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Italian Pages 170 Year 1999
Antoinette Fouque
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8 Marzo 1989, Parigi Il nostro movimento è irreversibile
Oggi, 8 marzo 1989, siamo riunite nel grande anfiteatro della Sorbona, per celebrare due avvenimenti molto importanti: -1'8 marzo, Giornata internazionale delle donne, che si festeggia ormai in tutto il mondo; - il 1989, bicentenario della Riveluzione francese e della Dichiarazione dei diritti dell'uomo. L'8 marzo 1857, a New York, le sarte scendevano in piazza per denunciare lo sfruttamento di cui erano vittime. Esigevano la riduzione dell'orario di lavoro (da sedici a dieci ore al giorno t) e salari uguali a quelli degli uomini. Nel 1910, Clara Zetkin proponeva che 1'8 marzo divenisse Giornata internazionale delle donne, in omaggio alle donne americane, ma anche perché ogni anno una giornata fosse consacrata alle loro rivendicazioni. L'anno seguente, il congresso della Seconda internazionale socialista approvava la proposta. D'allora, 1'8 marzo è la Giornata internazionale delle donne. L'8 marzo 1982 abbiamo tenuto qui i primi Stati generali ddle donne contro la misoginia. Venute dall'Egitto, dalla Bolivia, dagli Stati Uniti, dall'Austria, dall'Algeria, dalriran, dalla Corsica, dalruRSs, dall'Irlanda, donne di ogni condizione sociale e convinzione politica hanno testimoniato contro l'oppressione misogina e affem1ato la necessità di una lotta indipendente delle donne. Abbiamo scelto la Sorbona, istituzione decisamente sovversiva, affinché, coniugando queste due date, si avvii, qui e
ora, il rilancio cli una dinamica di liberazione e democratizzazione feconda per il più gran numero di donne. Infat~i, è nella dinamica cominciata in Francia ventun anni fa da due o tre donne, seguite da decine di migliaia, che s'iscrive l'iniziativa dell'Alleanza delle donne nei riguardi di tutte e tutti coloro che, oggi, dalla sala o dalla tribuna, si esprimeranno in questo convegno. . , . . Alcuni dicono che sono necessari trent anm a un sistema di pensiero per affermarsi. Non mi sembra indebito ritenere che ci vorrà almeno altrettanto tempo a un movimento, come quello delle donne, per vincere, se non definitivamente, almeno in modo duraturo, la più antica delle oppressioni, quella delle donne, da parte di ciò che si è convenuto chiamare il patriarcato, ma che, nei nostri tempi moderni, designerei più volentieri come il filiarcato o il fratriarcato; perché è anche grazie a nuove fratrie che le leghe monoteiste, politiche e simboliche, continuano a escluderci dal Diritto, dalla Polis e dalla Lingua. Ci restano dunque ancora dieci anni, l'ultimo rettilineo prima del terzo millennio, per compiere una parte del nostro compito storico, compiere, cioè trasformare in obiettivi definitivi, le prove affrontate, ma anche, e soprattutto, passare la mano alle nostre figlie. Se tutti, oggi, storici e politologi, biologi e filosofi, sono concordi nel pensare che il cambiamento più importante della nostra civiltà, alla vigilia del terzo millenio, è la trasformazione irreversibile delle relazioni tra uomini e donne, più rari sono coloro che hanno la lealtà di attribuire tale mutamento, il più radicale dopo la decolonizzazione e la caduta dell'impero europeo, al Movimento delle donne. Abbiamo infa_tti saputo utilizzare i progressi tecnologici d~lla ~ontraccez1,one come_ leva della nostra indipendenza b1ol~g1ca, perche s~no s~au accompagnati da una presa di cos~1en~a, da_ una nfless1one e da un'azione politica, sono stati art1colat1 con una vera maturazione psichica affettiva fisiologica, sessuale, culturale, in una parola: uman~. Le don~
ne hanno trasformato un semplice progresso tecnologico in un movimento di civiltà; hanno trasformato una rivoluzione .. caotica" in uno slancio evoluzionario permanente e infinito. Ancora, non sono solo i rapporti tra uomini e donne che non saranno più gli stessi, ma quelli della triade umana, donna-uomo-bambino. Ciò che resta dunque ancora mascherato, al giorno d'oggi, per non dire diniegato, è la funzione iniziale, il ruolo dinamico del Movimento delle donne in questa trasformazione. Questo MLF, 1 tanto denigrato, sfigurato, snaturato, mal giudicato, diffamato, è tuttavia stato l'origine, il motore, il responsabile degli avvenimenti più positivi che hanno trasformato la condizione umana della nostra società da ventun anni a questa parte. L'onestà degli storici risulterà ormai dal riconoscimento che il Movimento delle donne non solo ha rinvigorito le istituzioni esistenti, per esempio il "Planning familial", impegnato, ben prima dd 1968, nella battaglia per la contraccezione, ma ha anche alimentato e influenzato l'orientamento del pensiero contemporaneo, dalla psicanalisi alla letteratura, passando per la filosofia, e infine ha generato altri movimenti: il MLAC,2 movimento di uomini e donne che ha continuato l'opera del MLF nella lotta per la depenalizzazione dell'aborto, senza abbandonare l'informazione sulla contraccezione; l'associazione "Choisir" che, riprendendo uno dei nostri primi temi di riflessione, ha costretto la legge ariconoscere lo stupro come crimine. I partiti e lo Stato, volendo superare questo movimento in velocità, fermarlo o sviarlo a loro vantaggio, di fatto l'hanno legittimato. creando e ricreando, da quindici anni, un femminismo istituzionale: dal segretariato di Stato alla Condizione femminile, inaugurato da Valéry Giscard d'Estaing nel 1974 e attribuito a Françoise Giroud, una mitterrandiana, al vero e proprio ministero dei Diritti delle donne, attribuito nel 1981 da François Mitterrand alla molto femminista Yvette Roudy. È anche uno degli effetti del Movimento
