I primi 90 giorni: Strategie manageriali per avere successo in un nuovo lavoro 9788820390785

La guida più affidabile per il manager che cambia lavoro. Le transizioni sono un momento critico per i leader. La maggio

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Italian Pages 303 [182] Year 2019

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I primi 90 giorni: Strategie manageriali per avere successo in un nuovo lavoro
 9788820390785

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Michael Watkins “I Primi 90 Giorni”

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Michael Watkins “I Primi 90 Giorni”

I primi 90 giorni

Strategie di esordio vincenti per leader a ogni livello

MICHAEL WATKINS ETAS 2

Michael Watkins “I Primi 90 Giorni”

Sommario Prefazione Ringraziamenti Introduzione: I primi 90 giorni Perché le fasi di transizione sono estremamente critiche. Come i nuovi leader possono diventare più efficaci nell’assunzione delle loro responsabilità. Principi fondamentali per le transizioni di successo. I benefici organizzativi di uno schema comune per accelerare lo sviluppo di tutti i collaboratori.

1.

Promuovere se stessi Perché le persone non riescono a staccarsi mentalmente dal loro vecchio lavoro. Prepararsi ad assumere pienamente un nuovo ruolo. Valutare le vulnerabilità. Gettare le fondamenta del successo.

2.

Accelerare il proprio apprendimento L’apprendimento come processo di investimento. Pianificare l’apprendimento. Identificare le fonti più valide di acquisizione delle conoscenze. Usare metodi strutturati per accelerare l’apprendimento.

3.

Adattare la strategia alla situazione I pericoli dell’approccio fondato su “un’unica soluzione ottimale”. Diagnosticare la situazione per sviluppare la strategia giusta. Il modello STARS delle tipologie di transizione. Utilizzare il modello per analizzare il patrimonio dell’azienda, premiare il successo e sviluppare i leader.

4.

Assicurarsi alcuni successi iniziali Evitare le trappole più comuni. Individuare le maggiori priorità. Creare una visione coinvolgente. Costruirsi una credibilità personale. Avviare il miglioramento della performance organizzativa. Pianificazione e implementazione del cambiamento vs. apprendimento collettivo.

5.

Negoziare il successo Costruire una relazione produttiva con un nuovo capo. Lo schema delle cinque conversazioni. Definire le aspettative. Convenire su una diagnosi della situazione. Capire come lavorare insieme. Negoziare le risorse. Mettere insieme il piano dei primi 90 giorni.

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6.

Realizzare l’allineamento Il ruolo del leader come architetto organizzativo. Identificare le cause profonde della performance inadeguata. Allineare strategia, struttura, sistemi, skill e cultura.

7.

Costruire il proprio team Ereditare un team e modificarlo. Gestire la dicotomia tra obiettivi di breve termine e di lungo termine. Lavorare in parallelo alla ristrutturazione del team e sui problemi dell’architettura organizzativa. Mettere in atto nuovi processi di team.

8.

Creare coalizioni L’errore di pensare che l’autorità sia sufficiente. Identificare le persone il cui supporto è fondamentale. Mappare i network di influenza e i modelli di deferenza. Modificare le percezioni degli interessi e delle alternative.

9.

Mantenere l’equilibrio Come e perché i leader finiscono prigionieri di circoli viziosi, I tre pilastri dell’autoefficacia. Creare e imporre una disciplina personale. Costruire un network di consiglieri personali e professionali.

10.

Abbreviare i tempi per tutti Perché così poche aziende si focalizzano sull’accelerazione della transizione. L’opportunità di istituzionalizzare uno schema comune. Usare lo schema per accelerare lo sviluppo del team, far crescere leader ad alto potenziale, integrare le acquisizioni e migliorare la pianificazione della successione.

CONCLUSIONE: Al di là del dilemma “affogare o nuotare” L’approccio nella sua unitarietà. Vedere la foresta e gli alberi. Imparare ad accelerare il proprio sviluppo personale e quello dell’organizzazione.

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Prefazione Sin da quando esistono i leader, esistono anche le transizioni all’interno della leadership. Il cambio della guardia e le sfide che quest’ultimo pone a un nuovo leader sono vecchi quanto il mondo. Tali sfide oggi non sono assolutamente diventate più semplici, date la complessità delle organizzazioni moderne e la velocità con cui il business deve essere gestito. Dunque, se vi sentite spaesati nella vostra nuova posizione, siete in buona compagnia. Il mio libro rappresenta la “road map” che vi aiuterà ad assumere il controllo della situazione nei primi 90 giorni del vostro nuovo incarico. Per quale motivo dovreste averne bisogno? Perché le transizioni sono fasi critiche, durante le quali piccole differenze nelle vostre azioni possono incidere notevolmente sui risultati. I leader, quale che sia il livello in cui operano, sono particolarmente vulnerabili durante i primi mesi di operatività nella loro nuova posizione, poiché non possono avere una conoscenza dettagliata dei problemi da affrontare e non possono sapere come affrontarli con successo; inoltre, non hanno ancora sviluppato una rete di relazioni in grado di appoggiarli. Se vi manca uno slancio adeguato nei primi mesi è praticamente garantito che avrete vita difficile per tutta la durata del vostro mandato in tale ruolo. Al contrario, costruendovi una credibilità sin dall’inizio e incassando le prime vittorie vi creerete una solida base per un successo professionale di lungo periodo. Il modello di “accelerazione della transizione” che viene qui presentato amplia ciò che ho realizzato con Dan Ciampa scrivendo “Leader sin dall’inizio” (Etas, Milano, 2000). Ero orgoglioso di quel lavoro, ma ne sono anche uscito con il desiderio di portarlo avanti su diversi fronti. Anzitutto ero convinto che i leader di tutti i livelli potessero trarre beneficio da una guida strutturata riguardante le modalità con le quali accelerare la transizione in nuove posizioni. Leader sin dall’inizio si rivolgeva principalmente ai top manager: dunque, benché gran parte delle indicazioni presenti nel libro fossero di carattere generale, non era perfettamente chiaro quali punti riguardassero tutte le transizioni e quali fossero relativi, nello specifico, alle sfide che si pongono ai senior manager. Volevo creare uno schema di riferimento più flessibile per l’accelerazione della transizione, capace di consigliare i leader di tutti i livelli. Nello stesso tempo, volevo affrontare in modo più approfondito alcuni argomenti, per esempio lavorare con il nuovo capo, costruire il team e allineare la strategia, la struttura, i sistemi e gli skill dell’organizzazione. In parallelo a questo filone d’indagine, desideravo scavare più a fondo nei diversi tipi di transizione, per aiutare i nuovi leader ad adattare più efficacemente le loro strategie alle singole situazioni specifiche. C’è grande differenza, per esempio, se siete impegnati in uno start-up, se state avviando un turnaround (ristrutturazione) o se avete appena ereditato un’unità dai risultati particolarmente brillanti. Inoltre, i leader che entrano in nuove organizzazioni hanno di fronte a sé sfide differenti rispetto a coloro che

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vengono promossi internamente. La strategia di transizione dipende dunque dal contesto. Volevo infine esplorare le implicazioni organizzative di un’attenzione sistematica all’accelerazione della transizione. Non capivo il motivo per cui così poche aziende investissero nel tentativo di portare al successo i loro leader durante le fasi di transizione, verosimilmente gli snodi più critici delle loro carriere. Perché le aziende pongono i propri manager nelle condizioni di “nuotare oppure affogare”? Che cosa avrebbero da guadagnarci le imprese se i dirigenti che vengono ad assumere nuove posizioni d’importanza critica potessero diventare velocemente operativi al cento per cento? Ho sviscerato i suddetti problemi per tre anni, studiando dozzine di transizioni nella leadership a tutti i livelli, progettando programmi di accelerazione della transizione per alcune grandi aziende e sviluppando uno strumento online a supporto della performance per i nuovi leader (“Leadership Transitions”, www.harvardbusinessonline.com). Il libro rappresenta la sintesi di questo lavoro. Se lo state leggendo, forse avete appena assunto un nuovo ruolo, o siete in procinto di farlo. Il volume vi metterà a disposizione strategie e strumenti per accelerare il processo e ottenere maggiori risultati, in tempi più brevi. Imparerete a diagnosticare la situazione in cui vi trovate e a identificarne con chiarezza i problemi e le opportunità. Valuterete i vostri punti di forza e i vostri punti deboli, e individuerete le più rilevanti vulnerabilità personali che potrebbero penalizzarvi nella nuova situazione. Capirete come “leggere” la nuova organizzazione e fissare le vostre priorità. Imparerete a diagnosticare e ad allineare la strategia, la struttura, i sistemi e gli skill della realtà organizzativa per cui avete iniziato a lavorare. Soprattutto, avrete utili consigli su come gestire le relazioni chiave per sfruttare al meglio il vostro potenziale: costruendo team, creando coalizioni e mettendo in piedi una rete di sostegno costituita da consulenti e consiglieri. Utilizzate questo libro come road map per costruire un piano che vi aiuti a fronteggiare adeguatamente i primi 90 giorni. Se lo farete, abbrevierete i tempi di transizione e aiuterete gli altri a fare altrettanto, prima di quanto potreste immaginare.

Michael Watkins Boston

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Ringraziamenti Questo libro è dedicato al mio coautore di “Leader sin dall’inizio”, Dan Ciampa. È stato Dan a coinvolgermi nell’interesse per il tema delle transizioni nella leadership. Ha contribuito con tante idee brillanti e molti esempi concreti al testo che abbiamo scritto insieme, e quindi alla base concettuale su cui poggia il presente libro. La sua profonda conoscenza delle sfide che si pongono ai manager quando accedono a nuove posizioni di più alto livello continua ad arricchire il mio pensiero. Dan è un apprezzato consigliere di leader e un mio caro amico. “I primi 90 giorni” è frutto pure del lavoro che ho svolto con la Johnson & Johnson. Inaki Bastarrika, ex coordinatore del reparto Management Education and Development (MED) della J&J, mi ha convinto a collaborare con quest’azienda eccellente nel 1999, subito dopo la pubblicazione dell’edizione originale di “Leader sin dall’inizio”, dando così l’avvio a una partnership di ricerca assai stimolante. Ron Bossert, un dirigente del MED, ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del J&J Transition Leadership Forum e del Business Leaders’ Program per i nuovi responsabili di business unit dell’azienda. Ron mi ha anche presentato alcuni leader il cui appoggio si è rivelato fondamentale, tra i quali Sharon D’Agnostino, Bili Dearstyne, Mike Dormer, Colleen Goggins, Jim Lenahan, Dennis Longstreet, Bili McComb, Pat Mutchler, Christine Poon, Peter Tattle e Bili Weldon. Ringrazio anche i leader ad alto potenziale della J&J che hanno partecipato con passione ai seminari che vi ho tenuto. Questo libro si accompagna allo strumento interattivo di supporto alla performance di transizione nella leadership che ho sviluppato insieme all’Harvard Business School Publishing (HBSP). L’esperienza di creare uno strumento online per i nuovi leader ha contribuito indubitabilmente ad affinare le mie idee sulle problematiche della transizione. Un sentito grazie va al gruppo di e-learning dell’HBSP, e specialmente a Michelle Barton, Sarah Cummins, Jan Fanton e Trisytn Patrick, per aver reso tanto piacevole quel progetto. La divisione di ricerca della Harvard Business School ha finanziato la ricerca che è alla base di questo libro. Ho apprezzato moltissimo l’appoggio che mi hanno fornito le research director Teresa Amabile e Kathleen McGinn. Il mio libro e più in generale il mio lavoro non avrebbero visto la luce senza l’incoraggiamento offertomi dai componenti delle unità Negoziazione, Organizzazioni e Mercati dell’HBS, e in particolare da George Baker, Max Bazerman, Nancy Beaulieu, Mal Salter, Jim Sebenius e Michael Wheeler. Ringrazio anche Jack Gabarro e Linda Hill, due colleghi le cui idee hanno influenzato significativamente il mio pensiero sulle transizioni nella leadership. Infine, ringrazio sentitamente la mia assistente didattica, Mary Alice Wood, la mia assistente di ricerca, Usha Thakrar, e la mia editor, Ann Goodsell, per avermi aiutato a trasformare l’idea di questo libro in realtà.

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INTRODUZIONE I primi 90 giorni

Il presidente degli Stati Uniti ha a disposizione 100 giorni per mettersi alla prova; voi ne avete 90. Le azioni che intraprenderete nei primi tre mesi di un nuovo incarico contribuiranno in larga misura a determinare il vostro successo o il vostro insuccesso. Le transizioni sono fasi di opportunità: vi danno la possibilità di ricominciare da capo e di apportare nell’organizzazione i cambiamenti necessari. Ma sono anche periodi di acuta vulnerabilità, perché non avete ancora una rete consolidata di relazioni operative e una piena comprensione di tutti gli aspetti del vostro ruolo. Se non riuscirete ad avere uno slancio adeguato durante la fase di transizione, la vostra sarà una vita difficile per tutta la durata del mandato. La posta in gioco è evidentemente molto alta: l’insuccesso in un nuovo incarico può mettere fine a una carriera promettente. Tuttavia, porre in atto una transizione efficace significa molto di più che evitare l’insuccesso. Alcuni leader finiscono effettivamente ai margini (e, in questo caso, i loro problemi si possono quasi sempre far risalire a circoli viziosi che si sono generati nei primissimi mesi dei nuovo lavoro) ma, per ogni leader che fallisce in pieno, ce ne sono molti altri che sopravvivono senza sviluppare appieno il loro potenziale. Di conseguenza, si lasciano sfuggire l’opportunità di progredire nella carriera, e mettono in pericolo la salute della loro azienda. Questo libro riguarda pertanto, in ugual misura, l’accelerazione della transizione e la prevenzione dell’insuccesso. Fornisce una formula per ridurre in misura sostanziale il tempo occorrente per acquisire la padronanza del nuovo ruolo, indipendentemente dal livello che occupate. Se riuscirete ad acquisirla velocemente, potrete disporre di più tempo per concentrarvi sulla soluzione dei problemi e sullo sfruttamento delle opportunità che si presentano nella nuova organizzazione. Dopotutto, il vostro obiettivo dovrebbe essere quello di pervenire il più presto possibile al punto di pareggio, quello in cui diventate “contributori netti di valore” per l’azienda.

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Ogni minuto che risparmierete agendo sistematicamente per accelerare la vostra transizione sarà un minuto guadagnato per lo sviluppo del business.

Il punto di pareggio Il punto di pareggio (breakeven point) è quello in cui i nuovi leader forniscono alle loro nuove aziende lo stesso valore che ne hanno ricevuto. Come è illustrato nella figura 1.1, al principio i nuovi leader sono “consumatori netti di valore”; quando prendono dimestichezza con la nuova realtà e cominciano a diventare operativi, iniziano invece a creare valore. Dal punto di pareggio in poi, divengono (si spera) “contributori netti di valore” per la loro organizzazione. Quando è stato chiesto ai CEO e ai presidenti di 210 aziende quanto tempo impiega il tipico manager intermedio a raggiungere il punto di pareggio, hanno risposto, come media, 6,2 mesi. La finalità del processo di accelerazione della transizione, dunque, consiste nell’aiutare i nuovi leader a raggiungere più velocemente il punto di pareggio. Quanto guadagnerebbe un’azienda se i suoi leader in fase di transizione riuscissero a raggiungere il breakeven point un mese prima rispetto alla media?

Considerata la posta in gioco, è davvero sorprendente che i nuovi leader abbiano a disposizione così poche indicazioni su come transitare più efficacemente ed efficientemente nei nuovi ruoli. Esistono tantissimi libri e articoli sulla leadership, ma sono davvero pochi quelli che accennano al tema della transizione.

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Vi sono fonti eccellenti anche sulla gestione del cambiamento organizzativo, ma in genere assumono implicitamente che l’agente di cambiamento sia già saldamente introdotto nell’organizzazione e che disponga pertanto delle conoscenze e delle relazioni necessarie per pianificare, promuovere con successo e porre in atto iniziative di trasformazione. In realtà, il processo di gestione del cambiamento si svolge spesso in concomitanza con il transito di un leader in un nuovo ruolo. Questo libro si propone perciò di colmare un vuoto nella letteratura sulla leadership, offrendo una formula collaudata per affrontare le sfide interconnesse, riguardanti la transizione personale e la trasformazione organizzativa, che si pongono ai leader nei primi mesi del nuovo lavoro.

PROPOSIZIONI FONDAMENTALI Dall’osservazione dei nuovi leader e dalla sperimentazione di nuovi metodi per accelerare la transizione, ho tratto alcuni principi sulle sfide a essa relative e su ciò che occorre per affrontarle vittoriosamente. Tali principi, sintetizzati in cinque proposizioni, costituiscono la base del mio approccio all’accelerazione della transizione e di questo volume. La prima proposizione afferma che le cause profonde dell’insuccesso nelle transizioni sono sempre dovute a una perniciosa interazione tra la situazione, con le sue opportunità e le sue insidie, e l’individuo, con i suoi punti di forza e le sue vulnerabilità. L’insuccesso non si deve mai unicamente ai limiti professionali del nuovo leader. Anzi, i leader “falliti” che ho studiato avevano conseguito tutti, in precedenza, successi rilevanti. Parallelamente, il fallimento non è sempre dovuto a una situazione senza via d’uscita, insuperabile anche per chi abbia capacità sovrumane. Le circostanze di business che si pongono ai leader che deragliano non sono più ardue di quelle che altri leader risolvono brillantemente. L’insuccesso nella transizione si determina quando i nuovi leader fraintendono gli aspetti critici della situazione che devono fronteggiare, o difettano della capacità e della flessibilità che occorrono per adattarvisi. La seconda proposizione dice che esistono alcuni metodi sistematici che i leader possono impiegare per ridurre le probabilità di insuccesso e per raggiungere più in fretta il punto di pareggio. Mentre stavo iniziando a sviluppare uno schema di riferimento per l’accelerazione delle transizioni a tutti i livelli, un manager molto esperto mi disse: “Non puoi riuscirci”. Quando gli domandai perché, mi rispose: “Perché ogni transizione è una vicenda a sé”. Questo è vero, naturalmente, ma anche fuorviante. Certo, ogni transizione è particolare se si guarda ai dettagli. Tuttavia, se osserviamo da un punto di vista più ampio, possiamo discernere alcune tipologie di transizione che presentano caratteristiche, e anche trappole, comuni. Considerate, per esempio, il passaggio da direttore di una funzione a direttore generale. Tutti i leader che vivono questa transizione incontrano problemi analoghi, come l’esigenza di mettere da parte l’expertise funzionale (il passaggio da 10

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supervisore di attività di front line a “manager di manager” comporta analoghe sfide, a un livello inferiore. Variano anche le situazioni di business che devono affrontare i leader in transizione. Ma le situazioni specifiche in cui queste avvengono, come gli start-up e i turnaround, hanno in comune certe caratteristiche e certi imperativi. Vi sono inoltre principi fondamentali - per esempio ottenere presto alcuni successi iniziali - che supportano le transizioni a tutti i livelli, che si tratti di un responsabile di divisione o di un CEO. La chiave, dunque, è adattare la vostra strategia alla situazione. È un tema di primaria importanza, su cui ritorneremo nel corso di tutto il libro. La terza proposizione afferma che l’obiettivo primario di una transizione è creare slancio attivando circoli virtuosi che diano credibilità ed evitando di finire invischiati in circoli viziosi che la tolgano. La leadership è soprattutto capacità di mobilitazione: il nuovo leader, in fondo, è solo un singolo individuo e per avere successo dovrà coinvolgere le energie di molti altri componenti dell’organizzazione. La sua visione, il suo expertise, la sua determinazione possono agire come seme innovativo che si svilupperà esponenzialmente promuovendo modelli di comportamento nuovi e più produttivi. Troppo spesso. tuttavia, il nuovo leader agisce come se fosse un “virus”: le sue azioni iniziali gli alienano le simpatie dei potenziali sostenitori, minano la sua credibilità e stimolano reazioni difensive. A mano a mano che il circolo vizioso si consolida, il sistema immunitario dell’organizzazione si attiva e il nuovo leader viene attaccato da gruppi di cellule killer, isolato e infine espulso. La quarta proposizione sostiene che le transizioni rappresentano un passaggio cruciale per lo sviluppo della leadership e andrebbero gestite di conseguenza. Proprio perché rafforzano le abilità di analisi, richiedono maturità e adattamento e mettono alla prova la capacità di resistenza, le transizioni costituiscono un’esperienza indispe sabile di sviluppo per i leader ad alto potenziale in qualunque azienda. Nell’ambito dello studio di McKinsey, società di consulenza per l’alta direzione, intitolato “War for Talent”, è stato chiesto a 200 senior manager di identificare le loro cinque più importanti esperienze di sviluppo. Le risposte più frequenti indicavano tutte significative transizioni in nuovi ruoli: insediamento in una nuova posizione con più ampie possibilità di azione; turnaround di un’azienda; avvio di un nuovo business; attuazione di un progetto speciale complesso e di alto profilo; copertura di un incarico all’estero. Ciò non significa affatto - come avviene in troppe aziende - gettare in mare i collaboratori di talento per vedere se annegano o imparano a nuotare. Come il saper nuotare, la gestione delle transizioni è una competenza che si può insegnare. Le tecniche di accelerazione della transizione andrebbero spiegate ai

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collaboratori che stanno affrontando queste fasi di passaggio, in modo che persone di talento non debbano soccombere inutilmente. La quinta e ultima proposizione afferma che l’adozione di uno schema di riferimento standard per accelerare le transizioni può generare ritorni elevati per le organizzazioni. Nelle sole aziende di Fortune 500, entra ogni anno in nuove posizioni oltre mezzo milione di manager. Tenuto conto della frequenza con cui questi collaboratori assumono nuovi ruoli, e dell’impatto di ciascuna transizione sugli altri componenti dell’organizzazione, sarebbe davvero molto opportuno che tutti - capi, dipendenti diretti e colleghi parlassero il medesimo “linguaggio della transizione”. Perché tutti coloro che si apprestano a conoscere un nuovo capo non dovrebbero utilizzare un insieme condiviso di direttive (come quelle illustrate nel capitolo 5) per costruire questa relazione fondamentale? Inoltre, l’adozione di approcci standard per familiarizzare con la nuova realtà, l’incasso dei primi successi e la costruzione di coalizioni si traducono in aggiustamenti organizzativi più rapidi per affrontare il flusso inevitabile di cambiamenti interni (come la rotazione del personale) ed esterni. L’adozione di un approccio razionale all’accelerazione della transizione si trasforma in un beneficio economico effettivo.

ACCELERARE LE DINAMICHE ORGANIZZATIVE L’ultima proposizione merita qualche altra sottolineatura e spiegazione. Mentre procedete nella lettura, riflettete sulle implicazioni del testo, non soltanto per voi ma anche per la vostra organizzazione. Ogni anno cambia lavoro poco meno di un quarto dei manager di una tipica azienda di Fortune 500. Ciò significa che i manager trascorrono mediamente quattro anni in una determinata posizione. I leader ad alto potenziale che militano nella fascia medio-alta della struttura manageriale ci stanno di norma meno: le loro “ere” durano tipicamente due anni e mezzo o tre. Le loro carriere consistono in una successione di queste ere, intervallate da periodi di transizione della durata di alcuni mesi, durante i quali le loro azioni danno l’intonazione a ciò che segue e influenzano pesantemente la performance complessiva. Per far crescere i loro collaboratori più validi, le aziende li devono spostare su un arco di posizioni successive di crescente responsabilità; se non lo fanno, rischiano di cedere i migliori talenti alla concorrenza. Ma questo costante cambiamento ha i suoi costi. Ogni nuovo manager ha bisogno di un certo periodo per raggiungere il punto di pareggio e i ritmi del business sono così intensi che gli concedono pochissimo tempo per acclimatarsi e un limitato margine di tolleranza per gli inevitabili errori iniziali. Per ogni persona in transizione, ce ne sono molte altre - dipendenti diretti, capi e colleghi - la cui performance ne risente negativamente. In un’indagine sui presidenti e i CEO delle aziende, ho chiesto agli intervistati una stima ragionata del numero di collaboratori la cui performance veniva significativamente compromessa dall’arrivo di un nuovo manager di livello 12

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intermedio. La media delle risposte era di 12,4 persone. In effetti, tutti coloro che fanno parte del “network d’impatto” del manager in transizione si possono considerare in transizione anch’essi. Un ulteriore problema è relativo ai collaboratori di talento provenienti dall’esterno. Tutte le organizzazioni sane devono effettuare qualche nuova assunzione per introdurre nuove idee e mantenere una certa vitalità. Tuttavia il tasso di insuccesso dei nuovi leader che arrivano da altre aziende è elevato. Vari studi hanno dimostrato che un buon 40-50% dei manager di alto livello assunti dal l’esterno non produce i risultati attesi. La stima dei costi diretti e indiretti a carico di un’azienda che sbaglia l’assunzione di un top manager viaggia, negli Stati Uniti, intorno a 2,7 milioni di dollari. Secondo le indagini effettuate, i direttori delle risorse umane giudicano la transizione - per chi arriva da altre aziende - “molto più difficile” di quella che attende chi viene promosso dall’interno e attribuiscono l’elevato tasso di insuccesso dei dirigenti assunti dall’esterno a una serie di barriere che ostacolerebbero la transizione, in particolare le seguenti. I manager che provengono da fuori non hanno familiarità con la struttura organizzativa e sono all’oscuro dei network informali di informazione e di comunicazione Non hanno familiarità con la cultura della nuova azienda e qui di faticano maggiormente a integrarsi Sono sconosciuti al personale e dunque non hanno la stessa credibilità di chi viene promosso internamente Una lunga tradizione di sviluppo dall’interno impedisce alle imprese di adattarsi a manager di alto livello che vengono percepiti come estranei. Il fallimento rappresenta un colpo molto pesante per un nuovo leader, rischiando addirittura di porre fine alla sua carriera. Inoltre, tutti gli “infortuni professionali” che colpiscono la leadership - dal deragliamento vero e proprio a una meno drammatica performance inferiore alle attese - sono costosi pure per l’azienda. La capacità sistematica di accelerare le transizioni di tutti i manager di ogni livello, assunti dall’esterno o promossi dall’interno - potrebbe rappresentare un fattore sostanziale di miglioramento della performance per l’organizzazione stessa. Stupisce, perciò, che poche aziende dedichino un’attenzione adeguata al tentativo di accelerare tali transizioni. Quando svolgo incontri su questo argomento, chiedo ai nuovi leader presenti in aula di scrivere il numero di transizioni che hanno effettuato fino a quel momento nella loro carriera e il numero di quelle che prevedono di effettuare prima di andare in pensione. In un gruppo di trenta persone, le risposte a entrambi i quesiti assommano mediamente a oltre 150 transizioni! Poi domando ai partecipanti quanti di loro hanno ricevuto formazione o coaching dalla loro azienda sulla gestione delle transizioni, e la risposta è quasi sempre “nessuno”. 13

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Tutte queste persone di talento hanno dovuto sviluppare modelli personali in tale ambito. È una conoscenza che si matura dolorosamente sul campo e la mancata condivisione di essa rappresenta una grossa perdita per le diverse strutture aziendali. Questo prezioso patrimonio di esperienza viene raramente convertito in apprendimento organizzativo. Inoltre, ogni persona sviluppa un proprio approccio specifico nell’assunzione di nuovi ruoli che potrebbe rivelarsi non più utile nel prosieguo della carriera all’interno o nel passaggio ad altre realtà. Uno schema condiviso per l’accelerazione della transizione nella leadership rappresenta perciò un asset importante per l’azienda. Oltre a ridurre i costi (dis)organizzativi, può aiutare a identificare e trattenere i migliori talenti manageriali. Non individuiamo potenziali grandi nuotatori gettando di sorpresa i bambini in piscina: insegniamo loro a nuotare, diamo consigli e poi lasciamo che sia la performance a parlare. Anche l’accelerazione della transizione è una competenza che si può insegnare. I leader non dovrebbero avere successo solo perché hanno incontrato mentori che hanno saputo insegnare loro le tecniche del “nuoto”, o perché sono capitati in situazioni che hanno permesso di esaltare i loro punti di forza. Per converso, i manager promettenti non dovrebbero fallire perché non hanno avuto queste possibilità vantaggiose a loro disposizione. Se volete davvero instaurare una meritocrazia manageriale, dovete “livellare il terreno di gioco” durante le transizioni.

STRATEGIE DI SUCCESSO PER I NUOVI LEADER Come mai esistono così pochi buoni consigli su come accelerare le transizioni? Parte della risposta è che ce ne sono tanti tipi diversi e dunque non basta enunciare regole generali o fornire suggerimenti generici. Considerate le seguenti coppie di situazioni. In che modo differiscono in questi casi le definizioni di successo e gli elementi indispensabili per la buona riuscita di una transizione? Promozione a una posizione più elevata nel marketing vs. passaggio dal marketing al ruolo di direttore generale di una business unit Passaggio a una nuova posizione all’interno della stessa azienda vs. passaggio a un’altra azienda Passaggio da una posizione di staff a una di line vs. passaggio da una posizione di line a una di staff Presa in carico di un gruppo alle prese con problemi molto seri vs. presa in carico di un gruppo ampiamente e giustamente ritenuto di grande successo. Tutto ciò significa che i problemi insiti nell’accelerazione della transizione variano in base a fattori situazionali. Bisogna capire se state vivendo un “passaggio” critico per la vostra carriera, in termini di livello di responsabilità, se siete già in azienda o se arrivate da fuori, se siete investiti di un’autorità formale o se vi state prendendo in carico un gruppo di successo oppure uno 14

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caratterizzato da problemi. È dunque essenziale che adattiate la vostra strategia al contesto che avete di fronte. I consigli pratici vanno tagliati su misura in base alla situazione specifica, al livello del nuovo leader, alla sua esperienza all’interno dell’organizzazione e alle condizioni del business. L’obiettivo fondamentale di questo libro è fornire ai nuovi leader schemi pratici per diagnosticare la loro situazione e sviluppare piani ad hoc di accelerazione della transizione. Per avere un’idea di quanto possa essere utile un approccio sistematico in questo senso, pensate alla sfida che deve affrontare un leader nel diagnosticare la situazione di business dell’azienda in cui è appena giunto. In che modo riesce a identificare i problemi e le opportunità? Come fa a raggiungere un’intesa con il nuovo capo e i nuovi collaboratori in merito alle azioni da intraprendere? In assenza di uno schema concettuale che possa guidare la diagnosi e la pianificazione, tutto ciò si traduce in un lavoro enorme. È pure facile incappare in pericolosi equivoci con i capi o con i collaboratori diretti in merito al da farsi. Anche se perviene alla necessaria unità d’intenti, il nuovo leader avrà comunque sprecato tempo ed energie, rischiando di lasciarsi scappare opportunità importanti e di non disinnescare per tempo alcune bombe a orologeria che continuano a ticchettare. Supponete invece che il nuovo leader possa ricorrere ad alcuni consigli per capire fin da subito se nel nuovo incarico si troverà a gestire uno start-up, un turnaround, un riallineamento o un sostegno al successo. Ipotizzate altresì che abbia una descrizione chiara delle sfide e delle opportunità tipiche di ognuna di queste situazioni e delle direttive da porre in atto per fissare le priorità in ciascuna di esse. Che cosa cambierebbe nel suo lavoro? Lo strumento diagnostico riguardante questi aspetti, denominato modello STARS (Start-up, Turnaround, Riallineamento e Sostegno al successo), viene illustrato dettagliatamente nel capitolo 3. Accelera sensibilmente la diagnosi organizzativa e lo sviluppo di piani d’azione efficaci da parte del nuovo leader. Lo aiuta pure a raggiungere più rapidamente una visione condivisa della situazione, insieme ad altri agenti chiave come il suo capo e i suoi diretti collaboratori. Che stia prendendo in mano un’intera organizzazione o gestendo un gruppo o un progetto di breve termine, il nuovo leader può usare questo strumento per accelerare la sua transizione. Dunque fatevi coraggio. Esistono rassomiglianze strutturali nelle sfide, nelle opportunità e nelle corrispondenti linee guida - ossia ciò che va fatto, e ciò che non va fatto - per i diversi tipi di situazioni transizionali. Tutto sta nell’effettuare una diagnosi accurata, per poi adattare alcuni principi generali alle esigenze specifiche del contesto.

LA STRUTTURA DEL LIBRO Il presente volume vi mette a disposizione una road map per la costruzione di un piano di accelerazione della transizione, nei primi e decisivi 90 giorni. 15

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L’ossatura concettuale è costituita da dieci imperativi fondamentali del processo di transizione. 1. Promuovete voi stessi. Ciò non significa che dovete assumere un pubblicitario, bensì che dovete distaccarvi mentalmente dal vostro vecchio lavoro e prepararvi psicologicamente al nuovo. L’insidia più grossa che avete davanti è probabilmente credere che ciò che vi ha assicurato il successo fino a questo punto della vostra carriera possa continuare ad assicurarvelo anche in futuro. Il rischio di restare attaccati alle vecchie conoscenze, lavorare tantissimo e fallire comunque è molto concreto. 2. Accelerate il vostro apprendimento. Nella nuova organizzazione dovete scalare la curva di apprendimento il più rapidamente possibile. Significa capirne i mercati, i prodotti, le tecnologie, i sistemi e le strutture, ma pure la cultura e gli assetti politici. Dovete essere sistematici e focalizzati nel decidere che cosa apprendere e come imparano nel modo più efficiente. 3. Adeguate la strategia alla situazione. Non esistono regole universali che garantiscano il successo nelle transizioni. Dovete diagnosticare accuratamente la situazione di business e identificarne le sfide e le opportunità. Gli start-up per esempio - di un nuovo prodotto o processo, di una nuova azienda o di un business del tutto inedito - comportano sfide completamente diverse da quelle che dovreste af rontare nel turnaround di un prodotto, di un processo o di un’impresa in gravi difficoltà. Una chiara diagnosi della situazione è un prerequisito essenziale per il vostro piano d’azione. 4. Assicuratevi alcuni successi iniziali. Le piccole vittorie iniziali vi danno credibilità e creano slancio. Avviano circoli virtuosi che sfruttano il vostro apporto di energia per far emergere che sta avvenendo qualcosa di positivo. Nelle primissime settimane, dovete individuare alcune opportunità che vi consentano di costruirvi una credibilità personale. Nei primi 90 giorni dovete identificare le modalità con cui creare valore, migliorare i risultati economico - finanziari e arrivare il più rapidamente possibile al punto di pareggio. 5. Negoziate il successo. Siccome non esiste nessuna relazione più importante di questa, dovete capire come costruire un rapporto produttivo con il vostro nuovo capo e come gestire le sue aspettative. Significa pianificare accuratamente una serie di conversazioni critiche sulla situazione, sulle attese, sullo stile manageriale, sulle risorse e sul vostro sviluppo personale. Ma vuol dire soprattutto che dovete promuoverne e ottenerne il consenso per l’impiego proficuo dei vostri primi 90 giorni. 6. Realizzate l’allineamento. Più salite nella gerarchia, più dovete assumere il ruolo di “architetti organizzativi”. Significa capire se la strategia dell’azienda è corretta, allineare la struttura alla strategia 16

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stessa e sviluppare le competenze e i sistemi necessari per la realizzazione dell’intento strategico. 7. Costruite il vostro team. Se ereditate un team, dovrete valutarne i membri, e forse anche ristrutturarlo per rispondere meglio alle esigenze della situazione. La disponibilità a gestire direttamente i problemi di personale e la capacità di mettere le persone nelle posizioni giuste sono tra i fattori di successo più critici durante la transizione. Nell’affrontare la costruzione di un team, dovrete essere sia sistematici sia strategici. 8. Create coalizioni. Il vostro successo dipenderà pure dalla capacità di influenzare persone che non dipendono direttamente da voi. Le alleanze di sostegno, sia interne sia esterne, saranno necessarie per realizzare i vostri obiettivi. Dovreste perciò da subito identificare i soggetti il cui supporto è essenziale per il vostro successo e capire come portarli dalla vostra parte. 9. Mantenete l’equilibrio. Nel tumulto personale e professionale che accompagna qualunque transizione, dovrete lavorare sodo per mantenere l’equilibrio e conservare la capacità di giudizio. Il rischio di perdere obiettività, di rimanere isolati e di fare scelte sbagliate è costantemente presente in queste fasi. Potete fare molto per accelerare la vostra transizione personale e per assumere un maggior controllo sul vostro ambiente di lavoro. Un network adeguato di consiglieri personali e professionali è una risorsa indispensabile. 10.Accelerate lo sviluppo di tutti. Infine, dovete aiutare tutti i componenti della vostra organizzazione - collaboratori, capi e colleghi ad accelerare le loro transizioni. Prima riuscirete a rendere pienamente operativi i vostri dipendenti diretti, prima potranno aiutarvi a realizzare una buona performance. Oltre a questo, l’accelerazione sistematica dello sviluppo di tutti i collaboratori può comportare notevoli benefici per tutta l’azienda. Se riuscirete a rispondere adeguatamente a queste sfide decisive, avrete una transizione di successo. Il mancato superamento di una sola di esse, tuttavia, potrebbe essere sufficiente per causare problemi potenzialmente rovinosi. I capitoli che seguono offrono direttive da porre in atto e strumenti pratici per affrontare vittoriosamente ognuna delle dieci sfide. Imparerete a diagnosticare la situazione e a costruire piani d’azione tagliati sui vostri bisogni, indipendentemente dal livello organizzativo a cui operate o dalla situazione di business che dovete fronteggiare. Arriverete in tal modo a costruire un piano d’azione per i primi 90 giorni, che accelererà la transizione nel nuovo ruolo. Questo libro si rivolge ai nuovi leader di tutti i livelli, dai neo manager ai CEO. I principi fondamentali della transizione efficace valgono a ogni livello organizzativo. Ma gli elementi specifici - il chi, il cosa, il quando e il come variano moltissimo. Per chi occupa posizioni senior, allineare l’architettura dell’organizzazione, costruire il team e creare coalizioni sono i compiti più delicati; per chi sta a livelli più bassi, le priorità saranno costruire una relazione 17

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produttiva con il nuovo capo e creare un network di consiglieri. Ogni nuovo leader deve acquisire familiarità con la nuova organizzazione, ottenere successi iniziali e costruire coalizioni di supporto. Ecco perché questo libro vi fornisce linee guida per tradurre i principi in piani ad hoc per la vostra situazione. Vi consiglio di leggerlo in modo attivo, prendendo appunti sull’applicabilità dei singoli punti alla vostra situazione e riflettendo su come adattare i consigli al vostro contesto specifico.

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1. Promuovere se stessi

Dopo otto anni nel marketing di una società texana di elettronica da consumo, Julia Gould fu promossa - per la prima volta nella sua storia lavorativa - alla posizione di project leader. Fino a quel punto aveva avuto una carriera spettacolare. L’intelligenza, la capacità di focalizzarsi sugli obiettivi e la determinazione le avevano procurato sin dall’inizio l’apprezzamento del management e una serie di incarichi sempre più prestigiosi. L’azienda l’aveva definita “leader ad alto potenziale” e l’aveva posizionata sulla corsia privilegiata per l’accesso a posizioni senior. Nella nuova posizione, Julia avrebbe curato il lancio di uno dei nuovi prodotti di maggiore importanza. Doveva coordinare il lavoro di un team interfunzionale costituito dai rappresentanti del marketing, delle vendite, della R&S e della produzione. L’obiettivo era portare senza intoppi il nuovo prodotto dalla ricerca e sviluppo alla produzione, assicurarne una rapida messa a punto e razionalizzarne al massimo l’introduzione sul mercato. Abituata a trattare gli altri con autorità e a comandare, Julia aveva necessità di esercitare il controllo su tutto e una spiccata tendenza a occuparsi in prima persona pure dei dettagli. Quando iniziò col dare ordini, dapprincipio i membri del suo team non dissero nulla, tuttavia, in breve, due di loro misero in discussione le sue conoscenze e la sua autorità. Punta sul vivo, lei si concentrò maggiormente sull’area che conosceva meglio: gli aspetti di marketing del lancio del prodotto. I suoi tentativi di mettere il naso nel lavoro di coloro che nel team si occupavano di marketing gliene alienarono le simpatie; nel giro di un mese e mezzo, Julia era ritornata nella sua posizione precedente e a capo del team fu posta un’altra persona. Julia Gould ha fallito poiché non è stata in grado di fare il salto di qualità da un ruolo funzionale, che ricopriva in maniera eccellente, a uno interfunzionale di project management. Non ha capito che i punti di forza che l’avevano portata al successo nel marketing avrebbero potuto diventare punti deboli in un ruolo in cui le si chiedeva di coordinare il lavoro altrui senza avere un’autorità diretta o un expertise superiore. Ha continuato a fare ciò che aveva sempre fatto, e ciò le dava un senso di fiducia e di controllo. Non tagliando i ponti con il passato e non entrando pienamente nel nuovo ruolo, ha buttato via una grande opportunità di crescita all’interno dell’organizzazione. Che cosa avrebbe potuto fare in alternativa? Si sarebbe dovuta concentrare sulla promozione mentale di sé nella nuova posizione, una sfida fondamentale per tutti i nuovi leader. “Promuovere se stessi” non significa autoincensarsi per scopi utilitaristici o ingaggiare un’agenzia di pubbliche relazioni. Vuol dire 19

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prepararsi psicologicamente ad assumere il nuovo ruolo, tagliando con il passato e recependo gli imperativi della nuova situazione per partire con il piede giusto. Può essere faticoso, ma è assolutamente indispensabile. Troppo spesso, manager promettenti vengono promossi ma non si autopromuovono tramite il necessario cambiamento di prospettiva. Un altro errore, strettamente legato al primo, è credere di poter assolvere adeguatamente il nuovo incarico continuando a fare quel che si faceva nel ruolo precedente, con rinnovata lena. “Mi hanno assegnato il nuovo lavoro per le mie capacità e per ciò che ho realizzato”, è il ragionamento comune, “dunque deve essere questo che si aspettano da me”. Si tratta di una logica distruttiva: fare quello di cui siete già capaci ed evitare ciò che non sapete fare potrebbe sembrare una ricetta efficace, almeno inizialmente. Vi crogiolerete in un atteggiamento di negazione, autoconvincendovi che, poiché siete produttivi ed efficienti, siete anche efficaci; continuerete a cullarvi in questa illusione fino a quando non vi crolleranno addosso le pareti. Nessuno è immune da questa trappola, neppure gli amministratori delegati che hanno alle spalle una lunga e gloriosa carriera. Riflettete sull’esperienza di Douglas Ivester in Coca-Cola. Ivester fu promosso a CEO nel 1997 dopo l’improvvisa scomparsa del suo predecessore, Roberto Goizueta, che guidava l’azienda fin dal 1981. Nel 1999, dopo una serie di passi falsi che avevano eroso la fiducia del consiglio di amministrazione, Ivester si dimise. Agli osservatori esterni, Ivester era sembrato il candidato ideale per quella posizione. “La vera sfida [per Coca-Cola]”, scriveva un analista di PaineWebber, nota società di gestione patrimoniale, “è non diventare vittima del proprio successo. E io penso che con la riorganizzazione in corso in CocaCola, a cominciare dall’insediamento di Douglas Ivester al vertice, l’azienda non corra seriamente il rischio di scivolare nell'autocompiacimento”. Fortune arrivò a definirlo “il prototipo del capo azienda per il Ventunesimo secolo”. Di estrazione finanziaria, Ivester aveva trascorso quasi vent’anni in Coca-Cola, fino a diventarne il COO e il braccio destro di Goizueta. Nominato CFO nel 1985, a soli 37 anni, lasciò prontamente il segno orchestrando lo spin-off realizzato nel 1986 - dell’imbottigliamento, mediante la costituzione di CocaCola Enterprises. Conseguì lusinghieri risultati anche come presidente delle operations europee, il suo primo ruolo operativo, e nel 1989 guidò l’espansione dell’azienda nell’Europa orientale. Un anno dopo fu nominato presidente di Coca-Cola USA e nel 1994 divenne presidente e COO di tutta la multinazionale. Ma Ivester non riuscì a fare il salto da COO a CEO. Si rifiutò di nominare un nuovo COO, nonostante le forti pressioni del consiglio di amministrazione in tal senso. Anzi, continuò ad agire da “super COO” e a mantenere contatti quotidiani con le sedici persone che prima dipendevano da lui. La sua straordinaria attenzione ai dettagli, che si era rivelata una grandissima virtù nella finanza e nelle operations, si dimostrò un ostacolo nella nuova posizione. Ivester non riusciva a distaccarsi dall’operatività quotidiana in misura sufficiente ad assumere il ruolo strategico, capace di vision e politicamente abile di un CEO efficace. 20

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Il risultato fu una serie di passi falsi, nessuno dei quali fatale di per sé, che nel loro insieme minarono la credibilità di Ivester. Il maldestro approccio che adottò nei confronti degli enti regolatori europei contribuì alla mancata acquisizione della francese Orangina e ridusse drasticamente il valore dell’acquisizione dei brand di Cadbury Schweppes. Secondo molti osservatori, avrebbe anche gestito male la vicenda della contaminazione delle bottiglie dì Coca Cola prodotte in Belgio (nel 1999) non prendendo una posizione chiara. Si alienò altri potenziali alleati non reagendo efficacemente alla vertenza giudiziaria su un presunto caso di discriminazione razziale nel quartier generale di Atlanta e sottoponendo a una pressione eccessiva gli imbottigliatori di CocaCola, già alle strette, riguardo al prezzo del concentrato e all’entità delle scorte. Alla fine, Ivester si ritrovò con pochissimi amici. Ipotizzando che il suo insuccesso alla testa del colosso di Atlanta fosse conseguenza di un limite caratteriale rivelatosi poi esiziale, il Wall Street Journal osservò ironicamente: “Guidare un’azienda gigantesca come Coca-Cola Co. è un po’ come dirigere un’orchestra, ma a quanto pare M. Douglas Ivester non aveva orecchio [...] Conosceva la matematica, ma non la musica, ossia la disciplina occorrente per guidare la più grande organizzazione di marketing del mondo”. Le cause profonde del fallimento di Ivester risiedono tuttavia più nell’incapacità di abbandonare un approccio operativo che nell’incompetenza (o nel mancato sviluppo di certe competenze). Una straordinaria carriera pervenne a una conclusione profondamente deludente, se non addirittura tragica, perché Ivester continuò a concentrarsi solo su ciò che sapeva realizzare meglio. Era una fine inevitabile? Probabilmente no. Era dovuta al suo approccio alla transizione da COO a CEO? Sicuramente sì.

PROMUOVERE SE STESSI Come potete evitare questa trappola? Come potete essere certi di rispondere adeguatamente alle sfide della vostra nuova posizione? In questo paragrafo definiamo alcuni principi base per prepararvi mentalmente ad assumere il vostro nuovo incarico.

Dare un taglio netto Il passaggio da una posizione all’altra avviene di solito in maniera piuttosto confusa. Difficilmente vi danno un ampio margine di preavviso prima di insediarvi nel nuovo incarico. Un nuovo leader particolarmente fortunato ha a disposizione un paio di settimane, ma il più delle volte il preavviso si misura in giorni. Vi ritrovate a chiudere in fretta e furia ciò che è rimasto in coda del vecchio lavoro mentre avete già preso in mano il nuovo, O peggio, vi chiedono di svolgere entrambi i lavori fino a quando non vi avranno sostituito nella posizione precedente, rendendo ancora più indefinita la linea di demarcazione tra l’uno e l’altro.

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Siccome non avrete una transizione netta a livello di responsabilità operative, è essenziale che vi imponiate di effettuarla a livello mentale. Prendetevi qualche ora, magari nel weekend, e impiegatela per immaginare di essere già stati promossi. Abituatevi seriamente all’idea di abbandonare il vecchio lavoro e di entrare completamente nel nuovo. Ragionate intensamente sulle differenze tra le due attività, anche nel modo di pensare e di agire. Datevi il tempo di festeggiare; anche informalmente, con i familiari e gli amici. Ap [Manca una pagina]

Identificare le proprie vulnerabilità Vi hanno offerto la nuova posizione perché coloro che vi hanno assunto ritengono che abbiate le competenze necessarie per ricoprirla efficacemente. Probabilmente è così ma, come abbiamo visto nei casi di Julia Gould e Douglas Ivester, affidarsi eccessivamente a ciò che vi ha assicurato il successo in passato può essere fatale. Secondo quanto ha osservato un alto dirigente, “tutti desidererebbero operare a un livello organizzativo inferiore a quello in cui si trovano. Ma dovete lavorare lì dove siete, non là dove eravate”. Un modo efficace per identificare le vostre vulnerabilità è definire le preferenze problematiche, ossia le tipologie di problemi verso cui tendete naturalmente a gravitare. Ognuno di noi ha le proprie predilezioni in merito ai compiti da svolgere.

