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Italian Pages 211 Year 1975
Remo Bodei Roberto Racinaro' Massimo Barale
HEGEL E L'ECONOMIA POLITICA a cura di Sai vatore Veca
Gabriele Mazzotta editore
Il disegno della copertina, derivato da una tavola del secolo XVIII, allude alla celebre metafora di Hegel: «Quandola filosofia dipinge a chiaroscuro, allor·a un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo -sul far del crepuscolo. n G.W'.F. Hegel, Lineamenti di filosofia de! diritto. Prefazione.
© Gabriele Mazzotta editore Foro Buonaparte 52 - 20 I 21 Milano
INDICE
Premessa ..
..... pag.
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SALVATORE VECA »
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Hegel e l'economia politica.
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Noce.
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Note.
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Nodi. Smith Ricardo Hegel. . REMO BODEI
ROBERTO RAC!NARO
Staatsoekonomie e dimensione della politica in He~
MASSIMO BARALE
Oltre Marx. Ragione speculativa e universo borgh-
Massimo Barale (Verona 1941) ha studiato filosofia alle Università di Bologna, Pisa e alla Scuola Normale Sùperiore. Assistente di Filosofia morale, è professore di Pedagogia alla "Facoltà c;l.i Lettere dell'Università di Pisa, Al centro dei suoi interessi, in questi anni, il problema della dimensione storica e delle sue condizioni dì intelligibilità: Barale vi ha dedicato le sue ricerche, i saggi comparsi su riviste italìanè e straniere (da« Aut Aut» a« Kantstudien »),e un volume in corso di pubblicazione, Filosofia come esperienza trascendentale. Su Kant e Hegel convergono i suoi lavori attuali. Remo Bodei (Cagliari 1938) ha compiuto i propri studi .a Pisa e li ha perfezionati in diverse Università te~esche e a Parigi. Attualmente è professore di Storia e storiografia filosofica alla Scuola Normale Superiore di Pisa e di Storia della filosofia alla Facoltà di Lettere dell'Università .di Pisa. Autore di numerosi saggi sul pensiero classic.o 'tedesco, ·sull'estetica della psicoanalisi, su Bloch e Adornci,"si "è dedicato in particolare a Hegel: ha tradotto Rosenkranz,_ Vita di Hege!(Milano 1974 2 ), Hegel, Primi scritti critici (Milano 1971) e Bloch, Soggetto-oggetto. Delucidazioni m Hegel (di prossima pubblicazione presso Il Mulino). Ha scritto, oltre a molti articoli sulla filosofia politica hegeliana, il volume Sistema ed epoca in Hegel (Bologna 1975 ). Riguarderà in patte Hegel anche il libro che apparirà tra breve presso Einaudi, Servo-padrone. Per la storia del concetto di subordinazione fra gli uomini. Roberto Racinaro (Regg(o·Calabria 1948) ha studiato filosofia alla Università di Napoli. E stato borsista presso l'Istituto italiano per gli Studi Storici (Napoli) e successivamente presso· l'Istituto di Filosofia dell'Università di Salerno ove lavora attualmente come assistente. Collaboratore di varie riviste, « Critica marxista», « Il pensiero politico», ha pubblicato Rivoluzione e Jocietà civile in Hegel (Napoli 1972) e Realtà e conciliazione in Hegel (Bari 1975). Salvatore Veca (Roma 1943) ha studiato filosofia all'Università ·di-Milano. Assistente di Filosofia reo.retica a MìlanO fino al 1973, professore di Filosofia della politica all'Università della Calabria nel 1974-'75, insegna attualmente alla l'acoltà dì Lettere dell'Università di Bologna e collabòra:' alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dì Milano. Ha pubblicato, tra gli altri" lavori, Fondazione e modalità in Kant (Milano 1969), Marx .e la critica dell'economia politica (Milano 1973) e il reading Marxùmo e critica delle teorie economiche (Milano 1974).
PREMESSA
Il rapporto che stringe Marx al modello dell'economia politica dassica resta un nodo fondamentale per la critica del!'economia politica oggi, L'individuazione della struttura della rivoluzione scientifica operata da Marx rispetto al paradigma dei classici fa parte di un programma complessivo teso a definire l'autonomia teorica detmarxism_o: la sua capacità di spiegazione, previsione e tra,formazione della.dinamica dei sistemi capitalistici. Il cOnfìne-dei-classici, su cui si misura l'innovazione di Marx, è d'altra parte il confine di Hegel. Come la critica dell'economia politica imiste sul nesso e sulla differenza tra l'apparato concettuale di Marx e il quadro categoriale degli economisti politici classici, cosi risulta necessaria - come ormai emerge da piu parti in modo significativo - una ricognizione critica del territorio hegeliano assunto nel suo complesso sistematico. Un approccio a Hege! che ne rispetti rigorosamente la complessità implica ovviamente il rifiuto delle letture istituzionali del rapporto Hegel-Marx sia nella forma continuista sia in guelfa discontinuista. In entrambi i casi, infatti, a partire da un fraintendimento riduttivo dell'operazione di Marx, non l'universo di Hegel viene messo.in questione, nelle ragioni della sua struttura di sistema, ma tratti parziali, residui oscarti che, staccati dal contesto in cui occorrono, servono solo da conferma di ciò che in partenza si assume. Nella prospettiva della critica della filosofia (politica) classica, nell'indagine sul territorio Hege! come sistema, il nodo della ricezione hegeliana dei contenuti dell'economia politica è centrale. Prima di Marx, Hegellegge gli economisti classici; rileva la novità storica della scienza della società civile; modella le sue categorie sulla base della legge di movimento della società capitalistica che in Smith e Ricardo aveva trovato una parziale formulazione autonoma. In
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PREMESSA
questa relazione sì situa la. domanda fondamentale di Hegel intorno alle condizioni di pemabilità della dinamica storica, alle regole che presiedono a tale sviluppo e alla struttura, infine, del presente borghese. L'insieme delle risposte formulate da Hegel nell'universo ideologico della filosofia sembra costituire nel suo complesso il sistema piu consistente e potente di autocompremione della società borghese. Di qui la possibilità e la necessità di Marx. I saggi che compongono questo libro sono, nella loro articolazione . auto-noma, materiali di lavoro e di ricerca pensati in questo· contesto. Remo Bodei traccia una ricostruzione dell'intero arco della riflessione hegeliana sull'economia politica, dagli anni di Berna sino agli ultimi scritti berlinesi, situando il discorso sull'economia nello Jpazio del sistema. Roberto R.acinaro individua1 neltesame storico dei rapporti tra i classici e Hegel, il nesso tra statuto epistemologico del discorso hegeliano e dimemione politica. Alla definizione dello spazio specifico del discorso filosofico sulla società borghese è dedicato il lavoro di Massimo Barale che opera in questa prospettiva unarilettura analitica della filosofia politica di Hegel La mia introdu- · iione, infine, tenta una prima sistemazione di alcuni nodi strategici in cui si organizza lo spazio dei rapporti tra economia politica, filosofia classica e marxismo. S.V.
Milano, aprile 1975
Salvatore Veca
NODI. SMITH RICARDO HEGEL
I. - Le osservazioni che Seguono vertono intorno ai rapporti tra i classici e Hegel. Marx è implicito come termine di riferimento. Un breve paragrafo è dedicato al nodo di Kant. Si tratta di una prima sistemazione, molto problematica, di una serie di ricerche cui mi sembra imporrante lavorare sviluppando il discorso della critica dell'economia politica e il suo programma fondamentale.* In sostanza il problema affrontato è quello della configurazione dell'economia politica classica e del sistema filosofico di Hegel come varianti, in contesti ovviamente diversi (l'uno scientifico, l'altro filosofico), di una « teoria dello sviluppo». All'elabornzione di questa teoria dello sviluppo è impegnato tutto il pensiero borghese nella sua fase classica, nella sua: accumulazione primitiva. La teoria borghese dello sviluppo costituisce un nodo decisivo in cui si intersecano la riflessione sulla scienza, quella sulla struttura del sistema economico capitalistico e quella sullo spazio politico, sui modelli di produzione e distribuzione del potere. I primi paragrafi di questa introduzione (1.1-1.4) sono dedicati alla relazione tra teoria cla_ssica in economia e teoria
* Questo saggio introduttivo riproduce, con alcune variazioni, il testo di una lezione tenuta alla Scuola Normale Superiore di Pisa il 18 aprile 1975. Parte degli argomenti affrontati è stata discussa nel corso di Filosofia della politica (197.4~'75) dell'Università della Calabria ai cui studenti dedico il lavoro; parte è stà.ta oggetto di un Seminario tenuto nel febbraio-marzo 1975 con Tomas Maldonado presso la Facoltà dì Lettere e filosofia dell'Università di Bologna. Devo naturalmente moltissimo alle discussioni avute, tra gli altri, con Remo Bodei, Roberto Racinaro e Massimo Barale che ringrazio v:ivamente.
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$AL V ATORE VECA
dello sviluppo; di qui viene sommariamente individuato il nodo con la modellistica politica 0.5.). Kant e Hegel sono quindi affrontati (2.): il primo, di sfuggita, come grande teorico dello sviluppo scientifico ( 2.1.); il secondo, piu articolatamente, come il filosofo per eccellenza della teoria dello sviluppo capitalistico (2.2-2.6). Nell'ultimo paragrafo si accenna al rapporto tra Hegel e Marx in termini di opposizione tra metaforicità e letteralità delle loro rispettive teorie della dinamica storica (3.). Il fatto che quella di Hegel sia appunto, a mio avviso, una metafora dello sviluppo di un sistema complesso come quello capitalistico, e che quella di Marx abbia invece i caratteri di una teoria scientifica, determina la relazione particolare e la differenza netta tra i due sistemi. Implicita, quindi, la necessità per noi di definire il programma di Marx e di praticarne l'uso in termini di teoria scientifica della dinamica storica: teoria che, riducendo drasticamente a zero la metaforicità del discorso hegeliano, ha potuto guadagnare la sua novità scientifica rispetto all'universo categoriale dell'economia politica classica. Il nodo centrale, a queste proposite, mi sembra infine quello della relazione di compatibilità e incompatibilità tra sviluppo e forma dello sviluppo in cui, com'è noto, gioca un ruolo strategico la nozione di contraddizione.Nominare letteralmente le contraddizioni piuttesto che praticarne la metafora sembra compite politico e scientifico di primaria importanza. 1. 1. Il concette di sviluppo è il tratto distintivo che defi1ùsce piìi propriamente l'emergenza autonoma dell'intera teoria economico-politica classica. Né a caso Marx ha insistito sulla centralità del concetto di plusvalore nella sua ticognizione sul territerio _della Politica! Economy. Evidente è del resto il nesso tra la rilevazione della funzione strategica del plusvalore nella determinazione del modello di produzione con capitale e la teoria generale dell'accumulazione o piu semplicemente dello sviluppo capitalistico. A una teoria dello sviluppo come teoria della riproduzione allargata del sistema economico è quindi connessa srret~ tamente la caratteristica innovativa propria dei primi modelli classici.
NODI. SM!TH RICAROO HEGEL
Il
1.2. Nella forma·aurorale in cui i fisiocratici organizzano un primo modello economico-politico del funzionamento del sistema di produzione con capitale, è al sovrappiii in rermini di prodotto netto e al suo luogo d'origine nel sistema che viene diretto lo sguardo. L'indagine si accentra su quei settori dell'intero sistema in
cui ha luogo produzione di sovrappiii e viene quindi prodotta la condizione strategica per la riproduzione. La nota ridl\zione all'agricoltura per quanto concerne la rilevazione della produzione di sovrappiii va assunta con molta cautela. Ai fisiocratici interessa, dal punto di vista teorico e analitico, individuare i settori che, a differenza di altri, danno luogo in presenza di capitale a produzione di sovrappiii in termini fisici. Il settore agricolo, in quanto capitalisticamente organizzar0 nelle condizioni di produzione, soddisfa questo requisito. In esso, ad esempio, .sono incluse attività non agri-
cole come quelle estrattive: ciò per indicare semplicemente che dobbiamo guardare alla funzione che i termini hanno nel contesto teorico per comprendere la grande portata innovativa dei padri dell'economia politica classica. La nozione quindi di modello circolare di produzione, nozione decisiva perché riesce a rimpiazzare quella non piii adeguata di processo lineare di consumo, quella a[trettanto centrale di lavoro produttivo, quella di condizioni di produzione (in cui si definiscono le classi o gli aggregati sociali): in breve, tutto l'apparato categoriale con cui prende forma teorica una prima coerente immagine del modo di produzione capitalistico si compone e si aggrega sulla base della percezione dello sviluppo indotto dall'istituirsi di forme capitalistiche di organizzazione dei processi di produzione eriproduzione economica.
Percezione scientifica e politica: capacità di individuare per quali vie un oggetto complesso come il sistema capitalistico si espande, per quali si sviluppa, per quali si degrada, si inceppa e ristagna contravvenendo alla implicita razionalità e/o naturalità del processo. Tutto ciò è avvertito per differenza e scarto rispetto a modi precapitalistici di organizza;RE VECA
contenuta nella riproduzione allargata è precisa; il rifiuto roussoviano della proliferazione dell'area strumentale e del sistema dei bisogni è regressione. In Hegel è in fondo presente un calcolo disincantato del peso rdativo che hanno dominio sulla natura e dominio sugli uomini, sugli aggregati sociali. Il movimento astratto dello scambio nellùituazione di divisione del lavoro cui Smith imputava l'aumento vertiginoso delle capacità produttive dà certamente luogo per Hegel a una seconda natura; ma troppo decisiva è la neutralizzazione della prima natura, che si produce grazie a questo sviluppo artificiale, perché non sia possibile rintracciare nella strategia storica dello strumento - con tutto il suo destino di dominio - una direzione ernancipatoria, una teleologia della Befreiung. Il processo lavorativo assume in questa situazione il suo destino moderno: Hegel ne mostra la relazione stretta con la distribuzione ineguale del potere, con la asimmetria delle relazioni interumane che nella metafora del sistema servosignore è fortemente suggerita. L'erogazione della capacità lavorativa, mediante cui si istituisce la configurazione storico-artificiale della cultura e si aggira l'inerzia e la stagnazione della falda naturale ostile, ha luogo solo in sistemi di dipendenza e indipendenza. Il modello capitalistico rompe l'immediatezza della dipendenza, la media, moltiplica e .dissemina l'ineguaglianza sulla totalità sociale: d'altra parte, solo in presenza di questa particolare condizione di subordinazione e quindi di comando astratto sul lavoro sociale, sono possibili lo sviluppo e la crescita del sistema. · · Il presente storico di Hegel è cosi troppo occupato a celebrare la liberazione dal passato misurata sulla distanza dalla natura per dirigere lo sguardo ai nuovi, necessari, percorsi della talpa . . 2.6. Una lettura troppo riduttiva, come è stato notato, fa .coincidere la società civile hegeliana con il sisterna dei bisogni di cui è osservabile la genesi a partire dalla ricezione filosofica dei contenuti del!' economia politica. Allo stesso modo è fortemente semplificante e in qualche modo fuorviante quella lettura che vede lo Stato come un operatore magico della. conciliazione intervenire dall'alto o dall'ester-
NODI. SM!TH RICARDO HEGEL
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no a « chiudere » il sistema aperto delle contraddizioni della società civile. Sfugge in genere in queste lettute che la società civ.ile hegeliana contiene già lo Stato nel senso che questo termine aveva assunto nella elaborazione classica della teoria borghese; e che, d'altronde, Hegel non pensa in alcun modo a una sovrapposizione dello Stato sulla società civile. Il suo «Stato» indica semplicemente il modo complessivo di funzionamento, di comportamento politico della struttuta so- · ciale borghese. Stato e società civile sono termini che giocano nello stesso spazio omogeneo: lo Stato è la configurazione politica compatibile al massimo grado con la legge di movimento della società civile. La metafora dell'organicismo allude alla forma politica della mediazione e dell'integrazione con cui può funzionare il motore del lavoro sociale. La radice mediante cui « l'egoismo » della società civile, come dice Hegel, « si collega con l'universale, con lo Stato » è costituita, almeno parzialmente, dalle classi, organi di mediazione per eccellenza. Hegel è in qualche modo il filosofo del primato del complesso e quindi dell'organizzazione. La sua teoria dello Stato si fonda sulla percezione della necessità moderna dell'organizzazione delle mediazioni. Come gli strumenti, le organizzazioni hanno la piu alta dignità e in esse va cercata la forma capitalistica adeguata di distribuzione del potere sulle con dizioni di produzione complessive del sistema o, in altri termini e secondo la lezione dei classici, la forma capitalistica adeguata di controllo sull'accumulazione e comando sull'organizzazione del lavoro' sociale. · 3. Ai margini del sistema hegeliano premono i contenuti materiali irriducibili e resistenti all'appropriazione della metafora filosofica. Ma di questi, di nuovo, come accadeva per -Kant, non si può parlare. L'aggiramento delle nuove contraddizioni si configura nella sublimazione; né lo Stato chiude il sistema. Parlare del novum è impossibile: vorrebbe dire per Hegel coerentemente trasgredire le regole del discorso filosofico. Non si possono anticipare le mosse: in altri termini, il siste-
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SALVATORE VECA
ma filosofico, se filosofico vuol essere in senso proprio, deve precludersi la previsione. Poiché non di previsione si tratterebbe, ma di profezia. In questa senso la grandiosa registrazione hegeliana della strutrura capitalistica della società, questa metafora del suo sviluppo e della sua articolazione che modella il sistema, esibisce al massimo grado nella ricchezza straordinaria dei contenuti dominati perché passati, la sua miseria previsiva. Ne vengono cosi esaltati per contrasto la funzione specifica e.il destino dell'universo.del discor- so filosofico: la configurazione del sistema di Hegel dipende -dalla risposta che il contesto filosofico, in quanta tale, si impegna a dare alle domande cruciali poste all'ordine del giorno dalla dinamica starica. Ma proprio in questa prospettiva vengono appunto provate, al limite estremo di tolleranza, le possibilità di risposta del contesto filosofico. Marx avvertirà la necessità oggettiva - srorica politica e scientifica - di trasgredire le regole che presiedono al contesto filosofico per poter spiegare la dinamica di quel!' oggetto complesso su cui il discorso filosofico aveva di necessità istituito con Hegel il suo universo metaforico e di cui l'economia politica classica aveva parzialmente cominciato a nominare le proprietà. La riduzione della metaforicità alla letteralità è con Marx drastica: i faticosi percorsi della critica dell'economia politica tendono sistematicamente a realizzare questo programma scientifico. _ D'altra parte, nessun elogio piu grande della metafora si può avere se non quando la si è ridotta a letteralità, la si è cioè decifrata; perché se ne individua cosi la funzione entro il contesto in cui occorreva. La metafora dello sviluppo hegeliana si combina in Marx_ con il quadro letterale de( classici e ne scardina la struttura: indica i problemi oggettivi che i classici non potevano nominare - perché non potevano ospitare - entro la loro teoria scientifica. Indica, per cosi dire, l'area non controllata dalla teoria. Area che, una volta riconosciuta, rende quest'ultima parziale e richiede innovazione, rottura e rivoluzione scientifica. Questa particolare combinazione ci permette forse di definire il _rapporto tra Hegel e Marx in termini di metafora/letteralità. L'assioma di chiusura della filosofia hegeliana permette l'istituzione di una teoria scientifica della dinamica storica che può nominare finalmente i termini e le rela-
NODI. SMITH RICARDO HEGEL
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zioni oggetto del suo campo d'indagine. La teoria di Marx acquista in tal modo, grazie a questo uso della metafora hegeliana, rutta la sua penata innovativa e rivoluzionaria •rispetto al paradigma degli economisti classici e ne misura la parzialità. Tutto Hegel, da questo punto di vista, è traducibile in Marx; e ciò spiega la ricorrenza di questo rapporto. Non vale però l'inverso: e ciò conferma in modo netto lo scarto irriducibile tra l'universo ideologico della metafora e l'universo scientifico della teoria della dinamica storica istituita da Marx. · ·
Remo Bodei
HEGEL E L'ECONOMIA POLITICA
L Durante un viaggio per le Alpi bernesi, nel luglio 1796, Hegel, giunto in una zona desolata di alta montagna dove a stento crescono i licheni e qualche fiore, ha la sorpresa di incontrare una famiglia che trae il proprio sostentamento dalla preparaziòne del liquore di genziana: « Questa famiglia trascorre qui l'estate in completo isolamento dagli uomini ed ha costruito la propria distilleria sotto blocchi turriformi di graniro, che la natura ha gettato senza scopo l'uno sull'altro, ma la cui posizione casuale gli uomini hanno saputo sfruttare. Dubito che il teologo piu credulo oserebbe qui attribuire alla natura stessa in questi monti in genere di proporsi come scopo l'utilità per l'uomo, che deve invece rubare ad essa quel poco, quella scarsità, che può utilizzare, che non è mai sicuro di non essere maciullato da pietre o da valanghe durante i suoi miseri furti, mentre sottrae una manciata d'erba, o dì non aver distrutta in una _notte la faticosa opera delle sue mani, la sua povera capanna e la stalla'. 72 Nel
mondo borghese, dominato dall'astrazione, dal denaro e dalla ricchezza come potenze supreme, l'immediatezza della soddisfazione dei bisogni, la felicità spontanea, si ottunde anch'essa. Ogni godimento è di testa, è ostentazione di godimento, non vero attingimento di esso: « Il borghese si sa· determinato come proprietario, e non solo perché egli possiede, bensi perché questo è il suo diritto ed egli lo afferma; egli sa sé in quanto riconosciuto nella sua particolarità ed imprime ovunque il sigillo di questa. Egli non gode, come il contadino nella sua rozzezza, del suo bicchiere di birra o di vino[. ..] per mostrare con ciò a se stesso, cosi come con un
abito e con l'abbigliamento di sua moglie e dei bambini, che vale guanto un altro, che è riuscito a giungere a quel punto.[ ..J Non gode del piacere del divertimento, bensi del farro che egli ha questo piacere ... » 7·1 Questo godimento intellettualistico, riflessivo e mediato, ha nella moda uno dei suoi campi di esplicazione: « Il taglio dei vestiti, lo stile dell'arredamento non sono niente di permanente, » 74 Il godimento borghese consiste nel!' adeguarsi continuo alla molteplicità di bisogni sempre
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REMO BODEI
nuovi, _nel mostrare agli altri, in una parata di ricchezza, di essere superiori ai colpi della bestia selvaggia. L'ostentazione ·esorcizza cosi la paura sociale, il terrore di essere trascinato da un meccanismo cieco, tra quelle enormi masse di derelitti sulla cui miseria fabbriche e manifatture fondano la loro esistenza. 75 La ricchezza è il potere astratto sulla natura e sugli uomini che la società moderna ha prodotto ( un potere gehso e disumano come quello del Dio ebraico, con cui ha forti analogie). La ricchezza è per Hegel, smithianamente, la possibilità di poter disporre del lavoro altrui, è labour commanded, 76 non si fonda piu su rapporti di dipendenza personale come la schiavitu. Tutta la dialettica servo-padrone, sia negli abbozzi jenensi che nella Fenomenologia, non ha il significato - che da Kojève in poi si è soliti attribuirle - di una riscossa del servo, il quale, criptoproletario, rovescia il dominio del padrone e prende il suo posto. Tale dialettica sfocia invece nella dipendenza reciproca, mediata dal lavoro di tutti e
di ciascuno, di quella che Hegel chiamerà poi
« società
civile».