delle donne il fatto che molte hanno potuto accedere, spesso, è vero, grazie al Prin~ipe, al Ca~~ dd ~a_rtito,_ al ~adre, al Fratello e all'amico, a tstanze politiche d1r1gent1. È mfine uno degli effetti di questo Movimento, e della sua vigilanza nd mantenere il diritto, recentemente ottenuto, delle donne di disporre di se stesse, dopo il voto della legge Veil, nel 1974, che un dettorato tradizionalmente conservatore si sia mobilitato per la prima volta, nel 1981, dalla parte del partito del progresso sociale. L'onestà, dai sindacalisti agli psicanalisti, consisterebbe nel riconoscere il vento di libertà e d'indipendenza, sia libidinali, sessuali, affettive, sia economiche, professionali e politiche, che questo movimento ha fatto soffiare sui costumi e le mentalità. Questa famosa "solitudine crescente" che la destra, in particolare, ha ribadito senza tregua negli ultimi anni, potrebbe ben essere un'attitudine più positiva di quanto essa voglia far credere. Molte donne pensano ormai sia meglio vivere da sole piuttosto che in compagnia violenta. Il moltiplicarsi delle solitudini è una risposta efficace al moltiplicarsi dei narcisismi. Una solitudine volontaria ha di fatto sostituito una servitù millenaria. Dopo Virginia Woolf, ciascuna ha cercato di affermare il proprio diritto non solo a una "stanza per sé", ma a una "libido-per sé", un'"identità · per sé", una "lingua per sé", affinché la storia finisca per tener conto che ci sono due sessi, 3 e che questa eterosessualità, questa eterogeneità, è la condizione della ricchezza, della fertilità dell'umanità. Nato nell'impeto di ciò che continuo a chiamare la Rivoluzione del '68-perché si trattava proprio di entrare in una nuova era - il MLF ha sempre dovuto lottare controcorrente, oppure in avanti rispetto alle correnti reazionarie o francamente fascisteggianti di questa rivoluzione.Quest'era che h~ scop~rto ~-Maggi~ la nozio~e di fraternità, dopo q~ella di liberta e d1 uguaglianza, ha instaurato di fatto il tempo delle fratrie f~atricide quanto fraterne, dalle quali le donne sono tanto p1u escluse in quanto, essendo differenti, non era-
no ancora, e forse non saranno mai, uguali. Dal priapismo ai graffiti del Maggio '68, al narcisismo delle star-maschie televisive, l'era che si preparava rischiava di essere peggiore, per le donne, dd capitalismo per gli operai. Andando controcorrente rispetto alle nuove direzioni annunciate nel 1968, almeno per tutto il XXI secolo, il MLF portava dunque un colpo fatale a Narciso, il quarto dopo i tre colpi enunciati da Freud, cioè la rivoluzione copernicana, darwiniana e psicanalitica. È quella che un tempo chiamavo la "rivoluzione del simbolico", la destituzione degli equivalenti generali che diniegano che i sessi sono due, che la produzione del vivente è tripartita, e che proibiscono I' accesso a una parità eterosessuata nella storia. Il MLF, fin dalle sue prime riunioni, mettendo la madre in movimento, la nozione di madre al lavoro, tentando, come dicevamo già dal 1968-70, di .. liberare la donna nella madre", affermando che non era "tutta del figlio n, o che "il padre non esiste", intaccava l'onnipotenza narcisista infantile, sulla quale si fonda il primato del fallo. È in questo attentato all'onnipotenza narcisista del figlio che consisteva "una difficoltà del MLF", così come Freud parlava di "una difficoltà della psicanalisi'', a proposito dell'attentato all'Io costituito dalla scoperta dell'inconscio. Non soltanto in teoria, ma anche nella pratica, noi attaccavamo il Padre e il Figlio, rifiutando di continuare a costituirci come supporti della loro castrazione, cioè a essere delle isteriche. Nel momento in cui credevano di confinarci in quel ruolo, avevamo cessato di starci. Le difficoltà interne non erano minori. Noi, le donne, escluse-internate in questa civiltà (secondo il concetto elaborato da Jacques Derrida). dovevamo ndlo stesso tempo capire la relazione con la nostra origine e avanzare, pensare, agire, produrre. a ogni istante, molteplici gesti contraddittori, dirigerci in parecchie direzioni e su parecchi piani complessi, per non dire paradossali. Era il tempo, lo è forse ancora, delle lotte per l'uguaglianza e/o la differenza. Que-
ste lotte erano veramente dei rompi-capo, dei veri crepa-cuori. Eravamo un certo numero a pensare che la differenza senza l'uguaglianza non potesse produrre altro che regressione psichica e reazione politica; ma che l'uguaglianza senza la differenza non avrebbe prodotto che un' assimilazione sterilizzante, un'amputazione psicosessuale. Mano a mano che il Movimento si accelerava, si amplificava o, al contrario, perdeva fiato e s'insabbiava, si accentuava la tendenza alla forclusione della sua origine, piuttosto che alla sua integrazione. Non ci lasciavano il tempo di capire, di costruire, eravamo intimidite o scoraggiate, ci obbligavano a rispondere, ci mettevano in un ghetto, riducevano un movimento di civiltà a una volgare moda, ci assegnavano il limite dell'uguaglianza come vicolo cieco del nostro destino, così come domani ci imporranno l'uniformità del narcisismo come sola via di (sotto-) sviluppo. Quando mai le donne hanno fatto spargere sangue in un mondo in continua lacerazione? Cosa sono le loro pretese violenze verbali paragonate a quelle che si esprimono ogni giorno in un qualsiasi giornale, e in particolare contro le donne? Perché una tale intolleranza per le lotte sororicide quando ogni giorno le lotte fratricide, all'interno di un gran partito, sono considerate come un segno di salute democratica? Sembrava che nessuno strappo alla regola fosse permesso. Dovevamo essere perfettissime. Avevamo "sbagliato tutto". Non c'è da stupirsi che il Movimento delle donne, nel suo insieme, abbia resistito male a una tale strategia, concenata, di marginalizzazione, al punto da sembrare talvolta antiparlamentare. Spogliato di tutte le sue vittorie, era ogni giorno ridotto all'immagine di un ghetto di isteriche. Per le donne in movimento, l'indegnità, il ridicolo, gli eccessi, gli abusi, le ~olenz~;. p~r le m~t3:°ti legittime, sposate a un partito, o figli~ nob~ d1 un prmape, la dignità, il prestigio, il potere. Oggi poss1~0 m1s~rare -~uanto tali privilegi fossero ingannevoli, e quei poten fragili, e quanto, sia per scrivere la storia di un passato prossimo sia per tracciare nuove avanzate,
bisognerebbe, secondo una preoccupazione epistemologica e politica, riconoscere al Movimento delle donne, nella sua diversità proliferante, nella sua massa nello stesso tempo divisa e capace di riunire, la sua forza ispiratrice, il suo dinamismo vitale e la sua indipendenza innovatrice. Oggigiorno, ali' oppressione e alla misoginia millenarie, si aggiunge la repressione innestata dalle nostre prime conquiste. In Francia, ogni giorno, si umiliano, si sfruttano, si escludono, si stuprano, si picchiano, spesso a morte, si uccidono, per passione dicono, le donne. L'evoluzione destabilizzante. nel Sud, nell'Est, dei paesi senza passato democratico, le rivendicazioni selvagge di identità culturali e cultuali, la concorrenza di tutte le differenze a titolo d'identità sovrane, a eccezione di quella che le informa tutte, la differenza dei sessi, l'esclusione ddle donne dalle aree di potere, dunque di visibilità, che le rinvia a un sottosviluppo della rappresentazione, lo scarto che si accentua ogni giorno di più tra il fare e il parere, a profitto di quest'ultimo, sono freni, minacce all'avanzata delle donne. Uno dei sintomi della rivoluzione del '68, l'entrata nell'era "fallista", appare ora in piena luce. Agli estremi, l'onnipotenza narcisista si esprime con un formidabile aumento dell'intolleranza, che si può presagire non si limiterà, in questa lotta a morte per il potere, di puro prestigio, alle intolleranze religiose. Dopo l'era della libertà. e quella dell'uguaglianza, si parla dell'era della fraternità, della solidarietà e della tolleranza. "Non toccare il mio compagno" s'intende del resto. in eco e in conflitto, nel '-non toccare il mio romanzo'', "non toccare il mio Corano". A proposito della religione, nell'anno Primo dei Diritti dell'uomo, tviirabeau giudicava già utile fare una messa a punto: .. Non vengo qui per predicare la tolleranza. La libertà più illimitata di religione è ai miei occhi un diritto tanto sacro, che la parola tolleranza, che cerca di esprimerlo, mi pare in qualche modo tirannica essa stessa, poiché l'esistenza dell'autorità che ha il potere di tollerare, porta pregiudizio alla libertà di pensare per
il fatto stesso di tollerare, perché potrebbe quindi non tollerare". Cento anni dopo, nel 1882, Renan, a proposito della laicità, non temeva di affermare, perentorio: "La laicità è lo Stato neutro tra le religioni, che tollera tutti i culti e costringe la Chiesa a obbedirgli su questo punto capitale". Dall'integralismo alla "fallaicità", tolleranza e intolleranza fanno venire i capogiri alla legge. Dappertutto, nel mondo intero, la situazione delle donne si è aggravata; le regressioni sono inquietanti, al punto che alcune leggi votate in loro favore sono abolite. Ma dappertutto, nel mondo, le donne sono coscienti, vigili e combattive. Vogliamo che cessi questa barbarie ordinaria e quotidiana. In Thailandia, contro la vendita e la prostituzione di bambine, alcune donne costruiscono una fon dazione per accoglierle e dare loro una formazione. In India, esse lottano contro le leggi relative alla persona, che riducono le libertà delle musulmane. In Cina, si costituiscono in associazione di donne democratiche, per fare avanzare i diritti umani. In Algeria, in cui infierisce il Codice della Famiglia, si mobilitano contro l'obbligo del velo. Negli Stati Uniti, centinaia di migliaia di donne si riuniranno a Washington per riaffermare il diritto di scegliere liberamente la loro maternità, dunque di abortire. Altrove, alcune hanno pure conquistato il potere politico. In Francia donne creano, donne accedono a responsabilità, donne lottano: negli ospedali, le infermiere, le levatrici, nei nidi per l'infanzia, le puericultrici si sono mobilitate, non solo per il loro salario, ma per il riconoscimento del loro sapere e per la loro dignità. Dappertutto continuiamo a batterci. È un movimento irreversibile. La Convenzione dell'ONU del 1979, sull'"eliminazione di ogni forma di discriminazione nei riguardi delle donne" legittima le nostre lotte e le nostre azioni. Nelle associazi~ni com~ nei partiti, valorizza la presa di coscienza come la pre~ sa d1 potere quando proclama che "la discriminazione nei
