Il mondo attuale. Le civiltà europee [Vol. 2] 8806040022


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Il mondo attuale. Le civiltà europee [Vol. 2]
 8806040022

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Volume secondo

Le civiltà europee

Piccola Biblioteca Einaudi

PICCOLA BIBLIOTECA EINAUDI

Geografia. Storia

Titolo originale Le monde actuel © 1963 Librairie classique Eugène Belin, Paris Copyright© 1966 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino Traduzione di Gemma Miani ISBN

88-06-04002-2

FERNAND BRAUDEL

IL MONDO ATTUALE Volume secondo

Piccola Biblioteca Einaudi

Indice

Volume secondo PARTE TERZA

Le civiltà europee

Europa p.357

1.

Il delimitarsi del territorio europeo nei secoli v-xm La libertà o meglio, le libertà (secoli xr-xvm)

357

363 383

11.

III. L'industrializzazione dell'Europa

Le origini della prima rivoluzione industriale La diffusione del fenomeno industriale in Europa e fuori Il socialismo di fronte alla società industriale

427 437 444 454 455

462 470 480 481

Cristianesimo, umanesimo e pensiero scientifico Il cristianesimo L'umanesimo e gli umanisti Il pensiero scientifico prima dell'Ottocento

383 389 418 426

Territorio e libertà

IV.

Le unità dell'Europa Le radiose forme di unità: l'arte e lo spirito Le concrete forme di unità: l'economia Le unità aleatorie: la politica Le principali organizzazioni intergovernamentali europee Poscritto 1966

VI

INDICE

America 1.

Superficie, natura e società: testimonianze di una letteratura La quasi fraternità di fronte al problema razziale L'economia: civiltà alla prova Poscritto 1966

485 494 500

516 519

L'America latina

II. Gli Stati Uniti, America per antonomasia

520 520 5 30 5 34

a) Il passato: bilancio confortante

541

b) Ombre e difficoltà: dal passato recente ai giorni nostri

541

Un vecchio_incubo: la questione negra, ovvero una colonia non sradicabile Il capitalismo: dai trust all'intervento dello stato e agli oligopoli Gli Stati Uniti e il mondo Poscritto 1966

Colonizzazione e indipendenza La conquista del West Industrializzazione e urbanizzazione

546 558 569

L'universo inglese Francia e Inghilterra in Canada L'Africa australe: Olandesi, Inglesi e Negri Australia e Nuova Zelanda, ovvero L'Inghilterra finalmente sola Poscritto 1966

574 577

585 591

Moscovia, Russia, Urss 596

I.

615 615

Dalle origini alla rivoluzione d'ottobre La Russia di Kiev La religione ortodossa La Grande Russia

590 600 604 II.

L'Urss, dal r9r7 ai giorni nostri Da Marx a Lenin

VII

INDICE

Marxismo e civiltà sovietica, oggi Il congresso dell'ottobre 1961 Poscritto r 966

Indice dei nomi

Indice delle cartine nel testo

p. 364-65

20.

401

21.

475 486 487 52 3 580-81

23. 24. 25. 26.

22.

27.

Le invasioni in Europa. Le tre cristianità dell'Europa. L'Europa attuale. Il popolamento dell'America latina. L'origine dei negri dell'America latina. La formazione territoriale degli Stati Uniti. L'universo inglese nei confini fra la prima e la seconda guerra mondiale. Le regioni dei pionieri nell'Urss.

IL MONDO ATTUALE Volume secondo

Parte terza

LE CIVILTÀ EUROPEE

Nello studio della civiltà europea si impone una triplice suddivisione: l'Europa propriamente detta (l'Occidente); le Europe extraeuropee d'oltremare; l'Europa orientale: cioè, una volta, l'Europa ortodossa, oggi, l'Europa sovietica e i suoi prolungamenti. Prima di addentrarci nell'argomento, ci pare utile richiamare alla mente alcune nozioni, per quanto evidenti possano sembrare: 1) che l'Europa è una penisola asiatica, un« piccolo ca-

po d'Asia». Da ciò deriva la sua duplice vocazione: da un lato il collegamento con l'Est, attraverso uno spazio continentale sempre piu vasto, un tempo diflÌciÌè, trasformato in tempi recenti dallo sviluppo delle ferrovie, oggi dalla circolazione aerea; dall'altro il collegamento, in tutte le direzioni, coi sette mari del mondo. L'Europa, per una parte essenziale, è costituita dalle navi, dai convogli e dalle vittorie sull'immensità delle acque salate. Non a torto Pietro il Grande, durante il suo primo viaggio in Europa, nel 1697, si recò a lavorare nei cantieri navali dello straordinario villaggio di Saardam, nei pressi di Amsterdam. Dalla fine del secolo xv in poi, il riversarsi dell'Europa occidentale su tutti i mari del mondo con le grandi scoperte consacra decisamente questa duplice vocazione; 2) che profonde differenze contrappongono l'Est allo Ovest, il Nord al Sud, il Mediterraneo caldo, il Mare I nternum, il Mare Interno del Sud - ai « Medi-

354

LE CIVILTÀ EUROPEE

terranei » freddi del Nord: Manica, mare del Nord, Baltico. Tali differenze, di ogni natura, influiscono sugli uomini, sull'alimentazione, sui bisogni e sulla varia antichità della civiltà del momento. «Istmi» di circolazione privilegiata collegano il Nord al Sud (istmo russo, tedesco, francese), sempre piu stretti mano a mano che ci si avvicina all'Europa occidentale, assottigliata al punto da ricordare a un geografo l'estremità di un imbuto largamente aperto verso lo Est; 3) che i contrasti tra Est e Ovest o tra Nord e Sud dipendono da cause non solo geografiche ma anche storiche. L'Ovest guarda verso Roma, l'Est verso Costantinopoli (Zarigrad). Il gravissimo atto di separazione fu rappresentato, nel secolo IX della nostra era, dal decisivo successo delle evangelizzazioni condotte dai santi Cirillo e Metodio, che modellarono in anticipo il futuro dell'Oriente, cioè quello del mondo ortodosso. Piu tardi si precisò una separazione, questa volta tra Nord e Sud, con la nascita del protestantesimo che, curiosamente, «lacerò» la cristianità seguendo all'incirca la linea dell'antico limes romano.

Europa

Capitolo primo TERRITORIO E LIBERTÀ

Il destino dell'Europa è stato influenzato in maniera determinante dallo sviluppo ostinato di libertà particolari, di franchige, ovverosia privilegi riservati a certi gruppi - ristretti gli uni, piu vasti gli altri. Tali libertà si trovano spesso in contraddizione e si escludono persino a vicenda. Beninteso, queste libertà non furono messe in questione finché l'Europa occidentale non si fu costituita come uno spazio omogeneo e un rifugio sicuro. Senza difesa non c'è ovviamente libertà possibile. Sono due aspetti di un medesimo problema.

Il delimitarsi del territorio europeo nei secoli v-xm. Le cartine che accompagnano le nostre spiegazioni, ci permettono di affrettare il passo e tralasciare la fastidiosa enumerazione di catastrofi e di eventi nel corso dei quali l'estremità occidentale della penisola europea, poco alla volta, si è costituita in un insieme coerente, abbastanza coerente almeno. 1. Lo spazio europeo si è delimitato nel corso di una serie di guerre e di invasioni. Tutto cominciò con lo spezzarsi in due dell'impero romano, divisione consauata, ma non creata, da quella di Teodosio nel 395. Da sempre, o quasi, è esistito un Oriente mediterraneo popoloso, ricco d'una antichissima civiltà, animato da numerose industrie e, dal principio stesso della conquista

LE CIVILTÀ EUROPEE

romana, un Occidente, un Far West se si vuole, rozzo se non incolto, dove Roma, creando le città, ha spesso dato l'avvio a una civiltà, che era la sua o un'immagine deformata di essa. Dopo la divisione (395), la Pars Occidentis, conobbe una serie di catadismi lungo le tre frontiere che la delimitavano: a nord-est sul Reno e sul Danubio; a sud, nel Mediterraneo; e sulle lunghe frontiere« oceaniche», per tanto tempo tranquille, dalla Danimarca a Gibilterra. I pericoli e le reazioni conseguenti, avrebbero delimitato, creato lo spazio europeo. 1) A nord-est, il duplice limes del Reno e del Danubio non resistette alle pressioni dei barbari incalzati dagli Unni: nel 405 la grande offensiva di Radagasio raggiunse l'Italia per concludersi in piena Toscana. Pochi mesi dopo, il 3 r dicembre 406, un'orda di popoli barbarici attraversò il Reno gelato, nei pressi di Magonza, e sommerse le province galliche. La porta sfondata non venne richiusa che dopo la sconfitta degli Unni ai Campi Catalaunici, nel 45 r. In seguito, la ricostruzione fu relativamente rapida. La Gallia merovingia ricostituf la frontiera del Reno che fu ben presto spostata di un gran tratto verso est; i Carolingi la mantennero lontana dal fiume, sottomettendo al loro dominio la Germania intera, spingendosi persino fino ali'« Ungheria » degli A vari. La conversione al cristianesimo, promossa da san Bonifacio, consolidò la grande avanzata verso l'est. Cosf l'Occidente trionfò laddove aveva fallito la prudenza di Augusto e di Tiberio. Da quel momento la Germania divenne il baluardo del mondo occidentale di fronte all'Est asiatico. Fu suo merito aver arrestato a Merseburgo (933) e distrutto ad Augusta ( 9 5 5) i cavalieri ungari. Il sacro romano impero germanico ne trasse la sua ragion d'essere, quando, nel 962, si sostituf all'impero carolingio, stabilito da Carlo Magno a Natale dell'8oo. Libera da ogni minaccia, la frontiera dell'est cominciò allora a germinare e a guadagnare altro terreno verso l'est con la nascita di stati cristiani (Polonia, Ungheria, Boe-

TERRITORIO E LIBERTÀ

359

mia), con la spinta della colonizzazione germanica (secoli x1-xm). Da quel lato, il fronte rimase quasi tranquillo fino alla grande offensiva mongola ( attorno al 1240) che fu miracolosamente bloccata in prossimità della Polonia e dell'Adriatico e fece una sola vittima: la Russia di Kiev. 2) Verso il sud, la frontiera si fece pericolosa dopo i primi successi della conquista musulmana tanto piu che nel Mediterraneo ebbero luogo i «tradimenti» successivi dell'Africa del nord, fino ad allora cristiana, della penisola spagnola in blocco e poi della Sicilia. Il Mediterraneo occidentale divenne, a ovest, un« lago musulmano». La prima reazione efficace venne con la formazione di una cavalleria pesante, che trionferà a Poitiers con Carlo Martello ( 732 ). Quella vittoria portò con sé l'immensa ma breve fortuna dei Carolingi, i cui effetti si fecero sentire al di là del Reno, fino in Sassonia e in Ungheria. Tuttavia contro l'Islam, dotato di forze superiori, la cristianità dovrà impegnarsi in una battaglia difficile e drammatica e creare la sua idea-forza di guerra santa, la crociata. Furono lotte interminabili: la prima crociata non certo la prima battaglia contro l'Islam, ma la prima che fosse collettiva, cosciente, decisa - è del 1095; l'ultima, che non segna neppure essa la fine della lotta, fu la spedizione di san Luigi in Tunisia nel 1270. Quando la riconquista egiziana di San Giovanni d'Acri nel 1291 mise fine alle grandi avventure orientali, l'appello alla crociata continuò in Occidente a tormentare gli spiriti e i cuori con inattese riapparizioni durante i secoli xv e xvi. Ancora nel secolo xvn ci furono dei « solitari della crociata», come li ha definiti lo storico Alphonse Dupront che ha seguito fino al secolo xix le tracce di quella mistica ossessiva, riconoscibile fino nelle avventure coloniali di un passato recente. Le crociate, tra il 1095 e il 1291, costarono effettivamente all'Occidente, allora poco popolato ( 50 milioni di persone), i quattro o cinque milioni di uomini, che risulterebbero da recenti e assai azzardati calcoli statistici? Chi può dirlo? Costituirono comunque il dramma dell'Europa nascente, il suo primo trionfo, quantomeno duplice: cioè la riconquista precaria e provvisoria del Santo Sepol-

LE CIVILTÀ EUROPEE

ero e quella, definitiva, del Mediterraneo trasportatore di ricchezze. Le crociate contribuirono a fissare definitiva~ mente il territorio occidentale sul suo margine meridionale che a lungo rimase il piu importante di tutti, fino alle grandi scoperte marittime dei secoli xv e XVI. 3) Sulla frontiera occidentale e nord occidentale, e fin dentro al Mediterraneo, l'Europa - la cui vocazione marittima fu tardiva ( ad eccezione dei Paesi Bassi, dell'Irlanda e dell'Italia) - fu sorpresa nel corso dei secoli vm, IX e x dalle invasioni normanne. Sorpresa e impotente e perciò tanto piu tormentata da loro. Da quelle invasioni tuttavia trasse alla fine qualche giovamento. Non si tratta di perorare la causa di quei pirati che taglieggiarono l'Europa senza pietà. Come però non ammirare le splendide gesta? Scorrazzate per tutta l'estensione della pianura russa; scoperta dell'America, perduta non appena trovata, perché - come scrisse Henri Pirenne « l'Europa non ne aveva ancora bisogno». Ancora piu indulgenti, nei confronti dei Vichinghi, sono gli storici dell'economia, i quali sostengono che i loro saccheggi di tesori (soprattutto ecclesiastici) rimisero in circolazione una parte dei metalli preziosi rimasti immobilizzati e come addormentati al tempo della recessione economica dell'Occidente sopravvenuta alla caduta di Roma. I Vichinghi, con le loro stesse ruberie, avrebbero dunque funto da distributori di quella moneta, che ridiede l'avvio all'economia occidentale. 2. Per comprendere la prima civiltà europea, è necessario ricordare quelle catastrofi e le « notti » atroci dei secoli IX ex e la primitiva povertà di un'Europa che dovette lottare ogni giorno per sopravvivere. In realtà, priva di larghi sbocchi, ridotta a un'economia di sussistenza, « cittadella assediata o per meglio dire invasa» (Mare Bloch), la povera Europa non poteva allora sostenere il peso di grandi stati, che, appena edificati, crollavano o si deterioravano. Cosi l'impero di Carlo Magno, sorto in breve tempo, crolla poco dopo la morte del gran de imperatore (814). Il sacro impero germanico fu ridotto in breve a un grande edificio in rovina. Allora l'Europa

