Il Padre Nostro in discussione 9788839934192, 8839934197

Nel Padre nostro chiediamo: «Non abbandonarci alla tentazione». È giusto esprimersi così? Oppure la formulazione tradizi

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Italian Pages 240 [239] Year 2019

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Il Padre Nostro in discussione
 9788839934192, 8839934197

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THOMAS SÒDING (ed.)

IL PADRE NOSTRO IN DISCUSSIONE

� 419

QUERINIANA

Titolo originale: Thomas Soding (ed.),

Fuhre uns nicht in Versuchung. Die Heraus/orderung des Vaterunsers ©

2018 by Verlag Herder GmbH, Freiburg im Breisgau

© 2019 by Editrice Queriniana, Brescia

via Ferri, 75 - 25123 Brescia (Italia/UE) tel. 030 2306925 -fax 030 2306932 e-mail: [email protected]

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissio­ ne, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana.- Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate, nei limiti del15% di ciascun volume, dietro pagamento alla SIAE del com­ penso previsto dall'art. 68, commi 4-5, della Legge n. 633 del22 aprile 1941. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi (www.clearedi.org).

ISBN 978-88-399-3419-2 Traduzione dal tedesco di GIANNI POLETTI

www.queriniana.it Stampato da Mediagraf spa- Noventa Padovana (PD)- www.printbee.it

Premessa all'edizione italiana

In diverse occasioni, papa Francesco ha invitato a riflettere sul significato della sesta domanda del Padre nostro, esortando a evitare interpretazioni che rappre­ sentano fraintendimento della stessa. Molte voci si sono levate, in particolare dopo che il concilio Vaticano II ha aperto la possibilità di esprimere le preghiere liturgiche nelle lingue correnti, per mettere mano a una diversa traduzione della sesta richiesta. Anche in Italia, dopo che la Conferenza episcopale ha messo a disposizione dei cattolici una nuova traduzione della Bibbia nel 2008, ci si è chiesti se non fosse utile uniformare la liturgia alla versione ivi proposta. Nell'assemblea della Conferenza episcopale italiana del novembre 2018, con l'approvazione della traduzio­ ne italiana della terza edizione del Messale Romano, si è accolta la nuova versione della domanda del Padre nostro, che diventerà effettiva dopo l'approvazione della Santa Sede. 5

Va riconosciuto, come lo stesso Francesco ha affer­ mato, che «l'espressione originale greca contenuta nei vangeli è difficile da rendere in maniera esatta, e tutte le traduzioni moderne sono un po' zoppicanti» (udienza generale dell' l maggio 2019) . Ciò non vuol dire che sia intraducibile e neppure significa che la resa tradizionale sia errata; va invece riconosciuto, come mostra già la preoccupazione dei padri della chiesa, che essa può dare adito a interpretazioni fuorvianti. Ciò è documentato fin dal Nuovo Testamento, quando Giacomo esorta i cristiani a non attribuire a Dio un comportamento ri­ provevole (cf Gc 1 , 13 ) . Il problema però non è solo la ricezione di un'affermazione, ma il senso e il peso che ha la "prova-tentazione" nell'esperienza del credente. E a questo interrogativo deve rispondere una seria rifles­ sione esegetica e teologica che aiuti non solo a sgravare Dio di un'eventuale responsabilità, ma soprattutto il cri­ stiano a comprendere come possa affrontare e superare la prova, che in definitiva è quella vissuta da Gesù e dai discepoli di fronte allo scandalo della croce, quando c'è in gioco la decisione definitiva per Dio. Le riflessioni che seguono, lungi dal proporre tra­ duzioni alternative, intendono approfondire proprio questo aspetto, aiutando il credente a pregare con con­ sapevolezza per non ridurre il Padre nostro a formula securizzante (là dove si pensa che non si possa e non si debba formulare una traduzione alternativa) , oppure a un'espressione che appaga la sensibilità contemporanea, rischiando però di far perdere la profondità della pre6 l Premessa all'edizione italiana

ghiera di Gesù, la quale non è un «testo innocuo», ma un'invocazione in cui i cristiani chiedono a Dio di essere preservati dal perdere la loro fiducia nelle promesse di Dio, «perché sentono quanto sia debole la loro forza di resistere nella fede» (c/ J. KNOP, Pregare abbandonati da Dio. Contro la minimizzazione e la banalizzazione del Padre nostro, qui sotto, p. 139) . Brescia, maggio 2019

Flavio Dalla Vecchia

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Prefazione del curatore

Forse nessun'altra questione religiosa ha recentemen­ te tanto agitato l'opinione pubblica in Germania come la corretta versione del Padre nostro. È un buon segno. Il Padre nostro infatti è una questione di cuore, non soltan­ to per le comunità cristiane di base. Nessuna preghiera è recitata così spesso, nessuna collega in modo così stret­ to le confessioni di fede, nessuna si adatta meglio alla tranquillità della propria cameretta e al culto pubblico. È una preghiera di Gesù che è profondamente radicata nell'ebraismo e che può essere riconosciuta dagli ebrei come testimonianza di autentica religiosità. È una pre­ ghiera che non dice una sola parola cattiva sulle altre religioni o sui non credenti; può essere detta in modo vicario anche per coloro che non vogliono pregare o non riescono a farlo, senza per questo omologarli. Il Padre nostro è il vangelo nel vangelo, senza qualsiasi titolo di sovranità. Unisce gli uomini a Dio per il solo fatto che essi dicono con cuore sincero le parole di Gesù; essi in9

fatti vengono cambiati, e con loro è cambiato il mondo, anche solo pregando il Padre nostro. Quello che espri­ mono nella preghiera accade veramente: percepiscono Dio come Padre; il suo nome è santificato, viene il suo regno, è fatta la sua volontà - egli dona il pane, perdona la colpa, non induce in tentazione e libera dal male. Fin dagli inizi però il Padre nostro è stato anche al centro di accalorati dibattiti. Perché "Padre " ? perché l'espressione "Padre nostro " , che risulta strana? perché "santificato" e " regno" e "volontà" ? non è questa triade troppo forte, troppo ferma, troppo alta? che pane deve essere chiesto, considerata la fame nel mondo? perché affermare e ripetere la richiesta di perdono della colpa e di liberazione dal male? non è consentito agli uomini di essere liberi, sicuri e forti? Al centro dei dibattiti attuali c'è la sesta richiesta del Padre nostro: «Non ci indurre in tentazione». Mette in agitazione molti. Papa Francesco ha affermato in un'in­ tervista di trovare troppo dura quest'espressione: «Un padre non fa queste cose». Perciò, come avviene nella lingua spagnola (no nos dejes caer en la tentaci6n) e in portoghese (no nos deixes cair em tentaçao) , recente­ mente anche in francese (et ne nous laisse pas entrer en tentation) , sarebbe meglio dire: " Non farci trovare in tentazione" . Nelle liturgie italiane è stato stabilito di re­ cente che si dica: «E non abbandonarci alla tentazione», cioè si pregherà: « . . . non !asciarmi solo di fronte alla tentazione». In inglese si dice in via sperimentale: «Sal­ vaci dall'ora del giudizio (Save us /rom the time o/ tria/)». lO l Prefazione del curatore