Nella società civile ognuno è servo di tutti e dei suoi bisogni ed è padrone di sé in quanto non è legato da rapporti personali di subordinazione e nella misura in cui può soddisfare i suoi bisogni. 77 Nel mondo moderno la servitu assume la forma di lavoro comandato, a cui son libero di sottrarmi come sono libero di morire di fame. La ricchezza ha qui una forza determinante e oggettiva, regolata da leggi newtoniane: rtese - si «vendica» e, con un'astuzia al quadrato, sotto-
mette maggiormente l'ùomo, lo rende schiavo degli effetti disastrosi del macchinismo e della molteplicità dei bisogni, che non possono essere più soddisfatti se non mediante l'incerta collaborazione dì tutti: « Nella macchina l'uomo toglie anche questa sua attività formale e lascia lavorar la macchi. na completamente per lui. Ma quell'inganno che egli compie contro la natura, e con il quale egli continua a star dentro la singolarità della natura, sì vendica contro lui sresso; dì quanto egli sì avvantaggia sulla natura, quanto più l' assoggetta, tanto più egli diventa,sotromesso. In quanto egli fa la. vorare la natura per mezzo di macchine di diverso genere,
non toglie cosi la necessità del suo lavorare, ma lo sposta soltanto, lo allontana dalla natura e non sì volge in modo vivente a questa, bensi questa vitalità negativa sfugge, e il lavorare che gli avanza, diventa esso stesso pift meccanico; egli
diminuisce il lavoro per il tutto, ma non pe_r il singolo, anzi lo accresce piuttosto, poiché quanto pili meccanico diventa il laVoro, tanto meno ha valore, e tanto pili in questo modo
egli deve lavorare.[.. .] I bisogni ed il lavoro. si sollevano nella forma della coscienza; essi sì semplificano, però la loro semplicità è la semplicità astratta, formalmente universale, la scomposizione del concreto, che in questa sua scomposizio-
ne diventa l'infinità empirica delle singolarità; e in questo modo formale, falso, l'individuo, nella misura in cui cosi sottomette 3:. sé la natura, accresce soltanto la sua dipendenza da essa. » 86 E errato vedere in Hegel una concezione semplice-
mente naturalistica dei bisogni e del!' homo oeconomicu,: 87 la naturalità che Hegel coscientemente individua nella società borghese, regno animale dello spirito, è una razionalità non riuscita a pieno, ancora congelata nette forme det!'intet!etto o, viceversa, una naturalità di ritorno, l'assunzione dei caratteri naturalistici, ciecamente animali, di un meccanismo che Bra partito dal dominio det!'astuzia sulla natura. In altri termini: questo tipo di formazione sociale è razionale negli strumenti, nelle parti, ed immediatamente, al suo interno, ancora irrazionale nell'insieme. Per quanto Hegel metta più tardi la sordina a questo
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REMOBODE!
tema della negatività e dell'animalità del meccanismo economico (senza mai negarlo), esso deve riman'ere un costa_nte
punto di riferimento per capire il pensiero hegeliano. E la vecchia ostilità della natura, che si estende dalle Alpi ber' nesi ai dese-rti di Palestina, che. continua a spuntare e che co- · stituisce, per cosi dire,.il basso ostinato della dialettica sociale. Soprattutto nel Sistema dell'eticità questa vendetta distruttiva della natura è sottolineata e giustifica il sorgere dello Stato come emendatio non solo della società, ma anche della natura esterna ed interna all'uomo: « Tale è l'annullamento naturale, ovvero la distruzione priva di scopo, la devastazio-
ne. Cosi la natura si è volta sia contro la cultura che l'intelligenza le accorda, sia contro la produzione di [esseri} orga·nizzati, e siccome l'[essere} elementare sussume in sé l'organizzato e individualizzato e lo annienta; e tale annientamen-
to è devastazione. In tal modo nel genere umano il costruire si alterna al distruggere; quando il costruire ha arrecato abbastanza a lungo danno alla natura inorganica ed ha determinato sotto tutti gli aspetti la sua difformità, allora scatta l'indeterminatezza oppressa, e la barbarie della distruzione cade sul costruito, e spazza via [tutto}, e ogni cosa rende libera e piatta ed uguale. La devastazione si presenta nel suo massimo splendore nell'Oriente, e un Gengis Khan, un Tamerlano ripuliscono completamente tutte le parti del mon- · do come le scope di Dio. » 88 Da questo punto di vista il lavoro, il dar forma, la Bildung ha il suo rovescio nel distruggere, nel ridegradarsi a natura del costruito, nel ricadere nella barbarie. Nella Scienza della logica questo ribaltamento della teleologia ddlavoro, questa sorta di« contro-finalità» disartriana memoria, è appena accennata e quasi sublimata nella dichiarata superiorità del mezzo e dello strumento sui singoli scopi e sui singoli godimenti. Solo il mezzo è superiore alla natura, non gli scopi: « Perciò il mezzo è un che di superiore agli scopi finiti della finalità esterna-, - l'aratro è piu nobile che immediatamente non siano i godimenti ch'esso procura e che costituiscon gli scopi. Lo strumento si conserva, mentre i godimenti immediati passano e vengono dimenticati. Coi suoi strumenti l'uomo domina la natura esteriore, ahche se . per i suoi scopi le resta anzi soggetto. » 89 Il processo teleologico è « una traduzione del concetto, che esiste distinta-
HEGEL E L'ECONOMIA POLITICA
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mente come concetto nell'oggettività», 90 dimodoché tutta la « fascia di natura umanizzata » 91 è una traduzione del
concetto, del progetto umano, nella realtà, che viene plasmata di- continuo in ·una interazione di scopi che diventano mezzi e di mezzi che diventano scopi, 'in un « sillogismo » iterativo, in un « progresso infinito della mediazione». 92 Cosi: « Una casa, un orologio ·possono apparire come scopi
rispetto agli strumenti adoprati per produrli; ma le pietre,
· le travi, le ruote, gli aSsi ecc., che costituiscono la realtà dello
scopo, adempiono ad esso soltanto con la pressione che sopportano, coi processi chimici cui coll'aria, la luce e l'acqua sono abbandon_ati, mentre ad essi sottraggono l'uomo, col
loro. attrito ecc. Adempiono dunque alla desrinazione loro soltanto col loro uso e logorio, es, !tanto colla loro negazione corrispondoll.o a quel che devono essere. » 93 5. Con la sconfitta di Napoleone e il concludersi di un ciclo di guerre durato quasi venticinque anni, tutta l'Europa, e in particolare la Germania, attraversa un periodo di pro-
fonda crisi economica: la fine del blocco continentale rovina le industrie abituate ad agire in re~me di monopolio ed inonda il continente di merci inglesi; 4 la smobilitazione degli eserCÌti crea una forte disoccupazione; 95 un·a carestia sì
abbatte in Germania nel 1816, in molte località si fa il pane con le cortecce d'albero, e ventimila persone sono costrette
nel giro di un anno ad emigrare in America, 96 Nel 1817 la situazione è difficile ovunque e in Inghilterra si registrano le prime crisi di sovrapproduzione ed i primi $randi riots come nel Derbyshire (nel 1816 a Spa-Fields); 9 Sismondi, che nel 1817 visita l'Inghilterra, resta fortemente impressionato dalla miseria diffusa e dagli effetti devastanti dell'industrializzazione. 98 In Prussia, dove il gruppo dei riformatori seguiva gli indirizzi liberistici smithiani, 99· l'abolizione
delle corporazioni e l'introduzione della libertà di commercio provocano l'inurbamento violento di migliaia dì ex servi
della gleba e una catena di fallimenti;
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il governo prussia-
no, attraverso l'azione di un gruppo di burocrati illuminati, cerca però di intervenire nella sfera economica con un ab-
bozzo di legislazione sociale e con il modello della « rivoluzione dall'alto». 101 In ,Inghilterra intanto, con l'affacciarsi
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REMOBODEI
del luddismo e l'acuirsi della tensione politica, si diffonde la paura di un bellum servile, di una guerra civile di classe, con una ribellione dei «poveri» e degli operai contro l'oligarchia dominante.