TERRITORIO E LIBERTÀ

occidentale si frazionò in un gran numero di minuscole signorie. Il regime feudale (da fief = feodum) conservò alcune unità, piu teoriche che reali, all'interno dei vari regni d'Occidente, alcuni dei quali si andarono modernizzando, ma lentissimamente, come il regno di Francia, mentre altri rimasero « molto arcaicizzanti», come il Reich. Tuttavia, quel mondo tormentato, travagliato dal di dentro e dal di fuori, costituiva già una civiltà chiaramente omogenea. Al di sopra delle diversità, bisogna parlare di una « civiltà feudale» ( Lucien Febvre ), alla quale si ponevano, qualsiasi punto del suo spazio prendiamo in considerazione, gli stessi grandi problemi, in condizioni e con soluzioni spesso analoghe. Questa civiltà è nata da molteplici mescolanze etniche ed economiche, da una serie di lotte, da credenze comuni e soprattutto dalle « difficoltà stesse» cui si sforzò di porre rimedio. 3. Il feudalesimo costrui l'Europa. Questa Europa, tra il secolo XI e il xn, raggiunse la prima giovinezza, il primo vigore, all'insegna di una feudalità vivace, cioè di un particolare ordinamento politico, sociale ed economico, fortemente originale, e di una civiltà ormai giunta al secondo o terzo stadio di fermentazione. Ma come definire quella civiltà multicolore? Non c'è feudalità, in Europa o altrove, senza la decomposizione preliminare di un vasto corpo politico. Nel caso nostro, quel corpo politico è il grande impero carolingio, la prima « Europa », il cui nome stesso si impose allora (Europa, vel Regnum Caroli), per scomparire quasi subito con la morte del grande imperatore che un poeta della sua corte salutava pater Europae. Di quel disastro, il feudalesimo fu la conseguenza naturale. Nel momento dello sfacelo del giugno 1940, vi furono ufficiali francesi che si augurarono che ogni unità di base riacquistasse un istante, come per miracolo, l'autonomia e il diritto di agire a suo modo, senza rispettare gli ordini generali che la legavano a un comando supremo sempre meno efficiente e che, senza volerlo, spingeva ogni gruppo verso il riflusso della disfatta. Il regime feudale è nato da ùna reazione analoga, se vogliamo, con la

LE CIVILTÀ EUROPEE

differenza essenziale, tra l'altro, che non nacque da un disastro rapido come quello del 1940; gli occorsero infatti molti secoli per prender piede. Ma la sua natura fu proprio di essere, al tempo stesso, una reazione di difesa e una reazione locale. La fortezza sull'altura, con accanto il villaggio o i villaggi protetti, non è un sistema gratuito, né un lusso, ma uno strumento di difesa. Tuttavia il feudalesimo è altro ancora: una società fondata sulle relazioni da uomo a uomo, su una catena di dipendenze; una economia in cui la terra è non il solo ma il piu frequente mezzo di pagamento dei servizi. Cosi un signore riceve dal re, suo sovrano, o da un signore di piu alto rango, un feudo, una signoria, a patto di fornirgli una serie di servizi, tra i quali « il sussidio (aide) nei quattro casi »: 1) bisogna pagare per il riscatto del signore; 2) in occasione della vestizione (cavalleresca) del figlio maggiore; 3) in occasione del matrimonio della figlia maggiore; 4) quando il signore parte per la crociata. Allo stesso modo il signore cede, a sua volta, parti o elementi della signoria ad altri signori di grado inferiore o a contadini. A questi ultimi concede una terra (detta dipendenza, censiva o tenement ), che ogni contadino ridurrà a coltura contro il pagamento di un canone in denaro ( il censo) o la corresponsione di una quota parte del raccolto ( decima o campa tico) o di prestazioni in lavoro (corvées). AI signore toccherà in cambio difenderlo e proteggerlo. A una simile piramide sociale, con gli obblighi, le regole, i rapporti di fedeltà suoi propri; a una simile mobilitazione di forze, l'Occidente dovette se sopravvisse e salvaguardò la vecchia eredità cristiana e romana, cui avrebbe poi fuso idee, virtu e ideologie proprie del regime signorile (la sua civiltà). In pratica, l'Europa - che allora aveva dimenticato persino il suo nome di Europa - si costitui come un mondo diviso in compartimenti, dove soltanto la piccola regjone e la patria ristretta avevano importanza. Certo fu per molti aspetti estremamente utile che, allo inizio della vita dell'Europa, ogni regione abbia avuto la possibilità di svilupparsi a suo modo, come una pianta in libertà. Di colpo ognuna si sviluppò come un'entità, una

TERRITORIO E LIBERTÀ

robusta personalità e una unità cosciente, pronta a difendere il suo territorio e la sua indipendenza. L'interessante tuttavia sta nel fatto che, nonostante tutto e nonostante il frazionamento politico, si stabili una convergenza evidente di civiltà e di cultura. Il viaggiatore sulla via di un pellegrinaggio ( per esempio a San Giacomo di Compostella) o in viaggio d'affari, si sente a casa sua a Parigi come a Lubecca, a Londra come a Bruges, a Colonia come a Burgos, a Milano come a Venezia. I valori morali, religiosi e culturali, le regole della guerra, dell'amore, della vita e della morte, sono gli stessi dappertutto, da un feudo all'altro, nonostante le contese, le rivolte e i conflitti particolari. Il fatto è che esiste veramente una cristianità unitaria (Mare Bloch) e una civiltà che può chiamarsi della cavalleria, del trovatore, del troviero, del1' amore cortese. Le crociate sono la riprova dell'unità, in quanto si affermano come movimenti d'insieme, come avventure e passioni collettive, comuni a tutte le innumerevoli piccole patrie.

La libertà o meglio, le libertà ( secoli x1-xvm).

Supponiamo che, dal secolo v all'epoca attuale - o meglio al secolo xvm -, ci sia possibile riunire l'intera massa delle nostre conoscenze di storia europea, e registrarle (posto che una simile registrazione fosse concepibile) in una memoria elettronica; poniamo poi che ci venga la curiosità di chiedere a questa memoria polivalente di additarci il problema insorto con piu frequenza, sia nel tempo che nello spazio, durante quella lunghissima storia. A colpo sicuro, è il problema della, o piuttosto delle libertà europee. Libertà è la parola chiave. Comunque, il fatto che il mondo occidentale, ai fini della lotta ideologica odierna, si sia dato, con intenzioni che non possono dirsi interamente pure, l'appellativo di « mondo libero», è senza dubbio legittimo, almeno alla luce della storia europea considerata nel suo movimento plurisecolare.

LE CIVILTÀ EUROPEE

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I I Steppe • O Centri di irradiazione delle invasioni

20.

Le invasioni in Europa.

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> e che « un movimento del genere, spinto alle sue estreme conseguenze, tenderebbe addirittura a sopprimere il fenomeno cristiano». Secondo la nostra logica, forse si, ma non certo secondo quella del xv e XVI secolo. « Sarebbe ... insensato - scrive il sociologo Alexander Riistow - ricercare un tale antagonismo, nel momento in cui la vittoria dell'antichità sulla Chiesa ... si andava pienamente affermando nel seno stesso della Chiesa. Roma non si sviluppò forse come splendido centro rinascimentale? Promotori del movimento non sono stati forse i papi? Il nemico degli umanisti a Firenze, Savonarola, fu fatto bruciare, il 20 maggio 1498,

LE CIVILTÀ EUROPEE

proprio da Alessandro VI. E c'è di piu: l'antichità rivive come spirito di tolleranza. Fossero o no credenti, i filosofi greci assistevano alle feste e al culto degli dei; perché i loro discepoli avrebbero dovuto scagliarsi contro una Chiesa che era loro cosi poco ostile? Erasmo diceva: "san Socrate, prega per noi! "» d) Dal cristianesimo medievale il Rinascimento si allontana assai meno sul piano delle idee che non su quello della vita. Si trattò, se vogliamo, di un tradimento, non filosofico ma culturale, in un'atmosfera di gioia viva, per gli occhi, per lo spirito, per il corpo, quasi che l'Occidente uscisse da una multisecolare quaresima. Il Rinascimento dà materia a una sociologia e a una psicologia della gioia. Raramente nella storia gli uomini hanno avuto la sensazione cosi netta di vivere in un'epoca felice. « Al memento mori del Medioevo, si sostitui allora il memento vivere». La contemplazione della morte, le danze macabre caratteristiche del xv secolo scomparvero come per incantesimo, quasi che l'Occidente si fosse« diviso» (nel senso che Michel Foucault dà alla parola), cioè separato in ispirito dall'idea della morte. Attraverso le svariate e successive Artes moriendi ( trattati della buona morte) possiamo seguire questo cambiamento: la morte cessa poco a poco di essere morte celeste, tranquillo passaggio a una vita migliore, alla vera vita, e diventa invece una morte terrestre, con tutte le terribili stimmate dei corpi che si corrompono; diventa una morte umana, la prova suprema che l'uomo deve affrontare. Non c'è piu nessuno disposto a dire, come sant' Agostino: « Siamo quaggiu viandanti che sospirano il momento della morte »; ma nello stesso tempo nessuno pensa piu che « questa vita è piu morte che vita; è una specie di inferno». La vita aveva ritrovato tutto il suo valore. L'uomo doveva organizzare il suo regno sulla terra. Questa nuova persuasione mise in movimento tutte « le forze positive della cultura moderna: liberazione del pensiero, disprezzo dell'autorità, trionfo della formazione intellettuale sul privilegio della nascita (ossia, in termini

CRISTIANESIMO, UMANESIMO, SCIENZA

399

quattrocenteschi, vittoria del concetto di humanitas su quello di nobilitas) entusiasmo per la scienza, liberazione dell'individuo ... » (Nietzsche). Gli umanisti furono perfettamente coscienti di questa fermentazione. « Senza dubbio, questa è l'età dell'oro», scrive Marsilio Ficino (1433-99). Nel 1517 Erasmo diceva piu o meno la stessa cosa: « Bisogna augurare al secolo buona fortuna: sarà l'età dell'oro». Nella celebre lettera del 2 8 ottobre 15 1 8 all'umanista norimberghese Willibald Pirkheimer, Ulrich von Hiitten esclama: « Che secolo, che lettere! Come è piacevole vivere!» Non osiamo, tanto l'esempio è noto e arcinoto, ricordare qui l'abbazia di Thélème immaginata da Rabelais ... Eppure! Non si può certo negare che una cosi acuta presa di coscienza delle molteplici possibilità dell'uomo non abbia preparato, a lunga scadenza, la strada a tutte le rivoluzioni della modernità, ivi compreso l'ateismo; ma gli umanisti erano troppo occupati a organizzare il loro regno per pensare a contestare quello di Dio. Al movimento e alla gioia del Rinascimento si comincia a mettere il freno fin dal primo terzo del secolo xvi. Gli « uomini tristi » cominciano a dominare la scena dell 'Occidente. Come ogni epoca di gioia e di luce piena, come tutti i grandi periodi che furono o si credettero felici (il secolo in cui risplendette la città di Alessandria, il secolo di Augusto, il secolo dei lumi), anche il Rinascimento conservò per poco la sua perfezione. 4. L'umanesimo protestante. Il gran fiume della Riforma ha origine tra il xv e il XVI secolo. L'affissione delle 9 5 proposizioni di Lutero sulle porte della Schlossekirche di Wittenberg, il 31 ottobre 1517, ne costituisce l'affermazione. Il fiume della Riforma scorre attraverso gli orribili eccessi delle guerre di religione. Iniziate in Germania nel 1546, l'anno stesso della morte di Lutero, finirono solo un secolo dopo, nel 1648. Nel frattempo si erano diffuse in altri paesi, lasciando ovunque dietro di sé immense rovine. Si giunse - è vero - a compromessi tardivi e piu o meno duraturi: pace di Augusta ( 15 5 5 ), editto di Nantes

400

LE CIVILTÀ EUROPEE

(1598), lettera di maestà (in Boemia, 1609); ma intanto migliaia di uomini e di donne (poiché la Riforma, a differenza dell'umanesimo del Rinascimento, era subito giunta a toccare le masse) avevano dovuto, per difendere la propria fede, affrontare la guerra civile, la repressione violenta (come nei Paesi Bassi sotto Filippo II o in Francia al tempo della revoca dell'editto di Nantes nel 1685 e dell'insurrezione delle Cevenne), o l'esilio verso il Nuovo mondo o verso un qualsiasi altro paese favorevole alla loro fede, secondo la regola del cujus regio, ejus religio. Col secolo xvm, e talvolta anche prima, questi furori andarono placandosi. Il protestantesimo sopravvisse giungendo fino a noi, e al giorno d'oggi caratterizza col suo particolare umanesimo una larga parte del mondo occi-dentale, specie i paesi anglosassoni e germanici. Non è facile tuttavia indicare con esattezza la sfumatura di tale umanesimo, poiché non esiste «una» Chiesa protestante ma « delle » Chiese, cui corrispondono vari umanesimi protestanti, e vari tipi di uomini. Cionondimeno tutti costoro mostrano di appartenere a una stessa famiglia, specie se messi a confronto con l'Occidente cattolico.

a) I due protestantesimi iniziali. Non ci interessa tanto la Riforma in sé, quanto l'eredità che questa ha lasciato all'Europa moderna. Non ci soffermeremo dunque sulla storia classica della Riforma e del protestantesimo, limitandoci a rimandare alle date e alle cartine aggiunte al testo e al buon sommario di Emile Léonard. A circa vent'anni l'una dall'altra, la Riforma conobbe due grandi «ondate»: la prima dominata dall'azione impetuosa di Martin Lutero ( 148 3-1546 ), la seconda dall'azione autoritaria e meditata di Calvino ( 1509-64). Due uomini che non si somigliano affatto. Lutero è un contadino delle marche di frontiera della Germania orientale. Nella sua rivolta spirituale di campagnolo, in quella sua rusticità di spirito, in quel Bauerstand des Geistes, come dice Nietzsche, c'è qualcosa di immediato, di forte e di spontaneo. La posizione del giovane Lutero è schietta e semplice, romantica e rivoluzionaria: denunciare gli abu-

CRISTIANESIMO, UMANESIMO, SCIENZA

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L_______.____J

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500

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Protestanti [Il]] Ortodossi Q Cattolici~

21.