riguardi delle donne viola il principio cli uguaglianza dei diritti e del rispetto della dignità umana, ostacola la partecipazione delle donne, nelle stesse condizioni degli uomini, alla vita politica, sociale, economica e culturale del loro paese, fa ostacolo alla crescita del benessere della società e della famiglia e impedisce alle donne di servire il loro paese nella piena misura delle loro possibilità n. Ratificata dalla Francia nel 1983, essa deve essere uno strumento per la conquista di nuo\i diritti, di nuove libertà. Per farla finita con una "libido derivata'\ un "diritto derivato", un "'identità derivata'', dobbiamo ormai operare affinché il legislatore della Lingua, del Simbolico e del Diritto, tenga conto delle nostre esigenze vitali. È necessario: 1) iscrivere nella Costituzione che "ogni essere umano, qualunque sia il suo sesso, e senza distinzione di razza, di religione, di credo, possiede diritti inalienabili e sacri" ;4 2) elaborare una legge-quadro, a partire da una "Dichiarazione universale dei diritti delle donne"; 3) a nuovi diritti, nuovi doveri: liberare parte del tempo privato per assicurare una presenza e una responsabilità politiche; 4) tutto ciò è possibile solo a condizione che sia riconosciuta la produzione specifica delle donne. Esse assun1ono praticamente il 100% della procreazione umana, e sono penalizzate dal fatto che questa produzione deve restare ignorata, forclusa. Produzione simbolica, perché le donne parlano, e creano esseri parlanti: si può ritenere si tratti di una ''antropocultura". Escluso da ogni iscrizione sociale, economica, professionale, politica, culturale, questo lavoro è l'ultima delle schia\~tù, l'ultimo dispendio di una forza lavoro dovuta in assoluto al Padrone, senza retribuzione né àconoscimento, quando invece è il più considerevole apporto di ricchezza dell'umano all'umanità: proprio la creazione pensante. Penalizzate da questa forclusione della procreazione in quanto produzione-creazione, le donne lo sono dop-
piamente, nell'attività professionale e in que~a de~a creazione di cui le si priva, nel momento stesso tn cui la procreazione è riconosciuta dai creatori come loro modello; 5) continuare a formarci, a informarci, a trasmettere e a trasformarci; creare nuovi campi di conoscenze, nuove scienze, al punto di articolazi_one tra sc_ienze 1!ur~ e scienze umane creare un campo ep1stemolog1co: le scienze delle donne~,chevannodallagineconomiaall'elaborazionedi un "corpo di diritto" specifico. Lavorare per la democratizzazione significa lavorare affinché lo Stato di diritto tenga in considerazione tale dissimmetria rispetto alla procreazione, e le affermazioni che ne derivano, piuttosto che programmare un'uguaglianza ideale che, ancorata sommariamente a un universalismo assimilatore, resterà una linea d'orizzonte sempre in fuga. Siamo realisti: la realtà è che ci sono due sessi nella specie umana, e che tale principio non potrebbe essere evacuato senza conseguenze estremamente dolorose a lungo termine, qualsiasi sia il piacere immediato. Più che mai, noi donne, dovremo fare gesti complessi, mettere al lavoro la nozione di uguaglianza, costruirci identità proprie ma eterogenee, adattarci senza rinnegarci, integrarci reintegrando anche la nostra prima identità, sessuata, originale, invece di rimuoverla, di forduderla, o semplicemente di ignorarla a profitto del genere; riunirci, ricomporci, piuttosto che amputarci di una parte di noi stesse, o spezzettarci all'infinito; concepire il nostro corpo come luogo unico di un lavoro d'intercreazione dello psichico e del fisiologico; tenere in conto che la nostra carne pensa il vivente-parlante, crea quando procrea; considerare infine che non è una tara essere genitale. Forse sarà geniale! Siamo fin da oggi la ricchezza di domani. Volevamo, con questo convegno, tentare di rilanciare in occasione dell'8 marzo, la dinamica del Movimento d;lle donne che, malgrado tutti gli ostacoli e tutte le repressioni,
ha rifiutato di fermarsi. La partecipazione di centinaia, di migliaia di uomini e donne, oggi, rende concreta la nostra speranza di riuscirci. Da alcuni mesi, dappertutto nel mondo, in Argentina, in Cile, in Brasile, in Algeria, in Cina, le donne si mobilitano, all'avanguardia della lotta per la democrazia. È in ragione dell'annuncio di questa speranza degli anni novanta che abbiamo appena creato l'Alleanza delle donne per la democrazia. Abbiamo dietro di noi ventun anni di lotte di liberazione, abbiamo davanti a noi dieci anni di lavoro di democratizzazione per imporre definitivamente il nostro pensiero e la nostra azione e cominciare, da adulte, la storia del XXI secolo e il terzo millennio. Poiché questo lavoro di democratizzazione non dovrebbe avvantaggiare esclusivamente il popolo delle donne. Continuiamo ad avanzare e, avanzando, faremo progredire la democrazia.
Donne in movimenti: ieri, oggi, domani
Contrariamente a molti protagonisti del dopo '68 in Francia, e ad alcune sue consorelle del Movimento delle donne, lei è rimasta silenziosa. È poco conosciuta. Una figura leggendaria, poiché concentra il ricordo acceso dell'ala più audace del MLF, il gruppo "Psychanalyse et Politique" e, nello stesso tempo, una figura misteriosa ...