Queste varianti non sono traduzioni del Padre nostro.< Esse girano attorno alla domanda, ma non la colgono appieno. Indubbiamente l'interpretazione letterale, che è scelta anche dalla Vulgata (et ne nos inducds in tentdtionem) e in tedesco da L utero in poi, come pure tradizionalmente in inglese (do not lead us into tempta­ tion) e in polacco (I nie w6dz ' nas na pokuszenie) , non è esente da problemi: Dio induce in tentazione? cos'è la "tentazione" in cui Dio potrebbe o non vorrebbe in­ durre? Già i padri della chiesa hanno combattuto per trovare la risposta. La protesta contro questa domanda si è fatta sentire chiaramente molto prima che il papa dicesse che l'espressione "non va bene" . E il problema non è sminuito dopo che la Conferenza dei vescovi te­ deschi ha dichiarato di rimanere ferma alla nota formu­ lazione per ragioni esegetiche, ecumeniche e teologiche. Tanto più fortemente è interpellata la teologia. Il Pa­ dre nostro è così importante solo perché non è superfi­ ciale, ma scende nel profondo. Può essere sacro per gli uomini soltanto perché li sfida. Il Padre nostro solleva questioni fondamentali della teologia. Che senso ha pregare Dio e chiedergli qualcosa? quanto è vincolante quello che ha insegnato Gesù? come sono normativi per la liturgia i testi biblici? che forza argomentativa possie­ dono le tradizioni culturali e le sintonie ecumeniche? come deve esprimersi la consonanza nella preghiera della chiesa cattolica plurilingue? la Bibbia, la liturgia e la tradizione come parlano della tentazione e del per­ dono? lo stesso Gesù come ha insegnato a pregare ai 11

suoi discepoli? quale immagine di Dio e quale immagine dell'uomo delinea il Padre nostro? come può essere com­ presa nel mondo di oggi la teologia inscritta nel Padre nostro, quanto deve essere cambiata, sviluppata, rinno­ vata? come è riformabile il Padre nostro? Entrano in discussione grazia e libertà, colpa ed espiazione, fiducia e responsabilità. In questo volume, si ascolteranno le voci della teolo­ gia evangelica e cattolica. Sono discussi temi esegetici e storici, sistematici e di teologia pastorale - accurata­ mente non staccati tra loro, ma strettamente intrecciati: Antico e Nuovo Testamento, liturgia e catechesi, dog­ matica e teologia fondamentale. Grazie a tutti, perché senza esitazioni si sono dichiarati disposti a collaborare al progetto. Grazie anche all'editrice Herder e al letto re Stephan We ber per la disponibilità a prendere in mano questo tema scottante mentre è ancora incandescente. Il libro è destinato al dibattito dandogli profondità. Al centro c'è la sfìda di riscoprire un'antica preghiera per gli uomini di oggi che vogliono esprimere la loro fede, il loro amore e la loro speranza. Il Padre nostro è la preghiera di tutte le preghiere. La richiesta relativa alla tentazione è una spina nella carne della religiosità cristiana. Bochum, febbraio 2 0 1 8

12 l Prefazione del curatore

Thomas Soding

Per il cielo Il dibattito sulla sesta richiesta del Padre nostro Thomas Soding

Gesù stesso ha pregato molto. Egli è stato anche un maestro della preghiera. Il Padre· nostro ne è l'esempio migliore. Nella preghiera Gesù, interamente uomo tra gli umani, ha cercato la relazione con Dio. Come ebreo, non solo è andato in pellegrinaggio al Tempio, per pre­ gare; si è anche ritirato nella solitudine, per dedicarsi al dialogo con Dio, suo Padre. Come grande orante, egli è anche una guida che vorrebbe far partecipare le sue discepole e i suoi discepoli alla sua stessa conoscenza, alle sue personali esperienze, alle proprie ispirazioni. Gesù ha insegnato a pregare ai suoi discepoli, donne e uomini, affinché essi a loro volta avessero un orecchio aperto per Dio, del quale devono ascoltare la parola, e affinché essi indirizzassero a Dio una voce con cui pos­ sono esprimere le loro speranze e i loro timori, la loro gioia e preoccupazione1•

1 L'articolo si basa su TH. SòDING, Vaterunser und Versuchung, in Christ in der Gegenwart 59 (20 17) 365s. Nel frattempo, ho ulteriormente ap-