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Su questo sfondo si staccano i Principles di Ricardo (I ed. 1817; II ed. 1819; III ed. 1821 ), .i Nouveauxprincipesdi Sismondi (1819), i Principles o/ Politica! Economydi Malthus . ( 1820) e, per quanto riguarda la parte economica, la Filosofia del diritto o, meglio, le diverse filosofie del diritto di Hegel. 101 Chiamato all'università di Berlino in un periodo in cui la situazione politica si andava deteriorando, 104 Hegel guarda si alla Prussia, ma anche fuori di essa, e soprattutto
all'Inghilterra, col timore che le sue tragiche vicende sociali anticipino soltanto quelle del continente. Il monito marxiano de te fabula narratur vale, in altro contesto, anche per Hegel. Sebbene nella Filosofia del diritto vi sia una precisa continuità rispetto alle impostazioni precedenti (ivi compresa la sezione sullo« spirito oggettivo» dell'Enciclopedia di Heidelberg del 1817), ' 05 vi sono tuttavia ora, oltre ad un più rigoroso inquadramento sistematico, alcune novità di rilievo,
che si possono raggruppare in tre punti: 1 ) Hegel, sulla scia di Sismondi ( che non cita, ma del resto non ha mai citato neppure Steuart), 106 individua nel nesso sov,·approduzione/sottocomumo il nodo più difficile da sciogliere nell'ambito della« società civile». Questa, nella sovrabbondanza di merci e di ricchezza prodotta, non è in grado di trovare un numero adeguato dì consumat_ori, a cau:5a della miseria
di grandi masse, né può distribuire le eccedenze ai bisognosi senza annientare le regok del gioco economico, senza cioè mi~ nare il principio fondamentale dell'interesse egoistico e senza aumentare, con l'incremento dell'occupazione, la quan-
tità di prodotti la cui sovrabbondanza rispetto agli acquirenti è all'origine della crisi: « Se alla classe più ricca fosse imposto. un tributo diretto, o se in altra proprietà pubblica (ospedali ricchi, fondazioni, conventi) esistessero mezzi diretti per conservare le masse, che si avvicinano alla povertà,
nello stato del loro ordinario modo di vivere, la sussistenza degli ÌQ.digenti sarebbe assicurata, senza essere mediata dal
lavoro; la qual cosa sarebbe contro il principio della società civile e del sentimento degli individui di essa, della loro au-
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tonomia e della loro dignità; - o, se essa fosse mediata dal lavoro (dall'occasione di questo), sarebbe accresciuta la quantità di prodotti, nella cui sovrabbondanza e nel cui difetto di proporzionati consumatori essi -..tessi produttori, sta certamente il male che, ìn queste due maniere, semplicemente
ingrandisce. Appare qui che, nella soiirtthhondanza de!!ct ricchezza, la società civile non è ricca ahhastctnza, cioè, non possiede, nella ricchezza ad essa propria, abbastanza.per ovviare all'esuberanza della povertà e alla formazione della plebe. » 101 Anche nel Progetto inglese di riforma elettorale, del 1831, Hegel mostrerà, sulla base di una spietata analisi della società inglese e della situazione irlandese, come la povertà e la plebe siano il cisultaro necessario ed ineludibile di tale assetto economico. Lucidamente Hegel non propone - come Sismondi - di bloccare lo sviluppo diminuendo la produzione e i consumi, di accettare cioè i 'limiti dello sviluppo' con un'economia stazionaria o di scarsa mobilità, né, d'altra parte, come Malthus, di tenere alto il numero dei consumarori improduttivi e di far calare la popolazione globale. Accettata la logica dello sviluppo, egli prospetta semmai, come già aJena, la possibilità di sbocchi nel wlonia!ismo e nell'espan-sione dei mercati: « Mediante questa sua dialettic~, la società civile, soprattutto questa detertninata società, è spinta al di là di sé, per cercare fuori di essa, in altri popoli, che le restano addietro nei mezzi, dei quali essa ha esuberanza, o, in generale, nell'industria ecc., i consumatori e, quindi, i mezzi necessari di sussistenza. » 108 2) È la plebe ( Pò'he{) - il risultaro di una particolare modalità degradata e corrotta, anche se incolpevole, di vivere la povertà - a rappresentare la punta di maggior ottundimento delle qualità umane, ad essere non solo un socroprodotto dei meccanismi economici come gli altri poveri, ma un ulteriore momenro di abbrutimento e di esclusione: « Il modo più vile di sussistenza, quello della plebe, si costituisce da sé: tu.ttavia questo minimum è molto diverso presso i vari popoli. L..J La povertà in sé non trasforma alcuno in plebe; questa è determinata soltanto dal sentimento che si connette con la povertà, dalla ribellione interna, contro i ricchi, la società, il governo, ecc., Di fronte alla natura, nessun uomo può affermare un diritro; ma, nello staro sociale, il difetro
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REMOBODEI
acquista subito la forma di un torto, il quale è fatto a questa o a quella classe. L'importante questione, come si debba sovvenire la povertà, è questione che ffil!Ove e tormenta particolarmente le società moderne. » 109 E appena il caso di ricordare come in Hegel né questo Lumpenproletariat della «plebe», né, in generale, la massa di coloro che soffrono dei conflitti generati dalla società civile possono passare ad un contrattacco serio e_che, per lui, i conflitti decisivi sono ancora fra Stati e non fra classi. 3) La. specificazione e la moltiplicazione dei bisogni, pur essendo di per sé infinita, ha anche un limite interno, che la rende più sopportabile, mostra cioè anche un altro lato positivo, oltre a quello di allontanare semplicemente l'uomo dalla sua immediatezza animale: « L'animale è un che di particolare; esso ha il suo istinto e modo di appagamento limitato, non sormontabile. V i sono insetti, i quali sono legati a una determinata pianta; altri animali, i quali hanno una cerchia pili larga, possono vivere in climi diversi;.ma essa si presenta limitata, di fronte alla cerchia che è assegnata agli uomini. Il bisogno dell'abitazione e del vestito, la necessità di non più lasciare crudo il nutrimento, ma di renderlo adeguato a sé e di distruggere la sua immediatezza naturale, fa si che l'uomo non lo abbia tanto comodamente quanto l'animale, e c~e, in quanto spirito, non possa anche averlo tanto
comodamente. L..] Nella molteplicità si trova, certamente, un freno al desiderio, poiché quando gli uomini hanno bisogno di molte cose, lo stimolo per una, di cui sarebbero desiderosi, non è cosi forte; ed è un segno che la necessità, in genere, non è cosi potente. » 110 Qui si inserisce la nota e dibattuta affermazione hegeliana per cui si può parlare propriamente di «uomini», e non pili di persone giuridiche o ), cfr. Hegèì,Jenenser Realphifosophie I, cit., p. 240 (trad it., cit., p. 100). 59 Cfr. Hegel,Jenenser Realphilosophie I, cit., p. 237 (trad. it., cit., pp. 96-97): Sulla diminuzione del valore del lavoro e del prezzo unitario delle merci, cfr. Montesquieu, Esprit de.s loù, XXIII, 14; Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza di:!l1: nazioni, cit., pp. 246 e passim. Hegè{ ritiene già aJena che nel lavoro meccanico ci sia la possibilità in fondo di liberarsi del lavoro i zwischen 1776 und-1810, in Deutschland und Europa. Fèstichri/t Rothfels, Monaco, 1951. 100 Hardenberg, sostenitore della libera concorrenza, tolse, con l'editto del 2 novembre 1810, i privilegi delle co_rporazioni e proclamò la libertà di commercio. Di fronte all'ondata di inurbati e di fallimenti, la municipalità di Berlino chiese al governo che il provvedimento venisse abolito, ma il governo rifiutò.perché - pur riconoscendo « l'eccedenza di ricchi e l'impotente sforzo degli impoveriti >> - riteneva necessario « abbandonare al loro destino » i piccoli artigiani ed eventualmente trovar loro una collocazione nella manifattura e nell'industria, che in quel periodo andavano diffondendosi in· Prussia ed in funzione delle quali vennero presi anche i provvedimenti tariffari ricordati (cfr. W. Treue, Wirtscha/tszustdnde und Wirtscha/tspolitik in Preussen 1815-1825, in e l'incidenza dell'economia è, per questo studioso di K«merttltci.uenscha/ten, « mille volte .,, pill importante del diritto di maggiorascato (ultima sroccata a Hegel), cfr. Von Thaden an Hegel, 8 agosro 182 ! , in Brie}e ron 1md ,:/ti Her,e/, vol. Il, cit., pp. 278-82. Da tener presente infine l'amicizia che legava a Berlino Hegel al banchiere e agente marittimo _(piU tardi direttore della ferrovia Berlino-Anhalt) Au,gust Friedricb Blocb - cfr. K. Rosenkranz, Vita di Hegel, cit., pp. 378,403 -, da cui Hegel poteva trarre informazioni di prima mano sulla vita economica. Come curiosità, per chi volesse vedere quali > del discorso hegeliano. Sarebbe, però, ancora · una volta ingannevole (e privo di prospettive teoriche e politiche) il far coiò.tidere tale « vizio » con il recupero acritico di un'empiria misticamente interpretata 9 e il leggere, quin di, nella critica marxiana, una critica dell'astrattezza che si riempie, di volta in volta, di contenuti viziosi surrettiziamente assunti. Piuttosto, lo sforzo critico di Marx è tutto rivolto alla ricerca di quel fondamento che rende reale la veduta hegeliana nella sua astrattezza:« Astratta è cerro questa veduta, ma è la "astrazione" propria dello Stato politico, quale Hegel stesso lo deduce. [ ..] La "veduta" non può esser coqcreta quando !"'oggetto" di essa è "astratto". » 10 E importante aver presente questo punto nel momento in cui si passa al discorso dei Manoscritti del 1844. Qui, il discorso sul realismo hegeliano s'intreccia, specificamènte, con quello sul significato dell'economia in Hegel. Tre sono, dal nostro punto di vista, le considerazioni da tener presenti, come problemi tuttora da risolvere, ovvero come affermazioni apparentemente contraddittorie, che è necessario conciliare fra loro: l) Hegel « vede soltanto l'aspetto positivo del lavoro »; 11 2) « Hegel resta al punto di vista dell' economia politica moderna»; 12 3) « La Fenomenologia è quindi la critica nascosta, ancora non chiara·a se stessa e mistificatrice; ma in quanto tiene ferma l'alienazione umana[. ..] si trovano in essa nascosti tutti gli elementi della critica, e spesso preparati e daborati in una guisa che sorpassa di molto il punto di vista hegeliano. » 13 La prima delle tre osservazioni è probabilmente la piu caduca e, in un certo senso, la piu facile da spiegare: la lertura del Nach!ass hegeliano - ignoto a Marx - potrebbe addirittura avvalorare un'interpretazione diametralmente opposra. Soprattutto negli scritti del periodo di Jena, Hegel sembra soffermarsi particolarmente sui lati negativi connessi ali'« astrattezza » e alla « divisione » del lavoro; non solo: gran parte di queste analisi permane ancora nelle pagine delle Grundlinien. Il problema - semmai - sarebbe quello di conciliare le due diverse interpretazioni del lavoro. A questo proposito si potrebbe allora osservare che Hegel pone l'accento sul lato positivo del lavoro in misura direttamente proporzionale ali' acquisizione del carattere specifico del lavoro « moderno » - contrapposto al lavoro della società pre-
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capitalistica - come lavoro calato nello scambio (mediazione). Pone invece l'accento sul lato negativo del lavoro nei limiti in cui non si accontenta - e in ciò, probabilmente, egli si pone al di là dell'economia politica classica - di un'interpretazione economisti ca della dimensione dell'economia. 14 Incide certamente, in tale direzione, il ruolo diverso che lo Stato ha nella costruzione hegeliana non solo rispetto ali' economia politica classica, ma rispetto, ad esempio, a quello che esso ha nella filosofia cli Wilhelm von Humboldt. 15 Non si vuol dire con ciò, tuttavia, che nell'economia politica classica manchino del tutto situazioni analoghe, in cui cioè il discorso da apologetico si fa piu o meno esplicitamente critico: non potevano mancare né in Smith, lettore di Rousseau, né nel cinico Ricardo. 16 La seconda considerazione marxiana ( « Hegel resta al punto di vista dell'economia politica moderna») risulta, da questo punto di vista, confermata. Non solo: essa si palesa cli respiro molto piu lungo di quelle ipotesi interpretative che vorrebbero ricollegare Hegel al mercantilismo e, in particolare, a Steuart. 17 In questo senso, l'osservazione marxiana costituisce un punto fermo: il problema - si potrebbe dire molto schematicamente - non è mai se Hegel sia al di qua dell'economia politica classica, ma, semmai, se vi sia la possibilità cli rintracciare nel suo sistema elementi che lo collocherebbero al di là di essa. A ciò, in un certo senso, fa pensare esplicitamente la terza osservazione di Marx, là ove si legge che nella Fenomenologia si trovano « tutti gli elementi della critica, e spesso preparati e elaborati in una guisa che sorpassa di molto il punto di vista hegeliano [cioè quello dell'economia politica: "Hegel resta al punto di vista dell'economiapolitita moderna"]». Il come e il perché di questo possibile autosuperamento oggettivo del punto di vista hegeliano ( punto di vista dell'economia politica moderna) comincia a perdere in parte la sua incomprensibilità se si ricollega il discorso dei Manoscritti alla scoperta fatta da Marx già al livello della Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. S'inserisce qui, nuovamente, la tematica della politica e dello Stato: è quest'ultimo l'orizzonte reale che rende vera e giusta la veduta astratta di Hegel; 18 è la presenza evidente della dimensione della politica che rende Hegel refrattario - come si di-
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ceva prima - a un'interpretazione in chiave esclusivamente
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economistica dell'economia. L'osservazione secondo cui « Hegel resta al punto di vista del!' economia politica moderna» va dunque integrata con la consapevolezza di ciò che emerge dalle pagine della Critica della plosofia hegeliana del diritto pubblico: il punto di vista di Hegel, come punto di vista dello Stato moderno; 19 è certo piu ricco di quanto possa emergere da una lettura di Hegel puramente en économiste. Le osservazioni marxiane, che disegnano un quadro concettuale con cui deve confrontarsi, per necessità oggettive, anche la moderna Hegel-Forschung, vanno a questo puntoriprese e sviluppate sia attraverso un'analisi storica, sia attra-
verso una di carartere piu propriamente teorico. Si tratterà insieme, cioè, di verificare « filologicamente » il nesso Hegel-economia politica classica e di misurarne la portata e il peso teorici per quanto riguarda la filosofia hegeliana. 2. È stato farto notare giustamente che il problema del la.voro - come tema eminentemente economico - è già presenteò molto prima che in Hegel, nella filosofia di John Locke. 2 Va pure rilevato, però, che diversa è la centralità che la medesima categoria ( e, in generale, la tematica economica) assume - almeno esplicitamente - nell'opera dei due pensatori. D'altra parte, va pure notato che, inizialmente soprattutto, il discorso sul lavoro, svolto da Hegel, ha come sua finalità non il tema della proprietà, bensi il determinarele ripercussioni dell'organizzazione moderna del lavoro sui singoli e sulla società nel suo complesso, cosi come sul movimento della storia in generale. Il maestro di Hegel è, in questo senso, prima ancora che Smith, Adam Ferguson. Si può dire, inoltre, che se, per un aspetto, ciò sembra arrecare danno alla « specificità» del discorso hegeliano, per un altro aspetto è proprio questo tipo di approccio ai problemi dell'economia politica che determina la diversità della posizione di Hegel rispetto a quella degli economisti classici. Da Ferguson, dunque, Hegel ricava il discorso sulla « divisione del lavoro» e sulla« società civile», oltre che su tutta un'altra serie di temi. 21 li filosofo scozzese, osservatore acuto dei processi piu caratteristici che nella realtà a lui contemporanea si vanno affermando, collega immediatamente e senza reticenze la necessità della divisione del lavoro a
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quella del profitto: « Ogni imprenditore di manifatture trova che quanto piti nell'azienda può suddividere i compiti dei suoi operai e quante piti mani può impiegare nei distinti articoli, tanto piti diminuiscono le sue spese e aumentano i suoi profitti, !, ..} e il progresso del commercio è solo una ininterrotta suddivisione delle arti meccaniche. » 22 Da ciò Ferguson ricava due ordini di considerazioni. Innanzitutto, egli rileva il carattere oggettivaruente e complessivaruente positivo del processo che si avvia con la divisione del lavoro:· « Con la separazione delle arti e delle professioni », egH scrive, « si aprono le fonti del benessere. » 23 In secondo luogo, però, egli non manca di rilevare i lati negativi, che eme_rgono dalla divisione del lavoro: « Le nazioni commerciali giungono al punto da risultare costituite di membri che, al di là del loro mestiere particolare, sono ignoranti di tutti gli affari umani. Essi possono contribuire alla conservazione e all'ingrandimento del loro Stato senza fare dell'interesse di esso l'oggetto della loro preoccupazione ed attenzione. » 24 L'avvento della divisione del lavoro, dunque, va di pari passo - secondo Ferguson - con il presentarsi di una serie di processi oggettivi, che sono messi inconsapevolmente in movimento dai soggetti stessi. Ciò produce, a sua volta, due tipi diversi di conseguenze. Innanzitutto, il fatto che il singolo soggetto non abbia piti di mira - né potrebbe, anche volendo fini universali, non produce inevitabilmente quelle conseguenze negative che si potrebbe supporre:« L'interesse pubblico è spesso assicurato non perché gli individui siano disposti a considerarlo come il fine della loro prassi, ma perché ciascuno, nel suo posto, è determinato a difendere il proprio interesse. » 25 Il bene complessivo deriva dunque, auromaticamente, dal perseguimento dell'interesse particolare: « l'interesse privato è migliore protettore del commercio e dell'abbondanza che non sottigliezze statali.» 26 Ciò che conta, a questo punto, non sono pili le intenzioni, bensi i risultati oggettivi: « L'obiettivo del commercio è di arricchire l'individuo», scrive Ferguson; nella prassi, però, - prosegue il filosofo scozzese con una formula che anticipa fortemente Hegel - « piti egli guadagna per sé, piti arricchisce il proprio paese. » 27 Tale processo d'inversione, in base al quale il fine egoisticamente perseguito si rovescia in un'azione utile per la comunità, porta ad escludere non solo che lo Stato possa
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o debba intervenire, ma anche che il commerciante stesso possa perseguire qualcosa di diverso dal proprio interesse: il commerciante che si pone fini di carattere univer~e è il primo sintomo di una situazione di crisi. 28 Al contrario, quando la situazione è prospera, il commerciante si presenta come una figura esemplare nell'espletamento delle sue funzioni: « quando la sua arte progredisce e giunge in uno stadio avanzato, i suoi orizzonti si allargano, i principi che regolano la sua attività si definiscono. Egli diventa puntuale, comprensivo, onesto, intraprendente e, nel periodo di corruzione generale, egli è il solo che possieda tutte le virtti. LJ Spesso 1li è il piu intelligente e rispettabile membro dello Stato.» · Questa caratterizzazione del commerciante richiama, per contrarietà, la seconda conseguenza che Ferguson deduce dal fatto che la divisione del lavoro porta alla luce processi oggettivi, che si muovono a prescindere dalla coscienza dei soggetti. Tale seconda conseguenza si può, per brevità, riassumere con le seguenti parole di Ferguson: « Il pensare stesso, in questa epoca di differenziazioni, può diventare un mestiere particolare. » 3° Ciò non significa però che il filosofo scozzese ravvisi - come poi farà Hegel nei confronti della burocrazia - in una classe o in un ceto particolare quella coscienza dei processi oggettivi, che sfugge ai piu. Gli stessi « pubblici funzionari», egli scrive,« sono fatti come le parti di una macchina, che concorrono ad un medesimo fine senza qualche accordo fra di loro» e sono « ugualmente ciechi, come lo sono i commercianti»: « neanche quando l'intero sia stato compiutamente realizzato se ne può comprendere in pieno l'estensione. » 31 Da qui, poi, l'affermazione-paradossale - e in parziale contraddizione col discorso precedentemente fatto a proposito del commercio e della « cultura » del commerciante - secondo cui « l'ignoranza è la madre dell'industria come della superstizione. [ . .} Molti mestieri manuali non richiedono nessuna capacità. F.ssi riescono alla perfezione mediante una totale soppressione del sentimento e della ragione. [..} Di conseguenza, le manifatture prosperano di piu quando la mente viene consultata il meno possibile e quando l'officina può essere considerata, senza grande sforzo di immaginazione, come una macchina le cui parti sono gli uomini. » 32
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Al di là delle eventuali contraddizioni del discorso fergusoniano va sottolineato il suo estremo realismo, la sua capacità di guardare senza reticenze anche i lati negativi della realtà contemporanea. La sua è un'epoca esaltante e insieme drammatica, che assiste alla lotta difficile della fascia piu. emancipata e progressiva della borghesia contro il settore piu retrivo, quello mercantile, arroccato« nella rigida difesa degli antichi e anacronistici privilegi». 33 L'avvento della moderna società industriale fa da fondo a questa lotta ed è ad essa che bisogna guardare, attraverso Ferguson, se si vuol comprendere l'importanza del Saggio per Hegel. Il problema non è quello di far risalire o meno a Ferguson il concetto ( e l'espressione) di « società civile » ( Civil Society, biirgerliche Ge.se!!scha/t). Se fosse solo questo, avrebbe probabilmente ragione Riedel nel richiedere d'indagare la genesi e lo sviluppo di questa nozione anche in Aristotele e Cicerone e « sarebbe legittimo commisurare la "società civile" di Hegel innanzitutto alla tradizione di questo concetto nella filosofia politica europea». 34 Il problema è invece quello di ricollegare - come giustamente propone Ritter - il concetto di biirgerliche Ge.sdlschafi a quello di rivoluzione: « Per Hegel risulta chiaro che la "società civile" è anche la forza motrice della rivoluzione politica [. ..} nell'incontro con l'economia politica, diventa chiaro a Hegel che la Rivoluzione politica stessa e con ciò anche la sua idea centrale di libertà appartengono storicamente al!'avvento del/a nuova società. » 35 Una conferma implicita di questo discorso la si può ricavare da un esame che prenda in considerazione un'altra « fonte» - meno che mai puramente « letteraria » - di Hegel: il giacobino tedesco Georg Forster. Stranamente, mentre la Hegel-Forschung ha approfondito notevolmente, negli ultimi anni, il rapporto di Hegel con Steuart e Smith, ha trascurato o ignorato del tutto quello con Forster, perlomeno sotto il profilo che a noi interessa. Proprio nelle Amichten von Niederrhein- opera che Hegel conosceva bene - 36 Forster dedica alcune pagine ai problemi dell'economia, che palesano come egli, con consapevolezza o meno, si allineasse con alcune delle principali scopette dell'economia politica moderna. 37 Partendo dall'osservazione che le condizioni ambientali modificano il modo di vivere degli uomini e le loro capacità,
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egli fa notare come sia importante tener conto di tutto ciò · in relazione al lavoro che viene svolto nelle fabbriche e nelle manifatture e all'esigenza di migliorarlo sempre più: « Bisogni analoghi», scrìve Forster, « hanno condotto lo spirito speculativo, a Berlino, all'osservazione che il soldato è meno adatto a filare del contadino della Pomerania. Se si volesse portare ancora avanti questa osservazione (Spekulation), bi-. sognerebbe partire dal principio che ogni arte viene coltivata in maniera tanto pili r.erfetta, quanto pili vi si concentrino le forze dell'uomo. » 38 E proprio questa considerazione che spinge a guardare con favore all'introduzione della divisione del lavoro: il lavoro dei filatori progredirebbe immensamente se« un'unica, laboriosa classe (Klasse) di uomini potesse dedicarsi soltanto a questo mestiere e per esso esclusivamente potesse vivere. Degli uomini, che si dedicassero a quest'occupazione fin dal settimo anno, dovrebbero ben presto raggiungere la destrezza di maneggiare la lana meglio e piìi velocemente di tutti gli altri, che praticano l'attività del filare soltanto come lavoro secondario. » 39 Certo, rimarrebbe a questo punto ancora un grosso problema darisolvere: quello dei contadini, che, in tal modo, si vedrebbero privati di una fonte di guadagno. Tale problema è di estrema importanza, poiché l'esperienza ba insegnato « che la mostruosa oppressione, sotto cui geme il contadino", rimane il primo e il piìi insuperabile ostacolo, che si oppone allo sviluppo di turti i rami dell'industria». 40 I provvedimenti a cui ha pensato la moderna economia politica (Staatswirtscha/t) sono dei puri e semplici palliativi, « la piìi odiosa ciarlataneria»: « Dappertutto, ove le fabbriche non sono l'opera della libera laboriosità del cittadino, bensì soltanto una speculazione finanziaria del governo, si bada pertanto meno ali' eccellenza dei prodotti che allo smercio, che si può ottenere con divieti, e vi è quindi nei primi principi, in base ai quali si fa nascere un tale stabilimento, l'impossibilità di farlo progredire fino alla perfezione di cui è capace. » 41 In alcuni casi, la stessa introduzione delle macchine, « che rendono inutile il lavoro di tante mani», 42 arreca piìi danno che beneficio: questo si verifica soprattutto nei piccoli centri. In conclusione, la prosperità della industria è inseparabile dalla libertà politica nel senso piìi lato (libertà civile, religiosa ecc.): « il bello spettacolo della laboriosità rimane
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possesso esclusivo dei popoli liberi. » 43 _ . Anche quello che Forster chiama Handlungstrieb, I'« istinto commerciale », è sempre progredito di pari passo con la libertà politica, come dimostra la storia negli esempi concreti dei fenici e dei .greci, dei cartaginesi e, successivamente, dei veneziani e dei genovesi, fino ad arrivare ai casi recentissimi degli olandesi e degli inglesi: « Dappertutto, tuttavia, questo sviluppo era inscindibile dalla libertà civile (biirger!ich), e durava solo insieme con essa.» 44 Il commercio e lo. scambio, reso possibile dalla libertà civile, è tuttavia qualcosa di in sé stupefacente e degno della massima ammirazione: migliaia di uomini, in un certo luogo, preparano i vestiti per altri uomini, che vivono in paesi lontanissimi; e questi, a loro volta, acquistando e indossando quei ves.titi, danno in cambio ai primi il necessario per vivere. Ma non è tutto: « Il fenomeno dello scambio ininterrotto», scrive Forster, « dei diversi prodotti della natura e dell'arte l'uno contro l'altro è però incontestabilmente tanto piii importante, in quanto ad esso è cosi intimamente legata la formazione dello spirito. · Il commercio rimane la causa principale della condizione attuale delle nostre costituzioni ( Verfassungen) politiche e scientifiche; senza di esso non avtemmo ancora circumnavigato l'Africa, non avremmo ancùra scoperto l'America, e, in generale, non avremmo intrapreso e condotto a termine nulla di tutto ciò, che ci eleva al di là degli altri animali. » 45 Non stupisce quindi, dopo tali considerazioni, il fatto che Forster presenti - ancora con maggior decisione di quanto avesse fatto Ferguson - il commerciante come cittadino esemplare anche dal punto di vista della cultura: « ...pertan° to, il grande commerciante (Kaufmann), le cui speculazioni . abbracciano l'intera circonferenza della terra e collegano l'uno all'altro i continenti, nella sua attività spirituale e nella sua influenza sull'universale affaccendarsi dell'umanità è non soltanto uno degli uomini piu felici, ma, - grazie alla quantità di esperienze pratiche, cHe quei traffici accrescono giornalmente in lui, e grazie all'ordine e all'astrazione dei concetti, che si può supporre in uno spirito aperto (umfassend) - è insieme uno dei piii illurrùnati (der augeklartesten). » 46 Il commerciante è, in questo senso, colui che - prima e meglio di ogni altro - porta a compimento quella che è la« missione piii alta» per l'uomo: quella« di agire, pen-
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sare e, grazie a concetti chiari, di concentrare in se stesso il
mondo oggettivo. » Quando Hegel, nellajenemer Realphilosophie, scriverà che « il vero e proprio uomo d'affari (Gescha/tsmann) è in parte nello stesso tempo anche dotto (Gelehrter) », 47 mostrerà di aver recepito - almeno in parte -]'indicazione forsteriana.