Le tre cristianità dell'Europa.

si, le assurdità, le complicazioni della Chiesa; uscire dall'incertezza puntando tutto sulla redenzione attraverso la fede («il giusto è salvato dalla sua fede»); accontentarsi di prese di posizione emotive, immediate, senza curarsi di ordinarle poi meticolosamente. « Dio non lo sopporterà ancora per molto! - esclama. - Non siamo piu nel mondo di ieri, quando la gente era cacciata e guidata come selvaggina! » È pur vero che un tale atteggiamento di opposizione ai potenti e ai ricchi Lutero non potrà mantenerlo a lungo, e che nel r 52 5 dovrà separarsi dai contadini tedeschi ribellatisi, in parte a causa sua, dall'Elba al Reno e alle Alpi. Le necessità dell'azione gli imposero molti compromessi. Ciononostante Lutero fu sempre l'opposto di Calvino, l'opposto del cittadino, del letterato dotato di sangue freddo, dell'organizzatore paziente ed energico, del giurista che sente l'esigenza di condurre alle estreme conseguenze le proprie deduzioni. Lutero aveva scoperto la predestinazione come una rivelazione; Calvino la tradus-

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LE CIVILTÀ EUROPEE

se in equazioni, deducendone tutte le conseguenze. Gli eletti in ogni tempo, sono stati prescelti: non spetterà dunque a loro governare gli altri? È quanto Calvino fece a Ginevra, con mano ferma, sempre richiamandosi allo spirito d'umiltà ( 1536-38; 1541-64); e quanto Cromwell fece nella rigida Inghilterra dei puritani. Tali sono le principali correnti protestanti. La loro area di diffusione è diversa ma i punti in comune, nonostante tutto, sono numerosi: rottura con Roma e con il culto dei santi; soppressione del clero regolare; riduzione dei sacramenti da sette a due, eucarestia e battesimo, benché non vi sia sempre pieno accordo riguardo al primo. Non dobbiamo trascurare inoltre quelli che, semplificando (poiché la lista sarebbe troppo lunga), potremmo chiamare i protestantesimi aberranti o marginali. Fin quasi dalle origini ci fu, ad esempio, un protestantesimo umanista (Zwingli a Zurigo, Ecolampadio a Basilea, Enrico VIII in Inghilterra) e un protestantesimo «pietista>>, quello degli anabattisti, che verrà duramente perseguitato. b) L'area protestante e l'area cattolica.

La frontiera che divide il mondo cattolico da quello protestante, e che ancora ai nostri giorni rappresenta una fondamentale linea d'articolazione della civiltà europea, non è dovuta soltanto all'esito casuale della lotta. L'Europa, come il tronco di un albero, si è formata per stratificazioni successive, di differenti epoche. Il ceppo piu vecchio dell'Occidente, il cuore dell'albero, è rappresentato dai paesi che l'impero romano aveva conquistato e civilizzato estendendosi da un lato verso ovest e verso nord fino alla doppia cerniera del Reno e del Danubio, e dall'altro fino alle isole britanniche, sopra le quali solo in parte (all'incirca sul bacino di Londra), riusci a mantenere, non senza difficoltà, il proprio dominio. Al di là di tali frontiere la civiltà europea si diffuse tardivamente, dopo la caduta dell'impero romano, sicché quelle nuove zone vennero a costituire come gli strati superficiali dell'albero. Fu l'Occidente medievale a « colonizzarle >>, nel miglior significato del termine, insediando-

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vi chiese e missionari; fondandovi con le abbazie, i vescovati e gli arcivescovati le assise del potere della lontana Roma. Non sembra un puro caso che l'antica frontiera dell'impero romano - la frontiera tra la vecchia Europa e l'Europa piu recentemente «colonizzata» - coincida in gran parte con quella che divide il mondo cattolico da quello protestante. La Riforma ha avuto indubbiamente le sue cause puramente religiose rintracciabili in quella generale rinascita della spiritualità in tutta Europa che aveva reso i fedeli piu sensibili agli abusi e ai disordini della Chiesa e all'insufficienza di una devozione superficiale, fatta di gesti piu che di autentico fervore. Tali sentimenti furono comuni a tutta la cristianità, cionondimeno la vecchia Europa, indubbiamente piu attaccata alle sue antiche tradizioni religiose e allo stretto vincolo con Roma, conservò il legame, mentre la nuova Europa, piu varia, piu giovane, meno legata alla gerarchia religiosa, giunse alla rottura. Sullo sfondo è possibile già presentire una reazione nazionale. La storia successiva dei due mondi è servita spesso ad alimentare quel che potremmo chiamare un orgoglio settario. Alle virtu del protestantesimo è stato attribuito lo sviluppo del capitalismo e del pensiero scientifico, vale a dire del mondo moderno. Ma le posizioni rispettive de] protestantesimo e del cattolicesimo sono piu razionalmente spiegabili in un contesto di storia economica e generale. In realtà non è facile capire in cosa consista ciò che darebbe al protestantesimo una superiorità - o una inferiorità - intellettuale nei confronti del mondo cattolico. È certo, invece, che esso ha creato una differenza e che ha dato dunque un apporto particolare, originale, alla cultura europea. Per definire tale apporto, è necessario distinguere con precisione tra il primo protestantesimo militante del Cinquecento e il protestantesimo vittorioso, insediatosi stabilmente col secolo xvm.

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e) Dalla Riforma al protestantesimo moderno. La Riforma, che era cominciata sotto il segno della libertà e della rivolta, cadde presto nello stesso peccato di intransigenza, che rimproverava agli avversari. Il protestantesimo fondò un edificio non meno rigido di quello del cattolicesimo medievale, edificio « in cui tutto - lo stato, la società, l'insegnamento, la scienza, l'economia, il diritto - è subordinato alla scala dei valori soprannaturali della rivelazione». In cima sta il Libro, la Bibbia, e i suoi interpreti, lo stato e la Chiesa protestante. Allo stato (principe o città) spetta l'antico jus episcopale. Inutile dire che tale regime non poté dar vita a quella libertà religiosa per cui si erano inizialmente prese le armi. Ordine, severità, pugno di ferro, sono i metodi delle chiese protestanti primitive, tanto a Basilea che a Zurigo, dove i riformatori, per quanto erasmiani fossero, non esitarono a far annegare gli odiati anabattisti; massacri simili avvennero nei Paesi Bassi. Che quegli infelici, negatori della Santa Trinità, della divinità del Figlio e ribelli contro la Chiesa, lo stato e i ricchi a un tempo venissero perseguitati, impiccati, sgozzati, fatti annegare dai « papisti», era cosa in accordo con la logica, se non con la carità. Ma in nome di quali principi la Riforma poté infliggere loro lo stesso trattamento? La tragcedia serveta è ben nota. Michele Serveto, medico spagnolo protestante, fu arrestato un giorno a Ginevra all'uscita del sermone, sotto l'accusa di antitrinitarismo e di panteismo, condannato al supplizio e bruciato vivo secondo il desiderio di Calvino che da tempo lo attendeva al varco. Sébastien Castellion ( 1515156 3 ), l'umanista «savoiardo», apostolo della Riforma liberale se ne mostrò indignato nel commovente libello che nel 15 54 scrisse contro il suo maestro di Ginevra, da lui in altri tempi amato e servito; ne è indignato perché nessuno piu di lui aveva allora cosi vivo il sentimento degli errori e dei delitti della Riforma trionfante. « Non c'è quasi nessuna setta ... - scrive - che non consideri le altre come eretiche, di modo che se, in questa città o in questa regione, sei considerato nel vero, in quella vicina sarai

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ritenuto eretico. E cosi se qualcuno oggi vuol vivere, deve possedere tante fedi e religioni quante città o sette esistono; come colui che per attraversare i paesi deve cambiare di giorno in giorno la sua moneta, perché quella che in un posto è buona, in un altro non ha corso». Per parte sua, egli intendeva restar fedele alla libertà di interpretazione. « Quanto agli anabattisti, - dice ancora, - al loro spirito, a quello che pensano o scrivono della parola di Dio, sta a loro riflettere su quel che fanno». La sua voce rimase isolata ed egli mori in miseria, circondato da pochi seguaci. Ma nel secolo XVII, all'epoca delle dispute tra calvinisti di stretta osservanza e dissidenti arminiani e sociniani, le sue opere furono ripubblicate ad Amsterdam. Tra queste, una porta il titolo significativo di Chandelle de Savoie; infatti il savoiardo Castellion era ormai diventato una delle luci annunciatrici della nuova via sulla quale fini per avviarsi il protestantesimo. d) Il nuovo protestantesimo ha favorito la libertà di coscienza. Il rigore dogmatico andò progressivamente placandosi, soprattutto nel secolo XVIII, forse come conseguenza della diminuita pressione del cattolicesimo e della Controriforma. Ma vi fu anche l'evoluzione interna del protestantesimo verso una certa libertà di coscienza seguendo una via che sarà poi quella del secolo dei lumi, principalmente sotto l'influenza del progresso scientifico. Come sempre accade, è difficile distinguere cause ed effetti, e dire se fu il protestantesimo, rifacendosi alle fonti spirituali e al libero esame delle Scritture, a spingere l'Europa sulla strada dell'indipendenza spirituale, o se invece l'evoluzione stessa del protestantesimo non dipese dall'evoluzione generale del pensiero filosofico e scientifico europeo. Sia l'una che l'altra ipotesi può essere vera, in un gioco di influenze reciproche. È certo che, contrariamente al suo avversario cattolico, il protestantesimo si inserf nel movimento del grande secolo liberale. Ma è ugualmente certo che paesi di tradi-

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zione e di formazione cattolica, come la Francia, si trovarono alla testa dello stesso movimento. Comunque il protestantesimo si orientò allora verso il diritto al libero esame, alla critica storica dei testi sacri, a un razionalismo deista. In questo modo si riconciliava con se stesso, ed è questa la cosa piu importante: tutte le sette marginali tenute sino allora lontane come sospette, quali i puritani inglesi, o gli anabattisti della Germania e dei Paesi Bassi cominciarono a prosperare e a diffondersi. In particolare, gli anabattisti col nome di mennonisti, fecero fortuna in Inghilterra, passarono poi in America, dove fondarono una colonia a Providence, e divennero piu tardi una delle solide confessioni protestanti degli Stati Uniti. Alla fine del Seicento riapparvero - come discendenti degli «ispirati» cinquecenteschi - quelli che si dicevano gli amici, conosciuti in tutto il mondo con il nome di quaccheri (i tremanti). Con loro, William Penn fondò, nel 1681, la colonia di Pennsylvania. Lo stesso rinnovamento è visibile in Germania, a favore del pietismo, fondato dal pastore Philipp Jakob Spener, protetto dall'elettore di Brandeburgo, che divenne piu tardi ( 1701) il primo re di Prussia, Federico I. Spener fu anche uno dei fondatori della grande università di Halle ( 1681 ). Tutta la Germania luterana fu sollevata dai suoi discepoli, verso la metà del secolo xvrn. Ma nessun movimento ebbe una forza uguale a quella del metodismo inglese di W esley e Whi tefield. L'elenco delle nuove sette vittoriose ci interessa qui solo per sottolineare il libero sbocciare del pensiero protestante in una religiosità che non è piu guidata da una rigida teologia. « La teologia non si identifica piu con la religione - scriveva un professore universitario protestante, Ferdinand Buisson, nel 1914 - occorre che la prima passi, perché l'altra duri». Qui sta oggi la differenza piu profonda tra una società cattolica e una società protestante. Il protestante si trova sempre da solo a solo con Dio; può, per cosi dire, elaborare la propria religione, viverla, pur rimanendo in regola col mondo religioso, restando «conforme». Meglio

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ancora, un protestante può trovare tra le varie sette quella che risolve, senza dolore, il suo problema personale. Si potrebbe quasi dire che alle diverse sette corrispondano molto spesso anche livelli sociali diversi. La società protestante ignora quella divisione tra il laico e il religioso che caratterizza le società cattoliche moderne, in cui ogni uomo deve scegliere tra una certa sottomissione dello spirito e una rottura con la Chiesa, che è una comunità di cui si fa parte o no. Tutti i conflitti spirituali sono aperti, la presa di posizione è obbligatoria. La società protestante invece è chiusa sui suoi conflitti spirituali interni, senza però che essi cessino di esistere. Donde una serie di differenze nel comportamento e negli atteggiamenti che formano una impercettibile ma invincibile frontiera tra gli Anglosassoni e l'Europa cattolica. e) Protestantesimo e cattolicesimo di fronte alla scien-

za e al capitalismo. La storia d'Europa tra il Medioevo e il secolo XVIII, può spiegarsi, in gran parte se non nella sua totalità, nel contesto della storia generale a condizione di tenere sempre presenti le rispettive condizioni geografiche ed economiche dei paesi settentrionali e meridionali. Nel secolo xm il centro dell'Europa si trovava nei pressi di Parigi, attorno al suo re, alla sua università e alle celebri Fiere di Champagne, principale luogo d'incontro dei mercanti in Europa. Vi convenivano Fiamminghi e Francesi per vendere i loro prodotti, Italiani acquirenti di drappi e banchieri offerenti denaro a prestito. Il ce~tro degli scambi si trovava cosi situato nel cuore dell'Europa, a metà strada tra il nord e il sud e tenendo conto che i rapporti tra il nord e il sud si svolgevano essenzialmente per via di terra, la Francia costituiva il punto d'incrocio di tutte le vie del traffico. Quel secolo xm, scientifico, averroista e aristotelico, fu parigino. Uno storico italiano 1 lo ha battezzato, senza amore: il secolo senza Roma • Ma nel secolo XIV il centro degli scambi si allontanò da Parigi I Genovesi fin dal 12 9 5, i Veneziani dieci anni do1

In italiano nel testo [N. d. T.].

