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Italian Pages 168 Year 2011
FORTUNATO ALOI
GIOVANNI GENTILE ED ATTUALITÀ DELL’“ATTUALISMO” 2ª Edizione
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Proprietà letteraria riservata © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Stampato in Italia nel mese di aprile 2011 da Pellegrini Editore Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672 Sito internet: www.pellegrinieditore.it - www.pellegrinilibri.it E-mail: [email protected]
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
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INDICE
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Le ragioni della nuova edizione
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Prefazione
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Attualità del pensiero di Giovanni Gentile
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Introduzione
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Modernità dell’attualismo
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Attualità gramsciana e attualismo gentiliano
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Gramsci: marxismo, cristianesimo e radici idealistiche
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Gentile ritorna…
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Filosofo senza frontiere
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Intellettuali marxisti revisionismo e valori storici… tradizionali
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Gentile ed il suo rapporto con gli intellettuali
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Gentile oltre il tempo
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Gentile: francobollo, commemorazione e pensiero
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Il nuovo umanesimo
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L’autocritica di Bobbio, la coerenza di Gentile
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Una lapide e la storia
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G. Gentile e la tradizione scolastica italiana
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Un convegno, le istituzioni ed il pensiero di Gentile
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La rivincita di Gentile
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Il ritorno di Gentile in Senato
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La morte di Gentile: nuove rivelazioni, presunte verità e fuorvianze… storiche
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L’umanesimo dimenticato
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Il rimpianto di Gentile
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La riforma Moratti: è pertinente il richiamo a Gentile?
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Gentile e Moratti: quale continuità?
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La scuola attuale e le riforme: da Gentile a Gelmini
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Il messaggio sociale nel pensiero di Giovanni Gentile
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Gentile ed il Risorgimento
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Appendice
105
Sulla discriminazione televisiva nei confronti di G. Gentile
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In parlamento lo scandalo della lapide-farsa per Gentile
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Sollecito risposta interrogazione
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Interrogazione a risposta scritta
117
Intervista sull’eredità di Gentile
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Testimonianze
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Altre adesioni
143
Incontri gentiliani
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Nella stampa d’oggi
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LE RAGIONI DELLA NUOVA EDIzIONE
A distanza di sette anni dalla I edizione ho ritenuto di dovere operare un’integrazione della stessa dando alla stampa il presente lavoro. E ciò per una duplice ragione. In primo luogo per l’esigenza di riaccostarmi, in termini attenti ed approfonditi, ad un pensatore che tanta importanza ha avuto ed ha nella storia della ilosoia, essendo – senza tema di smentita – uno dei più solidi pilastri del pensiero italiano ed europeo. Riaccostarmi nel senso di riaffermare la validità di una rilessione ricca di valori conoscitivi, umani e morali. Una riaffermazione, questa, che vuole signiicare anche la presa di coscienza attuale della caduta di tanti steccati frapposti da chi – per motivi ideologici e non scientiici – pensava di potere offuscare o almeno sbiadire l’immagine e la dimensione speculativo-culturale del padre dell’Attualismo. E poi, ecco la seconda ragione, l’integrazione impone l’aggiunta di altri capitoli al testo precedente di modo che si possa avere un quadro più completo del pensiero gentiliano. Mi riferisco, in particolare, all’esigenza di trattare due temi di particolare rilievo: la dimensione sociale del messaggio culturale di Gentile, ed il rapporto tra ilosoia attualistica e Risorgimento italiano. Quanto al primo tema il concetto di “Umanesimo del lavoro”, proposto dal ilosofo e qui richiamato, non poteva non essere l’elemento portante del discorso della e sulla socialità gentiliana, avulsa da ogni visione materialistica perché tutta iscritta nel grande discorso della concezione spirituale del lavoro. In ordine poi al rapporto tra la ilosoia del Gentile ed il Risorgimento, il Pensatore siciliano ribadisce – alla luce della nostra tradizione pedagico-culturale – come nell’articolazione mazziniana di pensiero ed azione – si coglie il senso vero dell’attualizzazione del pensiero che, 7
trasferito sul terreno della nostra storia, non può che, attraverso un processo di crescita e di mazziniana “educazione” del nostro popolo, sfociare nel riscatto nazionale e nella prospettiva dell’Unità italiana. Ecco, in sintesi, le ragioni dell’attuale pubblicazione che vuole offrire, con le integrazioni, offrire un più ampio e valido respiro all’“attualità” di un pensiero che, espresso da un ilosofo coerente ed intellettualmente esemplare, dà e continuerà a dare risposte agli eterni quesiti dell’Uomo, ed, in primis, a quelli esistenziali. Aprile 2011
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PREFAzIONE
Sono passati sessant’anni dalla morte del ilosofo Giovanni gentile. Un lungo arco di tempo che rende sempre più vivo e valido il messaggio del Pensatore che ha dato alla ilosoia italiana ed europea l’apporto di una speculazione profonda e vasta da aprire nuovi orizzonti al cammino del pensiero umano. Non potevano riuscire a cogliere il valore di una ilosoia, quale è l’Attualismo, che attingeva alle alte vette dello Spirito, coloro che, decretando la morte del Filosofo, pensavano che la ine di un grande pensiero possa coincidere con la conclusione dell’esistenza terrena. La ine di Gentile è di dimensione socratica: come il grande ilosofo greco, Gentile va incontro alla morte con la coscienza di avere fatto il proprio dovere e di vivere ino all’ultimo istante della propria vita con grande dignità e coerenza. Umana, ilosoica e morale. La sua statura culturale, morale e civile cresce col passare degli anni ed anche tanti dei suoi più duri critici di ieri incominciano a rivedere le loro posizioni e a riconoscere il valore di un Uomo e di un Pensatore che non è mai stato prigioniero del “particulare”, politico o personale. Egli, che aveva fatto senza alcun calcolo una scelta, non andò come tanti alla ricerca di alibi o di espedienti per evitare le conseguenze della scelta medesima quando la situazione politica diventava pericolosa. Un Uomo e un Pensatore: così va ricordato Gentile che, assieme al Croce, fu uno dei più importanti ilosoi del ’900. A distanza di dieci anni, da quel lontano 1984, quando ritenemmo di dovere commemorare, in un Convegno di alto valore scientiico, a Reggio Calabria, il ilosofo di Castelvetrano, l’interesse culturale-speculativo su Gentile è notevolmente cresciuto al punto tale da coinvolgere studiosi di ogni 9
livello sulla valutazione di una ilosoia di ampio respiro. Ma c’è di più: se ieri, nel citato 1984, è stato, su mia iniziativa, il Ministerro della P.I. a promuovere un Convegno su Gentile, oggi è il Senato che, attraverso l’intervento del suo presidente Pera, riconosce l’importanza del Filosofo e dell’Attualismo. È da questa serie di elementi che scaturisce l’esigenza, da parte mia, gentiliano di sempre, di recuperare alcuni miei scritti, distribuiti nell’arco di questi anni, per rendere testimonianza ad un Pensatore che è radicato profondamente nel nostro patrimonio culturale e nella nostra Storia, contribuendo, nel contempo, a far sì che l’una e l’altra continuino ad essere sostanza della nostra vita di individui e di popolo. Fortunato aloi Reggio Calabria, Luglio 2004
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ATTUALITÀ DEL PENSIERO DI GIOVANNI GENTILE
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INTRODUzIONE
Sono passati quasi cinquant’anni dall’assassinio di Giovanni Gentile, uno dei più grandi ilosoi di questo secolo. È passato quasi mezzo secolo dalla data della sua morte; e da allora sono accaduti fatti che hanno segnato la storia d’Italia e del mondo. Un sistema politico, quello incentrato sul marxismo, deinito il sistema del “socialismo reale”, si è disintegrato soprattutto laddove sembrava dovere resistere per un tempo lunghissimo. Ed i teorici di “quel sistema” sono entrati – quelli intellettualmente onesti – in una crisi, che è di ordine ideologico, ma soprattutto di natura ideale. Certo, i valori umani e culturali, civili e ilosoici, cui si ispiravano i sistemi crollati, nel 1989, con il muro di Berlino, si sono rivelati non rispondenti alle esigenze e alle attese non solo dell’uomo contemporaneo, ma anche e soprattutto dell’uomo di ogni tempo. Di qui l’esigenza, da parte degli intellettuali di sinistra, di coloro che, ino a pochi anni fa, venivano deiniti “impegnati”, di individuare altri valori, altri “ubi consistam” e altri punti di riferimento. E tra le autorità culturali e morali un posto rilevante viene assegnato alla igura e al pensiero di Giovanni Gentile. Per anni nei confronti del ilosofo dell’“Attualismo” si è operato, da parte del mondo della cultura cosiddetta uficiale, alternando demonizzazioni a silenzio, ritenendosi così di potere impedire ad un pensiero rigoroso di potere avere lo spazio che gli compete... Ma malgrado ciò, intellettuali non certamente di area gentiliana, come il Del Noce, hanno messo l’accento sulle “radici gentiliane” del pensiero di Gramsci, mentre – da sinistra – il ilosofo Massimo Cacciari non ha potuta fare a meno di sottolineare che “i conti sono ancora aperti con l’opera di Gentile”. Sono, questi, due casi emblematici che stanno a testimoniare come Gentile è, con la sua 13
ilosoia, una delle igure più rappresentative di questo secolo. Ecco perché ho ritenuto di dovere mettere insieme alcuni scritti, dando vita alla presente pubblicazione, che, anche nella sua sintesi, vuole costituire una testimonianza nei riguardi del pensatore di Castelvetrano, di cui l’attualità è tale da non poterci fare prescindere neanche da un collegamento con un tema attuale, qual è quello dell’Europa. Non manca inoltre qualche richiamo – alla luce delle indicazioni “delnociane” – al rapporto dialettico col pensiero di Gramsci, anche se i due pensatori – Gentile e Gramsci – sono politicamente agli antipodi. C’è inine qualche annotazione riguardante l’atteggiamento “autocritico” di storici e ilosoi marxisti, che, – anche senza volerlo – nel rinnegare le proprie “origini’, iniscono per dare forza e validità alle intuizioni speculative del Gentile, che – sul piano storiograico – affermò il grande signiicato del “Risorgimento italiano”. E non poteva in questo breve lavoro, sia pure collocato nella parte terminale o “appendice dello stesso”, non trovare posto un argomento legato ad un fatto di ordine televisivo: l’esclusione del Gentile dalle trasmissioni dedicate ai pensatori ed alle scuole ilosoiche di questo secolo. La risposta data dal Ministro competente, all’interrogante, testimonia di come – malgrado l’assurda discriminazione nei confronti del Nostro – non si è potuto, sia pure a denti stretti, non riconoscere la grande dimensione speculativa del Padre dell’“Attualismo”. Gentile, insomma, viene a rappresentare – ed oggi anche il mondo a lui avverso per motivi di ordine politico incomincia a riconoscerlo – la risposta più esauriente alla problematica di oggi e di sempre. È questo il vero signiicato dell’autentica attualità dell’“Attualismo”. F.A. novembre 1992
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MODERNITÀ DELL’ATTUALISMO
Parlare di Giovanni Gentile a quarant’anni esatti della Sua morte costituisce motivo serio e responsabile di rilessione attenta e di analisi puntuale e serena del Suo pensiero. C’è da raccogliere, in primo luogo, il Suo messaggio culturale che – attraverso la Sua lezione articolantesi soprattutto nel momento speculativo ed in quello pedagogico – ha saputo e sa offrire la dimensione organica e moderna della Sua Filosoia, caratterizzata da una visione unitaria del processo dello Spirito, che non conosce le “segmentazioni” di altre tematiche speculative di esponenti dello stesso Idealismo italiano. Il riferimento qui va ovviamente all’altro dei “Dioscuri” della Cultura italiana, a Croce per intenderci, il quale, preso nei lacci dei suoi “distinguo” dialettici, non seppe costruire, attraverso “i distinti” e gli “opposti”, momenti – secondo la tesi del Nostro – unitari ed uniicanti nello svolgersi del’attività dell’Io. Gentile, invece, sentì profondamente l’esigenza di non uscire mai dalla logica di uno Spirito, che, per essere tale e per coerentemente svilupparsi, non poteva che avere una realtà unitaria, senza di che si scadeva inevitabilmente in forme di frantumazione dell’Io con le ovvie conseguenze negative che ciò comporta sotto il proilo dell’autenticità e validità di un sistema ilosoico che, con il ilosofo di Castelvetrano, ha saputo innestarsi sul tronco della nostra tradizione culturale. Ecco il perché del conlitto tra Croce e Gentile, che, al di là del fatto politico – ideologico –, ebbe nell’analisi diversiicata dell’attività dello Spirito uno dei punti di dissenso, tant’è che il Gentile, in uno dei momenti di particolare atteggiamento critico, deinì il Croce “ilosofo delle quattro parole”. Il problema dello sviluppo unitario dell’attività spirituale portò il Gentile, in linea di coerenza, a ritenere valido il nesso esistente 15
tra Filosoia e Pedagogia al punto che il Suo importante lavoro “Sommario di pedagogia” viene visto in chiave ilosoica. Ed è alla luce di questa alta concezione culturale che il Nostro seppe e volle dare alla dimensione pedagogica il signiicato di una attualità sempre viva soprattutto in relazione al rapporto di amore intercorrente tra il docente ed il discente nella esatta convinzione che non deve esistere se non rapporto armonico tra i due termini del processo educativo essendo indiscutibile il principio secondo cui “due spiriti come due non sono spiriti e come spiriti non sono due”. Una visione, questa, estremamente aperta ed “umana”, sì umana, del concetto di Educazione, che trova nell’Umanesimo la sua realtà. D’altronde, siamo, anche qui, in presenza delle “radici” di Umanesimo-umano che, partendo dal “nosce te ipsum” di Socrate e passando attraverso il pensiero di Agostino e la “speculazione rinascimentale”, ci fa approdare all’alta ed attuale realtà dell’“Umanesimo del lavoro”, che il Nostro descrisse, in termini incomparabili, nella Sua opera “Genesi e Struttura della Società”. Un cammino oltremodo coerente e ricco di approdi speculativi e pedagogici, quelli di Giovanni Gentile che sul piano dell’impegno culturale concreto seppe, attraverso la Riforma della Scuola del 1923 e la grande struttura culturale della sempre valida Enciclopedia Italiana (altrimenti detta Treccani), incidere profondamente nella Storia culturale del Nostro Paese. Al punto tale che, ancora oggi e certamente di più nel tempo avvenire, il più autentico interprete e rinnovatore del pensiero hegeliano in Italia è al centro dell’interesse di studiosi e di uomini di Cultura. È questo il motivo – anche alla luce degli studi recenti del Del Noce, che vanno, per molti versi, condivisi, in ordine alle radici gentiliane del pensiero gramsciano – per cui ritengo che si possa, certamente e senza alcuna ombra di dubbio affermare, apertis verbis, l’attualità dell’“Attualismo” gentiliano. 15 aprile ’84 16
ATTUALITÀ GRAMSCIANA E ATTUALISMO GENTILIANO
Non sfugge ad alcuno che, soprattutto in questi ultimi tempi, si fa un gran parlare di Gramsci e del suo pensiero. La “questione gramsciana”, che per anni è passata culturalmente sotto silenzio e non ha avuto l’eco che successivamente ha registrato, è stata sollevata, ad arte e per motivi prevalentemente politici, da alcuni vertici del PCI, nella certezza che il pensiero gramsciano potesse fare da supporto alla strategia del “compromesso storico”. Si è, in una parola, volutamente messo in cassetto la dimensione “leninista” del marxismo per attualizzare, strumentalmente, Gramsci, come sul versante socialista si è cercato di riesumare Proudhon. Per quanto attiene a Gramsci, si è ritenuto che il suo pensiero, soprattutto per le implicazioni idealistiche di marca “crociana”, potesse costituire punto di riferimento per una cultura ed un mondo borghese, che il nome di Lenin avrebbe atterrito, mentre quello del ilosofo sardo avrebbe potuto interessare. Ma Gramsci si è rivelato un “boomerang” per le sinistre ed ha presentato aspetti imprevisti ed imprevedibili per gli studiosi di altra estrazione culturale ed ideologica. Un convegno dedicato, qualche anno fa, a Gramsci e che ha visto la mobilitazione di grossi nomi dell’intellettualità di sinistra, dal Colletti al Salvatori, non è riuscito a consacrare l’equazione “egemonia” = “pluralismo”. Si badi bene che l’egemonia doveva costituire il punto di forza, il capisaldo culturale con cui accreditare, sul piano politico, la “democraticità” del partito comunista. Ma la sorpresa più importante in ordine al pensiero di Gramsci è venuta da studiosi di parte non marxista, cattolici e liberali. Qual è la sorpresa? O, meglio, come si è pervenuti a questa sorpresa? Nella seguente maniera: per anni si è detto che in 17
Gramsci, soprattutto nella sua formazione culturale, è presente la componente idealistica secondo la linea che va dal De Sanctis allo Spaventa ed al Croce. E ci si era fermati qui convinti che in fondo, malgrado che la ilosoia per il sardo si risolva nell’ideologia non considerando lo stesso opportunamente il problema dell’unità di storia e ilosoia”, “il pensiero di Gramsci sia lo svolgimento più radicale dei motivi propri del marxismo, quello dello storicismo e quello della ilosoia della prassi in lui convergenti” (Del Noce: “Gramsci e Croce”). È infatti proprio lo storicismo che attrae il ilosofo sardo e lo porterà ad apprezzare il Croce, al cui pensiero si accosta colpito principalmente dal “laicismo intransigente” crociano, che, come rileva ancora il Del Noce, si riscontra, in modo preciso, nella “Storia d’Europa”, dove “le opinioni antireligiose dello scrittore assumono un signiicato di politica attiva”. Si coglie, a questo punto, attraverso l’immanentistica “religione della libertà” e l’antitetica religione della trascendenza cattolica, la vera caratteristica antireligiosa, in chiave antitrascendente, del Gramsci. Ovviamente ciò non signiica che non si avveri e non si delinei in Gramsci la differenziazione non solo dal Croce, la cui inluenza non riuscì mai a smaltire, ma anche dal marxismo ortodosso, al punto tale che il Franchini lo deinisce “il marxista atipico”. Ciò che, invece, viene a differenziare, in termini evidenti, il Gramsci dal Croce è la posizione del primo nei confronti – come rileva ancora il Franchini nel suo scritto “Il marxista atipico” (Il Tempo del 28.4.77) – del problema delle distinzioni delle forme dello spirito”, respingendo il ilosofo sardo “il crociano nesso dei distinti” per affermare la validità della dialettica “fatta di opposizioni e non distinzioni”. Sembrerebbe qui di cogliere, sempre con le dovute cautele e riserve, il senso della ben nota polemica Croce-Gentile, che portò quest’ultimo a deinire, proprio per “la segmentazione” dello spirito attraverso la “teoria dei distinti”, il sistema speculativo di Croce “la ilosoia delle quattro parole”. Ma, al di là del fatto polemico, il problema dell’unità dello spirito, cioè del 18
“pensiero pensante” come “atto costitutivo della realtà” resta il punto di riferimento anche di una nuova tendenza ilosoicaculturale che, nella “gramsciana ilosoia della prassi”, iltrata attraverso la cultura idealistica, vede l’incontro del pensiero e della realtà, sia pure senza la rinuncia al prioritario obiettivo di “cangiare la realtà medesima”. Si legge infatti in Gramsci: “Per la ilosoia della praxis l’essere non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; se si fa questo distacco, si cade in una delle tante forme di religione e nella astrazione senza senso. È qui che, a mio avviso, si viene a cogliere e a “ripetere il motivo attualistico relativo all’unità di teoresi e prassi”. Qual è stato allora il motivo per cui Gramsci non è riuscito ad approdare, in maniera chiara, alle sponde dell’“attualismo gentiliano”? Secondo uno studioso del pensiero di Gramsci, padre Fagone, ciò è dipeso dal fatto che Gramsci ha evitato di essere “coerente sino in fondo” con i principi e le premesse da cui era partito. D’altronde questa tesi potrebbe trovare un certo supporto anche nello scritto “Il materialismo storico”, in cui Gramsci dà riconoscimento al Gentile di essersi “più del Croce impegnato nell’azione politica”. E si conosce bene quale importanza dava il Gramsci all’attività pratica concreta, alla politica che per lui non è altro che “ilosoia in azione”. I riferimenti alla ilosoia di Gentile potrebbero continuare, andando al di là del momento dell’incontro negli anni universitari, con il pensiero del ilosofo siciliano di cui avrebbe, come tanti, per poco subito l’inluenza. E questa la tesi di Amendola che in “Antonio Gramsci nella vita culturale politica italiana” testualmente afferma: “Forse in un certo momento della sua vita, nei momenti degli studi universitari, sentì l’inluenza di Gentile, come del resto molti a quell’epoca”. Il discorso, che nella fattispecie può sembrare riduttivo, va approfondito ed esaminato sotto il proilo scientiico per vedere quanto di attinente e quanto di specioso sia da riscontrare 19
nella tesi di chi vuole individuare “radici” gentiliane nel pensiero di Gramsci. In questo contesto andrebbe, esempliicando, collocata la recente posizione del Del Noce che – intervistato, a proposito del suo libro “Il suicidio della rivoluzione” da un giornalista (“Il Tempo” del 30.4.79) – così si esprime: “Gramsci, che crede di incontrare Marx, invece incontra Gentile, non soltanto all’inizio, ma anche e soprattutto alla ine della parabola del suo pensiero”. E ciò il Del Noce afferma interpretando il pensiero di Gramsci nel senso della “Rivoluzione totale”, la quale sarebbe votata al suicidio di se stessa “per l’azione convergente della rivoluzione fallita e dell’ordine tecnocratico neocapitalistico”. Siamo qui di fronte, come si può ben cogliere, a nuovi orientamenti interpretativi del pensiero di Gramsci, che, muovendo dal “criticismo assoluto” (così egli deiniva la sua posizione storicistica), sembra dirigersi verso soluzioni idealistiche di marca gentiliana. Ovviamente si tratta, allo stato, di un nuovo orientamento a livello di pensiero, che va valutato ed approfondito in termini seri e scientiicamente rigorosi. Senza posizioni aprioristiche e settorialismi acritici, se si vuole veramente giovare alla cultura e dare un contributo allo sviluppo del pensiero. In questo senso va inteso il tema relativo al rapporto tra l’attualità (oggi, per la verità, un po’ in calo) del pensiero gramsciano e l’attualismo, a mio avviso sempre attuale, gentiliano. Un problema, quindi, del tutto aperto e certamente non avaro di imprevedibili sviluppi.