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L’attività privilegiata da Julia Gould era il marketing; quelle di Douglas Ivester la finanza e le operations. Le vostre preferenze vi hanno probabilmente indotto a scegliere lavori in linea con ciò che più vi piace realizzare. Di conseguenza perfezionate i relativi skill e vi sentite maggiormente a vostro agio nel risolvere problemi inerenti a quelle aree, il che rinforza ulteriormente il circolo vizioso. È come esercitare il braccio destro e ignorare il sinistro: il destro diventa più forte e l’altro si atrofizza. Il rischio, ovviamente, è quello di creare uno squilibrio che vi rende vulnerabili quando il successo dipende dalla capacità di utilizzare entrambe le braccia. La tabella 1.1 è uno strumento semplice che permette di valutare le vostre preferenze rispetto alle differenti tipologie di problemi che si incontrano in azienda. Inserite in ogni cella il valore corrispondente al vostro interesse 23

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intrinseco per la soluzione di problemi nell’area di attività in questione. Riguardo alla prima cella, per esempio, chiedetevi quanto vi piace lavorare sui sistemi di valutazione e ricompensa. Non si tratta di una domanda comparativa: non confrontate questo interesse con altri. Classificate separatamente la vostra predilezione per ogni tipo di problema su una scala da 1 (nessun interesse) a 10 (grande interesse). Tenete presente che si parla di interesse specifico, non di competenze e di esperienza. Ora riportate i punteggi che avete inserito nella tabella 1.1 nelle celle corrispondenti della tabella 1.2, e in seguito sommate i valori delle tre colonne e delle cinque righe.

I totali delle colonne rappresentano rispettivamente le vostre preferenze riguardo ai problemi tecnici, politici e culturali: quelli tecnici abbracciano le strategie, i mercati, le tecnologie e i processi; quelli politici attengono al potere e alle alleanze interne; quelli culturali coinvolgono i valori, le norme e gli assunti di base. Se un totale di colonna è significativamente inferiore agli altri, rappresenta un potenziale punto debole. Se per esempio avete totalizzato un punteggio elevato riguardo ai problemi tecnici e un punteggio basso relativamente a quelli politici, rischiate di trascurare il lato umano dell'”equazione organizzativa”. I totali di riga rappresentano le vostre preferenze rispetto alle diverse funzioni aziendali. Un punteggio basso in una determinata riga indica che prediligereste non confrontarvi con i problemi di tale area. Sono potenziali punti deboli anch’essi. 24

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I risultati di questo esercizio diagnostico dovrebbero aiutarvi a rispondere alle seguenti domande: in quali sfere preferite risolvere i problemi? In quali invece vi piace meno farlo? Quali sono le implicazioni sul piano delle possibili vulnerabilità nella vostra nuova posizione? Potete fare molto per attenuarle. Tre strumenti essenziali sono l’autodisciplina, il team building e il ricorso a consigli personali e professionali. Dovrete autodisciplinarvi per dedicare tempo ad attività critiche che non vi divertono e non vi sono congeniali. Oltre a ciò, ricercate all’interno dell’organizzazione persone particolarmente ferrate in queste aree, che possano supportarvi e dalle quali possiate imparare. Anche un network di consiglieri personali e professionali può aiutarvi a uscire dalla vostra zona, quella in cui vi sentite più a vostro agio. Le predette strategie per la minimizzazione dei punti deboli vengono illustrate dettagliatamente nel capitolo 7, “Costruire il proprio team”, e nel capitolo 9, “Mantenere l’equilibrio”.

Prestare attenzione ai propri punti di forza I punti deboli possono rendervi vulnerabili, ma possono farlo anche i punti di forza, poiché ognuno di questi ha il suo lato negativo. Le qualità che vi hanno condotto al successo fino a questo momento potrebbero rivelarsi dei limiti nella nuova posizione. Sia Julia Gould sia Douglas Ivester erano estremamente attenti ai dettagli. Pur essendo questa una caratteristica chiaramente positiva, l’attenzione ai dettagli ha un lato negativo, soprattutto se si abbina a un’insopprimibile tendenza a esercitare il controllo: genera la tendenza a “stare addosso” ai propri collaboratori, nelle aree che si conoscono meglio. Questo tipo di comportamento può demoralizzare coloro che vogliono dare il proprio contributo senza una supervisione assillante.

Reimparare a imparare Forse è trascorso molto tempo dall’ultima volta che vi siete trovati di fronte a una curva di apprendimento tanto ripida. “Mi sono reso conto improvvisamente di non sapere un’infinità di cose” è una lamentela assai comune tra i leader in transizione. Forse eccellevate in una funzione o in un ambito specifico, come Julia Gould, e ora vi ritrovate in una posizione che richiede competenze più generali e ampie. Oppure, grazie ai buoni risultati che avete generato in una posizione di line, vi hanno promosso in una posizione di staff o vi hanno messo a gestire una struttura a matrice. O invece siete appena approdati in una nuova azienda, dove naturalmente non avete un network di relazioni consolidate e di cui non conoscete la cultura. In tutti i casi, dovete imparare moltissimo in tempi strettissimi. L’esigenza di tornare a imparare può evocare un senso profondo e inquietante di incompetenza e vulnerabilità, in particolare se incontrate difficoltà iniziali. Vi troverete a rivivere mentalmente una fase della vostra carriera in cui provavate meno fiducia in voi stessi, forse farete qualche passo falso e incontrerete l’insuccesso per la prima volta dopo chissà quanto tempo. Dunque 25

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comincerete a gravitare inconsciamente intorno alle aree professionali e funzionali in cui vi sentite competenti e verso le persone che potrebbero rinforzare la vostra autostima. Le nuove sfide alle quali si associano timori di incompetenza possono innescare un circolo vizioso di negazione e atteggiamento difensivo, come osservava Chris Argyris nell’articolo “Teaching Smart People How to Learn”, pubblicato sulla Harvard Business Review. Essendo abituati ad avere successo in ciò che fanno, molti professionisti hanno scarsa familiarità con l’insuccesso. E siccome hanno fallito molto raramente, non hanno mai imparato ad apprendere dalle esperienze negative. Perciò tutte le volte che le loro [...] strategie di apprendimento si rivelano fallaci, si mettono sulla difensiva, ignorano le critiche e danno la “colpa” a tutti e a tutto, meno che a se stessi. In sostanza, la loro capacità di apprendere viene meno proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno. In poche parole, potete decidere di imparare, se non volete rischiare di diventare vulnerabili e di non riuscire. Il vostro fallimento potrebbe essere drammatico, come quello di Julia Gould, o sfociare addirittura in una “congiura mortale”, com’è accaduto a Douglas Ivester; a ogni modo, sarà probabilmente inevitabile. Come vedremo nel prossimo capitolo, la negazione e l’atteggiamento difensivo assicurano il disastro. Reimparare a imparare può essere doloroso. La transizione a un nuovo lavoro potrebbe ridestare alcuni profondi timori sulle vostre capacità, che credevate sopiti da tempo. Quindi, se vi capita di svegliarvi in un bagno di sudore gelido, consolatevi, poiché quasi tutti i nuovi leader provano le stesse angosce. Se riconoscete l’esigenza di apprendere, potete vincerle.

Ridisegnare il proprio network A mano a mano che progredite nella carriera, i consigli e i suggerimenti di cui avete bisogno cambiano. L’autopromozione comporta un impegno proattivo per rimodellare la vostra rete di consiglieri personali e professionali. All’inizio della carriera conviene coltivare bravi consiglieri tecnici, esperti per esempio in certi aspetti del marketing o della finanza, che possono aiutarvi a svolgere al meglio il vostro lavoro. Tuttavia, con il succedersi delle promozioni, diventa sempre più importante avere indicazioni di carattere politico e consigli personali. I “consiglieri politici” vi aiutano a capire le dinamiche sotterranee dell’organizzazione, che si rivelano particolarmente importanti quando avete in programma di implementare il cambiamento. I “consiglieri personali” vi aiutano a mantenere la giusta prospettiva e il corretto equilibrio nei momenti di stress. Come vedremo nel capitolo 9, trasformare il vostro network di consiglieri personali e professionali non è mai facile. Forse i vostri attuali consiglieri sono anche vostri amici e probabilmente vi trovate meglio con i tecnici dei quali conoscete bene le aree di competenza.

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Guardarsi da coloro che vogliono frenare l’ascesa Consapevolmente o inconsapevolmente, alcune persone non vogliono che voi facciate carriera. Per esempio, il vostro vecchio capo potrebbe non volere lasciarvi andare. Perciò dovete negoziare aspettative chiare, non appena saprete quando avverrà il passaggio nella nuova posizione, su ciò che è necessario fare per chiudere tutte le pendenze relative al precedente lavoro, in particolare se la vostra ascesa è interna alla stessa azienda. Significa chiarire con precisione quali problemi e quali progetti dovrete seguire e in che misura e, soprattutto, che cosa non dovrete più seguire. Prendete appunti in proposito e inviateli in copia al capo, in modo che tutti siano sulla stessa lunghezza d’onda. Poi, vincolate il capo, e voi stessi, al rispetto di tali accordi. Siate realistici su ciò che potrete portare a termine. C’è sempre qualcos’altro che potreste fare in aggiunta a ciò che viene pianificato, perciò tenete presente che il tempo da dedicare all’apprendimento e alla progettazione prima di entrare in una nuova posizione è un bene quanto mai prezioso. I colleghi non vorranno che i rapporti che intrattengono con voi si modifichino. Tuttavia devono necessariamente mutare, e prima accetterete questo dato di fatto (e aiuterete gli altri ad accettarlo), meglio sarà. Altri componenti dell’organizzazione andranno scrupolosamente alla ricerca di eventuali indizi di favoritismo e vi giudicheranno di conseguenza. Se vi hanno messo a capo di persone che prima erano colleghi, qualcuno di loro sarà geloso di voi, altri potrebbero addirittura cercare di mettervi in difficoltà. Questa tendenza si attenuerà con il tempo, ma aspettatevi sin dall’inizio dei test sulla vostra autorità e predisponetevi a superarli tramite un atteggiamento fermo e corretto. Se non fissate immediatamente dei limiti, ve ne pentirete per sempre: fare sì che gli altri accettino la vostra promozione rappresenta una parte essenziale del processo di autopromozione. Per ciò, se vi convincete che le persone in questione non accetteranno mai la nuova situazione, dovete trovare il modo di rimuoverle il più presto possibile.

SUPERARE LE BARRIERE L’autopromozione si rivela regolarmente un impegno complesso e alcune barriere potrebbero risiedere proprio in voi. Dedicate qualche minuto a riflettere seriamente sulle vostre vulnerabilità personali all’interno della nuova posizione, così come risultano dall’analisi delle preferenze problematiche. Che cosa farete per attenuarle? Poi pensate alle forze esterne, come gli impegni residui che avete preso con il vecchio capo, che potrebbero frenare la vostra ascesa. Come potreste evitare una situazione di questo tipo? L’autopromozione è un viaggio, non una destinazione. Dovrete lavorare costantemente per essere sicuri di affrontare le vere sfide della nuova posizione e di non scivolare in quella che Ron Heifetz chiama “elusione del lavoro” È facile ricadere in abitudini che sono al tempo stesso fonte di conforto e di pericolo. Programmate di rileggere periodicamente questo capitolo e le 27

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domande che propone, chiedendovi: “Sto davvero ponendo in atto tutto ciò che posso fare per promuovere me stesso?”.

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CHECKLIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE Le checklist compaiono alla fine di ciascun capitolo per aiutarvi a fissare i concetti principali e ad applicarli alla vostra situazione specifica. Utilizzate queste domande per orientare la vostra analisi e costruire un piano di accelerazione su misura per i primi 90 giorni. 1. Che cosa vi ha assicurato il successo fino a questo punto della carriera? Pensate di riuscire a coprire adeguatamente la nuova posizione affidandovi unicamente a quei punti di forza? In caso negativo, quali sono le competenze critiche che dovete sviluppare? 2. Nella nuova posizione ci sono aspetti che appaiono critici per il successo, ma su cui preferite non concentrare la vostra attenzione? Per quali motivi agite così? In che modo pensate di rimediare ai vostri potenziali punti deboli? 3. Che cosa dovete fare per essere certi di “entrare mentalmente” nella nuova posizione? A chi potreste richiedere consigli e suggerimenti su questa transizione psicologica? Quali altre attività potrebbero aiutarvi a effettuare questo passaggio mentale?

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2. Accelerare il proprio apprendimento

Chris Bagley dirigeva la funzione qualità di Sigma Corporation, un’azienda di medie dimensioni che produceva beni di consumo durevoli. Quando il suo capo si trasferì in White Goods, un’azienda di elettrodomestici in difficoltà, come vicepresidente del manufacturing, gli offrì la posizione di direttore generale della fabbrica principale. Chris non si lasciò sfuggire l’occasione. Sigma aveva costruito un’organizzazione produttiva di prim’ordine. Chris vi era entrato subito dopo la laurea in ingegneria e aveva girato quasi tutte le funzioni principali della produzione. Aveva un’ottima preparazione di base, ma si era abituato a gestire una tecnologia d’avanguardia e una forza lavoro particolarmente motivata. Prima di accettare l’offerta di White Goods ne aveva visitato la fabbrica e sapeva che non c’era confronto con l’azienda da cui proveniva: era deciso a trasformarla, ritenendo di poterci riuscire in tempi brevi. Appena insediato nella nuova posizione, dichiarò obsoleta quella fabbrica e disse apertamente che andava ricostruita ex novo, nella “logica Sigma”. Ingaggiò immediatamente alcuni noti consulenti di produzione. Costoro gli consegnarono un rapporto inquietante, che definiva “antiquati” la tecnologia e i sistemi della fabbrica e “marginali” le competenze delle maestranze. Raccomandavano una profonda riorganizzazione ispirata a una logica produttiva di squadra, oltre a cospicui investimenti in tecnologia e in addestramento degli operai. Chris illustrò il rapporto ai suoi collaboratori diretti, spiegando loro che intendeva mettere rapidamente in atto quelle raccomandazioni, e ne interpretò il silenzio come la tacita espressione di un pieno consenso. Poco dopo l’introduzione della nuova struttura operativa su una delle quattro linee di produzione della fabbrica, la produttività calò fortemente e la qualità iniziò a peggiorare. Chris riunì i suoi collaboratori e li invitò “a risolvere i problemi, e alla svelta”. Tuttavia le problematiche rimasero e il morale dei lavoratori cominciò a declinare. Dopo tre mesi, il capo di Chris gli disse: “Ti sei alienato le simpatie di quasi tutti. Ti ho portato qui per migliorare la fabbrica, non per abbatterla”. Dunque lo subissò di domande: “Quanto tempo hai dedicato a familiarizzare con questa fabbrica? Sapevi che avevano già attuato esperimenti negativi con le squadre di produzione? Hai visto che cosa riuscivano a realizzare prima del tuo arrivo con le risorse che avevano a disposizione? Avresti dovuto smettere di agire e cominciare ad ascoltare”.

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Scosso, Chris effettuò alcune illuminanti discussioni con i manager, i supervisori e i diversi gruppi di operai. In questo modo capì quanta creatività avevano messo in campo per compensare la carenza di investimenti tecnici. Organizzò quindi un’assemblea di tutto il personale di fabbrica ed elogiò le maestranze per aver realizzato tanto prima del suo arrivo. Annunciò che la riorganizzazione era sospesa e che, prima di introdurre altri cambiamenti, il management si sarebbe concentrato sul miglioramento tecnologico della fabbrica. Dove aveva sbagliato Chris? Come troppi nuovi leader, non si era preoccupato di capire a fondo la nuova organizzazione, e così fece alcune supposizioni iniziali che gli costarono care. È fondamentale individuare quali aspetti della nuova organizzazione è necessario conoscere e comprenderli il più rapidamente possibile, poiché un apprendimento efficiente ed efficace restringe l’area di vulnerabilità. Vi permette di identificare i potenziali problemi che potrebbero manifestarsi improvvisamente e condurvi fuori strada. Un apprendimento adeguato vi consente anche di cominciare prima a prendere decisioni operative di qualità. Ricordatevi che i vostri interlocutori interni ed esterni non vi lasceranno il tempo di fare una piacevole e rilassata passeggiata lungo la curva di apprendimento...

SUPERARE I PROBLEMI DI APPRENDIMENTO Quando un nuovo leader deraglia, c’entra quasi sempre il mancato apprendimento degli aspetti indispensabili: il sovraccarico di informazioni rischia di nascondere alla vista i problemi più significativi. C’è così tanto da assorbire che è arduo capire dove concentrarsi. Di fronte al diluvio di informazioni che vi piovono addosso è facile lasciarsi sfuggire segnali importanti, oppure si rischia di concentrarsi eccessivamente sul lato tecnico del business - prodotti, clienti, tecnologie e strategie - e di sottovalutare l’apprendimento critico sulla cultura e sui giochi politici. Come se tutto ciò non fosse sufficiente, pochissimi manager hanno ricevuto formazione sulla diagnosi sistematica di un’organizzazione. Coloro che l’hanno avuta sono generalmente professionisti delle risorse umane o ex consulenti di management. Un problema contiguo e correlato è l’incapacità di pianificare l’apprendimento, ossia di capire in anticipo quali sono le domande importanti e come rispondervi ai meglio. Pochi nuovi leader si concedono il tempo di riflettere sistematicamente sulle loro priorità di acquisizione di conoscenze e informazioni; quelli che creano esplicitamente un piano di apprendimento quando assumono un nuovo ruolo sono ancora meno numerosi. Alcuni leader hanno addirittura “problemi di apprendimento”, ossia limiti culturali o caratteriali che impediscono loro di imparare. Uno di questi è l’ostinato rifiuto di cercare di comprendere la storia pregressa dell’organizzazione. Una domanda fondamentale che dovrebbero porsi tutti i nuovi leader è: “Come siamo giunti a questo punto?”. Diversamente, il rischio è di abbattere gli steccati senza sapere perché sono stati eretti. Conoscendo la 31

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vicenda storica potreste scoprire che un determinato steccato davvero non è necessario e deve cadere, o viceversa che ci sono valide ragioni per mantenerlo. Altri leader soffrono del cosiddetto “imperativo dell’azione”, un disturbo dell’apprendimento il cui sintomo principale è un bisogno pressoché compulsivo di agire. Se vi scoprite regolarmente troppo ansiosi o eccessivamente occupati per dedicare tempo all’apprendimento sistematico, forse soffrite di questo disturbo. È qualcosa di serio, perché essere troppo impegnati per imparare è una condizione che innesca spesso una spirale mortifera. Se non imparate ciò che è necessario riguardo al nuovo contesto, tenderete facilmente a prendere decisioni iniziali di cattiva qualità che mineranno la vostra credibilità e indurranno gli altri a non condividere con voi informazioni importanti, ponendovi nella condizione di prendere altre decisioni inadeguate. Si creerà così un circolo vizioso che potrà danneggiare irreparabilmente la vostra credibilità. Dunque prestate attenzione: forse vi sembra giusto entrare in una nuova situazione lavorativa e cominciare sempre ad agire con decisione - a volte, come vedremo nel capitolo successivo, è la cosa giusta da fare - ma così rischiate di risultare impreparati a riconoscere i veri problemi. Nel caso peggiore in assoluto, alcuni nuovi leader arrivano con “la risposta in tasca”. Sono già convinti di sapere come risolvere i problemi dell’organizzazione. Essendo cresciuti in un ambiente nel quale “le cose si realizzavano nel modo giusto”, non si rendono conto che ciò che funziona bene in una cultura organizzativa potrebbe fallire miserevolmente in un’altra. Come scoprì Chris Bagley sulla propria pelle, questo atteggiamento vi espone a ingenti errori e tende ad alienarvi le simpatie dei collaboratori. Bagley riteneva di poter semplicemente importare ciò che aveva imparato in Sigma per risolvere i problemi della fabbrica. Pure nelle situazioni (come i turnaround) in cui vi hanno assunto esplicitamente per importare nuovi metodi operativi, dovete comunque familiarizzare con la cultura e i giochi politici dell’organizzazione in essere, per poter contestualizzare il vostro approccio. Inoltre, l’esibire un’effettiva capacità di ascolto si traduce spesso in maggiori credi e influenza.

GESTIRE L’APPRENDIMENTO COME UN PROCESSO DI INVESTIMENTO Se affrontate il tentativo di entrare in sintonia con la nuova realtà organizzativa come se fosse un processo d’investimento - e considerate il vostro poco tempo e le vostre scarse energie come risorse che meritano una gestione d’investimento accurata - otterrete poi dei ritorni, sotto forma di “informazioni azionabili”. Un’informazione azionabile è una conoscenza che vi permette di prendere decisioni migliori in tempi più brevi, e quindi vi aiuta a raggiungere prima il punto di pareggio in termini di valore creato. 32

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Chris Bagley avrebbe agito diversamente se avesse saputo che: 1. il senior management di White Goods aveva sistematicamente sottoinvestito nella fabbrica, nonostante i grandi sforzi di miglioramento dei manager locali 2. la fabbrica aveva raggiunto risultati straordinari sul piano della qualità e della produttività, tenendo conto dei mezzi che aveva a disposizione e ... 3. i supervisori e gli operai erano giustamente orgogliosi di ciò che avevano realizzato. Per massimizzare il ritorno sul vostro investimento in apprendimento dovete estrarre efficacemente ed efficientemente informazioni azionabili da tutte quelle che avete a disposizione. L’apprendimento efficace presuppone l’individuazione di ciò che dovete imparare, in modo che possiate focalizzare i vostri sforzi. Dedicate il più presto possibile un po’ di tempo alla definizione della vostra agenda di apprendimento e tornateci periodicamente sopra per affinarla e integrarla. Apprendimento efficiente significa identificare le migliori fonti di informazione disponibili e poi capire come estrarne il maggior numero con il minimo investimento possibile del vostro prezioso tempo. L’approccio di Chris Bagley all’apprendimento, nei confronti della fabbrica di White Goods, non era né efficace, né efficiente.

Definire la propria agenda di apprendimento Se Chris Bagley avesse potuto rivivere da capo quella esperienza, come sarebbe stato preferibile che agisse? Avrebbe potuto programmare un processo di apprendimento sistematico, creando un circolo virtuoso di raccolta e analisi delle informazioni, costruzione di ipotesi e sperimentazione. Il punto di partenza è la definizione di un’agenda di apprendimento, idealmente prima ancora di entrare formalmente nell’organizzazione. L’agenda fissa le vostre priorità di apprendimento: che cosa dovete imparare in primis? Si compone di una serie di domande focalizzate che guideranno la vostra ricerca sulle informazioni, di ipotesi che vorrete esplorare e testare, o di entrambe le cose. Naturalmente, il processo di apprendimento nel corso di una transizione è iterativo: all’inizio la vostra agenda di apprendimento conterrà quasi esclusivamente domande, poi comincerete a creare ipotesi su ciò che sta avvenendo e sul perché. Progressivamente, il vostro apprendimento si sposterà verso l’arricchimento e la sperimentazione di queste ipotesi. Come dovreste compilare il primo elenco di domande guida? Partite ponendovi domande sul passato, sul presente e sul futuro. Perché le cose vengono realizzate in questo modo? Le ragioni per cui si compiva una certa azione (per esempio, rispondere a una minaccia competitiva) sono valide ancora oggi? Poiché la realtà e i suoi diversi aspetti sono in continuo mutamento, in futuro bisognerebbe agire in modo differente? Qui di seguito trovate un campione di domande relative alle tre categorie. 33

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Domande sul passato Performance Com’è andata questa organizzazione. nel passato? Come pensano che sia andata i suoi dipendenti? Come si fissavano gli obiettivi? Erano troppo o troppo poco ambiziosi? Si usavano benchmark interni o esterni? Quali parametri di misurazione si impiegavano? Quali comportamenti si incoraggiavano o si scoraggiavano? Che cosa accadeva se non si raggiungevano gli obiettivi? Cause profonde Se la performance è risultata positiva, per quali ragioni ciò è avvenuto? Qual è stato il contributo relativo della strategia, della struttura, delle capacità tecniche, della cultura e degli aspetti politici? Se la performance è risultata negativa, per quali ragioni ciò è avvenuto? I problemi principali risiedono nella strategia dell’azienda? Nella struttura? Nelle capacità tecniche? Nella cultura? Negli aspetti politici? Storia del cambiamento Quali sforzi sono stati fatti per cambiare l’organizzazione? Che cosa è accaduto? Chi ha contribuito principalmente a strutturare questa organizzazione?

Domande sul presente Visione e strategia Quali sono la visione e la strategia ufficiali dell’organizzazione? Sta veramente perseguendo quella strategia? Se no, perché? Se sì, la strategia sta portando l’organizzazione dove dovrebbe andare? Persone Chi è professionalmente adeguato e chi no? Di chi ci si può fidare e a chi non si può concedere fiducia? Chi ha influenza, e perché? Processi Quali sono i processi chiave dell’organizzazione? Funzionano accettabilmente in termini di qualità, affidabilità e puntualità? Se no, perché? Minacce impreviste Quali sorprese potrebbero capitare e mettervi fuori strada? Quali passi falsi, culturali o politici, potenzialmente dannosi dovete evitare? Successi iniziali In quali aree (persone, relazioni, processi o prodotti) potete ottenere piccoli successi iniziali?

Domande sul futuro Problemi e opportunità In quali aree l’azienda rischia di incontrare seri problemi nel prossimo anno? Che cosa si può fare ora per affrontarli adeguatamente? Quali sono le opportunità più promettenti, non ancora sfruttate? Che cosa dovrebbe accadere per poterne mettere a frutto appieno il potenziale?

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Barriere e risorse Quali sono le barriere più consistenti alla realizzazione dei cambiamenti necessari? Sono tecniche? Sono culturali? Sono politiche? Vi sono isole di eccellenza o altre risorse di alta qualità che potete sfruttare? Quali nuove capacità bisogna sviluppare o acquisire? Cultura Quali elementi della cultura organizzativa andrebbero preservati? Quali elementi devono cambiare?

Identificare le migliori fonti di informazione Trarrete utili indicazioni da varie tipologie di dati numerici, come quelli contenuti nei rapporti finanziari e operativi, nei piani strategici e funzionali, nelle indagini sul clima interno, negli articoli dei giornali e negli studi di settore. Tuttavia, per prendere decisioni efficaci, vi occorrono anche informazioni “soft” sulla strategia, sulle capacità tecniche, sulla cultura e sugli assetti politici dell’organizzazione. L’unico modo per procurarsi queste informazioni è parlare con persone in possesso di conoscenze cruciali in merito alla vostra situazione. Chi può fornire il massimo ritorno sul vostro investimento in apprendimento? L’identificazione delle fonti più promettenti renderà maggiormente completo ed efficiente il vostro processo di acquisizione delle informazioni. Tenete presente che dovete ascoltare persone chiave sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione (figura 2.1).

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Parlare con soggetti che hanno punti di vista diversi servirà ad approfondire le vostre idee e, in particolare, vi permetterà di porre in relazione le realtà esterne con le percezioni interne e il vertice della gerarchia con coloro che hanno funzioni operative e che stanno in prima linea. Le fonti informative esterne più preziose potrebbero essere le seguenti.

Clienti. Come percepiscono la vostra organizzazione? Quale valutazione danno i migliori clienti dei vostri prodotti o servizi? Che cosa pensano del customer service? Come valutano la vostra azienda rispetto ai concorrenti?

Distributori. Dai distributori potete avere preziose indicazioni sulla logistica del prodotto, sul customer service, sulle pratiche e sulle offerte dei concorrenti. Potete anche farvi un’idea delle capacità dei distributori stessi.

Fornitori. I fornitori possono restituirvi le loro impressioni sulla vostra azienda nel ruolo di cliente. Possono anche aiutarvi a capire pregi e difetti del management operativo interno e dei sistemi di gestione delle operation.

Analisti esterni. Gli analisti possono darvi una valutazione piuttosto obiettiva sulla strategia e sulle capacità della vostra azienda, nonché su quelle dei vostri concorrenti.

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Hanno anche un quadro abbastanza preciso dei bisogni del mercato e dello stato di salute del settore. Fonti informative interne indispensabili sono le seguenti.

Front line di R&D e operations. Gli addetti a queste funzioni sono coloro che sviluppano e fabbricano i vostri prodotti o erogano i vostri servizi. Gli operatori di front line possono mettervi al corrente dei processi fondamentali dell’azienda e delle sue relazioni con i principali referenti esterni. Possono anche porvi in condizione di capire se e come il resto dell’organizzazione favorisce od ostacola i loro sforzi.

Vendite e acquisti I venditori insieme agli addetti al customer service e al personale che si occupa degli acquisti, interagiscono direttamente con i clienti, i distributori e i fornitori. Hanno spesso informazioni aggiornate sui trend in atto e sui cambiamenti che stanno per intervenire nel mercato.

Funzioni di staff Parlate con chi è a capo della direzione finanziaria, dell’ufficio legale e della direzione risorse umane. Essi hanno una prospettiva specialistica ma utile sui meccanismi interni dell’organizzazione

Integratori. Gli “integratori” sono persone che coordinano o facilitano l’interazione interfunzionale, come i project manager, i responsabili di fabbrica e i product manager. Potete farvi spiegare da loro come funzionano i collegamenti interni e come si integrano le funzioni. Possono aiutarvi a scoprire le vere gerarchie politiche e a localizzare i conflitti interni.

Storici. Individuate i “veterani”, ovvero coloro che lavorano in azienda da tempo immemorabile e ne assorbono naturalmente la storia. Da questo gruppo di persone potete conoscere la mitologia dell’azienda, le radici della sua cultura e dei suoi assetti politici.

ADOTTARE METODI DI APPRENDIMENTO STRUTTURATI Una volta acquisita un’idea generale su ciò che dovete imparare e su dove cercare tali informazioni - nei rapporti ufficiali o nei colloqui con persone bene informate - il passo successivo è capire come apprendere nel migliore dei modi.

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Molti manager tendono a prendere l’iniziativa e cominciano sin dall’inizio a parlare con le persone. In questo modo è possibile ottenere molte informazioni “soft”, ma si tratta di un metodo inefficiente, poiché può sottrarre molto tempo e perché, non essendo un processo strutturato, impedisce di sapere quale peso attribuire alle osservazioni dei singoli. Le vostre opinioni rischiano di essere condizionate eccessivamente dalle prime (o dalle ultime) persone con cui parlate, e qualcuno potrebbe contattarvi precocemente proprio allo scopo di influenzarvi. Dovreste quindi considerare seriamente l’utilizzo di un processo di apprendimento strutturato, progettato per i nuovi leader. Per capire i vantaggi di tale metodo, immaginate di voler organizzare un incontro con i vostri collaboratori diretti per capire come valutano la situazione. Come potreste gestirlo? Riunirli tutti insieme potrebbe risultare un errore, perché alcuni saranno restii a rivelare le loro opinioni in un contesto così “pubblico”. Allora potreste decidere di incontrarli singolarmente. Naturalmente anche questa soluzione ha alcuni limiti, perché vi sarà necessario fissare un ordine per gli incontri. Dovreste pertanto aspettarvi che gli ultimi collaboratori che incontrerete avranno parlato preventivamente con i primi per cercare di capire quel che avete in mente. Ciò vi potrebbe impedire di ottenere un panorama diversificato di idee su quello che sta accadendo e consentire agli altri di interpretare i vostri messaggi in maniera fuorviante. Supponiamo che decidiate di incontrarli uno alla volta. In che ordine li riceverete? E in che modo riuscirete a non farvi influenzare eccessivamente da quello che vi diranno i primi due o tre? Un approccio consiste nell’usare lo stesso “copione” per tutti i colloqui. Lo schema potrebbe essere questo: due parole di apertura su voi stessi e sul vostro approccio, seguite da alcune domande sul vostro interlocutore (background, famiglia e interessi) e da una serie di questioni standard sul business. Questo approccio è particolarmente efficace perché le risposte che ottenete sono confrontabili; potete raffrontarle visivamente e analizzare le coerenze e le incoerenze delle risposte. Vi aiuta anche a capire quali collaboratori sono più o meno aperti. Nella diagnosi di una nuova organizzazione partite da una serie di incontri individuali con i vostri dipendenti diretti (è un esempio di approccio orizzontale, in cui si intervistano persone dello stesso livello che operano in funzioni diverse). Ponete loro le stesse cinque domande. 1. Quali sono i maggiori problemi che l’organizzazione ha davanti (o avrà davanti) nel prossimo futuro? 2. Perché ha (o avrà) di fronte questi problemi? 3. Quali sono le opportunità di crescita più promettenti e non ancora sfruttate? 4. Che cosa dovrebbe accadere per consentire all’organizzazione di sfruttare il potenziale di queste opportunità? 5. Se fosse al mio posto, su quale aspetto concentrerebbe la sua attenzione? 38

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Queste cinque domande, accompagnate da un ascolto attento e da un follow up meditato, producono sicuramente molte informazioni. Ponendo a tutti le medesime domande, potete identificare le opinioni prevalenti e quelle divergenti e quindi evitare di lasciarvi influenzare dalla prima persona, o dalla più persuasiva, con cui parlate. Anche il modo in cui vi rispondono può dirvi molto sul vostro nuovo team e sui suoi assetti politici. Chi risponde direttamente e chi è evasivo o incline a partire per la tangente? Chi si assume le proprie responsabilità e chi cerca di scaricare la colpa sugli altri? Chi ha una visione integrata dell’azienda e chi sembra prigioniero della propria prospettiva funzionale? Una volta sintetizzati questi scambi dialogici iniziali in una serie di osservazioni, domande e indicazioni, riunite tutti i collaboratori diretti, sottoponete loro le vostre impressioni e le vostre domande e avviate una discussione. In questo modo verrete a saperne di più sia sui fatti sia sulle dinamiche del team e dimostrerete al tempo stesso di aver cominciato prestissimo a identificare i problemi più importanti. Non siete obbligati a seguire rigidamente questo processo. Potreste, per esempio, ingaggiare un consulente esterno affinché effettui una diagnosi dell’organizzazione e ne comunichi i risultati al vostro gruppo (vedi il box “Processo di assimilazione dei nuovi leader”). Oppure potreste invitare un facilitatore interno a gestire il processo. Ciò che preme sottolineare è che anche un minimo di struttura - un copione e una sequenza di interazioni, come una serie di incontri individuali, un’analisi e in seguito una riunione plenaria - può accelerare sensibilmente la vostra capacità di estrarre informazioni azionabili. Naturalmente, le domande che farete saranno tagliate su misura per i gruppi che incontrerete. Se interpellate venditori, per esempio, potete porre loro questioni come: “I clienti che cosa possono ottenere dai nostri concorrenti e non da noi?”.

Processo di assimilazione dei nuovi leader Un tipico metodo strutturato di apprendimento è il Processo di assimilazione dei nuovi leader, sviluppato in origine da GE (General Electric). Ogni volta che un manager assume un nuovo incarico di un certo peso, gli viene assegnato un facilitatore della transizione. Il facilitatore si incontra una prima volta con il neo leader per definire il percorso e quindi con i suoi dipendenti diretti, ai quali vengono poste domande come: che cosa vorreste sapere del vostro nuovo capo? Che cosa vorreste sapesse di voi? E della situazione dell’azienda? In seguito, le indicazioni principali vengono riportate, senza commenti di sorta, al neo leader. Il processo si conclude con una riunione facilitata tra quest’ultimo e i suoi collaboratori diretti.

Altri metodi strutturati di apprendimento risultano preziosi in determinate situazioni. Alcuni dei metodi descritti nella tabella 2.1 potrebbero accrescere l’efficienza del vostro processo di apprendimento, a seconda del livello

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organizzativo al quale appartenete e del tipo di situazione di business in cui vi trovate a operare. I nuovi leader efficaci utilizzano una combinazione di metodi, adattando la propria strategia di apprendimento alle specificità della situazione.

TABELLA 2.1 METODI STRUTTURATI PER L’APPRENDIMENTO Metodo

Utilizzi

Benefici

Indagini sul clima organizzativo e sulla soddisfazione dei dipendenti

Apprendimento riguardo alla cultura e al morale. Molte organizzazioni effettuano regolarmente queste indagini, per cui potrebbe già essere disponibile un database. Se non è così, prendete in considerazione l’ipotesi di effettuare un’indagine periodica sulle percezioni dei dipendenti.

Sono utili per i manager di tutti i livelli, sempre che sia disponibile un’analisi specifica per la vostra unità o per il vostro gruppo. L’utilità dipende dal livello di dettaglio nella raccolta e nell’analisi dei dati. Presuppone anche la validità dello strumento di analisi, l’accuratezza del processo di raccolta dei dati e il rigore metodologico.

Interviste strutturate a “parti omogenee” dell’organizzazione o dèlI’unità

Identificazione di percezioni comuni e divergenti di opportunità e problemi. Si possono intervistare dipendenti dello stesso livello che operano in diverse unità (selezione orizzontale) o dipendenti di livelli diversi che operano nella stessa funzione (selezione verticale). Quale che sia la dimensione prescelta, ponete a tutti le stesse domande e ricercate analogie e differenze nelle risposte.

Sono particolarmente utili per i manager che guidano team di estrazione funzionale eterogenea. Possono essere utili anche a livelli più bassi, se l’unità in questione sta vivendo problemi significativi.

Focus group

Analisi di problemi che preoccupano team chiave di dipendenti, come il morale degli addetti alla produzione o all’erogazione dei servizi. Mettendo intorno a un tavolo gruppi di persone che lavorano insieme potete anche vedere come interagiscono e chi esercita la leadership. Promuovendo la discussione si possono cogliere dinamiche più profonde.

Sono utili soprattutto per i manager di gruppi numerosi di persone che svolgono mansioni simili, come i sales manager e i responsabili di stabilimento. Possono essere utili per manager di più alto livello, come mezzo per ottenere informazioni rapide sulle percezioni dei gruppi chiave di dipendenti.

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Analisi delle decisioni critiche del passato

Studio dei modelli decisionali e delle Sono estremamente utili per i fonti di potere e di influenza. responsabili di business unit o di Scegliete una decisione recente e gruppi di progetto. analizzatela. Chi ha esercitato l’influenza in ciascuna fase? Parlate con le persone coinvolte, verificatene le percezioni e fate caso a ciò che è stato detto e a ciò che non è stato detto.

Analisi dei processi Esame delle interazioni tra divisioni o funzioni e valutazione dell’efficienza di un processo. Sceglietene uno importante, come la consegna dei prodotti ai clienti o ai distributori, e incaricate un team interfunzionale di mappare il processo e di identificare intoppi e problemi.

Sono particolarmente utili per i responsabili di unità e di gruppi in cui bisogna integrare il lavoro di varie specialità funzionali. Possono essere utili ai manager di livello inferiore per capire se i loro team si integrano bene in processi più vasti.

Visite a luoghi di produzione e di vendita

Le visite ai luoghi della produzione Sono particolarmente utili per i danno la possibilità di incontrarne manager delle business unit. informalmente gli addetti e ascoltarne le preoccupazioni. Gli incontri con il personale di vendita e lo staff di produzione vi aiuteranno a valutare le capacità tecniche. Le visite ai luoghi deputati alla vendita possono mettervi in contatto con i clienti, i cui commenti pòssono rivelare problemi e opportunità.

Progetti pilota

Permettono un’analisi approfondita delle capacità tecniche, della cultura e degli assetti politici. Anche se queste informazioni non costituiscono l’obiettivo primario dei progetti pilota, potete apprendere molto dalle modalità con le quali l’organizzazione o il gruppo reagisce alle vostre iniziative sperimentali.

Sono utili per i manager di tutti i livelli. La dimensione dei progetti pilota e il loro impatto aumenteranno ovviamente a mano a mano che si sale di livello organizzativo.

CREARE UN PIANO DI APPRENDIMENTO L’agenda di apprendimento stabilisce cosa volete imparare. Il piano di apprendimento stabilisce come lo imparerete. Traduce gli obiettivi di apprendimento in azioni specifiche - identificare fonti promettenti di informazioni e usare metodi sistematici - che accelerano 41

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l’apprendimento. Il piano di apprendimento è una componente critica del piano di transizione per i primi 90 giorni. In effetti, come vedremo meglio più avanti, l’apprendimento dovrebbe essere un elemento primario del piano di azione per i primi tre mesi nel nuovo incarico. Il cuore del vostro piano di apprendimento è un processo ciclico in cui raccogliete le informazioni, le analizzate e le sintetizzate, sviluppate ipotesi e le testate, approfondendo così gradualmente la conoscenza della vostra nuova organizzazione. Ovviamente, le informazioni specifiche che deciderete di ricercare varieranno da una situazione all’altra. Potete iniziare da un esame critico del piano modello riportato qui di seguito e decidere quali elementi fanno al caso vostro, quali non sono adeguati e quali mancano. Nel prossimo capitolo analizzeremo vari tipi di situazioni transizionali e ritorneremo sul tema di ciò che dovete imparare e quando.

Piano di apprendimento tipo

Prima dell’ingresso nella nuova posizione: Leggete tutto ciò che potete sulla strategia, la struttura, la performance e le persone dell’organizzazione. Ricercate valutazioni esterne in merito alla performance dell’organizzazione. Scoprirete come viene vista da persone ben informate e piuttosto obiettive. Se siete manager di livello inferiore, parlate con i fornitori o i clienti del vostro nuovo gruppo. Trovate osservatori esterni che conoscano bene l’organizzazione, tra cui ex dipendenti, neopensionati e interlocutori d’affari. Ponete loro domande aperte sulla storia, sugli assetti politici e sulla cultura dell’azienda. Se possibile, parlate direttamente con i vostri interlocutori. Parlate con il vostro nuovo capo. Quando iniziate a familiarizzare con l’organizzazione, mettete per iscritto le vostre impressioni e quindi alcune ipotesi. Predisponete un elenco iniziale di domande che guideranno la vostra ricerca strutturata di informazioni, una volta insediati nella nuova posizione.

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Subito dopo l’ingresso Passate in rassegna piani dettagliati, dati di performance e sul personale. Incontrate i vostri dipendenti diretti uno alla volta e ponete loro le domande che avete predisposto. Otterrete opinioni convergenti e divergenti e arriverete a conoscerli meglio a livello personale. Valutate dall’interno come si svolgono le cose nei luoghi chiave. I venditori, coloro che si occupano degli acquisti, gli addetti al customer service e altri dipendenti “di frontiera” vi diranno come percepiscono le interazioni della vostra organizzazione con gli interlocutori esterni. Verrete anche a conoscenza di problemi che loro riescono a vedere mentre per altri non sono per cepibili. Testate l’allineamento strategico a partire dall’alt. Chiedete ai senior manager quali sarà la strategia e la visione dell’azien da. Poi cercate di capire fino a che livello della gerarchia vengono recepite. Verrete a sapere con quale efficacia il vostro predecessore ha fatto penetrare nell’organizzazione la visione e la strategia. Testate la consapevolezza di problemi e opportunità a partire dal basso. Cominciate chiedendo agli operatori di front line come vedono i problemi e le opportunità che ha di fronte l’azienda. Poi salite lungo la piramide organizzativa. Saprete così se, e in quale misura, il gruppo dirigente “tasta il polso” all’organizzazione. Aggiornate le domande e le ipotesi. Incontrate il vostro capo per discutere le vostre ipotesi e le vostre scoperte.

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Entro la fine del primo mese Riunite il vostro team e comunicategli le vostre prime osservazioni. Avrete conferme e contestazioni e conoscerete meglio il gruppo e le sue dinamiche. Adesso analizzate dall’esterno le interfacce di confronto principali. Capirete così come i refereriti esterni (fornitori, clienti, distributori ecc.) percepiscono la vostra organizzazione, i suoi punti di forza e i suoi punti deboli. Esaminate un paio di processi chiave. Riunite i rappresentanti dei relativi gruppi per mappare e valutare i processi che avete selezionato. Avrete utili indicazioni sulla produttività, la qualità e l’affìdabilità. Incontrate gli integratori chiave. Capirete come si svolgono le cose nelle interfacce tra le aree funzionali dell’azienda. Quali sono i problemi che loro vedono e gli altri no? Scovate gli storici: possono illuminarvi sulla cultura, la storia e gli assetti politici dell’organizzazione, oltre a essere potenziali alleati e influenzatori. Aggiornate le domande e le ipotesi. lncontratevi nuovamente con il vostro capo per discutere le vostre osservazioni.

APPRENDIMENTO RIGUARDO ALLA CULTURA È probabile che i problemi di business più rilevanti con i quali vi trovate a fare i conti abbiano una dimensione culturale. In alcuni casi, scoprirete che certi aspetti della cultura in essere impediscono di realizzare una performance di alto livello. Altre caratteristiche culturali si riveleranno funzionali e quindi meritevoli di essere conservate. Avendo capito quanto fossero orgogliosi e motivati i lavoratori, Chris Bagley ha potuto fare leva su questa energia psicologica per rendere più produttiva la fabbrica. Pensate a quanto sarebbe stato più arduo se avesse ereditato un gruppo di lavoratori compiaciuti e ostili. Siccome gli abiti e le norme culturali contribuiscono pesantemente a rafforzare lo status quo, è fondamentale diagnosticare i problemi della cultura in essere per capire come iniziare ad affrontarli. Queste diagnosi sono particolarmente importanti se provenite dall’esterno o se entrate in un’unità organizzativa portatrice di una sottocultura particolarmente forte. Non potete sperare di cambiare la cultura operativa della vostra organizzazione se prima non la capite. Il seguente schema a tre livelli, simboli, norme e assunti, può rivelarsi utile per analizzarla. I simboli sono segni, come i loghi e gli stili di abbigliamento; distinguono una cultura dall’altra e promuovono la solidarietà. Vi sono simboli 44

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distintivi che caratterizzano la vostra unità e ne aiutano i componenti a riconoscersi tra loro? Le norme sono regole sociali condivise che guidano il “comportamento giusto”. Quali comportamenti vengono incoraggiati o premiati nella vostra unità? Quali suscitano il disprezzo o la disapprovazione? Gli assunti sono le convinzioni - spesso inespresse - che pervadono e sostengono i sistemi sociali. Queste convinzioni permeano l’atmosfera che ciascuno respira. Quali verità danno tutti per scontate? Per comprendere una cultura, dovete scavare sotto la superficie dei simboli e delle norme e giungere agli assunti sottostanti. Per riuscirci, dovete osservare attentamente il modo in cui le persone interagiscono tra loro. Per esempio, appaiono più interessate alle realizzazioni e alle ricompense individuali o a quelle di gruppo? Il team appare tendenzialmente casual o formale? Più aggressivo e determinato o più rilassato? Come ha osservato la mia collega Geri Augusto, gli assunti più rilevanti per i nuovi leader riguardano il potere e il valore. Quanto al potere, le domande principali sono queste: secondo le persone chiave della vostra organizzazione chi può legittimamente esercitare l’autorità e prendere decisioni? Che cosa bisogna fare per guadagnarsi i galloni sul berretto? Quanto al valore, quali azioni, secondo i dipendenti, lo creano (o lo distruggono)? In White Goods, i dipendenti erano fieri di fabbricare prodotti di qualità superiore, perciò l’eventuale decisione di puntare sulla fascia bassa del mercato avrebbe potuto facilmente incontrare una forte resistenza. Assunti divergenti sul potere e sul valore - per esempio, tra gli operai e i manager - possono complicare i tentativi di allineare l’organizzazione. Una certa divergenza, naturalmente, è inevitabile. Il pericolo viene quando il gap diventa troppo ampio per essere colmato da un processo efficace di comunicazione e di negoziazione

Prospettive organizzativa, professionale e geografica La cultura si può esaminare anche da tre prospettive: organizzativa, professionale e geografica. Mentre leggete le seguenti descrizioni, immaginate di esaminare ciascun aspetto della cultura organizzativa attraverso lo zoom di una macchina fotografica. Puntate inizialmente l’obiettivo sulla cultura organizzativa poi 45

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allargate progressivamente il focus su quella professionale e infine su quella geografica. Cultura organizzativa Le culture delle organizzazioni o dei gruppi si sviluppano con il tempo e possono essere profondamente radicate. La cultura organizzativa si esprime nel modo in cui le persone interagiscono tra loro (amichevole, formale, rilassate), nei valori che condividono (onestà, competitività, impegno lavorativo), nelle routine che seguono durante le riunioni e lo scambio di informazioni e così via. Le culture organizzative variano all’interno dei vari settori e da un settore all’altro. Per esempio, i manager di un’azienda consolidata di prodotti di largo consumo potrebbero trovarsi più a loro agio con processi e sistemi sofisticati che non i manager di una neonata impresa dello stesso settore. Un manager del settore energetico potrebbe “sentirsi tremare la terra sotto i piedi” in un’azienda che vende abbigliamento al dettaglio. Cultura professionale. I manager come gruppo condividono pure caratteristiche culturali che li distinguono da altri gruppi professionali come gli ingegneri, i medici o gli insegnanti. Ma ciò non significa che tutti i manager siano identici tra loro. Anzi, è probabile che abbiate notato grosse differenze culturali tra le funzioni aziendali e all’interno di esse. Per esempio, i manager che si occupano di finanza hanno altre visioni del mondo rispetto ai loro colleghi del marketing o della R&S. Ciò si deve anche al fatto che chi gravita verso queste funzioni ha una diversa formazione professionale. Cultura geografica. Le varie dislocazioni geografiche possono presentare la massima eterogeneità nella cultura. Il modo in cui operano gli abitanti delle diverse regioni di un paese può variare significativamente. Le differenze nella cultura economica di due paesi sono ancora più spiccate. Per esempio, i manager degli Stati Uniti tendono a operare all’interno di una cultura più individualistica, mentre i manager giapponesi enfatizzano comportamenti e valori più collettivistici.