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po e ben presto tutti i mercati mediterranei riuscirono a organizzare un collegamento marittimo diretto e regolare tra il Mediterraneo e il mare del Nord, favorendo, sulle sue sponde, la prosperità di Bruges e, in minor misura, di Londra. Le grandi città italiane riuscirono allora a « catturare » a beneficio del Mediterraneo le migliori e piu ricche correnti di traffico europee. Durante « l'autunno del Medioevo», quando la regressione economica si ripercosse ovunque duramente, il Mediterraneo in generale e l'Italia in particolare furono le sole economie « al riparo». La ricchezza e il benessere dei patrizi italiani rappresentano un fenomeno eccezionale. Il Rinascimento - frutto del loro lusso - nacque nelle città del sud, Avignone, Roma, Firenze. Poi, con la scoperta del Nuovo mondo, inizia, nel Cinquecento, la fioritura dei traffici atlantici. Il centro del mondo si sposta allora verso Lisbona, poi verso Siviglia: il predominio del sud rimaneva incontrastato, ncnostante la crescente prosperità di Anversa. Ma dopo il 1590, ebbe inizio nell'Europa meridionale - Italia, penisola iberica e Mediterraneo in generale - una profonda recessione a lungo termine. Nello stesso momento l'Europa settentrionale, che andava avviando rapporti commerciali diretti con l'India, si trovò, specie nelle zone rivierasche, in una posizione di vantaggio. Il centro dell'Europa si spostò ad Amsterdam dove si stabili. La città crebbe rapidamente, creò la propria Banca e poi la Borsa. Se fino al 1610 era stata una città modesta e un po' provinciale, prima della fine del secolo è diventata una grandissima città, centro di speculazioni di Borsa che, stando a come ce le descrive l'ebreo spagnolo José de la Vega nel dialogo Confusion de confusiones ( 1688), non avevano nulla da invidiare alle odierne speculazioni. Al declino di Amsterdam inizierà, nel secolo XVIII, la supremazia di Londra, che durerà fino al 1914. Ciò premesso, possiamo impostare con una certa chiarezza il nostro problema. Spesso è stato detto che il protestantesimo avrebbe favorito lo sviluppo del capitalismo, il quale, secondo la teoria di Max Weber, sarebbe figlio dello spirito« purita-

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no». Ma non è anche e piuttosto figlio di una congiuntura economica straordinariamente favorevole ai paesi protestanti? Il Settentrione non inventò nulla: si limitò a riprendere le pratiche mercantili e soprattutto bancarie dei grandi affaristi italiani, specie dei Genovesi. La congiuntura mise i paesi protestanti alla testa di quel movimento che, fin dal secolo xv, aveva cominciato a lanciare gli Europei su tutti i mari del mondo, creando e rafforzando le basi del primo capitalismo mercantile. In questa medesima luce vanno considerate tutte le statistiche che provano il ruolo predominante tenuto dal mondo protestante nell'elaborazione della scienza moderna. La scienza e la tecnica infatti si volgono sempre verso i paesi in via di progresso. L'Islam, oggi noto per le difficoltà che incontra nella formazione di scienziati efficienti, tra il secolo x e il xn fu la piu feconda fucina di invenzioni. Galileo, che nel 1590 inaugurò la concezione meccanicistica del mondo, era cattolico, nonostante le difficoltà ch'egli ebbe con l'Inquisizione. Quanto allo spirito del protestantesimo, la scienza è debitrice del suo sviluppo a popoli che, nel periodo della grande rivoluzione scientifica moderna, si trovavano alla testa dell'economia mondiale. La tesi della preponderanza protestante nell'elaborazione della scienza moderna è stata ripresa recentemente da Jean Pelseneer, La Réforme du xv1c siècle à l'origine de la science moderne, in La Science au xv1c siècle, Hermann, 1960. 5. L'umanesimo di ispirazione rivoluzionaria. L'Europa è stata ed è ancora rivoluzionaria, come tutta la sua storia conferma. Ma è stata anche, e continua a essere, incessante men te, controrivoluzionaria. Ancora una volta quel che piu conta non sono tanto i movimenti rivoluzionari in se stessi quanto i loro ideali proiettati nel futuro, ciò che chiamiamo umanesimo di ispirazione rivoluzionaria, formula non usuale, con cui intendiamo designare il contenuto umano e l' «eredità>> ideale della Rivoluzione. Altri parla, nello stesso senso, di « mistica rivoluzionaria», o di « spirito rivoluzionario».

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Beninteso si tratterà qui della Rivoluzione francese, la sola che abbia avuto un significato europeo e mondiale, prima della Rivoluzione russa del 1917. a) I movimenti rivoluzionari e la Rivoluzione.

Fino alla Rivoluzione russa, si è sempre parlato della Rivoluzione francese del 1789 come de« la Rivoluzione» in assoluto, come dire la prima, l'unica. Nondimeno, numerosi movimenti rivoluzionari l'avevano preceduta, in quest'Europa in continua tensione, protestataria e mai rassegnata al peggio; ma la storia non è propensa a conceder loro il titolo di «rivoluzioni». Non l'ha concesso, per esempio, ai numerosi sollevamenti contadini, che abbiamo già segnalato, verificatisi in Europa nei secoli xvi e xvn. Altre volte, solo in un senso molto particolare, si può parlare di rivoluzione, per quanto riguarda ad esempio certe guerre di liberazione nazionale; come quella dei cantoni svizzeri {liberazione definitiva nel 1412), delle Province Unite (vittoria definitiva nel 1648 ), delle colonie inglesi d'America, i futuri Stati Uniti ( 1774-82); dell'America spagnola tra il 18ro e il 1824; o anche per quanto riguarda le secessioni, violente o amichevoli, dei paesi scandinavi: Svezia, Norvegia, Danimarca ... In tutti i casi citati si tratta di movimenti di reazione contro lo stato moderno, ma piu ancora contro lo straniero, e questo particolare ha la sua importanza. Una «vera» rivoluzione si fa sempre contro uno stato moderno (elemento essenziale) e dall'interno, con un fine di autoriforma. Prima del 1789 in Europa ( eccezion fatta del fallimento della Lega e della Fronda), erano state degne di questo nome solo le due rivoluzioni inglesi - la prima violenta e sanguinosa ( 1640-5 8 ), la seconda pacifica, senza scosse violente, del 1688. Ma la Rivoluzione francese, che sconvolse dall'interno uno dei piu solidi stati occidentali, ebbe tutt'altra risonanza in quanto, tra il 1789 e il 1815, si estese a tutta la scena europea, e in quanto nel mondo intero il suo ricordo ha assunto il valore di un immenso simbolo, capace di ringiovanire a ogni generazione e di nutrirsi di sempre nuove passioni. La forza di attualità di questo simbolo appare ancora

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oggi. Viaggiando in Urss nel 1958, uno storico francese si stupi del fatto che i colleghi sovietici quando nominavano della scienza. Per illustrare questa collaborazione tra scienza e tecnica non c'è personaggio piu rappresentativo di Matthew Boulton (1728-1809). Di modeste origini (un uomo nuovo), questo industriale, spirito pratico e creativo che finanziò i lavori di Watt, fu egli stesso scienziato, appassionato di chimica. Attorno a lui si ritrovano oltre a James Watt, il matematico e medico William Small, il medico e poeta Erasmus Darwin, avo del grande Darwin, e molti Jltri. L'Inghilterra industriale era divenuta l'Inghilterra scientifica, e sue capitali furono Birmingham e Manchester. Londra, regina del capitalismo commerciale, rimase a lungo al margine delle innovazioni, e non riprese il suo posto nella vita scientifica inglese che verso il 1820. Tale fatto è di per sé significativo e dimostra che solo lo sviluppo industriale aveva indotto la scienza a entrare in azione.

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Ma la spiegazione non è ancora esauriente. Come si giustifica infatti il ritardo dello sviluppo industriale in Francia, dove la scienza «applicata», grazie a chimici quali P.-J. Macquer (1718-84) o Louis Berthollet (1748-1822), era indubbiamente piu evoluta che in Inghilterra? La rivoluzione industriale ha avuto evidentemente anche altre cause, economiche (le piu forti) e sociali.

6. La spiegazione generale, economico-sociale, è la piu esauriente. a) Prima di intraprendere l'industrializzazione l'Inghilterra aveva già raggiunto un suo equilibrio politico grazie alla rivoluzione «borghese» del 1688; la società era orientata verso il capitalismo (nel 1694 era stata fondata la Banca d'Inghilterra), e l'economia beneficiava di vari investimenti di interesse generale ( strade, canali; nel Settecento si parlò di« follia dei canali»).

b) La rivoluzione inglese prese l'avvio col favore di uno sviluppo economico generale, quello del XVIII secolo, a cui tutto il mondo prese parte.

e) Sarebbe stata possibile senza il forte sviluppo demografico inglese del xvm secolo (dell'ordine del 64 %)? Anche lo sviluppo demografico fu un fenomeno mondiale, verificatosi tanto in Cina quanto in Europa, ma in misura piu o meno grande a seconda dei paesi. In Francia, ad esempio, dove raggiunse il 35%, fu piu debole che in Inghilterra. Quest'ultima dispose quindi di una manodopera sovrabbondante e a buon mercato. d) Le importantissime trasformazioni dell'agricoltura inglese ( delimitazione delle proprietà, metodi scientifici di coltivazione) fecero diminuire la tradizionale insufficienza della produzione alimentare.

e) La rivoluzione inglese si svolse in due tempi: prima col cotone, tra il 1780 e il 1830; poi con la metallurgia. La seconda fase, quella dell'industria pesante, fu determinata dalla costruzione delle ferrovie, e, grazie al dena-

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ro risparmiato nel corso della prima fase cotoniera, poté assumere dimensioni inaudite. Ma, poiché era stata la prima fase a mettere in moto tutto, è al cotone che dobbiamo rifarci per dare un giudizio sul primo avviamento del1'industria. La moda del cotone si era estesa all'intera Europa, Inghilterra compresa. Questa per molto tempo aveva importato dalle sue piazze commerciali delle Indie, per il mercato inglese, europeo ed extraeuropeo, le tele di cotone, le cosiddette indiane. Il successo riscosso dalle indiane ne stimolò l'imitazione da parte delle manifatture inglesi. Grazie ai perfezionamenti tecnici, l'industria cotoniera si sviluppò a ritmo accelerato, per rispondere in primo luogo alla enorme domanda delle coste africane (dove gli schiavi erano detti «pezze» - « urna peça d'India», secondo l'antico uso portoghese - dalle pezze di cotone con cui si barattavano); e ben presto per far fronte alla domanda del mercato brasiliano, aperto e monopolizzato dagli Inglesi, nel 1808, a cui si aggiunse due anni dopo, a seguito di una simile operazione, tutta l'America spagnola. L'industria cotoniera inglese giunse fino a far concorrenza, sul suo stesso terreno, alla manifattura indiana, che finf per essere completamente rovinata. Conquistò anche il Mediterraneo. Tra il 1820 e il 1860, la vendita di tessuti britannici nel mondo fu in continuo aumento; il cotone grezzo usato nelle fabbriche inglesi passò da due milioni di libbre del 1760 a 366 milioni del 1850! Le conseguenze furono molteplici. Forte del prodigioso successo del cotone, l'Inghilterra invase il mercato mondiale con le piu svariate mercanzie. Ai concorrenti, il mercato mondiale fu chiuso. Un governo aggressivo e, se necessario, bellicoso, protesse il terreno riservato dell'industria inglese, la cui espansione sembrò non avere piu limite. /) Nessuno poté contestare il dominio inglese sul mercato mondiale, poiché l'aumento della produzione, come di regola avvenne in seguito, andò di pari passo con un crollo favoloso dei prezzi di costo ( tra il 1800 e il 18 50 il prezzo delle cotonine passò da 5 50 a roo, mentre il gra-

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no, ad esempio, e la maggior parte delle altre derrate, diminuirono appena di un terzo). I salari rimasero piu o meno stabili, ma la loro incidenza sul prezzo di costo divenne sempre piu debole, poiché la tecnica aveva ridotto notevolmente la parte del lavoro umano. Non ci sorprenderanno quindi le liete conseguenze della produzione di massa, la prima del genere, sulla vita popolare. Si veda quanto ne dice, per la Francia, Michelet parlando della crisi del cotone del 1842 (Le Peuple, Calmann-Lévy, 1886, pp. 72-74): « L'infelice popolazione asservita alle macchine comprende 400 mila anime e piu, cioè circa un quindicesimo dei nostri operai. Tutti quelli che non sanno far niente vengono a offrirsi alle manifatture, per essere addetti alle macchine. Piu ne vengono, piu il salario diminuisce, piu sono miserabili. D'altra parte, la merce, fabbricata a un prezzo cosf basso, scende alla portata dei poveri; di modo che la miseria dell'operaio-macchina fa diminuire un po' la miseria degli altri operai e contadini che molto probabilmente sono settanta volte piu numerosi. «Cene siamo resi conto nel 1842. Le filande erano in estreme difficoltà. Stavano soffocando; i magazzini erano sovraccarichi e non c'era smercio. I fabbricanti atterriti non osavano né far lavorare, né arrestare le loro insaziabili macchine, poiché l'usura dei capitali non conosce sosta; cosf, facevano lavorare delle mezze giornate stivando i magazzini già traboccanti. I prezzi calavano, ma invano; ·calarono sempre piu, finché il cotone non fu a sei soldi ... Allora successe l'imprevedibile. Milioni di acquirenti, poveracci che non compravano mai nulla, cominciarono a muoversi, e si vide allora che formidabile consumatore sia il popolo, quando ci si mette. I magazzini furono svuotati da un giorno all'altro. Le macchine si rimisero a lavorare con gran furia; i camini ripresero a fumare ... Fu una rivoluzione, e grande, per la Francia, anche se passò quasi inosservata; rivoluzione nella pulizia, e nelle case dei poveri che improvvisamente si abbellirono: biancheria personale, lenzuola, tovagliato, tendaggi erano arrivati alla portata di intere classi, che dalle origini del mondo non ne avevano mai avuti».

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g) L'espansione dell'industria metallurgica avvenne molto piu tardi. In questo settore fino al XIX secolo, la produzione aveva risposto solo alla domanda bellica. « L'industria del ferro, nel xvm secolo, si identificava con quella dei cannoni », scrisse un inglese nel r 8 3 r ; ma cannoni gli Inglesi ne avevano solo sulle navi, poiché le guerre di terra non facevano per loro. Nel secolo XVIII infatti, l'Inghilterra produsse meno ferro della Francia o della Russia, e spesso lo importò dalla Svezia o dalla Russia. La scoperta tecnica decisiva della fusione col carbon coke, nota fin dal secolo xvn, non era stata realmente utilizzata e si era continuato a lungo con la fusione a fuoco di legna. La costruzione ( 1830-40) delle ferrovie, comportando un gran consumo di ferro, ghisa e acciaio, cambiò la situazione. L'Inghilterra si impegnò nella costruzione di ferrovie sul suolo nazionale e oltremare. Contemporaneamente la rivoluzione delle navi a scafo metallico e a vapore trasformò le costruzioni navali inglesi in un'enorme industria pesante. Il cotone non fu piu, allora, il settore chiave della vita economica inglese.

