [1967} 126-127). fuori del Tempio: Derrett ( «The Zeal of the House» 79-94) è del parere che Gesù agisce in base alla promessa del Servo in Is 59,14-20. Il Messia viene a controllare che il Tempio sia un luogo idoneo al quale le nazioni possono rivolgersi. Ma i contatti letterari sono scarsi, e la cristologia del Servo-Messia è alquanto estranea alla teologia giovannea.
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16. la casa del Padre mio: Di fondamentale importanza per l'interpretazione data sopra è la credenza ebraica che il Dio d'Israele dimora nel Tempio (cf Roland de Vaux, Ancient Israel: Its Life and Institutions, Darton, Longman & Todd, Londra 1961, 325-330), sulla montagna del Tempio. e ai venditori di colombe disse: A prima vista le parole di Gesù sono dirette solo ai vendi tori di colombe. Le parole di Gesù, tuttavia, sono quasi certamente rivolte a due grup pi diversi. Prima si rivolge ai venditori di colombe dicendo loro di portare via le gab bie, perché i piccioni non si possono scacciare a frustate; poi si rivolge a un gruppo più ampio di ascoltatori non identificati intimando loro di non fare del Tempio un mercato. Questa interpretazione è richiesta dall'entrata in scena de «i Giudei» nel v. 18, i quali chiedono un segno che dimostri il diritto di Gesù di comportarsi in quel modo. Essi sono stati sempre presenti, anche se nei vv. 14-16 non vengono nominati. 17. I discepoli si ricordarono: I discepoli compaiono nel racconto inaspettatamente, poiché non era stato detto che avevano accompagnato Gesù da Cafamao (v. 12) a Gerusa lemme (v. 13). «Lo zelo per la tua casa»: ll Salmo 68 è usato anche in altri passi del NT nell'apologetica della Passione (cf Rm 11,9; Mt 27,48; Cv 15,25; 19,28-29; At 1,20). Per una valutazione dell'uso giovanneo del salmo vedi Bamabas Lindars, New Testament Apologetic: The Doctrinal Significance ofOld Testament Quotations, SCM Press, Londra 1961, 104-108. mi divorerà: Le tradizioni testuali presentano qualche variante. In alcuni casi il tempo del verbo nei LXX è messo al futuro per adattarlo all'uso giovanneo del salmo; in altri casi il verbo in Gv 2,17 è messo all'aoristo per adattarlo al testo dei LXX (cf Bemard, Commentary 192). 18. Quale segno: L'uso della parola semeion da parte de «i Giudei» così presto dopo che il narratore ha usato la stessa parola per parlare del miracolo di Cana (cf 2,11) mette in guardia contro un'interpretazione univoca del termine nel Quarto Vangelo. A diffe renza del narratore che usa «segno» per parlare della rivelazione visibile della doxa (2,11), qui «i Giudei» chiedono che un atto profetico di zelo venga autenticato (cf La grange, Evangile 67-68). Nel Quarto Vangelo Gesù non opera mai «segni» come dimo strazioni miracolose per garantire la fede (cf Brown, Gospel l,ll5). 19. Rispose loro Gesù: Nonostante il suo rifiuto di mostrare un «segno» a garanzia della sua autorità profetica, la risposta di Gesù a «i Giudei» deve essere intesa come la promes sa di un «segno». Egli tuttavia cambia la loro aspettativa sia nel differire il tempo in cui il segno verrà dato sia per quanto riguarda la natura del segno. Distruggete questo Tempio: Come hieron, usato nei vv. 14-16 per indicare l'intero com plesso del Tempio, così anche il termine naos usato qui può riferirsi a tutta l'area del Tempio (cf BAGD 533-534). Il successivo equivoco de «i Giudeh> (cf v. 20) deriva ap punto dal fatto che entrambi i termini possono significare la stessa cosa. Essi danno per scontato che i due termini siano sinonimi. Per Gesù, invece, c'è una distinzione tra lo hieron del Tempio e il naos del suo corpo. Distruggete questo Tempio ... lofarò risorgere: I verbi per «distruggere)) (luein) e «far risor gere» (egeirein) possono essere applicati in senso proprio tanto alla demolizione e ri costruzione di un fabbricato quanto all'uccisione e risurrezione del corpo di Gesù (cf Schnackenburg, Gospel 1,349). in tre giorni: L'uso dell'espressione «al terzo giorno» in 2,1 è legata a Es 19,16 e non è principalmente un riferimento alla tradizione cristiana della risurrezione «al terzo gior no» (cf l Cor 15,4; Mt 16,21; 17,23; 20,19; Le 9,22; 18,33; 24,7.46). Si tratta di una espres sione convenzionale per un breve periodo di tempo. Come espresso elegantemente da Lindars: «Anche se il tempio venisse distrutto, io posso ricostruirlo in un attimo>> (Lindars, Gospel l43). La comunità giovannea potrebbe non aver avuto familiarità con
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il linguaggio della risurrezione «al terzo giorno». L'espressione non rompare mai in Giovanni 20-21. I lettori, tuttavia, vedono giustamente il collegamento con la tradi zione della risurrezione, come quasi unanimemente affermato dai commentatori. Sia che si tratti del linguaggio tradizionale della risurrezione o meno, la promessa della ri surrezione è chiaramente il «segno» che autenticherà la dichiarazione di Gesù che il Tempio è la casa di suo Padre. Dodd (Interpretation 209) in riferimento a 6,30 sostiene che il «segno» della distruzione e ricostruzione del Tempio è già stato dato nella scac ciata degli animali destinati ai sacrifici. Ma tale interpretazione elimina il contrasto creato dallo stretto rapporto tra le parole di Gesù nel v. 19 e l'esplicito riferimento alla risurrezione nel v. 22. 20. quarantasei anni: Dato che il periodo di quarantasei anni non corrisponde ai fatti (cf Barrett, Gospel 200), sono state attribuite a questa cifra varie interpretazioni simboliche: l'età di Gesù, il valore numerico del nome «Adamo», altre speculazioni numeriche gnostiche, ecc. L'esatto numero di anni non deve preoccupare il lettore. Ciò che im porta è che l'attenzione de «i Giudei» è limitata alla costruzione di un edificio e che per ciò perdono di vista ciò che Gesù intende dire di se stesso. Vedi Brown, Gospel 1,115-116; Barrett, Gospel 200-201. 21. Ma egli parlava: L'enfatico ekeinos, «quest'uomo», con cui il narratore presenta la sua os servazione contrappone la promessa di Gesù della distruzione e ricostruzione del Tem pio, che il narratore condivide, all'equivoco de «i Giudei» nel v. 20. C'è pertanto un net to contrasto tra la umanamente «normale» risposta de «i Giudei» (v. 20) e il punto di vi sta espresso dal narratore nel v. 21. il tempio del suo corpo: n genitivo «del suo corpo>> nell'espressione «parlava del tempio del suo corpo» (peri tou naou tou samatos autou) deve essere intesa o in apposizione (del tempio, ossia, del suo corpo) o esplicativa (del tempio che è il suo corpo). Vedi Bult mann, Gospel 127 n. 5. È stato sostenuto che l'espressione «il Tempio del suo corpo» (tou somatos autou) si riferisce all'esperienza eucaristica della comunità (cf Cullmann, Early Christian Worship 71-74; Derrett, «Fresh Light» 52-58). Il passo eucaristico più esplici to nel Vangelo (6,51-58) usa il termine sarx (che ricorda 1,14) anziché soma. 22. i suoi discepoli si ricordarono: L'ulteriore accenno ai discepoli, il loro «ricordare», l'ac cento su ciò che Gesù ha detto e la t� graph{ costituiscono uno stretto legame tra que sto versetto e il v. 17. Per quanto positiva possa sembrare l'interpretazione delle azio ni di Gesù data dai discepoli nel loro ricordarsi delle parole del Salmo LXX 68,10 [TM 69,9], il v. 22 indica che essi non hanno capito a fondo la passione di Gesù per Dio. Non hanno capito la Scrittura al momento della purificazione del Tempio; ma succes sivamente, in un tempo che sta ancora davanti al lettore di questo racconto in svolgi mento, essi arriveranno a credere nella Scrittura e nelle parole di Gesù circa la risurre zione del suo corpo che era stato distrutto. credettero alla Scrittura e alla parola: L'interpretazione proposta qui vede nel Gesù risor to e salito al cielo il perfezionamento della precedente promessa e la presenza del «Tempio», anche se il tempio di pietra di Gerusalemme non esiste più (cf Schnacken burg, Gospel 1,356-357). Questa interpretazione cristologica spesso viene esagerata mente spinta oltre, tramite il concetto paolino del corpo di Cristo, fino ad una inter pretazione ecclesiologica: il Tempio ricostruito è la Chiesa cristiana (cf Westcott, Gospel 42; Dodd, Interpretation 302-303; van den Bussche, fean 156-159) . Questa nozione non trova sufficiente giustificazione nell'insieme della teologia giovannea.
I l c o m m e n t o d e l n a r ra t o r e ( 2 , 2 3 - 2 5 )
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III. Il commento del narratore (2,23-25)
23. Mentre era a Gerusalemme per la festa di Pasqua, molti tra la folla [dei parteci panti alla festa] credettero nel suo nome vedendo i segni che egli compiva. 24. Gesù pe rò non si fidava di loro, perché li conosceva tutti 25. e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti sapeva quello che c'era in ogni uomo. I N T E R P R E TA Z I O N E
Introduzione. Mentre i primi giorni d i Gesù stavano per concludersi, egli aveva promesso segni più grandi, ma aveva indicato che tali segni sarebbero stati visti solo da quelli la cui fede era più grande di quella dei primi discepoli (1,49-51). In 2,23-25 il narratore riprende questo tema e si rivolge direttamente al lettore con un'osservazione sulla qualità della fede generata dalla vista dei segni che Gesù ha mostrato a Gerusalemme. Questo passo serve da conclusio ne agli eventi e agli scontri verbali che si sono svolti nel Tempio (vv. 13-22) e an che da introduzione per il seguente esempio di fede in Israele: Nicodemo (3,1-21 ). Molti credono, ma Gesù non si fida (vv. 23-25). Nel v. 23 c'è un ritorno al v. 13:
Gesù si trova a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua. Il resoconto de gli eventi iniziato nel v. 13 sta arrivando alla conclusione. Anche se non è stata riferita alcuna attività miracolosa, molti si avvicinano a Gesù nella fede (polloi episteusan eis to onoma autou) perché hanno visto i segni (ta semeia). Ci sono ac cenni a un movimento in massa verso Gesù, dettato però da motivazioni !abi li. La stessa stranezza di questa descrizione indica che il narratore intende chia rire un punto importante. La risposta iniziale di Natanaele a Gesù (1,49-51) aveva dimostrato che i segni non bastano. Il segno del miracolo di Cana ha
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prodotto la fede (2,11) ma tale segno non era stato richiesto; era stato offerto co me risultato di una fiducia incondizionata nella parola di Gesù (2,5). «l Giudei» avevano chiesto un segno e Gesù l'ha dato (cf 2,18-20), ma questo non li ha portati alla fede perché non era ciò che essi si aspettavano. Il narratore usa il verbo pisteuein due volte. La prima volta per descrivere la fede difettosa in Gesù basata sui segni da lui compiuti a Gerusalemme (v. 23). Poi lo stesso verbo è usato, in forma negativa, per descrivere la reazione di Ge sù a tale fede: non si fida di loro (ouk episteuen auton autois). Il Prologo ha an nunciato la reciprocità tra Gesù e il credente (cf 1,12-13), ma questa studiata ri petizione dello stesso verbo, prima in forma positiva poi in forma negativa, in dica che qui tale reciprocità è assente. Quelli che si avvicinano a Gesù per ef fetto dei miracoli non godono della stessa fiducia di Gesù nei loro confronti. La reciprocità promessa in 1,12-13 è assente. In nessun altro luogo la natura dina mica dell'idea giovannea della fede è presentata in modo così chiaro. Il motivo della risposta di Gesù (v. 25). La riluttanza di Gesù ad affidare se stes so a coloro che credono per effetto dei segni scaturisce dalla sua conoscenza del la natura umana (dia to auton ginoskein pantas). In questa parentesi confidenzia le da parte del narratore l'osservazione è accettabile. D Prologo (in particolare 1,3-4.10) insegna che il Verbo che si è fatto carne in Gesù Cristo sta dietro la crea zione di tutte le cose. Gesù quindi sa che la fede motivata dai segni non costi tuisce risposta sufficiente alla pienezza del dono di Dio che egli porta nella sto ria umana. Per quanto ci fosse bisogno di una testimonianza a favore di Gesù (cf 1,6-8.15.29-34), Gesù non aveva bisogno di alcuna testimonianza per quanto ri guarda la situazione umana. Egli sapeva ciò che si cela in ogni uomo. NOTE 23 .
per la festa di Pasqua, molti tra la folla: L'espressione en tp pascha en tç heort� deve essere intesa: « ... per la festa di Pasqua, molti tra la folla dei partecipanti alla festa)) Ooachim Jeremias, The Eucharistic Words of ]esus, SCM Press, Londra 1971, 71-73. Cf anche Bar rett, Gospel 202). Questo suggerimento accentua la presenza di una folla di Giudei al la celebrazione di una festa ebraica, dando risalto all'ambientazione geografica e reli giosa degli episodi descritti in 2,1-4,54. i segni che egli compiva: Il riferimento ai «segni» compiuti a Gerusalemme crea difficol tà per quanto riguarda la linearità della narrativa. Il racconto non ha riferito nessun «segno» operato a Gerusalemme, e questi «segni» disturbano la numerazione del pri mo e del secondo miracolo operati a Cana (cf 2,11; 4,54). Potrebbe trattarsi della trac cia di uno stadio precedente nella storia del Vangelo, e molti vedono in ciò un'impor tante reazione dell'evangelista contro la visione teologica della Fonte dei Segni (vedi sotto: i segni). Alcuni critici letterari la chiamano «anacronia» (cf Gerard Genette, Nar rative Discourse: An Essay in Method, Comell University Press, Ithaca 1980, 35-47). Il racconto nel suo svolgimento dà per scontato che i segni hanno avuto luogo, ma i se gni non sono il punto principale di questa riflessione. Servono a offrire all'autore l'oc casione di fare, con accurata scelta di tempo, una riflessione sulla reazione di Gesù verso coloro che vanno da lui a causa dei segni. Vedi le opportune osservazioni di Schnackenburg, Gospel 1,342. i segni: Nella scia del movimento «Storia delle Religioni» in Germania, sotto l'influsso dei precedenti commentari di Julius Wellhausen (1908) e Walter Bauer (1933) e alla lu-
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ce delle nuove scoperte di materiale gnostico, Rudolf Bultmann (1941) sostiene che il Quarto Vangelo è il prodotto di almeno quattro elementi principali. L'evangelista ha utilizzato una raccolta di miracoli del tipo usato dai sinottici. Questa è la «Fonte dei Se gni», che rispecchia una antica visione cristologica positiva di Gesù nella veste di tau maturgo. Un'altra fonte si trova in una raccolta di discorsi rivelatori proto-gnostici che sono stati cristianizzati in modo da presentare Gesù quale straordinario Rivelatore. ll compito principale dell'evangelista, che può essere considerato il terzo elemento nel processo di formazione del Vangelo, è stato quello di mettere assieme queste due fon ti fondamentali con le rispettive contrastanti cristologie. L'evangelista ha prodotto un vangelo che presentava Gesù come la rivelazione di Dio, esortando i lettori ad accettare il Rivelatore (il fatto che egli è il Rivelatore più che ciò che ha rivelato) e quindi la vera vita. Per ottenere il suo scopo l'evangelista ha insinuato una visione critica della teo logia e cristologia della Fonte dei Segni. Giovanni 2,23-25 è considerato un segno del la mano dell'evangelista a correzione della tendenza teologica della Fonte dei Segni. Questo vangelo radicale è stato riveduto da un cosiddetto «redattore ecclesiastico». L'ultimo stadio della composizione del vangelo ha poi inserito elementi più conser vatori, quali l'escatologia della fine dei tempi e riferimenti espliciti ai sacramenti nel la Chiesa primitiva. La teoria di Bultmann è ulteriormente complicata dal suggeri mento (non seguìto dalla maggioranza di coloro che in generale accettano la sua teo ria delle fonti) che l'attuale testo canonico non rispecchia l'ordine originale del Vangelo. Riprendendo e ulteriormente sviluppando una proposta di Bernard (Commentary, 1928), il suo commentario segue un ordine originale ipotetico, che è una nuova dispo sizione del Vangelo canonico. Anche se questa teoria delle fonti può sembrare ai non esperti alquanto fantasiosa, essa ha avuto una notevole influenza su parecchi studio si (compresi H. Becker, S. Schulz, H. Strathmann, W. Wilkens, G. Richter, J. Becker, J. Gnilka e E. Haenchen), senza contare che M.-E. Boismard ha proposto una teoria del lo sviluppo del Quarto Vangelo ancora più complessa. La presenza di una Fonte dei Se gni, anche se non sempre indicata con questo appellativo, è diffusamente accettata da un grande numero di commentatori della corrente predominante (compresi Rayrnond E. Brown, Rudolf Schnackenburg e Bamabas Lindars) ed è stata oggetto di alcune in fluenti rnonografie (es.: W. Nicol, The Semeia in the Fourth Gospel; R. T. Fortna, The Go spel of Signs; idem, The Fourth Gospel and Its Predecessor; S. Tempie, The Core of the Fourth Gospel; H. M. Teeple, The Literary Origin; G. Reim, Alttestamentlichen Hintergrund 206-246, 269-282; U. C. von Wahlde, The Earliest Version). Per una approfondita pre sentazione e critica della teoria di Bultmann vedi D. M. Smith, Composition and Order, e per una convincente critica recente della teoria della Fonte dei Segni vedi Udo Schnelle, Antidocetic Christology 150-164. Una rassegna di questa ricerca delle fonti del Vangelo si trova in Robert Kysar, «The Fourth Gospel: A Report on Recent Research» 2389-2480. 24. non sifidava di loro: L'espressione pisteuein auton autois è la forma riflessiva del verbo pi steuein che non si trova in nessun altro passo del Nuovo Testamento, ma che è usato al di fuori di esso (cf Barrett, Gospe/ 202). Il doppio uso del verbo pisteuein crea nei letto ri l'effetto voluto e rende bene l'idea dell'autore, ma è difficile poter parlare della «fe de» di Gesù in altri. Così l'autore ricorre alla forma riflessiva, che rende bene l'idea di «fidarsi di loro». Nella traduzione si perde tuttavia la sottigliezza del gioco di parole (episteusan ... ouk episteuen) . Il cambio dei tempi dall'aoristo all'imperfetto è anch'esso significativo. TI primo verbo indica un'azione definita e completa, «il secondo un'a zione fatta in modo abituale» (Westcott, Gospel 45). credettero nel suo nome... non sifidava di loro: Nel Quarto Vangelo il sostantivo pistis non è mai usato; in compenso il verbo pisteuein è usato novantotto volte. Questo fatto da so-
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Il
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lo indica la natura dinamica e attiva di ciò che Giovanni ·intende per credere in Gesù.
Quando poi si considera la frequenza con cui l'autore fa seguire al verbo pisteuein la preposizione eis, questo dinamismo è ulteriormente accentuato. Tuttavia, come si ve de già in 2,23, occorre fare attenzione a non vedere sempre nell'espressione pisteuein eis un'indicazione di una corretta fede giovannea. li conosceva tutti: La critica rivolta ai molti che vanno da Gesù per via dei segni non è una condanna. Non significa che essi non possono più progredire nel cammino della fede. Vedi Hodges, «Problem Passages» 139-152; Hahn, «Die Juden irn Johannesevan gelium» 432-434. 25. Egli infatti sapeva quello che c'era nell'uomo ... c'era un uomo: La traduzione rispecchia il le game esistente nell'originale greco tra l'introduzione (2,23-25) e l'episodio di Nicode mo (3,1-21): «rendere testimonianza sull'uomo (peri tou anthrapou) . . egli sapeva quel lo che c'era nell'uomo (en to anthropo) . . . c'era un uomo (en de anthrapos)». Vedi Moloney, San ofMan 46-47. Tener presente che in greco il termine anthropDs significa «essere uma no» (come in 2,25) ma qualche volta è usato per indicare l'essere umano «maschile» (come in 3,1 ). È la stessa ambiguità esistente in italiano dove «uomo» può essere un ap partenente alla razza umana o un individuo di sesso maschile. In greco esiste un ter mine specifico per indicare l'individuo di sesso maschile, aner, ma gli scrittori del NT spesso non fanno la distinzione tra aner e anthrapos. In questo caso il passaggio dal ge nerico allo specifico non interferisce con il legame tra 2,23 e 3,1-21. .
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Gesù e Nicodemo (3, 1 - 2 1 )
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l. Tra i farisei c'era un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. 2a. Que st'uomo andò da Gesù, di notte, e gli disse: 2b. «Rabbi, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». 3. Gesù gli rispose: «·In verità, in verità io ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio>>. 4. Gli disse Nicodemo: «Come può nn uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5. Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spi rito, non può entrare nel regno di Dio. 6. Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo Spirito è spirito. 7. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'al to. 8. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è di chinnque è nato dallo Spirito». 9. Replicò Nicodemo: «Come può accadere questo?». 10. Gli rispose Gesù: «Tu sei mae stro di Israele e non sai queste cose? 11. In verità, in verità ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13. Nessuno è mai salito al cielo, ma uno è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. 14. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio del l'uomo, 15. perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». 16. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, l'unico, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unico Figlio di Dio. 19. E il giudizio è questo: la luce è venu ta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce per ché le sue opere non vengano biasimate. 21. Invece chi fa la verità va verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
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I N T E R P R E TA Z I O N E Il posto di 3,1-21 all'interno di 3,1 -36. L'episodio dedicato a Nicodemo e l'ul
tima apparizione di Giovanni Battista fanno seguito alla riflessione sulla fede dei molti che sono stati indotti a credere in Gesù dai segni che ha operato (2,23-25). L'osservazione finale del narratore (2,25: «Egli infatti sapeva quello che c'era in ogni uomo») e l'introduzione di Nicodemo nel racconto (3,1: «Tra i farisei c'era un uomo») sono strettamente legate tra loro. Diversi elementi nel la struttura letteraria di 3,1-36 indicano stretti rapporti anche tra la presenta zione di Nicodemo e quella di Giovanni Battista (cf Rensberger, fohannine Faith 58-61). I due resoconti formano un dittico, poiché entrambi contengono una storia in cui prima Nicodemo (vv. 1-10) e poi il Battista (vv. 22-30) svolgono un ruolo centrale. Entrambi i personaggi si collocano saldamente nel mondo del giudaismo. Nicodemo è descritto come «uno dei farisei ... uno dei capi dei Giu dei» (v. l) e un «maestro di Israele» (v. 10). Egli incontra Gesù nella città di Ge rusalemme, non essendoci stato alcun trasferimento altrove dall'arrivo di Ge sù in città (cf 2,13). Sebbene il Battista svolga la sua attività probabilmente in una località della Samaria (cf Boismard, «Aenon» 218-229), la sua associazione con Israele è tradizionale, e la discussione che porta a ciò che dirà al riguardo dei suoi rapporti con Gesù si svolge «tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo ri guardo alla purificazione rituale» (v. 25). Le parti narrative sono seguite da ma teriale discorsivo (vv. 12-21 .31-36), e ciascuna svolge l'argomentazione in due fasi. Entrambe iniziano con l'affermazione che Gesù è il solo rivelatore delle co se del cielo (vv. 12-15.31-35) per passare poi alla conseguenza logica di tale af fermazione: la salvezza o la condanna scaturiscono dall'accettazione o dal ri fiuto di questa rivelazione (vv. 16-21 .36). Quali che siano le tradizioni alla base di 3,1-36, la stretta associazione del passo con 2,23-25 e la sua unità interna mo strano che si tratta del proseguimento di una serie di incontri tra Gesù e i per sonaggi del mondo d'Israele. Introduzione a 3,1-2 1 . Come nel caso di 2,1-12 e 13-22, il racconto di 3,1-10 prende le mosse dalle parole di Gesù e dalle risposte di Nicodemo a tali paro le. Nei vv. 11-12 Gesù continua il discorso dopo aver premesso il doppio «in ve rità» («amen, amen>>, vedi 1,51). Queste parole sono state interpretate come la conclusione della discussione con Nicodemo, dato che Gesù le usa parlando di rettamente a Nicodemo (v. lla: «ti dico [singolare]: lego soi»), ma nella stessa frase egli si rivolge a un uditorio plurale (v. 11b: «voi [plurale] non accogliete: ou lambanete» ). L'uso del plurale continua nel v. 12, e il discorso diretto con Ni codemo scompare. I vv. 11-12 costituiscono un «ponte» che serve da conclu sione ai vv. 1-12 e da introduzione ai vv. 11-21. Nicodemo viene relegato nello sfondo ad ascoltare il breve discorso di Gesù (vv. 11-21 ). Il discorso è diretto al lettore ed è un commento autoritativo all'incontro tra Gesù e Nicodemo. Il pas so presenta il seguente svolgimento: a) vv. 1-2a: La scena si svolge di notte e vengono presentati due personaggi: Gesù e Ni codemo. b) vv. 2b-11/12: Dialogo tra Gesù e Nicodemo: 1. v. 2b: Nicodemo si rivolge a Gesù, con la conoscenza che ha di lui. 11. vv. 3-8: Insegnamento di Gesù sulla necessità di rinascere dallo Spirito, nel cor-
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del quale l'equivoco di Nicodemo (v. 4) offre a Gesù l'opportunità di appro fondire il suo insegnamento. 111 . vv. 9-10: Le ultime parole di Nicodemo mostrano la sua incapacità di capire l'in segnamento di Gesù. Gesù risponde direttamente a Nicodemo. IV. vv. 11-12: Passo-ponte: Gesù prima parla a Nicodemo e conclude il suo incontro con lui; ma poi si rivolge a un uditorio più vasto e così apre il discorso dei vv. 11-21. c) tro. 1 1/12-21: TI discorso di Gesù I. vv. 11-12: Passo-ponte: le parole di Gesù chiudono vv. 1-12 e aprono vv. 11-21. n. vv. 13-15: Rivelazione delle cose del cielo nel Figlio dell'uomo, che viene dal cielo. m. vv. 16-2 1 : La salvezza o la condanna, conseguenza dell'accettazione o del rifiu to della sua rivelazione. so
Introduzione (vv. 1-2a). L'ambientazione ebraica per l'incontro di Gesù con Nicodemo è assicurata dalla continuata presenza di Gesù a Gerusalemme (cf 2,13) e dalla presentazione di Nicodemo come «fariseo», «uno dei capi dei Giudei». È un personaggio nuovo nel racconto e viene da Gesù «di notte>>. Il Verbo è «vita e luce>> (1,4) e la luce veniva nel mondo (1,9). La luce splende nel la tenebre e le tenebre non possono sopraffarla (1,5). Il movimento di Nicode mo, «uno dei capi dei Giudeh>, verso Gesù è un movimento significativo ver so il credere, verso l'accettazione di colui che è mandato a rivelare Dio (cf 1,11-14). Dialogo tra Gesù e Nicodemo (vv. 2b-12). Le parole che Nicodemo rivolge a
Gesù, tuttavia, indicano che il suo avvicinamento a Gesù è analogo a quello dei molti di Gerusalemme che sono andati a lui e hanno creduto nel suo nome perché hanno visto i segni da lui operati (2,23-25). «Rabbi, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni, se Dio non è con luh> (3,2b) Quasi tutti gli elementi del discorso di Nicodemo si tro vano in una precedente e parziale confessione di fede in Gesù. I primi discepoli hanno chiamato Gesù «Rabbi>> (1,38) e dopo essere stati poco tempo con lui hanno fiduciosamente asserito: «Abbiamo trovato>> (1,41.45). Natanaele ha cre duto che Gesù era Rabbi, figlio di Dio e re d'Israele sulla base della miracolosa conoscenza di Gesù (1,49) e molti in Gerusalemme sono andati da lui a causa dei segni da lui operati (2,23). Nicodemo si unisce a questi primi fragili cre denti in Gesù e si spinge un poco oltre riconoscendo in Gesù un maestro man dato da Dio e nei segni da lui operati un'indicazione che Dio è con lui, privile gio riservato ai grandi personaggi d'Israele (cf LXX Es 3,12 [Mosè]; Ger 1,8 [Ge remia]). .
Gli uomini come Nicodemo hanno identificato se stessi con le definizioni che cono scono troppo esattamente. Vogliono che qualcun altro confermi una tesi già consoli data nella mente di coloro che ne sanno di più. Per loro la rivelazione è diventata, del tutto inconsciamente, una specie di tecnologia (Bishop, «Encounters» 2,292).
Ma per quanto parziale la prima risposta di Nicodemo possa essere stata, si nota una progressione rispetto all'aperta ostilità mostrata verso Gesù da «i Giu dei» che hanno rifiutato la sua parola (2,18-20). Da parte di questo «capo dei
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Giudei» non c'è conflitto né rifiuto, ma solo un contatto che non riesce a supe rare la barriera delle «definizioni» che egli «conosce troppo esattamente». Lo scambio che segue prende le mosse dal concetto limitato, ma positivo, che Ni codemo s'è fatto di Gesù. La risposta di Gesù cerca di costruire su queste limitate basi. Senza alcuna spiegazione Gesù afferma: «Nessuno può vedere il regno di Dio senza essere nato anothen (di nuovo/dall'alto)» (v. 3). Gesù gioca sul doppio significato di anothen nell'affermare la necessità di una rinascita per poter «vedere» (idein) il regno di Dio. Israele aveva dimestichezza con l'idea di Dio visto come re, ma la richiesta di Gesù che uno nasca di nuovo l dall'alto per poter «vedere» il regno di Dio costringe Nicodemo ad allargare la propria idea di cosa possa essere questo regno. Aveva considerato Gesù un rabbi, un taumaturgo e un maestro (v. 2), ma ora si trova di fronte a un'affermazione che va oltre la sua capacità di comprensione. Egli quindi ripiega sul sicuro e pone una domanda che indica che non ha afferrato la portata dei due possibili significati di anothen e che non è neppure capace di uscire dal mondo che gli è familiare e che comprende: «Co me può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare deuteron (una se conda volta) nel grembo di sua madre e rinascere?» (v. 4). Gesù aveva usato una parola (anothen) con due significati. Uno giace sul piano temporale-oriz zontale («di nuovo») l'altro sul piano spaziale-verticale («dall'alto»). Le prime parole rivolte da Gesù a Nicodemo al momento del loro incontro (v. 3) si pos sono capire soltanto se anothen è inteso in entrambi i significati. Si può vedere il re gno di Dio soltanto in conseguenza di un'esperienza che combina in sé l' oriz zontale e il verticale, ma Nicodemo elimina il significato «dall'alto» usando un termine (deuteron) che può avere solo un significato temporale: «una seconda volta» (v. 4). Le parole di Gesù a Nicodemo comportano una nascita che com bina l'esperienza orizzontale del tempo con l'esperienza verticale della per meazione di Dio «dall'alto». La risposta di Nicodemo è limitata all'orizzonta le, all'esperienza della nascita fisica «una seconda volta» di un bambino dal grembo materno, il che è impossibile. L'equivoco di Nicodemo offre a Gesù l'opportunità di spiegarsi meglio (v. 5). Gesù ripete il v. 3 sostituendo anothen con espressioni che spiegano cosa si gnifichi «di nuovo» (da acqua) e «dall'alto» (da Spirito). Spiega inoltre cosa in tende per «vedere» il regno di Dio parlando di «entrare» nel regno: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare (eisel thein) nel regno di Dio» (v. 5). Per entrare nel regno di Dio è necessaria un'e sperienza umana «da acqua» e un'esperienza spirituale «da Spirito». È essen ziale un dono «dall'alto» per poter vedere ed entrare nel regno. Ciò collima con tutto ciò che è stato detto finora: la fede in Gesù non è il risultato della ri sposta umana. La nascita in una nuova situazione, in cui i credenti diventano figli di Dio in conseguenza dell'iniziativa di Dio, è già stata annunciata nel Pro logo come risultato del credere e dell'accogliere Gesù (1,12-13). Ma c'è anche un'esperienza storica, una rinascita «dall'acqua» associata al dono dello Spiri to. In 1,29-34 il Battista ha detto al lettore che il suo battesimo era «nell'acqua» (1,31). Il Battista ha reso testimonianza a uno tra di loro, ma sconosciuto, che avrebbe battezzato «nello Spirito Santo» (1,33). La rinascita dall'alto è pertan-
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to segnata daJla continuazione del rito del battesimo «con l'acqua», adesso per fezionato dal battesimo dello Spirito portato da Gesù. Nicodemo, che non ha letto il Prologo né ha sentito la testimonianza resa a Gesù dal Battista, per il momento deve rimuginare le parole di Gesù. Non le comprende, ma le pro messe del Prologo e la profezia di Giovanni Battista stanno realizzandosi in quelle parole. Poter vedere ed entrare nel regno di Dio è conseguenza di un rito dell'acqua che accompagna il dono dello Spirito. I commentatori fanno giustamente nota re che l'espressione «il regno di Dio» usata in questo vangelo viene da una pre cedente tradizione cristiana. In tale tradizione Gesù parla spesso del regno co me di una realtà presente (cf, ad esempio, Mc 1,1 5; 9,1; Mt 5,10; 6,10.33; Le 9,2 . 1 1 ; 17,21; Rm 14,17), ma l'immagine del «regno di Dio» è fondamentalmente esca tologica. Questo linguaggio escatologico è stato adattato per farlo corrisponde re alla più concreta visione giovannea dell'esperienza cristiana. Il regno di Dio si riferisce a una comunità di credenti, a un gruppo di cristiani che professano e cercano di vivere l'interpretazione giovannea di Gesù. I lettori originali di que sto vangelo si rendevano conto di un passaggio da una precedente situazione di stile di vita e di credenze, sia che si trattasse del Tempio o della sinagoga, a una comunità impegnata .nella fede e nella pratica cristiana. Il risultato di un dono dall'alto «dallo Spirito», l'essere nati di nuovo «dall'acqua» consentiva ai creden ti di vedere ed entrare nel regno di Dio. Fin dall'inizio il dono dello Spirito «dal l'alto>>, che rendeva possibile questo passaggio, è stato accompagnato da un ri to di rigenerazione reso solenne dal battesimo con l'acqua (vv. 3.5). Gesù rileva l'incapacità di Nicodemo di capire il suo insegnamento: «Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo Spirito è spirito>> (v. 6). Es sere nato dalla carne significa essere soddisfatti di ciò che si può osservare e te nere sotto controllo. Vivere nella «carne>> significa giudicare in base a ciò che è percepibile dai sensi (cf 7,24; 8,15). La nascita nello Spirito porta a un modo di verso di vedere e di capire, ma Gesù si rivolge direttamente a Nicodemo invi tandolo a non meravigliarsi delle sue parole (v. 7: me thaumas�s hoti eipon soi) se condo cui la rinascita deve effettuarsi mediante un dono «dall'alto» (anothen ). L'equivoco deve cessare, e per indirizzare Nicodemo Gesù ricorre a una breve parabola sul «vento/Spirito» (v. 8). In greco la stessa parola (to pneuma) può si gnificare «il vento» e «lo spirito». Con un gioco di parole Gesù comincia con una riflessione sull'esperienza quotidiana del «vento». Il vento (to pneuma) è un mistero; è una cosa che si può sperimentare; fa parte della vita. Ma non si può mai pretendere di aver scoperto da dove viene e dove è diretto (cf Qo 11,5; Sir 16,21, dove è detta la �tessa cosa). Sulla base di questa verità palpabile sul com portamento del vento (to pneuma), Gesù afferma che la stessa cosa vale anche per quelli che sono nati dallo Spirito (to pneuma). «Lo Spirito, come il vento, è del tutto al di fuori sia del controllo che della comprensione dell'uomo: spira in questo mondo da un altro mondo» (Barrett, Gospel 211). Non si può mai stabi lire né la sua origine né la sua destinazione. La limitata risposta di Nicodemo sarebbe superata se egli si rendesse conto di essere chiamato ad entrare nel re gno di Dio, dove coloro che sono nati dallo Spirito hanno la propria origine e destinazione nel mistero di Dio.
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Nicodemo rimane confuso. La sua reazione all'insegnamento di Gesù non è di rifiuto né di ricusa; ma è comunque una confessione perplessa che rispecchia la sua incapacità di abbandonare le proprie categorie mentali per abbracciare la misteriosa vita dello Spirito che gli offre Gesù: «Come può accadere questo?» (v. 9). La risposta è debole, e Gesù sorride mentre gli ricorda che lui è un «mae stro di Israele» (v. 10a). Dovrebbe essere stato in grado di afferrare almeno in parte il significato dell'insegnamento di Gesù. L'idea di una vita «nello Spirito» che trascende lo spirito e la comprensione dell'uomo non era nuova in Israele. Faceva parte della sua tradizione religiosa (cf Es 15,8; Is 40,7; 44,3; 59,21; Ez 11,19-20; 36,26-27; Gl 3,1-2; Gb 34,14; Sal 18,15; 51,10; Sap 9,16-18; l QS 3,13-4,26), e Gesù fra poco chiamerà questi insegnamenti «cose della terra» (v. 12: ta epigeia). Il passo-ponte (vv. 11-12). Gesù risponde a Nicodemo (v. 11a: amen, amen lego soi) da persona al singolare (lego) a un ascoltatore al singolare (soi), per poi pas sare immediatamente al plurale, di chi parla e di chi ascolta: «Noi parliamo di ciò che sappiamo (hoti ho oidamen laloumen) e testimoniamo ciò che abbiamo veduto (kai ho heorakamen martyroumen); ma voi non accogliete la nostra testi monianza (ten martyrian hemon ou lambatJete)». Questo passaggio dalla discus sione a testa a testa tra Gesù e Nicodemo è il passo che fa da ponte tra il rac conto dei vv 1-10 e il discorso dei vv. 13-21. Gesù e un rappresentante del giu daismo hanno avuto una discussione personale, ma ora si avverte la presenza di due gruppi contrapposti: la comunità di Gesù parla a Israele. Gesù fa i suoi commenti su ciò che è accaduto finora (v. 11). Le risposte di Nicodemo duran te la discussione hanno dimostrato che egli non è in grado di accettare la voce autorevole di Gesù (cf vv 2 . 4 9 ) che enuncia verità indiscutibili che non ha ri cevuto per sentito dire (cf vv. 3.5.6.8); Gesù dice ciò che sa per certo e Nicode mo è incapace di accettare tali verità. Tuttavia, anche se inizialmente dirette a Nicodemo (lego soi), queste parole adesso vengono da un Gesù comunità (la loumen, martyroumen) che proclama le parole di Gesù al mondo de «i Giudei» che non le accoglieranno (ou lambanete). Ciò che è stato detto finora viene dal meglio della tradizione d'Israele, ma queste verità sono definite «cose della terra» (v. 12a: ta epigeia). Se Nicodemo, «uno dei capi dei Giudei» e un maestro d'Israele, è incapace di credere queste cose, quanta maggiore difficoltà avran no «i Giudei» a credere la rivelazione di Gesù delle «cose del cielo» (v. 12b: ta epourania)? Gesù però non si lascia scoraggiare. Ha condiviso la ricchezza di ta epigeia con Nicodemo nei vv. 1-10; adesso nei vv 13-21 procederà a parlare di ta epourania. Nei vv. 11-12 non si tratta di dimostrare che il giudaismo è sbagliato, ma di dire a quelli che si sentono appagati dall'adagiarsi nelle tradizioni reli giose d'Israele (le cose della terra) che per la salvezza è richiesto qualcosa di più (le cose del cielo). La rivelazione delle cose che vengono dall'alto rende possi bile un rinnovamento. Ciò che segue è una sintesi del messaggio del Vangelo che presenta Gesù come il «rivelatore delle cose del cielo» (vv. 13-15) e la suc cessiva salvezza o condanna che consegue dall'accettazione o dal rifiuto di que sta rivelazione (vv. 16-21). La rivelazione delle cose del cielo (vv. 1 3-15). Gesù afferma l'esclusività della rivelazione del Figlio dell'uomo per mezzo di una perentoria negazione (oudeis) .
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" d i qualsiasi possibilità che i grandi rivelatori d'Israele siano mai saliti a l cielo, abbiano contemplato i segreti celesti e siano ritornati a rivelarli. Nessuno è mai salito al cielo (v. 13a). Esiste una sola persona che può autoritativamente rive lare le cose del cielo: il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo (v. 13b ). Questa è la base delle parole che in precedenza aveva rivolto a Nicodemo. Sa di cosa sta parlando e ha visto ciò di cui rende testimonianza (v. 11). Gesù proclama ciò che è già stato detto nel Prologo: «Nessuno ha mai visto Dio; l'unico Figlio, che è rivolto verso il Padre, è lui che lo ha rivelato» (1,18). Questo secondo riferi mento al Figlio dell'uomo serve anche da rincalzo alla precedente promessa fatta ai primi discepoli: una fede più grande farà vedere cose più grandi. Ve dranno la rivelazione delle cose del cielo nel Figlio dell'uomo (1,51). Soltanto Gesù, il Verbo fattosi carne (1,14), il Figlio di Dio (1,18), il Figlio dell'uomo (1,51; 3,13) rivela le cose del cielo. Ma come si effettuerà questa rivelazione? Uniti dall'uso dell'espressione «il Figlio dell'uomo», i versetti 13 e 14 sono strettamente legati tra loro. Mentre il v. 13 afferma che Gesù è il solo rivelatore di Dio, il v. 14 dice come questa rivela zione si manifesterà. Come Mosè ha innalzato (hypsosen) il serpente su di un'a sta, così dovrà essere innalzato il Figlio dell'uomo (hypsothenai dei). Come il popolo dell'Esodo, sofferente per i suoi peccati, doveva guardare il serpente in nalzato sull'asta per poter essere risanato (cf Nm 21,8-9), così la vita eterna sa rà data a coloro che, guardando il Figlio dell'uomo innalzato sulla croce, cre deranno (v. 15). Riceve di nuovo espressione uno dei temi centrali del Vangelo: i magnifici doni elargiti da Dio al popolo eletto d'Israele adesso vengono por tati alla perfezione con il dono del Figlio (cf 1,17). Poco dopo aver incontrato i termini a doppio senso anothen e to pneuma appare per la prima volta il verbo a doppio significato hypsothenai (cf 8,28; 12,32). Il verbo significa sia un innalza mento fisico, come ha fatto Mosè innalzando un serpente di bronzo sull'asta di una lancia, sia un'esaltazione. La morte di Gesù ha fornito la conoscenza di fondo essenziale per poter capire la lotta tra la luce e le tenebre (1,5), il rifiuto del Verbo da parte della sua stessa gente (1,11), l'ora di Gesù che «non è anco ra venuta» (2,4) e le prime avvisaglie di un futuro conflitto quando Gesù e «i Giudei» si incontrano per la prima volta (2,13-22). Ora viene indicato il modo in cui Gesù deve morire (cf 12,33; 18,32): sarà «innalzato>>. La prima volta che viene usato questo verbo a doppio senso indica che la crocifissione di Gesù sa rà anche la sua esaltazione. Per il momento questo è soltanto affermato, ma in tanto è stato abbozzato un altro messaggio centrale del Quarto Vangelo: Gesù è la rivelazione di Dio (v. 13) e questa rivelazione raggiungerà il suo culmine nell' «innalzamento/ esaltazione» di Gesù sulla croce (v. 14). Il credere a questa rivelazione porta la vita eterna (v. 15). Questa introduzione della promessa del la vita eterna (v. 15) porta allo sviluppo del tema della salvezza nei vv. 16-21. Salvezza e condanna (vv. 1 6-21). Un altro importante tema di questo vangelo emerge per la prima volta nei vv. 16-17. L'amore salvifico di Dio sta dietro il mi stero dell' «innalzamento» del Figlio, «mandato» per offrire la possibilità della vita eterna e della salvezza del mondo. Il messaggio dei vv. 13-15 resta sospe so mentre Gesù indica l'immensità del dono amorevole di Dio nella persona del Figlio per la vita del mondo. Il Figlio è stato mandato a salvare il mondo, non
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a giudicarlo. Nelle parole di Gesù entra un elemento universalistico nonostan te il contesto marcatamente ebraico dell'incontro con Nicodemo che precede questo breve discorso. «Dio ha tanto amato il mondo» (v. 16); «Dio ha manda to il Figlio nel mondo» (v. 17). Questo ricorda la promessa del Prologo (cf 1,12-13) e prepara il terreno per il racconto, che seguirà fra poco, dedicato agli incontri di Gesù con i Samaritani e con un Gentile (4,1-54). Ma l'amorevole do no del Figlio per la salvezza del mondo solleva la questione del giudizio. Seb bene Dio abbia mandato il Figlio a salvare - e non a giudicare - il mondo (vv. 16-1 7), un giudizio è ugualmente incombente. Questo scaturisce dall'accetta zione o dal rifiuto di accettare l'unica rivelazione di Dio che si manifesta nel Fi glio. Il linguaggio del Prologo si ripete quando Gesù parla di «vita», «luce» e «tenebre>> (vv. 18-21; cf 1,4-8). La fede porta all'esenzione dalla condanna e al la vita, mentre il rifiuto di credere porta alla condanna e alla morte (v. 18). Né il Figlio né il Padre si ergono a giudici. Il rifiuto di credere comporta l'auto..: condanna, evidenziata dalle opere malvagie e dalla presenza delle tenebre (vv. 18-19). Il tempo del giudizio è adesso, mentre il credente si trova di fronte alla ri velazione del Padre nel Figlio. L'escatologia giovannea realizzata sottolinea l'importanza della risposta del credente, non la sovrana azione di Dio. E tuttavia la decisione del credente pro o contro la rivelazione di Dio nel Fi glio non può essere limitata a un solo decisivo momento di verità e di luce da vanti a un irrompere irripetibile della Parola di Dio. Il discorso di Gesù termi na con un'osservazione sulla situazione del credente e del non credente che suppone una disposizione a lungo termine ad accettare o a rifiutare la rivela zione di Dio (vv. 20-21). ll fare il male consegue dall'amare le tenebre e dallo sta re in esse per potervi nascondere le proprie ambiguità (v. 20), così come una vi ta di opere buone porta a trovare la luce. Non è che si possa vivere nella luce, crogiolandosi nella beatitudine di una situazione acquisita. È richiesto un im pegno continuativo nelle opere buone per poter diventare sempre più profon damente inondati dalla luce e diventare partecipi della rivelazione continuati va di quella luce: «perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (v. 21b). Conclusione di 3,1-2 1 . Solo Gesù fa conoscere Dio (vv. 13-15) e il giudizio con segue dall'accettazione o dal rifiuto di questa rivelazione (vv. 16-21). Alla luce di questo discorso di Gesù, le esitazioni di Nicodemo, e specialmente il suo de siderio di tenere la sua accettazione di Gesù entro i limiti della propria cono scenza ed esperienza (cf vv. 2.4.9), devono essere interpretati come una rispo sta non adeguata alla richiesta di Gesù di una più grande fede che consente di vedere cose più grandi (cf 1,50-51). La fede di Nicodemo non risponde ai crite ri stabiliti nei vv. 11-21; ma non tutto è perduto. Questo «capo dei Giudei» (v. l) e «maestro di Israele» (v. lO) mostra una certa apertura iniziale nei confronti di Gesù. A differenza de «i Giudei» dei vv. 13-22, Nicodemo non respinge mai apertamente la parola di Gesù (cf vv. 18-20). Le sue difficoltà derivano dalla sua incapacità di vedere al di là di ciò che può misurare, controllare e capire. Non è stato in grado di intuire che l'unico modo di arrivare alla piena accetta zione di Gesù era il riconoscere che Gesù offriva un dono «dall'alto» (v. 3). Ni codemo sarà nuovamente di scena in due altre occasioni in episodi successivi
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e compirà i l suo cammino d i fede nello svolgimento della narrativa (cf 7,50-52; 19,38-42). Tuttavia, a questo punto del racconto, nella scia dell'assenza di fede tra «i Giudei» che hanno rifiutato la parola di Gesù (2,13-22), Nicodemo è un esempio di una persona che dimostra una fede parziale. Il concetto che Nicode mo s'è fatto di Gesù non è sbagliato, ma egli non si lascia guidare dal dono del lo Spirito «dall'alto» (v. 3: anothen) ad una piena accettazione delle «cose del cielo» (v. 12: ta epourania). NOTE l . Tra ifarisei c'era u n uomo chiamato Nicodemo: Rappresentando indubbiamente il risulta
to finale di una lunga tradizione orale pre-evangelica (cf Boismard e Lamouille, jean 112-11 7), il passo 3,1-36 è sempre più considerato un insieme unitario accuratamente articolato. Per una rassegna dei tentativi di stabilire tale unità vedi H. Thyen, «Aus der Literatur zum Johannesevangelium», ThR 44 (1979) 110-118. In tutto il Quarto Vangelo i termini «i Farisei» e «i Giudei» sono spesso intercambiabi li (vedi già 1,19.24). Il termine greco archon («capo», «principe») in questo vangelo vie ne applicato solo ai capi de «i Giudei» (cf 3,1 ; 7,26.48; 12,42) e al «principe di questo mondo» (cf 12,31; 14,30; 16,11). Nello svolgimento del racconto, i capi de «i Giudei» so no presentati sempre più come i rappresentanti storici del principe di questo mondo. 2. Rabbi, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro: È usato il plurale ad indicare il ruolo rappresentativo di Nicodemo; Gesù non parla solo con Nicodemo ma con l'intero Israele. Il fiducioso «sappiamo» non è solo un'opinione personale ma anche una di chiarazione dottrinale (cf Gaeta, Il dialogo 45). Questa dichiarazione di Nicodemo de termina la forma dialogica del racconto (cf Dodd, «Dialogue Form» 60-67) ed espone i criteri per poter dare un giudizio giusto o sbagliato di Gesù (cf Neyrey, «John III» 118-119). Mentre la maggior parte delle dichiarazioni di Nicodemo possono facilmen te essere considerate come un'espressione di categorie ebraiche del primo secolo, nel la definizione che egli dà di Gesù quale maestro venuto da Dio molti ravvisano un'e spressione del punto di vista giovanneo. Questo non è necessariamente vero, poiché la frase «esprime la convinzione generale del giudaismo» al riguardo dei grandi Israeli ti (Bernard, Commentary 1,101; Barrett, Gospel 205). 3. In verità, in verità [amen, amen] io ti dico: Il doppio «amen» giovanneo svolge un ruolo importante in 3,1-21. Come sempre, esso porta la discussione un passo più avanti in troducendo una nuova idea strettamente legata a ciò che precede. Compare nel v. 3 al l'inizio della risposta di Gesù alla confessione di Nicodemo. Nel v. 5 dà il via alla spie gazione di Gesù di ciò che è stato detto nel v. 3. Nel v. 11 è premesso alle parole di Ge sù che servono da conclusione dei vv. 1-10 e da introduzione ai vv. 13-21. Questo tri plice uso dell'espressione è pertanto un'importante indicazione dell'unità letteraria di 3,1-21. non [nessunol può vedere: Le parole di Gesù (ou dynatai) riprendono e ripetono la frase di Nicodemo «nessuno può compiere questi segni» (oudeis dynatai) nel v. 2. Gesù ripe te, ma sviluppando e approfondendo, la dichiarazione superficiale di Nicodemo. se uno non nasce [di nuovo] dall'alto: Alcuni commentatori ritengono che la migliore tra duzione di gen nethçè «essere generati» (es.: Brown, Gospel 1,130; Beasley-Murray, fohn 45). Noi pensiamo che sia meglio tradurlo con «nascere» per poter mantenere le pos sibilità spaziali e temporali di genneth� anothen: rinascita dall'alto. «Rigenerazione» avrebbe altre connotazioni. Molti commentatori sono del parere che Gesù per anothen intende solo «dall'alto» e che Nicodemo lo fraintende del tutto quando parla di deute-
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ron (v. 4). Ma nella spiegazione che Gesù fa nel v. 5 in «da acqua (di nuovo) ·e da Spirito (dall'alto)» è richiesta tanto la dimensione temporale quanto quella spaziale. «Anothen si presta a due significati e qui probabilmente li ha entrambi» (Barrett, Gospel 205). 4. Come può un uomo: Compare di nuovo il termine greco anthropos, che significa l'essere umano» senza distinzione di sesso. È possibile che l'autore intenda «un uomo ma schio», poiché tale è Nicodemo che parla per se stesso, un adulto che viene istruito sulla necessità di nascere di nuovo. entrare una seconda volta: L'uso che Nicodemo fa di deuteron indica che egli sceglie solo il significato temporale di anothen. La tecnica giovannea degli equivoci richiede che in questo caso - siano interessati entrambi i significati, quello temporale e quello spiri tuale. È qui che la spiegazione di Bultmann, peraltro ampiamente accettata, della tec nica giovannea degli equivoci è inesatta (Bultmann, Gospel 135 n. 1). Egli sostiene che si tratta di vedere il giusto significato della parola, ma pensando «che il suo significa to si esaurisce nel riferimento alle cose della terra». Come si può vedere in questo ca so, le cose della terra hanno ancora un ruolo da svolgere nella giusta interpretazione di anothen, ma non esauriscono il significato della parola. Occorre tener conto sia delle co se della terra che delle cose del cielo. 5. entrare nel regno di Dio: Per il rapporto giovanneo con la tradizione più antica nell'uso del «regno di Dio» vedi Lindars, «John and the Synoptic Gospels» 287-294. Ai verbi idein (v. 3) e eiselthein (v. 5) in relazione al «regno di Dio» viene spesso attribuito lo stes so significato, dato che «vedere» significa sperimentare (es.: Strachan, Fourth Gospel 130; Barrett, Gospel 207). È necessario attribuire a questi verbi tutto il peso di un' espe rienza fisica e storica: la rinascita nell'acqua e nello Spirito consente sia di vedere che di entrare nella comunità cristiana. Ciò comporta un'esperienza rituale che segni l'en trata nella comunità. Per la maggior parte dei commentatori, in questo vangelo l'e spressione tradizionale «il regno di Dio» si identifica con la «vita eterna (cf Lagrange, Evangile 74; Bernard, Commentary 1,101-102; Bultmann, Gospel 152 n. 2; Lightfoot, St. ]ohn's Gospel 130-131; Vellanickal, Divine Sonship 208-213) o «il regno celeste in alto al quale porta l'inviato divino» (Schnackenburg, Gospel 1,366-367). Westcott (Gospel 48-50) sostiene che significa la comunità dei credenti. Il suggerimento ritorna in varie forme, ma non ha avuto grande successo. Vedi i suggerimenti di Leroy, Riitsel und Miflver stiindnis 129-136; Rossetto, «Nascere dall'acqua» 56-58; Rensberger, Johannine Faith 55-56.58.66-70; Onuli, Gemeinde und Welt 63-64. Alcuni approcci strutturalistici recen ti hanno sottolineato che «l'ambito del regno non è altro che la comunità di fede gio vannea» (Patte, «Jesus' Pronouncement» 41). Vedi anche Michel, «Nicodème» 231-236; Gaeta, Il dialogo 49. nasce da acqua e da Spirito: n resto del dialogo si concentra sullo «spirito»; «l'acqua» non è più nominata. Il riferimento all'«acqua» è stato forse aggiunto da qualche scriba per rendere un testo «spirituale» più ecclesiale (Bultmann, Gospe/ 138 n. 3)? È probabile che si tratti di un'aggiunta al testo a un certo punto della storia della comunità gio vannea. La forma originale di questo testo avrebbe parlato della necessità di una rina scita nello Spirito per poter entrare nella comunità. Poi il distacco della comunità dal la sinagoga e una crescente presa di coscienza della sua individualità hanno portato al l'introduzione del riferimento all'acqua per fare un allacciamento esplicito con il rito del battesimo con l'acqua: un segno pubblico che indicava esternamente l'esperienza in terna e la dedizione alle credenze della comunità giovannea. Vedi I. de La Potterie, «Naitre de l'eau» 351-374. 6. Ciò che è nato dalla carne: L'interpretazione del termine sarx nel Quarto Vangelo deve es sere determinata dal suo contesto giovanneo anziché da altri usi che si fanno del ter mine nel NT. In questo vangelo, la maggior parte delle volte si riferisce al corpo di Ge-
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sù (1,14; 6,5i.52.53.54.55.56) ed ha un significato positivo. Dio viene rivelato nella ma nifestazione fisica di Gesù. In altre occasioni si riferisce alla carne degli esseri umani (1,13; 3,6; 8,15; 17,2). E ogni volta deve essere interpretata nel suo contesto, che gene ralmente si riferisce all'essere umano (1,13; 3,6; 17,2). C'è uno stretto legame tra 1,13 e 3,6. In entrambi i passi non si esprime alcun giudizio su ciò che nasce dalla carne se non per dire che si tratta di carne nel senso fisico del termine. L'uso peggiorativo di sarx che si trova nel Quarto Vangelo è la condanna di un giudizio dettato da una valutazione umana e superficiale delle cose viste, sentite e sperimentate (8,15; cf 7,24). 7. Non meravigliarti: C'è una leggera irregolarità nella sintassi greca di questo comando. Dopo il me ci si aspetta l'imperativo presente del verbo, che vieta la continuazione del l'atto di meravigliarsi; invece compare l'aoristo congiuntivo. Questo rende l'imperati vo più vivido e assoluto (cf Bauer, fohannesevangelium 55; ZGB 80). 8. Il vento soffia dove vuole: L'interpretazione data sopra legge il v. Babc in riferimento al vento naturale e solo il v. 8d come un'applicazione dei fenomeni associati al vento del lo Spirito. Alcuni commentatori sostengono che il v. 8abc ha il doppio significato di vento e Spirito, particolarmente sulla base dell'uso del termine phone. La «voce» del vento può anche essere la «voce» dello Spirito. L'interpretazione da noi scelta insiste sulla natura parabolica del detto, con l'applicazione che viene solo al termine di un esempio preso dalla natura. 9. Come può accadere questo ?: Nicodemo continua a mostrare la sua incapacità di capire la parola e la persona di Gesù. Esprime un concetto limitato di Gesù (v. 2); fraintende le parole di Gesù (v. 4); approda a uno stupore per lui incomprensibile (v. 9). Non c'è ma lizia e neppure aperto rifiuto, ma solo incomprensione. «Il pos [come?] di questa do manda è tipico del punto di vista del ''buonsenso"» (Bultmann, Gospel 143 n. 2). 10. Tu sei maestro di Israele: L'uso nell'originale dell'articolo determinativo (ho didaskalos: il maestro) non intende dire che Nicodemo è l'unico maestro in Israele. È un accorgi mento retorico per indicare un maestro importante, ma non l'unico (cf Bultmann, Go spel 144 n. 2). Per l'ironia presente nella domanda di Gesù vedi Duke, Irony 45-46. 11. In verità, in verità [amen, amen} ti dico: Compare di nuovo il doppio «amen» giovanneo a segnare un importante momento nuovo nel racconto, ma strettamente legato a tutto ciò che è stato detto prima. Vedi la nota relativa al v. 3. Tra i commentatori non c'è unanimità su chi parla in questo discorso. La nostra inter pretazione suppone che sia Gesù. Per una sintesi della discussione, che conclude at tribuendolo a Gesù, vedi Brown, Gospel 1,149. 12. cose della terra ... cose del cielo: La logica del racconto postula che «le cose della terra» (ta epigeia) che Gesù ha detto siano quelle contenute nei vv. 1-10. Data l'importanza delle parole di Gesù al riguardo della rinascita nello Spirito, ci si può legittimamente chie dere come tali questioni possano essere considerate «cose della terra». La posizione as sunta sopra, che per quanto eccelse possano essere nel contesto giovanneo esse sono tuttavia la cristianizzazione di un ricco filone del pensiero d'Israele, gode dell' appog gio di alcuni importanti commentatori (cf Barrett, Gospel 202-203; Blank, Krisis 62-63). La discussione tra Gesù e Nicodemo (vv. 1-10) rispecchia i dibattiti che si svolgevano tra la comunità giovannea e i membri della sinagoga. Se vi ho parlato: Nel v. 11 Gesù aveva parlato al plurale («noi parliamo di ciò che sap piamo ... »), ma nel v. 12 riprende il singolare. Questo cambiamento può rispecchiare di verse fonti, ma è anche possibile che, mentre il dibattito circa il significato di ta epigeia faceva parte del conflitto tra la comunità e la sinagoga (v. 11), la rivelazione di ta epou rania possa venire solo da Gesù, e quindi torna a parlare in prima persona. Vedi la no ta precedente. 13. Nessuno è mai salito al cielo: Per molti commentatori il legame tra il motivo dell'ascesa
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(v. 13a) e il Figlio dell'uomo (v. 13b) è associato o all'idea gnostica dell'ascensione del l'Uomo Primevo o all'idea lucana dell'ascensione di Gesù. Alcuni vi vedono entram be le cose. A questo si contrappone il parallelo dell'azione di Mosè che «innalzò il ser pente nel deserto» del v. 14. Nell'AT non c'è nessun accenno all'ascesa del serpente. Ri mane fisso perché possa essere veduto. A far da sfondo al v. 13 è la speculazione ebrai ca contemporanea riguardo all'ascesa dei grandi rivelatori d'Israele: Mosè, Abramo, Isaia, Enoch e altri grandi santi (cf Tg. Onq., Tg. Ps.-J e Frg Tgs. su Dt 30,11-14; Tg. Ps. 68,19; Mart. Isa. 2,9; 3,7-10; 1 Enoch 71; 2 Bar. 2,1-8; 3 Bar.; Adamo ed Eva 25-28; 2 Enoch 1; T. Abr , Ree. A: 10-15; Ree. B: 8-12). Tutte queste ascensioni rivelatorie in cui il veggen te è trasportato in cielo per poi far ritorno a far conoscere Dio sono categoricamente ne gate dall'uso di oudeis (cf 1,18). Per una panoramica di queste ascensioni vedi Talbert, «The Myth of a Descending-Ascending Redeemer» 41 8-443; Moloney, Son of Man 53-55. ma uno è disceso dal cielo: In contrapposizione alla negazione che qualsiasi persona sia mai salita al cielo per diventare un rivelatore, abbiamo l'affermazione positiva di un unico rivelatore, il Figlio dell'uomo, che è disceso dal cielo. I verbi anabebeken del v. 13a e katabas del v. 13b sono deliberatamente contrapposti. Il rivelatore non è uno che è sa lito, ma il solo che è disceso. Gesù è «dal cielo», l'inviato del Padre. Per una discussio ne completa della questione vedi Moloney, Son of Man 51-60. (che è in cielo): Alcuni antichi scribi, attratti dal riferimento all'ascensione, hanno ag giunto all'attuale v. 13 «che è in cielo» (cf ad esempio, l'antica versione dell' Alessan drino, Koridethi, alcune versioni latine e siriache). Sebbene per la maggior parte egi ziane (P66•75, Sinaitico, Vaticano, Regius, Freer Gospels, le versioni copta ed etiopica), le migliori testimonianze escludono l'aggiunta. E deve essere esclusa perché si tratta di un'aggiunta dei primissimi seribi. 14. come Mosè innalzò il serpente: Ciò che fa da sfondo al parallelo (Nm 21,8-9) tra Mosè nel deserto e il Figlio dell'uomo deve essere considerato attentamente. C'è uno stretto rap porto tra ciò che ha fatto Mosè con il serpente di bronzo e ciò che dovrà accadere al Fi glio dell'uomo (kathos MOiises hypsosen ton opsin ... houtos hypsothenai dei ton hyion tou anthropou). Il parallelo abbraccia anche il v. 15. Come gli Israeliti guardavano il ser pente innalzato per ricuperare la salute, così anche colui che crede nella rivelazione di Dio (v. 13) che si manifesta sulla croce (v. 14) avrà la vita eterna (v. 15). così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo: Come nel caso di anothen, dove è neces sario tener presente sia il significato fisico di «di nuovo», che il significato più spirituale di «dall'alto» per una corretta interpretazione del passo, così è anche nel caso di hypsothenai. Nell'interpretazione del v. 14 è interessato sia l'innalzamento fisico di Ge sù su un palo come Mosè ha innalzato il serpente, sia il significato teologico di «esal tazione». Ciò che questa associazione tra «l'innalzamento» e «l'esaltazione» può si gnificare è ancora da stabilire. Dopo 1,5; 2,4.18-22 e la consapevolezza cristiana che Gesù è morto sulla croce, «l'innalzamento» è associato alla morte di Gesù, ma il lega me tra la morte e la glorificazione verrà sviluppato in seguito. Man mano che si svol ge il racconto, questo diventerà il leitmotif del resoconto della passione. 16. da dare il suo unico Figlio: Nell'uso del verbo didomi alcuni vedono un legame tra la cro ce e il «dono» del Figlio (es.: Brown, Gospel 1,134). Ma per la croce i vangeli usano il ter mine tecnico paradidomi (cf Mc 9,31; 10,33; 14,21.41; Mt 17,22; 20,18; 26,2.24.25; Le 18,32; 22,22; 24,7). TI termine tuttavia non compare in Gal 1,4. Il contesto più ampio dei vv. 13-15, che porta al v. 16, certamente costituisce un messaggio dell'amore di Dio e del la croce quale dono del Figlio (cf Brown, Gospel 1,147). 17. perché il mondo sia salvato: Il linguaggio dei vv. 11-17 è tipico della letteratura gnostica tardiva: il Figlio parla di ciò che ha visto (v. 11); la rivelazione delle cose della terra e .
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delle cose del cielo (v. 12); la discesa del Figlio dell'uomo (v. 13); l'«innalzamento» del Figlio dell'uomo (v. 14); il Padre manda il Figlio a salvare il mondo (v. 16), non a giu dicare il mondo (v. 17). «È questo passo più di qualsiasi altro che convalida la teoria di Bultmann dell'adattamento da una fonte pre-gnostica . . È più ragionevole supporre che Giovanni voglia presentare un insegnamento fondamentalmente ebraico e cristia no in parole che presumibilmente sono significative per un uditorio gentile a cono scenza delle aspirazioni religiose ellenistiche» (Lindars, Gospel 147-148). Questo passo è un altro chiaro esempio dell'uso che fa l'autore del linguaggio e delle idee che nar rano una storia tradizionale in un modo nuovo. 18. non è condannato è già stato condannato: Le espressioni giovannee krinein e krisis com paiono qui (vv. 18-19) per la prima volta nel racconto. L'associazione di una escatolo gia realizzata con una teologia dell' autocondanna è uno dei contributi che il Quarto Vangelo apporta al pensiero cristiano. Non è necessario aspettare fino alla fine dei tem pi (escatologia tradizionale) che il Figlio dell'uomo ritorni ad esercitare un giudizio fi nale (cf Mt 25,31-46); ciascun individuo giudica se stesso in base all'accettazione o al ri fiuto della rivelazione di Dio in e per mezzo di Gesù Cristo e in base alle opere buone o malvagie che scaturiscono dalla sua decisione. Vedi Blank, Krisis 41-52, 75-108; Dodd, Interpretation 208-212. 1 9-21. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo: Questi versetti contengono un ele mento di predestinazione. La luce viene nel mondo di certe persone e non in quello di altre (v. 19). Di conseguenza, alcuni fanno il male e rimangono nelle tenebre (v. 20), mentre altri fanno il bene e vivono-nella luce e le loro opere buone sono viste (v. 21). Co me cerca di dimostrare l'interpretazione data sopra, questa non è l'unica lettura che si può dare di questo passo. Vedi anche Blank, Krisis 75 1 08; Stemberger, La symbolique du bien et du mal 26-33. .
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22. Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea, e là si tratteneva con loro, e battezzava. 23. Anche Giovanni battezzava a Ennon, vicino a Sa lim, perché là c'era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. 24. Giovanni, in fatti, non era ancora stato gettato in prigione. 25. Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo al la purificazione rituale. 26. Andarono perciò da Giovanni e gli dissero: «Rabbi, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai dato testimonianza, ecco: sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27. Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cie lo. 28. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: "Non sono io il Cristo, ma sono sta to mandato avanti a lui». 29. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è stata soddisfatta. 30. Lui deve crescere; io, invece, diminuire». 31 . Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra appartiene alla ter ra e parla di cose terrene. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza; 33. chi però accetta la te stimonianza, conferma che Dio è veritiero. 34. Colui che Dio ha mandato dice le paro le di Dio e dà lo Spirito senza misura. 35. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. 36. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui.
INTERPRETAZIONE
Introduzione a 3,22-36. Esistono indicazioni che questo passo è stato compo
sto mettendo assieme diverse tradizioni preesistenti. La parte iniziale (vv. 22-24) e quella conclusiva (vv. 31-36) presentano una certa sfasatura. Tuttavia, qualunque sia la sua origine, il brano serve molto bene a concentrare l'atten zione sull'interesse principale dell'autore: una presentazione narrativa del giu sto rapporto che deve esistere tra Gesù e Giovanni Battista. Gesù e Giovanni battezzano entrambi, ma in diverse località. Questa attività si svolge prima che Giovanni sia gettato in prigione. Per quanto sommariamente, i vv. 22-24 stabi liscono il tempo, i due luoghi, i personaggi in causa e la loro attività di battez zatori. In questa ambientazione, una discussione sulla «purificazione» tra i di scepoli del Battista e «un Giudeo» offre ai discepoli l'occasione di riferire al lo ro maestro che anche Gesù sta battezzando. Questo consente al Battista di ren dere la sua ultima testimonianza a Gesù (vv. 25-30). Come nel caso degli in contri di Gesù con «i Giudei» (cf 2,23-25) e con Nicodemo (cf 3,11-21), la testi monianza resa a Gesù dal Battista termina con una riflessione sugli eventi nar-
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rati (cf vv. 31-36). Chi è che parla nei vv. 31-36: Giovanni Battista, Gesù o il nar ratore? La questione non è ancora stata risolta. Se la consideriamo una rifles sione conclusiva da parte del narratore, il passo 3,22-36 può essere strutturato così: a) vv. 22-24: Introduzione. Tempo, luoghi e attività battesimale dei personaggi prin cipali del racconto (Gesù e Giovanni Battista). b) vv. 25-30: Giovanni Battista rende testimonianza 1. vv. 25-26: Un'osservazione dei discepoli del Battista solleva la questione della na tura dei rapporti tra Gesù e il Battista. n. vv. 27-30: Risposta del Battista; sua ultima testimonianza a Gesù. c) vv. 31-36: Discorso-commentario del narratore 1. vv. 31 -35: La rivelazione delle cose del cielo nel Figlio, che viene dal cielo. n. v. 36: La salvezza o la condanna che scaturisce dall'accettazione o dal rifiuto di questa rivelazione.
Il brano ha una struttura simile a 3,1-21. Entrambi i passi presentano una in troduzione (vv. 1-2a; 22-24) a una discussione (vv. 2b-12; 25-30) che porta a un discorso (vv. 11-21; 31-36). Emerge un'interessante caratteristica dell'insieme 2,1-3,36. I passi 2,1-12 e 2,13-25 sono strutturalmente simili, come lo sono 3,1-21 e 3,22-36. Questi passi sono ulteriormente uniti dal fatto che parlano tutti del la risposta data a Gesù da gente giudea: la madre di Gesù (2,1-12), «i Giudei» (2,13-25), Nicodemo (3,1-12) e Giovanni Battista (3,22-36). Qualunque sia la preistoria dei racconti e del materiale dei discorsi che è alla base dell'insieme 2,1-3,36, questa parte del racconto presenta una propria unità letteraria e te matica. Introduzione (vv. 22-24). Si nota uno stacco rispetto alla scena precedente, se gnato da un'espressione usata spesso nel Quarto Vangelo per introdurre una nuova fase del racconto: «Dopo queste cose» (meta tauta). Gesù e i suoi discepoli lasciano la città di Gerusalemme per il contesto geografico più ampio della «re gione della Giudea». In questa nuova località Gesù e i suoi discepoli rimango no insieme, e Gesù «battezzava». L'uso dell'imperfetto del verbo «battezzare» (ebaptizen) indica lo svolgimento di un'attività abituale. In un altro luogo, a En non vicino a Salim, anche Giovanni è impegnato a battezzare. La località di En non non è nota con certezza, ma la sua descrizione come di un luogo dove si trova abbondanza di acqua ha indotto molti a pensare a una località della Sa maria (cf Boismard, «Aenon près de Salem» 218-229). Compare di nuovo l'im perfetto passivo del verbo «battezzare» ad indicare che la gente andava da Gio vanni per farsi battezzare (ebaptizonto) (v. 23). Due personaggi sono stati collo cati in due luoghi diversi, ma entrambi sono impegnati nella stessa attività del battezzare. In queste osservazioni introduttive non si trova alcun accenno a qualsiasi differenza qualitativa tra i due battesimi. L'attenzione è concentrata sui battezzatori, non sull'efficacia dei rispettivi rituali battesimali. Con un'ul tima nota introduttiva il lettore viene informato che tutto ciò avveniva prima che Giovanni fosse gettato in prigione (v. 24). La descrizione dei personaggi, del tempo, del luogo e delle loro attività parallele imposta la scena per il breve rac conto che segue (vv. 25-30).
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I due battezzatori (vv. 25-26). Due personaggi di spicco praticano il battesimo (vv 22-24), e nasce una discussione tra i discepoli del Battista e «un Giudeo». La disputa «riguardo alla purificazione» (peri katharismou) è descritta in termini molto generici (cf 2,6), ma in tale contesto è da mettere in relazione ai vv 22-24: tra i discepoli del Battista e «un Giudeo» c'è qualcosa da chiarire al riguardo del battesimo amministrato da Gesù e da Giovanni (v. 25). Solo questa interpreta zione della discussione riguardo alla «purificazione» può dare un senso all' os servazione che i discepoli fanno al loro maestro: «Rabbi, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai dato testimonianza, ecco: sta bat tezzando e tutti accorrono a lui» (v. 26) . La retorica dietro l'osservazione è sot tile. In una disputa riguardo ai rispettivi meriti di due battezzatori, a uno di es si viene chiesto di esprimere la sua opinione. I discepoli ricordano il ruolo svol to da Giovanni fino a questo punto del racconto, la sua testimonianza a Gesù (cf 1,6-8.15.19-34). In ciò che potrebbe essere un tenue indizio di testimonianza storica, essi ricordano un momento in cui Gesù e Giovanni si sono trovati in sieme dall'altra parte del Giordano (cf Murphy-O'Connor, «}ohn the Baptist and Jesus» 367-376). Ora i due si sono separati (vv. 22-23), e i discepoli di Gio vanni sono preoccupati non solo perché Gesù ha cominciato a svolgere un'at tività parallela al ministero del Battista, ma anche perché «tutti accorrono a lui». L'ultima testimonianza del Battista a Gesù (vv. 27-30). Ci si potrebbe aspettare che il Battista difenda il proprio ruolo, ma dopo 1,6-8.15.19-34 ciò non può ac cadere, visto che l'unica funzione di Giovanni è quella di rendere testimonian za a Gesù. Giovanni non risponde alla domanda dei suoi discepoli riguardo al battesimo; invece porta la discussione sul piano della rivelazione. Tanto Gio vanni Battista quanto Gesù Cristo ricevono la loro autorità da Dio (cf 1,1-2; 3,13-14.16-17 [Gesù]; 1,6.33 [il Battista]) . La questione che determina i rispetti vi ruoli di Gesù e di Giovanni Battista non è il rito del battesimo ma ciò che «gli è stato dato dal cielo» (v. 27). Nell'incontro immediatamente precedente tra Gesù e Nicodemo, Gesù ha indicato a Nicodemo l'origine dall'alto di ciò che ha da offrire e di ciò che ha visto e udito (cf vv. 3.5.7-8. 11-12). ll Battista accetta questo punto di vista e perciò può ripetere la sua testimonianza resa già in pre cedenza a Gesù (cf 1,19-28): non è lui il Cristo, ma colui che è stato mandato da vanti a lui (v. 28) . Pur non essendo l'unto di Dio, il Battista è stato «mandato da Dio» (1,6) e la sua testimonianza a Gesù fa parte del disegno di Dio. La testi monianza di Giovanni ha un'autorevolezza fuori discussione, ma Giovanni non è il Cristo. Avendo stabilito il proprio ruolo di inviato di Dio senza essere il Cristo, il Battista descrive il suo rapporto con il Cristo. Le immagini del matrimonio usa te dal Battista sono riconducibili a due fonti. Le Scritture parlano spesso d'I sraele come sposa di Dio (cf Is 62,4-5; Ger 2,2; Ez 16,8; 23,4; Os 2,21) e la Chiesa cristiana ha ripreso queste immagini per parlare di se stessa come la sposa di Cristo (cf 2 Cor 11,2; Ef 5,25-27.31-32; Ap 21,2; 22,17). Questo è motivo suffi ciente perché il Battista possa affermare che «non lui ma il Cristo è il capo del Nuovo Israele» (Barrett, Gospe/ 222-223); ma l'immagine dell'amico dello spo so che sta ad ascoltarlo (akouon autou) ed esulta al sentire la voce dello sposo (ten .
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phonen) (v. 29) è presa dalle consuetudini nuziali del tempo. Paragonandosi al
l'amico dello sposo che sta con lui e lo accompagna fino al momento in cui prende possesso della sposa, Giovanni si mette in una posizione subordinata, di colui che «ascolta» la «voce» dello sposo. Questo ascolto ha già avuto luogo e ora il Battista può annunciare, al presente, che «questa mia gioia è piena» (peplerotai). Pieno di gioia, egli è pronto a farsi da parte, a «diminuire», mentre Gesù entra in scena (vv. 29-30). Questa descrizione della decrescente impor tanza del Battista e della centralità di Gesù rispecchia ciò che si è verificato da questo punto del racconto in avanti, ma queste parole del Battista celano qual cosa di più che la semplice descrizione di ciò che avverrà in seguito. In 2,5 la madre di Gesù è stata la prima persona nel racconto a riporre una fede e fidu cia incondizionata nella parola di Gesù. Qui nel v. 29, anche se non troviamo l'e spressione logos o suoi derivati, troviamo però il termine parallelo di phone. n Battista dimostra tutta la sua apertura alla parola di Gesù anche se questo si gnifica che lui deve sparire dalla scena. Questo porta a un commento da parte del narratore (vv. 31-36) che ha il suo parallelo nei vv. 11-21 . Commento del narratore: la rivelazione delle cose del cielo (vv. 31 -35). Gesù è il ri velatore autorevole la cui rivelazione non viene accettata (vv. 31-32; cf vv. 11-12). Poiché egli è i� rivelatore, la sua unicità e autenticità viene «dal cielo» (v. 31; cf v. 13). La vita che deriva dalla rivelazione portata dal Figlio non può es sere data da qualsiasi persona né istituzione che appartenga «alla terra». Di qui emerge la questione delle origini della rivelazione: chi viene «dal cielo» porta la rivelazione della verità che supera le verità limitate che può offrire il mondo e tutta la sua conoscenza. Dio manifesta «la parola» per mezzo della pa rola proferita dall'inviato, effondendo il suo Spirito senza riserve (vv. 33-34; cf v. 17). Dietro questa rivelazione autorevole del Figlio sta l'amore che unisce il Padre e il Figlio, e che porta il Padre a dare al Figlio l'incarico di rendere Dio manifesto (v. 35; cf v. 16). Commento del narratore: salvezza e condanna (v. 36). Nei vv. 11-21 era stato da to uguale peso al tema della rivelazione portata dal Figlio dell'uomo (vv. 11-15) e della salvezza o condanna conseguente all'accettazione o al rifiuto di tale ri velazione (vv. 16-21). Nei vv. 31-36 il narratore si concentra sul tema della ri velazione (vv. 31-35), per poi concludere con il tema della morte e del giudizio nel v. 36. La fede produce la vita eterna, mentre l'ira di Dio è il frutto di un eventuale rifiuto ad accettare questa rivelazione (v. 36; cf vv. 20-21). Conclusione di 3,22-36. Questo episodio è posto alla fine di un trittico di in contri tra Gesù e altri personaggi del mondo giudaico: «i Giudei», Nicodemo e Giovanni Battista, in cui è stato dominante il tema della «parola». Secondo il Prologo (1,1-18) la rivelazione di Dio che porta la salvezza si attua nell'incar nazione de «il Verbo», Gesù Cristo (1,14-18). All'interno del racconto, pertanto, la «parola di Gesù» è stata il luogo in cui i personaggi della storia vengono a co noscenza di ciò che Dio compie in e per mezzo di Gesù. In base a questo crite rio, «i Giudei» dimostrano un'assenza totale di fede, mentre la fede di Nicode mo è limitata dalla sua inclinazione a capire Gesù secondo le proprie categorie mentali; infine, Giovanni Battista vede se stesso nel ruolo dell'amico dello spo so che esulta di gioia nel sentire la sua voce. Egli si mostra aperto alla parola di
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Gesù, a qualunque costo: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (v. 30). Tor na alla mente l'esperienza precedente della madre di Gesù. Essa aveva detto ai servi di fare tutto quello che Gesù avesse ordinato loro di fare nonostante il se vero rimprovero che aveva ricevuto da suo figlio (2,4-5). Giovanni Battista, co me la madre di Gesù, è stato presentato come un esempio difede autentica, pron to ad accettare la parola di Gesù (3,29). Conclusione di 2,1 3-3,36. Il brano 2,13-3,36 spiega in modo articolato quale debba essere la risposta da dare a Gesù e i frutti conseguenti a tale risposta. Usando «la parola» di Gesù come criterio, il racconto mostra la possibilità di una mancanza di fede (2,13-22: «i Giudei»), di una fede parziale (3,1-12: Nico demo) e di un'autentica fede giovannea (3,22-36: Giovanni Battista) nel mondo del giudaismo. Il narratore espone i suoi commenti sulla limitatezza della fede generata dai segni miracolosi operati da Gesù (2,23-25). Strettamente legato a questi modelli di fede troviamo il messaggio giovanneo circa l'importanza del.:. la fede nella rivelazione di Dio in e per mezzo di Gesù ai fini della vita e della salvezza (cf in particolare 3,11-21 .31-36). La concentrazione sui personaggi del mondo del giudaismo indica che Israele non è stato escluso dalla teologia gio vannea della rivelazione e della salvezza. Per quanto possano intensificarsi gli aspri scontri tra Gesù e «i Giudei» con lo svolgimento del racconto, questi in contri posti all'inizio del ministero pubblico di Gesù hanno dimostrato (2,13-3,36) ciò che è stato detto nel Prologo (1,16-18): il precedente dono fatto da Dio con la Legge è stato perfezionato con il dono della rivelazione di Dio nella parola di Gesù Cristo. Dato che la comunità giovannea affondava le sue radici nel giudaismo, il cristianesimo giovanneo è stato il frutto di una fede autenti ca tra i Giudei (Martyn, History and Theology; Brown, Community) . Giovanni 2,13-3,36 indica che tale fede è sempre possibile in Israele. Il racconto adesso si rivolge «al mondo ai confini e oltre i confini del giudaismo» (Barrett, Gospel
220).
NOTE 22 . nella regione della Giudea: I critici fanno notare l'apparente contraddizione tra 3,1-21, dove Gesù si trova a Gerusalemme, e il suo viaggio eis ten loudaian gen; spesso vi si ve de un maldestro rimasuglio di diverse fonti. La lettura del testo greco adottata nella presente interpretazione indica invece che Gesù si è portato dalla città giudea di Ge rusalemme alla regione giudea circostante. Per un ulteriore approfondimento di que sta difficoltà e a convalida della posizione adottata in questa sede vedi Westcott, Gospel 57; Bultmann, Gospel 170 n. 3. 23. Ennon, vicino a Salim: Per una rassegna delle possibili località vedi Brown, Gospel 1,151. Per la sua collocazione in Samaria, oltre a Boismard (vedi sopra) vedi Murphy O'Connor, «John the Baptist and Jesus» 363-366. Per l'interpretazione simbolica del nome del luogo e della scena nel suo insieme vedi Krieger, «Fiktive Orte» 121-123. Ma non è necessario ricorrere a tale interpretazione. Oltre agli argomenti portati di recen te a favore della collocazione di Ennon in Samaria, questa località geografica serve an che agli scopi del racconto. L'accenno ad una località della Samaria è un'indicazione che l'attenzione rivolta a gente giudaica in luoghi giudaici sta per giungere al termine e prepara il terreno per l'imminente presenza di Gesù in Samaria (cf 4,4).
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24. Giovanni, infatti, noti era ancora stato gettato in prigione: Per la ricostruzione dei possibi li retroscena di questo rapporto tra Gesù e Giovanni Battista vedi Murphy-O'Connor, «}ohn the Baptist and Jesus» 359-374; Légasse, «Le Bapteme administré par Jésus» 17-25; Witherington, «}esus and the Baptist>> 225-244. Mettendo assieme vari elementi presenti nei vangeli, compreso il Quarto Vangelo, possiamo stabilire i fatti essenziali: una prima associazione tra i due uomini (forse legati da vincoli di parentela?) al di là del Giordano (Cv
3,26); una separazione, forse causata da una crescente ostilità
tra il
Battista e i capi sia politici che religiosi; il Battista prosegue la sua attività in Samaria
(3,22-23); (3,24); inizio del ministero di Gesù; condanna a morte
(politicamente lontana dai suoi avversari) mentre Gesù battezza in Giudea arresto e prigionia del Battista
del Battista; Gesù emerge come persona con stretti legami con lo scomparso Battista ma con maggiori rivendicazioni riguardo al regno di Dio, che però alimentano ulterior mente gli interrogativi riguardo alla sua identità.
25. Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo: C'è una certa confu sione testuale circa l'espressione meta Ioudaiou. Alcuni manoscritti hanno meta ton Iou daion, che andrebbe molto bene ma che deve essere scartata proprio perché rappre senta la lectiofacilior. C'è anche una versione abbastanza diffusa (ma non comprovata) che legge meta I�sou, la quale pure avrebbe senso. Schnackenburg (Gospe/ 1,413-414) ri tiene che «il Giudeo» possa essere venuto dalla Giudea dove Gesù stava battezzando. Questo porterebbe logicamente all'osservazione del v. 26. La presenza di «un Giudeo» mantiene inoltre il racconto incentrato sul mondo del giudaismo.
riguardo alla purificazione:
Non c'è motivo, al di là del contesto, di legare la «purifica
zione» con il battesimo. La discussione tra i discepoli del Battista e «un Giudeo» pote va avere per oggetto una qualsiasi delle complesse questioni riguardanti la purifica zione rituale. L'accento posto sul battesimo nei vv. 22-23 e l'osservazione rivolta a Gio vanni dai suoi discepoli (v. 26) fanno pensare al battesimo. I riti praticati con l'acqua dai settari di Qumran erano associati alla purificazione (cf lQS 3,1-9; 5,13-14; CD 10,10-13). Sulla complessa questione della purificazione a Qurn.ran vedi Garda Martinez e Bar rera, The People 139-157).
26. ecco: sta battezzando:
Non è mostrato alcun interesse sull'efficacia dei due battesimi;
l'accento è posto esclusivamente sui due battezzatori. Storicamente il battesimo am ministrato da Gesù doveva essere analogo a quello praticato da Giovanni. Vedi Lé
25-29; Murphy-O'Connor, «}ohn the Baptist 367-374. Barrett suggerisce (Gospel 221) che la discussione probabilmente
gasse, «Le Bapteme administré per Jésus» and Jesus»
verteva attorno all'inosservanza da parte di Giovanni nei suoi riti battesimali di alcu ni dettagli delle abluzioni ebraiche.
e tutti accorrono a lui:
Si fa spesso notare che il pantes è un'esagerazione, probabilmen... te dettata dalla gelosia. In termini letterari, invece, il v. 26: «e tutti accorrono a lui» è il
contrapposto delle indicazioni dell'attivo ministero del Battista nel v. dava a farsi battezzare». Il
pantes
23: «e la gente an
dà l'impressione che la missione che Giovanni ha
svolto con successo stia rapidamente volgendo al termine.
27. Giovanni rispose: Il carattere solenne della risposta del Battista è indicato dall'uso del pleonastico apekrithe kai eipen per iniziare il discorso. Nessuno: L' àffermazione del v. 27 è generale. È una dichiarazione circa la fonte della ve rità suprema valida per chiunque (ou dynatai anthrapos lambanein) e non si applica, co me alcuni vorrebbero (es.: Becker, Evangelium 1,154), solo al Battista. Sulla base di que sta affermazione generale il Battista svilupperà la sua valutazione del rapporto esi stente tra se stesso e Gesù.
28. Non sono io il Cristo: Come in tutto il Quarto Vangelo, il Battista si comporta da unico testimone di Gesù (cf 1,6-8.15.19-34). Molti sostengono che uno degli scopi del Quar-
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to Vangelo è' quello di subordinare Giovanni Battista a Gesù. Origin-ariamente propo sta da Baldensperger, questa posizione è stata ulteriormente sviluppata e fortemente propugnata da Bultmann (Gospel 167-172) e da altri, i quali vedono le aggiunte nel Pro logo riguardanti il Battista (1,6-8.15) come materiale anti-Battista inserito in un inno originariamente pro-Battista. Per Bultmann l'inno originale proveniva dai circoli man dei ed era in lode del Battista. Nei circoli giovannei questo era stato cristianizzato e usa to come inno in onore di Gesù Cristo, il Logos incarnato. Ma non si ha assolutamente l'impressione che l'attuale Vangelo sia in alcun modo an ti-Battista. Il Battista svolge un ruolo positivo ogni qualvolta compare attivamente nel racconto (1,6-8.15.19-34; 3,22-29) e riceve una valutazione positiva da Gesù più avanti nel racconto (5,33-36). Qualunque fosse la natura del materiale riguardante il Battista nella sua forma origi nale e nel contesto preevangelico, esso è stato molto abilmente inserito nel Vangelo at tuale. Vedi Hooker, «}ohn the Baptist» 354-358; Stowasser, ]ohannes der Tiiufer. 29. l'amico dello sposo: Per una raccolta di materiale ebraico più tardivo sulle cerimonie nu ziali e sull'amico dello sposo vedi Str-B 1,45-46,500-504. Vedi in particolare Tosefta Ke tuboth 1,4 Oacob Neusner, The Tosefta Translated from the Hebrew: Third Division Nashim [The Order of Women], Ktav, New York 1979, 61). Vedi anche van Selms, «The Best Man and the Bride» 65-75; Boismard, «L'ami de l'époux» 289-295. la voce dello sposo: Data l'importanza del termine logos, del verbo legein e loro derivati, è strano che l'autore usi il termine phone per descrivere il ruolo del Battista che ac compagna lo sposo ed esulta nel sentire la sua voce. Non si può mai essere certi sul per ché un autore scelga una data parola invece di un'altra, ma «è molto probabile che qui abbiamo una traccia di una tradizione precanonica» (Dodd, Tradition 287). La tradi zione conteneva già ciò che l'autore del libro intendeva comunicare e perciò ha lascia to queste parole del Battista nella forma in cui gli sono state tramandate. Vedi la nota relativa al v. 36. I commentatori prestano scarsa attenzione alla dichiarazione culminante dei vv. 29-30. Infante nell' «Amico dello sposo» 12-14 ne coglie l'importanza cruciale ma si concentra sulla gioia del Battista. Alla luce dell'attenzione prestata a questa questione in tutto il brano 2,1-3,36, la nostra interpretazione suggerisce che l'elemento cruciale nella ri sposta del Battista è la sua apertura alla voce (la parola) di Gesù, a qualsiasi costo. La risposta di Giovanni è pari a quella della madre di Gesù (2,1-12). 30. Lui deve crescere; io, invece, diminuire: Le parole usate dal Battista per «crescere» (auxa nein) e «diminuire» (elattousthai) sono diventate importanti nell'interpretazione patri stica del passo nel suo insieme. Questi verbi sono stati applicati all'immagine del sor gere e del calare del sole. Sulla base di questa immagine i Padri affermavano che Gio vanni intendeva parlare di un punto di svolta in cui ciò che è vecchio lascia il posto a ciò che è nuovo. Per un approfondimento vedi Schnackenburg, Gospel 1,417-418. Agostino offre una splendida interpretazione di questo passo: Ego sum in audiendo, il le in dicendo; ego su m illuminandus, ille lumen; ego su m in aure, ille Verbum («lo sono quel lo che ascolta, lui quello che parla; io sono quello che deve essere illuminato, lui è la lu ce; io sono l'orecchio, lui la parola>>. In Iohannis Evangelium 13,12: CCSL 36,137). Molti commentatori vedono nella prima parte del Quarto Vangelo il superamento d'I sraele. Questo è vero solo se per «superamento» non si intende «sostituzione)). Occor re tener presente che due Giudei, la madre di Gesù e Giovanni Battista, sono presentati come modelli di fede; e nessuno dei due diventa un modello di autentica fede gio vannea rinunciando al proprio giudaismo, ma solo accettando incondizionatamente la parola di Gesù (cf 2,5; 3,29-30). 31. Chi viene dall'alto: I numerosi paralleli tra 3,11-21 e 31-36 sono stati evidenziati da mol ti commentatori. Vedi Brown, Gospel 159-160; Segalla, Giovanni 185-187; Moloney, Son
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ofMan 44-45. Esistono tuttavia anche importanti differenze. Nei vv 13-15 viene usato .
il titolo cristologico di «Figlio dell'uomo»: questi è l'tmico rivelatore che deve essere in nalzato sulla croce. Nei vv 31-34 Gesù è presentato come colui che viene dall'alto che «parla» (v. 31), che «attesta» (v. 32), che dà una testimonianza autentica (v. 33), che «di ce le parole di Dio» (v. 34). È probabile che i vv. 31-36 costituissero un primo nucleo in centrato su Gesù quale inviato di Dio (vv. 31-35) e sul giudizio quale «vita eterna» op pure «l'ira di Dio» (v. 36). I versetti 11-21 sono il prodotto di un'ulteriore riflessione gio vannea sui temi fondamentali della rivelazione e del conseguente giudizio, ma svi luppata in termini dell'innalzamento del Figlio dell'uomo sulla croce quale rivelazio ne dell'amore di Dio (vv. 11-16) e del giudizio quale preferenza delle tenebre invece della luce, di odio della luce e di venire alla luce (vv. 17-21). Vedi Moloney, Son of Man 50-51, e in particolare Boismard e Lamouille, Jean 113-117. Sull'importanza di questa più antica forma di riflessione sui temi della rivelazione e del giudizio vedi la nota re lativa al v. 36. Alcuni commentatori hanno notato la simmetria della struttura letteraria di 3,1-36 an che se non seguono in dettaglio la posizione adottata nel presente commentario. Vedi lbuki, «kai ten phonen autou akoueis» 9-33; Thyen, «Aus der Literatur» 112; Klaiber, «Der irdische» 211-213, 232-233; Wilson, «lntegrity» 38-40. Chi viene dall'alto ... chi viene dalla terra: Alcuni esegeti ritengono che «dall'alto» si rife risca a Gesù e «chi viene dalla terra» si riferisca al Battista (cf Barrett, Gospel 224-225; Klaiber, «Der irdische» 205-233) . Questa ipotesi considera i vv. 31-36 come la conti nuazione delle parole del Battista (es.: Bauer, Johannesevangelium 63-65; Barrett, Gospel 224; Wilson, «The Integrity» 36-38). Alcuni mettono queste parole in bocca a Gesù (es.: Schnackenburg, Gospe/ 1,380-381). L'ipotesi può essere valida se si traspongono i vv. 31-36 facendoli seguire al v. 12 in modo da avere la sequenza v. 12; vv. 31-36; vv. 13-21 (Schnackenburg, «Die situationsgelosten Redestiicke» 88-99). La nostra interpretazio ne considera queste parole come la riflessione conclusiva del narratore; mentre «chi viene dall'alto» si riferisce chiaramente a Gesù, «chi viene dalla terra» ha un'applica zione più generale e si riferisce a tutti coloro che (come «i Giudei» e Nicodemo) non so no capaci di trascendere le cose di questo mondo (epigeia) e perciò non sono in grado di ricevere la rivelazione delle cose del cielo (epourania) che si attua in Gesù. 32. Egli attesta ... eppure nessuno accetta: La traduzione «eppure» sta per un kai avversativo (cf Schnackenburg, Gospel 1,384). La rivelazione di Gesù è basata su un contatto diret to con Dio, ma la sua rivelazione viene rifiutata (cf vv. 11-12). 33. chi però accetta la testimonianza: È usato ancora una volta il verbo lambanein per indica re l'accettazione della fede. 34. e dà lo Spirito senza misura: Si è discusso a lungo su chi sia che dà lo Spirito, se sia il Pa dre di Gesù o lo stesso Gesù. Per una rassegna vedi Brown, Gospel 1,161-162. Sono va lide entrambe le possibilità. Dato che il Quarto Vangelo è più teologico che cristologi co (vedi NJBC 1420-1421), la nostra interpretazione opta per il Padre, ma la differenza non è rilevante. Vedi anche Loader, Christology 25-26. 35. Il Padre ama il Figlio: Questo è il primo accenno al rapporto d'amore esistente tra il Pa dre e il Figlio. L'affermazione di questo rapporto e di ciò che esso comporta, che cioè il Padre gli ha dato in mano ogni cosa (panta), stabilisce la base dell'autorevolezza del le parole e delle azioni di Gesù. Nel Quarto Vangelo le parole e le azioni di Gesù sca turiscono da questo rapporto di amore. 36. l'ira di Dio: L'espressione «l'ira di Dio» (he orgt tou theou) indica che queste parole di giu dizio sono derivate da una tradizione più antica. Il linguaggio dell'ira è fornito dall' AT e compare nella predicazione di Giovanni Battista quando parla dell'imminente giu dizio (cf Mt 3,7; Le 3,7). Il passo precedente (vv. 18-21) rispecchia uno sviluppo sue.
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Il
Va ngelo d i G i o va n n i
cessivo del tema del giudizio con l'uso di espressioni giovannee: giudizio e giudicare (krisis e krinein), luce (phos) e tenebre (skotia), credere nel nome (eis to onoma) dell'uni co Figlio di Dio (monogenous hyiou tou theou) e opere buone chiaramente visibili (hina phanerothf). L'impiego di espressioni più tradizionali del tema della rivelazione e del giudizio nei vv. 31-36 è decisamente concentrato su Gesù come colui che è mandato e che dice le parole di Dio (vv. 32-34). L'autore così conclude decisamente il passo 2,1-3,36 de scrivendo le reazioni a Gesù da parte del mondo del giudaismo. In tutti questi episo di l'accento è stato posto sulla risposta dei vari protagonisti alla parola di Gesù.
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La reazione a Gesù fuori d'Israele (4,1-54)
Il posto di 4,1-54 nel quadro di 2,1-4,54. Dopo il primo miracolo di Cana (2,1-12) l'attenzione è stata concentrata sulla risposta del mondo giudaico alla parola di Gesù (2,13-3,36). La madre di Gesù ha mostrato una totale accetta zione della parola di Gesù e questo atto di fede ha portato al primo dei segni dati da Gesù, alla manifestazione della sua gloria, al perfezionamento del pre-
La re a z i o n e a G e s ù fu o r i d ' Is r a e l e ( 4 , 1 - 5 4 )
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cedente dono della gloria del Sinai (2,1-12). È stato così stabilito il criterio del l'accettazione della parola di Gesù, dopo che egli aveva criticato la limitatezza della fede mostrata dai primi discepoli (1,35-51). A fronte di questo criterio, i vari personaggi giudaici manifestano un rifiuto della fede («i Giudei))), una fe de limitata (Nicodemo) e una autentica fede giovannea nella parola di Gesù (Giovanni Battista). Gli episodi che seguono si svolgono in Samaria (4,1-42). L'accento posto sulla Samaria è sottolineato dal fatto che gli incontri di Ge sù con i Samaritani si verificano in un unico luogo, con un solo piccolo sposta mento alla fine del passo (v. 40). Perfino le parole rivolte da Gesù ai suoi disce poli sono pronunciate nello stesso luogo. La sequenza temporale del racconto è li neare. Mentre i discepoli sono andati a comprare del cibo (v. 8) Gesù attacca di scorso con una donna samaritana. Quando i discepoli tornano da Gesù, la don na torna al villaggio (v. 28) e i suoi compaesani cominciano ad andare da Gesù (v. 30). Mentre questi stanno arrivando, Gesù parla con i suoi discepoli (vv. 31-38). I Samaritani arrivano, invitano Gesù a fermarsi presso di loro (v. 40) e al la fine credono in lui. Dopo essersi fermato due giorni presso i Samaritani, Ge sù parte per la Galilea (v. 43). Fatta eccezione per il breve discorso rivolto da Ge sù ai suoi discepoli (vv. 31-38), tutti i personaggi che incontrano Gesù sono Sa maritani: la donna samaritana (4,1-15.16-30) e i suoi compaesani (vv. 39-42). Nel v. 42 Gesù parte per la Galilea, e là incontra un basilikos, un funzionario del re (vv. 43-54). Questi non è un Samaritano, ma potrebbe essere un Gentile. Nel l'incontro di Gesù con la Samaritana si può dire che vi sono due momenti di stinti (vv. 1-15 e 16-30). Quindi il passo 4,1-54 contiene quattro episodi. Tre di questi mostrano la reazione alla parola di Gesù da parte del mondo al di fuori d'Israele (vv. 1-15.16-30.39-42) e al termine c'è l'episodio del secondo miracolo operato a Cana (vv. 43-54). Il breve discorso rivolto da Gesù ai suoi frastornati discepoli (vv. 31-38) fa il punto sulla sua attività presso i Samaritani e prelude al loro futuro impegno missionario nel mondo non giudaico (vv. 39-42). La ripetizione della sequenza degli eventi già vista in 2,1-3,36 è degna di no ta. Il mondo giudaico assiste al miracolo di Cana: rifiuto della fede («i Giudei>>), un commento del narratore, fede limitata (Nicodemo), e fede autentica nella parola di Gesù (Giovanni Battista) (2,1-3,36). Non abbiamo ancora considera to la natura delle risposte date dai rappresentanti del mondo esterno a Israele (la Samaritana e i suoi compaesani), ma abbiamo anche qui tre risposte a Gesù, con un commento da parte di Gesù prima del suo incontro finale con i Samari tani. Come le reazioni dei Giudei a Gesù sono iniziate con il primo miracolo di Cana (2,1-12), così le reazioni dei Samaritani si concludono con il secondo mira colo di Cana (4,43-54). A conclusione di questi episodi viene ricordato al letto re che «questo fu il secondo segno che Gesù fece, tornando dalla Giudea alla Galilea)) (v. 54). Questa parte del racconto completa un intero ciclo.
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Il Va n g e l o d i G iova n n i VI. Gesù e la Samaritana: I
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l. Quando Gesù venne a sapere che i Farisei avevano sentito dire che Gesù faceva più discepoli e battezzava più di Giovanni, 2. (sebbene non fosse Gesù in persona che bat tezzava, ma i suoi discepoli), 3. lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4. Doveva perciò attraversare la Samaria. 5. Giunse così ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio. 6. Qui c'era il pozzo di Giacobbe; e Gesù, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7. Arriva una donna di Samaria a prendere acqua, e Gesù le dice: «Dammi da bere». 8. I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9. Ma la Samaritana gli di ce: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samarita na?». I Giudei infatti non sono in buoni rapporti con i Samaritani. 10. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11. Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? 12. Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13. Gesù le risponde: «Chiun que beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; 14. ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'ac qua che zampilla per la vita eterna». 15. Gli dice la donna: «Signore, dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui a prendere acqua».
I N T E R P R E TA Z I O N E
Introduzione a 4,1 -15. In 4, 1-6 Gesù parte dalla Giudea per andare in Galilea
attraversando la Samaria. Sono spiegati i motivi della partenza di Gesù dalla Giudea (v. l) e della sua presenza in Samaria (v. 4). Sono così stabiliti il tempo e il luogo (vv. 5-6) degli incontri descritti nei vv. 7-42. Questa dettagliata intro duzione imposta la scena per tutti gli episodi samaritani che seguono. Una vol ta stabilito ciò, abbiamo il primo dei due momenti di incontro tra Gesù e la donna samaritana. Gesù comincia il dialogo con la donna con un secco impe rativo (v. 7: dos moi). Non si rivolgerà più a lei in questo modo fino a che il dia logo non cambi direzione nel v. 16, dove compare un triplice imperativo (hypa ge phoneson ... elthe enthade). Nei vv. 7-15 Gesù e la Samaritana fanno un discor so pieno di equivoci in materia di sete, pozzi, il dono dell'acqua e la vita. Que sti temi non compaiono più nei vv. 16-30, dove invece emerge la questione del la persona di Gesù e del luogo e della natura della vera adorazione. Il primo momento dell'incontro di Gesù con la Samaritana (vv. 1-15) presenta la se guente struttura: a) vv. 1-6: Introduzione generale e impostazione per 4,1-42. b) vv. 7-15: Dialogo tra Gesù e la Samaritana. 1. vv. 7-9: Incontro iniziale che prepara il terreno per la prima discussione. Gesù chiede dell'acqua. La donna risponde con ironica sorpresa. n. vv. 10-14: Gesù domina la discussione e la fa passare dall'acqua normale al do no di Dio che egli è in grado di dare. La donna è perplessa. m. v. 15: La donna non capisce il discorso di Gesù; non riesce ad andare oltre l'ac qua da bere e i viaggi al pozzo per attingerla.
G e s ù e la S a m a r i t a n a : I ( 4 , 1 - 1 5)
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In questa pri ma parte della discussione c'è una contrapposizione di volon tà. Il comando di Gesù suscita una reazione arrogante da parte della donna (vv. 7-9), ma egli riprende il controllo e parla di un dono (cf vv. 10-14) che la donna fraintende completamente (v. 15). Introduzione (vv. 1-6). Il motivo che induce Gesù a partire dalla Giudea per recarsi in Galilea è che i Farisei hanno sentito dire che egli stava battezzando e facendo più discepoli di Giovanni Battista (vv. 1 .3), ma non si spiega perché tale conoscenza lo abbia indotto a fuggire dalla Giudea. Finora Gesù non ha al cun motivo di temere i Farisei semplicemente perché svolge con successo la sua attività di battezzatore. Il vero motivo va ricercato nel problematico v. 2. Questo è spesso considerato un'aggiunta al Vangelo originale, visto che in 3,22 e 4,1 si afferma il contrario; ma ciò che interessa è la proliferazione dei battez zatori! Storicamente, ed anche per il Quarto Vangelo, l'importanza di Gesù non deriva dalla sua attività di battezzatore, ma dall'essere colui che porta la cono scenza di Dio (cf 1,14.18; 3,11-21.31-36). Egli battezza (3,22; 4,1), ma questo mi nistero è svolto dai suoi discepoli, non da Gesù in persona (v. 2). Gesù non de ve essere conosciuto e ricordato come un semplice battezzatore, per quanto importante questo rito possa essere nella comunità dei suoi seguaci. Il narra tore, che in 3,22 ha parlato del ministero battesimale di Gesù, ora aggiunge un commento che esclude Gesù da tale ministero: non è Gesù in persona che bat tezza, ma i suoi discepoli. I Farisei hanno quindi un valido motivo per adope rarsi contro la minaccia religiosa del diffondersi di un movimento pro-Gesù. Prima c'era un solo battezzatore, Giovanni (1,28); poi ne sono venuti due, Gio vanni e Gesù (3,22-23); adesso ve ne sono molti: tutti i discepoli di Gesù (4,2). Si tratta di una proliferazione di battezzatori, e lo scopo dell'attività battesi male dei discepoli di Gesù è quello di attirare più gente al loro maestro. Quan do Gesù si rende conto che i Farisei sono a conoscenza di questo fatto, decide di lasciare la Giudea per recarsi in Galilea. Per compiere il viaggio da sud a nord dalla Giudea alla Galilea c'erano due strade: attraverso la Samaria o dall'altra parte del Giordano. La prima era la più corta ed anche la più sicura, sotto il controllo dell'amministrazione romana, di quello che non fosse stata in passato; tuttavia, continuava ad essere piena di in sidie (cf Giuseppe, An t. 20,118; Guerra 2,232). Il narratore osserva che Gesù era sotto costrizione: doveva attraversare la Samaria (v. 4: edei de auton dierchesthai dia tes Samareias). Geograficamente questo non è vero e poteva anche non essere saggio. Il motivo del viaggio di Gesù attraverso la Samaria è un qualche vincolo che induce Gesù ad attuare un proprio disegno. Anche se a questo punto del racconto le motivazioni di Gesù non sono chiare, la presenza di Gesù in Sama ria è il risultato di una necessità divina. Egli deve andare verso il mondo che sta oltre Israele. L'esatta ubicazione di Sicar è ancora in discussione, ma la descrizione del narratore della città «vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio» (v. 5) serve a introdurre il tema biblico ed ebraico del dono dell'acqua da to da Giacobbe (cf Gn 48,22; cf. anche Gn 33,19; Gs 24,32). Questo costituirà un importante retroscena per la discussione di çesù con la donna sulla que stione dei pozzi e del dono dell'acqua (vv. 7-15). E esattamente presso il pozzo
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I l Va n g e l o d i G i o va n n i
di Giacobbe che Gesii siede, stanco per il viaggio, all'ora sesta: sul mezzogior no (v. 6). I vv. 4-6 sono dominati dal buonsenso: Gesù si riposa dal suo lungo viaggio presso un pozzo nell'ora più calda del giorno. Ma la collocazione sa maritana dell'episodio e il fatto che questo è il pozzo di Giacobbe introducono i temi di un dono e di un rinfresco offerti da un pozzo che trascende la sempli ce logica di una sosta fatta sul mezzogiorno presso un pozzo durante un lungo viaggio. Gesù chiede da bere alla donna (vv. 7-9). Entra in scena una donna samaritana. Gesù non dovrebbe rivolgerle la parola per due motivi: perché è una donna e perché è una Samaritana (v. 7a: gyne ex tes Samareias). E tuttavia Gesù la apo strofa con un imperativo: «Dammi da bere!» (v. 7b ) . I discepoli hanno già la sciato la scena: sono andati in paese a comprare del cibo (v. 8), e perciò non so no testimoni dello scandaloso incontro (cf v. 28). La risposta della donna met te in evidenza l'ir�egolarità dell'incontro, e contiene anche una connotazione di derisione (v. 9a). E solo qui nel Quarto Vangelo che Gesù è chiamato Ioudaios. Da un punto di vista samaritano, le parole della donna vogliono essere un in sulto (pos su Ioudaios). Si meraviglia che un Giudeo possa chiedere da bere a un Samaritano, e il narratore aggiunge una nota di spiegazione: «I Giudei in fatti non sono in buoni rapporti con i Samaritani» (v. 9b ). In questo breve primo momento di incontro emergono tre elementi. Gesù è disposto a stabilire buoni rapporti con la Samaritana (v. 7); viene introdotto il tema dell'acqua (vv. 7.9); terzo, l'insistenza sull'aspetto samaritano dell'incontro (vv. 7.9 [tre volte]) sot tolinea che il mondo dei Samari tani non è il mondo del giudaismo (cf Sir 50,25-26; Giuseppe, Ant. 9,288-290; 10,184). Gesù promette acqua viva: dono di Dio (vv. 1 0-14). Gesù non risponde alla do manda della donna. Le dice invece che se essa conoscesse due verità: il dono di Dio (ten dorean theou) e «chi è colui che ti parla» (tis estin ho legon soi), non avreb be che da chiedere al suo interlocutore ed «egli ti avrebbe dato acqua viva» (v. 10) . I due elementi che costituiscono il v. 10a servono da base per tutta la di scussione tra Gesù e la donna. La prima parte della discussione si concentrerà sull'acqua viva, il dono di Dio (vv. 10-15: ten dorean theou; cf v. 14); la seconda tratterà della persona di colui che parla (vv. 16-30: tis estin ho legon soi; cf v. 26). Il genitivo in ten dorean theou è oggettivo ed indica che Gesù promette un do no che trae origine da Dio. Ma «acqua viva» (hydor zon) si presta a due signifi cati. Può significare l'acqua che scorre in un ruscello o che sgorga da una sor gente in contrapposizione all'acqua stagnante in una cisterna o in uno stagno; ma l'espressione ha anche una lunga storia nella tradizione biblica e in altre tradizioni religiose dell'antichità che va oltre la realtà fisica dell'acqua (cf Bar rett, Gospel 233-234 per diversi esempi dal mondo ebraico, cristiano ed elleni stico). Il dono di Dio che l'interlocutore ha da offrire alla donna è la rivelazio ne vivificante delle cose del cielo, che solo Gesù può far conoscere. Soltanto lui fa conoscere Dio (1,18; 3,13) offrendo in tal modo la possibilità della vita eter na per coloro che sono nuovamente generati dall'acqua e dallo Spirito (3,5). Frutto dell'amore salvifico di Dio, il dono di Gesù offre all'umanità la possibi lità della vita eterna (3,16). Ma la donna si attiene al significato fisico dell'«ac-
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qua viva». Visto che il pozzo è profondo e che Gesù non ha un contenitore con
cui attingere l'acqua, la donna chiede, questa volta con maggior rispetto:
«kyrie... pothen oun echeis to hydor to wn » (v. 11). Il titolo ironico di «giudeo» (v. 9) è sostituito con «signore» (kyrie) e la domanda «da dove» (pothen) è legittima
purché si stia parlando di normali pozzi e di acqua normale. Ma per ironia del la sorte, la donna chiede più di ciò che intende chiedere. Può spiegare l'origine di quest'acqua solo in termini della tradizione di Giacobbe che essa conosce: l'acqua del pozzo è un dono del patriarca Giacobbe; egli, la sua famiglia e il suo bestiame hanno bevuto l'acqua di questo pozzo e ne sono stati soddisfatti. La donna dà per scontato che il datore di questo dono è stato Giacobbe e che egli non può essere superato. Certamente le origini del pozzo dato da Giacobbe non possono essere sur classate da questo Giudeo: «Sei tu forse più grande del nostro padre Giacob be?» (v. 12). La donna non solo non è capace di andare oltre il concetto fisico dell' «acqua viva», ma è anche chiusa dentro le proprie tradizioni. «La sua ri sposta nei vv. 11-12 è in effetti una difesa dell'acqua ancestrale» (Okure, fohan nine Approach 99). Non riesce ad immaginare che Gesù possa essere più grande di Giacobbe. Anche se verrà ripresa in maggior dettaglio nei vv. 16-30, la que stione del tis estin è già presente nell'incapacità della donna di accettare l'idea che Gesù possa essere più grande del patriarca Giacobbe. Essa non mostra al cuna apertura o accettazione nei confronti della promessa del dono di Dio fat ta da Gesù. La sua incapacità di accettare la parola di Gesù diventa ancora più evidente nell'altra promessa di Gesù nei vv. 13-14 e nella sua risposta nel v. 15. Nel v. 10 Gesù parla alla donna («Se tu [al singolare] conoscessi») di un dono di Dio. L'elaborazione di questa promessa di Gesù nei vv. 13-14 è diretta a un udi torio universale e in più Gesù si identifica con lo stesso datore del dono. Co minciando col parlare dell'acqua normale, Gesù fa notare che chiunque (pas ho) beve l'acqua attinta dal pozzo finirà coll'aver di nuovo sete (v. 13). Poi pas sa a promettere che coloro invece (hos d'an) che bevono l'acqua che egli darà non avranno più sete, perché l'acqua che dà Gesù diventerà una sorgente d' ac qua che zampilla per la vita eterna (v. 14). Non solo quest'acqua attinta da que sto pozzo sarà superata dal dono di Gesù, ma questo dono sarà disponibile per tutti coloro che vogliono approfittarne. Questo è associato a un certo momen to futuro nella storia di Gesù. Egli lo «darà» (doso) e «diventerà» (genesetai) una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna (v. 14). Non è questo momento che determina il dono che Gesù ha da dare, ma un momento futuro quando egli darà l'acqua della vita eterna. La promessa di Gesù trascende questa persona, questo luogo, quest'acqua, questo pozzo, questo tempo. La risposta della donna (v. 1 5). La risposta della donna fa il parallelo con la ri sposta dei Giudei in 2,20. La Samaritana prende le parole di Gesù sul dono del l'acqua e sulla sorgente nel v. 14 e le fa sue (cf O'Day, Revelation 64-66), ma nel fare ciò essa riconduce le parole di Gesù dalla promessa di un futuro dono dell'acqua che darà la vita eterna alla propria categoria mentale di questo poz zo, di questo luogo e di questa acqua che sazierà la sua sete: «Signore, dammi quest'acqua (touto to hydor), perché io non abbia più sete e non continui a veni re qui (mede dierchomai enthade) a prendere acqua» (v. 15). Qualsiasi riferimen-
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to al futuro dono dell'acqua che produrrà la vita eterna Scompare. n contrasto tra le parole di Gesù e la risposta della donna è ovvio: Parole di Gesù
(Ma chi beve) dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete ek tou hydatos hou ego doso autQ ou me dipse� (l'acqua) diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna genesetai en autç; pege hydatos hallomenou eis zoen aionion
Parole della donna
dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete dos moi touto to hydor hina me dipso e non continui a venire qui a prendere acqua mede dierchomai enthade antlein
Le parole di Gesù sono state fraintese in un senso materiale ed egoistico. Come «i Giudei» hanno rifiutato le parole di Gesù in 2,20, così fa la Samarita na in 4,15. Anch'essa è presentata, al termine di questo primo incontro con Ge sù, priva di fede. C'è tuttavia una differenza tra «i Giudei» e la Samaritana. La risposta definitiva può essere la stessa, ossia il rifiuto della parola di Gesù, ma nell'atteggiamento della donna non troviamo quell'ostilità che hanno mostra to «i Giudei». Anzi, vi ,troviamo segni di un crescente rispetto, nel passaggio dall'iniziale «tu che sei giudeo» (v. 9) al successivo «signore» (vv. 11.15). Dopo 2,13-22 «i Giudei» sono scomparsi dalla scena, ma ritorneranno, pubblicamen te ostili, in 5,16-18. La Samaritana invece rimane in scena. n suo rifiuto della pa rola di Gesù nei vv. 7-15 non esaurisce il suo ruolo. Essa arriverà a chiedersi se Gesù non sia proprio il Messia (cf vv. 25.29b) e indirizzerà altri Samaritani ver so Gesù (v. 29a). NOTE Quando Gesù venne a sapere: Per la prima comparsa di Gesù nel v. l alcuni manoscritti ugualmente antichi hanno ho kyrios («il Signore»: papiro Bodmer, Alessandrino ed al tri) oppure ho Iesous («Gesù>>: Sinaitico, Beza, Koridethi ed altri). È difficile stabilire quale sia il testo originale. È possibile che originariamente il soggetto fosse assente; in tal modo la questione se sia «Gesù» o «il Signore» diventerebbe secondaria (cf Brown, Gospel 1,164). La nostra interpretazione con una certa esitazione ha optato per ho lesous supponendo che la variante ho kyrios sia stata introdotta per evitare di ripetere due volte lèsous nella stessa frase (cf Boismard e Lamouille, ]ean 128). 2. sebbene nonfosse Gesù in persona che battezzava: L'attuale 4,1-6 ha avuto senza dubbio una lunga storia, e il v. 2 è la parte finale di questa storia. Esistono molte indicazioni della natura secondaria dei vv. 1-3 nella sua forma attuale. È una frase lunga e male impo stata, resa tale appunto dalla presenza del v. 2 che comincia con kaitoige (sebbene), un hapax legomenon nel NT, e usa il nome «Gesù» senza articolo. Uno studioso attento co me Dodd (Tradition 237, 285-286) ha giustamente osservato che 3,22 e 4,2 non possono essere attribuiti allo stesso scrittore. Eppure qualcuno deve essere responsabile del te sto che ora noi ci ritroviamo. Dobbiamo fare ogni sforzo per afferrare l'intento del te sto così come si presenta prima di abbandonare questa ricerca ed ammettere che l' au tore ha perso il controllo delle sue fonti, prima di concludere che il passo è un pastic cio incomprensibile. Per una panoramica completa e critica delle ipotesi riguardo alle l.
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fonti e al lavoro di redazione, a difesa dell'unità del testo come si presenta, vedi Leidig, ]esu Gesprtich 1-77. In linea con quanto suggerito nell'interpretazione, Loisy, Evangile 177, sostiene che i vv. 1-3 sono stati disposti nella forma attuale per. conferire maggior risalto alla dignità di Gesù. lasciò la Giudea: Si osserva spesso che la fuga dalla Giudea verso la Galilea per sottrar si all'attenzione dei Farisei era inutile, perché vi sarebbero stati dei Farisei anche in Galilea. Ma il Quarto Vangelo ha dei Farisei un concetto tutto suo, affine alla presen tazione che fa de «i Giudei», che non rispecchia necessariamente una presenza parti colarmente diffusa dei Farisei nel primo secolo. Sono presentati come dignitari giudaici con sede a Gerusalemme (cf 1,24; 7,32 [due volte]. 45-48; 8,13; 9,13.15; 11,46-47.57; 12,19.42). Vedi Haenchen, fohn 1,218. Doveva attraversare la Samaria: Non tutti i commentatori accettano l'interpretazione di edei («doveva») nel senso che Gesù rispondeva a un comando divino. Contro questa posizione viene spesso citato Giuseppe, Vita 269. 11 passo tratto da Giuseppe tuttavia dice semplicemente che «per un viaggio rapido era essenziale (edei) prendere quella strada». Antichità 20,118 associa la strada più breve per Gerusalemme alla celebrazio ne delle feste in città. Nessuno dei due passi però fa al caso di Gv 4,4 non esistendo qui nessun accenno alla necessità di un viaggio rapido, e inoltre il viaggio di Gesù era in direzione opposta a Gerusalemme. Per una sintesi della storia dell'interpretazione di edei con la conclusione che convalida la posizione appena esposta vedi Okure, ]ohan nine Approach 83-86. L'interpretazione riguarda gli incontri di Gesù con i Samaritani come tipici della sua presenza nel mondo non giudaico, poiché i Samaritani erano un popolo di sangue mi sto (cf 2 Re 17,24-42). Essi non accettavano più un culto incentrato in Gerusalemme e si erano dissociati dai Giudei che erano tornati da Babilonia (cf i diversi ma ugual mente ostili resoconti di Neemia 13 e Giuseppe, Antichità 11,297-347). Ai tempi di Ge sù la situazione era ulteriormente peggiorata. Per una panoramica delle testimonian ze vedi Jeremias, ]erusalem 352-358; Cross, «Aspects of Samaritan and Jewish History» 201-211. chiamata Sicar: Per una rassegna delle varie località suggerite per Sicar vedi Briend, «Pui ts» 386-398. vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: Il testo di Gn 48,22 dice: «lo do a te, più che ai tuoi fratelli, un dorso [una porzione] di monte ... »; ora il termine ebraico per «porzione» è shekem, e l'autore lo prende per la città di Shechem (Sichem, Sicar?), come hanno fatto i LXX (cf Barrett, Gospel 231). Giacobbe: Lo sfondo delle tradizioni di Giacobbe è in larga misura trascurato dai com mentatori. Come appare chiaro dall'interpretazione data sopra, le tradizioni di Gia cobbe sono importanti per quanto riguarda la mia lettura del testo. I legami più im portanti con la tradizione giovannea si trovano nei targum su Genesi 28-29 e Nm 21,1618, e in Pirqe di Rabbi Eliezer 35-36. Vedi Jaubert, «La Symbolique» 1,63-73; Diaz, «Pale stinian Targum» 76-77; Olsson, Structure and Meaning 168-173; Neyrey, «Jacob Tradi tions» 421-425; Léon-Dufour, Lecture 347-349; Perkins, NJBC 956-957. sedeva presso il pozzo: L'elaborata frase «sedeva presso il pozzo» (ekathezeto houtas epi t� peg() esprime una reale sistemazione per mettersi a riposo. Nel NT il verbo kathezomai ha un senso di durata (Bemard, Commentary 1,135). Era verso mezzogiorno (l'ora sesta): Nel Quarto Vangelo non si può mai essere sicuri ri guardo alla numerazione delle ore, ma gli esegeti generalmente concordano che la fra se hara en hos hekte indichi il mezzogiorno. Culpepper (Anatomy 219) sostiene che nel Quarto Vangelo (cf 1,39; 4,52; 19,14) il modo più sicuro di calcolare le ore è quello del
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sistema romano, a partire da mezzogiorno� Se questo � vero, allora 4,6 indicherebbe le 18.00. 7. una donna di Samaria: La descrizione della donna come gyne ek tes Samareias è sovente
presa per un'indicazione che la donna rappresenta tutti i Samaritani. Ma l'intento di
4,7-30 è quello di mostrare la risposta di questa donna alla parola di Gesù (cf Okure, Jo hannine Approach 111 n. 63, 129-131). Il passo nel suo insieme (ossia, i vv. 1-42) è incen
trato sulla risposta dei Samaritani, rappresentanti del mondo oltre i confini di Israele, ma questo diventa chiaro solo alla fine del passo quando i Samaritani fanno una con fessione di fede in Gesù (cf v. 42). Dammi da bere: Molti critici vedono in questa espressione un'evocazione delle scene presso i pozzi dell'AT (cf Gn 24,10-19 [Rebecca e il servo di Isacco]; Gn 29,1-14 [Gia cobbe e Rachele]; Es 2,15b-21 [Mosè e Sefora]). Vedi ad esempio Dagonet, Selon Saint ]ean 47-53; Duke, Irony 101-103; Carmichael, «Marriage», 332-346; Eslinger, «The Wooing» 167-183. Secondo la nostra interpretazione, specialmente alla luce dell'in fluenza delle tradizioni di Giacobbe, questo legame non è sufficientemente provato. Per un approfondimento della questione a convalida della posizione adottata in que sta sede vedi Okure, Johannine Approach 87-88. 8. I suoi discepoli erano andati in città: La frase fa sorgere qualche interrogativo. Perché tut ti i discepoli hanno dovuto andare in città a comprare cibo lasciando Gesù da solo? Per ché la donna va al pozzo nell'ora più calda del giorno? Ma queste domande non dan no all'autore sufficiente libertà nell'impostazione del dramma. Diventano irrilevanti o al massimo ingenue una volta che si riesca ad apprezzare appieno l'intento letterario e teologico dell'autore. Vedi O' Day, Revelation 50-53. 9. I Giudei infatti non sono in buoni rapporti con i Samaritani: Il verbo synkraomai general mente è tradotto con «avere buoni rapporti». Daube, The New Testament 373-382 pre ferisce tradurlo «non usano niente in comune con ... ». Vedi anche Barrett, Gospel 332-333. Riguardo all'ostilità tra i Giudei e i Samaritani vedi Str-B 2,438. 10. Se tu conoscessi il dono di Dio... chi è colui che ti dice: Per un approfondimento sulla tesi che l'incontro tra Gesù e la donna si sviluppa lungo gli assi dei vv. 7-15 («il dono di Dio») e dei vv. 16-26 («chi è colui che ti dice») vedi Okure, Johannine Approach 92. Questo era stato proposto in precedenza da Schmidt, «Die Komposition» 150, già nel 1929. Per motivi che saranno spiegati in seguito, la seconda parte dell'incontro tra Gesù e la donna deve essere estesa fino al v. 30. La discussione sul significato di «il dono di Dio» e il suo rapporto con «l'acqua viva» va all'infinito. L'interrogativo principale è: si riferisce al dono di Gesù o al dono dello Spirito? Per la tesi a favore dello Spirito vedi Braun, «Avoir soif et boire» 249-251 . In tempi più recenti si è notata la tendenza ad adottare una posizione intermedia. Ad esempio, Beasley-Murray Uohn 60) guarda a 6,35.51 e 7,37-39 per affermare che si trat ta di una «vita mediata dallo Spirito», mentre Olsson (Structure and Meaning 212-218) conclude che è la rivelazione di Gesù che dà la vita per mezzo dell'azione dello Spiri to. Molto di tutto ciò dipende dall'insegnamento successivo riguardo al Paradito; la nostra interpretazione si attiene più da vicino al contesto del passo. Per una panora mica della discussione e una conferma della posizione cristologica da noi adottata ve di Okure, Johannine Approach 96-97. il dono di Dio: È da escludere un'interpretazione sacramentale del passo. Per questo vedi Cullmann, Early Christian Worship 80-84. 11. Signore: L'uso del termine kyrie indica che la donna comincia a mostrare rispetto per Gesù. È un primo passo (cf v. 15) verso l'incipiente sospetto che Gesù possa essere il Messia (vv. 25.29) (cf Friedrich, Chi è Gesù 35). il pozzo è profondo: Nel v. 10 Gesù aveva parlato di «chi è colui che ti dice» e poi aveva
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so�giunfo: «egli ti avrebbe dato acquà viva». Nei vv. 11-12 1a donna inverte l'ordine
parlando prima dell'acqua e poi chiedendo a Gesù come questa si possa mettere in re lazione a Giacobbe (cf Léon-Dufour, Lecture 355). 12. Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe?: La domanda della donna, che comincia con me, suppone una risposta negativa. È impensabile che qualcuno possa essere più grande di Giacobbe. La questione è che il dono di Gesù è superiore al dono di Giacob be. Questo è importante ai fini di determinare il significato del «dono di Dio» (v. 10). L'accento è posto interamente su Gesù; in questo confronto tra il dono di Gesù e quel lo di Giacobbe lo Spirito è fuori discussione. Per quanto riguarda Giacobbe come «pa dre» dei Samaritani vedi Olsson, Structure and Meaning 139-141. La donna rimane «fuo ri>> del mondo di Gesù ed è incapace di capire e di accettare ciò che egli va dicendo (cf O'Day, Revelation 61-62). con i suoifigli e il suo bestiame: Viene spesso fatto notare che non abbiamo notizia di una tradizione di Giacobbe con i suoi figli e il suo bestiame o il suo seguito (thremmata è un hapax legomenon e può riferirsi anche ai suoi schiavi) presso il pozzo. Questo retrosce na è in parte basato sulle tradizioni ebraiche, in particolare quelle contenute nei targum su Genesi 28-29. 13. Chiunque beve di quest'acqua: ll passaggio dal «dono di Dio» e dall' «acqua viva» che la Samaritana potrebbe ricevere nel v. 10 alla possibilità universale del dono della «vita eterna» nel v. 14 è reso possibile dall'esposizione fatta da Gesù di una verità universa le riguardo al bere l'acqua di questo pozzo. Chiunque beve (pas ho pinon) acqua nor male finirà per aver sete di nuovo. Questa è una verità universale incontestabile. 14. ma chi beve: Sulla base di ciò che è stato detto riguardo a quelli che bevono acqua nor male Gesù fa un'altra dichiarazione universale, ma con un sottile cambiamento nella forma del verbo che conferisce maggior efficacia alle sue parole. Il passaggio dal par ticipio del v. 13 (pas ho pinlm) all'aoristo congiuntivo del v. 14 (hos d'an pir) indica un be re definitivo, fatto una volta per sempre, che elimina la necessità di un continuo ritor no alla fonte dell'acqua (cf Barrett, Gospe/ 234). L'acqua che darà Gesù raggiungerà il profondo dello spirito umano e sazierà i suoi desideri e le sue aspettative una volta per sempre (cf Lenglet, «Jésus de passage» 497-498). dell'acqua: L'immagine dell'«acqua» come dono spirituale è molto diffusa nelle reli gioni antiche (cf Bauer, Johannesevangelium 68-69). Presenta stretti legami, anche se in maniera alquanto contrastante, con le tradizioni sapienziali (cf Bernard, Commentary 1,140-142). una sorgente d'acqua: Per «pozzo» e «sorgente» sono stati usati due termini diversi: phrear (vv. 11.12) e pege (vv. 6.14). È possibile che Gesù usi intenzionalmente la parola appropriata per l'acqua vivificante che sgorga da una pege (vv. 6.11) mentre la donna si riferisce all'acqua ferma in un phrear (vv. 11.12). Ma potrebbe anche trattarsi di una semplice questione stilistica. che zampilla: Ben più che il semplice zampillare dell'acqua si cela nell'uso del verbo .hallesthai, che generalmente si riferisce a un'improvvisa mossa balzante compiuta dal l'uomo. Per quanto si sa, questo è l'unico luogo in cui il verbo è usato per descrivere il movimento dell'acqua. Questo verbo è probabilmente un ulteriore legame con la tra dizione ebraica del dono di un pozzo traboccante fatto da Giacobbe. Nei targum vie ne usato il termine aramaico sillaq, che significa «salire», «ammucchiare)> (cf Olsson, Structure and Meaning 182). per la vita eterna: L'espressione giovannea eis ton aiana (cf 6,51.58; 8,35.51-52; 10,28; 11,26; 12,34; 13,8; 14,16) non è una promessa di felicità eterna dopo la morte. Promette inve ce la pienezza della vita, a cominciare da ora (Schnackenburg, Gospe/ 1,430-431). 15. Alcuni critici leggono la risposta della donna in senso positivo, come una disponibili-
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tà ad abbandonare n pozzo di Giacobbe e ad accettare l'acqua òfferta da Gesù. Vedi
ad esempio Olsson, Structure and Meaning 182-183; Carmichael, «Marriage» 337-343; Léon-Dufour, Lecture 1,419. Il contesto, tuttavia, richiede che la donna sia giudicata in base alla sua accettazione o al rifiuto della parola di Gesù. Secondo questo criterio «il primo round della conversazione finisce in un completo fallimento. La donna rimane sulle sue posizioni, incredula» (Boers, Neither on this Mountain 169). Il rifiuto parallelo, sebbene non identico, della parola di Gesù da parte de «i Giudei» (2,20) e della Samaritana (4,15) rispecchia l'esperienza della comunità giovannea. Espulsi dalla sinagoga (d 9,22; 12,42; 16,2), i membri della comunità giovannea hanno sperimentato di persona il giudaismo postbellico che sta lottando per affermare una propria identità. Aspetto di questa lotta è il rifiuto della rivendicazione da parte della comunità che Gesù ha fatto conoscere Dio. Questa permanente ostilità è rispecchiata in Gv 2,13-20. La Samaritana rispecchia invece l'esperienza missionaria della comunità. Una comunicazione iniziale della parola di Gesù può suscitare meraviglia, ignoranza, rifiuto, perfino ostilità e alla fine l'esclusione del missionario giovanneo. Il compito si protrae nella missione (s amaritana? ) . Questo è rispecchiato in Gv 4,7-15 e nella conti nuazione del dialogo di Gesù con la donna nei vv. 16-30 (cf Schnackenbu rg, Gospel 1,419; Leroy, Riitsel und Miflverstiindnis 97-122). Lightfoot (Gospe/ 121-122) evidenzia alcuni accenni contenuti nei vv. 1-15 che prelu dono alla passione di Gesù: la stanchezza (cf 19,1-2), il bisogno di acqua (19,28) e «l'o ra sesta» (19,14). Vedi anche Hudry-Clergeon, «De Judée en Galilée» 821-823. I tentativi di attribuire a Giovanni 4 una struttura chiastica (cf Roustang, «Les mo ments» 352; Hudry-Clergeon, «De Judée en Galilée» 830; Cahill, «Narrative Art» 42) in sistono troppo sull'unità letteraria di Giovanni 4 e in tal modo perdono di vista l'im portante rapporto letterario e teologico di questo capitolo con Giovanni 2-3.