Entrare in nuove culture Se state per entrare in un’azienda dello stesso settore o di uno nuovo (per esempio, dai servizi finanziari all’industria alimentare) in ogni caso dovrete probabilmente affrontare alcuni cambiamenti culturali. La vostra nuova posizione potrebbe portarvi in una diversa area funzionale (per esempio, dalle operations al marketing) o a un nuovo livello di responsabilità (per esempio, da un’area funzionale al general management). In questi casi vi troverete ad affrontare cambiamenti culturali di natura professionale, differenze significative che emergono anche quando si accede a una nuova posizione all’interno della stessa organizzazione.

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Se andrete a ricoprire una posizione in una divisione della vostra azienda che ha sede in un’altra città o regione del vostro paese, o in un altro stato, probabilmente dovrete affrontare cambiamenti culturali di natura geografica. I diversi tipi di cambiamenti culturali possono sovrapporsi e rinforzarsi a vicenda (vedi figura 2.2).

Per esempio, se andrete a la vorare in un’altra azienda che sta in una città o regione diversa, vivrete cambiamenti culturali di natura sia organizzativa sia geografica. Il problema dell’adattamento culturale si può misurare su una scala da 1 a 10 per ognuna di queste tre dimensioni. Sulla dimensione culturale organizzativa, il valore 10 indicherebbe il passaggio da un’organizzazione altamente centralizzata e focalizzata sui processi a un’organizzazione altamente decentralizzata e focalizzata sui rapporti. Sulla dimensione della cultura professionale, il valore 10 indicherebbe il passaggio dalla finanza alle risorse umane o viceversa. Infine, sulla dimensione geografica, il valore 10 indicherebbe il trasferimento, per esempio, da Roma a Tokyo. Se la sommatoria di questi tre numeri è uguale o superiore a 15, vi trovate indubbiamente di fronte a un grande cambiamento culturale. Per evitare passi falsi, dovete dedicare energie consistenti alla comprensione della nuova o delle nuove culture e per adattarvi a esse.

Adattarsi o modificare la situazione? Dopo aver identificato la cultura organizzativa in cui state per entrare, dovete decidere se adattarvi a essa o se cercare di modificarla. Quale che sia la vostra

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situazione, dovrete capire come impattano su di essa le caratteristiche culturali in essere. In particolare, dovrete capire quali caratteristiche culturali giovano alla performance e quali potrebbero danneggiarla. Il vostro successo futuro dipende dalla capacità di cogliere questa differenza e di intraprendere le azioni necessarie.

CHIUDERE IL CERCHIO Le priorità e le strategie di apprendimento cambieranno inevitabilmente a mano a mano che approfondirete l’indagine conoscitiva. Quando inizierete ad interagire con il vostro nuovo capo, a capire dove cercare di ottenere i primi successi o a costruire coalizioni di supporto, sarà fondamentale acquisire ulteriori informazioni. Impegnatevi perciò a ritornare periodicamente su questo capitolo per riaggiornare la vostra agenda di apprendimento e creare nuovi piani in proposito.

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CHECKLIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE 1. Siete efficaci nell’apprendere ciò che riguarda le nuove organizzazioni in cui andate a lavorare? A volte cedete all’imperativo dell’azione o alla tentazione di arrivare con “la soluzione già in tasca”? Se la risposta all’ultima domanda è “sì”, come potreste evitare questi comportamenti? 2. Qual è la vostra agenda di apprendimento? In base a ciò che sapete finora, preparate un elenco di domande che vi guideranno nella vostra ricerca iniziale di informazioni. Se avete cominciato a formulare ipotesi su ciò che sta accadendo, quali sono e come pensate di metterle alla prova? 3. Con riferimento alle domande a cui volete dare risposta, quali persone potrebbero fornirvi con maggiori probabilità valide informazioni azionabili? 4. Come potreste accrescere l’efficienza del vostro processo di apprendimento? In quali modi potreste estrarre un maggior numero di informazioni azionabili dal vostro investimento di tempo e di energie? In base alle risposte che avete dato alle domande precedenti, iniziate a costruire il vostro piano di apprendimento.

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3. Adattare la strategia alla situazione

Quando si insediò nella nuova posizione di capo della divisione prodotti industriali di una grande multinazionale, Claire Weeks era convinta che la sua unità fosse nelle condizioni appropriate per poter mantenere un tasso di crescita a due cifre. Negli ultimi quattro anni la crescita era stata tumultuosa e la divisione stava sviluppando diversi prodotti promettenti. Sulla scorta delle prime valutazioni, Claire si impegnò a realizzare gli ambiziosi obiettivi indicati nel piano del suo predecessore. Tuttavia scoprì ben presto che la situazione era molto meno rosea di quanto non apparisse. La spettacolosa performance pregressa mascherava problemi strutturali di pricing, di magazzino e di rapporti con i distributori. Sembrava che il suo predecessore avesse ipotecato il futuro della divisione per fare bella figura. Pur non rappresentando gravi minacce, questi problemi impedivano a Claire di raggiungere i suoi obiettivi, ma invece di andare dal CEO, spiegargli i problemi e chiarire la situazione, decise di proseguire per la sua strada. Era convinta di riuscire a mantenere una crescita sufficiente attraverso l’aumento dei prezzi e le acquisizioni, in modo da tenere sotto controllo i risultati fino al lancio di un nuovo prodotto chiave. Nel tentativo di raggiungere comunque gli obiettivi che si era prefissa, commise una serie di errori evitabili che ne minarono la credibilità. Si alienò le simpatie dei distributori aumentando i prezzi. Fece un paio di sbagli cercando di affrettare il lancio di alcuni nuovi prodotti critici. Quando fu evidente che non avrebbe raggiunto i suoi obiettivi attraverso una crescita organica, tentò senza successo di effettuare un’importante acquisizione. I problemi di Claire derivavano da un’errata diagnosi della situazione: convinta di trovarsi nelle condizioni adatte a conseguire il successo, accettò target di crescita eccessivamente ambiziosi; invece di affrontare l’esigenza di attuare un riallineamento e di ridimensionare le aspettative, Claire divenne vittima della sua stessa miopia. Si dimise quando il CEO le fece capire chiaramente di aver perso fiducia nel la sua capacità di guidare quella divisione. Decisamente troppi nuovi leader, come Claire Weeks, si dimostrano incapaci di diagnosticare il contesto in cui vengono a trovarsi e di adattare le strategie di conseguenza. In seguito, avendo frainteso la situazione, commettono errori inutili, come l’impegno di Claire a realizzare obiettivi di profitto irraggiungibili. Questo doloroso scenario si ripresenta in continuazione perché le persone tendono a modellare le loro transizioni su una serie limitata di esperienze. 50

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Se avete vissuto una vicenda analoga a quella di Claire, avrete imparato sulla vostra pelle a gestire le transizioni; avrete commesso alcuni errori e avrete imparato da essi. Se siete fortunati, capi, mentori e consiglieri avranno condiviso con voi le loro esperienze. Con il tempo, avrete probabilmente identificato “ciò che va fatto” e “ciò che non va fatto”. Vale la pena di chiarirsi sin dall’inizio le idee in proposito, in modo da poter valutare quali si addicono alla nuova situazione e quali no. Prima di proseguire nella lettura, prendetevi un po’ di tempo per sintetizzare le vostre regole empiriche su come effettuare una transizione di successo. Ora fate un passo indietro e valutate la solidità e la possibilità di porre in atto tali regole empiriche. L’ultima promozione sembra indicare che fino a questo punto il vostro approccio ha funzionato bene, ma non è detto che continui a essere adeguato, se salirete di livello nella scala organizzativa o se vi troverete in una situazione di business con cui non avete familiarità. Anche se possedete un background multifunzionale (nel marketing, nelle operations, nella R&S e nella finanza), la vostra esperienza con i diversi contesti di business (start-up, turnaround, riallineamento e sostegno al successo) potrebbe essere ancora limitata. Diagnosticando metodicamente la situazione, Claire Weeks avrebbe potuto evitare i propri problemi. Per adattare la strategia occorre un’attenta diagnosi del contesto di business: solo a quel punto avrete veramente le idee chiare, non esclusivamente sui problemi ma anche sulle opportunità e sulle risorse delle quali potete disporre.

DIAGNOSTICARE LA SITUAZIONE DI BUSINESS I quattro macro tipi di situazioni di business che i nuovi leader si trovano ad affrontare sono, come abbiamo già affermato, lo Start up, il Turnaround, il Riallineamento e il Sostegno al successo (d’ora in poi parleremo di modello STARS). Una descrizione sintetica di ciascuno di essi, e dei relativi problemi e opportunità, vi aiuterà a riconoscere le principali peculiarità strutturali del vostro contesto specifico. Quali sono le caratteristiche che definiscono ognuna delle quattro situazioni che compongono il modello STARS? Nello start-up dovete assembiare capacità (persone, capitali e tecnologia) per fare decollare un nuovo business, un nuovo prodotto o un nuovo progetto. Nel turnaround prendete in mano un’unità o un gruppo notoriamente in difficoltà e vi date da fare per rimetterlo in carreggiata. Sia gli start-up che i turnaround comportano un grosso lavoro di costruzione, ad alta intensità di risorse: non esistono un’infrastruttura né delle capacità significative sulle quali investire; bisogna sostanzialmente partire da zero, tuttavia sia gli uni sia gli altri vi impongono di prendere decisioni difficili fin dall’inizio. Il riallineamento e il sostegno al successo, per contro, sono situazioni per le quali entrate in organizzazioni che presentano notevoli punti di forza, ma anche seri vincoli in merito a ciò che potete e non potete fare. Nel riallineamento, il problema che vi si pone è rivitalizzare un’unità, un prodotto, un processo o un 51

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progetto in difficoltà. Nella situazione di sostegno al successo, vi assumete la responsabilità di preservare la vitalità di un’organizzazione di successo e di accrescerla ulteriormente. In altre parole, nei riallineamenti dovete reinventare il business; nelle situazioni di sostegno al successo dovete inventare la sfida. In entrambi i casi, avete quasi sempre a disposizione un po’ di tempo prima di prendere decisioni importanti; questo rappresenta un aspetto positivo, perché avete necessità di imparare molto sulla cultura e sugli assetti politici e iniziare a costruire coalizioni di supporto. Applicare queste categorie alle situazioni di business è un esercizio utile indipendentemente dal livello organizzativo in cui operate. Magari siete i nuovi CEO di un’intera azienda in fase di start up. Oppure siete supervisori di fabbrica alle prese con una nuova linea di produzione, brand manager incaricati del lancio di un nuovo prodotto, team leader della R&S responsabili del progetto di sviluppo di un nuovo prodotto, o information technology manager impegnati nell’implementazione di un nuovo software per la gestione di impresa. Tutti questi contesti hanno in comune le caratteristiche di uno start-up. Anche le situazioni di turnaround, riallineamento e sostegno al successo si presentano a tutti i livelli, in aziende grandi e piccole.

CAPIRE LA STORIA Le relazioni tra queste quattro situazioni di business sono visualizzate nel modello STARS di evoluzione del business riportato nella figura 3.1.

Il punto chiave è che le aziende (e quindi i progetti, i processi, i prodotti e le unità produttive) tendono a transitare prevedibilmente da un tipo di contesto all’altro. Capire la storia della vostra nuova organizzazione vi aiuterà a identificare i problemi e le opportunità della situazione in cui vi trovate. Partiamo, secondo logica, dagli start-up. Gli start-up di successo crescono fino a diventare condizioni di sostegno al successo. Spesso coloro che hanno gestito 52

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lo start-up vanno a coordinarne altri e vi subentrano manager più esperti nella gestione di business di più ampie dimensioni. Queste aziende di successo potrebbero generare a loro volta start-up interni a mano a mano che si diversificano in nuovi prodotti, nuovi servizi, nuovi processi e nuove tecnologie. In questo modo, le aziende in buona salute avviano un ciclo di crescita. Ma l’entropia aumenta. Le aziende di successo, per autocompiacimento interno, per problemi esterni o per entrambi i fattori, tendono a entrare in difficoltà. Sebbene l’impresa non sia ancora in crisi, gli osservatori attenti vedono addensarsi nubi tempestose che segnalano la necessità di un riallineamento. Era esattamente la situazione che aveva di fronte Claire Weeks, che però non seppe riconoscerla per tempo. Riallineare un’organizzazione significa in genere riorientarne le risorse, per esempio abbandonando linee di prodotto che stanno invecchiando e sviluppando nuove tecnologie. Frequentemente significa modificare radicalmente la strategia, la struttura, le competenze e persino la cultura dell’organizzazione. Il riallineamento dell’azienda la riporta in una situazione di sostegno al successo, con un processo che nel modello abbiamo definito ciclo di recupero. Uno dei maggiori ostacoli al riallineamento è che molti manager, come Claire Weeks, tendono a negarne l’esigenza. Continuano a credere di dover sostenere un successo, anche quando si stanno cacciando nei guai. Se gli sforzi di riallineamento del business falliscono, la situazione può degenerare in un vero e proprio turnaround. Ciò accade quando i leader precedenti non hanno capito la necessità del riallineamento (dopotutto, le aziende passano molto raramente dal sostegno al successo al turnaround). Quali che siano le cause del deterioramento della situazione, non si attuano quasi mai discussioni sulla necessità di introdurre importanti cambiamenti in tempi brevi se il quadro è disastroso, l’azienda perde soldi e i collaboratori più validi se ne vanno. Per ribaltare le sorti di un’azienda in cattive acque, il nuovo leader deve ridimensionarla in fretta e poi iniziare a ricostruirla. Questo processo doloroso, se coronato da esito favorevole, lascia l’azienda in una situazione di sostegno al successo, come si vede nel ciclo di crisi della figura 3.1. Se il tentativo di turnaround fallisce, non resta che la chiusura o la dismissione. È importante comprendere questi cicli. Non potete decidere dove portare una nuova organizzazione se non capite dov’era prima e come è arrivata al punto in cui si trova ora. Nel riallineamento, per esempio, è fondamentale capire che cosa abbia assicurato in passato il successo all’azienda e perché sia entrata in cattive acque. Per comprendere la vostra situazione, dovete indossare il “cappello dello storico”.

IDENTIFICARE PROBLEMI E OPPORTUNITÀ In tutte e quattro le situazioni alle quali si riferisce il modello STARS, l’obiettivo finale è il medesimo: sviluppare un business di successo e in crescita. Tuttavia ogni tipo di transizione presenta una serie ben distinta di problemi. Se subentrate al leader di un’azienda che va a gonfie vele, il problema sarà 53

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guidarla a modo vostro pur conservando ciò che è valido; se siete in una situazione di start-up, come il lancio di un nuovo prodotto, il compito di creare l’organizzazione spetta a voi; se vi trovate in un riallineamento, dovrete creare consapevolezza intorno all’esigenza di cambiamento. Ogni situazione presenta altresì opportunità caratteristiche che potete sfruttare per creare slancio. In un contesto di turnaround, tutti si rendono conto dell’esigenza di introdurre rapidamente cambiamenti. Tale consapevolezza di gruppo può aiutarvi a procedere. Nelle situazioni di riallineamento, come quella che si è trovata ad affrontare Claire Weeks, è probabile che l’azienda possieda ancora persone, prodotti e tecnologie di qualità. Identificando queste isole di eccellenza, potete predisporre le fondamenta per l’attuazione dei necessari cambiamenti. Benché ogni situazione sia un caso a sé, ognuno dei quattro tipi di transizione presenta determinati problemi e determinate opportunità, sintetizzati nella tabella 3.1.

Tabella 3.1: problemi e opportunità dei quattro tipi di transizione Tipo di transizione

Problemi

Opportunità

Start-up

Costruire strutture e sistemi partendo da zero senza avere un quadro di riferimento Confini chiari Creare un team coeso, in grado di restituire una performance elevata Cavarsela con risorse limitate

Si può partire da zero I collaboratori sono carichi di energia per opportunità che si pro spettano Non ci sono condizionamenti pregressi nel modo di pensare

Turnaround

Ricaricare i dipendenti e altri stakeholder demoralizzati Operare in tempi stretti producendo un impatto rapido e decisivo Agire abbastanza in profondità con tagli dolorosi e riduzioni di personale

Tutti riconoscono l’esigenza del cambiamento I soggetti coinvolti (come i fornitori, che tengo no alla sopravvivenza dell’impresa) potrebbero offrire un supporto esterno significativo

Riallineamento

Affrontare norme culturali profondamente radicate che non contribuiscono più a una performance elevata Convincere i dipendenti che occorre un cambiamento Ristrutturare il gruppo dirigente e rifocalizzare l’organizzazione

Un piccolo successo conta molto L’azienda ha alcune aree importanti di efficacia I dipendenti vogliono continuare ad appartenere a un’azienda di successo

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Sostegno al successo

Giocare in difesa evitando decisioni che potrebbero creare difficoltà Vivere nell’ombra di un leader venerato e gestire il team che ha creato Trovare soluzioni in grado di migliorare i risultati

Potrebbe esistere già un team di qualità I collaboratori sono motivati al successo Potrebbero esserci le basi per proseguire nel successo (per esempio un buon portafoglio di prodotti innovativi)

TRASFORMARE LA PSICOLOGIA ORGANIZZATIVA Gli atteggiamenti e le emozioni dei dipendenti variano in modo prevedibile a seconda delle situazioni di STARS che vi trovate a fronteggiare. I collaboratori di un’impresa neonata sono generalmente più eccitati e speranzosi dei dipendenti di un’azienda matura che rischia il fallimento. Ma nello stesso tempo, i collaboratori della prima sono molto meno focalizzati sui problemi chiave dei dipendenti di un’azienda in turnaround, per il semplice fatto che la visione, la strategia, le strutture e i sistemi che incanalano l’energia organizzativa non esistono ancora. I lavoratori coinvolti in un turnaround sanno spesso quali sono i problemi, ma non come risolverli. Il successo nella transizione dipende perciò, almeno in parte, dalla vostra capacità di trasformare la psicologia organizzativa prevalente in modalità più gestibili. Negli start-up, l’atteggiamento psicologico dominante è spesso di eccitata confusione e il vostro compito è incanalare l’energia in direzioni produttive, anche decidendo che cosa non fare. Nei turnaround, vi troverete alle prese con un gruppo di collaboratori prossimi alla disperazione: il vostro compito è fare apparire una luce alla fine del tunnel. Nei riallineamenti, dovrete probabilmente perforare il muro di opposizione che impedisce alle persone di affrontare l’esigenza di reinventare il business. Infine, nelle situazioni di sostegno al successo, dovete “inventare la sfida” trovando il modo di mantenere motivati i di pendenti, di prevenire l’autocompiacimento e di individuare una nuova direzione per la crescita, sia a livello dell’azienda, sia a livello delle persone.

DIRIGERE CON LE COMPETENZE GIUSTE Le competenze di management che possono assicurare il successo variano da una all’altra delle quattro situazioni alle quali fa riferimento il modello STARS. Gli start-up e i turnaround richiedono “cacciatori”, ossia persone in grado di agire rapidamente e di correre rischi. Nei turnaround, per esempio, l’enfasi va posta su una rapida diagnosi della situazione di business (mercati, tecnologie, prodotti strategie), seguita da azioni decise per ridimensionare l’organizzazione rendendola un nucleo difendibile. Dovrete agire rapidamente e con fermezza, spesso sulla base di informazioni incomplete. 55

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Le competenze determinanti nelle situazioni di riallineamento e di sostegno al successo, per contro, ricordano più l’agricoltura che non la caccia. Entrano in gioco capacità di influenza più sottili. I bravi “agricoltori” si concentrano sull’analisi della cultura e degli aspetti politici dell’organizzazione; inoltre, coltivano meticolosamente la consapevolezza in merito all’esigenza di cambiamento promuovendo una diagnosi condivisa, influenzando gli opinion leader e incoraggiando il benchmarking. In altri termini, nei turnaround i problemi indicano alle persone la necessità di introdurre ingenti cambiamenti. Nei riallineamenti, per contro, siete voi che dovete indicare i problemi alle persone. Pure i turnaround sono situazioni che comportano azioni radicali: dovete prendere decisioni delicate senza avere tutte le informazioni del caso, per poi adattare le vostre scelte a mano a mano che acquisite informazioni. I riallineamenti (e gli incarichi che comportano il sostegno al successo) sono situazioni che richiedono azioni risolutive e insieme meditate. I tempi sono meno stretti, ma è più importante capire l’organizzazione, adottare la strategia giusta, creare consenso intorno a essa e prendere buone decisioni iniziali. A causa dei diversi imperativi, è facile che i cacciatori incontrino difficoltà nelle situazioni di riallineamento e di sostegno al successo e che gli agricoltori incontrino problemi negli start-up e nei turnaround. L’esperto di turnaround che si trova alle prese con un riallineamento rischia di arrivare con “la risposta già in tasca” e di agire troppo in fretta, provocando inutilmente la resistenza dei dipendenti. L’esperto di riallineamento che si trova alle prese con una situazione di turnaround si azzarda ad agire troppo lentamente, investendo energie nella promozione del consenso quando non è necessario e perdendo dunque tempo prezioso. Ciò non significa che i bravi cacciatori non possano dedicarsi all’agricoltura o viceversa. I manager abili possono gestire con successo tutte e quattro le situazioni alle quali si riferisce il modello STARS, benché nessuno sia parimenti esperto in tutte quante. È essenziale riflettere approfonditamente, per capire quali competenze e inclinazioni vi aiuteranno in quella particolare situazione e quali potrebbero invece mettervi in difficoltà. Non presentatevi con la lancia, se dovete utilizzare l’aratro.

FOCALIZZARE LE PROPRIE ENERGIE La precisa identificazione del tipo di situazione con cui dovete confrontarvi vi aiuta a stabilire ciò che dovete fare nei primi 90 giorni del nuovo incarico. Il seguente esercizio di chiarificazione potrà aiutarvi a compiere tre scelte iniziali di importanza fondamentale, rispondendo a queste domande. 1. Quale enfasi metterete sull’apprendere, rispetto al fare? 2. Quale enfasi porrete sull’offesa, rispetto alla difesa? 3. Che cosa dovreste fare per ottenere piccole vittorie iniziali?

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Apprendere vs. fare Quanto tempo dovreste dedicare ad approfondire l’analisi della vostra nuova organizzazione, anziché a prendere decisioni, avviare cambiamenti, selezionare nuovi collaboratori e così via? Il corretto equilibrio tra apprendere e fare differisce sensibilmente nelle quattro situazioni del modello STARS. Nei turnaround e negli start-up l’enfasi è sul fare. Dovete prendere immediatamente alcune decisioni delicate senza avere tutte le informazioni. Se dedicate troppo tempo all’apprendimento, gli eventi vi supereranno e si creerà un circolo vizioso. Dovrete sparare prima di essere sicuri della vostra mira e poi aggiustare progressivamente il tiro. Ciò non significa che l’apprendimento non sia importante nei turnaround e negli start-up, ma quello richiesto in queste situazioni è di natura prevalentemente tecnica. Si tratta di padroneggiare in fretta tutto ciò che c’è da sapere sugli aspetti tecnici dell’azienda: prodotti mercati, progetti, tecnologie e strategie. È il tipo di apprendimento più semplice e rapido. Nei riallineamenti e nelle situazioni di sostegno al successo, è necessario porre sin dall’inizio ben altra enfasi sull’apprendimento, poiché vi trovate alle prese con persone che sono, o ritengono di essere, di successo. Potrebbero non desiderare un cambiamento o l’imposizione di una nuova direzione strategica da parte vostra. Eventuali errori iniziali, specie se vengono interpretati come potenzialmente rischiosi per le fondamenta tradizionali del business esistente, potrebbero costarvi caro. L’aspetto positivo è che avrete tempo per imparare: nei riallineamenti o nelle situazioni di sostegno al successo non è necessario agire con urgenza. Potete permettervi di mirare attentamente prima di sparare i vostri primi e decisivi colpi. Nelle situazioni di riallineamento e di sostegno al successo dovete scavare profondamente nella cultura e negli assetti politici dell’organizzazione. Se, come ha fatto Chris Bagley nell’esempio del capitolo precedente, dedicate troppo poco tempo a studiare queste dimensioni dell’organizzazione, incapperete inevitabilmente in qualche “mina antiuomo”. Come abbiamo già sottolineato, l’apprendimento riguardo agli assetti politici e alla cultura di un’organizzazione è un lavoro complesso e richiede tempo. Fortunatamente ne avrete, se vi imporrete di agire con cautela e non cadrete vittime, come Claire Weeks, dell’imperativo dell’azione.

Offesa vs. difesa Appena insediati nella nuova posizione, quanto tempo dovreste dedicare alla pianificazione offensiva, ossia identificazione di nuovi mercati e sviluppo di nuovi prodotti e tecnologie, e quanto tempo dovreste destinare all’ottimizzazione della difesa, come la protezione delle quote di mercato in essere, il consolidamento delle posizioni acquisite e l’aumento dei prodotti in portafoglio? Naturalmente, in tutte e quattro le situazioni dovete agire sia in attacco sia in difesa. Ma l’enfasi relativa che dovreste attribuire inizialmente 57

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all’offesa e alla difesa differisce ampiamente da una situazione all’altra. Per esempio, lo start-up è totalmente votato all’offesa: siete lì per mettere in moto qualcosa di nuovo e in genere non c’è nulla da difendere. Nel turnaround, per contro, l’imperativo iniziale è ottimizzare la difesa. Dovete identificare i punti di forza che sopravvivono nell’organizzazione e ridurre quest’ultima a quel nucleo difendibile che può contribuire a generare le risorse finanziarie che sosterranno le vostre mosse successive. Solo allora potrete passare all’attacco e cominciare a identificare e a sviluppare nuove piattaforme di crescita. I riallineamenti e le situazioni di sostegno al successo si differenziano più o meno nello stesso modo. Nel riallineamento occorre effettuare correzioni di rotta che portino l’azienda verso nuove direzioni. Vorrete ancora difendere i mercati in essere, ma le vostre migliori energie dovrebbero venire investite sul nuovo piano offensivo. Nelle situazioni di sostegno al successo tutto sta a organizzare subito un buon gioco difensivo, in modo da non rischiare di perdere ciò che è più prezioso. Con il tempo, potrete gradualmente spostare la vostra attenzione sul miglioramento dei risultati. Lafigura 3.2 mostra una matrice che spiega dove focalizzare inizialmente l’energia nelle quattro situazioni di business.

Ottenere vittorie iniziali Per creare il necessario slancio nella vostra nuova posizione, dovete ottenere alcune vittorie iniziali. Tuttavia il concetto di “vittoria” differisce sostanzialmente da una situazione all’altra. Nello start up, mettere in piedi il team giusto e ottenere una focalizzazione strategica sono due grandi successi. Però, soprattutto, dovete decidere che cosa non fare e quindi imporre alla vostra organizzazione di non farlo. Anche nei turnaround mettere in piedi il team giusto è molto importante, al pari dell’identificare il nucleo difendibile del business e del progredire ridimensionando l’organizzazione intorno a esso. Nei riallineamenti, far comprendere l’esigenza di cambiamento e instillare nei 58

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collaboratori un senso di urgenza sono sovente vittorie iniziali importanti. Infine, nelle situazioni di sostegno al successo, capire e dimostrare di aver compreso quali fattori hanno determinato gli ottimi risultati dell’azienda è un fatto fondamentale, poiché vi aiuta a conquistare il diritto di prendere decisioni sul suo futuro.

VALUTARE IL PROPRIO PORTAFOGLIO Ben difficilmente la vostra situazione sarà perfettamente inquadrabile nella tipologia dello start-up, del turnaround, del riallineamento o del sostegno al successo. A prima vista, la vostra situazione potrebbe inquadrarsi ragionevolmente bene in una di queste categorie ma, appena inizierete a scavare, scoprirete quasi certamente di avere tra le mani un portafoglio - di prodotti, progetti, processi, unità produttive o persone - che rappresenta un misto delle quattro situazioni esemplificate nel modello STARS. Per esempio, potreste assumere la direzione di un’azienda che cresce in modo incrementale con prodotti di successo e all’interno della quale un gruppo sta lanciando una linea di prodotti che si basano su una nuova tecnologia. Oppure potreste ritrovarvi a gestire il turnaround di un’azienda che ha un paio di stabilimenti altamente produttivi e all’avanguardia. L’ultimo step diagnostico che dovete affrontare consiste pertanto nel decidere quali componenti della vostra nuova organizzazione si inquadrano in ognuna delle quattro categorie del modello STARS. Questo esercizio vi aiuterà a ragionare in modo sistematico sui problemi e sulle opportunità dei singoli componenti e vi metterà a disposizione un linguaggio comune con il quale spiegare al nuovo team come e perché intendete gestire diversamente diversi elementi del portafoglio. Prendetevi un po’ di tempo per assegnare tali elementi (prodotti, processi, progetti, unità produttive e persone) alle quattro cagorie attraverso l’utilizzo della figura 3.3. Secondo questa prospettiva, come cambierà il vostro approccio alla gestione dei diversi elementi? Che cosa dovete ottenere da essi? E che cosa devono ottenere essi da voi?

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PREMIARE IL SUCCESSO Il modello STARS ha implicazioni significative riguardo al modo in cui dovreste valutare e premiare le persone che lavorano con voi. Quando si chiede a gruppi di nuovi leader di spiegare quale tipo di transizione viene premiato di più e di meno nella loro organizzazione, i turnaround vengono regolarmente indicati come i più apprezzati, mentre i riallineamenti sono i meno stimati. Questa tendenza non sorprende. Un turnaround riuscito è una realizzazione visibile e facilmente valutabile, come uno start-up di successo. È invece più arduo misurare i risultati di un riallineamento. Inoltre, il successo richiede la meticolosa costruzione di una diffusa consapevolezza riguardo all’esigenza di cambiamento, il che significa sovente attribuire il merito al gruppo anziché a se stessi. Quanto alla premiazione del sostegno al successo, le persone non chiamano quasi mai la società che fornisce l’elettricità per ringraziarla di aver permesso di tenere accese le luci. Nondimeno, se va via la corrente, le proteste si levano rumorose e immediate. È presente un paradosso implicito nel ricompensare più generosamente coloro che ribaltano le sorti di aziende in crisi. Pochi leader ad alto potenziale mostrano un elevato interesse per i riallineamenti, in quanto preferiscono l’operatività e le ricompense che si associano ai turnaround e agli start-up. Ma chi esattamente deve impedire alle aziende di entrare in situazioni di turnaround? E il fatto che le aziende premino chi si occupa di quest’ultimo (e non sappiano come ricompensare i riallineamenti) non aumenta le probabilità che entrino in crisi? Paradossalmente, i manager competenti devono contare su persone meno in gamba di loro che mettono in difficoltà le aziende, per poi accorrere a salvarle. Il successore di Claire Weeks sembrò infatti un genio. 60

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In termini più generali, naturalmente, si può affermare che la performance deve essere ricompensata diversamente nelle differenti situazioni del modello STARS. La performance di chi è chiamato a gestire start-up e turnaround è la più facile da valutare, poiché ci si può concentrare su risultati misurabili, da confrontare con parametri chiari e predefiniti. La valutazione dell’esito positivo o negativo nelle situazioni di riallineamento e di sostegno al successo è molto più problematica. Nel riallineamento, la performance potrebbe essere superiore alle attese, ma risultare comunque inadeguata. Oppure può darsi che sembra non sia accaduto nulla di significativo, per il semplice fatto che si è lavorato per evitare una crisi. Le situazioni di sostegno al successo pongono problemi analoghi. Il successo potrebbe consistere in una piccola erosione della quota di mercato a fronte di un attacco concertato dei concorrenti o nella conquista di qualche punto percentuale di crescita in un business maturo. Ciò che non si sa, sia nei riallineamenti sia nelle situazioni di sostegno al successo, è che cosa sarebbe accaduto se fossero state intraprese altre azioni o se a capo dell’azienda ci fosse stato qualcun altro: il problema “del come rispetto al cosa”. Misurare il successo in queste situazioni è molto più complesso, poiché bisogna avere una profonda conoscenza dei problemi che hanno davanti i nuovi leader e delle azioni che stanno intraprendendo per valutare l’adeguatezza delle loro risposte.

ADOTTARE UN APPROCCIO IN 4D ALLO SVILUPPO Considerate infine l’utilizzo del modello STARS come base per la selezione e lo sviluppo dei vostri collaboratori. Questo lavoro dovrebbe far parte di un approccio più ampio, quadridimensionale, allo sviluppo dei talenti ad alto potenziale. Le quattro dimensioni sono: 1. 2. 3. 4.

funzioni manageriali; aree geografiche, snodi di carriera; situazioni di business esemplificate dal modello STARS.

Le aziende leader fanno di tutto per espandere le esperienze del loro personale ad alto potenziale sulle dimensioni 1 e 2: assunzione di ruoli in diverse funzioni di management (per esempio, marketing, operations, risorse umane e finanza) e a una esperienza internazionale (tramite incarichi all’estero). Le aziende tendono sempre più a gestire lo sviluppo della leadership anche su una terza dimensione: la preparazione dei manager ad affrontare gli snodi critici della loro vita professionale. Come hanno osservato Ram Charan e i suoi colleghi, i manager affrontano passaggi critici a mano a mano che passano da neo manager a responsabili di manager, per poi arrivare al ruolo di manager imprenditori. Progressivamente, passando da un livello all’altro, le regole e le competenze richieste cambiano in maniera significativa. 61

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La quarta dimensione del processo di sviluppo del personale ad alto potenziale, l’avere a che fare con diverse situazioni di business esemplificate nei modello STARS, andrebbe affrontata direttamente durante la pianificazione dello sviluppo e della successione. Volete far crescere diversi cavalli per differenti tipi di percorso, per esempio specialisti di turnaround o di start-up? Oppure volete far sviluppare manager in grado di “cacciare” e “coltivare” in un’ampia gamma di situazioni di business? Nel primo caso, dovreste selezionare persone con la predisposizione adeguata e affidare loro crescenti responsabilità in quelle situazioni specifiche. Nel secondo caso, i vostri futuri general manager dovrebbero fare esperienza per l’intero spettro delle situazioni di business e voi dovreste allenarli ad avere successo in ciascuna di esse. Un problema correlato è come selezionare al meglio nuovi manager provenienti dall’esterno. Supponete di voler sottrarre a un concorrente un manager ad alto potenziale: quale delle quattro situazioni del modello STARS rischierebbe maggiormente di portare quella persona all’insuccesso? La risposta è il riallineamento, perché il nuovo leader viene posto nella condizione di cercare di convincere alcune persone con le quali prima era in competizione diretta che non sono in gamba come pensano di essere. Sarebbe sorprendente se il nuovo leader non si sentisse a disagio e se i collaboratori che aspiravano a quel posto non affilassero i coltelli. Senza la giusta attenzione e il necessario supporto, le probabilità che questa persona fallisca sono elevate.

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Checklist del processo di accelerazione della transizione 1. Quale tra le quattro situazioni a cui fa riferimento il modello STARS, vi trovate ad affrontare: start-up, turnaround, riallineamento o sostegno al successo? 2. Quali sono le implicazioni per i problemi e le opportunità che andrete ad affrontare e per l’approccio che dovreste adottare per accelerare la vostra transizione? 3. Quali sono le implicazioni per la vostra agenda di apprendimento? Dovete capire solo il lato tecnico del business o è fondamentale che comprendiate anche la cultura e gli aspetti politici? 4. Quali competenze e punti di forza appaiono più preziosi nella vostra nuova situazione lavorativa e quali potrebbero crearvi problemi? 5. Qual è lo stato d’animo prevalente? Quali trasformazioni psicologiche dovete effettuare e come pensate di attuarle? 6. Inizialmente, dovreste concentrarvi sull’offesa o sulla difesa? 7. Se scavate più in profondità, qual è il mix di situazioni che vi trovate a gestire? Quali parti della vostra unità organizzativa sono in fase di startup, di turnaround, di riallineamento e di sostegno al successo? Quali sono le implicazioni per il modo in cui dovreste gestire e premiare le persone che lavorano con voi?

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4. Assicurarsi alcuni successi iniziali

Quando fu promossa a capo dell’unità di customer service telefonico di una delle maggiori aziende della grande distribuzione, Elena Lee era decisa a modificare lo stile manageriale punitivo e autoritario del suo predecessore. Nella posizione precedente era a capo di un reparto più piccolo della stessa organizzazione e dunque conosceva molto bene i problemi di qualità del servizio che aveva avuto la sua nuova unità. Convinta di poterne migliorare la performance tramite una più intensa partecipazione dei dipendenti e una maggiore innovazione, considerava il cambiamento culturale la massima priorità. Elena esordì comunicando i suoi obiettivi ai collaboratori. In una serie di note interne e di riunioni in piccoli gruppi, illustrò loro la sua visione, imperniata su una cultura più partecipativa e maggiormente orientata alla soluzione dei problemi. Queste iniziative furono accolte con scetticismo dagli operatori di front line e con aperto dissenso da alcuni supervisori. Il passo successivo fu l’istituzione di riunioni bisettimanali con i supervisori per l’esame della performance del reparto e per la ricerca di input su come migliorarla. Elena disse loro a chiare lettere che la cultura punitiva apparteneva al passato e che avrebbero dovuto fare da coach agli operatori. Spiegò che i casi di violazione delle regole disciplinari dovevano (ad interim) finire sulla sua scrivania. Con il passare del tempo, Elena ebbe modo di capire quali supervisori si stavano adattando ai nuovi metodi e quali continuavano ad agire in modo repressivo. Poi effettuò la valutazione delle performance individuali e fissò piani di miglioramento per due tra i supervisori più recalcitranti. Uno si dimise quasi subito, l’altro si adeguò in misura accettabile. Contemporaneamente, Elena si concentrò in particolare su un aspetto critico dell’attività: la valutazione della customer satisfaction e della qualità del servizio. Creò un “team di miglioramento del processo”, costituito dal miglior supervisore e da due operatori particolarmente promettenti: chiese loro di studiare un piano per l’introduzione di nuovi parametri di performance e un sistema non punitivo di monitoraggio e di coaching. Quando il team le sottopose le proprie proposte, Elena le implementò immediatamente su scala ridotta, nel reparto a suo tempo diretto dal supervisore dimissionario. Al suo posto promosse la persona più promettente del team di miglioramento del processo, con il duplice compito di curarne l’operatività e di seguire l’implementazione del progetto pilota.

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Alla fine del primo anno nella nuova posizione, Elena aveva esteso il progetto pilota all’intera unità. La qualità era aumentata significativamen e le indagini sul clima interno rivelarono sensibili miglioramenti nel morale e nella soddisfazione dei dipendenti. Elena Lee era riuscita a creare slancio e a costruirsi una credibilità personale. I successi iniziali sono fondamentali per dare rapidamente buona prova di sé, come ha sottolineato Dan Ciampa in “Leader sin dall’inizio”. Per la fine della vostra transizione, desiderate che il capo, i colleghi e i collaboratori si convincano che stia accadendo qualcosa di nuovo e di positivo. I successi iniziali caricano di energia gli altri e promuovono la vostra credibilità personale. Se realizzati a dovere, vi aiutano a creare valore per la vostra organizzazione in tempi più brevi e quindi a raggiungere prima il punto di pareggio.

EVITARE LE TRAPPOLE PIÙ COMUNI Ottenere alcune vittorie iniziali è fondamentale, ma bisogna farlo nel modo giusto. Ciò che volete è naturalmente soprattutto evitare insuccessi iniziali, perché è difficile recuperare quando si hanno i venti contrari. A seguire, un elenco delle trappole più comuni nelle quali rischiano di cadere i nuovi leader incauti. Non focalizzarsi. È molto comune sovraccaricarsi di impegni durante la transizione e i risultati possono essere disastrosi. Si rischia di fare la fine dello stordito cavaliere descritto da Steven Leacock che “balzò a cavallo e iniziò a galoppare a folle velocità in tutte le direzioni”. Non potete sperare di ottenere risultati in più di due aree durante la transizione. È essenziale perciò identificare le opportunità più promettenti e quindi concentrarsi al massimo sul tentativo di tradurle in iniziative di successo. Non tenere conto della situazione di business. Il concetto stesso di successo iniziale differisce sostanzialmente da una situazione di business all’altra. Convincere i collaboratori a parlare dell’azienda e dei suoi problemi può rappresentare un’importante realizzazione in un riallineamento e un’ingente perdita di tempo in un turnaround. Riflettete tatticamente su ciò che vi aiuterà maggiormente a creare slancio. Mostrare il desiderio di voler ascoltare e apprendere? Effettuare decisioni rapide e risolute sui problemi operativi più pressanti? Non adattarsi alla cultura. I leader che entrano in azienda dall’esterno sono ovviamente i più esposti a questa trappola. Avendo assorbito la cultura di un’altra organizzazione, portano con sé il concetto di successo e il modo in cui ottenerlo presenti in quest’ultima. In alcune aziende, l’iniziativa di successo consiste in una realizzazione individuale e visibile. In altre, il perseguimento della gloria individuale, benché produca buoni risultati, è considerato un atto di esibizionismo e dannoso per il gruppo di lavoro. Nelle organizzazioni caratterizzate da una cultura centrata sul team, i successi iniziali potrebbero consistere nella guida di un gruppo allo sviluppo di una nuova idea di prodotto 65

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o nel valido e disciplinato apporto individuale a una iniziativa di più ampio respiro. Accertatevi di capire bene che cosa per la vostra nuova organizzazione rappresenta o meno un successo. Non ottenere successi che contano per il proprio capo. È essenziale conseguire successi iniziali che infondano energia nei vostri collaboratori diretti e negli altri dipendenti. Tuttavia, l’opinione del capo sulle vostre realizzazioni è altrettanto fondamentale. Pur se non condividete del tutto le sue priorità, dovete metterle al centro della vostra riflessione sulle vittorie iniziali alle quali puntare. Affrontare problemi che il vostro capo ritiene importanti vi aiuterà a costruirvi una credibilità e a cementare l’accesso alle risorse. Lasciare che i mezzi pregiudichino i propri fini. Il processo conta. Se ottenete risultati eccellenti con uno stile che viene considerato manipolatorio, ingannevole o incoerente con la cultura aziendale, vi state cacciando nei guai. Un successo iniziale ottenuto con modalità che esemplificano il comportamento che sperate di instillare nella vostra nuova organizzazione rappresenta invece un doppio successo per voi.

CREARE ONDE DI CAMBIAMENTO Vediamo ora come i primi mesi della vostra transizione si inseriscono nel quadro più ampio dell’intero arco di copertura della nuova posizione. Nell’ambito di uno studio sui nuovi general manager di vari contesti, John Gabarro ha scoperto che questi soggetti tendevano a pianificare e a implementare il cambiamento in “onde” separate, come illustrato nella figura 4.1.

Dopo un breve periodo di acclimatazione, avviavano una prima onda di cambiamenti. Poi il ritmo delle loro iniziative rallentava per favorire il 66

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consolidamento e una conoscenza più approfondita dell’organizzazione, e per consentire ai collaboratori di “tirare il flato”. In seguito, armati di maggiori informazioni, i nuovi general manager creavano un’onda di cambiamento più profonda, estesa e strutturale. Un’ultima, e meno ingente, onda di cambiamento si concentrava sulla “messa a punto” dei dettagli per massimizzare la performance. A quel punto, la maggior parte dei nuovi leader era pronta per assumere un nuovo incarico. Il lavoro di Gabarro ha implicazioni importanti per la gestione delle transizioni. Indica, anzitutto e soprattutto, che dovreste pianificare il perseguimento dei primi successi tenendo ben presenti i vostri fini. Il periodo di transizione dura pochi mesi, ma è probabile che prima di passare a un nuovo incarico rimaniate in quella posizione da due a quattro anni. Quel periodo di due-quattro anni rappresenta la vostra “era” nell’organizzazione, durante la quale effettuerete una transizione, attuerete cambiamenti e perseguirete alcuni obiettivi. I vostri successi iniziali dovrebbero facilitare il più possibile il conseguimento di questi obiettivi di lungo termine.

Pianificare le onde Nel pianificare la transizione e ciò che seguirà, può essere utile programmare una successione di onde di cambiamento. Ogni onda dovrebbe articolarsi in più fasi distinte: apprendimento, progettazione dei cambiamenti, costruzione del consenso, implementazione dei cambiamenti stessi e osservazione dei risultati. Questo tipo di approccio può indurvi a dedicare del tempo all’apprendimento e alla preparazione, per poi consolidare i risultati e prepararvi all’onda successiva. Se continuate a introdurre modifiche, è impossibile capire ciò che funziona e ciò che non funziona. Il cambiamento perpetuo è anche una ricetta sicura per logorare i collaboratori. L’obiettivo della prima onda è assicurarsi alcuni successi iniziali. Il nuovo leader avvia iniziative su misura per costruirsi una credibilità personale, instaurare relazioni chiave, identificare e cogliere i frutti a portata di mano, ossia le opportunità più accessibili per conseguire miglioramenti di breve termine nella performance dell’organizzazione. Se realizzato in modo adeguato, questo esercizio aiuta il nuovo leader a creare slancio e ad approfondire il suo apprendimento. La seconda onda di cambiamento attacca problemi più sostanziali di strategia, struttura, sistemi e competenze, al fine di ridisegnare l’organizzazione. È qui che si ottengono i veri benefici a livello di performance. Tuttavia non li raggiungerete se non vi assicurerete alcuni successi iniziali nella prima onda. 67

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Adattare la strategia alla situazione I percorsi di cambiamento variano sensibilmente in base alle diverse situazioni del modello STARS. Secondo voi, quali saranno il ritmo e l’intensità del cambiamento nelle situazioni di start-up, turnaround, riallineamento e sostegno al successo? Nelle situazioni più critiche - gli start-up e i turnaround - dovreste avviare in anticipo la prima onda di cambiamento. Pure l’intensità del mutamento, così come viene percepita dai membri dell’organizzazione, sarà verosimilmente maggiore. Nelle situazioni di riallineamento e di sostegno al successo potete invece permettervi di dedicare più tempo all’apprendimento e alla pianificazione. Se l’azienda si trova realmente in una situazione di sostegno al successo, potreste pianificare una serie di piccole onde di cambiamento anziché una so la grande onda.

FISSARE ALCUNI OBlETTIVI DI LUNGO TERMINE Nei primi 90 giorni, uno degli obiettivi principali è costruirsi una credibilità personale e generare uno slancio per l’organizzazione. Potete riuscirci mettendo a segno alcuni successi iniziali. Le prime vittorie moltiplicano le vostre energie e amplificano la portata potenziale delle vostre azioni successive. Mentre cercate soluzioni per creare slancio, tenete presente che le azioni che intraprenderete per ottenere i successi iniziali dovrebbero assolvere una doppia funzione. In particolare, gli sforzi che effettuate per assicurarvi le prime vittorie dovrebbero 1. essere coerenti con le maggiori priorità di business e 2. esemplificare i nuovi modelli di comportamento che volete instillare nell’organizzazione. In altre parole, il processo di identificazione dei successi iniziali che intendete perseguire inizia con una riflessione sui cambiamenti di più lungo termine che vi proponete di attuare prima della fine della vostra era.