La diffusione del fenomeno industriale in Europa e fuori. Negli altri paesi europei ed extraeuropei, il fenomeno industriale non si presentò nello stesso momento e nemmeno nelle stesse condizioni. Ma la storia sembra piu o meno ripetersi ogni volta, anche se non chiama in causa le stesse società, economie e civiltà. Il fatto è che ogni rivoluzione industriale ridotta nei suoi termini economici riproduce all'incirca lo stesso «modello», come dicono gli economisti, uniforme e abbastanza semplice. r. La teoria delle tre fasi, formulata nel 1952 dall'economista americano Walt W. Rostow, è discutibile, ma serve a chiarire il problema. a) Iltakeoff.

Il punto di partenza, momento fondamentale, è quello del take o ff, del « decollo >>. Come l'aereo prende la rin-

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corsa e poi lascia la pista, cosi un'economia in sviluppo si stacca piuttosto bruscamente da quell'ancien régime 1ndustriale che la tratteneva a terra. Il decollo si produce generalmente in uno, o al massimo due settori: quello del cotone per la Gran Bretagna e la New England ( caso particolare dello sviluppo « americano »); quello delle ferrovie per la Francia, la Germania, il Canada, la Russia, gli Stati Uniti; quelli del legname da costruzione e delle miniere di ferro per la Svezia ... In tutti i casi, tale settore «parte» rapidamente, e si modernizza in fretta; e proprio nel ritmo di crescita e nella modernità tecnica che lo caratterizzano, sta la differenza che distingue questo da tutti gli altri fenomeni di sviluppo industriale del passato, privi di un'analoga forza esplosiva e di un movimento di tanto respiro. L'industria, che si trova in questa situazione favorevole, aumenta la produzione, perfeziona la tecnica, organizza il suo mercato, e anima in seguito tutta l'economia. Dopo di che, l'industria chiave, elemento motore iniziale, si stabilizza: ha raggiunto l'optimum delle sue possibilità. Le riserve che essa ha permesso di accumulare si trasferiscono su un settore vicino, che a sua volta scatta, si modernizza, raggiunge il suo grado di perfezione. b) Con l'estensione di questo processo dall'uno all'altro settore, l'economia nel suo complesso raggiunge la maturità industriale. Nell'Europa occidentale, dopo il take off delle ferrovie (e cioè del ferro, del carbone, dell'industria pesante), venne il turno dell'acciaio, delle costruzioni navali moderne, della chimica, dell'elettricità, e delle macchine utensili. La Russia conobbe, molto piu tardi, la stessa evoluzione. In Svezia invece il ruolo principale fu assunto dalla cellulosa per la produzione della carta, dal legno e dal ferro. Il mondo occidentale nel suo insieme raggiunse la maturità industriale all'inizio del Novecento. L'Inghilterra, che era arrivata a quello stadio fin dal r 8 50, si trovò allora piu o meno alla pari con gli altri paesi. A questo punto, per le varie economie europee, ormai ben avviate, relativamente equilibrate, provviste di red-

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diti sicuri e di una certa abbondanza, l'espansione industriale smise di costituire lo scopo principale. Si trattò da quel momento di scegliere - dato che ormai c'era possibilità di scelta - la direzione verso cui orientare le proprie forze e-i propri investimenti; e non tutte le società industriali scelsero gli stessi obbiettivi. Tali scelte ci svelano il senso e la tendenza della storia delle varie nazioni, ciascuna delle quali, coscientemente o no, le ha motivate in base alla propria particolare civiltà. e) L'ora della scelta. Si tratta, in realtà, di scegliere uno stile di vita valido per tutta una società. Tre sono le possibilità: o sacrificare tutto alla sicurezza, al benessere, al « tempo libero» della società e puntare su una attenta legislazione sociale; o ritenere il benessere generale realizzabile soltanto attraverso un largo consumo di massa ( con una produzione di beni e di servizi di lusso tale da renderli accessibili alla grandissima maggioranza della nazione); o infine utilizzare il crescente potere della società e della nazione sul piano, spesso illusorio e sempre pericoloso, di una politica mondiale di potenza. Verso il 1900, gli Stati Uniti raggiunsero la maturità economica, e tentarono, con un'impresa di breve durata, ma significativa, la via deila politica di potenza (guerra contro la Spagna del 1898, per Cuba e le Filippine). Fu un tentativo cosciente se si pensa che Theodore Roosevelt scriveva allora che gli Stati Uniti « avevano bisogno di una guerra», o che bisognava dare agli americani « qualcosa a cui pensare oltre al guadagno materiale». Qualche anno piu tardi fecero un timido ed effimero tentativo di politica sociale progressista. Ma dopo l'interruzione della prima guerra mondiale, si impegnarono decisamente nella soluzione del consumo di massa, col boom delle automobili, delle costruzioni, dei gadget; per la comodità della casa, ecc. Nell'Europa occidentale l'ora della scelta venne ritardata dalle due guerre mondiali e dalla ricostruzione postbellica. In genere il consumo di massa vi fece la sua apparizione dopo il 1950, sempre limitato però dalle restrizio-

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ni e dai correttivi imposti dalla politica dei governi e dalla pressione di una forte tradizione socialista; in Francia, ad esempio, tutta una serie di leggi sociali che vanno dalla scuola gratuita all'organizzazione medica della « sicurezza sociale». Altri limiti, il consumo di massa trovò nel ritardo di interi settori dell'economia, conseguenza di varie circostanze e dell'esitazione ad abbandonare le abitudini tradizionali. Fra l'altro, la rivoluzione dell'agricoltura sul modello americano, ha trovato in Europa molti ostacoli; sono note le difficoltà dell'Unione Sovietica in questo campo, e non meno quelle dell'Italia e della Francia, che sono solo a metà strada sulla via dell'ammodernamento dell'agricoltura. Infine, non tutte le regioni seguono il movimento con lo stesso ritmo. Come il sud degli Stati Uniti era rimasto « a rimorchio» per parecchio tempo dopo il 1900, cosf tutta una parte dell'Europa è in ritardo sullo sviluppo: le regioni sudoccidentali e occidentali della Francia; il Mezzogiorno d'Italia; tutta la penisola iberica ad eccezione dei centri industriali di Barcellona e Bilbao; le Repubbliche socialiste ( tranne naturalmente l'Unione Sovietica, la Cecoslovacchia e la Repubblica democratica tedesca), il resto della penisola balcanica, la Turchia, ecc ... In conclusione, esistono sempre le due Europe che nel 1929 un giornalista definf come quella della carretta e quella del cavallo-vapore. Se ne vogliamo un esempio significativo tra i tanti, andiamo nei pressi di Cracovia, dove c'è una strada percorsa da stretti carri a quattro ruote carichi di legna, da branchi d'oche con le loro guardiane, come nel secolo xv, piu che dalle automobili. Ma ecco là vicino levarsi improvvisamente la mole delle installazioni di Nova Huta, la città metallurgica creata di sana pianta dalla Polonia socialista. Questo stridente contrasto fa ancora parte integrante della vita europea di oggi. 2. Credito, capitalismo finanziario e capitalismo di stato. Una rivoluzione del credito si produsse contemporaneamente alla rivoluzione industriale e profittò a fondo delle possibilità offerte da quest'ultima.

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Il capitalismo, un certo capitalismo, è sempre esistito, sin dall'antica Babilonia, i cui banchieri e mercanti, impegnati in affari lontani, avevano già elaborato tutti gli strumenti di credito: lettera di cambio, biglietto all'ordine, assegno, ecc. In tal modo la storia del capitalismo, va « da Hammurabi a Rockefeller ». Ma nell'Europa del Cinque e Seicento lo sviluppo del credito era ancora minimo. Crebbe di molto nel Settecento col supporto di un capitalismo già internazionale - almeno per quanto riguarda il commercio con le Indie (e le sue varie compagnie) o con la Cina (che determinò lo sviluppo di Canton) - capitalismo largamente esteso ai grandi centri commerciali europei. Ciononostante, a quel tempo, i veri finanzieri non si occupavano ancora del commercio o dell'industria ma maneggiavano il denaro pubblico, operavano al servizio dello stato. Col trionfo dell'industrializzazione la banca e la vita finanziaria conobbero un enorme sviluppo, tanto che, contemporaneamente al capitalismo industriale, il capitalismo finanziario prese il sopravvento e, a scadenza piu o meno breve, riusci a impadronirsi di tutte le leve della vita economica. In Francia e in Inghilterra il primato del capitalismo finanziario si delineò attorno al 1860. Le banche vecchie e nuove moltiplicarono le loro reti d'affari specializzandosi (banche di deposito, di credito, d'affari). Per seguire il processo di ammodernamento della banca, sarebbe utile prender conoscenza, per la Francia, della storia del Crédit Lyonnais fondato nel 1863, e per gli Stati Uniti di quella della banca Pierpont Morgan, di cui riparleremo, o della rete bancaria internazionale dei Rothschild. La banca riusci a crearsi dovunque una vasta clientela, a raggiungere « tutto il pubblico risparmiatore», a dar la caccia e a stanare « tutti i depositi inattivi» e «sterili», per minimi che fossero. Cominciò allora la follia delle «azioni». Industrie, ferrovie, compagnie di navigazione vennero prese a poco a poco tra le maglie della rete bancaria, e il campo d'azione del capitalismo finanziario divenne ben presto internazionale. Le banche francesi si lasciarono tentare sempre piu dalla facilità dei prestiti all'estero,

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convogliando cosf il risparmio francese sulla strada, rivelatasi presto pericolosa, dei prestiti russi ... Ma i prestiti all'estero costituirono in quel periodo, anche un'importante fonte di reddito per l'economia della Francia, facendo sf che una « bilancia dei conti» favorevole equilibrasse la« bilancia commerciale» deficitaria. Tali prestiti inoltre contribuirono alla costruzione delle attrezzature di gran parte dell'Europa (dopo il 1850) e dei paesi d'oltremare. Oggi i bei tempi del capi talismo finanziario sembrano finiti in Europa, nonostante le eccezioni che confermano la regola e le discussioni teoriche sempre possibili in proposito. Senza dubbio una banca d'affari come la Banque de Paris et des Pays-Bas rappresenta una potenza di prim'ordine e Londra, Parigi, Francoforte, Amsterdam, Bruxelles, Zurigo, Milano sono sempre piazze finanziarie fondamentali; ma ormai vanno maturando i tempi del capitalismo di stato. Grazie ai settori «nazionalizzati» di un'economia che è sempre piu «programmata», lo stato ha assunto la funzione di imprenditore industriale e di banchiere. La crescente fiscalizzazione, il risparmio postale, le casse di risparmio e i buoni del tesoro, mettono ormai a sua disposizione enormi somme di denaro. Esso è divenuto il grande padrone degli investimenti nel settore dei mezzi di produzione, da cui dipende ogni politica di sviluppo, ogni politica sociale efficace, tutto il futuro. Ogni anno, per garantire un ritmo di sviluppo, sia pure apparentemente moderato come il nostro, è necessario investire una notevole parte del reddito nazionale, poiché gli investimenti, dando vita a tutta una serie di operazioni economiche, moltiplicano la loro massa iniziale. E si comprende cosf come gli stati si trovino di fronte alla necessità sempre piu urgente di pianificare l'economia, per definirne in partenza le linee di sviluppo e prevedere le conseguenze di un'azione concertata. I famosi piani quinquennali della Russia sovietica hanno servito da esempio al mondo intero, se, nel gennaio del 1962, lo stesso presidente Kennedy annunciava un piano quinquennale per la politica commerciale americana. Il piano qua-

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driennale francese ( 1961) ha provocato controversie vivaci; a modo suo, è una specie di esame di coscienza nazionale, oltre che un bilancio economico lo scopo è di dare l'avvio all'economia delle regioni francesi insufficientemente sviluppate, mediante la cosiddetta « politica di agganciamento ». 3. Non dobbiamo né trascurare né esagerare, retrospettivamente, il ruolo del colonialismo nello sviluppo capitalistico europeo. Esso non ha creato, ma ha forse contribuito a conservare il primato economico dell'Europa. Per colonialismo - altra parola la cui storia andrebbe studiata piu in particolare - si intenderà tutto il movimento europeo di espansione, a cominciare almeno dal 1492. Questa espansione ha innegabilmente favorito l'Europa mettendole a disposizione nuove terre dove riversare la sua eccedenza demografica, e, a portata di mano, civiltà ricche da sfruttare, come essa ha fatto senza esitazione. Gli avvenimenti salienti di questo sfruttamento furono, in ordine cronologico: l'arrivo dei« tesori» d'America (i lingotti d'oro e d'argento) nel Cinquecento; la brutale conquista dell'India, dopo la vittoria di Plassey ( 2 3 giugno 17 5 7) che lasciò il Bengala in balia degli Inglesi; l'apertura forzata del mercato cinese, dopo la guerra dell'oppio ( 1840-42); la spartizione dell'Africa a Berlino nel 1885. Ne risultò, per l'Europa, la formazione di grandi concentramenti commerciali a vantaggio degli Iberici e degli Olandesi, poi degli Inglesi, e in complesso, un certo rafforzamento del sistema capitalistico che ha facilitato l'avvio dell'industrializzazione. Da queste terre lontane, l'Europa trasse un notevolissimo sovrappiu di profitti, il cui ruolo fu fondamentale. Non a caso l'Inghilterra, vittoriosa oltremare, beneficiò del primo take off. Resterebbe da vedere se piu tardi, come crediamo, la rivoluzione industriale, rafforzando il primato europeo e il suo prestigio, non abbia consolidato il fenomeno coloniale a vantaggio dell'Europa. In ogni modo, lo sviluppo industriale della Francia, ad esempio, non può essere dipeso dalla

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sua presenza nel Senegal, dalla colonizzazione dell'Algeria ( 18 3 o), della Cocincina ( 18 5 8-67) del Tonchino e del1'Annam ( 1 8 8 3 ) . Altro sarebbe discutere la questione coloniale in sé e per sé sul piano umano o morale. Ci si renderebbe conto che entra in gioco una complessità di elementi dove responsabilità e colpe sono ripartite tra le due parti. Il colonialismo di ieri ha avuto i suoi aspetti positivi e negativi, per entrambe le parti. Una sola cosa è certa: la storia di un certo colonialismo è finita, la pagina è stata voltata.