Solo che, mentre in Hegel la« saggezza» dell'uomo d'affari è una dote che lo sottrae alla cecità e all'inconsapevolezza che dominano nella sfera della società civile, e, in un certo senso, lo avvicinano alla sfera dello Stato, per cui il giudizio positivo di Hegel deriva dal fatto che in tal modo il Geschii/tsmann sèmbra alludere a ciò che sta al di là della biirgerliche Gesellschaft; in Forster, invece, si verifica in un certo qual modo il processo inverso, nel senso che è lo Stato aricavare dei benefici da una saggezza che è nella società civile e nel mondo del lavoro, dei bisogni e dello scambio, che tro• va alimento e scaturigine: « Lo Stato è fortunato, quando ha in sé tali cittadini, le cui grandi imprese non solo possono coesistere con la piu elevata formazione delle forze spirituali ( Gemiithskriifte) dei suoi piu limitati concittadini, ma addi · rittura ottengono grazie alle medesime nuova stabilità. » 48 Forster, dunque, non solo insiste sul nesso strettissimo che esiste fra libertà dell'industria, formazione umana e libertà politica, 49 ma è portato ad esaltare le condizioni create dall'industria moderna scorgendo in esse la possibilità di un superamento dell'oppressione e dell'alienazione. La condizione del lavoratore salariato appare paradossalmente algiacobino tedesco - e.sia pure nell'ottica determinata dalla contrapposizione alle condizioni del lavoro preborghese - come sostanzialmente disalienata e tale da aprire prospettive insperate: « Dove la povertà piu estrema opprime il lavoratore manuale; dove egli, con tutti gli sforzi di cui è capace, non può mai acquistare [niente} piu che il soddisfacimento necessario dei bisogni vitali piu irrinunciabili; colà la sua sorte è l'ignoranza, in mezzo a un paese, in cui la scienza illumina le classi piu elevate del popolo con i suoi raggi piu luminosi; colà, pertanto, egli manca la missione piu nobile della sua es· senza, proprio mentre appresta - come strumento - i mezzi
per gli scambi fra le nazioni. Le cose vanno del tutto diversamente ove l'abilità e la diligenza, certe del loro salario (ihres Lohnes), procurano a chi le possegga e le utilizzi un cer•
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to grado di benessere, che gli rende possibile l'acquisizione almeno di conoscenze téoriche, grazie a un'istruzione conforme allo scopo e a una buona educazione. Come appare meschino e indegno ogni despota, che trema di fronte al rischiaramento (Au/kliirung) dei suoi sudditi, in confronto all'uomo privato, all'industriale (Fabrikant) di uno Stato libero, che fonda il suo benessere sul benessere dei suoi concittadini e sulla loro piu completa comprensione! » 50 In Forster vi è dunque un'esaltazione dei risultati derivanti dalla libera attività dell'industria privata.Non v'è dubbio, da questo punto di vista, che egli sia piu vicino a Smith di quant_o non lo sia invece il mercantilista Steuart, altra« fonte» hegeliana, su cui si è soffermata recentemente l'attenzione degli studiosi. Si deve al Rosenkranz la notizia secondo cui Hegel avrebbe scritto, fra il 19 febbraio e il 16 agosto 1799, un commentario dettagliato della traduzione tedesca dell' lnquiry di Steuart. Sempre al primo biografo, inoltre, si deve l'osservazione secondo cui Hegel avrebbe criticato, in questo commentario, quanto vi era di morto nel sistema mercantilisdco, aspirando a , 98 e 2) il profitto appaia come« quota di partecipazione al prodotto». A questo punto, svuotato il profitto della sua specificità, è chiaro che esso può essere ricavato anche sulla base della schìavitu. La conclusione di Marx è estremamente significati Va e rinvia con forza a Hegel: Ricardo « non ha mai analizzato la forma della mediazione». Proprio su questo punto - l'analisi della mediazione - il contributo di Hegel è patticolarmente importante; 99 e si comprende quindi anche perché - proprio a partire dalla
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Einleitungdel 1857 e, in generale, dai Grundrisse- il confronto di Marx con Hegel si sposri a un livello superiore rispetro a quello degli anni 1843-'44. 100 Il tema della mediazione viene problematizzato da Hegel fin dal tempo di Francoforte: esaminando il rapporto intersoggettivo, quello fra soggetto e storia (il« destino»), egli giunge a formulare una dialettica in cui è evidentissima l'omologia con quella su cui egli si soffermerà ne{;li anni di Jena studiando il movimento della società civile.· 01 Già nel frammento francofortese sull'amore egli si esprime con una terminologia che è già di per sé significativa: « Niente è in-· condizionato ( unbedingt), niente porta con sé la radice del ·proprio essere,. ogni cosa è solo relativamente necessaria: l'uno è per l'alrro; per sé è quindi solo ad opera di una potenza estranea (/remde Macht), e l'altro gli è assegnato dal favore e dalla grazia di questa potenza. » 102 E ·questo discorso - va pure rilevato - viene svolto in un contesto condizionato dall'aperto riconoscimento del ruolo che, nella società moderna, viene svolto dalla proprietà privata: 103 « Il destino della proprietà», scrive Hegel, « è divenuto per noi troppo potente ( zu machtig) perché siano tollerare riflessioni su di essa o sia pensabile che ci se ne separi.»~ . . Il miglior commento di questo testo - come si è già accennato - è, all'interno dello sviluppo hegeliano stesso, quel brano del System der Sittlichkeit in cui Hegel, dopo aver caratterizzato il sistema del bisogno come quello« qell'universale, reciproca, scambievole dipendenza fisica», cosi c;ontinua: « Nessuno è per se stesso, per la totalità del suo bisogno. Il suo lavoro, ovvero qualsiasi maniera del potere di appagamenr,o del suo bisogno, non gli assicurano questa soddisfazione. E una potenza straniera, su cui egli nc;m può nulla, [quella} da cui dipende se la sovrabbondanza ( Ueberfluss) che egli possiede .costituisca o meno per lui una totalità dell'appagamento. Il valore di questa sovrabbondanza, vale a dire ciò che esprime la relazione della sovrabbondanza al bisogno, è indipendente da lui e variabile. » 105 La dipendenza reciproca degli individui, caratteristica del sistema di unificazione della società civile, fa tutt'uno con la necessità dello scambio, che diviene, a questo punto, il« mediatore universale »; 106 contemporaneamente, il rapporto
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rragli individui perde ogni naturalità per divenire sociale (e lo stesso vale per il rapporto uomo-natura): il che non toglie, paradossalmente, che proprio a livello della produzione sociale si produce una seconda natura, i cui connotati sono già individuabili in quella fremde Macht, di cui si parla sia nel frammento francofortese sull'amore sia nel System der Sittlichkeit, e che deriva direttamente dal farro che« gli individui sono sussunti alla produzione sociale, la quale esiste ·come un
fato a loro estraneo; ma la produzione sociale non è sussutl.ta agli individui e da essi controllata come loro patrimonio comune».
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·
Il problema viene però ripreso da Hegel a diversi livelli: non solo a quello del rapporto intersoggettivo, ma anche, lungamente, sul piano del rapporto soggetto-sroria. Specificàmente, in Der Geist des Christentums und sein Schicksa!Hegel affronta il rema prendendo spunto dal discorso sul delitto e sulla punizione del colpevole, nonché sulla possibilità che questi pervenga a una effettiva riconciliazione. Tale discorso offre a Hegel la possibilità di mostrare come, innanzitutto, la realtà (attuale) sia caratterizzata da un sistema strettissimo di interrelazioni, per cui è impossibile sottrarsi ad esso: « Il colpevole credeva di avere a che fare con una vita estranea, mentre in verità ha distrutto solo la propria, poiché la vita non è diversa dalla vita. » 108 In secondo luogo, emerge chiaramente da tale discorso che anche la realtà, che si presenta come estranea al soggetto, in verità è stata messa in movimento da lui stesso:« E innanzitutto l'atto», scrive Hegel, «elle.ha creato una legge il cui dominio ora si avanza. » 109 E il colpevole stesso, vale a dire, che produce e arma contro se stesso quello che Hegel definisce ancora una /remde Macht. "" Infine, tutto questo discorso richiama fortemente l'attenzione sulla presenza operante di un processo oggettivo, di un destino, che si costruisce grazie alle azioni dei soggetti, ma alle spalle della loro consapevolezza: al movimento di questa struttura oggettiva è impossibile sottrarsi, ne rimane vittima perfino l'anima he!la; il destino, infatti, ha un ambiro molto piu esteso della legge, colpisce anche la « colpa 111 senza crimine-», la « colpa dell'innocenza». Vi è, in tutto il discorso hegeliano sul destino, una sor,;a di ambiguità irrisolta, e che qui può essere solo accennata. E indubitabile, da una parte, che con il concetto di Schicksa!He-
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gel alluda al movimento della storia in grande e, quindi, a Una tematica che si ripresenterà puntualmente anche nelle
tarde lezioni sulla Philosofhie der W eltgeschichte: basti pensare al concetto di Weltgeist. 11 Ma è parimenti innegabile, d'altra parte, che il movimento descritto a proposito del destino si costruisce specularmente rispetto a quello della società civile. Il primo allude, senz'altro, a un'area tematica pili vasta di
quella rappresentata dalla seconda; allo stesso tempo, però, nei limiti in cui il destino-storia opera come una seconda natura, si comprende bene l'analogia rispetto alla società civile, di cui Hegel scopre, per primo, la natura astorica. 113 Già questi brevi accenni possono rendere ragione dell'utilità di prendere le mosse dagli scritti « teologici » giovanili anche nel momento in cui s'indaga il rapporto tra Hegel e l'economia politica- ch1Ssica e, insieme, possono fornire t.Ìn 'indicazione, sia pure minima, della direzione in cui tale
tematica va indagata.. L'accenno di Marx al problema del!'« analisi della mediazione» come cartina di tornasole con cui far reagire le valenze critiche del discorso di Ricardo va però ulteriormente approfondito: solo da tale approfondimento può risaltare con chiarezza il modo in cui Hegel concepisce l'economia e il rapporto di questa con la politica. Già dagli scritti francofortesi, comunque, emerge un dato, che va per ora semplicemente segnalato, e che sarà ripreso in tutta la sua portata solo al livello della Fenomenologia. Si tratta di un'acquisizione critica circa il modo di funzionare
del dominio, che Hegel ricava direttamente dalla sua Auseinandersetzung con Kant e dalla elaborazione del tema della positività: quest'ultima non è eliminata dalla morale . kantiana, o, per lo meno, « è eliminata solamente in parte;
e gli sciamani tungusi o i prelati europei che reggono chiesa e Stato, i voguli o i puritani non differiscono da colui che ubbidisce ai propri imperativi morali per il fatto che i primi rendono se stessi schiavi mentre quest'ultimo sarebbe libero, ma solo per il fatro che i primi hanno il loro signore fuori di sé, mentre ,questo lo porta in sé, pur essendone sempre ser-
vo». 114 Il dominio, dunque, non è abolito per il semplice
fatto di essere stato interiorizzato.
Il tema della mediazione viene ripreso e approfondito ne.' gli scritti diJena. Qui esso viene indagato sia in termini generali, sia in rapporto specificamente al movimento della so-
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cietà civile. In particolare, dopo aver citato Smith a proposito della divisione del lavoro, Hegel si sofferma sulle sue conseguenze e osserva come « la coscienza degli operai della fabbrica» venga« degradata fino all'estrema ottusità:>>; si ripropone, a questo punto, il problema del rapporto fra il soggetto che produce e la produzione sociale, che diviene del tuttO indipendente dal primo: « la connessione del singolo tipo di lavoro con l'intera massa infinita dei bisogni diventa del tutro inafferrabile e una dipendenza cieca, si che una lontana op~razione spesso blocca improvvisamente il lavoro di una . intera classe di uomini, che cort esso soddisfacevano i propri bisogni, lo rende superfluo ed inutile. ,, 115 Si ripresenta qui il fenomeno, cui si è già accennato a proposito degli scritti francofortesi: l'attività dei soggetti mette in m.òto un processo oggettivo, che si autonomizza rispetto ad essi e si-realizza a prescindere dalle loro intenzioni. L'automatismo della realizzazione dell'universale (e dell'universalmente positivo) attraverso il perseguimento dì ·scopi particolari è a questo punto divenuto però estremamente problematico. La totalità formata dal concorrere di esigenze particolari ha come sua caratteristica la cecità: « Per quanto ora la totalità di questo movimento», si potrebbe dire con Marx,« si presenti CO!l}e processo sociale, e per quanto i singoli momenti di questo movimento provengano dalla volontà cosciente e dagli scopi particolari degli individui, tuttavia la totalità del processo si presenta come una connessione oggettiva che nasce naturalmente, che è bensi il risultato dell'interazione reciproca degli individui coscienti, ma non risiede nella loro coscienza, né, come totalità, viene ad essi sussunta. La loro individuale collisione reciproca produce un potere sociale estraneo che li sovrasta; la loro azione reciproca è un processo e una forza indipendenti da loro. » 116 La storia si presenta al soggetto come una seconda natura. A mano a mano che la divisione del lavoro progredisce ed esso diviene sempre pili astratto; a mano a maho che l'uomo comincia a servirsi prima di strumen~i e poi di macchine, cresce di pari passo il suo dominio sulla natura. Ma l'inganno, Che egli Compie contro la natura utilizzando con le macchine le forze naturali per dominare e sfruttare la natura stessa, > 130 Tutto il discorso di Hegel ha come referente reale 131 _una situazione storica caratterizzata ormai dalla diffusa divisione del lavoro e, quindi, dall'esiste11.za di un rapporto non piu immediato fra uomo e natura. E significativo, al riguardo, quanto egli scrive prendendo spunto dal tema della paura come fenomeno coessenziale rispetto al lavoro: sono necessari, egli scrive, ~< entrambi questi momenti: sia la paura e il servizio in generale, sia il formare». 132 Senza il fermare (das Bilden, o anche das Formieren) la paura resterebbe« interiore e muta» (innerlich und stumm), cioè non si riverserebbe « sulla consaputa effettualità dell'esistenza». Ma senza la paura il formare resterebbe « un vano senso proprio»: « Se la coscienza non si è temprata alla paura assoluta, ma soltanto alla sua particolare ansietà, allora l'essenza negati va le è restata solo qualcosa dì esteriore, e 'la sua sostanza non è intimamente penetrata (angesteckt). Siccome non ogni elemento ond' è riempita la sua coscienza naturale ha cominciato a vacillare, quella coscienza appartiene, in sé, ancora
al!' elemento dell'essere determinato: il senso proprio è per-
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vicacia (der eigne Sinn ist Eigensinn), libertà ancora irretita entro la servitu. Quanto meno a siffatto senso proprio la pura forma ( reine Form) può diventare l'essenza, tanto meno questa stessa pura forma, considerata come un espandersi oltre il singolo, può essere universale formare o coltivare, concetto assoluto; è invece soltanto un'abilità che ha potere sopra un singolo alcunché, ma non sopra l'universale potenza né sopra l'intera essenza oggettiva.» 133 Solo quando la coscienza naturale abbia cominciato a vacillare nella sua interezza si può superare quella pervicacia, che è ancora mancanza di vera libertà. Finché sopravvive la coscienza naturale il lavoro sarà soltanto« un'abilità che ha potere sopra un singolo alcunché», ma non certo « universale formare o coltivare » ( a!lgemeines Bilden). Solo dalla distruzione della coscienza naturale può emergere sia la libertà vera, sia iJ lavoro che non sia semplicemente un'abilità particolare. E questa la condizione attraverso cui bisogna passare se ci si vuole adeguare a quell'esigenza della mediazione che Hegel - autocoscienza acutissima di una determinata situazione storica - fa valere con forza: distruzione della coscienza naturale significa riconoscimento dell'uguaglianza delle autocoscienze; significa impossibilità di continuare ad aspirare a un tipo di lavoro, che, per quanto fatto con abilità, o anzi proprio per questo, rimanga chiuso in sé, senza quelle possibilità di scambio, che sole glr possono concedere il potere « sopra l'universale· potenza». Il lavoro universale, il formare, è il lavoro fatto per lo scambio; è qui, sul terreno dello scambio, che le autocoscienze si eguagliano, sono libere. 134 Si comprende, allora, il senso complessivo della dialettica descritta da Hegel. Al limite, la stessa astoricità, che caratterizza queste pagine hegeliane, diviene per se stessa significativa. 135 L'elemento principale da tener presente, però, è che qui Hegel raffigura« il momento di transizione tra il visibile rapporto di dipendenza personale ed il suo svanire nella eguaglianza borghese. La figura del lavoro è ancora intrinsecamente connessa con quella della sua riflessione ( il dominio) e da questa dipende. » 136 Dal momento in cui il lavoro e i suoi prodotti sono in funzione dello scambio scompaiono « tutti i rigidi rapporti di dipendenza personali (storici) nella produzione » e ad essi subentra la « generale dipendenza reciproca dei produttori». 137 A questo punto, il prodotto
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del lavoro del singolo lavoratore non è piu sufficiente a fornirgli, da solo, i mezzi di sussistenza; esso riacquista questa capacità solo nello (e grazie allo) scambio. Da qui la neces-. sità di superare la pervicacia - o « vano senso pròprio » - di cui Hegel parla nel testo già ricordato della Fenomenologia: « L'individualità del corso del mondo», dice altrove significativamente Hegel, « potrà ben ritenere di agire soltanto per sé o egoisticamente; ma è migliore di quello eh'essa stessa non creda; il suo operare è in pari tempo un operare in sé essente, un operare universale. Quando essa agisce egoisticamente, non sa semplicemente quello che si fa; e quando assicura che gli uomini tutti agiscono egoisticamente, asserisce soltanto che gli uomini tutti non hanno coscienza di quello che sia l'operare. » 138 Il rapporto di dipendenza reciproca discende çlirettamente dal fatto che ogni singolo lavoratore è sempre, contemporaneamente, un lavoratore per altri: « Come all'uomo tutto è utile, cosi lo è anche egli egualmente, e la sua determinazione e destinazione è quindi di rendersi utile e universalmente utilizzabile membro della società (des Trupps). » 139 La reciprocità dell'utilizzazione è ciò che fonda e delimita sia la libertà sia l'uguaglianza: il soggetto diviene cosi persona, concetto « in. cui tutti sono identici. L'uomo ha valore, cosi, perché è uomo, non perché è giudeo, cattolico, protestante, tedesco, italiano ecc.» 140 I rapporti di dipendenza personale vengono meno - in apparenza - proprio per il loro trasformarsi in « rapporti tra persone»: « gli individui sembrano entrare in un contatto reciproco libero e indipendente ( questa indipendenza che in se stessa è soltanto e andrebbe detta piu esattamente indifferenza) e scambiare in questa libertà; ma tali essi sembrano soltanto a chi astrae dalle condizioni, dalle condizioni di esistenza nelle quali questi individui entrano in contatto». 141 « Non solo dunque uguaglianza e libertà sono rispettate nello scambio basato sui valori di scambio, ma lo scambio di valori di scambio è anzi la base produttiva, reale di ogni uguaglianza e libertà. Come idee pure esse ne sono soltanto le espressioni idealizzate; e in quanto si sviluppano in rapporti giuridici, politici e sociali, esse sono soltanto questa base ad una diversa potenza. >~
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Si tratta ora di vedere fino a che punto il discorso hegeliano si esaurisca nella constatazione dell'apparenza di que-.
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sta eguaglianza: è chiaro, d'altra parte, che se esso si esaurisse completamente in essa la sua analisi della mediazione non sai:ebbe poi, in realtà, molto piu profonda di quella di Ricardo. E opportuno quindi verificare quanto si è precedentemente accennato a proposito della dialettica di signoria e servitu: il farto cioè che essa rappresenra il punto di passaggio da un dominio ancora esterno e visibile a uria interno e invisibile. La stessa osservazione, secondo cui per Hegel- in definitiva - è il servo lavoratore a fare la storia e non il signore ( che scompare dalla scena), rischia di essere deviante: non è sufficiente infatti notare la scomparsa del signore, se questo significa la scomparsa del dominio in generale. 143 Occorre dunque ritornare brevemente al discorso sul formare e sulla paura. A questi due momenti è collegata non sol.o la distruzione della coscienza naturale e, quindi, il riconoscimento della necessità della mediazione sia nel rapporto soggetto-natura, sia in quello soggerto-soggetto; bensi anche la presa di coscienza del fatto che, dietro l'apparenza dell'uguaglianza delle due autocoscienze reciprocamente mediantisi (nella reciproca dipendenza), si cela ancora un rapporto di dominio e, quindi, una disuguaglianza reale. La paura diviene, a questo punto, la mediazione che permette l'interiorizzazione della figura del signore. Nel formare la cosa, la coscienza servile si oggettiva, togliendo cosi « l' essente /orma opposta». In tal modo viene parimenti tolta la forma estranea di fronte alla quale essa ha tremato, ma viene tolta nel senso che viene tolta come esterna ( ovvero viene interiorizzata): « Alla coscienza servile l'esser-per-sé che sta nel signore è un esser-per-sé diverso, ossia è solo per lei; nella paura l'esser-per-sé è in lei stessa; nel formare l'esser-per-sé diviene il suo proprio per lei, ed essa giunge alla consapevolezza di essere essa stessa in sé e per sé. » 144 Attraverso un processo graduale, dunque, si passa dall'esser-per-sé che sta ·nel signore, ed è quindi del turto altro rispetto a quello della coscienza servile, a un esser-per-sé che è « in lei stessa», per giungere infine a una completa identificazione e riconoscimento fra la coscienza servile e l'essenza estranea. Al culmine di questo processo si perviene dunque all'abolizione di ogni differenza tra l'una e l'altra: il che dovrebbe corrispondere, parallelamente, alla fondazione dell'equivalenza ( o indifferenza) delle diverse autocoscienze. Ma proprio perché
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a tale uguaglianza si perviene attraverso l)interiorizzazione,
mediata dalla paura («nella paura l'esser-per-sé è in lei stessa»), del!' essenza estranea, che è la medesima « dinanzi alla quale la coscienza servile ha tremato», tale essenza estranea
. - l'esser-per-sé, diverso, del signore - non è realmente superata. Non aveva già avvertito Hegel, d'altra parte, che condizione essenziale per la distruzione della coscienza naturale è per l'appunto il fatto che l'essenza ·negativa non resti « qualcosa di esteriore», ma penetri intimamente nella coscienza? Tale risultato - si può ora aggiungere - è, in un certo senso, scontato fin dall'inizio. La struttura dell'uguaglianza di cui qui si parla è infatti rigidamente delimitata dallo scambio, ha lo scambio come suo presupposto. Ma già in questo vi è inizialmente una coercizione per l'individuo: il fatto che ciò che produce non sia prodotto per lui, ma divenga tale solo nel processo sociale. E questa non è certo l'unica contraddizione che affetta tale uguaglianza: dal momento che il soggetto esiste solo come produttore di valori di scambio, la sua esistenza naturale è completamente distrutta, egli è, a questo livello, « totalmente determinato dalla società». In conclusione, dietro l'apparente uguaglianza e dietro la mediazione indotte dallo scambio si cela la disuguaglianza e l'antitesi piu radicale: « già nella semplice determinazione del valore di scambio e del denaro è contenuta in forma latente l'antitesi tra lavoro salariato e capitale.» 145 L'analisi della mediazione fornita da Hegel è, dunque, tanto piu profonda in 9uanto da essa trapela il permanere di una forma di dominio 46 dietro l'apparente uguaglianza da una parte e, dall'altra, di una serie di contraddizioni al di là del!' apparente pacificazione. Si spiega cosi l'acuto realismo di Hegel, il fatto che, come notava già Marx, nella sua opera sono presenti gli elementi della critica, spesso già elaborati a un livello che eccede lo hegelismo stesso ( e il punto di vista del!' economia politica classica). Si chiarisce pure, allo stesso modo, il suo guardare alla sfera del!' economia con occhio non da economista e, in generale, la sua insoddisfazione nei
confronti della società civile, il ruolo attribuito allo Stato. 147 Egli vede con maggiore lucidità dei suoi predecessori sia le conseguenze della divisione del lavoro (Ferguson), sia lo stretto rapporto che si stabilisce fra divisione del lavoro, or-
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ganizzazione capitalistica del medesimo e rivoluzione borghese (Forster). Ricollegandosi a Smith - forse piu che a Ricardo - egli si sofferma particolarmente sulle conseguenze che l'affermarsi del valore di scambio comporta: 148 conseguenze noh solo sociali ed economiche, ma, innanzitutto,po/itiche. Non avrebbe senso, a questo punto, rimpiangere che egli non si sia maggiormente addentrato, o che non abbia fissato con la dovuta coerenza, la teoria del valore/lavoro: 149 e quesro non solo perché tale coerenza manca nello stesso Smith, ma soprattutto perché di ben altra importanza e ricca di ben altri risultati è l'insistenza hegeFana sul valore di scambio; si può dire che, anche in quesro caso, la scelta di Hegel è stata felice, e gli scompensi e le proporzioni della sua teoria rispecchiano fedelmente quelli della realtà. Né, quando si parla di« rispecchiamento» della realtà, s'intende riproporre una teoria della Widerspiege!ung, che comporterebbe tutte le contraddizioni cui si è accennato inizialmente. Piuttosto, si vuole alludere alla capacità della filosofia hegeliana - come punto piu alto di autocoscienza della società borghese - di costituire un punto di unificazione e di organizzazione della realtà stessa secondo le sue linee di sviluppo piu profonde ed evolute. Si riaffaccia, ancora una volta, anche da questo punto di vista, il problema del rapporto tra economia e politica in Hegel, insieme con una preziosa non certo l'unica - indicazione gramsciana: « La dottrina di Hegel sui partiti e le associazioni come trama "privata" dello Stato. Essa derivò storicamente dalle esperienze politiche della Rivoluzione francese e doveva servire a dare una maggiore concretezza al costituzionalismo. Governo col consenso dei governati, ma col consenso orga~iz_Z8;tO, non generico e vago quale si afferma nell'istante delle elezioni: lo Stato ha e domanda il consenso, ma anche "educa" questo consenso, con le associazioni politiche e sindacali, che però sono organismi privati, lasciati all'iniziativa privata della classe dirigerite. Hegel, in un certo senso, supera già, cosi, il puro co-
stituzionalismo e teorizza lo Staro parlamentare col suo regime dei partiti. La sua concezione dell'associazione non può essere che vaga e primitiva, tra il politico e l'economico, secondo l'esperienza storica del tempo, che era molto ristretta e dava un solo esempio compiuto di organizzazione, quello "corporativo" (politica innestata nell'economia).» 11°
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Note
1
Si troveranno cenni abbastanza esaurienti sulla storia delle varie interpre-
. razioni del problema dell'economia in Hegel in: F. Consiglio, S11! pensiero economico di Htgel, i< Studi Urbinati», Anno XLIII, N.S. B, n. l 0969), pp., 183-242,particolarmente pp. 183-211. Per quanto riguardagli studi piU retenti, cfr. l'ottima rassegna di R. Bodei; StNdi s11! pemiero politico ed economiqJ di Hegel nell'ultimo trentennio, in Rivista critica di storia della filosofia n, 1972, pp. 435-66. . 2 Scrive Lukacs: (< Hegel ha non solo quella che è senz'altro in Germania la pili alta e la piU giusta comprensione dell'essenza d~ll~ Rivoluzione frahcese e del periodo napoleonico, ma è nello stesso rempo il solo pensatore te Mew, voi_. I,'cit., p. 283 (trad. ci_c_, ·P.- 9.~). E si cfr. il commento di B. De Giovanni, op. cit., p. 42: « L'attenzione che si trasferisce all'oggetto è tale da spostare per intero sull'oggetto tutto ciò che sembra doversi ascrivere alla soggettività della veduta.t ..] L'interlocutore di Marx è Hegel, ma in quanto Hegel allude alla costituzione reale dello Stato moderno. >> 11 Mew, ErgiinZ11nsr,ha11d, Erster Teil, Berlino, Dietz Verlag, 1968, p. 574 (trad. cit., p. 264). 7
(
►, Anno X, n. 30 (gennaio~aprile 1967 ), p. 46 (ma, in generale, si cfr rutto lo stimolante saggio, pp. 1-48). 15
Giustamente il Lcewith osserva: « La critica hegeliana della società bor• ghese è diretta quindi contro la concezìone liberale dello Stato come semplice mezzo, quale fu_ rappr~sentata classicat;1ente in Gern:iania da _\X'ilh~lm von: Humboldt (K Loew1th, Ha Hi:gelaNMzscht, rrad. di G. Colli, Tonno, Einaudi, 1964, p. 391). 16 Com'è noro, Smith recensi il secondo Discorso di Rousseau: cfr. I. Fetscher, La filosofia politica di Rousmw, trad. di L. Der!a, Milano, Feltrinelli, 1972, p. 264-65; sul rema ha richiamato !'attenzione anche L. Colletti, Jdeolor,ia e so•-iet/i, Bari, Laterza, 1969, pp. 211 e sgg. 17 Sull'influenza di Steuarr si è soffermato particolaremnre P. Chamley, faommtie polùiq(tl! et philoJophfr chez Stqtart.l!! }frge/, Parigi, Dalloz, 1963. 1 ~ «Tra le varie forme dell'astratto·,.quella definita come Stato è la forma dominante, comprensiva delle altre. Nel testo in esame, l'astrazione reale dello Stato è posta come mondo capovolto. All'interno di questo mondo reale/astratto non possono che prodursi forme di coscienza capovolte nel mondo, ,tstratte rispetto a quel amcn!lo che è il mondo rimesso con i piedi a terra)>
1
21
Ad esempio, nella valutazione largamente positiva del mondo antico e, in particolare, di Sparta. 22
_A. Ferguson, SdJ!)!,ÌO ml/a Jtoria de/111 società (iz,i/e, a cura di P. Salvucci, Biobibliografia ragionata a cura di M. Massi, Firenze, Vallecchi, 1973, pp.205- . 06. L'opera di Ferguson apparve, con 'il titolo originale: An Essay IJtl the Hi.rtory oj Ch il Soàety, nel 1767; la traduzione tedesca, intitolata 'v'm'lith ìiher dir: Geschithtt: der hiii:(!,erlichen Gesel/Jchaj!, apparve a Lipsia nel l 768. Hegel conosceva Ferguson già dal periodo delle letture ginnasiali: cfr. Rosenkranz; 1
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118
Vita di HeKe4 a cura di R. Bodei, Firenze, Vallecchi, 1966, p. 36. L'importanza dell'opera fergusoniana quanto alla formazione del concetto hege~iano di « società' civilt » è stata affermata dal Rosenzweig, HeJ!,el ,md der Staat, voi. Il, Oldenbourg, Monaco e Berlino,.1920, p. 118 (ristampa anastatica, in un sol tomo, presso Scientia Verlag, Aalen, 1962). 21 ·
24
25
A. Ferguson, lhid.
op. dt., p. 206.
lhid, p. 147.
26
lhid., p. 165. 27 lhid., p. I 64.
28
29 30 ·'
1
lhid., p. I 65. lhid, p. 164.
lhid, p. 208. lhid., pp. 206-07 .
.l2 Ihid., p. 207. 12
· P. Salvucci, Introduzione a: A. Ferguson, op. àt., p. VI; ma del Salvucci va vista, sempre su questi remi, l'ampia monografia: Adtwi Fergmon. Sorioloxia 1: /ilosofìa politù'tt, Urbino, Argalia, 1972. 14 · M. Riedel, Der Hegrif/der , Non condivido !'interpretazione·di L. Uhlig, Georl!, Prirt.ser, Einheit und Manni,{ij'altif!,k1:it · in seiner geisti;çen Welt, Tubinga, Niemeyer Verlag, 1965, p. 162, che nega ogni rapporto tra Fonser e l'economia polìtica classica. -~~ A nsichten, cit., p. 94. Recentemente è_ apparsa una antologia, in italiano, delle opere del giacobino tedesco: G. Forster, Rivoluzione hor;çh1m: i:d emcmàpazione umana, a cura di N. Merker, Roma, Editori Riuniti, 1974. Buona senz'altro la scelta delle pagine tradotte (si rimpiange soltanto che non siano ancora di pill ), ottimo il saggio introduttivo del Merker (pp. 7-70): stupisce solo ch'egli non· ricordi che proprio la pagina con cui si apre l'antologia (pp. 7)-4) è una di quelle su cui si era soffermato Hegel, facendone degli estratti (cfr. Hoffmeister, op. dt., p. 217, nonché Ansichten, cir., pp. 8-9). Sul rapporto fra Hegel e Forster in generale si cfr., oltre ai diversi accenni contenuti ne .Il giol'ane Hexel di Lukrics, J D'Hondt, [),, Her,el tÌ Marx, Parigi, P. U.F., 1972, pp ..l6-85. W Amùhten~ cit., pp. 94-5.
40
lhid, p. 95.
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41 42 4J 44
119
lhid. lhid., p. 96. Ihid
tbid, p. 98. · 45 ibid, p. 97. 46 lbid, p. 99. 47 Hegel,Jenenser Realphilosophie li, a cura diJ. Hoffmeister, Meiner, Lipsia, 1931, p. 260; d'ora in poi citeremo quest'opera utilizzando la trad. it. curata
da G. Cantillo: Hegel, Fi/010/ia dello Jpirito ji:nese, Bari, Laterza, 1971 Oo stesso.vale per la cosidetta_fenmser Realphilosophie /, a cura di). Hoffmeister, Lipsia, Meiner, 1932). 48
49
Forsrer, Amichten cir., p. 99. Amùhtm, cit., p. 102: Inghilterra, Francia, Olanda e Germania- scrive
Forster - che attualmente si arricchiscono lavorando le materie prime eh~ provengono dalla Spagna, vedrebbero andare in rovina le loro industrie se fosse tolta loro questa possibilità, e perderebbero insieme la loro importanza politica. Tuttavia, egli prosegue, « prima che si verifichi questo temibile cambiamento è necessaria una quisquilia: l'onnipotenza del re dev'essere limitata, gli stati (Stiinde) devono essere restaurati, l'Inquisizione dev'essere abolita, la libertà di coscienza e di stampa dev'essere riconosciuta in manie.ra irrevocabile, e la sicurezza della proprietà, insieme all'indipendenza personale di tutti i cittadini, dev'e"ssere saldamente fondata sul potere della legge [al riparo] dagli attacchi arbitrari ». 50 A mùhten, cit., pp. 99-100. 51 Rosenkranz, op. cit., p. 107. 52
E. Roll, Storia del pensiero ec11nrm1ico, tr!J.d. d_i N.. Negro, Torino, Boringhi-eri, 1967,p. 120.· 5 . -~
Si cfr. in generale Roll, op. àt., p. 119.
54
L'opera di Steuart, A n lnquiry itif(I the Prinriples o/ Poli timi Oenmomy, apparve a Londra nel 1767; la traduzione tedesca, Unters1tsch11ng dr:r Gmndsiitzi: 1 0n d1:1· Staats- Wirtschtlji apparve a Tubinga, in frammenti, fra il 1769 e il 1772. La citazione riportata nel testo si riferisce al secondo libro (tradotto nel 1770} intitolato: 1( Von der Handlung und Industrie 1,, p. 60; e si cfr. P. Chamley, op, cit., p. 100-01. 1
55
'Hegel;Jenemer Realphilosophie I, cit., p. 240. Pensiamo particolarmente ai paragrafi 24.i-45 delle Gmndlinii:n der Phi/oJophie des Rechts, a cura diJ. Hoffmeister, Amburgo, Meiner, 1955, pp. 20002 (4,ineamenti di /ilowfia del diritto, trad. di F. Messineo, Bari, Laterza, 1965 , p. 204-05). 57 Si veda in particolare il paragrafo 297: G'r11ndliniencit., p. 258 (trad. cit., p. 258); nonché l'aggiunta al medesimo paragrafo in Hege!, Werke in zwanzig Biinden, vol. 7, Francoforte, Suhrkamp, 1970, p. 464 (trad. cit., p. 286). 58 Grtmdliniencit., p. 170 (trad. cit., p. 172); e si cfr. sul tema P. Salvuc, I, l 966, n, 3, ora in La filosofia politica di Adam S11tith, Urbino, Argalia, 1966, pp. l 57 e sgg. 56
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ROBERTO RACINARO
59 Grund!inien, in Wti"k..-, vol. 7, cit., pp. 346-47 (trad. cit., pp. ?,58-59). 60
Jhid., p., 16 (trad. cit., p. 16). Hegel ricorda il famoso paragone riguardante la fabbrica."zione degli spilli a proposito della divisione (fimemer Realphilosophù: li, cit., p. 2.i2.) 70
A. Smith, op. cit., p. 445. È nella direzione della critica di tale diffusissima interpretazione che si mùove l'interessante ricerca di P. Salvucci, l(t filosofia politita di Adam Smith, cit. 72 A. Smith, op. cit., p. 67. 73 lhid, p. 3 l. 74 lhid, p. 32. 75 Ihid.,p . .15; ma si cfr. anche p ..i8: « Risulta quindi evidente che il lavoro è la sola misura universale del valore, oltre che la sola precisa, ovvero che è la.sola unità di misura per mezzo della quale possiamo paragonare i valori di diverse merci in tutti i tempi e in tutti i luoghi. >► 71
DIMENSIONE DELLA POLITICA IN HEGEL
121
76 C. Napoleoni, Smith Riccwdo Mttrx,-Torino, Boringhieri, 1970, p. 65. 77 A. Smith, op. cit., p ..B. 78 lbid, p ..l57. 79 K. Marx, G rundrisse der K ritik der po/itischen Oekonomie; Berlino, Dierz
1953, p. 235.(Ljneamenti jòndamentali della critù,1 def!'eco_m,mia pfJ!itù-a, a cm;; di E. GEillo, Firenze, La Nuova Italia, l 968~ 70," voi. I, p. 324). D'ora in· poi citeremo brevemente quest'opera: GrundriJJe:, il numero della pagina si riferirà sempre all'edizione tedesca (che è riportata anche in margine alla trad. it., da cui citiamo). BO ibid 81 A Smith, op. àt., pp. 49-50. 82 lbid, p. 50. 83 ibid, p. 66. ·a4 •C. Napoleom, · . op. at., . p. 72.
85 D. RlCa~do, Pri'ndpi dell'ernnomia p(J/itim e de/li: impuste, intr. di A. Lo ia, rrad. di R. Fubini e A. Campolongo, Torino, Utet, 1965, p. 9. 86 Ibid 87
Ihid
8S·c.·Napoleoni, op. cit., p. 110. 89
D .. Ricardo, op. cit.,.p. 16.
90
C.
91
Napoleoni, op. cit., p. 113.
Critica e critica·dell'econo11tia politìw, Introduzione di P. A. Rovatti, trad. di R. Rinaldi e V. Oskian, Milano, Feltrinelli, 197.~,p. 35. 92
]. Ra~cière,
lbid, p. 73.
93
Scrive il De Giovanni, op. cit., p. 55: 1 0 ? A. Gramsci, NoteJU!Machiavelli, Torino, Einaudi, 1966 6,p. 128. In generale, sul tema si veda L. Sichirollo, Heey/, Gramsci e il tnarxismo, in: Studi gramscia12i, Roma, Editori Riuniti, 1969 , pp. 269-76; Diafe_ttica, Milano, !SEDI, 1973, pp. 187 e sgg. (ma bisognerà tener conto altresf delle osservazioni al riguardo di F. Fistetti, li problema Hegef e fa comprensione del presente, in « Critica marxista,,, 1974, n. 2, pp. 184-91 ).
Massimo Barale
OLTRE MARX. RAGIONE SPECULATIVA E UNIVERSO BORGHESE*
Ogni lettura 'è datata, ha una sua puntualità nello spazio e nel tempo del discorso umano. Lo sappiamo, ma non sempre siamo disposti a far valere per noi ciò che riconosciamo valere per gli altri. Raramente siamo disposti a metterci in q1;1estione. Eppure, non ci vuol molto per rispettare le regole del gioco: basta farsi coscientemente carico delle domande elle la nostra coscienza storica ci impone. Nel caso di Hegel, aiµleno due interrogativi gravano sulla nostra lettura e concdrrono ad orientarla. Indichiamoli. A dar retta alle cronache, si direbbe.il secolo delle rinascite hegeliane: Hegel è rinato nell'orizzonte teorico dei neoidealisti, dei neoesistenzialisti, dei neomarxisti, dei teologi alle prese con la morte e la resurrezione di Dio nel mondo moderno. Vi son sintomi di infiltrazioni hegeliane persino nei territori della filosofia analitica, tra. i discepoli di Wittgenstein. La riscoperta di Hegel si direbbemia costante della filosofia del Novecento. Ma un rinascimento permanente finisce col contraddire il concetto stesso di rinascita: si scopre che, in realtà, non v'è mai stata rinascita perché non v'è mai stata morte, perché la presenza di Hegel non è mai venuta meno. Attraverso le vicende di un secolo segnato da autentiche rivoluzioni scientifiche e da vasti rivolgimenti politici e sociali, in una vicenda culturale che ha distrutto la sua nozione di scienza, cosi sradicando dal suo originario
* Oltre Marxsignificà: il progetto teorico di Hegel va riletto oltre la mediazione marxiana, il rapporto Hegel-Marx va ripensato oltre le codificazioni di certa scolastica marxista. Il titolo è volutamente provocatorio. Credo nella virtU della provocazione quando vuole aprire un problema, non imporre un punto di vista. ·
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MASSIMO BARALE
contesto scientifico la sua stessa nozione di filosofia, Hegel è rimasto e rimane un pensatore attuale. Perché? E il primo interrogativo che il lettore odierno di Hegel assume dalla propria coscienza storica, ma non è il solo. L'incontro con Hegel della coscienza contemporanea è stato costante, pressoché inevitabile ogniqualvolta la riflessione si è incentrata sulla condizione dell'uomo nel contesto sociale e storico in cui opera, sulle sue inquietudini esistenziali e sulle sue diffuse attese escatologiche. Ma non si è mai trattato di un incontro diretto, spregiudicato, di un dialogo senza intermediari. Nessun autore è stato ritratto in pose altrettanto diverse e improbabilì, nessuno è stato altrettanto amato e avversato per motivi indipendenti dalla sua volont/,,, imputato di pretese che non ha mai avanzato, di idee che non avrebbe mai sottoscritto. Non è questione di buona fede e neppure di intelligenza critica, l'impegno filologico e l'intelligenza di molti studiosi hegeliani son fuori discussione. Ma non è un caso che i maggiori interpreti di Hegel non ne siano stati cultori disinteressati (cioè interessati esclusivamente ad una restituzione integrale del suo pensiero) e, quel che piu conta, non abbiano neppure cercato e preteso di esserlo. Non è sfuggito loro che la filosofia di Hegel ha acquisito uno status storico affatto particolare: ha perduto ben presto il valore naturale di documento, di testimonianza personale, per diventare una sorta di paradigma vivente di cette nostre esperienze. Ha acquisito il valore di un simbolo storico e come tale si fa leggere e interpretare. Chi s'avvicina a Hegel e riflette sulle sue pagine ha l'impressione di trovarsi innanzi un fatto culturale irrevocabilmente mediato. Dei suoi scritti Hegel ha voluto garante la sola ragione, coi suoi scritti voleva offrirci la chiave per una comprensione razionale del mondo; rileggendoli oggi, siamo tentati di chiedere al mondo che volevano capire la chiave per decifrarli. Di tutto questo il lettore odierno deve darsi ragione. · 1. Oltre Marx
Abbiamo parlato di un fatto culturale. irrevocabilmente mediato: mediato dalla storia, nel cui spessore si riflette . come in un caleidoscopio. Ma, ad una considerazione piu at~
OLTRE MARX
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tenta, questa formulazione si rivela troppo generica, poco
piu che una metafora. La mediazione della storia non è qualcosa•di spontaneo, ma qualcosa che passa attraverso le nostre concezioni di essa, un'esperienza che viviamo entro orizzon-
ti culturali ben definiti. Se per la coscienza filosofica contemporanea Hegel è diventato un simbolo, lo deve ad una mediazione che ne ha condizionato fin dall'inizio la recezione storica, ad una interprett1zione che lo ha rivestito come
una sorta di filtro naturale. E la versione dell'hegelismo che matura nella diaspora della scuola hegeliana, che prende ferina esplicita nella critica di Feuerbach e nella protesta di Kierkegaard, che trova una sorta di codificazione nella lettura marxiana. Una vicenda decisiva che andrebbe ristudiata. Si dovrebbe ristudiarla con la consapevolezza che lo Hegel presente alla coscienza filosofica contemporanea è lo Hegel che è nato da quel processo di scomposizione della filosofia hegeliana, è lo Hegel ricostruito nella vicenda culturale di quegli anni, da uomini che sentivano di dover fare i conti con lui perché dl lui già facevano un simbolo e non esitavano a trattarlo come il simbolo di una sìagione del pensiero :he viveva in loro e da cui volevano uscire. Da quel processo :li scomposizione e ricomposizione, che andrebbe approfon:lito nelle sue motivazioni storiche e non soltanto celebrato J
contestato nelle sue ragioni teoriche, esce un'immagine
iella filosofia \Jegeliana che segnerà l'esistenza storica :lell'hegelismo. E l'immagine di Hegel che ha storicamente :ontato, con cui la nostra coscienza si trova a dover fare i conti. È un'immagine che il caleidoscopio della storia ha ripetuto in mille profili diversi, ma è possibile parlarne al singolare perché v'è un nucleo teorico essenziale intorno al quale ogni immagine dell'hegelismo può condensarsi: la filosofia hegeliana sarebbe un tentativo (anzi, i/tentativo) di ripetizione panlogistica della realtà. In questo senso Hegel è stato ed è un simbolo, in questo senso i suoi discepoli volontari o involontari, coloro che hano dovuto, spesso loro malgrado, disporre della sua eredità storica, ne hanno fatto un simbolo. Il simbolo ha trovato nella lettura marxiana pienezza di significato. La critica marxiana del panlogismo hegeliano non è soltanto la piu acuta e onnilaterale tra tutte: essa è la piu hegeliana, nel senso che fa di quel panlogismo una figura
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MASSIMO BARALE
storica, nel quadro di una filosofia della storia. Il panlogismo hegeliano viene interprf:taro e consegnato alla storia come il massimo sforzo di autoconsacrazione del mondo borghese, come la forma pili alta e pretenziosa della sua autocoscienza teorica. L'efficacia di tale schema di lettura non ha bisogno di essere sottolineata. L'hegelismo è divenuto una categoria .carica di tutte le passioni e le tensioni del nostro tempo, una sorta di vessillo inalberato nel mezzo di un campo di battaglia che ci vede tutti impegnati. Quello schema di lettura ha finito col condizionare tutti, hegeliani e antihegeliani, mar-
xisti e antimarxisti. Ci ha condizionato ben al di là dello specifico problema esegetico che l'ha occasionato. Il nodo Hegel-Marx non è un puro fatto di esegesi filosofica: è il punto di sospensione di bisogni profondi, di attese, pratiche e teoriche, che ci accompagnano quotidianamente nel nostro cammino. Si può ben dirlo uno dei punti focali della nostra coscienza ideologica. Se Marx, critico dell'ideologia del suo tempo, ebbe bisogno di fare i conti con Hegel, un analogo bisogno critico, il bisogno di accertare l'origine e la consistenza dei parametri culturali a cui pili frequentemente fac-
ciamo ricorso, impone a noi di fare .i conti con quella lettura marxiana di Hegel, con là recezione marxiana del!' eredità hegeliana. La sua interpretazione del modello hegeliano di sapere fi, losofico Marx l'ha data una volta per tutte negli scritti degli anni 1841-'44. 1 Non la ripeteremo. 2 Il lettore che voglia mentalmente ripercorrerla non avrà difficoltà a convenire: la mediazione di Marx.è stata decisiva. 3 Possiamo aggiungere: a buon diritto. L'interpretazione marxiana di Hegel è penetrante, incisiva, coglie aspetti essenziali del discorso hege-
liano, denuncia quello che, in ogni caso, va considerato come un rischio immanente .all'approccio speculativo. Ma
tutto questo non basta a legittimarne la fortuna. L'aspetto decisivo della critica che Marx ha istituito nei confronti della filosofia hegeliana è un altro: la critica di Marx situa Hegel attraverso il suo discorso politico (Hegel è colui nel cui pensiero il mondo borghese si autodeduce in termini di necessità razionale), ma nello stesso tempo non riduce lo spessore politico dell'intero discorso hegeliano alle dimensioni di un fatto politico in senso stretto, non lo riconduce all'individuo Hegel, alle sue scelte ideologiche, alle sue preferenze perso-
OLTRE MARX
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nali. I capi di imputazione sollevati dalla critica di Marx non chiamano in causa l'individuo ma, impersonalmente; il"fi-
losofo: meglio ancora una possibilità della coscienza umana di cui la filosofia è stata per secoli espressione, un'istanza
umana che la ricerca filosofica ha cercato per secoli di soddisfare. In queste dimensioni del suo assunto e in questa radicalità delle sqe pretese sta la grandezza della critica di Marx a Hegel. E un discorso che potrebbe portarci molto lontano, ben al di fuori dei margini dì una riçerca circoscritta come la nostra. Le domande si affollano: vien da chiedersi se davvero la vetità di quell'istanza non stia in lei ma fuori di lei, se davvero il tentativo di soddisfarla configuri di per
sé un'alienazione filosofica della verità, se essa sia davvero destinata ad estinguersi insieme ad un deterrriinato mondo storico o se, al contrario di tutto ciò, essa non svolga fin d'ora
( in Marx stesso) un ruolo importante nella prefigurazione di un mondo diverso. Si è tentati di riprendere queste domande indipendentemente da ogni contesto e, priffia ancora)
nello specifico contesto marxiano. Ma la scelta che abbiamo fatto ci obbliga a porcele nel contesto di una riflessione sulla filosofia di Hegel. Non ·ci si sottrae alla mediazione marxiana eludendola, ma solo prendendone coscienza, sott0ponendo la nostra coscienza storica ad una sorta di trattamento psìcahalitico, di restituzione dell'inconscio. La nostra coscienza storica, ciò
che della maniera hegeliana di far filosofia e della filosofia politica di Hegel sappiamo nell'orizzonte della mediazione marxiana, pll(\ e deve essere sospeso, da medium soggettivo può e deve diventare punto di riferimento oggettivo, oggetto essa stessa dell'indagine. Possiamo e dobbiamo chiederci fino a qual punto lo Hegel che in essa risulta corrisponda allo Hegel che risulta oltre di essa. I principali temi di verifica sono chiari innanzi a noi: a) la dialettica che Hegel scopre attraverso la sua nozione di Entiiusserung si configura davvero come la logica di un soggetto che ha i caratteri esclusivi dell'autocoscienza? b) Al di là di questa presunta riduzione del soggetto di tale logica a pura autocoscienza, può continuare a valere ciò che varreb-
be nell'ipotesi di cale riduzione, ovvero: la logica di Hegel è davvero la logica di un processo il cui soggetto altro non è che il divenir soggetto (autocosciente) di tutto ciò che pro-
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MASSIMO BÀRALE
cessualmente si dispone (cioè, di tutto ciò che in qualsiasi
modo è coinvolto nell'esistenza di fatto del presente storico)? 4 c) Quel divenir soggetto (ammesso che in ciò consista il farsi di cui la.dialettica hegeliana è la logica) avviene davvero nello spazio logico di una alienazione filosofica della verità e si risolve per ciò davvero in una autodeduzione
dell'esistente in quanto tale? d) In definitiva (è la domanda che riassume tutte le altre): la dialettica hegeliana sottende una nozione di lavoro come « lavoro spirituale astratto >>? La
filosofia hegeliana sottende già nel suo principio il punto di vista dell'economia politica classica? Il nostro compito è di rispondere, in ordine logico, a ciascuna di queste domande. 2. La funzione della ragione nell'orizzonte storico della società ci-
vile e dello Stato di diritto Dunque: natura e funzione del tipo di razionalità (la ragione dialettico-speculativa) in cui Hegel confida e alla quale affida il compito di comprendere il mondo 1n cui vive. Con questa domanda entriamo subito nel cuore dei problemi che ci occupano. Vi entriamo riassumendo in poche bat-, tutè ciò che una lettura articolata dei primi scritti hegeliani potrebbe chiarire e documentare: il nuovo spazio teorico èhe la riflessione di Hegel ricerca e organizza, lo spazio della ragione dialettica, si prospetta come lo spazio entro il quale, attraverso una nozione di universalità che intende mediare
quella che nella situazione dell'esistenza separata appare come l'irriducibile opposizione del particolare e dell'universale, il destino di Abramo può essere vinto. L'istanza dialettica, cosi come Hegel la assume alle origini della sua ricerca filosofica, è l'istanza di un tipo di razionalità capace di dettare le condizioni nelle quali e per le quali il problema di Abramo può essere risolto. Il problema di Abramo: il problema di colui che ha rotto la naturale solidarietà di tutto ciò che è, dell'individuo che si è scoperto tale nella dimensione esclusiva della propria individualità. Un problema di coesistenza umana che si pone al livello stesso della esistenza pe" culiare di ciascuno di noi. 5 Le prime meditazioni hegeliane sulla crisi della eticità antica, sulle scissioni e contraddizioni del mondo moderno
OLTRE.MARX
133
(giudaico-cristiano-borghese) e sui loro paradigmi filosofici (Abramo-Cristo-Kant), hanno trovato il loro punto di coodensa.zione teorica in una nuova nozione di universale per la quale olo » non v'era, in quegli stessi anni, nella Germania anarchica e feudale. Un «popolo» si è storicamente ricostituito nell'età moderna attraverso lo svilup-
po e la generalizzazione delle condizioni dì vita dì quello che nel saggio sul diritto naturale Hegel definiva appunto, in-
OLTRE MARX
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differentemente_, «popolo» o « secondo stato», dicitura quest'ultima tipicamente hegeliana per indicare ciò che, nel comune linguaggio politico, veniva detto il « terzo stato», cioè l'insieme delle forze produttive. E appunto nel senso di questo secondo o terzo stato, nel senso di .una sociètà dove appaiono generalizzati i tratti caratteristici di questo stato che rappresenta l'insieme delle forze produttive modernamente organizzate, Hegel torna a parlare di « popolo » in questa seconda patte delle lezioni jenesi sullo «spirito». E, infatti, l'analisi che segue, la descrizione del modo in cui le > Commento: il « lavoro per sé», cioè il « lavoro nel suo concetto», cioè il lavoro cosi com'è pensabile nella sua esistenza generica e immediata (non mediata dalle condizioni specifiche della sua esistenza nelle condizìoni di esistenza di un « popolo »), è atto di un singolo che vuole soddisfare il suo determinato bisogno di singolo; allo ·
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MASSIMO BARALE
stesso modo il possesso in generale, cioè il possesso nella sua esistenza immediata, è ciò-che-è-esclusivamente-di-qualcuno, è cioè caratterizzato dall'appartenenza a un singolo; l'uno e l'altro, lavoro e possesso, nella loro esistenza specifica, nelle condizioni di esistenza della moderna società civile, perdono quel loro caratteristico riferirsi alla esistenza di un singolo in quanto tale e diventano qualcosa di universale. Il lavoro diventa qualcosa di universale perché non è « un istinto bensi un arto razionale» 26 e come tale si lascia codi-
ficare in certe regole impersonali; perché questa codificabilità dél lavoro in certe regole impersonali permette l'invenzione di strumenti idonei, cioè rispondenti alle regole di un lavoro efficace; lo strumento diventa una sorta di personi-
ficazione nella dimensione dell'esteriorità e, quindi, dell'impersonalità, delle capacità lavorative del singolo uomo, di ogni singolo uomo; lo strumento diventa, in questo senso, macchina e il lavoro, anche ciò che nel lavoro è ancora atto umano, > 5 L'iniziativa è interamente nelle mani dell 'amminìstrazìone, dì quella classe di funzionari ai quali spetta la funzione di governo: è questa la funzione davvero specifica dello Stato, per la quale lo Stato sì costituisce come qualcosa dì assolutamente specifico, un 'istanza del volere che h,t la Società civile come proprio oggetto. In quel sistema dì contrappesi eh 'è. il sistema istituzionale dello Stato hegeliano, la clàsse dei funzionari-g9vernanti rappresenta l'elemento cardinale e propulsore. E il cardine dì quell'equilibrio tra i diversi elementi del sisteqia in virtU del quale ciascun elemento assolve la propria funzione istituzionale; ma, nello stesso rempo, è l'elemento propulsore nel senso che determina l'intero si.sterna come sistema autonomo, è la condizione fondamentale dell'autonomia dell'intero sistema della volontà politica. Scelrì esclusivamente in base alla loro attitudine ( § 291 ), i funzionari-governanti non costituiscono una classe in senso sociale, non hanno le loro origini di dasse nella società civile, ma diventano classe solo a livello politico, nella loro funzione politica e in senso politico: sono ( § 29 l ) la « classe universale » ( alll(emeiner Stand). Alla loro capacità dì fungere da classe universale è affidata, in definitiva, la possibilità che uno Stato si costituisca non come semplice punto dì equilibrio deglì interessi particolari quali e G)me si organizzano nella società civile e da questa sono espressi, ma come volontà autonoma, autonoma perché cosciente del proprio principio e determinata unicamente dal proprio principio: il principio di una organizzazione della libertà che realizzi in forma universale quei diritti f·he la società civile presuppone e disattende. Come garanzia di affermazione del principio dello Statn
200
MASSIMO BARALE
appare abbastanza modesta. Lo Stato hegeliano, se si eccettua la particolare fiducia nelle virtù della « classe universale_)), non appare dissimile, nella sµa struttura e nella sua lo-
gica (la logica dell'equilibrio tra le funzioni), dallo Stato > e di un s< concreto>> intesi in senso puramente gnoseologico) è in realtà la condizione di unificazione razionale di un determinato concreto, la condizione per la quale appare necessaria una prassi scientifica che si sforza di riprodurre secondo la logica che gli è propria (e, .dunque, di ,cnaturalizzare >> a livello conoscitivo) un universo di eventi in cui si realizza di fatto l'alienazione o inversione tipica di un mondo umano organizzato non dal lavoro, ma dalla sua alienazione ultima, dal capitale. Cosi riassunta, la tesi è suggestiva. Tanto pil.1 suggestiva in quanto coglie almeno due verità trascurate .da una lunga e diffusa tradizio11e: è vero che la filosofia è, per Hegel, atteggiamento conoscitivo che non si rivolge al molteplice degli eventi spazio-temporali dir> di Althusser·(~uUa quale anche De Giovanni insiste) .sarebbe in questo caso la spia di quella alienazione fi losofica della verità e conseguenre assunzione acritica della «verità>> del mondo borghese di cui la dialettica hegeliana si renderebbe responsabile. Ma in questo caso soltanto: nel caso in cui il processo di cui stiamo parlando, il processo del divenir soggetto di tutto ciò che processualmente si dispone, non comporti alcun reale mu~amento nella maniera d'essere di ciò che processualmente si comprende. E appunto questo che bisogna in ultima analisi accertare. Il problema di una lettura marxista di Hegel è ancora una volta e pregiudizialmente quéllo della verità di ciò che il giovane Marx ci diceva sul rapporto Idea-fatto nella filosofia hegeliana. A questo problema non si sfugge, rispetto a questo problema le vie scelte da Althusser o da De Giovanni non costituiscono una scorciatoia accettabile. 5 Questi accenni e quei pochi che seguono implica.no una lettura dei cosiddetti So-itti teologìci giovanili e in particolare dello Spirito del ai.stianesimo e il s110 destino, che per ragione di spazio qui ci è impossibile. 6 Cfr. specialmente L1; .1pirito del cristianesimo e il.ruo destino in Scritti teologici giovanib'. Napoli, Guida, 1972, p. 378. 7 Ibid
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MASSIMO BÀRALE
8 Quel privilegi~ento dell'amore è stato troppo spesso interpre~ato come un generico primato del sentimento sulla ragione. Ma l'amore che Hegel qui privilegia non è un sentimento fra i canti, un sentimento come rutti gli aJtri, un sen-ì:imento da cui l'uomo sia affetto: l'amore è una maniera d'essere eccezionale nella quale l'uomo compiutamente si attua perché in essa fa venir ~end-le scissioni e le opposizioni d~ntro e fuori di lui. L'amore. è un sen- cimento totale. ma la ragione del prir.nato che qui Hegel gli ~st:;gna, della sua capacità di unificazione e di riconciliazione dei diversi aspetti dell'umano, non sta nella sua natura di sentimento quanto nella sua natura di esperienza totalizzante. 9 - Questa risposi:a andrebbe ripercorsa per esteso attraverso una analisi dettagliata del saggio jenese su Le maniere di trattare scientificamente il diritto naturale. 10 È quasi superfluo sottolineare che il primato reale della deduzione me• tafisica su quella trascendentale impedisce alla deduzione trascendentale di essere realmente tale ( cioè determinazione delle costanti razionali del!' espe• ri'enzà, delle sue condizioni dì possibilità, rispetto alla semplice possibilità dell'esperienza). Il trascendentale kantiano si configura i'n una situazione di fatto che smentisce e contraddice la sua condizione di diritto: 11 Hegel, Le maniere di trattare scientificamente ìf diritto naturale, in Scritti di FiloJOjia del diritto 0802·1803), Bari, Laterza, 1962, p. 95. 12 La > a partire dalla sua dissoluzione nel « pri• vato ». Il Rechtszustand è quello stato (Zustand> nel quale e per il quale gli individui partecipano dell'esistenza di una comunità solo in quanto perso• ne, in un rapporto interpersonale e contradditrorio e la cui contraddittorietà è mediata solo esternamente dallo Srato•persona, cioè dal despota. Il Re~ fhtsstaat è quello Stato (Staat) che dcivrèbbe consentire di riconoscere e di gestire come una comunità ciò che di fatto è già una comunità (la mode.rnà
OLTRE MARX
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società civile), ma che non può esserè riconosciuta e gestita come tale da coloro che vivono in .essa, in quanto viventi in essa, al livello della sua esistenza. Il Rechtszustand corrisponde alla situazione storica del proprietario-suddiro dell'Impero romano. Il Ruhtsstaatcorrisponde alla situazione storica del borghese-cittadino dell'Inghilterra settecentesca e della Francia post-rivoluzionaria. Non v'è dubbio che le pagine, da noi citate e discusse, del saggio jenese sul diritto naturale si riferiscono a questa realtà moderna. Basti pensare alla rappresentazione della 1( moralità)>, cioè dei connotati etici specifici di questa situazione, nei termini della morale riflessiva di Kant, mentre - come è noto - la persona astratta quale si configura nel contesto storico dell'Impero romano ha il suo corrispettivo nell'autocoscienza formale dello stoico. Il Rechtszustand e il Rechtsstaat stanno tra loro come la morale stoica sta alla morale kantiana. Nella Fenomenologia dello spirito, la situazione descritta nelle pagine riferite del saggio jenese può essere ricostruita attraverso le pagine che Hegel dedica al ►, cioè attraverso le pagine dell'ultima sezione del cap. VI ( VI C). 20 Per le citazioni ci riferiamo all'edizione italiana (Hegel, Filmofia dello spirito jeneJe, Bari, Laterza, 1972). 21
Ibid., p. 94.
22
Si pensi all'uso rousseauiano della parnla « popolo n, alla dis~inzione rousseauiana tra il« popolo>> come comunità etica, corpo collettivo,« io comune}), e la moltitudine degli individui (Cfr. Contratto sociale, I, VI). 23 L'esempio dei barbari, come moltitudine di individui alla quale non ap• partiene realmente e pienamente quella facoltà dei discorso che appartiene invece al «popolo)), è introdotto da Hegel stesso _nel contesto della pagin_a jenese che stiamo esaminando -(ihid, p. 94). 14 Un «popolo>> è esistito, in ogni situazi0ne storica, nella misura in cui si è realizzata e nelle forme in cui si è realizzata l'istanza irriducibilè di una comunità etica. Nel medioevo cristiano, ad esempio, un «popolo» si è l'ealizzato nelle forme di una comunità di credenti. l barbari o i tedeschi del temp). 28 Ibid., p. 97. 29 Ibid.
.,o Ihid. 31 lbid., pp. 97-8 32 Ibid., p. 98 ·33 Ibid. p. 100.
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MASSÌMO BARALE
34 Questa parte del nostro discorso tematizza due usi diversi della parola «realtà)>. Nel primo uso (che è qy.ello corrente) la parola« realtà>> designa l'Oggetto del nostro atteggiamènto riflessivo, l'oggetto di un conoscere per
il quale presupponiamo ia· ·«realtà>> come oggetto (insieme di dati) della nostra indagine sulla« realtà ►>. Nel secondo caso (che è quello specificamente hegeliano) la parola «realtà>> designa l'insieme _delle condizioni entro le quali pensiamo e della cui maniera d'essere il nostro pensarle è funzione determinante. Finché la tematizzazione di questi due usi del termine
non sarà ·compiuta, lo useremo tra virgolette nel suo primo significato (quello non specificamente hegeliano). 35 Le due parole - «reale>> e reale - sono nuovamente usate e contrapposte, in questo contesto, nei due distinti significati che abbiamo chiarito e stiamo ulteriormente chiarendo. 36 Hegel, Encidopedia delle scienz1: filosofiche in compendio, Bari, Laterza, 19(?3. Le nostre citazioni faranno riferimento a questa edizione e, dunque, alla traduzione del Croce (sui cui pregi di autentico classico non è qui il caso di insiStere), con qualche modifica solo nei punti in cui ci sembra velare o piegare nel senso di una particolare interpretazione il significaco letterale del disçorso hegeliano. 37
Hegel, Fenomenologia dello spirito, Firenze, La Nuova Italia, 1960, p. 15.
realtà ogni capricci◊-, l' erro~e, il male e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva e pàsseggera esistenza. Ma già anche per l'ordinario modo di pensare un'esistenza accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale: l'accidentale è un 1esperienza che non ha altro maggior valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che è. Ma, quando io ho parlato di realtà, si sarebbe pur dovuto pensare al senso nel quale adopero questa espressione, giacché in una mia estesa Logica ho trattat_o .anche della realtà, e l'ho accuratamente distinta non.solo dall'accidentale, c-he pure ha esistenza, ma altresi dall'essere determinato, dall'esistenza e da altri concetti.» (Enciclopedia,§ 6.) La distinzione tra «realtà>> e «esistenza» è chiara: « l'esistenza è, in pai;te, apparizione, e solo in parte realtà » ( ihid). 39 La parola > e usata qui, pill. che mai, nel suo significato tecnico, hegeliano. 38
« Nella vira ordinaria si chiama a casaccio
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Rispetto all'elemento starico nel diritto positivo[. ..} il Montesquieu ha indicato la vera veduta storica, il punto di vista filosoficamente legittimo, col considerare la legislazione in generale e le sue particolari determinazioni non isolatamente e astrattamente, ma, invece, come momento dipendente da una totalità, in connessione con tutte le altre determinazioni che costituiscono il carattere di una nazione e di un periodo. >> ( § 3) Per le· citazioni dai Lineamenti di filosofia del diritto indicheremo semplicemente il paragrafo e, quando ci accadrà di farlo, indicheremo il titolo dell'opera nella forma abbreviata: Filosofia del diritto. Nei passi citati seguiremo, con rare varianti, la traduzione del Messineo (Bari, Laterza, 1965). 41
Siamo di fronte a quelli che volentieri chiamerei i principi riflettenti dell'uso speculativo della ragione. Se il principio determinante è quello· della verità dell'intero, esso si esplica nei due principi della contraddittorietà di ogni esistenza immediata rispetta al suo significato universale (quel si_~,mi~ ficato per il quale rutti i suoi possibili significati sono pensabili senza con-
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traddizione) e della identificabilità di ogni esistenza mediata col proprio significato unìversale. 42 Si ricordi l'esplicita dichiarazione di Hegel circa il compito della scienza speculativa del diritto: esso consiste nello « svolgere dal concetto l'idea)) ( § 2).
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· 43 È evidente che, per Hegel, la scelta di quelle due rap{)resentazioni unilaterali, come momenti portanti della acquisizione dialettica del concetto di volontà, non è una scelta arbitraria, ma è una scelta logica, che risponde. ad una precisa necessità logica. La ragione per la quale era necessario cominciare con la rappresentazione della volontà che la fa consistere in una condizione di indeterminatezza è una ragione che fa appello alla natura sistematica del discorso hegeliano. Prima di arrivare a parlare della volontà, Hegel ha pensato, sotto la voce « natura )) , tutto ciò che gli è riuscito di pensare della maniera d'essere di.ciò che è naturalmente determinato, di ciò che si trova ad essere qualcosa senza poter concorrere ad essere ciò che è, senza nemmeno poter sapete ciò che è, perché la coscienza di.ciò che è non gli appartiene. A questo punto del suo discorso, venuto a parlare di quella maniera d'essere diversa da quella naturale che egli chiama spirituale, dovendo definire, sotto la voce «volontà))' il principio dell'esistenza oggettiva dì questa maniera d'essere, egli è tenuto a pensare innanzi tutto quella diversità, a pensare quella maniera d'essere a cui il termine volontà allude per ciò in cui essa è diversa dalla maniera d'essere di ciò che è naturalmente deter_minato. E quella diversità, quella diversità dell'uomo da ogni altro ente nii.tural_e per la quale all'uomo, in quanto volontà, pertiene la capacità di sfuggire alla determinatezza di ciò a cui la natura ha fissato definitivamenre il destino in cui consistere, quell'esser-altro dell'umano volere rispetto alla qeterminatezza di ciò che è naturalmente determinato, lo si pensa col rappresentarselo come una condizione di indeterminatezza. Ma cosi pensandolo, per mezzo di questa rappresentazione, lo si pensa in .modo contraddittorio, perché quell'esser-altro dell'umano voler.e rispetro alla determinatezza di ciò che è natu:ralmente determinato,. lo si pensa come una condizione di pura indetetminatezza che è in realtà anch'essa, nella sua purezza, una forma di determinatezza: il pensiero della pura indeterminatezza trapassa necessariamente in quello della pura determinatezza. Un trapasso necessario: quel trapassare è un passare da una considerazione dell'oggetto (in questo · caso: la volontà-libera) che lo coglie nel suo immediato essere-in-sé ad una considerazione che lo coglie nel suo immediato essere-per-sé. L'acquisizione dialettica del concetto adeguato di libertà induce a qualche chiarimento di ordine generale sulla dialettica speculativa (strutturalmente distinta dalla dialettica fenomenologica). 'Prendiamo l'oggetto x (o, se si preferisce, la parola x, la quale tuttavia, in un discorso sistematico come quello hegeliano, è introdotta e usata ìn quel particolare momento del discorso in cui ha un senso, cioè denota un oggetto ·e non un fantasma); chiediamoci che cosa importa considerare l'oggetto x in sé: l'oggetto x, ne/Juo immediato essere-in-sé, _è l'oggetto x tos/ cim.Je può usere·pen-
sato allorthé lo si pensi mi:diante la semplia esclusione di tutto dò che esso esclude, di t.utto ciò che è altro da lui ·in linea di diritto, secondo le condizioni di diritto determinatesi a quel punto del discorso. Anche nel linguaggio comune, considerare una cosa in se stessa significa considerarla a prescindere da ogni rèlazione ad altro, da ogni riferimento a ciò che le è differente. La vo-
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lonrà l'abbiamo pensata nel s~o immediato essere-in-sé allorché ce la siamo rappresentata esclusivamente nel suo esser-altro rispetto alla determinatezza di ciò che è naturalmente determinato. Chiediamoci ora che cosa importa
considerare il medesimo oggetto xnel suo immediaro essere-per-sé:./'oggetto x ne/1110 immedia/() mere-per-sé è l'oggetto x pensato come soggetto. Ci si riesce pen- · sando come unica condizione di !,;Sisrenza dell'oggetto x l'oggetto x stesso, cioè quella maniera d'essere i.o cui l'oggetto xè parso, in se stesso, consistere, Nel caso della volontà, l'abbiamo pensata nel suo immediato essere-per-sé, allorché abbiamo fatto dì quell'immediato essere-in-sé della volontà che è la sua essenziale indeterminatezza, la sola condizione a cui riferire e SQ cui fondare l'esistenza effettiva della volòntà: in quel momento abbiamo scorto che ciò che si lascia pensare come pura indeterminatezza esiste di fatto come una pura determinatezza, çome qualcosa di cui sappiamo soltanto che è _comunque qualcosa di determinato; abbiamo scorto che un'esistenza, che ha come unica condizione di esistenza a cui riferirsi il libero arbitrio, è un'esisten_za arbitraria, un 'esistenza di cui in linea di diritto sappiamo soltanto che esiste, çioè che è in qualche modo, non importa in che modo, determinata. Pensare qualcosa nel suo essere-in-sé, significa pensarlo come irrelato; pensarlo nel suo essere-per-sé, significa pensarlo come esistente secondo quell'unica relazione che peniene ad una entità che pensiamo irrelata e, per ciò stesso, semplice: la relazione a sé. Pensare l'esistenza di qualc9sa corpe se fosse l'esistenza di una realtà semplice, correlata soltanto a sè stessa, significa esplicitare quella-condizione di esistenza della cosa che è insieme affern\àta e Oeg1ta all~rché la pensiamo come irrelata. Affermata perché in realtà la pensiamo come irrelata ad altro e proprio per questo correlata esclusivamente a sé; negata perché di quella relazion_e. a sé non teniamo conto nel pensarla come-irrelata e, dunque, la pensiamo come assolutamente irrelata, Ecco perché l'immediato essere-per-sé, cioè l'immediato esistere di qualcosa, si fa pensare sempre come negazione dell'immediato essere-in-sé della cosa stessa, cioè del suo immediato sussistere come essenza semplice. Il si• gnificato esistenziale di ciò la cui esistenza pensiamo come qualcosa di imm~diato è sempre la negazione puntuale del significaro che alla cosa abbia• mò attribuito gensando]a come un 'essenza semplice. 'E la famçisa negazione della negazione, mediante la quale si giunge a pensare in una uriità non contraddittoria ciò che contraddittoriamente pensiamo con· quel considerare l'immediato essere-in-sé ed essere-per-sé delle. cose? In che consiste questa negazione della negazione? Lo vediamo chia• ramente in quel concetto di volontà come autodeterminarsi mediante il quale pensiamo in unità non contraddittoria le due rappresentazioni della volontà come semplice indeterminatezza e come semplice determinatezza. Nel concetto di «autodeterminazione)), si continua a pensare tanto una forma di determinatezza quanto una..forma di indeterminatezza, ma si nega ·che la determinatezza di cui è lecito parlare sia quella forma assoluta di determinatezza che è propria di ciò che è da sempre e per sempre già deter• minato, cosi come si nega che la forma di indeterminatezza di cui è lecito parlare sia quella forma assoluta di indeterminatezza che sarebbe propria di ciò che potesse effettivamente sussistere come indeterminato. La determinatezza di cui si continua a parlare non è pill qualcosa che sopraggiunge alla presupposta indeterminatezza, negandola, ma qualcosa che ingiunge ad essa (che giunge all'interno di essa), togliendole quel significato assoluto in cui l'intelletto tendeva a fiss_arla e dandole il significato specifico in cui la
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·ragione può çapirla. L'indeterminatezza della vol~mtà è l'indeterminatezza specifica di ciò che non può essere pensato come det~rminato per il fatto che e nella misura in cui è esso stesso ·a determinarsi. 44 La.formula è di Eric Weil (Hegel e lo Stato, in Filosofia e politica., Firenze 1965, p. 135). 45 Quel che Hegel aggiunge nel§ 70, circa l'alienabilità di tale diritto al livello della« idea etica»,~ una vera e propria interpol~ione logica rispetto ._ alla logica del discorso ché sra facendo. L'idea-eriq. _non è qui ancora l'oggetto diretto e specifico dell'autocomprensione Speculativa di cui è principio.' Di t1,1tt.o si sta parlando, tutto si sta comprendendo dal punto di vista dell'idea etica, ma l'idea etica non è ancora in grado di capirsi come tale, A questo punto del discorso non ci sono ancora le condizioni per capire· il significato razionale di una alienazione nel seno dell'idea etica di ciò che dal punto di vista di tale idea si comprende come inalienabile. 46 Ne consegue che, a questo livello, al livello di un'esperienza che ha come proprio principio il concetto di persona giuridica, il problema dell'eguaglianza nel }1oS&esso dei beni non è razionalmente proponibile. La posizione stessa di tale problema ptesuppone: a) l'esistenza di volontà diverse; b) la possibilità di apprezzare in teirriini di diritto la loro diversità. Ma, a questo livello, ciò che di diverso v'è nella situazione di Tizio e di Caio è precisamente ciò che non può essere compreso in termini di diritto, fatto oggetto di una considerazione razionale: principio di tale considerazione è, infatti, ciò che di identico vi è in Tizio e in Caio, la loro astratta capacità di volere. A quei t_eòrici dell'egualitarismo che han creduto di potersi appellare alla nozione di persona giuridica, Hegel si limita a ricordare questa verità elementare: « Nella personalità le pill persone (se si voglia parlare di pill, qui, 9,ove ancora non·ha luogo tale distinzione,) sono eguali. Ma ciò è un vuoto principio tautologico, poiché la persona, in quanto cosa astratta,• è appunto il non ancora individualizzato ... » Si limita a ricordare che l'eguaglianza di cui si parla con riferimento alle persone giuridiche è, in realtà, una« iden• tità astratta )>, una « eguaglianza delle persone astratte come tali, fuori della quale cade, appunto perci6, tutto quanto riguarda il possesso, questo terreno d'ineguaglianza)) ( § 49). Ciò vuol dire sempliceme_me: non è a: livello di un dicitto astratto dalla morale e.dall'etica che si può porre e riSolvere una questiOne come quellà dèll'eguaglianza nel possesso dei beni e, pili in generale, le questioni cjrc.a i beni materiali che ciascuno ha il diritto di possedere. Problemi ~ome questi hanno il loro luogo naturale nella dimensione etica della società civile e si possono risolvere solo a livello di uno Stato che non abbia a proprio fondamento una volontà immediata e la coscienza universale della libertà che ad essa è inerente, ma una volontà razionalmente e storicamente mediata: la volontà èhe si vuole libera. La nota del § 49 è stata addotta dai pill come p'rova dello spirito amiegualitario che ispirerebbe la filosofia poli.tica di Hegèt..'A qie sembra una prova evidente che quel che Hegel combatte .non è il principio. dell'eguaglianza, ma la sua formulazione astratta. 47 Piuttosto la soluzi@e coloniale. Ma si tratta davvero di una soluzione? Che significato bisogna dare a ciò che, nei§§ 246-48, Hegel dice di quel fe. nomeno della « colonizzazione - $poradica o sistematica - alla quale è spinta la società civile progrecl.ita» (§ 248) nel tentativo di i( cercare fuori di sé, in altri popoli, che le restano addietro nei mezzi dei quali essa ha esuberanza [. ..] i consumàtori e, quindi, i mezzi necessari di sussistenza>'> (§ 246)? Non
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v'è dubbio che, .in questi due paragrafi, Hegel dà una spiegazione corretta di un fatto storico che ;gli stava innanzi agli occhi.: il fatto che la società in~ glese, la piU avanzata delle « società civili» del suo remp6, era, stata indotta
dalla sua stessa logica ad una politica di coloniZZazione sistematica. Ma il suo proposito - come sappiamo - non è di spiegare i fatti bensi di stabilire, ar* traverso la spiegazione dei farti, le condizioni della loro autocomprension.e speculativa ( ovvero: le condizioni nelle quali e per le quali la ragione si comprende in essi). Bisogna allora chiedersi: agli occhi di quella ragione che comp,rende Come un torto ( Unrec_ht, cfr. Aggiunta § 244) la formazione, all'interno di una socieçà, di un.a massa in condizioni d.i sottosviluppo ecnnomico e civile, può apparire un diritto lo sfruttamento e il mantenimento delle condizioni di sottosviluppo di intere società? La risposta, se si vuol concedere al discorso hegeliano un minimo di coerenza, non può essere che negativa. Ma, per chi non fosse disposto a tale concessione, ecco quel che Hegel dice (e Gans annota): « Nei tempi moderni, alle colonie non sono toccaci diritti tali, quali agli abitanti della madre patria, e ne sono venute guerre e, infine, emancipazioni da questa condizione, come mostra la storia delle colonie inglesi e spagnole. La liberazione delle colonie si dimostra, essa stessa, come il piU. grnnde vantaggio per la madre patria, cosi come l'affrancamento degli schiavi si mostra come il pitl grande vantaggio per i padroni.» (Aggiunta del§ 248.) Si riconosce nell'emancipazione dei popoli coloniali, nelle loro lotte per l'indipendenza, una tendenza caratteristica della storia pit.l recente e la si apprezza come un fatto di libertà, come un momento di liberazione per tutti. Dobbiamo concludere che la politica coloniale, l'esportazione delle proprie contraddizioni, può apparire razionale solo dal punto di vista di una determinata società civile, al livello di razionalità (relativo) di« questa determinata società)>(§ 246), non certo dal punto di vista di una organizzazione. uriiversale della libertà. 48 Hegel sa bene che non si dà, in realtà, un' espei:ienza puràinente personale o puramente soggettiva, cosi come non si danno esperienze di tipo familiare o sociale al di fuori di quell'assetto politico complessivo che chiamiamo Stato. Lo dice esplicitamente nel§ 32. L'esistenza di ciascuno, a qualunque li-. vello, coinvolge l'esistenza di altri e allude e prelude, riflettendone le condizioni, a un particolare assetto gener~e dell'esistenza comune. Le condi.zioni « ~rratte >> di esperienze organ~zzate intorno al pr~ncipio dellà persona giaridica e del soggetto i;norale o improntate a forme di µnità immediata (famiglia) o puramente riflessa (società civile) sono divenute «astratte)> proprio e soltantÒ Oell'orizzonte dei moderni Stati post-rivoluzionari e il compitO della riflessione speculativa è appunto quello di coglierle nella loro astrattezza. Ciò che importa, tuttavia, per le caratteristiche stesse dell'indagine speculativa, non è semplicemente cogliere le ragioni della loro astrattezza, ma coglierle· nelle ragioni della loro astrattezza. . 49 L'ipotesi marxiana di un superamento delle _condizioni di realtà dello Stato, attraverso il superamento del modo capitalistico di produzione, ap~ pare, a tutt'oggi, non Verificata. Ciò non significa, naturalmente, che essa sia inverificabile, ma costringe perlomeno a ritenere sempre attuale il problema della specifica mediazione politica che lo Stato rappresenta. 50 Hegel, naturalmente, ne è consapevole, ma la consapevolezza (§ 258) che per la sua « origine storica >) uno Stato particolare possa « in quanto fenomeno, cosa storica » avere condizioni di esistenza difformi da quelle che
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si configurano nella « idea dello Stato stesso )), non gli impedisce una « considerazione filosofica» del fatto in questione. Non gli impedisce, cioè, di determinare le condizioni di realtà di ciò che esiste. 51 L'espressione è di Weil che in questo senso interpreta, giustamente, l'insistenza di Hegel (§ 280) sul fattore della NatUrlichkeitdel monarca-sovrano. Cfr. E. Weil, Hegel e lo Stato, in Filosofia e politica, cit., p. 163. 52 Con queste parole lo stesso Hegel, secondo quanto riferisce il Gans, chiari a lezione il proprio pensiero (cfr. Aggiunta al§ 280). 53 E. Weil, op.
cit., p. 165. È senia dubbio questa, fra tutte le" obiezioni marxiane_ alla teoria hegeliana dello Stato, l'obiezione che pili. colpiscè nel segno. La critica del tentativo hegeliano di' dédurre la forma monarchica dello Stato è, infatti, certamente Valida, ma si rivela piuttosto marginale, una volta chiarito in che consiste la funzione del monarca e, soprattutto, una volta capito che l'argomento ontologico a cui Hegel fa ricorso per la sua deduzione non ha quel valore paradigmatico che Marx gli attribuisce, non si può in alcun modo considerare come una specifica applicazione del metodo speculativo. Per quanto riguarda, invece, la critica marxiana della polemica di Hegel contro il concetto della sovtanità popolare, una analisi pili. attenta del testo hegeliano la fa apparire per lo meno approssimativa. La polemica hegeliana, infatti, non si rivolge indiscriminatamente contro il principio della sovranità popolare, ma contro una determinata accezione di questo principio. Per Hegel il popolo è sovrano in quanto « costituisce uno Stato vero e proprio » (§ 279), non è pili. pensabile come sovrano là dove non costituisce pill una «totalità» politicamente organizzata ( ihid ): in altri termini, il popolo è so·vrano in quanto è realtà politica, non lo è in quanto semplice fatto etnico. Il significato storico di questa polemica contro una concezione d,ella sovranità in termini etnici piuttosto che in termiriì politici (tale si rivela, ad una attenta lettura letterale, la presunta polemica hegeliana cont_r_o il principio della sovranità popolare) è stato magistralmente chiarito da Eric Weil: (< Perché dunque_Hegel formula questa critica cosi severa? Certo per diffidenza nei riguardi dei movimenti rivoluzionari. Ma se cerchiamo di precisare quale è la rivoluzione contro la quale si leva Hegel, troviamo che è quella del nazionalismo, pill esattamente del nazionalismo della Grande Germania, quello stesso che ha scatenato il movimento del 1848 e çhe ha ripo~ato Una prim~ vittoria parziale con Bismarck, per conquistarne un'altra, totale ed effimera, con Hitler. >> (p. 166.) Per i teorici del nazionalismo etnico« il popolo si dà-uno Stato. Per Hegel lo Stato e la storia (Stato e storia non si separano, a suo avviso, quando un popolo è uscito dalla barbarie) formano il popolo.» (pp. 166-67) C'è da aggiungere che,per la sua concezione della sovranità, Hegel è assai pili. vicino a Rousseau di quanto egli Stesso mostri di credere. Anche per Rousseau, infatti, sovrano è il popolo solo in quanto comunità etica organizzata. Questa comtinità etica organizzata è lo Stato (