Concentrarsi sulle priorità di business e sui cambiamenti comportamentali I vostri obiettivi di lungo termine dovrebbero coincidere con le maggiori priorità di business e con i cambiamenti desiderati a livello di comportamento nei collaboratori. Le priorità di business rappresentano la destinazione che state cercando di raggiungere, in termini di obiettivi misurabili. Tale destinazione potrebbe essere una crescita a due cifre dei profitti o una drastica riduzione nei tassi di difettosità e di rilavorazione. Per Elena Lee, una delle maggiori priorità era rappresentata dal conseguimento di significativi miglioramenti nella soddisfazione dei clienti. Il punto è definire gli obiettivi in modo tale da 68

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poter guidare gli interventi avendo in mente un punto di arrivo ben preciso. Pensate a ciò che vi lasciate dietro. Che cosa vorreste che fosse? Che cosa dovrebbe affermare la circolare che annuncia la vostra promozione a un nuovo incarico, in merito a ciò avete realizzato? Un utile esercizio e crearvi una bozza ideale di questa circolare. Che cosa vorreste che dicessero i collaboratori, tra due o tre anni, su ciò che avete attuato in questa posizione?

Definire le vostre maggiori priorità Come fate a scegliere le vostre maggiori priorità? Se le stabilisce il capo, non avete scelta. Ma se siete liberi di fissarle, o se pensate di poterle negoziare con lui, le seguenti direttive potrebbero rivelarsi utili. Le massime priorità dovrebbero discendere naturalmente dai problemi principali. L’individuazione delle priorità presuppone l’identificazione delle aree critiche da monitorare e di quelle che offrono le più ricche opportunità di miglioramento della performance. Elena Lee ha fatto esattamente questo lavoro quando ha identificato nella qualità del servizio sia un elemento cruciale per la performance sia un obiettivo in grado di motivare il personale. Se avesse voluto diversamente avrebbe potuto fissare come massima priorità un incremento del 60% nel tasso di soddisfa zione dei clienti nel giro di un anno. Le massime priorità non dovrebbero essere né troppo generiche né troppo specifiche. Dovrebbero avere un certo grado di specificità, in modo da poter stabilire parametri di misurazione e traguardi intermedi. Per esempio, se la vostra priorità è ridurre il tempo di sviluppo di un nuovo prodotto, quello necessario per portarlo dall’idea al cliente, dovreste definire alcuni step di breve termine più specifici e più misurabili per valutare i progressi compiuti in direzione di quell’obiettivo. Per converso, per migliorare il time to market, è probabilmente inutile fissare obiettivi quotidiani. Le massime priorità dovrebbero indicare una direzione chiara ma consentirvi una certa flessibilità mentre studiate più a fondo la vostra situazione. Il processo di definizione delle priorità è iterativo. Dovete partire con una serie di obiettivi precisi, ma il più delle volte dovrete testarli, affinarli e riformularli, ed essere disponibili a riaggiustare il tiro a mano a mano che procedete nel vostro incarico. Se decidete che il sistema distributivo è un’area chiave di miglioramento, potreste fissare come massima priorità il di mezzamento dei tempi di consegna dei prodotti ai clienti per esempio entro diciotto mesi. Si tratta di un obiettivo ambizioso, per cui un eventuale successo avrebbe un grosso impatto. Ma è anche abbastanza generico, per cui vi lascia la flessibilità di decidere 69

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come e dove realizzarlo, mentre progredite nella conoscenza della nuova realtà.

Mirate ai cambiamenti comportamentali Se gli obiettivi relativi alle massime priorità rappresentano il vostro punto d’arrivo, il comportamento dei membri della vostra organizzazione è un aspetto fondamentale del tragitto che vi condurrà (o non vi condurrà) a quella meta. In altri termini, se volete realizzare ciò che avete scelto come priorità prima della fine della vostra era, dovrete affrontare i comportamenti non funzionali. Partite identificando i comportamenti indesiderati. Per esempio, Elena Lee voleva ridurre la paura e la deresponsabilizzazione all’interno della sua organizzazione. Quindi sviluppate, come lei, una visione chiara degli atteggiamenti e delle azioni che desiderate da parte dei collaboratori alla fine del vostro mandato in quella posizione e stabilite come incideranno sul cambiamento comportamentale le azioni che intraprenderete per conseguire alcuni successi iniziali. Quali comportamenti esibiti regolarmente dai componenti della vostra organizzazione pregiudicano la possibilità di realizzare una performance elevata? Date uno sguardo alla ta bella 4.1, che elenca alcuni modelli di comportamento tanto comuni quanto problematici, e poi sintetizzate le vostre idee sui comporta menti che vorreste modificare.

Tabella 4.1 Mancanza di...

Comportamenti problematici Sintomi

Focalizzazione

Il gruppo non è in grado di definire chiaramente le sue priorità, o ne ha troppe. Le risorse sono mal distribuite, il che determina frequenti crisi seguite da interventi di pacificazione. Le persone vengono premiate per la capacità di “spegnere gli incendi”, e non per quella di escogitare soluzioni durature.

Disciplina

Esiste un’ampia varietà nei livelli di performance dei collaboratori. I dipendenti non capiscono le conseguenze negative della disomogeneità. Le persone trovano scuse quando non rispettano gli impegni assunti.

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Innovazione

Il gruppo utilizza benchmark interni per valutare la performance. Il miglioramento di prodotti e processi avviene lentamente e in maniera incrementale. I dipendenti vengono premiati per il mantenimento di una performance stabile, anziché per la capacità di dare il massimo.

teamwork

I componenti del team competono tra loro e tendono a proteggere il loro orticello, anziché lavorare tutti insieme per realizzare obiettivi collettivi. Le persone vengono premiate per la creazione di “feudi” protetti.

Senso di urgenza

I membri del team ignorano i bisogni dei clienti esterni e interni. Regna l’autocompiacimento, che si manifesta in frasi rivelatrici come “Siamo i migliori, e lo siamo sempre stati” e “È inutile reagire immediatamente, non farà nessuna differenza”.

ASSICURARSI ALCUNI SUCCESSI INIZIALI Avendo identificato le maggiori priorità e gli obiettivi di cambiamento comportamentale, potete sviluppare piani dettagliati per il conseguimento di successi iniziali nei primi 90 giorni e immediatamente dopo. Dovreste suddividere ciò che dovete fare in due fasi: costruirvi una credibilità nei primi 30 giorni e decidere dove concentrare le vostre energie per ottenere i primi miglioramenti di performance nei 60 giorni successivi.

Costruirsi una credibilità Nelle prime settimane del nuovo incarico, non potete sperare di avere un impatto misurabile sulla performance; tuttavia potete ottenere delle piccole vittorie e segnalare in questo modo che le cose stanno cambiando. Il vostro obiettivo in questa fase iniziale è costruirvi una credibilità. Siccome le primissime azioni che compirete avranno una risonanza sproporzionata in termini di immagine, riflettete bene su come “entrare in sintonia” con la vostra nuova organizzazione. Quali messaggi volete trasmettere su voi stessi e su ciò che rappresentate? Quali sono le modalità più efficaci per trasmettere quei messaggi? Identificate i vostri pubblici di riferimento - dipendenti diretti, altri collaboratori, principali referenti esterni - e studiate alcuni messaggi su misura da far pervenire a ciascuno di essi. Tali messaggi non dovrebbero riguardare ciò che avete in 71

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programma di realizzare poiché si tratta di un argomento ancora prematuro. Dovrebbero piuttosto illustrare il vostro profilo, i valori e gli obiettivi che rappresentate, il vostro stile e i criteri con cui intendete ricoprire l’incarico. Pensate anche ai criteri di presentazione. Come vi porgerete? Le prime riunioni che tenete con i collaboratori diretti dovrebbero essere individuali o di gruppo? Saranno sessioni informali di familiarizzazione o si concentreranno immediatamente sui problemi di business? Quali altri canali, come la posta elettronica e un video, potreste utilizzare per presentarvi più ampiamente? Terrete le riunioni iniziali in altre sedi della vostra azienda? A mano a mano che entrate in sintonia con la nuova organizzazione, identificate e cercate di rimuovere il più presto possibile i piccoli ma persistenti aspetti non funzionali della vostra nuova realtà. Concentratevi sui rapporti tesi con l’ambiente esterno e cominciate a ricucirli. Eliminate le riunioni superflue, abbreviate quelle troppo lunghe, risolvete i problemi di spazio. Tutto ciò vi aiuterà a costruire fin da subito una credibilità personale. Appena arriverete, i membri dell’organizzazione cominceranno a studiarvi e a saggiare le vostre capacità. La vostra credibilità, o la mancanza di essa, dipenderà dalle risposte che i componenti dell’organizzazione daranno alle seguenti domande a vostro riguardo. Avete le informazioni e la determinazione che occorrono per prendere decisioni impopolari? Siete portatori di valori che altri condividono, ammirano e vogliono emulare? Possedete l’energia giusta? Pretendete elevati livelli di performance da voi stessi e dagli altri? Giusto o sbagliato che sia, cominceranno a elaborare opinioni su di voi basandosi su dati molto scarsi. Le vostre azioni iniziali, positive e negative, ne influenzeranno le percezioni. Quando le opinioni sul vostro conto cominciano a consolidarsi, è difficile modificarle ed è un processo straordinariamente rapido. Dunque in che modo potete costruirvi una credibilità personale? In parte si tratta anche di “vendervi” bene, un po’ come per la valorizzazione di un brand. Volete che i collaboratori vi associno a capacità, atteggiamenti e valori attrattivi. Non esiste un’unica risposta a questa domanda. Tuttavia, generalmente, i nuovi leader appaiono più credibili quando sono: esigenti, ma accontentibili. I leader efficaci pretendono che i collaboratori assumano impegni realistici e poi li vincolano al rispetto di quelle promesse. Ma se non siete mai soddisfatti, demotiverete i collaboratori;

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accessibili, ma non troppo amichevoli. Essere accessibili non significa rendersi indiscriminatamente disponibili, bensì essere contattabili, in un modo che preservi la vostra autorità; decisi, ma prudenti. I nuovi leader comunicano la loro capacità di assumersi determinate responsabilità senza prendere troppo in fretta decisioni che non sono pronti a gestire. All’inizio della transizione mostratevi decisi, nondimeno rinviate le decisioni più importanti fino a quando non avrete conoscenze e informa zioni adeguate; focalizzati, ma flessibili. Evitate di innescare un circolo vizioso e di alienarvi le simpatie altrui mostrandovi rigidi e indisponibili a considerare più soluzioni per un determinato problema. I nuovi leader manifestano la propria autorità affrontando con decisione i problemi, ma consultando nello stesso tempo i collaboratori e promuovendone l’input; attivi, ma senza esagerare. Esiste un confine sottile tra la creazione di slancio organizzativo e l’oppressione del vostro gruppo o della vostra unità. Agite, ma evitate di logorare i collaboratori; disposti a prendere decisioni delicate, ma umani. Dovrete certamente prendere decisioni delicate, come estromettere i collaboratori che danno prestazioni inadeguate. I nuovi leader efficaci fanno ciò che è necessario, però con modalità che salvaguardano la dignità dei collaboratori e che appaiono corrette.

Sfruttare i “momenti esemplari” Le azioni che intraprenderete nelle prime settimane del vostro nuovo incarico assumeranno una valenza simbolica. Per capire meglio questo concetto, considerate l’esperienza di Lara Moore, che aveva preso in mano un’unità inefficiente di una grande azienda di servizi finanziari. In base alla sua diagnosi iniziale, Lara sapeva che quella unità aveva un serio problema di rigidità burocratica, simboleggiato da archivi che andavano dal pavimento al soffitto, eredità del suo predecessore a imperitura memoria di tutte le sue transazioni e di tutte le sue decisioni, anche le più insignificanti. Una delle prime decisioni di Lara fu quella di far portar via tutti quegli armadi, sotto lo sguardo esterrefatto degli impiegati. Le prime azioni si trasformano spesso in eventi mitici, che possono consegnarvi definitivamente alla storia aziendale come eroi positivi o negativi. Prendete il tempo necessario per presentarvi informalmente al personale di supporto oppure vi concentrate unicamente sul capo, sui colleghi o sui collaboratori diretti? Un fatto così banale può contribuire a etichettarvi come “accessibili” o “distanti”. Il modo in cui vi presentate all’organizzazione, in cui trattate il personale di supporto, in cui affrontate le piccole disfunzionalità: tutti questi aspetti comportamentali possono diventare gli argomenti di veri e propri miti aziendali. Per orientare la mitologia in una direzione positiva, cercate e sfruttate i momenti esemplari. Definiamo così le azioni - come quelle intraprese da Elena Lee nei confronti dei supervisori recalcitranti - che dicono chiaramente 73

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quali sono le vostre intenzioni e inoltre esemplificano i tipi di comportamento che volete incoraggiare. Non devono essere affermazioni o scontri da melodramma. Il momento esemplare può essere un atto semplice ed eloquente, come porre la domanda critica che fotografa un problema importante con il quale è alle prese il vostro gruppo.

Assicurarsi alcuni risultati tangibili Costruirvi una credibilità personale e sviluppare alcune relazioni chiave vi aiuta a ottenere successi immediati. Immediatamente dopo dovreste identificare le opportunità che vi permetteranno di attuare miglioramenti rapidi e tangibili nella performance operativa. I migliori candidati a ciò sono rappresentati da quei problemi che potete affrontare in tempi ragionevolmente brevi con una spesa modesta, a fronte di benefici visibili sul piano operativo e/o finanziario. I possibili esempi includono i “colli di bottiglia” che rallentano la produttività e quei programmi di incentivazione che pregiudicano la performance in quanto generano conflitti. Identificate due o tre aree chiave, non di più, nelle quali punterete a conseguire un rapido miglioramento. Se prendete troppe iniziative, rischiate di perdere in focalizzazione. Ma “non mettete tutte le uova in un solo cestino”. Ragionate in termini di risk management: costruite un portafoglio promettente di iniziative iniziali, in modo che grandi successi da una parte compensino eventuali delusioni dall’altra, poi concentratevi incessantemente sul raggiungimento dei risultati. Per preparare il terreno al conseguimento dei successi iniziali, la vostra “agenda di apprendimento” dovrebbe prevedere le modalità tramite le quali identificherete le opportunità di miglioramento più promettenti. Per tradurre i vostri obiettivi in iniziative specifiche in grado di assicurare successi iniziali, applicate le seguenti direttive. Tenete ben presenti gli obiettivi di lungo termine. Le azioni che intraprendete per assicurarvi i successi iniziali dovrebbero rispondere il più possibile alle vostre priorità e ai vostri obiettivi di lungo termine per il cambiamento comportamentale. Identificate alcuni punti focali particolarmente promettenti. Questi punti focali sono aree o processi (come i processi di customer service per Elena Lee) nei quali un eventuale miglioramento può rafforzare in misura sostanziale la performance operativa o finanziaria complessiva dell’organizzazione. Un esempio di punto focale potrebbe riguardare il processo di transizione dalla ricerca al marketing per un’azienda farmaceutica. Concentratevi sui punti focali più promettenti. La concentrazione sui due o tre punti focali selezionati ridurrà il tempo e le energie da investire per ottenere risultati tangibili. Un rapido miglioramento della 74

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performance in queste aree vi lascerà tempo e spazio per perseguire cambiamenti di più ampia portata. Lanciate alcuni progetti pilota. Progettate iniziative pilota promettenti, indirizzate sui punti focali prescelti, che potete intraprendere nell’immediato. Alcuni progetti iniziali coronati da successo mettono in moto il piano complessivo, infondono energia nei vostri collaboratori e generano effettivi miglioramenti. Questo è ciò che fece per prima cosa Elena Lee al fine di migliorare il customer service nella sua nuova organizzazione. Promuovete gli agenti del cambiamento. Identificate, all’interno della vostra unità, i collaboratori di tutti i livelli che hanno le capacità, la determinazione e l’interesse per portare avanti il vostro programma. Promuoveteli, come ha fatto Elena Lee, a posizioni di crescente responsabilità. Poi inviate un messaggio a tutti gli altri gratificandoli generosamente per i successi che hanno conseguito. Sfruttate i progetti pilota per introdurre nuovi comportamenti. I vostri primi progetti pilota, come quello di Elena Lee, dovrebbero fungere da modelli esemplificativi di come vorreste che la vostra organizzazione, la vostra unità o il vostro gruppo funzionasse in futuro. Utilizzate la checklist che trovate qui a seguire per programmare progetti pilota in grado di produrre il massimo impatto.

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Checklist per i progetti pilota Per fare in modo che ogni progetto pilota vi assicuri successi iniziali, usate questa checklist; vi aiuterà a fissare standard elevati per i tipi di comportamento che volete incoraggiare. Qual è il giusto mix di persone, in termini di conoscenze, competenze e “chimica” dei rapporti interpersonali? Chi ha la credibilità, le competenze di project management e la creatività che occorrono per guidare il progetto? Quali sono gli obiettivi ambiziosi ma raggiungibili? Quali sono le scadenze accettabili? Quale coaching o quale schema di riferimento metterete a disposizione per favorire il problem solving e la decisionalità da parte del team? Quali altre risorse sono necessarie per il successo? Come responsabilizzerete le persone per il raggiungimento di risultati superiori? Come premierete il successo?

Evitare sorprese prevedibili Tutti i vostri sforzi per assicurarvi successi iniziali potrebbero non approdare a nulla se non vi preoccuperete di identificare le “bombe a orologeria” già innescate e di disinnescarle prima che vi esplodano tra le mani. Se questo accadrà, la vostra attenzione si sposterà istantaneamente sul continuo spegnimento degli incendi e le vostre speranze di mettere in piedi un approccio sistematico e di creare slancio organizzativo svaniranno. Alcuni fulmini a ciel sereno piombano veramente all’improvviso dal cielo. In questo caso, non potete far altro che raccogliere le forze e reagire alla crisi nel miglior modo possibile. Tuttavia molto più spesso i leader vengono messi fuori strada da quelle che il mio collega Max Bazerman e io chiamiamo “sorprese prevedibili”. Sono situazioni nelle quali le persone hanno tutte le informazioni necessarie per identificare il problema e intraprendere azioni correttive, ma non fanno né una cosa né l’altra. Ciò accade frequentemente perché il nuovo leader non cerca nei posti giusti o non pone le domande giuste. Come abbiamo visto nel capitolo 1, tutti noi abbiamo alcune preferenze in merito ai tipi di problemi su cui lavorare, tra quelli che ci stimolano e quelli che vogliamo piuttosto evitare o per i quali non ci sentiamo competenti. Se lavorate nel marketing e state assumendo la leadership di un team che dovrà gestire il lancio di un nuovo prodotto, non ci sarebbe da sorprendersi se vi concentrerete maggiormente sugli aspetti di marketing piuttosto che su quelli di produzione. Ma dovrete anche disciplinarvi per esplorare aree con cui non vi sentite del tutto a vostro agio, o per trovare persone aflidabili con l’expertise necessario. 76

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Un’altra ragione per cui si verificano le sorprese prevedibili è che ogni componente dell’organizzazione ha le sue tessere del mosaico, ma non c’è nessuno che le metta assieme. Ogni organizzazione ha i suoi “silos di informazioni”. Se non attivate processi che portino a galla quelle informazioni critiche e ne assicurino l’integrazione, rischiate di esporvi a sorprese prevedibili. Utilizzate le seguenti riflessioni per identificare le aree nelle quali potrebbero annidarsi alcuni problemi potenziali. Ambiente esterno. I trend in atto nell’opinione pubblica, le azioni del governo o le condizioni economiche potrebbero creare problemi alla vostra unità? Facciamo alcuni esempi: un cambiamento nella politica di governo che favorisce i concorrenti o influenza sfavorevolmente i vostri prezzi o i vostri costi; un grosso mutamento nell’opinione pubblica in merito alla salubrità o alla sicurezza dell’utilizzo del vostro prodotto; una crisi economica emergente ìn un paese in via di sviluppo. Clienti, mercati concorrenti e strategici. Nella situazione competitiva che coinvolge la vostra azienda vi sono alcuni sviluppi che potrebbero porre grossi problemi? Esempi: uno studio dal quale risulta che il vostro prodotto è inferiore a quello di un concorrente; l’arrivo di un nuovo concorrente che offre un prodotto sostitutivo a un prezzo più basso; una guerra di prezzi. Capacità interne. Vi sono potenziali problemi riguardo ai processi, alle competenze e alle capacità della vostra unità che potrebbero innescare una crisi? Esempi: la perdita inaspettata di collaboratori chiave; grossi problemi di qualità in una fabbrica importante; il rientro di un prodotto difettoso. Politiche aziendali. Rischiate di incappare inavvertitamente in una “mina antiuomo”? Esempi: alcuni collaboratori della vostra unità sono “intoccabili”, ma voi non lo sapete; non vi rendete conto che un collega importante silenziosamente vi sta facendo le scarpe.

GESTIRE IL CAMBIAMENTO Mentre cercate di capire dove potreste ottenere successi iniziali, pensate a come intendete attuare il cambiamento nella vostra organizzazione.

Cambiamento pianificato vs. apprendimento collettivo Una volta identificati i problemi o le questioni più importanti che dovete affrontare, ìl passo successivo è decidere se impegnarsi, come ha osservato la mia collega Amy Edmondson, nel cambiamento pianificato e poi implementato o nella promozione dell’apprendimento collettivo.

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L’approccio lineare, ossia la pianificazione seguita dall’implementazione funziona bene quando siete sicuri di avere già a disposizione i seguenti elementi. 1. Consapevolezza: una massa critica di collaboratori è consapevole dell’esigenza di cambiamento. 2. Diagnosi: sapete che cosa bisogna modificare e perché. 3. Visione: avete una visione coinvolgente e una solida strategia. 4. Piano: avete l’expertise per mettere assieme un piano dettagliato. 5. Supporto: avete una coalizione abbastanza forte da supportarne l’implementazione. Un approccio di pianificazione e implementazione del cambiamento potrebbe funzionare bene, per esempio, nelle situazioni di turnaround, dove i collaboratori riconoscono l’esistenza di un problema, i rimedi sono più tecnici che non culturali o politici e le persone sono in febbrile attesa di una soluzione. Tuttavia, se anche una sola di queste cinque condizioni non viene soddisfatta, l’approccio di pianificazione e implementazione del cambiamento può mettervi in difficoltà. Se per esempio vi trovate alle prese con un riallineamento e i collaboratori negano l’esigenza del cambiamento, è probabile che accolgano il vostro piano con un gelido silenzio. Dovrete perciò creare consapevolezza intorno all’esigenza del mutamento, affinare la diagnosi del problema. creare una visione e una strategia molto persuasive. sviluppare un solido piano di implementazione interfunzionale o costruire una coalizione favorevole al cambiamento. Per realizzare questi obiettivi, fareste bene a concentrarvi su un processo di apprendimento collettivo, anziché sullo sviluppo e sull’imposizione di piani di cambiamento. Se per esempio molti componenti dell’organizzazione appaiono ostinatamente ciechi di fronte ai problemi emergenti, dovete mettere in piedi un processo che vi permetta di spezzare questo muro di negazione. Invece di architettare un attacco frontale alle strutture difensive dell’organizzazione, dovreste impegnarvi in una sorta di guerriglia, indebolendone progressivamente la resistenza e aumentandone la sensibilità al cambiamento. Potete farlo esponendo i collaboratori chiave a nuove modalità operative e a nuovi elementi di riflessione sul business, come i dati sulla customer satisfaction e sulle offerte dei concorrenti. Oppure potete fare benchmark sulle aziende leader, inducendo i collaboratori a riflettere sulle logiche con cui operano i migliori concorrenti. Ancora, potete indurli a sviluppare nuovi metodi di lavoro, programmando per esempio un meeting residenziale per fare brainstorming sugli obiettivi principali o sul miglioramento dei processi in essere. La chiave sta dunque nel capire quali parti del processo di cambiamento si possono affrontare attraverso la pianificazione e quali si fronteggiano meglio attraverso l’apprendimento collettivo. Pensate al mutamento che volete introdurre nella vostra nuova organizzazione e utilizzate il percorso diagnostico 78

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rappresentato nella figura 4.2 per capire dove i processi di apprendimento potrebbero essere importanti per il vostro successo.

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Partire dal cambiamento comportamentale Quando pianificate il conseguimento dei successi iniziali, ricordate che i mezzi impiegati sono importanti quanto i fini ottenuti. Le iniziative che ponete in essere per conseguire successi iniziali dovrebbero portare un doppio beneficio, fissando anche alcuni standard di comportamento. È quello che ha fatto Elena Lee quando ha strutturato e seguito con cura il suo team di progetto, implementandone poi prontamente le osservazioni. Per cambiare la vostra organizzazione dovrete probabilmente modificarne la cultura. Si tratta di un’impresa difficile. L’organizzazione potrebbe aver acquisito cattive abitudini che voi volete sradicare. Sappiamo quanto è difficile modificare significativamente le abitudini di una persona, figuriamoci quelle di una collettività, che si rinforzano vicendevolmente. Rinnegare la cultura preesistente e sostituirla ex novo con un’altra non è quasi mai la risposta giusta. La capacità delle persone, e delle organizzazioni, di assorbire il cambiamento ha limiti ben precisi. Le culture organizzative hanno invariabilmente pregi, oltre che difetti; assicurano una certa prevedibilità e possono essere fonte di orgoglio. Se inviate il messaggio che non esiste nulla di buono nell’organizzazione in essere e nella sua cultura, priverete i collaboratori di una fonte primaria di stabilità nelle fasi di cambiamento e voi stessi di una potenziale fonte perenne di energia alla quale poter accedere per migliorare la performance. Occorre pertanto identificare sia gli elementi positivi sia quelli negativi della cultura in essere. Esaltate ed elogiate gli elementi positivi mentre cercate di modificare quelli negativi. Questi aspetti della cultura tradizionale dell’azienda sono un ponte che può aiutarvi a traghettare i collaboratori dal passato al futuro.

ADATTARE LA STRATEGIA ALLA SITUAZIONE La scelta delle tecniche di modificazione del comportamento dovrebbe dipendere dalla struttura, dai processi, dalle competenze del vostro gruppo e soprattutto dalla situazione in cui quest’ultimo si trova a operare. Considerate la differenza tra la promozione del cambiamento comportamentale nel turnaround e quella nel riallineamento. Nel turnaround dovete affrontare, in combinazione, tempi stretti e l’esigenza di identificare e consolidare rapidamente il nucleo fondamentale del business. Tecniche come il coinvolgimento di persone provenienti dall’esterno e la costituzione di team di progetto per il perseguimento di iniziative di miglioramento della performance si rivelano spesso efficaci. Confrontate tutto questo con il riallineamento, dove conviene partire con approcci meno scontati al cambiamento comportamentale. Modificando i parametri di performance e avviando il benchmark, per esempio, preparate il terreno per sviluppare una visione collettiva su come riallineare l’azienda. Tenete sempre presente, infine, l’obiettivo di ordine superiore: innescare un circolo virtuoso che rinforzi il comportamento desiderato e vi aiuti a conseguire 80

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le vostre massime priorità. Ricordate che mirate a modesti miglioramenti iniziali, da cui partire per realizzare cambiamenti più profondi.

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Checklist del processo di accelerazione della transizione 1. Tenuto conto della situazione in cui vi trovate, quali dovrebbero essere la tempistica e la consistenza delle singole onde di cambiamento che avete in programma? 2. In base a ciò che sapete adesso, quali sono le vostre maggiori priorità? Alla luce di queste priorità, che cosa dovete fare durante la transizione per promuoverne il conseguimento? 3. Come dovrebbe cambiare il comportamento dei collaboratori alla fine della vostra era all’interno dell’organizzazione? Descrivete nel modo più chiaro possibile i comportamenti che vorreste incoraggiare e scoraggiare. 4. Che cosa potete cominciare a fare per modificare i comportamenti durante la vostra transizione? 5. In che modo pensate di sintonizzarvi con la vostra nuova organizzazione? Quali sono i vostri pubblici di riferimento, e quali messaggi vorreste far pervenire loro? 6. Quali sono i punti focali più promettenti per i vostri sforzi iniziali di miglioramento della performance? Scegliete un punto focale e riflettete su come alcuni successi iniziali in quest’area potrebbero fungere da modello per il comportamento organizzativo che desiderate dai collaboratori. 7. Alla luce dei cambiamenti che intendete realizzare, in quali aree dovreste impegnarvi ai fini dell’apprendimento collettivo?

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5. Negoziare il successo

Quando fu posto a dirigere la funzione di information technology di una delle principali business unit di un’azienda petrolifera, Michael Chen era al settimo cielo; vi rimase fino a quando ricevette le telefonate di due colleghi. Gli dicevano tutti e due la stessa cosa: “Comincia ad aggiornare il tuo curriculum. Cates ti mangerà vivo”. Il suo nuovo capo, Vaughan Cates, era una manager molto determinata, particolarmente focalizzata sui risultati e molto dura con le persone. Cates aveva preso in mano da poco quella business unit e parecchi collaboratori se n’erano già andati. I colleghi di Michael gli avevano spiegato chiaramente i termini del problema. “Hai avuto tanto successo”, aveva affermato uno di loro. “Ma Cates penserà che non sei abbastanza aggressivo. Tu sei un pianificatore e un costruttore di team. Lei ti riterrà troppo lento e non adatto a prendere decisioni impopolari”. Allettato, Michael mise le mani avanti con Cates per ritagliarsi tempo da dedicare alla diagnosi e alla pianificazione. “Voglio operare su un arco temporale di 90 giorni, dedicando i primi 30 a capire la situazione”, le disse. “Poi ti porterò una valutazione dettagliata e un piano con gli obiettivi e le azioni da intraprendere nei prossimi 60 giorni”. Michael aggiornava regolarmente Cates sui progressi compiuti. Nonostante le pressioni di quest’ultima affinché decidesse su un grosso acquisto di sistemi entro tre settimane, Michael rimase saldamente ancorato alla sua programmazione. Alla scadenza dei 30 giorni, sottopose al suo nuovo capo un piano accurato, che le piacque. Un mese dopo, Michael si ripresentò da lei per illustrarle alcuni successi iniziali e per chiederle un incremento dell’organico, poi ché c’era da portare avanti un progetto di primaria importanza. Lei lo sottopose a un fuoco di fila di domande, ma lui si dimostrò preparatissimo. Alla fine Cates accolse le sue richieste, ma gli impose scadenze molto ravvicinate per il conseguimento dei risultati. Avendo ottenuto le risorse di cui aveva bisogno, Michael ben presto la informò di avere raggiunto numerosi target intermedi. Sfruttando questo slancio, durante la riunione successiva Michael sollevò la questione dello stile manageriale. “Abbiamo stili diversi, ma io posso darti una mano”, le spiegò. “Voglio che mi giudichi in base ai risultati, non per il modo in cui li ottengo”. Fu necessario quasi un anno, ma alla fine Michael riuscì a costruire una relazione produttiva con Cates. Per entrare in sintonia con il nuovo capo, come fece Michael Chen, occorre negoziare il successo in modo da non ritrovarsi con le spalle al muro. Vale sicuramente la pena di investire fin da subito del tempo in questa relazione critica, perché il nuovo capo fissa i parametri di valutazione, 83

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interpreta le vostre azioni per altre persone chiave e controlla l’accesso alle risorse di cui avete bisogno. Avrà dunque un impatto superiore a chiunque altro sui tempi con i quali raggiungerete il vostro punto di pareggio e sul vostro successo o insuccesso finale. Negoziare il successo significa impegnarvi proattivamente con il vostro capo a impostare il gioco, in modo da avere effettivamente la possibilità di realizzare gli obiettivi desiderati. Troppi nuovi leader si limitano a rispettare le regole, ritenendo immutabile la loro situazione e candidandosi così, fatalmente, all’insuccesso. L’alternativa è influenzare il gioco negoziando con il capo per fissare alcune aspettative realistiche, raggiungere il consenso sulla situazione e assicurarsi risorse adeguate. Negoziando efficacemente con Vaughan Cates, Michael Chen gettò le basi del proprio successo. Tenete presente che la natura della relazione che intrattenete con il vostro nuovo capo dovrebbe dipendere dal livello organizzativo a cui operate e dalla situazione di business in cui vi trovate. Più salite nella scala gerarchica, più autonomia dovreste ottenere. Questa regola vale particolarmente se voi e il vostro capo operate in sedi diverse. La mancanza di supervisione può rivelarsi una benedizione, se vi danno le risorse che vi occorrono, o una maledizione, se vi danno “abbastanza corda per impiccarvi”. Ciò di cui necessitate da parte del vostro capo varia da una situazione all’altra del modello STARS. Se siete alle prese con un riallineamento, avete bisogno che il capo vi aiuti a propagandare l’esigenza del cambiamento. In una situazione di sostegno al successo, vi servirà il suo appoggio per capire il business ed evitare errori iniziali che potrebbero minacciare gli asset più importanti. Negli start-up, vi occorreranno risorse e protezione contro un’eccessiva interferenza dall’alto. Nei turnaround, vi servirà un’energica spinta a ridimensionare l’azienda, riducendola rapidamente a un nucleo difendibile. C’è molto che potete fare per costruire una relazione produttiva con il vostro nuovo capo. In questo capitolo vi spiegherò come avviare un dialogo nelle giuste forme e come costruire un piano d’azione per i primi 90 giorni. Leggetelo anche se nel nuovo ruolo continuerete a riportare allo stesso capo di prima. Cambiando la si tuazione, il vostro rapporto non resterà necessariamente immutato. Le aspettative del capo potrebbero cambiare e voi potreste avere necessità di maggiori risorse. Molti manager danno erroneamente per scontato di poter continuare a lavorare nel medesimo modo con lo stesso capo, benché abbiano cambiato ruolo. Non commettete questo errore. Riflettete anche su come utilizzare le idee presentate in questo capitolo per accelerare il processo di costruzione del rapporto con i nuovi collaboratori diretti. Non avete, dopotutto, un forte interesse a portarli al punto di pareggio nel minor tempo possibile?

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CONCENTRARSI SUI PUNTI FONDAMENTALI Quando si chiede a manager esperti come costruire una relazione produttiva con un nuovo capo, le loro osservazioni assumono tipicamente la forma di un elenco di cose da fare e da non fare. Cominciamo con quelle da non fare. Non criticate il passato. Non c’è nulla da guadagnare, e molto da perdere, dal criticare le persone che guidavano l’organizzazione prima del vostro arrivo. Ciò non significa che dovreste tollerare la mediocrità. Dovete capire il passato, ma concentratevi sulla valutazione dei comportamenti e dei risultati attuali e sull’attuazione dei cambiamenti necessari a supportare una performance migliorativa. Non isolatevi. Se avete un capo che non vi viene incontro, o con il quale avete rapporti difficili, sarete voi a dovergli andare incontro. Altrimenti rischiate di fare emergere dolorosi gap di comunicazione o di aspettative. L’idea di avere ampi spazi decisionali può farvi piacere, ma resistete alla tentazione di approfittarne. Riferite regolarmente al vostro capo. Accertatevi che sia a conoscenza dei problemi sui quali state lavorando e fate in modo di conoscere costantemente le sue aspettative e l’evoluzione delle stesse. Non sorprendete il vostro capo. Non è divertente dare cattive notizie al vostro capo. Il pericolo che se la prenda con il messaggero (cioè con voi) è molto concreto. Tuttavia per quasi tutti i capi un peccato molto più grave è la mancata segnalazione precoce dei problemi. Ma ciò che più li fa indispettire è venire a conoscenza dei problemi da qualcun altro. Solitamente, appena si ha sentore di un problema emergente, conviene accennarne, anche brevemente, al nuovo capo. Non portate solo problemi al nuovo capo. Non vorrete far pensare al vostro capo che gli sottoponete solo problemi da risolvere; dovete anche formulare un piano per trovare una risposta. Ciò non significa elaborare soluzioni sofisticate: per generarle, l’investimento di tempo e di energie occorrenti potrebbe portarvi a sorprendere negativamente il vostro capo: dovete riflettere su come affrontare il problema, sul vostro ruolo, nel gestirlo e sull’aiuto di cui avrete bisogno. Non presentategli l’elenco delle vostre realizzazioni. C’è una diffusa tendenza, anche tra i senior manager, a utilizzare le riunioni con il capo come opportunità per presentargli l’elenco delle cose fatte. In certe occasioni è anche giusto, ma raramente rappresenta ciò che il vostro capo deve o vuole sentire. Come ha affermato un alto dirigente, “spiego loro [i miei nuovi collaboratori diretti] che poiché do per scontato che siano occupatissimi, mi aspetto che vengano da me per parlare di ciò che stanno cercando di realizzare e di come posso aiutarli”. Non cercate di cambiare il capo. Un manager esperto mi ha raccontato di aver programmato una riunione con il suo capo per metà pomeriggio e di essersi lanciato immediatamente nella discussione di un 85

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problema importante, scoprendo però che il suo interlocutore si stava addormentando. Quando aveva preso l’appuntamento, era rimasto sorpreso di trovare un buco libero, non solo quel giorno ma praticamente tutti i giorni. I suoi colleghi avevano già capito che a quell’ora il capo schiacciava regolarmente un pisolino e dunque era preferibile organizzare le riunioni in altri orari. Che cosa insegna questo aneddoto? Toglietevi dalla testa l’idea di cambiare il vostro capo e adattatevi al suo stile e alle sue peculiarità. Ci sono anche considerazioni fondamentali di segno positivo. Se seguirete questi consigli, avrete vita più facile con il vostro nuovo capo. Assumetevi al 100% la responsabilità di far funzionare la relazione. È l’altro verso del consiglio “Non isolatevi”. Non aspettatevi che il capo vi venga incontro o che vi metta spontaneamente a disposizione il tempo e l’appoggio che vi occorrono. È meglio partire dal presupposto che sia vostro compito far funzionare la relazione con lui. Se il capo vi verrà incontro a metà strada, sarà una lieta sorpresa. Chiarite spesso e fin dall’inizio le reciproche aspettative. Iniziate da subito a gestire le aspettative. Se il capo si attende che mettiate immediatamente a posto le cose mentre voi sapete che l’azienda ha seri problemi strutturali, siete nei guai. Conviene tirar fuori prontamente le cattive notizie, riducendo in tal modo eventuali aspettative irrealistiche. Poi effettuate verifiche periodiche per essere sicuri che le aspettative del capo non siano cambiate. Negoziate alcune scadenze per la diagnosi e la pianificazione delle azioni. Non lasciatevi coinvolgere immediatamente nella rincorsa ai problemi contingenti e resistete alle pressioni che vi spingerebbero a prendere decisioni per le quali non siete ancora pronti. Concedetevi un po’ di tempo per diagnosticare la nuova organizzazione e sviluppare un piano d’azione. Questa regola ha funzionato per Michael Chen nei suoi rapporti con Vaughan Cates e può funzionare anche per voi. Il piano di gestione dei primi 90 giorni che trovate alla fine di questo capitolo rappresenta uno strumento eccellente in proposito. Mirate a conseguire successi iniziali in aree che il capo ritiene importanti. Quali che siano le vostre priorità identificate le problematiche che stanno piu a cuore al capo. Quali sono i suoi interessi e i suoi obiettivi e come si conciliano con quello che state facendo voi? Quando lo saprete puntate a successi iniziali in queste aree. Potete riuscirci concentrandovi su tre cose che il vostro capo ritiene importanti e spiegandogli quel che state facendo in proposito ogni volta che interagite con lui. In questo modo si sentirà coinvolto nel vostro successo. Ma non commettete l’errore di intraprendere azioni che ritenete

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fuorvianti. Il vostro compito è anche quello di influenzare le percezioni del capo in merito a ciò che si può e si deve conseguire. Cercate di ottenere giudizi positivi da persone delle quali il vostro capo rispetta le opinioni. L’opinione che il vostro nuovo capo avrà di voi si baserà in parte sulle interazioni dirette e in parte su quello che sentirà dire sul vostro conto da persone di cui si fida. Probabilmente avrà già rapporti con i vostri nuovi collaboratori. Non dovete banalmente cercare di accattivarvi le simpatie delle persone di cui si fida il vostro capo: curate, semplicemente, i molteplici canali attraverso cui gli arriveranno le informazioni su di voi e sulla vostra performance. Avendo ben presenti queste regole essenziali, potete iniziare a pianificare i rapporti con il vostro nuovo capo.

PIANIFICARE CINQUE CONVERSAZIONI Le vostre relazioni con il nuovo capo verranno costruite attraverso un dialogo continuo. Le discussioni inizieranno prima che accettiate la nuova posizione, continueranno per tutta la durata della transizione e proseguiranno pure in seguito. Al centro di questo dialogo stanno alcuni argomenti fondamentali. In effetti, è bene includere nel piano d’azione per i primi 90 giorni cinque “conversazioni” distinte con il nuovo capo su argomenti specifici inerenti la transizione. Non sono temi da trattare in sessioni separate, ma fili intrecciati di un dialogo ininterrotto. 1. La conversazione sulla diagnosi della situazione. Durante questa conversazione, cercherete di capire la visione che il vostro capo ha sul business in essere. È una situazione di turnaround, di start-up, di riallineamento o di sostegno al successo? In che modo è giunta a questo punto l’azienda? Quali fattori, sia soft sia hard, rendono problematica la situazione? A quali risorse interne potete attingere? Le vostre opinioni potrebbero differire da quelle del capo, ma è indispensabile capire come quest’ultimo vede la situazione. 2. La conversazione sulle aspettative. L’obiettivo che vi porrete in questa conversazione sarà cercare di comprendere e di negoziare le aspettative. Il capo che cosa vuole che facciate a breve e a medio termine? Che cosa intende per successo? Come verrà misurata la vostra performance? Quando? Potreste pervenire alla conclusione che le aspettative del vostro capo sono irrealistiche e che dovete convincerlo a rivederle. Tenete presente inoltre, nell’ambito della più vasta campagna finalizzata ad assicurarvi alcuni successi iniziali (vedi capitolo 4), che è sempre meglio volare basso con le promesse e alto con i risultati. 3. La conversazione sullo stile. La finalità di questa conversazione è comprendere come interagire al meglio con il vostro capo. Quale forma di comunicazione preferisce? L’interazione diretta? La forma scritta? L’utilizzo della posta elettronica? Con quale frequenza? Su quali 87

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tipi di decisione vuole essere consultato e quando invece potete decidere per conto vostro? Come differiscono i vostri stili manageriali dai suoi e quali sono le implicazioni di tali differenze sulle modalità di interazione? 4. La conversazione sulle risorse. Questa conversazione è in buona sostanza un negoziato sulle risorse critiche. Che cosa vi occorre per avere successo nel vostro incarico? Che cosa deve fare a questo scopo il vostro capo? Le risorse in questione non si limitano necessariamente al budget e al personale. In un riallineamento, per esempio, potreste aver bisogno del suo aiuto per convincere la struttura a riconoscere l’esigenza del cambiamento. 5. La conversazione sullo sviluppo personale. Discutete infine il contributo al vostro sviluppo personale che verrà da questa esperienza manageriale. In quali aree dovete migliorare? Esistono progetti o incarichi speciali che potreste intraprendere (senza perdere in focalizzazione)? Vi sono corsi o programmi di formazione che potrebbero accrescere le vostre capacità? In concreto, il dialogo intreccerà tutti questi temi e tenderà a evolversi nel tempo. Potreste trattare diversi argomenti durante un’unica riunione, oppure discutere i vari aspetti di un solo argomento in una serie di brevi interazioni dialettiche. Michael Chen ha affrontato i temi dello stile e delle aspettative nel corso di un’unica riunione e ha fissato un programma per discutere della situazione e per approfondire il tema delle aspettative. Nella sequenza che abbiamo seguito e descritto esiste tuttavia una logica. Le vostre prime conversazioni dovrebbero concentrarsi sulla diagnosi della situazione, sulle aspettative e sullo stile. A quel punto, avendo acquisito maggiori informazioni, sarete pronti a negoziare le risorse, rivedendo eventualmente la vostra diagnosi della situazione e riformulando le aspettative. Quando avrete la sensazione che il rapporto con il capo sarà ragionevolmente ben consolidato, potrete avviare la conversazione sullo sviluppo personale. Prendetevi del tempo per pianificare ciascuna conversazione e spiegate chiaramente al vostro capo ciò che sperate di ottenere da ogni scambio dialettico. Le direttive dettagliate che seguono vi aiuteranno a pianificare ognuna delle cinque conversazioni che tenete con il vostro capo.

PIANIFICARE LA CONVERSAZIONE SULLA SITUAZIONE Raggiungere una visione condivisa della situazione di business che avete di fronte, insieme ai problemi e alle opportunità che comporta, rappresenta il vostro obiettivo nella conversazione sulla diagnosi della situazione. Questa visione comune è il fondamento di tutto ciò che farete. Se voi e il vostro capo non definirete nello stesso modo la situazione in cui vi trovate, non riceverete il supporto di cui necessitate per raggiungere i traguardi che vi siete prefissi. La prima discussione con il vostro nuovo capo 88

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dovrebbe perciò incentrarsi su una chiara definizione della vostra nuova situazione, mediante l’utilizzo del modello STARS come linguaggio comune.

Adattare il supporto richiesto alla propria situazione specifica Il supporto che richiedete al capo dipenderà dallo scenario, ovvero dal fatto che vi troviate in una situazione di start-up, turnaround, riallineamento o sostegno al successo. Una volta raggiunta una visione comune su questo punto, pensate bene al ruolo che dovrebbe giocare il capo e al tipo di supporto che gli chiederete. In tutte e quattro le situazioni di business, il capo vi dovrà dare la direzione, il supporto e lo spazio che vi occorrono per svolgere il vostro lavoro. La tabella 5.1 elenca i tipici ruoli che potrebbe assolvere il vostro capo in ciascuna situazione esemplificata nel modello STARS.

Tabella 5.1 Adattare il supporto richiesto alla vostra situazione specifica Situazione Start-up

Ruoli tipici che potrebbe ricoprire il vostro capo Farvi ottenere rapidamente le risorse Fissare obiettivi chiari e misurabili Fornire indicazioni negli snodi strategici Aiutarvi a restare focalizzati

Turnaround

Gli stessi dello start-up, oltre a Fornire appoggio per prendere e implementare decisioni delicate in materia di personale Dare supporto per modificare o correggere l’immagine esterna dell’organizzazione e dei suoi componenti Contribuire a tagliare i costi abbastanza profondamente e tempestivamente

Riallineamento

Gli stessi dello start-up, oltre a Contribuire a far comprendere l’esigenza del cambiamento, specie se voi provenite dall’esterno dell’organizzazione

Sostegno al successo

Favorire un costante test di realtà: è una situazione di sostegno al successo o è un riallineamento? Fornire supporto per un buon gioco difensivo e per evitare errori che potrebbero danneggiare l’azienda Contribuire a trovare soluzioni per migliorare il business

PIANIFICARE LA CONVERSAZIONE SULLE ASPETTATIVE L’obiettivo della conversazione sulle aspettative è consentire a voi e al vostro capo di chiarire e allineare le rispettive attese riguardo al futuro. Dovete essere concordi sugli obiettivi di breve e di medio termine, sui tempi di realizzazione e i criteri che utilizzerà il capo per misurare i progressi compiuti. 89

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Come si determinerà il successo, per voi e per il vostro capo? Quando dovrebbero emergere i risultati? In che modo misurerete il successo? Su quale arco temporale? Se avrete successo, quali saranno le conseguenze? Se non gestirete le aspettative, saranno queste a gestire voi.

Adattare le aspettative alla situazione Allineate con la massima cura le vostre aspettative alla visione comune che avete maturato sulla situazione. In un turnaround, per esempio, voi e il vostro capo converrete probabilmente sulla necessità di intraprendere rapidamente azioni drastiche. Avrete entrambi aspettative esplicite per l’immediato futuro, come quella di prendere decisioni delicate per ridurre i costi in aree non primarie, o quella di concentrarvi sui prodotti che restituiscono i margini più elevati. In questo scenario misurerete verosimilmente il successo in base ai miglioramenti realizzati nella performance finanziaria complessiva dell’azienda. Mirare ad alcuni successi iniziali in aree che il capo ritiene importanti. Quali che siano le vostre priorità, identificate le problematiche che stanno più a cuore al vostro capo e mirate a conseguire alcuni successi iniziali in tali aree. Se volete conseguire il successo, vi occorre il suo aiuto; poi toccherà a voi aiutarlo ad avere successo. Se vi preoccuperete delle priorità del capo, lui o lei si sentirà coinvolto nella vostra buona riuscita. L’approccio più efficace e sinergico consiste nell’integrare gli obiettivi del capo con i vostri sforzi finalizzati al conseguimento di successi iniziali. Se questo è impossibile, ricercate vittorie iniziali basandovi unicamente sulle priorità del capo.

Identificare gli “intoccabili” Se vi sono alcuni elementi dell’organizzazione - prodotti, strutture, persone su cui il vostro nuovo capo esercita una sorta di proprietà esclusiva, è fondamentale capire il più presto possibile quali siano. Sarebbe spiacevole scoprire che state facendo pressioni per chiudere la linea di prodotti che ha avviato lui o per sostituire uno dei suoi più fedeli alleati. Cercate perciò di scoprire a che riguardo è più sensibile il vostro capo. Potete farlo analizzandone la storia personale, parlando con altre persone e dedicando la massima attenzione all’espressione del viso, al tono della voce e al linguaggio non verbale. Se siete ancora incerti, lanciate delicatamente un’idea test di prova e quindi osservatene attentamente le reazioni.