Il socialismo di fronte alla società industriale. L'Occidente ha il merito di aver ricercato con decisione una risposta sociale e umana, abbastanza efficace e valida, alla durezza dell'industrializzazione. Ha elaborato un umanesimo sociale, potremmo dire, se non avessimo già abusato di questo comodo termine. La sua elaborazione è frutto del triste, drammatico e geniale secolo XIX - triste, se pensiamo allo squallore della vita quotidiana; drammatico, se si considerano tutte le guerre e le sommosse; geniale, se ricapitoliamo i suoi progressi scientifici, tecnici e anche, in minor misura, sociali. Il risultato è comunque chiaro: al giorno d'oggi, ben oltre il secolo XIX, una legislazione sociale tranquilla e in via di perfezionamento cerca di assicurare un destino migliore a masse di uomini in continuo aumento, sforzandosi di attenuarne le rivendicazioni rivoluzionarie. Conquista varia e imperfetta, essa non fu compiuta facilmente, come l'operazione necessaria richiesta da una morale o da una scienza imparziale; ma si presentò come una battaglia durissima, che in Occidente fu condotta in tre tempi almeno (l'evoluzione russa e sovietica, costituisce un fatto a parte, di cui parleremo a suo luogo): a) La fase rivoluzionaria e ideologica dei riformatori sociali, dei profeti (per servirci di un termine usato dai loro numerosi avversari), va dal 1815 al 187r,

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dalla caduta di Napoleone I alla Comune. Il vero punto di frattura fu forse il 1848, anno delle rivoluzioni a catena. b) La fase delle lotte operaie organizzate ( sindacati e partiti operai). Iniziata ancora prima del dramma parigino della primavera 1871, si situa, essenzialmente, tra quella data e il 1914. c) La fase politica o meglio statale. Lo stato assunse come proprio compito la realizzazione dei programmi sociali, dopo il 1919, o piuttosto dopo il 1929 e ancor piu dal 1945-50 ai nostri giorni, grazie anche alla nuova prosperità materiale. Questo schema dimostra come le rivendicazioni sociali nei confronti dell'industrializzazione abbiano spesso cambiato di tono e di direzione, a seconda delle oscillazioni della vita materiale: in complesso impetuose durante i periodi di riflusso economico (1817-51; 1873-96; 19291939), si placarono invece nei periodi di sviluppo (18511873; e dal 1945 ai nostri giorni). Uno storico, parlando della Germania, afferma a proposito degli alti e bassi delle rivendicazioni sociali: « Nel 1830 in Germania la parola proletariato non è ancora conosciuta; nel r 9 5 5 non lo è quasi piu ». Delle tre fasi, la prima, che si situa soltanto sul piano delle idee sociali, è forse la piu importante, poiché segna la svolta di tutta una civiltà. I. Dal 1815 al 1848 e 1871 questo vasto movimento di idee, di acute analisi e di profezie, costituisce, piu o meno, lo spostamento graduale degli interessi ideologici dal piano politico a quello sociale. Bersaglio delle rivendicazioni non è piu lo stato ma la società che si tratta di comprendere, guarire, migliorare. Al nuovo programma, corrisponde un nuovo linguaggio: con le parole industriale, società industriale, proletariato, massa, socialismo, socialista, capitalista, capitalismo, comunista, comunismo, si struttura una nuova formulazione dell'ideologia rivoluzionaria. Il 'sostantivo e l'aggettivo «industriale» furono conia-

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ti sulla base del vecchio termine di industria dal conte di Saint-Simon, che creò anche la formula « società industriale», di cui si impadronirono Auguste Comte, Herbert Spencer e molti altri. Per Comte la società industriale veniva a sostituire la società militare, che aveva imperato fino a quel momento, tanto bellicosa questa, quanto pacifica, senz,altro, quella; affermazione che Spencer non azzardò, e con ragione. La parola «proletariato» entrò nel r 828 nel Dictionnaire dell, Académie Française. « Massa», al singolare, ma soprattutto al plurale, divenne la parola chiave, « il sintomo terminologico dell,evoluzione che giunse a maturazione sotto il regno di Luigi Filippo ». « Ho l'istinto delle masse, ecco la mia sola superiorità politica», dichiarò Lamartine nel 1828; e Luigi Napoleone Bonaparte, nella sua Extinction du Paupérisme ( 1844): « Oggi, il regno delle caste è finito, si può governare solo con le masse ». Le masse di cui si tratta, sono anzitutto le masse operaie urbane, povere e sfruttate; donde l'idea che il tempo presente è dominato dalla contrapposizione delle classi, che Marx chiamò « lotta delle classi». La lotta delle classi è un fenomeno antico, presentatosi in tutte le società del passato evolute dal punto di vista materiale, ma è innegabile che nell'Ottocento la lotta si intensificò, determinando una violenta presa di coscienza. Le parole « socialista » e « socialismo » iniziarono la loro carriera verso il 183 o e cosI pure « comunismo », nel senso molto vago di uguaglianza economica e sociale. Auguste Blanqui, « generale delle masse rivoluzionarie», poté cosI scrivere che « il comunismo è la salvaguardia del1'individuo». «Capitalismo» apparve nell'Organisation du travail ( r 848-50) di Louis Blanc, nelle opere di Proudhon (1857), nel Larousse (1867); ma venne in gran voga solo all'inizio del Novecento. «Capitalista» è termine piu vivo; nel 1843 Lamartine esclamava: « Chi riconoscerebbe la Rivoluzione nelle nostre mani? ... Invece del lavoro e della libera industria, la Francia venduta ai capitalisti! ... » Tra le parole che non hanno avuto fortuna, segnaliamo « borghesismo » e « collettismo ». Ciononostante, i ricordi delP89 non avevano perso il

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loro vigore. I giacobini, il Terrore, il Comitato di salute pubblica, erano parole e ricordi sempre presenti nella memoria, vuoi come esempio, vuoi come spauracchio. Per la maggior parte dei riformatori,« la Rivoluzione» era sempre la parola magica, la forza creatrice. Durante la Comune, nel 1871, Raoul Rigault dichiarò: « Noi non facciamo la legalità, facciamo la Rivoluzione». 2. Dal con te di Sain t-Simon a Marx: entra il r 8 4 8 le basi essenziali delle « filosofie di massa », come Maxime Leroy definisce le ideologie ispirate dai problemi del popolo, erano poste. Nel febbraio di quell'anno usd il Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels, che resta ancor oggi la bibbia del futuro comunista. Seguendo minuziosamente la lunga lista dei riformatori della prima parte del xix secolo, potremmo tracciare un quadro che li situi nel tempo e nello spazio. Esso metterebbe chiaramente in luce il ruolo fondamentale dei tre grandi paesi impegnati nello sviluppo industriale: l'Inghilterra, la Francia, la Germania ... Dimostrerebbe anche il primato del pensiero francese (su cui torneremo piu avanti) e sottolineerebbe infine il ruolo di iniziatore avuto dal conte di Saint-Simon. Quest'uomo singolare, un po' folle ma geniale, fu all'origine di tutte le ideologie sociali, socialiste e no, e, come se non bastasse, della sociologia francese (Georges Gurvitch). La sua influenza sull'altro gigante, Karl Marx, che però lo superò di gran lunga, è stata notevole. Marx giovane, a Treviri, lesse tutte le opere di Saint-Simone ne attinse molte idee e argomenti. A parte Saint-Simon, loro antenato, i riformatori sociali si raggruppano in tre generazioni: i nati durante gli ultimi trent'anni del Settecento (Owen, 1771; Fourier, 1772; Cabet, 1788; Comte, 1798); i nati nel primo decennio dell'Ottocento (Proudhon, Considérant, Louis Blanc); la generazione piu omogenea di Marx ( 1818), Engels ( 1820) e Lassalle ( 182 5 ). Il gruppo tedesco chiude la serie. Qualcuno ha detto che la morte di Lassalle, ucciso in duello nel 1864, facendo scomparire il solo teorico socialista in grado di misurarsi con Marx, aveva garantito

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il successo di quest'ultimo. Ma sarebbe meglio attribuire tale successo alla forza del Capitale ( 1867 ). Non possiamo certo esaminare queste mercato atlantico potrebbe inghiottire il piccolo mercato comune. Si potrebbe dire: l'Europa, prima tappa; l'Atlantico, seconda; il mondo, terza; ma sarebbe lasciarsi trascinare da una prospettiva incredibilmente ottimista. Sono problemi anche politici, e la politica non aiuta certo a semplificar li.

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e) Squisitamente economici, invece, e di importanza capitale per il futuro del Mercato comune, sono i problemi agricoli interni, terribilmente complessi. Una irreversibile evoluzione trascina infatti il mondo contadino europeo, mondo ammirevole e fortemente consolidato, ma la cui produttività è, come indicano le cifre, assai mediocre. I Sei contano 2 5 milioni di contadini ( comprese le famiglie) su 160 milioni di abitanti. L'ex ministro dell'Agricoltura dei Paesi Bassi ( e vicepresidente della CEE) Mansholt dichiarava recentemente che otto milioni di questi contadini dovrebbero passare a lavori non agricoli nei prossimi anni. Modernizzare l'agricoltura vuol dire infatti aumentare il rendimento unitario dei lavoratori, ridurre il loro numero per il fatto che l'accresciuta produttività richiede una meccanizzazione avanzata, e per il fatto che i redditi agricoli, presi globalmente, non sono destinati a crescere allo stesso ritmo generale dell'economia europea. In un'economia in espansione, i settori suscettibili di sviluppo sono necessariamente l'industria e i «servizi». L'aumento dei redditi non provoca piu, nelle nostre zone sviluppate, un aumento proporzionale della domanda di beni alimentari. Se il mio reddito aumenta, acquisto una automobile, una radio, dei libri, dei vestiti, faccio un viaggio, vado a teatro, ma non aumento il mio consumo di pane, di carne e (speriamo bene) di vino e alcolici. Insomma, affinché i redditi agricoli aumentino allo stesso ritmo di quelli degli altri settori, un contadino su tre, prima del 197 5, dovrà aver abbandonato i campi, che dovrebbero in seguito accrescere la loro produttività per un numero inferiore di produttori. L'abbandono delle campagne dovrebbe svolgersi a un ritmo annuo del 4 %, mentre invece finora è del 2% in Inghilterra e dell'1,5% in Francia. Con questo ritmo, la Gran Bretagna impiegherebbe ventidue anni e la Francia ventisette, per portare a termine la necessaria conversione. Senza contare le possibili sorprese: in Italia, ad esempio, dov'è concentrata la piu grossa massa contadina del MEC (4 500 ooo) la fuga

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dalla campagna incide in realtà sul numero degli operai agricoli disoccupati, col risultato che le strutture agricole restano pressoché immutate nonostante tali movimenti. In tali condizioni i prezzi agricoli europei non sono competitivi sul mercato internazionale, in cui le eccedenze americane e canadesi intervengono a prezzi bassissimi, ancora piu bassi che sui loro mercati interni, grazie alle sovvenzioni governative. Gli alti prezzi delle agricolture europee sono dunque resi possibili soltanto dalla protezione doganale, che le isola dal mercato mondiale. Un altro problema molto grave per il Mercato comune è quello della grande differenza dei prodotti e dei prezzi agricoli da un paese all'altro. La Francia, che dispone di eccedenze agricole ( specie cereali), non può smerciarle che al prezzo mondiale; il che obbliga il governo a comprarle ai prezzi del mercato interno per rivenderle, in perdita, all'estero. Cosi, nel I 96 r è stato venduto grano e orzo francese alla Cina comunista, carne congelata alla Russia ... L'Italia, per frutta e legumi, e l'Olanda, per i latticini, si trovano nella stessa posizione della Francia. La Germania è invece un paese importatore in numerosi settori agricoli, ma compra fuori del Mercato comune e non intende rinunciare alla contropartita di esportazioni cui in tal modo acquista diritto. I prezzi agricoli sono diversi da un paese all'altro in relazione alla produttività e al grado di protezione che i governi hanno voluto o dovuto concedere ai loro agricoltori. Cosi il prezzo dei cereali piu basso è quello della Francia, il piu alto quello della Germania, il prezzo piu basso del latte è quello olandese, ecc. A quale livello unificare i prezzi? Infine, poiché le agricolture devono essere modernizzate e si tratta di un'operazione onerosa, chi ne sopporterà il peso? La soluzione adottata a Bruxelles ( r 4 gennaio 1962) consiste nel mettere gli oneri a carico dell'intera comunità; ma è una soluzione svantaggiosa per la Germania, paese prevalentemente industriale. D'altronde i paesi agricoli (Francia, Italia, Olanda) hanno rifiutato di passare alla seconda fase, industriale, se prima non fosse stato almeno definito il programma agricolo. L'accordo fu

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cosi laborioso ( 200 ore di discussione) che a Bruxelles s'arrivò a pensare a un certo punto che la sorte stessa del Mercato comune sarebbe stata rimessa in questione. Un giornalista disse scherzosamente in quell'occasione che « l'Europa, che aveva digerito allegramente l'acciaio, il carbone e l'atomo, recalcitrava davanti a frutta e legumi». L'accordo prevede delle dilazioni: le prime misure non dovevano essere applicate che nel luglio del 1962. Ma i governi e i sindacati agricoli sanno di avere ormai il tempo contato per un adattamento ineluttabile. La prevista circolazione dei prodotti agricoli sarà dunque libera, con pagamento di tasse di compensazione uguali alle differenze tra i vari livelli dei prezzi. L'attuazione di un tale principio richiederà istituzioni, controlli e regolamenti appositi; c'è da prevedere tutto un contenzioso. Contemporaneamente si dovrà stabilire alle comuni frontiere dei Sei un sistema doganale unico calcolato sulla media delle tariffe proprie di ciascun membro dell'associazione, altrimenti l'equilibrio interno verrebbe sconvolto dalle irregolarità del saldo ... Cosi si va compiendo un'unità doganale, uno Zollverein, a garanzia di un'economia comune. Ma ci si fermerà a questo stadio? No, certo, poiché si pone già il problema dell'unità politica. Le unità aleatorie: la politica. All'unità, la cultura e l'economia rispondono affermativamente, la politica invece è reticente e ha le sue ragioni, buone, cosf cosi, anche false, rispondenti a preoccupazioni legate o al passato (al XIX secolo), o all'immediato presente, perfino al futuro. In realtà l'Europa è da tempo presa nelle maglie di un gioco politico comune, cui nessuno stato è mai sfuggito senza rischiare di perdersi. Le regole del gioco non tendono però a unificarla politicamente, anzi a dividerla in gruppi la cui composizione è cambiata spesso, poiché la regola era quella di impedire l'egemonia di uno stato sull'insieme degli altri.