LE Dl:BAT:
Mi chiedo se non sia percepito come misterioso, ancora oggi, ciò che rinvia all'origine, sempre mitica, ciò che resta dell'ordine della prima oralità, della parola muta. Parler e'est déconner [Parlare è dire cazzate] diceva Lacan. Quanto a scrivere ... ! Come lei sa, ciò che si è chiamato Movimento di liberazione delle donne, MLF, si è creato nell'impeto del Maggio '68. Anzi si potrebbe dire sullo stesso terreno. In effetti il Maggio '68 è stato soprattutto un'effervescenza, un' esplosione orale, un grido; per me, e non solo per me, una nascita; forse è questa la ragione per cui è ancora così pieno cli misteri. Anche se il Movimento delle donne è stato iniziato, come si è detto, da intellettuali, come Monique Wittig. Josiane Chanel e me, prima di tutto è venuto il grido e il corpo con il grido; il corpo così tanto maltrattato dalla società degli anni sessanta, così violentemente rimosso dai moderni di allora, i maestri del pensiero contemporaneo. Monique Wittig era una scrittrice conosciuta. Quanto a me, collaboravo con le riviste letterarie di allora, J Cahiers du Sud, Le Mercure de France, La Quinzaine Littéraire: ero
ANTOINETTE FOUQU~
lettrice per l'editoria. Però il movimento non è partito dallo scritto, ma da ciò che allora si chiamava la '"presa di parola", le proteste, le rivolte scandite, le parole del corpo. Allora dicevo che la rivoluzione, che il Movimento delle donne avrebbe compiuto, sarebbe consistita nell'abolire la censura sul corpo, come Freud, con la pratica e la teoria psicanalitica, aveva abolito la censura sull'inconscio: con la conseguenza di arricchire il testo così come lui voleva arricchire la coscienza. Ma quando lei parla di figura leggendaria, misteriosa, credo sollevi la questione dell'origine molto al di là di me, ed è un'immensa questione. Un'immensa questione sulla quale si potrebbe parlare per ore e che evoca non solo la relazione che i nostri contemporanei hanno con l'origine, ma quella che io stessa, che vengo dall'origine del MLF (oggi, alcune storiche dicono nella sua preistoria) ho con le mie stesse origini, realmente, fantasmaticamente e simbolicamente. Una volta dicevo addirittura che lo sviluppo civilizzatore delle donne ci avrebbe condotto dalla preistoria alla dopo-storia. La relazione che i nostri contemporanei continuano ad avere con l'origine è quella della paura o dd rigetto, che si confonde con la paura delle donne, di una donna: alcune analiste hanno potuto dire la "fantasmadre" parlando di questa figura arcaica. In quel momento era al suo culmine, perché il Movimento delle donne escludeva gli uomini, per risottolineare l'esclusione, in cui noi eravamo, dalla maggior parte delle istanze istituzionali e per posizionarci opponendoci. Era praticamente impossibile fare altrimenti. Per fare riferimento ad altri tempi storici, può darsi che certi letterati, proprio per quanto mi riguarda, si ricordassero più o meno oscuramente di una certa A. Fouque, Adelaide e non Antoinette, anch'essa di Aix-en-Provence. nuova Eva, portatrice di tutti i peccati e aborrita dal suo creatore: infatti A. Fouque è all'origine dell'opera monumentale di Zola, I Rou-
gon-Macquart... Devo dire che sono stata svantaggiata dalla chiusura, se
non proprio dalla reclusione, del movimento quale si presentava allora, come ho già spiegato, e anche dal mio stare in disparte che, fin dall'adolescenza, era legato alle mie difficoltà motorie e allo sforzo, alla sofferenza che mi costava spostarmi, per essere là dove avrei dovuto talvolta trovarmi: le manifestazioni, le cene in città, le relazioni sociali, tutto ciò che mi era proibito perché dovevo riservare le forze per il mio lavoro. E, poi, mi ero proibito da ciò che bisogna nominare come la radice inconscia della misoginia, la forclusione dell'origine o piuttosto la "forclusione del corpo della madre come luogo d'origine del vivente", su cui ho insistito più volte; questa forclusione era raddoppiata dalla relazione con le mie stesse origini - ovvero la relazione psichica con la mia origine sessuale, omosessuata, rispetto alla donna che era mia madre, ed eterosessuata, rispetto all'uomo che era mio padre, o politica, con le mie origini storiche, sociali e culturali: relazione complessa, anzi composita con un'origine ho scritto "une origini" come avevo scritto "une donne" eterogenea. Questa relazione di rottura o di alleanza con l'origine, a cominciare dalla propria, mi sembra orientare il destino di ogni individuo. In effetti si tratta, secondo me, del punto cruciale, dell'oggetto stesso del lavoro sul corpo e del pensiero carnale. E mi sembra che, finché la ricerca non sarà rivolta a questa relazione necessariamente ambivalente, restiamo all'interno di un umanesimo monosessuato, quindi lobotomizzato. Per quanto mi riguarda, cerco di mettere l'origine in movimento con un lavoro costante di "regressione-reintegrazione" piuttosto che di rimozione oppure forclusione. È come il lavoro della gravidanza, una specie di dinamica intima, un movimento elementare. Quanto al "misterioso", dai misteri di Eleusi fino al continente nero di Freud, è la qualifica che viene in mente all'uomo dove c'è una donna; mutatis mutandis, potrebbe essere un certificato di autenticità, laddove una donna in-siste
oppure e-siste. Ci sarebbero le "scienze delle donne", e in particolare la gineconomia per trattare, pensare, ridurre, chiarire questo mistero, renderlo il più possibile cosciente, capirlo e interpretarlo. Che cosa c'è di comune tra il sogno romantico e il sogno dell'interpretazione di Freud? più o meno la stessa cosa che c'è tra i misteri di Eleusi e le scienze delle donne. D.: Qual era la sua posizione alla \igilia del '68? A. F.:
In apparenza ero una normale professoressa di lettere
in congedo per una lunga malattia, in realtà, una ribelle. Ero al terzo anno di dottorato con Roland Barthes, con una tesi sulla nozione di avanguardia letteraria, che non ho mai terminato. Ero arrivata nel 1960 da Aix-en-Provence, sposata con un intellettuale della mia età, mia figlia aveva quattro anni. Lavoravamo per F rançois Wahl, presso le edizioni Seuil. Facevo la mia formazione mentre elaboravo schede di lettura in discipline difficili: linguistica, psicanalisi, antipsichiatria, ma anche su testi di estrema attualità: Sanguineti, Balestrini, Porta, che ho anche tradotto. Il mio avvenire sembrava chiaramente delineato; tutto mi spingeva al lavoro editoriale, alla critica, alla scrittura. Ma ero di fatto profondamente in rivolta. L'indipendenza economica, l'uguaglianza professionale, la competenza intellettuale di una donna non comportavano una stima reale. L'ambiente in cui mi trovavo era molto conservatore nel suo funzionamento, repressivo e intimidatorio con le sue teorizzazioni moderniste, dunque estremamente misogino. A ogni istante scoprivo l'inganno dell'uguaglianza, della simmetria, della reciprocità, che gli studi universitari avevano mantenuto per lungo tempo. Aver fatto un bambino era quasi infamante. Al di là di questa uguaglianza fallace, sentivo nascere altri bisogni. Volevo affermare positivamente che ero una donna, poiché la società, potrei dire la civiltà, mi penalizzavano per il fatto di esserlo.
D.:
È in questo quadro che ha incontrato Lacan?
F.: Avevo partecipato, infatti, grazie a François Wahl, alredizione degli Scritti di Lac~: u~ parto int~rm~nabile, più di due anni; d'altra parte seguivo il suo seminano, contemporaneamente a quello di Barthes.
A.
D.: E l'analisi?
Ho preso contatto con Lacan nel!_' otto~re ~el _1968, nel momento in cui abbiamo fatto le prune numon1. Ho cominciato la mia analisi nel gennaio 1969 e l'ho continuata fino al 1974.
A. F.:
D.: Si sentiva femminista prima del '68?
Non mi è mai venuto in mente d'usare questa parola. Mi sentivo donna sofferente della mancanza di libertà, ma tutti gli "ismi" mi sembravano trappole. Fin da molto piccola mi sono fatta delle domande sul destino delle donne. Sono nata dal desiderio di un padre operaio, nel 1936, prima anno di tutte le vittorie, poi, di dure sconfitte. Concepita il 1° gennaio, sono nata il giorno in cui Franco ha preso il potere in Spagna, il 1° ottobre. La mia era una grande famiglia, per metà corsa, per metà calabrese. Vivevamo un po' come in una tribu. C'erano mio padre e mia madre, e poi ancora il fratello di mio padre e la sorella di mia madre, padrino e madrina, e quattro figli. Mia madre era unica, ma io sono cresciuta circondata dalla forza di donne materne. Sono stata molto presto cosciente della loro capacità di sopportare, del loro coraggio e della loro determinazione a integrarsi, e a integrarci, senza rinnegarsi. Mia madre non sapeva né leggere né scrivere e se ne lamentava continuamente, come di una grandissima disgrazia. Mio padre sapeva leggere il giornale. Erano persone molto civili, all'antica: potrei quasi dire colte, a causa delle loro ra-
A. F.:
dici mediterranee. È uno dei punti più paradossali della mia relazione, così problematica, con la scrittura. (SonQ andata da Lacan, tra l'altro, perché era sì l'autore degli Scritti, come Montaigne è l'autore dei Saggi, ma, di fatto, non aveva mai voluto scrivere un libro.) Mia madre era molto fiera di essere diventata francese, grazie al matrimonio, e considerava un progresso il fatto di aver cambiato il nome italiano di suo padre con il nome corso dd marito, ma non dimenticava, per questo, la sua genealogia dalla parte delle donne. E nemmeno io. Come lei mi ha dato il nome di sua madre, io ho dato a mia figlia il suo nome. Per quattro generazioni, abbiamo cercato di affermare una trasmissione, una genealogia, di iscrivere un' altra filiazione; questo è awenuto molto prima del MLF e io affermavo di essere una donna che cercava se stessa tra madre e figlia, tra donna e donna. Mia madre è la donna più intelligente che io abbia mai conosciuto, la più indipendente. Aveva una specie di genio della libertà, senza violenza. Il suo pensiero era continuamente in movimento. Fin dalla prima infanzia mi sono ac-corta, pur in assenza totale di segni femminili (niente trucco, niente civetteria, nessuna preoccupazione di essere elegante o alla moda) che mia madre era una donna. ~lio padre l'adorava, silenziosamente, ma le fischiava alcune canzoni d'amore, di cui lei, naturalmente, conosceva le parole. Si erano conosciuti, rispettivamente, a sedici e diciott'anni e c'è stata tra loro, fino alla fine, una specie di passione giovanile, malgrado il temperamento da patriarca ,..;rile di mio padre. Durante la guerra lui era proscritto, perché la polizia di Petain l'aveva trovato, mentre scioperava, con una tessera dd Partito comunista in tasca. Nello stesso modo in cui aveva fronteggiato durante la guerra del' 14, in quanto primogenita, la situazione della famiglia, con fratelli e sorelle, così mia madre prese tutta la trihu sotto la sua ala. Nelle situazioni più gravi, più drammatiche, s'ingegnava per trovare le vie d'uscita, i ripari. Ci portava in direzione opposta alla morte.