Educare il capo Uno dei primi compiti che vi attendono è influenzare le percezioni del vostro capo in merito a ciò che potete e dovete ottenere. Magari troverete le sue aspettative irrealistiche o semplicemente in contrasto con le vostre convinzioni su ciò che è necessario fare. Se è così, dovrete lavorare intensamente per far convergere le rispettive opinioni. In una situazione di riallineamento, per esempio, il vostro capo potrebbe attribuire i problemi più 90

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gravi a una certa componente dell’azienda, mentre voi siete convinti che la colpa stia da un’altra parte. In questo caso, dovrete “educarlo” intorno ai problemi sottostanti, per indurlo a rivedere le sue aspettative. Procedete con cautela, specie se si sente partecipe del modus operandi consolidato o se è parzialmente responsabile dei problemi.

Volare basso con le promesse e volare alto con i risultati Se voi e il vostro capo concordate sulle aspettative, cercate di non esagerare nelle promesse e di eccedere semmai nei risultati Questa strategia contribuisce a promuovere la vostra credibilità. Pensate a come la capacità di cambiamento dell’organizzazione potrebbe incidere sulla vostra possibilità di mantenere le promesse. Siate prudenti riguardo a ciò su cui date parola. Se farete di più, delizierete il vostro capo. Ma se garantite troppo e non soddisfate pienamente le promesse, rischiate di giocarvi la credibilità. Benché abbiate fatto moltissimo, agli occhi del capo avrete fallito comunque.

Chiarire, chiarire, chiarire Anche se siete sicuri di sapere che cosa potrebbe aspettarsi il capo, dovreste tornare regolarmente a confermare e a chiarire quelle aspettative. Alcuni capi sanno quel che vogliono, ma non sono del tutto capaci di esprimerlo bene: con loro rischiate di arrivare al chiarimento solo dopo aver imboccato la strada sbagliata. Dovete prepararvi perciò a continuare a porre domande, fino a quando non sarete certi di avere capito. Cercate, per esempio, di porre le medesime questioni in modo diverso per comprendere meglio. Leggete attentamente tra le righe e sviluppate ipotesi verosimili su ciò che sembra volere il vostro capo. Cercate di mettervi nei suoi panni e di capire in che modo egli sarà valutato dal suo stesso capo. Analizzate il vostro ruolo all’interno di un quadro più ampio. Soprattutto, non permettete che gli aspetti chiave rimangano nell’ambiguità. La mancanza di chiarezza riguardo agli obiettivi e alle aspettative è pericolosa. Come ha osservato un leader, appena entrato nella sua nuova posizione, “la ragione [in un conflitto su ciò che si è detto in merito alle aspettative nel corso di una conversazione ambigua] non la danno a voi, ma al vostro capo”.

Lavorare con più capi La gestione delle aspettative diventa ancora più complicata se avete più di un capo cui riferire o se lavorate in una sede geografica diversa dalla sua. Continuano a valere gli stessi principi fondamentali, ma si modifica l’enfasi relativa. Se avete più capi, dovete fare in modo di bilanciare bene tra loro i vostri successi e insuccessi che percepiranno. Se un capo ha decisamente più potere, ha senso sbilanciarvi un poco inizialmente verso la sua direzione per poi ripristinare l’equilibrio, nella misura massima possibile, in un secondo tempo. Se non potete ottenere l’accordo lavorando singolarmente con i diversi capi, dovete sostanzialmente obbligarli a riunirsi tutti insieme 91

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intorno a un tavolo per sviscerare i problemi. Diversamente, vi faranno a pezzi.

Lavorare a distanza Gestire il capo, quando si lavora in una differente sede geografica, significa affrontare altre problematiche. Il rischio di perdere sintonia senza accorgersene è ovviamente maggiore. Ciò vi impone di mantenere una disciplina ancora più rigorosa sulla comunicazione e sulla programmazione dei contatti e delle riunioni per essere sicuri di restare in sintonia con lui. Ancora più importante è fissare alcuni parametri chiari ed esaustivi, in modo che il capo abbia un quadro ragionevolmente completo di ciò che sta accadendo e che voi possiate gestire efficacemente “per eccezione”.

PIANIFICARE LA CONVERSAZIONE SULLO STILE Le preferenze stilistiche delle persone incidono sul loro modo di apprendere, comunicare, influenzare gli altri e decidere. Nella conversazione sullo stile, il vostro obiettivo sarà comprendere come lavorare al meglio, in modo regolare e ininterrotto con il vostro capo. Era il problama principale che si poneva a Michael Chen nel cercare di ottimizzare il rapporto con Vaughan Cates. Anche se il vostro capo non dovesse diventare mai un caro amico né un mentore per voi, è fondamentale che rispetti le vostre capacità professionali.

Diagnosticare lo stile del capo Il primo punto è effettuare una diagnosi sullo stile lavorativo del vostro nuovo capo e capire quanto combacia con il vostro. Se gli lasciate messaggi sulla casella vocale in merito a un problema urgente e lui non vi risponde, ma poi vi rimprovera per non avergliene accennato, prendete un appunto: il vostro capo non utilizza la casella vocale! Qual è lo stile di comunicazione che preferisce il vostro capo? Con quale frequenza comunica? In quali tipologie di decisione vuole essere coinvolto e quando invece potete decidere per vostro conto? Arriva in ufficio presto e lavora fino a tardi? Si aspetta che i collaboratori facciano la stessa cosa? Identificate le modalità specifiche in cui si differenziano i vostri stili lavorativi e cercate di capire ciò che implicano queste differenze sulle vostre interazioni future. Supponete di preferire l’apprendimento attraverso la conversazione con persone esperte e competenti, mentre il vostro capo si affida prevalentemente alla lettura e all’analisi dei dati quantitativi. Quali equivoci e problemi potrebbe causare questa divergenza di stile e come potete evitarli? Supponete invece che il vostro nuovo capo tenda a 92

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intromettersi nei dettagli della vostra attività, mentre voi preferite un’ampia indipendenza. Che cosa potete porre in atto per ricomporre questa discordanza? Potreste provare a parlare con altre persone che abbiano lavorato in precedenza con il vostro superiore. Ovviamente dovete farlo con le dovute cautele. State attenti a non dare l’impressione di voler sollevare critiche sul suo modo di operare; attenetevi ad argomenti che siano il meno soggettivi possibile, come per esempio lo stile con cui il capo preferisce comunicare. Ascoltate le opinioni altrui, ma fondate la vostra strategia in divenire principalmente sull’esperienza diretta. Osservate inoltre le modalità con cui il capo interagisce con gli altri. Esiste congruenza? Se non c’è, quali potrebbero esserne le ragioni? Il capo ha alcuni beniamini? È particolarmente incline a occuparsi direttamente di certe problematiche? Se l’è presa con qualcuno in particolare a causa di una performance ritenuta inaccettabile?

Valutare le dimensioni del proprio spazio decisionale Il vostro capo avrà una “zona di comfort” per quanto riguarda il suo coinvolgimento nel processo decisionale: tenetela presente per stabilire i confini dello spazio di decisione in cui andrete a operare. Quali tipi di scelte dovreste compiere autonomamente, ma riferendone al capo? Siete liberi, per esempio, di prendere decisioni importanti sul personale? Quando dovete consultare il capo prima di decidere? Forse quando le vostre azioni interferiscono con aspetti più generali di politica aziendale, come avviene per esempio nella concessione di permessi? O quando ai progetti su cui state lavorando si associano temi politici scottanti? E in quali casi il capo vuole decidere personalmente? Nella fase iniziale, limitatevi dunque a uno spazio decisionale dai confini relativamente ristretti. A mano a mano che il nuovo capo acquisirà fiducia in voi, l’estensione di tali confini dovrebbe aumentare. Se ciò non avviene, o se il vostro spazio decisionale resta troppo ristretto per consentirvi un’adeguata efficacia operativa, dovreste affrontare apertamente la questione.

Adattarsi allo stile del capo Assumete come certo il fatto che l’onere di costruire una relazione positiva con il nuovo capo gravi interamente su voi. In poche parole, ciò significa che dovete adattarvi al suo stile. Se il capo odia la casella vocale, non usatela. Se vuole sapere nei minimi dettagli ciò che sta accadendo, “abbondate” in comunicazione. Non fate nulla che potrebbe compromettere la vostra capacità di raggiungere risultati economico - finanziari di livello superiore, cercate attivamente tutte le soluzioni per far funzionare senza intoppi i meccanismi quotidiani della vostra relazione. Altre persone che hanno già lavorato con il vostro capo potranno dirvi quali sono gli approcci che hanno funzionato per loro. Poi sperimentate con cautela le tattiche che 93

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appaiono più promettenti nel vostro caso. Nel dubbio, chiedete direttamente al capo come preferise che procediate.

Affrontare i problemi difficili Quando insorgono significative differenze di stile operativo, la cosa migliore è affrontarle direttamente. Altrimenti, correrete il rischio che il capo interpreti una differenza di stile come mancanza di rispetto, o addirittura come incompetenza da parte vostra. Sollevate la questione dello stile prima che diventi una fonte di irritazione e discutete con il vostro capo su come avvicinare i vostri rispettivi stili. Questa conversazione potrebbe appianare per entrambi la strada che porta al conseguimento degli obiettivi. La strategia efficace consiste nel focalizzare le conversazioni iniziali sugli obiettivi e sui risultati, anziché sul modo in cui perseguirne il raggiungimento. Potreste dire semplicemente che vi aspettate di rilevare alcune differenze nei rispettivi approcci a determinati problemi o decisioni, ma che siete totalmente impegnati a raggiungere i risultati che avete concordato insieme. Un’affermazione di questo genere prepara il capo ad aspettarsi una certa diversità nel modo di operare. Dovreste invitarlo periodicamente a concentrarsi sui risultati che state perseguendo e non sui metodi che impiegate per conseguirli. Potrebbe valere anche la pena di discutere cautamente i problemi di stile con una persona della quale il vostro capo si fida ciecamente, che potrebbe fornirvi preziose indicazioni sulle possibili questioni e sulle soluzioni realizzabili, prima che vi decidiate ad affrontarle direttamente con il vostro superiore. Se trovate il consigliere giusto, quest’ultimo potrebbe addirittura aiutarvi a trattare un tema delicato in maniera non dannosa per voi. Non commettete l’errore di cercare di discutere tutti i problemi legati allo stile operativo durante un’unica conversazione. Ciò premesso, un dialogo esplicitamente dedicato allo stile è un punto di partenza eccellente. A mano a mano che la vostra relazione evolverà, predisponetevi a proseguire nello studiare lo stile del vostro capo e ad adattarvi a esso.

PIANIFICARE LA CONVERSAZIONE SULLE RISORSE La conversazione sulle risorse rappresenta un negoziato continuativo con il vostro nuovo capo per l’accesso a risorse critiche. Prima di avviare questa conversazione, dovreste pervenire a un’intesa comune sulla situazione di business in cui vi trovate, sugli obiettivi e sulle aspettative e sugli stili operativi reciprocamente efficaci. È a questo punto che dovete procurarvi le risorse di cui avete bisogno per soddisfare le aspettative. Le risorse di cui necessitate dipenderanno dalla situazione e differiranno a seconda del momento.

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In una situazione di start-up, i vostri bisogni più urgenti dovrebbero riguardare una dotazione finanziaria adeguata, un buon supporto tecnico e collaboratori in possesso di un appropriata expertise. In una situazione di turnaround, vi occorre l’autorità, sorretta da un adeguato supporto politico, per prendere le difficili decisioni del caso e ottenere le risorse finanziarie e umane, in questo caso spesso particolarmente scarse. In una situazione di riallineamento, vi occorre un costante supporto pubblico per indurre la struttura a recepire l’esigenza del cambiamento. Idealmente, il vostro capo vi affiancherà da vicino, aiutandovi a spezzare il muro di negazione e di autocompiacimento probabilmente presente. In una situazione di sostegno al successo, vi occorrono risorse teniche e finanziarie per sostenere il core business e per sfruttare nuove opportunità promettenti. Vi occorrono anche input periodici per fissare obiettivi vincolanti che vi impediscano di scivolare nell’autocompiacimento per i successi conseguiti. Il primo passo è stabilire di quali risorse, tangibili e intangibili, dovete disporre per avere successo. Identificate quelle di cui già disponete, come collaboratori esperti o nuovi prodotti pronti per il lancio. Poi identificate quelle da ottenere con l’aiuto del capo. Domandatevi: “Di che cosa, esattamente, ho bisogno da parte del mio capo?”. Prima riuscirete a definire con precisione le risorse che occorrono, prima potrete avanzare queste richieste durante le vostre conversazioni con il capo. È meglio avanzare il maggior numero possibile di richieste nel minor tempo possibile. Cercate di utilizzare un approccio “a menu”, con l’indicazione dei costi e dei benefici dei diversi livelli di dotazione di risorse. “Se si vuole che l’anno prossimo le mie vendite crescano del 7%, mi serve un investimento di X euro. Se ci si attende una crescita del 10%, mi serviranno Y euro”. Tornare a battere cassa ogni due per tre è un modo sicuro per perdere credibilità. Prendetevi del tempo in più, se vi è proprio necessario, per avere un’idea precisa delle risorse che vi occorrono per realizzare determinati obiettivi. Michael Chen ha negoziato il tempo necessario - una risorsa critica - proprio per evitare questo problema.

Rispettare le regole o modificarle? Potrete realizzare i vostri obiettivi attenendovi alle regole prevalenti. Se riuscirete a muovervi nei limiti delle norme politiche e culturali accettate, le vostre richieste di risorse saranno in qualche modo attese e avrete meno difficoltà a ottenere ciò che vi occorre. In altre situazioni - soprattutto i riallineamenti e i turnaround - dovrete modificare, o addirittura abbandonare, le logiche operative consolidate. Le vostre richieste di risorse saranno probabilmente più consistenti e il mancato ottenimento di esse sarà più dannoso. Dovrete negoziare più duramente per ottenere ciò che vi occorre. Queste circostanze impongono la massima 95

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chiarezza di idee su come allineare la situazione, le aspettative e le risorse per avere ragionevoli probabilità di successo. Identificate con precisione i vostri bisogni prima di avviare discussioni su questi temi, supportate le vostre richieste con la maggior quantità possibile di dati numerici e preparatevi a spiegare esattamente perché considerate essenziali determinate risorse. Poi, “tenete duro”: reiterate con costanza le vostre richieste; “arruolate” altri paladini della vostra causa; cercate alleati dentro e fuori la vostra organizzazione. È preferibile insistere troppo piuttosto che “morire lentamente dissanguati”.

Negoziare le risorse Quando andate a caccia di risorse, tenete presenti i seguenti principi di negoziazione efficace. Concentratevi sugli interessi sottostanti. Scavate il più possibile in profondità per comprendere i veri interessi del vostro capo e di chiunque altro possa o debba fornirvi risorse. Che cos’hanno da guadagnarci? Ricercate scambi reciprocamente vantaggiosi. Procuratevi risorse in grado sia di supportare gli interessi del vostro capo, sia di favorire i vostri. Cercate soluzioni che aiutino i colleghi a portare avanti i loro progetti in cambio del sostegno che vi daranno per i vostri. Collegate le risorse ai risultati. Mettete in luce i benefici in termini di performance che otterrà l’azienda se la vostra unità si vedrà assegnare maggiori risorse. Create un “menu” che elenchi ciò che potete (e non potete) ottenere con le risorse attuali e ciò che potreste realizzare con una maggiore dotazione di risorse.

PIANIFICARE LA CONVERSAZIONE SULLO SVILUPPO PERSONALE Infine quando la relazione con il capo sarà un po più matura iniziate a discutere con lui riguardo a come la permanenza in quella posizione potrà contribuire al vostro sviluppo personale. Quali competenze dovete sviluppare per svolgere meglio il vostro lavoro? Le vostre capacità manageriali presentano limiti che dovreste cercare di superare? Esistono progetti o incarichi speciali in cui potreste farvi coinvolgere (senza perdere concentrazione) e che potrebbero rafforzare le vostre competenze? Ci sono corsi o programmi di formazione che potrebbero migliorare le vostre capacità? È particolarmente importante tenere queste conversazioni in occasione degli snodi critici di carriera. Se siete manager alle prime armi, abituatevi da subito a chiedere al capo un feedback e un contributo allo sviluppo delle vostre capacità di supervisione. La disponibilità ad accettare un feedback sincero sui vostri punti di forza e sui vostri punti deboli e, ancor più, la capacità di applicare concretamente tale feedback, trasmettono un messaggio molto positivo. 96

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Lo stesso fondamentale principio si applica anche se per la prima volta diventate manager di manager, responsabili di funzione, direttori generali o CEO. Tutte le volte che vi trovate ad affrontare uno snodo di carriera in cui il successo presuppone un diverso set di competenze e di atteggiamenti, predisponetevi mentalmente a imparare da chi ha già assunto quel ruolo prima di voi. Non limitate la vostra attenzione alle “competenze hard”. Più salirete nella gerarchia, più importanti diverranno le “competenze soft” di diagnosi culturale e politica, negoziazione, costruzione coalizioni e gestione del conflitto. La formazione d’aula può aiutare, ma gli incarichi formativi sul campo - nei team di progetto, in nuove componenti dell’organizzazione, in altre funzioni, in altre sedi operative - sono indispensabili per affinare queste fondamentali competenze manageriali.

RIUNIRE TUTTI GLI ELEMENTI: IL PIANO D’AZIONE PER I PRIMI 90 GIORNI Quale che sia la situazione nella quale state entrando, può essere utile elaborare un piano d’azione per i primi 90 giorni e farlo approvare dal capo. In genere sarete in grado di sviluppare un piano dopo un paio di settimane nella nuova posizione, quando avrete cominciato a entrare in relazione con la struttura e a capire la situazione. Il vostro piano d’azione per i primi 90 giorni dovrebbe essere scritto, anche se consiste soltanto in un elenco di punti. Dovreste specificare le priorità e gli obiettivi, nonché i traguardi intermedi. Ma soprattutto, dovreste sottoporlo al capo e ottenerne l’approv zione. Dovrebbe diventare una sorta di “contratto” tra voi due su come investirete il vostro tempo e dovrebbe specificare ciò che farete e non farete. Per iniziare a sviluppare il vostro piano, suddividete i primi 90 giorni in tre blocchi da 30. Alla fine di ciascun blocco, tenete una riunione di valutazione con il capo (naturalmente è probabile che le interazioni tra voi siano molto più frequenti). Dovreste normalmente dedicare il primo blocco di giorni all’apprendimento e al la costruzione di una credibilità personale. Come Michael Chen, dovreste negoziare questo apprendimento iniziale e poi cercare di vincolare il capo al rispetto dell’accordo. Dopodiché potete predisporre un’agenda e un piano di apprendimento per voi stessi. Stabilite alcuni obiettivi settimanali e imponetevi una valutazione e una pianificazione con scadenze settimanali. Al termine dei primi 30 giorni, gli output principali saranno una diagnosi della situazione, l’identificazione delle maggiori priorità e un piano su come impiegare i 30 giorni successivi. Questo piano dovrebbe stabilire dove e come inizierete a perseguire alcuni successi iniziali. La riunione di valutazione con il vostro capo dovrebbe concernere principalmente le conversazioni sulla situazione e sulle aspettative, con l’obiettivo di raggiungere un’intesa sulla 97

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natura del contesto, un chiarimento su ciò che si attende e l’approvazione del vostro piano per i 30 giorni successivi. Continuate dunque nella programmazione settimanale di momenti di valutazione e di pianificazione. Alla scadenza dei 60 giorni, la riunione di valutazione dovrebbe focalizzarsi sulla misurazione dei progressi compiuti in direzione degli obiettivi fissati dal vostro piano per i 30 giorni precedenti. Dovreste anche discutere di ciò che intendete realizzare nei 30 giorni successivi (ossia alla scadenza dei 90 giorni). In base alla natura della situazione e al livello che occupate nella gerarchia organizzativa, gli obiettivi di questa fase potrebbero includere l’identificazione delle risorse necessarie a perseguire iniziative importanti, l’approfondimento delle vostre considerazioni iniziali sulla strategia e sulla struttura e la presentazione di una prima valutazione sul vostro team.

SVILUPPARE SE STESSI COME CAPI Infine, non vi limiterete ad avere un nuovo capo; probabilmente sarete anche voi nuovi capi. Quasi certamente avrete nuovi collaboratori. Così come voi dovete sviluppare relazioni produttive con il vostro nuovo capo, pure essi devono riuscire a lavorare efficacemente con voi. In passato, avete sempre aiutato i collaboratori a gestire le loro transizioni? Che cosa potreste fare di diverso questa volta? Riflettete su come applicare tutti i suggerimenti contenuti in questo capitolo alle relazioni operative con i vostri collaboratori diretti. La regola aurea è gestire le transizioni altrui come vorreste che gli altri gestissero la vostra (vedi il box “La regola aurea delle transizioni”). Lo stesso schema delle cinque conversazioni può contribuire a costruire relazioni produttive con le persone che riportano a voi. Presentate loro questo schema e programmate una prima conversazione con ciascun collaboratore per parlare della situazione e delle vostre aspettative. Chiedete loro di effettuare un lavoro preparatorio prima della riunione; per esempio, leggendo il capitolo 3 sull’adattamento della strategia alla situazione. Valutate dunque con quale rapidità potete accelerarne le transizioni. Cercate infine di apprendere anche dai “cattivi capi”, oltre che da quelli “bravi”. Durante qualche fase della vostra carriera incontrerete inevitabilmente un capo mediocre. Sono numerosi i manager che dichiarano candidamente di aver imparato di più dai capi cattivi che non da quelli bravi, poiché i primi li hanno costretti a riflettere sull’impatto negativo che questi personaggi possono avere. Se vi ritrovate a “soffrire” sotto un capo mediocre, prendetevi il tempo per meditare sulle sue pecche e sulle corrispondenti virtù dei bravi capi, e poi applicate queste riflessioni a voi stessi.

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La regola aurea delle transizioni Pensate a come vorreste che i nuovi capi vi aiutassero a transitare nei nuovi ruoli. Idealmente, quali tipi di guida e di supporto vi potrebbero dare? Ora riflettete su come interagite con i vostri nuovi dipendenti di retti. Che tipi di guida e di supporto date a loro? Adesso confrontate queste valutazioni. Gestite le loro transizioni come gestireste la vostra? Se esiste una forte incongruenza tra come vorreste essere trattati se foste nuovi dipendenti diretti e come agite con i nuovi subordinati, allora il problema dipende anche da voi. Aiutare i collaboratori diretti ad accelerare le loro transizioni ha un notevole valore, ben oltre il fatto di dimostrare così di essere un buon manager e di contribuire allo sviluppo dei dipendenti. Più rapidamente i vostri collaboratori diretti diventeranno operativi, più potranno aiutarvi a raggiungere i vostri obiettivi.

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CHECK LIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE 1. Con quale efficacia avete costruito in passato relazioni con i nuovi capi? Che cosa avete fatto bene? In quali aree dovete ancora migliorare? 2. Costruite un piano per la conversazione sulla diagnosi situazionale. In base a ciò che sapete ora, quali problemi solleverete con il vostre capo in questa conversazione? Che cosa volete dirgli chiaramente? In quale ordine volete sollevare i problemi? 3. Costruite un piano per la conversazione sulle aspettative. Come farete a capire ciò che si attende da voi il nuovo capo? 4. Costruite un piano per la conversazione sullo stile. Come farete a capire qual è la modalità d’interazione preferita dal capo? Quali forme di comunicazione (posta elettronica, casella vocale e riunione) preferisce? Con quale frequenza dovreste interagire? Che livello di dettaglio dovreste assicurare? Su quali tipologie di problemi dovreste consultarvi con il capo prima di decidere? 5. Costruite un piano per la conversazione sulle risorse. In funzione ciò che dovete fare, quali risorse sono assolutamente necessarie? Avendo a disposizione meno risorse, a quali dovreste rinunciare? Se aveste più risorse, quali sarebbero i benefici? Preoccupatevi di giustificare adeguatamente le vostre richieste. 6. Costruite un piano per la conversazione sullo sviluppo personale. Quali sono i vostri punti di forza e in quali aree dovreste migliorare? Quali tipi di incarichi e di progetti potrebbero aiutarvi a sviluppare le competenze di cui avete bisogno?

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6. Realizzare l’allineamento

Hannah Jaffey, ex consulente nell’area delle risorse umane, era stata assunta come vicedirettore delle risorse umane in un’azienda di servizi finanziari. L’azienda era lacerata da un conflitto interno così intenso che alcuni senior manager si parlavano a malapena. Il compito di Hannah era supportare il direttore nell’attuazione di alcuni importanti cambiamenti a livello di personale e nel turnaround della situazione. Hannah si rese conto ben presto che occorreva ridisegnare anche la struttura organizzativa e il sistema di incentivazione. Con la crescita dell’azienda, il senior management aveva organizzato i nuovi prodotti in business unit separate. A seguito dei cambiamenti intervenuti recentemente nel mercato, le basi di clientela di diverse business unit erano venute a sovrapporsi, in assenza di un qualsivoglia incentivo che inducesse queste ultime a cooperare. Di conseguenza i dienti erano confusi e si erano creati alcuni conflitti tra le unità per la “titolarità” delle relazioni con i clienti. Convinta che l’azienda avesse bisogno di un riallineamento strutturale, Hannah ne parlò con il suo nuovo capo, il presidente dell’azienda. Gli spiegò la sua diagnosi, ma lui continuò a dichiararsi convinto che si trattava di un problema di personale. Disse ad Hannah che in passato la struttura organizzativa aveva funzionato bene e che mettendo le persone giuste al posto giusto avrebbe ripreso a funzionare. Ma Hannah continuò a insistere nella sua diagnosi. Portò all’attenzione del capo alcune situazioni in cui il cattivo allineamentò dei sistemi di incentivazione suscitava inutilmente il conflitto. Raccolse dati su come si erano organizzate altre aziende per affrontare analoghi problemi. Fu necessario un po’ di tempo, ma alla fine Hannah convinse il presidente che l’azienda aveva bisogno di cambiamenti strutturali, oltre che di un rinnovamento nel personale. L’azienda spostò così il focus dei reparti marketing e vendite dai prodotti ai consumatori e consolidò le operations in un unico gruppo che supportava tutte le business unit. Nel contempo, il presidente assunse un nuovo direttore vendite, Il riallineamento funzionò: un anno dopo l’azienda girava come un orologio, i clienti erano molto più soddisfatti e i profitti erano aumentati del 15%. Più salite nella piramide organizzativa, più venite ad assumere il ruolo di architetti organizzativi, cioè create il contesto in cui gli altri possono realizzare una performance di livello superiore. Per quanto siate carismatici, non potete 101

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sperare di fare molto se gli elementi chiave della vostra unità organizzativa sono sostanzialmente non allineati. In questo caso avrete la spiacevole sensazione di spingere quotidianamente un macigno lungo le pendici in salita di una collina. Se la gestione della strategia, della struttura, dei sistemi e degli skill rientrano nei vostri nuovi compiti, dovete cominciare ad analizzare l’architettura della vostra organizzazione e a valutare il grado di allineamento tra i predetti elementi chiave. Nei primissimi mesi non potete sperare di andare molto oltre una buona diagnosi e un intervento iniziale sui problemi di allineamento. Tuttavia, i programmi per affrontare la struttura organizzativa del vostro gruppo e per cominciare a identificare delle aree di miglioramento dovrebbero essere inclusi nel vostro piano di azione per i primi 90 giorni. Quando avrete in mano i risultati di tale analisi potrete iniziare, già nella fase di transizione, a intraprendere azioni concrete per allineare la strategia, la struttura, gli schemi e gli skill, creando così i presupposti per una performance di livello superiore. Ovviamente non si tratta di un’opera realizzabile interamente nel giro di pochi mesi, ma è fondamentale che vi mettiate subito a lavorare sui disallineamenti più macroscopici. In effetti, potrebbe essere uno dei modi più efficaci per creare valore e raggiungere il punto di pareggio nella vostra nuova organizzazione. Anche se, come Hannah Jaffey, non avete il potere di modificare in modo unilaterale la vostra nuova organizzazione, dovreste leggere comunque questo capitolo. Potreste aver bisogno di convincere persone influenti - il vostro capo o i vostri colleghi - del fatto che alcuni seri disallineamenti costituiscono un ostacolo sostanziale al conseguimento di una performance superiore. Inoltre, una piena comprensione dell’allineamento organizzativo può aiutarvi a costruirvi una credibilità presso il top management e a mostrare il vostro potenziale per posizioni superiori.

PROGETTARE L’ARCHITETTURA ORGANIZZATIVA Consideratevi dunque gli architetti della vostra unità o del vostro gruppo. Potrebbe essere un ruolo con cui avete già familiarità, ma probabilmente non lo è. Pochi manager ricevono una formazione sistematica alla progettazione organizzativa. Poiché solitamente, durante la fase iniziale della carriera, hanno un controllo limitato riguardo a come progettare la struttura di un’azienda, i manager ne sanno poco in proposito. È comune che il personale di livello medio-basso si lamenti dei disallineamenti e si domandi ad alta voce perché “quegli idioti” che stanno ai piani alti mantengano soluzioni ovviamente non funzionali. Quando arriverete ad appartenere al management di livello medio-alto, sarete fatalmente avviati a entrare in quel “gruppo di idioti”. Vi conviene pertanto iniziare sin da ora a imparare qualcosa su come valutare e progettare le organizzazioni.

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Per porre il vostro gruppo in condizione di raggiungere i suoi obiettivi, devono operare insieme cinque elementi dell’architettura i organizzativa. Strategia: l’approccio fondamentale che utilizzerà l’organizzazione per realizzare i suoi obiettivi. Struttura: i criteri di distribuzione del personale nelle diverse unità e il modo in cui viene coordinato il loro lavoro. Sistemi: i processi utilizzati per creare valore aggiunto. Skill: le competenze dei vari gruppi professionali che operano all’interno dell’organizzazione. Cultura: i valori, le norme e gli assunti che influenzano il comportamento. Ovviamente vi occorre una strategia focalizzata per procedere efficacemente. Ma i disallineamenti tra due o più di questi cinque elementi possono vanificare anche la migliore strategia del mondo. Il primo elemento dell’architettura organizzativa guida infatti gli altri elementi e viene a sua volta influenzato da essi. Per esempio, se deciderete di modificare la strategia del vostro gruppo, dovrete probabilmente apportare cambiamenti alla struttura, ai sistemi e agli skill per supportare il nuovo piano. Come è possibile vedere nellafigura 6.1, il chiarimento della vostra strategia e l’allineamento degli altri elementi di supporto devono andare a braccetto.

Figura 6.1 Gli elementi dell’architettura organizzativa È un adattamento del notissimo schema “delle 7 S” utilizzato dalla McKinsey per l’analisi organizzativa. 103

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IDENTIFICARE I DISALLINEAMENTI Le organizzazioni possono arrivare al disallineamento in tanti modi. Il vostro obiettivo, nei primi 90 giorni del nuovo incarico, dovrebbe essere quello di identificare i potenziali disallineamenti, per poi sviluppare un piano finalizzato a correggerli. Tra i più comuni vi sono i seguenti. Disallineamento tra skill e strategia. Supponete di essere a capo di un’unità di ricerca e sviluppo e di avere come obiettivo l’incremento del numero di nuove idee riguardo al prodotto generate dal team; tuttavia, il vostro gruppo non conosce le ultime tecniche e gli strumenti di supporto più avanzati, che vi permetterebbero di effettuare più esperimenti in tempi più brevi. In questo caso, le competenze del vostro gruppo non supportano la strategia. Disallineamento tra sistemi e strategia. Immaginate di essere a capo di un team di marketing la cui strategia consiste nel focalizzarsi su un nuovo segmento di clientela. Se il team non si avvale di un sistema consolidato ed efficace per organizzare e analizzare le informazioni relative a quei dienti, non potrà supportare la strategia. Disallineamento tra struttura e sistemi. Ipotizzate di essere a capo di un gruppo di sviluppo dei prodotti i cui membri sono suddivisi per linea di prodotto. La logica di questa struttura consiste nell’applicazione di un expertise tecnico specialistico su prodotti specifici. Ma esiste un rovescio della medaglia: il gruppo non dispone di sistemi efficienti per integrare l’expertise dei diversi team di prodotto. Il conseguente disallineamento tra struttura e sistemi impedirà all’intero gruppo di fornire una performance ottimale.

EVITARE ALCUNE TRAPPOLE COMUNI Troppi manager si affidano a interventi semplicistici per tentare di risolvere complicati problemi di allineamento. Evitate di cadere in trappole molto comuni, come quelle elencate qui a seguire. Puntare sulla ristrutturazione per uscire da problemi più profondi. Ristrutturare il vostro gruppo nei momenti di difficoltà può rivelarsi un esercizio inutile e controproducente, come tentare di raddrizzare le sdraio sul ponte del Titanic... Evitate di farlo fino a quando non capirete se la ristrutturazione va effettivamente ad attaccare le cause profonde dei problemi. Diversamente, rischiate di produrre nuovi disallineamenti e di dover fare marcia indietro, creando attriti nel gruppo, abbassando la produttività e danneggiando la vostra credibilità.

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Creare strutture eccessivamente complesse. È una trappola strettamente correlata alla precedente. Benché sulla carta possa apparire razionale creare una struttura, come quella a matrice, in cui i membri di diverse unità condividono la medesima responsabilità e in cui le “tensioni creative” vengono gestite attraverso le loro interazioni, il risultato si risolve troppo spesso in una paralisi burocratica. Cercate, dove è possibile, di stabilire direzioni di responsabilità estremamente chiare. Semplificate il più possibile la struttura senza compromettere gli obiettivi fondamentali. Automatizzare i processi problematici. L’automazione dei processi operativi del vostro team può produrre significativi miglioramenti in termini di produttività, qualità e affidabilità; ciò nonostante, è un errore accelerare un processo consolidato attraverso la tecnologia se dietro a esso sussistono seri problemi. L’automazione non li risolverà, anzi potrebbe addirittura amplificarli. Analizzate e razionalizzate i processi e quindi decidete se l’automazione ha ancora senso. Introdurre mutamenti per il gusto del cambiamento. Resistete alla tentazione di abbattere gli steccati prima di capire perché li hanno alzati. I nuovi leader che si sentono in obbligo di improntare di sé l’organizzazione introducono spesso cambiamenti nella strategia o nella struttura prima di aver capito a fondo il business. Anche in questo caso, l”imperativo dell’azione” di cui abbiamo parlato nel capitolo 2 rappresenta una ricetta sicura per il disastro. Sopravvalutare la capacità del vostro gruppo di assorbire i cambiamenti strategici. È facile concepire a livello teorico una nuova e ambiziosa strategia; in pratica, però, un gruppo fatica sempre ad adattarsi a cambiamenti strategici su vasta scala. Procedete in modo incrementale, se il tempo ve lo consente. Concentratevi su due o tre priorità assolute. Apportate modesti cambiamenti alla strategia del vostro team, sperimentateli e poi affinate progressivamente la struttura, i processi, le competenze e la cultura.

PARTIRE Allineare un’organizzazione è come prepararsi per un lungo viaggio via mare. Come primo passo, scegliete la destinazione (la missione e gli obiettivi) e la rotta da seguire (la strategia). In seguito decidete quale tipo di imbarcazione vi occorre (la struttura), come attrezzarla (i sistemi) e la composizione dell’equipaggio (gli skill). Per tutta la durata del viaggio scruterete il mare, per non incappare in scogli che affiorano all’improvviso e secche non segnalate. Questa metafora vuole ricordarvi che esiste una logica nell’allineamento organizzativo. Modificare la struttura prima di aver compreso la strategia non è quasi mai produttivo. Per giunta, non potete valutare 105

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l’adeguatezza professionale dell’equipaggio in essere fino a quando non avete le idee chiare sulla destinazione, la rotta e la barca. 1. Partite dalla strategia. Cominciate analizzando il posizionamento della vostra unità rispetto agli obiettivi più ampi dell’organizzazione nel suo complesso e alle vostre maggiori priorità. Assicuratevi che la vostra strategia sia ben studiata e logicamente integrata. 2. Esaminate la struttura di supporto, i sistemi e gli skill. Adesso cercate di capire se la struttura di supporto, i sistemi e gli skill del vo stro gruppo sono in linea con i cambiamenti che intendete ap portare alla strategia. Studiate approfonditamente queste com petenze. Se una o più di esse appaiono non in sintonia con la strategia che avete progettato, pensate a come adattare quest’ultima e costruire (o acquisire dall’esterno) le capacità che vi occorrono. 3. Stabilite come e quando introdurrete la nuova strategia. Una volta in possesso di una conoscenza più approfondita delle capacità attuali del vostro gruppo, definite un percorso per la modifica della strategia (se si tratta di una variazione veramente necessaria). Abbozzate i cambiamenti sia nel posizionamento sia nelle capacità di supporto. Poi fissate tempi realistici per l’attuazione di tali mutamenti. 4. Ridisegnate contestualmente struttura, sistemi e skill. Non ha senso riprogettare la struttura del vostro gruppo se prima non avete stabilito le implicazioni di questo ridisegno per i sistemi e le competenze di supporto del vostro gruppo. Respingete la tentazione di agire isolatamente sulla struttura e sui sistemi, che sono strettamente collegati. 5. Chiudete il cerchio. A mano a mano che familiarizzate con la struttura, i sistemi e gli skill del vostro gruppo, ne comprendete meglio le capacità e la sensibilità culturale al cambiamento. Queste informazioni vi aiuteranno a capire meglio quali mutamenti si possono attuare nel posizionamento strategico e i tempi necessari.

DISEGNARE LA STRATEGIA Una strategia logica e ben concepita consentirà al vostro team di conseguire i suoi obiettivi e di contribuire al vantaggio competitivo dell’organizzazione nel suo complesso. La strategia definisce ciò che la vostra organizzazione realizzerà, e soprattutto ciò che non farà. Gli interrogativi strategici fondamentali riguardano i clienti, il capitale, le capacità e gli impegni organizzativi. Utilizzate questo elenco per abbozzare rapidamente la strategia della vostra unità. Clienti. Quale fascia di clientela continueremo a servire? Da quali mercati usciremo? In quali nuovi mercati intendiamo entrare e quando abbiamo in programma di farlo? 106

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Capitale. Tra i business in cui continueremo a operare, su quali investiremo e da quali attingeremo cassa? Quali capitali extra ci occorreranno, e quando? Capacità. In quali ambiti siamo bravi e in quali no? Quali capacità organizzative in essere (per esempio, uno sviluppo prodotti di prim’ordine) possiamo sfruttare? Quali dobbiamo sviluppare? Quali dobbiamo costruire da zero o acquisire? Impegni organizzativi. Quali decisioni dobbiamo prendere in merito all’allocazione di risorse critiche? Quando? Quali impegni pregressi dobbiamo mantenere o cercare di abbandonare? Una discussione approfondita sul tema della strategia aziendale esula dagli scopi di questo libro, ma esistono testi eccellenti che possono aiutarvi a rispondere a queste domande (vi rimando alle “Letture consigliate”). Qui ci preoccupiamo di valutare la strategia in base alla coerenza, all’adeguatezza e all’implementazione.

Valutare la coerenza Esiste una logica dietro la scelta dei segmenti di mercato, i prodotti, le tecnologie, i piani e gli obiettivi che caratterizzano la strategia? La valutazione del grado di coerenza tra gli elementi di una strategia presuppone l’identificazione della logica sottostante, per avere la certezza che tutto sia valido e realizzabile. Coloro che hanno sviluppato la strategia ne hanno studiato tutte le ramificazioni e tutti gli aspetti pratici della sua implementazione? In che modo si valuta la logica di una strategia? Partite dall’analisi dei documenti che descrivono quella del vostro gruppo, come i piani strategici e i mission statement. Poi scomponete la strategia nei suoi elementi costitutivi: mercati, prodotti, tecnologie, piani funzionali e obiettivi. Domandatevi: le varie dimensioni si supportano a vicenda? Esiste un filo logico che collega le diverse parti? Per essere più precisi, c’è una connessione evidente tra l’analisi del mercato e gli obiettivi del gruppo? Il budget per lo sviluppo dei prodotti è in linea con gli investimenti di capitale previsti nelle operations? Sono previsti piani per la formazione dei venditori sui nuovi prodotti in fase di sviluppo? Se la strategia nel suo complesso è sensata, vedrete agevolmente tali connessioni.

Valutare l’adeguatezza La strategia è sufficiente per quello che dovrà realizzare il gruppo nei prossimi due o tre anni? Aiuterà il vostro team a supportare gli obiettivi complessivi dell’organizzazione? Può darsi che la strategia del vostro gruppo sia ben studiata e logicamente integrata, ma è anche adeguata? In altre parole, porrà il gruppo in condizione di realizzare ciò che deve per avere successo e di aiutare l’intera organizzazione a ottenerlo, nei prossimi due o tre anni? 107

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Per valutare l’adeguatezza, basatevi su tre approcci. 1. Ponete alcune domande investigative. Il vostro capo è convinto che la strategia fornisca un ritorno sufficiente sullo sforzo messo in atto dal vostro gruppo per implementarla? Esistono piani per ottenere, sviluppare e preservare le risorse con le quali attuare la strategia? I target di profitto e gli altri obieffivi sono abbastanza elevati da tenere il gruppo sui binari giusti? Sono stati accantonati fondi sufficienti per gli investimenti di capitale? E per la ricerca? 2. Utilizzate il noto metodo SWOT ossia analizzate i punti diforza, i punti deboli, le opportunità e le minacce relativi alla strategia. A seguire, alcuni esempi. - Punto di forza di una strategia: flessibilità nello sviluppo e nel lancio dei nuovi prodotti, a fronte di rapidi cambiamenti che intervengono nelle preferenze dei clienti. - Punto debole di una strategia: eccessivo affidamento su pochi prodotti che stanno invecchiando. - Opportunità connessa a una strategia: accessibilità a un nuovo mercato, che il vostro gruppo potrebbe servire tramite l’estensione di un brand preesistente. - Minaccia connessa a una strategia: possibile attacco di un concorrente a un mercato fondamentale, grazie a una nuova tecnologia di qualità superiore. 3. Studiate la storia del processo di creazione della strategia. Scoprite chi ha guidato lo sviluppo della strategia. Ha affrettato il processo? L’ha prolungato eccessivamente? Nel primo caso, potrebbe non averne esaminato tutte le ramificazioni. Nel secondo, la strategia potrebbe rappresentare un compromesso basato sul minimo comune denominatore, frutto di un’aspra contesa politica. Ogni minimo errore commesso durante la fase di sviluppo rischia di pregiudicare l’adeguatezza della strategia stessa.

Valutare l’implementazione La strategia è stata implementata in maniera energica? Se la risposta è negativa, perché ciò non è avvenuto? Riflettete poi su come viene implementata la strategia del vostro gruppo: su ciò che fanno le persone, non su ciò che dicono. Questo approccio vi aiuterà a capire se i problemi derivano da inadeguatezze nella formulazione o nell’implementazione della strategia. Ponetevi le seguenti domande. I parametri di misurazione della performance specificati nella strategia vengono usati per prendere le decisioni quotidiane? Gli aspetti della performance realmente utilizzati dai manager sono coerenti con l’enfasi posta sulla strategia? Quali obiettivi pare perseguire l’organizzazione? 108

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Se la strategia richiede il lavoro in team e l’integrazione interfunzionale, le persone lavorano in una logica di squadra e collaborano con le altre funzioni? Se la strategia richiede nuove competenze da parte dei dipendenti, esiste un’infrastruttura di formazione e sviluppo in cui promuovere questi skill? Le risposte che darete a queste domande vi diranno se promuovere cambiamenti nella strategia ufficiale del vostro gruppo o nel modo in cui essa viene implementata.

MODIFICARE LA STRATEGIA Supponete di aver rilevato seri difetti nella strategia che avete ereditato. Siete in grado di modificarla radicalmente o di cambiarne il modo in cui viene implementata? Ciò dipende da due fattori: la situazione STARS che avete di fronte la vostra capacità di convincere gli altri e di ottenere appoggio per le vostre idee. Proporre cambiamenti significativi alla strategia è particolarmente difficile nei riallineamenti. In questo caso dovete convincere persone che ritengono che la loro unità o il team stia già operando bene utilizzando gli approcci in essere. Se pensate che la strategia abbia condotto il gruppo sulla strada sbagliata, dovrete anzitutto sollevare alcuni interrogativi che persuadano il vostro capo e altri soggetti influenti a riesaminare la strategia. Potete porre domande simili a quelle qui elencate. Se dovessimo realizzare questo piano, quali potrebbero essere alcuni risultati inattesi? Mi sembra che questo piano sia finalizzato a servire un mercato più ampio. È esattamente quello che vogliamo? Questo piano è “aggressivo”. Quali altri obiettivi dovremo sacrificare per realizzarlo? Se giungete alla conclusione che la strategia in essere sia adeguata per il gruppo, ma non abbastanza rapida né sufficientemente ambiziosa, la soluzione più saggia potrebbe essere quella di apportarvi immediatamente alcune piccole modifiche, pianificando cambiamenti più sostanziali per un momento successivo. Per esempio, potreste alzare leggermente i target dei ricavi o raccomandare l’investimento anticipato in una determinata tecnologia. Prima di effettuare cambiamenti radicali, dovreste capire più a fondo la realtà e ottenere l’appoggio di persone chiave dell’organizzazione.

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DISEGNARE LA STRUTTURA DEL VOSTRO GRUPPO Una volta chiarito quali sono i cambiamenti da apportare nella strategia del vostro gruppo, potrete affrontare cambiamenti strutturali a supporto della strategia desiderata. In che cosa consiste esattamente la struttura? Semplificando al massimo, quella del vostro gruppo è il modo in cui si organizzano persone e tecnologie per supportare la strategia stessa. La struttura è caratterizzata da questi aspetti. Unità: i criteri in base ai quali vengono raggruppati i vostri collaboratori diretti, come la funzione, il prodotto o l’area geografica. Potere decisionale: i criteri di attribuzione delle responsabilità decisionali. Misurazione della performance e sistemi premianti: i parametri di valutazione della performance e i criteri di incentivazione in essere. Relazioni tramite le quali vengono riportate le informazioni e meccanismi di condivisione di queste ultime: i criteri di osservazione, di controllo sulle modalità di svolgimento del lavoro e i modi tramite i quali si mettono in comune le informazioni e si prendono decisioni di alto livello.

Valutare la struttura Prima di cominciare a elaborare idee per ridisegnare la struttura del vostro gruppo, analizzate le modalità d’interazione dei quattro elementi strutturali. Essa avviene in modo armonico o disorganico? Ponetevi queste domande. Le modalità con le quali vengono suddivisi e raggruppati i componenti del team ci aiutano a conseguire i nostri obiettivi strategici? Abbiamo messo le persone giuste nel posto giusto per perseguire i nostri obiettivi principali? La nostra struttura decisionale ci consente di effettuare efficientemente le scelte più valide? Misuriamo e premiamo le realizzazioni che contano di più nostri fini strategici? Le modalità e le relazioni con cui si riporta all’interno dell’organizzazione promuovono la condivisione delle informazioni al momento giusto e il monitoraggio dell’attività in modo funzionale alla nostra strategia? Se vi trovate a operare in una situazione di start-up - e quilndi state costituendo un nuovo gruppo - non avrete strutture preesistenti da valutare. Riflettete dunque su come vorreste che i diversi elementi strutturali operassero nel vostro gruppo.

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Gestire i trade off L’organizzazione perfetta non esiste; qualunque organizzazione implica alcuni trade off (ossia situazioni nelle quali guadagni relativi a un obiettivo comportano perdite per un altro, poiché entrambi sono desiderabili ma in conflitto tra loro, N.d.R.). Il vostro compito consiste dunque nel trovare l’equilibrio giusto per la vostra situazione. Nel considerare eventuali cambiamenti all’interno della struttura del vostro gruppo, tenete presente alcuni comuni problemi che potrebbero insorgere. La base di conoscenze del team è troppo ristretta o ampia. Quando si raggruppano persone con esperienza e capacità simili, costoro possono accumulare un expertise notevole. Tuttavia, se la loro base di conoscenze diventa troppo ristretta e specialistica, ne possono derivare isolamento e compartimentazione. Viceversa, gruppi caratterizzati da un ampio mix di competenze potrebbero integrare meglio le loro conoscenze, ma a detrimento di un expertise più approfondito. Lo spazio decisionale dei collaboratori è troppo limitato o ampio. Una buona regola generale afferma che le decisioni dovrebbero essere prese da coloro che hanno le maggiori conoscenze specifiche, sempre che l’interesse li spinga ad agire in vista di ciò che è meglio per l’organizzazione. Se il processo decisionale del vostro gruppo è centralizzato, voi (e probabilmente molti altri) potete decidere velocemente, ma nello stesso tempo ognuno rischia di perdere il punto di vista di altri, a volte meglio attrezzati per fare alcune di quelle scelte. Questo tipo di struttura può generare decisioni poco informate e sottoporre a una pressione eccessiva coloro che effettuano tali scelte. Se, d’altra parte, i collaboratori hanno un ampio spazio decisionale ma non comprendono le implicazioni più vaste delle loro deliberazioni, rischiano di prendere decisioni non adeguate. I dipendenti sono ricompensati in modo inappropriato. I manager efficaci allineano gli interessi di ciascun decision maker a quelli del gruppo nella sua totalità. Ecco perché, in alcune organizzazioni, gli incentivi di squadra funzionano bene: focalizzano l’attenzione di tutti sulla capacità del gruppo di lavorare sinergicamente. I problemi insorgono quando i sistemi di misurazione e di incentivazione non premiano i dipendenti per i loro sforzi individuali o collettivi. Difficoltà emergono anche quando gli incentivi promuovono gli interessi individuali dei dipendenti a spese degli obiettivi più ampi del gruppo; è ciò che accade quando più dipendenti che potrebbero servire lo stesso set di clienti non hanno incentivi che li stimolano a cooperare. Questo problema è quello che ha dovuto fronteggiare Hannah Jaffey nel caso citato all’inizio del presente capitolo. Le modalità e le relazioni con cui si riporta all’interno dell’organizzazione creano compartimentazione o deresponsabilizzano. 111

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I meccanismi di report vi aiutano a osservare e a controllare i meccanismi di funzionamento del vostro gruppo, a chiarire i rispettivi compiti e a promuovere la responsabilizzazione. I riporti gerarchici facilitano questi compiti, ma possono determinare una compartimentazione e un’inadeguata condivisione delle informazioni. Soluzioni più complesse, come le strutture a matrice, ampliano la condivisione delle informazioni e riducono la compartimentazione, tuttavia rischiano di deresponsabilizzare le persone.

ALLINEARE I SISTEMI PRINCIPALI I sistemi (denominati anche “processi”) permettono al gruppo di trasformare informazioni, materiali e conoscenze in valore sotto forma di prodotti o servizi commercialmente validi, di nuove conoscenze o nuove idee, di relazioni produttive o di qualunque altra cosa che l’organizzazione nel suo complesso consideri essenziale. Chiedetevi anche qui, come avete fatto per la struttura, se i processi attualmente in essere supportano effettivamente la strategia. In altre parole, tali processi consentiranno al vostro gruppo di raggiungere, o addirittura di superare, gli obiettivi definiti nella strategia? Tenete presente che l’articolazione e le tipologie dei processi di cui necessitate dipendono dal vostro obiettivo principale: guidare un’esecuzione efficace o stimolare l’innovazione. Non potete sperare di ottenere livelli elevati di qualità e di affidabilità (e costi bassi) senza un’intensa focalizzazione sullo sviluppo di processi che specifichino nei dettagli sia i mezzi sia i fini (ossia metodi, tecniche e strumenti). Esempi di questo principio possono essere le industrie manifatturiere e le organizzazioni che erogano servizi. Però questi stessi processi possono ostacolare l’innovazione: dunque, se il vostro obiettivo è stimolare l’innovazione, dovete sviluppare processi focalizzati più sulla definizione dei fini e sulla rigorosa verifica dei progressi compiuti in direzione del loro raggiungimento passando attraverso traguardi intermedi prestabiliti, che non sui mezzi di controllo.

Effettuare l’analisi del processo Una società di carte di credito intenzionata a identificare i propri processi fondamentali è giunta ai risultati sintetizzati nella tabella 6.1.

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Successivamente ha analizzato e migliorato ognuno di questi processi sviluppando schemi di misurazione appropriati e modificando i sistemi di incentivazione per allineare meglio i comportamenti. Si è concentrata anche sull’identificazione dei principali colli di bottiglia che creavano ostruzioni e dunque rallentamenti. Per alcuni compiti critici che sono risultati non sufficientemente sotto controllo, la società ha aggiornato le procedure e introdotto nuovi strumenti di supporto. Il risultato di questa operazione è stato un sostanziale incremento nella soddisfazione dei clienti e nella produttività dell’organizzazione. La vostra unità o vostro gruppo potrebbe avere lo stesso numero di processi dell’esempio citato. Il primo passo da effettuare è identificare tali processi e quindi stabilire quali di essi siano i più importanti per la vostra strategia. Queste attività fondamentali rappresentano i vostri processi essenziali. Supponete per esempio che la strategia del vostro gruppo anteponga la customer satisfaction allo sviluppo dei prodotti: per questo motivo vorrete far sì che tutti i processi coinvolti nella consegna di prodotti o nell’erogazione dei servizi ai clienti supportino il vostro obiettivo primario.

Allineare i sistemi alla struttura Se i processi essenziali del vostro gruppo devono supportarne la strategia, dovranno allinearsi anche alla struttura (il modo in cui sono organizzate le 113

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persone e il lavoro) dell’unità. Possiamo con frontare questa relazione con il funzionamento del corpo umano. La nostra struttura anatomica (scheletro, muscolatura, pelle e tutti gli altri componenti) è il fondamento delle funzioni normali del corpo. La fisiologia (circolazione, respirazione, digestione eccetera) è l’insieme dei sistemi che consentono alle diverse parti del corpo di lavorare insieme. Nelle organizzazioni, come nel corpo umano, sia la struttura sia i processi devono essere in salute e in grado di rinforzarsi a vicenda. Per valutare l’efficienza e l’efficacia di ciascun processo essenziale, dovrete esaminare quattro aspetti. Produttività. Il processo trasforma efficientemente conoscenze, materiali e manodopera in valore? Tempestività. Il processo produce il valore desiderato in maniera tempestiva? Affidabilità. Il processo è sufficientemente affidabile o si interrompe troppo spesso? Qualità. Il processo genera valore in un modo che soddisfa regolarmente gli standard di qualità richiesti? Quando i sistemi e la struttura sono allineati, si rinforzano reciprocamente e potenziano la strategia. Per esempio, un’organizzazione di customer service strutturata intorno a segmenti specifici di clientela condivide le informazioni trasversalmente ai differenti team e reagisce efficacemente ai problemi che incidono su tutti i gruppi di clienti. Quando i sistemi e la struttura non sono allineati, come avviene quando diversi team competono per lo stesso gruppo di clienti, usando differenti processi di vendita, si ostacolano a vicenda e pregiudicano la strategia del gruppo.

Migliorare i processi cruciali In che modo è possibile migliorare un processo cruciale? Iniziate disegnandone una mappa, ossia un diagramma schematico che visualizzi il flusso dei compiti che caratterizzano un determinato processo, individuando le persone e i gruppi che li gestiscono. La figura 6.2 mostra la mappa semplificata di un processo di evasione degli ordini.

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Chiedete ai responsabili di ogni fase del processo di disegnare il flusso dall’inizio alla fine. Quindi chiedete al team di ricercare eventuali “colli di bottiglia” e “interfacce problematiche” tra i responsabili di compiti contigui. Per esempio, quando un addetto alle relazioni con i clienti comunica al gruppo preposto all’evasione degli ordini la necessità di adottare un trattamento particolare per un determinato ordine, si potrebbero verificare errori o ritardi. È normale che in queste occasioni si creino intoppi per il processo. Lavorate insieme al team per identificare opportunità di miglioramento che abbiano un impatto determinante. L’analisi del processo stimola l’apprendimento collettivo; aiuta l’intero gruppo a capire esattamente ciò che ogni individuo fa, al l’interno delle singole unità o dei singoli gruppi e relativamente alle interazioni che intercorrono tra essi, al fine di eseguire un determinato processo. La creazione di una mappa di processo contribuisce anche a mettere in evidenza la genesi dei problemi. Voi, il vostro capo e il vostro team potrete poi decidere come migliorarlo. Avete di fronte due opzioni: un ridisegno radicale del processo... o un miglioramento incrementale continuo. Un invito alla cautela: probabilmente siete responsabili di più processi e, in questo caso, gestiteli secondo una logica globale. Non cercate di introdurre 115

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cambiamenti radicali in più di due per volta. Il vostro gruppo non sarà in grado di recepire efficacemente un cambiamento più consistente. Come ho già affermato in precedenza, non automatizzate immediatamente i processi che si rivelano problematici: si tratta di una tattica che non risolve quasi mai il vero problema sottostante alle inefficienze del sistema. I problemi che insorgono lungo i processi sono solitamente dovuti a una cattiva comunicazione, ad aspettative confuse e a un equivoco in merito al funzi namento del business. La soluzione dei problemi più profondi produrrà benefici superiori rispetto al semplice ricorso all’automazione.

SVILUPPARE LA BASE DI COMPETENZE DEL VOSTRO GRUPPO I vostri collaboratori diretti possiedono le competenze e le conoscenze di cui abbisognano per attuare alla perfezione i processi cruciali del gruppo e quindi per supportare la strategia che avete identificato? Se non le possiedono, l’intera (e fragile) architettura del vostro team rischia di crollare. Una base di competenze comprende quattro tipi di conoscenze. Expertise individuale: si ottiene attraverso la formazione, l’istruzione scolastica e l’esperienza. Conoscenza relazionale: consente di lavorare bene con gli altri al fine di integrare le conoscenze individuali in modo da conseguire gli obiettivi assegnati. Conoscenza incorporata: comprende le tecnologie fondamentali dalle quali dipendono l’operatività e la performance del vostro gruppo, come i database clienti e le tecnologie di R&S. Metaconoscenza: vi dice dove procurarvi le informazioni critiche; per esempio attraverso referenti esterni come le istituzioni di ricerca e i partner tecnologici.

Identificare i gap e le risorse L’obiettivo primario di valutare le capacità del vostro gruppo si articola nell’identificare 1. i gap critici tra le competenze e le conoscenze in essere e quelle necessarie e 2. le risorse sottoutilizzate, come tecnologie sfruttate solo in parte o un expertise sprecato. La risoluzione dei gap e un impiego più proficuo delle risorse sottoutilizzate possono generare consistenti miglioramenti per la performance e la produttività. Per identificare i gap di competenze e conoscenze analizzate nuovamente, innanzitutto, la vostra strategia e i processi essenziali che avete individuato. 116

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Chiedetevi quale combinazione dei quattro tipi di conoscenze occorre per supportare i processi cruciali del vostro gruppo. Questo esercizio di immaginazione vi aiuterà a determinare il mix ideale di conoscenze. Quindi valutate le competenze, le conoscenze e le tecnologie di cui dispone il vostro gruppo. Quali gap emergono? Quali si possono colmare rapidamente e quali richiederanno più tempo? Per individuare le risorse sottoutilizzate, ricercate, all’interno della vostra unità, persone o gruppi che abbiano dimostrato una performance molto superiore rispetto alla media. Che cosa ha determinato la loro performance di alto livello? Hanno a disposizione risorse (tecnologie, metodi, materiali e l’appoggio di persone chiave) che si possono estendere al resto della vostra unità? Hanno idee promettenti riguardo al prodotto che restano inascoltate per mancanza di interesse o investimenti? Le risorse di produzione esistenti si potrebbero adattare per servire nuove categorie di clienti?

CAPIRE LA CULTURA DEL VOSTRO GRUPPO La cultura avvolge e influeuza gli altri quattro elementi dell’architettura organizzativa, condizionando il pensiero sulla strategia, la struttura, i sistemi e gli skill. I problemi di business più importanti che affronterete avranno probabilmente tutti una dimensione culturale. La cultura della vostra organizzazione consiste nelle norme e nei valori che influenzano il comportamento, gli atteggiamenti e le aspettative dei membri del team. La cultura aziendale indica ai propri membri che cosa fare e non fare. Come abbiamo affermato sopra, gli assunti fondamentali sul funzionamento delle cose sono spesso talmente profondi e radicati che le persone non si rendono neppure conto della loro esistenza. Gli abiti culturali e le norme tendono a rinforzare lo status quo in un modo particolarmente frustrante, indipendentemente dall’effettiva esigenza di cambiamento. Dunque è fondamentale diagnosticare i problemi che affliggono la cultura del vostro gruppo e affrontarli quanto prima. Solo allora quest’ultima potrà supportare pienamente la strategia del team e allinearla agli altri elementi della sua architettura: struttura, sistemi e skill. Per capire a fondo la cultura del vostro gruppo, dovrete scavare sotto gli indicatori di superficie, come gli stili di abbigliamento e le modalità di comunicazione o di interazione, nonché le norme sociali, ossia le regole condivise che guidano il comportamento. Andate alla ricerca degli assunti più profondi che i membri del team danno per scontati. Per un nuovo leader che sta cercando di allineare le diverse dimensioni del suo gruppo con la strategia identificata, gli assunti più rilevanti riguardano i seguenti due aspetti. Potere. Chi, secondo i dipendenti, può legittimamente esercitare l’autorità e prendere decisioni? 117

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Valore. Quali azioni e risultati, a giudizio dei dipendenti, creano valore? Quest’ultimo può assumere svariate forme, per esempio realizzare profitti, soddisfare i clienti, promuovere l’innovazione, creare ambienti lavorativi motivanti e così via. In che modo potete fare emergere gli assunti fondamentali? Per capire quelli relativi al potere, andate a vedere come si prendevano le decisioni in passato. Per esempio, chi si rimetteva a chi? Per comprendere gli assunti sul valore, osservate come trascorrono il tempo le persone e che cosa le stimola di più. Per esempio, i componenti del team sembrano concentrarsi maggiormente sulla costruzione di relazioni reciproche positive e improntate sulla collaborazione? Fanno dell’assistenza ai clienti una priorità? Passano la maggior parte del tempo a cercare di generare nuove e promettenti idee di prodotto? La precisione nell’esecuzione è apprezzata?

Avviare il cambiamento culturale Nei primi 90 giorni non potete sperare di andare al di là di una diagnosi della cultura e di un primo intervento per la modifica di alcuni comportamenti. Vi propongo ora cinque modalità di avvio del cambiamento culturale. Qualunque metodo adottiate, mirate a cambiamenti culturali che siano in linea con la strategia, la struttura, i sistemi e gli skill del vostro gruppo. Modificate gli indicatori di performance e i sistemi di incentivazione. Mutate i parametri in base ai quali giudicate il successo e in seguito allineate gli obiettivi dei dipendenti ai nuovi parametri. Prendete in considerazione, per esempio, l’ipotesi di modificare l’equilibrio tra incentivi individuali e di gruppo. Al fine di conseguire il successo, le persone devono lavorare in stretto coordinamento tra loro, come accade, per esempio, in un team di sviluppo prodotti? Se è così, enfatizzate maggiormente gli incentivi collettivi. I componenti del vostro gruppo operano in maniera indipendente, per esempio all’interno di un’unità di vendita? In tal caso, e se i contributi dei singoli al business si possono misurare, enfatizzate maggiormente gli incentivi individuali. Avviate progetti pilota. Date ai collaboratori la possibilità di sperimentare nuovi strumenti e comportamenti. Costituite, ad esempio, una “task force” per testare un approccio innovativo alla produzione o per affrontare problemi che la riguardano. Coinvolgete persone nuove. Introducete, con criterio, qualche persona dall’esterno al fine di stimolare il pensiero creativo e nuova disciplina tra i componenti del gruppo. Il nuovo soggetto potrebbe essere un esperto in un’area chiave, per esempio lo sviluppo di nuovi prodotti di management della R&S. In alternativa, potreste portare in azienda un consulente di processo, che non ha una profonda conoscenza del business ma si 118

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concentra sulla gestione del dialogo interno al gruppo e appoggia i vostri sforzi per l’implementazione del cambiamento. Promuovete l’apprendimento collettivo. Esponete i membri d gruppo a nuove modalità operative e a logiche innovative di business, per esempio a nuove prospettive riguardo a clienti e concorrenti. Una buona idea è fare benchmarking sulle imprese leader del mercato. Impegnatevi nella costruzione di una visione collettiva. Trovate modo di combinare le persone con modalità creative, affinchè inventino nuovi approcci all’operatività. Programmate, per esempio, meeting residenziali per fare brainstorming sul miglioramento dei processi in essere.

ALLINEARSI Attingete a tutte queste analisi per sviluppare un piano finalizzato all’allineamento della vostra organizzazione. Se i vostri tentativi di indurre i collaboratori ad adottare comportamenti più produttivi vengono regolarmente frustrati, fate un passo indietro e chiedetevi se i problemi in essere possano essere causati dalla presenza di disallineamenti organizzativi.

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CHECKLIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE 1. Quali sono le vostre prime osservazioni sui disallineamenti tra strategia, struttura, sistemi, skill e cultura? Come farete a indagare più in profondità per confermare o affinare le vostre impressioni? 2. Quali decisioni sui clienti, sul capitale, sulle capacità e sugli impegni organizzativi dovete prendere? Come e quando le prenderete? 3. Come valutate la coerenza della strategia della vostra azienda? O la sua adeguatezza? Che cosa pensate della possibilità di modificarla? 4. Quali sono i punti di forza e i punti deboli della struttura della vostra organizzazione? Non pensate di apportarvi alcuni cambiamenti? 5. Quali sono i processi essenziali della vostra organizzazione? Come funzionano? Quali sono le vostre priorità per il miglioramento dei processi? 6. Quali gap nelle competenze e quali risorse sottoutilizzate avete identificato? Quali sono le vostre priorità per il rafforzamento della base di competenze? 7. Quali sono gli elementi funzionali e non funzionali della cultura? Che cosa potete cominciare a fare per trasformarla?

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7. Costruire il proprio team

Quando fu messo a dirigere una divisione “difficile” di un’azienda produttrice di strumentazione scientifica, Liam Geffen era consapevole che un compito arduo lo attendeva. L’entità della sfida divenne più chiara quando lesse le schede di valutazione dei collaboratori per l’anno precedente. Erano tutti “eccellenti” o “inadeguati”; non ce n’era uno che avesse ricevuto una valutazione intermedia. Evidentemente, il suo predecessore faceva delle preferenze. Le conversazioni che ebbe con i suoi nuovi collaboratori diretti confermarono a Liam il sospetto che le valutazioni delle prestazioni individuali fossero “orientate”. In particolare, il capo del marketing sembrava ragionevolmente competente, ma non certo un fenomeno. Purtroppo era molto sicuro di sé. Il responsabile delle vendite appariva a Liam un solido professionista, ma il suo predecessore lo accusava di insensibilità nei confronti dei clienti. I rapporti tra marketing e vendite erano comprensibilmente tesi. Liam si rendeva conto che probabilmente uno dei due, se non anche l’altro, avrebbe dovuto andarsene. Li incontrò separatamente e disse apertamente loro come giudicava le rispettive valutazioni. Poi assegnò a ciascuno un piano di miglioramento dettagliato sviluppato su due mesi. Nel frattempo, insieme al direttore delle risorse umane, avviò con discrezione la ricerca di un nuovo capo del marketing. Liam tenne pure alcune riunioni informali con il management di livello intermedio delle vendite, sia per valutarne la qualità professionale, sia per individuare candidati promettenti alla posizione di direttore vendite. Alla fine del terzo mese, Liam aveva fatto capire chiaramente al capo del marketing che non ce l’avrebbe fatta, ottenendone di lì a poco le dimissioni. La responsabile delle vendite, per contro, si era adeguata alle sue aspettative. Liam le diede nuove opportunità, che indussero un ulteriore miglioramento della performance. Alla fine si fidava talmente di lei da assegnarle la posizione di direttore commerciale, con la responsabilità delle vendite e del marketing insieme. Liam Geffen si rendeva conto di non potersi permettere persone sbagliate all’interno del suo team. Se, come è accaduto a lui, ereditate un gruppo di collaboratori diretti, è fondamentale costruire il vostro team per mettere in campo il talento che vi consentirà di conseguire risultati superiori. Le decisioni più importanti che prenderete nei primi 90 giorni riguarderanno probabilmente i vostri collaboratori. Se riuscite a creare un team in grado di fornire prestazioni elevate, potete incidere moltissimo sulla creazione di valore. Se non ci riuscite, andrete incontro a grosse difficoltà, perché nessun 121

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leader può sperare di ottenere molto lavorando da solo. Cattive scelte iniziali in tema di personale vi si ritorceranno molto probabilmente contro. Come ha affermato un manager molto esperto, “assunzioni frettolose, pentimento sicuro”. Trovare le persone giuste è essenziale, ma non sufficiente. Cominciate valutando i collaboratori che avete a disposizione, per stabilire chi deve rimanere e chi se ne deve andare. Poi sviluppate un piano per acquisirne di nuovi e spostare nelle posizioni giuste quelli che trattenete, senza tuttavia danneggiare eccessivamente la performance di breve termine. Tuttavia neppure questo è sufficiente: dovete ancora fissare obiettivi, incentivi e parametri che inducano il vostro team a procedere nelle direzioni che desiderate. Dovete infine adottare nuovi processi che promuovano il teamwork. Questo capitolo vi guiderà lungo il percorso che abbiamo appena descritto.

EVITARE LE TRAPPOLE PIÙ COMUNI Molti nuovi leader si trovano in difficoltà quando devono costruire un team vincente; da ciò potrebbe derivare un significativo ritardo nel raggiungimento del punto di pareggio, se non addirittura un deragliamento vero e proprio. Ecco alcune tra le trappole più comuni in cui questi leader rischiano di cadere. Lasciare immutato troppo a lungo il team preesistente. Alcuni leader “fanno pulizia” un po’ troppo precipitosamente, ma la tendenza prevalente è quella di trattenere i collaboratori inadeguati più a lungo del dovuto. Vuoi per arroganza (“Queste persone non hanno lavorato bene perché non avevano un leader come il sottoscritto”), vuoi per quieto vivere, i leader finiscono normalmente per avere team tutt’altro che ottimali. Significa che dovranno farsi carico direttamente di buona parte del lavoro operativo o che non raggiungeranno gli obiettivi. Un manager esperto lo ha spiegato in questi termini: “Pensi sempre di riuscire a sistemare tutto. Ma non puoi farlo. E non puoi permettere che i problemi di personale si incancreniscano. Se [i membri del team] non danno una performance adeguata, i loro colleghi lo sanno e i tuoi colleghi lo sanno”. Una buona regola empirica è decidere entro la fine dei primi 90 giorni chi deve restare e chi deve andarsene. Alla scadenza dei primi sei mesi, dovreste aver comunicato gli interventi che avete programmato sul personale ai principali stakeholder, in particolare al vostro capo e alla funzione risorse umane. Se aspettate troppo, il team diventa “vostro” e il cambiamento sempre più difficile da giustificare e attuare. Naturalmente, l’orizzonte temporale dipende dalla situazione STARS che vi trovate ad affrontare: potrebbe essere più breve in un turnaround e più lungo in una situazione di sostegno al successo. Dovete fissare pertanto alcune scadenze per pervenire a condusioni riguardo al vostro team, intraprendere le azioni adeguate nell’ambito del piano a 90 giorni e poi rispettarle rigorosamente. 122

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Non riparare l’aeroplano. Salvo che vi troviate in una situazione di start-up, non dovrete quasi mai costruire un team partendo da zero: in genere lo avete ereditato e dovete plasmarlo secondo necessità per realizzare le vostre maggiori priorità. Rimodellare un team è un po’ come riparare un aereo in volo. Non giungerete a destinazione se non sapete quali sono le riparazioni da effettuare e certamente non volete far precipitare l’aereo mentre tentate di ripararlo. Questa situazione può presentare un dilemma: bisogna assolutamente sostituire certe persone, ma alcune di esse sono essenziali per portare avanti il business nell’immediato. Che cosa potete fare a questo punto? Sviluppate le vostre scelte nel minor tempo possibile. Ciò può significare assumere qualcuno per incarichi temporanei, in modo che familiarizzi con il lavoro e con l’ambiente, o capire se nei ranghi medio - bassi dell’organizzazione c’è qualcuno in grado di rispondere alla sfida. Non effettuare in parallelo l’allineamento organizzativo e la ristrutturazione del team. Un comandante di marina non può effettuare le scelte giuste a proposito del suo equipaggio senza conoscere la destinazione, la rotta e la nave. Allo stesso modo, non potete costruire il vostro team se non avete le idee chiare sui cambiamenti da apportare alla strategia, alla struttura, ai sistemi e agli skill, altrimenti rischiate di ritrovarvi con le persone giuste nel posto sbagliato. Come è illustrato nella figura 7.1, i vostri sforzi per valutare l’organizzazione e ottenere l’allineamento dovrebbero andare in parallelo con la valutazione del team e dei cambiamenti da apportarvi a livello di personale. Non trattenere i collaboratori più validi. Una manager esperta ha illustrato alcune dure lezioni sui pericoli legati all’uscita dei collaboratori più validi. “Quando scuoti l’albero”, ha detto, “possono cadere giù pure 123

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alcune persone valide”. Ciò significa che l’incertezza su chi lasciare andare e chi trattenere può indurre i collaboratori più brillanti a cambiare aria. Anche se vi sono alcuni vincoli su ciò che potete dire in proposito, dovreste trovare comunque il modo di segnalare ai migliori che ne apprezzate le capacità. Un minimo di rassicurazione può fare moltissimo. Avviare la formazione del team prima di aver messo in piedi il nucleo base. È difficile resistere alla tentazione di avviare immediatamente iniziative di team building, come il problem solving, il brainstorming e la ricerca di una visione comune. I nuovi leader che ricercano il consenso sono spesso ansiosi di sfruttare le idee dei loro collaboratori diretti, tuttavia questo approccio comporta un pericolo: tende a rafforzare i vincoli interni al gruppo e voi potreste aver previsto di allontanarne alcuni elementi. Perciò evitate di avviare attività esplicite di team building fino a quando non avrete il team che desiderate. Ciò non significa, naturalmente, che non possiate sin dall’inizio organizzare riunioni a vari livelli. Prendere troppo presto decisioni operative. Quando l’implementazione efficace richiede il consenso del team, dovreste con giudizio rinviare e decisioni finché non saranno presenti e operanti i componenti chiave. Ovviamente ce ne saranno alcune non differibili, ma potrebbe rivelarsi molto difficile implementare decisioni che impegnano i nuovi collaboratori in corsi d’azione che non hanno minimamente contribuito a definire. Dunque soppesate bene i benefici dell’adozione immediata di iniziative importanti e i costi del mancato consenso di coloro che coinvolgerete in seguito. Cercare di fare tutto da soli. Tenete presente, infine, che il processo di ristrutturazione di un team è intriso di complicazioni emotive, legali e di politica aziendale. Non cercate di fare tutto da soli. Scoprite chi può darvi i migliori consigli e aiutarvi a disegnare una strategia. Il supporto di un valido esperto di risorse umane risulta indispensabile per qualsiasi sforzo di ristrutturazione di un team.

VALUTARE ILTEAM IN ESSERE Probabilmente avrete ereditato alcuni ottimi collaboratori, altri di livello intermedio e altri ancora non all’altezza del compito. Avrete ricevuto in eredità, altresì, un gruppo, con le sue dinamiche interne e i suoi aspetti politici: forse qualcuno dei suoi membri puntava al posto che avete ottenuto voi. Nei primi 60-90 giorni del vostro nuovo incarico dovete capire la qualità professionale e il ruolo di ciascuno, oltre alle logiche di funzionamento del gruppo.

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Fssare i criteri di valutazione A mano a mano che incontrerete i membri del team, vi formerete inevitabilmente un'opinione su di essi. Non sopprimete queste intuizioni iniziali ma prendetene anche le giuste distanze e affidatevi a una valutazione più rigorosa. Il punto di partenza è la consapevolezza dei criteri che impiegherete esplicitamente o implicitamente - per valutare coloro che riportano a voi. Per ciascun membro del team prendete in considerazione i seguenti sei criteri. Competenza. Il soggetto possiede le competenze tecniche e l’esperienza che occorrono per ricoprire efficacemente la posizione? Senso critico. Esercita il senso critico, in particolare quando si trova sotto pressione o nella necessità di fare sacrifici per il bene generale? Energia. Impiega nel lavoro la necessaria carica di energia, oppure appare logorato o apatico? Focalizzazione. È in grado di fissare priorità e di rispettarle o tende a “correre in tutte le direzioni”? Relazioni. Si integra bene con i colleghi e partecipa attivamente al processo decisionale o è un tipo difficile? Fiducia. Potete contare sulla sua parola e sul rispetto degli impegni assunti? Per avere un quadro d’assieme dei criteri che utilizzate, compilate la tabella 7.1.

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Immaginate di avere un totale di 100 punti che distribuirete sui sei criteri, in base al peso relativo che attribuite a ciascuno di essi quando valutate i collaboratori diretti. Registrate questi numeri nella seconda colonna, verificando che il totale dia 100. Poi scegliete un criterio tra i sei, che per voi fungerà da “parametro soglia”: ossia, se una persona non supera un punteggio minimo su quella dimensione, a vostro avviso non conta nient’altro. Evidenziate quel parametro soglia ponendo un asterisco nella colonna di destra, sulla riga del criterio che avete scelto come conditio sine qua non. Ora fate un passo indietro e guardate il quadro d’insieme. Rappresenta accuratamente i valori che applicate durante la valutazione dei collaboratori diretti? Se sì, quest’analisi suggerisce l’esistenza di eventuali limiti nell’approccio con cui giudicate le persone? Le vostre valutazioni tendono probabilmente a riflettere determinati assunti su ciò che ritenete di potere e non poter cambiare nelle persone che lavorano con voi. Se, per esempio, attribuite scarso peso alle relazioni e un peso elevato al senso critico, probabilmente ritenete che le relazioni all’interno del vostro team siano un elemento che potete influenzare, mentre non potete influire sul senso critico. Allo stesso modo, potreste aver individuato come parametro soglia la fiducia (molti leader lo fanno), perché siete convinti di dovervi fidare di coloro che lavorano per voi e perché pensate che l’affidabilità sia una caratteristica non mutabile.

Tenere conto della situazione In quale misura dovrebbero variare i vostri criteri valutativi, in base alla situazione che avete di fronte? Potenzialmente moltissimo. Supponete, per esempio, di avere appena assunto l’incarico di direttore vendite, che comporta la supervisione di un gruppo di sales manager di diverse aree distribuiti su un ampio territorio geografico. Come differirebbero i vostri criteri di valutazione dei collaboratori da quelli che applichereste se vi avessero messo a capo del progetto di sviluppo di un nuovo prodotto? Questi due incarichi differiscono sostanzialmente riguardo a 1. l’indipendenza operativa e 2. la dispersione geografica dei collaboratori diretti. Se questi ultimi operano più o meno indipendentemente, la loro capacità di lavorare in team sarà molto meno importante che se foste a capo di un team interdipendente di sviluppo di un prodotto. D’altra parte, il fatto che i vostri collaboratori siano geograficamente separati potrebbe limitare la vostra capacità di farli crescere professionalmente. In questo caso, vorrete imporre loro alcuni parametri soglia per la competenza e il senso critico. I criteri che applicherete potrebbero dipendere anche dal fatto di trovarvi a operare in una situazione di start-up, di turnaround, di riallineamento o di sostegno al successo. In quest’ultimo caso, per esempio, potreste avere il 126

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tempo di fare crescere uno o due collaboratori ad alto potenziale. In un turnaround, per contro, vi occorrono persone in grado di operare immediatamente ad alto livello. Analogamente, in uno start-up potreste essere disposti a sacrificare un po’ di fiducia in cambio di un elevato livello di energia e di focalizzazione, cosa che non fareste in una situazione di sostegno al successo. Vale la pena di dedicare un po’ di tempo a riflettere sui criteri che impiegherete per giudicare il vostro nuovo team. A quel punto sarete più preparati a effettuare una valutazione rigorosa e sistematica.

Valutare i collaboratori Iniziando a valutare i singoli membri del team in base ai criteri che avete sviluppato, il primo punto è capire se qualcuno di loro non raggiunge i parametri soglia. In questo caso, cominciate a pianificarne la sostituzione. Tuttavia il fatto che la performance dei collaboratori sia in linea con il livello minimo di accettabilità non significa che essi debbano rimanere nel loro posto attuale a vita. Passate alla fase successiva: valutatene i punti di forza e i punti deboli, in base al valore relativo che assegnate a ciascun criterio. A questo punto chi passa l’esame, e chi no? Incontrate singolarmente i componenti del vostro nuovo team il più presto possibile. A seconda del vostro stile preferito, queste riunioni iniziali potrebbero assumere la veste di discussioni informali, verifiche formali o un insieme di entrambe le tipologie. Nonostante ciò, lo schema di preparazione e di conduzione dovrebbe essere standardizzato. 1. Preparatevi a ciascuna riunione. Rivedete il fascicolo personale del candidato, i dati di performance e le valutazioni precedenti. Familiarizzate con le competenze tecniche o professionali di ciascun collaboratore, in modo da capire qual è il suo preciso contributo al team. 2. Ponete domande esplorative. Come abbiamo visto nel capitolo 2 a proposito dell’apprendimento, conviene porre a ciascuno lo stesso set di domande, per esempio le seguenti. - Che cosa pensi della strategia in essere? - Quali sono i problemi e le opportunità più rilevanti che ci si prospettano nel breve termine? E nel lungo termine? - Quali risorse potremmo sfruttare più efficacemente? - Come potremmo migliorare la funzionalità operativa del team? - Se tu fossi al mio posto, a che cosa vorresti dedicare la massima considerazione? 3. Fate attenzione agli indizi verbali e non verbali. Prendete nota delle parole, del linguaggio del corpo e dei segnali di disagio. - Notate ciò che la persona non dice. Offre volontariamente le informazioni o dovete tirargliele fuori con le tenaglie? Si assume la responsabilità dei problemi che travagliano la sua area di competenza? Cerca scuse? Dà la colpa agli altri? 127

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- Le espressioni facciali e il linguaggio del corpo della persona sono coerenti con le sue parole? - Quali argomenti suscitano forti reazioni emotive? Questi segnali di disagio offrono preziose indicazioni su ciò che motiva la persona e sui tipi di cambiamenti che la stimolerebbero positivamente. - Al di fuori di queste riunioni individuali, osservate come si rapporta la persona agli altri componenti del team. I rapporti con gli altri membri appaiono cordiali e produttivi? Tesi, competitivi? Polemici o freddi?

Misurarne il senso critico Accertatevi di valutare il senso critico dei collaboratori e non la competenza tecnica o l’intelligenza astratta. Alcune persone molto brillanti hanno uno scarso senso critico, mentre altre di medio valore professionale lo possiedono in modo eccezionale. È fondamentale avere le idee ben chiare sulla combinazione di conoscenze e senso critico che desiderate dai collaboratori. Un modo efficace per valutare il senso critico è lavorare con una persona per un periodo prolungato e osservare se è in grado di 1. fare previsioni corrette, e 2. sviluppare strategie idonee a evitare i problemi. Entrambe le capacità poggiano sui modelli mentali della persona, ossia sull’abilità di identificare le caratteristiche e le dinamiche essenziali delle diverse situazioni in divenire e di tradurre tali intuizioni in azioni efficaci. Ovviamente, il problema è che non avete a disposizione molto tempo, mentre ne è necessario un po’ per capire se una persona ha fatto o meno previsioni corrette. Esistono però alcune soluzioni che vi permettono di accelerare questo processo valutativo. Una di esse consiste nel testare il senso critico delle persone in un ambito nel quale il feedback sulle loro capacità di previsione emergerà relativamente in fretta. Sperimentate il seguente approccio. Parlate ai collaboratori di cui volete valutare il senso critico di un argomento estraneo al lavoro e che li appassiona. Potrebbe essere la politica, la cucina o il calcio: qualsiasi argomento va bene. Chiedete loro di effettuare alcune previsioni: “Chi se la caverà meglio durante il dibattito?”; “Come si ottiene un soufflé perfetto?”; “Chi vincerà la partita di stasera?”. Spingeteli a prendere posizione: l’indisponibilità a farlo è un segnale preoccupante di per sé. Cercate poi di capire perché ritengono che le loro previsioni siano corrette. Ne emerge una logica convincente? Se possibile, date seguito a questa conversazione per vedere ciò che accade. State mettendo alla prova la capacità di una persona di esercitare il proprio giudizio esperto in un determinato campo. Chi è competente in un ambito privato potrebbe esserlo divenuto anche nella professione, se vi ha messo in gioco sufficiente passione. Qualunque strada scegliate per la 128

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valutazione, l’essenziale è trovarne una adeguata, oltre a quella ovvia di stare a vedere come operano i collaboratori nel lavoro, per ravvisare i segni distintivi dell’expertise.

Valutare i collaboratori chiave delle diverse funzioni Se siete a capo di un team i cui componenti possiedono un expertise funzionale eterogeneo - come marketing, finanza, operations, R&S - dovrete farvi un’idea delle loro effettive competenze nelle rispettive aree. Può essere un compito problematico, soprattutto per chi assume per la prima volta un ruolo di general manager. Se conoscete già l’ambiente, cercate di ottenere le opinioni di esperti delle diverse funzioni che rispettate, di cui vi fidate e che conoscano i membri del vostro team. Se state assumendo per la prima volta un ruolo di direzione generale, prendete in considerazione l’ipotesi di costruire uno schema di valutazione per ognuna delle funzioni chiave. Uno schema efficace contiene una serie di regole e di segnali di allarme per valutare i componenti di funzioni come il marketing, le vendite, la finanza e le operations. Per mettere a punto ognuno di questi schemi, con alcuni manager esperti discutete delle competenze che essi ricercano nelle rispettive funzioni.

Valutare il team nella sua totalità Oltre a giudicare i singoli componenti del team, valutatene anche la funzionalità complessiva. Utilizzate le seguenti tecniche per individuare eventuali problemi nelle dinamiche generali del gruppo. Studiate i dati. Leggete i rapporti e le sintesi delle riunioni. Se la vostra organizzazione effettua indagini sul clima interno e morale delle singole unità, esaminate anche i relativi documenti. Ponete sistematicamente domande. Valutate le singole risposte alle domande comuni che avete posto ai collaboratori durante gli incontri individuali. Le loro risposte sono complessivamente coerenti? Se sì, ciò potrebbe indicare l’esistenza di una linea concordata a priori ma potrebbe anche significare che tutti condividono realmente le medesime impressioni su ciò che sta avvenendo. Starà a voi valutare ciò che osservate. Le risposte sono disomogenee? In questo caso il team potrebbe difettare di coerenza. Analizzate le dinamiche di gruppo. Osservate le modalità di interazione del team durante le riunioni iniziali. Notate l’esistenza di alcune alleanze? Esistono atteggiamenti particolari e ruoli di leadership? Chi lascia decidere a chi su un determmato argomento? Quando parla una persona, gli altri alzano gli occhi al cielo o esprimono in altro modo dissenso o frustrazione? Ponete attenzione su questi segnali per verificare le vostre intuizioni iniziali e per individuare eventuali coalizioni e conflitti. 129

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RISTRUTTURARE IL TEAM A questo punto, la valutazione delle capacità dei singoli componenti del team dovrebbe avervi posto nelle condizioni di capire come rapportarvi al meglio con ciascuno di essi. Utilizzando le indicazioni che avete ottenuto, assegnate ciascun membro del team a una delle seguenti categorie, definite in base a quello che intendete fare e a ciò che lo caratterizza. Lasciarlo nella posizione attuale. Il soggetto dà una performance soddisfacente nella posizione attuale. Mantenerlo e farlo crescere. Il soggetto necessita di sviluppo, tempo permettendo. Spostarlo in un’altra posizione. Il soggetto ha ottime qualità professionali, ma si trova attualmente in una posizione che non gli consente di sfruttare al massimo le sue competenze o caratteristiche personali. Sottoporlo a un periodo di osservazione. Il soggetto richiede osservazione e abbisogna di un piano di sviluppo personale. Sostituirlo (bassa priorità). Il soggetto andrebbe sostituito, ma senza particolare urgenza. Sostituirlo (alta priorità). Il soggetto andrebbe sostituito il più presto possibile.

Considerare alcune alternative alla risoluzione del rapporto In certi casi potreste orientarvi sin dall’inizio a escludere dal vostro team le persone che avete deciso di sostituire. Tuttavia, prima di agire in tale direzione, dedicate il tempo necessario a considerare alcune alternative. Escludere un collaboratore può essere difficile e costoso, pure in termini di tempo. Anche nel caso in cui la sua performance inadeguata sia ben documentata, il processo di risoluzione del rapporto potrebbe richiedere parecchi mesi. Se non esistono documenti che attestino la performance inadeguata, per documentaria ci vorrà ancora più tempo. Fortunatamente avete alcune alternative. Spesso chi offre una cattiva performance deciderà spontaneamente di andarsene di fronte a un messaggio esplicito. In alternativa, potete lavorare con la direzione del personale per trasferire quel collaboratore in una posizione più adatta. Spostatelo lateralmente. Trasferite il soggetto in una posizione di responsabilità più adatta alle sue competenze, sempre all’interno del team. È difficile che ciò possa rappresentare una soluzione ottimale e permanente quando si ha a che fare con qualcuno che offre una cattiva performance, ma può aiutarvi a superare il problema immediato di garantire il pieno funzionamento della macchina organizzativa; nel frattempo cercherete la persona giusta per la posizione in questione. 130

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Trasferitelo in un altro reparto. Lavorate con la direzione del personale per aiutare il collaboratore a trovare una sistemazione in un altro reparto. A volte, se ben gestita, questa mossa può giovare a voi, alla persona in questione e all’organizzazione nel suo complesso. Ma non perseguite questa soluzione se non siete sinceramente convinti che il soggetto possa essere adeguato alla nuova situazione. Scaricando semplicemente un collaboratore problematico sulle spalle di qualcun altro danneggerete, forse irrimediabilmente, la vostra reputazione.

Creare meccanismi di backup Per mantenere il team in funzione mentre costruite la migliore configurazione possibile sul lungo termine, dovrete lasciare chi offre una cattiva performance dov’è, mentre cercate un sostituto. Dal momento in cui siete ragionevolmente sicuri che non riuscirà ad adeguarsi, cominciate a cercare con discrezione un successore. Valutate altri componenti del team e di altre funzioni / reparti che abbiano un buon potenziale di crescita. Usate riunioni informali e sessioni formali per valutare il pool dei talenti e chiedete alla direzione del personale di avviare una ricerca per voi.

Trattare con rispetto i collaboratori In ogni fase di ristrutturazione del team preoccupatevi costantemente di trattare tutti con il massimo rispetto. Anche se i componenti della vostra unità concordano sul fatto che una determinata persona deve essere sostituita, se le vostre azioni appariranno scorrette la vostra reputazione ne risentirà negativamente. Fate il possibile per dimostrare ai collaboratori la cura con cui valutate le capacità dei membri del team e la corrispondenza tra mansioni e persone. I collaboratori diretti si formeranno impressioni durature su voi in base al modo in cui gestite questo aspetto del vostro lavoro.

ALLINEARE OBIETTIVI, INCENTIVI E PARAMETRI DI MISURAZIONE Avere nel team le persone giuste è fondamentale, ma non sufficiente. Per realizzare le vostre maggiori priorità e assicurarvi i successi iniziali, dovrete stabilire in che modo i singoli membri del team possono dare il massimo contributo al raggiungimento degli obiettivi chiave. Questo processo richiede la suddivisione dei grandi obiettivi nei loro singoli aspetti costitutivi e una fattiva collaborazione con il team per l’assegnazione della responsabilità di ogni aspetto a un determinato soggetto. Dopodiché bisognerà responsabilizzare ciascun collaboratore sulla gestione dei suoi obiettivi specifici. In che modo potete promuovere la responsabilizzazione individuale? La risposta sintetica a questa domanda è: attraverso incentivi efficaci e criteri chiari per la misurazione della performance.

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Progettare i sistemi di incentivazione Il mezzo migliore per motivare un team e influenzarne il comportamento è costituito da una “miscela” di strumenti push e pull (vedi figura 7.2).

Gli strumenti push, come i piani retributivi, i sistemi di misurazione della performance, i budget annuali eccetera motivano le persone attraverso l’autorità, la fedeltà, il timore e l’aspettativa di ricompensa per un lavoro produttivo. Gli strumenti pull, come una visione coinvolgente, ispirano i collaboratori attraverso l’evocazione di un’immagine positiva ed eccitante del futuro. Il mix specifico di strumenti che impiegherete dipenderà dalla vostra valutazione in ordine alle leve motivazionali preferite dai componenti del team. I collaboratori più dinamici reagiranno probabilmente con il massimo entusiasmo agli incentivi pull. Invece, nei confronti dei collaboratori più metodici e meno propensi al rischio, gli strumenti push potrebbero rivelarsi più efficaci. Come potete combinare questi due tipi di incentivi? Avete a disposizione differenti opzioni. Una domanda fondamentale da porvi riguarda il modo in cui volete ricompensare i componenti del team per il raggiungimento degli obiettivi. Quale mix di leve monetarie e non monetarie impiegherete? È altrettanto importante decidere se basare le ricompense sulla performance individuale o su quella collettiva. Volete un team ad alte prestazioni o vi basta un gruppo ad alte prestazioni? La distinzione è tutt’altro che meramente terminologica. Se i vostri collaboratori diretti operano in maniera sostanzialmente indipendente e il successo del gruppo dipende principalmente dai risultati individuali, non avrete bisogno di promuovere il teamwork e dovreste prendere seriamente in considerazione un sistema di incentivazione individuale. Se il successo dipende in larga misura dalla cooperazione tra i vostri dipendenti diretti e dall’integrazione del loro expertise, un vero teamwork è essenziale, per cui dovreste utilizzare obiettivi e incentivi di gruppo per ottenere l’allineamento. In genere vorrete creare sistemi premianti sia per l’eccellenza individuale (quando i vostri collaboratori diretti intraprendono attività indipendenti) sia per 132

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l’eccellenza di team (quando intraprendono attività interdipendenti). Il giusto mix di incentivi individuali e di gruppo dipende dall’importanza relativa delle azioni indipendenti e interdipendenti per il successo complessivo della vostra unità (vedi il box “L’equazione degli incentivi”). Progettare sistemi premianti è una sfida, ma i pericoli di disallineamento tra incentivi e obiettivi sono molto seri. Dovete fare in modo che i collaboratori diretti agiscano sempre in linea con le vostre finalità strategiche, nelle attività sia individuali sia collettive. Non dovrete incentivarli a perseguire obiettivi individuali quando occorre un vero teamwork, o viceversa.

L’equazione degli incentivi L’equazione degli incentivi definisce il mix di incentivi che impiegherete per promuovere la performance desiderata. Le formule principali sono le seguenti. A) Remunerazione totale = retribuzione non monetaria + retribuzione monetaria. L’entità relativa della retribuzione non monetaria e monetaria dipende da (1) la disponibilità di incentivi non monetari come la promozione e l’elogio, e (2) la loro importanza percepita dalle persone coinvolte. B) Retribuzione monetaria = stipendio fisso + incentivi legati alla performance. L’entità relativa della retribuzione fissa e della retribuzione variabile legata alla performance dipende da (1) l’osservabilità e la misurabilità del contributo delle persone, e (2) lo scarto temporale tra performance e risultati. Minore è l’osservabilità o la misurabilità dei contributi individuali e maggiore lo scarto temporale, più dovreste affidarvi alla retribuzione fissa. C) Retribuzione variabile legata alla performance = retribuzione variabile legata alla performance individuale + retribuzione variabile legata alla performance di gruppo. L’entità relativa della retribuziòne variabile individuale e della retribuzione variabile di gruppo dipende dal grado di interdipendenza dei collaboratori. Se una performance superiore deriva dalla sommatoria degli sforzi indipendenti, bisognerebbe premiare la performance individuale (come avviene, per esempio, in un gruppo di vendita). Se la cooperazione e l’integrazione sono fondamentali, allora agli incentivi di gruppo bisognerebbe attribuire un peso più elevato (come avviene, per esempio, nel team di sviluppo di un nuovo prodotto). Notate che gli incentivi di gruppo potrebbero operare a vari livelli, ossia di team, di unità e di azienda.