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GRAMSCI: MARXISMO, CRISTIANESIMO E RADICI IDEALISTICHE
È d’attualità affrontare il tema Gramsci o, meglio, la “questione gramsciana”, soprattutto in un periodo, come l’attuale, in cui il rapporto cultura-politica è più che mai portato alla ribalta della discussione o dissertazione spesso intellettualmente soisticata. Ciò vale ovviamente per qualsiasi scrittore o pensatore, soprattutto per i legami concreti che si determinano tra le dIverse manifestazioni della cultura e le varie vicende della realtà politica, quasi sempre contingenti e mutevoli. Di qui l’esigenza di conferire alle svolte e ai fatti politici un supporto, spesso dificilmente conseguente, d’ordine culturale, una motivazione intellettuale o, peggio, intellettualistica. Così Gramsci in questo contesto occupa una posizione emblematica e signiicativa. Per anni, infatti, il suo pensiero non ha avuto, nel mondo culturale marxista, la diffusione e l’incidenza, che, in seguito, ha fatto registrare. Ciò perché la sua “atipicità” – “atipico” lo deinisce infatti il Franchini – non veniva a collocarsi – in maniera adeguata ed integrale – negli schemi classici dell’ortodossia culturale marxista, forse per la presenza in Gramsci di una componente idealistica di natura hegeliana o, meglio, crociana. Col passare degli anni, viene la rivalutazione, nell’ambito dell’“intellighentia” marxista, del pensiero gramsciano. Si arriva così all’ultimo decennio, in cui si coglie il più evidente “recupero” del discorso su Gramsci. È infatti col Convegno di Cagliari del 1967 – dedicato al pensatore sardo – che si cerca il “recupero idealismo” di Gramsci. C’è, a mio modo di vedere, nella vicenda del “recupero”, un fatto d’ordine culturale, ma non manca contestualmente la componente dell’“opera21
zione politica” concreta. Siamo infatti di fronte alla marcia del partito comunista verso il potere attraverso la logica del “compromesso storico”. Allora il richiamo al ilosofo sardo, con quanto questi può signiicare sul piano di un tipo di cultura marxista-crociana, è un fatto d’interesse non solo teorico, ma anche pratico. Si mobilita quindi, in questo clima, il mondo della cultura di sinistra per scoprire radici crociane o, come afferma altro pensatore di estrazione diversa, il Del Noce, gentiliane nel gramscismo. Ma c’è di più: il medesimo mondo marxista chiama in causa una schiera di pensatori e studiosi per un operazione culturalepolitica, tendente a scoprire se tra le pagine di Gramsci, dedicate al tema dell’“egemonia”, ci siano riferimenti al principio del “pluralismo”. Il tentativo però fallisce, non riuscendo né il Colletti né il Salvatori né altri ad individuare il minimo ed esplicito riferimento al “pluralismo”. E con lo sguardo rivolto a questa realtà culturale che, nei giorni scorsi, uno studioso del problema gramsciano, padre Fagone, appartenente all’Ordine dei Gesuiti, ha affrontato, all’Auditorium S. Paolo di Reggio Calabria, come credo stia facendo in altre località d’Italia, il tema del rapporto di Gramsci col Cristianesimo e col marxismo. Anche se la questione dell’“egemonia” è stata dibattuta, soprattutto in chiave politica, dal relatore, è emerso che la stessa “egemonia”, nella sua accezione totalizzante, viene a costituire il motivo dominante del pensiero gramsciano anche in ordine alla problematica religiosa, che non trova in Gramsci alcun “ubi constistam”, alcun riferimento alla trascendenza. Ciò padre Fagone ha evidenziato, nel corso della sua trattazione, che, attraverso una triplice articolazione cronologica del pensiero gramsciano, ha tracciato le linee lungo le quali si muove l’iter culturale dello stesso, caratterizzato dal passaggio dal rozzo anticristianesimo della prima fase al tentativo di approccio strumentale al mondo cattolico politicamente organizzato, e alla prospettiva, inine, di sostituire la religione popolare con la ilosoia della prassi, che dovrebbe esprimere 22
una nuova forma di realtà religiosa, discendente dalla sua “riforma intellettuale e morale”. Un discorso, questo, che non consente dubbio alcuno sulla posizione di Gramsci in ordine alla questione religiosa, al di là di ogni interpretazione più o meno strumentale. Gramsci cioè può essere interpretato in maniera diversa in ordine alla identiicazione delle sue radici idealistiche (gentiliane e/o crociane: di ciò ragioneremo in altra sede), ma su alcuni punti, essenziali sotto il proilo della analisi marxista, non ci sono né ci debbono essere dubbi. Si tratta, nella fattispecie, dei capisaldi del pensiero di Gramsci che, passando attraverso il iltro dell’“egemonia”, impone l’affermazione che, per quanto “atipica” possa essere la posizione gramsciana, non c’è posto in essa né per il “pluralismo” politico né per la trascendenza religiosa. Sono, in sostanza, questi, i capisaldi del marxismo, che, gramsciano o meno, restano, al di là delle esegesi di comodo o dei vari “compromessi storici”, sempre in piedi. Costituiscono anzi il comune ed indiscutibile denominatore delle varie manifestazioni ed espressioni del marxismo, che voglia, sia ben chiaro, deinirsi e, contestualmente, essere tale. 4 maggio ’79
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GENTILE RITORNA…
È di questi giorni la presa di posizione del ilosofo Massimo Cacciari, che, in un’intervista rilasciata ad un quotidiano, ha, da posizione culturale di orientamento marxistico, reso testimonianza alla dimensione organica ed attuale del pensiero di Giovanni Gentile, il ilosofo, che, in questi quarant’anni, è stato tenuto, artatamente, ai “margini” della cultura “egemone”, dal Potere che gestisce la cultura stessa. Nella citata intervista, il Cacciari avvia un raffronto tra il pensiero di Croce e quello di Gentile, dei “Dioscuri” della Cultura italiana. Ne viene fuori unimmagine di Gentile certamente – rispetto a quella del Croce – più attuale e completa, dal punto di vista idealistico, ragion per cui con l’opera del ilosofo di Castelvetrano “i conti sono ancora aperti”. È un’affermazione, questa, che non investe solo l’aspetto meramente speculativo, ma anche il rapporto che Gentile ebbe con la Storia d’Italia, col Risorgimento per intenderci, senza chiusure dogmatiche, ma con una visione aperta dei processi storico-culturali lungo la linea di una coerenza che è il prodotto di una chiarezza e di un modo di pensare oltremodo aderente alla realtà nel suo continuo svolgersi... Di qui il Suo affermare il principio dello sviluppo unitario dello Spirito, senza le segmentazioni dei distinguo, o meglio dei “distinti” di crociana memoria. Di qui anche il richiamo del Del Noce – nell’esame del pensiero di Gramsci – a motivazioni gentiliane, più che crociane, soprattutto quando si afferma che non esiste alcuna frattura tra pensiero e realtà. D’altronde – come riconosce anche il Cacciari – è questo uno dei motivi di fondo dell’analisi, scientiicamente condotta dal Nostro, nei riguardi di Marx in relazione all’“identità tra teoria e prassi” con il conseguente delinearsi della igura del “ilosofo-politico”. Un pensiero di tal respiro, quello di Gentile, 25
poteva subire, come ha subito, solo per contingente mistiicazione, le “demonizzazioni” della cultura, angusta e riduttiva, anche se paludata di uficialità, ma la forza dei principi gentiliani e del porsi degli stessi in chiave di autentica attualità, interpretando, in campi diversi, dalla letteratura alla storia e alla pedagogia, le più profonde istanze dello Spirito umano, nell’accezione più alta e vera, non poteva soffrire a lungo processi di emarginazione, perché, come giustamente afferma altro pensatore (Negri): “Gentile è l’unico ilosofo italiano di questo secolo”. Infatti la sua visione ilosoica del mondo, espressione dell’incessante attività dello Spirito, è tale da fare giustamente rilevare ad altro pensatore, il Severino, che “Gentile non ha nulla da invidiare a nessuno nell’ambito del pensiero contemporaneo”. Eppure quanti silenzi ed omissioni, in questi anni, nei confronti di un Pensatore che aveva spaziato, va ribadito il concetto, oltre che nella ilosoia “stricto sensu”, anche nella politica, nella storia ed in tutte quelle forme di manifestazioni dello spirito che danno un senso all’attività e all’impegno socio-culturale dell’uomo! Non posso non richiamare, a tal proposito, una denuncia, da me – unitamente ad altri colleghi – fatta, tramite un’iniziativa parlamentare, con cui stigmatizzavamo il fatto che, in un programma televisivo dedicato ai più grandi pensatori di questo secolo, non era prevista una “puntata dedicata al ilosofo Giovanni Gentile”, che – così testualmente noi – si scriveva – “con la sua dottrina ‘attualistica’ tanto rilievo è venuto ad assumere nel campo del pensiero, determinando un sempre crescente interesse sotto il proilo speculativo-culturale”. Ed in quella circostanza – si era nel maggio del 1984 – il Ministro competente, dopo essersi cacciato dietro una serie di speciosi motivazioni determinate dall’“autonomia” della relativa Commissione parlamentare, tentava una mal riuscita giustiicazione in ordine all’omissione “discriminatoria”, non preiggendosi – così si legge nella risposta ministeriale – la trasmissione “l’ambizioso obiettivo di esaminare tutte le correnti del pensiero contemporaneo”. Quanto strano “candore” in quella risposta che 26
testimonia di come il Filosofo di Catelvetrano veniva, ad ogni costo, tenuto lontano dalla “logica” di una cultura, legata al potere, o, meglio, del tutto ad esso “subalterna”! Una forma, questa, di forzatura, se non di negazione della Verità, che il ilosofo dello Stato etico non avrebbe, in nessun modo, potuto ammettere, essendo tutta la sua speculazione incentrata sulla ricerca della Verità. Con una coerenza che è una costante del suo pensiero e della sua vita. Tant’è che lo stesso Cacciari non può non riconoscere che si “debba rivendicare la sua coerenza ‘usque ad mortem’”. Un fatto che, a proposito della parte conclusiva dell’esistenza di Gentile, può trovare – in punto di coerenza – solo un precedente storico-analogico: la ine di Socrate. Ecco, quindi, il motivo dominante della dimensione attuale dell’“attualismo” gentiliano, che, attraverso la coerente espressione speculativa del suo Pensatore, testimonia del doveroso affermarsi dei valori culturali e morali, quando essi sono veramente tali. Ritorno allora di Gentile? Ritorno, certo, ma non sul versante di chi, attestato da tempo su posizioni dell’attualità dell’“attualismo”, sostiene senza alcuna riserva, una battaglia, anzi la battaglia in nome della Libertà e della Verità, dell’una e dell’altra insieme. Ritorna si, ma sul terreno del riconoscimento dell’altezza del grande signiicato speculativo di un pensiero, non inteso solo nel senso teorico, ma anche tradotto in termini concreti e positivi. È questa la lezione che proviene dal messaggio dell’“Umanesimo del Lavoro”, momento di alta sintesi tra Lavoro e Cultura. Ed è qui, va detto a Cacciari, che risiede, a mio avviso, il motivo vero della tesi, da noi condivisa, secondo cui, oggi più che mai, “la grande sida gentiliana è ancora aperta”. 3 febbraio ’89
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FILOSOFO SENzA FRONTIERE
Sembra, a prima vista, discutibile l’accostamento, alla luce del pensiero gentiliano, del concetto “Uomo” al termine europeo. Forse, ciò potrebbe derivare dal luogo comune, per tanto tempo tenuto artatamente in piedi, secondo cui l’idealismo italiano e, per ciò stesso, l’“attualismo gentiliano”, erano affetti da “provincialismo” speculativo o, in senso più ampio, culturale. Una tesi, questa, sostenuta soprattutto da alcuni rappresentanti del positivismo che ritenevano che dalla “provincia” – intesa ovviamente in senso deteriore – si dovesse e potesse uscire per entrare in una dimensione diversa, a condizione che si tenesse per “dogma” solo tutto ciò che veniva a sostanziarsi di realtà ben visibile e, ovviamente, di scienza. Il resto, il mondo non catalogabile secondo schemi “scientiici” non poteva assolutamente assurgere a dignità di ilosoia... Quanto “dogmatismo” o, peggio, “clericalismo dogmatico” in queste affermazioni, che non volevano tenere conto che il valore “Uomo”, inteso nella sua dimensione più autentica, non poteva essere visto in un’ottica riduttiva e “provinciale”! La cultura del lavoro L’Uomo “faber fortunae suae” o, meglio, “faber sui ipsius” è la più grande delle conquiste della Cultura contemporanea, che affonda le sue radici nell’“interiore homine” di agostiniana memoria e nel “nosce te ipsum” di Socrate. Collegamento, questo, con gli elementi caratterizzanti il nostro patrimonio culturale e la nostra Civiltà. D’altronde, non è forse più che mai attuale, a qualunque latitudine ci si trovi, a Stoccolma come a Roma, a Tokio come 29
a New York, la convinzione che per superare la crisi dell’uomo contemporaneo, che è crisi “d’identità”, sia necessario il ritorno all’Uomo, portatore di valori e di principi di ordine morale e culturale, civile e spirituale? E tutto ciò non è forse presente nella “lezione sempre attuale dell’Umanesimo del lavoro”, che concilia – per la prima volta nella storia del pensiero – il lavoro, inteso non come momento di fatica bruta, con la Cultura, facendo sì che “si riconoscesse anche ‘al lavoratore’ l’alta dignità che l’uomo, pensando, aveva scoperto nel pensiero”? Una visione, questa, forse “provinciale”? Non si comprende, forse, l’Europa andando anche al di là della stessa quando il Filosofo affermava che “bisognava che pensatori e scienziati si abbracci assero coi lavoratori in questa coscienza dell’umana universale dignità”? E poi l’Idealismo non rappresenta – attraverso la forza della sua dialettica e del processo di sviluppo dello Spirito – una delle più importanti correnti di pensiero che tende a liberare, in maniera sempre più ampia ed alta, l’uomo da tutti i condizionamenti ed i limiti della realtà producendo, nel contempo, la realtà stessa? E come può essere “riduttivo” il pensiero di chi, come il ilosofo di Castelvetrano viene, a ragione, considerato il più autentico interprete del pensiero hegeliano, portando quest’ultimo ad ulteriori ed esaltanti sviluppi?
Valori eterni E come si può non richiamare, a questo punto, la grande intuizione di Bertrando Spaventa, che rivendica priorità speculative europee attraverso il pensiero di Bruno e di Campanella? E non è forse a Spaventa che si richiamano Croce e Gentile, i “dioscuri” della Filosoia italiana? Basterebbero solo queste brevi annotazioni per darci l’esatta realtà della dimensione europea ed universale del pensiero di Gentile, che aveva una visione della vita e della cultura legata a valori esistenziali ed eterni. 30
Non può inoltre essere accettata la tesi – sostenuta da alcuni “teorici” della dissacrazione del pensiero gentiliano – secondo cui l’avere il Gentile aderito al Fascismo ed essendo anzi il teorico dello stesso, ha signiicato l’impossibilità di uscire da logiche politico-culturali angustamente nazionalistiche. Di qui – secondo questo orientamento – l’Europa non rientrerebbe nella sfera d’indagine del pensiero gentiliano. Anche qui siamo, come nel primo, al cospetto di posizioni aprioristiche e molto discutibili. Luoghi comuni Intanto, si potrebbe – e gli storici in questo incominciano a trovare momenti di convergenza – discutere se nel Fascismo non fossero presenti elementi e valori europei ed universali. Ciò ovviamente non si può riscontrare nei luoghi comuni fatti circolare, in questi anni, da chi aveva interesse a contrabbandare per verità storiche solo faziose prese di posizione. Anche se la verità storica incomincia, grazie a Dio, a venire fuori... E come si può fare, a proposito di Storia, a tacere il signiicato che il Gentile dava alla Storia anche attraverso l’identiicazione della stessa con la Filosoia? E pagine lucide ed incisive il Filosofo dedicò ai “Profeti del Risorgimento”, a coloro che vollero e fecero l’Italia “Una, indipendente e sovrana”. Ed il Nostro Risorgimento – che oggi viene follemente messo in discussione da posizioni frazionistiche – non poteva, certamente, non richiamare il “Risorgimento” di altri popoli europei, la cui aspirazione all’indipendenza era strettamente sintonizzata con la nostra... Un mondo, insomma, quello del pensiero gentiliano, che offre un quadro di valori e riferimenti di alto e vasto spessore culturale, civile e morale. E ciò forse non appartiene alla Civiltà europea?
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INTELLETTUALI MARXISTI REVISIONISMO E VALORI STORICI… TRADIzIONALI
Il dibattito, aperto da una recente intervista dello storico Rosario Villari in ordine all’esistenza o meno di “storici marxisti”, ha posto tutta una serie di questioni implicanti il rapporto tra Storiograia e marxismo con particolare riferimento alla posizione degli storici marxisti rispetto alla Storia contemporanea. Il Villari contesta l’esistenza di una posizione organica, della “corrente storiograica marxista e comunista e di sinistra o gramsciana”, essendo stata quest’ultima solo “un’etichetta” E non si limita a questa affermazione, dal momento che asserisce che il “marxismo ha interessato più storici non comunisti, ed i maggiori tra loro, Croce, Volpe, Romeo, che quelli iscritti al PCI”. Ripensamento necessario È logico che – di fronte a questa presa di posizione – si sia venuta a determinare, da parte di altri storici di diverso orientamento, una serie di rilessioni che, sia pure per sintesi, vanno richiamate, e ciò per consentire il delinearsi di un quadro piuttosto organico della questione. Intanto c’è da sottolineare che la posizione di Villari viene a manifestarsi, in maniera così chiara, solo dopo i fatti dell’ ’89, con la caduta dei muri non solo di Berlino, ma anche dell’ideologia ad essi connessa. E ciò non può sfuggire allo storico Villari, che, pur dichiarando che ha sempre “cercato di distinguere il campo della ricerca storica” da quello dell’“impegno politico”, non può fare a meno di rilevare che “oggi il crollo del comunismo impone a tutti gli studiosi, di qualunque tendenza siano, un ripensamento dei grandi temi della storia contemporanea”. 33
Ed è su questi elementi di valutazione che si innesta gran parte della critica di alcuni storici, che – come Luciano Canfora – negano che si possa parlare, tranne che in qualche trascurabile episodio scientiico, di “metodo storico di Marx”, mentre Lucio Colletti addebita quasi alla mancata o non approfondita conoscenza di Marx, ed in particolare del Capitale, la presenza dei limiti degli intellettuali ed, in particolare, degli storici marxisti, che, per ciò stesso, non hanno potuto attingere livelli di “omogeneità” storiograica (“Che omogeneità può esistere in un gruppo che non ha radici culturali salde?”). C’è poi il versante, se non opposto, diverso, su cui si attesta chi (leggi: Luciano Gafagna) dichiara che “una storiograia comunista è esistita ed è stata molto importante. Non tanto come scuola di metodo, in generale, quanto nello speciico campo dell’interpretazione della storia contemporanea d’Italia, come luogo culturale di legittimazione di scelte politiche”, mentre il professor Giuseppe Giarrizzo – nel contestare l’attuale Posizione di Villari – afferma l’esistenza di un progetto unitario nella storiograia marxista, il cui “obiettivo dichiarato era liquidare la storiograia etico-politica crociana... Questa nuova storiograia doveva essere marxista, in quanto sostituiva allo storicismo crociano la ilosoia della prassi...”. E questo, sia pure in sintesi, il quadro critico emerso e provocato dall’intervista di Villari, il quale confessa, tra l’altro, che “in questo momento più che nel passato la ilologia, il rispetto delle regole, il gusto della storia come conoscenza dell’uomo perdono terreno”. Queste ultime affermazioni possiamo, certo, condividerle, però restano in noi, che abbiamo sempre ritenuto la ricerca storiograica come ricerca della verità, sempre presenti alcune posizioni dogmaticamente aprioristiche che, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, venivano assunte da storici di orientamento marxista ed, in particolare, gramsciano, che non ammettevano possibilità alcuna di interpretazione storiograica che non fosse nel senso e nel segno di quella indicata dal sacro “verbo” di Marx. E non c’era posto allora, per i cultori dell’“egemonia” 34
gramsciana, anche in sede storiograica, non solo per gli storici di orientamento tradizional-risorgimentale come il Volpe (come fa piacere sentirlo inalmente citare dal Villari!), ma nemmeno per quelli cattolici o di scuola liberal-crociana.
Il tempo dell’intolleranza Tempi dificili e carichi d’intolleranza erano quelli (si era in periodo di intolleranza dogmatica!) in cui si celebravano riti a favore di correnti esasperate del “dericalismo” laicista e gramsciano, dando ovviamente al pensiero di Gramsci un’interpretazione a senso unico e... strumentale, non essendo ancora presente l’analisi di Augusto Del Noce sul rapporto Gramsci-Gentile. Occorre rifarsi a quei tempi non per vaniicare ogni tentativo di ristabilimento di verità o di autocritica culturale o storiograica, ma per riuscire a comprendere meglio cosa sta accadendo in questo momento sul terreno della Cultura italiana ed europea, non prescindendo, ovviamente, da tutti gli avvenimenti che costituiscono l’entroterra dell’attuale panorama culturale. Senza ovviamente negare il diritto a chi, come il Villari, ritiene di dovere riportare – sia pure da versante diverso dal nostro – la Storia sul terreno della ricerca obiettiva e serena. Ma ciò non può certamente – e lo vogliamo ricordare al professor Rosario Villari – conciliarsi con tesi e tendenze storico-culturali, quale quella teorizzata dal marxismo che, nella sua visione dogmatica e deterministica della Storia, ha offerto pochi spazi agli avvenimenti non collocabili in quel contesto... previsionale. Il resto può essere elemento di dibattito e di valutazioni accademiche o meno... Anche se gli avvenimenti e la Storia si sono assunti il compito, al di là dei revisionismi e delle autocritiche, di fare giustizia di miti e di mistiicazioni ideologiche. 18 giugno ’92 35
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GENTILE ED IL SUO RAPPORTO CON GLI INTELLETTUALI
(Segnali di “revisionismo”… culturale a sinistra)
Siamo forse in clima di prosecuzione della stagione… revisionista sul terreno storico-culturale, dopo quella meramente storica? E che il “revisionismo”, riiutato da tanta parte degli storici ed intellettuali ortodossi di sinistra, possa trovare un momento di pausa o, meglio, di autocritica… di rilessione, lo si può cogliere in un interessante articolo dal titolo “Gentile , il Fascismo e l’ubbidienza dei chierici”, apparso sulla “Unità” del 17 novembre, a irma dello studioso Angelo D’Orsi. Gentile, che ha avuto – assieme a Croce – un grande ruolo nella cultura italiana di quasi cinquant’anni, i primi del secolo scorso! Gentile, il ilosofo che la sinistra marxista, ed in particolare quella legata al partito comunista, ha ritenuto – attraverso il gappista Bruno Fanciullacci – di dovere isicamente eliminare perché non solo teorico del Regime, ma anche l’Uomo che avrebbe, con la sua opera moderatrice e paciicatrice delle coscienze di tutti gli Italiani, potuto bloccare il processo rivoluzionario marxista specie dopo il discorso pronunciato in Campidoglio il 24 giugno del 1943, quando deinisce il soggetto politico militante comunista “un corporativista impaziente delle more necessarie di sviluppo di un’idea (“corporativa”) che è la correzione tempestiva dell’utopia comunista e l’affermazione più logica e perciò più vera di quello che si può attendere dal comunismo”. Bene, il partito comunista ed, in primis, Togliatti di fronte a questo Gentile, paciicatore della nostra gente, non esitavano – quali che possano essere altre fuorvianti interpretazioni della morte del ilosofo dell’Idealismo – a far di tutto per toglierla di mezzo questa igura di grande intellettuale che avrebbe potuto avere – come aveva – una presa nel mondo della Cultura, ma anche in ampi strati e settori della vita socio-politica del tempo, malgrado la situazione militare non 37
deponesse a favore della nostra Patria! E per tanto tempo la sinistra ha cercato di crearsi l’alibi – tranne ovviamente quella ortodossamente marxista – nei riguardi di un evento ingiustiicato ed ingiustiicabile, mentre restava sempre in piedi la linea della legittimazione ideologica ortodossa dell’assassinio del ilosofo. E soprattutto sulla “vexata quaestio” del rapporto tra Gentile e gli intellettuali il giudizio è stato per lunghi anni pesantemente negativo… Eppure… Qualche spiraglio diverso si era visto in passato recente, mentre adesso si registra un cambiamento critico quasi… radicale. Nel citato articoli di Angelo D’Orsi si legge che “il suo (di Gentile) non fu tanto quello di creare la cultura fascista, quanto, all’interno di un progetto provvisto di una nobiltà culturale, di guidare gli intellettuali verso una osmosi con il Fascismo”. E così continua “non v’è dubbio che, nell’insieme, il suo sforzo fu coronato da successo, a cominciare da quella eccezionale impresa che fu la Enciclopedia Treccani”. E andando oltre si viene ad affermare che il “ventennio, in sostanza, è il primo periodo della storia d’Italia in cui si dà corpo ad una vera e propria politica della cultura e ad una politica degli intellettuali”. Un’ammissione, questa, di grande rilievo storico-culturale, che fa certamente a pugni con quanto affermava Bobbio secondo cui “durante il Fascismo non ci fu cultura, e tutto ciò che era cultura non era fascista”. E seguendo l’itinerario logico-giornalistico del D’Orsi si viene a riconoscere che, in quel periodo storico, si ebbe la mobilitazione di letterati, artisti, professori, cui non si chiese di diventare fascisti, in prima istanza, ma semmai di credere al progetto di una nuova Italia, di cui essi saranno portatori o costruttori. A ciò si aggiunge un altro elemento che fa giustizia della discutibile posizione di intellettuali che – come zangrandi nel suo “Lungo viaggio attraverso il Fascismo” – ritenevano di poter rintracciare nelle polemiche – spesso di mero ordine goliardico – giovanile – le premesse di un – sia pure “in nuce” – antifascismo, cosa che Nino Tripodi, nel suo argomentato e scientiicato volume “Intellettuali sotto due bandiere”, ha dimostrato non essere suficiente a giustiicare 38
un certo poco nobile “voltagabbanismo”. E l’autore dell’articolo infatti, con onestà intellettuale, richiama le ultime ricerche storiche che “stanno togliendo quell’autoapologetica patina di cripto-antifascismo”. Ed a proposito sempre dei giovani intellettuali “anti”, rivelatisi tali con tanto… storico ritardo, si sottolinea che “bisognerà attendere a lungo e… talora ino alla stessa estate del 1943 per veder sbocciare propositi di opposizione in esigue minoranze…” E fa bene il Nostro ad evidenziare che “l’adesione dei chierici” al regime fu esteso, generale e, per così dire, orizzontale, investendo non soltanto i letterati, ma esponenti delle arti igurative, cineasti, musicisti, architetti ed urbanisti, scienziati”. Ecco come il quadro si allarga ed investe il gran tema del più vasto consenso. Il Regime e la Cultura infatti stabiliscono rapporti tali da fugare tesi preconcette ed ideologiche sull’oscurantismo culturale del “ventennio” e sull’assurda tesi del Bobbio. D’altronde il “Manifesto degli intellettuali” di Gentile del 1925 non costituisce, con le qualiicate irme dei sottoscrittori, una sonora smentita nei confronti di chi, in nome dell’ideologia, cerca di violentare la verità storica? E se in questi giorni l’Unità ne prende atto, non è poi tanto male! 5-12-2006
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GENTILE OLTRE IL TEMPO Il «provincialismo alla rovescia» di una classe intellettuale
Prosegue, e con grande interesse, il dibattito intorno al pensiero del ilosofo Gentile. Si occupano, soprattutto in questi ultimi tempi, di lui intellettuali di vari settori, cercando di cogliere aspetti e contenuti di un pensiero, cui era stato dato – per anni – il più assurdo ostracismo. E ciò per la scelta, fatta dal Filosofo, in direzione di un sistema politico, quale era quello del «ventennio», cui riconosceva il merito di avere determinato, con il suo attuarsi, non «parentesi» (come sentenziava l’altro dei «dioscuri», il Croce per intenderci), ma la continuità della storia italiana che aveva nel Risorgimento il suo elemento storicamente fondante. I «Profeti» Di qui il suo interesse per gli Uomini che l’Italia vollero «una», libera ed indipendente, per coloro che egli deiniva i «Profeti» della Patria. Le splendide pagine che egli dedicò al Mazzini costituiscono una delle più esaltanti espressioni del proprio radicarsi nella più autentica Storia italiana. Ma, a malgrado di ciò ed anche a malgrado del fatto che il Gentile avesse rivendicato le più profonde adesioni ai valori del Cristianesimo nella sua espressione cattolica («Perché non possiamo non dirci cattolici»), dimostrando così l’alto signiicato spirituale del suo pensiero, tanti intellettuali – anche di area non marxista – avevano assunto atteggiamenti ostativi nei confronti del padre dell’attualismo. Tant’è che quei pochi di noi che, dalle cattedre nei vari licei o nelle università, intrattenevano i giovani sull’ariosa e profonda speculazione gentiliana venivano lasciati in un «non 41
splendido» isolamento, quando non venivano contestati. Tempi dificili, anche se carichi di passione intellettuale, erano quelli. Eppure non abbiamo ceduto, anzi abbiamo continuato ad esaltare i valori dello Stato etico, della libertà da coniugare con l’autorità, «dell’Umanesimo del lavoro» e dell’Uomo soggetto di storia, dell’uomo «faber suae fortunae», anzi «suae ipsius». Vox clamantis in deserto? No, di certo. Anche e perché sapevamo che Gentile ed il suo pensiero non potevano restare solo tra di noi, tra coloro che avevano dedicato a lui anni importanti della propria esistenza. Sapevamo, e ciò volevamo, che Gentile dovesse diventare patrimonio di settori sempre più ampi della Cultura italiana, e non perché nel suo pensiero fosse contenuto alcun principio di «egemonia» (il termine è gramsciano) né la volontà di portare la «ilosoia al potere». Niente di tutto ciò. Ma solo la speranza – quasi certezza – che anche coloro che lo demonizzavano sarebbero un giorno ritornati sui loro passi, culturali-speculativi ovviamente, per dare al ilosofo testimonianza della grande dimensione del suo pensiero, che aveva trovato nella morte socratica la coerente conclusione di un uomo libero che nella libertà dello Spirito aveva incentrato la sua ragione di essere e di pensare. Ed abbiamo atteso tanti anni, osservando anche i tentativi di strumentalizzazione del pensiero gentiliano da parte di tanti pensatori che, vedendo crollare – uno dopo l’altro – i propri idoli ed i propri punti di riferimento, cercavano, soprattutto da sinistra, di appropriarsi di una ilosoia, la cui struttura però era così articolata da consentire dificilmente appropriazioni indebite. E così, seguendo le vicende degli anni «culturali», abbiamo, in questo ultimo periodo, seguito una presa di posizione, con relativa appendice dialettica, del ilosofo Emanuele Severino, che, in un articolo pubblicato sulla terza pagina di un giornale («Il Corriere della Sera» del 29 febbraio 1996, deinisce «una riscoperta da provinciali» quella effettuata, negli ultimi tempi, da alcuni intellettuali. E ciò soprattutto per il fatto che i neoscopritori non si rendono conto di «Gentile grande ilosofo». 42
Precursore Ed il Severino, nel denunciare che, subito dopo la ine dell’ultima guerra, per «liberare» la cultura italiana dal fascismo e «sprovincializzarla», s’è messo «Gentile in sofitta», andando a fare non dignitose «reverenze» al «pensiero ilosoico d’Oltralpe e d’oltreoceano». È amaro dovere leggere queste considerazioni, anche perché Gentile, attraverso la lezione di Bertandro Spaventa, aveva affermato che la ilosoia di Bruno e di Campanella aveva precorso i tempi sul piano di una visione europea ed universale del pensiero italiano. Altro che provincialismo. E se – seguendo il Severino – «oggi molti parlano di Gentile come se fossero loro ad averne scoperto l’importanza», certamente le responsabilità di una certa cultura italiana, che «glissava» ogni qual volta si parlava di Gentile, sono notevoli. Eppure quella stessa cultura avrebbe dovuto pure ricordare la grande apertura di Gentile quando, attendendo alla stesura dell’«Enciclopea italiana» (la «Treccani»), chiese ed ottenne l’apporto contributivo, sul piano culturale, da parte di intellettuali di diversa provenienza ideologica. Una dimensione, quella del Gentile, non limitata né riduttiva, portato, come egli era, a vedere i problemi della Filosoia secondo l’ottica dell’uomo inteso nella sua vera dimensione spirituale. E la profondità del suo pensiero non può essere minimamente intaccata da chi, attraverso atteggiamenti «culturalmente» furbeschi e limitati, pensa – si tratti di scrittori, storici, politologi, sociologi, giornalisti – di potere utilizzare le alterne vicende della politica a ini personali o, peggio, personalistici. Rispetto morale Gentile non si presta a questi giuochi. Non valgono, cioè, le strumentalizzazioni, vecchie o nuove che siano, quando ci si accosta al pensiero del Filosofo. Che richiede onestà intel43
lettuale e rispetto morale. Non valgono i tentativi di istituire rapporti comparativi con altri ilosoi, come nel caso GentileHeidegger. Se altrove c’è nei confronti dei grandi pensatori da parte di intellettuali della terra, cui i ilosoi appartengono, una doverosa riverenza, da noi ciò non sempre avviene (ed il caso Gentile è emblematico), tuttavia non manca – da parte nostra (dei gentiliani di ieri e di oggi e di domani...) – la difesa coerente di un pensiero, che costituisce la più alta forma di espressione della ilosoia hegeliana portata agli sviluppi più originali e coerenti. Gentile quindi sta – e bene – tra di noi, anche se non soffriamo di anguste gelosie intellettuali se altri ne parlano o lo riscoprono. Purché ciò avvenga senza riserve o secondi ini. Altrimenti, come ieri e come oggi, denunceremo ogni forma di strumentalizzazione o di mala fede. Solo così il nostro antico impegno culturale potrà trovare la soddisfazione di avere contribuito – sia pure in maniera modesta – acché Gentile possa – nel rispetto dei valori della sua ilosoia – stare non solo tra noi. 17-3-96
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GENTILE: FRANCOBOLLO, COMMEMORAzIONE E PENSIERO
La polemica, scoppiata a seguito di una proposta di un politico non certamente della Destra politica, in ordine alla proposta di dedicare un francobollo commemorativo al ilosofo Giovanni Gentile ci impone alcune rilessioni di ordine ilosoico-culturale, etico e storico. Un francobollo – tra l’altro ben povera cosa – per commemorare un pensatore della statura di Giovanni Gentile avrebbe dovuto rappresentare solo un momento di attenzione ed anche di serenità valutativa da parte di chi si pone di fronte al Filosofo costruttore di un sistema – quello dell’“Attualismo” – organico e completo, tale da fare di Lui una delle igure più rappresentative della Cultura Italiana di questo secolo. Nei settori più qualiicati della Cultura – dalla Pedagogia alla Filosoia – Gentile ha lasciato il segno, per non parlare di ciò che – per opera sua – viene a signiicare la Riforma della Scuola del 1923, l’Enciclopedia italiana e la “Normale” di Pisa. Bastano questi elementi – come giustamente rileva Montanelli – a consegnare la igura e l’opera di Gentile alla Cultura ed alla Storia universali. Come si può tacciare di “affarista” – come fa qualche intellettuale di sinistra – una igura “trasparente” ed adamantina come il Gentile? Siamo veramente all’assurdo: si vuole ancora, al di là delle formali ammissioni in ordine di ruolo e all’importanza del Gentile, cercare di far dimenticare la ine socratica del Filosofo, giustiziato per mano di chi – legato all’ideologia della lotta di classe – pensava di potere uccidere con l’UOMO l’idea. Un fatto, questo, relativo all’assassinio di Gentile, che aveva coinvolto nella responsabilità morale anche qualche umanista, che non era riuscito, in quella circostanza, a coniugare l’umanesimo con l’Umanità. Ed a tal proposito non può non tornare illuminante l’espressione dell’ebreo te45
desco prof. Kristeller, il quale sottratto dal ilosofo italiano ai nazisti, così si pronuncia in questi giorni: “Hanno ucciso l’espressione più pura e disinteressata di una nazione: l’amore per il sapere e la civiltà. Hanno sparato all’intelligenza”. (“Il Giornale” del 3/3/93). È questa una testimonianza che da sola basterebbe a fare giustizia delle tesi ideologizzate che sembrava, trattandosi soprattutto di intellettuali marxisti o già tali, fossero state sconitte, nel 1989, sotto le macerie del muro di Berlino. O, meglio, tesi che, traducendoci nella realtà del “socialismi reali”, hanno dimostrato la loro inconsistenza o, nel migliore dei casi, la loro utopia. Ci potrebbe, a questo punto, soccorrere il realismo di Macchiavelli con la sua affermazione “cum parole non si governano gli Stati”. Ma, al di là di ciò, resta la dimensione morale dell’Uomo. Il prof. Marramao – come giustamente riportato da A. Fede – pur evidenziando la rilevanza speculativa del Nostro, affaccia qualche dubbio sul “personaggio molto discusso sul piano etico e politico…”. Onestamente, malgrado ci si possa sforzare, non si riesce a capire come e perché il Pensatore debba essere discusso sul piano etico. Per quello che riguarda “il politico”, parleremo nella parte conclusiva di questa trattazione.. Etica! Ci fu forse Filosofo, eccenzion fatta per Socrate, che riuscì a tradurre il pensiero nella realtà, ad essere cioè coerente usque ad inem? Anche Piero Melograni non può fare a meno di sottolineare: “Rigoroso e moralista come pochi, non seppe abbandonare da ultimo il carro degli sconitti, e questa fu la vera causa della sua separazione dal mondo e dunque della sua tragica ine”. Altro che “affarista”! Altro che il “campione” della “Filosoia al Potere”! La Sua morte – socratica – è la dimostrazione più alta e più vera di come si possa morire per le proprie Idee o per la propria Idea. Ed andò incontro alla morte serenamente, certo che non si muore se si crede nel valore dello Spirito, Lui che aveva trattato di “Perpetuità e di Eternità”. Quanti, nei frangenti più dificoltosi della nostra Storia, hanno ritenuto di dovere rinnegare tutto ciò in cui dicevano di avere creduto! Quanti, ma quanti! Gentile subisce la “sentenza”, voluta da 46
forze nemiche esterne e da “conventicole” interne, ovviamente al sistema che stava subentrando e dall’esterno voluto.. La sua morte è lì, come il sacriicio non evitato, Lui che si muoveva indifeso per le vie di Firenze! Lui che non temeva nulla, perché aveva aiutato tutti, come ricorda riconoscente l’ebreo tedesco prof. Kristeller. E gli altri, gli avversari di ieri, molti dei quali si onoravano di appartenere alla “scuola gentiliniana”, ancora continuano – malgrado siano cambiati gli scenari politici e culturali del mondo – a discettare di temi ormai “superati”, o quanto meno superati se visti dall’ottica delle ultime ricerche storiograiche… Già, il Fascismo… Ma vivaddio Gentile aveva intuito il valore di questa dottrina, non disgiunta dal suo più importante elemento socio-economico e, perché no? culturale: il corporativismo… E quando, rivolgendosi ai rappresentanti della sinistra estrema, li deinisce “corporativisti impazienti”… Cosa dovremmo ricordare ai teorici di ideologie senza storia? Le ricerche sul Fascismo condotte da storici sereni come Leeden, Mosse, Gregor e l’italiano De Felice? Non vale la pena continuare a polemizzare, ché la polemica poco o nulla ha a che vedere con la Filosoia dello Atto Puro, con quella corrente di pensiero che – come ricorda il Cacciari – fa di Gentile “il più importante ilosofo di questo secolo”, tant’è che col Suo pensiero “i conti sono ancora aperti… ”. Ecco, in sintesi, alcune considerazioni su diversi aspetti della ilosoia gentiliniana, ma del “francobollo commemorativo” cosa dobbiamo dire? Una semplice cosa: Gentile è tanto presente nella storia della Filosoia e della Cultura che con o senza il francobollo nulla cambia, anzi diventano sempre più modesti coloro che vivono di settarismo, malgrado la Storia cammini. Ed a passo spedito…
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IL NUOVO UMANESIMO
L’incontro in Gentile tra Umanesimo e lavoro
L’Umanesimo – nella sua accezione autentica – ci porta alle «Umanae Litterae» e a tutto ciò che il Rinascimento è venuto ad esprimere ponendo al centro della società, della cultura e della civiltà l’Uomo. Una grande rivoluzione che veniva a determinare una radicale inversione di tendenza che, muovendo dalla centralità della natura, si proiettava verso l’Uomo inteso come «microcosmo», esaltante sintesi del più vasto mondo circostante o «macro-crosmo» che dir si voglia. Eppure, anche in passato, la Filosoia antica aveva inaugurato con Socrate la «stagione dell’Uomo», centro dell’indagine, elemento essenziale della speculazione. Il «nosce te ipsum» di socratica memoria costituisce infatti la base di ogni indagine umanistica che avrà il suo naturale collegamento col rapporto cultura/conoscenza-morale, questione, questa, che sarà affrontata, in termini precisi dall’Idealismo italiano, soprattutto nella versione «crociana» del «distinguo» tra arte e ilosoia, morale ed economia. Con Socrate, comunque, la centralità dell’Uomo, nella sua visione di «umanesimo etico», si proietta verso le prospettive della Filosoia cristiana che, nella sua articolazione speculativa «patristica», saprà ritrovare nell’«Uomo interiore» («in interiore homine») l’elemento essenziale del processo di ricerca della «Verità». È questo, il richiamo all’«esistenzialità» di valori che danno un senso all’esistenza medesima. Di qui l’itinerario coerente e chiaro, che, lungo l’arco dei secoli, porta al Rinascimento ed all’Uomo, «faber suae fortunae». Mancava, però, a quest’uomo «colto» una dimensione, quel49
la «umana», che viene ad integrare l’Umanesimo, facendo uscire l’Uomo dalla sua «torre d’avorio» (turris eburnea) e ponendolo in contatto con la gente, gli consente di cogliere il senso dell’umanità, senza fargli perdere ovviamente la sua identità. Questa esigenza era stata già colta dal ilosofo Giovanni Gentile, che, nel teorizzare il «principio dell’Umanesimo del lavoro», aveva affermato il signiicato dell’incontro, dell’abbraccio tra «lavoratori» ed intellettuali, e ciò nel contesto dei valori dell’Umanità. È anche qui, nell’intuizione gentiliniana, che si viene a dare all’Umanesimo una dimensione nuova, un signiicato morale e culturale… Una svolta, lo si può affermare, rilevante che salda e supera un’antitesi storica tra «Umanesimo» e «Lavoro». Un grande passo in avanti viene fatto così… L’essere riusciti ad operare una saldatura tra Cultura e lavoro ha comportato, sul piano teorico, un salto di qualità, premessa e condizione per un’accelerazione del processo di sviluppo dell’Uomo e della Società. L’Umanesimo del lavoro non implica forse un lavoro che, incontrando la Cultura, si umanizza, così come la Cultura – senza ovviamente alcun riferimento alla «cultura impegnata» – acquista anch’essa una sua dimensione umana? Una Cultura, cioè, che si fa «umanità», che vive dei problemi dell’Uomo, da quelli esistenziali a quelli quotidiani, senza disperdersi nei mille rivoli del «particulare» di guicciardiana memoria. Ed allora – se i termini della questione sono questi – anche dei concetti come «aristocrazia del pensiero», «monade senza inestre», «turris eburnea», costituenti gli elementi caratterizzanti una certa igura di intellettuale non «massiicato», vanno visti in un contesto diverso o, comunque, secondo un’ottica che non può prescindere dalla saldatura della Cultura all’Uomo, recuperando i valori dell’umanità, perché l’Umanesimo diventa così umano. E ciò non può signiicare che la Cultura perde «quota», si abbassa di livello, perde la propria connotazione qualitativa. 50
La Cultura che si umanizza non estirpa le proprie radici, non viene a snaturarsi, perché non va alla ricerca di approdi diversi e lontani… Le teorie che si rifanno ad una visione materialistica dell’Uomo sono ben lungi dalla Cultura che si incontra sull’Uomo, va verso l’Uomo. Non «l’uomo è ciò che mangia»! Un concetto lontano milioni di anni luce da quello che viene a portare avanti «l’Umanesimo del lavoro» e, soprattutto, l’«Umanesimo umano». Poiché l’«Umanesimo umano» sa e deve essere la vera dimensione di una Storia e di una Civiltà che, partendo dal «nosce te ipsum» di Socrate e passando attraverso la visione spiritualistica di S. Agostino ed i valori dell’Uomo dell’ Umanesimo rinascimentale, possano schiudere nuovi orizzonti, indicare itinerari diversi e migliori. Per riportare, in una parola, l’Uomo a se stesso, alla sua vera autenticità, alla sua Umanità. 8-5-1996
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L’AUTOCRITICA DI BOBBIO, LA COERENzA DI GENTILE
Le recenti affermazioni di Bobbio, nel corso di una intervista giornalistica incentrata sul rapporto con il Fascismo e sulla vergogna che adesso prova nell’evocare quelle «vicende» storico-personali, ha offerto uno spaccato di un’analisi autocritica di un intellettuale la cui esperienza potrebbe coinvolgere tanti altri – e non sono pochi – uomini di cultura che aderirono al regime fascista e poi, quando le sorti di quel sistema politico, come è nelle umane cose, andavano volgendo al peggio, non trovarono di meglio del «mutar gabbana» andando a cercare degli alibi giustiicativi del loro passato o facendo di tutto perché dello stesso non si ragionasse più. Sono stati al riguardo scritti tanti, numerosi volumi sia per accertare certi improvvisi cambiamenti o certa adesione senza alcuna perplessità critica, salvo le abiure successive, sia per valutare il coraggio e/o la dignità di tanti che hanno condiviso un sistema-regime politico senza autocritiche a posteriori. Ed anche se una verità assoluta non è possibile, in questa come in altra materia, attingere, tuttavia, una valutazione di ordine generale può essere tentata. Il richiamo all’intellettuale, o meglio all’umanista, è d’obbligo. Come e dove nasce «l’intellettuale subalterno»? Malgrado l’espressione «gramsciana» («Intellettuale subalterno»), questo tipo di «soggetto» trova la sua collocazione nella «corte rinascimentale» e il suo «referente» è il principe-signore nei cui riguardi egli si pone in uno stato di «subalternità». Di qui il suo «cantare» le lodi del signore in una forma di «giullarismo» che avrà poi nei secoli successivi la sua espressione nella igura dell’intellettuale «impegnato». Impegnato ovviamente quasi sempre a senso unico, nel senso del Potere. Non per servire «la» verità, cui ogni uomi di cultura dovrebbe ten53
dere, ma «una» verità, quella di un particolare sistema ed in un particolare momento storico. Hic et nunc. È la storia di sempre; quella che consente all’intellettuale di trarre vantaggi dal regime di turno, perché, al mutar degli eventi, lo stesso è pronto a cambiar casacca? Il «voltagabbanismo» di cui ragiona Lajolo nella sua anonima pubblicazione. Se si vuole avere un quadro completo dei «mutamenti» genetico-ideologici, basta accostarsi al monumentale lavoro di Nino Tripodi «Intellettuali sotto due bandiere». In queste pagine sono efigiate le storie di uomini di cultura il cui pensiero agiograico subiva la meteorologia della fortuna dei vari regimi. Ed è soprattutto interessante seguire l’«evoluzione» di alcuni intellettuali nell’arco temporale «25 luglio 1943» – «8 settembre 1943». Si registrano dei «giri di valzer» e dei cambiamenti radicali. Altro che – come chiariva in una sua pubblicazione Ruggiero Zangrandi – «lungo viaggio attraverso il Fascismo»! È stato un mutamento rapido, durato per alcuni pochi giorni e per altri poche ore. E poi la ricerca di appigli pregressi per consentire agli intellettuali «voltagabbana» di giustiicare il proprio «status» nuovo con motivazioni di lenta maturazione… Pochi, per la verità, i casi di autocritica onesta senza mistiicazioni di sorta. Per il resto, solo tentativi, non sempre riusciti, di stendere un velo di oblìo sul passato. Stavolta, qualcosa di nuovo si è veriicato. Un intellettuale antifascista, Norberto Bobbio, si confessa con una certa sofferenza autocriticamente umana… «Ero, come posso dirlo senza mascherarmi nell’indulgenza con me stesso? ero immerso nella doppiezza, perché era comodo fare così. Fare il fascista tra i fascisti e l’antifascista con gli antifascisti…»: così si esprime il ilosofo in un’intervista. E continua: «Era solo uno sdoppiamento quasi consapevole tra il mondo quotidiano della mia famiglia fascista ed il mondo culturale antifascista. Uno sdoppiamento tra il me politico ed il me culturale». Ed ancora: «È stata una catastrofe tale, la ine del fascismo, che alla ine noi abbiamo dimenticato, anzi, abbiamo rimosso. L’abbiamo rimosso perché ce ne vergognavamo. Ce ne ver-go-gna-va-mo… Io che ho vissuto la gioventù fascista 54
tra gli antifascisti mi vergognavo prima di tutto di fronte al me stesso di dopo…». Sono, questi, alcuni passaggi emblematici della intervista da cui si può dedurre l’ambivalenza e l’ambiguità di certi giovani intellettuali di ieri che, pur di stare «a galla», coesistevano con realtà diverse, se non antitetiche. Il distinguo tra il «politico» ed il «culturale» è uno di questi elementi indicativi. Anche se – a distanza di tanto tempo –, nel momento in cui si evoca il passato, emerge, come nel caso di Bobbio, la dimensione dell’autocritica, supportata da una certa onestà intellettuale. Lo scandire – al ricordo – la parola «ce ne ver-go-gna-va-mo» è la prova, a distanza di tanto tempo, di una mancanza di assunzione di responsabilità, di lealtà verso se stesso, che il ilosofo avrebbe dovuto evitare a se stesso. Negli anni giovani… In tempi dificili… Con qualche pericolo da correre. Però non corre, in contemporanea, a questo punto, il pensiero a chi, nei momenti più dificili della nostra storia, negli anni di «guerra civile», l’assunzione di responsabilità e la lealtà verso se stesso e le proprie idee non solo le ha affermate, ma, per averle espresse con dignità e senza esibizione, ha pagato con la propria vita questa coerenza socratica. Mi riferisco al grande ilosofo Giovanni Gentile, che viene assassinato nella Città culla della Cultura, a Firenze. Come sono diverse, e perciò non «parallele», le storie dei due pensatori! L’uno, che non assume posizioni chiare (da giovane) nei confronti del regime del tempo, ed a distanza di tanti anni con un atto autocritico confessa di avere provato vergogna per la sua posizione di allora, mentre l’altro – il padre dell’«Attualismo» – cade sotto i colpi di mano fraticida per avere sempre creduto nei valori della coerenza e della dignità culturale e umana. Sono, uno e l’altro, espressione, ciascuno per il ruolo che assume, di due mondi diversi, di due Culture diverse. Nel solco di una tradizione che, al di là delle varie e frequenti vicende tormentate della nostra storia nazionale, deve ritrovare valori e princìpi necessari, se non indispensabili a costruire l’avvenire del nostro generoso popolo. 19-12-1999 55
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UNA LAPIDE E LA STORIA
Non tende, almeno a livello di certi settori “accademici” uficiali, a ridursi d’intensità un certo clima di pregiudizio settario culturale nei confronti di chi, come il ilosofo Giovanni Gentile, ha rappresentato uno dei punti fermi del pensiero non solo italiano, ma europeo ed universale. Eppure, mentre sembrava che a tanti anni di distanza dalla sua morte socratica, provocata da un inconcepibile assassinio, si potessero distendere gli animi ed un sereno giudizio sul signiicato culturale e scientiico della opera del Pensatore potesse e dovesse (come parecchi segnali davano, in questi ultimi anni, ad intendere) farsi strada, un episodio, veriicatosi in questi giorni, viene a testimoniare di come lo spirito ideologico e settario continua assurdamente a permanere in certi settori accademici del nostro Paese. Il Senato accademico dell’università di Pisa – è questa la sostanza dell’episodio “emblematico” – decide di ricordare il ilosofo Giovanni Gentile, alunno, docente e direttore presso quell’ateneo, con una lapide. Il testo della stessa, nel mentre ricorda che Gentile era stato “studente e professore” presso l”università di Pisa, sottolinea le motivazioni alla base dell’iniziativa: “Profondo innovatore del pensiero ilosoico italiano, intellettuale e infaticabile organizzatore di cultura sul piano nazionale e della sede universitaria pisana”. Sin qui, ovviamente “nulla quaestio!” L’aspetto però sconcertante della “vicenda” è costituito invece da un “post scriptum” laddove si fa riferimento, collegandolo al Filosofo, ma superando il pensatore stesso, al “regime autoritario e razzista” che – secondo il Senato accademico in questione – ebbe in Gentile un “consapevole sostenitore” e sul quale (regime) “resta la condanna della storia ed il comune sentire”. 57
Questa parte aggiuntiva o “codicillo” – come è stato testimoniato da intellettuali di vario settore o giornalisti come Indro Montanelli – rappresenta una delle forme più subdole di ipocrisia culturale, che viene a svuotare di signiicato e di valore l’iniziativa della lapide a ricordo del grande Pensatore che, da direttore, fece di quell’università uno dei iori all’occhiello dell’istituzione universitaria italiana. Tant’è che – si era negli anni ’80 –, quando una delegazione di parlamentari italiani della Commissione Cultura della Camera, di cui faceva parte il sottoscritto, visitò l’ateneo pisano, si sentì dire dal direttore del tempo (con qualche segno di meraviglia sul volto dei colleghi di sinistra) che il ruolo avuto dal Gentile nella valorizzazione e nel potenziamento dell’ateneo pisano era stato elevatissimo, soprattutto in ordine alla qualiicazione scientiica dell’istituzione. È questo un richiamo per me storico e morale che attiene al Pensatore anche nel suo impegno di grande organizzatore di cultura, accademica o meno che fosse. E l’opera infatti del Gentile che costituisce di per sé un contributo notevole allo sviluppo del pensiero italiano ed europeo non solo sul piano speculativo puro, ma anche in relazione al pensiero pedagogico che riceve dal suo sistema ilosoico un apporto organico e globale. Quale ilosofo più e meglio di lui seppe portare agli sviluppi più conseguenziali il pensiero hegeliano in Italia? E poi la sua sempre attuale lezione sull’“Umanesimo del lavoro”, soprattutto in periodi, come quello che stiamo vivendo, in cui il “lavoro” anziché umanizzarsi inisce per essere “oggetto” rendendo tale, a volte, anche il “soggetto” Uomo. Come si può affermare, da parte di “scriteriati ideologi”, che Gentile ha supportato azioni razzistiche ed autoritarie del regime del tempo? È un’affermazione, questa, gratuita ed inqualiicabile, che vuole sottacere la grande apertura umana e culturale del Filosofo che, nelle iniziative di grande valore scientiico, chiamò a raccolta – ed ebbe grandi adesioni – intellettuali e studiosi 58
di estrazione cultuarale e ideologica diversissima dalla sua. Basti citare per tutti il caso dell’Enciclopedia italiana “Treccani” che vide raccolti attorno al Gentile, le migliori energie intellettuali del tempo! Ed allora di chi genere di autoritarismo si viene a cianciare? Un Pensatore aperto e leale, sia nei rapporti intellettuali che in quelli amicali, e ciò anche nei momenti in cui le distanze intellettuali venivano ad incidere anche sui rapporti di amicizia. Bene, nell’epistolario Croce-Gentile, va tenuto presente l’altezza di tono e di stile che contraddistingueva il Filosofo di Castelvetrano. E poi il “razzismo”? Ma quale? Forse il “Senato pisano” confonde Gentile con altra persona? Il Nostro non solo – rispetto alle “infelici” leggi del ’38 – si dimostrò molto distaccato e lontano da quelle assurde iniziative legislative, ma operò per venire incontro, aiutando in tutti i modi, intellettuali e studiosi che vennero ad incappare nelle maglie di una legislazione che la coscienza civile e morale degli Italiani riiutava. L’episodio dello scienziato ebreo Kristeller, dal Gentile difeso ed aiutato, è di per sé emblematico! Ed allora come si può affermare che Gentile fu “consapevole sostenitore” di logiche razziste ed autoritarie? Ed inine il richiamo alla Storia. A quale? A quella che è stata scritta nella contingenza degli avvenimenti? Noi non diremo che nella Storia “tutto si tien”. Siamo che in un periodo in cui cadono “i muri di Berlino”, in cui i processi di “revisionismo” non ubbidiscono alla logica strumentale di “autocritica” di cui la storiograia marxista si sostanziava, ma sono un importante strumento di conoscenza della verità, in questo periodo tanto importante della nostra stagione umana e culturale il pensiero di Giovanni Gentile costituisce uno dei più importanti punti di riferimento per chi ritiene che la Filosoia e la Storia non possono essere intesi quali mondi a se stanti, ma l’interazione tra l’una e l’altra fanno sì che il Pensiero diventi realtà e la realtà non può fare a meno del Pensiero. Anzi. Ed è in questa logica che va vista la piccola “vicenda” di 59
Pisa che, da una parte, dà ai protagonisti della meschina vicenda la loro legittima “dimensione” e, dall’altra, fa crescere sempre di più la statura dell’Uomo e Filosofo Gentile che, nello sviluppo della Storia, si staglia sempre di più con il suo elevato e universale pensiero. 20-9-1999
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G. GENTILE E LA TRADIzIONE SCOLASTICA ITALIANA
Un convegno, dedicato al ilosofo-pedagogista Giovanni Gentile, non è, nei tempi attuali, un fatto anacronistico... Tuttaltro! Gentile è più che mai attuale nella storia della pedagogia italiana non solo per le sue posizioni teoretiche, ma anche per il tradursi “in atto” della sua concezione pedagogica. D’altronde è la ilosoia dell’“attualismo” che trasforma il pensiero in realtà. E potremmo dire che ciò avviene nel solco della tradizione spiritual-culturale italiana che dall’“ora et labora” al mazziniano “pensiero ed azione” approda al gentiliano pensiero che diventa “atto” nel momento in cui il “pensiero” si enuclea... È la ilosoia – così articolata – che diventa pedagogia. È nel “Sommario di pedagogia” come “scienza ilosoica” che si riscontrano questi elementi di grande attualità – ancora oggi – trasfusi poi nella “Riforma della scuola” del 1923. È in fondo la tradizione della “pedagogia risorgimentale” che Gentile volle, sia pure in un periodo storico diverso – in una linea di coerenza nazionalspirituale – offrire al mondo della scuola. Non mi si chieda se qualcuno, legislatore ovviamente, nei tempi successivi, abbia raccolto quella eredità... Pochi ci tentarono, ma nessuno ci riuscì... Berlinguer, anche se tentò – in tutti i modi – di scardinare la struttura del sistema scolastico gentiliano, cercava forse di passare, con la sua “integrale” iniziativa legislatrice, per un secondo Gentile. Anche se il suo modello, incentrato su un pragmatismo gramsciano, era lontano mille miglia dallo spirito e dalla motivazione sostanziale della pedagogia gentiliana. E quella attuale, la “Riforma” che si richiama al progetto “Moratti”? È certamente una “riforma” diversa rispetto a quella tentata da Berlinguer, anche e perché recupera qualche elemento della “pedagogia” gentiliana e blocca un 61
processo di orientamento gramsciano, volto a ridimensionare ogni forma di indirizzo umanistico… Certo, la nuova “riforma” prende atto di una nuova realtà socio-culturale quale è l’attuale: tant’è che la presenza del computer nelle scuole e l’apprendimento di una nuova lingua è ormai un fatto improcastinabile! L’Europa è ormai una realtà! Ma ciò può bastare? Non sorge forse il dubbio, legittimo per la verità, che buona parte dell’impostazione “riformatrice” … morattiana sia orientata verso obiettivi che attengono ad un tipo di società, attuale e certamente moderna, ma tesa a privilegiare i “valori” di una certa realtà... produttiva e, per ciò stessa, tanto lontana dalla visione didattico-formativa della tradizione pedagogica italiana, di cui Gentile è stata una delle più alte espressioni? Una concezione, quella gentiliana, che aveva nella “centralità della scuola pubblica” (senza ovviamente penalizzare la non statale) uno dei suoi cardini più rilevanti, così come nella selezione meritocratica la base del giusto riconoscimento del valore dell’allievo. Altro che “debiti” e “crediti” scolastici mutuati da una pedagogia anglosassone estranea alla nostra storia scolastico-culturale! E poi il “metodo” gentiliano che nasceva dall’“incontro d’anima” tra il docente ed il discente quanto è lontano dalle varie teorie-comprese quelle relative alla “valutazione – che hanno avuto nella “docimologia” uno dei riferimenti più fallimentari in materia! Sì, ma gli “stage” nelle aziende o i vari rapporti col mondo produttivo da parte dell’allievo, durante il periodo scolastico, non possono essere un elemento di approccio ad una realtà extra-scolastica e un rapporto tra scuola e territorio? Non va questa parte certamente demonizzata se può servire al processo di interazione tra scuola e società; d’altronde, alla ine degli anni trenta, non ci fu un Ministro, che si chiamava Bottai, che aprì la scuola al mondo del lavoro? Ed allora? Ciò che appartiene alla nostra tradizione pedagogico-culturale non è un progetto di uomo che debba trovare nel momento “produttivo-aziendale” la sua ragion d’essere, ma un uomo che abbia trovato nella scuola il luogo di formazione e di va62
lorizzazione dei principi socio-culturali e morali, senza di che non si costruisce una società che abbia l’Uomo come ine. Ciò non esclude – a scanso di equivoci – il realizzarsi dello stesso uomo nella professione che egli sceglie e nel raggiungimento degli obiettivi che persegue con e nel suo collocarsi nella comunità umana. Ciò che però va tenuto lontano è il concetto di uomo secondo un modello che, attraverso una scuola volta a perseguire obiettivi “produttivi”, sia pure in concorrenza con altre realtà istituzionali europee, iniscano, a volte, per fare dell’Uomo stesso un mezzo e non un “ine”. È questo lo spirito della lezione pedagogico-ilosoica gentiliana che porta avanti il messaggio della nostra storia culturale ed umana nel segno di una continuità che non è “ritorno al passato”, ma capacità di coniugare passato e presente per costruire il futuro. È solo così che, certi della nostra identità e senza mutuare dagli “altri” esperienze e logiche riformatrici già superate, si può affrontare la sida della modernità! (Sintesi della relazione svolta al Congresso di Brescia sul tema “Giovanni Gentile e la tradizione scolastica italiana”)
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Convegno sull’attualità di Giovanni Gentile - Reggio Calabria 18-12-1994
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UN CONVEGNO, LE ISTITUzIONI ED IL PENSIERO DI GENTILE
La celebrazione di un Convegno a Reggio dedicato alla igura e alla atttualità del pensiero di Giovanni Gentile costituisce un avvenimento di grande rilievo culturale e storico. Non che non siano stati, in passato, tenuti convegni e seminari di studi sulla ilosoia del pensatore di Castelvetrano, ma l’incontro di oggi ha certamente qualcosa di diverso rispetto a quelli precedenti per tutta una serie di motivi e di considerazioni. Intanto, perché si svolge a distanza di cinquant’anni (e sono tanti…) dalla morte del Grande ilosofo dell’Idealismo italiano: si viene cioè a concludere, nella Città di Reggio, il ciclo di celebrazioni che ha visto in diverse città italiane la presenza di studiosi e di cultori della scienza ilosoica nell’impegno dell’analisi di un pensiero che, malgrado gli ostracismi e gli apriorismi ideologici, ha inito per dimostrare la propria attualità e la capacità di superare i ristretti ambiti di provincialismi culturali senza respiro e senza prospettive. Ed anche stavolta, ovviamente, il nome prestigioso di valorosi intellettuali non potrà non offrire ampi spazi di approfondimento di una ilosoia che ormai – anche nella sua dimensione pedagogica – costituisce quanto di più scientiicamente valido abbia espresso il pensiero umano in questo secolo. Cinquant’anni fa, coloro che, colpendo a morte l’Uomo, pensavano di fare tacere il Suo pensiero, non avrebbero mai potuto pensare che le Idee non possono mai – quando sono, come nella fattispecie, valide – essere stroncate con un atto di violenza. E Reggio, oggi, nella Sua antica e sempre viva realtà culturale e civile, accoglie questa celebrazione gentiliana con grande interesse e sensibilità. Ed accanto agli studiosi che da qui a poco svolgeranno le loro relazioni, c’è il mondo della Cultura reggina e calabrese, che mai ha accettato i “veti” e le demonizzazioni nei confronti di 65
un Filosofo che è riuscito a coniugare la sua meridionalità con l’universalità di un Pensiero che certamente, oltre al presente, conquisterà l’avvenire. Di qui la scelta opportuna del tema: “Attualità del pensiero gentiliano”. C’è però un altro elemento che contribuisce a rendere non solo importante, ma storica questa assise culturale, la presenza del Ministro della P.I. che, col suo intervento, darà alla igura e all’opera di Giovanni Gentile la testimonianza istituzionale, dimostrando – e certamente ciò farà – che l’attualità del Pensiero di Gentile non può prescindere dall’importante signiicato che ha avuto la Riforma scolastica del 1923, da cui tanti effetti positivi sono derivati alla Scuola italiana, anche se ovviamente, a distanza di settant’anni, non si è riusciti a realizzare in Italia un nuovo sistema scolastico che avesse – come quello espresso nel 1923 – i caratteri della globalità, della organicità e della completezza… La presenza del Ministro D’onofrio verrà certamente ad esprimere al Suo grande predecessore i termini di una linea politico-culturale che si muove nell’ambito della tradizione italiana che ha costituito, anche attraverso la riforma gentiliana, un punto di riferimento per generazioni di studiosi di ogni parte del mondo… Senza ovviamente tacere che l’universalità del pensiero di Gentile non hai mai omesso il riferimento, sul piano storico-culturale, alle nostre radici, che trovano nel Risorgimento la loro ragion d’essere… Ed è attraverso il ricorso alla lezione morale dei “Profeti del Risorgimento” che gli Italiani dovranno ritrovarsi per riprendere – nel solco della Storia – il cammino del riscatto nazionale.… Una presenza emblematica, quella dell’attuale ministro della P.I., cui abbiamo suggerito la proposta che il Ministero della Istruzione possa tradursi, nella sua indicazione identiicativa, in Ministero dell’Educazione, e ciò non solo nel rispetto delle nostre tradizioni, ma anche in sintonia con quanto avviene in diverse Nazioni europee .Un traguardo, questo, che dovrà essere raggiunto se la situazione politica non precipiterà… E ciò ovviamente va visto nel quadro del recupero riappropriativo, sul piano istituzionale, della igura di Giovanni Gentile, strut66
tura portante della Cultura e della Storia d’Italia… Ed inine il Suo pensiero: un sistema non solo organico e coerente, ma anche necessario alla nostra società, che, nelle sue frequenti crisi, sembra perdere il senso del suo cammino e del suo sviluppo… Gentile rappresenta per l’uomo di oggi ed anche di domani un punto di riferimento, essendo la Sua ilosoia, come la Pedagogia ad essa connessa, espressione di un mondo di valori e di principi, che danno, soprattutto nei momenti dificili, la forza per trarre energia e speranza di risalire la china… Ecco l’attualità culturale, ma soprattutto la riserva morale che si coglie in un Pensiero che è fonte di indicazioni culturali, morali ed esistenziali. Ed è per questo che Gentile, oggi, è qui tra noi col suo pensiero, più vivo ed attuale che mai. (Convegno di Studi su “Attualità del pensiero di Gentile”, Reggio Calabria 18-12-1994)
L’on. Fortunato Aloi ed il Ministro della P.I. on. Francesco D’Onofrio
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LA RIVINCITA DI GENTILE
Il 15 aprile scorso correva il sessantesimo anniversario dalla morte di Giovanni Gentile. Il ilosofo dell’«Attualismo» ha subìto, nel corso dell’ultimo cinquantennio, da parte di una certa cultura «impegnata», atti di demonizzazione e di assurdi ostracismi. L’accusa: il Filosofo del fascismo, l’organizzatore della cultura del «ventennio», l’uomo che, in linea di coerenza con le proprie idee, ha ritenuto di dovere ino all’estremo sacriicio dare testimonianza della propria linea culturale-politica. D’altronde, non è stato un appartenente ai Gap, Giuseppe Fanciullacci, ad assassinare, in Firenze, davanti alla sua casa, il Filosofo che, uomo onesto e buono, non aveva mai voluto, anche negli anni tremendi della «guerra civile», alcuna scorta? E non si tentò, circa quattro anni fa, nel collocare alla «Normale» di Pisa, dove Gentile era stato allievo, docente e direttore, una lapide a ricordo del grande pensatore sulla quale erano state incise, oltre che espressioni di riconoscimento del valore del ilosofo, anche frasi attestanti le sue responsabilità in ordine al periodo storico tra le due guerre? Sono, questi, episodi di per sé testimonianti come uno dei due maggiori ilosoi dell’Idealismo italiano (assieme all’altro, il Croce, venivano deiniti «dioscuri») abbia avuto un tale rilievo nella storia del pensiero italiano ed europeo da assurgere a livelli di alto valore scientiico malgrado gli ostracismi e le demonizzazioni. D’altronde se c’è una Riforma della scuola – dopo quella di Casati del 1859 – organica e completa è quella di Gentile che costituisce la traduzione delle idee e dei contenuti, oltre che degli elementi metodologici, presenti e indicati nella sua monumentale opera «Sommario di pedagogia come scienza ilosoica». Tant’è che qualsiasi tentativo di riforma o riforma – compresa quella attuale della «Moratti» – non può non richiamarsi alle linee pedagogiche di Gentile, pedagogista e ilosofo insieme. Ma c’è di più: l’Enciclopedia Italiana, detta 69
“Treccani”, monumento essenziale della nostra Cultura, ebbe in Gentile il suo arteice e protagonista al punto che studiosi delle varie branche del sapere vennero dal Filosofo, al di là delle diverse idee politiche, chiamati a collaborare alla grande opera. Ed è stato tanto rilevante il suo compito che, da parte di tanti intellettuali, si è sostenuto che la «Treccani» potrebbe, a buon diritto, essere deinita «Enciclopedia Gentile». Tra le numerose pubblicazioni ilosoiche il suo lavoro giovanile sulla «Filosoia di Carlo Marx» resta uno dei saggi più incisivi dell’autentico pensiero del ilosofo di Treviri, tant’è che studiosi di orientamento di sinistra, e non solo italiani, considerano questa opera un punto fermo nell’itinerario esegetico del pensiero marxiano. Che dire poi dell’impegno storico-ilosoico e pedagogico dal Nostro dedicato a igure come Mazzini, Cavour da lui deiniti «Profeti del Risorgimento», cosa che oggi – in tempi di preoccupante «devoluzione» – è di grande attualità. Ed inoltre la sua opera postuma, «Genesi e struttura della società», rappresenta una sintesi organica e puntuale del suo pensiero, che, muovendo dal socratico «nosce te ipsum» e attraversando il pensiero agostiniano e lo spiritualismo cristiano, trova il suo approdo nella sua concezione idealistica e, in contrasto con le vane teorie legate alla «lotta di classe, nell’Umanesimo del lavoro» la sua più alta espressione di Civiltà socio-culturale. E se oggi, man mano che il tempo passa, una rivalutazione del Filosofo di Castelvetrano si sta facendo strada anche in tanti settori della sinistra, evidentemente la dimensione del suo pensiero è oltremodo consistente e reale. Quante volte, nel corso della nostra comune frequentazione parlamentare, in uno scambio di idee col ilosofo Lucio Colletti, ebbi da quest’ultimo la soddisfazione, io gentiliano «storico» e non dell’ultima ora, di sentire parole di grande rispetto scientiico nei confronti di chi veniva deinito da Ugo Spirito, il teorico del «Problematicismo», il «mio Gentile». Ecco quindi alcune delle motivazioni che stanno alla base del ritorno non solo a Gentile, ma di Gentile, e ciò a difesa dei valori della nostra Cultura e del nostro patrimonio storico-ilosoico. 18-4-2004 70
IL RITORNO DI GENTILE IN SENATO
Il presidente del Senato, Marcello Pera, ha commemorato, nei giorni scorsi, Giovanni Gentile nel sessantesimo della morte. Un fatto, questo, di estremo valore culturale, storico e morale, che testimonia di come il Pensatore di Castelvetrano abbia a livello istituzionale avuto il giusto riconoscimento per tutto ciò che egli ha rappresentato nella cultura italiana. Le parole di Pera sono state di grande chiarezza: «Non può esservi alcun imbarazzo a ricordare, studiare e celebrare Gentile. Un grande ilosofo». E, continuando, così si è espresso: «Un grande ilosofo italiano, il più grande del secolo scorso». Un’affermazione, questa, che si sintonizza con analoga espressione che, nel lontano 1994, in un convegno, da me promosso nella qualità di Sottosegretario alla P.I., a Reggio Cal., il ministro del tempo, on. Francesco D’Onofrio, pronunciò esaltando il valore speculativo-pedagogico del grande ilosofo. È, questo, un arco di tempo che testimonia di come attorno alla igura di Giovanni Gentile vengono ad esprimersi giudizi e valutazioni di ordine scientiico-morale che stanno facendo giustizia di assurdi apriorismi ideologici per nulla idonei a cogliere il valore della lezione gentiliana sulla cultura, sulla storia e sull’uomo. E bene fa Pera a sottolineare che «a sessant’anni dalla morte di Gentile siamo nella condizione di studiare e ricostruire la sua personalità con la serenità storica e critica necessaria». Un altro passaggio importante è costituito – è sempre il Presidente Pera a evidenziarlo – dal fatto che la «ilosoia attualistica – ebbe una tale dimensione da non essere circoscrivibile a un ambito politico-culturale limitato, anzi...». Ed esplicitamente così dice: «Non dimentichiamo l’inluenza che (l’“Attualismo”) ebbe su antifascisti come Piero Gobetti e Antonio Gramsci». Si potrebbe, a questo punto, richiamare l’intuizione 71
di Augusto Del Noce secondo cui «in Gramsci fu più rilevante l’inluenza gentiliana di quella crociana». Ecco come un pensatore laico e uno cattolico (Del Noce) si incontrano lungo l’itinerario del pensiero gentiliano! Ed è importante che ciò sia avvenuto in una sede istituzionale – il Senato – dove Giovanni Gentile ebbe modo, nel corso della sua attività, di elaborare la sua concezione pedagogica-ilosoica il cui sbocco è costituito dalla grande Riforma della scuola del 1923. Ed è lo stesso Presidente Pera, nel luogo tanto congeniale al ilosofo per il suo impegno culturale-legislativo, a richiamare i risultati dell’attività del Padre dell’Attualismo: dall’Enciclopedia italiana all’Accademia d’Italia, dall’Istituto per l’Africa orientale alla Domus galileiana. Una serie di iniziative che hanno fatto di Gentile uno dei più grandi «organizzatori di cultura» di tutti i tempi. Ma ciò che segna il più alto punto della sua impegnata attività è il suo pensiero, che riuscì a portare la ilosoia italiana a livelli universali. Non può però essere del tutto accettabile la tesi di Pera secondo cui Gentile concepiva la ilosoia «per l’Italia, dell’Italia e per gli italiani». Perché il Nostro, pur non «sradicandosi mai dalla nostra storia e dalla nostra cultura», riteneva che la Filosoia italiana avesse una tale dimensione universale da rifuggire da forme deteriori di provincialismo. Questo è il vero Gentile, quello che ritorna in... Senato, ma soprattutto il pensatore, la cui vita è stata vissuta in coerenza tra pensiero e realtà, tra due realtà. Non è forse in questo che consiste la sostanza dell’«Attualismo?» Non è, questa, in una parola, l’attualità dell’«Attualismo»? 17-7-2004
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LA MORTE DI GENTILE: NUOVE RIVELAzIONI, PRESUNTE VERITÀ E FUORVIANzE… STORICHE
Sulla morte di Giovanni Gentile, il padre dell’Attualismo, è aperta da tempo una grande discussione. La responsabilità dell’assurdo assassinio del Filosofo viene attribuita ora all’uno ora all’altro “personaggio”, politico o intellettuale che sia, non essendosi mai concepito, da parte della vera Cultura e della politica degna di questo nome, che si potesse stroncare la vita ad un Filosofo che, anche nei momenti più drammatici della guerra civile, seppe pensare ed agire da Uomo impegnato a non dare spazio alla deleteria divisione tra gli Italiani, quale che fosse la loro collocazione. Un uomo buono, un intellettuale onesto, e soprattutto un italiano che, conoscitore profondo della nostra Storia, era al corrente dei guasti devastanti provocati dagli Italiani quando si pongono nella condizione di essere “l’un contro l’altro armato”. Una guerra – sottolinea un saggio della mia terra – che, per ironia del nome, si chiama … civile. Di qui l’assurdità dell’assassinio del ilosofo di Castelvetrano che venne condannato dalla cultura libera e autentica, anche se non mancarono purtroppo intellettuali che, ancora se non esaltato, hanno avallato l’uccisione di Gentile materialmente operata da un militante comunista, Bruno Fanciullacci. Un ruolo oscuro ha avuto il latinista Concetto Marchesi che pubblicò sulla stampa del tempo, un foglio del suo partito, una lettera che venne intesa come l’esaltazione di quell’atto criminoso. Il Marchesi – come sostiene di recente in una pubblicazione Raffaello Ruboldi di (R. Ruboldi: 25 aprile i giorni dell’odio e della libertà) – non ha mai “irmato quell’articolo, il suo nome è stato messo abusivamente”. E ciò in un recente articolo di Silvio Bertoldi (“Quel 25 aprile del ’45, dramma su dramma” – Corriere della Sera del 2 giugno 2004) – si sottoli73
nea, sempre con riferimento al volume del Ruboldi, che Marchesi “attraverso Pietro Pancrazi lo fa sapere al iglio della vittima, Federico, tornato dai lager tedeschi. Federico Gentile è lieto e spera che Marchesi lo dica pubblicamente. Ma Pancrazi gli risponde: “No, Marchesi ti fa sapere che non lo vuol dire, che non lo può dire, che non dirà mai”. È questo uno degli aspetti di una vicenda che testimonia di come dietro la morte di Gentile si siano messe in moto forze e soggetti che avevano interesse, per motivi di faziosità e ferocia ideologiche, a togliere di mezzo la personalità culturale più alta e prestigiosa del tempo. D’altronde, lo stesso Togliatti, pur non condannandolo, cerca di far capire che l’assassinio è avvenuto al di fuori della sua volontà. Si è cercato – dopo avere tentato persino di attribuire l’“evento” ad elementi estremisti della RSI che non condividevano l’opera paciicatrice del ilosofo – di attribuire, da parte della sinistra, ed in particolare di quella comunista, ad elementi dei GAP toscani e, soprattutto, iorentini, la responsabilità dell’operazione. Adesso – è di poco tempo fa – la notizia, apparsa sul “Corriere della Sera” (8 agosto 2004), secondo cui – a detta della vedova Teresa Mattei, deputato alla Costituente, – è stato Bruno Sanguinetti, e ciò anche per reazione nei confronti delle SS che avevano portato al suicidio il giovane intellettuale Gianfranco Mattei, fratello di Teresa Mattei. Una tesi, questa, che sembrava estremamente debole, tant’è che, dopo qualche giorno, si è avuta la smentita da parte della iglia del Sanguinetti, signora Paola. Quest’ultima rileva che “questioni di tale delicatezza vadano sempre trattate con prudenza per non correre il rischio di intorbidire ulteriormente le acque, anziché fare nuova luce”. Parole, queste, di grande equilibrio che servono a introdurre qualche elemento di valutazione responsabile di una “vicenda” che non trova alcuna giustiicazione, anzi è la prova più evidente di come si è voluto assassinare l’Uomo che aveva fatto della paciicazione la ragione vera del suo volere scegliere, in momenti dificili, la strada della coerenza e della dignità. E ciò Gentile ha dimostrato, in varie circostanze, e soprattutto quando pronunciò, il 74
24 giugno 1943, in Campidoglio, il famoso discorso col quale invitava gli Italiani a ritrovare la propria unità contro un nemico esterno che stava distruggendo le nostre Città e tutto ciò che in esse costituiva la nostra Civiltà. E, rivolgendosi anche ai comunisti, li deiniva “corporativisti impazienti”. Ed allora? È forse peregrino pensare che responsabile della ine di Gentile sia stato chi (partito compreso) non voleva l’Italia paciicata? 1-9-2004
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L’UMANESIMO DIMENTICATO
Liceo Classico ed assurdi pregiudizi ideologici
La recente intervista, rilasciata ad un settimanale, dell’attuale ministro della P.I, ha determinato una serie di reazioni a livello individuale e di ampi settori culturali da spingerci – senza tema di smentite – a nutrire tanta iducia nella sensibilità di qualiicate aree e di ambienti che si occupano di problemi pedagogici ed, in una parola, culturali. Che cosa, in buona sostanza, avrebbe detto il Ministro della P.I.? Una cosa semplice e, nel contempo, traumatizzante: il liceo Classico – espressione della ilosoia pedagogica, tradotta in riforma, quella del 1923, di Gentile – peccherebbe di «anti-manualità» e sarebbe responsabile, anche perché non in sintonia con la «modernità» della «corruzione» di migliaia di giovani che quella scuola hanno frequentato! Un’affermazione questa, che – malgrado qualche concessione strumentale («è stata la fortuna d’Italia…») – ubbidiva ad una duplice logica: da una parte, mettere sotto accusa un tipo di scuola che ha costituito da sempre «il iore all’occhiello» della Riforma Gentile, che, tra l’altro, ha articolato la scuola italiana in termini razionali e funzionali; e, dall’altra, portare una forte critica alla riforma stessa, che, per un marxista quale è l’attuale Ministro, costituisce un serio ostacolo ad un processo di cambiamento della scuola italiana e, di conseguenza, della società tutta. È la vecchia strategia che, negli anni 70, portava le sinistre, quelle «egemonicamente» gramsciane, a tentare di conquistare i «ceti medi» attraverso la conquista degli insegnanti. Ed in questo senso si è mosso il Ministro, che ha voluto saggiare (è questa la mia tesi), attraverso la provocazione sul «Liceo Classico», le reazioni di ambienti pedagogico-culturali vari. Il risultato è stato, per il Ministro, deludente, essendo lo stesso costretto, come per altro tema (scheda di valutazione), a fare macchina indietro, 77
affermando di avere usato «impropriamente» il termine «corruzione», pur tenendo fermo il Principio secondo cui il Liceo Classico «ci ha allontanato dalla concretezza». Siamo veramente di fronte ad un atteggiamto assurdo, inqualiicabile sul piano culturale e pedagogico! È, in sostanza, il voler tenere in piedi la critica nei confronti della Riforma Gentile, che – assieme a quella Casati (1859) – è veramente organica e globale. Il Liceo classico, nel contesto della riforma gentiliana, ha una sua funzione importante ed essenziale, dovendo – attraverso la preparazione umanistica – formare sul piano culturale giovani capaci di avere una vera e costruttiva coscienza critica. Chi – da tempo – sostiene, spesso per motivi ideologici (ed il Ministro si muove in questa direzione…) che il «Classico» è «scuola di classe», non rende un buon servigio alla verità, se non è in mala fede. Gentile aveva pensato al liceo Classico come, certo, ad una scuola tanto selettiva, ma soprattutto sotto il proilo del merito. D’altronde, non era forse un marxista come il Labriola che affermava che «la scienza non si mette ai voti»? Ed allora perché si accusa il Gentile di avere voluto una «scuola di classe»? Cè poi l’altra amenità ministeriale sulla «manualità». Che signiica il termine «manualità»? Il liceo classico avrebbe forse dovuto dare nozioni, o, meglio, esigere pratica di meccanica o idraulica con riferimento ovviamente ai mestieri di meccanico e di idraulico? Ma che discorsi sono questi? È possibile che un Ministro, sia pure di segno marxista, possa, nelle sue esternazioni, prodursi in affermazioni di questo tipo? Gentile aveva pensato alla «manualità» individuando altro tipo di istituti ad indirizzo tecnico-professionale, che non erano, nella loro diversità, meno importanti del Liceo Classico, come il Liceo Scientiico era sorto per altri obiettivi. Se poi volessimo – a livello di scuola media inferiore – individuare una scuola – quella dell’obbligo – allora dobbiamo riportarci al 1939 –; ci si soffermi sull’anno: 1939! – quando il ministro Bottai afferma il valore del rapporto Scuola-Lavoro, introducendo quest’ultimo nella riforma della scuola media dell’obbligo di allora! Ci si trovava però nel solco della rifor78
ma gentiliana, che aveva il supporto di una ilosoia che traeva dal processo pedagogico della cultura italiana, partendo dal Risorgimento, linfa e valori trasfusi poi nella citata riforma del 1923. Altro che «manualità» o «mancanza di concretezza»! Così come il volere riproporre, implicitamente, attraverso queste tematiche, il dualismo umanesimo-scienza signiica non voler tenere conto che si tratta ormai di falsi problemi, essendo assodato che «l’umanesimo senza la scienza è vuoto», mentre la «scienza senza l’umanesimo è arida». Cè poi da spendere qualche parola sulla questione – sempre riferita al Liceo classico – della mancanza di sintonia con la «modernità». Anche qui siamo di fronte ad un’affermazione oltremodo discutibile! Che ci sia bisogno anche di inserire tra le discipline del Liceo Classico alcune conoscenze di lingua straniera o di economia e diritto, è un fatto, ma che il Latino ed il Greco possano essere giudicate «lingue morte», questa è una grande assurdità ed eresia. Evidentemente siamo di fronte a forme di autentica malafede, che tendono a scalzare la scuola gentiliana, che, prima di ogni altra cosa, era ed è scuola di libertà. Perché è palestra di umanesimo e di civiltà. 1-9-1996
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IL RIMPIANTO DI GENTILE
Riconoscimento del valore della riforma del ’23
L’attuale Ministro della P.I. ha ritenuto, qualche giorno fa di dovere riconoscere – dal versante ideologico-culturale della sinistra – che «la riforma Gentile è stata una riforma straordinaria che non potrà essere dimenticata». Un’ammissione, questa, che riveste una grande importanza, al di là delle motivazioni che possano averla ispirata, perché, oltre a costituire una potente autocritica nei confronti di tutto un atteggiamento assunto dalla cultura marxista e dallo stesso Ministro, testimonia di come non si possa pensare di avviare una riforma della scuola di una certa serietà senza fare i conti con le linee pedagogiche e culturali proposte dal Filosofo di Castelvetrano. D’altronte lo stesso Berlinguer è costretto a dire che se la riforma Gentile si è «sgretolata negli anni, non è colpa da attribuire a Gentile, ma a chi ha ibernato la scuola per tutti questi anni». Siamo di fronte ad una presa di posizione che va certamente veriicata sul terreno dell’attuazione dei principi pedagogici gentiliani, anche e perché la coerenza del vertice del dicastero dell’Istruzione italiana non è stata ad oggi positivamente acclarata. Tant’è che lo stesso era partito da posizioni critiche nei confronti del Liceo classico, da lui deinito “corruttore”, mentre, di recente, prevede di inserire lo studio delle culture greca e latina nella scuola dell’obbligo». Un “giro di valzer”, insomma, che dovrebbe – secondo lo stesso Ministro – consentire che «la nuova scuola dell’obbligo sarà un incontro tra passato e futuro, tra vecchie discipline e nuovi saperi». C’è – come si vede – un insieme di elementi valutativi che dovrebbero avviare un processo di recupero di valori caratterizzanti la nostra storia pedagogico-culturale, che, in questi ultimi anni, ha subito incidenze fuorvianti e devastanti. E ciò soprattut81
to a causa dell’azione di una cultura ideologizzata, orientata comunque verso un tipo di scuola e di società lontana da ogni nostra esperienza storica e culturale. Il riiuto del merito, la massiicazione della scuola, la demagogia didattica sono elementi che, in nome di sociologismi deteriori, determinano un clima ed un sistema che incide notevolmente e negativamente sul piano di un progetto riformatore mai realizzato, perché ogni iniziativa legislativa nel settore aveva solo dimensioni settoriali e riduttive. L’impossibilità di proporre un tipo di scuola idoneo a dare una risposta alle esigenze della società ed alla formazione di un uomo come soggetto di valori, tutto ciò che ha costituito il limite di una prospettiva di scuola moderna e, nel contempo, coerente con le proprie storiche radici. Eppure Gentile, con la riforma del ’23, aveva affrontato e risolto il rapporto informazione-formazione, educazione-cultura, tradizione-modernità, dimostrando come nella storia del processo culturale-educativo occorre muoversi in direzione di una sintesi che superi ogni forma di dualismo. A cominciare da quello inaccettabile relativo a Umanesimo-Scienza. Una visione quindi che ponga sul piano della Riforma la valorizzazione di quei principi, idee e valori contenuti nel progetto Gentile, che va indubbiamente raccordato con le tematiche dei tempi attuali. L’informatica, la telematica ed altre discipline del nostro periodo storico non sono in contrasto con le discipline classiche. Non era forse questo uno degli elementi centrali del pensiero pedagogico di Gentile? Da qui bisogna partire se si vuole che un disegno riformato si abbia a realizzare! L’autocritica di un Ministro, l’attuale, può servire a qualcosa a condizione che sia funzionale ad obiettivi che abbiano al proprio centro l’Uomo. Ma non l’uomo inteso – secondo le dottrine materialistiche di vario tipo – come fatto solamente biologico e, per ciò stesso, incapace di cogliere valori ed essenze trascendenti. Sarà possibile, in una parola, che una riforma della scuola che si ispiri a valori di ordine spirituale, oltre che di conoscenze funzionali a risultati professionali e sociali, possa essere realizzata da chi ha una concezione della 82
vita e della cultura in contrasto con i valori dello spirito? Non si veriicheranno, esplodendo, le contraddizioni di fondo? Non si può pensare di mediare tra realtà contrapposte, tra mondi antitetici senza trovarci, alla ine, di fronte ad ostacoli insormontabili. Basterà l’autocritica a far chiarezza su una materia delicata? Non è forse vero che non bastano gli artiici dialettici per dare all’Uomo una scuola ed una società degna di Lui? 5/4/1998
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LA RIFORMA MORATTI: È PERTINENTE IL RICHIAMO A GENTILE?