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Tale politica non è stata certo ispirata da un lodevole rispetto della libertà altrui; anzi, ogni stato ha sempre agito egoisticamente secondo i propri interessi. Ma se il gioco gli riusciva troppo bene, prima o poi scopriva che gli altri avevano fatto lega contro di lui. Tale è, approssimativamente, il principio dell'«equilibrio europeo». Ma l'Europa del 1962 ha rinunciato davvero al suo gioco secolare? 1. Il secolo XIX, che pure lo mise assiduamente in pratica, non fu il creatore dell' « equilibrio europeo», né del « concerto delle potenze europee » e nemmeno della

Balance of Power. Il sistema risale a molti secoli addietro, e non è stato creato né dai calcoli degli ambasciatori né da quelli dei loro padroni. Fu invece il gioco di un equilibrio spontaneo, piu o meno cosciente, che si impose agli uomini politici. La regola è sempre stata la stessa. Quando uno stato appare troppo forte, anche a torto ( come nel caso della Francia di Francesco I, nel 1519-22), i suoi vicini si spostano sull'altro piatto della bilancia, per fare insieme da contrappeso e ricondurre il primo a maggiore saggezza e senso della misura. Nel caso di Francesco I, la disfatta di Pavia ( 15 2 5) e la prigionia del re di Francia provano che si era trattato di un errore: l'uomo troppo forte era Carlo V. Ci fu allora uno spostamento verso l'altro piatto e perfino il turco fu invitato a questo gioco di equilibrio. La forza crescente degli stati rese sempre piu pericolosi calcoli tanto aleatori. Solo l'Inghilterra, chiusa nella sua isola, poté impunemente praticare la Balance of Power: estranea al continuo gioco d'altalena, essa si limitò a parteciparvi coi suoi soldi e le sue truppe, con i soldi specialmente. Cosi manovrò a lungo contro la Francia, alleandosi automaticamente ai suoi avversari, finché la Germania ( vittoriosa sulla Francia nel 1871 grazie all'Inghilterra e all'Europa, peraltro divisa, che non l'avevano fermata) non divenne troppo forte, soprattutto dopo il 1890 col suo sviluppo economico e demografico. Allora sorse l'Intesa cordiale e poi l'alleanza franco-russa. Al centro dei

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suoi avversari, la Germania era troppo forte per non irritarsi di essere tenuta in margine, ma non lo era abbastanza da convincere gli altri della sua superiorità ineluttabile. E ne nacque la guerra. Anche il mondo attuale è preso nel malefico gioco di un «equilibrio» che dall'Europa si è esteso a tutto il pianeta, diviso ora nei due campi, Est e Ovest, tra i quali i neutrali tentano una terza strada, valida solo se si ha la forza dalla propria parte. È un vecchio sistema, un ingranaggio, in cui il corpo del mondo potrebbe venir schiacciato, come tante volte il corpo dell'Europa. 2. Fallimento di ogni unità realizzata con la violenza: la sola lezione di questa monotona storia è che con la violenza nessuno è mai riuscito a impadronirsi per intero dell'Europa. Senza risalire fino a Carlo Magno, soffermiamoci un istante su Carlo V ( r 500-58 ), il meno odioso e forse il piu simpatico degli sfortunati candidati all'egemonia. Il suo sogno era quello di conquistare la cristianità, per difenderla, sotto il suo dominio, contro gli infedeli musulmani e i riformati. L' « idea imperiale» di Carlo V si alimentò alla fonte della tradizione spagnola di crociata. Per raggiungere il suo scopo l'imperatore aveva tutto: truppe, buoni comandanti, devozione appassionata dei sudditi; non gli mancò l'appoggio dei grandi banchieri come i Fugger, né una diplomazia senza pari, il dominio dei mari e, infine, i« tesori» dell'America. Sotto il suo regno infatti la Spagna fu il centro di distribuzione mondiale dell'oro e dell'argento delle miniere americane, che venivano ripartiti secondo le bilance commerciali, ma anche secondo le esigenze politiche. Possiamo dire che la politica di Carlo V sia fallita di fronte alla Francia? Si e no. Si, se consideriamo che nessuna delle sue vittorie lo mise in grado di dominare il vastissimo territorio della Francia ( vastissimo in proporzione alla velocità, o meglio alla lentezza delle comunicazioni del tempo), situato nel « cuore» dei suoi stati. Nel r 529 fu infatti costretto a firmare con essa una pace bianca. Piu tardi falli contro la Germania protestante (1546, 1552-55) e logorò le proprie forze

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nella lotta contro l'Islam turco, che da una parte minacciava Vienna e dall'altra molestava le coste della Spagna fino a Gibilterra e oltre. Ad aver ragione di Carlo V fu il concerto delle potenze europee, che vi si adoperò con tutti i mezzi possibili, ivi compresa l'alleanza, per quei tempi scandalosa, con il sultano. Luigi XIV da parte sua non si impose all'Europa che durante il periodo di recessione economica del secolo xvn. Si verificò allora un ripiegamento sulle forze tradizionali, di cui beneficiò la Francia contadina e poco sviluppata in senso capitalistico, la quale venne imbrigliata da un governo forte (fino alla morte di Colbert, nel 1683 ). Quando l'economia mondiale si rianimò, a partire forse dal 1680, il gioco ebbe fine. Già nel 1672 le inondazioni olandesi avevano impedito all'esercito francese di entrare ad Amsterdam; nel 1688 Guglielmo d'Orange controllava l'Inghilterra; nel 1692 la flotta di Tourville fu praticamente messa fuori combattimento nella battaglia della Hougue. Nella grande guerra di successione spagnola, la Francia non poté tener testa a tutti i suoi nemici, né impadronirsi della penisola iberica e, con ciò, delle ricchezze dell'America spagnola. L'avventura di Napoleone rientra nello stesso schema: molte vittorie da una parte, ma dall'altra l'irreparabile disfatta di Trafalgar ( 1805 ). Mentre le forze della conquista francese erano impegnate nell'Europa continentale, l'Inghilterra correva libera sui mari. Bastarono roo o 150 navi di legno a bloccare il passaggio della Manica, che nel 180 5 si era ritenuto possibile « scavalcare»; e lo stesso si dica per lo stretto di Messina: mentre i Francesi e Murat erano a Napoli, la Sicilia restava il rifugio dei Borboni. Lo stesso schema è valido per la Germania hitleriana, che ha suscitato contro di sé una coalizione proporzionale alla gravità delle sue minacce, estesa cioè alla maggior parte del mondo. 3. Mercato comune e unità politica. È possibile oggi realizzare l'unità politica dell'Europa senza violenza e per comune volontà dei suoi membri? Il programma va deli-

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neandosi e suscita grande entusiasmo ma anche gravi difficoltà. Abbiamo già ricordato alcune di queste difficoltà. Innanzi tutto il fatto che l'unità sia limitata alla sola Europa occidentale (si è dovuto costituire l'Europa« con quel che ne resta»); poi, l'unità europea pone una serie di problemi extraeuropei, nella misura in cui l'operazione, dal punto di vista economico e politico, tocca l'equilibrio del mondo. Citiamo la dichiarazione di un banchiere ( 14 novembre 1958): «Incerte parti del mondo si teme che l'Unione europea, per la sua stessa coesione, non adotti una politica discriminatoria nei confronti dei terzi»; che proceda insomma a delle opzioni preferendo ad esempio i prodotti tropicali dell'Africa a sud del Sahara a quelli del1'America latina, e cosi via. a) Difficoltà interne, istituzionali. Le prime difficoltà sono istituzionali, e non sono certo di quelle che si risolvono facilmente con un trattato o con un compromesso. È possibile che i governi dell'« Europa degli stati», secondo l'espressione del generale De Gaulle, facciano delle concessioni e sacrifichino una parte dei loro diritti sovrani? Già 1'8 agosto 1950, André Philip dichiarava al Consiglio dell'Europa: « La nostra assemblea, da un anno in qua, per evitare disaccordi, ha accettato tutti i compromessi. Il risultato? Nulla di fatto. L'opinione pubblica si disinteresserà di noi se non dimostreremo di essere venuti qui per creare veramente l'Europa». Il 17 agosto lo stesso uomo politico minacciava di « andare a far l'Europa altrove ». Passati undici anni, a Bruxelles, Paul-Henri Spaak, ministro degli Affari esteri del Belgio, il 10 gennaio 1962, alla vigilia dell'accordo agricolo che fu concluso il 14 ( ma egli ancora lo ignorava), dichiarò: « Tutto concorre a convincermi che non ci può essere Europa unita e efficiente senza sovrannazionalità. L'Europa delle patrie è una nozione ristretta e insufficiente ... Piu vivrò, piu combatterò la regola dell'unanimità e il veto. Ho fatto l'esperienza dell'ONU, poche settimane fa, e del veto sovietico. Piu di

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L'Europa attuale.

recente ho avuto un'esperienza analoga alla NATO dove, sulla questione tedesca e su quella berlinese, la posizione di un solo stato ha impedito di prendere un atteggiamento fermo e costruttivo. Quanto si può.vedere attualmente al Palazzo dei congressi riguardo ai problemi agricoli non è certo fatto per farmi cambiare idea. In queste discussioni, cerco invano lo spirito comunitario. Ognuno difende gli interessi dei propri agricoltori... Se la dannata regola dell'unanimità non esistesse, le trattative del Consiglio dei Sei sarebbero molto piu spedite ... Ci offrono un'Europa delle patrie nel campo della politica estera, ma a che altro può servire se non a creare il caos? Cinque paesi potrebbero, ad esempio, intendersi sulla questione della Cina comunista e il sesto bloccare tutte le decisioni... Mi domando dunque se è bene rinunciare allo spirito di sovrannazionalità in questo campo». Tutti argomenti validi; ma in un'assemblea estrema-

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mente divisa la regola della maggioranza non è sempre una panacea per la soluzione dei problemi. Si può formare una maggioranza attraverso negoziati, compromessi di gruppo, quelli che nelle assemblee vengono chiamati « contatti di corridoio», che non rappresentano necessariamente una politica piu coerente e disinteressata del mercanteggiare sul veto. Il problema essenziale è quello di sapere fino a che punto le tendenze politiche degli attuali stati d'Europa possano accordarsi, almeno su alcune linee essenziali, profonde. Ci si ritroverebbe altrimenti a rifare il pericoloso gioco dell'equilibrio europeo, in seno alla nuova Europa. b) Unità e intenzioni politiche.

I partigiani dell'unità dicono e ripetono che essa deve essere frutto di libere decisioni. « Esclusa ogni preponderanza - dichiara un uomo d'affari tedesco ( 19 5 8) - né Europa napoleonica, né Europa hitleriana>>; e continua: >, diagnosticano gli psicanalisti. Ma tale coscienza è anche il prodotto spontaneo di un passato autonomo e indipendente, sviluppatosi su un continente nuovo e immenso, col senso di sicurezza che ne è conseguito. L'America infatti è stata libera di occuparsi unicamente di quanto le accadeva in casa, di conservare la propria prosperità, di innalzare, come una muraglia cinese, la barriera di protezione doganale che la isolò, e di allargare il proprio territorio senza rimorsi, né scrupoli, né timore di un vicino minaccioso. Le sue conquiste territoriali sono state un'espansione, quelle marittime degli altri orribili imprese coloniali. L'America del secolo XIX non si sente legata che con il resto del continente americano; questa solidarietà si espresse nella dottrina di Monroe ( 182 3 ): l'America agli Americani. Ma lo stesso messaggio - si tratta infatti di un messaggio del presidente degli Stati Uniti - esprimeva chiaramente il disinteresse degli Stati Uniti per gli affari europei. Aspetto positivo e aspetto negativo della dottrina di Monroe, spesso ripresi e riaffermati in seguito. Ma il mondo degli altri non può essere dimenticato: ci sono il commercio, le importazioni, le esportazioni, le relazioni diplomatiche; uno slancio bellicoso portò persino, nel 1898, gli Americani a Portorico dove sono tuttora, a Cuba dove non sono piu e nelle lontane Filippine, di dove, in realtà, non sono partiti, nonostante l'indipendenza concessa all'arcipelago. Il mondo stesso è venuto a loro con i suoi cortei di immigranti europei, giapponesi, cinesi. La reazione naturale e pericolosa si è vista: gli Stati Uniti si chiusero, nel 1921-24, al flusso di stranieri. Non ci fu forse avvenimento piu catastrofico per il mondo e per l'Europa arroventata e sconvolta degli anni del primo

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dopoguerra, cui venne in tal modo chiusa una valvola di sicurezza. Contemporaneamente gli Stati Uniti, che nel 1918 avevano deciso le sorti della prima guerra mondiale, si ritirarono dalla politica internazionale attiva, e, dopo la firma del trattato di Versailles, che essi stessi avevano voluto, non aderirono alla Società delle Nazioni. Abbandonarono il mondo alla fragile e illusoria dominazione inglese, vecchio capolavoro di lunghi collegamenti marittimi che la guerra aveva lasciato intatto. D'altronde, tra i motivi dell'intervento americano nel 1918, il piu importante era stato senza dubbio quello di salvare la supremazia mondiale dell'Inghilterra, di cui si avvantaggiavano essi stessi e che salvaguardava l'avvenire della civiltà anglosassone, la loro civiltà. Di fronte al fallimento del simpatico Woodrow Wilson, che non aveva voluto il ritiro degli Stati Uniti, si può forse parlare di autentico successo per l'opera di Franklin Delano Roosevelt a Jalta, a Teheran, a Rabat, nel corso delle riunioni al vertice che precedettero la sua morte e la fine della seconda guerra mondiale? Con una serie di impegni Roosevelt strinse e allentò allora i vincoli di un mondo di cui, dobbiamo riconoscerlo, non era facile prevedere il futuro. Non cedette forse troppo alle necessità immediate, a principi ancor meno validi di quelli di Wilson e spesso moralmente discutibili? Favorire l'emancipazione degli imperi coloniali rientrava nelle regole della tradizione americana, ma significava anche compromettere la forza dell'Occidente, mettere in causa prima o poi anche l'America latina la cui vita economica è un'appendice «coloniale» degli Stati Uniti. Significava anche far dono di metà dell'Europa ai Sovietici, con un atto che si allontanava di molto dal sacro principio del diritto dei popoli a disporre della propria sorte. Ma Roosevelt riteneva che la pace del mondo esigesse l'abolizione della turbolenza dei piccoli popoli. Disarmare tutti i paesi del mondo tranne i quattro grandi di allora, Cina, Urss, Inghilterra e Stati Uniti, era quanto voleva. Forse egli non era esente da una certa nostalgia dell'isolazionismo: se

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proprio era necessario occuparsi del mondo, che almeno si facesse in modo che se ne stesse tranquillo ... Questo modo di vedere e interpretare la politica di Roosevelt è di un americano. È certo discutibile, ma esprime un'ottica abbastanza comune tra i non americani, soprattutto tra gli Occidentali, che, testimoni estranei al Nuovo mondo, ritengono che gli Stati Uniti siano arrivati, senza averlo chiaramente voluto e senza averne preso preventivamente coscienza, alla leadership mondiale. Che essi abbiano spesso creduto semplice il problema - questione di buon senso e di buona volontà - e le difficoltà derivanti solo dai pregiudizi e dall'egoismo del Vecchio mondo. Eppure parecchie delle loro iniziative sono state fonte di guai e sono sfuggite presto al loro controllo, dimostrando, senza ambiguità, che i crediti e i buoni principì non bastano a guidare il mondo, e che il dominio esercitato attraverso il commercio e il danaro, legittimo secondo l'ottica tradizionale degli Stati Uniti, suscita oggi una ostilità quasi pari a quella della vecchia dominazione coloniale cui troppo somiglia. Gli Americani, da parte loro, hanno visto nei loro fiaschi una dimostrazione dell 'ingratitudine, dell'invidia dei popoli che essi avevano soccorso o cercato di soccorrere. In realtà gli Stati Uniti hanno dovuto fare, come tutti, il loro apprendistato, per imparare a orientarsi nel mondo che avevano per tanto tempo ignorato o voluto ignorare; un mondo che ora, per la loro stessa sicurezza, essi debbono sorvegliare e, se possibile, dirigere. Hanno preso questo compito con serietà, hanno riconosciuto essi stessi alcuni loro errori, poiché un'altra tradizione americana, feconda e simpatica, è quella di credere in quel che si fa e di riconoscere volentieri i propri errori, senza vanità e per desiderio di maggior efficienza: prima il tiro verrà rettificato, e prima si avrà la possibilità di colpire il bersaglio. Cosi, il presidente Kennedy ha cercato di raccogliere attorno a sé i migliori intellettuali e specialisti dell'economia e della politica, per uno studio accurato dei problemi del momento. Un giornalista sottolinea questo fatto, aggiungendo ( 21 giugno 1962) che« dopo aver fatto lavo•

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rare i " talenti", i "cervelli" raccolti attorno a sé, Kennedy ha tratto dalla somma delle loro conclusioni una sintesi a cui la sua azione si ispira. Restano zone d'ombra, qua e là; restano aperte varie opzioni; ma la linea scelta è fondamentalmente chiara. Per la prima volta dopo molto tempo si sa come regolarsi a proposito delle intenzioni del presidente degli Stati Uniti». Non dobbiamo vedere in ciò semplicemente un risultato della personale riflessione del presidente, o solo un apporto degli intellettuali e professori di Harvard chiamati in aiuto della politica. In realtà, durante gli anni tesi e drammatici, che vanno dal piano Marshall alla guerra di Corea e alle attuali tensioni per Berlino, Cuba o il Laos, gli Stati Uniti hanno preso coscienza, fino agli strati piu profondi della loro opinione pubblica, del loro ruolo mondiale· e delle loro responsabilità. I tempi dell'isolazionismo sono finiti. 2. Puissance oblige! Il passaggio degli Stati Uniti al primo posto tra i paesi del mondo - posto che comporta il rischio di un pericoloso regresso - è conseguenza del prodigioso sviluppo della loro potenza, che, per essere qualificata, deve far ricorso a tutti gli aggettivi: economica, politica, scientifica, militare, mondiale. In realtà questa potenza, evidente dopo la vittoria del 1945, dopo lo scoppio dell'atomica su Hiroshima, ha posto immediatamente il problema della leadership europea e mondiale in termini di duello. In passato l'Europa era sempre stata divisa in due campi nemici, la cui composizione variava a seconda che il pericolo e la minaccia provenissero dall'una o dall'altra grande nazione. Oggi il mondo vive secondo quel vecchio schema« bipolare», per usare un termine di Raymond Aron. Non è soltanto l'ideologia che separa il mondo libero e il mondo socialista, tra i quali, col passare degli anni, le analogie si vanno moltiplicando: anche il mondo socialista organizza la sua industria in unità gigantesche; e d'altra parte il mondo libero è in una fase di socializzazione evidente e necessaria. La leadership pone - in termini di potenza - oggi ancora piu di ieri, un'alternativa fondamentale: o Wash-

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ington, o Mosca. I paesi neutrali del Terzo mondo e i satelliti dei due colossi non sono che spettatori di una storia che subiscono; senza altro ruolo che quello di aggiungere il loro piccolo peso a uno dei due piatti della bilancia. È dunque necessario sedurli, attrarli e conservarli fedeli, tanto quanto dominarli. Nel 1945, gli Stati Uniti, vincitori, si addormentarono sugli allori lugubremente e decisamente conquistati con le bombe di Hiroshima e Nagasaki. Il 12 luglio 1953 l'equilibrio fu ristabilito dall'esplosione della bomba H sovietica. Nel 1957, col lancio del primo Sputnik, i Sovietici segnarono un punto decisivo, tanto piu che la conquista dello spazio implica la messa a punto di missili a lunghissima gittata, fino a IO mila chilometri. Da allora i successi si sono alternati con incerto equilibrio. Gli armamenti, da entrambe le parti, diventano sempre piu terrificanti e la guerra fredda si alimenta della paura che le due parti reciprocamente si incutono, tra il terrore e la collera degli altri popoli del mondo che seguono lo spettacolo con gli occhi aperti e le mani vuote. Il fatto è che sebbene il pericoloso gioco dei due colossi mondiali non sia né migliore né peggiore di quello dell'Europa di ieri, gli spaventosi mezzi tecnici dei due contendenti gli attribuiscono oggi una ben diversa portata mondiale. L'umanità rischia di annientarsi. In ogni caso è evidente che questa lotta ossessiona gli Stati Uniti, condizionandone non solo la politica, ma tutta la vita e perfino il pensiero. Ciò spiega come l'anno della bomba H sovietica abbia segnato nella vita americana una svolta cruciale pari a quella del 1929, per ragioni diverse ma non meno gravi. La tensione, che ogni occasione serve ad alimentare, turba le menti, le fantasie e i cuori; deforma tutto e immerge quello che era il paese della libertà in un'atmosfera di oppressiva diffidenza che di solito è il clima della guerra. Prova ne sia l'accesso del maccartismo, la cui febbre non è del tutto scomparsa. Tutto l'universo rischia di essere trascinato in questa psicosi ostile allo spirito e alla felicità degli uomini. La regola aurea di una vita mondiale solidale dovrebbe essere quel-

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la di pensare ostinatamente con, non contro; ma gli Stati Uniti e l'Urss pensano ostinatamente contro. Tutto quel bisogno di denigrazione reciproca e di inutile difesa, va ascritto all'enorme passivo della guerra fredda, in ambedue i campi.

3. Ci soffermeremo, per finire, sull'ammirevole e varia testimonianza del romanzo americano, che ci offre una valida conclusione sulla civiltà di cui è interprete. Per completezza, sarebbe certo necessario ricordare non solo tutto il campo letterario, dalla poesia, al teatro, al cinema, ma anche l'arte, con una particolare attenzione all'architettura, e le scienze, da quelle dell'uomo a quelle della natura. La fioritura dell'intelligenza americana chiama in causa non solo gli economisti di Harvard o della Chicago University ma anche gli artisti, e, infine, la bellezza degli utensili, della tecnica e delle forme funzionali dell'industria americana. Ciò che ci induce a scegliere la testimonianza del romanzo - una scelta è necessaria per ragioni di spazio - è, da un lato, la sua grande influenza sulla letteratura europea e mondiale da vent'anni in qua, e, dall'altro, il fatto che la sua evoluzione, dagli inizi del secolo, fa luce sulla crisi di cui abbiamo parlato. L'Europa ha« scoperto» la letteratura americana a partire dal 1920-2 5, ma essa è in gran voga soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale. Le numerosissime traduzioni presentate e commentate da scrittori come Sartre, Malraux, Pavese, vennero accolte con favore e la loro influenza è tanto evidente in Francia, in Inghilterra, in Italia, in Germania, da far parlare di « era del romanzo americano». Si potrebbe anche dire era dell'« americanismo» che si manifesta nella musica jazz, nella danza, addirittura nel modo di vestirsi dei giovani e nell'arte dei cartoons, i disegni umoristici di cui il settimanale « The New Yorker >> presenta gli esempi piu gustosi. Per fermarci dunque al romanzo, l'era di cui si parla è contrassegnata essenzialmente dalla scoperta di una «scrittura», di una tecnica narrativa molto lontana dalla tradizione europea del romanzo psicologico. « Arte della

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cronaca obbiettiva e disadorna», è stato detto, >, diceva uno

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di loro, Francis Scott Fitzgerald ( 1896-1940), con una frase che riguardava lui e i suoi pari, i quali raramente vissero il « successo ». Lo seri ttore americano è insomma un essere asociale per eccellenza, un individuo che non solo esprime la rivolta e il malessere di fronte al mondo che lo circonda, ma fa l'esperienza della sua rivolta, pagandola quotidianamente con l'angoscia e l'estrema solitudine. L'evoluzione del romanzo americano riflette dunque fortemente quella delle tensioni sociali interne. Nel secolo XIX, sullo sfondo delle cupe opere di Melville e di Hawthorne, campeggia l'incubo del puritanesimo calvinista americano, il cui tema ossessivo della tragica lotta tra il bene e il male è sempre presente anche se gli autori ripudiano il peso di tale ossessione. Entrambi questi seri ttori denunciarono in certo qual modo la società che li circondava e che li ricambiò ad usura. Con gli inizi del secolo xx, ci fu un sollevamento generale contro l'intransigenza del puritanesimo. Questo è ancor oggi indubbiamente presente nella forza delle preclusioni sociali, sostituitesi in certo qual modo a quelle morali. Ma dalla fine del secolo xix il puritanesimo non è piu il simbolo dei misfatti della società. Fu allora che fece la sua comparsa il romanzo di tipo naturalista, alla Zola, a tendenza socialisteggiante, in coincidenza con la gigantesca espansione economica che segui al 1880. Ormai, fino alla seconda guerra mondiale, fu la società industriale e capitalista, la vita «futurista» americana, il principale bersaglio dell'anticonformismo; di Sinclair Lewis - il cui celebre Babbitt ( 1922) è l'immagine caricaturale e vendicativa dell'uomo d'affari americano -, ma anche di tutti gli esiliati volontari che vissero a Parigi tra le due guerre: Hemingway, Fitzgerald, Dos Passos, Farrell, Miller, Katherine Anne Porter ... la « generazione perduta» secondo le parole di Gertrude Stein, loro antesignana, il cui salotto parigino fu il punto di incontro dell'American abroad. E anche di Faulkner, Steinbeck, Caldwell, Wright, insomma di tutta quella generazione di « intellettuali di sinistra » che si appassionarono e scandalizzarono per il processo e la condanna di Sacco e Vanzetti nel 1927 (Dos Passos in quell'occasione fini in prigione), per

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la guerra di Spagna ( argomento del noto romanzo di Hemingway, For Whom the Bell Tolls), per le aggressioni mussoliniane e per le battaglie del New Deal; di questi uomini che videro nel socialismo una speranza di salvezza per la società contemporanea. La guerra del 1940 e le sue conseguenze, poi la guerra fredda, distrussero quelle speranze. I romanzieri americani hanno anzitutto riacquistato un senso di solidarietà di fronte al loro paese e constatato poi l'inutilità del loro sogno marxista. La giovane generazione si è allontanata dal realismo sociale, per orientarsi verso un tipo di romanzo in cui il simbolo, la poesia, l'arte per l'arte riacquistano i loro diritti; e guarda a Henry James, a Melville, anche a Fitzgerald, l'originalissimo scrittore della « generazione perduta», morto assai giovane. La rivolta sociale non è piu al centro dell'espressione letteraria americana? Cosi si è potuto credere a un certo momento quando, alla fine della guerra, si manifestò un ritorno al nazionalismo e apparve una generazione di scrittori universitari - appartenenti dunque a un mondo stabile e sicuro - che volentieri si identificavano con la loro propria civiltà. Ma il dopoguerra ha visto nascere anche la generazione dei beatniks, giovani intellettuali in rotta con gli imperativi della società che li circonda, che si distinguono dai loro predecessori della « generazione perduta» per la diversa intonazione della protesta. Infatti gli uomini degli anni venti o trenta credevano nell'avvenire del socialismo, costoro, per sfuggire all'angoscia, credono solo all'arte, all'alcool e alla droga. Il loro tema principale è quello della solitudine e della incomunicabilità in un mondo privo di qualsiasi significato. Ma il fatto è che l'America vive l'ora della modernità in anticipo rispetto al resto del mondo. Essa è il paese del futuro e questo, almeno, è per lei un fondato motivo di speranza, una prova della sua vi tali tà e delle numerose risorse che le permetteranno probabilmente di ritrovare il suo tradizionale ottimismo e la fiducia in se stessa. Claude Roy, in Clefs pour l'Amerique, ha scritto: