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Italian Pages 276 Year 2017
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METODO, MATERIA E SCIENZA DEL MOTO
No LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXVII
Tutti i diritti riservati
Casa EDITRICE LEO S. OLSCHKI Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze
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con il contributo dell’Università degli Studi del Pie-
monte Orientale - Dipartimento di Studi Umanistici, del Museo Galileo di Firenze e del LabEx Comod dell’Università di Lione.
UNIVERSITÀ DELPIEMONTE ORIENTALE
UNIVERSITE
ISBN 978 88 222 6493 0
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INDICE
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Capitolo primo — HoBBES E MERSENNE
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0.00 pt. La'fondazione filosofica" delle scienze"... Certezza e probabilità: verità matematiche e ipotesi fisiche . . A da Problemi astronomici, analogie animali e spiegazioni meccaDERISO
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Capitolo secondo — HoBBES: PRINCIPI DI FILOSOFIA GALILEIANA .. See non e ni ETTI Dare ARA RANE NEO latzt: AOCIGENILECIMSCe. ei dono . ‘Predominii, qualità occulte e simili fanciullezze’: GaliPUN leo;-Hobbes.r la.criticasa.Keplerosi sis-porcessimirticaguziaro- e sie darci bastate
atasiio ruita ela mnetodcre e beerepr
. Cose fatte ‘meccanicamente dalla natura’ ............. epora i, RL, UA 3 PERGARE A ITA nCinseinecesstii : La matematica e il libro della natura . .................. 90 \0_ MI S\ N . Galileo e Hobbes tra sensate esperienze e necessarie dimoRO ATETITONE ene ite se SEE SCIOMZONI/ o delle hobbesiana ne 10. Sulla classificazio Capitolo terzo — IL MOMENTO DI GALILEO E IL CONATUS DI HOBBES. . ORI OOO ni Plimerzadie liconidio Di in a n en a MMOFOCOTO E CONATUST O,
. Le Mecaniche e la fisica galileiana di Hobbes ........... . La gravità non è altro che un conato’ .................. . Ricerche sulla causa della gravità ..................... . Verso un nuovo vocabolario scientifico .................. NQONA1ADNT
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VI.
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INDICE
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. Corpi solidi, fluidi e minutissima polvere ...............
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Capitolo quarto — I PARADOSSI DELLA MATERIA.
. Risoluzione massima, indivisibili e atomi ...............
e ch CUnfludosoinle. . Infiniti indivisibili e divisibili indivisi . .... der APRO . Trasmutazioni” e ‘transustanziazioni’ della materia ...... EOOncusione
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Bibliografia
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RINGRAZIAMENTI
Questo saggio è il frutto di una ricerca iniziata durante il mio dottorato in Filosofia e Storia della Filosofia presso l’Università del Piemonte Orientale (Facoltà di Lettere e Filosofia, Vercelli), sotto la guida del prof. Gianni Paganini e proseguita all’Ecole Normale Supérieure di Lione, presso il LabEx Comod, diretto dal prof. Pierre-Francois Moreau. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno contribuito al buon esito del progetto e si sono prodigati per renderne possibile la pubblicazione. In particolare, voglio esprimere il mio ringraziamento a Lorenzo Bianchi e Franco Giudice, che hanno letto e discusso la mia tesi di dot-
torato in qualità di membri della commissione; all’Università del Piemonte Orientale, al Museo Galileo’ di Firenze e al LabEx Comod dell’Università di Lione, che
hanno sostenuto il costo della pubblicazione. Un grazie particolarmente sentito va ad Arnaud Milanese, per il suo supporto e per la generosità con la quale ha contribuito all’edizione, a Pierre-Frangois Moreau, per l’interesse nei confronti delle
mie ricerche manifestatomi durante la mia permanenza all’ENS e, soprattutto, a Franco Giudice, che segue da alcuni anni gli sviluppi dei miei studi, contribuendo attivamente, con consigli e osservazioni critiche puntuali, al raggiungimento dei traguardi. Tuttavia, più di ogni altro, mi sia permesso ringraziare il prof. Gianni Paganini, che mi ha incentivato a intraprendere uno studio sulla filosofia naturale di Hobbes quando frequentavo gli ultimi anni di università da studente. Negli anni seguenti è stato una guida attenta e severa, che ha cercato di trasmettermi quelle virtù che caratterizzano la sua attività di studioso: il rigore intellettuale e la precisione metodologica, senza mai dimenticare la vivace passione per la conoscenza. Spero di aver appreso almeno in parte la sua lezione.
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ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI
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= Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei, 20 voll., a cura di Antonio
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= Cuvres de René Descartes, 11 voll., 13 tt., publiées par Charles Adam et
CM
= Correspondance du P. Marin Mersenne, 16 voll., publiée par Paul Tannery,
Favaro, Roma, Barbera, 1968 (ed. or. 1890-1909). Paul Tannery, Paris, Vrin, 1982-92 (ed. or. 1887-1913). Cornelis de Waard, René Pintard, Bernard Rochot, Paris, Éditions Uni-
versitaires de France et Centre National de la Recherche Scientifique, 1932-1986.
OL
= Thomae Hobbes Malmesburiensis Opera Philosophica quae Latine Scripsit Omnia, in unum corpus nunc primum collecta studio et labore Gulielmi Molesworth,
EW
= The Collected English Works of Thomas Hobbes, 12 voll., ed. by William Molesworth, 1839-1845 (reprint: London, Routledge/Thoemmes Press,
CH
= The Correspondence of Thomas Hobbes, 2 voll., ed. by Noel Malcolm, Oxford, Clarendon Press, 1994. = The Elements of Law Natural and Politic, ed. by Ferdinand Tònnies, London, Frank Cass, 1984 (ed.or. 1889).
5 voll., London, Johannem Bohn, 1839-1845.
1997). EL
MLT = Critique du De Mundo de Thomas White, éd. critique d’un texte inédit par Jean Jacquot et Harold Whitmore Jones, Paris, Vrin, 1973; tr. it. Moto, luogo e tempo, a cura di Gianni Paganini, Torino, Utet, 2010.
TOI = Tractatus Opticus I, in OL, V, pp. 215-248. TO II = Tractatus Opticus II, British Library, Ms Harley 6796, ff. 193-2667 e v, prima edizione integrale a cura di Franco Alessio, «Rivista critica di storia della filosofia», XVIII/2, 1963, pp. 147-228 (senza figure).* FD = First Draught, British Library, Ms Harley 3360, ff. VI + 193r e v, disponibile on line e consultabile al sito: www.bl.uk./manuscripts/FullDisplay. aspfx?ref=Harley_MS_3360 / Thomas Hobbes” A Minute of First Draught of the Optiques: A Critical Edition, by Elaine C. Stroud (PhD. Dissertation), University of Wisconsin-Madison, 1983.*
* Ho preferito citare questi testi sia in versione manoscritta, sia nell’edizione a stampa: è indicato prima il foglio del manoscritto, seguito dalla pagina della stampa.
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INTRODUZIONE
Nella Vita in versi, completata nel 1673 alla veneranda età di ottanta-
quattro anni, Thomas Hobbes sottolinea il legame tra il suo terzo e ultimo grand tour sul continente europeo e le prime riflessioni da lui sviluppate nel campo della filosofia naturale.? In questi passi, due elementi colpiscono l’attenzione del lettore: il primo è l’immagine — che presenta notevoli echi galileiane * — del mondo come libro*(Nec tamen hoc tempus libris consumpsimus omne, Nî mundum libri dixeris esse loco). Questa metafora ci porta a soffermarci su quell’unico principio, individuato da Hobbes, che regge e governa l’intera natura. Si tratta di una ‘verità’, che — sebbene celata ai nostri
occhi (Et mihi visi quidem est toto res unica mundo Vera, licet multis falsificata modis) — è alla base di ogni fenomeno presente nel mondo naturale (Unica 1 Vedi Kari ScHUHMANN, Hobbes. Une Chronique, Paris, Vrin, 1998, p. 213. Hobbes iniziò a
comporre la sua autobiografia nel 1655 (ivi, p. 135). Vedi anche FRancOIS TricauD, Eclaircissements surles six premières biographies de Hobbes, «Archives de Philosophie», 48, 1985, pp. 277-286: 281. Senza ulteriori rimandi, salvo particolari indicazioni, le notizie biografiche sulla vita di Hobbes sono tratte da; ArrIGO PaccHI, Introduzione a Hobbes, Roma-Bari, Laterza, 1971; JEAN BERNHARDT, Hobbes, Paris, Presses Universitaires de France, 1989; RicHarD Tuck, Hobbes. A very short introduction,
Oxford, Oxford University Press, 1989; NoeL MaLcorm, A summary biography of Hobbes, in Tom SoreLL(ed.), The Cambridge Companion to Hobbes, Cambridge, Cambridge University Press, 1996,
pp: 13-44; SCHUHMANN, Hobbes. Une Chronique, cit.; ALoYsrus P. MARTINICH, Hobbes. A Biography,
Cambridge, Cambridge University Press, 1999; QUENTIN SKINNER, Hobbes's life in philosophy, in In., Visions of Politics, 3 voll., Cambridge, Cambridge University Press, 2002, III, pp. 1-37; JEAN TERREL,
Hobbes: vies d’un philosophe, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2008, pp. 11-124. 2 Cfr. HoBBEs, Vita carmine expressa, in OL, I, pp. LKXXIX-XC.
3 Vedi DoucLas M. JessePH, Hobbes, Galileo and the Book of Nature, «Perspectives on Science», vol. 12, n. 2, 2004, pp. 191-211 e soprattutto l'introduzione di Gianni Paganini al De motu, loco et tempore. Vedi Gianni Paganini, Introduzione, in HoBBES, MLT, tr. it. pp. 11 e sgg. 4 Sull’immagine del liber mundi nella scienza moderna vedi EucENIO Garin, La nuova scienza e il simbolo del libro, in In., La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze, Sansoni, 1961,
pp. 451-465, oltre al classico di Blumemberg: Hans BLUMENBERG, La leggibilità del mondo. Il libro come metafora della natura, Bologna, il Mulino, 1984 (ed. or. 1981), pp. 65 e sgg. Per limitarci a due autori noti a Hobbes, quest'immagine è presente in Gassendi (vedi Pierre MaGNARD, La Vrin, mathématique mystique de Pierre Gassendi, in Syivia MURR (ed.) Gassendi et l'Europe, Paris, e il 1997, pp. 21-29: 21-22) e Campanella (vedi Germana ERNST, Tommaso Campanella. Il libro corpo della natura, Roma-Bari, Laterza, 2010 (ed. or. 2002), pp. 8-9).
—
XII —
INTRODUZIONE
vera quidem, sed quae sit basis earum Rerum): ‘nient’altro se non il movimento abita le parti interne’ e questi movimenti sono la causa dei nostri concetti, i ‘pargoli del nostro cervello’ (Phantasiae, nostri soboles cerebri, nihil extra; Partibus internis nil nisi motus inest).
Il secondo elemento interessante è rappresentato dalla centralità della figura di Marin Mersenne, che fu il principale interlocutore di Hobbes, approvò le sue riflessioni e lo presentò alla ‘comunità intellettuale’ (Is probat, et multis commendat). Infatti, fino a quel momento, il pensatore di Malmesbury si era considerato essenzialmente un cultore della classicità greca e latina? e fu proprio l'apprezzamento e l'approvazione di Mersenne a sancire la sua nascita come filosofo (tempore ab illo inter Philosophos et numerabar ego). Addirittura, Hobbes arrivava a stabilire un legame tra le riflessioni elaborate durante il grand tour e l’idea di sviluppare il trittico degli Elementa philosophiae.” Pochi anni dopo, nel 1640, egli concluse gli Elements of Law Natural and Politic: il primo tentativo di costruire un sistema filosofico nel quale le problematiche fisiche, antropologiche e politiche, giungessero a connettersi sulla scorta di un metodo dimostrativo e deduttivo, plasmato
sul modello delle scienze geometriche.3 Alcuni elementi presenti nel carteggio hobbesiano ci inducono a credere che egli avesse già abbozzato alcuni dei temi che trattò ampiamente negli Elements, immediatamente dopo il rientro dal grand tour.? Una lettera 3 Sugli anni successivi alla formazione oxoniense, quando divenne precettore di William Cavendish II, Hobbes scrive: «Ille (scil. ilfuturo secondo conte di Devonshire) per hos annos mihi praebuit otia, libros / Omnimodos studiis praebuit ille meis. / Vector ego ad nostras, ad Graecas, atque Latinas / Historias; etiam carmina saepe lego. Flaccus, Virgiulius, fuit et mihi notus Homerus,
/ Euripides, Sophocles, Plautus, Aristophanes,
/ Pluresque; et multi Scriptores
Historiarum: / Sed mihi prae reliquis Thucydides placui». HoBBes, Vita Carmine Expressa, in OL, I, p. Lxxxv. Sull’’educazione umanistica’ di Hobbes vedi QUENTIN SKINNER, Hobbes and the studia humanitatis, in In., Visions of Politics, cit., III, pp. 38-65; In., Reason and Rhetoric in the
Philosophy of Hobbes, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, pp. 215-244. 6 Quest’aspetto era già stato enfatizzato da Robertson: GEORGE Croom ROBERTSON, Hobbes, Edinburgh and London, William Blackwood & Sons, 1886 (reprint: Thoemmes
1993), pp. 37-38 e pp. 56-59.
Press,
7 Sulla connessione tra il terzo grand tour e la genesi della filosofia di Hobbes vedi FrrTHJor BranDT, Thomas Hobbes’ Mechanical Conception of Nature, Copenhagen-London, Levin & Mungsgaard-Librairie Hachette, 1928 (ed. or. 1921), pp. 143 e sgg.; PaccHI, Introduzione a Hobbes, cit., pp. 17-18; BERNHARDT, Hobbes, cit., pp. 33 e sgg.; TERREL, Hobbes: vies d’un philosophe,
cit., pp. 17 e sgg. 8 Cfr. HoBB£s, EL, The Epistle dedicatory, p. xv; tr. it. p. 3. Vedi anche la lettera dedicatoria del De Cive: HoBBEs, De Cive, Epistola dedicatoria, OL, II, p. 137, tr. it. pp. 59-60. La lettera è datata 1° novembre 1641 nella prima versione del De Cive. Vedi la riproduzione in HoBBEs, De Cive (the
latin version), ed. by Howard Warrender, Oxford, Clarendon Press, 1983, p. 76.
? Baumgold ha — a mio parere, correttamente — evidenziato che la composizione di buona parte Elements of Law è, molto probabilmente, antecedente al 1640 (benché Hobbes sottoli-
—
XIV
—
INTRODUZIONE
di Sir Kenelm Digby, risalente al gennaio 1637, fa riferimento, infatti, a una ‘Logike’ !° di Hobbes (in un primo momento, individuata erroneamente in un manoscritto custodito nella National Library of Wales e noto come De principiis).!! Purtroppo questa logica è andata perduta; tuttavia, dalla richiesta avanzata dal Digby possiamo desumere l'argomento trattato, che rappresenta un caposaldo degli Elements e, in generale, della filosofia hobbesiana: lo studio della formazione dei concetti nella mente, a partire dall’azione degli oggetti esterni sul senso. Sapendo che i principi della natura erano contenuti «in natura et varietate motum»,!? Hobbes incominciò a indagare
quali movimenti producevano la sensazione, l’intellezione e i phantasmata, cioè le immagini !5 e i concetti delle cose esterne.!4 In realtà, già prima della partenza per il grand tour il pensatore aveva iniziato a orientare la sua attenzione verso le tematiche scientifiche, come neasse la natura occasionale dello scritto, incentivata dallo scoppio della guerra civile). Secondo l'autrice, il pensatore si sarebbe dedicato contemporaneamente alla filosofia naturale e alle problematiche politiche, nella seconda metà degli anni °30. Vedi DEBORAH BaumcoLD, The Composition of Hobbes’s Elements of Law, «History of Political Thought», XXV, 1, 2004, pp. 16-43: 25-26.
D'altro canto, anche Sommerville ritiene che gli Elements presentino lo «stamp of Mersenne'’s group». JoHANN P. SOMMERVILLE, Thomas Hobbes: Political Ideas in Historical Context, New York, Palgrave Macmillan, 1992, p. 15. 10 Cfr. Sir Kenelm Digby to Hobbes, from Paris, 17-27 January 1637, CH, I, pp. 42-43. Vedi anche le altre lettere del Digby a Hobbes dell’11-21 settembre 1637, CH, I, p. 50 e del 4-14 ottobre 1637, nella quale egli spedisce a Hobbes «Monsieur des Cartes [...] his book», cioè il Discours de la méthode, CH, I, p. 51. 11 Ms 5297, National Library of Wales, scoperto da Mario Manlio Rossi (vedi Mario Manto Rossi, Alle fonti del deismo e del materialismo moderno, Firenze, La Nuova Italia, 1942,
pp. 104-119) e riprodotto come Appendice II, in Ho8Bes, MLT, pp. 448-460. Ora sappiamo che il testo è sicuramente più tardo (dopo il 1643). Vedi Anna MINERBI BELGRADO, Linguaggio e mondo in Hobbes, Roma, Editori Riuniti, 1993, pp. 165-170. E probabile, dunque, che la ‘logica’ di cui
parla Digby sia andata perduta (vedi MaLcorm, A summary biography of Hobbes, cit., pp. 29-30). 12 Vedi HoBses, Thomae Hobbes Malmesburiensis Vita Authore Seipso, in Opera Latina I, p. x1v. 13 Sulla formazione delle immagini nell’ottica hobbesiana vedi ELAINE C. STROUD, Introduction, in HoBBEs, FD, pp. 41 e sgg.; ANTONI MALET, The Power of Images: Mathematics and Metaphysics in Hobbes's Optics, «Studies in History and Philosophy of Science», vol. 32, n. 2, 2001,
pp. 303-333. 14 Come ha sottolineato Paganini, il termine latino phantasma, utilizzato dal filosofo «al-
lude in primo luogo alla rappresentazione sensibile di un oggetto, ma poiché sin dagli Elements (vedi Ho88es, EL, Part I, capp. Il-IV, pp. 3-17; tr. it. pp. 14-32) Hobbes istituisce una correla-
zione molto stretta tra sensazione-immaginazione-concezione (tutte riducibili, sotto il profilo
ontologico, al movimento nelle parti interne del senziente), il termine phantasma si estende in generale sino ad assumere il significato più vasto di qualsiasi rappresentazione mentale».
Paganini, Nota, MLT, tr. it. pp. 147-148. L'idea è condivisa dall’autore dello Short Tract. Cfr. THomas Ho8BEs (?), Court traité des premiers principes, texte, traduction et commentaire par Jean
Bernhardt, Paris, PUF, 1988, p. 40 e pp. 45-46.
15 Vedi anche Hobbes to?, from Paris, 21-31 October 1634, CH, I, pp. 22-23.
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INTRODUZIONE
suggerisce una lettera del 17 ottobre 1634, spedita dall'anziano matematico Walter Warner (—1557-1643)!5 a Robert Payne (1596-1649), nella quale
viene citata una dimostrazione geometrica di Hobbes.!” Un'altra missiva dello stesso periodo, inviata da Hobbes a William Cavendish di Newcastle,
informava quest’ultimo che il filosofo stava sbrigando una ‘commissione’ a Londra: reperire una copia del Dialogo sopra i massimi sistemi di Galileo !* e che egli era al corrente dell’iniziativa di Joseph Webbe di voler tradurre l’opera.!? Alcuni riferimenti autobiografici sembrano addirittura retrodatare l'interesse di Hobbes nei confronti di temi scientifici ai primi anni ‘30 del Seicento,?° ma queste riflessioni sono il frutto di semplici colloqui informali, intrattenuti con gli avventori del cosiddetto ‘circolo di Newcastle”?! Lo stesso si può dire degli sparuti riferimenti alla cosiddetta ‘folgorazione 16 Su Warner vedi JoHN AuBrey, Aubrey’s Brief Lives, Bristol, Penguin Book, 1962, pp. 365366. STEPHEN CLucas, Warner, Walter (c.1558-1643), in Oxford Dictionary of National Biography, Oxford, Oxford University Press, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/38108]. Hobbes fu accusato da Seth Ward di aver plagiato le teorie di Warner (e anche di Descartes, Gassendi, Digby e Roberval. Vedi HoBBEs, Six Lessons, EW, VII, pp. 340-343), ma Prins ha sottolineato che la pretesa di originalità del filosofo non fosse senza fondamento. Vedi JAN PrINs, Ward'’s polemic with Hobbes on the sources of his optical theories, «Revue d’histoire des sciences»,
t. 46, n. 2-3, 1993, pp. 195-224: 210 e sgg.
17 Vedi Walter Warner to Robert Payne, Westminster, 17° October, 1634, in James O. HaL-
LIWELL, Letters on the Progress of Science in England from Queen Elizabeth to Charles II, London, Taylor, 1841, p. 65 (da cui cito) e in ripr. parziale in CM, IV, pp. 380-381. Il testo completo è riportato anche da in SCHUHMANN, Hobbes. Une Chronique, cit., pp. 43-44. Vedi anche José MfÉDINA, Mathématique et philosophie chez Thomas Hobbes: une pensée du mouvement en mouvement, in JauFFREY BERTHIER — NicoLas DuBos — ARNAUD MILANESE — JEAN TERREL (eds.), Lectures de
Hobbes, Paris, Ellipses, 2013, pp. 85-132: 99. La lettera fa riferimento a un ‘analogy’ di Hobbes e, tra le carte di Walter Warner conservate al British Museum, vi è un autografo hobbesiano che tratta di questa problematica, in calce al quale lo stesso Warner ha apposto la dicitura: «Mr Hobbes analogy». British Museum, Birch Ms 4395, fol. 131. Vedi JEAN Jacquor — HaroLD WHITMORE Jones, Introduction, in HoBBES, MLT, pp. 17-18. Su Rober Payne vedi infra, Appendice. 18 Hobbes to Newcastle, from London, 26Jan. [5 Feb.] 1634, in CH, I, p. 19.
19 «I doubt not but the Translation of it will here be publiquely embraced, and therefore wish extreamely that D' Webbe would hasten it», ibid. La traduzione, praticamente completa ma mai pubblicata, è custodita nella British Library (Ms Harl. 6320), vedi nota 10, in CH, I,
p. 20.
20 In una lettera del 1641 Hobbes ricordava di aver sviluppato le prime riflessioni sulla natura della luce in compagnia di William e Charles Cavendish di Newcastle (vedi Hobbes a Mersenne per Descartes, Parigi, 30 marzo 1641, AT, III, pp. 342-343; tr. it. in Tutte le lettere, a cura
di Giulia Belgioioso, Milano, Bompiani, 2005, pp. 1432-1433) ed egli lo ribadisce, qualche anno più tardi nel First Draught (vedi Ho88es, FD, pp. non num. (f. 37), pp. 76-77). 21 Vedi HALLIWELL, Letters on the Progress of Science, cit., pp. 65 e sgg. Vedi anche Francois Derand à William Oughtred (commencement d’) octobre 1634, in CM, IV, pp. 365-367.
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INTRODUZIONE
euclidea’ che si trovano nell’Examinatio et emendatio mathematicae odiernae (1660) 2? e nell’autobiografia in prosa del pensatore.? Questi indizi attestano che tra gli interessi principali di Hobbes vi fossero già la filosofia naturale e, in particolare, i fenomeni connessi all’ottica,?*
ma, nondimeno, i documenti più interessanti di questo periodo sono rap-
presentati da due missive spedite dal filosofo a William Cavendish di Newcastle, nel 1636. Nella prima, Hobbes viene a esplicitare la differenza fondamentale che egli individua tra le matematiche e la filosofia naturale: In Thinges that are not demonstrable, of which kind is the greatest part of Natural Philosophy, as dependinge upon the motion of bodies so subtile as they are invisibile, much as are ayre and spirits, the most that can be atteyned unto is to have such opinions, as no certayne experience can confute, and from which can be deduced by lawfull argumentation, no absurdity, and such are your opinions in your letter of the 3° July wich I had the honour to receave the last weeke; namely that the variety of thinges is but the variety of locall motion in the spirits or invisibles parties of bodies. And That such motion is heate.?
La lettera rivela tre aspetti particolarmente significativi: in primo luogo, Hobbes sostiene che la filosofia naturale sia ‘non dimostrabile’ ?° e che, per-
22 Vedi HoBBEs, Examinatio et emendatio mathematicae hodiernae, London, Andreae Crooke,
1660, Prop. 41, pp. 154-155. Vedi anche Ausrey, Aubrey's Brief Lives, cit., p. 230; JEAN BERNHARDT, Témoignage direct de Hobbes sur son ‘illumination euclidienne’, «Revue philosophique», 2, 1986, pp. 281-282; In., Essai de commentaire, in HoBBES (?), Court traité des premiers principes, cit.,
pp. 61-87. Sul sistema universitario inglese e sui suoi rapporti con la cultura scientifica vedi MorpecHaI FencoLp, The mathematicians’ apprenticeship, Cambridge, Cambridge University Press, 1984, pp. 45 e Sgg.
23 Vedi HosBes, Thomae Hobbes Malmesburiensis Vita Authore Seipso, OL, I, p. XIV. 24 Vedi Charles Cavendish to Walter Warner, Welbeck, 2° May, 1636, in HALLIWELL, Letters Chronique, cit., on the Progress of Science, cit., p. 66 (cfr. CM, VI, p. 66 e SCHUHMANN, Hobbes. Une
pp. 48-49).
CH, I, Let25 Hobbes to W. Cavendish, Earl of Newcastle, from Paris, 29 July-8 Aug. 1636, in
to Newton, ter 19, p. 33 (corsivi miei). Vedi RoBERT H. KARGON, Atomism in England from Hariot
Oxford, Clarendon Press, 1966, p. 56. Hob26 Sull'argomento è interessante l'analogia, rilevata da Watkins (JoHN W.N. Wargins, da te ampiamen più analizzata e sgg.) e 52 pp. 1965, bes’s System of Ideas, London, Hutchinson, dell’aristoteGargani, tra la concezione hobbesiana e le riflessioni sviluppate da alcuni esponenti la scienza, Torino, Einaudi, lismo patavino del tardo XVI secolo (vedi ALpo G. GARGANI, Hobbes e
opere di Agostino 1971, pp. 32-51). In particolare, Gargani ha sottolineato le consonanze tra le Malmesbury. Al Nifo e Jacopo Zabarella e la metodologia filosofico-scientifica del pensatore di gici di epistemolo ti orientamen gli tra differenze profonde o individuat ha contrario, Jan Prins qualuna di l’idea dubbio in mettendo Zabarella), Hobbes e degli aristotelici patavini (in part. una possibile converinvece, supposto, ha Prins Hobbes. su Zabarella di diretta influenza siasi di Filippo Melantone. genza con il ramismo e la corrente aristotelico-umanista legata alla figura of science, «Archiv fir approaches le incompatib Vedi Jan Prins, Hobbes and the School of Padua: two sità di Oxford, frenell’univer Tuttavia, 26-46. pp. 1990, 72, vol. e», Philosophi der e Geschicht
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INTRODUZIONE
ciò, in questa materia sarebbero possibili solo argomentazioni di carattere unicamente probabilistico. Egli ci indica anche la ragione per la quale le metodologie da applicare divergono nei due ambiti di ricerca: matematico e fisico. La scienza fisica presenta un carattere inevitabilmente ipotetico perché si applica a fenomeni che non sono interamente conoscibili, né tantomeno padroneggiabili, dall’osservatore. Essi appartengono a un mondo di enti singolari, con il quale veniamo a contatto esclusivamente in virtù dei nostri organi di senso e che dobbiamo, perciò, codificare, applicandovi una metodologia che permette di tradurre in un linguaggio scientifico convenzionale, i dati empirici offertici dalla sensazione.?? Al contrario, nelle scienze matematiche il
procedimento è squisitamente aprioristico e interamente deduttivo.?8 Questo duplice orientamento del pensiero filosofico-scientifico hobbesiano — che ha indotto alcuni interpreti a parlare di un convenzionalismo di Hobbes?? — caratterizzerà tutta la sua produzione intellettuale, ma acquisirà una diversa accezione e una maggior consapevolezza epistemologica nel corso degli anni.?° quentata da Hobbes, erano noti Nifo e Zabarella, grazie all'insegnamento di John Case. Inoltre, nel manoscritto Hobbes E.1 A, custodito a Chatsworth (Derbyshire), il quale consiste in un elenco di volumi contenuti nella biblioteca di Hardwick Library stilato dallo stesso Hobbes, sono citate sia la Logica che la Fisica dello Zabarella (Chatsworth, Ms Hobbes E.1A, p. 120, dispo-
nibile ora in edizione a stampa in RicHarp A. TaLaska, The Hardwick Library and Hobbes’s Early Intellectual Development, Charlottesville, Philosophy Documentation Center, 2013). In generale, sui rapporti di Hobbes con l’aristotelismo vedi l'interessante e documentatissimo studio di Leijenhorst: Ces LeJeNHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, Leiden-Boston-KéIn, Brill,
2002. A enfatizzare il contributo fornito dalla Scuola di Padova alla nascita della scienza moderna è stato soprattutto Randall: JoHN H. RanpatL, The School of Padua and the Emergence of Modern Science, Padova, Antenore, 1961, pp. 15-68; vedi anche ALISTAIR C. CROMBIE, Da S. Agostino a Ga-
lileo. Storia della scienza dal V al XVII secolo, Milano, Feltrinelli, 1970 (ed. or. 1952), pp. 314-513. Su Hobbes e l’aristotelismo padovano vedi Marco ScaRBI, The Aristotelian Tradition and the Rise of British Empiricism, Dordrecht, Springer, 2013, pp. 184-195. Su alcune analogie tra la concezione del metodo in Hobbes (e Sarpi) e l’aristotelismo padovano vedi anche GREGORIO BAaLDIN, Hobbes and Sarpi: method matter and natural philosophy, «Galilaeana», X, 2013, pp. 85-118. 27 Nona caso Hobbes sosterrà che la sensazione è il primo e unico veicolo di conoscenza, riproponendo l’adagio aristotelico: «Non vi è nulla nell’intelletto umano che non sia stato prima nel senso». Ho8Bes, MLT, XXX, 3, p. 349; tr. it. p. 524.
28 «In mathematicall sciences wee come at last to definition which is a beginning or Principle, made true by pact and consent among our selves». Hobbes to Sir Charles Cavendish, from Paris, 29 Jan. [8 Feb.] 1641, in CH, I, p. 83.
29 L'aspetto probabilistico della filosofia scientifica hobbesiana è stato sottolineato soprattutto da Arrigo Pacchi, il quale annoverava il filosofo tra gli esponenti del ‘mitigated or constructive scepticism’, secondo l’espressione coniata da Richard Popkin (vedi RicHaRD H. PoPKIN, The History of Scepticism from Erasmus to Spinoza, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1979 (1° ed. 1960), pp. 129-150). Vedi ARRIGO PaccHI, Convenzione e ipotesi nella
formazione della filosofia naturale di Thomas Hobbes, Firenze, La Nuova Italia, 1965, pp. 12 e sgg.
30 Questo aspetto del pensiero hobbesiano è stato accuratamente analizzato da Gargani.
Vedi GarganI, Hobbes e la scienza, cit., p. 152.
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XVII
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INTRODUZIONE
Nella missiva citata era presente, però, anche un ulteriore elemento
particolarmente significativo: il filosofo sosteneva di condividere l’opinione del Newcastle, secondo la quale «la varietà delle cose non è altro che il prodotto della varietà dei moti locali negli spiriti e nelle parti invisibili dei corpi». L'ipotesi che la varietà dei fenomeni sia esclusivamente il risultato di modificazioni prodotte dalla materia e dal moto locale è il principale caposaldo della filosofia naurale hobbesiana, che rivela una profonda influenza della filosofia di Galileo. Tuttavia, vi è una seconda lettera al Newcastle, altrettanto interessante,
e risalente all'ottobre 1636, cioè al periodo immediatamente successivo al rientro di Hobbes in Inghilterra. Qui egli abbozza gli elementi peculiari della teoria ottica che compariranno, più tardi, nelle varie opere: il filosofo
spiega che la sua concezione non prevede alcun ricorso alle species visibili?? e ritiene che il moto si propaghi esclusivamente attraverso il mezzo. Inoltre, sostiene che la luce e i colori consistano unicamente in modificazioni
prodotte dal movimento nel cervello del senziente.?* La lettera contiene 31 «The variety of thinges is but the variety of locall motion in the spirits or invisibles parties of bodies». Hobbes to W. Cavendish, Earl of Newcastle, from Paris, 29 July-8 Aug. 1636, in CHL
Letter 19; p:33. 32 «For the reason of the species passing through a hole to a white paper, my opinion is
this. The lucide body, as for example, the sunne, lighting on an object, as for example, the side of a house doth illuminate it, that is, to say give it the same vertue, though not in the same
of diffusing light every way, and illuminating other objects w a lesse light, but the light degree, that commeth from the house [sight deleted] side, is not pure light, but light mingled that is to say, color, This light mingled, or colour, passing through the hole [is it deleted] there crosses, and goes w® y° figure inuerted to the white paper, and giues the paper in that part where it falles a power to diffuse light every way, and so it comes to y° eye wheresoeuer they stand (if a direct line may thence come to y° eye) And it is not as Galileo sayes; that the illumination is made by reflexion, and that the asperity of the obiect makes it be seene euery way w°° otherwise would be seene onely in one point, where angles of incidence and refraction were equall. But whereas I vse the phrases, the light passes or the colour passes or diffuseth it selfe, my meaning is that the motion is onely in y° medium, and light and colour are but the effects of that motion in y° brayne». Hobbes to William Cavendish, Earl of Newcastle, from Byfleet (Surrey),
16 [/26] October 1636, in CH, I, pp. 37-38.
33 La teoria intromissiva delle species (di origine medievale, vedi Davip C. LinpBERG, Theories of Visions from Al-Kindi to Kepler, Chicago, University of Chicago Press, 1976, pp. 122 e sgg.), del la quale prevede un passaggio di particelle dalla sorgente luminosa all'organo recettore cit., principes, premiers des traité Court (?), HoBBEs Tract. Short nello invece presente è senziente, in p. 24. Un'ampia e accurata analisi del rapporto di Hobbes con l’ottica medievale è presente Short Tract con Gargani, Hobbes e la scienza, cit., pp. 97-123, dove lo studioso confronta anche lo
ente a i testi di Ruggero Bacone e la metafisica della luce di Roberto Grossatesta. Contrariam Short Tract, ma Gargani, Bernhardt non individua un'influenza dei francescani di Oxford nello
et le mouvement de la piuttosto nelle opere hobbesiane più tarde. Vedi Jean BERNHARDT, Hobbes 11-13. 3-24: pp. 1977, XXX, t. lumière, «Revue d’histoire des sciences», Tra gli stu34 Com'è noto, l’ottica rappresenta il principale interesse scientifico di Hobbes.
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XK -
INTRODUZIONE
però un ulteriore spunto significativo: Hobbes viene a esprimere il suo disaccordo nei confronti dell’opinione di Galileo il quale, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, aveva sostenuto che «l'illuminazione è prodotta grazie alla riflessione» e che la scabrosità delle superfici degli oggetti riflettenti provoca la riflessione della luce in ogni direzione.’Il passo ci suggerisce che, a questa data, Hobbes aveva letto con attenzione ifDialogo galileiano, effettuato alcune osservazioni sperimentali e formulato anche personali riflessioni sulla natura della luce, con un notevole grado di scientificità e sistematicità. Non può essere casuale la coincidenza con gli anni del terzo grand tour,
quando il filosofo ebbe occasione di conoscere Mersenne e, probabilmente, di riflettere con attenzione sul Dialogo sopra i due massimi sistemi, che era — come altre opere galileiane — ben noto ai frequentatori del circolo mersenniano.?° Non stupisce, dunque, che le figure più significative presenti nelle autobiografie e nel carteggio di Hobbes siano Marin Mersenne e Galileo Galilei, la di più significativi sul tema vi sono: FRANco ALessio, De Homine e A Minute of First Draught of the Optiques, di
Thomas Hobbes, «Rivista critica di storia della filosofia», XVII, n. 4, 1962,
pp. 393-410; ALAN E. SHAPIRO, Kinematics Optics: A Study of the Wave Theory of Light in the Seventeenth Century, «Archive for History of Exact Sciences», 11, 1973, pp. 134-266: 134-171; BERNHARDT, Hobbes et le mouvement de la lumière, cit.; In., L’oeuvre de Hobbes en optique et en théorie de la
vision, in BERNARD WiLLMS et alii, Hobbes Oggi, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 245-268; ELAINE C. STROUD, Introduction, in FD, pp. 1-71; In., Light and Vision: Two Complementary Aspects of Optics in Hobbes” Unpublished Manuscript A Minute or First Draught of the Optiques, in WiLLms et alii, Hobbes Oggi, cit., pp. 269-277; JAN PRINS, Hobbes on light and vision, in SoRELL (ed.) The Cambridge Companion to Hobbes, cit., pp. 129-156), José MépInA, Nature de la lumière et science de l’optique chez Hobbes, in CHRISTIAN BIeT — VINCENT JuLLIEN (eds.), Le siècle de la lumière 1600-1715, Paris,
ENS Editions, 1997, pp. 33-48 (cui si aggiunge l’ampia introduzione ai capitoli dell’ottica, nella recente edizione francese del De Homine. Vedi In., La philosophie de l’optique du De Homine, in THomas Ho88Es, De l’Homme, sous la direction de Jean Terrel, Paris, Vrin, 2015, pp. 31-82; In., Le
traité d’optique, ivi, pp. 87-146; In., Hobbes’s Geometrical Optics, «Hobbes Studies», 1, 2016, pp. 3965; FRANCO GIUDICE, Luce e visione. Thomas Hobbes e la scienza dell’ottica, Firenze, Olschki, 1999; Ip., The Most Curious of Science: Hobbes’s Optics, in ALoYsrus P. MARTINICH — KincH HoEKSTRA
(eds.), The Oxford Handbook of Hobbes, Oxford, Oxford University Press, 2015, pp. 147-165; In., Optics in Hobbes's Natural Philosophy, «Hobbes Studies», 1, 2016, pp. 86-102; FRANK HORSTMANN, Hobbes und Sinusgesetz der Refraktion, «Annals of Science», 57, 2000, pp. 415-440.
35 Galileo aveva affrontato il tema nella prima giornata del Dialogo, ma non affermava esattamente quanto gli attribuiva Hobbes nella lettera citata. Egli sosteneva piuttosto che se la superficie della Luna, «essendo sferica, fusse ancora liscia come uno specchio, resterebbe del tutto invisibile, atteso che quella piccolissima parte dalla quale potesse venir riflessa l’immagine del Sole, all'occhio di un particolare, per la gran lontananza, resterebbe invisibile». GALILEI,
Dialogo sopra i due massimi sistemi, OG, VII, p. 102. Vedi anche ivi, p. 123. 36 Sulla presenza nella biblioteca di Mersenne di alcune opera galileiane e, in particolare de Il Saggiatore e dei Discorsi, vedi CLAUDIO BuccoLini, Opere di Galileo Galilei provenienti dalla biblioteca di Marin Mersenne: Il Saggiatore e i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, «Nouvelles de la République de Lettres», 2, 1998, pp. 139-142.
=
Fidi
INTRODUZIONE
cui immagine domina la filosofia naturale hobbesiana, come testimoniano i riferimenti estremamente elogiativi allo scienziato e filosofo pisano, che troviamo nel De motu, loco et tempore e nel De Corpore. Nella prima delle due opere, Hobbes parla di Galileo come del «più grande filosofo non solo del nostro secolo, ma di tutti i secoli» 57 e, parimenti, nel De Corpore, il Pisano è descritto
come colui che «per primo ci ha aperto la porta di tutta la fisica, cioè la natura del moto: sì che pare che l'epoca della fisica non si possa far risalire oltre lui».?* Mersenne, nella prefazione alla sua Ballistica (1644), descriverà la filoso-
fia hobbesiana come una filosofia dai tratti spiccatamente ‘meccanicisti’ ?? e i documenti citati ci inducono a credere che i germi di tale spiegazione dei fenomeni naturali risalgano al biennio 1634-36.‘ In questo periodo, Hobbes concepì l’idea chiave della sua filosofia: «in natura tutto è fatto meccanicamente, e da una materia, agitata da moti di vari generi e misure, si sviluppano tutti i fenomeni». Per capire il significato di quest'immagine meccanicista del mondo ‘2 dobbiamo rivolgere l’attenzione alle due figure di riferimento di Hobbes: Mersenne e, soprattutto, Galileo. In realtà esiste un altro ‘interlocutore privilegiato’ del filosofo inglese: Pierre Gassendi, con il quale Hobbes non condivise solo una profonda amicizia,#* ma anche numerosi elementi della sua filosofia. L'analisi dei rap-
porti tra questi due autori, che è già stata ampiamente affrontata dagli studi 37 Ho8BEs, MLT, X, 9, p. 178; tr. it. p. 250. 38 Ho8Bes, De Corpore, Epistola dedicatoria, OL, I, pp. non num; tr. it. p. 62, leggermente modificata. 39 «Cum (in prop. xxiv Ballisticae) plura juxta subtilissimi philosophi Thomae Hobbes attulerimus, et quasdam philosophiae quam exornat partes legerim, quae omnia fere per motum localem explicant, velim etiam addere modum quo nostrarum facultatum operationes ex eodem motu concludit. MERSENNE, Ballistica et Anticosmologia, in Cogitata physico matematica. In quibusdam
sumptibus naturae quàm artis effectus admirandi artissimis demonstrationibus explicantur, Parisiis, V, p. 309). OL, HoBBEs, in (riprodotto num.) non (pp. lectorem’ A. Bertier, 1644, ‘Praefatio utilis ad
40 Sull’importanza delle discussioni interne al circolo mersenniano, per la genesi della de la filosofia di Hobbes vedi GrEGORIO BALDIN, «La reflexion de l’arc» et le conatus: aux origines di 2016, 7, », anglophones s philosophie des Revue Enquiries. cal «Philosophi Hobbes, de physique
chez Hobbes, in prossima pubblicazione. Vedi anche José MépinA, Matière, mémoire et mouvement Editions MatérioJAuFFREY BERTHIER — ARNAUD MiLanese (eds.), Hobbes et le matérialisme, Paris,
logiques, 2016, pp. 33-74; BERNHARDT, Hobbes, cit., pp. 34-36.
agitata, 41 «innatura omnia mechanice fieri, et ex una materia, variis motuum generibus et mensuris R. Blackbourne, universa rerum phaenomena exurgere». Hosges, Vitae Hobbianae Auctarium, Authore
M.A., in OL, I, p. xxvm.
moderna, 42 Sullo sviluppo della una concezione meccanicista dell’universo nella filosofia
mondo, Milano, Feltrinelvedi il classico EpuARD J. DjKSTERHUIS, Il meccanicismo e l’immagine del 1950). li, 1971 (tr. dell’ed. ingl. 1961. L'edizione originale olandese è del e il circolo neo-epicureo 43 Vedi GIANNI PagAnINI, Il piacere dell’amicizia. Hobbes, Gassendi
23-38. dell’Accademia di Montmor, «Rivista di Storia della Filosofia», 1, 2011, pp. i
XXI
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INTRODUZIONE
di Paganini,** esula dagli orizzonti e dai limiti che si pone questo saggio, benché il canonico di Digne non sia completamente assente dalla trattazione. Tuttavia, prima di iniziare a occuparci direttamente della filosofia ‘meccanicista’ di Hobbes, è opportuno interrogarsi sul significato della nozione chiave di questo saggio: il concetto di meccanicismo. Sièmolto discusso sulla reale portata ed essenza della filosofia meccanicista, la cui formulazione risale, com'è noto, a Robert Boyle. Il meccanicismo in quanto categoria storiografica assume, invece, una certa importanza soprattutto dagli anni ‘50 del Novecento (in particolare dopo la pubblicazione di un saggio della storica della scienza Marie Boas Hall). In seguito, la storiografia più recente ed accorta ci ha invitato a diffidare di un utilizzo troppo rigido e schematico delle ‘etichette’ storiografiche, nella consapevolezza che queste non possano cogliere la ricchezza e la varietà delle differenti filosofie e sistemi di pensiero, per la loro natura intrinsecamente sfaccettata e multiforme. Ciò nondimeno, alcune di queste categorie sono ancora oggi estremamente pregnanti e,
a mio parere, ancora adatte a descrivere una particolare visione del mondo o un movimento filosofico e culturale.4” Ciò è ancor più vero nel caso di quei 44 Sui rapporti tra Hobbes e Gassendi vedi: GrannI PaGANINI, Hobbes, Gassendi e la psicologia del meccanicismo, in Wiims et alii, Hobbes oggi, cit., pp. 351-445; In., Hobbes, Gassendi und
die Hypothese der Weltvernichtung, in MARTIN MuLsow — MarceELO STAMM (eds.), Konstellationsforschung, Frankfurt a. M., Surkhamp, 2004, pp. 258-339; In., Hobbes, Gassendi e l’ipotesi annichilatoria, «Giornale Critico della filosofia italiana», a. LXXXV, fasc. I (gennaio-aprile 2006), pp. 55-81; Ip., Le néant et le vide. Les parcours croisés de Gassendi et Hobbes, in Taussic (ed.), Gassendi et la
modernité, cit., pp. 177-214. ì 45 La definizione di ‘mechanical philosophy’ ricorre in Boyle per la prima volta nel 1661, ma è soprattutto il The Origine of Forms and Qualities, del 1666, che ha contribuito alla diffusione del concetto. Vedi, ad esempio, questo passo: «That then which I chiefly aime at, is to make it Probable to you by Experiments [...] That allmost all sorts of Qualities, most of which have been by the Schooles either left Unexplicated, or Generally referr’d, to I know not what Incomprehensible Substantiall Formes, may be produced Mechanically, Imean by such Corporeall Agents, as do not appear, either to Work otherwise, then by vertue of the Motion, Size,
Figure, and Contrivance of their own Parts (which Attributes I call the Mechanicall Affections of Matter, because to Them men willingly Referre the various Operations of Mechanical Engines:) or to Produce the new Qualities exhibited by those Bodies, their Action changes, by any other way, then by changing the Texture, or Motion, or some other Mechanical Affection of the Body wrought upon». RoBERT BoyLE, The Origine of Formes and Qualities (According to Corpuscolar Philosophy) Illustrated by Considerations and Experiments, in The Works of Robert Boyle, ed. by Michael Hunter and Edward B. Davis, London, Pickering and Chatto, 1999-2000, V, p. 302.
Vedi anche DanieL GARBER, Remarks on the Pre-History of Mechanical Philosophy, in DANIEL GARBER — SOPHIE Roux (eds.), The Mechanization of Natural Philosophy, Dordrecht-Heidelberg-New
York-London, Springer, 2013, pp. 3-26: 5-7.
46 Vedi Marie Boas Hat, The Establishment of the Mechanical Philosophy, «Osiris», 10, 1952,
pp. 412-541.
#7 Nona
caso, come ha osservato anche Garber (GarBER, Remarks on the Pre-History of Me-
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XXI—
INTRODUZIONE
concetti o definizioni, come quella di meccanicismo, le cui radici risalgono all'epoca storica e al contesto culturale che è oggetto di studio. Ciò nondimeno, è opportuno richiamare quattro elementi cardine della filosofia meccanicista, che sono stati individuati (e, in parte, discussi) recen-
temente da Daniel Garber e Sophie Roux. Pur nella loro natura necessariamente indicativa, essi ci offrono, nondimeno, dei riferimenti per capire cosa
si intende quando parliamo di meccanicismo: a) il programma generale di sostituzione della ‘filosofia tradizionale’ (cioè la filosofia di matrice aritotelicoscolastica) con una ‘nuova filosofia’; b) il rifiuto dell’ilemorfismo aristotelico
e l'adozione di un’ontologia secondo la quale tutti i fenomeni naturali devono essere interpretati in termini di materia e movimento delle particelle corpuscolari che compongono i corpi macroscopici; c) la comparazione dei
fenomeni naturali e, in particolare, il mondo degli animali, con il funzionamento e la struttura di macchine, esistenti o immaginarie; d) un’ontologia as-
sociata alla meccanica, intesa come scienza matematica del movimento, le cui
leggi sono descritte come le leggi della natura in generale. In realtà alcuni di questi elementi risultano ‘più meccanicisti’ di altri, mala presenza o assenza di questi ‘indicatori’ ci suggerisce se e quando ci troviamo di fronte a un pensiero di carattere meccanicista. Come vedremo nel corso della trattazione,
la filosofia di Hobbes li soddisfa tutti e quattro e, quindi, può essere definita, a buon diritto, come rigorosamente meccanicista, ma per comprenderne a fondo la genesi e la portata è necessario esaminarne i rapporti con il pensiero di Marin Mersenne e Galileo Galilei. E poiché Mersenne ha svolto un ruolo fondamentale di mediazione e diffusione del pensiero di Galilei, non soprenderà che questo studio, pur centrato sull’influenza del Pisano, inizi però con un capitolo dedicato ai rapporti di Hobbes con il Minimo.
chanical Philosophy, cit., p. 4), il meccanicismo è ancora considerato un elemento fondamentale STEVEN della ‘rivoluzione scientifica’, come mostrano alcuni studi recenti sull'argomento. Vedi 30 e pp. 1996), or. (ed. 1998? Press, Chicago of University Chicago, Revolution, SHAPIN, Scientific 1500-1700, sgg.; PereR DEAR, Revolutionizing the Sciences. European Knowledge and its Ambitions, and London, Basingstoke, MacMillan, 2001, pp. 80-100; In., The Intelligibility of Nature, Chicago
The University of Chicago Press, 2006, pp. 15-38.
ion of Natural 48 Vedi DanIEL GARBER — SoPHIE Roux, Introduction, in ID., The Mechanizat
e la validità Philosophy, cit., pp. x-x1. In realtà, gli autori sono piuttosto critici nel considerar , a mio nondimeno Ciò smo. meccanici del ‘principi’ quali elementi questi di a e la correttezz di una presenza la attesta che tornasole’ al ‘cartina di parere, essi possono svolgere la funzione si trova anche in filosofia ‘meccanicista’. Un’interpretazione abbastanza critica della categoria in Carta R. PALMERIAran Gaspey, What Was ‘Mechanical’ about ‘The Mechanical Philosophy, Science of Motion in Sevenno — J.M.M.H. (Hans) THIJSssEN (eds.), The Reception of the Galilean Publisher, 2004, pp. 11-23. Academic Kluwer ondon, -Boston-L Dordrecht Europe, teenth-Century Roux (eds.), Mechanics SOPHIE — LARD Roy WaLreR anche In generale, sul meccanicismo vedi
2008. and Natural Philosophy before the Scientific Revolution, Dordrecht, Springer,
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CAPITOLO PRIMO
HOBBES E MERSENNE
1. LA FONDAZIONE
FILOSOFICA
DELLE
SCIENZE
Gli studiosi del pensiero di Hobbes hanno spesso accennato al rapporto di amicizia che legò il filosofo inglese a Marin Mersenne, sottolineando, tal-
volta, anche il ruolo svolto dal frate minimo nel pubblicizzare e diffondere il De Cive. Tuttavia, raramente è stata dedicata attenzione alla relazione intellettuale che venne a instaurarsi tra i due autori e che acquisì un'importanza sempre maggiore durante gli anni filosoficamente più fecondi della vita di Hobbes.! Sul versante degli studi dedicati a Mersenne, si è accenna-
to soprattutto al contributo del pensatore inglese nei confronti dell’evoluzione del pensiero mersenniano;? tuttavia, sebbene esistano alcuni studi 1 Vedi Croom ROBERTSON, Hobbes, cit., pp. 37-38. Fritjof Brandt osservava «that a philosopher with Mersenne's qualities as compiler could have exercised any decisive influence on such fundamental and daring thinker as Hobbes we consider little probable», pur ammettendo che Mersenne «has been able to awaken interests in Hobbes, and certainly his criticism too has
acted guidingly, a fact which is indicated by the autobiography». Vedi BranpT, Thomas Hobbes” Mechanical Conception of Nature, cit., p. 160. D'altro canto, lo studioso danese individuava alcuni elementi comuni ai due autori, quali l'interesse per Galileo e le speculazioni nel campo dell'ottica e della musica (ivi, pp. 154-160). Vedi anche FeRpIinanD Téònnres, Thomas Hobbes. Leben
und Lehre, Stuttgart, Fromman
Verlag, 1925 (Faksimile-Neudruck: Stuttgart-Bad Cannstatt,
Fromman Holzboog, 1971), p. 19. Arrigo Pacchi riteneva che entrambi gli autori potessero
essere annoverati, in qualche modo, tra gli esponenti dello ‘scetticismo costruttivo’. Vedi PACCHI,
Convenzione e ipotesi, cit., pp. 63 e sgg. e 179 e sgg. Aldo Gargani, ha contrapposto, invece, due diversi atteggiamenti nei confronti del sapere scientifico: di Galileo, Descartes e Hobbes da una parte e di Mersenne e Gassendi dall’altra. Secondo Gargani, infatti, per i primi il meccanicismo rappresentava lo strumento per ridurre le qualità sensibili degli oggetti alla loro realtà oggetti-
va, matematicamente quantificabile, mentre per Mersenne esso consisteva unicamente in un
modello descrittivo. In questa interpretazione, «un'operazione di ordinamento dei fenomeni, delle apparenze sensoriali entro schemi di legalità matematica, rappresenta il limite al di qua del quale possono validamente esercitarsi i poteri conoscitivi dell’uomo». GARGANI, Hobbes e la scienza, cit., pp. 176-182. 2 Robert Lenoble riteneva che il sistema hobbesiano avesse rappresentato per Mersenne una valida alternativa alla metafisica cartesiana. Vedi RoBERT LeNOBLE, Mersenne ou la naissance
Lai
CAPITOLO
PRIMO
sulla presenza di Hobbes nelle opere del frate minimo,’ al contrario, poca attenzione è stata dedicata a sondare la possibile influenza di quest'ultimo sull’autore del Leviathan.* Eppure, Hobbes considerava il suo incontro con Mersenne estremamente significativo, al punto da ritenerlo una sorta di debutto nella sua carriera filosofica. Egli fa più volte riferimento, nei suoi testi, ai dibattiti promossi dal religioso francese nel convento dei minimi di Parigi in Place royale5 e nel carteggio hobbesiano, così come anche nei testi del filosofo risalenti agli anni ‘40 del Seicento, è possibile trovare una traccia significativa di queste discussioni, soprattutto di quella legata al tema del ‘ritorno dell’arco’.° D'altro canto, è utile interrogarsi anche sul possibile interesse di Hobbes verso le opere che Mersenne aveva già pubblicato, o andava pubblicando, intorno al 1635, considerando gli eventuali elementi di convergenza tra
le filosofie di questi autori. du mécanisme, Paris, Vrin, 1943, pp. 560 e sgg.; sui rapporti di Mersenne e Hobbes vedi anche ARMAND BrauLIEu, Les relations de Hobbes et de Mersenne, in YvEs-CHARLES ZARKA — JEAN BERN-
HARDT (eds.), Thomas Hobbes. Philosophie première, théorie de la science et politique, Paris, Presses Universitaires de France, 1990, pp. 81-90; In., Mersenne. Le grand minime, Bruxelles, Fondation Nicolas-Claude de Peiresc, 1995, pp. 210-214. 3 Vedi ArrIGO PaccHI, Il “De motu, loco et tica di Storia della Filosofia», 2, 1964, pp. 159-168; de Mersenne en 1644, «Archives de Philosophie», n. Vedi anche NoeL MaLcoLm, Hobbes and Roberval, 2002, pp. 155-199: 173 e sgg.
tempore” e un inedito hobbesiano, «Rivista CriKARL SCHUHMANN, Hobbes dans les publications 58, Cahier 2 (Bullettin Hobbes), 1995, pp. 2-7. in Aspects of Hobbes, Oxford, Clarendon Press, i
4 Numerosi studiosi hanno supposto una possibile influenza di Mersenne sul pensiero di Hobbes, in particolare riguardo al tema della fondazione epistemologica del sapere, contro le istanze scettiche. Al riguardo, vedi soprattutto RicHARD Tucx, Optics and Sceptics: The Philosophical Foundation of Hobbes's political Thought, in EpMunD LerTESs (ed.), Conscience and Casuistry in Early Modern Europe, Conscience and Casuistry in Early Modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 235-263. 5 Hobbes cita soprattutto gli incontri nel chiostro dei minimi degli anni ‘40. Vedi ad esempio Ho8BBeEs, Six Lessons, EW, VII, pp. 340-343. Sul circolo di Mersenne vedi: LenoBLE, Mersenne
ou la naissance de mécanisme, cit., pp. 590 e sgg.; JEAN-ROBERT ARMOGATHE, Le groupe de Mersenne et la vie académique parisienne, «Dix-septième siècle», 175 (avril-juin 1992), pp. 131-139: 135 e sgg.; RENÉ Taron, Le P. Marin Mersenne et la communauteé scientifique au XVII" siècle, inJEAN-MARIE CONSTANT — ANNE FiLLon (eds.), Quatrième centenaire de la naissance de Marin Mersenne (Actes
du colloque), Le Mans, 1994, pp. 13-25; BeauLIEU, Mersenne. Le grand minime, cit., pp. 63 e sgg e pp. 176-185; JeAn-PreRrRE MauRy, A l’origine de la recherche scientifique: Mersenne, Paris, Vuibert, 2003, pp. 154-156; JoHN Lewis, Galileo in France. French Reactions to the Theories and Trial of Galileo, New York, Peter Lang, 2006, pp. 110 e sgg. Vedi anche VINCENT JuLLIEN, Gassendi, Roberval à l’académie de Mersenne. Lieux et occasions de contact entre ces deux auteurs, «Dix-septième siècle»,
4, n. 233, 2006, pp. 601-613. In generale, sulle accademie in Francia vedi anche MARC FUMAROLI, La République des Lettres, Paris, Gallimard, 2015. 6 Vedi BaLpIn, «La reflexion de l’arc» et le conatus: aux origines de la physique de Hobbes, cit.
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Tra i numerosi testi mersenniani, a richiamare la nostra attenzione è, in
primo luogo, La vérité des sciences del 1625, nel quale Mersenne intraprese quel dialogo polemico, ma costruttivo, con lo scetticismo radicale, che lo vide impegnato per tutto il corso della sua vita.” Il Minimo ribadisce più volte nel corso della trattazione la sua fedeltà alla tradizione aristotelica e, nondimeno, esamina e dimostra di apprezzare gli scritti di un innovatore come Francis Bacon.* In particolare, egli mostra, sin dalla prefazione, un vivo interesse per la matematica e per il contributo che questa scienza può offrire in ogni ramo del sapere.’ Secondo Mersenne, la conoscenza della matematica sarebbe essenziale anche per la teologia, l’esegesi biblica e addirittura per la giurisprudenza. La branca della matematica che attira maggiormente l'interesse mersenniano è quella delle cosiddette matematiche miste, ovvero l'°Hydraulique” e la ‘Pneumatique’, le quali, infatti, occupano un posto di rilievo nel pensiero di Mersenne.!° Inoltre, nello schema mersenniano, la fisica e la-metafisi-
7 Il rapporto di Mersenne con lo scetticismo è un tema discusso e a inaugurare il dibattito è stato un interessante e tuttora importante articolo di Popkin RicHarD H. Popxkin, Father Mersenne’s War Against Pyrrhonism, «The Modern Schoolman», XXXIV (January 1957), pp. 61-78. 8 Vedi MARIN MERSENNE, La Verité des Sciences. Contre les Sceptiques ou Pyrrhonines, Paris, Toussainct du Bray, 1625 (Faksimile-Neudruck: Stuttgart-Bad Cannstatt, Friedrich Frommann Verlag, 1969), pp. 206 e sgg. Bacon è citato già nel Traité de l’Harmonie Universelle, dove Mersenne richiama il De Sapientia Veterum (vedi In., Traité de l’harmonie universelle (1627), ed. par Claudio Buccolini, Paris, Fayard, 2003, p. 95) e nelle Quaestiones in Genesim. Vedi CLauDIO BUCcOLINI,
Mersenne et la philosophie baconienne en France à l’époque de Descartes, in ELODIE Cassan (ed.), Bacon et Descartes. Genèses de la modernité philosophique, Lyon, ENS Éditions, 2014, pp. 115-134. Sulla Verité, pp. 120 e sgg. 9 «Je desire seulement pour toute satisfaction qu’un chacun fasse son profit de la verité, laquelle étant venué de Dieu doit estre rapportée à son honneur, c'est pourquoy je treuve mauvais, de ce qu'il y en a qui ont si peu d’esprit, & de iugement, qu'ils croient que la verité des Mathematiques est inutile, & qu'elle ne peut servir à la pieté, & à la Religion: je m'assure que cette opinion ne vient que de l’ignorance, & qu'ils n’auront pas si tost compris ce que jai traité dans cette ceuvre, qu’ils avouront librement: qu'il n'y a rien dans ces sciences qui ne soit tres-utile pur l’intelligence de l’écriture sainte, de saincts peres, de la Theologie, de la Philoso-
phie, & de la Jurisprudence, & qui ne nous puisse servir pour nous élever à la connaisance, & à l'amour de Dieu. Car il n'y a point de sciences, apres la Theologie, qui nous proposent, & nous fassent voir tant des merveilles comme font les Mathematiques, lequelles élevent l’espris par-dessus soy-mesme, & le forcent de recoinostre une divinité; car la Statique, l’Hydraulique,
& la Pneumatique produisent des effects si prodigieux, qu'il semble que les hommes puissent imiter les ceuvres de Dieu [...]». MERSENNE, La Verité des Sciences, Preface (pp. non numerate).
10 A insistere sulla preminenza delle matematiche rispetto alla fisica nell'orizzonte intel-
lettuale di Mersenne sono stati soprattutto Dear (vedi Perer Dear, Mersenne and the Learning of the Schools, Ithaca and London, Cornell University Press, 1988, pp. 48 € Sgg., il quale ritiene che Mersenne si sia mantenuto fedele a una certa interpretazione dell’aristotelismo, di cui il pensiero mersenniano conservava il mainstream), e Daniel Garber (vedi DANIEL GARBER, On the Frontlines of Scientific Revolution: How Mersenne Learned to Love Galileo, «Perspectives on
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ca trattano delle cose ‘absoliìment’, cioè «ci insegnano la cosa com'è in se stessa» !! e la logica è la «cousine germaine» della metafisica, poiché come «quella ha dei principi generali dell’essere e dell’essenza delle creature, questa ha delle proposizioni, e dei discorsi che convengono a tutte le cose»! AI centro della discussione che coinvolge i tre interlocutori del dialogo e che costituisce il tema portante dell’opera vi è la questione della veridicità e affidabilità delle conoscenze umane. Qui si palesa l’attenzione mersenniana per i sensi, in particolare per la visione e la scienza che le è connessa: l’ottica.!4 L’ottica permette di mostrare quali siano le reali cause e le specificità del fenomeno visivo, di sapere ciò che concerne luce e colori, contrastando l'opinione scettica che sostiene — in virtù della fallibilità del senso — l'impossibilità di fondare su di esso un sapere incontrovertibile.!’ Al contrario, Mersenne era convinto che la fondazione della conoscenza naturale del mondo esterno fosse necessariamente costruita sull’‘entendement’,
cioè sulla ragione. Questo aspetto emerge con chiarezza dove il Minimo viene a trattare della filosofia di Bacon: egli considera il ‘Chancelier d’Angleterre’ degno di stima, poiché costui si era sforzato di «trovare dei mezzi adatti a giungere alla conoscenza della natura e dei suoi effetti».!° Tuttavia,
Science», vol. 12, n. 2 (Summer 2004), pp. 135-163: 148 e sgg.). Garber sostiene che la nozione di mixed mathematics sia di fondamentale importanza per comprendere anche il rapporto del minimo con Galilei e la nuova scienza, poiché — secondo Garber — Mersenne considerò Galileo
una sorta di ‘mixed mathematician’, piuttosto che un filosofo naturale. 1l MERSENNE, La verité des sciences, p. 51.
1 MIVIAPI5ZI
13 Ibid. Su questo legame tra logica e metafisica e sul concetto di metafisica in generale, nel pensiero di Mersenne, vedi Jean-Luc MARION, Le concept de métaphysique selon Mersenne, in ARMOGATHE — BLay (eds.), Etudes sur Marin Mersenne, «Les Etudes Philosophiques», 1-2, 1994, pp. 129-143: 139 e sgg.
14 Ivi, pp. 135 e 148-149. L’ottica occupa una quarantina di colonne delle Quaestiones in Genesim. Vedi BrauLieu, Mersenne. Le grand minime, cit., p. 28. Mersenne si associa, inoltre, alle
esperienze effettuate da Claude Mydorge sugli specchi parabolici (vedi MERSENNE, Quaestiones in Genesim, Paris, Sebastien Cramoisy, 1623, col. 488-538). Tuttavia, come ha sottolineato Leno-
ble, qui il minimo fa riferimento ancora alla luce come qualità visibile (ivi, col. 472) e occorrerà attendere le opere successive per trovare un'evoluzione significativa nell’ottica mersenniana. Vedi LENOBLE, Mersenne, ou la naissance du mécanisme, cit., p. 479. Mersenne si preoccupa anche di stabilire che cosa sia la luce, la quale è definita accidens incorporeum (ivi, col. 737-739). Vedi ArmanD BeauLIEU, Lumière et matière chez Mersenne, «XVII Siècle», n. 136, a. 34, n. 3 (Juillet-
Septembre 1982), pp. 311-316: 311; DANIELE CozzoLi, Light, Motion, Space and Time in Mersenne’s Optics, in FRANK LIiNHARD — PETER EISENHARDT (eds.), Notions of Space and Time. Early Modern Concepts and Fundamental Theories (Begriffe von Raum und Zeit. Friihneuzeitliche Konzepte und fundamentale Theorien), Fankfurt am Main, Klostermann, 2007, pp. 29-43: 31-33; In., The Development of Mersenne’s Optics, «Perspectives on Science», vol. 18, n. 1, 2010, pp. 9-25: 11-14.
15 MERSENNE, La verité des sciences, cit., pp. 148-149. 16 Ivi, p. 206.
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egli ritiene, nondimeno, il progetto baconiano di rendere la mente umana un ‘miroir — cioè del tutto «simile alla natura delle cose» — assolutamente irrealizzabile.!” Infatti, per quanto si tenti — anche attraverso processi chimici o alchemici — di penetrare l’intima natura degli oggetti, è impossibile padroneggiare interamente i fenomeni che si sviluppano all’interno di questi corpi. Al contrario, il Minimo sosteneva che in questo dominio si potessero produrre ragionamenti di carattere unicamente ipotetico, «come hanno fatto Tolomeo e Copernico».!* Non dobbiamo dimenticare, infatti, che i
sensi, per loro propria natura, non ci conducono alla verità, essa è appannaggio esclusivo dell’intelletto: [...] car encore que les sens soient la porte des obiects, ils ne sont pas la porte des conclusions, ni des conseils, qui se prennent dans le cabinet secret de l’entendement, lequel se moque souvent de leur suggestion, parce qu'il a vne plus viue, &
17 «Or quelques Phenomenes qu’on puisse proposer dans la Philosophie, il ne faut pas penser que nous puissions penétrer la nature des indiuidus, ni ce qui se passe interieurement dans iceus, car nos sens, sans lesquels l’entendement ne peut rien conoître, ne voyent que ce qui est exterieur; qu'on anatomise, & qu'on dissolue les corps tant qu'on voudra soit par le feu, par l'eau, ou par la force de l’esprit, iamais nous n’arriuerons à ce point que de rendre notre intellect pareil à la nature des choses, c'est pourquoy ie croy que le dessein de Verulamius est impossible, & que ces instructions ne seront causes d’autre chose que de quelques nouuelles experiences, lesquelles on purra facilement expliquer par la Philosophie ordinaire». MERSENNE, La verité des sciences, pp. 212-213. Mersenne dedica un intero capitolo della Verité alla trattazione della filosofia del Lord Cancelliere (il XVI), presentando la ripartizione baconiana degli Idola (ivi, pp. 206 e sgg.). L'interesse di Mersenne per la filosofia di Bacon è dimostrato non solo dalle innumerevoli citazioni del filosofo inglese presenti nelle opere mersenniane (dalle Quaestiones in Genesim ai Cogitata), ma soprattutto dalla traduzione stilata dal minimo e mai pubblicata (risalente al 1626-28) della seconda centuria della Sylva Sylvarum. Vedi CLaupio BuccoLini, Mersenne traduttore di Bacon?, «Nouvelles de la République des lettres», 1, 2002, pp. 7-19. Sui rapporti di Mersenne con il Lord Cancelliere vedi anche Marta FartORI, Fortin de la Hoguette tra Francis Bacon e Marin Mersenne: intorno all’edizione francese del De Augmentis Scientiarum (1624), in In., Linguaggio efilosofia nel Seicento europeo, Firenze, Olschki, 2000, pp. 385-411. 18 MERSENNE, La verité des sciences, cit., p. 207. Su questo aspetto ha concentrato l’attenzione Popkin, affermando che la rinuncia mersenniana all’aspirazione di padroneggiare l’intima natura delle cose apre una sorta di terza via, di carattere propositivo, che si discosta sia dal realismo dogmatico che dallo scetticismo radicale. Vedi Popkin, Father Mersenne’s War Against Pyrrhonism, cit. All'articolo di Popkin vanno aggiunte le interessanti osservazioni di Crombie, il quale sostiene che Mersenne, riflettendo sulle istanze scettiche, abbia rinunciato al realismo
scientifico e sviluppato, in alternativa (soprattutto dopo il 1634), un'articolata dialettica tra ele-
mento teoretico e osservazione sperimentale. Vedi ALIistatR C. CromBIE, Marin Mersenne (1588-
1648) and the Seventeenth-Century Problem of Scientific Acceptability (1975), in In., Science, Optics and Music in Medieval and Early Modern Thought, cit., pp. 399-417: 402. Tuttavia, sul concetto di ipotesi nella filosofia naturale moderna è importante tenere presente le osservazioni critiche al de saggio di Popkin, proposte da Sophie Roux. Vedi SopHIe Roux, Le scepticisme et les hypotheses la physique, «Revue de Synthèse», 4° s., n. 2-3 (avr.-sept. 1998), pp. 211-255. Roux sottolinea che, in realtà, anche in quegli autori spesso ritenuti ‘dogmatici’, come Descartes, le ipotesi rivestono un ruolo fondamentale nell’ambito della fisica.
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plus excellente lumiere, par le moyen de laquelle il découvre leur erreur, quand ils se trompez: par exemple les yeus sont deceus, quand ils iugent que le bàton droit veu dans l’eau est rompu, mais la raison s'y oppose, parce que la lumiere de la
Dioptrique luy fait reconoistre qu'il est droit.!°
Mersenne è ben lungi da sminuire l’importanza della sensibilità, ma lo scopo dei sensi è quello di essere «dei corrieri e dei messaggeri della ragione», affinché questa giunga a una conoscenza certa «la quale non potrà essere chiamata abuso, né inganno, né vanità, quando saranno state prese tutte le precauzioni che sono necessarie per giungere a qualche verità».?° L’entendement, infatti, «giudica in ultima istanza, in modo che esso ricono-
sce, riprende e corregge gli errori e gli abusi che potrebbero subentrare per l’indisposizione o l’incapacità dei sensi».?! Tuttavia, l’autore della Verité sottolinea costantemente l'esigenza di servirsi di entrambi gli elementi: empiria e ratio, e propone l’immagine di un connubio indissolubile di questi due principi: Il faut consulter l’experience, afin de la coniondre avec la raison, de peur que nous soions de[c]eus par les imaginations de nostre ésprit, quand l’experience nous manque: mais quand l’un[e] est conionte avec l’autre, il ne faut plus craindre de donner son consentement en faveur de la verité: il ne faut plus dire étéyo, il faut
recevoir la verité dans nostre entendement, comme l’ornement, & le plus grand thresor, qu'il puisse recevoir, autrement il sera en des tenebres perpetuelles, &
n’aura aucune consolation.?? Solamente nei casi in cui i fenomeni si sottraggono all’esperienza, sia-
mo costretti a fidarci del solo ragionamento. Al contrario, quando abbiamo la possibilità di servirci dell’applicazione congiunta di elemento empirico e razionale, siamo nella condizione di poter ricevere la verità nel nostro intelletto. Tuttavia, per comprendere appieno il ruolo che riveste la ragione nel pensiero mersenniano è fondamentale rivolgere l’attenzione alla matematica. Dopo il primo libro di carattere introduttivo, il minimo passa a trattare specificamente di questa scienza, in particolare dell’aritmetica: egli ritiene che «essa ci serva da strumento generale per spiegare tutte le altre 19 MERSENNE, La verité des sciences, pp. 221-222. scel 2222:
21 Ivi, p. 192. Sul ruolo rivestito dall’entendement ne La Verité, in rapporto allo scetticismo, vedi GIANNI PAGANINI, Skepsis. Les débat des modernes sur le scepticisme, Paris, Vrin, 2008, p. 144. 22 MERSENNE, La verité des sciences, cit., p. 220.
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scienze».?° Gli strumenti atti all’acquisizione di nuove conoscenze rimangono quelli tramandati dalla tradizione aristotelica: in particolare il sillogismo?4 e l'applicazione congiunta dei metodi analitico e sintetico. Come ha sottolineato Buccolini, ne la Verité des Sciences, la matematica e
la geometria sono indissolubilmente legate al ragionamento sillogistico 29 e Mersenne insiste ripetutamente sulla necessità di attenersi alla certezza della dottrina euclidea per fornire alla scienza un fondamento certo e incontrovertibile, capace di fugare il dubbio scettico e l’isostenia propria del pirronismo. Tuttavia, se la geometria euclidea rappresenta il paradigma della certezza ed evidenza, d'altro canto, essa è fondata sui moduli della dimostrazione sillogistica e ciò traspare chiaramente dal capitolo IV della Verité, dove il minimo
propone la parafrasi di alcune dimostrazioni euclidee, applicandovi proprio un procedimento sillogistico, fondato sui sillogismi di prima figura.?” Mersenne istituisce, dunque, un solido legame tra dimostrazione sillo-
gistica e geometria euclidea, tale che, nell’orizzonte mersenniano, la pro23. Ivi, p. 224. Sull’importanza degli elementi matematici e geometrici, in riferimento alla creazione e all’armonia universale, vedi NATAcHA FaBBRI, Cosmologia e armonia in Kepler e Mersenne. Contrappunto a due voci sul tema dell’Harmonice Mundi, Firenze, Olschki, 2003, pp. 142 e sgg. 24 MERSENNE, La verité des sciences, pp. 199 e sgg. Sull’importanza attribuita al sillogismo da Mersenne, si era già soffermato Popkin (vedi Popxin, Father Mersenne’s War Against Pyrrhonism, cit., p. 68), ma è soprattutto Buccolini che ha sottolineato la centralità del ragionamento sillogistico ne La Verité. Vedi CLaupIo BuccoLini, Il ruolo del sillogismo nelle dimostrazioni geometriche della Verité des Sciences di Marin Mersenne, «Nouvelles de la République de Lettres», 1, 1997,
pp. 7-36.
25 «Ie vous conseille donc desormais d’apprendre les science speculatiues, & les practiques, afin que vous ayez les contentement de voir le bel ordre que nous gardons en icelles; car l’Analyse nous conduit si almirablement depuis le sommet de chaque science iusques aus premiers principes, & tres-simples élemens, & la voye de composition, talic î) odòc cvvetIY) nous
meine si parfaictement, & si asseurément depuis les premiers principes des sciences iusques à
leur perfection, [...]». MERSENNE, La verité des sciences, p. 203.
26 Vedi BuccoLini, Il ruolo del sillogismo nelle dimostrazioni geometriche della Verité des Sciences di Marin Mersenne, cit., pp. 10-11. 27 Vedi MERSENNE, La verité des sciences, pp. 722-724. Cfr. CHRISTOPH CLavius, Euclidis ele-
mentorum libri XV, Coloniae, Ciotti, 1591, p. 20, Scholivm: «Vt autem videas, plurès demonstrationes
in vna propositione contineri, placuit primam hanc propositionem resouere in prima sua principia, initio
facto ab vltimo syllogismo demonstratiuo. Si quis igitur probare velit, triangulum A B C, constructum methodo praedicta, esse aequilaterum, vtetur hoc syllogismo demonstrante...». Sul ruolo assegnato
alla matematica in Clavio e in altri autori del Cinquecento, come Piccolomini, Barozzi, Biancani e Mazzoni, vedi l’interessante saggio di Galluzzi: PaoLo GALLUZZI, Il “Platonismo” del tardo
Cinquecento e la filosofia di Galileo, in PaoLA ZAMBELLI (a cura di), Ricerche sulla cultura dell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 39-79: 53-54. Vedi anche Giovanni CRAPULLI, Mathesis
Sul Universalis. Genesi di un'idea nel XVI secolo, Roma, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri, 1969.
secolo successivo: EMILIO SERGIO, Verità matematiche e forme della natura da Galileo a Newton, Roma, Aracne, 2006.
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posizione geometrica viene ad assumere necessariamente la struttura del
sillogismo.?8 Tuttavia, per capire l’importanza attribuita dal Minimo al metodo geometrico è opportuno sondare ulteriormente l’interesse dell'autore per la matematica,?° che traspare dal secondo libro de La verité.?° Egli insiste soprattutto sulla nozione di ‘quantité intellegible’, ed emerge qui il tentativo di applicare al dominio della fisica le nozioni desunte dalla matematica e dalla geometria. Mersenne ritiene, ad esempio, che le figure matematiche siano rintracciabili negli enti individuali che popolano la realtà fisica che ci circonda, come la figura cilindrica che si trova negli alberi, e che l'’entendement’ estrapoli queste figure dal mondo fenomenico «per astrazione».?! Nondimeno, la dimensione astratta e puramente razionale delle disci-
pline matematiche è ciò che le rende differenti dalla fisica, la quale, invece, non si può sottrarre interamente all’indeterminatezza che caratterizza le realtà empiriche percepite attraverso la sensibilità. 28 Cfr. Clavio: «Theorema autem appellant eam demostrationem, quae solùm passionem aliquam proprietatemve vnius, vel plurium simul quantitatum perscrutatur. Vt si quis optet demonstrare, in omni
triangulo tres angulos esse aequales duobus rectis, vocabunt talem demonstrationem Theorema, quia non iubet, aut docet triangulum, aut quippiam aliud construere, sed contemplatur tantummodò trianguli cuiuslibet constituti passionem hanc, quòdanguli illius duobus sint rectis aequales. Vnde à contemplatione ipsa, haec demonstratio theorema dicitur. In theoremate fieri nulla ratione potest, contradictionis vtraque pars vera vt sit. Si enim quis demonstret, omnes angulos trianguli cuiuslibet duos esse rectis angulis aequales, nullo poterit modo fieri, vt inaequales quoque sint duobus rectis». CLavius, Euclidis elementorum libri XV, cit., Prolegomena, pp. non num.
29 Sulla concezione della matematica come scienza certa nel pensiero mersenniano, vedi LENOBLE, Mersenne ou la naissance du mécanisme, cit., pp. 33 e sgg.
30 «Apres avoir discouru des sciences en general, & apres auoir montré que nous ne deuons pas suspendre notre iugement à tout propos, ni sur toutes choses, ie veus maintenant vous faire voir que les mathematiques sont des sciences tres-certaines, & tres-veritables, es quelles la suspension ne treuue pas lieu: or auant que de vous apporter le demonstrations desquelles elles se servent, il faut que vous scachiez qu’elles ont la quantité intellegible pour leur obiect, car elles ne considerent point le sensible que pour accident, & ce pour nous faire tumber en quelque facon sous les sens ce qui est releué par dessus l’incertitude de la matiere». MERSENNE, La verité des sciences, pp. 225-226. 31 Buccolini ha giustamente sottolineato l'evidente analogia tra questo passo e uno corrispondente presente nell'opera di Giuseppe Biancani: De Mathematicarum Natura Dissertatio (1615). Vedi BuccoLini, Il ruolo del sillogismo, cit. 32 «La Physique traite aussi de la quantité, mais entant qu'elle est sensible, & que ses pro-
prietéz se peuuent cognoistre par quelque sorte de mouuement, selon lequel elle est suiette à divers changemens; mais la quantité Mathematique est inuariable, car il ne peut se faire qu'vn triangle ne sois compris par trois lignes, & par trois angles conioints par trois points indiuisibles: n'importe qu'il ni ayt aucun triangle parfait au monde, il suffit qu'il puisse estre pour établir la verité de cette science, & que la nature nous represente dans ses indiuidus sensibles les figures de Mathematique le plus parfaictement qu'elle peut, comme la rondes dans le ciues, dans les astres, & dans les élemens, sans mettre en ligne de conte tout ce qui est produit par les élemens ayant la figure Spherique, ni tous les artifices qui ont inventé par les Mechaniques», ivi, pp. 226-227.
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La matematica rappresenta, dunque, il modello della scienza che si sottrae a qualsiasi dubbio scettico e la certezza e il valore di verità le sono garantite dal suo statuto epistemologico: occupandosi di enti astratti, o enti di ragione, essa si applica a quantità invariabili.#* Il religioso francese sembra riprendere un tema che affonda le radici nel pensiero tardo-medievale (presente, per esempio, in Ruggero Bacone, Roberto Grossatesta e Gugliel-
mo di Ockham)?4 ed è sviluppato approfonditamente in autori del tardo Cinquecento: * la matematica e la geometria *° realizzano un sapere certo a priori perché hanno un carattere costruttivo del tutto convenzionale. A partire da principi primi che sono stipulati, appunto, per convenzione, esse
costruiscono un sistema logico interno che si sviluppa deduttivamente e con ineluttabile necessità, a partire dagli stessi principi primi.?” Tuttavia, 33 Il carattere di certezza convenzionale della matematica, in opposizione all’ipoteticismo della fisica nel pensiero mersenniano è stato sottolineato soprattutto da Popkin. Vedi PoPKIN, The History of Scepticism from Erasmus to Spinoza, cit., p. 138. 34 Secondo Grossatesta la fisica si attesta entro i limiti del probabile, laddove la matematica realizza un sapere certo e rigoroso, mentre per Ruggero Bacone la matematica costituiva
il sapere primario dal quale dipendevano tutte le altre conoscenze (vedi RocER Bacon, Opus
Maius, 2 voll., ed. by John Henry Bridges, Oxford, Williams and Norgate, 1897-1900, 2 (Unverinderter Nachdruck: Frankfurt am Main, Minerva G.m.b.H., 1964), pars IV, II, 1, vol. I,
pp. 109-111). Tuttavia è Guglielmo di Ockham a dedicare grande attenzione alla scienza fisica, considerata sì in termini probabilistici, ma fondata sul recupero della dimensione di validità
e generalità deigli enunciati scientifici, ricorrendo a un principio di uniformità della natura e all'analisi della matrice linguistica del discorso scientifico, in termini talvolta consonanti con
le posizioni che saranno proprie di Thomas Hobbes, come ha sottolineato Aldo Gargani. Vedi GARGANI, Hobbes e la scienza, cit., pp. 151 e sgg. Vedi anche CROMBIE, Da S. Agostino a Galileo. Storia della scienza dal V al XVII secolo, cit., pp. 219 e sgg. 35 Buccolini ha giustamente sottolineato che la riflessione mersenniana si inserisce nel solco delle speculazioni intorno alla Quaestio de certidudine mathematicarum, ampiamente presente anche nell'ambiente filosofico patavino del XVI secolo. In alcuni autori era emersa la prospettiva di fondare il valore delle dimostrazioni matematiche proprio sulla loro riconducibilità alla forma del sillogismo scientifico, che si caratterizzava come demonstratio potissima. Vedi Buccotini, Il ruolo del sillogismo nelle dimostrazioni geometriche della Verité des Sciences di Marin Mersenne, cit., p. 13. L'autore fa riferimento soprattutto all’Opusculum De Certitudine Mathematinel carum (1560) di Francesco Barozzi e ha evidenziato anche la fonte privilegiata di Mersenne Biancani. di Dissertatio De Mathematicarum Natura 36 Mersenne tratta della geometria nel libro quarto dell’opera e introduce il tema affermando che la validità delle dimostrazioni geometriche è attestata dal fatto che dopo quasi uniduemila anni le proposizioni presenti negli Elementa di Euclide hanno ancora una validità versale. Vedi MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., pp. 717 e Sgg. fondato 37 Tuttavia, secondo Buccolini, nonostante «il metodo matematico [sia] ipotetico,
matematiche su supposizioni, su ipotesi che sono costruzioni dell'intelletto»; d’altro canto, «le mento l'apprendi anzi e nza, all'esperie conformi sono esse poiché fisica alla vengono applicate usi fra ’ geometricus ‘mos Il BuccoLINI, CLAUDIO stessa». della matematica deriva dall'esperienza in CARLO BORcartesiana, metafisica la contro Mersenne di obiezioni le ci: materialisti esiti ed teologici di prova in età cHERO — CLaupio Bucconini (a cura di), La ragione e le sue vie. Saperi e procedure
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bi
CAPITOLO
PRIMO
la differenza di statuto epistemologico tra le discipline matematiche e la fisica non comporta affatto, per Mersenne, svilimento o svalutazione della seconda rispetto alle prime. Al contrario, benché la fisica sembri essere «la più dubbia», nondimeno — afferma Mersenne — non possiamo dubitare che
esistano degli enti fisici, dei corpi, e la fisica si occupa «delle quantità, delle cause e di mill’altre cose» che concernono questi oggetti. In sostanza, il Minimo tenta di garantire — di fronte alle difficoltà sollevate dallo scetticismo — un fondamento alla scienza fisica, pur conservandone il carattere probabilistico e mantenendo lo scarto che la separa dalla certezza formale e deduttiva, propria delle matematiche. Citando Bacon, Mersenne aveva optato per una prospettiva epistemo-
logica antiessenzialista e la scelta del minimo lo differenzia rispetto all’orizzonte aristotelico. Egli insiste, infatti, sulla nozione di quantità intelligibile e
ritiene che per fondare una scienza non sia necessaria la penetrazione delle intime essenze delle sostanze. Al contrario, egli crede che gli accidenti esteriori degli oggetti siano del tutto sufficienti a fondare il.sapere scientifico. In quest'ottica assume un'importanza capitale la nozione di ‘ressemblance’, che emerge dalla comparazione dei dati meramente fenomenici.88 Se lo scettico mersenniano si serviva dell’adagio aristotelico: «nihil in intellectu, qu’in prius in sensu fuerit»,*° per inferire che non vi potesse essere conoscenza certa, poiché la sensazione fornisce dati vari e talvolta contrastanti; ‘0 al contrario, il filosofo cristiano — e con lui il padre Mersenne delle
cui opinioni il philosophe si fa portatore — è ben lungi dall’attestarsi al limite imposto dall’eterogeneità della percezione sensoriale. Venendo ad affrontare i criteri sui quali si fonda lo scetticismo, il Minimo affermava chiaramente che è la ragione a permetterci di superare questo scoglio. Un ruolo fondamentale spetta all’ottica: [...] l'Optique, dans laquelle nous ferons paroistre que nous sgavons asseurément ce qui appartiens aus couleurs, & à la lumiere. Ie diray seulement ici que nous ne nous fions pas a vn seul sens, ni méme à tous le sens pris ensemble, car nous nous
moderna, Firenze, Le Lettere, 2015, pp. 59-81: 73. Buccolini sottolinea, inoltre, alcune analogie
tra le Objectiones mersenniane e quelle hobbesiane alle Meditazioni di Descartes (ivi, pp. 61-62). Il tema richiede un'analisi specifica dettagliata che non può essere affrontata in questo studio. 38. Vedi al riguardo Buccotini, Il ruolo del sillogismo nelle dimostrazioni geometriche della Verité des Sciences di Marin Mersenne, cit., pp. 28 e sgg. Buccolini ha sottolineato anche la consonanza del concetto di ressemblance con la similitudo gassendiana, ivi, p. 29. 39 Vedi MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., p. 149. Cfr. ArIsroTELE, De Anima, III (T) 8,
432 a. Per la locuzione latina: ‘Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu’, cfr. Tommaso, Quaestiones Disputatae de Veritate, q. 2, art. 3, 19.
40 MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., pp. 141 e sgg.
MIDI | Persa
HOBBES
E MERSENNE
servons de la raison, qui ne laisse rien qu'elle n'examine: or il n’est pas veritable que l’entendement ne comprenne rien que ce qui entre par les sens exterieurs, car il cognoît qu'il y a de l’air et milles autres choses que le sens exterieurs ne scau-
roient appercevoir [...].*!
Il tema dello statuto epistemologico delle scienze è ripreso ampiamente in tutte le opere mersenniane successive e anche nelle Questions Inouyes (1634) Mersenne sostiene che noi non conosciamo ‘assolutamente’ gran par-
te dei fenomeni della natura.‘ Qui egli sembra fare una concessione agli scettici: non disponiamo di una dimostrazione certa di questi fenomeni, poiché la fisica non è una scienza certa nei termini del proprio oggetto del conoscere.‘ Infatti, se nella Verité egli accomunava la metafisica e la fisica, perché si occupavano delle cose ‘absolument’,4 ora la metafisica è equiparata alla matematica. Le scienze matematiche trattano, infatti, del «possibile
assoluto, o condizionato» e sono, dunque, scienze legate all’immaginazione o alla ‘pure intelligence’. Proprio a causa del loro convenzionalismo aprioristico — nota Mersenne — alcuni preferiscono le matematiche alla fisica, in
virtù della loro ‘certitude’. Tuttavia, anche qui, quest'idea non comporta affatto una svalutazione della fisica. Infatti, se questa scienza potesse esibire
lo stesso grado di certezza delle matematica essa sarebbe enormemente la 41 Ivi, p. 149. Nella sua analisi dell'ottica mersenniana,
Cozzoli trascura La Verité des
Sciences. Vedi CozzoLi, Light, Motion and Time in Mersenne”s Optics, cit.; In., The Development in Mersenne’s Optics, cit. 42 Marin
MERSENNE,
Questions Inouyes, Paris, Jacques Villery, 1634
(ora in Questions
Inouyes, Corpus des ceuvres de philosophie en langue francaise, Paris, Fayard, 1985, pp. 5-103, da cui cito), Question XVIII, p. 53. 43 Ibid. (44 Per ciò che concerne, invece, le matematiche, Mersenne scrive che «[S]i on leur oste la posibilité de la quantité, il semble qu'on leur oste le fondement, sur lequel elles establissent leurs demonstrations, et qu'elles ne peuvent tout au plus user que de la moindre le demonstration que l’on appelle d posteriori; quoy que l’on puisse dire qu'il n'est pas necessaire que leur suject, ou leur object soit possible, d’autant qu’elles peuvent proceder conditionnellement, et conclure absolument: par exemple, encore, qu'il n'y eust point de quantité possibles, les Mathematiciens peuvent dire, sil estoit possible de faire un triangle rectangle, c'est chose asseurée que l’hypotenuse ou la soustendane de l’angle seroit un quarré egal aux quarrez des de deux autres costez: de là vient que l’on peut dire que la pure Mathematique est une science d’outre pas soucie ne qui Metaphysique, la comme intelligence, pure la de ou , l’immagination object que du possible absolu, ou conditionné», ivi, p. 54. 45 MERSENNE, La verité des sciences, cit., p. 51. la stretta 46 Questo slittamento è stato sottolineato da Carraud, il quale ha considerato
relazione che si sviluppa tra matematica e metafisica nel pensiero mersenniano. Vedi VINCENT (éd. par), CarrauD, Mathématique et métaphysique: les sciences du possible, in ARMOGATHE — BLAY Études sur Marin Mersenne, cit., pp. 145-159: 156-157.
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ia
CAPITOLO
PRIMO
più fruttuosa e redditizia per l’umanità.‘7 Mersenne spende anche alcune parole sulla chimica, come aveva già fatto ne La verité: nella predisposizione sperimentale della chimica consiste il suo elemento positivo, tuttavia le speculazioni dei chimici sono così sprovviste di teoria che essi possono essere a buon diritto definiti «enfans de la doctrine».!* , |. Tuttavia, nelle Questions,
Mersenne
sembra
incrementare
la portata
ipotetica e probabilistica delle indagini fisiche, ma, ciò nondimeno, l’attenzione che il minimo dedica a Galileo e l'impegno profuso per tradurre
47 MERSENNE, Questions Inouyes, Question XIX, p. 56. Lo stesso discorso è esteso alla morale. 48 Ivi, Question XXVIII, pp. 77-78. Sul rapporto di Mersenne con la chimica vedi ARMAND BeauLIEU, L’attitude nuancée de Mersenne envers la chymie, in JEAN-CLAUDE MARGOLIN — SYLVAIN MartTON (eds.), Alchimie et philosophie à la Renaissance, Paris, Vrin, 1993, pp. 395-403; ANTONIO CLericuzIo, Elements, Principles and Corpuscles. A Study of Atomism and Chemistry in Seventeenth Century, Dordrecht, Kluwer Academic Publisher, 2000, pp. 47-50. L'alchimista mersenniano è, ovviamente, al contempo, chimico e alchimista. E nel corso del XVI e XVII secolo, infatti, con
lo sviluppo dello iatromeccanicismo, che la chimica cominciò a emanciparsi dall’alchimia. Vedi SALVATORE CALIFANO, Storia della chimica, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, 2 voll., I, pp. 65-69.
49 Sull’interesse di Mersenne nei confronti di Galileo vedi LeNOBLE, Mersenne ou la nais-
sance du mécanisme, cit., pp. 39 e sgg. e pp. 391 e sgg.; BeauLIEU, Les réactions des savants francais au début du XVII" siècle devant l’heliocentrisme de Galilée, cit.; In., Mersenne. Le grand minime, cit.,
pp. 106-117. Sulla ricezione del copernicanesimo in Mersenne, vedi: WiLLiaM L. Hime, Mersenne and Copernicanism, «Isis», vol. 64, n. 221 (March 1973), pp. 18-32, il quale ritiene che sebbene esso abbia raccolto il favore del Minimo, d’altro questi lo avrebbe considerato nient’altro che
una mera ipotesi matematica. Diversa è l’interpretazione proposta da Pierre Costabel, il quale pone l'accento sulla corrispondenza con Jean Rey (1631-32), dove Mersenne insiste molto sulla difesa dell'‘ipotesi’ copernicana. Pierre CosTaBEL, Mersenne et la cosmologie, in JEAN-MARIE CONSTANT — ANNE FiLLon (eds.), Quatrième centenaire de la naissance de Marin Mersenne (Actes
du colloque), Le Mans, 1994, pp. 47-55. Il tema delle ripercussioni dell’affaire Galileo nella Francia del XVII secolo è stato ampiamente affrontato. Vedi ARMAND BEAULIEU, Les réactions des savants francais au début du XVII‘ siècle devant l’heliocentrisme de Galilée, in PaoLo GaLLuzzi (a cura di), Novitd celesti e crisi del sapere. Atti del convegno internazionale di studi galileiani, Firenze,
Giunti-Barbera, 1984, pp. 373-381. MicHEL-PIERRE LERNER, La réception de la condamnation de Galilée en France, in José MoNTESINOS — CarLos Sotis (a cura di), Largo campo di filosofare. Eurosymposium Galileo, La Orotava, Fundaciòn Canaria Orotava de Historia de la Ciencia, 2001, pp. 513-547; NaracHa FaBBrI, Echi della condanna di Galilei in Marin Mersenne, in I Primi Lincei
e il Sant'Uffizio. Questioni di scienza e di fede (Atti del convegno, Roma, 12 e 13 giugno 2003),
Roma, Bardi Editore, 2005, pp. 449-480; Lew1s, Galileo in France, cit., passim; ISABELLE PANTIN,
Premières répercussions de l’affaire Galilée en France chez les philosophes et les libertins, in Massimo
BUCCIANTINI — MicHELE CAMEROTA — Franco GiupiCE (a cura di), Il caso Galileo. Una rilettura
storica, filosofica, teologica. Convegno internazionaledi studi. Firenze, 26-30 maggio 2009, Firenze,
Olschki, 2011, pp. 237-257. In generale, sui rapporti di Mersenne con l’Italia e gli allievi di Galileo vedi: Armanp BrauLIEU, Mersenne et l’Italie, inJeAN SERROY (ed.), La France et l’Italie au
temps de Mazarin, Grenoble, Presses Universitaires de Grenoble, 1986, pp. 69-77; In., Torricelli et Mersenne, in FRANgoIS DE Ganpr (ed.), L’euvre de Torricelli, Paris, Les Belles Lettres, 1989, pp. 39-51; In., Le group de Mersenne. Ce que l’Italie lui a donné — Ce qu'il a donné d l’Italie, in Buc-
CIANTINI — TORRINI (a cura di), Geometria e atomismo nella scuola galileiana (Atti del convegno), Firenze, Olschki, 1992, pp. 17-34.
SS o gere
HOBBES
E MERSENNE
alcune opere del Pisano ?® lo conducono a porre attenzione alla stretta relazione che si instaura tra osservazione empirica e ragione dimostrativa. Com'è noto, la sintesi tra ‘sensate esperienze’ e ‘necessarie dimostrazioni’ costituisce uno dei nodi cruciali del pensiero filosofico-scientifico galileiano ?? e Mersenne coglie la problematicità di quest’elemento. In particolare, alcuni passi delle opere di Galileo inducono il Minimo a dubitare che lo scienziato italiano abbia realmente compiuto tutte le osservazioni empiriche descritte nelle sue opere,’ e ciò lo spinge a ripetere questi esperimenti per sondarne l'effettiva validità (in primo luogo, l'osservazione della sfera che percorre il piano inclinato).?* L'esperimento viene ad acquisire così un posto di rilievo all’interno dell’orizzonte scientifico mersenniano ?” e il Minimo offre al 50 Com'è noto, Mersenne tradusse Le mechaniche e stilò un sunto rielaborato dei Discorsi, dal titolo Les nouvelles pensees de Galileée, Mathematicien et Ingenieur du Duc de Florence, Paris, Pier-
re Rocolet, 1639. Vedi Lewis, Galileo in France, cit., pp. 135 e sgg. Sull’esperienza di Mersenne quale traduttore e interprete di Galileo: WiLLiam R. SHEA, Marin Mersenne: Galileo's «traduttoretraditore», «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze», a. 2, fasc. 1, 1977, pp. 55-70; RENÉE RAPHAEL, Galileo’s Discorsi and Mersenne’s Nouvelles Pensées: Mersenne as a reader of Galilean ‘experience’, Nuncius», XXIII/1, 2008, pp. 7-36.
51 Su questo tema ha concentrato l’attenzione soprattutto Crombie, vedi CROMBIE, Marin Mersenne (1588-1648) and the Seventeenth-Century Problem of Scientific Acceptability, cit., pp. 402-405.
52 Sul tema avremo modo di tornare. Vedi infra, cap. II, $$ 8 e sgg. 53 «Je doute que le sieur Galilee ayt fait les experiences des cheutes sur le plan, puis qu'il n’en parle nullement, & que la proportion qui donne contredit sowuent l’experience: & desire que plusieurs esprouuent la mesme chose sur des plans differens auec toutes les precautions dont ils pourront s’auiser, afin qu'il voyent si leurs experiences respondront aux nostres, & si l'on en pourra tirer assez de lumiere pour faire vn Theoreme en faueur de la vitesse de ces cheutes obliques, dont les vitesses purroient estre mesurees par les differens effets du poids, qui frappera dautant plus fort que le plan sera moins incliné sur l’horizon, & qu'il approchera dauantage de la ligne perpendiculaire» MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Paris, Sebastien Cramoisy, 1636, Livre II (Du Mouuement des Corps), p. 112, Corollaire I.
54 Vedi RapHAEL, Galileo’s Discorsi and Mersenne’s Nouvelles Pensées, cit. 55 Sull’elemento sperimentale, che in Mersenne è tutt'altro che scevro di teoria, vedi quan-
to afferma Crombie: «His insistence on the careful specification of experimental procedures, use of controls, repetition of experiments as well as those calculated from theory, recognition and approximations, and estimation of experimental errors marked a notable step in experimental method». Cromsie, Marin Mersenne (1588-1648) and the Seventeenth-Century Problem of Scientific Acceptability, cit., pp. 407-408. Sul rapporto di Mersenne con la cultura dell’esperimento, vedi anche: BeauLieu, Mersenne. Le grand minime, cit., pp. 265 e sgg.; MicHEL BLAY, Mersenne expérimentateur: les études sur les mouvements des fluides jusqu’en 1644, in ARMOGATHE — BLAY (eds.), Études sur Marin Mersenne, cit., pp. 69-86; AnTonIO Narpi, Théorème de Torricelli ou Théorème cit., de Mersenne (ivi, pp. 87-118) e anche Maury, A l’origine de la recherche scientifique: Mersenne, Lewis, vedi galileiane, osservazioni delle empirica conferma una di pp. 211 e sgg. Sull’insistenza Galileo in France, cit., pp. 119 e sgg. Raphael ha sostenuto che, nel tradurre i Discorsi galileiani, (o Mersenne abbia individuato due tipologie differenti di ‘esperienze’: universali e individuali cit., p. 32. L'autrisingolari), vedi RAPHAEL, Galileo’s Discorsi and Mersenne’s Nouvelles Pensées,
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CAPITOLO
PRIMO
pubblico alcuni risultati delle sue osservazioni sperimentali nell’Harmonie Universelle del 1636-37.°° Tuttavia, prima di passare all’Harmonie, è interessante soffermarsi su di un brevissimo trattato dedicato al movimento,
datato 1634, nel quale
Mersenne sottopone meticolosamente a verifica empirica le considerazioni sulla caduta dei gravi che Galileo aveva pubblicato nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi. Sebbene il testo di questo Traité des Mouvemens?7 si concluda con la considerazione che il filosofo naturale debba contentarsi «di spiegare i fenomeni della natura, poiché la mente umana non è capace di possederne le cause e i principi»,°* tuttavia nella prefazione il Minimo rende ragione del suo intento di verificare le speculazioni galileiane e le motivazioni che adduce si rivelano interessanti. Mersenne scrive che la ‘vera Filosofia’ deve avere «l’esperienza e la ragione come suo fondamento»,’? a significare che i due elementi fanno parte di un connubio indissolubile. Inoltre — in uno spirito profondamente galileiano — afferma di aver. sottoposto al vaglio della verifica empirica i dati forniti dal Pisano, «cosicché i filosofi che preferiscono la verità all'autorità, possano stabilire qualche fondamento certo nella Fisica».90 Questo interesse per l'esperimento si traduce in una nuova attenzio-
ne nei confronti del rapporto tra esperienza e ragione. Se, ne La Verité, Mersenne sosteneva che spettasse alla ragione di correggere gli errori del senso, in alcuni passi della Harmonie egli pare ridurre la capacità della ragione di solvere le difficoltà. Da un lato egli ritiene che «l’esperienza non è in grado di generare una scienza» ma, d’altro canto, aggiunge «che occorre non fidarsi troppo del solo ragionamento, poiché esso non risponde ce ritiene, tuttavia, che l’attenzione mersenniana per l'elemento sperimentale non sia contemplata dal Minimo all’interno di un orientamento unitario e determinato di orizzonte scientifico (ivi, pp. 35-36).
56 Il primo volume della Harmonie Universelle vide la luce già nel 1636, proprio quando Hobbes si trovava a Parigi. 57 Il testo, finito di stampare il 23 novembre 1633 e pubblicato l’anno successivo, è stato
recentemente ristampato in «Corpus», 2, 1986. Il titolo completo è: MARIN MERSENNE, Traité des Mouvemens, et de la chute des corps pesans, & de la proportion de leurs differentes vitesses. Dans lequel l’on verra plusierurs experiences tres-exactes, Paris, Jacques Villery, 1634. Sull’importanza del testo, vedi Lewis, Galileo in France, cit., pp. 122 e sgg. Sulla valutazione della correttezza della legge galileiana di caduta dei gravi vedi CarLa R. PaLMERINO, Infinite Degrees of Speed: Marin Mersenne and the Debate over Galileo’s Law of Free Fall, «Early Science and Medicine», vol. 4, n. 4,
1999, pp. 269-328.
58 MERSENNE, Traité des Mouvemens, cit., p. 58.
59 Ibid., Preface et advertissement av lecteur, p. 31 (corsivo mio). OO RIvISPIS2s
PRES
RE
HOBBES
E MERSENNE
sempre alla verità delle apparenze, da cui si allontana spesso». Riflettendo sulla rotazione terrestre e sulla forza che dovrebbe avere la terra per scagliare le pietre durante il movimento, Mersenne ritiene necessario servirsi
dell'esperienza per indagare la natura di questi movimenti: «poiché le ragioni che ci si immagina molto solide ingannano spesso in Fisica, come ho dimostrato in diversi luoghi di quest'opera, vengo all’esperienza, al fine di notare la maniera in cui la natura agisce in questi movimenti, e di tirarne le
conclusioni».°° Talvolta, il Minimo sembra addirittura anteporre l’esperienza alla dimostrazione razionale: [...] ie suis bien esloigné de vouloir demonstrer tout ce que ie prouve par l’experience, qui sera suivie de tous ceux qui la feront, parce qu'il faut convaincre l’entendement par la raison evidente pour la contraindre d’embrasser une demonstration: ce que ie desire que l’on remarque une fois pour toutes, afin que l’on ne croye pas que i'use tousiours de la diction demonstrer, ou demonstration dans un sens Mathematique; ce que ceux-là concluront aysément qui scavent la difficulté qui se rencontre à demonstrer aucune chose dans la Physique, dans laquelle il est tres-difficile de poser d'autres maximes plus avantageuses que les experiences bien reglées et bien faites, [...].99
Questa constatazione lo conduce ad affermare che nel dominio della fisica sia improprio parlare di principi e verità, poiché noi conosciamo propriamente solo ciò che siamo in grado di realizzare «de la main, ou de l’esprit», cioè conosciamo unicamente i fondamenti di quelle dottrine che sono interamente in nostro potere.°* La riflessione mersenniana sulle opere galileiane e, in generale, sulla problematica dell’esperimento ha condotto il minimo a elaborare una so61 In, Harmonie Universelle, 2 voll. (vol. I, Paris, Sebastien Cramoisy, 1636; vol. II, Paris,
necessità Pierre Ballard, 1637), vol. I, Livre Il (Du Mouuement des Corps), p. 112, Corollaire II. La
della verifica empirica nel campo della scienza fisica, contemplata da Mersenne, è stata sottolineata già da Auger: vedi Léon AuceER, Le R.P. Mersenne et la physique, «Revue d’histoire des sciences», tome 2, n. 1, 1948, pp. 33-52: 33-35.
62 MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre II, pp. 149-150. 63 Ivi, Livre III: Des mouuemens & du son des chordes, p. 167.
64 «Il est difficile de rencontrer de principes ou des veritez dans la Physique, dont l’objet trouappartenant aux choses que Dieu a crées, il ne faut pas s'estonner si nous n’en pouvons le scavons ne nous puisque patissent, et agissent elles dont ver les vrayes raisons et la maniere de toutes vrayes raisons que de choses que nous pouvons faire de la main, ou de l’esprit; et que et effort les autres choses que Dieu a faites, nous n’en pouvons faire aucune, quelque subtilité Observations que nous y apportions, ioint qu'il les a pù autrement faire», ibid., vol. II, Nouuelles du mécanisme, cit., Physiques et Mathématiques, p. 8. Vedi anche LenoBLE, Mersenne ou la naissance
p. 384.
= Ba
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PRIMO
luzione epistemologica che parrebbe, di primo acchito, paradossale: se, da un lato, egli recupera la dimensione dell'esperienza e dell’osservazione empirica nell’ambito della fisica, d'altro canto non abbandona gli elementi probabilistici della sua teoria. Egli, ribadisce, infatti, che in questa disciplina le vere cause e i principi non sono noti a colui, che indaga, ma solamente al creatore della natura.9 Questa impostazione filosofica, che affonda le radici nella tradizione scolastica tardo-medievale, anche se reinterpretata
in termini moderni, ha indotto uno degli eminenti studiosi del pensiero mersenniano a definire la posizione del religioso francese come un ‘artificialisme mécaniste?.9°
2. CERTEZZA
E PROBABILITÀ:
VERITÀ MATEMATICHE E IPOTESI FISICHE
Nell’Harmonie Universelle, Mersenne afferma che il termine conoscenza
sia decisamente improprio nel dominio della fisica e che, in realtà, noi possiamo sostenere di possedere propriamente una conoscenza completa solo di quelle discipline i cui fondamenti sono interamente in nostro possesso. La stessa idea è espressa anche da Gassendi ®” e da Hobbes, il quale, nel De
motu, loco et tempore, plasma anche la sua distinzione tra metodo compositivo e risolutivo sulla dicotomia tra conoscenza certa, propria del sapere matematico e probabilismo della fisica. Per ciò che concerne, invece, l'origine e la fonte di ogni umana conoscenza, Hobbes sostiene, sin dagli Elements,” ma anche nel De motu, loco et
65 Quest’idea è condivisa anche da Hobbes, ma, in realtà, è comune nella tradizione filo-
sofica precedente, in particolare nel tardo aristotelismo patavino del XVI secolo.
66 LENOBLE, Mersenne ou la naissance du mécanisme, cit., p. 386. Lenoble, nel descrivere la
posizione mersenniana sostiene che: «Cette idée que nos systèmes sont seulement des modèles possibles des choses, n’était certes pas inconnue des Scolastiques. Ce qu'il y a de plus nouveau dans le cas de Mersenne, c'est bien le valeur méme attribuée à la science pragmatiste: elle se suffit désormais à elle-mème, sans regrets bien vifs d’une science plus parfaite», ibid. 7 «Philosophamur de iis instar quarum ipsi Authores sumus». Vedi PIERRE GASSENDI, Syntagma, in Opera Omnia, pp. 95a-95b. Cfr. anche: ivi, pp. 122b-123b. Sull'argomento vedi: OLIVIER R. BLOCH, La philosophie de Gassendi: Nominalisme, matérialisme et métaphysique, The Hague, Mar-
tinus Nijhoff, 1971, pp. 150-151; TuLLIO GREGORY, Perspectives sur Pierre Gassendi d l’occasion du IV°
centenaire, in In., Genése de la raison classique de Charron à Descartes, cit., pp. 157-189: 174. Sull’epistemologia di Gassendi, vedi SAUL FisHER, Pierre Gassendi’s Philosophy and Science, Leiden-Boston,
Brill, 2005, pp. 89 e sgg. Sul ruolo della matematica nel pensiero di Gassendi, vedi anche BERNARD RocHor, Gassendi et les mathématiques, «Revue d’histoire des science», t. 10, n. 1, 1957, pp. 69-78. 68 Vedi HoBBes, MLT, XXX, 10, pp. 352-353; tr. it. p. 529.
69 «All'origine, tutti i concetti derivano dall'azione della cosa stessa di cui sono concetti».
In., EL, Part I, cap. II, $ 2, p. 3; tr. it. p. 13.
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HOBBES
E MERSENNE
tempore, che sia «abbastanza noto e risaputo che non vi è nulla nell’intelletto che non sia stato prima nel senso» ?° e la posizione del filosofo riecheggia le parole dello scettico mersenniano.”! Dal canto suo, Mersenne non si esprimeva direttamente su questo assunto, ma riteneva, nondimeno, che i sensi fossero comunque i ‘courriers’ e i ‘messagers’ della ragione. Nondimeno, egli sosteneva anche la falsità dell’affermazione secondo la quale «l’intelletto non comprende se non ciò che entra per i sensi esterni», questo perché «egli
sa che esiste l’aria e mille altre cose che i sensi non possono percepire».7? Dunque, tra le cose che il Minimo considerava inaccessibili al senso vi era, in particolare, l’aria ed egli affermava che quando i sensi ci ingannano, la ragione interviene a correggere l'errore, come nel caso del bastone che pare rotto o storto se immerso nell’acqua. In questo caso, «la ragione si oppone perché la luce della Diottrica le fa riconoscere che è diritto». Nell’orizzonte mersenniano, l'ottica veniva a ricoprire perciò un'importanza fondamentale,7* (come — d'altra parte — anche nel pensiero di Descar-
tes? e Hobbes).”° Benché il Minimo non si esprimesse apertamente sullo statuto di questa scienza, essa può essere considerata una sorta di ponte tra la conoscenza deduttiva aprioristica e assiomatica delle matematiche e la realtà pluriforme e variegata dei fenomeni empirici. In questo contesto, la matematica non rappresenta solo il modello di conoscenza certa e formale, cui abbiamo più volte fatto riferimento, poiché Mersenne auspica un’applicazione del metodo matematico anche alle altre discipline. L'estensione di un modello geometrico a ogni campo del sapere è uno degli elementi che traspaiono chiaramente sia dal De Cive,7 che dal De motu, loco et tempore.”8 Tuttavia, secondo Hobbes, nell’ambito della fisica
70 Ip., MLT, XXX, 3, p. 349; tr. it. p. 524.
71
MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., p. 149.
72 «[...]il n'est pas veritable que l’entendement ne comprenne rien que ce qui entre par les sens exterieurs, car il cognoît qu'il y a de l’air, & mille autres choses que les sens exterieurs ne scauroient appercevoir», ivi, p. 149.
73 Ivi, p. 222. 74 Ivi, p. 148. 75 L'interesse per l’ottica è confermato dall’affermazione che la vista sia il più nobile dei
sensi, condivisa non solo da Descartes (vedi Descartes, La Dioptrique, AT, VI, p. 81), ma co-
mune in tutta la storia della filosofia e presente anche in Platone (Timeo 45b-47b) e Aristotele
(Metafisica, 1, I, 9802).
76 Sull’importanza dell'ottica nella genesi del meccanicismo hobbesiano vedi GIUDICE, Luce e visione, cit., pp. 141-144 e soprattutto In., The Most Curious of Science: Hobbes’s Optics, cit. 77 Vedi Ho88£s, De Cive, Epistola dedicatoria, OL, II, pp. 136-137; tr. it. pp. 59-60. 78 Vedi il $ 1 del XXIII cap. del De motu, loco ettempore: In., MLT, pp. 269-270; tr. it
pp. 401-402.
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è possibile conseguire una conoscenza solamente ipotetica e probabile,”? poiché le vere cause dei fenomeni — essendo connesse ai movimenti delle particelle corpuscolari e invisibili che compongono il reale — sono al di fuori della percezione sensoriale e, di conseguenza, inaccessibili a ogni verifica empirica. Hobbes sostiene che la filosofia naturale rientri nel genere delle cose indimostrabili e individua anche la ragione per la quale i fenomeni naturali si sottraggono a una dimostrazione certa: essi dipendono dal movimento di particelle «così sottili da essere invisibili», come avviene nel caso
dell’‘aria’ e degli ‘spiriti’.8° Confrontando le posizioni di Mersenne e Hobbes emerge un’analogia interessante: entrambi sottolineano la problematicità di indagare fenomeni fisici come l’aria, che si sottraggono perlopiù all'osservazione empirica e, di conseguenza, in questi campi di ricerca è opportuno servirsi esclusiva-
mente di un metodo fondato sul ragionamento dimostrativo, deduttivo e aprioristico.8! Gli elementi probabilistici della filosofia naturale hobbesiana sono stati sottolineati soprattutto da Arrigo Pacchi, e questi considerava Hobbes un esponente di quella corrente che Richard Popkin ha definito scetticismo costruttivo o mitigato.*° Tuttavia, sebbene Pacchi abbia sottolineato un aspetto
significativo del pensiero di Hobbes, nondimeno è fondamentale non sovrastimare la portata del convenzionalismo hobbesiano e occorre soffermarsi 79 Vedi Hobbes to Sir W. Cavendish, Earl of Newcastle, from Paris, 29 July-8 Aug. 1636, CH, InEetteral9Wp::33:
80 Ibid.
81 Quest’argomentazione presente in Mersenne e Hobbes sembrerebbe confermare la (curiosa) ipotesi di Laudan, secondo la quale l’‘ipoteticismo’ caratteristico di alcune filosofie di epoca moderna sarebbe una conseguenza di una concezione corpuscolare della materia, alla quale è correlata l'impossibilità di verificare il comportamento di queste microparticelle. Vedi Larry Laupan, The Clock metaphor and probabilism (1966); ora in In., Science and hypothesis. Historical essays on scientific methodology, Dordrecht, Springer, 1981, pp. 27-58: 44. Tuttavia, vedi in proposito le riserve critiche di Sophie Roux: Roux, Le scepticisme et les hypotheses de la physique, cit., pp. 16 e sgg. 82 Vedi PaccHI, Convenzione e ipotesi, cit., p. 10. Come abbiamo già osservato, Popkin attribuiva a Mersenne e Gassendi un mitigated scepticism (PoPkin, The History of Scepticism, cit., p. 148). Di contro, Lenoble e Beaulieu hanno visto nel religioso un campione del meccanicismo e un fervido sostenitore della scienza moderna. Peter Dear (DEAR, Mersenne and the Learning of the Schools, cit., passim) e Daniel Garber (GARBER, On the Frontlines of Scientific Revolution, cit.;
In., Remarks on the Pre-History of the Mechanical Philosophy, cit., pp. 15-16) ritengono, invece, che
il Minimo si sia mantenuto, nel complesso, fedele all’aristotelismo. È fondamentale osservare,
tuttavia, che la posizione di Popkin presentava, al contempo, entrambi gli elementi che paiono, invece, dicotomici nelle altre interpretazioni. Un quadro esaustivo del rappotto di Mersenne nei confronti dello scetticismo è presente in PAGANINI, Skepsis. Le débat des modernes sur le scepticisme, cit., pp. 129-147.
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sullo statuto epistemologico di quelle ipotesi che, secondo il pensatore inglese, si elaborano all’interno del dominio della filosofia naturale.89 Infatti, sin dagli Elements, il filosofo dichiara apertamente che «il senso si corregge col senso» 84 ed egli ritiene indiscutibile che, per quanto il ragionamento filosofico abbia una struttura logico-deduttiva, i dati forniteci dal senso possono essere corretti solo attraverso l’osservazione empirica.
Tuttavia, sondando le prime riflessioni scientifiche di Hobbes, siamo in grado di sviluppare ulteriormente la problematica e individuare ulteriori consonanze con alcune posizioni mersenniane. Anche Hobbes sottolineava, infatti, una differenza fondamentale tra scienze i cui principi sono in nostro potere e scienze che concernono il mondo delle «cose naturali».8 Servendosi di un lessico dai connotati ‘duhemiani’,8° Hobbes sostiene che
ripercorrendo la catena causale che lega necessariamente ogni fenomeno naturale a una causa efficiente, sia possibile salvare i fenomeni, individuan-
do una causa possibile per ogni effetto prodotto (benché non sia possibile giungere a una qualche causa prima, se non attribuendo il primo moto all'intervento divino). Al contrario, nelle scienze i cui principi e definizioni di partenza dipendono direttamente da un patto o consenso tra di noi, possiamo giungere ai principi primi che sono stipulati, appunto, per convenzione.
Il filosofo esprime quest'idea anche in apertura del Tractatus Opticus II (fine 1640-1642),87 dove troviamo una bipartizione precisa delle scienze: matematiche e fisiche.88 L'incipit del trattato rappresenta la prima esposi83 Questo tema sarà trattato approfonditamente nel prosieguo. Vedi infra, cap. II, $ 8. 84 HoBBEs, EL, Part I, cap. II, $ 9, p. 7; tr. it. p. 19.
85 «And if a man could make an Hypothesis to salue that contraction of y° sun yet such is the nature of naturall thinges, as a cause may be againe demanded of such Hypothesis, and neuer should one come to an end w'*’out assigning the Immediate hand of God. Whereas in mathematicall sciences wee come at last to a definition w°° is a beginning or Principle, made true by a pact and consent among our selues». Hobbes to Sir Charles Cavendish, from Paris, [29 jan.] 8 feb. 1641, CH, I, Letter 31, p. 83.
86 Sull’immagine delle teorie scientifiche come mere ipotesi atte a ‘salvare ifenomeni”, vedi
il classico saggio di Duhem: PiERRE DUHEM, Salvare ifenomeni, Roma, Borla, 1986 (ed. or. 1908), pp. 119 e sgg.
87 Il testo era stato inizialmente datato da Malcolm agli inizi del 1640 (indicando come
termine ad quem l'abbandono della madrepatria di Hobbes nel novembre 1640). Vedi MALCOLM, General Introduction, CH, I, pp. LI-Lv. Tuttavia, più recentemente Raylor e lo stesso Malcolm
hanno suggerito il dicembre 1640 come termine a quo e l’aprile 1643 (più probabilmente l'agosto1642) come termine ad quem della stesura del manoscritto, da parte di un copista parigino. Vedi: TimorHy RayLor, The Date and Script of Hobbes’s Latin Optical Manuscript, «English Manuscript Studies 1100-1700», 12, 2005, pp. 201-209; NoEL MaLcoLm, Hobbes, the Latin Optical Manuscript, and the Parisian Scribe, ivi, pp. 210-232. 88 Vedi Ho88£s, TO II, cap. I, $ 1, f. 193r, p. 147.
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zione chiara e precisa che Hobbes abbia elaborato riguardo alle differenze metodologiche intercorrenti tra le speculazioni matematiche e le indagini fisiche. Il sapere conseguito nell’ambito delle scienze matematiche si sviluppa a partire da alcuni principi primi che sono le definizioni dei vocaboli (definitiones vocabolorum) e queste primae veritates, sono considerate vere in virtù di un patto stipulato tra di noi (la comunità intellettuale o umana). In questo passo emerge tutta la concezione convenzionalista e costrut-
tivista di Hobbes nelle scienze matematiche e geometriche: le conclusioni cui giungiamo nel campo della matematica sono assolutamente certe e necessarie proprio in virtù del carattere convenzionale di questa determinata
disciplina, strutturata come un sistema logico a priori e deduttivo.*° Al contrario, nel descrivere i fenomeni della natura, occorre ricorrere
a una metodologia differente o, per esprimerci con i termini hobbesiani, è necessario servirsi di un altro genere di principi. Nell'ambito della filosofia naturale, infatti, il ragionamento che possiamo produrre è esclusivamente ipotetico (Hypothesis sive suppositio).
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Questa posizione ipoteticista sembra affine a quella sostenuta dal collega e amico Pierre Gassendi nel Syntagma.?° Quando si indaga la natura di un 89 La bipartizione delle scienze in certe e probabili, è riscontrabile anche nell’opera Six Lessons to the Professors of the Mathematics del 1656: cfr. HoBBEs, Six Lessons to the Professors of the Mathematics, EW, VII, pp. 183-184. Vedi al riguardo GruLio GioreLLO, Pratica geometrica e immagine della matematica in Thomas Hobbes, in BernaRD WiLLMS et alii, Hobbes Oggi, cit., pp. 215-244; vedi anche
José Mépina, Mathématique et philosophie chez Thomas Hobbes, cit., pp. 86-87. In generale, sulla concezione della matematica in Hobbes vedi: WoLFGANG BREIDERT, Les mathématiques et la méthode
mathématique chez Hobbes, «Revue internationale de philosophie», XXXIII, 129, 1979, pp. 414-431; Harpy GRANT, Hobbes and mathematics, in SorELL (ed.), The Cambridge Companion to Hobbes, cit..,
pp. 108-128. Molto importante e ben documentato è l’importante saggio sulla diatriba tra Hobbes e Wallis diJesseph: DoucLAs M. JessePH, Squaring the Circle. The War between Hobbes and Wallis, Chicago and London, University of Chicago Press, 1999. Vedi anche EmiLio SERGIO, Contro il
Leviatano. Hobbes e le controversie scientifiche 1650-1665, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001, pp. 87226; In., Verità matematiche e forme della natura da Galileo a Newton, cit., pp. 207-254. 90 «Si dum aliqua causa inuenitur, & tanquam vera, germanàque effertur, ac diuenditur, quae verisimilis dumtaxat, ac fortè quoque spuria sit, non habeamus, quò respicientes diiudicare illam possimus. Sanè & hoc quoque est valde iucundum, nisi assequamur veram causam, verae specie non decipi; & qualiscumque reperta sit, tribuere illi posse legitimum pretium. Hac
ratione. Dum causam venati, de alicuius inuentae veritate diffidimus, sit nobis occasio inuen-
di, arripiendique aliam viam, iuxta quam fortassis foeliciores simus: natàque adeò exinde est, quae dici Problematica solutio, responsibve solet, cùm vatiae causae proponuntur, vt singulae solùm verisimiles, quò aut vberiùs disquiratur, aliqua ne earum sit vera; aut insinuetur, praeter allatas, requiri quampiam aliam posse». GasseNDI, Syntagma, in Opera Omnia, I, pp. 286a-286b. D'altro canto, Gassendi — diversamente da Hobbes — è scettico sulla possibilità di fondare una
scienza dimostrativa per causas. Vedi GREGORY, Perspectives sur Pierre Gassendi, cit., pp. 174-175. Vedi anche FisHER, Pierre Gassendi’s Philosophy and Science, cit., p. 117; In., Gassendi et l’hypothèse
dans la méthode scientifique, in SyLvie Taussic (ed.), Gassendi et la modernité, Turnhout, Brepols,
2008, pp. 399-425.
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HOBBES
E MERSENNE
evento fisico che cade sotto la percezione sensoriale, si suppone l’esistenza di movimenti che costituiscono la causa efficiente di quel determinato fenomeno. Ciò nondimeno, non è del tutto impossibile che moti eterogenei producano effetti molto simili: se si ipotizza che un evento specifico sia determinato da un particolare movimento e, in realtà, la supposizione è sbagliata, accade, in tal caso, che da un'ipotesi errata si produca una dimo-
strazione perfettamente corretta dal punto di vista formale, la quale, però, muove da principi di partenza del tutto inesatti.?! Tuttavia, al fisico non si richiede nient'altro che la formulazione di ipo-
tesi plausibili (Amplius igitur a Physico non exigitur, quam ut quos supponit vel fingit motus, sint imaginabiles), e che attraverso queste supposizioni si possano dimostrare attraverso un metodo deduttivo i fenomeni osservati (et
per eos concessos necessitas demonstretur Phaenomeni). Nondimeno, secondo Hobbes, ciò non è poco (Neque vero hoc parum est): se, infatti, attraverso tali ipotesi è possibile rendere ragione degli eventi, questi, pur avendo altre cause, tuttavia avrebbero potuto essere prodotti anche dalle cause supposte: «così non sono meno utili all’uso umano che se fossero conosciute e dimostrate».? Quest’esito potrebbe sembrare paradossale, ma la chiusa del passo citato contiene un’eco baconiana sul fine della scienza e della conoscenza dei fenomeni fisici, che è l’obiettivo di Hobbes: l'acquisizione di un controllo sul mondo naturale a beneficio dell’umanità,’ un'idea che
sarà espressa a chiare lettere nel Leviathan.?* Tuttavia, nonostante questa 91 Ho88Es, TO II, cap. I, $ 1, f. 193r, p. 147.
92 Ibid. 93 Su quest’argomento in Bacon vedi: PaoLo Rossi, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza, Torino, Einaudi, 1974 (ed. or. 1957): pp. 3-17; StePHEN GaukRrOoGER, Francis Bacon and the Transformation of Early-Modern Philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 2001, pp. 6-36 e pp. 132 e sgg. Sulle molteplici accezioni dello studio della natura in Bacon vedi anche MARTA FartORI, «Qui de natura tanquam de re explorata pronuntiare ausi sunt...». L'étude de la nature, in In.,
Études sur Francis Bacon, Paris, PUF 2012, pp. 191-212. Perun quadro delle analogie e differenze tra i modelli baconiano e hobbesiano di filosofia naturale, vedi EmiLio SERGIO, Bacon, Hobbes e l’idea
di «Philosophia naturalis»: due modelli di riforma della scienza, «Nuncius», XVIII2, 2003, pp. 515-547. Vedi anche JEAN BERNHARDT, Sur le passage de F. Bacon à Th. Hobbes, «Les Etudes Philosophiques»,
4 (Octobre-Décembre 1985), pp. 449-457, e il numero monografico della rivista «Philosophical
TerEnquiries», 4 (juin 2015), dal titolo: Hobbes et Bacon: le sens d’un silence (con contributi diJean
e rel, Arnaud Milanese, Chantal Jacquet, Eric Marquer, Nicolas Dubos, Myriam-Isabelle Ducrocq Jauffrey Berthier) su: http://www.philosophicalenquiries.com. Vedi anche PrerrE-FRANCOIS MorEAU, Hobbes. Philosophie, science, religion, Paris, Presses Universitaires de France, 1989, pp. 39-47. Sui rapporti diretti tra Bacon e Hobbes è fondamentale: Rogin Bunce, Thomas Hobbes” relationship with Francis Bacon — An introduction, «Hobbes Studies», 16, 2003, pp. 41-83.
94 «La ragione è il cammino, la crescita della scienza è la strada e il vantaggio dell’umanità è tr. it. ilfine». HoBBEs, Leviathan, ed. by Noel Malcolm, Oxford, Clarendon Press, 2012, pp. 74-75;
Leviatano, a cura di Arrigo Pacchi, Roma-Bari, Laterza, 1989, p. 39.
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dichiarazione di Hobbes è necessario non trascurare un elemento fondamentale presente nel passo citato del Tractatus: egli raccomanda esplicitamente che le ipotesi vengano formulate riguardo a eventi che siano percepibili dal senso (de alicuius eventus sensibus manifesti, quod Phaenomeni appellari solet), cioè a fenomeni le cui manifestazioni ed effetti siano osser-
vabili direttamente.” x D'altro canto, anche Mersenne, ne La Verité, sosteneva che la nostra conoscenza limitata dei fenomeni, benché non fosse in grado di penetrare l’intima essenza delle cose, nondimeno era sufficiente per servirci da guida nelle nostre azioni.?° Anche l'esempio di cui si serve Hobbes nel trattato, della figura geometrica del triangolo, ricorda il passo de La Verité dove Mersenne rivendicava l’invariabilità dei principi matematici, indipendentemente dall’esistenza o meno di un triangolo perfetto nella realtà.” Il Minimo riteneva che anche la fisica si occupasse di quantità matematicamente esprimibili, ma essendo connessa ai movimenti, essa era soggetta «a diversi cambiamenti».°* L'esempio del triangolo è una presenza costante nella produzione filosofica hobbesiana: nelle Obiezioni alle Meditations cartesiane il filosofo inglese ripropone la stessa immagine. Secondo Hobbes l’idea del triangolo è acquisita unicamente per astrazione dagli oggetti sensibili che presentano una forma triangolare,” proprio come aveva sostenuto Mer95 Frank Hortsmann ha sottolineato con precisione la natura che Hobbes attribuisce all’ipotesi nell’ambito della filosofia naturale. Vedi FRANK HoRsTMANN, Hobbes on Hypotheses in Natural Philosophy, «The Monist», vol. 84, n. 4, 2001, pp. 487-501. In generale, sulle ipotesi nella fisica moderna, vedi il citato saggio: Roux, Le scepticisme et les hypotheses de la physique, cit., passim. 26 MERSENNE,
la Verité des Sciences, cit., p. 14; vedi anche Popkin, Father Mersenne’s War
Against Pyrrhonism, cit., p. 65. 97 MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., pp. 226-227. 98. Ibid.
99 «Se non vi è triangolo in nessun luogo del mondo, non posso comprendere come esso abbia una natura; poiché ciò che non è in nessuna parte non esiste, e non ha, dunque, neppure
esistenza o natura. L'idea che il nostro spirito concepisce del triangolo viene da un triangolo
che abbiamo visto, o che abbiamo foggiato su cose viste; ma dopo che una volta abbiamo
chiamato col nome di triangolo la cosa onde pensiamo che l’idea del triangolo tragga la sua origine, anche se questa cosa perisca il nome resta sempre. Egualmente, se abbiamo concepito col pensiero che tutti gli angoli di un triangolo presi insieme sono uguali a due retti, ed abbiamo dato al triangolo quest'altro nome: «che esso è una cosa, che ha tre angoli uguali a due angoli retti», quando anche non ci fosse al mondo nessun triangolo, il nome, tuttavia, non
cesserebbe di persistere. E così la verità di questa proposizione «che il triangolo è una cosa, che ha tre angoli uguali a due retti», sarà eterna; ma la natura del triangolo non sarà per ciò eterna, poiché se accadesse per caso che ogni triangolo in generale perisse, essa cesserebbe di esistere. [...] Dal che è evidente che l’essenza, in quanto è distinta dall’esistenza, non è altro che una
raccolta di nomi per mezzo del verbo è?». HoBBEs, Objectiones ad Cartesii Meditationes (d’ora in poi: Objectiones), OL, V, pp. 271-272; tr. it. in RENÉ DescARTES, Opere, 2 voll., a cura di Eugenio Garin, Roma-Bari, Laterza, 1967, I, pp. 364-365.
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HOBBES
E MERSENNE
senne ne la Verité, dove aveva aveva affermato che «la figura cilindrica si trova negli alberi»!° e l'‘entendement’ estrapola queste figure dal mondo fenomenico per astrazione.
Tuttavia, Hobbes — servendosi di un ragionamento controfattuale che si richiama all’annihilatio mundi !° della tradizione medievale — afferma che il triangolo, in quanto nome universale, ente mentale, o idea di una «cosa, che ha tre angoli uguali a due retti» non perirebbe, così come le sue proprietà, anche supponendo che non esista più nulla in natura che abbia la forma del triangolo. Nel De motu, loco et tempore (1642-43, il quale può essere considerato una sorta di laboratorio del De Corpore),!° Hobbes ripropone la stessa immagine, soffermandosi ancora sulla concezione sillogistica del ragionamento e della conoscenza, ma ribadendo, al contempo, la necessità di attenersi a ciò
che attesta l’esperienza: [S]e qualcuno ha dimostrato qualche proprietà del triangolo, non è necessario che il triangolo esista, ma soltanto che sia vero in modo ipotetico: se è un triangolo, allora deve avere quelle proprietà. Per provare che qualcosa esiste c'è bisogno del senso ovvero dell’esperienza. Anche così la dimostrazione non è completa, ma a chi afferma che Socrate vive o esiste, un interlocutore che esige una risposta rigorosa chiederà di aggiungere: a meno che non abbia visto uno spettro o un fantasma o a meno che non abbia sognato, allora ho visto Socrate, dunque esiste
Socrate ecc.!95 Tuttavia, sia nelle Objectiones, che nel De motu, loco et tempore, Hobbes
si serve della stessa argomentazione per presentare la sua concezione del 100 MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., p. 227. dell’annihilatio mundi in Hobbes,
101 Sul tema
rispetto alle fonti medievali vedi Yves-
CHARLES ZARKA, La décision métaphysique de Hobbes, Paris, Vrin, 1999 (2° ed.), pp. 36-58, ma soprattutto: MicHeL MaLHERBE, Hobbes et la fondation de la philosophie première, in MARTIN BERTMAN - MicHeL MALHERBE (eds.), Thomas Hobbes: de la métaphysique à la politique, Paris, Vrin, 1989, pp. 17-32: 18-23. Per una trattazione completa e articolata, anche in rapporto a Gassendi, vedi: PacanINI, Hobbes, Gassendi und die Hypothese der Weltvernichtung, in MARTIN MuLsow — MARCELo Stamm (eds.), Konstellationsforschung, Frankfurt am Mein, Surkhamp, 2004, pp. 258-339; ID., Hobbes, Gassendi e l’ipotesi annichilatoria, cit.; In., Le néant et le vide. Les parcours croisés de Gassendi et Hobbes, cit., passim.
102 Com'è noto, Hobbes decise di non pubblicare la sua critica al De Mundo di Thomas White e molte delle considerazioni sviluppate in questo scritto confluiranno, più tardi nel De Corpore (1655). Vedi JEAN JacQuOT, Notes on an Unpublished Work of Thomas Hobbes, «Notes and Records of the Royal Society of London», 9, 1952, pp. 188-195. Sulle ragioni di questa scelta e sull'importanza del De motu, loco et tempore nello sviluppo della filosofia hobbesiana, vedi PacaNINI, Introduzione, in MLT, pp. 9-104: 24 e sgg. 108 HoBBEs, MLT, XXVI, 2, p. 309; tr. it. pp. 456-457.
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ragionamento e della filosofia in generale come calcolo logico.!°* Nel De motu, infatti, egli presenta l’intero edificio del sapere filosofico come una corretta e accurata nomenclatura delle cose! e propone un'immagine della filosofia come di un grande sillogismo, nel quale i concetti sono concatenati a formare un unico ragionamento logico.!° Mersenne, dal canto suo, aveva auspicato — contro le istanze dello scettico — che to strumento di acquisizione della conoscenza fosse fondato sul sillogismo, cui egli associava il metodo proprio della geometria euclidea e raccomandava l'applicazione congiunta di un metodo analitico e sintetico, in conformità alla tradizione aristotelica.!°7 In Hobbes, come in Mersenne, il sillogismo riveste dunque un'importanza fondamentale, ma il filosofo inglese sottolinea che il ragionamento, inteso come
processo razionale, non ha connessione
diretta con la
realtà esistente, essendo nient'altro che un calcolo di nomi universali: 198 104 L’argomentazione presente nelle Obiezioni è la seguente: «Che diremo noi, ora, se per avventura, il ragionamento non fosse altro che un’accolta e concatenamento di nomi per mezzo della parola è? Ne seguirebbe che, per mezzo della ragione, noi non concludiamo nulla riguardo alla natura delle cose, ma solo riguardo alle denominazioni, e cioè che, per mezzo di essa, vediamo semplicemente se riuniamo bene o male i nomi delle cose, secondo le conven-
zioni che abbiamo fatto a nostro capriccio riguardo alle loro significazioni. Se la cosa è così e può essere, il ragionamento dipenderà dai nomi, i nomi dall’immaginazione, e l’immaginazione forse (e questo secondo la mia opinione) dal movimento degli organi corporei; e così lo spirito non sarà niente altro che movimento nelle parti del corpo organico». HoBBEs, Objectiones, OL, V, pp. 257-258; tr. it. p. 350.
105 «La vera filosofia è assolutamente identica ad una vera, corretta e accurata nomenclatura delle cose, consiste infatti nella conoscenza delle differenze. Sembra tuttavia che le
differenze delle cose siano note unicamente a colui che abbia imparato ad attribuire i giusti appellativi alle singole cose; inoltre, il corretto ragionamento, che è il compito dei filosofi, non è altro che la giusta combinazione di proposizioni vere nel sillogismo. La proposizione vera consiste nel giusto accostamento dei nomi, vale a dire del soggetto e del predicato, in accordo con i loro significati propri e adeguati; ne risulta che la filosofia non può essere vera, se non ha un fondamento in un'adeguata nomenclatura delle cose». HoBBES, MLT, XIV, 1, pp. 201-202; tr.
it. pp. 289-290.
106 Dove la verità e la falsità degli asserti filosofici dipendono unicamente dalle proposizioni e queste, a loro volta, unicamente dal significato dei nomi «Verità e falsità sono identiche
ad una proposizione vera e falsa», ivi, XXX, 17, p. 357; tr. it. p. 534. Sulla concezione formale e sillogistica delragionamento in Hobbes vedi Yves-CHARLES ZARKA, Aspects sémantiques, syntaxiques et pragmatiques dans la pensée de Hobbes, in BERTMAN — MALHERBE (eds.), Thomas Hobbes: de la métaphysique d la politique, cit., pp. 33-46 e soprattutto MiNERBI BELGRADO, Linguaggio e mondo in Hobbes, cit., pp. 63 e sgg. 107 Vedi MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., pp. 199 e 203. 108 Gli stessi nomi sono imposti ad arbitrio umano e non vi è connessione alcuna tra nome e cosa cui il nome inerisce. Secondo Arrigo Pacchi, nel suo nominalismo, Hobbes «va al
di là non solo del concettualismo abelardiano, ma anche delle posizioni più radicali dell’occa-
mismo: ancora per Occam, infatti, l’universale trova un riscontro mentale, essendo un’inten-
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«la filosofia poi è la scienza dei teoremi generali, ovvero di tutti gli universali in qualunque materia, la cui verità può essere dimostrata con la ragione naturale».!° In altre parole, il ragionamento filosofico corretto è esclusivamente un calcolo logico, un sillogismo, scevro da paralogismi di sorta. Così: «la ragione non è altro che una facoltà di fare sillogismi; infatti, il ragionamento è soltanto un continuo connettere di proposizioni,
raccogliendole in un'unica sintesi, o, per dirlo più in breve, un calcolo di nomi».!!° A questa concezione sillogistica della filosofia, Hobbes associa nel pri-
mo capitolo del De motu, loco et tempore — proprio come aveva fatto, prima di lui, Mersenne, ne La Verité des Sciences - un metodo rigorosamente geometrico e insiste sul concetto di dimostrazione, proprio della geometria,!!! ma potenzialmente estendibile a ogni ramo del sapere.!!? Che il metodo delle matematiche sia applicabile anche in altri domini del sapere filosofico tio animae [...]. Hobbes invece, togliendo anche quest’ultima concretezza all’universale spazza via ogni legame predeterminato tra le cose singole, che non trovano più alcuna necessità che le vincoli nella gerarchia aristotelica dei generi e delle specie, né in alcun'altra gerarchia; ogni connessione tra i nomi delle cose risulta così puramente arbitraria». Arrigo Pacchi, nota, in Ho8ses, Elementi di legge naturale e politica, cit., p. 36. Sul nominalismo e concettualismo hobbesiani vedi Mario DaL Pra, Note sulla logica di Hobbes, «Rivista critica di storia della filosofia», XVII, 1962, pp. 411-433. Sul confronto tra Ockham e Hobbes si è soffermato soprattutto Zarka: ZARKA, La décision métaphysique de Hobbes, cit., pp. 85-93. Vedi anche DougLas M. JessePH, Logic and Demonstrative Knowledge, in PETER R. ANSTES, The Oxford Handbook of British Philosophy in the Seventeenth Century, Oxford, Oxford University Press, 2013, pp. 373392: 380-383.
10° HogBEes, MLT, I, 1, p. 105; tr. it. p. 129.
110 Ivi, MLT, XXX, 22, p. 358; tr. it. p. 537. 111 Sullo statuto particolare che presenta la geometria nel sistema filosofico hobbesiano vedi: WixLiam SacksteDER, The Art of the Geometricians, Journal of the History of philosoand phy», XVIII, 1980, pp. 131-146; In., Three Diverse Sciences in Hobbes: First Philosophy, Geometry, del Physics, «The Review of Metaphysics», vol. 45, n. 4 (Jun. 1992), pp. 739-772. L'estensione alismo convenzion del peculiare elemento come sapere del ambito ogni a metodo geometrico g Hobbes's hobbesiano è stato sottolineato da Hanson, vedi: DonaLp W. Hanson, Reconsiderin il quale ha 627-651, pp. 1991), (Autumn 4 n. 53, vol. Politics», of Review «The lism, Conventiona
e l’interesse evidenziato anche il sotteso rapporto con lo scetticismo insito nella problematica mersenniano per la filosofia di Hobbes, ivi, pp. 636 e sgg. del tempo 112 «Un'altra parte della filosofia considera i rapporti dello spazio con lo spazio, costituisce la parte questa numero; il con numero del figura, la con figura della con il tempo, l’unico nome di mageometria e l’aritmetica che di solito vengono comprese entrambe sotto a che gli autori di georiconoscev si che fatto dal dipende causa cui la ione denominaz tematica, lettori la loro dottrina, metria avevano insegnato, cioè avevano reso evidente ai discepoli e ai i loro discepoli non trasmessa come vera, togliendo loro ogni dubbio. Per questo si diceva che cioè dall’impapavdavew, toò mò perciò imparato; anche avevano ma solo avevano ascoltato, 1, pp. 105-106; I, MLT, ivi, he», matematic scienze a rare, chiamavano la geometria e l’aritmetic
tr. it. pp. 130-131.
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è sostenuto esplicitamente da Hobbes nel prosieguo, se ciò non è avvenuto finora, questo difetto è da imputare unicamente agli errori commessi dai «professori di tutte le altre scienze», i quali, sebbene «abbiano detto gli uni qualcosa di più verisimile degli altri»,!!# sembra che «nessuno però abbia insegnato alcunché tale da fugare ogni dubbio».!!4 Nel paragrafo successivo, Hobbes viene a distiùguere la scienza logica dalla storia, dalla retorica e dalla poetica. Solo alla prima compete di insegnare, «cioè dimostrare la verità di qualche proposizione universale» !!° e, di conseguenza, da ciò traspare chiaramente che la filosofia ‘debba essere trattata in forma logica”: Poiché dunque la filosofia, cioè ogni scienza, dev'essere trattata in modo che si conosca con inferenza necessaria la verità di tutto quel che viene provato, è
indispensabile che essa svolta in forma logica. Infatti il fine di coloro che studiano filosofia non è di commuovere, ma di conoscere con certezza e pertanto non
compete alla retorica. D'altra parte, il suo fine è conoscere la necessità delle conseguenze e la verità delle proposizioni universali, pertanto non spetta alla storia, tanto meno alla poesia, questa infatti narra fatti singoli e per di più trascura espres-
samente la verità.!1°
Per ciò che concerne, invece, i processi di acquisizione della conoscenza, Mersenne raccomandava l'applicazione congiunta dei metodi analitico e sintetico, di compositio e resolutio (propri della tradizione aristotelico patavina,!!” che Mersenne aveva ritrovato in Biancani), nei quali egli indivi-
duava «deus manieres pour apprendre les sciences»:
113 Ivi, p. 106; tr. it. p. 131. 114 Ibid.
115 Ivi, MLT, I, 2, p. 106; tr. it. p. 132. 116 Ivi, MLT, I, 3, p. 107; tr. it. p. 133. 117 Questi concetti sono ampiamente presenti nella scuola di Padova e nei suoi massi-
mi esponenti cinquecenteschi, come Agostino Nifo e Jacopo Zabarella. Vedi: RanpALL, The School of Padua and the Emergence of Modern Science, pp. 30-31; CROMBIE, Da S. Agostino a Galileo, cit., pp. 232-233. Sull’aristotelismo rinascimentale vedi CHARLES B. ScHMITT, Problemi dell’ari-
stotelismo rinascimentale, Napoli, Bibliopolis, 1985; Luca BraNcHI, Studi sull’aristotelismo del Rinascimento, Padova, Il Poligrafo, 2003. Sul rapporto di Hobbes con il pensiero umanistico e rinascimentale, oltreai già citati studi di Skinner, vedi: KARL SCHUHMANN, Rapidità del pensiero e ascensione al cielo: alcuni motivi ermetici in Hobbes, «Rivista di Storia della Filosofia», 2, 1985,
Pp. 203-227; In., Hobbes and Reinassance Philosophy, in WiLums et alii, Hobbes oggi, cit., pp. 331-349; GIANNI PagcanINI, Thomas Hobbes e Lorenzo Valla. Critica umanistica e filosofia moderna, «Rinasci-
mento», XXXIX, 1999, pp. 515-568; In., Hobbes e l’umanesimo, in LORENZO BIANCHI — GIANNI Pa-
GANINI (a cura di), L’umanesimo scientifico dal Rinascimento all’Iluminismo, Napoli, Liguori, 2010,
pp. 135-158; In., Alle origini del «mortal God»: Hobbes, Lipsius e il Corpus Hermeticum, «Rivista
di Storia della Filosofia», 3, 2006, pp. 509-532. In., Hobbes’s Critique of Essence and Its Source, in
SSaE , Qre
HOBBES
E MERSENNE
[...] car l’Analyse nous conduit si admirablement depuis le sommet de chaque science iusques aus premiers principes, & les tres-simples élemens, & la voye de composition, ràéig 7) bdòc cvvbetiyà) nous meine si parfaictement, & si asseuré-
ment depuis les premiers principes des sciences iusques à leur perfection [...].1!5
Aldo Gargani ha esaminato la presenza di questa problematica nel pensiero hobbesiano, sottolineando le affinità con il metodo in auge presso la scuola di Padova; !!° tuttavia, la particolare connotazione che questa terminologia assume nell’orizzonte mersenniano può indicarci, se non una diretta filiazione, perlomeno una forte analogia con la trattazione che ri-
servò Hobbes alla problematica. Così egli si esprime nel De motu, loco et tempore: Se la progressione procede dall’immaginazione della causa all'immaginazione dell’effetto e così di seguito verso il fine (che è sempre l’ultimo effetto), il discorso della mente si chiama composizione obvdecic; al contrario, se procede dall’effetto alla causa e poi di seguito verso le premesse si chiama risoluzione, àva\votg;
entrambe poi si chiamano reminescenza. [...] Se ogni volta che immaginiamo il fine l’immaginazione percorresse il medesimo ordine dei mezzi, procedendo dalla causa all’effetto, questa stessa reminescenza dei mezzi adatti al fine verrebbe chiamata arte, mentre, quando procede dall’effetto alla causa, verrebbe detta scienza
delle cause.!20 Il metodo compositivo — ovvero quello che conduce dalla causa all’effetto — è destinato all’arte, intesa qui come sapere convenzionale e costrutti-
vo che permette di produrre artefatti (non necessariamente prodotti della tecnica). Di contro, il metodo risolutivo si applica alla scienza delle cause e si
prefigge come scopo di risalire la catena causale, indagando l'origine di un determinato effetto. La tematica presenta però un'evoluzione nel pensiero
ParRICIA SPRINGBORG (ed.), The Cambridge Companion to Hobbes's Leviathan, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, pp. 337-357. 118 MERSENNE, La Verité des Sciences, cit., p. 203.
119 In particolare, Gargani ha attribuito ad Agostino Nifo il merito di aver formulato discipline un’interpretazione dei due metodi, particolarmente feconda per lo sviluppo delle «la rihobbesiano: intellettuale paradigma del anche peculiare sarà che filosofico-scientifiche, cerca scientifica muove, secondo Nifo, dalla cognizione degli oggetti dell'esperienza sensoriale; che a partire da questi ultimi la tecnica risolutiva risale alla scoperta della causa, procedura cone elaborazion di fase quella instaura si punto questo A signi. prende il nome di demonstratio e divisione del cettuale (intellectus negotiatio) che si articola in un'operazione di composizione e la scienza, Hobbes GARGANI, Vedi risolutiva». tecnica dalla ‘scoperto’ o termine causale indotto cit., pp. 33-38: 34. 120 Ho8BEs, MLT, XXX, 10, pp. 352-353; tr. it. p. 529.
— IRA
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di Hobbes e nel De Corpore, il filosofo modificherà il suo approccio, prospettando l'applicazione congiunta di composizione e risoluzione.!?! Questo tema è, inoltre, strettamente legato all'orientamento epistemologico hobbesiano e per capire appieno la posizione di Hobbes è necessario esaminare il pensiero di Galileo e il contributo che esso offrì alla genesi della filosofia hobbesiana. la Nel De motu, loco et tempore, Hobbes ribadiva quanto affermato negli Elements, che il metodo di indagine non potesse avere altro punto di partenza, se non la percezione sensoriale: !°2 attraverso la percezione dei cambiamenti che avvertiamo nel mondo esterno, siamo in grado di indagare i fenomeni naturali. L'esistenza di una realtà in movimento che interviene sui nostri organi di senso è il punto di partenza di qualsiasi indagine sul mondo fisico, tuttavia, precisa Hobbes, non tutti gli eventi sono esperibili dal senso ed esiste, al contrario, una miriade di oggetti che non cadono
immediatamente sotto la nostra percezione sensoriale. Non a caso, nel VII capitolo — riprendendo un passo del Dialogo sopra i due massimi sistemi — egli sviluppava un interessante discorso, spiegandoci perché «la diversità delle cose ci è ignota».!2 Dopo aver ribadito che le particelle dei corpi agiscono su 121 «Nella ricerca delle cause, c'è bisogno in parte del metodo analitico ed in parte del metodo sintetico: del metodo analitico per concepire ad una ad una le circostanze dell’effetto, del metodo sintetico per comporre in unità ciò che esse, ciascuna in sé e per se producono». Ho8BEs, De Corpore, VI, 10, OL, I, p. 70; tr. it. p. 135. In realtà, nello stesso De Corpore, Hobbes
sembrava proporre una distinzione tra i due metodi (cap. III, $ 9 e cap. VI, $ 13), solvendo, tuttavia, la problematica nel passo citato. Sulla combinazione di compositio e resolutio nella filosofia hobbesiana vedi: DougLas M. JessepH, Hobbesian Mechanics, «Oxford Studies in Early Modern
Philosophy», III, 2006, pp. 119-152: 123-124; vedi anche MépInA, Mathématique et philosophie chez Thomas Hobbes, cit., p. 105.
122 «Mi sembra tuttavia che il metodo di indagine debba essere uno solo, cioè quello che muove dalla varietà dei fantasmi o immagini, prodotte dalle cose stesse che agiscono sugli organi di senso, immagini senza le quali sarebbe lo stesso che l’uomo o la pietra indaghino su qualunque cosa. Diciamo immutate quelle cose che appaiono come prima, e invece chiamia-
mo mutate quelle che appaiono diversamente; il cambiamento delle cose consiste nel fatto che, essendo invariati gli organi di senso, esse tuttavia non producono la stessa specie, o immagine nella mente. In altre parole, il mutamento consiste in qualche moto avventizio delle parti dell'oggetto». HoBBEs, MLT, VII, 1, pp. 145-146; tr. it. pp. 197-198. 123 «Pertanto, il corpo o la materia può essere mutato e mosso nelle sue parti in modi innumerevoli, e grazie al moto di questo genere può produrre innumerevoli fantasmi nelle menti dei senzienti, cioè varietà innumerevoli di specie. Poiché non possiamo sapere quali moti abbiano le singole particelle di tutto il mondo, ne deriva anche che non siamo in grado di conoscere quante siano le varietà delle cose, e pertanto se vi siano in cielo corpi analo-
ghi ai nostri o no. Può accadere che ve ne siano; può avvenire che tutte le chimere i mostri
dell’immaginazione umana abbiano nei cieli cose analoghe ad essi, può anche succedere che non vi siano lì corpi né gravi né leggeri, nessun uomo o animale o albero. Infatti non possiamo sapere nulla di queste cose, in quanto da così grande distanza non agiscono sui nostri
s'e
HOBBES
E MERSENNE
di noi attraverso innumerevoli movimenti che ci sono sconosciuti, il filoso-
fo sottolineava che tanto più è esigua l’interazione di determinati fenomeni con i nostri organi percettivi — e, quindi, anche l'opportunità di sviluppare osservazioni empiriche — quanto minore sarà anche la nostra possibilità di conseguire una conoscenza certa su quei determinati fenomeni.!?4 Il tema era presente già nel Tractatus Opticus II!?° e la metodologia dell'indagine scientifica in Hobbes riposa, come vedremo, su di una certa interpretazione del pensiero di Galileo, del quale il filosofo inglese si considerava ammi.
ratore e, in qualche modo, anche discepolo. Tuttavia, il rapporto tra origine empirica della conoscenza e interpretazione ‘ipoteticista’ della scienza cela innumerevoli altre questioni sottese, nelle quali emerge, ancora una volta, la consonanza con alcune riflessioni mersenniane. Uno di questi temi rappresenta uno dei nodi tanto cruciali, quanto problematici, della filosofia hobbesiana: la difficile interazione tra il radicale materialismo di Hobbes (che giunge all'apice nelle Objectiones a Descartes, con la corporeizzazione della mente) !° e il suo approccio fenomenistico, secondo il quale anche l’esistenza della sostanza può essere inferita solo attraverso la congettura razionale.!27 Come ha sottolineato Paganini,!?8 questa dicotomia si risolve nella formulazione matura del De sensi», ivi, VII, 4, pp. 147-148; tr. it. p. 201. Cfr. GaLiLeI, Dialogo sopra i due massimi sistemi, OG, VII, p. 86.
124 Hobbes ripete un discorso molto simile a proposito dei moti lunari, le cui cause sono
E particolarmente difficili da indagare. Vedi HoBBEs, MLT, XXIV, 1, pp. 289-290; tr. OIA4ZI anche In., De Homine, II, 6, OL, II, p. 16; tr. it. p. 511. Vedi ANNIE BrrpoL-HespériÈs, L'’Homme cit., de Descartes et le De Homine de Hobbes, in WEBER (ed.), Hobbes, Descartes et la métaphysique,
pp. 155-186: 166. Tuttavia, l’autrice cita il passo a esempio dell’assoluta preminenza della dimostrazione razionale a discapito dell’osservazione sperimentale. ‘125 Vedi Giupice, Optics in Hobbes’s Natural Philosophy, cit., pp. 92 e sgg.
126 «[...] lo spirito non sarà niente altro che un movimento in certe parti del corpo organi-
co», HoBBEs, Objectiones, Objectio IV, OL, V, p. 258; tr. it. cit. p. 350.
127 Sullo statuto della scienza e sui rapporti tra nominalismo ed empiria vedi le consideanche razioni di Malherbe in MaLHERBE, Hobbes et la fondation de la philosophie première, cit. Vedi nell'ultimo serio, Contro il Leviatano, cit., pp. 209-224, il quale riprende e discute le tesi emerse trentennio di studi sull'argomento.
In. (ed.), The Re128 Vedi GiannI PaganINI, Hobbes among ancient and modern sceptics, in
eiden, 2003, turn of Scepticism from Hobbes and Descartes to Bayle, Kluwer, Dordrecht-Boston-L — WRIGHT FOIsnEAU in e, continental scetticismo lo e Hobbes In., anche: Vedi sgg. e 29 3-35: pp. pp. 3032004, Angeli, Franco Milano, Hobbes, di Leviatano sul (a cura di), Nuove prospettive critiche è decisamente più pro328. Mi pare condivisibile l’argometazione di Paganini, secondo la quale con la traduzione babile che Hobbes si sia confrontato con i temi scettici venendo a contatto Mersenne e Gasdi testi i con (nonché Florio John degli Essais di Montaigne, nella versione di che attraverso la lettura piuttosto ), Enesidemo di tropi dei alcuni izzano problemat quali i sendi, Lupoli: AGOSTINO LUPOLI, delle opere dello spagnolo Francisco Sanchez (come vorrebbe invece
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PRIMO
Corpore, dove Hobbes sviluppa una correlazione tra il concetto di phantasma (nel cap. XXV) !?° e una particolare teoria dell’accidente (nel cap. VIII).!?° Il
filosofo priva le qualità sensibili di ogni realtà ontologica,'5! considerandole inerenti non agli oggetti, ma ai phantasmata del senziente e quest'idea dev'essere considerata alla luce della teoria hobbesiana dell’accidente, secondo la quale «accidens esse concipiendi corporis modum»,*2 il che conduce a equiparare accidente e fantasma.!*3 Paganini ha sottolineato anche l'influenza della tradizione scettica moderna nell’elaborazione del fenomenismo hobbesiano e, in particolare, il con-
tributo di quei filosofi francesi che Popkin considerava esponenti dello scetticismo costruttivo: Mersenne e Gassendi.!4 Identificando, infatti, l’accidente
con ciò che è manifesto della sostanza, Hobbes ha privilegiato il livello delle ‘verità apparenti’ della scienza, ossia dei fenomeni e questo sviluppo ha un preHobbes e Sanchez, ivi, pp. 263-301 e In., Nei limiti della materia. Hobbes eBoyle: materialismo epistemologico, filosofia corpuscolare e dio corporeo, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2006, pp. 74 e sgg.). 129 Vedi HoBBEs, De Corpore, XXV, 9, OL, I, pp. 325-327; tr. it. pp. 386-387.
130 Ivi, VIII, 2, pp. 91-92; tr. it. pp. 155-156. 131 Sul processo di riduzione delle qualità sensibili a mere percezioni vedi: LeJeNHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit., pp. 84-89, il quale sviluppa interessanti considerazioni non solo riguardo al debito della filosofia naturale hobbesiana nei confronti della tarda scolastica (sui concetti di spazio e tempo, corpo e accidente), ma analizza anche come questi concetti vengano assorbiti e inseriti nel quadro di una filosofia meccanicista. 132 _Ho8BEs, De Corpore, VIII, 2, OL, I, p. 92; tr. it. p. 156.
133 Sul concetto di phantasma in Hobbes, vedi YvEs-CHARLES ZARKA, Le vocabulaire de l’ap-
paraiître: le champ sémantique de la notion de phantasma, in In. (ed.), Hobbes et son vocabulaire, Paris, Vrin, 1992, pp. 13-29, dove l’autore sottolinea l'origine aristotelica della definizione hobbesiana
(ivi, p. 24). Sull'argomento vedi anche: MARTINE PÉCHARMAN, Le vocabulaire de l’étre dans la philosophie première: ens, esse, essentia, ivi, pp. 31-59: 51-52; ARNAUD MILANESE, Philosophie première
et philosophie de la nature, in BERtHIER — DUBOS — MILANESE — TERREL (eds.), Lectures de Hobbes,
cit., pp. 35-62: 50-53.
134 Vedi PagANINI, Hobbes among ancient and modern sceptics, cit., pp. 31-32. Paganini ha ampiamente sviluppato il tema dei rapporti di Hobbes con lo scetticismo, antico e moderno. Vedi anche In., Hobbes e lo scetticismo continentale, cit., In., Skepsis. Le débat des modernes sur le
scepticisme, cit., pp. 171-227. I., Hobbes and the French Skeptics, in LAURSEN — PaGANINI (eds.), Skepticism and Political Thought in Seventeenth and Eighteenth Centuries, s.1., University of Toronto Press, 2015, pp. 55-82. Il tema era stato abbozzato già da Popkin (vedi RicHarD H. PoPrIN, Hobbes and Scepticism, in Linus J. THRO (ed.), History of Philosophy in the Making. A Symposium of Essays to Honor Professor James D. Collins on His 65% Birthday, Washington, University Press of America, 1982, pp. 133-148, ripubblicato nel 1992 con un’ampia appendice in PopkIN (ed.), The Third Force in 17" Century Thought, cit., pp. 9-26 e 27-49). Richard Tuck aveva sottolineato, invece, il comune proposito di Mersenne e Hobbes di fornire fondamenti certi alla conoscenza, in
funzione ‘antiscettica’ (vedi, TUCK, Optics and Sceptics, cit.). La posizione di Sorell sull’argomen-
to, il quale ritiene che il pensiero hobbesiano sia sostanzialmente estraneo alle problematiche scettiche, mi pare difficilmente condivisibile (vedi Tom SorELL, Hobbes without doubt, «History of Philosophy Quarterly», 10, 1993, pp. 121-135).
SO
Le
HOBBES
E MERSENNE
cedente nelle considerazioni mersenniane. Come ha sottolineato per primo Popkin,!°° Mersenne aveva affermato ne La Verité che, sebbene noi non conosciamo l’intima natura delle cose, ciò nondimeno, la conoscenza fenome-
nica è del tutto sufficiente allo sviluppo della scienza e del sapere umano.!5° All’affermazione dello scettico, secondo il quale i dieci tropi di Enesidemo mostrano che noi non conosciamo «essenza e la natura delle cose», Mersenne replicava che essa non è affatto necessaria per «stabilire qualche verità». !57 La stessa idea è espressa da Gassendi, in toni molto simili a quelli che troviamo anche in Hobbes: il canonico di Digne sostiene che, benché la condizione della nostra conoscenza sia tale da non permetterci di vedere la natura profonda delle cose, ciò nondimeno possiamo conoscere la natura fenomenica delle realtà naturali attraverso gli effetti che possiamo esperire e, sulla scorta di questi, possiamo altresì individuare una possibile causa di questi determinati fenomeni.!8 Tuttavia, di fronte alla pretesa impossibilità di fondare una conoscen-
za certa e incontrovertibile a causa dell’eterogeneità della percezione sensoriale, Mersenne rispondeva facendo riferimento ai concetti di quantità e
proporzione, che permettono di rapportare e comparare grandezze e figure differenti, fornendo un criterio valido e uniforme.!*° L'attenzione nei con-
fronti dell’elemento quantitativo — caratteristica peculiare della matematizzazione del reale — il probabilismo fisico e la dialettica tra elemento speculativo e osservazione sperimentale sono, non a caso, i tratti distintivi dell’epistemologia mersenniana individuati da Alistair Crombie.!*° 135 Vedi Popkin, Father Mersenne’s War Against Pyrrhonism, cit., pp. 65 e Sgg.
136 «[...] tout ce que vous apportez contre l’Aristote monstre seulement que nous ne scavons pas le dernieres differences des individus, & des especes, & que l’entendement ne penetre point la substance que par les accidens: ce qui est veritable, car nous nous servons des effets étoient effets pour nous élever a Dieu, & aus austres substances invisibles, comme si les
des cristaus à travers lesquels nous apperceussions ce qui est dedans: or ce peu de science suffit quelque pour nous servir de guide en nos actions. [...] cest donc assez pour auoir la science de de tout distinguons la nous lesquels par vsage, son & operations, ses effets, ses chose, de scavoir science une attribuer nous pas voulons ne nous autre indiuidu, ou d’auec les autres especes: pp. 14-15. plus grande, ny plus particuliere que celle-là». MERSENNE, La Verité des Sciences, cit.,
137 Ivi, p. 150.
na138 «Ea nempe nostrae perspicaciae, cognitionisque conditio est, ut, cum pervidere
esse oporteat, si turas rerum intimas non possimus, aliquos effectus possimus; contentos nos ipsis notiones de que qualescum nostras effectibus, quibusdam ex illas hariolati quidpiam circa quomodo a suis naturis origiadnitamu aliis affectibus accomodare, cum eorum poscimur, seu Sull'argomento vedi nem habeant, rogamum. GassenDI, Syntagma, in Opera Omnia, I, p. 207b. 588. € 346 pp. sgg.; e 19 pp. Science, and Philosophy anche FisHER, Pierre Gassendi’s 151. p. cit., Sciences, des Verité La E, 139 Vedi MERSENN ury Problem of Scien140 Vedi CromBie, Marin Mersenne (1588-1648) and the Seventeenth-Cent tific Acceptability, cit., p. 405.
ia
CAPITOLO
PRIMO
L'idea che una conoscenza meramente fenomenica sia sufficiente alla scienza e al sapere di carattere pratico operativo richiama inevitabilmente la posizione espressa da Hobbes in molte sue opere, in particolare nella citata formulazione del Tractatus Opticus II, ma ciò che caratterizza la spe-
culazione hobbesiana, rispetto a quella di Mersenne, è una maggiore elaborazione teorica dei principi primi e fondamentali della filosofia. Per ciò che concerne, ad esempio, la natura dell’accidente - come vedremo nel dettaglio occupandoci dei rapporti tra Hobbes e Galileo !4 — Hobbes distingue tra quegli accidenti che possono nascere e perire, indipendentemente dall’esistenza del corpo, e accidenti senza i quali lo stesso corpo non può essere nemmeno concepito (e tantomeno esistere), come l’esten-
sione e la figura.!4 A questo secondo gruppo di accidenti si applica la nozione fondamentale della filosofia naturale hobbesiana: il concetto di causa,
che riveste un'importanza capitale nel sistema filosofico di Hobbes, venendo a costituire un ponte tra l’universo della percezione e dei fenomeni e la realtà materiale che popola l’universo.!4 x Questa particolare connotazione del fenomenismo hobbesiano, così come i concetti di estensione, figura e causa, sono basilari per comprendere la differenziazione degli ambiti del sapere così come si presenta ed evolve nel pensiero di Hobbes. Egli pone l’accento sull’elemento quantitativo della scienza e, non a caso, dedica particolare attenzione a quelle scienze che sono definite comunemente matematiche miste.!4 Abbiamo già sottolineato l'importanza della nozione di matematiche miste nel pensiero di Mersenne, ma vale la pena di soffermarsi ulteriormente su questo concetto, di fon141 Vedi infra, cap. II, $ 2.
14 Ho8Bes, De Corpore, VIII, 3, OL, I, pp. 92-93; tr. it. p. 157. Sugli accidenti inscindibili dalla nozione di corpo, che, come vedremo, sono d'importanza fondamentale per la filosofia
hobbesiana, vedi l'interessante intervento di Schuhmann: KARL SCHUHMANN, Le vocabulaire de
l'espace, in ZARKA (ed.), Hobbes et son vocabulaire, cit., pp. 61-82, il quale identifica questi accidenti nella grandezza, l’estensione e il moto locale (ivi, p. 75). Vedi anche MaLHERBE, Hobbes et la fondation de la philosophie premiere, cit., p. 22. 143 Il concetto di causa è il comun denominatore che lega la realtà materiale di corpi in movimento e il mondo fenomenico dei fantasmi che caratterizzano le nostre percezioni e, di conseguenza, anche i concetti. Sulla nozione di causa in Hobbes vedi CeEs LEJENHORST, La
causalité chez Hobbes et Descartes, in DomiNIQUE WEBER (ed.), Hobbes, Descartes et la métaphysique,
Paris, Vrin, 2005, pp. 79-19, il quale sottolinea che essa rappresenta il ponte tra il mondo soggettivo dei nostri phantasmata e il mondo oggettivo dei corpi in movimento (ivi, p. 90). Nella stessa accezione ricorre anche in MircHEL MALHERBE, Thomas Hobbes ou l’aeuvre de la raison, Paris,
Vrin, 1984, pp. 84 e sgg. e PAGANINI, Skepsis. Le débat des modernes sur le scepticisme, cit., pp. 213217. Zarka aveva privilegiato, invece, un’accezione più marcatamente formale, come principio interpretativo più che come legge che governa i fenomeni del reale (vedi ZarKA, La décision métaphysique de Hobbes, cit., pp. 73 e sgg.). 144 Cfr. Ho8Bes, De Homine, X, 5, OL, II, p. 93; tr. it. p. 590, tr. it. p. 591.
Qua
DEOT
HOBBES
E MERSENNE
damentale importanza anche nell'orizzonte hobbesiano, ed è opportuno mettere in relazione le cogitazioni di Mersenne sull'argomento, con le ri-
flessioni che sviluppò, in seguito, Thomas Hobbes. Entrambi gli autori dedicano particolare attenzione all’ottica e Hobbes opera una matematizzazione di questa disciplina che gli permette di concepirla principalmente come scienza razionale fondata sul ragionamento deduttivo, sul modello delle matematiche pure.!4 Questa particolare concezione dell'ottica è alla base di una ‘fisica matematizzata’, la quale costituisce una sorta di ponte tra la certezza aprioristica e dedutiva delle discipline matematiche e la problematicità della fisica, la quale risulta sempre caratterizzata dall’impossibilità di conoscere tutto ciò che concerne i movimenti a livello microparticellare. Tuttavia, al centro della posizione hobbesiana vi è sempre l’idea che l'indagine razionale si applichi al mondo fisico attraverso la nozione geometrica di quantità e questa concezione era stata espressa
anche da Mersenne, il quale — nella lettera dedicatoria delle Questions théologiques — sosteneva che gli uomini non potessero penetrare oltre la superficie esterna dei corpi, ma che questo non fosse affatto un limite insormontabile per la fondazione di una solida scienza fisica. Infatti, attraverso il concetto
di quantità — servendoci di linee e figure — siamo in grado di misurare matematicamente la realtà naturale.!4° In conformità ai principi della scienza moderna, Mersenne esautora la
nozione di qualità di ogni validità scientifica: poiché la conoscenza umana si attesta alle superfici esterne dei corpi, ogni indagine scientifica e razionale deve limitarsi ai numeri, alle linee e alle figure, cioè a quegli elementi concettuali che rendono possibile la matematizzazione della realtà fisica e costituiscono la caratteristica fondamentale del pensiero scientifico galileiano.!47 È in questo orizzonte che Mersenne interpreta l’opera e la figura intellettuale di questo «philosophe très excellent»: Galileo Galilei.!4* 145 Interpreti del pensiero di Hobbes hanno messo in luce la particolare rilevanza che l’ottica acquisisce nel sistema hobbesiano, quale ponte tra le matematiche pure e le discipline fisiche. Vedi Tuck, Optics and sceptics, cit.; STROUD, Introduction, in FD, pp. 39 e sgg.; MÉDINA, Nature de la lumière et science de l’optique chez Hobbes, cit.; Grupice, Luce e visione, cit., p. 141.
146 «[...] il semble que la capacité des hommes est bornée par l’écorce, et par la surface des choses corporelles, et qu'ils ne peuvent penetrer plus avant que la quantité, avec une entiere satisfaction. C'est pourquoy les anciens n’ont peu donner aucune demonstration de ce qui ap-
partient aux qualités, et se sont restreints aux nombres, aux lignes, et aux figures, si l'on excepte
la pesanteur, dont Archimede a parlé dans ses Isorropiques». MERSENNE, Questions theologiques, physiques, morales, et matematiques, cit. Epître dédicatoire, p. 202. Vedi anche LENOBLE, Mersenne ou la naissance du mécanisme, cit., pp. 353 e sgg. 147 Vedi LewIs, Galileo in France, cit., p. 118.
148. In diversi passi delle opere mersenniane, il minimo definisce espressamente Galileo un
n
BRA
CAPITOLO
PRIMO
Hobbes condivide l’assunto mersenniano, secondo il quale la nostra conoscenza del reale è limitata alla superficie dei corpi che occupano uno spazio geometricamente quantificabile, tuttavia, la sua posizione epistemologica — la quale per molti aspetti si discosta da quella di Mersenne 14° — emerge con chiarezza solo considerando la duplice relazione che lega il suo pensiero scientifico. Se, da un lato, esso eredita, l'atteggiamento problematico nei confronti dello scetticismo, proprio di Mersenne (e, in parte, di Gassendi); d’altro canto, egli viene a confrontarsi soprattutto con le riflessioni di Galileo, che costituiranno la base della sua filosofia.
3. PROBLEMI
ASTRONOMICI,
ANALOGIE
ANIMALI
E SPIEGAZIONI
MECCANICHE
Nelle Questions théologiques, physiques et mathématiques, Mersenne
si
esprime contro le facoltà, comunemente attribuite ai talismani, di attirare
l'influenza degli astri.!5! Secondo il religioso, quest'idea non è altro che una ‘philosophe’ e non un semplice matematico (vedi per esempio l’advertissement apposto in calce al primo libro della Harmonie Universelle, il quale introduce il tema del secondo, dal titolo: Des mouuements de tovtes sortes de corps: MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre I, p. 84. Il tema
era già stato sottolineato, peraltro, da Lenoble: vedi LenOBLE, Mersenne ou la naissance du méca-
nisme, cit., p. 357). Ritengo che Mersenne abbia aderito grosso modo ai principi della ‘filosofia galileiana’, sebbene il suo orizzonte epistemologico sia diverso da quello di Galilei e, per certi versi, molto più prossimo a quello di Gassendi, come aveva suggerito già Popkin. Non credo che Mersenne ritenesse Galileo un semplice matematico o solo un acuto osservatore della realtà, come suggerisce Garber (GARBER, On the Frontlines of the Scientific Revolutioni, cit.) e, seguendo Garber, anche Bucciantini: Massimo BuccianTINI, Descartes, Mersenne e la filosofia invi-
sibile di Galileo, «Giornale critico della filosofia italiana», 1, 2007, pp. 38-52: 44 (concordo invece con Bucciantini che quella fosse, grosso modo, l’idea che di Galileo aveva Descartes).
149 Il materialismo hobbesiano si caratterizza per la sua connotazione metafisica, che riduce enormemente la portata del suo cosiddetto convenzionalismo (come avremo modo di sottolineare nel prosieguo, confrontando la posizione di Hobbes con quella di Galileo). Sull’argomento vedi MaLHERBE, Hobbes et la fondation de la philosophie première, cit., p. 24, il quale si discosta dalle interpretazioni più ockhamiste della filosofia hobbesiana, proposte da Bernhardt e Zarka (vedi Jean BERNHARDT, Nominalisme et mécanisme chez Hobbes, «Archives de philosophie», XLVIII, 1985, pp. 235-249 e Yves-CHARLES ZARKA, Empirisme, nominalisme et matérialisme, ivi,
pp. 177-233). Vedi anche le osservazioni di Milanese: MiLanEse, Philosophie première et philosophie de la nature, cit., pp. 53 e sgg. 150 La mia interpretazione dell’ottica hobbesiana diverge da quella proposta da Malet, il quale ne sottolinea le distanze dalla metodologia ed epistemologia di Galileo. Vedi MaLeT, The Power of Images, cit., pp. 319 e sgg. 151 «Ce qui est si ridicule, et si inepte qu'il n'ya plus que les vieilles, et les trop credules
qui ne s'en moquent comme d'une pure fable: car outre que l’experience fait voir que ces graveures, et ces figures n’ont nulle force, ou aptitude pour determiner, et pour attirer les vertus des Astres, la raison y repugne entierement, qui mesme persuade que les astres n’ont pas la force, ni les influences q'on leur attribué, car chaque astre n’a point d’autre force sur
RR. gl
HOBBES
E MERSENNE
mera superstizione popolare ed egli ritiene di poter escludere che gli astri abbiano influenze di ogni sorta sulla Terra e sugli esseri umani che la abitano, se non in termini di luce o calore. Si tratta di un'osservazione d’importanza fondamentale, poiché bandisce ogni spiegazione che non si esprime in termini meccanicisti: solo il movimento è in grado di far interagire due corpi che si trovano a distanza l’uno dall’altro come gli astri e i pianeti e, infatti, anche il fenomeno luminoso è ricondotto da Mersenne al movimento dell’aria.!’* Fedele a questa impostazione generale, l’autore prosegue la sua battaglia contro i concetti di simpatia e antipatia, nonché contro l’idea di ‘vertus occultes’. Di fatto, «queste qualità sono solamente occulte agli ignoranti, poiché i ‘dotti’ che conoscono l’origine delle azioni che il volgo chiama simpatia, o antipatia, non usano affatto questi termini, e mostrano che ciò che si chiama occulto, è loro evidente».!°* Così, se non possono individuare la causa di un determinato fenomeno, i dotti si limitano ad ammet-
tere candidamente la loro incompetenza sull'argomento, senza ricorrere a virtù occulte e ad altre pseudo-spiegazioni, le quali non hanno alcun fondamento razionale. Il Minimo prosegue nella sua trattazione, osservando che i chimici, se incalzati, sono spesso costretti ad ammettere l'ignoranza di diversi fenomeni fisici le cui cause sostengono di conoscere, e conclude
con un assunto che abbiamo già analizzato ampiamente in precedenza: gli uomini hanno conoscenza certa e perfetta solo di quelle discipline delle quali padroneggiano interamente i principi primi.!°* nous que celle qu'il exerce avec sa lumiere, et sa chaleur; de sorte que si l’on disposoit autant de chandelles autour de la terre, comme il y a d’estoiles au Ciel, dont elle fust aussi illuminée, et échauffée, comme elle est par lesdites estoiles, nous sentirions les mesmes influences».
MERSENNE, Questions théologiques, physiques et mathématiques, cit., p. 279. Les preludes de l’harmonie universelle, ou questions curieuses, Paris, Henry Guenon, 1634, contengono una question (la III, pp. 565-588 dell'edizione Fayard 1985), nella quale Mersenne confuta i principi dell'astrologia e dell'astrologia giudiziaria. 152 MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre II, p. 99. L'idea che il fenomeno della percezione visiva sia prodotto unicamente da una colonna d’aria in movimento mostra pro-
fondissime analogie con la teoria ottica di Hobbes e avremo modo di tornare sull'argomento nel prosieguo. 153 Ivi, pp. 299-300. Nel XXIV capitolo del De motu, loco et tempore, Hobbes inserisce un paragrafo il cui titolo sembrerebbe contraddire quanto sostenuto da Mersenne: Perché non tutte le influenze consistono nella luce, dove sostiene che anche la terra possa influire con il suo moto
di rotazione sui movimenti della luna, pur non producendo calore (HoBBes, MLT, XXIV, 21,
pp. 303-304; tr. it. pp. 448-449). Tuttavia le considerazioni hobbesiane devono essere vagliate alla luce delle riflessioni astronomiche mersenniane e hobbesiane che tratteremo nel prosieguo. 154 «....] l'on est contraint d’avotier que l'homme n'est pas capable de scavoir la raison d’autre chose que de ce qu'il peut faire, ny d’autres sciences, que de celles, dont il fait luymesme les principes, comme l’on peut demonstrer en considerant les Mathematiques». MERsENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre II, p. 300.
CAPITOLO
PRIMO
AI di là della difficoltà necessariamente connessa allo studio dei fenomeni fisici che, come abbiamo visto, accomuna l’epistemologia di Mersen-
ne e Hobbes, non vi è dubbio che le posizioni dei due autori siano affini anche per quanto concerne l’avversione ai concetti propri della tradizione % magico-ermetica, di simpatia e antipatia. nei Cogitata Metsenne da presentato sarà Hobbes sappiamo, Come XXVI capitolo nel e !’ eccellenza per (1644) come il filosofo meccanicista conapertamente del De motu, loco et tempore, il pensatore inglese si esprime tro i concetti di influsso, simpatia e antipatia, sviluppando un'argomentazione che sembra ricalcare quella di Mersenne: non è possibile concepire alcuna azione prodotta da un corpo su di un altro, se non in termini di moto locale. Gli astri possono intervenire sul nostro pianeta esclusivamente
attraverso la luce e il calore. Qualsiasi nozione di simpatia, antipatia o qualità occulta deve necessariamente essere bandita da una spiegazione che assurge allo status di ipotesi scientifica.!59 Le argomentazioni dei due autori, le quali presentano analogie molto rilevanti, avevano senz'altro un antecedente nel Dialogo galileiano, dove l’au-
tore criticava Kepler per aver fornito una spiegazione del fenomeno delle maree che faceva ricorso a «predominii, qualità occulte e simili fanciullezze».!07 155 MERSENNE, Ballistica et Acontismologia. IN qua Sagittorum, Iaculorum, & aliorum Missilium Iactus, & Robur Arcuum explicantur (compreso nella silloge dello stesso autore: Cogitata physico matematica. In quibusdam naturae quam artis effectus admirandi artissimis demonstrationibus explicantur, Paris, A. Bertier, 1644), Praefatio utilis ad lectorem (pp. non num... 156 «[...] se gli eventi fortuiti dipendano dagli astri, conviene dire qualcosa circa il modo con cui l'operazione può estendersi alle cose lontane; invero ogni azione, come spesso è stato detto, è movimento, cioè movimento locale, il riposo infatti non produce alcun cambiamento,
cioè non produce nulla. Ma quando vediamo che dal movimento si produce un effetto sugli occhi, allora facilmente consentiamo tutti che l'operazione e il moto sono la stessa cosa; ma quando si vedono gli effetti, senza che si veda il moto, allora i più negano che in quel caso vi sia movimento, e l'operazione, che produce gli effetti, a seconda delle differenze che gli uomini sentono in se stessi, riceve nomi diversi: la chiamano ora calore ora freddo, ora umido, ora sec-
co, ora luce. E quando gli effetti seguono immediatamente, la chiamiamo simpatia a antipatia, o qualità occulta, o infine influsso, ma mai moto, come se le qualità della natura e le potenze dei corpi venissero infuse in essi come l’acqua o un’altra cosa fluida viene versata, o confluisce in un piccolo recipiente. Si deve dunque sapere che il moto si propaga da corpo a corpo ad una distanza non importa quanto grande per una continua spinta del corpo più vicino e contiguo, così che per produrre l’effetto un corpo, o una parte di un astro non ha bisogno di volare verso la terra». HoBBES, MLT, XXXVI, 2, p. 397; tr. it. p. 603.
157 «[...] più mi meraviglio del Keplero che di altri il quale, d’ingegno libero ed acuto, e che aveva in mano i moti attribuiti alla Terra, abbia poi dato orecchio ed assenso a predominii della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simili fanciullezze». GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 486. Sulla differenza tra l’epistemologia di Galilei e quella di Kepler, vedi il documentatissimo saggio di Bucciantini: Massimo BuccIaNTINI, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e teologia nell’Età della Controriforma, Torino, Einaudi, 2003.
se
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E MERSENNE
Secondo il Pisano, era inconcepibile supporre qualsiasi tipo di interazione tra corpi che non rientrasse nel quadro della fisica meccanicista e questa concezione, che è alla base della scienza e filosofia moderne, sarà ereditata,
in parte, da Mersenne, ma soprattutto da Hobbes.!58 Tuttavia il filosofo inglese incontrò importanti difficoltà nella spiegazione dei fenomeni astronomici e, venendo ad affrontare nel capitolo XXIV del De motu, loco et tempore il fenomeno delle maree e l’interazione tra moti
lunari e movimento terrestre — dei quali, secondo Hobbes, neppure Galileo aveva saputo fornire una spiegazione !° — egli sembrava fare ricorso a un elemento estraneo alla sua impostazione meccanicista di fondo. Hobbes affermava, infatti, che la Terra potesse «agire sulla Luna non solo con il moto diurno, ma anche con una certa influenza quasi magnetica».!9° Egli cercava di rendere ragione qui di alcuni fenomeni fisici quali il magnetismo e le maree che, apparentemente, si sottraggono a qualsiasi spiegazione di carattere meccanicista. Nell'ultimo paragrafo di questo stesso capitolo, il pensatore individuava la causa di alcuni moti lunari nella rotazione terrestre: egli supponeva che la Terra fosse dotata di un movimento di dilatazione e contrazione del tutto simile a quello che egli aveva individuato nel Sole, sia nei trattati ottici !9! che nel De motu.!9° Di conseguenza, «come il
Sole, con la sua luce insieme alla rotazione intorno al proprio centro non solo trasporta la terra in circolo con il moto annuo, ma fa anche in modo che le parti della Terra siano rivolte verso il Sole una dopo l’altra con il moto diurno, così la Terra trasporta in circolo la Luna con la sua influenza,
congiunta al moto diurno».!° L'attribuzione di un moto sistolico e diastolico alla Terra non era originale: aveva, infatti, un antecedente nelle mersenniane Questions Inouyes,
dove il minimo, per rendere ragione del fenomeno delle maree, ipotizzava che la sfera terrestre avesse un movimento che «rinvia a quello del cuore, che si chiama di Sistole e Diastole».!94 Tuttavia, Hobbes si trovava di fronte
alla difficoltà di dover spiegare le differenze tra l’azione del Sole e quella
158 Avremo modo di tornare ampiamente sull’argomento. Vedi infra, cap. II, $ 4. 159 Hobbes sottolineava che Galileo non aveva preso in considerazione la coincidenza dei moti lunari con le maree, elaborando, perciò, una spiegazione difettosa del fenomeno, che non contemplava la sfera lunare. Vedi Ho8BEs, MLT, XVI, 2, p. 211; tr. it. p. 308.
160 Ivi, XXIV, 1, p. 289; tr. it. p. 427. 161 Ip., TOI, OL, V, pp. 218-220; In., TO II, cap. I, $$ 4-8, ff. 193v-1977, pp. 148-150. 162 Ip., MLT, IX, 2, pp. 161-162; tr. it. pp. 224-226.
163 Ivi, XXIV, 21, pp. 303-304; tr. it. pp. 448-449.
164 MERSENNE, Questions Inouyes, cit., Question XXXVII, p. 102.
uu BI 4
CAPITOLO
PRIMO
della Terra: in primo luogo, la produzione della luce. Per rendere ragione di questo problema egli faceva ricorso alla struttura isomorfica interna del corpo del Sole, il quale è in ciò del tutto differente rispetto alla Terra. Hobbes elaborava una macchinosa spiegazione con lo scopo di descrivere alcuni eventi fisici che sono difficilmente riconducibili al meccanicismo: la Terra viene dotata del medesimo moto di dilatazione e contrazione dei corpi luminosi (come il Sole e gli astri) ma, a differenza di questi, la cui costituzione è omogenea, l’eterogeneità delle parti che compongono il globo terrestre produce alcuni fenomeni quali le proprietà di alcuni metalli.!°° Le difficoltà incontrate da Hobbes nel tentativo di applicare il meccanicismo a ogni realtà fisica è evidente soprattutto nelle problematiche di carattere astronomico. Particolarmente curiosa è la spiegazione che il pen-
satore fornisce della rotazione terrestre: [...] quando una parte della terra beneficia più da vicino dei raggi solari, un’altra parte, fruendo meno del suo calore, si sforza di occupare quella posizione, mentre la parte, ormai satura [di calore], che prima si trovava là, recede: questa io penso che sia la causa del moto diurno, un motivo non dissimile dalla causa per cui gli esseri viventi si muovono secondo l’azione dei fattori che sono loro graditi, la cui azione, in altre parole, rafforza e aiuta il loro moto interno e congeniale. Infatti, ci
avviciniamo al fuoco e rivolgiamo ad esso a turno le parti fredde del corpo, anche se stiamo facendo altro. Io non penso, tuttavia, che la terra sia un animale; però,
tutti i corpi compatti e che hanno parti fra loro coerenti hanno in comune il fatto di conservare il moto abituale, nella misura in cui altri movimenti e soprattutto la
gravità non lo impediscono. 19° La trattazione pare contenere retaggi di vitalismo, finalismo e Cees Leijenhorst ha sostenuto che essa presenta un'eco del pansensismo di Tommaso Campanella.!” Per quanto Hobbes si prodighi nel sostenere 165 «Qualcuno potrà chiedere perché la terra non sia di per sé luminosa come il sole. Infatti, se la luce (che è l'influenza del sole) viene prodotta dal solo moto di espansione e la terra esercita l'influenza sulla luna con una simile espansione, anche quella forza dilatatrice della terra sarà luce. Pertanto si deve dire che l'influenza delle cose la cui natura risulta omogenea in tutte le particelle più piccole e, per così dire, matematicamente, è luce e che questa è forte o debole a seconda del grado di velocità con cui esse si dilatano. Invece nei corpi eterogenei, quali la terra e qualsiasi altro corpo le cui parti hanno moti specifici e loro propri e combattono con i moti delle particelle adiacenti — benché ciascuna parte, e quindi il tutto, abbia quel movimento che abbiamo chiamato di
espansione o dilatazione — [dico] tuttavia che quel moto non è luce, ma che è un'influenza diversa
dalla luce, e poiché icorpi differiscono per essenza tra di loro a causa del moto interno delle parti e poiché le differenze specifiche dei corpi sono innumerevoli, [dico] che sono anche innumerevoli le diversità tra le influenze». Ho8BEs, MLT, XXIV, 21, pp. 303-304; tr. it. pp. 448-449.
166 Ivi, XIX, 7, p. 246; tr. it. p. 363.
167 Leijenhorst ha richiamato la teoria della rotazione diurna terrestre presente nel De
MERE prese
HOBBES
E MERSENNE
che non sta affatto equiparando la Terra a un animale, ciò nondimeno, risulta problematico tentare di collocore una spiegazione di questo genere nel contesto della fisica meccanicista. In realtà, come ha sottolineato Paganini, un'argomentazione molto simile, che equiparava il comportamento di animali ed esseri inanimati, era presente anche nel Syntagma di
Pierre Gassendi !°* ed è molto probabile che, anche in questo caso, Hobbes fosse venuto direttamente a contatto con le riflessioni del canonico di Digne. Tuttavia, sondando ancora la posizione di Hobbes e comparando il passo citato con altri del De motu, loco et tempore, è possibile comprendere quest'apparente idiosincrasia; ma prima di vagliare la posizione hobbesiana, è interessante notare che un argomento del tutto simile era presente nelle Questions mersenniane. Venendo a trattare del moto diurno, tra rigo-
rosi calcoli matematici Mersenne presentava quest’osservazione: Puisque la terre a besoin du Soleil, elle doit l’aller chercher, comme nous cher-
chons le feu, dont nous avons besoin: car si nous ne desirons pas que les villes, et les campagnes se tournent, quand nous montons au haut des tours pour les contempler, aussi ne devons nous pas desiderer que le Soleil et les estoiles se
tournent pour envisager la terre.!9°
motu, loco et tempore, a sostegno dell’influenza del pansensismo e panpsichismo di Campanella sulla filosofia di Hobbes. Vedi Cees LeJjeNNHORST, Motion, monks and golden mountains: Campanella
and Hobbes on perception and cognition, «Bruniana & Campanelliana», III, 1, 1997, pp. 93-121: 120. Vedi anche Serio, Verità matematiche e forme della natura da Galileo a Newton, cit., pp. 207-208;
In., Campanella e Galileo in un ‘english play’ del circolo di Newcastle, cit., p. 311; In., Hobbes lecteur de Campanella: autour des sources cachées du matérialisme hobbésien, in BERTHIER — MILANESE (eds.),
Hobbes et le matérialisme, cit., pp. 75-89: 86. Sul pansensismo campanelliano vedi soprattutto i primi capitoli del secondo libro del De sensu rerum et magia: Tommaso CAMPANELLA, Del senso delle cose e della magia, a cura di Germana Ernst, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 33-64. Vedi anche
Ernst, Tommaso Campanella, cit., pp. 108 e sgg: 168 Paganini ha sottolineato la spiegazione meccanicista della sensazione e dei movimenti animali in Hobbes, mostrando le analogie con quanto sostenuto da Gasssendi. Vedi PAGANINI, Hobbes, Gassendi e la psicologia del meccanicismo, cit., pp. 369 e sgg. Vedi GassENDI, Syntagma, in Opera Omnia, II, pp. 328a-b; vedi anche ivi, p. 345b. Gassendi condivide con Hobbes l’idea che gli animali siano dotati di facoltà di raziocinio. Vedi, ad esempio, le sue Obiezioni alle Medi-
tazioni (vedi Objectiones Quintae, AT, VII, p. 271. Cfr. anche Exercitationes paradoxicae adversos Aristoteleos, Praefatio, in Opera Omnia, III, p. 102, ivi, pp. 202b-203a). Come ha sottolineato Gregory, si tratta di un topos caratteristico della critica all’antropocentrismo scolastico, comune alla letteratura libertina, e presente, per es., in La Mothe Le Vayer e Cyrano de Bergerac. Vedi GrecoRv, Le libertinisme dans la première moitié du XVII" siècle, in Genése de la raison classique de Charron à Descartes, cit., p. 51; In., Éthique et religion dans la critique libertine, ivi, pp. 102-104. Vedi anche BLOCH, La philosophie de Gassendi, cit., pp. 368 e sgg. 169 MERSENNE, Questions théologiques, physiques et mathématiques, cit., pp. 341-342.
pen.
CAPITOLO
PRIMO
Le analogie tra i due autori sono palesi: entrambi presentano l’immagine della Terra che si rivolge verso il Sole per beneficiare uniformemente della luce e del calore emessi dall’astro. D'altro canto, come
ha sottolineato Horstmann,
un'argomentazione
simile a proposito del moto della Terra era presente anche nell’Astronomia nova di Kepler,!7° del quale Hobbes avrebbe sposato, nel De Corpore, la teoria delle orbite ellittiche dei moti di rivoluzione dei pianeti, in opposizione a Copernico e Galileo, i quali le consideravano, invece, circolari.!”! Ciò nondimeno, il ricorso, da parte di Mersenne e Gassendi, a questa
singolare argomentazione, di vocazione quasi pansensista, ci offre un indizio per capire la presenza in Hobbes di un ragionamento apparentemente così estraneo ai suoi principi filosofici.!”? Egli ritornò più volte sull’argomento e, nel capitolo XVIII del De motu, presentava la stessa analogia Terraanimale: gli animali, se esposti a una fonte di calore «di loro spontanea iniziativa, si girano in modo che il movimento vitale possa essere mantenuto
ad una temperatura costante, la più idonea alla lorò natura» !”? e questo stesso ragionamento è applicato al globo terrestre.'7* Come ha sottolineato
già Paganini,!”° il filosofo individuava una correlazione tra Terra e animali,
ma non perché ritenesse la prima dotata di sensibilità e intenzionalità, ma piuttosto, perché egli considerava ogni azione animale, comprese quelle 170 Horstmann ha individuato interessanti analogie tra i testi di Kepler e gli scritti di Hobbes, dal Tractatus Opticus II, sino al Decameron physiologicum. Vedi FRANK HoRsTMANnN, Ein Baustein zur Kepler-Rezeption: Thomas Hobbes” Physica coelestis, «Studia Leibnitiana», vol. 30, n. 2,
1998, pp. 135-160: 142 e sgg. 171 Ivi, p. 138.
172 In realtà, un argomento molto simile a quello presente in Mersenne e Hobbes si trova anche nel De Magnete di William Gilbert dove, venendo a trattare della rotazione terrestre, l’autore sembra suggerire un movimento della terra alla ricerca del lume proveniente dal sole e dei benefici che questa luce implica. Vedi WiLLiam GiLBERT, De Magnete, London, Exc. Petrus Short, 1600, p. 224. Vedi RicHarp S. WESTFALL, La rivoluzione scientifica del XVII secolo, Bologna, il Mulino, 1984 (ed. or. 1971), p. 40. 173 HoBBESs, MLT, XVIII, 15, p. 238, tr. it. p. 352.
174 «Se si dice che questo girarsi degli animali è volontario, non vi è ragione perché la stessa considerazione non si applichi alla terra; infatti, benché la terra non abbia un movimento volontario, tuttavia negli animali quella volontà o appetito di calore è movimento. Sembra dunque che la terra si rivolga verso il sole, cioè si muova di moto diurno, in modo che le parti opposte al sole si avvicinino ad esso onde conservare la sua natura, cioè il movimento ad essa essenziale, mentre le parti più vicine al sole, essendo sature di calore solare, non stanno più
bene nello stesso luogo e pertanto si ritraggono, affinché il loro moto naturale si eserciti nel modo più libero: in questo modo si produce la rotazione definita giorno e che pertanto viene chiamata diurna», ibid.
175 Vedi PacanINI, Hobbes, Gassendi e la psicologia del meccanicismo, cit.; In., Introduzione, in
tr. it. MLT, pp. 97 e sgg.
SA) n
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E MERSENNE
volontarie, come una sorta di riflesso condizionato allo stimolo esterno. Hobbes lo sostiene esplicitamente nel XXV capitolo del De Corpore,7° dove
il desiderio e l’avversione sono spiegati in termini rigorosamente meccanicisti. In altre parole, il movimento dell'animale che si sposta, volgendo verso la fonte di calore la superficie della sua epidermide che non ha ancora beneficiato del tepore, è concepito esclusivamente come una reazione diretta all’azione esercitata dall’aria calda mossa dal corpo che produce calore, la quale entra in contatto con i centri recettori situati sulla pelle dell’animale.!77 Tuttavia, anche alla luce di queste osservazioni, la teoria presentata da Mersenne e Hobbes risulta, comunque, alquanto speciosa e, non a caso, ogni analogia tra i moti della Terra e il movimento animale verrà soppressa nelle opere hobbesiane successive. Ciò nondimeno, Hobbes chiariva i presupposti della sua argomentazione venendo a trattare dell’eccentricità del moto di rivoluzione, nel capitolo XXIV del De motu, loco et tempore. Qui egli ammetteva di non essere in grado di fornire una spiegazione esaustiva dell’eccentricità e suggeriva, tra l'altre, una possibile soluzione legata alla costituzione stessa dei corpi duri. Innanzitutto, bisogna sapere che, secondo Hobbes, «ogni corpo solido, cioè duro
e le cui parti non possono essere staccate e separate l’una dall'altra senza un grande movimento esterno, ha quella proprietà dal moto interno delle 176 Ho8BEs, De Corpore, OL, I, pp. 315-334; tr. it. pp. 376-394. Riguardo alle reazioni animali di fronte ad una fonte di calore, la spiegazione hobbesiana è molto simile a quanto sostenuto da Descartes, ne L’Homme, ma il pensatore francese è lungi dall’estendere questa spiegazione
tr. anche agli esseri umani, come farà, invece, Hobbes (vedi DescaRTEs, AT, XI; pp. 187 e sgg.; e 144 pp. 1966), or. (ed. 1988 Utet, Torino, Micheli, Gianni di cura a I, scientifiche, it. in Opere
sgg.). Vedi anche ivi, AT, XI, pp. 119-120; tr. it. pp. 57-58. Bitpol-Hespériès opera un confronto tra il De Homine di Hobbes e L’Homme di Descartes, individuando analogie contenutistiche e soffermandosi sull’attenzione che entrambi gli autori dedicano al fenomeno della visione. Vedi L'analoBrrpoL-Hespériès, L’Homme de Descartes et le De Homine de Hobbes, cit., pp. 155-186.
la gia animali-macchina è presente anche nel Discours de la méthode. Vedi Descartes, Discours de Diottrica, La metodo, sul Discorso II: vol. scientifiche, Opere in méthode, AT, VI, pp. 46 e sgg,.; tr. it. Traité de Le Meterore, a cura di Ettore Lojacono, Torino, Utet, 1983 pp. 152 e sgg. Vedi anche il animalidegli teoria Sulla 57-58. pp. I, scientifiche, Opere in it. tr. 119-120; l'Homme, AT, XI, pp. GAUKROGER — JOHN macchina in Descartes vedi KATHERINE MORRIS, Bétes-machines, in STEPHEN
York, Routledge, ScHUSTER - JoHN SurtoN (eds.), Descartes Natural Philosophy, London-New Philosophy, Natural of System Descartes” GAUKROGER, STEPHEN 2000, pp. 401-419. Vedi anche Cambridge, Cambridge University Press, 2002, pp. 196 e sgg. in questi ter177 Non a caso, in questo XXV capitolo del De Corpore, Hobbes si esprime
reazione, tuttavia, non è mini: «Ma, anche se ogni sensazione, come abbiamo detto, si ha per
di pansensismo (come necessario che ogni cosa che reagisce abbia sensazione». E cita una forma dotti, i quali hanno anche ed filosofi, dei stati sono ci che «So iano): campanell e telesiano quello sensazione si se la natura della sostenuto che tutti i corpi sono dotati di senso; né vedo come,
(HoBBEs, De Corpore, XXV, 5, colloca unicamente nella reazione, essi possano essere confutati»
OL, I, p. 320; tr. it. p. 381).
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PRIMO
parti, cioè dal moto della materia che costituisce la forma del corpo».! Questo stesso moto è attribuito anche alla Terra la quale, se impedita nel suo movimento ‘naturale’ reagisce come una trottola che urta una superficie.!?? Ora, questo specifico movimento delle parti interne è all'origine anche del moto diurno,!5° ma per capire questo ragionamento è necessario fare riferimento alla teoria hobbesiana dei corpi duri, che emerge per la prima volta nello scambio epistolare con Descartes del 1641.!8! Secondo Hobbes, la durezza dei corpi sarebbe determinata da un moto vorticoso cui sono soggette le particelle interne di cui questi corpi sono composti.!82 Nella sua argomentazione, il filosofo muoveva proprio dall’assunto che i corpi duri — e la Terra è uno di essi — dovessero la loro durezza al movimento delle parti interne e qualsiasi alterazione di questo movimento interno ad opera di altri corpi (in questo caso il Sole) producesse un movimento contrario che tende a ristabilire l’equilibrio originario. Tuttavia, al di là dell'argomento specifico, ciò che emerge in questa tematica è una particolare propensione di Hobbes a elaborare spiegazioni d'orientamento meccanicista, un’istanza che, come abbiamo visto, non era
per nulla estranea all'orizzonte intellettuale di Mersenne. Sebbene questa vocazione metodologica sia decisamente più marcata in Hobbes, la convergenza dei due autori verso un'impostazione generalmente meccanicista della fisica si palesa non solo nelle problematiche di carattere astronomico che abbiamo analizzato, ma ancor più nelle indagini concernenti la natura della luce e del suono, di cui è intessuta l'Harmonie Universelle.
178 HoBBEs, MLT, XXIV, 11, p. 299; tr. it. p. 441. 179 «Pertanto, anche la terra ha un movimento interno alla materia tale per cui è terra.
Nuovamente, ogni corpo duro, se qualche sua parte viene spinta da un altro corpo che la urta, ha questa proprietà di ristabilirsi più o meno, a seconda che la sua durezza e la forza del corpo che impatta è maggiore o minore, e lo fa liberandosi; diversamente, se non può, rimbalza, per
conservare la sua specifica costituzione, non come un agente sensibile che conosce che cosa giova alla sua conservazione, ma come una trottola che ruota velocemente e urtando contro
la parete subito rimbalza, non per desiderio di conservare il suo moto circolare, ma per la forza di quel moto che aveva determinato la materia ad una certa figura che non poté mantenersi all'impatto con la parete. Pertanto, anche la terra ha quella proprietà, per cui se qualche corpo, agendo su di essa, opera in modo che quell’azione impedisce il moto interno, per cui essa è terra, questa subito si riprende», ibid.
180 Ivi, XXIV, 13, p. 300; tr. it. p. 443. 181 Vedi BaLpin, «La reflexion de l’arc» et le conatus: aux origines de la physique de Hobbes, cit. 182 Vedi Hobbes a Mersenne per Descartes, 7 febbraio 1641, AT, III, p. 302; tr. it. p. 1397. Descartes replicherà sostenendo che questi movimenti sarebbero, invece, la causa della mollezza dei corpi. Egli riteneva infatti che la durezza di un determinato oggetto fosse dovuta alla coesione interna delle parti (AT, III, pp. 321-322; tr. it. p. 1415).
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E MERSENNE
4. LA LUCE E L'OTTICA TRA GEOMETRIA E FISICA
Nell’Harmonie, Mersenne sosteneva che le speculazioni sulla natura dei suoni non offrissero risultati solo nel campo ristretto dell’acustica, poiché «si può rappresentare tutto ciò che c'è al mondo, e di conseguenza tutte le scienze, per mezzo del suono; dato che tutte le cose consitono in peso, in numero, e in misura, [e] i suoni rappresentano queste tre proprietà».!85 Sebbene il riferimento biblico !84— il quale ha un profondo significato teologico anche nell’opera mersenniana !5° — fosse ampiamente presente nel Medioevo (ad esempio, in Agostino e Ruggero Bacone),!° nondimeno si rivela particolarmente significativo se analizzato entro il contesto della scienza e filosofia moderne, dove viene a esprimere l'istanza di geometrizzazione oetrrales= Secondo il religioso francese, infatti, ogni corpo fisico ha un suo proprio suono e questo suono viene a coincidere col movimento, perciòT'indagine sul movimento ci permette di scoprire le caratteristiche fondamentali dell'ente che l’ha prodotto. L'idea che ogni oggetto fisico abbia uno specifico suono era presente già nel Traité de l’harmonie universelle!** e nelle Questions.!8? Tuttavia, l'aspetto più interessante è l'analogia che Mersenne 183 MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre I (De la nature & des proprietez du Son),
p. 43. Il tema era già presente nel Traité de l’harmonie universelle. Vedi In., Traité de l’harmonie universelle, cit., p. 52. Il Traité è ignorato da Cozzoli nella sua indagine sull’ottica mersenniana (vedi Cozzoti, Light, Motion and Time in Mersenne”s Optics, cit.; In., The Development in Mersenne's
Optics, cit.,) e l’Harmonie Universelle è citata solo incidentalmente (ivi, pp. 14-15). 184 Cfr. Sapienza, XI, 20. 185 Vedi FasBRI, Cosmologia e armonia in Kepler e Mersenne, cit., pp. 158-170.
186 Vedi Franco ALEssio, Introduzione a Ruggero Bacone, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 74 e sgg. Sulla ricorrenza della locuzione nel medioevo, vedi: Massimo Paropi, Misura, analogia e
peso. Un’analogia del XII secolo, in NIcoLA BADALONI et alii, La storia della filosofia come sapere criti-
co. Studi offerti a Mario Dal Pra, Milano, Franco Angeli, 1984, pp. 52-71; Luca BIANCHI, L'esattezza di), impossibile. Scienza e «calculationes» nel XIV secolo, in Luca BIANCHI — EUGENIO RANDI (a cura Le verità dissonanti, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 119-150. caso, il tema è presente anche in Galileo Galilei. Vedi PaoLo GaLLUZZI, Il tema 187 Nona
indell’‘ordine’ in Galileo, in MARTA FatTORI — Massimo BiancHI (a cura di), Ordo. II colloquio 252; 235-277: pp. 1979, Bizzarri, & Ateneo Roma, Europeo, ternazionale del Lessico Intellettuale BUCCIANTINI, Galileo e Keplero, cit., p. 300.
188 Vedi MERSENNE, Traité de l’harmonie universelle, cit., p. 41. 189 «Il faut seulement remarquer qu'il n'y a quasi nul corps dans toute la nature qui n'ayt font sur nos un son particulier [...]. L'on peut dire que toutes les impressions que les objects , mouvement un dans consistent elles puisque sons de espece sens, ne sont autre chose qu’une qu’ils peuvent, par lequel les corps nous communiquent leurs proprietez, et nous enseignent ce que le son et le et ce qu’ils sont, et toute que sorte de mouvement faict un son, ou plustost 35, p. 405. Q. es, mathématiqu et physiques mouvement sont une mesme chose». In., Questions
st DA
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PRIMO
stabilisce qui tra ottica e musica.!9° Dall’argomentazione sviluppata dal Minimo, possiamo desumere che i principi e i mezzi attraverso i quali si esplica l’azione del suono sono i medesimi che incontriamo nel campo della luce e della visione.!°! Queste considerazioni ritornano, ampiamente sviluppate, non solo nell’Harmonie Universelle, dove Mersenne compara, a più riprese, la luce e il suono, ma anche negli Harmonicorum libri1636), che costituiscono una sorta di sunto latino dell’opera precedente, stilato per coloro per coloro «che non sanno il francese».!° In primo luogo, egli osserva che la principale differenza tra la luce e il suono è la propagazione istantanea della prima rispetto al secondo, il quale necessita, invece, di tempo per diffondersi nello spazio circostante.!’ D'altro canto, la natura ‘sottile’ del suono è ciò che gli consente di attraversare i corpi
opachi.!°* Entrambi si propagano, però, attraverso l’aria in cerchi concentrici, «come fa la goccia d’olio che si versa su di un foglio di carta, o su di un telo, o
come i cerchi che si producono nell’acqua nella quale si getta una pietra»! 190 «Si l’on cognoissoit la vistesse de la lumiere, et du mouvement qu'elle fait dans l’air, et dans l’ceil, et le mouvement, ou l’impression que les autres object impriment sur nous, l'on pourroit determiner, et expliquer leurs raisons, et leurs Analogies par le moyen des sons; d’où l’on infereroit leurs vertus et leurs proprietez; et parce que les raisons sont mieux cognués, et plus aysées concevoir, à veriffier et à expliquer dans les sons, que dans les autres objects, l’on
en tireroit de la lumiere pour toutes les autres sciences», ivi, p. 406. L’analogia era presente in nuce anche nel Traité del 1627, ma qui Mersenne sosteneva che l'indagine fosse più agevole nel campo dell'ottica, poiché il suono, a differenza della luce, è invisibile. Vedi In., Traité de l’harmonie universelle, cit., p. 20. Sulle teorie musicali e acustiche di Mersenne vedi PATRICE BAILHACHE,
L’harmonie universelle: la musique entre les mathématiques, la physique, la métaphysique et la religion, in JEAN-ROBERT ARMOGATHE — MicHEL BLaAy (eds.), Etudes sur Marin Mersenne, «Les Etudes Phi-
losophiques», 1-2, 1994 (numero monografico dedicato interamente a Mersenne), pp. 13-24 e soprattutto NatacHa FABBRI, Cosmologia e armonia in Kepler e Mersenne, cit., passim.
191 L'ipotesi che le cogitazioni nel campo dell’ottica e della musica presenti nella Harmonie Universelle potessero essere di grande interesse per Hobbes era stata avanzata già da Brandt: vedi BRaNDT, Thomas Hobbes” Mechanical Conception of Nature, cit., pp. 158-160. 192 MERSENNE, Harmonicorum libri, in qvibus agitur de sonorvm natvra, cavsis, & effectibus,
Lutetiae Parisiorum, Gvillelmi Bavdry, 1636 (epistola dedicatoria), pp. non num. Curiosamente alcune delle copie dell’opera sono dedicate a Charles Cavendish di Newcastle. Vedi JacquOT, Sir Charles Cavendish and His Learned Friends, cit., p. 16.
193 «[...] la lumiere s’estend dans toutes la sphere de son activité dans vn istant, ou si elle a
besoin de quelque temps, il est si court que nous ne pouuons pas le remarquer: mais le Son ne peut pas remplir las sphere de son activité que dans vn espace de temps, qui est d’autant plus long que le lieu où se fait le Son est plus esloigné de l’oreille». MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre I (De la nature & des proprietez du Son), p. 15. Gli Harmonicorum libri, spiegano in cosa si somigliano e in cosa differiscono luce e suono alle Propositiones V e VI (pp. 2 e 3). 194 Ivi, p. 18. La problematica è ripresa anche a p. 24, dove Mersenne cerca di fornire una spiegazione della propagazione del suono attraverso i corpi solidi, individuandola nelle vibrazioni dell’aria presente nei pori dei corpi solidi. 195 Ivi, p. 20. Vedi anche In., Harmonicorum libri, pp. 2-3 (cfr. anche In., Traité de l’harmonie
universelle, cit., p. 69).
si ATA n
HOBBES
E MERSENNE
La problematica della comparazione tra suono e luce occupa interamente la proposizione XXV del primo capitolo dell’ Harmonie, dove Mersenne sostiene che la luce ci permette di percepire i colori grazie alle diverse incidenze sul piano di riflessione e, di conseguenza, «i colori non sono
altro che la differente incidenza e riflessione dei raggi, come i suoni non sono altro che differenti movimenti dell’aria».!96 Secondo il minimo, infatti, il suono non è altro che un movimento dell’aria! e, talvolta, Mersenne
sembra estendere lo stesso ragionamento anche al fenomeno luminoso: «se si considera con grande attenzione la natura della luce, si troverà forse che essa non è altro che un movimento dell’aria, che porta con sé l’immagine del suo primo motore, cioè del corpo luminoso».!°* Qui Mersenne sembra
propendere per una teoria della luce che contempla unicamente la trasmissione del movimento
nel mezzo, rispetto alla tradizionale impostazione
che ricorreva alle species (benché egli parli, comunque, di ‘immagine’ trasportata). Tuttavia, egli sviluppa in seguito alcune considerazioni che sottolineano la problematicità di questa posizione. Innanzitutto, per quanto riguarda la propagazione della luce e del suono, il Francese ritiene che, sebbene entrambi si diffondano in forma circolare, la sorgente luminosa o acustica emette necessariamente dei raggi.!°’ Per quanto concerne propria-
mente la luce, egli aggiunge quanto segue: Le mouument de la lumiere est ce semble plus subtile que celuy des Sons, & penetre plus auant dans la substance de l’air, qu'il remplit d’vne certaine liqueur semblable à de l’huile tres-subtile & tres-claire, qui se meut de telle sorte qu'elle
affecte l’oeil & le nerf optique, qui commence à descouurir tous les obiets exterieurs, si tost que l’air esmeu s'est introduit dans ses pores pour imprimer vn semblable mouuement à l’air interieur de la membrane qu'on appelle aranée.?90
Una spiegazione analoga viene elaborata per descrivere il fenomeno della percezione acustica, ma non è chiarissimo a cosa si riferisca Mersenne
quando parla di «liqueur semblable d de l’huile tres-subtile & tres-claire».202 196 In, Harmonie Universelle, vol. I, Livre I, p. 45.
197 Vedi In., Harmonicorum libri, pp. 1-2. Vedi anche AucER, Le R.P. Mersenne et la physique, cit., p. 40. I, 198 MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre I, p. 45 (corsivi miei). Cfr. anche ivi, ID., p. 16. Nel Traité del 1627, invece, Mersenne riteneva assodata l’esistenza delle species, vedi AucER, Le Traité de l’harmonie universelle, cit., p. 47. Sulla teoria della luce di Mersenne vedi:
R. P. Mersenne et la physique, cit., p. 38; BeauLIEU, Lumière et matière chez Mersenne, cit., pp.311-316. 199 MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre I, p. 46.
200 Ivi, pp. 47-48. 201 Qui, come altrove, sembra di percepire sia l'influenza dell'immagine della luce come
sù, Di de
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PRIMO
Venendo ad analizzare il fenomeno dell’eco e della riflessione del suono, egli suppone che la luce possa essere concepita anche come un ‘accident’, il che permetterebbe di solvere i problemi connessi alla riflessione. Se il raggio luminoso coincidesse esattamente con una colonna d’aria — 0, addirittura, se fosse composto da particelle — sarebbe, alquanto difficile concepire la riflessione e l’intersezione di raggi luminosi in un unico punto: Or encore qu'il soit tres-difficile de s'imaginer comment toute la lumiere qui passe par le plan BC, (vedi figura) (quoy qu'on la suppose aussi large que le Ciel) peut estre rassemblée dans vn point, attendu qu'il n’y a nul point dans ladite surface qui n’en soit couuert & rempli, & consequemment
que ladite lu-
miere est continué sans aucune pores & sans
aucune vuide, & que ce rassemblement au point e ne se peut faire sans penetration d’vne infinité de rayons qui se condensent iusques à l’infini, neantmoins il est ce me semble en-
core plus difficile de comprendre comment tout le solide de l’air qui va frapper la glace aCB, se reflechit au point e; car l’on peut dire que la lumiere est vn accident qui n’est pas tellement determiné aux lieux, qu'il ne puisse occuper & couurir tantost vn plvs grand lieu, & tantost vn moindre: mais l’air est vn corps, dont les differentes parties ne peuuent naturellement se penetrer: & bien qu'il eust vne infinité de petits espaces vuides, neant-
moins il ne peut estre reduit à vn point comme la lumiere.?°2
L'intero testo dell’Harmonie è disseminato di similitudini e comparazioni tra l'ottica e la musica, ma Mersenne si concentra soprattutto sul suono e le riflessioni dedicate alla luce sono più esigue, rispetto a quelle votate al suono. Ciò nondimeno, è possibile ipotizzare che alcune delle cogitazioni abbozzate dal pensatore francese abbiano lasciato una traccia nella riflessione di Hobbes. Alan Shapiro, che è stato uno dei primi studiosi a interessarsi approfonditamente all’ottica hobbesiana, aveva supposto che «substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima», proposta da Galileo Galilei nelle Lettere
copernicane (vedi GaLiLEI, Lettera a Mons. Pietro Dini, 23 marzo 1615, OG, V, pp. 301-303), sia la concezione cartesiana della materia sottile, che Descartes descrive come «materia sottilissima e fluidissima, che si estende senza interruzione dagli astri fino a noi». DEscARTES, La Dioptrique,
AT, VI, p. 87; tr. it. p. 198. Sulla concezione cartesiana della luce vedi SoPHIE Roux, La nature de la lumière selon Descartes, in Brer — JULLIEN (eds.), Le Siècle de la Lumiere, cit., pp. 49-66. 202 MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. I, Livre I, p. 49.
a #6 —
HOBBES
E MERSENNE
fosse stata l'influenza di Mersenne a favorire la genesi di una nuova teoria della luce nel pensiero di Hobbes, fondata unicamente sull’idea di una
trasmissione del movimento nel mezzo.” Sino ad anni recenti, infatti, il filosofo è stato considerato quasi unanimemente l’autore dello Short Tract on First Principles,?°* e questo testo contempla la teoria delle species, che prevede il passaggio di particelle dalla sorgente luminosa ai recettori del senziente. Shapiro suggeriva che la ‘conversione’ di Hobbes a una teoria che contemplasse la propagazione attraverso il mezzo coincidesse con gli anni del terzo e ultimo grand tour.?® Oggi, numerosi indizi ci inducono a credere che lo Short Tract sia piuttosto opera di Robert Payne, per cui non possiamo essere certi che Hobbes non avesse già sviluppato i germi di una nuova teoria ottica, ancor prima del 1634.29 D'altro canto, nell’Appendix all'edizione latina del Leviathan (1668), il filosofo sembra suggerire una sua adesione giovanile alla teoria delle species?° e, sebbene non disponiamo di dati certi per dirimere la questione, è indicativo che l’epistolario hobbesiano testimoni la genesi di un interesse profondo nei confronti dell’ottica e delle teorie della visione relativamente agli anni 1634-36. La citata lettera a William Cavendish di Newcastle, dell'ottobre 1636, presenta infatti alcuni abbozzi di un'articolata teoria della visione e il fenomeno è spiegato facendo ricorso unicamente al movimento
203 Vedi SHaprro, Kinematic Optics, cit., pp. 166-167. Vedi anche BeAuLIEU, Les relations de Hobbes et de Mersenne, cit., p. 84, MaLcoLM, Robert Payne, the Hobbes Manuscripts and the ‘Short
Tract”, cit., pp. 123-125; Grupice, The Most Curious of Sciences: Hobbes's Optics, cit., p. 151. 204 Vedi infra, Appendice. 205 Il primo accenno in Hobbes a una teoria della luce che contempla unicamente la tra-
smissione del movimento nel mezzo è presente nella, più volte citata, lettera a William Newcastle, del 16-26 ottobre 1636.
206 Hobbes sostiene a più riprese di aver intrapreso riflessioni sulla natura della luce intorno al 1630. Vedi per es. la lettera a Mersenne per Descartes del marzo 1641 (Hobbes to Marin Mersenne, [20/] 30 March 1641, in CH, I, pp. 102-103) e l’accenno presente nel First Draught. Vedi Ho88Es, FD, pp. non num. (f. 37), pp. 76-77. 207 «Mi ricordo di aver talvolta ritenuto che corpo fosse soltanto ciò che si opponeva al mio tatto o alla mia vista. E così ammettevo, sia pure con stupore, che fossero tuttavia corpo
anche le immagini dei corpi che appiaono nello specchio, nel sonno o nelle tenebre. Ma, considerando successivamente che quelle immagini svanivano come [apparenze] la cui esistenza non dipendeva da loro stesse ma dalla natura inanimata. Non mi sembraromo più cose, ma fantasmi ed effetti delle cose agenti sugli organi di senso; e quindi incorporee». HoBBEs, Appendix ad Leviathan, in Leviathan, cit., p. 1185 (OL, III, p. 537); tr. it. in Scritti teologici, a cura di Arrigo Pacchi e Agostino Lupoli, Milano, Franco Angeli, 1988, p. 227. Questo passo era stato addotto da Karl Schuhmann a sostegno della sua tesi della paternità hobbesiana dello Short Tract, vedi Kari SCHUHMANN, Le Short Tract. Première ceuvre philosophique de Hobbes, «Hobbes Studies», 8, 1995, pp. 3-36: 20. In questo testo si sostiene, infatti, che: «Species are substances». HoBBES (?), Court traité des premiers principes, cit., p. 38.
ni Pip Aa
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del mezzo sospinto dall'azione della sorgente luminosa.?°8 Le riflessioni intorno al fenomeno visivo ritornano negli Elements of Law, dove il secondo capitolo della prima parte è interamente votato a questa problematica.??° Tuttavia, se ci rivolgiamo ai trattati ottici latini, possiamo individuare alcune correlazioni tra le riflessioni di Mersenne e' Hobbes, che si rivelano più
profonde di una semplice analogia. 3 In primo luogo, nel Tractatus Opticus I (che sarà contemplato nella mersenniana Universae geometriae mixtaeque Synopsis del 1644), il filosofo inglese scriveva che la sua teoria non contemplava il passaggio di nessuna particella dalla sorgente luminosa al senziente ?!° e, nel rigettare la teoria delle species, offriva anche la sua soluzione alternativa, la quale non richiede affatto
un’intromissione di particelle nell'occhio. La propagazione del lume avviene unicamente attraverso il mezzo, poiché la sorgente genera il movimento nell’aria circostante la quale, a sua volta, lo trasmette agli oggetti a essa adiacenti.?!! Hobbes suppone che la fonte luminosa sià soggetta a un moto 208 Hobbes to William Cavendish, Earl of Newcastle, CH, I, cit., pp. 37-38. Jean Bernhardt e Yves Charles Zarka hanno sottolineato che alcune delle teorie sviluppate da Hobbes (come l’idea che la luce sia solamente movimento, che la sua propagazione sia istantanea e il rifiuto di qualsiasi concezione delle species) fossero presenti già nella Dioptrique di Descartes (vedi JEAN BERNHARDT, La polémique de Hobbes contre la Dioptrique de Descartes dans le Tractatus Opticus II (1644), «Revue Internationale de Philosophie», V. 33, n. 129, 1979, pp. 432-442; YvEs-CHARLES ZARKA, La matière et la representation: Hobbes lecteur de La Dioptrique de Descartes, in HENRY MéfcHouLan (ed.), Problématique et réception du Discours de la méthode, Paris, Vrin, 1988, pp. 8198: 86-87), la quale giunse, però, a Hobbes solamente nell’ottobre del 1637, come testimonia
la lettera spedita al filosofo da Sir Kenelm Digby il 4-14 ottobre 1637 (cfr. Sir Kenelm Digby to Hobbes, 4-14 october 1637, CH, I, p. 51), per cui possiamo affermare che Hobbes formulò la sua
teoria in maniera indipendente. Vedi anche ÉRIc MARQUER, Ce que sa polémique avec Descartes a modifié dans la pensée de Hobbes, in WeBER (ed.), Hobbes, Descartes et la métaphysique, cit., pp. 1532: 15-16. Per ciò che concerne, invece, la polemica tra Descartes e Hobbes intorno alle Meditazioni, vedi: Epwin M. Curtey, Hobbes versus Descartes, in ROGER ARIEW — MARJORIE GRENE (eds.), Descartes and his contemporanies. Meditations, Objections, and Replies, Chicago, The University of Chicago Press, 1995, pp. 97-109; PIERRE GUENANCIA, Hobbes — Descartes: le nom et la chose, in
ZARKA — BERNHARDT (eds.), Thomas Hobbes. Philosophie première, théorie de la science et politique, cit., pp. 67-79. Vedi anche JeAN-Luc MARION, Hobbes et Descartes: l’étant comme corps, in WEBER (ed.), Hobbes, Descartes et la métaphysique, cit., pp. 59-77. La polemica proseguì anche successiva-
mente, come ha dimostrato ampiamente Gianluca Mori, vedi GranLuca MORI, Hobbes, Cartesio e le idee: un dibattito segreto, «Rivista di storia della filosofia», 2, 2010, pp. 229-246; In., Cartesio,
Roma, Carocci, 2010, pp. 166-172. Sul materialismo hobbesiano delle Obiezioni vedi JEAN TER-
REL, Le matérialisme de Hobbes dans les Troisiémes Objections, in BERTHIER — MILANESE, Hobbes et le matérialisme, cit., pp. 13-31.
20° HoBBEs, EL, Part I, cap. II, pp. 3-7; tr. it. pp. 13-19. 210 «in visione, neque objectum, neque pars ejus quacunque transit a loco suo ad oculum». Ho8BEs, TO I, in OL, V, p. 217. 211 «Ut motus possit motum generare ad quamlibet distantiam, non est necessarium ut
corpus illud a quo motus generatur, transeat per totum illud spatium per quod motus propaga-
DE
SA
HOBBES
E MERSENNE
di contrazione e dilatazione che egli, con un’analogia fisiologica, definisce sistolico e diastolico. Infatti, ciò che viene percepito dal senziente come ‘scintillationem’: «non è altro che [...] sistole e diastole».?!2 Il filosofo illustra come avviene questo fenomeno e come si sviluppa la percezione visiva: Nam quo instante incipit motus a B versus C (vedi figura), necesse est ut incipiat motus a C versus D, et a D versus
E, et ab E prorsum. Quare si statuatur oculos in qualibet distantia a sole, puta in E: quo istante incipit sol dilatare se in B, eodem ferietur oculos in E. Unde propagabitur motus ad retinam, et inde per conatum retinae nervum opticum
usque ad cerebrum: et hoc fit eodem instante, quo motus
incipit in B.?!5 Questo modello di propagazione circolare della luce richiama le speculazioni mersenniane, così come l’idea che «illume si propaga a qualunque distanza istantaneamente».?!4 D'altro canto, dobbiamo osservare che la riflessione di Hobbes è decisamente più articolata ed egli sviluppa ampie considerazioni sulla natura del raggio luminoso. Tuttavia, proprio come aveva sostenuto Mersenne negli Harmonicorum libri,?!? anche Hobbes ritiene che, benché la luce si propaghi circolarmente, essa è composta da raggi che, partendo dalla sorgente luminosa, si espandono nello spazio circostante. Sull’entità e la costituzione fisica del raggio, egli afferma che esso debba essere considerato uno spazio solido ?!° — poiché altrimenti il moto non potrebbe propagarsi — ma avverte anche l'esigenza di chiarire che esso non consiste esattamente nello spazio fisico, né tanto-
meno nell'aria: tur; sufficit enim ut parum, imo insensibiliter motum, protrudat id quod proxime adstat; nam id quod adstat, pulsum suo loco, pellit quoque quod est proximum sibi, atque eo modo motus propagabitur quantum libueris», ivi, pp. 217-218. 212 Ivi, p. 218 (corsivo mio). The 213 Ivi, pp. 219-220. Vedi anche Jan Prins, Hobbes on light and vision, in SORELL (ed.),
Cambridge Companion to Hobbes, cit., pp. 133 e Sgg. 214 Ho88es, TO I, in OL, V, p. 221.
orbem», 215 Mersenne scrive che, nonostante la luce e il suono si propaghino entrambi «in
circularibus, ellipciò nondimeno, «soni non solùm in lineà rectà, seu directis radiis, sed etiam o rectis lineis ticis parabolicis, & aliis, quibusuis lineis feruntur ad aurem; lux verò solummod
rvm libri, cit., fertur ad oculum, siue directis, siue reflexis, siue refractis». MERSENNE, Harmonico Pas: esse 216 «Quoniam enim radius est via per quam motus projicitur a lucido, neque potest
tres dimensiones. motus nisi corporis: sequitur radium locom esse corporis, et proinde habere 222. p. V, OL, in I, TO HoBBES, solidum». spatium Est ergo radius
del DL vee
CAPITOLO
A
B
h E
Li F
G
H K
PRIMO
Radium appello, viam per quam motus a lucido per medium propagatur. Exempli gratia: sit lucidum AB (vedi figura), a quo moto ad CD pars medii quae interjacet inter AB et CD, protrudatur ad EF: et a parte medii quae erat inter CD et EF, promota ulterius ad GH, propellatur pars illa quae erat inter EF et GH,
i
o
m
ulterius ad IK, et sic deinceps, sive directe sive non, puta versus LM. Spatium jam quod continetur inter lineas AIOL, et BKM, estidquod voco radium, sive viam per quam motus a lucido per
medium propagatur.?!7
Nel Tractatus Opticus II Hobbes ribadisce il concetto che il raggio non coincide affatto con l’aria ma, piuttosto, con il moto che si propaga attraverso l’aria stessa (fermo restando, infatti, che nessun movimento sia concepibile senza un mezzo che consiste in un
corpo fisico).?!8 Perciò, il raggio è chiamato impropriamente ‘radium’, una definizione più corretta sarebbe quella di ‘radiatio’.2!° Da quanto si evince dai passi citati, sembra che Hobbes sia venuto a confrontarsi con la stessa problematica sollevata da Mersenne: sebbene il fenomeno luminoso possa coincidere con un movimento dell’aria, la perfetta identificazione della luce con l’aria stessa risultava alquanto problematica, in particolare se si considerano fenomeni come la rifrazione e la riflessione, sui
quali egli si sofferma ampiamente. Strettamente connessa alla definizione del raggio è quella di ‘linea lucis 22° e Hobbes, servendosi di questi due termini (insieme a quello di linea di luce propagata), giunge ad abbozzare il concetto di fronte d’onda.?2! La stessa nozione di raggio (che è un elemento essenziale per capire il rapporto che si instaura nel sistema hobbesiano tra ottica geometrica e ottica fisica)??? implica l’idea di una porzione infinitesimale del fronte d’on217 Ivi, pp. 221-222. 218 «Cum vero directa haec motùs a lucido propagatio, non sit ipsum Corpus per quod
motus propagatur (nam differentia magna est jnter ipsum aerem et motum in aere) neque
aliud corpus pratere ipsum, non potest radius lucidi dici corpus, ut radius rotae ligneae lignum, sed tantum via motùs propagatio». In., TO II, cap. II, $ 2, f. 204v, p. 160. 219 Ibid. 220 «Lineam unde radii latera incipiunt: exempli gratia, lineam AB, unde incipiunt latera AI et BK: appello lineam lucis simpliciter. Linearum autem quae a linea lucis continua protrusione derivantur, quales sunt CD, EF etc., unamquamque appello lineam lucis eousque propagatam». In., TO I, in OL, V, pp. 222-223.
221 Vedi SHaPrRo, Kinematic Optics, cit.., pp. 150-151. Vedi anche BERNHARDT, Hobbes et le
mouvement de la lumière, cit., pp. 9-10; MépinA, Nature de la lumière et science de l’optique chez Hobbes, cit., pp. 40-41; Grupice, Luce e visione, cit., pp. 69 e Sgg. 222. Per una trattazione dell'argomento nel First Draught vedi StRouD, Introduction, in FD,
pp. 39-40; GrupicE, Luce e visione, cit., p. 70; MépINA, Hobbes's Geometrical Optics, cit., pp. 49 e sgg.
ESSE —; GRA
HOBBES
E MERSENNE
da. Considerandolo come elemento infinitesimale e trascurandone, quindi,
la dimensione fisica, Hobbes è in grado di effettuare una transizione dai raggi fisici a quelli matematici, tuttavia è necessario che «consideriamo la larghezza del raggio minore di qualsiasi grandezza data».?23 D'altro canto, questa transizione del raggio, da grandezza fisica a ente geometrico, non è esente da problematiche, come testimonia il secondo trattato ottico: Rursum quoniam motus intelligi non potest nisi in corpore, habeatque omne Corpus, tres dimensiones, Longitudinem, Latitudinem, et crassitiem, necesse est
ut etiam via motùs constet dimensionibus iisdem, Non est ergo radius longitudo sine latitudine, sed solidum, cuius longitudo terminatur superficie corporis lucidi sive radiantis; quanquam possit interdum illa considerari non ut superficies, sed ut punctum, nimirum cum ratiocinatione, obiecti sive lucidi magnitudo non consi-
deratur; neque dicitur aliquid punctum vel linea, vel superficie mathematica prop-
terea quod dimensionibus careat, sed quia in argumentum non assumuntur.?°4
In primo luogo, Hobbes ribadisce che nessun moto possa propagarsi senza corpi e, inoltre, che i punti, le linee e le superfici non siano privi di dimensione, ma piuttosto, che nella dimostrazione matematica questa di-
mensione non venga considerata.
Nondimeno, se consideriamo il raggio come ‘radiatio’ e non come spazio solido, questo ci permette di sviluppare ulteriori considerazioni: In radiatione vero considerabimus longitudinem, et latitudinem non
autem
Crassitiem; haec enim intelligitur ex
sumptà latitudine per omnes positiones; Exempli causì, si fiat radiatio cylindrice, secundum longitudinem AB vel CD (vedi figura), latitudo erit BD, vel EF, vel GH, cum autem quod demonstratur de unà latitudine, demonstretur de omnibus, in-
telligetur ex unà latitudine quomodo tota radiatio solida progredietur, ut non opus sit in rationis contemplatione, plures dimensiones considerare quam longitudinem et latitudinem. Rursum quamquam radiationem hic considero eam quae fit a qualibet minima et imperceptibile parte lucidi, tamen quia et sic ambae dimensiones aliquando contemplandae sunt, dabo omni irradiationi latitudinem conspicuam, quantum suffici
distinadscriptioni notarum, sive literarum, quibus commodius omnis dimensio
gui et nominari possit, quam latitudinem, finità demonstratione, ad exilitatem 160-161. 223 HoB8BEs, TO I, in OL, V, p. 228, vedi SHAPIRO, Kinematic Optics, cit., pp.
224 Ho8BEs, TO II, cap. II, $ 2, f. 204v, p. 160. ==
Sza
CAPITOLO
PRIMO
linearem revocare imaginatione sua unusquisque potest; radiationem ergo voca-
bimus longitudinem quae est ab A.?2°
Come ha sottolineato per primo Shapiro,??° lo slittamento concettuale operato da Hobbes, che considerava i raggi di.luce sia come enti fisici che come linee geometriche, gli consentiva di applicare la rifrazione alle superfici curve, perché, in quest’ultimo caso, ogni singolo punto del fronte del raggio presenta un differente angolo di incidenza con la superficie.??7 Nel Tractatus Opticus I, il pensatore affrontava il tema del raggio incidente obliquamente in un mezzo non uniforme, la cui superficie è curva, e sosteneva che la rifrazione si sviluppa come se questo raggio incidesse nel punto di contatto di una superficie piana contingente alla stessa curva.?°8 Tuttavia, per offrirne una dimostrazione è necessario assumere che la lunghezza del fronte del raggio sia «minorem quavis magnitudinem data».??? Nel secondo trattato ottico (e, successivamente, anche nel First Draught) Hobbes esplici-
tava meglio il suo pensiero, chiarendo che i raggi non sono perfettamente paralleli perché conici, tuttavia, in virtù della loro costituzione infinitesima-
le, possono nondimeno essere considerati rettangolari, in quanto la differenza è impercettibile.25° Se consideriamo, però, l'incidenza del raggio su di una superficie piana, ci troviamo di fronte a una difficoltà: nel primo trattato ottico, infatti,
Hobbes affermava che è possibile considerare il raggio incidente perpendicolarmente su di una superficie piana come una linea matematica, ma ciò è impossibile se il raggio viene a secare il piano obliquamente: 25! 225 Ibid. 226 Vedi SHaprro, Kinematics Optics, cit., p. 161. 227 Non è necessario analizzare qui nel dettaglio il fenomeno della rifrazione, sul quale
esiste una letteratura ampia e accurata (vedi Mépina, Nature de la lumiére et science de l’optique chez Hobbes, cit., pp. 40-41; Grupice, Luce e visione, cit., pp. 70 e sgg.; HoRstMANN, Hobbes und Sinusgesetz der Refraktion, cit.). E sufficiente sottolineare che nel considerare la rifrazione Hobbes sostiene che «quando un raggio di luce si propaga in maniera uniforme, denso o raro che sia, esso si comporta come un cilindro. Allorché, invece, una parte del raggio si propaga
meno facilmente dell’altra, come nel caso della rifrazione, esso si comporta come un ‘tronco di cono’». GruDpICE, Luce e visione, cit., p. 72. Vedi anche In., The Most Curious Science: Hobbes's
Optics, cit., p. 156.
228 Ho8BEs, TO I, OL, V, p. 245.
2201.2251
230 Vedi In., TO II, cap. II, $ 2, f. 204v, p. 160. Il tema è trattato più ampiamente e approfonditamente nel First Draught, vedi HoBBEs, FD, ff. 13 e sgg., pp. 122 e sgg. Vedi anche STROUD, Introduction, ivi, pp. 39 e sgg. 21lp.VTOIObaVypi225:
uni; DE ale
HOBBES
E MERSENNE
Possumus ergo considerare radium ABCD (vedi figura) sine latitudine, hoc est ut linea mathematica. Sed incidentia obliqua, ubi operatio ab F ad planum in H in majori est distantia quam ab E in G, non potest considerari EFGH ut linea mathematica: quia sic consideratur EF ut punctum mathematicum, quod tamen consideratur uno termino operari longius quam altero,
hoc est, consideratur ut habens terminos, hoc est, non ut punctum. Itaque si consideramus lineam oblique incidentem ut mathematicam, consideraremus EF ut
punctum et non punctum, quod est absurdum.?5
L'analisi dell'incidenza del raggio su di una superficie curva è possibile solo a patto di considerare i raggi come linee matematiche, ciò nondimeno,
nel caso della superficie piana, le linee matematiche possono essere utilizzate solo nel considerare l'incidenza perpendicolare dei raggi. Al contrario, se si esamina l’incidenza obliqua occorre assumerne la dimensione fisica. Tuttavia, nel Tractatus Opticus II, Hobbes afferma che il termine raggio può essere usato impropriamente e condurre i filosofi a incappare in due erro-
ri.?53 Il primo consiste, come sappiamo, nel considerare il raggio un corpo. Il filosofo riteneva, infatti, che la luce non consistesse propriamente nel mezzo attraverso il quale il moto è propagato, bensì nel moto stesso.??* Il secondo errore è rappresentato, invece, dal ritenere il raggio una semplice linea matematica, dotata solamente di lunghezza, ma priva di larghezza. Queste considerazioni sulla natura del raggio sono strettamente legate, nel secondo trattato ottico, alle riflessioni sulla natura degli enti geometrici e Hobbes sottolinea che essi non siano affatto privi di dimensione, ma che, .?5° piuttosto, la loro dimensione non venga considerata nella dimostrazione Il tema ritorna nel De motu, loco et tempore,?35 dove si afferma che la
«ypapyriv [linea], [...] non è priva di larghezza, ma tale viene considerata» 437 e il filosofo propone la sua concezione genetica della geometria, secondo
la quale la linea è generata dal movimento di un punto, così come la super232 Ivi, p. 226. 233 Ho88£s, TO II, cap. II, $ 1, f. 204r, pp. 159-160.
234 «Cum vero directa haec motts a lucido propagatio, non sit ipsum Corpus per quod
motus propagatur (nam differentia magna est jnter ipsum aerem et motum in aerem) neque
aliud corpus praeter ipsum, non potest radius lucis dici corpus, ut radius rotae ligneae lignum, sed tantum via motàs propagati», ivi, cap. II, $ 3, £. 2057, p. 161. 235 Vedi HoBBES, TO II, f. 204 r, p. 160. 236 Vedi HoBBES, MLT, II, 8, p. 114; tr. it. p. 144.
237 Ibid.
Mu
pPr©
CAPITOLO
PRIMO
ficie è prodotta dal movimento di una linea e, il corpo è disegnato, a sua volta, dal moto della superficie.?58 Anche qui Hobbes propone, dunque, la sua concezione ‘fisica’ e ‘materialista’ della geometria che ritroviamo in tutte le opere filosofiche e matematiche successive .?5° Cia Tuttavia, come
abbiamo
visto, è soprattutto nel ‘Tractatus Opticus II
(e, più tardi, anche nel First Draught), che emerge il legame fondamentale tra le indagini ottiche hobbesiane e lo sviluppo della sua concezione degli enti geometrici e della geometria in generale.?4° Hobbes aveva elaborato la sua posizione a partire dalla riflessione sulla natura del raggio luminoso, una problematica con la quale era già venuto a confrontarsi Mersenne, nell’Harmonie Universelle. In ogni caso, il rapporto tra ottica geometrica e ottica fisica è legato alla relazione che Hobbes individua, in generale, tra la fisica e la geometria. Infatti, sebbene egli proponga in tutte le sue opere filosofiche e scientifiche una marcata dicotomia nell’ambito delle scienze, d’altro canto, questa di-
stinzione non segna uno spartiacque netto e invalicabile tra le scienze mate-
matiche, che possono assurgere al grado di filosofia, e la fisica, la quale deve attestarsi entro i limiti dell'opinione. A tal proposito, è interessante notare quanto scrive il filosofo in un passo del capitolo X del De Homine, legato alla classificazione delle discipline.?4! Qui egli afferma che nelle «cose naturali», che «nascono dal moto non è possibile neppure procedere con ragionamento a posteriori, senza la cognizione di ciò che consegue ad una qualunque specie di moto», e, d'altro canto, «non è possibile giungere alle conseguenze dei moti senza la cognizione della quantità», cioè della geometria. Di conseguenza, il filosofo ritiene sempre necessaria la dimostrazione a priori, cioè la dimostrazione matematico-geometrica, perché è impossibile padroneggiare la varietà dei moti, senza conoscere la scienza che misura le grandezze e le figure. In altri termini, Hobbes ritiene che la fisica si debba fondare, necessariamente, sulla geometrizzazione del reale: quel processo di 238 Ivi, pp. 114-115; tr. it. pp. 144-146. 299 Vedi In, De Corpore; VIII, 12; OL; I pp. 98-99; tr. it. p. 162; In., Six Lessons, EW, VII,
pp. 200-201. Vedi JessePH, Squaring the Circle, cit., pp. 79 e sgg. Sul concetto di punto nella matematica hobbesiana vedi anche Grant, Hobbes and mathematics, cit., pp. 112 e sgg. 240 Vedi MÉDINA, La philosophie de l’optique du De Homine, cit., p. 82.
241 Vedi HoBBEes, De Homine, X, 5, OL, II, p. 93; tr. it. pp. 590-591. Come ha mostrato correttamente Médina, nell’introduzione all'edizione francese del De Homine, la definizione hobbesiana di matematiche miste ricalca quella aristotelica (cfr. ARISTOTELE, Analitici Secondi, I, 13, 79a 7-10; Ip., Fisica, II, 194a 10). Vedi MépINA, La philosophie de l’optique du De Homine, in HoBBEs, De l’Homme, cit., p. 56.
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HOBBES
E MERSENNE
traduzione della natura in linguaggio matematico che ha in Galileo Galilei il suo nume tutelare. Non è un caso, infatti, che, nel pensiero di Hobbes,
i fondamenti e gli oggetti della geometria e della fisica coincidano in parte: oggetto della filosofia sono esclusivamente i corpi ?4 e i principi di quella che Hobbes chiama filosofia prima risiedono nel movimento di questi stessi corpi.?4 Per questo, la riflessione hobbesiana sui fondamenti delle scienze — che è stata definita spesso post-scettica 24 — se, da un lato, risente della problema-
tizzazione delle tematiche pirroniane, presente in Mersenne (e Gassendi), d'altro canto necessita di essere analizzata alla luce del pensiero galileiano. Galileo ricopre il ruolo di fondatore delle scienze fisiche, ma, di certo,
non per essere stato il primo a sviluppare indagini sui fenomeni naturali, quanto piuttosto per aver ideato il corretto metodo scientifico, che consente di annoverare la fisica nell’ambito delle scienze e, perciò, della filosofia. La
matematizzazione e la traduzione in termini quantitativi di una fisica aristotelica arenata al concetto di qualità ?* rappresenta l'impresa più meritoria nell’ambito della filosofia naturale, tant'è che Galilei può essere definito,
a buon diritto: «il più grande filosofo non solo del nostro secolo, ma di tutti i secoli».249
242 Ho8BEs, De Corpore, I, 8, OL, I, p. 9; tr. it. p. 76. 243 «[...] la causa universale di tutti è una sola, cioè il movimento, mentre la varietà delle figure nasce dalla varietà dei movimenti con i quali vengono costruite», ivi, VI, 5, p. 62; tr.
it. p. 128. È interessante notare quanto scrive al riguardo Francois du Verdus a Hobbes, nel dicembre 1655: «[...] puis que le Corps agissent selon [leurs grandeurs et leurs figures altered to leur grandeur et leur figure] et par leurs mouuemens qui sont les Objects de la Géometrie et des Mécaniques, il est impossible d’estre Philosophe a moins que d’estre Géometre Et aussi tot j'ai ueu ces Gens-là (che egli aveva definito ‘Pédans’ e ‘perroquets’) s'éfaroucher croyans que qu’une Philosophie Geometrique c'est a dire la vraye Philosophie [tendit deleted > tende] a renuerser les uerités les plus importantes. Mesmes quand je luy ay allégué que du vray on ne peut rien inferer que de vray [et que mesmes je leur ay fait deleted > jusqu'a leur faire] uoir dans l’Ecriture Sainte la Nécéssité qu'il y a d’estre Geométre pour estre Philosophe où il est dit Que Dieu 4 fait toutes choses En poids En nombre En mesure Car (dis-je a ces Messieurs là) la Mesure ueut dire l’étendué et la grandeur du Corps, le nombre ueut dire en Effect le nombre de ses Angles, qui fait la figure; Et le Poids c'est l’effort a tendre uers quelque part». Frangois du Verdus to Hobbes, from Bordeaux, [13/] 23 December 1655, CH, I, p. 217.
244 Vedi Tuck, Optics and Sceptics: The Philosophical Foundation of Hobbes's political Thought, cit. Vedi anche le osservazioni di Malcolm, in MaLcoLm, Hobbes and Roberval, cit., pp. 184-189 e, soprattutto, l’analisi di Paganini in PacanINI, Hobbes among ancient and modern sceptics, cit., pp. 29 e sgg. e In., Hobbes e lo scetticismo continentale, cit. ID., Hobbes and the French Skeptics, cit. 245 Vedi LeJenHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit., pp. 84 e sgg. 246 HoBBESs, MLT, X, 9, p. 178; tr. it. p. 250.
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CAPITOLO SECONDO
HOBBES: PRINCIPI DI FILOSOFIA GALILEIANA
1. QUALITÀ REALI E PURI NOMI
Nell’elogio di Galileo presente nell’Epistola dedicatoria del De Corpore, Hobbes presenta il Pisano come una sorta di Prometeo della fisica, per aver svelato i meandri della natura del moto. Per la centralità che riveste la nozione di movimento nella filosofia hobbesiana, dobbiamo però pensare che l'influenza di Galileo non si sia limitata al campo della fisica, ma che abbia rappresentato ilfondamento dell’immagine meccanicistica del mondo elaborata da Hobbes.? È noto che il filosofo conobbe personalmente Galilei nell'autunno del 1635, come si può intuire da un'indicazione presente nell’epistolario galileiano. Il 1° dicembre di quell’anno, lo scienziato scriveva a Fulgenzio Micanzio di aver ricevuto la visita di alcuni «oltramontani, tra’ quali un Signor principale Inglese, il quale mi dice, il mio sfortunato Dialogo esser trasportato in quella lingua; cosa che non può se non progiudicarmi».' Il cenno a una versione inglese del Dialogo sopra i due massimi sistemi sembra un rife1 Vedi Ho8Es, De Corpore, Epistola dedicatoria, OL, I, pp. non num, tr. it. p. 62. i principi 2 Vedi JessepH, Galileo, Hobbes and the Book of Nature, cit., il quale precisa che , particolare in e, Galileo da elaborati concetti nei radici le affondano a hobbesian della filosofia mea is world the that idea al fundament «the italiano Hobbes trasse dallo scienziato e filosofo ally-specifiable chanical system in which everything can be understood in terms of mathematic Intromento vedi PAGANINI, laws of motion», ivi, p. 191. Per una trattazione estensiva dell’argo
al and Theological duzione, in MLT, tr. it. pp. 24 e sgg.; In., Hobbes's Galilean Project. Its Philosophic Interessanti 0s1-46. pp. 2015, VII, », Philosophy Modern Early in Studies «Oxford Implications, Mechanical Hobbes” Thomas BRAND, in già trovavano si servazioni sul rapporto Galilei-Hobbes cit., in part. pp. 74-75; Conception of Nature, cit., in part. pp. 77-84; PaccHI, Convenzione e ipotesi, ai debiti della fisica hobbeGarcaNnI, Hobbes e la scienza, cit., pp. 50 e sgg.; pp. 170-173. Riguardo
and the Galileian Law of Free Fall, siana nei confronti di Galileo, vedi CEES LEJENHORST, Hobbes -
of Motion in Seventeenth in PaLMERINO — Tuyssen (eds.), The Reception of the Galilean Science capitolo. prossimo nel te ampiamen torneremo Century Europe, pp. 165-184, sul quale 355. p. XVI, OG, 1635, e dicembr 1° , 3 Galilei a Fulgenzio Micanzio
— dl e
CAPITOLO
SECONDO
rimento alla traduzione di Joseph Webbe, commissionata dai Cavendish‘ e, di conseguenza, si desume che il «Signor principale Inglese», di cui parla Galileo sia William Cavendish, futuro terzo conte di Devonshire.° AI di là di questo fugace incontro, Hobbes fu profondamente influenzato dagli scritti di Galileo, come ci suggerisce un passo spesso citato della vita in versi, ricco di echi galileiane.? L'autore non solo descrive il mondo naturale come
un libro, ma
ritiene che ogni nostra
‘phantasia’ (termine
che — come sappiamo — nel lessico filosofico hobbesiano ricorre nella duplice accezione di rappresentazione sensibile e rappresentazione mentale) sia unicamente il prodotto della materia ‘agitata’ dal moto.” Non a caso, in una lettera inviata da Parigi nell'ottobre 1636, Hobbes non solo fa esplicito riferimento alle cogitazioni di Galileo presenti nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, ma suggerisce anche che i colori non siano altro che modificazioni prodotte dal movimento nel cervello del senziente.? 4 Dopo aver comunicato di essere a Londra per cercare una copia del Dialogo, la quale tuttavia risulta introvabile, Hobbes commenta:
«I heare say it is called in, in Italy, as a booke
that will do more hurt to their Religion then all the bookes have done of Luther and Caluin, such opposition they thinke is betweene their Religion, and naturall reason. I doubt not but the Translation of it will here be publicly embraced and wish extremely that Dr Webbe would hasten it». Hobbes to William Newcastle, from London, 26 january [/5 february] 1634, CH, I,
p. 19. Il testo della traduzione, in due volumi, completo ma mai pubblicato, giace in un fondo della British Library: Ms Harley 6230. 5 Vedi Franco Grupice, Echi del caso Galileo nell’Inghilterra del XVII secolo, in BUCCIANTINI — CAMEROTA — GIUDICE (a cura di), Il caso Galileo, cit., pp. 277-287; Massimo BuUccIANTINI — MrCHELE CAMEROTA — FRANCO GIUDICE, Il telescopio di Galileo. Una storia europea, Torino, Einaudi,
2012, pp. 133-159. Richard Blackbourne, nella sua biografia di Hobbes, scrive che il filosofo ebbe addirittura occasione di frequentare assiduamente Galilei a Pisa e che tra i due si instaurò una profonda amicizia (vedi BLACKBOURNE, Vitae Hobbianae Auctarium, OL, I, p. xxvm). Tuttavia il passo contiene parecchie imprecisioni: in primo luogo, Galileo in quel periodo non si trovava a Pisa, ma agli arresti nella sua villa di Arcetri. Inoltre, il presunto incontro tra i due dovette essere abbastanza fugace, dal momento che il 26 dicembre 1635, Hobbes e Cavendish si trovavano già a Roma,
alloggiati presso il Collegio inglese dei Gesuiti. Vedi SCHuHMANN, Hobbes. Une Chronique, cit., p.47. 6 Vedi HoB8Es, Vita Carmine Expressa, OL, I, p. Lxxx1x. Vedi anche supra, Introduzione.
7 Vedi Paganini, Introduzione, in MLT, tr. it. p. 28; JessePH, Hobbes, Galileo and the Book of Nature, cit., p. 202.
8 Hobbes to William Newcastle, from Paris, 16 [/26] October 1636, CH, I, p. 38. Cfr. GALI-
LEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi, OG, VII, p. 102. Il primo a individuare il riferimento di Hobbes alla prima giornata del Dialogo è stato Brandt. Vedi BranDT, Thomas Hobbes” Mechanical Conception of Nature, cit., p. 145. ° «But whereas vse the phrases, the light passes, or the coulor passes or diffuseth it selfe, my meaning is that the motion is onely in y° medium, and light and and coulor are but the effects of that motion in y° brayne». Hobbes to William Newcastle, from Paris, 16 [/ 26] October 1636, CH, I, p. 38. La posizione ‘galileiana’ di Hobbes doveva essere condivisa anche dallo stesso Sir William di Newcastle, come si desume da una lettera precedente di Hobbes allo stesso Newcastle, dove egli scriveva di condividere l’opinione del Lord che «The variety of thinges is
ML9
E
HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
Questo passo è spesso giustamente citato come un indicatore della genesi della filosofia meccanicista hobbesiana; !° tuttavia, è altrettanto signifi-
cativo sottolineare che l'affermazione di Hobbes - che i colori consistono unicamente nel movimento negli organi ricettivi del senziente — suggerisce anche la presenza di un'importante eredità galileiana. Essa rappresenta, infatti, la prima ricorrenza esplicita nel pensiero hobbesiano, della distinzione che Galileo Galilei aveva formulato ne Il Saggiatore, tra le differen-
ti qualità dei corpi: le qualità inerenti all'oggetto percepito e quelle che risiedono, invece, unicamente negli organi del senziente e che verranno catalogate da Robert Boyle come qualità primarie e qualità secondarie degli oggetti sensibili.!! La correttezza di quest’osservazione sembra essere confermata dallo stesso Hobbes, in un passo del Tractatus Opticus II, dove scrive che, riflet-
but the variety of locall motion in y° spirits or inuisible partes of bodies. And That such motion is heate». Hobbes to William Newcastle, from Paris, 29 july-8 August 1636, CH, I, p. 33.
10 Sulla genesi del meccanicismo hobbesiano, negli anni ’30 del Seicento e le prime analisi
del filosofo intorno al fenomeno della sensazione, vedi: BRanDT, Thomas Hobbes’s Mechanical
Conception of Nature, cit., pp. 143 e sgg.; PaccHI, Convenzione e ipotesi, cit., pp. 15 e Sgg.; GARGANI, i Hobbes e la scienza, cit., pp. 209 e sgg.; GIUDICE, Luce e visione, cit., pp. 134 e sgg. 11 Vedi BoyLe, The Origine of Formes and Qualities (According to Corpuscolar Philosophy) Illustrated by Considerations and Experiments, in The Works of Robert Boyle, V, cit., pp. 284-285; tr. it. in Opere, a cura di Clelia Pighetti, Torino, Utet, 1977, p. 275. Su quest'aspetto del pensiero di Boyle vedi Perer Ansrey, The philosophy of Robert Boyle, London and New York, Routledge, 2000, pp. 15-112. Kargon sosteneva che la filosofia meccanicista non avesse ‘creato’ ex-novo, la distinzione tra qualità primarie e secondarie, ma, piuttosto, avesse relegato alcune delle qualità
aristoteliche al livello delle qualità secondarie. Vedi KarcON, Atomism in England from Hariot to Newton, cit., p. 2. Come vedremo nel prosieguo del capitolo e nel cap. VI, la traduzione del linguaggio e dei concetti aristotelici per adattarli alle esigenze del meccanicismo sono elementi peculiari sia del pensiero di Galileo che di Hobbes. Sull’importanza della distinzione tra qualità primarie e secondarie in riferimento alla traduzione della realtà naturale in termini quantificabili ed esprimibili matematicamente, vedi ALISTAIR C. CROMBIE, The primary and secondary qualities in Galileo Galilei’s natural philosophy (1969), in In., Science, Optics and Music in Medieval and Early Modern Thought, cit., pp. 323-343. Sull’importanza della distinzione per la genesi della scienza moderna e la centralità de Il Saggiatore galileiano nell’elaborazione del concetto di qualità pripp. 326 marie o essenziali dei corpi, vedi GaukRoGER, The Emergence of a Scientific Culture, cit., qualità e primarie qualità tra lockiana distinzione la che osservano Leijenhorst e Sorell e sgg. è comrealtà la Hobbes, secondo poiché, hobbesiano, secondarie non sia presente nel pensiero senziente. Vedi posta solo da corpi in movimento e ogni qualità è solamente una phantasia nel Sense: Hobbes and the SoreLL, Hobbes, cit., p. 79 e CEES LEIJENHORST, Sense and Nonsense about
Companion Aristotelians about Sense Perception and Imagination, in SeRIincBORG (ed.), The Cambridge nel prosieguo) la vedremo (come senso certo un In 93. 82-108: pp. cit., Leviathan, to Hobbes's sola: la corporeità. loro intuizione è corretta, poiché Hobbes riduce le ‘qualità primarie’ a una una posizione Tuttavia, mi pare meno condivisibile l’idea secondo la quale Hobbes sosterrebbe just like perceiver the with vary extension and form apparent «that simile a quella di Berkeley: be in cannot qualities primary other and size that secondary colors such a color, which means (ibid.). either» substance external the alleged —
59=
CAPITOLO SECONDO
tendo sul fenomeno visivo, egli non poté sfuggire all’evidenza di considerare le qualità sensibili come il mero risultato di modificazioni prodotte dal movimento negli organi del senziente: Ego cum de natura diaphani cogitarem, consideravi imprimis omnem notitiam quam habere possumus qualitatum sensibilium, Uerivari ab obiectorum in organa sensum actione; sensum autem esse motum in partibus cerebri; non potui
effugere conclusionem hanc, diversitatem qualitatem sensibilium provenire a diversi
tate motuum.!? Il tema era ampiamente sviluppato già negli Elements of Law dove, venendo a trattare del senso, Hobbes metteva in guardia dall’insidia di considerare le qualità sensibili come realmente esistenti nel mondo esterno. Infatti, «poiché l’immagine visiva consistente nel colore e nella figura costituisce la conoscenza che noi abbiamo delle qualità dell'oggetto di quel senso, non è difficile per un uomo essere indotto a credere che quei medesimi colore e figura siano le qualità reali».!* Al contrario, il filosofo stabilisce quattro principi che riconducono la sensazione unicamente al movimento nel mezzo e negli organi del senziente: 1) Che il soggetto cui colore ed immagine sono inerenti, non è l'oggetto o la cosa veduta. 2) Che ciò che chiamiamo immagine o colore non è nulla di reale fuori di noi. 3) Che la detta immagine o colore è solo ciò che appare a noi di quel movimento, agitazione o alterazione che l’oggetto opera nel cervello o negli spiriti, o in qualche sostanza interna del capo.
12 HoB8Es, TO II, cap. I, $ 23, f. 203r, p. 159 (corsivo mio). Vedi anche ivi, cap. IV, $ 16:
«Cum autem id quod propter apparentiam externam appellatur Color, aliud non sit realiter prater motum internum in partibus a fundo oculi ad Cor (in quo origo est omnis sensionis) propagatum, sequitur diversitatem colorum apparentium aliud non esse praeter diversitatem illorum motuum» (f. 2497, p. 209). «Motus enim perveniens sine mistione ad oculum sanum,
candidissimum phantasma excitat quam vocamus albedinem, idem motus propagatus per corpuscola ex quibus constant nubes atque inde reflexus et refractus varie producit alias species veluti Rubrum, pallidum, caeruleum, flavum, et colores alios», ibid. Vedi anche: ivi, cap. IV, $ 60,
f. 265v, pp. 226-227.
15 Ho888s, EL, Part I, cap. II, $ 4, p. 3; tr. it. pp. 13-14. Cfr. in proposito anche quanto scrive l’autore dello Short Tract: «Light, Colour, Heate, and other proper obiects of sense, when they are perceiv'd by sense, are nothing but the severall Actions of Externall things upon the Animal spirits, by severall Organs. and when they are not actually perceiv’d, then they be powers of the Agents to produce such actions. For if Light and heate were qualityes actually inherent in the species, and not severall manners of action, seing the species enter, by all the organs, to the spirits, heat should be seene, and Light felt. contrary to Experience». HoBBESs (?), Court traité des
premiers principes, cit., p. 44. Questo passo è un'ulteriore conferma dell’interesse nei confronti di Galileo da parte dei frequentatori del circolo di Newcastle.
HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
4) Che, così come nel caso del concetto visivo anche nel caso dei concetti derivanti da altri sensi, il soggetto cui ineriscono non è l’oggetto, ma il senziente.!4
Nel prosieguo dell’argometazione, Hobbes riprendeva l’idea espressa nella lettera al Newcastle, che il colore non sia altro che luce alterata!” e applicava lo stesso ragionamento al suono e agli altri sensi. Così «il calore che percepiamo nel fuoco è evidentemente in noi, ed è molto diverso dal calore che si trova nel fuoco. Infatti il nostro calore è piacere o dolore, a seconda che sia eccessivo o moderato; ma nel carbone non vi sono cose del genere».!° La
conclusione che ne trae il filosofo è: [Qualunque sorta di accidenti o qualità i nostri sensi ci inducano a pensare che esistano nel mondo, in realtà non vi si trovano, ma sono solo sembianze ed
apparimenti. Le cose che realmente si trovano nel mondo esterno sono quei movi-
menti, dai quali quelle sembianze sono causate.!”
Un’argomentazione pressoché identica, con lo stesso esempio del calore e del carbone, è presente anche nel Tractatus Opticus I!5 e questa ricorrenza è tutt'altro che casuale, perché la trattazione hobbesiana presenta profonde analogie con il passo de Il Saggiatore, nel quale Galileo esponeva il principio del carattere soggettivo delle cosiddette qualità secondarie. Lo scienziato italiano divideva, infatti, le qualità in due categorie: quelle che ineriscono direttamente all'oggetto percepito e le qualità che sono, invece, manifestazioni che si sviluppano unicamente negli organi di senso del percipiente e sono determinate, quindi, dalle conformazioni fisiche dell'oggetto, ovvero
dalle prime qualità. L’argomentazione galileiana si sviluppava a partire dall’affermazione
presente nella Libra Astronomica del suo critico Lotario Sarsi (alias il gesuita 14 Ivi, p. 4; tr.it. pp. 14-15. Sull’importanza de Il Saggiatore per lo sviluppo della concezione Conmeccanicista della visione, proposta da Hobbes vedi BRANDT, Thomas Hobbes's Mechanical
MéÉpDINA, Nature de la ception of Nature, cit., p. 80; PACCHI, Convenzione e ipotesi, cit., pp. 74 e Sgg.
lumière et science de l’optique chez Hobbes, cit., pp. 41-42.
XXV, 10, OL, I, 15 Vedi HoBBEs, EL, Part I, cap. II, $ 8, p. 6; tr. it. p. 17. Cfr. In., De Corpore,
p. 329; tr. it. p. 389; ivi, XXVII, 13, p. 374; tr. it. p. 433. 16 Ip., EL, Part], cap. II, $ 9, p. 7; tr. it. p. 18 (corsivo mio). 17 Ivi, $ 10, p. 7; tr. it. pp. 18-19 (corsivi miei). suo loco 18 «Item dum carbo ignitus calefacit hominem, etsi neque carbo neque homo in carbone, quod subtilis corporis sive materiae aliquid tamen est moveatur, ideo neque exeat, moto homine stante immoto, movetur, et motum ciet in medio usque ad hominem; et est in
hominis internis est aliquis in partibus internis inde generatus. Motus autem hic in partibus' igniti, est calefieri, hoc est pati; et motus ille qui est in partibus carbonis
calor; et sic moveri, TO I, OL, V, p. 217. actio ejus, sive calefactio; et sic moveri, calefacere». In.,
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SECONDO
Orazio Grassi), il quale, sulla scorta di un luogo del De Caelo,!? sostene-
va — d’accordo con lo Stagirita — che l’aria che circonda i proiettili scagliati a gran velocità si trasformasse in fuoco.?® Nel rispondere al suo interlocutore, Galileo sfoggiava il suo nutrito armamentario retorico e scientifico. In primo luogo, egli dichiarava di dubitare fortemente che, a proposito di ciò che chiamiamo caldo, «in universale ne venga fo*?mato concetto assai
lontano dal vero, mentre vien creduto esser un vero accidente affezzione e qualità che realmente risegga nella materia dalla quale noi sentiamo riscaldarci».?! Nel prosieguo, il Pisano esponeva la famosa teoria ripresa da Hobbes negli Elements: gli uomini sono propensi a credere che il calore, l'odore e ogni altra azione degli oggetti esterni sul senziente siano qualità inerenti ai corpi, mentre invece, consistono solamente nelle manifestazioni
soggettive dell'interazione dell'oggetto percepito con gli organi ricettivi del senziente; un'interazione che si esprime unicamente in termini di materia e movimento. Infatti, a proposito di ogni «materia o sostanza corporea»,
Galileo dichiarava di essere costretto a ritenere che essa fosse «terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch'ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni».? Al contrario — proseguiva il Pisano — «ch’ella debba essere bianca o rossa, amara 0 dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi
forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o
l'immaginazione per se stessa non v’arriverebbe già mai».?4 La conseguen19 «[...]i proiettili, i quali s'infuocano a tal punto che il piombo in essi si fonde; e se s’in-
fuocano questi, lo stesso sarà necessariamente anche dell’aria che li circonda. Questi corpi,
dunque si riscaldano essi stessi, per il fatto che si muovono nell’aria, la quale diventa fuoco per l’effetto dell’attrito prodotto dal movimento». Vedi ArisrorELE, De Caelo, Il, 289a, pp. 24 e sgg. 20 Vedi Lotario Sarsi (alias: Orazio Grassi), Libra Astronomica ac Philosophica (1619), in
OG, VI, p. 162.
21 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p. 347.
22 Anna Minerbi Belgrado ha sottolineato la presenza della distinzione tra qualità ‘primarie’ e ‘secondarie’ negli Elements of Law, vedi MineRBI BELGRADO, Linguaggio e mondo in Hobbes, cit., pp. 11-13; Sull'argomento ha speso interessanti osservazioni anche Malcolm: vedi: MatCOLM, Robert Payne, the Hobbes Manuscripts, and the “Short Tract”, cit.., pp. 122 e sgg.; In., Hobbes
and Spinoza, in In., Aspects of Hobbes, cit., pp. 27-52: 29. Vedi anche PETER R. AnsTEY, The Theory of Material Qualities, in In. (ed.), The Oxford Handbook of British Philosophy in the Seventeenth Century, cit., pp. 240-260: 248-250. 23 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, pp. 347-348, corsivi miei. sulbid.
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PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
za che ne traeva Galileo è di fondamentale importanza, perché costituisce uno dei capisaldi della scienza moderna: Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori; etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso l’animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualità; tuttavolta però che noi, sì come gli abbiamo imposti nomi particolari e differenti da quelli de gli altri primi e rea-
li accidenti, volessimo credere ch’esse ancora fussero veramente e realmente da
quelli diverse.?° Galileo sosteneva che solo alcune qualità potessero essere considerate ‘essenziali’ ai corpi; altre sono, invece, «puri nomi»,
e hanno una dimen-
sione unicamente soggettiva.?° Egli specificava, inoltre, quali sono questi elementi: «grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci», cosicché «tolti via gli orecchi le lingue e i nasi, restino bene le figure, i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dell’animal vivente non credo che sieno altroché nomi, come a punto altro che
nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l’ascelle e la pelle intorno al naso».?” Sebbene sia stato osservato che la dicotomia radicale sviluppata da Galileo — che differenzia qualità primarie e secondarie — richiami la distinzione aristotelica tra sensibili propri e comuni, tuttavia, nella dimensione epistemologica del Pisano, essa assume una portata radicalmente differente, perché fondata sulla sua concezione della materia che è elemento fondante del meccanicismo.
L’analogia concettuale tra l’argomentazione hobbesiana e quella galileiana è evidente ed è ragionevole ritenere che Hobbes avesse ben presente la pagina de Il Saggiatore quando stese gli Elements of Law, sebbene l’unica opera di Galileo citata nel testo sia il suo «first dialogue concerning local 25 Ibid.
TO II, dove sostie26 L'espressione galileiana è ripresa quasi letteralmente da Hobbes, nel
MÉDINA, ne che le species siano «nihil nisi verba». HoBBEs, TO II, cap. I, $ 10, f. 197v, p. 151. Vedi Le traité d’optique, in HoBBEs, De l’Homme, cit., p. 131 e nota. 27 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p. 350.
, Pars 1, quae28 Vedi AristoTELE, De Anima, II, 6, 418a 8-22; Tommaso, Summa Theologiae CromBIE, The priGalileo: e ica co-scolast aristoteli e distinzion la tra rapporto Sul 3. art. 78 stio R. SHEA, Galileo's mary and secondary qualities in Galileo Galilei’s natural philosophy, cit.; WiLLiam interessanti osservazioni Atomic Hypothesis, «Ambix», XII, 1970, pp. 13-27: 23-24. Vedi anche le or. 1983, pp. 66 e di Redondi (Pierro RepoNDI, Galileo eretico, Roma-Bari, Laterza, 2009 (ed. secundae. e primae s sgg.) su Ockham e la distinzione tra intentione
CAPITOLO SECONDO
motions»,?° ossia la prima giornata dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638).9°
2. ACCIDENTI ‘ESSENZIALI
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La riduzione delle qualità secondarie dei corpi all’azione del movimento sugli organi del senziente, presente negli Elements, venne riproposta anche nel quasi coevo Tractatus Opticus I.°! Tuttavia, è importante sottolineare un'evoluzione interna al sistema filosofico hobbesiano che si articola a partire dalle considerazioni sviluppate nel De motu, loco et tempore. Conformemente alla sua impostazione generale, negli Elements of Law, Hobbes indica che gli unici elementi contemplati dalla sua filosofia per rendere ragione dei fenomeni naturali sono la materia e il movimento, senza ulteriori determinazioni circa le qualità che Galileo considerava inerenti ai corpi,
cioè la grandezza, la figura e il numero. La problematica è ripresa nel De motu, loco et tempore dove Hobbes sviluppa alcune interessanti considerazioni in riferimento al concetto di materia ed elabora una dicotomia fondamentale del reale, distinguendo tra corpo e accidente. Poiché i generi delle cose sono due, dei quali uno è stato definito da Aristotele, tò dv, cioè ente, l’altro tò siva, cioè essere, non si può concepire alcun passaggio dal primo, cioè dall'ente, al non ente; pertanto tutti i filosofi pensano che sia impossibile che gli enti possano perire assolutamente per un potere ordinario. [...] Pertanto vengono prodotti e periscono assolutamente non gli stessi enti, ma i loro atti, leforme e gli
accidenti, per i quali si distinguevano dagli altri enti.5?
Secondo il pensatore, corpo è ciò che può essere concepito come «fornito di dimensioni, ovvero che occupa uno spazio immaginario» #* e questa 2° HoBBEs, EL, part. I, cap. VIII, $ 1, p. 33.
30 Nel capitolo VIII, $ 2, della parte I, Hobbes scrive: «I suoni che differiscono di qualche altezza, piacciono per l’alternanza dell’eguaglianza e della disuguaglianza, vale a dire, la nota più alta colpisce due volte per ogni suono dell’altra, per cui esse colpiscono insieme ogni due volte; come è ben provato da Galileo nel primo dialogo riguardante i moti locali, dove egli dimostra anche che due suoni differenti di una quinta dilettano l'orecchio mediante un’uguaglianza di percussione dopo due ineguaglianze». HoBBes, EL, pp. 32-33; tr. it. pp. 56-57. Cfr. GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 147.
31 Vedi HoBB£s, TO I, OL, V, pp. 220-221. 32 HoBBEs, MLT, XXXV, 2, pp. 387-388; tr. it. p. 587 (corsivi miei).
53 Ivi, XXVII, 1; p. 312; tr. it. pp. 462-463. Sulla problematica dell’identificazione del corpo con l’ens 0, ciò che occupa uno spazio immaginario, e sulla distinzione concettuale ensessentia, vedi PicHARMAN, Le vocabulaire de l’étre dans la philosophie première: ens, esse, essentia,
“Ra
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DI FILOSOFIA
GALILEIANA
nozione è indissolubilmente legata a quella di materia, di cui Hobbes eredita un concetto democriteo e lucreziano, come apparirà ancor più chiaramente dal De Corpore. Egli considera, infatti il corpo e la materia come «nomi della stessa cosa, considerati tuttavia sotto diversi punti di vista; la stessa cosa considerata in quanto esiste viene detta semplicemente corpo, con-
siderata in quanto suscettibile di una nuova forma, o di una nuova figura viene chiamata materia». Il filosofo ritiene che esista un'unica materia che, secondo le sue stesse parole, è «materia di tutte le cose». La materia presenta dunque lo stesso statuto ontologico degli universali: è un puro nome; ma è molto significativo che Hobbes identifichi il corpo con la materia, che può essere concepita come la mera corporeità o materialità del corpo. Essa non è, quindi, una realtà sussistente di per sé, né tantomeno
un qualsiasi ente che popola il mondo fisico ma, piuttosto, il frutto di un processo di astrazione da parte delle facoltà umane che, isolando la realtà del corpo in quanto tale, concepiscono esclusivamente la sua materialità. Tuttavia, questa materia, la quale di per sé non possiede alcuna determinazione,
è caratterizzata da alcuni attributi, o connotati peculiari: gli
accidenti, che rappresentano il secondo genere di elementi cui faceva riferimento Aristotele, con la distinzione tra ente ed essere. Questo secondo
genere di realtà concettuali è fondamentale, perché è ciò che permette di concepire gli enti singolari: i corpi, con le loro determinazioni: ?” cit., pp. 35 e sgg. Sulla distinzione spazio reale-spazio immaginario e le rispettive relazioni che questi due concetti hanno con la nozione fondamentale della filosofia hobbesiana, quella di corpo, vedi Jean BERNHARDT, Grandeur, substance et accident: une difficulté du De Corpore, in ZARKA — BENRHARDT (eds.), Thomas Hobbes. Philosophie première, théorie de la science et politique, cit., pp. 39-46; SCHUHMANN, Le vocabulaire de l’espace, cit. 34 Ho8Bes, MLT, XXVII, 1, p. 312; tr. it. p. 463.
35 «Per comprendere più facilmente che cosa sia la materia prima, si deve sapere in primo luogo che corpo e materia e materiale, cioè qualunque cosa occupi lo spazio che immaginiamo, sono
la stessa cosa. Considerata per se stessa [simpliciter] questa cosa si chiama corpo, materia invece
quando viene paragonata con ciò da cui è stata prodotta. Simpliciter, il legno viene detto corpo, ma lo stesso legno, in quanto da esso viene fatto uno scanno, è detto materia dello scanno. Quindi deve essere presa in considerazione la materia quando è sottoposta a pochi mutamenti, in modo che da essi si comprenda che cosa sia la materia di tutte le cose», ivi, VII, 3, p. 147; tr. it. p. 199.
36 Vedi PECHARMAN, Le vocabulaire de l’étre dans la philosophie première: ens, esse, essentia, cit., pp. 41 e sgg. 37 Il concetto hobbesiano di accidente è stato ampiamente trattato e ne sono state fornite interpretazioni discordanti, alcune più ‘fenomeniste’, altre maggiormente ‘realiste’ (avremo la modo di tornarci nel prosieguo del paragrafo). Vedi: MALHERBE, Thomas Hobbes ou l’oevre de
45raison, cit., pp. 76 e sgg.; ID., Hobbes et la doctrine de l’accident, «Hobbes Studies», 1, 1 988, PP.
62; LeenHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit., pp. 155-162; LupoLi, Nei limiti della
cit., pp. 221 e materia, cit., pp. 101-138; PAGANINI, Skepsis. Le débat des modernes sur le scepticisme,
sgg.; MiLanese, Philosophie première et philosophie de la nature, cit., pp. 53-54, 209.
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SECONDO
Ne risulta che l’essere non è altro che un accidente del corpo, mediante il quale
viene determinato e contraddistinto il modo con il quale lo concepiamo. Perciò essere mosso, riposa, diventare bianco e simili li chiamiamo accidenti dei corpi e pensiamo che si trovino nei corpi, poiché sono diversi i modi con i quali concepiamo
i corpi.55 ‘% »
Tuttavia, «gli accidenti, le essenze e le forme, a eccezione della corporeità, vengono prodotte e periscono ogni giorno» *° e sono, quindi, le proprietà transeunti dell'unica materia.4° Hobbes sembra estremizzare, nel De motu,
loco et tempore, la posizione elaborata da Galileo ne Il Saggiatore: attraverso una soluzione dicotomica che contempla la divisione del reale in due generi di enti distinti, egli sembra restringere l'insieme delle qualità primarie dei corpi concepite da Galileo a una sola: la corporeità.?! Nondimeno, a partire da una considerazione presente in un passo dello stesso De motu, secondo la quale l’accidente è il modo di concepire il corpo, il filosofo venne a riflettere sulla problematica e già in un’abbozzo del De Corpore relativo al 1644 circa, egli elaborava una soluzione più articolata del problema, proponendo una differenziazione interna agli accidenti, sulla scorta della definizione di accidente fornita da Aristotele, che aveva già richiamato nel De motu, loco et tempore.4* Il pensatore riprendeva qui la distinzione fondamentale tra corpo e accidente, riferendosi al primo come «qualsiasi cosa che non dipende dal nostro pensiero e coincide o è coesteso con una qualche parte dello spazio»; mentre «un accidente non è una parte delle realtà naturali. È la maniera (modus) di concepire un corpo, o grazie al quale un corpo è concepito». 38. HoBBEs, MLT, XXVII, 1, p. 313; tr. it. p. 464. 39. Ivi, p. 314; tr. it. p. 466. 40 Hobbes suggerisce più volte nel corso dell’opera che questa materia, ingenerabile e incorruttibile debba essere necessariamente eterna. Vedi per esempio MLT, V, 3, p. 130; tr. it.
pp. 172-173; dove Hobbes sostiene anche che «la materia in cui consiste la natura del corpo non perisce, come un fiasco di vino versato nell'oceano non smette di essere un corpo, pur cessando di essere vino», ivi, p. 130; tr. it. p. 173. 41 A tal proposito vedi PagANINI, Introduzione, in tr. it. MLT, p. 64. Sulla ‘corporeizzazione’ del concetto aristotelico di sostanza in Hobbes vedi THomas A. SpRAGENS, The Politics of Motion.
The World of Thomas Hobbes, London, Croom Helm, 1973, pp. 77 e sgg. 4. Vedi Ho8BEs, MLT, XXVII, 1, p. 313; tr. it. p. 464. 4 Tom Sorell sottolinea la radicale differenza tra la posizione hobbesiana e la concezione aristotelica di sostanza e accidente, vedi SorELL, Hobbes, cit., pp. 51-52. 44 «Corpus is whatsoever not depending our cogitation, is coincident or coextended with any part of space» e «An accident is not a part of natural things. It is the manner (modus) of conceiving a body or according to which a body is conceived». HoBBEs, De Principiis (National Library of Wales, Ms 5297), Appendice II, MLT, p. 452.
Pes
ea
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DI FILOSOFIA
GALILEIANA
La sua argomentazione si soffermava, però, su di una partizione interna
alla seconda categoria: Aristotle's definition (Accidens inest in subjecto non tamquam pars sic tamen ut sine subjecti interitu abesse potest) is right save that some accidents may not be from the body without the destruction thereof, for a body cannot be conceived
without extension and figure. Other accidents which are not common to all bodies but proper to some as rest, motion, colour, hardness etc. do continually perish, | others succeeding, so as the body never perishes."
Gli accidenti non sono propriamente contenuti nei corpi; ‘° ma la mutazione, o cambiamento, di un corpo è determinato dalla sussistenza o meno di determinati accidenti.4” Hobbes ribadiva, inoltre, che vi fosse una mate-
ria che permane nonostante ogni modificazione e, addirittura, distruzione cui è soggetto un corpo: questa materia è detta, secondo la tradizione filosofica aristotelica, materia prima.* Tuttavia, come ha sottolineato Schuhmann,# vi sono alcuni accidenti i quali non possono essere rimossi attraverso un processo di astrazione,
senza concepire, al contempo, anche la distruzione del corpo. Gli accidenti individuati da Hobbes come assolutamente inscindibili dal corpo sono l’estensione e la figura ed è superfluo ribadire che la grandezza e la figura erano 45 Ivi, p. 453. 46 Hobbes chiariva che l’espressione ‘accidentia in corpore inesse’ potesse essere fuorviante, perché suggerisce la presenza di qualità all’interno dell'oggetto: «When we say accidentia in corpore inesse, it must to be understood as if something were contained in the body: for example, as if redness were in blood as blood is in a bloody cloth i.e. ut pars in toto, for so an accident were also a body; but as magnitude, rest, motion etc. in that which is magnum,
quiescens, motum, so every other accident is in his subject», ivi, p. 453. Questo passo è riportato quasi letteralmente nella versione definitiva del capitolo VIII del De Corpore, vedi OL, I, pp. 9293; tr. it. pp. 156-157. 47 «The production or destruction of any accident is the cause that the subject is said to be changed, but only of the form that is said to be generated or corrupted (destroyed)». HoBBES,
De Principiis (National Library of Wales, Ms 5297), Appendice II, MLT, p. 457.
48 «The common matter of all things which the philosophers call material prima is not a distinct body from all other bodies nor one of them but a name only, signifying a body to be considered without considering any form or any accident except only magnitude or extension and aptitude to receive form and accident. So as material prima is corpus universale i.e. a body considered universally whereof it cannot be said that there is no form or no accident, but in which it may be said no form or accident besides quantity and aptitude to receive form or accident is considered i.e. brought into argument or account», ibid. Cfr. ARISTOTELE, De generatione
et corruptione, I, 5 320 b; Metafisica, E, 1029 b. questi 49 Vedi SCHUHMANN, Le vocabulaire de l’espace, cit., pp. 75-76, il quale sottolinea che ‘galimatrice la indicare tuttavia, senza locale, moto il e accidenti siano la grandezza, l'estensione
leiana’ di questi concetti.
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SECONDO
proprio due delle qualità che Galileo aveva indicato ne Il Saggiatore come qualità essenziali dei corpi.” Il rapporto che Hobbes istituisce tra il concetto di corpo e i due accidenti dell'estensione e della figura è fondamentale in relazione alla concezione che egli elabora di filosofia;?! ma, per sviluppare il tema in maniera esaustiva dobbiamo tornare alla relazione che Hobbes aveva istituito tra questi due elementi nel De motu, loco et tempore. Nonostante avesse fornito, nel capitolo I, una definizione estremamente formale e razionalistica della filosofia,’ nel capitolo XXVII — dove Hobbes distingueva tra enti immaginabili ed enti che non rientrano nel dominio della speculazione filosofica (escludendo così dal campo d’indagine Dio e gli altri enti che sono definiti incomprensibili) — il pensatore sosteneva che la filosofia si applicasse allo studio degli enti immaginabili e, quindi, comprensibili. È dunque ente in questo senso tutto ciò che occupa uno spazio, ovvero ciò che può essere stimato in lunghezza, larghezza e profondità. Da questa definizione appare chiaro che ente e corpo sono la stessa cosa [...]. ora il corpo è ciò che è fornito
di dimensioni, ovvero che occupa uno spazio immaginario.?* La perfetta coincidenza di ente e corpo è alla base della filosofia materialista di Hobbes, il cui oggetto di indagine sono, appunto, i corpi. Tuttavia, è importante sottolineare la definizione di corpo come ciò che ha la possibilità di occupare uno spazio immaginario: ?* la condizione di oggetto che occupa uno spazio immaginario è, infatti, ciò che permette la pensabilità del corpo stesso, poiché è ciò che consente di distinguerlo dalla materia prima e funge, perciò, da principium individuationis.?? Perciò, nella versione definitiva del De Corpore, nel capitolo VIII, il quale si occupa, specificamente, di corpo e accidente, Hobbes — sebbene ribadisse che l'affermazione: l’accidente è in un corpo non dovvesse essere accettata 50 Per questo motivo, ritengo che l’indicazione suggerita da Sorell e Leijenhorst sia solo parzialmente corretta e debba essere interpretata alla luce di queste ulteriori considerazioni, in merito agli accidenti ‘essenziali’ ai corpi. 71
Vedi JEAN TERREL, Hobbes. Matérialisme et politique, Paris, Vrin, 1994, pp. 72 e sgg.
52 La filosofia è definita come «la scienza dei teoremi generali ovvero di tutti gli universali in qualunque materia, la cui verità può essere dimostrata con la ragione naturale». HoBBES, MLT, I, 1, p. 105; tr. it. p. 129.
93 Ivi, XXVII, 1, p. 312; tr. it. pp. 462-463 (corsivi miei). 54 Vedi MALHERBE, Hobbes et la fondation de la philosophie première, cit., pp. 21-23. 55 Vedi MineRBI BELGRADO, Linguaggio e mondo in Hobbes, cit., p. 63.
nec. A0Ù, Ja
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PRINCIPI
DI FILOSOFIA
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«come se nel corpo fosse contenuto qualcosa» 5 — nondimeno, riteneva opportuno sviluppare la problematica in maniera più esaustiva rispetto alle opere precedenti. Richiamando l’adagio aristotelico, secondo il quale l’accidente non è nel soggetto come una parte, ma «in modo tale che, tuttavia, non può staccarsene senza la distruzione del soggetto»,’” egli affermava che questa definizione «è giusta unicamente perché alcuni accidenti non possono staccarsi dal corpo senza la sua distruzione, giacché il corpo non può assolutamente essere concepito senza estensione e senza figura».?* Nel prosieguo, Hobbes inseriva un ulteriore chiarimento che è estrema-
mente significativo: E poiché a qualcuno può sembrare che non tutti gli accidenti sono nei loro corpi [inesse], come sono l'estensione, il moto, lo stato di quiete o la figura; ad esempio, il colore, il calore, l’odore, la virtù, il vizio e simili, una cosa è l'essere in [inesse nell'originale], (come dicono), altro è l’inerire [inhaerere]; vorrei che
egli sospendesse, per il momento, il giudizio intorno alla cosa e aspettasse un poco, finché con il ragionamento sia stato ricercato se questi stessi accidenti non siano, essi stessi, un certo moto, o della mente che percepisce, o degli stessi
corpi che sono percepiti. Infatti investigare ciò, è la gran parte della Filosofia naturale .??
Il pensatore sembra suggerire qui che la figura e l'estensione, sebbene siano accidenti essenziali ai corpi — nel senso che se rimossi viene a perire anche il corpo stesso — tuttavia, non presentano affatto uno status ontologicamente particolare, che li distingue dagli altri accidenti.’ Ogni accidente rappresenta una modificazione sensorialmente percettibile dei movimenti interni cui è soggetto il corpo, che vengono trasmessi diret-
tamente, 0 attraverso il mezzo, al soggetto percipiente. Nondimeno, nel paragrafo successivo Hobbes proponeva un ulteriore chiarimento, concernente l'estensione: L'estensione di un corpo è la stessa cosa che la sua grandezza, o ciò che alcuni chiamano spazio reale. Tuttavia la grandezza non dipende dal nostro pensiero, come lo spazio immaginario: questo, infatti, è un effetto di quella, la grandezza
56 HoBBEs, De Corpore, VIII, 3, OL, I, p. 92; tr. sin
oa:
57 Ibid. Hobbes cita, non letteralmente, da ArisroTELE, Metafisica, E, 2, 1026b.
58 Ho88Es, De Corpore, VIII, 3, OL, I, pp. 92-93; tr. it. pp. 156-157.
59 Ivi, p. 93; tr. it. p. 157 (tr. modificata). Hob60 Sul concetto di accidente in Hobbes vedi Micanese, Principes de la philosophie chez a quella bes, cit. in part. pp. 209 e sgg,, il quale propone un’interpretazione alternativa rispetto ‘fenomenistica’. Vedi anche TERREL, Hobbes, Matérialisme et politique, cit., pp. 73-75.
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SECONDO
ne è la causa; questo è un accidente della mente, mentre quella è un accidente del corpo che esiste fuori della mente.” Ancora, venendo a definire lo spazio e il luogo, il filosofo scriveva che
quest’ultimo «non è niente fuori della mente e la grandezza non è niente nella mente; [...] il luogo è un'estensione finta, la grandezza un'estensione vera, ed il corpo collocato non è un'estensione, ma una cosa estesa».
Hobbes riconduce quindi ogni accidente al movimento provocato dall’azione dell'oggetto sul percipiente; tuttavia, al particolare accidente dell’estensione, il quale altro non è che il nostro modo di percepire la grandezza del corpo, corrisponde esattamente una proprietà reale del corpo, quello di essere esteso, cioè delimitato nella sua ‘magnitudo’. In questo orizzonte, è perciò fondamentale il concetto di accidente, che è elemento cardine della filosofia hobbesiana. Secondo la definizione fornita nel I capitolo del De Corpore, l’oggetto d’indagine della filosofia è, infatti, «qualunque corpo di cui si può concepire una generazione e di cui si può istituire un confronto con altri corpi [...] cioè ogni corpo di cui si può intendere che è generato e che ha qualche proprietà».° Tuttavia, è palese — da quanto è stato evidenziato sopra — che la nozione di corpo implica necessariamente l’esistenza di una grandezza estesa,°* di una particolare magnitudo, che funga da principium individuationis e permetta di identificare il corpo nella sua individualità. Già nel De motu, loco et tempore Hobbes aveva collocato il principium individuationis sia nella materia che nella forma,
conferendo, però, a
questi termini un significato diverso rispetto a quello che attribuiva loro la tradizione aristotelica: qui il concetto di forma coincideva, infatti, con
quello di figura. Nel De Corpore il filosofo riprende la problematica sostentendo che «l’accidente per il quale imponiamo ad un corpo un determninato nome, o l’accidente che denomina il suo soggetto si è soliti chia61 Ibid., con modifiche.
62 Ivi, VIII, 5, p. 94; tr. it. pp. 157-158. 63. [Wi:18,0L,.1, puo;.trit p.ize.
64 L'aspetto è stato sottolineato soprattutto da SCHUHMANN, Le vocabulaire de l’espace, cit., pp. 72 e sgg.
65 «Ora, se si esamina singolarmente qualcosa, il cui nome significa una materia determi-
nata, senza tenere alcun conto della forma, l’identità dell’oggetto viene derivato dall’identità
della materia. Se invece il nome significa una forma determinata, senza tenere alcun conto della materia se non in quanto qualche materia viene necessariamente richiesta per la forma,
l'identità della cosa è determinata dall’identità della forma». HoBBES, MLT, XII, 2, p. 190; tr. it. p. 269.
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marlo essenza» é indica, come esempio, proprio l’estensione che è «essenza del corpo».99 Il concetto di corpo è, dunque, inscindibilmente legato all’attributo dell'estensione, che non è altro se non il nostro modo di concepire la grandezza di quel corpo. Questo attributo si rivela, perciò, essenziale nella filosofia di Hobbes, la quale è definita dal pensatore proprio come una scienza dei corpi. Da queste riflessioni emerge abbastanza chiaramente che la speculazione hobbesiana sulla natura dei corpi e degli accidenti — che si sviluppa in maniera sempre più articolata dagli Elements of Law sino al De Corpore — ha sullo sfondo le indagini di Galileo Galilei e la distinzione istituita dal Pisano tra qualità essenziali dei corpi e qualità che risiedono unicamente nel senziente.
3. CORPI, ACCIDENTI E CAUSE
L'esistenza di alcuni accidenti che Hobbes considera ‘essenziali’ dei corpi e la coincidenza di questi accidenti con le qualità che Galileo considerava inscindibili dall’essenza stessa del corpo, ci inducono a rivolgere l’attenzione
proprio all'elaborazione hobbesiana del concetto di corpo. Già nel XXVII capitolo del De motu, loco et tempore, Hobbes rilevava una
perfetta coincidenza dei concetti di ente e corpo, poiché il filosofo considera ente: «tutto ciò che occupa uno spazio, ovvero ciò che può essere stimato in lunghezza, larghezza, profondità».9” Il concetto di corpo presente nell’VIII capitolo del De Corpore si rivela estremamente denso di significato filosofico e acquisisce connotati che, seppur latenti, non erano chiaramente espressi dal De motu. Il filosofo viene a definire il corpo, come ciò che «non solo occupa una parte dello spazio», ma anche come «qualcosa che non dipende dalla nostra immaginazione»: E questo è ciò che, per l'estensione, si è soliti chiamare corpo: per l’indipendenza dal nostro pensiero, sussistente per sé e, per il fatto che sussiste fuori di noi, esistente; da ultimo, poiché sembra che sia collocato e supposto in uno spazio immaginario, in modo tale che non con i sensi, bensì con la ragione soltanto si
intende che c’è qualcosa, supposto e soggetto. Perciò, la definizione del corpo è la seguente: il corpo è ciò che, non dipendendo dal nostro pensiero, coincide o si coestende
con una parte dello spazio.98
66 Ip., De Corpore, VIII, 23, OL, I, p. 104; tr. it. p. 167.
67 Ip., MLT, XXVII, 1, p. 312; tr. it. p. 462. 68_Ip., De Corpore, VIII, 1, OL, I, pp. 90-91; tr. it. p. 155.
CAPITOLO
SECONDO
Come è stato ampiamente osservato, definendo il corpus come suppositum e subjectum, Hobbes vuole suggerire una natura duplice del concetto: da un lato, come sostanza che soggiace agli accidenti e, dall’altro, quale elemento sì congetturato, ma ‘non dependens a nostra cogitatione’. Questa definizione di corpo, come ciò che non dipende dal.nostro pensiero e sussiste di per sé, non solo offre uno spunto fondamentale per una corretta valutazione dell’entità del materialismo di Hobbes (contro le interpretazioni eccessi-
vamente razionaliste della sua filosofia),7° ma ci invita anche a esaminare la
realtà dei fenomeni empirici alla luce della nozione stessa di corpo. Sin dalle prime riflessioni spese nel dominio della filosofia naturale, Hobbes ha sempre considerato ogni fenomeno fisico unicamente come il prodotto dell’interazione tra corpi.”! A quest'idea è associata la rielabo-
razione hobbesiana del concetto di causa,” presente nel De motu, loco et
tempore e ripresa nel De Corpore. Nel XXVII capitolo del De motu, Hobbes sosteneva l’infondatezza dei concetti aristotelici di causa finale e causa formale.?? Di contro, il filosofo proponeva la nozione di causa integrale, che era indicata qui semplicemente come «uno o più atti per mezzo dei quali un
altro atto viene prodotto o distrutto».74 Essa è definita più chiaramente nel 69 Vedi: PaccHI, Convenzione e ipotesi, cit., pp. 89 e sgg.; SCHUHMANN, Le vocabulaire de l’espace, cit., p. 73; PAGANINI, Skepsis. Le débat des modernes sur le scepticisme, cit., p. 213. 70 In particolare sono stati i neokantiani, come Cassirer, a indicare la presenza nella filosofia hobbesiana di una frattura netta tra il mondo empirico dei corpi e l’ipoteticismo del discorso scientifico, per cui tra i due ambiti pare «spezzato ogni collegamento». ERNST CAssIRER, Storia della filosofia moderna (Das Erkenntnisproblem), Torino, Einaudi, 1953 (ed. or. 1906), 4 voll., 9 tt., II, t. 1, p. 77. Sull'argomento vedi anche le osservazioni di Malherbe: MALHERBE,
Hobbes et la fondation de la philosophie première, cit., p. 24. Per un quadro critico delle interpretazioni neo-kantiane del materialismo di Hobbes vedi ArnauD
MILANESE, Le matérialisme de
Hobbes en questions: la critique du matérialisme et la réception de Hobbes depuis l’École de Marbourg, in BERTHIER — MILANESE (eds.) Hobbes et le matérialisme, cit., pp. 91-109.
71 Vedi Ho88Es, TO I, OL, V, p. 217.
72 Su questo argomento è interessante e condivisibile la trattazione di Leijenhorst. Vedi LEMJJENHORST, La causalité chez Hobbes et Descartes, cit., in part. pp. 118 e sgg. 73 Vedi HoBBEs, MLT, XXVII, 2, pp. 314-316; tr. it. pp. 466-469. Tuttavia, per ciò che concerne il concetto di causa finale, dobbiamo osservare che Hobbes inserisce il concetto nell’ambito
della sua antropologia, dove si traduce comunque in termini meccanicisti (essendo contemplato fisiologicamente come causa efficiente). Barnouw ritiene, invece, che l’interpretazione hobbesiana della sensazione sia lungi dall'essere rigorosamente meccanicista. Vedi JEFFREY Barnouw, Hobbes's Causal Account of Sensation, Journal of the History of Philosophy», XVIII, 2 (April 1990), pp. 115-130 (vedi anche In., Respice Finem! The Importance of Purpose in Hobbes's Psychology, in BERTMAN — MaLHERBE (eds.), Thomas Hobbes: de la métaphysique à la politique, cit.., pp. 47-59: 55 e sgg. Quest'orientamento è stato giustamente discusso da Lejienhorst: vedi LEJENHORST, Sense and Nonsense about Sense: Hobbes and the Aristotelians about Sense Perception and Imagination, cit., p. 90.
74 Ho88Es, MLT, XXVII, 2, p. 315; tr. it. p. 468.
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HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
De Corpore come: «l’aggregato di tutti gli accidenti e degli agenti, quanti sono, e del paziente, con la supposizione che con la presenza di tutti questi non può intendersi che l’effetto non sia prodotto nello stesso tempo, e con la supposizione che con la mancanza di uno di essi non può intendersi che l’effetto sia prodotto».?? Ogni atto che concorre singolarmente alla produzione della causa integrale viene detto «causa sine qua non, ovvero necessario per ipotesi».?° Inoltre: «[dJelle cause sine qua non, ovvero, necessarie per ipotesi, [...] tutte quelle che si trovano insieme nell’agente sono chiamate causa efficiente, quelle invece che si trovano nel paziente sono comunemente dette causa materiale».? L'eliminazione delle nozioni aristoteliche di causa finale e formale,’* e la riduzione delle altre cause alla efficiente e alla materiale, ci suggeriscono che anche in riferimento al concetto di causa, Hobbes abbia operato una traduzione del lessico e dei concetti aristotelici in chiave meccanicista, e in perfetta conformità ai precetti galileiani.”? Nella filosofia hobbesiana, infatti, la quale presenta come principio fondamentale il moto locale, non può trovare posto la nozione di causa formale, né, tantomeno, quella di causa finale: ogni azione è movimento, prodotto da una causa efficiente, cioè un agente corporeo, su di un paziente, il quale dev'essere necessariamente, anch'esso, corporeo. Nei paragrafi successivi del XXVII capitolo del De motu, loco et tempore, Hobbes proseguiva nel suo processo di traduzione in termini meccanicisti del vocabolario aristotelico, indicando che cosa egli intendesse per potenza e atto. Emerge qui la sua concezione megarica della possibilità, secondo la quale, «[q]Juando un atto (o qualunque numero di atti presi collettivamente), se postulato, rende necessario per un altro atto il venire ad essere, l’atto originale è detto potenza rispetto alla produzione dell’atto futuro» nrecdi conseguenza, potenza dell’agente e causa efficiente vengono necessariamente a coincidere. Hobbes concepisce la potenza unicamente come l'insieme delle caratteristiche, cioè degli accidenti, che contribuiscono alla produzione
dell’effetto, per cui ha senso parlare di potenza solo in relazione all'atto, 75 In., De Corpore, IX, 3; OL, I, p. 96; tr. it. p. 171. 76 In., MLT, XXVII, 2, p. 315; tr. it. p. 467.
77 Ibid. 78 Sulla necessità dell’esistenza delle quattro cause: materiale, efficiente, formale e finale, vedi
ARISTOTELE, Fisica, Il (B), 3, 194b 16 e sgg.
tradizione 79 Sulla differenza tra il concetto hobbesiano di causa e quello presente nella
pp. 203 e sgg. aristotelica, vedi LegenHorsT, The Mechanisation of Aristotelianism, cit.,
80 HoBBEs, MLT, XXVII, 3, p. 316; tr. it. p. 469.
CAPITOLO
SECONDO
così come possiamo parlare di causa solo relativamente all’effetto che questa produce o ha prodotto. Tuttavia, la trattazione del concetto di causa, il quale è inscindibile da
quello di corpo, rivela un aspetto interessante, perché se Hobbes considera ogni mutamento presente nel mondo fisico unicamente come interazione tra corpi; ciò nondimeno, egli ritiene che il corpo non possa essere generato, né tantomeno distrutto. È necessario tener presente, però, che il filosofo
considera ingenerabile e indistruttibile la pura materialità o corporeità del corpo stesso.8! A nascere e perire sono esclusivamente gli accidenti e, con
la morte di un individuo o la distruzione di un oggetto, devono venir meno anche quegli accidenti ‘essenziali’ del corpo, i quali consistono nella figura e nell’estensione ed erano annoverati da Galileo tra le cosiddette qualità primarie dei corpi. Nel IX capitolo del De Corpore, infatti, il quale tratta precisamente de La causa e l’effetto, Hobbes afferma: «[s]i dice che un corpo agisce su un altro, quando genera o distrugge in questo un accidente. E si dice che un corpo subisce l’azione di un altro corpo quando da questo è generato o distrutto un suo accidente».* In altri termini, azione e passione sono prodotti necessariamente dall’interazione tra corpi, ma ciò che determina l’effetto non è la corporeità, bensì l’esistenza di determinati accidenti che producono un
particolare effetto nel paziente. Infatti: [L'] agente produce un suo determinato effetto nel paziente, secondo un determinato modo o un determinato accidente o secondo determinati accidenti dei quali esso stesso ed il paziente sono forniti, ciò non per il fatto che agente e paziente sono corpi, ma per il fatto che sono tali o così mossi. Del resto, infatti, tutti gli accidenti producono in tutti i pazienti effetti uguali, poiché sono, tutti, ugualmente corpi. Così ad esempio, il fuoco riscalda non per il fatto che è corpo, ma perché è caldo, ed un corpo non spinge un altro, perché è corpo, ma perché si muove nel
luogo dell’altro corpo.85
Dalla trattazione si evince che i concetti di causa ed effetto, potenza e atto, devono essere legati, da un lato, alla nozione di corpo, ma, d’altro canto,
anche a quella di accidente, il quale determina ogni mutazione presente nel
mondo fisico. È utile, però, una precisazione: non solo ogni cambiamento
o fenomeno è determinato dal movimento e dalla presenza di determinati accidenti, ma anche l’effetto di questi mutamenti deve necessariamente tra81 Ivi, XXVII, 1, pp. 312-314; tr. it. pp. 462-466. 82 Ip., De Corpore, IX, 1; OL, I, p. 106; tr. it. p. 170.
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HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
dursi nella presenza o assenza di alcuni accidenti, i quali manifestano — a livello fenomenico — le nuove caratteristiche assunte dal corpo, che ci con-
sentono di attestarne il cambiamento. Nell’orizzonte degli accidenti si rivelano, però, determinanti quegli accidenti che presentano una radice ‘galileiana’: l'estensione e la figura. Infatti, il movimento — il quale è, insieme alla materia, elemento cardine della filosofia hobbesiana e motore di ogni mutazione e cambiamento — può operare non sulla materialità in generale, ma solo su corpi definiti e determinati, che esibiscono un principio di individuazione. Le nozioni di agente e paziente, causa ed effetto si applicano, quindi, esclusivamente a corpi che siano delimitati da una figura e presentino un'estensione. Di conseguenza, anche la nozio-
ne di causa — d'importanza capitale nello sviluppo della scienza secondo Hobbes 4 — può trovare campo di applicazione unicamente grazie alle speculazioni di Galileo, poiché affonda le radici nella distinzione galileiana tra qualità primarie e secondarie.
4. ‘PREDOMINII, QUALITÀ OCCULTE E SIMILI FANCIULLEZZE”: GALILEO, HOBBES E LA CRITICA A KEPLERO
Come ha sottolineato giustamente Jesseph, la principale eredità galileiana presente nella filosofia di Hobbes consiste nell’idea di concepire l’universo come un sistema meccanicista, all’interno del quale ogni fenomeno
è esprimibile in termini matematicamente quantificabili, attraverso le leggi del moto.85 Il concetto di movimento è, come sappiamo, d'importanza fondamentale all’interno del paradigma filosofico hobbesiano e il pensatore fa esplicito riferimento a un tipo particolare di moto: il moto locale: Omnis actio est motus localis in agente, sicut et omnis passio est motus localis in patiente. Agentis nomine intelligo corpus, cujus motu producitur effectus in alio
corpore; patientis, in quo motus aliquia ab alio corpore generatur.5°
84 Nel VI capitolo del De Corpore Hobbes definisce la filosofia come conoscenza unica-
che si dice mente causale: «La filosofia è scienza tod duér, 0 delle cause; ogni altra conoscenza
sensazione», ivi, VI, 1; toò rt, è sensazione o immaginazione 0 memoria che sopravvive alla
OL, I, p. 59; tr. it. p. 125 (leggermente modificata).
85 Vedi JessepH, Galileo, Hobbes, and the Book of Nature, cit., p. 191.
XIV, s6 Ho88£s, TOI, OL, V, p. 217. Cfr. anche In., MLT, V, 1, pp. 129-129; tr. it. pp. 169-171;
AI contrario, Aristo2, p. 202; tr. it. pp. 290-291; In., De Corpore, IX, 9, OL, I, p. 112; tr. it. p. 175.
diminuzione, tele concepiva quattro tipologie di mutazioni: 1) il moto locale, 2) l'aumento e la nel processo luogo ha che e sostanzial o mutament il 4) qualità, 3) l'alterazione o mutamento di 2, in Vedi PAGANINI, nota di generazione e di corruzione (cfr. ARISTOTELE, Fisica, III, 1, 2012).
CAPITOLO
SECONDO
Il moto locale è perciò il principio generante di ogni fenomeno naturale, poiché nient'altro esiste nell'universo se non la materia e il moto. Come sappiamo, nel De Corpore Hobbes attribuiva a Galileo l'enorme merito di aver «aperto la strada di tutta quanta la fisica», per aver fondato una nuova scienza del moto. Egli echeggiava qui iltesto della lettera indirizzata dallo stampatore ai lettori, presente in apertura dei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, dove l’autore veniva presentato come il
«ritrovatore di due intere scienzie nuove e da i loro primi principii e fondamenti concludemente, cioè geometricamente, dimostrate». Inoltre, nella chiusa, veni-
va dichiarato che: Di queste due nuove scienzie, piene di proposizioni che in infinito saranno accresciute col progresso del tempo dagl’ingegni specolativi, in questo libro si aprono le prime porte, e con non piccolo numero di proposizioni dimonstrate, si addita il progresso e trapasso ad altre infinite, sì come da gl’intelligenti sarà facilmente
inteso e riconosciuto.88
Tuttavia, tra le due scienze, l'accento era posto soprattutto sulla prima, dedicata a «un suggetto eterno, principalissimo in natura, speculato da tutti i grandi filosofi, e sopra il quale ci sono moltissimi volumi scritti; parlo del moto locale».8° Galilei sviluppò ampiamente e dimostrativamente (cioè in termini matematici) il problema del moto locale nella giornata terza dei Discorsi; °° ma
già nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, lo scienziato e filosofo italiano tratteggiava ‘un'immagine meccanicista del mondo’.?! Egli descriveva qui un sistema cosmico compiuto e articolato, nel quale l’unico tipo di movimento contemplato era proprio il moto locale. MLT, tr. it. p. 291. Sull'argomento vedi LeyJeNHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit.,
pp. 179-181.
87 GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matemtiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 46 (corsivi miei). 88 Ibid. (corsivo mio).
89 Ibid. I Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze divennero noti nel XVII secolo come Dialogi de motu, e con questa dicitura lo stesso Galileo faceva riferimento all’ultima sua fatica. Il titolo è desunto, infatti, dal trattato latino De motu locali, che si estende
nella terza e nella quarta giornata. Peraltro, era lo stesso Galileo a definire l’opera con quella dicitura, come testimonia una lettera del giugno 1637 a Lorenzo Realio, dove Galilei parla dei Discorsi come del suo «ibro de motu». Vedi Galilei a Lorenzo Realio, 5 giugno 1637, OG, XVII, p. 100. 9 Vedi GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, pp. 190 e sgg.
°1 Vedi EpuarD J. DygsTERHUIS, Il meccanicismo e l’immagine del mondo, cit., in part. pp. 466 e sgg.
i
HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
Il meccanicismo di Galileo emerge, in particolare, nella spiegazione di
quel fenomeno che il Pisano riteneva la prova cruciale della correttezza del sistema copernicano: le maree.?? Già nel 1616, nel Discorso del flusso e
reflusso del mare, egli aveva fornito una soluzione al problema delle maree che faceva riferimento a una combinazione del moto annuo e del moto diurno cui è soggetta la sfera terrestre.? Il ragionamento era ripreso nel Dialogo, dove la quarta e ultima giornata è dedicata interamente al fenomeno.°* Nelle prime pagine di quest’ultima giornata, Galileo dichiarava di aver individuato un’analogia tra il periodo ‘mestruo’ delle maree e il «moto della Luna», ma sosteneva che quest’ultima non introducesse «altri
movimenti ma solamente altera[sse] la grandezza de i già detti», cioè i movimenti diurni.” Tuttavia, proseguendo nell’argomentazione, egli escludeva qualsiasi attrazione della sfera lunare,?° concentrando la sua attenzione sulla combina-
zione tra i due movimenti della Terra: il diurno e l’annuo. La parziale esclusione della Luna nell’analisi del fenomeno delle maree da parte di Galileo è tutt'altro che casuale e, come vedremo, affonda le
92 Sul fatto che Galilei considerasse le maree la prova cruciale della correttezza fisica del sistema copernicano vedi l’interessante articolo di Biagi (Maria Luisa ALTIERI Biagi, L'incipit del Dialogo sopra i due massimi sistemi, in Galileo Galilei e la cultura veneziana. Atti del convegno di studio, Venezia, Istituto veneto di Lettere e Arti, 1995, pp. 351-361) la quale ha indicato che il progettato Dialogo sul flusso e reflusso del mare, che divenne poi il Dialogo sopra i due massimi siste-
mi, avrebbe dovuto aprirsi — secondo l'intenzione di Galileo — con la discussione del fenomeno
delle maree. Sulle maree vedi anche WiLLiam R. SHEA, La rivoluzione intellettuale di Galileo, Firenze, Sansoni, 1974 (ed. or. 1972), pp. 217 e sgg. 93 Vedi GALILEI, Discorso del flusso e del reflusso del mare, OG, V, pp. 381 e sgg. È interessante
osservare che l’analogia tra i moti all’interno di un catino e la composizione dei movimenti cui è soggetta la sfera terrestre è presente in un pensiero di Paolo Sarpi, risalente all'anno 1595 circa.
Vedi PaoLo SARpPI, Pensieri naturali, metafisici e matematici, a cura di Luisa Cozzi e Libero Sosio,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1996, pensiero 569, p. 424. Vedi anche: Lisero Sosio, Galileo Galilei e
Paolo Sarpi, in Galileo Galilei e la cultura veneziana, cit., pp. 269-311: 305 e sgg.; JoHN L. HeILBRON,
Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi, 2013 (ed. or. 2010), p. 266; Ron NaYLOR, Paolo
Sarpi and the first Copernican tidal’s theory, «British Journal for the History of Science», vol. 47,
Iss. 4, 2014, pp. 661-675.
94 Un'analisi ampia del fenomeno delle maree è presente in Ron NayLor, Galileo’s Tidal
Theory, «Isis», vol. 98, n. 1 (March 2007), pp. 1-22. Sulle maree in Galileo, vedi anche: EGIDIO
Fesra, Galileo. La lotta per la scienza, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 195-200; JoHn Henry, Galileo and the scientific revolution: the importance of his kinematics, «Galilaeana», VIII, 2011, pp. 3-36, studio sul quale avremo modo di tornare. 95 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi, OG, VII, p. 444. 96 Simplicio richiama un trattatello di «un certo prelato», dove si diceva che la Luna «va-
gando per il cielo, attrae e solleva verso di sé un cumulo d’acqua, il quale la va continuamente seguitando, sì che il mare alto è sempre in quella parte che soggiace alla Luna», ma Sagredo bolla queste elucubrazioni come ‘leggerezze’ cui non bisogna dar credito, ivi, pp. 445-446.
CAPITOLO
SECONDO
radici nella sua scienza del moto.?” Tuttavia, dobbiamo sottolineare che a
influenzare Hobbes non furono solo le riflessioni galileiane sulla composizione dei moti terrestri in relazione al fenomeno delle maree, ma soprattutto l'analogia tra i movimenti cui è soggetta la massa degli oceani sulla superficie terrestre e le oscillazioni dell’acqua contenuta in un vaso o in un catino,°8 che si ritrovano in diverse opere scientifiche fiobbesiane. Nondimeno, prima di evidenziare l’interesse di Hobbes nei confronti della teoria delle maree di Galileo, è utile soffermarci sul passo del Dialogo nel quale lo scienziato esprimeva una netta opposizione alla spiegazione del fenomeno proposta da Johannes Kepler. Infatti, il rifiuto della teoria kepleriana è significativo, perché l’astronomo prussiano aveva elaborato un modello incentrato sui rapporti tra Terra e Luna, cui Galileo muoveva una severa critica.
In primo luogo, il Pisano evidenziava che il movimento della Luna lungo la sua orbita procede nello stesso verso della conversione terrestre. Di conseguenza, la rivoluzione lunare non poteva produrre quella variazione di moto che, secondo Keplero, sarebbe causa delle maree e che, invece, il
Pisano imputa alla composizione dei due moti inerenti unicamente al globo terrestre: moto diurno e moto annuo.” Galileo osservava, inoltre, che qualora dovessimo supporre un’influenza o attrazione della Luna sulla Terra, «non vien dichiarato, né si vede
come ciò debba seguire», ovvero non vi è una teoria adeguata che renda ragione di una possibile attrazione del satellite sulle acque marine del globo terrestre. Direttamente connessa a questa difficoltà è la critica rivolta
a Keplero: Ma tra tutti gli uomini grandi che sopra tal mirabile effetto di natura hanno filosofato, più mi meraviglio del Keplero che di altri, il quale, d’ingegno libero ed acuto, e che aveva in mano i moti attribuiti alla Terra, abbia poi dato orecchio
97 Ivi, p. 452. 98 Ivi, pp. 453-454. 99 «Il dire anco (come si riferisce d’uno antico matematico) che il moto della Terra, incontrandosi col moto dell’orbe lunare, cagiona, per tal contrasto, il flusso e il reflusso, resta
totalmente vano, non solo perché non vien dichiarato né si vede come ciò debba seguire, ma si scorge la falsità manifesta, atteso che la conversione della Terra non è contraria al moto della
Luna, ma è per il medesimo verso: talché il detto e imaginato sin qui da gli altri resta, al parer
mio, del tutto invalido». GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 486. Come ha sottolineato Naylor, Galileo è consapevole della coincidenza delle fasi lunari e delle
maree e cerca di rendere ragione del fenomeno a più riprese, attraverso la composizione dei moti di rotazione e rivoluzione dei pianeti. Vedi NayLoR, Galileo’s Tidal Theory, cit., pp. 18 e sgg.
Vedi anche le lettere di Galileo a Fulgenzio Micanzio, del 7 novembre 1637 e del 30 gennaio
1638, OG, XVII, pp. 214-215 e pp. 269-271.
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HOBBES:
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DI FILOSOFIA
GALILEIANA
ed assenso a predominii della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simili
fanciullezze.!9
Secondo Galileo, l’astronomo prussiano — il quale aveva sostenuto l’attrazione della Luna sulle acque marine — non era stato in grado di fornire spiegazioni adeguate ed esaustive al riguardo, se non ricorrendo a «predominii della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simili fanciullezze». Di contro, egli riteneva che «questo de i mari» non fosse altro che «movimento locale e sensato, fatto in una mole immensa d’acqua». Che la Luna intervenisse direttamente nella produzione delle maree egli lo negava apertamente, anzi dichiarava che ciò ‘repugnava’ al suo intelletto, il quale «non può arrecarsi a sottoscrivere a lumi, a caldi temperati, a predominii per qualità occulte ed a simili vane immaginazioni».!0! La critica rivolta da Galileo al ‘collega’ Keplero è interessante, perché è indicativa del diverso approccio epistemologico dei due pensatori e cela il principio generale che soggiace a tutta la filosofia naturale galileiana. Dove non è possibile includere un fenomeno naturale nei termini di una spiegazione meccanicista (in questo caso, l’azione del corpo lunare sulle acque marine), Galileo ritiene necessario escludere l'elemento dalla teoria.!°2
Le problematiche astronomiche ci offrono un punto di vista privilegiato anche sull'evoluzione del meccanicismo di Hobbes: nel XXIV capitolo del De motu, loco et tempore, il filosofo cercava di individuare quali fossero le forze che legano i moti della Terra a quelli della sfera lunare e, in questo passo, egli sembrava non accogliere le critiche di Galileo a Keplero. Sebbene supponesse che l’azione della Terra sulla Luna si esplicasse principalmente attraverso la trasmissione di un movimento originato dalla rotazione diurna; nondimeno il filosofo non escludeva l’azione di «una certa influenza quasi magnetica»,!° che presentava non poche analogie con quanto supposto da
Keplero nell’Astronomia nova.!°* 100 GaLiLEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 486. 101 Ivi, p. 470.
102 Galileo ritornò più volte sull'argomento e in una lettera del 1637 a Micanzio contempla anche il movimento della Luna tra le cause del fenomeno (vedi Galilei a Fulgenzio Micanzio, 7 novembre 1637, OG, XVII, pp. 214-215). Vedi NayLoR, Galileo’s Tidal Theory, cit., pp. 18 e sgg. Vedi anche BuccIANTINI, Galileo e Keplero, cit., pp. 306 e sgg. 103 «Il sole, inoltre, agisce sulla luna in primo luogo con quel movimento con cui ogni quale anno trasporta circolarmente insieme la terra e la luna, poi anche con il moto con il invece, può illumina tutte le cose con un’emanazione rettilinea in tutte le direzioni. La terra,
maagire sulla stessa non solo con il suo moto diurno, ma anche con una certa influenza quasi 427. p. it. tr. 289; p. 1, XXIV, MLT, Ho8ses, là». sin innalzati vapori i con anche gnetica, e forse 104 Vedi HORSTMANN, Fin Baustein zur Kepler-Rezeption, cit., pp. 142 e sgg.
CAPITOLO
SECONDO
Il filosofo si era reso conto, evidentemente, che Galileo non era stato
in grado di chiarire le corrispondenze tra le fasi lunari e i moti terrestri,!® mentre Keplero — seppur ricorrendo ad attrazioni magnetiche non perfettamente definite — aveva fornito, al contrario, un abbozzo di spiegazione al
riguardo. o 2a Nel De Corpore, invece, Hobbes riconsiderò i termini della questione e rifiutò categoricamente di ricorrere a qualsiasi influenza o qualità occulta. A tal proposito, l’analisi dei fenomeni magnetici si rivela paradigmatica: la problematica non è affrontata esplicitamente, tuttavia nel XXVI capitolo dell’opera, venendo a trattare il moto di rivoluzione della Luna intorno alla
Terra, il filosofo sembrava assumere una posizione diametralmente opposta a quella che aveva sostenuto nel De motu, loco et tempore: Coloro i quali suppongono che ciò avviene per una forza magnetica o per specie incorporee e immateriali, non suppongono una causa fisica, anzi non suppongono niente, perché non c'è un movente incorporeo,e si ignora quale sia la
forza magnetica e, quando sarà conosciuta, si troverà che è un moto del corpo.!°
Hobbes rifiutava di ricorrere a una forza magnetica e, occupandosi della causa dell’eccentricità del moto di rivoluzione della Terra, commentava
la posizione di Keplero, in termini pressoché identici rispetto a Galileo: Consento con Keplero che egli attribuisca l’eccentricità della terra alla differenza delle parti della medesima, delle quali suppone che una riceve influenza dal sole ed un'altra no. Ma dissento nel fatto che egli ritiene che ciò avvenga per un potere magnetico e che questo potere magnetico o attrazione e repulsione della terra egli ritiene che sia dovuto a specie immateriali.!9” Ma ciò non può accadere per il fatto che non può dar moto alcunché che non sia un corpo mosso e conti-
105 Ivi, XVI, 2, p.211;tr.it. p. 308. 106 Ho8Bes, De Corpore, XXVI, 7, OL, I, p. 351; tr. it., cit., p. 411. A rilevare gli aspetti in-
teressanti della spiegazione meccanicista del magnetismo in Hobbes è stato Leijenhorst, vedi LegenHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit., pp. 188 e sgg. Henry, evidenzia piuttosto le incoerenze e le critiche rivolte da Boyle. Vedi Jonn Henry, Hobbes, Galileo, and the Physics of Simple Circular Motion, «Hobbes Studies», 1, 2016, pp. 9-38: 30 e sgg. 107 Ecco il passo cui fa riferimento Hobbes: «Effluxus igitur, quaemadmodum et lucis, immaterius est; non qualis odorum cum diminutione substantiae, non qualis caloris ab aestuante fornace, et si quid est simile, quibus media implentur. Relinquitur igitur, ut quaemadmodum lux, omnia terrena illustrans, specie est immateriata ignis illius, qui est in corpore Solis: ita virtus haec, Planetarum corpora complexa et vehens, sit species immateriata ejus virtutis, quae in ipso Sole residet, inaestimabilis vigoris, adeoque actus primus omnis motus mundani». JoHANNES KEPLER, Astronomia nova, pars III, cap. XXXIII, in Gesammelte Werke, hrsg. von Walther
von Dick, Max Caspar und Franz Hammer, Miinchen, Beck, 1937-, vol. III, p. 240. Vedi al ri-
guardo GarganI, Hobbes e la scienza, cit., pp. 274-278.
oSO
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PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
guo. Infatti, se ad'un corpo in stato di quiete, dei corpi mossi non sono contigui, è
impensabile che lo stesso corpo possa cominciare a muoversi.!9
Hobbes non potrebbe essere più chiaro sulla sua interpretazione meccanicista dei fenomeni astronomici: in perfetto accordo con il principio d'inerzia, un corpo in stato di quiete non può cominciare a muoversi senza l'intervento di un altro corpo a esso esterno e contiguo. Egli esclude la possibilità di qualsiasi azione a distanza che non possa essere concepita in termini meccanicisti di azione e reazione tra corpi, direttamente l’uno
sull’altro, o attraverso il mezzo.
Nei passi citati, il filosofo estromette dalla sua spiegazione dei moti lunari il magnetismo, e ciò a causa delle notevoli difficoltà che si incontrano a
esaminare la questione secondo i principi della filosofia meccanicista. Non a caso, nella giornata terza del Dialogo, la critica mossa da Galileo nei confronti
di William Gilbert era incentrata esattamente sul mancato esame del fenomeno. Seppur elogiando il ‘Gilberti’ per «essergli caduto in mente concetto tanto stupendo», il Pisano si rammaricava che questi non fosse stato «un poco maggior matematico, ed in particolare ben fondato nella geometria»: [L]a pratica della quale denti dimostrazioni quelle clusioni da sé osservate; le stringono con quella forza
l'avrebbe reso men risoluto nell'accettare per concluragioni ch’ei produce per vere cause delle vere conquali ragioni (liberamente parlando) non annodano e che indubitalmente debbon fare quelle che di conclusioni naturali, necessarie ed eterne, si debbono addurre.!°
Nelle pagine seguenti Galileo affrontava in parte la problematica, trattando delle ‘calamite armate’ e ricorrendo ai ‘toccamenti’,!!° cioè a una
sorta di legami microparticellati che si sviluppano tra le superfici di due materiali ferrosi, legami che sussistono grazie una perfetta aderenza delle «innumerabili minime particelle, se non fosse degl’infiniti punti di ambedue le superficie».!!! AI di là della particolare spiegazione del fenomeno, è interessante sottolineare la reazione di Sagredo, di fronte all’argomentazione del suo interlocutore galileiano: Salviati. Egli si dichiarava «poco meno appagato che se ella fusse una pura dimostrazion geometrica», e questo nonostan108 Ho88Es, De Corpore, XXVI, 8, OL, I, p. 354; tr. it. pp. 413-414. 109 GatiLei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 432. 110 Ivi, pp. 432-436.
111 Ivi, p. 436. Vedi la trattazione del fenomeno in PAOLO GALLUZZI, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galileo, Firenze, Olschki, 2011, pp. 82-84.
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SECONDO
te si trattasse di un ‘problema fisico’, concernente la ‘scienza naturale’, dove — come ben sapeva anche Simplicio !!? — «non si deve ricercar la geometrica evidenza».!!* Ciò nondimeno, Galileo riteneva che ogni spiegazione dei fenomeni naturali, per assurgere al livello di teoria scientifica, dovesse sempre esprimersi in termini rigorosamente matematici. Perciò, la «simpatia», cui faceva ricorso l’aristotelico Simplicio, «che è certa convenienza e
scambievole appetito», non rappresentava affatto una spiegazione del magnetismo. Al contrario, affermava ironicamente Sagredo: «questo modo di filosofare mi par che abbia gran simpatia con certa maniera di dipingere che aveva un amico mio», il quale si limitava a scrivere sulla tela i nomi di
ciò che voleva fosse dipinto, lasciando poi al pittore il compito di eseguire l’opera e credendo, nondimeno «d’aver egli stesso dipinto il caso d’Atteone, non avendoci messo altro che i nomi».!!4 Parimenti, nel De Corpore, Hobbes
sosteneva che la teoria di Keple-
ro — fondata sui concetti di attrazione e repulsione — fosse una sorta di «connessione di parole àòiavort®»,!!° cioè sconsiderata (lett. dissennata) e, a proposito della somiglianza (lat. cognatio; ingl. similitude) naturale, — che, secondo l’astronomo prussiano, sarebbe causa dell’attrazione reciproca — il
filosofo inglese affermava sarcasticamente: «se ciò fosse, non vedo come un uovo non sia attratto da un altro uovo».!!9 Questi passi, mostrano chiaramente che Hobbes si mantenne fedele alla lezione di Galileo. Tuttavia, in riferimento al magnetismo, dobbiamo
osservare che neppure nella terza giornata del Dialogo era presente una spiegazione chiara ed esaustiva dell’attrazione a distanza esercitata dalla calamita. Evidentemente, il pensatore di Malmesbury doveva essersi reso
conto del problema e, infatti, nel XXX capitolo del De Corpore, elaborò una teoria alternativa rispetto a quella del Pisano, la quale, nondimeno, si rivela
particolarmente interessante, poiché intrisa di ‘spirito galileiano”. Alla base della spiegazione vi era la concezione dei movimenti interni dei corpi che era stata formulata da Hobbes anche per rendere ragione della durezza di questi.!!” Egli assimila il magnetismo ai fenomeni di elet112 Cfr. ArisTOTELE, Metafisica, II, 3, 995a, 15-18: «Non bisogna poi esigere in ogni cosa il rigore matematico, ma solo in quelle cose che non hanno materia. Per questo, il metodo della matematica non si adatta alla fisica. Infatti, tutta quanta la natura, senza dubbio, ha materia», tr. it. di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1993, p. 81.
113 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 436. 114 Ibid. 115 HoBBEs, De Corpore, XXVI, 8, OL, I, p. 354; tr. it. p. 414 (leggermente modificata). 116 Ibid.
117 Vedi supra, cap. I. Vedi anche BaLDIN, «La reflexion de l’arc» et le conatus: aux origines de la physique de Hobbes, cit.
ui ., pre
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GALILEIANA
tricità statica e offre l'esempio del giaietto che è in grado di attrarre a sé la paglia. Ciò nonostante, per poter agire, esso richiede di essere preventivamente strofinato, mentre «la stimolazione del magnete, invece, dipende
dalla natura della stessa pietra, cioè da un principio o da qualche suo moto interno».!!3 Tuttavia, proseguiva Hobbes: Come si è dimostrato più sopra, tutto ciò che è mosso, è mosso da un corpo mosso e
contiguo; !!° e, perciò, il primo conato del ferro verso la pietra nasce certamente dal moto dell’aria contigua al ferro: e questo moto è generato dal moto dell’aria vicina e così all'infinito, finché troviamo che il moto di tutta quanta l’aria prende origine da un qualche moto che è nello stesso magnete, il quale moto, poiché sembra che il magnete sia fermo, è invisibile. È certo dunque, che il potere di attrazione
del magnete non è altro che un moto delle parti più piccole del magnete.!?0
Il filosofo supponeva che i magneti fossero dotati, a livello microparticellare, di un movimento circolare interno, che è trasmesso in primo luogo all’aria circostante e raggiunge, infine, i materiali ferrosi. All’interno di questi si sviluppa allora una sorta di controreazione interna che permette l’avvicinamento del metallo e della calamita, poiché, con il loro movimento, questi
corpi sono in grado di spostare progressivamente l’aria che li separa, venendo a congiungersi.'! Per chiarire la sua spiegazione, Hobbes si serviva anche dell'esempio di una corda di lira che, vibrando, è in grado di mettere in moto un’altra corda con una vibrazione analoga. Nelle pagine successive il filosofo
trattava diversi fenomeni connessi al magnetismo !°2 e la medesima teoria,
con lievi varianti, è proposta anche nelle opere scientifiche successive.!? 118 Ivi, XXX, 15, OL, I, p. 427; tr. it. p. 487.
119 Come vedremo nel prosieguo (cfr. infra, cap. III) Hobbes ribadisce continuamente
nell’opera la sua adesione a una concezione inerziale del movimento. Vedi, ad es., De Corpore,
IX, 7; OL, I, pp. 110-111; tr. it. pp. 173-174; ivi, XXVI, 8, p. 354; tr. it. p. 414. 120 Ivi, XXX, 15, OL, I, p. 427; tr. it. p. 485.
121 Come vedremo nel prossimo capitolo, Hobbes elaborò un'argomentazione analoga per rendere ragione del fenomeno della gravità. Vedi infra, cap. III, $ 6. 122 Interessante è anche la trattazione proposta nel prosieguo di questo paragrafo, per spiegare l'attrazione del polo della calamita verso il Nord magnetico terrestre: «il moto reciproco delle parti della pietra di cui si è detto, avviene in linea parallela all'asse terrestre ed è la pietra, inerente a quelle parti fin da quando la stessa pietra è stata generata. Quindi, poiché ha tempo lungo da terra, la con insieme diurno circolare moto un ha ed mentre è nella miniera anche acquistato la tendenza a essere mossa in una linea perpendicolare al suo moto reciproco, conserverà se il suo asse sarà allontanato dalla posizione parallela rispetto all'asse della terra, 486-487. pp. it. tr. 428-429; pp. ivi, prima», di tuttavia il conato a ritornare nella posizione cal Problems, EW, 123 Vedi In., Problemata Physica, OL, IV, pp. 357-359 (ingl. Seven Philosophi
affermazioni hobVII, pp. 56-59); In., Decameron Physiologicum, ivi, pp. 154 e S8g., benché qui le . precedenti opere alle rispetto assertive, meno e ipotetiche più besiane siano molto —
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Tuttavia, nella chiusa di questo paragrafo del De Corpore — che è anche la conclusione dell’opera — il pensatore si soffermava su alcune considerazioni metodologiche degne di nota. Dopo aver specificato che la prima, la seconda e la terza parte dello scritto erano — salvo errori di sorta — perfettamente dimostrate, perché fondate a priori e sviluppate ‘esclusivamente sulla scorta di ragionamenti deduttivi,!° egli dichiarava che, al contrario, la quarta par-
te (concernente la Physica), fosse dipendente da ipotesi.!2° Eppure, egli suggeriva anche che non tutte le ipotesi fossero uguali °° e riteneva che le ipotesi corrette dovessero essere ‘cogitabiles’ (ingl. conceivable): !?7 Infatti, chiunque dirà che qualcosa può essere mosso o prodotto da se stesso, da specie, da un proprio potere, da una forma sostanziale, da una sostanza incorporea, da un istinto, da una antiperistasi, da antipatia, da simpatia, da una qualità occulta ed altre vuote parole di scolastici, farà un discorso vano.!28
Hobbes riprendeva ancora l'accusa alla vacuità del discorso scolastico, formulata da Galileo nel Dialogo, senza precisare nulla, però, sulla richiesta
‘concepibilità’ di queste ipotesi.!°° Che il pensatore di Malmesbury alludesse a qualcosa di molto simile alla dimostrazione fisico-matematica meccanici124 «Nella prima, nella seconda e nella terza parte di essa (scil. dell’opera), in cui i principi del ragionamento risiedono nel nostro intelletto, cioè nell’uso legittimo dei vocaboli da noi stessistabilito, tutti i teoremi, se non mi inganno, sono stati esattamente dimostrati». HoBBES, De Corpore, XXX, 15, OL, I, p. 430; tr. it. p. 488 modificata.
125 «La quarta parte dipende da ipotesi; e, perciò, ignorata la verità di quelle, è impossibile dimostrare che le cause da me spiegate siano le vere cause delle cose», ivi, pp. 430-431; tr. it.
p. 488.
126 Al riguardo vedi Horsrmann, Hobbes on Hypotheses in Natural Philosophy, cit., in part. pp. 492-496; come vedremo più avanti, Giudice ha sottolineato la convergenza tra la metodologia di ricerca scientifica propria di Galileo e quella di Hobbes. Vedi Grupice, Optics in Hobbes's Natural Philosophy, cit., pp. 92-95. 127 «Poiché, tuttavia, non ho assunto nessuna nessuna ipotesi che non sia possibile e facile a comprendersi, ed ho ragionato esattamente sulla base delle ipotesi assunte, ho dimostrato
che esse possono essere le vere cause, cosa che costituisce il fine della contemplazione fisica. Se
un altro, assunte altre ipotesi, dimostrerà le medesime cose o cose più grandi, gli dovremo rendere lode e ringraziamenti che io richiedo per me stesso: a patto, tuttavia, che le ipotesi, delle quali si serve, siano concepibili», ivi, p. 431; tr. it. p. 488.
128 Ivi, p. 431; tr. it. pp. 488-489. Stranamente, questa sorta di ‘critica indiretta’ nei confron-
ti di Kepler è stata ignorata da Horstmann nel suo ben documentato e interessante articolo sui rapporti tra Kepler e Hobbes. Vedi Horsrmann, Fin Baustein zur Kepler-Rezeption, cit., pp. 149 e sgg. 129 Il tema della concepibilità delle ipotesi è ripresa anche nel Dialogus physicus, dove Hobbes considera «una regola fondamentale di ogni ipotesi quella per cui tutte le cose che vengono supposte debbano essere di natura possibile, ossia concepibili» (HoB8£s, Dialogus physicus, OL, IV, p. 247; tr. it. p. 445).
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sta auspicata dall'autore del Dialogo si può facilmente desumerlo dai passi citati in precendenza, ma è confermato forse anche da un passo del Decameron physiologicum (pubblicato nel 1678). Qui, Hobbes ritornava, ancora una volta sulla causa dell’eccentricità del moto terrestre, ascritta da Kepler a una virtù magnetica, e il commento del personaggio hobbesiano sulla spiegazione di Keplero è estremamente eloquente al riguardo: «Non sono convinto di ciò. E magica, piuttosto che naturale, e indegna di Kepler».!5° La critica nei confronti dell’astronomo tedesco riprende letteralmente l'’obiezione che aveva mosso contro il collega Galileo Galilei e si fonda sulla medesima istanza teorica: la spiegazione kepleriana presenta connotati più magici che scientifici, perché non è espressa in base alle leggi del movimento, cioè in termini meccanicisti.!5!
Nel corso di tutta l’opera, Hobbes si oppone continuamente ad argomentazioni che fanno ricorso a simpatie, influenze, forme sostanziali o effluvi incorporei, proponendo, di contro, solo spiegazioni incentrate sul movimento o, per meglio dire, su quell’unica categoria di movimento — tra quelle aristoteliche — contemplata dalla filosofia galileiana: il moto locale. You know I have no other cause to assign but some local motion, and that I never approved of any argument drawn from sympathy, influence, substantial forms, or incorporeal effluvia. For I am not, nor am accounted by my antagonists
for a witch.!5
Solo le teorie che si esprimono attraverso le leggi del movimento, matematicamente quantificabili, possono assurgere allo status di ipotesi scientifiche. Ogni altra spiegazione — fondata su ‘simpatie, influenze forme sostanziali o effluvi incorporei’ — è degna di un ‘fanciullo’ o di una ‘strega’.
130 «Jamnot satisfied with that. It is magical rather than natural, and unworthy of Kepler». In., Decameron Physiologicum, EW, VII, p. 102. 131 In un interessante articolo dedicato all'importanza della cinematica galileiana, quale elemento che contribuì in maniera determinante allo sviluppo della rivoluzione scientifica e che sarà ereditato da grandi filosofi del Seicento — tra cui Hobbes — John Henry ha sottolineato la centralità della teoria delle maree di Galileo, la quale presenta connotati squisitamen-
di te meccanicisti, cui si associa il rifiuto delle teorie kepleriane (così come di ogni nozione
qualità occulta). Essa sarebbe di fondamentale importanza, perché affonda le radici proprio nel meccanicismo dello scienziato e filosofo pisano. La convergenza con gli scritti scientifici hobbesiani sull'argomento mi pare possa confermare quest'idea. Vedi Henry, Galileo and the paiono, scientific revolution: the importance of his kinematics, cit., pp. 3-36 (meno condivisibili mi seconda invece, le osservazioni, ispirate all’interpretazione di Koyré, che l’autore avanza nella parte dell’articolo). 132 Ho8BEs, Decameron Physiologicum, EW, VII, p. 155 (corsivo mio).
CAPITOLO
SECONDO
5. LE MAREE
Le teorie hobbesiane dei moti terrestri e del magnetismo sono esempi evidenti del meccanicismo rigoroso di Hobbes. Tuttavia, dobbiamo sof-
fermarci sul problema delle maree, perché la spiegazione del fenomeno proposta da Galileo lasciò tracce evidenti nella filosofia naturale hobbesiana. Sappiamo che lo scienziato italiano aveva rifiutato nettamente la teoria di Kepler, fondata sull'idea di un'influenza del corpo lunare sulle acque che ricoprono il globo terrestre e aveva elaborato una spiegazione alternativa, incentrata sulla non perfetta coincidenza dei moti cui è soggetta la Terra. Dobbiamo ricordare anche che, sin dal 1616 (anno della composizione del Discorso del flusso e reflusso del mare), Galilei considerava il fenomeno delle maree la prova evidente della correttezza del sistema copernicano: Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, la teoria ricorre a
un’analogia tra l’acqua presente sulla superficie terrestre e quella contenuta in un vaso o in un catino. La massa d’acqua, se soggetta a diversi movimenti non perfettamente sincronici e concordi, è sottoposta a sus-
sulti e moti che tendono a spingere una parte del liquido al di fuori del recipiente.!55 Galilei esclude quasiasi attrazione della Luna, perché la sua fisica meccanicista — che contempla unicamente l’azione di corpi in movimento — non è in grado di rendere conto di quella particolare e curiosa azione del corpo lunare sulla superficie terrestre. Al contrario, la Terra è soggetta sia al moto di rotazione diurna che di rivoluzione annua e la combinazione di questi moti produce il fenomeno dell’innalzamento e abbassamento delle acque marine. Com'è noto, già alcune lettere hobbesiane risalenti al 1636, suggeriscono l'adesione di Hobbes a un meccanicismo di ispirazione galileiana, che
trova una prima esposizione completa e articolata negli Elements of Law e 133 «Concludiamo per tanto, che sì come è vero che il moto di tutto il globo e di ciascuna delle sue parti sarebbe equabile ed uniforme quando elle si movessero d’un moto solo, o fusse il semplice annuo o fusse il solo diurno, così è necessario che, mescolandosi tali due moti insieme, ne risultino per le parti di esso globo movimenti difformi, ora accelerati ed ora ritardati,
mediante gli additamenti o sottrazioni della conversion diurna alla circolazione annua. Onde
se è vero (come è verissimo, e l’esperienza ne dimostra) che l'accelerazione e ritardamento
del moto del vaso faccia correre e ricorrere nella sua lunghezza, alzarsi ed abbassarsi nelle sue estremità, l’acqua da esso contenuta, chi vorrà por difficultà nel concedere che tale effetto
possa, anzi pur debba di necessità, accadere all’acque marine, contenute dentro a i vasi loro,
soggetti a cotali alterazioni, e massime in quelli che per lunghezza si distendono da ponente verso levante, che è il verso per il quale si fa il movimento di essi vasi? Or questa sia la potissima e primaria causa del flusso e del reflusso, senza la quale nulla seguirebbe di tale effetto». GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, pp. 453-454.
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nel Tractatus Opticus I, dove il filosofo esprime l’idea che ogni fenomeno fisico si esplichi unicamente attraverso l’azione e reazione di corpi in movimento.!?* Tuttavia, venendo ad affrontare, nel De motu, loco et tempore, il fenomeno delle maree, Hobbes si rese conto che il rifiuto di Galileo di esaminare la possibile relazione tra i moti lunari e le maree inficiava l’intera sua teoria, al punto che la posizione dello scienziato italiano non poteva essere accolta.!5 Al contrario, Hobbes assumeva la concomitanza delle fasi lunari con le variazioni del livello delle acque marine come un dato di fatto,!5° affermando perentoriamente che questi fenomeni erano «comunemente accolti e comprovati dall’esperienza».!7 Il suo commento sulla spiegazione galileiana è lapidario: «poiché neppure Galilei ha preso in esame la corrispondenza delle maree con la luna, non c'è ragione di consentire con quanto ha scritto al riguardo».!58 Il pensatore di Malmesbury coglieva, però un altro problema sotteso alla teoria galileiana, e cioè che essa non teneva conto del fatto che gli-oceani e la sfera terrestre fanno parte del medesimo sistema fisico, secondo la teoria elaborata dallo stesso Galileo.!5° D'altro canto, però, Hobbes non era
in grado di fornire una teoria alternativa a quella del Pisano e si limitava ad ammettere di non avere elementi sufficienti a dirimere definitivamente la questione.
Egli tornò sulla problematica nel De Corpore, dove sviluppò una spiegazione che costituisce una riproposizione del modello elaborato da Galileo nella quarta giornata del Dialogo.4° Nel XXVI capitolo, il pensatore affrontava così il tema delle maree: A questi tre moti semplici, il primo del sole, il secondo della luna, il terzo della terra [...], insieme con la conversione diurna della terra, dalla quale conversione
134 Vedi Ho8BEs, EL, pars I, cap. II, $ 10, p. 7; tr. it. pp. 18-19; In., TOI; OL, V, p. 217. 135 Il fenomeno delle maree occupa buona parte del cap. XVI e tutto il XVII cap. del De motu, loco et tempore. Qui Hobbes propone soprattutto le sue controbiezioni alle critiche che White aveva mosso al Dialogo di Galileo. Vedi In., MLT, pp. 210-214; tr. it. pp. 308-330.
136 Ivi, XVI, 2, pp. 210-211; tr. it. p. 307. 137 Ivi, p. 211; tr. it. p. 308.
138 Ibid. 139 Ivi, XVII, 6; p. 220; tr. it. p. 322.
140 Galileo riteneva che la Luna fosse inserita in un sistema imperniato sul moto di rivoluzione della sfera terrestre (e degli altri pianeti). All’interno di questo macro-sistema, la Terra e nei suoi la Luna vengono a costituire una sorta di micro-sistema, per cui la Luna segue la Terra la Galileo, secondo deriva, qui, Di sincronici. te rivolgimenti (diurno e annuo) non perfettamen i due coincidenza dei movimenti del satellite con imomenti delle maree. GaLILEI, Dialogo sopra massimi sistemi del mondo, OG, VII, pp. 477 e sgg.
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SECONDO
necessariamente sono fatte girare tutte le cose che si appoggiano alla sua superfion G ì 9 , x 141 cie, possono riportarsi i tre fenomeni che riguardano le maree dell'oceano.
I tre fenomeni che Hobbes attribuiva alle maree sono l'alternarsi dell’innalzamento e dell’abbassamento delle acque in prossimità delle coste, la coincidenza del novilunio con l’apice dell’innal2amento delle acque e, infine, un ulteriore incremento del livello in occasione dell’equinozio.
Tuttavia, al di là di questi particolari moti cui sono soggette le maree, è importante sottolineare che la spiegazione individuata dal pensatore inglese è analoga a quella di Galileo e, come quella dello scienziato italiano, anch'essa rigorosamente meccanicista. Hobbes considerò le maree il risultato della combinazione di tre movimenti, causati però da un unico motore: il Sole. Egli riteneva, come Keplero e Galileo,!4 che il corpo solare fosse soggetto a un moto di rotazione intorno al proprio asse, cui Hobbes aggiungeva un
ulteriore movimento che egli chiamava moto circolare semplice.!* Il modello è presente in quasi tutte le opere hobbesiane e, nonostante le diverse varianti, si percepisce la comune
matrice, che accomuna
elementi
tratti principalmente dal De Revolutionibus orbium coelestium di Copernico e argomenti desunti dal Dialogo galileiano. Già nel Tractatus Opticus II, Hobbes supponeva che i due moti annui della terra, descritti da Copernico, fossero perfettamente rappresentabili
141 Ip., De Corpore, XXVI, 10, OL, I, p. 356; tr. it. p. 416 (corsivo mio).
142 Venendo a trattare delle macchie solari, nel Dialogo, Galileo avanzava l'ipotesi che il Sole avesse un moto di rotazione attorno al proprio asse (vedi GaLILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 79), come aveva sostenuto, più esplicitamente, nell’Istoria e
dimostrazioni intorno alle macchie solari, dove scriveva che «il corpo del Sole è assolutamente sferico; secondariamente, ch'egli in sé stesso e circa il proprio centro si raggira portando seco in cerchi paralleli le dette macchie, e finendo una intera conversione in un mese lunare in circa,
con rivolgimento simile a quello de gli orbi de i pianeti, cioè da occidente verso oriente». GALILEI, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, Lettera II, OG, V, p. 117. Già
Keplero aveva supposto, nell’Astromia Nova, che il Sole possedesse un movimento rotatorio intorno al proprio asse e che questo movimento, unito all’azione delle species, producesse il moto di rivoluzione dei pianeti, ma egli lo spiegava facendo ricorso a una «speciem immateriatam corporis sui, analogam speciei immateriatae lucis suae». KEPLER, Astronomia nova, Introductio, in Gesammelte Werke, III, p. 34. Sulle analogie tra Keplero e Galileo riguardo a questo tema vedi: WILBUR APPLEBAUM — RENZO BaLDasso, Galileo and Kepler on the Sun as planetary mover, in MonTESINOS -Sotis (a cura di), Largo campo di filosofare, cit., pp. 381-390. Sull’influenza di queste idee galileiane per la genesi del ‘moto circolare semplice’ in Hobbes, vedi HenRy, Hobbes, Galileo, and
the Physics of Simple Circular Motion, cit., pp. 25 e sgg. 143 Vedi HoBBEs, De Corpore, XXVI, 6, OL, I, p. 349; tr. it. p. 409. Horstmann suppone che la fonte di questa teoria hobbesiana sia Kepler (HoRrsTMANN, Ein Baustein zur Kepler-Rezeption, cit., pp. 139 e sgg.), ma ritengo più probabile che Hobbes faccia riferimento qui proprio ai testi di Galileo, poiché il nome del Pisano è citato direttamente.
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dalla sua teoria definita del motus cribratrionis, fondata sull’analogia tra i
moti di rotazione e rivoluzione dei pianeti e imovimenti cui sono soggetti i chicchi di grano all’interno di un setaccio fatto roteare.!4 Egli citava, inoltre, le osservazioni di Galilei sul moto del Sole, per sostenere che il movi-
mento della stella fosse causa del moto della Terra.!4 Da un lato, Hobbes faceva riferimento, dunque, alle dimostrazioni con-
tenute nell'XI capitolo del I libro del De Revolutionibus Orbium Coelestium,!4° dove Copernico, per rendere ragione del parallelismo dell’asse terrestre durante il moto di rivoluzione, aveva supposto l’esistenza di due moti annuali riferibili alla Terra: l’uno di rivoluzione intorno al Sole lungo l’eclittica, se-
condo l'ordine dei segni, l’altro ‘in declinatione’, intorno al proprio asse, in senso contrario rispetto al primo. Tuttavia, l’argomentazione hobbesiana sembra modellata su quella presente nella quarta giornata del Dialogo, dove Galileo aveva attinto, a sua volta, alle speculazioni copernicane: Due aviamo detto essere i moti attribuiti al globo terrestre: il primo, annuo,
fatto dal suo centro per la circonferenza dell’orbe magno sotto l’eclittica secondo l'ordine de’ segni, cioè da occidente verso oriente; l’altro, fatto dall’istesso globo,
rivolgendosi intorno al proprio centro in ventiquattr'ore, e questo parimente da occidente verso oriente, benché circa un asse alquanto inclinato e non equidistante a quello della conversione annua. Dalla composizione di questi due movimenti, chiascheduno per se stesso uniforme, dicorisultare un moto difforme nelle parti
della Terra.!4 Benché il termine motus cribrationis sia assente nel De motu, loco et tem-
pore, come nelle opere successive, tuttavia questo modello permane nell’astronomia hobbesiana, così come rimangono anche i riferimenti agli scritti di Copernico.!48 144 Vedi In., TO II, f. 198v, p. 153.
145 «Noneritigitur absurdum existimare, siquidem sol causa sit conversionis terrae annuae,
sole circa eiusmodi quoque motum esse in Sole, praesertim cum motum quendam esse in coeAxim Ecclipticae observaverit Galileus neque putandum sit temere esse quod in tanta praeter orbitam aliam per tur circumvolva quod Corpus lorum amplitudine nullum inveniatur Ecclipticam vel ab Ecclipticà parum digredientem», ibid. par 146 Vedi Niccorò Copernico, De Revolutionibus Orbium Coelestium, 3 voll., éd. critique Lettres, Belles Les Paris, Verdet, e Jean-Pierr et Segonds ippe Alain-Phil Lerner, Michel-Pierre Utet, 1979, pp. 214-222. 2015, II, pp. 74 e sgg,.; tr. it. in Opere, a cura di Francesco Barone, Torino,
VII, p. 452. 147 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, inserisce la teoria del moto Hobbes tempore, et loco motu, De del 148 Nel $ 4 del VI capitolo
più completa e articocircolare semplice desunta dagli scritti di Copernico, che tornerà in forma 185. p. it. tr. 137-139; pp. 4, VI, MLT, Ho88ESs, Vedi lata nel De Corpore.
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SECONDO
Nei capitoli XXI e XXVI del De Corpore, Hobbes riprese ancora le teorie copernicane e l’argomentazio-
ne hobbesiana si fondava sull'idea che nel movimento che egli definiva moto circolare semplice, «i singoli punti descrivono in tempi uguali archi uguali».!‘° Il filosofo supponeva che questi punti non ‘ruotassero intorno a un asse comune, ma che ogni singolo punto fosse collocato sulla superficie di una circonferenza immaginaria e ruotasse intorno al suo proprio centro. Il
ragionamento permette al segmento AB (vedi figura) F
di mantenersi sempre parallelo in DE, così come nel
movimento annuo di rivoluzione terrestre l’asse della Terra si conserverà sempre parallelo a se stesso. Hobbes applicava il medesimo modello al movimento della sfera lunare, il quale, secondo il filosofo, era da imputare alla rotazione della Terra, che
si comporta nei confronti del suo satellite come il Sole faceva con il nostro pianeta. Il pensatore elaborò la teoria in diverse versioni, dal secondo trattato ottico sino al De Corpore e alle opere più tarde, sostenendo sempre che il movimento di rotazione del Sole (connesso, in un primo momento, a un ulteriore
movimento, quello di sistole e diastole) fosse in grado di muovere gli altri pianeti, generando in essi due movimenti: di rotazione e rivoluzione, che vengono trasmessi da questi ai loro satelliti, come la Terra si comporta con la Luna. Per rendere ragione del fenomeno delle maree, Hobbes supponeva inoltre la combinazione dei movimenti terrestri e lunari, ma, egli non spie-
gava affatto come la marea venisse determinata da questi movimenti. La problematica era ripresa, incidentalmente, nel Dialogus physicus sive de natura aeris (1661) e qui si ritrova la teoria già proposta nel De Corpore e
che era definita del moto circolare semplice. Tuttavia, rispetto al De Corpore, Hobbes si serviva di un ulteriore esempio, estremamente significativo se confrontato con l’argomentazione di Galilei: egli parlava, infatti, di una bacinella che contiene una piccola quantità d’acqua ed è indubbio il richiamo all'argomentazione presente nel Dialogo galileiano.!5° 149 In., De Corpore, XXI, 1, OL, I, p. 258; tr. it. p. 320. 150 «[...] egli (scil. Hobbes) suppone che la Terra possieda un movimento anch'esso circo-
lare semplice, ricevuto dalla natura, vale a dire dalla creazione; grazie a questa supposizione dimostra con chiarezza molte cose riguardanti le cause naturali, e che tipo di ipotesi sia potrai intenderlo in questo modo. Prendi una bacinella, sul cui fondo sitrovi una piccola quantità d’acqua [...]. Muovendo la bacinella, non puoi muovere quel po’ d’acqua che in modo taleda farle compiere un cerchio intorno alla superficie interna della bacinella, verso il bordo superiore?». In., Dialogus physicus sive de natura aeris, OL, IV, pp. 251-252; tr. it. p. 450.
si DI a
HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
L'anno successivo, nei Seven philosophical problems, Hobbes veniva ad affrontare direttamente il problema delle maree e l'esempio del quale si serviva per trattare il fenomeno è proprio quello del catino d’acqua, tratto da Galileo.!?! Nella versione latina dell’opera (Problemata physica), egli nominava esplicitamente Bacon !°? e Galilei, sostenendo che entrambi attribuivano
la causa delle maree al moto della Terra. Tuttavia, Hobbes affermava che questo movimento potesse essere contemplato solo concependo il Sole, la Terra e la Luna congiunti da un qualche saldo legame, simile a quello di una sfera di piombo appesa a una cordicella.!°* La stessa spiegazione e la stessa immagine del catino ritornano anche nel Decameron physiologicum,'*4 ma, al di là del fascino esercitato dall’esempio tratto dal Dialogo, è interessante sottolineare l'eredità galileiana che emerge nelle teorie astronomiche hobbesiane. Entrambi gli autori rifiutano qualsiasi tipo di spiegazione che non si esprima attraverso i termini di azione e reazione tra corpi, cioè ogni interpretazione dei fenomeni fisici
che trascenda i limiti del meccanicismo. I criteri metodologici imposti alla nuova scienza da Galileo Galilei vennero, perciò, assorbiti e rielaborati dal
pensatore di Malmesbury, che li proiettò ben oltre i limiti e gli obiettivi che si era prefissato lo scienziato e filosofo pisano, sino a costruire un intero sistema filosofico dai presupposti galileiani.!’
151 HoBBEs, Seven Philosophical Problems, EW, VH, p. 13. Vedi anche In., Problemata Physica,
OL, IV, p. 313. Qui, la trattazione è diversa e più articolata rispetto al De Corpore e al Dialogus physicus, perché Hobbes affrontava il problema della coincidenza dell’acme della marea con i fenomeni di novilunio e plenilunio, cioè dell'interazione diretta tra Luna e Terra. Vedi In., Seven
Philosophical problems, EW, VII, p. 15. 152 Hobbes richiama un passo del De fluxu et refluxu mari. Vedi Bunce, Thomas Hobbes relationship with Francis Bacon, cit., pp. 57-58. 153 «[S]ed (Bacon) motus aquae causam adscribit motui diurno primi mobilis, qui motus
primi mobilis, cum sitin circulo cujuscentrum est centrum terrae, propellere aquam non potest. Etiam Galileus causam aestuum horum terrae motui cuidam adscribit: quem motum terrae habere non potest, nisi sol, terra, et luna solido aliquo vinculo connecterentur, tanquam
in fune pendulo totidem pilae plumbae». Ho88£s, Problemata Physica, OL, IV, p. 317. Curiosamente, Hobbes sembra echeggiare qui un ragionamento proposto dallo stesso Galileo, nella quarta giornata del Dialogo, dove egli si serviva dell'esempio del peso appeso a una cordicella per spiegare il fenomeno delle maree. Cfr. GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi, OG, VII, pp. 475 e sgg.
154 In., Decameron physiologicum, EW, VII, pp. 109-111. Vedi anche ivi, pp. 100-102, dove il un filosofo riprende il modello che aveva proposto nel De Corpore, nel quale il Sole, attraverso , conseguenza di e, pianeti altri gli tutti di moti i origina asse, movimento attorno al proprio indirettamente anche dei loro satelliti. del mec155. Alla luce dei temi analizzati nei capitoli precedenti mi pare che i fondamenti della sua filoso‘galileiani’ i presuppost nei te esattamen ricercati vadano Hobbes di canicismo Galileo come fia. Per questo motivo trovo inspiegabile la scelta di Daniel Garber di considerare
CAPITOLO
6. COSE FATTE
‘MECCANICAMENTE DALLA
SECONDO
NATURA”
Il passo del Saggiatore che prospettava una distinzione tra qualità inerenti ai corpi e qualità riconducibili, invece, unicamente a manifestazioni indotte nel senziente dal movimento dei minimi presenti negli oggetti, è uno dei non numerosi spunti dedicati alla natura della sensazione nei testi galileiani. La scarsa attenzione dedicata al fenomeno è stata talvolta interpretata come una maggiore propensione del Pisano alle indagini puramente fisiche 0, addirittura, come un difetto imputabile all'assenza di una filo-
sofia compiuta e sistematica in Galileo, che soggiacesse alle speculazioni propriamente scientifiche.! In realtà, i testi del Pisano sono disseminati di spunti dai quali traspare un'immagine, se non propriamente chiara e distinta, perlomeno nettamente delineata, di una filosofia naturale.
A tal proposito è interessante sottolineare anche che in una lettera a Diodati del 1638, Galileo palesava la volontà di affrontare lo studio della senzasione animale, soprattutto quelle questioni «che son fatte meccanica-
mente dalla natura».7 essenzialmente estraneo al meccanicismo. Garber si fonda principalmente su due argomenti: un supposto debito del Pisano nei confronti della meccanica aristotelica e la concezione infinitesimale della materia abbozzata dal pensatore nei Discorsi, che lo renderebbe necessariamente estraneo al corpuscolarismo (GARBER, Remarks on the Pre-History of Natural Philosophy, cit., pp. 13-15). Per quanto riguarda la prima questione, bisogna osservare che Galileo affronta alcuni temi aristotelici, ma non elabora di certo le stesse risposte. Per ciò che concerne, invece, il secondo argomento, Galileo ha una concezione della materia molto articolata, ma, in ogni caso, la struttura ‘infinitesimale’ della materia dei Discorsi, è lungi dall’inficiare le argomenta-
zioni sulle qualità dei corpi, presenti ne Il Saggiatore, e fondate su di una concezione ‘corpuscolare’ (nel senso lato del termine) della materia. 156 Questa era, ad esempio, l’interpretazione di Descartes. Vedi Descartes a Mersenne, 11 ottobre 1634, AT, II, 380-402; tr. it. pp. 879-899. Sull’interpretazione di Galileo, da parte di Descartes vedi WiLLiam R. SHEA, Descartes as critic of Galileo, in RoBERT E. BuTTS — JosEPH C. PrrTs
(eds.), New Perspectives on Galileo, Dordrecht-Boston, Reidel Publ. Company, 1978, pp. 139-159; BUCCIANTINI, Descartes, Mersenne e la filosofia invisibile di Galileo, cit.
157 «Jo ho un buon numero di problemi e questioni spezzate, tutte, al mio consueto, nuove e con nuove dimostrazioni confermate. Sono ancora sul trirare avanti un mio concetto assai
capriccioso; e questo è il portar, pur sempre in dialogo, una moltitudine di postille fatte intorno a’ luoghi più importanti di tutti i libri di coloro che mi ànno scritto contro et anco di qualc’altro autore e in particolare di Aristotele, il quale nelle sue Questioni Mechaniche mi dà occasione di dichiarare diverse proposizioni belle, ma molto più ancora me ne dà nel trattato De incessu animalium, materia piena di cose ammirabili, come quelle che son fatte meccanicamente dalla natura». Galileo Galilei a Elia Diodati, 23 gennaio 1638, OG, XVII, p. 262 (corsivi miei). Vedi CAMEROTA, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della controriforma, cit., p. 561. Questo passo mi porta a essere in disaccordo con Alan Gabbey, il quale ritiene che in Galileo non si trova alcuna accezione di meccanicismo nel senso boyleiano del termine. Vedi GasBeYy, What Was Mechanical’ about “The Mechanical Philosophy”, cit., p. 15.
199)—
HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
Dal canto suo, Hobbes mosse, invece, i primi passi nel mondo della filosofia naturale spinto proprio dall’interesse a scoprire le cause e la natura della sensazione e dell’intellezione, e dal desiderio di interpretare questi fenomeni facendo ricorso, unicamente, alla materia e al movimento.!*8 La pri-
ma parte degli Elements è, infatti, dedicata all’antropologia e vi si sottolinea come l’analisi delle sensazioni, delle passioni e della formazione dei concetti, non richieda il ricorso a modelli di spiegazione alternativi rispetto a quelli cui facciamo ricorso per spiegare ogni altro fenomeno che si verifica nel mondo naturale.!’° L'idea di contemplare le sensazioni animali e le passioni unicamente come effetto della materia in movimento, permette a Hobbes di concepire l’universo naturale applicandovi un unico criterio esplicativo uniforme.!9° Ciò si trova espresso molto chiaramente anche nel De motu, loco et tempore, dove il filosofo contesta la necessità di dover ricorrere al con-
cetto di anima per rendere ragione della sensazione animale.!°! È significativo osservare che la trattazione hobbesiana della fenomenologia della sensazione non subì mutamenti radicali nei suoi principi generali e nel XXV capitolo del De Corpore il filosofo riprese le speculazioni presenti nei capitoli XXVII e XXX del De motu, loco et tempore. In particolare, è il XXX capitolo a essere molto interessante, soprattutto se messo in relazione alle speculazioni più tarde di Hobbes. Qui l’autore sviluppa in successione le problematiche concernenti la sensazione e l'immaginazione, per giungere, infine, al ragionamento e alla nascita della scienza o filosofia. Queste pagine richiamano la trattazione degli Elements e anticipano l’analisi dettagliata presente nella prima parte del Leviathan, dove emerge chiaramente l'anello di con158 Per una panoramica globale sul meccanicismo nel XVII secolo è sempre utile: DyksTERHUIS, Il meccanicismo e l’immagine del mondo, cit., pp. 379-658; il quale dedica ampio spazio a Galileo, trascurando però la figura di Hobbes. Vedi anche GaRBER — Roux (eds.), The Mechanization of Natural Philosophy, cit., passim.
159 Vedi i capp. II-IX della prima parte degli Elements: Ho8BEs, EL, pp. 3-48; tr. it. pp. 13-76. 160 Nonostante il proposito del filosofo inglese di presentare il suo pensiero come un sistema unitario, è necessario sottolineare la problematicità di quest’aspetto: il pensiero di Hobbes non può essere considerato come una struttura perfettamente uniforme e concatenata, che si sviluppa senza soluzione di continuità dalla filosofia prima alla politica. Vedi al riguardo NoEL alii, Hobbes oggi, cit., MarcoLm, Hobbes's science of politics and his theory of science, in WILLMS et
Hobbes”s pp. 145-159, ora in In., Aspects of Hobbes, cit., pp. 146-155. Vedi anche BERNARD GERT, mostra psychology, in SoreLL (ed.), The Cambridge Companion to Hobbes, cit., pp. 157-174, il quale la base molto chiaramente come non sia esattamente la sua concezione materialista ad essere umane. passioni delle ‘psicologica’ un'analisi bensì della filosofia politica di Hobbes, Opticus I 161 HosBes, MLT, XXVII, pp. 326-327; tr. it. p. 486. Negli Elements e nel Tractatus Opticus Tractatus nel mentre cervello, nel Hobbes collocava la sede della sensazione solamente ne «scaturigi la costituire a cuore il è tempore et loco motu, De nel e 199) p. v, 240 f. II, Il (In., TO prima della reazione al moto sensibile».
CAPITOLO
SECONDO
giunzione tra la filosofia naturale e la filosofia politica o civile, che risiede nella nozione di passione.!°2 Essa domina, infatti, l'antropologia hobbesiana, della quale è stata ampiamente sottolineata l’importanza come punto di contatto tra l’indagine naturale e la costruzione artificiale propria della filosofia politica. Hobbes dedica sempre ampio spazio alla fenomenologia delle passioni, come si può evincere soprattutto dal VI capitolo del Leviathan (ma anche dal XII del De Homine).!8 Qui egli sosteneva che «l'immaginazione è la prima origine interna di ogni movimento volontario» !° e, come sappiamo, essa «non è altro che una sensazione che si indebolisce».!°° Le espressioni e i concetti espressi nel Leviathan richiamano quelli già presenti negli Elements !°° e nel De motu, loco et tempore: «l'immaginazione è identica alla sensazione. La si chiama però sensazione finché incombe l’oggetto; quando quest’ultimo si allontana, si chiama immaginazione, prendendo il nome dalle immagini nella visione».!97 La fenomenologia delle passioni si colloca, dunque, in natu-
rale continuità rispetto alla sensazione e all’immaginazione, le quali, come sappiamo, sono determinate dai movimenti degli oggetti esterni sui nostri
organi di senso. Nel capitolo VI del Leviathan, Hobbes riprendeva lo stesso modello di spiegazione, estendendolo sia ai movimenti vitali (cioè involontari), sia ai movimenti animali (cioè agli atti volontari), e faceva riferimento a
una nozione chiave del suo sistema filosofico, sia nell’ambito della filosofia naturale che politica: il concetto di conato: 198 162 Per un'analisi del concetto di passione nella filosofia hobbesiana vedi BERNARD GERT, Hobbes’s Account of Reason and the Passions, in BERTMAN — MALHERBE (eds.), Thomas Hobbes: de
la métaphysique à la politique, cit., pp. 83-92; e soprattutto FRAaNCOIS TRICAUD, Le vocabulaire de la passion, in ZARKA (ed.), Hobbes et son vocabulaire, cit., pp. 139-154. A sottolineare l’importanza delle passioni come elemento di congiunzione tra l'antropologia e la politica in Hobbes sono stati soprattutto Strauss (vedi Leo Strauss, The Political Philosophy of Hobbes. Its Basis and its Genesis, Chicago & London, University of Chicago Press, 1952”, pp. 11-27) e Pacchi (ArRIGO PaccHI, Hobbes and the Passions, «Topoi», VI, 1987, pp. 111-119, ora in In., Scritti hobbesiani (1978-
1990), Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 79-95). Vedi anche SorELL, Hobbes, cit., pp. 87 e sgg.
L'importanza che Hobbes dedica alla nozione di passione è testimoniata, non solo dall’ampia trattazione che il filosofo dedica all'argomento nel VI capitolo del Leviathan (vedi HoBBEs, Leviathan, pp. 79-97; tr. it. pp. 41-51), ma anche anche da un manoscritto databile 1644 circa, che costituisce una sorta di abbozzo del capitolo citato del Leviatano. Vedi British Library, Ms. Harl. 6083, pubblicato come: THomas HoBBEs: «Of Passions», a cura di Anna Minerbi Belgrado, «Rivista di Storia della Filosofia», 4, 1988, pp. 729-738. 163 Ip., De Homine, OL, II, pp. 103-110; tr. it. pp. 602-609.
164 Ip., Leviathan, p. 78; tr. it. p. 41. 165 Ivi, p. 26; trad. it. p. 15. l60-Cir.ID. EL parsi. capiVIILO.L p.3l' tr.it p.55. 167 Ip., MLT, XVIII, 14, pp. 350-351; tr. it. p. 526.
168 Vedi DougLas M. JessePH, Hobbes on ‘Conatus’: A study in the Foundations of Hobbesian Philosophy, «Hobbes Studies», 1, 2016, pp. 66-85: 78 e sgg.
i
HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
Poiché il camminare, il parlare e altri simili movimenti volontari dipendono sempre dall'aver prima pensato a dove, per quale via e che cosa, è evidente che l’immaginazione è la prima origine interna di ogni movimento volontario. Anche se le persone incolte non concepiscono alcun movimento dove la cosa mossa è invisibile, o lo spazio in cui si muove è, per la sua limitatezza, insensibile, ciò non im-
pedisce tuttavia che tali movimenti esistano. Infatti non si dà mai uno spazio tanto piccolo che ciò che si muove su uno spazio maggiore, di cui il piccolo spazio è una parte, non debba prima muoversi su di esso. Questi piccoli inizi di movimento all’interno del corpo umano, prima che si manifestino nel camminare, nel parlare,
nel percuotere e in altre azioni visibili, sono comunemente detti CONATO.!9 Anche il conato (ingl. endeavour) — il quale, «quando si rivolge a qualcosa che ne è la causa, viene chiamato APPETITO o DESIDERIO» !?° ed è, quindi, all’origine delle passioni e di ogni atto volontario — si esplica esclusivamente in termini meccanici, dinamici e causali.
Il termine conato, con il quale Hobbes viene a indicare la reazione interna del corpo vivente (presente già negli Elements, nel Tractatus Opticus I e nel De motu, loco et tempore), è strettamente legato, dunque, alle accezioni
propriamente fisiche nelle quali esso ricorre (come vedremo nel prossimo capitolo).!7! La definizione di conatus presente nel De Corpore, di «moto che si verifica in uno spazio e tempo minore di quello dato» !7? racchiude, infatti, tutte le molteplici varianti e sfumature del termine. Tuttavia, ciò che preme sottolineare qui è la continuità che lega il processo della sensazione e il fenomeno delle passioni nella filosofia naturale hobbesiana: per entrambi dobbiamo ricorrere a un unico modello esplicativo. Infatti, il naturale sviluppo del fenomeno percettivo, dalla sensazione alle passioni, che rappresenta il nodo cruciale tra le parti diverse del sistema filosofico di Hobbes, è incentrato, ancora, sui concetti di materia e
movimento. 7. CAUSE E NECESSITÀ
La particolare concezione della sensazione presente in Hobbes ci induce a considerare le riflessioni del filosofo sugli atti volontari e la volon169 Ip., Leviathan, pp. 78-80; tr. it. pp. 41-42. 170 Ibid.
171 Vedi infra, cap. III 240. 172 Ho88Es, De Corpore, XIV, 16, OL, I, p. 170; tr. it. p.
at SRle
CAPITOLO
SECONDO
tà in generale. Se alla base di ogni atto volontario possiamo individuare determinate reazioni meccaniche interne al senziente, generate dall’azione dei corpi esterni sugli organi di senso, è difficile concepire come le azioni degli esseri umani non siano necessariamente determinate da una serie di fattori causali. In altri termini, la teoria hobbesiana dell’origine
degli atti volontari ci porta a considerare il determirismo (o necessitarismo) del filosofo.
I capitoli XXX e XXXIII del De motu, loco et tempore contengono preziose indicazioni al riguardo, che trovano un riscontro nei testi successivi. Nel
primo di questi due capitoli è presente una definizione di volontà, come «atto di colui che delibera» !7? e questa dicitura appare molto più chiara alla luce del paragrafo successivo, dedicato a ciò che si definisce volontario.!74 Il termine volontario può essere riferito, infatti, unicamente alle azioni, non
al processo di deliberazione e il concetto di libertà che Hobbes fornisce nel paragrafo seguente è conforme alla sua definizione di volontà: Riguardo ai movimenti in generale, oltre al movimento animale, si chiama libero ciò il cui moto non è impedito: in altri termini, è libero su quella via [all’azione] in cui non incontra alcun ostacolo, come il fiume scorre liberamente dove
le rive non lo impediscono, mentre non è libero dalla parte delle rive. Riguardo al moto animale, è libero quello il cui movimento non trova ostacolo se non nella
propria volontà.!”? La definizione di libertà come libertà negativa, caratteristica della filoso-
fia hobbesiana,!7° concepisce la libertà come assenza di impedimenti esterni. Tuttavia, qui Hobbes sembra escludere la volontà dalla catena delle cause e la considera, invece, come ciò che determina, infine, la realizzazione o mancata realizzazione di un evento.
173 «La volontà è l’ultimo atto di colui che delibera; se quest’ultimo atto è appetito, essa
è volontà di fare. Se è fuga, è volontà di non fare. E come si intende che non vi sia volontà in colui che ancora delibera, così non si intende neppure che vi sia deliberazione in colui che ha voluto». HoBBEs, MLT, XXX, 27, p. 361; tr. it. pp. 540-541.
174 «Volontario è un nome che compete alle sole azioni. Azione volontaria è quella per la cui causa si richiede la volontà dell’agente; la stessa volontà dunque non è volontaria, poiché non è azione. È solo in modo assurdo e ridicolo che si potrebbe dire: ‘domani voglio volere così, 0 ‘domani voglio avere la volontà di fare questo o quello’, perché io posso dire: “voglio volere’, ‘voglio volere di volere”, e così via all’infinito», ivi, XXX, 29, tr. it. pp. 541-542.
175 Ivi, XXX, 30, p. 362; tr. it. p. 542. 176 Per ciò che concerne lo sviluppo e i limiti del necessitarismo hobbesiano vedi Yves-
CHARLES ZARKA, Liberté, nécessité. Hasard: la théorie générale de l’événement chez Hobbes, in Luc
FoIsNEAU — GEORGE WRIGHT (a cura di), Nuove prospettive critiche sul Leviatano di Hobbes nel 350° anniversario di pubblicazione, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 249-262.
PREGI > peas
HOBBES:
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
Al contrario, se poniamo attenzione al capitolo XXXIII, il quale discute della libertà di Dio di creare il mondo, anche gli atti umani volontari sem-
brano essere ricondotti inevitabilmente al concetto di causa.!77 Qui, Hobbes sembra ammettere — a dire il vero molto velatamente — che la definizio-
ne di agente libero (a patto che si accolga la sua concezione negativa della libertà) non esclude che ogni avvenimento sia determinato da una causa o da una serie di cause. Quest’idea si traduce, nel capitolo XXXIV, nella presentazione di una concezione megarica della possibilità che concepisce la potenza aristotelica esclusivamente come causa e considera vana ogni potenza o possibilità che non si traduce in atto.!78 Le medesime problematiche sono estese anche al XXXV capitolo, relativo al fondamento del fato stoico, dove
Hobbes fornisce anche le definizioni di necessario e contingente. In primo luogo, egli ribadisce che «la causa e la potenza sono la stessa cosa». Inoltre, egli esplicita cosa intende per necessario: «quello che non può non essere» e sottolinea che gli Stoici chiamavano fato, quello che è in realtà necessità.!?? Un particolare evento è determinato, perciò, da una serie di eventi precedenti che ne sono la causa e dai quali esso consegue necessariamente. Così, la definizione di contingente equivale a quella di ‘ignorata’ e, di fatto, gli uomini chiamano contingente tutto ciò di cui non conoscono la causa.!80 Più avanti, Hobbes sembra chiarire ulteriormente questa concezione, sot-
tolineando ancora che la definizione di contingente è legata all’ignoranza della causa necessaria.!8!
177 «Nel caso di un essere vivente, si dice libero in senso proprio, quando, pur avendo ogni
altra potestà di agire, tuttavia non ha ancora la volontà. Nelle cose inanimate, invece, è e vie-
ne detto libero ciò che non è impedito a fare qualunque cosa può fare secondo la sua natura, così l’acqua scorre liberamente se le rive o altri ostacoli esterni non le impediscono di fluire. E tuttavia coloro che parlano così non ignorano che l’acqua scorre per la forza della sua gravità, cioè per una necessità naturale. Confessano dunque che la libertà non si oppone ad una necessità interna, ma ad un impedimento esterno; così, anche quegli che attribuiscono agli uomini la libertà di agire, non ignorano che vi sono alcune cose che gli uomini non possono volere, come quelle che sembrano loro pessime, e alcune che non possono non volere, come quelle che paiono le migliori che siano state fatte per loro. Tuttavia, non per questo negano che quegli agiscano liberamente e per scelta; infatti anche della scelta (come di tutte le altre cose) esiste di una causa, ed essa è necessaria. Colui che sceglie per necessità, nondimeno sceglie a causa HOBBES, necessariamente». cade perché cade non pietra la che anche dire salvo questo fatto, vedi MLT, XXXII, 2, p. 377; tr. it. p. 570. Queste riflessioni saranno riprese nel capitolo XXXVII, pp. 401 e sgg.; trad. it. pp. 611 e sgg. 178 Questa concezione è riscontrabile anche nel X capitolo del De Corpore (In., De Corpore, Hobbes vedi OL, I, pp. 113-115; tr. it. pp. 176-178. Sulla concezione megarica della possibilità in LeyenHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit., pp. 181 e sgg. 172 HoBBEs, MLT, XXXV, 6, p. 389; tr. it. p. 590.
180 Ivi, XXXV, 10, p. 391; MLT, pp. 592-593.
dal 181 «L'unica e vera causa per cui gli uomini pensano che le cose umane siano governate
CAPITOLO
SECONDO
Queste riflessioni suggeriscono che già nel 1643 il filosofo avesse concepito molte delle idee che caratterizzarono le sue speculazioni successive: il necessitarismo, o determinismo, che fu al centro della disputa col vesco-
vo arminiano John Bramhall, compariva già espresso in maniera netta e precisa.
x
Nella breve opera: Of Liberty and Necessity, del 1645 (la quale costituisce una risposta del filosofo ad alcune obiezioni rivoltegli dal Bramhall e fu pubblicata nel 1654), Hobbes riprese le considerazioni presenti nel De motu, loco et tempore. Qui egli esplicitò molte delle tesi concernenti la volontà e il determinismo e l’analisi di alcuni brevi passi permette di considerare l'essenziale coerenza di contenuti nell'evoluzione del pensiero hobbesiano. Egli definisce qui la libertà come «assenza di tutti gli impedimenti all’azione che non siano contenuti nella natura e nella qualità intrinseca dell’agente» 182 e, nel descrivere i fenomeni volontari, sostiene che «non appena un uomo abbia un appetito o una volontà verso qualcosa, che prima non aveva, la causa della sua volontà non è la volontà stessa, ma qualcos'altro che non è
in suo potere».!83 Da ciò consegue che: [D]al momento che è fuori discussione che la volontà è la causa necessaria delle azioni volontarie e, per quanto si è detto, che anche la volontà è causata da altri
fattori dai quali non dispone, ne segue che tutte le azioni volontarie hanno cause
necessarie e che quindi sono necessitate.!84 Allo stesso modo, Hobbes ribadiva la medesima concezione megarica
della possibilità che aveva esposto nel De motu, loco et tempore e che implica l'assurdità del concetto di agente libero, secondo la canonica definizione pro-
pugnata dal suo interlocutore Bramhall: Da ultimo ritengo che la definizione ordinaria di agente libero, cioè che un agente libero è quello che, essendo presenti tutti gli elementi necessari alla produzione dell’effetto, può nondimeno non produrlo, implichi una contraddizione e sia priva di senso.
caso, sembra essere questa, che ignorano le loro cause integrali e necessarie; infatti, se si cono-
scesse in anticipo cvvtdyiav, [la congiuntura], ovvero il modo in cui tutte le cause concorrono
a produrre qualche effetto futuro, non si affermerebbe mai che quell’effetto avverrà in modo
casuale, ma per necessità; infatti, ciò che si conosce con sicurezza che accadrà in base alla certezza della scienza, si afferma che accadrà certamente, cioè non in modo fortuito. [...] Poiché
dunque tutti gli eventi sono necessari a motivo delle loro cause, ne segue che gli effetti sembra-
no fortuiti soltanto perché non ne vediamo tutte le cause», ivi, XXXVIII, 1, p. 412; tr. it. p. 629. 182 In., Of Liberty and Necessity, EW, IV, p. 273; tr. it. a cura di Andrea Longega, Milano, Bompiani, 2000, p. 111.
183 Ivi, p. 274, tr. it. pp. 111-113.
184-bid.trsite pelt3,
ani
Pesa
HOBBES:
Come
PRINCIPI
DI FILOSOFIA
GALILEIANA
se si dicesse che la causa potrebbe essere sufficiente, ovvero necessaria, e
tuttavia l’effetto non seguirà.!5 Le conclusioni cui giunge Hobbes in Of Liberty and Necessity non sono altro che la naturale conclusione delle premesse contenute già nel De motu, loco et tempore e risiedono nei fondamenti della sua filosofia naturale, tra i
quali è capitale il concetto di causa. Esso rappresenta il ‘baluardo dogmatico’ della filosofia di Hobbes: !8° non solo non è mai messo in discussione dal pensatore, ma anzi rappresenta il collegamento tra la dimensione soggettiva delle percezioni sensibili e la realtà esterna di corpi in movimento.!87 Così come egli aveva ricondotto tutti i moti aristotelici a quell’unico movimento contemplato dalla fisica galileiana, cioè al moto locale, così nel IX capitolo del De Corpore, Hobbes riduce le quattro cause aristoteliche !** a due: la causa efficiente e la causa materiale, le quali vanno a comporre ciò che il filosofo definisce la causa intera.!*° Essa è al contempo, necessaria e sufficiente, perché è «l'aggregato di tutti gli accidenti e degli agenti, quanti sono, e del paziente, con la supposizione che con la presenza di tutti questi non può intendersi che l’effetto non sia prodotto nello stesso tempo, e con la supposizione che con la mancanza di uno di essi non può intendersi che l’effetto sia prodotto».!9° Ogni azione e, quindi, ogni elemento che va a comporre la catena causale, deve necessariamente esprimersi in termini cinetici e, per questo, «la causa del movimento può essere solo in un corpo
contiguo e mosso».!?! La stessa concezione emerge quando Hobbes viene a trattare della sensazione. Nel XXV capitolo, si sostiene che un moto non può essere generato
se non da un corpo mosso e contiguo e, perciò, all’origine della sensazione e di ogni nostro concetto non vi è altro che l’azione di un oggetto esterno
su di un organo di senso.!°? Inoltre, anche la successione delle sensazioni
185 Ivi, p. 275; tr. it. p. 113. 186 Vedi LEMJENHORST, La causalité chez Hobbes et Descartes, cit., pp. 79-119.
187 Su quest'idea si è soffermato soprattutto Paganini, vedi PAGANINI, Hobbes e lo scetticismo continentale, cit., p. 323. 188 Vedi ARISTOTELE, Fisica, II (B), 194b e sgg. 189 Vedi HoBBEs, De Corpore, IV, 4, OL, I, p. 104; tr. it. pp. 171-172. 190 Ivi, IX, 3, pp. 107-108; tr. it. p. 171.
191 Ivi, IX, 7, p. 110; tr. it. p. 173.
della sensazione, 192 Barnouw ritiene che, nonostante la sua concezione causale e cinetica
Vedi JeFFREY BARHobbes non escluda la possibilità di includervi il concetto di intenzionalità.
LEJENHORST, Sense and nouw, Hobbes’s Causal Account of Sensation, cit., passim. Vedi, tuttavia
Imagination, cit., p. 90. Nonsense about Sense: Hobbes and the Aristotelians about Sense Perception and —199 +
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e delle immagini, rievocata dall’immaginazione e dalla memoria, risponde
esattamente ai medesimi principi: Ora, che in questa varietà i fantasmi nascano gli uni dagli altri, e che gli stessi fantasmi portino talvolta alla mente altri fantasmi ora ad essi simili, ora ad essi dissimili, non avviene senza una causa e tanto casualmente, come molti forse ri-
tengono. Infatti, nel moto delle parti di un corpo continuo una parte segue l’altra per coesione. Mentre, dunque, rivolgiamo gli occhi ed altri organi dei sensi successivamente a più oggetti, restando il moto generato da uno di essi, i fantasmi
rinascono quante volte uno qualsiasi di quei moti predomina sugli altri.!°
AI di là della realtà soggettiva, variegata e multiforme della percezione sensoriale esiste, quindi, una realtà oggettiva di enti materiali, di corpi in
movimento, cui non solo si applica il concetto di causa, ma che sono essi stessi la causa della nostra percezione e, addirittura, della nostra immaginazione. Tutti questi fenomeni, lungi dal verificarsi casualmente, sono il
prodotto di una catena causale che si realizza con ineluttabile necessità.
8. LA MATEMATICA
E IL LIBRO
DELLA NATURA
Il tema dello statuto epistemologico dell’indagine scientifica in Hobbes e Galileo rappresenta uno degli elementi maggiormente problematici della filosofia naturale di entrambi i pensatori. A quest'argomento sono connesse ulteriori questioni e, in particolare, a esso fa riferimento il comun
denominatore delle riflessioni scientifiche e filosofiche dei due intellettuali: la matematizzazione della realtà naturale,!°4 caratteristica peculiare del pensiero di Galilei, che sarà ereditata da Thomas Hobbes.!95 Per ciò che concerne Galileo, la questione è tra le più dibattute nel panorama della letteratura critica, perché il Pisano non dedica una trattazione 193 HoBBEs, De Corpore, XXV, 8, OL, I, p. 324; tr. it. pp. 384-385.
194 Sull'importanza della matematizzazione del reale in riferimento alla genesi del meccanicismo, vedi ALExaNDRE KoyRé, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Torino, Einaudi, 1992 (ed. or. 1948), pp. 87-111. Vedi anche CRoMBIE, Storia della scienza da S. Agostino a Galileo, cit., pp. 314 e sgg. e lo storico saggio di Alfred Rupert Hall e Marie Boas Hall che è stato uno dei primi studi critici a insistere sull'importanza de Il Saggiatore per la matematizzazione della natura: vedi ALFRED R. HaLL — MARIE Boas HALL, Storia della scienza, Bologna, il Mulino,
1991 (ed. or. 1964), pp. 166 e sgg. Vedi anche CarLA R. PaLMERINO, The Geometrization of Motion: Galileo’s Triangle of Speed and its Various Transformation, «Early Science and Medicine», 15, 2010,
pp. 410-447.
195 Vedi GaRGANI, Hobbes ela scienza, cit., pp. 53 e sgg. e pp. 170-173; JessEPH, Galileo, Hobbes and the Book of Nature, cit.; PAGANINI, Introduzione, in tr. it. MLT, pp. 24 e sgg.
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chiara, esplicita ed esaustiva all'argomento, sebbene i suoi testi siano disseminati di cenni dai quali traspare una visione abbastanza precisa e, di certo, ben strutturata di cosa egli intendesse per scienza e per ricerca scientifica. Ciò nondimeno, gli studiosi che si sono confrontati con questa problematica hanno spesso posto l’accento su di un singolo elemento dell’epistemologia galileiana, trascurandone gli altri e proponendone, talvolta, visioni parziali (o addirittura distorte), che hanno trasmesso un’ancor più recondita e fumosa immagine della scienza di Galileo. Dopo un periodo di interpretazioni ‘platoniche’ o ‘platonizzanti’,!°° la storiografia si è interrogata sui debiti del Pisano nei confronti della tradizione filosofica e scientifica precedente, accostando la metodologia dell’indagine scientifica galileiana ai metodi in auge presso la Scuola di Padova nel Cinquecento; !°” oppure individuando una particolare influenza sul giovane Galileo di autori attivi e testi utilizzati presso il Collegio romano.'°* Tuttavia, un corretto approccio 196 Jl dibattito intellettuale che si è sviluppato intorno a questa problematica prende le mosse dallo storico saggio di Alexandre Koyré apparso in francese nel 1938 (Koxré, Studi galileiani, cit.), il quale poneva l'accento sugli elementi ‘platonici’ presenti nell'opera di Galileo. Inoltre, secondo Koyré, nei testi del Pisano vi è una grande predominanza del ragionamento speculativo deduttivo, a discapito dell’elemento sperimentale. La tesi di Koyré, nonostante sia stata ampiamente discussa e analizzata criticamente, raccoglie ancora un enorme
successo,
soprattutto fuori dall'Italia e all’esterno della storiografia spiccatamente galileiana. 197 Sul metodo della compositio/resolutio, proprio di Agostino Nifo e, soprattutto, diJacovedi RanpaLL, The School of Padua and the Emergence of Modern Science, cit., pp. 15Zabarella po 68, il quale suggerisce un accostamento con l’applicazione di esso in Galileo (ivi, pp. 55 e sgg). Il Pisano fa riferimento esplicitamente ai metodi compositivo e risolutivo nelle Considerazioni
sopra ’l discorso del Colombo (OG, IV, p. 520). È necessario sottolineare, tuttavia, che già Neal Gil-
bert aveva escluso una stretta dipendenza di Galileo nei confronti dell’aristotelismo padovano e indicato anche la differenza sostanziale tra la metodologia di Zabarella e quella del Pisano (vedi NeaL-W. GILBERT, Galileo and the School of Padua, Journal of the History of Philosophy»,
I, 1963, pp. 223-231; vedi anche: ScHMITT, Esperienza ed esperimento: un confronto tra Zabarella e MANLIO il giovane Galilei (ed. or. 1969), ora in Filosofia e scienza nel Rinascimento, cit., pp. 25-64;
Pasrore SroccHI, Il periodo veneto di Galileo Galilei, in GIROLAMO ARNALDI — MANLIO PASTORE
vol. IV, SroccHI (a cura DI), Storia della cultura veneta, Vicenza, Neri Pozza, 6 voll., 1976-86,
t. 2, pp. 37-66: 58-60). Molto prima, anche Antonio Banfi aveva distinto la personalità speculativa di Galileo dall'opera di «erudita esegesi dialettica dei testi aristotelici e dei loro commentari», propria di autori come Zabarella e Cremonini. Vedi ANTONIO BANFI, Galileo Galilei, Milano, Il Saggiatore, 1964 (1° ed. 1949), p. 280. 198 Edwards e Wallace hanno pubblicato un testo giovanile di Galileo (GALILEO GALILEI, F. Tractatio de praecognitionibus et praecognitis and Tractatio de demonstratione, ed. by William problemadi occupa si quale il 1988) Antenore, Padova, Wallace, Edwards and William A. di Aristotetiche epistemologiche e attesta la presenza dei commenti agli Analitici Posteriori trascrizione una perlopiù a rappresent testo il Tuttavia, Romano. Collegio il presso le, in uso logia matura degli insegnamenti proposti nel prestigioso Collegio e non esprime l’epistemo Early Natural del Pisano. Sull'argomento vedi anche: ALISTAIR C. CROMBIE, Sources of Galileo’s and MysExperiment, Reason, (eds.), SHEA WILLIAM — BONELLI RIGHINI Philosophy, in MARIA LuIsA 1975, pp. 157-175; ADRIANO ticism in the Scientific Revolution, New York, Science History publ.,
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all’analisi dei veri rapporti del Pisano con le tradizioni e correnti filosofiche precedenti ha permesso di evidenziare gli elementi di originalità che caratterizzano la sua posizione.!°° In ogni caso, al di là di queste interpretazioni storiografiche, è utile interrogarsi sull'immagine della scienza che traspare dai testi del Pisano disponibili alla lettura di Hobbes, e sull’influenza che può aver esercitato questo modello sulla metodologia scientifica hobbesiana.?® Di primo acchito, le posizioni epistemologiche di Galileo e Hobbes sembrerebbero infatti situarsi su binari divergenti: il Pisano insiste sulla differenza che separa l’astronomo matematico, dal cosiddetto astronomo filosofo?! (e non vi è dubbio che egli si considerasse più propriamente un filosofo),"° precisando Carugo — ALIsTaIR C. CromBIE, The Jesuits and Galileo’s Ideas of Science and of Nature, «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze», 8, 1983, fasc. 2-3, pp. 3-68. Più recentemente è tornato sull'argomento: WALTER R. LarrDp, Galileo and the mixed sciences, in DANIEL
A. Di Liscia — EcxHarp KessLER — CHARLOTTE METHUEN (eds.), Method and Order in Renaissance
Philosophy of Nature (The Aristotle Commentary Tradition), Aldershot-Brookfield-Singapore-Sidney, Ashgate, 1997, pp. 252-270. Wisan ha considerato, invece, diverse fasi dell’epistemologia
galileiana. Egli ritiene Galileo sia stato inizialmente influenzato dalla tarda scolastica e che, nella seconda fase, il Pisano avrebbe espresso una posizione simile a quella dei mitigated sceptics. Successivamente si sarebbe orientato a una dimensione epistemologica caratterizzata dal dialogo tra indagine empirica e speculazione razionale per assumere nuovamente una posizione ‘razionalista’ nei Discorsi. Vedi WiniFRED L. Wisan, Galileo’s Scientif Method: a Reexamination, in
BuTTS — PirTs (eds.), New Perspectives on Galileo, cit., pp. 1-57. 199 A tal proposito è fondamentale: GaLLuzzi, Il “Platonismo” del tardo Cinquecento e la filosofia di Galileo, cit., il quale analizza con precisione i testi di Mazzoni, Biancani, Clavius e altri
autori del tardo Cinquecento che erano disponibili alla lettura di Galileo e che hanno esercitato un'influenza sul Pisano. Da quest'indagine emerge chiaramente il vero rapporto dello scienziato con il platonismo e l’aristotelismo precedenti, e traspare anche la sua originalità, quando questi decide di allontanarsi recisamente da queste tradizioni filosofiche. 200 Quest'argomento è stato affrontato da MinERBI BELGRADO, Linguaggio e mondo in Hobbes, cit., pp. 58-60 e, più recentemente, da Giudice: Grupice, Optics in Hobbes’s Natural Philosophy, cit., pp. 92 e sgg. 201
Già nell’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari (1612), per esempio, lo scien-
ziato stabilisce una netta linea di demarcazione tra la figura del puro astronomo, e quella dell’astronomo filosofo: «quei deferenti, equanti, epicicli etc., posti da i puri astronomi per facilitar i lor calcoli, ma non già da ritenersi per tali da gli astronomi filosofi, li quali, oltre alla cura del salvar in qualunque modo l’apparenze, cercano d’investigare, come problema massimo ed ammirando, la vera costituzione dell'universo, poi che tal costituzione è, ed è in modo solo, vero, reale
ed impossibile ad esser altramente, e per la sua grandezza e nobiltà degno d’esser anteposto ad ogn'altra scibil questione de gl’ingegni specolativi». GALILEI, Istoria e dimostrazioni intorno alle
macchie solari e loro accidenti, Lettera I, OG, V, p. 102.
202 È noto che Galileo, ambisse particolarmente alla qualifica di filosofo naturale che gli verrà poi attribuita in seguito al trasferimento da Padova a Firenze. Il 7 maggio 1610, Galileo scriveva a Belisario Vinta, Segretario di Stato del Granducato mediceo, informandolo delle
richieste che intendeva avanzare per un suo trasferimento a Firenze e precisava: «quanto al titolo et pretesto del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di Matematico, che S.A. ci ag-
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che il compito di quest’ultimo è quello di scoprire «la vera costituzione dell’universo», una costituzione che «è, ed è in modo solo, vero, reale ed impossibile ad esser altramente».?° Queste considerazioni trovano un riscontro in quasi tutti i testi di Galileo, non solo nelle Lettere copernicane (dove si afferma che la certezza della nostra conoscenza del reale è assicurata dal fatto che la natura è ‘inesorabile’ e ‘immutabile’),2°* ma soprattutto nel Dialogo, dove il Pisano espresse la stessa concezione in un passo particolarmente significativo, nel quale si distingue la conoscenza acquisita negli studi umani rispetto al sapere scientifico: Se questo di che si disputa fusse qualche punto di legge o di altri studi umani, ne i quali non è né verità né falsità, si potrebbe confidare assai nella sottigliezza dell’ingegno e nella prontezza del dire e nella maggior pratica ne gli scrittori, e sperare che quello che eccedesse in queste cose, fusse per far apparire e giudicar la ragion sua superiore; ma nelle scienze naturali, le conclusioni delle quali sono vere e necessarie né vi ha che far nulla l’arbitrio umano, bisogna guardarsi di non si porre alla difesa del falso, perché mille Demosteni e mille Aristoteli resterebbero a piede
contro ad ogni mediocre ingegno che abbia auto ventura di apprendersi al vero.?°
AI contrario, Hobbes non solo si prodigò per fornire un fondamento indisputabile alla legge umana e alla scienza politica,’ ma ribadì soprattutto che il mondo della filosofia naturale è il regno delle ipotesi e che, in quest’ambito, il ricercatore deve accontentarsi di scoprire le cause possibili di un determinato fenomeno. Tuttavia, è necessario indagare lo statuto epistemologico che il filosofo inglese riserva a queste ipotesi e, soprattutto, capire quale tipo di ipotesi
possano assurgere allo status di teorie scientifiche. giugnesse quello di Filosofo, professando io di havere studiato più anni in filosofia, che mesi in
matematica pura». Galileo Galilei a Belisario Vinta, 7 maggio 1610, in GALILEI, OG, X, p. 353; vedi anche CAMEROTA, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della controriforma, cit., p. 186. 203 GALILEI, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, Lettera I, OG,
V, p. 102 (orsivi miei). Sull’interpretazione del copernicamesimo come vera e reale descrizione
itadell’universo, vedi MaurIZIO TORRINI, Galileo copernicano, «Giornale critico della filosofia
liana», vol. XIII, a. LXXII, f. 1 (gennaio-aprile 1993), pp. 26-42. Sulla di essere filosofo naturale, vedi BuccranTINI, Galileo e Keplero, cit., pp. anche che «mombreux sont les textes où Galilée affirme un réalisme CLAVELIN, Galilée astronome philosophe, in MONTESINOS — SoLis (a cura
consapevolezza di Galileo 53 € sgg. Clavelin afferma sans équivoque». MAURICE di), Largo campo di filosofa-
re, cit., pp. 19-39: 29 nota. OG, 204 Vedi GaLiei, Lettera a Madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana (1615), V, p. 316.
78. 205 GaLitei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in OG, VII, p. De Cive: OL, II, 206 Vedi, in particolare, la lettera dedicatoria e la prefazione ai lettori del pp. 135 e sgg;; tr. it. pp. 51 e sgg.
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Come abbiamo più volte osservato, Hobbes insiste (come anche Mer-
senne e Clavius, prima di lui)? sull'importanza dell'elemento geometricodimostrativo della filosofia e, nel De Cive, egli propone il metodo deduttivo plasmato sul modello delle scienze geometriche come il criterio unificante dell'immenso ‘oceano’ della filosofia.?° La ‘stessa idea è presente, come sappiamo, in tutte le opere filosofiche e scientifiche h'obbesiane: a cominciare dagli Elements,2°° ma anche nel De motu, loco et tempore,?!° nel più tardo De Corpore?!! e nelle Six Lessons, dove il pensatore inglese sostiene che il metodo geometrico è ciò che permette di superare i ‘cavilli degli scettici’ .2!2 A tal proposito è interessante osservare ciò che scriveva Galileo, in un testo che Hobbes conosceva sicuramente, sia in originale,?!* che nella ver-
sione francese di Marin Mersenne: 214 Le Mecaniche. L'incipit di questo breve trattato è dedicato all'importanza del metodo deduttivo, peculiare delle
scienze dimostrative: Quello che in tutte le scienze dimostrative è necessario di osservarsi, doviamo noi ancora in questo trattato seguitare: che è di proporre le diffinizioni dei termini proprii di questa facoltà, e le prime suposizioni, delle quali, come da fecondissimi semi, pullulano e scaturiscono consequentemente le cause e le vere dimostrazioni delle
proprietà di tutti gl’instrumenti mecanici.?!°
Il metodo che raccomanda Galileo nello studio degli strumenti meccanici è quello caratteristico delle scienze dimostrative: un procedimento rigorosamente deduttivo nel quale, a partire da definizioni o principi — che 207 Vedi supra, cap. I. 208 HoB8£s (epistola dedicatoria dell’ed. 1647), De Cive, OL, II, pp. 136-138; tr. it. pp. 53-54. 20° Vedi HoBBEs, EL, Part I, cap. XIII, $ 3, pp. 65-66; tr. it. pp. 102-103.
210 Ip., MLT, XXIII, 1, pp. 269-270; tr. it. pp. 401-402. 211 Vedi la lettera dedicatoria del De Corpore, OL, I, pp. non num; tr. it. pp. 61 e sgg. 212 In., Six Lessons, EW, VII (the epistle dedicatory), pp. 184-185. 213 Del testo esiste una traduzione inglese a opera di Robert Payne, dal titolo: Of the Profitt w® is drawn from the Art Mechanics & it's Instruments. A Tract of Sig.' Galileo Galilei, Florentine (vedi infra, Appendice). Il testo è datato novembre 1636 e si trova custodito nella British Library: MS Harley 6796, ff. 317-337v et r. Nell'ultima pagina leggiamo: «Raptim ex Italico in Anglicum sermonem transfusam. Novemb. 11° 1636, By M" Robert Payem», il che significa che al Payne era giunto l’originale italiano, molto probabilmente grazie a William Cavendish e Thomas Hobbes, che lo avevano ottenuto da Marin Mersenne (è decisamente improbabile che lo abbiano ottenuto dallo stesso Galilei, il quale, all’epoca, lavorava alacremente alla stesura
dei Discorsi).
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214 MERrsennE, Les Mechaniques de Galilée, Mathematicien et Ingenieur du Duc de Florence,
A Paris, chez Henry Guenon, 1634, in In., Questions Inouyes, Paris, Fayard, 1985, p. 443.
215 GALILEI, Le Mecaniche, OG, II, p. 159 (corsivi miei).
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GALILEIANA
sono ‘fecondissimi semi’ — si ricavano per deduzione le conclusioni e le vere dimostrazioni. Queste scienze dimostrative cui fa riferimento il Pisano
sono, ovviamente, le matematiche e, nel caso particolare degli strumenti d'ingegneria, la geometria. La stessa fiducia nel sapere matematico è ribadita da Galileo in quasi tutte le sue opere e, in particolare, nel Dialogo. Qui, egli distingue due modi del conoscere: intensive ed estensive, il primo riferito «alla moltitudine degli intelligibili»,7!° cioè all'’ampiezza delle nostre conoscenze, il secondo alla certezza della conoscenza stessa. Sulla scorta di questo distinguo, egli sostiene che nell’ambito delle «scienze matematiche pure, cioè la geometria e l’aritmetica», l'intelletto umano arrivi a eguagliare la conoscenza divina intensive, «poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore».?!7 Anche Hobbes riteneva il sapere matematico assolutamente certo: nelle matematiche il grado di verità è assoluto ed è determinato dal sistema logico deduttivo interno di queste discipline che sono caratterizzate, dunque, da una dimensione meramente aprioristica e convenzionale. A partire da
principi stabiliti per convenzione, si sviluppa un sillogismo che conduce a conclusioni logicamente necessarie: Hobbes lo esplicita chiaramente nella lettera, già citata, a Charles Cavendish, dove spiega che nell’ambito delle «scienze matematiche noi arriviamo alla fine a una definizione che è un
cominciamento o Principio, resa vera da un patto o consenso tra di noi» 218
e la stessa idea è presente nel quasi coevo Tractatus opticus II.?!° Tuttavia, il 216 GaLiLei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 128.
217 Ivi, pp. 128-129 (corsivi miei). Di fronte alle perplessità di Simplicio, il quale sottolinea la temerarietà dell’affermazione di Salviati, quest’ultimo risponde: «Però, per meglio dichiarare, ella mi, dico che quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematich Iddio è l’istessa che conosce la sapienza divina; ma vi concederò bene che il modo col quale e più sommament è poche, alcune conosciamo noi quali delle i, proposizion infinite le conosce il Suo eccellente del nostro, il quale procede con passaggi di conclusione in conclusione, dive passioni del è un semplice intuito: e dove noi, per esempio, per guadagnar la scienza d’alcune pigliando per sua cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle più semplici e quella e poi alla quarta, etc., definizione, passiamo con discorso ad un’altra, e da questa alla terza,
senza temporal'intelletto divino con la semplice apprensione della sua essenza comprende, è del tutto umano all’intelletto anco né che Il [...]. passioni; delle neo discorso, tutta la infinità e assottigliata parte in viene qual la incognito, ma ben da profonda e densa caligine adombrato, dimostrate e tanto fermamente conclusioni alcune di padroni fatti siamo ci quando chiarificata , ivi, p. 129. speditamente possedute da noi, che tra esse possiamo velocemente trascorrere» or Prinbeginning a is w°° definition a to last at come wee sciences 218 «In mathematicall Sir Charles Cavendish, from ciple, made true by pact and consent amongst ourselues». Hobbes to stessa lettera, Hobbes analizza Paris, 29 Jan. [8 Feb.] 1641, CH, I, p. 83. Curiosamente, in questa 82). p. e commenta alcuni passi dei Discorsi (ivi, ico, Hobbes scrive: «In 219 Dopo aver distinto gli ambiti del sapere scientifico e matemat a prima demonstrandi alia neque principi sive nta fundame enim che) matemati le (scil. caeteris
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pensatore ribadisce altrettanto chiaramente — nel carteggio, come nel trat-
tato ottico — che nell’ambito della filosofia naturale sia necessario attestarsi alla possibilità di elaborare ipotesi probabili. Gli elementi ipotetici della filosofia naturale hobbesiana sono stati esaminati approfonditamente da Arrigo Pacchi il quale, insistendo su quest'aspetto, fu propenso ad attribuire una posizione convenzionalista al pensatore di Malmesbury.?° Più recentemente, Shapin e Schaffer hanno posto l'accento sull’estraneità di Hobbes nei confronti dell’emergente cultura dell’esperimento 22! e questo ha contribuito a maturare la convinzione di una totale avversione del filosofo per l’empiria, nella duplice accezione: 0sservativa e sperimentale.?2 In realtà, le radici della metodologia scientifica hobbesiana vanno ricercate in un ventaglio di problematiche di carattere sia metodologico che spiccatamente contenutistico. Fin dai primordi delle sue riflessioni, Hobbes ha propugnato una dicotomia nell’ambito della conoscenza filosofica: certa e aprioristica nell’ambito delle scienze matematiche e solamente probabile nel dominio della filosofia naturale. Inoltre,
già dagli Elements of Law, la scienza hobbesiana presentava un carattere nominalista, logico e assiomatico:?2 per Hobbes, verità e falsità riguardano requiruntur, neque admittuntur, quam definitiones vocabolorum, quibus excludatur Amphibologia. Eae primae veritates sunt, est enim definitio omnis, vera propositio; & prima; propterea quod definiendo, id est consentiendo circa vocabolorum usum, ipsi inter nos veram esse
facimus. Si quidem enim nobis inter nos libuerit figuram hanc A Triangulum appelare, verum erit, figura illa A est Triangulum». HoBBEs, TO II, cap. I, $ 1, f. 193r, p. 147.
220 Vedi PaccHI, Convenzione e ipotesi, cit. Un’interpretazione più equilibrata su questo tema è proposta, a mio parere, da Gargani, il quale mostra la differenza tra l’orizzonte scientifico di autori come Hobbes e Descartes, da un lato, e quello dei cosiddetti mitigated sceptics.
Vedi GarganI, Hobbes e la scienza, cit., pp. 173 e sgg. Vedi anche MaLHERBE, Hobbes ou l’euvre de la raison, cit., pp. 79 e sgg.; SORELL, Hobbes, cit., pp. 46-47; LEJENHORST, La causalité chez Hobbes et Descartes, cit.; PAGANINI, Hobbes among ancient and modern sceptics: phenomena and bodies, cit.
221 Vedi STEVEN SHAPIN — SIMON SCHAFFER, Il Leviatano e la pompa ad aria. Hobbes, Boyle e la cultura dell'esperimento, Firenze, La Nuova Italia, 1994 (ed. or. 1985), in part. pp. 99-190. 222. Per una più equilibrata interpretazione dei rapporti di Hobbes con la Royal Society e con il milieu scientifico inglese coevo, vedi NoeL MaLcorm, Hobbes and the Royal Society, in Aspects of Hobbes, cit., pp. 317-335. Vedi anche: JEAN TERREL, Hobbes et Boyle: enjeux d’une polémique, in Mrrvam DENNEHY — CHARLES Ramonp (eds.), La philosophie naturelle de Robert Boyle, Paris, Vrin, 2009, pp. 277-293; In., Hobbes: définition et réle de l’expérience, in BERTHIER — DUBOS — MILANESE — TERREL (eds.), Lectures de Hobbes, cit., pp. 63-83 (sulla doppia accezione dell'esperienza, come esperienza consequenziale derivante dall’uso dei nomi ed esperienza di fatto, pp. 68-69); José MépINA, Physiologie mécaniste et mouvement cardiaque: Hobbes, Harvey et Descartes, ivi, pp. 133-162: 160-162. 223 «È grazie al vantaggio dei nomi che noi siamo capaci di scienza, [...) HoBBES, EL, I, cap. 5, $ 4, p. 19; tr. it. p. 35. Ad aver insistito fortemente sugli aspetti nominalistici del pensiero hobbesiano (sottolineando la consonanaza e divergenza della filosofia del linguaggio hobbesiana con Guglielmo di Ockham) è Zarka: vedi ZARKA, La décision métaphysique de Hobbes, cit.,
pp. 85-93.
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esclusivamente i nomi e il linguaggio e la capacità di ragionare coincide con la facoltà di fare sillogismi.?24 In quest’aspetto emerge una sostanziale differenza con la concezione galileiana: il Pisano ritiene, infatti, che le verità
non siano nomi, ma cose.?? Il De motu, loco et tempore, presenta una definizione della filosofia del tutto conforme alle riflessioni degli Elements e ancor più esasperata nelle sue caratteristiche formali e logico-linguistiche: la filosofia è definita «la scienza dei teoremi generali, ovvero di tutti gli universali in qualunque materia, la cui verità può essere dimostrata con la ragione naturale».?2° Essa deve essere trattata in forma logica,” in quanto «il suo fine è conoscere la necessità delle conseguenze e la verità delle proposizioni universali».?? Hobbes manifesta chiaramente nell’opera la sua concezione deduttiva della scienza filosofica, e ne ribadisce il carattere nominalistico, facendola coincidere con «una vera, corretta e accurata nomenclatura delle cose».??° In particolare,
nel XXX capitolo dell’opera, riprendendo le cogitazioni del 1640, il pensatore sostiene che vero e falso siano concetti che vanno attribuiti solamente ai nomi e agli enunciati e che lo strumento di cui ci si serve per ragionare correttamente e giungere, quindi, alle necessarie conclusioni, è il sillogismo.??° Parimenti, già negli Elements of Law,?! Hobbes operava una distinzione tra esperienza di fatto ed evidenza di verità che sarà riproposta anche nel De motu, loco et tempore e, soprattutto, nel Leviathan??? e che implica una cesu224 HoBBEs, EL, I, cap. 5, $ 4, p. 22; tr. it. p. 39. 225 Vedi GaLiLEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 218.
226 Ho8BEs, MLT, I, 1, p. 105; tr. it. p. 129. Il tema era ampiamente presente già nelle Obiezioni alle Meditazioni cartesiane. Vedi Objectiones Tertiae, AT, VII, p. 178; tr. it. p. 350. 227 La discussione sulla necessità della logica era già affrontata da Galileo in apertura della prima giornata del Dialogo. Qui Salviati ribadiva la superiorità della dimostrazione matematicogeometrica rispetto alla mera logica aristotelica. Nel De motu, loco et tempore, Hobbes sembra schierarsi, apparentemente, con Simplicio, affermando che la filosofia debba essere trattata in e forma logica. Tuttavia, non bisogna dimenticare che Hobbes identifica geometria euclidea Corpore De del dedicatoria lettera nella Infatti, Mersenne). anche (come logica dimostrazione riguarHobbes presenta la geometria come la vera logica: «So che quella parte della filosofia che da le linee e le figure ci è stata trasmessa ben coltivata dagli antichi, come un ottimo modello it. p. 61. della vera logica [...}». In., De Corpore, Epistola dedicatoria, OL, I, pp. non mum,, tr. 228 Ivi, 1,3, p. 107; tr. it. p. 133. 229 Ivi, XIV, 1, p. 201; tr. it. p. 289.
230 Ivi, pp. 355 e sgg,; tr. it. pp. 532 e sgg.
231 Vedi HoBBEs, EL, Part I, cap. VI, $$ 1-4, pp. 24-26; tr. it. pp. 43-45.
di fatto, l’altro la 232 «Esistono due generi di CONOSCENZA, UNO dei quali è la conoscenza
prima non è altro che conoscenza della conseguenza che collega un’affermazione ad un’altra. La accadere un fatto o risensazione e memoria ed è conoscenza assoluta, come quando vediamo . La seconda viene testimone un in richiesta za conoscen la questa È cordiamo che è accaduto.
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SECONDO
ra tra il sapere storico e quello scientifico. Infatti, nello schema proposto nel IX capitolo del Leviathan, nel quale Hobbes fornisce un interessante diagramma ad albero che rappresenta l’intero dominio della scienza (intesa come: «conoscenza di conseguenze che è chiamata anche filosofia»), egli esclude da questo dominio qualsiasi genere di storia, sia essa naturale o civile.294 n A tal proposito è molto interessante porre attenzione alla prefazione ai lettori del De Corpore, dove è presente il celebre elogio che Hobbes tributa a Galileo e Harvey. Come sappiamo, egli sostiene che prima dell'avvento del Pisano, «non c'era niente di certo nella fisica, tranne che esperimenti i
quali valevano per ciascuno che li compisse, e storie naturali».??’ Il cenno alle storie naturali e agli esperimenti individuali e isolati è un riferimento critico abbastanza esplicito all’attitudine sperimentale sprovvista di teoria, che il filosofo riscontrava in alcuni rappresentanti della nascente Royal $ociety, ma forse anche nello stesso Francis Bacon, che della nuova accademia
scientifica era il nume tutelare.?5° detta scienza, ed è condizionale, come quando sappiamo che che, se la figura data è un cerchio, allora ogni linea retta che passi per il centro la dividerà in due parti uguali. Questa è la conoscenza richiesta in un filosofo; cioè in colui che pretende di ragionare». HoBBES, Leviathan, p. 124; LEZICI POE
233. Ivi, pp. 130-131; tr. it. p. 68. La definizione hobbesiana della scienza risente, come sappiamo, dell’influenza della tradizione filosofica precedente (aristotelico-scolastica), dove la scientia era intesa come un sapere rigorosamente deduttivo. Tuttavia, in Hobbes, come in altri
autori dell’epoca, viene a delinearsi un concetto nuovo di scienza, che esula dal ragionamento unicamente deduttivo, ma che contempla, al contrario, alcuni aspetti del moderno concetto di scienza. Il filosofo non privilegia di certo la dimensione sperimentale, ma insiste nondimeno sulla matematizzazione della natura. Sul concetto di scientia in Hobbes vedi DouGLAs M. JessePH, Scientia in Hobbes, in Tom SoRELL — G.A.J. RoceERs — JrLL KRAvE, Scientia in Early
Modern Philosophy. Seventeenth-Century Thinkers on Demonstrative Knowledge from First Principles, Dordrecht-Heidelberg-London-New York, Springer, 2010, pp. 117-127. In generale, sulla prima modernità vedi SoRELL — RocERSs — KrayE, Introduction, ivi, pp. vi-vm. Vedi anche: DANIEL
GarBER, Philosophia, Historia, Mathematica: Shifting Sands in the Disciplinary Geography of the Seventeenth Century, ivi, pp. 1-17; STEPHEN GauKROGER, The Unity of Natural Philosophy and the End of Scientia, ivi, pp. 18-33. 234 La storia rientra, secondo Hobbes, nell’ambito della conoscenza di fatto e si differenzia
in storia naturale: «che è la storia dei fatti o effetti della natura, indipendenti dalla volontà dell’uomo; appartengono a questa specie le storie dei metalli, delle piante, degli animali, delle regioni, e simili; l’altra è la storia civile, che è la storia delle azioni volontarie degli uomini negli Stati». Ho8BEs, Leviathan, pp. 130-131; tr. it. p. 68.
235 HoBBEs, De Corpore, Epistola dedicatoria, OL, I, pp. non num,, tr. it. pp. 62-63. 236 In realtà, Bacon sostiene, nell’Advancement of Learning la necessità fondamentale dello studio delle matematiche nel campo delle cosiddette matematiche miste. Vedi Bacon, The Advancement of Learning, SEH, III, p. 360. Tuttavia, è nota l’avversione generale del Lord Cancelliere per un'applicazione costante delle matematiche allo studio della filosofia naturale. Vedi GaugROGER, Francis Bacon and the Transformation of Early-Modern Philosophy, cit., pp. 20-27.
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GALILEIANA
Al contrario, Hobbes riteneva che il merito principale di Galileo fosse stato proprio quello di aver applicato — in particolare nei Discorsi e dimostrazioni -— la matematica allo studio della scienza del moto. La problematica di cui sopra è ripresa più ampiamente nel Dialogus physicus, dove Hobbes affronta il tema della corretta metodologia scientifica. E fondamentale osservare, tuttavia, che in quest'opera la trattazione dell'argomento è, per così dire, parzialmente ‘viziata’ dalla diatriba con i fisici della Royal Society. Dopo aver riaffermato che «è giusto il fatto di non assentire in modo irriflesso alle storie naturali»,77 Hobbes si mostra
particolarmente scettico anche sulla natura degli esperimenti. Egli critica in particolare quelli condotti individualmente e richiede, al contrario, che
questi vengano effettuati collettivamente.?83 Il filosofo ribadisce che «sono due le cose che fanno legittima un'ipotesi, la prima delle quali è che l’ipotesi sia concepibile, vale a dire non assurda; la seconda che, una volta ammessa, se ne possa inferire la necessità dei fenomeni». Hobbes insiste qui soprattutto sul fatto che ogni indagine nel mondo della fisica non possa essere affatto scevra di teoria e che, anzi, ci si debba rivolgere alla ricerca scientifica vera e propria, solo dopo aver elaborato un'adeguata e sistematica teoria dei movimenti, cosa che — secondo Hobbes — non hanno saputo fare gli adepti del Gresham College: E dacché Aristotele aveva giustamente detto che se non si conosce il movimento,
non si conosce la natura,?4° come mai avete osato sobbarcarvi un peso così grande, e suscitare negli uomini più dotti, non solo nel nostro paese, ma anche all’estero, l'aspettativa di un progresso nella fisica, voi che non avete gettato le basi di una dottrina universale sul moto per via di ragionamenti astratti (cosa che era facile e matematica)? 4!
Benché in questo, come in molti altri passi hobbesiani, il ragionamento astratto e l'elemento deduttivo sembrino avere un'assoluta preminenza nell’ambito della scienza e del sapere scientifico, nondimeno Hobbes ribadisce, ancora una volta, che la dottrina universale del movimento debba
237 Ho8BEs, Dialogus physicus, OL, IV, p. 241; tr. it. p. 439. 238 «Tuttavia, non ci sarà da diffidare anche di quei fenomeni che ciascuno di voi può vedee re quotidianamente, a meno che non li vediate tutti insieme», ibid. Come hanno correttament estranea sottolineato Shapin e Schaffer, la distinzione tra esperimento e osservazione sembra pp. 173alla forma mentis di Hobbes. Vedi SHAPIN — SCHAFFER, Il Leviatano e la pompa ad aria, cit., 177 e pp. 181 e sgg.
239 Ivi, p. 247; tr. it. p. 445.
240 Hobbes fa indirettamente riferimento ad ARISTOTELE, Fisica, III, I, 200 b, 12 e sgg. 241 Ho88£s, Dialogus physicus, OL, IV, p. 273; tr. it. pp. 471-472.
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essere di carattere matematico: una descrizione matematica della realtà, secondo il modello proposto da Galileo. La matematizzazione della realtà naturale è, infatti, proprio ciò che auspicava e raccomandava lo scienziato e filosofo Pisano. Ciò emerge soprattutto da un notissimo passo de Il Saggiatore, il quale contiene quel riferimento al libro della natura, che eserciterà un influsso notevole sul pensiero
di Hobbes: La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola;
senza questi è come un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.?4
Per comprendere la struttura dell'universo è necessario appropriarsi del linguaggio atto a interpretarla correttamente e questo linguaggio è matematico. Tuttavia, sebbene alla struttura dell'universo soggiaccia un ordine matematico
necessario,
esso non è affatto — secondo
Galileo — intera-
mente deducibile a priori senza la necessità di una verifica sperimentale. Questa concezione è estranea al pensiero del Pisano, come emerge chiara-
mente da numerosi passi delle sue opere e da alcune interessanti lettere dello scienziato. Non a caso, nel Dialogo, nell’esprimere il suo disappunto per la mancanza di impostazione matematica nell’opera di Gilbert, egli afferma l’importanza della compresenza di due elementi fondamentali nella ricerca scientifica: l’esperienza sensata e la dimostrazione matematica necessaria.?44
9. GALILEO
E HOBBES
TRA SENSATE ESPERIENZE E NECESSARIE DIMOSTRAZIONI
La problematica della dialettica tra necessarie dimostrazioni e dimensione empirica è al centro dell’epistemologia di Galileo.?4 Il Pisano auspica 242 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p. 232. 243 Sull’ordine matematico dell’universo in Galileo, vedi il contributo di Galluzzi, il quale analizza con precisione critica il tema, anche in relazione al tema delle essenze, vedi GALLUZZI, Il tema dell’“ordine” in Galileo, cit.
244 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, vol. VII, p. 432. 245 Per la dialettica tra la ratio e l’esperienza in Galileo è fondamentale: PaoLo GALLUZZI,
Ratio/Ragione in Galileo. Del dialogo tra la ragione e l’esperienza, in MARTA FATTORI — Massimo L.
BIANCHI (a cura di), Ratio (VII Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo), Fi-
renze, Olschki, 1994, pp. 379-401; vedi anche: GioRGIO STABILE, Il concetto di esperienza in Galilei
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GALILEIANA
ripetutamente, nel corso della sua opera, un'indagine che si rivolga alla sco-
perta della reale costituzione dell’universo ed egli è assolutamente certo che «[t]ra le sicure maniere per conseguire la verità è l’anteporre l’esperienze a qualsivoglia discorso».?4° L'osservazione empirica è il metodo fondamentale per acquisire una conoscenza certa e vera del mondo: applicando questo metodo si è certi di non incorrere in alcuna fallacia, «non sendo possibile che una sensata esperienza sia contraria al vero».?4” Il criterio per giungere alla verità nelle indagini scientifiche è dunque, in ultima analisi, esclusivamente attraverso l’esperienza.?48 Tuttavia il Pisano non trascura affatto il discorso razionale, così deter-
minante nella sua epistemologia. Accusato più volte di essere rigidamente antiaristotelico, Galileo sostiene, al contrario, di aver osservato scrupolosamente nelle proprie ricerche il metodo raccomandato dallo Stagirita: «tutto quello che ci insegna Aristotele nella sua Dialettica, attenente al farci cauti nello sfuggire le fallacie del discorso, indirizzandolo e addestrandolo a bene sillogizzare e dedurre dalle premesse concessioni la necessaria conclusione».?4° Lo scienziato ritiene di avere ben appreso questo metodo, che coincide con il metodo dimostrativo e deduttivo delle discipline matee nella scuola galileiana, in Marco VENEZIANI (a cura di), Experientia (X Colloquio Internazionale
del Lessico Intellettuale Europeo), Firenze, Olschki, 2002, pp. 217-241; BUCCIANTINI, Galileo e
Keplero, cit., p. 210. In alcune lettere coeve alla pubblicazione dei Discorsi e dimostrazioni necessarie intorno a due nuove scienze, Galileo suggerisce che le dimostrazioni necessarie, non sarebbero meno concludenti (dimostrativamente), anche qualora la verifica empirica non avvalorasse la speculazione razionale. Ad esempio, in una lettera a Pietro Carcavy, del giugno 1637, a proposito della caduta dei gravi, lo scienziato si esprimeva in questi termini: «se l’esperienza mostrasse che tali accidenti si ritrovassero verificarsi nel moto dei gravi naturalmente descendenti, potremmo senza errore affermare questo essere il moto medesimo che da me fu definito e supposto, quando che no, le mie dimostrazioni, fabricate sopra la mia supposizione, niente perdeva-
no della sua forza e concludenza; sì che come niente progiudica alle conclusioni dimostrate da Archimede circa la spirale il non ritrovarsi in natura mobile che in quella maniera spiralmente si muova». Galileo Galilei a Pietro Carcavy, 5 giugno 1637, OG, XVII, pp. 90-91. Quest’idea ritorna in un’altra missiva, spedita dallo scienziato a Giovan Battista Baliani, nel gennaio del 1639: «Ma tornando al mio trattato del moto, argomento ex suppositione sopra il moto, in quella maniera diffinito; siché quando bene le conseguenze non rispondessero alli accidenti del moto naturale di de’ gravi descendenti, poco a me importerebbe, siccome nulla deroga alle dimostratione Galilei Galileo spirali». linee per muova si che mobile alcun natura in Archimede il non trovarsi a Giovan Battista Baliani, 7 gennaio 1639, OG, XVIII, pp. 12-13. 246 Galileo Galilei a Fortunio Liceti, 15 settembre 1640, OG, XVIII, p. 249.
247 Ibid.
Galilei, cit., 248 Sull'argomento si è soffermato già Geymonat. Vedi Germonat, Galileo ienza nell’epp. 224-229. Anche Clavelin, ha sottolineato l’importanza fondamentale dell'esper de Galilée, Paris, Libraipistemologia di Galileo, vedi MaurICE CLAVELIN, La philosophie naturelle
rie Armand Colin, 1968, pp. 415 e sgg.
249 Ivi, p. 248. —
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matiche pure, e l'applicazione di questo procedimento lo ha portato a non commettere errori, se non in rarissimi casi.?°9 La ricerca scientifica galileiana è diretta, quindi, da questi due elementi eterogenei, ma inscindibili: da un lato il ragionamento deduttivo che trae origine dalle scienze matematiche, dall'altra il necessario apporto fornito dall’esperienza, dalle ripetute osservazioni dei fenomeni fisici, nonché dall’istanza sperimentale. Come questi elementi si fondano e interagiscano nell’indagine scientifica è lo stesso Galileo a spiegarlo, in un passo del Dialogo, dove Salviati si esprime contro l’apriorismo di Simplicio. L'aristotelico galileiano sostiene, infatti, che lo Stagirita «fece il principal suo fondamento sul discorso 4 priori, mostrando la necessità dell’inalterabilità del cielo per
i suoi principii naturali, manifesti e chiari; e la medesima stabilì doppo a posteriori, per il senso e per le tradizioni de gli antichi».??! Tuttavia, Salviati si sente in dovere di correggere il suo interlocutore, e ribadire l’importanza dell’analisi empirica e del metodo resolutivo: Cotesto che voi dite, è il metodo col quale egli [cioè Aristotele] ha scritta la sua dottrina, ma non credo già che e’ sia quello col quale egli la investigò, perché io tengo per fermo ch'e’ procurasse prima, per via de’ sensi, dell’esperienze e delle osservazioni, e che doppo andasse ricercando i mezi per poterla dimostrare, perché così si fa per lo più nelle scienze dimostrative: e questo avviene perché, quando la conclusione è vera, servendosi del metodo resolutivo, agevolmente si
incontra qualche proposizione già dimostrata, o si arriva a qualche principio per sé noto; ma se la conclusione è falsa, si può procedere in infinito senza incontrar
mai alcuna verità conosciuta, se già altri non incontrasse alcun impossibile o as-
surdo manifesto.?9?
Galileo sostiene che il metodo di cui si servì Aristotele — così come qualsiasi altro indagatore del mondo — nasce necessariamente dall’osservazione 250 «Io stimo (e credo che essa ancora stimi) che l’esser veramente Peripatetico, cioè filosofo Aristotelico, consista principalissimamente nel filosofare conforme alli Aristotelici inse-
gnamenti, procedendo con quei metodi e con quelle vere supposizioni e principii sopra i quali
si fonda lo scientifico discorso, supponendo quelle generali notizie il deviar delle quali sarebbe grandissimo difetto. Tra queste supposizioni è tutto quello che Aristotele ci insegna nella sua Dialettica, attenente al farci cauti nello sfuggire le fallacie del discorso, indirizzandolo et addestrandolo a bene sillogizzare e dedurre dalle premesse concessioni la necessaria conclusione; e tal dottrina riguarda alla forma del dirittamente argumentare. In quanto a questa parte, credo di havere appreso dalli innumerabili progressi matematici, puri, non mai fallaci, [tal] sicurezza
nel dimostrare, che, se non mai, almeno rarissime volte io sia nel mio argumenta[re] cascato in equivoci. Sin qui dunque io sono Peripatetico», ivi, p. 248.
251 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 75.
252 Ibid.
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empirica e, solo dopo essersi accertato della verità della conclusione, lo Stagirita formulò, attraverso il discorso razionale — cioè attraverso il ragionamento proprio delle scienze dimostrative — quelle dimostrazioni necessarie così importanti nella scienza. E molto interessante sottolineare che il passo citato è ripreso quasi letteralmente da Hobbes, in una lettera al Newcastle dell’estate 1636 (la stessa
nella quale egli — sulla scorta de Il Saggiatore — riduce la sensazione visiva al movimento, nel mezzo e, successivamente, negli organi del senziente).
Il filosofo riprende esattamente l’espressione galileiana, seppur declinata con una connotazione più probabilistica. Egli afferma che, nell’ambito della filosofia naturale, «il massimo che si può ottenere [...] è di avere del-
le opinioni, che nessuna esperienza certa possa confutare, e dalle quali si possa dedurre attraverso un’argomentazione logicamente corretta, alcuna assurdità».2°* Una posizione che ritorna, con la medesima espressione, an-
che nel Tractatus Opticus II.?°4 Galileo inseriva, inoltre, nel passo citato, un cenno importante riguardo
al metodo resolutivo e Gargani ha già sottolineato che la concezione hobbesiana della resolutio risente dell’influenza del Pisano.??° Anche Hobbes sostiene, infatti, nel De motu, loco et tempore, che il metodo resolutivo sia il
corretto procedimento da applicare nell’ambito della ‘scienza delle cause’, cioè della filosofia naturale.??°
Tuttavia, è importante concentrare l’attenzione sull’accento, posto da
Hobbes, sul carattere ipotetico di queste opinioni relative al mondo naturale, che è ribadito anche nel Tractatus Opticus II: egli raccomanda espressamente che le ipotesi siano elaborate attorno a eventi manifesti al senso,
253 «[...] the most that can be atteyned vnto is to haue such opinions, as no certayne experience can confute, and from w® can be deduced by lawfull argumentation, no absurdity». Hobbes to William Candish, Earl of Newcastle, from Paris, 29 July-8 August 1636, CH, I, p. 33. 254 «[...] quaerenda erat hypothesis Conveniens, id est supponendus motus possibilis ima-
ginabilis, et cui nullum absurdum consequeretur [...}»». In., TO II, cap. I, $ 24, ff. 203r-203v, pilb9:
255 Vedi GARGANI, Hobbes e la scienza, cit., pp. 50 e sgg. 256 «Se la progressione procede dall’immaginazione della causa all’immaginazione mente dell’effetto e così di seguito verso il fine (che è sempre l’ultimo effetto), il discorso della seguito si chiama composizione o6v@eorc; al contrario, se procede dall'effetto alla causa e poi di
chiamano reminiscenza. verso le premesse si chiama risoluzione, àvaAvotg; entrambe poi si
dei Se ogni volta che immaginiamo il fine, l'immaginazione percorresse il medesimo ordine al fine adatti mezzi dei reminiscenza stessa questa all’effetto, causa dalla procedendo mezzi,
detta scienza verrebbe chiamata arte, mentre, quando procede dall'effetto alla causa, verrebbe infatti, il metodo delle cause», ivi, XXX, 10, pp. 352-353; tr. it. p. 529. Il filosofo attribuisce, delle cause, ivi, II, 8, p. 115; compositivo all'arte, mentre destina il metodo risolutivo alla scienza
tr. it. pp. 145-146.
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empiricamente verificabili.257 A tal proposito è fondamentale aggiungere una piccola, ma non trascurabile precisazione: Hobbes non considera indimostrabile la filosofia naturale in toto, ma parla piuttosto ‘della maggior parte’, poiché essa dipende dal movimento di corpi così sottili da essere invisibili, come l’aria e gli spiriti,298 una posiZione»che ritroviamo, anche molto più tardi, nel De Corpore.??° Tuttavia, anche Galileo era perfettamente consapevole che, talvolta, è molto difficile o addirittura impossibile effettuare osservazioni dei fenomeni, perché questi si sottraggono completamente alla verifica sperimentale. A tal proposito, è interessante soffermarsi su due questioni affrontate
da Galileo in riferimento alla polemica con Orazio Grassi. Il Grassi aveva rimproverato Guiducci e, attraverso il discepolo, lo stesso Galileo, di aver esposto, riguardo al fenomeno delle comete, delle teorie alquanto dubbie,
le quali si mostravano prive, secondo il gesuita, di valide e necessarie conferme osservative. In apertura del Discorso delle comete, attraverso la penna dell’allievo, Galilei aveva sostenuto, infatti, di poter argomentare, «non affermativamente, ma solo probabilmente e dubitativamente»,9° e di essere
in grado di produrre solo ‘conghietture’ riguardo a determinati fenomeni astronomici come le comete.
Ne Il Saggiatore, il Pisano ribadisce il carattere dubitativo e non assertivo delle speculazioni sue e del Guiducci, perché «si vegga che noi non ci allontaniamo dal nostro costume, ch'è di non afermar per certe se non le
cose che noi sappiamo indubitatamente, ché così c’insegna la nostra filosofia e le nostre matematiche».?9) Il carattere assertivo delle dimostrazioni razionali, proprie delle scienze matematiche, talvolta non può essere patri257 «Cum enim quaestio instituta sit, de alicuius eventus sensibus manifesti (quod Phaenomenon appellari solet) causa efficiente». In., TO II, cap. I, $ 1, f. 193r, p. 147. 258 «In Thinges that are not demonstrable, of which kind is the greatest part of Natural Philosophy, as dependinge upon the motion of bodies so subtile as they are invisibile, much as are ayre and spirits [...]». Hobbes to W. Cavendish, Earl of Newcastle, from Paris, 29 July-8 Aug. 1636, CH, I, Letter 19, p. 33 (corsivi miei). 259 «Con quale dei nostri sensi, infatti, possiamo giudicare che c’è l’aria, che non vediamo,
non sentiamo, non gustiamo, non odoriamo e, non toccandola, non sappiamo che sia qualcosa? [...]è unicamente dal ragionamento che si può conoscere che è un corpo ciò che chiamiamo aria, cioè unicamente dal ragionamento che, dal momento che è impossibile per i corpi lontani agire sui nostri sensi senza un corpo intermedio, noi non sentiremmo nulla, se essi non fossero contigui. Perciò dai sensi soltanto, senza ragionamento a partire dagli effetti, noi non possiamo
avere una prova sufficiente della natura dei corpi». HoBBEs, De Corpore, XXX, 14, OL, I, pp. 424-
425; tr. it. pp. 482-483.
260 GALILEI, Discorso delle comete, OG, VI, p. 47 (corsivi miei).
261 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p. 279.
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GALILEIANA
monio della filosofia naturale. A causa dell’insufficienza di dati osservativi disponibili è necessario attenersi, in questi casi, alla formulazione di ipotesi o conghietture, che non esibiscono quei caratteri di verità e certezza propri della matematica.?°2 Per affrontare l'argomento, Galilei si serve di una favola di pregevole interesse filosofico: lo scienziato fa riferimento all’interesse speculativo di un ‘uomo isolato’, il quale è ossessionato dalla ricerca sull’origine del suono. Tuttavia, costui è costretto infine ad accettare l’impossibilità di individuare con assoluta esattezza la causa di ciascun suono.’ Il testo galileiano si chiude con l'affermazione che all’indagatore dei fenomeni naturali è talvolta preclusa la conoscenza certa e oggettiva del reale e, in questi casi, egli deve attestarsi a una mera ipotesi, determinando solo una delle possibili cause del fenomeno. lo potrei con altri molti esempi spiegar la ricchezza della natura nel produr suoi effetti con maniere inescogitabili da noi, quando il senso e l’esperienza non lo ci mostrasse, la quale anco talvolta non basta a supplire alla nostra incapacità; onde se io non saperò precisamente determinar la maniera della produzzion della cometa, non mi dovrà esser negata la scusa, e tanto più quant'io non mi son mai
arrogato di poter ciò fare, conoscendo potere essere ch'ella si faccia in alcun modo lontano da ogni nostra immaginazione; e la difficoltà dell’intendere come si formi il canto della cicala, mentr’ella ci canta in mano, scusa di soverchio il non sapere
come in tanta lontananza si generi la cometa.?9
Pur nella consapevolezza che la conferma dei dati osservativi giunge, in ultima analisi, sempre e solo dall’esperienza, tuttavia, nelle discipline fisiche dobbiamo talvolta accontentarci di formulare ipotesi, cioè di esprimerci non ‘affermativamente’, ma solo ‘probabilmente’ e ‘dubitativamente’.?9° Questo è, in particolare, il caso di alcuni fenomeni celesti, riguardo ai
quali, nella prima giornata del Dialogo, Galileo afferma che «vi sono più modi conosciuti da noi, che posson cagionare il medesimo effetto, ed altri
per avventura ne posson essere incogniti a noi».?5 A tal proposito, è inte262 Sulla difficoltà di traslare nel campo della fisica gli argomenti spiccatamente matema-
e la tici, vedi Enrico Giusti, Il ruolo della matematica nella meccanica di Galileo, in Galileo Galilei
cultura veneziana, cit., pp. 321-337. Per ciò che concerne la ‘matematizzazione’ della natura, applicata alla struttura della materia, rimandiamo alla trattazione presente nel capitolo IV. 263 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, pp. 279-281.
264 Ivi, p. 281.
tra 265 Vedi al riguardo anche Marco PriccoLmo, Lo zufolo e la cicala. Divagazioni galileiane 27-37. pp. 2005, i, Boringhier Bollati Torino, la scienza e la sua storia, 266 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 124. Giudice individua II, dove Hobun’analogia e una citazione di questo passo nel $ 2 del cap. I del Tractatus Opticus
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ressante sottolineare un’argomentazione di Sagredo, che sarà citata, quasi letteralmente, da Hobbes:
Che nella Luna o in altro pianeta si generino o erbe o piante o animali simili a i nostri, o vi si facciano pioggie, venti, tuoni, come intorno alla Terra, io non lo so
e non lo credo, e molto meno che ella sia abitata da uothini: ma non intendo già come tuttavolta che non vi si generino cose simili alle nostre, si deva di necessità concludere che niuna alterazione vi si faccia, né vi possano essere altre cose che si mutino, si generino e si dissolvano, non solamente diverse dalle nostre, ma lonta-
nissime dalla nostra immaginazione, ed in somma del tutto a noi inescogitabili.?9”
Ciò può essere vero, sostiene il nobile veneziano, soprattutto per quanto riguarda la Luna: [...] così, e molto più, può accadere che nella Luna, per tanto intervallo remota
da noi e di materia per avventura molto diversa dalla Terra, sieno sustanze e si facciano operazioni non solamente lontane, ma del tutto fuori, d'ogni nostra immaginazione, come quelle che non abbiano similitudine alcuna con le nostre, e
perciò del tutto inescogitabili, avvengaché quello che noi ciimmaginiamo bisogna che sia o una delle cose già vedute, o un composto di cose o di parti delle cose altra volta vedute; ché tali sono le sfingi, le sirene, le chimere, i centauri, etc.268
Un'argomentazione pressoché identica, nella quale ritroviamo gli stessi riferimenti alle chimere e agli esseri mostruosi, è proposta da Hobbes nel VII capitolo del De motu, loco et tempore, proprio a sostegno della difficoltà di fornire osservazioni precise e accurate in alcuni domini della filosofia naturale. Pertanto, il corpo o la materia può essere mutato e mosso nelle sue parti in
modi innumerevoli, e grazie al moto di questo genere può produrre innumerevoli fantasmi nelle menti dei senzienti, cioè varietà innumerevoli di specie. Poiché non
bes confronta le principali teorie cosmologiche (vedi Grupice, Optics in Hobbes’s Natural Philosophy, cit.). Credo che Giudice abbia ragione in generale riguardo all’influenza galileiana sulla metodologia di Hobbes; tuttavia, a mio modesto parere l'analogia non è così evidente (un’argomentazione del tutto simile è presente, per esempio, anche in Descartes e Gassendi. Vedi Roux, Le scepticisme et les hypotheses de la physique, cit., p. 20). Al contrario, trovo lampanti le analogie tra un'argomentazione presente in un altro luogo della medesima giornata del Dialogo e quella che troviamo in un passo del capitolo VII del De motu, loco et tempore (vedi p. successiva). Giudice cita anche un passo del trattato ottico, riguardo al principio di relatività del moto sulla nave (Ho88s, TO II, cap. IV, $ 56, £. 264v, p. 225) che richiama un luogo analogo della seconda giornata del Dialogo (GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, pp. 141-143). 267 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 86.
268 Ibid.
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llée—
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possiamo sapere quali moti abbiano le singole particelle di tutto il mondo, ne deriva anche che non siamo in grado di conoscere quante siano le varietà delle cose, e pertanto se vi siano in cielo corpi analoghi ai nostri o no. Può accadere che ve ne siano; può avvenire che tutte le chimere i mostri dell’immaginazione umana abbiano nei cieli cose analoghe ad essi, può anche succedere che non vi siano lì corpi né gravi né leggeri, nessun uomo o animale o albero. Infatti non possiamo sapere nulla di queste cose, in quanto da così grande distanza non agiscono sui nostri sensi.?9°
Tuttavia, dobbiamo osservare che nel XXVI capitolo della stessa opera, Hobbes ribadisce che «per provare che qualcosa esiste, c'è bisogno del senso ovvero dell’esperienza»,°7° ma sostiene, al contempo, che «anche così la
dimostrazione non è completa». Infatti «a colui che dice che Socrate vive o esiste, un interlocutore che esige una verità rigorosa chiederà di aggiungere: o a meno che abbia sognato, allora ho visto Socrate, dunque Socrate esiste ecc...».?7? L'osservazione empirica rimane un elemento fondamentale all’interno
dell’indagine
scientifica, ma,
ciò nonostante,
dobbiamo
sottolineare che in alcune opere, soprattutto nel Leviathan, Hobbes insiste sull’elemento aprioristico e convenzionale della filosofia e sembra proporne un'immagine piuttosto granitica, come un unico grande sistema dedut-
tivo, nel quale dalle premesse si sviluppano consequenzialmente tutte le conclusioni necessarie. Tuttavia, questa non è la concezione che traspare
dalle sue opere scientifiche ed è necessario analizzare brevemente la classificazione hobbesiana delle scienze, che si rivela più articolata di quanto non possa sembrare di primo acchito.
10. SULLA CLASSIFICAZIONE
HOBBESIANA
DELLE
SCIENZE
Lo schema delle scienze proposto nel Leviathan risente fortemente della vocazione spiccatamente politica dell’opera e dell'esigenza di presentare la filosofia come un sapere unitario, dominato dal ragionamento dimostrativo, libero da paralogismi e scevro da difficoltà interpretative. Perciò, la filosofia hobbesiana esibisce in quest'opera tratti più nettamente ‘convenzionalistici’, rispetto ad altri testi del pensatore dedicati alla filosofia naturale. tr. it. 260 Ho88es, MLT, VII, 4, pp. 147-148; tr. it. p. 201. Vedi anche ivi, XXIV, 1; p. 289; pp. 427-428. 270 Ho88Es, MLT, XXVI, 2, p. 309; tr. it. p. 456 (corsivi miei).
271 Ibid. tr. it. p. 457.
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CAPITOLO
SECONDO
Riprendendo, la struttura degli Elements of Law, Hobbes ripropone alcune posizioni delineate già nelle opere precedenti,?7? esprimendo in maniera precisa ed esauriente la sua concezione linguistica e convenzionale della scienza o filosofia??? Egli insiste sulla distinzione (presente già negli
Elements) ?74 tra un sapere che è limitato agli ambiti della sensazione e del-
la memoria (le quali sono soltanto «conoscenza del fatto») e un sapere che consiste,
invece,
nella conoscenza
delle conseguenze
dei nomi.
Solamente
quest’ultimo assurge al grado di filosofia e, poiché ci consente di scoprire una possibile causa dei fenomeni, ci permette anche di intervenire nei processi naturali a beneficio dell'umanità. Infatti, «vedendo come una cosa si
produce, per quali cause e in quale modo, impariamo come produrre effetti simili quando vengano in nostro potere cause simili».??? Il carattere convenzionale del sapere scientifico è ribadito nel capitolo IX, dove Hobbes riprende il binomio che comprende i due differenti generi di conoscenza e sostiene che la scienza è un sapere condizionale, «come quando sappiamo che, se la figura data è un cerchio, allora ogni linea retta che passi per il centro la dividerà in due parti uguali».??° Al contrario, la storia è registrazione della conoscenza di fatto, che si divide in storia naturale e storia civile??? Dobbiamo osservare, tuttavia, che la distinzione operata dal
filosofo non implica una svalutazione della conoscenza empirica: questo è, infatti, il tipo di conoscenza richiesta a un testimone oculare ed è, per questo, definita: conoscenza assoluta. Lo schema delineato nel medesimo capitolo rappresenta l’immagine più vivida e compiuta dell’aspirazione hobbesiana a concepire l’intero panorama filosofico nel quadro di un sistema unitario. La scienza o filosofia 272 Egli ribadisce, ancora una volta, che verità e falsità si danno solo in relazione al discorso: «Vero e falso sono infatti attributi del discorso e non delle cose. E dove non esiste discorso non esistono né verità né falsità. [...] poiché la verità consiste nell’ordinare correttamente i nomi nelle nostre affermazioni, chi cerca l'esattezza della verità, deve necessariamente ricordare a cosa si riferisce ogni nome di cui ci si serve collocandolo coerentemente». Ho88Es, Leviathan, cap. IV, pp. 54-56; tr. it. p. 29.
273 «Da ciò appare che la ragione non è nata con noi come la sensazione e la memoria e non si acquisisce soltanto per esperienza con la prudenza, ma la si consegue con l'industria, cominciando con la corretta attribuzione dei nomi e impadronendosi successivamente di un metodo buono e ordinato nel procedere dagli elementi, che sono i nomi, all’asserzioni che risultano dalla loro connessione, e ai sillogismi, che sono connessioni di asserzioni, fino a rag-
giungere la conoscenza di tutte le conseguenze dei nomi che appartengono all'argomento in questione; e questo è ciò che gli uomini chiamano scienza», ivi, cap. V, p. 72; tr. it. p. 38.
274 HoB8Es, EL, Part I, cap. VI, $$ 1-4; pp. 24-26; tr. it. pp. 43-45. 275 In., Leviathan, p. 72; tr. it. p. 39.
276 Ivi, p. 124; tr. it. p. 67. 277 Ibid.
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DI FILOSOFIA
GALILEIANA
viene, infatti, a presentarsi come un grande sistema sillogistico all’interno del quale tutte le branche del sapere devono presentare i medesimi criteri di verità e una metodologia uniforme.?”8 In questa classificazione, le scien-
ze matematiche e quelle fisiche vengono racchiuse entrambe nel grande insieme che compone la filosofia naturale. Tuttavia, esaminando più nel dettaglio lo schema, vediamo che alcune discipline che noi consideriamo comunemente dominio della fisica erano, invece, ritenute dal filosofo gemelle
della geometria. Tra queste Hobbes contemplava: l'astronomia, la geografia, e la scienza degli ingegneri (architettura e navigazione).??° Si tratta, ovviamente, delle cosiddette matematiche miste, che Hobbes comprende tra le «scienze delle conseguenze».?8° Esse si rivolgono alle «conseguenze degli accidenti comuni a tutti i corpi naturali che sono la quantità e il movimento», mentre la fisica studia le «conseguenze da qualità».?8! Il filosofo inglese propone in quest'opera la traduzione in termini spiccatamente geometrici di alcune scienze che noi considereremmo ambito proprio della fisica (come la meccanica), sulla scorta di un'interpretazione della geometria come scienza del moto, la quale è fondata unicamente su
due elementi: la quantità e il movimento. Anche questo risultato deriva, in fondo, dall’applicazione del metodo proposto da Galileo, che contemplava come proprietà reali dei corpi unicamente «grandezze, figure, moltitudini e movimenti tardi o veloci».?8° Tuttavia, nel Leviathan, l'elemento dimostrativo nella conoscenza vie-
ne ad acquisire una totale e assoluta preminenza e lo scopo di Hobbes è, come abbiamo già detto, quello di proporre un quadro ideale unitario della scienza. Ciò nondimeno, per comprendere pienamente lo schema proposto anche qui, è necessario porre attenzione al De Corpore, il quale sviluppa ampiamente le problematiche concernenti il metodo di acquisizione della conoscenza che erano trattate meno dettagliatamente nell’opera del 1651. Già nell’introduzione, Hobbes propone l’immagine della filosofia come reminiscenza, che era presente nel De motu, loco et tempore e nei te-
sti galileiani.28? Eppure, più che una reminiscenza di stampo platonico, la 278 Vedi Warkins, Hobbes’s System of Ideas, cit., p. 61; MALHERBE, Hobbes ou l’aeuvre de la raison, cit., p. 90.
279 Vedi HoBBEs, Leviathan, cap. IX, pp. 130-131; tr. it. p. 68. 280 Come sappiamo la definizione hobbesiana di filosofia nel Leviathan è proprio quella di conoscenza delle conseguenze, per cui lo studio delle conseguenze dei corpi naturali è la filosofia naturale, lo studio delle conseguenze dei corpi politici è filosofia civile, opolitica, ibid. 281 Ibid. 282 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p. 350. te 283 «Figlia, dunque, della tua mente e del mondo nella sua interezza, la filosofia è in
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CAPITOLO
SECONDO
concezione tratteggiata dal pensatore inglese richiama l’idea di uno svelamento e scoperta del mondo naturale ad opera del filosofo, attraverso un metodo adeguato: quello dell'indagine speculativa. La filosofia, infatti, «è la conoscenza acquisita attraverso il retto ragionamento degli effetti o fenomeni sulla base della concezione delle loro cause o generazioni, e ancora delle generazioni che possono esserci, sulla basè della conoscenza degli effetti».284 Anche in quest'opera, Hobbes ribadisce la propria concezione calcolistica del ragionamento ?8° e nominalistica di vero e falso.?8° Inoltre,
nel VI capitolo (concernente il metodo) troviamo riflessioni che completano e, talvolta, modificano l’orizzonte metodologico emerso nel De motu, loco
et tempore. Hobbes ribadisce che la conoscenza filosofica o scientifica è me-
ramente conoscenza causale. Ogni altro tipo di conoscenza che non sia tod di6ti, ma meramente toî Gt, è sensazione o residuo della sensazione, cioè
immaginazione o memoria.?87 Hobbes conferma (come nelle opere precedenti) la genesi empirica di ogni nostra conoscenza: i principi primi della scienza sono, infatti, i fantasmi del senso e dell’immaginazione, dei quali conosciamo naturalmente quod sunt; ma, per conoscere perché essi sono (quare sunt), o da quali cause si generano, è necessario il ragionamento. Il pensatore riafferma, inoltre, che
il sapere filosofico è necessariamente dimostrativo, ma, a differenza del De motu, loco et tempore — dove la conoscenza delle cause era esclusivamente di tipo risolutivo — nel De Corpore, sostiene che entrambi i metodi: risolutivo e compositivo, cioè analitico e sintetico siano necessari alla scienza.
Ma, poiché gli universali sono contenuti nella natura dei singoli, devono essere estratti con la ragione, cioè con metodo risolutivo. Ad esempio posto un qual-
siasi concetto o idea di una cosa singola, poniamo di un quadrato, il quadrato, di conseguenza si risolverà in piano, terminato da linee, da angoli retti, in numero deter-
minato e uguali. Perciò avremo questi universali, cioè tali che convengono ad ogni materia: linea, piano (in cui è contenuta la superficie), terminato, angolo, rettezza,
uguaglianza, e, se si troveranno le loro cause o generazioni, si comporranno per
dare la causa del quadrato.?88
stesso; non ancora, forse, configurata, ma simile al mondo che le è padre, quale era al principio,
informe. Devi, dunque, fare ciò che fanno gli scultori che, eliminando la materia superflua, non fanno, ma trovano la statua». HoBBEs, De Corpore, Ad Lectorem, OL, I, pp. non num. tr. it. p. 67.
2228lvi 12 patita pazo. CO
RIVIAPAS ALe
286 Ivi, III, 7, pp. 31-32; tr. it. pp. 98-99. 287 Ivi, VI, 1, pp. 58-59; tr. it. pp. 124-125. 233#IvixVil 44ps6litnsit: pr1274
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Nel secondo capitolo (dedicato ai vocaboli), si afferma che l’universale «non è il nome di qualcosa che esiste in natura, né di un'idea o un fantasma formato nella mente, ma sempre nome di una voce o di un nome».?8° L'operazione di estrapolazione degli universali da ogni res, deve quindi essere interpretata come un processo esclusivamente mentale, che presenta alcuni elementi creativi. Infatti, benché Hobbes sostenga che le cause universali siano manifeste per se stesse, cioè «note alla natura», e la causa unica e universale di esse sia, in fondo, solamente il movimento; °° tuttavia precisa che la locuzione ‘natu-
rae notiora’ debba essere interpretata esclusivamente come sapere acquisito attraverso la ragione, il quale si distingue dall'esperienza puramente sensoriale.29! Non esiste alcuna realtà nota alla natura, le cose che comunemente sono definite naturae notiora, vanno considerate come acquisite attraverso
il ragionamento, cioè dimostrativamente. Di contro, le realtà nobis notiora, sono quelle percepite esclusivamente attraverso l’esperienza sensibile e, come sappiamo, questo tipo di conoscenza non può assurgere al grado di scienza o filosofia.” Il capitolo XXV del De Corpore apre la parte quarta dell’opera, votata alla Fisica, cioè ai «fenomeni della natura».??? Hobbes distingue i capitoli che seguono dai precedenti, non solo in base all'oggetto della ricerca, ma anche sulla scorta del metodo da applicare. Egli afferma, infatti, che, laddove nei capitoli precedenti aveva potuto utilizzare un metodo rigorosamente deduttivo, qui è necessario attenersi a una metodologia particolare: Dunque, i principi, dai quali dipende ciò che seguirà, non li facciamo e co-
bensì li stituiamo noi né li pronunciamo in termini universali, come definizioni, uso facciamo ne noi e natura, della dall'autore cose osserviamo posti nelle stesse
in proposizioni singole e particolari, non universali. Né essi impongono la neces-
sità di teoremi, ma mostrano soltanto, non senza talune proposizioni universali la sopra dimostrate, la possibilità di una generazione. Ed a questa parte, poiché Linguaggio e mondo 289 Ivi, II, 9, pp. 17-18; tr. it. p. 85. Vedi in proposito MineRBI BELGRADO, in Hobbes, cit., p. 122. HoBBEs, De Corpore, 290 «[G]iacché la causa universale [...] è una sola: cioè il movimento».
VI, 5, OL, I, p. 62; tr. it. p. 128.
291 Ivi, p. 61; tr. it. p. 126.
notiora, e sulla differenza tra 292 Per una riflessione sulla distinzione nobis notiora — naturae Zabarel-
nel De Regressu dello l’interpretazione hobbesiana di questo sintagma e quella presente es of science, cit., pp. 34approach ibles incompat two Padua: of la, vedi Prins, Hobbes and the School della materia, cit., LupoLi, Nei limiti 36. Sulla distinzione nobis notiora-naturae notiora vedi anche pp. 74 e Sggit. pp. 376-377. 293 Ho8sEs, De Corpore, XXV, 1, OL, I, pp. 334-335; tr.
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SECONDO
conoscenza che qui si presenta ha i principi nei fenomeni della natura e finisce in una scienza di cause naturali, ho dato il titolo di FISICA, o Fenomeni della natura.?94 È necessario sottolineare che, benché l’analisi della fisica si sviluppi a
partire dall’osservazione dei fenomeni, cioè dagli effetti, per risalire alle possibili cause, ciò nondimeno, Hobbes ritiene necessario, fondarsi sul le «proposizioni universali sopra dimostrate» e la scienza fisica si declina anch’essa come un sapere causale. Tuttavia, per comprendere l’epistemologia hobbesiana è necessario tornare al VI capitolo, per sondare la relazione che Hobbes instaura tra geometria e fisica. Egli comincia col definire i concetti di luogo e di movimento, che sono strettamente legati al principio cardine della filosofia hobbesiana: la nozione di corpo. Il luogo, infatti, è «do spazio adeguatamente riempito o occupato da un corpo», mentre il movimento non è altro che «la privazione di un luogo ed acquisizione di un altro». Sulla scorta di queste definizioni, il pensatore di Malmesbury sostiene che, attraverso il metodo com-
positivo, il ricercatore è in grado di indagare cosa genera il movimento del corpo: la linea, la lunghezza e la superficie sono prodotti dal corpo mosso e la parte della filosofia che si occupa delle operazioni applicate ai movimenti (addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni dei moti) è la geometria.?°9 In virtù di queste considerazioni, la geometria, propriamente parlando, non sarebbe altro che una scienza del movimento e, quindi, Galilei avrebbe
dovuto essere considerato da Hobbes il fondatore anche della geometria e non solo della fisica. Tuttavia, come sappiamo, Galileo era elogiato per aver svelato i penetrali della «natura del moto» 97 e, infatti, nel VI capitolo del De
Corpore, Hobbes propone una classificazione delle scienze meno rigida e dogmatica rispetto a quella del Leviathan, che contempla anche una cesura meno netta e delineata tra geometria e fisica. Dopo aver definito la geometria, Hobbes viene a esaminare, infatti, la scienza che si occupa dei movimenti nei corpi e dell’interazione tra i corpi e questa disciplina o ambito di ricerca è definito, in maniera generica, come
«quella parte della filosofia che riguarda il movimento».?98 Successivamen22M IVINPS3 35: EREDI 222; Ivi, Vie, OLII ipp..62-63:itr.it p.128: 226» Ivi,\p.:63;.tr. it. p.:129,
297 Ibid., pp. non num; tr. it. p. 62. Jesseph ha esaminato la ‘meccanica’ hobbesiana, la quale sarebbe il fondamento e il presupposto di tutto il sistema filosofico hobbesiano e presenterebbe come elementi cardine il movimento e i corpi matematicamente quantificabili. Vedi
JessepH, Hobbesian Mechanics, cit., passim.
298 HoBBEs, De Corpore, VI, 6, p. 63; tr. it. p. 129.
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GALILEIANA
te, egli viene ad affrontare la «ricerca che deriva dal movimento delle parti» cioè di quei movimenti che producono modificazioni negli organi del senziente. Quest'indagine verte «sulle qualità sensibili, quali sono la luce, il colore, la trasparenza, l’opacità, il suono, l’odore, il sapore, il caldo, il freddo e
simili».??° Secondo Hobbes, è questo il dominio vero e proprio della fisica, la quale si occupa sì delle qualità, ma non come se fossero accidenti reali dei corpi, bensì in quanto prodotte dal loro substrato reale: corpi in movimento. L'operazione che compie Hobbes, la quale conduce a istituire una sorta di ponte o passaggio dalla geometria alla fisica, produce un duplice risultato di geometrizzazione della fisica e, per converso, di fisicizzazione della
geometria (in quanto gli enti geometrici sono il prodotto del movimento di corpi). Alla base di questo percorso si collocano le nozioni fondamentali di quantità e movimento: questi accidenti, considerati da Galileo come qualità primarie dei corpi, sono i principi fondamentali della filosofia hobbesiana e, non a caso, l’estensione e la figura sono indicati da Hobbes come gli accidenti essenziali del corpo e inscindibili dalla nozione stessa di corpo.?° Questi accidenti sono da considerare i mattoni dell’edificio del sapere umano e sono quindi il fondamento non solo della scienza del movimento, bensì di tutta la filosofia hobbesiana, a cominciare dalla filosofia prima,
la quale è incentrata, come abbiamo visto, sul concetto di corpo. Da ciò si evince che lo sforzo di traduzione degli oggetti che popolano il mondo naturale in entità matematicamente quantificabili, che costituisce uno degli aspetti peculiari della filosofia naturale di Galileo (e della genesi della scienza moderna), viene così assorbito e rielaborato da Hobbes.
Tuttavia, nella «ricerca delle cause»,59 cioè nell’ambito della filosofia
naturale, è necessaria l'applicazione congiunta dei metodi compositivo e risolutivo: il metodo risolutivo permette di scomporre la totalità del fenomeno studiato in dati semplici, cioè ricondurlo ai principi della quantità e del movimento e, successivamente, attraverso il metodo compositivo, si procede alla ricomposizione unitaria dei singoli dati esaminati.592 299 Ibid. alcuni spunti 300 Ivi, VIII, 3, pp. 92-93; tr. it. pp. 156-157. Queste riflessioni riprendono va un accidente individua filosofo il dove principiis, De del to manoscrit nel già trovavano si che we impose a cerche costituiva l'essenza di un determinato corpo: «That accident for which his subject is called the tain name upon any body: or that accident which does denominate 5297), MLT, Appendice essence thereof». HoBBes, De Principiis (National Library of Wales, Ms II, p. 457.
301 Ho88Es, De Corpore, VI, 10, OL, I, p. 70; tr. it. p. 135. metodo analitico, in 302 «[È] chiaro che, nella ricerca delle cause, c'è bisogno in parte del una le circostanze ad una ad e concepir del metodo analitico, per
parte del metodo sintetico:
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CAPITOLO
SECONDO
Un anno dopo l’uscita del De Corpore, nelle Six Lessons, Hobbes presenta, in apertura, la medesima immagine della geometria, fondata sul concetto di quantità? (e, quindi — conformemente alle idee esposte nel De Corpore — a quello di corpo).?% Alcune riflessioni interessanti sul rapporto tra. fisica e geometria sono presenti, però, nel De Homine. Nel X capitolo dell’operà, dedicato al Discorso e le scienze, Hobbes ripropone la concezione costruttivista della matematica che abbiamo incontrato nelle opere precedenti: il matematico padroneggia perfettamente la causa e la genesi della figura geometrica; mentre i principi della natura, che sono oggetto della filosofia naturale, sono esclusivamente
nelle mani del creatore. Il matematico, però, non crea ex nihilo le entità geometriche ma, come in una sorta di attività demiurgica, costruisce argomen-
tazioni geometriche sulla scorta degli strumenti che sono già esistenti, e questi strumenti sono i principi cardine della scienza geometrica.?®° Inoltre, Hobbes sostiene (come aveva fatto vent'anni prima nella lettera al Newcastle) che la «massima parte» delle realtà naturali sia invisibile, e ciò significa che non è possibile condurre un'osservazione empirica diretta su questi fenomeni. Talvolta, però, possiamo tentare di risalire alle cause degli eventi sulla scorta degli effetti osservati, così «dalle stesse proprietà che vediamo, deducendo le conseguenze fin dove è concesso procedere, possiamo dimostrare che loro cause han potuto essere queste o quelle. Questa dimostrazione si dice a posteriori e la stessa scienza si dice fisica».*° Il prosieguo della trattazione è altrettanto interessante, perché porta Hobbes ad annoverare la fisica tra le matematiche miste: E, poiché nelle cose naturali che nascono dal moto non è possibile neppure procedere con ragionamento a posteriori, senza la cognizione di ciò che consegue
ad una qualunque specie di moto, e non è possibile giungere alle conseguenze dei moti senza la cognizione della quantità, che è la geometria, non può accadere che certe cose non debbano essere dimostrate, con una dimostrazione a priori, anche
dell'effetto; del metodo sintetico, per comporre in unità ciò che esse, ciascuna in sé e per sé,
producono», ibid. 303 «Geometry is the science of determining the quantity of anything, not measured, by comparing it with some other quantity or quantities measured». HoBBEs, Six Lessons, EW, VII,
p. 191.
304 «I suppose, most egregious professors, you know already that by geometry, though the word import no more but the measuring of land, is understood no less the measuring of all other quantity than that of bodies», ibid. 305 Vedi HoBes, De Homine, X, 5, OL, II, p. 93; tr. it. pp. 590-591. S00s1VIpI93AtGitAPA59O:
—_ Tia—
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GALILEIANA
dal fisico. Perciò la.vera fisica, che si fonda sulla geometria, si suole annoverarla tra
le matematiche miste.5°7 Hobbes sostiene che la fisica sia una scienza strutturata 4 posteriori, di-
versamente dalla matematica. Solo dopo aver conosciuto gli effetti di un determinato fenomeno, attraverso il metodo resolutivo, possiamo scoprirne le cause possibili. La fisica si fonda, però, su principi che non sono in nostro potere e, di conseguenza, non sono padroneggiabili interamente dal
ricercatore. Tuttavia, il filosofo afferma, al contempo, che senza la cognizione dei movimenti e delle quantità, che sono dominio della geometria, non è possibile produrre alcuna dimostrazione nell’ambito della fisica. Egli è abbastanza perentorio al riguardo: senza quel processo di matematizzazione della realtà naturale che ha il suo nume tutelare in Galileo, non è possibile svilup-
pare alcuna rigorosa indagine fisica. L'applicazione corretta di un metodo aprioristico nel campo della fisica è garantito, dunque, dalla possibilità di esprimere in termini geometrici, matematicamente quantificabili, gli oggetti della fisica, attraverso il metodo che ha introdotto Galileo Galilei.5 Questi non ha mai rinunciato all'idea che il libro della natura, cioè l’universo, fosse scritto in caratteri matematici, cioè in «triangoli, quadrati, cerchi,
sfere, coni, piramidi et altre figure matematiche» (come egli stesso ribadisce ancora in una lettera a Fortunio Liceti nel gennaio 1641).?9? Hobbes raccoglie e rielabora, quindi, l'eredità galileiana, la quale emerge principalmente come istanza di geometrizzazione del reale. Egli ritiene, esattamente come il Pisano, che l’unico criterio per interpretare corretta307 Ibid. 308 Zvi Biener ha analizzato il tentativo di Galileo di applicare il suo metodo di matedove il matizzazione del reale anche alla materia, presente nella prima giornata dei Discorsi, della scienza delPisano insiste sulla possibilità (e necessità) di estendere alla fisica (e quindi
un preciso la materia) le speculazioni matematiche. Biener ha sostenuto che Galileo avesse Quesiti et inventioni obiettivo polemico: le riflessioni che Niccolò Tartaglia aveva elaborato nei Matter, «Perspectives diverse (1546). Vedi Zvi BrenER, Galileo’s First New Science: The Science of rapporto di Galileo con on Science», vol. 12, n. 3, 2004, pp. 262-287: 267-269. A proposito del
cui è giunto Machamer le cosiddette matematiche miste, non trovo condivisibili le conclusioni cit.,
New Perspectives on Galileo, (PETER MACHAMER, Galileo and the Causes, in BurTSs — PrTTs (eds.), ridurre ilfilosofo Galileo alla dimensione di mixed mathematician.
pp. 161-180) il quale vorrebbe un filosofo naturale, come L'immagine che emerge dai testi del Pisano è sicuramente quella di IV) che è allabase della cap. infra, (vedi traspare chiaramente dalla sua concezione della materia l’analisi dei testi hobbeparere, mio À corpi. dei secondarie e primarie qualità tra sua distinzione il quale considerò, di Hobbes, siani suggerisce, inoltre, che questa fu anche l’interpretazione
per questo, il Pisano il più grande filosofo di sempre.
XVIII, p. 295. 309 Galileo Galilei a Fortunio Liceti, gennaio 1641, OG,
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CAPITOLO SECONDO
mente i fenomeni fisici sia codificare nel linguaggio matematico-geometrico gli enti fenomenici che si palesano di fronte ai nostri organi di senso. Il ricercatore che tenta di conoscere le cause dei fenomeni naturali deve tradurre l'universo di percezioni che acquisisce attraverso la dimensione sensibile in entità matematicamente e geometricamente quantificabili. In realtà, quest’istanza di geometrizzazione del mondo naturale assu-
me connotati decisamente più ipotetici nell'opera di Hobbes, ma ciò non implica affatto il discredito del sapere scientifico nei confronti della matematica o della geometria. Al contrario, ancora nei Seven Philosophical Pro-
blems (1662), pur essendo consapevole che la dottrina delle cause naturali non avesse infallibili ed evidenti principi,*!° d'altro canto, Hobbes affermava che lo studio della natura risultava essere «la più nobile occupazione per la mente che ci possa essere».i!!
310 «The doctrine of natural causes hath not infallible and evident princi Seven Philosophical Problems, EW, VII, past evi SLI pii
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dio:
CAPITOLO TERZO
IL MOMENTO DI GALILEO E IL CONATUS DI HOBBES
1. IL MOTO INERZIALE
Nonostante la propensione di Hobbes per il metodo geometrico e per la matematizzazione della natura, le opere spiccatamente matematiche e geometriche del filosofo palesano le sue lacune in queste discipline, che gli sono valse aspre critiche di matematici e scienziati suoi contemporanei.! Ciò nondimeno, la fisica (nel senso moderno del termine) costituisce
un aspetto non trascurabile del pensiero hobbesiano e qui la presenza di Galileo Galilei è decisamente importante. Nei precedenti capitoli, abbiamo ampiamente sondato le radici della filosofia hobbesiana: le nozioni di corpo e movimento, le quali palesano un'evidente eredità galileiana. Tuttavia, quest’eredità emerge altrettanto chiaramente analizzando nel dettaglio la fisica di Hobbes, poiché molti concetti fisici hobbesiani presentano evidenti analogie concettuali, e talvolta anche lessicali, con i termini della fisica di Galileo. In questa prospettiva, il De motu, loco et tempore è paradigmatico, poiché ci permette di afferrare lo iato che separa la fisica di Thomas White, di matrice aristotelica, da quella di Hobbes, che ha
appreso la lezione di Galileo e ne ha assorbito i concetti cardine. Alcuni elementi interessanti emergono analizzando la critica che Hobbes rivolge alle dimostrazioni contenute nel nodus VIII del I dialogo whitiano, dal titolo: Aerem motu telluris circumferri. L'idea del sacerdote inglese lunare, è che l’aria che circonda la sfera terrestre, fino al livello dell’orbita
a sia una sorta di effluvio prodotto dalla Terra e che, per questo, conteng za delle particelle terrose che la rendono pesante. Inoltre, a questa pesantez rotasarebbe imputabile il fatto che questa parte di aria sia coinvolta nella e. terrestr zione diurna cui è soggetta la sfera Circle, cit., passim; SERGIO, Contro 1 Su questo aspetto vedi soprattutto JessePH, Squaring the
il Leviatano, cit., passim. un profilo biografico e intel2 Vedi Wuire, De Mundo dialogi tres, cit., pp. 204 e sgg. Per
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CAPITOLO
TERZO
La risposta di Hobbes a questa concezione è sviluppata nel XX capitolo del De motu, loco et tempore e prosegue nel successivo. In primo luogo, egli critica direttamente la teoria aristotelica dei luoghi naturali, cui oppone una concezione fondata sui principi archimedei.* La critica hobbesiana alla fisica aristotelica prosegue nei paragrafi successivi e nell’ottavo il filosofo espone alcuni concetti fondamentali della scienza moderna, che Galileo aveva introdotto nel Dialogo e nei Discorsi. Thomas White aveva affrontato una curiosa problematica: ovvero se un ipotetico arresto improvviso della rotazione terrestre comporterebbe o meno la caduta dei corpi che stanno sulla superficie della Terra. La risposta che egli aveva elaborato era fondata sui principi della fisica aristotelica: una volta cessata la causa del fenomeno doveva esaurirsi immediatamente anche il suo effetto, per cui l’aria si sarebbe arrestata simultaneamente alla sfera terrestre.' Di contro, Hobbes sviluppa una replica che si fonda sui concetti della scienza del moto galileiana e che è perfettamente conforme ai principi della fisica moderna: P In primo luogo, è noto che nulla inizia a muoversi da se stesso, ma che ogni corpo ha per causa e inizio del proprio movimento il moto di qualche corpo ad esso contiguo. [...] Ne risulta che il corpo, se una volta inizia a muoversi da se stesso, dovrebbe avere in sé tutto ciò che è necessario al moto, prima ancora
di muoversi. Dunque, avrebbe dovuto muoversi in precedenza. Pertanto, non è vero che esso cominci a muoversi per la prima volta, come pure si supponeva.
Per la stessa ragione non si può provare che qualunque cosa si muova possa da se stessa acquisire la quiete. Ma, come per il moto in un corpo in quiete così an-
che per la quiete in un corpo mosso è necessaria [l’esistenza] di qualche agente
esterno e contiguo.’ lettuale di White vedi BeveRLEY C. SOUTHGATE, ‘Covetous of truth’. The Life and Work of Thomas White, 1593-1676, Dordrecht-Boston-London, Kluwer Academic Publisher, 1993 (sulla sua ten-
denza a conciliare l’aristotelismo e alcuni aspetti della scienza moderna, ivi, pp. 5 e sgg). Sulle
circostanze della stesura e della pubblicazione dell’opera vedi JacQquOT — JonEs, Introduction, in
MLT, cit., pp. 9-70. Sul comune spirito erastiano di Hobbes e dei ‘Blackloists’, i cattolici inglesi che gravitavano attorno al White e che decisero di abbandonare la fazione realista per intavolare trattative separate con Cromwell, vedi: JeeFREY R. CoLLins, Thomas Hobbes and the Blackloist Conspiracy of 1649, «Historical Journal», XLV, 2002, pp. 305-331; In., The Allegiance of Thomas
Hobbes, Oxford, Oxford University Press, 2005, pp. 139-141; pp. 178-180. Secondo Hobbes, l’acqua del mare o di un lago non esercita alcun peso su di un oggetto posto sul fondale, ma questo non perché l’oggetto si trova nel suo luogo naturale, ma piuttosto — secondo i principi archimedei — a causa di una pressione esercitata sulla massa d’acqua dall'oggetto che ne ha occupato il luogo. Vedi HoBBEs, MLT, XX, 3, pp. 248-249; tr. it.
pp. 366-367. 4 Ivi, pp. 251-252; tr.it. p. 371. 5 Ivi, pp. 251-252; tr. it. p. 371.
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IL MOMENTO
DI GALILEO
E IL CONATUS
DI HOBBES
Qui emergono con chiarezza due concezioni profondamente diverse sulla natura del moto. White è legato alla concezione aristotelica, secondo
la quale, il movimento necessita di un motore che lo mantenga.$ Di contro, Hobbes ha pienamente compreso la natura del principio di inerzia, così come veniva abbozzato da Galilei nel Dialogo. La chiusa del passo citato è illuminante: Hobbes è perfettamente convinto che un corpo si mantenga nel suo stato di quiete o di moto, finché non interviene un agente esterno e contiguo che ne modifichi lo stato. Il concetto di moto inerziale viene tracciato da Galileo in diversi luoghi del Dialogo: nella prima giornata, incidentalmente, troviamo un primo breve riferimento a questa problematica: [...] nel piano orizontale qual si sia velocità non s'acquisterà naturalmente mai, avvenga che il mobile già mai non vi si muoverà. Ma il moto per la linea orizontale, che non è declive né elevata, è moto circolare intorno al centro: adunque il
moto circolare non s’acquisterà mai naturalmente senza il moto retto precedente, ma bene, acquistato che e’ si sia, si continuerà egli perpetuamente con velocità uniforme.”
Com'è
stato ampiamente
osservato,5 già Le Mecaniche contenevano
un riferimento al moto inerziale,” che veniva esplicitato nella successiva Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari,!° attraverso l’esempio clas-
sico di una nave che, «avendo una sol volta ricevuto qualche impeto per il mar tranquillo, si muoverebbe continuamente intorno al nostro globo
6 Sull’idea aristotelica che il persistere del movimento necessiti di un motore, vedi ARISTOTELE, Fisica, VII, 241 b e sgg. Jean Bernhardt, che per primo ha dedicato un breve intervento alla presenza di Aristotele nella filosofia prima di Hobbes, ha sostenuto che è aristotelico in Hobbes il principio di conservazione del movimento (vedi JEAN BERNHARDT, L'apport de l’aristotelisme à la pensée de Hobbes, in BERTMAN — MALHERBE (eds.), Thomas Hobbes. De la métaphysique à la politique, cit., pp. 9-15). Tuttavia, mi pare che in questo e molti altri aspetti, il pensatore inglese sia debitore, piuttosto, della fisica di Galileo e anche perfettamente consapevole del processo e che di traduzione in termini meccanicisti, di alcuni concetti aristotelici, intrapreso dal Pisano
sarà proseguito dallo stesso Hobbes (vedi al riguardo il suggerimento di Spragens: SPRAGENS, The Politics of Motion. The World of Thomas Hobbes, cit., pp. 53 e sgg.). In generale, sulla presenza di Aristotele e dell’aristotelismo nella filosofia hobbesiana rimandiamo sempre all'ampio e accurato saggio di Leijenhorst: LegeNHORST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit. 7 Gauitel, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, pp. 52-53. 8 Vedi CAMEROTA, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della Controriforma, cit., pp. 446 e sgg. 9 Vedi Gatitei, Le Mecaniche, OG, II, p. 180.
a per 10 Come ha sottolinato Bucciantini, il testo dell’Istoria è di fondamentale importanz ‘filosofia di testo primo il a rappresent esso poiché un esame della figura intellettuale di Galileo, naturale galileiana’. Vedi BuccIANTINI, Galileo e Keplero, cit., p. 217.
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CAPITOLO TERZO
senza cessar mai, e postavi in quiete, perpetuamente quieterebbe».!! L'analogia con la nave sulla superficie del mare ritorna nella seconda giornata del Dialogo: Adunque una nave che vadia movendosi per la bonaccia del mare, è un di quei mobili che scorrono per una di quelle superficie ché non\sono né declivi né acclivi,
e però disposta, quando le fusser rimossi tutti gli ostacoli accidentarii ed esterni, a muoversi, con l’impulso concepito una volta, incessabilmente e uniformemente. sia
È bene notare, tuttavia, che nei passi citati Galilei ha fatto riferimento a moti, sì uniformi, ma applicati a una superficie sferica, cioè a moti circolari e, a tal proposito, è nota l’interpretazione di Alexandre Koyré,'? secondo la quale la concezione del moto uniforme espressa dal Pisano implicherebbe l'impossibilità di applicare il principio di inerzia a un moto rettilineo. Secondo Koiré, infatti, l’argomentazione galileiana farebbe riferimento esclusi
vamente al piano orizzontale reale, considerato come una superficie sferica: la superficie «non declive» e «non acclive», come viehe definita da Galileo quella superficie i cui punti sono tutti equidistanti dal centro della terra.!4 Nonostante alcuni passi del Dialogo sembrino confermare la tesi di Koyré, tuttavia, vi sono altri luoghi della stessa opera e, soprattutto, dei Discorsi, che sembrano suggerire l'applicazione di una concezione inerziale anche al moto rettilineo uniforme.! In particolare, nel breve trattato latino 11 GALILEI, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, OG, V, p. 134.
12 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 174. 13 Vedi Koyré, Studi galileiani, cit., p. 233. Posizione simile a quella di Koyré è presente anche in Westfall, vedi WESsTFALL, La rivoluzione scientifica del XVII secolo, cit., pp. 27-28. Diversa è
la posizione di Geymonat, il quale riteneva che la mancata formulazione esplicita del principio di inerzia da parte del Galilei non imlicasse affatto l'assenza del suddetto principio nella fisica galileiana. Al contrario, esso sarebbe implicito nelle trattazioni di carattere astronomico nei Dialoghi e fisico-meccaniche nei Discorsi. Vedi GevmonaT, Galileo Galilei, cit., pp. 322-326. Contro l’interpretazione di Koyré vedi anche STILLMAN DRAKE, Galileo and the Concept of Inertia, in In., Galileo Studies. Personality, Tradition, and Revolution, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 1970, pp. 240-256; In., The Case Against ‘Circular Inertia”, ivi, pp. 257-278.
14 La considerazione di Koyré è supportata da alcuni passi del Dialogo, come il seguente scambio di battute tra Salviati e Simlicio: «Salv. [...] quale stimate voi la cagione del muoversi
quella palla spontaneamente sul piano inclinato, e non, senza violenza, sopra l'elevato? Simp. Perché l’inclinazion de’ corpi gravi è di muoversi verso ’l centro della Terra, e solo per violenza in su verso la circonferenza; e la superficie inclinata è quella che acquista vicinità al centro,
e l’acclive di scostamento. Salv Adunque una superficie che non dovesse esser non declive e non acclive, bisognerebbe che in tutte le sue parti fusse egualmente distante dal centro. Ma di tali superfici ve n'è alcuna al mondo? Simp. Non ve ne mancano: ècci quella del nostro globo terrestre, se però ella fusse ben pulita, e non, quale ella è, scabrosa e montuosa; ma vi è quella
dell’acqua, mentre è placida e tranquilla», ivi, pp. 173-174. 15 Vedi, per esempio GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, pp. 201
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IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
De motu proiectorum, che troviamo nell’esordio della quarta giornata, Galileo fa riferimento al prolungamento ad infinitum di un moto rettilineo! e nella terza giornata, trattando De motu naturaliter accelerato, lo scienziato sembra suggerire pus il moto su di un piano orizzontale infinito sarebbe, per natura, eterno. Indipendentemente dal dibattito circa la piena e completa formulazione del principio di inerzia da parte di Galileo, è evidente che Thomas Hobbes abbia appreso la portata rivoluzionaria della concezione inerziale del moto,!8 di cui offre numerosi esempi di applicazione nel De motu, loco et tempore: Prove sperimentali assai numerose mostrano che, cessando la causa del moto, non cessa tuttavia l’effetto (l’effetto, dico, non soltanto il risultato, infatti nessu-
no può dubitare che alla morte del pittore il quadro non sussista); anche quando l’azione dell’arco cessa, la freccia continua a volare; quando una nave urta il terre-
no, coloro che stanno sopra il ponte subito cadono in avanti; distrutta la polvere pirica, la palla scagliata continua la sua corsa. Perché dunque, quando la terra si ferma, l’aria, una volta mossa, non dovrebbe egualmente perseverare nella sua
corsa, se nient'altro glielo impedisce? !°
È interessante osservare inoltre che gli esempi addotti da Hobbes sono gli stessi che Galileo aveva presentato nel Dialogo sopra i due massimi sistemi: la freccia, la nave, la palla di cannone.?° e 220. Sulla concezione inerziale del moto in Galileo vedi anche WaLLAcE HooPER, Inertial
problems in Galileo’s preinertial framework, in PETER MACHAMER (ed.), The Cambridge Companion to Galileo, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 146-171: 157 e sgg. dove l’autore discute criticamente la tesi di Koyré. Vedi anche CamEROTA, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’età della Controriforma, cit., p. 448. 16 «Mobile quoddam super planum horizontale proiectum mente concipio, omni secluso impedimento: iam constat, ex his quae fusius alibi dicta sunt, illius motum aequabilem et perpetuum super ipso plano futurum esse, si planum in infinitum extendatun». GALILEI, Discorsi e dimostrazioni intorno a duenuove scienze, OG, VIII, p. 268.
17 «Attendere insuper licet, quod velocitatis gradus, quicunque in mobili reperiatur, est in illo suapte
quod natura indelebiliter impressus, dum externae causae accelerationis aut retardationis tollantur,
in in solo horizontali plano contingit, nam in planis declivibus adest iam causa accelerationis maioris, si aeternum, quoque esse horizontali in motum sequitur, pariter quo ex acclivibus vero retardationis: p. 243. enim est aequabilis, non debilitatur aut remittitur, et multo minus tollitur», ivi,
pri18 L'importanza del concetto galileiano di inerzia in Hobbes è stata individuata, per SpRamo, da Spragens, il quale, tuttavia, non ha sviluppato ampiamente la problematica. Vedi cens, The Politics of Motion. The World of Thomas Hobbes, cit., pp. 60 e sgg. 19 Vedi Ho88Es, MLT, XX, 8, p. 252; tr. it. p. 372. presenti nei 20 Come aveva sottolineato già Pierre Duhem, alcuni di questi esempi erano OreNicole di Monde du e Ciel du Livre nel e testi dei fisici parigini del XIV secolo, in particolar D. Menut and Alexander sme. Vedi Nicole OrEsME, Le livre du Ciel et du Monde, ed. by Albert
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CAPITOLO
TERZO
Nel capitolo successivo, il filosofo analizza inoltre il fenomeno del piano inclinato, che è già presente nel Dialogo, ma assumerà un'importanza fondamentale nei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze. White criticava Galilei «per aver considerato che il moto della sfera su un piano continuerà in perpetuo, una volta che sia cominciato»?!e Hobbes osserva che il suo conterraneo, proprio come l’aristotelico Simplicio, non ha compreso la natura del principio di inerzia: [E]gli (scil. Galileo) considera qualunque movimento, una volta iniziato, desti-
nato a durare perpetuamente, a meno che sia impedito da un altro motore che muove in direzione contraria. Queste, dico, sono le cose che il nostro autore cri-
tica, benché non rechi alcuna ragione in contrario: afferma solo questo, che non comprende più di quanto faccia Simplicio una qualità impressa di questo genere. Credo tuttavia (così almeno penso) che capire che una cosa mossa si muove sempre, finché qualche corpo premendo in direzione contraria la arresti, non sia più difficile che comprendere che un oggetto in quiete sempre resta in questo stato,
finché qualche corpo lo spinge fuori dal suo luogo.?*
i
White non ha afferrato la rivoluzione galileiana riguardo alla natura del moto, perché ritiene, d'accordo con Aristotele, che la prosecuzione di un movimento richieda l'applicazione continua di un motore.” Il cattolico inglese si è mantenuto conforme ai suoi principi aristotelici e non ha assiJ. Denomy, Madison, Milwaukee and London, The University of Wisconsin Press, 1968, pp. 519 e sgg. Vedi CromBIE, Da S. Agostino a Galileo, cit., pp. 276 e sgg. 21 Ho8È£es, MLT, XXI, 13, p. 262; tr. it. p. 390.
22 Ibid. 23 Qui, come altrove, White rimane fedele ai suoi principi aristotelici. Fondati sulla filosofia aristotelica e scolastica sono anche i suoi argomenti contro l’esistenza del vuoto. In particolare, fondandosi sulla definizione aristotelica di luogo, ovvero di superficie immobile del corpo (ARISTOTELE, Fisica, IV, 212a, 20), negava sia la possibilità del vuoto che la pluralità dei mondi. Se
i mondi fossero molteplici, infatti, si porrebbe il problema di giustificare il vuoto inter mundia. Vedi Wrrre, De Mundo Dialogi, cit., pp. 29 e sgg. L'argomento del White echeggia in particolare un'argomentazione legata al tema dell’annihilatio mundi, presente in Giovanni Buridano, come in altri fisici parigini del XIV secolo e in alcuni mertoniani. Ragionando di questioni concernenti la potentia Dei absoluta, imedievali ipotizzavano un intervento miracoloso di Dio che avrebbe
annientato il cosmo e si chiedevano se lo spazio vuoto potesse essere ancora concepito come
un luogo. Sull'argomento vedi EpwaRD GRANT, Much Ado About Nothing, Cambridge, Cambridge
University Press, 1981, in part. pp. 86 e sgg,; In., Le origini medievali della scienza moderna, Torino, Einaudi, 2001 (ed. or. 1996), pp. 126-127; Amos FUNKENSTEIN, Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, Torino, Einaudi, 1996 (ed. or. 1986), pp. 139 e sgg.; Massimo PARODI, Tempo e spazio nel medioevo, Torino, Loescher, 1981, pp. 201 e sgg.; Luca BrancHI, La struttura
del cosmo, in In. (a cura di), La filosofia nelle università, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pp. 269-303.
Sul dibattito intorno al vuoto in epoca rinascimentale (in particolare su Patrizi e Telesio) vedi CHARLES B. ScHMITT, Prove sperimentali sull’esistenza del vuoto, in Filosofia e scienza nel rinascimento, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp. 65-83.
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IL MOMENTO
DI GALILEO
E IL CONATUS
DI HOBBES
milato i fondamenti della nuova e rivoluzionaria concezione del movimento teorizzata da Galilei, la quale è invece accolta e sviluppata da Hobbes. Infatti, per quanto Galileo possa non essere giunto a una precisa e completa definizione del principio di inerzia; tuttavia, il passo citato del De motu, loco
et tempore ci indica che Hobbes avesse compreso la portata rivoluzionaria del concetto di moto inerziale nei confronti della tradizione aristotelica. In realtà, ancor prima della pubblicazione dello studio di Koyré (1938) già Frithiof Brandt, nel 1921, rilevava nel De Corpore una mancata definizione dello stesso principio inerziale, e aggiungeva anche che Hobbes sembrava applicare una concezione inerziale del movimento esclusivamente ai moti circolari.?* Sebbene si possa concordare con il Brandt riguardo all’assenza di un’esplicita formulazione del principio di inerzia nei testi hobbesiani (così come in Galileo), tuttavia, Hobbes pone il moto inerziale a fondamento del suo sistema meccanicistico della natura, così come traspare
chiaramente dal manoscritto De Principiis.?° Come ha osservato Paganini, infatti, in Hobbes il principio d'inerzia è strettamente correlato a un altro principio fondamentale della sua meccanica, quello per cui nessun corpo può muoversi autonomamente,
ma
riceve dall'esterno (da un altro corpo in movimento e contiguo) l'impulso a muoversi.?6 Di conseguenza, «l'inerzia prende la forma di un principio di ragion sufficiente, in cui si riflette la nozione hobbesiana di causalità».
Questo emerge soprattutto nel De Corpore, che riprende anche le problematiche affrontate già nel De motu, loco et tempore, arricchendole con ulteriori considerazioni. In primo luogo, nel capitolo VIII, Hobbes sostiene che un corpo mantiene il suo stato di quiete, o di moto, finché un agente esterno non interviene a modificarne lo stato ?8 e, nel capitolo successivo,
venendo a trattare della causa del movimento, la quale «può essere unica24 Vedi BranDT, Thomas Hobbes Mechanichal Conception of Nature, cit., p. 328. Riguardo al principio di inerzia connesso al moto circolare, Mintz sostiene che Hobbes abbia assorbito una concezione circolare del moto inerziale proprio attraverso la lettura dei testi galileiani. Vedi 98-100. Samuet I. Mintz, Galileo, Hobbes and the Circle of Perfection, «Isis», 43 (July 1952), pp. passi alcuni tra analogie le sottolinea quale il Henry, to sull'argomen Recentemente è tornato Galileo, and del Dialogo galileiano e il moto circolare semplice di Hobbes. JoHN HENRY, Hobbes,
the Physics of Simple Circular Motion, cit., in part. pp. 13 e sgg. 25 «Quod quiescit nisi ab externo moveatur semper quiescet. Quod movetur nisi ab externo imMs 5297), MLT, pediatur semper movebitur.» HoBBEs, De Principiis (National Library of Wales, Appendice II, p. 457. 26 Vedi Paganini, Introduzione, in tr. it. MLT, cit., pp. 34-35.
II, $ 7. 27 Ibid. Sull’importanza del concetto di causa in Hobbes vedi supra, cap. osservare, tuttao Dobbiam 165. p. it. tr. 102; p. I, OL, 28 Vedi HoB8Es, De Corpore, VIII, 19,
via, che la traduzione italiana non è molto chiara.
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CAPITOLO
TERZO
mente in un corpo contiguo e mosso»,° giunge, infine, a un'esposizione abbastanza chiara e articolata del moto inerziale:
[P]oiché si può concepire che un corpo ora in stato di quiete resterà in questo stato, anche se è toccato da un altro corpo, purché il corpo non si muova, la causa del movimento, non sarà in un corpo in stato di quiete Perciò la causa del movi-
mento sarà in un corpo contiguo Mosso.
Per la stessa ragione, si può provare che ciò che si muove procederà per la medesima via e con la medesima velocità, se non riceve impedimento da un altro
corpo contiguo e mosso e, conseguentemente, che né i corpi in stato di quiete né quelli tra i quali è interposto uno spazio vuoto possono, in un altro corpo, gene-
rare 0 diminuire o estinguere il movimento.9° Nel XV capitolo, Hobbes ritorna sulla problematica del motore, di cui si era già occupato nella sua obiezione a White, insistendo sull'idea: «quod cessatio moventis non cogit cessare id quod ab ipso motum est»?! e, nello stesso capitolo, sono presenti ulteriori interessanti osservazioni intorno al princi-
pio di inerzia, dove emerge un concetto fondamentale della fisica hobbesiana: quello di conatus.
2. L’INERZIA E IL CONATO
In questo XV capitolo del De Corpore Hobbes sostiene che, nel vuoto e in assenza di impedimenti esterni, un conato si propaga all'infinito: Ogni conato, forte o debole, si propaga all’infinito. È, infatti, un moto. Se, perciò, si ha nel vuoto, il mobile procederà sempre con la stessa velocità, perché,
supposto il vuoto, si suppone che nessuna resistenza può derivare al suo moto e, perciò, [...] procederà sempre per la stesa via e con la stessa velocità.5?
Tuttavia, egli ritiene che il conatus si propaghi all’infinito anche nello spazio pieno e afferma che questo movimento si trasmette istantaneamente.83 220Ivi, IXy7} p. JO; tr-ityp.1173;
30 Ivi, pp. 110-111; tr. it. p. 174. Nel prosieguo, Hobbes riprende e critica l'opinione di
White, senza farvi diretto riferimento, secondo la quale la quiete sarebbe “più contraria” al
movimento, di un movimento opposto al primo.
31 Ivi, XV, 3, p. 180. La traduzione italiana (cit., p. 243) è fuorviante. 32 Ivi, XV, 7, pp. 182-183; tr. it. p. 245.
33. «Se il moto si ha nello spazio pieno, poiché tuttavia il conato è un moto, ciò che più da
vicino nella sua via l’ostacola, sarà rimosso, e riceverà un ulteriore conato e da questo conato
rimuoverà ancora ciò che più da vicino l’ostacola, e così all'infinito. Dunque la propagazione
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ii,
IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
Dunque, ogni conato procede, sia nello spazio vuoto che nello spazio pieno, non solo ad una distanza quanto grande si voglia, ma anche in un tempo quanto piccolo si voglia, cioè in un istante. Né importa che il conato, procedendo, diventi più debole, in modo tale che, alla fine, sfugge a tutti i sensi; infatti, il moto può diventare così esiguo da non poter essere percepito dal senso. Ma noi, qui, non
trattiamo del senso e dell'esperienza, bensì della ragione delle cose.5* In realtà, l’argomentazione hobbesiana sulla trasmissione del conatus si
rivela problematica: egli sostiene, infatti, che nel vuoto il moto si propaga a causa dell'assenza di impedimenti esterni che oppongono resistenza; ma,
d'altro canto, ritiene che lo stesso fenomeno si verifica nello spazio pieno, perché ciò che ostacola il movimento è rimosso dal movimento stesso e, perciò, il proietto «riceverà un ulteriore conato e da questo conato rimuoverà ancora ciò che più da vicino l’ostacola, e così all’infinito».* La riflessione di Hobbes non è affatto perspicua: egli propone una teoria della propagazione infinita nello spazio pieno che è in aperta contraddizione con la spiegazione che aveva fornito dello stesso fenomeno considerato nel vuoto. Nel primo caso l’aria è considerata come un impedimento esterno che offre resistenza e la cui assenza permette la propagazione all’infinito. Nella seconda, invece, la stessa aria sembra avere una funzione propulsiva ed essere il mezzo che consente il propagarsi del conatus. Un'ulteriore difficoltà è determinata dal fatto che il filosofo suppone anche che questa propagazione sia istantanea. Hobbes deve essersi reso conto della problematicità della sua argomentazione e, nella chiusa del paragrafo, ha inserito infatti una precisazione cautelativa, dichiarando di essere consapevole che i moti nello spazio pieno scemano a causa della resistenza opposta dall’aria e affermando, perentoriamente, di non volersi occupare dei fenomeni empirici, ma solo delle proprietà fisiche dimostrabili razionalmente.*° Tuttavia, anche attenendoci del conato da una parte dello spazio pieno ad un’altra procede all'infinito. Si estende, anche, in un istante, ad una distanza quanto grande si voglia: infatti, nello stesso istante in cui la prima parte del mezzo pieno rimuove la parte che le è più vicina e l’ostacola, la seconda parte rimuove la parte che, a sua volta, più le è vicina e l’ostacola», ivi, p. 183; tr. it. pp. 245-246. 34 Ibid. 35 Ibid. 36 «[N]oi, qui, non trattiamo del senso e dell’esperienza, bensì della ragione delle cose», i diGaibid. La posizione espressa da Hobbes in questo passo richiama alcune delle dichiarazion e, niente lileo Galilei, il quale affermava che le dimostrazioni, «fabricate sopra la mia supposizion dimoconclusioni perdevano della sua forza e concludenza; sì che come niente progiudica alle maniera spistrate da Archimede circa la spirale il non ritrovarsi in natura mobile che in quella 1639, OG, XVIII, pp. 12-13. ralmente si muova». Galileo Galilei a Giovan Battista Baliani, 7 gennaio
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CAPITOLO
TERZO
esclusivamente a un modello fisico astratto, l’argomentazione sembra contenere, ugualmente, un paralogismo che non può essere eluso facilmente. La difficoltà incontrata da Hobbes in questo passo cela la problematici tà di rendere ragione di una serie di fenomeni fisici correlati, che il filosofo
intendeva affrontare e che egli considerava connessi al concetto di conatus.
Per ciò che concerne il caso del movimento nel vuoto, bisogna sottoli-
neare che Pierre Gassendi aveva considerato, nell’Epistolae de motu, il mo-
vimento di una pietra nello spazio vuoto e questo aveva portato Koyré a
supporre che il canonico di Digne fosse stato il primo a elaborare una corretta formulazione del principio d'inerzia, del quale il vuoto costituisce un presupposto fondamentale:
Quaeres obiter, quid-nam eveniret illi lapidi, quem assumpsi concipi posse in spatiis illis inanibus, si a quiete exturbatus aliqua vi impelletur? Respondeo probabile esse, fore, ut aequabiliter, indefinenterque moveretur; et lente quidem, celeriterve, prout semel parvus, aut magnus impressus foret impetus. Argumentum vero desumo ex aequabilitate illa motus horizontalis iam èxposita; cum ille videatur aliunde non desinere, nisi ex admistione motus perpendicularis; adeo, ut quia in illis spatiis nulla esset perpendicularis admistio, in quacumque partem foret motus inceptus, horizontalis instar esset, et neque acceleraretur, retardereturve,
neque proinde unquam desineret.?5 Come ha sottolineato Leijenhorst, Hobbes era entrato in contatto con
le riflessioni gassendiane contenute nell’opera citata sin dal 1640?° ed è pro37 Vedi Koyré, Studi galileiani, cit., pp. 321-324. Tuttavia, Carla Rita Palmerino ha sostenuto, al contrario, che in Gassendi il suddetto principio è lungi dall’essere formulato correttamente e in maniera esplicita: vedi CarLa R. PALMERINO, Galileo’s Theories of Free Fall and Projectile Motion as Interpreted by Pierre Gassendi, in PALMERINO — THYSSEN (eds.), The Reception of the Galilean Science of Motion in Seventeenth-Century Europe, cit., pp. 137-164: 150-151. In., Une force invisible invisible d l’aeuvre: le réle de la vis attrahens dans la physique de Gassendi, in TaussIc (ed.), Gassendi et la modernité, cit., pp. 141-176: 160 e sgg. Paolo Galluzzi ha evidenziato la centralità della figura di Gassendi nella diffusione delle leggi galileiane del moto, tant'è che furono proprio le Epistolae de motu del canonico di Digne ad aprire una seconda affaire Galilée. Vedi PaoLo GaLiuzzi, Gassendi e l’affaire Galilée delle leggi del moto, «Giornale critico della filosofia
italiana», sesta serie, vol. XIII, a. LXXII, f. I (gennaio-aprile 1993); pp. 86-119. In generale, sui rapporti tra la fisica di Galileo e Gassendi, vedi BLocH, La philosophie de Gassendi, cit., pp. 189194; EGIDIO FESTA, Le galiléisme de Gassendi, in EciDio FESTA — VINCENT JULLIEN — MAURIZIO TORRINI, Géometrié, atomisme et vide dans l’école galiléenne, Fontenay Saint-Cloud, ENS éditions,
1999, pp. 213-227.
38. GASSENDI, Epistolae tres. De motu impresso a motore translato, Opera Omnia, III, p. 495b. 39 Gassendi, accusato di plagio da Jean-Baptiste Morin (il quale sosteneva che una parte delle speculazioni presenti nell’Epistola de motu, pubblicata nel 1642, fossero state tratte da una sua opera stampata l’anno precedente) citava nella sua risposta, la testimonianza di Hobbes, precisando che il filosofo inglese era a conoscenza delle sue speculazioni già dal 1640. Vedi
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DI HOBBES
babile che il filosofo abbia formulato la sua concezione del moto inerziale nel vuoto, sulla scorta delle speculazioni dell'amico Gassendi.4° Per ciò che concerne, invece, la propagazione del conatus nello spazio pieno, la trattazione hobbesiana dell’argomento risente delle speculazioni e delle osservazioni sul fenomeno luminoso. Egli riteneva, infatti, che la luce si propagasse istantaneamente, ma che essa implicasse anche, necessaria-
mente, l’esistenza di un mezzo. Nel Tractatus Opticus I, infatti, occupandosi della propagazione istantanea della luce, il filosofo sviluppava considerazioni che rappresentano una sorta di preludio alla trattazione del conatus, presente nel De Corpore: qui, si fa esplicito riferimento al conatus e alla propagazione istantanea del lume attraverso il mezzo.” Tuttavia, la concezione hobbesiana della propagazione del conatus nello spazio pieno risente, anch'essa, dell'influenza di Gassendi, come avremo modo di sottolineare nel prosieguo, in riferimento al tema della gravità.
3. MOMENTO E CONATUS
L’indagine del moto inerziale ha fatto emergere un termine fondamentale della fisica hobbesiana, il quale è centrale in tutta la filosofia di Hobbes: la nozione di conatus. La presenza rilevante di questo vocabolo nell'opera hobbesiana ci induce ad analizzare approfonditamente questo concetto, che presenta alcune profonde analogie con un termine proprio della fisica di Galileo: quello di momento.* Gassenpi, Epistola III. In librum qui a vito Cl. Ioanne Morino, in Opera Omnia, III, p. 521b. Vedi LEJENHORST, Hobbes and the Galileian Law of Free Fall, cit., p. 169.
40 Lisa Sarasohn ha sostenuto che lo sviluppo di una «Mechanical World-View» in Hobbes a sia stata determinata dalle idee di Pierre Gassendi, con le quali il filosofo inglese sarebbe venuto contatto durante gli anni del grand tour. Vedi Lisa T. SARASOHN, Pierre Gassendi, Thomas Hobbes and pp. 363the Mechanical World-View, Journal of the History of Ideas», vol. 46, n. 3 (Jul.-Sept. 1985), ne 379: 368. L'autrice suppone, inoltre, che negli anni °40 si sviluppò un rapporto di collaborazio 370-371. recirpoca tra i due filosofi, in particolare nell’ambito della psicologia e della fisica, ivi, pp. da Paganini, riTuttavia, un'analisi dettagliata del rapporto Hobbes-Gassendi è stata sviluppata cit.) e alla guardo alla psicologia (vedi PagANINI, Hobbes, Gassendi e la psicologia del meccanicismo, néant et le vide, cit.). fisica (In., Hobbes, Gassendi und die Hypothese der Weltvernichtung, cit., In., Le
a C versus 41 «Nam quo instante incipit motus a B versus C, necesse est ut incipiat motus sole, puta a distantia qualibet in oculos statuatur si Quare D, et a D versus E, et ab E prorsum. mo-
propagabitur in E: quo istante incipit sol dilatare se in B, eodem ferietur oculos in E. Unde et hoc fit cerebrum: ad usque optimum nervum retinae conatum per tus ad retinam, et inde on Vedi PRIns, Hobbes eodem instante, quo motus incipit in B». HoBBEs, TOI, OL, V, pp. 219-220. cit., pp. 133 e sgg. Hobbes, to Companion Cambridge The (ed.), SoRELL in vision, light and nell’elaborazione hob42 Il merito di aver individuato l'influenza del momento galileiano,
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CAPITOLO
TERZO
Come ha sottolineato per primo Brandt,‘ il concetto di conatus è presente già negli Elements of Law, nell’inglese ‘endeavour’. In questa prima ricorrenza, il termine viene a esprimere l’accezione di appetito, inteso come
pulsione, o primo movimento interno, rivolto verso l’oggetto cui si tende o che provoca avversione. Già in questo caso, la terminologia adottata da Hobbes fa riferimento al movimento e questo conato (appetito o avversione che sia) è definito esplicitamente come moto (più precisamente, come principio interno del moto animale). Inoltre, Brandt ha sottolineato che le ricorrenze del termine conatus in indagini di carattere fisico (nel De Corpore) non sono del tutto avulse da questa prima accezione del termine, poiché hanno tutte come substrato la natura dinamica del concetto. Il De motu, loco et tempore dedica un intero paragrafo del XIII capitolo all'esame del conatus 4° e la trattazione presenta due aspetti particolarmente significativi. In primo luogo, Hobbes contesta la posizione di coloro che considerano il conato non un movimento
ma, piuttosto, una tendenza al
moto presente nei corpi. besiana del conatus, spetta a Leijenhorst, che ne ha trattato in un interessante e approfondito studio dedicato alla ricezione della legge galileiana della caduta dei gravi nella filosofia naturale di Hobbes. Vedi LeeNHORST, Hobbes and the Galilean Law of Free Fall, cit., pp. 182-184.
4 Vedi BranpT, Thomas Hobbes Mechanical Conception of Nature, cit., pp. 299-300 il quale riprendeva alcune analisi del Lasswitz (vedi Kurp LasswITz, Geschichte der Atomistik von Mittelalter bis Newton, 2 voll., Hildesheim, Georg Olms, 1963 (ed. or. 1890), pp. 214 e sgg.) il quale analizzò per primo l’importanza del concetto di conatus in Hobbes, accostandolo alle cogitazioni precedenti di Galilei e successive di Leibniz e Newton. Un accenno al tema è presente anche in MALHERBE, Thomas Hobbes ou l’oeuvre de la raison, cit., pp. 103-109. Il concetto di conatus, è stato oggetto di studio di: ALEXANDRE ROBINET, Hobbes: structure et nature du conatus, in ZARKA — BER-
NHARDT, Thomas Hobbes: Philosophie première, théorie de la science et politique, cit., pp. 127-138 e soprattutto: Barnouw, Le vocabulaire du conatus, in ZARKA (ed.), Hobbes et son vocabulaire, cit. Più recentemente sono tornati sull'argomento: MARTIN A. BERTMAN, Conatus in Hobbes” De Corpore, «Hobbes Studies», XIV, 2001, pp. 25-39; LuPoLI, Power (conatus-endeavour) in the “kinetic
actualism” and in the “inertial” psychology of Thomas Hobbes, ivi, pp. 83-103 e JUHANI PIETARINEN, Conatus as active power in Hobbes, ivi, pp. 71-82; i quali hanno analizzato le singole accezioni del termine. Nella nostra disamina ci soffermeremo soprattutto sui significati più prossimi alle problematiche fisiche e, in particolare, al concetto galileiano di momento. Vedi anche DougLas M. JessePH, Hobbes on ‘Conatus’: A Study in the Foundations of Hobbesian Philosophy, «Hobbes Studies», 1, 2016, pp. 66-85. 44 «Questo movimento, in cui consiste il piacere e il dolore, è anche una sollecitazione o provocazione, o ad avvicinarsi alla cosa che piace, o a ritrarsi dalla cosa che dispiace. E questa sollecitazione è il conato o inizio interno del moto animale, che quando l'oggetto piace, si chiama appetito; quando dispiace, si chiama avversione». HoBBES, EL, Part I, cap. VII, $ 2, p. 28;
tr. it. p. 50. Sull'accezione del conatus in riferimento alla fenomenologia della sensazione, vedi Barnouw, Hobbes’s Causal Account of Sensation, cit., p. 116. 4° Vedi BRaNDT, Thomas Hobbes Mechanical Conception of Nature, cit., pp. 299-300. 46 Vedi HossEs, MLT, XIII, 2, pp. 194-195; tr. it. pp. 279-281.
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IL MOMENTO
DI GALILEO
E IL CONATUS
DI HOBBES
Queste osservazioni hanno come sfondo la polemica epistolare che si sviluppò nel 1641 tra Hobbes e Descartes: il filosofo inglese contestava il concetto cartesiano di inclinazione al movimento, presente nella Dioptrique, proponendo, in alternativa, una posizione radicalmente diversa, secondo la
quale: «ogni principio di moto è moto». Quest'accezione eminentemente fisica del movimento era presente già nel Tractatus Opticus I dove era utilizzata per descrivere il fenomeno della visione.” Qui il termine conatus ricorreva con il significato di ricezione e propagazione di un moto o impulso, che giunge alla retina e da questa è trasmesso al nervo ottico. Anche qui, il principio del movimento è sempre un moto e, come abbiamo visto in relazione al moto
inerziale, il filosofo riteneva del tutto impossibile che un movimento potesse aver inizio senza l’azione di un motore, cioè un corpo esterno e contiguo.
Tuttavia, è nel De motu, loco et tempore che Hobbes definisce precisamente il conatus come un movimento, o di tutto il corpo, o esclusivamente delle
parti interne che lo compongono: Dunque, il conato è in ogni aspetto un movimento attuale, o di tutto il corpo che tende, o delle sue parti interne e invisibili. Esso è dunque un moto nelle parti interne di tutti i corpi duri e le cui parti visibili aderiscono fra loro e resistono all’agente, da ciò si ricava che ogni resistenza è movimento: la resistenza, infatti, è
una reazione, la reazione è azione e ogni azione è movimento.
Nel prosieguo, il filosofo richiama un aspetto peculiare della sua fisica e della sua concezione della materia, che aveva abbozzato nel carteggio con Descartes. Egli riprende la problematica del ‘ritorno dell’arco'?? e suppone 47 Vedi Descartes, La Dioptrique, in AT, VI, p. 88; tr. it. p. 200. Sull’analisi della nozione di vedi PETER determinazione al movimento e di altri concetti fondamentali della fisica cartesiana,
SCHUSTER — JOHN McLAUGHLIN, Force, determination and impact, in STEPHEN GAUKROGER — JOHN
88 Sutton (eds.), Descartes” Natural Philosophy, London-New York, Routledge, 2000, pp. 81-112: of Nume sgg. Per un’analisi puntuale della fisica di Descartes vedi: WiLLiam R. SHEA, The Magic e Sgg.); bers and Motions, U.S.A., Science History Publications, 1991 (sull’inclinazione, pp. 232 quasi GAUKROGER, Descartes” System of Natural Philosophy, cit., passim, il quale, però, si concentra vedi SOPHIE Descartes in meccanica e fisica di coincidenza Sulla Principia. sui te esclusivamen of the Galilean Science Roux, Cartesian Mechanics, in PALMERINO — THISSEN (eds.), The Reception of Motion in Seventeenth-Century Europe, cit., pp. 24-66. anche BRANDT, Thomas 48 Vedi DescARTEs, AT, III, p. 316; tr. it. p. 1411; vedi al riguardo
de l’arc» et le conatus: Hobbes Mechanical Conception of Nature, cit., p. 301; BaLpin, «La reflexion cit. aux origines de la physique de Hobbes, nervum opti49 «[...] unde propagabitur motus ad retinam, et inde per conatum retinae ad cus usque ad cerebrum». HoBBEs, TO I, OL, V, p. 220. 50 Ho8BEs, MLT, XIII, 2, p. 195; tr. it. p. 281.
de Hobbes, «Phi51 Vedi BALDIN, «La reflexion de l’arc» et le conatus: aux origines de la physique cit. ne»», anglopho hies philosop des Revue . Enquiries losophical
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CAPITOLO
TERZO
che il fenomeno della caduta dei gravi e quello dell’arco siano da imputare ai medesimi principi fisici.?? L’accostamento dei due fenomeni che vengono spiegati da Hobbes ricorrendo ai medesimi principi, sarà affrontato nel prosieguo. Tuttavia, l'elemento più significativo concerne qui il riferimento al conato come movimento delle parti interne e invisibili del corpo. Quest‘indicazione è importante, perché nel De Corpore Hobbes fornirà alcune definizioni di conatus che non sono immediatamente perspicue e la possibilità di confrontare i passi di entrambe le opere è fondamentale per tentare di elaborare una soluzione interpretativa esaustiva.
Nel XV capitolo del De Corpore il conato è definito, infatti, «un moto che si verifica in uno spazio e tempo minore di quello dato, cioè minore di quello determinato o assegnato da un'esposizione o da un numero, cioè un moto che si ha in un punto» 5 e la definizione è ripresa nel capitolo XXII, dove Hobbes ripropone la stessa idea.’* Aldo Gargani (riprendendo le osservazioni di Lasswitz e Brandt)?” ha sottolineato che Hobbes non arriva mai a esplicitare, nelle sue opere, il concetto di grandezza infinitesima (che costi-
tuisce uno degli elementi fondanti del calcolo infinitesimale), ma egli ritiene, nondimeno, che sia riducibile a questo concetto il significato dell’espressione utilizzata nel De Corpore per indicare il conatus: spazio e tempo minori di quelli che sono dati.?° Gargani ha considerato, inoltre, la centralità del termine conatus in riferimento alla fisica e al moto, il quale, seppur non formulato matematicamente da Hobbes, ha tuttavia la funzione di designare il fenomeno del movimento in rapporto alle parti infinitesime dello spazio e del tempo. D'altro canto, essendo sprovvisto di una formulazione matematica,
il concetto hobbesiano di conato non poteva costituire il fondamento di una dinamica scientifica.’ Gargani accennava anche all'origine galileiana del concetto e si riallacciava direttamente alle speculazioni presenti nei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, dove Salviati tratta della divisibilità infinita delle parti, la quale, sebbene non sia espressa da un numero infinito
52: Jbid.; tr. it\p.28): 53 Ho8BBEs, De Corpore, XV, 2, OL, I, p. 177; tr. it. p. 240.
54 «Definendo sopra il conato si è detto che esso è un moto attraverso la lunghezza, tuttavia non considerata come lunghezza, bensì come punto. Quindi, o che ci sia una resistenza o che non ci sia il conato è lo stesso». HoBBES, De Corpore, XXII, 1, OL, I, p. 271; tr. it. p. 332.
55 Vedi: Lasswrrz, Geschichte der Atomistik von Mittelalter bis Newton, II, p. 214; BRANDT,
Thomas Hobbes Mechanical Conception of Nature, pp. 301 e sgg.
56 Vedi GaRgANI, Hobbes e la scienza, cit., p. 228. 57 Ibid. Vedi anche GRANT, Hobbes and mathematics, in SoRELL (ed.), The Cambridge Companion to Hobbes, cit., p. 117.
DIR: O
IL MOMENTO
DI GALILEO
E IL CONATUS
DI HOBBES
(il quale è inesistente), nondimeno può essere concepita come una sorta di processo, dove ogni parte è sempre infinitamente divisibile.?* Nonostante la correttezza delle osservazioni di Gargani, tuttavia, il concetto hobbesiano di conatus racchiude un ventaglio di questioni fisiche che non si esauriscono esclusivamente in questa problematica. Questa plura-
lità semantica emerge soprattutto nel De Corpore, dove Hobbes riflette su alcune problematiche ‘galileiane’. Nel XXIII capitolo dell’opera, nel quale sono ripresi alcuni temi sviluppati da Galileo ne Le Mecaniche e nei Discorsi, il filosofo, venendo a trattare della bilancia, definisce equilibrio e peso in questi termini: II. L'equilibrio si ha quando il conato di un corpo che preme su uno dei raggi resiste al conato del corpo che preme sull'altro raggio in modo che né l'uno né l’altro si muove. III. Il peso è l'insieme di tutti i conati, con i quali i singoli punti del corpo che preme sul raggio tendono dall’alto in basso in linee reciprocamente parallele; e lo stesso corpo che preme si chiama corpo pesante.’
Hobbes si serve del termine conatus con accezioni diverse, anche se collegate. Questa polisemia concettuale del vocabolo e l'utilizzo dello stesso in riferimento alla bilancia ci induce a volgere l’attenzione al concetto galileiano di momento. Infatti, Cees Leijenhorst, ha sottolineato che il termine
conatus, presente nel XV capitolo del De Corpore, è chiaramente ispirato al concetto galileiano di momento o momentum.°® Il termine galileiano momento è stato oggetto di un ampio e documentato saggio di Paolo Galluzzi, il quale ha mostrato anche che il termine aveva già, all’epoca di Galileo, una tradizione consolidata. Esso ricorreva in primo luogo nell’accezione di istante di tempo, ma nel Cinquecento era ampiamente presente nelle traduzioni della Fisica di Aristotele, dove aveva
già assunto la coloritura che sarà ripresa e rielaborata dal Galileo: quella di inclinazione al movimento. Anche Thomas Hobbes avrebbe attribuito, proprio come Galileo, un duplice significato al concetto di conatus. Da un lato, egli conferisce al suo e sgg. La 58 Vedi GaLILEI, Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, OG, VIII, pp. 81
verrà trattata ampiamente tematica della divisione infinita della materia, presente nei Discorsi,
nel prossimo capitolo. 59 Ho8BEs, De Corpore, XXIII, 1, OL, I, p. 287; tr. it. p. 347.
60 Vedi LegenHORST, Hobbes and the Galilean Law of Free Fall, cit., p. 182. eo & Bizzarri, 61 Vedi PaoLo GaLLuzzI, Momento. Studi galileiani, Roma, Edizioni dell'Aten 1979, pp. 89 e sgg.
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CAPITOLO
TERZO
conato l’accezione galileiana di momentum velocitatis, cioè di grado infinitesimo di velocità. Tuttavia, al contempo, egli invoca anche l’altra accezione del momentum galileiano: quella di inclinazione o tendenza al moto. La prima definizione del conatus si ricollega direttamente alle considerazioni sulla grandezza infinitesima cui aveva dedicato attenzione già Gargani, mentre la seconda esprime altre accezioni del momento galileiano che ci accingiamo ad analizzare. Alcune considerazioni interessanti possono essere sviluppate a partire da una breve analisi dei testi galileiani noti a Hobbes. La prima opera a richiamare la nostra attenzione, poiché in essa ricorre per la prima volta il vocabolo momento, è Le Mecaniche. Qui Galileo, prima di sviluppare l’argomentazione principale relativa ai principi fisici che soggiacciono al funzionamento delle macchine, presenta le definizioni di gravità e momento, intendendo col primo termine «quella propensione di muoversi naturalmente al basso, la quale, nei corpi solidi, si ritrova cagionata dalla maggiore o minore copia di materia, dalla quale vengono costituiti». Strettamente connesso al primo termine è il significato di momento, che Galileo spiega nel dettaglio, riferendosi alla «propensione ad andare al basso, cagionata non tanto dalla gravità del mobile, quanto dalla disposizione che abbino tra di loro diversi corpi gravi; mediante il qual momento si vedrà molte volte un corpo men grave contrapesare un altro di maggior gravità». Lo scienziato si serve, inoltre, dell'esempio della ‘stadera’, nella quale «si vede un piccolo contrapeso alzare un altro peso grandissimo non per eccesso di gravità, ma sì bene per la lontananza dal punto donde viene sostenuta la stadera; la quale, congiunta con la gravità del minor peso, gli accresce momento ed impeto di andare al basso, col quale può eccedere il momento dell’altro maggior grave». Dopo quest’esempio troviamo la definizione più chiara e succinta del momento, definito: «quell’impeto di andare al basso, composto di gravità, posizion e di altro, dal che possa essere tal propensione cagionata».99 Altrettanto significative sono, inoltre, le considerazioni che Galileo sviluppa in seguito, perché si rivolgono alle medesime problematiche sulle 6 Vedi LeJeNHORST, Hobbes and the Galilean Law of Free Fall, cit., p. 183. Sull'argomento Leijenhorst aveva già sviluppato alcune interessanti osservazioni, nella sua monografia dedicata ai rapporti tra la filosofia naturale di Hobbes e la tradizione aristotelica. Vedi In., The Mechanisation of Aristotelianism, cit., pp. 188 e sgg. 63 GaLiLeI, Le Mecaniche, OG, Il, p. 159.
64 Ibid. 65 Ibid. 66 Ibid.
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IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
quali si soffermerà Hobbes. In particolare, il Pisano viene a definire il centro di gravità, dove i concetti di momento e impeto giocano un ruolo essenziale, poiché «[c]entro della gravità si diffinisce essere in ogni corpo grave quel punto, intorno al quale consistono parti di eguali momenti».
E fondamentale sottolineare qui la centralità del concetto di momento della gravità e la relazione che si instaura nel testo galileiano tra momento e impeto, che avrà un'influenza profonda e determinante sulla fisica hobbesiana. Come ha sottolineato Galluzzi, l’impeto sembra rappresentare ‘fisicamente’ le conseguenze e gli effetti concreti della variazione di efficacia del peso, registrata astrattamente dal momento e, in qualche modo, l’impeto rappresenta l’effetto dinamico del momento, il quale rimarrebbe altrimenti una ‘propensione’, una condizione astratta.
4. LE MECANICHE E LA FISICA GALILEIANA
DI HoBBES
Prima di affrontare direttamente l'influenza esercitata da queste riflessioni sulla fisica hobbesiana, in particolare la connessione tra momento e impeto, è utile rivolgere l’attenzione alla traduzione mersenniana de Le Mecaniche. Il testo francese risulta semplificato rispetto all’originale e traspare lo sforzo del religioso francese di padroneggiare i — talvolta oscuri — concetti galileiani, in particolare quello di momento. D'altro canto, è necessario osservare, però, che le perifrasi scelte da Mersenne per esprimere i termini di cui si serve Galileo possono condurre, talvolta, ad alcune
misinterpretazioni.° In primo luogo, notiamo che l'italiano gravità è reso in francese con pesanteur,”° tuttavia, il chiarimento aggiunto da Mersenne nel prosieguo è al quale 67 «Centro della gravità si diffinisce essere in ogni corpo grave quel punto, intorno sopunto detto dal essere grave tale doci imaginan consistono parti di eguali momenti: sì che, e le posteriori, e quelle anteriori le sinistre, le ibreranno equi destre parti le , sostenuto e speso non inclinerà da parte alcuna, ma, di sopra quelle di sotto; sì che il detto grave, così sostenuto, dal detto centro, rimarrà saldo. E sospeso collocato in qual si voglia sito e disposizione, purché delle cose gravi, cioè con universale centro col unirsi ad andrebbe quale il punto, questo è quel ibid. i», discenderv potesse libero mezzo quello della terra, quando in qualche 205. p. cit., ni, galileia Studi 68 Vedi GaLLuzzi, Momento. ore-traditore», cit. 69 Sull'argomento vedi SHeA, Marin Mersenne: Galileo’s «tradutt se mouvoir, et se porter en 70 «La pesanteur d’un corps est l’inclination naturelle qu'il a pour pesans à raison de la quancorps le dans e rencontr bas vers le centre de la terre. Cette pesanteur se ont une plus grand quantité qu'ils pesans plus d’autant sont ils dont les, materiel tité des parties E, LesMechaniques de Galilée, Mathemadesdites parties souz une mesme volume». MARIN MERSENN in In., Questions Inouyes, cit., p. 443. 1634, ticien et Ingenieur du Duc de Florence, Paris, Henry Guenon,
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CAPITOLO TERZO
ben articolato e precisa con accuratezza che la nozione di gravità è legata alla massa e al peso specifico. In secondo luogo, la propensione è resa con il francese inclination, termine che ritroviamo, com'è noto, anche in Cartesio. Infine Mersenne, nella sua definizione di ‘moment’ come «inclination
[...] composée de la pesanteur absolué du corps, de l’éloignement du centre de la balance, ou de l’appuy du levier», modifica leggermente la definizione galileiana, per evitare ulteriori difficoltà interpretative determinate dal testo originale, nel quale il momento era definito come «quell’impeto di andare al basso, composto di gravità, posizion e di altro», dove non era immediatamente perspicuo cosa fosse questo ‘altro’ .7! Anche la trattazione mersenniana del centre de pesanteur, che rende, ovviamente, l'italiano centro della gravità, comporta una semplificazione del testo originale, perché qui è addirittura soppresso il termine momento.” Tuttavia, ne Le Mecaniche emerge già la pluralità semantica del termine momento, inteso come momento meccanico, con due significati interdipen-
denti: esso è, allo stesso tempo, impeto ad andare verso il basso — connesso quindi alla gravità — ma è presente anche nella determinazione del rapporto tra lunghezza e peso nella bilancia o stadera. Se poniamo attenzione al XXIII capitolo del De Corpore, dal titolo significativo: De centro aequilibri eorum quae premunt secundum rectas parallelas,7? vediamo che la trattazione si apre con la problematica della bilancia e, proprio come Galileo ne Le Mecaniche, Hobbes fornisce un elenco delle definizioni 71 «Le moment est l’inclination du mesme corps, lors qu'elle n’est pas seulement considerée dans ledit corps, mais coinjonctement avec la situation qu'il a sur le bras d’un levier, ou d’une balance; et cette situation fait qu'il contrepese souvent à un plus grand poids, à raison de sa plus grande distance d’avec le centre de la balance. Car cet éloignement estant joint è la propre pesanteur du corps pesant, luy donne une plus forte inclination à descendre: de sorte que cette inclination est composée de la pesanteur absolué du corps, de l’éloignement du centre de la balance, ou de l’appuy du levier. Nous appellerons donc toujours cette inclination composée moment, qui répond au por) des Grecs», ivi, p. 444. 7? «Le centre de pesanteur de chaque corps est le point autour duquel toutes les parties dudit corps son également balancées, ou équiponderantes: de sorte que si l'on s'imagine que le corps soit soustenu, ou suspendu par ledit point, les parties qui sont à main droite, contrepese-
ront à celles de la gauche, celles de derriere à celles de devant, et celles d’en haut è celles d’en
bas, et se tiendront tellement en équilibre, que le corps ne s'inclinera d’un costé ni d’autre, quelque situation qu'on luy puisse donner, et qu'il demeurera tousjours en cet estat. Or le centre de pesanteur est le point du corps qui s’uniroit au centre des choses pesantes, c’est-à-dire au centre de la terre, sil y pouvoit descendre», ibid. 73 HoB8Es, De Corpore, XXIII, 1, OL, I, p. 286. La traduzione italiana: Il centro di gravità: dei
corpi che premono dall’alto in basso in rette parallele (cit. p. 346), suggerisce la presenza del concetto
di centro di gravità, che non è usato da Hobbes, nemmeno nell’edizione inglese, dove il titolo del
capitolo è: Of centre of equiponderation, of bodies pressing downwards in strait parallel lines (EW,
I, p. 350).
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IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
che intende dimostrare, le quali mostrano significative analogie con il lessico e le speculazioni galileiane. In primo luogo, come lo scienziato italiano, Hobbes viene a definire la bilancia, la quale è «una linea retta, il cui punto medio è mantenuto immo-
bile, mentre tutti gli altri punti sono liberi; e ciascuna parte della bilancia, che va dal centro al peso pendente (appensum) è chiamato raggio».?4 Servendosi della libra, il filosofo viene a esporre i concetti fisici che aveva già delineato Galileo ne Le Mecaniche: «[s]i dice equilibrio, quando il conato di un corpo che preme su uno dei raggi resiste al conato del corpo che preme sull'altro raggio, così che né l’uno né l’altro si muove. Allora i corpi che stanno in equilibrio sono detti equilibrati».?? Importantissimo è il concetto di peso (pondus), che è definito «l’insieme di tutti i conati, con i quali i singoli punti del corpo che preme sul raggio tendono dall’alto in basso in linee reciprocamente parallele; e lo stesso corpo che preme è detto corpo pesante»./° Tutte le altre definizioni, presentano significative consonanze con il linguaggio galileiano e mostrano tutte un’interdipendenza dei concetti di momentum, pondus e, ovviamente, conatus: IV. Il momento è la capacità che ha il corpo pesante di muovere il raggio rispetto a una determinata posizione.
V. Il piano d’equilibrio è quello dal quale il corpo pesante è separato in modo che i momenti dall’uno e dall’altro lato siano eguali. VI. Il diametro d’equilibrio è la sezione comune dei due piani d’equilibrio.
VII. Il centro di equilibrio è il punto comune dei due diametri d’equilibrio.”? Le analogie con il testo de Le Mecaniche sono più che evidenti, tuttavia,
è opportuno sottolineare una differenza fondamentale: Hobbes si serve del termine momento per indicare solamente una delle due accezioni ricorrenti nel testo galileiano. Egli utilizza il vocabolo momentum (moment nell’edizione inglese) esclusivamente per indicare il rapporto tra peso e lunghezza del raggio nella bilancia e non col significato di impeto. 74 Hospes, De Corpore, XXIII, 1, OL, I, p. 286; tr. it. p. 347, leggermente modificata.
75 76 77 mente,
Ibid. Ibid. Ibid. (tr. it. leggermente modificata). L'originale latino permette di cogliere maggiorrispetto alla traduzione, l'origine galileiana dei concetti espressi da Hobbes: «IV. Momen-
tum est ponderantis, pro certo situ, certa ad movendum radium potentia. V. Planum aequilibri est est quo ponderans dividitur, ita ut momenta utrinque sint aequalia. VI. Diameter aequilibri
duorum aequilibri planorum sectio communis. VII. Centrum aequlibri est duarum aequilibri diametrorum commune punctum».
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CAPITOLO
TERZO
Infatti, nella pagina successiva Hobbes definisce la proporzionalità tra momenti nella bilancia, in questi termini: Il momento di un corpo pesante applicato ad un punto del raggio è al momento del medesimo o di un corpo pesante uguale applicato ad un altro punto ‘di quel punto dal centro della qualsiasi del medesimo raggio, come la distanza bilancia è alla distanza di questo punto dal medesimo centro.”8 Parimenti, è interessante notare che Hobbes non utilizza il termine
gravità,7° parla invece di pondus (weight in inglese), cioè peso, come Mersen-
ne usava il termine pesanteur, e indica con esso l’«insieme di tutti i conati,
con i quali i singoli punti del corpo che preme sul raggio tendono [verso il basso] in linee reciprocamente parallele; e lo stesso corpo che preme si chiama corpo pesante».8° Inoltre, il peso è indicato come il conato (che qui ricorre nell’accezione di impetus), dei singoli punti che compongono il corpo pesante. D'altro canto, Hobbes sembra aver omesso qualsiasi riferimento esplicito alla gravità relazionata alla massa del corpo, presente invece nel testo di Galileo ed enfatizzata nella traduzione di Mersenne. Tuttavia, una delle accezioni nelle quali ricorre il termine conatus nel
De Corpore ha una forte connotazione cinetica e dipende direttamente dalla nozione di momentum velocitatis, propria della fisica galileiana.8! Nella terza giornata dei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, Galileo, venendo a trattare del moto uniformemente accelerato, espri-
meva l'intenzione — attraverso le parole di Salviati — di non occuparsi della causa dell’accelerazione, la quale risultava ancora oscura e inaccessibile,
quanto piuttosto di voler «investigare e dimostrare alcune passioni di un moto accelerato». Lo scienziato e filosofo italiano sosteneva che «i momenti della sua (di un grave) velocità» andassero «accrescendosi, dopo la sua partita dalla quiete, con quella semplicissima proporzione con la quale cresce la continuazion del tempo, che è quanto a dire che in tempi eguali si facciano eguali additamenti di velocità».8? Sulla scorta delle riflessioni di Salviati, era Sagredo, poco più avanti, a fornire la formulazione precisa della legge 78 Ivi, XXIII, 4, p. 288; tr. it. p. 348. 7° Per questo motivo, nella traduzione italiana, ho preferito rendere il latino centrum aequilibri con centro d’equilibrio, invece che: centro di gravità (cit. p. 347). 80 «Pondus est aggregatum omnium conatuum, quibus singula puncta corporis, quod ra-
dium premit, in rectis sibi invicem parallelis conantur; ipsum autem corpus premens ponderans nominatur», ivi, p. 287; tr. it. p. 347. 81 Vedi LegeNHORST, Hobbes and the Galilean Law of Free Fall, cit., p. 183. 82 GALILEI, Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 202 (corsivi miei).
scotiiga
IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
del moto uniformemente accelerato, nella quale ricorreva ancora il termine momento: «Motum aequabiliter, seu uniformiter, acceleratum dicimus eum,
qui, a quiete recedens, temporibus aequalibus aequalia celeritatis momenta sibi superaddit».8 Il termine momento esprime dunque un grado infinitesimo di velocità e ricorre più volte in tutta la trattazione del moto uniformemente accelerato. Non è possibile, ovviamente, riportare l’intera argomentazione galileiana, ma possiamo, attraverso la ricostruzione che ne offre Galluzzi, riassumere la problematica dell’accezione momentum velocitatis che ricorre nei Discorsi. Il momento di velocità opera in un istante di tempo e può essere considerato una quantità di distanza (costante o crescente) che si somma alle prece-
denti. Esso è, perciò, una sorta di ‘cerniera’ tra il tempo e lo spazio e la strettissima connessione del momentum velocitatis con la distanza percorsa in tempi eguali rinvia, per analogia, al momento della gravità. Quest'ultimo
concetto è sempre stato concepito e raffigurato da Galileo come la tendenza, la propensione, l’inclinazione, a compiere un determinato percorso (con velocità uniforme) in un tempo dato. Così, nei Discorsi, il momento si
presenta come la tendenza, la propensione, l’inclinazione a velocemente muoversi (di moto ancora uniforme) non più costante, bensì variabile se-
condo la distanza dalla quiete.* Le analogie con il conatus hobbesiano, definito come «moto attraverso una lunghezza, tuttavia non considerata come lunghezza, bensì come un punto», sono profonde. Tuttavia, Hobbes non fa riferimento, in que-
sto frangente, alla nozione di velocità. Infatti, il filosofo esprime questo
concetto in relazione all'istante o al punto, servendosi del termine impe-
tus, nozione che è definita, nel XV capitolo proprio dopo quella di conatus: «’impeto è la stessa velocità, ma considerata in qualunque punto del tempo in cui un corpo si muove: sì che l’impeto non è altro che la quantità o velocità dello stesso conato».8 L’impeto è, quindi, la velocità considerata in qualunque punto del tempo, o la velocità dello stesso conato.5°
83 Ivi, p. 205. 84 Vedi GaLLuzzi, Momento. Studi galileiani, cit., p. 371. 85 Hospes, De Corpore, XV, 2, OL, I, p. 178; tr. it. p. 241. Che Hobbes avesse ben presente le dimospeculazioni galileiane intorno al moto uniformemente accelerato è stato ampiamente cap. nel presenti e matematich ni dimostrazio le che strato da Jesseph, il quale ha sottolineato i. XVI del De Corpore ricalcano quelle galileiane della quarta giornata dei Discorsi e dimostrazion anama profondissi della accorto era si Wallis John Jesseph, stesso lo D'altro canto, come nota speculazioni logia tra l’argomentazione geometrica del $ 9 del XVI capitolo del De Corpore e le sgg. e 204 pp. cit., Nature, of Book the and Hobbes, Galileo, JessePH, di Galileo. Vedi nella dinami86 Sulla connessione: impetus/conatus e l'importanza del concetto di conatus 287 e sgg. pp. cit., Culture, Scientific a of Emergence The R, ca hobbesiana, vedi anche GaugROGE
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CAPITOLO
TERZO
Il rapporto tra impeto e velocità ci riporta nuovamente ai Discorsi, in particolare alla giornata quarta, dove Galileo, nel Theorema II, utilizzava il termine momentum come sinonimo di impetus: «se un mobile si muove con
moto composto di due equabili, l’uno orizzontale e l’altro perpendicolare, l’impeto o momento del movimento di ambedue sarà in potenza eguale ai due momenti dei primi moti».8” Nel prosieguo il Pisano forniva una dimostrazione del Theorema, nella quale spiegava che se due moti uniformi
compiono nello stesso tempo due diverse distanze, si può dire che i loro momenti stanno in rapporto come le loro distanze e qui momento viene a indicare principalmente la velocità.8 Dalle riflessioni galileiane traspare chiaramente che anche la definizione hobbesiana di impetus risente fortemente, proprio come quella di conatus, dell'influenza di Galileo.
Tuttavia, prima di riprendere le definizioni hobbesiane di impetus e conatus, all’interno del ventaglio delle varie accezioni terminologiche nelle
quali ricorrono questi due vocaboli, dobbiamo sottolineare che nella seconda edizione del Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua (1612),
Galilei precisava meglio il significato del termine momento. In risposta a chi lo accusava di essersi servito del termine senza aver fornito indicazioni precise riguardo alla natura di questo concetto, egli insisteva sulla connessione di forza e impeto in relazione alla gravità.8° La connessione tra i concetti di forza e impeto emerge anche nelle opere
hobbesiane: nel De motu, loco et tempore, il filosofo fornisce una definizione di impetus che è strettamente connessa alla forza e inscindibile da essa: «Si deve tuttavia sapere che il moto e l’impeto sono la stessa cosa, e che tuttavia
viene chiamato impeto e pure forza. Infatti, impeto e forza sono sinonimi, in quanto l’impeto produce altro movimento».?° AI di là della problematica specifica (che concerneva qui la necessità o meno della presenza continua 87 «Si aliquod mobileduplici motu aequabili moveatur, nempeorizontali et perpendiculari, impetus seu momentum lationis ex utroque motu compositae erit potentia aequalis ambobus momentis priorum motum».
GALILEI, Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze,
OG, VIII, p. 280. 88 Vedi GaLLuzzi, Momento. Studi galileiani, cit., p. 374. 8° «Momento appresso i meccanici significa quella virtù, quella forza, quella efficacia, con la quale il motor muove e il mobile resiste; la qual virtù depende non solo dalla semplice gravità, ma dalla velocità del moto, dalle diverse inclinazioni degli spazii sopra i quali si fa il moto, perché più fa impeto un grave descendente in uno spazio molto declive che in uno meno. Ed in somma, qualunque si sia la cagione di questa virtù, ella tuttavia ritien nome di momento».
GALILEI, Discorso intorno a le cose che stanno in su l’acqua e che in quella si muovono, OG, IV, p. 68. Vedi GaLLuzzi, Momento. Studi galileiani, cit., p. 241. 9° HoBBEs, MLT, XXI, 12, p. 260; tr. it. p. 387.
— Tg —
IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
del motore per mantenere il moto),°! la terminologia adottata da Hobbes suggerisce un accostamento ai principi galileiani. Il filosofo inglese asserisce, infatti, che l’impeto è un moto e sostiene che i termini impeto e forza siano sinonimi. Inoltre, Hobbes aggiunge un'interessante delucidazione, dove scrive che «ciò che contribuisce in qualche misura alla grandezza del mobile, contribuisce anche al suo impeto. E così è necessario che in ogni parte del corpo mosso vi sia un impeto, come pensa Galilei».?? Da questo passo possiamo evincere che Hobbes, non solo istituisce un rapporto tra la massa di un determinato corpo e il suo impeto, ma, inoltre, citando direttamente
Galileo, sostiene che l’impeto del corpo è presente in ogni parte del corpo stesso (poiché esso coincide con i conati dei suoi singoli punti). La conclusione che ne trae Hobbes è un’identificazione di impeto e moto? e, a sostegno della sua idea che il conatus sia sempre e comunque un movimento in atto, egli fa appello all'autorità di Galileo: «Galilei nega che l’impeto sia antecedente al moto, o che sia qualche altra cosa diversa dallo stesso moto». Questi passi hobbesiani palesano un’interpretazione rigorosa della scienza del moto galileiana: la filosofia meccanicista di Hobbes contempla, infatti, ogni azione unicamente in termini di materia e moto, per cui ogni
impetus o conatus deve essere espresso necessariamente in termini cinetici.
La posizione di Galileo, che è ripresa e sostenuta da Hobbes, prevede che il conatus si esprima in termini rigorosamente dinamici ed esclude l’esistenza di qualsiasi vis o proprietà, che era presente in alcuni filosofi tardo-medievali.5 Lo sviluppo della problematica in Galileo ha permesso così a Hobbes di 91 In questo passo Hobbes riprende, contro White, le argomentazioni galileiane della seconda giornata del Dialogo (vedi GaLitEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 182), dove Galileo sosteneva che un grave lasciato cadere da un uomo a cavallo non arresterà il suo moto immediatamente, ma sarà frenato progressivamente dall’attrito del terreno con il quale viene a contatto. 92 Ho8BEs, MLT, XXI, 12, p. 260; tr. it. p. 387.
93 «Infatti, l'’impeto è identico a moto 0 velocità, non è la sua causa né l’effetto», ivi, p. 261;
tr. it. p. 388.
94 Ibid.
95 A introdurre nell’Occidente medievale il concetto di impetus come virtus derelicta fu lo scotista Francesco de Marchia, ma è soprattutto in Giovanni Buridano che il termine acquisisce importanza fondamentale nella fisica, perché B. sostiene, in opposizione alla teoria aristotelica o una quadell’antiperistasi (sulla quale, vedi infra), che il proietto abbia un impetus, una forza, Caelo, det lità, proporzionali alla massa e al moto (vedi GiovannI BURIDANO, In De
it. a
anche per cura di A. Ghisalberti, Milano, Rusconi, 1983, p. 420). Buridano si serve dell’impetus che l’imsostenendo libera, caduta in gravi dei spiegare il fenomeno di aumento della velocità Da S. Agostino petus cresce con la velocità del proietto (ivi, IL, q. 12, tr. it. p. 326). Vedi CromBIE,
I
ee
CAPITOLO
TERZO
concepire questa forza o principio del movimento in maniera diversa anche rispetto a Cartesio (per il quale, come sappiamo, l'inclinazione non era già un movimento).
D'altro canto, il filosofo inglese si serve, nel De Corpore, di una terminologia che differenzia il conatus e l’impetus e il secondo termine viene a esprimere «la quantità o velocità dello stesso conato».?? * Questa differenziazione linguistica risponde, come vedremo, all’esigenza, avvertita da Hobbes, di rendere ragione di una pluralità di significati che Galileo esprimeva con il solo termine momento, ma che richiedevano,
invece, secondo il pensatore inglese, una maggiore specificazione. Tuttavia, l’analisi dell’impetus non esaurisce la problematica del conatus, il quale, come abbiamo osservato, presenta un'importante polisemia concettuale e viene utilizzato, esattamente come il momento galileiano, nella determinazione del concetto di gravità.
5. ‘LA GRAVITÀ NON È ALTRO CHE UN CONATO”
La nozione di conatus è estremamente rilevante nella trattazione hobbesiana del tema della gravità, come emerge chiaramente dal Tractatus Opticus II. Qui, Hobbes viene a descrivere il fenomeno ricercando la causa del-
la gravità nei movimenti interni al corpo grave e nell’alterazione di questi moti (che produce peraltro anche la durezza del corpo).?” Egli si serve del noto esempio del setaccio: quando questo viene mosso i grani all’interno di esso si concentrano «in medium loco».?8 Lo stesso principio può essere utia Galileo. Storia della scienza dal V al XVII secolo, cit., pp. 260 e sgg. Per un’ampia e dettagliata indagine dell’impetus nella filosofia medievale: AnnaLIESE MAIER, Zwei Grundprobleme der Scholastischen Naturphilosophie, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1968, pp. 113 e sgg. Vedi anche GRANT, Le origini medievali della scienza moderna, cit., pp. 142 e sgg., il quale sottolinea l’origine araba della nozione di impetus, che affonda le radici nel concetto di mail, propugnato da Avempace. Sull’influenza di Avempace in Galileo è sempre utile il classico studio: ERNEST A. Moony, Galileo and Avempace, The Dynamics of the Leaning Tower Experiment, Journal of the History of Ideas», vol. 12, n. 3 (June, 1951), pp. 375-422. Sugli elementi presenti nei fisici medievali, comuni anche a Galileo, vedi CLAVELIN, La philosophie naturelle de Galilée, cit., pp. 75-126. Vedi anche HooPER, Inertial problems in Galileo’s preinertial framework, il quale presenta due diverse accezioni del termine nell'opera di Galileo: una, giovanile, più conforme all’interpretazione di Francesco de Marchia e, una seconda, matura, che è più affine al significato attribuitogli da Buridano (ivi, p. 159). 26 Ho8BEes, De Corpore, XV, 2, OL, I, p. 178; tr. it. p. 241.
97 98 scrupis II, cap.
Vedi supra, cap. I, $ 4. «{N]otandum id quod experientià Certissimum est, in cribro, sic moto grana, paleis et
permixta ea agitatione segregari, et haec inter se in medium congregari». HoBBes, TO I, $ 11, f. 198v, pp. 152-153.
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IL MOMENTO
DI GALILEO
E IL CONATUS
DI HOBBES
lizzato «per l’esplicazione della natura dei gravi: la gravità non è altro che
un conato di ciascun corpo verso un luogo». La problematica è ripresa e trattata più ampiamente nel De motu, loco et tempore, dove Hobbes, dopo aver ammesso candidamente di non disporre di conoscenze adeguate per giungere alla soluzione dell’annoso problema della natura della gravità, offre una definizione del fenomeno che riprende quella del trattato ottico, ma che è espressa in maniera più ampia e dettagliata: La gravità non è altro che il conato di alcuni corpi verso il centro della terra; quel conato invero è o il moto di tutto il corpo, come quando l’intero cade, o il moto delle sue parti in cui consiste la pressione, moto dal quale le parti sono spin-
te avanti, benché tutto il corpo non avanzi.!0°
Il confronto tra la legge galileiana di caduta dei gravi e la trattazione hobbesiana della gravità è già stata oggetto di studio di Cees Leijenhorst, il quale ha descritto con precisione l'evoluzione della tematica, dal De Motu fino al De Corpore, e l’influenza esercitata su Hobbes dall'amico e collega francese Pierre Gassendi.!" Tuttavia, è opportuno riprendere alcune osservazioni di Leijenhorst, per ampliare la trattazione della problematica e per confrontare le speculazioni presenti nel De motu, loco et tempore e del De Corpore con le opere successive, perché il tema offre ulteriori spunti per indagare la natura del conatus. Inoltre, un esame accurato del tema
suggerisce che la riflessione hobbesiana sul fenomeno della gravità non
risente solo dell'influenza di Gassendi ma, in parte, anche di quella di Ma-
rin Mersenne.
Abbiamo visto che, sia nel Tractatus Opticus II che nel De motu loco et
tempore, Hobbes identifica la gravità con il conato di alcuni corpi verso il centro della terra. Tuttavia è significativo sottolineare che nella seconda opera il filosofo distingue un moto «di tutto il corpo, come quando l’intero cade» e un «moto delle sue parti in cui consiste la pressione, moto dal quale
le parti sono spinte avanti, benché tutto il corpo non avanzi».!°2 La gravità è concepita come il moto delle parti interne del corpo, le quali presentano un conatus, senza che l’intero corpo sia mosso. Tuttavia, come sappiamo, la fisica hobbesiana esclude qualsiasi concetto di automovimento e, perciò, il filosofo aggiunge che il moto di un 99 Ibid. 100 Ho8Bes, MLT, X, 11, p. 180; tr. it. pp. 253-254.
pp. 167 e sgg. 101 Vedi LeenHORrsT, Hobbes and the Galilean Law of Free Fall, cit., 102 HoBBEs, MLT, X, 11, p. 180; tr. it. pp. 253-254.
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Dil—
CAPITOLO
TERZO
grave cadente deve necessariamente essere prodotto da un motore esterno.!9 Egli distingue inoltre tre tipi di azione prodotta da un motore, per cui, «ogni motore muove o spingendo o tirando, o impedendo il movimento preesistente della cosa da muovere, e deviandolo di conseguenza».!° Hobbes si sofferma sul movimento del terzo tipo e richiama il modello della trottola, che abbiamo incontrato nel primoXcapitolo trattando dei moti della terra. Dato qualche corpo rotondo come A (vedi figura), si supponga che sia in quiete, mentre le sue parti sono mosse secondo la
8
D
©
figura del tutto, ad esempio circolarmente,
o in altro modo. Sia poi la retta BC che tocca il corpo A, secondo la parte esigua in D, sopra la quale retta venga mosso un altro corpo. È chiaro che il moto del corpo, che viene mosso per BC, turberà il moto delle parti del corpo A. Perciò accadrà che il corpo A o viene spezzato in D, oppure, se è troppo duro perché ciò avvenga, si sottrarrà per conservare il proprio moto delle parti: questo ritrarsi è il moto di cui parliamo. Questo movimento si presenta a tutti nel modo più chiaro nel caso delle trottole: queste, roteando con un movimento veloce e turbinoso, rimbalzano ad ogni contatto laterale con un
movimento diretto.!°°
Questo tipo di ragionamento è applicato per rendere ragione della caduta dei gravi e per tentare di spiegare in cosa consiste la natura della gravità. In primo luogo, Hobbes sostiene che le particelle che compongono i corpi pesanti siano soggette a un movimento che caratterizza l’essenza
del corpo pesante.!° Si tratta dell’analoga argomentazione che il filosofo aveva utilizzato per descrivere la proprietà dei corpi duri, sia nelle lettere a Descartes,!°” che nello stesso De motu, loco et tempore, istituendo, così, una
103 «[C]oloro che chiedono quale sia la causa della gravità, chiedono quale sia il motore per il quale il sasso o un altro corpo scende attraverso l’aria, o preme una mano o un’altra cosa da cui viene sostenuto. In primo luogo, dunque, considero come accettato dalla maggior parte dei filosofi che il sasso non si muove da se stesso; pertanto, ha un motore esterno», ivi, p. 180;
tr. it. p. 254.
104. Ibid. 105 Ivi, pp. 180-181; tr. it. p. 254. LUSMIVINpAlsbErRTAPN255%
107 «[...] gli spiriti sottili e liquidi possono costituire, in virtù della veemenza del loro moto, dei corpi duri, come il diamante, e per via della lentezza , altri corpi molli,
come l'acqua o l’aria». Hobbes a Mersenne per Descartes, 7 febbraio 1641, AT, III, p. 302; tr. it.
p. 1397.
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152—
IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
sorta di analogia tra corpo duro e corpo pesante. Questo movimento, in cui consiste il peso del grave: [...] non è un movimento del tutto, ma all’interno del tutto, nelle parti che non escono dal tutto; pertanto, il movimento delle singole parti è una sorta di rotazione su di sé, diversamente uscirebbero dal tutto con un movimento in linea retta;
vale a dire, il tutto si corromperebbe, come avviene nella putrefazione.!98
Hobbes ritiene che all’interno del corpo pesante (come all’interno del corpo duro e, in generale, di ogni corpo) sia presente un moto che caratte-
rizza il comportamento delle particelle interne a questo corpo, soggette a un movimento vorticoso e circolare. Sulla scorta di questa concezione della
materia che compone i corpi pesanti, il filosofo giunge a formulare un'ipotesi intorno alla gravità e alla caduta libera. Egli esclude, in primo luogo, che la gravità e, in particolare, l'accelerazione di gravità siano da imputare alla spinta di un motore, perché, se così fosse, «[i]l grado di velocità che il corpo che spinge impartisce al grave dall'inizio dovrebbe essere quello con il quale il grave scende sempre necessariamente, o un grado minore a causa della resistenza dell’aria, a meno che un nuovo impulso si aggiunga al corpo che scende».'°° Invece, prosegue Hobbes, «[p]oiché il moto dei gravi che scendono viene di continuo accelerato, se quel moto è una spinta, bisogna che il corpo che spinge incomba di continuo e sia presente con lo stesso incremento di velocità in ogni parte dell’aria traversata dal grave — cosa, questa, inconcepibile. Non vi è infatti un unico corpo che spinge, il quale di continuo segue e spinge i gravi».!!° D'altro canto, anche l’ipotesi della trazione del grave da parte di un motore che lo trascina in direzione del centro della terra è accantonata dal
filosofo, per una semplice ragione: essa implica l’esistenza di una forza che aderisca al grave in caduta, cioè di un altro corpo trattore, ma questo ragionamento conduce necessariamente a un regresso all’infinito.!!! L'unica alternativa rimasta, verso la quale propende Hobbes, è incentrata su quello che egli chiama il «movimento circolare dell’aria»:
Hobbes sembra richiamare la 108 HoB8es, MLT, X, 11, p. 181; tr. it. p. 255. In questo passo,
ata dalla fuoriuscita trattazione baconiana del tema della corruzione dei corpi, che è determin Oxford Francis Bacon, The in Mortis, et Vitae Historia Bacon, es. ad Vedi, degli spiriti dal corpo. University Press, 2007, p. 172; vol. XII, ed. by Graham Rees and Maria Wakely, Oxford, Oxford Torino, Utet, 2010, pp. 228-229. tr. it. in Scritti scientifici, a cura di Benedino Gemelli,
109 Ibid. 110 Ibid. 111 Ibid.
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453—
CAPITOLO
TERZO
Resta da pensare che avvenga nella terza maniera, cioè che vi sia ovunque un movimento circolare dell’aria. Se un grave sale nell’aria per l’azione di una forza, il moto delle sue parti interne, in cui consiste la sua essenza, viene alterato a
motivo della discordanza e della diversità dei percorsi; così avviene che il grave di continuo rinculi, recuperando sempre la sua posizione, finché perviene al centro della terra, a meno di essere ostacolato da una forza. Mi sembra però impossibile descrivere quei moti delle parti nei diversi generi di corpi, cioè esporre interamen-
te la natura della gravità.!!2
L’argomentazione hobbesiana risulta piuttosto astrusa e, da quanto si desume dalla chiusa del passo citato, lo stesso Hobbes si era reso conto
delle difficoltà connesse al suo ragionamento. Tuttavia, prima di affrontare nello specifico la soluzione proposta dal filosofo inglese, è interessante sottolineare che (come ha rilevato già Leijenhorst) !!5 le due alternative prese in esame ed escluse da Hobbes nella sua disamina erano contemplate entrambe nelle Epistolae de motu di Pierre Gassendi.!!* Come sappiamo, le speculazioni gassendiane erano note al filosofo inglese già prima della stesura del De motu, loco et tempore e sono riprese da Hobbes nell’opera del 1643. In realtà dobbiamo osservare che entrambi gli autori cercano di affrontare contemporaneamente due problematiche connesse, ma diverse: la causa della gravità e la causa dell’accellerazione di gravità. A tal proposito, Gassendi aveva supposto che la caduta accelerata del grave fosse prodotta dalla combinazione di due forze concomitanti: in primo luogo si attiva una vis attrahens, esercitata dalla terra, la quale emette catene di particelle magnetiche in grado di ‘arpionare’ gli oggetti e una vis impellens, cioè una pressione prodotta dall'aria che, spinta fuori dalla propria sede dal corpo in caduta (già attivato dalla vis attrahens), occupa gli spazi lasciati liberi dal grave e preme continuamente sul grave stesso provocandone l'incremento di velocità.!!5 È palese l’eco aristotelica presente in questa concezione: per rendere ragione del movimento dei proiettili, lo Stagirita aveva infatti elaborato la teoria dell’avtitepiotacie, la quale suppone che questo movimento sia prodotto dall’aria spostata dai proietti stessi, che va ad occupare gli spazi Las Jbid: 113 Vedi LeJENHORST, Hobbes and the Galilean Law of Free Fall, cit., pp. 171 e sgg. 114 Vedi PaLMERINO, Galileo’s Theories of Free Fall and Projectile Motion as Interpreted by Pierre
Gassendi, cit., passim.
115 Vedi GasseNDI, Epistolae tres. De motu impresso a motore translato, in Opera Omnia, III, pp. 478 e sgg. Per una trattazione del rapporto tra la teoria galileiana della caduta dei gravi e le speculazioni gassendiane, vedi PALmERINO, Galileo’s Theories of Free Fall and Projectile Motion as Interpreted by Pierre Gassendi, cit., pp. 153-157; In., Une force invisible à l’eeuvre, cit., pp. 161 e sgg.
n
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DI GALILEO
E IL CONATUS
DI HOBBES
lasciati sgombri dall’avanzamento dell’oggetto e funge da propulsore dello stesso. 11° Tuttavia Gassendi era convinto che un solo principio agente non fosse sufficiente a rendere ragione della caduta e, al contempo, anche dell’accele-
razione, per cui aggiunse una seconda forza (prima in ordine cronologico) che mettesse in moto il grave in caduta e provocasse il primo spostamento d’aria. Le ragioni del rifiuto da parte di Hobbes della spiegazione proposta dal Canonico di Digne vanno ricercate nella natura della ‘vis attrahens': egli considerava evidentemente speciosa questa parte dell’argomentazione gassendiana e, anche concentrandosi esclusivamente sulla seconda parte (relativa alla vis impellens), incontrava delle difficoltà nel rendere ragione dell’accelerazione di gravità, perché il grave dovrebbe essere, a rigor di logica, ritardato dall’attrito dell’aria e, invece, come ha dimostrato Galileo nei
Discorsi, continua ad accelerare secondo una legge precisa.
6. RICERCHE SULLA CAUSA DELLA GRAVITÀ
La soluzione adottata da Hobbes, nel De motu, loco et tempore, è, come abbiamo visto, di rintracciare la causa della caduta nell’alterazione dei moti
circolari cui sono soggette le particelle che compongono i corpi pesanti.!!7
Tuttavia, vi è un elemento peculiare della teoria hobbesiana che non è stato
ancora evidenziato dalla critica ed è opportuno sottolineare. Abbiamo visto che il filosofo istituisce una curiosa correlazione tra la gravità e la durezza dei corpi. Com'è noto dal carteggio con Descartes, Hobbes riteneva il movimento delle particelle interne del corpo la causa della resistenza maggiore di alcuni oggetti rispetto ad altri e quest'idea è utilizzata dal filosofo nel De motu, loco et tempore, non solo per descrivere il fenomeno della rotazione terrestre,!!8 ma anche per abbozzare una possibile spiegazione della gravità e del conatus connesso alla gravità stessa. VIII, 266 b e De Caelo, III, 116 Vedi ARISTOTELE, Fisica, IV, 215a e sgg., vedi anche: Fisica,
ica fu criticata da Burida301b. Come sappiamo (vedi supra, p. 290, nota), questa teoria aristotel dallo Stagirita: in proposta one spiegazi della ittorie no, il quale mostrò le implicazioni contradd può essere anche il suo motore; non l’aria) (cioè moto al a resistenz offre che ciò luogo, primo «sostenga a lungo una pietra del inoltre non si spiega come l’aria, così facilmente divisibile, In generale sull'argomento, vedi 417. p. it. peso di cento libbre». BuRIDANO, In de Caelo, III, 2, tr. sgg. e 260 pp. cit., Galileo, a CROMBIE, Da S. Agostino 117 HoBBEs, MLT, p. 181; tr. it. p. 255.
298 e sgg.; tr. it. pp. 440 e sgg. 118 Ivi, XXI, 10; p. 259; tr. it. p. 384; XXIV, 10 e sgg. pp.
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CAPITOLO TERZO
[I]l conato consiste in ciò, che un corpo che tende [a muoversi] si muove.
Parimenti, dei corpi pesanti che giacciono a terra tuttavia si dice che tendono verso il basso, poiché rimosso l’impedimento in atto, essi discendono; infatti se non scendessero, non si direbbe che prima tendevano [a scendere]. Egualmente, si ritiene che l’arco teso tende al ripristino delle parti, giacché, una volta rimosso
l’impedimento, l’arco di fatto ritorna [alla sua posizione], e una volta restituito [ad
essa] non ha più conato. Tuttavia, poiché l'eliminazione dell’impedimento non è un'azione, e tuttavia è necessaria un’azione affinché i corpi in riposo si muovano,
rimane [soltanto l’ipotesi] che il principio motore della caduta dei gravi e quello del ritorno dell’arco consistano nel fatto che via sia qualche movimento in atto nel
corpo pesante che tende a cadere e nello stesso arco che tende a raddrizzarsi.!!°
Qui Hobbes presenta l’analogia tra la forza che conduce al ripristino di un arco teso e la forza di gravità cui sono soggetti i corpi, che riproporrà nelle opere successive con l’esempio della balestra.!?° Alla base della teoria vi è l’idea che all’interno dei corpi pesanti sia presente un movimento che coinvolge la loro struttura microparticellare e, una volta rimosso l’impedimento esterno, questi corpi sono liberi di cadere verso il basso o ritornare alla posizione iniziale. Un’argomentazione affine era presente anche in Gassendi e nell’Harmonie Universelle di Mersenne, dove il Minimo istituiva un’analogia tra la
resistenza della pietra alla pressione della mano e la forza che soggiace al fenomeno della corda tesa.!?! 119 Ivi, XIII, 2, p. 195; tr. it. p. 280. 120 Vedi BALDIN, «La reflexion de l’arc» et le conatus: aux origines de la physique de Hobbes, cit. 121 Ibid. Cfr. MERSENNE, Harmonie Universelle, vol. II, Livre III, Des Mouuemens &r du son des
chordes, p. 165 e FRANCOIS BERNIER, Abrégé de la philosophie de M. Gassendi (2° ediz., Lyon, 1684), ripr. anastatica in Corpus d’aeuvre philosophiques en langue francaise, a cura di Sylvia Murr e Geneviève Stefani, Paris, Fayard, 1992, 6 voll., II, pp. 308-309. Vedi anche: Gassendi a Jean Chapelain, in GASSENDI, Opera Omnia, cit., III, p. 466b: «Tametsi corpora quaedam, ut saxa, et alia, videantur esse plane immota, censuere tamen atomos, ex quibus se mutuo revicentibus sistentibusque contexuntur, esse in perpetuo conatu sese veluti extricandi». Com'è noto, Gassendi attribuisce agli atomi una tendenza innata al movimento: «Quippe atomi quantumvis revinctae, detentaeque incorporibus, mobilitatem tamen suam, ut dictum ante est, non amittunt, sed incessanter
connituntur; et vel plures eodem, vel aliae in has, aliae in illas partes contendunt, sataguntque erumpere; et exinde fit ut quam in partem fuerit plurimum connixus, ac impetus, in illam consequatur motus. Quare & vis Motrix, quae in unaquaque re concreta est, originem Atomis
debet, neque distincta est reipsa ab illarum pondere, sive impetus». In., Syntagma, Opera Omnia,
I, p. 343b. Sulla concezione della materia nella filosofia di Gassendi vedi: BLocH, La philosophie
de Gassendi, cit., pp. 210-229, Marco MESSERI, Causa e spiegazione: la fisica di Pierre Gassendi, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 74-93; MARGARETHJ. OsLER, Divine Will and Mechanical Philosophy. Gassendi and Descartes on Contingency and Necessity in the Created World, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, pp. 180 e sgg. e GaugROGER, The Emergence of a Scientific Culture, cit., pp. 262-276. Clericuzio insiste molto sulla materia actuosa, in Gassendi, concetto che — secondo
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IL MOMENTO
DI GALILEO E IL CONATUS
DI HOBBES
L'accostamento del fenomeno dell’arco e della caduta dei gravi e il ricorso da parte di Hobbes ai medesimi principi per solvere entrambe le problematiche ritornerà, seppur con alcune modifiche (introdotte dal De Corpore), anche nelle opere successive.!?2 Tuttavia, la spiegazione della gravità elaborata da Hobbes nel De motu, loco et tempore rimane problematica e, non a caso, il filosofo proporrà alcuni aggiustamenti di teoria nel De Corpore. In particolare, i problemi incontrati dal modello hobbesiano erano determinati soprattutto da due ragioni: in primo luogo, egli imputava al movimento delle particelle interne sia la causa della resistenza dei corpi che la causa del loro peso e, in base a questa definizione, è difficile spiegare perché i corpi duri ma leggeri cadono meno velocemente rispetto ai corpi più pesanti.
In secondo luogo, il ragionamento hobbesiano suggerisce che all’interno dei corpi sia presente già un movimento difficilmente conciliabile con il rigoroso meccanicismo di Hobbes, il quale prevede che il movimento di un corpo sia necessariamente determinato dall'esistenza di un motore, cioè
un corpo esterno e contiguo. Il problema della mancata considerazione del peso del grave in relazione al fenomeno della gravità era condiviso anche dalla spiegazione di Gassendi,!23 il quale dal 1646 propose una teoria alternativa, che concepiva esclusivamente la vis attrahens ed escludeva la forza propulsiva esercitata dall’aria.!?* Tuttavia, nonostante questo mutamento di prospettiva da parte del collega, Hobbes dovette riconsiderare la vecchia soluzione gassendiana, incentrata sulla vis impellens, e ciò è dimostrato dalla spiegazione della gravità fornita dal filosofo inglese nel XXX capitolo del De Corpore, che diverge radicalmente da quella presente nel De motu, loco et tempore. Qui sono descritte due posizioni alternative elaborate dai filosofi precedenti riguardo alla gravità: da una parte coloro che imputano la caduta , l’autore — estranea il filosofo da una prospettiva rigidamente meccanicista. Vedi CLERICUZIO Sgg. € 63 pp. cit., Corpuscles, and Elements, Principles e spiega 122 Nel Dialogus physicus egli fa riferimento a una lamella d’acciaio o a una balestra o all’intern ma locale, moto un stesso «esso è corpi due dei che il ritorno nella posizione iniziale un movimento velodi uno spazio impercettibile, e nondimeno velocissimo, tale da provocare questo movimento di cissimo» (Ho88£s, Dialogus physicus, OL, IV, p. 248; tr. it. p. 446). Tuttavia, rebbe necessadetermine tipo quel di moto un ripristino non può essere in linea retta, perché che il movimento necessario è «dunque totalità, sua nella mobile del o moviment un riamente un piccolo circolo» sia circolare, in modo tale che ogni punto del corpo che si dilata compia (ivi, p. 249; tr. it. p. 447).
as Interpreted by Pierre 123 Vedi PamerINO, Galileo’s Theories of Free Fall and Projectile Motion
Gassendi, cit., p. 149.
acceleratur, in Opera Omnia, 124 Vedi GASSENDI, Epistolae de proportione qua gravia decidnetia
cit., III, pp. 572 e Sgg-
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TERZO
dei gravi a «una tendenza interna," per la quale i corpi proiettati in alto scendono nuovamente, mossi da se stessi, nel luogo conforme alla loro natura»; 126 dall’altra coloro i quali ritengono che questi stessi corpi siano «attratti dalla terra».!?7 Le ragioni addotte da Hobbes per ricusare la prima ipotesi, sono da ricercare nei principi della fisica meccanicista hobbèsiana: «non può esserci inizio di moto se non da un corpo esterno e mosso».!?8 Egli sostiene, invece, di condividere la seconda alternativa: «[c]onsento, invece, con gli altri che
attribuiscono la caduta dei gravi all’attrazione terrestre».!°° Il pensatore inglese sostiene, inoltre, che il fenomeno della gravità non sia stato finora spiegato da nessuno e perciò si propone di elaborarne la soluzione corretta.!?° In realtà, la spiegazione proposta da Hobbes nel quarto paragrafo del XXX capitolo del De Corpore, nonostante le premesse, si discosta notevolmente anche da quella che Gassendi aveva sviluppato nelle Epistolae de motu. La teoria di Hobbes (vedi figura) prevede che una pietra condotta in linea retta dal punto D (collocato sulla superficie terrestre all’equatore) sino al punto E, spinga progressivamente parti di aria. Tuttavia, dal momento che la Terra, nella sua rotazio-
ne diurna, rimuove anch'essa dell’aria e le particelle dell’aria risultano più leggere rispetto a quelle che compongono i corpi, questa sale più velocemente rispetto ai corpi stessi. Attraverso la duplice azione della spinta dell'oggetto e del movimento della Terra, un vuoto tende a formarsi nel-
lo strato di aria immediatamente circostante al punto E. Di conseguenza, in un mondo in cui il vuoto non è ammesso,
bisogna supporre che dell’aria dall'alto venga ad occupare questo spazio, spingendo il grave verso il basso. Inoltre il corpo in caduta riceve in ogni istante e in ogni punto del segmento EA successive propulsioni dall'aria. Nel paragrafo successivo Hobbes, citando Galileo, aggiunge che spetta a costui il merito di aver scoperto qual è la proporzione tra spazi e tempi nel moto di caduta libera, 125 «Appetitum aliquem esse putarent internum». Ho8BEs, De Corpore, XXX, 2, OL, I, p. 414.
126 Ibid.; tr. it. p. 472.
127. Ibid. 128 Ibid. 129 Ibid. 130. Ivi, p.415; tr.it. p. 473.
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DI HOBBES
la quale è presente nei Dialogi de motu!5! dello scienziato italiano. Nella terza giornata dei Discorsi, infatti, il Pisano affrontava le problematiche De motu aequabili e De motu accelerato e quest’ultima parte contiene la famosa legge di caduta dei gravi,!5 la quale sarà ripresa da Hobbes nel De Corpore: Ne segue, sulla base di ciò che ha dimostrato Galileo nei dialoghi sul moto,
che i gravi cadono nei singoli tempi con le differenze degli spazi percorsi, le quali sono le differenze dei numeri quadrati a cominciare dall'unità. Questi numeri quadrati sono 1, 4, 9, 16 ecc.; e le loro differenze sono 1, 3, 5, 7 ecc., cioè i numeri
dispari a cominciare dall’unità.!55 Tuttavia, come ha sottolineato Jesseph,!54 la presenza di Galileo e l’in-
fluenza delle argomentazioni dei Discorsi sono particolarmente evidenti nel XVI capitolo del De Corpore, dove Hobbes si occupa del moto accelerato e uniforme.?35 Qui egli definisce la velocità «da potenza con la quale un mobile in un determinato tempo può percorrere una determinata lunghezza» e l'impeto, a sua volta, è «la velocità presa unicamente in un punto di tempo».!?° Nel terzo paragrafo Hobbes riprende la legge galileiana del moto uniformemente accelerato !57 e nel nono si occupa del comportamento di un mobile mosso da due moventi concomitanti e concorrenti: Se un mobile è mosso da due moventi insieme, concorrenti in un determi.
nato angolo, dei quali l’uno si muove uniformemente, l’atro con moto unifor131 Ivi, XXX, 5, pp. 417-418; tr. it. pp. 475-476. La nota di Antimo Negri, nell'edizione ita-
al De liana, non può essere corretta: «Può darsi benissimo che, qui, Hobbes accenni senz'altro
(p. 476). motu, uno scritto pisano (1581-1591) di Galileo, varie volte rifatto e rimasto inedito» per note, ben invece Erano inedito. rimasto era trattato il infatti, Negri, stesso Come osserva lo circolazione contro, le speculazioni galileiane contenute nei Discorsi, che avevano avuto ampia
pisano, in Europa a partire dal 1639 e che riprendevano sì alcune intuizioni risalenti al periodo tutte fra prima successivo, periodo al i appartenent riflessioni e ma arricchite di tutte le scoperte
la sua comparsa in una lettera la legge di caduta dei gravi che, assente nel trattatello De Motu, fa però, l'aumento di velocità dove, 115), p. X, (OG, 1604 ottobre 16 del Sarpi, di Galileo a Paolo
Dialogo che Galileo preè supposto proporzionale rispetto allo spazio e non al tempo. Sarà nel GaLILEI, Dialogo sopra (vedi gravi dei caduta di legge corretta la scientifica comunità alla senterà
i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 248).
OG, VIII, pp. 209-210. Per 132 GALILEI, Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze,
naturalmente accelerato un'analisi accurata della trattazione matematico-geometrica del moto cit., pp. 285 e gg. Galilée, de naturelle ie philosoph La CLAVELIN, vedi Pisano del nei testi 475-476. 133 Ho8BEs, De Corpore, XXX, 5, OL, I, pp. 417-418; tr. it. pp.
Hobbes on ‘Conatus’: A study in the 134 Vedi JessePH, Squaring the Circle, cit., pp. 104-110; ID.,
Foundations of Hobbesian Philosophy, cit., pp. 73-73. tr. it. pp. 247 e sgg. 135 Vedi HoB8Es, De Corpore, XVI, OL, I, pp. 184 e sgg.;
136 Ivi, pp. 184-185; tr. it. pp. 247-248. 137 Ivi, pp. 186-187; tr. it. pp. 249-250.
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memente accelerato dallo stato di quiete (cioè in modo che la proporzione tra gli impeti sia la stessa che quella tra i tempi, cioè in modo che la proporzione delle lunghezze sia duplicata a quella dei tempi), finché per l'accelerazione avrà acquistato un impeto uguale all’impeto del moto uniforme, la linea nella quale si muove il mobile sarà la linea curva di una semiparabola, la cui base è l’impeto
da ultimo acquistato.!58 “%
x
La trattazione hobbesiana ricalca esattamente quella presente nella quarta giornata dei Discorsi !5? ed è interessante sottolineare anche che in quelle pagine galileiane ricorre ampiamente la nozione di momento,!*° che abbiamo vagliato in precedenza e la cui portata concettuale e speculativa sarà ben afferrata da Hobbes. Quest’ulteriore riferimento a Galileo ci permette di sviluppare un’osservazione riguardo all'impostazione filosofica di fondo, che accomuna il Pisano e Hobbes. L'interesse di Galileo era rivolto, infatti, principalmente all'analisi fisica dei fenomeni ed egli non riteneva lacunosa la sua indagine sul comportamento dei gravi in caduta, benché non fosse in grado di spiegare l'essenza della gravità.14! Ciò è evidente dalla trattazione del fenomeno presente nella seconda giornata del Dialogo sopra i due massimi sistemi, dove Salviati, dibattendo con Simplicio, osservava che riguardo alla natura della gravità, ossia intorno alla sua essenza, non conosciamo assolutamente nulla.!4 Il passo in
questione, riprende alcune considerazioni formulate già nelle Lettere sulIo
IV SPALO0St ses
a258ì
139 Cfr. GALILEI, Discorsi e dimostrazioni, OG, VIII, pp. 272 e sgg. 140 Nel Theorema III, Propositio III, Galileo scrive: «momenta autem celeritatis sunt inter se ut
spatia, quae iuxta ipsa momenta eodem conficiuntur tempore», ivi, p. 282.
141 In un articolo dedicato alla fisica cartesiana che Descartes delinea nel suo scambio epistolare con Mersenne (la quale si differenzia dalla fisica essenzialmente ‘narrativa’ dei Prin-
cipia, per la sua dimensione spiccatamente matematica), Garber sostiene che la gravità quale
‘tendenza dei corpi gravi di scendere verso i centro della terra’, fosse elemento fondamentale
del ‘paradigma’ (nell'accezione coniata da Kuhn, vedi THOMAS KuHN, La struttura delle rivoluzio-
ni scientifiche, Torino, Einaudi, 1969 (ed. or. 1962), in part. pp. 30 e sgg.) di Galileo, ma che non potesse essere condivisa da Descartes: «because they contain nothing over and above extension,
bodies can have no innate tendencies at all». DANIEL GARBER, A different Descartes. Descartes and
the programme for a mathematical physics in his corrispondence, in GAUKROGER — SCHUSTER — SUTTon (eds.), Descartes’ Natural Philosophy, cit., pp. 113-130: 123. Tuttavia, alla luce delle critiche rivolte da Galileo a Kepler, in riferimento al fenomeno delle maree, è difficile credere che un
concetto di tendenza insita nei corpi (estranea, quindi, ai principi del meccanicismo) fosse presente nell’epistemologia del Pisano. Come abbiamo notato nel cap. precedente e vedremo ancor meglio in quello successivo, Galilei mostra uno sforzo continuo nel tentativo di spiegare in
termini meccanicisti ogni fenomeno fisico, compresa la struttura della materia.
142 Vedi GaLiLEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, OG, VII, p. 248.
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le macchie solari, dove Galileo sosteneva che «[i]l tentar l'essenza, l'ho per
impresa non meno impossibile e per fatica non men vana, nelle prossime sustanze elementari che nelle remote e celesti».!4 Le palesi implicazioni anti-aristoteliche del passo delineano un aspetto significativo del pensiero e dell’epistemologia galileiana, che ritroviamo anche in Mersenne e Hobbes e che è alla base del pensiero filosofico-scientifico moderno: il filosofo Galileo sostiene che l’essenza recondita dei fenomeni sia impenetrabile e che lo scopo del ricercatore è quello di descrivere il comportamento degli enti naturali, servendosi degli strumenti forniti dalla matematica.!4
Tuttavia, al di là di ogni riferimento a Galileo presente nel De Corpore, è opportuno tornare sulla spiegazione della gravità elaborata da Hobbes. In realtà, essa si rivela non meno problematica di quella presente nel De motu, loco et tempore.!# In primo luogo, il modello è in grado di spiegare esclusivamente la caduta di un grave condotto ad una certa altezza dal suolo, grazie all'intervento di una forza e non rende ragione della caduta libera a partire dalla quiete. Inoltre, benché Hobbes sostenga di condividere l’idea di quei filosofi che ritengono la gravità prodotta da una forza di attrazione esercitata dalla Terra, nondimeno, la causa della caduta non è affatto attribuita all’attrazione della Terra (essa è, semmai, una causa indiretta), bensì a una
sorta di vis impellens che l’aria esercita sul grave.!4° Le ragioni del rifiuto di una teoria fondata sull’attrazione terretre, come quella proposta da Gassendi dopo il 1646, vanno ricercate evidentemente nell’opposizione di Hobbes nei confronti di qualsiasi oscura forza attrattiva che lo aveva condotto, come abbiamo visto, a respingere anche le posizioni kepleriane nel XXVI capitolo dell’opera.! In ogni caso, lo stesso Hobbes doveva essersi accorto di quest'anomalia,
e infatti, nelle opere scientifiche successive, nelle quali egli propone senza
grosse varianti la stessa teoria del De Corpore, non si trova alcuna indica-
zione dell'autore che definisca questa posizione come attrazionista.!4 Nel Lettera III, OG, 143 GALILEI, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti,
V, p. 187.
e e teologi144 Ciò non deve indurre a credere, tuttavia, che le problematiche metafisich
te le lettere che fossero estranee al pensiero di Galileo, come peraltro testimoniano ampiamen della fisimetafisici fondamenti I RepONDI, Pierro esempio ad vedi, mento copernicane. Sull'argo ca di Galileo, Nuncius», XII, 1997, f. 2, pp. 267-289. pp. 177-179. 145 Vedi LeJeNHORST, Hobbes and the Galilean Law of Free Fall, cit.,
fenomeno del 146 Hobbes si serve di un modello del tutto simile per rendere ragione del tr. it. pp. 485 e sgg. magnetismo. Vedi Hos8es, De Corpore, XXX, 15, OL, I, pp. 427 e sgg,;
147 Vedi supra, cap. II, $ 4. anche In., Decameron 148 Vedi Ho8Bes, Seven Philosophical Problems EW, VII, pp. 7-13; ed Hobbes si limita aeris, natura de sive physicus Dialogus Nel 147-151. pp. VII, physiologicum, EW,
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TERZO
primo dei Seven Philosophical Problems (1662), dedicato proprio ai problemi della gravità, Hobbes ripropone l’argomentazione del 1655, cui aggiunge l'esempio del catino (basin) al modello del setaccio e imputa l’accelerazione all'impulso (impression) dell’aria che sospinta dal corpo va a riempire lo spazio occupato dal grave in caduta.!* Alcuni aspetti interessanti emergono, invece, dalla trattazione più ampia presente nel Decameron physiologicum (1678). Benché la tèoria della caduta dei gravi sia pressoché identica rispetto alle opere precedenti, tuttavia, qui Hobbes inserisce due riflessioni degne di nota. Nel De motu, loco et tempore era presente, infatti, una curiosa correlazione che il filosofo sembrava istituire tra
corpi pesanti e corpi duri: la durezza (o resistenza) dei corpi era determinata dai moti cui sono soggette le particelle interne che li compongono e l’alterazione di questi moti, attraverso un movimento esterno, cagionava la caduta
del grave. Hobbes smentisce qui quest'idea, perché avvallata da prove empiriche: non sempre i corpi duri son anche più pesanti.!° Inoltre, stabilito che la correlazione tra pesantezza e durezza non è corretta, nella pagina successiva, dopo aver riproposto la legge di Galileo secondo la quàle la velocità dei gravi cadenti aumenta «according to the odd numbers from unity»,!°! Hobbes sostiene che ciò non ci offre, però, alcuna indicazione rispetto alla «conoscenza
del perché un corpo dovrebbe avere un conato (endeavour) a scendere maggiore rispetto a un altro».!? Il filosofo indica un possibile elemento che potrebbe determinare la differente accelerazione di caduta del grave: la figura,5* ma, in realtà anch'esso è ritenuto problematico. a osservare che la gravità «è un conato diretto da ogni luogo vetso il centro della terra». In., Dialogus physicus, OL, IV, p. 250; tr. it. p. 449. 14° Vedi HoBBEs, Seven Philosophical Problems, EW, VII, pp. 7-9 (Problemata Physica, OL, IV,
p. 306).
150 «It is certain that when any two bodies meet, as the earth and any heavy body will, the motion that brings them to or towards one another, must be upon two contraries ways; and so also it is when two bodies press each other in order to make them hard; so that one contra-
riety of motion might cause both hard and heavy, but it doth not, for the hardest bodies are not always the heaviest; therefore I find no access that way to compare the causes of different endeavours of heavy bodies to descend». Ho8BEs, Decameron physiologicum, EW, VII, p. 147. 1a «And farther, the motion of the stone downward shall continually be accelerated according to the odd numbers from unity; as you know hath been demonstrated by Galileo. But we are nothing the nearer, by this, to the knowledge of why one body should have a great endeavour downward than another. You see the cause of gravity is compounded motion with exclusion of vacuum», ivi, p. 148.
152 Ibid. (corsivo mio).
153 «It may be it is the figure that makes the difference. For though figure be not motion, yet it may facilitate motion, as you see commonly the breadth of a heavy retardeth the sinking of i», ibid. (corsivo mio). 154 Ivi, pp. 148-149.
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DI HOBBES
In conclusione, anche nell'ultima opera che Hobbes dedica alla filosofia naturale, il pensatore inglese dichiara apertamente di non padroneggiare affatto la causa della gravità: benché sia nota la legge di accelerazione di un grave in caduta libera grazie a Galilei, tuttavia, non abbiamo alcuna idea del perché un corpo scende con un conatus (endeavour) maggiore rispetto a un altro.
7. VERSO
UN NUOVO
VOCABOLARIO
SCIENTIFICO
AI di là della dichiarata incapacità di Hobbes di fornire ragioni circa la causa della gravità, è significativo sottolineare che anche qui ritorna, ancora una volta, il concetto di conatus, in un’accezione spiccatamente dina-
mica. A questo punto, possiamo dunque tentare di istituire un confronto
delle diverse accezioni del termine conatus, così come si presentano nella fisica hobbesiana. Benché nel De motu, loco et tempore, la nozione di conatus compaia con un significato decisamente meno tecnico rispetto a quello che
acquisirà nel De Corpore, tuttavia, si palesano già alcuni aspetti che caratterizzeranno la concezione ‘matura’ del concetto. La definzione del De motu, infatti, secondo la quale il conatus è un moto
o di tutto il corpo, o delle particelle che lo compongono, '’? viene a indicare quel principio del movimento che era definito da Descartes inclination è
se mouvoir!56 e caratterizzato, secondo il filosofo francese, dall'assenza di
movimento.
Hobbes è consapevole che nel principio del moto o nella forza esercita-
ta verso il basso da un grave sospeso ad una certa altezza, il corpo è ancora
immobile nella sua totalità, seppur per una frazione di secondo. Di conse-
guenza, il filosofo, servendosi del concetto di conatus, viene a esprimere la
nozione di impulso o principio del movimento, pur mantenendosi entro i confini della sua concezione dinamica della fisica e del suo rigoroso meccanicismo. Egli ritiene così che quest’'impulso o impeto sia già, in se stesso, un movimento e debba essere espresso necessariamente in termini dinamici. Già in questa connotazione del conatus sono percepibili gli echi del momento galileiano, i quali diverranno ancora più espliciti nella trattazione del De Corpore. Come
abbiamo visto, il concetto di conatus evolverà sempre
più, sulla scorta delle diverse accezioni del momento galileiano e verrà uti-
forza e lizzato da Hobbes in correlazione con altri termini: velocità, impeto, 155 Vedi HoBBEs, MLT, X, 11, p. 180; tr. it. pp. 253-254.
156 Vedi DESCARTES, La Dioptrique, AT, VI, p. 88; tr. it. p. 200.
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momento. Essi compaiono nell’opera del 1655 ed esprimono il tentativo di padroneggiare una serie di problematiche connesse, ma diversificate, che erano contemplate dalla nozione galileiana di momento. Nel XV capitolo del De Corpore, Hobbes affronta il tema: Della natura e
delle proprietà e delle varie considerazioni del moto e del conatus, e apre la trattazione venendo a definire quei concetti che erano presenti nella fisica galileiana e che costituiranno i principi basilari della sua trattazione del moto. In primo luogo, nel definire la velocità, Hobbes conserva l'impianto galileiano che emergeva nei teoremi dei Discorsi e dimostrazioni, indicando
il rapporto tra spazio e tempo che caratterizza la concezione della velocità nella fisica moderna. Tuttavia, egli la concepisce come «la potenza con la quale un corpo mosso può in un determinato tempo trasmettere una determinata lunghezza».!57 Questa definizione riconduce la velocità stessa all’impetus che, infatti, è definito come la stessa velocità, ma considerata
in qualunque punto del tempo.!* Ancora, la determinazione dell’impetus, come «quantitas sive velocitas ipsius conatus»,? è fondamentale: se l’impeto consiste nella velocità considerata in un istante qualsiasi del tempo e il conatus come «il moto che si verifica in uno spazio e tempo minori di quello dato»,!9° si palesa il tentativo, operato da Hobbes, di chiarire ed esplicitare con una distinzione terminologica due concetti diversi racchiusi dalla nozione galileiana di momentum. Nell'edizione inglese del De Corpore, il concetto di impetus è trattato più ampiamente e il significato che il filosofo attribuisce al termine indica una strettissima connessione con il momentum velocitatis galileiano. But considered with the whole time, it is the whole velocity of the body moved taken together throughout all the time, and equal to the product of a line representing the time, multiplied into a line representing the arithmetically mean impetus or quickness.?9!
Rispetto al De motu, loco et tempore, Hobbes attribuisce una connotazione decisamente più scientifica al termine impetus, rendendolo traducibile 157 «[V]elocitatem esse motum consideratum ut potentiam, qua mobile tempore certo certam potest transmittere longitudinem. Quod est brevius enunciari potest sic, velocitas est quantitas motus per tempus et lineam determinata». Ho8BEs, De Corpore, XV, 1, OL, I, p. 176; tr. it. p. 239. 158 «[I]mpetum esse ipsam velocitatem, sed consideratam in puncto quolibet temporis in quo fit transitus», ivi, XV, 2, p. 178.
_
159 Ibid. 190 «[C]onatum esse motum per spatium et tempus minus quam quod datur, id est, determinatur,
sive expositione vel numero assignatur, id est, per punctum», ivi, p. 177; tr. it. p. 240. 161 HoBBEs, Concerning body, EW, I, p. 207.
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attraverso l’idea di una proporzione matematica, come aveva fatto Galileo.
Nel prosieguo della trattazione, è evidente che egli stia cercando di rendere il concetto di gradi di velocità crescente e decrescente, che erano sottesi alla nozione galileiana di momento: And because in equal times the ways that are passed are as the velocities, and the impetus is the velocity thay go withal, reckoned in all the several points of the times, it followeth that during any time whatsoever, howsoever the impetus be increased or decreased, the length of the way passed over shall be increased or decreased, in the same proportion; and the same line shall represent both the way of the body moved,
and the several impetus or degrees of swiftness wherewith the way is passed over.!°2 Attraverso il termine conatus che, non a caso, nel XXII capitolo sarà definito come «un moto attraverso una qualche lunghezza, tuttavia non considerata come lunghezza, bensì come un punto»,'* il filosofo tenta non
solo di fornire una determinazione fisica e dinamica alla nozione di principio del movimento, ma anche di richiamare il concetto galileiano di momentum velocitatis che esprime l’idea di porzione infinitesimale di tempo in rapporto allo spazio. Tuttavia, già nella definizione presente nel De motu, loco et tempore, che presentava il conato come «un movimento attuale, o di tutto il corpo che tende, o delle sue parti interne e invisibili»,!94 il cenno alle particelle invisibili di cui sono costituiti i corpi conteneva un palese riferimento al principio del moto. In un corpo che comincia a muoversi perché urtato da un altro oggetto, tutte le parti interne reagiscono e il principio del movimento può essere contemplato come il primo moto interno delle particelle che compongono il corpo. La maggior precisione e chiarezza concettuale, che contraddistingue il De Corpore rispetto al De motu, loco et tempore, emerge anche relativamente al concetto di forza. Se nel testo del 1643 impetus e vis erano considerati sinonimi,!°° nel 1655 il filosofo definisce la forza come l’«impetus [o la velocità]! molti162 Ibid. 16 «motum per longitudinem aliquam, consideratam autem non ut longitudinem, sed ut punctum», ivi, p. 271; tr. it. p. 332. 164 HoBBEs, MLT, XIII, 2, p. 195; tr. it. p. 280.
che tuttavia 165 «Si deve sapere tuttavia sapere che il moto e l’impeto sono la stessa cosa, e miei). (corsivi 387 p. it. tr. 260; p. 12, XXI, MLT, Ho8BEs, forza». viene chiamato impeto e pure to be the FoRCE define «I velocità: di concetto il aggiunge Hobbes 166 Nell'edizione inglese by , movent the of e magnitud the into or itself, impetus or quickness of motion multiplied either into HoBBes, Concerning ito. resists that body the upon less or more works movent said the means wherof body, EW, I, p. 212.
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TERZO
plicati per se stessi o per la grandezza del movente».!9” Il rapporto tra il volume del mobile e la sua velocità, che nel De motu era abbozzato molto
sommariamente,98 ora è problematizzato e definito attraverso un termine adeguato: il concetto di forza. Inoltre, con la dicitura «multiplicatum in se» il filosofo intende riferirsi proprio all'aumento di impetus in rapporto all’aumento di velocità, come emerge dalla trattazione della gravità. Infine, Hobbes si serve anche del concetto di momentum, definito come il moto considerato «solo dall’effetto che ha il movente nel mobile»,!9
e coincide con l’«eccesso di moto del movente sopra il moto o conato del corpo resistente».!7° Questa definizione richiama direttamente l’accezione presente nel XXIII capitolo dello stesso De Corpore, dove il pensatore, trattando della bilancia, si serve del termine per indicare — proprio come Galileo !”! — la forza composta della leva: «[i]l momento è la capacità che ha il corpo pesante di muovere il raggio rispetto a una determinata posizione».!7? In entrambi i casi, sebbene si incontrino due accezioni leggermente diverse del termine, ciò nondimeno, sono ambedue riconducibili alle definizioni galileiane
e connesse a una situazione fisica di azione e resistenza tra due forze. Nel primo caso il momento viene a indicare la forza, o effetto, del movente sul
corpo resistente; nel secondo esprime una condizione di equilibrio (o squilibrio) tra forze: le forze agenti sui due bracci della bilancia. In conclusione, lungi dalla pretesa di aver esaurito in questa breve trattazione la problematica dei rapporti tra i concetti fisici galileiani e la fisica di Hobbes, possiamo però spingerci a formulare alcune osservazioni complessive riguardo alla problematica del conatus. Attraverso un percorso intellettuale che inizia con l'assimilazione del vocabolario e delle problematiche fisiche emerse nei testi di Galileo Galilei, Hobbes si cimenta nel tentativo di chiarire ed esplicitare alcuni dei principi fisici espressi dallo scienziato pisano attraverso il lemma momento, e lo fa servendosi di un bagaglio terminologico più ampio e diversificato. Nel suo sforzo, egli corre talvolta il rischio di essere piuttosto fumoso e alcuni concetti risultano chiari e comprensibili solo alla luce della comparazione con il momento galileiano. 167 «[Vim definiemus esse impetum multiplicatum sive in se, sive in magnitudinem moventis, qua
movens plus vel minus agit in corpus quod resistit». HoBBEs, De Corpore, XV, 2, OL, I, p. 179. 168 «Ne deriva che tutto ciò che contribuisce in qualche misura alla grandezza del mobile,
contribuisce anche al suo impeto». HoBBEs, MLT, XXI, 12, p. 260; tr. it. p. 387. 16° HoBBEs, De Corpore, XV, 4, OL, I, p. 181.
170 «excessus motus corporis moventis super motum vel conatus corporis resistentis», ibid. 171 Vedi GALILEI, Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, OG, VIII, pp. 154-155.
172 «Momentum est ponderantis, pro certo situ, certa ad movendum radium potentia». HoB8Es, De Corpore, XXIII, 1, OL, I, p. 287.
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DI HOBBES
Tuttavia, Hobbes non si limita ad assorbire e riprodurre semplicemente alcuni concetti fisici galileiani, ma li rielabora e, attraverso una pluralità di
lemmi, tenta di proseguire l'impresa di tradurre in concetti dinamici una fisica di impostazione meccanica e statica. Benché — come hanno sottolineato tra l’altri Lasswitz e Gargani - il sostanziale difetto di competenze matematiche abbia impedito a Hobbes di esprimere in termini spiccatamente scientifici le proprie riflessioni sul conatus, nondimeno, dobbiamo rilevare che il pensatore inglese seppe individuare le diverse problematiche connesse alla nozione galileiana di momento e non è un caso che l’eredità intellettuale del conatus hobbesiano sarà raccolta qualche decennio più tardi da uno dei padri del calcolo infintesimale.!7?
nte uno 173 Howard Bernstein ha rilevato che Leibniz, il quale è considerato unanimeme
di conatus dei padri del calcolo infinitesimale, nei suoi scritti giovanili si serve del concetto omnis motus nella medesima accezione coniata da Hobbes: «Omnis actio corporis est motus, minus quolibet dato est est in tempore. Motus autem in tempore minori quolibet dato, intra spatium Schriften und Sémtliche in abstracti, motus theoria zur Vorarbeiten conatus». GoTTERIED W. LEIBNIZ, Zweiter Band Briefe, Berlin, Akademie Verlag, 1966, Sechste Reihe (Philosophischer Schriften), the young Leibniz, «Studies (1663-1672), p. 171. Vedi Howarp R. BERNSTEIN, Conatus, Hobbes, and tra il conatus hobL'analogia 26. 25-37: pp. 1980, in History and Philosophy of Science», vol. 11, vedi Warkins, Hobbes's Watkins: da già suggerita stata era leibniziane ni speculazio le e besiano System of Ideas, cit., pp. 123-132.
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CAPITOLO QUARTO
IPARADOSSI DELLA MATERIA
1. CORPI SOLIDI, FLUIDI
E MINUTISSIMA
POLVERE
Nella prima giornata dei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scien-
ze, Galileo viene a esporre il tema della Scienzia nuova prima, che concerne la «resistenza de i corpi solidi all’essere spezzati».! Qui troviamo la trattazione più ampia e articolata che il Pisano ci ha lasciato riguardo alla sua concezione della materia? e a richiamare la nostra attenzione sono soprattutto i passi dedicati alla discussione dei paradossi dell’infinito.? Galileo affronta il tema della composizione del continuo incentrando l’argomentazione su di 47. 1 GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p.
2 Vedi in proposito BIeNER, Galileo’s First New Science: The Science of Matter, in part. pp. 266 e sgg. 3 Carla Rita Palmerino ha dedicato attenzione alla problematica del continuo e, in particolare, alla soluzione elaborata da Galileo del paradosso della rota aristotelis: vedi CARLA R. PaLparadossi MERINO, Una nuova scienza della materia per la Scienza Nova del moto. La discussione dei (a cura dell’infinito nella prima giornata dei Discorsi galileiani, in EciDIO Festa — Romano Gatto -319; e CarLa R. PALMEdi), Atomismo e continuo nel XVII secolo, Napoli, Vivarium, 2000, pp. 275
matter and RINO, Galileo’s and Gassendi’s solutions to the Rota Aristotelis paradox: a bridge between R. NEWMAN, Late Medieval motion theories, in CRIsToPHER LiùTHY — JoHN E. MURDOCH — WILLIAM
pp. 381-422. and Early Modern Corpuscolar Matter Theories, Leiden-Boston-KéIn, Brill, 2001,
del moto, cit., p. 290. 4 Vedi PaLMERINO, Una nuova scienza della materia per la Scienza Nova
ampiamente affrontato Il tema della composizione matematica e fisica del continuo è stato continuity, in NORMAN nel mondo antico e medievale. Vedi Jon E. MurDoCcH, Infinity and Medieval History of Later KRETZMANN — ANTHONY KENNY — JAN PinsoRrG (eds.), The Cambridge Guglielmo di Ockham 564-591. pp: 1982, Press, y e Universit
Philosophy, Cambridge, Cambridg reale ai punti matematici riprese la tesi aristotelica, negando fermamente qualsiasi esistenza et Expositio in Prooemium logicae artis libros in is Exposition OCKHAM, (vedi per es. GUILLELMI DE BonaventuSt. , New-York , Theologica et ca librum Porphyrii de praedicabilibus, in Opera Philosophi William Ockham, Apams, McCorp MariL:n sgg.; e 205 pp. II, ca, Philosophi rae, 1974-1988, Opera I, pp. 201 e sgg.). La posizione ockhaNotre Dame, Notre Dame University Press, 1987, 2 voll., nonché dai mertoniani Thomas Sassonia, di Alberto e Buridano Giovanni da condivisa è mista continuity, cit., pp. 573-575), and Infinity MurpocH, (vedi ry Bradwardine e William Heytesbu Chatton, Gerardo di OdoWalter Harclay, di mentre sostennero l’esistenza di indivisibili Enrico Ù
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CAPITOLO
QUARTO
un problema di carattere geometrico: la linea ed ogni continuum per essere divisibili in parti sempre divisibili devono di necessità comporsi di infiniti indivisibili «e l’essere le parti infinite si tira in conseguenza l’esser non quante, perché quanti infiniti fanno una estensione infinita». Ecco come si esprime Galileo: y
%
[U]na divisione e subdivisione che si possa proseguir perpetuamente, suppone che le parti siano infinite, perché altramente la subdivisione sarebbe terminabile; e l’esser le parti infinite si tira in consequenza l’esser non quante, perché quanti infiniti fanno un'estensione infinita; e così abbiamo il continuo composto d’infiniti
indivisibili.?
La «subdivisione» infinita cui si fa cenno nel passo citato è, naturalmente, una divisione matematica e Galileo suppone che le realtà spaziali che compongono le figure geometriche — per esempio la retta — debbano essere concepite come un continuum composto di parti matematicamente divisibili all'infinito. Queste parti sono non quante, cioè prive di estensione, e
infinite. Tuttavia, la trattazione galileiana presenta uno slittamento terminolo-
gico e concettuale, perché il Pisano giunge ad affrontare il tema della natura dei fluidi e passa dalla divisibilità concepita in termini squisitamente matematici — e, quindi, ipotetica — a una reale suddivisione presente nell’universo fisico.” L'argomentazione galileiana si sviluppa a partire da una suggestione di Salviati: questi ipotizza che, «compendo un solido in molte parti e seguitando di ridurlo in minutissima polvere, risoluto che si fusse ne gl’infiniti suoi atomi non più divisibili», esso sarebbe concepibile come un fluido. Incalzato dall’osservazione di Sagredo, il quale chiede se i fluidi siano tali perché «risoluti ne i primi infiniti indivisibili, suoi componenti», il portavo-
ce delle opinioni galileiane espone una teoria estremamente interessante. ne e Nicolas Bonet (ivi, pp. 575-576). Vedi anche In., Beyond Aristotle: indivisibles and infinite
divisibility in the later middle ages, in CRISTOPHE GRELLARD — AURÉLIEN RoBERT, Atomism in Late
Medieval Philosophy and Theology, Leiden-Boston, Brill, 2009, pp. 15-38. Sulla problematica del continuo e dei minima naturalia nel medioevo vedi il classico saggio: ANNALIESE MATER, Scienza e filosofia nel Medioevo. Saggi sui secoli XIII e XIV, Milano, Jaca Book, 1984, pp. 271 e sgg. 5 GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 80.
6 Ibid. 7 Il primo a dedicare attenzione a questo slittamento terminologico e concettuale è stato
Le Grand, vedi Homer E. LE GRAND, Galileo’s matter theory, in BuTTs — PrrTs (eds.), New Perspec-
tives on Galileo, cit., pp. 197-208. Vedi anche l'importante saggio di Baldini: Uco BaLpinI, La struttura della materia nel pensiero di Galileo, «De Homine», 56-58 (estratto), pp. 1-74: 66. 8 GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 85.
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I PARADOSSI
DELLA
MATERIA
In primo luogo, Galileo sostiene che, anche riducendo in «minutissima e impalpabile polvere» qualsiasi corpo duro, come la pietra o il metallo, i minimi in cui questo sarebbe ridotto, «ancor che per la lor piccolezza siano impercettibili a uno a uno dalla nostra vista e dal tatto, tuttavia son eglino ancor quanti, figurati e numerabili».? In altri termini, anche supponendo di frantumare
all'estremo, con l’ausilio di un martello o di un mortaio,
qualsiasi corpo duro, questo risulterebbe ancora composto di minimi quanti numerabili, cioè corpuscoli estesi, dotati di una determinata figura e, di con-
seguenza, in numero finito. Tuttavia, Galileo suppone che l’acqua ei fluidi abbiano una composizione diversa: Ma se noi tentiamo di vedere tali accidenti nell'acqua, nissuno ve ne trovere-
mo; ma, sollevata, immediatamente si spiana, se da vaso o altro esterno ritegno non sia sostenuta; incavata, subito scorre a riempire la cavità; ed agitata, per lunghissimo tempo va fluttuando, e per spazii grandissimi distendendo le sue onde. Da questo mi par di potere molto ragionevolemente arguire, i minimi dell’acqua, ne i quali ella pur sembra esser risoluta (poiché la minor consistenza di qualsivoglia sottilissima polvere, anzi non ha consistenza nissuna), esser differentissimi da i mi-
nimi quanti e divisibili; né saprei ritrovarci altra differenza, che l’esser indivisibili.!°
Galileo ritiene che ifluidi siano caratterizzati da una determinata composizione corpuscolare, per cui i loro minimi risultano di natura differente rispetto a quella dei corpi solidi. Tuttavia, il Pisano non suppone l’esistenza di due realtà materiali del tutto eterogenee tra loro.!! Al contrario, immagina — come vedremo — che anche i metalli, in seguito a un processo di liquefazione, siano scissi nei loro componenti ultimi, in virtù dell’azione del fuoco. Tuttavia, prima di sondare ulteriormente la posizione del Pisano, è opportuno rilevare che una suddivisione della materia in corpi solidi e fluidi, è presente in alcuni scritti di Hobbes. Nel Tractatus Opticus II, il lessico della sua argomentazione sembra riprendere, in parte, quello galileiano: 9 Ibid. 10 Ivi, pp. 85-86 (corsivi miei). cit., pp. 20-21. Sull’argo11 Vedi BaLpinI, La struttura della materia nel pensiero di Galileo, stica endemica di alcune filosocaratteri quale verso dell’uni ale struttur morfismo dell’iso mento scienza moderna, vedi CARLA fie del Seicento e sull'importanza del concetto nell’ambito della nth-century Natural PhilosoSeventee in Matter and R. PaLMERINO, The Isomorphism of Space, Time o-
pp.309 e sgg. Sul corpusc Galileo: phy, «Early Science and Medicine», 16, 2011, pp. 296-330, su particolare nell ambiente (in moderna scienza della ito larismo e sulla sua importanza nell’amb di metodo e prospettive Problemi Seicento. italiano), vedi Uco BaLDiINI, Il corpuscolarismo italiano del FRANCESCO TREVISANI, Ricerche — FARINA PaoLO ZANIERLO GIANCAR — di ricerca, in UGo BALDINI ottobre 1976), Firenze, La Nuova Italia, sull’atomismo del Seicento. Atti del Convegno di Studio (14-16 1977, pp. 1-76.
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CAPITOLO
QUARTO
Corporum in universum duo sunt genera; unum quorum partes inter se ita cohaerent ut non facile separentur, qualia sunt quae vocantur Dura, alia magis,
alia minus; alterum quorum partes ad omnem motum impressionem diffluunt et aliae ab aliis dirimuntur, quod vocant fluidum. Utrum vero sit corpus aliquod ita fluidum ut quaemadmodum cogitatione in semper divisibilia dividi, ita re ipsa in
semper separabilia separari possit, id hoc loco non est disputandum.!* Anche Hobbes sembra proporre qui una cesura tra corpi duri e fluidi. Tuttavia, sappiamo anche che la sua teoria della durezza prevedeva che essa fosse prodotta dal movimento delle parti interne dei corpi: più rapidi e vorticosi sono questi movimenti interni, più duri e resistenti alla pressione esterna risultano essere i corpi. Eppure, nel XXVI capitolo del De Corpore, Hobbes tornava sull'argomento della composizione dei fluidi e la trattazione del filosofo presenta un'eco sensibile della discussione delineata da Galileo nella prima giornata dei Discorsi: Un corpo fluido, dunque, è sempre divisibile in corpi ègualmente fluidi, come una quantità è sempre divisibile in quantità [...]. E molti, tuttavia, sembra che non
intendano alcuna differenza di fluidità, se non quella che nasce dalla differenza della grandezza delle parti, alla stessa maniera in cui, come sembra, la polvere di diamante può dirsi fluida. Ma io per fluidità intendo ciò che la natura fa tale ugualmente in ogni parte del corpo fluido, non come è fluida la polvere (così, infatti, una casa che cade a pezzi si chiamerebbe fluida), ma come sembra che fluisca
l’acqua in parti continuamente fluide.!*
Le analogie con i passi citati dei Discorsi e dimostrazioni sono evidenti, a cominciare dall’esempio della polvere che si trova in entrambi gli autori. Inoltre, anche Hobbes, proprio come Galileo, sembra insistere qui sull'idea che la natura dei corpi fluidi sia diversa rispetto a quella dei corpi duri o resistenti. !4 D'altro canto, però, dobbiamo sottolineare un'importante distinguo: Hobbes prende apertamente le distanze dall’atomismo in numerose opere, ma soprattutto in una lettera a Samuel Sorbière del febbraio 1657, nella quale egli ribadisce le differenze tra la sua concezione della materia e quella
di Epicuro.! In una missiva precedente, Sorbière si era mostrato insoddi-
12 HoB8£s, TO II, cap. I, $ 13, f. 200v, p. 154 (corsivi miei). 13 Ho88£s, De Corpore, XXVI, 4, OL, I, p. 347; tr. it. p. 407. 14 Alcune analogie tra la trattazione dei fluidi in Galileo e Hobbes sono state rilevate da
Thomas Holden. Vedi THomas HoLpEn, The Architecture of Matter. Galileo to Kant, Oxford, Ox-
ford University Press, 2004, p. 18. 15 Sull'argomento vedi soprattutto Grupice, Thomas Hobbes and atomism: a reappraisal , cit.
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172—
I PARADOSSI
DELLA
MATERIA
sfatto delle ragioni addotte da Hobbes, nel secondo paragrafo del XXVI capitolo del De Corpore, per ricusare l’esistenza del vuoto e chiedeva all'amico ulteriori delucidazioni in riferimento alla sua concezione della materia.!° Il filosofo rispondeva di non ritenere affatto assurda la teoria di Epicuro ma, semplicemente, che quest’ultimo chiamava vuoto «ciò che Cartesio chiama materia sottile e io sostanza eterea purissima, della quale nessuna parte è un atomo e può essere divisa (che è detto di ogni quantità) in parti sempre divisibili».!” Inoltre, riprendendo quanto sostenuto nel terzo paragrafo del XXVI capitolo del De Corpore,!8 egli veniva a esplicitare chiaramente la natura di questo fluido e le caratteristiche morfologiche e strutturali che distinguono nettamente la sua composizione micro-particellare da quella dei corpi duri. Dopo aver elencato i differenti problemi nei quali si incorre affrontando il problema del vuoto e dell’atomismo, Hobbes precisa ulteriormente quale sia la natura e la composizione interna dei fluidi: Haec omnia difficilia [explicatu] sunt. Sed necesse est in tales difficultates incidere eos qui subtilitatem corporum aestimant [ex ea?] Atomorum, tanquam Aqua, aér, et caetera fluida essent vt frumentum
[molitum], magis [minùsque
altered to minùsue] subtilia prout in crassiores minutioresque particulas contusa et conjecta fuerant. Ego vero non modo aérem purum, sed aquam puram, etiam Hydrargy"” [purum] in parte diuisibilia esse sentio semper diuisibiles, et propter mollitiem alterum ab altero penetrari posse.!°
I fluidi sono, dunque, per loro stessa natura, omogenei e del tutto differenti rispetto ai corpi non-fluidi. Così del frumento macinato non può essere ridotto a un corpo fluido, sebbene esso sia frantumato nelle sue parti più piccole e quasi impercettibili al senso. Al contrario, le particelle dell’aria La questione della composizione corpuscolare del fluido e il tema dell’atomismo saranno trattati più ampiamente nel prossimo paragrafo.
CH, I, 16 Vedi Samuel Sorbière to Hobbes, from Paris, [23 January/] 2 February 1657,
pp. 433-435.
I, p. 443. 17 Hobbes to Samuel Sorbière, from London, 6 [/16 February] 1657, CH,
la ma18 Qui Hobbes aveva affermato che «non appare una causa maggiore per la quale
con spazi vuoti piuttosto teria del mondo debba essere, per ammettere il moto, intermescolata
aggiungeva che i che con spazi pieni: dico pieni ma fluidi». Inoltre, sulla natura del fluido, egli immaginano che esso è costituito sostenitori del vuoto «mentre indagano la natura del fluido,
la farina fluida dal frumento come di granelli di materia dura, alla stessa maniera in cui si ha omoge-
ugualmente macinato: tuttavia è possibile concepire che il fluido, tale per sua natura 3, OL, I, p. 340; XXVI, Corpore, De HosBEs, vuoto». stesso dello o neo, come è quella dell'atomo tr. it. pp. 400-401, leggermente modificata.
1657, CH, I, p. 443 (corsivi 19 Hobbes to Samuel Sorbière, from London, 6 [/16 February] miei).
n 173:=
CAPITOLO
QUARTO
pura, dell’acqua o del mercurio sono, per loro stessa definizione di fluidi, divisibili in parti sempre divisibili. Come nel De Corpore, anche qui Hobbes sembra richiamare le osservazioni di Galileo sulla composizione interna dei fluidi, che li voleva sempre infinitamente divisibili. Tuttavia, Hobbes è ben lungi dal considerare l’e-
sistenza di componenti ultimi della materia è, ancor meno, egli giunge a definirli indivisibili, come aveva fatto, invece, il Pisano.
Hobbes riprende e sviluppa il tema del fluido nel Dialogus physicus de natura aeris,”° dove egli viene a contrapporre la propria concezione della materia a quella di alcuni esponenti della Royal Society. Ulteriori riferimenti alla questione sono presenti anche in altre opere successive,?! ma è soprattutto qui che Hobbes insiste sulla particolare composizione dei fluidi. Egli dichiara ancora di non poter sottoscrivere in alcun modo la divisione tra corpi fluidi e non-fluidi sulla scorta delle dimensioni delle particelle interne che compongono questi corpi, istituita dai suoi avversari. Il filosofo riprende l’immagine della polvere e sostiene che, in base alla distinzione proposta dai suoi critici, avrebbe dovuto ritenere fluide le macerie della «Chiesa di S. Paolo».? Egli incalzava, inoltre, i suoi interlocutori, i quali sostenevano
che l’aria dovesse essere composta di parti non-fluide: Ma tu, che non accogli la divisibilità all'infinito, dimmi qual è secondo te il motivo per cui io debba ritenere cosa più difficile per l’onnipotenza divina il creare un corpo fluido più piccolo di un qualsiasi atomo dato, e tale che le sue parti possano concretamente scorrere via, piuttosto che un oceano. Mi induci a dispe-
rare dell'utilità stessa della vostra riunione, quando dici che costoro ritengono che l’aria, l’acqua e gli altri corpi fluidi possono essere formati da non-fluidi;
sarebbe come se dicessero che un muro, le cui pietre in rovina cadono attorno,
è un fluido.?3
Supponendo che i fluidi siano composti da particelle non fluide, si deve necessariamente concludere, per converso, che le macerie della cattedrale di S. Paolo, così come qualsiasi altro corpo solido sminuzzato, siano dei fluidi.
20 Sul tema del fluido nel Dialogus physicus vedi soprattutto SHAPIN — SCHAFFER, Il Leviatano e la pompa ad aria, cit., pp. 143 e sgg. 21 Vedi, per es. HoBBEs, Decameron physiologicum, EW, VII, pp. 108-109 e 138-139. 22 «Io, però, non accolgo la distinzione tra corpi fluidi e non-fluidi, che voi stabilite a par-
tire dalla grandezza delle parti; se l'avessi accolta, avrei dovuto chiamare fluide quelle macerie
e quei ruderi caduti nella chiesa di S. Paolo». HoBBEs, Dialogus physicus de natura aeris, OL, IV,
pp. 244-245; tr. it. pp. 442-443. 23 Ibid.
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174—
I PARADOSSI
DELLA
MATERIA
Abbiamo sottolineato le profonde analogie con quanto sostenuto da Galileo nei Discorsi. Tuttavia, per comprendere la concezione hobbesiana della materia, è opportuno analizzare più dettagliatamente la trattazione che dedica all'argomento Galileo Galilei.
2. RISOLUZIONE
MASSIMA,
INDIVISIBILI
E ATOMI
Il problema della struttura della materia è uno dei temi cruciali del pensiero galileiano ed è stato ampiamente e diversamente affrontato dalla storiografia filosofica.?4 Le analisi più recenti hanno evidenziato che questo tema non sia interesse esclusivo del Galileo maturo, ma che i primi indi-
zi di un'attenzione nei confronti dell'argomento risalgano addirittura al periodo padovano.” Interessanti osservazioni sulla concezione galileiana 24 Già Lasswitz aveva richiamato l’attenzione sull’atomismo di Galileo, vedi LAsswiTz,
Geschichte der Atomistik von Mittelalter bis Newton, cit., pp. 37 e sgg. Ulteriori interventi signi-
ficativi sull'argomento sono: SHEA, Galileo’s Atomic Hypothesis, cit.; Le GRAND, Galileo’s matter
theory, cit. Importante è lo studio di Baldini (BarpinI, La struttura della materia nel pensiero di Galileo, cit.), il quale sviluppa ampiamente la problematica, confrontando il Discorso intorno
il alle cose che stanno in su l’acqua (1612) con i Discorsi e dimostrazioni (1638). Baldini sostiene che
‘corpuscolarismo’ di Galileo stia a fondamento della distinzione tra qualità primarie e secondarie (ivi, pp. 16-17), ma ritiene, nondimeno che la posizione galileiana si discosti nettamente dagli epigoni moderni dell’atomismo come Gassendi. Pietro Redondi ha considerato tre fasi della personale concezione galileiana della materia: un primo momento legato a un’interpretazione dall’atodi alcune teorie aristoteliche insegnate al Collegio Romano; una fase caratterizzata e, infine, un Saggiatore Il de pubblicazione la con 1623, nel colloca si acme cui il fisico, mismo
concezione terzo periodo, dopo il 1634, nel quale l’atomismo di Galilei è caratterizzato da una
REDONDI, Atomi, matematico-geometrica del continuo, che culmina nei Discorsi. Vedi PretRo
(la questione indivisibili e dogma, «Quaderni storici», a. XX, n. 59, f. 2 (agosto 1985), pp. 529-571 eretico, cit., in part. dell’atomismo è al centro anche del noto saggio di Redondi, vedi In., Galileo a quella pp. 16-31 ed egli ritiene che il ‘passaggio’ da un’interpretazione fisica dell’atomismo Nonnoi ‘teologico’). carattere di anche ragioni da determinato geometrica dei Discorsi sia stato la problematica ha sostenuto che nella prima giornata dei Discorsi Galileo non abbia sviluppato di minima e quello in maniera definitiva e compiuta e ha insistito sulla differenza tra il concetto
in EGIDIO Festa — ROMANO di atomi (vedi GrancaRLO NONNOI, Galileo Galilei, Quale atomismo?, pp. 275-319). Vedi, inoltre BIENER, cit., secolo, XVII nel continuo e Atomismo di), cura (a Gatto a
di Gomez sviluppate Galileo’s First New Science: The Science of Matter, cit. e le osservazioni GOmez Lopez, Galileo y partire dal tema della luce, sul quale avremo modo di tornare: SUSANA cit., pp. 403-418; In., The la naturaleza de la luz, in MONTESINOS — Souis, Largo campo di filosofare, V, 2008, pp. 207-244. mechanization of light in Galilean science, «Galilaeana»,
Galileo, cit., pp. 36-37. Come 25 Vedi GaLLuzzi, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di , vedi REDONDI, AtoRedondi di ioni ha osservato Galluzzi (riprendendo anche alcune osservaz il tema della materia enti concern i galileian passi alcuni 537-539) pp. cit., mi, indivisibili e dogma, te da Paolo Sarpi abbozza ioni osservaz le con e e dell’atomismo presentano profonde analogi intorno agli anni ‘80 del e, bilment presumi , compose servita il che pensieri, suoi in alcuni dei modo di tornare nel prosieguo. Cinquecento (ivi, p. 70 e nota). Sull'argomento avremo
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Wo —
CAPITOLO
QUARTO
della materia emergono, inoltre, dal Discorso intorno alle cose che stanno in su
l’acqua e che in quella si muovono (1612),°° ma ancor più dal Discorso delle comete (1619) e da Il Saggiatore (1623). Già nel trattato dedicato ai natanti, Galileo aveva sostenuto una posizione timidamente atomista (ricevendo, per questo,
numerose accuse, in particolare dall’aristotelico Vincenzo di Grazia). Qui, riguardo alla natura dei metalli, Galileo sosteneva che,aseguito del processo di fusione, essi appaiono divisi nelle «ultime particelle». Egli ritiene che se «adoprando sottilissimi ed acutissimi strumenti, quali sono le più tenui parti del fuoco», ‘solveremo’ il metallo «forse nell’ultime sue particelle, non resterà in loro più non solo la resistenza alla divisione, ma neanco il poter più essere divise, e, massime da strumenti più grossi de gli aculei del fuoco».?8 Nella stessa opera, Galileo rifletteva sulla differenza tra la natura dei corpi solidi e quella dei fluidi, ma sembrava sostenere qui una posizione diversa rispetto a quella che propugnerà parecchi anni più tardi, nei Discorsi. Nel testo del 1612, infatti, l’acqua e gli altri fluidi erano considerati compo-
sti di parti contigue, piuttosto che continue: Due maniere, pertanto, di penetrare ci si rappresentano: una ne i corpi le cui
parti fosser continue, e qui par necessaria la divisione; l’altra ne gli aggregati di parti non continue, ma contigue solamente e qui non fa bisogno di dividere. Ora, io non son ben resoluto se l’acqua e gli altri fluidi si devono stimar di parti continue o contigue solamente. Sento ben inclinarmi al crederle più presto contigue.?°
Leggendo il passo citato si ha l'impressione che Galilei fosse consapevole di non essere giunto a una soluzione definitiva riguardo alla natura microscopica dei corpi fluidi," ma un'evoluzione importante si riscontra 26 Sul quale ha concentrato l’attenzione soprattutto Baldini, vedi BaLpinI, La struttura della materia nel pensiero di Galileo, cit., pp. 6 e sgg. L'autore sostiene anche che il Discorso sia il primo testo nel quale Galileo critica non solo singoli aspetti della fisica aristotelica, ma contesta i fondamenti stessi della filosofia naturale dello Stagirita (ivi, p.9). 27. Vedi PaLMERINO, Una nuova scienza della materia per la Scienza Nova del moto, cit., pp. 292 e sgg. 28 GALILEI, Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua e che in quella si muovono, OG,
IV, p. 106.
29 Ivi, pp. 105-106. Su questo argomento del Discorso e sull'evoluzione del terna presente nelle opere successive di Galileo, vedi CLAvELIN, La philosophie naturelle de Galilée, cit., pp. 441 e sgg. Vedi anche SHEA, Galileo’s Atomic Hypothesis, cit., pp. 13-14, ma soprattutto BaLpInI, La struttura della materia nel pensiero di Galileo, cit., p. 11 e 17. 30 Galluzzi ritiene che questo brano rappresenti un ulteriore passo compiuto dallo scien-
ziato verso l’elaborazione di una concezione ‘binaria’ dell’atomismo, che contempla contem-
poraneamente due livelli (equivalenti, simmetrici e intercambiabili): fisico e matematico. Vedi GALLUZZI, Tra atomi e indivisibili, cit., p. 6.
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I PARADOSSI
DELLA
MATERIA
nella famosa opera del 1623: Il Saggiatore. Qui, venendo a trattare della distinzione tra le differenti qualità, Galileo si esprime in questi termini: E tornando al primo mio proposito in questo luogo, avendo già veduto come molte affezzioni, che sono reputate qualità risedenti ne’ soggetti esterni, non ànno veramente altra essistenza che in noi, e fuor di noi non sono altro che nomi,
dico che inclino assai a credere che il calore sia di questo genere, e che quelle materie che in noi producono e fanno sentire il caldo, le quali noi chiamiamo con nome generale fuoco, siano una moltitudine di corpicelli minimi, in tal e tal modo figurati, mossi con tanta e tanta velocità; li quali, incontrando il nostro corpo, lo penetrino con la lor somma sottilità, e il lor toccamento, fatto nel lor passaggio
per la nostra sostanza e sentito da noi, sia l’affezione che noi chiamiamo caldo.3!
Il Saggiatore è ricco di riferimenti ai corpuscoli o particelle minime, i quali possiedono una determinata grandezza e figura e i cui movimenti, tardi o veloci, sono causa delle nostre sensazioni.5? Tuttavia, Galileo ammette
un'eccezione che concerne il fenomeno della luce: egli allude alla differente struttura microscopica di questa e, anche alla sua particolare costituzione ontologica, rispetto al suono e al calore.# Sebbene affermasse che il suo argomento risultava troppo incerto per esprimerlo in un testo a stampa, tuttavia, venendo meno alle reticenze cautelative, il Pisano affermava: [...] mentre l’assotigliamento e attrizione resta e si contiene entro i minimi quanti, il moto loro è temporaneo, e la lor operazione calorifica solamente; che poi arrivando all’ultima ed altissima risoluzione in atomi realmente indivisibili, si crea la
luce, di moto 0 vogliamo dire espansione e diffusione istantanea, e potente per la sua,
non so s'io debba dire sottilità, rarità, immaterialità, o pure altra condizione diversa
da tutte queste ed innominata, potente, dico, ad ingombrare spazii immensi.54
31 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p. 350. 32 Quest'idea era già stata avanzata da Galileo alcuni anni prima, come testimoniano gli scambi epistolari dello scienziato: già in una missiva del 1619 egli fa riferimento a figura, dimensione e moto come caratteristiche proprie dei minimi che costituiscono i corpi e che sono i componenti fondamentali della fenomenologia della sensazione che Galilei elaborerà ne Il Saggiatore. In una lettera a Galileo dell’8 agosto 1619, Giovan Battista Baliani esprimeva i suoi dubbi circa la teoria della materia che il Pisano aveva esposto attraverso la penna del suo allievo caratteristiche Guiducci nel Discorso delle comete. In calce, Galileo aveva annotato che le uniche
reali attribuibili ai corpi fossero identificabili in figura, grandeza e moto. Vedi Gio. Battista Baliani 4 Galileo, Genova, 8 agosto 1619, OG, XII, p. 475. Vedi inoltre GaLLUZZI, Tra atomi e indivisibili, cit., pp. 68 e Sgg. credo che 33 «E come ai quattro sensi considerati ànno relazione i quattro elementi, così
proporzioper la vista, senso sopra tutti eminentissimo, abbia relazione la luce, ma con quella ‘1 quanto e tra , l’istantaneo e o temporane ‘l tra ne d'eccellenza qual è tra ’] finito e l’infinito, 350. l’indivisibile, tra la luce e le tenebre». GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p.
34 Ivi, p. 352.
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QUARTO
Galileo suppone che la luce — a differenza del suono e del calore — sia una sostanza, una realtà che popola l'universo fisico.’ Essa presenta, però, caratteristiche peculiari che la distinguono dagli altri corpi: è risoluta nei suoi ultimi costituenti, cioè in «atomi realmente indivisibili» e, per la sua «sottilità», «rarità» o, addirittura «immaterialità», è dotata di un movimento istantaneo,
che gli permette di «ingombrare spazii immensi. s La luce può essere così concepita come un corpo estremamente fluido, che è composto da infinite particelle indivisibili prive di estensione. Ne Il Saggiatore, la luce rappresenta, quindi, la realtà fisica che esprime al meglio le caratteristiche della costituzione del continuo, così come verrà presentato
da Galilei nei Discorsi e dimostrazioni.8° Negli anni successivi lo scienziato pisano verrà rielaborando e articolando questa concezione, come si può evincere dall’epistolario. In particolare emerge l’idea che la luce sia una sostanza estremamente rarefatta e rappresenti, per così dire, l'archetipo della rarefazione massima, essendo composta di infiniti indivisibili e producendo, condensandosi, tutti gli altri corpi che popolano il mondo fisico.?7 Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, trattando il fenomeno del magnetismo, Galileo inserisce alcune brevi considerazioni che sembrano preludere all’ampia trattazione della materia che svilupperà, più tardi, nei Discorsi.
Egli suppone, infatti, che il contatto tra due superfici ferrose possa stabilirsi tra gli «infiniti punti di ambedue le superficie». In altri testi dello stesso periodo Galileo riflette sulla composizione del continuo e afferma che «il dire che il continuo costa di parti sempre divisibili, col dire che il continuo costa d’indivisibili siano una medesima cosa». Egli ritiene che il continuo sia infinitamente divisibile proprio e solo perché è composto di indivisibili.‘° Le considerazioni galileiane giungono a una svolta, o a compimento, nell'ultima grande opera della maturità: i Discorsi, dove lo scienziato pre35 Baldini (BALDINI, La struttura della materia nel pensiero di Galileo, cit.) ha sottolineato che
in una lettera a Fortunio Liceti, del 25 agosto 1640, Galileo contestava apertamente la posizione che gli aveva attribuito il filosofo peripatetico La Galla, il quale lo accusava di ritenere la
luce una sostanza materiale e corporea (vedi Galileo a Fortunio Liceti, 25 agosto 1640, OG, XVIII,
pp. 233-234). Tuttavia, egli la considerava composta di corpuscoli infinitesimi, per cui poteva definirla qualcosa che può essere ‘contemporaneamente’ corporea e incorporea.
36 Dobbiamo osservare, tuttavia, che nei Discorsi del 1638, Galileo sosterrà che la luce non ha velocità istantanea, ma si muove nel tempo. Vedi GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, pp. 88-89.
37 Vedi GaLLuzzi, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galileo, cit., pp. 76-78. 38 «[I]l toccamento (dei materiali ferrosi) si fa di innumerabili minime particelle, se non forse
degli infiniti punti di ambedue le superficie». GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi, OG, VII, pp. 435-436. Vedi GaLLuzzi, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galileo, cit., pp. 82-84. 39 GALILEI, Postille alle esercitazioni filosofiche di Antonio Rocco, OG, VII, p. 745 (corsivi miei). 40 Ibid. Vedi GaLLuzzi, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galileo, cit., p. 87.
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senta la teoria che abbiamo incontrato precedentemente, la quale contempla, quasi senza soluzione di continuità, il passaggio dalla dimensione geometrica a quella fisica del continuo. La trattazione geometrica si sviluppa a partire dalla soluzione che Galileo propone in riferimento al paradosso matematico noto come rota aristotelis.'! Prendendo due cerchi concentrici di dimensioni diverse (figura b) e immaginando di far ruotare il maggiore sulla propria tangente, questo trascinerà necessariamente con sé il minore e i due percorreranno la stessa
distanza. Il problema che insorge concerne la difficoltà di spiegare come il cerchio minore possa descrivere un percorso identico a quello disegnato dal cerchio maggiore, compiendo una sola rivoluzione e rimanendo sempre in contatto con la tangente.* La stravagante soluzione proposta da Galileo è fondata sull’idea che il cerchio sia un poligono di lati infiniti‘ e che i due segmenti descritti dai cerchi concentrici (figura b) siano solo apparentemente uguali, ma che siano, di fatto, diversi, in virtù della presenza di un numero assai più elevato
di vacui non quanti all’interno del segmento disegnato dal cerchio circoscritto.4* Come abbiamo osservato, l'argomento di Galileo muove appunto dall’idea che i cerchi possano essere considerati come poligoni di lati infiniti (figura a), per cui:
41 Vedi PaLMERINO, Una nuova scienza della materia per la scienza nova del moto, cit., pp. 281 e sgg. In generale, sulla storia del paradosso della ruota di Aristotele, il quale ha origine da un problema trattato nelle pseudo-aristoteliche Questioni meccaniche, vedi IsraEL E. DRABKIN, Aristotle’s Wheel: Notes on the History of a Paradox, «Osiris», 9, 1950, pp. 161-198 e PIERRE COSTABEL, La roue d’Aristote et les critiques francaises à l’argument de Galilée, «Revue d’histoire des sciences», 17, 1964, pp. 385-396.
42 Sulla trattazione della rota aristotelis nei Discorsi e l’importanza del problema geometri-
Il meccaco in riferimento alla concezione del continuo elaborata da Galilei vedi DjgsTERHUIS,
nicismo e l’immagine del mondo, cit., pp. 564-565. 43 «[...] gl'infiniti lati indivisibili del maggior cerchio con gl’infiniti indivisibili ritiramenti cerloro, fatti nell’infinite istantanee dimore de gl’infiniti termini de gl'’infiniti lati del minor e compongono cerchio, esso minor di lati gl’infiniti a eguali chio, e con i loro infiniti progressi,
disegnano una linea eguale alla descritta dal minor cerchio, contentente in sé infinite sovrappo-di penetrazione sizioni non quante, che fanno una costipazione e condensazione senza veruna
è il perimetro parti quante, quale non si può intendere nella linea divisa in parti quante, quale lunghezza se minor in ridurre può si non retta, linea in disteso quale, il poligono, di qualsivoglia dimostrazioni e Discorsi GALILEI, l’altro». l’un penetrino e non col far che i lati si sovrapponghino matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, pp. 95-96.
per la Scienza 44 Come ha notato Palmerino (PaLmeRINO, Una nuova scienza della materia Galilée, rifiuta de es Mechaniqu alle e prefazion nella Mersenne 286-287), pp. Nova del moto, cit., ione e condensaz della iente sull’esped fondata la soluzione del problema della rota aristotelis 433. p. cit., Galilée, de es Méchaniqu Les , MERSENNE Vedi e. rarefazion
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Figure a e b
[S]ì come nei poligoni di cento mila lati alla linea passata e misurata dal perimetro del maggiore (si parla di poligoni iscritti l’uno nell’altro), cioè da cento mila i suoi lati continuamente distesi, è eguale la misurata da i cento mila lati del minore, ma con l’interposizione di cento mila spazii vacui traposti; così direi, ne i
cerchi (che son poligoni di lati infiniti) la linea passata da gl’infiniti lati del cerchio grande, continuamente disposti, esser pareggiata in lunghezza dalla linea passata da gl'infiniti lati del minore, ma da questi con l’interposizion d’altrettanti vacui tra essi; e sì come i lati non son quanti, ma infiniti: quelli, cioè, infiniti punti tutti
pieni; e questi, infiniti punti parte pieni e parte vacui.
Il Pisano sostiene che «risolvendo e dividendo una linea in parti quante e per conseguenza numerate», queste non possono essere disposte in un'estensione maggiore rispetto a quella che occupavano quando «stavano continuate e congiunte senza l’interposizione d’altrattanti spazii vacui».
Tuttavia, se si immagina la retta «risoluta in parti non quante, cioè ne’ suoi infiniti indivisibili», essa può essere «distratta», cioè dilatata, senza l’inter-
posizione di vacui quanti, ma solamente «d’infiniti indivisibili vacui». Egli estende il ragionamento che aveva applicato alle «semplici linee» anche alle superfici, ma soprattutto ai solidi, «considerandogli composti di infiniti ato4
GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 71.
sv
p9721
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mi non quanti». Infatti — prosegue il Pisano - se i solidi vengono divisi in parti quante, «non è dubbio che non potremo disporle in spazii più ampli del primo occupato dal solido, se non con l’interposizione di spazii quanti vacui». Tuttavia: [...] se intenderemo l’altissima ed ultima resoluzione fatta ne i primi componenti
non quanti ed infiniti, potremo concepire tali componenti distratti in spazio immenso senza l’interposizione di spazii quanti vacui, ma solamente di vacui infiniti
non quanti. Galileo non confina, però, la sua teoria entro il dominio della geometria,
ma la estende anche alla fisica. Essa permette, infatti, di spiegare i fenomeni di rarefazione e condensazione: Questa costipazione di parti non quante ma infinite, senza penetrazioni di parti quante, e la prima distrazzion di sopra dichiarata de gl’infiniti indivisibili con l’interposizione di vacui indivisibili, credo che sia il più che dir si possa perla condensazione e la rareffazione de i corpi, senza necessità d’introdurre la penetrazione de i
corpi e gli spazii quanti vacui.‘ Di conseguenza, anche un «globetto d’oro» non «repugna distrarsi in uno spazio grandissimo», senza ammettere spazi vuoti dotati di estensione.
L'unico vuoto ammesso dal Pisano è, per così dire, una forma particolare di vacuum interspersum, che contempla l’esistenza di indivisibili vacui frammisti agli indivisibili materiali, cioè agli atomi. Galileo estende inoltre il ragionamento all’analisi dei fluidi e si sofferma a considerare la struttura atomica dell’acqua. Egli suppone che i minimi di quest'ultima abbiano, infatti, una conformazione diversa rispetto a quelli di tutti gli altri minimi: essi sono, atomi indivisibili. Tuttavia, la teoria galileiana del continuo non si applica solamente all'acqua: è interessante osservare ciò che scrive lo scienziato e filosofo italiano nel prosieguo, dove egli allude alla liquefazione dei metalli mediante fusione, attraverso l’azione dello specchio ustorio (cioè di una di quelle superfici paraboliche riflettenti, di cui si era occupato il suo allievo 47 Ibid. =
48. Ibid. (corsivi miei).
a 49 Ivi, p. 96. Come ha sottolineato Galluzzi, nella prima giornata dei Discorsi giunge i e considerar di motu, De pisano del anni dagli sin Galileo da compimento il processo intrapreso ente equivapiani dell’interpretazione matematica e fisica del mondo naturale come perfettam lenti e sovrapponibili. Vedi GALLUZZI, Tra atomi e indivisibili, cit., p. 84.
50 Ivi, p. 86.
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int
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QUARTO
Bonaventura Cavalieri)."! Questi metalli, in seguito all’azione dei raggi solari, si fondono, e, diventando fluidi, risultano risoluti «nei lor primi altissimi componenti, infiniti, indivisibili»?
3. UN FLUIDO SOTTILE
x
La concezione della materia di Galileo non mancò di destare perplessità, anche all’interno della cerchia dei suoi più stretti e fedeli collaboratori, come lo stesso Cavalieri.'* Oltralpe, in una lettera a Mersenne dell’autun-
no del 1638, nella quale esaminava dettagliatamente i Discorsi, Descartes sollevava alcune difficoltà legate sia alla teoria galileiana della materia, sia alla soluzione del problema della rota aristotelis. Cartesio affermava che la proposta di Galileo di ritenere i corpi solidi, divenuti fluidi a seguito della fusione, divisi in un numero
infinito di indivisibili, non era altro che
«un'immaginazione facile da confutare e di cui non dà. alcuna prova».?* Una
51 Vedi BonavENTURA CAVALIERI, Lo specchio ustorio, overo Trattato delle Settioni Coniche, et alcvni loro mirabili effetti, Bologna, Clemente Ferroni, 1632. 52 GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 86
(corsivi miei). 53 In una lettera del 2 ottobre 1634, Cavalieri scrive a Galileo che la sua posizione non lo costringe a ritenere il continuo composto d’indivisibili (OG, XVI, pp. 136-138: 138). Suc-
cessivamente, si sviluppò un confronto tra i due intellettuali sul tema della composizione del continuo e degli indivisibili. Vedi BoNAVENTURA CAVALIERI, Geometria degli Indivisibili, a
cura di Lucio Lombardo Radice, Torino, Utet, 1989 (ed. or. 1966), pp. 725-769. Sul confronto tra i due e i contributi di Cavalieri allo sviluppo della teoria galileiana, vedi ENRICO Giusti, Bonaventura Cavalieri and the Theory of Indivisibles, Bologna, Edizioni Cremonese, 1980, pp. 40 e sgg.; GALLUZZI, Tra atomi e indivisibili, cit., pp. 109-111. VINCENT JuLLIEN, Indivisibles in the Work of Galileo, in In. (ed.), Seventeenth-Century Indivisibles Revisited, Heidelberg-New
York-Dordrecht-London, Springer, 2015, pp. 87-103. Vedi anche PaLMERINO, The Geometrization of Motion, cit., pp. 428-432. Vedi anche Léon BrunscHvicG, Les étapes de la philosophie mathématique, Paris, Blanchard, 1993 (ed. or. 1912), pp. 162-167; GIOVANNA BARONCELLI, Bo-
naventura Cavalieri tra matematica e fisica, in BUCCIANTINI — TORRINI (a cura di), Geometria e
atomismo nella scuola galileiana, cit., pp. 67-101. Vedi anche EcIpIO Festa, Quelques aspects de la controverse sur les indivisibles, in BUCCIANTINI — TORRINI (a cura di), Geometria e atomismo
nella scuola galileiana (Atti del convegno), cit., pp. 193-206; PATRICIA RADELET-DE GRAVE, Kepler, Cavalieri, Guldin. Polemics with the Departed, in JuLLIEN (ed.), Seventeenth-Century Indivisibles
Revisited, cit., pp. 57-86.
54 Descartes a Mersenne, 11 ottobre 1638, AT, II, p. 383; tr. it. p. 883. Venendo a esaminare
i Discorsi e dimostrazioni, Cartesio, benché ritenesse encomiabile il progetto galileiano di «esaminare le questioni della fisica con ragioni matematiche» e si dichiarasse in totale accordo con
il Pisano su questo argomento (ivi, AT, p. 380; tr. it. Tutte le lettere, cit., p. 879); nondimeno,
avanzava ampie e dettagliate critiche nei confronti dell’opera galileiana. Vedi SHEA, Descartes as critic of Galileo, in Burrs — Prrr, New Perspectives on Galileo, cit., pp. 139-159, in particolare, sul problema del continuo e degli indivisibili: pp. 152 e sgg.
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critica analoga è rivolta alla dimensione matematica della trattazione galileiana: l'opinione secondo la quale la retta disegnata dal cerchio sia composta da infiniti punti «in atto» è definita anch’essa «pura immaginazione». Tuttavia, le riserve critiche del Francese si appuntavano-anche su ciò che Descartes chiama la ‘colla’, che Galilei ‘combinerebbe’ «con il vuoto per ‘spiegare’ il legame delle parti e dei corpi» e questa colla sarebbe attribuibile — secondo il Francese — «ad altri piccoli spazi vuoti che non sono per nulla immaginabili».°° La critica di Cartesio è molto interessante, perché fa riferimento alla spiegazione che Galileo fornisce della coesione dei corpi solidi, la quale sarebbe imputabile -- secondo il Pisano — alla presenza di minimi vacui all’interno della struttura microscopica dei corpi solidi. Ora, proprio la penetrazione di questi minimi vacui da parte delle «sottilissime particole del fuoco» è ciò che permette ai metalli di liquefarsi durante il processo di fusione, perché le particelle del fuoco li liberano «dalla violenza con la quale i medesimi vacui l’una contro l’altra attraggono, proibendogli la separazione».?7 Descartes individuava, invece, una differente ragione della coesione dei
corpi solidi, la quale fa riferimento a legami corpuscolari di altra natura: si tratta di una sorta di struttura ramificata che Descartes considerava propria delle particelle che compongono i corpi.’ La posizione hobbesiana intorno al tema della composizione dei corpi coesione diverge sia da quella galileiana che da quella cartesiana, ma della e 55 Ivi, AT, p. 384; tr. it. p. 883.
56 Ivi, AT, p. 382; tr. it. p. 883. 57 «[LJe sottilissime particole del fuoco, penetrando per gli angusti pori del metallo (tra i
quali, per la lor ristrettezza, non potessero passare i minimi dell’aria né di molti altri fluidi), col
riempiere i minimi vacui tra esse fraposti liberassero le minime particole di quello dalla violenza con la quale i medesimi vacui l’una contro l’altra attraggono, proibendogli la separazione;
che e così, potendosi liberamente muovere, la lor massa ne divenisse fluida, e tale restasse sin
gl’ignicoli tra esse dimorassero; partendosi poi quelli e lasciando i pristini vacui, tornasse la lor solita attrazione, ed in conseguenza l'attaccamento delle parti». GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, OG, VIII, p. 67.
58 Descartes illustra la sua concezione della struttura microscopica di solidi, distinguendola da quella dell’acqua, nel primo discorso de Le Meteore, contenute nei suoi Essais: «suppongo che le particelle che compongono l’acqua siano lunghe, levigate e viscide come piccole anguille mai in che, per quanto si congiunano e intreccino insieme non s'annodano, né s'attaccano
che modo tale che non sia poi possibile staccarle facilmente l’una dall'altra. Suppongo invece corpi altri degli parte maggior la e l’aria perfino e terra la quasi tutte le particelle componenti non s intreccino, abbiano forme molto irregolari e ineguali, in modo che, per quanto poco che arboscelli degli rami diversi ai accade come all'altra l'una legarsi e possano non attaccarsi scientifiche, Opere it. tr. 233; p. VI, AT, Météores, crescono insieme in una siepe». DescARTES, Les Descartes” System of II, pp. 362-363. Sulla struttura della materia in Descartes vedi GauKROGER, Natural Philosophy, cit., pp. 130-134.
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è opportuno considerare la prima formulazione della teoria che proponeva Hobbes in una lettera a Mersenne relativa alla sua polemica con Descartes. Il pensatore inglese sostiene che la causa della durezza dei corpi risieda nel movimento o, per usare le parole dello stesso Hobbes, nella «veemenza del moto degli spiriti».°° Egli ritiene, inoltre, che la sua opinione non sia «certo di minor valore di quella del Signor Descartes,.il quale suppone nei suoi atomi delle specie di nodi e intrecci per mezzo dei quali le parti dei corpi duri dovrebbero stare insieme».°° Hobbes suppone, infatti, l’esistenza di uno spirito interno ai corpi, definito anche «spirito fluido e sottile», che egli considera affine alla materia sottile di Descartes e il cui movimento è causa della durezza dei corpi. Secondo il filosofo, essa sarebbe infatti da imputare non a una maggior coesione delle parti interne, ma piuttosto al moto veloce di questo fluido o spirito interno.9! A differenza di Galileo, Hobbes non considera necessaria la penetrazione di particelle all’interno del corpo per scindere i legami atomici o corpuscolari, né tantomeno per rafforzarli. Per rendere ragione dei passaggi di stato, egli ritiene sufficiente il mutamento di velocità del fluido sottile presente nel corpo. Tuttavia, la teoria di Hobbes non è scevra da difficoltà. Tra l’altro, è necessario considerare la composizione microscopica o corpu-
scolare di questo fluido sottile. Nelle opere successive, il filosofo modificherà sensibilmente la sua teoria dei corpi duri e nel De Corpore suggerirà che diversi fenomeni possono produrre l’indurimento dei corpi, tra i quali è contemplato anche il movimento delle particelle interne.9? Eppure, il tema del fluido ritorna non solo nello stesso De Corpore, ma in quasi tutte le opere scientifiche successive, a cominciare dal citato Dialogus physicus.$* Ciò no59 Hobbes a Mersenne per Descartes, 7 febbraio 1641, AT, III, p. 302; tr. it. p. 1397.
60 Ibid., AT, pp. 302-303; tr. it. p. 1397. 61 Ribattendo alle obiezioni di Cartesio, il quale non accetta di veder paragonato il fluido sottile hobbesiano alla sua materia sottile, Hobbes precisava meglio i connotati della sua teoria: «non ho detto che i corpi divengono duri perché in essi penetrino gli spiriti, né che diventano molli perché i medesimi fuoriescono; ma che gli spiriti sottili e liquidi possono costituire, in
virtù della veemenza del loro moto, dei corpi duri, come il diamante, e per via della lentezza , altri corpi molli, come l’acqua o l’aria», ivi, AT, p. 302; tr. it. p. 1397.
6 Hobbes considera nel cap. XXVIII del De Corpore, diverse cause dell’indurimento di un
corpo: il congelamento (HoBBEs, De Corpore, XXVIII, OL, I, pp. 384-385;
tr. it. pp. 442-444); la
coesione degli atomi in un tutto coerente (ivi, pp. 386-387; tr. it. pp. 444-445); l’«esalazione» delle particelle fluide del corpo, grazie alla quale le particelle dure rimaste vengono a compattarsi (ivi, p. 388; tr. it. p. 446) e, infine, il filosofo contempla la sua vecchia spiegazione, la quale contempla il moto veloce e vorticoso delle particelle (ibid.). 6 L'idea che la durezza dei corpi sia da imputare solo al movimento interno si ritrova anche nel TO II (p. 154) e nel De motu, loco et tempore, XXIV, 11 (p. 299; tr. it. p. 441).
=
ate
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nostante, per quanto concerne la composizione microscopica della materia, la filosofia naturale di Hobbes presenta una cesura significativa: fino al 1648, il filosofo inglese sostenne, infatti, una posizione che potremmo definire timidamente vacuista.9 Egli ammetteva l’esistenza di un vacuum disseminatum,® opponendosi — come Galileo — unicamente all'idea di un vuoto separatum.° È fondamentale sottolineare, tuttavia, che Hobbes non fu mai un convinto sostenitore dell’esistenza del vuoto e il ricorso al concetto di vacuum disseminatum o interspersum (interno alla sorgente luminosa) è meramente funzionale alla sua teoria della visione e della propagazione della luce.°” Nel De Corpore, Hobbes assunse una posizione nettamente anti-vacuista, il che lo dissocia sia dagli esponenti dell’atomismo classico sia dai loro epigoni moderni.® Inoltre, 64 Vedi KarGON, Atomism in England from Hariot to Newton, cit., p. 57; PaccHI, Convenzione
e ipotesi nella filosofia naturale di Thomas Hobbes, cit., p. 240, In., Hobbes e l’epicureismo, «Rivista di storia della filosofia», 1, 1978, pp. 54-71; JEAN BERNHARDT, La question du vide chez Hobbes, «Revue d’histoire des sciences», t. 46, n. 2-3, 1993, pp. 225-232; FRANcO Grupice, Thomas Hobbes and
atomism: a reappraisal, «Nuncius», XII, 2, 1997; pp. 471-485: 481 e sgg.
65 Com'è noto, fino al febbraio 1648 Hobbes aveva ammesso la possibilità di un vacuum in-
I, p. 165) terspersum (vedi Hobbes to Marin Mersenne, from Saint Germain, 7[17] February 1648, CH,
e il suo atteggiamento nei confronti del vuoto muta a partire dal maggio dello stesso anno (vedi Hobbes to Marin Mersenne, from Saint Germain, 15[25] May 1648, CH, I, p. 172).
66 La terminologia che distingue tra vacuum disseminatum o interspersum e vacuum separaè tum gassendiana. Vedi Gassenpi, Syntagma, Opera Omnia, I, p. 186. La problematica è sviluppapp. 70-71 ta ampiamente nelle pagine seguenti. Vedi anche GRANT, Much Ado About Nothing, cit., e pp. 206-213 e OsLER, Divine will and the mechanical philosophy, cit., p. 183. causa del 67 Hobbes era costretto ad ammettere l’esistenza di questi piccoli spazi vuoti a II e Opticus Tractatus nel te chiaramen emerge Ciò luce. della one propagazi di suo modello o della sorgente ritorna nel De motu, loco et tempore, dove il filosofo conferma che il moviment
tra le parti [del luminosa non è ammissibile «senza l’esistenza di piccoli spazi vuoti interposti che tutto lo provare possibile è né vuoto, il e immaginar e impossibil è sole]; ma poiché né avere tale possano sole del parti le che spazio sia riempito di qualche corpo, nulla impedisce Hobbes affronta l’obiezione moto». Ho8BEs, MLT, IX, 2, p. 161; tr. it. p. 224. Nel First Draught
l’esistenza del vuoto: che il moto interno alla sorgente luminosa non si possa verificare senza impossibility, nor «I suppose, that there is a vacuity made by such dilatation, but find no argument hath probable no for vacuity, admitting in surdity, nor so much as an improbability or extension for a body space a take should wee unlesse contrarie, the to produced ever beene e imaginable, Therefore or thing extended and thence conclude because space is everywher and the thing extended thing one is Extension bodie is in every space, For who knowes not that
of vacuum». E risponde: «[...] that such dilatation cannot bee understood without admittance ab-
p. 96. another [...]». Ho8ses, FD, BL, Harley Ms 3360 ff. 6-7,
sin dal secolo XIX, con l’impor68 Il rapporto di Hobbes con l’atomismo è stato affrontato von Mittelalter bis Newton, dle, k Atomisti der te Geschich Z, tante studio di Lasswitz (vedi LASsWIT di Hobbes a comportare fluidi dei teoria la II, pp. 224 e sgg.) l’autore riteneva che fosse proprio atica è stata ripresa problem La omismo. dell’at storia nella ore dell’aut una difficile collocazione atomismo e antivadi tà iliabili l’inconc eato sottolin in particolare da Pacchi, il quale aveva già Thomas Hobbes, cit., pp. 238-242, di naturale filosofia nella ipotesi e ione Convenz cuismo (vedi PaccH1, Vedi anche KarcoN, Atomism in England e soprattutto: In., Hobbes e l’epicureismo, cit., pp. 55-56).
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CAPITOLO QUARTO
nel capitolo VII dell’opera, il filosofo sostiene che «tutto ciò che si divide, si divide in parti a loro volta divisibili» 0, secondo una diversa formulazione, che «non si dà un minimo divisibile»? e, nel XXVI capitolo, polemizzando con le dottrine di Lucrezio ed Epicuro, propone la sua concezione del fluido perennemente divisibile che abbiamo già incontrato.” Nel Dialogus physicus, dove il tema della composizione microscopica dei corpi è centrale all’interno del dibattito tra i due interlocutori, Hobbes riprende l’idea che l’aria sia un fluido, cioè che sia «facilmente divisibile in parti sempre fluide e sempre aeree, al modo in cui ogni quantità è sempre divisibile in quantità ulteriori».”! La sua posizione risente, come
abbiamo
visto, della trattazione che
Galileo aveva riservato alla composizione micro-particellare dell’acqua nei Discorsi, sebbene Hobbes sia ben lungi dal considerarla composta da infiniti
indivisibili. Nel prosieguo del dialogo, il personaggio B, il quale impersona la posizione che Hobbes attribuisce agli esponenti della Royal Society, indica nella grandezza delle parti (cioè nella dimensione dei corpuscoli che li compongono) il discrimine tra i corpi fluidi e non-fluidi e si oppone drasticamente all’idea di una divisione all'infinito. A ciò, il personaggio hobbesiano replica: «[i]n effetti della divisione all’infinito è impossibile farsi un’idea, mentre della divisibilità è facile» ”? e rifiuta nettamente la definizione di fluido elaborata sulla scorta della grandezza delle parti che lo compongono. La problematica è ripresa ancora nelle ultime pagine dell’opera, dove viene affrontato il tema della coesione e della durezza dei corpi. Qui il personaggio B indica tre cause plausibili del fenomeno, che sono: «primo, la grandezza delle parti, secondo, il fatto che le superfici delle parti siano tangenti l’una all'altra; terzo, la loro composizione imbrogliata».7? from Hariot to Newton, cit., pp. 54-62. La difficoltà di conciliare l’antivacuismo hobbesiano con
l’atomismo è stata ribadita da Giudice (Grupice, Thomas Hobbes and atomism: a reappraisal, cit.,
passim). D'altro canto, Agostino Lupoli, facendo riferimento in particolare a un passo del Decameron physiologicum, nel quale Hobbes sembra suggerire l’esistenza di atomi creati duri da una causa eterna (HoBBes, Decameron physiologicum, EW, VII, p. 134), sostiene che il concetto hobbesiano di atomo sia conciliabile con il suo fluidismo, se si suppone una sorta di indivisibile
fisico. Vedi LupoLi, ‘Fluidismo’ e corporeal deity nella filosofia naturale di Thomas Hobbes: a propo-
sito dell’hobbesiano ‘Dio delle cause’, «Rivista di Storia della filosofia», 4, 1999, pp. 573-609: 597 e
soprattutto In., Nei limiti della materia, cit., pp. 539-554.
6° Ho88£s, De Corpore, VII, 13, OL, I, p. 89; tr. it. pp. 152-153. 70 Ivi, XXII, 17 e sgg., OL, I, pp. 283 e sgg.; tr. it. pp. 398 e Sgg.
7 Hos8£s, Dialogus physicus de natura aeris, OL, IV, p. 244; tr. it. p. 442. 72 Ibid. 73 Ivi, p. 283; tr. it. p. 481.
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I PARADOSSI
DELLA
MATERIA
Le tre cause di cui sopra, possono essere ricondotte, grosso modo, rispet-
tivamente, a: 1) l'opinione di alcuni esponenti della Royal Society (perlomeno nell’interpretazione di Hobbes); 2) la teoria di Galilei e, infine, 3) la
posizione di Descartes, il quale individuava una sorta di legami tra i corpuscoli. L'interlocutore A ammette che tutte e tre queste cause possano essere contemplate come possibili; tuttavia, sostiene la necessità di indicare la causa di quello che viene definito il corpo duro primo”* e prosegue: Ma se essi (scil. gli scienziati della Royal Society) dicono che i corpi duri sono formati da corpi duri primari, per quale motivo non ritengono che anche i fluidi siano formati da fluidi primari? O forse è stato possibile generare i corpi fluidi più piccoli, ma non i corpi fluidi più grandi, come l'etere? Ma colui che per primo creò una particella dura o fluida, ben avrebbe potuto, se solo avesse voluto, crearla
tanto più grande e che più piccola di qualunque corpo dato. E se un corpo fluido è formato da particelle non-fluide, come voi sostenete, mentre quello duro soltanto da particelle dure, non ne consegue forse che dai fluidi primari non si forma né un
corpo fluido né uno duro???
Nel passo citato si afferma che, se gli atomi o corpuscoli sono creati duri ab aeterno, così non vi è ragione per dubitare che anche ifluidi debbano essere sempre stati fluidi e, quindi, per la loro stessa natura, divisibili in parti sempre divisibili. Per ciò che concerne la causa della durezza, invece, Hobbes propone
sempre la stessa teoria che aveva esposto vent'anni prima nelle lettere a Descartes e nel De motu, loco et tempore, incentrata sulla nozione di movi-
mento. La causa del corpo fluido è esclusivamente la quiete, mentre quella del corpo duro «un movimento confacente a produrre quell’effetto»,7° cioè quel movimento che Hobbes definisce «movimento circolare semplice». Così,
può essere definito duro ogni corpo resistente alla pressione e, dunque, anche l’aria compressa da uno stantuffo può essere considerata un corpo duro. Tuttavia, Hobbes propone anche un'ipotesi riguardo alla causa del cosiddetto corpo duro primario. Egli comincia col constatare che «da materia che si trova nei nervi», la quale è uno spirito estremamente sottile,
a causa
della compressione, si trasforma in carne, acquisendo, così, lo stato solido.” «E tale può essere la causa efficiente del corpo duro primario. La causa 74 Ibid.
75 Ivi, tr.it. p. 482. 76 Ivi, p. 284; tr. it. p. 482.
diversa nel I capitolo 77 Ivi, p. 285; tr. it. pp. 483-484. Il fenomeno era spiegato in maniera nel corpo umano si carne della ione generaz la che a sostenev Hobbes del De Homine, dove
cui 197 —
CAPITOLO
QUARTO
invece del corpo duro secondario, vale a dire del corpo duro che dipende dalla coesione dei corpi duri primari, può essere quel medesimo movimento circolare semplice connesso al contatto, e anche all’intrico, delle superfici
di quegli stessi corpi».”* In altri termini, Hobbes suppone — ma, è bene sottolinearlo, si tratta soltanto di un'ipotesi — che il corpo duro primario possa essere prodotto dalla compressione del fluido.?? » x
4. INFINITI INDIVISIBILI E DIVISIBILI INDIVISI
Le argomentazioni che Hobbes sviluppa nel Dialogus physicus sono fondamentali per solvere le difficoltà connesse al tema del fluido e, in generale,
della struttura della materia. Non vi possono essere dubbi sul fatto che Hobbes erediti il lessico e i concetti delle speculazioni galileiane, in particolare dei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze. Il pensatore inglese presenta una concezione del fluido estremamente affine a quella galileiana, ma egli non afferma affatto che esso sia ‘risoluto’ nei suoi ultimi
componenti. Inoltre, se Galileo indicava nell’acqua il paradigma del fluido ‘risoluto’ nei suoi ultimi indivisibili, cioè in un numero infinito di atomi inestesi, d'altro canto la sua argomentazione relativa alla fusione dei metalli suggeriva anche che attraverso l’azione dei minimi sottilissimi del fuoco questi corpi solidi potessero scindersi nelle loro particelle ultime, cioè in infiniti atomi.8° producesse attraverso diversi stadi: in primo luogo con la digestione dei cibi, poi con la circolazione che conduce la materia trasformata nei nervi e, infine, questa materia, «filtrata attraverso
i nervi e, tagliata in minutissimi fili, diventa carne». HoBBEs, De Homine, I, 2, OL, II, pp. 2-5;
tr. it. pp. 496-499. Vedi Mépina, Physiologie mécaniste et mouvement cardiaque: Hobbes, Harvey et Descartes, cit., pp. 160-162. L'idea, di derivazione galenica, che gli spiriti animali presenti nei nervi siano «come un'aria o un vento sottilissimo che, venendo dalle camere o cavità del cer-
vello, passa per questi stessi tubi nei muscoli» è presente, in termini differenti, nella Dioptrique (DescaRTESs, La Dioptrique, AT, VI, p. 110; tr. it. p. 230), ma anche in Campanella (vedi Campa-
NELLA, Del senso delle cose e della magia, cit., pp. 47 e sgg. Vedi ErnsT, Tommaso Campanella, cit., pp. 26 e 108 e sgg.
78 Ho88Es, Dialogus physicus de natura aeris, OL, IV, p. 245; tr. it. p. 484. 7? Secondo Lupoli, da ciò emergerebbe una priorità non solo concettuale, ma anche reale
e ontologica del fluido rispetto al corpo duro primo. Vedi al riguardo Lupoti, Nei limiti della materia, cit., p. 549 e pp. 553-554. Lupoli ritiene che Hobbes pensasse all'esistenza di una materia fluida primigenia, la quale sarebbe, in qualche modo, anteriore alla ‘creazione’ e del tutto priva di movimento e acquisirebbe, invece, il moto, per intervento (una sorta di atto creativo) di un
primo motore corporeo, che determinerebbe l’aggregazione in atomi. In realtà credo che l’ipotesi hobbesiana presenti connotati meno ‘metafisici’, come vedremo nel prosieguo. 80 Vedi GALILEI, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pp. 86-87;
vedi GALLUZZI, Tra atomi e indivisibili, cit., p. 96.
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I PARADOSSI
DELLA
MATERIA
Inoltre, nel Dialogus physicus, ma soprattutto nel più ampio e complesso De Corpore, Hobbes parla sempre di divisibilità infinita potenziale e non indica mai precisamente la possibilità concreta di una divisione in atto. Tuttavia, un'argomentazione che il filosofo sviluppa nel VII capitolo dell’opera è interessante al riguardo: [...] l'affermazione comune che lo spazio ed il tempo possono dividersi all'infinito, non si deve accogliere come se si verificasse una divisione infinita o eterna. Il senso di quell’affermazione meglio si spiega in questo modo: tutto ciò che si divide, si divide in parti a loro volta divisibili; o così: non si dà un minimo divisibile, o, secondo
Se data.
di molti geometri: si può avere una quantità minore di qualsiasi quantità
Hobbes ribadirà anche in opere matematiche successive, come l’Examinatio et emendatio mathematicae hodiernae (1660), che la «divisione è opera
dell’intelletto» 8? e, di conseguenza, la divisibilità di cui egli parla è sempre una divisibilità potenziale e concettuale.8* Tuttavia, il passo citato del De Corpore è interessante, perché suggerisce l'erroneità di attestarsi a un indivisibile materiale, o atomo, poiché qual-
siasi quantità spaziale o temporale data è sempre potenzialmente divisibile. Nel XXVI capitolo, come sappiamo, il filosofo sostiene che nella struttura microscopica dei corpi le particelle di materia siano inframezzate non da spazi vuoti, come sosteneva Galileo con la sua teoria del vuoto intersperso, bensì da fluidi (come prevedeva piuttosto la teoria della materia sottile cartesiana)4 e aggiunge che i cosiddetti atomi duri possono essere riuniti grazie al moto di una materia fluida intermescolata nei «corpi solidi composti che vediamo».85 Nel prosieguo, Hobbes nega, però, che i fluidi possano essere composti di materia dura, «alla stessa maniera in cui si ha la farina fluida dal frumento macinato» 86 e, nelle pagine successive, propone una tripartizione della materia presente nell'universo in tre categorie di corpi: fluidi, consistenti e misti di entrambi. La definizione di corpo fluido è affine a quella 81 Ho8BEs, De Corpore, VII, 13, OL, I, p. 89; tr. it. pp. 152-153. 82 «Divisio est opus intellectus». HoBBES, Examinatio et emendatio mathematicae hodiernae,
OL, IV, p. 56. € sul versante 83. Su questo argomento vedi PACCHI, Convenzione e ipotesi, cit., pp. 235 e Sgg. gg. e 82 pp. cit., Circle, the Squaring più spiccatamente matematico: JESSEPH, che questi 84 «[V]i sono molti pori in tutti i corpi che vediamo d’intorno, [...] è necessario
senza interrupori siano rimepiti da qualche materia sottilissima e fluidissima, che si estende tr. it. pp. 197-198. zione dagli astri fino a noi». DEscARTES, La Dioptrique, AT, VI, pp. 86-87; 85 Ho8Bes, De Corpore, XXVI, 3, OL, I, p. 340; tr. it. p. 400.
86 Ibid.; tr. it. p. 401.
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CAPITOLO
QUARTO
che il pensatore proporrà nel Dialogus physicus e conforme alla posizione galileiana: Un corpo fluido, dunque, è sempre divisibile in corpi ugualmente fluidi, come una quantità è sempre divisibile in quantità e dei corpi molli, quale sia il grado della loro mollezza, in corpi molli del medesimo grado. E molti tuttavia, sembra che non intendano alcuna differenza di fluidità, se non quella che nasce dalla differenza delle parti, alla stessa maniera in cui, come sembra, la polvere di diamante può dirsi fluida. Ma io per fluidità intendo ciò che la natura fa tale ugualmente in ogni parte del corpo fluido, non come è fluida la polvere (così, infatti, anche una casa che cade a pezzi si chiamerebbe fluida), ma come sembra che fluisca l’acqua
in parti continuamente fluide.87
I germi della teoria hobbesiana del fluido risiedono infatti nel concetto di spirito sottile, o fluido sottile, che Hobbes aveva abbozzato già durante la polemica epistolare con Cartesio e ciò indica che il filosofo inglese avesse delineato una concezione coerente della materia già nei primi anni ‘40. Alcune conferme di questa supposizione ci giungorio dal De motu, loco et tempore, dove il filosofo, viene a criticare la teoria del raro e del denso pro-
posta da Thomas White nel III nodus del primo dei De mundo dialogi.88 L'argomentazione di White, che è ripresa quasi letteralmente da Hobbes nel capitolo V, parte dall’enunciato che l’aria è più divisibile dell’acqua e l’acqua della terra. Perciò «in nessun modo si potrà negare che la proporzione della divisibilità, o della quantità dell’aria rispetto all’aria sia maggiore della proporzione della divisibilità dell’acqua rispetto all’acqua, e allo stesso modo dell’acqua rispetto alla terra».*° Il White intende sostenere che la rarità o densità di un corpo sia correlata a una maggiore o minore divisibilità dello stesso e Hobbes obbietta al suo conterraneo che questi confonde la morbidezza con la divisibilità. Infatti: «dle cose molli vengono tagliate da un coltello e più facilmente delle cose dure subiscono soluzione di continuità».?0
Nel paragrafo precedente il filosofo ammetteva apertamente di non conoscere la causa del raro e del denso e perciò dichiarava: «preferisco ignorare che sbagliare»,°! aggiungendo anche che, se qualcuno fosse stato in grado di spiegare il fenomeno, costui avrebbe «disvelato gli stessi 87 Ivi, XXVI, 4, p. 347; tr. it. p. 407.
88 Cfr. White, De mundo dialogi, cit., pp. 31 e sgg. 8 HoB8Es, MLT, III, 12, p. 124; tr. it. p. 162.
90 Ibid.
91 Ivi, III, 9, p. 123; tr. it. p. 159. —
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I PARADOSSI
DELLA
MATERIA
penetrali della fisica».?? Nello stesso capitolo, Hobbes aveva preso in considerazione il fenomeno della polvere pirica, la quale, in seguito alla deflagrazione, viene a occupare uno spazio molto più esteso ed egli aveva sottolineato questa difficoltà: «non si comprende come possa accadere che lo stesso luogo contenga ora più materia, ora meno, giacché il luogo è pari al corpo che vi si trova collocato».?? Nel De motu, loco et tempore, la teoria hobbesiana della materia presentava alcune difficoltà a esprimere il concetto di densità. Tuttavia, per ciò che concerne la natura del fluido, nel De motu, loco et tempore, Hobbes si limita ad affermare che «[t]utti sogliono chiamare fluido ciò le cui parti facilmente vengono separate l’una dall’altra»,°* il che sembra richiamare espressamente la nozione di divisibilità presente nelle opere successive, dove verranno definiti fluidi quei corpi le cui parti sono sempre divisibili in parti altrettanto fluide, ma qui egli non articola esplicitamente il suo pensiero come farà, invece, nel De Corpore e nel Dialogus physicus. Ciò nondimeno, bisogna osservare che questa divisione è ipotizzabile solo concependo il fluido sottile come un continuum, costituito da parti sempre fluide e sempre divisibili, secondo le indicazioni proposte da Galileo nelle sue opere, in particolare nei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove
scienze. Eppure la concezione hobbesiana della materia presenta anche sostanziali differenze rispetto a quella galileiana: Hobbes nega l’esistenza della nozione di indivisibile e, per questo, la sua interpretazione del continuo matematico diverge da quella di Galileo. Nelle Six Lessons (1656), infatti, 92 Ibid. 93 Ibid.; tr. it. p. 158. 94 Ivi, XI, 8, p. 185; tr. it. p. 263. 95 Sull’interpretazione degli indivisibili in Hobbes e la sua critica alla dimostrazione torricelliana della costruzione del ‘solido acuto iperbolico’ attraverso l'applicazione del metoThomas do degli indivisibili, vedi: GrorELLO, Pratica geometrica e immagine della matematica in and Its Hobbes, cit., pp. 237-239, PaoLo MAncosU — Ezio VAILATI, Torricelli’s Infinitely Long Solid 67-68; DougLas M. Philosophical Receptions in the Seventeenth Century, «Isis», 82, 1991, pp. 52-70:
d’histoire des JesserA, Of analytics and indivisibles: Hobbes on the modern mathematics, «Revue il respinse tout court sciences», t. 46, n. 2-3, 1993, pp. 153-193. Jesseph mostra che Hobbes non
traendone alcune metodo degli indivisibili e, anzi, riflettè ampiamente sull'opera di Cavalieri,
di Chatsworth: Hobbes osservazioni (contenute in un manoscritto custodito ora nel castello tratta
dimostrazione C.1.5), Inoltre, nel XVII capitolo del De Corpore, il filosofo propose una 183-186). Vedi anpp. (ivi, Cavalieri di Sex Geometricae es Exercitation dalla Propositio 23, delle cit., pp. 96-99. Matter, of Architecture The che In., Squaring the Circle, cit., pp. 185-189; HOLDEN, Torricelli, in In. (ed.), de indivisibles Les GANnDT, DE Francois vedi Torricelli, di Sugli indivisibili 147-
Les Belles Lettres, 1989, pp. L’oeuvre de Torricelli: science galiléenne et nouvelle géométrie, Paris, e Torricelli, ivi, pp. 111-146; d’Evangélist géométrique L’aeuvre BORTOLOTTI, ETTORE anche Vedi 206. de Torricelli, in BUCCIANl’apport et indivisubles des théorie la de FrANgOIS DE GANDT, L'évolution
cit., pp. 103-118; TIZIANA TINI — ToRRINI (a cura di), Geometria e atomismo nella scuola galileiana,
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QUARTO
egli oppone alla definizione del punto come indivisibile quella di indiviso (undivided).?° Per Hobbes la divisione è esclusivamente un’operazione men-
tale e la considerazione del punto come indiviso è solamente un processo di astrazione da un continuum spaziale. Quest’idea è ribadita nell’Examinatio et emendatio mathematicae odiernae (1660),°7 così come in altre opere geometriche successive, dove il filosofo si oppone drasticamente all’idea di concepire un indivisibile non-quanto perché, nella sua prospettiva, non quanto coincide con ‘nulla’°8 e nessun nulla può andare a comporre una quantità discreta. D'altro canto, anche Hobbes — come Galileo prima di lui - opera uno slittamento concettuale dal piano della fisica a quello della geometria, trasponendo le argomentazioni e le riflessioni che sviluppa nell’ambito della scienza fisica a quello della matematica e viceversa. Tuttavia, è interessante osservare anche che Hobbes si serve spesso del-
la nozione di atomo, sia nel De Corpore, che nel Dialogus physicus. Nel XXVI capitolo del De Corpore, Hobbes sostiene che «lo spazio immenso che chiamiamo mondo» è un aggregato di corpi consistenti e visibili come gli astri e la terra, o invisibili, come gli atomi, e, infine: «da un fluidissimo etere che riempie tutto il resto dell'universo, in modo tale che non si lascia nessuno
spazio vuoto».?? Il problema degli atomi è connesso sempre alla teoria hobbesiana della durezza, che ritorna anche nei Seven philosophical problems.!° Nel Decameron physiologicum, il filosofo sostiene ancora che l’unico fattore atto a rendere duro un corpo sia esclusivamente il movimento,!9 ma, d’altro canto,
afferma che «qualsiasi cosa perfettamente omogenea [che] è dura» consiste di «parti più piccole, o come alcuni le chiamano atomi», le quali «furono
BasceLLI, Torricelli’ Indivisibles, in JuLLIEN (ed.), Seventeenth-Century Indivisibles Revisited, cit.,
pp. 105-136. Sul tema degli indivisibili e sulla transizione dal concetto di indivisibile a quello leibniziano di infinitesimo: ANToNI MALET, From Indivisibles to Infinitesimals, Bellaterra, Universitat Autònoma de Barcelona, 1996, in part. pp. 11-50. Sulla ‘preistoria’ del concetto di indivisibile, vedi JEAN CELEYRETTE, From Aristotle to the Classical Age, the Debate Around Indivisibles, inJULLIEN (ed.), Seventeenth-Century Indivisibles Revisited, cit., pp. 19-30.
96 HoBBEs, Six Lessons, EW, VII, p. 201. 97 Vedi HoB8Es, Examinatio et emendatio mathematicae odiernae, OL, IV, pp. 55-56.
98 Vedi In., De Principiis et Ratiocinatione Geometrarum, OL, IV, pp. 391-392.
?9 _HoBBEs, De Corpore, XXVI, 5, OL, I, Pp. 347-348; tr. it. p. 408 (corsivi miei).
100 «But for one general cause of hardness it can be no other than such an internal motion of parts as I have already described, whatsoever may be the cause of the seveal concomitan t
qualities of their hardness in particular». HoBBES, Seven Philosophical Problems, EW; VII, p. 38.
Vedi, in generale, il capitolo V, ivi, pp. 32-38. 101 «But yet this is most certain, that nothing can make a hard body of a soft, but by some motion of its parts». Ho8BEs, Decameron physiologicum, EW; VII, poi33;
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DELLA
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fatte dure dall’inizio, e consequentemente da una causa eterna».!° Ciò nondimeno, Hobbes sostiene ancora, nello stesso capitolo, che non solo l’aria, ma anche «tutti gli altri corpi», siano divisibili «in parti divisibili. Perché nessuna sostanza può essere divisa in nulla».'!9 In altri termini, benché
fosse convinto dell’esistenza di corpuscoli o atomi duri sin dall'esistenza del mondo, il pensatore sembra rifiutare la nozione di indivisibile fisico. Nello stesso Decameron, vi è, però, un altro passo interessante, dove
Hobbes sviluppa una curiosa argomentazione relativamente alle cause di fusione dei metalli: For all motion compounded is an endeavour to dissipate, as I have said before, the parts of the body to be moved by it. If therefore hardness consist only in the pressing contact of the leasts parts, this motion will make the same parts slide off from one another, and the whole to take such a figure as the weight of the parts shall dispose them to, as in lead, iron, gold, and other things melted with heat. But
if the small parts have such a figure as they cannot exactly touch, but must leave space between them filled with air or other fluids, then this motion of the fire, will dissipate those parts some one way, some another, the hard part still hard, as in the
burning of wood or stone into ashes or lime.!° Hobbes indica che la durezza dei corpi solidi consiste nel contatto delle loro ultime particelle e ritiene che il processo di fusione sia determinato dal movimento del fuoco, il quale, scaldando queste particelle, fa in modo che esse scivolino le une sulle altre. Infine, se i corpuscoli del metallo non sono
perfettamente contigui, ma disposti in modo tale da consentire la presenza di piccoli spazi riempiti dall’aria o da altro fluido, l'intervento del fuoco opera in modo tale da separare queste microparticelle. La trattazione della fusione presenta notevoli analogie con la teoria sviluppata da Galileo nella prima giornata dei Discorsi. Qui il Pisano scriveva che il fuoco «serpendo le minime particole di questo e di quel metallo [...] finalmente le separa e le disunisce» e forniva questa spiegazione del fenomeno: [P]ensai che ciò potesse accadere perché le sottilissime particole del fuoco, penetrando per gli angusti pori del metallo (tra i quali, per la loro strettezza, non potessero passare i minimi dell’aria né di molti altri fluidi), col riempiere i minimi vacui tra esse fraposti liberassero le minime particole di quello dalla violenza con
102 Ivi, pp. 133-134. 103 Ivi, p. 129. 104 Ivi, p. 134. —
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QUARTO
la quale i medesimi vacui l’una contro l’altra attraggono, proibendogli la separazione; e così, potendosi liberamente muovere, la lor massa ne divenisse fluida.!° .
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Vi sono, invero, anche alcune sostanziali differenze tra l’argomentazio-
ne galileiana e quella di Hobbes, prima fra tutte, che Galileo ammette l’esistenza di un vacuum interspersum. Inoltre il Pisano ritiene che tra gli angusti pori del metallo non possano passare i minimi dell’aria, né di altri fluidi, mentre invece il filosofo inglese sostiene esattamente che questi spazi interni ai corpi solidi possano essere riempiti proprio dall’aria o da altri fluidi. Tuttavia, i punti della teoria hobbesiana che si discostano dall’argomen-
tazione di Galileo palesano, al contempo, altrettante convergenze con la posizione di un altro autore ben noto a Hobbes. Ne Les Metéores, Descartes supponeva che all’interno dei pori che compongono la struttura microscopica dei corpi scorresse la materia sottile e imputava la maggiore o minore solidità dei corpi al maggiore o minore movimento di questa materia. Egli aggiungeva anche che, quando essa non ha forza sufficiente per piegare e agitare le particelle dell’acqua, «esse si fermano confusamente congiunte, poste l’una sull’altra, e compongono così un corpo duro, cioè il ghiaccio».!99 Tra l’acqua e il ghiaccio Cartesio individuava la stessa differenza che c'è tra «un mucchio di piccole anguille sia vive che morte, galleggianti in una barca da pesca tutta buchi, per i quali passasse, muovendole, l’acqua di un fiume, ed un mucchio delle stesse anguille, sull’argine completamente dissecate ed irrigidite dal freddo».!07 Nondimeno, anche nel Decameron, Hobbes si dichiara ancora convinto
che la differenza tra corpi duri e corpi fluidi risieda sempre, in ultima istanza, nel movimento: «perché le parti dei corpi più duri nel mondo non possono essere più vicine l’un l’altra che a [arrivare] toccarsi; e altrettanto vici-
ne sono le parti dell’aria e dell’acqua, e, di conseguenza, dovrebbero essere altrettanto dure, se le loro parti più piccole non avessero moti differenti».!98 Il filosofo afferma, dunque, che anche le particelle dei corpi fluidi non possano essere ritenute «closer together than to touch» e la ragione di questa pre105 GALILEI,
pp. 66-67.
Discorsi e dimostrazioni matematiche
intorno a due nuove scienze,
OG, VIII,
106 DESCARTES, Les Météores, AT, VI, p. 237; tr. it. p. 369. 107 Ibid. L'immagine delle particelle dell’acqua come piccole anguille era citata critica-
mente anche nel secondo trattato ottico. Vedi HoBBES, TO II, cap. I, $ 21, f. 202v, p. 158.
108 «For the parts of the hardest body in the world can be no closer together than to touch; and so close are the parts of air and and water, and consequently they should be equally hard, if their smallest parts had not different motions». In., Decameron physiologicum, EW, VII, pii33.
n
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cisazione va rintracciata nel concetto hobbesiano di luogo, come suggerisce un passo della Risposta alla cattura del Leviatano (1668): !° Ho sperimentato, come molti altri, che due acque, una di fiume e l’altra minerale e così simili che nessuno poteva distinguere l’una dall’altra con la vista, quando sono mescolate insieme tuttavia danno luogo a una sostanza che l’occhio non può distinguere dal latte. Nondimeno sappiamo che l’una non viene mescolata con l’altra fino al punto che ogni parte dell’una sia in ogni parte dell’altra, poiché ciò è impossibile, a meno che due corpi non possano essere nello stesso luogo.?!0
Come indicato già nel De motu, loco et tempore,!!! e ribadito nel De Corpore,!!2 il luogo non è altro che lo spazio occupato dal corpo e, di conseguenza, non è possibile che due particelle di fluidi diversi vengano a occupare il medesimo luogo. Questi corpuscoli di fluidi non omogenei non possono nemmeno ‘fondersi’ e produrre una nuova sostanza, come vorrebbe Aristotele,!! perché Hobbes non concepisce alcuna ‘generazione’ di una nuova materia. Da ciò si desume che, sebbene ogni sostanza sia composta da particelle sempre divisibili, queste particelle debbono sempre essere estese e occupare un determinato luogo. Tuttavia, ciò non implica necessariamente un'adesione alla teoria atomista classica e non confligge nemmeno con l’idea della divisibilità dei cor109 L’opera fu pubblicata postuma nel 1682, ma scritta nel 1668, come scrive Hobbes nella prefazione, dove indica di averla composta dieci anni dopo il testo di Bramhall: The Catching of Leviathan, il quale vide la luce nel 1658. Vedi HogBes, An Answer to a book published by Dr. Bramhall, EW, IV, p. 282; tr. it. in Scritti teologici, a cura di Arrigo Pacchi, Milano, Franco Angeli, 1988, p. 101. 110 HoBBEs, An Answer, cit., EW, IV, pp. 309-310; tr. it. p. 124.
111 Nel De motu, loco et tempore, il luogo è definito in questi termini: «Ogni volta che lo spazio reale coincide con qualche parte dello spazio immaginario, chiamiamo luogo di quel corpo la parte con cui esso coincide. Se poi lo spazio reale di nessun corpo coincide con qualche spazio immaginario, allora chiamiamo quello spazio immaginario vuoto». HoBBES, MLT, III, 3, p. 118; tr. it. p. 151.
112 Il VII capitolo del De Corpore, dal titolo Il luogo e il tempo, Hobbes non offre una defini-
zione di luogo (In., De Corpore, OL, I, pp. 81 e sgg.; tr. it. pp. 145 e sgg.), poiché essa era gia pre-
sente nel precedente capitolo VI, $ 6: «il luogo è lo spazio adeguatamente riempito o occupato da un corpo, e chi concepisce giustamente il movimento non può non sapere che il movimento è privazione di un luogo e acquisizione di un altro», ivi, p. 62; tr. it. p. 128. Nel citato manoscritto alDe Principiis, la definizione era, invece, più conforme al lessico del De motu: «Space (which I the called is body any of magnitude the with coincident is which imaginary) ways understand of place of that body, and then the body is said to be palced». In., De Principiis (National Library Wales, Ms 5297), MLT, Appendice II, p. 453. Sulla distinzione spazio reale-spazio immaginario Le vocabulaire e sull’importanza di questi concetti nella filosofia hobbesiana, vedi SCHUHMANN, de l’espace, cit., passim.
muta113 Vedi ARISTOTELE, De generatione et corruptione, I, 5, 328a. Sulla problematica della 5. $ infra, vedi mistione, o e zione sostanzial
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QUARTO
pi. D’altro canto, in questo Hobbes aveva un illustre predecessore: ne Les Météores, Descartes affermava: «io non concepisco le particelle dei corpi terrestri come atomi o piccole parti indivisibili, ma [...] considerandole tutte d’una stessa materia, credo che ciascuna potrebbe esser ancora divisibile
in un'infinità di modi e che esse differiscano tra loro soltanto come pietre di forma diversa che sarebbero state però ‘tutte: staccate da una stessa roccia».1!4
5. TRASMUTAZIONI E ‘TRANSUSTANZIAZIONI DELLA MATERIA
Poiché i corpi fluidi sono perfettamente divisibili in parti sempre fluide e sempre divisibili, essi rappresentano l’ente reale che più si approssima al concetto di continuum perfettamente divisibile in parti. Ciò nondimeno, nel De Corpore, Hobbes sembra paragonare l’etere, o fluido sottile, alla
materia prima, poiché «le parti del puro etere, come la materia prima, non hanno alcun moto, tranne quello che esse ricevono dai corpi che vi ruotano dentro e che non sono, essi stessi, fluidi».!!° Il filosofo torna più volte
sulla nozione di materia prima e sondando questo concetto emergono diversi elementi interessanti. Com'è noto, Hobbes considera l'universo come una realtà popolata esclusivamente da corpi in movimento e al concetto di corpo è connessa la nozione di materia prima, la quale è definita sia nel De motu, loco et tempore, sia nel De Corpore, come la materia comune
di tutte le cose. La trattazione è più ampia nella prima opera, la quale 114 DEscARTES, Les Météores, AT, VI, pp. 238-239; tr. it. p. 371. Sulle divergenze tra la conce-
zione cartesiana e la teoria atomistica della materia vedi FRÉDÉRIC DE Buzon, La science cartésien-
ne et son objet. Mathesis et phénomène, Paris, Honoré Champion, 2013, pp. 243 e sgg.
115 Ho8B£s, De Corpore, XXVI, 1, OL, I, p. 303; tr. it. p. 424 (corsivi miei). Lupoli ha attirato
l'attenzione su questo passo e ritiene che il concetto hobbesiano di fluido abbia una dimen-
sione ‘metafisica’. Esso si identificherebbe, in qualche modo, con una sorta di materia prima
‘primigenia’. Vedi LupoLI, “Fluidismo” e corporeal deity nella filosofia naturale di Thomas Hobbes,
cit., p. 588; In., Nei limiti della materia, cit., pp. 540-541. Tuttavia, Leijenhorst ha, a mio parere,
correttamente obiettato che nel passo citato Hobbes non identifica affatto i due termini, ma si limita a compararli (vedi LeyenHoRsT, Hobbes” Corporeal Deity, cit., pp. 90 e sgg.). Egli ritiene inoltre che il filosofo stia facendo riferimento qui al concetto aristotelico tradizionale di materia prima, la quale è considerata inerte (ivi, p. 91), mentre Hobbes propone, al contrario, una concezione radicalmente diversa della materia prima, che egli identifica con la corporeità in generale. Inoltre, in riferimento all’identificazione della divinità con lo spirito o fluido corporeo proposta da Lupoli, Leijenhorst (ivi, pp. 81-88) cita alcuni passi delle opere hobbesiane difficilmente conciliabili con quest'idea. Per le differenze tra il concetto hobbesiano di materia prima e quello proprio della tradizione aristotelica vedi LeyJenHoRST, The Mechanisation of Aristotelianism, cit., pp. 150-155, dove l’autore opera anche un'interessante confronto con l’idea di materia prima di Zabarella.
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contiene alcune indicazioni preziose per interpretare correttamente gli sviluppi successivi del De Corpore. In primo luogo, sappiamo che i concetti di corpo, materia e materiale sono, per Hobbes, perfettamente identici: essi indicano «qualunque cosa occupi lo spazio che immaginiamo».!!6 Tuttavia: Considerata per se stessa [simpliciter] questa cosa si chiama corpo, materia in-
vece quando viene paragonata con ciò da cui è stata prodotta. Simpliciter, il legno viene detto corpo, ma lo stesso legno, in quanto da esso viene fatto uno scanno, è detto materia dello scanno. [...] Da ciò risulta con chiarezza che la materia prima
non è altro che il corpo in generale, e che essa non esiste affatto più di quanto esistano tutti gli altri universali, i quali sono parole, [...], non cose vere e proprie. Si capisce inoltre perché Aristotele correttamente tolga alla materia prima ogni qualità e azione, e gli attribuisca soltanto la possibilità, cioè la mobilità e la quantità, vale a dire la corporeità o la materialità, che ineriscono per essenza a tutti i corpi, in quanto non possono essere separati con l’intelletto [dal corpo]; se dunque consideriamo la materia prima come una cosa, qualunque realtà è quella materia e così esiste come cosa; ma allora non deve essere chiamata materia di quella cosa,
cioè di se stessa, né materia prima, poiché quest’ultima, esistendo come cosa co-
mune, non può essere chiamata singolare.!!7
Hobbes afferma che la materia presenta lo stesso statuto ontologico degli universali: essa è un puro nome. Tuttavia, ciò è solo in parte vero, perché
il filosofo identifica il corpo con la materia: la materia prima può essere dunque concepita come la mera corporeità o materialità del corpo. Essa non è una realtà sussistente di per sé, né tantomeno un qualsiasi ente che popola il mondo fisico ma, piuttosto, il frutto di un processo di astrazione da parte delle facoltà umane che, isolando la realtà del corpo in quanto tale, conce-
piscono esclusivamente la sua materialità.!!* La coincidenza di materia e corpo è ribadita ancora nel XXVII capitolo dell’opera, dove Hobbes riprende la stessa idea: Il Corpo tuttavia e la materia sono nomi della stessa cosa, considerati però sotto diversi punti di vista; la stessa cosa considerata in quanto esiste viene detta sem-
plicemente corpo, considerata in quanto suscettibile di una nuova forma, o di una
nuova figura viene chiamata materia.!!°
116 Ho8BEs, MLT, VII, 3, p. 146; tr. it. p. 199.
117 Ivi, p. 147; tr. it. pp. 199-200.
118 Vedi supra, cap. II, $ 2.
119 Ivi, XXVII, 1, p. 312; tr. it. p. 463.
ira
CAPITOLO
QUARTO
Nel manoscritto noto come De Principiis, il quale presenta buona parte delle definizioni fondamentali che confluiranno nel De Corpore e rappresenta, quindi, una sorta di trait d’union tra le due opere maggiori, la materia è definita un puro nome. Tuttavia, essa riveste un'importanza capitale perché è «ciò che non può nascere, né tantomeno perire»: I)
“%
The common matter of all things which the philosophers call material prima is not a distinct body from all other bodies nor one of them but a name only, signifying a body to be considered without considering any form or any accident except only magnitude or extension and aptitude to receive form and accident. So as material prima is corpus universale i.e. a body considered universally whereof it cannot be said that there is no form or no accident, but in which it may be said
no form or accident besides quantity and aptitude to receive form or accident is
considered i.e. brought into argument or account.!2°
Come abbiamo visto nel capitolo II, le modificazioni fisiche dei corpi, causate dal movimento, producono la generazione o ‘distruzione degli accidenti e, a seguito di questi cambiamenti, il corpo appare esternamente
mutato. Le mutazioni accidentali sono ciò che viene percepito dagli organi di senso e, come sappiamo, alcuni di questi accidenti sono essenziali al concetto stesso di corpo, come la grandezza e l’estensione. Tuttavia, Hobbes afferma che vi sia una materia, eterna, la quale permane nonostante ogni alterazione o distruzione cui è soggetto il corpo. Questa materia è detta, in conformità alla tradizione filosofica aristotelica, materia prima.??! È fondamentale sottolineare, però, che la materia prima hobbesiana non ha alcuna sussistenza autonoma al di fuori dei corpi, essa è infatti un mero nome 2?
ma, al contempo Hobbes insiste, nel De Corpore, sul fatto che essa non possa essere considerata un ‘nulla’ perché: [E]ssendo tutte le cose singolari fornite di proprie forme e di determinati accidenti, la materia prima è corpo in generale, cioè corpo considerato universalmente, che non ha alcuna forma, alcun accidente, ma in nessuna forma o nessun accidente, oltre la quantità, è considerato, cioè è portato nell’argomentazione.!25
Le considerazioni hobbesiane sulla materia si fanno ancor più interessanti se confrontate con un tema abbozzato da Galileo nella giornata prima del Dialogo. Qui, contestando l’idea aristotelica che egli chiama «trasmu120 121 122 123
In., De Principiis (National Library of Wales, Ms 5297), MLT, Appendice II, p. 457. Vedi ARISTOTELE, De generatione et corruptione, I, 5 (320 b); Metafisica, 1029 b. Vedi HoBBEs, De Corpore, VIII, 24, OL, I, p. 105; tr. it. p. 168. Ibid.
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tazione sustanziale» — la quale suppone che la generazione sia prodotta ex novo attarverso l’azione dei contrari — il Pisano suggerisce un'alternativa dai toni democritei e lucreziani,!4 concependo ogni mutamento unicamente come una modificazione accidentale di una materia che permane sempre medesima: [...] io non son mai restato ben capace di questa trasmutazione sustanziale (re-
stando dentro a i puri termini naturali), per la quale la materia venga talmente trasformata, che si deva per necessità dire, quella essersi del tutto destrutta, sì che nulla del suo primo essere vi rimanga e ch’un altro corpo, diversissimo da quella, se ne sia prodotto; ed il rappresentarmisi un corpo sotto un aspetto e di lì a poco sotto un altro differente assai, non ho per impossibile che possa seguire per una semplice trasposizione di parti, senza corrompere o generar nulla di nuovo, per-
ché di simili metamorfosi ne vediamo noi tutto il giorno.!?°
Ciò che traspare dal passo citato è una concezione della materia dai connotati democritei, che Galileo condivideva con Paolo Sarpi.!?° Secondo 124 Sui motivi atomistici presenti nella filosofia di Galileo, rimandiamo, in particolare, agli studi citati di Shea, Redondi e Galluzzi. Per un confronto preciso e accurato con la filosofia di Lucrezio e il De rerum natura, vedi l’interessante intervento di Camerota: MICHELE CAMEROTA, Galileo, Lucrezio e l’atomismo, in Marco BERETTA e FRANCESCO CITTI (a cura di), Lucrezio la natura
e la scienza, Firenze, Olschki, 2008, pp. 141-175.
125 GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi, OG, VII, pp. 64-65. Vedi anche GALLUZZI, Tra atomi e indivisibili. La materia ambigua di Galileo, cit., p. 82. 126 Che Galileo e Sarpi fossero entrambi ‘democritici’ è sostenuto da Campanella, in una lettera a Peiresc: «io son certissimo ch'’il signor Galileo in molte cose, massime nei principii, è con Democrito, e dal discorrer c'ha fatto meco in Roma, e da quel che scrive nell’opuscolo De natantibus e nel Saggiatore, el padre Castelli [e]t monsignor [C]iampoli e condiscepoli così [per] tal lo difendeno. El fra Paolo ab antiquo si sa essere stato democritico, perché Giovan Battista
Porta suo amico quando stava in Napoli fra Paolo, e col quale han fatto molte operazioni
chimiche, me l’ha narrato. El signor Galileo conversò con lui, quando eravamo in Padua nel 1593...» Campanella a Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, in TOMMASO CAMPANELLA, Lettere, a cura di Germana Ernst, Firenze, Olschki, 2010, p. 454. Vedi anche GERMANA ERNST — EUGENIO CANONE,
Una lettera ritrovata: Campanella a Periesc, 19 giugno 1636, «Rivista di Storia della Filosofia», 2, 1994, pp. 353-366: 363-364. Vedi anche le interessanti osservazioni di Favino: FepERICA Favino, A proposito dell’atomismo di Galileo: da una lettera di Tommaso Campanella a uno scritto di Giovanni Ciampoli, «Bruniana & Campanelliana», III, 2, 1997, pp. 265-282, dove l’autrice mostra anche l’a-
desione calorosa del Ciampoli alle dottrine atomistiche del maestro. Sul Ciampoli vedi ora l’interessante studio di Favino: In., La filosofia naturale di Giovanni Ciampoli, Firenze, Olschki, 2015. Interessanti sono le numerose analogie tra il pensiero del Ciampoli e i testi di Gassendi. Per ciò che concerne il legame tra Galileo e Sarpi, è superfluo sottolineare che, durante il periodo padovano, Galileo ebbe modo di collaborare con il Servita e il consultore in iure della Repubblica In contribuì, presumibilmente, anche alle scoperte che il Pisano pubblicò nel Sidereus Nuncius. proposito vedi: Gaetano Cozzi, Paolo Sarpi tra Venezia e l'Europa, Torino, Einaudi, 1979, pp. 164
— GIUDICE, Il e sgg.; Sosro, Galileo Galilei e Paolo Sarpi, cit., passim e BUCCIANTINI — CAMEROTA
FAtelescopio di Galileo, cit., pp. 24-43. Sempre utile anche lo storico studio del Favaro: ANTONIO
se {99
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questi autori niente si crea ex nîhilo e niente si riduce al nulla, ma ogni realtà
fisica transeunte è il risultato di modificazioni, cioè di continue e differenti composizioni di una materia che permane, a dispetto di ogni generazione e corruzione.!?7 Nel Decameron physiologicum, obiettando all'idea che il ghiaccio possa trasformarsi in cristallo, Hobbes sostiene la stessa idea presente nel Dialogo: egli esclude qualsiasi «transustanziazione di corpi attraverso la mescolanza»,'?* o composto, poiché «la mescolanza non è transustanziazione».!?° Il filosofo
si serve del termine transustanziazione!° per sottolineare tutta la sua opposizione a un'idea aristotelica che — nella sua interpretazione — presentava connotati più ‘mistici’ che fisici, ed egli esprime la medesima posizione proposta da Galileo nel Dialogo, sebbene il Pisano si servisse del termine «trasmutazione sustanziale».!5! varo, Galileo Galilei e lo studio di Padova, Padova, Antenore, 1966 (ed..or. 1883), 2 voll., II, pp. 69 e
sgg. Vedi anche VITTORIO FRAJESE, Sarpi scettico, Bologna, il Mulino, 1994, pp. 63 e sgg. Wootton ritiene che Sarpi fosse materialista, ma non atomista, perché «he believed that matter could be changed: it was not made up of unalterable unitary atoms, but would be compressed, expanded and so on». Davin WOOTTON, Paolo Sarpi. Between Renaissance and Enlightment, Cambridge, Cambridge University Press, 1983, p. 15. Tuttavia, cfr. la nota successiva. 127 Galluzzi (GaLLuzzi, Tra atomi e indivisibili, cit., p. 82) ha sottolineato la profonda analo-
gia tra questo passo del Discorso e l’idea presente in uno dei pensieri di Paolo Sarpi: «La materia delle cose naturali è corpo, perché, facendosi le trasmutazioni, il corpo è quello che sempre resta e non trasmutasi mai, e li suoi termini sono superficie, linea e punto, co’ quali terminato acquista figura». Pensiero 111, in SARPI, Pensieri naturali, matematici e metafisici, p. 130. Altrettanto
significativo è, a mio parere, un accenno presente in un altro pensiero, nel quale il servita critica, proprio come farà Galileo, la nozione aristotelica di trasmutazione: «la nutrizione si può far, senza alcuna trasmutazione, solo per congragazion e separazione». Pensiero 332, ivi, p. 267. La concezione sarpiana della materia è estremamente affine a quella di Hobbes, con la quale condivide la comune ‘radice galileiana’, come ho sottolineato in BaLDIN, Hobbes and Sarpi: method,
matter and natural philosophy, cit., in part., pp. 105-111. Sugli aspetti filosofico-politici che legano i due autori, vedi anche GreGORIO BaLDIN, Hobbes, Sarpi and the Interdict of Venice, «Storia del pensiero politico», 2, 2016, pp. 261-280 e In., Thomas Hobbes e la Repubblica di Venezia, «Rivista di Storia della Filosofia», 4, 2015, pp. 717-741.
128 «Transubstantiation of bodies by mixture». HoBBEs, Decameron physiologicum, EW, VII,
p. 132.
129 «mixture is no transubstantiation», ibid. 130 Hobbes considerava la transustanziazione una mera assurdità e, infatti, nel capitolo VIII
del Leviathan cataloga il concetto di transustanziazione nella categoria: insignificant speech (vedi Ho8B£s, Leviathan, p. 122; tr. it. p. 66). Riferimenti negativi a questo dogma sono presenti anche altrove, ad esempio nella Historia Ecclesiastica, OL, V, p. 404; tr. it. in Scritti teologici, pp. 91-92. 131 È interessante osservare che le affermazioni hobbesiane sembrano ‘confermare’ le accuse di Orazio Grassi a Galilei, secondo il quale la concezione ‘democritea’ della materia del Pisano sarebbe stata incompatibile col dogma della transustanziazione: «Galilaeus vero diserte asserit, calorem, colorem, saporemque ac reliqua huiusmodi, extra sentientem, ac proinde in pane ac vino, pura esse nomina: ergo, abscedente panis ac vini substantia, pura tantum qualitatum no-
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Il passo del Decameron, così come il luogo citato della Risposta al testo di Bramhall in cui Hobbes nega che ci possa essere una perfetta fusione di due acque differenti, tale da generare una nuova materia, fanno riferimento a un'idea presente nel De Generatione et corruptione. Qui Aristotele, criticando la posizione di Democrito, caratterizzava la mescolanza o mistione (pié1c)
come un processo nel quale «qualsiasi parte di una delle due componenti dovrà venire a trovarsi presso qualsiasi parte dell’altra componente» 15° e definiva il nuovo corpo omeomero (6potopepèc). Al contrario, Galileo e
Hobbes propugnano un concetto democriteo di materia e ogni mutazione viene da costoro considerata come un’aggregazione o ricomposizione di una materia che permane sempre medesima. La materia, infatti, non può essere totalmente trasformata ma, attraverso le mutazioni accidentali, essa
genera una miriade di corpi transeunti che popolano il mondo naturale e che sono esperibili attraverso gli organi di senso. Tuttavia, secondo Hobbes, la materia si sottrae al senso e, quindi, anche
alla nostra indagine, essendo del tutto priva di determinazione.!?? Ciò non significa che questa realtà sia nulla, poiché essa si identifica con la corporei tà in generale ed è ciò che permane al di là di ogni mutazione accidentale. La concezione abbozzata da Galileo è molto più palese nel pensiero di Hobbes, dove è espressa apertamente e condotta alle estreme conseguenze. Il filosofo sostiene che «[glenerari et perire possunt accidentia omnia praeter corpus», e ancora: «[c]orpora et accidentia sub quibus varie apparent ita differunt ut corpora sint res non genitae, accidentia vero genita non res».!* La materia, la quale coincide con la pura materialità del corpo, non si genera dal nulla, né si riduce al nulla e — perciò — deve necessariamente essere eterna. Non a caso, nel De motu, loco et tempore, Hobbes critica fortemina remanebunt. Quid ergo perpetuo opus miraculo est, puris tantus nominibus sustentandis? Videat ergo hic, quam longe ab iis distet, qui tanto studio specierum veritatem ac durationem firmare conati sunt, ut etiam divinam huic operi potentiam impenderint. Scio equidem lubricis avversutis ingeniis videri posse, patere hinc etiam effugium aliquod, si fas sit sanctissimorum fidei praesidium dicta ad libitum interpretari, eaque a vero et communi sensu alio detorquere»
Vedi SHEA, GaSarsi (alias Orazio Grassi), Ratio ponderum librae et simbellae, OG, VI, pp. 486-487.
e Sgg., il lileo”s Atomic Hypothesis, cit., p. 21; ma soprattutto REDONDI, Galileo eretico, cit., pp. 244 quale, com'è noto, sostiene che questa fosse la vera ragione della condanna del Galilei.
Russo, in Ope132 ARISTOTELE, De generatione et corruptione, I (A), 10, 328a, tr. it. di Antonio 54-55. pp. 1991, Laterza, , re, vol. IV, Roma-Bari
filoso133 Hobbes sostiene infatti, nel primo capitolo del De Corpore, che «[l]}'oggetto della generaziouna concepire possa si cui di corpo qualunque fia, o la materia di cui essa si occupa è cui si può intendene e di cui si può istituire un confronto con altri corpi [...] cioè ogni corpo di p. 16; tr. it. p. 76. I, OL, 8, I, Corpore, De HoBBES, . proprietà» qualche ha re che è generato e che 134 HoBBEs, MLT, Appendice II, p. 457.
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mente la pretesa di Thomas White di poter dimostrare che il mondo non sia eterno e che sia, anzi, il frutto di una creazione.!# Al contrario, il pensa-
tore di Malmesbury afferma che la questione è impossibile da dirimere attraverso la filosofia e la ragione naturale, e consiglia di affidarsi alla fede.!5° Senza affrontare qui problematiche di carattere teologico, è opportuno osservare che lo stesso atteggiamento scettico nei confronti dell’origine dell'universo è espresso un decennio più tardi nel De Corpore, dove Hobbes si esprime in questi termini: «non posso lodare coloro che ritengono di aver dimostrato che il mondo ha un’origine».!57
6. CONCLUSIONE
L'elemento più rivoluzionario de Il Saggiatore consiste, com'è noto, nella ‘riduzione’ delle cosiddette qualità secondarie alle qualità primarie. Gali-
135 Vedi WrÒire, De Mundo Dialogi Tres, Parisiis, cit., p. 329. 136 Vedi HoBBEs, MLT, XXXIII, 7, p. 379; tr. it. pp. 573-574.
137 HoBBEs, De Corpore, XXVI, 1, OL, I, p. 335;
tr. it. p. 395. Sull'argomento vedi le os-
servazioni di Paganini: GrannI PaganINI, Hobbes alla ricerca del primo motore. Il De motu, loco et tempore, «Rinascimento», XLVII, 2008, pp. 527-541 e, soprattutto: In., Hobbes's Galilean Project. Its Philosophical and Theological Implications, «Oxford Studies in Early Modern Philosophy», VII, 2015, pp. 1-46. Non credo sia condivisibile la tesi espressa da Arrigo Pacchi in numerosi articoli, secondo la quale un concetto filosofico di Dio come primo motore sarebbe il necessario fondamento dell’esistenza dell'universo: vedi ArRIGO PaccHi, Hobbes e il Dio delle cause, in BADALONI
et alii, La storia della filosofia come sapere critico, cit., pp. 295-307 (ota anche in Scritti hobbesiani, cit., pp. 53-65); I., Hobbes and the problem of God, in RogERS — Ryan (eds.), Perspectives on Thomas
Hobbes, cit., pp. 171-189. La questione è ripresa anche in un altro intervento di Pacchi, nel quale egli mette a confronto le differenti proposte interpretative della teologia hobbesiana emerse nel corso del ‘900 con alcune riflessioni filosofico-teologiche di Hobbes. Vedi In., Hobbes e la teologia, in WiLims et alii, Hobbes Oggi, cit., pp. 101-121. Non trovo convincente nemmeno Lupoli,
il quale — a partire dalla constatazione che le affermazioni di Hobbes contro la creazione del mondo presenti nel De motu, loco et tempore e nel De Corpore si limitano ad attestare l’impossibilità di argomentare filosoficamente in favore della creazione, senza giungere a una negazione di essa tout-court — ritiene di poter affermare che l'eternità del mondo sia «indubbiamente negata da Hobbes» (LupoLi, Nei limiti della materia, cit., p. 554 e pp. 566-574). È vero che Hobbes afferma incidentalmente nell’Appendix all'edizione latina del Leviathan che il mondo sia stato fatto «senza dubbio dal nulla», ma indica anche che ciò è ritenuto vero perché scritto nelle Sacre Scritture e non sulla scorta di un ragionamento o di un'indagine filosofica (vedi HosBrs, Appendix ad Leviathan, in Leviathan, p. 1147 (OL, III, p. 513); tr. it. in Scritti teologici, cit., p. 207). È necessario tenere presente, infatti, che le affermazioni hobbesiane sulle questioni di fede, sono, talvolta,
incoerenti o addirittura in aperta contraddizione con le sue stesse argomentazioni filosofiche.
Ad esempio, nel De motu, loco et tempore, Hobbes, per non attribuire la materialità a Dio, sostiene che l’esistenza di sostanze incorporee sia un dogma della fede (Ho8BES, MLT, IV, 3, palio
pp. 167-168), ilche è apertamente negato nelle opere successive e lo stesso concetto di sostanza incorporea viene considerato una mera assurdità.
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leo ammetteva unicamente l’esistenza di quelle proprietà reali che fossero quantificabili e matematicamente esprimibili. Come abbiamo visto in questo capitolo e nei precedenti, Hobbes condivise la posizione del Pisano e costruì la sua filosofia naturale su questi presupposti. Tuttavia, è interessante soffermarci ancora sulle difficoltà incontrate da
Galileo riguardo al senso che egli considerava «sopra tutti gli altri eminentissimo», cioè la vista. Il Pisano riteneva che la vista, come tutti gli altri sen-
si, avesse una relazione particolare con il proprio oggetto, ma il rapporto che egli istituiva tra la vista e la luce era di natura unica, esprimendosi — se-
condo le parole dello stesso Galileo - «con quella proporzione d'eccellenza qual è tra ’]finito e l'infinito, tra 1 temporaneo e l’istantaneo, tra ’l quanto e l’indivisibile, tra la luce e le tenebre».!58
Come abbiamo visto, il fenomeno della luce è paradigmatico per comprendere la concezione galileiana della materia e del continuo !’? e, ne Il Saggiatore, il Pisano istituisce una differenza tra la luce e gli altri oggetti del senso. In tutti gli altri fenomeni contemplati, ad esempio il calore, egli esamina i minimi dei corpi, i quali sono ancora ‘quanti’ e ‘numerati’ e il loro moto è ‘temporaneo’. Al contrario, «arrivando all'ultima ed altissima risoluzione in atomi realmente indivisibili, si crea la luce», che è ritenuta «di
moto o vogliamo dire espansione e diffusione istantanea». A causa della
sua «sottilità, rarità, immaterialità, o pure altra condizion diversa da tutte queste ed innominata», la luce è in grado di «ingombrare spazii immensi».!4° Ne Il Saggiatore la luce è considerata una sorta di sostanza primigenia universale, risoluta nei suoi ultimi componenti. Essa, condensandosi, dà vita a tutte le
altre composizioni materiali più dense presenti nell'universo !*! e rappre-
senta, perciò, anche il paradigma della rarefazione massima della materia,
138 GALILEI, Il Saggiatore, OG, VI, p. 350.
139 Sull'argomento vedi Gomez Lopez, The mechanization of light in galilean science, cit.,
pp. 207-244.
140 Ivi, pp. 351-352. Già nelle Lettere copernicane, Galileo, riprendendo concetti e linguagsostanza gio propri della tradizione tardomedievale legata alla metafisica della luce parlava di una proprietà aveva e luce dalla distingueva si però, quale, la , velocissima» e «spiritosissima tenuissima
e le differenze tra calorifiche e, in qualche modo, vivificanti (OG, V, p. 301). Sulle consonanze The mechanization of Lopez, Gomez vedi ali, rinasciment ci neoplatoni i e Galileo di la posizione
GaLLuzzi, Tra light in galilean science, cit., pp. 214-225. Sui rapporti tra luce e materia vedi anche della luce atomi e indivisibili, cit., p. 61. Per un'analisi della possibile influenza della ‘metafisica di Hobnaturale particolare, delle idee di Roberto Grossatesta sull’ottica e sulla filosofia
e, in Optiques di Thomas bes, vedi Franco ALEssio, De Homine e A Minute or first Draught of the GARGANI, Hobbes e la sciene 393-410 pp. 4, XVII, filosofia», della storia di critica Hobbes, «Rivista on First Principles. za, cit., pp. 111 e sgg,, il quale, però, concentra l’attenzione sullo Short Tract 141 Vedi GaLLuzzi, Tra atomi e indivisibili, cit., pp. 75-78.
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essendo ‘risoluta’ nei suoi ultimi componenti, che sono atomi realmente indivisibili.
La concezione hobbesiana della visione diverge radicalmente da quella di Galileo su un punto fondamentale: il filosofo inglese considera la luce nient'altro che un movimento propagantesi attraverso il mezzo, mentre Galileo le aveva attribuito una realtà autonoma, tonsiderandola un corpo estremamente rarefatto e risoluto nei suoi atomi indivisibili.!4 La teoria della trasmissione della luce di Hobbes è, invece, molto simile a quella di Descartes, il quale riteneva che la luce fosse «l’azione o la tendenza a
muoversi di una certa materia molto sottile che riempie i pori dei corpi trasparenti».!4 Infatti, benché contestasse apertamente la nozione cartesiana di tendenza o inclinazione al movimento, Hobbes sottraeva al fenomeno luminoso la dimensione particolare ed esclusiva che gli aveva attribuito il Pisano, riconducendolo, come Cartesio, al movimento che si trasmette nel
mezzo.!* In questo, Hobbes e Descartes sembrerebbero apparentemente molto più ‘aristotelici’ !4 di Galileo,!4 il quale, fedele alla sua posizione ‘democritea’, aveva descritto la luce come una sostanza reale risoluta nei
suoi ultimi atomi indivisibili.!47 Tuttavia, come abbiamo visto nel capitolo II,!4 la spiegazione hobbesiana del fenomeno
luminoso, presente negli Elements, era chiaramente
ispirata alle speculazioni de Il Saggiatore e ciò traspare anche dalle opere tar142 Vedi GaLiLEI, Lettera a Pietro Dini, OG, V, p. 301. Ciò non deve indurci a credere, però,
che Galileo attribuisse alla luce una realtà ontologica autonoma e:qualitativamente differente rispetto alla materia di cui sono costituiti gli altri corpi. Sull'argomento e sulla differenza con la posizione kepleriana, vedi BucciantiNI, Galileo e Keplero, cit., pp. 234-235. 14 DescARTES, La Dioptrique, AT, VI, p. 197; tr. it. p. 316. Anche Hobbes suppone che la
luce sia un conato che si trasmette attraverso il mezzo, tuttavia, diversamente dal collega fran-
cese, il quale parla di tendenza, egli considera questo conato, un movimento in atto vero e pro-
prio, che si trasmette con continuità attraverso il mezzo.
:
144 Anche nell’Appendice all'edizione latina del Leviatano (1668), Hobbes scrive: «la luce,
[...] a mio parere, è fantasma, non cosa [realmente] esistente». HoBBES, Appendix ad Leviathan,
in Leviathan, p. 1149 (OL, III, p. 514); tr. it. in Scritti teologici, cit., p. 209.
145 Aristotele considerava, infatti, la luce l’«entelecheia del diafano» (ARISTOTELE, De Anima, II (B), 7, 419a) e riteneva che la sua propagazione e quella dei colori fossero determinate dal
movimento nel mezzo (ivi, 418b-419b).
146 Sulle differenze tra la concezione della luce galileiana e quella aristotelica vedi PretRo REDONDI, Galilée aux prises avec les théories aristotéliciennes de la lumière (1610-1640 )),«XVII Siècle», n. 136, 34° année, 3 (juillet-septembre 1982), pp. 267-283, il quale la confronta anche con le teorie di Giulio Cesare Lagalla e Fortunio Liceti. 147 Vedi Gomez Lopez, The mechanization of light in galilean science, cit., pp. 214-225 e 238 e sgg. 148 Vedi supra, cap. II, $ 1.
RS,
JO
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DELLA
MATERIA
de di Hobbes. Ad esempio, nei Seven Philosophical Problems, Hobbes afferma ancora che ogni senso non è altro che ‘fancy’: immaginazione, benché la sua causa risieda in un corpo reale.!4° Quest’idea era presente, com’è noto, anche in Descartes. Nel discorso sesto de La Dioptrique, egli sosteneva, infatti, che «la nostra anima è di tal natura, che a procurarle la sensazione della luce è la forza di quei movimenti che hanno luogo nelle parti del cervello donde provengono i filamenti dei nervi ottici, mentre è il modo in cui si fanno questi stessi movimenti a procurarle quella del colore».!5° Anche per il filosofo francese, la luce e il colore non sono altro che movimento, un movimento che, una volta rece-
pito nel cervello del senziente, viene ‘percepito’ dalla sua anima. A sottolineare l’acume di Descartes e a indicare la convergenza tra la sua ottica e quella hobbesiana, è lo stesso Hobbes, il quale elogia aperta-
mente il ‘collega’ nel First Draught of The Optiques, per essere stato il primo ad aver ricondotto il fenomeno luminoso unicamente al movimento. Secondo Hobbes, non stupisce che tutti coloro che hanno indagato precedentemente la natura della luce abbiano avuto difficoltà a individuare la corretta collocazione delle sorgenti luminose. Questo perché: [...] they haue all of them, (except onely Monsieur desCartes, now of late) supposed light and colour, that is to say the appearance of objects which is nothing butt our fancy to bee some accident in the object it selfe, and so they sought the place of that which hath no place, for nothing hath a place butt bodie, and if improperlie wee assigne place to accident, wee cannot assigne them any other then the place of the body whose accident they are, They ought therefore to haue enquired not of the place of the Image, butt of the apparent or seeming place of the object itselfe. And seeing Mons. desCartes who only hath sett forthe the true principle of this doctrine, namely that the Images of objects are in the Fancie, and that they fly not through the aire, under the empty name of Species intentionales but are made
in the braine by the operation of the objects themselves.!?!
149 «All sense is fancy, though the cause be always in a real body». HoBBEs, Seven Philosophical Problems, EW, VII, p. 28. Significativa è anche la delucidazione che offre il filosofo nel prosieguo: «I see by this that those things which the learned call the accidents of bodies, are indeed nothing else but diversity of fancy, and are inherent in the sentient, and not in the objects, except motion and quantity», ibid. 150 DescARTESs, La Dioptrique, AT, VI, pp. 130-131; tr. it. pp. 252-253. 151 Ho8Bes, FD, BL, Harley Ms 3360 ff. 74v e r, pp. 335-336. Vedi MinERBI BELGRADO, Lin-
guaggio e mondo in Hobbes, cit., p. 41; MÉpIna, La philosophie de l’optique du De Homine, cit., pp. 76 e sgg. Al tema della teoria della trasmissione della luce è associata anche l’interpretazione delle qualità primarie e secondarie. Sull'argomento, nel pensiero di Descartes, vedi MARGARET D. Wison, Descartes on Perception of Primary Qualities, in STEPHEN VOSS (ed.), Essays on Philosophy and Science of René Descartes, New York-Oxford, Oxford University Press, 1993, pp. 162-176.
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QUARTO
Descartes fu, dunque, il primo a rendersi conto che la luce e i colori consistono unicamente nella sensazione e non risiedono, in alcun modo, nell'oggetto percepito. Eppure, nonostante questo riferimento, sappiamo
che La Dioptrique non può essere ritenuta la fonte della teoria della visione hobbesiana, perché il filosofo inglese formulò l’idea che la luce e le altre sensazioni consistono unicamente nel movimento ancor prima di avere tra le mani gli Essais di Descartes.!? Ciò, nondimeno, l'affinità dei due auto-
ri su questo tema è estremamente significativa, perché evidenzia la loro impostazione filosofica generale e la corretta collocazione delle rispettive filosofie all’interno della grande corrente filosofico-scientifica del primo Seicento: il meccanicismo. Descartes e Hobbes sono spesso citati come esponenti di spicco del nuovo paradigma scientifico e, tuttavia, il filosofo inglese è il primo autore nel quale emerge la consapevolezza della portata rivoluzionaria del pensiero di Galileo. La scienza del moto del Pisano e la sua teoria della materia sono alla base della distinzione tra le cosiddette qualità primarie e secondarie e, quindi, del meccanicismo. Le riflessioni galileiane assumono in Hobbes la dimensione di una svolta epocale, non solo rispetto alla tradizione aristotelica e scolastica, ma — grazie all’istanza di matematizzazione della natura — anche nei confronti delle filosofie della natura dei novatores moderni,
quali Telesio e Campanella. Galileo tentò in ogni modo, con insistenza e pervicacia, di vedersi rico-
nosciuto il titolo di filosofo naturale e non accettò di attestarsi alla descrizione della natura come mera ipotesi matematica. Egli riteneva, al contrario, che la matematica fosse proprio lo strumento e il veicolo per giungere alla vera e reale descrizione dell’universo. Hobbes fu tra i primi a rendersi conto dell'importanza dell'impresa del Pisano, restituendoci l’immagine corretta di un Galileo filosofo, il più grande «non solo di [quel] secolo ma di tutti i secoli».!93
152 Hobbes sostiene già in una lettera dell'ottobre 1636 che la luce non sia altro che movi-
mento che si trasmette attraverso il mezzo e nel cervello (vedi CH, I, pp. 37-38), mentre l’opera
di Descartes gli è inviata da Kenelm Digby solo all’inizio dell'ottobre dell’anno successivo (vedi CHAISp:5,1) 153 HoBBEs, MLT, X, 9, p. 178; tr. it. p. 250.
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APPENDICE
LO SHORT TRACT ON FIRST PRINCIPLES
In questa breve appendice, mi è sembrato opportuno svolgere alcune consi-
derazioni sulla mia scelta di non prendere in esame direttamente il testo del cosiddetto Short Tract on First Principles. Ferdinand Tònnies scoprì, nel 1879, presso il fondo Harley della British Library (Harley Ms 6796, ff. 297-308) un manoscritto anonimo, senza titolo né data
e composto da una decina di fogli, che egli considerò uno schizzo giovanile di
Hobbes, risalente al 1630 circa.!54 Il testo venne pubblicato in appendice alla pri-
ma edizione degli Elements of Law, curata dallo stesso Ténnies nel 1889, col titolo
Short Tract on First Principles."
Alcuni studiosi espressero perplessità sulla paternità hobbesiana del mano-
scritto ma, nonostante ciò, l'attribuzione non venne mai apertamente contestata
sino all’epoca recente, anche se già nel 1886, George Croom Robertson aveva già manifestato dubbi, pur considerando il testo conforme all'orientamento filosofi-
co generale di Hobbes.!55 Nel 1921, pur esprimendo qualche perplessità, Frithiof
Brandt si servì ampiamente dello Short Tract!57 e così fecero quasi tutti gli altri
studiosi negli anni seguenti.!5* 154 Vedi FERDINAND TONNIES, Anmerkungen iiber die Philosophie des Hobbes, «Vierteljahrsschrift fiir Wissenschaftliche Philosophie», 3, 1879, pp. 453-466: 463-464. Per una dettagliata analisi
della storica e critica del testo, vedi AnpREA NapoLI, Hobbes e lo «Short Tract», «Rivista di Storia
Filosofia», 3, 1990, pp. 539-569. 155 HoBB£s, A Short Tract on First Principles, Appendix I, in EL, pp. 193-210.
156 «This Tract, No. 26, doubtless in Hobbes’s handwriting, but otherwise giving no aclo studioso inglese count of itself [...}) Croom RoBERTSON, Hobbes, cit., p. 35, Nota 1. Inoltre,
che è si soffermava sul fatto che lo Short Tract presenta una teoria ‘emanantistica’ della luce stampa. a opere nelle Hobbes da respinta e sgg. 157 Vedi BRANDT, Thomas Hobbes” Mechanical Conception of Nature, cit., pp. 10 un capidedica quale il 158 Come anche Gargani (vedi GarcanI, Hobbes e la scienza, cit.), Roberto di ni speculazio le e Tract Short nello proposta luce della tolo al confronto tra la teoria e struttura della Grossatesta e Ruggero Bacone. Vedi anche Franco Giupice, Teoria della luce 2, 1996, pp. 545-561 e materia nello Short Tract on First Principles di Thomas Hobbes, «Nuncius»,
5gg. In., Luce e visione. Thomas Hobbes e la scienza dell’ottica, cit., pp. 17 e
si Bi >
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QUARTO
A riconsiderare la questione fu Arrigo Pacchi, nel 1971: egli ammetteva che lo Short Tract presentasse «i principi fondamentali della futura speculazione hobbesiana», e «questo ha fatto sì che il manoscritto venisse senz'altro attribuito ad Hobbes», tuttavia non nascondeva alcune riserve !’? e riteneva più opportuno considerare l’opera come un lavoro collettaneo partorito dal cosiddetto ‘circolo di Newcastle”, di cui William Cavendish, conte (e poi duca)di Newcastle, e il fratello
Charles furono i principali animatori e di cui fecero parte, a vario titolo, gli intellettuali Walter Warner e Robert Payne, il drammaturgo Ben Jonson, il letterato
Joseph Webbe e lo stesso Hobbes.190 Nonostante queste considerazioni di Pacchi, lo Short Tract continuò a essere attribuito prevalentemente a Hobbes e, nel 1988, Jean Bernhardt curò un’edizio-
ne dell’opera, con traduzione francese a fronte e un ampio commento critico in
appendice.!9!
Tuttavia, lo stesso anno, Richard Tuck, in due articoli dedicati ad altre pro-
blematiche del pensiero di Hobbes,!°" contestò l’autenticità del testo, suggerendo che questo potesse essere attribuito, con buona probabilità, al religioso Robert Payne, cappellano a Welbeck.
La tesi del Tuck è stata contestata da Perez Zagorin !99.e, soprattutto, da Karl Schuhmann, che evidenziò le analogie tra lo Short Tract e le opere successive del
pensatore inglese. 194
Tuttavia, nel 2001, Timothy Raylor, attraverso una precisa e meticolosa perizia calligrafica e stilistica, ha mostrato che la mano presente nello Short Tract
è — quasi senza ombra di dubbio — di Robert Payne; !9° egli ha inoltre individua-
to alcune similitudini tra il testo in questione e la traduzione, stilata dallo stesso
Payne, della seconda parte di un'opera di Benedetto Castelli: Della misura dell’acque
correnti.!°° Per ciò che concerne, invece, i dubbi avanzati soprattutto da Zagorin 159 Vedi PaccHI, Introduzione a Hobbes, cit., pp. 15-16. 160 Ibid.
161 Vedi BERNHARDT, Essai de commentaire, in HoBBES (?), Court traité des premiers principes, cit., pp. 59-274. L'ampio commento critico di Bernhardt è, in ogni caso, un ottimo saggio sulla filosofia naturale hobbesiana. 162 Vedi Tuck, Hobbes and Descartes, cit.; e In., Optics and Sceptics: The Philosophical Founda-
tions of Hobbes's Political Thought, cit. 163 Vedi PEREZ ZaGORIN, Hobbes”s Early Philosophical Development, «Journal of the History of Ideas», vol. 54, n. 3 (July 1993), pp. 505-518. 164 Vedi ScHuHMANN, Le Short Tract, première ceuvre philosophique de Hobbes, cit. (in part. fino a p. 27, le ultime pagine sono dedicate al confronto con Suarez). 165 Vedi TimoTHyY RarLoR, Hobbes, Payne and A Short Tract on First Principles, «The Historical Journal», 44, n. 11, 2001, pp. 29-58. 166 Vedi BENEDETTO CASTELLI, Della misura dell’acque correnti, Roma, Stamparia Camerale, 1628. Come nota Raylor (RayLoRr, Hobbes, Payne and A Short Tract on First Principles, cit., p. 44),
Payne ha tradotto la seconda parte, dal titolo Demostrazioni geometriche della misura dell’acque
correnti, titolandola: “Geometricall demonstrations of the measure of running-wat ers”, British
Library, MS Harley 6796, ff. 309-316 (la paginazione, nella rilegatura, segue proprio quella dello Short Tract).
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I PARADOSSI
DELLA
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sull’originalità di Payne, Raylor ha precisato che le informazioni che possediamo
ce lo presentano come una sorta di intellectual factotum,9” versato in ogni genere di studio, letterario e scientifico. Payne tradusse dall’italiano per Sir Charles Cavendish anche uno scritto di Galileo: Le mecaniche,!°8 e questa traduzione si trova
rilegata insieme allo Short Tract e alla versione dell’opera di Castelli.!9° Raylor ha richiamato anche l’attenzione sull’attività del citato ‘circolo di Newcastle”, all’interno del quale vide la luce l’operetta teatrale: Wit’s triumvirate, or the Philosopher,
dove è evidente la presenza di Galileo e del pansensismo di Campanella.!7° Alle considerazioni di Raylor ha fatto seguito l'intervento di Noel Malcolm
(pubblicato nel 2002, in una raccolta di saggi su Hobbes),!7! il quale ha sviluppato interessanti osservazioni di carattere filologico, storico e filosofico. In primo
luogo, il testo dello Short Tract presenta alcune correzioni della stessa penna e dello stesso inchiostro del testo principale, il che sembra escludere l'intervento di un copista e suggerisce, invece, la coincidenza di autore ed estensore.!7? Inoltre, Malcolm ha sostenuto che molte delle analogie individuate da Schuhmann, tra lo Short Tract e i testi hobbesiani, si rivelano — a un'analisi più dettagliata - meno significative e ben lontane dall’esibire una corrispondenza puntuale. Infine, per ciò che concerne le questioni più propriamente filosofiche, Malcolm ritiene che il testo non presenti i tratti del meccanicismo, applicato al fenomeno della visione, che sono riscontrabili, invece, già nelle prime lettere di Hobbes.!7? 167 Vedi RayLor, Hobbes, Payne and A Short Tract on First Principles, pp. 47 e sgg. Sulla figura di Payne vedi anche: Jacquor, Sir Charles Cavendish and His Learned Friends: A Contribution to the History of Scientific Relation between England and the Continent in the Earlier Part of the 17°" Century, «Annals of Science», vol. 8, n. 1 (march 28, 1952), pp. 13-27 e vol. 8, n. 2 (june, 28,
1952), pp. 175-191; p. 21; MorpecHAI FeincoLp, A Friend of Hobbes and an Early Translator of Galileo: Robert Payne of Oxford, inJogN D. NORTH — JoHN J.RocHE (eds.), The Light of Nature: Essays in History and Philosophy of Science Presented to A. C. Crombie, Dordrecht-Boston-London, Martinus Nijhoff Publisher, 1985, pp. 265-280; MALCOLM, Robert Payne, the Hobbes Manuscripts,
and the ‘Short Tract”, in In., Aspects of Hobbes, cit., pp. 85 e sgg. 168 Raylor fa riferimento all'opera col titolo con il quale fu pubblicata postuma, da Luca Danesi, nel 1649: Della scienza mecanica (Stamperia Camerali, Ravenna 1649) (ivi, p. 33); tuttavia si tratta de Le mecaniche, testo composto da Galileo nel 1593 circa, durante gli anni trascorsi
, cit., a Padova (vedi CAMEROTA, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell’Età della Controriforma
pp. 82 e sgg.) e che venne tradotto, come sappiamo, nel 1634 da Mersenne. 169 Il testo di Galileo reca il titolo: Of the Profitt w* is drawn from the Art Mechanics & it's 1636 e si trova custoInstruments. A Tract of Sig." Galileo Galilei, Florentine, è datato 11 novembre 317-337. ff. 6796, Harley MS dito nel citato
48-50. Vedi in 170 Vedi RayLor, Hobbes, Payne and A Short Tract on First Principles, pp.
Cavendish Cirproposito anche le osservazioni di Sergio: EMILIO Sercio, Hobbes, Campanella e il inun Campanella e Galileo cle, «Filologia antica e moderna», XVI, 30-31, 2006, pp. 173-189; In.,
, «Giornale “english play” del circolo di Newcastle: «Wit's triumvirate, or the philosopher» (1633-1635) 298-315. pp. 2007), gosto (maggio-a II critico della filosofia italiana», fasc.
171 pp. 104 172 173
Tract”, cit., in part. Vedi MaLcoLm, Robert Payne, the Hobbes Manuscripts, and the “Short e sgg. Ivi, pp. 108-109. Ivi, pp. 118 e sgg.
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CAPITOLO
QUARTO
Per quanto riguarda le osservazioni di carattere documentario, storico e filologico, si può senz'altro concordare con Malcolm. Tuttavia, per ciò che concerne, invece, alcuni degli argomenti di carattere più spiccatamente filosofico, è possibile formulare qualche precisazione. Ad esempio, nello Short Tract ogni azione è spie-
gata in termini di moto locale,!74 proprio come nel Tractatus Opticus I; il concetto di phantasma, inteso come rappresentazione visiva 0 mentale, richiama quello pre-
sente negli Elements; !?? l’atto d’intendimento (understanding)è spiegato in termini meramente fisici 179 e l’autore afferma anche che la luce, il colore e il caldo non sono
qualità inerenti alle species.!77 In ogni caso, sia esso una creazione individuale di Payne o, come aveva supposto Pacchi, una sorta di prodotto ‘collettivo’ del ‘circolo di Newcastle’, non vi è ragione di ignorare completamente lo Short Tract, come hanno fatto, ultimamente, molti studiosi hobbesiani.
Bisogna ammettere, però, che le affinità tra lo scritto e i testi hobbesiani possono essere spiegate facendo ricorso ad alcune fonti comuni: non solo ai testi ottici medievali, ma anche ad alcune opere galileiane, cui avevano accesso entrambi i
pensatori, Hobbes e Payne. Infatti, l’attività di Payne quale traduttore di Galileo (come quella diJoseph Webbe, che tradusse in inglese il Dialogo sopra i due massimi sistemi)!” testimonia un interesse concreto del circolo di Newcastle nei confronti dei testi di Galileo, interesse che era condiviso, evidentemente, non solo dallo stes-
so Payne, ma anche da Hobbes, il quale farà spesso riferimento alle speculazioni
galileiane nel suo carteggio, tra il 1635 e il 1641.!7°
Le traduzioni di Payne e lo Short Tract on First Principles sono di primaria importanza per ciò che concerne la prima diffusione delle idee galileiane in Inghilterra; 5° esse richiedono tuttavia un’analisi specifica che non concerne prettamente il debito di Hobbes nei confronti della filosofia naturale di Mersenne e Galileo. Il carteggio testimonia, infatti, un'attenzione particolare nei confronti delle opere galileiane durante il periodo relativo al grand tour e, probabilmente, il filosofo cominciò a riflettere approfonditamente su questi testi a Parigi, in compagnia di
Mersenne, che conosceva molto bene gli scritti di Galileo.18! 174 Ho8BEs (?), Court traité des premiers principes, cit., p. 13. 175 Ivi, p. 40 e pp. 45-46.
176 Ivi, p. 49. 177 Ivi, p. 45. 178 Hobbes mostra di essere al corrente dell'iniziativa di Webbe di tradurre il dialogo (Hob-
bes to William Cavendish, Earl of Newcastle, 26 January [/5 February] 1634, CH, I, p. 199) e nella
British Library è custodito il manoscritto di questa traduzione, mai pubblicato (Harley 6320). 179. Vedi supra. 180 Sulla prima ricezione di Galileo in Inghilterra vedi: MorpEcHAI FEINGOLD, Galileo in England: the first phase, in GALLUZZI (a cura di), Novità celesti e crisi del sapere, Firenze, Giunti-
Barbera, 1983, pp. 411-420; Grupice, Echi del caso Galileo nell’Inghilterra del XVII secolo, cit., pas-
sim. Vedi anche BUCCIANTINI — CAMEROTA — GIUDICE, Il telescopio di Galileo. Una storia europea, cit., pp. 133-159. 181 Con ogni probabilità, l'originale italiano de Le mecaniche giunse a Payne grazie a Hob-
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ZIO—
I PARADOSSI
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MATERIA
Per queste ragioni, ho ritenuto opportuno non prendere direttamente in considerazione lo Short Tract on First Principles, concentrando l’attenzione sulle opere di Hobbes e sul suo carteggio.
ro nella capitale francese da bes e William Cavendish, III conte di Devonshire, che lo ricevette testimonia che questi laPayne del ne traduzio alla calce in
Mersenne. Un’indicazione apposta della versione mersenniavorò direttamente sull’originale in lingua italiana e non dal francese 11° 1636, By M" Robert Novemb. am. transfus m sermone m Anglicu na: «Raptim ex Italico in Payen». British Library, MS Harley 6796, €\3371:
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Adam, Charles, x1, 215 Alberto di Sassonia, 169n Alessio, Franco, xI, xxn, 43n, 203n, 213, 216 Al-Kindi, xIx n, 227
Barnouw, Jeffrey, 72n, 99n, 138n, 217 Baroncelli, Giovanna, 182n, 217
Altieri Biagi, Maria Luisa, 77n, 216
Bascelli, Tiziana, 192n, 218 Baumgold, Deborah, xrvn, xvn, 218 Bayle, Pierre, 29n, 230, 231 Beaulieu, Armand, 2n, 4n, 12n,-13n,
Barone, Francesco, 89n, 215 Barozzi, Francesco, 7n, 9n
Anstey, Peter, R., 25n, 59n, 62n, 216, 225
Applebaum, Wilbur, 88n, 217 Ariew, Roger, 48n, 217, 221
Aristotele,
10n,
17n, 31n, 39n, 54n, 62n,
63n, 64, 66, 67, 67n, 69n, 73n, 75n, 82n,
Belgioioso, Giulia, xvn, 215
92n, 99n, 101n, 102n, 109, 109n, 111, 112,
Beretta, Marco, 199n, 218, 220
112n,.129n,.132,.132n,,141,
Bergerac, Cyrano de, 39n
179n,..192n,
195,;.195n;.197,,
18n,
45n, 47n, 218
1551;,170n;
Bernhardt,
198n,.201,
Jean,
xmm,
xrvn,
xvn,
xvmun,
XIXN, Xxn, xXIn, 2n, 21n, 34n, 48n, 50n,
201n, 204n, 214, 220, 221, 222, 225, 230
Armogathe, Jean-Robert, 2n, 4n, 11n, 13n,
65n,
129n,
138n,
185n,
208,
208n,
213,
21872292357 235)
44n, 217, 219, 220, 228, 230
Arnaldi, Girolamo, 101n, 217, 232
Bernier, Frangois, 156n, 214
Aubrey, John, xvin, xvim, 214
Bernstein, Howard R., 167n, 218 Berthier, Jauffrey, xvin, xxm, 21n, 30n, 39n,
Auger, Léon, 15n, 45n, 217 Avempace, 150n, 229
48n, 72n, 106n, 219, 229, 234, 235
Bertman, Martin, 23n, 24n, 72n, 94n, 129n, 138n, 217, 218, 219, 224, 228, 235
Bacon, Francis, 3, 3n, 4, 5n, 10, 21n, 91,91n, 108, 108n,
153n, 214, 218, 219, 220, 222,
DZADZO, 228, 229,233, 235
Bacon, Roger (Ruggero Bacone), x1xn, 9, 9n, 43, 43n, 207n, 214, 216
Badaloni, Nicola, 43n, 202n, 217, 230, 232 Bailhache, Patrice, 44n, 217 Baldasso, Renzo, 88n, 217 Baldin, Gregorio, xvmn, xx, 2n, 42n, 82n,
Biancani, Giuseppe, 7n, 8n, 9n, 26, 102n
Bianchi, Lorenzo, 1x, 26n, 219, 231 Bianchi, Luca, 26n, 43n, 132n, 219 Bianchi, Massimo, 43n, 110n, 222, 223 Biener, Zvi, 125n, 169n, 175n, 219 Biet, Christian, xxn, 46n, 219, 229, 233 Bitpol-Hespériès, Annie, 29n, 41n, 219 Blay, Michel, 4n, 11n, 13n, 44n, 217, 219, 220, 228, 230
139n, 156n, 200n, 217
Baldini, Ugo, 170n, 171n, 175n, 176n,178n, ZI
Baliani, Giovan Battista, 111n, 135n, 177n Banfi, Antonio, 101n, 217
Bloch, Olivier R., 16n, 39n, 136n, 156n, 219 Blumenberg, Hans, xmm, 219 Boas Hall, Marie, xx, xxmmn, 100n, 219, 225
Bonet, Nicolas, 170n
Galileo * A causa delle numerose occorrenze, sono stati omessi i nomi di René Descartes, Mersenne. Marin e Hobbes Thomas Gassendi, Galilei, Pierre
—
237.—
INDICE DEI NOMI
Borghero, Carlo, 9n, 219, 220 Bortolotti, Ettore, 191n, 219 Boyle, Robert, xx, xxmn, 30n, 59, 59n, 80n, 106n, 214, 216, 222, 228, 234, 235
Bradwardine, Thomas, 169n Bramhall, John, 98, 195n, 201 Brandt, Frithiof, xrvn, In, 44n, 57n, 58n, 59n, 6ln, 133, 133n, 138, 138n, 139n, 140, 140n, 207, 207n, 219
58n, 191n,
79n, 92n, 199n,
204n,
221 223224032
111n,
210n,
129n,
217,
182n,
218,
220,
OnL0nNN2I5N219N220
169n, 214
Butts, Robert E., 92n, 102n,
125n,
170n,
182n, 220, 227, 228, 234, 236
Califano, Salvatore, 12n, 220 Calvino, Giovanni, 58n Camerota, Michele, 12n, 58n, 92n, 103n,
Campanella,
199n, 209n,
Tommaso,
210n, 220, 224,
xmn,
38,
39n,
188n, 199n, 206, 209, 209n, 214, 222, 223, 227, 234.
Canone, Eugenio, 199n, 222 Carcavy, Pietro, 111n
Carlo II Stuart (re d'Inghilterra, Scozia e Ir-
landa), xvin, 225 Carraud, Vincent, 11n, 220 Carugo, Adriano, 102n, 220 Caspar, Max, 80n, 215 Cassan, Élodie, 3n, 220 Cassirer, Ernst, 72n, 220 Castelli, Benedetto, 199n, 208, 208n, 209, 215
Cavalieri,
Bonaventura,
Z15 131903351033
Ciampoli, Giovanni} 199n, 223
Clavius, Christoph, 7n, 8n, 102n, 104, 215 Clericuzio, Antonio, 12n, 156n, 157n, 221 Clucas, Steven, xvIn, 221 Collins, James D., 30n, 232, 235
Collins, Jeffrey R., 128n, 221
Bunce, Robin, 21n, 91n, 220 Buridano, Giovanni, 132n, 149n, 150n, 155n,
131n,
192n, 220 16n, 39n, 225 169n
176n, 220
Buccolini, Claudio, xxn, 3n, 5n, 7, 7n, 8n,
129n, 232
58n, 104n, 211n
Clavelin, Maurice, 103n, 111n, 150n, 159n,
12n, 34n, 36n, 43n,
103n,
vonshire), 58, Celeyrette, Jean, Charron, Pierre, Chatton, Walter
Citti, Francesco, 199n, 218, 220
Breidert, Wolfgang, 20n, 219 Bridges, John Henry, 9n, 214 Brunschvicg, Léon, 182n, 219 Bucciantini, Massimo,
Cavendish, William (secondo conte di Devonshire), xrvn Cavendish, William (terzo conte di De-
Constant, Jean-Marie, 2n, 12n, 221, 235
Copernico, Niccolò, 5, 40, 88, 89, 89n, 215 Costabel, Pierre, 12n, 179n, 221 Cozzi, Gaetano, 199n, 221 Cozzi, Luisa, 77n, 216
Cozzoli, Daniele, 11n, 43n, 221 Crapulli, Giovanni, 7n, 221 Cremonini, Cesare, 101n
Cristina di Lorena (granduchessa di Toscana), 103n Crombie, Alistair C., xvi,
5n, 9n, 13n,
26n, 31, 31n, 59n, 63n, 100n, 101n, 102n, 132n, 149n, 155n, 209n, 220, 221, 223, 230
Curley, Edwin M., 48n, 221
Dal Pra, Mario, 25n, 43n, 217, 221, 230, 232 Davis, Edward B., xxmn, 214 De Buzon, Frédéric, 196n, 222 De Gandt, Frangois, 12n, 191n, 218, 219, 221
Dear, Peter, xxtnn, 3n, 18n, 222
Delle Colombe, Ludovico, 101n Democrito, 199n, 201
Dennehy, Myriam, 106n, 222, 235 Denomy, Alexander ]., 132n, 216
Derand, Frangois, xvIin 182, 182n,
191n,
Di Liscia, Daniel A., 102n, 222, 226 Dick, Walther von, 80n, 215 Digby, Kenelm, xv, xvn, xvIn, 48n, 206n Dijksterhuis, Eduard J., xxm, 76n, 93n,
Cavendish, Charles, xvin, xvun, xvmn, 19n, 44n, 105, 105n, 209, 209n, 225, 228
Cavendish, William (primo duca di Newca-
stle), xvI, xvIn, xVII, xvIn, xIxn, 18n, 47,
48n, 58n, 114n, 208, 210n
—
179n, 222
Drabkin, Israel E., 179n, 222 Drake, Stillman, 130n, 222
238—
INDICE DEI NOMI
Dubos, Nicolas,.xvin, 21n, 30n, 106n, 219, 222, 22990235;
Ducrocq, Myriam-Isabelle, 21n, 222 Duhem, Pierre, 19n, 131n, 222
Eisenhardt, Peter, 4n, 221, 227 Elisabetta I (regina d'Inghilterra), xvi, 225
Enrico di Harclay, 169n
Gilbert, Neal W., 101n, 224 Gilbert, William, 40n, 81, 110, 215 Giorello, Giulio, 20n, 191n, 224 Giovannozzi, Delfina, 224 Giudice, Franco, ix, xxn, 12n, 17n, 29n, 33n, 47n, 50n, 52n, 58n, 59n, 84n, 102n, 115n, 116n, 172n, 185n, 186n, 199n, 207n, 210n, 22002248292
Epicuro, 172, 173, 186
Giusti, Enrico, 115n, 132n, 182n, 225
Erasmo da Rotterdam, xv, 9n, 232 Ernst, Germana, xmn, 39n, 188n, 199n,
G6mez
Lopez, Susana,
175n, 203n, 204n,
225
Grant, Edward, 132n, 150n, 185n, 225 Grant, Hardy, 20n, 54n, 140n, 225
DIAR215:222
Euclide, 9n
Grassi, Orazio, 61, 62, 62n, 114, 200n, 201n,
Fabbri, Natacha, 7n, 12n, 43n, 44n, 222 Farina, Paolo, 171n, 217
216
Fattori, Marta, 5n, 21n, 43n, 110n, 222, 223 Favaro, Antonio, x, 199n, 215, 223
Gregory, Tullio, 16n, 20n, 39n, 225 Grellard, Cristophe, 170n, 225, 230 Grene, Marjorie, 48n, 217, 221
Favino, Federica, 199n, 223 Feingold, Mordechai, xvun, 209n, 210n, 223 Festa, Egidio, 77n, 136n, 182n, 223
Grossatesta,
Roberto,
xIxn,
Fillon, Anne, 2n, 12n, 221, 235 Fisher, Saul, 16n, 20n, 31n, 223
Guiducci, Mario, 114, 177n Guldin, Paul, 182n, 232
92;-9n, 203n,
207n
Guenancia, Pierre, 48n, 225
Foisneau, Luc, 29n, 96n, 223, 227, 231, 236
Hall, Alfred R., 100n, 225 Halliwell, James O., xvin, xvan, xvun, 225
Frajese, Vittorio, 200n, 223 Fumaroli, Marc, 2n, 223 Funkenstein, Amos, 132n, 223
Hammer, Franz, 80n, 215
Gabbey, Alan, xxmm, 92n, 223 Galluzzi, Paolo, 7n, 12n, 43n, 81n, 102n, 110n, 136n, 141, 141n, 143, 143n, 147, 147n, 148n, 175n, 176n, 177n, 178n, 181n, 182n, 188n, 199n, 200n, 203n, 210n, 218, 223
Garber, Daniel, xxun, xxm, xxmn, 3n, 4n, 18n, 34n, 91n, 92n, 93n, 108n, 160n, 224
Gargani, Aldo, G., xvi, xvmmn, x1xn, In, 9n, 27, 27n, 57n, 59n, 80n, 100n, 106n, 113, 113n, 140, 140n, 141, 142, 167, 203n, 207n, 224
Garin, Eugenio, xmm, 22n, 215, 224 Gatto, Romano, 169n, 175n, 223, 230, 231
Gaukroger, Stephen, 21n, 41n, 59n, 108n, 139n, 230
147n,
156n,
160n,
183n, 224, 229,
Hanson, Donald W., 25n, 225 Hariot, Thomas, xv, 59n, 185n, 186n, 226 Heilbron, John L., 77n, 225 Henry, John, 77n, 80n, 85n, 88n, 133n, 225
Heytesbury, William, 169n Hine, William L., 12n, 225 Hoekstra Kinch, xxn, 225, 229 Hoguette, Hardouin Fortin de la, 5n, 222 Holden, Thomas, 172n, 191n, 225 Hooper, Wallace, 131n, 150n, 225 Horstmann, Frank, 22n, 40, 40n, 52n, 79n, 84n, 88n, 225
Hunter, Michael, xxnm, 214
Jacquet, Chantal, 21n, 226 Jacquot, Jean, xvin, 23n, 44n, 128n, 209n, 213, 226
Jesseph, Douglas M., xmm, 20n, 25n, 28n, 54n, 57n, 58n, 75, 75n, 94n, 100n, 108n, 122n, 127n, 138n, 147n, 159, 159n, 189n, 191n, 226
Gemelli, Benedino, 153n, 214 Gerardo di Odone, 169n : Gert, Bernard, 93n, 94n, 224 Geymonat, Lodovico, 111n, 130n, 224 Ghisalberti, Alessandro, 149n, 214
Jones, Harold Whitmore, 213, 226
—
239, —
;
x1, xvi,
128n,
INDICE DEI NOMI
Jonson, Ben, 208
Lutero, Martin, 58n
Jullien, Vincent, xxn, 2n, 46n, 136n, 182n,
Liithy, Cristopher, 169n, 228, 231
L921n3t2:1:8 2194220 8223,8220)022902325 233
Kant, Immanuel, 172n, 225 Kargon, Robert H., xvi, 59n, 185n, 226 Kenny, Anthony, 169n, 226, 230 Kepler, Johannes, vu, xrxn, 7n, 36, 36n, 40, 40n,
43n, 44n,
75, 78, 79, 79n, 80, 80n,
82, 84n, 85, 85n, 86, 88, 88n, 103n, 129n, 160n, 182n, LIZA ZINZZIANZIZ
204n,
215,
1l1n,
217,
Machamer, Peter, 125n, 131n, 225, 228 Magnard, Pierre, xmn, 228 Maier, Annaliese, 150n, 170n, 228 Malcolm, Noel, x1, x1mn, xvn, 2n, 19n, 21n, 47n, 55n, 62n, 93n, 106n, 209, 209n, 210, 214, 228
Malet, Antoni, xvn, 34n, 192n, 228 Malherbe, Michel, 23n, 24n, 29n, 32n, 34n,
220,
65n,
68n,
72n,
94n,
106n,
119n,
129n,
138n, 217, 218, 219, 224, 228, 236
Kessler, Eckhard, 102n, 222, 226 Koyré, Alexandre, 85n, 100n, 101n,
130,
130n, 131n, 133, 136, 136n, 226
Marion, Jean-Luc, 4n, 48n, 228 Marquer, Éric, 21n, 48n, 228
Kraye, Jill, 108n, 224, 226, 234
Kretzmann, Norman,
Mancosu, Paolo, 191n, 228 Margolin, Jean-Claude, 12n, 218, 228
169n, 226, 230
Kuhn, Thomas S., 160n, 226
Martinich, Aloysius P., xmn, xxn, 225, 229 Matton, Sylvain, 12n, 218, 228
La Mothe Le Vayer, Francois de, 39n
Mazzarino,
Maury, Jean-Pierrex2n, 13n, 229
Laird, Walter Roy, 102n, 226, 227 Lasswitz, Kurd, 138n, 140, 140n, 167, 175n, l'SSNA227
Laudan, Larry, 18n, 227 Lawson Dick, Oliver, 214 Le Grand, Homer E., 170n, 175n, 227 Leibniz, Gottfried Wilhelm von, 138n, 167n, 192n, 215, 218
Cees,
xvinn,
30n,
(cardinale),
Mazzoni, Jacopo, 7n, 102n
McCord Adams, Marilyn, 169n, 229
McLaughlin, Peter, 139n, 229 Méchoulan, Henry, 48n, 229, 236
Laursen, John Christian, 30n, 227, 231
Leijenhorst,
Giulio Raimondo
12n, 218, 234
32n,
38,
Médina, José, xvin,
xxn,
xxm,
20n, 28n,
33n, 50n, 52n, 54n, 61n, 63n, 106n, 188n, 205n, 229
Melantone, Filippo, xvin Menut, Albert D., 131n, 216
38n, 39n, 55n, 57n, 59n, 65n, 68n, 72n,
Messeri, Marco, 156n, 229
73n, 76n, 80n, 97n, 99n, 106n, 129n, 136, 137n, 138n, 141, 141n, 142n, 146n, 151, 151n, 154, 154n, 161n, 196n, 227
Micanzio, Fulgenzio, 57, 57n, 78n, 79n
Leites, Edmund, 2n, 227, 235 Lenoble, Robert, 1n, 2n, 4n, 8n, 12n, 15n, 16n, 18n, 33n, 34n, 227
Lerner, Michel-Pierre, 12n, 89n, 215, 227 Lewis, John, 2n, 12n, 13n, 14n, 33n, 227 Lindbergh, David C., xrxn, 227 Linhard, Frank, 4n, 221, 227 Lipsius, Justus, 26n, 231 Lojacono, Ettore, 41n, 215 Lombardo Radice, Lucio, 182n, 215 Longega, Andrea, 98n, 214 Lucrezio, 186, 199n, 218, 220 Lupoli, Agostino, 29n, 47n, 65n, 121n, 138n, 230
186n,
188n,
196n, 202-2140227
Methuen, Charlotte, 102n, 222, 226 Micheli, Gianni, 41n, 215 Milanese, Arnaud, 1x, xvIn, xxIn, 21n, 30n, 34n, 39n, 48n, 65n, 69n, 72n, 106n, 219, 229, 234, 235
Minerbi
Belgrado,
Anna,
xvn,
24n, 62n,
68n, 94n, 102n, 121n, 205n, 214, 229
Mintz, Samuel I., 133n, 229 Molesworth, William, x1, 213 Montesinos, José, 12n, 88n,
103n,
175n,
2178220) 2259227229
Moody, Ernest A., 150n, 229 Moreau, Pierre-Frangois, 1x, 21, 229, 235
Mori, Gianluca, 48n, 229 Morris, Katherine, 41n, 230 Mulsow, Martin, xxmm, 23n, 230, 231
Murdoch, John E., 169n, 228, 230, 231
ssi WR
INDICE DEI NOMI
Murr, Sylvia, xrun, 156n, 214, 228, 230
Popkin, Richard H., xvmn, 3n, 5n, 7n, 9n,
Napoli, Andrea, 207n, 230 Nardi, Antonio, 13n, 230
Prins, Jan, xvIn, xvam, xxn, 49n, 121n, 137n,
18, 18n, 22n, 30, 30n, 31, 31n, 34n, 232 232
Naylor, Ron, 77n, 78n, 79n, 230 Newman, William R., 169n, 228, 231 Newton, Isaac, xvun, 7n, 20n, 39n, 138n,
140n,
175n,
185n,
186n,
59n,
226, 227,
234
Nifo, Agostino, xvim, xvmmn, 26n, 27n, 101n Nonnoi, Giancarlo, 175n, 230
Guglielmo
da, 9, 9n, 25n, 63n,
Oresme, Nicole, 131n, 216 Osler, MargarethJ., 156n, 185n, 230 Oughtred, William, xvm
Pacchi, Arrigo, xmm, xrvn, xvInn, ln, 2n, 18, 25n, 47n,
72n,
106n,
94n,
106,
57n,
185n,
59n, 6ln,
189n,
195n,
202n, 208, 208n, 210, 214, 230
Paganini,
Gianni,
1x, XI, xMn,
xVN,
XXIN,
XXI, xxun, 6n, 18n, 23n, 26n, 29, 29n, 30, 30n, 32n, 39, 39n, 40, 40n, 55n, 57n, 58n, 65n, 66n, 72n, 75n, 99n, 100n, 106n, 133, 133n, 137n, 202n, 214, 219, 227, 230, 231
Palmerino, Carla R., xxmm, 14n, 57n, 100n, 136n, 139n, 154n, 157n, 169n, 171n, 176n, 179n, 182n, 223, 227, 231, 232, 233
Pantin, Isabelle, 12n, 232 Parodi, Massimo, 43n, 132n, 232 Pastore Stocchi, Manlio, 101n, 217, 232 Patrizi, Francesco, 132n
Payne, Robert, xvi, xvIn, 47, 47n, 62n, 104n, 208, 208n, 209, 213223, 232
209n,
210,
210n,
211n,
Pécharman, Martine, 30n, 64n, 65n, 232 Peiresc, Nicolas-Claude, 199n Pell, John, 228 = Piccolino, Marco, 115n, 232 Piccolomini, Alessandro, 7n Pietarinen, Juhani, 138n, 232 Pighetti, Clelia, 59n, 214 Pinborg, Jan, 169n, 226, 230 Pintard, René, x1, 216 Pitts, Joseph C., 92n, 102n, 125n, 170n, 227, 228, 236
Raylor, Timothy, 19n, 208, 208n, 209, 209n, Redondi,
106n, 169n, 215, 229
18n, 21n, 24n,
Randall, John H., xvmn, 26n, 101n, 232 Randi, Eugenio, 43n, 219 Raphael, Renée, 13n, 232 RB2
North, John D., 209n, 223, 230
Ockham,
Radelet-De Grave, Patricia, 182n, 232 Ramond, Charles, 106n, 222, 235
Pietro,
63n,
161n,
175n,
199n,
201n, 204n, 232
Reale, Giovanni, 82n, 214 Rees, Graham, 153n, 214 Rey, Jean, 12n Righini Bonelli, Maria Luisa, 101n, 221, 233 Robert, Aurélien, 170n, 225, 230 Robertson Croom, George, xIvn, ln, 207, 207n, 233
Roberval, Gilles Personne de, xvin, 2n, 55n, 225
Robinet, Alexandre, 138n, 233
Roche, John J., 209n, 223, 230 Rochot, Bernard, x1, 16n, 216, 233 Rogers, G.A.J., 108n, 202n, 224, 226, 230, 233, 234, 235
Rossi, Mario Manlio, xvn, 233 Rossi, Paolo, 21n, 214, 233 Roux, Sophie, xxXUN, xxII, xxmn, 5n, 18n, 22n, 46n, 93n, 116n, 139n, 224, 227, 233
Ryan, Alan, 202n, 230, 233, 235
Sacksteder, William, 25n, 233 Sanchez, Francisco, 29n, 30n, 227 Sarasohn, Lisa T., 137n, 233 Sarpi, Paolo, xvmmn, 77n, 159n, 175n, 199, 199n, 200n, 216, 217, 221, 223, 230, 234, 236
Sarsi, Lotario vedi Grassi, Orazio Schaffer, Simon, 106, 106n, 109n, 174n, 234 Schmitt; Charles B., 26n, 101n, 132n, 233 Schuhmann, Karl, xmm, xvin, xvun, 2n, 26n, 32n, 47n, 58n, 65n, 67, 67n,
70n,
72n, 195n, 208, 208n, 209, 233
Schuster, John, 41n, 139n, 160n, 224, 229, 230
Segonds, Alain-Philippe, 89n, 215
Sergio, Emilio, 7n, 20n, 21n, 29n, 39n, 127n, 209n, 233
Platone, 17n, 216
Lig
INDICE DEI NOMI
Serroy, Jean, 12n, 218, 234 Sgarbi, Marco, xvmn, 234 Shapin, Steven, xxmmn, 106,
Torricelli, Evangelista, 12n, 13n, 191n, 12n, 218, 219, 221, 228, 230
106n,
109n,
174n, 234 52, 52n, 234
13n, 63n; 77n, 92n, 101n,
139n, 143n, 175n, 176n, 182n, 199n, 201n, 22: 233, 234.
Skinner, Quentin, xmn, xtvn, 26n, 234
Solîs, Carlos,
Maurizio,
12n,
103n,
136n,
182n,
191n, 217, 218, 220, 221, 223, 235
Shapiro, Alan E., xxn, 46, 47, 47n, 50n, 51n, Shea, William,
Torrini,
12n, 80n, 88n,
103n,
175n,
2722082259227) 229
Sommerville, Johann P, xvn, 234 Sorbière, Samuel, 172, 173n Sorell, Tom, xmm, xxn, 20n, 30n, 49n, 59n, 66n, 68n, 93n, 94n, 106n, 108n, 140n, 224, 225, 226, 228, 232, 234
Trevisani, Francesco, 171n, 217 Tricaud, Frangois, xmmn, 94n, 235 Tuck, Richard, xym, 2n, 30n, 33n, 55n, 208, 208n, 235
è
Vailati, Ezio, 191n, 228 Valla, Lorenzo, 26n, 230 Veneziani, Marco, 111n, 224, 235, 236
Verdet, Jean-Pierre, 89n, 215 Vinta, Belisario, 102n, 103n Voss, Stephen, 205n, 236
137n,
Waard, Cornelis de, x1, 216 Wakely, Maria, 153n Wallis, John, 20n, 147n, 226
Sosio, Libero, 77n, 199n, 216, 234 Southgate, Beverley C., 128n, 234 Spinoza, Baruch, xvmn, 9n, 62n, 232
Spragens, Thomas A., 66n, 129n, 131n, 234 Springborg, Patricia, 27n, 59n, 227, 231, 234 Stabile, Giorgio, 110n, 235 Stamm, Marcelo, xvun, 23, 230, 231
Stedall, Jacqueline, 228
Ward, Seth, xvin, 232 Warner, Walter, xvi, xvIn, xvun, 208, 221 Warrender, Howard, xrvn, 213, 236 Watkins, John W.N., xvmm, 119n, 167n, 236 Webbe, Joseph, xvi, xvIn, 58, 58n, 208, 210, 210n, 213
Stefani, Geneviève, 156n, 214
Weber,
Strauss, Leo, 94n, 235
Stroud, Elaine C., x1, xvn, xxn, 33n, 50n,
29n,
32n, 48n, 219,
Westfall, Richard S., 40n, 130n, 236 White, Thomas, x1, 23n, 87n, 127, 127n, 128,
5:2.10872:113235. Sutton, John, 41n, 139n, 160n, 224, 229, 230
128n, 129, 132, 132n, 134, 134n, 149n, 190, 190n, 202, 202n, 213, 216, 226, 228, 234
Talaska, Richard A., xvinn, 235 Tannery, Paul, x1, 215, 216 Taton, René, 2n, 235 Taussig, Sylvie, xxnn, 20n, 136n, 223, 231,
Willms, Bernard, xxn, xxmm, 20n, 26n, 93n, 202n, 218, 224, 228, 230, 233, 235, 236
Wilson, Margareth D., 205n, 236 Wisan, Winifred L., 102n, 235 Wootton, David, 200n, 236 Wright, George, 29n, 96n, 223, 227, 231, 236
235
Telesio, Bernardino, 132n, 206 Terrel, Jean, xmm, xrvn, xvIn, xxn, 21n, 30n, 48n, 68n, 69n, 106n, 214, 219, 229, 235
Zabarella, Jacopo, xvnn, xvmn, 26n, 101n,
Thijssen, J..M.M.H. (Hans), xxmm, 5 7n, 136n,
121n,
139n,22312272310232:1233
196n
Zagorin, Perez, 208, 208n, 236 Zambelli, Paola, 7n, 223, 236 Zanier, Giancarlo, 171n, 217 Zarka, Yves-Charles, 2n, 23n, 24n, 25n, 30n,
Thro, Linus J., 30n, 232, 235 Tolomeo, 5 Tommaso D'Aquino, 10n, 63n, 216 Tònnies, Ferdinand, x1, 1n, 207, 207n, 213,
32n, 34n, 48n, 65n, 94n, 96n, 106n, 138n 217, 218, 225, 232, 233, 235, 236.
235
—
Dominique,
227, 228, 236
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GALILEO
BIBLIOTECA
DI «GALILAANA»
I. FrLiPPo CAMEROTA, Linear Perspective in the Age of Galileo. Lodovico Cigoli’s Prospettiva pratica. 2010, xx-360 pp. con 246 figg. n.t. e 19 tavv, f.t. di cui 18 a colori.
II. Il caso Galileo: una rilettura storica, filosofica, teologica. Convegno internazionale di studi (Firenze, 26-30 maggio 2009). A cura di M. Bucciantini, M. Camerota e F. Giudice, con
DVD allegato. 2011, xrv-520 con 21 figg. n.t. III. Celestial Novelties on the Eve of the Scientific Revolution, 1540-1630. Edited by Dario Tessicini and PJ. Boner. 2013, xvI-284 pp. con 19 figg. n.t. IV. FepERICA Favino, La filosofia naturale di Giovanni Ciampoli. 2015, xvm-364 pp. con 4 tavv.
ft. V. PaoLA ZAMBELLI, Alexandre Koyré in incognito. 2016, xxn-288 pp. VI. GrecoRIO BaLpIN, Hobbes e Galileo. Metodo, materia e scienza del moto. 2017, xx1v-244 pp. con 9 figg. n.t.
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scientifico del priem Scicenio, fopeliasando ) parma sulle igute di Thomas Hobbes e Puoto Sarpi. Ha pubbl.
cito vontritani per Gotica, per la Rivts di Stone asta
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sue sfilisofia = per Stors delpensiero puiitivo. Auaimense -
GREGORIO BALpin è dottore di ricerca e cultore della mate-
ria in storia della filosofia presso l’Università del Piemonte Orientale (Vercelli) ed è stato ricercatore post-doc presso l'École Normale Supérieure de Lyon (LabEx Comod). Si occupa principalmente di storia delle idee e del pensiero scientifico del primo Seicento, focalizzando l’attenzione sulle figure di Thomas Hobbes e Paolo Sarpi. Ha pubblicato contributi per Galilaeana, per la Rivista di Storia della filosofia e per Storia del pensiero politico. Attualmente insegna nei licei.
Nel De motu, loco et tempore (1642-43), Thomas Hobbes descrive Galileo Galilei come “il più grande filosofo di tutti i secoli” e nel De Corpore (1655), lo scienziato viene presentato come
colui che “ci ha aperto la porta di tutta quanta la fisica, cioè la natura del moto”. Il tema dell’influenza di Galileo sulla filosofia naturale di Hobbes viene qui trattato per la prima volta in modo ampio e approfondito, così come viene studiata l'importante funzione svolta da Marin Mersenne come diffusore delle idee galileiane e interlocutore del filosofo inglese. Del rapporto con Galileo l’autore mette in luce i molteplici aspetti: gli elementi metodologici ed epistemologici, ma anche le profonde analogie concettuali e lessicali nel campo della fisica, per giungere a un confronto ravvicinato sul tema della struttura della materia, dal quale emerge una comune concezione meccanicista dell'universo. Si tratta di un universo infinito che si sostituisce al cosmo aristotelico ed è popolato da due soli elementi: materia e movimento.
ISBN 978 88 222 6493 0