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Definire i parametri di performance Fissare e rispettare parametri di performance chiari ed espliciti è modo migliore per promuovere la responsabilizzazione. Significa selezionare criteri che vi faranno sapere senza ambiguità se un componente del team ha raggiunto i suoi obiettivi. Evitate gli obiettivi definiti in modo ambiguo, come “aumentare le vendite” o “ridurre il tempo di sviluppo dei prodotti”. Delimitateli in termini quantificabili. Per esempio: “Aumentare le vendite del prodotto X del 15-30% nel quarto trimestre dell’anno” o “Abbreviare i tempi di sviluppo sulla linea di prodotto Y da 12 mesi a 6 mesi entro i prossimi due anni”.

STABILIRE NUOVI PROCESSI PER IL PROPRIO TEAM Una volta che il team e i suoi obiettivi e incentivi sono stati definiti, il passo successivo consiste nel riflettere su ciò che vorreste dal vostro gruppo. Quali processi caratterizzano le modalità in cui il team realizza il proprio lavoro? Differenti team hanno modi diversi di gestire le riunioni, prendere decisioni, risolvere i conflitti e suddividere responsabilità e obiettivi. Probabilmente vorrete introdurre nuove procedure per realizzare le cose, ma fate attenzione a non agire in modo precipitoso e immediato. Innanzitutto, cercate di familiarizzare con le modalità di lavoro del team esistenti prima del vostro arrivo e con i loro processi di svolgimento. Solo così sarete in grado di capire ciò che va mantenuto poiché funziona già bene e ciò che invece deve essere modificato.

Valutare i processi già esistenti Come potete farvi rapidamente un’idea di quelli che sono i processi impiegati attualmente dal vostro team? Parlatene con i collaboratori e con il personale di supporto, con il vostro nuovo capo o con il vostro predecessore: fate in modo che vi illustrino le diverse funzioni e i processi principali. Leggete le sintesi delle riunioni e i rapporti del team. Cercate risposte alle seguenti domande. Ruolo dei partecipanti. Chi ha influenzato maggiormente il vostro predecessore? Chi ha fatto l’avvocato del diavolo? Chi era l’innovatore? Chi ha evitato l’incertezza? Chi è stato ascoltato con la massima attenzione da tutti gli altri? Chi era il pacificatore? Chi era il provocatore? [Nota di Paolo Moretto: Io personalmente suggerirei di ricorrere al modello dei “Sei cappelli per pensare” di E: De Bono] Riunioni del team. Con quale frequenza si riuniva il vostro team? Chi partecipava alle riunioni? Chi ne fissava l’agenda? Processo decisionale. Chi prendeva queste decisioni? Chi veniva consultato in proposito? Chi veniva informato delle decisioni? Stile di leadership. Che stile di leadership prediligeva il vostro predecessore? In altre parole, con quali modalità preferiva prendere, 134

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motivare e gestire le decisioni? Come si confronta il suo stile con il vostro? Se i due stili differiscono sostanzialmente, in che modo affronterete il probabile impatto di tali diversità sul vostro team?

Selezionare i processi da cambiare Dopo aver capito come lavorava in passato il vostro team - e ciò che funzionava o meno - giunge il momento di utilizzare ciò che avete appreso e di introdurre i nuovi processi che ritenete necessari. Molti leader stabiliscono, per esempio, che i criteri ispiratori delle riunioni e i processi decisionali del team andrebbero rivisti. Se questo vale anche per voi, iniziate a spiegare in termini specifici quali sono i cambiamenti che avete progettato. Con quale frequenza dovrebbe riunirsi il team? Chi dovrebbe partecipare a quali riunioni? Come andrebbe fissata e distribuita l’agenda? L’introduzione di processi chiari ed efficaci aiuterà il vostro team a integrarsi e ottenere alcuni successi iniziali a livello di gruppo.

Modificare le logiche di partecipazione alle riunioni Un problema comune nei processi di team, e che rappresenta pure una grossa opportunità per segnalare e fare emergere l’imminente cambiamento, riguarda la selezione dei partecipanti alle riunioni “strategiche” del team. In alcune organizzazioni, tali riunioni sono pletoriche: troppe persone partecipano alle discussioni e al processo decisionale. Se ciò avviene pure nella vostra unità, agite rapidamente per ridurre l’entità numerica del nucleo essenziale e per razionalizzare le riunioni; in questo modo comunicherete di apprezzare l’efficienza e la focalizzazione. In altre realtà aziendali, le riunioni strategiche sono troppo esclusive, per cui si escludono sistematicamente persone che potrebbero fornire un contributo importante, in termini sia di informazioni sia di opinioni. In questo caso, agite rapidamente per estendere con un adeguato criterio la partecipazione; agendo in questo modo, vi impegnate a non fare favoritismi e a non ascoltare solo le opinioni dei “soliti noti”.

Gestire il processo decisionale Il processo decisionale rappresenta un’altra area fertile per la ricerca di potenziali miglioramenti. Pochi team leader lo sanno gestire efficacemente. Ciò si deve anche al fatto che i diversi tipi di decisione richiedono processi decisionali differenti; quasi tutti i leader, invece, ne utilizzano uno solo. Ciò avviene perché essi hanno un solo stile con cui si trovano a loro agio e poiché ritengono di dover mantenere una certa coerenza per non confondere i propri collaboratori. Le ricerche che ho effettuato in collaborazione con i miei colleghi Amy Edmondson e Mike Roberto indicano che si tratta di un’idea profondamente errata. La soluzione chiave sta invece nell’avere uno schema di riferimento per la comprensione e la comunicazione, poiché in concreto è necessario accostarsi con differenti approcci alle diverse decisioni.

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Pensate alle varie modalità con le quali i team prendono le proprie decisioni. Come illustrato nella figura 7.3, i possibili approcci decisionali si possono allineare lungo uno spettro che ha ai due estremi la decisione unilaterale e il consenso unanime.

Nella decisione unilaterale è il leader che stabilisce ciò che è necessario fare, senza consultarsi con nessuno o ascoltando solo i consiglieri più fidati. I rischi insiti in tale approccio sono evidenti: si possono perdere informazioni e opinioni di importanza critica ed è probabile che l’appoggio all’implementazione sia decisamente tiepido. All’altro estremo, i processi che richiedono il consenso unanime di un gruppo numericamente significativo possono produrre un annacquamento della decisione. Tendono a proseguire all’infinito, senza mai pervenire a una conclusione. Oppure, se si prende una decisione, essa si basa spesso su un compromesso al ribasso, fondato sul minimo comune denominatore. In un caso e nell’altro, le opportunità e le minacce più importanti non vengono affrontate efficacemente. Tra questi due estremi vi sono i processi decisionali utilizzati dalla maggior parte dei leader: consultazione e decisione e costruzione del consenso. Quando un leader chiede informazioni e consigli ai propri diretti collaboratori individualmente, a livello di gruppo o in entrambe le forme - ma si riserva il diritto di prendere la decisione definitiva, utilizza un approccio di consultazione e decisione. In effetti separa il processo di “raccolta e analisi delle informazioni” da quello di “valutazione e conclusione”, usando l’apporto del team nel primo ma non nel secondo caso. Nel processo di costruzione del consenso, il leader ricerca informazioni e analisi, e insieme il consenso del gruppo, per qualunque decisione. L’obiettivo non è un consenso totale, bensì sufficiente: ciò significa che una massa critica di collaboratori crede nella validità della decisione e, soprattutto, che gli altri la accettano e ne supportano l’implementazione. Quando dovreste adottare uno dei due processi piuttosto che l’altro? La risposta non è affatto “Se ho tempi stretti, utilizzerò l’approccio di consultazione e decisione” poiché, se è vero che in questo modo raggiungerete più rapidamente una decisione, non è fatto detto che conseguirete prima il risultato desiderato. In effetti impiegherete molto 136

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più tempo cercando di “vendere” la vostra decisione a cose fatte, oppure scoprendo che i collaboratori non lo stanno implementando con passione e che dovete fare pressioni su di loro. Coloro che soffrono dell'”imperativo della decisione” sono particolarmente soggetti a questo pericolo; vogliono “chiudere la faccenda” effettuando subito una scelta e in tal modo rischiano di compromettere gli obiettivi finali. Le seguenti regole empiriche possono aiutarvi a comprendere quale processo decisionale sia più opportuno impiegare. Se la decisione potrebbe risultare lacerante, nel senso di creare vincitori e vinti, solitamente conviene utilizzare il processo consultazione e decisione e poi cercare di gestire la situazione. Il processo di costruzione del consenso non consentirebbe infatti di ottenere un risultato soddisfacente e metterebbe gli un contro gli altri. In altre parole, le decisioni che implicano perdite o sofferenze all’interno di un gruppo è meglio che le prenda il leader. Se la decisione richiede un energico supporto all’implementazione da parte di persone delle quali non si può osservare e controllare adeguatamente la performance, conviene impiegare il processo di costruzione del consenso. Attraverso la consultazione seguita dalla decisione potreste arrivare più in fretta a decidere, ma non a raggiungere il risultato desiderato. Se siete a capo di un team di persone relativamente inesperte, di solito vi conviene affidarvi al processo di consultazione e decisione fino quando non avrete preso le misure del team e ne avrete sviluppato le capacità. Se tentate di adottare un approccio di costruzione del consenso con un team inesperto, rischiate comunque la frustrazione e l’imposizione di una decisione, a danno del teamwork Se gestite un gruppo di persone su cui dovete imporre la vostra autorità (per esempio, un insieme di ex colleghi), vi conviene affidarvi al processo di consultazione e decisione per le prime scelte chiave. Quando i nuovi collaboratori si renderanno conto che avete la forza e la capacità di prendere decisioni difficili, potrete rilassarvi e affidarvi maggiormente alla costruzione del consenso. Il vostro approccio al processo decisionale varierà anche in funzione della situazione STARS in cui vi trovate. Gli start-up e i turnaround sono situazioni nelle quali il processo di consultazione e decisione risulta spesso efficace. Qui i problemi sono tendenzialmente più tecnici (ossia relativi ai mercati, ai prodotti e alle tecnologie) piuttosto che politici e culturali. Inoltre, i collaboratori desiderano generalmente una leadership “forte”, che si associa frequentemente a uno stile di consultazione e decisione. Per contro, per essere efficaci nelle situazioni di riallineamento e di sostegno al successo, i leader devono sovente interagire con team coesi e affrontare problemi culturali e

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politici. Generalmente questi si affrontano al meglio tramite l’approccio di costruzione del consenso. Per adeguare il vostro stile alla natura della decisione da prendere, dovrete talvolta reprimere le vostre inclinazioni naturali. Probabilmente avrete delle preferenze per il processo di consultazione e decisione oppure per quello di costruzione del consenso. Ma le predilezioni non impongono un destino. Se siete istintivamente orientati alla consultazione e alla decisione, dovreste prendere in considerazione l’ipotesi di sperimentare la costruzione di un consenso (sufficiente) nelle situazioni appropriate. Se siete naturalmente orientati alla costruzione del consenso, dovreste sentirvi liberi di adottare un approccio di consultazione e decisione quando le circostanze lo consigliano. Per evitare confusioni, considerate la possibilità di spiegare ai vostri collaboratori diretti quale processo intendete utilizzare e perché. Sforzatevi, soprattutto, di gestire un processo corretto. Anche se i collaboratori non concordano con la decisione finale, spesso la appoggeranno comunque se riterranno: 1. che le loro opinioni siano state ascoltate e che i loro interessi siano stati presi in seria considerazione e 2. che abbiate dato loro una spiegazione plausibile delle ragioni per cui avete effettuato quella determinata scelta. Il corollario di questo ragionamento è: non inscenate una finta costruzione del consenso, nel tentativo di ottenere l’appoggio dei collaboratori a una decisione già presa. Questo espediente non inganna quasi nessuno, crea scetticismo e danneggia fortemente l’implementazione. In tal caso, tanto vale usare semplicemente l’approccio di consultazione e decisione. Infine, potrete oscillare spesso tra la costruzione del consenso e la consultazione e decisione, a mano a mano che familiarizzerete con gli interessi e le differenti posizioni dei collaboratori. Potrebbe avere senso, per esempio, partire dalla costruzione del consensoriservandosi però il diritto di passare alla consultazione e alla decisione nel caso in cui il processo crei eccessivi attriti. Potrebbe pure essere saggio partire dalla consultazione e decisione e poi passare alla costruzione del consenso, se ci si rende conto che un’implementazione energica è fondamentale e che il consenso è possibile.

METTERE IN MOTO ILTEAM Saprete di aver raggiunto il successo nella costruzione del team quando raggiungerete il punto di pareggio, ossia quando l’energia generata dal team sarà superiore all’energia che dovete immettervi. Sarà necessario un po’ di tempo prima che ciò accada; del resto, bisogna caricare la batteria prima di poter mettere in moto il motore. 138

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CHECKLIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE 1. Quali sono i criteri che impiegate per valutare la performance dei componenti del vostro team? Come si posizionanoo i collaboratori che avete ereditato rispetto a tali criteri? 2. Quali cambiamenti dovete effettuare a livello di personale? Quali sono urgenti e quali possono attendere? Come potete creare backup del sistema e opzioni di scelte da effettuare? 3. Quale processo utilizzerete per avviare i cambiamenti a priorità più elevata? Che cosa potete fare per preservare la dignità delle persone coinvolte? 4. Di quale aiuto avrete bisogno nel processo di ristrutturazione e dove andrete a cercarlo? 5. Dovete modificare gli incentivi e i parametri di misurazione in essere? I collaboratori della vostra unità hanno incentivi a cooperare e competere con modalità produttive? 6. In quale modo volete che operi il vostro nuovo team? Quali ruoli dovrebbero svolgere i collaboratori? Dovete restringere o espandere il nucleo essenziale? 7. Come pensate di gestire il processo decisionale? Partirete enfatizzando un approccio di consultazione e decisione o di costruzione del consenso?

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8. Creare coalizioni

Dopo cinque anni come country manager di un’azienda di apparecchi medicali, Jack Daley era stato posto a dirigere il marketing di una linea chiave di prodotti della divisione operativa ortopedica. Le divisioni operative sviluppavano nuovi prodotti e li “vendevano” internamente alle diverse filiali nazionali. Nel corso degli anni, Jack si era abituato a utilizzare l’autorità per ottenere i risultati. I country manager avevano la responsabilità del conto economico e decidevano quali prodotti dovevano essere spinti dai venditori. Paragonati spesso ai signorotti dell’era feudale, godevano di un’ampia autonomia sulle proprie attività ed erano assai considerati nelle business community dei rispettivi paesi. Prevedibilmente, questi personaggi erano inclini all’arroganza e noti per l’abitudine di strapazzare coloro che presumevano di sapere come vendere nei mercati locali. Da un giorno all’altro, Jack si ritrovò dalla parte opposta del tavolo: per avere successo nella nuova posizione, avrebbe dovuto convincere riguardo alle proprie scelte i suoi ex colleghi. Dopo alcune riunioni iniziali dall’esito disastroso, durante le quali cercò di imporre le sue idee, Jack aggiustò il tiro. Identificò una serie di paesi che rappresentavano mercati potenziali per il suo prodotto e incontrò i relativi country manager. Illustrò loro i benefici del prodotto e si offrì di rimborsare i costi della formazione tecnica dei venditori. Quindi ascoltò le loro risposte: diversi country manager accettarono la sua proposta e successivamente il prodotto ottenne un’ampia approvazione da parte delle altre filiali nazionali, comprese quelle che avevano rifiutato l’approccio iniziale di Jack. Avendo scoperto che il suo abituale stile direttivo non era adeguato nella nuova posizione, Jack Daley si rese conto dell’esigenza di esercitare la propria influenza senza ricorrere all’autorità. Se il vostro successo dipende dall’appoggio di persone che operano al di fuori della vostra linea di comando, è indispensabile creare coalizioni per ottenere i risultati desiderati. L’autorità diretta non è mai sufficiente per vincere le proprie battaglie. I network di influenza - reti di vincoli informali tra colleghi - possono aiutarvi a ottenere supporto per le vostre idee e per il raggiungimento dei vostri obiettivi. Sta a voi costruire coalizioni in grado di facilitare il perseguimento dei risultati che avete pianificato. A questo fine dovrete sviluppare una strategia d’influenza: significa capire chi dovete persuadere, identificare chi potrebbe appoggiare o contrastare le vostre iniziative principali e convincere gli “indecisi”. I piani finalizzati all’esercizio dell’influenza, a partire dal processo 140

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di valutazione, dovrebbero appartenere a pieno titolo al vostro complessivo piano d’azione per i primi 90 giorni.

MAPPARE IL PANORAMA DELL’INFLUENZA Un errore comune che i nuovi leader sovente commettono è dedicare una parte eccessiva del periodo di transizione alla dimensione verticale dell’influenza, quella esercitata verso l’alto nei confronti dei capi e verso il basso nei confronti dei collaboratori diretti, e tempo insufficiente alla dimensione orizzontale, ossia quella esercitata nei confronti dei colleghi e dei referenti esterni. Si tratta di un errore comprensibile: tendete naturalmente a gravitare verso le persone a cui riportate e verso le persone che riportano a voi. Esse rappresentano dopotutto i canali principali attraverso i quali produrrete un impatto e metterete alla prova le vostre capacità. Ma prima o poi (probabilmente più in fretta di quanto non crediate) vi occorrerà l’appoggio di persone sulle quali non avete alcuna autorità diretta, sia all’interno sia all’esterno dell’azienda. Non avrete alcun “capitale relazionale” con queste persone: nessun impegno preesistente e nessuna obbligazione cui attingere. Perciò dovrete investire idee ed energie nella costruzione di una nuova base di consenso; iniziate a farlo il più presto possibile. Non è mai una buona idea contattare per la prima volta qualcuno quando si ha bisogno di lui; non vorreste certo presentarvi ai vostri vicini nel mezzo della notte, quando la vostra casa è in preda alle fiamme... Obbligatevi a investire nella costruzione di un capitale di relazioni con le persone con le quali prevedete di poter lavorare in futuro. Pensate a come avete allocato finora il tempo dedicato alla costruzione di relazioni sociali. Vi sono persone che non avete ancora incontrato e che potrebbero essere determinanti per il vostro successo?

Identificare gli attori chiave Come fate a capire chi potrà essere importante per il vostro successo? Entro certi limiti, ciò apparirà evidente quando arriverete a conoscere meglio l’organizzazione. Ma potete anche accelerare questo processo di comprensione: partite dall’identificazione delle interfacce principali tra la vostra unità o il vostro gruppo e gli altri soggetti. I clienti e i fornitori, sia interni sia esterni, sono punti focali naturali per la costruzione di relazioni. Un’altra strategia consiste nell’indurre il capo a creare connessioni per voi. Chiedetegli un elenco di una decina di persone chiave, al di fuori del vostro gruppo, che a suo avviso dovreste conoscere. Quindi fissate quanto prima alcune riunioni con costoro. Nel rispetto della regola aurea delle transizioni, preoccupatevi di fare la stessa cosa quando assumete nuovi collaboratori diretti: fornite loro elenchi delle relazioni prioritarie da coltivare e aiutateli a prendere contatto con tali persone. Un ulteriore approccio produttivo è diagnosticare i network informali di influenza, ovvero quella che viene chiamata “l’organizzazione ombra” e 141

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“l’azienda che sta dietro l’organigramma”’. Ogni organizzazione ha questi network, che di solito risultano importanti sia per attuare sia per impedire il cambiamento. Si creano perché le persone tendono a sottomettersi a coloro dei quali rispettano l’opinione riguardo a determinati argomenti. Per avviare la costruzione di una coalizione, analizzate innanzitutto le dinamiche dei rapporti di sottomissione e le fonti di potere sottostanti. Per farlo, osservate attentamente le riunioni e le altre interazioni per comprendere chi si rimette a chi sui problemi cruciali. Cercate di individuare le alleanze, da chi vanno a chiedere consigli e suggerimenti le persone, chi diffonde determinate informazioni e determinate notizie. Stabilite chi organizza le risorse, chi fa l'impossibile per aiutare gli amici e coloro che devono rende re favori ad altri. Nello stesso tempo cercate di identificare le fonti di potere che assicurano a determinate persone un’elevata influenza in seno all’azienda. Le fonti abituali di potere all’interno di un’organizzazione sono: l’expertise; l’accesso alle informazioni; lo status; il controllo delle risorse, come i budget e gli incentivi; la lealtà personale. Potete utilizzare alcune delle tecniche descritte nel capitolo 2 sull’accelerazione dell’apprendimento per comprendere meglio queste dinamiche politiche. Parlate con ex dipendenti e con persone che hanno avuto rapporti d’affari con l’azienda. Andate alla ricerca degli “storici”. Alla fine sarete in grado di individuare gli opinion leader, come coloro che esercitano una forte influenza attraverso l’autorità formale, un expertise particolare o il mero carisma. Se riuscirete a convincere questi personaggi chiave del fatto che le vostre maggiori priorità e i vostri obiettivi hanno un valore intrinseco, è probabile che riusciate a fare accettare le vostre idee. Specularmente, un’eventuale resistenza da parte di costoro potrebbe rafforzare l’opposizione generale. Alla fine sarete pure in grado di riconoscere le coalizioni di potere: gruppi di persone che cooperano, esplicitamente o implicitamente, per perseguire determinati obiettivi o per mantenere certi privilegi. Se queste coalizioni di potere sono favorevoli ai vostri progetti, ne otterrete l’appoggio. Se decidono di contrastarli, non avrete altra scelta che lasciarle e costruirne di nuove.

Disegnare una mappa d’influenza Può essere utile sintetizzare ciò che siete venuti a sapere disegnando una mappa di influenza come quella illustrata nella figura 8.1.

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La mappa visualizza sia il flusso sia l’entità dell’influenza tra i componenti di un’ipotetica business unit. Paul è il direttore generale. Todd è il VP del marketing e un antico alleato di Paul. Nathan e Sarah sono, rispettivamente, VP delle vendite e della R&S. Dana, il nuovo responsabile dell’unità, ha disegnato questa mappa di influenza nel tentativo di comprendere come portare avanti alcune iniziative importanti. La direzione di una determinata freccia indica chi influenza chi. L’ampiezza di una freccia indica la forza relativa con cui una persona ne influenza un’altra. Notate che l’influenza può viaggiare in entrambe le direzioni, a seconda del tema in questione. Per esempio, Paul potrebbe influenzare Todd nel fissare determinati obiettivi di budget per il marketing. Todd, a sua volta, potrebbe convincere Paul ad autorizzare l’assunzione di nuovi collaboratori.

Identificare i sostenitori, gli oppositori e i convincibili Lo scopo della mappa di influenza è aiutarvi a identificare i sostenitori, gli oppositori e i “convincibili”, ossia coloro che si potrebbero persuadere tramite la giusta strategia. I sostenitori approveranno i vostri progetti perché giovano ai loro interessi, perché vi rispettano o perché riconoscono la validità delle vostre idee. Per identificare i potenziali sostenitori, ricercate le seguenti categorie di soggetti: persone che condividono la vostra visione del futuro. Se avvertite la necessità di un cambiamento radicale, cercate altri soggetti che abbiano sollecitato interventi simili a quelli che intendete promuovere; 143

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persone che hanno lavorato in sordina per un cambiamento, come un ingegnere di produzione che ha trovato una soluzione innovativa per ridurre significativamente gli sprechi; persone entrate da poco in azienda e non ancora abituate al diffuso modo di operare di quest’ultima. Quali che siano le ragioni che inducono i sostenitori ad appoggiarvi, non date per scontato il loro supporto. Identificare le possibili fonti di aiuto non è mai sufficiente: è necessario pure consolidarle e coltivarle. Gli oppositori vi osteggeranno qualunque mossa facciate. Forse ritengono che abbiate torto, oppure hanno altre ragioni per contrastare i vostri progetti, come le seguenti. Desiderio di mantenere lo status quo. Resistono ai cambiamenti che potrebbero pregiudicarne la posizione e modificare alcune relazioni consolidate. Paura di apparire incompetenti. Temono di apparire o di sentirsi incompetenti di fronte ai cambiamenti che proponete e di fornire perciò una performance inadeguata. Minaccia percepita ai valori. Sono convinti che promuoviate una cultura in contrasto con le definizioni di valore consolidate e accettate o intesa a premiare comportamenti inappropriati. Minaccia percepita al potere. Temono che i cambiamenti da voi proposti (come il passaggio da un processo decisionale verticistico a uno basato sul consenso) li privino di potere. Possibili conseguenze negative per alleati importanti. Temono che i vostri progetti possano avere conseguenze negative per altre persone che stanno loro a cuore o delle quali si sentono responsabili. Quando incontrate una resistenza, cercate di capire le ragioni che ci stanno dietro prima di etichettare qualcuno come implacabile oppositore. Comprendere le motivazioni di chi vi ostacola vi aiuterà a contrastarne le argomentazioni e forse scoprirete di poter convertire alcuni oppositori iniziali. Per esempio, potreste affrontare i timori di inadeguatezza aiutando le persone a sviluppare nuove competenze. Nello stesso tempo, è fondamentale non sprecare tempo ed energie nel tentativo di convincere chi è più deciso a ostacolarvi. I convincibili, infine, sono gli incerti: persone indecise o indifferenti al cambiamento e soggetti che ritenete di poter convincere dopo averne capito e solleticato gli interessi. Una volta identificati i convincibili, cercate di comprenderne le motivazioni. Le persone sono infatti spinte da fattori differenti, come lo status, la sicurezza finanziaria o la ricchezza, le buone relazioni sociali e professionali con i colleghi e la possibilità di affrontare sfide nuove e stimolanti. Dunque dedicate il tempo necessario a capire quali siano i loro interessi. Cominciate mettendovi nei loro panni: se foste in loro, 144

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che cosa vi starebbe più a cuore? Se è possibile coinvolgerli direttamente in un dialogo, domandate loro come vedono la situazione e impegnatevi in un ascolto attivo. Se avete conoscenze a loro vicine dovreste utilizzarle per acquisire utili indicazioni. Se non ne avete, prendete in considerazione l’idea di coltivarle. Nel frattempo, chiedetevi se vi sono forze di segno opposto che potrebbero spingere i convincibili a resistervi. Per esempio, dimostrando che i loro interessi sono compatibili con i vostri potreste indurli ad appoggiarvi, mentre la minaccia di perdere uno status quo nel quale si trovano a loro agio potrebbe innescarne la resistenza. Gli interessi individuali e le forze di segno opposto dovrebbero far parte dell’apprendimento sugli aspetti politici dell’organizzazione che acquisirete attraverso le conversazioni, lo studio delle decisioni pregresse e l’osservazione delle interazioni di gruppo.

UTILIZZARE GLI STRUMENTI DI PERSUASIONE Ora siete pronti per riflettere sulle strategie di persuasione. Quando parlo ai nuovi leader dell’influenza all’interno delle organizzazioni, parto quasi sempre da un semplice esperimento. “Siete manager assennati e professionali” dico loro “ma supponete che vi chieda di fare qualcosa di assurdo e imbarazzante, come saltellare su un piede solo, con i pollici infilati nelle orecchie e cantando a squarciagola ‘Row, Row, Row Your Boat’. Come potrei convincervi a farlo?”.

Influenzare le percezioni sulle possibilità di scelta Di solito vengono alla mente, immediatamente, due strategie di influenza: la corruzione e la minaccia. Entrambe si propongono di alterare gli incentivi individuali al fine di modificare il comportamento. Entrambe trasformano la percezione da parte dei collaboratori riguardo alle alternative che hanno a disposizione nel decidere se conformarsi o meno. Si tratta della cosiddetta influenza della scelta. Prima di vedersi offrire lusinghe o di sentir pronunciare minacce, i componenti del gruppo potrebbero percepire le alternative che hanno di fronte mantenimento dello status quo e cambiamento - come vengono rappresentate nella figura 8.2.

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Conservare lo status quo significa preservare la propria dignità, mentre il cambiamento può comportare brutte figure. Di fronte a questa alternativa, opterebbero quasi tutti per lo status quo. Nelle organizzazioni, chi si trova di fronte al cambiamento vede spesso le alternative a disposizione nel medesimo modo: devo attuare cambiamenti scomodi o continuare a convivere con uno status quo relati vamente comodo? Supponete ora che offra ai partecipanti ai miei incontri del denaro per fare ciò che chiedo. L’opzione status quo rimane invariata, mentre l’attrattiva dell’opzione di cambiamento aumenta. Ognuno ha in mente un prezzo al quale sarebbe disposto a tollerare un certo disagio sociale se il ritorno economico è abbastanza interessante. La regola corrispondente nelle iniziative di cambiamento in ambito organizzativo è: trovate il modo di indennizzare i potenziali sconfitti per rendere più accettabile la rinuncia allo status quo. Ovviamente la capacità di applicare questa regola incontra alcuni limiti pratici, poiché a volte il prezzo è semplicemente troppo alto. Ciononostante, vale sempre la pena di chiedersi se siete in grado di offrire ai potenziali sconfitti scambi o altre forme di indennizzo (come l’appoggio a un’iniziativa cui tengono particolarmente) per ottenerne il supporto. Immaginate adesso che, invece di offrire un indennizzo, io dica al gruppo di fare ciò che ho detto per evitare che i miei scagnozzi rompano loro le ossa e supponete che la mia minaccia sia credibile: le porte sono sprangate e i miei gorilla sono lì con i bastoni in mano. Pure questa strategia di influenza modifica le alternative percepite dal gruppo ma, invece di rendere più attraenti i benefici dell’adesione al cambiamento, rende più costosa la non adesione, Il costo della brutta figura rimane lo stesso, tuttavia il gruppo non ha più l’alternativa di poter lasciare la situazione così com’è. La regola corrispondente nella gestione del cambiamento organizzativo è: trovate il modo di eliminare l’alternativa del mantenimento dello status quo. Se per esempio riuscite a convincere i collaboratori che il cambiamento ci sarà comunque, con o senza di loro, la scelta che hanno di fronte si trasformerà come in figura 8.3.

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Formulare argomentazioni persuasive Sovente, alla fine dei miei interventi uno dei partecipanti dice qualcosa del tipo: “Tutti questi discorsi sulle lusinghe e le minacce sono disgustosi. Perché non ci chiede di agire e di stare a vedere che cosa avviene?”. La mia risposta è che di norma le persone non accettano di conformarsi in assenza di argomentazioni convincenti. Dunque domando al gruppo: “Supponete che vi chiedessi semplicemente di fare quella sceneggiata imbarazzante. In che modo potrei convincervi ad accettare? Quale spiegazione logica potrei offrire per ridurre i costi percepiti dell’azione o per accrescere i costi percepiti dell’inazione?”. Una spiegazione possibile può essere che fare ciò che domando loro darebbe un contributo pratico agli obiettivi formativi del seminario. Se il gruppo mi credesse e mi ritenesse attendibile (grazie al mio expertise e alla mia autorità di formatore), la mia richiesta potrebbe essere accolta. Dunque conviene sempre ricercare argomentazioni persuasive ed elementi concreti in grado di confermarne la validità; un’argomentazione persuasiva a favore del cambiamento può funzionare nel medesimo modo. Le argomentazioni convincenti si possono basare sulla logica o sui dati, sui valori e sulle emozioni che suscitano oppure su una combinazione di questi elementi. I ragionamenti logici devono attaccare direttamente gli interessi pragmatici di coloro che volete convincere. I ragionamenti che fanno leva sui valori tendono a far scattare dei riflessi emotivi, evocando per esempio il patriottismo per ottenere l’accettazione dei sacrifici in tempo di guerra. Valori che vengono tipicamente evocati per convincere gli altri ad accettare un cambiamento potenzialmente doloroso sono elencati nella tabella 8.1. 147

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Creare eventi che spingano all’azione Come si possono indurre le persone a intraprendere azioni? È sin troppo facile, pur con le migliori intenzioni, deferire ad altri le decision, rinviare ed evitare l’impegno. Quando il successo comporta l’azione coordinata di molte persone, il ritardo da parte di un solo individuo può avere un effetto a cascata, in quanto fornisce ad altri una comoda scusa per non agire. Dovete perciò eliminare l’opzione dell’inazione. Un possibile approccio consiste nella creazione di eventi che spingono all’azione. Coloro che assumono determinati impegni andrebbero vincolati a una tempistica ben precisa, che preveda alcuni traguardi intermedi nel processo di implementazione. Le riunioni, le sessioni di verifica e le scadenze possono contribuire tutte a mantenere slancio: le riunioni periodiche per la verifica dei progressi compiuti, e la messa alle strette di coloro che non raggiungono gli obiettivi concordati, aumentano la pressione psicologica per il conseguimento dei risultati. Siate cauti, però: evitate di premere per effettuare determinate scelte fino a quando non sarete ragionevolmente sicuri che l’equilibrio delle forze che 148

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agiscono sulle persone chiave pende a vostro favore. Altrimenti potreste sì indurre gli altri a prendere posizione, ma con il rischio di spingerli inavvertitamente verso lo schieramento degli “oppositori”. Dovete affidarvi al dialogo con le persone coinvolte e con la vostra “rete d’informatori”, per capire come si evolve la situazione.

Sfruttare il coinvolgimento progressivo Ridisegnare gli incentivi, formulare argomentazioni convincenti e creare eventi che invitano all’azione sono tecniche di persuasione relativamente statiche: capite come gli altri percepiscono le scelte da affrontare, quindi create un insieme di leve push e pull che modifichino tali percezioni e, voilà, ottenete il comportamento desiderato. Tuttavia, far passare le persone da dove sono (pienamente a loro agio con lo status quo) a dove vorreste che fossero (entusiasticamente a favore del cambiamento) spesso è impossibile senza una gradualità, o semplicemente si rivela troppo costoso per voi. Per superare questa difficoltà potreste adottare alcune strategie di coinvolgimento che invitino le persone a passare dal punto A al punto B attraverso una serie di spostamenti progressivi, anziché con un passaggio diretto. Tornando all’esempio sopra citato, nel mio tentativo di convincere un gruppo di partecipanti ai miei corsi a realizzare quello show imbarazzante potrei cominciare domandando loro di alzarsi in piedi, successivamente di reggersi su un piede solo ecc. Un approccio efficace è convertire progressivamente i piccoli impegni in grandi impegni. Se state cercando di lanciare una nuova iniziativa, convincete anzitutto le persone a partecipare a una riunione iniziale di carattere organizzativo. Poi programmate una riunione successiva, affidate loro una parte di analisi della situazione e così via. Il coinvolgimento progressivo funziona perché ogni passaggio intermedio crea un nuovo punto di riferimento psicologico per decidere se realizzare un altro piccolo passo avanti. Ove possibile, cercate di rendere irreversibile ogni passo, come se esistesse una porta di sicurezza che si blocca una volta varcata. Inducendo, per esempio, le persone a prendere determinati impegni in pubblico si crea una barriera alla regressione, come avviene quando gli impegni vengono assunti in forma scritta. Una tecnica analoga per vincere la resistenza è l’adozione di un approccio a più fasi al problem solving. Partite per esempio facendo partecipare i collaboratori a una raccolta di dati sulla performance comparativa dell’azienda. Seguite attentamente questo processo per essere sicuri che analizzino a fondo la performance rispetto a benchmark esterni. La chiave di volta, in questa fase, è indurli a riconoscere l’esistenza di uno o più problemi che devono essere affrontati. A conclusione dell’esercizio, spostate il tiro sul raggiungimento di una definizione condivisa del “problema”: qual è esattamente? Insistete 149

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affinché risalgano alle cause profonde, utilizzando se necessario diversi strumenti di analisi. Dunque invitateli a lavorare insieme sui criteri da impiegare per valutare eventuali corsi d’azione alternativi. Quali caratteristiche dovrebbe avere una “buona” soluzione? In che modo dovremmo misurare il successo? Utilizzate infine i criteri così determinati per valutare le alternative. Come si confrontano i diversi approcci possibili? Nella fase di valutazione delle alternative, molti giungeranno ad accettare risultati che avrebbero rifiutato all’inizio. Un’altra strategia di coinvolgimento è impiegare il cambiamento comportamentale per ispirare il cambiamento attitudinale. Potrebbe apparire come un’inversione logica, ma l’equazione cambiamento attitudinale / cambiamento comportamentale funziona invece in entrambe le direzioni. Si possono modificare gli atteggiamenti delle persone (con un’argomentazione convincente, con una visione evocativa), modificandone quindi il comportamento. Tuttavia il cambiamento attitudinale, e il cambiamento culturale che è suo parente prossimo, sono difficili da ottenere e comunque da mantenere nel tempo. Ne deriva, curiosamente, che se riuscirete a modificare il comportamento delle persone nel senso desiderato, i loro atteggiamenti cambieranno in linea con il nuovo comportamento Ciò accade perché le persone avvertono un forte bisogno di coerenza tra il proprio comportamento e le proprie convinzioni. L’implicazione sul piano della persuasione è chiara: spesso conviene puntare immediatamente sul tentativo di indurre le persone ad agire con nuove modalità, modificando per esempio i sistemi di valutazione e di incentivazione, anziché cercare di modificarne gli atteggiamenti. Se riuscirete a fare in modo che intraprendano le azioni desiderate, gli atteggiamenti giusti verranno quasi naturalmente.

Porre le azioni in sequenza per creare slancio Come abbiamo visto, le persone tengono regolarmente d’occhio gli altri membri dei loro network sociali per cogliere eventuali indizi del “pensiero ortodosso” e si rimettono alle scelte di chi detiene un expertise specifico o una credibiltà particolare. I network di influenza che si vengono così a determinare possono costituire una forte barriera ai vostri sforzi di cambiamento. Oppure una risorsa preziosa, o entrambe le cose. Torniamo ancora una volta all’esempio precedente. Supponete che, di fronte alla mia richiesta di inscenare quella pagliacciata, un membro rispettato del gruppo risponda seccato: “Non lo farò mai. È stupido e offensivo”. Quasi certamente nessun altro componente del gruppo aderirà alla mia richiesta. Ma supponete che quella stessa persona si alzi di scatto, si rivolga a qualcun altro e dica: “Dai, facciamolo! Sarà divertente!”. In questo caso è probabile che, alla fine, tutti gli altri si adegueranno alla sua proposta. In effetti, pure l’ultimo ad alzarsi si sentirebbe obbligato a farlo dalla pressione sociale, come se gli chiedessero: “Che cosa hai in contrario?”. 150

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Supponete ora che io abbia effettuato un’analisi del gruppo prima di dare inizio a questo esercizio e che abbia identificato la persona più autorevole e rispettata. Supponete che l’abbia incontrata prima dell’esercizio e ne abbia ottenuto l’impegno a effettuare con me alcune analisi importanti sulle dinamiche di gruppo e l’influenza sociale. È probabile che accetti di farlo e che gli altri poi lo seguano. Potete sfruttare con grandi risultati la conoscenza dei network d’influenza, applicando quella che il mio collega Jim Sebenius ha definito strategia di sequencing. L’ordine in cui avvicinerete i potenziali alleati e gli incerti (i convincibili) avrà un impatto decisivo sui vostri sforzi di costruzione di una coalizione. Infatti, una volta acquisito un alleato di rispetto, diventerà più facile “arruolarne” altri. A mano a mano che reclutate nuovi alleati, la vostra base di risorse si estende. Con un supporto più ampio, le probabilità di portare avanti con successo i vostri progetti si fanno più consistenti e tale prospettiva promuove l’acquisizione di ulteriori sostenitori. Se contattate sin dall’inizio le persone giuste, potete mettere in moto un circolo virtuoso (figura 8.4). Perciò dovete decidere con la massima cura chi contattare per primo, e come farlo.

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Per trovare i soggetti giusti, concentratevi sulle seguenti categorie: persone con le quali già intrattenete relazioni costruttive; persone i cui interessi sono fortemente compatibili con i vostri; persone che possiedono le risorse critiche di cui avete bisogno per portare avanti con successo i vostri progetti; persone che dispongono di relazioni importanti e che possono reclutare ulteriori sostenitori.

RIUNIRE TUTTI GLI ELEMENTI La costruzione di una coalizione comporta il consolidamento delle fonti di supporto già esistenti, sviluppando contemporaneamente rapporti con persone di cui vi occorrono le risorse o le relazioni per conseguire il successo. La sequenza con cui effettuate il consolidamento e costruite il consenso è fondamentale. Dovrete anche persuadere i convincibili a diventare sostenitori anziché oppositori. Per consolidare il supporto in essere, affidatevi alle relazioni sociali e politiche preesistenti e rafforzatele attraverso conversazioni periodiche. Tenete sempre aggiornati i vostri alleati, osservate con attenzione il modo in cui reagiscono al mutamento delle condizioni; potete anche consigliare loro come contrastare le argomentazioni degli oppositori. Irrobustite l’importanza delle relazioni in essere e fate leva su di esse per ottenere appoggio ai vostri nuovi sforzi.

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CHECKLIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE 1. Di chi vi òccorre particolarmente l’appoggio per avere successo? Quali coalizioni preesistenti appaiono più potenti? 2. Quali network di influenza sono più importanti per voi? Chi si rimette a chi sui problemi principali? 3. Quali sono i vostri potenziali sostenitori? E i vostri potenziali oppositori? Chi sono i convincibili? Come farete a testare le vostre ipotesi riguardo ai presunti sostenitori e oppositori? 4. Quali strumenti d’influenza utilizzerete per convincere gli incerti? Come influenzerete le percezioni dei potenziali sostenitori in ordine ai loro interessi e alle loro opzioni? 5. Come potete mettere in sequenza le interazioni per creare slancio a favore delle vostre iniziative? Esistono relazioni di rimando delle decisioni che potete sfruttare? I vostri sostenitori possono aiutarvi ad “arruolare” alcuni personaggi chiave?

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9. Mantenere l’equilibrio

Dopo sei anni presso l’ufficio a Manhattan di una grande agenzia pubblicitaria, Kipp Erikson fu promosso a una posizione di maggior responsabilità presso la filiale canadese. Si aspettava che il trasferimento da New York a Toronto fosse una sciocchezza. In fondo, gli americani e i canadesi si assomigliano molto e, benché il Canada sia ufficialmente bilingue, a Toronto parlano tutti l’inglese. Inoltre la città è tranquilla e nota per la qualità dei ristoranti e degli eventi culturali. Kipp si trasferì immediatamente, affittò un appartamento nel centro di Toronto e si impegnò nel nuovo lavoro con la solita energia. Sua moglie Irene, un’esperta arredatrice di interni, mise in vendita il loro appartamento in un condominio e iniziò a preparare psicologicamente le due bambine, Katherine di dieci anni ed Elizabeth di sette, al cambiamento di scuola che sarebbe avvenuto a metà dell’anno scolastico. Kipp e Irene avevano parlato di posticipare il cambiamento di scuola alla fine dell’anno scolastico, quattro mesi dopo, ma poi avevano giudicato che ciò avrebbe implicato un periodo di separazione troppo lungo. I primi segnali di difficoltà nella nuova posizione furono sottili. Ogni volta che cercava di portare a termine qualche iniziativa, Kipp aveva la spiacevole sensazione di avanzare nella melassa. Da buon newyorkese abituato da sempre a dire le cose come stanno, trovò che i nuovi colleghi erano irritantemente cortesi e disposti a tutto pur di evitare i conflitti (loro, per contro, erano sorpresi da una schiettezza che sconfìnava nell’insensibilità). Non perdeva occasione per spiegare a Irene che i suoi colleghi rifiutavano di discutere a viso aperto i problemi più delicati e si rammaricava di non riuscire a trovare persone disponibili e concrete come quelle su cui aveva potuto contare a New York. Quattro settimane dopo il suo trasferimento a Toronto, Irene lo raggiunse nella città canadese per cercare una nuova casa, una scuola per le bambine e per valutare le prospettive che le si offrivano come arredairice di interni. Kipp era in tensione per il lavoro e irritabile. Il disagio di Irene andò rapidamente alle stelle quando si rese conto di non riuscire a trovare una scuola di suo gradimento. Le bambine al momento si trovavano bene in un’eccellente scuola privata; non volevano saperne di andarsene e facevano disperare Irene, che era riuscita a rasserenarle con la prospettiva avventurosa del trasferimento in un altro paese e la promessa di trovare loro una nuova scuola di qualità.

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Scoraggiata, disse a Kipp che sarebbe stato meglio lasciare le bambine dov’erano fino alla fine dell’anno scolastico, e lui fu d’accordo. Con Kipp che faceva il pendolare tra Toronto e New York, e Irene che faceva i salti mortali nell’inedito ruolo di madre single, gli eventi imposero ben presto un prezzo al loro rapporto. Benché Irene avesse trascorso un paio di weekend a Toronto, continuando a passare in rassegna le scuole, era ormai evidente che non accettava l’idea del trasferimento I weekend erano spesso stressanti, con le bambine contente di vedere il padre ma infelici all’idea di doversi trasferire. Il lunedì Kipp arrivava sovente in ufficio stanco e incapace di concentrarsi, il che peggiorava le sue difficoltà operative e rendeva ancora più problematici i rapporti con i colleghi. Sapeva che la sua performance ne avrebbe risentito e questa consapevolezza non faceva che aumentarne lo stress. Alla fine decise di prendere in mano la situazione. Tramite conoscenze legate all’azienda trovò una scuola adeguata e alcune case interessanti. Tuttavia, quando sollecitò Irene a concludere la vendita del loro appartamento, scoppiò il litigio più violento dall’inizio del loro matrimonio. Quando fu chiaro che il loro rapporto si stava irrimediabilmente deteriorando, Kipp diede le dimissioni e tornò a New York, dove si mise alla ricerca di un nuovo lavoro. La vita di un leader comporta sempre un equilibrio precario, che diventa quasi impossibile durante le transizioni. In queste fasi, l’incertezza e l’ambiguità possono diventare intollerabili. Non riuscite neppure a capire pienamente ciò che non sapete, non avete avuto la possibilità di costruirvi un network di supporto. Se avete dovuto trasferirvi, come Kipp, vivete la transizione pure in termini di disagio materiale. Se avete una famiglia, la transizione coinvolge anch’essa. Nonostante questi sconvolgimenti, ci si attende che vi acclimatiate presto e che introduciate un cambiamento positivo nella nuova organizzazione. Per tutte queste ragioni, conservare l’equilibrio è un problema fondamentale delle transizioni. Vi state concentrando sulle cose giuste nel modo adeguato? Riuscite a conservare l’energia e a mantenere una prospettiva obiettiva? Voi e la vostra famiglia avete il supporto che vi occorre? Come ha scritto Ron Heifetz in “Leadership Without Easy Answers”, “Il mito della leadership è il mito del guerriero solitario: l’individuo il cui eroismo e la cui brillantezza gli consentono di indicare la via [...]. [Ma] anche se l’onere di gestire speranze e dolori graverà, per un certo periodo, sulle spalle di una singola persona, la leadership non si può esercitare da soli. Il modello di leadership del guerriero solitario è una forma di suicidio eroico”. Perciò, non mettetevi su questa strada.

FARE IL PUNTO Prendetevi qualche minuto per completare la tabella 9.1. Per ciascuna affermazione, cerchiate il livello di accordo che rappresenta al meglio il vostro attuale stato d’animo. 155

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TABELLA 9.1

VALUTAZIONE DELL’EQUILIBRIO

Totalmente in disaccordo

In disaccordo

Né d'accordo né in disaccordo

D'accordo

Totalmente d’accordo

1. Sono estremamente occupato, al punto di non trovare il tempo per le cose più importanti che dovrei fare 1

2

3

4

5

2. Faccio cose che non dovrei fare, su richiesta di altri (per esempio il mio capo, i miei collaboratori diretti) 1

2

3

4

5

3. Sono frustrato perché non riesco a fare le cose come vorrei 1

2

3

4

5

4

5

4. Mi sento isolato all’interno dell’organizzazione 1

2

3

5. La mia capacità di giudizio in questi giorni appare offuscata 1

2

3

4

5

6. Evito di prendere decisioni impopolari su problemi delicati (per esempio di personale) 1

2

3

4

5

4

5

7. Ho meno energia del solito da impiegare nel lavoro 1

2

3

Ora calcolate il punteggio complessivo. Se supera 25, o se avete scelto un 5 in risposta anche a una sola affermazione, siete a rischio. Anche se avete totalizzato meno di 25 punti, leggete comunque le seguenti pagine. Potreste averne bisogno in futuro, se la vostra situazione dovesse cambiare e, inoltre, questo capitolo potrà aiutarvi a sostenere i vostri collaboratori in difficoltà nella fase di transizione.