È stata inalmente varata la nuova Riforma della scuola che – dal nome dell’attuale Ministro della P.I. – viene deinita “Riforma Moratti”. Si tratta di un insieme di norme e disposizioni che abbraccia tutto l’arco della istruzione dalla scuola dell’infanzia ino alla secondaria superiore. A tale risultato aveva mirato anche Berlinguer che, ubbidendo ad una logica pedagogica pragmatico-gramsciana, non aveva avuto attuazione. Adesso – ed anche qui si pone la questione dei decreti attuativi – la Riforma Moratti dovrebbe, grazie ad una situazione politica diversa, trovare modo di essere applicata. Un elemento comunque emerge in sede immediata: da parte di qualche esponente politico o di rappresentante del mondo dei mass-media si evoca, per la globalità della nuova “riforma”, un precedente storico: la “Riforma Gentile” del 1923. Certo s’imponeva il riiuto della berlingueriana “scuola dell’obbligo”, calderone dove veniva calata indistintamente la scuola media e quella elementare, elemento negativo della scelta “riformistica” del centro-sinistra, che non aveva tenuto conto della validità della scuola elementare e della grande confusione didattica che veniva con la modiica ad ingenerarsi tra insegnanti elementari e docenti medi. Di qui la legittima esigenza del “recupero” della scuola elementare ed il conseguente aggancio alla media in un rapporto funzionale tra i due segmenti dell’“obbligo”. A ciò si aggiunge – nella nuova “riforma” – l’anticipo a 2 anni e mezzo della scuola materna e a 5 e mezzo di quella elementare con l’introduzione dell’inglese e dell’informatica nei primi anni della scuola elementare. Un complesso di elementi che, da una parte, sembrerebbe il rispetto del nostro patrimonio storico-didattico, e, dall’altra, la prospettiva di nuove 85
e moderne discipline. Il ritorno a Gentile da una parte e una proposta di “modernità” dall’altra. Ma siamo certi che questo sia il vero spirito e la vera ilosoia della “Riforma Moratti”? Certo, il recupero del ruolo del liceo classico nel quadro del ritorno alla “serietà” degli studi non può non essere rilevato, soprattutto dopo che Berlinguer l’aveva deinito – infelicemente – “corruttore”. Ma una rilessione va, a questo punto, fatta: è possibile che si sia passati dal due storici licei (classico e scientiico), iori all’occhiello del nostro sistema scolastico, a cinque licei, o, meglio, alla liceizzazione di tutti gli isitituti superiori? Con quale – al di là del fatto ‘nominalistico’ – risultato sul piano sostanziale? Quanto poi ai due indirizzi, disegnati dalla Riforma Moratti, il liceale e quello professionale, credo non ci sia da essere aprioristicamente critici, come sembrano esserlo alcuni pedagogisti di orientamento ideologico ben deinibile e deinito. L’unico problema è come ed alla presenza di quali adeguate strutture possa avvenire il passaggio – ove l’alunno ritenga di avere sbagliato strada – da un indirizzo all’altro. Oltre alla questione degli organici del personale docente e non, si sta ponendo – e qui si coglie il tema della conoscenza di essenziali discipline culturali-formative –, a livello di consulenti ministeriali, il problema del ridimensionamento dello studio del latino nei licei scientiici. C’è poi l’altro elemento innovativo nella nuova riforma: il rapporto scuola-lavoro o scuola-azienda (stages o altro impegno aziendale). Qui non c’è tanto Gentile quanto Bottai che aveva posto, nella sua riforma, l’esigenza della apertura della scuola al mondo del lavoro. Eppure da allora sono passati oltre cinquant’anni! Ma nell’attuale “riforma” c’è proprio il riferimento al mondo del lavoro – inteso nella concezione gentiliana dell’“umanesimo del lavoro” – o semplicemente la terza i (= impresa) del programma sulla scuola di berlusconiana memoria? Altrettanto interessante è l’aver posto al centro della tema86
tica “morattiana” lo studente; ma siamo veramente certi che basta affermare la “centralità dell’allievo” perché si realizzi il modello pedagogico educativo-gentiliano che aveva fatto della scuola il luogo non solo di apprendimento e di arricchimento di conoscenze, ma anche il momento più alto di formazione dell’allievo oggi e del cittadino domani? L’inglese e l’informatica sono certo importanti discipline a condizione che tutto ciò si innesti sul tronco di una visione della scuola che, informando e formando, contribuisca alla crescita di una società non solo economicamente intesa, ma sia costruita per l’uomo nella sua vera dimensione. 12-4-2003
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GENTILE E MORATTI: QUALE CONTINUITÀ?
La “Riforma Moratti”, licenziata di recente dal Governo, affronta i problemi della scuola in tutto l’arco dell’istruzione. Un discorso, questo, che Gentile aveva, nel 1923, proposto con la sua grande “Riforma” che, collegandosi alla tradizione culturale-pedagogica italiana, aveva dato una dimensione ampia e risolutiva ai problemi della nostra scuola. Tant’è che è durata quasi ottant’anni ed al di là di interventi legislativi parziali ha rappresentato la struttura portante del nostro sistema scolastico. È venuto, poi, l’on. Berlinguer che, attraverso la politica del “carciofo”, ha cercato di cambiare – passo dopo passo – tutta l’architettura della scuola italiana, indicando nuovi obiettivi alla luce di una concezione culturale materialistica di impronta gramsciana. Ed inine l’attuale riforma Moratti che, riprendendo valori della nostra tradizione (recupero dell’importanza del liceo classico), rimuove alcuni elementi legislativi (“cicli scolastici”) per ridare alla scuola una certa “agilità ed agibilità” che – secondo i difensori della nuova “Riforma” – sarebbero stati compromessi dal “progetto” scolastico berlingueriano. A ciò si aggiunge l’anticipo dell’inizio dell’età scolare e il rapporto col mondo dell’impresa anche attraverso la previsione di “stages” per gli alunni nel corso dell’attività scolare. Senza ovviamente prescindere dall’introduzione di una nuova lingua straniera, sin dai primi gradi dell’iter scolastico, in aggiunta a quella esistente attualmente. E poi la presenza dell’informatica e di altre discipline (diritto, economia e ilosoia) nelle scuole dove, ad oggi, le stesse erano assenti. Ed inoltre i due canali paralleli: i licei e le scuole professionali. Un ruolo, poi, da assegnare alle Regioni anche in ordine a programmi. Una serie di elementi caratterizzanti la “Riforma” che presenta una certa globalità e sistematicità. 89
Ed è, a questo punto, che si pone ed impone una domanda: basta tutto ciò per considerare la “Riforma Moratti” all’altezza di quella di Giovanni Gentile? Certamente no, anche se non possono essere rilevati alcuni aspetti positivi presenti nel “progetto” morattiano. L’introduzione di discipline nuove come le lingue straniere, l’informatica, il diritto, la ilosoia in alcune scuole, il recupero parziale del valore del liceo classico, il rapporto tra scuola e mondo del lavoro, la prospettata meritocrazia ed il rilancio degli istituti professionali, oltre che il ruolo delle Regioni, non possono non essere segnalati come dati “in positivo”, anche se va veriicato, sul terreno della concretezza applicativa, la sinergia reale dei vari elementi modiicativi del precedente quadro legislativo. E poi chi può garantire che il progetto “morattiano” non sia condizionato da una “prospettiva” aziendalistica, che ben poco avrebbe a che vedere con una visione spirituale-umanistica quale è stata quella della scuola gentialiana? Ed a tal proposito, la concezione dell’uomo e della società che preigurava Gentile può essere mai lo stesso – sia pure nella considerazione del periodo storico diverso – di quello della Moratti, malgrado un certo recupero di valori e principi della tradizione classica da parte dell’attuale Ministro della P.I.? Il raccordo poi tra la tradizione e la modernità può essere colto nella nuova “Riforma”, ma in che misura la difesa delle nostre “radici” culturali ìuò essere garantita oltre la contingenza del tempo attuale? Ed allora, alla luce di questi interrogativi, sarebbe bene evitare di accostare la Riforma di Moratti a quella di Gentile che rappresentò per la nostra realtà culturale e didattica uno dei più importanti punti di riferimento, anzi uno dei momenti più rilevanti del nostro patrimonio che ha fatto della scuola l’elemento centrale della storia nazionale a partire dai grandi valori ed ideali del Risorgimento, ai cui principi pedagogici si venne a riferire il grande ilosofo di Castelvetrano nel suo grande progetto riformatore. 90
LA SCUOLA ATTUALE E LE RIFORME: DA GENTILE A GELMINI
La riforma Gelmini – ultima in ordine di tempi – sta cercando di dare una risposta ai tanti problemi della scuola. Un bilancio? Certo, un tentativo o meglio la volontà di dare alla istituzione “Scuola” una dimensione di serietà e rigore non è mancata… Troppi sfasci erano stati prodotti dal 1968 ad oggi: dall’esame di maturità-burletta all’attacco ai licei, ed in particolare al “classico” (deinito dal Ministro Berlinguer “corruttore”), dalla messa in discussione del “merito” in nome della scuola di “massa”, al mancato riconoscimento del valore del ruolo dei “docenti”, dalla proliferazione del numero di indirizzi degli istituti tecnici e dei licei alla situazione critica sull’università col numero esorbitante di corsi di laurea e con sprechi diffusi… Di qui l’esigenza di mettere un po’ di ordine nel “sistema” scuola! Ed i provvedimenti non sono mancati: dalla riduzione del numero dei licei o, meglio, degli indirizzi (da 510 a 9) dei licei che però diventano sei con l’aggiunta di “scienze umane” e “musicale-coreutico”, alla “revisione” degli esami di maturità, all’incidenza sulla valutazione del voto in condotta, al ritorno del “maestro prevalente, se non unico”, nella scuola elementare, e, in una parola, alla eliminazione, se non riduzione degli sprechi nel settore universitario con la contestuale introduzione di nuovi criteri per il reclutamento dei docenti… Sono questi, sia pure per sintesi, alcune iniziative legislative che ubbidiscono alla logica di riportare le categorie del rigore e del merito, oltre che della chiarezza, nella realtà della scuola. Ma tutto ciò può bastare per consegnare la politica scolastica della Gelmini alla storia delle vere ed organiche riforme che hanno in quella del Gentile del 1923 alcuni dei pilastri fondamentali della storia della scuola italiana? Oltre al taglio indiscriminato in segmenti delicati della scuola, come in quello elementare o materno o della 91
media in zone oltremodo precarie sul piano sociale, presenti soprattutto nel Sud, con incidenza notevole sul piano occupazionale per migliaia di docenti, senza tenere conto dei rilessi pesanti sul reddito di numerose famiglie, soprattutto in Calabria ed in Sicilia, una domanda si impone: tutti i provvedimenti o gran parte dei provvedimenti dell’attuale Governo in materia scolastica a quale logica ubbidiscono? Esiste cioè, come nella Riforma Gelmini, un “progetto” pedagogico che sappia coniugare istruzione ed educazione, scuola e società, oppure tutto si muove secondo l’ottica di una scuola in funzione della “realtà dell’azienda”, nel segno e nel senso della scuola che deve offrire al mondo “aziendale” la risposta idonea al fabbisogno dello stesso? Ma un Ministro, negli anni ’40, non si era posto – si chiamava Bottai –, con una sua riforma, il rapporto tra scuola e lavoro? Ma, al di là di questo richiamo storico, nella Riforma Gelmini il tema della “formazione” educativaculturale ed ovviamente sociale che posto occupa? Viene prima o dopo quello che attiene all’obiettivo dell’azienda? C’è in una parola, nella Riforma Gelmini quel “disegno pedagogico” che ha caratterizzato le grandi le grandi Riforme – dalla Casati del 1859 alla Gentile del 1923 – che si ispiravano ai valori del nostro patrimonio storico-culturale, che ha nella pedagogia del Risorgimento (siamo nel 150° dell’Unità italiana!) il suo “punto centrale”, il suo ‘ubi consistam’; idoneo a dare identità – attraverso il principio dell’istruzione-educazione – al nostro popolo… Qualche o più di qualche perplessità nutriamo al riguardo non essendo suficiente che alcuni provvedimenti adottati in tempi diversi e senza sintonia tra gli stessi possano essere il prodotto di un piano di indirizzo pedagogico che ponga al centro l’importanza “essenziale” dell’allievo che, attraverso l’acquisizione di conoscenze e di principi educativi, sappia contribuire ad offrire un apporto serio e qualiicato alla società di oggi e a quella di domani, dando risposte ai cambiamenti non solo nazionali, ma anche europei, dal momento che le frontiere del nostro Paese si sono giustamente aperte a tutti i cittadini del nostro continente. 3-7-2010 92
IL MESSAGGIO SOCIALE NEL PENSIERO DI GIOVANNI GENTILE
L’idealismo è quell’importante corrente di pensiero che pone all’origine della realtà l’azione “produttiva” del soggetto (IO o IDEA). Un processo, questo, che avviene “triadicamente” (Tesi-Antitesi-Sintesi) e che, dialetticamente, si esprime nella “produzione” (non “creazione” che è un concetto cristiano) della realtà medesima. I critici di questa scuola di pensiero la accusano di “astrattezza” o “astrazione” non riuscendo a conigurare come si possa riuscire a “produrre” la realtà – quella davanti a noi – attraverso un’operazione di mero pensiero. Al punto che MARX, riprendendo il discorso di Fuerbach secondo cui Hegel “pone l’uomo sulla testa”, ritiene sia necessario rimettere l’uomo a “reggersi sui piedi”. Un richiamo cioé alla ilosoia della concretezza anche nella prospettiva di “cangiare il mondo” e non solo di “interpretarlo”. Un’accusa, perciò, di “astrattezza” nei riguardi di una ilosoia da cui però il marxismo aveva mutuato, tra l’altro, l’adozione del principio della dialettica da applicare non solo al pensiero, ma alla realtà. Resta però l’accusa nei confronti dell’Idealismo non tanto nei riguardi del modo di “produrre” la realtà, ma soprattutto in riferimento all’aspetto socio-economico della realtà medesima. È vero – per quanto concerne l’Idealismo italiano – che CROCE aveva inserito il “grado economico” all’interno dell’attività pratica secondo l’articolazione del suo pensiero in “attività teoretica” (conoscenza) e “attività pratica” (volontà), ma, malgrado ciò, restava inalterato il giudizio sulla mancanza di una proposta sociale nel contesto del pensiero idealistico. Ma ciò è realmente vero?
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Questione sociale Ed, in particolare, a proposito del pensiero di Giovanni Gentile c’è in esso posto per la “Questione sociale”? Al quesito si può rispondere che Gentile non avrebbe potuto, nel 1899, a soli 24 anni, pubblicare un volume sulla “Filosoia di Marx” se non avesse coltivato – sin dai primi momenti del suo cammino speculativo – un interesse per le problematiche sociali e per le forze presenti all’interno della società verso cui Marx, attraverso il “Capitale” ed altri suoi scritti, aveva indirizzato la sua analisi. Ed è questo volume del Gentile che – come rileva lo stesso Lenin – era stato “additato tra gli studi più notevoli che intorno a Marx avessero compiuto “ilosoi non marxisti”. Gentile nella sua analisi sulla ilosoia di K. Marx aveva, in sintonia con la posizione del Labriola, affermato che il “materialismo storico” costituiva una vera “ilosoia della storia”, cosa su cui il CROCE non era d’accordo “proclamando” che “non è una ilosoia della Storia”. Resta comunque l’importanza di questo giovanile lavoro del Gentile che lo impone all’attenzione degli studiosi del marxismo, anche se ovviamente il ilosofo aveva considerato il “materialismo storico uno dei più sciagurati deviamenti del pensiero hegeliano”. Un suo discepolo, Ugo SPIRITO, riteneva, a torto, che nello studio del Gentile sulla Filosoia di Marx ci fossero state le premesse per uno sviluppo ulteriore in termini marxistici del suo pensiero. Ed attribuisce al Padre dell’Attualismo la “non conclusione” in ordine al mancato approdo al marxismo a causa del fatto che Gentile abbia deciso di abbandonare gli studi marxisti ed i problemi sociali e sociologici dallo stesso affrontati. Una tesi, questa, che non teneva non solo conto del riiuto da parte del Gentile del “principio della lotta di classe”, caposaldo del marxismo storico e della presenza di una profonda visione spirituale nel pensiero attualistico gentiliano. E se Ugo Spirito, padre del “Problematicismo”, è potuto approdare dal “Corporativismo” al “Comunismo”, ciò non era possibile avvenisse in Gentile che aveva in sé, sempre presenti, i valori di una 94
“religiosità” non astratta, ma legata ad una tematica religiosa che trova nel suo “Perché non possiamo non dirci cattolici” la sua ragion d’essere, il suo ubi consistam. Certo, uno dei problemi di tutto l’Idealismo è costituito dall’elemento “immanentistico” caratterizzante questa scuola di pensiero, ma ciò non toglie che i valori della spiritualità stiano alla base di tutta questa corrente che si può e deve iscrivere nel grande ilone dello spiritualismo. “L’individuo” gentiliano Basti pensare al concetto di individuo: “l’individuo umano non è atomo. Immanente al concetto di individuo è il concetto di società”. Un punto fermo, questo, che richiama un altro concetto, quello della società “in interiore homine”: si sente qui la presenza della lezione agostiniana. “In interiore homine habitat veritas”. In questo concetto di società gentiliana c’è l’incontro dell’io con l’alter che salda il sociale allo “spirituale”... È su questo terreno che si muove il pensiero del ilosofo di Castelvetrano che, anche nei momenti più dificili della storia d’Italia, si assume le proprie responsabilità a costo di rischiare la propria vita. Come accadde il 24 giugno 1943 quando tenne in Campidoglio il famoso discorso sulla “paciicazione” degli Italiani. Era un momento, quello, in cui la nostra comunità umana, la Nazione italiana, lo Stato si trovavano in un passaggio storico-militare dificile. Ormai la guerra volgeva verso la sconitta. Bene, in quella circostanza, Egli non si tirò indietro. Ed il suo appello era rivolto a tutti gli Italiani, senza distinzione di partito o di fazioni, in nome della Patria immortale. In difesa dello Stato, che, mentre i governi passano, continua a restare nel susseguirsi delle generazioni. Perché lo Stato è – così lo deinisce il ilosofo – “il volere come volere comune ed universale”. Bene, in quel discorso in Campiglio, Egli si rifece alla Storia d’Italia, richiamando “l’antica voce dei Padri del Risorgimento... la voce dei Profeti della Patria”. 95
Il tema del corporativismo E nel contesto di quel discorso Egli colloca il tema del “Corporativismo” così espresso: “Tutti i popoli, si può dire, si orientano ormai verso questo ideale dello Stato corporativo, che è in cammino. Processo di formazione dificile, che oggi è appena al suo inizio”. E continua: “Ma (i popoli) sentono tutti che esso è l’avvenire. Si modiicherà, si snellirà facendosi sempre più aderente alla realtà sociale, ed economica; ma tornare indietro è impossibile”. E rivolgendosi ai comunisti: “Chi parla oggi di comunismo in Italia è un corporativista impaziente delle more necessarie di sviluppo di un’idea che è la correzione tempestiva dell’utopia comunista e l’affermazione più logica e perciò più vera di quello che si può attendere dal comunismo”. Come si può rilevare il Gentile aveva evidenziato come il comunismo restava – ed il futuro lo ha veriicato – un’utopia se non si fosse evoluto, se non avesse assunto forme e signiicato diverso rinunciando ovviamente alla “lotta di classe”. Ed il corporativismo aveva in sé tutti gli elementi per offrire la soluzione dei tanti problemi della società di ieri e di oggi. E Gentile poi allargava lo sguardo all’Europa che avrebbe “ritrovato se stessa, la sua forza e la missione direttiva nel mondo, quando si sarà resa conto di quel profondo principio di vita che è nel regime corporativo”. Una prospettiva, quella del Corporativismo, che, durante il ventennio, non si è realizzato (“processo di formazione dificile”; oggi è appena al suo inizio) se non in piccola parte, ma che resta un sistema economico che ha – come partecipazione – le sue profonde radici nell’analogo “corporativismo cristiano” contenuto nelle encicliche sociali della Chiesa a partire dalla “Rerum novarum” di Leone XIII del 1891. Altro che – come oggi afferma stranamente qualche settore della Destra italiana che alla dottrina di Gentile dovrebbe rifarsi – corporativismo come sinonimo di “settorialismo” o di “particularismo”! Ciò dovrebbe essere respinto non solo in termini di deinizione (corporativismo deriva da corpo, 96
accorpare, accorpamento), ma anche sotto il proilo dei contenuti (partecipazione). Eppure si continua a contrabbandare per realtà parziale e settoriale ciò che invece è riferito al “tutto”! E la risposta la dà lo stesso Gentile: “Lo Stato corporativo risponde all’esistenza di una rappresentanza organica che già da mezzo secolo si faceva strada nella più illuminata corrente dello stesso liberalismo” (G.M. Pozzo). Ecco delineato, in sintesi, uno dei sistemi – quello “corporativo” – attraverso il quale il ilosofo si pone la questione di affrontare – con buone possibilità risolutive – la questione sociale cui Egli faceva riferimento senza astrazioni o fughe dalla realtà! L’umanesimo del lavoro Ma il vero “manifesto” del pensiero sociale del Gentile si trova contenuto nel volume “Genesi e struttura della società” pubblicato postumo. Gentile infatti viene assassinato il 15 aprile 1944 in Firenze, e certamente alla sua ine avrà contribuito il “discorso in Campidoglio” dall’anno precedente. Perché alcune forze, ed in particolare la sinistra estrema comunista, non potevano accettare che si pervenisse al rasserenamento degli animi, alla paciicazione degli Italiani. Perché Gentile rappresentava l’intellettuale onesto, l’Uomo buono, l’elemento della paciicazione! Occorreva toglierlo di mezzo per dare corso alla “guerra civile”! Ebbe però il tempo di attendere ad un lavoro di grande interesse culturale, di grande signiicato ilosoico. Nel dattiloscritto di “Genesi e struttura della società” non si trovava il segno della benché minima correzione e ciò testimoniava dell’alto livello di perfezione cui era pervenuto il pensiero socio-culturale del Filosofo che già nel Corporativismo, inteso nell’accezione più nobile ed autentica, aveva affermato il ruolo del lavoratore come “protagonista” della propria storia sociale attraverso l’istituto della “socializzazione dei mezzi di produzione”, “idea di socializzazione” che – come sottolinea Antonio Fede – “non venne mai ap97
plicata nei paesi comunisti”. Tant’è che qualche studioso per deinire la dimensione sociale del pensiero di Gentile parla di lui come del “vero Marx del XX secolo” senza ovviamente il ricorso né alla “lotta di classe” né alla “dittatura del proletariato”! Nel pensiero sociale del Gentile sono presenti gli elementi della sua concezione spirituale dell’esistenza e soprattutto la centralità del lavoratore che non può né deve essere inteso come oggetto o strumento o “mezzo” del processo produttivo, ma protagonista della propria storia e del lavoro lavoro. Anzi “ogni lavoratore è faber suae fortunae, anzi suae ipsius”! Lavoro e cultura Sono, queste, parole che testimoniano di come il “lavoro” viene elevato a livello di “nobiltà morale”, superando così lo storico dualismo – lavoro intellettuale e lavoro manuale – “che certe dottrine materialistiche avevano teorizzato! Anzi...” Gentile così si esprime: “All’umanesimo della cultura, che fu pure una tappa gloriosa della liberazione dell’uomo, succede oggi o succederà domani l’umanesimo del lavoro”. Un notevole passo in avanti che deriva dal fatto che “la creazione de la grande industria e l’avanzata del lavoratore nella scena della grande storia ha modiicato il concetto di moderno della cultura”. Sì, del lavoro che incontra la “cultura” affrancandosi da condizionamenti di ordine meramente materiale e cogliendo valori di ordine spirituale che lo elevino al “regno dello spirito”. “Da quando lavora, l’uomo è uomo, e s’è alzato al regno dello spirito, dove il mondo è quello che egli crea pensando: il suo mondo se stesso”. Si riscontra una certa sintonia con la grande intuizione contenuta nell’ultima enciclica “Caritas in ventate” di Benedetto XVI; un documento di alto signiicato sociale dove si legge che “l’uomo infatti è l’autore, il centro ed ine di tutta la vita economico-sociale”. Siamo qui di fronte al lavoratore-uomo, al soggetto, al “faber suae fortunae”! Ed anche quanta analogia tra il gentiliano “l’individuo umano non 98
è atomo” e le parole chiare della citata enciclica “l’uomo non è un atomo sperduto in un universo casuale, ma è una creatura di Dio...”! Ritornando all’“Umanesimo del lavoro” come non si può non rilettere su questo rilievo in termini di dignità del lavoro laddove si legge “Bisognava che si riconoscesse anche al lavoratore l’alta dignità che l’uomo pensando aveva scoperto nel pensiero”. Ed ancora: “Bisognava che pensatori e scienziati si abbracciassero coi lavoratori in questa coscienza della umana universale dignità”. E non può Lino Di Stefano – studioso del pensiero gentiliano – esimersi al riguardo dal dire che “l’umanesimo gentiliano si prospetta come il miglior frutto del nostro tempo con implicazioni che si propagano ‘alteri saeculo’”. E qui infatti che “l’homo sapiens e l’homo faber sembrano poter trovare – secondo Gianni M. Pozzo - la loro intima concelebrazione ed il loro reciproco inveramento”! Ed inine una illuminante verità: “L’uomo reale, che conta, è l’uomo che lavora, e secondo il suo lavoro vale quello che vale. Perché è vero che il valore è il lavoro; e secondo il suo lavoro qualitativamente e quantitativamente differenziato l’uomo vale quel che vale”. Quanta chiarezza di rilessioni, quanta modernità di pensiero, quanto rilievo dato alla nobiltà ed alla spiritualità! Certo, spiritualità che segna il netto distacco tra l’umanesimo gentiliano e quello marxista incentrato sulla lotta di classe e sulla dittatura del proletariato! Teologismo mistico? E l’attacco che uno studioso del pensiero marxista, Fortunato Brancatisano, porta a questa parte sociale del Gentile, accusato di “teologismo mistico”, viene motivato col fatto che “l’esperienza religiosa tratta dall’Umanesimo del lavoro” e la “trascendenza è sempre presente” per cui – in “Genesi e struttura della società” – non vi è “una rivalutazione dell’esperienza religiosa, ma una sua pedissequa ripetizione”, così come “la personalità del singolo è sempre ingoiata dalla società tra99
scendentale”. Un giudizio, questo, ovviamente negativo proveniente da chi nel nome e secondo la dottrina del marxismo, associato al pensiero di Dewey, non crede nei valori religiosi né in alcuna trascendenza al punto che ingenerosamente accusa il Gentile di “essere servizievole al cristianesimo cattolico, alla tradizione sovrana del Cristianesimo”. Ciò non risponde al vero ove si tenga conto della posizione critica assunta da Gentile nei confronti del Fascismo in occasione dei “Patti lateranensi” del 1929. Religione e ilosoia Certo in Gentile l’elemento religioso – senza clericalismi di sorta – caratterizza tutta la sua vita ed il suo pensiero: basti pensare al valore pedagogico dallo stesso dato all’insegnamento della religione, soprattutto come fatto formativo nell’età evolutiva dell’allievo; o all’introduzione – non per mero bigottismo – del crociisso nella aule scolastiche! E lo stesso vale per la dimensione spirituale data al concetto di lavoro, al suo associarlo alla cultura e alla dignità allo stesso conferito. Ed è anche alla luce di queste rilessioni che Vito A. Bellezza rileva che in “Genesi e struttura” “sentiamo aleggiare lo spirito del Cristianesimo come esperienza di vita e azione”, mentre Giuseppe Calogero si richiama alla “concezione etica e religiosa della storia” che “è la base indistruttibile e l’essenza più vera ed eterna della ilosoia gentiliana”. Una conclusione, questa, che, muovendo dal lavoro ed elevando il lavoro alla nobiltà della cultura, viene – e l’una e l’altro – a sostanziarsi di valori religiosi per sfociare nella storia che in Gentile non può né deve essere se non storia della ilosoia. Ecco così raggiunto l’acme del pensiero che, dispiegando la propria attività e ponendo se stesso, produce la realtà! Con buona pace di chi, su posizioni prevenute, si trincera dietro la aprioristica tesi dell’astrazione o astrattezza del pensiero idealistico! 100
GENTILE ED IL RISORGIMENTO
La posizione del Gentile rispetto al Risorgimento trova origine nel suo concetto di storia e nel rapporto di questa con la Filosoia. L’analisi dei fatti storici non può che essere intesa come la valutazione di eventi prodotti dall’uomo e dall’uomo vichianamente conosciuti (“verum ipsum factum”). È in fondo, questa, l’essenza della sua concezione “attualistica” secondo cui il pensiero nel momento in cui “pone” se stesso “produce” la realtà. Il pensiero-spirito, in una parola, non può concepirsi se non diventa realtà! Ed il Risorgimento in quest’ottica viene “visto” da un’angolazione meramente spirituale, di uno spirito che è “pensiero”, ma che si traduce nella mazziniana “azione”. Ed è infatti che Gentile si ritrova nell’Apostolo genovese del quale Egli sottolinea la dimensione religiosa del grande disegno costituito dalla Nazione Italiana da realizzare. Ma – secondo il Mazzini – la Nazione non può essere intesa come un insieme di valori (lingua, territorio, razza), elementi necessari, ma insuficienti – ad avviso dello stesso Gentile – senza un costante e deciso impegno che, attraverso l’azione, porti al raggiungimento del comune obiettivo dell’unità ed indipendenza italiana. E la Nazione italiana trova nella lingua, territorio e razza solo degli “indizi” di essa, “mal fermi quando non sono collegati tutti e richiedenti ad ogni modo conferma dalla tradizione storica, dal lungo sviluppo di una vita collettiva contrassegnato dagli stessi caratteri”. Ed aggiunge che, perché ci sia Nazione, è necessario che ci sia “un intento comune”, un “ine”, una “missione” che “organizza in modo positivo e dà unità e forza effettiva e dinamica alla collettività”. In una parola: “un pensiero comune, un ine comune, un diritto comune che formano l’unità del gruppo”. 101
E tutto ciò non avviene per caso, questi elementi “non sono dati di fatto, sono azione, creazione di realtà storica”. Ed è alla luce di questi principi mazziniani che Gentile riafferma il valore “religioso” dell’impegno risorgimentale, tant’è che “anche la nazionalità”, nella logica mazziniana “non è un diritto di cui si partecipi al nascere, ma una missione, un dovere, un ideale, da conquistare con l’azione, con la vita e con la morte”. E dirà ancora: “La nazionalità è quella che l’uomo porta nel suo petto, e sente come l’umanità concreta che lo sostiene di dentro; come quel respiro che forma la sua religiosa essenza. Questa è la verità della formula Dio e popolo”. Ecco il senso della visione religiosa del Mazzini: “La vita è dovere, ed è dovere perché libertà; ed è libertà perché spirito”. Quindi Dio! Ed il Gentile – soprattutto nel suo prezioso volume “I profeti del Risorgimento italiano” –, oltre a mettere al centro del processo risorgimentale, la igura del Mazzini con la sua visione della “vita come missione”, dell’impegno visto in chiave “religioso-umanitario”, del dovere come elemento-base del diritto, non può non evidenziare il ruolo del Gioberti e delle sue proposte in termini “cattolici” della soluzione della “Questione risorgimentale”. Certo, il Cattolicesimo del Gioberti non è – dirà Gentile – il “cattolicesimo papale” perché “è il sistema della religione in cui convergono tutte le religioni positive, se liberate da quegli elementi negativi per cui esse sono in contrasto tra di loro”, aggiungendo che “la storia del Gioberti è storia dello sviluppo dello spirito, come coscienza della verità e libera realizzazione dei propri ini”. Ed è “non la storia idealizzata, ma la storia qual è nella dialettica immanente delle sue forze”. Ed è in questo quadro che si colloca la posizione del Gioberti col suo “disegno tetrartico” (le quattro monarchie “civili e sorelle”: Piemonte, Toscana, Roma e Napoli) per cacciare “l’aborrito Austriaco”, anche se Egli non può – nel “Primato” – non riconoscere che l’Italia deve recuperare innanzi ad ogni altra cosa la sua vita come nazione e che la vita nazionale non può avere luogo senza l’unione politica fra le varie membra di casa”. 102
Una convergenza quindi, sia pure da posizioni diverse e con la coscienza che senza un’unità d’intenti profondamente permeata di spirito religioso, come supporto indispensabile per realizzare la “rivoluzione italiana”, espressione quest’ultima adoperata dal Manzoni come “rivoluzione spirituale” per riportare “l’intelligenza alla serietà religiosa della vita”, non si sarebbe potuto realizzare il grande sogno dell’UNITÀ italiana. Unità certamente da associare al valore dell’INDIPENDENzA e alla LIBERTÀ”. A proposito di quest’ultima – Libertà – il Gentile “liberale postrisorgimentale” (così è stato deinito il Filosofo), in polemica nei confronti di una certa versione fuorviante del “liberalismo”, così si esprime: “Altro è la libertà, altro il liberalismo: quella è eterna, questo non si può irrigidire in una forma storica senza vuotarsi del suo spirito originario…”. Ed aggiunge: “La sola libertà che esista, l’eterna libertà … è dello spirito nella sua vita interiore”. Ed è sulla spinta di queste motivazioni culturali, storicoreligiose che il Gentile sostiene nei suoi scritti e nella sua operosa attività di pensatore il valore del Risorgimento che, sia pure ad opera dell’azione trainante di minoranze eroiche e generose, capaci di coinvolgere – in mezzo a grandi dificoltà – ambienti diversi della nostra realtà socio-territoriale e culturale, fu “la rivelazione di tutte le virtù latenti di questo popolo antico e sempre giovane, sopravvissuto alla divisione ed alla servitù politica per la forza del suo intelletto, per l’irriducibile coscienza della sua unità, per l’incontenibile slancio del suo spirito, ansioso sempre di venire a vita di Stato, e di essere ancora e sempre Italia”. Queste parole il Filosofo le pronunciò, nel 1944, in un momento dificile della Storia del nostro Paese. Sono parole che affondano le radici nel nostro patrimonio storico-morale di cui il Risorgimento, come “il fatto più cospicuo e caratteristico, più appariscente della storia italiana del XIX secolo”, è l’espressione più alta ed autentica. Quel Risorgimento che Egli, con rigore storico-scientiico analizza sempre nel volume “I profeti del Risorgimento” dove – oltre al generoso sacriicio di 103
Mameli, “il martire più puro”, e al pensiero politico-religioso del Gioberti – deinisce gli arteici maggiori dell’Unità italiana: Mazzini, Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele. È questo il suo “canone quadrunvirale”: si tratta di “quattro uomini, quattro anime, quattro modi di pensare e di sentire. Se uno solo di essi fosse mancato, l’Italia non si sarebbe fatta. La meta comune a tutti e quattro non si sarebbe raggiunta”. E così si è realizzato, grazie a questi uomini ed al sacriicio di migliaia di patrioti e di martiri “il miracolo – così lo chiama uno storico attuale – del Risorgimento”. Un evento storico di grande rilievo cui gli Italiani devono sentirsi legati perché costituisce la conclusione di un lungo e dificile processo di riscatto nazionale e morale.
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APPENDICE SULLA DISCRIMINAzIONE TELEVISIVA NEI CONFRONTI DI G. GENTILE (Interrogazione dell’on. Aloi al Ministro delle Poste e Telecomunicazioni)
“Al Ministro delle poste e delle telecomunicazioni. – Per sapere – con riferimento al programma della terza rete televisiva della RAI, che andrà in onda, in otto puntate, a decorrere dal 10 febbraio 1984, riguardante l’illustrazione della ilosoia e l’azione dei massimi pensatori del nostro tempo: i motivi per cui, da parte dell’Ente televisivo, non è stata prevista una puntata, dedicata al ilosofo Giovanni Gentile, che, con la sua dottrina attualistica, tanto rilievo è venuto ad assumere nel campo del pensiero, determinando un sempre crescente interesse sotto il proilo speculativo-culturale; se non si debba ritenere di dovere uscire da certe logiche di angustia culturale, portate avanti da una RAI che, malgrado accumuli deicit enormi incidenti sulla collettività, offre servizi pervasi di discriminazione, non contribuendo in alcun modo ad alcun processo di promozione culturale; se non ritenga di dovere intervenire richiamando al rispetto dei principi di correttezza e di scientiicità la RAI di modo che si debba, da parte della RAI medesima, inserire nel programma suddetto una parte dedicata ad uno dei più grandi ilosoi dell’idealismo italiano, evitando così che si possa, attraverso assurde omissioni, recare offesa alla obiettività di informazione ed alla cultura”. On. Aloi ed altri La risposta del Ministro delle Poste e Telecomunicazioni “Al riguardo occorre premettere, in via generale, che non rientra fra i poteri del Governo quello di sindacare l’operato 105
della RAI sul contenuto programmatico delle trasmissioni. È noto, infatti, che la legge 14 aprile 1975, n. 103, recante nuove norme sulla diffusione radiofonica e televisiva, ha sottratto la materia dei controlli sulla programmazione alla sfera di competenza dell’autorità governativa, conferendola alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, la quale formula gli indirizzi dei vari programmi e ne controlla il rispetto, adottando tempestivamente, se del caso, le deliberazioni necessarie per la loro osservanza. Ciò risulta testualmente dall’art. 4 della predetta legge, il quale richiama il precedente art. 1, ove sono enunciati i principi d’indipendenza, di obiettività e di apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, cui deve essere fondamentalmente ispirato il servizio pubblico radiotelevisivo. Trattasi quindi di una innovazione acquisita al nostro ordinamento ed il Governo non può non essere rispettoso della riserva i competenza attribuita alla Commissione parlamentare anzidetta. Nondimeno, allo scopo di poter acquisire elementi di valutazione in merito a quanto rappresentato dalla S.V. On.le, è stata interessata la Concessionaria RAI, la quale ha precisato che la prima serie di ‘Ritratti di ilosoi del Novecento’; messa in onda dalla 3ª rete TV a cura del Dipartimento Scuola Educazione, non intendeva essere una rassegna esauriente e completa dei maggiori pensatori del nostro secolo. Per lo scopo didattico cui la trasmissione era inalizzata, ovvero quello di favorire un primo approccio allo studio della ilosoia come momento di rilessione sul vivere sociale, si è, pertanto, ritenuto di preferire autori e teorie ilosoiche di più immediata comprensione, dato il loro più evidente nesso con la realtà attuale. Per questo motivo il programma non ha preso in esame ilosoi della levatura di Gentile, di Sartre, di Heidegger, di Marcuse, Jaspers o di Witgenstein poiché attualismo, marxismo classico, esistenzialismo, scientismo tecnicistico poteva106
no apparire, nella prima fase, come teorie circoscritte a periodi storici ben deiniti che, quindi, non avrebbero consentito riferimenti alla realtà quotidiana. D’altra parte gli otto pensatori presi in esame nella suddetta serie televisiva appartengono a varie correnti: Weber e Croce possono, infatti, essere annoverati fra i liberali aperti alle esigenze ed alle prospettive del nostro tempo, Kelsen può essere considerato un socialdemocratico, Gramsci e Lukacs marxisti, Schmitt conservatore, mentre Habermas e Luhann, tuttora viventi, sono studiosi della società post-industriali. Nessuna “discriminazione”, pertanto, sembra essere stata operata dalla Concessionaria nella predisposizione delle tematiche da trattare, considerata, altresì, la inalità della trasmissione che, si ripete, non si preiggeva l’ambizioso obiettivo di esaminare tutte le correnti del pensiero contemporaneo. Per quanto riguarda, inine, i professori chiamati a collaborare al programma, di diversa formazione ideologica, ma tutti di chiara fama ed ugualmente noti per l’impegno e lo studio dedicati agli argomenti scientiici discussi, si ritiene che una siffatta qualiicata partecipazione possa essere considerata una valida garanzia per la molteplicità delle tematiche teoriche presentate e l’imparzialità con cui le stesse sono state affrontate”. il Ministro 10 maggio ’84
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IN PARLAMENTO LO SCANDALO DELLA LAPIDE-FARSA PER GENTILE Interrogazione di Malgieri e Aloi: «Il Filosofo non fu mai razzista»
ROMA. La «farsa» della commemorazione «con riserva» del ilosofo Giovanni Gentile da parte dell’Università di Pisa sta scatenando polemiche non solo nel mondo della cultura, ma anche in quello politico. C’è il nipote del ilosofo, che intende afidare la questione al legale di famiglia. Ci sono Indro Montanelli e Sergio Romano, che insorgono con forza. Marcello Pera, senatore di Forza Italia, vuol fare approdare la vicenda in Parlamento. A mettere nero su bianco sono i deputati di An, Gennaro Malgieri e Fortunato Aloi, in una lunga e articolata interrogazione rivolta ai ministri dell’Università della Ricerca scientiica e della Pubblica Istruzione. Con la lapide all’Università di Pisa – affermano – si è doverosamente ritenuto di onorare il ilosofo Giovanni Gentile, laureato, professore e rettore presso la detta Università, e nei cui confronti non si può fare a meno di riconoscere che il Padre dell’«Attualismo» è stato «profondo innovatore del pensiero ilosoico italiano, intellettuale e infaticabile organizzatore di cultura sul piano nazionale e della sede universitaria pisana». Ma il testo della lapide – osservano Malgieri e Aloi – si conclude con uno strano “post scriptum… dove, esprimendosi valutazioni sul fascismo, si vuole coinvolgere, in termine di razzismo e di autoritarismo, in quanto «consapevole sostenitore», il Gentile, che non solo non accettò assolutamente l’assurda logica delle discriminazioni e persecuzioni, anzi si batté perché non venissero emarginati e discriminati intellettuali di grande levatura appartenenti a culture e nazionalità diverse. A questo punto i due deputati di An chiedono ai ministri se non ritengano che una lapide, come nel caso in questione, dovrebbe limitarsi a valutazioni di qualità di ordine scientiico e 109
culturale che hanno fatto e fanno del ilosofo di Castelvetrano una delle massime espressioni della Cultura di tutti i tempi, avendo tra l’altro dato vita ad iniziative di altissimo livello che – vedi l’Enciclopedia italiana «Treccani» – hanno visto la collaborazione di studiosi di ogni estrazione culturale e politica, per cui l’accusa di razzismo mossa al Filosofo è assurda anche e perché egli, in momenti dificili della storia italiana, non solo sollecitò ed ottenne, nella stragrande maggioranza dei casi, la collaborazione di tanti intellettuali – su posizioni culturaliideologiche diverse – ma li difese da ogni forma di intolleranza e di persecuzione; se non ritengano inine che – sia pure nel rispetto dell’autonomia che sta alla base dell’istituzione Università – «non si possa in nome di princìpi che nulla hanno a che vedere con la Cultura e la Scienza, alterare profondamente i valori scientiici di un ilosofo e pedagogista che, oltre ad avere attuato una delle più importanti riforme della scuola italiana, ha dato all’Italia l’apporto qualiicante della propria intelligenza speculativa, pagando socraticamente, per il suo senso di libertà e di dignità intellettuale e morale, il più alto prezzo, qual è quello del sacriicio dezlla propria vita. 30-9-2000
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SOLLECITO RISPOSTA INTERROGAzIONE
Per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo (ore 17,55). FORTUNATO ALOI. Chiedo di parlare. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. FORTUNATO ALOI. Signor Presidente, intervengo per pregare la Presidenza di sollecitare una risposta ad una interrogazione presentata dal sottoscritto e dall’onorevole Malgieri in ordine ad una vicenda che sta interessando in queste ore la pubblica opinione, il mondo della cultura e il mondo scientiico, quella della lapide a Giovanni Gentile dell’università di Pisa. Il signor Presidente ha letto, da attento lettore di quotidiani, che oggi l’università di Pisa, malgrado le reazioni scatenate dalla decisione di apporre una lapide all’università stessa in ricordo di Giovanni Gentile, studente, professore e anche rettore di quell’università, continua nel suo intento di apporre una lapide stranissima, perché pur esaltando il ilosofo, con riserve di ordine storico e con valutazioni offensive rispetto al contenuto della lapide stessa. PRESIDENTE. Onorevole Aloi, io capisco tutto, ma lei non può, in assenza del Governo, svolgere una interrogazione, ma solo sollecitarla. FORTUNATO ALOI. Non sto svolgendo l’interrogazione, ma sto riportando alcuni elementi della stessa afinché la si possa identiicare, e soprattutto perché si dia il vero signiicato alla questione trattata, che non concerne soltanto un fatto epi111
sodico, ma un argomento che interessa il mondo della cultura. È infatti evidente che, rispetto alla igura di Giovanni Gentile, non si possano assumere atteggiamenti « snobbanti » o faziosi del tipo di quelli assunti dall’università di Pisa nei confronti di quello che è stato forse il più grande ilosofo – assieme a Benedetto Croce – di questo secolo! PRESIDENTE. La presidenza interesserà il Governo. C.D. 20 ottobre 1999
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INTERROGAzIONE A RISPOSTA SCRITTA
ALOI e MALGIERI – Al Ministro dell’Università e della ricerca scientiica e tecnologica – Per sapere – premesso che: recentemente è stata apposta una lapide all’università di Pisa con cui si è doverosamente ritenuto di onorare il ilosofo Giovanni Gentile, laureato; professore e rettore presso la detta università nei cui confronti non si può fare a meno di riconoscere che il padre dell’«Attualismo» è stato profondo innovatore del pensiero ilosoico italiano intellettuale ed infaticabile organizzato di cultura sul piano nazionale e della sede universitaria pisana; il testo della lapide si conclude con uno strano «post scriptum» dove, esprimendosi valutazioni sul fascismo, si vuole coinvolgere in termini di razzismo e di autoritarismo, in quanto «consapevole sostenitore», il Gentile, che non solo non accettò assolutamente l’assurda logica delle discriminazioni e persecuzini, anzi si batté perché non venissero emarginati e discriminati intellettuali di grande levatura appartenenti a culture e nazionalità diverse –: se non ritengano che una lapide, come nel caso in questione, dovrebbe limitarsi a valutazioni di qualità di ordine scientiico e culturale che hanno fatto e fanno del ilosofo di Castelvetrano una delle massime espressioni della cultura di tutti i tempi, avendo tra l’altro dato vita ad iniziative di altissimo livello che – vedi l’Enciclopedia Italiana «Treccani» – hanno visto la collaborazione di studiosi di estrazione culturale e politica, per cui l’accusa di razzismo mossa al ilosofo è assurda anche e perché egli, in momenti dificili della storia italiana, non solo sollecitò ed ottenne nella stragrande maggioranza dei casi, la collaborazione di tanti intellettuali su posizioni culturaliideologiche diverse, ma li difese da ogni forma di intolleranza e di persecuzione; 113
se non ritengano inine che sia pure nel rispetto dell’autonomia che sta alla base dell’istituzione – università – non si possa in nome di Principi che nulla hanno a che vedere con la cultura e la scienza alterare profondamente i valori scientiici di un ilosofo e Pedagogista che, oltre ad avere varato una delle più importanti riforme della scuola italiana, ha dato all’Italia l’apporto qualiicante della propria intelligenza speculativa pagando socraticamente, per il suo senso di libertà e di dignità intellettuale e morale, il più alto prezzo, quale è quello del sacriicio della propria vita. (4-30510) 26-6-2000 Risposta del Ministro della P.I. Con riferimento al su indicato atto di sindacato ispettivo, si rappresenta quanto segue. Gli Onorevoli interroganti hanno segnalato la questione connessa alla lapide commemorativa del ilosofo Giovanni Gentile che l’Università di Pisa, la quale lo annoverò tra i suoi laureati e poi tra i professori, intendeva apporre nei propri locali per ricordarne la igura. Peraltro, il testo proposto dalla commissione incaricata di elaborare la scritta commemorativa ha suscitato grandi polemiche, sia tra la cittadinailza sia tra numerose organizzazioni culturali, riportate anche dalla stampa. A seguito di tali reazioni, secondo quanto riferito dagli Ufici dell’Ateneo, la decisione relativa alla scritta da apporre sulla lapide è stata attribuita al Senato Accademico, che ha approfondito la problematica nel corso di un lungo dibattito. Le argomentazioni che emergono dal verbale della seduta mettono in rilievo la precisa volontà dell’Ateneo. di colmare una lacuna storica con un doveroso riconoscimento della igura e dell’opera di Gentile; pertanto il Senato, prendendo atto delle aspettative della comunità universitaria, ha autorizzato 114
l’apposizione della lapide, approvando altresì quella parte del testo, con la quale intendeva discostarsi dalle posizioni politiche del ilosofo non condivise. Tale soluzione ha provocato appunto le polemiche di cui si è detto. Successivamente la famiglia Gentile ha difidato l’Università dall’apporre la lapide, ritenendo offensivo il testo in essa contenuto. Il Tribunale di Firenze ha accolto in sede cautelare la richiesta di inibitoria della posa della lapide, mentre l’Avvocatura distrettuale dello Stato ha manifestato l’intenzione di astenersi dall’impugnazione della relativa ordinanza. A seguito di tali eventi, il Senato accademico dell’Università di Pisa, pur ribadendo le motivazioni delle delibere già assunte, ha ritenuto che l’iniziativa di ricordare in una lapide la igura di Giovanni Gentile nelle due distinte connotazioni, culturale e politica, non è stata recepita nel suo reale signiicato ed ha conseguentemente deliberato di soprassedere all’iniziativa, invitando le componenti dell’Università ad aprire un dibattito sull’argomento e stabilendo altresì di raccogliere in un volume i relativi documenti. Considerato pertanto che la questione si è risolta nel senso auspicato dagli Onorevoli interroganti, questo Ministero non ritiene di dover assumere ulteriori iniziative in merito. 29-8-2000
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INTERVISTA SULL’EREDITÀ DI GENTILE
La caduta del Muro di Berlino ha avuto rilessi non soltanto in campo politico, ma anche culturale. Lei, nella Destra, ha colto tra i primi i segni della novità, tentando di recuperare, in un quadro di comuni valori nazionali, anche chi (come Gramsci, Sturzo, Salvemini, Alvaro) ha operato, da sponde diverse, per un’Italia unita, entro il ilone risorgimentale. Ce ne può parlare? «Ritengo che la scomparsa del Muro abbia provocato innanzitutto la caduta d’un principio: l’egemonia culturale di tipo gramsciano, che immobilizzava (anzi, ingessava) le varie forze in schieramenti predeterminati e immutabili, contro la realtà della vita che è un continuo divenire. Una volta ristabilite le osmosi, numerosi intellettuali di sinistra (penso a Vattimo, a Cacciari, a Galli) hanno cominciato ad esplorare il pensiero di Evola e Prezzolini, Gentile e Spirito, Spengler e Schmitt, Junger ed Heidegger, riproponendolo a più livelli, compreso quello accademico. A nostra volta, noi ci siamo avvicinati ad autori un tempo tabù, come Gramsci, Sturzo, Salvemini, Alvaro». Quali gli effetti? «La visione dell’Uomo, incentrata sui valori del modernismo e dell’economicismo, sulla lotta di classe e sull’internazionalismo, viene completamente rovesciata da tematiche nuove, e, ad un tempo, antiche, che si rifanno all’Uomo come persona, cioè come soggetto e faber suae fortunae; o che si rifanno alla difesa della vita nella sua accezione più autentica, oltre che ai valori della Nazione e della Civiltà Europea». Volontarismo contro determinismo, insomma; spiritualismo contro materialismo; idealismo contro positivismo... «Esatto. Da qui il conseguente raccordo tra il mondo cattolico e le forze di Destra, storicamente e culturalmente legate 117
ad una concezione di difesa della vita (antimaltusianesimo) e al riiuto d’ogni conlittualità sociale (lotta di classe teorizzata dalle sinistre), in nome della collaborazione tra categorie. Sul tema, poi, del libero mercato, non v’è alcun riiuto della Destra politica a coniugare il liberismo con la socialità. Non è forse questo il senso profondo del solidarismo, della partecipazione, o (se il nome non desta perplessità) del corporativismo? Quest’ultimadottrina, peraltro, sta alla base del pensiero sociale cattolico, dalla Rerum Novarum in poi; né si discosta dal gentiliano Umanesimo del lavoro». Per dirla con Togliatti, lei pensa ad una Destra che viene da lontano e vuol andare lontano... «Perché no? Sul terreno cultural-politico, la Destra di An sta recuperando i temi della Destra Storica, fondati sui valori dello Stato e della società, sulla corretta gestione pubblica, sulla moralità e trasparenza, senza indulgere a demagogie, assistenzialismi, clientele. Il tutto nel quadro dei Valori Nazionali, che assorbono il contributo di chi (Gramsci, Sturzo, Salvemini, Alvaro) ha operato e pensato, sia pure da posizioni diverse, per la difesa dell’Unità risorgimentale». Qualche intellettuale di Destra difida della sua linea, temendo, dopo il taglio dei vecchi ormeggi (congresso di Fiuggi), uno sbocco che Lucio Colletti deinisce Destra liberale e costituzionale. «No. Quel congresso non ha sradicato né svenduto il nostro patrimonio culturale e civile. Certo, An sta passando da una fase di contestazione globale del sistema a una cultura di governo, che richiede raccordi dialettici con le forze alleate, che hanno in larga parte una tradizione liberale. Ciò non signiica che la Destra recepisca passivamente le coordinate economiche liberiste (il liberismo puro, d’altronde, ov’è oggi di casa?); ciò signiica che la Destra opera, appunto, un raccordo tra le nostre esigenze e quelle alleate nel Polo. Lo so. L’area di Destra è oltremodo vasta e variegata (non frammentata, però): lo è oggi come lo è stata ieri; ma ciò comporta che storiche polemiche o scontri culturali (i contrapposti Manifesti di Croce e 118
di Gentile nel 1925, ad esempio) vadano oggi visti in un’ottica diversa; non per un neo-sincretismo, ma per offrire una Destra politico-culturale in grado di svolgere un ruolo determinante nell’attuale congiuntura. Dotata, cioè, di cultura di governo». Il contrasto Croce-Gentile, cui lei allude, e che vorrebbe superare, non fu certo una cosa da poco. «Non lo fu. Ma per una progressiva incomunicabilità personale fra i due pensatori, che pure, per 28 anni, dal 1896 al 1924, erano stati amici e sodali entro lo stesso ilone ilosoico neo-idealista, vissuto (ovviamente) da ciascuno secondo la propria irrepetibile personalità. Fuori dalle inevitabili differenze e dai reciproci scontri umorali, siamo certi che non sia possibile identiicare un minimo comune denominatore tra i nostri due più grandi ilosoi contemporanei, che occuparono per mezzo secolo la scena mondiale? Io credo di no. Specie se si analizzano i documenti». Quali documenti? «Giovanni Gentile, come noto, fu ministro della pubblica istruzione dal 1922 al 1924 e autore della profonda riforma scolastica ancora oggi fregiata del suo nome. Fu anche fondatore e presidente dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura, nonché direttore scientiico dell’Istituto Giovanni Treccani e infaticabile ispiratore dell’omonima Enciclopedia. Esaminiamo come Ugo Spirito (col suo consenso) sintetizzò la ilosoia di Gentile nella voce a lui dedicata sull’Enciclopedia. Faccia pure; a condizione che sia chiaro e breve: i ilosoi, spesso, risultano prolissi e oscuri. «Non nel nostro caso. Primo. Il pensiero di Gentile (scrive Spirito sulla Treccani) s’innesta nella ilosoia italiana che dall’Umanesimo e dal Rinascimento giunge a Vico e a Gioberti, arricchendo il processo speculativo europeo da Cartesio a Spinoza, da Kant ad Hegel. Secondo. Gentile identiica storia e ilosoia; risolve quindi il passato nel presente, e con il passato tutto il mondo del tempo e dello spazio (cioè, tutta la realtà) nell’atto storico, spirituale, eterno, extraspaziale ed extratemporale. Terzo. L’universo diventa così immanente al pensiero 119
che lo pensa, e in esso s’esaurisce senza residui di sorta: ogni realismo o intellettualismo è superato, e la libertà dello spirito diventa assoluta, in quanto è negata l’esistenza di qualsiasi limite esterno. Quarto. La realtà è vista nell’idea, l’oggetto nel soggetto, il fatto nell’atto, la molteplicità nell’unità, la natura nello spirito». Quali le conseguenze di questo idealismo assoluto nella psicologia, nella logica, nell’etica, nella pedagogia, nell’arte, nel diritto, e soprattutto nella politica? Non v’è il pericolo che l’unicità dell’atto spirituale, identiicando sensazione con percezione, conoscenza con volontà, distrugga la ricchezza molteplice e variegata dell’Uomo? «No. L’identiicazione non è immediata e distruttrice, ma dialettica, si che le differenze continuano ad avere una loro ragione e ad arricchire dall’interno la rigorosa unità dell’atto. Così, per esempio, il rapporto morale è visto come rapporto educativo e viceversa. Così, ad esempio, si risolve con l’immanenza il dualismo Dio-mondo. Dio è immanente nell’atto spirituale e ne costituisce il momento ideale e oggettivo, il dover essere della deiciente realtà umana. E col problema di Dio si risolve quello della vita futura e dell’immortalità, ponendosi la morte non come ine o limite della vita, ma come momento essenziale della vita stessa, la vita dell’atto immortale. Il diritto, ad esempio, è visto come momento necessario della libertà morale, come voluto rispetto al volere, ossia come la norma da seguire e da superare nell’atto stesso della sua attuazione. Crede davvero che su queste basi sia impossibile un incontro Croce-Gentile, al di là d’ogni polemica pretestuosa?». L’incomunicabiità tra i due pensatori, più che su logica, morale, religione e diritto, si fonda sulla politica. Gentile concepisce la politica come vita dello Stato nell’individuo: un universo ove l’individuo si sparticolarizza. Lo Stato non è più neutrale di fronte alla vita scientiica, artistica, religiosa, ilosoica dei cittadini, ma etico, in quanto si realizza mediante la celebrazione di quei valori. Il liberale Croce una simile concezione non può accettarla. 120
«Anche qui dobbiamo distinguere. Rileggiamo sulla Treccani la voce Fascismo. Le prime otto colonne, riguardanti la Dottrina, furono irmate personalmente da Benito Mussolini (Gioacchino Volpe irmerà le successive 24 sulla Storia, ino al 1935). Le due prime colonne della Dottrina, benché irmate da Mussolini, furono elaborate da Gentile e rappresentano il pensiero autentico dello stesso Gentile sulla politica, e dunque sul Fascismo». Che cosa afferma il Gentile-Mussolini pensiero? «Leggiamo insieme. Il Fascismo è prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina; e dottrina che, sorgendo da un dato sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dal di dentro. Ha quindi una forma correlativa alle contingenze di luogo e di tempo, ma ha insieme un contenuto ideale che la eleva a formule di verità nella storia superiore del pensiero. Il Fascismo non s’intenderebbe se non si guardasse al suo modo generale di concepire la vita. Modo spiritualistico. Il mondo per il Fascismo non è questo mondo che appare alla supericie, in cui l’uomo è individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è governato da una legge naturale, che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo». E che cos’è, invece? «L’uomo del Fascismo è individuo che è Nazione e Patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l’istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l’individuo, mediante l’abnegazione di sé, il sacriicio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell’esistenza tutta spirituale, in cui è il suo valore di uomo». In deinitiva... «Il Fascismo è una concezione spiritualista, contro il iacco e materialistico positivismo dell’Ottocento. Una concezione antipositivista, ma positiva; non scettica, né agnostica, né pessimistica, né passivamente ottimistica, come sono in genere le 121
dottrine (tutte negative) che pongono il centro della vita fuori dall’uomo, che con la sua libera volontà può e deve crearsi il suo mondo. Il Fascismo vuole l’uomo attivo e impegnato nell’azione con tutte le sue energie: lo vuole virilmente consapevole delle dificoltà. Concepisce la vita come lotta, il Fascismo è una concezione etica, che investe tutta la realtà; è una concezione religiosa, ove l’uomo è visto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva che trascende l’individuo particolare; è una concezione storica, ove l’uomo è in funzione del processo spirituale, cui concorre nel gruppo familiare e sociale, nella Nazione e nella storia, a cui tutte le Nazioni collaborano. Donde il gran valore della tradizione nelle memorie, nella lingua, nei costumi, nelle nonne del vivere sociale. Concludo. Una simile concezione merita d’essere attentamente valutata e meditata. Anche da Croce e dai liberali, oltre che dai cattolici. 20-1-1996
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TESTIMONIANzE
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ALTRE ADESIONI
Roma, 13 ottobre 2004 Caro Fortunato, Ti ringrazio molto per il Tuo volume su Giovanni Gentile e per il ricordo del nostro convegno di Reggio Calabria. Carissimi saluti, Francesco D’Onofrio
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Un’interessante carrellata questa relativa al libro di Natino Aloi su “Giovanni Gentile e l’attualità dell’attualismo” (Pellegrini Ed., Cosenza, 2004); una carrellata che, ripercorrendo le fasi salienti del sistema investigativo del massimo ilosofo italiano del XX secolo, mette a disposizione degli studiosi e dei lettori in genere, uno strumento molto agile per comprendere nella sua interezza la dottrina speculativa di chi pagò con la morte, questa volta violenta, per le proprie idee. Idee pregne, naturalmente, di un signiicato così profondo da rendere Gentile martire del pensiero. Così come furono martiri del pensiero Cristo e uomini del calibro di Socrate, Thomas Becket, Giordano Bruno, Thomas More, Gandhi e tanti altri. E, non a caso, il nome di Socrate risuona spesso nel volume di Aloi il quale parla di morte socratica di Gentile così come ricorre il term0ine ‘profeta’, visto che il padre dell’attualismo scrisse un notevole lavoro sui Profeti del Risorgimento 135
italiano” dimostrandosi, non solo in quest’opera, profeta egli stesso. …L’amore di Aloi per il Maestro – quale lo consideriamo, senza ambagi, noi gentiliani– non si limita ad affrontare soltanto gli aspetti meramente speculativi dell’attualismo nonché quelli etico-sociali, ma spazia, altresì, in altri campi come quelli relativi alla scuola e come quelli inerenti al confronto – confronto, ovviamente, impossibile per l’“inesistenza, per dirla con Dante, che nol consente” – fra la grande riforma del ’23 e quella recente, più modesta, (del Ministro Moratti). Natino Aloi è stato un parlamentare, ma soprattutto è stato, è e rimane un uomo di scuola, ragion per cui si muove ‘ex professo’ quando discute di problemi scolastici. Lino di Stefano
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Carrara, 19 ottobre 2004 Caro Onorevole, ho ricevuto il Suo ultimo volume su “Giovanni Gentile” e sinceramente ringrazio. Si tratta evidentemente di una raccolta di interventi ‘occasionali’, che tuttavia mantengono una logica unitaria e un intrinseco collegamento e che rivelano non solo coerenza e fedeltà, ma anche passione ilosoica e dignità intellettuale. Il tono leggero e discorsivo ne rende piacevole la lettura ed evita di proposito certe asperità di periodizzazioni che potrebbero condurre a esiti più problematici. Sarebbe interessante tornarvi a rilettere con “mente pura”, come Lei sa fare; come del resto non sarebbe fatica inutile riconsiderare la “dialettica dei distinti” del Croce o il concetto di “egemonia” del Gramsci. Non sono questioni così scontate! …Tornando al Suo libro, mi sembra che l’ultima parte (l’intervista sull’eredità di Gentile) sia ilosoicamente più 136
impegnativa e ponga l’accento sulle “differenze” che “continuano ad avere una loro ragione e ad arricchire dall’interno la rigorosa unità dell’atto” (p. 94). Questo è il punto. E Lei lo ha ben individuato. Diversamente tutto diventa ideologia, specie quando pensiero e azione devono necessariamente coincidere nel sistema politico totalitario. Cordiali saluti Salvatore Raganesi
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Firenze, 1-11-04 Gentile onorevole, caro amico, ricevo il Suo libro su Gentile ed attualità dell’attualismo. Complimenti! Io sono un ammiratore di Gentile, lo considero il miglior cervello del Novecento italiano e mi fa piacere accorgermi che anche Lei la pensa come me. Un saluto cordiale da Antonio Paolucci
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Firenze 29/12/2004 Caro Onorevole, Ho ricevuto e letto con molto interesse il Suo volume “Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo”. Il suo libro giunge al termine di un anno che io considero molto importante per il progresso degli studi e la memoria di Giovanni Gentile: convegni, libri e la storica giornata del Senato voluta dal Presidente Pera. Mi pare che inalmente le cose si siano incamminate per 137
il verso giusto e il Suo libro da ultimo mi conferma in questa mia impressione. Voglio cogliere questa occasione per ringraziarLa ancora una volta delle Sue iniziative in favore della memoria di Giovanni Gentile, dalla pubblicazione del francobollo alle interrogazioni parlamentari a proposito della lapide incresciosa di Pisa, che ho sempre seguito ed apprezzato in massimo grado. Serbo anche un vivo ricordo del nostro incontro romano al Ministero della Pubblica Istruzione quando ho avuto il piacere di conoscerLa personalmente. La ringrazio ancora del libro che mi ha inviato e insieme ai migliori auguri per il Nuovo Anno Le invio i saluti più cordiali. Giovanni Gentile
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21-06-2005 Carissimo Natino, grazie di cuore del ricordo, del bel libro e della dedica. Con un mio indimenticabile compagno di scuola (Nicola Vaccaro) prematuramente scomparso, “ilosofo” in da allora, poi laureato alla Normale di Pisa, inseguimmo Gentile in dagli anni del Liceo. E con Lui, Croce. Gentile e Croce: eventuali identità e caratteri differenziali. Della “riforma” conservo il ricordo migliore. Fummo i primi a usufruirne quelli della mia generazione. Stento a capire quella di oggi. E quando capisco, mi domando: ma com’è possibile!? Spero di sbagliare, per quelli che verranno. Tu puoi dirne, come hai già fatto, con perfetta e migliore cognizione di causa. Per il resto, so bene quale sia stato il valore del suo insegnamento, del quale te sei così degno interprete, chiarissimo nei preziosi commenti. 138
…Ho letto tutto il libro, compresa la lettera di mio fratello, del quale sento ancora profondamente la mancanza! Vivissime congratulazioni e altrettanti auguri per la tua vita con un abbraccio Tuo Mario Casalinuovo
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Fortunato Aloi ha il merito di presentare l’attualismo gentiliano con metodo magistrale, discorrendo, anche se in modo velato, tre nuclei teorici: l’interpretazione di Hegel, la teoria dell’atto puro, il rapporto tra logica del pensare e logica del pensato. Da queste premesse si deduce che l’attualismo è quella dottrina secondo la quale sia tutta la realtà, sia la coscienza è attualità, attività spontanea. …Degno di rilievo è, poi, quanto Fortunato Aloi mette in risalto nell’«incontro in Gentile tra Umanesimo e lavoro». Il richiamo al Rinascimento ci porta a considerare «al centro della società, della cultura e della civiltà l’uomo» – sono parole dell’autore – e Gentile da «microcosmo» diventa con la sua ilosoia quasi un «macro-cosmo». In forza di ciò, secondo Aloi, Gentile costruisce, in interiore homine, il monumento alla «Verità» culturale. Non sfugge all’autore dello scritto in esame il pensiero pedagogico di Gentile… L’attualismo pedagogico di Gentile intese opporsi con vigore a tutte le concezioni pedagogiche a base naturalistica che non riconoscono adeguatamente la natura spirituale propria dell’uomo. Franco Frangella
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Gentile, il nostro grande pensatore, si richiamava spesso a una “concezione etica e religiosa della storia” e , quindi, ad una serie di principi che trascendano il contingentismo per assurgere ad una dimensione di valori assoluti da cui l’uomo non può estraniarsi e né sottovalutarli. Fortunato Aloi, nella sua profonda ed elegante indagine ilosoica, con grande acume ed espressività, vuole soffermarsi su di un importante aspetto del pensiero di Giovanni Gentile attinente proprio alla “Questione sociale” nella quale il nostro grande pensatore sottolinea “la centralità del lavoratore, che non può e né deve essere inteso come strumento del processo produttivo, ma protagonista della propria storia e del lavoro stesso”. Viene, così, esaltato l’autentico umanesimo gentiliano che si contrappone, con convinzione, alla lotta di classe e alla dittatura di marca marxista. Allo stesso modo la questione religiosa viene affrontata senza clericalismi di maniera, ma come solenne affermazione del principio di dover ad ogni persona umana una propria interiorità spirituale che non può non meritare apprezzamento e rispetto da tutti. …Tuttavia, non ci pare superluo ricordare che lo stesso Gentile volle assumere una “posizione critica” nei confronti del Governo di allora in occasione dei famosi “Patti lateranensi”. Luigi Pellegrini
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Ti sono grato per avermi inviato il libro su Giovanni Gentile, intelligente e prezioso, perché interpreta il cammino gentiliano con rapida ed essenziale sintesi, documentando le tappe che ti hanno visto protagonista nella difesa di un grande ita140
liano e di un grandissimo uomo di cultura, osteggiato da certi piccoli uomini che ogni giorno di più temono il giudizio della storia. Grazie e un affettuoso abbraccio Luigi Tallarico
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Illustrissimo Onorevole, Ho ricevuto il suo opuscolo su “Il messaggio sociale nel pensiero di Giovanni Gentile” e La ringrazio sentitamente. La sua lettura mi permetterà di conoscere meglio questo grande studioso. Cordiali saluti Reggio Calabria, 26 settembre 2009 Vittorio Mondello Arcivescovo Metropolita
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Caro Natino, la lettura del tuo saggio mi ha confermato nella convinzione che un “pensiero sociale” nel “teologismo immanentista” di Gentile non c’è, e ho quindi apprezzato (guarda che lo dico senza ironia!) l’onestà – e direi l’eleganza – intellettuale che ti ha indotto a deinire “messaggio” le sue considerazioni. …Di Gentile apprezzo l’aver saputo leggere nel pensiero marxiano una “ilosoia della storia”, la lungimirante e onesta apertura culturale a quanti non erano assimilabili all’ideologia del regime (che trovò spesso attuazione nell’elaborazio141
ne dell’Enciclopedia), ma che solo l’ingenuità dello studioso poteva sperare di trovare nel tragico vortice della guerra, che scatena in tutti gli istinti più belluini, l’opposizione ai Patti del ’29, la coerenza di un “sistema”, lontanissimo da me per quella che ritengo la sua astrattezza ma indubbiamente forte nel suo impianto. Lino Cannistrà Milano 19-10-2009
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Caro Fortunato, nel ringraziarti, ancora una volta, ho letto con vivo interesse il tuo “lavoro”. A suo tempo la mia tesi fu proprio su “Gentile e il marxismo”. Spero, quindi, che ne potremo discutere. Intanto, l’ho dato da leggere a Roberto Spirito, un mio carissimo amico, appunto il nipote di Ugo. Un abbraccio, a presto Giovanni Praticò Roma 24-10-’09
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Caro Natino, sintetico ed essenziale il tuo “Gentile e il Risorgimento”, che hai voluto, caramente, inviarmi. Davvero, come dici tu, col conforto del Grande di cui non riusciamo a non essere igli, la conclusione di un lungo… processo di riscatto nazionale e morale, forse, non ancora compiuto. Corrado Camizzi Parma, 7-2-2011 142
INCONTRI GENTILIANI
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NELLA STAMPA D’OGGI
Aloi ricorda il ilosofo a 60 anni dalla morte LA RISCOPERTA DI GENTILE La igura, l’opera e il ruolo culturale del ilosofo Giovanni Gentile, a sessant’anni dalla morte, sono state al centro di una conferenza tenuta, nella sala conferenza della libreria “Culture”, dall’on. Natino Aloi. L’iniziativa è stata del circolo culturale “Calogero”, del Centro studi “F. Grisi” e dall’Istituto di studi gentiliani per la Calabria e Lucania. L’on. Aloi, già sottosegretario alla Pubblica istruzione che – nel quadro delle iniziative di governo da lui prese – aveva voluto nel 1995 tenere a Reggio un convegno scientiico nazionale sulla igura di Gentile, ha ritenuto di dovere riproporre l’illustre igura ad un attento pubblico. A introdurre l’oratore è stato il dott. Giovanni Alampi, che ha messo in rilievo il grande interesse scientiico dell’on. Natino Aloi nei riguardi dell’idealismo italiano e, in particolare, del ilosofo Gentile sia come docente di discipline ilosoiche che come autore di interessanti pubblicazioni sul ilosofo di Castelvetrano. Alampi ha poi tracciato alcuni aspetti della igura di Gentile che testimoniò con coerenza e linearità il suo impegno di grande pensatore, pagando con la vita la fedeltà ai suoi principi culturali e politici. Ed è a quei principi-valori che, nella sua relazione, si è richiamato l’on. Natino Aloi, il quale nella sua esposizione ha spaziato sui vari aspetti del pensiero e dell’attività del ilosofo: da quelli pedagogico-ilosoici a quelli politico-storici e operativo-culturali. «Assieme a Croce – ha chiarito Aloi – Gentile è stata la igura più rappresentativa della cultura italiana in quasi tutto il primo cinquantennio del secolo scorso. La linea speculativa di Gentile si muove nel solco di una coerenza che, 149
muovendo da Socrate e Agostino, attraverso lo spiritualismo per approdare all’idealismo. E dell’idealismo italiano è stata una delle più alte espressioni, portando la ilosoia di Hegel agli sviluppi più logici e conseguenti. E il suo “attualismo” è stata la dottrina che ha inluenzato decisamente la cultura italiana, tant’è che lo stesso Gramsci, come rilevava giustamente Del Noce nella sua opera “Il suicidio della rivoluzione”, non può sottrarsi all’incidenza gentiliana». Ad avviso di Natino Aloi, ciò che costituisce un elemento importante dell’attività di Gentile «è il suo impegno continuo e costante, in momenti dificili quali quelli degli anni della “guerra civile”, in difesa della paciicazione degli italiani. Egli che, in quei momenti, aveva fatto con coerenza la sua scelta, non poteva accettare che i suoi connazionali potessero massacrarsi; di qui i suoi continui interventi presso il capo del governo della Repubblica sociale a favore di coloro che subivano prevaricazioni e coercizioni, cosa che d’altronde il ilosofo aveva fatto in occasione delle assurde “leggi razziali” quando si adoperò in favore di alcuni studiosi del tempo. Questo spirito di paciicazione, che Gentile espresse nel discorso al Campidoglio del 24 giugno 1943, non poteva certamente trovare d’accordo chi voleva che la latta assumesse toni pesanti e irreversibili. Tant’è che il partito dell’estrema sinistra decise, attraverso la mano del “gappista” Bruno Fanciullacci, di assassinare il ilosofo a Firenze». Il relatore ha inine evidenziato come quella morte «ha prodotto reazioni negative nelle coscienze intellettuali oneste e libere, per cui venne considerata non solo un “errore dell’antifascismo”, ma un macigno su tutta la Resistenza essendo Gentile una igura di pensatore aperto dialetticamente ai contenuti di diversa estrazione, come dimostra la storia dell’Accademia d’Italia e dell’Enciclopedia Treccani, che si potrebbe chiamare “Enciclopedia Gentile”, alla cui realizzazione contribuirono studiosi e pensatori d’ogni estrazione. Inine come non ricordare che Gentile, oltre al grande impulso dato dalla valorizzazione della cultura attraverso la direzione della «Nuova antologia” e al potenziamento della Normale di Pisa, varò la più grande riforma della scuola di tutti i tempi?» 150
A questi elementi storico-culturali e umani si è richiamato Aloi, asserendo che la ine di Gentile «costituisce una pagina nera della nostra storia». Gazzetta del Sud 30-4-2004
*** Un volume dedicato al ilosofo LA RISCOPERTA DI GENTILE E DELL’IDEALISMO EUROPEO I GIGANTI sono giganti e resteranno sempre giganti, non c’è niente da fare. E non c’è pregiudizio o retorica che tenga. Perciò non c’è da meravigliarsi se, a cinquant’anni da quella che Nolte ha giustamente deinito la “guerra civile europea”, il mondo della cultura inizi a riscoprire e a rivalutare gli intellettuali più colpiti dalla damnatio memoriae decretata da quelli che ino a 15 anni fa si ritenevano i vincitori. In tal senso, è stato esemplare il caso di Gentile: nonostante l’antifascismo imperante, la sua igura intellettuale ha continuato a giganteggiare. E giganteggia ancora: il ilosofo di Castelvetrano resta ancora l’insuperato riformatore della scuola italiana nonché, insieme a Croce, l’ultimo grande esponente dell’idealismo europeo. Certamente, la cultura italiana si è dimostrata tardiva nella sua riscoperta. Ma meglio tardi che mai. Proprio in questa direzione e con questa precisa intenzione, allo stesso tempo polemica e propositiva, si è svolta alcuni giorni fa, presso i locali dell’editore Pellegrini, la presentazione del libro “Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” (Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2004), una raccolta di saggi di Fortunato Aloi, professore, giornalista e deputato, nonché accreditato studioso del pensatore siciliano. Dopo una sintetica ma eficace introduzione del preside Masneri, si entra immediatamente nel clou dei lavori, con un’approfondita dissertazione del prof. Giuseppe Spadafora, docente di Pedagogia presso l’Unical, il quale, senza mezzi termini, dichiara al pubblico di essere stato 151
appassionato studioso di Gentile in tempi in cui “era dificile per un accademico fare carriera se studiava Gentile”. Il che la dice lunga sull’ostracismo decretato in maniera sin troppo esplicita dal mondo accademico nei confronti del grande ilosofo: “La critica era troppo rituale e noiosa: l’accusa di fascismo era sin troppo abituale e ripetitiva”. Ancora oggi, lamenta Spadafora, “non esiste un’edizione critica delle opere gentiliane”. Al contrario di quanto avviene negli USA, dove, sotto l’inlusso del pragmatico Jhon Dewey, una nuova leva di studiosi, tra cui spicca la californiana Myra Moss, si dedica allo studio dell’attualismo. La struttura del pensiero gentiliano è caratterizzata da una forte organicità, tant’è che “Dewey comprese, già nel ’36 che in Gentile c’è un organico legame tra attualismo, pedagogia e politica. Un autentico circolo virtuoso”. Perciò “la riforma scolastica del 23, la sua attività di organizzatore di cultura è consequenziale al suo progetto ilosoico”. Molto appassionato l’intervento di Aloi, che conida ai presenti la sua grande passione per Gentile. Sebbene con molta eleganza glissi sulle problematiche politiche del pensiero gentiliano, Aloi non risparmia alcune frecciate alle polemiche che hanno accompagnato a livello nazionale le manifestazioni culturali dedicate alla memoria del grande ilosofo. Insomma, il livello di ideologizzazione del mondo accademico è ancora alto. Ed è tale da nuocere a tutta la tradizione culturale italiana. Nel caso di Gentile, poi, il danno è più che evidente e persistente: l’idea che l’attualismo sia stata la dottrina che ha veicolato il totalitarismo nella cultura italiana continua a mettere in ombra il ruolo che il ilosofo di Castelvetrano occupa nella cultura mondiale: Gentile resta “uno dei più grandi pedagogisti della storia mondiale della pedagogia”, nonché “uno degli interpreti più autentici di Hegel, quello che portò il pensiero hegeliano alle sue conclusioni più logiche”. Un convegno molto animato, che dimostra come la cultura cosentina tenda sempre più a provincializzarsi abbandonando luoghi comuni e frasi fatte, di ispirazione ideologica e non. Saverio Paletta Il Quotidiano 4-12-2004
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Al Caffé Letterario “L. Pellegrini” di Cosenza PRESENTATO IL VOLUME SU “L’ATTUALITÀ DEL PENSIERO DI GIOVANNI GENTILE” DI NATINO ALOI Alla presenza di un folto e qualiicato pubblico è stato presentato, nel caffè letterario della Casa Editrice “L.Pellegrini” di Cosenza, l’ultimo volume dell’On. Natino Aloi su “Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo”. Ha condotto l’incontro la dott.ssa Antonietta Cozza che, nella sua introduzione, ha rilevato il signiicato culturale della serata caratterizzata da puntuali ed approfondite relazioni su un libro di grande interesse ed attualità culturale. Relatori infatti sono stati: il ch.mo prof. Giuseppe Spadafora, docente dell’Università della Calabria, il quale ha evidenziato l’importanza del lavoro dell’on. Aloi volto a mettere in luce aspetti e contenuti del pensiero di un ilosofo, la cui dimensione non può essere sottovalutata per motivi di ordine ideologico o di altro tipo. F.C. Nuovo Domani Sud, dicembre 2004
*** Alle Terme Sibarite di Cassano L’ATTUALITÀ DI GENTILE Cosenza – “ Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo”: è questo il titolo del libro di Natino Aloi, ex sottosegretario alla Pubblica istruzione, che verrà presentato stasera, alle 18, alle Terme Sibarite di Cassano, organizzato dal movimento “ Nuova Idea cittadina”. I lavori del convegno, introdotti dal sindaco Gianluca Gallo, saranno coordinati dal giornalista Antonio Franzese, dinanzi al presidente del consiglio comunale Antonio Golia. Sul tema relazioneranno Filomena Bloise, docente di Italiano e Latino al Liceo classico “Garibaldi” di Castrovillari, e monsi153
gnor Carmine Scaravaglione, vicario della Diocesi di Cassano Ionio. Le conclusioni saranno tratte dallo stesso onorevole Aloi, autore del volume. Si tratta d’un momento di approfondimento culturale per la città ionica, da sempre attenta e interessata a questo tipo di tematiche. Ricordare il pensiero di un personaggio come Giovanni Gentile e coglierne i suoi insegnamenti vuol essere anche un modo per affrontare e discutere meglio dell’attualità. (i.m.) “Gazzetta del Sud” 8-1-2005
*** CASSANO, PRESENTATO IL LIBRO DI ALOI SU GIOVANNI GENTILE CASSANO – Nel corso di un qualiicato convegno promosso dall’Associazione «Nuova idea cittadina» si è discusso dell’attualità dell’attualismo del ilosofo Giovanni Gentile. Nel corso dell’incontro, presieduto dal prof. Antonio Francese nella sua veste di presidente del Nic è stato presentato il volume del prof. Natino Aloi, già sottosegretario alla Pubblica istruzione, dal titolo “Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo”, edito dalla Pellegrini di Cosenza. Hanno relazionato la prof. Filomena Bloise, mons. Carmine Scaravaglione, vicario generale e della diocesi di Cassano. I lavori sono stati aperti dal saluto porto ai convegnisti dal sindaco Gianluca Gallo. La professoressa Bloise ha sostenuto che non si può ignorare il debito che gli stessi intellettuali comunisti contrassero con il suo insegnamento. La Bloise ha sottolineato la portata della riforma scolastica del 1923. In tempi di confusione ideologica, didattica, pedagogica, valoriale, la prospettiva allarmante di piegare la scuola a parametri di organizzazione aziendale dovrebbe far rilettere tutti. Mons Scaravaglione ha detto che la grandezza del ilosofo Gentile emerge chiaramente dal libro di Aloi. Gentile non fu mai un intellettuale di seconda ila, non solo per la complessità, a vol154
te ardua del suo pensiero, ma soprattutto per la sete di ricerca che è alla base del suo ilosofare. È seguito l’intervento del presidente del consiglio comunale Antonio Golia e il saluto dell’assessore alla cultura Daniela Colonna. Tra i presenti il segretario nazionale Cisal-scuola Elio Chiappetta e l’ex-assessore regionale ai beni culturali Giampaolo Chiappetta. Martino Zuccaro “La provincia cosentina” 4-2-2005
*** Alla kermesse è intervenuto anche il sindaco di Cassano Gianluca Gallo “NUOVA IDEA CITTADINA” STIMOLA ANCORA IL DIBATTITO CONVEGNO SULLA FIGURA DI GIOVANNI GENTILE CASSANO – Il Movimento “Nuova Idea Cittadina” di Cassano Ionio, fondato e presieduto dal professore Antonio Francese, ha organizzato e tenuto presso il salone “Cesana” delle Terme Sibarite, un convegno di studi incentrato sul pensiero e l’opera del grande ilosofo e politico italiano, Giovanni Gentile. Nell’occasione è stato presentato al pubblico il libro scritto dall’onorevole Natino Aloi, già sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione, dal titolo: “Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo”. Il programma dell’assise nella città delle Terme, coordinata dal giornalista Francese, in apertura dei lavori ha fatto registare l’intervento del sindaco Gianluca Gallo, che ha portato ai convenuti il saluto dell’amministrazione comunale e della città di Cassano. Sono seguite le rilessioni critiche della professoressa Filomena Bloise, docente d’italiano e latino presso il Liceo Scientiico di Castrovillari, secondo la quale, occorre rivalutare la igura e l’opera del ilosofo siciliano, al di là degli steccati 155
ideologici o politici che rischiano di alimentare l’ostracismo culturale di cui lo stesso è stato vittima e di monsignor Carmine Scaravaglione, vicario generale della Diocesi di Cassano Ionio, che ha rimarcato l’importanza di Gentile, come intellettuale di prima ila, non solo per la complessità del suo pensiero, ma soprattutto per la sete di ricerca che è alla base del suo ilosofare. Giovanni Gentile, ha affermato monsignor Scaravaglione, va recuperato alla cultura italiana ed europea perché rappresenta una igura eponima della ilosoia del Novecento. Le conclusioni sono state tratte dall’autore del volume, Natino Aloi. All’evento culturale ha partecipato, tra gli altri, anche il presidente del consiglio comunale, Antonio Golia. Mimmo Petroni “Il Quotidiano” 17-2-2005
*** GENTILE ED ATTUALITÀ DELL’ATTUALISMO IN UN CONVEGNO DI “NUOVA IDEA CITTADINA” Nel corso di un convegmo promosso dall’Associazione “Nuova idea cittadina” si è discusso dell’attualità dell’attualismo del ilosofo Giovanni Gentile. Nel corso dell’incontro, presieduto dal prof.Antonio Francese nella veste di presidente del NIC è stato presentato il volume del prof. Natino Aloi, già sottosegretario alla pubblica istruzione, dal titolo Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo, edito dalla Pellegrini di Cosenza. Hanno relazionato la prof. Filomena Bloise, mons. Carmine Scaravaglione, vicario generale e della diocesi di Cassano. I lavori sono stati aperti dal saluto porto ai convegnisti dal sindaco Gianluca Gallo. La professoressa Bloise ha sostenuto che non si può ignorare il debito che gli stessi intellettuali comunisti contrassero con il suo insegnamento. La Bloise ha sottolineato la portata della riforma scolastica del 1923. In tempi di confusione ideologica, didattica, padagogica, valoriale, la prospettiva allarmante di piegare la scuola a parametri di or156
ganizzazione aziendale dovrebbe far rilettere tutti. Mons.Scaravaglione ha detto che la grandezza del ilosofo Gentile emerge chiaramente dal libro di Aloi. Gentile non fu mai un intellettuale di seconda ila, non solo per la complessità, a volte ardua del suo pensiero, ma soprattutto per la sete di ricerca che è alla base del suo ilosofare. È seguito l’intervento del presidente del consiglio comunale Antonio Golia e il saluto dell’assessore alla cultura Daniela Colonna. Tra i presenti il Segretario nazionale Cisal-scuola Elio Chiappetta e l’ex assessore regionale ai beni culturali Giampaolo Chiappetta. “Prospettive meridionali” Febbraio-Marzo 2005
*** Un libro al giorno L’EREDITÀ DELL’ATTUALISMO IN UN LIBRO DI ALOI Non può passare inosservata una raccolta di scritti su Gentile radunati in volume (con una copertina riproducente un francobollo commemorativo) di Fortunato Aloi, gentiliano dagli anni universitari, che ne teorizza un sistema come l’«Attualismo» e ci fa rilettere su tutto quello che ha lasciato in eredità: la Riforma della Scuola del 1923, l’Enciclopedia italiana e la «Normale» di Pisa. A cinquant’anni dall’assassinio, Aloi rinfresca la memoria ai tiepidi e non indulge a severi ammonimenti nei confronti della cosiddetta cultura uficiale, inoperosa e scarsa quando si tratta di individuare l’attualità del suo pensiero: « Alternando demonizzazioni a silenzio, ritenendo così di poter impedire a un pensiero rigoroso di poter avere lo spazio che gli compete. […] ». Aloi auspica che gli studi massicci che si sono intensiicati negli ultimi decenni portino a fare chiarezza e autocritica in alcune frange di pensatori e storici marxisti. Gentiliano costruttivo che opera un distinguo netto fra l’attualità gramsciana e l’attualismo di Gentile; la «questione gramsciana», secondo Aloi, fu un focus ad arte, assurta per meri ini politici e, forse, per dare un’iniezione di forza alla strategia del complesso sto157
rico, chiudendo deinitivamente il capitolo «leninista» e promuovendo una rilettura più obiettiva di Gramsci: è quanto il pensiero di Salvatori e Colletti andava acclarando nel solco di una nuova genesi storiograica. Gramsci fu lettore ed estimatore di Gentile, e ne subiva l’inluenza, come molti in quell’epoca, negli scritti su Il materialismo storico ne fa un’affermazione del tutto veriicabile, dirà che Gentile «più del Croce si era impegnato nell’azione politica». Tanto veriicabile che il Del Noce nel suo Il suicidio della rivoluzione? Scrive testualmente: «Gramsci che crede d’incontrare Marx, invece incontra Gentile, non soltanto all’inizio, ma anche e soprattutto alla ine della parabola del suo pensiero». Molti sono i «pezzi» aloiani che c’inducono a precisare e scandagliare meglio l’idealismo gentiliano; insomma, un ritorno di iamma generoso e appassionato condotto con la scientiicità storica che ha sempre contraddistinto Aloi. Le tesi di Del Noce riappaiono ancora nel libro Il problema dell’ateismo quando ricorda uno scritto di Gentile su Lenin, sul pensiero del giovane Marx e sulle sue origini hegeliane: «È noto come Lenin abbia scritto che il libro di Gentile era tra i pochissimi commenti di ilosoi non marxisti, degni di essere letti […]». Si può parlare oggi di una reale inluenza di Gentile su Lenin? Noi non ci avventuriamo: questo interrogativo aprirebbe nuovi solchi alla ricerca storica. Aloi potrà darci un suo giudizio prospettico di conoscitore documentato quale egli è. Un’ultima considerazione va pure fatta, questa: quanto Gentile fu il più fedele ilosofo italiano, dopo Rosmini, al pensiero e alle scelte di Mussolini? Il libro di Aloi è appagante, lo comprovano le tante testimonianze di uomini di cultura che da molti anni scorrono la pubblicistica ( è presidente dell’Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e Lucania) magniicata con tesi magistrali sull’iter attualistico del pensiero del ilosofo di Castelvetrano. Antonio Coppola
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“ATTUALITÀ DELL’ATTUALISMO” GENTILE ED HEGEL A CONFRONTO «Il torto di Hegel per Gentile è quello di aver basato la sua dialettica sul pensato piuttosto che sul pensante». Così Gianfranco Cordì introduce l’incontro sul tema “Gentile: attualità dell’attualismo” svoltosi al Chiostro di San Giorgio lo scorso martedì sera, alla presenza dell’onorevole Fortunato Aloi. Quest’ultimo, nel corso della sua esposizione, si è dapprima soffermato sulla materia ilosoica in genere compiendo un rapido excursus storico riguardante i maggiori pensatori e successivamente si è concentrato sul pensiero di Giovanni Gentile. «La ilosoia è interessante a condizione che la si renda semplice e intellegibile. Fare ilosoia signiica dar vita a un pensiero sistematico» – afferma Aloi. Evidente il consistente ilo conduttore che lega il percorso ilosoico di Gentile a quello di Hegel tanto da rendere naturale il profondo accostamento dello stesso Gentile all’assunto principale della teoria hegeliana espresso dalla frase: “Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale”. Un presupposto in base a cui ciò che accade nella vita ha sempre una logica e che egli stesso utilizza per giustiicare l’avvento dell’era fascista, ponendola come fatto razionale della storia. Natino Aloi sottolinea anche il triplice sviluppo dello spirito umano teorizzato da Giovanni Gentile che «dall’arte passa alla religione terminando con la ilosoia». In modo particolare, Gentile riteneva che l’insegnamento della religione fosse un aspetto fondamentale per la formazione di ciascun individuo ma che, in seguito, quando si passa nella fase della ilosoia, ognuno prende la propria strada in piena autonomia rigettando o meno i modelli ino a quel momento assorbiti. Ma dove risiede l’attualità di Gentile? «Nell’idea – afferma Aloi – della scuola come elemento di formazione e in cui è importante la selezione attraverso la meritocrazia, nel valore da lui attribuito alla pedagogia e nel valore spirituale e sociale dell’individuo». Alessandro Crupi “Calabria Ora”
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I CONTI CON GENTILE SONO ANCORA APERTI I conti con l’opera di Giovanni Gentile sono ancora aperti. Lo testimonia il momento di rilessione che ha coinvolto pensatori e uomini di cultura anche di estrazione politico-ideologica opposta a quella del ilosofo di Castelvetrano. Un tale dibattito si proila fertile e va affrontato con la serenità dello storico e l’onestà intellettuale del ilosofo, come dimostra il saggio di Fortunato Aloi pubblicato dalla casa editrice Pellegrini “Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo” presentato nei giorni scorsi al Circolo Unione. Un’occasione in più per discutere sull’eredità del grande ilosofo, considerato assieme a Benedetto Croce uno dei “Dioscuri” della cultura del ’900 italiano. Un’eredità che non è stata dispersa il 15 Aprile del ’44 dai proiettili dei Gap, e neanche la “damnatio memoriae”, le demonizzazioni e i silenzi operati per lungo tempo da quella che Aloi deinisce “cultura uficiale”. Al tavolo dei relatori, lo storico Cesare Mulè, il direttore di “Calabria Letteraria” Francesco Del Buono, il presidente dell’istituto “De Nobili” Francesco Graceffa, l’autore del volume Fortunato Aloi e il consigliere nazionale del Sindacato scrittori italiani Sergio Foresta. Questi si è soffermato sull’impegno che richiede un’analisi della igura di Gentile, «un’intelligenza scomoda del ’900» che ha avuto nel corso del tempo delle riconsiderazioni, come quelle di Massimo Cacciari o di Augusto Del Noce, che ha fatto osservare le “radici gentiliane” del pensiero di Gramsci. Riscoprire il ilosofo “dell’uomo e per l’uomo” dunque, ma anche l’educatore Giovanni Gentile: su questa igura si è soffermato Del Buono, che ha osservato come la centralità dell’uomo si traduca dal piano ilosoico a quello pedagogico nella centralità del discente, e come il processo di insegnamento-apprendimento si giochi sull’ “incontro d’anima” con il docente. La parola è passata poi a Graceffa per una “lectio magistralis” condotta con la serenità dello storico che ha toccato tutti i campi del sistema gentiliano, compreso quello del Gentile Ministro dell’istruzione arteice di una riforma scolastica: non la “più fascista delle riforme”, ha osservato, ma “la più gentiliana delle riforme fasciste”. Tanto che ancora in qualche 160
struttura ne perdurano gli echi. «Un pensatore dificile – ha sottolineato Aloi – , dificile perché è un ilosofo», un ilosofo puro, vero interprete del pensiero hegeliano. Complesso perché fu anche pedagogista e umanista che raccolse intellettuali di diverse aree del pensiero alla redazione dell’Enciclopedia Italiana, che legò il suo nome alla Normale di Pisa. Giovanni Fazia “Il Quotidiano” –giovedì 18 maggio 2006, pag.22
*** Conversazione nello “Spazio Cultura” dell’Anassilaos ALOI METTE A FUOCO L’ATTUALITÀ DEL PENSIERO FILOSOFICO DI GENTILE Nello “Spazio Cultura” dell’associazione “Anassilaos” l’on. Natino Aloi ha tenuto un’interessante conversazione sull’argomento: “Attualità di Giovanni Gentile”. Nell’introdurre la manifestazione, il dott. Gianfranco Cordì, supervisore scientiico dei “Martedì Filosoici”, ha detto: «Gentile con Croce e padre Agostino Gemelli (per quanto riguarda la neoscolastica della “Cattolica” di Milano) ha fatto la storia della ilosoia del nostro paese nel Novecento. Gentile è uno dei nipoti di Hegel che ha portato alle più logiche conseguenze il pensiero del suo progenitore. Per il pensatore di Castelvetrano il torto di Hegel è stato quello di aver tentato una dialettica del pensato mentre, dice Gentile: “Può esserci dialettica, cioè sviluppo e divenire, solo del pensante, cioè del soggetto attuale del pensiero. Il pensiero in atto, l’atto puro, è l’unica realtà». L’on. Aloi ha affermato: «La igura di Giovanni Gentile nella sua poliedricità assume una rilevanza notevole non solo nella cultura italiana del secolo scorso ma anche in quella di questo secolo. Secolo che, con le sue problematicità, con i suoi dubbi e le sue contraddizioni, si sta preannunciando oggi. La ilosoia di Gentile (legata alla sua pedagogia) ha dato le radici più profonde e attuali alla dimensione europea delle varie questioni. Gentile è stato l’interprete più coerente del 161
pensiero di Hegel che egli portò – va ribadito – agli sviluppi più conseguenti sul piano della ricerca della verità. In un momento in cui da parte di alcune forze vengono messi in dubbio i principi cristiani, di cui l’Europa anche nella sua Costituzione dovrebbe essere permeata, occorrerebbe ricordare quella risposta di Gentile a Bertrand Russel che aveva dichiarato la sua posizione di distanza dal cristianesimo. Gentile, completando Croce (che, da laico, aveva affermato il valore storico del cristianesimo) affermò, sia pure da “idealista”, la sua profonda fede nel cattolicesimo». Sollecitato da un intervento da parte del pubblico Aloi ha voluto inine chiarire quale dovrebbe essere a suo giudizio, appunto, l’attualità dell’attualismo di Gentile. Aloi ha detto: «Si tratta di un umanesimo davvero umano che trova nell’abbraccio tra lavoratori e intellettuali l’elemento esaltante di una visione spirituale della vita senza di cui il lavoro si riduce a pura merce alienante e , perciò, non consona alle esigenze di sviluppo dell’intera società».
“Gazzetta del Sud” – 12-4-2007
*** Terrazza della cultura Una “lezione” dell’on. Aloi L’IDEALISMO DI GENTILE DI FRONTE ALLA REALTÀ FASCISTA Giovanni Gentile fu nominato ministro della Pubblica istruzione dal governo fascista e mantenne questa carica dal 1922 al 1924. Non c’erano molte afinità tra l’idealismo di Gentile e il fascismo; anche perché il fascismo non aveva alcuna dottrina, salvo che non si voglia chiamare tale quel generico nazionalismo che Mussolini manifestava. Ciononostante, l’adesione al regime costò la vita a Gentile che fu ucciso da Giuseppe Fanciullacci sulla soglia della sua abitazione di Firenze il 15 aprile del 1944. Al messaggio sociale di Giovanni Gentile ha dedicato una manifestazione la “Terrazza della Cultura” dell’on. Natino Aloi, che è stata 162
introdotta dall’intervento del saggista Giuseppe Pirazzo. Dopo aver tracciato la parabola esistenziale della vita di Gentile, il prof. Pirazzo ha detto che «Gentile fu l’autore di una vasta e radicale riforma della scuola italiana». Ha preso quindi la parola l’on. Aloi, già sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel primo governo Berlusconi, che è partito argomentando intorno alle due igure dei massimi ilosoi italiani del Novecento: Benedetto Croce e, appunto, Giovanni Gentile. Croce rappresenta il padre del liberalismo italiano mentre Gentile dà vita all’attualismo spiritualistico. Il torto di Hegel, secondo Gentile, è quello di aver tentato una dialettica del solo pensato ( cioè del concetto o della realtà pensabile) mentre può esserci soltanto una dialettica, cioè sviluppo e divenire, del pensante, cioè del soggetto attuale del pensiero. Aloi ha poi messo in evidenza la circostanza dell’esordio letterario marxista di Giovanni Gentile che a soli 24 anni pubblicò un libro, gradito anche a Lenin, sulla ilosoia politica di Marx. Si arriva, quindi, al fascismo. Croce in questa prima fase l’applaude. «Gentile, invece – ha detto Aloi – , dovette far fronte alle critiche al suo idealismo. Nulla esiste al di fuori del pensiero. E in realtà affrontò un problema concreto: il sociale. Di fronte alla realtà Gentile riuscì comunque a essere un uomo che non rifuggiva mai dalle responsabilità». Aloi ha concluso il suo intervento ricordando il saggio critico del professor Natino Brancatisano (del 1979) in cui questo studioso deinì la ilosoia di Gentile un “Teologismo mistico”. Gianfranco Cordì “Gazzetta del Sud” – sabato 29 Agosto 2009
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CULTURA, OMAGGIO AL FILOSOFO GENTILE Appuntamento alla Terrazza della cultura per il circolo “Giuseppe Calogero” Omaggio al ilosofo Giovanni Gentile e al suo messaggio sociale venerdì pomeriggio alla Terrazza della Cultura da parte di Natino Aloi, presidente dell’Istituto di studi gentiliani Calabria-Lucania, che ha relazionato con dinamicità e apertura di pensiero, offrendo ai presenti un quadro piuttosto esauriente del tema in oggetto. La conferenza è stata organizzata dal circolo culturale “Giuseppe Calogero”, dall’Istituto di studi gentiliani Calabria-Lucania e dal Centro studi “F.Grisi”. Giuseppe Pirazzo, docente e saggista, ha introdotto l’argomento attraverso una breve panoramica sulla vita: «Non c’era inizialmente – spiega il professore – un’afinità tra il fascismo e Gentile ma divenne, successivamente, il massimo esponente intellettuale del movimento in quanto affascinato dalla sua razionalità». Pirazzo ha sottolineato anche la notevole levatura spirituale di Gentile, igura centrale nella storia della cultura italiana, e le innovazioni da lui introdotte nel campo della pedagogia. «Uno dei più grandi ilosoi non solo d’Italia ma di tutti i tempi», così esordisce Aloi nel suo intervento su Gentile. In seguito, traccia anche un parallelo tra lo stesso personaggio e Benedetto Croce, con cui in principio s’incontrano nel pensiero divergendo successivamente per una diversa visione della vita. Come evidenzia Aloi, infatti, Croce rappresenta il padre del liberalismo italiano mentre Gentile dette vita al cosiddetto attualismo idealista. Il contrasto tra i due emerge in particolare sul confronto inerente il pensiero di Marx. Ma andando a fondo del rapporto tra Gentile e messaggio sociale, Aloi precisa come «egli affronta da idealista il problema sociale». In questo ambito, inoltre, va tenuto presente che nella ilosoia gentiliana il momento religioso è costantemente presente e la sua spiritualità è riscontrabile soprattutto nel sociale. La relazione Gentile-sociale raggiunge il suo culmine quando, in un momento di estrema dificoltà per il 164
nostro Paese, pronunciò il celebre discorso in Campidoglio il 24 giugno del 1943 in cui invitava tutti gli italiani a unirsi in nome dell’integrità della patria. «In quel discorso – spiega Aloi – Gentile parla di corporativismo sociale che avrebbe potuto essere la soluzione ai problemi. In esso c’è l’esplicita sua intenzione di avviare un processo di paciicazione sociale». Quest’intervento, tuttavia, rappresentò l’inizio della ine per Giovanni Gentile che di lì a poco fu assassinato. Il suo uccisore, Giuseppe Fanciullacci, prima di sparargli esclamò: «Non uccido lei ma le sue idee». “Calabria Ora” – 23-08-’09
*** L’approfondimento della “Terrazza della cultura” sul ilosofo del ’900 “RISPOLVERANDO” GENTILE Dall’adesione al fascismo alla sua rilettura in chiave risorgimentale Riscoprire con obiettiva valutazione la igura di Giovanni Gentile ilosofo e pedagogista. Una tematica al centro di uno degli incontri stagionali della “Terrazza della Cultura”. Iniziativa organizzata dal circolo culturale “Giuseppe Calogero” in sinergia con il centro studi “Gentiliani” e il centro studi “Grisi”. L’introduzione curata dal saggista Giuseppe Pirazzo ha sottolineato come «la igura del ilosofo siciliano, ucciso nel ’44 per mandato dei partigiani, resta una personalità di riferimento nella cultura italiana del dopoguerra». «Uno dei ilosoi più importanti del secolo scorso», asserisce nella sua relazione Natino Aloi che ne sottolinea con passione la valenza del messaggio sociale. Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano nel 1875. Convinto sostenitore del fascismo, lo collegò al Risorgimento nell’intento di rigenerazione morale del popolo italiano. Fu autore della riforma scolastica del ’23 come ministro della Pubblica istruzione, e certamente resta pedagogista di levatura europea. Tuttavia, la sua scelta 165
politica di allineamento al regime ha determinato nei suoi confronti una sorta di moderno pregiudizio critico. «Gli si muove l’accusa di essere teorico astratto – sostiene Aloi – ma certo il pensiero e la spiritualità cristiano-cattolica sono l’elemento dominante della sua dottrina». Un’accusa impropria, secondo Aloi, per un ilosofo che elaborò un lavoro su Marx e che contribuì, più di Benedetto Croce, alla diffusione del pensiero di Hegel in Italia. Ma la sua attualità, secondo quanto si relaziona, è nell’aver predicato « quel sistema del corporativismo applicato all’organizzazione del lavoro, nella cui attuazione fallì il fascismo». Una igura esemplare anche per la coerenza socratica con la quale affrontò il sicario che gli scaricò addosso la rivoltella. «Il discorso pronunciato in Campidoglio e rivolto agli italiani che esortava alla paciicazione per la salvezza della patria decretò la sua ine – spiega Natino Aloi – perché i comunisti non avevano alcun interesse alla riconciliazione». Restano attuali della sua ideologia il valore attribuito al lavoro, quale riscatto della dignità umana e il messaggio di spiritualità. Lucia Cannizzaro “Il Quotidiano” – 23 agosto 2009
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Stampato da Ragusa Graica Moderna - Bari
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