Non era mai inerte, sempre attiva. Sentiva arrivare il pericolo. lo \·aiutava, decideva quando bisognava decidere, si muoveva, e noi con lei. Era responsabile ventiquattr'ore su ven. tiquattro, all'erta; per nulla autoritaria, talvolta ~n c?llera. ma più spesso grave e allegra. Quando per esempio siamo stati sinistrati a causa dei bombardamenti o evacuati a causa della distruzione del vecchio porto di Marsiglia, lei si è rivelata un \·ero stratega, fine e astuta quanto Ulisse. D.: Quando è arrivato
il '68, lei era al corrente degli svilup-
pi del femminismo americano? Niente affatto. Avevo aperto Il secondo sesso di Simone de Beauvoir negli anni sessanta per leggervi del resto nella postfazione: "Le lotte delle donne sono dietro di noi". Non mi ero mai impegnata politicamente. Sapevo che ero nata a sinistra e sarei morta a sinistra, che odiavo la guerra e il colonialismo. Avevo vissuto fino alla maggiore età in quella che allora si chiamava ancora la classe operaia, ma la "cattiva coscienza" degli intellettuali, gli impegni sartriani non catturavano la mia adesione. Le lotte sociali e politiche mi interessavano, ma a distanza. Le percepivo come attraverso un vetro. Non riuscivo a esserne coinvolta soggettivamente e avevo una specie di repulsione per le giovani della mia generazione che si impegnavano nelle lotte dei loro amanti-fratelli dell' École normale, come mia sorella che, quando si era fidanzata, si era fatta credere tifosa cli calcio. Quanto al femminismo, non sapevo cos'era e, oggi, direi che me ne dispiace. Era un segno della mia ignoranza delle lotte delle donne ndla storia. Ma. ripeto, la mia sfiducia nelle ideologie, che consideravo a quell'epoca come illusioni altrettanto pericolose quanto le religioni, ha fatto sì che non mi sia mai definita femminista. In seguito ho lottato affinché il l\loviinento delle donne non diventasse il .. Movimento femminista". l\-li sembra\'a, forse a torto, che con la p~-
A. F.:
rola "donna,. avremmo potuto rivolgerci se non a tutte almeno alla maggior parte delle donne. , "Psychanalyse et Politique" non era una denominazione tipicamente elitaria?
D.:
Non sono stata io a inventarla: ci si battezza raramente da se stessi alla nascita. Di fatto si trattava di ciò che altrove è stato definito "gruppo di autocoscienza"; ma nel nostro caso non era ignorata la dimensione dell'inconscio, a livello di ciò che Freud definisce semplicemente come psicopatologia della vita quotidiana o motto di spirito o atto mancato. E poi, si ricordi che allora si parlava dappenutto di desiderio, di antipsichiatria, di anti-Edipo e la psicanalisi era insegnata, a Vincennes, a cielo aperto. Il lusso, piuttosto che l'elirismo, derivava dalla pretesa di coniugare l'una all'altra, politica e psicanalisi. Uno dei miei desideri, allora, era far conoscere il pensiero contemporaneo, quello più acuto, al più gran numero di persone, cioè saltare a pié pari la cultura piccolo borghese, stereotipata. Volevo dialogare con ogni donna che veniva nel Movimento, come facevo con le donne della mia famiglia, in particolare con mia madre, e trovare una lingua comune senza piegarmi agli stereotipi delle classi e degli ideali universitari. Ma di buone intenzioni è lastricato l'inferno, spesso ottenevo l'effetto contrario; mi si accusava di terrorismo teorico; le accusatrici però non erano operaie, bensì sociologhe, universitarie molto ostili alla psicanalisi.
A. F.:
D.: Che cosa faceva durante
le giornate del '68?
Alla Sorbona, con lv1onique Wittig. abbiamo creato un comitato di azione culturale al quale partecipavano cine-'1Sti,
A. F.:
attori, scrittori. intellettuali: Bulle Ogier, Michèle ~loretti, Andre Téchiné, Danièle Delorrne, Marguerite Duras... soltanto per citare alcuni di cui mi ricordo.
D.: Lei aveva trentadue anni. Eravate le sorelle maggiori
della generazione del '68, con l'ascendente naturale che ciò implica ... Vuol dire al MLF... Là non era una faccenda di età, ancor meno che nel Maggio alla Sorbona. Eravamo tutte giovani e belle. Per la maggior parte di noi si trattava del primo impegno politico. Avevamo l'impressione di ringiovanire di quindici anni. Eravamo tutte di colpo ridiventate adolescenti, nel '68. Più tardi abbiamo sistematicamente condotto una lotta contro le classi di età. Nelle assemblee stavano allegramente gomito a gomito liceali e Christiane Rochefort, la scrittrice, operaie e ingegneri, figlie e madri.
A. E:
D.: Lei si
è sentita subito a suo agio nella politica?
La verità è che se Monique Wittig non mi avesse tirata per il collo non sarei mai andata alla Sorbona. Ero molto intimidita. Non avevo mai parlato in pubblico, se non nelle mie classi. Questo spiega, indubbiamente, per me e per molte altre, tutto ciò che vibrava, che era eccessivo nel tono e nei modi: una rivolta troppo a lungo contenuta, maldestra.
A. F.:
D.: E
il passaggio al Movimento delle donne?
.-t. F.: L'esperienza della Sorbona ha insegnato assai rapida-
mente, a Monique e a me, che se non ponevamo le nostre domande, in territorio libero, saremmo state asservite o escluse. Per la prima volta sentivo la necessità e l'urgenza di ancorarmi a un momento decisivo della Storia in cui aveva cominciato a giocarsi la mia storia personale. Era un bisogno di intervenire, di dare qualcosa alle altre, ma anche di dare qualcosa a me stessa. Un movimento nello stesso tempo di gratitudine e di egoismo; in questo consisteva soprattutto la differenza con l'impegno di sinistra. Durante l'estate '68, in vacanza, abbiamo preso la decisione di cominciare le riunioni
in ottobre. Ci _siamo_ q~n~i 11_1esse saggiamente a leggere e a criticare, con 1 mezzi di cw disponevamo, testi di Marx, Engels, Lenin, ma niente in queste teorie faceva veramente al caso nostro. Ci premeva liberarci dagli obblighi domestici, professionali e passionali ddle nostre vite. Volevamo allargare il campo della nostra soggettività. Volevamo lanciarci alla scoperta delle donne attraverso la scopena di ciascuna, a cominciare da noi stesse. Ci eravamo imbarcate nella causa marxista-leninista-maoista ma andavamo controcorrente. D.: Quando è intervenuto il salto ulteriore rappresentato dal-
la scdta di orientamento di "Psychanalyse et Politique"? Quasi subito, perché noi leggevamo anche Freud. In questo caso devo dire che, non senza spirito critico, mi lasciavo sorprendere dall'opera. L'ideologia della mascolinità, che pesava sulla rivoluzione psicanalitica, non riusciva a farmi rifiutare quello strumento di conoscenza, soprattutto per opporgli una contro-ideologia femminista. Per questa avventura in alto mare, non ci stavo a scambiare il sottomarino di Freud con lo scooter di qualche femminista, anche se illustre. Per di più entrambi mi sembravano indicare la stessa direzione: a tutta dritta verso il Fallo, ma con il divieto da parte femminista di esserne coscienti e di mostrarne gli scogli. Mi sembrava che se non avessimo tenuto conto ddl'inconscio, avremmo presto navigato in pieno delirio. "Psych. et Po." era la mia preoccupazione sia di capire cosa c'era d'inconscio negli impegni politici di allora, sia di stanare il potere della psicanalisi, non solo nelle istituzioni e nelle scuole, ma anche nella scoperta dell'inconscio e nella sua teorizzazione. Ritenevo vitale che l'una conoscesse e interrogasse l'altra e viceversa. In breve, c'era dell'inconscio nella politica e della politica nell'inconscio. In seguito ho pensato spesso che erano una sona di coppia che mi ha messo al mondo, a suo luogo e tempo: la psicanalisi è mia madre, la sua intimità piena di interrogativi, la sua angoscia vigile; il poli-
A. F.:
tico è mio padre, la sua rivolta di proletario, il suo impegno di resistente. Una coppia che si coniuga continuamente e continuamente si sdoppia, in modo che ciascuno affermi la singolarità del suo campo e ,1'i~entità del _s~o corp~, affin. ché egli dia a lei, donna, un esistenza pohnca, e lei poni a lui, uomo, la coscienza dei suoi sogni. D.: C'è un periodo
di incubazione prima che il Movimento
appaia sulla scena pubblica ... Infatti, per due anni abbiamo lavorato intensamente tra noi: riunioni, volantini, informazioni... La nostra prima uscita pubblica è avvenuta a fine aprile, a Vincennes. Questa resta per me la vera uscita in pubblico. Perché ce ne sono state due: una a Vincennes, all'università, e un'altra all'Arco di Trionfo, a Parigi, "alla memoria della moglie ignota del milite ignoto". Quest'ultima è avvenuta, non a caso, quando ero assente da Parigi. Era un'uscita in pubblico rivolta ai mass media, in numero ristretto e con tre personalità. Le due uscite rivelano la divergenza di strade che si offrivano al Movimento. In seguito alla nostra uscita, mi è stato proposto di fare un corso a Vincennes, che ho accettato collettivamente. A partire dall'autunno 1970, ci siamo riunite in quel contesto allargato. Il Movimento ha cominciato a espandersi. Altri piccoli gruppi si sono uniti al nostro.
A. F.:
D.:
L'incontro con Simone de Beauvoir?
È stata a lungo molto diffidente, quasi ostile, nei confronti del Movimento. L'iniziativa dell'incontro è partita, dalle femministe. Ma è lei che ha convocato quelle che ha deA. F.:
finito le "leader". Mi sono fatta molto pregare perché non capivo questo metodo. Ci ha domandato di esprimere la nostra idea di un movin1ento delle donne. Era il momento in cui Sartre patrocinava il gauchisme. For-
se c'è stata una volontà di simmetria. Forse lui le ha spiegato la posta in gioco e l'importanza di un tale sollevamento così come l,aveva incitata a scrivere Il secondo sesso dopo Ù suo L'antisemitismo. Riflessioni sulla questione ebraica. Noi abbiamo presentato ingenuamente le nostre speranze e i nostri sogni. Ho parlato di mia figlia, ho parlato di Lacan, di Barthes. soprattutto di Derrida, di cui ammiravo il pensiero e per lo più i testi di coloro dei quali scriveva: da LeroiGourhan a Blanchot. Il meno che si possa dire è che non le sono piaciuta molto. Mentre avevo una cena deferenza per la figura intellettuale di Simone de Beauvoir. per la sua volontà testarda di esistere_ accanto a Sartre, la sua vita di coppia non mi sembrava affatto esemplare o invidiabile. Avevo ammirato I mandarini; sopportavo poco che il clan degli intellettuali misogini la prendesse sistematicamente in giro. Ma, a quell'epoca, non capivo perché questa moralista intransigente, questa coscienza altera, non avesse fatto la resistenza durante la guerra: perché, sotto l'occupazione, si dedicasse soprattutto, tra gite in bicicletta e qualche arrampicata su per i calanchi marsigliesi, alla pubblicazione dei suoi manoscritti da GaUimard, allora sotto il controllo nazista. Insomma, nulla è stato detto allora, ma la mia richiesta che il Movimento tenesse conto della psicanalisi, come unico discorso rigoroso sulla sessualità, mi ha visibilmente messo in cattiva luce. Poco tempo dopo, le femministe urlavano nell'assemblea generale che volevano una testa, la mia, su una picca, e quella di Simone de Beauvoir per il suo patronicio a Les /emmes .. 1 s, entt•ten/.
Molte l'hanno vissuto proprio come un OPA,2 come un 'occupazione o, se vuole, una colonizzazione. Ma 11hbiamo resistito al "Movimento rivoluzionario femminista" ,1 non rinunciando a "donna" e "liberazione:". In realtà, non mi piace parlare di Simone de Beauvoir. Si pensa a volte che il valore di un nemico, in una lotta leale, ci fa onore, e così mi sono spesso