EVITARE I CIRCOLI VIZIOSI Le sette affermazioni riportate nella tabella corrispondono alle trappole personali più comuni in cui rischiano di cadere i leader. Ognuna di esse può avvilupparvi in un circolo vizioso, una spirale sempre più vincolante dalla quale sarà difficile uscire. Occorre pertanto riconoscere ed evitare queste trappole. Dedicate una particolare attenzione a quelle per le quali avete cerchiato un 5 o un 4 nell’esercizio di autovalutazione. 1. Corsa affannosa in tutte le direzioni. Non potete sperare di focalizzare i collaboratori se non siete in grado di focalizzare innanzi tutto voi stessi. Potete impegnarvi molto eppure commettere errori ogni 156

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giorno. Ciò avviene poiché esiste un numero infinito di compiti che potreste assolvere durante la transizione, ma quelli davvero vitali sono pochi. Forse vi direte: “Se metto in pista un numero sufficiente di iniziative, qualcuna dovrà sicuramente funzionare”, ma in tal modo riuscirete soltanto a sprecare i vostri sforzi. Magari sopravvalutate le vostre capacità funamboliche. Tutti i nuovi leader devono seguire svariati processi in parallelo, tuttavia è abbastanza diffuso arrivare ad una sorta di blocco mentale quando ci si ritrova a saltare da un lavoro all’altro senza avere il tempo di rifocalizzarsi su ogni nuovo compito. Quale che sia la spiegazione, se alcuni problemi importanti rimangono irrisolti, potrebbero esplodere e sottrarvi altro tempo, lasciandovene sempre meno. Si innesca in tal modo un circolo vizioso, una rincorsa continua a “spegnere gli incendi”. 2. Mancata difesa dei confini. Se non tracciate confini ben precisi definendo ciò che siete e non siete disposti a fare, le persone che vi circondano - capi, colleghi e collaboratori diretti - si prenderanno tutto quello che avete da offrire. Più date, meno vi rispetteranno e più vi chiederanno, avviando così un altro circolo vizioso. Alla fine proverete rabbia e frustrazione per essere stati “impietosamente sfruttati”, ma di questo potrete incolpare solo voi stessi. Se non siete in grado di stabilire dei confini, non pote te aspettarvi che lo facciano altri al vostro posto. 3. Rigidità. L’incertezza naturalmente insita nelle transizioni genera rigidità e atteggiamenti difensivi, specie nei nuovi leader che hanno un forte orientamento al controllo. Il risultato, più che probabile, è un eccessivo attaccamento a un corso d’azione sbagliato. Prendete una decisione prematura e poi non ve la sentite di rinnegarla per il timore di perdere credibilità. Più aspettate, più diventa difficile ammettere che avete sbagliato e maggiormente disastrose saranno le conseguenze. Oppure decidete che il vostro approccio al conseguimento di un determinato obiettivo è l’unico possibile e, di conseguenza, la vostra rigidità smonta i collaboratori che hanno idee altrettanto valide su come raggiungere il medesimo fine. 4. Isolamento. Per essere efficaci, dovete entrare in relazione con le persone che detengono il potere effettivo e con i flussi di informazione sotterranei. È sorprendentemente diffuso per i nuovi leader ritrovarsi isolati, e tale isolamento può insinuarsi lentamente anche intorno a voi. Ciò accade se non vi date il tempo di creare i contatti giusti e vi affidate eccessivamente a un numero limitato di persone o alle informazioni “ufficiali”. Avviene pure se inavvertitamente scoraggiate gli altri dal condividere informazioni critiche con voi. Forse temono le vostre reazioni alle cattive notizie o ritengono che siate portatori di interessi opposti. Quale che sia la ragione, l’isolamento genera un processo decisionale non adeguatamente informato, che mina la vostra credibilità e rinforza ulteriormente il vostro isolamento.

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5. Giudizio preconcetto. Il giudizio preconcetto - una perdita di obiettività dovuta ad alcuni noti limiti dei processi decisionali umani - può assumere diverse forme. Una è l’eccessivo attaccamento a un corso d’azione benché improprio per orgoglio e per il timore di perdere credibilità. Gli altri sono il pregiudizio confermativo, ossia la tendenza a concentrarsi sulle informazioni che confermano le vostre convinzioni e a ignorare le altre, le illusioni consolatorie, che predudono l’obiettività nelle situazioni ad alto coinvolgimento personale e l’eccesso di fiducia ottimistica, ossia la sottovalutazione delle difficoltà che si associano al corso d’azione preferito. La vulnerabilità a questi pregiudizi è una costante, ma voi siete particolarmente a rischio quando la posta in gioco si alza, l’incertezza e l’ambiguità aumentano e la componente emotiva prende il sopravvento. 6. Elusione dei compiti. Nel nuovo incarico dovrete prendere decisioni delicate. Forse dovrete decidere la direzione strategica del business in base a informazioni incomplete, o magari le vostre decisioni in materia di personale avranno un impatto profondo sulla vita dei collaboratori. Consapevolmente o inconsapevolmente, potreste decidere di rinviare, sommergendovi di altro la voro o raccontandovi che i tempi non sono ancora maturi per tale decisione. Ron Heifetz utilizza l’espressione elusione dei compiti per descrivere questa tendenza a evitare di prendere decisioni con fermezza, il che produce notevoli problemi, destinati ad acuirsi ulteriormente. 7. Chiedere troppo a se stessi. Queste trappole possono creare stress a livelli pericolosi, benché non sempre lo stress sia del tutto negativo. In effetti, esiste una relazione ben documentata tra stress e performance, nota come curva di Yerkes-Dodson, illustrata nella figura 9.14.

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Che sia autogenerato o imposto dall’esterno, dovete provare un poco di stress (in particolare se generato da incentivi positivi o di conseguenze negative per l’inazione) per essere produttivi. Senza di esso non si muove quasi nulla: potete rimanere tranquillamente a letto a sgranocchiare cioccolatini. Quando cominciate ad andare sotto pressione, la vostra performance migliora, quantomeno inizialmente. Sì arriva però a un punto (che varia da una persona all’altra) in cui ulteriori impegni, che possono assumere la forma di troppe cose da realizzare o di un carico emozionale eccessivo, cominciano a intaccare la performance. Questa dinamica crea stress aggiuntivo, peggiorando ulteriormente la prestazione e generando un circolo vizioso che si innesca quando si supera il picco massimo della curva personale di tolleranza dello stress. In rari casi subentra un logoramento eccessivo e il nuovo leader si rovina la salute. Molto più comune è una performance cronicamente insoddisfacente: lavorate sempre di più e ottenete sempre di meno, come è accaduto a Kipp Erikson nel caso citato all’inizio del presente capitolo.

I TRE PILASTRI DELL’AUTOEFFICACIA In che modo è possibile evitare queste trappole? Come potete creare circoli virtuosi che producono slancio organizzativo, anziché circoli viziosi che minano le vostre forze? Definiremo l’equilibrio a cui dovreste mirare autoefficacia, una condizione che si regge su tre pilastri. 1. Il primo consiste nell’adozione delle strategie di successo che abbiamo presentato negli otto capitoli precedenti. 159

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2. Il secondo pilastro comprende la creazione e il consolidamento di alcune discipline personali. 3. Il terzo si fonda sull’utilizzo di sistemi di supporto, sia al lavoro sia a casa, che vi aiuteranno a conservare l’equilibrio.

Pilastro n. 1: adottare strategie di successo Le strategie illustrate negli otto capitoli precedenti costituiscono un modello per apprendere, fissare le priorità, creare piani e orientare le azioni al fine di ottenere slancio organizzativo. Quando vedrete funzionare queste strategie e quando avrete incassato i primi successi, vi sentirete più fiduciosi e animati da ciò che state realizzando. A mano a mano che procedete nella transizione, riflettete sulle sfide che avete di fronte prendendo come riferimento quelle fondamentali elencate nella tabella 9.2, identificando i capitoli su cui intendete ritornare.

TABELLA 9.2 VALUTAZIONE DELLE SFIDE PRINCIPALI Sfida principale

Domande diagnostiche

Promuovere voi stessi State adottando la giusta mentalità per il nuovo in carico, rompendo i legami con il passato? Accelerare il vostro apprendimento Adattare la strategia alla situazione Ottenere alcuni successi iniziali

Negoziare il successo

Realizzare l’allineamento

Riuscite a capire che cosa dovete imparare e da chi, e come accelerare il processo di apprendimento? State diagnosticando il tipo di transizione che avete di fronte e le sue implicazioni in termini di ciò che è necessario fare e non fare? Vi state concentrando sulle priorità fondamentali che promuovono il raggiungimento degli obiettivi di lungo termine e creano slancio nell’immediato? State costruendo un rapporto produttivo con il nuovo capo, state gestendo le aspettative e state organizzando le risorse di cui avete bisogno? State identificando ed eliminando i disallineamenti tra strategia, struttura, sistemi e skill?

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Costruire il vostro team Creare coalizioni

State valutando, ristrutturando e allineando il team per realizzare adeguatamente i vostri progetti? Vi state costruendo una base di supporto interno ed esterno per le vostre iniziative, in modo da non dover spingere inutilmente pesanti massi lungo le pendici in salita di una collina?

Pilastro n. 2: imporsi alcune discipline personali Sapere che cosa dovreste fare non significa realizzarlo. In realtà, il successo o l’insuccesso deriva da un accumulo di scelte quotidiane che vi spingono in direzioni produttive o, viceversa, in un baratro. È questo l’ambito in cui opera il secondo pilastro dell’autoefficacia: le discipline personali. Le discipline personali sono azioni e atteggiamenti che dovete imporvi di fare diventare consuetudini. Quali siano le discipline specifiche che dovete sviluppare per prime dipende dai vostri punti di forza e di debolezza. Forse vi conoscete molto bene, ma dovreste comunque consultare altre persone che vi conoscono altrettanto e delle quali vi fidate (un feedback a 360 gradi potrebbe rivelarsi particolarmente utile da questo punto di vista). Quali sono secondo loro i vostri punti di forza e, soprattutto, i vostri potenziali punti deboli? Il seguente elenco di discipline personali può stimolare il vostro pensiero sulle consuetudini che dovete sviluppare. Programmate di pianificare. Dedicate, quotidianamente e settimanalmente, un po’ di tempo al ciclo pianificazione – lavoro valutazione? Se non lo fate, o non vi impegnate in questo con regolarità, dovete diventare più disciplinati nella pianificazione. Alla fine di ogni giorno, dedicate dieci minuti a valutare l’efficacia con la quale avete raggiunto gli obiettivi che vi eravate posti il giorno precedente e a pianificare la giornata successiva; ripetete questo pure alla fine di ogni settimana. Abituatevi a questa prassi. Anche nel caso in cui doveste restare indietro rispetto alla tabella di marcia che avete pianificato, avrete comunque un maggior controllo. Rinviate con criterio gli impegni. Vi assumete certi impegni nella concitazione del momento per poi pentirvene? Accettate imprudentemente di realizzare determinate cose in un futuro che appare remoto, per poi pentirvene quando arriva il giorno fatidico e non sapete più dove girarvi? Se è così, dovete imparare a rinviare gli impegni. Ogni volta che qualcuno vi chiede di fare qualcosa, rispondetegli: “Mi sembra 161

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interessante. Lasciami riflettere e ti darò una risposta”. Non dite mai sì su due piedi. Se subite pressioni (magari da parte di qualcuno che conosce la vostra vulnerabilità a queste ultime) replicate con affermazioni come la seguente: “Se hai bisogno di una risposta in questo momento, ti devo dire no. Ma, se puoi aspettare, ci penserò su”. Partite con un no, è più semplice dare una conferma positiva in un secondo tempo. È invece difficile (e dannoso per la vostra reputazione) dire sì e poi cambiare idea. Tenete presente che gli altri vi domanderanno di prendere alcuni impegni con largo anticipo, sapendo che la vostra agenda, all’inizio, apparirà ingannevolmente vuota. Chiedetevi, come ha efficacemente affermato il mio ex collega Robert Robinson, se “il voi di domani” non odierà “il voi di oggi” per aver detto sì. Anche se la vostra risposta potrebbe essere secondo voi positiva, in un primo momento dite comunque no. Riservate del tempo per i lavori più impegnativi. Dedicate ogni giorno un po’ di tempo al lavoro più importante da svolgere? È facile restare invischiati nel flusso delle transazioni quotidiane - telefonate, riunioni, e-mail - senza trovare mai spazio per concentrarsi sul medio termine, e tanto meno su quello lungo. Se faticate a portare avanti il lavoro vero, quello che conta, imponetevi di accantonare un quid di tempo ogni giorno, anche solo mezz’ora, durante il quale chiuderete la porta, staccherete il telefono, ignorerete la posta elettronica e non farete altro che concentrarvi sul lavoro più importante. Mettetevi alla finestra. Vi sentite troppo coinvolti nella dimensione emotiva delle situazioni difficili? Se la risposta è sì, imponetevi di prendere le distanze da queste circostanze e di fare il punto dall’alto per poi intraprendere azioni produttive. Le maggiori autorità nel campo della leadership e della negoziazione elogiano da tempo l’opportunità di “mettersi alla finestra” in questo modo. Può essere faticoso, soprattutto quando la posta in gioco è alta e il vostro coinvolgimento emotivo è particolarmente forte ma, tramite l’autodisciplina e la pratica, è una competenza che si può coltivare. Concentratevi sul processo di influenza. Avete buone idee, ma scoprite regolarmente di alienarvi le simpatie altrui quando cercate di implementarle? Le modalità attraverso le quali decidete provocano dissensi e dissidi non necessari? Se è così, imponetevi di concentrarvi sulla progettazione del processo di influenza prima di passare all’azione. Ponetevi queste domande: come potrebbero reagire gli altri alle vostre idee? Come potreste gestire il processo di consultazione e di decisione per migliorare la vostra efficacia? Ricordatevi che spessoi collaboratori accetteranno anche decisioni delle quali non sono del tutto soddisfatti se sono convinti che il processo sia corretto. 162

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Monitoratevi. Siete adeguatamente consapevoli delle vostre reazioni agli eventi durante la fase di transizione? Se non lo siete, imponetevi di avviare una riflessione strutturata sulla vostra situazione. Per alcuni nuovi leader, autovalutazione strutturata significa appuntare idee, impressioni e domande alla fine di ogni giorno. Per altri vuol dire dedicare ogni settimana un po’ di tempo a riflettere su come stanno andando le cose. Trovate un approccio adatto al vostro stile e imponetevi di utilizzarlo regolarmente, cercate di tradurre le relative indicazioni in azioni e prendete in considerazione l’ipotesi di adottare le linee guida elencate qui sotto.

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Linee guida per una riflessione strutturata L’efficacia della riflessione strutturata aumenta sensibilmente se la effettuate con regolarità e annotate il modo in cui si modificano nel tempo le vostre risposte. Proponetevi di dedicare un quarto d’ora alla fine di ogni settimana a rispondere alle medesime domande. Segnate le risposte così da poterle ogni volta confrontare con quelle delle ultime due settimane. Noterete lo sviluppo di alcune tendenze, sia nella natura dei problemi che avete da affrontare sia nelle vostre reazioni a essi. Come vi sentite a questo punto? Su una scala crescente, vi sentite: Eccitati? Se non lo siete, perché? Come potete rimediare? Fiduciosi? Se non lo siete, perché? Come potete rimediare? In grado di controllare e gestire il vostro successo? Se non lo siete, perché? Come potete rimediare? Che cosa vi ha disturbato finora? Con chi non siete riusciti a entrare in relazione? Perché? Delle riunioni alle quali avete partecipato, qual è stata la più difficile? Perché? Di tutto ciò che avete visto o sentito, che cosa vi ha disturbato di più? Perché? Che cosa è andato bene o male? Quali interazioni gestireste diversamente se poteste? Quali hanno superato le vostre aspettative? Perché? Quali tra le vostre decisioni si sono rivelate particolarmente efficaci? Quali si sono rivelate inadeguate? Perché? Quali mancate opportunità rimpiangete di più? Il raggiungimento di un risultato migliore è stato impedito principalmente da voi stessi o da qualcosa che sfuggiva al vostro controllo? Ora concentratevi sui maggiori problemi o sulle più forti difficoltà che avete di fronte. Siate onesti con voi stessi. Le vostre criticità sono legate alla situazione o la loro origine sta in voi? Anche i manager più esperti e competenti tendono ad addebitare i problemi alla situazione, anziché alle proprie azioni. Di conseguenza risultano meno propositivi e attivi di quanto potrebbero essere.

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Capire quando è il momento di mollare il colpo. Utilizzando una metafora riferita al mondo dello sport, potremmo affermare che le transizioni sono gare di fondo, non di velocità. Se vi trovate regolarmente a chiedere troppo a voi stessi, dovete imporvi di comprendere se e quando è il caso di mollare il colpo. Naturalmente è più facile a dirsi che a farsi, specie quando siete in prossimità di una scadenza e un’ora in più potrebbe rappresentare la differenza. Sul breve termine ciò potrebbe pure essere vero, ma il costo sul lungo periodo potrebbe rivelarsi molto pesante. Sforzatevi di capire se siete arrivati al punto in cui i ritorni cominciano a decrescere in rapporto agli sforzi e prendetevi una pausa che possa permettervi di agire con più serenità.

Pilastro n. 3: costruire sistemi di supporto I primi due pilastri relativi alla propria efficacia sono la pianificazione sistematica e l’esecuzione disciplinata; il terzo è il consolidamento dei sistemi di supporto. Significa acquisire il controllo sul contesto locale, rendere stabile il fronte interno e costruire un solido network di consiglieri. Affermate il controllo sul contesto locale. È difficile concentrarsi sul lavoro se non esiste un’indispensabile infrastruttura di supporto. Pur se avete preoccupazioni più serie, impegnatevi presto per sistemare il nuovo ufficio, creare consuetudini corrette, chiarire le aspettative nei confronti della segretaria ecc. Se necessario, assemblate risorse temporanee - documenti d’archivio, rapporti, supporti informatici e personale “in prestito” - per mettervi in condizione di lavorare fino a quando i sistemi permanenti non saranno operativi. Rendete stabile il fronte interno. Una regola fondamentale dell’arte militare prescrive di non combattere su troppi fronti. Per i nuovi leader ciò significa stabilizzare il “proprio fronte interno”, in modo da poter dedicare la necessaria attenzione al lavoro. Non potete sperare di creare valore sul lavoro se state distruggendo valore in casa vostra. È questo l’errore fondamentale commesso da Kipp Erikson. Se il vostro nuovo incarico comporta un trasferimento, anche la famiglia viene coinvolta nella transizione. Come Irene Erikson, vostra moglie potrebbe ritrovarsi a effettuare una transizione lavorativa, mentre i vostri figli dovrebbero abbandonare i loro amici e cambiare scuola. In altre parole, il tessuto della vostra vita familiare potrebbe lacerarsi proprio nel momento in cui avete più bisogno di appoggio e di stabilità. Lo stress generato dalla transizione professionale può amplificare il disagio del cambiamento che coinvolge la vostra famiglia e, inoltre, le difficoltà dei familiari possono appesantire ulteriormente il vostro già 165

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notevole carico emozionale, intaccando la vostra capacità di creare valore e allungando i tempi di raggiungimento del punto di pareggio. Concentratevi perciò anche sull’accelerazione della transizione per i vostri familiari. Il punto di partenza è riconoscere che la vostra famiglia potrebbe essere scontenta, se non addirittura infelice, a causa della transizione. Non si può evitare il disagio, ma parlarne e cercare tutti insieme di minimizzare il senso di perdita può risultare benefico. Esistono alcune regole che possono aiutarvi a rendere meno dolorosa la transizione della vostra famiglia. Analizzate il sistema di supporto della vostra famiglia. Il trasferimento spezza i legami con le persone che forniscono servizi essenziali alla vostra famiglia: medici, avvocati, insegnanti, dentisti, babysitter ecc. Fate un inventario, identificate le priorità e cercate di trovare rapidamente dei sostituti. Aiutate il coniuge a riprendere l’attività lavorativa. Vostra moglie (o vostro marito) potrebbe lasciare il lavoro con l’intenzione di trovare una nuova occupazione dopo il trasferimento. Se la ricerca va per le lunghe, possono crearsi malumori. Per accelerarla, se possibile negoziate con l’azienda l’assistenza per la ricerca di una nuova occupazione per il vostro coniuge, oppure trovate un servizio di questo tipo subito dopo il trasferimento. Soprattutto, impedite al coniuge di adagiarsi. Lasciate alla famiglia il tempo di organizzare con tranquillità il trasferimento. Per i bambini e i ragazzi è molto difficile accettare l’idea di trasferirsi a metà dell’anno scolastico. Prendete in considerazione l’ipotesi di attendere la fine dell’anno in corso prima di far traslocare la famiglia. Ciò comporta naturalmente una temporanea separazione dai vostri cari e il disagio del pendolarismo. Se adottate quest’ultima soluzione, d’altra parte farete sì che il vostro coniuge abbia un aiuto aggiuntivo per reggere il carico familiare. Il ruolo di genitore single è molto faticoso. Mantenete l’unità familiare. Ristabilite il più presto possibile le consuetudini familiari e cercate di mantenerle per tutta la durata della transizione. L’aiuto dei parenti più stretti, come i nonni, contribuisce a facilitare tutto ciò. Investite nell’integrazione culturale. Se vi trasferite all’estero, procuratevi un’assistenza professionale contro i disagi della transizione in contesti e culture differenti. L’isolamento rappresenta un rischio molto maggiore per la vostra famiglia se nel paese di destinazione troveranno barriere di tipo linguistico e culturale. Utilizzate il più presto possibile il servizio di assistenza logistica del la vostra azienda. I servizi offerti dalle aziende in caso di trasferimento si limitano generalmente alla ricerca di una nuova 166

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abitazione, all’organizzazione del trasloco e all’individuazione delle scuole, ma questo supporto può comunque fare la differenza. Non esiste mezzo per evitare del tutto il disagio se decidete di trasferire anche la vostra famiglia, tuttavia potete realizzare molto per minimizzarlo e per accelerare le transizioni di ogni suo membro. Costruite un network di consiglieri personali e professionali. Non c’è leader, per quanto capace ed energico, che possa fare tutto da solo. Vi occorre un network di consiglieri personali e professionali fidati, sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione, con cui parlare diffusamente dell’esperienza che state vivendo. Tale network rappresenta una risorsa indispensabile che può aiutarvi a evitare l’isolamento e la perdita di prospettiva. Per cominciare, dovete coltivarne di tre tipi: consiglieri tecnici, interpreti culturali e consiglieri politici (vedi tabella 9.3).

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Riflettete con attenzione sulla combinazione di consiglieri interni ed esterni che volete coltivare. Gli interni conoscono l’organizzazione, la sua cultura e i suoi assetti politici. Cercate persone che possiedano una buona rete di relazioni e che vi possano aiutare a capire che cosa sta accadendo realmente; rappresentano una risorsa inestimabile. Nello stesso tempo, non potete aspettarvi che costoro vi diano una visione spassionata o disinteressata degli eventi. Dovreste per tanto arricchire il vostro network interno, integrandolo con consiglieri esterni in grado di aiutarvi ad affrontare con successo i problemi e le decisioni che avete di fronte. Dovrebbero essere capaci di ascoltare e di porre domande, capire bene i meccanismi di funzionamento delle organizzazioni e avere sinceramente a cuore i vostri interessi. Utilizzate la tabella 9.4 per valutare il vostro network di consiglieri; analizzate ognuno di essi in base alle aree specifiche in cui vi assiste e alla provenienza interna o esterna.

Ora fate un passo indietro e osservate il quadro complessivo. Il network in essere vi fornirà il supporto di cui avete bisogno nella nuova situazione? Non date per scontato che chi vi ha aiutato in passato continui a rivelarsi utile pure nella situazione attuale, poiché incontrerete problemi differenti e non è detto che gli ex consiglieri saranno in grado di aiutarvi nel vostro presente ruolo. A mano a mano che acquisite nuove responsabilità, per esempio, cresce sensibilmente la necessità di consigli efficaci a livello politico. Dovreste inoltre ragionare in chiave prospettica. Siccome occorre tempo per sviluppare un network efficace, non è mai troppo presto per concentrarvi sulla tipologia di rete di cui avrete bisogno in futuro.

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Come cambieranno i vostri bisogni per quanto riguarda i consigli di cui avrete necessità? Per sviluppare un network di supporto efficace, dovete essere sicuri di avere sottomano le persone giuste e di poter disporre di esse quando ne avrete effettivamente bisogno. Il vostro network di supporto ha le seguenti qualità? La giusta combinazione di consiglieri tecnici, interpreti culturali e consiglieri politici. Il corretto mix di consiglieri interni ed esterni. Vi occorrono un feedback sincero da parte di quelli interni e una prospettiva obiettiva degli esterni. Sostenitori esterni che siano fedeli a voi come persone e non alla vostra nuova organizzazione o unità. Si tratta propriamente di amici e colleghi di lunga data. Consiglieri interni affidabili, i cui interessi personali non sono in conflitto con i vostri e che offrono opinioni sincere e accurate. Rappresentanti dei “pubblici chiave”, che possono aiutarvi a comprenderne i punti di vista. Non vorrete certo confinarvi ad avere soltanto una o due prospettive.

RIMANERE IN CARREGGIATA Dovrete combattere una battaglia quotidiana per conservare l’equilibrio. Alla fine, il successo o l’insuccesso deriverà dalla sommatoria delle piccole scelte che effettuerete durante la transizione. Tali scelte possono creare slancio, per l’organizzazione e per voi, oppure condurre a una fine disastrosa. Le azioni quotidiane che accompagneranno la vostra transizione creeranno la base per tutto ciò che seguirà, non solo per l’organizzazione, bensì pure per la vostra efficacia personale e, in ultima analisi, per il vostro benessere.

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CHECKLIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE 1. Quali sono le vostre maggiori vulnerabilità nella nuova posizione? Come pensate di emendarle? 2. Quali discipline personali dovete sviluppare o rafforzare particolarmente? Come lo farete? Come si declinerà in pratica il successo in tali aree? 3. Che cosa potete fare per acquisire un maggior controllo sul contesto locale? 4. In che modo potete agevolare la transizione della vostra famiglia? Quali relazioni di supporto dovrete costruire? Quali sono le vostre maggiori priorità? 5. Quali sono le vostre priorità per rafforzare il network di consiglieri? In che misura dovete concentrarvi sul network interno? E su quello esterno? In quale area avete maggiore necessità di supporto aggiuntivo: tecnica, politica o personale?

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10. Abbreviare i tempi per tutti

Le strategie illustrate nei capitoli precedenti dovrebbero portarvi a godere i benefici di una transizione particolarmente riuscita. Tuttavia, la transizione non si conclude qui. Che cosa pensate, a questo riguardo, delle possibilità dei vostri collaboratori diretti e di coloro che, a loro volta, collaborano con essi? Non avete alcun interesse che possano effettuare transizioni di successo? Nell’ambito delle ricerche propedeutiche a questo libro, ho cercato di risolvere un mistero: perché così poche aziende hanno come priontà organizzativa quella di accelerare la transizione dei propri manager? In altre parole, per quale motivo le aziende non si preoccupano di ottenere i potenziali benefici di un’accelerazione generalizzata delle transizioni? Tipicamente, in un’impresa ogni anno il 25% dei manager assume nuovi incarichi e ogni singola transizione coinvolge molte altre persone. Perciò è davvero sorprendente che poche aziende (GE, per esempio) dedichino un’adeguata attenzione all’accelerazione di queste transizioni. Più diffusi sono i programmi di “assimilazione”, che avvicinano i neoassunti provenienti dall’esterno alle strategie, ai business e alla cultura del l’azienda. Per quanto utili, tali programmi non forniscono quasi mai le indicazioni per gestire sistematicamente il processo di transizione. La stragrande maggioranza delle imprese non mette a disposizione alcun supporto. La spiegazione di questo va ricercata anche nei cambiamenti in corso nello sviluppo della leadership. L’appiattimento delle gerarchie e l’accelerazione delle dinamiche di business hanno ridotto la quantità di tempo che i manager possono dedicare allo sviluppo e al supporto dei loro collaboratori diretti, pure durante le fasi di transizione. Per ovviare a questo problema, le unità deputate alla formazione interna hanno assunto una responsabilità sempre maggiore nello sviluppo della leadership. Di conseguenza, si registrano progressi significativi nell’affinamento delle competenze “hard”, ma la contropartita è una notevole riduzione del travaso di sensibilità manageriale dai senior manager ai loro collaboratori meno esperti, soprattutto per quanto riguarda le competenze “soft”, per esempio l’assunzione efficace di un nuovo ruolo. La cultura manageriale fondata sul dilemma “annegare o nuotare” rappresenta una seconda barriera.

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Molte aziende vedono nelle transizioni un’occasione per mettere alla prova il talento; si tratta di un approccio che definisco sviluppo darwiniano della leadership. Manager promettenti vengono gettati nel punto più profondo della piscina per valutarne l’adattamento evolutivo a una situazione di maggiore responsabilità. Quelli che nuotano vengono etichettati come soggetti ad alto potenziale mentre gli altri... vengono lasciati annegare. In alcune realtà, questo processo sfiora il sadismo: poiché abbiamo sofferto noi, devi soffrire anche tu. Un senior manager mi ha detto, senza ombra di ironia: “Non avrà certo intenzione di facilitargli troppo la transizione, non è vero?”. Come se fosse possibile: in alcune organizzazioni, le fazioni avversarie operano addirittura per collocare gli ignari soggetti ad alto potenziale in posizioni «impossibili» nelle quali falliranno, escludendo così la possibilità di accedere a posizioni più elevate. Detto questo, è indubbio che le transizioni siano un elemento chiave di un approccio funzionale allo sviluppo della leadership. Nell’indagine effettuata nel 1998 da McKinsey & Company sulla “guerra dei talenti”, tutte le esperienze considerate “più importanti ai fini dello sviluppo” comportavano una transizione. Le prime tre erano la copertura di un nuovo incarico di ampia responsabilità, la gestione di un turnaround e l’avvio di un nuovo business. Far crescere i leader non significa peraltro collocarli in situazioni difficili senza averli opportunamente preparati. Un limite fondamentale dell’approccio darwiniano allo sviluppo della leadership è che, esistendo molti tipi di transizione, le lezioni che apprendono i giovani manager non li mettono in condizione di gestire efficacemente sfide più complesse o altre situazioni di business. Di conseguenza, alcuni manager ad alto potenziale commettono degli errori iniziali e “annegano”. Altri imparano a nuotare, ma solo perché si ritrovano nella posizione giusta o perché sono assistiti dal “bagnino” giusto. Sul lungo termine, l’approccio darwiniano non è affatto salutare per le organizzazioni. Assomiglia un po’ a un libero mercato spinto all’eccesso, senza le garanzie fornite da norme e regolamentazioni. Le aziende eccellenti sono certamente meritocratiche, i loro leader competono per arrivare al vertice e le rinvigoriscono costantemente. Tuttavia, le vere meritocrazie dovrebbero partire da un terreno di gioco livellato: le persone raggiungeranno il successo perché hanno le qualità giuste e poiché vengono collocate in posizioni che sono in linea con le loro competenze. La decima e ultima sfida, perciò, consiste nell’abbreviare i tempi per tutti, diffondendo e applicando il modello di accelerazione della transizione presentato in questo libro. Se tutti i leader chiamati a ricoprire un nuovo incarico seguiranno queste strategie di successo, oltre a prevenire i fallimenti potrete anche ricavare notevoli benefici ai fini dell’accelerazione generalizzata della transizione. Quanto prima essi si inseriscono nelle nuove posizioni, tanto prima l’organizzazione potrà cominciare a compiere le mosse giuste per guadagnare quote di mercato, ridurre i costi e lanciare nuovi prodotti.

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Pensateci. Che cosa otterreste, in termini di bottom line, se riusciste a portare tutti i collaboratori dell’azienda - i vostri nuovi collaboratori diretti, i loro nuovi collaboratori e così via - al punto di pareggio risparmiando anche solo un 5% di tempo?

CREARE UN LINGUAGGIO COMUNE Supponete di voler introdurre il modello di accelerazione della transizione nella vostra azienda. In che modo potreste agire? Il punto di partenza sta nell’introduzione di una nuova forma di “linguaggio” intorno al tema delle transizioni: si tratta verosimilmente del passo più importante in assoluto che possa intraprendere la vostra organizzazione per istituzionalizzare l’accelerazione della transizione. Immaginate che, tutte le volte in cui un collaboratore assume un nuovo ruolo di leadership, egli abbia la possibilità di parlare con i capi, i colleghi e i collaboratori diretti riguardo ai seguenti argomenti: il tipo di transizione in cui si trova in base al modello STARS - startup, turnaround, riallineamento o sostegno al successo – con i problemi e le opportunità che comporta; la sua agenda per l’apprendimento tecnico, culturale e politico e gli elementi principali del suo piano di apprendimento; i progressi compiuti nel coinvolgere il nuovo capo nelle cinque conversazioni sulla situazione, le aspettative, lo stile, le risorse e lo sviluppo personale; le sue maggiori priorità, i suoi obiettivi di cambiamento comportamentale e le sue idee sulle aree in cui ricercare alcuni successi iniziali; le sue priorità per il rafforzamento del network di consiglieri personali e professionali. La disponibilità di un “linguaggio comune” rende molto più efficiente la discussione di questi argomenti. Soprattutto, rende possibile l’esistenza di conversazioni che altrimenti non avrebbero luogo. Inoltre fa sì che le persone siano più comunicative, maggiormente disposte a condividere confidenze e informazioni e più comprensive nei confronti dei problemi di transizione altrui. Tutto ciò contribuisce ad allontanare l’organizzazione dalla logica “annegare o nuotare”. Chiunque abbia cercato di istituzionalizzare nuove idee all’interno di un’organizzazione può confermarvi che si tratta di una battaglia ardua. Iniziate perciò operando a livello locale: concentratevi innanzitutto su coloro che lavorano per voi, sia i nuovi sia i vecchi collaboratori diretti. Quando assumete nuovi collaboratori diretti, cercate di capire con quali tempi potrete farli arrivare al punto di pareggio. 173

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Invitateli a creare un piano a 90 giorni per l’accelerazione della transizione. Cominciate presentando loro lo schema delle cinque conversazioni per costruire una relazione produttiva con il loro nuovo capo, cioè con voi. A seguire, fategli diagnosticare la situazione di business e chiedetegli di discuterla con voi, integrando questa discussione nella conversazione sulle aspettative. Quindi iniziate a lavorare con loro per costruire un’agenda e un piano di apprendimento. Aiutateli a identificare e a contattare le persone del cui appoggio avranno bisogno. Induceteli a definire le loro maggiori priorità e a formulare i piani per il conseguimento di alcuni successi iniziali. Una volta acceleratane la transizione, sollecitateli a utilizzare il modello di accelerazione della transizione con i loro collaboratori diretti. In parallelo a queste azioni, scegliete un collaboratore diretto che conoscete da un po’ di tempo e che giudicate di mentalità aperta: provate ad aiutarlo ad accelerare la transizione dei suoi collaboratori diretti. Affidategli il ruolo di docente, che è spesso il modo migliore per imparare qualcosa di nuovo, e valutate fino a che punto potete portare avanti questo processo “a cascata”.

LAVORARE CON UN TEAM Se state costruendo un team, prendete in considerazione l’ipotesi di utilizzare il nostro schema di riferimento per accelerare il processo di team building. Un pregio del modello di accelerazione della transizione è la messa a disposizione del gruppo di un linguaggio comune per discutere dei problemi da affrontare insieme. Questa risorsa può risultare particolarmente utile se nel vostro team coesistono persone che occupano da tempo la medesima posizione e altre che stanno assumendo nuovi ruoli. Introducendo un nuovo schema di riferimento e un nuovo linguaggio comune, livellerete il terreno di gioco sia per gli uni sia per gli altri. Iniziate fornendo al team una panoramica del modello di accelerazione della transizione. Dunque focalizzate il gruppo sull’effettuazione di una diagnosi della situazione tramite il modello STARS e invitatelo a specificare con la massima chiarezza i problemi e le opportunità più rilevanti. Concentratevi quindi sul modo in cui definirà le sue maggiori priorità e si assicurerà i successi iniziali. Analizzate infine i tipi di coalizione che voi e il vostro team dovrete mettere in piedi per ottenere il supporto di cui avete necessità.

IMPORTARE NUOVI COLLABORATORI DALL’ESTERNO Le organizzazioni in buona salute importano persone dall’esterno, idealmente di livello intermedio, per acquisire nuove idee e nuove energie. Tuttavia poche organizzazioni integrano efficacemente al loro interno i nuovi collaboratori esterni. Come conseguenza, avviene che persone

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promettenti commettano errori che avrebbero potuto essere evitati, quasi sempre nella sfera culturale o in quella politica. Per minimizzare tale rischio, convincete gli outsider a formulare un piano di accelerazione per i primi 90 giorni. Iniziate utilizzando il modello STARS per identificare le mansioni più appropriate per questi nuovi collaboratori. Non predisponeteli al fallimento, mettendoli per esempio in una situazione di riallineamento senza fornire loro consigli e un supporto adeguati. Insegnate loro lo stesso linguaggio, in tema di accelerazione della transizione, che già impiegano gli interni, in modo che possano discutere agevolmente, per esempio, di che cosa si intende per “successo” nella vostra organizzazione. Create un “manuale” illustrativo della cultura aziendale, per esempio un video in cui alcuni leader che hanno effettuato con successo la transizione nella vostra azienda, provenendo dall’esterno, spiegano ciò che va messo in atto e ciò che invece non può funzionare.

FAR CRESCERE LEADER AD ALTO POTENZIALE Un programma di sviluppo dei dirigenti basato sul modello di accelerazione della transizione può costituire una componente essenziale di una strategia più ambiziosa per lo sviluppo di leader ad alto potenziale. In tali programmi, che durano normalmente alcuni giorni, un gruppo di leader ad alto potenziale in procinto di assumere nuovi ruoli familiarizza con il modello di accelerazione della transizione, partecipa a simulazioni e a casi di studio e inizia a sviluppare piani d’azione a 90 giorni per le proprie transizioni. Lavorando intensamente in piccoli sottogruppi, sovente si creano relazioni durature di appoggio reciproco.

MIGLIORARE LA PIANIFICAZIONE DELLA SUCCESSIONE I sistemi efficaci di pianificazione della successione comportano 1. una valutazione rigorosa del potenziale di leadership e 2. un’accurata progettazione dei percorsi di sviluppo dei leader ad alto potenziale. I sistemi più validi promuovono l’expertise interfunzionale e contribuiscono a selezionare i futuri direttori generali dell’azienda. Nelle imprese multinazionali, espongono i manager più promettenti all’esperienza internazionale fin dall’inizio della carriera. Inoltre si tende sempre più a inserire gli snodi critici e i passaggi di carriera lungo lo stesso processo di sviluppo. Tuttavia quasi tutti i sistemi in essere sono carenti, sia nella valutazione sia nello sviluppo, poiché non dispongono di uno schema di riferimento con cui caratterizzare tali incarichi formativi. In assenza di uno schema di questo tipo, diventa infatti problematico fare confronti tra individui ad alto potenziale posti a operare in situazioni dissimili. I pianificatori della successione manageriale non hanno neppure a disposizione uno schema 175

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strutturato per descrivere - e quindi per gestire - la sequenza delle posizioni attraverso le quali i leader ad alto potenziale percorrono il loro iter di crescita. La pianificazione della successione si può migliorare sensibilmente concentrandosi, oltre che sulle persone, pure sulle tipologie di situazioni (start-up, turnaround, riallineamenti e sostegno al successo) con le quali tali soggetti si sono misurati. Il modello STARS fornisce un metodo per valutare la performance relativamente a differenti contesti e prestazioni. Inoltre, aspetto ancora più importante, offre una base per mappare i progressi dei leader ad alto potenziale in una serie di posizioni che li abituino a gestire un’ampia gamma di situazioni di business. Pensate, per esempio, alla vostra storia professionale. Dedicate qualche minuto a compilare una griglia di sviluppo, uno strumento per la mappatura della crescita professionale visualizzato nella tabella 10.1. Le file rappresentano le funzioni in cui avete lavorato e le colonne le situazioni di business con le quali vi siete confrontati. Segnate tutte le posizioni manageriali che avete ricoperto, nonché i progetti speciali e le task force alle quali avete partecipato. Per esempio, se il vostro primo incarico manageriale è stato nel marketing di un’organizzazione (o di un’unità) impegnata in un turn around, mettete un 1 cerchiato (a indicare la vostra prima posizione manageriale) nella cella corrispondente della matrice. Se la posizione successiva era nelle vendite di una nuova unità (o nello sviluppo di un nuovo prodotto o di un nuovo progetto) - comunque una situazione di start-up - scrivete un 2 cerchiato nella relativa cella. Se nel contempo facevate parte di una task force che seguiva le problematiche operative dello start-up, scrivete un 2 iscritto in un triangolo nella cella corrispondente. Registrate tutti i vostri incarichi manageriali e quindi collegate i relativi simboli rappresentativi in modo da visualizzare il vostro percorso professionale. Vi sono file o colonne vuote? Che significato hanno quelle mancanze in relazione alla vostra preparazione per posizioni di general manager? in termini di punti deboli?

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Come abbiamo affermato in precedenza la preparazione dei collaboratori ad affrontare le diverse situazioni di business costituisce una quarta dimensione di un processo di sviluppo della leadership che copre: 1. ampiezza dell’expertise funzionale, 2. entità dell’esperienza internazionale, e 3. passaggi critici da un livello all’altro dell’organizzazione.

ACCELERARE L’INTEGRAZIONE DOPO UNA FUSIONE Il modello di accelerazione della transizione è stato utilizzato con buoni risultati anche come guida dell’integrazione dopo una fusione, fase durante la quale più persone vivono simultaneamente la transizione. Il suo impatto va comunque oltre l’abbreviazione dei tempi di transizione dei singoli 177

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manager. Quando le organizzazioni si scontrano, le “popolazioni” che le abitano mostrano di parlare lingue differenti. I conflitti culturali riguardano spesso anche il linguaggio, oltre ai valori, e gli equivoci che emergono generano conflitti, che minano il processo di integrazione. Il modello di accelerazione della transizione rappresenta invece un nuovo linguaggio che le due organizzazioni possono apprendere insieme.

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CHECKLIST DEL PROCESSO DI ACCELERAZIONE DELLA TRANSIZIONE 1. Di quali collaboratori vorreste particolarmente accelerare la transizione? Come potreste iniziare? 2. Un processo strutturato di assimilazione dei nuovi leader vi aiuterebbe ad accelerare la vostra transizione e quella del vostro nuovo team? 3. Che cosa potete fare per meglio supportare le transizioni dei nuovi collaboratori provenienti dall’esterno? 4. L’accelerazione della transizione dovrebbe far parte del programma istituzionale utilizzato dalla vostra organizzazione per sviluppare leader ad alto potenziale? In che modo si potrebbero utilizzare le diverse situazioni di business ai fìni della pianificazione della successione? 5. Il modello di accelerazione della transizione potrebbe contribuire a migliorare l’integrazione dopo le fusioni con altre aziende?

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CONCLUSIONE Al di là del dilemma “affogare o nuotare”

L’obiettivo di questo libro è indurre voi, e la vostra organizzazione, a superare il classico approccio “affogare o nuotare” alla gestione delle transizioni. Se applicherete sistematicamente le strategie illustrate nei dieci capitoli precedenti, abbrevierete drasticamente i tempi necessari per familiarizzare con i nuovi ruoli e raggiungere il punto di pareggio. Analogamente, coloro che lavorano per voi potranno ottenere notevoli benefici se li aiuterete a diventare più metodici nell’approccio all’accelerazione della transizione. Più rapidamente si adegueranno, più potranno aiutarvi a realizzare i vostri obiettivi. Il mio scopo nell’illustrazione delle dieci sfide principali della transizione, e nella presentazione delle tecniche per vincerle, è aiutarvi a sviluppare consapevolezza riguardo alla situazione in cui siete inseriti e arricchire gli strumenti di cui potete disporre. Dopo aver dedicato tanto tempo a “osservare i singoli alberi”, è giunto il momento di fare un passo indietro e di “guardare la foresta”. Al principio del volume ho formulato cinque proposizioni fondamentali sulle transizioni e su ciò che occorre per affrontare queste ultime in modo efficace. Concludiamo rileggendole con occhi nuovi. 1. Le cause profonde dell’insuccesso nelle transizioni sono sempre dovute a una perniciosa interazione tra la situazione, con le sue opportunità e le sue insidie, e l’individuo, con i suoi punti di forza e le sue vulnerabilità. Il vostro successo o il vostro insuccesso dipende, in larga misura, dalla capacità di diagnosticare la situazione in cui vi trovate, di identificarne i problemi e le opportunità e di costruire piani d’azione promettenti. Se non capirete le specificità della situazione, offrirete una performance inadeguata o fallirete del tutto. Abbinata alla comprensione dei vostri punti di forza e di debolezza, un’accurata diagnosi della situazione vi aiuterà a identificare le vulnerabilità, consentendovi di intraprendere azioni preventive. 2. Esistono metodi sistematici che i leader possono impiegare per ridurre le probabilità di insuccesso e per raggiungere in fretta il punto di pareggio. La differenza tra il passaggio a una posizione di management medio - alta e quello al ruolo di CEO è più quantitativa che qualitativa. 180

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Certo, i senior manager devono affrontare problemi (come l’allineamento organizzativo, la costruzione di un team di vertice e la gestione dei referenti esterni) che esulano dalle competenze dei manager di livello inferiore. Tuttavia, quasi tutti gli imperativi fondamentali - promuovere se stessi, adattare la strategia alla situazione, accelerare il proprio apprendimento, ottenere alcuni successi iniziali, creare coalizioni - si possono applicare a tutti i livelli, e lo stesso vale per gli strumenti fondamentali e le direttive di pianificazione. L’imperativo primario, in tutte le transizioni, è trovare il modo di creare valore in tempi più brevi, per raggiungere più velocemente il punto di pareggio. Il valore di un piano d’azione efficace per i primi 90 giorni è dunque elevato, quale che sia il livello organizzativo in cui operate. 3. L’obiettivo primario di una transizione è creare slancio attivando circoli virtuosi che diano credibilità ed evitando di finire invischiati in circoli viziosi che la danneggino. La leadership riguarda prevalentemente lo sfruttamento delle risorse. I leader efficaci “sfruttano” se stessi - le loro idee, energie, relazioni e la loro influenza - per creare nuove dinamiche in seno alle organizzazioni. Il leader è infatti un singolo individuo, e può fare ben poco lavorando da solo. La capacità di “sfruttare” se stessi si basa a sua volta sulla credibilità personale e sull’efficacia dimostrata. Avviene così che piccoli successi generano un capitale di leadership che si può investire per conseguire ritorni più elevati. L’obiettivo sottostante alle strategie presentate in questo libro - ottenere successi iniziali, costruire coalizioni e sviluppare un team efficace - è aiutare i nuovi leader a creare slancio organizzativo, aumentando in tal modo il loro impatto. 4. Le transizioni rappresentano un passaggio cruciale per lo sviluppo della leadership e andrebbero gestite di conseguenza. Spero che questo libro vi abbia convinto che l’approccio darwiniano allo sviluppo della leadership causa sprechi di tempo, energia e talento. Dovreste certamente utilizzare le transizioni in nuove posizioni di responsabilità per mettere alla prova i vostri leader più promettenti. Ma non abbandonateli a loro stessi per vedere se affogano o imparano a nuotare: insegnate loro le competenze di accelerazione della transizione di cui necessitano per riuscire a farcela. Livellando il terreno di gioco riuscirete pure a individuare meglio chi possiede le capacità più rilevanti. 5. L’adozione efficace di uno schema di riferimento standard per accelerare le transizioni può generare ritorni elevati per le organizzazioni. Prendetevi il tempo necessario per capire quante persone accedono a nuove posizioni di management nella vostra organizzazione in un anno tipo. Dunque fate una stima del numero di individui coinvolti in ciascuna transizione manageriale. Qual è secondo voi il costo netto 181

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annuale delle transizioni? A quanto ammonterebbe la riduzione di quel costo per esempio del 5%? Mantenere i collaboratori nelle loro posizioni per un periodo più lungo di quanto sarebbe necessario, per quanto possa sembrare utile, non è affatto la scelta giusta. I collaboratori più validi si annoiano dopo qualche anno e pretendono nuove sfide. L’approccio più efficace è aiutare tutti i membri della vostra organizzazione ad accelerare le proprie transizioni. Se siete leader esperti, certamente state già utilizzando alcuni approcci che avete incontrato nelle pagine di questo libro. Forse leggendole vi siete detti “È proprio quello che stavo facendo!”, nondimeno alcune vostre convinzioni su ciò che occorre per avere successo in un nuovo incarico andrebbero probabilmente riviste e affinate. Il pericolo più grande che avete di fronte è credere che esistano regole fisse e immutabili per il successo. Se siete ancora in una fase iniziale della vostra carriera di manager, avete molto da imparare, ma per contro non avete ancora adottato tante cattive abitudini. Potete partire sin dall’inizio con il piede giusto e affinare le vostre competenze lungo le numerose transizioni che vivrete in futuro.

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