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I N T E R P R E"ì' A Z I O N E Introduzione a 4,1 6-30. La prima parte dell'incontro tra Gesù e la Samaritana (vv. 7-15) ha trattato il tema presentato nel v. 10a: «il dono di Dio» (ten dorean tou theou). Il secondo momento svolge il tema del v. 10b: «chi è colui che ti dice» (tis estin ho legon soi). C'è un passaggio dolce dal v. 15, con la donna che chiede di essere liberata dal «venire qui» (dierchomai enthade), al comando di Gesù nel v. 16 che vada a dire a suo marito che «venga qui» (elthe enthade). Gli imperativi del v. 16 segnano l'inizio di una parte, di cui la maggioranza dei critici vede la conclusione nel v. 26. Nel v. 26, riprendendo le parole del v. 10b, Gesù dice alla donna: «Sono io, che parlo con te» (ego eimi ho lalon soi). Ma questo lascia i vv. 27-30 non legati né all'incontro di Gesù con la donna (vv. 16-26) né a ciò che se gue (vv. 31-38). La reticente meraviglia dei discepoli (v. 27) e gli interrogativi che la donna si pone mentre ritorna in città (vv. 28-29) si possono meglio spie gare come il perdurare della questione dell'identità di Gesù (cf v. 10b). Questa parte si conclude con i Samaritani che si recano sul luogo dove possono trova re Gesù (v. 30). Essi incontrano Gesù mentre sta parlando con i suoi discepoli nei vv. 31-38. Esistono indicazioni che la struttura letteraria dei vv. 16-30, il secondo in contro di Gesù con la Samaritana, sia parallelo al primo incontro (vv. 7-15), anche se il tema si sposta dal dono dell'acqua viva (cf v. 10a) a quello dell'i dentità della persona di Gesù (cf v. 10b). L'incontro si svolge nel modo se guente: a) vv. 1 6-1 9: L'iniziativa di Gesù riapre una discussione languente. La risposta della donna solleva la questione dell'identità di Gesù. b) vv. 20-26: Gesù prende l'iniziativa di spostare la discussione dal tema della profe zia a quello della vera adorazione. Questo porta a un avanzamento della com prensione di Gesù da parte della donna, che comincia a sospettare che Gesù possa essere il tanto atteso Messia. In risposta a questa confessione Gesù rivela se stesso: ego eimi («lo sono»). c) vv. 27-30: Il ritorno dei discepoli porta alla partenza della donna. Ma le parole che essa rivolge ai suoi concittadini indicano che essa non è stata in grado di afferrare appieno il significato dell' autorivelazione di Gesù. I Samaritani decidono di anda re a scoprirlo per conto proprio. I due momenti dell'incontro di Gesù con la Samaritana (vv. 7-15 e 16-30) sono contraddistinti dai seguenti paralleli: l. Viene stabilito un rapporto, inaugurato da un comando di Gesù (vv. 7-9 Il vv. 16-20). 2. Le parole di Gesù trascendono l'apparente base del rapporto (v. 10 Il vv. 21-24). 3. La donna dà alle parole di Gesù una risposta intermedia (vv. 11-12 Il v. 25). 4. Intervento finale di Gesù (vv. 13-14 Il v. 26). 5. Risposta conclusiva della donna (v. 15 ll vv. 28-29).
Nonostante i legami letterari, si nota un'importante differenza tra i vv. 7-15 e i vv. 16-30. Nel v. 15 la Samaritana rifiuta la parola di Gesù, mentre nei vv. 25 e 29 comincia a chiedersi se Gesù non possa rispondere al concetto che s'è fat ta del Messia-Cristo. Soltanto l'osservazione finale del narratore, che descrive l'avvicinamento dei Samaritani a Gesù, non ha un parallelo nei vv. 7-15. Que-
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sto servirà da sfondo alle parole rivoltè da Gesù ai suoi discepoli nei vv. 31-38 e a preparare il terreno per la risposta a Gesù riportata nei vv. 39-42. Gesù il profeta (vv. 16-19). Il triplice comando di Gesù: «va' ... chiama ... ri torna» (v. 16) segna una svolta in una discussione languente. Mette in primo piano la situazione matrimoniale della donna e il dono dell'acqua è messo da parte. La risposta della donna, che non ha marito (v. 17), rispecchia la sua si tuazione reale. Non si considera sposata con l'uomo con il quale attualmente convive. Gesù si compiace della sua sincerità: «Hai detto bene (kalos eipas) "Non ho marito">> (v. 17). Quindi procede a parlare dei suoi trascorsi matrimoniali in modo analogo a quello che aveva fatto per la vita privata di Natanaele (1,48; cf Okure, fohannine Approach 110-113). La vita matrimoniale della donna è stata ir regolare e attualmente si trova in una situazione peccaminosa, ma lo scopo principale del v. 18 non è quello di mettere a nudo le sue pecche. Non c'è biso gno di leggere i cinque mariti simbolicamente. L'accento è posto sulla capacità di Gesù di scoprire i segreti della sua vita privata. Il ripetuto complimento di Gesù, che ciò che la donna ha detto risponde a verità (v. 1 8c : touto alethes eirekas), richiede che nella storia della vita interiore della donna si veda un dato di fa t to. La conoscenza di Gesù di questi «fatti» segna il punto di svolta nel raccon to. La sua offerta dell'acqua viva andava oltre le capacità di comprensione del la donna, ma una persona che le svela i segreti della sua vita merita di essere presa sul serio. La donna mostra i primi segni di apertura a Gesù quando gli confessa: «Signore, vedo che sei un profeta» (v. 19). Nell'originale «profeta» è senza articolo e l'uso del verbo theareo tradotto con «vedo» («percepisco») ren de la confessione limitata. Non c'è una profonda penetrazione spirituale nel suo maturare la convinzione che questo uomo deve possedere qualità profeti che. Tuttavia c'è un notevole progresso dal precedente «tu che sei giudeo» (v. 9) all'attuale «signore» (vv. 11 . 15 19 a) . Il dubbio che Gesù possa essere un profe ta giudeo solleva un'ulteriore questione, che la donna accenna appena e che Gesù trascende (vv. 20-26 ) . Gesù trascende le credenze della donna (uv. 20-26). Un profeta giudeo, sosteni tore di una tradizione famosa per la sua difesa del culto a YHWH incentrato a Gerusalemme, deve essere contestato nell'improbabile caso di una discussione con un Samaritano. La donna solleva la questione di Garizim e di Gerusalem me (v. 20) non per sviare Gesù dai suoi segreti personali ma, visto che le pare di ravvisare in lui un profeta, per sentire il suo parere su «un problema secolare oggetto di contesa tra Samaritani e Giudei» (Schnackenburg, Gospel 1,434; cf Gen. Rab 32,10; 81,9). Qualsiasi interesse per la situazione matrimoniale della donna scompare dal racconto quando vengono in primo piano la persona e il ruolo di Gesù come «profeta». «Come profeta, egli dovrebbe sapere» (Light foot, Gospe/ 123). La risposta di Gesù a questa osservazione della donna trascende l'idea li mitata che s'era fatta di lui come profeta giudeo e il suo attaccamento alle tra dizioni locali legate al monte Garizim, alla cui ombra si svolge il dialogo. Gesù cerca di dare alla donna una conoscenza più profonda della propria persona e del proprio ruolo, cominciando la sua risposta con le parole: «Credimi, donna» (v. 21a: pisteue moi, gyne). Questa esortazione è seguita dalla promessa, di un .
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tempo futuro in cui la polemica tra Samatitani e Giudei non avrà più ragione di essere. La donna forse si aspetta che Gesù nomini qualche altro «luogo», ma egli parla invece di un'adorazione di Dio che deve essere adorazione del «Pa dre» (v. 21c). Nel v. 12 la donna aveva parlato del dono fatto da Giacobbe ai suoi figli e aveva chiesto se Gesù si ritenesse superiore a questo «padre»; nel v. 20 la donna sfida Gesù ad essere migliore dei «nostri padri» che hanno adora to Dio sul monte Garizim. Queste idee vengono eclissate dalle parole di Gesù sull'adorazione di Dio come adorazione «del Padre». La questione del «luo go», che trascende sia Garizim che Gerusalemme e del «quando>> ciò potrà ve rificarsi, rimane senza risposta. Prima di rispondere a queste domande Gesù parla della situazione imme diata della Samaritana e dei «Giudei» (v. 22). Gesù è un Giudeo e afferma de cisamente la superiorità delle tradizioni giudaiche. Queste portano in sé l' au tentica rivelazione di Dio, mentre le vaghe tradizioni samaritane non possono vantare tale autorevolezza. Gesù rivendica le proprie origini dal popolo giu daico usando il plurale «noi», così come critica il popolo samaritano e le loro tradizioni usando il plurale «voi». Gesù appartiene a una lunga tradizione nel la quale Dio ha fatto conoscere se stesso. Egli non solo fa parte di questa storia, ma colui che la donna in precedenza aveva chiamato «un giudeo» (v. 9) è quel lo stesso che porta la salvezza. Nel Giudeo Gesù, è venuta la salvezza: la sal vezza viene dai Giudei (v. 22b). Questo è un incontro tra Gesù e il mondo non giudaico (cf vv. 4.7.9), e pertanto le tradizioni del giudaismo, che culminano nella salvezza portata da Gesù, vengono messe a confronto con le tradizioni del samaritanesimo. Gesù rivela se stesso e la via verso il Padre a un mondo non giudaico. Ritorna il tema abbozzato nel v. 21. Là Gesù aveva parlato di un nuovo tem po e un luogo nuovo in cui adorare il Padre. L'escatologia giovannea realizza ta compare quando Gesù per la prima volta informa la donna sul tempo del l' adorazione: «Ma viene l'ora - ed è questa» (v. 23a). Ciò che Gesù sta per an nunciare circa il nuovo «luogo» della vera adorazione, questo è già presente perché Gesù è presente. Al momento attuale, in cui sia Garizim che Gerusa lemme sono luoghi superati, i veri adoratori adorano il Padre in spirito e veri tà, ma è il Padre che cerca tali adoratori. L'atto di adorazione è descritto me diante il verbo proskynein. Questo implica l'atto di chinarsi o prostrarsi verso la persona adorata. In questo contesto, in cui i monti sacri e i loro santuari sono esclusi, la vera adorazione consiste nell'orientare se stessi verso il Padre in mo do tale che Dio diventi l'imperativo della propria vita. L'espressione «in spiri to e verità» combina assieme importanti termini giovannei (cf già in preceden za, 1,9.14.17; 3,3-5.21) per sottolineare che Gesù rivela un Dio e Padre che vuo le essere adorato con la vita del fedele. D Padre desidera (zetei) veri adoratori (v. 23c). «Il "desiderio" del Padre significa non un desiderio passivo da parte sua, ma la sua azione stimolante nell'individuo senza la quale un'autentica risposta umana è impossibile» (Okure, Johannine Approach 116). La base di tutto ciò che Gesù ha insegnato alla Samaritana è il modo di agire di Dio. Dio non è una montagna, un luogo o un santuario. Dio è spirito (v. 24a), una presenza perso nale che permea interamente il credente. Questo per la Samaritana può essere
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un linguaggio difficilmente comprensibile, ma è già stato usato in precedenza per parlare della presenza creativa e vivificante di Gesù (cf 1,12-13; 3,3-8). Ades so è giunta l'ora in cui l'unico atto di adorazione che sia accettabile (dei prosky nein) è un totale orientamento della propria vita e delle proprie azioni verso il Padre, una partecipazione già in atto al dono del Padre (en pneumati), dono che è tutto ciò che pretende di essere (kai aletheia). La risposta di Gesù alla domanda tradizionale della donna riguardo al luo go di adorazione legittimo, Garizim o Gerusalemme, trascende ciò che la don na potrebbe aspettarsi da un «profeta» (cf v. 19). L'identità di Gesù (cf v. 10b) è ancora da scoprire, perciò la Samaritana con qualche esitazione ripiega su un'altra delle sue tradizioni. In perfetta sintonia con Nicodemo (cf 3,2: oidamen hoti) essa dice: «So che (oida hoti) deve venire il Messia, chiamato Cristo; quan do egli verrà, ci annunzierà ogni cosa» (v. 25). Si asserisce spesso che dietro l'u so che la donna fa dei termini «Messia» e «Cristo» si cela la figura sa mari tana del Ta'eb, poiché si dice che il Ta'eb era un personaggio che poteva svelare ogni cosa. Non si può scartare l'idea che questo sfondo samaritano sia presente, ma presenta serie difficoltà (cf la nota relativa al v. 25). La donna solleva la que stione di un Messia o Cristo senza usare l'articolo determinativo, come aveva fatto quando aveva detto che Gesù poteva essere un profeta (cf v. 19). L'uso di entrambi i termini semitico e greco per designare una persona o "unta" o con sacrata messi in bocca alla donna le fanno compiere un altro passo in avanti nel la sua conoscenza di Gesù. Ha chiamato Gesù «un giudeo» (v. 9), «signore» (vv. 11.15.19a), «un profeta» (v. 19b); ora avanza l'ipotesi che egli possa essere «un Messia-Cristo» (v. 25). Il criterio su cui si basa la donna per la sua progres siva confessione messianica è che egli «ci annunzierà ogni cosa». La conoscen za che Gesù ha della sua vita privata (cf vv. 16-18) non cessa di stupirla. La donna non fa nessun accenno alla parte più recente della discussione con Ge sù: la vera adorazione e la dichiarazione che la salvezza viene dai Giudei (vv. 21-24) . Gesù le aveva detto che la possibilità della vera adorazione è già pre sente: «viene l'ora - ed è questa» (v. 23), ma la donna sorvola su questa possi bilità e avanza l'ipotesi che Gesù possa essere il Messia-Cristo che deve venire: «quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa» (v. 25b). La maggior parte dei critici (e delle traduzioni) vedono nella risposta di Ge sù nel v. 26 un'accettazione del suggerimento della donna che egli possa esse re il Cristo: «Sono io, che parlo con te» (CEI). Ma questo non sembra esatto. Nel v. lOb è stata impostata la chiave per i vv. 16-30: tis estin ho legon soi («chi è colui che ti dice»). La replica di Gesù al suggerimento della donna risponde al la domanda del tis estin, «chi è colui?». Ripetendo le parole del v. 10b, l'inter rogativo delle prime due parole è sostituito con la formula di rivelazione ego ei mi ho legon soi («"IO SONO", [è] colui che parla con te»). Chi è la persona che par la alla donna? La risposta di Gesù è: ego eimi. Qui appare per la prima volta una delle principali rivendicazioni fatte dall'autore a nome di Gesù (cf 8,24.28.58; 13,19; 18,5) (vedi la nota relativa al v. 26). L'espressione ha una lun ga storia nella letteratura d'Israele. Le radici più profonde risalgono alla rive lazione del nome di Dio fatta a Mosè in Es 3,14, ma l'espressione è diventata particolarmente importante per i profeti (cf in particolare Is 43,10; 45,18). È
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sempre stata usata in relazione alla presenza vivente di Dio che fa conoscere se stesso al popolo. In modo parallelo al tentativo di Gesù di portare Nicodemo al superamento della sua limitata conoscenza del suo interlocutore (cf 3,1-10), Gesù cerca di portare la donna a trascendere la conclusione che aveva rag giunto per il fatto che le aveva svelato i segreti della sua vita privata. L'identi tà di Gesù (v. lOb: tis estin) va oltre l'idea di un Messia-Cristo: egli è colui che fa conoscere il Dio vivente (v. 26). Poiché questo è vero, Gesù ha potuto dire alla donna: «Viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (v. 23a). Le parole di Gesù sulla vera adorazione e la sua auto rivelazione 10 SONO non sono state capite dalla Samaritana (cf v. 29). I discepoli ritornano (vv. 27-30). L'irrisolta confessione cristologica della don na fa parte dell'esperienza dei discepoli quando essi rientrano in scena e si me ravigliano che Gesù stia parlando con una donna (v. 27a ) I discepoli giungono quando la scena sta per concludersi. L'imperfetto del verbo «parlare» (elalei) indica che i discepoli si rendono conto che Gesù è stato a parlare con la donna per qualche tempo. La loro meraviglia è espressa per mezzo del verbo pregno di emozioni thaumazein . Sono impressionati. Nonostante tutta la loro meravi glia e stupore, non dicono niente, ed è il narratore che si sente in dovere di por re le domande che essi non osano fare a Gesù: «Che cosa cerchi? ... Perché par li con lei?» (v. 27b ). Dietro queste domande non espresse si cela l'interrogativo dei discepoli: chi è quest'uomo Gesù? «Lo stupore dei suoi amici conferisce al mistero del rivelatore maggior risalto» (Schnackenburg, Gospel 1,443; cf O'Day, .
Revelation 74-75).
La donna fugge via, lasciando la sua anfora sul posto. Questo particolare è statò oggetto di molte speculazioni. Ma è semplicemente un segno che, sebbe ne la donna abbia lasciato la scena, la storia samaritana non è ancora giunta al termine. L'anfora della donna è ancora presso Gesù mentre lei torna in città a ri petere ai suoi concittadini ciò che ha detto a Gesù: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?» (v. 29). La don na li invita a vedere «un uomo» e ripete il suo motivo per pensare che egli pos sa essere il Cristo: la conoscenza di Gesù della sua situazione coniugale e la ri velazione di tutto ciò che ha fatto. La domanda che essa pone ai suoi compae sani esprime la sua titubanza circa l'identità di Gesù: meti houtos estin ho christos (cf la nota relativa al v. 29). È sulla base delle parole della donna (v. 29), che ri petono ciò che lei aveva detto prima a Gesù (cf v. 25), che i Samaritani «usciro no>> (aoristo) dalla città e «andavano» (imperfetto) da Gesù. Essi dal canto loro avranno una propria risposta da dare a Gesù, risposta che andrà oltre le paro le della donna (vv. 39-42). In attesa del loro arrivo, Gesù si rivolge ai suoi scon volti discepoli. La reazione della Samaritana a Gesù nei vv. 7-15 era stata di rifiuto della pa rola di Gesù. Anche se privo dell'ostilità mostrata nel rifiuto di Gesù da parte de «i Giudei» (cf 2,13-22), il primo momento di incontro della donna con Gesù è caratterizzato dalla stessa incredulità de «i Giudei». La sua ulteriore discus sione con Gesù è paragonabile all'incapacità di Nicodemo di superare le pro prie limitazioni storiche, religiose e culturali (3,1-10). La Samaritana è disposta ad ammettere che egli sia «un profeta» (v. 19) e perfino «un Messia-Cristo» (v.
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II
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25), ma non riesce ad andare oltre nonostante che Gesù le dica chiaro e tondo 10 SONO (v. 26). Al termine dell'episodio, la donna si chiede ancora: «Che sia lui il Cristo?» (v. 29). Al pari di Nicodemo, la Samaritana è approdata a una fede in Gesù parziale e condizionata. NOTE
16. va' . . . chiama ... ritorna: Gli imperativi messi in bocca a Gesù, che ripetono l a sua inizia tiva originale nel v. 7, indicano ovviamente una svolta nel racconto. Il cambio di dire zione nella conversazione nel chiederle di portare a lui suo marito è un altro segno che l'incontro è entrato in una fase nuova. 17. Io non ho marito: Secondo John Bligh («Jesus in Samaria» 335-336) queste parole indi cano che la donna ha mire maritali nei confronti di Gesù. ll testo non offre sufficienti in dizi per questa interpretazione, specialmente alla luce della negazione fatta in questa interpretazione dell'esistenza di legami tra questo incontro e la tradizione dei pozzi dell' AT. Vedi la nota relativa al v. 7. Okure (Johannine Approach 108-110) propone che per la donna sia un modo di cercare di chiudere la discussione. 18. hai avuto cinque mariti: Si è fatto un gran parlare dei cinque mariti: un numero superiore alle possibilità consentite dalla consuetudine ebraica (cf Str-B 2,437); possibile uso sim bolico del numero cinque in riferimento ai cinque dèi di Samaria (cf Giuseppe, Ant. 9,288); o i cinque libri del Pentateuco samaritano (Origene, In ]ohannem 13,8 [PG 14,410-4111) o le cinque città straniere (in realtà erano sette, ma per il numero cinque ci si appoggia a Giuseppe) che hanno portato con sé i loro idoli (cf 2 Re 17,27-31). L'uo mo con il quale convive attualmente, che non è suo marito, è stato identificato con Si mon Mago (cf Purvis, «The Fourth Gospel» 193-195). Queste letture simboliche sono diffuse specialmente tra coloro che cercano di vedere nella donna samaritana una fi gura rappresentativa di tutti i Samaritani (cf Loisy, Evangile 182; Cullmann, «Sama ria» 187-188). Alla luce dei commenti di Gesù nel v. 17 («Hai detto bene») e nel v. 18 («in questo hai detto il vero»), Barrett (Gospel 235) è nel giusto quando osserva: « È chiara mente possibile, e probabilmente è la cosa giusta, prendere queste parole come una di chiarazione di un semplice dato di fatto e come un esempio della conoscenza sopran naturale di Gesù». 19. Signore, vedo: Per theareD quale verbo che indica l'approdo alla percezione intellettuale partendo da una crescente esperienza vedi BAGD 360, s.v. theoreo, par. l . che sei un profeta: Alcuni vedono nella sua accettazione di Gesù quale «profeta» un ri ferimento all'aspettativa messianica dei Samaritani basata sulla loro interpretazione di Dt 18,15-19 (cf Boismard, Moi'se ou fésus 29-30, 67-68). 20. l nostri padri hanno adorato Dio su questo monte: La tradizione samaritana colloca il sa crificio di Isacco da parte di Abramo e la visione di Giacobbe sul monte Garizim. Là si trova anche la shekina associata alla rivelazione mosaica, sebbene ai tempi di Gesù il tempio che si trovava sul monte fosse stato distrutto da lunga data (da Giovanni !rea no nel 128 a.C.). Su questa ed altre rivendicazioni a favore del monte Garizim vedi Montgomery, The Samaritans 236-239; Hall, Samaritan Religion 229-232. 21 . Credimi, donna: Non tutti sono d'accordo che questa sia un'autentica richiesta di Gesù e che la donna sia disposta ad una più profonda comprensione della sua persona e del suo ruolo. Per alcuni (es.: Bemard, Commentary 1,146) la frase è l'equivalente del dop pio «amen». Per la posizione adottata in questa sede vedi, ad esempio, Schnacken burg, Gospel 1,435; Dagonet, Selon Saint ]ean 98-99. 22. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo: Alcuni hanno sostenu to che «voi» e «noi» si riferiscono rispettivamente ai Giudei e ai Samaritani («voi») e a
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Gesù e i suoi seguaci ( (v. 35a). Gesù ricorda loro un fatto noto a tutti, basato sulla realtà dei campi attorno a loro, che bisognerà aspettare ancora qualche tempo per il raccolto. Ma Gesù contraddice questo fatto esortando i suoi di scepoli ad alzare lo sguardo per constatare l'arrivo dei Samaritani (cf v. 30). Gesù forza il linguaggio. Una messe che «biondeggia» normalmente si riferisce a un campo di grano pronto per la mietitura; ma i Samaritani che arrivano, in risposta alla iniziale e parziale fede della donna, anch'essi «già biondeggiano per la mietitura» (v. 35b) La messe nei campi attorno a Gesù, i discepoli e i Sa maritani che gli vengono incontro, può ancora essere lontana dal tempo _della mietitura, ma l'arrivo dei Samaritani è un segno per i discepoli che la presen za di Gesù porta la vita a tutti coloro che «vanno da lui» (cf v. 30). L'escatologia giovannea realizzata contraddice le aspettative dei discepoli. Il «non ancora» è già qui, e l'arrivo dei Samaritani ne è la prova. L'ambientazione per questo discorso è la missione (samaritana?) della co munità giovannea. Ai s_uoi membri viene ricordato che l'accoglienza nella co munità dei non Giudei è il risultato dell'iniziativa di Gesù. Nel v. 36 Gesù fa la distinzione tra il seminatore e il mietitore. I discepoli saranno i mietitori di una messe che è stata seminata da Gesù nel suo incontro con la Samaritana. I di scepoli tuttavia entrano a fare parte del processo di mietitura; essi raccoglie ranno la messe rappresentata simbolicamente dai Samaritani che avanzano verso di loro. I mietitori sono pagati e raccolgono frutti per la vita eterna per il loro coinvolgimento nella missione. Grazie a questo reciproco coinvolgimento nella missione, Gesù come seminatore che avvìa il movimento verso la vera fede e i discepoli che raccolgono la messe, seminatore e mietitori, godono in sieme. Tutti i verbi sono al presente. Il «non ancora» è già qui. Nella visione giovannea delle cose, non c'è bisogno di compiere buone azioni adesso nella speranza che questo porti il premio della vita eterna. I discepoli raccolgono già i frutti di una missione iniziata da Gesù. Questa interpretazione è convalidata dal v. 37 che ribadisce per mezzo di un breve proverbio (ho logos) ciò che è sta to appena detto e prepara il terreno per l'ultima affermazione di Gesù nel v. 38. Andando contro un ambiente pregno di pregiudizi (vv. 8.9.27) Gesù ha attira to a sé i Samaritani (vv. 7-30). I discepoli adesso sono partecipi dell'urgenza di vina che ha portato Gesù in Samaria (cf v. 4: edei). Gesù ha detto loro di alzare lo sguardo per vedere i Samaritani che stanno arrivando (v. 35) perché possa no diventare i mietitori di un raccolto che non hanno seminato e per poter co sì partecipare alla gioia dell'unione di Gesù con il Padre (v. 36). Il racconto di mostra che è vero il proverbio (estin alethinos): uno semina (Gesù) e l'altro mie te (i disceP.oli) (v. 37). Questa lettura dei vv. 35-37 sgombra il campo per l'interpretazione del tan to discusso v. 38: «lo vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; al tri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Le prime parole della dichiarazione ripetono ciò che è stato detto nei vv. 35-36 ma aggiungono un al.
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tro elemento. Nello spiegare a i discepoli quale fosse il suo «cibo» Gesù aveva parlato della necessità di rispondere a colui che l'aveva mandato (v. 34). Ades so egli li ha associati alla sua missione: Gesù ha mandato i discepoli (ego ape steila hymas therizein ). Nel v. 2 il narratore aveva detto che Gesù non battezza va più, perché questo ministero era svolto dai suoi discepoli. Essi sono già «in viati dell'inviato» e l'invito rivolto loro ad «alzare gli occhi» e mietere una mes se che essi non hanno seminato (vv. 35-37) fa parte del loro ruolo di inviati. Co lui che ha faticato nel campo è Gesù, e qui emerge un significato più profondo dell'aggettivo kekopiakas usato per parlare della stanchezza di Gesù nel v. 6. La sua presenza in Samaria, risultato della volontà del Padre (vv. 4.34), comporta fatica. Ma adesso Gesù parla di altri la cui fatica ha preparato il terreno per l'at tività missionaria dei discepoli: «altri hanno faticato» (allai kekopiakasin). Chi possono essere? Il racconto giovanneo offre la risposta a questa tanto discussa domanda. Abbiamo due personaggi mandati da Dio: Giovanni Battista (cf 1,6) e Gesù (3,17; 4,34). Fin dall'inizio del suo ministero il Battista ha indicato al di là di se stesso un personaggio che sarebbe venuto dopo di lui entro un limitato perio do cronologico, ma che esisteva prima del tempo (cf v. 15) e sarebbe venuto a battezzare nell'acqua e nello Spirito Santo (1,33). Gesù ha insegnato a Nicode mo che la rinascita nell'acqua e nello Spirito era il rito essenziale attraverso il quale è necessario passare per poter entrare nella vita promessa da Gesù (3,3-5). La discussione riguardo ai rispettivi frutti del battesimo di Gesù e di quello di Giovanni è rimasta in sospeso (3,22-26), ma in 4,1-2 il narratore annuncia che il battesimo di Gesù non è più amministrato da Gesù in persona ma dai suoi di scepoli. I battesimi di Gesù e di Giovanni Battista hanno cessato di essere (cf 3,24; 4,2) . Sono emersi i discepoli, inviati di Gesù (4,38a), come unici battezza tori. Essi arrivano alla fine di un lungo processo che ha le sue origini in Dio. Se guono, cronologicamente, un'attività missionaria che è iniziata con la testimo nianza del Battista e che ha portato alla persona di Gesù, il quale adesso li ha as sociati a sé perché possano mietere un raccolto che non hanno seminato. Gli «altri» che hanno faticato, nella cui fatica i discepoli sono subentrati, sono Gio vanni Battista e Gesù. Conclusione dei vv. 31-38. Dopo il primo incontro di Gesù con «i Giudei» (2,13-22) il narratore si è tirato in disparte e ha fatto i suoi commenti riguardo alle limitazioni di una fede basata sui segni operati da Gesù (2,23-25). Questo significa forse che gli eventi della vita di Gesù non narrano la storia di Dio? Ge sù guarda solo ciò che si nasconde nel cuore umano (cf v. 25)? Se è così, allora è vero che contano solo (v. 41) indicano un numero crescente, ma non la totalità. Come sempre nel Quar to Vangelo viene fatta una scelta (cf Hudry-Clergeon, «De Judée en Galilée» 828-829). per la sua [di Gesù] parola: La maggior parte dei commentatori vede due fasi di fede ci specchia te nella risposta dei Samaritani: prima alla parola della donna, poi alla paro la di Gesù. La prima fase è basata sui segni (Gesù che svela alla donna i suoi segreti) e la seconda è una fede basata sulla parola di Gesù. Okure, fohannine Approach 170-181, sostiene il contrario alla luce del suo tentativo di vedere la Samaritana nei vv. 16-26 già approdata alla fede autentica, e che quindi nei vv. 28-30 diventa una vera missionaria. 42. per i tuoi discorsi: Alcuni commentatori non vedono alcuna differenza tra i /alia della donna e il logos di Gesù. Okure, ]ohannine Approach 171, sostiene fermamente che i due termini hanno lo stesso significato (cf anche Barrett, Gospel 243; Walker, «Jiingerwort und Herrenwort» 52-53; Léon-Dufour, Lecture 1,392). Il contesto, sia remoto che im mediato, richiede che venga fatta una qualche distinzione tra l'uso di Iogos per la te stimonianza della donna nel v. 39 e i suoi /alia nel v. 42. Emerge molto chiaramente la specificità del logos di Gesù (cf Lagrange, Evangile 122; Brown, Gospel 1,174-175; Segai la, Giovanni 200-201). non è più: La dimensione temporale di ouketi indica che il credere dei Samaritani è una fede articolata in due stadi. Prima hanno creduto sulla base della parola della donna (v. 39), ma questo non è più vero (v. 42). Questo elemento del racconto (non trattato da Okure, johannine Approach 172) dà maggior peso alla posizione adottata nell'interpre tazione e nella nota precedente. noi stessi abbiamo udito: L'accento posto nell'interpretazione sull' «ascoltare», è giustifi cato dalla netta insistenza presente nell'originale autoi gar alrekoamen. L'uso di autoi per «noi stessi» accentua la loro esperienza, evidenziando una importante distinzione tra le parole riportate dalla donna e la parola sentita dalle labbra di Gesù. Okure, ]ohanni ne Approach 173-174, cerca di sminuire questo effetto ricorrendo a uno scarsamente at testato autou al posto di autoi. il salvatore del mondo: «l Samaritani parlano il linguaggio della cristologia giovannea» (Barrett, Gospe/ 243). Per una panoramica completa sull'uso di soter nel mondo antico vedi Bemard, Commentary 1,161-163; Schnackenburg, Gospel 1,457-458.
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BIBLIOGRAFIA Cf anche gli studi di 4,1-42 nella bibliografia che segue il commento a 4,1-15. MOLONEY F. J., Beliefin the Word 168-175. O'DAY G. R., Revelation in the Fourth Gospel 86-92: OKURE T., The Johannine Approach to Mission 168-191. OLSSON B., Structure and Meaning. WALKER R., «Jiingerwort und Herrenwort: Zur Auslegung von Joh 4,39-42», ZNW 57 (1966) 49-54.
X. Il secondo miracolo a Cana: fede nella parola di Gesù (4,43-54)
43. Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. 44. Gesù stesso infatti aveva
dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. 45. Quando giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Ge rusalemme, durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa. 46. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. E a Cafamao vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato. 47a. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, 47b. si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per mo rire. 48. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». 49. Il funzio nario del re disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». 50a. Gesù gli rispose: «Va', tuo figlio vive». 50b. Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. 51. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli che suo figlio era vi vo. 52. Volle sapere a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, all'ora settima la febbre lo ha lasciato». 53. Il padre riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive»; e credette lui con tutta la sua famiglia. 54. Questo fu il secondo segno che Gesù fece, tornando dalla Giudea in Galilea.
I N T E R P R E TA Z I O N E Introduzione a 4,43-54. Le indicazioni che dà il narratore nei vv. 43-45 servo no sia per il passaggio di Gesù dalla Samaria alla Galilea sia per commentare la natura dell'accoglienza che Gesù riceve dai Galilei. Anche se probabilmente il v. 46 faceva da introduzione a un racconto originariamente indipendente, ora riferito nei vv. 46-54, nella forma attuale del racconto i vv. 43-46 fanno da in troduzione ai vv. 47-54. Prima di arrivare al v. 47 i personaggi principali, il luo go, il tempo e il motivo del ritorno di Gesù in Galilea sono stati presentati. L'a neddoto presenta il seguente svolgimento: a) vv. 43-46: Presentazione dei personaggi (Gesù [v. 43], i Galilei [v. 45], il funzionario del re [v. 46]), motivi del viaggio (v. 44), luogo (vv. 45-46) e tempo (vv. 43.46). b) vv. 47-53: Gesù e il funzionario del re a Cana di Galilea. I. v. 47a: Il funzionario avvicina Gesù per quello che ha sentito dire dai Galilei. n. vv. 47b-49: Perseveranza del funzionario, che insiste per avere l'aiuto di Gesù per il figlio morente, nonostante il rifiuto iniziale di Gesù. m. v. 50a: La parola di risposta positiva di Gesù. IV. v. 50b: Il funzionario crede alla parola di Gesù.
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vv. 51-53 : Risultato della fiducia del funzionario: suo figlio guarisce, egli «rico nosce», tutta la famiglia crede. c) v. 54: Conclusione di 4,46-54 e di 2,1-4,54. v.
Si nota una marcata somiglianza nella forma letteraria dei vv. 47-54 e dei vv. 39-42: il funzionario si presenta a Gesù sulla parola di qualcun altro (v. 47a; cf v. 39) e gli fa una richiesta alla quale Gesù alla fine risponde positivamente (vv. 47b-50a; cf v. 40). La presenza di Gesù porta alla fede nella parola (v. 50; cf v. 41) e il funzionario «riconosce» l'autorità di Gesù (v. 53; cf v. 42). Pertanto quest'ultimo episodio nel viaggio da Cana a Cana (2,1--4,54) completa uno schema letterario ripetuto diverse volte in questa parte del Vangelo dove di versi episodi successivi presentano una forma letteraria molto simile. Il primo episodio a Cana (2,1-12) ha il suo parallelo nella purificazione del Tempio (2,13-25), e l'incontro con Nicodemo (3,1-21) è strutturalmente simile alla testi monianza finale del Battista (3,22-36). I due momenti dell'incontro di Gesù con la Samaritana sono strutturati in modo analogo (4,1-15 e 4,1 6-30). La forma let teraria del resoconto del soggiorno di Gesù presso i Samaritani ( 4,39-42) si ri pete quando Gesù fa ritorno a Cana di Galilea (4,43-54). Questo schema lette rario è importante in una narrativa che doveva invogliare il lettore a notare gli episodi di Cana all'inizio e alla fine, e poi i resoconti paralleli delle diverse ri sposte alla fede esposte tra un episodio e l'altro. I legami esistenti tra gli episo di che si susseguono l'un l'altro richiamano all'importanza fondamentale di una lettura sequenziale della narrativa. Il lettore mentre legge non bada ai chia smi, ma passa da un episodio all'altro, ed è solo alla fine che si accorge che l'au tore ha usato la tecnica della ripetizione. Introduzione (vv. 43-46). La partenza di Gesù per la Galilea (v. 43) costituisce un'ottima transizione (cf v. 40), ma nel v. 44 si presenta una notevole difficoltà. Il narratore riporta qui un detto di Gesù che si trova nella tradizione (cf Mc 6,4; Mt 13,57; Le 4,24; 13,33-34) per dichiarare che il motivo del viaggio di Gesù dalla Giudea alla Galilea era che un profeta non è onorato nella propria patria. Tradizionalmente è risaputo che Gesù è «di Nazaret» (cf Mt 2,23) e pertanto un Galileo (cf Mc 14,70). Non esiste un motivo immediato per un'affermazio ne tanto negativa; perciò come può questo viaggio in Galilea, tradizionalmen te considerata la patria di Gesù, essere motivato dall'osservazione che il nar ratore fa nel v. 44? I racconti dell'infanzia di Matteo e di Luca perlomeno col locano la sua nascita in Giudea, ma «questo Vangelo non ci dice neppure che Gesù è nato in Giudea» (Brown, Gospe/ 1,187) perché ha una nozione tutta sua al riguardo delle origini di Gesù. In una sola occasione nel corso del racconto c'è stato qualcuno che ha suggerito che Gesù veniva dalla Galilea: Filippo che dice a Natanaele che hanno trovato l'adempimento delle speranze d'Israele, «Gesù di Nazaret, figlio di Giuseppe» (1,45). Ma, come abbiamo cercato di di mostrare nell'interpretazione di quel passo, questa affermazione fraintende Gesù. E ancora, la presenza della madre di Gesù a Cana (2,1) può essere presa come un'indicazione delle origini galilee, ma questo da solo non indica neces sariamente che Gesù era un Galileo. Per il Quarto Vangelo le origini di Gesù sono al di fuori del controllo urna-
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ilo, poiché « in principio era il Verbo e il Verbo era rivolto verso Dio» (1,1). Al la luce di 1,43, tuttavia, i primi tre giorni del ministero di Gesù si svolgono in Giudea (cf 1,19-42). Il quarto giorno (1 ,43-51) e la successiva rivelazione della doxa (2,1-12) hanno luogo in Galilea. Gesù torna poi immediatamente a Geru salemme (2,13) e rimane in Giudea fino alla sua partenza per la Galilea attra verso la Samaria (cf 4,3-4). Alla sua partenza dalla Samaria il narratore nota di nuovo che Gesù è diretto verso la Galilea (4,43). Qualsiasi cosa possa dire la tradizione sinottica, si ha la netta impressione di una regolare presenza di Ge sù in Giudea. Un viaggio in Galilea merita di essere menzionato (cf 1,43; 4,3-4.43) visto che Gesù parte per un viaggio dal luogo dove normalmente ri siede e svolge la sua attività. Se accettiamo questo fatto, il v. 44 si spiega facil mente. In Giudea Gesù aveva incontrato il rifiuto da parte de «i Giudei» (2,13-22); molti sono andati da lui alla ricerca di miracoli ma Gesù non si è fi dato di loro (2,23-25); uno dei capi dei Giudei, Nicodemo, non è stato capace di accettare l'insegnamento di Gesù (3,1-12). Gesù ha lasciato la Giudea a causa della minaccia rappresentata dall'ostilità dei Farisei (4,1). Per quanto riguarda il racconto giovanneo, gli avvenimenti riferiti fino a questo punto indicano che le parole di Gesù rimangono valide: «un profeta non riceve onore nella propria patria» (v. 44). L'accoglienza riservata a Gesù al suo arrivo in Galilea sembra entusiastica, ma ci sono motivi di preoccupazione. Guardando indietro alla festa della Pa squa celebrata pocanzi a Gerusalemme (cf 2,13.23-25), il narratore riferisce che anche i Galilei si trovavano a Gerusalemme ed avevano visto i segni operati da Gesù. La loro entusiastica accoglienza di Gesù fa il pari con la risposta di quel li di Gerusalemme che «credettero nel suo nome» perché avevano visto i segni da lui operati (2,23). I Galilei erano presenti alla stessa festa e avevano risposto �Ila stessa maniera. Gesù non si fidava di questo genere di credenti (cf 2,24-25). E da questi retroscena che Gesù va di nuovo (palin) a Cana di Galilea, e il nar ratore ricorda al lettore il miracolo che Gesù ha compiuto l'ultima volta che è stato là (v. 46; cf 2,1-12). Al termine dell'introduzione alla scena successiva, si presenta un attore di spicco. A Cafamao c'è un funzionario regio (basilikos) che ha un figlio malato (v. 46b). Da ricerche recenti risulta che il funzionario ri spondente alla descrizione di basilikos poteva essere tanto un Giudeo quanto un Gentile (cf Wegner, Der Hauptmann 57-72. Vedi la nota relativa al v. 46). L'uso del termine nel presente contesto giovanneo suggerisce che possa trattarsi di un Gentile. Questi è l'ultimo di una serie di personaggi che popolano il capito lo 4. L'uomo non è di Cana, ma viene dalla città di confine di Cafamao, ben nota per la presenza di truppe straniere. Tutti gli altri personaggi in 4,1-54 so no Samaritani, gente del mondo al di fuori del giudaismo. È molto probabile che questo particolare basilikos sia inteso e presentato al lettore come un ultimo esempio dell'accoglienza della parola di Gesù da parte del mondo non giu daico. Gesù e ilfunzionario regio a Cana (vv. 47-54). Come i Samaritani avevano sen tito dire dalla donna (v. 39), così anche il funzionario ha «udito che Gesù era ve nuto dalla Giudea in Galilea» (v. 47a). Il v. 45 e questo «udire» del funzionario sono strettamente legati. La base dell'avvicinamento del funzionario a Gesù
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(v. 47a) è il fatto di aver sentito riferire d ai Galilei le meraviglie operate da Ge sù a Gerusalemme (v. 45). Il funzionario chiede a Gesù di andare a Cafamao a guarire suo figlio (v. 47b ). Ciò che segue è sorprendente e quanto mai inconsueto nei racconti dei mi racoli. Gesù ha risposto senza esitazioni ai Samaritani che gli chiedevano di ri manere presso di loro sulla base di ciò che avevano sentito dire dalla donna (cf v. 40). In questa più pressante situazione di vita o di morte Gesù rimprovera il funzionario (v. 48). Indubbiamente l'uomo si rivolge a Gesù perché ha sentito dire dai Galilei che egli è un taumaturgo (vv. 45.47a), e il rimprovero di Gesù mette in guardia contro «segni e prodigi>>. Tuttavia, le parole di Gesù non sono rivolte solo al funzionario; ha un uditorio al plurale: «Se non vedete (plurale) segni e prodigi, voi non credete» (ean me semeia kai terata idete, ou me pisteusete [v. , 48b]). E un ampio gruppo, compresi i Galilei che hanno parlato al funzionario dei prodigi di Gesù, che deve imparare che la vera fede non può essere basata sui soli segni. Questo rimprovero offre all'autore l'occasione di enunciare chia ramente il tema principale del passo: la fede autentica. Dall'insistenza del fun zionario che Gesù, nonostante il suo apparente diniego, scenda a Cafamao pri ma che il figlio muoia (v. 49) emergono due elementi. In primo luogo viene ri badita l'urgenza della situazione con l'uso dell'espressione paidion («bambi no», in questo caso «il mio bambino») per indicare il rapporto di affetto che esiste tra questo padre preoccupato e suo figlio. Ma questa non è la prima vol ta che un personaggio persevera anche di fronte a un rimprovero. La stessa co sa si è verificata anche in occasione del primo miracolo di Cana, dove la madre di Gesù si è fidata della sua parola nonostante il rimprovero ricevuto (2,4-5; cf Giblin, «Suggestion, Negative Response» 205). Come nel caso del primo miracolo di Cana, Gesù accoglie l'insistente ri chiesta dell'uomo. Con crescente insistenza si chiede a Gesù di «scendere» (ka tabainein) a guarire il figlio (vv. 47.49). Gesù non accoglie la richiesta nel senso fisico di «scendere» a Cafarnao, ma guarisce il bambino con l'autorità della sua parola. Gesù dice al funzionario di tomarsene a casa perché suo figlio è guari to. Non è la presenza fisica di Gesù che opera la guarigione, ma la sua parola: «Va', tuo figlio vive» (v. 50a). La reazione del funzionario, che viene dopo di versi episodi in cui si evidenziavano vari tipi di risposta alla parola di Gesù, è sorprendente: «Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino» (episteusen ho anthropos tQ lago hon eipen aut i) ho lesous kai epo reueto) (v. 50). Il verbo pisteuein è posto all'inizio della frase. L'uomo «credette», e l'oggetto della sua credenza è la parola che gli ha detto Gesù (ti) logi) hon eipen aut() ho Iesous). Non ci sono «segni e prodigi» a conferma di questo atto di fede. Il funzionario non rientra nel giudizio espresso nel v. 48. Gesù gli ha ordinato: «Va' (poreuou), tuo figlio vive» (v. SOa) . La risposta dell'uomo è un'accettazio ne cieca e muta del comando di Gesù: «e partì» (eporeueto) (v. SOb). Le parole di Gesù «Va', tuo figlio vive» (v. 50a) fanno da sfondo ai vv. 51-53. Nel v. 51 a l'uomo «scende» mettendo in pratica l'obbediente risposta al co mando di Gesù del v. 50a. I servi del funzionario gli vengono incontro e gli an nunciano: «Tuo figlio vive!» (v. 51 b). C'è una leggera ma importante differenza tra le parole di Gesù e quelle dei servi. Gesù parla del «figlio» del funzionario
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(v. 50a: ho huios sou), mentre i servi gli dicono che il suo «bambino» (ho pais au� tou) vive. Il racconto potrebbe terminare a questo punto, ma rimangono in so
speso alcuni collegamenti letterari e teologici. Nell'incontro immediatamente precedente tra Gesù e i Samaritani (vv. 39-42) la fiducia dei paesani nella paro la di Gesù li ha portati alla conoscenza (vv. 41-42). La stessa cosa accade nel ca so del funzionario. Alla sua domanda di quando il bambino si fosse sentito meglio, i servi gli rispondono che un'ora dopo mezzogiorno (l'ora settima) del giorno precedente la febbre lo ha lasciato (v. 52). Si ripetono quindi per la ter za volta le parole di Gesù: «Il padre riconobbe (egno oun ho pater) che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: ho huios sou Zf» (v. 53ab ). Aveva creduto alla pa rola di Gesù (v. 50b) e adesso egli «riconosce» l'autorità salvifica di quella pa rola. Come nel caso dei Samaritani (cf vv. 41-42), la sua fede nella parola di Ge sù produce non solo un miracolo, ma anche la conoscenza (v. 53ab). Il commento finale del narratore crea qualche difficoltà: «e credette lui (kai episteusen autos) con tutta la sua famiglia» (v. 53c). Il funzionario arriva forse a credere solo dopo che ha avuto il messaggio della guarigione del figlio? Non è possibile che la solennità del v. 50b possa essere annacquata fino al punto di di ventare qualcosa di meno di un'autentica fede giovannea nella parola. La fun zione del v. 53cd è quella di concludere il racconto in maniera analoga a 2,11. Nel primo episodio di Cana altri sono giunti alla fede in conseguenza del mi racolo (cf 2,11). Il narratore ha richiamato alla mente del lettore il primo mira colo di Cana nel v. 46. In 2,1-12 la madre di Gesù non solo pone tutta la sua fi ducia nella parola di Gesù e in tal modo fa da catalizzatore che produce il mi racolo; ma il suo atto iniziale di fede (2,5) porta alla fede altri, i discepoli (2,11). Nel secondo episodio di Cana un atto iniziale di fede (4,50b) ha propiziato un miracolo che porta alla fede altri, la famiglia del funzionario (v. 53d). L'uso del lo stesso verbo episteusari per indicare l'atto di fede sia del funzionario che del la sua famiglia crea difficoltà in quanto fa pensare che sono giunti alla fede tut ti nello stesso tempo. Dato il parallelo con 2,1-12, il verbo deve essere letto co me un aoristo complessivo anziché ingressivo (cf nota). Il comportamento del funzionario è un riflesso della sua fede, e per effetto di questa tutta la famiglia è portata a credere. «I servi hanno confermato la fede del funzionario, e nel fa re ciò hanno essi stessi scoperto la fede» (Lindars, Gospel 205). Si potrebbe para frasare il v. 53cd così: «Non solo credette lui, ma credette anche tutta la sua fa miglia» (cf Schnackenburg, Gospel 1 ,461). Una conferma a questa interpretazione viene da un'attenta lettura del testo (cf Lightfoot, Gospel 129). Il personaggio principale del racconto in partenza è un basilikos, una persona con un ruolo sociale e politico (vv. 46.49). Ma c'è un qual cosa di più in questa persona, come si può dedurre dall'uso che fa dell'espres sione affettuosa paidion (v. 49b ). Egli è un essere umano che coltiva importanti rapporti personali. Nel riferire l'atto di fede del funzionario il narratore lo chia ma ho anthrapos (v. SOb). Al termine del racconto, quando gli dicono che il suo pais vive e l'intera famiglia si unisce a lui nella fede, egli è chiamato ho pater (v. 53). «Un funzionario» (v. 46) che ha fiducia incondizionata nella parola di Gesù diventa «l'uomo» (v. 50) e infine è descritto come «il padre» (v. 53). La sua fede (v. SOb) e la sua conoscenza (v. 53ab) generano la fede in altri (v. 53cd). Entram-
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b i gli episodi miracolosi d i Cana mostraho che la fede giovannea non è solo una dedizione personale alla parola di Gesù; ma conduce altri alla fede (2,11; 4,53). L'ultimo episodio samaritano (vv. 39-42) ribadisce la stessa cosa: la fede nella parola della donna (v. 39) è stata sostituita con la fede nella parola di Ge sù (v. 41) per produrre conoscenza e una confessione di fede (v. 42). In maniera parallela, il funzionario ha una fede iniziale in ciò che sente riferire da.i Galilei (vv. 45-47). Questo primo movimento verso Gesù (v. 47) è stato superato dalla fede nella parola di Gesù (v. 50) per produrre conoscenza e portare altri alla fe de (v. 53). Il commento di Agostino a 4,39-42 si applica altrettanto bene ai vv. 43-54: Primo per famam, postea per praesentiam (vedi la nota relativa al v. 39). L'episodio termina con un'osservazione sintetica del narratore, il quale fa notare che questo è il secondo segno operato da Gesù in Galilea. L'espressione «il secondo segno» (4,54: palin deuteron semeion) richiama «il primo dei suoi se gni» (2,11: archen ton semeian), ma i due miracoli di Cana si concludono in mo do diverso. In 2,12 il narratore ha radunato tutti gli attori del racconto miraco loso e li ha fatti partire. Questa conclusione portava ad ulteriori sviluppi. In 4,54 il narratore guarda indietro a 2,1-12, chiudendo così gli episodi che si svol gono lungo il percorso da Cana a Cana. I due episodi di Cana costituiscono una evidente inquadratura attorno alla narrativa che va da 2,1 a 4,54. La fede incondizionata della madre giudea nella parola di suo figlio Gesù propizia un miracolo che porta alla rivelazione della doxa e alla fede di altri (2,1-12). Questo primo miracolo è seguito da una serie di incontri in cui diversi personaggi del mondo giudaico rispondono in varie maniere alla parola di Gesù (2,13-3,36). Ulteriori incontri con i Samaritani, gente al di fuori del mondo giudaico, rical cano le risposte date a Gesù dai Giudei (4,1-42). La fede incondizionata di un funzionario pagano nella parola di Gesù propizia un miracolo che porta altri al la fede (4,43-54). Conclusione di 2, 1-4,54. Il primo episodio di Cana (2,1-12), che fa seguito al l'esposto della limitata fede dei discepoli e alla promessa di Gesù che vedranno «cose più grandi» (cf 1,35-51), stabilisce il criterio per il genere di fede che è ne cessaria per poter vedere tali cose. La madre di Gesù crede alla parola di suo fi glio (2,5), la doxa di Gesù si manifesta, e i discepoli credono. In base a questo cri terio si possono valutare le diverse risposte date da diversi personaggi del mondo giudaico: «i Giudei» (2,13-22), Nicodemo (3,1-21) e Giovanni Battista (3,22-36). Quando Gesù si reca nella Samaria si possono valutare anche le ri sposte di gente al di fuori del giudaismo: la Samaritana (4,1-15), ancora la Sa maritana (4,16-30) e la gente samaritana (4,39-42). Gesù ritorna poi a Cana di Galilea dove un funzionario pagano crede nella parola di Gesù, il figlio del funzionario viene guarito e tutta la sua famiglia crede (4,43-54). Questo rac conto accuratamente strutturato e il tema centrale che esso presenta dell' au tentica fede giovannea possono essere così sintetizzati: 2,1-12: A Cana la madre di Gesù, donna giudea, mostra di aver fede nella parola di Gesù e dà inizio a un processo che porta a un miracolo, alla rivelazione della doxa e alla fede dei discepoli. 2,13-22: Dopo la purificazione del Tempio «i Giudei» rifiutano la parola di Gesù. Essi
dimostrano l'assenza della fede auten tica.
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Il narratore riferisce che Gesù non sifida (ouk episteuen) dei m ol ti di Gerusalemme che vanno da lui e credono (episteusan) in lui per i segni che ha operato. La fede motivata dai segni non è sufficiente. 3, 1 -2 1 : L'incontro con Nicodemo mostra la buona volontà di «un capo dei Giudei» che va a trovare Gesù di notte, e la buona volontà di Gesù che cerca di portare Nicodemo fuori del mondo che egli conosce e nel quale si sente a suo agio. Nicodemo rimane senza parole al sentire l'insegnamento di Gesù, ed è pertanto un modello di una fede imperfetta o parziale in Gesù. 3,22-36: La testimonianza finale del Battista descrive il suo rapporto con Gesù come di uno che ascolta la voce dello sposo e che esulta al suono della sua voce anche se lui ora deve mettersi in disparte. La sua incondizionata accettazione della parola di Gesù fa di lui un modello di autentica fede. 4,1-15: Dopo una lunga introduzione alla presenza di Gesù in Samaria (vv. 1-6), il pri mo momento dell'incontro di Gesù con la Samaritana evidenzia la sua incapacità di ca pire e di accettare il «dono di Dio» offerto dalla parola di Gesù. La donna dimostra l'assenza di una fede autentica (vv. 7-15). 4,1 6-30: Gesù persevera con la donna, ridando vita a una conversazione languente con una serie di imperativi che la inducono a riprendere il discorso. Anche se non risponde nulla riguardo al tempo e al luogo della vera adorazione di Dio, le viene il sospetto che Gesù possa essere il Messia. Gesù cerca di trascendere la sua aspettativa messianica di cendole che 10 SONO è quello che sta parlando con lei, ma la donna non riesce a coglie re questa rivelazione. Essa ritorna in città chiedendosi ancora se Gesù sia o no il Messia. Nonostante il progresso da lei compiuto nel suo avvicinamento e nella sua compren sione di Gesù, la donna rimane un modello di una fede in Gesù imperfetta o parziale. 4,31-38: Gli episodi samaritani sono interrotti da un breve «intermezzo»: una riflessione di Gesù sulla necessità che egli ha di compiere la volontà di colui che lo ha mandato e di comple tare l'opera affidatagli, essendo questo ciò che lo anima e lo nutre. La vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo sono lafonte e l'ispirazione di tutto ciò che Gesù fa, e di tutti quelli che sono man dati a continuare una missione iniziata da altri. 4,39-42: I Samaritani superano la loro fiducia iniziale nelle parole della donna quando giungono a credere alla parola di Gesù. Dopo aver sentito la parola di Gesù essi tra scendono tutte le differenze tra Giudei e Samaritani confessando che Gesù è il salvatore del mondo. La loro accettazione incondizionata della parola di Gesù fa di essi un mo dello di fede autentica. 4,43-54: A Cana un funzionario pagano dimostra la sua fede nella parola di Gesù e in
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nesca un processo che sfocia in un miracolo, nel suo riconoscimento dell'autorità del la parola di Gesù e nella fede in Gesù di tutta la sua famiglia.
Per quanto centrale possa essere in 2,1-4,54 il tema dell'autentica fede gio vannea, la forma e il messaggio del passo contengono qualcos' altro oltre al l'affermazione e riaffermazione delle varie reazioni alla parola di Gesù. TI rac conto presenta un importante sviluppo lineare controllato dagli spostamenti di Gesù. Egli passa dalla Galilea a Gerusalemme, nelle campagne della Giudea, per poi tornare in Galilea attraverso la Samaria. Il lettore segue questo viaggio, narrato in una serie di episodi che sono legati tra loro da forme letterarie accu ratamente accoppiate. La forma di 2,1-12 viene ripetuta in 2,13-25, e quella di 3,1-12 si ripete in 3,22-36; la forma di 4,7-15 è ripetuta in 4,16-30 e quella di 4,39-42 ricompare in 4,43-54. Questa tecnica unifica il processo di lettura in cor so che presenta al lettore i temi giovannei fondamentali che emergono in que-
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sti racconti: Gesù è l'unica rivelazione di Dio (cf 3,13-14.31-35), l'unico Figlio del Padre (2,16; 4,34), il perfezionamento del precedente dono della Legge (cf 2,6-7.11; 4,10-14), la rivelazione della doxa (2,11), colui che crea una nuova si tuazione di libertà in cui la gente è giudice di se stessa coll'accettare o col rifiu tare ciò che Gesù rivela (3,18-21 .36). È giunto il momento in cui Dio rende no to che la salvezza è disponibile per chiunque, in ogni luogo (4,20-24.42). Gesù dà inizio a una missione in risposta alla volontà del Padre, e la estende ai suoi discepoli (4,31-38). Dio è Spirito, e la vera vita si vive nello Spirito (4,24; 3,6-8) dopo un ingresso rituale in una nuova comunità, un luogo in cui Dio regna (3,3-5). La morte di Gesù non sarà l'ignominiosa esecuzione di un fallito mes sia ma «l'innalzamento» del Figlio dell'uomo (3,14). Molte di queste cose su perano la capacità di comprendere dei discepoli, ma verrà il momento, dopo la morte e risurrezione di Gesù, in cui essi capiranno le parole di Gesù e crede ranno (2,19-22). Il lettore adesso ha appreso alcuni dei più importanti assiomi giovanne i. Ciò che è stato detto nel Prologo (1,1-18) viene ora proclamato ed attuato nella storia di Gesù (1,19-4,54). Soprattutto, adesso il lettore sa quale sia la natura di un corretto rapporto con Gesù. L'insegnamento del Prologo riguardo al pote re vivificante che viene dal «credere» e dal «ricevere>> il Verbo incarnato (1,12-13) si attua nella storia di Gesù quando si accetta o si rifiuta la sua paro la. Molto tuttavia rimane ancora da rivelare prima che i discepoli si ricordino di tutte le cose che Gesù ha detto e ha fatto e che credano nella sua parola e nelle Scritture (cf 2,22). NOTE
43-54. Forma letteraria d i u n racconto miracoloso. Il primo episodio di Cana (2,1-12) si è di mostrato un racconto miracoloso atipico. Vedi la nota relativa a 2,1-12. Il secondo miracolo di Cana mostra esattamente lo stesso genere di atipicità. Questo si svolge così: l. Problema: «Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato» (v. 46). 2. Richiesta: «Si recò da lui e gli chiese di scendere a guarire suo figlio» (v. 47). 3. Rimprovero: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (v. 48). 4. Reazione: «Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino» (episteusen ho anthropos ti) logq hon eipen aut') ho lèsous kai eporeueto) (v. 50). 5. Conseguenza: Un miracolo che porta alla fede di altri (la famiglia del funzionario) (vv. 51-53). Come nel caso di 2,1-12, dove l'incontro della madre con suo figlio interferisce con la forma tradizionale del racconto miracoloso, così anche qui l'interazione tra Gesù e il funzionario interferisce con la forma (cf Bauer, ]ohannesevangelium 78). Il funzionario chiede la guarigione del figlio (v. 47), ma la sua richiesta genera un rimprovero che porta a un'altra richiesta, questa volta in discorso diretto (v. 49). Gesù risponde con una parola rassicurante (v. SOa) e l'uomo crede alla parola di Gesù (v. SOb). L'elemento finale del racconto è anch'esso alquanto estraneo: non c'è conferma del prodigio né si parla dell'effetto che il miracolo ha avuto sul funzionario, sul suo seguito o sulla gente che sta d'attorno. Il risultato del miracolo è la fede della famiglia del funzionario (v. 53). L'autore ha composto questo racconto miracoloso, indubbiamente avvalendosi di fon ti della tradizione giovannea, perché il lettore che giunge a 4,54 si rifaccia a 2,1-12 e ri-
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ron�a che una parte significativa del racconto evangelico è stata narrata per mezzo di un viaggio che va da Cana a Cana (2,1-4,54). Alcuni commentatori ritengono che 4,46-54 serva da introduzione a 5,1-47. Anziché concludere una serie di avvenimenti che sono iniziati con il primo episodio di Cana, es si dicono, 4,46-54 rappresenta un'azione parabolica riguardo al dono della vita porta to da Gesù e al potere della parola, che trascende la testimonianza dell'antica dispen sazione. Nel discorso di 5,19-47 vengono sviluppati i temi di Gesù come datore della vita e dell'autorità della sua parola già espressi con l'azione in 4,46-54 (cf Dodd, Inter pretation 318-319; Feuillet, «La signification théologique» 34-46). Il passo può anche preparare per 5,1-47 e quindi far da ponte tra due passi (cf Brown, Gospel 1,c x li; 194-195), ma l'accento principale non è posto sul racconto della guarigione, bensì sul credere alla parola di Gesù (cf vv. 43-45.48.50.53). Gli espliciti riferimenti del narrato re a 2,1-12 (cf vv. 43.46.54; vedi le note seguenti) non possono essere ignorati. 43. Trascorsi due giorni: Se si mette questa indicazione di tempo in relazione al v. 46: «An dò dunque di nuovo a Cana di Galilea», appare chiaro che Gesù è arrivato a Cana «al terzo giorno». Questo sarebbe un altro legame con 2,1-12 (cf 2,1), anche se non com pare l'espressione tç hemerq t� trite. L'espressione tecnica «al terzo giorno» in 2, l era richiesta per via della sua associazione con Es 19,16, la celebrazione della Pentecoste e del dono della Legge. In 4,43.46 sarebbe fuori luogo, ma è ugualmente mantenuta l'i dea dell'arrivo di Gesù «al terzo giorno» (cf Boismard e Larnouille, Jean 144-145, 151 -152). partì di là per andare in Galilea: La maggior parte dei critici fa giustamente notare che il v. 43 riprende il v. 3 e che questo segna la fine dell'interludio samaritano di Gesù. Egli riprende il viaggio che aveva interrotto. 44. un profeta non riceve onore nella propria patria: Questo è un proverbio ampiamente do cumentato, e si trova nella letteratura profana oltre che nella tradizione evangelica. Vedi BAGD 637; Bauer, Johannesevangelium 77. Delle varie posizioni degli esegeti ri guardo alla «patria» (patris) di Gesù, alcune considerano il passo impossibile da spie gare e pertanto ricorrono a ipotesi redazionali. Vedi, ad esempio, Lagrange, Evangile 124; Schnackenburg, Gospel 1,185; Beasley-Murray, fohn 73; Bernard, Commentary 1,163-165; Brown, Gospe/ 1,187; Becker, Evangelium 1,185. Alcuni studiosi sostengono che Nazaret e la Galilea sono considerate il domicilio di Gesù e cercano di spiegare il v. 44 in tal senso (cf Pryor, «John 4,44» 254-258). Per una panoramica vedi Willemse, «La patrie de Jésus» 350-353. Anche se su basi diverse da quelle presentate in questa in terpretazione, i seguenti esegeti sostengono che la patris di Gesù deve essere conside rata la Giudea: Westcott, Gospel 77-78; Hoskyns, Gospel 260-261; Barrett, Gospel 246; Dodd, Interpretation 352; Feuillet, «La signification théologique» 67-68; Lindars, Gospel 200-201; Willemse, «La patrie de Jésus» 354-364. Infine abbiamo parecchi studiosi che sostengono che il passo deve essere inteso alla luce del Prologo: la vera patria di Gesù va oltre qualsiasi luogo terreno. Vedi, ad esempio, Loisy, Evangile 192-193; Reim, «}ohn IV.44» 476-480; Lightfoot, Gospel 34-36; Marsh, Saint John 231-232. 45. avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa: Il legame con 2,23-25, dove si trova l'ultimo riferimento alla festa, è chiaramente intenzionale (2,23: «Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua»). Colà, un non meglio specificato «molti» credono nel nome di Gesù «vedendo i segni che egli compiva» (v. 23). La risposta di Gesù a questa fede basata sui segni in 4,45 non è riportata, ma è implicita. L'entusiasmo dei Galilei nel v. 45 è basato su una comprensione limitata di Gesù. Questo è ciò che il funzionario «ha udito» (v. 47), ma gli sarà chiesto ben altro. 46. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea: Il racconto vero e proprio inizia con questo ri cordo del primo miracolo di Cana, dopo la lunga (e alquanto maldestra) introduzione
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dei vv 43-45, che servono da transizione e sono il commento del narratore ai fatti svol tisi finora (cf Dodd, Tradition 238-241). Il v. 46 in qualche altra forma (forse senza il ri ferimento esplicito a Cana e al miracolo associato c9n questo luogo) avrebbe segnato l'inizio del racconto miracoloso pre-giovanneo. Vedi Schnackenburg, «Zur Traditions geschichte von John 4,46-54» 70-76. Nella sua forma attuale esso va associato con i vv 43-45 perché continua la presentazione dei personaggi, del luogo e del tempo degli avvenimenti che seguono. E a Cafarnao vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato: Le molte somiglianze tra Cv 4,46-54 e l'episodio Q del centurione di Cafarnao (cf Mt 8,5-13; Le 7,1-10) indi cano l'esistenza di contatti tra la tradizione Q (a sua volta non priva di difficoltà) e la tradizione giovannea in una fase pre-letteraria. Il contatto tuttavia è troppo tenue per potervi costruire una teoria di dipendenza. Non tutti però sono d'accordo su questo punto. Per una panoramica del dibattito fino al 1984 vedi Neirynck, «}ohn 4,46-54» 367-375. Dopo quella data vedi Wegner, Der Hauptmann 18-74. un funzionario del re: È impossibile stabilire le origini etniche del basilikos. Recenti ri cerche (cf Wegner, Der Hauptmann 57-72) indicano che il termine può avere quattro di versi significati: un discendente di sangue reale, un servitore della casa reale, un sol dato dell'esercito erodiano o dell'imperatore, infine uno scriba reale. Il contesto e il costante uso del termine da parte di Giuseppe (per i riferimenti vedi Wegner, Der Hauptmann 59 n. 8; Bauer, fohannesevangelium 77) suggeriscono che il personaggio del racconto giovanneo è un soldato al servizio o del re Erode o dell'imperatore. Questo però non dice se il soldato fosse un giudeo o un gentile; potrebbe essere sia l'uno che l'altro (cf Schalit, Konig Herodes 167-183). Si è tentati di risolvere il problema ricorren do al materiale Q, dove egli è un hekatontarches. Quel centurione è certamente un gen tile, probabilmente romano (cf Wegner, Der Hauptmann 60-69). Ma non esistono prove conclusive per un legame tra un basilikos e un hekatontarches (cf Mead, «The basilikos» 69-72, il quale sostiene che esistono prove che sia un gentile, e Schwarz, «kai en tis ba silikos» 138, il quale pensa a un aramaico Vorlage, che significa «consigliere del re»). Ciò che si può dire per certo è che il funzionario poteva essere tanto un giudeo quanto un gentile. Dato che questo passo è la parte conclusiva del Vangelo completamente dedicata alla presenza di Gesù presso i non Giudei (4,1-54), questo contesto letterario giovanneo è quello che ha maturato la decisione adottata nell'interpretazione, ossia che si tratta di un gentile. Alcuni si sono tolti d'impaccio chiamando l'uomo un basiliskos («un capo»), che corrisponde al latino regulus. Ma non è una trovata originale (cf La grange, Evangile 125). 47. udito che Gesù: La notizia dell'arrivo di Gesù in Galilea deriva dal v. 45. I Galilei, che fanno parte dei «molti» di 2,23-25, comunicano il loro entusiasmo per Gesù «perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa» (v. 45; cf 2,23). Lo spunto iniziale per andare da Gesù è offerto al funzionario da ciò che dicono i «molti» in 2,23-25. La richiesta che rivolge a Gesù è riportata in discorso indiretto. 48. Se non vedete segni e prodigi, voi non credete: Alcuni commentatori cercano di eliminare il rimprovero. Alcuni ricorrono a ipotesi redazionali e suggeriscono che i vv 48-49 so no stati aggiunti a un racconto miracoloso originale, poiché sono in contrasto con i vv 51-53 (cf Schweizer, «Die Heiligung» 64-71 ; Haenchen, «}ohanneische Probleme» 23-31). Altri ritengono che i vv 50b-53 siano stati aggiunti al racconto per dar maggior peso al v. 48! (cf Boismard e Lamouille, Jean 148; Lindars, Gospel 204-205). Per altre teo rie vedi Schnackenburg, «Zur Traditionsgeschichte» 62-63; van Belle, «Jn 4,48» 167-169. Bittner, fesu Zeichen 128-134, elimina il rimprovero considerandolo un proverbio che enuncia una verità generica riguardo al credere dopo aver visto i segni. Questo forza la grammatica e non coglie il parallelo con 2,4. .
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49. scendi prima che il mio bambino muoia: La seconda- richiesta del funzionario è in discor
so diretto. Sono riportate le «parole» pronunciate dall'uomo in risposta alle «parole» di Gesù nel v. 48. Nell'uso dell'espressione affettuosa paidion Westcott (Gospel 79) vede il segno di «una fede, per quanto imperfetta, che scaturisce dall'amore di un padre». È un'osservazione interessante, particolarmente alla luce del passaggio da basilikos (vv. 46.49) a ho anthrapos (v. 50) a ho pater (v. 53). 50. tuo figlio vive: La risposta di Gesù al discorso diretto della seconda richiesta del fun zionario (v. 49) è anch'essa in discorso diretto (v. 50a). L'uomo risponderà alla «paro la» di Gesù. In molte traduzioni il verbo '4 è reso al futuro: «tuo figlio vivrà». Ma è me glio prenderlo per un autentico presente: una dichiarazione di ciò che sta accadendo grazie all'autorità della parola di Gesù (cf v. 53) anziché una promessa di qualcosa che accadrà in futuro (cf BJ; TOB, Lagrange, Evangile 126). Quell'uomo credette alla parola: Alcuni esegeti cercano di risolvere il contrasto tra i due diversi momenti di fede dell'uomo (vv. 50 e 53) sostenendo che pisteuein seguìto dal da tivo (come nel v. 50b: «alla parola») non rispecchia una fede vera. Ad esempio: «L'uo mo non è ancora un credente cristiano; vedi il contrasto con il v. 53. Egli crede che ciò che Gesù ha detto è vero» (Barrett, Gospel 248). Anche se generalmente può essere esat to, non si può sostenere che pisteuein eis con l'accusativo indichi sempre vera fede, mentre pisteuein con il dativo non la indica mai. Finora abbiamo visto che pisteuein eis in 2,23 indica una fede imperfetta, mentre in 2,22 pisteuein con il dativo indica una fe de vera. Pisteuein en in 3,15 indica una fede adeguata, mentre pisteuein dia in 4,39 indi ca una fede inadeguata e la stessa espressione in 4,41 indica una fede adeguata. 51. Proprio mentre scendeva: Per la maggior parte dei commentatori i vv 51-53 costituisco no un problema. Il «credere alla parola» del v. 50b sembra essere compromesso dalla fe de generata dalla constatazione dell'avvenuto miracolo nei vv. 51- 53. Questo non di mostra forse che l'accusa di Gesù nel v. 48 è ingiusta (così Schnackenburg, Gospel 1,467 -468)? Questo problema viene risolto se il v. 50b non è inteso come un atto di fe de. Vedi la nota relativa al v. 50. Thompson, The Humanity of Jesus 72-75, e Haenchen, fohn 1,235, sostengono che nel v. 50 l'uomo crede che suo figlio vivrà e nel v. 53 che cre de in Gesù. Alla luce dell'analoga esperienza dei Samaritani nei vv 41-42, i vv. 51-53 possono essere visti come un passaggio dalla fede alla conoscenza (cf Bittner, ]esu Zei chen 259-282). Tuo figlio vive: La traduzione, in linea con i migliori manoscritti, legge pais. Origene ed alcuni testi occidentali hanno invece huios. Quest'ultima lettura è stata accettata da Kilpatrick, «John IV.51 » 393, ma giustamente respinta da Freed, «John IV.51 » 448-449. Oltre che a godere dell'appoggio testuale esterno, la lettura pais sviluppa il tema in· temo dello stato d'animo del funzionario che sta emergendo da quando nel v. 49 ha usato il termine affettivo paidion e dalla descrizione che ne fa il narratore prima di «quell'uomo» (v. 50b) e poi «il padre» (v. 53). 52. Ieri, all'ora settima [un'ora dopo mezzogiorno}: Molto probabilmente l'«ora settima» indi ca semplicemente le tredici, ma il numero è stato oggetto di varie letture simboliche (cf Robinson, «The Meaning and Significance» 255-262). Viste le difficoltà nel localizzare una città chiamata Cana, non sono affatto utili le speculazioni e le letture simboliche fatte sulla base di una improbabile eccessiva lunghezza del viaggio (es.: Loisy, Evangile 196-197; Robinson, «The Meaning and Significance» 259-261). 53. e credette lui: Le perplessità create da questo secondo momento di fede hanno indotto la maggior parte degli esegeti a suggerire che nella versione pre-giovannea del rac conto miracoloso l'uomo era approdato alla fede dopo aver constatato il miracolo. Co sì i vv. 50-53 sarebbero originali, e la precedente incondizionata accettazione della pa rola di Gesù sarebbe un'aggiunta giovannea al preesistente racconto. Vedi Schnac.
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kènburg, «Zur Traditionsgeschichte» 67-70. I due aoristi (v. 50 e v. 53) vanno distinti. Nel v. 50 l'aoristo è ingressivo: l'uomo credette e partì. Nel v. 53 è complessivo, e per ciò abbraccia l'intera esperienza di fede del funzionario, dell'uomo e del padre. con tutta la sua famiglia: Nel modo in cui in Giovanni 4 la fede si propaga ad altri, i com mentatori generalmente vedono l'effetto del Sitz im Leben missionario di questo mate riale. L'approdo della famiglia alla fede per effetto della fede dell'uomo è un ultimo esempio della funzione missionaria della fede autentica (cf Boismard e Lamouille, ]ean 150-151; Gnilka, Johannesevangelium 38). 54. Questo fu il secondo segno: La maggior parte degli studiosi che cercano di ricostruire una fonte dei segni originale (vedi la nota relativa a 2,23-25) collegano 2,12 con 4,46-54. Vedi, ad esempio, Bultmann, Gospe/ 205-206; Fortna, The Fourth Gospe/ 58-65; Boismard e Larnouille, ]ean 146, 149-150. Questi studiosi considerano la numerazione dei segni (2,11: «il primo dei segni» e 4,54: «il secondo segno») come tracce nel racconto attuale di una fonte dove all'origine i miracoli erano numerati. L'altra traccia principale di questa fonte si trova in 20,30-31: «Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché voi cre diate ... ». Qualunque sia la preistoria dei racconti miracolosi riportati nel Quarto Van gelo, questi suggerimenti perdono di vista la funzione letteraria di 2,1-12 e 4,43-54 nel presente Vangelo. I due episodi di Cana fanno da cornice di apertura (2,1-12) e di chiu sura (4,43-54) ad altri episodi che, tra le altre cose, descrivono le reazioni alla parola di Gesù. «Il curioso ordine delle parole palin deuteron implica che questo secondo segno è una reiterazione del primo segno, oppure costituisce il suo complemento logico» (Hanhart, «The Structure» 29).
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Introduzione a 5,1-10,42. Il Prologo afferma che il precedente dono di Dio rappresentato dalla Legge di Mosè è portato alla perfezione dalla pienezza del dono della verità in Gesù Cristo (1,16-17). Non c'è conflitto tra i due doni; uno conduce all'altro, ma il secondo dono della verità per mezzo di Gesù Cristo sorpassa il dono della Legge data per mezzo di Mosè. Esso rappresenta la pie nezza dei doni gratuiti di Dio. I primi giorni di Gesù (1,19-51) hanno indicato che la chiave d'accesso a questo dono è una fede che trascende i segni e le aspettative tradizionali. Il viaggio da Cana a Cana (2,1-4,54) ha parlato della possibilità universale della fede nella rivelazione di Dio in e per mezzo della parola di Gesù. Se la chiave d'accesso al dono di Dio è rappresentata dalla fe de nella parola di Gesù, in quali rapporti stanno i credenti giovannei con le feste de «i Giudei», che sono il modo in cui hanno sempre celebrato e avvici nato YHWH? La celebrazione di una festa ebraica è chiamata zikkaron (sostantivo derivato dal verbo ebraico zakar: «ricordare»), una rimembranza che ricorda la presen za attiva di Dio presso il popolo ebreo in passato, ora resa presente nella cele brazione liturgica della festa (cf Chenderlin, «Do this as my Memoria/» 88-167). I cristiani giovannei, ora separati dai loro amici di un tempo e dalla vita che conducevano nella sinagoga (cf 9,22; 12,42; 16,2), adesso sono separati anche da queste celebrazioni tradizionali. Ma essi non erano gli unici ad aver bisogno di ripensare le loro celebrazioni della presenza di Dio. Dopo la distruzione del Tempio negli anni 70 del primo secolo, la sopravvivenza dei Farisei aveva im posto uno spostamento del culto dal Tempio alla sinagoga. Il giudaismo post bellico era anche un ripensamento delle proprie celebrazioni. «Le feste liturgi che del tempio e la pietà popolare erano in uno stato di transizione e di adat tamento. Con il vecchio ordine e modo di vivere scomparso quasi del tutto, il nuovo ordine sotto i Farisei faticava e si sforzava di trovare autorevolezza ed accoglienza nella più vasta comunità giudaica» (Yee, ]ewish Feasts 21). Ne se guiva che tanto i cristiani giovannei quanto i loro amici di un tempo che li ave vano scacciati dalla sinagoga stavano cercando di trovare il modo di aver ac cesso alla presenza salvifica di YHWH, tradizionalmente celebrata nelle feste d'Israele. Questo è il retroscena della situazione descritta nelle parole di 5,1: «Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudei». La celebrazione della festa di Pa-
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squa è quella che spiega la presenza di Gesù a Gerusalemme in 2�13-25, e la stessa festa costituisce lo sfondo cronologico e teologico anche per 11,1-20,29. I giorni di preparazione e di celebrazione della festa di Pentecoste hanno por tato alla rivelazione della doxa in 1,19-2,12. Alcuni studiosi hanno cercato di interpretare il Quarto Vangelo sulla base delle feste (cf Guilding, The Fourth Gospel and ]ewish Worship), ma è meglio lasciar che sia il contesto a determina re l'uso delle feste anziché il contrario. Sulla base di questo principio, Giovan ni 5-10 è dominato dalle feste ebraiche. Dopo la presentazione del tema in 5,1, le seguenti feste servono da impostazione cronologica per le pagine che se guono: Sabato (5,1-47; cf 5,9b), Pasqua (6,1-72; cf 6,4), Capanne (7,1-10,21; cf 7,2), Dedicazione (10,22-42; cf 10,22). Poiché tanto «i Giudei» quanto i cristiani giovanne i erano amareggiati per la perdita del Tempio e delle celebrazioni del la presenza di Dio incentrate in quel sacro luogo, l'autore narra la storia della presenza di Gesù alle feste de «i Giudei» per spiegare la visione giovannea del la presenza di Dio tra il suo popolo. La cronologia, il simbolismo e la teologia della tradizione ebraica non ven gono abbandonati. Anzi, offrono lo sfondo essenziale al modo giovanneo di intendere il perfezionamento del precedente dono della Legge in e per mezzo del dono di Gesù Cristo (cf 1,16-17). Leone Magno (m. 461 d.C.) presenta una scultorea interpretazione teologica cristiana del rapporto tra il modo di vede re le feste de «i Giudei» della comunità giovannea e quello del mondo giudai co: «Signore, tu hai attirato ogni cosa a te stesso perché tutte le nazioni, nella lo ro dedizione a te, potessero celebrare dovunque ... ciò che era fatto solo nel Tempio ebraico e per mezzo di segni e ombre» (Sermone 8 sulla Passione del Si gnore: PL 54,341B). I. Gesù e il sabato (5,1-47)
Introduzione a 5,1 -47. La presenza di Gesù a Gerusalemme in giorno di sa bato comincia in 5,1 con un'espressione (meta tauta) usata regolarmente nel Quarto Vangelo per segnare l'inizio di una nuova parte. Letteralmente signifi ca «dopo queste cose». In 6,1 ha inizio un nuovo episodio, introdotto anch'es so con la stessa espressione: «Dopo queste cose (meta tauta) Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea» (6,1). L'unicità di tempo, luogo, personaggi e tema garantisce l'unità di 5,1-47. Sebbene esistano pareri discordi riguardo all'arti colazione interna delle singole parti, è generalmente ammesso che il capitolo (vv. 1-47) è diviso in tre parti. Nei vv. 1-18 Gesù opera un miracolo, e questo provoca contestazioni da parte de «i Giudei». Gesù risponde loro in due modi. In primo luogo, nella cornice letteraria del v. 19 e del v. 30 egli difende la pro pria autorità di operare in giorno di sabato (vv. 19-30). Poi, l'ultima parte del ca pitolo riprende il tono forense del dibattito tra Gesù e «i Giudei» quando egli presenta i suoi testimoni (vv. 31-47). a) Gesù opera una guarigione di sabato (5,1-18) l . Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico
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Betzaetà [Betesdalcon cinque portici, 3a. sotto i quali giaceva un grande numero di in fermi, ciechi, zoppi e paralitici. [4] . 5. Si trovava lì un uomo che era malato da trentotto anni. 6. Gesù, vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi essere guarito?». 7. Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agi ta. E mentre io sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». 8. Gesù gli disse: «Alzati, prendi la tua barella e cammina». 9. E sull'istante quell'uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. 10. Dissero dunque i Giudei all'uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». 11. Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi la tua barella e cammina"». 12. Gli domandarono allora: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi la tua barella e cammina"?». 13. Ma colui che era stato guarito non sa peva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. 14. Poco dopo Gesù lo trovò nel Tempio e gli disse: «Ecco, sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». 15. Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. 16. Per questo i Giudei perseguitavano [e accusavano] Gesù, perché faceva tali cose di sabato. 17. Ma Gesù disse loro: «TI Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco>>. 18. Per questo i Giudei cercavano ancora più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sa bato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
I N T E R P R E TA Z I O N E
Introduzione a 5,1-18. Questa parte inizia con l'osservazione introduttiva che
Gesù va a Gerusalemme per una festa dei Giudei (v. 1). Questa è seguita da un'introduzione più mirata (vv 2-4) agli avvenimenti e al discorso dei vv. 5-47. La descrizione dei dialoghi e dei fatti che costituiscono il miracolo (vv. 5-9) si conclude con l'osservazione del narratore: «Quel giorno però era un sabato» (v. 9b ) . Una volta annunciato, questo tema domina il resoconto del miracolo (vv 10-13) e ciò che ne consegue (vv 15-18). Un solo brevissimo episodio non è ri conducibile al fatto che queste cose si svolgono di sabato: l'incontro di Gesù con il miracolato nel Tempio (v. 14). Tenendo presenti questi dettagli, il racconto si presenta nella forma seguente: .
.
.
a) vv. 1-3a: Introduzione I. v. 1: Introduzione tematica a 5,1-47 e a 5,1-10,42 n. vv. 2-3a: Impostazione per 5,5-47 b) vv. 5-18: Gli avvenimenti del sabato I. vv. 5-9: Gesù e il malato. Il miracolo, che si conclude con: «ora quel giorno era un sabato» n. vv. 10-13: «l Giudei» e il malato. Interrogatorio dell'uomo che porta la sua ba rella di sabato. m. v. 14: Gesù e il malato. Separato dal resto dell'azione dall'espressione meta tau ta, questo incontro non fa alcun accenno al sa bato . N. v. 15: «l Giudei» e il malato. L'uomo informa «i Giudei» che Gesù lo ha guarito di sabato. v. vv. 1 6-18: Gesù e «i Giudei». Gesù è chiamato a giudizio. «l Giudei» vogliono ucciderlo per la violazione del sabato. n sabato è un elemento cruciale del racconto. «l Giudei» hanno un concetto
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di
Giova n n i
sul modo giusto di onorare Dio nel giorno di sabato, ma Gesù ne ha un altro. Introduzione (v. 1). Il racconto prende un'altra piega dal momento che il nar ratore annuncia che dopo ciò che è accaduto a Cana di Galilea (meta tauta) Ge sù sale a Gerusalemme. Il motivo di questo viaggio è «una festa dei Giudei», senza accennare o voler specificare di quale festa si tratti. L'affermazione del v. l ha lo scopo di presentare il tema delle feste de «i Giudei» che sarà presente nel racconto fino a 1 0,42 Se è proprio necessario legare al v. l una festa, questa è il sabato (cf v. 9b), ma anziché presentare la particolare festa dei vv. 1-47 questo versetto segna un cambio di direzione nel racconto. Il tema enunciato in 5,1 si svolge nell'arco delle quattro feste che impostano il programma cronologico e teologico per 5,1-10,42 (cf 5,9; 6,4; 7,2; 10,22). Il tema del «credere» in Gesù è sta to il leitmotif di 2,1-4,54; adesso, con l'andata di Gesù a Gerusalemme, il rac conto si occupa delle feste de «i Giudei». Tra Gesù e «i Giudei» c'è stato un cre scendo di ostilità (cf 1,19; 2, 1 3-22) . In 5,1 risuona già un tono negativo quando il narratore parla di una festa celebrata da «i Giudeh>. L'associazione delle feste con «i Giudei» rispecchia il Sitz im Leben della comunità giovannea, che celebra la presenza salvifica di Dio in modo molto diverso da quello de «i Giudei». La graduale separazione delle due comunità giudaiche ha creato ostilità, per quanto locali. Già presente in 1,19 e 2,13-22, l'ostilità si intensificherà nei con flitti tra Gesù e «i Giudei» in Giovanni 5-10. Le polemiche tra Gesù e «i Giudei» in questi capitoli rispecchiano il disagio esistente tra la comunità giovannea e la sinagoga verso la fine del primo secolo, «quel tipo di litigi domestici nei qua li i partecipanti si lanciano accuse a vicenda nella stessa stanza della casa dove tutti hanno abitato e che tutti considerano propria» (Ashton, Understanding the .
Fourth Gospe/ 151). Lo scenario per 5,5-47 (vv. 2-3a). Gesù è descritto mentre sale a Gerusalemme,
ma l'azione viene interrotta nei vv. 2-3 per fornire precisi dettagli sul luogo do ve avverrà il seguente miracolo: la Piscina delle Pecore, presso una delle porte di Gerusalemme, con cinque portici, nella lingua dei Giudei chiamata Betzae tà [Betesda] (v. 2). L'esistenza di una piscina da lungo tempo associata alle gua rigioni, comprese quelle dei pagani, alla periferia nord di Gerusalemme, di fronte alla Fortezza Antonia, è ben documentata. L'ulteriore descrizione della folla di infermi radunati sotto i portici (v. 3a) «indica chiaramente la sua conti nuità come luogo di guarigione (risalente forse ai tempi dei Cananei)» (Robin son, Priority 57). Gesù e l'uomo (vv. 5-9) . Nel contesto di una festa ebraica e di un tradizionale luogo di guarigione Gesù scorge un uomo che è paralitico da ben trentotto an ni (vv. 5-6). L'osservazione del narratore, che «Gesù ... sapeva che da molto tempo era così» (v. 6b) ricorda gli incontri con Natanaele (1,47-48) e con la Sa maritana (4,18). Nonostante la conoscenza che ha della condizione dell'uomo, Gesù gli chiede: «Vuoi essere guarito (theleis hygies genesthai)?» (v. 6c), e la do manda innesca un dialogo. La risposta dell'uomo: «Signore, non ho nessuno (kyrie, anthrapon ouk echo) che mi immerga nella piscina» (v. 7) dimostra che non si rende conto chi sia Gesù. Egli cerca solo un altro essere umano (anthropon) che sia disposto a compiere per lui una certa azione fisica che lo faccia guarire. Gesù ordina all'uomo: «Alzati, prendi la tua barella e cammina» (v. 8). La ri-
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sposta dell'uomo è un'obbedienza senza obiezioni alla parola di Gesù, ma que sto è possibile soltanto perché tra il comando e la risposta il narratore nota che «quell'uomo guarì» (v. 9: egeneto hygies). Risulta chiaro che l'uomo fa progres si dalla sua risposta iniziale a Gesù nel v. 7 all'obbedienza cieca alla parola di Gesù nel v. 9a, ma nel v. 9b nel racconto risuona un avvertimento: «Quel gior no però era un sabato». Gesù ha avvicinato l'uomo, gli ha offerto la guarigione (v. 6) e gli ha comandato di compiere determinate azioni (v. 8). L'uomo è in gra do di eseguirle perché Gesù ha operato un miracolo (v. 9a). Ciò che è accaduto all'uomo e la successiva ripresa della motilità è tutto per iniziativa di Gesù. Ma quel giorno era un sabato (v. 9b) ! « l Giudei» e l'uomo (vv. 10-13). Entrano i n scena « i Giudei», che accusano l�uomo di compiere di sabato il lavoro illecito di portare la sua barella (cf m. Sabb. 7,2; vedi anche 10,5; Es 20,8-11; Ger 17,19-27). L'uomo non si assume per sonalmente la responsabilità della violazione del sabato; si è limitato ad ese guire l'ordine datogli da quell'estraneo (v. 11; cf vv. 8-9) . L'uomo guarito non è andato oltre il concetto iniziale che s'era fatto di Gesù (cf v. 7: anthrapon ouk echo). «l Giudei» vogliono sapere «Chi è l'uomo? (tis estin ho anthropos ?)» (v. 12), ma il narratore osserva che «colui che era stato guarito non sapeva chi fos se (ouk fdei tis estin)» (v. 13a). I due temi centrali del racconto sono la rigida os servanza del sabato e la persona di Gesù. Gesù e l'uomo (v. 14). L'espressione che introduce il v. 14 (meta tauta; cf 2,12; 3,22; 4,43; 5,1) separa questo incontro tra Gesù e il paralitico da ciò che accade nel resto dell'episodio; è anche l'unica scena in cui non si fa nessun accenno al sabato. Gesù prende l'iniziativa e trova l'uomo nel Tempio (v. 14a). L'istituzio ne ebraica del sabato è per breve tempo lasciata da parte, per essere però sosti tuita dall'istituzione del Tempio. Gesù ricorda il miracolo (v. 14b), ma trascen de il fatto fisico e le questioni che esso solleva riguardo al sabato. Ordina inve ce all'uomo: «Non peccare più». Il peccato ricondurrebbe l'uomo a una situa zione ancora peggiore dei lunghi anni di malattia che ha sofferto (v. 14; cf v. 5). Colui che parla nel Tempio con un'autorità che trascende qualsiasi autorità umana è qualcosa di più di «un essere umano» (cf vv. 7.12.13), più di un tau maturgo; è uno che trascende i dettami teologici e legali (v. 10) del sabato. I rabbini associavano il peccato alla punizione di Dio attraverso la sofferenza e la morte (cf Schnackenburg, Gospel 2,461 n. 20), ma nella casa di Dio (cf 2,16) Ge sù parla in nome di Dio rompendo questo legame tradizionale tra la condizio ne fisica e la punizione di Dio. I problemi fisici dell'uomo sono stati risolti, ma l'ammonimento di Gesù accenna a qualcosa di più importante che è in gioco. ll peccato porta a una situazione che è più devastante di una malattia fisica. I personaggi del racconto continueranno a discutere su questioni relative alla corretta osservanza del sabato, ma le parole che Gesù rivolge all'uomo nel Tem pio trascendono tali questioni. «l Giudei» e l'uomo (v. 15). C'è una separazione tra Gesù e il paralitico, poiché «quell'uomo se ne andò» (v. 15a: apelthen ho anthrapos) a rispondere alla do manda postagli da «i Giudei» nel v. 12. Non c'è segno di voler «seguire» o cre dere in questo «andarsene» a riferire il nome del guaritore, «Gesù», a > è sorprendente. Non fa nessun progresso nella fede; si limita a fornire l'occasione per la discussione tra Ge sù e «i Giudei» (cf Culpepper, «}ohn 5.1 - 1 8» 204-205; Staley, «Stumbling in the Dark» 58-64). Poi scompare dal racconto. Beck, «The Narrative Function» 143-158, sostiene che i personaggi anonimi nel Quarto Vangelo trascinano il lettore nel racconto indu cendolo a identificarsi con il personaggio, per poi finire in una identificazione, dal cap. 13 in avanti, con il Discepolo Prediletto (sul cap. 5 cf p. 151). ll lettore del Quarto Van gelo, tuttavia, difficilmente potrà identificarsi con un uomo che è in combutta con «i Giudei» (v. 15). 16. Per questo i Giudei perseguitavano [e accusavano] Gesù: Ho tradotto il verbo greco (edi6kon) con due verbi distinti. Ciò può sembrare superfluo, ma è l'unico modo di rendere ap pieno il significato dell'originale greco che contiene sia l'idea di un permanente con flitto tra Gesù e «i Giudei» sia l'aspetto forense di tale conflitto. Normalmente viene tra dotto con «perseguitare». Per il significato forense di diokein nel v. 16 vedi Harvey, Je sus on Trial 50-51. Nel contesto di Giovanni 5 si è tentati di limitarsi al significato fo rense del verbo, ma questo non terrebbe conto dell'ampio uso che il NT fa del verbo nel senso di «perseguitare» (cf BAGD, 201, s. v., 2). Sono richiesti entrambi i significati. Il verbo all'imperfetto indica un'azione permanente e ripetitiva. 17. Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco: Per il retroterra ebraico dell'idea che Dio de ve dare la vita e giudicare anche di sabato vedi Mekilta Shabbata 2,25; Gen. Rab. 11,5.10.12; Exod. Rab. 30,6.9. Vedi anche Filone, Cher. 86-90; Leg. ali. 1 .5-6; Lettera di Ari stea 210. Su questo vedi Dodd, lnterpretation 320-323, e in particolare Bemard, «La gué rison de Bethesda» 13-14. Per le rassegne dei punti di vista biblico e rabbinico sul sa bato vedi Morgenstern, «Sabbath» 135-141; Hasel, «Sabbath» 5,849-856. 18. i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: Fin dalle loro prime comparse nel racconto «i Giudei» si sono mostrati sempre più ostili (1,19; 2, 13-22) . Qui l'ostilità subisce una for te impennata tra il v. 16, dove il narratore annuncia che «i Giudei» perseguitano Gesù
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e lo métfono sOtto pròceSso, e il v. 1 8 dove si dice apertamente che cerèano ancor più di ucciderlo (ezetoun auton hoi Ioudaioi apokteinai). Quello che è in atto adesso è un conflitto mortale. perché non soltanto violava il sabato: ll verbo greco tradotto con «violava» (elyen) come si gnificato principale vuoi dire «sciogliere» o «rompere». Ma può significare anche «sba razzarsi» (BAGD, 483, s. v., 4). Se questo è ciò che «i Giudei» intendevano, erano in er rore. Sono invece nel giusto se pensano che Gesù va contro il loro modo di interpreta re la Legge. Gesù non intende abolire il sabato; lo reinterpreta nei termini del suo rap porto con il Padre. ma chiamava Dio suo Padre: C'è qualcosa di ironico in questa sostanziale accusa de «i Giudei» contro Gesù. Nel Quarto Vangelo la chiave per poter capire chi sia esatta mente Gesù sta proprio nel suo rapporto con il Padre, rapporto che essi negano. Il Verbo che esisteva prima dei tempi presso Dio (1,1) si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi come unico Figlio del Padre (1,14). Nessuno ha mai visto Dio, ma il suo unico Figlio ce lo ha rivelato (cf 1,18). Il rifiuto de «i Giudei» delle pa role di Gesù nel v. 17 è il rifiuto della rivendicazione cristologica fondamentale del Vangelo. facendosi uguale a Dio: Sono soltanto «i Giudei» che accusano Gesù di farsi «uguale a Dio» (isos tq theq). Gesù non rivendica un'uguaglianza che lo rende «un altro Dio», ma una unicità che scaturisce dal suo rapporto con Dio. «Essi ("i Giudei") possono con cepire l'uguaglianza con Dio solo in termini di indipendenza da Dio, mentre per Ge sù è esattamente l'opposto, come spiegato immediatamente nel v. 19» (Bultmann, Go spel 245). Sullo sviluppo e l'importanza di questa accusa nella comunità giovannea ve di Meeks, «Equal to God» 309-321 . Sulla legislazione riguardante il sabato e la be stemmia e sulla tendenza giovannea di presentare Gesù come un violatore della legge vedi Harvey, ]esus on Trial 67-8l .
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I N T E R P R E TA Z I O N E .
Introduzione a 5,1 9-30. In tutto il brano dei vv. 19-47 si sente soltanto la voce
di Gesù. Egli parla in propria difesa, in un discorso articolato in due parti. Al-
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l'inizio si concentra sui temi della vita e del giudizio (cf v. 21 : vita; v. 22: giudi zio; v. 24: vita e giudizio; v. 25: vita; v. 26: vita; v. 27: giudizio; vv 28-29: vita e giudizio). Quelle attività che il pensiero rabbinico concedeva di svolgere a Dio di sabato costituiscono l'ossatura di un discorso nel quale Gesù rivendica di agire allo stesso modo in cui agisce il Padre grazie al rapporto che egli intrat tiene con il Padre (cf v. 17). L'enunciare e il ribadire il tema della totale dipen denza di Gesù dal Padre è un'ulteriore indicazione dell'unità dei vv. 19-30: .
v. 19: Il Figlio da se stesso non può fare nulla. ou dynatai ho huios poiein aph'heautou ouden. v. 30: Io da me stesso non posso fare nulla. ou dynamai ego poiein ap'emautou ouden.
Ciò che si dice in terza persona nel v. 19 è ripetuto in prima persona nel v. 30. La presentazione, nel v. 31, del tema della testimonianza («Se fossi io a testi moniare di me stesso))) solleva un'altra questione forense che resterà in gioco fi no alla fine del capitolo (v. 47). La spiegazione data da Gesù del suo rapporto con il Padre nei vv. 19-30 è un continuo rincorrersi dei temi della vita e del giudizio, adesso e nell'aldilà. Que sto gioco produce un discorso così articolato: a) vv. 1 9-20: Introduzione teologica che tratta del rapporto di amore e di dipendenza che esiste tra il Padre e il Figlio, e dei frutti che questo rapporto può portare a quel li che ascoltano il discorso. b) v. 2 1 : Come il Padre dà la vita, così il Figlio ha l'autorità di dare la vita (è usata l'e spressione zoiopoiein ) . c) v. 22: La base dell'autorizzazione del Figlio a giudicare: gli è data dal Padre (ho pa ter ... dedoken). d) v. 23: Gesù si rivolge al pubblico, insistendo sulla necessità di onorare tanto il Pa dre quanto il Figlio. e) vv. 24-25: Viene l'ora ... in cui (i morti) udranno la voce (erchetai hara ... akousousin tes phones). Gesù è il datore della vita, ma il giudizio vi è strettamente associato. f) v. 26: La base dell'autorità del Figlio di dare la vita: gli viene data dal Padre (ho pa ter ... dedoken). g) v. 27: Il Figlio esercita la sua autorità di giudicare nella veste di Figlio dell'uomo (è usata l'espressione krisin poiein). h) vv. 28-29: Viene l'ora in cui (i morti) udranno la voce (erchetai hora ... akousousin tes phones). Gesù è il giudice, ma il dare la vita vi è strettamente associato. i) v. 30: Conclusione teologica che tratta del rapporto di dipendenza tra il mandante e il mandato e dei frutti che questo rapporto può portare a quelli che ascoltano il discorso.
Questo discorso sviluppa la rivendicazione di Gesù di operare di sabato, così come suo Padre agisce tuttora (v. 17). La questione del sabato è sempre al centro, anche se la forma letteraria del racconto passa dall'azione e dialogo (vv 5-18) a un monologo (vv. 19-30). Sono sempre presenti gli stessi protagonisti: Gesù che parla, «i Giudei» destinatari del discorso. Il Figlio e il Padre (vv. 1 9-20). Le parole di Gesù nei vv 19-20, che cominciano con il solenne doppio «amen)), rispondono direttamente al problema creato per «i Giudei)) da ciò che Gesù ha fatto di sabato (v. 18). Il Prologo e le parole .
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pronunciate da Gesù in precedenza hanno sottolineato il rapporto esistente tra Gesù e il Padre (cf 1,1-5.14.17-18; 3,16-18.35-36). Prendendo questo rapporto per scontato, Gesù spiega come esso opera nella vita del Figlio (vv. 19-20a) e a beneficio di altri (v. 20b ). La difesa che Gesù fa delle proprie prerogative non eli mina la necessità di onorare e lodare il Dio del sabato. Il termine usato da «i Giudei», che accusano Gesù di farsi uguale a Dio (v. 18: isos tQ thep), non è mai usato da Gesù. Sarebbe inappropriato. Per «i Giudei» la rivendicazione di Ge sù all'uguaglianza era una pretesa di indipendenza dall'autorità del Padre, di una parità di stato, «come se Gesù volesse ergersi a rivale di Dio» (Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 55), mentre in realtà tutto ciò che il Figlio è e fa sca turisce dal Padre. La struttura negativa della frase, «Il Figlio da se stesso non può fare nulla (ou dynatai ho huios poiein aph'heautou ouden)» (v. 19a), sottolinea il «nulla» (ou ... ouden). Il Figlio non è un altro Dio del sabato, ma è in un rap porto di totale dipendenza in cui il Figlio ha il privilegio dell'intimità. Il Figlio vede tutto ciò che il Padre fa ed è quindi in grado di fare esattamente ciò che ha fatto il Padre. Questa è la base della rivendicazione di Gesù nel v. 17: «E anch'io agisco». Il Padre agisce anche ora (cf 17: heos arti), ma il Figlio. del Padre è en trato nella storia umana (cf 1,14; 3,16) e Gesù fa notare che sta accadendo qual cosa di nuovo: quello che egli [il Padre] fa, anche il Figlio lo fa allo stesso mo do (v. 19b). Non tutti i genitori svelano ai loro figli tutti i loro segreti, ma in un rappor to di amore non esistono segreti. Il Padre «gli manifesta tutto (panta deiknysin) quello che fa». L'affermazione si volge in promessa quando Gesù dice a «i Giu dei» che il Padre mostrerà al Figlio opere ancora più grandi «affinché voi ne sia te ammirati (hina hymeis thaumazete)» (v. 20b ). Il rapporto tra il Padre e il Figlio non è un circolo chiuso. Ci resta altro da vedere e altro da ammirare, e gli ascol tatori di Gesù possono essere attirati nel circolo. «l Giudei» sono inorriditi al ve dere ciò che Gesù ha fatto di sabato (v. 18), ma egli promette loro che al Figlio saranno mostrate opere ancora più grandi perché possano far parte della rive lazione di Dio che va ben oltre le loro aspettative sabbatiche. Il resto delle pa role di Gesù nei vv. 19-30 dice a «i Giudei» cosa sono queste «opere più grandi». Il Figlio dà la vita e ha l'autorità di giudicare (vv. 21-22). Prima di Gesù, era sol tanto al Dio di Israele che era riconosciuto il potere di risuscitare i morti e di da re la vita (cf l Sam 2,6; Dt 32,39; Is 25,8; Sap 16,13; 2 Re 5,7). Questa tradizione è ribadita dall'affermazione di Gesù che il Padre risuscita i morti e dà la vita (v. 21a), ma «come» (hosper) il Padre dà la vita, «così anche» (houtos) il Figlio dà la vita. Il discorso di Gesù rimane ancorato al miracolo, quando ha ordinato al paralitico: «Alzati» (v. 8: egeire). Soltanto il Signore del Sabato è il padrone del la vita e della morte, ma grazie al rapporto che esiste tra il Padre e il Figlio que sta attività è stata delegata al Figlio. Il Figlio esercita un'autorità sovrana («a chi egli vuole») nel dare la vita (zoiopoiein). Un'altra attività sabbatica riservata a Dio era l'esercizio del giudizio (cf Sal 67,5; 94,2; 105,7; Is 2,4; 26,9; 33,2; Mie 4,3; Ez 30,3). Nella nuova situazione proclamata dalle parole di Gesù nel v. 17 il Padre ha sospeso la sua attività di giudice (v. 22a). A questo punto del discor so l'attività giudiziaria del Figlio non è ancora descritta, ma è indicata la base di tale attività: il Padre ha delegato ogni giudizio al Figlio (v. 22a: ho pater ... ten
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krisin pasan dtdoken t� huiq). Visto il rapporto esistente tra Padre e Figlio, il Figlio
dà la vita e gli è stata conferita l'autorità di giudicare. Due delle principali atti vità sabbatiche tradizionalmente attribuite a YHWH ora sono state associate con Gesù, il Figlio del Padre. Onore al Padre e al Figlio (v. 23). La dettagliata esposizione di cosa significhi per il Figlio fare tutto ciò che fa il Padre (cf vv. 19.21-22) segna una pausa, men tre Gesù si rivolge direttamente ai suoi ascoltatori in tono accusatorio (v. 23). Il processo, la persecuzione e il complotto per uccidere Gesù (cf vv. 16-18) fanno da sfondo alla sua minaccia. Israele si vanta di onorare Dio, datore di vita e giudice, nell'osservanza del sabato, ma «i Giudei» stanno complottando di uc cidere Gesù, il Figlio di Dio. Questa è una contraddizione assurda e Gesù la contesta insistendo che i suoi ascoltatori, se vogliono onorare il Padre, devono onorare allo stesso modo anche il Figlio. C'è ancora un interscambio tra l' epi sodio del miracolo con la sua conseguenza (vv. 5-18) e il discorso dei vv. 19-30. Le pretese di una perfetta osservanza del sabato vantate dagli avversari di Ge sù sono vuote. Viene l'ora, ed è questa (vv. 24-25). Il discorso ritorna sui temi della vita e del giudizio, segnando ancora la ripresa con l'uso del doppio «amen» (vv. 24 e 25). Gesù continua a rivolgersi a «i Giudei» (lego hymin). Mentre prima ha parlato della presenza del Figlio come datore di vita e giudice (vv. 21-22) e della ne cessità di onorare tanto il Padre quanto il Figlio, ciò che il lettore sa già adesso diventa esplicito: Gesù sostituisce «il Figlio» con la prima persona singolare. Gesù è il Figlio, datore di vita e giudice. Un'altra caratteristica dei vv. 24-25 è l'accento che pongono sul credente. Il resto del discorso spiega in maggior det taglio il modo in cui Gesù si assume i ruoli sabbatici del Padre. In questi due versetti, che iniziano entrambi con «amen, amen io vi dico», sono indicati i frutti della presenza di Gesù come datore di vita e giudice. Nel v. 24 1' accesso al la vita e la possibilità di evitare un giudizio negativo sono spiegati in termini che si rifanno agli episodi svoltisi nel corso del viaggio da Cana a Cana (2,1-4,54). Colui che ascolta (akouon) la parola di Gesù e crede (pisteuon) al Pa dre che ha mandato Gesù, il Figlio, è già passato (perfetto: metabebeken) dalla morte alla vita (eis ten zoen ). La vita adesso si può ottenere attraverso l'accetta zione della rivelazione di Dio in e per mezzo del Figlio di Dio (v. 25b). ll pas saggio dalla morte alla vita non è una promessa futura; si attua adesso: viene l'o ra, ed è questa (v. 25a). L'evento Gesù Cristo non abolisce la celebrazione del sa bato, ma in occasione del sabato (cf vv. 1 .9) Gesù presenta se stesso come la sorgente della vita e del giudizio, facendo nell'ambito della storia umana ciò che il Dio d'Israele ha fatto da sempre. L'opera continuativa del Dio del saba to è stata «delegata» al Figlio, Gesù. Anch'egli agisce - adesso (cf v. 17). Gesù giudica e ha l'autorità di dare la vita (vv. 26-27). Come nel v. 21, Gesù enuncia un principio fondamentale della tradizione teologica d'Israele: il Padre ha la vita in se stesso. Ma proclama che «come» (hosper gar) ciò è vero parlan do di Dio, «così anche» (houtos kai) è vero di Gesù perché il Padre ha concesso la stessa cosa al Figlio (ho pater ... tq huiq edoken zoen echein en heauti). Cf v. 22). Prima ha affermato che egli dà la vita (v. 21) e ora spiega come ciò sia possibi le: il Padre ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso (v. 26). Da
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questa affermazione su quale sia la base della sua autorità a dare la vita, Gesù procede a dichiarare che il Figlio giudica chiunque perché egli è il Figlio del l'uomo (v. 27: krisin poiein; cf v. 21). Prima ha detto che il Padre non giudica nessuno, avendo delegato tale autorità al Figlio (v. 22), e ora Gesù afferma che è lui che esercita il giudizio. L'aggiunta delle parole «perché è il Figlio dell'uo mo» richiama precedenti riferimenti a questa espressione. Sul finire dei primi giorni, Gesù aveva promesso a coloro che credevano che avrebbero visto cose più grandi, ossia la rivelazione delle cose del cielo nel Figlio dell'uomo (1,50-51). Poco dopo, nel suo dialogo con Nicodemo, aveva portato tale pro messa qualche passo più avanti affermando che c'era un solo rivelatore dei se greti «dall'alto», il Figlio dell'uomo (3,13), e che questo Figlio dell'uomo avreb be dovuto essere innalzato su un palo perché tutti quelli che credono in lui pos sano avere la salvezza (3,14-15). A un certo momento nel futuro il Figlio del l'uomo sarà «innalzato». Quel momento sarà anche un momento di rivelazio ne. Farà conoscere Dio, e il giudizio si svolgerà a seconda di come gli individui credono o non credono che questo Figlio dell'uomo è la rivelazione di Dio (cf 3,16-21.31-36). Dio non giudica più attivamente (v. 22) ma viene fatto conosce re in e per mezzo di Gesù, il Figlio dell'uomo. Il Figlio esercita il giudizio a se conda di come ciascuno accetta o rifiuta la rivelazione di Dio nella persona di Gesù, il Figlio dell'uomo (v. 27). Viene l'ora (vv. 28-29). Nel v. 25 Gesù ha annunciato: «Viene l'ora - ed è que sta ». Queste parole proclamavano che la presenza di Gesù dava già la vita ed esercitava il giudizio (vv. 24-27). Ora dice a «i Giudei» di non meravigliarsi di questo (v. 28a) perché la delega a Gesù dell'autorità sul sabato non abolisce la visione tradizionale della fine dei tempi con relativo giudizio di vita o di mor te. Nel v. 28b è ripetuta l'espressione del v. 25, ma concentrata interamente sul futuro: «viene l'ora»; le parole «ed è questa» sono state omesse. L'insegnamento di Gesù nei vv. 28b-29 corrisponde alle tradizionali aspettative escatologiche ebraiche e cristiane. A un certo momento nel futuro verrà l'ora in cui quelli che sono fisicamente morti udranno la voce del Figlio e usciranno dai sepolcri per una risurrezione alla vita o per una risurrezione alla condanna. Il criterio che determinerà il genere di risurrezione dopo la morte sarà il comportamento che hanno avuto durante la vita. «l Giudei» non devono meravigliarsi di questa unione tra la presenza di Gesù come datore di vita e giudice e la promessa tra dizionale della risurrezione e del giudizio dopo la morte. Per quanto stimo lante possa essere la prospettiva dell'escatologia realizzata del v. 24, bisogna sempre rassegnarsi ad accettare il fatto che l'esperienza quotidiana della vita e della morte continua, nonostante la «vita eterna» che i credenti sono persuasi di possedere adesso. Dev'esserci anche una parola che s'interessa dell'altro aspetto della morte, poiché quelli che ascoltano la parola di Gesù e credono in colui che lo ha mandato possono avere «la vita eterna» (cf v. 24), ma continua no pur sempre a morire. La sovranità di Dio onorata con l'osservanza del sa bato trascende ogni limite di tempo perché Dio è il Signore di tutto il creato, sia qui che nell'aldilà. La realtà fisica della vita e della morte è parimenti il domi nio del Dio del sabato quanto lo è il ruolo presente di datore della vita e di giu dice. L'accettazione o il rifiuto del Figlio fatta adesso (vv. 24-27) è una scelta che
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va rapportata alla vita dall'altra parte della tomba (vv. 28-29). Coloro che àscol tano la voce del Figlio e hanno la vita adesso non sono esentati né dalla necessi tà di affrontare le vicissitudini della vita né dalla realtà della morte fisica; essi verranno comunque richiamati dai loro sepolcri. Conclusione (v. 30). Nel v. 30 si ripete gran parte del v. 19. All'inizio del di scorso Gesù parlava della dipendenza del Figlio dal Padre. Qui la terza perso na diventa la prima persona. Gesù è totalmente dipendente: ascolta e giudica secondo la volontà di colui che lo ha mandato (cf 3,17.34; 4,34; 5,23.24). Come Dio è datore di vita e giudice, così anche Gesù è datore di vita e giudice (cf v. 1 7). Lo scenario di un sabato (v. 9b; cf vv. 10.16.18) consente a Gesù di reinter pretare la tradizionale teologia e osservanza sabbatica. È in atto un processo nel quale «i Giudei» sono gli accusatori (cf v. 18) e Gesù è l'accusato (vv. 19-30). L'imputazione è la pretesa di Gesù di poter operare di sabato, come il Padre opera di sabato (vv. 1 7-18). Al v. 30 «i Giudei» sono accusati di non aver capito la rivelazione dell'attività sabbatica di Dio in Gesù. Gesù non ha né sostituito Dio né abolito l'osservanza del sabato (vv. 19.30). Ma «i Giudei» non hanno ca pito che il Figlio è datore di vita e giudice allo stesso modo che lo è il Padre (cf vv. 21 .26). Gli accusatori diventano gli accusati, rei di non onorare il Padre col non onorare il Figlio (v. 23). NOTE 19. Gesù rispose loro: n discorso inizia con una solenne introduzione, letteralmente «Gesù
pertanto riprese a parlare e disse loro» (apekrinato oun ho lésous kai elegen autois). È man tenuto uno stretto legame con i vv. 1-18 mediante la congiunzione oun («pertanto») e l'indicazione che Gesù risponde a «i Giudei». In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: Come sempre nel Quarto Vangelo, questa espressione è premessa a una dichiarazione significativa che è legata a ciò che è stato detto in antecedenza. Vedi Bernard, Commentary 1,67. Nel passo 19-30 l'espressione si trova altre due volte (vv. 24 e 25). se non ciò che vede fare dal Padre: Molti commentatori (es.: Dodd, Gachter, Brown, Lin dars, Talbert) hanno visto in questo passo una parabola tradizionale dei rapporti di un figlio con il proprio padre. Vedi Moloney, Son of Man 72-75. Qualunque sia la tradizio ne alla base del passo, l'uso assoluto di ho huios indica una delle rivendicazioni fonda mentali che l'autore attribuisce a Gesù. Vedi Ashton, Understanding the Fourth Gospel 292-329. quello che egli [il Padrelfa: ll pronome personale usato per «egli» in riferimento al Padre è il forte ekeinos. Questo «pone l'accento sulla distinta Persona divina» (Barrett, Gospel 259). 20. Il Padre ama il Figlio: È la seconda volta che viene fatta questa affermazione (cf 3,35). L'a more di Dio per il mondo è anche il movente dell'invio del Figlio nel mondo (cf 3,16). Questo tema diventerà sempre più importante, ma in questo contesto è il motivo per cui il Padre gli manifesta «tutto (panta) ciò che egli stesso fa». Vedi Hoskyns, Gospel 267-268. opere ancora più grandi di queste: Alcuni interpreti pensano che le «opere ancora più grandi» (meizona) si riferiscano ai miracoli più spettacolari che compirà Gesù: la gua rigione del cieco dalla nascita (cap. 9) e la risurrezione di Lazzaro (cap. 11). L'interpre tazione data sopra vede nelle opere più grandi non altri miracoli, ma il potere conferi-
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to a Gesù di dare la vita e di giudicare. È la delega data dal Padre al Figlio dei privile gi sabbatici che può facilmente indurre «i Giudei» a meravigliarsi più di altri segni spettacolari. Vedi Schnackenburg, Gospel 2,104-105. 21. Come il Padre ... così anche il Figlio: La stretta associazione tra il Padre e il Figlio nel da re la vita è resa evidente dalla costruzione «Come ... così anche» (hosper ... houtos). Ge sù prima afferma che il Figlio dà la vita, e poi spiega che questa autorità gli è conferi ta dal Padre (v. 26). a chi egli vuole: La libertà sovrana di Gesù nell'esercitare i suoi privilegi sabbatici è in perfetto accordo con la visione tradizionale della sovranità di YHWH sul creato e sul sabato. 22. Il Padre non condanna nessuno: Il concetto giovanneo di giudizio e condanna è stretta mente legato alla visione dell'escatologia realizzata, presentata in questo Vangelo. Non esiste un luogo particolare per un giudizio finale da parte di Dio. Gli uomini giudica no se stessi coll'accettare o col rifiutare la rivelazione di Dio in e per mezzo di Gesù, e camminano nelle tenebre delle loro opere malvagie o nella luce delle loro opere buo ne a seconda della decisione che prendono (cf 3,17-21 .36). Vedi Blank, Krisis 158-164. ma ha dato ogni giudizio al Figlio: A differenza dello svolgimento del tema del Figlio co me datore di vita, che era iniziato con l'affermare l'esercizio effettivo di questa attivi tà (v. 21), l'attività giudicante del Figlio dapprima è dichiarata autorevole perché gli è data dal Padre. In un secondo tempo (v. 27) il Figlio giudicherà in proprio. 23. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato: Questa dichiarazione di Ge sù, che suona come un'accusa, lega il discorso alla reazione de «i Giudei» all'attività sabbatica di Gesù dei vv. 5-18. Sviluppa ulteriormente il tema sabbatico associando il Figlio all'onore dovuto al Padre e dimostrando che «i Giudei» non onorano né l'uno né l'altro. Sono stati fatti diversi tentativi di strutturare il discorso dei vv. 19-30 in forma chiastica, con lo stesso tema detto e ripetuto attorno ad un tema centrale (cf Vanhoye, «La composition» 270-274; Bernard, «La guérison» 1 7-20; Ellis, Genius 90-93; Mlakuz hil, Christocentric 126-128. Vedi la rassegna critica in Moloney, Son of Man 74-76). Que sto commento di Gesù non ha paralleli nella seconda parte del discorso e rende qual siasi struttura chiastica improbabile. 24. In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: Questa espressione giovannea compare due volte in due versetti consecutivi (vv. 24-25 ) Finora Gesù ha parlato del ruolo del Figlio come datore di vita e giudice. Qui parla dei frutti della presenza della sua parola per quelli che credono in lui. è passato dalla morte alla vita: L'uso del perfetto (metabebeken) del verbo segna il passag gio da una situazione di peccato («morte») alla «vita», all'accettazione della parola di Gesù nell'ambito della presente situazione del credente. Questa è stata da tempo con siderata «la più chiara affermazione dell'escatologia realizzata ... nel NT» (Beasley Murray, fohn 76). 25. viene l'ora - ed è questa: L'associazione dell'espressione «ed è questa» (kai n un estin) con «viene l'ora» riduce la tradizionale escatologia della fine dei tempi al presente, e tut tavia i verbi affermativi nel resto del v. 25 sono al futuro: «i morti udranno (akousousin) ... quelli che l'avranno ascoltata vivranno (zesousin)>>. Mentre questi futuri vanno an cora intesi come appartenenti alla visione più realizzata della «vita eterna», nello stes so tempo preludono alla presentazione della tradizionale escatologia della fine dei tempi nei vv. 28-29 (cf Stimpfle, Blinde Sehen 84). Sul tema «vita» e «vita eterna» nel Quarto Vangelo vedi J. G. van der Watt, «The Use of aionios in the Concept zoe aianios in John's Gospel», NT 31 (1989) 21 7-228. 26. Come il Padre ha la vita ... così ha concesso anche al Figlio di avere la vita: Nel v. 21 1' attività del Figlio quale datore di vita è stata legata alla stessa attività del Padre mediante l'u.
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·so di «come . . così anche» (hlJsper ... houtos). Nel v. 26 viene stabilita la base dell'auto rità del Figlio a dare la vita: gli è stata concessa dal Padre. Anche in questo caso il paral lelo tra Padre e Figlio è creato da «come ... così anche» (hosper ... houtos ). L'attività sab batica di Dio non cessa; è solo delegata al Figlio (cf v. 17). 27. gli ha dato il potere di giudicare: La delega al Figlio di tutti i poteri giudiziari è stata in dicata nel v. 22, e l'esercizio effettivo del giudizio si trova nel v. 27. C'è un interessan te interscambio tra il dare la vita, che è esercitato (v. 21) e poi dato (v. 26), e il giudizio, che è dato (v. 22) e poi esercitato (v. 27). perché è il Figlio dell'uomo: Nell'originale greco non c'è l'articolo davanti a Figlio: hoti huios anthrapou estin («perché è figlio dell'uomo»). Questo è l'unico passo nel NT in cui il termine è usato senza articolo, e riproduce esattamente ciò che si trova nella pro babile fonte dell'espressione, Dn 7,13, dove pure manca l'articolo: «ecco apparire ... uno, simile a (un) figlio di uomo». Come indicato nell'interpretazione, il modo di in tendere questa descrizione di Gesù fatta in precedenza nel Quarto Vangelo è cruciale ai fini di una corretta interpretazione del significato che ha in questo passo. Gesù è la rivelazione di Dio nella storia umana, e il giudizio scaturisce dall'accettazione o dal ri fiuto della rivelazione. Perciò Gesù può dire che il Figlio esercita il giudizio perché è il Figlio dell'uomo (vedi Moloney, Son of Man 68-86; Hare, Son of Man 90-96). Tuttavia, da to che Dn 7,13 è stato usato sia nell'esegesi ebraica che in quella cristiana, l'espressio ne «il Figlio dell'uomo» è stata strettamente legata nella tradizione all'escatologia del la fine dei tempi (cf Mc 8,38; 13,26; 14,62; Mt 13,41; 16,28; 19,28; 24,29-30.39; 25,31; Le 11,30; 12,8; 12,40; 17,22.24.26.30; 18,8; 21,36). Così, mentre il significato giovanneo del l'espressione «il Figlio dell'uomo» spiega la maniera concreta in cui il Figlio esercita il giudizio, l'uso tradizionale in cui il termine è riferito alla fine dei tempi costituisce il ponte che porta ai vv. 28-29 (cf Moloney, Son of Man 80-82). 28. viene l'ora: L'omissione di «ed è questa» (cf v. 25) fa pensare a una visione escatologica della fine dei tempi. Alcuni esegeti considerano i vv. 28-29 un'aggiunta di qualche re dattore che ha tradito l'originale escatologia realizzata intesa dall'evangelista (es.: Loisy, Evangile 213-214; Bultmann, Gospel 237-239, 261; Haenchen, fohn 1,253-254). Al tri (es.: Schnackenburg, Gospel 2,145-l50) considerano gli elementi apocalittici estranei al Quarto Vangelo, ma ritengono che il pensiero escatologico dell'evangelista non sia stato tradito. La maggioranza dei commentatori contemporanei ammette sia l'auten ticità dei vv. 19-30 nel loro insieme (cf Vanhoye, «La composition» 262-268) sia il fatto che un'escatologia della fine dei tempi fa parte del pensiero giovanneo. Vedi N. A. Dahl, «"Do Not Wonder!", John 5:28-29 and Johannine Eschatology Once More», The conversation Continues 322-336; Carroll, «Present and Future», 63-69. tutti coloro che sono nei sepolcri: Per alcuni commentatori, nei sepolcri sono tutti quelli che sono vissuti prima di Gesù e quelli che verranno dopo di lui ma che non hanno mai sentito parlare di lui. Anche questi avrebbero il loro momento di giudizio (es.: Léon-Dufour, Lecture 2,61-62; van der Watt, «New Look», 76-85). Questo sembra un vo ler leggere nel passo ciò che non c'è. Non è richiesto dal contesto, per quanto vero pos sa essere quando si tratta delle generazioni cristiane future. 30. la volontà di colui che mi ha mandato: Nel mondo semitico l'inviato diventa la presenza del mandante. La rivendicazione di Gesù di essere l'Inviato del Padre rientra in que sto modo di pensare (cf 4,34). Vedi Biihner, Der Gesandte 181-267; Ashton, Understan ding the Fourth Gospel 308-31 7. .
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c) Testimonianza e accusa (5,31-47) 31. «Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non potrebbe essere verificata. 32. C'è un altro che mi dà testimonianza, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. 33. Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla ve rità. 34. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvi. 35. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete vo luto rallegrarvi alla sua luce. 36. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38. e non avete la sua pa rola che rimane in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. 39. Voi esami nate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna; e sono proprio esse che dan no testimonianza di me. 40. Ma voi non volete venire a me per avere vita. 41. Io non ricevo gloria dagli uomini. 42. Ma (vi conosco e) so che non avete in voi l'a more di Dio. 43. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44. E come potete credere, voi che ri cevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da colui che è il solo Dio? 45. Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete posto la vostra speranza. 46. Se infatti credeste a Mosè, credereste an che a me; perché egli ha scritto di me. 47. Ma se non credete ai suoi scritti, come potre te credere alle mie parole?».
INTERPRETAZIONE Introduzione a 5,31 -47. D processo prosegue nei vv 31-47, ma la difesa di Ge sù per la sua attività sabbatica (vv. 19-30) ha bisogno di testimonianze. Come nei vv 19-30, anche qui si sente solo la voce di Gesù, ma tutto il discorso è di retto a «i Giudeh> dei vv. 5-18 (hymeis: vv. 33, 34, 35, 38, 39, 42, 44, 45. Nei vv. 37, 40, 43, 46 e 47 i verbi usati sono alla seconda persona plurale). Gesù ammette di .
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aver bisogno di testimoni (vv. 31-32) e li presenta (vv. 33-40), ma alla conclu sione del discorso fa notare l'incapacità de «i Giudei» di riconoscere la rivela zione di Dio (vv. 41-44) e li avverte in tono minaccioso che sono le loro stesse Scritture che li accusano (vv. 45-47). Il discorso si articola nei seguenti punti: a) vv. 31-32: Gesù solleva il problema dell'affidabilità dei testimoni. b) vv. 33-40: I testimoni sono presentati a «i Giudei»: I. vv. 33-35: Giovanni Battista n. v. 36: Le opere di Gesù m. vv. 37-40: Le opere del Padre che non hanno mai veduto. c) vv. 41-44: Gesù presenta modelli contrastanti di gloria (doxa). d) vv. 45-47: «l Giudei» sono accusati dagli scritti di Mosè.
Un processo che è cominciato con la difesa da parte di Gesù della propria at tività sabbatica (vv. 19-30; cf vv. 16-18) si conclude con l'imputazione che «i Giudei» sono accusati dalle loro stesse Scritture. Gli accusatori sono diventati gli accusa ti. Una testimonianza affidabile (vv. 31 -32). Gesù fa notare che la testimonianza che egli ha dato di se stesso non può essere verificata (v. 31: ouk estin alethes). Nella prassi ebraica per l'accusato non era sufficiente asserire la verità di certi fatti; doveva presentare dei testimoni la cui parola fosse affidabile (cf Dt 19,15; m. Ro� Has. 3,1; m. Ketub. 2,9; Giuseppe, Ant. 4,219). Gesù accetta questa situa zione e indica enigmaticamente «un altro» (allos) che gli rende continuamente una testimonianza (tempo presente: martyrei) che egli ritiene indiscutibile (v. 32). Per Gesù la conoscenza di questo fatto è sufficiente, ma per «i Giudei» ci vuole altro. Il lettore può facilmente immaginare che quel «un altro» è il Padre di Gesù, ma questo «i Giudei» non lo sanno. Gesù perciò invoca testimonian ze che essi stessi hanno visto e udito: Giovanni Battista (vv. 33-35) e le proprie opere (v. 36) . La testimonianza di Giovanni Battista (vv. 33-35). Gesù si riferisce a «i Giudei» che hanno inviato i loro messaggeri a Giovanni Battista (cf 1,19). Quel mo mento di testimonianza appartiene al passato (v. 33: memartyreken: perfetto). Giovanni ha testimoniato che Gesù è l'Agnello di Dio (1,19.35) e il Figlio di Dio (1,34). Grazie alla infallibile testimonianza dell' «altro» (cf 5,32) Gesù non ha bisogno di testimoni umani, ma «i Giudei» sì (v. 34a). Gesù è disposto a sotto porsi al guazzabuglio della si tu azione umana, compreso il processo ora in cor so, perché i suoi inquisitori possano salvarsi (v. 34b; cf 1,14; 3,16-17). Potran no esserci conflitti, e perfino un processo che mira alla morte di Gesù (vv. 16-18), ma Gesù non esclude neppure «i Giudei» dalla sua missione salvifica (hina hymeis sothete). La descrizione che Gesù fa del Battista di «una lampada che arde e risplende>> richiama alla mente idee primitive di una lampada che di venta una testimonianza per il Messia (LXX Sal 131,16b-17; cf Sir 48,1). Questa lampada risplendente (phainon) è apportatrice di gioia. «l Giudei» erano pron ti (ethelesate) a rallegrarsi (agalliathenai) ma, come dimostra il processo in cor so contro Gesù, la loro gioia è stata di breve durata (v. 35) . «l Giudei» hanno ac cettato con gioia il fatto che la luce del Battista rendesse testimonianza al preannunciato Messia, ma ora si rifiutano di accettare colui per il quale la te-
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stimonianza è stata data (cf 1,11). Non sono stati capaci di spingere lo sguar do oltre la luce riflessa del Battista per vedere colui al quale egli rendeva te stimonianza. La testimonianza delle opere di Gesù (v. 36). Gesù dispone di una testimonian za ancora superiore a quella di Giovanni (v. 36a). Ha da svolgere un compito (to ergon) che gli è stato affidato da Dio (cf 4,34) e che egli svolge con la sua conti nua obbedienza a colui che lo ha mandato. Questa risposta di obbedienza è manifesta nelle molte opere (ta erga) che Gesù compie (v. 36b; cf v. 20). Gesù non si limita ad eseguire queste opere, ma le compie alla perfezione (teleioun). Que sta non è una testimonianza che Gesù dà in proprio (cf v. 31); è il perfetto svol gimento del suo compito che testimonia la verità che lui è l'Inviato del Padre (v. 36c). La testimonianza della parola del Padre invisibile (vv. 37-40). Dopo l'enigmatico appello alla testimonianza di «un altro» (allos) nel v. 32, Gesù ha invocato Gio vanni Battista (vv. 33-35) e le proprie opere (v. 36). Nel richiamo alla testimo nianza del Padre (vv. 37-40) viene chiarito chi sia «l'altro» del v. 32. Si nota una marcata differenza tra la testimonianza invocata nei vv. 33-36 e quella del Pa dre. Il Battista e le opere di Gesù si potevano udire e vedere, ma questo non si applica alla testimonianza (martyria) del Padre che ha mandato Gesù (v. 37a). «l Giudei» non hanno mai ascoltato la sua voce (phonen autou) e non hanno mai vi sto il suo volto (eidos autou). Si avverte un tono di accusa quando Gesù spiega cosa significhi «la voce» e «il volto» del v. 38b: «perché non credete a colui che egli ha mandato». «l Giudei» danno per scontato di avere la parola di Dio che rimane in loro (v. 38a), ma il loro rifiuto di colui che Dio ha mandato rende que sta convinzione presuntuosa. Gesù è la phane e l'eidos di Dio, ma essi non l'a scoltano e non lo vedono come tale. Gesù non è il Padre, ma colui che è stato mandato dal Padre, colui che narra la storia di Dio in e per mezzo della propria storia (cf 1,18). La phone di Dio è il logos di Gesù. Gesù, nei vv. 39-40, continua a far notare le manchevolezze dei suoi accusa tori. La pratica ebraica dello studio e della riflessione sulle Scritture è conside rata fonte di vita (v. 39), ma «i Giudei» non colgono il potere vivificante che viene dal riconoscimento che la parola biblica rende testimonianza a Gesù. La loro decisione di mettere Gesù sotto processo con l'intenzione di farlo condan nare è basata sul loro studio delle Scritture e sulla loro interpretazione delle leggi sabbatiche (cf v. 18). Ma le Scritture, nelle quali si trova la testimonianza che il Padre dà a Gesù (v. 37; cf v. 31) e che sono la testimonianza del Dio invi sibile a favore di Gesù (cf v. 37), sono fraintese da quelli che cercano di ucci derlo. Le Scritture indicano in Gesù la voce e il volto di Dio e la fede in lui fa sì che la parola di Dio rimanga nel credente; ma la mancanza di fede de «i Giudeh> li priva di questa presenza (v. 38). «l Giudei» sono erroneamente convinti di tro vare la vita nella loro tradizione e nel loro studio delle Scritture (v. 39). Ma es si rifiutano di andare a Gesù (v. 40a). Anzi, la loro decisione di mettere Gesù sot to processo e l'intenzione di ucciderlo sotto il pretesto di un suo presunto com portamento blasfemo (vv. 16-18) li esclude dalla sua presenza vivificante (v. 40b). Le carte in tavola sono cambiate: l'accusato comincia a denunciare i suoi accusatori.
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Due diversi modi di vedere la doxa (vv. 41-44). La scena del processo sta vol gendo al termine, e Gesù ora presenta le due posizioni. Il termine greco doxa ha un significato sociale e uno biblico. Nell'uso comune si riferisce alla stima, al la lode, alla gloria che viene dal successo umano. Gesù dichiara di non avere al cun interesse per «la gloria degli uomini» (v. 41: doxa ton anthropon), mentre è certo che «i Giudei» non hanno l'amore di Dio in sé. Grazie alla sua intima co noscenza di Dio (egnoka) Gesù può rimproverare a «i Giudei» che, con tutto il loro vantarsi di avere la vita dalle Scritture, non mostrano alcun segno di ama re Dio (v. 42). Gesù, l'accusato, non cerca la stima degli uomini (v. 41) mentre «i Giudei», gli accusatori, non amano Dio (v. 42). Questo li porta al rifiuto di co lui che è stato mandato in nome del Padre (v. 43a) e al pronto riconoscimento di chi si presenta a loro nel proprio nome (v. 43b ). L'autorità di Gesù viene dal Padre perché è lui che lo ha mandato, ma «i Giudei» lo rifiutano mentre sono pronti ad accogliere chiunque vada a loro con nessun'altra garanzia che il pro prio nome (v. 43a: en tQ onomati tou patros mou .. ; v. 43b: en tQ onomati tQ idiQ). Emergono due punti di vista radicalmente diversi: Gesù guarda a Dio, men tre «i Giudei» giudicano secondo le apparenze esterne. Gesù ha rifiutato la glo ria degli uomini, ma per «i Giudei» è l'opposto. Alla fin fine, la loro incapacità di credere deriva dal loro accontentarsi della stima e dell'onore che ricevono gli uni dagli altri, della doxa degli uomini (v. 44a: doxan para allelon). Chiusi nel mondo che possono capire e controllare, essi sono incapaci di cercare e di tro vare la doxa che viene da Dio (v. 44b: ten doxan ten para tou monou theou). Gesù, Signore del sabato, fa conoscere la doxa dell'unico vero Dio che ha manifestato al Figlio tutto ciò che egli fa perché il Figlio possa mostrare queste opere e per fino di più grandi (v. 20). Nel rifiutare la rivelazione del solo vero Dio nel Figlio, «i Giudei» hanno rifiutato il Dio del sabato che essi pretendono di difendere (cf vv. 16-18). «L'incapacità di accettare Gesù è in realtà una preferenza di se stes si» (Brown, Gospe/ 1,228). Mosè accusa «i Giudei» (vv. 45-47). Secondo il pensiero ebraico, Mosè era con siderato il mediatore tra Dio e Israele, l'unico intercessore presso Dio per il po polo ebraico (cf Es 32,11-14.30-33; Dt 9,18-29; Exod. Rab. 18,3; T. Mosè 11,17; Jub. 1,19-21; Giuseppe, Ant. 4,194-195). La Legge, il primo grande dono di Dio, era stata data a Israele per mezzo di Mosè (cf 1,17a), ma Dio ha dato anche altri do ni, che sono stati perfezionati in e per mezzo di Gesù Cristo (1,17b). Non c'è conflitto tra i due doni, poiché, nel disegno di Dio, uno sostituisce l'altro. Ma «i Giudei» rifiutano Gesù Cristo, e per questo Mosè li accusa (v. 45). Prima Gesù ha detto che le Scritture gli rendono testimonianza (v. 39b). Questa afferma zione nei vv. 46-47 è ripetuta sotto forma di accusa. Se veramente credono in Mosè, dovrebbero credere anche in Gesù, poiché Mosè ha scritto di lui (v. 46). Ma in realtà non credono in Mosè. Sulla base della loro interpretazione della To rah mosaica «i Giudei» condannano Gesù (v. 18), ma sono nell'errore. Questa è una errata interpretazione della tradizione mosaica. Pertanto il grande intercessore d'Israele deve schierarsi contro «i Giudei» e condannarli. C'è una continuità tra gli scritti di Mosè (v. 47a: ekeinou grammasin) e le parole di Gesù (v. 47b: emois rhemasin) che perfezionano tutto ciò che ha detto Mosè (cf 1,16-17). Ma se «i Giudei» non vogliono credere agli scritti di .
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Mosè, non possono credere neppure alle parole di Gesù, che è la rivelazione di Dio (v. 47). Conclusione di 5,1-47. La celebrazione del sabato costituisce uno sfondo let terario e teologico essenziale per Giovanni 5. Un miracolo operato di sabato crea difficoltà (vv. 1-13). Dopo un incontro tra Gesù e l'uomo guarito che indi ca che Gesù non può essere costretto all'osservanza sabbatica così come è con cepita (v. 14), inizia un processo (vv. 15-16) e viene emesso il verdetto: Gesù deve morire (vv. 17-18). Gesù difende se stesso sostenendo che la sua attività di datore di vita e di giudice in giorno di sabato deriva dalla sua dipendenza dal Padre, che è sempre all'opera (vv. 19-30). Poi Gesù presenta i suoi testimoni (vv. 31-32): Giovanni Battista (vv. 33-35), le sue opere (v. 36) e il Padre (vv. 37-40). L'incapacità de «i Giudei» di accettare queste testimonianze porta ad un ironico capovolgimento del processo: gli accusatori diventano gli imputati (vv. 41-44). La loro ricerca della lode e della stima umana non può reggere il confronto con l'autorità di Gesù nella sua veste di rivelatore dell'unico vero Dio del sabato (v. 44: ho monos theos; cf 2 Re 19,15.19; Sal 85,10; Is 37,20; Dn 3,25). Si condannano da soli, incapaci come sono di leggere e di capire correttamen te gli scritti del loro grande intercessore Mosè (vv. 45-47). La comunità giovannea era stata buttata fuori dalla sinagoga (cf 9,22; 12,42; 16,2) e i suoi membri erano ansiosi di capire in quali termini stavano con il Dio d'Israele, il Padre di Gesù, adorato come l'unico vero creatore nella celebra zione ebraica del sabato. Anche i loro ex amici e correligionari giudei si trova vano ad affrontare una situazione nuova, senza sacerdozio, senza una città san ta e senza un Tempio. Alla comunità giovannea veniva chiesto di credere che Gesù era il Figlio di Dio (vv. 19.30), il perfezionamento della tradizione mosai ca (1,16-17) che rivelava Dio (1,18). Ciò che un tempo si faceva nel Tempio ebraico di sabato non era che un segno e un'ombra del perfezionamento del do no di Dio nella persona di Gesù Cristo (1,16-17), datore di vita e giudice (5,19-30), portatore di vita eterna per tutti quelli che erano disposti a credere nel suo nome (5,24). Era impossibile onorare il tradizionale Dio del sabato senza onorare il Figlio suo (5,23). Coloro che si appellano alla tradizione mosaica per formulare un giudizio che porta alla morte di Gesù (vv. 16-18) sono in errore. Anzi, è proprio Mosè che accusa «i Giudei» (v. 47). Come Gesù, i cristiani giovannei sono stati condannati ed espulsi dal luogo in cui venivano celebrate le tradizioni mosaiche del saba to (cf 9,22; 12,42; 16,2), ma l'autore del Quarto Vangelo li assicura che sono «i Giudei» che hanno smarrito la strada e che sono giudicati. «l Giudei» che non onorano il Figlio non onorano neppure il Padre (v. 23). Non accettano l'offerta di Gesù di passare dalla morte alla vita (v. 24). Ma dal momento che Gesù por ta alla perfezione i segni e le ombre della celebrazione giudaica del sabato, in gaggia con «i Giudei» un conflitto che si dimostrerà fatale. E c'è già un'indica zione che il conflitto tra i cristiani giovannei e «i Giudei» porterà anch'esso al la morte dei cristiani (cf 16,2).
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NOTE 31. Sefossi io a testimoniare di me stesso: D carattere legale del discorso è generalmente rico
nosciuto. Per quanto riguarda la forma letteraria vedi Becker, Evangelium 1,249-251, e per il possibile sfondo rabbinico vedi Thomas, «Fourth Gospel» 174-177. Sovente vie ne fatto notare che c'è una contraddizione tra 5,31 e 8,14, dove Gesù dichiara che la te stimonianza che dà di se stesso è vera (es.: Barrett, Gospel 264). L'interpretazione di questi due passi è determinata in larga misura dai rispettivi contesti, e la contraddi zione non è così marcata come potrebbe sembrare a prima vista. non potrebbe essere verificata: L'espressione ouk estin alethes può essere tradotta in diver si modi. Il carattere forense del discorso suggerisce la traduzione da noi adottata. Ve di Brown, Gospel 1,222. Sull'affidabilità delle testimonianze richieste dal sistema lega le ebraico vedi Harvey, Trial 19-20. 32. C'è un altro: C'è un consenso generale che questo «altro» (allos) è il Padre di Gesù, an che se questo non diventa chiaro che nel v. 37a. Giovanni Crisostomo ha interpretato allos riferito a Giovanni Battista, ma questa interpretazione «getta lo scompiglio nel l' argomentazione che segue» (Bemard, Commentary 1,248). e so: L'uso del verbo egnoka da parte di Gesù indica una conoscenza certa che la testi monianza dell'alias è veritiera (Beutler, Martyria 256-257). Alcuni manoscritti (versio ni occidentali del Sinaitico originale, Beza, Vetus Latina, Siriaco Curetoniano, Arme no e Georgiano) hanno «voi sapete» al posto di «io so». Questa tradizione rispecchia una tendenza scribale ad accentuare il conflitto tra Gesù e «i Giudei» e deve essere re spinta. 33. egli ha dato testimonianza: Il perfetto del verbo (memartyréken) indica che la testimo nianza ha avuto luogo in passato, ma la sua validità dura nel tempo. 35. la lampada che arde [lett.: è stata accesa] e risplende: ll participio passivo «che è stata acce sa» (ho kaiomenos) indica che la testimonianza che dà il Battista è il risultato dell'ini ziativa di Dio, che lo ha mandato nel mondo appunto a dare testimonianza (cf 1,6}. Le idee messianiche di una lampada che inaugura l'era del Messia vengono dall'inter pretazione ebraica di LXX Sal 131,16b-17: «Esulteranno di gioia i suoi fedeli (agalliasei agalliasontai). Là farò germogliare la potenza di Davide, preparerò una lampada al mio consacrato (lychnon tp christp mou)». Su questo punto vedi Neugebauer, «Miszelle» 130; Beutler, Martyria 258. Alcuni non accettano questa interpretazione (es. Becker, Evange lium 1,253). avete voluto rallegrarvi: Nel Quarto Vangelo non si trova alcun accenno a una condan na del Battista né un resoconto del suo arresto e della morte per mano di Erode Anti pa. Egli semplicemente scompare dalla scena perché ritiene che sia necessario che Ge sù si metta in evidenza mentre lui si ritira nell'ombra (3,30). Su Giovanni Battista in 5,33-36 vedi Stowasser, ]ohannes der Tiiufer 221-231. 36. le opere che il Padre mi ha dato da compiere: È necessario mantenere la distinzione tra il sin golare «l'opera» (to ergon) e il plurale «le opere» (ta erga), sebbene alcuni commentato ri non siano d'accordo (es.: Bultmann, Gospel 265; Becker, Evangelium 1,253-254). Il sin golare ha una connotazione più teologica che si riferisce all'intera missione di Gesù il cui termine è la croce (cf 4,34; 17,4; 19,30). Il plurale si riferisce alle molte opere di Ge sù che insieme costituiscono to ergon. Queste mostrano la doxa (cf 2,11; 11,4.40) e il fat to che Gesù è l'inviato del Padre. Vedi Beutler, Martyria 259-260, e in particolare Van hoye, «L'oeuvre du Christ» 415-419. quelle stesse opere ... testimoniano di me che il Padre mi ha mandato: Gesù non vuole rende re testimonianza a se stesso, ma il perfetto adempimento di ta erga testimonia la veri tà che egli è l'inviato del Padre. Questo concetto è reso molto bene nella sintassi greca,
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dove il soggetto è ripetuto dopo un relativo: ta gar erga · auta ta erga ha poiD. Nel Quar to Vangelo Gesù non parla mai delle «mie opere». Vedi Vanhoye, «L'oeuvre du Christ» 394-408; Bemard, «Témoignage» 21-26. 37. E anche il Padre ... ha dato testimonianza di me: La progressione dal Battista (vv. 33-35) al le opere di Gesù (v. 36) e alla testimonianza del Padre adottata nell'interpretazione, non è accettata da tutti. Alla luce della discussione delle Scritture nei vv. 46-47, alcuni so stengono che i vv. 37-40 si riferiscono all'AT, con particolare riferimento al Sinai. Vedi in special modo Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 216-231. voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto: La nostra interpreta zione vede nei termini phone («voce») e eidos («volto») un riferimento all'incapacità de «i Giudei» di riconoscere la rivelazione di Dio in Gesù (cf Stimpfle, Blinde Sehen 102-103). Pancaro (The Law in the Fourth Gospe/ 216-226) sostiene che le due espressio ni si riferiscono al Sinai, e così nei vv. 37-38 Gesù presenta la testimonianza data dal Pa dre a Mosè e a Israele sul Sinai, ossia la rivelazione dell' AT. In realtà c'è un accenno al l'inaccessibilità del Dio della tradizione dell' AT (vedi Dt 4,12.15), che è superata solo dal Figlio (cf Segalla, Giovanni 219). Per l'interpretazione cristologica adottata nella nostra interpretazione vedi von Wahlde, «The Witnesses to Jesus», 385-395; Painter, Quest 240-241; Thompson, «God's Voice» 177-204. 39. Voi esaminate le Scritture: Dietro l'uso del verbo greco eraunate («voi scrutate») c'è la sa lutare pratica ebraica dello studio e della meditazione delle Scritture (cf Sal 119; Dt 8,3; Sir 17,11; 45,5; Pirqe 'Abot 2,8; 6,7 ed altro materiale rabbinico in Str-B 2,467). Vedi Ber nard, «Témoignage» 35-42. ll verbo corrisponde all'ebraico daras, il termine tecnico per lo studio e l'esposizione dei testi biblici. Dodd, Interpretation 329-330 n. l dimostra che il verbo è indicativo, non imperativo. Gesù non sta dicendo a «i Giudei» cosa de vono fare; li sta rimproverando dell'uso incorretto che fanno delle Scritture. 40. Ma voi non volete venire a me per avere la vita: L'autore del Quarto Vangelo non vuole ne gare l'importanza dello studio delle Scritture, ma esprime il pensiero dei primi cri stiani che le Scritture mirano a Gesù. «Essendo la testimonianza di Dio nei confronti del Figlio, le Scritture sono profetiche, non apportatrici di vita» (Hoskyns, Gospel 273). 42. non avete in voi l'amore di Dio: Gli esegeti non sono d'accordo se l'espressione «l'amore di Dio» (ten agapen tou theou) significhi «non amate Dio» (genitivo oggettivo) oppure «non siete amati da Dio» (genitivo soggettivo). Per una sintesi della discussione vedi Lindars, Gospe/ 213. Dato che al centro della discussione c'è lo studio attivo delle Scrit ture da parte de «i Giudei» e il loro rifiuto di Gesù sulla base di tale studio, noi lo pren diamo per un genitivo oggettivo: Gesù rimprovera «i Giudei» perché, a dispetto del lo ro vanto di trovare la vita nelle Scritture, il loro rifiuto del Figlio dimostra che essi non amano Dio (cf v. 23). n Quarto Vangelo afferma che Dio ha tanto amato il mondo da da re per esso il proprio Figlio (3,16). In questo amore sono compresi anche «i Giudei». Ve di Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 239-240. Schnackenburg, Gospel 2,127 e Brodie, Gospel 254, cercano di far coesistere il significato oggettivo con quello soggettivo. 44. colui che è il solo Dio: L'insistenza sull'unicità di Dio (tou monou theou) pone l'accento sul fatto che il Signore del sabato è l'unico vero Dio d'Israele. Alcuni importanti mano scritti (P", P'S, Vaticano, Freer Gospels, Origene, Eusebio) omettono theou, che però de ve essere mantenuto (cf Barrett, Gospel 269). 45. Mosè, nel quale avete posto la vostra speranza: Per il materiale rabbinico riguardo a Mosè come intercessore d 'Israele presso Dio vedi Str-B 2,562. Vedi anche Jeremias, «Moyses» 848-873; Meeks, The Prophet-King 159-161. vi è già chi vi accusa: L'uso del verbo greco kategoreD («accusare») in questo contesto mantiene la discussione nell'ambito del processo giudiziario. Per la connotazione fo rense di questo termine vedi BAGD 422, s. v.; LSJ 926-927. Per l'uso rabbinico e legale ...
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dell'espressione, con i termini derivati di katlgoros e kat�gnr vedi Barrett, Gospel 270. 46. Se credeste a Mosè, credereste anche a me: La nostra interpretazione insiste sul fatto che non c'è conflitto tra il precedente dono di Dio dato per mezzo di Mosè e il perfeziona mento del dono di Dio in e per mezzo di Gesù Cristo. Vedi l'interpretazione relativa a 1,16-17. La preposizione anti in 1,16b non deve essere intesa nel senso di un rifiuto del la Legge. Non è corretto sostenere che Gesù Cristo ha sostituito «ciò che il giudaismo intendeva offrire, ma non è riuscito a procurare» (Dodd, lnterpretation 86). 47. se non credete ai suoi scritti: L'accusa finale rivolta a «i Giudei» nel v. 47 presuppone tut ta l'argomentazione di 5,1-47. Essi sono accusati dallo stesso Mosè sulle cui tradizioni si basano per muovere le loro accuse a Gesù (v. 18). Ma sono già stati avvertiti in pre cedenza nel corso del processo che chiunque vuole onorare il Padre deve onorare an che il Figlio (v. 23), e solo quelli che ascoltano la parola di Gesù e credono in colui che Dio ha mandato avranno la vita eterna (v. 24). In difesa della propria attività sabbati ca (vv. 1-18) le parole di Gesù riguardo alla vita e al giudizio (vv. 19-30) offrono la chia ve per capire le sue precedenti parole sulla testimonianza e sull'accusa (vv. 31-47). Ve di Lee, Symbolic Narrative 108-125.
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II. Gesù e la Pasqua (6,1-71)
Introduzione a 6,1-71 . Analogamente a quanto si è visto in 5,1, abbiamo di nuovo l'espressione meta tauta (6,1) che presenta un nuovo luogo (v. 1: il mare di Galilea, ossia il lago di Tiberiade), una nuova serie di personaggi (v. 2: una folla; v. 3: i discepoli) e un cambio di tempo (v. 4: la Pasqua). È spiegato anche il motivo di questo raduno: perché vedevano «i segni che [Gesù] compiva su gli infermi» (v. 2). Secondo molti esegeti moderni e contemporanei, la presen te collocazione del capitolo 6 crea alcune difficoltà geografiche che possono es sere risolte solo con una diversa disposizione dei capitoli 4-7. Se l'intero cap. 6 viene posto immediatamente dopo 4,43-54, si può spiegare la presenza di Ge sù in Galilea. Gli avvenimenti che seguono nei capitoli 5, 7, 9 e 10 si svolgono tutti a Gerusalemme. Questa proposta, che non trova alcun fondamento nelle tradizioni testuali, attribuisce un'importanza esagerata alla geografia. Il crite rio che determina l'ordine degli eventi in Giovanni 5-10 è la celebrazione del le feste de «i Giudei» (cf 5,1). Dopo la presentazione generica del tema delle fe-
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ste in 5,1, segue logicamente l'osservanza fondamentale del sabato (cf 5,9b). Seguono poi altre feste ebraiche nella giusta sequenza dell'anno ebraico: 6,1-71: Pasqua (celebrata per sette giorni nel primo mese dell'anno); 7,1-10,21: Taber nacoli [Capanne] (celebrata per sette giorni nel settimo mese dell'anno); e 10,22-42: Dedicazione (celebrata per otto giorni nel nono mese dell'anno). La narrazione giovannea della presenza di Gesù alle feste de «i Giudei)) coglie lo spirito degli scritti ebraici che rispecchiano tradizioni grossomodo contempo ranee con la composizione del Quarto Vangelo: «Se sarai capace di osservare il sabato, Colui che è il Santo, sia egli benedetto, ti darà tre festività: Pasqua, Pen tecoste e i Tabernacoli» (Mekilta su Esodo 16,25. Per la discussione esegetica dell'ordine di Giovanni 4-7 vedi Moloney, Son of Man 87-89). La celebrazione della Pasqua contiene elementi che commemorano il pas saggio dall'inverno alla primavera e la liberazione del popolo ebraico dall'E gitto. La festa proclama la liberazione da qualsiasi forma di schiavitù. Poco do po l'insediamento di Israele in Canaan, sono state fuse insieme due feste indi pendenti: Pasqua (originariamente associata all'immolazione di un agnello o di un capretto nella comunità pastorale) e del Pane Azzimo (originariamente as sociata all'uso di mangiare pane non lievitato nella comunità agricola). Queste feste assunsero in seguito una valenza storica, venendo ad essere associate al la liberazione di Israele dall'Egitto, con elementi della celebrazione della festa che ricordano il resoconto biblico di quell'evento. L'immolazione dell'agnello pasquale ricordava l'azione di Dio nel proteggere i primogeniti degli Israeliti in Egitto (cf Es 11,1-10; 12,29-51), e il mangiare il pane non lievitato ricordava il nu trimento fornito da Dio a Israele nel deserto sotto forma di manna (cf Es 16,1-36), considerata il «pane piovuto dal cielo» (cf Es 16,4; Ne 9,15). Dopo la di struzione del Tempio e l'abolizione dei relativi sacrifici rituali, il giudaismo postbellico cercava gradualmente di adattare e trasformare questi riti. La comunità giovannea, ora esclusa dalle celebrazioni rituali giudaiche ma pur sempre il prodotto del mondo giudaico postbellico, ha sviluppato un rac conto che parlava della presenza di Gesù sul mare di Galilea in occasione del la Pasqua in questa maniera: a) vv. 1 -4: Introduzione: dove? quando? chi? perché? b) vv. 5-15: Il miracolo dei pani e dei pesci c) vv. 1 6-2 1 : Gesù cammina sulle acque tempestose. .
d) vv. 22-24: Seconda introduzione: dove? quando? chi? perché? e) vv. 25-59: Discorso sul pane disceso dal cielo. /) vv. 60-71 : Crisi creata dalla parola di Gesù: r. vv. 60-66: Molti discepoli abbandonano Gesù. n. vv. 67-71 : La confessione di Pietro induce Gesù a predire il tradimento di Giuda.
Nel commentario riprenderemo ciascuno di questi sottotitoli. D discorso sul pane disceso dal cielo (vv. 25-59) richiederà qualche altra osservazione intro duttiva. Questa lettura passo per passo di Giovanni 6 non deve dare l'impres sione che si tratti di una raccolta di argomenti slegati tra loro. Il capitolo è un coerente brano di riflessione cristiana accuratamente articolata su Gesù e sulla Pasqua ebraica.
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a) Introduzione (6,1-4) Dopo· questi fatti, Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di 1iberiade, 2. e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che compiva sugli infermi. 3. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. l.
INTERPRETAZIONE Chi? Dove? Quando? Perché? (vv. 1-4). La prima osservazione introduttiva descrive la presenza di Gesù (v. 1), dei discepoli (v. 3) e di una gran folla (v. 2) sulla collina (v. 3) sull'altra riva del mare di Galilea (v. l ) mentre si sta avvici nando la ricorrenza della Pasqua, la festa de «i Giudei». La folla segue Gesù perché molti hanno visto i miracoli che egli ha operato sui malati (v. 2). Gesù sa le su una collina, non nominata, e lì si mette a sedere con i suoi discepoli. L'u so dell'articolo determinativo, «il monte» (eis to oros), può essere un primo ac cenno al fatto che Gesù adotta una posizione parallela a quella di Mosè che ha ricevuto la Legge su un monte (cf Es 19,20; 24,1-2; Is 34,2-4). L'atteggiamento critico che Gesù ha adottato nei confronti di altri personaggi del racconto che sono andati da lui attratti dai segni che compiva (cf 1,49-51: Natanaele; 3,1-11: Nicodemo; 4,16-26: la Samaritana) e l'osservazione del narratore in 2,23-25 in dicano che la folla ha ancora molto da imparare. NOTE all'altra riva: L'espressione «all'altra riva» (peran) non è chiara: l'altra riva rispetto a quale? «All'altra riva» può semplicemente indicare un certo luogo all'estremità nord del lago, vicino a Tiberiade. Vedi Delebecque, Jean 157-158. . 2. vedendo i segni che compiva: Ci sono strette somiglianze verbali tra 2,23; 3,2 e 6,2. Tutti e tre i passi giudicano la risposta della gente «ai segni che compiva» inadeguata. Non è che ai fini della visione giovannea di Gesù i segni non abbiano alcun valore (vedi 20,30-31), ma i segni devono portare la persona interessata a vedere oltre. 3. sul monte: Gli esegeti non sono concordi nel valore da attribuire all'uso dell'articolo determinativo; ma un crescente numero di essi tende a vedervi un legame con il dono della Legge sul Sinai (es.: Schnackenburg, Gospel 2,18; Brown, Gospel 1,232; Segalla, Giovanni 224; Perry, «The Evolution» 23-25). Alcuni respingono tale legame (es.: Becker, Evangelium 1,191). Secondo noi deve essere letto come un primo accenno al fatto che il dono dato al popolo con la Legge di Mosè sta per essere perfezionato in e per mezzo di Gesù Cristo (cf 1,16-17). 4. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei: Venendo immediatamente dopo la rilettura fat ta da Gesù della teologia e dell'osservanza sabbatica, questo accenno alla Pasqua nel l'introduzione a 6,1 -71 serve ad impostare teologicamente il passo che segue. Vedi Crossan, «lt is Written» 5. l.
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Il m i ra c o l o d e i p a n i e dei p e s c i ( 6 , 5 - 1 5 )
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b) Il miracolo dei pani e dei pesci (6,5-15) 5. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filip
po: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6. Dice va così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. 7. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognu no possa riceveme un pezzo». 8. Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9. «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma cos'è questo per tanta gente?». 10. Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver re so grazie, li distribuì a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne vo levano. 12. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, per ché nulla vada perduto». 13. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. 14. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo». 15. Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo con la forza per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui solo.
I N T E R P R E TA Z I O N E
Introduzione a 6,1-15. Se incorporiamo l'introduzione del passo (vv. 1-4) i.tÌ.
questa parte del racconto, abbiamo il seguente schema:
a) vv. 1 -4: Impostazione della scena e presentazione dei personaggi. b) vv. S-9: Gesù pone ai discepoli un problema che essi non sanno risolvere. c) vv. 1 0-13: Le parole e le azioni di Gesù sfociano in un miracolo. d) vv. 14-15: Le conseguenze del miracolo.
A differenza dei due miracoli di Cana (2,1-12; 4,43-54), qui abbiamo lo sche ma tradizionale di un racconto miracoloso. Tuttavia, nel modo di narrare una storia tradizionale è stato insinuato un punto di vista tipicamente giovanneo (cf -Witkamp, «Some Specific Johannine Features» 46-51). Il problema (vv. 5-9). La distinzione tra i vari partecipanti alla scena (vv. 1-4) è accuratamente mantenuta. Alzando gli occhi, Gesù vede una gran folla che viene a lui, ed egli si rivolge ad uno dei suoi discepoli, Filippo (cf 1,43). Con trariamente ai resoconti sinottici di questo miracolo (cf Mc 6,37; 8,4; Mt 15,33), qui è Gesù che prende l'iniziativa indicando che la gente ha bisogno di essere sfamata (v. 5). Si ripresenta la domanda posta da Mosè a YHWH nel deserto: «Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo?» (Nm 11,13), ma la domanda di Gesù è retorica. In un cruciale inciso il narratore informa il lettore che Gesù sapeva bene quello che aveva in mente di fare (v. 6b ) . La domanda ha lo scopo di mettere alla prova i discepoli (v. 6a). Mosè, il pane e un momento di «prova» fanno da sfondo a un episodio che si svolge all'avvicinarsi della Pa squa, «la festa dei Giudei» (v. 4). La risposta di Filippo è limitata al pane ma te-
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Il Va ngelo d i G i o v a n n i
riale che sarebbe necessario per sfamare una tale moltitudine (v. 7) . Dato che i discepoli erano presenti quando Gesù aveva parlato del nutrimento che trae dall'adempimento incondizionato della volontà di colui che lo ha mandato (4,32-34), sembra che Filippo abbia imparato ben poco da quella lezione. An drea fa il pari con Filippo nel rilevare la scarsità delle risorse disponibili: un ragazzo ha con sé cinque pagnotte di orzo e due pesci (vv. 8-9). Andrea e Filip po sono stati con Gesù fin dai primi giorni del Vangelo (cf 1,43), ma non hanno ancora imparato ad interpretare gli sforzi del loro maestro di spingerli oltre le limitazioni delle loro aspettative (cf 1,35-51), in questo caso la necessità di una grossa somma di denaro per comprare una grande quantità di pane. Nono stante ciò, il materiale grezzo per gli eventi che seguono è stato procurato: un po' di pane e di pesce. Il lettore è in attesa dell'intervento di Gesù, dato che egli «sapeva bene quello che stava per fare» (v. 6b). Il miracolo (vv. 10-13). Gesù ordina ai discepoli di far sedere la gente, come per consumare un pasto. Nel v. 3 Gesù «si pose a sedere» (ekatheto), ma alla gente chiede di assumere una posizione adatta a consumare un pasto (v. 10: anapesein). Il narratore aggiunge due particolari: sul posto c'era molta erba, e la folla che si disponeva a consumare il pasto era di cinquemila uomini. Que st'ultimo dettaglio indica una moltitudine immensa e mette in risalto il compito di sfamarla. L'erba verde richiama anche il Sal 23,2: «Su pascoli erbosi mi fa ri posare». Gesù prende (elaben) i pani, pronuncia la formula di ringraziamento (eucharistesas) e li distribuisce (diedoken) alla gente accomodatasi per il pasto (tois anakeimenois) (v. l la). La distribuzione dei pani richiama alla mente l' am biente formale di una celebrazione eucaristica. Gesù distribuisce anche i pesci (v. 11b) e tutti mangiano a sazietà (v. 11c). Viene adempiuta la promessa del Sal 23,1: «TI SIGNORE è il mio pastore; non manco di nulla». Gesù poi ordinà ai discepoli: «Raccogliete (synegagon) i pezzi avanzati (ta klasmata), perché nulla vada perduto (hina me ti apoletai)» (v. 12). Il comando è colorato dal linguaggio eucaristico. La Didaché (9,4), 1 Clemente (34,7) e Ignazio (Lettera a Policarpo 4,2) usano il verbo synagein parlando del raduno dei fedeli per l'Eucaristia, e ta klasmata è il termine usato per indicare i frammenti euca ristici (Didaché 9,3.4). Gesù ha sfamato una grande folla in una maniera che ri corda la celebrazione cristiana dell'Eucaristia, e il fatto si verifica in occasione della Pasqua, che celebra il dono della manna. Viene ordinato ai discepoli di raccogliere gli avanzi di questo pasto originale hina me ti apoletai. La Pasqua e l'Eucaristia si fondono nel ricordo dell'esperienza del popolo dell'Esodo. Il po polo raccoglieva la manna ogni giorno, quel tanto che serviva per sfamarsi (cf Es 16,8.12.16.1 8.21). Mosè aveva vietato di farsi scorte di manna, e comunque la manna conservata fino al giorno dopo imputridiva (Es 16,19-20). Il dono fatto da Gesù alla gente che va a lui in cerca di pane (cf v. 5) non deve andare spre cato, e i discepoli devono farsi carico della sua conservazione. È ancora dispo nibile una notevole quantità di klasmata. A differenza della manna data da Dio nel deserto agli antenati d'Israele (Esodo 16), i klasmata dati da Gesù in occa sione della festa di Pasqua non sono andati perduti; sono ancora disponibili. Molto di ciò che è accaduto nel deserto (Esodo 16) viene ripetuto sulle rive del lago (Giovanni 6,1-13), ma vi sono alcuni importanti sviluppi cristiani di quel-
Il m i r a c o l o dei p a n i e dei p e s c i ( 6 , 5- 1 5 )
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la tradizione. TI tradizionale numero dodici indica una raccolta completa in se stessa (cf Mc 6,43; M t 14,20; Le 8,17), e questa raccolta di klasmata è fatta dai di scepoli in obbedienza alla parola di Gesù (v. 13). Essi sono incaricati di pren dersi cura dei klasmata affinché possano essere messi a disposizione dei futuri credenti che vogliono essere partecipi del pane che Gesù ha distribuito in oc casione della festa di Pasqua. In tutto l'episodio miracoloso si avverte un amal gama di tradizioni pasquali e di tradizioni cristiane che accompagnano la pra tica della celebrazione dell'Eucaristia. Le conseguenze (vv. 14-15). L'esperienza del miracolo strappa alla folla una confessione di fede: «Questi è veramente il profeta che deve venire nel mondo» (v. 14). Come nel caso dei discepoli {1,35-49), di Nicodemo (3,2) e della Sama ritana (4,19.25.30), un segno ha portato ad una fede limitata. Non hanno fatto nessun progresso rispetto al v. 2: «Una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che compiva>>. La gente si aspetta di vedere una figura che risponda alle sue aspettative e vede in Gesù un profeta tipo Mosè, sulla base della parola rivol ta da YHWH a Mosè in Dt 18,15-18: «Il SIGNORE tuo Dio susciterà per te, in mez zo a te, un profeta come me ... io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fra telli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comande rò». La folla fa sua ancora un'altra speranza ebraica, quella che attende un se condo dono della manna che segni l'inaugurazione dell'era messianica: «E ac cadrà in quello stesso tempo che il tesoro della manna discenderà di nuovo dal cielo, ed essi la mangeranno in quegli anni, perché questi sono coloro che sono giunti alla consumazione dei tempi» (2 Bar. 29,8). Gesù non è disposto ad ac cettare la loro acclamazione né il loro desiderio di imporgli i loro criteri mes sianici. Si rende conto che la folla vuole per forza imporgli un ruolo messiani co (harpazein auton hina poiesosin basileia) (v. l Sa). Gesù lascia la folla e si ritira sul monte dal quale era disceso per sfamare la moltitudine (v. 15b ). La sua parten za segna la fine dell'episodio. N OT E 5. vide che una grandefolla veniva da lui: Fin dall'inizio dell'azione i gruppi principali inte
ressati nel racconto sono tenuti separati. Prima il narratore aveva detto che «una gran de folla lo seguiva» (v. 2) ma che Gesù era sul monte «con i suoi discepoli» (v. 3). Da quella posizione solleva gli occhi sulla moltitudine che lo segue. I discepoli in questo episodio quasi scompaiono dietro le quinte, ma quando rientrano in scena nel v. 60 si suppone che fossero sempre presenti. 6. egli infatti sapeva bene quello che stava perfare: Questo inciso del narratore è la chiave per l'interpretazione del racconto miracoloso e del successivo discorso. In maniera tipica mente giovannea Gesù «sapeva» (fdei) e pertanto ha sotto controllo tutto ciò che sta ac cadendo. n verbo è il piuccheperfetto di oida («conoscere») con significato di imper fetto: la conoscenza di Gesù è continuativa. Da questa posizione dominante Gesù cer ca di condurre i vari personaggi del racconto ad una più piena comprensione degli eventi riferiti e quindi ad un più profondo livello di fede. 7. Duecento denari di pane non sono sufficienti: Esistono paralleli tra la risposta dei discepoli a Gesù e successivo miracolo e il racconto di Eliseo che sfama cento uomini in 2 Re 4,42-44. Per alcuni (es.: Bauer, ]ohannesevangelium 92) il testo giovanneo è derivato dal
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I l Va ngelo d i Giov a n n i
passo di Eli8eo. Vedi anche Léonard, «Multiplication des pains» 265-270. Sull 'ottusità dei discepoli vedi Lee, Symbolic Narratives 138-139. 8. Andrea, fratello di Simon Pietro: Il riferimento non casuale del rapporto di parentela tra Andrea e Simon Pietro, immediatamente dopo la risposta di Filippo a Gesù nel v. 7, ri corda la presenza di questi due discepoli nella parte intitolata «l primi giorni di Gesù» (1,40-43). Appare chiaro che non hanno fatto alcun progresso nella loro conoscenza di Gesù da quei primi giorni (vedi l'interpretazione di 1,19-51). 10. C'era molta erba in quel luogo: Molti commentatori hanno legato l'erba con la Pasqua, ce lebrata in primavera (es.: Westcott, Gospel 97). Sebbene non vi siano legami lessicali espliciti tra LXX Sal 22 [TM 23] e il passo giovanneo, il contesto suggerisce che il salmo ne costituisce lo sfondo. Vedi Schnackenburg, Gospel 2,16. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini: Nell'isolare gli uomini di ses so maschile (andres), nel considerevole numero di cinquemila, in contrapposizione al le «persone» (anthropous) che si accomodano per il pasto («Fate sedere la gente»), il passo rispecchia la mentalità patriarcale del tempo. 11. dopo aver reso grazie, li distribuì: Alcuni manoscritti (Sinaitico, Beza e Vetus Latina) han no «rese grazie e diede» (eucharistesen kai edoken). Questa espressione assomiglia mol to alle note formule liturgiche antiche e deve essere respinta, poiché è un tentativo di rendere il testo troppo palesemente eucaristico. «perché nulla vada perduto»: Oltre ai punti di contatto con Esodo 16 e la proibizione di conservare la manna già esposti nell'interpretazione, esiste una tradizione ebraica am piamente riconosciuta contro lo spreco. Vedi in particolare b. Hul. 105b; b. Ber. 50b; b. S abb. 147b. Su questo punto vedi Johnson, «The Johannine Version» 153-154. Una par te può averla avuta anche 2 Re 4,42-44: dopo che cento uomini avevano mangiato dei pochi pani d'orzo, «ne avanzò» ancora (v. 44). Alcuni esegeti danno molta importan za all'idea ebraica della benedizione di Dio nel dono della sovrabbondanza. Vedi Dau be, The New Testament 36-51; Dodd, Tradition 424 n. 4. Questo non sembra richiesto dal contesto giovanneo. Sugli stretti legami tra i particolari giovannei e la preghiera euca ristica che si trova nella Didaché vedi Moule, «A Note» 240-243. 12. perché nulla vada perduto: Pochi commentatori vedono nel comando un'indicazione del la futura responsabilità dei discepoli, ma cf Crossan, «lt is Written» 20; Witkamp, «Some Specific Johannine Features» 49. Witkamp, tuttavia, vede nei klasmata i futuri membri della comunità raccolta che non devono andare perduti. Il verbo synagein è usato da Mosè per ordinare agli Israeliti di raccogliere la manna (cf Es 16,16; cf anche 16,5.21). Non esiste alcun contatto tra il comando di Gesù di raccogliere gli avanzi perché nul la vada perduto e la descrizione della manna che diventa putrida in Es 16,21, ma il contrasto tra i risultati dei due tipi di raccolta è notevole: nell'Esodo la raccolta in ec cesso porta alla corruzione della manna, mentre la raccolta ordinata da Gesù tiene gli avanzi, klasmata, a disposizione per un uso successivo. 14. visto il segno che egli aveva compiuto: Il legame stabilito in 2 Baruc tra il dono della man na e l'era messianica è grossomodo contemporaneo con il Quarto Vangelo. Per testi monianze successive vedi Mekilta su Esodo 16,25; Ecci. Rab. 1,9; Tanh. Shemot 4,24. il profeta che deve venire nel mondo: Per una discussione sull'interpretazione messianica del primo secolo di Dt 18,15-18 vedi Bittner, ]esu Zeichen 155-158. Per la tesi contraria a tale identificazione vedi Schnelle, Antidocetic Christology 103-104. Gli studiosi più re centi, sull'esempio di Horsley, «Popular Messianic Movements», sono interessati a un concetto più generale di un Messia di tipo profetico. Vedi, ad esempio, Painter, Quest 260-264; Beasley-Murray, fohn 88-89. 15. sapendo che venivano a prenderlo [con la forza] per farlo re: ll testo greco usa un termine quasi violento (harpazein) per indicare che la gente era decisa ad imporgli forzatamen te la propria volontà. Vedi Brown, Gospel 1,235.
Il m i r a c o l o s u l lago (6 , 1 6 - 2 1 )
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si ritirò di nuovo· sul monte: Non è mai detto che Gesù e i discepoli siano scesi dal mon te (cf v. 3). Si deve supporre che il miracolo abbia avuto luogo in riva al lago, dato che il narratore dice che Gesù «si ritirò di nuovo sul monte», ma questa volta da solo (eis to oros autos monos). Nella parte successiva (vv. 16-21; vv. 22-24) i discepoli e la folla si trovano sulla riva del lago. I due gruppi si imbarcano ciascuno per proprio conto e at traversano il lago (vv. 16-17; vv. 23-24). Solo Gesù è lontano dal lago, sul monte. Vedi Bauer, Johannesevangelium 93. BIBLIOGRAFIA
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c) Il miracolo sul lago (6,16-21) 16. Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare, 17. salirono in barca e si av viarono verso l'altra riva in direzione di Cafamao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti. 18. Il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. 19. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvi cinava alla barca, ed ebbero paura. 20. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». 21. Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti. I N T H R'P R'E T A Z I O N E
Introduzione a 6,1 6-21. Segue un secondo racconto miracoloso (vv. 16-21),
impostato sull'esempio del racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci (vv. 5-15). Sebbene questo sia più breve, ricorrono ugualmente gli stessi ele menti comuni a tutti i racconti miracolosi. a) b) c) d)
vv. 1 6- 1 7: Impostazione della scena e dei personaggi. v. 18: Descrizione del mare in tempesta. vv. 19-20: Gesù si avvicina camminando sulle onde tempestose. v. 2 1 : Risultati del miracolo.
Questo racconto miracoloso è incentrato su Gesù che raggiunge i suoi di scepoli in modo miracoloso, si fa riconoscere da loro (vv. 19-20) ed è da loro ac colto (v. 21). Così, anche se il racconto assomiglia nella forma al miracolo dei pa-
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ni e dei pesci, l'azione e la sua conclusione non mostrano la stessa ottusità dei discepoli (vv. 5-9) e l'ambiguità della folla (vv. 14-15). Impostazione della scena (vv. 1 6-1 7). Verso l'imbrunire i discepoli scendono in riva al lago (v. 16). I personaggi dei vv. 1-4, che nell'episodio dei vv. 5-15 erano tutti insieme, ora sono separati. Gesù è tornato sul monte da solo (v. 15), i di scepoli sono in riva al lago (v. 16) e la moltitudine non si è mossa. I discepoli cer cano a fatica di attraversare il lago (vedi la nota relativa al v. 17). Il narratore specifica che era ormai notte e poi osserva che «Gesù non li aveva ancora (oupo) raggiunti» (v. 17b). L'introduzione all'episodio indica che Gesù alla fine rag giungerà i suoi discepoli. La tempesta (v. 18). Il narratore osserva brevemente che s'è alzata una tem pesta: vento gagliardo e grandi onde. La costa orientale del mare di Galilea, normalmente calmo, è costituita da un altipiano interrotto da gole profonde. Improvvise variazioni meteorologiche possono convogliare nelle gole forti ven ti che creano difficoltà per la navigazione sul lago. Gesù viene camminando sulle onde (vv. 1 9-20). Quando sono a circa metà del la traversata, i discepoli vedono Gesù che cammina sulla superficie dell'acqua (epi tes thalasses) e si avvicina alla barca. E sono presi dallo spavento. Il dramma della difficile traversata di notte (vv. 16-17), la tempesta (v. 18) e la paura dei di scepoli (v. 19) preparano il terreno per le parole che rivolge loro Gesù, parole che creano l'ambientazione per una forma letteraria anticotestamentaria di una teofania (es.: Gn 15,1; 26,24; 46,3; Is 41,13-14; 43,1 .3) e del tema della suprema autorità di YHWH sul terrore del mare (es.: Es 14-15; Dt 7,2-7; Gb 9,8; 38,16; Sal 29,3; 65,8; 77,20; 89,10; 93,3-4; Is 43,1-5; 51,9-10). È nella sua veste di Signo re che Gesù cammina sulle acque, rivela se stesso ai discepoli con la formula Io SONO (ego eimi) e dice loro di non aver paura (v. 20). l risultati (v. 21). La moltiplicazione dei pani e dei pesci non è servita alla folla a farsi un concetto più chiaro di Gesù (cf vv. 2.14-15). L'autorivelazione di Gesù ai discepoli li porta a riceverlo di buon grado (ethelon oun labein auton) e improvvisamente si ritrovano «alla riva alla quale erano diretti» (v. 21). Come già in precedenza nel racconto l'accettazione della parola di Gesù aveva pro piziato un miracolo (cf 2,1-12; 4,46-54; 5,2-9a), così ora l'apparentemente in sormontabile problema di un viaggio a Cafarnao sul lago in tempesta (cf vv. 17-19a) è risolto nello stesso momento in cui i discepoli «accolgono» Gesù. Do ve andranno da qui in avanti, tuttavia, rimane ancora da vedere (cf Giblin, «The Miraculous Crossing» 98-101). Il racconto aveva raggiunto un punto in cui i personaggi che ne fanno par te si erano separati (vv. 15-16) . Adesso Gesù e i discepoli si sono riuniti (v. 20). La riunione è contrassegnata dal fatto che Gesù va dai discepoli come Signore, rivela se stesso con la formula Io SONO ed è accolto da loro (v. 21). Nessuna di queste cose è toccata alla folla, che se ne rimane sul luogo del miracolo dei pa ni e dei pesci. Le false speranze messianiche della folla (vv. 14-15) sono state corrette dall' autorivelazione di Gesù ai discepoli (v. 20), e i discepoli accettano di buon grado questa rivelazione (v. 21). La folla, i discepoli e Gesù fra poco si riuniranno di nuovo (vv. 22-24), e Gesù pronuncerà il suo discorso sul pane di sceso dal cielo (vv. 25-59). I discepoli, che hanno accettato la verità riguardo a
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Gesù, stranamente scompariranno dalla scena mentre Gesù parla alla folla e a «i Giudei» (vv. 25-29), ma saranno di nuovo in azione nei vv. 60-71 per essere sottoposti all'esame della qualità della loro fede. NOTE 16. i suoi discepoli scesero al mare: A questo punto non è esplicitamente detto che la folla è ri masta sul luogo del miracolo, ma deve essere presupposto. Verrà poi confermato nel v. 23. Sull'importanza di questa separazione dei personaggi del racconto vedi Witkamp, «Some Specific Johannine Features» 51-52; Borgen, «John 6» 269-271 . 17. si avviarono verso l'altra riva: Nella traduzione si dovrebbe dare il giusto peso alla forza durativa e conativa dell'imperfetto erchonto: «SÌ sforzavano di andare verso». Vedi Bar rett, Gospel 280 Era ormai buio: L'uso del termine skotia («tenebre») in sé è drammatico, ma non bisogna vedere in esso ciò che non dice né interpretarlo come simbolo di incredulità o del po tere del male come sostengono alcuni (es.: Léon-Dufour, Lecture 2 120) 18. Il mare era agitato: D mare di Galilea è soggetto a improvvisi cambiamenti atmosferici. 19. videro Gesù che camminava sul mare: Alcuni hanno cercato di interpretare epi tès thalassès nel senso di «sulla riva del mare» (cf Bemard, Commentary 1,185-186; Talbert, Reading John 133; Nisin, Histoire 275-276). Questa interpretazione suppone che i discepoli na vigassero lungo la sponda del lago e che avessero visto Gesù camminare sulla riva. In ciò non c'è nessun miracolo. Grammaticalmente è una traduzione possibile (cf BAGD 286, s. v.), ma il contesto richiede l'interpretazione data sopra. 20. Sono io, non abbiate paura: Per la posizione adottata nell'interpretazione vedi Feuillet, «Les Ego eimi christologiques» 19-21; Schnackenburg, Gospel 2,27; Becker, Evangelium 1,194. Può esservi anche un richiamo alla tradizione dell'Esodo riguardante la traver sata del Mar Rosso ripresa nel Sal 77,19-20 (cf Brown, Gospel 1,255-256; Kysar, John's Story 40-41; ma vedi le riserve di Schnackenburg, Gospel 2,29-30) . Per una lettura mar catamente mosaica di 6,1-21 vedi Perry, «Evolution» 22-26. Non tutti sono d'accordo che in questo caso ego eimi abbia valenza di formula rivelatoria. Alcuni vi leggono una semplice presentazione: «Non temete, sono solo io» (es.: Bernard, Commentary 1,187; Barrett, Gospel 281). Heil, Jesus Walking 79-80 sceglie la via di mezzo: «Gesù è colui che agisce per conto di Yahweh» (p. 79), ma «non per rivelare» (p. 80). 21. vollero prenderlo sulla barca: I discepoli mostrano piena disponibilità («vollero», èthelon) nella loro accettazione («prenderlo lamba n ein ) di Gesù. ll verbo lambanein è già stato usato in precedenza nel Vangelo (es.: 1,12-13) per indicare un'autentica accettazione di Gesù. e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti: Questo potrebbe essere un accenno al· l'adempimento del Sal 107,23-32, in particolare del v. 30: «Ed egli li condusse al porto sospirato». .
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d) Seconda introduzione (6,22-24) 22. D giorno dopo, la folla rimasta dall'altra parte del mare vide che c'era soltanto una
barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi di scepoli erano partiti. 23. Altre barche erano giunte da Tiberiade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. 24. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafamao alla ricerca di Gesù.
INTERPRETAZIONE Introduzione a 6,22-24. In un passo corrispondente ai vv 1-4 i l narratore sta bilisce chi sia presente, dove, quando e perché abbia luogo un altro incontro. .
a) Gesù (vv. 22.24), i discepoli (vv. 22.24) e «la folla che era rimasta dall'altra parte» e che aveva mangiato il pane (vv. 22.23) si radunano di nuovo insieme. b) Si ritrovano a Cafamao (v. 24). c) È «il giorno dopo» (v. 22). d) La folla è «alla ricerca di Gesù» (v. 24).
In una situazione diversa, riaffiorano le domande dei vv. 1-4: chi? dove? quando? perché?, che ricevono risposte adeguate alle nuove circostanze. Chi? dove? quando? perché? (vv. 22-24). «La folla rimasta dall'altra parte» (v. 22), quelli che «avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso gra zie» (v. 23) si rendono conto che Gesù e i discepoli si sono separati. ll giorno pri ma avevano notato che c'era soltanto una barca e che Gesù non era partito in sieme ai suoi discepoli (v. 22) . Eppure sul posto non sono rimasti né i discepo li né Gesù (ouk estin ekei). La folla rimane perplessa e confusa. Si è forse verifi cato un altro miracolo? Ansiosi di ritrovare il loro taumaturgico fornitore del la manna messianica (cf vv. 14-15), molti salgono sulle barche giunte nel frat tempo da Tiberiade e partono alla volta di Cafarnao «alla ricerca di Gesù»
(zetountes ton Iesoun).
C'è un andirivieni di gente che si affanna a trovare un posto sulle barche per andare alla ricerca dell'uomo dei miracoli (vv 14-15). I richiami eucaristici del pane miracoloso (cf in particolare il v. 11) ricompaiono nel v. 23: «dove ave vano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie». La questione dei klasmata (v. 13) raccolti e conservati rimane in sospeso. Ora il posto di ritrovo è Cafamao (v. 24; cf vv. 16.21), ed è «il giorno dopo>>, il giorno successivo all'in contro notturno dei discepoli con Gesù (vv 16-17). «Il giorno dopo» porta il discorso e gli eventi che stanno per essere riferiti più vicini alla celebrazione della festa di Pasqua (cf v. 4). .
.
NOTE 22. Il giorno dopo: Questo breve passo ha una tradizione testuale molto confusa. Per una rassegna vedi Roberge, «}ean Vl,22-24: Un problème de critique textuelle?» 275-289;
Dis corso s u l pane disceso dal cielo (6,25-59)
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idem, «Jean Vl,22-24: Un problème de critique littéraire» 139-151; Schenke, «Das Sze
narium von }oh 6, 1-15» 191-203; Neirynck, «L'epanalepsis et la critique littéraire» 325-332. Sulla tanto discussa originalità dei vv. 22-24 vedi Schnelle, Antidocetic Chri stology 110-111. la folla ... vide che c'era soltanto una barca: L'interpretazione suppone che i verbi «vide» (ei don) e «c'era» (en) siano al piuccheperfetto. Su questa possibilità vedi Lagrange, Evan gile 170; Barrett, Gospel 285. 23. barche ... giunte da Tiberiade: Si deve pensare che le barche fossero di passaggio anziché trovarsi lì per caso «spinte al largo» (Westcott, Gospel 99) dalla tempesta notturna. Al cuni commentatori (es.: Bauer, ]ohannesevangelium 94) vedono in ciò una soluzione da deus ex machina per risolvere il problema della separazione dei personaggi del raccon to. Questo genere di soluzioni non è estraneo al Quarto Vangelo (cf 2,6.15; 3,25; 4,6-7.45). al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie: Queste parole non solo richiamano gli eventi del giorno precedente, ma ne fanno risaltare anche l'im portanza. Nell'uso del sostantivo al singolare «il pane» (ton arton) e nel titolo «il Si gnore» si scorgono accenni alla celebrazione eucaristica. Vedi Léon-Dufour, Lecture 2,125-126. La tradizione testuale occidentale (Beza, Vetus Latina, Siriaco Sinaitico, Siriaco Curetoniano) omette la frase «dopo che il Signore aveva reso grazie» (euchari stesontos tou kyriou), ma deve essere ritenuta (cf Schnelle, Antidocetic Christology 110-111). 24. [la folla] salì sulle barche: Viene spesso fatto notare che qui non si può parlare dell'inte ra folla. Sarebbe necessaria un'enorme flottiglia di barche per trasportare «cinquemi la uomini» (vedi v. 10). Ma il punto che interessa è che la gente che aveva visto il mi racolo ed era approdata a una fede parziale (cf vv. 14-15) è ancora alla ricerca di Gesù. Questo fatto smentisce coloro che (es.: Schnackenburg, Gospel 2,18) sostengono che l'entusiasmo mostrato nelle acclamazioni dei vv. 14-15 è scomparso dal racconto.
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e) Discorso sul pane disceso dal cielo (6,25-59) Introduzione a 6,25-59. Il ricco intreccio di temi teologici e la complessità del
la discussione in corso sulle tradizioni ebraiche legate alla Pasqua hanno fatto di questa parte del Quarto Vangelo uno dei testi più discussi del Nuovo Testa mento. L'interprete deve affrontare diversi problemi critici. Ci sono le questio ni, strettamente legate tra loro, dell'unità del brano nella forma in cui si pre senta e della possibilità che almeno una parte del discorso rispecchi la celebra zione giovannea dell'Eucaristia. Il rapporto tra queste due questioni nasce dal fatto che è generalmente ammesso che i vv. 51-58 siano chiaramente eucaristi ci, e alcuni pensano perfino che il v. Slc rispecchi la formula eucaristica in uso
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nella comunità giovanne a. Molti studiosi, d'altra parte, considerano proprio questa parte del Vangelo, per ragioni apparentemente fondate (vedi le note), un'aggiunta eucaristica successiva a un discorso che all'origine non conteneva nessuna traccia di questi temi. L'interpretazione che segue considera il discorso di Gesù un midrash omi letico su un testo sottoposto all'attenzione di Gesù dai suoi interlocutori nel v. 31: «Diede loro da mangiare un pane venuto dal cielo». Il discorso si articola at torno a un ripetuto gioco di parole prese da questo testo. La prima parte del di scorso (vv. 32-48) è una parafrasi midrashica delle parole della Scrittura: «Die de loro pane venuto dal cielo» (Sal 78,24). La seconda parte (vv. 49-58) continua ad usare espressioni derivate da «Diede loro pane venuto dal cielo», ma dedi ca particolare attenzione a un commento midrashico delle parole «da mangia re» (Borgen, Breadfrom Heaven 28-57). Qualunque sia la sua preistoria, una vol ta composto, il discorso ha una vita propria. Non comincia con il v. 31 e non c'è neppure un nuovo inizio nel v. 49. La sua forma è determinata dal ritmo delle domande e delle risposte. La forma dei vv. 25-59 è data da cinque interventi della folla o de «i Giu dei>). a) vv. 25-29: «Rabbi; quando sei venuto qua?» (v. 25). Questa banale domanda indu ce Gesù a istruire la folla sulla necessità di cercare un cibo che dura per la vita eter na: il credere in colui che Dio ha mandato. b) vv. 30-33: «Quale segno compi?» (v. 30). A Gesù viene chiesto di presentare cre denziali che sorpassino il dono della manna offerto da Mosè (vv. 30-31). Gesù in dica un altro pane dal cielo: il pane dal cielo, quello vero. c) vv. 34-40: «Signore, dacci sempre questo pane» (v. 34). Gesù presenta se stesso co me il vero pane disceso dal cielo, l'unico capace di far conoscere Dio e di dare la vita eterna. d) vv. 41-51 : «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il pa dre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso dal cielo?"» (v. 42). Gesù di scute la questione delle proprie origini. e) vv. 52-59: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (v. 52). Un'ultima domanda offre a Gesù l'occasione di istruire «i Giudei» sulla necessità di mangia re la carne e bere il sangue del Figlio dell'uomo.
Il discorso si svolge attorno a queste domande e risposte, con ogni suddivi sione che sviluppa un nuovo pensiero sempre sul tema del pane disceso dal cie lo. Nell'interpretazione commenteremo ciascuna suddivisione. La nota biblio grafica sarà posta alla fine dell'interpretazione dei vv. 52-59. Versetti 25-29
25. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: . Dal momento che questo gruppo emerge dalla folla, l'ostilità aumenta. ll loro «mor morare>), che ricorda il comportamento degli Israeliti nel deserto (cf Es 15,24; 16,2.7; 17,3), è indice di contestazione. La rivendicazione di Gesù che si pre senta come il pane disceso dal cielo nei vv. 35-40 è impugnata. Come può egli
D iscorso s u l pane disceso dal cielo (6,2 5-59)
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avanzare tale pretesa (vv. 41 .42b) dal momento che ognuno conOSce il suo pa dre e la sua madre terrena (v. 42a)? Il tema di questa parte del discorso è stato enunciato: Gesù ha fatto una rivendicazione che può essere capita solo nei ter mini delle sue origini: una discesa dal Padre suo celeste. I suoi avversari non pren dono neppure in considerazione tale possibilità: conoscono suo padre Giuseppe. Mosè aveva avvertito il popolo d'Israele che mormorava: «Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore» (Es 16,8). Gesù fa la stes sa cosa quando disapprova le mormorazioni de «i Giudei» (v. 43) appellando si al Padre e spiegando il proprio ruolo nei termini delle proprie origini dal Pa dre. Il Padre manda Gesù, il Padre attira i credenti verso di lui, e la risposta data da coloro che sono attirati alla rivelazione del Padre nel suo Inviato sarà premiata con la vita eterna. È Gesù che risusciterà i credenti nell'ultimo giorno (v. 44). Mentre Dio è quello che determina il processo, l'incontro tra l'uomo e la rivelazione di Dio in Gesù determina la vita, la morte e la vita eterna. Tutto ciò è possibile soltanto perché Gesù non è il figlio di Giuseppe (vv. 41-42) ma il Fi glio del Padre. I profeti avevano predetto che tutti «saranno istruiti da Dio» (v. 45a, citando liberamente Is 54,13). Così Gesù chiede a «i Giudei» di ascoltare Dio per poter essere istruiti. Dio ha istruito Israele attraverso il dono della Legge, ma Gesù af ferma che tutti quelli che sono veramente stati istruiti da Dio vanno a lui (v. 45). L'istruzione che Dio dà a tutti (v. 45a: pantes) li attira verso Gesù (v. 45b: pas ... erchetai pros eme). Proseguendo sul tema dell'universalità dei vv. 35-40, Gesù ora afferma che in adempimento delle promesse profetiche (v. 45a) si è instau rato un processo che porta il vero credente ad andare a Gesù. L'istruzione che impartisce Dio non ha più per oggetto Israele e per fonte la Legge, ma è diret ta a tutti i credenti senza riserve di razza o di nazione e viene attraverso Gesù. Gesù è colui che fa conoscere il Padre. Il Padre nessuno l'ha mai visto (cf 1,18), ma colui che è venuto dal Padre ce lo fa conoscere (v. 46). Come in 1,16-18, anche qui è in gioco il rapporto tra Gesù e Mosè. Per quanto eccelso possa es sere stato il privilegio di Mosè, il Figlio che in tutta la sua esistenza umana con templa il Padre è l'unico che abbia mai visto Dio (cf l'interpretazione di 1,18). La differenza tra Gesù e Mosè è data dalle rispettive origini. Le origini di Gesù pros ton theon (1,1) gli hanno conferito l'autorità esclusiva di far conoscere Dio (1,18). Grazie a questo dato di fatto, chiunque crede nella rivelazione di Gesù, il vero pane disceso dal cielo, ha la vita eterna. Continua il confronto tra la man na della Legge e Gesù, il vero pane dal cielo. Non è più la Legge che dà la vita. Gesù, il vero pane dal cielo, è venuto a far conoscere il Padre e, per ciò stesso, sorpassa il precedente dono del pane dal cielo (cf vv. 32-33). Gesù è il pane del la vita (v. 48). Mentre il confronto tra i due generi di «pane» volge alla conclusione, Gesù ricorda l'esperienza degli antenati d'Israele che hanno mangiato il pane disce so dal cielo sotto forma di manna: sono poi morti tutti (v. 49). Il pane che di scende dal cielo nella persona di Gesù promette una vita che non avrà termine: non ci sarà più morte per quelli che si nutrono di quel pane (v. 50). C'è uno stretto parallelo tra le parole di Gesù nel v. 50: «Questo è il pane che discende dal cielo», e quelle del v. 51: «lo sono il pane vivo, disceso dal cielo». Come un
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tempo Mosè ha indicato la manna e ha detto: «Questo è il pane che il Signore vi ha dato in cibo» (Es 16,15), così Gesù indica se stesso e dice: «Questo è il pane che discende dal cielo» (v. 50). Il pane mosaico non ha prodotto la vita (cf v. 49) e perfino Mosè è morto (cf Dt 34,5-8). Adesso c'è un pane che sorpassa il pane dato da Mosè: houtos estin ho artos ho ek tou ouranou katabainon (v. 50) ... ego eimi ho artos ho zon ek tou ouranou katabas (v. 51). L'identificazione che Gesù fa di se stesso con il pane della vita disceso dal cielo è indicata da un aoristo ingressi va: «è venuto». Questo si rifà a quella che è la base della rivendicazione di Ge sù: il momento in cui il Verbo si è fatto carne (1,14: ho Iogos sarx egeneto). Abbiamo assistito a una concentrazione crescente sulla persona di Gesù: «Questo è il pane ... Io sono il pane» (vv. 50.51). Colui che è il pane ora fa un'al tra sorprendente promessa: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (v. 51c). Il pane vero disceso dal cielo farà conoscere Dio in un incon dizionato dono di se stesso per la vita del mondo. Quando avverrà? Quando si verificherà? Come nel caso di precedenti annunci che prospettano un incontro futuro tra le tenebre e la luce (1,5), l'ora di Gesù (2,5) e il suo «innalzamento» (3,14), molto rimane ancora avvolto nel mistero. Ma ci sono già chiari accenni che Gesù verrà sacrificato da «i Giudei» nel loro rifiuto di lui nel Tempio in 2,13-23 e nel loro complotto di ucciderlo in 5,18. ll mistero non sta nelfatto che Gesù dovrà morire per mano de «i Giudei»; la comunità giovannec;t e tutti i cre denti successivi hanno sempre saputo ciò prima ancora di leggere il Vangelo. Ma in che modo può l'esperienza della morte di Gesù costituire il nutrimento per la vita del mondo? Questa non è la prima ·volta che Gesù promette un dono futuro. Nei vv. 12-13 è stato ordinato ai discepoli di raccogliere i klasmata perché non andasse ro perduti (hina me ti apoletai). Nel v. 27 Gesù consiglia alla folla di non affan narsi a cercare un cibo che perisce (ten brosin ten apollumenen) ma di cercare quello che dura, quello che procurerà il Figlio dell'uomo. Nel v. 35 la dichiara zione di Gesù di essere lui stesso il pane della vita porta ad un'altra promessa: tutti quelli che vengono a lui non avranno più fame e quelli che credono in lui non avranno più sete. Si ha sempre più chiaramente l'impressione che ci sarà un nutrimento definitivo che soddisferà per sempre i bisogni di coloro che credo no in Gesù. Gesù ha scandalizzato «i Giudei» dicendo loro che darà la sua car ne per la vita del mondo (v. 51). La loro inorridita domanda sul come questo sia possibile (v. 52) getta uno spiraglio di luce sul quando e come la promessa di Gesù relativa al pane che sorpassa tutto ciò che si celebra nella Pasqua sarà adempiuta.
NOTE 41. i Giudei: L'improvvisa comparsa de « i Giudei» ha portato a varie illazioni sulla storia del discorso. Painter (Quest 275-278) sostiene che a questo punto il discorso assume un carattere nuovo. Secondo lui i vv. 25-35 rappresentano un «racconto di ricerca» con una propria storia nella tradizione, mentre i vv. 36-71 rappresentano «racconti di ri fiuto» provenienti da un diverso retroscena. Secondo Painter i vv. 36-40 sono una «ag giunta di transizione». Vedi però la risposta a Painter in Borgen, «}ohn 6» 283-285. 44. se non lo attira il Padre che mi ha mandato: Nelle fonti rabbiniche il termine «attirare» è
Discorso s u l pane disceso dal cielo (6,25-59)
191
usato per descriveré un avvicinamento alla Torah, e quindi alla conversione. Vedi Pir ke Abot 1,12. 45. Sta scritto nei profeti: Questo riferimento generico a «i profeti» si ha solo qui nel Quar to Vangelo. Circa il testo di Isaia vedi Menken, Old Testament Quotations 67-77; Schu chard, Scripture within Scripture 47-57; Obermann, Die christologische Erfollung 151-167. 47. Amen, amen io vi dico: Sulla base dell'uso sistematico del doppio «amen» per collegare ciò che è stato detto prima con ciò che segue io ho interpretato l'espressione in questo caso nel senso di «siccome le cose stanno così. .. ». 49. l vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto: D verbo , DR 93 (1975) 243-251 .
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fJ Crisi creata dalla parola di Gesù (6,60-71) 60. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questo parlare è duro! Chi può ascoltarlo?». 61. Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano su queste cose, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62. E se vedeste il Figlio dell'uomo sa lire là dov'era prima? 63. È lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le paro le che vi ho detto sono spirito e vita. 64. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Ge sù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». 66. A causa di questo molti dei suoi discepoli si allontanarono e non andavano più con lui.
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67. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68. Glf rispose Simon
Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69. e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». 70. Gesù riprese: «Non sono forse io che ho scel to voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». 71. Egli parlava di Giuda, figlio di Sim.one Iscariota: quello infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici.
I N T E R P R E TA Z I O N E Introduzione a 6,60-71 . Gesù ha concluso il suo discorso ed ora viene riportata
una doppia reazione alle sue parole:
a) vv. 60-66: «Molti dei suoi discepoli» trovano dure le parole di Gesù (v. 60) e Gesù ri sponde alle loro difficoltà (vv. 61-65), accennando anche a un futuro tradimento (v. 64). Ciò nonostante, «molti dei suoi discepoli» abbandonano Gesù (v. 66). b) vv. 67-71 : I Dodici, rappresentati da Pietro, dichiarano di credere nella parola di Gesù (vv. 68-69), ma Gesù predice che perfino da questo gruppetto di discepoli credenti uscirà uno che lo tradirà (vv. 70-71).
La possibilità di accettazione o di rifiuto della parola di Gesù è stata a più riprese intrecciata nel racconto, a cominciare dal Prologo (cf 1,11-13) e in se guito (cf 3,11-21 .31-36), e vari esempi di come sia possibile rispondere alla pa rola di Gesù hanno costituito l'anima del viaggio da Cana a Cana (2,1-4,54). Quando Gesù conclude il suo discorso sul pane disceso dal cielo, alcuni dei suoi discepoli che pure l'avevano visto camminare sulle acque, avevano ascol tato la sua autorivelazione nell' ego eimi ed erano tranquillamente approdati a riva (cf vv. 16-21) lo abbandonano (vv. 60-66). Gli altri vengono messi in guar dia che il fallimento è sempre possibile, perfino tra coloro che credono (vv. 67-71 ). Alcuni discepoli abbandonano Gesù (vv. 60-66). Molti discepoli hanno ascoltato ciò che ha detto Gesù (v. 60a: polloi oun akousantes ek ton matheton). I discepoli so no giunti a un momento cruciale. Sono stati i destinatari privilegiati dell'auto rivelazione di Gesù sul lago in tempesta: «Sono io, non abbiate paura! (ego eimi, me phobeisthe)» (v. 20). A loro, più che a qualsiasi altro personaggio del raccon to, alla folla o a «i Giudei», è stato mostrato (vv 5-13.16-21) ed è stato spiegato (vv 25-59) chi è colui che parla. Eppure considerano il discorso di Gesù inac cettabile, duro, offensivo (v. 60b: skleros). Ritengono che non sia possibile «ascol tare» (akouein) quelle parole. Gesù risponde di rincalzo con altre parole dirette in particolare a loro. Si scandalizzano per ciò che ha detto? Ha affermato di far conoscere Dio in una maniera che trascende la rivelazione di Dio nel dono della Torah; egli è il vero pane disceso dal cielo. Con ciò egli fa capire ai suoi discepoli che possono aspet tarsi altre prove a dimostrazione della sua rivendicazione di essere la rivela zione definitiva di Dio. La domanda lasciata in sospeso da Gesù: «E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?>> (v. 62) è finemente retorica. La con clusione è data per scontata: «basterebbe ciò a sciogliere i vostri dubbi?». La do manda presuppone tutto ciò che è stato detto finora riguardo al Figlio dell'uo mo, e in particolare le parole di Gesù in 3,13: «Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo». In tutto il discorso dei vv .
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25-59 Gesù ha· presentato se stesso come i l pane che è sceso dal cielo (vv. 32-33.35.38.51). Quando «i Giudei» mettono in dubbio le sue origini (vv. 41-42) egli afferma di venire direttamente dal Padre (vv. 46-47). Il Figlio dell'uomo è disceso dal cielo (3,13), ma forse i discepoli vorrebbero vederlo salire al cielo, emulando l'ascesa dei rivelatori tradizionali: Abramo, Mosè, Isaia, Enoch. Nel contesto della Pasqua è particolarmente la tradizione ebraica dell'ascesa di Mo sè per ricevere la Torah (cf Exod. Rab. 28,1; 40,2; 41,6-7; 43,4; 47,5.8; Deut. Rab. 2,36; 3,11; 11,10; Pesiqta Rabbati 20:4) che si cela dietro questa domanda lasciata a metà. Ma Gesù trascende tutto ciò che Mosè ha detto o ha fatto. Per far cono scere Dio Gesù non ha bisogno di salire dalla terra al cielo (v. 62a). Egli viene dal cielo; vi è già stato prima (v. 62b), e sulla base della sua precedente unione con Dio (1,1: pros ton theon; cf 17,5) le sue parole hanno un'autorità definitiva. I discepoli non capiscono perché cercano di valutare le parole e le azioni di Gesù secondo il giudizio superficiale delle aspettative umane. Questo modo di vedere Gesù è «carnale» e «la carne non giova a nulla» (v. 63b). Gesù mette in guardia i discepoli contro una «carnale» mancanza di coraggio e di compren sione di fronte alle sue parole (cf Is 40,6-8). Le parole di Gesù sono spirito e vi ta (v. 63c), ma i discepoli vogliono che Gesù si conformi alle loro aspettative (v. 62). Gesù respinge la loro pretesa perché è inconsistente, poiché è solo lo spiri to che dà la vita (v. 63a), non la superficialità della carne (v. 63b ). Ciò che im porta è il potere vivificante dello Spirito, reso disponibile per i discepoli in e per mezzo della rivelazione di Dio che si attua in e per mezzo della parola di Gesù (v. 63). Ma Gesù si rende conto che nonostante tutto ciò che è stato rivelato ai di scepoli, alcuni di loro non credono e uno di loro lo tradirà (v. 64). Il rapporto tra Gesù e i discepoli è cruciale, ma la spiegazione ultima del discepolo che crede in Gesù e non lo abbandona mai va ricercata nell'iniziativa di Dio (v. 65). I discepoli hanno visto il miracolo dei pani e dei pesci (vv. 5-15), hanno vi sto Gesù camminare sulle acque e annunciare ego eimi (vv. 16-21) e hanno ascol tato il discorso del vero pane venuto dal cielo (vv. 25-59). Ma molti di loro (pol loi ... ek ton matheton) hanno trovato le parole di Gesù inaccettabili (v. 60), e a causa di questo rifiuto (ek toutou) della parola di Gesù «molti dei suoi discepo li» (pollai ek ton mathéton) lo abbandonano (v. 66). ll vero discepolo è colui per il quale la chiamata ad essere discepolo viene dal Padre e che crede nel Figlio (vv. 64-65). Non è l'informazione che fa il discepolo, ma la risposta ispirata dal lo Spirito alla rivelazione del Padre nella parola di Gesù. Dietro questa risposta negativa alla parola di Gesù si cela l'esperienza dei primi cristiani e dei cristia ni di tutti i tempi. La parola di Gesù è il nutrimento essenziale della comunità, il suo spirito e la sua vita. Molti tuttavia sono incapaci di accettarla e preferi rebbero che Gesù si conformasse alle loro idee. Alcuni membri della comunità giovannea avrebbero preferito che Gesù si conformasse allo schema mosaico di un rivelatore celeste. Nel momento in cui egli si rifiuta di rispondere alle loro aspettative, molti si allontanano e non vanno più con lui (v. 66). Credere e possibilità di fallimento (vv. 67-71). Ciò nonostante, è possibile an che un altro tipo di risposta, e Gesù lancia la sfida ai Dodici, un gruppetto scel to tra una più ampia cerchia di discepoli. Gesù chiede se anche loro (kai hymeis) vogliono abbandonarlo, per tornare al mondo delle loro sicurezze (v. 67; cf vv.
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62�). Siìnon Pietro risponde a nome di tutti, ad indicare che il Padre non·man ca di attirare verso Gesù dei discepoli credenti (cf v. 65): «Signore, da chi an dremo? Tu hai parole (rhemata) di vita eterna» (v. 68). Rispecchiando l'incondi zionata apertura alla parola di Gesù che ha contraddistinto alcuni personaggi nel viaggio da Cana a Cana (cf 2,5: la madre di Gesù; 3,29: Giovanni Battista; 4,42: i Samaritani; 4,50: il funzionario del re), Simon Pietro dichiara a Gesù che egli rimane per i Dodici l'unica possibile àncora di salvezza (v. 68a). Il Padre li ha attratti a lui ed essi riconoscono che ciò che Gesù ha detto poc'anzi al grup po più folto di discepoli è vero: «Le parole che vi ho dette sono spirito e vita» (v. 63; cf v. 68b). La confessione di Pietro va anche oltre. Rifacendosi all'esperienza vissuta fi nora nel racconto dai Dodici, egli aggiunge: «noi abbiamo creduto e conosciu to» (hemeis pepisteukamen kai egnokamen) (v. 69a). Sono approdati alla fede in Gesù e vivono di tale fede e conoscenza. Perciò Pietro può dichiarare a nome dei Dodici: «Tu sei il Santo di Dio» (v. 69b) Per la prima volta nel racconto ab biamo un personaggio che dichiara la sua fede in Gesù per il giusto motivo: le sue origini. La santità di Gesù deriva dal fatto che egli è di Dio. Ma perfino tra questo piccolo gruppo è possibile il fallimento. Gesù risponde a questa con fessione di fede autentica annunciando che tra di loro ci sarà un traditore, Giu da lscariota (vv. 70-71). Gesù ha scelto i Dodici, ma Dio indirizza alcuni a Ge sù per un disegno più ampio (cf v. 64) e comunque ogni credente è libero di ac cettare o di rifiutare questo dono. La fragilità della risposta umana è un dato di fatto, anche tra i credenti. È richiesto qualcosa di più di una confessione di fe de. Se c'è un traditore, ci sarà anche un tradimento. L'ombra di una morte vio lenta, che si è stesa su gran parte della celebrazione della Pasqua (cf vv. 12-13.15.27.51 .53-54), emerge ancora una volta mentre il resoconto dell'attività di Gesù in occasione della festa sta per giungere alla conclusione (vv. 70-71). La confessione di Simon Pietro è ineccepibile . . . per ora ! Come sopravviverà questa espressione di fede nei momenti difficili che segneranno la fine di que sto racconto? Come risponderanno i credenti all'«innalzamento» del Figlio dell'uomo (cf 3,14) che procurerà il cibo che dura per la vita eterna (6,12-13.27. 35.51 .53-54)? Conclusione di 6,1-71 . La Pasqua costituisce il necessario sfondo cronologico, letterario e teologico per Giovanni 6. Gesù non intende cancellare il ricordo ce lebrato nella Pasqua ebraica del dono della manna, presente nel nutrimento fornito dalla Legge che fa conoscere Dio a Israele. Ma la rivelazione di Dio nel la Legge non esaurisce l'azione di Dio nella storia. «l Giudei» e molti tra i di scepoli di Gesù non sono capaci di andare oltre le tradizioni mosaiche nella lo ro risposta a Dio. Per loro Mosè, la manna e la Legge rappresentano il limite massimo al quale si può arrivare. Alla fine del primo secolo, privati del loro tradizionale sacerdozio, culto e Tempio, «i Giudei» si concentrano sul dono della Legge, ma alla comunità giovannea è chiesto di accettare la rivendicazio ne di Gesù: «lo sono il pane della vita)) (6,35; cf vv. 41 .48.51). Non c'è più biso gno di celebrare l'antico dono del pane dal cielo dato per mezzo di Mosè. Tale tradizione era un segno e un'ombra di ciò che si è verificato in e per mezzo di Gesù Cristo. Ai cristiani viene chiesto di credere che Gesù è il vero pane disce.
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so dal cielo, colui che dà la vita a tutti quelli che credono in lui. Gesù è il perfe zionamento del dono mosaico del pane dal cielo: egli è il pane, quello vero di sceso dal cielo. Come rivelano gli ultimi versetti di questa parte del Vangelo (cf vv. 60-71), questa reinterpretazione cristiana delle tradizioni mosaiche ha portato soffe renza e divisioni nella comunità giovannea. A sentirsi offesi dalle parole di Ge sù non sono soltanto «i Giudei»; lo hanno fatto anche «molti dei suoi discepo li» (vv. 60.66). Una cosa è che la comunità cristiana definisca una propria teo logia e cristologia in risposta alle crisi create dalla fede in Gesù Cristo (cf 9,22; 12,42; 16,2); tutt'altra cosa è che ogni membro della comunità sia disposto ad ac cettare quelle idee e a vivere in base ad esse. Molti non erano disposti a crede re che le parole di Gesù sono spirito e vita (v. 63), e pertanto «si allontanarono e non andavano più con lui» (v. 66). NOTE 60. Questo parlare è duro: L'aggettivo greco skleros non significa «difficile» in senso intellet tuale. L'idea è resa meglio da espressioni quali «inaccettabile, duro, offensivo» (cf Bar rett, Gospel 302). L'interpretazione del v. 60 è influenzata dalla posizione adottata riguardo all'origina lità o meno dei vv. 5 1 c-58. n «parlare duro» è un'obiezione contro le ultime parole di Gesù sulla necessità di mangiare la sua carne e bere il suo sangue (vv. 53-55), oppure solo contro la prima parte del discorso (vv. 25-51b)? Quelli che considerano i vv. 51 c-58 un'aggiunta al discorso originale (es.: Bornkamm, «Die eucharistische Rede» 161-169; Brown, Gospel 1,299-303) ritengono che il «parlare duro» sono i vv. 25-51, mentre quel li che vedono un'unità letteraria nel passo 25-59 lo applicano all'intero discorso (es.: Barrett, Gospel 284; Schenke, «Das johanneische Schisma» 108-111; Menken, «John 6,5 l c- 58» 23-26; Moloney, Signs and Shadows 60-64). 62. E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima ?: Questa frase lasciata in sospeso aspetta di essere completata. Contiene una domanda che comincia con «se» (protasi) che suppone sia seguita da un'apodosi. L'apodosi deve essere fornita dall'interprete; e si presentano tre possibilità. Alcuni ritengono che se i discepoli vedessero Gesù sali re là dov'era prima le loro difficoltà sarebbero accresciute. Altri sostengono che il ver bo anabainein (salire) si riferisce alla croce e concludono anch'essi che ciò aumentereb be il loro scandalo. Un terzo gruppo sostiene che se lo vedessero salire là dov'era pri ma il dilemma dei discepoli sarebbe attutito perché constaterebbero che Gesù ha l' au torità di fare una tale rivendicazione (es.: Bauer, fohannesevangelium 101; Hoskyns, Go spel 300; Lightfoot, Gospel 169; Lagrange, Evangile 187. Vedi la rassegna in Moloney, Son of Man 120-121). L'interpretazione da noi data è uno sviluppo di questa terza op zione, mettendola in relazione alla speculazione ebraica circa le ascensioni dei grandi rivelatori d'Israele (cf le note relative a 1,18 e 3,13). Se i discepoli vedessero Gesù sali re - così come credevano che fossero saliti i più insignì rivelatori della sacra storia d'I sraele, in particolare Mosè - sarebbero per ciò disposti ad accettare il suo «parlare dW"O»? 63. la carne non giova a nulla: Queste parole hanno offerto lo spunto all'autorevole saggio di Bomkamm («Die eucharistische Rede»), il quale sostiene che c'è un irriducibile con trasto tra l'uso positivo di «carne» (sarx) nei vv. 51 c-58 e la valutazione negativa della «carne» nel v. 63. Questo uso contraddittorio della stessa parola (sarx) in un contesto letterario così ristretto indica che i vv. 51 c-58 sono un'aggiunta eucaristica a un di scorso originariamente sapienziale. Ma questo non è necessariamente vero. Nel Quar-
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to Vangelo è net'eSSario fare la distinzione tra la sarx di Gesù e la ·5arx degli altri u(mù..: ni. Nel Quarto Vangelo il termine sarx è usato tredici volte, e sempre in modo coeren te. La sarx di Gesù parla della storia di Dio (1,14.18) ed è essenziale per la vita (cf 6,51 .52.53.54.55.56). Mentre la sarx degli uomini è confinata nella sfera umana, quella che è «in basso» (1,13; 3,6; cf 8,23) ed è la fonte di giudizi limitati dai criteri superficia li forniti da ciò che si può fisicamente osservare (8,15; cf 7,24). In 17,2 «ogni essere uma no» (pasès sarkos, letteralmente «ogni carne») è usato per rendere un ebraismo che si gnifica «ogni cosa creata». Non c'è nessuna contraddizione tra l'uso di sarx nei vv. 51-58, dove Gesù parla della propria carne, e nel v. 63 dove egli parla della superficia lità delle limitate aspettative umane che i discepoli nutrono nei confronti di Gesù (v. 62): «la carne non giova a nulla». Vedi Stenger, «Der Geist» 116-122; Schnelle, Antido cetic Christology 194-195. 66. A causa di questo: L'espressione greca ek toutou può significare «per questo motivo» op pure «da questo momento». Si è optato per la prima alternativa, anche se l'autore può avere avuto in mente entrambi i significati (cf Barrett, Gospe/ 306). 67. i dodici: Nel Quarto Vangelo questo gruppo di discepoli è nominato solo due volte: qui e quando parla di Tommaso, che è «uno dei Dodici» (20,24). Il gruppo non svolge al cun ruolo significativo nella teologia della condizione di discepoli presentata dal Van gelo, ma questo raggruppamento di «dodici» entro il più ampio gruppo dei seguaci di Gesù è diventato tradizionale. Qui l'autore lo usa per distinguere i «molti dei suoi di scepoli» (vv. 60.66) dal gruppo più ristretto di quelli che mostrano di credere nella pa rola e nella persona di Gesù. 69. noi abbiamo creduto e conosciuto: I verbi sono entrambi al perfetto (hemeis pepisteukamen kai egnokamen). Pietro parla di un credere e di un conoscere che è iniziato nei discepo li tempo addietro e fa ancora parte della loro comunanza con Gesù. Nel Quarto Van gelo i verbi «credere» e «conoscere» sono praticamente sinonimi. Vedi Brown, Gospel 1,298. tu sei il Santo di Dio: Questo titolo compare solo in un altro passo del NT (Mc 1,24; cf l Gv 2,20). Nel contesto giovanneo l'espressione «di Dio» è la parte cruciale della con fessione. Associata al titolo c'è anche l'idea che Gesù è l'agente di Dio (cf Domeris, «The Confession of Peter» 155-167; Joubert, «The Holy One of God» 57-69). Borgen, «}ohn 6 » 286-287, è d'accordo che è presente anche l'idea di «agente» ma propone di mettere insieme i vv. 27.29 e 68-69 per intendere questa confessione finale nel senso di «consacrato da Dio e mandato nel mondo». 71. stava per tradir/o, ed era uno dei Dodici: n fatto che i discepoli abbandonàno Gesù a cau sa dei suoi discorsi, che i Dodici fanno una bella confessione di fede per bocca di Pie tro e che poi uno dei Dodici viene indicato come il futuro traditore rispecchia le ten sioni create all'interno della comunità dal punto di vista giovanneo. Perfino alcuni «fe delissimi» non sono stati capaci di stare nella comunità quando questa ha cominciato a sviluppare l'eccelsa storia teologica e cristologica di Gesù. Vedi Schenke, «Das jo hanneische Schisma» 105-121 .
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STENCER W., «"Der Geist ist es, der lebendig macht, das Fleisch niitzt nichtS"»,· TThZ 85 (1976) 116-122. III. Gesù e i Tabernacoli: I (7,1-8,59)
La festa dei Tabernacoli: 7,1-10,21 . La comparsa di «dopo questi fatti» (meta tauta) in 7,1 segna l'inizio di una nuova serie di avvenimenti (cf 5,1; 6,1). Que
sto è ulteriormente evidenziato dall'annuncio nel v. 2 di un'altra festa de «i Giudei», la festa dei Tabernacoli o delle Capanne . Non viene nominata nessu n'altra festa fino a 10,22 dove si dice: «Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione». Perciò l'intero passo 7,1-10,21 è dedicato alla pre senza di Gesù a Gerusalemme per la celebrazione della festa dei Tabernacoli. Nel passo 7,1-10,21 vi sono varie indicazioni di una successione di eventi che si sono svolti durante la festa: l.
L'espressione meta tauta compare in 7,1 e non è più ripetuta nel passo 7,1-10,21 .
2 . La festa dei Giudei, detta dei Tabernacoli, si stava avvicinando (v. 2). 3. I fratelli di Gesù e Gesù stesso vanno a Gerusalemme per la festa (v. 10).
A circa «metà della festa» Gesù incontra «i Giudei» (v. 14). Altri incontri hann o luogo «nell'ultimo giorno della festa» (v. 37). In 8,12 Gesù parla «di nuovo» (palin), il che indica che la festa era ancora in corso. La stessa espressione ricorre nuovamente nel v. 21 a continuazione della sequenza temporale. 8. Pur nel rispetto della sequenza temporale, in 8,59 si ha un cambio di luogo: quan do «i Giudei» mettono mano alle pietre per lapidario, Gesù si nasconde ed esce (exelthen) dal Tempio. 9. L'uscita di Gesù dal Tempio porta direttamente a 9,1: «Passando (paragDn)», Gesù vede un uomo cieco dalla nascita (9,1). Gli avvenimenti dei capitoli 8 e 9 si susse guono in ordine, ma in luoghi diversi. 10. L'unità temporale nel passo 7,1-10,21 non viene interrotta fino a quando il narra tore non annuncia la festa della Dedicazione in 10,22. 4. 5. 6. 7.
La celebrazione della festa dei Tabernacoli costituisce lo sfondo per il passo 7,1-10,21. Tuttavia, la partenza di Gesù dal Tempio in 8,59 divide il resoconto degli avvenimenti che si svolgono durante la festa in due parti: 7,1-8,59 e 9,1-10,21 (cf Schenke, «Joh 7-10» 172-192) . I Tabernacoli nella tradizione ebraica. La festa dei Tabernacoli (delle Capanne) era la più popolare delle tre feste di pellegrinaggio ed era chiamata «la festa di YHWH » (Lv 23,39; Gdc 21 ,19) o semplicemente «la festa» (l Re 8,2.65; 2 Cr 7,8; Ne 8,14; Is 30,29; Ez 45,23). Giuseppe definisce i Tabernacoli una festa «parti colarmente sacra ed importante per gli Ebrei» (Ant. 8,101). Anticamente una fe sta del raccolto (cf Es 23,16; 34,22) e delle capanne (in ebraico sukkot), in segui to venne storicizzata ed associata all'alleanza e alla cura e alla guida di Dio quando il popolo abitava nelle tende durante la peregrinazione dell'esodo nel deserto (cf Dt 16,13.16; Lv 23,34; Ne 8,13-19). La festa poi fu non solo storiciz zata, ma anche escatologizzata e celebrata in vista della fine dei tempi (cf Bien aimé, Moi"se et le don de l'eau 200-229). Gli elementi essenziali della celebrazione sono contenuti nella Mishnah (Sukkah) e in altro materiale rabbinico (cf Str-B
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2,774-812; Goodman, The Sukkot). È notoriamente difficile usare il materiale rabbinico successivo per stabilire come la festa si svolgesse nel primo secolo, e pertanto la seguente descrizione della celebrazione deve essere considerata al quanto congetturale. La celebrazione cominciava il quindicesimo giorno del settimo mese, Tish ri (settembre-ottobre). Era caratterizzata dall'erezione di «capanne» che sim boleggiavano l'esperienza di vita nelle tende fatta dagli Israeliti nel deserto, sotto la cura e la protezione di YHWH, con il quale adesso Israele aveva stret to un'alleanza. Gli uomini che partecipavano alla festa dormivano e consuma vano i pasti nelle capanne per sette giorni, quanto durava la festa ( m. Sukk. 1-2; cf Lv 23,42-43; Os 12,10). Trascorsi i sette giorni vissuti nelle capanne, c'era un altro giorno, l'ottavo, che era quasi una festa a sé stante per ricordare in parti colare la protezione di YHWH durante il periodo dell'Esodo. Questo giorno era dedicato anche alla richiesta da parte d'Israele di una sovrabbondanza di pioggia quale segno della speciale e continua protezione di YHWH per il po polo. Entro questa cornice temporale il rituale era costituito da tre elementi principali. 1.
Cerimonia della libagione di acqua (m. Sukk. 4,9-10)
Al mattino di ciascuno dei sette giorni una processione guidata da sacerdo ti e Leviti che cantavano, accompagnati da una festante folla di popolo, scen deva alla Piscina ·di Siloe per attingere acqua in un recipiente di oro. Accom pagnata dal popolo in festa e da squilli del shofar, la processione tornava nel l' area del Tempio passando dalla Porta dell'Acqua. Secondo la letteratura rab binica, la Porta dell'Acqua aveva una significanza escatologica. Rabbi Eliezer ben Jacob la identificava con la porta meridionale di Ez 47,1-5, attraverso la quale passa l'acqua della vita c!te sgorga da sotto la soglia del Tempio (cf t. Sukk. 3,2-10; Gen. Rab. 28,18 ; m. Seqal. 6,3; m. Mid. 2,6). Giunta sul piazzale del Tempio, la processione sfilava attorno all'altare cantando i Salmi 113-118 (l'Hallel). Quando si cantavano le parole del Sal 118,1: «Celebrate il Signore, perché è buono», e ancora al v. 25: «Dona, Signore, la tua salvezza; dona, Si gnore, la tua vittoria!)), si agitava in aria il lulab, un mazzo di rametti di mirto, palma e salice, legato con un rametto di cedro. Giunti presso l'altare, il sacer dote di turno versava l'acqua di Siloe e del vino in due diverse coppe poste sull'altare facendo in modo che l'acqua e il vino debordassero dalle coppe sul l'altare (cf m. Sukk. 4,9). Al settimo giorno della festa la processione girava at torno all'altare sette volte (cf m. Sukk. 4,5). L'associazione dell'acqua con la celebrazione metteva la festa in relazione con il dono della pioggia. Zaccaria 14 stabilisce questo legame, ma anche asso cia la festa dei Tabernacoli alla fine dei tempi. Dopo la devastante piaga del Si gnore che spazzerà via tutti quelli che muovono guerra a Gerusalemme (14,12), tutte le nazioni sopravvissute saliranno a Gerusalemme per la festa delle Ca panne. Se qualche nazione non salirà, «su di essa non ci sarà pioggia)) (14,17). Ci sono anche testimonianze che la cerimonia dell'acqua era legata all'aspetta tiva messianica secondo cui un maestro tipo Mosè (cf m. Sukk. 3,3-9) ripete il do no del pozzo della Torah (cf Nm 21,18; CD 6,2-11; Ps.-Filone, LAB 10,7; 11,15;
204
Il Va ngelo d i G i o v a n n i
28,7-8; Targum Onkelos su Nm 21,18) che segue gli Israeliti (cf i targuin su Nm 21,18; t. Sukk. 3,10-12). I targum su Gn 49,10 fanno leva sul fatto di scavare de gli scribi, descritto nel testo biblico, per promettere un futuro Messia che scava nel pozzo della Tor ah, un finale «sgorgare dell'acqua» dalla Torah, il pozzo di Dio (cf Bienaimé, Moi"se et le don de l'eau 58-194). L'aspettativa messianica ebraica sembra aver legato il Messia al dono defi nitivo dell'acqua attinta dal pozzo, ossia dell'interpretazione della Legge, come espresso in Ecci. Rab. 1,8: Come il primo redentore ha fatto scaturire l'acqua nel pozzo, così il redentore che ver rà farà zampillare l'acqua, come sta scritto: «Una fonte zampillerà dalla casa del Si gnore, e irrigherà la valle di Sittim» (Gioele 4,18).
Un'osservazione parallela circa un dono mosaico del pane si trova già in
Eccl. Rab. 1,8: «Come è stato il primo redentore, così sarà anche il redentore che
verrà ... come il primo redentore ha fatto scendere la manna, così anche il re dentore che verrà farà scendere la manna». Questo legame tra un dono mes sianico del pane e dell'acqua getta luce sulla successiva presentazione di Gesù come «pane>> (6,35.41 .48.51) ed «acqua» (7,37-38; 9,7). L'antichità di questa tra dizione è indicata dall'analogia delle associazioni che si trovano in altri docu menti (cf Ps.-Filone, LAB 10,7; Mekilta su Esodo 15,27), alcuni dei quali risalgo no «all'incirca ai tempi di Gesù» (D. J. Harrington, «Pseudo-Philo», Old Testa ment Pseudepigrapha 2,299). L'associazione della fine dei tempi e della compar sa del Messia con le Capanne svolge un ruolo di rilievo nella discussione tra Gesù e i suoi vari interlocutori durante la descrizione giovannea della festa dei Tabernacoli (7,1-10,21).
2. Cerimonia della luce (m. Sukk. 5,1-4) Al centro del cortile delle donne venivano disposte quattro menorah. Gli uomini devoti e dediti alle opere buone che partecipavano alla festa (cf m. Sukk. 5,4) danzavano attorno ai candelabri mentre i Leviti cantavano i Salmi 120-134. Questa celebrazione si protraeva per quasi tutta la notte di ciascuno dei sette giorni della festa. La Mishnah descrive la luce che emanava dal Tempio: «Non c'era un cortile a Gerusalemme che non riflettesse la luce della Casa dell'Ac qua» (m. Sukk. 5,3). È ancora richiamato Zaccaria 14: In quel giorno non vi sarà né freddo né gelo: sarà un unico giorno continuo (il Signore lo conosce); non ci sarà né giorno né notte; alla sera risplenderà la luce. In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orienta le e parte verso il mare occidentale, sempre, estate e inverno (Zaccaria 14,6-8).
Può esserci anche stato un collegamento tra la cerimonia della luce e la co lonna di fuoco che ha guidato Israele nel deserto (cf Es 13,21). Era previsto che la colonna di fuoco ritornasse ancora alla fine dei tempi (cf Is 4,5; Bar 5,8-9; Song Rab. 1,7,3). La cerimonia della luce, come pure il rituale dell'acqua, pro babilmente hanno contribuito all' escatologizzazione della festa dei Taberna coli (cf Talbert, Reading fohn 153).
Gesù
e
i Ta b e r n a c o l i :
l
( 7, 1 -8 , 5 9 )
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3 . Il rito di guardare il Tempio (m. Su/dc. 5,4) Al canto del gallo per tutti i sette giorni della festa i sacerdoti andavano in processione alla porta orientale dell'area del Tempio e girando le spalle al Tem pio guardavano verso oriente. Al momento del sorgere del sole giravano le spalle al sole e guardavano il complesso del Tempio recitando: «l nostri padri stando in questo luogo voltavano le spalle al Tempio del Signore e la faccia a oriente, e adoravano il sole verso oriente [vedi Ez 8,16]; ma per quanto riguar da noi, i nostri occhi sono rivolti verso il Signore» ( m. Sukk. 5,4). Questi senti menti colgono lo spirito di Zaccaria 14,9: «Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome». Sono presenti anche le ultime parole dell'Hallei cantate in processione: «Sei tu il mio Dio e ti renderò grazie; tu sei il mio Dio e ti esalterò. Celebrate il Signore, perché è buono: perché eter na è la sua misericordia» (Sal 118,28-29). YHWH era riconosciuto come l'unico vero Dio al quale è dovuta ogni lode e fedeltà. Introduzione generale a 7,1-8,59. La lunghezza e la complessità di questa par te del Vangelo, che tratta in larga misura della presenza di Gesù nel Tempio in occasione della festa dei Tabernacoli, consiglia di disporre il commentario in maniera analoga al trattamento del brano 6,1-71. Dopo una presentazione ge nerale della dettagliata struttura del passo, tratteremo separatamente le singo le parti e suddivisioni; i suggerimenti per ulteriori riferimenti e approfondi menti verranno dati dopo il commento al passo 8,48-59. Questo modo di af frontare un testo difficile è stato adottato per motivi di chiarezza, senza toglie re nulla alla nostra convinzione che le varie parti del brano 7,1-8,59 costitui scono un unico insieme letterario. Il racconto si articola in quattro parti principali, delle quali le ultime due presentano altre suddivisioni. a) 7, 1 -9: Prima dellafesta. Nasce uno scisma (schisma) tra Gesù e i suoi fratelli circa l'op portunità di andare alla festa.
b) 7,10-13: Durante la festa. A Gerusalemme c'è uno scisma riguardo a Gesù: è un uomo buono, oppure uno che fa traviare il popolo?
c) 7,14-36: Circa a metà dellafesta I. u.
vv. 14-24: Gesù insegna nel Tempio e ne nasce un conflitto. vv. 25-3 1 : La questione del ruolo messianico di Gesù e delle sue origini crea uno
scisma.
vv. 32-36: Sorge un conflitto sul destino di Gesù. d) 7,37-8,59: L'ultimo giorno della festa 1. 7,37-52: L'autorivelazione di Gesù come acqua viva porta a uno scisma. n. 8,12-30: Gesù si rivela come «la luce del mondo». 111. 8,31 -59: Gesù e «i Giudei» in conflitto per motivo delle rispettive origini. m.
La forma della narrazione è determinata da tre elementi. C'è scisma tra i va ri personaggi del racconto, i quali sono divisi circa i meriti delle rivendicazio ni di Gesù (per il termine greco schisma usato in questo senso vedi 7,43; 9,16; 10,19). Secondo, si acuisce il conflitto tra Gesù e «i Giudei», e infine ci sono in dicazioni ritmiche del trascorrere del tempo (7,2.10.14.37). Le questioni che ge nerano scismi, conflitti e il passare del tempo sono inquadrate nella celebrazio ne ebraica della festa dei Tabernacoli.
206
I l Va ngel o d i G i o va n n i
a) Prima della festa (7,1-9) 1. Dopo questi fatti, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti nori voleva più percorre
re la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. 2. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne. 3. I suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e va' nella Giu dea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. 4. Nessuno infatti, se vuole essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, mani fèstati al mondo!)). 5. Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. 6. Gesù allora dis se loro: «ll mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo invece è sempre pronto. 7. D mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere so no cattive. 8. Salite voi alla festa; io a questa festa non vado, perché il mio tempo non è ancora compiuto». 9. Dopo aver detto loro queste cose, restò nella Galilea.
INTERPRETAZIONE Dopo gli avvenimenti accaduti al lago di Tiberiade (v. 1 : meta tauta) Gesù percorre la Galilea. Non era disposto a percorrere (è usato lo stesso verbo: pe ripatein) la Giudea perché la decisione de «i Giudei» che Gesù deve morire (cf 5,18) è ancora in vigore (v. l). Ma si sta avvicinando la festa ebraica dei Taber nacoli (v. 2) e tutti gli Ebrei maschi avevano il dovere di andare a Gerusalem me per questa «festa di pellegrinaggio» (cf m. Sukk. 2,8-9). I suoi fratelli (hoi adelphoi sou; cf Mc 6,3; Mt 13,55) lo consigliano di lasciare la Galilea e andare in Giudea, ma non per partecipare alla festa a Gerusalemme: essi vogliono che le sue opere (ta erga) siano viste dai discepoli (v. 3). Gesù ha compiuto opere (er ga) meravigliose a Cana (2,1-11; 4,46-54) e sul lago di Tiberiade (6,1-13.16-21). I fratelli di Gesù sono stati dietro le quinte dopo aver accompagnato da Cana a Cafamao Gesù, sua madre e i discepoli (cf 2,12). Gli fanno giustamente notare che nessuno che vuole essere conosciuto pubblicamente agisce in segreto (v. 4a). Pensano invece erroneamente che Gesù verrà ad essere conosciuto sol tanto per le sue erga. La condizionata valutazione dell'attività taumaturgica di Gesù fatta dai suoi fratelli: «Se fai queste cose» (v. 4b) esprime dubbio (cf Bernard, Commentary 1,267). A un livello più profondo essi interpretano male lo scopo delle erga di Gesù chiedendogli di manifestare se stesso (phaneroson seauton) al mondo per mezzo di queste opere. Gesù non è venuto a far cono scere se stesso al mondo, ma a far conoscere Dio (cf 1,18.51; 3,13; 4,10; 5,19.23.30; 6,28-29.46). Il narratore conferma l'impressione del lettore osservando franca mente: «Neppure (oude gar) i suoi fratelli infatti credevano in lui» (v. 5). L'uso di oude gar («neppure infatti») indica un più ampio scenario di incredulità. Se neppure i suoi fratelli credono in lui, è segno che ve ne sono molti altri che non credono. La risposta di Gesù fa una netta distinzione tra due tipi di tempo: il «mio tempo» che non è ancora venuto, e il «vostro tempo» che è sempre pronto (v. 6). L'uso di «invece» (de) indica che c'è conflitto tra i due «tempi». Il kairos di Ge sù non è ancora pronto stando a come è misurato lo svolgimento della sua vi ta. La risposta di Gesù a sua madre (2,4) e i suoi continui riferimenti a colui che lo ha mandato (cf 3,17.34; 4,34; 5,23.24.30.36.37.38; 6,29.38-39.44.57) indi cano che il destino di Gesù è interamente nelle mani del Padre. Ma (de) i suoi fratelli non fanno parte del disegno di Dio che deve essere fatto conoscere in e
P r i m a d e l l a fe s t a ( 7, 1 - 9 )
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per mezzo di Gesù; essi sono liberi di fare ciò che vogliono e quando vogliono. Gesù e i suoi fratelli appartengono a due mondi diversi. Il mondo dei normali kairoi e degli eventi normali non ha motivo di odiare i fratelli di Gesù, ma (de) motivo di odiare (misei) Gesù. «La luce è venuta nel mondo» (3,19) ma il mon do ha respinto la luce e si è dato a fare il male. Gesù rimprovera al mondo le sue opere malvagie, e perciò il conflitto e l'odio sono inevitabili (v. 7). I fratelli non sono toccati da questo odio e pertanto possono tranquillamente andare alla fe sta (v. Ba), ma Gesù non intende andare a questa particolare celebrazione (v. 8b: eis ten heorten tauten), perché il suo tempo non è ancora giunto. L'enfatico uso di «questa» (tauten alla fine della frase) è un accenno che egli ha in mente di par tecipare a un'altra festa, ma non a questa. A un certo momento in futuro il «tem po» di Gesù sarà associato a una delle feste de «i Giudei». Il narratore conclu de l'episodio dicendo al lettore che Gesù è rimasto in Galilea (v. 9). La celebra zione dei Tabernacoli e la subordinazione di Gesù al disegno di Dio sono due temi che continueranno ad essere importanti in tutto il passo 7,1-8,59. NOTE 1. Gesù se ne andava per la Galilea: L'uso dell'imperfetto, periepatei, indica che Gesù si spo stava da un luogo all'altro. È iterativo (cf BDF 166, § 318 [3]; 169, § 325). non voleva più percorrere la Giudea: Alcuni manoscritti (Siriaco Curetoniano, Vetus Lati na, Freer Gospels, alcuni altri manoscritti greci, Crisostomo e Agostino) leggono: «non aveva la capacità» (ou gar eichen exousian) di andare per la Galilea. Alcuni interpreti accettano questa lettura, ma il peso delle testimonianze testuali esterne (specialmente di P66'75) indica che è preferibile attenersi al testo teologicamente meno impegnativo «non voleva» (ou gar ethelen). i Giudei cercavano di ucciderlo: In 7,1 sono usate le stesse parole (ezètoun auton hoi Ioudaioi apokteinai) già usate in 5,18. La presente disposizione del testo è logica. In 5,18, a Ge rusalemme, c'è la minaccia di violenza. In tutto il passo 6,25-71, in Galilea troviamo in comprensioni e dissidi, ma non violenza. Perciò Gesù continua ad andare per la Gali lea, ma vuole evitare la Giudea. 2. Si avvicinava intanto lafesta dei Giudei, detta delle Capannt: Questa indicazione di tempo, messa all'inizio dell'intero passo, prelude all'importanza della celebrazione della festa che fa da sfondo a 7,1-10,21. Sulla celebrazione ebraica vedi la precedente introduzio ne a 7,1-10,21 . In uno studio particolarmente utile, Cory, «Wisdom's Rescue» 95-116, suggerisce che «il discorso dei Tabernacoli diventa un'apologia per una comunità che cerca una spiegazione logica della morte di Gesù, la Sapienza di Dio, mentre cerca di capire il significato della propria persecuzione» (p. 95). Cory scopre importanti legami tra 7,1-8,59 e la «favola della Sapienza». La scrittrice, tuttavia, non tiene conto del l'ambientazione della festa (ma vedi pp. 114-115) e non dà alcun peso a 9,1-10,21 che presenta la stessa impostazione temporale che ha 7,1-8,59. 3. I suoi fratelli gli dissero [dunque]: Anche se il motivo per cui i fratelli di Gesù gli consi gliano di andare a Gerusalemme non è quello della festa, la presenza di oun ( «dun que») per legare il v. 2 al v. 3 indica che la festa è almeno parte della motivazione. perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi: Chi siano questi «discepoli» di Ge rusalemme è oggetto di discussione. Messa così vicino a 6,60-66, tuttavia, molto pro babilmente la frase si riferisce ai mathetai che lo hanno appena abbandonato (v. 66). I fratelli lo sollecitano perciò a compiere qualcosa di miracoloso a Gerusalemme per
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convincere questi discepoli che prima hanno esitato e poi si sono rifiutati di credere al la sua parola (cf 6,60.66). 6. il mio tempo ... il vostro tempo: Nel Quarto Vangelo il termine kairos è usato soltanto in 7,6. 8. «Non si distingue dalla più comune hora» (Barrett, Gospel 312). n «non ancora» (oup0) del kairos di Gesù in 7,6 ricalca il «non ancora» (oupa) dell'hora di Gesù in 2,4. 7. Il mondo non può odiare voi: L'uso di «voi» (hymas) è enfatico. Acuisce quindi ancor più il divario tra Gesù e i suoi fratelli. Vedi anche hymeis nel v. 8. 8. Salite voi allafesta: L'ingiunzione di Gesù non è un'ulteriore critica rivolta ai fratelli, ma un'indicazione della situazione generale di tutti gli «altri». È il modo scelto dall'auto re per far notare il carattere singolare della storia di Gesù, intimamente legata al mo do in cui il Padre gestisce questa storia (cf 4,54; 5,19.30). Io a questafesta non vado: Al posto di ego ouk anabaino alcuni manoscritti hanno ego oupo anabaino «io non vado ancora a questa festa». Questa lettura è respinta da quasi tutti gli interpreti, che la considerano un tentativo dei primi scribi di evitare la difficoltà crea ta dal fatto che nel v. 10 Gesù dopo tutto va a Gerusalemme.
b)
Durante la festa a Gerusalemme (7,10-1 3)
10. Ma quando i suoi fratelli furono saliti per la festa, vi andò anche lui, però non pub blicamente, ma in privato. 11. I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e diceva no: «Dov'è quel tale?» . l2 E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni in fatti dicevano: « È buono!». Altri invece: «No, inganna la gente!». 13. Nessuno però ne parlava in pubblico, per paura dei Giudei. .
I N T E R P R E TA Z I O N E I fratelli vanno alla festa (v. 10a) e Gesù (kai autos) compie il pellegrinaggio. L'affermazione principale della frase è che Gesù va a Gerusalemme (v. 10b ). La sua precedente decisione viene capovolta. Come in 2,4-7 e in 4,48-50, anche qui una iniziale riluttanza a prendere parte a una certa azione viene sconfessata. Gesù risponde alla volontà di qualcuno che è più grande di sua madre (2,3), del funzionario del re (4,47) e dei suoi fratelli (7,3-4). Ciò che è stato detto nei vv. 5-7 prepara il terreno per l'incondizionata risposta di Gesù al più ampio disegno del Padre suo (cf Giblin, «Suggestion, Negative Response» 206-208). I suoi fra telli esigono da Gesù: «Manifèstati al mondo!» (phaneroson seauton ti) kosmi)) (v. 4). In studiato contrasto con i piani dei suoi fratelli, Gesù si reca alla festa «non apertamente, ma di nascosto» (v. 10b: ou phaneros alla en krypti)). Nelle discus sioni e negli schismata che seguono, il lettore sa che Gesù si trova a Gerusalem me, ma «i Giudei» non lo sanno. «l Giudei» lo stanno cercando (ezetoun auton). Questa ricerca è un cattivo presagio, poiché ricorda 5,18 e 7,1, dove è stato usa to lo stesso verbo (zeteo) per indicare le loro intenzioni riguardo alla vita di Ge sù. La loro domanda: «Dov'è quel tale (pou estin ekeinos)?» solleva una questio ne che si intreccia in tutto il Vangelo ed è uno dei principali motivi di conflitto durante la celebrazione dei Tabernacoli: di dove viene Gesù e dove va. In pre cedenza «i Giudei» hanno mormorato (egongyzon) riguardo alla pretesa di Ge sù di essere disceso dal cielo (cf 6,41.43.61). Adesso anche «la folla» si unisce al la loro mormorazione (gongysmos), ma su un'altra questione. Gesù è un uomo
C i rc a a m e t à d e l l a fes t a ( 7 , 1 4 - 3 6 )
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autorevole e buono (agathos), oppure insegna il falso, in combutta col diavolo, per portare la gente alla rovina (planos, «l'ingannatore»)? La gente rimane di visa sulla questione. «l Giudei>> hanno comunque preso la loro decisione ri guardo a Gesù, indipendentemente da ciò che può pensare la gente. La gente continua a chiedersi e a discutere, ma ha paura di parlare apertamente di un uomo che «i Giudei>> hanno già deciso di eliminare (v. 13). La scena è impostata per la presenza di Gesù a Gerusalemme per la cele brazione dei Tabernacoli. È stata sollevata la questione dell'autorivelazione di Gesù al mondo (vv. 1-9). Gesù, i discepoli, «i Giudei» e «la folla» si sono radunati a Gerusalemme (vv. 10-13). Vengono poste domande serie: dov'è Gesù? (v. 11), e cosa fa? (v. 12). Si è messo in atto un conflitto mortale (vv. 10.13). NOTE 10. Ma quando i suoifratellifurono saliti per la festa: D termine tecnico «salire» (anabainein) nel v. 10 è usato due volte, una per i fratelli e l'altra per Gesù, per descrivere l' «andata» a Gerusalemme per una festa di pellegrinaggio.
però non apertamente, ma di nascosto: Alcuni manoscritti dicono che Gesù è salito «come in segreto» (hos en kryptQ). Altri giustamente omettono l'espressione, che probabil mente è stata aggiunta per attutire l'impressione di contraddizione e di inganno (cf Barrett, Gospel 313). 11 . I Giudei intanto lo cercavano durante lafesta: Occorre mantenere la distinzione tra «i Giu dei» e «la folla». Brodie, Gospel 313, 317-318, interpreta «i Giudei» e «la folla» come «allusioni alla diversificazione nel mondo: Giudei e Gentili» (p. 313). Questa interpre tazione non può essere sostenuta nel resto del racconto nel quale tutti i personaggi («i Giudei», i farisei, il popolo e gli abitanti di Gerusalemme) sono Giudei, ma alcuni so no «i Giudei» (cf l'Introduzione; Ashton, Understanding the Fourth Gospel 131-159). 12. inganna la gente: Sull'accusa mossa a Gesù di essere un falso maestro (planos) che in ganna la gente vedi Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 77-116. 13. per paura dei Giudei: Questa osservazione del narratore è un'ulteriore indicazione che «i Giudei» sono un gruppo di persone che hanno già preso una loro decisione riguardo a Gesù e alla comunità giovannea. Non è un riferimento al popolo ebraico, visto che nel v. 13 tanto «i Giudei» quanto «la folla» sono tutti Ebrei. L'espediente di diversi interlocutori nei capp. 7-8 a volte è stato usato come pretesto per operare trasposizioni o è stato visto come un'indicazione dell'esistenza di vari strati nella tradizione. Vedi, ad esempio, Ashton, Understanding the Fourth Gospel 332-334. Qualunque sia stata la preistoria del testo, questi interlocutori svolgono un ruolo importante nel farci seguire lo svolgimento logico di questo denso p asso così com'è nella sua forma attuale. Vedi Schenke, «}oh 7-10» 175-178; Robert, «Etude litté raire» 71-84.
c) Circa a metà della festa (7,14-36) Struttura di 7,14-36. In questa parte del testo si possono distinguere tre sud divisioni: 14-24: «l Giudei» contestano le origini dell'insegnamento e dell'autorità di Gesù.
1.
uv.
n.
vv. 25-31 :
Gli abitanti di Gerusalemme si chiedono se Gesù possa essere il Cristo,
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I l Va ngelo d i G i o va n n i
dato che conoscono le sue origini. Ma molti tra la gente lo riconoscono come il tau maturgico Messia. m. vv. 32-36: «l Giudei>> mostrano la loro incapacità a capire il destino di Gesù.
Questo è un racconto denso, con i personaggi interessati e le questioni sul tappeto che si intersecano e si scambiano. La trama è fortemente subordinata al punto di vista teologico del Vangelo nel suo insieme. Tale intensità si riscontra fino a 8,59. Se prestiamo attenzione alla progressiva articolazione della pre sentazione che l'autore fa di Gesù colto in un infocato conflitto che sfocia nel ri fiuto, vediamo un coerente, sebbene complicato, sposalizio tra un racconto che riferisce un episodio della vita di Gesù e il punto di vista teologico dell'autore.
l . Gesù, «i Giudei» e «la folla» (7,14-24) 14. Quando ormai si era a metà della festa, Gesù salì al Tempio e insegnava. 15. I Giu dei ne erano stupiti e dicevano: «Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?>>. 16. Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. 17. Chi vuole fare la volontà di Dio riconoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso. 18. Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero, e in lui non c'è falsità. 19. Non è stato forse Mosè a darvi la Legge? Eppure nessuno di voi osserva la Legge! Perché cer cate di uccidermi?>>. 20. Rispose la folla: «Sei indemoniato! Chi cerca di ucciderti?». 21. Disse loro Gesù: «Un'opera sola ho compiuto, e tutti ne siete stupiti. 22. Mosè vi ha dato la circoncisione (non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi) e voi circoncidete un uomo anche di sabato. 23. Ora, se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la Legge di Mosè, voi vi sdegnate contro di me perché di sabato ho guarito interamente un uomo? 24. Non giudicate secondo le apparenze; giudicate con giustiziah>.
I N T E R P R E TA Z I O N E La celebrazione della festa - le cerimonie dell'acqua e della luce e all'alba la professione di fede nel vero Dio - è in pieno svolgimento: «quando ormai si era a metà della festa» (v. 14a). Gesù salì (anebe) al Tempio e insegnava (v. 14b). È proprio il suo insegnamento che crea una reazione negativa da parte de «i Giu deh>, che hanno già deciso che deve essere condannato a morte (5,18; 7,1.11). Si meravigliano del suo insegnamento (v. 15a). Questo «meravigliarsi» (ethauma zon) è un rifiuto emotivo dell'insegnamento di Gesù (cf BAGD 352). L'inse gnamento autorevole o la conoscenza delle lettere (grammata oiden) presuppo ne che il maestro segua la linea tradizionale, che spieghi la Torah. Le tradizio ni venivano tramandate autoritativamente dai maestri, e un nuovo arrivato che si mettesse a insegnare nel Tempio doveva necessariamente essere cono sciuto per essere stato discepolo di qualche insigne maestro. Questa visione «tradizionale» del maestro aveva acquistato un'importanza fondamentale per poter far valere la propria autorità nel giudaismo rabbinico post-70. Gesù non può appellarsi a nessun maestro autorevole, e perciò non può esserci alcuna au torevolezza in ciò che insegna (v. 15b). Ciò che è in gioco sono le origini del l' autorità di Gesù. La risposta di Gesù (vv. 16-24) ripete ciò che è già stato det to a «i Giudei» nei capp. 5-6, specialmente in 5,19-47.
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Tutto ciò che Gesù dice e fa ha le sue origini nel Padre suo (cf 5,19-20); per ciò il suo insegnamento è l'insegnamento del Padre che lo ha mandato (v. 16). La questione in gioco non è se «i Giudei» siano disposti ad accettare Gesù, ma se siano disposti ad accettare il loro Dio tradizionale, ora rivelato come il Padre di Gesù. Dio è rivelato nelle tradizioni dei rabbini o nell'insegnamento di Ge sù? Nei vv. 1 7-18 Gesù sfida «i Giudei» a prendere la loro decisione. Chiede ai suoi avversari se sono disposti ad accettare o se rifiutano l'intervento di Dio in e per mezzo del suo Figlio: letteralmente: «Se uno ha la volontà di fare la sua volontà» (v. 17a: ean tis thelç to thelema autou poiein). Quelli che cercano sincera mente di fare la volontà di Dio saranno in grado di stabilire le origini dell'in segnamento di Gesù. Viene «da Dio» (v. 17b: ek tou theou) o «da Gesù» (ego ap'e mautou Ialo)? Come già in 5,44, Gesù gioca sul doppio significato del termine greco doxa: stima degli uomini o rivelazione di Dio. Egli taccia i pronuncia menti autoritari della sinagoga, che ha rifiutato di riconoscere il Cristo in Gesù e ha scomunicato i suoi seguaci (cf 9,22; 12,42; 16,2), di non essere altro che al la ricerca della propria doxa: «Chi parla da se stesso [a nome proprio], cerca la propria gloria (doxa)» (v. 18a). Ma Gesù indica in se stesso quello che cerca la gloria (doxa) di colui che lo ha mandato (v. 1 8b ). Non è in una missione di au toglorificazione, e perciò è veritiero (alethes estin). Egli rivela la verità, e in lui non c'è falsità (adikia). «I Giudei non prendono l'insegnamento di Gesù per quello che è (rivelazione), perciò lo considerano un falso profeta, in combutta con il diavolo, che conduce il popolo fuori strada, allontanandolo dalla Legge e dall'ortodossia» (Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 100). La discussione su Mosè che segue (vv. 19-23) indica che «i Giudei» non so no stati smossi dalle parole di Gesù. L'autorità dei rabbini ha la pretesa di risa lire a Mosè, il quale ha avuto la sua dottrina direttamente da Dio. Perciò «i Giu dei» possono affermare che la loro dottrina viene «da Dio» attraverso la me diazione di Mosè. Ma «i Giudei» hanno deciso di uccidere Gesù (cf 5,18; 7,1.11), e Gesù proclama che questo è un rifiuto di accettare la Legge (v. 19). Per il Ge sù giovanneo c'è un filo diretto da Dio a Mosè a Gesù. Nel loro violento inten to di eliminare Gesù, «i Giudei» mettono se stessi fuori dei disegni di Dio, ri velati parzialmente nell'antico dono della Legge ed ora perfezionati nella pie nezza del dono nella persona di Gesù Cristo (cf 1,16-17). Gesù può quindi ac cusare «i Giudei»: «Nessuno di voi osserva (poiez) la Legge! Perché cercate di uc cidermi?» (v. 19). Qualsiasi tentativo di eliminare l'Inviato di Dio (cf v. 16) è un rifiuto di compiere la volontà di Dio (cf v. 17) e come tale una violazione della Legge di Mosè (v. 19). Le parole di Gesù indicano l'assolutezza di questa si tuazione: «nessuno di voi (oudeis ex hymon) osserva la Legge!». «Mentre i Giu dei considerano la fede in Gesù un tradimento della Legge, Giovanni fa risali re la Legge alla sua fonte ed elimina il contrasto tra la Legge e la fede in Gesù)) (Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 379). Nel v. 20 cambiano gli interlocutori; adesso è «la folla)) (ho ochlos) che fa una domanda. «l Giudeh) e «la folla)) sono due gruppi distinti, visto che i primi hanno già deciso che Gesù deve essere ucciso (cf 5,18; 7,1 .11), mentre «la folla)> è colta di sorpresa dalle parole di Gesù nel v. 19. Non ha nessuna intenzione di ucciderlo e non è al corrente di nessun piano in tal senso. Le parole della folla:
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«Sei indemoniato!» non sono di rifiuto, ma un'indicazione che la gente pensa che Gesù sia impazzito. Ci sono due gruppi in dialogo con Gesù. Un gruppo, «i Giudei>), ha già preso una decisione, mentre l'altro, «la folla)) non l'ha fatto. ' Le parole di Gesù nel v. 21 sono dirette «a loro)) (eipen autois). Il «loro)) (autois) si riferisce a tutti quelli che hanno messo in discussione l'autorità di Gesù. Ge sù ricorda gli eventi della guarigione operata di sabato (cf 5,1-18) dicendo loro che ha fatto una sola cosa e tutti ne sono rimasti stupiti (kai pantes thaumazete). Il discorso riguarda tanto «i Giudei>) di 5,1-18 e 7,20 quanto «la folla)) di 7,14-24. Continua la discussione iniziata nel v. 19 riguardo alla pretesa dei suoi avver sari di riconoscere l'autorità di Mosè (vv. 22-23). Una tradizione che viene da Dio per mezzo di Mosè prescrive che se l'ottavo giorno dopo la nascita di un bambino di sesso maschile cade di sabato, il bambino deve essere circonciso an che di sabato (cf m. Sabb. 18,3; 19,2; m. Ned. 3,11). Il dono della circoncisione, che Israele attribuisce a Mosè anche se era praticata prima dei tempi di Mosè (cf Gn 17,10), era un segno dell'entrata nel popolo dell'alleanza, l'adempimento del la Legge e il raggiungimento della perfezione di un uomo (cf m. Ned. 3,11). Una questione di tale importanza vitale viene perfino prima della Legge. Se così stanno le cose, perché contestare l'attività di Gesù che in giorno di sabato ha re stituito a un uomo la sua piena integrità: «Ho guarito interamente un uomo)) (v. 23: holon anthrapon hygie epoiesa; cf 5,6.9.11)? Non vedere ciò significa rifiutarsi di vedere il graduale svolgimento della rivelazione di Dio, prima attraverso Mosè e poi attraverso Gesù Cristo (cf 1,16-17). L'episodio chiude con l'accusa di Gesù che il giudizio dei suoi avversari è to talmente condizionato dalle apparenze (kat'opsin ). Essi giudicano solo in base a ciò che possono misurare, vedere, toccare, e per questo la Legge è sufficiente. Si rifiutano di vedere oltre ciò che riescono a controllare, di accettare la parola di Gesù, il Figlio di Dio. Fare ciò significherebbe «giudicare con giustizia)) (ten dikaian krisin). Durante la celebrazione della festa dei Tabernacoli i sacerdoti ogni giorno voltano le spalle al sole nascente, guardano verso il santuario e proclamano il loro rifiuto di qualsiasi falso dio. Per ironia della sorte, con il ri fiuto del vero Dio nella persona di Gesù essi fanno del loro rituale giornaliero una menzogna. Nel loro rifiuto di Gesù c'è il rifiuto di colui che lo ha manda to, l'unico vero Dio per il quale essi proclamano la loro incrollabile fedeltà. NOTE 14. Quando ormai si era a metà dellafesta: Questa indicazione di tempo colloca gli eventi e gli incontri che seguono nel bel mezzo della celebrazione. Vengono eseguiti tutti i riti giornalieri previsti. Non deve essere necessariamente un sabato né qualsiasi altro gior no speciale (cf Barrett, Gospel 317). Gesù .. . insegnava: Questa è la prima volta che vediamo Gesù «insegnare» a Ge rusalemme. Michaels, «Temple Discourse» 204-206, pensa che l'insegnamento di Gesù in Giovanni 7-8 sia quello di cui si parla in 18,19: «Il sommo sacerdote interrogò Gesù ri guardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina». 15. Come mai costui conosce . ?: L'uso di «costuh> (houtos) è peggiorativo. «I Giudeh> hanno già preso una decisione riguardo a Gesù, anche se «la folla» è ancora perplessa (cf vv. 10-13.20). Sulla concezione ebraica di un vero maestro come di uno che ricollega il suo ..
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insegnamento, mediante un autorevole rabbino, alla tradizione di Mosè, e quindi in ul tima analisi a Dio, vedi Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 82-83, 88, 106-108. 17. Chi vuoifare la sua [di Dio] volontà: L'interpretazione adottata legge le parole di Gesù in riferimento alla questione del fare la volontà di Dio («la sua volontà» la volontà di Dio). Dietro questa discussione si possono celare le diatribe tra la sinagoga giudaica di fine secolo e il cristianesimo giovanneo. Hanno ragione «i Giudei» a rimanere attacca ti alla tradizione secondo cui l'autorità di insegnare viene tramandata dal maestro al discepolo, oppure è vero che Gesù di Nazaret, come Figlio di Dio, insegna per autori tà divina? L'insegnamento di Gesù trascende il dibattito sulla questione del «fare la vo lontà di Dio». La questione della condotta etica, anche se non negata, è superata; non è al centro del criterio posto da questo autore per misurare la vera fede. Vedi Lightfoot, Gospel 178; Haenchen ]ohn 2,13-14. 18. in lui non c'èfalsità: Questo è l'unico passo in cui viene usato il tennine «falsità)) (adikia) . È l'opposto di «vero» (alethes). La base per la contrapposizione tra alétllls e adikia si tro va in Qumran (es.: 1QS 3,13-4,26; 5,10; 6,15; 8,9-10; 9,17; 1QH 4,25; 15,25; CD 2,14.15); T. 12 Patr. (es.: T. Rub. 3,5-8; T. Dan 5,1; 6,8-9; T. Aser 5,3-4; 6,1-4; T. Lt·Pi 1 6,1 -2; T. Neft. 3,2-3; T. Gad 3,1-4; T. Giuda 14,8; T. Issac. 4,6; T. Ben. 10,3); e nella letteratura sapienzia le ebraica (es.: Sal 118,10; Gb 6,24; 12,24; 19,4; Prv 7,25; 12,26; 1 3,9; 2 1 , 1 6; 2 8 1 0 ; Sir 9,8; Sap 5,6; 12,24). Nell'uso pratico si può sintetizzare in «vera ri,·elazione>> contrapposta a «falsa rivelazione». Vedi Pancaro, The Law in the Fourtlz Gospe/ 92- 1 0 1 . 19. Non è stato forse Mosè a darvi la Legge?: Sulla tradizione che �1osè ha ricevuto la Legge da Dio e che tutta la successiva interpretazione rabbinica della Legge si rifaceva inin terrottamente al dono di Dio vedi Zaiman, «The Traditional Studv•• . 1 ,27-36. nessuno di voi osserva la Legge!: È possibile scorgere un legame tra la precedente affer mazione di Gesù (v. 17) sulla necessità di compiere la volontà di Dio (to thilema autou poiein) e l'accusa di Gesù che nessuno de «i Giudei» osserva la Legge (v. 19: oudeis ex hymon poiei ton nomon). Qualsiasi tentativo di eliminare l'Inviato di Dio (v. 16) è un ri fiuto di fare la volontà di Dio (v. 17) e quindi una violazione della Legge di Mosè (v. 19). 20. Rispose la folla: L'improvvisa comparsa di un altro gruppo di persone ha un'efficacia drammatica. Il lettore è al corrente della decisione de cci Giudei» (5,18; 7,1 .11) e segue i loro tentativi di portarla ad effetto. La folla non sa niente di tutto ciò, e pertanto fa da diversivo sia per la conoscenza che Gesù ha della decisione nei suoi confronti, sia per la doppiezza de «i Giudei» che cercano di discutere con Gesù. 22. voi circoncidete un uomo anche di sabato: Sullo sfondo ebraico di questa sottigliezza gio vannea (m. Sabb. 18,3; m. Ned. 3,1 1 ) \'edi Thomas, possibile (7,30). Gli abitanti di Gerusalemme sono improvvisamente sostituiti da «la folla» (v. 31 : ho ochlos). Mentre i primi hanno deciso che Gesù non può essere il Mes sia, molti tra la folla rimangono conquistati. Questi credono in lui e sono di sposti ad ammettere che quest'uomo possa essere il Messia a causa dei segni che hanno visto compiere da lui (v. 31). «La folla» si unisce a un crescente nu mero di personaggi che credono a causa dei segni di Gesù: i molti di Gerusa lemme (2,23-25), Nicodemo (3,2), la Samaritana (4,25) e la folla presso il lago di Tiberiade (6,2). Anche se non è drammatica come il violento rifiuto di Gesù da parte degli abitanti di Gerusalemme, la fede de «la folla» non raggiunge il se gno della sostanziale fede giovannea. NOTE 25. alcuni abitanti di Gerusalemme: Sulla base di ciò che i diversi personaggi sanno o non sanno del complotto di uccidere Gesù, è necessario fare una distinzione tra «la folla» (vv. 20.31) e «alcuni abitanti di Gerusalemme» (v. 25). Non c'è invece distinzione tra «le autorità», «i Giudei» e «i Farisei» che vengono usati come sinonimi nei vv. 11.13.15.32.35.47-48. 26. che egli è il Cristo?: Secondo alcuni, «questo improvviso sollevare la questione messia nica è sorprendente» (Schnackenburg, Gospel 2,146). Ma se si presta la dovuta atten zione al contesto della festa dei Tabernacoli (cf v. 28), il presentarsi della questione messianica non è poi tanto sorprendente (vedi «La Festa dei Tabernacoli» nell'inter pretazione data sopra). 27. nessuno saprà di dove sia: Ci sono ampie testimonianze ebraiche dell'idea di un Messia na scosto, le cui origini sono sconosciute (es.: Is 7,14-17; Ml 3,1; Dn 7,13; b. Sanh. 97a; 1 Enoch 46; 48,2-6; Esdr. 7,28; 13,32; 2 Bar. 29,3; Giustino, Dial. 8,4; 110,1). Vedi la trattazione det tagliata di Sigmund Mowinckel, He That Cometh (Blackwell, Oxford 1959) 304-308. Se condo Cory, «Wisdom's Rescue» l 00-102, la questione delle origini, tema particolar mente importante per 7,1-8,59, mette il passo in relazione alle tradizioni sapienziali. 28. chi mi ha mandato è veritiero: Questa traduzione legge il termine «vero» (alethinos) in senso marcatamente aggettivale (l'unico vero Dio) anziché avverbiale (egli è vero, os sia non dice menzogne). 31 . Molti della folla invece: C'è un netto contrasto tra «la folla» (v. 31) e «alcuni abitanti di Ge rusalemme» (v. 25). Sono gruppi diversi nel racconto e presentano risposte diverse a Gesù. Questo fatto non è riconosciuto da tutti (es.: Barrett, Gospel 323). Esiste comun que una continuità, poiché la questione messianica sollevata dagli abitanti di Gerusa lemme nel v. 26 è ancora presente nelle parole de «la folla» nel v. 31.
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Il Cristo, quando verrà, compirà forse segni più grandi?: D messianismo popolare non as sociava il Messia ai miracoli. Per una discussione in proposito vedi Painter, Quest 294295, e Ashton, Understanding the Fourth Gospel 273-278. E tuttavia c'era l'aspettativa di segni e prodigi che avrebbero accompagnato il profeta escatologico mosaico (cf Meeks, Prophet-King 162-164). Bittner, Jesu Zeichen 245-258, ha dimostrato l'importanza di Isaia 11 nell'additare un Messia davidico che avrebbe operato miracoli per dimostrare la sua bontà.
3. Gesù e «i Giudei)) (7,32-36) 32. I farisei udirono che la gente andava dicendo queste cose di lui. Perciò i capi dei sa cerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo. 33. Gesù disse: «Ancora per poco tempo sono con voi, poi vado da colui che mi ha mandato. 34. Voi mi cercherete e non mi troverete; e dove sono io, voi non potete venire». 35. Dissero dunque tra loro i Giudei: «Dove sta per andare costui, che noi non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi fra i Greci e insegnerà ai Greci? 36. Che discorso è quello che ha fatto: "Voi mi cercherete e non mi troverete", e: "Dove sono io, voi non potete veni re"?>>.
INTERPRETAZIONE « l Farisei)) e « i capi dei sacerdoti)) sono preoccupati d i questa divisione tra il popolo (cf vv. 30-31) e mandano le guardie (hyperetas) ad arrestare Gesù (v. 32). Poi temporaneamente (cf v. 45) scompaiono dalla scena. In questo contesto arroventato Gesù consiglia ai suoi avversari di approfittare al massimo del breve tempo che hanno ancora a disposizione. Gesù rimarrà tra loro (me th'hymon) ancora per poco tempo, dopo di che farà ritorno a colui che lo ha mandato. Il lettore del Vangelo riconosce in queste parole l'accettazione attiva di Gesù dei disegni di Dio, ma «i Giudei)) sono incapaci di entrare in quel mon do. Chiusi dentro il loro mondo, che rifiuta qualsiasi cosa che non sia l'origine umana di Gesù, vi cercheranno Gesù (zetesete me), ma non ve lo troveranno. Il mondo di Gesù, il mondo del Padre, va oltre la loro capacità tanto di capirlo quanto di entrarvi (v. 34) . La discussione sul Messia precedente a questo in contro si svolgeva nel m_ondo delle aspettative messianiche ebraiche: un Mes sia nascosto (vv. 27-28) e un Messia che operava miracoli (v. 31): un mondo in cui «i Giudei)) hanno buon gioco. Ora «i Giudei)) cercano di eliminare Gesù dalla storia umana nella quale essi esercitano la loro autorità (cf v. 32). Non ri escono a capire che il loro piano viene ostacolato perché c'è un altro mondo in cui regna un'autorità suprema, e la storia di Gesù è determinata da quel mondo. Esiste però un luogo dove Gesù sarebbe al di fuori della portata e del con trollo de «i Giudei». Essi pensano che potrebbe avere in mente di andare nella Diaspora, il mondo oltre i confini del sacro territorio d'Israele, e là potrebbe in segnare ai Greci (v. 35). C'è un po' di ironia nell'ipotesi. Gesù sta parlando del suo ritorno al Padre, non di un viaggio in un paese straniero. Eppure, in altre parti del Vangelo (cf 1,9-13; 3,16; 4,42; 6,35.40.45.51) è stato promesso che Ge sù avrebbe portato la salvifica presenza di Dio al mondo intero, anche a colo-
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ro che n.on sono Ebrei. Gesù potrà non andare nella Diaspora, ma il suo ritor� no a colui che lo ha mandato (v. 31) promette la possibilità a tutto il mondo di avere la vita. Fino a questo momento la promessa non è ancora stata adem piuta. «I Giudei» hanno inaugurato i loro incontri con Gesù in occasione della ce lebrazione dei Tabernacoli mettendo in discussione la sua autorità come mae stro (cf vv. 14-15). Ora mostrano una certa agitazione pensando alla possibili tà che egli decida di andare nella Diaspora a insegnare ai Greci (v. 35); sono preoccupati che l'insegnamento che essi hanno respinto venga portato ai Gre ci. Gli avvenimenti che hanno avuto luogo «a metà della festa» (v. 14) giungo no alla conclusione con «i Giudei» in uno stato di considerevole agitazione. Questo stato d'animo, tuttavia, è dato dalla loro indisponibilità ad ascoltare le parole di Gesù e ad accettarle positivamente. Perciò essi continuano a porre do mande alle quali Gesù ha già risposto: «Che discorso è quello che ha fatto: 11Voi mi cercherete e non mi troverete", e: l/Dove sono io, voi non potete venire"?» (v. 36). I tentativi di capire chi fosse Gesù sono stati dominati dalla tradizionale aspettativa messianica: il Messia nascosto (vv. 27-28) e il Messia che opera mi racoli (v. 31). Ma il mistero di Gesù può essere capito soltanto nei termini delle sue origini e del suo destino in Dio (vv. 33-34) . Il suo ministero sta provocando schismata (vv. 25-26.31 .35-36), conflitti (vv. 28-29.33-34) e rifiuto violento (vv. 30.32). E sta portando verso «l'ora» (vv. 6.30). La presenza di Gesù alla festa ebraica dei Tabernacoli non abolisce il pensiero messianico ebraico tradiziona le, ma trascende e trasforma le speranze normalmente espresse nel contesto di questa grande festa. Il conflitto nasce dall'indisponibilità ad accettare l'idea che le origini e il destino di Gesù trascendono le limitazioni della festa de «i Giudei» e che Gesù perfeziona - non sostituisce - il precedente dono di Dio dato per mezzo di Mosè (cf vv. 19-24; 1,16-17). NOTE 32. i capi dei sacerdoti e ifarisei: Barrett (Gospe/ 324) fa giustamente notare i diversi modi in cui l'autore parla degli avversari di Gesù: «Usa semplicemente hoi Ioudaioi come ter mine generico per i nemici di Gesù, e all'occasione lo specifica in hoi archiereis (o hoi ar chontes) assieme a hoi Pharisaioi». Il motivo per cui li nomina specificamente può esse re per rafforzare l'impressione che si coglie nel passo seguente: queste sono persone autorevoli o di prestigio tra «la folla». . mandarono delle guardie per arrestarlo: Le «guardie» (hyperetaz) di cui si parla qui sono funzionari del Tempio, alle dirette dipendenze dei capi dei sacerdoti (vedi la nota pre cedente). Questa è un'ulteriore indicazione che Gesù si trova ancora nel complesso del Tempio, dove si svolgono le celebrazioni della festa. 33. Ancora per poco tempo: Le espressioni «per poco tempo» e «un breve tempo» si rifanno all' AT (cf Is 10,25; 54,7; 55,6; Ger 51,33; Os 1,4; Ag 2,6), come pure l'idea di cercare e non trovare (cf Dt 4,29; Os 5,6). Contengono inoltre una nota di urgenza apocalittica. Vedi Korteweg, «You will seek me» 349-354. vado da colui che mi ha mandato: Abbiamo qui uno dei termini tanto cari a Giovanni per esprimere il ritorno attivo di Gesù al Padre: hypago (cf 8,14.22; 13,3.33.36; 14,4.5.28;
16,5.10.17).
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34. Voi mi cércherete: L'uso del vérbo «cercare>> (z8eD) per desCrivere ·t'azione degli awer· sari di Gesù ha sempre una connotazione di violenza (cf 5,18; 7,1 .11.18.20.25.34.36). dove sono io: L'interpretazione accentua il luogo dove si trova Gesù e non richiede che l'espressione hopou eimi ego sia presa come un'allusione all'uso cristologico di ego eimi, come alcuni vorrebbero. 35. Dissero dunque tra loro i Giudei: L'espressione «i Giudei» deve essere ancora presa per un termine generico che abbraccia tutti i gruppi nominati nel v. 32. quelli che sono dispersifra i Greci: Sui precedenti di questa complessa situazione e di co me i Giudei vedevano «la dispersione tra i Greci» (la Diaspora) vedi W. C. van Unnik, Das Selbstverstandnis der fudischen Diaspora in der hellenistisch-romischen Zeit (ed. P. W. van der Horst, AGJU 17, E. J. Brill, Leiden 1993). insegnerà ai Greci: Sull'ironia creata dall'idea de «i Giudei» che Gesù potrebbe partire per andare a insegnare ai Greci vedi Kysar, John's Story 46.
d) L'ultimo giorno della festa (7,37-8,59) La struttura di 7,37-8,59. Il racconto degli avvenimenti che hanno luogo nel
Tempio «l'ultimo giorno della festa» (v. 37) può essere diviso in tre parti prin cipali: I.
7,37-52: La presentazione che Gesù fa di se stesso come l'acqua viva crea schismata tra «la folla» e i Farisei. n. 8, 1 2-30: La presentazione che Gesù fa di se stesso come «la luce del mondo» e le conseguenze, sia positive che negative, della sua presenza rivelatrice. m. 8,31-59: Gesù e «i Giudei» ingaggiano un conflitto a tutto campo e si scambiano pesanti accuse riguardo alle rispettive origini.
La polemica si inasprisce sempre più quando Gesù e «i Giudei» si chiudono in un circolo di aspre accuse e controaccuse.
1 . Gesù, «la folla» e i capi (7,37-52) 37. Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, esclamò ad al ta voce: «Se qualcuno ha sete, venga a me, 38. e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». 39. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: lo Spirito infatti non era stato an cora dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato. 40. All'udire queste parole, al cuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». 41. Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? 42. Non dice la Scrittura che il Cristo verrà dalla famiglia di Davide e da Betlemme, il villaggio di Da vide?». 43. E tra la gente nacquero dissensi riguardo a lui. 44. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. 45. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero lo ro: «Perché non lo avete condotto qui?». 46. Risposero le guardie: «Nessuno ha mai parlato così!». 47. Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? 48. Gli ha forse creduto qualcuno dei capi, o dei farisei? 49. Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». 50. Allora Nicodemo, che era andato precedentemente da Gesù ed era uno di loro, dis se: 51. «La nostra legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». 52. Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!».
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INTERPRETAZIONE L'ottavo giorno della festa, l'ultimo, era simile a un giorno di sabato (cf Lv 22,33-43). Era un giorno di grande gioia, e si continuava a cantare l'Hallel (cf m. Sukk. 4,8; Giuseppe, An t. 3,245, 247). L'uso cerimoniale dell'acqua e della luce, invece, cessava al settimo giorno. Il giorno in cui questi simboli erano stati eli minati dal cerimoniale della festa, Gesù si mette in piedi (eistekei) e proclama a gran voce (ekraxen) nel TemRio che lui è una sorgente di acqua (vv. 37-38) e la lu ce del mondo (8,12; cf 9,5). E per questo motivo che il narratore definisce quel giorno «il grande giorno della festa». Gesù, il dispensatore dell'acqua che zam pillerà per la vita eterna (4,14), la perfezione del Dio creatore del sabato (5,19-30) e il dono del pane vero disceso dal cielo (5,25-58), proclama: «Se qual cuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: "Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva"» (vv. 37b-38) (sulla punteggia tura e la traduzione vedi la nota). Nel contesto di una festa ebraica contrasse gnata da libagioni e dalla promessa di un futuro Messia che rinnoverà il dono mosaico dell'acqua, Gesù presenta se stesso come la sorgente di acqua viva. Egli propone una sorgente di acqua viva alternativa: non ci sarà più bisogno di andare ad attingere l'acqua alla piscina di Siloe per le libagioni rituali giorna liere. Gesù è la sorgente di acqua viva per tutti quelli che credono in lui (ean tis dipsa ... ho pisteuon); egli trascende il cerimoniale della festa ebraica. L'unico cri terio per essere ammessi al vivificante rinfresco di Gesù è un movimento spon taneo verso di lui (v. 37: erchestho pros me) e la fede in lui (v. 38a: ho pisteuon eis me). Gesù rivendica anche di essere l'adempimento delle Scritture, promettendo fiumi di acqua viva che sgorgano da lui (v. 38b) e spengono la sete di chiunque crede e va da lui (vv. 37-38a). In Ezechiele 47,1-11 da sotto il Tempio (vv. 3-6) sgorgano acque che diventano sempre più profonde e fanno rivivere le regio ni desertiche dell'Araba passando per Engaddi e En-Eglaim (vv. 8-11). Eze chiele 47,9 promette: «Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiu me, vivrà». Dato il legame esistente tra Zaccaria 14 e la celebrazione dei Taber nacoli (cf Zc 14,16-19), è possibile che vi sia un riferimento anche a Zc 14,8: «In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale e parte verso il mare occidentale, sempre, estate e in verno» (cf anche 14,17). Gesù trascende qualsiasi tentativo di poterlo capire col metro delle categorie delle aspettative messianiche ebraiche (cf vv. 14-36). In Ez 47,1-11 1'acqua vivificante scaturisce dal Tempio, il centro, il perno di Gerusa lemme e della terra (cf Ez 38,12; ]ub. 8,19; b. Sanh. 37a). Gesù proclama che le ac que vivificanti scaturiscono da lui stesso (ek tes koilias autou. Vedi la nota). «Gio vanni usa questo termine come m�zzo per trasferire la profezia dalla città a una persona» (Barrett, Gospel 328). E la persona di Gesù che ora è l'origine del l'acqua che dà la vita. Gesù dà attuazione al simbolo della mediazione defini tiva del dono divino dell'acqua dal pozzo della Torah promesso dalle libagio ni di acqua della festa dei Tabernacoli. La proclamazione di Gesù, tuttavia, guarda a un momento futuro: «Dal suo grembo sgorgheranno (rhesousin) fiumi di acqua viva» (v. 38b). La successiva ri flessione rabbinica sulla festa dei Tabernacoli si chiedeva a proposito del ceri moniale dell'acqua: «Perché la chiamano la casa dove si attinge?», e risponde-
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va: «Perché di qui attingevano lo Spirito Santo» (Gen. Rab. 70,1). Questo legame tra l'attingere l'acqua e il dono dello Spirito può celarsi dietro le parole di Ge sù, ma il perfezionamento di questo dono di Dio è posto in un momento futu ro segnato dalla glorificazione di Gesù. Lo Spirito non è stato ancora dato per ché Gesù non è stato ancora glorificato (v. 39). Quando avverrà ciò? Questo do no dello Spirito è forse legato alla tradizionale aspettativa dell'effusione dello Spirito che avrà luogo alla fine dei tempi (cf Ez 11,19; 36,26-27; 39,29; ls 44,3; Gl 2,26; 3,1)? Quale rapporto esiste tra il perfezionamento del simbolo messianico dell'acqua, il dono dello Spirito e la glorificazione di Gesù? Quando avverrà questa glorificazione? Le crescenti minacce di violenza che accompagnano la presenza di Gesù a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli (cf 7,19-20. 23.25.30.32) e il suo precedente accenno ai suoi fratelli che il suo «tempo» ver rà in occasione di un'altra festa de «i Giudei» (7,5-8) fanno pensare alla sua morte. Le parole di Gesù e il commento del narratore (vv. 37-39) hanno creato un'altra pro lessi che dovrà essere risolta. L'adempimento della promessa mes sianica, il dono dello Spirito e la glorificazione di Gesù sono legati alla morte di Gesù per crocifissione. Le parole di Gesù sono state udite (v. 40a) e hanno provocato diverse rea zioni. La sua autorivelazione come il perfezionamento del dono mosaico del l'acqua induce alcuni a confessare che egli è «il profeta» (v. 40b), altri a dichia rare che «costui è il Cristo» (v. 41). Questi si immettono nella scia già tracciata dalla Samaritana (cf 4,13-26) . La celebrazione della festa dei Tabernacoli, che ri corda le idee messianiche ebraiche di un secondo dono dell'acqua che perfe zioni la Torah, spiega la reazione del popolo (vv. 40-41) alle parole di Gesù (vv. 37-38). L' autorivelazione di Gesù crea una situazione in cui il popolo e «i Giu dei» sono chiamati a prendere una decisione: Gesù è o non è il Messia? Il po polo, che non è al corrente dell'osservazione del narratore nel v. 39, continua a discutere sulla base dell'aspettativa ebraica di un Messia davidico (cf 2 Sam 7,12-16; Sal l8,51; 89,4-5.36-38; Is 11,1.10; Ger 23,5). Alcuni sono convinti che Ge sù è il Messia sulla base delle sue parole (cf vv. 37-38), ma altri fanno notare che Gesù viene dalla Galilea, e il Cristo non può venire di là (v. 41 b). Il Messia de ve discendere dalla famiglia di Davide e la Scrittura specifica perfino il luogo di origine: Betlemme, il villaggio natale di Davide (v. 42; cf Mie 5,2). Il lettore cristiano conosce la tradizione che Gesù era di Betlemme e che la Galilea era il luogo dove egli si rifugiava per essere lontano dalla sua patria (cf 4,42). Ma l'i ronia del fatto è più profonda, poiché Gesù viene «da Dio», non «dalla Galilea». C'è una specificità in ciò che Gesù è e in ciò che fa che non può essere risolta con le categorie messianiche ebraiche. Di fronte a questa specificità il popolo non può fare a meno di essere disorientato. C'è perciò schisma riguardo a chi sia Gesù (v. 43), e alcuni tra il popolo (tines ... ex auton) sono d'accordo con gli abi tanti di Gerusalemme (cf v. 30) e con «i Giudei» (cf v. 32): vogliono arrestare Ge sù (v. 44a), però non riescono a farlo. Il motivo della mancata riuscita del loro intento è dato nel v. 30: «non era ancora giunta la sua ora». Lo sfondo messianico della celebrazione della festa dei Tabernacoli è stato sempre presente nei vari tentativi fatti dagli abitanti di Gerusalemme e dal po polo per collocare Gesù nelle loro categorie messianiche:
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- il Messia naScosto (gli abitanti d i Gerusalemme: vv. 26-27) - il Messia che opera miracoli (molti della folla: v. 31) - il Messia che dà l'acqua viva (alcuni tra la folla: vv. 37- 4la) - il Messia davidico (alcuni tra la folla: vv. 41b-42).
Questi tentativi hanno creato confusione e sono stati causa di violente mi nacce per quanto riguarda il popolo (vv. 43-44), ma i Farisei dal canto loro han no già preso la loro decisione riguardo a Gesù (vv. 48-50). È trascorso qualche tempo da quando le guardie del Tempio (hyperetai) sono state mandate ad ar restare Gesù (v. 32) . Erano state mandate quando si era «a metà della festa» (v. 14), e ora tornano «nell'ultimo giorno della festa» (v. 45. cf v. 37). Perciò hanno sentito Gesù autoproclamarsi l'acqua viva (vv. 37-38) e hanno assistito alle dis cussioni con il popolo, chiedendosi cosa pensare del suo stato messianico (vv. 40-44). E quando ritornano dai loro capi a mani vuote viene loro chiesto di spie gare il perché (v. 45). Nella risposta delle guardie c'è il riconoscimento della unicità e dell'autori tà delle parole di Gesù: «Nessuno ha mai parlato come quest'uomo» (oudepote elalesen houtos anthropos). Benché incapaci di vedere oltre «questo uomo», le guardie sono tuttavia rese impotenti dalle sue parole, e sono accusate di esser si lasciate ingannare. Il racconto era iniziato con alcuni che dicevano che Gesù ingannava la gente (v. 12: planai ton ochlon), ma non osavano parlare aperta mente di lui per paura de «i Giudei» (vv. 12-13). Nell'ultimo giorno della festa, dopo le discussioni sullo stato messianico di Gesù, «i Giudei» parlano chiara mente: «Vi siete lasciati ingannare anche voi?» (v. 47: me kai hymeis peplanesthaz). Gesù viene accusato pubblicamente di essere un ingannatore (planos) il cui in segnamento è ingannevole (piane). Nelle loro accuse i Farisei usano il linguag gio che si trova nel giudaismo rabbinico per parlare di uno pseudo-Messia (cf Pancaro, The Law in the Fourth Gospe/ 101-105). Sono orgogliosi di far notare che nessuno dei capi o dei Farisei si è lasciato raggirare dalle sottigliezze delle pa role di quest'uomo (v. 48) . Le autorità rifiutano perfino di chiedersi se Gesù possa essere il Messia e considerano quelli che lo fanno gente maledetta, che non conosce la Legge (v. 49). Nicodemo, «uno di loro» (v. 50), solleva obiezioni riguardo all'interpreta zione della «nostra Legge» (v. 51) e contesta l'arrogante affermazione del v. 48. I Farisei dichiarano che nessuno di loro è caduto vittima dei tranelli di Gesù, ma ecco che «uno di loro» si fa avanti a difendere Gesù. Nicodemo non solleva la questione messianica, ma mette in dubbio la correttezza del procedimento le gale adottato nei confronti di Gesù (v. 51). Le guardie hanno riferito che nes suno ha mai parlato come parla Gesù (v. 46), e Nicodemo va ancora oltre chie dendo ai Farisei perché condannano Gesù senza averlo prima ascoltato (ean me akous� proton par'autou) e senza aver sentito da lui cosa fa (gni) ti poiei). Non esiste nell'AT e nel giudaismo rabbinico alcuna disposizione legale che im ponga che l'accusato sia ascoltato e che l'accusatore debba essere informato sulla sua attività. Nicodemo enuncia una nuova interpretazione della Legge: non può essere pronunciato nessun giudizio contro Gesù senza che prima la sua parola sia ascoltata con fede e i suoi segni e le sue opere siano riconosciuti per ciò che sono: l'azione di Dio nel suo Figlio. Nicodemo lancia una sfida ai Fa-
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risei infom\andoli che le ùftiche persone in grado di dare un giudizio :equo di Gesù sono coloro che credono in lui. I Farisei e «i Giudei» non hanno mai sta bilito un dialogo con Gesù, ma uno di loro, Nicodemo, si è lasciato sollecitare, e sconcertare dalle parole di Gesù (3,1-11). Adesso egli perora la causa di un nuovo modo di capire il disegno di Dio per il popolo; e questo si trova nelle pa role e nelle azioni di Gesù (v. 51). I Farisei non sono disposti a staccarsi dalle loro tradizioni e dal loro com piacente e ipocrita senso della giustizia (cf vv. 47-49). Cercano di sottrarsi alle accuse di Nicodemo caricandolo di offese sarcastiche (v. 52), esattamente come hanno fatto con le guardie del Tempio (v. 47) e con la «gente che non conosce la Legge» (v. 49). Ironicamente, i Farisei si rifiutano di fare la volontà di Dio (cf v. 17) e pertanto sono loro stessi che trasgrediscono la Legge (cf v. 19). Fanno il pa ri con quel gruppo di gente che hanno rifiutato di riconoscere lo stato messia nico di Gesù perché conoscevano le sue origini (cf vv. 27.41) e si appellano alle Scritture per sostenere che dalla Galilea non può venire nessun profeta (v. 52). Ma Gesù non veniva dalla Galilea, e comunque c'erano dei profeti che veniva no dalla Galilea (es.: Giona, Osea, Naum). Gesù non è solo un profeta, e non è «dalla Galilea». Gesù è «da Dio». NOTE 37. Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa: Non è chiaro di quale giorno esattamente si tratti. Non esistono testimonianze ebraiche per poter chiamare il settimo o l'ottavo giorno «il grande giorno». Molti sono del parere che si tratti del settimo giorno (es.: Brown, Gospel 1,320; Schnackenburg, Gospel 2,152; Str-B 2,490-491). Il fatto che nell'ot tavo giorno non si praticava né il cerimoniale dell'acqua né quello della luce, e che questo è il giorno in cui Gesù rivela se stesso come la fonte di acqua viva (7,37-38) e la luce del mondo (8,12; 9,5), indica che «l'ultimo giorno» è l'ottavo giorno (cf Bauer, Jo hannesevangelium 112; Hoskyns, Gospe/ 320; Barrett, Gospel 326; Lindars, Gospe/ 297-298). venga a me e beva: L'interpretazione dei vv. 37-39 è resa difficile da tre grossi problemi. 1. La questione della punteggiatura. La frase termina col punto dopo le parole «venga a me e beva»? Questo darebbe la traduzione: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come dice la Scrittura: "Dal suo cuore sgorgheranno fiumi di acqua vi va " ». Questa opzione (cf Barrett, Bernard, Haenchen, Lightfoot, Léon-Dufour, Lin dar8, Segalla) è basata sulla punteggiatura presentata da J?66 del secondo secolo. Si può mettere una virgola dopo «venga a me», e leggere di seguito fino a «beva chi cre de in me» prima di mettere il punto? Questo darebbe la traduzione adottata nel com mentario: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come ha detto la Scrittura: "Dal suo cuore sgorgheranno fiumi di acqua viva"». Tra gli esegeti moderni si nota una crescente preferenza per questa punteggiatura (es.: Bauer, Becker, Bult mann, Beasley-Murray, Boismard, Brown, Dodd, Hoskyns, Schnackenburg, Westcott, CEI, LDC-ABU). Anche per questa lettura abbiamo testimonianze del secondo secolo. Vedi R. E. Brown, «The Gospel of Thomas and St John's Gospel», NTS 9 (1962-1963)
162. 2. La questione del significato. Dal cuore (o dal grembo) di chi scaturisce l'acqua viva? Al cune traduzioni portano all'interpretazione che vede l'acqua viva sgorgare dal cuore del credente. Ma l'acqua potrebbe sgorgare anche da Gesù, al quale il credente si è ri volto per avere refrigerio. Il cuore (koilia: vedi la nota relativa al v. 38) di cui si parla nel-
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la citazione dovrebbe riferirsi a Gesù quale procuratore dell'acqua. Questo dovrebbe essere il significato più probabile, ma esiste sempre la possibilità che l'acqua scaturisca da colui che è andato da Gesù per bere, in conseguenza dell'associazione con Gesù. Per la possibilità che la frase si riferisca sia a Gesù che al credente, vedi F. Manns, Le symbo le eau-esprit dans le fudaism ancien, SBFA 19, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1983, 287- 291 . 3 . L'origine del testo biblico citato nel v. 38. Non esiste nessun testo n é nel TM né nei LXX che corrisponda a Giovanni 7,38b. Alcuni (es.: Obermann, Die christologische Erfollung 38-39) sostengono che non è possibile attribuirlo a una fonte dell' AT. Eppure l'uso del singolare graphé dà l'impressione che ci si riferisca a qualche testo specifico. Per una sintesi dettagliata della discussione in merito vedi Bienaimé, «L'annonce» 418-431. La scelta dei testi di Ezechiele e Zaccaria (vedi l'interpretazione) è determinata sia dal contesto che dalle testimonianze che un legame tra loro era già stato stabilito in tempi pre-cristiani. Vedi Grelot, «}ean VII,38: eau du rocher» 43-51. Per la successiva combi nazione rabbinica di queste idee vedi t. Sukk. 3,18. 38. dal suo grembo [cuore]: Non è chiaro se l'espressione ek tes koilias autou significhi dal cuore o dal ventre (o dal grembo). Ciò è ulteriormente complicato dalla possibilità che il termine greco sia stato influenzato dalla parola aramaica guph, che potrebbe riferir si alla roccia del deserto o alla roccia del Tempio. Per una panoramica documentata della discussione vedi Brown, Gospel 1,323-324. Il significato fondamentale richiesto dal contesto è che l'acqua viva scaturisca dalla persona di Gesù. Secondo Cory, «Wi sdom's Rescue», 100-102, il tema dell'acqua viene da uno sfondo sapienziale. 39. Questo egli disse dello Spirito: Oltre che nel materiale ebraico citato nell'interpretazione, lo stesso legame tra il dono dell'acqua e il dono dello Spirito si trova in j. Su/dc. 55a; Ruth Rab. 4,8 . Vedi l'ottima raccolta di testi con relativo commentario in Manns, Le symbole 220-232. 42. verrà da Betlemme, il villaggio di Davide: Non è certo se l'uso di Mie 5,2 come profezia ri guardo al luogo di nascita del Messia sia di origine ebraica o cristiana. Per quanto con cerne la storia di Gesù, la sua conoscenza è data per scontata. Vedi Lindars, Gospel 303. Per maggiori dettagli sulla questione del luogo di nascita di Gesù vedi R. E. Brown, The Birth of the Messiah: A Commentary on the Infancy Narratives in Matthew and Luke, 2nd ed., Doubleday, Garden City, N.Y. 1993, 513-516. 45. Le guardie tornarono quindi dai capi: La distanza di tempo tra l'invio delle guardie «a metà della festa» (v. 32) e il loro ritorno «nell'ultimo giorno della festa» (v. 45) ha in dotto alcuni (es.: Brown, Gospe/ 1,325) a considerare la loro ricomparsa troppo artifi ciale. Ma questa soluzione è richiesta perché le guardie possano ritornare dai loro ca pi impressionate dalle parole di Gesù. Sono state ad assistere alle discussioni tra Gesù e i suoi interlocutori dal v. 32 al v. 44 (vedi Schnackenburg, Gospel 2,159) . 47. Ma ifarisei replicarono loro: Questo è uno dei tanti punti nel Vangelo in cui il ruolo de «i Farisei» è identico a quello de «i Giudei». I Farisei sono uniti (cf v. 48) nel loro rifiuto di Gesù e nella loro dedizione alla Legge (cf v. 49). Nel v. 32 i capi dei sacerdoti e i Farisei mandano le guardie ad arrestare Gesù. Nel v. 45 le guardie ritornano dai capi dei sa cerdoti e dai Farisei, ma sono solo i Farisei che parlano nei vv. 47-52. Ciò che nell'in troduzione è stato detto de «i Giudei» vale anche per «i Farisei». 48. Gli ha forse creduto qualcuno dei capi, o deifarisei?: I vv. 48-49 in greco contengono dell'i ronia. Il v. 48 è un'affermazione dell'inscindibile compattezza delle autorità giudai che nel loro rifiuto della parola di Gesù: me tis ek tòn archontOn . . é ek ton Pharisaion. 49. questa gente, che non conosce la Legge: «l Giudei» e le altre autorità giudaiche (capi dei sa cerdoti e Farisei) non hanno mai mostrato segni di apertura alla parola di Gesù. Que sto l'ha fatto solo la gente comune e alcuni abitanti di Gerusalemme; ma ora c'è il pe.
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ricolo che qualche guardia del Tempio cada vittima degli inganni di Gésù. Le guardie si sentono messe sullo stesso piano della gente ignorante e maledetta, di quella massa di gente che non conosce la Legge. Questo settore della popolazione era conosciuto con l'appellativo di «popolo della terra» ('am ha'ares) ed era guardato con disprezzo dalle autorità politiche e religiose del giudaismo. Vedi Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 103-105; Schnackenburg, Gospel 2,160. è maledetta: Quelli che dalle autorità sono taccia ti di ignoranza e sono maledetti sono quelli che accolgono la parola di Gesù. Le autorità non vogliono sentir parlare di Ge sù come Messia. I membri della comunità giovannea, espulsi dalla sinagoga perché hanno accettato Gesù come il Cristo (cf 9,22; 12,42), riconoscono l'ironia della situa zione. Vedi Martyn, History and Theology 90-100; Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 101-105. 50. Nicodemo ... che era uno di loro: La pretesa dei Farisei nel v. 48, ml tis ... ek ton Pharisaion, viene ironicamente smentita visto che Nicodemo in 3,1 è definito un arclwn dei Giudei, e poi descritto come heis òn ex auton. La certezza del vanto che «nessuno di loro» ha da to ascolto a Gesù è minata proprio da «uno di loro». Per Cory, «Wisdom's Rescue» 107, Nicodemo svolge un ruolo tratto da una favola sapienziale: l'aiutante che cerca di in tervenire a favore del protagonista. 51. La nostra legge giudica forse un uomo: La maggior parte dei commentatori considera la domanda di Nicodemo un semplice chiedersi quale disposizione legale sia applicata nel giudicare Gesù. Per rispondere alla domanda di Nicodemo vengono citati diversi testi: Deuteronomio 1,16-17; 17,4; Esodo 23,1; Giuseppe, An t. 6,6.3; 14,167; Guerra 1,209, e Exod Rab. 21,3 (es.: Bauer, fohannesevangelium 115). Ma nessuno di questi esempi ri sponde adeguatamente alla domanda di Nicodemo riguardo sia all'ascoltare ciò che egli ha da dire a propria difesa, sia al sapere cosa egli faccia. Perciò non esiste una le gislazione che risponda all'obiezione di Nicodemo. prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa ?: Nel Quarto Vangelo «ascoltare» e «sapere ciò che fa» è intimamente associato alla rivelazione di Dio in e per mezzo delle parole e delle azioni di Gesù. Vedi Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 138-157. Pancaro con clude: «Gesù non appare più come un violatore della Legge, ma piuttosto come colui che l'adempie (cf Gv 7,21-23). Giovanni esprime questo concetto in 7,51 presentando la Leg ge dei Giudei che per il giudizio di Gesù stabilisce condizioni che possono essere soddisfatte so lo da quelli che credono in lui» (p. 156; corsivo nell'originale). Vedi anche Pancaro, «The Metamorphosis of a Legai Principle» 340-361; Léon-Dufour, Lecture 2,243-246. 52. dalla Galilea non sorge profeta!: Sulla inspiegabile ignoranza dei Farisei a proposito dei profeti che vengono dalla Galilea vedi Westcott, Gospel 125. Forse in considerazione di questa svista da parte dei Farisei, ma più probabilmente per assimilazione con il v. 40, alcuni antichi manoscritti (p&6'75) hanno «il profeta» (ho prophetes). Questa lettura è ac cettata da Mehlmann, «Propheta a Moyse promissus» 79-88, e da Schnackenburg, Go spel 2,161.
Digressione su Giovanni 7,5�,11: La donna colta in adulterio 7,53. E ciascuno tornò a casa sua, 8,1. ma Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2. Al mattino presto si recò di nuovo nel Tempio e tutto il popolo andava da lui, ed egli si se dette e si mise a insegnare. 3. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio, la metto no in mezzo e 4. gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adul terio. 5. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che
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ne dici?». 6a. Dicevano questo per metterl o alla prova e per a'v� motivo di accusarlo. 6b. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7. E poiché insistevano nel l'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani, e Gesù rimase solo, con la don na che gli stava davanti. 10. Allora Gesù alzò lo sguardo e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condan nata?». 11. Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti con danno; va' e d'ora in poi non peccare più».
INTERPRETAZIONE Per fondati motivi testuali è universalmente ammesso che l'episodio di Ge sù e la donna colta in adulterio (7,53--8, 11) non appartiene al Quarto Vangelo (cf Brown, Gospe/ 1,332-338; Barrett, Gospel 589; Pickering, «John 7:53-8:11» 6-7). Dato che il presente commentario vuole essere un'analisi della dinamica del racconto giovanneo, Giovanni 7,53--8 ,11 è considerato un'intrusione. Questa antica tradizione popolare, che «vagava» tra il materiale scritto su Gesù, è sta ta inserita in vari manoscritti in punti diversi nelle tradizioni testuali più anti che, particolarmente nel Quarto Vangelo (dopo 7,36; 7,44; 7,52; o 21,25), ma an che in Luca (dopo Luca 21,38). Gli scrivani erano giustamente ansiosi di con servare questo notevole racconto nella sua forma scritta, e si doveva trovare un posto dove collocarlo. Alla fine si è venuto a trovare dopo Giovanni 7,52, poiché probabilmente la maggior parte dei copisti pensava che quello era il punto del racconto giovanneo dove dava meno fastidio (cf Metzger, Textual Commentary 187-190; Becker, ]esus und die Ehebrecherin 25; Blank, «Frauen» 83; Schnackenburg, Gospe/ 3,171). Ma questo racconto di stile sinottico, che non ha nulla a che vedere con il più ampio contesto del Vangelo ed interrompe il già complesso filo di pensiero di.7,1-8,59, interferisce con il sistematico resoconto che il narratore fa della presenza di Gesù alle feste de «i Giudei» (nonostante ciò che dice Heil, «The Story of Jesus» 182-191, e «A Rejoinder» 361-366. Cf la nota relativa al v. 1). «È certo che questo racconto non è una parte originale del Van gelo» (Barrett, Gospe/ 589). Tuttavia, dato il valore del passo Giovanni 7,53--8 ,11 per la testimonianza che dà a Gesù di Nazaret e per il ruolo da esso svolto nel la tradizione biblica accettata e nella vita, nella liturgia e nell'immaginazione dei cristiani, una breve trattazione dell'episodio sembra a proposito. L'interazione tra i diversi personaggi del racconto produce la seguente im postazione letteraria: a) Introduzione (7,53-8,2). Gesù e una folla non specificata si trovano in luoghi diver si, ma il giorno seguente Gesù e «tutto il popolo» si ritrovano nel Tempio. E Gesù insegna. b) Gli scribi, i farisei e Gesù (8,3-6a). Gli scribi e i farisei sfidano Gesù: cosa ne pensi di una donna colta in flagrante adulterio? c) Gesù e gli scribi e ifarisei (8,6b-9). La sfida è rilanciata contro gli sfidanti: Gesù chie de che chi è senza colpa scagli la prima pietra, e gli scribi, i farisei e probabilmente «tutto il popolo» abbandonano il campo. d) Gesù e la donna (8,10-11). Per la prima volta la donna diventa un personaggio atti vo, attirata nell'azione dalla domanda di Gesù, che non condanna ma dà la vita.
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n pass-aggio dalla descrizione del capovolgimento dei ruoli fra Cesù e i suoi interlocutori alla conclusione nel dialogo tra Gesù e la donna costituisce un aneddoto finemente impostato e unitario (cf McDonald, «The So-Called» 422-423). Rappresenta un interessante resoconto di un episodio che probabil mente affonda le sue radici nel ricordo di un qualche avvenimento nel mini stero di Gesù (cf Becker, ]esus und die Ehebrecherin 1 74; Schnackenburg, Gospel
3,170-171). Introduzione (7,53-8,2). Gesù è isolato dalla folla: ciascuno torna a casa sua, mentre Gesù va sul Monte degli Ulivi (7,53-8,1). Questo è un tocco di Luca:
nel Vangelo di Luca accade spesso che Gesù si ritira da solo a pregare prima di qualche evento importante (es.: Luca 4,42; 6,12; 9,18; 11,1; 21,37-38; 22,39-46). All'alba del giorno seguente «tutto il popolo» si ritrova nel Tempio con Gesù che tiene cattedra (v. 2). Si sente ancora l'eco del ruolo di maestro di Gesù nel Vangelo di Luca, dopo una notte passata sul Monte degli Ulivi (Le 21,38). Una grande adunata nel Tempio di gente attenta all'insegnamento di Gesù è l'am bientazione per l'azione che segue. Gli scribi, i farisei e Gesù (vv. 3-6a) . Gli scribi e i Farisei conducono una don na appena colta in adulterio nel bel mezzo del raduno di Gesù con la folla in tenta ad ascoltarlo. La donna è stata «sorpresa» (kateilemenen) in adulterio. È sta ta colta in flagrante, presa mentre era impegnata in attività sessuali con un uo mo che non era suo marito. Questo dettaglio aggiunge un tocco di dramma al racconto mentre la donna viene condotta davanti a Gesù in mezzo alla folla (v. 3). In una situazione di considerevole angoscia, mezza svestita e consapevole di andare incontro alla morte, la donna non desta nessuna pietà negli scribi e nei Farisei. Questi l'accusano e lanciano la sfida a Gesù (vv. 4-5). In un atteggia mento che ricorda «i Giudei» in tutto il Quarto Vangelo, essi sanno ciò che fa rebbe Mosè in una situazione del genere (v. 5; cf 6,30-31; 9,29), ma non vedono l'ora di poter mettere Gesù in una situazione in cui appaia chiaro che egli è in conflitto con Mosè e con la Legge. Questo è lo scopo della loro domanda: «Tu che ne dici?» (v. Sb), il che rivela una scaltra strumentalizzazione della donna per mettere il giudizio di Gesù contro l'insegnamento di Mosè. Per maggior chiarezza, il narratore si sente in dovere di aggiungere: «Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (v. 6a). A loro non interes sa la sorte della donna né quella del marito tradito che non viene mai nomina to; interessa solo la possibilità di cogliere in fallo Gesù. La polemica è aspra e in pubblico (cf v. 2: «tutto il popolo») e la donna non è che una figura nel conflit to. C'è un processo in corso: Gesù viene sfidato dalla Legge di Mosè e l'esposi zione pubblica, e forse tragica, della donna non è che una scusa per discutere sulla Legge. La donna è stata strumentalizzata dagli scribi e dai Farisei «per aver motivo di accusarlo» (v. 6a). Gesù e gli scribi e ifarisei (vv. 6b-9). È impossibile stabilire il motivo esatto per cui Gesù si china e scrive col dito in terra (v. 6b). Ed è ancora più impossibile in dovinare cosa possa aver scritto. Davanti a questa sfida lanciatagli dagli scribi e dai Farisei, in cui l'imputata è diventata un semplice oggetto in un dibattito legale, forse è meglio vedere nell'atto di Gesù un segno di indifferenza, o anche di delusione per il modo di impostare la questione: Gesù distoglie lo sguardo
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da quella scena drammatica e finge di non aver sentito la domanda postagli. Questi sono i tratti, per quanto bene elaborati nella tradizione, che parlano di un qualche avvenimento della vita di Gesù. Non c'è bisogno di ricorrere ad in terpretazioni simboliche (cf la nota). Ma dato che gli scribi e i Farisei insistono sulla loro domanda (v. 7a), Gesù si alza ed è pronto a ristabilire la linea di co municazione proponendo che chi tra loro si sente a posto con la propria co scienza si faccia avanti a scagliare la prima pietra (v. 7b; cf Lv 24,1-16; Dt 13,10; 17,2-7). Anche se la controsfida di Gesù non è dichiarata esplicitamente, è mol to probabile che si riferisca a peccati di ordine sessuale. Rilanciata la sua sfida ai suoi sfidanti, Gesù si china di nuovo e torna a scrivere per terra (v. 8). Non ve duti, mentre Gesù è sempre chino verso terra, gli scribi e i Farisei si allontana no alla chetichella, uno per uno, «cominciando dai più anziani». Della folla non è detto niente. È probabile che anche il popolo se ne sia andato, lasciando Ge sù solo con la donna (v. 9). Nessuno di loro può vantarsi di essere senza pecca to, e la loro partenza in ordine di anzianità è una reazione a catena in cui l'uscita dell'esponente giudaico più influente porta alla partenza di quello che viene subito dopo fino a quando non siano spariti tutti. Si può soltanto speculare cir ca la possibilità storica di un tale susseguirsi di eventi (cf Schnackenburg, Go spel 3, 167) , ma la graduale scomparsa degli accusatori, ora diventati gli impu tati, e probabilmente anche di «tutto il popolo», è un modo accortamente stu diato di lasciare Gesù da solo con la donna peccatrice. Come si esprime Ago stino: «Solo due rimangono: la miserabile donna e l'incarnazione della miseri cordia» (In Johannis Evangelium 33:5; CCSL XXXVI, 309: Relicti sunt duo, misera et misericordia). Gesù e la donna (vv. 10-11). Le domande che Gesù fa alla donna: «Donna, do ve sono? Nessuno ti ha condannata?» (v. lO: oudeis se katekrinen?), sono le prime parole rivolte alla donna in tutto il racconto. Gesù si rivolge a lei con il «tu» (se): adesso non è più un oggetto, un colpevole necessario, ma una persona che può intrattenere rapporti con Gesù. La donna gli' risponde con un «Signore» (kyrie) a dimostrazione del rispetto che ha per lui, e conferma a Gesù che nes suno l'ha condannata (v. l la). Sulla base del rapporto che si è venuto a stabili re mediante il dialogo, Gesù può ben esortarla a non peccare più. Da questo momento (apo tou nun), il momento del suo incontro con Gesù, egli le offre la doppia possibilità di una nuova vita: «Va', e d'ora in poi non peccare più» (ve di la nota). I suoi accusatori (scribi e farisei) nella prima parte del racconto non le avrebbero concesso neppure la vita fisica. Questa le è stata restituita dall'in tervento di Gesù. Ma l'ingiunzione di non peccare più le offre la possibilità di una novità di vita nel giusto rapporto con Dio. Conclusione. Benché non svolga nessun ruolo nel resoconto giovanneo del la presenza di Gesù a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli (cf 7,1-10,21), questo passo è un'antica e preziosa testimonianza a favore di Gesù di Nazaret. Indubbiamente è stato elaborato nella sua forma attuale dalla tradizione dei cantastorie della Chiesa primitiva (cf Ehrmann, «Jesus and the Adulteress» 24-44; McDonald, «The So-Called» 416-420), ma ci sono tre elementi che lo as sociano in qualche modo alla vita di Gesù: primo, la punizione per l'adulterio era oggetto di discussione ai tempi di Gesù (cf Mc 10,2; 12,15; Mt 22,35; Le 10,25.
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Per la discussione in merito vedi Blank, «Frauen» 86); secondo, Gesù contesta i difensori tradizionali della tradizione mosaica; terzo, per autorità propria Gesù perdona incondizionatamente i peccatori. Gesù è disposto a capovolge re i valori tradizionali se l'applicazione di questi valori comporta che una don na diventi un oggetto, in questo caso un male necessario per innescare un di battito su un punto della Legge (cf Moloney, Woman 8-25; Blank, «Frauen» 89-91 ) . Su questo episodio merita di essere riportata l'osservazione di Maria Boulding: I Farisei sono nervosi, ma egli [Gesù] rimane calmo e rilassato; egli accetta la donna apertamente e serenamente, come un adulto e una persona. Egli mostra sicurezza nel tatto; sa come gestire la situazione e i rapporti con lei perché sa che non c'è nulla di cui possa aver paura ... Egli deve avere completamente accettato e integrato la propria ses sualità. Solo un uomo che è riuscito a raggiungere questo risultato, o almeno ha co minciato a farlo, può intrattenere rapporti corretti con le donne (D. Rees e coll., Consi der Your Cali. A Theology of Monastic Life Today, SPCK, London 1978, 169. Cf anche McDonald, «The So-Called» 426-427).
NOTE 7,53. E ciascuno tornò a casa sua: È difficile sapere con certezza se questa indicazione sia un tentativo scribale di legare il passo seguente con quello che lo precede, o se sia un re sto di un contesto narrativo originariamente più ampio. Le testimonianze testuali ren dono più probabile la seconda alternativa (cf Blank, «Frauen» 85). In tempi recenti (cf Heil, «The Story of Jesus» 182-191, e idem, «A Rejoinder» 361-366; Wallace, «Reconsi dering» 290-296), J. P. Heil ha sostenuto che il passo presenta legami linguistici, lette rari e tematici che lo associano all'impostazione attuale e probabilmente faceva parte del Vangelo originale, per essere poi abbandonato molto presto nella tradizione ma noscritta. D. B. Wallace ha risposto che le argomentazioni di Heil non fanno altro che confermare il carattere non giovanneo del passo. Questa polemica non ha tuttavia scosso l'unanimità dei commentatori i quali sostengono che il passo 7,53-8,11 è un'ag giunta a un racconto già completo in se stesso. 8,1 . Ma Gesù si avviò verso il Monte degli Ulivi: Il parallelo con le descrizioni di Luca di Ge sù che si apparta da solo per pregare è evidente, particolarmente come troviamo in Luca 21,37b: «la notte usciva e pernottava all'aperto sul monte detto degli Ulivi». 2. tutto il popolo: Questa è un'affermazione esagerata, presente anch'essa in Luca (cf 21,38), usata per indicare un gruppo molto numeroso di persone. si recò di nuovo nel Tempio ... si sedette e si mise a insegnare: Continua il parallelo già notato sopra tra Giovanni 8,1 e Luca 21,37b. Luca 21,38 recita: «E tutto il popolo veniva a lui di buon mattino nel tempio per ascoltarlo». 3. gli scribi e i farisei: Questo raggruppamento di avversari di Gesù non si trova mai al trove nel Quarto Vangelo, mentre è usato regolarmente nella tradizione sinottica (es.: Mc 2,16; 7,1 .5; Mt 5,20; 12,38; 15,1; 23,2.13-15; Le 5,21 .30; 6,7; 11,53; 15,2). la mettono in mezzo: La donna, tutta in disordine e spaventata, viene esposta alla vista di tutti. C'è un che di ironico nel fatto che la donna sia messa al centro del raduno at torno a Gesù di «tutto il popolo» e degli scribi e farisei, ma, tagliata fuori dalla discus sione, diventa una figura periferica. Ciò dà maggior risalto alla scena dei vv. 10-11. 4. Maestro: Questo riconoscimento di Gesù fa da introduzione alla questione della puni zione prevista per la donna. Conferisce a Gesù lo stato necessario per poter partecipa re al dibattito. Spesso viene fatto notare l'aggancio con i temi del racconto di Daniele
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e Susanna (cf Dn 1 3,1 -64; vedi McDonald, «The So-Called» 420-422; Schnackenburg,
Gospel 3,167). 5. Tu che ne dici?: La risposta a questa domanda dovrebbe dipendere dallo stato coniugale della donna, i cui dettagli però non sono forniti. Era una donna sposata o una fidanzata (cf Str-B 2,519-521)? La punizione prevista per queste due situazioni, entrambe giudi cate adulterio, era la morte; da una parte poteva venir chiesto a Gesù quale delle due si applicava (Schnackenburg, Gospel 3,164). Su un altro piano (cf l'interpretazione) Ge sù viene messo sotto accusa. Sulla questione della giustizia sommaria che può essere presente qui vedi Derrett, «Law in the New Testament» 10-11. 6. Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra: L'interpretazione di questo gesto non è facile. Oltre a quella data sopra, a volte il gesto viene interpretato simbolicamente (cf la rassegna in Schnackenburg, Gospel 3,165-166). Alcuni (es.: Schnackenburg, Gospel 3,166-167; Blank, «Frauen» 86-87; McDonald, «The So-Called» 421) vi vedono un rife rimento a LXX Ger 17,13: «Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, per ché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore». Esiste anche un testo rab binico (m. Sabb. 13,5) che parla dell'esenzione da colpa dello scrivere sulla sabbia, o di fare altre cose non permanenti, in giorno di sabato. Questi testi, tuttavia, non rispec chiano la situazione presentata dagli scribi e dai Farisei. Questi non vengono giudica ti dalla scrittura di Gesù, ma sono costretti a giudicare e condannare se stessi in con seguenza delle parole di Gesù nel v. 7. 7. Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei: Queste parole rispecchiano la legislazione di Lv 24,1-16; Dt 13,10; 1 7,2-7, secondo la quale i testimoni dovevano scagliare la prima pietra. In questo caso gli scribi e i Farisei che sostengono di aver col to la donna in flagrante adulterio (cf vv. 3-4) sono quelli ai quali spetta di gettare la pri ma pietra. Solo dopo che i testimoni diretti hanno scagliato la loro prima pietra «tutto il popolo» (cf v. 2) può partecipare alla lapidazione. Secondo alcuni (es.: Blank, «Frauen» 87-88) dietro queste parole si può sentire l'eco dell'autorità di Gesù. 9. se ne andarono: Alcuni (es.: Becker, fesus und die Ehebrecherin 83) ritengono che il racconto presenti la forma di una storia di conflitti. Se questo fosse vero, dovrebbe finire qui, con gli avversari di Gesù che abbandonano il campo dopo la sconfitta. Ma il racconto con tinua, poiché ciò che interessa maggiormente non è la sconfitta degli avversari di Ge sù ma il suo incontro con la donna nei vv. 10-11. Nel v. 9a non è detto niente di «tutto il popolo» (v. 2), ma l'indicazione del v. 9b: «Gesù rimase solo, e la donna là in mezzo» fa supporre che anche il popolo se ne sia andato. 10. Gesù si alzò e le disse: Dopo essersi chinato verso terra nel v. 8, Gesù non ha più preso parte a ciò che· gli accadeva d'attorno. Ora «si alza» e ristabilisce i contatti, questa vol ta con la donna rimasta sola. Schnackenburg osserva: «La scena che si svolge tra Gesù e la donna è descritta con perfezione magistrale: non una parola di più; non una di meno» (Gospel 3,167). 11. e d'ora in poi non peccare più: Alcuni manoscritti, e la maggior parte delle traduzioni, leg gono «e non peccare più» tralasciando «d'ora in poi»). La lettura apo tou nun (da que sto momento) deve essere mantenuta; non è un'aggiunta superflua a meketi, che in questa esortazione ha il significato di «di nuovo», più che di «ancora» (cf BAGD 518, s. v.). Gesù mette a punto il carattere vivificante dell'incontro con la donna. Per lei rap presenta un punto di svolta e non deve ritornare sulla strada che conduce alla morte: «non peccare più (meketi hamartane)». ...
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2. Gesù si manifesta come luce del mondo (8,12-30) «l Giudei» e i Farisei compaiono tra gli altri interlocutori che, in due prece denti occasioni durante la festa (7,14-24.45-52), hanno discusso con Gesù. Ora, in 8, 12-30, si parla solo dei Farisei (v. 13) e de «i Giudei» (v. 22). TI racconto ades so si concentra sulla fascia dei suoi ascoltatori che si rifiutano di vedere in Ge sù il Messia (7,32) e hanno già deciso di ucciderlo (5,18; 7,1.11.19.25). Gli esegeti discutono sul come 8,1-59 vada suddiviso (per un'indagine vedere Moloney, Son ofMa n 125-127), ma ci sono già due momenti, in questa ulteriore rivelazio ne di Gesù, ciascuno introdotto dall'espressione «di nuovo» (palin): v. 12 («Di nuovo Gesù parlò loro») e v. 21 («Di nuovo Gesù disse loro»). Per motivi di chiarezza questi due passi saranno esaminati separatamente, anche se costi tuiscono un'unica autoproclamazione di Gesù come luce del mondo e descri vono la reazione de «i Giudei» a questa rivelazione.
Giovanni 8,12-20 12. Di nuovo Gesù parlò loro: «lo sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13. Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testi monianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14. Gesù rispose: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove sono venuto o dove vado. 15. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16. E anche se io giudico, il mio giudizio è af fidabile, perché non sono solo io a giudicare, ma io e colui che mi ha mandato. 17. E nel la vostra legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18. Sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimo nianza». 19. Gli dissero allora: «Dov'è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete
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né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche i l Padre mio». 20. Queste parole Gesù le pronunziò nella sala del tesoro, mentre insegnava nel Tempio. E nes suno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora.
I N T E R P R E TA Z I O N E Gesù annuncia «lo sono la luce del mondo» (v. 12a) nel contesto di una fe sta nella quale il Tempio era diventato la luce di Gerusalemme (cf m. Sukk. 5,3). Un ulteriore sfondo per le parole di Gesù è dato dall'identificazione del la Torah con la luce che sarebbe stata data al mondo nelle tradizioni sapienziali ebraiche (cf Sap 18,4; vedi anche Sal 119,105; Prv 6,23; Sir 24,27; Bar 4,2). Anche i rabbini parlavano della Legge come di una lampada o luce (cf T. Levi 14,4; Exod. Rab. 36,3). Gesù proclama di essere la luce del mondo in un contesto di discussioni, dubbio e schisma. La presenza della luce comporta una scelta, poi ché la luce di Gesù offre una doppia possibilità. Si può scegliere di rimanere nelle tenebre oppure di camminare nella luce della vita seguendo Gesù (v. 12b; cf 1,11-12; 3,19). L'affermazione cristologica del v. 12a, con ciò che comporta spiegato nel v. 12b, costituisce il programma per il resto del cap. 8. Da una parte Gesù porta a compimento la liturgia dei Tabernacoli (v. 12a); dall'altra la sua rivelazione della luce porta al giudizio (v. 12b). L'accettazione o il rifiuto della rivelazione del Padre fatta da Gesù è al centro di tutte le discussioni che seguono. Si presenta immediatamente una questione legale (v. 13). Secondo le dis posizioni legali di Nm 35,30 e Dt 17,6, la testimonianza che Gesù rende a se stesso (cf v. 12a) non è valida (ouk estin alethes). Questo però vale solo nel caso che le parole di Gesù siano ritenute una testimonianza (martyria) in senso fo rense, ma Gesù qui non è un accusato in cerca di testimoni che lo scagionino come in 5,31. Nel cap. 5 Gesù aveva accettato la situazione di un processo. Qui invece non si tratta di un processo; ci sono i Farisei che cercano di capire Ge sù e di tenerlo sotto controllo per mezzo del loro sistema legale. Cavillare sul le rivendicazioni di Gesù di personificare, perfezionare e universalizzare la luce del Tempio e la luce della Legge sulla base di una tradizione legale signi fica perdere di vista l'essenziale. I Farisei contestano la validità della testimo nianza ( martyria) di Gesù, ma la rivendicazione che fa Gesù è quella di essere la speciale e sola rivelazione di Dio nel mondo (v. 12). Ciò che un tempo la Legge è stata per Israele, adesso Gesù è per il mondo. Contestare la rivendi cazione di Gesù prendendola per una testimonianza forense significa non ri conoscere la natura della rivendicazione: che Gesù è la presenza rivelatrice e giudicante di Dio. A causa della sua origine e della sua destinazione (v. 14), la testimonianza di Gesù non può essere valutata in base alle norme tradiziona li. Egli può ben dare testimonianza di se stesso, ma tale testimonianza è veri tiera (alethes estin he martyria mou). Gesù ha già discusso la cosa con i Farisei (cf 7,32-36) ma essi non hanno accettato le sue rivendicazioni. Si profila ancora un conflitto tra l'assicurazione di Gesù di avere origine dal Padre e i tentativi mondani e terreni dei Farisei di controllare e condannare Gesù in base alla Legge mosaica. Essi sono incapaci di trascendere ciò che possono misurare,
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vedere, toccare e controllare; essi giudicano «secondo la carne» (v. 15a). Que sto riprende la precedente accusa mossa da Gesù contro «i Giudei», che egli in colpa di giudicare secondo ciò che vedono, «secondo le apparenze» (7,24: ka t 'opsin). «l Giudei» e i Farisei sono incapaci di andare oltre le loro esperienze esterne perché si fermano al Gesù corporeo, a ciò che i loro occhi sono in gra do di vedere. Non percepiscono le parole di Gesù sulla sua origine e la desti nazione in seno al Padre, perché questa è una realtà fuori portata della loro vi sta e del loro controllo. Al contrario dei Farisei, Gesù non giudica nessuno in base alla- propria au torità (vv. 15b-16). Da sé non giudica nessuno, ma c'è un'attività giudicante che deriva dall'unione che egli ha con colui che lo ha mandato (v. 16; cf 5,22-23a). Dietro questa apparente contraddizione si scorge la logica giovannea. Gesù, l'Inviato del Padre, fa conoscere Dio (v. 16b; cf v. 12a) e dalla sua presen za scaturisce un giudizio affidabile (krisis alethine) nel momento che gli indivi dui accettano o rifiutano questa rivelazione (vv. 15b-16; cf v. 12b). Il giudizio che scaturisce dall'accettazione o dal rifiuto della rivelazione che si manifesta in Gesù, la luce del mondo (v. 12a), non presenta traccia di falsità. È un giudizio come dovrebbe essere: affidabile, genuino, veritiero (alethine). L'accusa dei Fa risei (v. 13) è stata scalzata. Gesù è al corrente che la Legge de «i Giudei» richiede la deposizione di due persone perché la testimonianza sia ritenuta valida (v. 17; cf Dt 17,6; 19,15; m. Ket ub. 2,9), ma questa norma non fa al caso suo. Gesù può testimoniare per se stesso perché lui è stato mandato dal Padre, il quale pure gli rende testimo nianza (v. 18). Fermarsi al Gesù storico (kata ten sarka) ed applicare a lui i cavil li della Legge significa perdere di vista l'essenziale. La Legge è stata perfezio nata dalla rivelazione di Dio nella persona e nel messaggio di colui che Dio ha mandato. Una certa conoscenza di Dio è venuta per mezzo della Legge, ma Gesù non può essere capito, e tanto meno giudicato, in base a tale conoscenza. «Tutta la presunta "conoscenza" di Dio e della salvezza diventa crassa igno ranza quando manca la fede in colui che possiede la vera conoscenza di Dio e rivela la via alla salvezza» (Schnackenburg, Gospe/ 2,195). La risoluta afferma zione di Gesù riguardo alle proprie origini mette la validità della sua testimo nianza fuori portata di qualsiasi cavillo legale. Come Nicodemo ha detto ai suoi amici Farisei, l'unico modo di giudicare equamente Gesù è quello di ascol tare ciò che ha da dire e vedere ciò che fa (7,51). L' onnipresente questione delle origini di Gesù riconduce i Farisei a ripren dere il dialogo con una brusca domanda: «Dov'è tuo padre?» (v. 19a). Incapaci di uscire dal loro sistema legale, essi danno per scontato che Gesù stia parlan do di due testimoni: lui stesso e suo padre. Sono ansiosi di porgli domande che possano aiutarli a individuare la provenienza geografica del padre di Gesù, ma stanno attenti ad evitare la domanda cruciale: «Chi è tuo Padre?». Gesù condanna la loro ignoranza. Nel v. 19bc il verbo «conoscere» è usato quattro volte, due volte in forma negatiya e altre due in forma positiva, per sottolinea re l'importanza del vero riconoscimento di Gesù. La chiusura mentale dei Fa risei li porta all'ignoranza di chi sia Gesù e di chi sia suo Padre. Conoscere l'u no significa conoscere l'altro (v. 19bc). A tali rivendicazioni è già stato risposto
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con la violenza. In 5,17 Gesù aveva detto: «D Padre mio agisce anche ora e· an ch'io agisco», e «i Giudei» hanno accolto questa dichiarazione con la decisione di ucciderlo (5,18). E la violenza aleggia anche dietro la reazione ai rimproveri che muove ai Farisei nel v. 19, ispirato alla stessa intimità tra Gesù e il Padre. Nessuno però lo arresta, «perché non era ancora venuta la sua ora» (v. 20b). n «non ancora» (oupo) mantiene il racconto in sospeso. L'ora «non è ancora» ve nuta, ma verrà un momento in cui entrerà a far parte della storia di Gesù. Per adesso Gesù rimane nel Tempio durante la festa dei Tabernacoli ad insegnare nella sala del tesoro. L'attenzione rimane ancora concentrata su una festa de «i Giudei». NOTE 12. Di nuovo Gesù parlò: Nel Quarto Vangelo l'espressione «di nuovo» (palin) viene usata regolarmente per legare tra loro due parti del racconto (es.: 1,35; 4,3.54; 6,15). Vedi Tsu chido, «Tradition and Redaction» 59-60. la luce del mondo: Per gli scritti ebraici che paragonano la Legge alla luce o a una lam pada vedi Str-B 2,521-522, 552-553. Vedi Brown, Gospel 1,340 per i paralleli negli scrit ti di Qumran, e Scott, Sophia 119-121 per possibili addentellati sapienziali. Oltre al le game tra il cerimoniale della luce nella celebrazione dei Tabernacoli e il richiamo alla luce parlando della Torah, è possibile che vi sia una reminescenza della colonna di fuoco che guidava gli Israeliti durante le peregrinazioni nel deserto (cf Es 13,21; 14,24; 40,38). Come nel caso di altri elementi mosaici (la manna, un profeta), ci si aspettava che la colonna di fuoco ritornasse ancora alla fine dei tempi (cf Talbert, Reading fohn 153) Per Cory, «Wisdom's Rescue» 100-102, la luce è uno dei temi che proviene da uno sfondo sapienziale. 13. la tua testimonianza non è vera: La discussione tra Gesù e i Farisei non approda a nulla perché i Farisei interpretano la testimonianza di Gesù in senso puramente forense, mentre Gesù presenta se stesso come la rivelazione di Dio al mondo (cf de La Potterie, La vérité 1,83-87). Alcuni commentatori cercano di dimostrare che la risposta di Gesù indica un modo nuovo di osservare la Legge. 14. Voi non sapete da dove sono venuto o dove vado: Alcuni commentatori ritengono che i vv. 14c-16, che parlano delle origini e della destinazione di Gesù, interrompano il filo del discorso che verte su una questione forense. Ma se vediamo nel passo un tentativo di Gesù di spiegare che egli è al di sopra della discussione forense, anche questi versetti sono bene inseriti. Anzi, costituiscono la base delle rivendicazioni di Gesù. Vedi Pan caro, The Law in the Fourth Gospe/ 264-265. 15. io non giudico nessuno; e anche se giudico: Il contesto richiede che il v. 15b sia legato al v. 16. L'affermazione di Gesù che egli non giudica nessuno riguarda il giudizio superfi ciale dei Farisei. In questo modo, Gesù non giudica nessuno (v. 15b ). Tuttavia, in real tà egli esercita il giudizio per effetto della sua unione con il Padre. Non c'è pertanto nessuna contraddizione tra il v. 15b e il v. 16 (vedi anche 3,17; 5,27). Vedi Brown, Gospel .
1,345. 16. il mio giudizio è affidabile: Alcuni manoscritti (es.: f66, Sinaitico) hanno alethes («vero») . Questo è probabilmente dovuto all'assimilazione con i vv. 13, 14 e 17. La lettura alethine («affidabile, valido») è bene attestata (es.: F, Vaticano, Beza, Regius, Freer Gospels) e deve essere mantenuta. 17. nella vostra legge sta scritto: I critici che leggono questo passo come un tentativo di Ge sù di mostrare la propria conformità alla tradizione legale ebraica vedono nel v. 17
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Il Va n g e l o d i G i o v a n n i
l'accettazione da parte sua di un principio legale ritenuto valido. Gesù quindi dimostra il suo rispetto per il principio presentando i due testimoni, se stesso e il Padre (v. 18). La nostra interpretazione legge i vv. 17-18 come un'indicazione che la prescrizione della Legge (v. 17) non si applica al caso dell'unicità della rivelazione di Gesù (v. 18). Vedi anche Schnackenburg, Gospel 2,194. Gesù stabilisce una distanza tra se stesso e «i Giudei» (qui rappresentati dai Farisei) definendo la Legge «la vostra legge». 18. Sono io che do testimonianza di me stesso: L'espressione greca ego eimi ho martyron va mes sa in relazione a Is 43,10. È un'ulteriore dichiarazione (vedi v. 12) che si tratta dell'au tentica rivelazione di Dio. Vedi Moloney, Son ofMan 129-130. do testimonianza ... ma anche il Padre ... dà testimonianza: Per l'interpretazione forense dei vv. 17-18 (Gesù e il Padre sono due testimoni) vedi Pancaro, The l.Aw in the Fourth Go spel 275-278; Neyrey, «}esus the Judge>> 512-515; Cory, «Wisdom's Rescue» 104-105. 19. Dov'è tuo padre?: È improbabile che dietro questa domanda si celi la questione della il legittimità di Gesù, come suggerito da Hoskyns, Gospel 332-333, sull'esempio di Ciril lo Alessandrino. Si tratta di un altro equivoco da parte dei Farisei, che pongono la do manda sbagliata. Vedi Westcott, Gospel 129. 20. Queste parole Gesù le pronunziò nella sala del tesoro: La «tesoreria» era situata tra il corti le delle donne e il cortile interno. D luogo è collocato vicino alle luci che rimangono ac cese ogni notte nel cortile delle donne.
Giovanni 8,21-30
21. Di nuovo Gesù disse loro: «lo vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro pec cato. Dove vado io, voi non potete venire». 22. Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: "Dove vado io, voi non potete venire"?». 23. E dice va loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. 24. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». 25. Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù dis se loro: «Quello che fin dal principio anch'io vi dico. 26. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». 27. Non capirono che egli parlava loro del Padre. 28. Disse allora Ge sù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora riconoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. 29. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». 30. A queste parole, molti credettero in lui.
I N T E R P R E TA Z I O N E Il dialogo riprende con l'uso dell'espressione «di nuovo» (palin). Nel v. 21 Gesù porta in primo piano la questione della sua origine e della sua destina zione, la stessa che fa da sfondo ai vv. 12-20. Gesù dice ai suoi avversari che sta andando in un luogo oltre la loro portata. Di questo ha già parlato in due oc casioni precedenti (cf 7,33-34; 8,14), ma qui aggiunge anche una minaccia: lo cercheranno, ma moriranno nel loro peccato. Il verbo «cercare» (zeteo) è gi� sta to usato diverse volte per indicare una ricerca senza successo (cf 7,34.36). E sta to anche usato in quelle occasioni in cui il narratore parlava dei piani de «i Giu dei» di uccidere Gesù (cf 5,18; 7,1.19.20.25.30). Gesù ora capovolge il processo: la sua partenza causerà la morte di coloro che lo cercano! La «partenza» di Ge-
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sù potrà essere attribuita all'intervento violento d e « i Giudei», ma è una par tenza che fa parte dell'ora di Gesù, del disegno di Dio che Gesù faccia ritorno là di dove è venuto. E questo condurrà alla morte dei suoi avversari. Non sarà la stessa cosa della morte corporale di Gesù, ma sarà una morte spirituale at tribuibile al rifiuto della rivelazione di Dio in e per mezzo di Gesù (cf 5,24). ll tema della morte aleggia ancora mentre «i Giudei» si chiedono se Gesù vo glia suicidarsi (v. 22). Per un verso questo pensiero è una sciocchezza, perché Gesù non ha una missione suicida (cf Gn 9,5; 2 Sam 17,23; Giuseppe, Guerra 3,375), ma per un altro verso Gesù è disposto a fare qualunque cosa gli chieda il Padre (cf 4,34; 5,36). In un certo senso, perciò, in realtà c'è una morte voluta dal Padre e accettata da Gesù, la morte che lo ricondurrà al Padre, in un luogo dove «i Giudei>> non potranno mai andare. L'equivoco de «i Giudei» è basato sulle origini di Gesù (v. 23). Con parole che rievocano la discussione con Nico demo (3,12-15) Gesù dice a «i Giudei» che la loro deficienza dipende dal fatto che essi (hymeis) sono «di quaggiù» (ek ton kato), mentre egli (ego) è «di lassù» (ek ton a no) . Questa distanza deve essere colmata se «i Giudei» vogliono essere sal vati dai loro peccati. Le parole e le azioni di Gesù devono essere intese e giudi cate nei termini del legame tra se stesso e le sue origini e la sua destinazione «lassù». «l Giudei» sono capaci di rispondere a queste parole ed azioni soltan to nei termini delle loro piatte e terrene tradizioni di «quaggiù». Ma la distanza può ancora essere colmata. «La processione dei Giudei lun go la strada che conduce alla morte non è imposta loro da una necessità cate gorica» (Hoskyns, Gospel 334). Gesù fa risuonare una nota di speranza. Ha det to loro che moriranno nei loro peccati (v. 24), ma questo non è necessariamen te vero: «Morirete nei vostri peccati se non credete che lo Sono>> (v. 24b ). «La divi sione tra ciò che è lassù e ciò che è quaggiù non è necessariamente assoluta. In fatti, il Rivelatore che scende dall'alto dà la possibilità all'uomo di salire an ch'egli in alto. La divisione è resa definitiva soltanto dalla miscredenza» (Bult mann, Gospel 348). Gesù dichiara a «i Giudei» che essi possono evitare la mor te spirituale credendo che lui è Io SONO (ego eimi). I LXX, e in particolare LXX Deuteroisaia, usano l'espressione ego eimi per ribadire che YHWH è rivelato come l'unico Dio d'Israele contro qualsiasi altro pretendente (cf LXX Is 41,4; 43,10.13; 45,18; 46,4; 48,12). Usando la stessa formula Gesù rivela la sua perso nale rivendicazione ad essere la presenza del divino nella storia umana. Se «i Giudei» credono che Gesù è la rivelazione del Padre, potranno colmare la di stanza tra «quaggiù» e «lassù» che li conduce a morire nei loro peccati. Il «Tu, chi sei?» del v. 25a non è un rifiuto di Gesù, ma una domanda onesta che indica che molte pretese de «i Giudei» sono, almeno temporaneamente, messe da parte. Tuttavia, può darsi che siano arrivati con questa domanda trop po tardi, poiché molte decisioni contro Gesù sono già state prese, senza conta re che questa è la domanda alla quale Gesù ha cercato di rispondere in tutto il racconto svolto finora. Qui Gesù risponde con una frase (v. 2Sb: «Quello che vi sto dicendo dal principio»; traduz. Elledici) che tradisce «uno stato d'animo di sollecita impazienza» (Strachan, Fourth Gospel 209). In tutti gli incontri con Ge sù «i Giudei», nei capp. 7-8, non sono mai stati capaci di andare oltre ciò che possono vedere, toccare e controllare. Il loro metro è sempre un rigido attacca-
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mento alla tradizione mosaica. Nei vv. 23-24 Gesù ha parlato della distanza che deve essere colmata se «i Giudeh> vogliono evitare le conseguenze dei loro peccati, ma la loro domanda nel v. 25a dimostra ancora perplessità. Di fronte a tale ottusità Gesù esclama: «Ve l'ho già detto chi sono!» (v. 25b). Gesù potrà mostrarsi esasperato, ma si può ancora sperare. Avrebbe molte cose da dire e da giudicare sul conto de «i Giudei» a causa della loro testardaggine (v. 26a), ma (alla) questo non è il modo di fare di Gesù. Non è venuto per fare ciò che lui po trebbe giudicare opportuno. La verità è solo in colui che lo ha mandato, e Ge sù viene a dichiarare al mondo ciò che ha udito da lui (v. 26b). L'assoluta e su prema importanza del Padre che ha mandato Gesù è indicata dall'osservazio ne che il narratore fa nel v. 27: «Non capirono che egli parlava loro del Padre». Gesù cerca di indurre «i Giudei» a dare una risposta positiva a colui che lo ha mandato, ma essi si mostrano incapaci di afferrare il concetto. La loro doman da: «chi sei tu?» può essere capita solo in riferimento al Padre, ma essi non ca piscono che Gesù parlava loro del Padre (v. 27) . Gesù fa un ultimo tentativo per convincere i suoi ascoltatori (vv. 28-29), e questa volta il suo tentativo viene premiato (v. 30). In tutto il racconto Gesù ha proclamato che egli fa conoscere Dio e che chiunque crede in lui avrà la vita eterna. Tanto gli aspetti negativi quanto quelli positivi della storia si fondono nel v. 28 dove Gesù dice a «i Giudei» che quando avranno innalzato il Figlio dell'uomo, finalmente capiranno. Questo non può voler significare se non che lo crocifiggeranno (cf 3,13-14). Tuttavia, nel Figlio dell'uomo così innalzato, un «innalzamento» eseguito da «i Giudei», si avrà la rivelazione di Dio. A quel punto riconosceranno l'unità tra Gesù e il Padre. «l Giudei» hanno già sentito dire che saranno liberati dai loro peccati se credono alla rivendicazione di Ge sù: ego eimi (v. 24). La promessa del v. 28a non riguarda né la salvezza né la con danna, ma piuttosto la possibilità di scelta offerta agli uomini di tutti i tempi. Il rapporto esistente tra l'espressione ego eimi e l'innalzamento di Gesù è ulte riormente spiegato nel v. 28b: il vanto di Gesù di essere la rivelazione di Dio nel suo innalzamento scaturisce dalla sua totale dipendenza dal Padre. Qualsiasi cosa Gesù dica e faccia, in ultima analisi è la parola e l'azione del Padre (cf 5,19-30), rivelazione autentica, ulteriore chiarificazione della rivendicazione di Gesù nel v. 12: egli è la luce del mondo che darà la luce della vita a tutti quelli che lo seguiranno (cf 3,16-21.31-36). L'incessante assicurazione della rivelazio ne del Padre fatta da Gesù deriva dalla continua presenza del Padre con il Fi glio. L'unità tra Padre e Figlio (vv. 28b-29) è la base della rivendicazione di Ge sù di essere l'unica rivelazione di Dio (v. 28a: ego eimi). ll Padre è sempre con Gesù (v. 29a) e appunto per questo tutto ciò che il Figlio fa è gradito al Padre, in perfetta armonia di volontà (v. 29bc). Senza aggiungere altri particolari, il nar ratore annuncia che molti (polloi) tra «i Giudei» furono indotti a credere in Ge sù (episteusan eis auton) da queste sue parole (tauta autou Ialountos). Le minacce (v. 24) e le promesse (v. 28) non sono rimaste senza premio (v. 30). Fra gli ascol tatori di Gesù vi sono dei «Giudei» che diventano suoi seguaci. Infatti, la co munità giovannea esisteva appunto perché questo era vero. Conclusione di 8,12-30. Durante la festa dei Tabernacoli Gesù ha rivelato se stesso come la luce del mondo, che perfeziona e universalizza la celebrazione
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del Tempio che d à luce a tutta Gerusalemme e la Legge che è la lampada e la luce che porta a Dio. La discussione che fa seguito a questa rivelazione pre senta Dio come il Padre di Gesù. L'ottusità e la resistenza da parte dei Farisei (vv. 12-20) e de «i Giudei» (vv. 21-30) sono date dal loro puntiglio a giudicare tutto e sempre in base alla loro Legge (cf v. 1 7). Essi seguono i principi di «quaggiù», mentre Gesù e il Padre possono essere capiti soltanto mediante l'apertura verso «lassù» (cf v. 23). Perciò essi non conoscono né Gesù né il Pa dre (v. 19). Solo l'accettazione di Dio come il Padre di Gesù risolverà il miste ro di Gesù, acqua viva (7,37-38) e luce del mondo (8,12). Ma «non capirono che egli parlava loro del Padre» (v. 27). Come ogni giorno i sacerdoti procla mano la loro fedeltà all'unico vero Dio (cf m. Sukk. 5,4) voltando le spalle al so le nascente, così adesso corrono il rischio di voltare le spalle alla sorgente di ac qua viva (7,37-38) e alla luce del mondo (8,12): a colui che è stato mandato da Dio (8,16.18.26.29). Gesù adempie, universalizza e trascende la simbologia e le aspettative dei Tabernacoli grazie alla sua unione con Dio (8,28-29). Parla a «i Giudei>> di un evento futuro, quando essi innalzeranno il Figlio dell'uomo (vv. 28-29). Sor prendentemente, molti tra «i Giudei» lo accettano (v. 30). Ma «molti» non si gnifica «tutti». La minaccia di morte (cf 7,1 .11.19.25) e di violenza incombente sulla presenza di Gesù a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli (cf 7,30.32.44; 8,20) non è svanita. NOTE 21. Di nuovo Gesù disse loro: Sebbene qualcuno pensi diversamente, i vv. 12-20 e 21-30 so no strettamente legati tra loro. Uno dei motivi per cui sono stati trattati separata mente è il cambio degli interlocutori di Gesù, che sono i Farisei nei vv. 12-20 (cf 7,33-34; 8,13) e «i Giudei» nei vv. 21-30. A voler essere precisi, qui Gesù sta ancora parlando ai Farisei (8,21) perché autois («loro») non può riferirsi che ai Farisei del v. 13. Ma poi sono «i Giudei» che rimangono sorpresi al sentire queste parole. Nei capp. 7-8 «i Giudei» e i Farisei sono lo stesso gruppo di persone. Vedi Tsuchido, «Tradition and Redaction» 60. 22. Vuoleforse uccidersi?: Sull'equivoco e sull'ironia presente in questo gioco sull'idea del l'uccidersi e del morire vedi Leroy, Riitsel und Miflverstiindnis 59-63; Duke, Irony 85-86. 23. Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo: L'uso ripetitivo dei pronomi: «voi (hymeis) ... io (ego); voi (hymeis) . . . io (ego)» accentua la distanza tra «i Giudei» («voi») e Gesù («io»). 24. che lo Sono: Si è discusso a lungo circa l'origine e ìl significato dell'uso assoluto di ego eimi. L'espressione può affondare le sue radici nella rivelazione di Dio a Mosè in Eso do 3,14, ma i paralleli linguistici tra LXX Es 3,14 e l'uso neotestamentario della formu la sono fragili. Si capisce meglio alla luce della formula profetica usata sia nel TM che nei LXX per affermare l'unicità di YHWH contro tutti gli altri dèi. Per ulteriori appro fondimenti e note bibliografiche vedi Moloney in NJBC 1423-1424. A sostegno di que sta posizione, con particolare riferimento a 8,24.28, vedi Zimmermann, «Das absolute ego eimi» 54-69; 266-276; Riedl, «Wenn ihr den Menschensohn» 364-366. Freed, « Ego ei mi in John V III . 28 )) 1 63-166, sostiene che ego eimi era un titolo pre-giovanneo attribui to al Messia che «i Giudei» rifiutano di riconoscere in Gesù. Bultmann, Gospel 348-349, mette assieme i vv. 24 e 28 eliminando i vv. 25-27 da lui ritenuti un frammento inseri-
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to fuori luogo (cf pp. 350-351) e conclude che il v. 24 significa:
«se non crederète che io
sono il Figlio dell'uomo». 25. Quello chefin dal principio anch'io vi dico: Il testo a questo punto è notoriamente oscuro. Si presta anche ad essere tradotto: «Che utilità c'è a parlare con voi?». L'espressione greca ten archht deve essere intesa come un sostantivo accusativo («dal principio») o co me avverbio («principalmente»)? Si deve leggere hoti («che» o «perché») oppure ho ti («ciò che»)? La traduzione alternativa riportata sopra legge ten archln hoti kai Ialo hymin letteralmente: «perché sto ancora parlando con voi?». Per i motivi testuali, grammati cali e retorici per cui si è optato per questa traduzione vedi Moloney, Son of Man 133-134. Una delle considerazioni cruciali per poter dare un senso a questa frase im possibile è il contesto. Miller, «Christology» 257-265; e Brodie, Gospel 327-32B, adotta no la traduzione: «lo sono colui [che era] dal Principio, il che è ciò che vado dicendo vi» (Miller, «Christology» 263). Tuttavia, né Miller né Brodie riescono poi a rapportar la in modo soddisfacente con il v. 26. 26. Molte cose ho da dire . ma colui che mi ha mandato: C'è un contrasto intenzionale tra ciò che Gesù potrebbe dire riguardo alla indisponibilità de «i Giudei» ad ascoltare le sue paro le (v. 26a) e il più ampio disegno di Dio, ossia l'accettazione di ciò che Dio fa in e per mezzo di Gesù (v. 26b). Il contrasto è creato dal «ma» (alla). Vedi Barrett, Gospel 284. 28. Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo: Per uno studio dettagliato dei vv. 28-29 vedi Moloney, Son of Man 135-141. A sostegno dell'idea che Gv 8,28 è una combinazione dell'azione violenta de «i Giudei» e della rivelazione di Dio in e per mezzo del Gesù crocifisso vedi Riedl, «Wenn ihr den Menschensohn» 360-361; Morgan-Wynne, «The Cross and the Revelation>> 219-220. Per Cory, «Wisdom's Rescue» 105-111, l'«innalza mento» è il momento in cui Gesù, la Sapienza di Dio (cf 1,1-18), è salvato al momento della morte (cf 8,24.28) e in cui quelli che cospirano contro la Sapienza vengono av vertiti che saranno puniti: moriranno nei loro peccati (cf 8,24). allora riconoscerete: Bultmann, Gospel 349-350, spiega che queste parole indicano che per «i Giudei» è già troppo tardi. Ma la risposta del v. 30 fa piuttosto vedere in esse un messaggio di speranza. Vedi anche Léon-Dufour, Lecture 2,274-275; Riedl, «Wenn ihr den Menschensohn» 362-370. e non faccio nulla da me stesso: Le affermazioni del v. 28b sono rette dal «riconoscerete che (hoti)» del v. 28a. «l Giudei» riconosceranno che Gesù fa conoscere Dio (hoti ego eimi) e che (hoti) non fa nulla da se stesso (cf Bemard, Commentary 2,303). Si renderanno con to di entrambe le verità. 29. non mi ha lasciato solo: Dopo il tempo presente «colui che mi ha mandato è con me» (met'emou estin) ci si aspetterebbe il perfetto; invece troviamo un aoristo (apheken). Que sto potrebbe essere un riferimento all'incarnazione (cf 1,14). Vedi Morgan-Wynne, «The Cross and the Revelation» 221-223. 30. molti credettero in lui: L'espressione pisteuein eis (credere in) a volte è presa per un'indi cazione sicura di una adeguata fede giovannea, mentre pisteuein en o pisteuein seguito dal dativo è considerata un'espressione di fede limitata. Nel v. 30 abbiamo pisteuein eis, che però non indica una fede genuina. Questo ci dice che tale distinzione non deve es sere applicata in modo troppo rigido. In ogni caso occorre dare la dovuta importanza al contesto. ..
3. Gesù e «i Giudei» in polemica sulle rispettive origini (8,31-59) La foga che caratterizza i seguenti incontri e l'asprezza delle accuse e con troaccuse fa del passo 8,31-59 uno dei più difficili brani del Vangelo. A dare un
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effetto narrativo unificatore contribuisce un continuo crescendo di ostilità tra gli unici protagonisti del racconto, Gesù e «i Giudei», e i ripetuti riferimenti ad Abramo (cf vv 33.37.39.40.52.53.56.57.58). Come 8,12-30, il passo deve essere considerato un insieme letterario unitario, anche se per motivi di chiarezza lo abbiamo suddiviso in tre parti: vv 31-38, vv. 39-47 e vv. 48- 59. .
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Giovanni 8,31-38 31. Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32. conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33. Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: "Diventerete liberi"?». 34. Gesù rispose loro: «In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre; 36. se dun que il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
INTERPRETAZIONE Gesù continua a parlare a « i Giudei» (v. 31) m a il racconto suppone che sia fatta la distinzione tra i molti che credettero in lui (v. 30: polloi episteusan eis auton) e il gruppo che ora viene definito dei «Giudei che avevano creduto in lui» (v. 31: tous pepisteukotas autQ loudaious). Il cambio di tempo nel verbo dal l'aoristo (v. 30) al perfetto (v. 31) e il cambio nella sintassi da pisteuein eis (v. 30) a pisteuein seguìto dal dativo (v. 31) indicano che una parte de «i Giudei» sta avendo qualche barlume di fede in Gesù, ma ha ancora molta strada da fare (cf 2,23-25). I molti che credettero in Gesù nel v. 30 a causa della promessa fatta lo ro nei vv. 28-29 hanno lasciato la scena, ma alcuni de «i Giudei» vi sono rima sti. Sono approdati a una fede parziale in Gesù e sono rimasti sul posto (per fetto) . Gesù cerca di condurli alla fede autentica. Li esorta a perseverare, a continuare a «rimanere» (ean hymeis meinete) nella sua parola. C'è una dina mica nel viaggio della fede: da una fede parziale a una fede totale (cf 2,1-4,54), e decidendo di intraprendere quel viaggio col «rimanere» nella parola di Ge sù che essi si sforzano di afferrare potranno essere considerati veri discepoli (mathetai) di Gesù. Il discepolo è costantemente alla scuola di Gesù. «Non è l'assenso immediato ma la costanza nella fede che determina il carattere del vero discepolo» (Bultmann, Gospel 434). Il loro viaggio nella vera fede guide rà «i Giudei» alla conoscenza della verità (ten aletheian), la conoscenza di Dio resa possibile dalla rivelazione che si manifesta unicamente in Gesù (cf 1,18; 3,13; 6,46). Questa rivelazione produce libertà. Credere nella rivelazione di Dio che viene per mezzo di Gesù Cristo conferisce il potere di diventare figli di Dio (cf 1,12-13). Ma il giudaismo insegnava che era lo studio della Legge che dava al popolo la libertà (cf Exod. Rab. 12,2; Sifre Lev. 11; Sifre Num. 115,5, 1-3; Pirqe 'Abot 3,5; 6,2) e Targum Neoftti su Genesi 15,11 promette perfino la libera zione dei malvagi «per i meriti del loro padre Abramo» (cf Sabugal, « Y la Ver dad» 177-181). Questa promessa viene superata dalle parole di Gesù allorché
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dice a « i Giudei» che l'accettazione della sua rivelazione di Dio (he aletheia) li renderà liberi. «I Giudei» non hanno bisogno di questo genere di libertà (v. 33). Essi sono li beri perché sono discendenti di Abramo (sperma Abraam). Il conflitto che ne na sce (vv. 34-47) presuppone che la rivelazione di Gesù promessa nei vv. 31-32 dia a «i Giudei» la libertà che consiste nel potere di diventare tekna theou (1,12), ma essi sono incapaci di guardare oltre ciò che possono controllare e capire. Insi stono che non sono mai stati schiavi di nessuno perché sono sperma Abraam (v. 33a) e mettono in dubbio il diritto e la capacità di Gesù di dire loro che conosce un modo proprio di condurli alla libertà (v. 33b) . Siamo di nuovo davanti a uno scontro tra due diversi modi di capire come Dio possa essere conosciuto. Le parole di Gesù, che partono dal doppio «amen», collegano ciò che segue a ciò che è stato detto prima. «l Giudei» si vantano di essere liberi perché sono sper ma Abraam (v. 33), ma Gesù replica che la discendenza fisica non è il metro ap propriato per sentenziare su libertà o schiavitù (v. 34). Il peccato è schiavitù, ma il peccato nasce da ciò che la persona fa: «chiunque commette il peccato è schia vo del peccato». Questo non dipende dalla discendenza. Delle due possibili categorie di persone che vivono in casa, schiavi e «figli», «i Giudei>) si ritengo no i «figli)) per via della loro discendenza fisica; ma lo sono veramente? All'i nizio di questo incontro Gesù li aveva esortati a «rimanere)) nella sua parola (v. 31). Questo «rimanere)) nella parola di Gesù produce la vera libertà (v. 32). Gli schiavi non restano per sempre nella casa, mentre i «figli)) rimangono per sem pre (v. 35). Gli ascoltatori di Gesù saranno in grado di accettare la sua racco mandazione di «rimanere)) nella sua parola (v. 31), oppure dovranno essere considerati schiavi a causa delle opere malvagie che compiono (v. 34)? La loro presenza nella casa sarà temporanea o sarà «per sempre)) (v. 35)? La risposta a queste domande è data mediante un cambiamento del signifi cato di «figlio)). E Gesù, il Figlio per eccellenza, che renderà liberi con quella li bertà autentica che sarà permanente (v. 36). Gesù si rende conto che sul piano della discendenza fisica «i Giudei>) possono vantarsi di essere sperma Abraam, ma nello stesso tempo «i Giudei>) sono la prova vivente che la discendenza fi sica non è quella che determina la figliolanza e la libertà (v. 37). Gesù, per mez zo della sua parola, fa conoscere ciò che sa grazie alla sua unione con il Padre (v. 38), ma «i Giudei)) non sono capaci di «far posto)) (ou chorez) alla parola di Ge sù (v. 37c). Il verbo choreo significa «far posto, accogliere)) e comporta un'aper ' tura attiva da parte di chi accoglie in modo che qualcosa o qualcuno possa en trare (cf Mc 2,2; Mt 19,11-12). «l Giudei>) non mostrano alcuna apertura attiva alla parola di Gesù. Anzi, sono invischiati in un complotto per ucciderlo (v. 37b). Possono ben vantarsi di essere sperma Abraam, ma non sono senz'altro suoi figli. Se lo fossero, non cercherebbero mai di disfarsi del Figlio di Dio. La loro paternità deve essere giudicata dalle loro azioni, e devono per forza esse re figli di un altro padre (v. 38b). In questo giudizio a carico de «i Giudei>) vie ne applicato il criterio di peccaminosità espresso nel v. 34: «chiunque commet te il peccato è schiavo del peccato)). Gesù ha additato una via per poter passa re da questa schiavitù alla libertà, ma viene rifiutata. Si è verificato un rapido e drammatico cambiamento di atmosfera. Nel v. 31 Gesù si rivolge a «i Giudei>)
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che hanno mostrato un inizio di fede. Nel v. 3 8 egli accusa lo stesso gruppo di
persone di appartenere a un altro padre a causa del loro operato e del loro ri fiuto di accogliere la sua parola rivelatrice. Chi mai sarà quest'altro padre? Ov viamente, non può essere il Padre di Gesù. NOTE 31 . Gesù allora disse a quei Giudei: L'unità d i questo passo, creata dalla presenza continua
tiva degli stessi protagonisti (Gesù e «i Giudei») e dal tema di Abramo, ne rende diffi cile la suddivisione in distinti blocchi letterari. Vedi i validi suggerimenti di Dodd, «Behind a Johannine Dialogue» 41-42; Robert, « Étude littéraire» 71-84; Neyrey, «Jesus the Judge» 509-542; Schenke, «]oh 7-10» 185-187; Tufii Vancells, La verdad 1 04-124. Le suddivisioni presentate qui hanno valore di approssimazioni. Vedi UBSGNT; Lindars, Gospel 323, 327, 331; Brodie, Gospel 340-341 . che avevano creduto in lui: Il verbo pisteuein è seguito dal dativo a indicare una situazio ne di fede limitata. Vedi peraltro la nota relativa a 8,30 e Moloney, Belief104-106. TI pro blema de «i Giudei» che nei vv. 30-31 credono in Gesù e poi nel v. 59 cercano di ucci derlo è ampiamente discusso. In un famoso studio Dodd, «Behind a Johannine Dialo gue» 42-47, sostiene che i «Giudei credenti» sono gli stessi e che si tratta di cristiani giu daizzanti. La maggior parte dei commentatori, tuttavia, tende a distinguere i due grup pi. Vedi, ad esempio, Westcott, Gospel 133; Lightfoot, Gospel 192; Brodie, Gospel 328-329. Brown, Gospel 1,354-355, spiega la difficoltà come una chiosa nella quale «i Giudei» sarebbero gli abitanti di Gerusalemme. Per un'indagine vedi Swetnam, «The Mea ning» 106-107. Swetnam (pp. 107-109) suggerisce che il verbo ha il significato di piuc cheperfetto: «i Giudei» un tempo credevano ma non credono più. Per una risposta a Swetnam e una posizione molto vicina a quella adottata nell'interpretazione vedi Se galla, «Un appello alla perseveranza» 387-389. Se rimanete nella mia parola: L'uso di ean («se») seguito dall'aoristo congiuntivo meinete («rimanete») indica un desiderio da parte di Gesù che un'azione già iniziata sia portata alla sua prossima conclusione. Vedi BDF 188-190, §§ 371-372. 32. la verità vifarà liberi: Questa è una delle frasi giovannee più conosciute. Gli esegeti non sono concordi sul significato di «la verità» (he aletheia). Per uno studio generale sull'u so di questa espressione per indicare che si riferisce alla rivelazione di Dio per mezzo di Gesù, vedi de La Potterie, La vérité 1,23-26. Altri commentatori ritengono che l'e spressione sia derivata dallo sfondo gnostico del Vangelo e che si riferisca non alla ri velazione di Dio ma alla stessa realtà di Dio. Vedi, per esempio, Bultmann, Gospel 434: «Perciò la aletheia di Dio è la realtà di Dio, che è la sola realtà perché essa è vita e dà la vita». Vedi anche gli studi su 8,32 di A tal, «Die Wahrheit» 283-289; Turu Vancells, La ver dad 125-164; Lategan, «The truth that sets man free» 71-74. La nostra interpretazione si ispira in larga misura all'esauriente studio di de La Potterie, La vérité 2,789-866. Per il legame tra Legge e libertà vedi 2,811-814, e per una valutazione dei paralleli stoici e gnostici vedi 2,792-805. 33. Noi siamo discendenti di Abramo: Sull'importanza del vanto ebraico di essere i discen denti fisici di Abramo vedi Joachim Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus: An Investi gation into Economie and Social Conditions during the New Testament Period, SCM Press, London 1969, 271-302. non siamo mai stati schiavi di nessuno: I commentatori fanno spesso notare che questo vanto non è vero, e non era stato vero per diverse centinaia di anni (es.: Bauer, Johan nesevangelium 125). La libertà di cui parlano potrebbe tuttavia essere la loro libertà spi rituale, indipendentemente dalla loro situazione politica (es.: Carson, Gospel 349).
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34. è schiavo del peccato: Alcuni manoscritti (Siriaco Sinaitico, Beza, Oemente Alessandrino) omettono «del peccato» (tes hamartias). Il peso di testimonianze testuali più attendibi li (�'75, Sinaitico, Vaticano, Ephraemi Rescriptus) gioca a favore del parere di diversi esegeti (Bauer, Dodd, Tuni Vancells) secondo cui la lettura «schiavo del peccato» è più consona al contesto. 35. lo schiavo non resta per sempre nella casa: n discorso tra il v. 31 e il v. 35 è unificato dall'u so di «rimanere» (menein) nei vv. 31 e 35, «essere schiavi» (douleuein) nel v. 33 e «schia vo» (doulos) nei vv. 34-35, e «seme/ discendente» (sperma) nel v. 33 e relativo «figlio» (huios) nei vv. 34-35. 36. se il Figlio vifarà liberi: Diversi studiosi (es.: Dodd, Tradition 381-383; Lindars, «Slave and Son» 270-286) sostengono che 8,35-36 originariamente era una parabola indipendente che parlava di schiavi e figli e che successivamente è stata inserita nel testo giovanneo. 38. il Padre [mio] . . . padre vostro: I pronomi possessivi «mio» e «vostro» non si trovano nel la migliore tradizione manoscritta, ma sono stati aggiunti da molti scrivani a scopi di chiarezza. Il senso comunque è chiaro per la presenza dei pronomi personali ego («ciò che io ho visto») e hymeis («ciò che voi avete ascoltato»). la mia parola non trova accoglienza in voi: L'uso del verbo chorein nel senso di «fare spa zio, accogliere» è efficace ma alquanto improprio. Vedi la discussione in Bemard, Com mentary 2,309. Non tutti accettano l'interpretazione nel senso di «fare posto>> (cf Hoskyns, Gospel 341 ), e secondo alcuni l'espressione significa «far progresso» (cf Bauer, ]ohannesevangelium 125). dal padre vostro: In questa occasione Gesù non dice a «i Giudei» che sono figli del dia volo. È stata posta una domanda: se uccidono il Figlio di Dio, di chi sono figli allora? La risposta verrà data più in là nella discussione (v. 44). Giovanni 8,39-47
j9. Gli risposero: «D padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abra mo, fareste le opere di Abramo. 40. Ora invece voi cercate di uccidere me, uomo che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. 41. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42. Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui [Dio] mi ha mandato. 43. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non siete disposti a dare ascolto alla mia parola. 44. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i de sideri del padre vostro. Egli fin da principio è stato omicida e non è mai stato dalla parte della verità, perché in lui non c'è verità. Quando dice il falso esprime veramen te se stesso, perché è menzognero e padre della menzogna. 45. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47. Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».
I N T E R P R E TA Z I O N E È stata sollevata la questione della paternità. Chi è il Padre di Gesù e chi è il padre de «i Giudei»? «l Giudei» si vantano di avere per padre Abramo sulla ba se delle loro radici fisiche, ma l'ascendente di Abramo come padre della na zione è radicato nella sua apertura alla parola di Dio. Era un uomo di fede che dal momento della sua partenza da Ur dei Caldei (cf Gn 12,1-9) fino al mo-
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mento di rischiare l a vita del suo unico figlio (cf Gn 22,1-17) «ha fatto posto» al la parola di Dio non appena gli venisse comunicata. Se «i Giudei» fossero au tentici figli di Abramo (tekna tou Abraam) si comporterebbero allo stesso modo (v. 39). Ma essi hanno rifiutato la rivelazione di Dio nella parola di Gesù. Anzi, cercano di uccidere colui che fa conoscere la verità che viene da Dio, e per que sto hanno perso il loro diritto ad essere figli di Abramo. Abramo ha accolto prontamente i messaggeri del cielo (cf Gn 18,1-18), mentre «i Giudei» respin gono un uomo che porta un messaggio da parte di Dio. Non fanno come ha fat to Abramo (v. 40). Stando così le cose, il loro antenato deve essere qualcun al tro (v. 41a), come Gesù ha già insinuato (v. 38b). Per essere figlio di Dio si deve accettare la parola di Dio. Rifiutare la sua parola significa essere figli di un al tro padre. Il ragionamento dei vv. 37-38 è stato ripreso nei vv. 39-41a. «l Giudei» rispondono accusando Gesù di essere un figlio illegittimo, nato dalla prostituzione, mentre essi si dichiarano figli dell'unico Dio (v. 41b ) . Que sta accusa è basata sull'uso che l'AT fa delle immagini della fornicazione e pro-_ stituzione per parlare dell'infedeltà spirituale o dell'apostasia da Dio (cf Os 1,2; 4,15; Ez 16,15.33-34. Vedi anche Num. Rab. 2,1 7-26). Poi passano logica mente dal loro vanto di avere Abramo per padre (v. 39) alla dichiarazione di avere «un solo padre: Dio!» (v. 41c). In forza del patto di alleanza stretto tra YHWH e il popolo, «i Giudei» si considerano figli di Dio (cf Es 4,22; Dt 14,1; 32,6; Ger 3,4.19; 31,9; Is 63,16; 64,7). Si associano alla confessione fatta ogni mat tina dai sacerdoti durante la celebrazione della festa dei Tabernacoli (cf m. Sukk. 5,4). Ma Gesù risponde loro che se fossero veramente figli di Dio amerebbero Gesù che è uscito e viene da Dio quale suo Inviato (v. 42). ll commento del nar ratore in 3,35, che il Padre ama il Figlio, fa da base a 8,42: i figli dello stesso pa dre devono amarsi gli uni gli altri. La rabbia e la crescente violenza che asse diano Gesù in questa celebrazione dell'unico vero Dio mostrano che Gesù e «i Giudei» non possono essere figli dello stesso Padre. Gesù chiede a «i Giudei» come mai non capiscano ciò che dice (v. 43a ), e poi risponde egli stesso alla domanda. Non comprendono le parole esposte da Ge sù (v. 43a: lalian ten emen) perché non sono aperti al suo messaggio rivelatore (v. 43b: logon ton emon ) . Essi non solo sono indisposti a far posto alla parola di Ge sù (v. 37), ma ora sono anche accusati di non essere capaci (ou dynasthe) di ascol tare la parola di Gesù a causa delle loro origini (v. 43b), perché sono figli del dia volo (v. 44a). Parlano e agiscono conformemente alle loro origini: «volete com piere i desideri del padre vostro» (v. 44b). Le parole e le azioni di Gesù invece sono dettate dalla volontà del proprio Padre (cf 4,34; 5,36), così come le parole e le azioni de «i Giudei» sono dettate dalla volontà del loro padre, il diavolo (v. 44b). La seguente descrizione del diavolo (v. 44cd) è basata sulle azioni che il diavolo compie «fin da principio» (v. 44c: ap'arches). Con le menzogne e con l'inganno ha privato Adamo della promessa originale dell'immortalità fatta da YHWH. Egli è perciò un bugiardo e un omicida (cf Gn 3,1-24; Sap 2,24). I suoi inganni hanno anche portato al primo vero omicidio, all'uccisione di Abele per mano di Caino (Gn 4,1-15). Fin dall'inizio il diavolo si è messo contro Dio, per ingannare e uccidere l'umanità (vedi il contrasto con Giovanni 1,1-5). Tutto ciò che concerne il diavolo è l'opposto di ciò che si può dire di Gesù: il diavolo
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«non è mai stato dalla parte della verità, perché in lui non c'è verità» (v. 44c). Gesù nel raccontare la storia di Dio rivela la verità (cf 1,14.17-18; 8,32.40), men tre il diavolo è la negazione di qualsiasi verità. L'attività del diavolo fin dal principio della storia umana è stata quella di creare una situazione di menzo gne, inganni e morte che ha fatto di lui «il padre della menzogna» (v. 44d). Al l'inizio della storia umana sono perciò all'opera due potenze: Dio che è veri tiero, e il diavolo che è il padre della menzogna. Gesù dice la verità (v. 45: ten aletheian lego). La parola di Gesù è la rivelazione della verità nella storia uma na e rispecchia le sue origini da Dio, suo Padre. Ma «i Giudei» che traggono ori gine da colui che per sua natura non può che dire menzogne (v. 44d: «quando dice il falso esprime veramente se stesso») non credono alla parola di Gesù «perché dico la verità» (v. 45). La rivelazione della verità ai figli di colui che è il padre della menzogna porta inevitabilmente al rifiuto e alla negazione. Gesù conclude questa parte del discorso con due accuse formulate in due domande retoriche (v. 46). La seconda delle due domande riceve una risposta nel v. 47, mentre la prima rimane senza risposta perché non esiste nessuna ri sposta da dare. Gesù sfida «i Giudei», figli del padre della menzogna, a dimo strare che ha commesso qualche peccato (v. 46a). Questo è impossibile, perché un bugiardo non è nella posizione di poter condannare uno che dice la verità. La seconda domanda di Gesù dice in sostanza che «i Giudei» sono bugiardi (v. 46b) In qualità di figli del diavolo, è contro la loro natura accettare la parola della verità. Il loro mondo è quello della menzogna. L'unica risposta che «i Giu dei» potrebbero dare alla domanda di Gesù: «Perché non mi credete?» sarebbe: «Perché non possiamo». Prima aveva chiesto loro: «Per quale motivo non com prendete il mio linguaggio?)) (v. 43a). Ed è Gesù stesso che risponde: «Perché non potete (hoti ou dynasthe))) (v. 43b). Secondo il modo giovanneo di vedere Dio e il mondo, in questa discussio ne sono interessate due classi di persone: quelli che «sono da Dio)) (ek tou theou) e quelli che «non sono da Dio)) (tou theou ouk este). «l Giudeh) fanno parte del se condo gruppo (v. 47). La parola di Gesù è la rivelazione di Dio, e chi è «da Dio)) è disposto ad ascoltarla. Questo «ascolto» è impossibile per coloro che sono fi gli del diavolo (v. 44). La discussione sui due padri ha compiuto un ciclo com pleto da quando «i Giudei» si erano dichiarati figli di Abramo nel v. 39. .
NOTE 39. Sefostefigli di Abramo: Per parlare dei rapporti tra « i Giudei»> e Abramo Gesù cambia la terminologia. Essi si erano vantati di essere discendenti di Abramo (letteralmente «il seme»: sperma Abraam) nei vv. 33 e 37. Gesù adesso vuole accertare se siano o no figli di Abramo (tekna Abraam) con parole che potrebbero ricordare la promessa del Prologo che i credenti sarebbero diventati figli di Dio (1,12: tekna theou). fareste le opere di Abramo: Alcuni antichi manoscritti (Vaticano, P') hanno l'imperativo poieite: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo». Questo non cambia molto il significato del passo ed è la versione adottata da numerosi commentatori (es.: Westcott, Gospel 135; Lagrange, Evangile 245-246; Bernard, Commentary 2,310). Vedi la discussio ne in Barrett, Gospel 347. 40. cercate di uccidere me, uomo: L'espressione «uomo» (anthrapon senza articolo) non sot-
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tintende alcun significato teologico particolare. Significa semplicemente «colui, uno• (tis). Vedi BDF 158, § 301 (2). questo, Abramo non l'ha fatto: Alcuni rabbini tardivi fanno la distinzione tra la gente che si comporta come Abramo e quelli che si comportano come Balaam (Pirke Abot 5,19.29). Vedi Talbert, Reading fohn 156. 41 . Noi non siamo nati da prostituzione: È possibile che lo sfondo per queste parole sia da to da una tradizione giudaica, successivamente assai diffusa, che Gesù fosse il figlio illegittimo di Maria. La nostra non adotta questa posizione, essendo difficile accerta re se tale riferimento si possa fare risalire già alla fine del primo secolo, vista la data tardiva del materiale rabbinico che la riferisce. Vedi John P. Meier, A Marginai few: Re thinking the Historical fesus, ABRL, Doubleday, Garden City, N.Y. 1991, 222-229,
245-252. 42. da Dio sono uscito e vengo; non son.o venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato: C'è tutta una serie di termini che sottolineano la dipendenza di Gesù da Dio: «sono uscito ... vengo ... mi ha mandato» (exelthon, hecho, apesteilen). Questi verbi si riferiscono all'evento del la venuta di Gesù nel mondo (cf Schnackenburg, Gospel 2,2l2). n verbo hecho faceva parte del linguaggio religioso del tempo ed era usato per esprimere la comparsa sal vifica della divinità (cf Barrett, Gospel 348). 43. non comprendete il mio linguaggio ... non siete disposti a dare ascolto alla mia parola: n so stantivo lalia è usato per parlare del discorso pubblico di Gesù. Può essere messo in re lazione al linguaggio corrente associato ai personaggi rivelatori (cf Bultmann, Gospel 316, n. 7). Incapaci di comprendere il suo discorso (lalia), «i Giudei» non sono in grado di afferrare e di accettare («ascoltare») la sua rivelazione di Dio (il suo logos ) . Vedi Barrett, Gospel 348. 44. Voi avete per padre il diavolo: Questo può significare «voi siete dal padre del diavolo» (cf Westcott, Gospel l37), il che contiene tracce di dottrina gnostica. Per questo genere di sfondo e la riflessione cristiana primitiva su questa idea, vedi Bauer, fohannesevangelium 127-129. Nel Quarto Vangelo il dualismo è morale, non metafisico. Tra gli altri, vedi Schnackenburg, Gospel 2,214-215. avete per padre il diavolo: Le parole di Gesù nei vv. 44-47 sono le più negative mai pro nunciate nel NT contro «i Giudei» (cf Becker, Evangelium 1,304). Ma, come è stato no tato nell'Introduzione, nel Quarto Vangelo «i Giudei» non sono mai il popolo giudai co come tale. n termine rispecchia la polemica cristologica che ha portato alla rottura dei rapporti tra la comunità giovannea e la sinagoga locale. Per le interpretazioni in questo senso vedi Gdisser, «Die Juden als Teufelsohne» 154-167; Porsch, «lhr hat den Teufel zum Vater» 50-57. Questo fatto viene perso di vista dal tentativo di Reim, «}oh 8.44 Gotteskinder /Teufelskinder» 619-624, di collegare il passo alle speculazioni su Caino e Abele mediante un rimaneggiamento del testo. 47. Chi è da Dio ... voi non siete da Dio: Questa ultima osservazione di Gesù guarda alla na tura cruciale della questione delle origini. In questo passo le origini sia di Gesù che de «i Giudei» sono state trattate in termini di due rapporti «padre-figlio» in contrasto tra loro. Il concetto è «il punto centrale di tutto il discorso» (Lindars, Gospel 330). ·
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48. Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione a dire che sei un Samaritano e un indemoniato?». 49. Rispose Gesù: «lo non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51 . In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: "Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai
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la morte">>. 52. Gli dissero i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte". 53. Sei più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti so no morti. Chi credi di essere?». 54. Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!", 55. e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57. Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?». 58. Rispose lo ro Gesù: «In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: prima che Abramo fosse, Io So no». 59. Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal Tempio.
INTERPRETAZIONE Quest'ultimo atto dell'incontro d i Gesù con « i Giudei» nel Tempio è un au tentico dialogo nel quale si scontrano due punti di vista diversi. «l Giudei» in terrogano (vv. 48.53.57), affermano il loro punto di vista (v. 52) e reagiscono (v. 59a). Gesù risponde alle loro domande (vv. 49.54-55), afferma il proprio punto di vista (vv. 50-51.56.58) e reagisce (v. 59b). «l Giudeh> si difendono dall'accusa di Gesù che sono figli del diavolo ritor cendogli contro garbatamente («non abbiamo forse ragione di dire») l'accusa che lui è un Samaritano, membro di quella razza mista e apostata, e un inde moniato e per ciò stesso un pazzo (v. 48; cf 7,20). Mettono la loro parola (legomen) contro la parola accusatrice di Gesù. Gesù risponde ritornando sulla questione che interessa: il Padre. Le parole che egli rivolge a «i Giudeh> scaturiscono dal la sua unione con il Padre che lui cerca di onorare (timo), proprio come essi cer cano di disonorare (atimazate) Gesù (v. 49). Il giudizio consegue dall'accettazio ne o dal rifiuto di Gesù (cf 3,16-21.36; 5,27; 8,16), e per onorare il Padre uno de ve onorare anche il Figlio (cf 5,23). Gesù non cerca di farsi un nome, la propria gloria (doxa), ma poiché egli è l'Inviato del Padre, la gloria gli verrà data nell'o ra e nel modo stabiliti dal Padre. Il Padre è colui che cerca (zeton) la gloria e che giudica (krinon) (v. 50). Dietro il giudizio che scaturisce dall'accettazione o dal ri fiuto della doxa di Gesù c'è Dio, il Padre che ha mandato Gesù. La vita eterna, pertanto, è conseguenza dell'osservanza della parola di Gesù, della perseve ranza in essa, dell'adempimento di ciò che impone, e quindi del vivere secondo la parola (v. 51). La risposta di Gesù al rifiuto della sua persona da parte de «i Giudei» (v. 48) è una riaffermazione della funzione centrale della rivelazione di Dio che si manifesta in lui e che porta o alla vita o alla morte (vv. 49-51). Ma «i Giudei» non si lasciano smuovere. Ribadiscono il vanto della loro di scendenza da Abramo e dai profeti (vv. 52-53) . Ritorna il già noto «noi sappia mo» (n un egnokamen). Ora sanno che la loro accusa contro Gesù (cf v. 48) è vera perché sono le stesse affermazioni di Gesù che lo condannano. Non c'è nessu na apertura alla parola di Gesù che viene dall'alto, perché essi sono ancorati al loro mondo in basso (cf v. 23). Le loro parole ricordano l'incapacità della Sama ritana di concepire che Gesù potesse essere più grande di Giacobbe (cf 4,11-12); «i Giudei» infatti chiedono: «Sei [forse] più grande del nostro padre Abramo...
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e i profeti?» (v� 53). Sono tutti morti; e come può Gesù offrire l a vita eterna? Es si sanno che Gesù non può essere più grande di Abramo o dei profeti. Il lettore invece sa che lo è! La questione della morte induce Gesù a ripetere che lui non cerca la propria doxa. Questa dipende interamente dal Padre (v. 54; cf v. 50). Sa rà un intervento del Padre a stabilire la doxa di Gesù. L'enigma è che «i Giudei» menano il vanto di onorare l'unico vero Dio (cf anche v. 41), ma ciò è falso; il lo ro padre è il padre della menzogna (v. 44). Non possono disonorare (v. 49) e cercare di uccidere (cf 5,18; 7,1) il Figlio di Dio e nel contempo vantarsi che suo Padre è anche il loro unico vero Dio. «l Giudei» non lo conoscono questo Dio perché si rifiutano di riconoscere il Figlio ed accettare la sua parola (v. 55a), mentre Gesù Dio lo conosce. Se non ammettesse questa conoscenza sarebbe anch'egli un bugiardo come lo sono «i Giudei» (v. 55b) . Abramo può ben esse re all'origine fisica della stirpe de «i Giudei», ma è separato da essi dal fatto che ha accettato il disegno di Dio: ha esultato nella speranza di vedere il gior no di Gesù, mentre loro lo rifiutano (v. 56). La fede di Abramo così come de scritta nella Genesi è un esempio di un uomo che è ansioso di vedere che si compia il piano di Dio. Secondo un'antica tradizione ebraica, Abramo era sta to privilegiato con la rivelazione dei segreti dei tempi futuri, specialmente del l'era messianica (cf Targum Onkelos su Gn 17,16-17; Gen. Rab. 44,22.28; 4 Esdra 3,14; T. Levi 18,14; 2 Bar. 4,4; Apoc. Abr. 31,1-3; Tanh. Ber. 6,20; b. Sanh. 108b), e questo ulteriore motivo di rinomanza probabilmente si cela dietro le parole di Gesù. Ma questo praticamente equivale a dire che «l'opera della salvezza ... si è in effetti realizzata in Gesù» (Barrett, Gospel 352). «I Giudei», nonostante il loro vanto di essere fisicamente discendenti del loro padre Abramo, sono se parati da lui da un baratro incolmabile: Abramo «fu pieno di gioia» al vedere la venuta di Gesù; «i Giudei» cercano invece di ucciderlo. A «i Giudei» interessa sapere come possa un uomo non ancora cinquanten ne vantarsi di aver visto Abramo (v. 57). Come in tutto questo dibattito (cf vv. 52-53) essi non hanno posto attenzione alle parole di Gesù. Gesù non ha detto di aver visto Abramo, ma che Abramo ha esultato di gioia al vedere il giorno di Gesù. Presentando la conclusione del suo discorso con il doppio «amen», Gesù chiude la discussione parlando in maniera del tutto incomprensibile a «i Giu dei», ma vera per chiunque abbia letto ed accettato il Prologo (1,1-18): «In veri tà, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono» (v. 58). Gesù si appel la al fatto di essere esistito come il logos , rivolto in unione d'amore verso Dio fin da prima ancora del principio (1,1). Abramo, nonostante tutta la sua grandez za, appartiene alla sequenza degli eventi che segnano il trascorrere del tempo. La sua storia è finita; è venuto ed è andato. Ma per Gesù la cosa è diversa. Ge sù parla a «i Giudei» da dentro l'ambito temporale degli eventi della festa dei Tabernacoli, ma egli trascende questo tempo con una analessi, uno sguardo re trospettivo a un punto posto prima e oltre il tempo storico. Prima ancora del tempo di Abramo Gesù già esisteva (1,1: en archf en ho logos). L'espressione «Io Sono» (ego eimi) qui non ha il significato cristologico che l'uso assoluto del ter mine ha in altri passi (cf 8,24.28). È un esempio del tempo presente del verbo «essere)) che supera i confini del tempo e che ricorda l'uso dell'imperfetto del lo stesso verbo che caratterizza la prima parte del Prologo (1,1-4).
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Di 1,1 è stato detto: «Se questo non fosse vero, il libro sarebbe blasfemo» (Barrett, Gospe/ 156). Poiché «i Giudei» si pongono al di fuori del mondo del Prologo, essi necessariamente giudicano Gesù un bestemmiatore e danno di piglio alle pietre per lapidario (v. 59a), ma Gesù si nasconde (v. 59b: ekrybe): un'azione che ricorda il modo in cui è arrivato nel Tempio in 7,10 (en kryptij). Una parte importante del racconto si conclude con questo ritorno al tema del la segretezza, mentre Gesù esce dal Tempio per la prima volta dopo 7,10 (8,59c). Conclusione di 7,1-8,59. La narrazione della presenza di Gesù alla festa dei Tabernacoli presenta rivendicazioni cristologiche che corrispondono ai prin cipali temi della festa: • Gesù è il rivelatore dell'unico vero Dio. Fa conoscere Dio con un'autorevolezza tut- · ta propria, contro qualsiasi forma di idolatria (cf m. Sukk. 5,4; Gv 7,14-24; 8,39-59). • Gesù è il Messia. Le speranze messianiche d'Israele non sono abrogate, ma supera te e trasformate (cf Zc 14,16-19; Gv 7,25-31 .32-36). • Gesù è la personificazione e l'universalizzazione della celebrazione del dono del l'acqua viva. Le speranze messianiche associate a questo dono sono superate e tra sformate ( m . Su/dc 4,9-10; Gv 7,37.48-52). • Gesù è la personificazione e l'universalizzazione della celebrazione del dono della luce del Tempio e della città di Gerusalemme (cf m. Su/dc. 5,2-4; Gv 8,12). • La celebrazione mattutina del tradizionale Dio d'Israele assume un nuovo significato (cf m. Sukk. 5,4). «Non capirono che egli parlava loro del Padre» (Gv 8,27). «l Giudei» che cercano di uccidere Gesù non sono figli né di Abramo né dell'unico vero Dio, ma del diavolo (8,37.59; cf 5,23).
Ciò che si è celebrato nel Tempio ebraico durante la festa dei Tabernacoli non era che un segno e un'ombra della perfezione del dono di Dio nella perso na di Gesù Cristo (cf 1,16-17), il Figlio dell'unico vero Dio (7,14-24), il Messia che non poteva essere coartato entro le aspettative messianiche ebraiche (7,25-31.32-36), il perfezionamento del dono della Legge vista come acqua viva (7,37-39) e luce del mondo (8,12). I cristiani della comunità giovannea non ave vano perso contatto con la celebrazione della festa dei Tabernacoli, il zikkaron della presenza liberatrice, alimentatrice e protettrice di Dio tra il suo popolo. Nella loro incondizionata accettazione della parola di Gesù (cf 2,1-4,54) essi potevano proclamare: «Noi siamo del Signore, e i nostri occhi sono rivolti al Si gnore» (m. Sukk. 5,4). In Gesù Cristo le tradizioni dei Tabernacoli vengono in carnate, non distrutte. La comunità giovannea appartiene alla tradizione mo saica, una tradizione ora perfezionata nella pienezza del dono di Gesù Cristo (1,17). Quelli che insistevano nel loro attaccamento alla legislazione del prece dente dono della Legge non potevano reclamare di essere figli di Abramo né fi gli di Dio. Erano invece figli del diavolo, omicida fin dal principio e padre del la menzogna. «l Giudei» hanno sbagliato strada col loro rifiuto del disegno di Dio inteso a perfezionare l'antico dono della Legge mosaica nella pienezza del dono che si è attuata per mezzo di Gesù Cristo.
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NOTE 48 . sei u n Samaritano e u n indemoniato: L'associazione tra l'essere un Samaritano e l'essere
indemoniato potrebbe venire dalla credenza giudaica che i profeti samaritani erano posseduti dal demonio (cf Bauer, Johannesevangelium 130-131). 49. non sono indemoniato ... voi non onorate me: TI contrasto tra Gesù e «i Giudei» è messo in risalto dall'uso dei pronomi «lo» ... «voi» (ego ... hymeis). 51. Amen, amen io vi dico: Come in tutto il Vangelo, questo uso tipicamente giovanneo del doppio «amen» lega ciò che è stato detto con quello che segue per mezzo di una so lenne dichiarazione. 54. Chi mi glorifica è il Padre mio: Qui non bisogna limitare il significato di doxa al con cetto di «onore» (come fa, ad esempio, Bernard, Commentary 2,319). Le parole di Ge sù probabilmente sono già un accenno al legarne esistente tra la sua ora (l'ora della morte), il suo innalzamento e la sua glorificazione (cf Brown, Gospel l,366; Carson, Gospel 356) . Questo legame diventerà uno dei temi principali trattati più avanti nel Vangelo. voi dite: È nostro Dio!: TI testo greco ha hoti theos hemon estin, ma dovrebbe essere in di scorso diretto. Alcuni scrivani hanno cercato di rendere il passo in discorso indiretto, ma il discorso diretto non solo è grammaticalmente migliore (cf Lagrange, Evangile 253), ma rende anche meglio la falsità del vanto de «i Giudei». Essi non devono asso ciare il Dio di Gesù con il loro Dio che, secondo il v. 44, è il diavolo. 56. Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno: Come è stato spiegato nell'interpre tazione, esistono abbondanti testimonianze nelle fonti ebraiche che indicano che le parole di Gesù si rifanno all'idea che Abramo aveva goduto del privilegio di vedere i segreti dell'era messainica (cf Schnackenburg, Gospel 2,221-223). Questo a sua volta conferma l'idea che Gesù sta parlando di un Abramo celeste che lo contempla duran te il suo ministero (cf Cavalletti, «La visione messianica» 179-181; Lindars, Gospel 334-335). Ci può anche essere un collegamento tra l'esultanza di Abramo nel v. 56 e la sua gioia in Gn 17,17 (cf Hoskyns, Gospe/ 347-348). 57. Non hai ancora cinquant'anni: Il numero cinquanta indica l'aspettativa comune della fi ne della vita lavorativa di un uomo (cf Nm 4,2-3.39; 8,24-25), ma Edwards, «Not Yet Fifty Years Old» 449-454, ha fatto notare che il libro dei Giubilei usa l'espressione «cin quanta anni» per numerare le epoche dal momento della creazione. Se gli avversari di Gesù applicano questa misura di tempo, la sua risposta in 8,58 è una canzonatura. Ge sù è al di fuori di qualsiasi arco di tempo. 58. Io Sono: Lindars, Gospel 336, fa notare l'uso unificatore di ego eimi in Giovanni 8: « lo s> (v. 16a); e hanno escluso tale possibilità (vv. 24.29). In precedenza il cieco guarito ha descritto Gesù come «l'uomo che si chiama GesÙ>> (v. 11), ma ora egli di chiara: «Se costui non venisse da Dio (para theou), non avrebbe potuto far nul la» (v. 33). C'è ancora una traccia di esitazione nell'uomo (ei me en houtos para theou), dato che continua a basare la sua conoscenza di Gesù sul fatto del mi racolo (v. 33b), ma la sua risposta è essenzialmente positiva; e la reazione de «i Giudei» a tale insinuazione è immediata e violenta. Insultano l'uomo accusan dolo di essere nato ingolfato nel peccato (v. 34a; vedi Sal 51,7), rispondendo in tal modo alla domanda fatta dai discepoli nel v. 3 e lasciata cadere da Gesù nel v. 4 perché irrilevante. Quest'uomo «peccatore» si comporta da ignorante e da arrogante col suo mettere in dubbio la conoscenza de «i Giudei». Sta cercando di insegnare loro che il concetto che hanno di Dio e di colui per mezzo del qua le Dio ha parlato è sbagliato (v. 34b). Per questo non possono fare altro che but tarlo fuori (v. 34c: exebalon auton exo) in malo modo. Gesù e il cieco (vv. 35-38). Gesù, saputo che lo avevano cacciato fuori, lo tro va e gli chiede: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?» (v. 35). I riferimenti fatti in precedenza al Figlio dell'uomo (cf 1,51; 3,13-14; 5,27; 6,27.53.62) hanno indica to che Gesù usa questa espressione per parlare del proprio ruolo nel far cono scere Dio nella storia umana. La sua presenza tra noi nella veste di Figlio del l'uomo è un elemento critico, che rivela Dio e comporta giudizio, ma la pie nezza del suo ruolo rivelatore deve ancora venire. L'uomo rimane perplesso davanti alla domanda di Gesù e risponde facendogli a sua volta una doman da. Non ne sa abbastanza (cf vv. 12.25.36) per poter rispondere alla domanda di Gesù. Perciò si rivolge direttamente a lui dandogli del «signore» (kyrie) per avere ulteriori chiarimenti sul Figlio dell'uomo (v. 36). La risposta di Gesù è so lenne ed esauriente: «Lo hai visto: è col ui che parla con te» (v. 37). Qui sono combinati assieme alcuni termini essenziali della cristologia del Vangelo. È impossibile per chiunque vedere Dio o giungere alla conoscenza di Dio (cf 1,18; 5,37), ma Gesù rivela ciò che lui ha visto (cf 1,34; 3,11 .22; 8,38). Egli parla di ciò che ha veduto presso il Padre (cf 6,46; 8,38). Quelli che credono in Gesù ve dranno (1,50-51), mentre quelli che si rifiutano di vedere sono condannati (cf 3,36; 5,37-38; 6,36). La rivelazione suprema di Dio avrà luogo quando il credente guarderà al Figlio dell'uomo (3,13-15). Gesù sta esortando l'uomo a riconosce re che Dio gli viene rivelato nella persona del Figlio dell'uomo. Egli è l'incar nazione del logos di Dio (1,1-2.14). Gesù parla di ciò che ha appreso dal Padre (cf 3,11.34; 8,25-26.38) e parla con una indiscutibile autorità (cf 7,17.18.26.46). La
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sua parola dà vita, pace e gioià (cf 6,63), ma nel contempo condanna quelli che
si rifiutano di ascoltare (cf 8,40). Alla Samari tana Gesù aveva detto che colui che rivela Dio in un modo del tutto singolare, l'ego eimi, è colui che parla con lei (4,26). Gesù chiede al cieco guarito di compiere un altro passo nel suo cammino verso la luce e la vera vista. È disposto ad accettare il fatto che in Gesù, l'uomo che gli sta davanti e che può vedere e ascoltare, troverà la rivelazione di Dio? Il cieco risponde: «Credo, Signore!» (v. 38a). Nella domanda che aveva posto in precedenza a Gesù lo aveva chiamato «signore» (v. 36: kyrie), ma lo stesso ter mine ha il suo pieno significato cristologico di «Signore» nel momento stesso in cui l'uomo si prostra in un atto di adorazione e di accettazione di Gesù (v. 38b: kai prosekynesen aut()). Non creduto da amici e vicini (vv. 8-12), abbandonato dai suoi genitori (vv. 18-23), interrogato, insultato e scacciato fuori da «i Giudei» (vv. 13-17.24-34), il cieco guarito matura gradatamente la sua fede in Gesù co me «un uomo» (v. 11), come «un profeta» (v. 17), come un possibile venuto «da Dio» (v. 33), fino da ultimo a prostrarsi in adorazione davanti a Gesù, colui che rivela Dio, il Figlio dell'uomo, l'inviato di Dio, la luce del mondo. Le parole ri volte in precedenza da Gesù ai discepoli si sono avverate. ll cammino di que st'uomo dalla cecità al ricupero della vista è stato compiuto «perché in lui sia no manifestate le opere di Dio» (v. 3). NOTE l . Passando . . : L'unità del passo Giovanni 9,1-10,21 è controversa. Alcuni considerano 10,1-21 un'intrusione; altri vorrebbero attribuirne l'inserimento a uno stadio successi vo nello sviluppo della tradizione giovannea. La nostra interpretazione considera il passo un corollario logico di 9,1-41. Per una panoramica vedi Schnackenburg, «Die Hirtenrede» 131-143; Tragan, La parabole du «pasteur» 55-175. vide un uomo cieco dalla nascita: È teologicamente significativo e importante ai fini del racconto nel suo insieme il fatto che quest'uomo non abbia mai potuto vedere, che sia stato cieco «dalla nascita» (ek genetes). Ciò che si verifica nel dono della vista, della lu ce e della fede rappresenta per l'uomo una nuova creazione. 2. Rabbi, chi ha peccato: Per alcuni esempi più tardivi della riflessione rabbinica sul pecca to prenatale vedi Str-B 2,527-529. 3. perché in lui siano manifestate le opere di Dio: È anche possibile che hina phanerOthf sia im perativo: «si manifestino in lui le opere di Dio» (cf Beasley-Murray, fohn 151). Questa interpretazione addolcisce le dure parole di Gesù, ma elimina il parallelo, che compa rirà in seguito, tra 9,3 e 11,4. 4. Bisogna che compiamo le opere: Abbiamo optato per la lettura al plurale «che compia mo» (hemas dei), seguendo P66•75, la versione antica del Sinaitico, Vaticanus Regius, Freer Gospels, Siriaco Sinaitico, ecc., a preferenza del più naturale «che io compia» (eme dei) che si trova in alcuni manoscritti. Un cambio dal plurale al singolare da parte dei co pisti è più probabile. La lettura al plurale è «indiscutibilmente giusta» (Lindars, Gospel .