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Il Padre nostro è la preghiera che, secondo i vangeli di Matteo e Luca, Gesù ha insegnato personalmente a pregare (Mt 6,9- 13 ; Le 11 ,1-4 ) . Matteo ha tramandato una versione più lunga, Luca una più breve. In questa preghiera si esprime l'intera tensione della fede biblica: la fiducia in Dio, il "Padre", la conoscenza della santità del suo nome, la speranza nella venuta del suo regno, in Matteo anche l'intimo desiderio che sia fatta la volontà di Dio «come in cielo così in terra», ma anche la richie­ sta del sostentamento quotidiano di coloro che pregano il Padre nostro. La loro preoccupazione per il pane di cui hanno bisogno ogni giorno è sostenuta da Dio, al pari del loro debito, che Dio può rimettere; in Matteo c'è poi la speranza nella liberazione - e in ambedue le versioni c'è anche la consapevolezza di essere indotti in tentazione e di poter essere salvati solamente da Dio2•

profondito l'aspetto importante di una comunità giudaico-cristiana che è evidente anche nella richiesta relativa alla tentazione: MosHE NAvo� THOMAS SùDING, Gemeinsam zu Gott beten. Einejiidisch-christliche Exegese des Vaterunsers, Freiburg i. Br. 2018. 2 Tra i numerosi libri recenti sul Padre nostro vanno segnalati: FLORIA!:\ WILK (ed.), Das Vaterunser in seinen antiken Kontexten (FRLANT 266), Gottingen 2016; KLAUS BERGER, Das Vaterunser. Mit Herz und Verstand beten, Freiburg i. Br. 2014 [trad. it., Il Padre nostro. Pregare con il cuore e con la mente, Queriniana, Brescia 2016] ; GERHARD LOHFI�K, Das Vater­ unser, neu ausgelegt, Stuttgart 2013 [trad . it. , Il Padre nostro. Una nuova spiegazione, Queriniana, Brescia 2009] ; HUBERT FRA�KEMùLLE, Vater un­ ser - Awinu. Das Gebet der Juden und Christen, Paderborn - Leipzig 2012; EDUARD LoHSE, Vater unser. Das Gebet der Christen, Darmstadt 2009 [trad. it. , Padre nostro. La preghiera dei cristiani, Paideia, Brescia 20 13] . -

14 l Per il àelo

Che cosa Gesù ha insegnato per pregare

La richiesta «Non ci indurre in tentazione» fa sorgere grossi interrogativi. Dio induce in tentazione? potrebbe farlo? lo farebbe? Dalla risposta a queste domande si decide molto, forse tutto. Nella lettera di Giacomo si legge: «Nessuno, quando è tentato, dica: " Sono tentato da Dio " ; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno» (Cc l, 13 ) . Queste parole sono in contraddizione con il Padre nostro? oppure sono espressione della convinzio­ ne di fede che la richiesta è esaudita? oppure un segnale che qualcosa in essa non va? Il dibattito sul Padre nostro mette il dito nella piaga. Vale la pena pesare ogni parola con il bilancino. Le tra­ duzioni nelle grandi lingue del mondo divergono. Dio è attivo mentre non fa qualcosa? o stende semplicemente la sua mano protettiva su coloro che sono tentati da altra parte? Il senso del testo greco in Matteo e Luca però è ine­ quivocabile. Il verbo greco (da EÌcrfiJÉpro/ eisphéro) si­ gnifica: portare a, mettere in. Perciò si potrebbe anche scrivere: "non portarci in tentazione" , o "non metterei in tentazione" . In tutti i casi l'effetto sarebbe quello di un agire attivo di Dio. In tedesco il verbo fuhren (con­ durre, guidare) può essere contaminato dopo il periodo nazista; esso si trova però anche in stupende immagini come quella del Sal 23 , dove leggiamo nella traduzione 15