342). 5. sono la luce del mondo: In traduzione, i versetti 8,12 e 9,5 possono essere identici, ma nell'originale greco non lo sono. In 9,5 non compare la formula ego eimi, ma si ha phlJs eimi tou kosmou . Come osserva Schnackenburg, Gospel 2:242, è il segno stesso che svol ge la funzione di ego eimi.
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6 ." sputò per terra, fece t!elfango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco: 'Sull 'uso· del la saliva come unguento da spalmare sugli occhi di chi ha problemi di vista vedi Mar co 8,23; Plinio, Stor. Nat. 28,7; Tacito, Storia 4,81; Svetonio, Vita dei Cesari 8,7.2-3; Dione· Cassio 66,8. Per i paralleli rabbinici vedi Str.-B 2,15-17. 7. Siloe (che significa Inviato): n termine «Siloe» letteralmente significa uno scarico (di ac que), e perciò non significa «Inviato» (ho hermeneuetai apestalmenos), anche se nel verbo «inviare» (ebraico: Mlab) le consonanti sono le stesse del nome Siloe. I due termini so no etimologicamente abbastanza simili da giustificare uno scambio per assonanza. Ta le individualizzazione e interpretazione messianica può essere stata di uso corrente. Vedi Miiller, «]oh 9,7» 251-256; Reim, «]oh 9 » 245-253 e in particolare Manns, L'Evan gile 196-203. 9. Sono io!: Alcuni commentatori considerano la risposta dell'uomo un primo segno di co me egli si rappresenta Gesù. Usa la formula ego eimi e suscita attorno a sé uno schisma. 11. L'uomo che si chiama Gesù: Per Manns, L'Evangile 203-207, questa confessione è già mes sianica, evocando l'uso ebraico di geber e f�. 13. condussero daifarisei: L'alternanza tra «i Farisei» (cf 9 ,13.15.16.40) e «i Giudei» (cf 9,18.22; 10,19) come protagonisti principali in 9,1-10,21 indica ancora una volta (come già nei capp. 7-8) che rappresentano lo stesso gruppo di avversari di Gesù. Vedi Thyen, «Jo hannes 10» 123. Per Martyn, History and Theology 31 n. 29, «i Farisei» rappresentano una rilettura nei termini della storia di Gesù dell'esperienza dei cristiani giovannei davanti al Bet Din (tribunale religioso) di Jamnia. 14. era un sabato: Sull'effetto letterario di questo ritardo nell'annunciare che era un giorno di sabato vedi Staley, «Stumbling in the Dark» 65-66. Staley fa anche notare (pp. 66-67) che l'accurata descrizione dell'episodio fatta dall'ex cieco non forniva materia suffi ciente per un'accusa di violazione del sabato. Il cieco guarito mostra correttezza e i Farisei mostrano malizia. 16. Quest'uomo non viene da Dio: Per indicare che «i Giudei» respingono la rivendicazione di Gesù di essere da una parte uno di noi e dall'altra parte di venire «da Dio», qui vie ne usato un inconsueto· giro di parole: ouk estin houtos para theou ho anthrapos. può ... compiere segni di questo genere: Il plurale «segni» indica che si riferiscono anche al miracolo del cap. 5. Questo ricordare il miracolo precedente e la permanente incapacità de «i Giudei» di accettare l'idea che Gesù è «da Dio» indicano che essi hanno respinto in blocco l'insegnamento contenuto nel discorso di 5,19-47. 22. venisse espulso dalla sinagoga: «Giovanni parla di cosa bisogna pagare per essere disce poli nei termini delle condizioni che i suoi lettori conoscevano molto bene» (Lindars, Gospel 347). Gli studiosi vedono nella narrativa giovannea un «dramma su due livel li» (cf Martyn, History and Theology 30) che rispecchiano la storia di Gesù e la storia della comunità giovannea, ma Reinhartz, Word in the World 1-6, ha fatto notare che il dramma presenta anche un terzo livello, quello di una storia cosmica. La scrittrice la definisce «la meta-storia che costituisce la cornice temporale, geografica e teologica a cavallo delle altre due storie» (p. 5). 23. Ha l'età: chiedetelo a lui: Dicendo questo i genitori evitano la discussione cristologica. Tra altri, Brown (Community 71-73) ha fatto notare che c'erano dei cripto-cristiani che ri conoscevano la verità riguardo a Gesù ma non avevano il coraggio di confessare la lo ro fede; preferivano rimanere nella sicurezza delle tradizioni mosaiche. 24. Da' gloria a Dio!: Qui si può vedere una sottile ironia, dal momento che il cieco dalla na scita finirà col dar gloria a Dio nella sua testimonianza data a Gesù. Vedi Pancaro, The Law in the Fourth Gospel 20-21. 27. Volete diventare anche voi suoi discepoli?: Alcuni pensano che qui il cieco guarito voglia deridere i suoi giudici (es.: Staley, «Stumbling in the Dark» 68). Ma questo è in netto
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disacèordo con la caratterizzazione generale dell'uomo e con·il suo progresso verso la luce. Vedi Holleran, «Seeing the Light» 373-374. 31. Sappiamo: Questa è l'unica volta nel racconto in cui la conoscenza del cieco nato e la co noscenza dei Farisei sono in sintonia. Haenchen, fohn 2,40, parafrasa questo oidamen in: «È da tutti riconosciuto». 32. Da che mondo è mondo: Questo è vero per quanto riguarda � resoconto biblico (cf Brown, Gospel 1,375). Reim, «Johannesevangelium und Synagogengottesdienst» 101, inqua dra queste parole nel contesto di una lettura nella sinagoga, ad iniziare da Genesi 1,1 e passando in rassegna i grandi testi profetici (rispecchiati in Giovanni 9). Il dono del la vista dato a un uomo cieco dalla nascita rappresenta qualcosa di assolutamente nuo vo e inaudito. 34. E lo cacciarono fuori: Dietro questa espulsione vediamo ancora una volta l'esperienza della comunità giovannea, per quanto limitata possa essere stata. Vedi, tra tanti altri, Rensberger, Johannine Faith 26-27; Beck, «Narrative Function» 152-153. 35. Tu credi nel Figlio dell'uomo ?: Per uno studio dettagliato sull'uso di «Figlio dell'uomo» in 9,35 vedi Moloney, Son of Man 149-159. Ciò che sostiene Miiller, «Have you Faith?» 291-294, che cioè «Figlio dell'uomo» in 9,35 è una circonlocuzione che sta per «me», svuota del suo significato il carattere culminante di questo ultimo incontro tra Gesù e il cieco guarito e rende inutile la solida spiegazione di Gesù nel v. 37. 37. è colui che parla con te: C'è una stretta somiglianza tra 9,37, ho laion meta sou ekeinos estin («è colui che parla con te») e l' autorivelazione di Gesù alla Samaritana in 4,26: ego eimi ho laion soi («"lo Sono" è colui che parla con te»). 38. Ed egli disse: «Credo, Signore!>>. E si prostrò dinanzi a lui: Alcuni esegeti considerano i vv. 38-39a un'aggiunta. Questo in base a una nota di critica testuale: nel Quarto Vangelo questo è l'unico luogo in cui compare proskynein (v. 38b: «prostrarsi»), e ephe (v. 38a: «disse») è raro (altrove solo in 1,23). Vedi C. L. Porter, «John 9,38,39a: A Liturgica! Ad dition to the Text», NTS 13 (1966-1967) 387- 394. Quasi tutti i commentatori però sono concordi nell'affermare che per motivi sia interni che esterni un tale scetticismo non è giustificato.
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Giovanni 9,39-10,21 39. Gesù allora disse: «lo sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro
che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi». 40. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù ri spose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vedia mo", il vostro peccato rimane». 10,1. «In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: chi non entra nel recinto delle peco re dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un bandito. 2. Chi invece entra dalla porta è il pastore delle pecore. 3. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori. 4. E quando ha con dotto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6. Gesù portò loro questo esempio; ma essi non capirono che cosa significasse ciò che diceva loro. 7. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: io so no la porta delle pecore. 8. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e ban diti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9. lo sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10. Il ladro non viene se non per ru bare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in ab bondanza. 11. lo sono il buon pastore. n buon pastore offre la sua vita per le pecore. 12. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13. perché è uno che lavora per denaro e non gli importa nulla delle pecore. 14. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore ed esse conoscono me, 15. così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la mia vita per le pecore. 16. E ho al tre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso. Ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». 19. Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. 20. Molti di loro dicevano: «È indemoniato ed è fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?». 21. Altri invece dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».
INTERPRETAZIONE
Introduzione a 9,39-10,21 . Tra la fine del cap. 9 (9,41) e l'inizio del cap. 10
(10,1) non c'è nessuna interruzione. L'incontro finale tra Gesù e l'uomo cieco dalla nascita in 9,35-38 ha il suo parallelo nell'incontro tra Gesù e i Farisei in 9,39-10,21 . Nel v. 39 Gesù si rivolge a un uditorio non specificato e nel v. 40 «alcuni dei Farisei» gli rispondono. Le loro parole provocano la reazione di Ge sù che inizia nel v. 41 e che poi sfocia nel discorso di 10,1-18. Il discorso di 10,1-21 è uno sviluppo di 9,39-41. In 10,6 il narratore sospende il discorso per far notare l'incapacità dei Farisei di capire ciò che Gesù va dicendo loro, e i vv. 19-21 parlano dello schisma provocato dal suo insegnamento. Gesù usa la for mula ego eimi con un predicato nei vv. 7, 11 e 14, e questi passi alle volte sono usati per dividere il discorso. Ma occorre tener presenti altre caratteristiche. Solo una di queste affermazioni segna una svolta nel discorso. Nei vv. 7-13 Ge-
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sù usa un tono polemico, confrontando la cura che lui ha per le sue pecore con quella di chi chiama ladri e banditi (vv. 8.10) e mercenari (vv. 12.13). L'identifi cazione di se stesso con «la porta delle pecore» (v. 7) e «il buon pastore» (v. 11) fa parte di questa polemica. Lui è buono mentre gli altri sono cattivi. Nei vv. 14-18 tutti questi contrasti scompaiono. Senza più polemiche, Gesù descrive l'identità e la missione del Buon Pastore (vv. 14-16), sulla base del rapporto che egli intrattiene con il Padre (vv. 17-18). Il passo si suddivide quindi in cinque parti: a) 9,39-41 : Introduzione. Gesù è interrogato dai Farisei ed egli li condanna per la loro arroganza. b) 1 O, 1 -6: Gesù propone una parabola sul modo di entrare nell'ovile, e i Farisei non la capiscono. c) 1 0,7-13: Gesù mette a contrasto se stesso, porta dell'ovile e buon pastore, con gli al tri che sono ladri, banditi e mercenari . d) 1 0,14-18: Gesù il Buon Pastore, a motivo della sua unione con il Padre, offre la p� pria vita per le sue pecore. e) 1 0,19-2 1 : Conclusione: schisma tra «i Giudei».
Antecedenti del «Buon Pastore». È generalmente riconosciuto che in 10,1-18 non c'è nessuna citazione diretta dall'AT benché esista una chiara tradizione bi blica che presenta i capi infedeli d'Israele come altrettanti cattivi pastori che lasciano il loro gregge in balia dei lupi (cf Ger 23,1-8; Ez 34; 22,27; Sof 3,3; � 10,2-3; 11,4-17). Questo tema continua ad essere ripreso nella letteratura ebrai ca precristiana o contemporanea con il Quarto Vangelo (cf 1 Enoch 89,12-27. 42-44.59-70.74-76; 90,22-25; T. Gad 1,2-4). Nell'AT Dio è spesso presentato come il pastore del suo popolo (cf Willmes, Die Sogenannte Hirtenallegorie 279-311). Quando l'esilio ha indotto molti a dubitare, Dio veniva presentato come il fu turo pastore del popolo (cf Ger 31,10; 13,17; 23,3; Is 40,11; 49,9-10). Ez 34,11-16 parla di Dio come il futuro buon pastore che raduna il gregge. Questa imma gine è ripresa da alcuni scritti successivi (cf Sof 3,19; Mie 2,12; 4,6-7; Qo 12,11; Sir 18,13). Dopo che la monarchia era scomparsa, i profeti parlavano di una futu ra figura davidica che sarebbe stata il pastore del popolo (cf Mie 5,3; Ger 3,15; 23,4-6; Ez 34,23-24; 37,24; Zc 13,7-9). Emerge così l'idea di «un solo pastore» che radunerà «un solo gregge». Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pa scolo, sarà il loro pastore; e io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà prin cipe in mezzo a loro (Ez 34,23-24; cf 37,24).
L'immagine è ripresa e si rafforza in altri testi della letteratura ebraica (cf LXX Sal 2,9; SSal. 17,24.40; CD 13,7-9; 2 Bar. 77,13-17) e indubbiamente costi tuisce lo sfondo per le parole di Gesù in Giovanni 10,1-18. Introduzione (9,39-41). Gesù non è venuto in questo mondo per giudicare (cf 3,17; 5,24; 8,15), ma il giudizio ha luogo ugualmente in virtù della sua presen za nel mondo (cf 5,27). La luce del mondo (8,12; 9,5) è venuta eis krima (v. 39: «per giudicare»). Il suo giudizio è «il verdetto del giudice che consiste nella di stinzione tra coloro che sono disposti a credere e coloro che non sono disposti a farlo>> (BAGD 451). A mo' di commento su ciò che è accaduto finora Gesù de-
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scrive il giudizio che egli porta: perché coloro che non vedono possàno vedere e coloro che vedono vadano verso la cecità. L'insistenza del cieco dalla nascita sul fatto che egli non sa (ouk oida; cf vv. 12.25.26) e la sua ricerca del Figlio del l'uomo per poter credere in lui (v. 36) sono in netto contrasto con l'arrogante af fermazione de «i Giudei» circa la loro conoscenza (oidamen; cf vv. 24.29.31). Questa li porta a concludere che Gesù è un peccatore, una persona le cui origi ni sono sconosciute (vv. 24.29). Si ritengono soddisfatti della conoscenza che Dio ha parlato a Mosè, nella loro autosufficienza sono diventati ciechi e Gesù dice loro che così facendo hanno attirato su di sé il giudizio (v. 39). L'arrogan za continua mentre si chiedono con quale diritto Gesù possa insinuare che so no ciechi (v. 40). La risposta di Gesù chiude questo argomento e avvia il di scorso del pastore con ciò che ne segue (10,1-21). Se fossero stati disposti ad ammettere di aver bisogno della luce, non avrebbero nessuna colpa, ma poiché si vantano di avere la piena conoscenza (v. 41: blepomen) non c'è spazio per la ri· velazione della luce che viene attraverso Gesù. Per questo sono sotto giudizio. La parabola di chi entra nell'ovile (10,1 -6). Il doppio «amen» (10,1) lega 9,41 con la parabola che segue (vv. 1-6). La parabola gioca sul concetto della «porta» nella prassi pastorale. Lo sfondo per questo gioco di parole è dato dall'uso mol to comune dell'immagine del pastore per parlare sia in senso positivo che in senso negativo dei capi d'Israele. Esistono due modi di entrare nell'ovile: quel lo di chi ha cura delle pecore e quello di chi vuole far loro del male. Si può en trare nel recinto per sotterfugio o per vie traverse (v. 1), oppure dalla porta del l'ovile (v. 2). Chi entra nel primo modo è un ladro e un bandito (kleptes estin /ali l�stes), mentre nell'altro è il pastore delle pecore (poimen estin ton probaton). Vie ne poi presentata un'altra figura, quella del guardiano dell'ovile (v. 3: ho thyroros), ma è un personaggio minore, semplicemente richiesto dallo sfondo pastorale della parabola. Questi non ha alcuna esitazione a lasciar entrare il pastore (v. 3a), così come le pecore non hanno alcuna esitazione nel risponde re alla voce di colui che le condurrà al pascolo. Ogni pecora riconosce il nome con cui è chiamata e risponde immediatamente alla voce di colui che la chiama per nome (v. 3b). Una volta chiamate per nome, le pecore si radunano, escono dal recinto per recarsi al pascolo seguendo di buon grado il pastore del quale ri conoscono la voce (v. 4). Se si tratta di un estraneo (allotrios) accade esattamen te l'opposto, perché le pecore non ne riconoscono la voce. Non lo seguono, anzi fuggono per la paura (v. 5). Gesù continua a rivolgersi ai Farisei (cf 9,39-41), applicando a loro una si gnificativa immagine biblica. Gesù ha guarito (9,6-7) e cercato l'uomo cieco (v. 36), mentre i Farisei l'hanno trattato con disprezzo ed arroganza, finendo poi per scacciarlo da loro (v. 34). Il narratore identifica esplicitamente i Farisei con i ladri e i banditi (v. 6). Non hanno capito che la parabola di Gesù voleva dire qualcosa a loro in particolare (tina en ha elalei autois). I temi della parabola (pa roimia) del pastore, della porta, dei ladri e banditi saranno ripresi e ulterior mente sviluppati nei vv. 7-18. La paroimia dei vv. 1-6 offre il materiale sul qua le è basato il resto del discorso. La paroimia perciò può essere definita un «cam po di immagini» dal quale Gesù trae il materiale grezzo per elaborare le parti successive del discorso (cf nota). Le pecore ascoltano la voce del pastore (vv. ·
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3-4), ma i Farisei non la possono sentire. Non sono in grado di riconoscere ciò che dice loro perché, come nel resto del Vangelo, non sono disposti ad ascolta re ciò che dice (v. 6). Contrasto tra il Buon Pastore e gli altri (vv. 7-13). Il discorso riprende (palin) con un altro doppio «amen» (v. 7a) con Gesù che si presenta come «la porta delle pecore» (v. 7b: ego eimi he thyra ton probaton). Nella parabola la porta è il luogo appropriato per accedere al recinto delle pecore (cf vv. 1-2), e Gesù nei vv. 7-10 si presenta appunto come la porta. Soltanto Gesù è la porta dell'ovile e soltan to attraverso di lui si può legittimamente accedere alle pecore, e soltanto per mezzo di lui le pecore possono uscire per andare ai verdi pascoli (v. 7; cf v. 9). Rifacendosi di nuovo alle espressioni della parabola, Gesù afferma che tutti quelli che sono venuti prima di lui sono ladri (kleptai) e banditi (lçstai). «I Giu dei» che sono venuti prima di lui hanno rifiutato Gesù e hanno condannato tutti quelli che vanno verso la sua rivelazione. Questo è stato raffigurato in mo do drammatico in 9,1-34. Il vanto de «i Giudei» di essere la guida del popolo di Dio è falso. Essi non sono che ladri e banditi, messaggeri di una speranza mes sianica di loro fattura. Come ha dimostrato la risposta del cieco dalla nascita al la loro interpretazione della tradizione mosaica (cf 9,24-33), le pecore non li hanno ascoltati. Questo è costato al cieco la scacciata dal loro circolo (v. 34) e lo hanno indotto a credere nel Figlio dell'uomo e a cercare la compagnia di Gesù (vv. 35-38). L'immagine del v. 7 ritorna nel v. 9 dove Gesù spiega cosa significhi essere la porta delle pecore: Gesù è il mediatore che offre alle pecore tutto ciò di cui ab bisognano per avere la vita. Anche qui l'esperienza dell'antica vita pastorale fa da sfondo al contrasto stabilito da Gesù tra due modi diversi di presentarsi al le pecore. Il ladro viene solo per rubare, uccidere e distruggere. Non c'è niente di vivificante in quelli che sono venuti prima di Gesù presentandosi come pa stori, ma che in realtà sono ladri e banditi. Gesù invece è venuto perché le pe core potessero avere il pascolo (cf Ez 34,14), e perciò avere la vita ed averla in abbondanza (cf Ez 34,25-31). Gesù è la «porta» attraverso la quale i pascoli ab bondanti sono resi disponibili e per mezzo della quale il gregge è protetto. Quelli che entrano per questa porta (v. 9: eiselthç) sono salvati; quelli che ne usciranno (v. 9: exeleusetai) troveranno pascolo. Gesù, la porta (v. 7), offre sia la salvezza che il pascolo e assicura alle pecore una vita abbondante (v. 10). È per mezzo di lui (v. 9: di'emou) che altri hanno la vita (cf 1,3-4.17) . In questa pole mica con i Farisei, «la porta» del v. 2 nei vv. 7-10 ha assunto una connotazione cristologica. Il contrasto tra Gesù e gli altri continua anche nell'altra sua affermazione: «lo sono il buon pastore» (v. 11a: ego eimi ho poimen ho kalos). Il mettere l'agget tivo dopo il sostantivo rafforza l'idea che Gesù è il pastore buono contrapposto al pastore cattivo, ma l'espressione va anche oltre. Il pastore del v. 2, nei vv. 11-13 diventa cristologico. La presentazione dell'immagine del Buon Pastore le ga Gesù alla tradizione di un pastore messianico del popolo di Dio. Tuttavia, fin dal primo momento che usa questa immagine nella sua autorivelazione, Gesù presenta anche la sua singolarità: «Il buon pastore offre la sua vita per le peco re» (v. 11b ) . Questa autodonazione del pastore fino ad essere disposto a mori-
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re per le stiè peèore non ha paralleli nei testi ebraici che parlano del pastore
messianico. È possibile anche interpretare queste parole come un «rischiare la propria vita», ma nel racconto è già stato detto tutto ciò che fa pensare alla fine violenta della vita di Gesù (cf 2,20-22; 3,13-14; 5,16-18; 6,27.51 .53-54; 7,30; 8,20). Gesù non rientra nel modello dell'atteso pastore-messia davidico. Contraria mente all'autodonazione del Buon Pastore, il mercenario fugge quando vede il pericolo e lascia le pecore in balia della furia assassina e disperdente del lupo (v. 12). La tradizione ebraica aveva già parlato dei suoi falsi capi come di gen te che non si faceva carico delle responsabilità assegnatele da Dio ma lasciava il popolo in balia dei lupi (cf Ger 23,1-8; Ez 34; 22,27; Sof 3,3; Zc 10,2-3; 11,4-17; 1 E n och 89,12-27.42-44.59-70.74-76; 90,22-25; T. Gad 1,2-4). Con un'ultima parola di condanna Gesù sottolinea il carattere negativo del rapporto tra il mercenario e le pecore (v. 13). Il Buon Pastore offre la vita per le sue pecore, mentre il mercenario si preoccupa unicamente del proprio interes se personale. La fuga del mercenario davanti al pericolo scaturisce dal caratte re del rapporto che egli intrattiene con le pecore. Il lettore collega il comporta mento del mercenario con «i Giudei» che hanno ripetutamente rifiutato di ac cettare la rivendicazione di Gesù che lui viene da Dio, che farà ritorno a Dio e che fa conoscere Dio. Niente di ciò che Gesù dice o fa riesce a smuovere «i Giu dei» dal loro testardo attaccamento all'antico dono dato per mezzo di Mosè. Il loro interesse personale impedisce loro di accettare la pienezza del dono che viene per mezzo di Gesù Cristo (cf 1,16-17). Gesù, il Buon Pastore messianico (vv. 14-18). Tutte le polemiche scompaiono quando Gesù annuncia di nuovo: «lo sono il buon pastore» (v. 14a). Gesù non si occupa più degli altri che pretendono di essere pastori, ma del rapporto che egli intrattiene con il suo gregge (vv. 14-16) e con il Padre suo (vv. 17-18). Que sto è reso evidente dall'insistente uso del verbo «conoscere» (ginoskein). Gesù è il Buon Pastore che conosce le sue pecore, e le sue pecore conoscono lui (v. 14b), ma dietro la reciprocità del Buon Pastore e le sue pecore sta la reciprocità fon damentale tra il Padre e Gesù: come il Padre conosce Gesù così Gesù conosce il Padre (v. 15a). L'uso di kathos (come) ... kago (così anche) esprime un'intimità nella conoscenza reciproca del Padre e del Figlio. Questa reciprocità può esse re vista nell'autodonazione del Buon Pastore. La condivisione della conoscen za e dell'unione esistente tra Gesù e le pecore e tra Gesù e il Padre porta logi camente all'offerta da parte del Buon Pastore della propria vita per le sue pe core (v. lSb ). L'atteso pastore-messia davidico è stato eclissato da Gesù, il Buon Pastore Messia che offre la propria vita per le pecore. L'immagine del buon pa store può venire dalle tradizioni messianiche ebraiche, ma a fare di Gesù il Buon Pastore è la sua intima unione con Dio (vv. 14-15). È esattamente questo fatto che «i Giudei» si rifiutano di accettare. Anzi, cercano di uccidere Gesù perché afferma tali cose (cf 5,16-18). Gesù riesce ancora a stupire il suo uditorio annunciando che ci sono altre pe core che non sono «di questo ovile» (v. 16: ek tes aules tautes). «Questa aule è Israele e contiene alcuni che sono le pecore di Cristo ed altri (i Giudei non cre denti) che non lo sono» (Barrett, Gospel 376). Altri saranno portati nel gregge, di modo che ci sarà un solo pastore e un solo gregge. L'idea di un unico pastore
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che guida l'unico popolo di Dio viene dalla tradizione biblica (cf Mie 5,3-5; Ger 3,15; 23,4-6; Ez 34,23-24) ed è ripresa nella letteratura ebraica successiva (çf SSal. 17,24.40; CD 13,7-9; 2 Bar. 77,13-17), ma Gesù va anche oltre. Gesù non abbandona l'immagine tradizionale del Buon Pastore, ma la amplia in un mo do sconosciuto alla tradizione ebraica. Il Buon Pastore offre la sua vita per le pe core in forza della sua unione con il Padre (v. 15). ll mondo al di là d'Israele sa rà attirato nel gregge di Gesù mediante la volontaria donazione di se stesso fi no alla morte (v. 16). La funzione cruciale del rapporto tra Gesù e il Padre domina le parole con clusive di Gesù sul tema del Buon Pastore (vv. 17-18). L'amore del Padre per Gesù è dimostrato nel fatto che Gesù offre la propria vita per poi riprenderla di nuovo (v. 17). «Ciò che si dice qui è che nel suo sacrificio è veramente presente l'amore del Padre per lui, e che questo sacrificio è pertanto una rivelazione del l' amore del Padre» (Bultmann, Gospel 384). La morte di Gesù è stata un ele mento di spicco nella sua autorivelazione come il Buon Pastore (cf vv. 11.15), ma l'offerta della propria vita è in previsione che possa riprenderla di nuovo (v. 17b). Gesù è disposto ad affrontare spontaneamente una morte violenta, ma riprenderà di nuovo la sua vita perché il Padre lo ama. Queste parole solleva no una serie di domande. In che modo la morte può essere l'azione del Buon. Pastore (v. 14)? Come può essere che egli dimostri l'amore che il Padre ha per lui quando egli offre la sua vita per le pecore (v. 15)? Come può questa morte servire a radunare nel gregge altri che non sono di questo ovile (v. 16)? Cosa si gnifica affermare che l'amore di Dio si manifesta in una spontanea donazione della propria vita per poi riprenderla di nuovo (v. 1 7)? Emergono domande che guidano il lettore più addentro nel racconto e lo inducono a chiedersi come tutto ciò si realizzerà negli avvenimenti successivi. Gesù conclude il discorso parlando della propria autorità (v. 18b: exousia). La parte del racconto ancora da svolgere narrerà della sofferenza, della morte e della risurrezione di Gesù. Ma questi avvenimenti non cadono addosso a Ge sù come una qualche terribile disavventura o per effetto della malvagità di co loro che lo odiano e lo perseguitano. Si tratta invece di una decisione presa da Gesù stesso, dell'esercizio della propria autorità che gli fa offrire la sua vita e gliela fa riprendere (v. 18b). Nessuno (oudeis) gliela toglie (v. 18a). Ma le ultime parole del Buon Pastore (cf vv. 11.14) si rifanno ancora al Padre. La trasforma zione operata da Gesù dell'aspettativa messianica tradizionale di un pasto re-messia davidico che raccolga un unico gregge sotto un solo pastore per mez zo del dono incondizionato di se stesso fino a sacrificare la propria vita per poi riprenderla di nuovo è un inc9rico che ha avuto dal Padre (v. 18c). L'autorive lazione di Gesù quale il Buer(Fastore messianico ha completato il suo ciclo. Era cominciata con l'insegnamento di Gesù sull'unicità della conoscenza che esiste tra il Padre e il Figlio (v. 5) e chiude con un'ammissione che qualunque cosa egli faccia rappresenta l'adempimento del comando (entole) del Padre (v. 18). Conclusione: Schisma tra «i Giudei» (vv. 19-21). Durante tutta la celebrazione dei Tabernacoli le parole di Gesù hanno puntualmente causato qualche schisma tra «i Giudei» (cf 7,12.25-27.31 .40-41; 9,16). Il resoconto della presenza di Gesù alla festa si conclude con un altro schisma (v. 19). Da una parte la maggioranza
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di essi (polloi ex auton) respinge in blocco le parole d i Gesù, considerandolo un indemoniato e un pazzo i cui discorsi non meritano proprio di essere ascolta� (v. 20). Ma un gruppo di minoranza è ancora aperto alle possibilità offerte dal le sue parole. Alcuni danno il dovuto peso (v. 21) alla guarigione dell'uomo cieco dalla nascita, l'evento che ha portato Gesù a fare il discorso sulle pecore e sui pastori. Ci sono due particolari che indicano che Gesù non è indemonia to: non parla come uno posseduto dal demonio e ha guarito il cieco. La que stione di chi possa essere Gesù rimane ancora aperta per alcuni dei suoi ascol tatori, per quanto decisivo possa essere il rifiuto di lui dichiarato dalla mag gioranza. La storia dell'incontro di Gesù con «i Giudei>> non è ancora termina ta. Alcuni sono ancora disposti ad ascoltarlo (v. 21) anche se «molti» hanno de ciso che tanto Gesù quanto i discorsi che egli fa non sono da prendere in con siderazione (v. 20). Conclusione di 7,1-10,21 . Durante la celebrazione della festa dei Tabernacoli Gesù è stato presentato come l'acqua viva (7,37-38), la luce del mondo (8,12; 9,5), il Figlio, l'Inviato, e perciò il rivelatore dell'unico vero Dio (7,14-24; 8,39-59; 9,7). La questione messianica è stata sollevata a più riprese (7,25-31 .40-44). Ge sù esce dal Tempio per sfuggire alla violenza de «i Giudei» (8,59), e le sue pa role e le azioni descritte in 9,1-10,21 portano a conclusione questi temi dei Ta bernacoli. Gesù, l'Inviato, trasforma le acque di Siloe (9 ,7) e dà la luce a un uo mo che non l'ha mai vista. Il miracolo fisico dà inizio a un viaggio di fede che conduce l'uomo a prostrarsi davanti a Gesù, il Figlio dell'Uomo, e a confessa re: «Signore, io credo!» (9,38). « l Giudei» che ogni giorno si sono rivolti verso il Santo dei Santi per dichiarare la loro incrollabile fedeltà all'unico vero Dio han no respinto la rivendicazione di Gesù di essere la rivelazione del Padre. In tal modo sono passati da uno stato iniziale di vista a uno stato di cecità e di tene bre. Condannati come ciechi (9,39-41), si dimostrano anche ladri e banditi, estranei e mercenari, in contrapposizione a Gesù il Buon Pastore (10,1-13). Ma che ne è della questione messianica? Gesù trascende tutte le aspettative messianiche in corso: il Messia nascosto (7,26-27), il Messia taumaturgo (7,31), il Messia che dà l'acqua viva (7,37-41a) e il Messia davidico (7,41b-42). Gesù af ferma ripetutamente il suo rapporto con Dio, suo Padre, e il mistero delle sue origini e della sua destinazione. La descrizione della celebrazione si conclude con Gesù che alla fine accetta Ul)a delle aspettative messianiche ebraiche tradi zionali: quella del Buon Pastore (10,11 .14). Le radici di questa figura messiani ca sono saldamente affondate nella tradizione ebraica, ma Gesù trascende e ol trepassa le possibilità dell'immagine. Il ruolo di pastore gli compete in virtù della sua conoscenza e del suo amore per il Padre, ricambiato dalla conoscen za e dall'amore che il Padre nutre per lui. Accettando l'incarico affidatogli dal Padre, Gesù offrirà la sua vita per le sue pecore, ma poi la riprenderà. «l Giu dei» sanno che Dio ha parlato a Mosè, ma di quest'uomo Gesù non sanno nep pure da dove venga (9 ,29). Molti di loro considerano le parole di Gesù insen sate, discorsi di un indemoniato (10,20). In un documento che è apparso all'incirca nello stesso periodo della com posizione del Quarto Vangelo, scritto per trattare i problemi della caduta di Gerusalemme e del suo Tempio, l'autore di 2 Baruch riferisce:
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folla rispose e mi disse:
I pastori d 'Israele sono periti, e le lampade che davano luce sono spente, e le fon tane dalle quali eravamo soliti bere hanno cessato di gettare acqua. Ora siamo stati la sciati nelle tenebre e in una fitta foresta e nell'aridità del deserto».
«
...
Io risposi e dissi loro: «l pastori e le lampade e le fontane venivano dalla Legge, e anche quando noi ce ne sa remo andati, la Legge rimane. Se voi , pertanto, scrutate la Legge e avete a cuore la sa pienz a, allora la lampada non vi mancherà e il pastore non andrà via e la fontana non si prosciugherà» (2 Bar. 77,11.13-16).
Mentre il giudaismo postbellico e la versione giovannea del cristianesimo postbellico cercavano ciascuno di stabilire una propria identità, entrambi at tingevano alla loro eredità ebraica. L'autore di 2 Baruch guardava alla Legge per una incessante presenza del pastore, della luce e dell'acqua. Questi simboli, in timamente legati alla celebrazione della festa dei Tabernacoli, non sono stati abbandonati neppure dalla comunità giovannea. Il racconto giovanneo della presenza di Gesù alla celebrazione dei Tabernacoli proclama l'accesso all'acqua viva, alla luce e al pastore. Gesù tuttavia è l'acqua viva per chiunque abbia sete (7,37), la luce del mondo (8,12; 9,5) e il Buon Pastore che offre la propria vita per le sue pecore, per radunare in un unico gregge le pecore che ancora non appartengo no a questo ovile (10,15-16). «I Giudei» insistono che essi sanno che Dio ha par lato a Mosè (9,29) e sono quindi d'accordo con l'autore di 2 Baruch sulla neces sità di rimanere ancorati alla Legge. Questo è essenziale per l'evolversi dell'i dentità postbellica del giudaismo. Ma i cristiani giovannei rispondono che Dio ha perfezionato l'antico dono dato per mezzo di Mosè; Dio adesso si manifesta a loro per mezzo di Gesù Cristo. Sono abolite le frontiere nazionali, così come è superato l'antico dono della Legge. I segni e le ombre della celebrazione dei Tabernacoli nel Tempio, le uniche cose rimaste ai Giudei, sono diventati carne nella persona di Gesù, l'Inviato del Padre. L'acqua, la luce e il pastore sono di sponibili per tutti quelli che credono in Gesù, di qualsiasi razza o nazione essi siano. NOTE 39. sono venuto in questo mondo per giudicare: C'è un crescente consenso tra gli esegeti circa l'unità letteraria del brano 9,1-39 con 10,1-21. Presentando un recente studio su Gio vanni 10, Johannes Beutler e Robert T. Fortna considerano l'unità letteraria di 9-10 «uno dei risultati più importanti di uno studio durato due anni» (The Shepherd Dis course 3). Vedi anche Villiers, «The Shepherd and his Flock» 90-91; Busse, «Open Que stions» 8-9. Menken, Numerical 193-197, dice che i vv. 39-41 da una parte concludono 9,1-39 e dall a ltra parte servono da punto di partenza per ciò che segue. 40. Alcuni deifarisei: «l Giudei» e i Farisei continuano ad essere usati come sinonimi per in dicare gli avversari di Gesù in questo racconto. Sull'ironia di questa domanda vedi Stibbe, fohn 110-111 . 10,1 . è un ladro e un bandito: L'espressione lrstes («bandito») applicata a «i Giudei» vuole for se accennare al fatto che coloro che dovrebbero guidare Israele in realtà hanno di mi ra le proprie scelte messianiche. Per l'uso di lfstes per parlare del movimento zelota ve di Martin Hengel, The Zealots: Investigations into the ]ewish Freedom Movementfrom He'
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rod until 70 A. D., T. & T. Oark, Edinburgh 1989, 24-46; T. Rajak, fosephus: Th e Historian and his Society, Fortress, Philadelphia 1984, 73-103, e in particolare Simonis, Die Hir tenrede 127-142. La possibilità di questa interpretazione diventa più probabile con il v. 12. Il guardiano gli apre: Le letture allegoriche di questo passo cercano di identificare il guardiano con qualche personaggio del conflitto tra Gesù e «i Giudei». Questo non è necessario, visto che il guardiano dell'ovile fa parte del contorno pastorale del passo e in qualche modo è il vice-pastore. Vedi Léon-Dufour, Lecture 2,360 n. 69. Alcuni stu diosi (es.: Robinson, «The Parable» 233-240; Dodd, Brown, Lindars, Talbert) sostengo no che i vv 1-5 sono il risultato della fusione di due parabole: i vv. 1-3a sono una sfida ai guardiani di Israele, mentre i vv. 3b-5 presentano il pastore. Contro questa tesi vedi, tra gli altri, Painter, Quest 346-349. cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono: n testo di Numeri 27,17 («un uomo che va da davanti a loro e li preceda, che li guidi nell'uscire e nel tornare, perché la comunità del Signore non sia come un gregge senza pastore») è simile ai vv 3-4, e diversi esege ti (es.: Barrett, Gospe/ 369) sono del parere che già in questa fase del discorso viene da ta al passo dell' AT una interpretazione messianica. Questo non è necessario, visto che tanto il passo dei Numeri quanto quello giovanneo rispecchiano l'ambiente pastorale. Gesù portò loro questo esempio: Le parole di Gesù nei vv. 1-5 hanno la forma di una para bola ma svolgono piuttosto la funzione di una similitudine, e si è discusso alquanto sull'uso che Giovanni fa del termine paroimia. Per una rassegna vedi Reinhartz, Word in the World 50-70. Sia il sinottico parabole che il giovanneo paroimia nei LXX traducono l'ebraico masiil. Ciò che interessa è che i termini e i temi più importanti dei vv 1-5: pa store, porta, ladri e banditi, ricompaiono nei vv. 7-18. La paroimia fornisce il materiale dal quale è forgiato il resto del discorso. Il termine paroimia si può quindi definire «un campo di immagini» (cf I>. 25. Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me; 26. ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; 28. e io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30. Io e il Padre siamo una cosa sola». 31 . Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidario. 32. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre; per quale di esse volete lapidar mi?». 33. Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la be stemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». 34. Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: "Io ho detto: voi siete dèi"? 35. Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), 36. a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: "Tu bestemmi", perché ho detto: "Sono Figlio di Dio"? 37. Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; 38. ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete alle opere, perché sap piate e riconosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». 39. Allora cercavano nuova mente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. 40. Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. 41 . Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». 42. E in quel l�ogo molti credettero in lui.
I N T E R P R E TA Z I O N E Introduzione a 1 0,22-42. In 10,22 il narratore annuncia: «Ricorreva a Gerusa lemme la festa della Dedicazione» . Questa celebrazione relativamente recente era stata istituita per commemorare la ridedicazione del Tempio dopo la vit toriosa campagna condotta da Giuda Maccabeo per la riconquista di Gerusa lemme nel 1 64 a.C. Nel 1 75 a.C. Antioco IV era diventato re della Siria. Voleva estendere il suo dominio fino all'Egitto, ma prima doveva consolidare la pro pria autorità nelle regioni periferiche del suo presente regno (cf l Mac 1,41). Il popolo giudaico gli oppose resistenza, ma riuscì a trovare appoggi tra alcuni segmenti dell'aristocrazia giudaica e del sacerdozio. Depose quindi il legittimo sommo sacerdote Onia III e vendette la carica al fratello di Onia, Giosuè, che cambiò il proprio nome in quello greco di «Giasone». A Gerusalemme fu co struito un ginnasio (palestra) (l Mac 1,11-13) e i Giudei che la frequentavano nascondevano la propria circoncisione quando partecipavano nudi agli even ti sportivi che vi si praticavano. Questo significava disconoscere il segno del-
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l'alleanZa. Antioco, che ora si faceva chiamare «Epifane>) («il Dio manifesto»), decretò che tutti dovevano adorare il dio Zeus Olimpio, costringendo il popo lo a «dimenticare la legge e mutare ogni istituzione» (l Mac 1,49; cf vv. 41-50). La resistenza portò alla persecuzione e alla morte (l Mac 1,60-64; cf 1,56-58). Il quindicesimo giorno di Casleu del 167 a.C. fu offerto un sacrificio a Zeus nel Tempio su un altare pagano costruito sopra l'altare degli olocausti. Questo nuovo altare fu chiamato «l'abominio della desolazione» (l Mac 1,59; cf Dn 11,31). Questi avvenimenti portarono alla rivolta iniziata dal sacerdote giudaico Mattatia. In una sorprendente serie di avvenimenti e di coincidenze fortunate, suo figlio Giuda riuscì ad avere la meglio sulle forze siriane, e alla fine le scon fisse nel l64 a.C. (l Mac 2,1-4,35). Il suo primo impegno fu quello della purifi cazione del Tempio. L' «abominio della desolazione» fu demolito e fu eretto un nuovo altare degli olocausti. Il complesso del Tempio fu ricostruito e ristruttu rato. Furono installate nuove lampade per illuminare l'intero luogo sacro e fu ripristinato l'ordine del Tempio (l Mac 4,46-51; cf 2 Mac 10,1-4). Il Tempio fu n dedicato il venticinque di Casleu del l64 a.C., tre anni dopo la sua profanazio ne, e questo avvenimento fu commemorato ogni anno con la celebrazione del la festa della Dedicazione. I resoconti della Dedicazione in l Mac 4,52-59 e 2 Mac 10,5-8 rivelano le so miglianze esistenti tra la festa della Dedicazione, chiamata «la festa delle ca panne nel mese di Casleu>> (2 Mac 1,9; cf anche 2 Mac 10,6), e la festa dei Ta bernacoli. Come nel caso dei Tabernacoli (cf Lv 23,42-43), la festa aveva lo sco po di ricordare a Israele la protezione di Dio durante la peregrinazione nel de serto (cf Nodet, «La Dédicace>> 523-537). Oltre a ricordare la protezione di Dio durante l'Esodo, la Dedicazione metteva in risalto anche la continua protezio ne di Dio nella restaurazione del Tempio, dove Dio abitava tra il suo popolo eletto. Il Tempio era il segno visibile della presenza di Dio. Un altro elemento della celebrazione della Dedicazione, non presente nella festa dei Tabernacoli, era il ricordo dell'apostasia tra i Giudei che aveva portato alla profanazione e alla distruzione del Tempio. I Giudei avevano bestemmiato il Santo d'Israele e avevano indotto altri all'idolatria. «La festa della Dedicazione ... esortava il po polo a rimanere fedele alla legge del suo Dio, e perciò a proclamare: "Mai più!">> (Yee, Jewish Feasts 88; cf anche Nodet, «La Dédicace» 337-340). Contro questi precedenti della celebrazione della Dedicazione, il racconto giovanneo della presenza di Gesù a Gerusalemme per la festa si svolge in que sto modo: a) vv. 22-23: Impostazione: Gesù si trova nel Tempio nel periodo della festa, che è
d'inverno. b) v. 24: «l Giudei» sollevano la questione del Messia. c) vv. 25-30: Gesù chiarisce loro quale sia il fondamento e lo scopo del suo stato mes sianico. d) uv. 31-39: In un acceso dibattito Gesù indica le sue opere come prova della sua unio ne con il Padre (vv. 32.34-35.37-38), mentre «i Giudei» cercano di lapidario (vv. 31.33), lo accusano di bestemmia (vv. 33.36) e cercano di arrestarlo (v. 39). e) uv. 40-42: Gesù esce dal Tempio e lascia Gerusalemme (v. 40). Molti cercano Gesù e notano che tutto ciò che di lui aveva detto il Battista era vero (vv. 41-42).
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Nei vv. 40-42 abbiamo due momenti di «chiusura». La partenza di Gesù dal Tempio nel v. 40a pone fine alla sua presenza in quel luogo per la festa della De dicazione (v. 22), ma Gesù ritorna al di là del Giordano, nel luogo dove Gio vanni battezzava (v. 40bc) e dove molti ricordano che ciò che Giovanni andava dicendo di Gesù era vero (v. 41) e credettero in lui (v. 42). Vengono ricordate le parole e gli eventi del primo giorno del ministero di Gesù «in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando» (1,28) per indicare al lettore che una fase importante nella narrazione della storia di Gesù è giunta al ter mine. Impostazione (vv. 22-23). Circa tre mesi dopo la celebrazione dei Tabernaco li, in pieno inverno, Gesù cammina al riparo del portico di Salomone in occa sione della festa della Dedicazione. La questione del Messia (v. 24). Sebbene sia cambiato il tempo e il luogo, gli in terlocutori sono sempre «i Giudei» che si radunano attorno a Gesù. La do manda che rivolgono a Gesù è una continuazione del dibattito dei Tabernaco li. Mentre in altre occasioni discutevano tra di loro se Gesù possedesse o meno credenziali messianiche, adesso lo chiedono direttamente a lui. La domanda, tuttavia, è ironica: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? ... dillo a noi aper tamente» (v. 24). Il dibattito sul Messia è già stato risolto da Gesù nella sua au torivelazione come il Buon Pastore (10,14-18). Tre me�i dopo «i Giudei» gli chie dono per quanto tempo ancora dovranno aspettare. E già stato detto loro aper tamente (parresiq) che Gesù è il Cristo. Ma come nel resto del Vangelo, essi non hanno ascoltato e non ascoltano la parola di Gesù. I loro giudizi rimangono carnali mentre continuano a valutare Gesù secondo i propri criteri (cf 7,24 ; 8 , 1 5) . Gesù spiega il proprio stato messianico (uv. 25-30). Gesù fa presente che l'ha già detto (v. 25b ), ma evidentemente essi non ascoltano le sue parole. Gesù perciò li invita a considerare le opere che compie nel nome del Padre. Le opere danno chiara testimonianza alle sue rivendicazioni (v. 25b) . Rivolgendosi a «i Giudei» e per rispondere alle loro domande circa il suo stato messianico, Gesù ha usa to l'immagine del Buon Pastore (10,1-18). Essi non hanno ascoltato queste pa role, ma Gesù riprende la stessa immagine per spiegare perché «i Giudei» so no incapaci di accettarlo come la rivelazione di Dio e il perfezionamento del do no di Dio: non appartengono al gregge di Gesù, e pertanto non sono in grado di accettare la sua parola né di vedere la rivelazione di Dio nelle sue opere. E non sono neppure capaci di credere che egli è il Messia. Le pecore del Buon Pastore ascoltano la sua voce e rispondono ad essa (vv. 3.4.14.16), ma «i Giudei» non possono farlo. Non fanno parte del suo gregge. «L'allegoria e l' applicazio ne si fondono insieme» (Lindars, Gospel 368). L'immagine delle pecore del Buon Pastore, che ascoltano (akousousin) la sua voce e lo seguono (akolouthesousin) per avere da lui la vita eterna (zoe aionios) e per non andare mai perdute (ou me apolontai eis ton awna), richiama alla mente importanti descrizioni dell'autentico credente. Il credente «ascolta» (1,41; 3,8.29; 4,42; 5,24.28; 6,45; 8,38.43; 10,3.16), ha la «vita eterna» (3,15.16.36; 4,14.36; 5,24.39; 6,27.40.47.54.68), «segue» Gesù (1,37.44; 8,12; 10,4.5) e «non va perdu to» (3,16; 6,12.27.39; 10,10). Questa evocazione del coerente insegnamento di
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Gesù ribadisce i l concetto che il credere in Gesù come i l Messia aUe sue condi zioni darà la vita e nessuno potrà strappare il credente da Gesù (vv. 27-28). An che se è affermato solo indirettamente in una descrizione di ciò che non accadrà
al credente - «non andranno mai perdute» - è vero anche il contrario. L'indi sponibilità a rispondere a Gesù oltre le limitazioni dei propri presupposti condur rà «i Giudei» alla morte. Le pecore non potranno essere strappate dalla mano di Gesù perché la vita che il credente riceve grazie al suo attaccamento a Gesù è un dono del Padre. Non esiste potenza più grande di Dio, e perciò l'unione del credente con Dio è garantita. ll Padre di Gesù è più grande di qualsiasi po tere o potenza (v. 29). Mentre Israele celebra la presenza di Dio nella festa del la Dedicazione, Gesù dice a «i Giudei» che esiste un altro aspetto della presen za di Dio tra loro. Possono avere la certezza di essere nelle mani del Padre se credono in Gesù. Nel celebrare la Dedicazione «i Giudei» vanno orgogliosi del loro Tempio riconsacrato, che è la prova fisica della loro appartenenza a Dio e, in certo modo, dell'appartenenza di Dio a loro. Ma Gesù insiste che la fede nel la sua parola lega il credente non solo a lui ma anche a Dio, il Padre di Gesù. L'affermazione di 10,30 ribadisce questo tema: «lo e il Padre siamo una co sa sola». Non c'è più bisogno di guardare all'edificio materiale sul Monte del Tempio per sapere della presenza di Dio tra il suo popolo. Gesù, ritto davanti a «i Giudei», indica se stesso e proclama che è lui la presenza visibile di Dio tra di loro. Secondo le aspettative ebraiche, nessun Messia pretenderebbe di sosti tuire il Tempio, ma è proprio quello che Gesù fa nel v. 30. La promessa del Pro logo si concretizza nella storia di Gesù: «E il Verbo si fece carne e venne ad abi rare in mezzo a noi, la pienezza del dono che è la verità. E noi contemplammo la sua gloria, gloria come dell'unico Figlio del Padre» (1,14). Questo non è uno studio di metafisica ma un'affermazione dell'unità d'intenti che unisce il Padre e il Figlio ed è basata su un'unione di amore e di obbedienza. L'inquadratura di queste parole di Gesù nella cornice della festa della Dedicazione indica ancora che l'unione tra Dio e il Tempio, che era visto come la presenza di Dio tra il po polo, è perfezionata in Gesù grazie alla sua unione con il Padre. «l Giudei» continuano a rifiutare Gesù (vv. 31-39) . La rivendicazione di Gesù in 10,30 costituisce il fondamento di tutto il ragionamento svolto nei capitoli 5-10. In virtù dell'unione che esiste tra il Padre e il Figlio, Gesù può rivendicare per se stesso il privilegio sabbatico di giudicare e dare la vita (5,19-30) e può asse rire di essere il pane disceso dal cielo che perfeziona il nutrimento fornito dal la Legge (6,44-50), come pure di essere l'acqua della vita e la luce del mondo (7,37-38; 8,12; 9,5), il Messia che perfeziona le aspettative messianiche d'Israe le celebrate nella festa dei Tabernacoli (10,1-18). Ma alla Dedicazione è asso ciato un altro ricordo: «i Giudei» terranno fede al loro proposito di non tradire mai più il loro unico Dio? Per tutta risposta essi raccolgono le pietre per lapi dare Gesù (v. 31), ripetendo così le profanazioni di Antioco IV e dei suoi ac coliti. Essi cercano di privare Israele della presenza visibile di Dio in mezzo a lo ro. Gesù parla di nuovo delle sue opere (cf v. 25b) chiedendo quale di esse in particolare li abbia tanto esasperati da cercare di lapidario (v. 32). Quale parti colare rivelazione della doxa di Dio (cf 2,1-11; 4,46-54; 5,1-9a; 6,1-15; 9,1-7) avrà
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spinto «i Giudei» à cercare di ucciderlo? Ancora una volta la loro risposta di:.. mostra che essi non riconoscono la verità della domanda accusatrice di Gesù. Ripiegano su una interpretazione superficiale della Legge, sostenendo che non è per le «opere buone» (kalon ergon) che vogliono lapidario, ma per la bestem mia. La bestemmia di Gesù sta nella sua pretesa: lui, uomo, si proclama Dio (v. 33). Mentre ricordano la riconsacrazione di un Tempio fatto di pietre dalla ma no umana non accettano la rivendicazione di Gesù di essere la presenza vi vente di Dio in mezzo a loro. Il loro considerare Gesù un bestemmiatore ha un senso profondamente ironico. La risposta di Gesù sviluppa ciò che ha già detto nel v. 30. Se è vero che lui e il Padre sono la stessa cosa, e questa è una verità inconfutabile, allora l'accu sa di bestemmia portata contro Gesù è un grave tradimento del Dio d'Israele. Gesù segue la tecnica ebraica di argomentare dal minore al maggiore (qal wa/:liimer; cf Manns, L'Evangile 313-314). Parlando della «vostra Legge» (en tQ nomiJ hym()n) per indicare l'insieme delle Scritture, Gesù cita il Sal 82,6: «lo ho detto: "Voi siete dèi"». Se le Scritture, che rimangono sempre in vigore, chia mano il popolo di Dio «dèi» (v. 35: minore), quanto più colui che il Padre ha consacrato e inviato nel mondo potrà chiamarsi «il Figlio di Dio»? (v. 36: mag giore). «l Giudei» sono condannati dalle loro stesse Scritture. Gesù asserisce che lui non viola in nessun modo le autentiche tradizioni d'Israele, ma perfe ziona ciò che Dio ha promesso nel consacrare (hegiasen) e nel mandare il Figlio nel mondo. Questa è la prima volta che di Gesù si dice che è stato consacrato da Dio, e questa consacrazione ricorda l'evento che sta dietro la celebrazione del la festa della Dedicazione: la consacrazione dell'altare degli olocausti costrui to in sostituzione dell' «abominio della desolazione» di Antioco IV. La presen za di Gesù alla festa quale inviato del Padre, la presenza visibile di Dio nel mondo, porta a perfezione ciò che era solo un segno e un'ombra nell'atto di consacrazione fatto da Giuda nel 164 a.C. Non c'è più bisogno di cercare Dio nell'altare consacrato fatto di pietre; Dio è presente nella persona del Figlio di Dio, consacrato e inviato nel mondo (v. 36). Gesù è la presenza vivente del Figlio di Dio tra «i Giudei» (v. 36b), e le sue opere rispecchiano il Padre. Se «i Giudei» vogliono dimostrare la loro fedeltà al loro Dio, il Padre di Gesù, allora devono accettare tutto ciò che Gesù dice e fa. C'è una logica intrinseca nel ragionamento di Gesù: una volta che si accettano le origini e la destinazione di Gesù, tutto il resto ne consegue. Se Gesù non fa cesse le opere di Dio, «i Giudei» avrebbero ragione a non credergli; ma questa situazione è impossibile dal momento che «i Giudei» stessi hanno visto e udi to (v. 37). Essi proclamano la loro fedeltà al Dio d'Israele presente nel Tempio, ma non sono disposti ad accettare quello stesso Dio visibile e manifesto nelle opere di Gesù. Con un ultimo tentativo Gesù li esorta ad accettare la verità che il Dio d'Israele, un tempo presente nell'edificio del Tempio consacrato, adesso è presente in mezzo a loro nelle opere visibili compiute dal Figlio di Dio (v. 38). Le sue ultime parole in occasione della festa della Dedicazione sono una reite razione del v. 30. C'è un'unica strada che porta a Dio, e quella passa attraverso il Figlio di Dio; c'è un solo luogo dove il Padre può essere trovato e compreso, e quello è nella storia del suo Figlio. Gesù si appella ai suoi miscredenti ascol-
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tatori esortandoli ad accettare l a rivelazione di Dio nelle sue op ere. Se lo fanno, possono arrivare a capire («perché sappiate e riconosciate») la verità del v. 30: che Gesù e il Padre sono una cosa sola: «ll Padre è in me, e io sono nel Padre» (v. 38). La festa dei Tabernacoli aveva prodotto tra «i Giudei» uno schisma ma anche un raggio di speranza; alcuni avevano intravisto la possibilità che Gesù potes se essere un messianico operatore di miracoli (10,21). Alla festa della Dedica zione, circa tre mesi più tardi, questa speranza è completamente svanita. ) 241-260. nessuno può strapparle dalla mano del Padre: Il tema della cura che Dio ha per il popolo eletto, applicata qui a coloro che credono in Gesù, costituisce un ulteriore legame tra i temi comuni alle celebrazioni dei Tabernacoli e della Dedicazione. 30. Io e il Padre siamo una cosa sola: Anche se i commentatori fanno giustamente notare che questa non è una rivendicazione metafisica, c'è tuttavia un accenno «alla profondità metafisica contenuta nel rapporto tra Gesù e il Padre)) (Schnackenburg, Gospel 2,308). Vedi in particolare Bi.ihner, Der Gesandte und sein Weg 209-235. Per una rassegna delle possibili interpretazioni di hen esmen («siamo una cosa sola))) vedi Carson, Gospel 394-395. Per l'importanza di questo versetto nel successivo dibattito trinitario vedi T. E. Pollard, «The Exegesis of John X,30 in the Early Trinitarian Controversies», NTS 3 (1956 -1957) 334-339. 33. tu, che sei uomo, tifai Dio: n greco poieis seauton theon, senza l'articolo davanti a theon, ha praticamente valore aggettivale. Vedi Lindars, Gospel 372. Questo facilita il passaggio della citazione che Gesù fa del Sal 82,6: «Voi siete dèh> (theoi este) nel v. 34. 34. Non è forse scritto nella vostra Legge ?: È generalmente riconosciuto che il greco nomos
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(«legge») qui indica le Scritture come tali. Alcuni manoscritti (P0, antica versione del Sinaitico, Beza, ecc.) omettono «vostra» (hymon). Può sembrare strano che un Giudeo (Gesù) parli ai Giudei della «vostra legge». Le parole di Gesù tuttavia hanno lo scopo di mostrare il divario tra il modo di concepire Dio de «i Giudei» e il proprio. voi siete dèi: ll significato di ciò che Bauer chiama «la natura elastica dell'antica espres sione theos» (Bauer, Johannesevangelium 147) presenta qualche difficoltà. Il salmo origi nale può considerare «dèi» i giudici d'Israele, il popolo d'Israele, le potenze angeliche o gli dèi delle nazioni pagane. Per i rabbini, la Legge era stata data ad angeli/ dèi. Se condo la nostra interpretazione è la gente a cui è diretto il discorso, esseri umani, che può essere chiamata «dèi». Vedi la discussione in merito in Brown, Gospel 1,409-411. 35. e la Scrittura non può essere annullata: Per questa traduzione di ou dynatai lythénai vedi Lindars, Gospel 375. 36. colui che il Padre ha consacrato: Sono pochissimi gli esegeti che vedono un legame tra la descrizione di Gesù come «consacrato» e la celebrazione della Dedicazione. Vedi però l'ottima discussione di Brown, Gospel 1,411. Brown giunge ad intitolare questa parte del suo commentario «Gesù è consacrato al posto dell'altare del tempio» (1,401). Vedi an che VanderKam, «John 10» 206-207. 38. il Padre è in me, e io nel Padre: VanderKam, «John 10» 211-214, vede la pretesa di Antio co di essere il «Dio Manifesto>> dietro la parallela ma giustificata rivendicazione di Ge sù della propria unicità con il Padre (vv. 30.38). La pretesa di Antioco si scorge anche dietro l'accusa de «i Giudei» che Gesù, al pari del re siriano (cf 2 Ma c 9,28), è un be stemmiatore (cf vv. 33.36). perché sappiate e riconosciate: L'uso dell'aoristo congiuntivo (hina gnote kai ginoskete) de nota l'inizio della conoscenza e della comprensione nello stesso istante. Questa è la speranza di Gesù e anche la sua esortazione (cf Barrett, Gospel 386). Alcuni manoscrit ti (P45•66•75, Vaticano, ecc.) hanno kai pisteuete («e crediate>>), che sarebbe la lettura più fa cile; ma appunto per questo deve essere scartata. 41. Giovanni non ha compiuto nessun segno: Questo coincide con tutte le tradizioni riguar danti il Battista. Vedi Bammel, «}ohn Did No Miracles» 197-202.
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inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10. ma se cainmirla di notte, inciampa, perché la luce non è in lui>>. 11. Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Il nostro ami co Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliar lo». 12. Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, guarirà». 13. Gesù aveva parlato della morte di lui; es si invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14. Allora Gesù disse loro aper tamente: «Lazzaro è morto, 15. e io sono contento per voi di non essere stato là, affin ché voi crediate. Andiamo da lui!». 16. Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». 17. Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18. Betania distava da Gerusalemme meno di quattro miglia 19. e molti Giudei erano ve nuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. 20. Marta dunque, come udi che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21. Marta disse a Gesù: «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22. Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23. Gesù le disse: «Tuo fratel lo risorgerà». 24. Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno». 25. Gesù le disse: «lo sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26. chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi questo?». 27. Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che deve ve nire nel mondo». 28. Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «ll Maestro è qui e ti chiama». 29. Udito questo, Maria si alzò subito e andò da lui. 30. Ge sù non era ancora entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era an data incontro. 31. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Ma ria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. 32. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi di cendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33. Gesù al lora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lui, si commosse profondamente nello spirito e, molto turbato, 34. domandò: «Dove lo ave te posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35. Gesù scoppiò in pianto. 36. Dis sero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37. Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38. Intanto Gesù, ancora commosso profondamente, si recò al sepolcro; era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39. Disse Gesù: «Togliete la pietra !». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40. Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43. Detto questo, gridò a gran vo ce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44. Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e !asciatelo andare». 45. Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva com piuto, credettero in lui. 46. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quel lo che Gesù aveva fatto. 47. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. 48. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro Tempio e la nostra nazione». 49. Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacer dote quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50. Non vi rendete conto che è con veniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazio ne intera». 51. Questo però non lo disse da se stesso ma, essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52. e non soltanto per la
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nazione, ina ·anche per riunire insieme i figli d i Di o che erano d ispersi . 53. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. 54. Gesù allora non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove rimase con i suoi discepoli.
I N T E RPR E TA Z I O N E Introduzione a 11,1-54. I l racconto della risurrezione di Lazzaro e degli avve nimenti che fanno da contorno ha da sempre affascinato artisti, musicisti, can tastorie e lettori. La descrizione come si presenta attualmente senza dubbio si è sviluppata nella tradizione narrativa pre-giovannea (cf Marchadour, Lazare 33-63; Kremer, Lazarus 82-109; Byme, Lazarus 69-83), ma nella sua presente col locazione e forma letteraria «il miracolo è stato subordinato a servire gli scopi della teologia giovannea» (Brown, Gospe/ 1,430). Il racconto si svolge nel modo seguente: a) vv. 1-6: b)
c)
d) e) f)
Introduzione. Vengono presentati il luogo, il tempo, i personaggi e la si tuazione, nonché i temi principali dei racconto. vv. 7-16: Vengono prese due decisioni: Gesù decide che deve andare in Giudea, e Tommaso decide che i discepoli devono accompagnarlo. vv. 1 7-27: Incontro di Gesù con Marta. Gesù si presenta come la risurrezione e la vi ta, e Marta lo fraintende. vv. 28-37: Incontro di Gesù con Maria. Dopo un iniziale superamento della confes sione di Marta, Maria esita mentre si unisce alla lamentosa e falsa concezione dei Giudei riguardo a Gesù. vv. 38-44: ll miracolo. Gesù chiama Lazzaro ad alta voce, affinché i dubbiosi e i mi scredenti possano credere che lui è l'Inviato di Dio. vv. 45-54: La decisione de «i Giudei». I capi decidono che Gesù deve morire. Il pie no significato di questa morte è spiegato dal narratore mentre Gesù e i suoi disce poli lasciano la scena per andare a Efraim.
Il racconto comincia (vv. 1-6) e termina (vv. 45-54) con Gesù lontano da Be tania e da Gerusalemme. Le parole di Gesù nel v. 4 e le osservazioni di Caifa e del narratore nei vv. 49-52 fanno da cornice al racconto di una risurrezione che porterà alla morte. Gesù morirà a Gerusalemme e la sua morte rivelerà la glo ria di Dio; il Figlio verrà glorificato per mezzo di essa (v. 4) e i figli di Dio di spersi per il mondo verranno radunati insieme (v. 52; cf 10,16). Introduzione (vv. 1-6). Vengono presentati tre nuovi personaggi: Lazzaro, Maria e Marta, di Betania (v. 1). Gesù si trova di là del Giordano, in un altro luo go chiamato anch'esso Betania (10,40; cf 1,28). Maria è presentata come quella che ha unto Gesù e gli ha asciugato i piedi con i suoi capelli (v. 2ab ) I participi «unto» (aleipsasa) e «asciugato» (ekmaxasa) sono tempi dell'aoristo e suppon gono qualcosa che è già stato fatto, ma finora nel racconto non ne abbiamo al cuna traccia. Questo interrogativo richiede una risposta, come pure è dell' os servazione finale del v. 2: «il cui fratello Lazzaro era malato>> (v. 2c) . Si dovrà leggere più avanti nel racconto per scoprire cosa Gesù farà del malato Lazzaro e come Maria ungerà e asciugherà i piedi di Gesù. Le sorelle possono comunicare direttamente con Gesù, lo chiamano «signo.
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re» (kyrie) e parlano del loro fratello malato come d i un suo in senso positivo in tutto il Van gelo (cf 1,37.40; 3,8.29.32; 4,42.47; 5,24.25.28.30; 6,45; 7,40; 8,47), il verbo è stato usato quattro volte per descrivere la risposta delle pecore alla voce del Buon Pa store (10,3.16.20.27). · Mentre Gesù non è ancora giunto al villaggio e si trova ancora nel luogo dove l'ha incontrato Marta, Maria deve andare da lui (v. 29). Questo spostamento dà al narratore l'occasione di presentare «i Giudei» che si trovano in casa con Maria e cercano di consolarla (v. 31a). Dello stato d'animo di Maria non è stato detto nulla. Si dice solo che «i Giudei» sono venuti a con solare le due sorelle (cf vv. l9.31) . La partenza di Maria è descritta dal punto di
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vista de « i Giudei». Essi pensano che vada a piangere al sepolcro, e perciò la se guono (v. 31b) pensando di doversi unire a lei nel suo lamento per Lazzaro. Ma non è così; Maria va da Gesù. Mentre Maria risponde alla presenza di Ge sù (cf 28: ho didaskalos parestin), «i Giudei» si aspettano (doxantes hoti) che essa segua il consueto rito del lamento funebre. Questa indicazione dell'atteggia mento de «i Giudei», totalmente incentrato sulla morte di Lazzaro anziché sulla presenza di Gesù, è cruciale ai fini di una corretta interpretazione del dif ficile v. 33. Maria giunge al luogo dove si trova Gesù, e subito emerge una differenza di atteggiamento tra le due sorelle. Nel v. 21 Marta si è limitata a rivolgere la pa rola a Gesù («Marta disse a Gesù»), invece Maria lo incontra in modo del tutto diverso. Quando vede Gesù (v. 32b : idousa auton) gli si prostra ai piedi (v. 32c: epesen autou pros tous podas); da questa posizione Maria ripete parte della con fessione di Marta (cf v. 22) nel v. 32b: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratel lo non sarebbe morto!». Il motivo della fiducia di Marta è omesso («qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà», v. 22). Nella confessione di Maria non è ripresa l'idea che di Gesù s'era fatta Marta . Maria dichiara semplice mente la sua incondizionata fiducia nel potere della presenza di Gesù. In altre parole, è Maria, non Marta, che accetta Gesù come la risurrezione e la vita (cf vv. 25-26). Soltanto Maria accetta l'autorivelazione di Gesù nel confessare «se tu fossi stato qui». Nel racconto Maria è il personaggio che rispecchia la vera fe de (vv. 29.32), mentre Marta non è giunta alla fede autentica (vv. 21-22.24.27). Fino a questo punto nel racconto Maria ha tenuto l'attenzione concentrata su Gesù, rispondendo alla voce del Buon Pastore. Nel v. 33 questa situazione cambia improvvisamente e inesplicabilmente e dimostra la straordinaria cari ca emotiva di cui è capace Gesù. La morte di Lazzaro non dovrebbe mai esse re al centro dell'attenzione, invece Maria non resiste e si unisce al pianto de «i Giudei» (v. 33). Quando Gesù vede Maria piangere e piangere anche «i Giudei» che sono venuti con lei (v. 33ab), si commuove profondamente. Non è la com passione né la mancanza di essa che induce in Gesù tristezza di spirito e tur bamento (v. 33c: enebrimesato tq pneumati kai etaraxen heauton). Mentre il mini stero pubblico di Gesù sta per avviarsi al termine, egli si sente frustrato e ama ramente deluso (enebrimesato), e questo sentimento si esprime in un profondo fremito interno di emozioni (etaraxen) (vedi le note). Maria dapprima aveva mostrato tutti i segni di voler trascendere le limitate aspettative de «i Giudei» (v. 31) e l'incapacità dei discepoli (vv. 12.16) e di Marta (vv. 21-22.24.27) di capire il significato della morte di Lazzaro e dell'autorivelazione di Gesù quale risur rezione e vita (vv. 25-26). Adesso anche Maria si unisce al pianto de «i Giudei» (v. 33a). Fino a questo punto nel racconto non era stata fatta parola delle lacri me o del pianto di Maria; era solo stato detto che «i Giudei» piangevano (vv. 19.31). Adesso, dopo un'attestazione di autentica fede in Gesù, Maria gli volta le spalle piangendo per unirsi a «i Giudei». Non c'è proprio nessuno che giun ga alla vera fede? Si è unita anche Maria a «i Giudei» nel fare della morte di Lazzaro il centro dell'attenzione ed ha così abbandonato la sua precedente ac cettazione incondizionata di Gesù? Il suo piangere assieme a «i Giudei» è il ca povolgimento della sua precedente risposta a Gesù (vv. 28-32) e questo genera
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in Gesù tristezza e profondo disappunto. Gesù è scosso da un a romprensibile collera e da un profondo turbamento, ma deve portare avanti la missione che gli è stata assegnata. Deve svegliare Lazzaro dal suo sonno (v. 11), glorificare Dio e per mezzo di questo evento essere lui stesso glorificato (v. 4). Chiede di essere condotto davanti al sepolcro di Lazzaro, ed «essi» lo invi tano a «venire a vedere» (v. 34). Il contesto porta a supporre che questo invito venga da Maria e da «i Giudei» (v. 33). Questi rispettosamente (kyrie; cf vv. 3. 21) chiedono a Gesù di rendersi conto della situazione di una persona che è già morta da quattro giorni (cf v. 17). L'associazione di Maria, ora diventata totale, con il punto di vista de «i Giudei» fa scoppiare Gesù in pianto (v. 35). «l Giudei» prendono questo pianto per una dimostrazione di amore di Gesù per Lazzaro (v. 36). L'attento uso di un altro verbo per esprimere il pianto di Gesù (per il quale è usato dakryo, mentre per il pianto di Maria e de «i Giudei» nei vv. 31 e 33 è usato klaio) indica che le lacrime di Gesù non possono essere associate al normale rituale del pianto funebre. Gesù piange pensando al pericolo che il suo incondizionato dono di se stesso nell'amore come il Buon Pastore (cf 10,11.14-15), come la risurrezione e la vita che offre la vita qui e nell'aldilà a tutti quelli che credono in lui (11,25-26), non sia mai capito e accettato. Mentre Maria stava andando verso Gesù (vv. 28-29) c'era la speranza che almeno uno dei personaggi approdasse alla fede. Ma quando essa si è unita a «i Giudei» nel dolore e nel pianto, le promesse di Gesù sono state dimenticate, e Gesù piange per la sua frustrazione (v. 35). Tuttavia, per quanto profondo sia il suo disap punto e la sua tristezza (v. 33) e la frustrazione (v. 35), Gesù continua a portare avanti il suo compito di rendere visibile la gloria di Dio e di raggiungere la propria glorificazione (v. 4). Gesù chiede: «Dove lo avete posto?>> (v. 34a). Ha detto che avrebbe svegliato Lazzaro dal sonno (v. 11), e la promessa diventerà realtà. Ripensando al miracolo dell'uomo cieco dalla nascita (9,1-7), alcuni de «i Giudei» condividono l'errata opinione che Marta ha di Gesù quale operatore di miracoli (cf 11,21-22) . Se Gesù ha potuto guarire un cieco dalla nascita, perché non poteva far sì che Lazzaro non morisse (v. 37)? «l Giudei» e Marta hanno di mostrato di non essere disposti ad andare oltre i propri criteri nel valutare la persona e la missione di Gesù. Non sono riusciti a superare le aspettative mes sianiche espresse durante la festa dei Tabernacoli, quando qualcuno si era chie sto: «ll Cristo, quando verrà, compirà forse segni più grandi di quelli che ha fat to costui?» (7,31). Qui tuttavia Gesù si è dimostrato alquanto deludente. Ha guarito l'uomo cieco dalla nascita, ma non è riuscito a salvare Lazzaro! Maria non si associa a «i Giudei» nell'osservazione del v. 37. Essa si è ritirata dall'a zione, inghiottita dalle emozioni umane che circondano la morte di suo fratel lo, e non è più con «i Giudei» (cf v. 33) . Il lettore sa, dall'annuncio dell'unzione dei piedi di Gesù nel v. 2, che essa tornerà. La sua partecipazione al pianto de «i Giudei» nel v. 33 non può segnare la fine del suo ruolo nel racconto, e la sua dissociazione dalle loro perplessità circa l'abilità taumaturgica di Gesù nel v. 37 è un indizio che la promessa unzione di Gesù (v. 2) possa essere indice del suo ritorno a una incondizionata dipendenza da lui. Il miracolo (vv. 38-44) . La persistente incapacità de «i Giudei» di accettare
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Gesù e i l loro ostinato fraintendimento della sua p ersona, manifestato ancora una volta nei vv 36-37, spingono Gesù alla collera (v. 38a) mentre si avvia ver so il sepolcro (erchetai eis to mnemeion). Negli episodi precedenti Gesù ha aspet tato (v. 6), ha sollecitato la fede (vv. 16.26) e ha mostrato collera e turbamento (vv. 33.35.38a). Ha chiesto che gli indicassero il luogo dove Lazzaro era stato se polto. Maria e «i Giudei» si sono offerti di accompagnarlo sul posto perché po tesse vedere di persona (v. 34). Ma Gesù non si accontenta di farsi indicare il se polcro; ci va personalmente. Da questo momento Gesù è padrone della situa zione e si appresta decisamente ad attuare il disegno di Dio (cf v. 4), il che com porta risvegliare Lazzaro dal sonno (cf v. 11). Le azioni e i verbi imperativi di Gesù dominano i vv. 38-44. È soltanto nel rivolgersi al Padre in preghiera che egli mostra un atteggiamento di dipendenza (cf vv. 41-42) . Il sepolcro «era una grotta e contro di essa era posta una pietra» (v. 38b). Ge sù ordina: «Togliete la pietra!» (v. 39a). Marta ricompare e fa obiezioni al co mando di Gesù (v. 39b). Coerentemente con il suo precedente incontro (vv. 17-27), dice a Gesù come stanno le cose nell'ordine naturale del mondo: Laz zaro è morto da quattro giorni, e ci sarà un odore sgradevole. Incapace di ac cettare l'idea che Gesù è la risurrezione e la vita (vv. 25-26), essa inizialmente ha perlomeno espresso fiducia nel ruolo di Gesù come operatore di miracoli (cf vv. 21-22). Le sue ultime parole nel Vangelo le spende per dire a Gesù che egli non ha nessun potere su una persona che è morta da quattro giorni (v. 39). Ge sù le ricorda ciò che ha detto nel v. 4 per far notare a Marta i benefici e i van taggi della fede. Se solo potesse accettare con fiducia la parola di Gesù ve drebbe la doxa tou theou («la gloria di Dio»). La presenza salvifica, amorosa, ispiratrice di Dio le sarebbe manifestata visibilmente attraverso gli avveni menti a cui sta per assistere - basta solo che creda (v. 40) . Il verbo è al singola re (ean pisteus�s): è la fede di Marta che è in dubbio. L'imperativo di Gesù non ammette replica (v. 39a), e perciò al tentativo di Marta di fermare l'azione (v. 39b) nessuno dà retta e la pietra viene tolta (v. 41a). La gloria di Dio sarà vista da coloro che mettono in forse gli assoluti di «questo mondo» e credono a tut to ciò che rivela Gesù (v. 40). L'atteggiamento di Gesù cambia quando si mette a pregare in modo da es sere udito da tutti gli astanti: Marta, Maria, «i Giudei» e i discepoli. Mettendo si in posizione di preghiera con gli occhi al cielo (v. 41b), Gesù esprime la sua gratitudine e la sua assoluta fiducia nella comunione che esiste tra lui e il Padre (vv 41c-42). Gesù è rivolto in unione d'amore verso Dio (cf 1,1) e perciò è in gra do di narrare la storia di quel Dio che nessuno ha mai visto (cf 1,18). In tutto il suo ministero non si è mai minimamente scostato dalla sua intima unione con il Padre e dalla sua incondizionata risposta a lui (cf 4,34; 5,19-30.36-37.43; 6,27.37-38.40.45.46.57 .65; 8,18-19.28.38.49 .54; l O,l 0.15-18.25.29-30.32.37-38). Ge sù e il Padre sono una cosa sola (8,38), ma quelli che stanno davanti al sepolcro non hanno ancora accettato questa verità, tanto fondamentale per poter capire esattamente chi sia Gesù. I discepoli, Marta, «i Giudei» e perfino Maria hanno ancora molto da imparare. Perciò Gesù prega ad alta voce per proclamare a questo gruppo di persone radunato attorno alla tomba di Lazzaro che le azio ni che verranno compiute fra poco traggono origine dall'unità di Gesù con il .
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Padre. «Gesù non è un mago, t.m. theios antr, che agisce per potere proprio e cerca la propria doxa» (Bultmann, Gospel 408). Le sue azioni indicano che egli è l'Inviato del Padre. È giunto il momento per Gesù di compiere un'azione che manifesterà la gloria di Dio e metterà in moto il processo per mezzo del quale egli stesso sarà glorificato (cf vv. 4.40). Questo darà l'opportunità ai discepoli (cf vv. 15.42), a «i Giudei» (cf v. 42), a Marta (cf vv 21-22.26-27.39.42) e a Maria (cf vv 33.42) di credere che Dio è reso manifesto per mezzo delle parole e delle azioni del suo Inviato, Gesù. Il grido di Gesù ad alta voce (phon� megal�) nel silenzio del sepolcro di un morto (v. 43b) è legato alla preghiera: «detto questo ... » (v. 43a). L'azione che se gue ha luogo perché quelli che sono attorno al sepolcro siano indotti a crede re che Gesù è l'Inviato di Dio (cf v. 25) e per dimostrare che può esercitare la sua suprema autorità sul morto Lazzaro (cf v. 26). Lazzaro esce dalla grotta, anco ra saldamente legato con le bende della morte (v. 44a). L' immagine colpisce ed ha stuzzicato la fantasia di molti artisti lungo i secoli, ma questo è appunto l'aspetto che doveva avere un uomo risuscitato dai morti. Il lettore potrà chie dersi come mai sia data tanta importanza alla descrizione delle bende della morte, e questo interrogativo non riceverà risposta fino a quando nel raccon to non si parli di un altro sepolcro (19,40-41: mnemeion kainon) e di altre bende sepolcrali (20,5-7). La descrizione del miracolo si conclude con altri due co mandi impartiti da Gesù: «Liberatelo e }asciatelo andare» (v. 44b). Lazzaro de ve essere liberato dagli orpelli della morte perché possa proseguire il suo cam mino. Colui che è la risurrezione e la vita (v. 25), l'Inviato del Padre (v. 42), è inter venuto. Ha reso l'azione di Dio visibile nella vita di tutti quelli che hanno par tecipato a questo evento, non soltanto di Lazzaro (cf vv. 4.40). La trasforma zione fisica del corpo già morto di Lazzaro nel Lazzaro risorto non è il punto fo cale del racconto. L'intervento di Gesù ha rivelato la doxa tou theou (cf vv. 4.40) affinché i discepoli possano credere (cf vv. 15.42), affinché Marta e Maria pos sano credere (cf vv 26.40.42), affinché Maria e «i Giudei» possano credere (cf vv 33.42). La trasformazione più grande sarebbe l'accettazione da parte di tutti quelli che sono stati testimoni del miracolo della verità che Gesù è il Figlio del Padre, l'Inviato di Dio (cf v. 42). Uno spettacolare segno ha rivelato la gloria di Dio (cf v. 4c), ma il lettore deve ancora scoprire in che modo il miracolo della ri surrezione di Lazzaro sarà il mezzo mediante il quale il Figlio di Dio sarà glo rificato (v. 4d: hina doxasth? ho huios tou theou di'autes). La decisione de «i Giudei» (vv. 45-54). Molti de «i Giudei» credono grazie al mi racolo (v. 45), ma alcuni di loro vanno a riferire ai loro capi ciò che ha fatto Ge sù (v. 46) . Coloro che credono sono quelli che prima erano andati a consolare Maria (v. 19) e l'avevano seguita quando aveva risposto alla chiamata di Gesù (v. 31). In realtà erano andati a consolare sia Maria che Marta (cf v. 19), ma i credenti sono associati a Maria. Il miracolo ha portato alcuni di loro alla fede, così come molti precedenti conflitti tra Gesù e «i Giudei» hanno finito per pro durre una minoranza «di Giudei» che credono in Gesù (cf 7,31; 8,30; 10,42). Co loro che vanno dai capi de «i Giudei» riferiscono solo ciò che Gesù ha fatto (v. 46: ha epoiesen). Non dicono niente della sua autorivelazione come la risurre.
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zione e la vita (vv. 25-26) né della sua preghiera che essi possano credere iri lui come l'Inviato del Padre (v. 42); si limitano a parlare del miracolo (v. 46; cf vv. 36-37). Pensando al pericolo di possibili subbugli che potrebbero destabilizza re la loro autorità, i capi dei sacerdoti e i Farisei convocano il consiglio (syne drion). «l Giudei» continuano a non capire Gesù e lo giudicano un agitatore taumaturgico che attira la folla (v. 47a). Qualcosa bisogna pur fare per porre fi ne alla sua attività, altrimenti «tutti» (pantes) crederanno in lui (vv. 47b-48a). Dietro la conclusione del sinedrio c'è la paura che figure popolari, messia niche e taumaturgiche, se lasciate in balia di se stesse, possano definitivamen te distruggere il precario equilibrio di potere tra Roma e le autorità religiose e politiche locali esistente ai tempi di Gesù. Le loro parole rievocano l'esperien za degli anni 65-70 d.C.: «Verranno i Romani e distruggeranno il nostro Tempio e la nostra nazione» (v. 48). Caifa, nominato per essere stato il sommo sacerdo te in carica nell'anno in cui Gesù è stato crocifisso, prende la parola (v. 49ab). Accusando tutto il sinedrio di essere incapace di pensare e di prendere una de cisione (vv. 49c-50), egli adotta una posizione che da una parte è nettamente op portunista e dall'altra parte è un'importante interpretazione del significato del la morte di Gesù. C'era una tradizione recente secondo cui una persona osser vante e buona poteva offrire la propria vita per il bene della nazione per attirare la benedizione di Dio su tutta la popolazione. L'esempio l'avevano già dato i martiri maccabei, e l'ideale di una persona buona che muore per la nazione era molto sentito nell'Israele del primo secolo. Per ironia della sorte, Caifa propo ne di sbarazzarsi di Gesù, che egli considera un pericoloso agitatore, per il be ne della nazione, mentre le sue parole ricordano il coraggio e l' autoimmola zione dei martiri la cui morte ha dato la vita al popolo di Dio. Ma questo è so lo un livello di possibile interpretazione. Il narratore si spinge oltre. Conside rando il sommo sacerdote un portavoce di Dio, il narratore chiarisce meglio le parole profetiche di Caifa. Pur non rendendosi conto di ciò che stava dicendo, Caifa ha giustamente profetizzato che Gesù doveva morire per la nazione (v. 51). Ma i benefici della morte di Gesù non potevano essere limitati esclusiva mente al bene della nazione come nel caso dei martiri maccabei. Gesù morirà per Israele, ma la sua morte servirà anche a radunare insieme i figli di Dio che sono sparsi per il mondo (v. 52; cf 10,15-16). Gli accenni che si trovano in altre parti del racconto adesso convergono qui. L'ora di Gesù dev'essere vicina (2,5; 7,20; 8,30). Gesù sarà innalzato come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto affinché tutti quelli che credono possano avere la vita (3,14). Perfino coloro che lo innalzano potranno giungere a credere che Gesù è la rivelazione di Dio (8,28). La morte di Gesù porterà alla glorificazione del Figlio di Dio (11,4) e al dono dello Spirito (7,39). Ma nella morte di Gesù c'è qualcosa di più della sua ora, del suo innalzamento, della sua glorificazione. La morte di Gesù non è a suo vantaggio ma a vantaggio degli altri. Egli offre la sua vita per le sue pecore (cf 6,51c; 10,15) e nel dare la propria vita raduna le pecore da altri greggi (10,16): i figli di Dio che si trovano dispersi (11,52). Ma per il momento i segni di questo «radunare insieme» sono molto scarsi. «l Giudei» si consigliano sul modo migliore di disfarsi di Gesù (v. 53). Il rac conto degli avvenimenti che interessano la malattia, la morte e la risurrezione
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di Lazzaro di Betania termina così come era cominciato: Gesù deve andare in qualche altro luogo perché non può più mostrarsi in pubblico tra «i Giudei». La sua vita è in pericolo (v. 54a; cf 10,40; 11,5-8); e si ritira in un piccolo villaggio ai bordi del deserto, ancora in compagnia dei suoi discepoli (v. 54b). Ma mentre la sua precedente permanenza in un remoto villaggio era stata accompagnata da molti che erano approdati al credere in lui (10,41 ), a Efraim egli rimane so lo con i suoi discepoli (11,54). Conclusione di 11,1-54. Il soggiorno di Gesù ai confini del deserto è solo una breve pausa prima di andare risolutamente verso la violenza. Ha annunciato che per mezzo della violenza sarebbe stato glorificato (cf v. 4), che egli è la ri surrezione e la vita e che le sue opere manifestano la gloria di Dio perché quel li che ne sono testimoni possano giungere a credere che egli è l'Inviato del Pa dre (v. 42). La sua morte andrà a beneficio della nazione e radunerà insieme i fi gli di Dio che sono dispersi (vv. 51-52). Sono in vista avvenimenti violenti, che però serviranno a rendere attuale l'ora di Gesù, il suo innalzamento, la sua glo rificazione, il dono dello Spirito, la rivelazione della gloria di Dio e il raduno di molti. In 11,2 abbiamo l'accenno a un episodio che non è ancora stato raccontato: «Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli». Delle due donne in questo racconto, Maria è quella che dava la ri sposta più promettente alla presenza di Gesù (vv. 28-32). Ma è venuta meno e nelle sue lacrime si è accomunata con «i Giudei» (v. 33). Quelli che hanno cre duto in Gesù in conseguenza del miracolo si sono associati con Maria (v. 45), anche se inizialmente erano venuti a consolare entrambe le donne (cf v. 19). Questo indica forse che anche Maria ha accettato la sfida della preghiera-pro clamazione di Gesù: «perché credano che tu mi hai mandato» (v. 42)? La storia della risposta di Maria a Gesù non è ancora stata conclusa in modo soddisfa cente. NOTE l.
Lazzaro di Betania: Il nome «Lazzaro» è la forma abbreviata di un nome che significa
«Dio aiuta». Nel testo non è data nessuna spiegazione del nome e non è il caso di dar ne una lettura simbolica sulla base del significato del termine. 2. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore: La presentazione di questo dettaglio circa il rapporto di Maria con Gesù è stata spiegata in varie maniere. La maggior par te dei commentatori (es.: Bemard, Commentary 2,372-373; Brown, Gospel 1,423; Schnac kenburg, Gospel 2,322; Lindars, Gospel 386-387) la considerano una parentesi aggiunta al passo originale. Nella nostra interpretazione è considerata una tecnica letteraria im piegata di proposito per presentare le azioni di un personaggio significativo prima che le compia. Questo è chiamato «vano» o «vuoto» o «punto di indeterminazione» nel testo. La tecnica crea un'aspettativa nel lettore, il quale deve continuare la lettura per «colmare il vuoto» con le informazioni che saranno date più avanti nel racconto. Vedi Wolfgang Iser, The Act of Reading: A Theory of Aesthetic Response, Routledge & Kegan Paul, London 1978, 182-187. 3. il tuo amico [colui che ami] è malato: L'espressione «colui che ami» (hon phileis) ed altre espressioni di affetto tra Gesù e Lazzaro (es.: vv. 5.36) hanno indotto alcuni esegeti sia
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antichi che moderriì a ritenere che Lazzaro sia il Discepolo Prediletto . Per un'indagirie vedi Kremer, Lazarus 55 n. 50. Per uno studio più recente vedi Stibbe, ]esus as Storytel .
ler 77-82.
4. Questa malattia non porterà alla morte: Per il significato di pros per indicare il «fine ulti mo», in questo caso lo scopo essenziale della malattia di Lazzaro, vedi BAGD 710, s.v. pros, III (3c). Figlio di Dio: È solo in 5,25, qui (11,4) e in 11,25 che Gesù dice di se stesso di essere «Fi glio di Dio». Questo rapporto tuttavia è implicito in gran parte dell'insegnamento di Gesù riguardo a se stesso e al Padre. Alcuni antichi manoscritti (P6'-'5) omettono o so stituiscono «di Dio». per mezzo di essa [la malattia]: Pochi commentatori notano l'importanza programmati ca di di' autls: gli avvenimenti che riguardano Lazzaro saranno il catalizzatore che dà origine a un processo «per mezzo del quale» il Figlio di Dio sarà glorificato. Vedi, ad esempio, Brown, Gospel 1,423: «Presumibilmente per mezzo della malattia». Per l'uso di dia nel senso «delle circostanze in cui uno trova se stesso a causa di qualcosa» vedi BDF 119, § 223 (3). 5. Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro: La maldestra giustapposizione dei vv. 5-6 ha in dotto alcuni critici (es.: Segalla, Giovanni 323; Lindars, Gospel 3BB ; Kremer, Lazarus 58) a pensare che il v. 5 sia una conclusione redazionale dei vv. 1-4, slegata dal v. 6. In que sto modo il v. 6 segue in modo più naturale il v.4 . Tuttavia, i vv. 5- 6 sono logicamente legati tra loro (per quanto difficile sia la logica) da oun (v. 6). Vedi Lagrange, Evangile
297. 7. Passati questi giorni: L'uso di palin («di nuovo») e l'espressione epeita meta touto indica no una nuova fase nel racconto, che però in questo caso fa ripensare alla pessima ac coglienza che Gesù ha appena avuto in Giudea. Vedi Barrett, Gospel 391. 9. Non sono forse dodici le ore del giorno?: L'uso delle immagini di luce e tenebre, giorno e notte, camminare e inciampare indica che i vv. 9-10 sono in forma «parabolica». Sulla struttura retorica di questa parabola vedi Rochais, Les récits 138-139; Byrne, Lazarus 43-44. Alcuni commentatori collegano le dodici ore con l'ora di Gesù che non è anco ra venuta (es.: Becker, Evangelium 2,366-367; Rochais, Les récits 139). Per la tesi contra ria a questa identificazione vedi Kremer, Lazarus 60. 10. perché la luce non è in lui: Qui è presente l'idea ebraica che l'occhio è la sede della luce, ossia il luogo dove la luce risiede, dov'è «nella» persona. Vedi, tra gli altri, Schnac kenburg, Gospel 2,325-326. 11. Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato: Sulla tradizione cristiana del linguaggio del sonno per parlare della morte vedi Westcott, Gospel 166; Bauer, ]ohannesevangelium 149. Sorprendentemente, per quanto si sappia non esistono paralleli tra il risveglio dal son no e la risurrezione. Rochais, Les récits 139-140, fa risalire il collegamento fatto qui alle versioni greche di Giobbe 14,12-15. 12. guarirà [si salverà]: I discepoli qui sono oggetto di una sottile ironia. Non hanno capito appieno il significato del sonno di Lazzaro e Gesù deve spiegarlo (v. 14). Essi tuttavia per parlare della condizione di Lazzaro usano il verbo sozein dal doppio significato: può essere infatti riferito sia alla guarigione fisica che alla salvezza spirituale. 15. per voi: Questo è il primo di molti elementi nel racconto che indicano che il vero centro dell'attenzione non è Lazzaro ma i presenti che sono testimoni degli avvenimenti. Sul la mancanza d'interesse per la persona di Lazzaro vedi Léon-Dufour, Lecture 2,404-40 5. Tuttavia Marchadour, Lazare 126-127, fa giustamente notare che Lazzaro è il buco vuo to che guida il racconto fintanto che alla fine si riempie. Vedi anche Stibbe, «A Tomb with a View» 42-4 3. 16. a morire con lui: Grammaticalmente «lui» potrebbe riferirsi anche a Lazzaro; perciò è
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possibile che Tommaso inviti gli altri discepoli ad andare a morire con Lazzaro. La grange, Evangile 299, considera questa interpretazione una «fantasia». Molti critici han no visto in questo passo un modello per i discepoli, che vengono invitati a unirsi a Ge sù nel suo viaggio verso la morte (es.: Lightfoot, Gospel 220-221; Beasley-Murray, fohn 189; Brodie, Gospel 392). Questo suggerimento, che meglio si addice al ritratto che dei discepoli fa Marco (ma vedi 12,24-26), non coglie il punto importante dei continui ma lintesi dei discepoli. 17. già da quattro giorni era nel sepolcro: Oltre alla decomposizione fisica del corpo dopo quattro giorni e ad essa correlata, esisteva l'opinione ebraica molto diffusa che l'anima si aggirava nei dintorni del corpo per tre giorni, ma al quarto giorno qualsiasi speran za di risuscitazione era svanita. Vedi Str-B 2,544. 19. per consolarle: Il verbo usato qui per «consolare» (paramytheisthal) è raro nel Nf (cf v. 31; l Ts 2,11; 5,14). Il termine ha vari significati (cf LSJ 1318), ma non c'è motivo di dubita re della sincerità dei sentimenti mostrati alla famiglia in lutto né di pensare che questo verbo sia usato per descrivere un atteggiamento non cristiano circa la morte. Vedi Bar rett, Gospel 394. Sull'importanza dell'offrire consolazione vedi Str-B 4,592-607. Il fatto importante nel v. 19 non è tanto ciò che «i Giudei» offrono alle sorelle in lutto, ma che sia detto che soltanto «i Giudei» praticano i consueti riti del pianto funebre e della con solazione. Della sorelle non è detto niente. Secondo alcuni commentatori «i Giudei» in questa parte del Vangelo rappresentano la gente normale, non le autorità giudaiche ostili a Gesù. Brown, Gospel l,427-428, vede in ciò un'indicazione che i capitoli 11-12 sono un'aggiunta a un resoconto originale del ministero di Gesù che terminava in 10,40-42. Ma se è vero che «i Giudei» nei vv. 8.11.19.31 .33.36.45.54 non sono così ostili come lo sono stati in altre parti del Vangelo (cf anche Kremer, Lazarus 64), essi non possono tuttavia essere considerati indifferen ti. Continuano a fraintendere gli avvenimenti che accompagnano la malattia e la mor te di Lazzaro e alcuni di loro corrono a riferire ai loro capi ciò che Gesù ha fatto (ma non ciò che ha detto). Schneiders, «Death in the Community» 45, giustamente fa notare che «i Giudei» «servono a intessere strettamente l'episodio nel suo contesto nel Van gelo». 20. Maria stava seduta in casa: Spesso si fa notare il diverso atteggiamento delle due sorel le, ma i commentatori quasi all'unanimità danno tutto il credito a Marta per la sua creatività e iniziativa. Considerano lo stare in casa di Maria l'atteggiamento che ci si aspetta da una persona in lutto. Vengono cercati paralleli peregrini tra Maria, che sta seduta in casa e Gb 2,8 ed Ez 8,14 per dedurre che Maria adotta l'atteggiamento del pianto funebre. Questa è una forzatura del testo. 22. qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà: La credenza che un taumaturgo avesse un accesso privilegiato a Dio era «consona alla pietà ebraica» (Schnackenburg, Gospel 2,239). Non è corretto pertanto prendere queste parole per un'adeguata espres sione di fede giovannea (come fanno, ad esempio, Westcott, Gospel 168; Bultmann, Go spel 401-402; Marchadour, Lazare 119). 24. So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno: Marta accetta l'idea ebraica corrente della risurrezione finale. La credenza «nell'ultimo giorno» sembra avere le sue radici nell'AT (cf Is 2,2; Mie 4,1), e l'idea di una risurrezione finale era un elemento costituti vo del giudaismo farisaico (cf Dn 12,1-3; 2 Mac 7,22-24; 12,44; At 23,8; Giuseppe, Guer ra 2,163; m. Sanh. 10,1; m. Sota 9,15; m. Ber. 5,2; cf anche Mc 12,18-27 e relativi paralleli). Per una discussione completa sull'argomento vedi Cavallin, «Leben nach dem Tod»
240-345.
25. Io sono la risurrezione e la vita: Le parole «e la vita» (kai he zoe) non compaiono in alcuni importanti manoscritti (P45, Vetus Latina [Vercellensis], Siriaco Sinaitico, Cipriano e in
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alcuni testi di Origene). Brown, Gospel 1�425, sostiene che l'omissione è più difficile da spiegare che l'aggiunta. Barrett, Gospel 396, ritiene che il testo più breve sia l'originale ma aggiunge che «fa poca differenza per quanto riguarda il senso». Ma questo non è vero, visto il peso dato alla parola «vita» (zoe) nei vv. 25b-26. Sull'uso del termine vedi Dodd, lnterpretation 364-365; Stimpfle, Blinde Sehen 109. 26. chiunque vive: I commentatori non sono concordi riguardo al significato del termine «vivere>> usato qui (per una sintesi vedi Beasley-Murray, fohn 190-191). Si riferisce al la vita spirituale o a quella fisica? Siamo ancora in presenza della fusione dell'escato logia realizzata con quella tradizionale già incontrata in 5,24-29 (cf anche 6,40.54). La gente muore fisicamente (11,25b), ma la fede in Gesù garantisce una vita che trascen de la morte. Così Gesù insiste che la fede in lui produce una vita spirituale sia adesso che nell'aldilà. Qui, come in 5,24-29, emerge il problema della vita e della morte fisica in una comunità che era convinta di avere già ricevuto il dono della «vita». Vedi Stimp fle, Blinde Sehen 111-116; Schneiders, «Death in the Community» 46-52; Stibbe, «A Tomb with a View» 50-54; Martin, «History and Eschatology» 332-343; McNeil, «The Rai sing» 269-275; Moule, «The Meaning of "Life"» 114-125. Per il rapporto tra Giovanni 11 e 5,21-29 vedi Neyrey, An ldeology of Revolt 81-92. Per Neyrey il cap. 11 dimostra le ri vendicazioni di 5,21-29 e rende Gesù uguale a Dio. 27. io credo [ho creduto]: Il perfetto ha tutto il suo valore (vedi 8,31, dove è usato allo stesso modo un tempo passato). Vedi BDF 175-176, § 340. La maggior parte dei commentatori o non notano il tempo del verbo o lo spiegano come un uso caratteristico di pisteuein nel Quarto Vangelo (es.: Barrett, Gospel 396). La nostra interpretazione non accetta que sto punto di vista, sostenendo che pepisteuka è un autentico perfetto che indica che Marta era giunta alla fede che esprime in questo versetto prima delle parole di Gesù ri guardo alla risurrezione e la vita nei vv. 25-26. Questo spiega anche perché non venga fatto nessun accenno all' autorivelazione di Gesù. Quella è una cosa nuova, ma Marta si vanta di essere già approdata alla fede e perciò non ne tiene conto. tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che deve venire nel mondo: La posizione adottata nel l'interpretazione, che cioè la confessione di fede di Marta rispecchia l'aspettativa mes sianica contemporanea e perciò è al massimo parziale, non rappresenta l'opinione di maggioranza. Anzi, da molti può essere considerata una «devianza». Schnackenburg, Gospel 2,328, e Lindars, Gospel 396, considerano le parole di Marta il culmine teologico . del capitolo, e Bultmann, Gospel 404, vede in esse un'espressione di autentica fede gio vannea. Per Brown, «Roles of Womert» 693-694, e Schneiders, «Women in the Fourth Gospel» 41, Marta è preferita a Pietro come la persona che fa la più alta confessione di fede. Per Scott, Sophia 199-206, la confessione di Marta è «insieme pienamente giovan nea e ... coerente con il modo di presentare Gesù quale la Sophia incarnata». E l'elen co potrebbe continuare (es.: Barrett, Beasley-Murray, Becker, Brodie, Carson, Gnilka, Haenchen, Kremer, Lagrange, Marchadour, Marsh, Rochais, Schnelle, Segalla, Stibbe, van Tùborg). Gli studiosi ricercano le origini della confessione in un credo primitivo (cf Barrett, Gospel 397) e pensano perfino che fosse una confessione battesimale (cf Giin ther Bornkamm, «Das Bekenntnis im Hebraerbrief», Studien zu Antike und Urchristen tum: Gesammelte Aufsiitze Band II, BEvTh 28, Kaiser, Miinchen 1959, 191-192 n. 8). È il contesto giovanneo che deve avere la precedenza (come fa, ad esempio, in Lee, Symbo lic Narratives 205-206), non l'uso che delle parole di Marta s'è fatto in qualche credo più tardivo. 28. di nascosto le disse: Brown, Gospel 1,425, pensa che si tratti di un «sussurro discreto» per tenere la presenza di Gesù nascosta a «i Giudei». Kremer, Lazarus 71, collega la cosa al l' esclusione della chiesa giovannea dalla sinagoga. Può anche essere un indice che il ruolo di Marta nel racconto sta diventando secondario.
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andò a chiamare Maria, sua sorella: È detto che è Marta che «chiama» (ephonesen), ma è la «chiamata» (phone) di Gesù che è decisiva (cf l'interpretazione).
Il Maestro è qui: Sull'uso di didaskalos come una confessione imperfetta di fede vedi Moloney, Beliefin the Word 67-68, 108-109. Naturalmente è la traduzione greca di «Rab bi», che è il termine sempre usato quando si parla di Gesù in un contesto di fede limi tata (cf 1,38.49; 3,2; 4,31; 6,25; 9,2; 11,8). Dopo avere interpretato il v. 27 nel senso di una adeguata confessione di fede giovannea Barrett, Gospel 397, ammette che «la de scrizione è sorprendente dopo gli eccelsi termini di confessione di fede di Marta (v. 27)». È meno sorprendente se il v. 27 è lasciato nel suo contesto teologico e letterario giovanneo. 29. si alzò subito e andò da lui: L'interpretazione positiva di Maria, in contrasto con la fede imperfetta di sua sorella, va di nuovo contro la stragrande maggioranza dei commen tari a questo passo. Vedi, ad esempio, Brown, Gospel 1,435: «Questa scena non fa avan zare l'azione; il v. 34 potrebbe facilmente far seguito al v. 27, e nessuno se ne accorge rebbe». Rochais, Les récits 143, considera le parole di Maria «un riempitivo». L'elenco potrebbe continuare; ma questa tesi fraintende la strategia narrativa dell'autore. Come si deve prendere allora il v. 2, e poi 12, 1-8? Schneiders, « Women in the Fourth Gospel» 41-42, e Culpepper, Anatomy 140-142, presentano Maria come un discepolo modello sulla base di 12,1-8; ma 11,2.28-37 sono elementi cruciali per l'interpretazione di 12,1-8. Gli studi storici tendono a ignorare il v. 2. Vedi, ad esempio, Schnackenburg, Gospel 2,333: «Maria così dà l'impressione di non essere altro che una lagnona». Schnacken burg ha già deciso (2,322) che il v. 2 è una chiosa. 31. pensando che andasse a piangere al sepolcro: Alcuni manoscritti (es.: P", Alessandrino, Ko ridethi) al posto di «pensando» (doxazontes) hanno «dicendo» (legontes). Il senso di espressione interna dell'opinione comune e di un comportamento previsto deve es sere mantenuto per motivi sia testuali che narrativi. Come osserva Schnackenburg, Gospel 2,334: «Ci si aspetta che Maria dia sfogo al suo dolore e vada a piangere al se polcro». 32. si gettò ai suoi piedi: Anche se vengono usati verbi diversi, l'atto del cieco dalla nascita e quello di Maria è lo stesso. Entrambi si prostrano davanti a Gesù in un atto di fede. L'azione di Maria non è, come afferma Byme, Lazarus 56, «la quintessenza dell'emo zione». Ugualmente inaccettabile è il giudizio di Brodie, Gospel 386, secondo cui Mar ta si leva al di sopra dell'amarezza mentre Maria affonda in un pianto incontrollato. Signore, se tu fossi stato qui, miofratello non sarebbe morto: Questa osservazione di Maria indica la sua accettazione della presenza di Gesù e non procede a parlare dell'accesso privilegiato a Dio che fa di Gesù un operatore di miracoli. Questo rende le parole ri volte da Maria a Gesù superiori a quelle di Marta e non «un discorso povero e tronca to rispetto a quello di Marta» (Byme, Lazarus 56). 33. quando lGesù] la vide piangere: La presentazione del pianto di Maria è improvvisa, come lo è la sua associazione con «i Giudei» che l'hanno seguita pensando che andasse a piangere al sepolcro. La pecca di Maria è quella di aver distolto la sua attenzione da Gesù per darsi al pianto associato alla morte di Lazzaro. Ma gli avvenimenti di Beta nia non devono essere considerati fine a se stessi. Vedi Wuellner, «Putting Life Back»
114-132. si commosse profondamente nello spirito e molto turbato: L'uso del verbo embrimasthai è stato causa di alcune varianti nella tradizione testuale e di accese discussioni fra gli stu diosi. ll verbo è associato alla collera e nella sua forma giovannea è reso ancora più for te dall'aggiunta di un prefisso. Il significato fondamentale del verbo è quello di espri mere visibilmente la propria collera, ad esempio con uno sbuffo o con qualche altro ge sto simile. Nel caso di Gesù viene represso internamente dall'aggiunta «nello spiri-
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to». Le espressioni en pneumati («nello spirito») nel v. 33 e en heauti) («in se stesso») nel v. 38 sono parallele. Non c'è alcun riferimento allo «Spirito», ma si tratta piuttosto di una profonda esperienza interna e spirituale. Riguardo al verbo vedi LSJ 330, 540. Ve di anche la rassegna sul suo uso nella letteratura classica in Lindars, «Rebuking the Spi ri t» 92-96. Il dibattito è imperniato attorno all'apparentemente impossibile ritratto del la collera di Gesù quando si trova davanti alla perdita di Lazzaro e alle conseguenti la crime delle sue sorelle e de «i Giudei». Perché Gesù dovrebbe essere così arrabbiato? Per alcune panoramiche della discussione vedi Lagrange, Evangile 303-305; Brown, Gospel 1,425-426; Barrett, Gospel 398-400; Moloney, Signs and Shadows 166-168. Non c'è alcun bisogno di ricorrere a un ammorbidimento del contesto suggerendo che Gesù si commuove per simpatia verso quelli che soffrono. Barrett, Gospel 398, giustamente re spinge i suggerimenti che Gesù sia in collera per l'ipocrisia de «i Giudei». Lindars, «Rebuking the Spirit» 97-104, propone che in una fonte giovannea (parallela agli esor cismi dei sinottici: cf Mc 1,43; 9,25-29) originariamente Gesù sgridava gli spiriti im mondi. In Giovanni non sono i demoni che sono vinti ma la morte. Nell'adattare la fonte al suo contesto presente, l'uso che Giovanni fa del verbo embrimasthai è condi zionato dall'uso di tarasso e perciò viene a significare «scosso emotivamente». Secon do la nostra interpretazione è l'associazione di Maria con «i Giudei» e il loro pianto che crea il problema. In alcuni manoscritti si è cercato di attenuare l'idea di collera con l'aggiunta di un «come se» davanti al verbo (es.: P45.66, Beza). Black, Aramaic Approach 240-243, afferma che i due verbi greci enebrimesato e etaraxen traducono la stessa espres sione aramaica che significa «essere fortemente scosso o commosso». 34. vieni a vedere!: Questa espressione ricorda l'uso provocativo che Gesù fa delle stesse pa role in 1,39. Lightfoot, Gospel 233, attribuisce al fatto molta importanza facendo nota re il contrasto tra l'invito di Gesù (1,39) e l'invito degli uomini (11,34). La ripetizione è probabilmente casuale. 35. Gesù scoppiò in pianto: Questo è l'unico punto nel NT in cui compare il verbo dakryD. D sostantivo dakryon compare in Eb 5,7 (significativamente nel passo che parla delle al te grida e lacrime di Gesù). 38. si recò al sepolcro; era una grotta: Il termine generico per sepolcro (mnlmeion) è ulterior mente specificato aggiungendo che si tratta di una grotta (spelaion). Questo tipo di se poltura era molto diffuso nella Palestina del primo secolo. 39. Togliete la pietra: Nel caso della risurrezione di Lazzaro è necessario che venga dato quest'ordine. Nel giorno della risurrezione di Gesù Maria Maddalena troverà la pietra già tolta di mezzo (cf Kremer, l.Azarus 75; Byrne, Lazarus 63). manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni: Se, come quasi tutti i commentatori sosten gono, Marta giunge all'autentica fede giovannea nel v. 27, c'è una palese contraddi zione nella sua risposta al comando di Gesù nel v. 39b. È questa la risposta che ci si aspetta da qualcuno che crede che Gesù è la risurrezione e la vita (cf vv. 25-26)? Molti esegeti si danno un gran da fare a mettere d'accordo il v. 27 con queste parole di Mar ta. Vedi, ad esempio, Lindars, Gospel 399-400; Rochais, Les récits 144; Kremer, Lazarus 75. Alcuni si limitano a sorvolare la contraddizione (es.: Barrett, Gospel 402; Beasley-Mur ray, fohn 184). Altri (es.: Bultmann, Gospel 407 n. 7; Wilcox, «The "Prayer" of Jesus» 128-129) l'attribuiscono alla confusa combinazione di diverse fonti. 40. vedrai la gloria di Dio: Per l'interpretazione di doxa tou theou data da noi vedi Moloney, Belief in the Word 55-57. Tutti i presenti constateranno gli avvenimenti, ma solo il cre dente vedrà la doxa. Gli esegeti in generale non vedono nel v. 40 un invito a una fede più grande, come abbiamo fatto nella nostra interpretazione, ma una promessa (es.: Kremer, Lazarus 76). 41. Padre, ti rendo grazie: Wilcox, «The 11Prayer" of Jesus» 130-132, dubita perfino che que-
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sta sia una preghiera e ritiene che abbia le sue origini nell'uso pregiovanneo di LXX Sal
117,21. 42. Io sapevo che mi dai sempre ascolto: C'è un abisso tra questa preghiera e la convinzione di Marta che qualunque cosa Gesù chieda a Dio, perfino adesso, Dio gliela concederà (v. 22). La preghiera di Gesù è espressa in termini del rapporto esistente tra se stesso co me Figlio e Inviato del Padre (vv. 41b-42). Questo completa l'affermazione ego eimi del v. 25 ma trascende la fede di Marta in Gesù quale Messia, Figlio di Davide, Figlio di Dio e colui che deve venire del v. 27. 43. gridò a gran voce: Questa è la seconda volta che la «voce» (phone) di Gesù riceve una ri sposta positiva (cf vv. 28-29.43-44). Per la promessa di Gesù che la voce del Figlio ri sveglierà i morti dai loro sepolcri vedi 5,25.28. La risurrezione di Lazzaro è un adem pimento profetico di quella promessa. 44. Il morto uscì: Spesso viene fatto giustamente notare che il miracolo è una ripetizione parabolica dell'autorivelazione di Gesù nei vv. 25-26. Vedi, ad esempio, Dodd, Inter pretation 366-367; Byme, Lazarus 65. i piedi e le mani legati con bende: Non c'è bisogno di porsi il problema di come una per sona così legata potesse camminare, come fanno Hoskyns, Gospel 475, e Bultmann, Go spel 409. Secondo questi, c'è un «miracolo dentro il miracolo» (Hoskyns). Per la di scussione patristica su questo punto vedi Bauer, folulnnesevangelium 154. i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario: Tra i tanti che hanno nota to il legame tra le bende sepolcrali nella risurrezione di Lazzaro e le bende sepolcrali nella risurrezione di Gesù vedi Byrne, Lazarus 64-65; Reiser, «The case of the Tidy Tomb» 47-57; Osbome, «A Folded Napkin» 437-440. Sovente viene fatto giustamente notare che le bende di Lazzaro sono un segno che egli andrà poi incontro a una morte definitiva. Liberate/o e /asciatelo andare: È degno di nota il fatto che il miracolo non sia acc'ompa gnato da strascichi domestici. Questi sono stati omessi per tenere l'attenzione com pletamente incentrata sul significato degli eventi ad un livello più profondo, come è già stato indicato nei vv. 4 e 40. Altri elementi saranno aggiunti nei vv. 45-54. 45. che erano venuti da Maria: Il greco hoi elthontes pros Mariam si riferisce a «i Giudei» che erano andati a fare le condoglianze a Marta e a Maria nel v. 19, non a quelli «che erano venuti con lei» (v. 33), a quelli cioè che avevano accompagnato Maria da Gesù e poi al sepolcro (vedi RSV). 46. andarono dai farisei: Non c'è bisogno di considerare «i Farisei» un gruppo ufficiale, il che sarebbe storicamente errato. Vedi Barrett, Gospel 405. 47. riunirono il sinedrio: Il sinedrio era il consiglio direttivo-esecutivo e la corte suprema della nazione giudaica. Lo scenario descritto da Giovanni presenta difficoltà storiche che possono essere risolte se si tiene presente ciò che Giovanni intende per «i Giudei» (cf Introduzione). In questo contesto il sinedrio è l'assemblea di quelli («i Giudei») che sono schierati contro Gesù nel ruolo del Cristo, rivelazione di Dio. Per una discussio ne più approfondita vedi Grundmann, «The Decision of the Supreme Court» 297-298. Che cosafacciamo?: Anche se molti interpretano l'espressione al futuro: «Cosa faremo?» (es.: Schnackenburg, Gospel 2,347; NRSV), la domanda è al presente: ti poioumen ? Que sto dà al seguente hoti il significato di «perché». Vedi Barrett, Gospel 405. Bauer, ]ohan nesevangelium 155, pensa che la domanda, con una punta d'ironia, si aspetti una ri sposta: «Niente!». 48. verranno i Romani e distruggeranno il nostro Tempio e la nostra nazione: Sul delicato equi librio politico, religioso e sociale che era in gioco vedi Grimm, «Die Preisgabe» 135. Co me viene normalmente fatto notare, questa scena sostituisce il processo sinottico da vanti alle autorità giudaiche.
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I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
il nostro luogo sacro [il Tempio]: L'espressione ho topos («il luogo))) sta per il Tempio (cf 4,20; Mt 24,15; At 6,13; 21,28), così intimamente associato all'esistenza d'Israele come nazione (cf Cilia, La morte di Gesù 21-31). È presente una certa ironia, che sarà più mar cata nelle parole di Caifa che seguono. Robinson, Priority 70, 227, non coglie questo aspetto, ma considera queste parole come un'indicazione che al tempo della stesura del Quarto Vangelo il Tempio era ancora intatto. Ma ironicamente è esatto l'opposto. Per alcuni commentatori (in particolare Bamrnel, «Ex illa itaque)) 20-26), i capi de «i Giudei» sono preoccupati non tanto per la distruzione quanto piuttosto per la perdita della loro autorità perché i Romani «distruggono» la base del loro potere. 49. Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno: n sommo sacerdote veniva eletto a vita, non per un anno. Per una rassegna delle discussioni su questa strana affermazione vedi Beas.;. ley-Murray, fohn 197-198. Alcuni (es.: Becker, Evangelium 368-369; Bammel, «Ex illa ita que» 38-39) pensano che esisteva qualche situazione particolare che contrassegnava «quell'anno». Ma la soluzione più probabile è una interpretazione che risale a Orige ne (cf Lagrange, Evangile 314), secondo cui «Caifa era sommo sacerdote in quel me morabile anno della passione di nostro Signore» (Barrett, Gospel 406). 50. è conveniente per voi: Ironicamente la «convenienza» viene proprio dall'effetto salvifico della morte di quest'unico uomo (cf Duke, Irony 87-89). Questo opportunismo politi co è descritto molto bene nel ritratto che fa Giuseppe dei sacerdoti (cf Grimm, «Die Preisgabe» 134-141). per voi: Qui c'è una certa confusione nella tradizione testuale. Non è chiaro se Caifa in tenda dire «per voi» (hymin: es.: P'5.66, Vaticano, Beza e alcuni manoscritti della Volga ta) o «per noi» (hemin: es.: Alessandrino, Koridethi, Freer Gospels, Parigi, Leningrado). ll Sinaitico omette il pronome. Le testimonianze esterne leggermente superiori e la po sa pi superiorità assunta da Caifa (evidente nel suo sprezzante hymeis del v. 49) fanno preferire la lettura hymin. che un solo uomo muoia per il popolo: Esistono diversi testi (2 Sam 20,22; Gio 1,12-15; Gen. Rab. 90,9; Sam. Rab. 32,3; Qoh. Rab. 9,1 8,2) che vengono regolarmente citati come pre cedenti per l'idea di una persona che muore per la nazione (cf Bauer, ]ohannesevan gelium 156; Bammel, «Ex illa itaque» 26-32). Barker, «John 11 .50» 41- 46, vede un lega me tra le parole di Caifa e le aspettative messianiche contemporanee. I vari paralleli ad dotti in favore di questa interpretazione sono tutti o troppo tardivi o riguardano au tentici malfattori. Per l'idea che dietro le parole di Caifa si celi il culto dei martiri mac cabei vedi Grimm, «Die Preisgabe» 140-141. Su questo culto vedi la cosiddetta lettera tura maccabea (in parte alquanto tardiva [4 Maccabei] e forse datata al 40 d.C.). Sul l'antichità e l'importanza del culto di questi martiri vedi E. Bammel, «Zum jiidischen Martyrerkult» 79-85. muoia per il popolo: Per Israele come nazione sono usati due termini diversi: laos, detto del popolo eletto, e ethnos, con riferimento allo stato civico. Painter, «The Church and Israel» 103-112, giustamente osserva che i due termini rappresentano l'Israele tradi zionale, dissentendo da Pancaro, «"People of God"» 114-129, e «The Relationship» 396-405, il quale sostiene che laos si riferisce al Nuovo Israele, la Chiesa. Il passo nel suo insieme effettivamente si sposta dalla singola nazione a un popolo universale, ma è im perniato sull'ethnos dei vv. 51-52 anziché sul laos. 51. essendo sommo sacerdote in quell 'anno profetizzò: Per il sommo sacerdote nella veste di profeta vedi Dodd, «The Prophecy of Caiaphas» 63-66; Peter Schafer, Die Vorstellung vom Heiligen Geist in der rabbinischen Literatur, StANT 29, Kosel, Miinchen 1972, 135-139. Vedi anche Giuseppe, Guerra 1,68-69; Ant. 6,115-116; 13,282-283, 299; Filone, Spec. leg. 4,191-192. 52. e non soltanto per la nazione: Al termine ethnos viene attribuito un significato più ampio,
U n a r i s u r r e z i o n e c h e p o r t e rà
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universalistico. Painter, «The Church and Israel» 112, è troppo restrittivo, ammetten do come ecclesiali solo le immagini di Giovanni 10 e 15. Come con molta convinzione sostiene Brown, Gospel 1,443, il v. 52 presenta non soltanto l'universalità della salvez za ma anche la sua natura comunitaria. È vero che Giovanni non nomina «la Chiesa», ma i figli di Dio che sono dispersi devono essere radunati per formare un solo popolo
(synagag� eis hen). per riunire insieme ifigli di Dio che erano dispersi: Esistono validi paralleli nell' AT e nella letteratura giudaica in appoggio all'idea che le parole di Gesù potrebbero semplice mente riferirsi al radunare insieme gli Israeliti dispersi (cf Barrett, Gospel 407) . Vedi anche Beutler, «Two Ways of Gathering» 403-404. Léon-Dufour, Lecture 2,431-432 (cf anche Brown, Gospel 1,439) nota una sottile ironia tra la riunione del sinedrio (v. 47) e la riunione che Gesù fa dei dispersi (v. 52). Vedi anche Beutler, «Two Ways of Gathe ring» 399- 402. BIBLIOGRAFIA
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Il Va n g e l o d i G io v a n n i
L'ora del Figlio dell'uomo (vv. 23-30) . I l tema del «radunare», emerso già in 10,15-16, è sviluppato in modo drammatico quando Gesù risponde alla richie sta dei Greci di vederlo. È venuta l'ora! L'aspettativa creata dall'ora che non .era ancora giunta (cf 2,4; 7,6.8.30; 8,20) si è risolta. Il «radunare» quando scoc ca l'ora di Gesù è anche glorificazione del Figlio dell'uomo. L'ora è venuta ed è ancora presente: il verbo è al perfetto (elelythen). Il Figlio dell'uomo è già sta to associato all'innalzamento (cf 3,14; 8,28), all'autodonazione di Gesù, come ri velazione di Dio (cf 6,27.51c-53). Gesù è vicino al tempo della sua uccisione, ma l'ora della sua morte è il suo innalzamento, la sua esaltazione, la sua glori ficazione, il dono di sé per la vita del mondo, il momento della tiunificazione (cf Moloney, Son ofMan 176-181). L'eloquente immagine del grano di frumento che rimarrà infruttuoso se non muore quando cade in terra descrive ulteriormente la morte di Gesù e il tema del «radunare» ne costituisce lo sfondo (v. 24), ma presenta anche altre ramifi cazioni, poiché non coincide interamente con le precedenti presentazioni del l' ora di Gesù. Il seme deve «cadere nella terra» (peson eis ten gen) per poter por tare frutto, ma la morte di Gesù è stata descritta come un «innalzamento». In un passo estremamente denso di significato l'uso dell'immagine del «cadere» per parlare della sua morte consente a Gesù di associare tutti i presenti alla sua fruttuosa autodonazione (vv. 25-26). Quelli che vogliono giungere alla vita eter na devono, come lui, essere disposti a rinunciare alla propria vita in un atto di autodonazione (v. 25). E questa autodonazione è qualcosa che va perfino oltre la generosità. Il discepolo di Gesù è chiamato a capovolgere l'atteggiamento de gli avversari di Gesù che non sono capaci di accettare la rivelazione del Padre in e per mezzo di Gesù. Non sono capaci perché tengono a denti stretti ciò che hanno: amano la propria vita (v. 25a: ho philon ten psychen autou). Fanno un as soluto di ciò che ha da offrire questo mondo (v. 25b: en ti) kosmi) touti)), e perciò perdono la vera vita. Chi è disposto a rinunciarvi, a odiare questa vita (ho mison ten psychen autou), ha la vita eterna (zen aionion): una vita totalmente appagan te sia qui che nell'aldilà (cf Beardslee, «Saving One's Life» 57-62). Il discepolo deve essere dove è Gesù, e ivi l'autodonazione nell'amore è un elemento de terminante. Il seguace è il servitore e deve trovarsi là dov'è il suo Signore (v. 26ab). Ma anche in questo caso c'è ancora di più nel rapporto che esiste tra Ge sù e un discepolo. Gesù indica il Padre e informa i suoi ascoltatori che il servi zio reso a lui, guardando oltre gli assoluti di questo mondo, essendo là dove è lui, cadendo in terra e lasciando perdere gli assoluti imposti da «questo mon do», non solo porterà molto frutto ma anche farà sì che il servo sia onorato dal Padre. Tutti i paradigmi conosciuti dei rapporti tra servi e padroni vengono infranti dal fatto che il seguace di Gesù sarà onorato dal Padre di Gesù. Gesù ripensa alla propria situazione e si rende conto del terrore che prova adesso che la sua ora lo sovrasta (v. 27a; cf Mc 14,34). L'uso di «ora» (nun): «Ora l'anima mia è turbata», lega questa angoscia all' «ora» del v. 23. L'ora dell' esal tazione è anche l'ora della sofferenza. Gesù chiede al Padre di fargli superare quest'ora in modo sicuro (v. 27b ). La sua vita è stata una continua accettazione della volontà del Padre per portare a compimento il compito affidatogli dal Padre (4,34; 5,36). Adesso che l'ora è giunta (v. 23) Gesù non ha alcun dubbio
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che il Padre lo aiuterà a superarla. L o scopo stesso della presenza rivelatrice di Gesù è stato sempre determinato e guidato dall'ora che adesso lo sovrasta (v. 27c). In parallelo con la sua preghiera al Padre di fargli attraversare con suc cesso quest'ora, Gesù chiede inoltre che il nome del Padre sia glorificato (v. 28a) . Per quanto centrale possa essere la storia di Gesù, questa è interamente subordinata al Padre: il Padre lo guida sicuramente attraverso l'ora (v. 27b) e il nome del Padre deve essere glorificato (v. 28a). Alla preghiera di Gesù fa eco «la risposta del Padre» (Schnackenburg, Gospel 2,387). Una voce dal cielo inter preta tutto ciò che è accaduto finora nel racconto e tutto ciò che deve ancora ac cadere. In tutto il suo ministero Gesù con le sue parole e le sue opere ha glori ficato il Padre (v. 28ca: edoxasa). Coloro che hanno creduto hanno visto la rive lazione della doxa (2,11; 9,3; 11,40), ma l'ora è venuta (v. 23) e queste parole e questi avvenimenti appartengono al passato. Ancora molto deve accadere, as sociato al coronamento dell'ora, e tutti questi eventi continueranno a glorifica re il nome di Dio (v. 28cb: palin doxaso). Le parole di Gesù (v. 23) e la voce dal cielo (v. 28c) vengono fraintese. La gente tra la folla si chiede che genere di rumore sia quello che tutti hanno udi to. Era un fenomeno naturale o un angelo (v. 29)? Il mistero di Gesù può esse re compreso solo da coloro che sono disposti ad accettare che egli è da Dio (cf 1,1-5) e che la sua storia è determinata dalle sue origini e dalla sua permanen te unione con Dio (cf 1,18; 3,13; 6,62; 8,23). Ma le spiegazioni che la folla dà del le origini del suono la collocano tra quelli che amano, anziché odiare, le attrat tive di questo mondo (cf v. 25). Gesù spiega alla folla che la voce dal cielo ha parlato per loro, a causa della loro fragilità. Ricordando la sua preghiera per la gente radunata attorno al sepolcro di Lazzaro (11,42), Gesù fa notare che lui non ha bisogno di assicurazioni dall'alto, ma che la folla ha bisogno di qualco sa per poter essere indotta a credere in Gesù. La voce è venuta per loro (di'hy mas), non per Gesù (ou di' eme). Devono arrivare a credere che l'unica spiega zione per l'ora della glorificazione del Figlio dell'uomo (v. 23), del seme che deve morire nella terra per poter portare molto frutto (v. 24), deve venire dal l'alto (v. 30). Il giudizio del mondo e l'innalzamento di Gesù (vv. 31 -36a). Un secondo mo mento di rivelazione comincia con l'annuncio da parte di Gesù del giudizio contro il mondo (v. 31: nun krisis estin tou kosmou). L'«ora» del v. 31 è stretta mente legata all' «ora» della glorificazione del Figlio dell'uomo che ha dato il via al primo momento di rivelazione nel v. 23. Il tema di Gesù come rivelazio ne di Dio che mette il mondo sotto giudizio è già stato trattato in diverse oc casioni in tutto il ministero di Gesù (cf 3,19; 5,22.24.27.30; 8,16). La presenza di Gesù comporta necessariamente un giudizio, e l'ora della glorificazione del Figlio dell'uomo è il momento culminante di giudizio per il principe di questo mondo. In se stesso il mondo è neutro, ma può essere reso fine a se stesso (cf 7,7; 8,23), schiavo del principe di questo mondo (ho archon tou kosmou toutou). L'ora del Figlio dell'uomo segna la scacciata (ekblethesetai exo) di questo prin cipe. Qui è in gioco un'unica forza: un principe del male che attira «il mondo» nella prigione di questo mondo, che esso cerca di controllare e di capire. Ma nel racconto giovanneo c'è dell'altro ancora. In tutto il tempo che Gesù è stato pre-
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sente in mezzo a loro, «i Giudei» hanno fatto degli assoluti della loro culhtra, storia e religione il principio determinante del loro mondo. Non hanno mai accettato la rivelazione fatta da Gesù di un altro mondo. Così l'archon tou kosmou ha dei rappresentanti in carne ed ossa. Gli unici archontes che sono ap parsi nel racconto sono stati i capi de «i Giudei» (cf 3,1; 7,26.48). Gesù si rivol ge appunto a costoro quando annuncia che l'ora della glorificazione del Figlio dell'uomo è l'ora del giudizio di questo mondo e che il giudizio degli archontes ha subito un capovolgimento. In termini mitici, la lotta tra la luce e le tenebre ha luogo adesso (cf vv. 23.27.32), ma le tenebre non possono sopraffare la luce (cf 1,5) ; sono invece giudicate e gettate fuori (v. 31). Questa lotta è combattuta nella vita di Gesù e anche nella vita della comunità giovannea, ma «i Giudei» sono incapaci di accettare il fatto che la vera libertà consiste nell'accettazione della rivelazione di Dio in e per mezzo di Gesù (cf 1,3c-4; 8,31-32). Questo li rende schiavi dell'archon tou kosmou toutou, il cui dominio adesso sta per giun gere al termine. In contrasto con il principe sconfitto di questo mondo, Gesù, quando sarà innalzato da terra (ean hypsotho ek tes ges), attirerà tutti a sé (v. 32). La morte di Gesù radunerà molte pecore in un solo ovile (10,15-16). Sarà la morte per una nazione, e non solo per una nazione, ma per radunare insieme i figli di Dio di spersi nel mondo (11,50-52). Molti Giudei già credono in lui (12,11), tanto che i Farisei si lamentano che il mondo intero va dietro a lui (12,19). È venuta la sua ora e la sua morte fruttuosa (vv. 23-24). Nell'essere innalzato da terra, che è nel contempo un «innalzamento» fisico e un momento di esaltazione, Gesù at tirerà tutti a se stesso (v. 32). Come nella precedente rivelazione è intervenuta una voce dal cielo a spiegare le parole di Gesù, così qui il narratore osserva: «Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (v. 33). L'ora di Gesù, la glorificazione del Figlio dell'uomo, l'innalzamento e il raduno dei di spersi, tutto è associato alla crocifissione di Gesù: una morte per innalzamen to su un palo come Mosè nel deserto ha innalzato un serpente sull'asta di una lancia (3,14). «l Giudei» non si lasciano smuovere. Non sono disposti ad ascoltare Gesù perché essi «sanno» (v. 34a: «abbiamo appreso>>) che Dio ha parlato per mezzo di Mosè (cf 9,24.29.31). La loro Legge dichiara che il Messia deve rimanere in eterno (cf LXX Sal 88,37). Perciò essi rifiutano la rivelazione di Gesù chiedendo: «Come puoi tu dire (legeis su) che il Figlio dell'uomo deve essere innalzato? Chi è questo (houtos) Figlio dell'uomo?>> (12,34b). Il pronome su e il pronome relativo houtos rendono chiara la loro puntualizzazione: un Messia giudaico non può essere innalzato. Gesù fa un ultimo tentativo di riportare «i Giudei» dentro il proprio mondo, ma ha il tono di un avvertimento. Ricorda le parole dette in precedenza quando si è rivelato come la luce del mondo (cf 8,12) per in sistere sulla irripetibilità del momento che hanno a disposizione. Essi avranno la luce ancora per poco tempo (v. 35a; cf 7,33; 9,4; 11,9). Dovrebbero affrettarsi a camminare finché hanno la luce, perché quelli che camminano al buio per dono la strada (cf 9,4; 11,10) e non sanno dove vanno (v. 35b). Se vogliono cam minare nella luce devono «credere nella luce». Questa è l'unica strada che por ta alla vita e alla luce (v. 36b ). Anche la precedente autorivelazione di Gesù
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quale «la luce del mondo» (8,12) era aècompagnata da un ·avvertimento: «Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati» (8,24). Da quell'incontro in occasione della celebrazione dei Tabernacoli è accaduto ben poco che indichi un cambiamento di mentalità tra «i Giudei». Alcuni sono rimasti meravigliati del suo potere taumaturgico (cf 11,21 .37.45.47; 12,9-11.12.17). Ma, chiusi come sono nella loro prigione di «que sto mondo» (cf 12,15.31) e della Legge (cf 12,34), c'è poca speranza che «i Giu dei» credano nella luce che si trova in Gesù (cf 1,4-5; 8,12; 9,5; 11,9-10). Partenza definitiva di Gesù (v. 36b). Dette queste cose, Gesù abbandona la sce na e si nasconde (v. 36b ). Quest'ultima partenza è caratterizzata dal suo fermo proposito di nascondersi (ekrybe ap'auton). In altre occasioni Gesù ha lasciato la scena per andare in altri luoghi in compagnia di qualcuno (cf 3,22-25; 4,43-45; 7,1; 8,59; 10,40-42; 11,54). Quando il suo ministero sta per concludersi scompa re, da solo, e si nasconde a «i Giudei» in qualche luogo sconosciuto. Una luce te nuta nascosta non può più dirigere i passi del viandante (cf v. 35). La storia del ministero pubblico di Gesù è giunta al termine. La prossima volta che compa rirà in pubblico sarà per essere sollevato da terra su una croce (18,1-19,16). «l Giudei» troveranno poi Gesù nell'orto del Getsemani quando vanno a cercar lo con torce e lanterne (18,3). NOTE
55. per purificarsi: È usato i l termine tecnico per la purificazione rituale (agnizein). Vedi an che At 21 ,24.26; 24,18. Vedi F. Hauck, TDNT 1 :123. 57. i capi dei sacerdoti e ifarisei: Questa combinazione storicamente improbabile è usata dal narratore per indicare i capi de «i Giudei». Vedi anche 7,32.45; 11,47. Sul carattere gio vanneo di questa combinazione vedi Tsuchido, «Tradition and Redaction» 610. 12,1. Sei giorni prima della Pasqua: Non è necessario attribuire un significato simbolico ai «sei giorni». Data l'indicazione che la celebrazione della festa «era vicina» in 11,15, so no richiesti alcuni giorni in cui far rientrare gli avvenimenti di 12,1-36, l'incontro tra Gesù e i discepoli di 13,1-17,26 e i racconti del processo, crocifissione e sepoltura di Ge sù di 18,1-19,42. Gesù muore nel «giorno della Preparazione» (19,31). dove si trovava Lazzaro: I riferimenti a Lazzaro nei vv. 1-2 sono alquanto insistenti, il che ha portato ad alcune varianti testuali e al sospetto che si tratti di chiose. Vedi la di scussione in merito in Barrett, Gospel 410-411. La collocazione di questi riferimenti, vi sta assieme agli accenni a Lazzaro nei vv. 9-11 e 17-19 per inquadrare l'entrata di Gesù a Gerusalemme, fa pensare che l'autore abbia voluto legare assieme 11,1-12,36. Laz zaro è importante ai fini di entrambi i capitoli. 2. fecero per lui una cena: Il verbo «fecero» (epoièsan) è senza soggetto. È possibile che la ce na sia stata preparata da qualcun altro e che Lazzaro, Marta e Maria siano stati tra gli invitati. Questo tuttavia è molto improbabile, visto il contesto e il fatto che Marta ser viva a tavola. Marta serviva: Scott, Sophia 212-214, legge troppe cose in questa indicazione. Secondo lui questo è segno che Marta continua a rispondere da perfetto discepolo alla rivela zione di Gesù come la Sophia incarnata. 3. Maria ... cosparse [di profumo] i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli: Una scena parallela è riferita da tutti e tre i vangeli sinottici (cf Mc 14,3-9; M t 26,6-13; Le 7,36-50). Il rapporto letterario tra queste storie di unzione nella tradizione sinottica è proble-
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matico. È certo che il Quarto Vangelo attinge a una tradizione in qualche modo legata a quella dei sinottici, ma è difficile poter stabilire una dipendenza letteraria diretta sia dal racconto di Marco sia da quello di Luca. Qui l'episodio è del tutto condizionato dal suo contesto giovanneo. Per la discussione in merito vedi Moloney, Son ofMan 164-166. L'attenzione prestata ai piedi di Gesù è specifica di questa tradizione; Lindars, Gospel 41 6-417, la vede come un gesto di umiltà che fa pensare alla lavanda dei piedi del cap. 13. una libbra di profumo di puro nardo, assai prezioso: Sull'unguento (nardos pistikes) nomi nato sia da Marco (14,3) che da Giovanni vedi Moloney, San of Man 164. La descrizio ne del profumo, che non siamo in grado di identificare con esattezza, è intesa a sotto lineame la preziosità. e tutta la casa si riempì di quel profumo: Alcuni commentatori, seguendo una tradizione rabbinica e Clemente Alessandrino (cf Eccles. Rab. 7,1; Song Rab. 1,22; Ignazio, Eph. 17,1; Clemente Alessandrino, Paedagogus 2,8; PG 8,466-490) prendono questa osserva zione per la versione giovannea di Marco 14,9: la diffusione del profumo è un simbo lo della diffusione del messaggio nel mondo pagano (es.: Bauer, ]ohannesevangelium 159; Hoskyns, Gospel 415; Strachan, Fourth Gospel 248). Loisy, Evangile 362-363, va an cora più in là interpretando l'intero episodio come un simbolo della Chiesa gentile che riceve il messaggio evangelico ai piedi di Gesù. Brodie, Gospel 407, amplia ulterior mente l'idea in un messaggio che riempie l'intero creato (cf Ef 1,23). 4. Giuda lscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo: Oltre al contrasto tra le azio ni di Maria e le azioni di Giuda creato dai vv. 4-6, l'associazione di Giuda con la mor te di Gesù indica che anche l'azione di Maria può essere mirata a quell'evento. Vedi Tsuchido, «Tradition and Redaction» 610-611 . 5 . trecento denari: Un denaro corrispondeva al salario giornaliero. Questo fa dell'unguento un articolo veramente costoso. 7. Lascialafare, perché essa lo conservi per il giorno [di preparazione] della mia sepoltura: La tra duzione della frase greca hina ... t�res� auto è difficile. La traduzione letterale sarebbe: «perché possa conservarlo per la preparazione della mia sepoltura». Maria deve forse tenere una parte dell'unguento per ungeme il corpo di Gesù dopo la morte? Se così è, che motivo aveva Giuda di lamentarsi se l'unguento non era già stato usato (v. 5)? Do vrebbe esserci una pausa (punto) dopo aphes auten. Gesù comanda: «Lasciala fare». Questo crea una nuova frase ad iniziare da hina, che deve avere un significato soste nuto: «lo scopo è quello di». Vedi anche Brown, Gospel 1,449; Kleist, «A Note» 46-48; Ki.ihne, «Eine kritische Studie» 476-477. Il termine entaphismos non significa «sepoltu ra» ma «preparazione del corpo per la sepoltura» (LSJ 575). Questa interpretazione del v. 7 respinge l'idea che questa unzione abbia una connotazione regale (es.: Bruns, «A Note on 12,3» 21 9-222; Barrett, Gospel 409). 8. I poveri li avete sempre con voi: Prete, «l poveri», vede un legame tra l'archetipo egoismo di Giuda (vv. 5-6) e l'endemica presenza dei poveri (v. 8). Nella società umana sta di ca sa la verità che l'egoismo crea la povertà. Molti considerano questo versetto estraneo al contesto o lo vedono come un'aggiunta. Per un'indagine vedi Holst, «The One Anointing of Jesus» 444-446 . Il versetto non si trova in Beza e nel Siriaco Sinaitico; P75 ha un testo più breve. Secondo noi il versetto deve essere considerato originale. 10. I capi dei sacerdoti: L'autore continua ad usare una selezione di gruppi - a volte storica mente improbabile - tra la dirigenza giudaica per indicare l'opposizione a Gesù. 11. molti Giudei se ne andavano a causa di lui [Lazzaro] e credevano in Gesù: Basata sulla risur rezione di Lazzaro, la fede di questa gente ha ancora le limitazioni della fede dei segni (cf Becker, Evangelium 2,375). Alcuni commentatori (es.: Lindars, Gospel 420; Carson, Gospel 431 ) considerano l'azione di questi «Giudei» un abbandono del giudaismo per diventare discepoli.
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12. udito che Gesù veniva a Gerusalemme: Sulla questione del rapporto tra questo resoconto e la tradizione sinottica (cf Mc 11,1-11; Mt 21,1-11; Le 19,29-38) vedi la sintesi di Brown, Gospel 1,459-461. Come sempre, c'è molta divergenza di opinioni, che vanno da una di pendenza da Marco a una distinta tradizione giovannea. 13. prese dei rami di palme: L'unico altro passo in cui il termine ta baiil è usato nei LXX è 1 Mac 13,51 dove i Giudei rientrano nella città dopo che Simone aveva conquistato la cit tadella di Gerusalemme nel 142 a.C. I rami di palma sono anche riportati sulle mone te coniate tra il 140 a.C. e il 70 d.C. che recano l'iscrizione «per la liberazione d'Israele». L'uso dei rami di palma è strettamente legato al nazionalismo maccabeo (cf Farmer, «The Palm Branches» 62-66. Vedi anche Hart, «Judea and Rome» 172-198, e le tavole I-III per la riproduzione della palma sulle monete romane che commemoravano ]udea Capta). È solo nel Quarto Vangelo che la folla accoglie Gesù a Gerusalemme branden do ta bai'a (rami di palma). Il gesto è accompagnato dalle parole; la folla infatti grida il Sal 118,25-26: «Benedetto ... il re d'Israele!» (kai ho basileus tou Israel). Osanna: Questa espressione è principalmente una richiesta (cf Sal 118,25): «dona sal vezza». Qui è usato come un'acclamazione. Vedi Carson, Gospel 423. 14. Gesù, trovato un asinello: La particella greca de indica che le azioni di Gesù sono intese a creare un contrasto intenzionale con le acclamazioni del v. 13: heuron de ho Iesous. 15. Non temere, figlia di Sion!: La citazione è alquanto libera e forse è influenzata da Is 44,2; 40,9; Sof 3,16 o Gn 49,11. Vedi Barrett, Gospe/ 4 18-419, e in particolare Menken, Old Te stament Quotations 89-97. seduto su un puledro d'asina: n passo di Zaccaria rende l'idea del messia che viene ca valcando un asino anziché su un carro da guerra (cf Lindars, Gospel 424; Schuchard, Scripture within Scripture 71-84). Brown, Gospe/ 1,462-463, giustamente dà scarsa im portanza al tema dell'umiltà sostenendo che il punto importante del passo è il suo ri ferimento al contesto di Sof 3,9-10 che parla di un re universale, come si ha nel contesto di Zc 9,9 (cf 9,11). La proclamazione della folla non può essere interpretata come un'af fermazione che Gesù entra in Gerusalemme nella veste di re messianico. 17. la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro: Questa interpreta zione accetta, seguendo la maggioranza dei manoscritti (es.: Sinaitico, Vaticano, Ales sandrino, Freer Gospels, Koridethi), il sintatticamente più difficile hote a preferenza del meno impegnativo hoti (es.: P66, Beza, Claromontanus). Questa lettura vede in que sta gente quelli che erano stati con Gesù al momento della risurrezione di Lazzaro e li distingue dalla «folla» che era andata a vedere Gesù e Lazzaro perché aveva sentito parlare del miracolo (v. 9) e dalla «folla» che era rimasta in città e l'aveva accolto con rami di palma e acclamazioni (v. 12). 21. Questi si avvicinarono a Filippo: I discepoli «Filippo» (v. 21) e «Andrea» (v. 22) sono gli unici i cui nomi sono stati tramandati nella loro forma greca. vogliamo vedere Gesù: L'uso del verbo «vedere» in contesti che parlano della rivelazio ne di Dio in e per mezzo di Gesù è particolarmente significativo quando nell'origina le c'è il verbo horao. L'altro verbo per «vedere», eidon, è generalmente usato per i nor mali fatti quotidiani. In 12,21, tuttavia, idein è usato come secondo aoristo al posto di horao. Vedi BDF 54, § 101. Per Beutler, «Greeks Come» 333-347 (specialmente 342-347), questa richiesta è legata a Is 52,15 e fa parte di un ampio uso di materiale e del lin g uaggio del Servo di Isaia nel brano Giovanni 12,20-50. 23. È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato: Molti commentatori dividono il di scorso che segue in tre parti: vv. 23-26, 27-30 e 31-36a. La suddivisione adottata nella nostra interpretazione: vv. 23-30, 31-36a e 36b si ispira in larga misura a de La Potterie, «L'exaltation du Fils de l'homme» 461-462. Per uno studio dettagliato del «Figlio del l'uomo» in 12,23 vedi Moloney, Son ofMan 176-181.
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25. Chi ama la propria vita: Sul termine psyche (qui tradotto con >) nel senso" detr� rienza di vita di una persona vedi Brown, Gospel 1,467. Il termine ha questo significa to in 12,25 e anche in 10,15, ma non in 12,27, dove si riferisce allo stato d'animo inter ..
no di Gesù.
26. là sarà anche il mio servo: L'esigenza che il servo si trovi là dov'è il suo padrone non si gnifica principalmente sofferenza, anche se in questo particolare contesto questo è il punto principale. Qui abbiamo un accenno, che sarà sviluppato più avanti nel Vange lo (cf 17,1-26), del fatto che i discepoli saranno chiamati a entrare nell'unione che è propria del Padre e del Figlio. Se uno serve me, il Padre lo onorerà: Dietro questa promessa di Gesù si intravede una co munità che deve affrontare il fatto della realtà fisica della morte nel martirio che fa parte del seguire Gesù fino alla croce. Queste parole erano indubbiamente molto elo quenti in una comunità che soffriva l'esclusione e la morte perché credeva che Gesù era il Cristo (cf 9,22; 12,42; 16,2). 27. Ora l'anima mia è turbata: Come Schnackenburg, Gospel 2,387, giustamente commen ta: «Perfino in Giovanni la croce non ha perso la sua oscurità umana». Vedi anche Thiising, Die Erhi:ihung 78-82. C'è uno stretto legame tra l'uso del verbo tarasso («es sere turbato»), il Salmo 42/43 e la tradizione del Getsemani. Vedi Thiising, Die Erhi:i hung 79-88; Beutler, «Psalm 42-43» 34-38. Nicholson, Death as Departure 124, consi dera i vv. 20-26 diretti ai discepoli e i vv. 27-36a diretti alla folla. Più avanti (pp. 127-129) dice che il turbamento di Gesù nel v. 27 non è causato dalla sua preoccupa zione per la propria sofferenza ma dalla preoccupazione riguardo alla futura lealtà dei discepoli. Padre, salvami da quest'ora: Per l'interpretazione del v. 27b nel senso di un'affermazio ne anziché di una domanda, che tiene conto del fatto che l'ora è già venuta, vedi West cott, Gospel 182, e la discussione precedente sintetizzata da Lagrange, Evangile 332-333. Questa è ulteriormente sviluppata da Léon-Dufour, «Père, fais-moi passer» 1 56-165. Vedi la traduzione di Léon-Dufour, Lecture 2,466. 28. Venne allora una voce dal cielo: Alcuni suggeriscono che questo è un bat qol, una comu nicazione divina che sostituiva la parola profetica (es.: Bauer, fohannesevangelium 163). Questo mal si adatta al contesto della comunicazione tra il Padre e il Figlio. L'ho glorificato: Il collocamento strategico dei riferimenti alla rivelazione della doxa nel primo (2,11) e nell'ultimo (11 ,40) dei segni pubblici di Gesù indica che l'intero mini stero di Gesù è stato una rivelazione della doxa. Questo fa parte del passato di Gesù che ora va incontro alla sua passione. e lo glorificherò ancora!: La rivelazione della gloria di Dio (che deve essere distinta dal la futura gloria dell'esaltazione di Cristo) deve essere limitata alla croce. Vedi Blank, Krisis 276-280; Dodd, Interpretation 372-379; Lindars, Gospel 432. Questo contro, ad esempio, l'influente studio di Thiising, Erhi:ihung 193-198, il quale lega il tempo aoristo alla vita di Gesù e all'ora della croce, e il tempo futuro alla glorificazione del Cristo esaltato. Alcuni commentatori (es.: Westcott, Gospel 182; Nicholson, Death as Departu re 129-130) estendono la glorificazione futura alla futura predicazione del vangelo. L'uso di palin («ancora») indica che la stessa gloria continua a brillare sia nelle opere passate che Gesù ha compiuto durante il suo ministero che ora sta per concludersi, sia nella futura glorificazione che deve essere ancora descritta. Entrambi i momenti fanno parte dell'apparizione storica del Figlio e mostrano l'indefettibile unione tra il Padre e il Figlio (cf 1,18). 29. La folla ... diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato»: Sul sot tofondo di voci che hanno il suono del tuono o di una rivelazione che può venire da gli angeli vedi Schnackenburg, Gospel 2,389-390. Alla base dell'errore della folla c'è la
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credenza che il rumore che sente è una specie di mediazione anziché la presenza di Dio. Vedi Lagrange, Evangile 334. 31 . Ora è il giudizio di questo mondo: Sui diversi modi in cui il termine greco ho kosmos («il mondo») è usato nel Quarto Vangelo vedi Moloney, Belief in the Word 37-38. il principe di questo mondo: Sullo sviluppo del concetto cristiano del principe o gover nante di questo mondo vedi Schnackenburg, Gospel 2,391. 32. quando sarò innalzato da terra: L'innalzamento «da terra» significa la crocifissione. Non guarda a un qualche futuro viaggio di Gesù nei cieli portando con sé i credenti, come tra gli altri vorrebbe Nicholson, Death as Departure 132-136. Il commento del narratore nel v. 33 deve essere preso sul serio: «sarò innalzato da terra» (v. 32) «di quale morte do veva morire» (v. 33). Vedi in particolare Thiising, Erhohung 3-12; Cilia, La morte 99-107. In 8,28 Gesù aveva detto a «i Giudei» che si sarebbero resi responsabili dell'«innalza mento» (hotan hypsòséte). Questo «innalzamento» deve significare qualcosa che essi fan no a Gesù (cf Riedl, «Wenn ihr den Menschensohn» 360-362). ll parallelo stabilito tra Mosè che innalza un serpente nel deserto e l'innalzamento del Figlio dell'uomo in 3,14 indica anche un innalzamento fisico su un palo. Non c'è nessun accenno che il serpen te sia asceso al cielo. Nicholson, Death as Departure 98-103 (a proposito di 3,14) e 136-138 (a proposito di 12,33) insiste che l'evangelista vuole che il lettore guardi oltre la croce, non alla croce. Questa interpretazione è inaccettabile. Sul dibattito ancora aperto ri guardo all'estensione dell'ora e della glorificazione di Gesù vedi Moloney, Son of Man 61-64 e la relativa discussione. Sulla croce come mezzo di rivelazione vedi Forestell, The Word of the Cross 58-102. È indubbiamente attraverso l'ora della croce che il Figlio ri tornerà alla gloria che aveva presso il Padre prima della creazione del mondo (cf 7,39; 11,4; 13,1; 17,5.24). Qui abbiamo due questioni distinte che non vanno confuse: (l) la ri velazione della gloria di Dio (ossia, la glorificazione del Figlio dell'uomo [12,23], l'in nalzarnento [v. 32], il modo in cui Gesù doveva morire [v. 33] = sulla croce); e (2) la glo rificazione di Gesù come Figlio del Padre (7,39; 11,4) = per mezzo della croce. attirerò tutti a me: ll plurale neutro panta («ogni cosa») al posto di pantas («tutte le per sone»), ad indicare che Gesù esaltato attirerà a sé qualsiasi realtà, si trova in P66, anti ca versione del Sinaitico, Vetus Latina, Beza e in qualcuna delle versioni. Ma questa va riante può indicare solo l'umanità in generale. 34. che il Cristo rimane in eterno: Gli studiosi si chiedono quale passo della Scrittura sia in vocato. Per le molte possibilità vedi Bauer, Johannesevangelium 164. Barrett, Gospel 427, opta per il comune insegnamento messianico delle Scritture. Per una discussione do cumentata vedi Moloney, Son ofMan 182-183. Beutler, «Greeks Come» 337-342, trova in LXX Is 52,13-53,12 la base per Giovanni 12,23.32.34. Per la scelta di LXX Sal 88,37 ve di van Unnik, «The Quotation)) 174-179. Chi è questo Figlio dell'uomo?: Dietro questa domanda c'è la sinagoga che cerca risposte nella sua tradizione mosaica e la comunità giovannea che sostiene che Gesù è qualco sa di più del Messia giudaico. Questo è stato evidenziato in 12,9-19. Gesù è il Figlio del l'uomo che attira tutti a sé quando è innalzato sulla croce (12,23.32). Il dibattito che sta alla base di questo concetto è profondamente cristologico. Vedi Tsuchido, «Tradition and Redaction» 609-619; de Jonge, «Jewish Expectations about the Messiah» 246-270. 35. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre: n simbolismo della lu ce e del camminare nella luce si trova anche nel giudaismo e negli scritti di Qumran. Per una sintesi vedi Barrett, Gospel 429. 36. se ne andò e si nascose loro: Sul rapporto tra il simbolo della luce e delle tenebre nei vv. 35-36a e Gesù che si nasconde da «i Giudei» vedi Dodd, Interpretation 380; Stibbe, John 137. Morchen, «Weggehen» interpreta la partenza di Gesù come un simbolo della con danna definitiva del rifiuto de «i Giudei» di accettare la sua rivelazione. =
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stesso; Gesù offrirà la propria vita per gti altri. In mezzo a ·èrèscenti incompren
sioni (cf 11,8.12. 16.21-22.24.27.33.39.47.55; 12,9.13.29.34) e sempre più accen tuata violenza (cf 11,8.16.47-50.54.57; 12,10-11) è emerso il tema del «radunare insieme» (10,15-16; 11,50-52; 12,9.19.20.32). Niente di tutto ciò, tuttavia, serve a spiegare l'enigma della croce: «Diceva questo per indicare di quale morte do veva morire» (12,33). La storia più avanti dovrà parlare di una morte che è an che un radunare tutti gli uomini (12,32: pantas) attorno al Figlio dell'uomo in nalzato da terra e glorificato (12,23). Ma il ministero pubblico di Gesù è giunto al termine (12,36b ). A conclusione di questa parte del racconto, tanto il narra tore (12,37-43) quanto Gesù (12,44-50) hanno insistito che Gesù fa conoscere Dio e che il giudizio dipende dall'accettazione o dal rifiuto di questa rivela zione.
NOTE 37. Sebbene avesse compiuto [tanti] segni così grandi davanti a loro: Non c'è motivo di preoc cuparsi per l'uso dell'espressione «tanti segni», anche se ne sono stati riferiti solo po chi. Forestell osserva: «tosa uta sémeia non si riferisce solo ai segni che sono stati narra ti nel Vangelo, ma a tutta l'attività taumaturgica di Gesù» (Word of the Cross 69). Brown, Gospel l,485, pensa che dietro questa affermazione si debba vedere Dt 29,2-4. non credevano in lui: Sono stati fatti molti tentativi di trovare una collocazione miglio re per i vv. 44-50, ma secondo noi stanno molto bene nel loro presente contesto. Per la discussione in merito vedi Moloney, Son of Man 163-164; Schnackenburg, Gospel 2,4 1 1 -41 2 . Smith, «The Setting and Shape» 90-93, suggerisce che i vv. 37-40 facevano parte di una fonte che metteva assieme le apparentemente contraddittorie cristologie di un ammirato pretendente messianico (ministero) e di un Gesù rifiutato e crocifisso (resoconto della passione). Evans, «Obduracy and the Lord's Servant» 232-236, pensa che i vv. 38-41 facessero parte di un più ampio midrash di Is 52,7-53,17 riconoscibile in Giovanni 12,1-43. In un'opera successiva, To See and Not Perceive 134, Evans accetta il suggerimento di Smith. 38. la parola detta dal profeta Isaia: La citazione di Is 53,1 è abbastanza fedele ai LXX, mentre quella di Is 6,10 sembra una citazione dall'ebraico rielaborata dall'autore. Vedi Schnac kenburg, «Joh 12,39-41» 169-171; Schuchard, Scripture within Scripture 85-106. perché si compisse: Sul carattere assoluto di questa affermazione, nella quale deve esse re riconosciuta a hina tutta la sua forza di fine o scopo, vedi Bemard, Commentary 2,449 . L'adempimento della Scrittura si vede sia nel fatto dell'incredulità (v. 39) che nel moti vo della stessa (v. 40) . Vedi Lindars, Gospel 349. chi ha creduto alla nostra parola? E laforza del Signore a chi è stata rivelata?: Il narratore nel la «parola» di Isaia vede l'insegnamento di Gesù e nella «forza del Signore» vede le sue opere. 40. [Dio] ha reso ciechi i loro occhi: La maggior parte dei commentatori cerca di dimostrare che i vv. 38-41 rispecchiano il continuo rifiuto di Gesù da parte de «i Giudei» in tutto il racconto (es.: Becker, Evangelium 2,408-412; Schnackenburg, «Joh 12,37-41>) 1 76-1 77; Schuchard, Scripture within Scripture 98-106). Ma questo non può essere. Nella prece dente parte del racconto non è mai stata creata l'impressione che Dio abbia indotto «i Giudei» a rifiutare Gesù. Questa difficoltà è affrontata da Lieu, «Blindness» 83-95. Sulla base di Giovanni 9 e 12,39-43 e di l Gv 2,11 l'autrice sostiene che nella tradizio ne giovannea la cecità e l'incredulità erano legate assieme. Questo suggerimento spie ga in parte perché ls 6,9-10 sia stato ripreso dalla tradizione anche se mal si adatta al
Co n c l u s i o n e d e l m i n i s t e r o d i G e s ù ( 1 2 , 3 7- 5 0 )
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·contesto. Hollenbach, «Lest they should tum); 317-320, vede la difficoltà e suggerisce che Isaia 6 è usato in senso ironico: «l'ultima cosa che vogliono vedere». Blank, Krisis 301-303, suggerisce che il soggetto dei verbi «rendere ciechi» e «indurire» è il diavo lo. Ma questa ipotesi è solo uno spostamento del problema, poiché del rifiuto di Ge sù durante il suo ministero non è mai detto che è stato causato dal diavolo. La di scussione di 8,39-47 («vostro padre è il diavolo») tratta delle origini e non ha nulla a che vedere con la libertà de «i Giudei» (cf 8,34). L'uso di Isaia e della teoria del «divi no indurimento» indica la continuità tra le tradizioni più antiche e il ripensamento giovanneo delle stesse. Su questa continuità vedi B. Lindars, New Testament Apologe tic: The Doctrinal Significance of the Old Testament Quotations, SCM Press, London 1961, 161; Schnackenburg, «Joh 12,39-41>> . In 12,37-43 sembra che la tradizione venga ac cettata e rielaborata (vv. 38-41), e poi sia messa da parte quando l'autore dà una pro pria spiegazione del fallimento de «i Giudei» (vv. 42-43). Questo è uno dei pochi pun ti nel Quarto Vangelo in cui il rispetto che l'autore mostra per la tradizione crea un'im barazzante tensione. e non si convertano e io li guarisca: D passaggio alla prima persona nel v. 40 si riferisce a Gesù. 41. perché vide la sua gloria e parlò di lui: Il Targurn di Is 6,1 .5 stabilisce un legame tra la de scrizione biblica della visione di Isaia riportata in Is 6,1-5 e la dichiarazione che Isaia ha visto la gloria di Dio. Sul passaggio cristiano da questa visione della gloria di Dio alla visione che il profeta ha avuto di Gesù vedi Lagrange, Evangile 343; Schnackenburg, «]oh 12,37-41» 174-176. Seguendo la maggior parte dei critici, la nostra traduzione leg ge hoti («perché>> vide), anziché hote («quando» vide). Per la discussione in merito ve di Lindars, Gospel 439. 42. Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui: Sui vv. 42-43 visti come una correzione ve di Léon-Dufour, Lecture 2,491. Haenchen, fohn 2,101, definisce il v. 42 «un messaggio di consolazione». Ma se i vv. 42-43 si possono in qualche modo considerare una corre zione ai vv. 37-41, sono tutt'altro che consolanti, particolarmente per una comunità di cristiani la cui fede in Gesù è stata causa della loro espulsione dalla sinagoga (cf 9,22;
12,42; 16,2).
44. Gesù allora gridò a gran voce: C è un nesso logico tra il commento del narratore nel v. 43 e ciò che segue nel v. 44, stabilito dall'uso del de («allora»). Tuttavia, l'omissione di qualsiasi indicazione sul dove e quando Gesù abbia pronunciato queste parole è fatta di proposito. Tali limitazioni non potrebbero essere imposte a questa enunciazione sintetica finale del kerygma giovanneo (cf Dodd, lnterpretation 382). Per van den Bus sche, Jean 364; Stibbe, fohn 139 e Brodie, Gospel 420-421, il passo 12,44-50 forma un'in clusione con 1,1-18. La nostra interpretazione fa diversi riferimenti alle parti prece denti del racconto da cui risulta che i concetti ribaditi in questa sintesi finale sono già stati espressi. In un suggerimento esageratamente complesso (visti i numerosi altri paralleli giovannei ai vv. 44-50 [cf Schnackenburg, Gospel 2,419-421 ]), Borgen, «The Use of Tradition» 18-35, sostiene che i vv. 44-45 hanno per fondamento un tradiziona le logion di Gesù. Partendo da questa base e utilizzando frammenti della terminologia legale ed escatologica, altre frasi del Vangelo, la terminologia relativa al ruolo dell'a gente, e sotto l'influsso dell' AT, l'evangelista ha messo assieme un brano che presenta Gesù come l'agente divino le cui parole sostituiscono il ruolo di Mosè e della Torah. Sul rapporto esistente tra i passi «kerygmatici» di 3,11-21 e 31-36 e di 12,44-50 vedi Loader, «The Centrai Structure» 188-216, e idem, The Christology 20-34. Vedi anche Ashton, Un '
derstanding the Fourth Gospel 541-545. 46. non rimanga nelle tenebre: L'idea di camminare nella luce (cf 3,21; 8,12; 12,35) è stata so stituita dal concetto negativo di «rimanere)> o «non rimanere>) nelle tenebre per sotto-
322
I l Va n g e l o d i G io v a n n i
lineare l'effetto permanente di iina decisione pro o contro.Gesù, la lucè Bel mondo (cf 8,12; 9,5). Vedi Lindars, Gospel 440. 48. Chi mi rifiuta: Questo è l'unico passo nel Quarto Vangelo dove viene usato il verbo «ri fiutare» (athetein). Il verbo ha il significato di un rifiuto consapevole e voluto. Vedi BAGD, 21, s.v., 1b. Vedi anche Blank, Krisis 308-310. e non accoglie le mie parole: Brown, Gospel 1,491-493, fa notare il legame tra i molti ri chiami al Deuteronomio nell'idea che Dio punisce quelli che non ascoltano le parole di un messaggero mandato da Dio (vv. 47-48; cf, ad esempio, Dt 18,18-19; 31,1 9.26) e nel la trasmissione del comandamento di Dio perché i figli di Dio possano avere la vita (vv. 49-50). Vedi anche M.-É. Boismard, «Les citations targumiques dans le quatrième évan gile», RB 66 (1959) 376-378. lo condannerà nell'ultimo giorno: Stibbe, John 140, considera questo riferimento a «l'ulti mo giorno» come «un preannuncio della conclusione del vero mondo e del vero tem po». Serve a creare un senso prolettico della fine.
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III. IL LIBRO DELLA GLORIA
(13,1-20,29)
A. L'ULTIMO DISCORSO (13,1-17,26) I. Far conoscere Dio: la lavanda dei piedi e il boccone di Giuda
(13,1-38)
Introduzione a 13,1-1 7,26. La solenne dichiarazione del narratore in 13,1 presenta una nuova scena nel racconto. Essendo prossima la Pasqua della sua partenza per tornare al Padre, Gesù vuole essere con i suoi discepoli che ha
Fa r c o n o s c e re D i o ( 1 3 , 1 - 3 8 )
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amato fino alla fine. Ma 13,1-38 fa parte di un insieme letterario più ampio, il cosiddetto «ultimo discorso» (13,1-17,26) contrassegnato da diverse ben note ripetizioni e apparenti contraddizioni (cf Brown, Gospe/ 2,581-604; Segovia, Fa rewell 1-58; Dettwiler, Die Gegenwart 14-33). Dal punto di vista puramente let terario 13,1-30 (narrativa) e 17,1-26 (preghiera) sono brani nettamente distinti. Il materiale più direttamente discorsivo (13,31-16,26) contiene anch'esso con traddizioni e contrasti evidenziati dalle parole di Gesù in 14,31: «Alzatevi, an diamo via di qui». I temi della partenza di Gesù, delle sue motivazioni e delle sue conseguenze sono enunciati in 14,1-31 e ripetuti in 16,4-33 (cf l'inserto in Brown, Gospe/ 2,589-591). La metafora della vite e dei tralci con il concomitan te tema del rimanere uniti e le constrastanti parole di Gesù sull'odio e la vio lenza si trovano in 15,1-16,3. Molti vedono in questa parte del discorso una raccolta di discorsi precedenti più brevi, e la maggior parte considera 15,1-17 e 15,18-16,4a due discorsi originariamente indipendenti. Le parti costitutive di 13,1-17,26 hanno indubbiamente avuto una propria storia nella tradizione orale della comunità giovannea, ma il processo di nar rare e ripetere il discorso ha prodotto un Vangelo che è genuinamente giovan neo in tutte le sue parti. Diversi elementi tratti dalle memorie documentate della comunità sono stati posti l'uno accanto all'altro in modo da costituire il te sto 13,1-17,26 nella forma in cui ci è stato tramandato (sul processo di «rilettu ra» cf Zumstein, «Der Prozess der Relecture», 394-411; Dettwiler, Die Gegen wart 44-52). Di conseguenza, la forma canonica dell'ultimo discorso è «un in sieme artistico e strategico con una struttura intimamente unificata e coerente, uno svolgimento logico, uno scopo ben preciso e una situazione retorica tutta sua» (Segovia, Farewell 284). Per quanto evidenti siano le cuciture (cf 13,31-32; 14,31; 17,1), il lettore di 13,1-17,26 si sforza, «anche se inconsciamente, di inquadrare il tutto in uno schema logico» (Wolfgang Iser, The Implied Reader: Patterns of Communication in Prose Fictionfrom Bunyan to Beckett, Johns Hopkins University Press, Baltimore 1978, 283). L'autore del Quarto Vangelo non è stato l'unico scrittore dell' anti chità che abbia posto un testamento finale sulle labbra dell'eroe in punto di morte. Il discorso finale distintamente giovanneo ha una funzione nell'ambito della retorica del Quarto Vangelo che corrisponde a una consolidata forma let teraria della letteratura ebraica. Tale prassi si riscontra in numerosi scritti reli giosi dei primi tre secoli dell'era cristiana (cf la nota), e oggigiorno si ritiene comunemente che l'ultimo discorso del Quarto Vangelo sia la versione gio vannea della letteratura testamentaria. Introduzione a 1 3,1-38. Dal punto di vista letterario in 13,1-38 si notano alcu ni contrasti (cf Richter, Die Fufiwaschung 3-284). Sembra che vi sia una doppia interpretazione della scena della lavanda dei piedi (vv. 6-11, 12-20). Considerati di tono maggiormente moralistico, i vv. 12-20 sono generalmente ritenuti un'aggiunta successiva a una riflessione originale di Gesù sul dono di se stes so (vv. 6-11). La maggior parte dei commentatori considera il v. 30 la conclu sione del racconto della lavanda dei piedi e nei vv. 31-38 vede l'introduzione a 13,31-14,31, la forma del discorso originale (es.: Brown, Gospe/ 2,605-616). Al tri vedono i vv. 31-38 come una sintesi introduttiva dell'intero discorso
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I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
(13,31-16,33) nella sua forma definitiva (es.: Barrett, Gospel 449-453). Ma qua lunque sia la preistoria degli elementi che costituiscono 13,1-38, esistono di verse indicazioni per poter affermare che il passo è stato concepito per essere letto come un brano coerente e a sé stante. I vv. 31-38 non sono un discorso, poiché contengono lo scambio di battute tra Simon Pietro e Gesù nei vv. 36-38. Questo passo corrisponde alle precedenti predizioni del futuro tradimento di Giuda (vv. 10-11, 21-22) e rievoca il precedente equivoco di Pietro circa la la vanda dei piedi (vv. 6-9). Una caratteristica giovannea che conferisce ancora maggiore unità ai vv. 1-38 è il quadruplice uso del doppio «amen» (vv. 16.20.21 .38). L'uso di questa espressione all'inizio e alla fine delle predizioni di tradimento e di disconoscimento (vv. 21-38) indica che i vv. 31-38 sono più strettamente associati a 13,1-30 che al discorso di 14,1-16,33. Il tema del falli mento sia di Pietro che di Giuda non svolge più alcun ruolo nel discorso vero e proprio. Se notiamo il posizionamento strategico del doppio «amen» vediamo che il brano 1-38 può essere suddiviso in tre parti. Il brano inizia con la descrizione della lavanda dei piedi e dei dialoghi che le fanno da contorno, che riferiscono principalmente le istruzioni impartite da Gesù ai discepoli, l'ignoranza di Pie tro e il tradimento di Giuda (vv. 1-17). Questa parte termina con il doppio «amen» nei vv. 16-17. Nei vv. 18-20, che concludono con il doppio «amen» nel v. 20, Gesù parla ai discepoli. Nessun altro interviene. La forma narrativa e il dialogo tra Gesù e i discepoli riprende nei vv. 21-38, che hanno inizio (v. 21) e terminano (v. 38) con il doppio «amen». Il racconto descrive Gesù che dà il boc cone di pane a Giuda e il dialogo è dominato dalle istruzioni che impartisce ai discepoli tra una crescente insistenza sulle predizioni del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro. Un attento esame di queste tre parti indica che il passo presenta la seguente struttura: a) La lavanda dei piedi (13,1-17) 1. vv. 1-5: Il narratore descrive la profondità dell'amore che Gesù ha per i suoi (v. 1), ma questo è seguìto immediatamente dall'accenno al tradimento di Giuda (v. 2), che però non impedisce a Gesù di procedere con i preparativi per la lavan da dei piedi. L'amore e la conoscenza inducono all'azione. II. vv. 6-11: Il dialogo tra Pietro e Gesù porta al primo accenno palese al tradimen to di Giuda. 111. vv. 12-17: Gesù offre, con la parola e l'azione, il dono del suo esempio. D'ora in poi al discepolo è richiesto di imitare la condotta di Gesù (vv. 1-5). b) Far conoscere Dio (13,18-20) Gesù, pur sapendo di aver scelto discepoli fragili (v. 18), li invia nel mondo come suoi rappresentanti (v. 19). Dice loro queste cose prima che accadano affinché, quando accadranno, essi riconoscano che Gesù è Io SONO (v. 19). c) L'offerta del boccone (13,21 -38) 1. vv. 21 -25: Gesù è turbato nello spirito e dà testimonianza (v. 21a) facendo im mediatamente seguire un accenno al tradimento di Giuda (vv. 21b-25). II. vv. 26-30: L'interazione tra Giuda e Gesù (vv. 26-27) porta Gesù a svelare ine quivocabilrnente il tradimento di Giuda (vv. 28-30). III. vv. 31 -38: Gesù offre, con le parole e con l'azione, il dono di un nuovo coman damento. Come 13,1-38 era iniziato con un riferimento al tradimento di Giuda
La l a v a n d a d e i p i e d i (13 , 1 - 1 7 )
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(v. 2), così il passO termina con un riferimento al rinnegamento d i Pietro (vv. 36-38).
Le parti più direttamente narrative dei vv. 1-17 e 21-38 fanno risaltare l'a more, la conoscenza e le azioni di Gesù nel dare se stesso con un gesto simbo lico ai suoi discepoli pur essendo cosciente della loro fragilità: ignoranza, tra dimento e rinnegamento. Tra le parti narrative Gesù prende la parola (vv. 18-20) sottolineando il tema della sua conoscenza di coloro che invia nel mon do e il suo amore anche in presenza dei loro fallimenti (cf Simoens, La gioire d'aimer 81-104). Gesù dice loro queste cose prima che accadano affinché quan do accadranno i discepoli si rendano conto e credano che un tale amore serve a far conoscere Dio. A scopo di chiarezza e di facilità di consultazione la traduzione e le note re lative all'intero brano 13,1-38 saranno riportate in tre parti distinte: vv. 1-17, vv. 18-20 e vv. 21-38. La bibliografia per riferimenti e ulteriori approfondimen ti di 13,1-38 sarà invece riportata, assieme ad alcuni importanti studi su 13,1-17,26, alla fine del commentario a 13,21-38.
a) La lavanda dei piedi (13,1-17) l. Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi discepoli che erano nel mondo, li amò si no alla fine. 2. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, 3. Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tut to nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4. si alzò da tavola, si tolse la veste, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. 6. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7. Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8. Gli dis se Pietro: «Tu non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non sa rai messo a parte di ciò che è mio». 9. Gli disse Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma an che le mani e il capo!». 10. Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno non ha bisogno di la varsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11. Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». 12. Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese la veste, sedette di nuovo e disse loro: «Ca pite quello che ho fatto per voi? 13. Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite be ne, perché lo sono. 14. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, an che voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15. Vi ho dato un esempio infatti perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16. In verità, in verità [amen, amen] io vi di co: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 17. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica>>.
I N T E R P R E TA Z I O N E La conoscenza, l'amore e l'azione di Gesù (vv. 1 -5). Durante tutto il suo ministe ro, l'ora di Gesù non era ancora venuta (cf 2,4; 7,30; 8,20). Con l'avvicinarsi del l'ultima festa di Pasqua, quando sta per andare incontro alla morte, Gesù an nuncia che l'ora è venuta (cf 11,55-57; 12,20-24.27-33). I due «tempi» che si rin-
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I l Va n g e l o d i G i o va n n i
mttono nel racconto, le feste de « i Giudei» (2,13.23; 4,45; 5,1 .9; 6�4;· 7,2; 10,22; 11,55-57; 12,1) e l' «ora» di Gesù, sono determinati dal disegno di Dio (2,4; 4,21.23; 7,30; 8,20; 12,23.27). Adesso convergono, poiché c'è una festa de «i Giudei» che coincide con l'ora di Gesù (13,1a). L'ora sarà il momento in cui Ge sù se ne andrà dalla sfera degli avvenimenti quotidiani. Colui che era stato mandato dal Padre farà ritorno al Padre, ma non prima di avere, durante il suo ministero, raccolto attorno a sé un gruppo di discepoli che egli chiama «i suoi» (v. lb: hoi idioi. Cf 1,11-12; 10,3.4.12), e il suo passaggio attraverso l'ora sarà la suprema dimostrazione dell'amore che nutre per loro. Per indicare sia il mo mento in cui questo amore sarà dimostrato sia la qualità dell'amore, viene usata un'espressione con un doppio significato: «sino alla fine» (v. le: eis telos). Gesù li ha amati fino al termine della sua vita, e li ha amati in una maniera che sorpassa qualsiasi forma immaginabile di amore. Il connubio tra questi due si gnificati di eis telos costituisce uno dei principali temi del resto del racconto: la morte di Gesù fa conoscere l'amore che ha per i suoi, e quindi fa conoscere Dio (cf 3,16-17). I verbi sono al passato: Gesù ha conosci�to (eidos) ... ha ama to (agapesas) i suoi ... e li ha amati (egapesen) sino alla fine. E stato enunciato un programma: la morte di Gesù doveva essere l'ora del suo ritorno al Padre e un perfetto atto di autodonazione amorosa. Questa è «la transizione più signifi cativa in tutto il Vangelo, che fa da introduzione non solo alla scena della la vanda dei piedi ma anche a tutta la seconda metà del Vangelo» (Culpepper, «The Johannine hypodeigma)) 135) . Ma questa è seguita immediatamente da un'altra informazione: il diavolo ha deciso che Giuda deve tradire Gesù (v. 2). Il disegno di Dio, manifestato in e per mezzo dell'amore di Gesù per i suoi (v. 1), entra in collisione con il disegno di Satana che ha messo nel cuore di uno di loro di tradire Gesù. Su questo sfondo Gesù, mosso dalla sua intima unione con il Padre e conscio delle sue origini e della sua destinazione, entra in azione (v. 3). Le origini e la destinazione di Gesù, già specificate in 1,1-18, sono state affermate e riaffer mate ormai molte volte, specialmente in occasione delle sue polemiche con «i Giudei>) durante le loro feste (5,1-10,42). Ma questi elementi cruciali ai fini di una adeguata comprensione di Gesù non sono mai stati accettati. Questo in cessante conflitto, che ha portato alla decisione che Gesù deve morire per la nazione e radunare insieme i figli di Dio dispersi nel mondo (11,49-53), dà an cora maggior risalto alla già drammatica impostazione dell'ultima Pasqua, l'o ra del ritorno di Gesù al Padre, atto supremo e definitivo di amore (cf v. 1). Ge sù si alza da tavola, si accinge a compiere un'azione riservata agli schiavi, e co mincia a lavare i piedi ai suoi discepoli (vv. 4-5). La conoscenza di Gesù (v. 1), perfino del suo traditore (vv. 2-3), e il suo amore per i suoi (v. l) sono espressi con l'azione (vv. 4-5). Gesù e Pietro (vv. 6-11). Simon Pietro si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù (v. 6). Il lavare i piedi fa parte del disegno di Dio (cf vv. 1-5), e le obiezioni sol levate da Pietro indicano che la sua interpretazione dell'azione di Gesù non riesce a cogliere il motivo per cui Gesù la compie. C'è una mancanza di aper tura verso la rivelazione dei disegni di Dio espressa nelle parole e nelle azioni di Gesù. La risposta di Gesù (v. 7) ammette che nel momento attuale dell'in-
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contro nella
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sala dell'ultima cena Pietro possa essere ignorante, ma ci sarà un «dopo», quando tale ignoranza sarà trasformata in piena comprensione. Qual cosa accadrà tra «adesso>> e il «dopo», e il lettore è indotto a supporre che «l'o ra)) in cui Gesù mostrerà ai suoi il suo amore eis telos farà parte degli avveni menti che condurranno al «dopo». Questa supposizione è già stata abbozzata nella descrizione della purificazione del Tempio (2,13-22) e dell'entrata di Ge sù a Gerusalemme (12,12-16). In quelle occasioni i discepoli non hanno com preso le parole e le azioni di Gesù, ma dopo che Gesù è stato risuscitato dai morti (2,22), dopo la sua glorificazione (12,16), essi si sono ricordati, hanno cre duto, hanno capito. È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato (12,23). La tensione tra Gesù e Pietro cresce quando quest'ultimo si rifiuta di farsi la vare i piedi da Gesù (v. Sa) . Gesù avverte Pietro che ciò che è in gioco è «l'aver parte con lui», l'essere messo a parte di ciò che è suo (CEI) o l'essere unito a lui (ABU-LDC) (v. 8b: ouk echeis meros met'emou). Questo è un velato riferimento al la pratica cristiana del battesimo. L'autore non parla del rito battesimale ma del rapporto che il battesimo ha con la morte di Gesù (cf Rm 6,3). L'«avere parte con Gesù» attraverso il lavaggio significa partecipare all'autodonazione nell'amore che porrà fine alla vita terrena di Gesù (cf v. 1), simbolicamente anticipata nella lavanda dei piedi (v. 8). Pietro continua a cercare di imporre i propri criteri a Gesù limitandosi ad accettare di sottomettere il proprio corpo al rito, come se ciò che interessa fossero le varie parti del corpo (v. 9). Pietro non capisce, ma Gesù non si spazientisce. Gli spiega i privilegi di quelli che, aven do fatto il bagno, sono mondi e non hanno bisogno di lavarsi se non i piedi. La conoscenza di Gesù, che deriva dalla sua intima unione con il Padre e dalla sua accettazione del disegno del Padre (cf v. 3), arriva fino a fargli conoscere chi sia il suo traditore (vv. 10-11 ). Tra tanta ignoranza (v. 6), incapacità di capire (vv. 8-9) e la minaccia di tradimento (vv. 10-11) Gesù mostra la profondità del suo amore per i suoi lavando loro i piedi. Nel v. 11 il narratore mette il lettore in una situazione privilegiata: «Sapeva infatti chi l'avrebbe tradito». Questa in formazione ha l'unico scopo di dar maggior risalto al gesto di Gesù. I destina tari di questa lavanda dei piedi, un'azione simbolica che rivela l'illimitato a more di Gesù per i suoi, sono discepoli ignoranti, uno dei quali egli sa che lo tradirà. Un nuovo esempio: i discepoli devono conoscere, amare ed agire (vv. 12-1 7). Mal grado l'apparente contraddizione tra le parole di Gesù riguardo all'incapacità di Pietro di capire nel v. 7 e la sua domanda volta a sondare la comprensione dei discepoli nel v. 12, il discorso a questo punto non presenta alcuna interruzione. Non è necessario invocare l'ipotesi di una successiva aggiunta ai vv. 1-11 di una interpretazione moralizzante della lavanda dei piedi. Nei vv. 1-17 il passo presenta una unità di luogo, di personaggi e di temi. Pietro, per ora, non può capire il legame esistente tra l'azione di Gesù nel lavare i piedi ai discepoli e il suo incondizionato amore per loro (v. 7). La domanda che Gesù rivolge ai di scepoli nel v. 12 è di un altro ordine. Questa è strettamente legata alla lavanda dei piedi appena descritta, ma non guarda più al simbolismo dell'autodona zione bensì al nuovo esempio che propone, che è un capovolgimento di uno schema di comportamento consolidato. La domanda di Pietro nel v. 6 indica
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che egli è consapevole che l'azione di Gesù è un sovveiiimento di una prassì in� discussa, e Pietro contesta tale sovvertimento. Quando Gesù riprende la veste e il suo posto a tavola, chiede ai discepoli quanto abbiano capito di ciò che ha fatto (v. 12) e nei vv. 13-14 risponde alla sua stessa domanda. I discepoli sono stati testimoni e diretti partecipi della lavanda dei piedi, ma è necessaria maggiore istruzione perché essi possano capire correttamente Gesù come loro Maestro e Signore (v. 13) e così afferrare fino a che punto la sua azione di Maestro e di Signore debba penetrare e dominare la loro vita. In rife rimento diretto alla lavanda dei piedi, Gesù dice loro che devono ripetere tra di loro ciò che lui ha fatto per loro (vv. 14-15). Qualunque possa essere stato un eventuale sfondo storico e ritualistico di questa esortazione (cf la nota), nel suo attuale contesto letterario l'istruzione di Gesù è un appello ai discepoli a ripe tere nella propria vita ciò che egli ha fatto nei loro confronti. Devono copiare il suo esempio del dono amorevole di se stesso simboleggiato nella lavanda dei piedi (v. 15). Dietro l'uso del termine hypodeigma si cela il tema della morte. Questa espressione, che nel NT si trova soltanto in questo passo, in altri ben no ti testi ebraici (cf LXX 2 Mac 6,28; 4 Mac 17,22-23; Sir 44,16) è associata alla mor te esemplare. L'esortazione di Gesù non riguarda la condotta morale ma è un invito ad imitare la sua autodonazione. «La morte di Gesù ... come viene inter pretata qui tramite la lavanda dei piedi, è una regola di vita e di condotta per la comunità dei credenti» (Culpepper, «The Johannine hypodeigma» 144). Il co mandamento di perdere se stessi in un'autodonazione d'amore fino alla mor te ad imitazione dell'hypodeigma di Gesù è stato ritualizzato nel battesimo (cf v. 8: echein meros met'emou). Anche se non tratta direttamente del battesimo, il pas so lo presuppone nella vita e nella prassi della comunità giovannea (cf 3,3.5; 19,34). Ai cristiani giovannei viene chiesto di fare ciò che Gesù ha fatto per lo ro (v. 15). L'entrare a far parte della comunità giovannea comportava il rischio di accettare l'hypodeigma di Gesù: una totale dedizione all'amore anche se po teva condurre alla morte (cf 16,2). Questa parte di 13,1-38 termina nei vv. 16-17 con l'uso tipicamente giovan neo del doppio «amen». Era cominciata con l'osservazione del narratore che la conoscenza di Gesù portava all'azione. Ai discepoli viene detto che la lavanda dei piedi non è fine a se stessa ma è una lezione impartita dal padrone ai suoi ser vi (cf v. 14), i rappresentanti di colui che li ha mandati (v. 16). Essi devono te nersi al loro posto di servi, seguaci del padrone e di colui che li ha mandati (v. 16). In una frase greca finemente bilanciata Gesù associa questi servi e inviati al la propria conoscenza ed azione (vv. 1-5): saranno benedetti se sanno ciò che Gesù ha detto e ha fatto, e se, a suo tempo e luogo, fanno le stesse cose: Se sapete QUESTE COSE
siete benedetti se
fate QUESTE COSE
TAUTA oidate makarioi este hean poiete AUTA
ei
L'uso del doppio «amen» e la ripresa del tema della conoscenza e dell'azio ne presenti nei vv. 1-5 hanno l'effetto di una conclusione nei vv. 16-17. Come la conoscenza e l'amore di Gesù (vv. 1-3) sono sfociati nell'azione (vv. 4-11), così
La l a v a n da dei p iedi
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( 1 3, 1 - 1 7)
devono· porta re all'azione la conoscénZa e l'amore dei discepoli In questo con .
siste la beatitudine (vv. 12-17). NOTE Il discorso finale e la tradizione testamentaria. Il riconoscimento dell'importanza della let
teratura testamentaria ebraica, grossomodo contemporanea all'emergere della lette ratura cristiana, ha contribuito a creare un crescente interesse per Giovanni 13,1-17,26 quale esempio cristiano di questo genere di letteratura (cf Kasemann, Testament 3-6; Becker, Evangelium 2,44-46; Kurz, Farewell Addresses 9-32, 71-120; Cortès, Los Discursos de Adi6s; Bammel, «The Farewell Discourse» 103-116; Segovia, Farewell 2-20; Dettwiler, Die Gegenwart 14-33). Data l'usanza assai diffusa di lasciare un testamento, non è sor prendente che Gesù abbia voluto radunare i suoi discepoli per lasciare loro le sue ul time volontà. Giovanni 13,1-17,26 non è un perfetto esempio di questa forma lettera ria, poiché il testamento di Gesù procede a sviluppare temi che sono emersi nel corso del suo singolarissimo ministero. Non c'è nessuno dei santi o dei patriarchi d'Israele che nel suo testamento abbia rivendicato di essere l'inviato del Padre (cf 3,17.34; 5,36.38; 6,29.57; 7,29; 8,42; 10,36; 11,42) o una sola cosa con Dio (cf 10,30.38). I testamenti ebraici sono stati prodotti in tempi e in luoghi diversi, a partire dal secon do secolo a.C. (es.: T. 12 Patr.) fino al terzo secolo d.C. (es.: T. Sal.) ed anche più tardi (parti del T. Adamo). Questi sono giunti fino a noi sotto forma di traduzioni interpola te. In quanto tali, i testamenti ebraici non sono unificati secondo un preciso modello let terario, e tuttavia «si può discernere in essi un formato comune benché non rigido» (Charlesworth, Pseudepigrapha 1,773). Le seguenti caratteristiche dell'ultimo discorso giovanneo si riscontrano regolarmente anche nella tradizione testamentaria: l. Predizione della morte e della partenza. Dal personaggio che se ne parte il discorso è concepito come un «addio» ai suoi discepoli. L'ambientazione può essere un ultimo pasto in comune (T. Neft. 1,2-5; 9,2). Qualche accenno alla morte imminente si trova in tutti i testamenti, e la predizione della morte e della partenza è il motivo del ra duno (cf T. Rub. 1,3-4; T. Levi 1,2; T. Dan 2,1; T. Mosè 1,15). 2. Predizione difuture persecuzioni dei discepoli dopo la morte del loro capo. Anche questa è una caratteristica fondamentale di tutti i testamenti; i discepoli vengono preavvisati di future minacce e pericoli (cf T. Sim. 3,1-2; T. Gad 4,1-7). Vi sono anche frequenti ri ferimenti alle defezioni dei discepoli, al presente (cf T. Giuda 23,1) e in futuro (cf T. Levi 4,1; 10,1-5; 14,1-8; T. Issac. 6,1-4; T. Dan 5,7-8; T. Neft. 4,1-5). 3. Esortazione a una condotta ideale. La vita e l'esperienza dell'eroe morente servono da spunto per l'istruzione morale dei superstiti. Tutti i testamenti riportati in T. 12 Patr. presentano questa caratteristica (es.: T. Rub. 4,1; T. Giuda 14,1; T. Zab. 5, 1-15; T. Giu seppe 18,1-4; T. Ben. 3,1-3). Vedi Bammel, «The Farewell Discourse» 111-112. 4. Ingiunzionefinale. L'eroe raccomanda ai suoi discepoli di stare uniti come gruppo do po la sua partenza. È fondamentale il comandamento di amarsi gli uni gli altri (cf T. Rub. 6,9: T. Sim. 4,7; T. Zab. 5,5; T. Gad 6,1 -7; T. Giuseppe 1 7,1-8). Vedi Randall, «The Theme of Unity» 377-378. E sono date anche altre istruzioni (cf T. Levi 18,1-4; T. Giu da 24,1-25,5; T. Dan 5,7-13; T. Neft. 8,1-8; T. Ben. 10,2-11). 5. Affermazione e rinnovo delle infallibili promesse di Dio. Questo tema è alla base della narrativa, esortazioni e lodi in tutti i testamenti. Ovviamente è espresso in termini particolarmente forti ed espliciti nel T. Mosè (cf 1,8-9; 3,9; 4,2-6; 12,7-13). Vedi il trat tamento dettagliato di questa caratteristica del genere di congedo in Kurz, « Luke 22:14-68» 251-268. Particolarmente utili sono le tavole comparative degli elementi comuni nei testamenti greco-romani, AT e NT a pp. 262-263.
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6. Dossologia conclusiva. Sebbene non pl"esente nei T. 1 2 Patr., i quali terminano tutti con la notizia della morte e sepoltura del patriarca, altri testamenti terminano con una breve preghiera di lode a Dio (cf T. Giobbe 43,1-17; T. Isacco 8,6-7; T. Giacobbe 8,6-9). Come gli altri testamenti prendevano le mosse dalle tradizioni popolari e bibliche rac colte attorno al patriarca in punto di morte, così Giovanni 13,1-1 7,26 si ispira alle tra dizioni giovannee che riguardano la vita, e soprattutto la morte di Gesù di Nazaret. l. Prima della festa di Pasqua: Sui richiami alla Pasqua in questi capitoli conclusivi del Quarto Vangelo vedi Knoppler, Die theologia crucis 119-121. di passare da questo mondo al Padre: L'uso giovanneo del termine kosmos («il mondo») si presta a diverse interpretazioni. Vedi la rassegna in Moloney, Beliefin the Word 37. Qui ha un significato neutrale: il tempo e il luogo dell'attività umana. Gesù, sapendo ... avendo amato ... li amò: Questi aoristi sono tutti «gnomici». Hanno va lenza universale, applicabile in qualsiasi circostanza e non legata a un momento spe cifico nel tempo. Vedi BDF 171, § 333. Per il suggerimento che i vv. 1-3 fanno da «pro logo secondario» al libro della passione vedi Grossouw, «A Note» 125-131 . 2. il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda ... di tradirlo: L'espressione greca beblekotos eis ttn kardian può significare «mettere in testa a qualcuno» o «prendere la decisione di» (cf Gb 22,22; l Sam 29,10). Qui deve essere letta nel senso di «suggerire, convincere» e si riferisce a Satana, non a Giuda. Vedi Delebecque, Évangile de fean 183. 4. si tolse la veste: Ci sono analogie tra l'atto di Gesù di togliersi la veste (tithésin) e l'uso dello stesso verbo per descrivere le azioni e l'atteggiamento del Buon Pastore (cf 10,11.15.17.18). Analogamente, il verbo usato per descrivere Gesù che riprende la sua veste nel v. 12 (elaben) è lo stesso usato per dire che il Buon Pastore riprende la propria vita (cf 10,17.18). Vedi Dunn, «The Washing» 248; Culpepper, «The Johannine hypo deigma» 137; Koester, Symbolism 10-11. 8. non sarai messo a parte di ciò che è mio: Per uno sviluppo forte della portata battesimale di questa espressione vedi de Boer, fohannine Perspectives 283-292 Secondo de Boer la presentazione di questo tema rispecchia un terzo stadio nella crescita della comunità. Il battesimo «distoglie il discepolo dalle tentazioni, dal pericolo del peccato e del de monio». 10. Chi ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi: Nel v. 10a è usato il participio ho leloumenos («chi ha fatto il bagno»), che comporta l'immersione totale. Questo in contrapposto al verbo nipsasthai («lavare») usato nel v. 10b, che comporta solo un lavaggio parziale con acqua. L'immersione totale espressa nella frase «chi ha fatto il bagno» è un ulteriore accenno sia al battesimo che all'associazione del discepolo con la morte di Gesù. Vedi Schnackenburg, Gospel 3,21-22; Hultgren, «The Johannine Footwashing» 544. non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro: L'espressione «se non i piedi» è sta ta aggiunta successivamente da alcuni copisti per risolvere il problema del perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Molti che erano stati lavati non erano del tutto pu ri. Per la discussione in merito vedi Moloney, Son of Man 1 9 2-1 93 Alcuni studiosi re centi contestano questa interpretazione e sostengono che ei me tous podas nipsasthai è originale. Vedi, per esempio, Thomas, Footwashing in fohn 13 19-25, e Niemand, Die Fufiwaschungerziihlung 252-256. Le argomentazioni presentate da Grelot, «L'interpré tation pénitentielle» 1,75-91, per spiegare l'inserimento dell'espressione alla luce del la successiva prassi penitenziale della Chiesa primitiva rimangono convincenti. 15. Vi ho dato un esempio: Sono stati fatti molti tentativi di far leva su questo «esempio» per individuare le cerimonie della Chiesa primitiva derivate dalla lavanda dei piedi. Vedi le varie possibilità presentate da Thomas, Footwashing 126-185. Thomas associa la .
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Fa r c o n o s c e re D i o ( 1 3 , 1 8- 2 0 )
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lavanda dei piedi al perdono dei peecàti nella comunit� giovannea (e perciò insiste sull'originalità del v. 10b). Niemand, Die Fufiwaschungerziihlung 320-402, a sua volta presenta un'ottima rassegna del cerimoniale che può essere derivato dalla lavanda dei piedi. Niemand sostiene che la lavanda dei piedi (anche in questo caso il v. 10b deve es sere sottinteso) rispecchia una discussione esistente nella Chiesa primitiva riguardo al la necessità di un rito di iniziazione totale o parziale per gli ex discepoli di Giovanni Battista che si facevano cristiani. Culpepper, «The Johannine hypodeigma» 144, giusta mente associa l' «esempio» del v. 12 alla morte di Gesù. Per un'associazione più gene rale della lavanda dei piedi con la morte di Gesù vedi Beutler, «Die Heilsbedeutung» 188-204; Robinson, «The Significance» 77-80; Dunn, «The Washing» 247-252; Koester, Symbolism 111-118. Altri hanno associato la lavanda dei piedi con la morte di Gesù nei vv. 6-11, ma ritengono che questa associazione non sia più presente nei vv. 12-17 (es.: Schnackenburg, Gospel 3,23). 17. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica: La beatitudine del credente gio vanneo deriva dal fare, dal «mettere in pratica» tutto ciò che il diventare discepoli at traverso il battesimo comporta. Per il modo di vedere il battesimo e l'Eucaristia nella Chiesa primitiva vedi David E. Aune, The Cultic Setting of Realized Eschatology in Early Christianity, NT.S 28, E. J. Brill, Leiden 1972, 16-18. Sulle implicazioni del significato giovanneo di «conoscere» e «fare» in questo contesto vedi Rensberger, fohannine Faith 64-86; Weiss, «Footwashing» 298-325.
b) Far conoscere Dio (1 3,18-20)
18. «Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrit tura: "Colui che mangia il pane con me, ha alzato contro di me il suo calcagno". 19. Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che IO SONO. 20. In verità, in verità [ amen, amen] io vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, ac coglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
I N T E R P R E TA Z I O N E Gesù sa chi sia tra loro colui che lo tradirà (vv. 10-11) e sa anche che un rav vedimento trasformerà la presente ignoranza di Pietro in conoscenza (v. 7). Non tutti i suoi discepoli agiranno in base a ciò che sanno (v. 18a), ma Gesù co nosce quelli che ha scelto (v. 18b). Non si fa illusioni circa la loro fragilità, e ha già detto che uno di loro lo tradirà e che un altro non può capire ciò che Gesù fa. Li ha scelti così perché si adempissero le Scritture. Uno dei discepoli che non agirà in base a ciò che conosce sederà a tavola con Gesù, e tuttavia lo col pirà (v. l&; cf Sal 41,9[10]). Dietro questa scelta di discepoli fragili sta una logica che sfida qualsiasi logica umana, e Gesù informa i suoi discepoli sugli eventi che adempiranno le Scritture prima che questi accadano, perché quando final mente accadranno possano giungere a conoscere e a credere che Gesù è la sola e irripetibile rivelazione di Dio (v. 19b: hina pisteusete hotan genetai ho ti ego eimi). L'uso assoluto di ego eimi, preso dalla tradizione profetica, indica che Gesù è la speciale e unica rivelazione di Dio sopra e contro qualsiasi altro che possa ar rogarsi tale rivendicazione. Parte di questa rivelazione è la sua scelta di un gruppo di discepoli ignoranti e inaffidabili, uno dei quali lo tradirà. Quando
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questo tradimento � predetto dalle Scritture - avrà luogo, allora si vedrà il por tento di un Dio che compie tali cose. Allora i discepoli sapranno e crederanno che la scelta che Gesù ha fatto di loro fa conoscere Dio. Gesù non solo ha coscientemente scelto discepoli fragili e inaffidabili (v. 18}, ma li ha anche inviati nel mondo quali suoi rappresentanti (v. 20). Questo pas so centrale di 13,1-38, inserito tra la descrizione della lavanda dei piedi (vv. 1-17) e l'offerta del boccone (vv. 21-38), termina con un doppio «amen». Acco gliere il discepolo significa accogliere Gesù, e accogliere Gesù significa acco gliere Dio (v. 20) . Gesù ha scelto (v. 18) e manderà tra la gente (v. 20) discepoli che sono ignoranti, che lo fraintendono e che lo tradiranno . Uno di loro si leverà contro di lui; un altro fingerà di non conoscerlo. Gesù dice ai discepoli queste cose prima che accadano, ma il lettore sa già che Gesù sta parlando del tradi mento, della propria sofferenza e della morte. Sarà adempiuta la Scrittura e Dio verrà rivelato nell'evento di un incondizionato dono di se stesso fino alla morte (v. 1: «li amò eis telos») per coloro che ha scelto e per coloro che mande rà, pur sapendo che questi stessi discepoli cadranno e lo tradiranno. Dio è ri velato in un amore che sorpassa qualsiasi modo immaginabìle di amare. Il rac conto promette che la morte di Gesù sarà un momento di autodonazione d'a more che rivelerà Dio (v. 19) e trasformerà dei fragili discepoli in inviati del Padre (vv. 18.20; cf v. 7). NOTE 18. io conosco quelli che ho scelto: Schneiders, «The Footwashing» 84-86, presenta tre mo delli di servizio che potrebbero essere presupposti da questa narrazione. Secondo la scrittrice, Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli pratica un modello di servizio tra ami ci. La nostra interpretazione suggerisce che questa azione rivela una qualità dell'a more più profonda che va ben oltre il modello di servizio tra amici. Gesù ama i disce poli che ha scelto e che invierà nel mondo pur sapendo che lo deluderanno e lo tradi ranno. li suo amore è incondizionato (v. 1: eis telos) e arriverà al punto di dare la sua vi ta per l'amore che nutre per loro (cf 10,11 .17). Colui che mangia il pane con me: n verbo usato per «mangiare» in LXX Sal 41,10 è esthiein, ma la citazione giovannea del passo usa il verbo trogein. La differenza tra i due verbi è stata oggetto di varie discussioni. Nella letteratura classica il primo verbo è usato per esprimere la normale azione di mangiare dell'uomo, mentre il secondo è un termine più propriamente fisico che descrive l'atto di rosicchiare o masticare ed è spesso usa to per gli animali. L'accettazione di questa differenza è alquanto significativa quando Gesù offre il boccone di pane a Giuda nel v. 26. In sostegno della distinzione vedi Spicq, «Trògein: Est-il synonyme?» 414-419. Menken, Old Testament Quotations 128-129, fa no tare i cinque passi in cui Giovanni usa trogein, ma conclude che l'associare trogein a phagein è una caratteristica stilistica giovannea (cf 6,53-54). Vedi anche Obermann, Die christologische Erfii. llung 255-258, 263-265. In nessuna di queste due discussioni viene preso in considerazione il contesto eucaristico dell'uso di trogein. Phagein è ampia mente usato in altri contesti giovannei nei quali trogein non compare mai (cf 4,31.32.33; 6,5.23.26.31.49; 18,28). Perché mai scambiame l'uso con trogein in 6,51-58, e perché pha gein non compare in 13,18? La scelta del verbo più propriamente fisico per mangiare è influenzata dai contesti eucaristici. Schuchard, Scripture within Scripture 108-110, è d'ac cordo con Menken che non c'è alcuna distinzione tra phagein e esthiein (112), ma accet-
L ' offe r t a d e l b o c c o n e ( 1 3 , 2 1 - 3 8 )
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' ta l'ipotesi che l'autore giovanneo possa aver usato trDgein per associare 13,18 con 6,51-58. 19. crediate che Io SONO: Per ulteriori informazioni e capire meglio ciò che Gesù intende con l'uso assoluto dell'espressione ego eimi come affermazione della esclusiva rivela zione di Dio, vedi Moloney, Signs and Shadows 100-101 . Bali, «l Am» in ]ohn's Gospel 110-119, 198-200, nota l'importanza di «IO SONO» in 13,19 ed è del parere che l'espres sione costringe il lettore a ricercare più a fondo nel racconto per scoprire chi sia Gesù. 20. Chi accoglie colui che io manderò: Viene spesso fatto notare che nel Quarto Vangelo, in particolare in Giovanni 13-17, c'è un superamento della distinzione tra presente e fu turo (es.: O'Day, «"l Have Overcome the World"» 153-166). Questo può essere vero per alcuni passi, ma per quanto riguarda l'ultimo discorso occorre prestare la dovuta attenzione a diversi elementi che implicano un senso dell' «adesso» e del «dopo». Que sto vale particolarmente per l'insegnamento di Gesù sul dono del Paraclito, ma si ap plica anche a 13,7 e 13,18-20. Un elemento di aspettativa non è mai completamente eli minato. Il lettore aspetta un momento futuro in cui Pietro capirà e in cui «queste cose» si avvereranno.
c) L'offerta del boccone (13,21-38) 21. Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato [nello spirito] e dichiarò: «In
verità, in verità [amen, amen] io vi dico: uno di voi mi tradirà». 22. I discepoli si guar davano l'nn l'altro, non sapendo bene di chi parlasse. 23. Ora uno dei discepoli, quel lo che Gesù amava, si trovava a tavola vicino al petto di Gesù. 24. Simon Pietro gli fe ce cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. 25. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». 26. Rispose allora Gesù: « È colui per il quale intingerò nn boccone e glielo darò». E, in tinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. 27. Allora, do po quel boccone, satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che stai facendo, fallo presto». 28. Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; 29. al cnni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Com pra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai pove ri. 30. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. 31. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cer cherete, ma, come ho già detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». 36. Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». 37. Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». 38. Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità [amen, amen] io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte».
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IN T E R P R E T A Z I O N E
testimonianza di Ges ù (vv. 21-25). I l doppio «amen» che ha concluso i vv. 1-7 e 18-20 ora introduce il v. 21. Gesù solleva la questione del traditore e inizia un dialogo con i suoi discepoli che porterà alla rilevazione dell'identità del tra ditore mentre sono seduti a tavola (v. 26; cf v. 18). L'uso del doppio «amen» concluderà ancora una volta questa parte del racconto quando Gesù predice il futuro rinnegamento di Pietro (v. 38). C'è un parallelo tra il v. l, dove il narra tore nota la conoscenza e l'amore di Gesù, e il v. 21 dove è riportata un'altra esperienza emotiva: Gesù è turbato nello spirito. L'amore di Gesù per i suoi eis telos stabilisce un legame con la croce nel v. l, e la croce fa ancora capolino nel lo sfondo della descrizione di Gesù che è «turbato nello spirito» (v. 2la: eta rachthe ti) pneumati). Il verbo tarassein riecheggia il Salmo 42 /43 che è già stato chiamato in causa due volte per fare dei riferimenti indiretti alla passione (cf 11,33; 12,27). Nonostante questi importanti legami con le precedenti parti del racconto, la solenne presentazione delle parole di Gesù che «dichiara» o testimonia (v. 2lb: emartyresen) segna uno stacco tra i vv. 18-20 e ciò che segue. Il breve discorso di Gesù (vv. 18-20) si conclude con una dichiarazione circa il tradimento. Questa testimonianza porterà a un dialogo (vv. 23-30) che è simile alla precedente con versazione con Simon Pietro (vv. 6-11). Ma il dialogo con Simon Pietro si è svol to nel contesto della lavanda dei piedi, mentre questo dialogo si svolge nel con testo dell'offerta di un boccone di pane. La testimonianza di Gesù si concentra su uno dei discepoli presenti a tavo la (cf vv. 12.18), quello che lo tradirà (v. 21b: hoti heis ex hymon paradosei me). Queste parole ovviamente innescano una reazione tra i commensali, ma è una reazione che mostra che i discepoli non si muovono nel mondo di Gesù. Essi so no «incerti» (aporumenoi), «si guardavano l'un l'altro>> chiedendosi «di chi par lasse» (v. 22). Il verbo aporein compare solo qui nel Quarto Vangelo, ma in altri testi (rari) del NT è usato per esprimere perplessità (cf Mc 6,20; Le 24,4; At 25,20; 2 Cor 4,8; Gal 4,20). Siamo sempre in presenza di ignoranza, confusione e in comprensione (cf vv. 6.7.9.12-13). Compare per la prima volta il Discepolo Pre diletto, che sta «vicino al petto di Gesù» (v. 23: en tQ kolpQ tou lesou; cf 1,18). No nostante la sua posizione privilegiata, condivide anche lui la perplessità degli altri. Come accadrà puntualmente da questo punto in poi del racconto, Pietro si mostra subordinato al Discepolo Prediletto quando gli chiede: «Chi è quello di cui parla?» (v. 24). Questa richiesta suppone che il Discepolo Prediletto ab bia un qualche accesso privilegiato a questa informazione, ma non è così. Egli deve chiederla a Gesù, e la sua domanda offre l'occasione per le parole e le azioni che seguono: «Signore, chi è?» (v. 25). Gesù e Giuda (vv. 26-30). Gesù risponde alla domanda del discepolo dicen dogli che farà verso il traditore un gesto di particolare riguardo: quello di con dividere con lui un pezzo di pane intinto nel piatto comune (v. 26a). Con rigo rosa brevità il narratore osserva: «Intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giu da, figlio di Simone Iscariota» (v. 26b). Dopo che Giuda ha accettato il boccone, Satana entra in lui (v. 2 7a). In precedenza il narratore ha detto che Satana ave va deciso che Giuda avrebbe dovuto tradire Gesù (v. 2), e nel v. 27a Satana prenLa
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d e possesso di lui. Giuda ora è entrafo a far parte d i un programma satanico diametralmente opposto al programma di Dio rivelato in Gesù. Eppure in un supremo gesto d'amore Gesù condivide con il suo futuro traditore il boccone di pane intinto (v. 26), ottenendone solo un rifiuto definitivo dal momento che Satana si impossessa di Giuda (v. 27a). Diversi indizi presenti nel testo fanno pensare che questa condivisione del boccone intinto abbia le sue radici nelle tradizioni eucaristiche della comunità giovannea. La citazione di Gesù del Sal 41,9[10]b nel v. 18 è il primo di questi in dizi. Nei LXX il passo «Colui che mangia il pane con me» ha: ho esthion artous mou, mentre il testo giovanneo ha: ho trogon mou ton arton. Sembra che il termine più «appropriato» per il mangiare umano (LXX: esthiein) sia stato sostituito di proposito con un termine meno delicato: «sgra nocchiare», «masticare coi denti» (trogein). In sé questo potrebbe essere insi gnificante, ma l'unico altro passo in cui compare questo verbo è 6,54-58, che è il passo più esplicitamente eucaristico di tutto il Vangelo. Là viene usato quat tro volte (6,54.56.57.58). La citazione del Sal 41,9[10] potrebbe aver fatto parte della spiegazione tradizionale nella Chiesa primitiva di ciò che era avvenuto nell'Ultima Cena (cf Mc 14,18; Le 22,21), ma l'autore giovanneo ha rimaneg giato il salmo, legando l'offerta del boccone di pane a Giuda con le tradizioni cristiane che parlavano di quell'avvenimento. Così si può risolvere una delle tante difficoltà testuali presentate dal v. 26b. Alcuni antichi manoscritti non contengono le parole «lo prese e» (lambanei kai), espressione che ricorda l'azio ne di Gesù di prendere il pane nelle sue mani descritta in tutti i miracoli che ri guardano il pane (Mc 6,42; 8,6; Mt 14,19; 15,36; Le 9,16; Gv 6,11) e nei resocon ti sinottici e paolini dell'Ultima Cena (Mc 14,22; Mt 26,26; Le 22,19; l Cor 11,23). Alcuni amanuensi non potevano sopportare l'idea che la condivisione del boc cone di pane tra Gesù e Giuda potesse avere connotazioni eucaristiche e perciò hanno eliminato le parole che ne facevano esplicito riferimento. Come il batte simo è un tema derivato dalla lavanda dei piedi, così l'eucaristia è un tema de rivato dalla cena e dall'offerta del boccone di pane. Nel contesto di una cena a sfondo eucaristico Gesù offre il boccone di pane al personaggio più abietto di tutto il racconto giovanneo: Giuda. I discepoli hanno sempre mostrato igno ranza e continueranno a farlo, deluderanno Gesù e lo rinn egheranno; alcuni perfino lo tradiranno nella maniera più vile e plateale. Ma l'amore incessante di Gesù proprio per questi discepoli, un amore che abbraccia perfino l'archetipo del discepolo perverso, rivela un Dio unico e insondabile (cf vv. 18-20). Questo è ciò che significa amare eis telos (v. 1). Gesù conosce le intenzioni di Giuda. Gesù gli ha teso la mano in un dono d'amore, ma il disegno di Satana nei confronti di Giuda (cf v. 2) comincia a realizzarsi: Satana entra in lui (v. 27a). Gesù questo lo sa e, presentato sempre al comando della situazione, manda Giuda a compiere la sua opera, racco mandandogli solo che quello che ha in mente di fare lo faccia al più presto possibile (v. 27b). Queste drammatiche parole ed eventi inducono il narratore a far notare l'assoluta e generale ignoranza dei discepoli (vv. 28-29). Nessuno infatti dei commensali ha capito di cosa si trattasse (oudeis egna) . Il «nessuno» (oudeis) include il Discepolo Prediletto. Dopo l'estrema chiarezza delle parole
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e delle azioni dei vv. 25-26 è difficile credere che nessuno abbia capito. I l Di scepolo Prediletto, seduto così vicino a Gesù (vv. 23.25), quello che ha chiesto a Gesù di indicare chi fosse il traditore, almeno lui dovrebbe aver capito. Ma l'ignoranza generalizzata e la confusione regnano sovrane. Il massimo a cui al cuni dei discepoli (tines) possono arrivare è di supporre che Gesù dica a Giuda, il cassiere del gruppo, di fare degli acquisti per la festa o di dare qualcosa ai poveri (v. 29). Dopo aver ricevuto il boccone Giuda esce immediatamente (euthus); ed era notte (v. 30). Ora sotto il controllo di Satana (vv. 2.27a), Giuda si allontana dal la luce del mondo (cf 8,12; 9,5) per andare verso la notte e nelle tenebre di quel li che rifiutano Gesù e hanno complottato per ucciderlo (cf 1,5; 3,2; 8,12; 9,4; 11,10; 12,35.46). All'inizio del ministero di Gesù, uno dei capi de «i Giudei» è passato dalla notte alla luce di Gesù (3,2). ll viaggio di quel personaggio speci fico non è ancora finito (cf 7,50-51), ma mentre la vita di Gesù sta avviandosi verso la conclusione, uno «dei suoi» che egli ha amato eis telos (13,1; cf v. 26) passa dalla luce alle tenebre (v. 30). Un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri (vv. 31 -38). La partenza di Giuda nella notte (v. 30) porta Gesù ad emettere un «grido di trionfo» (G. H. C. Macgregor, The Gospel offohn, Hodder & Stoughton, London 1928, 283). La par tenza di Giuda e la proclamazione di Gesù nei vv. 31-32 sono strettamente le gate al v. 30 dalle parole «quando [dunque] fu uscito» (v. 31a: hote oun exelthen). Un elemento essenziale dell'autodonazione di Gesù nell'amore è il suo «innal zamento» che farà conoscere Dio (cf 3,14; 8,28) e attirerà tutti a sé (12,32-33). Perciò la partenza di Giuda (v. 30) porta logicamente alla proclamazione dei vv. 31-32. Queste parole non sono l'inizio di un discorso (13,31-14,31), ma procla mano che l'ora è venuta (cf 12,23.27.31; 13,1). Adesso è giunto il momento che il Figlio dell'uomo sia innalzato per la propria glorificazione e, attraverso di essa, per la glorificazione di Dio (v. 31). Quando in precedenza Gesù parlava del «Figlio dell'uomo>> guardava in avanti alla crocifissione (cf 1,51; 3,14; 6,27.53; 8,28; 12,23). Sulla croce Gesù riceverà la propria glorificazione, ma la sua morte rivelerà anche la doxa tou theou. Coerentemente con l'uso che l'auto re fa del termine doxa per indicare la rivelazione (cf 1,14; 2,11; 5,44; 7,18; 11,4.40; 12,41 .43), come la doxa di Dio si è resa visibile sul Sinai (cf Moloney, Belief in the Word 55-57}, così la croce segna il tempo e il luogo in cui Dio verrà rivelato. L'arrivo dei Greci aveva offerto a Gesù la prima occasione di annunciare che era venuta l'ora che il Figlio dell'uomo fosse glorificato (12,23). Adesso la parten za del traditore offre a Gesù l'occasione di proclamare che è adesso che il Figlio dell'uomo viene glorificato, che la gloria di Dio sarà vista nella glorificazione di Gesù sulla croce (vv. 31b-32b), e questi eventi strettamente legati tra loro avran no luogo immediatamente (v. 32c: euthus). La partenza di Giuda mette in moto gli eventi promessi da Gesù nei vv. 18-20 quali il tempo e il luogo in cui i discepo li, scelti e inviati da Gesù, potranno giungere a credere che Gesù è la rivelazio ne di Dio (v. 19: hoti ego eimi). L'incondizionato amore di Gesù per i suoi fragili discepoli è indicato nella sua tenera espressione del v. 33: «figlioli» (teknia). Egli ripensa alle parole det te a «i Giudei». Nel contesto di un possibile arresto violento da parte degli
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emissari dei Farisei, Gesù aveva detto a « i Giudei» che sarebbe stato tra loro an�
cora per poco tempo (cf 7,33). Gesù ripensa a quel momento, contrassegnato da conflitti e pericoli, quando dice ai suoi «figlioli» che lo cercheranno ma non lo troveranno perché, come aveva detto a «i Giudei»: «Dove vado io, voi non po tete venire» (13,33; cf 7,34). «I Giudei» non potevano capire chi era Gesù e do ve andasse al momento del suo ritorno al Padre. Purtroppo è così anche per gli ignoranti e inaffidabili discepoli di Gesù. E tuttavia essi rimangono i suoi di scepoli, i suoi «figlioli», persi eppure amati in tutta la loro incapacità di com prendere, nella loro debolezza e ignoranza. Gesù dà loro un comandamento nuovo (vv. 34-35) che corrisponde al dono del suo esempio (v. 15). La lavanda dei piedi è contrassegnata dal dono di un esempio (v. 15: hypodeigma gar edoka hymin) e l'offerta del boccone di pane è contrassegnata dal dono di un coman damento nuovo (v. 34a: entolen kainen didomi hymin). Sia l'esempio che il co mandamento sono strettamente associati alla richiesta di Gesù che i suoi di scepoli lo seguano in un'autodonazione d'amore fino alla morte. Questo è im plicito nell'imperativo che i discepoli facciano gli uni per gli altri ciò che Gesù ha fatto per loro (15b: kathos ego epoiesa hymin) e diventa esplicito nel nuovo co mandamento che si amino gli uni gli altri come Gesù ha amato loro (v. 34b: kathos egapesa hymas). Una inconfondibile qualità dell'amore, ispirato all'amo re che Gesù ha nutrito per «i suoi», sarà quella che contraddistinguerà i segua ci di Gesù (v. 35). Fra poco verrà il momento in cui Gesù non sarà più tra di lo ro ed essi non potranno andare dove va Gesù (cf v. 33). In quel periodo di as senza essi dovranno copiare e riprodurre l'amore di Gesù e in tal modo rende re attuale lo stile di vita di Gesù (vv. 34-35). Nel v. 7a Gesù parlava della presente ignoranza di Pietro, e ora Pietro ne dà la conferma chiedendo cosa Gesù vuoi dire quando parla della sua assenza e che va in un luogo dove i discepoli non possono seguirlo (v. 36a). Gesù ripete ciò che ha già detto nel v. 33 ma poi ricorda la promessa di un tempo futuro fat ta nel v. 7b: «lo capirai dopo». Pietro non può seguire Gesù adesso (v. 36b), ma lo seguirà più tardi (v. 36c). C'è un contrasto nel racconto tra l'adesso del mo mento presente, contrassegnato da discepoli infidi, ignoranti e labili (vv. 7a.36b) e il più tardi, quando questa situazione verrà trasformata (vv. 7b.36c. Vedi 2,22; 12,16). Il racconto si svolge nel «periodo intermedio» durante il quale il lettore guarda con fiducia in avanti alla soluzione del contrasto creato da questo «adesso» e «dopo», solo parzialmente risolto dalle parole di Gesù nel v. 19: «Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono>>. Pietro spavaldamente assicura che non c'è nessun contrasto. Con un atteg giamento analogo a quello mostrato a Gesù in occasione della lavanda dei pie di, pone a Gesù una domanda che indica che è disposto a seguirlo a qualsiasi costo (v. 37). Pietro sta pensando a un viaggio umano in qualche luogo e in cir costanze pericolose; ma Gesù sta parlando del suo ritorno al Padre. Pietro pro clama che è disposto a dare la propria vita per Gesù, come il Buon Pastore ave va detto di essere disposto a dare la vita per le sue pecore (cf 10,11.15.17). Que sto è esattamente ciò che Gesù chiede a tutti i suoi discepoli nel dono del suo esempio (v. 15) e nel dono del comandamento nuovo (vv. 34-35). Ma un tale
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amore è frutto di uri radicale cailvincimènto nel seguire Gesù e triai di una so vrapposizione del proprio punto di vista ai disegni di Dio. Gesù predice a Pie tro che sarà tradito dalla sua stessa ignoranza. Pietro cadrà, rinnegando Gesù tre volte prima che il gallo canti (v. 38). L' «adesso» dell'ignoranza e del misero fallimento di Pietro riceverà ulteriori conferme, e la conoscenza di Gesù sarà maggiormente esaltata. Il lettore sa già che il racconto che segue confermerà le predizioni di Gesù: Giuda lo tradirà (cf vv. 2.10-11 .18.21-30.31a) e Pietro ne gherà con insistenza di averlo mai conosciuto (cf vv. 36-38). Conclusione di 13,1-38. All'inizio del resoconto giovanneo dei fatti dell'ulti ma notte trascorsa da Gesù con i suoi discepoli (vv. 1-5) sono emersi tre temi: l'arrivo dell'«ora» (v. 1), l'amore di Gesù per i suoi, per quanto manchevoli pos sano essere (vv. 1-3) e il perfetto compimento dell'opera di Gesù per mezzo di un estremo atto di amore (v. 1). A conclusione di questo resoconto è stato ri preso uno di questi temi: l'amore di Gesù per i suoi (vv. 34-35) indipendente mente da quanto fragili possano essere (vv. 36-38) . Viene poi aggiunto un altro tema: la glorificazione di Gesù e la rivelazione della gloria di Dio (vv. 31-32). Questo tema era apparso anche al centro del passo, nella dichiarazione di Ge sù che i suoi discepoli avrebbero riconosciuto in lui la sola rivelazione di Dio in e per mezzo degli eventi che accadranno nell'immediato futuro (v. 19). Gio vanni 13,1-38 è una descrizione della gloria dimostrata da un amore incondi zionato, e Gesù chiede ai suoi discepoli di vivere ed amare come ha fatto lui. Questo è l'esempio (v. 15) e il comandamento nuovo (vv. 34-35) che lascia loro in eredità. L'esempio e il nuovo comandamento si fondono in un'unica realtà. Molti temi abbozzati durante il ministero saltano ora in primo piano: la fra gilità dei discepoli (cf 1,35-49; 4,27-38; 6,1-15.60-71; 9,1-5; 11,5-16), il tradimen to di Giuda (cf 6,70-71; 12,4-6), il rinnegamento di Pietro (cf 1,40-42; 6,67-69), la partenza di Gesù (cf 7,33-34; 8,21), l'impossibilità di seguirlo nel suo ritorno al Padre «adesso» (cf 7,33-34), un futuro evento che trasformerà la mancanza di conoscenza e di fede «adesso» in un «dopo» quando i discepoli potranno co noscere e seguire (cf 2,22; 12,16), la conoscenza di Gesù (cf 2,24-25; 4,1; 5,42; 6,15; 10,14-15), il suo amore per i suoi (cf 3,16-1 7.34-35), la croce come momen to di glorificazione di Gesù (cf 1,51; 11,4; 12,23.33) e infine la glorificazione di Dio in e per mezzo dell'evento della croce (3,13-14; 8,28; 12,23.32-33). Gli inter rogativi sollevati dal racconto del ministero pubblico di Gesù convergono, e in questo senso 13,1-38 prepara il lettore per 14,1-20,31. NOTE
21. fu profondamente turbato [nello spirito]: Ferraro, «"Pneuma" in Giov 13.21» 185-211, no ta l'importanza strutturale del v. 21, che comincia un nuovo argomento ed è legato al la descrizione che il narratore fa dell'amore di Gesù nel v. l. Ferraro vede nello spirito del v. 21 un riferimento allo Spirito di Dio che sprona Gesù di fronte al rifiuto che gli viene opposto. Sul legame tra l'uso del verbo tarassein nel v. 21 e la passione di Gesù passando per il Salmo 42/43 vedi Beutler, «Psalm 42/43 im Johannesevangelium» 34-37; Dodd, Tradition 37-38, 69-71. 23. vicino al petto di Gesù: La posizione fisica del Discepolo Prediletto è descritta due vol te: v. 23: en tQ kolpQ tou Iesou e v. 25: epi to stethos tou Iesou. Questa intima vicinanza fisi-
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èa è simbolo sia di affetto che d i dedizione. Questa descrizione è analoga al rapporto esistente tra il Gesù storico e il Padre, descritto come eis ton kolpon tou patros in 1,18.
Questo non descrive una «immanenza», come è spesso supposto. Vedi la nota relativa a 1,18. 25. Signore, chi è?: Non c'è motivo di vedere nell'uso del kyrie una forma di alta cristologia. È semplicemente una domanda rispettosa. 26. intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda: A causa delle difficoltà create dalla possibi lità che il boccone offerto a Giuda assumesse un significato eucaristico, questo testo è risaputamente manomesso. In particolare, le parole lambanei kai mancano in alcuni im portanti manoscritti antichi (es.: JJ6', antica versione del Sinaitico, Beza e Koridethi). L'e spressione non deve essere considerata un adattamento scribale in analogia ad altri te sti eucaristici (come, ad esempio, vorrebbero Barrett, Gospe1 447; Brown, Gospe/ 2,575; Haenchen, ]ohn 2,113; e Lindars, Gospel 459), ma va ritenuta come originale perché rappresenta la lectio difficilior e conferma altri accenni eucaristici contenuti nel passo. A favore dell'originalità dell'espressione, ma non necessariamente di una sua interpre tazione eucaristica, vedi UBSGNT; Bauer, ]ohannesevangelium 174; Schnackenburg, Go spe/ 3,30. Le preoccupazioni degli amanuensi riguardo al v. 26 sono le stesse che han no creato difficoltà testuali in numerosi altri passi. Per una sintesi vedi Metzger, A Tex
tual Commentary 205.
n termine greco p50mion («boccone») può riferirsi a un boccone di pane oppure di car ne. La nostra interpretazione dà per scontato che qui si tratta di un boccone di pane, an che se Lagrange, Evangile 362, sostiene che si tratta di carne e Kysar, John 214, opta per un boccone di erbe amare. Altri ritengono che dietro Giovanni 13 ci sia uno sfondo eucaristico, ma in termini piuttosto generici. Vedi, ad esempio, Suggit, «}ohn 13,1-30», secondo il quale l'intero passo si riferisce alla morte di Gesù e alla celebrazione del l'Eucaristia ad essa tanto strettamente associata. Cancian, Nuovo Comandamento 311-323 adotta una posizione analoga, aggiungendo che Giovanni 6 e il modo giovanneo di concepire la nuova alleanza avrebbero contribuito ad attribuire a questo passo una valenza eucaristica. La maggior parte degli studiosi moderni considera il ricorso al boccone di pane o co me un pretesto per allontanare Giuda dalla riunione dell'Ultima Cena (es.: Schnac kenburg, Gospe/ 3,30; Cancian, Nuovo Comandamento 140-149) o come un'indicazione che Giuda sceglie Satana anziché Gesù (es.: Brown, Gospe/ 2,578). Quelli che attribui scono al passo una valenza eucaristica (es.: Bauer, Johannesevangelium 175) si appella no a l Cor 11,29 per dimostrare che Satana entra in Giuda perché ha preso il boccone eucaristico senza discernimento. Tutti rifuggono da una interpretazione eucaristica del tipo proposto sopra perché non hanno dato il dovuto peso alle implicazioni del l'amore di Gesù per i suoi fragili discepoli eis telos (13,1). Per uno studio più dettaglia to di Giovanni 13 secondo questo modo di vedere vedi Moloney, «A Sacramentai Rea ding)) 237-256; idem, Body Broken 113-150. 30. Ed era notte: Sull'analogo passo nel racconto di Nicodemo e sulla funzione della storia di Nicodemo nel Quarto Vangelo vedi Moloney, Signs and Shadows 90-93. 31. Quando fu uscito: È sorprendente che siano così rari i commentatori che notano il lega me tra la partenza di Giuda e le parole di Gesù nei vv. 31b-32: hote oun exelthen. Vi so no però alcune eccezioni (es.: de Boer, ]ohannine Perspectives 208). D fatto è senz' altro da attribuire all'opinione diffusa che il discorso originale abbracciava 13,31-14,31, con il v. 31a inserito come un debole legante giovanneo. Vedi, ad esempio, il dettagliato com mentario ai vv. 31-32 in Schnackenburg, Gospe/ 3,49-52, che si concentra esclusivamente sulla questione sollevata dai vv. 3 1b-32 Se le parole del v. 31a sono un tentativo gio vanneo di legare i vv. 31-38 (originariamente l'inizio di 13,31-14,31) al (originaria.
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mente indipendente) racconto dei vv 1-30; allora meritano particolare considerazione .
se si vuole comprendere meglio l'insieme del discorso. Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato: Per un dettagliato studio dei vv 31-32 vedi Mo loney, Son of Man 194-202. Vedi anche Boer, ]ohannine Perspectives 186-189, per uno stretto collegamento della morte di Gesù con il tema della glorificazione nei vv. 31 -32. De Boer vede nell'associazione della morte di Gesù con la glorificazione un riflesso delle fasi finali dello sviluppo teologico della comunità giovannea. Per un abbozzo di tale sviluppo vedi alle pp. 53-82. 34. Vi do un comandamento nuovo: Anche se esistono alcune notevoli eccezioni (es.: Dett wiler, Die Gegenwart 74-79), il parallelo tra i due «doni» - quello dell'esempio nel v. 15 e del comandamento nuovo nei vv 34-35 - raramente viene fatto notare. Questo è par ticolarmente vero per quegli studiosi (e sono la maggioranza) che separano i vv. 31- 38 dai vv. 1-30. Schnackenburg, Gospel 3:12,52-54, usa il parallelo come uno degli elementi per dimostrare la sua convinzione che i vv. 34-35 sono un'aggiunta. 35. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri: I testa menti sono caratterizzati anche da un comando riguardo all'amore vicendevole (vedi la nota precedente). C'è qualcosa di specificamente cristiano nel fatto che Gesù pre senta se stesso e la sua autodonazione come un modello di amore vicendevole, e c'è un'intensificazione del comando. Il nuovo comandamento tuttavia è un'esortazione verso una qualità della vita che deriva dalla vita vissuta dall'eroe che se ne va, come nei testamenti. Vedi Collins, «A New Commandment» 235-262; Cancian, Nuovo Coman damento 275-276. .
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d e l bocco n e ( 1 3 , 2 1 - 3 8 )
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I. Vedi anche Young, «A Study of the Relation of Isaiah» 224-226. le cosefuture: I commentatori non sono concordi sull'interpretazione del ruolo del Para dito nell'annunciare «le cose che devono ancora venire» (ta erchomena). Alcuni sosten gono che ha un significato del tutto escatologico ossia che il Para dito darà ai discepo li istruzioni sulla fine dei tempi (es.: Bemard, Commentary 2,511; Windisch, Spirit-Para clete 12; Johnson, Spirit-Paraclete 38-39; Betz, Der Paraklet 191-192). Per altri si tratta di un'indicazione della natura apocalittica della profezia cristiana primitiva (es.: Bauer, ]ohannesevangelium 198-199; Bernard, Commentary 2,511; Lindars, Gospel 505). Per altri ancora è un riferimento agli eventi dell' «ora» che stanno per accadere nella storia di Gesù (es.: Thiising, Die Erhohung 149-153; Marsh, Saint fohn 538-539). La posizione adottata nella nostra interpretazione è una combinazione di questi punti di vista. Il Paraclito fa guardare i discepoli in avanti alle molte cose che conseguiranno dall'e vento Gesù, da «l'ora» (e compresa «l'ora») fino alla tradizionale fine dei tempi. 15. prenderà da quel che è mio e ve lo annunzierà: I verbi che parlano della missione rivelatri ce del Paraclito nei vv. 12-15 sono al futuro, fatta eccezione per «prende» (lambanei) del v. 15b che nell'originale è al presente. Molte traduzioni rendono il presente come futuro. Il punto di vista dell'autore è reso meglio conservando il presente. Nel v. 15a si trova una delle conseguenze già annunciate nel Prologo (cf 1,1 -2): «Tutto quello che il Padre possiede è mio (ema estin)». Perciò tutto ciò che Gesù possiede è sempre stato suo grazie all'unione che esiste tra Dio e il Verbo (1,1-2). Il Paraclito pertanto prende (v. 15b: lambanet) ciò che è (v. 14a: estin). È lo Spirito-Paraclito che riempie il periodo successivo alla Pasqua, non il Gesù risor to come molti sostengono. Tra i più recenti vedi Stimpfle, Blinde Sehen, e Dettwiler, Die Gegenwart. Entrambi questi autori danno eccessiva importanza alla centralità dell'e scatologia giovannea realizzata e troppo poca importanza al ruolo svolto dal Paracli to nel tempo intermedio del periodo di assenza di Gesù. Stimpfle ha ragione quando dice che l'escatologia giovannea non può essere descritta come un contrasto tra l' «adesso» e il «non ancora)) (cf p. 278), ma l'idea di un ritorno finale di Gesù rimane an cora valida, per quanto il credente giovanneo possa sperimentare fin d'adesso la «vi ta eterna)). 16. Un poco ... un poco ancora: I commentatori sono generalmente concordi nell'affermare che questi due «tempi» o «momenti» rappresentano il breve intervallo di tempo tra la morte di Gesù («non mi vedrete più») e il momento della risurrezione («e mi vedrete»). Vedi, ad esempio, Bauer, ]ohannesevangelium 199; Hoskyns, Gospel 487; Dietzfelbinger,
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«Die eschatologische Freude)) 422-423. Secondo l a nostra interpretazione il periodo in cui non vedono il Gesù fisico è associato (come i discepoli giustamente suggeriscono) con la partenza di Gesù e il suo ritorno al Padre (cf v. 17d) . ll tempo del «non vedere» è il tempo intermedio in cui Gesù non è più fisicamente presente tra loro, mentre il «vedere» è associato alla comunità orante e al tempo del Paraclito. I tempi del non ve dere e poi del vedere nel v. 16 sono prima il tempo della sofferenza causata dalla par tenza del primo Consolatore, Gesù (cf 14,13-14), per mezzo della croce, e poi il tempo della gioia quando l'altro Consolatore viene inviato in conseguenza della partenza di Gesù (cf v. 7; cf anche 14,18-21). Vedi Aune, Cultic Setting 132-133. Onuki, Gemeinde und Welt 152-156, fa anch'egli notare il legame con il Paraclito ma chiama in causa la di mensione temporale della Pentecoste lucana, peraltro estranea al Quarto Vangelo, per spiegare i due diversi punti nel tempo. La maggior parte dei commentatori fa uno stacco prima del v. 16, legge i vv. 16-33 co me un insieme letterario e poi distingue altre suddivisioni in questo brano. Vedi Brown, Gospel 2,727-729; Dietzfelbinger, «Die eschatologische Freude» 420-421 . Sego via, Farewell 220-224, e Stibbe, fohn 170-171, propongono tre suddivisioni principali con lo stacco prima del v. 16 (vv. 4b-15, vv. 16-24 e vv. 25-33) in base alla progressività del ruolo dei discepoli (cf vv. 5.17.29). 20. voi piangerete e gemerete: Il verbo threnein è regolarmente associato al canto del Iamen..: to funebre (cf Mt 11,17; Le 7,32; 23,27). Vedi BAGD 363. Il verbo klaiein in questo Van gelo è usato solo in occasione della morte di Lazzaro (cf 11,31.33).
Adesso e dopo (vv. 21-24) 21. «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quan do ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è ve nuta al mondo una creatura umana. 22. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. 23a. Quel giorno non mi doman derete più nulla. 23b. In verità, in verità [amen, amen] io vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena».
INTERPRETAZIONE
Introduzione a i vv. 21-24. Questo breve passo, incentrato sull'immagine del la donna nelle doglie del parto, sviluppa il tema dell' «adesso» e del «dopo>> in tre fasi: l. L'adesso e il dopo della donna (v. 21). Gesù presenta l'immagine di una donna che passa dalla tribolazione alla gioia superando la sua «ora». 2. L'adesso e il dopo dei discepoli (vv. 22 -23a ) . Partendo dall'immagine dell'esperienza della donna Gesù corregge e istruisce i discepoli sulla necessità di passare attra verso la loro esperienza del dolore attuale («adesso») per poter arrivare «dopo» al la gioia, quando non avranno più bisogno di chiedere nulla. 3. Vivere tra l'adesso e il dopo (vv. 23b-24). Gesù continua a istruire i discepoli sul modo in cui devono correggere il loro «adesso», in cui non chiedono mai nel nome di Ge sù, in un «dopo», quando qualsiasi cosa chiedano al Padre nel nome di Gesù ver rà loro concessa.
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Questa breve parte dominata dal tema dell' «adesso» e del «dopo» median te l'immagine della donna sancisce il principio della trasformazione (v. 21) e lo applica alla trasformazione definitiva della fine dei tempi (vv. 22-23a) e alla ne cessità che i discepoli hanno di chiedere nel nome di Gesù nel tempo interme dio (vv. 23b-24). L'adesso e il dopo della donna (v. 21). C'è un passaggio logico dalle parole con clusive di Gesù sulla trasformazione della sofferenza nella gioia (v. 20) all'ulte riore istruzione di come i discepoli devono vivere l'imminente ansietà che do vranno affrontare nel tempo intermedio (vv. 21-24). Gesù usa l'esperienza della donna nelle doglie del parto per spiegare come la sofferenza dei discepoli si tra sformerà in gioia. Nell'esperienza della donna vi sono momenti contrastanti che non si possono evitare. Prima del parto la donna è presa dalla sofferenza del do lore fisico e dall'ansietà perché è giunta la sua «ora» (v. 21a). Dopo che il bambi no è nato il ricordo dell'angoscia provata (tes thlipseos) svanisce (v. 21b) perché è venuta al mondo una «creatura umana» (anthropos, v. 21c). L'esperienza della donna in occasione della nascita di un bambino serve da simbolo del modo in cui la gioia si può raggiungere passando attraverso la sofferenza e l'ansietà. Alcuni elementi di questo simbolo fanno pensare che dietro l'immagine del la donna nelle doglie del parto ci sia un significato più profondo. C'è uno stret to legame tra le parole di Gesù e l'uso della stessa immagine in Is 26,16-19 e 66,7-14. I testi di Isaia annunciano una salvezza messianica che allevierà le af flizioni che devono intervenire prima della consumazione finale (per altri ad dentellati biblici ed ebraici vedi Bauer, fohannesevangelium 199). In precedenza (cf 2,4) Gesù, avvicinato da sua madre che egli chiama «donna» (gyne) aveva annunciato che «l'ora» (he hora) non era ancora venuta. Il successivo miracolo a Cana era un assaggio della pienezza messianica che avrebbe segnato «l'ora» e i discepoli avevano visto la doxa (2,11). Il linguaggio usato ricorda anche l'e spressione molto diffusa tra i primi cristiani della sofferenza della fine dei tem pi (he thlipsis; cf Mc 13,19.24; Mt 24,9.21 .29; At 14,22; l Cor 7,26; 10,11; 2 Cor 4,17; Ap 2,10; 7,14). Questo linguaggio e i legami che ha con la tradizione biblica e altre tradizioni giovannee suggeriscono che è chiamato in causa qualcosa di portata messianica e finale. L'adesso e il dopo dei discepoli (vv. 22-23a). Prima della partenza di Gesù (nun) i discepoli attendono sofferenti e ansiosi così come la donna attende la nascita del suo bambino (v. 22a; cf v. 2la). Ma dopo la loro sofferenza si trasformerà in gioia e non avranno più bisogno di chiedere nulla a Gesù (vv. 22c-23a). Quan do verrà questo momento? Sebbene quasi tutti ritengano che questo è il mo mento in cui Gesù vede di nuovo i discepoli dopo la risurrezione, questa lettura non collima con ciò che dice Gesù. I lettori di questo Vangelo stanno vivendo il tempo intermedio, che è caratterizzato da odio, rifiuto e uccisioni (cf 15,1816,3). Questo non può essere il tempo che Gesù definisce pieno di gioia che nessuno potrà togliere loro (v. 22c) tanto che non hanno bisogno di chiedere nulla a Gesù (v. 23a). La tradizionale espressione escatologica «in quel giorno» (v. 23a : en ekein? tç hemerq) mantiene il suo significato normale (cf Mc 13,11 .17.19; 14,25; At 2,18; 2 Tm 1,12.18; Eb 8,10; Ap 9,15). Il futuro ritorno di Gesù per «vedere» (v. 22b: op-
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somai hymas) i suoi discepoli produrrà una gioia che nessuno potrà mai toglie re loro ed eliminerà per loro qualsiasi necessità di rivolgersi a lui con la pre ghiera. Fra poco il discepolo vedrà la rivelazione di Dio in Gesù in e per mezzo del Paraclito (cf vv. 16 e 19c: palin mikron kai opsesthe me), ma nel v. 22b Gesù an nuncia che è lui che vede il discepolo. I vv. 22-23a mettono a confronto le difficol tà del tempo intermedio (v. 22a: «ora» [ n un]) con il ritorno definitivo di Gesù al la fine dei tempi per vedere i suoi (vv. 22b-23a: «Vi vedrò» ... «il vostro cuore si rallegrerà» ... «non mi domanderete più nulla»). «Quel giorno» non avranno più bisogno di chiedere nulla (v. 23a). Il peso di questa escatologica giovannea realizzata non ha eliminato la tradizionale visione della fine dei tempi. Gesù parla ai suoi discepoli di un tempo in cui le ambiguità e le sofferenze del tem po intermedio saranno finalmente risolte. Vivere tra l'adesso e il dopo (vv. 23b-24). I problemi e le difficoltà del tempo in termedio però permangono (cf 15,18-16,3). Il doppio «amen» inaugura la par te finale di questa suddivisione. Durante il tempo intermedio i discepoli devo no rivolgersi al Padre, che concederà loro qualsiasi cosa gli chiedano nel nome di Gesù (v. 23b). Il Gesù fisico che hanno conosciuto durante il suo ministero sa rà assente, ma il Padre esaudirà le preghiere dei discepoli rivoltegli in unione con il Gesù assente. Il Gesù esaltato - e per questo assente - può essere sentito presente nel culto comunitario quando i discepoli pregano nel nome di Gesù. Il tempo intermedio sarà caratterizzato dalle richieste esaudite dal Padre nel nome di Gesù (v. 23b) e dalla presenza del Paraclito mandato nel nome di Ge sù (cf 14,26; 16,7). Gesù riprende lo schema del prima e del dopo già usato in precendenza (v. 24). Fino adesso, al momento in cui Gesù sta parlando ancora seduto a tavola (heos arti), i discepoli non hanno mai chiesto niente nel nome di Gesù. Questa si tuazione di prima degli eventi dell' «ora» dovrà cambiare. Dopo, se chiedono qualcosa al Padre nel nome di Gesù riceveranno ciò che hanno chiesto, e la lo ro gioia sarà completa. C'è una differenza nel carattere delle parole di Gesù nel v. 24 e le parole che aveva detto in precedenza sul «prima e dopo» nei vv. 21 e 22-23a. Nell'uso fatto in precedenza di questo schema di tempo Gesù poteva parlare con autorità: la sofferenza della donna sarà superata con la nascita del bambino (v. 21); la tristezza dei discepoli e il loro bisogno di chiedere qualcosa a Gesù scompariranno quando verrà di nuovo e li vedrà (vv. 23b-24). Esistono verità che non sono condizionate dalla risposta dei discepoli perché fanno par te del disegno di Dio. Ma nel caso del tempo intermedio le cose cambiano. Qui abbiamo un imperativo (aiteite) che comanda ai discepoli cosa devono fare, se guìto da un congiuntivo: perché la loro gioia raggiunga la completezza (hina hè chara hymon ç pepleromene). L'imperativo e il congiuntivo del v. 24 sono un'in dicazione di come i discepoli che vivono nel tempo intermedio possono far par te del disegno di Dio. Se vogliono o non vogliono rispondere all'iniziativa di Dio accettando l'invio del Figlio e del Paraclito nell'affrontare le ambiguità di quel periodo è lasciato interamente al loro arbitrio. È solo nella comunità ado rante che il Gesù esaltato dà la vita a quelli che chiedono nel suo nome (cf 14,1821) e promette che il chiedere nel suo nome porterà a una vita piena di gioia nel periodo intermedio (16,24).
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NOTE 21 . non s i ricorda più della sofferenza: n tema della sofferenza o «angoscia» (thlipsis) è im portante nel linguaggio e nelle immagini bibliche che parlano della fine dei tempi (cf Heinrich Schlier, TDNT 3 [1965] 143-148) ed occupa un posto altrettanto importante nella tradizione testamentaria ebraica (cf Bammel, «The Farewell Discourses» 109). 22. voi ora siete nella tristezza: Per il ruolo del tema «prima e dopo» tanto importante ai fini dell'interpretazione vedi Simoens, La gioire 163-167. Non riceve la dovuta considera zione da parte della maggior parte dei critici, che generalmente escludono qualsiasi ri ferimento alla parousia (es.: Dettwiler, Die Gegenwart 239-252. Per la sua negazione di qualsiasi riferimento alla parousia vedi a pp. 240-241). ma vi vedrò di nuovo: L'indicazione che Gesù vedrà di nuovo i discepoli anziché vice versa è specifica di questo Vangelo e richiede una spiegazione. I commentatori in ge nerale fanno notare l'importanza dell'iniziativa di Dio o si limitano a fare vere ma va ghe generalizzazioni sull'uso di opsomai hymas: « È meglio essere veduti da Dio che ve dere Dio (cf Gal 4,9)» (Bernard, Commentary 2,515). Alcuni commentatori danno per scontato che è la stessa cosa come se si dicesse che i discepoli vedono Gesù (es.: Brodie, Gospel 500) o che è ciò che si deve leggere nel v. 22 alla luce dei vv. 1 6, 17, 19 (es.: Car son, Gospel 545). e nessuno potrà togliervi la vostra gioia: La situazione di una gioia imperturbabile quan do i discepoli non dovranno più chiedere niente a Gesù deve per forza guardare oltre le ambiguità della storia umana, ad un periodo successivo alla parousia (cf Neuge bauer, Die eschatologischen Aussagen 136-137). Schnackenburg, Gospe/ 3,159, rappresen ta l'opinione di maggioranza nel respingere questo suggerimento (cf, tra gli autori più recenti, Dettwiler, Die Gegenwart 248-249). Come la maggior parte, Schnackenburg ri tiene che il tempo di cui si parla è il periodo successivo alla Pasqua. Secondo lui gli in terpreti che ci vedono un riferimento alla fine dei tempi «hanno interpretato male la gioia della comunità giovannea». Ma quali dissidi interni possono nascondersi dietro l'insistenza sulla necessità di «rimanere» in 15,1-11 e di amarsi a vicenda in 15,12-17? Vedi Segovia, «The Theology and Provenance» 125-128. Cosa si deve dire delle soffe renze imposte alla comunità dall'esterno e dalle autorità civili descritte in 15,18-16,3? Vedi Segovia, «John 15:18-16:4a» 225-230. Quali divisioni interne si celano dietro il fat to dei discepoli che abbandonano Gesù in 6,61? Vedi Moloney, Signs and Shadows 62-63 Cosa dire delle divisioni nella comunità descritte in 1 Cv 2,19: «Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri»? Vedi la possibile ricostru zione fatta da Brown, The Epistles of fohn 4 7- 11 5. La gioia della comunità giovannea può benissimo rappresentare il sogno dell'interprete più che il mondo che si cela die tro il testo. 23. non mi domanderete più nulla: Tra gli altri, Hoskyns, Gospel 488-489, e Barrett, Gospel 494, fanno la distinzione tra l'uso dei verbi greci erotan (v. 23) e aitein (v. 24) sostenendo che il primo significa «porre una domanda» e il secondo «chiedere qualcosa». Vedi anche Segovia, Farewell 257-258. Data la tendenza stilistica giovannea di mettere assieme pa role che hanno significato simile, in traduzione entrambi i verbi sono resi nel senso di «chiedere qualcosa» (anche se in questo caso non chiedono nulla!). Oltre ad essere più consona al contesto, questa interpretazione elimina il contrasto che sorgerebbe se Ge sù dicesse ai discepoli di non porre domande mentre il discorso ne contiene diverse. .
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25. «Queste cose ve le ho dette per mezzo di esempi; ma viene l'ora in cui non vi par lerò più con esempi e apertamente vi parlerò del Padre. 26. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: 27. il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. 28. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Pa dre». 29. Gli dicono i suoi discepoli: «Ecco, adesso parli apertamente e non fai più uso di esempi. 30. Ora sappiamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». 31. Rispose loro Gesù: «Adesso credete? 32. Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. 33. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete da soffrire, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!». I N T E R P R E TA Z I O N E
Introduzione a { vv. 25-33. Le parole tauta ... lelaleka hymin segnano l'inizio (v. 25a) e la fine (v. 33a) di questa parte. Le tre fasi in cui si svolge il discorso si di stinguono in base ai personaggi che parlano. Nei vv. 25-28 Gesù parla della sua partenza, e nei vv. 29-30 i discepoli rispondono. Nei vv. 31-33 Gesù corregge l'eccessiva fiducia dei discepoli e riprende il tema della partenza. Questa par te può essere così suddivisa: l. Il ritorno del Figlio al Padre (vv. 25-28). Gesù torna a parlare della necessità della sua partenza, spiegando apertamente che questa partenza è il ritorno del Figlio al Padre. 2. LA conoscenza e la fede dei discepoli (vv. 29-30). La risposta dei discepoli mostra che hanno fatto parecchia strada verso una giusta visione di Gesù, ma che non hanno ancora afferrato la portata della sua partenza. 3. La pace che dà Gesù (vv. 31-33). In risposta alla fede parziale dei discepoli Gesù fa no tare che il momento della sua partenza potrà causare una dispersione fisica, ma non potrà togliere loro la pace che egli dà. Gesù ha vinto il mondo!
La rilevanza della partenza di Gesù è spiegata come il ritorno del Figlio al Padre (vv. 25-28), ma i discepoli possono accettare solo metà dell'equazione cristologica di questa vicenda: Gesù è venuto da Dio (vv. 29-30). Come si com porteranno di fronte alla sua partenza, al suo ritorno a Dio? Al momento della sua partenza si disperderanno e soffriranno, ma in Gesù possono ancora tro vare pace e gioia (vv. 31-33). Il ritorno del Figlio al Padre (vv. 25-28). L'immagine della donna nelle doglie del parto porta Gesù a dire ai suoi discepoli che non parlerà più con loro en pa roimiais (v. 25a: «per mezzo di esempi))), ma parresiq (v. 25b: «apertamente>>). C'è un cambiamento nel modo in cui Gesù annuncia il Padre e questo cambia mento è associato all'ora che sopraggiunge (erchetai hora). Giunge l'ora in cui le parole, che sono sempre approssimazioni delle verità che vogliono trasmette re, saranno sostituite da una proclamazione pubblica del Padre: «Vi parlerò del Padre apertamente)) (v. 25c). Questa promessa guarda in avanti alla rivela zione pubblica del Padre che Gesù farà sulla croce: la gloria di Dio splenderà in
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per mezzo della morte di Gesù (cf 11,4; 12,23 . 32-33 ; 13,1.31-32). Ma l'ora di questa rivelazione pubblica non sarà caratterizzata solo da un cambiamento del modo in cui Gesù è presente ai discepoli. L'imminente ora di Gesù trasforme rà anche il modo in cui i discepoli sono presenti a Gesù. I discepoli non si rivolge ranno più al Gesù che hanno conosciuto; ma presenteranno le loro richieste nel nome di Gesù (v. 26a) . Non avranno più bisogno della sua intercessione pres so il Padre (v. 26b) perché gli avvenimenti dell'«ora di Gesù» e la rivelazione di Dio così strettamente ad essi associata trasformeranno la natura del rapporto tra il Padre di Gesù e i discepoli di Gesù. Con parole che richiamano 14,23 Ge sù dice ai discepoli che perché hanno amato lui e hanno creduto che è venuto da Dio saranno anch'essi rapiti nell'amore del Padre (vv. 26-27) . Questa nuova situazione è imposta dal messaggio che sta al centro di 1 6,433: il ritorno di Gesù al Padre. Gesù parla della propria origine da Dio (v. 28a: para tou theou), dal quale a suo tempo è venuto nell'evento dell'incarnazione , (aoristo: exelthon). E venuto nel mondo e l'effetto della sua venuta perdura (v. 28b: elelutha). A controbilanciare la sua venuta passa poi a parlare della sua im minente partenza dal mondo (v. 28c: palin aphiemi ton kosmon) e del suo ritorno al Padre (poreuomai pros ton patera). La partenza di Gesù per far ritorno alla per sona e al luogo delle sue origini lascia i discepoli a vivere in un tempo inter medio. Questa partenza (v. 28), legata alla proclamazione pubblica del Padre (v. 25), richiede l'unione che dovrà esistere tra il Padre e i discepoli in questo in tervallo di tempo (vv. 26-27) . La conoscenza e la fede dei discepoli (vv. 29-30). Con voce umanime (legousin hoi mathetai autou) i discepoli riconoscono il parlare chiaro di Gesù (parresiq), tan to chiaro da non potersi prestare ad equivoci (v. 29 ) . Il tempo della chiarezza («adesso» [nun]) ha spazzato via le oscurità del passato («non fai più uso di esempi»). Grazie a questa chiarezza i discepoli pensano di poter già (nun) di chiarare di possedere una perfetta conoscenza e fede autentica (v. 30 ) : Gesù sa tutto e non c'è bisogno che alcuno lo interroghi. Gli incontri del passato, spe cialmente come sono stati riferiti nei conflitti che hanno caratterizzato 5,1-10,42, sono stati trapuntati di domande taglienti e piene di scetticismo (cf 5,12.18; 6,5.7. 9 .30-31 .34.41-42.52; 7,3-4.20.25-27 .31 .35-36.40-42.45-51; 8,13.19 .22.25.33. 39.41 .48.52-53; 9,40; 10,6.19-21 .33 ) . Anche di recente, in 16,19, i discepoli hanno posto domande. Adesso proclamano che un tale rapporto con Gesù è acqua passata. La consapevolezza della conoscenza universale di Gesù è un' am missione che Gesù è «l'unico vero rivelatore di Dio» (Brown, Gospe/ 2,726) . La loro conoscenza (v. 30a) li porta a una professione di fede: Gesù è uscito da Dio (v. 30b ) . I discepoli hanno già dimostrato la loro incapacità di accettare le parole di Gesù sul suo ritorno al Padre (vv. 17-19) ed egli ha appena parlato della sua par tenza e del ritorno al Padre (v. 28 ) . La partenza di Gesù non fa parte della loro conoscenza (cf v. 30a) né della loro fede (v. 30b ) . Devono credere che Gesù sta tornando al Padre; e perciò i discepoli sono approdati alla confessione di una fede parziale simile a quella di Nicodemo e della Samaritana. Ciò che sanno e credono è esatto (v. 30 ) , ma c'è ben altro da accettare di Gesù oltre alla sua co noscenza e le sue origini. Le sue parole nel v. 28 dichiarano che è necessario e
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accettare tanto l'incarnazione quanto il ritorno a l Padre. I discepoli non sono ancora capaci di impegnarsi in una accettazione incondizionata della parola di Gesù (cf vv. 28 30 ) . La pace che dà Gesù (vv. 31 -33). Le limitazioni della fede dei discepoli sono messe a nudo dalla domanda di Gesù: «Adesso credete?» (v. 31: arti pisteuete; cf 11,26-27). L'«adesso» (n un) della dichiarazione dei discepoli nel v. 29 è messo in forse dall' «adesso» (arti) della risposta di Gesù nel v. 31. Gesù ritorna sulla pro messa fatta nel v. 25: sui discepoli sta per abbattersi un periodo critico: «viene l'ora, anzi è già venuta» (v. 32a). Questa ora può essere associata alla rivelazio ne di Dio (v. 25), ma ci saranno anche altri eventi che l'accompagneranno: i di scepoli abbandoneranno Gesù, saranno dispersi ciascuno a casa sua (eis ta idia), adempiendo con ciò la profezia di Zc 13,7: «Percuoti il pastore e sia disperso il gregge» (v. 32b; cf Mc 14,27). La fuga eis ta idia è un rifiuto della sfida posta da Gesù in quanto ogni «discepolo è preoccupato della propria salvezza e non pensa affatto a Gesù» (Schnackenburg, Gospe/ 3,165). In 1,11 il narratore ha an nunciato che Gesù è venuto nella sua casa (eis ta idia) e la sua gente (hoi idioi) non l'ha accettato. L'adempimento di questa promessa si trova in 16,32b. «L'o ra» è nel contempo la rivelazione del Padre (v. 25) e un momento di fuga e di abbandono (v. 32b). Una parziale spiegazione di questo enigma è offerta im mediatamente: Gesù potrà essere abbandonato quando scocca «l'ora», ma non è solo (cf 8,16.29). L'unione che è sempre esistita tra Gesù e il Padre non può es sere annullata da tutta la violenza che accompagnerà la morte di Gesù (v. 32c) Anzi, ci sono molti indizi che allo scoccare «dell'ora» questa unione diventerà maggiormente manifesta. Gesù riprende un tema che è stato presente in tutto il discorso. Parla ai di scepoli dell'ora imminente e della sua rilevanza perché essi possano rendersi conto della ricchezza che da essa scaturisce (cf 13,18-20 [fede]; 14,25-27 [pace]; 14,29 [aiuto per non cadere]; 16,4a [aiuto per ricordare]). Gesù ha anche rim proverato ai discepoli la loro tristezza all'udire queste cose per mancanza di fe de (16,4b-6). Adesso ritorna su questo motivo nel v. 33. Parla loro dei dramma tici eventi che stanno per accadere e di ciò che comportano perché, quando ac cadranno, i discepoli non rimangano nella dispersione e confusione, ma ab biano la pace (v. 33a ) . La promessa di tribolazioni fatta da Gesù indubbiamen te rispecchia l'esperienza dei primi lettori di questo Vangelo (cf 15,18-16,3), ma le tribolazioni non devono diventare l'elemento determinante della loro vita co me discepoli di Gesù. In mezzo a tutta la loro sofferenza devono stare di buon animo (cf 14,1.27), poiché sono discepoli di Gesù che è vittorioso perfino nei più tenebrosi momenti dell'abbandono e della morte. L'unione tra Gesù e il Padre (cf v. 32c ) è la garanzia della vittoria di Gesù, in dipendentemente dal fatto che le forze di questo mondo sembrino aver avuto la meglio nell'ondata di violenza che ha posto fine alla vita di Gesù (v. 33c). Dal punto di vista divino della realtà che tutto determina in questa vicenda, Ge sù ha vinto il mondo. E la vittoria gli dà la possibilità di promettere il dono della pace ai suoi fragili (cf vv. 29-30) e sconvolti (cf v. 33b) discepoli. A questi è stato promesso che gli avvenimenti «dell'ora» condurranno ad una inequi vocabile rivelazione del Padre (v. 25) e ad una unione non mediata tra il Padre .
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e i discepoli (vv. 26-27). La pace e la vittoria di Gesù, che scaturiscono dalla sua unione con il Padre (v. 33) verranno concesse anche ai discepoli che lo amano e credono in lui anche se, per il momento, sono incapaci di accettare la sua par tenza (vv. 29-30). Essi sono chiamati ad essere una sola cosa con Gesù (en emoi) anziché essere nel mondo (en ti} kosmo) se vogliono essere partecipi della vitto ria di Gesù. Pur in mezzo alla confusione (vv. 16-17) e con una fede limitata (vv. 29-30) i discepoli di Gesù hanno tutti i motivi per essere di buon animo (v. 33; cf vv. 25-27). Conclusione di 1 6,4-33. Prevenendo la preghiera di Gesù che seguirà imme diatamente, la necessità che i discepoli hanno di rivolgersi al Padre nel nome di Gesù è il punto centrale di questo passo. Gesù parla di ciò che i discepoli do vranno affrontare prima e dopo «l'ora» (vv. 21-24). Il tempo intermedio sarà ca ratterizzato dal chiedere e dal ricevere nel nome di Gesù (v. 23b). Prima di ades so i discepoli non hanno mai pregato nel nome di Gesù, ma dopo l'ora di Gesù la loro preghiera li porterà alla pienezza della gioia (v. 24). Questo tempo giun gerà al termine quando Gesù vedrà di nuovo i suoi discepoli ed essi non avran no più bisogno di chiedere alcuna cosa nel suo nome (vv. 22-23a). Durante il tempo in cui i cristiani leggono questo messaggio c'è un bisogno sostanziale per i discepoli di Gesù di chiedere qualunque cosa al Padre perché la loro gioia sia piena (cf vv. 23b-24). Le ambiguità del tempo intermedio saranno superate grazie alla presenza vivificante del Gesù assente in mezzo alla comunità ado rante (cf 14,18-21; 16,16-19.23b-24). Poiché i discepoli hanno creduto che Gesù viene dal Padre, il Padre li ama (cf vv. 25-27), ma da loro si richiede che vadano ben oltre nel loro amore e nel la loro fede. Gesù è venuto dal Padre e al Padre ritorna (v. 28), ma i discepoli so no capaci di accettare solo una parte dell'equazione. Non sono disposti a capi re e ad accettare che Gesù deve partire (vv. 29-30). Tra l' «adesso» dell'ultima ce na e il «poi» della fede perfetta, quando non avranno più niente da chiedere a Gesù (cf v. 23a), dovranno vivere nell'angoscia del tempo intermedio. Duran te questo tempo saranno dispersi e abbandoneranno Gesù nella sua «ora» (v. 31). Ma la sofferenza e la solitudine di Gesù sono superate con la sua unione con il Padre (v. 32). Gesù ha vinto il mondo, e la consapevolezza, seppur tardi va, dei discepoli di questa vittoria dovrebbe dare loro incoraggiamento e gioia in mezzo alle loro molte tribolazioni (v. 33). Gesù ha così concluso il suo discorso rivolto ai discepoli. Le altre parole che pronuncia ancora seduto a tavola saranno una preghiera rivolta al Padre (17,126). ll discorso termina con un grido di trionfo e con la promessa che i discepoli possono essere associati a quel trionfo. Ha parlato loro della sua partenza (vv. 4-6.25-28) e della loro fragilità (vv. 16-20.31-33) a cui saranno esposti nel tempo intermedio. Mentre devono convivere con le sfide che dovranno affrontare, Gesù ha promesso la presenza critica ma rivelatrice dello Spirito-Paraclito du rante la sua assenza (vv. 7-15). Ha promesso loro che nonostante la sua assen za - o proprio grazie alla sua assenza per essere partito (cf v. 7) - potranno an cora avere amore, fede, gioia e pace (cf vv. 27.30.33) .
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NOTE
25. apertamente vi parlerò del Padre: Il verbo «parlare» (apangello) è preferibile a «dichiarare» (anangello), più forte, che si trova in alcuni manoscritti. La seconda lettura è il risulta to di un'assimilazione dell'uso di questo verbo più forte nei vv. 13.14.15. 27. il Padre stesso infatti vi ama: La forma greca autos gar ho pater è il classico modo di sotto lineare «proprio il Padre)) che agisce di sua iniziativa. Vedi Bemard, Commentary 2,520. da Dio: C'è un problema di sottile equilibrio testuale dietro la scelta della lettura «dal Padre» (para tou patros ) anziché «da Dio» (para tou theou). La lettura scelta gode del l'appoggio, tra altri, di P5, la versione antica del Sinaitico e l'Alessandrino. Per la di scussione in merito, che giunge a questa conclusione, vedi Segovia, Farewell 265 n. 73. 28. Sono uscito dal Padre: Beza, Freer Gospels, Vetus Latina e Siriaco Sinaitico presentano una lettura più breve omettendo exelthon para tou patros all'inizio del v. 28 e perciò le gando direttamente la fede dei discepoli nel v. 27 con l'uscita di Gesù da Dio e la sua venuta nel mondo nei V\'. 27-28. Vedi la discussione in Barrett, Gospel 496, e le ragioni per preferire la lettura più lunga per motivi testuali e di contesto giovanneo in Brown, Gospel 2,724-725; Lindars, Gospel 512. 30. non hai bisogno che alcuno t'interroghi: Bream, «No Need to be Asked Questions» 49-74, riesamina le discussioni riguardanti questa affermazione e conclude che gli interpreti devono prendere atto del contrasto stabilito tra Gesù e i rivelatori del mondo greco ed ebraico. A differenza di questi, Gesù non ha bisogno di essere interrogato poiché egli è l'autentica rivelazione di Dio. crediamo che sei uscito da Dio: Secondo la nostra interpretazione qui c'è una punta di ironia, visto che i discepoli professano di avere una piena conoscenza e una fede au tentica ma poi esprimono tale fede e conoscenza in termini che sono solo parzialmen te corretti. Vedi anche Duke, Irony 57-58. Alcuni vedono nella frase una squisita con fessione di fede del periodo successivo alla Pasqua (es.: Dettwiler, Die Gegenwart 258259, 262-263), ma ciò non tiene conto del contesto sia immediato che globale delle pa role dei discepoli. 31. Adesso credete?: C'è un interessante parallelo tra questa domanda in cui Gesù mette in evidenza le carenze della fede dei discepoli (arti pisteuete?) e la domanda con cui Ge sù vuole saggiare la fede di Marta in 11,26 (pisteueis?). Vedi Moloney, Signs and Shadows
161-162. 32. viene l'ora, anzi è già venuta: L'interpretazione lega l'uso di erchetai hora hote nel v. 25 con erchetai hora hote nel v. 32. Entrambe le espressioni si riferiscono alla croce, all' «in nalzamento», alla glorificazione, al radunare i dispersi e al dono dello Spirito. L'ag giunta di «anzi è già \'enuta» conferisce al passo maggior spessore ampliando il con cetto già espresso in 12,23.27; 13,1. in cui vi disperderete: Qui non abbiamo una citazione diretta di Zc 13,7, ma sia il testo che il contesto sono talmente vicini a Mc 14,27l/Mt 26,31 che non è possibile fare a meno di supporre un riferimento implicito al passo di Zaccaria. Sull'uso di Zc 13,7 e sul rap porto tra Giovanni 16,32 e Marco 14,27 vedi Brown, Gospe/ 2,736-737; Dodd, Tradition
56-58. ma io non sono solo, perché il Padre è con me: Sull'interpretazione di 16,32c come corre zione o conferma del grido di abbandono di Gesù in Marco 15,34 vedi la sintesi in Brown, Gospel 2,737. 33. io ho vinto il mondo!: O'Day, > (v. 12c: ho huios tes apoleias). Spesso con siderata un riferimento a Giuda, questa espressione deve avere il significato che ha nell'unico altro passo del NT in cui compare: Satana (2 Ts 2,3.8-9). L'u nico personaggio del racconto del quale Gesù non ha potuto «prendersi cura» è Satana, l'istigatore del tradimento (cf 13,2). Gesù ha lavato i piedi e ha offer to il boccone di pane a Giuda nonostante le macchinazioni di Satana (cf 13,2). Tuttavia, Satana si è impossessato di Giuda (cf 13,27) «perché si adempisse la Scrittura» (17,12d; cf 13,18). C'è un ordine divino negli avvenimenti della vita e della morte di Gesù al di fuori del suo controllo. Il figlio della perdizione è al di fuori del controllo di Gesù, ma lui ha avuto cura dei suoi discepoli. Duran te il tempo che hanno passato con lui sono stati purificati dalla sua parola (cf 13,10; 15,3) che essi hanno osservato (17,6) e hanno creduto che Gesù è l'Invia to del Padre (cf 16,30; 1 7,8). Ha manifestato loro il nome di Dio (cf 1 7,6). Gesù ha conservato tutti i discepoli affidatigli dal Padre, compreso Giuda. Come in dicano le azioni di Gesù in 13,1-17.21-38, non può essere giudicato perduto neppure Giuda. L'intervento del figlio della perdizione .fa parte di un più am-
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p io piano di Dio manifestato nelle Scritture, ma lo stesso si deve dirè delritti mitato amore di Dio rivelato nell'incrollabile amore di Gesù per i suoi fragili di scepoli (cf 13,18-20). Gesù chiede al Padre di essere un «padre» per tutti i di scepoli, compreso Giuda. Il periodo della presenza di Gesù presso i discepoli è giunto al ter�ine, per ché Gesù ha iniziato il processo di ritorno (v. 13a: erchomai) al Padre. E impor tante che mentre sta ancora parlando nel mondo i discepoli ascoltino la sua pe tizione al Padre, in cui chiede che li custodisca dopo la sua partenza. In questo modo verranno superate tutte le ansie riguardo al loro futuro e la loro gioia sa rà piena, paragonabile alla gioia di Gesù (v. 13). Le promesse già prospettate nel discorso, che l'apertura dei discepoli verso il Padre nel tempo intermedio por terà loro la pienezza della gioia (cf 15,7-11; 16,24), adesso vengono espresse nel la richiesta che Gesù fa al Padre in presenza dei discepoli. Questa parte della preghiera, che richiede al Padre di «custodire» e aver cura dei discepoli, ter mina (vv. 14-16) rifacendosi ai temi già presenti nel discorso e nelle parti pre cedenti della preghiera. I discepoli non sono «del mondo» (ek tou kosmou) come Gesù non è «del mondo» (ek tou kosmou) (v. 16; cf 15,19). Questo non significa che i discepoli costituiscano un'enclave extraterrestre. L'espressione ek tou ko smou indica che essi non appartengono al principe di questo mondo, al figlio della perdizione (cf v. 12), al potere delle tenebre, alle forze del male che si co alizzano contro Gesù per ucciderlo (es.: 11,49-50.57; 12,9-11). Gesù è venuto per far conoscere Dio, ma «il mondo» lo ha rifiutato, e ha rifiutato anche colui che lo ha mandato e i suoi discepoli (v. 14; cf 15,18-16,3). Di fronte a questa oppo sizione e nonostante tutta la violenza (cf 16,2) la rivelazione di Dio proseguirà. Gesù sta partendo dal mondo (v. 13) ma vi lascia i suoi discepoli che non ap partengono a questo mondo perché essi continuino a glorificarlo (v. 10). I di scepoli continueranno a far conoscere Dio continuando a glorificare Gesù. Ge sù non prega che siano tolti dalla loro situazione nel mondo, ma che il Padre li protegga (hina teresçs autous) dal Maligno. Che il Padre santo (cf v. 1 1 b) santifichi i discepoli (vv. 1 7-19). I discepoli di Gesù non possono semplicemente crogiolarsi nella protezione di Dio (vv. 11b-16). Gesù chiede a un Dio santo di renderli santi (vv. 17.19; cf v. 1lb: pater hagie), che siano santificati (consacrati) nella conoscenza di Dio e nella verità (en tç aletheiq.: v. 17). È la propria identificazione con il disegno di Dio che renderà i di scepoli santi. Essere hagios significa essere una sola cosa con il pater hagios (cf v. 11b ) . I discepoli sono i destinatari della manifestazione di Dio in Gesù e sono giunti a credere che egli è l'Inviato di Dio (cf v. 8). Gesù prega che essi possano vivere una vita santa corrispondente alla santità di Dio rivelata loro in e per mezzo di Gesù (en tç aletheiq). Come l'unità di Gesù con il Padre ha determina to la sua vita, così l'unità dei discepoli con Gesù, che ha rivelato loro la verità, determina la loro vita. I discepoli devono diventare gli inviati dell'Inviato. De vono far conoscere Dio al mondo. Come Gesù ha fatto conoscere Dio in e per mezzo della sua missione come inviato di un Dio santo (v. 18a), così anche i discepoli continuano a far conoscere lo stesso Dio nella veste di inviati di Ge sù (v. 18b ). La rivelazione di un Dio santo postula un Inviato santo. È la mis sione di far conoscere Dio che impone la necessità della santità (vv. 1 7 e 19).
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Gesù ha raggiunto il momento della sua suprema· autodonazione nell'amO re che fa sì che la gloria di Dio possa essere rivelata. Per amore dei discepoli quelli seduti a tavola con lui e tutti gli altri discepoli - si compirà il suo supre mo atto di amore. L'identificazione totale di Gesù con il disegno di Dio (cf 4,34; 5,36; 17,4) e la sua associazione con l'azione giudicatrice e vivificante di Dio (cf 5,19-30) sono il fondamento della sua santità. Per questo Gesù può attribuirsi un ultimo e supremo atto di santità («io consacro me stesso»: ego hagiazo emau ton) nell' «ora», nell'innalzamento, nel radunare a sé, nella rivelazione della gloria di Dio, nella glorificazione del Figlio, nella rivelazione finale del suo amore per i suoi (cf 13,1). Ma la santità di Gesù non è fine a se stessa (cf 3,16-17; 10,14-18; 13,1; 15,13). Rivolgendosi a Dio alla presenza dei suoi discepoli, Gesù si consacra in un supremo atto di santità per loro amore (hyper auton) di modo che nella sua totale autodonazione, col far conoscere Dio egli fa conoscere loro il livello di santità che devono raggiungere (v. 19). ll presente del verbo hagiaza associa questo momento di rivelazione finale di santità alla partenza di Gesù, che è già in atto (cf 13,1; 1 7,1.11.13). Come l'unione con il Padre è il fondamen to della santità di Gesù, il fondamento della santità dei discepoli è l'unione con il Dio che è stato loro rivelato (v. 19b: en aletheiq; cf v. 17). Gesù prega che i di scepoli siano santificati nella verità. La santità di Dio, resa visibile nella storia umana nella santità del dono che Gesù fa di se stesso per i suoi (v. 19a), deve avere il corrispondente nella santità dei discepoli (v. 19b) che Gesù manda nel mondo a far conoscere Dio, così come Dio ha mandato lui (v. 18). Per poter riuscire in questa missione i discepoli devono essere santi come è santo Dio (cf Lv 11,44; Gv 17,1lb.17.19). NOTE 9 . non prego per il mondo: L'uso giovanneo dell'espressione «il mondo» (ho kosmos) conti nua ad avere diversi possibili significati. Vedi Moloney, Belief in the Word 37-38; Koester, Symbolism 249-253. Qui il termine ha una connotazione negativa. 11. Io non sono più nel mondo ... e io vengo a te: L'aspetto temporale della narrazione deve es sere conservato anche se molti vedono nel v. 11a un'indicazione che Gesù sta parlan do «come se» gli avvenimenti della Pasqua siano già passati. Gesù ha cominciato a re citare una preghiera per i suoi discepoli (v. 9). Essi sono nel mondo e rimarranno nel mondo (v. 11a), mentre Gesù fa ritorno al Padre (v. 11ay; cf 13,1; 1 7,1). Il presente del verbo (kago pros se erchomai) indica che Gesù non è ancora tornato al Padre, ma che ha avuto inizio un processo per mezzo del quale Gesù sarà glorificato (cf 11,4; 12,23; 17,1 .5). C'è stata una presenza di Gesù «nel mondo», a insegnare e operare «segni», che Gesù ha portato a termine (v. 4; cf 12,36b). Questa presenza «nel mondo» è cosa pas sata, anche se il racconto guarda in avanti a un ulteriore «completamento» nell'innal zamento del Figlio dell'uomo per rivelare la gloria di Dio e dare inizio alla glorifica zione di Gesù (cf 3,14; 8,28; 11,4; 12,23.31-33; 13,1; 1 7,1). Padre santo: Questa espressione, basata sul concetto fondamentale ebraico della santi tà di Dio (per l'uso di hagie nel rivolgersi a Dio nella preghiera cf 2 Mac 14,36; 3 Mac 2,2), nel NT si trova solo in questo passo. Vedi de La Potterie, La Vérité 2,737-740, per quanto riguarda gli addentellati del verbo hagiazein per parlare della presenza della santità di Dio nella sfera umana. Custodisci nel tuo nome: Per l'uso di terein («tenere») nel senso di «aver cura» per qual-
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. hmo vedi Delebecque, Tean 197. Per l'interpretazione de «il nome di Dio» nel senso di tutto ciò che può essere conosciuto di Dio vedi M. Rose, ABD 4,1001-1011, in partico lare 1002. Alcuni commentatori per «nel nome di» come usato qui intendono «per la potenza del tuo nome» (es.: Heitmiiller, Im Namen fesus 132-134; Hoskyns, Gospel 500; Bultmann, Gospel 503). Marzotto, L'Unità 177-180, sostiene che l'espressione contiene anche l'idea di essere in un luogo sacro. Secondo la nostra interpretazione vi leggiamo «conformemente a ciò che Gesù ha rivelato ai discepoli riguardo al carattere di Dio» (Beasley-Murray, fohn 299); vedi Lagrange, Evangile 445; Lindars, Gospel 523; Schnac kenburg, Gospel 3,180. 12. li ho custoditi: Il verbo ephulaxa è più forte di terein (v. 11), ma qui «probabilmente si tratta solo di una variazione sinonima» (Barrett, Gospel 508). il figlio della perdizione: L'identificazione tra Giuda e il figlio della perdizione è presso ché unanime. Daniélou, «Le fils de perdition» 187-189, suggerisce che Giuda sia un'an ticipazione dell'Anticristo, ma l'Anticristo è responsabile del tradimento di Giuda (cf 13,2), che Gesù ha amato e che continua ad amare, occupandosi di lui (cf 13,18-20). È più probabile che «il figlio della perdizione» sia Satana. 13. dico questo mentre sono ancora nel mondo: L'affermazione che Gesù parla mentre è anco ra nel mondo non contraddice il v. 11a: «lo non sono più nel mondo». Gesù chiara mente si trova in una stanza situata sulla faccia della terra (v. 13) ma non svolge più la sua missione rivelatrice al mondo (v. 11a; cf 12,26b ) . 14. come io non sono del mondo: Questa frase non si trova in P". Questo tuttavia non rap presenta una tradizione testuale ma un'omissione accidentale per homoioteleuton, ossia: l'occhio del copista è passato dal primo ek tou kosmou del v. 14, che si riferisce ai disce poli, ha saltato il secondo ek tou kosmou, che si riferisce a Gesù, ed è passato diretta mente all'attuale v. 15. Vedi Metzger, Textual Commentary 213. 15. che tu li custodisca dal Maligno: Dato che la parola «maligno» (pontrou) è al "genitivo, è im possibile stabilire se l'autore abbia in mente il sostantivo neutro «il male» (poneron; cf 3,19; 7,7) o il maschile «il cattivo» (poneros). Alla luce di 12,31; 14,30; 16,11 e l Gv 2,1314; 3,12; 5,18-19 e specialmente del riferimento a Satana quale «figlio della perdizione» nel v. 12, è p referibile leggervi «il maligno». 17. Santificati [Consacrali): Nella nostra traduzione abbiamo reso il verbo hagiazein con «santificare» o «rendere santo>> anziché con «consacrare». Quest'ultima traduzione è strettamente associata a una tradizione che risale almeno a Cirillo Alessandrino (In foannis Evangelium Xl,8; PG 74,545). È stata diffusa nel sedicesimo secolo ad opera di David Chytraeus (1530-1600) il quale sosteneva che questa è una preghiera sacerdota le che associa i discepoli all'auto-oblazione di Gesù. Alcuni (es.: Hoskyns, Gospel SOl504; Lindars, Gospel 528-529; Kysar, fohn 261) sostengono che hagiazein nel v. 17 ha il senso di «rendere santi» e nel v. 19 quello di «consacrare». Per una discussione più dettagliata che rifiuta questo cambio di significato vedi de La Potterie, La Vérité 2,740746, e in particolare il suo interessante studio «Consécration ou sanctification» 339349. Contro l'interpretazione sacrificale-sacerdotale in generale vedi Appold, The One ness Motif 194-198. Secondo noi è l'uso di hagios nel v. 11 b che determina il significato di hagiazein in questo contesto. Nel v. 11b non significa che il «Padre santo» è consacrato e separato dal profano, e lo stesso vale per l'uso del verbo hagiazein nei vv. 17-19. Feuil let, The Priesthood ofChrist 37-48, ne segue il passaggio dal Servo Sofferente di Isaia 53 alla liturgia ebraica di yom kippur per dimostrare che Gv 17,19 è allo stesso tempo sa cerdotale e sacrificale. Per una discussione dettagliata a contestazione di questa tesi ve di Delorme, «Sacerdoce du Chrisb> 199-219. nella verità: Per una discussione approfondita di en tf aletheif1 la cui conclusione è che l'e spressione serve come luogo di santità e come mezzo di santificazione strettamente cor relati a «nel tuo nome>> del v. 11b, vedi de La Potterie, La Vérité 2,747-758.
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18. ho· mandato loro nel mondo: La missione dei discepoli eis ton kosmon («nel mondo») deve essere presa sul serio senza cercare di liquidarla come un'aggiunta mirata all'ordine in temo della Chiesa (es.: Kasemann, Testament 29-30) o, in base a qualche teoria delle fonti, come un riflesso del fatto che la comunità giovannea era una conventicola set taria (es.: Becker, Evangelium 2,524-525). A questo proposito vedi Segalla, La preghiera
73-84.
19. per loro io consacro [santifico] me stesso: È questa «consacrazione per loro» che viene spes
so letta in chiave sacerdotale. Ma per Gesù l'atto finale di santità è un atto di autodo nazione nell'amore, il perfetto adempimento del compito affidatogli da Dio (cf 4,34; 5,36; 14,4), per poter far conoscere Dio e in tal modo mettere a disposizione la vita eter na (cf 17,3). Vedi Schnackenburg, Gospel 3,187-188; Forestell, Word of the Cross 78-82; Thiising, Herrlichkeit 79-85; de La Potterie, La Vérité 2,761-767; Knoppler, Die theologia Crucis 210-215. La santità di Gesù deriva dalla sua unione con il Dio santo, il cui amo re lo induce a deporre la propria vita e a riprenderla di nuovo (cf 10,17-18). Questo è ri velato ai discepoli. Gesù prega che essi possano entrare a far parte della stessa unione per effetto della sua manifestazione di Dio nei loro confronti (cf v. 6) e pertanto diven tare santi come lui è santo. Vedi in particolare de La Potterie, La Vérité 2,767-775. Per al cuni questo è un concetto «sacerdotale». perché siano anch'essi consacrati [resi santi] nella verità: Di per sé l'espressione «nella ve rità» (en aletheiq) potrebbe semplicemente significare «veramente». Tuttavia, l'uso del l'espressione en t� aletheiq nel versetto parallelo 17 rende plausibile una lettura più teo logica del v. 19. I discepoli devono essere resi santi grazie alla loro accettazione della ri velazione di Dio. Vedi de La Potterie, La Vérité 2,767-775.
Far conoscere Dio (vv. 20-26) 20. «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21. perché tutti siano una sola cosa come tu, Padre, sei in me e io in te. Sia no anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. 22. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola. 23. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mon do sappia che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. 24. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io, per ché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. 25. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. 26. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
I N T E R P R E TA Z I O N E Introduzione a i vv. 20-26. La preghiera era iniziata con due suddivisioni: Ge sù, che ha fatto conoscere Dio, prega per la propria glorificazione (vv. 1-5) e fa rilevare la fede e la conoscenza dei discepoli (vv. 6-8). L'ultima parte della pre ghiera presenta una struttura parallela. Gesù prega che Dio sia conosciuto nel l'unità di tutti quelli che credono in lui (vv. 20-23), che sfocia in una unione di amore tra il Padre, il Figlio e tutti i credenti, in una condivisione della sua glo rificazione, che continuerà a far conoscere Dio (vv. 24-26). Lo svolgimento è il seguente:
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Un'unione che fa conoscere Dio (vv. 20-23). Gesù prega che l'unità tra tutti quelli che credono in lui per effetto della parola dei discepoli faccia conoscere Dio. Questa suddivisione della preghiera è caratterizzata dalla richiesta «che siano una cosa sola» (vv. 21 .22.23). 2. Glorifica! (vv. 24-26). Gesù chiede che tutti i credenti possano vedere la sua gloria, che siano raccolti nell'unione che lega il Padre e il Figlio, facendo in tal modo co noscere Dio. Questa suddivisione inizia con un cambio di forma letteraria: Gesù esprime la sua volontà (v. 24: thel� hina: «voglio che») anziché una richiesta (cf vv.
l.
1 .9.20). n tema che aveva caratterizzato la parte centrale di 13,1-38, il far conoscere Dio in un mondo ostile (13,18-20) si ritrova ancora prima e dopo la parte centra le di 17,1 -26 (vv. 1-8; vv. 20-26). Gesù ha fatto conoscere Dio (vv. 1-8) e ora de lega questo compito ai suoi discepoli e alle generazioni successive che giunge ranno a credere in lui per effetto della parola dei discepoli (vv. 20-26). Anche i temi dell'amore (cf 13,1 .34-35) e della gloria (cf 13,31-32) che hanno avuto ri salto in 13,1-17 e 13,21-38 sono ripresi in 17,1-8 (vv. 1.4-5: gloria) e 17,20-26 (vv. 21-23, v. 26: amore; v. 24: gloria). Pur con una diversa forma letteraria, le idee fondamentali di 13,1-38 sono ribadite in 17,1-26. Giovanni 13,1-17,26 comincia con una proclamazione dell'amore di Gesù per i suoi (13,1) e termina con la sua preghiera che tutti i discepoli siano raccolti nell'amore che unisce il Padre e il Figlio (17,26). Al centro del resoconto dell'incontro finale di Gesù con i di scepoli c'è il comando che i discepoli si amino l'un l'altro come egli ha amato lo ro (15,12-17). Esistono importanti indicazioni che - qualunque possa essere sta ta la preistoria delle sue parti componenti - 13,1-17,26 è un insieme letterario accuratamente architettato (cf Simoens, La gioire 52-80). Un 'unione che fa conoscere Dio (vv. 20-23). Gesù prega non solo per i discepo li seduti a tavola con lui (v. 20a) ma anche per quelli che saranno il frutto della loro attività missionaria: «per quelli che crederanno in me mediante la parola» (v. 20b). Non bisogna perdere di vista la situazione dei commensali. A diffe renza della tradizione sinottica (cf Mc 6,1-13; Mt 10,1-11,1; Le 9,1-6; 10,1-12), nella narrazione giovannea non c'è traccia di attività missionaria dei discepoli nel corso del racconto, anche se c'è stato un accenno in tal senso in 4,35-38 (cf Moloney, Belief in the Word 163-168). Ma adesso Gesù prega per quelli che già credono (peri ton pisteuonton) grazie alla parola dei discepoli. Se vogliamo atte nerci strettamente entro i limiti di tempo del passo, Gesù prega per i suoi di scepoli presenti con lui a tavola e per altri credenti non presenti. Tuttavia, i let tori di tutte le generazioni successive hanno visto se stessi nelle parole di Gesù: «per quelli che crederanno in me mediante la loro parola». Essi sono la pre senza continuativa di quei credenti che hanno vissuto la storia in prima perso na, frutto della predicazione dei discepoli originali (cf 4,35-58). Il Gesù che ha fatto conoscere Dio ai discepoli ha aperto per loro una nuo va prospettiva: di entrare a far parte dell'unione che esiste tra il Padre e il Figlio (cf v. 11b). Questa petizione è ripetuta nel v. 21ab, con l'aggiunta di un ulterio re elemento nel v. 21c. Gesù ora prega che questo gruppo di credenti sia preso nell'unione che esiste tra il Padre e il Figlio. Gesù prima chiede al Padre che i credenti siano uniti «in uno» (v. 21a: hina pantes hen osin). La giustapposizione
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d i «tutti» (pantes) e «Urto» (hen) esprime il concetto della preghiera di Gesù creando un modello esclusivo di unità (cf anche v. 11b). Come il Padre è nel Fi glio e il Figlio è nel Padre, così possa essere anche per i credenti (v. 21b). Ma l'u nità tra i credenti non è fine a se stessa; è «perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (v. 21c). È vero che Gesù non prega per «il mondo» (v. 9), ma è stato mandato nel mondo (cf 3,16; 17,18) e a sua volta manda i suoi discepoli nel mondo (17,18). Mediante la missione dei discepoli originari altri sono giunti a credere che Gesù è l'Inviato del Padre (v. 20). E questa catena missionaria si svolge senza interruzioni. Un altro gruppo di credenti rispecchierà nella storia umana l'unione tra il Padre e il Figlio perché «il mondo» sia indotto a credere che Gesù è l'Inviato di Dio. Nel v. 22 si ha un leggero scostamento dalla consueta forma di una pre ghiera quando Gesù dice al Padre, in un sottovoce che però è udito dai disce poli, che la mutualità tra se stesso e il Padre che egli trasmette ai credenti è la do xa («gloria»). Coerentemente con l'uso di questa espressione in tutto il Vange lo, ritorna l'idea biblica della rivelazione di Dio. Dio è stato fatto conoscere at traverso la storia d'Israele nel kabod YHWH, in particolare in e per mezzo della Legge. Ma l'amore e l'unione esistenti tra il Padre e il Figlio da prima dei tem pi (cf 1,1-2; 17,5) sono stati resi visibili in e per mezzo del dono del Figlio (cf 1,14; 3,16). La vita, l'insegnamento e i segni di Gesù sono stati la rivelazione del la doxa di Dio (cf 2,11; 5,44; 7,18; 8,50-54; 11,4.40), una doxa tou theou rifiutata da «i Giudeh> perché essi hanno preferito la doxa ton anthropon (vedi 12,43). Ma ci sono alcuni ai quali è stato dato l'amore di Dio, reso visibile nella doxa di Gesù (cf vv. 6-8). Gesù ha già pregato per la loro intima unità (cf v. 11b). Adesso pre ga per la stessa unione tra coloro che hanno creduto, mediante la loro parola, che Gesù è l'Inviato di Dio (v. 20). Gesù ha dato ai credenti l'amore e l'unione condivisa dal Padre e dal Figlio. La doxa, che è l'amore riversato dal Padre sul Figlio (v. 22a: tèn doxan hén dedokas moi), è presente nella storia umana nella do xa che Gesù ha dato ai credenti (v. 22a: dedoka autois). Gesù prega che l'unione tra i credenti possa rispecchiare l'unione di amore che esiste tra il Padre e il Fi glio (v. 22b: hina osin hen kathos hemeis hen). Dopo questa breve parantesi la preghiera riprende la forma consueta, ma la catena dei rapporti si estende al v. 23. Gesù adesso prega per la reciproca inabi tazione specificata nel v. 22. Rifacendosi a 15,1-11, chiede al Padre che il reci proco «rimanere in» venga realizzato in una reciproca inabitazione tra Gesù e i credenti e tra il Padre e Gesù (v. 23a). La realizzazione di questa inabitazione avrà due conseguenze: una interna e l'altra esterna. In primo luogo creerà una situazione in cui il Padre attua la perfezione dell'unità tra un nuovo gruppo di credenti (v. 23b: «perché siano perfetti nell'unità»). Ma, come in tutta la pre ghiera, Gesù non considera l'intima comunicazione tra i credenti fine a se stes sa. L'unità ha la sua ragione di essere perché Dio sia fatto conoscere. Il dono della doxa dato a Gesù dal Padre e trasmesso da Gesù ai credenti (cf v. 22) va oltre i confini di una comunità di credenti, per quanto unita, e raggiunge il mondo. Il risultato finale della richiesta di Gesù dell'intima unione tra il Padre, Gesù e i credenti è che la gloria dell'amore che li unisce faccia conoscere Dio al mondo (v. 23c). L'amore di Gesù e l'amore vicendevole dei credenti fanno conoscere l'a-
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more che sta dietro l'invio del Figlio nel mondo: Dio (cf 3,16). L'amore che Ge sù nutre per i suoi non si propone di consolarli e incoraggiarli. Comporta ine vitabilmente una missione, corrispondente alla propria missione (cf vv. 17-19): far conoscere Dio (v. 23b; cf v. 3). Glorifica! (vv. 24-26). La preghiera cambia tono quando Gesù esprime il de siderio (v. 24: thelo hina) che tutti quelli che il Padre gli ha dato siano anch'essi con lui «colà» (hopou ego eimi). L'espressione «quelli che mi hai dato» potrebbe essere ristretta ai discepoli, descritti in questo modo nei vv. 6-7, ma l'effetto cu mulativo della preghiera rende questa interpretazione improbabile. Quelli che credono in Gesù grazie alla parola dei discepoli (v. 20) sono anch'essi interes sati. Gesù prega per tutti quelli che sono stati toccati dal suo amore, che fa co noscere l'unione esistente tra il Padre e il Figlio (cf vv. 21-23). Esprime il desi derio che venga colmato il divario esistente tra l'unione Padre-Figlio e l'ambi gua situazione di fragili discepoli e credenti che sono nel mondo ma non del mondo (cf vv. 11.14-15.16). In una situazione trasformata la fragilità sarà total mente superata ed essi raggiungeranno Gesù in un nuovo «posto» (cf 14,2-3) per contemplare la doxa che Gesù possiede per effetto dell'amore del Padre fin da prima del tempo (v. 24). Tale trasformazione per il momento è impossibile per i discepoli nel corso della storia di Gesù. Hanno visto la doxa nella vita e nel le opere rivelatrici di Gesù (cf 2,11; 11,4.40). Ora ne attendono la consumazione nell'innalzamento, nell'attrarre tutti a sé, nella rivelazione della gloria di Dio, nella glorificazione del Figlio e nel dono dello Spirito-Paraclito. Aspettano an che il ritorno di Gesù che li porti nel luogo che ha già preparato per loro (14,13). Ma sono interessati anche i discepoli credenti che sono i lettori della storia di Gesù, e anch'essi sperimentano una analoga «attesa». La preghiera volge al ter mine e porta il racconto più vicino alla morte di Gesù, con un messaggio di trascendente speranza. Le parole che Gesù rivolge al Padre aprono la mente e il cuore dei lettori alla possibilità di «un mondo» che sta oltre (per l'introduzione cf vv 12-16). 18,28-1 9,1 6a: Gesù davanti a Pilato (per l'introduzione cf v. 28). 19,1 6b-37: La crocifissione di Gesù (per l'introduzione cf vv. 16b-18). 19,38-42: La sepoltura di Gesù in un giardino da parte dei suoi nuovi amici (per l'in troduzione cf vv 38-39). .
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La descrizione comincia (18,1 : en kèpos) e termina (19,41: en . kepos) con sce ne ambientate in un giardino e presenta la relazione del processo davanti a Pi lato al centro della narrazione. .
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I. Gesù e i suoi nemici in un giardino (18,1-11) l . Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. 2. Anche Giuda, il traditore, conosce va quel posto, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. 3. Giuda dun que vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fomite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. 4. Gesù allora, sapendo tutto quel lo che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5. Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il tra ditore. 6. Appena disse: «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7. Domandò lo ro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8. Gesù replicò: «Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», 9. perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai
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dato». 10. Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Maleo. 11. Ge sù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».
INTERPRETAZIONE I commentatori generalmente definiscono il brano 18,1-11 «l'arresto» d i Ge sù (es.: Bauer, Johannesevangelium 208; Stibbe, fohn 180), ma questo termine non rispecchia afta tto la padronanza di Gesù sugli eventi che si svolgono nel giar dino. Non viene arrestato che nel v. 12, e per sua scelta. Gesù e i suoi discepoli si recano in un luogo imprecisato «dove c'era un giardino» (hopou en kepos), mentre forze avverse, Giuda, una coorte di soldati romani (ten speiren) e alcu ne guardie del Tempio (hypéretas) si radunano insieme e vanno ad affrontare Gesù con lanterne, fiaccole e armi (vv. 1-3). Una tale combinazione è storica mente improbabile, ma diversi elementi del mondo delle tenebre si coalizzano contro Gesù, la luce del mondo (cf 8,12; 9,5). Armati e disposti alla violenza, i nemici di Gesù: Giuda, i Romani e i Giudei, che rappresentano «il mondo», vanno in cerca della luce del mondo portandosi appresso la propria luce, lan terne e torce (cf Culpepper, Anatomy 192; Giblin, «Confrontations>> 216-217; Heil, Blood and Water 19-20). Gesù sa cosa gli accadrà (v. 4a) e si fa avanti a chiedere chi cercano. La sua autoidentificazione con ego eimi in risposta alla loro richiesta «Gesù di Naza ret» sortisce solo l'effetto di stenderli a terra (vv. 4b-6). Ripetendo la formula di autorivelazione (ego eimi) Gesù informa poi i suoi avversari che i disegni che hanno su Gesù di Nazaret possono essere attuati a condizione che lascino an dare i discepoli (vv. 7-8). Il narratore ricorda una frase della preghiera di Ge sù: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato» (v. 9; cf 17,12. Vedi anche 6,69; 10,28). Neppure Giuda, il traditore, è escluso da coloro che devo no essere lasciati andare. Il fatto che perfino in questo contesto così ostile non venga fatta nessuna eccezione al v. 9: «Non ho perduto nessuno», è un'indi cazione che questo Vangelo non dà una condanna definitiva del discepolo Giu da. Per quanto abominevole sia la sua condotta, egli è stato affidato alle cure del Padre il cui straordinario amore è stato rivelato da Gesù (cf 1 7,11-12). Giu da è «con» gli avversari di Gesù (v. 5: met'auton) ma non svolge un ruolo atti vo nell'arresto (in contrasto con Marco 14,42-45 e parr.). Gesù ha pregato per i suoi discepoli (cf 17,9-19) e per coloro che hanno udito la parola grazie al lo ro ministero (vv. 20-26) perché possano essere attirati nell'unione di amore che esisteva da prima dei tempi tra il Padre e il Figlio, «perché il mondo sap pia che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (17,23). Al momento in cui Gesù dà l'avvìo al processo che lo porterà ad essere innalza to (cf 3,14; 8,28; 12,32) esige che i discepoli siano lasciati liberi di andare ad eseguire il loro compito missionario (cf 13,20.34-35; 15,5-8.16.26-27; 17,1819.20-23). Pietro non riesce a capire la portata di ciò che sta per accadere e sfodera una spada in un violento tentativo di cambiare il corso degli eventi (18,10), ma viene subito rimproverato perché adesso deve cominciare la passione. Pie-
Ges ù e i s u o i n e m i c i i n u n giardino ( 1 8, 1 - 1 1 )
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tro cerca d i intralciare i l disegno di Dio così come Giuda intralcia il disegno di Dio. Le profezie di 13,1-1 7.21-38 si stanno avverando. Gesù beve di sua spon tanea volontà il calice che il Padre gli ha dato (v. 11; cf 12,27) e il resoconto gio vanneo della passione comincia perché è Gesù che gli dà il via. Gesù è il pa drone della situazione. Fin da questa prima scena i discepoli sono fatti ogget to di speciale attenzione. A differenza delle scene parallele nella tradizione si nottica, dove vien fatta risaltare la solitudine di Gesù (cf Mc 15,32-42; Mt 26,2646; Le 22,40-46), Gesù si trova nel giardino in compagnia dei suoi discepoli (Gv 18,1), che sono nominati tre volte in due versetti (vv. 1-2), mentre Giuda, un altro discepolo di Gesù, è descritto in compagnia dei nemici di Gesù (v. 5). Di fronte all'ostilità e alla violenza Gesù esige che i discepoli siano lasciati li beri di andarsene (v. 8). La passione di Gesù nel Quarto Vangelo tratta non solo di ciò che accade a Gesù, ma determina anche il futuro dei discepoli. La prima scena nel giardino segna l'inizio di una serie di avvenimenti che dimo strano che Gesù ama i suoi discepoli eis telos (cf 13,1), di un amore che fa co noscere Dio (cf 13,18-20). N.O T E
1. dove c'era un giardino: Certe fonti patristiche e alcuni commentatori vedono un legame tra il Giardino dell'Eden dove Adamo è caduto e questo Giardino dove ha avuto inizio l'azione salvifica di Gesù, il secondo Adamo (cf Hoskyns, Gospe/ 509). Sono stati visti legami anche tra il viaggio di Gesù attraverso la valle del Cedron e il viaggio di Davi de in fuga da suo figlio Assalonne in 2 Sam 15,30-31 (cf Glasson, «Davidic Links» 118119). La prima può essere una riflessione utile ma non rientra nel pensiero giovanneo; la seconda può essere vagamente adombrata nella scena. In Giovanni però non si av verte nessun senso di fuga né di sofferenza né di lamento. 3. Giuda ... dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie: Il fatto di Giuda che raduna un'intera coorte (hl speira: seicento uomini) di soldati romani e alcune guardie del tem pio (hyperetai) messe a disposizione «dai capi dei sacerdoti e dai farisei» è tanto im probabile quanto storicamente inesatto. Come in tutto il racconto giovanneo della pas sione, l'esattezza storica e gli accenni alle condizioni politiche sono spesso subordina ti al punto di vista teologico giovanneo. Per una dettagliata analisi delle difficoltà sto riche e delle relative implicazioni teologiche vedi Brown, Death 1,248-252. Schnacken burg (Gospel 3,223) osserva: «Egli (l'evangelista) vede Gesù che affronta l'intero co smos miscredente». 4. Gesù allora, sapendo... si fece innanzi e disse loro: Gesù dirige l'azione fin dal primo mo mento. Gesù non è tradito, condotto via né interrogato. Egli sa, si presenta e dà il via all'incontro. Gesù, il Nazareno: Può esserci una connotazione peggiorativa nel nome di «Gesù, il Na zareno». Questa è solo la seconda volta nel Vangelo che si accenna che Gesù viene da Nazaret. In precedenza Natanaele aveva osservato: «Da Nazaret può mai venire qual cosa di buono?» (1,46). 5. Disse loro Gesù: «Sono io!»: Sull'uso di ego eimi in 18,4-8a vedi Brown, Death 1,259-262. Alcuni ritengono che qui si alluda a testi teofanici dell'AT quali Is 11,4 (cf Schnacken burg, Gospel 3,225) o Sal 56,10 (cf Barrett, Gospe/ 520). Non tutti sono d'accordo che l'e spressione sia nient'altro che una semplice autopresentazione per la gente che è venuta ad arrestarlo (es.: Bligh, The Sign 18-19). Bali, «l Am» in John's Gospel 137-145, 201, so-
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stiene che le parole in sé dicono poco; ma che il lettore a questo"pUnto (specialmente dopo 13,19) è giunto a riconoscere che Gesù sta applicando a se stesso le idee di Isaia riguardo a YHWH visto come Dio e Salvatore: 6. indietreggiarono e caddero a terra: Questa reazione da parte dei nemici di Gesù indica chiaramente che la sua autorivelazione è qualcosa di più di una semplice presenta zione della persona che essi cercano. Brodie, Gospel 325-326, tuttavia esagera quando dice che la scena descrive «Dio che va nel mondo a sconfiggere il potere delle tenebre» (vv. 4-6), seguìto dall'«autodonazione divina» che porta la salvezza ad altri (vv. 7-9). 9. Non ho perduto nessuno: La posizione adottata nell'interpretazione, che cioè il carattere assoluto dell'affermazione di Gesù sia qui che in 1 7,12 comprende anche Giuda, è un'ulteriore conferma che «il figlio della perdizione» in 17,12 non è Giuda ma Satana (cf 2 Ts 2,3.8-9). Questo contro, ad esempio, Senior, Passion 48, che dice: «Il Vangelo di Giovanni non mostra alcuna simpatia per Giuda e dietro la sua terribile apostasia ve de la faccia del demonio». 10. Pietro, che aveva una spada, la trassefuori: Becker, Evangelium 2,544, sostiene che l'azione di Pietro non ha altro scopo che quello di preparare alla risoluta accettazione da parte di Gesù della volontà del Padre nel v. 1 1 . Ma per una migliore interpretazione teologi ca del gesto di Pietro vedi Stibbe, John 181; Senior, Passion 54-55. Heil, «Jesus as the Unique High Priest» 736-737, vede nel gesto di Pietro nn malinteso tentativo di fermare il sacrificio di Gesù come sommo sacerdote, e Brodie, Gospel 526-527, fa leva sul nome di «Maleo» per dimostrare che Pietro fraintende la natura regale di Gesù. gli tagliò l'orecchio destro: I critici hanno speculato sul significato di questa mutilazione dell'orecchio destro. È perché Pietro era mancino? La mutilazione dell'orecchio destro è forse più deprecabile? Questo fatto impedisce a Maleo di servire il sommo sacerdo te nel Tempio? Non può esservi risposta certa a nessuna di queste domande. Vedi Se nior, Passion 54 n. 17.
II. Gesù compare davanti a «i Giudei)) (18,12-27) 12. Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo le garono 13. e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno. 14. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: « È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo». 15. Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo di scepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del som mo sacerdote. 16. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta, Allora quell'altro di scepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare an che Pietro. 17. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di que st'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18. Intanto i servi e le guardie avevano acceso nn fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scal dava. 19. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla ·sua dottrina. 20. Gesù gli rispose: «lo ho parlato al mondo apertamente; ho sempre inse gnato nella sinagoga e nel Tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai det to nulla di nascosto. 21. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto proprio a loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 22. Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così ri spondi al sommo sacerdote?». 23. Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami
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dov'è i l male. Ma se ho parlato bene, perché m i percuoti?». 24. Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, sommo sacerdote. 25. Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 26. Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?��. 27. Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.
I N T E R P R E TA Z I O N E Nei vv 12-16 Gesù e Pietro sono presentati in un modo che non ha paralle li nella tradizione sinottica. Solo adesso Gesù viene arrestato (v. 12) e condotto alla casa di Anna (v. 13a). Il narratore fa notare i vincoli di parentela tra Anna e Caifa e ricorda le parole dette da Caifa in 11,49-52: la morte di Gesù non è per Gesù stesso, ma perché possa radunare insieme i figli di Dio dispersi nel mon do (vv. 13b-14). Le presentazioni continuano nella descrizione di due discepo li che seguono Gesù (v. 15: ekolouthei de ti) lesou). Simon Pietro è un discepolo di spicco (cf 1,41-43; 6,8.68-69; 13,6-9.24.36-38) e un altro discepolo anonimo è già apparso in precedenza nel racconto (cf 1,37-42). Vi sono dunque due mathetai («discepoli») nel cortile del sommo sacerdote assieme a Gesù (v. 15). L'azione comincia quando Pietro riesce ad entrare nel cortile per interces sione dell'altro discepolo, del quale si dice che era «conosciuto (gnostos) dal sommo sacerdote>>. La portinaia sospetta che Pietro sia uno dei mathetai di Ge sù e lo interroga al riguardo: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uo mo?». La prima negazione di Pietro è il contrario delle parole di Gesù che nel Getsemani si presenta con le parole ego eimi (cf vv. 5.8). Pietro invece mente e ri sponde: ouk eimi (v. 1 7: «non sono»). Senza alcun commento il narratore sposta il centro dell'attenzione da Pietro agli hyperetai e ai servi che hanno acceso il fuoco per ripararsi dal freddo. Gli hyperetai erano usciti con lanterne e fiaccole (18,2) per arrestare Gesù, la luce del mondo (cf 8,12; 9,5). Lo avevano preso, le gato e condotto da Anna (vv 12-13a). L'attenzione adesso torna su Pietro che, analogamente a Giuda associato agli hyperetai nel giardino, si trova anch'egli met'auton (v. 18; cf v. 5). Pietro si crogiola nel falso calore e alla falsa luce creati da personaggi che nel racconto si sono schierati con il potere delle tenebre. Pie tro fa comunella con Giuda abbandonando la luce del mondo per andare ver so le tenebre (cf 13,30). La descrizione del primo rinnegamento di Pietro (vv. 15-18) è stata caratte rizzata dal quadruplice uso del termine mathetes. Inoltre, la descrizione di Pie tro come «discepolo» ricorda che egli è un discepolo importante (cf 1,41-42) che ha proclamato la fede giovannea nella parola di Gesù (cf 6,68-69). Il suo nome è apparso sei volte in questo contesto. Ma lo stesso discepolo è fragile e ha dimostrato di non capire il significato delle azioni di Gesù (cf 13,6-9.24.3638). In una storia in cui si nega di essere mai stati discepoli, che precede una parte centrale nella quale Gesù verrà interrogato riguardo ai suoi discepoli (cf v. 19) e rimanderà gli ascoltatori a «quelli che hanno udito ciò che ho detto» (cf v. 21), il tema del discepolo di Gesù è comparso nove volte (v. 15 [3x]; v. 16 [3x]; v. 17 [2x]; v. 18). In un modo che è specifico del Quarto Vangelo i rinnegamenti di Pietro so.
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no interrotti dall'interrogatorio di Gesù «riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina (peri matheton autou kai peri tes didaches autou)» (v. 19). La risposta di Gesù inverte l'ordine dei termini parlando prima della sua didache (v. 20) e poi di «quelli che hanno udito)) (tous akekootas), quelli che sanno cosa ha detto Ge sù (v. 21). Gesù ripensa alla sua rivelazione pubblica di Dio che è terminata in 12,36b e ricorda al suo interrogatore due avvenimenti, entrambi passati ma de scritti con diversi tempi dei verbi. Nel v. 20b Gesù parla della sua predicazione a «i Giudei»: «Ho sempre insegnato (edidaxa) nella sinagoga e nel Tempio, do ve tutti i Giudei si riuniscono)) (v. 20b) . ll verbo edidaxa è all'aoristo. In passato ha insegnato in centri giudaici, nella sinagoga e nel Tempio, ma non lo farà più. Non si può tornare indietro dopo una separazione definitiva tra Gesù e «i Giu deb> (cf 12,36b). «L'affermazione di Gesù non ha più il significato di un appel lo indiretto al ripensamento o di un invito alla fede; ma piuttosto afferma: "Voi avete già deciso!". È troppo tardi per discutere, il confronto con il giudaismo è giunto al termine» (Bultmann, Gospel 646). Ma Gesù prosegue: «lo ho parlato apertamente (parresiq lelaleka) al mondo (ti) kosmi)) .. non ho mai detto nulla di nascosto» (v. 20ac). Il verbo lelaleka è al perfetto. La parola di Gesù è stata pro clamata al mondo. L'uso multiforme che il Vangelo fa di ho kosmos non può es sere paragonato a «i Giudei)) (cf Koester, Symbolism 249-253). In 18,20a si tratta del mondo che è l'oggetto dell'amore salvifico di Dio (cf 3,16). La presenza sto rica di Gesù come il maestro che proclama la sua parola è terminata (12,36b ), ma le parole che ha pronunciato in passato non sono mai state nascoste né co artate (18,20c: en kryptQ elalesa ouden ) . D perfetto «ho parlato)) posto molto vici no all'aoristo «ho insegnato» indica che, sebbene l'insegnamento di Gesù a «i Giudei» sia concluso, la parola di Gesù è ancora disponibile. È stato proclama to in passato ma i suoi effetti sono ancora presenti. Se la presenza di Gesù «nella sinagoga e nel Tempio» (v. 20b) non è più vi sibile, dove si potrà trovare la parola un tempo annunciata tanto apertamente al mondo (v. 20ac)? Si dovrà chiedere a quelli che hanno udito (tous akekootas) ciò che ha detto (elalesa) proprio a loro. Durante il ministero di Gesù la parola è stata annunciata (aoristo complessivo) a «quelli che hanno udito». Questi posseggono la parola annunciata al mondo, e chiunque voglia udire quella pa rola deve rivolgersi a loro (v. 21b). Essi sanno (oidasin) ciò che Gesù ha detto (v. 21c). Molti commentatori osservano che Gesù sta chiedendo ai suoi accusatori «di prendere una testimonianza di tipo legale» (Barrett, Gospel 528), ma «quel li che hanno udito» sono i mathetai di Gesù, coloro che sono stati ammaestrati alla scuola di Gesù (cf K. H. Rengstorf, TDNT 4, 444-450). Gesù non è più pre sente, ma in sua assenza ci si deve rivolgere ai discepoli che sanno ciò che lui ha detto. La domanda del sommo sacerdote a proposito dei discepoli di Gesù ha già avuto una risposta, visto che la didache e i mathetai sono inscindibili. La «dot trina» di Gesù si trova presso i suoi «discepoli» (v. 1 9; cf Hoskyns, Gospel 514). Una delle guardie (hyperetai; cf vv. 2. 1 2 1 8), per rispetto verso il sommo sa cerdote, dà a Gesù uno schiaffo. La guardia si rifiuta di accettare la promessa di Gesù (v. 22), ma la reazione di Gesù di fronte allo schiaffo riporta al vero signi ficato degli avvenimenti in corso. Gesù chiede che se ha parlato male (ei kakos elalesa) il suo assalitore lo dimostri; ma se ha parlato bene (ei kalos elalesa), allo.
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G e s ù c o m p a re da va n t i a « i G i u d e i » ( 1 8 , 1 2 - 2 7 )
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ra la guardia deve spiegare la sua azione (v. 23). Nei LXX l'espressione kakos la
lein è usata per la bestemmia (cf Es 22,7; Lv 19,14; 20,9; Is 8,21; l Mac 7,42). Se lo schiaffo è una punizione per il parlare blasfemo, allora occorrono le prove; ma se Gesù sta proclamando ciò che è giusto (kalos), una verità opposta alla bestemmia, allora la guardi a si condanna da sola con la propria azione (cf Brown, Death 1,415-416). Qui emerge la tradizione dell'innocenza di Gesù che si trova sia nella descrizione sinottica del processo di Gesù davanti a Pilato sia in quella giovannea (cf Mc 15,14; Mt 27,4.19.24; Le 23,13-16.22; Gv 18,38; 19,4.6). Ma Gesù non è solo innocente; ha rivelato la verità, ha parlato bene (kalos), e la verità è stata rifiutata. Il narratore ritorna su uno dei membri f�ndatori della comunità, Pietro, uno di quelli che hanno udito ciò che Gesù ha detto (cf v. 21) ma che si è uni to a Giuda nelle tenebre (v. 18: met'auton; cf v. 5). L' «altro discepolo» è sparito, ma Simon Pietro, ancora >. 36. Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero com battuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37. Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla ve rità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38a. Gli disse Pilato: «Che cos'è la ve rità?». 38b. E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «lo non trovo in lui col pa alcuna. 39. Vi è tra voi l'usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta in libertà per voi un uomo: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». 40. Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un bandito. 19,1 . Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2. E i soldati, intrecciata una corona di rami spinosi, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di por pora. 3. Poi gli si avvicinavano e gli dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. 4. Pilato di nuovo uscì fuori e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappia te che non trovo in lui colpa alcuna». 5. Allora Gesù uscì fuori, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». 6. Al vederlo, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». 7. Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». 8. All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. 9. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede riposta. 10. Gli disse allora Pi lato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metter ti in croce?». 11. Rispose Gesù: «Tu non avresti nessnn potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». 12. Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi coshri, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». 13. Udi te queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chia mato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14. Era la Preparazione della Pasqua, verso mez zogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15. Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sa cerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». 16a. Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
I N T E R P R E TA Z I O N E
La tradizione sinottica aveva già utilizzato il processo d i Gesù davanti a Pi lato e l'iscrizione sulla croce per proclamare Gesù «re» (cf Mc 15,2.9. 12.18.26.32; Mt 27,11.29.37.42; Le 23,2.3.27.38), ma nel resoconto giovanneo il tema della re galità di Gesù domina l'interrogatorio di Gesù da parte di Pilato (cf 18,33.37.39; 19,3.12.14.15) e si protrae fino alla scena della crocifissione (cf 19,19.21). Il «pro-
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cesso» è caratterizzato d a una introduzione (18,28), sette brevi scene che s i svol gono all'interno o fuori del pretorio (18,29-32.33-38a.38b-40; 19,1-3. 4-7.8-11.1215) e da una conclusione (19,16a). Il narratore usa verbi di movimento per in dicare che Pilato e/ o Gesù entrano o escono dal pretorio. Vi sono due «proces si» in corso: quello derivante dall'incontro tra l'autorità romana rappresentata da Pilato e «i Giudei» (cf 18,29-32.38b-40; 19,5-7.12-15) e l'altro dell'incontro tra Pilato e Gesù (cf 18,33-38a; 19,8-11). La questione decisiva dipende da come Pilato e «i Giudeh> reagiscono alla proclamazione della regalità di Gesù. C'è un'unica scena (19,1-3), in cui non sono usati verbi di movimento e non c'è dia logo. Questa scena centrale (la quarta in una serie di sette) si svolge nel preto ri o. Gesù è coronato, vestito da re e sarcasticamente proclamato: «Salve, re dei Giudei! » (v. 3). Una scena parallela si ha anche nella tradizione sinottica (cf Mc 15,18; Mt 27,29), ma è solo nel Vangelo di Giovanni che i soldati usano l'artico lo determinativo chiamando Gesù il re dei Giudei nel loro saluto sarcastico: chaire ho basileus ton loudaion (19,3). Introduzione (v. 28). La scena si svolge davanti al pretorio e vengono pre sentati i personaggi: Gesù, Pilato e i capi giudaici. Alle prime luci del giorno i capi si affrettano a presentare Gesù, l'Agnello di Dio (cf 1,29.34), perché venga processato, mentre loro rimangono fuori del pretorio per evitare la contami nazione rituale alla vigilia di Pasqua (v. 28). Il sorgere dell'alba potrebbe esse re un sottile accenno a una vittoria fasulla che sta per avere inizio (cf Bultmann, Gospel 651; Brown, Gospe/ 2,866). Mentre «i Giudei» si premurano di mantene re la loro purità rituale in occasione della Pasqua (cf 11,55-57) nel contempo cercano la morte dell'Agnello di Dio. All'esterno del pretorio (vv. 29-32). «Pilato dunque uscì verso di loro» (v. 29a). In risposta alla domanda di Pilato circa il reato di Gesù (v. 29b) «i Giudei» gli fanno intendere che loro hanno già deciso che Gesù è un malfattore (v. 30) e che deve morire secondo il metodo di esecuzione previsto dalla legge romana: «in nalzamento» con la crocifissione (v. 31). Il narratore ricorda la predizione di Gesù riguardo alle modalità della propria morte: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32). La morte di Gesù non è per se stesso ma per ra duna re altri. All'interno (vv. 33-38a). «Pilato allora rientrò nel pretorio>) (v. 33a). A Pilato non verrà raccontata una delle solite storie giudaiche di re e di messia (vv. 3335) ma verrà informato sulla natura della regalità messianica di Gesù: egli eser cita la sua regalità nel far conoscere Dio al mondo, nel dare testimonianza alla verità e nell'attirare nel suo regno tutti quelli che sono dalla parte della verità (vv. 36-37). Pilato interroga Gesù circa il suo stato regale, ma Gesù non parla di se stesso, bensì del «regno» (cf Bultmann, Gospe/ 654). C'è un'offerta gratuita della verità a questo inquirente romano da parte di Gesù quando dice a Pilato che egli rivela la verità e attira chiunque sia dalla verità nel regno della verità purché sia disposto ad ascoltare la sua voce. Il termine «regno» (basileia) è sta to usato solo un'altra volta nel racconto: Nicodemo è stato informato della ne cessità di nascere di nuovo dall'alto (anothen) per mezzo dell'acqua e dello Spi rito per potere «vedere>) ed «entrare» nel regno (3,3-5). Il regno è un «luogo» do ve Dio regna, una comunità, e quelli che sono da Dio, dalla verità, rispondono
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"I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
alla v�e di Gesù e «vedono»
(idein) ed «entrano» (eiselthein eis) in quel regno (cf Moloney, Belief in the Word 109-114). Ma Pilato respinge la rivelazione-offerta di Gesù con un brusco rifiuto della parola di Gesù: «Che cos'è la verità?» (v. 38). All'esterno (vv. 38b-40). «Uscì di nuovo verso i Giudei» (v. 38b). Nonostante la sua incapacità di entrare nel regno della verità di Gesù, Pilato esce di nuovo davanti a «i Giudei», proclama l'innocenza di Gesù e, in ossequio a una con suetudine (synetheia), propone di lasciar libero Gesù, «il re dei Giudei» (v. 39). Ma «i Giudei» chiedono la liberazione di Barabba, un l�stes, un uomo violento e una falsa scelta messianica (cf Giblin, «}ohn's Narration» 228; vedi la nota re lativa al v. 40). All'interno (19,1-3). Non c'è alcuna indicazione di un cambio di luogo, ma Pi lato ordina che Gesù sia flagellato (v. l) e i soldati gli mettono in testa una co rona di spine e sulle spalle un mantello di porpora (v. 2). Prendendo al volo la frase con cui Pilato proclama Gesù «il re dei Giudei» (18,38) i soldati si diver tono a vestirlo e a proclamarlo anche loro «il re dei Giudei» (v. 3). Qui manca no molti elementi che sono invece presenti nei resoconti sinottici della flagel lazione e della parodia di Gesù: la benda sugli occhi, gli schiaffi, gli sputi, le ge nuflessioni derisorie e le percosse sul capo con una canna (cf Mc 14,65; 15, 16-17; Mt 26,67-68; 27,27-30; Le 22,63-64). Il resoconto giovanneo è semplificato. Vuo le evidenziare la coronazione, il vestito regale e la proclamazione ironica della verità: Gesù è il re dei Giudei. Nonostante il rifiuto che la scena comporta, Ge sù è coronato, vestito e proclamato «il re dei Giudei». All'esterno (vv. 4-7). «Pilato di nuovo uscì fuori» (v. 4a). Uscendo dal preto rio Pilato dichiara ancora una volta che Gesù è innocente (v. 4b). Gesù, vestito e coronato come un re, «uscì fuori» (exelthen ... exo); non viene «condotto fuori», perché è ancora il padrone del proprio destino. Esce «portando» (phoron) le in segne del proprio stato regale (v. Sa). A differenza dei resoconti paralleli nella tradizione sinottica (cf Mc 15,20; Mt 27,31), le insegne regali della corona e del mantello non vengono mai tolte d'addosso a Gesù per essere sostituite con il vestito normale. Qui Gesù va alla croce vestito da re. Questa è la cornice scelta da Pilato per presentare Gesù: «Ecco l'uomo! (v. Sb: idou ho anthropos)». In ana logia con la sua precedente dichiarazione dell'innocenza di Gesù e la sua pre sentazione di Gesù come «il re dei Giudei» (18,38b-40), di nuovo Pilato procla ma Gesù innocente e gli attribuisce un altro titolo onorifico: «l'uomo» (19,5). ma come prima dell'incoronazione e investitura di Gesù «i Giudei» avevano chie sto il rilascio di Barabba (cf 18,40), adesso chiedono che Gesù venga crocifisso (v. 6a). Questa sequenza di eventi richiama 8,28: «Quando avrete innalzato il Fi glio dell'uomo, allora riconoscerete che Io Sono». La prima parte di questa pro fezia sta per essere adempiuta: «i Giudei» si prendono la responsabilità di «in nalzare» nella crocifissione la figura regale presentata loro da Pilato come «l'uo mo». Quando i Greci erano venuti a vedere Gesù egli aveva annunciato: « È ve nuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato» (12,23) e poi aveva ulterior mente specificato: «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me» (12,32). D narratore spiega poi cosa significhi «essere innalzato»: «Diceva questo per in dicare di quale morte doveva morire» (12,33). Ora «i Giudei» chiedono che l'in nocente Figlio dell'uomo sia innalzato (cf Moloney, Son of Man 202-207). So-
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· che egli impugna la loro Legge proclamandosi Figlio d i Dio. La vera ragione del loro rifiuto di Gesù, tanto palesemente affiorata in tutti gli scontri tra Gesù e «i Giudei» in 5,1-10,42, è finalmente venuta a galla: non possono e non vogliono accettare l'idea che Gesù è «da Dio». All'interno (vv. 8-11). «Entrò di nuovo nel pretorio» (v. 9a). Pilato ha paura, «ancor più paura)) all'idea che Gesù è il Figlio di Dio (v. 8). Perciò nel suo se condo incontro con Gesù (cf 18,33-38) gli pone la domanda fondamentale del la cristologia giovannea: «Di dove sei tu?», ma non ne riceve alcuna risposta (v. 9). Nel primo incontro di Pilato con Gesù, questi gli aveva apertamente e gra tuitamente rivelato la possibilità di entrare nel regno della verità: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce)) (18,37). Ma questa offerta è stata bruscamen te rifiutata (cf 18,36-38). In questo secondo incontro a tu per tu «all'interno» del pretorio la reazione di Gesù fa il pari con il suo rifiuto di parlare a «i Giudei» in 18,20-21. Aveva già parlato loro «apertamente)) (parresiq) in tutto il suo mi nistero (v. 20). Ha anche dato testimonianza «alla verità» (tf aletheiq) davanti a Pilato (18,37) ma questa testimonianza è stata rifiutata (v. 38). Perciò Gesù si ri fiuta di essere indotto ad un'ulteriore autorivelazione nei confronti di Pilato (19,9), il quale lo interroga dalla sua posizione di autorità costituita e di mi scredenza. Pilato sbandiera davanti a Gesù la sua autorità politica e il suo po tere di vita o di morte (v. 10). Questa volta Gesù deve rispondere: chi lo ha con segnato a lui (ho paradous; cf la nota) è doppiamente colpevole, ma anche Pila to deve riconoscere che qualsiasi potere di vita o di morte viene dall'alto. Sot to certi aspetti Gesù ha risposto alla domanda di Pilato nel v. 9: «Di dove sei tu?». Gesù ha tutto «dall'alto)) perché è di là che lui viene (cf v. 11) (cf Zeller, «Je sus und die Philosophen» 88-92). All'esterno (vv. 12-15). «Pilato fece condurre fuori Gesù» (v. 13b). In qualsia si modo il soldato romano possa avere interpretato le parole di Gesù, egli cer ca di rilasciarlo (v. 12a), ma solo per scoprire che «i Giudei» cercano sarcastica mente di dare al procuratore una lezione sull'autorità suprema dell'imperato re romano (v. 12b ) Il rimprovero per cui il suo tentativo di liberare Gesù indi ca che lui non è amico di Cesare, induce Pilato a far condurre fuori Gesù e a «se dere in tribunale)): assumendo la posizione formale di giudice o (più improba bile) mettendo Gesù sulla sedia degli imputati (v. 13). Nel giorno della prepa razione per la Pasqua Pilato proclama Gesù re de «i Giudei)): «Ecco il vostro re!» (v. 14), ma «i Giudei» reclamano la crocifissione, e Pilato esprime la sua sor presa all'idea che vogliano crocifiggere il loro re. All' «ora sesta» (hora en hos hekte), esattamente al momento in cui gli agnelli pasquali venivano ritualmen te sgozzati nel Tempio, «i Giudei» reclamano a gran voce la morte di Gesù, l'A gnello di Dio (vv. 14-15; cf 1,29.35). Nonostante il suo rifiuto iniziale di ascolta re «la verità)) (18,38), il successivo rifiuto di Gesù di rispondere alla sua do manda riguardo alle proprie origini (19,8-9), la sete di sangue espressa da «i Giudei» (v. 6) e le loro minacce riguardo alla fedeltà a Cesare (v. 12), Pilato con tinua a insistere sulla regalità di Gesù (v. 14) . Questo, se giudicato secondo cri teri moderni, potrà fare della coerenza psicologica di Pilato un controsenso, ma consente all'autore di usare la sorprendente insistenza del funzionario ro mano sullo stato regale di Gesù per proclamare la verità riguardo a Gesù. Alla stertgono
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I l Va n g e l o d i G i o va n n i
. fine Pilato sì arrende a «i Giudei» i quali tradiscono la tradizione mosaica che hanno tanto tenacemente usato per accusare Gesù nell'ultimo periodo del suo ministero (cf in particolare 5,1-10,42) e durante il processo (cf 19,7: «Noi ab biamo una legge e secondo questa legge deve morire»). Gli stessi adesso pro clamano: «Non abbiamo altro re che Cesare» (v. 15). Nel dichiarare di preferi re l'autorità romana al loro re «i Giudei» mettono avanti la loro scelta di Ba rabba il lrstes a preferenza del «re dei Giudei» offerto da Pilato (cf 18,39-40). Ri nunciano a qualsiasi attaccamento al promesso regno di Dio e chiedono che per eliminare il loro re venga applicata la forma di esecuzione prevista dalla legge romana. «Il loro ripudio di Gesù nel nome di una camuffata lealtà al l'imperatore comportava il loro ripudio del regno di Dio, con il quale il dono del Messia è indissolubilmente legato nella fede ebraica, e della vocazione d'I sraele ad esserne l'erede, lo strumento e il banditore presso le nazioni» (Beas ley-Murray, fohn 39). Conclusione (v. 16a). Il processo di Gesù davanti a Pilato è cominciato con «i Giudei» che conducono Gesù davanti all'autorità romana (v. 28) . Si conclude con l'autorità romana che lo riconsegna a loro perché possano innalzare il Figlio dell'uomo (v. 16a; cf 8,28; 19,5). La storia è tornata al punto di partenza. Gesù è stato proclamato re sia prima (18,38b-40) che dopo (19,4-7) la sua incoronazio ne (19,1-3), ma la risposta de «i Giudei» è stata quella di scegliere false speran ze messianiche (18,40: Barabba; 19,12-15: Roma) e di chiedere la crocifissione del loro re (18,29-32; 19,4-7.13-15). Il processo di Gesù davanti a Pilato è stato in realtà il processo di Pilato e de «i Giudei». Entrambi sono stati riscontrati scar si e l'ironia del loro fallimento sta nel fatto che Pilato consegna Gesù a «i Giu dei» perché sia crocifisso, perché sia innalzato (19,16a). Una fine violenta della vita di Gesù si stava preparando fin dai primissimi giorni del suo ministero. Gesù ha parlato della necessità che il Figlio dell'uomo sia innalzato (3,14; 8,28; 12,32) ed egli ha anche atteso questo momento come l'ora della sua glorificazione. Alla festa dei Tabernacoli il narratore aveva os servato che lo Spirito non era ancora stato dato perché Gesù non era ancora stato glorificato (7,39). In 11,4 Gesù ha detto ai suoi discepoli che la malattia di Lazzaro avrebbe portato alla rivelazione della gloria di Dio e che il Figlio sa rebbe stato glorificato per mezzo suo. Sono seguite altre parole di Gesù che hanno ribadito le sue precedenti dichiarazioni (cf 12,16.23; 13,31-32; 17,1-5). La crocifissione che adesso deve seguire sarà un momento di gloria regale, un in nalzamento (3,14; 8,28; 12,32), una glorificazione (12,23), l'ascesa al trono di Gesù «re dei Giudei». NOTE 28. Sull'ironia insita nel rifiuto de «i Giudei» d i entrare nel pretorio quando vanno a con segnare Gesù a Pilato vedi Brown, Death 1,744-776; Heil, Blood and Water 47-48. Non è del tutto chiaro in che modo l'entrare nel pretorio avrebbe comportato un'impurità ri tuale. Per la discussione in merito vedi Brown, Death 1,744-745. Per un utile elenco dei vari modi in cui Giovanni 1 8,28-19,16 ha utilizzato tradizioni precedenti riguardanti la passione di Gesù vedi Ehrman, «}esus' Trail» 124-126. 29. Pilato dunque uscì: L'andirivieni tra «all'esterno» e «all'interno», che crea un episodio
Gesù dava n t i a Pilato ( 1 8 , 2 8- 1 9 , 1 6a)
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complessivo diviso in sette seene, è gèileralmente riconosciuto cfagli stUdiosi. Vedi Westcott, Gospel 258; Janssens de Varebeke, «La Structure» 504-522. Baum-Bodenben der, Hoheit in Niedrigkeit 28-96, individua due atti (l 0: 18,28-19,5 e 2°: 19,6-16a) in cui le scene «all'esterno» (1 8,28-32.38b-40; 19,6-8.12b-16a) contengono il tema complemen tare del rifiuto di Gesù, mentre le scene «all'interno» (18,33-38a; 19,1-5.9-12a) costitui scono l'asse portante della narrativa dando al lettore istruzioni sulla cristologia gio vanne a. Giblin, «}ohn's Narration)) 221-224, scorge un crescente contrasto tra due par ti della narrazione, le quali concludono entrambe con tote oun seguìto da un'azione di Pilato: 19,1-3 e 19,16a. Giblin, > (18,9; cf 17,12). I primi segni del futuro ruolo dei disce poli si hanno nel Discepolo Prediletto ai piedi della croce (cf 19,25-27) e con Nicodemo e Giuseppe di Arimatea che emergono dalle tenebre in occasione della sepoltura di Gesù (cf 19,38-42), ma il lettore si aspetta un ulteriore svol gimento della storia, quella del più ampio gruppo di discepoli che sono stati con Gesù fin dall'inizio della narrazione (cf 1,35-51; 2,11). Le prime pagine di questa storia di Gesù sono state caratterizzate da un in no e da una descrizione che spiegava chi sia Gesù (1,1-18) e quale sia la rispo sta che gli si può dare (1,19-4,54). Con la passione e la morte di Gesù, la storia di Gesù è giunta al termine: la luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno sopraffatta (cf 1,5). Quale sarà la risposta che i discepoli danno a Gesù? Dopo gli esitanti e parziali tentativi dei primi discepoli di esprimere la loro fe de in lui (1,35-51) ci sono stati altri episodi che presentavano diversi tipi di ri sposta a Gesù, il Verbo fattosi carne (cf 1,14): la madre di Gesù (2,1-12), «i Giu deh> (2,13-25), Nicodemo (3,1-21), Giovanni Battista (3,22-36), la Samaritana (4,1-38), i compaesani della Samaritana (4,39-42), il funzionario del re (4,43-54) (cf Moloney, Belief in the Word 192-199). Si può dire che il Vangelo di Giovanni è iniziato con una serie di percorsi di fede nei quali diversi personaggi hanno ri sposto a Gesù in modi diversi. E come termina? Lunghi tratti della narrazione giovannea cominciano e terminano in maniera parallela (cf, ad esempio, 1,1-5 e 1,18; 2,1-12 e 4,43-54; 13,1-38 e 17,1-26; 18,1-11 e 19,38-42); non deve quindi de stare meraviglia lo scoprire che questa storia termina rifacendosi all'inizio. Vie ne spesso fatto notare che le ultime parole del narratore (20,30-31) ricordano il prologo, le stesse parole con le quali il narratore ha cominciato il libro (1,1-18) (es.: Mlakuzhyil, Christocentric 137-143, 238-240), ma il contatto finisce qui? I primi episodi riferiti della vita di Gesù evidenziavano un cammino di fede (1,19-4,54), e il lettore probabilmente si aspetta che gli ultimi episodi riferiti ri tornino sullo stesso tema. Il resoconto giovanneo è basato sulle antiche tradizioni cristiane associate al-
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la risurièzione: una donna presso la tomba vuota (20,1-2), apparizioni a una donna e ai discepoli in gruppo (vv. 11-18.19-23), l'incarico dato a una donna di annunciare la risurrezione di Gesù (v. 17) e un mandato missionario (vv. 2123). Queste tradizioni sono state completamente fatte proprie da Giovanni. Sol tanto Maria Maddalena si trova davanti alla tomba vuota e lei sola riceve l'in carico di annunciare il Signore risorto. Pertanto il mandato missionario di Gio vanni 20,21-23 è diverso da Matteo 28,16-20 e da Luca 24,44-49 (cf Liidemann, Resurrection 151-165). L'episodio dei discepoli che corrono alla tomba può ve nire dalle stesse tradizioni che hanno prodotto Luca 24,12 e 24 (cf Mahoney, Two Disciples 41-69; Li.idemann, Resurrection 138-139); l'incontro con Maria Maddalena può essere la versione giovannea dell'incontro con le donne che ritornano dal sepolcro vuoto descritto da Matteo (Mt 28,8-10); l'episodio del l'incredulo Tommaso può essere la drammatizzazione del tema del dubbio che caratterizza tutti i resoconti sinottici della risurrezione (cf Mc 16,8; M t 28,8.17; Le 24,10-11.19-24.37-43; cf anche Mc 16,14; e vedi Riley, Resurrection Reconside red 100-107) . Gli studiosi hanno proposto suggerimenti utili riguardo alla storia della composizione del passo (es.: Lindars, «The Composition» 142-147; Hartmann, «Die Vorlage» 197-220; Ghiberti, I racconti pasquali 51-141; Dauer, «Zur Her kunft» 56-76; Lorenzen, Resurrection and Discipleship 168-173), ma nella sua for ma attuale Giovanni 20 è un insieme letterario unificato, una storia intessuta dal passare del tempo e dal cambiamento di personaggi e luoghi. In base al cri terio del tempo, dei personaggi e del luogo vediamo che Giovanni 20,1-29 pre senta la seguente struttura letteraria: l.
Vv. l-18: Scene presso la tomba. In queste scene sono interessati due tipi di perso
naggi: due discepoli che corrono alla tomba e Maria Maddalena. I fatti si svolgono «il primo giorno della settimana» (v. 1).
a) Vv. 1-10: Visite al sepolcro vuoto vv 1-2: Maria Maddalena constata che la tomba è vuota. vv. 3-10: Pietro e il Discepolo Prediletto corrono al sepolcro; il Discepolo Predi letto giunge alla fede, ma questa non è la fine del cammino della fede (cf v. 9). b) Vv. 1 1 - 1 8: Gesù appare a Maria Maddalena vv. 11-13: Maria Maddalena guarda nella tomba vuota ma non prova l'espe: .
rienza di fede del Discepolo Prediletto. vv 14-18: L'apparizione di Gesù a Maria Maddalena la porta dalla mancanza di fede a una fede condizionata, fino a quando da ultimo non risponde al suo co mando e ritorna dai discepoli ad annunciare: «Ho visto il Signore!» (v. 18). 2. Vv. 19-29: Scene in casa. L'episodio presenta di nuovo due tipi di personaggi. Ge sù appare ai discepoli in gruppo, e poi a Tommaso quando si unisce a loro. Le due apparizioni si verificano nello stesso luogo ma in tempi diversi: «la sera di quel giorno» (v. 19) e «otto giorni dopo» (v. 26). .
a) Vv. 1 9-23: Gesù appare ai discepoli assente Tommaso La sera dello stesso giorno Gesù appare ai discepoli con loro immensa gioia. Dà loro lo Spirito Santo e il mandato di perdonare e di ritenere i peccati.
b) Vv. 24-29: Gesù appare ai discepoli presente Tommaso Otto giorni più tardi Gesù appare di nuovo ai discepoli e questa volta c'è anche Tommaso. Egli non aveva condiviso la fede e la gioia provata dagli altri, ma il
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Gesù risorto lo porta da una fede condizionata a proclamare: «Mio Signore è mio Dio!» (v. 28). Gesù dice a Tommaso che questo momento di fede non esau risce tutti i possibili percorsi della fede (v. 29).
Nel racconto si avverte un andamento in crescendo. Nei vv. 1-10 c'è una progressiva messa a fuoco degli oggetti visti. Maria Maddalena vede la pietra che è stata rotolata via (v. 1), il Discepolo Prediletto vede i teli che ricoprivano il corpo esangue di Gesù (v. 5) e Pietro vede gli stessi teli ma vede anche il su dario che ricopriva il capo di Gesù ripiegato in disparte (vv. 6-7). Quando co mincia la descrizione delle apparizioni, Gesù appare a un numero sempre mag giore di persone. Prima appare a Maria Maddalena (v. 14), poi ai discepoli, ma senza Tommaso (v. 24). Infine appare a tutti i discepoli presente anche Tom maso (v. 26). E l'episodio si conclude con una beatitudine universale per tutti coloro che credono «pur senza aver visto!» (v. 29). I. Scene presso la tomba
(20,1-18)
a) Visite al sepolcro vuoto (20, 1 - 1 0) Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2. Corse allora e andò da Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». 3. Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5. Chinatosi, vide i teli ancora là, ma non entrò. 6. Giunse intanto anche Si mone Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e vide i teli ancora là, 7. e il sudario, che era stato sw suo capo, non là con i teli, ma in disparte, ripiegato in un luogo. 8. Al lora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e cre dette. 9. Infatti non comprendevano ancora la Scrittura, che egli cioè doveva risorgere dai morti. 10. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. l.
INTERPRETAZIONE Maria Maddalena si affretta ad andare al sepolcro il primo giorno della set timana (v. la: t� de miq ton sabbaton). Questo «giorno» collega il resoconto gio vanneo con la primissima tradizione cristiana secondo cui il sepolcro viene tro vato vuoto il terzo giorno dopo la crocifissione di Gesù avvenuta il giorno pri ma di Pasqua, che in quell'anno cadeva di sabato (cf 19,31). L'indicazione del l'ora del giorno (cf anche Mc 16,1) vuoi far risaltare che era ancora buio (v. lb: proi' skotias). In tutto il racconto le tenebre della notte sono sempre state asso ciate alla mancanza di fede (cf 1,5; 3,2; 6,17; 8,12; 9,4; 11,10; 12,35.46; 13,30; 19,39) (cf Maccini, Her Testimony is True 207-208). Maria Maddalena vede che la pietra è stata tolta (ton lithon ermenon) dal sepolcro. L'uso del passivo (ermenon) ac cenna a un'azione di Dio (cf Mollat, «La découverte du tombeau vide» 137138). Maria vede il sepolcro vuoto, ma questo pensiero non le passa neppure per la mente. Al buio, in un'atmosfera di incredulità, Maria lascia di corsa il sepolcro e va dai due discepoli che nel racconto hanno un ruolo di spicco: Pietro (cf 1,40-42;
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6,8.66-69; 13,5-11.24.36-38; 18,10-11.15-18.25-27) e l'altro discepolo, quello che Gesù amava (cf 1,35[?]; 13,23-25; 18,15-16; 19,25-27). Maria annuncia che il cor po è stato trafugato da un non meglio specificato plurale «essi». Non fa nessun accenno a una possibile azione di Dio o alla possibilità della risurrezione. Es sa inoltre associa i due discepoli alla propria incredulità creando un nuovo plurale: «non sappiamo». Per Maria Maddalena ci sono due gruppi interessa ti nella cosa: «essi» che hanno portato via (era n) il corpo del Signore, e «noi» che non sappiamo (ouk oidamen) dove l'abbiano portato. La prima persona plura le nel v. 2 associa due dei membri fondamentali nel racconto giovanneo alla si tuazione di incredulità propria di Maria. Quella descritta nei vv. 1-2 è una situazione di confusione e di incredulità, con il gruppo di Maria Maddalena, Simon Pietro e l'altro discepolo che brancolano nelle tenebre. I versetti 1-2 «de scrivono il punto di vista dell'incredulo» (Evans, Resurrection and the New Testament 1 20) . Una donna comunica il messaggio di un sepolcro vuoto ai di scepoli, ma lo fa da persona incredula con la quale i discepoli sono strettamente associati. Ed è da persone incredule che i due discepoli ritornano al sepolcro nel v. 3. Si ha la sensazione di un nuovo inizio quando Pietro «esce» (exelthen oun) con l'altro discepolo e «vanno» (erchonto) verso il sepolcro. Da principio Pietro si avvia per primo e l'altro discepolo lo segue. La novità della situazione è re sa più vivida dal correre di Maria dal sepolcro ai discepoli nel v. 2 e dal correre dei discepoli verso il sepolcro nel v. 3. Si è fatto molto parlare della corsa verso il sepolcro ed è stata anche definita una «gara» (es.: Bauer, ]ohannesevangelium 229; van Tilborg, Imaginative Love 101-102). Non è una gara, ma i due discepoli voltano le spalle alla situazione in cui si trovano a causa della loro associazio ne all'incredulità di Maria Maddalena e vanno verso il luogo dell'azione di Dio: un sepolcro vuoto (vv. 3-4). Adesso sono in una posizione di fede parzia le. Coerentemente con la priorità accordata al Discepolo Prediletto in 13,23-26 e 19,25-27, questi arriva sul posto per primo. Il lettore tuttavia sa anche che è Si mon Pietro colui che è stato nominato ad essere «la Roccia» (cf 1,42) e che - con successo alterno - ha rappresentato gli altri discepoli in diverse occasioni (cf 6,66-69; 13,36-38; 18,10-11). C'è un contrasto tra queste due figure: uno è il di scepolo che Gesù ha amato in modo speciale (cf 20,2) mentre l'altro è il deten tore dell'autorità. Il discepolo che Gesù ha amato mostra un'urgenza più im pellente di conoscere la verità riguardo a colui che lo ha amato e perciò arriva al sepolcro prima di Pietro. Prima si era messo al seguito di Pietro (v. 3) ma fi nisce per arrivare al sepolcro per primo (v. 4). I due discepoli più importanti nella storia giovannea di Gesù sperimentano l'incredulità (vv. 1 2) , eppure si staccano da quella situazione statica per andare verso il luogo dove si può ve dere l'azione di Dio operata in Gesù (vv. 4-5). Una volta giunto al sepolcro l'al tro discepolo si china, guarda dentro e vede i teli (ta othonia); però non entra nel sepolcro, ma aspetta l'arrivo di Simon Pietro (v. 5). All'inizio di questa scena Simon Pietro era in testa (v. 3). Ora la situazione è invertita: Simon Pietro segue l'altro discepolo, e quando arriva entra nel se polcro. Egli vede non solo ta othonia ma anche il sudario usato per avvolger vi il capo di Gesù (to soudarion). Questo si trova in disparte, accuratamente ri-
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piegato in un altro luogo. Lazzaro era uscito dal sepolcro ancora tutto avvol to nei teli funerari, con la faccia ancora coperta con il soudarion (11,44). Non è solo la tomba che è vuota, ma sono vuoti anche gli ornamenti della morte. Il Gesù risorto non ha questi ornamenti. Un altro participio passivo per indica re che il sudario che ricopriva il capo di Gesù (to soudarion) era stato ripiega to (entetuligmenon) e posto in disparte, separato dai teli usati per avvolgervi il corpo (ta othonia), rafforza l'impressione che Dio è entrato in scena (vv. 6-7). Simon Pietro entra nel sepolcro e constata le prove, ma nulla viene detto del la sua reazione. Questa tattica dilatoria prepara il lettore al punto culminan te del v. 8. Viene ricordata l'urgenza più pressante dell'altro discepolo di ar rivare al sepolcro che lo aveva fatto correre davanti a Pietro (v. 8a). L'altro discepolo vede i segni della morte sconfitta: la tomba vuota, i teli vuoti, il soudarion ripiegato. E la vista di questi segni lo porta alla fede: kai eiden kai epi steusen (v. 8c) Analogamente all'esperienza di diversi personaggi nelle prime pagine del Vangelo che sono passati dalla mancanza di fede attraverso una fede parziale alla fede autentica (2,1-4,54), il discepolo fondatore della comunità giovannea (cf l'Introduzione) e il modello del discepolo giovanneo è passato anch'egli dalla mancanza di fede (vv. 1-2) attraverso una fede parziale (vv. 4-5) alla pie nezza della fede nella risurrezione per aver constatato che Dio aveva sconfitto la morte di Gesù (vv. 7-8). Tutti i segni della morte sono stati debellati. E tuttavia nonostante questo momento di fede davanti al sepolcro vuoto il narratore osserva che finora (oudepo) questi discepoli non hanno ancora com preso la Scrittura che diceva che Gesù doveva risorgere dai morti (v. 9: dei auton ek nekron anastenai). Questa è un'importante dichiarazione conclusiva da parte del narratore diretta al lettore della storia. Due discepoli fondamentali hanno constatato l'azione di Dio e uno di loro ha visto e creduto. Ma Dio parla anche attraverso la Scrittura: Gesù doveva risorgere dai morti. I discepoli non cono scev,ano ancora questa verità: «non comprendevano ancora la Scrittura». Essi si trovano in una situazione di «non ancora», di ignoranza che sarà superata da una successiva generazione di credenti che leggeranno la Scrittura e ricono sceranno la rivelazione dell'azione di Dio nella risurrezione di Gesù. La narra zione giovannea è essa stessa «scrittura», ma i personaggi, Simon Pietro e il Discepolo Prediletto, sono tra i protagonisti della storia e perciò non ne possono essere i lettori. Per quanto concerne la graphe («scrittura») del racconto giovan neo essi sono ancora in una situazione di «non ancora». Una generazione suc cessiva non sarà in grado di entrare nel sepolcro e vedere i teli che avvolgeva no Gesù, ma avrà per sua guida la Scrittura, in particolare la storia giovannea, e potrà provare in ogni particolare il senso di fede sperimentata dal Discepolo Prediletto. Al Discepolo Prediletto non è stato concesso un accesso particolarmente pri vilegiato a una «vista» speciale che abbia reso la sua fede superiore a quella di coloro che non hanno mai avuto la possibilità di avere una tale esperienza. Questo discepolo non conosceva la «parola di Dio» riguardo alla risurrezione di Gesù dai morti, ma il lettore la conosce! Stabilito questo fatto, che chiude con il passato ed applica la narrazione al più ampio mondo delle generazioni .
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di futuri lettori di questa storia, il narratore fa uscire i due discepoli dalla sce na: essi se ne tornano di nuovo a casa (v. 10). Questi discepoli fondamentali hanno svolto la loro parte nel dramma della vita, della morte e della risurre zione di Gesù. n Discepolo Prediletto è giunto alla fede pur senza vedere Gesù, ma deve uscire di scena per lasciare il posto ad altri «discepoli» che lo segui ranno in un cammino di fede. Sia il Discepolo Prediletto sia altre generazioni successive credono pur senza vedere Gesù. Una generazione successiva di cre denti non ha motivo di dolersi del fatto di dover vivere nel tempo intermedio, nel periodo successivo alla partenza di Gesù e perciò in sua assenza. Durante questo periodo i credenti possono leggere le Scritture sotto la guida del Para clito (cf 14,25-26; 16,12-14) che sarà con loro fino al ritorno finale di Gesù (cf 14,16-17; vedi anche 14,2-3.18-21). La fede motivata dalle Scritture, in partico lare dalla versione giovannea della vita, morte e risurrezione di Gesù, è sullo stesso piano della fede del Discepolo Prediletto. Coloro che vivono in assenza di Gesù (cf 14,2-3.28; 16,5.28) ma alla presenza del Paraclito (cf 14,16-17) hanno le prove che Gesù deve risorgere dai morti (cf v. 9b) . NOTE l . Il primo giorno della settimana: In greco è usato il numero cardinale «il giorno un o della settimana» (tf de miq ton sabbatòn) al posto dell'ordinale «il primo», secondo l'uso se mitico. Vedi BDF 129, § 247,1, e la discussione in Barrett, Gospe/ 562. Nel resoconto gio vanneo della risurrezione non è mai usata l'espressione tradizionale «il terzo giorno», ma «il primo giorno» rispecchia perfettamente la tradizione (Brown, Gospel 2,980; Schnackenburg, Gospe/ 3,307-308). L'espressione «il terzo giorno» si trova in 2,1 e vie ne spesso interpretata in relazione alla risurrezione (cf Moloney, Belief in the Word 5760, 77). Carson, Gospel 635, suggerisce che l'uso dell'espressione «il primo giorno» in tutti e quattro i vangeli (cf Mt 28,1; Mc 16,2; Le 24,1) presenta la risurrezione come «l'i nizio di un qualcosa di nuovo». Vedi anche Blanquart, Le premier jour 20-21 . 2. l'altro discepolo, quello che Gesù amava: Questa è la prima volta nel Vangelo che «l'altro discepolo» è messo in relazione con «quello che Gesù amava». La seconda espressio ne è stata aggiunta alla prima in 20,2 di modo che i precedenti accenni a «l'altro disce polo» e al «Discepolo Prediletto» adesso si intendono riferiti alla stessa persona (cf 18,15-16 [l'altro discepolo]; 13,23-26; 19,25-27 [il Discepolo Prediletto]). Hanno portato via il Signore: L'appellativo dato da Maria a Gesù, «il Signore» (ton kyrion) deve essere inteso come un titolo di rispetto e non come una confessione cristologica. non sappiamo dove l'hanno posto: La maggior parte dei commentatori vede nel plurale «non sappiamo» (oidamen) l'indice di una precedente tradizione associata alle donne che hanno scoperto la tomba vuota (cf Mc 16,1; Mt 28,1; Le 24,1 .10). Vedi ad esempio, Bauer, fohannesevangelium 229; Maccini, Her Testimony is True 208-210. Altri la ritengo no una frase fatta semitica (es.: Bultmann, Gospel 684 n. 1). Ma non sarebbe stato evi dente per un autore capace di scrivere passi eleganti come Giovanni 9, 11 e 18-19 che, qualsiasi fonte possa avere usato, questo in greco era un errore imperdonabile? Per Kitzberger, «Mary of Bethany» 564-586, quando arriva al resoconto di Maria Madda lena presso la tomba vuota nonché all'altro riferimento a lei in 19,25 il lettore pensa al l'altra «Maria» che era anch'essa presso una tomba [di Lazzaro] (cf 11 , 1 46; 12,1-8). L'autrice mette insieme Maria di Betania e Maria Maddalena in un rapporto di «con figurazione» e di «interfiguralità» per cui il lettore scambia un personaggio con un al-
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Il
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tro (cf anche Berhard, Commentary 2,657) . Il «non sappiamo» del v. 2 è anche uri sé gnale testuale che evoca interfiguralità con altre donne presenti il giorno di Pasqua presso la tomba vuota (cf pp. 581-582 ) . Il plurale («essi» e «noi») di Giovanni 20,2 può rispecchiare un'antica tradizione presente in Mt 28,11-15. Vedi anche Vang. Pietro 5,30; Giustino, Dial. 108,2; Tertulliano, Spect. 30 (PL 1,737-738); Apol. 23 (PL 1,474) . Vedi Mi near, «We don't Know» 125-139, il quale mette il «noi» in relazione con altri «passi "noi">> nel Vangelo (cf 1,14; 3,11 ) e vi vede rispecchiata la risposta dei cristiani giovan nei ai loro avversari giudaici. 3. Pietro allora uscì: Nel Quarto Vangelo abbiamo sufficienti indicazioni per concludere che Simon Pietro, nonostante tutta la sua fragilità, era considerato un'autorità e un portavoce. Vedi Raymond E. Brown, Karl P. Donfried e John Reumann, ed., Peter in
the New Testament. A collaborative Assessment by Protestant and Roman Catholic Scholars, Augsburg, Minneapolis - Paulist, New York 1973, 1 29-147. 4. L'altro discepolo corse più veloce di Pietro: Secondo la nostra interpretazione questo par ticolare, che inverte la situazione del v. 3 in cui Pietro si avvia per primo, indica una maggiore urgenza e segna l'inizio della convinzione che Dio è entrato nella vicenda. Alcuni sostengono che «la corsa si svolge senza il minimo barlume di fede nella risur rezione» (Byrne, «Beloved Disciple>> 86) . Mahoney, Two Disciples 245-251, sostiene che Simon Pietro e il Discepolo Prediletto non hanno alcuna importanza sul piano personale ma svolgono unicamente una funzione sul piano narrativo. Dicono inoltre che Simon Pietro deve stabilire i fatti, mentre il Discepolo Prediletto, ossia i discepoli in generale, deve «vedere» questi fatti e «credere» (pp. 251-260 ) . 6. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva: La descrizione di Simon Pietro «che lo seguiva» (akolouthon aut{)) indica un'importante inversione della situazione del v. 3 do ve Pietro parte per primo. L'altro discepolo deve essere «seguìto» e questo fatto dà maggior peso all'idea che l'arrivo del Discepolo Prediletto al sepolcro per primo è un primo indizio di fede. 6-7. i teli ancora là, e il sudario: Il legame con la risurrezione di Lazzaro, che esce dal sepol cro ancora tutto avvolto nei teli funerari, è stato fatto notare molto spesso (cf Reiser, «The Case of the Tidy Tomb» 47-57; Osbome, «A Folded Napkin» 437-440 ) . L'accura ta disposizione dei teli e del sudario probabilmente ha anche uno scopo apologetico contro eventuali insinuazioni che la tomba fosse stata saccheggiata. Vedi Crisostomo, In foannem Homeliae 85,4 (PC 59,465) per l'antico uso del testo giovanneo in questo senso. in disparte, ripiegato in un luogo: Byrne, «The Beloved Disciple» 87-89, giustamente in siste sull'importanza del sudarion e della sua posizione, visibile appena entrati nel se polcro, come il movente della fede del Discepolo Prediletto. Gli sfugge tuttavia l'im portanza dell'intervento di Dio espresso dai passivi, quando dice che, sulla base di 10,18, mentre Lazzaro è stato risuscitato, Gesù «ha attivamente risuscitato se stesso» (p. 88) . Brodie, Gospel 562-563, citando Es 34,33-35 dice che è Gesù che ha ripiegato il su dario in disparte (cf anche Schneiders, «The Face Veil» 94-97) e in riferimento alla tu nica lasciata indivisa in Giovanni 19,23-24 vede nei teli ripiegati il simbolo dell'unità re sa possibile dalla morte e risurrezione di Gesù. 8. e vide e credette: Alcuni commentatori hanno messo in dubbio la fondatezza della fede del Discepolo Prediletto, specialmente alla luce dei vv. 9 e 29. Ad esempio, Nicholson, Death as Departure 69-71, è d'accordo con Agostino e altri Padri della Chiesa nel vede re nella fede del discepolo un'accettazione della testimonianza di Maria Maddalena. Tra altri, de La Potterie, The Hour 202-207, sostiene che la fede del discepolo è appena agli inizi e deve ancora essere illuminata appieno (cf v. 9) . Lee, «Partnership in Easter Faith» 39-40, dice che «il v. 8 non ha alcun impatto narrativo» e che il v. 9 lascia sia Pie-
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tro che il Discepolo Prediletto in una situazione di incredulità non superata se non in Giovanni 21. Brown, «}ohn 20 » 197-198, usa invece il v. 9 per sostenere la tesi che il Di scepolo Prediletto approda alla fede perfetta, perché non solo ha creduto senza aver vi sto Gesù ma non ha neppure avuto bisogno dell'aiuto delle Scritture. Il ruolo di Pietro e del Discepolo Prediletto in questa narrazione è determinato dal fat to che essi sono figure istituzionali della comunità cristiana. Altri hanno sostenuto che Pietro rappresenta il cristianesimo giudaico mentre il Discepolo Prediletto rappresen ta la Chiesa dei gentili (es.: Bultmann, Gospe/ 685), o che Pietro rappresenta il ministe ro pastorale mentre il Discepolo Prediletto rappresenta il ministero profetico (Krage rud, Der Lieblingjunger 29-32). Per Brodie, Gospe/ 563-564, il Discepolo Prediletto rap presenta l'aspetto contemplativo mentre Pietro rappresenta l'aspetto ufficiale della Chiesa. 9. Infatti non comprendevano ancora la Scrittura: Secondo la nostra interpretazione l'autore considera «scrittura» anche la storia giovannea. I due discepoli sono personaggi pro tagonisti della narrazione e perciò «non» conoscono «ancora» (oudepa gar) questa sto ria. I lettori del Vangelo invece appartengono a un periodo «successivo» non più inte ressato dal «non ancora» e perciò «conoscono la scrittura» del Vangelo giovanneo. Sul la presentazione giovannea della propria storia come logos (Parola), graphl (Scrittura) e rhemata zoes aioniou (parole di vita eterna) vedi Obermann, Die christologische EifUllung 409-422, in particolare 418-422. Sul trasferimento di interesse dalla fede dei discepoli fondamentali alla possibilità di fede per le generazioni future vedi Seidensticker, Die Auferstehung ]esu 122-125. Que sto aspetto sfugge alla maggior parte dei commentatori che cercano di individuare al cuni testi anticotestamentari che potrebbero essere considerati la Scrittura che i disce poli «non comprendevano ancora». ll testo più frequentemente citato è il Sal 1 6,10 (es.: Westcott, Gospel 290; Lagrange, Evangile 508-509). 10. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa: La nostra interpretazione vede nella par tenza dei discepoli il momento in cui il Discepolo Prediletto si fa in disparte per lasciare che altri «discepoli» siano stimolati ad intraprendere il suo viaggio verso la fede. Per de La Potterie, The Hour 205-207, i discepoli rientrano nelle tenebre con cui il passo era iniziato nel v. l. L'autore considera questa azione un «reditus ad sua» nel senso di un ri piegamento su se stessi.
b) Gesù appare a Maria Maddalena (20,11-18) 11. Maria invece stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12. e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto». 14. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai po sto e io andrò a prenderlo». 16. Gesù le disse: «Maria!». Essa, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! 1 7. Gesù le disse: «Non mi tratte nere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: "Io sal go al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"». 18. Maria di Màgdala andò su bito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore! » e ciò che le aveva detto.
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I N T E R P R ET A Z I O N E
Non esiste alcuna spiegazione per la presenza d i Maria Maddalena presso il sepolcro che aveva in precedenza lasciato (cf v. 2). I discepoli sono usciti di scena (cf v. 10) e ciò consente all'autore di ripresentare la sconsolata Maria Mad dalena sulla scena. Ci si aspetterebbe un accenno al ritorno di Maria al sepolcro, ma questo è sottinteso. Al centro della scena si trova un altro personaggio fon damentale dell'antica comunità cristiana (cf Mc 15,40; 16,1; Mt 27,56.61; 28,1 .910; Le 8,2; 23,49.55-56; 24,1-9.10-11). Maria Maddalena e i due discepoli usciti di scena (cf v. 10) erano i «noi» del v. 2. Avevano constatato che la tomba era vuo ta ma non avevano dato nessun segno di pensare alla risurrezione. I due di scepoli, in particolare il Discepolo Prediletto, sono andati oltre l'esperienza di Maria, andando prima verso (vv. 3-4) e poi in direzione opposta (v. 10) al se polcro vuoto. Quando l'attenzione viene di nuovo concentrata su Maria, la donna si trova in posizione statica, avvolta nelle tenebre dell'incredulità che aveva condiviso con loro nei vv. 1-2. Il suo stare in lacrime davanti al s�olcro mostra la sua permanente incapacità di credere e di capire cosa possa essere successo (v. 11a: estekei pros ti) mnemeiQ exo klaiousa). Questo ricorda il pianto sfi duciato (klaiein) che aveva accompagnato la morte di Lazzaro (cf 11,31 .33) e che era servito solo a dare un senso di profonda frustrazione e a strappare le la crime (dakruein) a Gesù (cf 11,35). Come avevano fatto il Discepolo Prediletto (cf 20,5) e Simon Pietro (cf v. 6), Maria si china verso il sepolcro e guarda dentro per la prima volta (v. 1lb}. Nessun accenno ai teli e al sudario (cf vv. 6-7). Questi so no stati sostituiti da due angeli, in vesti bianche, seduti l'uno dalla parte del ca po e l'altro dalla parte dei piedi nel luogo dove era stato posto Gesù (v. 11 ). Gli angeli (angeloi) sono la riprova che nella storia è entrato Dio, e il punto di vista di Dio si rispecchia nella domanda degli angeli: «Donna, perché piangi?» (v. 13a). Maria risponde quasi con le stesse parole usate per segnalare ai discepoli il sepolcro vuoto: «hanno» portato via (eran) il corpo di Gesù, che essa chiama il «suo Signore)), C'è un leggero cambiamento rispetto alle parole precedenti. Nel v. 2 aveva associato i discepoli alla sua mancanza di fede e di conoscenza af fermando «non sappiamo>> (ouk oidamen) dove abbiano messo il corpo; ora di ce: «non so» (ouk oida). Il passaggio dal plurale al singolare rispecchia accura tamente la situazione attuale del personaggio nello svolgimento della storia. Adesso è solo Maria che non sa (v. 13b; cf vv. 3-10). La descrizione della pro fondità della sua incredulità è resa ancor più vivida quando essa si volta e ve de Gesù in piedi davanti a lei ma non sa riconoscere nell'uomo che le sta di fronte la persona di Gesù (v. 14). Gesù le fa la domanda già rivoltale dagli an geli, ma aggiunge: «Chi cerchi?>) (v. 15a), richiamando domande analoghe po ste in precedenza nel racconto (1,41; 18,4). Ironicamente, colui che lei cerca chie de chi stia cercando, e la sua mancanza di fede viene sottolineata quando Ma ria erroneamente prende Gesù per il giardiniere (ho kepouros). Con un senso di ironia ancora più spinto il precedente «essi» adesso diventa «tu)>. Maria chiede a Gesù, il presunto giardiniere, dove egli, scambiato per un rappresentante dei violenti «essi» che hanno crocifisso Gesù, abbia posto il proprio corpo! A colui il cui corpo è scomparso viene chiesta la soluzione del mistero del sepolcro
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vuoto. Maria rimane sempre dell'idea che i l corpo sia stato «portato via» (airein: vedi i vv 2.13; bastazein: 1 5a) ; e chiede di poter essere quella che a sua volta porta via il corpo: «Dimmi dove l'hai posto e io andrò a prender/o (kago auton aro)» (v. 15b). Nessun accenno alla possibilità della risurrezione e nessun rico noscimento del risorto. Maria Maddalena rimane in una situazione di incre dulità e si preoccupa unicamente della sistemazione di un cadavere. L'incredulità di Maria è stata descritta con un notevole livello di dettaglio nei vv 1-2 e 11-15. La sua trasformazione, anche se non immediata, viene invece riportata più rapidamente. Fedele alla promessa fatta nel discorso del Buon Pastore (cf 10,3.14), Gesù chiama la donna per nome: «Maria!». Basta quello: lei si volta di nuovo, lo riconosce, lo conosce bene e lo chiama con il nome ara maico usato in tutto il ministero di Gesù, aggiungendovi il suffi.sso possessivo della prima persona: Rabbunì: «mio maestro>> (v. 17; cf 1,38.49; 3,2; 4,31; 6,25; 9,2; 11,8). La prima (1,38) e l'ultima volta (20,16) che questo titolo viene usato nel racconto sono seguite dal commento del narratore: «che significa: maestro». Il lettore si rende conto che Maria ha fatto una parziale confessione di fede. Ri conosce in Gesù il Rabbi che ha conosciuto durante tutto il suo ministero. «Sia nel riconoscimento di Gesù come maestro sia con il contatto fisico, Maria cer ca di riconquistare il passato» (Barrett, Gospe/ 565). Al pari di Nicodemo e del la Samaritana, usati come esempio del cammino di fede all'inizio del racconto (3,1-21; 4,16-26), Maria Maddalena è appena approdata a una fede parziale, a un credere in Gesù che meglio risponde alle proprie speranze ed esigenze del momento. Associato a questa confessione di fede c'è il desiderio di trattenere Gesù (v. 17). Le parole di Gesù, me mou haptou, le fanno capire che essa deve desistere dal tentativo di ristabilire i rapporti che aveva un tempo con lui. L'ora non ha an cora compiuto il suo corso, e Gesù non solo le vieta di stare attaccata a lui ma le spiega anche perché ogni forma di attaccamento deve cessare. In e per mez zo della croce, Gesù ha rivelato Dio e ha portato a termine il compito che gli è stato affidato (cf 4,34; 5,36; 17,4; 19,30). I discepoli devono ancora sperimenta re i frutti della glorificazione di Gesù, ma il periodo di essere associati con il Ge sù storico è finito. L'ora che è ancora in corso determina una situazione del tut to nuova. Gesù «non ha ancora» (ou-pO) adempiuto la promessa fatta ai discepoli (cf 14,12.28; 16,10.28) di far ritorno al Padre; è solo imminente. Ma le parole ri volte da Gesù a Maria vanno oltre le promesse fatte prima dell'ora di Gesù. Nella parte precedente del racconto è stato volutamente evitato di stabilire un rapporto tra i discepoli di Gesù e il Padre di Gesù come loro Padre. Al lettore è stato detto che coloro che credono in Gesù hanno la exousia di diventare tekna theou (cf 1,12), ma questo non è mai stato detto ai discepoli. Solo Gesù è «il Fi glio di Dio». Le parole che Gesù rivolge a Maria indicano che questa situazio ne sta per cambiare. Sta per ascendere al Padre (v. 17a) e Maria deve informa re i discepoli, ora chiamati fratelli di Gesù (v. 17b: tous adelphous mou), che egli deve salire pros ton patera mou kai patera hym0n kai theon mou kai theon hymon (v. 17c). L'ora di Gesù, che culminerà fra breve tempo nell'ascensione di Gesù al Padre, creerà una nuova situazione in cui il Padre e il Dio di Gesù sarà anche il Dio e il Padre dei fratelli di Gesù. Grazie a questo nuovo rapporto, reso possi.
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bile dal passaggio di Gesù da questo mondo al Padre attraverso l'ora (vedi 13,1), essi non sono più i discepoli di Gesù, ma i suoi fratelli. Maria esegue alla lettera l'ordine di Gesù: «andò subito ad annunziare ai discepoli>> (v. 18a; cf v. 17b). Questo episodio era cominciato con una Maria fer ma in lacrime davanti al sepolcro, ancora nelle tenebre dell'incredulità; e ter mina con Maria che si affretta a lasciare il sepolcro. In risposta al comando di Gesù che le ordina di andare pros tous adelphous mou (v. 17), essa parte imme diatamente (erchetai). Questa ripresa del moto indica al lettore che Maria ha raggiunto un'altra tappa nel suo cammino della fede. Questo è confermato dal le sue parole. Nei vv. 2, 13 e 15 aveva usato il termine di rispetto ho kyrios per parlare del corpo esangue dell'uomo che aveva seguìto durante il suo ministe ro pubblico. Questo termine assume un nuovo significato dal momento che lei è la prima a informare i discepoli della risurrezione di Gesù: «Ho visto il Si gnore (ton kyrion)» (v. 18b). Il suo viaggio nella fede è terminato. Dalle tenebre dell'incredulità (vv. 1-2.11-15) è passata ad una fede parziale che l'ha portata a riconoscere in Gesù il suo Rabbi (vv. 16-17a). Adesso può annunciare di aver vi sto il Signore risorto. Maria riferisce ai discepoli le parole di Gesù riguardo al suo ritorno al Padre e l'istituzione dell'identità tra il Padre e il Dio di Gesù e il Padre e il Dio dei discepoli (v. 18c; cf v. 17c). All'inizio di questa scena presso il sepolcro Maria non è stata in grado di capire le parole degli angeloi (vv. 12-13), ma alla conclusione della scena diventa essa stessa un messaggero, che an nuncia (angelousa) le parole di Gesù ai discepoli (v. 18) (cf Maccini, Her Testi mony is True 225-233). Un altro personaggio fondamentale dell'antica comuni tà cristiana ha compiuto il viaggio passando dalle tenebre dell'incredulità a una fede parziale per approdare alla fede perfetta.
NOTE al sepolcro è strana. Nel Quarto Vangelo il narratore indica quasi sempre i vari spostamenti dei per sonaggi da un luogo all'altro (es.: 2,1 .13; 3,22; 4,3-6; 5,1; 6,1; 7,10; 8,59; 10,22; 11,5.17. 38.54; 12,1 .12.36b). La forma attuale del testo probabilmente è il risultato dell'inseri mento del passo che tratta dei due discepoli in ciò che all'origine era una storia di Ma ria Maddalena (cf Brown, Gospel 2,996-1004). Per Kitzberger, «Mary of Bethany>> 582, il lettore ha supposto, per analogia con la storia di Lazzaro, che Maria sia andata a pian gere al sepolcro. Ma questa è un'errata lettura di 11,31 . Vedi Moloney, Signs and Sha dows 164-165. Il legame con 11,31-35 dà al pianto di Maria una connotazione negativa (cf Moloney, Signs and Shadows 167-169) sebbene alcuni affermino (es.: Okure, «The Si gnificance» 180; Lee, «Partnership in Easter Faith» 41) che il pianto è segno di amore e di determinazione. all 'esterno, vicino al sepolcro: Diversi manoscritti omettono «all'esterno» (e.:W), ma deve essere considerato originale. Vedi Barrett, Gospel 564. 12. due angeli in bianche vesti: Sulle vesti bianche come «simbolo del mondo celeste» vedi Bemard, Commentary 2,663. È pura fantasia legare questi angeli ai cherubini posti alle due estremità dell'arca dell'alleanza come fa Siminel, «Les 2 anges» 71-76. 14. si voltò indietro e vide Gesù: Non c'è bisogno di vedere qualche simbolismo nell'azione di Maria. Il voltarsi eis ta opiso («indietro») indica semplicemente che gli angeli le stan-
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Maria invece stava all'esterno . . . e piangeva: La presenza di Maria davanti
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no di fronte e che, girandosi, vede un'altra persona alle sue spalle. Vedi Bernard, Com
mentary 2,665. 15. Chi cerchi?: Sull'ironia di questa domanda fatta proprio da colui che la donna cerca ve di Kitzberger, «Mary of Bethany» 582-583. L'autore, come altri, giustamente stabilisce un legame con 1,37-38. pensando chefosse il custode del giardino: Questa è forse la più antica prova letteraria del la reazione giudaica alla storia cristiana della risurrezione. Mentre i primi cristiani spiegavano la tradizione della tomba vuota affermando che Dio aveva risusCitato Ge sù dai morti, alcuni antichi documenti cristiani parlano di una spiegazione giudaica se condo cui il corpo sarebbe stato trafugato dalla tomba da un giardiniere. Per questa te si vedi von Campenhausen, «The Events of Easter» 66-69. Di questa leggenda si trova traccia in Tertulliano, Spect. 30 (PL 1,662A). Hoskyns, Gospel 542, vede nel «giardinie re» un accenno al «vero vh·ificante custode del Paradiso (giardino) di Dio». Vedi anche Blanquart, Le premier jour 64-66, e lo studio della letteratura ebraica a sostegno di que sta tesi in Wyatt, «Supposing Him» 21-38. 16. voltatasi verso di lui: Come nel precedente voltarsi indietro di Maria per vedere Gesù nel v. 14, non c'è bisogno di vedere nessun simbolismo in questo secondo voltarsi. Da una posizione di traverso che le consentiva una vista parziale, adesso si volta completa mente verso Gesù. Vedi Lindars, Gospel 606. Maria ... Rabbunì: Il nome con cui Gesù chiama Maria (Mariam) e la risposta di costei (Rabbouni) sono traslitterazione dell'aramaico, anche se il narratore dice che è ebraico. C'è un senso di intimità implicito nel ricorrere alla lingua originale sia per chiamare qualcuno che per rispondere (cf Maccini, Her Testimony is True 212-213). Alcuni (es.: Westcott, Gospel 292; Marsh, Saint fohn 637) sostengono erroneamente che Rabbunì è un appellativo quasi-divino. Diversi commentatori (es.: Hoskyns, Gospel 542; Marsh, Saint fohn 633, 636-637; Rigaux, Dio l'ha risuscitato 324-325; Schneiders, «}ohn 20:11-18» 162164) vedono nel titolo Rabbunì che Maria dà a Gesù un'autentica confessione di fede. Altri (Feuillet, «La recherche du Christ» 93-112; Stibbe, fohn 205; Okure, «}esus' Com mission» 181) fanno risalire questo incontro all'esperienza della sposa che cerca il suo sposo nelle prime ore dell'aurora nel Cantico dei Cantici 3,1-3. 1 7. Non mi trattenere: Per la traduzione «non mi trattenere» vedi BAGD, s.v. haptD, 2a; De lebeque, ]ean 210. Qui «trattenere» è usato nel senso di tenere in permanenza qualcu no e non ha alcuna connotazione peggiorativa (cf Lee, «Partnership in Easter Faith» 42 n. 10). Spesso si dà un'importanza esagerata al contrasto tra la proibizione di toccare nel v. 17 e l'incoraggiamento a farlo nel v. 27, come dimostra la lunga storia della di scussione critica di questo punto. I verbi usati sono diversi (v. 17: haptomai; v. 27ab: pherein; v. 27c: ballein) e il significato del toccare (o trattenere) è determinato intera mente dal suo contesto immediato. non sono ancora salito: Il «non ancora» del v. 17 deve essere associato alla conclusione dell'ora del ritorno di Gesù al Padre. Non va invece messo in relazione a un momen to «successivo» rispecchiato nell'episodio di Tommaso quando sarà possibile toccare Gesù (cf v. 27). Vedi la nota precedente. L'importanza del «progredire» dell'ora è evi denziata dall'uso del perfetto per indicare che Gesù «non è ancora» salito (oupo gar anabebeka) e del presente per dire a Maria ciò che deve riferire ai discepoli: «lo salgo» (anabainò). Gesù non è ancora salito ma sta seguendo un percorso che si concluderà una volta che ha fatto ritorno al Padre. Questo è ciò che deve riferire ai fratelli. Vedi La grange, Evangile 511-512; Hoskyns, Gospel 542-543; Burge, Anointed 136-137; Maccini, Her Testimony is True 214-216. Tra altri Carson, Gospel 641-644, 652-654, sostiene che la risurrezione e l'ascensione devono essere viste come momenti distinti, perché 20,22 è una «promessa simbolica» da parte di Gesù per garantire ai discepoli il dono dello
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Spirito Santo a Pentecoste. Per una discussione di questa tesi vedi Hatina, «John 20,22 in lts Eschatological Context» 196-219. D'Angelo, «A Criticai Note» 529-536, vede nel l'apparizione di Gesù a Maria Maddalena un'indicazione dello stato numinoso in cui si trova prima della conclusione della sua ascensione. Quando appare a Tommaso non è già più in questo stato e perciò può essere toccato. Di questo però non c'è nessun ac cenno nel testo. Anzi, nel v. 26 le porte sono chiuse e perciò Gesù potrebbe ancora es sere considerato nello stato «numinoso» del v. 17. al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro: Sul nuovo e singolare rapporto pro messo da queste parole vedi Mollat, É tudes johanniques 173-1 74. Barrett, Gospel 566, fa giustamente notare che esistono ancora due forme di filiazione: quella di Gesù e quel la del cristiano. Come fa notare Bernard, Commentary 2,668-669, per il Quarto Vangelo anabainein («salire») è «praticamente equivalente» ai verbi di uso più frequente hypa gein e poreuesthai quando si parla del ritorno di Gesù al Padre. 18. «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto: ll greco del v. 18 è una strana combinazione di discorso diretto («Ho visto il Signore!») e discorso indiretto (letteralmente: «e che le aveva detto queste cose»), ed è stato oggetto di svariati tentativi di correggere il testo (cf Lagrange, Evangile 513). Probabilmente si tratta di un tentativo di evitare di ripor tare le parole di Gesù del v. 17 in discorso diretto.
II. Scene in casa
(20,19-29)
a) Gesù appare ai discepoli assente Tommaso (20,1 9-23) 19. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi». 20. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Co me il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». 22. Detto questo, soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. 23. Coloro a cui perdonerete i peccati, saranno per donati; coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
I N T E R P R E TA Z I O N E Vi sono indicazioni che i vv. 19-23 costituiscono un ponte tra le scene pres so il sepolcro e la scena finale in casa descritta nei vv. 24-29. Maria si affretta ad eseguire il comando di Gesù (vv. 17-18). Gli avvenimenti che seguono hanno luogo «la sera di quel giorno (ousès oun opsias t? hemerq ekein?)» (v. 19). Dato che Maria va dal sepolcro a portare il messaggio di Gesù ai discepoli (v. 18a), il luo go adesso è «dove si trovavano i discepoli (hopou esan hoi mathetai)» (v. 19a). Per ciò la presenza di Maria davanti al sepolcro termina (v. 18) là dove comincia la scena successiva (v. 19): con i personaggi ai quali Maria annuncia il messaggio di Gesù. Il giorno, il luogo e i personaggi interessati negli avvenimenti dei vv. 19-23 sono gli stessi dei momenti conclusivi della scena precedente descritti nei vv. 11-18. La conclusione della descrizione dell'esperienza che Maria Mad dalena ha avuto del Gesù risorto è abbastanza «missionaria» (vv. 17-18) da sug gerire al lettore che l'esperienza di fede di Maria Maddalena può essere comu nicata oltre i vincoli di circostanze e di tempo della presente storia. Gesù è stato presente nella storia appena il tempo sufficiente per mandare
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Maria Maddalena dai discepoli (v. 17). Sebbene abbiano ascoltato i l messaggio di Maria mandato loro dal Signore risorto, essi si chiudono in casa «per timo re dei Giudei» (v. 19a). Non sono riferiti i nomi dei mathetai presenti in casa, né sappiamo quanti fossero. Fin dall'inizio di questa breve scena l'accento è po sto sui «discepoli» in quanto tali. La storia del primo raduno di discepoli ri specchia l'esperienza di tutti i discepoli: la proclamazione del messaggio del la risurrezione non cancella la paura del discepolo. Il «noi» e il «loro» del v. 2 sono forze ancora attive nel racconto. I discepoli («noi») non hanno superato la paura che «i Giudei)) («loro») hanno inculcato in tutta la storia di Gesù. I discepoli di Gesù raggruppati assieme sanno che egli è risorto (cf vv. 17-18) ma temono «i Giudei», che potrebbero farli oggetto di odio, di insulti e di morte (v. 19a). Gesù si presenta in questa situazione proclamando la sua pace (v. 19b) D sa luto eirene hymin può essere una normale formula di saluto, ma nel presente contesto dell'improvvisa presenza fisica di Gesù tra i suoi discepoli assediati dalla paura (vedi 15,18--16,3) esso adempie le promesse fatte da Gesù in 14,27 e 16,33. I discepoli adesso possono essere ben contenti (cf 16,33: tharseite); il Ge sù risorto è in mezzo a loro. La sua presenza nonostante che le porte siano chiu se è un'indicazione della sua vittoria sulle limitazioni imposte dalle circostan ze umane, già evidenziata nel racconto dalle bende funerarie sciolte trovate in un sepolcro vuoto (cf vv. 5-7). Ma il dubbio è ancora possibile tra i discepoli: questo è veramente il Gesù crocifisso? I discepoli possono aver bisogno di pro ve che la persona che vedono davanti a loro è lo stesso Gesù di Nazaret che hanno seguìto. Perciò, accompagnando il saluto con un gesto (v. 20a: kai touto eipon), Gesù mostra loro le mani e il fianco (v. 20b). Il Gesù risorto è la persona che essi hanno visto innalzata su una croce e il cui fianco è stato trafitto con una lancia (19,18.34). La reazione di gioia dei discepoli è immediata (v. 20c). Il suo saluto, nei vv. 19 e 21, porta la pace in mezzo all'agitazione (cf 14,27). La prova certa che Gesù di Nazaret, colui che è stato crocifisso, è tra loro nella ve ste del Signore risorto porta la gioia in mezzo alla confusione e alla sofferenza (cf 16,33). Il messaggio di Maria Maddalena è stato confermato dalla loro stes sa esperienza. Il Discepolo Prediletto e Maria hanno compiuto il viaggio di fe de passando dall'incredulità attraverso una fede parziale alla piena accetta zione del Signore risorto (cf vv. 3-9 .11-18). Per i discepoli radunati in gruppo il percorso è diverso. Essi hanno udito il messaggio di Maria, ne hanno avuta conferma e rispondono con la pace e con gioia. L'autore pone questa prima scena in una stanza chiusa per continuare il rac conto del viaggio di fede di Maria, portandolo ad una conclusione analoga al la conclusione dell'esperienza del Discepolo Prediletto (cf v. 9). L'identità di tempo, luogo e personaggi degli episodi descritti nei vv. 1-18 e 19-23, stabilita nei vv. 17-19, fa della seconda scena la conclusione della prima. L'apparizione di Gesù ai discepoli finalmente gioiosi non è narrata semplicemente per infor mare il lettore che le promesse di 14,27 e 16,33 sono state adempiute. I discepoli non devono solo stare in pace e rallegrarsi, in mezzo alle loro paure, per la pre senza fisica del Signore risorto; devono anche essere i portatori dei frutti della vittoria di Gesù al mondo che sta al di là dei personaggi e del tempo della sto.
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ria d i Gesù (vv. 21-23). Augurando loro d i nuovo la pace, Gesù indica ai disce poli che la sua preghiera per loro la sera prima della sua morte non era una fantasia. Gesù aveva detto al Padre: «Come tu hai mandato me nel mondo, an ch'io ho mandato loro nel mondo» (cf 17,18). Egli è partito, nella sua totale au todonazione che fa conoscere Dio (cf 17,19), e adesso manda loro nel mondo. Essi devono essere per il mondo ciò che Gesù è stato per il mondo (cf 13,20; 17,18). Ma il lettore ricorda anche che Gesù si rende conto della fragilità dei di scepoli e del bisogno che hanno che il Padre santo di Gesù faccia loro da padre (cf 17,11b-16) e che li santifichi, perché siano santi come Gesù è stato santo (cf 17,17-19). Tale santità è possibile soltanto mediante la presenza del Paraclito, lo Spirito Santo (cf 14,16-17.26; 15,26-27; 16,7-11 .12-15). Molto di ciò che è stato detto in precedenza si infiltra come intertesto in que sto passo. Ritornano i detti sul Paraclito e la preghiera di Gesù per i discepoli, e sono anche presenti le parole del narratore in 7,39: «Lo Spirito infatti non era stato ancora dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato». Al momento della sua morte Gesù ha riversato lo Spirito sulla piccola comunità ai piedi del la croce (cf 19,30). Con la croce è stata adempiuta la promessa fatta dal narratore in occasione della festa dei Tabernacoli: Gesù è stato glorificato ed è stato dato lo Spirito (cf 7,39; 19,30). Che significato può avere questo secondo conferi mento dello Spirito? I detti del Paraclito, in particolare 15,26-27, indicano che lo Spirito non doveva solo abitare nella nuova famiglia di Gesù fondata ai piedi della croce. Nella sua posizione di Signore risorto egli fa ai discepoli un ulte riore dono dello Spirito perché possano essere per il mondo ciò che lui è stato. Il lettore sa che lo Spirito è con la comunità e nella comunità e che lo sarà per sempre (cf 14,16-17), ma la comunità deve scavalcare i propri confini per con tinuare la missione di Gesù affinché il mondo sappia e creda che Gesù è l'In viato del Padre (cf 17,21 .23). Lo Spirito gli renderà testimonianza in sua assen za in modo che i discepoli, che sono stati con lui fin dal principio, possano an ch'essi dare testimonianza (cf 15,26-27). Non esistono due «doni dello Spiri to». Come l'ora di Gesù è una sola, c'è un solo Spirito, dato ai membri della co munità (cf 19,30) perché possano essere testimoni di Gesù (20,22). Nell'ora del la croce e della risurrezione Gesù riversa lo Spirito sulla comunità dei suoi se guaci (19,30) e soffia lo Spirito nei suoi membri perché possano essere per il mondo ciò che lui è stato per il mondo (20,22). L'unicità dell'ora e di tutto ciò che essa comporta non è in nessun luogo più chiara al lettore che in questi due episodi che si svolgono allo scoccare dell'ora: il dono istitutore dello Spirito (19,30; cf 14,16-17) e l'incarico dato ai discepoli di essere suoi testimoni auto rizzati dallo Spirito (20,22; cf 15,26-27). I discepoli che sono stati con lui fin dal principio (cf 15,27) continueranno la presenza di Gesù in una generazione successiva. Il messaggio della storia è di retto più a quelli che non hanno avuto l'esperienza fisica del Signore risorto che a quelli che hanno avuto la fortuna di averla. I discepoli non sono riusciti a credere e ad affidarsi incondizionatamente a colui che è stato mandato dal Pa dre. Ma per quanto abbiano deluso Gesù, essi non sono mai stati privati del l' amore di Dio reso manifesto in Gesù. La presentazione che questo autore fa dell'incrollabile amore di Gesù sia per Pietro come per Giuda esprime questo
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conèetto nel modo più chiaro possibile. L'immensità dell'amore d i Dio s i è ma nifestata nell'amorevole dono di se stesso che Gesù ha fatto loro nonostante le loro debolezze (cf in particolare 13,19). E tuttavia c'è un aspetto positivo a fa vore dei discepoli che sono stati con lui fin dall'inizio. Gesù dice che essi han no accettato la rivelazione del nome di Dio, che hanno osservato la parola di Dio e che sanno che tutto ciò che Gesù possiede viene da Dio. Sanno che egli è l'Inviato di Dio (cf 17,6-8). È per questo gruppo la cui storia è contrassegnata da un misto di successi e di fallimenti che Gesù prega il Padre suo, chiedendogli che li custodisca nel suo nome (cf 17,12) e li renda santi come è santo Gesù (cf 17,19). Quello che provano nella stanza chiusa è un misto delle loro reazioni espresse in tutto il Vangelo. Sono allo stesso tempo in preda alla paura eppure pieni di gioia alla presenza del Gesù risorto. Le parole che Gesù rivolge ai discepoli impauriti eppure gioiosi al riguardo della loro futura missione devono essere intese a fronte di questo sfondo. Per mezzo del loro ministero i peccati saranno perdonati oppure imputati. Un al tro ricorso al passivo (cf vv. 1.6-7) fa capire chiaramente che i discepoli sono mandati a compiere l'opera di Dio, non la propria. Dovranno trasmettere la pace e la gioia che hanno ricevuto la sera del primo giorno della settimana dal Gesù risorto (vedi v. 19) ad altre generazioni successive di impauriti discepoli di Gesù (cf 15,18-16,3). La continua - eppur progressiva - rivelazione del Para clito metterà a nudo il peccato, la giustizia e il giudizio (cf 16,7-11). Così i di scepoli, forti del potere dello Spirito, in mezzo a tutte le loro paure e le loro gioie saranno agenti della futura santificazione di altre generazioni di creden ti. C'è un richiamo all'istruzione impartita da Gesù ai discepoli. Il dono dello Spirito-Paraclito farà sentire la presenza del Gesù assente nella comunità ado rante (cf 14,18-21) e sarà partecipe della loro esperienza tanto da indurre il mon do a credere che Gesù è l'Inviato del Padre (cf 17,21-23). La missione dei disce poli rende presente la santità del Gesù assente (cf 17,17-19). Porteranno il per dono di Dio per tutti i peccati che possono essere perdonati e denunceranno ogni forma di peccato (v. 23). Quest'ultimo aspetto potrà sembrare severo, ma scaturisce logicamente dalla storia di Gesù. Questo elemento nella nuova si tuazione inaugurata dall'ora di Gesù è «il potere di isolare, respingere e con dannare il male e il peccato, un potere dato a Gesù dal Padre e a sua volta tra smesso da Gesù per mezzo dello Spirito a coloro che egli manda nel mondo)) (Brown, Gospe/ 2,1044). La santificazione può condurre alla beatitudine davan ti a Dio, ma ha anche il duro compito di denunciare tutto ciò che è contrario al l'amore profuso sul mondo da un Dio che gli ha mandato il suo unico Figlio (cf 3,16-17). Come il cammino di fede del Discepolo Prediletto ha dato al narratore l'oc casione di indicare che ci sarebbe stata una futura generazione di credenti (vv. 3-10), così è anche nel caso del cammino di fede di Maria Maddalena (vv. 11-23). Maria è stata incaricata da Gesù di annunciare il messaggio di una nuova si tuazione inaugurata dal ritorno di Gesù al Padre. Essa corre dai discepoli, ora fratelli di Gesù (vv. 17-18). Nonostante la loro paura i discepoli ricevono la be nedizione della pace di Gesù e rispondono con gioia quando il loro Signore crocifisso e risorto appare in mezzo a loro. La storia di un cammino di fede non
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è ricòminciata con la presentazione di un nuovo gruppo di personaggi, perché
questi personaggi sono quelli che concludono il viaggio di Maria. Sono questi che porteranno la santità di Gesù a un'altra generazione, perpetuando in tal modo la pace e la gioia che soltanto la fede in Gesù può dare (cf 14,27; 16,33). Nonostante le difficoltà provate dai personaggi fondamentali della storia cri stiana nel passare dall'incredulità attraverso una fede parziale a una fede in condizionata, essi si trovano a capo di un'altra generazione di credenti. I letto ri del Vangelo sono giunti a credere nella risurrezione di Gesù. Questo lo fan no per mezzo della Scrittura, compreso il Vangelo giovanneo (v. 9) e per mez zo della santità, pace, gioia e giudizio resi possibili dal dono dello Spirito e dal mandato di Gesù ai discepoli di portare il perdono dei peccati alle generazio ni successive (v. 23).
NOTE 19. mentre erano chiuse le porte: La vittoria d i Gesù sui vincoli imposti dai condizionamen ti umani è ciò che si vuoi far risaltare nella descrizione sia dei teli funerari trovati vuo ti sia nell'entrata di Gesù nella stanza a porte chiuse. Qui si tratta di un messaggio gio vanneo, non di un'affermazione dei poteri miracolosi di Gesù (cf Léon-Dufour, Resur
rection 1 83). dove si trovavano i discepoli: Questo «luogo» costituisce un ovvio legame con i vv 17-18 dove Maria riceve l'ordine di andare dai discepoli (v. 17) e la vediamo parlare con lo ro (v. 18). Per tutta una serie di altri legami tra i vv 19-23 e altre parti del resoconto gio .
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vanneo della risurrezione, e anche con il resto del Vangelo (alcuni dei quali sono al quanto forzati), vedi Heil, Blood and Water 133-136. Il fatto che nessuno dei discepoli sia indicato con il proprio nome e che non venga det to quanti fossero indica che qui si intende parlare dei discepoli in genere e che l'epi sodio che segue è inteso per tutti i discepoli di Gesù (cf Barrett, Gospel 568). Alcuni (es.: Rigaux, Dio l'ha risuscitato 367-368; Blanquart, Le premier jour 1 07- 1 09) esagerano nel vedere in questo gruppo di discepoli «il collegio apostolico». venne Gesù e si fermò in mezzo a loro: Nell'interpretazione e nelle note relative al testo Giovanni 13,1-17,26 si è spesso insistito sul fatto che il ritorno di Gesù ai suoi discepoli sarà alla fine dei tempi. Molti (es.: Bultmann, Gospel 691-692; Beasley-Murray, John 379; Talbert, Reading fohn 253-254; Heil, Blood and Water 134-135) vedono in questa venuta in 20,19 l'adempimento della promessa fatta ai discepoli durante l'ultimo discorso (che sarebbe tornato da loro: cf 14,18.22-23; 16,20-22). Questa interpretazione non dà la dovuta considerazione al messaggio generale di Giovanni 20,1-29, specialmente alle parole di Gesù nel v. 29 che proclamano beati coloro che credono senza aver visto. Ciò implica che il ritorno di Gesù ai discepoli nel v. 19 non è il suo ritorno definitivo. La sua assenza sarà colmata dalla presenza del Paraclito. 20. mostrò loro le mani e il fianco: A differenza di Luca 24,38-39, in Giovanni 20,20 l'invito a guardare le mani e il fianco non ha alcuna connotazione apologetica. È soprattutto un atto di rivelazione (cf Mollat, Études johanniques 152-154; Becker, Evangelium 2,62021.
621). Pace a voi!: La frase in greco non ha il verbo (eirene hymin) e perciò va tradotta appun to con «pace a voi». Gesù dichiara che la pace è già tra di loro. Vedi W. C. van Unnik, «Dominus Vobiscum: The Background of a Liturgica! Formula», in A. J. B. Higgins, ed., New Testament Essays. Studies in Memory of Thomas Walter Manson 1 893-1 958, Manche ster University Press, Manchester 1959, 270-305, in particolare 283-284.
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Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi: L'identità della missione di Gesù con la missione dei discepoli è espressa mediante l'espressione kathos ... kago («come il Pa dre ... così anch'io»). Vedi Bemard, Commentary 2,675-676; Barrett, Gospel 569-570. An che se i beneficiari della missione dei discepoli non sono nominati, da 13,20 e in spe cial modo da 17,18 è facile dedurre che siano «il mondo» (cf Mollat, É tudes johanniques
156). 22. soffiò su di loro: La maggior parte dei commentatori fa notare il parallelo uso di «soffiò» (enephusesen) in LXX Gn 2,7 (cf anche LXX Ez 37,9-10; Sap 15,11) e considera il dono del lo Spirito l'inizio di una nuova creazione. Ricevete lo Spirito Santo: La maggior parte degli studiosi non vede in 19,30 (paredoken to pneuma) il dono dello Spirito (cf l'interpretazione e la nota relativa a 19,30) e conside ra l'espressione un eufemismo per descrivere la morte di Gesù. Perciò 20,22 rimane l'u nico passo giovanneo che parla del dono dello Spirito, corrispondente alla Pentecoste lucana (es.: Burge, Anointed 116-131, 1 47-149). De La Potterie, The Hour, che pur vede in 19,30 il dono dello Spirito (cf pp. 163-165), sostiene con varie argomentazioni che 20,22 ha lo scopo di ravvivare nei discepoli la fede pasquale inducendoli a superare la paura e l'esitazione. Per maggiori particolari vedi anche de La Potterie, «Parole et Esprit» 195-201 . Heil, Blood and Water 137-138, per il quale pure 19,30 si riferisce al do no dello Spirito (cf pp. 102-103), vede nel primo termine paredoken (1 9,30) il momento dell'elargizione dello Spirito in generale e nel comando di Gesù in 20,22 il conferimen to (/abete) dello Spirito ai discepoli credenti. Swetnam, «Bestowal of the Spirit» 571574, dice che in 19,30 lo Spirito viene dato a tutti i credenti (rappresentati simbolica mente dalla Madre e dal Discepolo) per aiutarli a discernere il significato della vita e della morte di Gesù, mentre 20,22 è un potere specifico dato a un ristretto gruppo di persone per il perdono dei peccati. Ammettendo che tanto in 19,30 quanto in 20,22 si tratti del dono dello Spirito, la nostra interpretazione sostiene che non vi sono due «doni dello Spirito». L'unico Spirito viene dato nell'unica «ora di Gesù» ai membri della comunità cristiana (19,30) perché possano rendere testimonianza a Gesù (20,22) (cf Manns, L'Evangile 462). In questa sede non è possibile risolvere la questione del rapporto tra questa visione del dono dello Spirito e la tradizione lucana della Pentecoste. Per un approfondimento vedi Burge, Anointed 114-149. Léon-Dufour, Resurrection 186, sintetizza molto bene la posizione adottata in questo commentario: «Giovanni stabilisce una dimensione es senziale del ministero pasquale che Luca ha esteso nel tempo». 23. a cui perdonerete. . . a cui non perdonerete: Per una discussione sulla possibilità che Gio vanni 20,23 sia una variante di Matteo 16,19; 18,18 vedi Dodd, Tradition 347-349; Brown, Gospel 2,1039-1041. Entrambi concludono che le due tradizioni sono probabilmente indipendenti. Per le divisioni create dall'interpretazione del versetto tra i cristiani, al cuni dei quali ritengono che le parole di Gesù siano limitate al ristretto ministero del perdono dei peccati (tra i più recenti vedi la posizione di Swetnam descritta nella no ta relativa al v. 22), mentre secondo altri Gesù conferisce un mandato a tutti i discepo li cristiani (cf Barrett, Gospel 568), vedi Brown, Gospel 2,1041-1043. Sullo strano impie go del verbo kratein per parlare della «ritenzione» dei peccati nel senso di «non per donare» vedi Bauer, ]ohannesevangelium 232, il quale fa giustamente notare la sua stret ta associazione con aphienai («condonare»; cf Marco 7,8). Secondo Emerton, «Binding and Loosing» 325-331, un detto originale aramaico derivato da Is 22,22 parlava di «aprire-chiudere», che poi nella tradizione di Matteo è diventato «sciogliere-legare» e nella tradizione giovannea «perdonare-ritenere (non perdonare)». coloro a cui non perdonerete: Le difficoltà derivanti dal cercare di capire il significato del mandato conferito ai discepoli di perdonare o non perdonare i peccati sono alquanto
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attutite se queste azioni vengono messe in relazione alla missione del Paradito di «met tere a nudo» il bene e il male del mondo (cf 16,7-11 ). E devono anche essere viste in re lazione al modo giovanneo di intendere la risposta alla rivelazione di Dio in e per mez zo di Gesù. Alcuni gitmgono alla luce, ma alcuni le voltano le spalle e l'ira di Dio piom ba su di loro.
b) Gesù appare ai discepoli presente Tommaso (20,24-29) 24. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani i segni dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chio di e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». 26. Otto giorni dopo i disce poli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiu se, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 27. Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28. Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29. Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che credono, pur senza aver visto!».
INTERPRETAZIONE
La narrazione continua: «Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo [il Gemello], non era con loro quando venne Gesù» (v. 24). Non c'è alcuna indica zione di cambiamento di tempo e di luogo. Siamo ancora «nel primo giorno della settimana» (cf vv. 1 . 19) e il luogo è la casa pervasa da un'atmosfera di pa ce e di gioia tra i discepoli ripieni dello Spirito ai quali è stato conferito il man dato di portare la santità di Dio nel mondo. Tommaso non rientra in questo quadro. Non era presente (v. 24: Thomas de heis ton dodeka ... ouk en met'auton) e perciò non è stato messo a parte né del messaggio di Maria Maddalena (vv. 1718) né dell'apparizione di Gesù e del mandato affidato agli altri discepoli (vv. 19-23) . Questo per Tommaso è il primo momento del suo cammino verso la fe de. Pur attorniato da pace e gioia, segni della fede pasquale (cf vv. 19.20.21), Tommaso, al pari di Pietro, del Discepolo Prediletto e di Maria Maddalena nei vv. 1-2, è ancora nelle tenebre dell'incredulità (v. 24). I suoi condiscepoli cerca no di comunicargli la loro fede pasquale (eiegon oun aut()) usando le stesse pa role di Maria Maddalena: «Abbiamo visto il Signore!» (v. 25a; cf v. 18). La ri sposta di Tommaso agli altri discepoli segna la seconda tappa nel suo cammi no di fede. Lui è disposto a ricredersi della sua incredulità solo a condizione che il Gesù risorto si adegui ai suoi criteri. «Se non» (ean me): se Gesù non soddisfa le sue condizioni lui rimarrà nel suo presente stato di incredulità (ou me pi steuso). Tommaso esige che Gesù si renda «tangibile». Come Maria voleva re stare attaccata al corpo di Gesù, così Tommaso chiede di poter sperimentare il contatto fisico del corpo risorto dell'uomo che era stato crocifisso vedendo di persona i segni dei chiodi e mettendo il suo dito nelle (baio) ferite e la mano nel (baio) suo fianco. Dei tre viaggi di fede narrati in questo racconto la risposta condizionata (v. 25: ean me) di Tommaso è la più vivida. Egli non respinge la possibilità della risurrezione; esige solo che il corpo risorto di Gesù soddisfi le
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sue condizioni (v. 25; cf v. 17). Tommaso ha fatto un passo avanti rispetto alla sua situazione di assenza (cf v. 24), ma l'imporre le proprie condizioni per cre dere nella risurrezione di Gesù indica che la sua fede si è fermata a metà. «Otto giorni dopo» (kai 111eth 'hemeras okto) Gesù si presenta di nuovo ai suoi discepoli. Si ripetono diversi particolari dell'apparizione precedente. Le porte sono chiuse e Gesù si presenta con il saluto di pace: eirene hymin (v. 26; cf v. 1 9) L'indicazione di tempo, otto giorni dopo, è anch'essa un richiamo all'appari zione precedente. I commentatori hanno giustamente fatto notare che il riferi mento ritmico a «il primo giorno della settimana)) (v. 1), «la sera di quel giorno)) (v. 19) e «otto giorni dopo)) (v. 26) colloca di proposito tutti questi avvenimen ti nel giorno del Signore. L'unico elemento nuovo nel v. 26 rispetto al v. 21 è il fatto che «c'era con loro anche Tommaso». Sorprendentemente Gesù soddisfa di buon grado le condizioni di Tommaso (v. 27ab) ma lo invita anche, anzi gli comanda di andare oltre la sua fede condizionata: me ginou apistos alla pistos. n Gesù risorto è il Gesù crocifisso. Se Tommaso vuole averne le prove materiali potrà averle, ma c'è ben altro in palio: «non essere incredulo, ma credente» (v. 27c). Il testo non dà alcuna indicazione che Tommaso abbia effettivamente ese guito il rituale del tocco; il rituale richiesto passa in second'ordine rispetto al la risposta che Tommaso offre all'invito a credere: «Mio Signore e mio Dio!)). I commentatori non sono concordi nella valutazione di questo atto di fede. Per alcuni è «la suprema dichiarazione cristologica del Quarto Vangelo» (Brown, Gospe/ 2,1047). Altri sostengono che l'osservazione di Gesù nel v. 29: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che credono, pur senza aver visto!)) in dica che esiste una qualità di fede senza vista superiore alla fede che ha moti vato la confessione di Tommaso (Bultmann, Gospe/ 695-696). Una confessione che riconosce Gesù come Signore e Dio posta in un momento culminante del la narrazione è del tutto coerente con la cristologia sviluppata a varie riprese nelle parti precedenti del Vangelo. Prende atto delle implicazioni di ciò che il narratore dice del logos in 1,1-2, dell'uso esclusivo che Gesù fa dell'ego eimi as soluto (cf 4,26; 8,24 .28. 58; 13,19) e della sua dichiarazione: «lo e il Padre siamo una cosa sola>> (1 0,30; cf anche 10,38). Analogamente ai viaggi di fede del Di scepolo Prediletto e di Maria Maddalena (cf vv. 8.18), questa definitiva confes sione di fede in Gesù conclude il viaggio di fede di Tommaso. I viaggi di fede del Discepolo Prediletto e di Maria Maddalena spingevano lo sguardo oltre i personaggi del racconto verso generazioni future: i lettori del racconto. Essi credono sulla parola della Scrittura, compresa la parola dello stesso Vangelo, che Gesù è risorto (cf v. 9) e sono i beneficiari di una santità re sa possibile dal mandato affidato da Gesù a discepoli fragili ma ricolmi di pa ce e di gioia (v. 23). C'è una generazione di credenti che leggono il Vangelo per i quali il Gesù corporeo è assente. La loro fede è basata sulle Scritture, compre sa la narrazione giovannea (v. 9), e sulla santità amministrata dalla comunità cristiana (v. 23). Rivolto all'ultimo dei personaggi fondamentali del racconto che sono approdati alla fede, Gesù dice: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che credono, pur senza aver visto!» (v. 29). Alla conclusione del Vangelo Gesù indica due diverse ere. Alcuni, non senza difficoltà, hanno fatto il loro viaggio di fede alla presenza fisica del Gesù risorto: Maria Maddalena e .
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Tommaso; ma l'esperienza di questi discepoli è storia passata per quei lettori del Vangelo che sono stati chiamati dalla narrazione a credere che Gesù è la ri velazione salvifica di Dio. Come potranno essi, la nuova generazione, credere in assenza di Gesù? Con la Scrittura e questo Vangelo alla mano (v. 9), e con la be nedizione della santità che solo Dio può dare (v. 23) potranno considerare la lo ro situazione altrettanto privilegiata quanto quella dei discepoli fondamenta li. Anzi, essi saranno maggiormente beati perché hanno creduto pur senza aver visto! (v. 29) (cf Judge, «A Note on Jn 20,29» 3,2183-2192). La beatitudine di quelli che hanno creduto senza averlo visto ci ricorda che uno dei discepoli fondamentali ha creduto anche lui senza aver visto Gesù. Il Discepolo Prediletto ha dovuto compiere il suo cammino uscendo dalle tenebre (cf vv. 1-2) per giungere a credere senza aver visto Gesù (v. 8). Se n'è tornato a casa e non compare più nel racconto (v. 10). Il personaggio fondamentale del la comunità giovannea ha indicato la strada: ha creduto senza vedere Gesù (cf Byrne, «Beloved Disciple» 89-91, 93-94). Questo non si è verificato nel caso de gli altri due personaggi del racconto. La loro dipendenza dalla presenzafisica di Gesù è evidente nel desiderio di Maria Maddalena di trattenere Gesù (cf v. 17) e nella richiesta di Tommaso di poter toccare le ferite di Gesù e posare la mano sul suo fianco trafitto (v. 25) (cf Lee, «Partnership in Easter Faith» 40-46). Il Ge sù risorto ha portato questi fragili discepoli da uno stato di esitazione ad una fe de autentica, e tuttavia la fede di coloro che credono senza aver visto è pari a quella del più grande discepolo (v. 29; cf v. 8). Questi hanno creduto pur in as senza di Gesù. NOTE
24. Tommaso: L'uso d i de («ora», «ma», non reso nella traduzione italiana) per introdurre l'episodio di Tommaso stabilisce un contrasto tra Tommaso e i discepoli presenti agli avvenimenti descritti nei vv. 19-23 (cf Heil, Blood and Water 139). Sul fatto che Tomma so non fosse con loro vedi Blanquart, Le premier jour 116-119. uno dei Dodici: L'espressione « i Dodici» è diventata una formula standard. Vedi Brown, Gospel 2,1024. In un ambizioso studio (cf ]BL 116 [1997] 147-148) Riley, Resurrection Re considered 108-110, sostiene che l'autore, rivolgendosi ai discepoli di Tommaso per far li rientrare nei ranghi (come aveva fatto con i discepoli del Battista per lo stesso moti vo), parla de «i Dodici>> per mettere Tommaso in relazione a Giuda, l'unico altro di scepolo di cui si dice che era de «i Dodici» (cf 6,70-71). Per la possibilità che didymos contenga l'idea della duplicità vedi Bauer, ]ohannesevangelium 232. Per Riley, Resurec tion Reconsidered 110-114, l'accenno al «gemello» identifica Tommaso con la comunità di Tommaso. 25. Gli dicevano gli altri discepoli: Secondo Brown, Gospel 2,1025, il verbo elegon («dicevano») è un imperfetto conativo (cf BDF 169, § 326) che indica che gli altri discepoli «cercava no di dirgli». non metto il mio dito ... non metto la mia mano: D verbo ballein («mettere») è molto più for te del semplice «mettere» il dito o la mano; contiene l'idea di una spinta, di un tocco energico (cf Brown, Gospel 2,1025). Léon-Dufour, Résurrection 188, fa notare che i crite ri imposti da Tom.maso non sono propriamente suoi: «Egli applica rigorosamente le ca tegorie del pensiero ebraico riguardanti la risurrezione dei morti. Esige una rigorosa continuità tra i due mondi». Riley, Resurrection Reconsidered 126-175, sostiene che la co-
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munità di Tommaso (cf n Vangelo di Tommaso, n Libro di Tommaso e Gli Atti di Tommaso) rappresenta un modo di vedere cristiano ed ebraico derivato dal pensiero greco-ro mano tradizionale che considerava il corpo risorto sostanziale ma incorporeo. L'auto re del Quarto Vangelo in 20,25 rispecchia questa falsa concezione (cf pp. 114-119). io non credo: D greco usato per questa espressione (ou me seguìto dal verbo al futuro) è particolarmente forte (cf BDF 184, § 365). 26. Otto giorni dopo: Sebbene la descrizione dei discepoli nel v. 26 ricalchi quella del v. 19, qui non c'è nessun accenno alla paura provata in precedenza dai discepoli. Non c'è motivo di paura dopo i vv. 19-23. 27. non essere incredulo, ma credente!: Le parole di Gesù distolgono Tommaso dall'incredu lità per portarlo alla fede (cf Brown, Gospel 2,1026). Per alcuni commentatori (es.: West cott, Gospel 296; Loisy, Evangile 511; Barrett, Gospel 476; van de Bussche, fean 553-554; Wenz, «Sehen und Glauben» 1-25) Tommaso non è mai stato incredulo e Gesù lo esor ta a mantenersi nel suo stato di credente. Nella nostra interpretazione le espressioni pi stos e apistos, nel Quarto Vangelo usate entrambe solo in questo passo, sono considerate sostantivi e la frase viene tradotta: «Non essere un incredulo ma un credente». Per Ri ley, Resurrection Reconsidered 119-124, l'autore si rivolge agli increduli della comunità di Tommaso usando la figura di Tommaso come espediente letterario per distoglierli dal la loro falsa concezione della risurrezione. 28. Mio Signore e mio Dio!: Secondo alcuni commentatori (es.: Mastin, «The Imperlai Cult» 352-365; Cassidy, fohn's Gospel 13-16, 69-88) la tradizione giovannea ha preso questa confessione di fede dalla pretesa di Domiziano (81-96 d.C.) di essere venerato quale Dominus et Deus noster (cf Svetonio, Domiziano 13). Per altri riferimenti classici vedi Bauer, fohannesevangelium 233. Ma il rifiuto del culto dell'imperatore p uò servire al massimo da sfondo. La confessione non è principalmente contro qualcosa, ma è l'af fermazione definitiva della cristologia del Vangelo. 29. Perché mi hai veduto, tu hai creduto: Per la traduzione di hoti heorakas me pepisteukas come un'affermazione anziché come domanda vedi Barrett, Gospel 573. Molti commentato ri citano Tanh. 6,32a, dove è detto che Rabbi Simeon ben Laqish lodava colui che si as sume il giogo del regno di Dio senza aver visto gli eventi del Sinai.
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Iv.
CONCLUSIONE DEL VANGELO (20,30-31)
30. Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Fi glio di Dio, e perché credendo abbiate la vita nel suo nome. INTERPRETAZIONE
La storia giovannea d i Gesù ha compiuto un intero ciclo. È cominciata con il narratore che spiega al lettore chi fosse Gesù e cosa abbia fatto (1,1-18). La storia della vita di Gesù è andata avanti aggiungendo altri particolari alla spie gazione, ma si è preoccupata soprattutto di spiegare al lettore perché Gesù era quello che era e come ha compiuto la sua missione. Al momento in cui Gesù muore sulla croce il narratore interrompe di nuovo la storia per rivolgersi di rettamente al lettore. Il Prologo era stato dedicato a una forbita disquisizione; ma l'intervento esageratamente appassionato del narratore nella storia della passione serve a chiarire le sue intenzioni. La preoccupazione principale del l'autore è la fede del lettore (cf 19,35). Questo tema viene ripreso al momento in cui il narratore si rivolge di nuovo direttamente ai lettori alla conclusione del libro. Ai cristiani che credono pur senza aver visto viene spiegato che questo resoconto della vita, della morte e della risurrezione di Gesù è stato scritto per loro (20,30-31). Il Gesù proclamato nel Prologo ha vissuto, è stato sacrificato ed è risorto attraverso la narrazione. Ma il motivo per cui il racconto è stato scrit to è perché i lettori del Vangelo possano progredire ulteriormente nella loro fe de. Non si tratta di un semplice ricordo di fatti passati ma di una proclama zione che interessa il presente. I discepoli fondamentali sono stati chiamati a passare dall'incredulità a una fede parziale per approdare alla fede autentica (20,1-29). Il Vangelo è stato scritto affinché i lettori cristiani che credono senza aver visto possano allo stesso modo avere la pienezza della fede in Gesù (vv. 30-31). La promessa di un possibile viaggio di fede fatta in 1,19-4,54 giunge a frui-
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zione in 20,1-19. All'inizio del ministero pubblico di Gesù una serie di episodi presentava personaggi che dimostravano la possibilità di una autentica fede giovannea (2,1-4,54). A conclusione della storia viene presentata la fondamen tale esperienza pasquale del Discepolo Prediletto, di Maria Maddalena e di Tommaso. Davanti alle prove della vittoria di Dio (cf 20,5-7) o della persona del Signore risorto (cf vv. 14-17.26-27) ciascuno di essi ha compiuto il suo viaggio dall'incredulità alla fede autentica (20,2-8.11-18.24-28). I lettori di una storia che è cominciata e si è conclusa in questo modo sono il frutto dell'attività mis sionaria dei membri fondamentali della comunità cristiana (cf 17,20-23). I di scepoli hanno mietuto un raccolto che non hanno seminato (cf 4,36-38): il rac colto associato alla glorificazione di Gesù (10,16; 11,52; 12,11.19.32; 19,25-27) . Questo «raccolto» è costituito dai lettori, il frutto della glorificazione e della partenza di Gesù. Nonostante o appunto per l'assenza di Gesù essi sono beati perché credono (vedi 20,9.23.29). Indubbiamente, al pari dei membri fondato ri della comunità cristiana, anch'essi dovranno lottare per passare dall'incre dulità ad una fede parziale per giungere alla vera fede, ma non devono sco raggiarsi. Perfino il Discepolo Prediletto, tanto caro al narratore giovanneo, ha dovuto lottare per arrivare alla vera fede. Se questo è stato vero fin dagli albo ri della comunità cristiana, i cristiani credenti che sono venuti in seguito non hanno motivo di sentirsi particolarmente ansiosi nell'affrontare le proprie lot te ed esitazioni (cf 6,60-71; 15,18-16,3) . In virtù del dono dello Spirito-Paracli to il Gesù assente è presente in mezzo ai membri della comunità neli' amore re ciproco (cf 13,34-35; 15,12.17; 1 7,21-23), nella loro missione (cf 13,34-35; 15,12; 17,17-19), nel loro ministero santificante (17,17-19; 20,22) e soprattutto nella lo ro religiosità: nel culto (cf 4,23; 14,1 8-21), nella preghiera nel nome di Gesù (cf 14,12-14; 15,16; 16,23-24.25-26) e nella celebrazione del Battesimo e dell'Euca ristia (cf 3,5; 6,51-58; 13,1-38; 19,34-37). Ma essi non vedono Gesù. I membri di una comunità cristiana che approdano alla fede nel tempo in termedio, nel periodo dell'assenza fisica di Gesù, sono esortati a riconoscere di essere altrettanto beati per la loro fede quanto lo sono stati quelli che hanno creduto sulla base di ciò che hanno visto (cf v. 29). A,l pari del Discepolo Predi letto (cf v. 8) essi credono senza vedere Gesù (v. 29). E desiderio dell'autore che tutti quelli che leggono questo libro o ne ascoltano la proclamazione siano una comunità di discepoli prediletti (cf Byrne, «Beloved Disciple» 94). Il libro è sta to scritto perché la narrazione che riferisce come Gesù ha vissuto la sua storia possa confermare ciò che è stato proclamato nel Prologo. L'autore è profonda mente convinto che la storia della vita di Gesù dimostri la fondatezza delle ri vendicazioni fatte nei suoi riguardi nel Prologo. È per questo motivo che ha scritto questo resoconto, dichiaratamente una selezione tra i tanti altri raccon ti che potrebbero essere narrati (v. 30), perché i cristiani d'altri tempi possano condividere questa appassionata convinzione. Gesù è il Cristo, ma il Cristo che è il Figlio di Dio. Una convinzione che supera le barriere di qualsiasi condizio namento umano, storico e culturale ammette che Gesù è il Cristo da tanto tem po atteso, ma solo in quanto egli viene da Dio e a Dio ritorna ed è il Figlio di Dio, l'Inviato del Padre, colui che ha fatto conoscere Dio. La vita eterna è mes sa a disposizione di coloro che vengono a conoscere Dio per mezzo di Gesù
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Cristo, colui che è stato mandato da Dfo (cf 1 7,3). n fatto che Gesù è il Cristo è interamente subordinato ad una verità ancora più grande: egli è il Figlio di Dio. «In modo misterioso egli ha cominciato ad essere più presente in mezzo a loro nella sua divinità una volta diventato più distante nella sua umanità . . La fede dei credenti era indotta a toccare, non con la mano della carne ma con la penetrazione dello Spirito, il Figlio unigenito, l'eguale al Padre» (Leone Magno, Sermo LXXIV. De Ascensione Domi ni 11,4 [PL 54,398C-3990]). .
L'autore ha comunicato la sua fede in Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, per mezzo della storia dalla quale il lettore sta ora uscendo. Il viaggio di Gesù e il viaggio del lettore sono giunti al termine, ma la narrazione ha raggiunto il suo scopo solo se colui che esce dalla storia l'ha vissuta come propria, se ha appro fondito la sua fede in Gesù e in tutto ciò che Gesù ha rivelato riguardo a Dio, e se giunge alla vita in conseguenza della sua esperienza di lettura (v. 31).
NOTE 30. molti altri segni: Seguendo il parere della maggioranza degli interpreti l a nostra inter pretazione vede nel riferimento ai «segni» (stmeia) che sono riportati nel libro (cf v. 31) «uno sguardo retrospettivo all'intero libro» (Schnackenburg, Gospel 3,337) anziché al le apparizione del Gesù risorto appena riportate. I sostenitori dell'esistenza di una «Fonte dei segni» pre-giovannea (cf le note relative a 2,23-25) che starebbe dietro il Quarto Vangelo vedono nel riferimento ai semeia del v. 30 la conclusione originale di ta le fonte. Per una demolizione convincente della teoria della «Fonte dei segni» vedi Schnelle, Antidocetic Christology 150-164. 31. questi sono stati scritti: Su tauta de gegraptai («queste cose sono scritte») come un'indi cazione intesa a includere la storia che sta per terminare nella graphl del v. 9 vedi Ober mann, Die christologische Erfo.llung 418-422. perché crediate [continuiate a credere]: Nella traduzione del v. 31 abbiamo tenuto il pre sente invece dell'aoristo congiuntivo. La tradizione testuale è equamente divisa tra h i na pisteuete (congiuntivo presente) e hina pisteusète (congiuntivo aoristo). A sostegno di questa scelta vedi Schnackenburg, Gospel 3,337-338; Brown, Gospel 2,1056; Fee, «On the Text and Meaning» 3,2193-2206; Metzger, Textual Commentary 219-220. Secondo Schnac kenburg, anche se l'originale fosse aoristo non si tratterebbe di aoristo ingressi vo («giungiate a credere>>), come sostengono coloro che vedono nel Quarto Vangelo un trattato missionario (es.: van Unnik, «The Purpose» 382-411; Robinson, «The Destina tion and Purpose» 117-131; Carson, «The Purpose» 639-651). Se originariamente era aoristo, sostiene Schnackenburg, era un richiamo a «un nuovo impulso nella loro fede» (cf 11,15.40). Per l'uso delle proposizioni hina negli scritti giovannei per impartire istru zioni alla comunità vedi Riesenfeld, «Zu den johanneischen hina Sa tzen» 213-220. -
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V. EPILOGO (21,1-25) ALTRE APPARIZIONI DEL RISORTO (21,1-25)
Introduzione. Giovanni 21,1-25 è quasi unanimemente considerato un'ag giunta a un Vangelo che terminava con le parole dell'autore in 20,30-31 . A so stegno della tesi che la storia originale terminava con 20,31 si possono addur re i seguenti elementi: 1. Il finale di 20,30-31 ha il tono di una solenne conclusione di una storia. 2. Molte parole, espressioni e peculiarità letterarie si trovano per la prima "e l'unica volta nel Quarto Vangelo in 21,1-25 (cf Boismard, «Le chapitre XXI)) 473-502; Brown, Gospe/ 2,1079-1080). 3. La narrativa di Giovanni 21 mostra un interesse per la comunità, per la sua mis
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sione e per l'autorità all'interno della comunità decisamente superiore all'interes se mostrato per queste questioni nel resto del Vangelo (cf Ruckstuhl, «Zur Aussa ge » 339-362; Brown, «The Resurrection in John 21» 433-445). La sequenza del racconto si fa alquanto confusa. Dopo che Maria Maddalena è sta ta incaricata di annunciare la risurrezione (vedi 20,18) e il successivo incarico affi dato ai discepoli in 20,19-23, perché questi lasciano Gerusalemme e se ne tornano in Galilea a riprendere le loro normali occupazioni come se fossero piuttosto an noiati della presente situazione (vedi 21,2-3)? I discepoli mostrano un'ottusità che svuota di senso la gioia, la missione e il dorto dello Spirito che avevano ricevuto in 20,19-23. Dopo aver visto Gesù due volte in casa a Gerusalemme (20,19-23.26-29) perché non lo riconoscono quando appare lo ro per la terza volta (21,14)? È poi la terza volta? Se si conta l'apparizione a Maria Maddalena (vedi 20,10-18) questa è la quarta apparizione. Le parole finali in 21,25 costituiscono una conclusione letteraria simile ad altre con clusioni che si trovano nella letteratura antica (cf Brown 2,1130). Queste parole ri petono, in maniera meno teologica e meno mirata al lettore, la conclusione di 20,30.
Sebbene sia stato fatto notare che Tertulliano era a conoscenza di un Vange lo che terminava con 20,30-31 (cf Lattke, «Joh 20,30f als Buchschluss» 288-292), per quanto ci è dato di sapere non è mai esistita una tradizione testuale che non contenesse Giovanni 21. Qualunque cosa possano decidere gli esperti ri guardo alle origini di Giovanni 21 visto come un'aggiunta a un Vangelo origi nale, è certo che questa raccolta di aneddoti post-risurrezione era importante per i cristiani che inizialmente hanno scritto il Vangelo e lo hanno tramandato ad altre generazioni. Anche solo per questo motivo merita di essere considera to un «epilogo», un qualcosa che fa parte del Vangelo così come si presenta a
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rioi, e non semplicemente un «addendum» o un «poscritto» aggiunto come ri
pensamento (cf Zumstein, «Der Prozess der Relecture» 401-404). Nonostante la diffusissima accettazione della tesi che questo capitolo è stato aggiunto a una storia che originariamente terminava con 20,30-31, non sono mai mancati co loro che hanno difeso la sua funzione di conclusione originale del Vangelo in base ad argomentazioni storiche (es.: Lagrange, Evangile 520-521 [ma l'autore traspone 20,30-31 in coda a 21,23]; Hoskyns, Gospel 550; Robinson, «The Rela tion» 120-129; Smalley, fohn 92-97; Minear, «John 21)) 85-98; Carson, Gospe/ 665668; Morris, Gospe/ 757-758). La fioritura contemporanea di nuovi approcci ca nonici e letterari alla narrativa biblica ha portato a una sempre più chiara ten denza da parte di una nuova generazione di studiosi a spiegare Giovanni 1,1-21,25 in termini di un insieme letterario e teologico unitario. La maggior parte degli approcci narrativi contemporanei al Quarto Vangelo adotta questa posizione (es.: Hartmann, Staley, Ellis, Klinger, Breck, Kieffer, Segovia, Brodie, Stibbe, Lee, Talbert, Schneiders, Okure, Thyen, Busse, Vorster, Korting, Tolmie [per i dettagli vedi «Bibliografia))]). La lettura di Giovanni 21,1-25 deve essere affrontata tenendo presente la narrazione di 1,1-20,31 e chiedendosi se questi altri episodi della risurrezione possano far parte del progetto letterario e teo logico originario del Quarto Vangelo. Introduzione a 2 1 , 1 -25. Il racconto di Giovanni 21,1-25 si svolge in tre parti definite in base all'azione e ai personaggi dominanti in ciascuna parte. Per la maggior parte dei commentatori i vv. 24-25 costituiscono la conclusione del passo (cf Brown, Gospel 2,1065; Beasley-Murray, fohn 396 ), ma nel seguente schema i due personaggi principali, Pietro e l'altro discepolo, vengono segui ti dal v. 15 al v. 24 compreso. Vengono stabiliti i rispettivi ruoli nella comunità: Pietro è pastore e discepolo (vv. 15-19) e l'altro discepolo è il Discepolo Predi-� letto e l'autore della storia giovannea (vv. 20-24) (cf Ruckstuhl, «Zur Aussage)) 352 n. 22; Delebecque, «La mission)) 339-341; Brown, «]ohn 21)) 434-435). Que sto lascia il solo v. 25 a solenne conclusione che presenta qualche analogia con 20,30-31. 1. n. m.
Vv. 1-14: L'apparizione di Gesù ai suoi discepoli sulle rive del lago di Tiberiade porta a una pesca miracolosa e alla consumazione di un pasto in riva al lago. Vv. 1 5-24: La discussione tra Gesù e Pietro definisce i rispettivi ruoli di Pietro come pastore e del Discepolo Prediletto come autore di questa storia. V. 25: Conclusione.
D lettore, che esce da 20,31 con l'impressione che tanto Gesù (cf 20,29) quan to il narratore (cf vv. 30-31) hanno detto tutto ciò che c'era da dire, è colto di sor presa dal laconico annuncio di 21,1: Gesù si è manifestato di nuovo ai discepo li. Dopo che sono stati dichiarati beati coloro che credono senza aver visto (20,29) è sorprendente scoprire che ci sono in serbo altre apparizioni. I. Gesù appare ai discepoli sul lago di Tiberiade (21,1-14) l. Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2. si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo [il Ge mello], Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. 3. Disse lo-
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ro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dìssero: «Veniamo anche noi con te)). Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4. Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accor ti che era Gesù. 5. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli rispo sero: «No». 6. Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e trove rete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: « È il Signore». Simon Pietro, ap pena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete pie na di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. 9. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10. Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso ora». 11. Allora Simon Pie tro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E ben ché fossero tanti, la rete non si spezzò. 12. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nes suno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Si gnore. 13. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli dopo essere risorto dai morti. . I N T E R P R E TA Z I O N E
Introduzione. L'episodio che si svolge sul lago e in riva al lago si presta spon taneamente ad essere diviso in tre parti: vv 1-3, vv 4-8 e vv 9-14 (ma vedi la no ta relativa al v. 3). Nei vv 1-3 è presentata la battuta di pesca. La maggior par te delle scene giovannee ha un'introduzione che presenta il luogo, il tempo e i personaggi degli episodi che seguono. Questa introduzione fa eccezione in quanto il lettore viene immediatamente informato che ciò che segue riguarda un'altra apparizione del Gesù risorto ai discepoli (v. 1). L'esperienza che i di scepoli hanno provato sul lago comincia con un'indicazione di tempo: «Quan do era già l'alba» (v. 4) e si conclude con i discepoli che vengono a terra trasci nando la loro rete piena di pesci (v. 8). Questo incontro di Gesù con un gruppo di discepoli si conclude con un pasto in comrme sulla spiaggia (v. 9) e con l'os servazione del narratore: «Era la terza volta che Gesù si manifestava ai disce poli, dopo essere risorto dai morti» (v. 14). L'ambientazione (vv. 1-3). L'episodio comincia con la laconica osservazione del narratore che il Signore si manifestò (ephaneròsen heauton) di nuovo ai di scepoli sul lago di Tiberiade e annrmcia il modo in cui questa manifestazione verrà descritta (v. 1). Il verbo phaneroo non è mai stato usato in Giovanni 20 (né altrove nel NT) per parlare delle apparizioni del Risorto e anche nella tradi zione sinottica è usato molto raramente (solo in Mc 4,22 e nel finale di Marco [16,12.14]). Nel Quarto Vangelo tuttavia il verbo è stato usato spesso per parlare della rivelazione che si manifesta in Gesù (cf 1,31; 2,11; 3,21; 7,4; 9,3; 17,6). Que sta forma di introduzione è estranea al resto del Vangelo, ma dai racconti pre cedenti viene ripreso un verbo particolarmente significativo per indicare che ciò che sta per essere riferito è un qualcosa di più di un'apparizione fisica. «L'in tero versetto fa l'effetto dell'annuncio di un tema» (Schnackenburg, Gospel 3,352). Sette discepoli «si trovavano insieme» (v. 2: esan homou). L'osservazione del .
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«trovarsi insieme» posta all'inizio della frase e l'elenco di sette discepoli in sim bolica rappresentanza dei discepoli in genere riaffermano il tema della costi tuzione della nuova comunità ai piedi della croce (cf 19,25-27). E c'è anche un accenno alla centralità di questo tema in 21,1-25. Nell'elenco dei nomi c'è qual che sorpresa. Simon Pietro è nominato per primo, com'era da aspettarsi (cf 6,67-69; 13,6-9; 20,2-7) e l'identificazione di Tommaso con il «gemello)) si rifà a 20,24. Ma è solo qui che di Natanaele si dice che era «di Cana di Galilea)), e i fi gli di Zebedeo fanno la loro comparsa nel racconto giovanneo per la prima vol ta. L'accenno ai due discepoli non nominati lascia la possibilità aperta alla pre senza del Discepolo Prediletto, che verrà poi allo scoperto nella descrizione dell'apparizione di Gesù ai pescatori (v. 7) e nella discussione che seguirà (vv. 20-24). I discepoli rimasti senza nome continuano la tradizione del Quarto Van gelo di non rivelare mai l'identità del Discepolo Prediletto (cf 1,35; 18,15.16; 20,2.3.8). Due discepoli non chiamati per nome compaiono all'inizio (1,35) e alla fine (21,2) del Vangelo nella sua completezza. La decisione di Pietro di andare a pescare, la decisione degli altri discepoli di unirsi a lui e il fatto che durante l'intera notte non abbiano pescato neppure un pesce hanno dato origine a molte speculazioni. Com'è possibile che i disce poli, dopo 20,19-23, potessero tanto disinvoltamente rassegnarsi a questo pro saico ritorno alla loro attività di tutti i giorni? Le soluzioni proposte vanno dal le speculazioni circa lo stato mentale dei discepoli nel dopo Pasqua (Beasley Murray, fohn 399-400), al ruolo di Pietro a guida della missione di «pescatori)) di uomini (Barrett, Gospel 579), a un totale disorientamento (es.: Brown, Gospel 2,1096) e infine all'apostasia (Hoskyns, Gospel 552). Ma in fondo la presenza dei discepoli sul lago dopo una infruttuosa notte di pesca non ha bisogno di es sere spiegata con motivazioni teologiche o psicologiche. È una parte essenzia le dell'ambientazione per l'apparizione che segue, ma indica anche che Gio vanni 21 è stato formulato nella comunità indipendentemente da 20,1-31. Il miracolo (vv. 4-8). A un'ora che lega questo episodio alla deludente visita di Maria Maddalena al sepolcro vuoto nel buio che precede l'alba (cf 20,1: proi) Gesù compare sulla spiaggia «quando già era l'alba)) (v. 4: profa de ede ginomenes; vedi la nota). E qui emerge un altro motivo tradizionale legato alla risurrezio ne: Gesù non viene riconosciuto da quelli che sono stati con lui durante il suo ministero (cf Le 24,13-35.36-38; Gv 20,15). Mentre sono impegnati nelle loro at tività quotidiane come se il Signore risorto non fosse mai entr�to nella loro vi ta, i discepoli al pari di Maria Maddalena non lo riconoscono. E Gesù che pren de l'iniziativa dei contatti chiamandoli «figlioli)) (paidia). Questa forma di sa luto, mai usata altrove nel Quarto Vangelo (ma cf l Gv 2,14.18; 3,7), indica un'autorevole intimità. Gesù mostra interesse e disappunto per la loro infrut tuosa battuta di pesca e comanda loro di gettare la rete dalla parte destra della barca con la promessa che qualcosa pescheranno (v. 6a). Non c'è bisogno di ri correre alla speculazione popolare per spiegare che la parte «destra)) della bar ca era il lato fortunato (cf BAGD 1 74). Il particolare ha il solo scopo di eviden ziare l'autorità di Gesù sia sugli elementi della natura che sul comportamento dei discepoli. L'obbediente risposta dei discepoli al comando di Gesù porta buoni frutti. In diverse altre occasioni durante il suo ministero Gesù ha eserci-
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tato la sua autorità sulla natura (cf 2,1-11; 6,1-15.16-21 ) e il miracolo che fa seguito alla pronta esecuzione del suo comando non deve coglierci di sorpre sa (v. 6b). . Nel riconoscimento di Gesù e nella reazione di fronte al miracolo il ruolo più importante è svolto dai due discepoli che sono stati protagonisti in occasione della scoperta del sepolcro vuoto: Pietro e il Discepolo Prediletto (cf 20,3-10). È il Discepolo Prediletto che riconosce il Gesù risorto e che dice a Pietro (e perché non agli altri discepoli?): « È il Signore!» (cf 20,8}. Ancora in analogia agli avve nimenti riferiti in Giovanni 20, anche qui i fatti si svolgono in maniera che ri corda la risposta di questi due discepoli davanti al sepolcro vuoto (cf 20,4-8): il Discepolo Prediletto è quello che confessa la sua fede in Gesù come il Signore risorto, mentre Pietro risponde alle indicazioni del primo così come lo aveva «seguito» in 20,6, si aggiusta la veste attorno ai fianchi e salta in mare (cf la no ta). Gli altri discepoli portano la barca a riva trascinando la rete piena di pesci (v. 8). Al lettore non viene detto niente della fede di Pietro, ma solo della sua en tusiastica reazione alla confessione del Discepolo Prediletto. Gli altri discepo li servono solo da cornice per concludere questa parte; portano a riva la barca (presumibilmente con a bordo il Discepolo Prediletto) e i pesci per raggiunge re Gesù e Pietro sulla riva. Nel ripresentare Simon Pietro e il Discepolo Prediletto sulla scena l'autore di Giovanni 21 ripensa a Giovanni 20, ma sembra dimenticare il fatto che in 20,10 questi due discepoli «se ne tornarono di nuovo a casa». Erano usciti di scena dopo che il Discepolo Prediletto aveva visto i segni della vittoria di Dio sulla morte di Gesù e aveva creduto senza vedere Gesù (20,8). Riportando di nuovo Gesù nella vita di questi discepoli l'autore ci induce a pensare che il Discepolo Prediletto non sia più tra i beati di 20,29; in 21,7a egli infatti crede perché ha vi sto Gesù. Il pasto (vv. 9-14). Qualunque possa essere stata l'origine del resoconto del miracolo, questo e il pasto pasquale sono abilmente concatenati. Al loro arrivo sulla spiaggia i discepoli trovano che è stato preparato un pasto: un fuoco ac ceso con pesce alla brace e pane (v. 9). È cominciata la riabilitazione di Pietro. In precedenza si era unito a quelli che erano andati ad arrestare Gesù con lanter ne e fiaccole davanti ad un fuoco acceso (cf 18,3.18: anthrakian), ma ora egli è in vitato a unirsi a Gesù per condividere un pasto preparato su un altro fuoco ac ceso (v. 9: anthrakian). La presenza di Pietro mette la pesca miracolosa in rela zione al pasto. Gesù gli ordina di portare del pesce appena pescato (v. lO) e Pie tro obbedisce tirando la rete a riva. Il particolare della grande retata di cento cinquantatré grossi pesci che, miracolosamente, non hanno strappato la rete ha «solleticato la mente» (Beasley-Murray, fohn 401 ) dei lettori di questo Van gelo quanto meno dai tempi di Girolamo (cf Commentarium in Ezechielem, Liber XIV,47; PL 25,474C). È impossibile sintetizzare le innumerevoli ipotesi che so no state formulate lungo i secoli per spiegare il particolare dei 153 grossi pesci (cf Beasley-Murray, fohn 401-404), tanto disparate da rendere improbabile qual siasi soluzione. Indubbiamente l'autore aveva i suoi buoni motivi per sceglie re il numero 153, o per il suo significato simbolico legato a qualche misteriosa combinazione di numeri o perché aveva appreso da una tradizione certa quel-
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lo che era esattamente il numero dei pesci presi nelle rete! n Gesù risorto ha operato un grande miracolo e il risultato di questo miracolo è una quantità ta le di pesci che dovrebbe aver strappato la rete. Molti sono stati presi nella rete, ma la rete non è stata danneggiata. L'autore potrebbe aver avuto in mente la tuni ca senza cuciture che non doveva essere strappata (cf l'interpretazione di 19,2324). Al comando di Gesù i discepoli su una barca hanno gettato la rete in mare e hanno preso molti pesci senza recar danno alla rete. L'universalità della co munità cristiana, l'effetto dell'iniziativa di Gesù (cf v. 6), l'intraprendenza di Simon Pietro e del Discepolo Prediletto (cf v. 7) e la partecipazione degli altri di scepoli (cf 4,34-38) concorrono a plasmare il concetto principale della storia (cf Brown, Gospe/ 2,1075). Gesù continua a dominare la scena quando comanda a loro di mangiare il primo pasto della giornata. C'è una trasformazione completa nei discepoli ri spetto al v. 4, dove non hanno riconosciuto Gesù. Ora, guidati dalla fede del Di scepolo Prediletto e dall'azione di Pietro, non osano più chiedere l'identità di Gesù: sanno di trovarsi alla presenza del Signore risorto (v. 12: hoti ho kyrios estin ) Nel v. 9 pesci e pane sono già pronti per un pasto, e questi elementi ri cordano il miracolo di 6,1-15 dove pane e pesci vengono moltiplicati per sfa mare una moltitudine al tempo di Pasqua. Là si trovavano accenni alle antiche celebrazioni eucaristiche cristiane (cf l'interpretazione di 6,1-15) e questi sono presenti anche in questo passo, in particolare nelle indicazioni che Gesù «pre se il pane e lo diede loro, e così pure il pesce» (cf 6,11). Nel contesto del mes saggio globale di una comunità universale radunata insieme per effetto dell'i niziativa del Cristo risorto e sotto la guida di Simon Pietro gli accenni all'Eu caristia indicano chiaramente che si tratta di uno degli atti di culto più centra li della comunità giovannea (cf 6,1-15.51-58; 13,21 -38; 19,35). L'episodio termina con l'annuncio del narratore che questa è la terza volta che il Gesù risorto si è manifestato (ancora il verbo phaneroo) ai discepoli (v. 14). O Maria Maddalena non era considerata un discepolo (mathétes; cf Carson, Gospel 675), oppure l'autore di Giovanni 21 si è confuso nel contare. Questa è la quarta apparizione del Gesù risorto (cf 20,11-18.19-23.26-29; 21,4-14), e questa osservazione conclusiva del narratore dà l'impressione «che il presente rac conto non fa parte dell'accurata composizione narrativa del cap. 20» (Barrett, Gospe/ 582-583). Un'attenta lettura di 21,1-14 rivela diversi legami voluti di proposito con il Vangelo di Giovanni in generale (es.: l'uso del verbo phaneroo per parlare della rivelazione di Gesù, il discepolo non nominato nel v. 2, il possibile legame tra il pane e i pesci di 21,9 e di 6,1-15) e in particolare con gli avvenimenti descrit ti in 20,1-29 (es.: legami con l'esperienza di Maria Maddalena e con l'ora in cui ha avuto luogo, e con la ricomparsa di Simon Pietro e del Discepolo Prediletto che si comportano come hanno fatto in 20,3-10). Emergono tuttavia anche al cuni elementi di non facile spiegazione: l'introduzione anomala (v. 1), i perso naggi non giovannei che compaiono nell'elenco dei sette discepoli (v. 2), la «ba nalità» della decisione dei discepoli di andare a pescare (v. 3) e il numero ine satto delle apparizioni di Gesù dopo la risurrezione (v. 14). Ancora più sor prendente è il fatto che il discepolo che aveva creduto senza aver visto (20,8) .
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adesso confessa che Gesù è il Signore dopo averlo visto sulla spiaggia (v. 7). In questa prima parte di Giovanni 21 c'è una strana mescolanza di continuità e discontinuità (cf la nota). NOTE
3 . Io vado a pescare: Si notano diverse somiglianze tra l'episodio della pesca in G v 21,1-14 e la relativa tradizione sinottica, in particolare Le 5,4-8. Pesch, Der reiche Fischfang, ha
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proposto che questo resoconto sia il risultato della confluenza di due elementi: una tradizione di pesca ( vv. 2.3.4a.6.11) che ha avuto origine nel ministero di Gesù (cf Le 5,1-11) e un'apparizione dopo la risurrezione (vv. 4b.7-9.12-13) associata a un pasto (cf Le 24,28-32.41-43). Alcuni hanno contestato la dissociazione dell'episodio della pesca dai racconti pasquali (es.: Beasley-Murray, ]ohn 396-397), ma molti commentatori han no accettato l'ipotesi di Pesch. Se è necessaria una spiegazione per questa strana decisione, può tornare utile il sug gerimento di Barrett (p. 579). L'autore di Giovanni 21, sapendo della missione di 20,21, usa questo passo, che ha avuto origini indipendenti da Giovanni 20, per dimostrare che i discepoli accettano il mandato loro affidato e intraprendono il compito missionario di «pescare» (cf Mc 1,16-20). Il fatto che il loro è un fallimento dà maggior risalto al sor prendente successo che ottengono quando operano sotto la guida di Gesù (v. 6). Quando già era l'alba: Anche se, come è stato fatto notare nell'interpretazione, c'è una certa analogia tra l'arrivo di Maria Maddalena al sepolcro vuoto al mattino «presto» (prOi) e l'apparizione di Gesù «quando era già l'alba» (prOi"as de ède ginomenes), negli al tri passi del Quarto Vangelo (18,28; 20,1) si trova solo la forma indeclinabile di prOi" («presto»). Anche in questi particolari si nota una continuità e una discontinuità tra i due capitoli sulla risurrezione. Figlioli: Alcuni commentatori traducono paidia con «ragazzi» (es.: Carson, Gospel 670), ma questo non fa giustizia al successivo rapporto autoritativo che Gesù stabilisce con i discepoli né al tono in cui lo scrittore della 1 Giovanni si rivolge ai suoi lettori. non avete nulla da mangiare?: La domanda (che inizia con il negativo me) suppone una risposta negativa. Il termine usato per «da mangiare» in questa domanda (prospha gion) non si trova in nessun altro luogo né nei LXX né nel NT. In tutta la letteratura gre ca è usato raramente. È la prima di tre diverse espressioni usate per «pesce» in questo breve racconto. per la grande quantità di pesci: Nel riportare questa pesca miracolosa il narratore usa per «pesce» il termine ichthus (apo tou plethous ton ichthuon ). È il Signore!: Alle parole del Discepolo Prediletto occorre riconoscere tutto il loro valo re di testimonianza post-pasquale. Il discepolo confessa di credere nella presenza di Gesù come il Signore risorto (ho kyrios estin). Questa confessione è ulteriormente riba dita dall'osservazione «Simon Pietro, appena udì hoti ho kyrios estin». Questo non si gnifica necessariamente che Pietro crede anche lui nella presenza del Signore risorto, ma solo che ha udito ciò che ha detto il Discepolo Prediletto. Qui ci si aspetta che ven ga usato il verbo «essere)> (È il Signore), ma potrebbe anche contenere il significato di «il Signore è presente» (cf Barrett, Gospel 580). si strinse la veste attorno aifianchi, perché era svestito: Questa traduzione è una delle tan te possibilità di risolvere l'alquanto strana indicazione che Pietro si veste per saltare nell'acqua. Noi ci aspetteremmo il contrario. Il verbo usato (diazonnynai) ha come si gnificato principale quello di tirar su le vesti o di cingerle ai fianchi con una cintura. Pietro non è del tutto nudo, ma vestito molto succintamente con un solo indumento
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(ependyt�s: «tunica»). Se s e l o fosse tolto sarebbe rimasto completamente nudo; perciò lo tira su, o lo cinge ai fianchi, per potersi muovere più liberamente nell'acqua (cf La grange, Evangile 525). 9. un fuoco di brace: Il legame tra 18,18 e 21,9 notato nella nostra interpretazione è scarta to dalla maggior parte dei commentatori e da altri considerato «Veramente molto te nue» (Carson, Gospel 671 n. 2). con del pesce sopra: Qui abbiamo il terzo termine usato per «pesce» (opsarion). Questo in spiegabile uso di tre termini diversi in pochi versetti per dire «pesce» è un'indicazio ne della lunga e complessa preistoria di questa composizione. 11. centocinquantatré grossi pesci: Qualunque segreto possa nascondersi dietro questo nu mero (allegoria, gematria, simbolo matematico?), esso ha indotto critici tanto diversi come Brown, Gospel 2,1075-1076, e Staley, The Print's First Kiss 113, a concludere che è impossibile attribuirgli un significato. Per un tentativo più recente (cf Barrett, Gospel 581) di spiegarlo in riferimento al numero diciassette vedi Brodie, Gospel 587-588. A so stegno del significato missionario del passo vedi Ruckstuhl, «Zur Aussage» 340-351; Schneiders, «}ohn 21,1-14» 72; Marzotto, L'Unità 215-219; Rodriguez Ruiz, Der Mis sionsgedanke 290-304; Heil, Blood and Water 157. 13. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro: Associato al v. 9, lo sfondo eucaristico del l' avvicinarsi di Gesù e della distribuzione del pane e del pesce ai discepoli è chiaro (cf anche Brown, Gospel 2,1098-1100). Non tutti però sono d'accordo sul riferimento eu caristico (es.: Dodd, lnterpretation 431 n. l) e Barrett (Gospel 582) fa giustamente notare che bisogna andare cauti nello scorgervi analogie con 6,51. Casomai, come indicato nell'interpretazione, i contatti più stretti si hanno con 6,1-15 (cf Shaw, «The Breakfast by the Shore» 12-26). Altri giustamente insistono che non è il caso di esagerare (es.: Beasley-Murray, fohn 401-402). Vedi, ad esempio, Cullmann, «The Breaking of Bread» 8-16. 14. Era la terza volta: L'ampio consenso esistente tra i commentatori che Giovanni 21 è stato aggiunto a un Vangelo già completo si basa principalmente sul grande numero di parole e di espressioni grammaticali che si trovano solo in questo capitolo e in nes sun altro passo del Vangelo. Il trattamento più approfondito di questa questione si trova in Boismard, «Le chapitre XXI» 473-501 . Vedi anche Mahoney, Two Disciples 1240. La validità di quest'unico criterio, tuttavia, è alquanto indebolita dal fatto che que sto è l'unico episodio di pesca descritto nel Quarto Vangelo e perciò presenta neces sariamente un proprio linguaggio (cf Barrett, Gospel 576-577). È pertanto necessario ri correre ad un'analisi più letteraria per poter individuare sia la continuità che la di scontinuità di elementi quali i temi e le caratterizzazioni tra il Vangelo e questo capi tolo finale.
II. Gesù, Pietro e il Discepolo Prediletto (21,15-24) 15. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16. Gli disse di nuovo: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Bada alle mie pecore». 17. Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi be ne?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pa sci le mie pecore. 18. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti
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veStirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19. Questo gli disse per indicare con quale mor te egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». 20. Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è colui che ti tradisce?». 21. Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, cosa sarà di lui?». 22. Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». 23. Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe mor to. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, a te che importa?». 24. Questo è il discepolo che testimonia questi fat ti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
INTERPRETAZIONE Introduzione. I due discepoli, i cui ruoli erano stati evidenziati nel v. 7 nella descrizione del miracolo sul lago con ciò che ne seguiva, adesso vengono trat tati con maggiore dovizia di particolari. Dopo aver stabilito un chiaro legame con l'episodio precedente («Quand'ebbero mangiato» [v. 15a]), l'autore ini zialmente si concentra sulla persona di Simon Pietro. Gesù gli richiede una tri plice confessione di amore e lo incarica di prendersi cura delle sue pecore, pro mettendogli che, come suo seguace, condividerà con lui la sua sorte (vv. 1519) Pietro, che ora «segue» Gesù (cf v. 19b), si volta e vede un altro discepolo che «segue». Questi è il Discepolo Prediletto, e in risposta alla domanda di Pie tro: «Che cosa sarà di lui?», Gesù parla del suo destino e il narratore aggiunge una descrizione del ruolo che questo importante discepolo svolgerà nella co munità e per la comunità (vv. 20-24). Simon Pietro (vv. 15- 1 9). La domanda di Gesù ripetuta per ben tre volte chie de a Simon Pietro di impegnarsi ad amare Gesù più di quanto egli non ami gli altri discepoli presenti sul posto. Pietro risponde incondizionatamente e fa inol tre presente che il suo amore per Gesù è ben noto al Signore risorto che tutto co nosce. In base a questa risposta alla sua domanda, Gesù comanda a Pietro di pascere e aver cura delle sue pecore. Viene così stabilito un rapporto tra il ruo lo di Pietro e il ruolo di Gesù il Buon Pastore di 10,1-18, in particolare di 10,1418. Ciò che rimane sorprendente, tuttavia, è che questa stessa domanda-rispo sta-imperativo venga ripetuta tre volte (vv. 15-17). Possono esistere dei prece denti per una triplice dichiarazione davanti a testimoni prima che uno si assu ma un impegno vincolante (cf Gaechter, «Das dreifache» 328-344) e ci sono sot tili varianti tra le parole usate sia da Gesù che da Pietro che sono state sfrutta te dagli interpreti (cf le note). Ma il motivo principale per cui Gesù richiede una triplice confessione d'amore è ovviamente il triplice rinnegamento di Pie tro di conoscere Gesù descritto all'inizio della storia della passione (cf 18,1518.25-27). Per quanto fragile, Pietro è stato vicino a Gesù durante il suo mini stero (cf 1,40-42; 6,67-69; 13,6-10.36-38; 18,15), una vicinanza drammaticamen te compromessa dal triplice rinnegamento del discepolo e dai successivi avve nimenti della crocifissione di Gesù. L'innalzamento regale di Gesù sulla croce, l'istituzione di una nuova famiglia di Dio e il dono dello Spirito (19,17-37) so no stati caratterizzati dalla presenza del Discepolo Prediletto (cf 19,25-27) e dal l' assenza di Simon Pietro. E necessario che i rinnegamenti vengano sconfessa.
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ti, ragion per cui un o degli elementi nella ripetizione ritmica della stessa do manda è l'accenno a un'accusa: «un giorno tu mi hai rinnegato ... adesso sei proprio sicuro del tuo rapporto con me?». Le risposte imbarazzate ma oneste di Pietro convincono il Signore risorto ad accettare le dichiarazioni di amore di Pietro e a stabilire un nuovo rapporto: Gesù affida a Pietro l'incarico di far da pastore al suo gregge. Il ruolo pastorale che Pietro è chiamato a svolgere lo associa al Buon Pasto re. Egli riceve l'incarico di «aver cura» (poimaine) e di «pascere» (boske) gli «agnellh> (ta arnia) e le «pecore» (ta probata) di Gesù. Le discussioni circa l'uffi cio pietrino nella tradizione romana del cristianesimo sono fuori luogo nell'e segesi di questo passo (cf la nota). La persona incaricata di questo servizio pa storale e tutti i pastori cristiani, come Pietro, sono esortati ad avere lo stesso rapporto che Gesù ha avuto con il suo gregge. L'amore di Pietro per Gesù (vv. 1 5c. 16b. 1 7b) deve espletarsi nella sua disponibilità a far proprie le parole di Gesù, il Buon Pastore (vv. 15d.16c.17c): «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (10,10); «lo conosco le mie pecore ed esse conosco no me» (10,14); «lo offro la mia vita per le pecore» (10,15; cf 10,11.17.18); «Ho al tre pecore che non appartengono a questo ovile ... diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (1 0 ,1 6 ). Sebbene alcuni sostengano che non esistono collegamenti interni tra i vv. 15-17 e i vv. 18-19 (es.: Bultrnann, Gospe/ 713; Brown, Gospel 2,1117), 1e parole che Gesù aggiunge riguardo al futuro di Pietro non sono altro che la conseguenza logica della base cristologica di questo incarico pastorale. Precedute dal gio vanneo doppio «amen», le sue parole ricordano a Pietro un tempo passato, un tempo durante il ministero di Gesù in cui Pietro ha mostrato molta buona vo lontà ma ciò nonostante ha finito per rinnegarlo. Quello era il tempo quando Pietro era giovane, quando si vestiva da solo e andava dove voleva (v. 18a). Quel tempo è finito. Adesso ha superato lo scandalo del rinnegamento di Ge sù e si è impegnato incondizionatamente a fare la parte del Buon Pastore (vv. 15-17). Verrà il tempo «quando sarai vecchio», il tempo in cui Pietro darà la sua vita per le pecore di Gesù che sono state affidate alle sue cure. Qualcun al tro lo vestirà e lo porterà dove egli preferirebbe non andare. A parte tutte le discussioni dotte sull'esatta natura del modo in cui queste parole possano es sere applicate alla crocifissione (cf la nota), è quasi certo che al momento in cui questo episodio è stato descritto Pietro aveva già allargato le braccia, un giu stiziere l'aveva già fissato alla croce ed egli aveva dato la propria vita per il gregge di Gesù (cf Haenchen, fohn 2,226-227). Ma l'adeguamento di Pietro al comportamento del Buon Pastore lo associa anche al significato della morte di Gesù. La morte non ha colpito Gesù come la terribile fine di una vita di auto donazione. L'incondizionata accettazione da parte di Gesù della volontà del Padre (cf 4,34; 5,36; 17,4) ha rivelato l'amore di Dio per il mondo (3,16). In que sto Gesù è stato glorificato (cf 11,4; 12,23; 13,31-32; 17,1-5) e Gesù ha dato glo ria a Dio (cf 11,4.40; 12,28; 13,31-32; 17,1-5). L'accettazione incondizionata di Pietro del suo ruolo di pastore del gregge di Gesù (vv. 15-17) porterà anch'es sa alla glorificazione di Dio nella sua autodonazione d'amore fino alla morte (v. 19a). Una volta chiarite tutte le implicazioni dell'essere il pastore del suo greg-
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ge (vv. 15-19a) a Gesù non rimane altro che invitare Pietro a seguirlo lungo questa strada (v. 19b). Questo «seguire» ha un suo significato fisico, tanto che Pietro si mette immediatamente a camminare dietro a Gesù (cf v. 20a), ma si gnifica anche «essere un discepolo costante per tutto il resto dei suoi giorni» (Beasley-Murray, fohn 409). Il Discepolo Prediletto (vv. 20-24). Nel v. 20 c'è un marcato senso del «seguire». Pietro sta fisicamente seguendo Gesù in obbediente risposta al suo comando nel v. 19: «Seguimi». Mentre lo segue, Pietro si volta e vede che il Discepolo Prediletto, quello che durante la cena si era chinato sul petto di Gesù e gli ave va chiesto chi fosse il traditore (cf 13,23-25), a sua volta li (21,21 ). La risposta di Gesù tocca un argomento che doveva far parte degli interro gativi della comunità. Nel suo ricordo delle parole di Gesù la comunità ha let to la promessa che il Discepolo Prediletto non sarebbe morto prima del ritorno di Gesù, ma questo ricordo ha bisogno di una precisazione. Le esatte parole di Gesù erano: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi!» (v. 22). Gesù esorta Pietro a mantenere e ad occuparsi del proprio ruolo di seguace di Gesù e a non preoccuparsi della sorte del Discepolo Predi letto. La propria sorte gli è stata chiaramente rivelata nei vv. 18-19. Ma il ricor do che la comunità conserva di queste parole sembra essersi concentrato sulla questione sbagliata. Ciò che è della massima importanza nelle parole di Gesù, osserva il commentatore, è il condizionale: «Se voglio». Gesù non ha detto che il Discepolo Prediletto non sarebbe morto prima della sua venuta ma che il suo futuro sarebbe stato determinato dalla volontà di Gesù. ll problema che è alla base di questa precisazione di ciò che Gesù ha detto esattamente è chiaramen te la morte del Discepolo Prediletto. «Si diffuse perciò ... la voce che quel di scepolo non sarebbe morto» (v. 23a), ma «questa voce» (houtos ho logos), questa espressione di un'opinione popolare, era basata su un'errata interpretazione delle parole dette da Gesù a Pietro. Il Discepolo Prediletto non è più vivo, ma
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la comunità non deve meravigliarsi della sua
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morte. Qualunque cosa sia acca duta al Discepolo Prediletto, non può essere altro che l'adempimento delle pa role dette da Gesù a suo riguardo. Tanto Pietro (cf vv. 18-19) quanto il Discepolo Prediletto (vv. 22-23) sono morti. La comunità per la quale questo Vangelo è stato scritto è vissuta in un pe riodo successivo alla morte di Gesù, di Simon Pietro e del Discepolo Predilet to. Il narratore, pertanto, ha qualcosa da aggiungere al riguardo del Discepolo Prediletto. In modo analogo a quanto aveva fatto Gesù nel nominare Pietro a pastore e discepolo (vv� 15-19), le parole finali del narratore aggiungono qual cosa che fa maggiormente risaltare l'importanza del Discepolo Prediletto. Il re ciproco affidamento della Madre e del Discepolo ai piedi della croce e il dono dello Spirito Santo a questo nucleo della nuova famiglia di Dio (cf 19 ,25-30) in dicano senza mezzi termini il grande rispetto che i lettori avevano per il Di scepolo Prediletto come fondatore della comunità cristiana alla quale essi ap partenevano. Il fondatore della comunità è anche l'autore della storia della vi ta e dell'insegnamento, della morte e della risurrezione di Gesù (v. 24). Le pa role del narratore sono simili all'altro intervento che lo stesso aveva già fatto in 19,35. Vivendo nel tempo intermedio, dopo la morte di Gesù, di Pietro e del Di scepolo Prediletto, la comunità sente il legame tra gli avvenimenti del passato e l'esperienza del presente, e il legame è costituito dalla testimonianza del Di scepolo Prediletto. Egli è stato un discepolo di Gesù che ha vissuto in prima persona «queste cose>> (ho martyron peri touton) e che poi è diventato l'autore di un resoconto che tramandava «queste cose» (ho grapsas tauta). La testimonian za è ancora presente (martyron: participio presente) grazie al resoconto che ne è stato fatto (grapsas: participio aoristo). Sulla base di questa testimonianza scritta, ancora viva nonostante la morte del Discepolo Prediletto, la comunità può essere certa della conoscenza (oidamen) che la loro storia di Gesù e il gene re di vita che conducono in conseguenza di questa storia sono veri. Pietro è il pastore incaricato del gregge (cf vv. 15-17) e il Discepolo Prediletto è il testi mone dell'autentica tradizione di Gesù (v. 24). La continuità-discontinuità tra Giovanni 1-20 e Giovanni 21 fatta notare a proposito di 21,1-14 è presente anche nei vv. 15-24. I personaggi di Simon Pie tro e del Discepolo Prediletto (cf 13,23-25), il linguaggio pastorale (vv. 15-17; cf 10,1-18), il tema dell'amore (vv. 15-17; cf 3,16.35; 13,1 .15.34-35; 15,12.17; 17,2426), la conoscenza di Gesù (vv. 15-17; cf 2,23-24; 5,42; 6,15; 10,14-15.27; 13,1; 16,19; 17,25-26; 18,4), la glorificazione di Dio che si attua nella morte (v. 19; cf 11,4.40; 12,28; 13,31-32; 17,1-5), l'uso del doppio «amen» (v. 18) e il ruolo di te stimone svolto dall'autore/narratore del Vangelo (v. 24; cf 19,35): tutto si rifà a Giovanni 1-20. Gran parte di tutto ciò, tuttavia, potrebbe essere opera di un re dattore dotato di una buona conoscenza e familiarità con la storia giovannea, e l'uso del doppio «amen» giovanneo sarebbe comunque facile da imitare. Gli elementi di discontinuità sono più difficili da spiegare. Simon Pietro e il Disce polo Prediletto, due dei personaggi principali del racconto, sono morti, e i vv. 15-24 sono stati in parte motivati dalla necessità di spiegare l'assenza dell'au torevole discepolo, pastore e fondatore. Ma per poter fornire questa spiega zione il redattore ha aggiunto nuove apparizioni del Gesù risorto a una narra-
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Il
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zione che si concludeva con una solenne proclamazione di beatirudine per co
loro che hanno creduto pur in assenza di Gesù. In 21,15-24 il Gesù risorto si ri presenta e la sua presenza spiega l'assenza di Simon Pietro e del Discepolo Pre diletto. Questo ritorno di Gesù vanifica l'impatto delle parole di Gesù in 20,29: «Beati quelli che credono, pur senza aver visto!».
NOTE 15-17. Quand'ebbero mangiato: Viene spesso fatto notare che il collegamento tra i vv 1-14 e vv. 15-19 è alquanto tenue e molti citano Schnackenburg (Gospel 3,361) per consentire con lui: i vv. 1-14 costituiscono «una pericope dei discepoli» e i vv. 15-19 «un fram .
mento riguardo a Pietro». I due passi hanno indubbiamente avuto una propria storia nella tradizione, ma i vv. 15-19, chiaramente messi in relazione ai vv 1-14 dalla battu ta introduttiva, sviluppano ulteriormente il ruolo di Pietro già affiorato nei vv. 7 e 11. Lo stesso vale per i vv. 20-24, legati assieme ai vv. 15-19 per mezzo del v. 20a e dedica ti alla figura del Discepolo Prediletto già nominato nel v. 7. L'autore può aver rielabo rato diversi elementi della tradizione, ma in Giovanni 21,1-25 c'è un unico filo logico che spesso i critici non riescono a scorgere. mi ami?: Nei vv. 15-17 sono usati due diversi verbi per esprimere l'idea di «amare». Nelle prime due domande Gesù usa il verbo agapaò e Pietro risponde con il verbo phi leo. Nella terza domanda Gesù usa phileò e Pietro risponde con lo stesso verbo. Qual cuno ipotizza che il verbo agapao, più forte, usato da Gesù è troppo impegnativo per Pietro la cui fiducia in se stesso ha cominciato a vacillare, per cui non osa spingersi ol tre il meno impegnativo phileo (es.: Westcott, Gospe/ 302-303). Secondo la maggior par te dei commentatori moderni questa ipotesi non tiene conto dell'abitudine giovannea di alternare diversi termini sinonimi per ragioni stilistiche. Per una completa presen tazione della questione vedi Carson, Gospel 676-677. 15. più di costoro [di questi]: Alcuni ritengono che pleon touton (più di «questi» o di «costo ro») si riferisca agli strumenti del mestiere della pesca. Ma il confronto più probabile è tra l'amore di Pietro per i suoi condiscepoli («costoro») e l'amore di Gesù. La doman da non è intesa a chiedere se l'amore che Pietro nutre per Gesù è superiore all'amore che gli altri discepoli hanno per Gesù. Pasci i miei agnelli: Come nel caso del verbo «amare» usato nei vv 15-17, anche il ter mine usato per «gregge» si alterna tra ta arnia (v. 15: «agnelli») e ta probata (vv. 16-17: «pecore»). Analogamente c'è l'alternanza tra il verbo boske (vv. 15.17: «condurre al pa scolo») e poimaine (v. 16: «aver cura»). Queste altre variazioni di espressioni per ripetere a Pietro per tre volte praticamente la stessa domanda (cf Barrett, Gospe/ 584-585) sono un'ulteriore indicazione che le alter nanze nel verbo usato per «amare» (vedi sopra) sono di natura stilistica. La grande maggioranza dei commentatori concorda nel legare la triplice domanda rivolta a Pie tro da Gesù al triplice rinnegamento di Pietro. Bultmann, Gospel 712-713, mette in dub bio tale legame, non trovandovi alcun nesso narrativo e nessuna parola di assoluzio ne. L'autore suggerisce che si tratti di una variante di Mt 16,17-19, ma non offre nes suna spiegazione convincente per la triplice ripetizione. Riguardo al ruolo pastorale di Pietro giustamente osserva: «Qualsiasi tendenza in direzione della politica ecclesiastica - per esempio a sostegno dell'autorità della comunità romana - è [sic] molto lontana dai vv 15-17». Per una discussione sull'uso e sull'abuso di questo testo nei dibattiti ri guardanti il primato pietrino vedi le rassegne in Beasley-Murray, fohn 406-407; Brown, .
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Gospe/ 2,1112-1117.
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18. quan do eri più giovane: È generalmente ammesso che le parole di Gesù che esprimono il contrasto, «quando eri più giovane ... quando sarai vecchio», sono l'adattamento di un proverbio che opponeva il vigore della giovinezza alla fragilità della vecchiaia (es.: Bultmann, Gospel 713). La nostra interpretazione non nega questa possibilità, ma lega la «giovinezza» di Pietro con i suoi rapporti con Gesù prima della sua morte e risurre zione, quando era pieno di vigore e di fiducia in se stesso, e il «quando sarai vecchio» con la sua esperienza successiva che sarà frutto del suo amore incondizionato per Ge sù (vv. 15-17). tenderai le tue mani: Alcuni hanno dato di questo passo spiegazioni che non fanno nes sun riferimento alla morte di Pietro (es.: Bernard, Commentary 2,708; Bultmann, Gospel 713-714); altri fanno notare l'incongruenza della descrizione del tendere le mani prima che uno sia vestito (es.: Schnackenburg, Gospel 3,366-370). La maggior parte condivide la convinzione che «è chiaro che il redattore sa che Pietro ha subìto la morte del mar tire» (Brown, Gospel 2,1118). Per i più antichi riferimenti cristiani alla morte di Pietro ve di Schnackenburg, Gospel 3,482 n. 76. 20. quel discepolo che Gesù amava: La presentazione del Discepolo Prediletto con l'annessa descrizione del suo posto accanto a Gesù in 13,24 ricorda il contesto di 13,23-25. Viene spesso fatto notare che il ricordare questo particolare qui è fuori posto, come non è stato necessario ricordarlo nel v. 7. Non c'è comunque alcuna necessità di invocare una diversa fonte. Il redattore sta impostando una conclusione del Vangelo che asso cia e nello stesso tempo distingue i ruoli di Pietro e del Discepolo Prediletto. Per quan to maldestro, questo richiamo a 13,23-25 costituisce un ottimo sfondo per questa as sociazione l distinzione. 21-23. Cosa sarà di lui? ... a te che importa ?: Questa domanda, posta in bocca a Pietro, non lo denigra in alcun modo nonostante l'apparentemente secca risposta di Gesù. Nel rac conto abbiamo tre personaggi: Gesù, Pietro e il Discepolo Prediletto. È solo Pietro che può porre una domanda che dia all'autore la possibilità di fare in modo che Gesù le nisca l'ansietà che probabilmente si è venuta a creare nella comunità per la morte del Discepolo Prediletto (vv. 22-23). È la gravità di questa ansia che giustifica la freddezza della risposta di Gesù (v. 23), non l'ottusità di Pietro. Per quanto lo riguarda, gli viene solo ricordato che deve continuare a seguire Gesù (v. 22; cf v. 19b). Nella seconda parte del Vangelo questi due discepoli sono spesso visti insieme (cf 13,23-25; 18,15-16; 20,3-10), e il Discepolo Prediletto è invariabilmente presentato nella luce più favorevole. In assenza di Pietro, il Discepolo Prediletto si trova ai piedi della croce (cf 19,25-27). Il fragile Pietro, tuttavia, ha cancellato il suo triplice rinnegamento con una triplice dichiarazione di amore (21,15-17). I commentatori hanno discusso a lungo il contrasto / confronto tra i due discepoli (per le indagini vedi Brown, Gospel, 2,1117-1122; Beasley-Murray, ]ohn 417-418). L'importante è che Pietro, con tutti i suoi alti e bassi, è ancora un discepolo (vv. 19.22: «seguimi!») e un pastore (vv. 15-17) (cf Wiarda, «John 21.1-23» 53-71). Tuttavia, la caratteristica del discepolo si trova nel rapporto che il Discepolo Prediletto ha con Gesù: quello che si china sul suo petto in un atto di amore (v. 20) e quello che gli rende testimonian za (v. 24). Pietro potrà rappresentare la situazione di t u t t i i discepoli, fragili seguaci e pastori, ma il Discepolo Prediletto personifica il discepolo ideale. I suggerimenti di Westcott, Hoskyns, Schnackenburg e de La Potterie secondo cui il «rimanere» del Discepolo Prediletto si espleta nella proclamazione del Vangelo (cf i vv. 22-23 e la nota seguente) confermano questa tesi. Thyen («Entwicklungen» 259-299) sostiene che la presenza del Discepolo Prediletto tanto nel Vangelo quanto nell'Epilogo è una prova dell'unità letteraria di Giovanni 1,1-21,25. Ma il sostenere che Giovanni 21 presenta il Discepolo Prediletto come il discepolo ideale non compromette in alcun
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modo la posizione adottata' nell'Introduzione che egli è stato un discepolo storico di Gesù, il fondatore della comunità giovannea e il trasmettitore della storia di Gesù. 22-23. che rimanga finché io venga: Alcuni interpreti, in particolare quelli che identificano il Discepolo Prediletto con l'autore della stesura definitiva del libro, respingono il sug gerimento che questo passo indica che il discepolo è morto. Per costoro (es.: Robinson, Priority 70-71; Carson, Gospel 682) la tarda età del Discepolo Prediletto sta generando ingiustificate aspettative escatologiche. Altri (es.: Westcott, Gospel 305; Hoskyns, Gospel 558-559; Schnackenburg, Gospe/ 3,371; de La Potterie, «Le témoin qui demeure» 343359) vanno oltre questa discussione affermando che ciò che si vuole dire è che il Di scepolo Prediletto «rimane/permane» nella comunità nella proclamazione del suo Vangelo. Questo tiene conto sia del fatto che il Discepolo Prediletto è morto sia della convinzione che la sua testimonianza «rimane». 24. che testimonia questi fatti e li ha scritti: Questa affermazione è alla base di tutte le riven dicazioni, tanto coerentemente sostenute nella tradizione cristiana, che il Discepolo Prediletto (Giovanni, il figlio di Zebedeo?) ha scritto di suo pugno l'intero Vangelo (per una elegante difesa di questa posizione cf W. Sanday, The Criticism of the Fourth Gospel [Clarendon Press, Oxford 1905] 74-108). Ma questo non è necessariamente vero. La forma participiale dell'aoristo del verbo (ho grapsas) potrebbe avere senso causati vo: «ha fatto sì che ... fossero scritti» (cf Bernard, Commentary 2,713). La maggior parte dei commentatori moderni (cf Brown, Gospe/ 2,1123) è d'accordo con Gottlob Schrenk che ha analizzato l'uso che fa Paolo di questo verbo in l Cor 4,14 e 14,37, dove appare chiaro che egli detta il suo messaggio alla comunità, e che conclude: «Alla luce di que sto fatto indiscutibile è legittimo chiedersi se ho grapsas tauta di Gv 21,24 non voglia semplicemente dire che il Discepolo Prediletto e i suoi ricordi sono ciò che sta dietro il Vangelo e sono l'occasione della sua stesura. Questa possibilità chiaramente esiste pur ché non diluiamo indebitamente il secondo aspetto. Sarebbe veramente difficile forzare la formula fino a dire che implica qualcos' altro oltre all'asserzione di una responsabi lità morale per ciò che è contenuto nel libro» (TDNT 1,743). Nel linguaggio moderno si potrebbe dire che il Discepolo Prediletto è «l'autore» in quanto conferisce «autore-vo lezza» al Vangelo. Quelli che ritengono che Giovanni 21 non sia altro che un'appendi ce apologetica aggiunta successivamente a un Vangelo già finito, considerano un'in venzione apologetica la rivendicazione del narratore che il Discepolo Prediletto è l'au tore del libro. noi sappiamo: Il «noi» di questa affermazione dev'essere specificato. Alcuni ritengono che si tratti degli anziani della Chiesa di Efeso (Westcott, Gospel 306) oppure della Chie sa alla quale il Discepolo apparteneva senza specificare Efeso (Bultmann, Gospel 717718; Barrett, Gospel 588). Secondo Dodd è un modo per dire «come tutti sanno» o «è ri saputo» («Note on John 21,24» JThS 4 [1954] 212-213); ed è anche possibile che l'auto re abbia semplicemente usato il plurale maiestatico (cf Chapman, «We I, SVTQ 36 (1992) 17-25. FRANZMANN M. e M. KLINGER, «The Call Stories of John l and John 21», SVTQ 36 (1992) 7-16. GAECHI'ER P., «Das dreifache "Weide meine Lammer" », ZKTh 69 (1947) 328-344. GAVENTA B. R., «The Archive of Excess: John 21 and the Problem of Narrative Closure». In R. Alan Culpepper e C. Clifton Black, ed., Exploring the Gospel. In Honor of D. Moody Smith, Westminster John Knox Press, Louisville 1996, 240-251 . HAR1MAN L., «An Attempt at a Text-Centered Exegesis of John 21», StTh 39 (1984) 29-45. HEIL }. P., Blood and Water 151-167. KORTING G., Die esoterische Struktur des fohannesevangeliums, 2 vol., BU 25, Pustet, Regen sburg 1994. LA PoTIERIE l. DE, «Le témom qui demeure: le disciple que Jésus aimait», Bib. 67 (1986) 343-359. LATIKE M., «]oh 20,30f. als Buchschluss», ZNW 78 (1987) 288-292. MINEAR P. S., «The Originai Functions of John 21», JBL 102 (1983) 85-98. MOLONEY F. l., Glory not Dishonor, cap. 8. NEIRYNCK F., «John 21», NTS 36 (1990) 321-336. PESCH R., Der reiche Fischfang. Lk 5,1-11/Jo 21,1-14. Wundergeschichte-Berufungserziihlung Erscheinungsbericht, Kommentare und Beitrage zum Alten und Neuen Testament, Pat mos, Diisseldorf 1969. REIM G., «Johannes 21: Ein Anhang?». In J. K. Elliot, ed., Studies in New Testament Langua
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Indici
INDICE SCRITIURISTICO
Antico Testamento Genesi l
36
1,1 2,2-3 2,7 3,1-24 3,5 4,1-15 7,11 9,5 12,1-9 15,1 17,10 22,1-17 24,10-19 26,24 27,35-36 28--29 28,12 28,16-17 29,1-14 33,19 46,3 48,22 49,11
30 148 467 243 148 243
50 235 242 176 212 243
106
176 49, 54 105, 107
50 50
106 101 176 101 313
Esodo 2,15b-21 3,12 3,14 4,22 12,10 12,22-23 12,46 13,21 14--1 5
106 79 113 243 441, 442 440
441, 442 204 176
15,8 15,24 16,2 16,4 16,7 16,7-8 16,8 16,12 16,15 16,16 16,18 16,19-20 16,21 17,2 17,3 19 19,7-9 19,8 19,10-15 19,11 19,16 19,16-20 19,16-25 19-20 19,20 20,1-26 20,5 20,8 20,8-11 22,7 23,1 23,16 24 24,1-2 24,3 24,7 24,9-11 25,8
82 188 188 184, 185 188 194 172, 189 172 185 172 172 172 172 194 188 63 44
63
48 186 45, 55, 58, 64, 71 386
36 404 170, 186 36 253 148 147, 148 427 224 202 63 170 63 63 349 34
498
29,46 32,11-14 32,30-33 33,13 33,18 33,22 34,6 34,33-35 40,35
I l Va n g e l o d i G i o va n n i .
34 164 164 353 349, 353 34, 202 35 456 34
Levitico
11,44 19,14 20,9 22,33-43 23,34 23,39 23,42-43 24,1-16 24,10-16
410 427 427 219 202 202 203, 273 229 149
249 249 249 304 441, 442 194 253 149
83 105 204 68 231
Deuteronomio 1,16-17 4,29 5,9 5,10 5,15 5,21 6,5-6 7,2-7 7,9 8,3 9,18-29 10,12-13
354 354 229 243 305 202 202 229 224 231, 232 45 173 115 45, 117 162, 232 320 404 243 155 190
Giosuè
Numeri 4,2-3 4,39 8,24-25 9,6-13 9,12 11,4 14,18 15,30-31 21,8-9 21,16-18 21,18 25,11 35,30
11,13 11,22 13,10 14,1 15,11 16,13 16,16 17,2-7 17,4 17,6 18,15 18,15-18 18,15-19 18,18 19,15 29,2-4 32 32,6 32,39 34,5-8
224 217 253 354 148 34 354 176 354 167 164 354
7,19
256
Giudici 21,19 1
202
Samuele
2,6 29,10
155 330
2 Samuele 7,12-16 7,14 15,30-31 17,23 20,22 1
220 49 423 235 300
Re
4,25 8,2 8,11 8,65 19,10 19,14
49 202 34 202 68 68
2 Re 4,42-44 5,7 17,24-42
173 155 105
499
Indici
17,27-31 19,15
115 165
Isaia
2,4 4,5 6,1 6,1-5 6,5 6,9-10 6,10 7,14-17 8,21 9,6-7 10,1 10,25 11,1 11,2 11,4 11,10 14,14 24,18 25,6-8 25,8 26,9 27,2-6 27,12 30,29 33,2 34,2-4 37,20 40,1 40,5 40,7 40,9 40,11 41,4 41,13-14 43,1 43,1-5 43,3 43,10 43,13 44,2 44,3 45,18 46,4 48,12 49,9-10 49,10
155 204 321, 349 317, 321 321 317 320 215 427 362 34 217 220 47, 52 423 227 148 50 58 155 155 366, 369 126 202 155 1 70 165 355 349 82 313 262 235 176 176 176 176 113, 235 235 313 82, 220 113, 235 235 235 262 186
49,18 51,9-10 52,7 52,7-53,17 52,13-53,12 53 53,1 53,9 54,7 54,13 55,6 55,10-11 56,7 57,19 59,21 62,4-5 63,16 64,1 64,7
126 264 362 320 315 52, 411 317, 320 49, 54 217 189 217 186 67 362 82 92 243 50 243
Geremia
1,8 2,2 2,21 3,4 3,15 3,19 13,16 13,17 17,19-27 23,3 23,1-8 23,4-6 23,5 31,9 31,10 51,33
79 58, 92 366, 369 243 262, 266 243 256 262 147 262 262, 265 262, 266 220 243 262 217
Baruc 4,2 5,8-9
231 204
Ezechiele
1,1 8,16 11,19 11,19-20 16,8 16,15 16,33-34
50 205 220 82 92 243 243
500
19,10-11 19,10-14 19,12-14 22,27 23,4 28 30,3 34 34,11-16 34,23-24 36,26-27 37,9-10 37,24 38,12 39,29 45,23 47,1-5 47,1-11 47,3-6 47,8-11 47,9
I l Va n g e l o d i G i o va n n i ·
369 366 369 262, 265 92 148 155 262, 265 262 262, 266 82, 220 467 262 . 219 220 202 203 219 219 219 219
Osea
1,2 1,4 2,19-20 2,21 4,15 5,6 12,10
243 217 58 92 243 217 203
Gioele
2,26 3,1 3,1-2 4,13 Giona
1,12-15
220 220 82 126 300
Michea
2,12 4,3 4,4 4,6-7 5,2 5,3 5,3-5
262 155 49 262 220 262 266
Abacuc
2,14
34
Sofonia
3,3 3,9-10 3,16 3,19 Aggeo
2,6 2,9
262, 265 313 313 262 21 7 362
Zaccaria 2,14 3,10 9,9 9,11 10,2-3 11,4-17 12,10 13,7 13,7-9 14 14,6-8 14,8 14,9 14,12 14,14-36 14,16-19 14,17
34 49 306, 313 313 261, 265 261, 265 442
397, 399 262 203, 219 204 219 205 203 219 219, 248 203, 219
Malachia
3,1 4,5
215 45
Salmi
2,7 2,9 16,10 18,15 18,50 22 22,19 23,1 23,2 29,3 32,2 34,20-21 35,19 41,9 41,10 42/43
49 262 457 82 220 1 74, 443 439, 443 172 172 176 49, 54 441 376 331, 332, 335 331, 332, 335 314, 334, 338, 343
501
Indici
51,5 51,10 56,9 65,8 67,5 68 68,10 68,22 69,4-5 77,18-19 . 77,20 78,24 80,3-4 80,18-19 80,35-37 82,6 85,10 88,37 89,10 93,3-4 94,2 105,7 105,40 113-118 117,21 118,1 118,10 118,25 118,25-26 118,28-29 119 119,105 120-134 131,16b-17
Giobbe 6,24 9,8 12,24 16,2 19,4 22,22 34,14 38,16
257 82 423 176 155 440
67, 72 440 376 177 176 184, 185 220 366, 369 220 276, 279 165 310, 315 176 176 155 155 1 84 203 210 203 213 203, 313 306, 313 205 167 231 204 162, 166
213 176 213 355 213 330 82 176
Proverbi 6,23 7,25 12,26 13,9
321 213 213 213
21,16 28,10
213 213
Qoelet
1 1 ,5 12,9-12 12,11
81 491 262
Daniele 3,25 7,13 11,31 11,31-36 12,1-3
165 160, 215 273 148 295
Neemia 8,13-19 8,14 9,15 13 1
Cronache
30,6-9
202 202 184, 185 105 256
2 Cronache 7,8 30, 1 5-1 9 1
202 304
Maccabei
1,11-13 1,41 1,41-50 1,49 1,56-58 1,59 1,60-64 2,1-4,35 2,24-26 4,46-51 4,52-59 7,42
2 Maccabei 1,9 6,28 7,22-24 9,12 9,28 10,1-4 10,5-8
272 273 273 273 273 273 273 273 68 273 273 427
273 328 295 148 280 273 273
I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
502
10,6 12,44 14,36
273 295 410
Siracide
9,8 16,21 17,1-4 17,11 18,13 24,8 24,10 24,17 24,21 24,27 44,16 45,5
48,1 48,10-11 50,25-26
213 81 402 167, 181 262 34 34 369 186 231 328 167, 181 68, 162 45 102
Tobia
3,3-4
253
Sapienza
1,2 2,24 5,6 9,16-18 12,24 15,11 16,13 16,20 17,4 18,4
353 243 213 82 213 467 155 184 353 231
Nuovo Testamento Matteo
2,23 3,2-3 3,16 5,10 5,20 6,10 6,33 8,5-13 10,1-11,1 10,25
132 46 47, 50 81 228 81 81 140 413 375
11,17 12,38 13,13-15 13,24-30 13,41 13,55 13,57 14,19 14,20 15,1 15,36 16,17-19 16,19 16,21 16,28 17,22 17,23 18,18 19,11-12 19,28 20,18 20,19 21,1-11 21,12-13 21,13 22,35 23,2 23,13-15 24,9 24,15 24,21 24,29 24,29-30 24,39 25,31 25,31-46 26,2 26,6-13 26,24 26,25 26,26 26,26-46 26,31 26,67-68 27,4 27,11 27,19 27,24 27,27-30 27,29
·
391 228 317 126 160 206 132 335 173 228 335 488 467 71 160 89 71 467 240 160 89
71 313 65 67 227 228 228 392 300 392 392 160 160 160 89 88 311 88 88 335 423 339 432 427 430 427 427 432 430
Indici
27,31 27,32 27,37 27,38 27,42 27,48 27,50 27,56 27,61 28,1 28,8 28,8-10 28,9-10 28,11-15 28,16-20
432 442 430 438 430 71 441 458 458 455, 458 451 451 458 451 451
Marco
1,2-3 1,10 1,15 1,16-20 2,2 4,1-9 4,11-12 4,22 4,26-29 6,1-13 6,3 6,4 6,42 6,43 7,8 8,6 8,17-18 8,23 8,38 9,1 9,31 10,2 10,33 11,1-11 11,15-17 11,17 12,18-27 13,11 13,17 13,19 13,24 13,26 14,3-9
46 47, 50 81 48, 53, 482 240 126 317 478 126 413 206 132 335 1 73 467 335 317 259 160 81 88 227 88 313 65 67 295 392 392 392, 393 392 160 311
14,9 14,18 14,21 14,22 14,25 14,27 14,41 14,42-45 14,62 14,65 14,70 15,2 15,9 15,12 15,14 15,16-17 15,18 15,20 15,21 15,26 15,27 15,32 15,32-42 15,34 15,37 15,40 16,1 16,2 16,8 16,12 16,14
503
312 335 88 335 392 397, 399 88 422 160 432 132 430 430 430 427 432 431 432 442
430 438 430 423 399 441 458 455, 458 455 451 487 451, 478
Luca
1,47 3,4-5 3,21 3,22 4,24 4,42 5,1-11 5,21 5,30 6,7 6,12 6,40 7,1-10 7,32 7,36-50 8,2 8,10
128 59 50 47 132 226 48, 53, 482 228 228 228 226 375 140 391 311 458 317
504 8,11 9,1-6 9,2 9,11 9,16 9,17 9,18 9,22 10,1-12 10,25 11,1 11,30 11,53 12,8 12,40 13,33-34 15,2 17,21 17,22 17,24 17,26 17,30 18,8 18,32 18,33 19,29-38 19,42 19,45-46 19,46 21,36 21,37 21,38 21,37-38 21,38 22,39-46 22,21 22,22 22,40-46 22,63-64 23,2 23,3 23,13-16 23,22 23,26 23,27 23,39-43 23,46 23,49 23,55-56 24,1
I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
37 413 81 81 335 173 226 71 413 227 226 160 228 160 160 132 228 81 160 160 160 160 160 88 71 313 317 66 67 160 228 228 226 226 226 335 88 423 432 430 430 427 427 442
391, 430 438 441 458 458 455
24,1-9 24,7 24,10 24,10-11 24,12 24,13-35 24,19-24 24,24 24,28-32 24,36-38 24,37-43 24,38-39 24,41-43 24,44-49 24,46
458 71, 88
455 451, 458 451 479 451 451 482 479 451 466 482 19, 451 71
Atti
1,20 2,1-13 2,18 5,31 6,13 10,36 13,5 13,23 14,22 21,28 23,8 28,26-27
71 19 392 128 300 362 37 128 392 300 295 317
Romani 6,3 10,16 11,8 11,9 11,10 14,17
327 317 317 71 317 81, 362
1 Corinzi 4,14 7,26 10,11 11,23 14,37 15,4
490 392 392 335 490 71
2 Corinzi 4,17 11,2
392 92
505
Indici Galati 1,4
88
Efesini 1,23 5,25-27 5,31-32
312 92 92
405 405 128
1 Tessalonicesi 2,13 2
37
Tessalonicesi
2,3 2,8-9
408, 424 408, 424
2 Timoteo 1,12 1,18 2,9
298 392
1 Giovanni 2,1 2,13-14 2,14 2,18 2,19
7 10-11 12
351 411 479 4, 479 4, 12, 394
4 5 5
3 Giovanni 5 3 5 5-6 9-10 4 lO 5 10-11 5
Apocalisse 392 392 37
Ebrei
5,7 8,10
4 479 411 4 41 128 411
2 Giovanni
Filippesi 2,9 2,9-11 3,20
2,22 3,7 3,12 4,3 4,9 4,14 5,18-19
1,1 1,4 1,9 2,10 4,1 7,14 7,17 9,15 14,5 14,14-16 17,14 21,2 22,8 22,17
l, 7 l, 7 l, 7, 37 392 50 392 52 392 54 126 52 92 l, 7 92
INDICE DEGLI SCRITTI ANTICID
Scritti ebraici
1
Adamo e Eva 25-28
88
Apocalisse di Abramo 31,1-3 2
247
Baruc
2,1-8 4,4 21 29,3 29,8 34 39,7 48,1-24 77 77,11 77,13-16 77,13-17 84-85
88 247 404 215 173 404 369 404 362 268 268 262, 266 404
3 Baruc
88
Pseudo Filone 10,7 11,15 19 28,7-8
1 Enoch 46 48,2-6 71 89,12-27 89,42-44 89,59-70 89,74-76 90,22-25
2 Enoch
203, 204 204 362 204
215 215
88 262, 265 262, 265 262, 265 262, 265 262, 265
88
1 Esdra 9,8
256
4 Esdra
3,14 8,20-36 14
247 404 362
3 Maccabei 2,2
410
4 Maccabei
17,22-23
328
Martirio di Isaia 2,9 3,7-10
88 88
Giubilei 1,19-21 8,19 10,3-6 10,20-22
164, 404 219 404 404
Salmi di Salomone 17,24 17,40
262, 266 262, 266
Testamento di Abramo 8-12 10-15
88
88
Testamento di Giobbe 43,1-17
330, 404, 406
Indici
Testamento di Mosè 329 1,8-9 1,15 329 3,9 329 4,2-6 329 164 11,17 12,7-13 329 Testamento di !sacco 8,6-7 330, 404, 406 Testamento di Giacobbe 8,6-9 330, 404, 406
Testamenti dei Dodici Patriarchi
Testamento di Ruben 1,3-4 329 3,5-8 213 4,1 329 6,9 329 Testamento di Simeone 3,1-2 329 4,7 329 Testamento di Levi 1,2 329 4,1 329 10,1-5 329 14,4 231 14,1-8 329 213 16,1-2 18,1-4 329 Testamento di Giuda 329 14,1 14,8 213 23,1 329 24,1-25,5 329 Testamento di Issacar 4,6 213 6,1-4 329 Testamento di Zabulon 5,1-15 329 5,5 329
Testamento di Dan 2,1 329 213 5,1 329 5,7-8 329 5,7-13 213 6,8-9 Testamento di Neftali 1,2-5 329 213 3,2-3 329 4,1-5 8,1-8 329 329 9,2 . Testamento di Gad 262, 265 1,2-4 213 3,1-4 329 4,1-7 6,1-7 329 Testamento di Aser 5,3-4 213 213 6,1-4 Testamento di Giuseppe 329 17,1-8 329 18,1-4 Testamento di Beniamino 329 3,1-3 213 10,3 Giuseppe Flavio
Antichità Giudaiche 3,161 443 219 3,245 219 3,247 4,194-195 164 162 4,219 224 6,6.3 8,101 202 115 9,288 9,288-290 102 10,184 102 11,297-347 105 14,167 224 15,396-401 279 20,118 101 20,200 380 20,220-221 279
507
508
I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
Guerra giudaica 1,209 224 1,229 304 2,163 295 2,232 101 235 3,375 5,184-185 279 6,290 304
Vita 269
Regola della Comunità (1 QS) 3,1-9 3,13-4,26 4,20-22 5,10 5,13-14 6,15 8,9-10 9,11 9,17
95 82, 213 46 213 95 213 213 45 213
105
Rotolo di rame (3Q15) 11,12
Filone di Alessandria
102
Florilegio (4QFlor) De Cherubim 86-90
151 LeHeratura rabbinica
De Ebrietate IX.42
491
De Posteritate Caini XLill . 144
491
De Vita Mosis 1.8 1.213
491 491
Legum Allegoriae 1.5-6
151
Targumim
Neofiti Gn 15,11
LeHera di Aristea
151
Qumran (Manoscritti del Mar Morto)
Documento di Damasco (CD) 2,13 2,14-15 3,14 3,15 6,2-11 10,10-13 13,7-9
213 182 213 213 203 95 262, 266
Inni di ringraziamento (1 QH) 4,25 15,25
213 213
239
Onkelos Gn 17,16-17 Nm 21,18 Dt 30,11-14
247 204 88
Pseudo Gionata Dt 30,11-14
210
45
88
Targum sui Salmi Sal 68,19
88
Midrashim
Tanl:zuma Bereshit 6,20
247
Tan�uma Shemot 4,19 4,24
181 174
Mekilta su Esodo 2,25 15,26 15,27 16,25 19,10
151 181 204 169, 174 45
Indici
Sifre Numeri 115,1-3 115,5
Qoelet Rabbah 239 239
Sifre Levitico 11 239 Genesi Rabbah 11,5 151 11,10 11,12 28,18 32,10 44,22 44,28 70,1 81,9
151
151 203
111 247 247
220 111
Esodo Rabbah 12,2 18,3 21,3 28, 1
28,1-3 29,9 30,6 30,9 36,3 40,2 41,6-7 43,4 47,5 47,8
239
164 224 198 1 86
181 151 151 231 198 198 198 1 98 198
Numeri Rabbah 2,17-26 243 21
380
Deuteronomio Rabbah 2,36 3, 11 8,3 11,10
198 198
181 198
Samuele Rabbah 32,3
300
Rut Rabbah 4,8
509
223
9,18.2
300
Ecclesiastico Rabbah 204 1,8 174 1,9 7,1
312
Cantico dei Cantici Rabbah 1,3
1,7 1,22
204 204 204
Pesiqta Rabbati 1 98 186
20,4 53,2
Pirqe 'Abot 2,8 3,5 6,2 6,7
167 239 239 167
Pirqe di Rabbi Eliezer 105 35-36
LeHeratura mishnaica
Tosefta Sukkah 3,18
223
Tosefta Ketubot 96 14 Tan�uma 6,32a
471
La Mishnah
Berakot 5,2
295
Sabbat 7,2
147, 255
8,1 10,5 18,3 19,2
255 147 212 212
510
I l Va n g e l o d i G i o va n n i
Seqalim 6,3
Pesal_rim 203
91 a
435 304
37a 108b
Sanhedrin
Pesa1;lim 8,6 9,1
203 206 203 203 203 219 203 203, 248 204 248 204 204, 237, 243, 248
IGNAZIO
295
Clemente 172
4,2
1 72
Efesin i 256 380 186, 295
17,1
312
GIUSTINO
Dialogo con Trifone
Letteratura talmudica
Talmud babilonese
8,4 95,4 110,1 133,6
215 380 215 380
Martirio di Policarpo 13,1
Berakot
380
174 TERTIJLLIANO
Sabbat 89b 147b
1
172 172
Policarpo
203
50b
223
Seri Hi cristiani
212
Middot 2,6
Sukka 55a
34,7
Sanhedrin 6,2 9,6 10,1
491
Talmud di Gerusalemme
162, 232
So ta 9,15
Sopherim 16,8
162
Nedarim 3,11
174
Trattati minori
9,3 9,4
Ketubot 2,9
105b
Didaché
Ro§ Ha§ Sana 3,1
219 247
Jjullin
Sukka 1-2 2,8-9 3,2-10 3,3-9 4,5 4,8 4,9 4,9-10 5,1-4 5,2-4 5,3 5,4
436
186 174
De Spectaculis 461 30
511
Indici
CIPRIANO
Scritti gnostici
De Unitate Ecclesiae 7
443
LETIERATIJRA ERMETICA
Poimandres CLEMENTE DI ALESSANDRIA
404
Corpus Hermeticum
Paedagogus 2,8
I,31-32
312
XIII,21-22
404
LETIERATURA MANDEA
ORIGENE
Libro di Giovanni
In Johannem 115
13,8
236-239
404
Liturgia mandea
EUSEBIO
Historia Ecclesiatica ·
6, 14.7
58,9-20 114,4-5
404 33
11 Scritti non cristiani
CIRILLO DI ALESSANDRIA
In Joannis Evangelium X1,8
411
PLINIO
Storia naturale 28,7
259
GIOVANNI CRISOSTOMO
In foannem Homeliae 85,4
456
SVETONIO
Vita dei Cesari 8, 7.2-3
GIROLAMO
Commentarium in Ezekielem XIV,47
480
13
471
Storia
In Iohannis Evangelium 96 130, 136 227 443
De Civitate Dei V,15
Domiziano
TACITO
AGOSTINO 13,12 15,33 33,5 118,4
259
380
4,81
259
DIONE CASSIO 13 471
INDICE DEGLI AtiTORI
Aarde A. G. van, 347, 363 Abrahams l., 67 Agourides S., 419 Alter R., 61 Appold M., 404, 411, 419 Arens E., 40 Ashton J., 5, 10, 24, 41, 146, 158, 160, 182, 209, 216, 321 Atal D., 241, 249 Aubineau M., 443, 448 Auwers J.-M., 448 Baldensperger W., 98 Bali D. M., 24, 333, 423 Balzac H. de, 18 Bammel E., 280, 300, 329, 340, 362, 394, 435, 437, 448 Bampfylde G., 444, 448 Barker M., 301 Barrera J. T., 95 Barrett C. K., Xl, l, 23, 24, 31, 41, 51, 54, 58, 70, 72, 73, 74, 75, 81, 85, 87, 92, 95, 97, 102, 105, 107, 115, 116, 117, 118, 124, 130, 139, 141, 149, 158, 166, 168, 177, 1 79, 182, 183, 184, 185, 187, 191, 195, 196, 200, 201, 208, 209, 212, 213, 215, 217, 222, 225, 238, 244, 245, 247, 248, 265, 269, 270, 279, 280, 294, 295, 296, 298, 299, 300, 301, 311, 313, 315, 324, 339, 347, 348, 354, 355, 356, 362, 363, 369, 379, 389, 394, 399, 405, 411, 419, 423, 428, 429, 442, 455, 459, 460, 462, 466, 467, 471, 479, 481, 482, 483, 488, 490 Barrosse T., 55 Bassler J. M., 89 Bauer W., 11, 23, 62, 74, 76, 87, 97, 107, 116, 124, 126, 138, 139, 140, 149, 150,
173, 175, 179, 200, 222, 241, 245, 249, 280, 294, 299, 300, 312, 314, 315, 339, 349, 355, 370, 379, 390, 392, 422, 453, 455, 467, 471 Baum-Bodenbender R., 435, 436, 448 Beardslee W. A., 316 Beasley-Murray G. R., 23, 67� 85, 106, 116, 139, 159, 1 74, 222, 258, 295, 296, 298, 300, 355, 388, 411, 419, 434, 437, 442, 445, 466, 477, 479, 480, 482, 483, 486, 488 Beck D. R., 149, 152, 260 Becker H., 75, 76 . Becker J., XI, l , 11, 23, 75, 76, 95, 118, 125, 139, 149, 1 66, 170, 177, 245, 269, 294, 296, 300, 312, 320, 329, 340, 348, 349, 369, 379, 412, 420, 424, 436, 443, 445, 466 Becker U., 225, 226, 230 Beetham F. G., 444, 448 Beetham P. A., 444, 448 Behler G.-M., 340, 363 Belle G. van, 23, 140, 142 Berger K., 269 Bergmeier R., 444, 448 Bemard J., 151, 152, 159, 167, 168 Bemard J. H., 23, 39, 71, 75, 76, 85, 86, 105, 107, 115, 124, 126, 130, 139, 158, 166, 177, 188, 195, 206, 222, 238, 242, 244, 249, 293, 320, 348, 362, 370, 379, 388, 390, 394, 399, 401, 405, 429, 456, 461, 462, 467, 489, 490 Bertels T. M., 445, 448 Betz 0., 116, 118, 355, 363, 390 Beutler J., 24, 166, 168, 268, 271, 301, 313, 314, 315, 316, 331, 338, 340, 342, 347, 348, 354, 363 Bienaimé G., 202, 204, 223, 250
Indici
Birdsalt J. N., 279, 280
Bishop E. F., 270, 271 Bishop J., 78, 89 Bittner W. J., 24, 52, 64, 140, 141, 174, 216 Black M., 269 Blank J., 24, 87, 89, 159, 225, 229, 230, 314, 321, 322, 389, 436, 448 Blanquart F., 455, 461, 466, 470, 471 Bligh J., 108, 423, 448, 494 Boer �. de, 24, 330, 339, 340, 348, 380, 444 Boers H., 108, 117, 121, 129 Boguslazwski S., 443, 448 Boismard M.-E., 2, 7, 23, 44, 53, 55, 64, 75, 76, 85, 91, 96, 97, 98, 104, 115, 139, 140, 142, 149, 222, 250, 322, 476, 483, 495 Bokser B. M., 67, 73 Borgen P., 38, 42, 177, 180, 183, 184, 185, 188, 190, 196, 201, 321, 322, 349 Borig R., 366, 369, 380 Bomkamm G., 196, 200, 296 Bowman J., 117, 118 Braun F.-M., 52, 106, 108 Brawley R. L., 444, 448 Bream H. N., 399, 400 Breck }., 477, 493, 495 Briend J., 105, 108 Brodie T. L., 2, 23, 167, 209, 238, 241, 249, 295, 296, 297, 312, 321, 363, 394, 424, 437, 442, 457, 477 Brown R. E., XI, l, 3, 5, 11, 23, 24, 41, 52, 54, 64, 70, 71, 72, 75, 85, 87, 88, 94, 96, 97, 116, 117, 126, 130, 132, 139, 149, 158, 166, 1 70, 174, 177, 182, 183, 185, 188, 191, 195, 200, 201 , 222, 223, 225, 233, 241, 249, 259, 269, 270, 271 , 279, 280, 283, 294, 295, 296, 297, 298, 301, 312, 313, 314, 320, 322, 323, 339, 349, 355, 356, 362, 363, 368, 369, 379, 380, 386, 388, 390, 391, 394, 396, 399, 401, 405, 419, 423, 427, 428, 429, 431, 434, 435, 436, 437, 438, 442, 443, 445, 447, 448, 455, 456, 457, 460, 467, 470, 471, 475, 476, 477, 479, 481, 482, 483, 485, 488, 489, 490, 493, 495 Bruns J. E., 312, 316, 363 Biichsel F., 389 Biihner }.-A., 24, 160, 188, 279, 349 Bultmann R., Xl, 4, 11, 23, 24, 61, 62, 63, 72, 75, 76, 86, 87, 94, 96, 116, 117, 125, 130, 142, 152, 160, 166, 187, 222, 237,
513
238, 239, 241, 245, 266,. ·271, 291, 296, 298, 299, 347, 348, 349, 362, 372, 388, 389, 405, 411, 419, 426, 429, 431, 436, 445, 455, 457, 466, 489, 490 Burge G. M., 25, 55, 355, 461, 467 Bussche H. van den, 23, 72, 118, 195, 388, 401, 471 Busse U., 268, 269, 271, 279, 477, 495 Byrne B., XII, 49, 283, 294, 297, 298, 301, 456, 470, 471, 474
295, 369, 428, 485,
321,
299,
Cagliari F. da, 388, 400 Cahill P. J., 108 Campbell R. J., 73 Campenhausen H. von, 461, 471 Cancian D., 339, 340 Carmichael C. M., 106, 108 Carroll J. T., 161 Carson D. A., 8, 23, 241, 249, 279, 296, 312, 349, 363, 369, 380, 388, 389, 394, 400, 406, 455, 461 , 475, 477, 482, 483, 488, 490, 494 Carter W., 41 Cassero N. H., 38, 41 Cassidy R. J., 25, 380, 471 Casurella A., 356 Cavalletti S., 249, 250 Cavallin H. C., 295, 301 Chance J. K., 64 Chapman J., 490 Charlesworth J. H., XV, 25, 53, 329, 428 Chatman S., 18 Chenderlin F., 143, 152 Cilia L., 300, 301, 315 Collins M. S., 64 Collins R. F., 25, 64, 340, 372, 443, 448 Cortès E., 329, 340, 369, 372 Cory C., 207, 214, 215, 223, 224, 233, 234, 238, 250 Cosgrove C. H., 89 Cross F. M., 105, 108 Crossan J. D., 170, 175 Cullmann 0., 25, 63, 65, 72, 106, 115, 118, 126, 483, 495 Culpepper R. A., 7, 12, 13, 25, 30, 42, 151 , 152, 297, 326, 328, 330, 331, 340, 406, 422, 491, 493 ·
514
I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
D'Angelo M . R., 462,·471 Dagonet P., 106, 108, 115 Dahl N. A., 161 Daniélou J., 411, 420 Daube D., 106, 108, 174, 175, 182 Dauer A., 428, 435, 436, 437, 440, 442, 444, 448, 451 Davies W. D., 10, 149, 152, 379, 380 Delebecque E., 23, 41, 330, 348, 363, 411, 461, 477, 495 Delling G., 40 Delorme J., 411, 420 Derrett J. D. M., 62, 65, 70, 73, 229, 230 Dettwiler A., 323, 329, 340, 348, 349, 355, 357, 362, 363, 372, 373, 380, 388, 389, 390, 394, 399, 400, 418 Dewailly L.- M., 436, 448 Dewey K., 49 Dexinger F., 117, 118 Diaz J. R., 105, 108 Dietzfelbinger C., 349, 363, 390, 391, 400 Dinechin O. de, 271 Dodd C. H., Xl, 3, 4, 25, 64, 67, 72, 85, 89, 96, 104, 139, 140, 151, 158, 167, 174, 222, 241 , 242, 250, 269, 296, 299, 300, 301 , 314, 315, 321, 338, 363, 373, 388, 399, 404, 406, 467, 483, 490 Domeris W. R., 201 Duke P. D., 25, 63, 87, 106, 237, 300, 399, 436, 437, 448 Dunn J. D. G., 330, 331, 340 Dupont L., 471 Duprez A., 149, 150, 152 Edwards M. J , 249, 250 Edwards R. B., 40, 42 Ehrman B. D., 230, 434, 448 Ellis P. F., 23, 159, 477, 494, 495 Emerton J. A., 467, 471 Eslinger L., 106, 108 Evans C. A., 320, 321 Evans C. F., 453, 471 .
Fanner W. R., 313, 316 Fee G. D., 149, 152, 475 Fennema D. A., 42 Ferraro G., 152, 338, 340 Feuillet A., 139, 142, 177, 270, 271, 411, 420, 461, 472 Fischer G., 347, 348, 363
Fish S., 15 Forestell J. T., 25, 52, 315, 320, 412 Fortna R. T., 25, 54, 62, 64, 75, 76, 142, 268, 271 Fowler R. M., 253, 437 Franzmann M., 494, 495 Freed E. D., 46, 55, 116, 117, 118, 141, 142, 237, 250 Friedrich G., 106, 108 Fuller R. H., 472 Gaechter P., 495 Gaeta G., 85, 86, 89 Garcfa Martinez F., XV, 95, 98 Gardner-Smith P., 2 Gartner G., 182, 196 Gaventa B. R., 493, 495 Geiger G., 185, 196 Genette G., 74 Genuyt F., 437, 448 Geoltrain P., 65 Ghiberti G., 451, 472 Giblin C. H., 62, 65, 134, 142, 176, 177, 208, 250, 284, 319, 322, 422, 429, 432, 435, 436, 448 Glasson T. F., 423, 448 Gnilka J ., 23, 63, 64, 75, 76, 142, 296 Goedt M. de, 443, 449 Goodman P., 203, 250 Gourgues M., 196, 260, 443, 444 Grasser E., 245, 250 Grassi J. A., 65 Greeven H., 116, 118 Grelot P., 223, 250, 330, 340 Grimm W., 299, 300, 301 Grob F., 182, 196 Grossouw W. K., 330, 340 Grundmann W., 299, 301 Guilding A., 25, 144 Gundry R., 347, 363 Haacker K., 116, 118 Haenchen E., l , 23, 25, 75, 76, 105, 106, 116, 117, 118, 140, 141, 160, 213, 222, 260, 296, 321, 339, 356, 363, 379, 437 Hahn F., 25, 49, 54, 55, 76, 116, 119 Hall B. W., 115, 116, 117, 119 Hanhart K., 142 Hare D. R. A., 25, 160, 183, 196 Harrington D. J., 204
515
Indici
Hart H., 313, 3"16 Hartman L., 477, 492, 494 Hartmann G., 451, 472 Harvey A. E., 152, 166, 280 Hasel G. F., 151, 152 Hatina T. R., 462, 472 Hauck F., 311 Hayward C. T. R., 42 Heil J. P., 177, 225, 228, 230, 422, 424, 429, 434, 436, 442, 443, 444, 449, 466, 467, 470, 472, 483, 494, 495 Heise J., 369, 370, 380 Heitmiiller W., 363, 411 Hemelsoet B., 448, 449 Hengel M., 6, 25, 268 Hiers R. H., 73 Hodges Z. C., 76 Hofius 0., 42, 271 Hollenbach B., 321, 322 Holleran J. W., 260 Holst R., 312, 316 Hooker M. D., 42, 46, 55, 96 Horsley R. A., 175 Horst P. W. van der, 10 Hoskyns E. C., XI, 23, 58, 68, 139, 158, 167, 195, 200, 222, 234, 235, 242, 249, 299, 312, 348, 349, 359, 363, 373, 380, 388, 390, 394, 401, 411, 423, 426, 44 1, 443, 444, 461 , 477, 479, 489, 490, 494 Hudry-Clergeon C., 109, 130 Hultgren A. J., 330, 340 lbuki Y., 97, 98 Infante R., 96, 98 Iser W., 293, 323 Janssens de Varebeke A., 435, 449 Jaubert A., 105, 109, 369, 380, 420 Jeremias J., 74, 105, 109, 149, 153, 167, 168, 191, 196, 241, 259, 271 Johannsson N., 355, 363 Johnston E. D., 174, 175 Johnston G., 355, 363, 390 Jonge M. de, 25,-89, 315, 316 Joubert H. L. N., 201 Judge P. J., 470, 472 Kaefer J., 341 Karris R. J., 316 Kasemann E., 4, 25, 42, 329, 405, 412, 420
Kiefer 0., 270, 271 Kieffer R., 25, 477, 594 Kilmartin E. J., 196 Kilpatrick G. D., 141, 142 Kittel G., 55 Kitzberger I.-R., 455, 460, 461, 472 Klaiber W., 97, 98 Kleinknecht K. T., 341 Kleist J. A., 312, 316 Klinger M., 477, 494 Knoppler T., 25, 330, 373, 412, 428 Koester C. R., 25, 49, 55, 70, 73, 330, 331, 420, 426, 443, 447 Korteweg T., 217, 250 Korting G., 477, 494, 495 Kossen H. B., 316 Kovacs J. L., 362, 363 Kragerud A., 457, 472 Kremer J., 283, 294, 295, 296, 298, 301, 390, 400
Krieger N., 94, 98 Kuhn H.-J., 55 Kiihne W., 312, 316 Kurz W. S., 329, 341, 363, 372, 418 Kysar R., 23, 25, 75, 89, 177, 218, 270, 271, 279, 339, 411, 442, 444
La Potterie l. de, 27, 39, 40, 42, 54, 76, 86, 89, 116, 119, 233, 241, 269, 271, 307, 313, 316, 348, 351, 355, 361, 384, 389, 390, 410, 411, 412, 420, 429, 435, 436, 437, 443, 444, 449, 456, 457, 467, 472, 489, 490, 495 Lacan M.- F., 42 Lagrange M.-J., Xl, 23, 62, 63, 71, 86, 117, 124, 126, 130, 139, 140, 179, 195, 200, 244, 249, 294, 295, 296, 298, 300, 315, 321, 339, 370, 379, 388, 389, 405, 411, 435, 457, 462, 477, 483 Lamouille A., 2, 23, 76, 85, 97, 104, 139, 140, 142, 149 Lash c., 471 Lategan B. C., 241, 250 Lattke M., 476, 495 Laurentin A., 420 Lauterbach J., 51 Lee D. A., 26, 174, 195, 296, 304, 456, 460, 461, 470, 472, 477 Lee G. M., 373, 380 Légasse S., 95, 98
516
I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
Leidig E., 105, 109, 116, 117 Lenglet A., 107, 109, 124 Lentzen-Deis F.-L., 52 Léon-Dufour X., 23, 26, 44, 45, 105, 107, 108, 126, 130, 160, 177, 179, 191, 222, 224, 238, 269, 270, 294, 301, 314, 316, 321, 354, 363, 370, 373, 379, 389, 405, 466, 467, 470, 472 Léonard J. M., 174, 175 Leroy H., 26, 86, 108, 125, 185, 194, 237 Levesque G., 471 Lieu J. M., 26, 320, 322, 379, 380 Lightfoot R. H., 24, 86, 108, 111, 135, 139, 151, 213, 222, 241, 295, 298, 305, 369, 379, 401, 437 Lindars B., l, 24, 71, 75, 89, 106, 118, 126, 135, 139, 140, 151, 158, 167, 183, 196, 222, 223, 241, 242, 245, 250, 258, 259, 269, 274, 279, 280, 293, 296, 298, 301, 312, 314, 321, 322, 339, 348, 379, 380, 389, 390, 399, 400, 411, 445, 451, 461, 472 Loader VV., 26, 9� 322 Loisy A., 24, 105, 115, 139, 141, 160, 312, 401, 437, 471 Lombard H. A., 341 Longenecker B. VV., 443, 449 Lorenzen T., 451, 472 Li.idemann G., 451, 472 Maccini R. G., 26, 443, 452, 455, 460, 461 Macgregor G. H. C., 24, 336 Macrae G. VV., 250 Mahoney R., 451, 456, 472, 483 Malatesta A., 420 Manns F., 26, 183, 184, 185, 213, 223, 259, 271, 276, 355, 404, 448, 467 Marchadour A., 283, 294, 295, 296 Marsh J., 24, 139, 149, 296, 348, 379, 390, 461 Martin J. P., 296, 301 Martyn ]. L., 2, 10, 11, 26, 63, 94, 224, 252, 259, 355, 379, 380 Marzotto D., 404, 405, 411, 420, 483 Mastin B. A., 471, 472 Matsunaga K., 142 Maynard A. H., 62, 65 McCaffrey ]., 347, 348, 363 McDonald J., 117, 119 McDonald J. l. H., 226, 228, 229, 230
McNeil B., 296, 301 Mead A. H., 140, 142 Meeks W. A., 26, 153, 167, 216, 435, 436, 437 Mehlmann J . , 224, 250 Meier J. P., 245 Menard J. E., 250 Menken M. ]. J., 26, 153, 182, 185, 191, 195, 196, 200, 268, 313, 332, 379, 444, 445 Merode M. de, 319, 322 Metzger B. M., 149, 225, 339, 349, 411, 475 Michaels J. R., 212, 250 Michaud J .-P., 65 Michel M., 86, 89 Migliasso S., 342, 356, 363 Miller E. L., 37, 42, 238, 250 Minear P., 472, 477, 494, 495 Mlakuzhyil G., 26, 159, 450 Molla t D., 452, 462, 466, 467, 472 Moloney F. J ., 13, 24, 26, 42, 44, 50, 55, 65, 73, 76, 88, 89, 96, 97, 98, 109, 117, 119, 127, 131, 149, 153, 158, 159, 161, 168, 169, 170, 175, 178, 179, 183, 185, 191, 195, 196, 200, 201, 230, 234, 237, 238, 241, 250, 260, 271, 280, 297, 298, 302, 308, 312, 313, 315, 316, 320, 330, 333, 336, 339, 340, 341, 356, 362, 363, 380, 389, 394, 399, 400, 410, 413, 420, 428, 432, 435, 436, 440, 443, 444, 449, 450, 455, 460, 472, 495 Montgomery J. A., 115, 119 Moo D. J., 443 Morchen R., 315, 316 Morgan-Wynne J. E., 238, 250, 355, 363 Morgenstem J., 151, 153 Morris L., 8, 24, 270, 369, 477, 490, 494 Moule C. F. D., 174, 175, 296, 302 Moulton H. K., 70 Mowinckel S., 215 Miiller K., 260 Miiller M., 259, 260 Mi.iller U. B., 355, 356, 362, 363, 389 Murphy-O'Connor J., 92, 95, 98, 126 Neirynck F., 2, 53, 73, 140, 142, 179, 493, 495 Neugebauer F., 348, 394 Neugebauer J., 166, 168, 341 Neusner J., 96
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Indici
Neyrey J. H., 26, 54, 55, 85, 89, 105, 109, 117, 234, 241, 250, 296, 472 Niccaci A., 126, 127, 341, 363, 372, 380 Nicholson G. C., 26, 315, 456 Nicol W., 75, 76 Niemand C., 331, 341 Nisin A., 178 Nodet E., 273, 278, 280 O'Day G. R., 26, 103, 106, 107, 109, 114, 118, 119, 124, 127, 131, 333, 341, 356, 399, 400, 418 Obermann A., 26, 185, 191, 195, 223, 332, 376, 379, 443, 444, 445, 457, 475 Odeberg H., 26, 195 Okure T., 103, 105, 106, 109, 112, 115, 117, 118, 119, 125, 126, 127, 130, 131, 460, 461, 472, 477, 494 Oliver W. H., 341, 347, 363 Olsson B., 55, 60, 62, 63, 64, 65, 105, 106, 107, 108, 109, 119, 124, 125, 126, 127, 131 ()nuki T., 26, 86, 372, 379, 391 Osbome B., 299, 302, 456, 472 Pagels E. H., 6 Painter J., l, 5, 11, 12, 26, 109, 153, 161, 167, 168, 174, 185, 190, 216, 269, 301, 341 Panackel C., 436, 449 Pancaro S., 26, 54, 64, 150, 153, 167, 168, 209, 211, 213, 221, 224, 233, 234, 250, 300, 302, 389, 428, 429, 435, 436, 445 Panimolle S., 42 Patte D., 86, 89 Pazdan M., 109 Perkins P., 105, 472 Perry J. M., 171, 175, 177 Pesch R., 482, 495 Petersen N. R., 27 Phillips G. A., 182, 196 Pickering S. R., 225, 230, 250 Pinto da Silva A., 250 Pollard T. E., 19, 27, 279 Porsch F., 27, 245, 250, 363, 389, 390, 444 Porter C. L., 260 Potin J., 51 Preisker H., 38, 42 Prete B., 312, 316 Pryor J. W., 39, 42, 139, 142 Purvis J. D., 117, 119
Quast K., 27, 428, 429, 449 Rad G. von, 55 Rahner H., 250 Rajak T., 269 Randall J. F., 329, 341, 420 Rankin O. S., 278, 280 Reim G., 27, 75, 76, 139, 142, 245, 250, 259� 260, 495 Reinhartz A., 27, 259, 271 Reiser W. E., 299, 302, 456, 472 Rengstorf K.-H., 426 Rensberger D., 27, 78, 86, 260, 331, 435, 448 Richter G., 75, 76, 323, 341, 444, 449 Riedl J., 237, 238, 251, 315 Riesenfeld H., 476 Rigaux B., 405, 419, 420, 461, 466, 472 Riley G. J , 451, 470, 472 Ritt H., 405, 420 Roberge M., 178, 179, 182, 195, 196 Robert R., 41, 42, 209, 241, 251 Robinson B. P., 141, 142 Robinson J. A. T., 3, 8, 11, 27, 127, 146, 150, 153, 269, 271, 300, 331, 341, 475, 476, 477, 490, 494, 495 Rochais G., 294, 296, 297, 298, 302 Rodriguez Ruiz M., 27, 349, 419, 483 Rose M., 411 Rossetto G., 86, 90 Roustang F., 108, 109 Rowland C. C., 55 Ruckstuhl E., 476, 477, 483, 495 Rudolph K., 40 .
Sabugal S., 27, 117, 239, 251, 260 Sanday W., 490 Sandvik B., 373, 380 Saxby H., 44, 55 Schaefer P., 300 Schaefer K., 251 Schalit A., 140, 143 Schenke L., 27, 55, 179, 182, 196, 200, 201, 202, 209, 241, 251 Schlier H., 394 Schnackenburg R., l, 11, 24, 39, 40, 44, 53, 54, 64, 68, 72, 74, 75, 86, 95, 97, 98, 107, 108, 111, 114, 115, 117, 119, 125, 126, 130, 135, 139, 140, 141, 142, 149, 150, 1� 1� 1� 1� 1� 1� 1� 1�
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I l Va n g e l o d i G i o v a n n i
184, 187, 215, 222, 223, 224, 225, 226, 229, 234, 245, 249, 258, 271, 293, 294, 295, 296, 297, 299, 309, 314, 315, 320, 321, 322, 330, 331, 339, 340, 349, 355, 356, 361, 362, 370, 372, 388, 394, 404, 411, 412, 419, 420, 423, 428, 436, 442, 443, 445, 447, 455, 475, 488, 489, 490 Schneider G., 52 Schneider J., 269, 271, 341, 347, 428 Schneiders S. M., 12, 109, 295, 296, 297, 302, 332, 341, 456, 461, 472, 477, 483, 494, 495 Schnelle U., 12, 27, 76, 77, 174, 179, 185, 195, 201, 270, 296, 341, 363, 475, 494 Schrenk G., 490 Schuchard B. G., 27, 185, 191, 195, 313, 320, 332, 379, 443, 445 Schulz S., 75, 77 Schiirmann H., 191, 195, 196 Schwarz G., 140, 143 Schweizer E., 28, 140, 143 Scott M., 27, 187, 233, 296, 311 Segalla G., 24, 96, 117, 125, 127, 130, 167, 170, 222, 241, 251, 294, 296, 366, 380, 405, 406, 412 Segovia F. F., 27, 323, 329, 341, 348, 349, 354, 364, 365, 369, 370, 372, 379, 380, 391, 394, 399, 400, 477, 494, 496 Seidensticker P., 457, 473 Selms A. van, 96, 198 Senior D., 420, 424, 435, 437, 438, 442, 443, 444, 447, 449 Serra A. M., 51, 55, 63, 65, 443 Shaw A., 483, 496 Siminel P., 460, 473 Simoens Y., 325, 341, 363, 365, 380, 381, 388, 394, 400, 420 Simonis A. J., 269, 270, 271, 436 Smalley S. S., 27, 477, 494 Smith D. M., 5, 27, 75, 77, 320, 322 Smitmans A., 62, 63, 65 Spicq C., 195, 196, 232, 341 Staley J. L., 27, 150, 153, 254, 259, 260, 428, 429, 449, 477, 483, 494 Steiner G., 14 Stemberger G., 27, 89 Stenger W., 201, 202, 389, 400 Stibbe M. W. G., 24, 27, 268, 294, 2%, 302, 315, 321, 391, 405, 422, 424, 428, 436, 437, 438, 444, 461, 477
Stimpfle A., 27, 159, 167, 296, 348, 390, 419, 494 Stowasser J ., 96, 98, 166 Strachan R. H., 28, 86, 312 Strathmann H., 75, 77 Sturch R. L., 143 Suggit }. N., 65, 90, 339, 448, 449 Swetnam J., 241, 251, 444, 449, 467, 473 Sylva D. D., 448, 449 Talbert C. H., 24, 41, 88, 90, 158, 177, 204, 233, 245, 269, 279, 372, 466, 477, 494 Teeple H. M., 75, 77 Tempie S., 75, 77 Theobald M., 38, 39, 42, 64 Thomas J. C., 28, 150, 166, 213, 330, 341 Thompson M. M., 28, 141, 167, 168 Thiising W., 28, 314, 315, 390, 402, 405, 412, 420 Thyen H., 85, 97, 98, 116, 119, 259, 271, 373, 380, 477, 489, 494, 496 Tùborg S. van, 28, 296, 428, 453 Tobin T. H., 42 Tolmie D. F., 341, 372, 477, 494 Topel L. J., 73, 76 Tracy D., 18 Tragan P.-R., 258, 269, 270, 271 Trocmé E., 73 Troger K. W., 28 Trudinger L. P., 55 Tsuchido K., 233, 237, 251, 311, 312, 315, 316 Tufri Vancells J. 0., 241, 242, 251
Unnik W. C. van, 218, 315, 316, 466, 475, 476
VanderKam J. C., 279, 280 Vanhoye A., 65, 159, 160, 161, 166, 168 Vaux R. de, 71 Vellanickal M., 86 Villiers J. L. de, 268, 272 Vorster W. S., 477, 493, 494, 496 Wahlde U. C. von, 28, 51, 75, 77, 167, 168, 279, 280 Walker R., 130, 131 Walker W. 0., 405, 420 Wallace D. B., 228, 230 Watson W. G. E., 126, 127
Indici
Watt J. G. van der, 159, 160, 161, 369, 381 Wegner U., 133, 140, 143 Weiand D. J., 149, 153 Weiss H., 331, 341 Wellhausen J., 74, 77 Wengst K., 28 Wenz H., 471, 473 Westcott B. F., 24, 63, 72, 75, 86, 94, 117, 118, 126, 139, 1 74, 179, 222, 224, 234, 241, 244, 245, 279, 294, 295, 314, 362, 367, 369, 389, 405, 419, 435, 444, 457, 461, 471, 488, 489, 490 Whittaker J., 28, 279, 280 Wiarda T., 489, 496 Wilckens U , 473 Wilcox M., 298, 302 Wilkens W., 75, 77 Wilkinson J., 441, 449 Willemse J., 139, 143 Willmes B., 262, 272 .
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Wilson J., 97, 98 Windisch H., 355, 364, 390 Witherington III B., 24, 95, 98 Witkamp L. T., 150, 153, 171, 174, 175, 177, 444, 449 Woll D. B., 356, 364 Wuellner W., 297, 302 Wyatt N., 461, 473 Yarbro Collins A., 16 Yee G. A., 153, 273, 278 Young F. W., 28, 390
Zaiman J. H., 213, 251
Zappella M., 62, 65 Zeller D., 433, 449 Zimmermann H., 237, 251 Zumstein J., 28, 323, 443, 444, 447, 449, 477, 493, 496