tedesca che il buon pastore conduce chi lo prega a ri­ posare ad acque tranquille (qui nel greco biblico c'è un altro verbo) . Tanto più acuto è i) contrasto tra ciò che è sperato da Dio, e poi felicemente sperimentato, e ciò che Dio potrebbe non compiere secondo la richiesta del Padre nostro. Il verbo greco è all'aoristo forte congiuntivo, che si adatta benissimo a una richiesta. Anche nelle lingue mo­ derne deve essere chiaro: a Dio non viene impartito un ordine; gli viene manifestato un desiderio del cuore, che deriva da un timore ed esprime una speranza. La richie­ sta indica una direzione chiara; in greco è ripetuto due volte eis: a, verso, dentro. Segue l'accusativo; esso non indica un luogo dove accade qualcosa, ma un luogo a cui conduce una via. Questo luogo è la tentazione. Essa è la situazione in cui Dio, al quale si rivolge la richiesta, non dovrebbe mai mettere un uomo. Alcuni, richiamandosi all'aramaico, che è la lingua materna di Gesù, giudicano il greco una traduzione errata3 • Ma è una conclusione sbagliata. A monte del verbo greco potrebbe esserci stato nell'aramaico un causativo4• In teoria si può pensare che nell'aramaico 3 Lo fa anche PINCHAS LAPIDE, Die Bergpredigt: Utopie oder Programm?, nuova edizione, Berlin et al. 2010 [trad. it., Il discorso della montagna. Utopia o programma?, Paideia, Brescia 2003 ]. 4 C/ ERNST }ENNI, Kausativ und Funktionsge/uge. Sprachliche Bemerkun­ gen zur Bitte: " Fuhre uns nicht in Versuchung", in Theologische Zeitschri/t - ThZ 48 ( 1992) 77-88; ipotesi ripresa e sviluppata da MARus GrELEN, " Und fohre uns nicht in Versuchung". Die 6. Vater- Unser-Bitte - eine An/echtung 16 l Per il cielo

non si parlasse, come nel greco, di un' àzione attiva di Dio, dalla quale si chiede a Dio di astenersi, ma di non ammettere qualcosa che si chiede non debba awenire'. A Dio quindi verrebbe chiesto di prowedere che nes­ suno finisca in tentazioné. Il contesto però depone per

/ur das biblische Gottesbild?, in Zeitschri/t /ur die neutestamentlichen Wis­ senscha/t und die Kunde der iilteren Kirche - ZNW 89 ( 1998) 20 1-2 16. 5 Cf ]OACIDM }EREMIAS, Neutestamentliche Theologie, I: Die Verkundi­ gung]esu, Giitersloh 197 1 , 190- 1 96 [trad. it. , Teologia del Nuovo Testamen­ to, 1: La predicazione di Gesù, Paideia, Brescia 1972, 222-233] . 6 Così hanno tradotto la domanda anche Cipriano di Cartagine (Liber de oratione dominica 25 [trad. it. , La preghiera del Signore, in Opusco­ li (Scrittori cristiani dell'Africa romana 6/2 ) , Città Nuova, Roma 2009, 97] ) e Ambrogio (De sacramentis V, 4, 18): «Et ne nos patùiris indùci in temptationem - e non permettere che siamo indotti in tentazione>> [trad. it., Spiegazione del Credo - I sacramenti - I misteri - La pen,itenza, in Tutte le opere di Sant'Ambrogio 17, Biblioteca Ambrosiana - Città Nuova, Mi­ lano - Roma 1982, 1 1 1] . Questa linea è seguita dalla preghiera spagnola, portoghese e - recentemente - dalla francese. Tertulli ano distingue tra la traduzione «ne nos indùcas in tentationem - non ci indurre in tentazione», e il significato «ne nos patiaris indaci - non permettere che vi siamo indot­ ti» (De oratione 8) [trad. it., La preghiera, in Opere catechetiche (Scrittori cristiani dell'Africa romana 2), Città Nuova, Roma 2008, 125] . Agostino differenzia con precisione ancora maggiore: in/eras e indùcas sarebbero versioni attestate dai manoscritti, senza che ci sia una grande differenza di significato; si prega molte volte: «Ne nos patiaris indùci in tentationem non permettere che siamo indotti in tentazione» (De sermone Domini in monte II 4, 15; 9, 30) [trad. it., Discorso del Signore sulla montagna, in Opere di Sant'Agostino X/2, Città Nuova, Roma 1997, 199s. e 2 17 ] . ilario di Poitier preferisce la nuova versione italiana: «Non derelinquas nos in temptatione, quam sufferre non possumus - non abbandonarci nella tenta­ zione, che non possiamo sopportare» [trad. it. , Commento ai Salmi/2 (1 18), Città Nuova, Roma 2006, 27] . La Vetus latina aveva scritto in forma ancora più libera della Vulgata: