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Italian Pages 686 [706] Year 2015
Testo tedesco a fronte
A cura di Guido Boffi
Fichte
Fondamento dell’intera dottrina della scienza BOMPIANI TESTI A FRONTE
BOMPIANI TESTI A FRONTE
La prima edizione della Dottrina della scienza di Fichte fu pubblicata con il titolo Fondamento dell’intera dottrina della scienza tra la fine del settembre 1794 e fine luglio / inizio agosto del 1795. È un testo che presenta al pubblico degli uditori universitari, in modo intenzionalmente un po’ schematico, ma anche fortemente astratto, un abbozzo di sistema che sarebbe dovuto servire quale guida per le lezioni accademiche presso l’Università di Jena. Un’ultima versione della “dottrina della scienza” per il pubblico più vasto non sarà mai definitivamente consegnata alle stampe da Fichte, il quale, dopo questa prima stesura, approntò ben altre undici versioni dell’opera, attendendovi, in pratica, fino a due settimane prima della morte per tifo, che contrasse assistendo i malati della guerra di liberazione antinapoleonica. Sin da questa prima esposizione l’intento fichtiano è delineato con limpidezza: dedurre, ovvero giustificare razionalmente le categorie e i costrutti speculativi prodotti dal sapere teoretico e dal sapere pratico a partire dalla struttura soggettivo-oggettiva della coscienza e dai suoi princìpi costitutivi. Questa edizione è curata da Guido Boffi, ricercatore presso l’Università Cattolica di Milano. I suoi interessi si sviluppano principalmente in ambito teoretico ed estetico. Il saggio introduttivo ricostruisce il contesto problematico e storico-concettuale della genesi dell’opera e le sue premesse nelle precedenti indagini fichtiane. Le note al testo rendono conto dei riferimenti impliciti ed espliciti del testo fichtiano nonché delle varianti del medesimo testo nelle tre edizioni successive a quella del 1794-95, secondo quanto registrato nell’edizione critica dell’opera pubblicata dall’Accademia Bavarese delle Scienze, la cui paginazione viene riportata in modo intralineare. Concludono il volume degli apparati costituiti dalle parole chiave e da una bibliografia sulla filosofia fichtiana in generale e sulla Dottrina della scienza in particolare.
€ 19,00
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Cover design: Polystudio.
Johann Gottlieb Fichte TESTO INTEGRALE Fondamento dell’intera dottrina della scienza
BOMPIANI TESTI A FRONTE Direttore
GIOVANNI REALE
JOHANN GOTTLIEB FICHTE FONDAMENTO DELL’INTERA DOTTRINA DELLA SCIENZA Testo tedesco a fronte
Saggio introduttivo, traduzione, note e apparati di Guido Boffi
BOMPIANI TESTI A FRONTE
Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andreose Editor Bompiani Eugenio Lio
ISBN 978-88-452-9259-0 © 2003/2015 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano II edizione Testi a fronte aprile 2015
all’anima gemella che l’anima abita
Il grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo, in cui, per dir così, veniamo bruciati quale legna verde, costringe noi filosofi a discendere nelle nostre profondità ultime e a sbarazzarci d’ogni fiducia, d’ogni bontà d’animo, d’ogni palliativo, d’ogni mansuetudine, d’ogni via di mezzo, di tutto ciò in cui una volta, forse, riponemmo la nostra umanità. Dubito che un tale dolore “renda migliori”: eppure so che esso ci scava in profondo. F. Nietzsche, La gaja scienza
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POSIZIONE E PROPOSIZIONE. TRATTI ESSENZIALI DELLA «GRUNDLAGE» DI J. G. FICHTE
1. Geometria e architettonica, scienza e sistema Ogni progresso in filosofia è solo un progresso per svolgimento; ogni singolo sistema, che meriti questo nome, può essere considerato come un seme che si sviluppa nelle più varie evoluzioni, certo lentamente e gradualmente, ma incessantemente e in tutte le direzioni. Schelling, Rassegna generale della letteratura filosofica più recente
«Nel vecchio teatro delle marionette tedesco, a lato dell’imperatore o di un eroe qualsiasi, c’era sempre un pagliaccio (Hanswurst) che ripeteva, alla sua maniera ed esagerando, tutto ciò che diceva o faceva l’eroe: così dietro il grande Kant si ritrova l’autore della Wissenschaftslehre [Dottrina della scienza] o, più esattamente, della Wissenschaftsleere [Vuoto della scienza]»1. Il corrosivo ed elettrizzante sarcasmo di Schopenhauer, acceso qui come in ogni pagina della sua “arte di insultare”, rende qualsiasi commento una smorta didascalia: che egli, sfoderando questo irridente giudizio, voglia esporre al pubblico ludibrio «la rozzezza filosofica di Fichte», non può suonare a questo punto meno banale di una trita e ritrita ovvietà. Una precisazione che, nella migliore delle ipotesi, si tinge immediatamente di pedanteria fastidiosa. Nel suo fosforico abbecedario di improperi ed ingiurie Schopenhauer gode dileggiando causticamente i cele-
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brati accademici della filosofia che va «in cattedra e a congresso»2, i quali sono a tal punto assorbiti da se stessi, e dall’immagine pubblica del loro insegnamento, da aver perso per sempre l’opportunità di imparare veramente qualcosa. Così nell’icastico calembour schopenhaueriano la pretenziosa dottrina (Lehre) della scienza si rovescia comicamente nella pagliacciata di un risibile, insulso vuoto (Leere). E sul capo di Fichte sembrano allungarsi le medesime orecchie d’asino con cui l’insolente autore del Mondo come volontà e rappresentazione disegna Hegel chiosando a margine il paragrafo 293 della propria copia personale dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio: lo schizzo di una testa di somaro con la malevola postilla: quelle bêtise! Il giovane Schopenhauer si era effettivamente trasferito a Berlino alla fine di settembre del 1811 per ascoltare colui che ancora riteneva un autentico filosofo, Fichte appunto, e il suo beffardo insulto registra certo il sopravvenuto disprezzo di uno studente ventitreenne bramoso di apprendere la filosofia da un «grande spirito» e invece rimasto cocentemente deluso. Qui non intendiamo tuttavia entrare nel merito di tale episodio. Anche perché l’obiettivo polemico della contumelia schopenhaueriana da cui abbiamo mosso permette altresì di mettere a fuoco un punto davvero nodale, verso cui convergono una serie di straordinarie opere filosofiche di quell’epoca, fra le quali è certo da annoverare la fichtiana Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre (il Fondamento dell’intera dottrina della scienza che stiamo introducendo): e tale focus è la scienza stessa, o meglio l’ideale filosofico di scientificità. Possiamo chiederci: volendo parlare di scienza e scientificità filosofiche è forse necessario richiamarsi addirittura all’aristotelica epistéme, a quella conoscenza che è “filosofia prima” solamente nella misura in cui studia l’ente in quanto ente? Probabilmente non è affatto
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indispensabile risalire a tal punto la tradizione filosofica, anche perché l’ideale di scientificità con cui Fichte vuole misurarsi più direttamente è semmai quello kantiano – con inevitabilmente, alle sue spalle, il modello della fisica newtoniana. Nondimeno la “scienza” che impegna l’elaborazione filosofico-speculativa kantiana e fichtiana riflette nuovamente una questione certo già aristotelica. In Aristotele il termine “scienza” nomina ancora il conoscere dimostrativo che viene a sapere in modo stabile. Nomina cioè la conoscenza ben salda, assodata e incontrovertibile, capace di fornire il necessario sostegno a cui tutto il sapere deve agganciarsi se vuole fermamente essere tale. La conoscenza scientifica, vale a dire non accidentale né opinabile, è appunto epi-stéme, conoscenza “posta sopra” ogni altro conoscere. È conoscenza deduttivo-dimostrativa. Questa concezione del sapere possiede inoltre una granitica facies geometrica: dagli Elementi di Euclide, realizzazione perfettamente deduttiva della matematica e trascrizione in termini esatti dell’ideale necessitarismo epistemico-sillogistico di Aristotele, alle moderne filosofie di Descartes e Spinoza, modellate sull’aritmetica e la geometria, all’ideale matematico e fisico che ispira Leibniz, Wolff e Kant. More geometrico, facies scientifica. Questa, certamente, è l’architrave dell’unica porta ove si dipartono e congiungono le due vie, tanto l’antica quanto la moderna, sotto l’“accademica” scritta: «Non entri chi non è geometra». Filosofia commisurante, lógos e métron di quel punto iniziale e terminale che è strutturalmente-aprioricamente l’io: l’io dell’ego cogito cartesiano e dell’io-penso kantiano. E di qui, da questo io-métron, Fichte: «Per rendere possibile ogni determinazione in generale (ogni misurazione) dev’essere fissata un’unità di misura. Tuttavia quest’unità di misura non potrebbe essere altro fuorché l’io stesso, perché originariamente l’io solo è in tutto e per tutto posto»3.
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Eppure, per gli autori e i testi di cui vogliamo interessarci, la “scienza” filosofica non implica soltanto questo. Tanto per Kant quanto poi per Fichte, Schelling ed Hegel (giusto per limitarsi ai nomi che di quel periodo ognuno ricorda), scienza (Wissenschaft) è il conoscere dimostrativo che sì, aristotelicamente, viene a sapere in modo stabile ma che insieme coordina-argomenta organicamente in un sistema (System) i propri elementi costitutivi. Del resto, mentre in Aristotele il sistema in quanto tale non costituisce ancora un oggetto d’indagine, come conferma già il fatto che s´ystema è termine coniato soltanto più tardi dagli stoici e precisamente per designare l’ordine cosmico, è proprio con Kant che la questione filosofica della scienza, o meglio della scientificità della filosofia, si congiunge alla problematica del sistema. Ove peraltro non si trascuri, certo, la fondamentale differenza fungente nella filosofia kantiana tra sistema della scienza, che ha per capo l’Analitica della Critica della ragione pura, e sistema del sapere, che ha per capo invece il criticismo nel suo complesso4: ma qui si vuole guardare soltanto alla prima modalità sistematica, quella inerente appunto alla sola filosofia come scienza. Ebbene, aprendo l’«Architettonica della ragione pura» della prima Critica kantiana leggiamo che soltanto «l’unità sistematica» può trasformare un comune, semplice aggregato di nozioni in scienza. Non v’è, quindi, scienza del conoscere se non con l’unità e l’interna articolazione del sistema. Fuori di esso il coacervo delle nozioni nonscientifiche, esternamente ammucchiate. Scientificità è sistematicità: i due requisiti sono esigenzialmente indisgiungibili. Val la pena di accogliere una precisazione kantiana che può servire ad afferrare questo aspetto. «Per sistema, d’altronde, io intendo l’unità di molteplici conoscenze sotto un’idea. Questa idea è il concetto razionale della forma di un tutto […]. Il concetto scientifico della ragione contiene perciò il fine, e la forma di un tutto
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congruente con tale fine. […] Il tutto è quindi articolato (articulatio), e non ammucchiato (coacervatio); esso può bensì crescere internamente (per intussusceptionem), ma non esternamente (per appositionem): esso è cioè come un corpo animale, il cui crescere non aggiunge alcun membro, ma rende più forte e più efficiente per i suoi scopi ogni membro, senza alterare le proporzioni»5. Scienza come sistema capace costantemente di incrementare dall’interno i propri elementi e caratteri. Ed è, come abbiamo letto, proprio la tendenziale sovrapposizione kantiana del nuovo modello biologico-animale a quello astronomico-cosmologico antico a recare con sé l’idea del sistema non statico bensì in sviluppo. Idea certo decisiva in Hegel, come sappiamo, ma, come meno facilmente si è in grado di intravedere, già poderosamente influente in Fichte e Schelling. Non a caso quest’ultimo ebbe a scrivere nel 1797: «Come da un seme non si dispiega nulla che non sia già prima riunito in esso, così in filosofia non può nascere nulla (per analisi) che non sia già prima presente nello stesso spirito umano (nella sintesi più originaria). Perciò tutti i singoli sistemi, che meritino questo nome, sono pervasi da un comune spirito guida; ogni singolo sistema è possibile solo come deviazione dall’archetipo universale, al quale essi, tutti insieme, più o meno si avvicinano. Questo sistema universale, però, non è una serie discendente, in cui un elemento è attaccato all’altro, all’infinito, ma una organizzazione, nella quale ogni singolo membro è, in rapporto ad ogni altro, reciprocamente fondamento e conseguenza, mezzo e fine»6. È con Kant, dunque, che la questione della scientificità della filosofia fa tutt’uno – e per la prima volta ribadiamo – con la problematica della sua sistematicità. Scienza e sistema; epistéme e s´ystema: a ben vedere, termini contenenti entrambi l’histánai (“porre”, “essere posto”) nel quale risuona il timbro della radice *stha (Í-ste-mi, lat.
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sto). Il sapere epistemicamente valido e sistematicamente organizzato è, letteralmente, sapere stabile e a sé stante, tanto posto e stabilito sul fondamento di un principio, quanto articolato e coordinato nel suo insieme. Un luogo, una terra geometricamente firmissima è quella del sapere che sta e si im-pone, che rimane perfettamente garantito nell’abbraccio dei suoi limiti epistemici e sistemici. Questo è l’ideale di filosofia (scientifica e sistematica, appunto) che si trasmette nei testi dell’età romanticoidealistica. Anche uno scorcio di una lettera privata di Fichte può forse rendercene ulteriormente persuasi: «Mi sono convinto che unicamente sviluppandosi da un unico principio fondamentale la filosofia può divenire scienza; che però essa deve guadagnare un’evidenza al modo della geometria; mi sono convinto che un tale principio fondamentale v’è, e purtuttavia esso, in quanto tale, non è ancora stato enunciato […]. Ricerche di tal fatta suscitano lo stupore più vivo al riguardo del sistema dello spirito umano, ove tutto agisce sempre con lo stesso meccanismo, con la più semplice concatenazione dei membri a qualcosa di unico e l’unico agisce su tutto»7. Pur nutrite ed anche contraddette da tensioni diverse, verso questo solo ideale muovono una serie di opere che danno voce allo “spirito del tempo”: le dodici versioni della Dottrina della scienza fichtiana8, la Scienza della logica e l’Enciclopedia delle scienze filosofiche hegeliane, il Sistema dell’idealismo trascendentale schellinghiano, titoli immediatamente significativi per chiunque ma la cui vasta celebrità finisce con l’oscurare altri testi di notevole impegno sulle medesime questioni, ancorché ritenuti scritti di “secondo piano”. Difficile ignorare, per rimanere negli stessi decenni e sugli stessi problemi, Jacobi, o Reinhold, o Schulze. Ma tant’è, e perseverando nel “torto” non semplicemente storiografico, si potrebbe richiamare ancora una volta Hegel, nel quale lo schema organicistico già presente in Kant viene ulteriormen-
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te potenziato e la totalità è sempre indissolubile dal suo sviluppo, dall’«immanente oltrepassare» di tutte le determinazioni finite del sapere che transitano dialetticamente nel loro opposto sinché la vita dello spirito è accolta e risolta entro l’orizzonte del pensiero speculativo. Potremmo porre mente a luoghi hegeliani divenuti classici: dalla Prefazione alla Fenomenologia, nella quale, com’è noto, si afferma che soltanto nel sistema scientifico è consistentemente accessibile la forma razionale della verità, al § 14 dell’Introduzione all’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, ove è nuovamente asserito che «un filosofare senza sistema non può essere scientifico»: «Il pensiero libero e vero è in sé concreto, e pertanto è idea, e nella sua intera universalità l’idea o l’assoluto. La scienza di esso è essenzialmente sistema, poiché il vero, come concreto, è soltanto in quanto si dispiega in sé e si raccoglie e conserva in unità, cioè come totalità, e soltanto mediante la distinzione e la determinazione delle sue distinzioni può essere la loro necessità e la libertà del tutto»9. Insomma, certo è che, dopo Kant, Fichte e tutto l’idealismo tedesco dispiegheranno ampiamente la fiduciosa tensione di quella filosofia che, ancora con Husserl agli inizi del secolo scorso, si sarebbe voluta «scienza rigorosa» e avrebbe indicato nuovamente nella forma del sistema l’ideale del sapere filosofico. Come si sa, però, dopo Hegel la considerazione scientifica della filosofia subisce generalmente una curvatura che la separerà sempre più dallo slancio delle precedenti certezze e presupposizioni metafisiche. E se all’epoca del neopositivismo il motto «Keine Metaphysik mehr!» può ancora accompagnarsi ad una totale, pressoché incrollabile fiducia filosofica nella scientificità, tanto da identificare la razionalità scientifica con la razionalità qua talis, la filosofia e l’epistemologia novecentesche hanno invece trovato una radice comune al proliferare dei loro pur
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molteplici e diversi orientamenti nel discredito gettato anche sulla presunta superiorità della conoscenza scientifica, sull’unitarietà metodologica – comunque reperita –, e sul paradigma oggettivistico della verità. La vicenda intervenuta nel frattempo a invertire clamorosamente la rotta è sin troppo nota e a richiamarla potrebbe bastare la consueta – benché un po’ stinta e logora – etichetta di “crisi della ragione” con la quale si è soliti riconoscerla. Tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento avvengono conquiste significative, sia nell’ambito delle scienze naturali sia in quello delle discipline logicomatematiche, che avviano un profondo ripensamento di questioni astratte e generali (genericamente riassumibili negli ampi paragrafi dei fondamenti della matematica: dal formalismo di Hilbert alla teoria degli insiemi di Cantor, dall’intuizionismo di Brouwer ai teoremi di Gödel), mentre le indagini fisiche sperimentali conducono a vere e proprie scoperte rivoluzionarie (dalla teoria dei campi elettromagnetici di Faraday e Maxwell alle teorie ristretta e generale della relatività einsteiniana, dalla teoria dei quanti di Planck al modello atomico di Rutherford e Bohr, al principio di indeterminazione di Heisenberg). Un’articolata vicenda trascorsa appunto quale disorientamento e crisi della razionalità classica, destabilizzazione degli ordinamenti e disciplinamenti del sapere sino ad allora assunti a priori senza mai porli in discussione, stabiliti come naturalmente veri ed esatti: in altri termini, uno sconquasso delle gerarchie concettuali presupposte, delle filosofie fondazionalistiche non più che della stessa immagine della scienza tradizionalmente basata sulla geometria euclidea e sulla fisica meccanicistica. Ora, nel XX secolo gli orientamenti epistemologici postpositivistici e naturalistici, le forme di fallibilismo conoscitivo e antifondazionalismo sia ontologico-metafisico sia epistemico-gnoseologico, i dibattiti della psicoa-
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nalisi e delle scienze umane non meno che quelli delle scienze cognitive e gli studi sull’intelligenza artificiale hanno fortemente revocato in dubbio la certezza di trovare una risposta definitiva all’indagine sulla natura ontologica e sulla strutturazione mentale dell’io, nella fattispecie, sulla sua possibilità di fornire ancora una veste unitaria e sistematizzante, presuntivamente “scientifica”, al conoscere. Ancor prima di poter ritenere acquisibile o edificabile una scienza complessiva del sapere basata sull’io (qual è quella fichtiana), sembra impossibile sia poter dire qualcosa di permanente sull’io, sia (e in certa misura è ovviamente una conseguenza, ma per altro ne è anche una premessa) che l’io stesso possa dire qualcosa di permanente, di stabile, di “scientifico”. Chi attualmente ritenesse di nuovo reperibile una sostanzialità identitaria dell’io, o per altro lato riuscisse almeno a supporre un’inferibilità dell’“io sono” dall’“io penso”, costui sarebbe certo sospettato di passatismo filosofico se non di vetero-tradizionalismo – non essendo concessa a tal proposito alcuna forma di ingenuità. Come parlare dell’io, hölderlinianamente, in dürftiger Zeit? Quando cioè è sopravvenuto il tempo della privazione, dell’ego autodissoltosi intenzionalmente nella propria disgregazione, rotante a vuoto attorno alla propria scentratura, minimizzato a rizoma e moltiplicatosi nel puro esterno lasciato dalla propria disabitata identità, oltre l’orlo della propria divisione infinita: è?, pensa forse?, e come, e cosa pensa questo io alla deriva dalla sovranità del suo ruolo dialettico sino alla propria modularità assemblabile e decostruibile senza progetto?10 Insomma, volente o nolente, Fichte potrebbe imbattersi ancora ai nostri giorni in uno Schopenhauer, e uno Schopenhauer con armi teoriche senz’altro ben più affilate di quelle del primo ottocento, pronto a sbertucciare il «vuoto di scienza» della sua «dottrina della
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scienza». Quale io? Quale identità, quale fondamento? Quale “scienza della scienza”? Nulla sembra oggi più stabile delle varie forme di instabilità che paiono pervadere ogni partizione e specialità del conoscere; nulla pare sistematico se non la sistematica improponibilità e confutabilità di una qualsiasi teoria che ambisca ad organizzare e coordinare il tutto. Stando così le cose, anche la rivisitazione – che in queste pagine si vuole tentare – del nodo speculativo identità/alterità attraverso la lente fornita dal Fondamento dell’intera dottrina della scienza fichtiano suona di primo acchito come rétro, e tale deve per forza apparire, quando addirittura non ci si fosse già prima affrettati a ritenerla un’oziosa pagina legittimabile forse solamente in un’ottica storiografica. Forse, anzi certamente rétro, se il progressismo filosofico è la (risibile?) fuga dalla metafisica messa in opera da tanta filosofia ostinatamente “post-”: tanto post-metafisica e post-moderna, quanto – in forza del comune afflato dei vari riduzionismi metodologico-epistemologici – post-positivistica e postanalitica. Nell’attuale clima di totale posterità e nomadismo sembra non vi sia transito e via d’uscita dalla crisi cui si è accennato, tanta e tale è la sua radicalità. Eppure, proprio l’assenza di una via, di una risposta (si legga: della via, della risposta) potrebbe perlomeno invitare a ri-pensare, non ad esautorare il pensiero di fronte al vuoto. Con uno di quei grandi solitari che hanno abitato il novecento filosofico, lo scrittore e pensatore colombiano Nicolás Gómez Dávila, potremmo forse essere condotti a ripetere sconsolatamente che in filosofia «i veri problemi non hanno soluzione ma storia»11, trovandoci al cospetto di questioni che oggi certamente ci sembrano lasciare traccia soltanto di un percorso snodatosi ormai alle loro spalle piuttosto che di una soluzione a venire. E tuttavia proprio perché veri luoghi che di volta in volta il filosofo, quando pensa, torna ad
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attendere, ad interrogare, quei problemi devono pur essere guardati in faccia e lucidamente dichiarati, con fatica – senza speranza e senza ritegno –, questioni universali, e perciò filosofiche.
2. Abitare all’aria aperta? Quando si avvicinava la sera, scendevo dalle cime dell’isola e andavo volentieri a sedermi sul greto in riva al lago, in qualche anfratto nascosto. Qui, dove l’attenzione veniva fissata dal rumore delle onde e dall’agitarsi dell’acqua, e ogni altra agitazione era cacciata dall’anima, mi immergevo in uno stato di delizioso trasognamento in cui spesso era la notte a sorprendermi senza che io me ne accorgessi. Il flusso e riflusso dell’acqua, il suo rumore ritmato e continuo, a tratti più gonfio, che senza posa mi colpiva gli occhi e le orecchie, suppliva ai movimenti interiori che il trasognamento dentro di me aveva spenti, e bastava da solo a farmi sentire con piacere la mia esistenza, senza darmi la pena di pensare. Di tanto in tanto nasceva qualche debole e breve riflessione sull’instabilità delle cose del mondo, di cui la superficie dell’acqua mi offriva l’immagine. Subito, però, quelle lievi impressioni venivano cancellate dall’uniformità del movimento costante che mi cullava, e che senza nessun concorso attivo della mia anima m’incantava al punto di non potermene staccare senza sforzo, quando venivo richiamato dall’ora o da un segnale convenuto. Rousseau, Le passeggiate del sognatore solitario
La condizione di eredi non è sempre la più conveniente, né la più fruttuosa. L’età che si vuole postmetafisica, quando non si dichiara postfilosofica tout-court, guarda sovente alla modernità con la presunzione di ritenersi più scaltra, o perlomeno più fortunata, perché alleggeritasi di quanto gravava come necessitarismo prodotto da schemi onto-logicizzanti e causalistici prima ritenuti incontrovertibili e ora invece abbandonati defi-
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nitivamente oppure sottoposti a una revisione critica che li ha del tutto neutralizzati. Nel circostante panorama di insicurezza che s’è provato a tratteggiare, una forma di scientificità per la filosofia in generale viene ancora ricercata e accolta, pur con un atteggiamento misto di avvedutezza e diffidenza (“per la filosofia in generale”, vale a dire fatta salva quella scientificità specifica che al contrario è intensamente richiesta e perlustrata, la quale s’intreccia direttamente e indirettamente per via disciplinare con la ricerca filosofica in ambiti d’indagine particolare e applicata), invece nessuno sembra più spendere nemmeno mezza parola a favore di una generale sistematica filosofica – va da sé che la “teoria di sistemi” sia tutt’altro! L’antica polemica contro l’esprit de système, già accesa nel dibattito inauguratosi a metà del XVII secolo col Traité des systèmes di Condillac, ha trovato un luogo di svolta epocale nell’esaltazione contemporanea del frammento, del rizoma, dell’aleatorio, accanto alla complementare dichiarazione di insensatezza di ogni forma di intero o totalità filosofica. Si badi: ciò che perlopiù si sconfessa ed abiura non è soltanto una totalità organizzata necessariamente ed esclusivamente secondo una scansione deduttiva, come lo è ancora il sistema kantiano, ma è altresì una sistematica filosofica qualunque, una totalità semplicemente in grado di coordinare in modo interdipendente, per via di concatenamenti concettuali e argomentativi, una complessità di cognizioni e ragionamenti filosofico-speculativi. Giudicato impossibile il o anche soltanto improponibile un sistema di filosofia, si guarda con sospetto, se non con livore, quel filosofo che soltanto adombri un proposito sistematico, per dir così, in via ancora del tutto preterintenzionale. Si trascura però che, per esempio, due tra i più grandi maestri del novecento, Heidegger e Wittgenstein – la cui discendenza non ha ancora terminato di annoverare proseliti –, non ripudiarono qua talis il sistema, semmai si potrebbe
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dire che entrambi ne forgiarono più di uno. In ogni caso, quanto più o meno plausibile o totalmente da discutere si ritenga questa interpretazione, per altro verso ci si dovrebbe comunque chiedere se proprio tale costruzione plurisistematica sia una conquista peculiare delle “magnifiche sorti progressive” del XX secolo. Ciò che stiamo per esporre potrebbe aiutare a istillare almeno un minimo ma salutare dubbio in merito. A ben vedere proprio il nostro Fichte, che forse non arrivò mai alla definizione di più sistemi eterogenei o comunque compiutamente diversi e irrelati, aveva già adottato una strategia plurale nell’elaborazione di quell’autentico work in progress che è la sua dottrina della scienza. Lavoro sempre in corso di esecuzione e mai ultimato, opera-processo continuamente in fieri, opera anche multiforme e multimediale affidata a pagine stampate e ad abbozzi manoscritti privati, a conferenze pubbliche mai pubblicate dall’autore, a «conversatori» al termine delle ore di insegnamento accademico e a lezioni domestiche per un pubblico prescelto, la scientia scientiae fichtiana nella varietà dei suoi mezzi espositivocomunicativi e nelle sue successive versioni si profila come sviluppo spezzato di distinti costrutti o ordinamenti sistemici i quali, appunto nel loro svolgimento irregolare, riproducono però costantemente strutture e funzioni simili. Si badi: ognuno di questi costrutti è nitidamente riconoscibile nella sua matrice eppure il principio di ciascuno può venire sussunto e risolto, senza annullare la sua individua peculiarità, in un principio più alto o più complesso. Ove ciò che importa osservare è che a ciascun livello sistemico, nella sua obiettiva irriducibilità e specificità, si evidenziano configurazioni con proprietà scalanti, cioè le cui parti godono precisamente di forme, strutture, funzioni simili e determinabili-calcolabili in modo scalare secondo differenti gradi-frazionamenti. Ciò si rende in qualche modo visibile se si osserva
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tutto il profilo irregolare, appunto mai di diretta derivazione deduttiva né di sviluppo continuo e rettamente unilineare, disegnato dalla strutturazione complessiva dei piani sistemici della Wissenschaftslehre: il primo pone alla base l’identità logico-formale (il Fondamento dell’intera dottrina della scienza, 1794-95); un secondo l’atto dell’autocoscienza (Versuch einer neuen Darstellung der Wissenschaftslehre, 1797-98 [Saggio di una nuova esposizione della dottrina della scienza]); un altro l’assoluto privo di qualsiasi attributo che pure si manifesta in sé come ragione (Darstellung der Wissenschaftslehre aus dem Jahren 1801/02 [Esposizione della dottrina della scienza degli anni 1801/02); un altro ancora il darsi della verità che coincide sia con l’assoluto sia con la sua intellezione (Die Wissenschaftslehre. [II. Vortrag in Jahre 1804] [La dottrina della scienza. (II esposizione nell’anno 1804)]), e così via. Costrutti successivi che configurano prospettive diverse – cioè a differenti livelli – sull’inizio del filosofare, impostando però problematiche stringentemente, strutturalmente rapportate l’una all’altra12. Eppure ramificazioni sistemiche né linearmente progressive né semplicemente sostituibili a vicenda, perché ognuna di esse, nel suo susseguire alla precedente, la include o la scarta, e in ogni caso deforma, in modo più o meno lieve, il consistente medesimo ambito operativo della dottrina della scienza su cui verte: il rapporto, per Fichte problematicissimo, tra soggettività assoluta e soggettività finita. Ogni configurazione gode di caratteristiche proprie anche perché si rivolge ad oggetti che non vengono assunti come invarianti e definiti una volta per tutte bensì subiscono fluttuazioni concettuali puntualmente registrate dalla medesima fibrillazione del lessico fichtiano e delle sue marche semantiche. Insomma: più costrutti sistemici e pertanto una complessità, irriducibilità, eppure anche similarità di funzioni e strutture che non si riesce tuttavia a unificare, per dir così, operando
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su di esse un calcolo integrale indefinito, o applicandovi in un qualche modo una sorta di sovra-sistema unitario o di super-ordine, pure dinamicisticamente inteso, qualcosa insomma che assomigli per analogia al «circolo dei circoli» hegeliano. Invece, una complessità in divenire che cresce continuamente e irregolarmente in e su se stessa, ove nei diversi livelli di ramificazione sistematica, su piani di grandezza e di orientamento variabile, si consolidano strutture e si esplicano processi che si rapportano fra loro secondo proprietà suscettibili forse di essere interpretate in maniera “frattale”13. Dottrina della scienza non come “vuoto della scienza” (Schopenhauer) ma come frattali della scienza: o forse dovremmo dire scienza (filosofica) a frattali? Ora, comunque la si voglia leggere, la pluralità e complessità sistematica della Wissenschaftslehre resta un fatto. Con essa, con il complesso delle sue versioni tanto quanto con i suoi singoli costrutti, gli interpreti non hanno smesso di misurarsi. Del resto, la molteplicità delle esposizioni pubbliche e private non viene a contraddire la forma di sistema la quale, pur poggiata sull’unità e strutturata secondo il criterio dell’organicità, non costituisce mai un puro fine. Il sistema è per Fichte, da subito e sino al termine della sua speculazione, soltanto il mezzo per giungere alla scienza della filosofia teoretica e pratica. Il sistema vale nella misura in cui ottiene di essere «il sistema dello spirito umano», il sistema cioè che, basandosi su un unico principio unitario, attinge il significato della ricerca filosofica per la vita. Altro non v’è. Soltanto movendo, kantianamente, alla realizzazione di un fine, il sistema ottiene la propria legittimazione. E nello specifico fichtiano il fine da realizzare è costituito dall’unità dello spirito puro cui deve tendere ogni io individuale nell’indagine speculativa così come nella prassi del vivere. Nell’ottica funzionale con cui Fichte assume la forma del sistema, non ne va mai della com-
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pletezza o incompiutezza, della regolarità o irregolarità sistematiche in quanto tali. La coerenza o derivabilità di un assetto di principi e argomentazioni nei confronti della loro precedente ramificazione-versione è soltanto un mezzo accessorio e contingente: ciò di cui importa davvero è la stabilità del sapere teoretico-pratico che muove unitariamente da un solo, supremo principio. Quest’osservazione trova un distinto annuncio nello scritto programmatico Über den Begriff der Wissenschaftslehre oder der sogenannten Philosophie [Sul concetto della dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia]. Fichte lo redasse nel marzo-aprile 1794 come invito agli studenti dell’università di Jena, dove egli era stato chiamato a succedere sulla cattedra di Reinhold – a sua volta trasferitosi presso la sede universitaria di Kiel –, perché potessero disporre anticipatamente di un’enucleazione sintetica del concetto di “dottrina della scienza” che egli avrebbe svolto nelle lezioni14. A tutti gli effetti tale visione è però già pienamente delineata nelle Züricher Vorlesungen [Lezioni di Zurigo] di poco precedenti: «Tutti concordano che la filosofia sia una scienza. […] La scienza in generale deve essere considerata sotto il profilo della forma. La forma è il rapporto delle parti al tutto, e del tutto alle parti. Inoltre la scienza deve venire considerata sotto il profilo della materia, oppure anche del contenuto interno»15. Quanto alla forma, che rappresenta «il come» o «mezzo» dell’esposizione scientifica, si chiarisce subito che, avendo ogni scienza «un principio fondamentale (Grundsatz) dal quale vengono dimostrate tutte le proposizioni e che a sua volta non ha bisogno di alcuna dimostrazione», è precisamente la deducibilità, mediata o immediata, da questo unico principio a fare della scienza un sistema. Quanto alla materia, che invece rappresenta «il che cosa», essa è «il certo» assunto come quel «contenuto interno» che comunica certezza e stabilità a tutte le proposizioni della
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scienza: il certo è l’«elemento essenziale, cui sopraggiunge la forma», la qualità sistematica che permette al certo di valere come scienza16. Erigere l’edificio del sapere che ha valore totalizzante per lo spirito umano, ossia per l’indagine speculativa non più che per la prassi e la vita dell’uomo, ed erigerlo sulla libertà. Lì, nella libertà, primissimo e infondabile principio oltre la sfera del teoretico e oltre quella del pratico, ma anche oltre la loro stessa relazione, lì porre dimora: lì essere e poggiare, potersi sentire stabilmente a casa e di lì poter intraprendere ogni varia iniziativa – ecco in metafora, per dir così, l’intentio princeps fichtiana. «Da cima a fondo, il mio sistema è unicamente un’analisi del concetto di libertà e in esso non si può contraddirlo»17. Difficile equivocare tanta nettezza. Nondimeno il compito che così si profila, anche per uno sguardo sommario come il nostro, non è certo semplice: cogliere la libertà come principio primo e infondabile implica – parafrasando (si parva licet…) lo stile cognitivo cartesiano – il fare almeno un minimo di chiarezza e distinzione su un principio che: i) deve comunque essere correlato-declinato nel sistema dello spirito, e pertanto esige che si chiarisca il modo della sua relazione ai principi di strutturazione e di «analisi» del sapere teoretico e pratico; ii) proprio valendo quale principio ultimo di fondazione unitaria, intende porre capo a un sistema che porta a compimento la filosofia trascendentale smarcandola peculiarmente da ogni altro tipo di filosofia18: sistema del “sapere del sapere”, di contro ai saperi – fra i quali anche molte altre visioni filosofiche – che vertono su oggetti speciali. In questa sede, adottando un approccio che si sviluppa in senso non lineare ma concentrico, inizieremo ad affrontare tale seconda questione perché serve ulteriormente a chiarire la cornice entro la quale inquadrare il
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Fondamento. Alla prima questione si risponderà invece provando ad approfondire la struttura speculativa dell’opera. Anzitutto si vuole pertanto scontornare la dottrina della scienza, nella prima esposizione dei suoi principi e della sua articolazione, considerandola prevalentemente “all’esterno”, richiamando altresì le questioni e le opere che forniscono a Fichte la materia dell’indagine. D’altro canto non va mai trascurato lo stesso luogo genetico della Wissenschaftslehre, che è in buona sostanza una ripresa critica delle filosofie di Kant, Reinhold, Schulze e Maimon. Tentiamo di capire essenzialmente le ragioni di questa critica, individuando dalla visuale fichtiana quel nucleo tematico che ci permette di costruire un breve ma unico e coerente asse di discorso. Il punto da cui muovere può senz’altro essere collocato nella Critica della ragione pratica kantiana, che Fichte lesse nel 1790 ricevendone, com’è noto, un’impressione talmente innovativa da annotare questa esperienza come forse il confronto decisivo della sua vicenda filosofica. Ciò che vi colse immediatamente lo condusse a rovesciare il proprio precedente orientamento di pensiero, allora alquanto prossimo al determinismo. Con quella lettura, che nel giro di poco tempo aveva fatto seguito all’approccio – assai meno sconvolgente – alla Critica della ragione pura e che subito venne accompagnata dallo studio della terza Critica19, importantissimo per il contributo che l’estetica e la teleologia kantiane diedero alla maturazione di quella praticità dell’io su cui verte la terza parte del Fondamento, egli riuscì a trovare una risposta persuasiva e fondata ai propri radicali interrogativi. Nella seconda Critica scoprì una rinnovata concezione della libertà dell’uomo, giunta a illuminargli la possibilità del dovere e della virtù, in una parola, il vero e proprio «mondo nuovo» di una condotta di vita eticamente ispirata20. Eppure proprio approfondendo la filosofia di Kant, Fichte si persuase che «quell’uomo singo-
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larmente unico che la nostra età, dopo millenni trascorsi, doveva produrre» pareva indugiare ancora soltanto sulla soglia metodologica. La filosofia kantiana valeva quale indicazione di una via – la necessità del sistema –, nulla di più. Dunque: non il contenuto, la materia, il “che cosa”: ma la forma, il mero “come” era il guadagno che se ne poteva ricavare. Una forma però, per quanto detto sopra, priva di certezza, e perciò una sistematicità vuota e non-scientifica, quasi una pura, inessenziale formalità. «Kant ha semplicemente additato la verità, ma né l’ha presentata né l’ha dimostrata»21. In ultima analisi, la filosofia critica mancava, nell’avviso fichtiano, del principio necessario per fondare unitariamente e sistematicamente la scienza del sapere teoretico e quella del sapere pratico. Una scienza teoretico-pratica la quale, una volta che si fosse impossessata del nuovo principio fondamentale ancora da porre, sarebbe risultata capace di esibire in connessione uniforme tutte le relazioni proprie del «sistema dello spirito umano» e di enunciarle con limpida evidenza, al pari della geometria. Né le cose erano andate tanto meglio con la filosofia successiva, per esempio con Reinhold, che Fichte stimava moltissimo e del quale aveva letto lo Über das Fundament des philosophischen Wissens [Sul fondamento del sapere filosofico]. La ragionevole insistenza reinholdiana sulla necessità di reperire ancora un principio unico per fondare la filosofia come scienza, che Reinhold aveva poi individuato nel Satz des Bewußtsein, ovvero nel «principio di coscienza», faceva di questo filosofo un pensatore capace di scendere più in profondità di Kant. Per la filosofia reinholdiana il principio di coscienza era fonte della rappresentazione (Vorstellung) e dalla capacità di rappresentare dipendeva tutto il conoscere. Ogni rappresentazione, obiettava però Fichte, è una determinazione empirica dello spirito e, in quanto tale, uno stato di fatto. Dunque, quando anche si fosse trattato di rap-
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presentare il principio della rappresentazione, cosa d’altro avrebbe potuto essere presente alla coscienza al di fuori di alcunché di fattuale? La stessa necessaria rappresentazione del rappresentare poteva forse sottrarsi alla fattualità del suo darsi coscienziale? Ridotto a dato di fatto (Tatsache), per dir così, “mortificato” nella cosalità compiuta del dato di coscienza, anziché reperito in un’«azione-in-atto» (Tathandlung) effettiva ed efficacemente operante, il principio postulato da Reinhold non poteva risultare, secondo l’analisi fichtiana, principio dell’intera filosofia: poteva forse valere per la sfera teoretica, certo non per quella pratica. Avrebbe cioè realmente spiegato i pensieri, sarebbe sì stato in grado di dotare scientificamente del carattere di immutabilità le proposizioni della filosofia, ma non sarebbe invece riuscito ad illustrare – ancor meno a giustificare – la necessità che con esse concordasse la libera prassi attiva dello spirito: non era, pertanto, primo principio. Fichte pervenne a tale giudizio su Reinhold studiando intensivamente il saggio scritto nel 1792 in puro spirito humiano, e pubblicato anonimo, da Gottlob Ernst Schulze, Aenesidemus oder über die Fundamente der von dem Herrn Professor Reinhold in Jena gelieferten Elementar-Philosophie. Nebst einer Vertheidigung des Skeptizismus gegen die Anmaassungen der Vernunftkritik [Enesidemo ovvero sui fondamenti della filosofia elementare sostenuta a Jena dal sig. prof. Reinhold. Con una difesa dello scetticismo contro le pretese della critica della ragione]. Presosi l’impegno di recensire tale opera per la «Allgemeine Literatur-Zeitung» di Jena alla quale era stato chiamato a collaborare, Fichte redasse effettivamente la recensione, esprimendovi anche la propria critica a Reinhold. Egli vi lavorò durante il suo soggiorno zurighese tra la fine del 1793 e metà gennaio 1794, mentre attendeva nel contempo alla stesura delle sue Eigne Meditationen über Elementarphilosophie [Meditazioni
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personali sulla filosofia elementare] e della connessa Praktische Philosophie [Filosofia pratica], che concluse alla fine del febbraio seguente22. Nella già citata lettera a Flatt Fichte osservava: «Enesidemo, che ritengo fra i prodotti degni di nota del nostro decennio, mi ha convinto di ciò che già sospettavo: che anche dopo i lavori di Kant e Reinhold la filosofia non si trova ancora nelle condizioni di una scienza; egli ha scosso il mio sistema sin dalle fondamenta e mi ha costretto a edificarlo da capo, giacché all’aria aperta non si può abitare bene»23. Nella filosofia fichtiana non v’è ancora posto per il nomadismo – a tal punto àmbito invece dalla filosofia del XX secolo da far venire il sospetto che invero pure in esso ci si possa confortevolmente acclimatare e “sentirsi a casa”, che si possa abitare la stessa “programmatica” asistematicità come un morbido, effettivo, giustificante tutto. Per l’autore della dottrina della scienza lo stare puramente e perennemente esposti all’aria aperta non è giovevole né può recare alcunché di buono, perché in quelle condizioni non si vive bene. Se il sistema è vuoto, in quanto privo della certezza del primo principio, è per Fichte come se non esistesse: la mera forma non ripara dall’intemperie dello scetticismo, non garantisce né contiene alcunché di stabile. Un altro passaggio epistolare fichtiano lo ribadisce, dichiarando l’urgenza di una nuova solidità: «Ha letto Enesidemo? Per un certo periodo mi ha confuso: ha fatto crollare il mio giudizio di Reinhold, mi ha reso sospetto Kant ed ha fatto rovinare dalle fondamenta tutto il mio sistema. Abitare all’aria aperta non è conveniente! Non v’era pertanto altro da fare: si doveva ricominciare a costruire»24.
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3 Scientia scientiae et scientiarum «La scienza per sua natura non si riferisce forse a ciò che è, per conoscere il modo d’essere di ciò che è? Piuttosto, prima di procedere mi sembra necessario fare questa distinzione». «Quale?». «Diremo che le facoltà sono un genere di cose, grazie alle quali noi possiamo fare ciò che possiamo, e così lo può qualsiasi altra cosa: ad esempio dico che la vista e l’udito sono tra le facoltà, se capisci a quale specie di cose intendo riferirmi». […] «Ed ora torniamo al punto, dissi io, mio ottimo amico. Quanto alla scienza, dici che essa è una facoltà, oppure in qual genere la poni?». «In questo, disse, e proprio come la più forte delle facoltà». Platone, Repubblica, 477 b-e
Il 24 febbraio 1794 Fichte teneva a Zurigo, in casa di Johann Kaspar Lavater, pastore della Chiesa di San Pietro, la conferenza iniziale del già citato ciclo di lezioni sulla filosofia critica. È in questa occasione che egli ricorse per la prima volta all’espressione «dottrina della scienza». Nel quadro delle coordinate concettuali già indicate, Fichte forniva la seguente definizione: «Filosofia sarebbe la scienza in sé, la scienza della scienza in generale – o la dottrina della scienza»25. Nulla a questo punto può ancora essere anteposto alla chiarificazione della filosofia fichtiana in quanto dottrina della scienza. Per cogliere, com’è opportuno, questa definizione, è necessario penetrare le peculiarità strutturali di cui la filosofia secondo Fichte deve disporre in quanto scienza della scienza in generale. A tale scopo, possiamo convenientemente affidarci anzitutto al testo del Concetto. Nel primo paragrafo di questo scritto ritroviamo ciò che abbiamo appreso finora della dottrina della scienza e che possiamo enucleare sinteticamente nei seguenti requisiti: i) filosofia è scienza, anzi, scienza in sé; ii) la forma sistematica è il mezzo tramite il quale
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essa si prefigge di realizzare il suo scopo essenziale; iii) questo suo vero scopo è fondare la certezza delle proposizioni – cioè dei teoremi – che essa connette, rendendole sistematicamente dimostrabili; iv) fondare la certezza delle proposizioni implica reperire, contenutisticamente, la certezza del principio in sé che regge la dottrina della scienza, e dunque affrontare l’aufondatività della Wissenschaftslehre stessa; v) ed altresì implica il dedurre, ovvero il giustificare razionalmente, la certezza di tutte le altre scienze che su quell’unico principio si fondano e ne vengono geneticamente rese comprensibili. Soffermiamoci un istante sulla questione della certezza, che inerisce essenzialmente allo scopo “scientifico” della filosofia. Ora, il principio della dottrina della scienza vale quale fondamento assiomatico dei principi di tutte le altre scienze. È un fondamento a sua volta infondabile per via dimostrativa – ché altrimenti presupporrebbe qualcosa di superiore il quale, in un qualche modo, giungesse appunto a fondarne fondatezza e fondatività. È certo in sé, certo perché immediatamente certo in virtù di se stesso e non perché discorsivamente dimostrato per concetti. In breve, è principio in tutto e per tutto certo perché gode di proprietà autofondativa ed è l’unico a poterne godere. «Questo principio è certo in assoluto, ossia è certo perché è certo. È il fondamento di ogni certezza, in altri termini, tutto ciò che è certo è certo perché esso è certo, e nulla v’è di certo se esso non è certo. È il fondamento di ogni sapere, cioè si sa ciò che esso asserisce, per il fatto che in generale si sa: immediatamente lo si sa, non appena si sa un qualcosa. Esso accompagna ogni sapere, è compreso in ogni sapere ed ogni sapere lo presuppone»26. Ogni sapere sa qualcosa, in quanto nella determinazione saputa presuppone trascendentalmente il contenuto assoluto del principio primo. Ogni sapere, nel proprio porre fondatamente qualcosa, presuppone la pro-posi-
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zione del principio fondamentale. Ciò per Fichte si traduce quasi istantaneamente nella presup-posizione della «scienza della scienza in generale» – ovvero della dottrina della scienza – da parte di ogni altra possibile disciplina scientifica particolare. Ogni scienza ottiene la propria certezza dal principio che la governa e le offre garanzia di verità: ma questo principio è a sua volta fondato teorematicamente nell’unico, infondabile principio che è alla base della scienza di tutte le scienze e che perciò funge da presupposto assiomatico di qualsiasi asserzione determinata di senso. L’infondabile principio fondamentale è già da sempre saputo per il fatto e nel fatto di sapere qualcosa, di avere cioè una qualche distinta certezza. Nel fatto che di nulla si potrebbe essere certi se prima non si avesse un’originaria certezza del certo in sé, del certo perché certo, si misura l’identità radicale che fonda il differire di filosofia (quale scienza della scienza in generale, o dottrina della scienza) e scienza. Quest’ultima, in ogni sua possibile specificazione, muove da categorie e principi che essa assume quali fatti e che procede a sviluppare determinatamente. Eppure tali fatti sono, dal punto di vista genetico, operazioni differenziate di un’unica identità-unità, quella appunto del principio fondamentale. Si badi, s’è parlato di un differire precisamente per mettere in luce l’impossibile esaustività dell’unica dottrina della scienza nei confronti delle varie scienze: se bastasse il suo principio fondamentale, come si potrebbe mai parlare di scienze particolari e di loro sviluppi autonomi? Se vi fosse esclusivamente l’Identico, l’Unum, di cui ogni determinazione di senso risulterebbe un’inferenza necessariamente derivata su uno qualunque dei determinati piani di senso che da esso si ramificano, in base a quale criterio poter distinguere le scienze dalla filosofia? Come sottrarre una qualche determinata indagine alla voracità “sistematica” di una
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ragione esaustivamente coattiva e onnipervasiva per principio? Ora, – volendo ammettere: i) l’ipotesi, di per sé non escludibile, di una filosofia intesa quale sistema del sapere umano e scienza della scienza in generale; – e non potendo negare: ii) il fatto incontestabile che le varie scienze particolari sussistono e progrediscono in modo indipendente (il che di riflesso prova che la scienza della scienza, nella sua generalità, non si sostituisce alla particolarità e autonomia delle scienze); iii) che se v’è una dottrina generale di tutte le scienze, allora nelle scienze particolari non può sussistere una deducibilità diversa rispetto a quella praticata appunto nella dottrina scienza e da cui risulta fondata e garantita (in quanto “dottrina della scienza” può dirsi soltanto quella che fornisce il fondamento di ogni inferenza possibile, ovvero il principio fondamentale, certo in assoluto, presupposto di ogni connessione sistematica e postulato dalla pretesa certezza di tutte le molteplici proposizioni scientifiche); ebbene, da tutto ciò risulta che le proposizioni valevoli quali principi scientifici particolari devono di per sé aggiungere, sviluppandolo “liberamente”, cioè intrinsecamente, qualcosa che non v’è nei teoremi della dottrina della scienza e che peraltro non può trovarsi fuori di essa. Fichte affronta tale questione introducendo il concetto, poi decisivo per il Fondamento, di azione (Handlung) e sviluppando la distinzione tra «agire necessario» e «agire libero». La dottrina della scienza abbraccia tutto l’agire dello spirito umano, che esso prenda corpo tanto in azioni necessarie quanto in azioni libere. Essa però pone e “determina” le prime come determinate (le azioni che si devono compiere e che non si possono compie-
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re se non in quanto così e così determinate) mentre le seconde come indeterminate (le azioni che, spontaneamente, possono essere fatte e non fatte, tuttavia, se fatte, fatte stando a una regola). Ora, il «supremo principio esplicativo» che fonda le azioni necessarie è la stessa «facoltà dello spirito di determinarsi all’azione in generale assolutamente senza coazione e necessitazione», ossia è la stessa facoltà dell’agire in assoluta libertà (la stessa dottrina della scienza è, infatti, prodotto di una agire spontaneo e libero). Il principio di una scienza particolare sarà pertanto una proposizione non determinata (in altri termini: libera) dalla dottrina della scienza eppure soltanto dalla dottrina della scienza e nella dottrina della scienza resa possibile. La determinazione secondo regole di tale azione libera è appunto l’operazione che spetta per principio alla scienza particolare. «Pertanto nel principio fondamentale di una scienza particolare dovrebbe venire determinata un’azione che la dottrina della scienza avesse lasciata libera: la dottrina della scienza darebbe al principio fondamentale la necessità e la libertà in generale, invece la scienza particolare darebbe alla libertà la sua determinazione; e dunque sarebbe rinvenuta la precisa linea di confine e non appena un’azione, in sé libera, ottenesse una direzione determinata, dal dominio dell’universale dottrina della scienza passeremmo nell’ambito di una scienza particolare»27. La libertà dell’azione esercitata dalle discipline scientifiche particolari consiste nella loro perfettibilità infinita, che procede secondo regole autonome e corre su direzioni specifiche. Fugge linearmente e indipendentemente lo sviluppo scientifico, eppure esso ha una sorta di memoria centrale: soltanto in quest’ultima le molteplici scienze riflettono e verificano stabilmente le loro progressive certezze. Tutte le molte scienze possono anzi esser poste in quanto tali soltanto in virtù della sfera in cui sono infinitamente racchiuse, che esse presuppongono e della quale
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esprimono sempre di nuovo il Grundsatz, il principio fondamentale della loro pro-posizione. Le varie scienze, secondo una celebre metafora fichtiana di sapore neoplatonico, sono infiniti raggi di una circonferenza infinita, raggi che numerano tutti costantemente la medesima infinita distanza dal centro. Ma qual è questo centro da cui essi dipartono e con cui sono dati i raggi stessi? Il centro è l’io, che tutto attrae. Il sapere filosofico che studia questo centro, che ne “geometrizza” i raggi, che edifica il luogo infinitamente distante ove essi conducono la circonferenza e il cerchio intrascendibile che ne viene racchiuso, è appunto la dottrina della scienza. Infatti: «tanto per il loro numero, quanto per la loro estensione, i veri problemi dello spirito umano sono certamente infiniti: risolverli sarebbe possibile soltanto tramite una compiuta approssimazione all’infinito, la quale è in sé impossibile […]. Essi sono raggi, in quantità infinita, di una circonferenza infinita della quale è dato il centro, ed appena il centro è dato sono dati altresì l’intera circonferenza infinita e i suoi raggi infinitamente molteplici. […] Anche la direzione delle linee è data, poiché devono essere linee rette: quindi, tutti i raggi sono dati. (Alcuni tra gli infiniti, innumeri raggi vengono determinati […] come effettivamente da tracciare però non vengono dati: erano dati insieme al centro). Dal punto di vista dei gradi, il sapere umano è infinito, mentre, dal punto di vista della specie, è pienamente determinato tramite le sue leggi e si lascia esaurire completamente»28. Il Concetto ipotizza così il lavoro filosofico “al fondamento” che resta il compito precisamente della successiva Grundlage: penetrare al centro della sfera, cogliervi non un’identità statica ma un’azione infinitamente in atto e fattiva, capace di fondare ogni atto e ogni fatto, ogni categoria e ogni perfezione scientifica, capace, forse soprattutto, di far trasparire la struttura di ogni coscienza finita.
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4. L’edificio dell’io Il mio “io”, confuso con una personalità estranea, vagava alla deriva in balìa degli eventi imperversanti su di me come marosi infuriati. […] Ero colui che sembravo, e non sembravo colui che ero. In quella duplice personalità non riuscivo più a comprendere, a ritrovare me stesso. Hoffmann, Gli elisir del diavolo
Persuasosi durante il primo semestre d’insegnamento del 1794 dell’utilità didattica di un manuale per le lezioni, Fichte si decise a farne stampare le dispense in forma di «manoscritto per i propri uditori», licenziando in tal modo, più o meno controvoglia, quei sedicesimi contenenti la prima e la seconda parte del Fondamento dell’intera dottrina della scienza, che i librai smerciarono a partire dalla fiera di san Michele del 1794 nell’edizione fattane da Christian Ernst Gabler di Lipsia. Una seconda emissione, con la terza parte e la prefazione generale dell’opera, apparve invece soltanto tra fine luglio e inizio agosto del 1795 per i tipi del medesimo editore. Un’uscita pubblica, quest’ultima, avvenuta certo con ritardo rispetto ai propositi iniziali di Fichte, a causa anche del frettoloso allontanamento da Jena dopo le ripetute aggressioni delle quali era stato fatto oggetto per essersi impegnato in vista dello scioglimento delle corporazioni studentesche. 4.1. Galleria di specchi Fornire i principi ultimi di tutto il sapere umano teoretico e pratico, non l’intera dottrina della scienza ma appunto il suo puro e semplice fondamento29: ecco, l’intento dell’opera è presto detto. La realizzazione di quest’impresa, che coincide poi con tutta la costruzione dello scritto, percorre un «circolo» riflessivo. Movendo dalle leggi della logica e della riflessione postulate valide, si pone capo ai primi principi e soltanto in seguito si
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ritrova e dimostra per via argomentativa la cogente validità delle stesse leggi presupposte30. Riprendiamo ora schematicamente, per linee essenziali, l’apertura della trattazione fichtiana che, quasi al modo della metafisica scolastica, inizia e procede esponendo i principi di identità, contraddizione e ragione sufficiente evocati nei primi paragrafi del Fondamento nei termini di identità, contrapposizione e divisibilità, o denominati come le tre categorie kantiane della qualità: realtà, negazione, limitazione. Fichte indaga il principio assolutamente primo, il cominciamento di ogni cosa: di tutto il sapere e di ogni essere cosciente. Affatto “libero”, “sciolto”, absolutus appunto, esso è schlechtin unbedingt, puramente e semplicemente incondizionato, o incondizionato in tutto e per tutto, in assoluto, senza alcuna ragione e fondamento ulteriore. È indimostrabile, indeterminabile, infondabile principio, in cui è, ab origine, tutto ciò che è. Esprime l’azione-in-atto nel fatto, l’atto in esercizio, operante e costitutivo, la Tat-handlung che, nella propria autoposizionalità, rende possibile e fonda il fatto-cosa (Tat-sache) di coscienza. Precisamente questo fatto è enunciabile nella forma immediatamente evidente della tautologia: A è A, ovvero A = A. Il che significa, come insiste il ragionamento fichtiano, che se A è, allora è A, A = A. Ciò che si afferma con necessità incontrovertibile e che appare dimostrato nella prima proposizione capitale di tutto il sapere consiste nel nesso identitario di A con A. L’azione-in-atto è identità-in-atto. L’originaria intrascendibilità formale del primo principio dimostra altresì la trascendenza di A, o meglio, della sua esistenza, del suo effettivo esserci, nei confronti della connessione in cui esso si identifica. Un nesso di due termini tale per cui l’uno si mostra soltanto a partire dall’altro, cioè dal suo essere se stesso, A, nel suo esser-altro. Se questo altro non fosse, A non sarebbe uguale ad A. I ter-
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mini in gioco sono irriducibilmente due, ma proprio perché due sono uno, un identico A. Un’identità che si esprime necessariamente in forma proposizionale, nella forma in cui A, se è, è copula di A con un altro A. La certezza assoluta di questa proposizione A = A è la medesima del primo principio, certo perché certo. Ma, istantaneamente, nella certezza di questa proposizione copulativa si mostra altresì la certezza che quel rapporto è nell’io e posto dall’io. Cioè: la possibilità del nesso A = A presuppone l’io che giudica istituendo la relazione d’identità; che, pur non ponendo affatto A, pone la necessità che A sia A. Dunque, la proposizione A è A dipende da un io il quale esprime il giudizio di identità proprio in quella forma proposizionale: A = A. Differentemente da A, l’io non dipende che da se stesso, dalla spontaneità sorgiva del suo autoporsi. Io è il fondamento radicale dell’attività che in primo luogo, cioè come attività pura e spontanea, non può esprimersi se non nell’enunciato dell’identità, nell’intuizione dell’io sono io, nella forma io = io. «In tal modo, pura attività dell’io è il suo porre da se stesso. – L’io pone se stesso ed è in forza di questo puro e semplice porsi da se stesso, e viceversa: l’io è e pone il suo essere in forza del suo puro e semplice essere». Io è, in uno, agente e prodotto dell’azione; è ciò che è attivo e ciò che è prodotto dall’attività; è azione (Handlung) e suo atto-fatto (Tat). E perciò «l’io sono è espressione e atto di un’azione-in-atto (Tathandlung): ma anche dell’unica possibile azione-in-atto»31. Ora, il principio fondamentale è l’assolutamente presupposto: logicamente indimostrabile, neppure è inferibile da altre proposizioni, alle quali deve garantire certezza. Tale principio è l’io. Ma quale io? Non un io fisso e statico. Dire “io” significa in primis: agire. Principio e realtà prima è l’io in quanto atto, non, si badi, in quanto identità ferma che poi può agire oppure no. L’io è essenzialmente azione e operatività in atto. Non sta né si ferma, sem-
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mai, come vedremo, urta contro ciò che lo impedisce, e poi riprende. Non gli accade di agire, è agire. «L’io è in tutto e per tutto attivo e puramente e semplicemente attivo – questo è il presupposto assoluto»32. Il centro della sfera infinita di cui parlava il Concetto, il principio assolutamente primo e fondamentale è attività, anzi è lo stesso effettuarsi di un’azione operativa, il farsi un’azione spontaneamente in corso. E quest’azione-in-atto è l’io. Il centro, fondamento e principio di tutto l’umano sapere, è l’io in quanto azione costitutiva, atto operativo in assoluto. Io che produce, opera e fa. Cosa? In primo luogo e in assoluto: l’io stesso. Io è presupposto incondizionato e principio primo dell’attività che, originariamente e in tutto e per tutto, lo pone come urgente atto di porre. «Io sono io» è precisamente la pro-posizione che enuncia questa pura azione originaria dell’io, ossia che l’io è. Di qui muove l’intero scritto, che non a caso prende avvio trattando il “Primo principio fondamentale in tutto e per tutto incondizionato” nel § 1 della “Parte Prima” (“Principi fondamentali dell’intera dottrina della scienza”) e sviluppando l’idea-cardine di un’autoposizione dell’io quale principio incondizionato di tutto l’umano sapere. L’indagine si volge dunque al primo principio, indimostrabile e indeducibile proprio perché «assolutamente primo». E tale principio deve esprimere l’azione effettivamente in atto ed autoponentesi. L’io è e si pone in virtù del suo puro e semplice essere: è in virtù del suo porre da e attraverso se stesso e, inversamente, è e pone il suo essere in virtù del suo semplice essere. L’io pone sé all’inizio e insieme nell’esito di un’operazione aupoietica. Esso non è scoperto al termine di una riflessione coscienziale o di un’introspezione psicologica. Se l’“io sono” cartesianamente implicito in ogni esercizio del pensare è il supremo dato di fatto della coscienza, la certezza di tale pensiero si fonda sulla sua proprietà atti-
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va di verificare se stesso. L’io, per Fichte, non dipende che da se stesso. Io sono: l’io che penso e che perciò stesso pensa. Io – sulla base e a partire dal centro irradiantesi di questo pensiero così pensante. L’io non verifica sé in quanto individualità concretamente empirica e determinata, bensì quale «soggetto assoluto» pensante e indeterminato. Cosa significa, attenzione, soggetto assoluto? Scrive Fichte «Ciò il cui essere (essenza) consiste semplicemente nel fatto di porre se stesso come esistente è l’io quale soggetto assoluto»33. Per soggettività assoluta non va intesa quella di un immaginario super-soggetto, divinamente dotato di poteri creativi e facoltà onniscienti, ma si deve intendere la struttura apriorica dell’egoità che è essenzialmente – vale a dire, secondo essenza e secondo esistenza – l’atto autoponentesi del pensare e insieme il suo esito operativo34. L’io di cui tratta il Fondamento è soggettività assoluta, è assoluto – ma in che misura ne tratti, e se veramente ne tratti, si dovrà tornare a valutare – in quanto “libero da” ogni determinazione che non si esaurisca nel farsi del pensiero attualmente pensante. La soggettività assoluta coincide con la “disincarnata” struttura egoico-aprioristica che tutto rapporta e commisura a sé. L’io colto quale soggetto assoluto è «ciò da cui ogni categoria è dedotta». Anche per tale aspetto, è certo figlio dell’io-penso kantiano. L’io, s’è detto, è effettiva azione nell’atto di porre. E la sua posizionalità originaria è, primariamente, posizione di sé in quanto ponente. Nel primo principio del Fondamento l’io semplicemente, teticamente pone sé. Eppure, nello stesso medesimo atto che pone, l’io oppone a sé altro, si op-pone e, contrap-ponendo sé a sé, nega assolutamente la propria assoluta posizionalità. Nega in sé, essenzialmente dunque, il proprio io. Questa è la struttura: vediamone velocemente l’introduzione formale sviluppata dal testo fichtiano. L’assoluta teticità dell’atto in cui e con cui l’io si auto-
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pone spontaneamente non esclude, come si è visto, la duplicità e l’alterità, anzi le richiede, quali condizioni di ciò che potremmo chiamare l’autopoiesi dell’identico. L’identità si manifesta, infatti, nel simultaneo differire di azione e atto, di produzione e prodotto. Abbiamo osservato in tal senso che A viene alla luce in quanto tale ponendosi in relazione all’altro da sé. Se non si producesse nella relazione identificante, dunque se non fosse quell’A soggetto e oggetto del porre, se non si ponesse come essere-altro, allora non potrebbe istituirsi come essere-sé, risultando un’ineffabile indifferenza piuttosto che una chiara e netta identità. La stessa azione originariamente e fattivamente in atto, l’unica attività pura pone insieme con la forma proposizionale copulativo-connettiva A = A anche quella disgiuntivo-oppositiva “-A non = A”, o meglio, pone sé in entrambe le forme. Essendo una sola e medesima azione-in-atto nelle due forme contrapposte, per dir così recto e verso l’una dell’altra, l’opporre è formalmente assoluto e intrascendibile quanto il porre. Si badi: l’enunciato negativo «-A non = A» non viene dedotto discorsivamente, astrattamente dal positivo A = A, perché entrambi esprimono ab origine, radicalmente l’identica azione autoponentesi. Alla domanda che Fichte formula circa l’essere posto di -A, egli stesso risponde che -A è posto come tale puramente e semplicemente perché è posto, in assoluto. Ora, nulla è posto originariamente e incondizionatamente tranne che l’io, sicché anche l’assoluto op-porre è comunque sempre dell’io, è suo “predicato”. Come tenteremo di sviscerare meglio tra breve, l’azione costituente e in atto, cioè l’io qua talis, pone ed oppone in tutto e per tutto. L’identità assoluta, il soggetto assoluto opera unicamente in entrambi gli atti, è il presupposto comune tra ponente ed opponente. L’atto posizionale è unico e, ponendo sé, contrappone all’io un altro io, il suo opposto assoluto ed essenziale. Dal porre
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è posto così un atto formalmente indipendente di contrapposizione. L’io è, simultaneamente, porre sé e a sé contrapporre. Nella sua stessa soggettività assoluta in quanto unico atto posizionale, e dunque nell’io stesso, all’io sorge un non-io. Essendo posto nell’io, anche il non-io è “fatto” della coscienza. Anzi, il non-io è nell’unico farsi sempre in fieri che è il porre-sé dell’io il quale, in questo stesso porsi, costituisce originariamente anche il proprio immediato e assoluto contrapposto. In formula, «all’io è in assoluto contrapposto un non-io»35 – e questo appunto è l’enunciato del secondo principio fondamentale della dottrina della scienza. Incondizionato è il primo principio, incondizionato è, formalmente, anche il secondo. È ovvio: è la forma del contrapporre ad essere, dentro l’incondizionatezza del primo principio in tutto e per tutto autoponentesi, assolutamente altra dal suo porre. Io e non-io vengono così a confliggere essenzialmente e in assoluto. Un conflitto risolubile unicamente assumendo un’altra azione ancora, incondizionata però non quanto alla forma bensì per il contenuto. Dunque un’azione che, su un altro piano rispetto a quello della purissima incondizionatezza formale, limiti entrambi i primi due principi rendendoli altresì compatibili-compartecipabili. Ed è ciò che Fichte intende operare introducendo artificialmente, con il terzo principio fondamentale, il concetto di limitabilità, o divisibilità, il quale permette che l’opposizione, insuperabile a livello assoluto, venga tolta su un piano inferiore. La sintesi può dunque porsi soltanto differendo la contraddizione sul piano reale-quantitativo, consegnandola alla «capacità di quantità» (Quantitätsfähigkeit) e alla determinazione reciproca di io e non-io. Il terzo principio è quasi interamente dimostrabile, venendo determinato non per il suo contenuto, che è incondizionato, ma piuttosto per la sua forma e non come il secondo da un principio bensì da due. Il primo e
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il secondo principio, l’io e il non-io quali opposti assoluti, determinano il compito, la forma del terzo: istituire quel rapporto, quel tertium in cui ciò che assolutamente non potrebbe stare assieme si ponga invece fondatamente. «Dobbiamo [...] chiederci: come si possono pensare insieme, senza che si annullino e si sopprimano, A e -A, essere e non-essere, realtà e negazione? […] Essi si limiteranno a vicenda»36. Come si può vedere, siamo di fronte ad una riformulazione del classico dilemma ontologico – sul quale torneremo oltre. Per ora limitiamoci a cercar di capire la soluzione profilata da Fichte, quella cioè che, a suo giudizio, è imposta da un comando della ragione. Il nucleo teorico, com’è evidente, consiste nel concetto di limitazione. Limitare qualcosa significa sottrarne, negarne non tutta la realtà ma soltanto una parte (Teil). È la «divisibilità» (Teil-barkeit) dei principi, dunque, ad esser richiesta a tale nuova azione, ad essere il suo «compito». Quale compito? Porre il rapporto in cui l’oggetto (Gegen-stand) contrapposto, che letteralmente è altresì “contro-parte” (Gegen-teil), possa correlarsi-parteciparsi al soggetto senza che la loro assoluta opposizione li conduca alla distruzione e alla vicendevole eliminazione. “Limitate”, “divise”, “parzializzate”, le due azioni originarie situate nell’io assoluto si rendono così accessibili alla procedura «sintetica» dell’intelligenza dell’io finito. Ogni coscienza, ogni io empirico fonda la propria unità nell’io assoluto, eppure si rende accessibile unicamente nella limitazione reciproca dei principi strutturalmente in conflitto che lo stesso io assoluto in sé comporta. Vicendevolmente limitantisi, cioè non assolutamente opposti, io e non-io sono posti – e determinatamente opposti. L’assolutezza dell’oppositività è tolta con la limitazione, sicché si può intendere l’assolutezza anche come illimitatezza o interezza. Interamente opposti, io e non-io sono assolutamente contrari e l’unica loro proposizione è autocontraddittoria, perché la positio come tale
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dovrebbe impedire l’opposizione; o se si preferisce, perché la posizione dell’uno dovrebbe impedire quella dell’altro; insomma, perché l’assolutezza di ciascuno dei due dovrebbe significare altresì la sua perfetta irrelatezza. Allora è chiaro come mai la soluzione dell’aporia consista in un ordine incondizionato della ragione e sia altrimenti indeducibile dai primi due principi: il «compito» risolutivo non può aver luogo in quanto relazione di opposti assoluti, ma soltanto in quanto si recida la loro illimitatezza. La teoresi si blocca nell’aporetica dell’unica azione originariamente autoponentesi di io e non-io e in tanto si libera, trova una via d’uscita in quanto la contraddittorietà, non tolta come opposizione assoluta, è tolta come opposizione limitata, divisibile, relativa alla coscienza finita. Il che è espresso nell’enunciato del terzo principio della dottrina della scienza: «io contrappongo, nell’io, all’io divisibile un non io divisibile»37. Per questo aspetto si potrebbe perciò concludere che la postulazione di un non-io assoluto, proprio nella sua funzione di resistenza antitetica alla pura attività sempre spontanea dell’io, ottiene il risultato di articolare l’attività coscienziale – ed è quanto avevamo già anticipato sostenendo che l’unità della coscienza non precede la posizione categoriale della negazione oppositiva, ma è successiva alla sua comparsa. Il salto operato da Fichte, su cui si dovrà necessariamente tornare a riflettere, è immediatamente avvertibile nel trapasso dalla forma dell’enunciato impersonaleassiomatico dei primi due principi a quella nominativa del terzo: «io contrappongo...» – principio che riformula il «principio di ragione» leibniziano e la sua funzione di trapasso dal possibile logico al reale. Qui l’io non si identifica più con una soggettività assoluta e puramente autoponentesi, ma con un soggetto individuo e pratico, cioè una soggettività determinata e vitale, tesa alla produzione del mondo oggettivo. Ed in effetti ora siamo sul
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piano di una realtà che è soltanto parte di quella assoluta, appunto è realtà «parziale» che trova nell’interezza dell’altra, quella della totalità assoluta dell’agire, la propria ragione e il proprio fondamento. Questo principio serve a Fichte per legittimare il rapporto di reciproca determinabilità tra i termini in questione, che, a ben vedere, non sono affatto tre bensì quattro: io e non io assoluti, io e non-io limitati. Non appena viene contrapposto un non-io all’io, l’io e il non-io sono posti, infatti, come divisibili. Contrapposto all’io assoluto, il non-io è puramente e semplicemente nulla: contrapposto invece all’io divisibile, è una «grandezza negativa»38. Abbiamo così quattro termini posti in rapporto di opposizione processuale: in una relazione dinamica di antagonismi e di simmetrie, di distinzioni e di uguaglianze. Nella triade delle “proposizioni”, o “principi”, fondamentali (Grundsätze) appena illustrata il Fondamento radica ogni certezza filosofica e scientifica, conseguentemente anche i suoi teoremi del «sapere teoretico» e della «scienza del pratico», cioè delle due parti in cui si articola l’opera – partizione che, evidentemente, ricalca la divisione kantiana tra ragione teoretica e ragione pratica. Va osservato che è proprio il terzo principio fondamentale a tracciare in modo circolarmente sistematico l’articolazione del Fondamento, in quanto dalle opposte direzioni in esso compresenti si sviluppano la parte teoretica e la parte pratica, le cui proposizioni rimandano ad esso e ai primi due che lo determinano. È infatti il principio della divisibilità a permettere che sia l’io sia il non-io siano posti entrambi non soltanto dall’io e nell’io, ma posti in quanto reciprocamente limitabili l’uno dall’altro. Analizzata, questa affermazione ne lascia puntualizzare altre due: «l’io pone il non-io come limitato dall’io», enunciato dal quale si sviluppa la «scienza del pratico», e «l’io pone se stesso come limitato dal non-io», enunciato dal quale si sviluppa la parte teoretica39.
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Ora, non s’è mai sottolineata a sufficienza la rilevanza del pratico sul teoretico, una rilevanza che richiede al lettore del Fondamento di riconsiderare quei teoremi e quelle argomentazioni introdotte e sviluppate dapprima per via riflessiva nella sfera del sapere teoretico (per la precisione, nel § 4 che espone il “Primo teorema” dell’opera) e che alla luce del pratico trovano effettivamente i criteri di correttezza e di completezza. Del resto, e ciò non è di secondaria importanza, il «pratico» di cui qui si tratta riguarda costitutivamente ed esclusivamente la sfera della rappresentazione nel suo versante reale: se nella parte teoretica l’indagine affronta il conoscere, cioè «come qualcosa è posto, intuito, pensato», nella parte pratica viene affrontato il conosciuto, vale a dire «che cosa» rende realmente pensabile per l’io, nella sua condizionata determinatezza, ciò che è posto, intuito, pensato40. Non v’è invece alcun consistente cenno alla dimensione pratica della filosofia nel senso canonizzato da Wolff – poi non tanto lontano da quello già aristotelico –, e cioè come articolazione disciplinare degli ambiti etico, economico e politico. Il pratico indagato nel Fondamento è l’ambito della realtà, anzi della «realtà originaria» – tenendo presente che l’unica realtà originaria per Fichte è l’io quale azione fattiva sempre in atto nel suo farsi e dar forma. In tal senso, il pratico sarebbe piuttosto settore di studio della metafisica. Lo scrive Fichte stesso nel «Terzo teorema»: «Se la dottrina della scienza dovesse comprendere davvero una metafisica, quale presunta scienza delle cose in sé, e se una tale scienza le venisse richiesta, essa dovrebbe rinviare alla sua parte pratica. Come risulterà in modo sempre più stringente, soltanto questa parte tratta di una realtà originaria, e se alla dottrina della scienza si dovesse chiedere: come sono conformate le cose in sé?, non si potrebbero rispondere altrimenti che: così come noi dobbiamo farle»41.
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A questo punto, volendo seguire in modo schematico e lineare il corso della prima esposizione sistematica della dottrina della scienza, v’è da presentare anzitutto i punti capitali del «sapere teoretico». 4.2. Figure e funzioni della relazione La seconda parte dell’opera contiene un solo teorema, il primo del Fondamento, che muove dalla proposizione già indicata come uno dei due percorsi di sviluppo immanenti al terzo principio fondamentale: l’io pone se stesso come limitato, determinato dal non-io. È dall’analisi riflessiva di questa direzione che Fichte deduce i nuclei portanti del sapere teoretico: le categorie di relazione, l’immaginazione, l’idealismo critico trascendentale colto come il solo sistema filosofico in grado di giustificare la rappresentazione (vale a dire, in grado di dar ragione della stessa teoresi dell’io coscienziale e conoscente, che nei termini di Fichte è appunto: l’«io rappresentante»). L’assoluta totalità della realtà posta nell’io confligge necessariamente e in tutto e per tutto con l’assoluta totalità della negazione posta nel non-io. La determinazione reciproca, s’è detto: il parzializzare e togliere realtà, il porre sé come realtà non assoluta ma limitabile-quantificabile, è l’unico possibile strumento di unificabilità dell’io. “Dell’io” s’è detto, certamente, perché unicamente dell’io può essere l’assoluto non che gli si oppone: se così non fosse, se il non assoluto risiedesse fuori dell’io non sarebbe pensabile, sarebbe una cosa totalmente altra e perciò non l’assoluta negazione dell’io, quel suo proprio non che egli non può fare a meno di contrapporsi ponendo se stesso. Non sarebbe assoluta totalità della negazione, ma assoluta alterità – e perciò irrappresentabilità, impensabilità. Ma qual è la forma che assolutamente nega dell’io? Ora, se l’io è, essenzialmente, azione, l’interrogativo
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appena posto va declinato nella ricerca di una forma di azione in tutto e per tutto altra, cioè la cui attività sia l’assoluto non dell’attività autoponentesi dell’io. L’io è actio assoluta e incondizionata: il suo assoluto non non può darsi altrimenti che come passio. Actio, praxis, poiesis, Tat, Handlung e insieme passio, pathos, Leiden, Affektion: questi i nomi tramite i quali è possibile dire e pensare le due forme, diretta e inversa per dir così, dell’attività che l’io è. Una autofondata, l’altra eterofondata. Ebbene, come si esplica questa passività dell’io? Vediamo di cogliere meglio l’intreccio quasi chiasmatico di io e non-io, attività e passività. Il patire dell’io è la sua passibile determinazione, il suo essere affetto da un qualcosa che gli toglie realtà quantificandola, che recide la sua incondizionata assolutezza, in una parola che lo de-termina. L’io è attivo nei confronti del non-io, ponendo in sé un quantum di realtà che non pone nel non-io, e nel contempo è passivo rispetto a quella restante realtà che, per contrapposizione, pone necessariamente nel non-io. Viceversa, nella misura in cui non pone in sé questa realtà che pone nel non-io, pone sé come passivo nei confronti del non-io; eppure, nel contempo, si pone in modo attivo, dovendo necessariamente porre in sé la restante realtà che non ha posto nel non-io. Soltanto essendo determinato dal nonio, l’io determina il proprio non, e il non-io non determina l’io se non venendone determinato. Ecco qui, in breve, come si esercita la legge categoriale della determinazione reciproca (Wechselbestimmung)42. L’io accoglie la propria determinazione quantitativa e nel contempo, così facendo, determina il suo altro, il suo non, rendendolo oggetto per l’io; per parte sua, il non-io riceve, il tal modo soltanto, realtà, quella che sottrae all’io. Io e nonio vengono insomma posti nell’io secondo quantità, e in modo reciproco. L’io determina sé e viene determinato dalla propria determinazione negativa. Così l’io in parte
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si determina e in parte è determinato; così, in prospettiva genetica, si passa dalla soggettività assoluta dell’io alla soggetto-oggettività che in-forma l’io finito della coscienza, ovvero l’io in quanto intelligenza responsabile del proprio sapere rappresentativo. Questa è la prima categoria dedotta da Fichte, quella appunto di determinazione reciproca. Ma essa abbisogna di un ulteriore approfondimento. Abbiamo visto intrecciarsi attività e passività nel gioco di io e non-io. Attività è totalità positiva della realtà e ciò, di per sé, è proprietà esclusiva dell’io, la cui spontaneità originaria coincide e si esplica con l’iniziativa libera e fondata in se stessa dell’azione che si autopone in quanto ponente in assoluto. Se ne può inferire che la passività non può consistere in altro che nell’assenza di libertà e di autofondatività, nel positivo non che nega l’azione. È il non dell’io, quel suo essenzialissimo op-positum che lo determina, in parte lo toglie, in parte lo limita. L’io passivo è l’io che patisce la sottrazione di un quantum di attività «trasposto» nel non-io, il quale – come si diceva – trova così la condizione di possibilità della propria realtà. Due osservazioni. La prima è che non va trascurato il fatto che tale passività nell’io va intesa come opposizione qualitativa, giacché attività e passività vengono a trovarsi in termini che sono e permangono essenzialmente contrapposti. La seconda è che soltanto a condizione che l’io sia affetto da uno stato di passività, il non-io è reale e determina l’io. Ora, alla luce di tali precisazioni, lo stesso concetto di determinazione reciproca assume un’altra veste categoriale, quella della causalità: questa esprime la determinazione intercorrente tra io e non-io unicamente secondo la direzione che da quest’ultimo va all’io. Non una determinazione assoluta, bensì relativa soltanto alla passività dell’io e alla conseguente determinatività reale del non-io. Se si pone mente al contesto conoscitivo cui va rapportato, ciò può essere ripreso par-
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lando di causalità dell’oggetto sul soggetto che ne viene colpito, di limite che l’oggetto pone alla realizzazione dell’attività conoscitiva del soggetto: ciò evidentemente può spiegare sì la rappresentazione ma non in assoluto, proprio perché la prima condizione di possibilità rimane lo stato di passività in cui deve trovarsi l’io. La qual cosa, in termini più generali, significa che senza «trasferimento», o «trasposizione» (Übertragung), di realtà e attività nel non-io non v’è causalità alcuna. Imprescindibile e incondizionata condizione di possibilità rimane dunque l’io, che riconosce sé come passivo soltanto nella misura in cui riconosce realtà al non-io, trasponendovela. Insomma: soltanto relativamente al verificarsi di questa condizione, può darsi una determinazione causale. Il che implica, a ben vedere, un’attenta misurazione anche della risposta dell’io-soggetto rispetto all’influsso sensibile dell’oggetto esterno (ma nel caso di rapporti tra soli oggetti si dovrebbe dire: all’influsso della causa). Métron rimane l’io che traspone un quantum della propria spontanea attività autoponentesi e che spontaneamente risponde. Nei confronti dell’oggetto limitante, l’io non si trova, si badi, in condizioni di mera ed esclusiva passività, come se trasponendo realtà perdesse qualità e la sua risposta alla causazione-determinazione oggettiva fosse quella di una morta reazione per inerzia. Tutt’altro: proprio perché traspone attività e realtà nel proprio opposto, l’opposizione è essenzialmente qualitativa e la risposta dell’io rimane ancora sul piano della sua libera autoattività. Nel “sistema” di operazioni che così si delinea, gli aspetti di vincolo e di spontaneità sono compresenti e interattivi: la determinazione della quantità di resistenza di azione e reazione avviene sul piano empirico-sensibile reale, in quanto l’attività spontanea è ostacolata nella sua tendenza all’infinito e portata a realizzarsi oggettivamente, ciò nondimeno la potenza oggettiva esercitata
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quale attività frenante-limitante rimane commisurata all’io che, per dir così, retroattivamente trasferisce realtà e risponde internamente alla causazione esterna. Il negativum, il “non” dell’io appare pertanto sia come un limite interno all’autoattività liberamente e spontaneamente im-ponentesi, sia nel contempo come un quantum essenzialmente ab-solutus dall’io. L’opposizione sprigiona un conflitto di forze reali che però vanno intese in senso dinamico, e il loro confliggere non può risolversi quale stasis di forze positive e negative equipotenti e dunque vicendevolmente annullantisi. Su tutto domina infatti l’impronta di produttività e interattività incessanti, di azioni e reazioni libere e spontanee quanto necessitate e vincolate. Ora, se questo gioco di forze interattive viene considerato sul piano gnoseologico, nella costruzione teoretico-conoscitiva del mondo della rappresentazione del soggetto conoscente – Fichte forse direbbe: costruzione della realtà dell’«io rappresentante» –, si entra nel meccanismo esplicativo della dinamica dell’intuizione secondo la visione fichtiana43. Una visione che, come si dirà a breve, trova proprio perciò il suo culmine nella forza della capacità di immaginazione (Einbildungskraft), perché essa si estrinseca nel circolo della determinabilità reciproca di spontaneità e necessità, attività e passività. Se a questo punto Fichte può ritenere di avere dedotto-giustificato razionalmente la seconda figura della relazione, la categoria di causalità, non per questo la sua indagine si arresta. Infatti, finora la ragione riflettente si è occupata della determinazione operata dal non-io sull’io, tuttavia il principio della filosofia teoretica: l’io pone se stesso come determinato dal non-io, scomposto analiticamente, contiene in sé anche l’enunciato dell’autodeterminazione dell’io, ovvero l’affermazione “l’io determina se stesso”. È l’enunciato opposto al precedente (il non-io determina l’io) e ad esso unificato tramite la cate-
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goria della determinazione reciproca. Anche il concetto di autodeterminazione applicato all’io è bisognoso di un chiarimento circa la condizione di pensabilità dell’io stesso in quanto insieme determinante e determinato, attività e passività, realtà e negazione. L’inizio è sempre l’io quale presupposto assoluto, intero dell’attività e della realtà, ed altresì lógos di pensabilità del tutto e métron di ogni quantum sottratto all’intero. Ebbene, se l’io si autopone come quantum di attività e realtà, proprio tale quantum è il non dell’io quale totalità della realtà, è il non che designa la passività dell’io rispetto all’intero dell’attività che egli è. Cioè, il quantum è, in assoluto, quantità dell’io e perciò di attività, epperò, non essendo tutta la realtà, in questa sua negatività altrettanto costitutiva gli è propria la forma inversa dell’attività, la passività. Dunque, ponendo se stesso secondo qualsiasi determinazione , l’io è attivo, esso cioè si pone in quanto attività determinata operando liberamente secondo l’originaria spontaneità del suo urgente porre assoluto. Questa determinata attività in cui esso si autopone, proprio nella determinazione della sua “questità” che nega l’interezza e assolutezza dell’agire che l’io è per principio, pone altresì e al tempo stesso la passività dell’io. Di qui l’altra categoria che, secondo Fichte, rende pensabile tale relazione dell’io con se stesso, quella di sostanza: l’io visto nella sua sostanzialità significa precisamente l’io quale intero originario di realtà ed attività rispetto a tutti i suoi determinati modi possibili di essere, di agire, di essere affetto. La passività dell’io in questo caso è tutta interna all’io stesso: si tratta dell’io che “sostanzialmente patisce” la diminuzione della propria attività. Diversamente dall’opposizione qualitativa tra io e non-io che ha luogo nell’ambito categoriale della causalità distendendosi sul piano di una polarità finita, nel caso della sostanzialità si tratta di una contrapposizione quantitativa ove però i due poli sono
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posti su piani massimamente opposti, l’infinito e il finito. I termini in gioco nello scambio determinativo della sostanzialità sono, infatti, da un lato l’intero dell’io-azione-in-atto, dall’altro quel suo non rappresentato dal quantum limitato di tale attività. Chiariti i termini in gioco nello scambio determinativo della sostanzialità, rimarchiamo nondimeno la condizione di possibilità della relazione stessa. Perché vi sia una relazione sostanziale, deve verificarsi una condizione privativa, un’alienazione-esclusione (EntäusserungAusschliessung) di un determinato qualcosa dall’intero dell’io: di qui, e soltanto sulla base di questa condizione, deriva l’infinita determinabilità dell’io in quanto tutto, l’infinita articolabilità della soggettività assoluta, ovvero l’infinita molteplicità degli accidenti predicabili-proponibili dell’unica sostanza in cui sono poste tutte le realtà possibili: l’io. Come s’è capito, in tanto la relazione di determinazione reciproca è pensabile, in quanto essa comporta necessariamente le altre figure – o categorie – di relazione: causalità e sostanzialità. Ma non solo. A loro volta queste due altre categorie devono non soltanto essere assunte, bensì assunte insieme nella loro rispettiva e vicendevole presupposizione. L’una non può prescindere dall’altra. Vediamo l’implicazione reciproca: se l’io si pone come passivo (relazione sostanziale di autodeterminazione), allora il non-io lo determina (relazione causale), ma se il non-io non determina l’io (relazione causale), allora l’io non pone sé come passivo (relazione sostanziale). Ecco qua il circolo che abbraccia la determinazione reciproca di causalità e sostanzialità, la loro necessaria sintesi. Tuttavia, pur riconosciuto e dichiarato questo circolo sintetico delle categorie, le questioni sono tutt’altro che risolte, anzi. Senza seguire in dettaglio l’argomentazione fichtiana, implacabile nella sua astrattezza – come ogni lettore del
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Fondamento può a suo modo verificare –, non è difficile scorgere gli interrogativi che attendono una risposta, e fra questi principalmente uno è opportuno che non venga trascurato: com’è possibile che l’io rimanga “oscillante” in questo evidente gioco di rinvii tra totalità e determinazioni particolari, tra finito e infinito? e poi, ma il problema è lo stesso soltanto preso per un altro lato, s’è detto di una sintesi tra causalità e sostanzialità, una sintesi necessariamente richiesta e radicata nell’unicità e principialità dell’io che traspone ed esclude, radicata dunque nella sua originaria posizionalità: eppure qual è lo strumento tramite il quale tale sintesi viene operata? Ora, lo snodo argomentativo che permetterà di dare una soluzione a tali quesiti è ottenuto riflessivamente da Fichte introducendo la nozione di «attività indipendente», tipica – per la precisione, esclusiva – del Fondamento. Tramite la concezione dell’«attività indipendente» viene ulteriormente affrontata la determinazione reciproca di io e non-io. Tale attività si profila infatti come il fondamento di relazione posto sì nella riflessione tramite la determinazione reciproca, eppure da essa, appunto, indipendente. Anzi, la stessa determinazione reciproca è resa possibile proprio da questo fondamento di relazione e di scambio tra agire e patire. Ma qual è la genesi riflessiva di tale concezione? Cos’è tale «attività indipendente»? Attività indipendente è quella che occorre postulare sia nell’io sia nel non-io, in quanto dev’esservi nell’io un’attività che non determina passività nel non-io (il che deriva dal fatto che l’io, ponendo attività in sé, pone soltanto in parte passività nel non-io), così come dev’esservi nel non-io un’attività che non determina passività nell’io (il che a sua volta deriva dal fatto che l’io, ponendo attività nel non-io, soltanto in parte pone passività in sé). Ebbene, è precisamente approfondendo questa concezione che viene in chiaro lo stesso ambito di applicazione della determinazione reci-
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proca. Per un verso sono l’attività e la passività reciproche a determinare l’attività indipendente, per altro verso è l’attività indipendente a determinare l’attività e la passività reciproche. Attività e passività determinano l’attività indipendente non in modo immediato bensì tramite la mediazione della loro determinazione reciproca. Tra attività indipendente e reciprocità v’è determinazione reciproca, mentre l’indipendenza di tale attività vale soltanto relativamente ad attività e passività in quanto termini astratti dalla loro scambievole reciprocità. Qui certo non è possibile richiamare la fittissima trama speculativa posta dalla riflessione fichtiana a illustrare i rapporti intercorrenti tra causalità, sostanzialità e attività indipendente. Tuttavia è possibile fissare alcune minime osservazioni utili agli sviluppi successivi della presente esposizione. Le ricaviamo in particolare riflettendo ancora un istante sulla sostanzialità, la quale è passività tramite attività, negazione tramite affermazione, non-porre tramite porre assoluto. Nella sostanzialità confliggono, come s’è visto, assoluta totalità dell’agire dell’io e il quantum limitato di tale attività. Ora, l’azione dell’io gode originariamente di assolutezza e quindi illimitatezza, come può la sua attività essere diminuita, limitata, quantificata? Essendo originariamente azione, è spontaneamente priva di limiti e confini: ma essendo altresì questa attività così e così posta, determinata a un oggetto, la sua “questità” è necessariamente limitazione. Di qui la materia della sostanzialità in quanto resa possibile appunto da un’«attività indipendente», che è poi l’attività limitata colta non per la sua limitazione nello scambio dei termini, bensì colta nel suo essere attività. È attività che mira alla determinazione della reciprocità sostanziale. L’ambito di questo scambio reciproco che così si determina con e per l’attività indipendente è precisamente il luogo ove si configura l’immaginazione.
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Ma la reciprocità della sostanzialità ha pure, ovviamente, una forma. E la forma è esattamente la condizione, già messa in luce prima, e detta privativa proprio per il suo carattere escludente. Forma è la posizione di un quantum di attività come “non” dell’attività assoluta, quale esclusione di una quantità di attività dall’attività diminuita. De-terminando una sfera di quantità come totalità relativa (l’attività limitata), vale a dire quantificata rispetto all’intero della totalità assoluta, l’io pone qualcosa di posto come non di quella stessa sfera, ossia qualcosa di posto in quanto non-posto nella totalità relativa dell’attività limitata. Questa operazione è resa possibile precisamente grazie a un’attività indipendente che correla i due termini. Fra l’altro, non è privo di interesse sottolineare per un istante la concezione di totalità che si sta profilando nell’argomentazione fichtiana. Totalità come «compiutezza di un rapporto e non di una realtà». La totalità «consiste semplicemente nella relazione completa e non v’è in generale nulla di rigido in sé a determinarla»44. Totalità della sostanza v’è soltanto nella determinabilità determinata dai suoi componenti: essa esprime la determinazione reciproca dell’assoluta relatività e dell’assoluta determinabilità. Il concetto di determinabilità è lo strumento con cui l’attività indipendente abbraccia insieme e tiene fermi i termini contrapposti: l’illimitato e il limitato, il finito e l’infinito. Ebbene, per un verso è evidente che tali termini contrapposti possono incontrarsi unicamente se l’attività indipendente che li correla, proprio mentre li correla, pone un limite; d’altro canto soltanto verificandosi l’incontro dei termini, si rende possibile l’attività sintetica che pone il limite. Da questa enunciazione antitetica è possibile uscire assumendo che appunto uno dei termini che giungono a incontrarsi sia al tempo stesso l’attività limitante.
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L’incontro dei due termini, ovvero la posizione del confine, è pensato possibile da Fichte con l’introduzione del concetto di urto (Anstoß) – si badi, un concetto che potrà chiarirsi adeguatamente soltanto con lo sviluppo della parte pratica del Fondamento. All’io, nel suo porsi tendente all’infinito, occorre, capita un impedimento, un ostacolo che frena l’attività illimitata risultandone determinata45. Proprio l’infinitezza è la condizione dell’ostacolo, perché la sola finitezza è per sua natura limitata: la limitazione del finito non è impedimento e ostacolo, è la sua naturale situazione. Dunque, proprio in quanto è e si autopone come illimitatamente tendente all’infinito, esso può porsi come limitato. Per altro verso, senza l’ostacolo non v’è infinitezza. Se non si desse un ostacolo, se non si ponesse come limitato, l’io non potrebbe porsi quale illimitata capacità di autoporsi all’infinito. Porre il limite, ovvero porre sé in quanto limitato, significa per l’io porsi come il non del proprio autoporsi all’infinito, porre sé quale non-ponentesi in rapporto all’illimitata capacità di autoporsi. Appunto soltanto ponendo sé come limitato, l’io può essere coscienza, o, detto altrimenti, può avere coscienza della propria originaria attività assoluta spontaneamente autoponentesi all’infinito. L’azione autoponentesi all’infinito diviene relazione significativa per la coscienza in quanto posta già al di là del punto di vista coscienziale-finito: l’io può acquisirne coscienza appunto perché da sempre compreso oltre la finitezza della propria determinazione, oltre il fatto della sua “questità”, di essere cioè questo e proprio questo io, e appartenente, in radice, alla relazione di determinabilità tra determinato e indeterminato, finito e infinito. Ancora: cosa significa che l’io si pone come infinito? A ben vedere, in primo luogo che la sua identità differisce dall’infinitezza della sua attività: nella pura coincidenza l’io non si porrebbe affatto come infinito, pura-
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mente e semplicemente lo sarebbe senza doverglisi identificare. Sarebbe indifferentemente io-infinito, dunque non avrebbe identità. L’identità è, infatti, differente in sé, in quanto identità consapevole di identità e differenza, consapevole della loro differenza e pertanto dell’essere-identico dell’identità. L’io che si differenzia dalla sua infinitezza è l’io che si sa infinito e che, in ciò, si limita, si pone come differente dalla propria differenza, e pertanto identico a sé. Per essere se stesso (ovvero l’identico) e differente dalla propria infinitezza (ovvero dalla propria differenza), l’io dev’esser diverso anche da sé e dunque essere differenza (infinitezza) in quanto identità (io). Solo così l’io differisce anche dal proprio essere differente; solo così, differendo da sé in quanto differente dalla differenza (infinitezza), l’io è se stesso, ovvero identità di io = io. Come si tornerà a vedere a breve, la coscienza, l’io in quanto punto di vista è apertura sorgiva di una posizionalità ove finito e infinito non sono né semplicemente opposti né semplicemente identici. Questa posizionalità originaria dell’io, e dunque dell’identità, identifica i termini contrapposti (limitato/illimitato, finito/infinito) che in essa si oppongono assolutamente. Per pensarsi limitato-determinato, l’io non può pensarsi come meramente limitato-determinato, in tutto e per tutto differente dall’infinitezza, come il suo mero non, bensì deve pensare il proprio originario autoporsi infinito come già nella negazione del proprio altro. Ovvero deve porsi negando l’originaria negatività della propria infinitezza. In altre parole: ponendosi come differente dalla propria originaria infinitezza, e dunque limitandosi, l’io può nuovamente attribuire a sé quell’attività illimitata che originariamente è sua, anzi, che originariamente è. E non appena esso si sia riattribuito tale attività, ovvero abbia identificato la propria differenza, essa non è più pura e semplice infinitezza (nell’assoluta negatività che non
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può non dirla), ma risulta compresa nell’abbraccio che la lega posizionalmente – ovvero nell’originaria posizionalità dell’io autoponentesi – alla sua differenza, cioè all’identità finita dell’io. Tuttavia, anche una volta che l’io si è riattribuita l’infinitezza, per poterla porre come propria deve nuovamente escluderla da sé, ovvero differenziarvisi: è questo il processo di determinabilità che ricomprende finito e infinito senza poterli annullare vicendevolmente né eliminare astrattamente. Ecco riaffiorare in questi termini la determinabilità della sostanza, cioè la sostanzialità come determinabilità: il limite che dev’essere posto perché l’io possa essere finito e infinito – e questa, abbiamo visto è la sua identità –, non è alcunché di astratto o di rigidamente stabilito: il limite è la stessa posizionalità illimitata dell’io, è la condizione di possibilità dell’infinitezza. Cioè, è condizione di possibilità dell’identità in quanto differenza dalla sua differenza – l’infinitezza – e dunque differente anche da sé in quanto mero io finito. 4.3. Il sistema operativo dell’io teoretico L’attività indipendente, su cui Fichte ha insistito finora in modo martellante, prende infine le vesti della facoltà «più mirabile» di tutto lo spirito umano: l’immaginazione (Einbildungskraft). Immaginazione produttiva o creatrice, sola condizione di possibilità del punto di unificazione coscienziale, e perciò del sapere, essa è fungente proprio come facoltà riunificativa, e non risolutivaconciliativa, di ciò che non è unificabile, ossia di ciò che è, esiste quale contraddizione fondamentale ed originaria. È sempre operativa in ogni atto conoscitivo-rappresentativo, proprio perché rappresentare è l’azione teoretica fondamentale: e il rappresentare consiste di per sé precisamente nel produrre sintesi. Congiungere insieme termini assolutamente contrapposti e permettere la riflessione su di essi è quanto è reso possibile dall’imma-
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ginazione, che così si profila quale condizione di ogni pensare. Ciò viene in luce eminentemente guardando all’esercizio dell’immaginazione nell’ambito della sostanzialità. Qui i termini antitetici spalancano un massimo di differenza e contrappositività: finito e infinito, limitato e illimitato, quantità determinata e quantità indefinitamente determinabile. A rendere pensabile il loro rapporto è appunto l’immaginazione, facoltà del contrapporre termini reciprocanti, facoltà che «oscilla librandosi (schwebt) in mezzo tra determinazione e non-determinazione, tra finito e infinito»; ed ancora, cogliendo l’idea di Wechsel: «questo scambio reciproco (Wechsel) dell’io in se stesso e con se stesso, poiché si pone finito e infinito ad un tempo – uno scambio reciproco consistente, per dir così, in una lotta con se stesso e che in tal modo riproduce se stesso, in quanto l’io vuole unificare ciò che non è unificabile, ora tenta di accogliere l’infinito nella forma del finito, ora, respinto, pone di nuovo l’infinito fuori di quella forma e tenta un’altra volta di accoglierlo nella forma della finitezza – questo scambio reciproco è la facoltà dell’immaginazione»46. A un’occhiata ancora soltanto esterna, il luogo proprio dell’immaginazione appare dunque riscontrabile assumendo come sistema di riferimento non un oggetto ma una relazione “antagonistica”. Essa si configura, per dir così, come un’ondulazione che si protrae tra due termini contrapposti, percorre la loro distanza incolmabile e si inarca sulla loro tensione irrisolta. Immaginazione produttiva esprime una “sinteticità antitetica”, un tener ferma l’assoluta contrappositività affermando il compito di toglierla nell’unificazione degli opposti che permangono irreconciliabili. Immaginazione, come si vedrà meglio tra breve, è propriamente l’io stesso, in quanto soggetto-oggettività capace di porsi nel contempo come finito e infinito. O, richiamando termini precedenti, l’io
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stesso è propriamente la richiesta attività indipendente in quanto esso possiede la forza di configurarsi, di immaginare sé autoponendosi come finito e infinito ad un tempo. Ora, proprio parlando dei termini contrapposti che l’immaginazione ha il compito di ricomporre in unità, è però opportuno che la nostra indagine scenda di nuovo, pur brevemente, a uno scandaglio un po’ più analitico. Ciò è conveniente per capire l’immaginazione stessa, in quanto il suo esercizio sintetico non ha luogo unicamente nell’alveo delle relazioni categorialmente definibili sul piano della sostanzialità ma anche nell’ambito delle relazioni causali. A quest’altro livello, vale la pena di ricordarlo, si era di fronte a una divaricazione fra termini finiti e qualitativamente contrapposti. Abbiamo quindi a che fare con una duplice serie di opposizioni, giocata sugli assetti categoriali della sostanzialità e della causalità, che dispiegano due differenti piani speculativi: l’immaginazione è appunto la facoltà che permette la sintesi nella determinazione reciproca, tanto dei termini reciprocanti nello scambio quanto delle diramazioni categoriali. Osserviamo più da vicino come si sviluppano tali relazioni concettuali. Con l’alternante scambio immanente alla sostanzialità l’io, ponendosi ad un tempo come infinita azione autoponentesi (con un solo termine: ponendosi infinito) e come quantum determinato di “questa e soltanto questa” attività (con un solo termine: ponendosi finito), rende possibile trasporre realtà al non-io. Come sappiamo, la privazione con cui l’io si aliena attività permette di assegnarne altrettanta al non-io. Ma, si badi, è vero e consistente anche il movimento inverso, nel senso che senza trasposizione di realtà e attività dall’io al non-io non vi sarebbe neppure la possibilità di un’autoposizione dell’io quale infinito e finito nel contempo. In altri termini e in modo più circostanziato, il non che afferisce
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all’io come suo negativum, quale sua propria positiva negatività agisce duplicemente nell’autoposizione originaria dell’io stesso: difatti, il non della non-posizione dell’io, quindi quel “non” che designa la posizione del non-io, e il non della non-posizione del non-io, pertanto quel “non” che designa il porre se stesso attuato dall’io, trovano la loro condizione di possibilità nell’autoposizione dell’io che a loro volta essi (l’uno e l’altro “non”) rendono possibile: sono cioè possibili in quell’io di cui a loro volta rendono possibile il suo porre-sé sia in quanto non-ponente l’io, e dunque quale ponente il non-io, sia in quanto non-ponente il non-io, e allora quale ponente l’io. E proprio qui interviene l’esercizio sintetico dell’immaginazione operante fra causalità e sostanzialità. Essa infatti permette la sintesi fra l’autolimitarsi qualitativo (causale) dell’io che traspone realtà-attività nel non-io e l’autodeterminarsi quantitativo (sostanziale) dell’io che priva se stesso di realtà-attività. L’immaginazione esercita tale com-posizione sintetica per il suo passante indugio, per la sua natura di fluctuatio che rende possibile, fondandola, l’unità composta e non franta della coscienza teoretica. Di questo fatto dell’immaginazione Fichte si serve per spiegare tutta l’attività rappresentativa, che è appunto, in senso eminente, teoresi. Operando al modo di cui s’è detto, l’immaginazione produce la reale intuibilità dei termini essenzialmente contrapposti e la vita coscienziale dell’io. In una parola, produce l’io in quanto «spirito». Gli opposti sono bensì fattori dell’intuizione, sui quali, come abbiamo notato, si libra e si esercita la sinteticità dell’immaginazione produttiva, ma si tratta di asserti dapprima puramente, astrattamente teorici, «un mero pensiero senza realtà», non forze reali. Essi acquisiscono contenuto effettivo unicamente dopo l’esercizio sintetico dell’immaginazione, mentre prima della sintesi sono semplicemente opposti e nulla di più che il pensie-
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ro di una mera relazione. La facoltà della sintesi ha il compito di unificare i termini contrapposti, di «pensarli come un’unica cosa». Ciò invero non le è possibile, eppure che essa non vi riesca non toglie affatto il compito che le rimane da risolvere, anzi. Ne scaturisce pertanto un nuovo, ulteriore contrasto tra l’incapacità e l’esigenza che affliggono costitutivamente l’immaginazione. «In tale conflitto lo spirito si trattiene indugiando, oscilla fra i due opposti, tra incapacità ed esigenza di realizzarli, ed in questo stato, tuttavia in questo soltanto, li tiene tutt’e due fermi ad un tempo, ossia, il che è lo stesso, li rende tali che essi possono essere colti insieme e tenuti fermi – ed entrando in contatto con essi e venendone respinto nuovamente e nuovamente entrando in contatto, dà ad essi in rapporto a sé un certo contenuto ed una certa estensione [...]. Questo stato si chiama lo stato dell’intuire. La facoltà in esso attiva è […] immaginazione produttiva»47. Fluttuando e librandosi sugli opposti che non si possono unire, l’immaginazione, nel suo conflitto con se stessa, li tiene fermi e simultaneamente li es-tende nel tempo. Soltanto per l’immaginazione v’è, infatti, un tempo, perché essa sintetizza simultaneità e durata, istantaneità e successione. E nel suo tempo, nel tempo che essa stessa fa, l’intelletto e la ragione sopravvengono a fissare concettualmente i termini assolutamente contrapposti rendendoli reali, dotati di forza e contenuto proprio. A grandi linee, questo è l’operari messo in pratica dall’io così immaginante-rappresentante. Ora, nella sezione che abbiamo appena terminato di considerare, cioè la prima parte del § 4, l’argomentazione fichtiana assume la relazione reciproca tra io e non-io per come si profila all’analisi del filosofo che la perlustra riflessivamente, il che si traduce di conseguenza in una riflessione «sulle possibilità di pensare». Nella sezione successiva, intitolata “Deduzione della rappresentazione”, Fichte esce
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dalla specola rigorosamente trascendentale dalla quale ha sinora condotto l’osservazione, prefiggendosi a questo punto di dare sviluppo all’enarrazione di quella «storia pragmatica dello spirito umano» in cui vorrebbe che la dottrina della scienza potesse consistere. In tale nuova prospettiva l’oggetto della riflessione non è più costituito dalla spontaneità dell’io colta nelle articolazioni che la rendono possibile, e dunque oggetto non è più lo stesso prodotto della riflessione, ma è l’io ordinario (non del filosofo), insomma l’io naturale «elevato a coscienza». In breve, dalla coscienza rappresentante nella sua costitutiva relazione soggettivo-oggettiva per come appare al filosofo che la pro-duce nella e con la riflessione, si tratta di passare infine alla coscienza rappresentante com’è naturalmente esercitata nella prassi reale della vita ordinaria. Da questo secondo punto di vista, Fichte disegna il “sistema operativo” dell’io teoretico. Movendo dall’intuizione, egli inferisce la serie delle facoltà interagenti dell’io: la ragione, l’intelletto, la capacità di giudizio, delle quali ora, per brevità, non potremo che riprodurre soltanto i tratti funzionali peculiari. Lo stato dell’intuire, “convenendo” al librarsi dell’immaginazione oscillante tra direzioni contrastanti, dev’essere fissato perché prenda corpo il prodotto, un qualcosa di composto nel quale si mantenga la «traccia» (Spur) concreta dei termini contrapposti. Il ruolo di fissare l’intuizione spetta a due altre facoltà, la ragione (Vernunft) e l’intelletto (Verstand). Il prodotto dell’immaginazione diventa un qualcosa di reale soltanto dopo esser stato determinato dalla ragione e tenuto fermo, reso stabile, fissato nell’intelletto. La ragione, facoltà del porre assoluto, è attiva ed è essa a operare la fissazione del prodotto, ovvero a determinare oggettivamente quel reale prima soltanto fluttuante nell’oscillazione immaginativa. L’oggetto determinato è fissato dalla spontaneità della ragione in vista dell’attività riflessiva.
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Ma l’oggetto viene pensato, cioè concepito e compreso, nell’intelletto. Diversamente dalla ragione, quest’ultimo non è attività, tuttavia esplica la funzione decisiva di condurre la riflessione naturale a persuadersi fermamente della realtà delle cose esterne. L’intelletto (Verstand) non fissa, ma ciò che è fissato è fissato soltanto nell’intelletto e qui ridotto a stare immobile (verständigt). Esso è «un’inattiva, quiescente facoltà dell’animo, il mero recipiente di ciò che è prodotto dall’immaginazione e determinato e ancora da determinare dalla ragione»48. È una sorta di facoltà di contenimento, recipiente di ciò che è realmente effettivo: in esso soltanto vi è realtà, e realtà concepita e compresa. Esso immobilizza, fissa il muoversi della circolarità di determinazione dell’attività immaginativa, lo mette in condizione di produrre la grandezza reale di quanto è opposto all’attività spontanea (in termini conoscitivi, dell’oggetto sensibile della conoscenza) e che così soltanto può causare un influsso su di essa (un’impressione sul soggetto conoscente). L’intelletto è inoltre condizione di possibilità della terza facoltà teoretica, la capacità di giudizio (Urteilskraft). Questa, per parte sua, è facoltà di riflettere sugli oggetti già posti nell’intelletto oppure di astrarre da essi, dunque si capisce come, considerata da questo punto di vista, essa risulti necessariamente determinata dall’intelletto. Epperò ciò non è tutto, bensì soltanto un verso della relazione tra queste due facoltà. Infatti, la medesima capacità di giudizio è d’altro canto in grado di determinare a sua volta l’intelletto: è precisamente essa a definirgli l’oggetto in generale in quanto oggetto. Senza capacità di giudizio non si riflette, nulla v’è di fissato su cui pensare. Ma l’intelletto si trova ad essere esclusivamente in vista della riflessione, sicché, al di fuori della capacità di giudizio neppure si dà intelletto. In definitiva, si tratta ancora una volta di una relazione reciprocamente determinante, nella quale intelletto e
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capacità di giudizio si rapportano vicendevolmente come condizioni di possibilità l’uno dell’altro. Riassumendo schematicamente il circolo che s’è dispiegato sotto i nostri occhi: intuendo i termini nella loro contrapposizione, l’immaginazione produce; l’intelletto fissa il prodotto, lo concepisce e lo pensa; la ragione riflette per determinare più precisamente ciò che l’intelletto ha fissato e pensato. Inversamente, la capacità di giudizio della ragione riflette liberamente su qualcosa e soltanto tale sua riflessione permette all’intelletto di determinare e conservare concettualmente questo qualcosa; solamente in quanto l’intelletto fissa qualcosa, per noi v’è qualcosa di prodotto dall’immaginazione. In tal modo l’immaginazione rende possibile il pensare, quel complesso sistema di operazioni del pensiero in atto intuente, rappresentante, con cui l’io si identifica. Ora, occorre ricordare che le pagine del Fondamento che dispiegano la “deduzione della rappresentazione” si aprono seguendo un modello di spiegazione non trascendentale ma fisica. All’attività spontaneamente procedente all’infinito capita, come s’è anticipato, un urto. Un urto che, si badi, non consiste in uno scontro meccanico tra corpi provocato da un oggetto assolutamente determinato in sé, bensì l’urto capita, si origina nell’inizio di un processo di attività che interagiscono in funzione frenante e resistente. Questo processo, nella sua dinamica e meccanica complessive, è l’io immaginante, cosciente e riflettente. Dinamicamente, è l’io in quanto pensiero che, immaginando, pensa la relazione di opposti; meccanicamente, è l’io in quanto pensiero che, con la funzione fissante dell’intelletto, trasforma questa dinamica in un rapporto meccanico, sostituendo la circolarità della determinazione espressa dal carattere oscillatorio dell’immaginazione con uno schema di rapporti lineari nei quali si determina la misura dell’azione proveniente dall’oggetto e causante un’impressione sul soggetto.
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Il soggetto immaginante e intuente è attività sostanzialmente determinata alla positività e alla rappresentabilità in quanto radicata nell’autoposizione insopprimibile, originariamente libera e spontanea dell’io assoluto. È operatività radicata nell’attività generale, puramente non-oggettiva e incondizionata, che è condizione e fondamento reale di ogni attività oggettiva. Dall’attività oggettiva quella generale viene determinata quanto al proprio opposto, cioè come passività suscitata da un’attività oggettivo-reattiva. Per questo aspetto Fichte conclude che l’attività oggettiva svolge il ruolo di fondamento di determinazione (o: fondamento ideale) dell’attività in generale. Fra queste due azioni, determinantisi l’una l’altra a vicenda, va posto un luogo di «confine» (Grenze). Luogo di confine non è tuttavia un che di fisso, bensì un transitus, un «passaggio» dice Fichte, fra le due direzioni dell’attività, pura e oggettiva, versi che devono pur sempre poter essere entrambi distinguibili nella loro distinzione e nel loro vicendevole reciprocarsi. Perciò dell’immaginazione s’è provato a dire come di un passante indugio, perché non e-limina le polarità contrapposte costituendo un centro fittizio ed astratto, ma pone un centro ideale e reale in quanto transitabilità sempre rideterminabile. Come sappiamo, l’attività pura è sostanzialmente autodeterminantesi, ove per autodeterminazione si assuma infine l’attività che, tramite la ragione, determina un prodotto dell’immaginazione fissato nell’intelletto, vale a dire quell’attività che si “quantifica” con un pensiero. L’io, che intuisce e rappresenta, determina sé al pensiero di un qualcosa, di un oggettivo “questo”. E, in quanto determinato dal pensiero, l’oggetto non può essere se non un che di pensato. In relazione a questo oggettopensato è la suddetta capacità di giudizio, che vi riflette o vi fa astrazione. Ora, ciò che è pensato quale oggetto del pensiero è determinato altresì da un non-pensato che
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non è un puro o vago impensato bensì è il pensabile. Ovvero, è quel che ha in se stesso il fondamento della pensabilità e rispetto al quale il pensante non può che risultare passivo. Ed ecco pertanto ancora un’ulteriore vicendevole determinazione: tra pensato e pensabile. Ogni pensato è pensabile, ogni pensabile è pensato in quanto pensabile ed è pensabile solamente in quanto pensato come tale. Se v’è pensabile v’è pensato, se v’è pensato v’è del pensabile. Pensabilità e pensato sono gli oggetti della capacità di giudizio. Penetrare in questo pensiero della pensabilità e del pensato non è tuttavia possibile prescindendo dall’immaginazione, la quale – vale la pena di ribadirlo – in ogni modo conferma la sua centralità per poter cogliere la struttura soggettivooggettiva della coscienza finita, dell’io rappresentante e, conseguentemente, anche della stessa “Dottrina della scienza”. L’immaginazione creatrice «è sì stata partecipata a tutti gli uomini perché senza non avrebbero nemmeno una sola rappresentazione, eppure quelli sono ben lontani dal disporne liberamente per creare con essa secondo una finalità, ovvero, se anche davanti alla loro anima si presentasse in un attimo felice, come una saetta, l’immagine anelata, non tutti sarebbero capaci di tenerla ferma, di esaminarla, di imprimersene indelebilmente per qualunque uso a piacere. Da questa facoltà dipende che si filosofi con o senza spirito. La dottrina della scienza è tale che non si lascia affatto comunicare con la mera lettera ma esclusivamente con lo spirito, perché le sue idee fondamentali devono esser prodotte dalla stessa immaginazione creatrice in ciascuno che la studi, come non potrebbe essere diversamente in una scienza che riconduca ai fondamenti ultimi della conoscenza umana, in quanto l’intera impresa dello spirito umano muove dall’immaginazione, tuttavia l’immaginazione non può essere compresa altrimenti che dall’immaginazione»49.
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L’immaginazione non è spiegabile, è puramente e semplicemente intuibile dall’immaginazione stessa. Ma al di fuori dell’immaginazione, nessun rappresentare, nessun pensare e nessuna coscienza finita. Nemmeno la Dottrina della scienza, conseguentemente, può essere penetrata senza immaginazione. In essa si entra soltanto con la capacità di oscillare e di librarsi su termini assolutamente contrapposti nel tentativo di congiungerli insieme, altro ingresso non v’è. Transitando per questo passaggio, si dischiude invece la struttura soggettivo-oggettiva della coscienza e il sistema operativo delle facoltà teoretiche interagenti. 4.4. Sforzo infinito e sentimento del limite Spiegare non soltanto il “che” ma anche il “come” della struttura della coscienza in quanto libera soggettooggettività rappresentante: questo il compito che il sapere teoretico del Fondamento si era prefisso di assolvere e il cui esito è forse compendiabile semplicemente nell’assunzione razionalmente giustificata – ossia secondo una deduzione che si vorrebbe corretta e completa – dell’io quale intelligenza. Come sappiamo si tratta dello sviluppo dell’enunciato “l’io pone se stesso come limitato dal non-io” ricavabile dal terzo principio fondamentale della “Dottrina della scienza”, cioè da quello secondo cui sia l’io sia il non-io sono posti entrambi dall’io e nell’io in quanto reciprocamente limitabili l’uno dall’altro, ossia in quanto divisibili. L’io intelligente-rappresentante è dipendente – e se ne sono viste le modalità – da un non-io che proprio quale non dell’io è designabile, almeno in prima battuta, come ciò che sfugge la sua intelligenza e capacità rappresentativa rimanendo ignoto. Dunque, l’io attivo nell’intuireimmaginare-rappresentare in tanto può essere principio esplicativo della teoresi in quanto dipende dal suo negativo, dal fatto che il sapere che da esso muove “ospiti” una consaputa ma non conosciuta, irriducibile alterità.
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È quanto era venuto in luce con chiarezza relativamente alla problematica dell’urto, concetto che a Fichte era parso necessario introdurre per poter spiegare l’origine della rappresentazione. L’urto succede di fatto, capita. L’io non ne è responsabile e non sa dare spiegazione del perché accada, di come sia possibile che succeda. Abbiamo potuto osservare la dinamica di questa sorta di “incidente” dell’io: capitandogli un ostacolo contro cui si trova ad urtare, l’io non può estendere oltre la propria attività, che in questo modo ne risulta inceppata e impedita nel proprio naturale procedere all’infinito. Ma non per questo l’attività viene azzerata. Piuttosto, l’io si trova spinto a reagire all’urto autolimitandosi e determinandosi attivamente, contrapponendo un che di oggettivo a un che di soggettivo. La pagina del Fondamento che illustra questo movimento è molto nota e vale la pena riprenderla in scorcio: «Ci si rappresenti l’attività che prosegue all’infinito con l’immagine di una linea retta che procede da A attraverso B fino a C ecc. […] si assuma che essa venga urtata proprio in C: il fondamento di ciò consiste, secondo quanto detto sopra, non nell’io ma nel non-io. Alla condizione posta, la direzione procedente da A verso C viene riflessa da C verso A. Tuttavia sull’io, se esso dev’essere un io, non può avvenire alcuna azione che produca effetti senza che esso reagisca. […] Quindi l’attività riflessa verso A, in quanto è riflessa, deve insieme reagire fino a C. E così otteniamo tra A e C una duplice, contrastante con se stessa, direzione dell’attività dell’io, in cui quella che va da C verso A si lascia considerare come una passività, e quella che va da A verso C come pura e semplice attività; le due sono uno e medesimo stato dell’io. Tale stato, nel quale direzioni completamente contrapposte sono unificate, è precisamente l’attività dell’immaginazione […]. L’attività che sta tra A e C è un’attività resistente»50. Riprendiamo il disegno fichtiano: da A verso l’infini-
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to corre l’attività autoponentesi dell’io assoluto; in C accade l’urto che impedisce il procedere dell’attività, esso rappresenta pertanto la negazione e con ciò, come si ribadirà tra poco, il non-io; il movimento di ritorno da C ad A è la riflessione e quello da A a C, il movimento resistente, è il rilancio di una nuova posizione: insieme esprimono l’io per come è dato alla coscienza del soggetto nelle sue operazioni reali, ove in un solo e medesimo stato sono contenute attività e passività, azione e reazione. La presupposizione dell’urto che «accade» all’io aveva mostrato il suo vantaggio in sede teoretica: una volta ammesso che all’io autoponentesi capita questo urto, la rappresentazione ne veniva completamente spiegata. Tuttavia, l’urto stesso rimaneva un fatto geneticamente inspiegato, sicché proprio esso poteva comunque mettere allo scoperto l’insufficienza del sapere teoretico rispetto a tale accadimento: precisamente quell’elemento che permette di dedurre la rappresentazione, vale a dire di dedurre l’intera attività conoscitiva dell’io intelligente, è a sua volta impenetrabile e indeducibile. In altri termini, ciò a cui la teoresi non sa rispondere è l’interrogativo circa il modo in cui l’io intelligente possa dipendere da altro, dal suo non precisamente nel porre se stesso: come dedurre l’origine di questo negativum tramite il quale, contrapponendoselo, l’io si pone in quanto finito e limitato? E l’azione che termina a questo non da contrapporre all’io deve forse essere assoluta al pari di quella tramite la quale l’io si autopone in senso illimitato e infinito? Ma ciò cosa significa? Anzi, tali due azioni, quella detta «pura» e quella detta «oggettiva», non devono forse essere una sola e identica attività originaria da cogliere nella libera e spontanea autoposizionalità dell’io? Ebbene, attorno al complesso delle questioni appena riprese si svolge l’argomentazione della «scienza del pratico», per sviscerarne i nodi problematici e risolverne gli aspetti in sospeso. Di qui procede, infatti, la terza parte del
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Fondamento che al pari del sapere teoretico muove, come s’è detto in precedenza, dal medesimo terzo principio fondamentale già richiamato e però ne sviluppa la direzione opposta, in esso altrettanto contenuta e riassumibile nell’enunciato: “l’io pone il non-io come limitato dall’io” o anche “l’io pone se stesso come determinante il non-io”. Col secondo principio fondamentale, sappiamo che l’io contrappone in tutto e per tutto qualcosa a se stesso. In questa contrapposizione incondizionata del proprio negativum a sé, l’io non dipende da altro che da se stesso. Il negativum è quel non-io posto nell’unico atto dell’io autoponentesi e posto appunto come suo assoluto ed originario opposto. Esso non deriva dall’io, non può esserne dedotto, ma si costituisce per principio contrapponendosi al porsi dell’io nell’unico atto autoposizionale di questo medesimo porsi. È proprio tale io negativo, o non-io, così originariamente strutturantesi, il responsabile dell’urto. E, si badi: analogamente a ciò che è possibile dire quanto al contrap-porsi del non-io, del tutto indeducibile dall’atto autoposizionale dell’io eppure ponentesi in esso, anche il fatto dell’urto non può capitare se non proprio nell’autoattività dell’io che pone sé come ponentesi. L’autoposizione originariamente spontanea ed assoluta dell’io rende in se stessa possibile l’azione assoluta del contrapporre che, formalmente incondizionata quanto la prima, risulta però condizionata quanto al contenuto. Essendo quest’ultimo il non dell’io, il vincolo del negativum all’io rimane inalienabile e insopprimibile come rimando a un presupposto radicale. Certo, l’io assolutamente primo e in tutto e per tutto incondizionato non causa in alcun modo il non-io, e dunque nemmeno l’urto. Ciò nondimeno l’attività infinita, essenzialmente autoponentesi e rientrante in se stessa dell’io costituisce la sola condizione che rende realmente possibili il non-io, l’urto e la posizione di un oggetto per l’io
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intelligente-rappresentante. In altre parole, si può dire che l’io spontaneamente autoattivo (nell’esempio di Fichte: A) deve essere ritenuto la condizione di possibilità tanto dell’attività ostacolata che termina al non-io (C) quanto di ogni rilancio autoposizionale di attività verso e oltre C. Precisamente questo tendere verso l’oggetto e oltre di esso è l’infinito sforzo (Streben) dell’io che spinge a realizzare-saturare il proprio incessante porre eguagliando a sé ogni possibile realtà oggettiva. “Sforzo”, cioè, è la stessa attività infinita dell’io ma in relazione a un possibile oggetto. Secondo la definizione fichtiana: «la pura attività dell’io ritornante in se stessa, in relazione a un possibile oggetto, è uno sforzo e per la precisione […] uno sforzo infinito»51. Soffermiamoci un istante sul significato di questo sforzo infinito fondato nell’essere assoluto dell’io. Esso è, in definitiva, condizione di possibilità di ogni negativum assolutamente opposto all’io e dunque di ogni oggetto dell’attività ponente. Tutto ciò che è posto non può esser posto indipendentemente dall’io, sicché se viene posto un oggetto, allora l’attività assoluta dell’io va concepita quale sforzo di determinarlo (di determinare il non dell’io). Insomma, tanto l’autoposizione assoluta quanto l’attività oggettiva contrapponente sono dell’io, o meglio sono l’io stesso in quanto azione inestinguibile che si pone come ponente. Nasce di qui l’esigenza che esse siano uguali, cioè che debbano esserlo pur essendo due attività essenzialmente contrapposte. Ma, attenzione, non può trattarsi appunto che di una Forderung – come scrive Fichte –, la quale è nel contempo “esigenza” e “postulazione”: ciò che viene postulato è lo sforzo che tende infinitamente a porre come identico a sé ogni oggetto. Il significato neanche tanto implicito di questa concezione che matura sul piano della prassi è evidentemente quello secondo cui l’io dovrebbe contenere la totalità degli oggetti, dunque la realtà tutta, ovvero dovrebbe
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essere in grado di edificare secondo ragione il mondo intero. Ma se tale esigenza venisse soddisfatta, paradossalmente non vi sarebbe più realtà alcuna, nel senso che l’io coinciderebbe con l’omnitudo realitatis, e fuori di esso dilagherebbe il nulla. Anzi, nemmeno l’io potrebbe più essere un io reale, cosciente e volente, perché in quel caso gli sarebbe venuta meno qualsiasi oggettività e differenza. Identico a tutto, non avrebbe altro al di fuori di sé, dunque nulla gli resterebbe da rappresentare e da volere. Tuttavia l’io finito, realmente esistente e cosciente c’è, quindi l’assolutezza anziché essere la sua e l’unica realtà onnipervasiva, non può appartenergli che nella forma della pura idealità o, trasferita sul piano etico, dell’imperativo categorico di tipo kantiano. Dunque, per sua natura lo sforzo è infinito. Esso, infatti, ha sì un termine, in quanto il non-io è necessariamente posto dalla medesima autoposizionalità dell’io nell’atto del suo porsi, e pertanto è costretto a porsi come limitato dal suo non (io teoretico). Tuttavia la posizione di questo “termine determinante” può essere differita e spostata all’infinito dall’io stesso, che a causa del negativum contro cui urta certamente dispone sé come un tendere eppure, in forza della sua identità radicale (l’autoposizionalità dell’io assoluto), come un tendere ad assimilare a sé tutta la realtà pur senza mai poterci riuscire (io pratico). Così lo sforzo si trova ad essere infinito e finito insieme. E in quanto tende al superamento di ogni limite e ostacolo determinato, cioè in quanto io pratico, esso è condizione di possibilità del medesimo io rappresentante e intelligente. La causalità dell’io nei confronti del non-io rimane, insomma, a livello esigenziale: l’io non potrà mai procedere alla saturazione della propria attività nella piena ed esaustiva uguaglianza a sé di ogni oggetto, dunque non potrà mai realizzare definitivamente una causalità assoluta. Infatti, se realizzata, questa a sua volta significhe-
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rebbe un’identità assoluta e perciò, come s’è detto, l’annullamento stesso della coscienza che verrebbe perfettamente risolta nell’io infinito sino alla medesima impossibilità di poter parlare dell’identità stessa. Mentre soltanto stando nel differenziale della coscienza – e nell’esigenza dell’io di determinare casualmente tutta la realtà – si può intravedere la pienezza dell’identità, ovvero dell’unico atto assoluto e infinitamente autoposizionale dell’io, in relazione al sopravvenire di un ostacolo e al fatto che lo sforzo rimane sforzo. Pare perciò necessario ammettere l’esistenza dello sforzo che è infinito e finito ad un tempo, e la sua identità con l’io stesso, proprio per poter pensare in modo incontraddittorio l’io assoluto infinitamente autoponentesi e l’io coscienziale che si estrinseca nel proprio operare rappresentazioni. È quella che Fichte chiama la prova «condotta per via apagogica»52, in quanto l’ipotesi dell’io-sforzo-finito-e-infinito si mostra necessaria per salvaguardare sia il fatto che l’io c’è, sia la consistenza di quei due principi fondamentali alla luce dei quali soltanto è possibile condurre un’argomentazione rigorosa circa il porre e contrapporre, il procedere e il determinare dell’io. Ma la prova apagogica a Fichte non basta. Perciò il § 5 del Fondamento prosegue nell’intento di dedurre l’esigenza dello sforzo dai principi più alti, per poter mostrare come essa si generi nello spirito. In altri termini, non basta più la postulazione dello sforzo quale esigenza di colmare, e poi anche di salvaguardare, la differenza tra autoposizionalità dell’io assoluto e attività oggettiva dell’io finito. A questo punto il discorso vuole muovere direttamente e geneticamente a partire dall’io per poterne dedurre lo sforzo dell’io stesso di determinare la realtà. Qui Fichte opera, infatti, una deduzione genetica mediante la quale tenta di dedurre tale sforzo all’interno dell’io, guardando alla condizione trascendentale di pos-
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sibilità del verificarsi dell’urto che inceppa l’attività assoluta procedente all’infinito e che l’io tende infinitamente a superare. Lo sforzo è sforzo dell’io autoponentesi, quindi è condizione di possibilità di ogni oggetto. Tuttavia anche l’oggetto è oggetto dell’io nel senso che deve rendersi possibile nell’io stesso perché la sua attività infinita possa determinarsi quale sforzo. Sinteticamente: che l’oggetto si renda presente e disponibile nell’io non dipende dall’io stesso, mentre dall’io dipende il fatto che esso, se gli accade di urtare contro un qualcosa d’altro, già ne contenga la possibilità. Dunque, la questione si apre a questo livello deduttivo-argomentativo precisamente nel voler capire in che modo l’io contenga la possibilità di quel negativum che possa agire esternamente su di esso. Tuttavia in cosa consiste, più precisamente, tale negativum dell’io? In quanto è dell’io, altro non può che partecipare della sua natura, quindi è attività, ma essendo altresì il suo non è la sua attività però in forma diversa, negativa, o meglio, quale attività rivolta in direzione contraria. Ritroviamo da questo profilo il diagramma precedente: per un verso, l’attività assoluta da A all’infinito e, in verso opposto, l’attività oggettiva da C (l’impedimento, il non-io) ad A. E, si ponga mente un istante, come aveva determinato Fichte questa seconda attività? Quale «riflessione». Infatti: caratteristica essenzialmente propria dell’io è il für sich, l’essere per sé. Non soltanto l’essere e il porsi in sé, ma il porsi spontaneamente come ciò che è, vale a dire l’essere e il porsi nella consapevolezza di porre sé in quanto ponentesi. Questa consapevolezza rimarca appunto il guadagno riflessivo, la distinzione tra «attività centrifuga» procedente all’infinito e «attività centripeta» riflettente, distinzione possibile soltanto a livello di io cosciente finito, perché nell’io assoluto v’è esclusivamente la sua unica indeterminabile autoposizionalità in cui e di cui non sussiste coscienza.
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Di nuovo: come s’è visto, l’io rappresentante-riflettente, l’io filosofico può ottenere la propria consapevolezza riflessiva alla sola condizione che di fatto l’attività del suo libero e spontaneo autoporsi sia ostacolata da un urto e costretta a “riflettere” la propria direzione. Ma occorre precisare meglio anche tale affermazione. Chiediamoci ancora: cosa rende effettivamente possibile l’urto? Esso rende possibile, s’è detto, che l’io esista quale sforzo e che acquisisca consapevolezza del suo autoporsi come ponentesi e della conseguente duplicità direzionale, centrifuga e centripeta, della propria attività. Ora, proprio essendo assoluto, l’io pone sé in quanto ponentesi. Cosa significa tale “in quanto”? Significa, incontrovertibilmente, un differire e un distinguere. E ciò si traduce nel dispiegarsi di uno spazio ri-flessivo, ovvero della riflessività dell’io. Precisamente tale spazio aperto dai due «modi del porre» accoglie la possibilità a priori dell’alterità dell’io, ovvero che il suo negativum possa insinuarvisi ed esservi ospitato. Con parole di Fichte: «L’io pone se stesso in assoluto e perciò è in se stesso perfetto e chiuso a ogni impressione esterna. Ma, se dev’essere un io, di necessità deve porsi altresì in quanto posto da se stesso, e tramite questo nuovo porre che si relaziona a un porre originario esso si apre, per dir così, alla causazione dall’esterno; unicamente per mezzo di questa ripetizione del porre, l’io pone la possibilità che, in esso, possa esservi qualcosa di non posto da se stesso. I due modi del porre sono la condizione di una causazione del non-io»53. In virtù di questa reduplicatività costitutiva del porre, l’esigenza dell’io di assimilare a sé tutta la realtà oggettiva, di estendere all’infinito la propria attività e saturare così l’infinità stessa, risulta in tutto e per tutto fondata nell’io assoluto. E in tal modo la deduzione genetica che Fichte si era prefissato può dirsi conclusa. Prima di concludere questo sguardo sulla «scienza del pratico», si vuole ancora prestare brevemente atten-
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zione alla modalità soggettiva dell’incontro tra l’io e il suo altro. Una volta dedotta geneticamente la possibilità che il non-io si dia all’io, si prende cioè a considerare la condizione di questo darsi. Ora, l’incontro dell’attività infinita spontaneamente autoponentesi dell’io con quel suo negativum che la ostacola costituisce lo stato soggettivo del sentimento (Gefühl). Non a caso nella definizione fichtiana il sentimento si predica di una limitazione esterna imposta all’io, anzi di un suo non-potere (NichtKönnen): «La manifestazione del non-potere nell’io si chiama un sentimento. In quest’ultimo sono intimamente unificate attività – io sento, sono il senziente, e quest’attività è quella della riflessione – e limitazione – io sento, sono passivo e non attivo: è presente un’imposizione»54. Non al pensare si dà originariamente l’incontro di io e non-io, ma al sentire. Non un atto conoscitivo risulta centrale nella concezione fichtiana dello sforzo, bensì il provare sentimenti. Soltanto tramite operazioni successive di riflessione sulla condizione soggettiva del sentimento (e «il sentimento è esclusivamente soggettivo»)55, l’io costituisce l’oggetto e acquisisce autoconsapevolezza del proprio essere sforzo. Cosa significa che il sentimento è esclusivamente soggettivo? Significa che consiste in un sentire se stessi e mai un oggetto; un sentire la propria forza ma in quanto limitata, impedita; un sentire il proprio non-potere. È riflettendo sul sentimento del proprio limite che l’io produce il suo negativum quale oggetto reale, mentre prendendo coscienza dell’esigenza ideale di assimilare ogni realtà, l’io procede oltre ogni oggetto rilanciandosi nella posizione, irrealizzabile ma fungente, di un mondo liberato dalla negatività. L’attività dell’io si volge a un oggetto, anzi, a una totalità di oggetti che egli non può mai assimilare-eguagliare a sé. In tal senso si può dire che è un’attività spinta irresistibilmente verso l’oggetto di una causazione possibile
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per la coscienza finita eppure mai attualmente, totalmente praticabile. Questa attività pregna del suo nonpotere viene, appunto, sentita. «Una tale determinazione nell’io la si chiama però un anelare, un impulso verso qualcosa di affatto ignoto, che si rivela puramente e semplicemente tramite un bisogno, un disagio, un vuoto, che cerca soddisfazione e che non indica da dove la possa trarre»56. L’impulso determina l’io a uscire, idealiter, da sé e a produrre qualcosa al di fuori. Essendo però limitato, l’io si ritrova in tale condizione di essere anelante e, riflettendovi, insorge in lui il sentimento dell’anelito. Tramite l’anelare l’io in se stesso viene, infatti, spinto fuori di sé e scopre in esso stesso un mondo esterno. Proprio perché sganciato da una determinata e concreta limitazione, l’anelare manifesta originariamente e in modo affatto indipendente lo sforzo dell’io. L’anelito è purtuttavia in relazione a un oggetto che l’io produrrebbe effettivamente se avesse causalità, perciò in esso sorge il sentimento di un’imposizione fondata nel non-io. Il sentimento di anelare e il sentimento della limitazione, o imposizione, sono in relazione reciproca. Se l’io non si sentisse anelante, non potrebbe sentirsi limitato, perché unicamente in virtù del sentimento dell’anelare l’io esce da sé. Inversamente, se l’io non si sentisse limitato, non potrebbe avvertire aneliti, bensì soltanto la causalità che condurrebbe l’io a produrre qualcosa al di fuori di sé. Un sentimento non è possibile senza l’altro, ma entrambi sono sinteticamente unificati: se v’è limitazione v’è anelito, se v’è anelito v’è limitazione. Concludendo questo scorcio sulla scienza del pratico, non è difficile valutare la rilevanza complessiva di quest’ultima determinazione reciproca di anelito e limitazione. Basta soltanto che pensiamo, per dir così, idealiter – come sta facendo Fichte –; basta soltanto che poniamo mente all’anelito alla libertà o all’infinito, e il suo discorso potrà presentarcisi immediatamente con
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maggior, trasparente vivezza. Proprio nell’evento della propria limitazione, nell’accadere dell’urto (non-io), l’io acquisisce coscienza della sua ideale infinitezza e si sforza di esistere come realizzazione dell’ideale stesso, come plus ultra continuamente rilanciato nella tensione insopprimibile alla libertà e all’infinito. Ora, non potendo realizzare tale infinitezza, l’io si saprà sempre, conformemente alla propria struttura soggettivo-oggettiva, come infinito finito, illimitato limitato. In quanto pratico, l’io è per Fichte precisamente questa sintesi di opposti imprescindibili e reciprocantisi. Esso continua a essere e porsi in quanto lotta contro il proprio negativum, senza annullarsi o soccombere in tale conflitto, ma nello sforzo di procedere oltre, individuando sempre nuovi oggetti da anelare, colmando i vuoti dell’impulso con l’autoproduzione e la crescita dell’io e della coscienza.
5. Anime gemelle L’anima è il bersaglio della freccia, il combustibile del fuoco, il labirinto in cui l’eros intreccia la sua danza. Hillman, Anima
Dallo stesso parto autoposizionale io e non-io, irreconciliabile due, vengono alla luce op-ponendosi indisgiungibilmente, per sempre. Non un legame occasionale e transitorio li stringe, ma un vincolo viscerale e irrevocabile. Per sempre, incondizionatamente, in tutto e per tutto identici – per sempre, incondizionatamente, in tutto e per tutto altri. Cosa li stringe nel fondo? Cosa ne fa, originariamente, “principi gemelli”? Se indisgiungibili, perché non semplicemente uniti, anzi uno? Se contrapposti, perché non semplicemente separati? E in definitiva cosa sono, cosa significano, quale destino li copre, quale possibilità li agita? Nascendo, il primo – l’io – rende possibile e porta
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poi inseparabilmente con sé il secondo – il non-io. Sono due. Scaturito l’io (l’uno), la sola e medesima ferita che la sua autoposizione incide sul vuoto della neutralità e dell’indifferenza (lo zero) lascia sgorgare il non-io (il due). Non un prima e un poi: ma insieme l’identico e l’altro. L’uno, nell’istante stesso in cui pone sé, è esposto-a. Non ha un proprio riparo, è assolutamente e dinamicamente lì. E lì, nel farsi e operare del proprio essere ponendo sé come ponente, (es)pone sé (op)ponendosi sub eodem et sub contrario. L’io non conosce una tana per fuggire dal negativum: l’uno è già due, la sua duplicazione contrappositiva è il porsi della sua medesima autoposizione identitaria. Vale a dire che l’identità in atto è già in sé, originariamente, contrappositiva e dilemmatica. È l’origine ad essere due: né uno indiviso né uno diviso – ma uno-due, uno che è, in uno, due e due che è, nella dualità, uno: unidualità di io-non-io. In tutto e per tutto indisgiungibilmente contrapposti. Dovendoli ri-esporre uno dopo l’altro, così come si ex-pongono essi stessi nella e dall’unica scaturigine gemellare dell’autoposizionalità, diciamo di io “il primo”. Il primo non è qualcosa, è. È in assoluto. «Porre se stessi ed essere, applicati all’io, sono totalmente identici»; o ancora: «L’io assoluto del primo principio non è qualcosa (non ha predicato e non può averne alcuno), è in tutto e per tutto ciò che è, e questo non è ulteriormente spiegabile»57. Inspiegabile, indeducibile, infondabile, l’io è sorgiva autoposizione d’essere. Parimenti, il non-io che gli si contrappone qualitativamente nel suo spontaneo porsi originario non è deducibile dall’io, in relazione al quale rimane anzi inderivabile e impredicabile. «In tutto e per tutto nulla»: ecco cos’è il non-io, o detto altrimenti, «assoluta totalità della negazione» necessariamente, essenzialmente contrapposta all’«assoluta totalità della realtà» che l’io, ponendosi come ponente, pone58. Incondizionato il porsi del primo, incondizionato l’op-
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porsi del secondo; incondizionatamente assoluti, sciolti l’uno dall’altro e perciò irrelati, e tuttavia perfetta assolutezza-irrelatezza dei due opposti soltanto – ossia assolutamente – nella relazione. Ora: se l’io è in assoluto ed è puramente e semplicemente ciò che è, vale a dire spontanea autoposizione e incondizionatezza d’essere, il non-io radicalmente contrapposto rappresenterebbe pertanto un op-porre l’assoluto non-porsi, un porre il nulla-che-si-pone. Ed esso è posto, ed è posto come opposto nell’io. Tuttavia come porre un essenziale non-porre-se-stesso nell’assoluto porre-se-stesso? Ponendosi, il non-io è posto nell’io – ma allora non può essere absolutus proprio perché posto. Se l’alterità è assoluta quanto assoluto è il porsi e l’essere dell’io, ovvero la positività assoluta, in che modo essa può op-porsi un’assoluta negatività? O forse questa non può conoscere positio alcuna? Come poter dire che l’unica, pura pro-posizione d’essere è così del tutto autocontraddittoria da porre quel che non potrebbe in alcun modo porsi essendo l’intero del non essere, ciò che assolutamente, illimitatamente si contrappone all’essere? Procediamo per gradi. Puramente e semplicemente negativo e contrapposto all’io è il suo altro, quel non che egli patisce come lacerazione sorgiva del proprio stesso principio. Il non dell’io è perché è l’io. La contraddizione è originaria: assoluto l’io, assoluto quel suo non che egli stesso non può non contrapporre a sé nella libera autoattività del proprio porsi come ponentesi. Con l’io il non-io, in tutto e per tutto. Eppure: l’assoluto opporre non è forse l’impossibilità di un qualsiasi “con”? La posizione di un’alterità assoluta a quale “con” può mai dar luogo? Occorre ribadirlo: i due appartengono, «essentialiter opposita», al medesimo porre, all’unica posizionalità, tolta la quale non sussisterebbe più contrapposizione. L’opposizione è pura e semplice, indeducibile e indimostrabile quanto la posizione.
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Inoltre, essendo irriducibilmente l’unica azione autoponentesi, la contrapposizione può togliere qualsiasi altra posizione, ma non quell’altra che è la propria. Infatti, se il non-io potesse sopprimere anche se stesso, necessariamente ciò si realizzerebbe in quanto la sua positività potrebbe in un qualche modo venir eliminata dal suo opposto, e dunque sempre e soltanto in forza del proprio medesimo principio negativo: almeno la realtà dell’ipotesi conferma la realtà-teticità principiale dell’antitesi. Appartenendo all’unica azione assoluta, nulla può togliere l’originaria oppositività, che però in tanto risulta insuperabile in quanto, se posta, è puramente e originariamente posta, dunque in quanto ex-siste in forza del suo altro. Il contrapporsi non è successivo ed evidente “dopo” l’autoposizione bensì nella positività di questa stessa. È la medesima posizione dell’uno-identico che esige strutturalmente, per porsi, l’essere-altro-e-due. L’op-posto viene provocato da quel che anzitutto, spontaneamente e infondabilmente, pro-duce sé e che dunque abbisogna di un “qualcosa-posto-di-fronte”, di un altro in cui produrre il “suono”, il “volto”, l’identità del proprio autodisvelarsi. Se altri non vi fosse fuori di lui, nemmeno io sarebbe io, ma unicamente totale – e perciò vacua – indifferenza. Senza l’antagonismo e la negazione di quel principio venuto alla luce ab origine nella sola ferita del parto unigemellare in cui si è aperto l’essere, che l’io avesse o non avesse vita, che fosse e si ponesse o non fosse e non si ponesse, ciò non farebbe alcuna differenza. L’io non può non proporre l’altro che esso stesso, positivamente, patisce: nella sua pro-posizione si nasconde ab imis la sua pato-logia. L’identità di io – ma s’intenda: ogni identità qua talis – è tale soltanto differendo il e dal suo altro, è soltanto nella relazione. Per poterne dire in sé, a prescindere da altro, e dunque in tal senso per dirla assolutamente “irre-
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lata”, se ne deve dire soltanto nella relazione. Nel due è una, nel differire è identica. Io è io non essendo il proprio differente, il suo non, il suo negativo quantum. Io, diremmo, non è non-io. Ciò è evidente ma, invero, non basta ancora. Per essere io, io deve essere altro e differente dal suo non, deve, in definitiva, negare altresì il proprio non essere non-io: così soltanto io differisce anche dal proprio essere-differente e, quindi, da qualsivoglia differenza e “non”. Dunque, come tale, io deve risultare altro anche da sé in quanto identico: e quindi, paradossalmente forse, è non-io. Reciprocamente, il non dell’io, il non-io è se stesso unicamente differendo da sé, dal proprio essere il negativum dell’identico, ossia dal proprio essere il “non” dell’io. Non-io è non. Non-io non è io solamente in quanto è pure identico a sé, vale a dire in quanto nega la propria negatività per essere il proprio positivum, l’io. Non-io non è se non l’identità che nega il proprio non, id est: io. Ecco, qui, la gemellarità principiale, viscerale, insopprimibile dei due. Io, proprio l’io il cui essere è uno con il suo porsi, non può tuttavia non essere il proprio non, non può privarsene senza sopprimere se stesso, senza rinunciare, con quel due da cui viene assolutamente, essenzialmente negato, al proprio unico io. Ché, invero, proprio quell’unicità è duplicità. E la sua medesima autoreferenzialità la evoca e comporta, pur venendone originariamente deformata e divisa in uno sdoppiamento e in un differimento che, in certo modo, l’identità scopre con sconcerto come sempre anteriori al proprio consolidarsi. E pertanto ogni tentativo di agguantare sé, di poggiare, infine, su di sé, si spalanca nello iato che separa sé da sé, nella mancanza che è, da sempre e per sempre, difettività principiale e sporgenza di desiderio. Qui l’irresistibile attrazione reciproca dei due nel loro respingersi, il loro assolutizzarsi, ir-relarsi nell’imprescindibilità della relazione che li “anima”59. Epperò, per non cadere di nuovo nell’astrattezza –
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quell’astrattezza da cui proprio la dialettica di identità/differenza dovrebbe in un qualche modo salvare –, si deve assumere radicalmente quella che con Fichte vorremmo chiamare, ricontestualizzandola, la legge della “mediatezza del porre”. Nel nostro caso si tratta di non poter prescindere appunto dai modi della mediazione, i quali reclamano, in particolare allorché l’identità assunta è quella friabilissima dell’individuo e della sua struttura coscienziale soggettivo-oggettiva (quella posta dal terzo principio fondamentale fichtiano), una loro possibilità anche di scacco, scompensazione e indeterminazione del processo identitario. Non v’è garanzia, non vi sono standard di maturazione e normalità che modellano in modo necessitante e rassicurante l’io conducendolo sicuramente a pienezza: v’è, anzi, il rischio affiorante e sempre crescente che proprio la ricerca di sé corroda dall’interno il processo di autoriconoscimento dell’io sino a scavarne l’impossibilità di identificarsi positivamente con il suo non, per lasciarlo invece estinguersi nell’opacità vischiosa dell’indecifrabile che l’io stesso, per sé stesso, è. Ma torniamo per il momento ancora al non-io perché l’insistervi può aiutare a chiarirci le idee. Ora, se inteso astrattamente quale concetto di un assoluto non-essere, il non-io costituirebbe un concetto autocontraddittorio: la sua posizione equivarrebbe non a un puro e semplice non porre, ma ad un porre il non-porre, porre il nullache-si-pone. Porre nulla, nel senso della posizione del nulla, non equivale a non porre nulla: una posizione autocontraddittoria, per essere tale, deve pur sussistere, quindi è. In tal senso la contraddizione in tanto permane in quanto si deve superare la medesima nullità annichilente del non-io. D’altra parte, ma è la stessa cosa soltanto in termini diversi, l’originario è atto in fieri dell’azione autoponentesi proprio mentre è un simultaneo, autocontradditto-
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rio porre e opporre; è assoluta realtà e sua assoluta negazione; è teticità e antiteticità perfette. Ciò che si discute, quindi, è la contraddizione tra la positività del porre autocontraddittorio di io e non-io e la negatività dell’autocontraddizione in cui i due consistono simultaneamente. La posizione dell’assoluta opposizione, proprio perché invincibilmente autocontraddittoria, pone il problema della propria risoluzione. Tuttavia questo problema in tanto può porsi in quanto permane la contraddittorietà che lo istituisce e dunque in quanto si eviti di cadere nel nihil absolutum. Dunque, in linea di principio il non-io, quale negativum dell’essere-porsi-dell’io, deve pur essere. Infatti, si deve certo ammettere una necessità del non-essere, giacché se l’assolutamente altro dall’essere non fosse posto, il medesimo essere potrebbe venir negato, contraddetto, o meglio non potrebbe essere posto e l’identità radicale svanirebbe così irrecuperabilmente. Non si potrebbe escludere, in tal caso, che proprio l’essere sia simul et idem non-essere, immediatamente, astrattamente l’io non-io – mentre io è per essenza ciò che anche non è nonio (essere ciò che anche non è non-essere). Dunque, il non-io, quale assolutamente altro dell’io, deve pur essere posto e posto precisamente come ciò che, essendo, “non significa essere”, perché soltanto il porsi dell’io esprime ed è identico all’essere. Il problema si pone pertanto nel cogliere la modalità di questo essere del negativo per sé. Di nuovo: se l’essere (l’io) viene totalmente inghiottito da quel nulla (non-io) che pur lo presuppone per la propria ponibilità, in che modo questo non-io nullificante può istituirsi nell’esse qua talis? Una risposta decisiva a tali interrogativi è forse rintracciabile penetrando meglio la medesima strutturazione antitetica del contrapporsi. Per prima cosa, a ben vedere, non è il non-io a opporsi. Ciò che si op-pone è precisamente quello che, nel porre sé, op-pone sé a sé.
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Io contrapposto a io: io, non-io. Un non li differenzia, ed è la forma della loro unica ed essenziale dualità: tuttavia il loro contenuto è identico, per principio. E proprio perché il contenuto è identico, allora è evitata l’astratta separatezza che estingue nella contraddizione i termini contrapposti. Per principio, soltanto l’io può spontaneamente, assolutamente porsi e, ponendosi in quanto ponentesi, op-porsi. Senza l’io, nessun non-io. L’io condiziona (contenutisticamente) il suo irriducibile (formalmente) altro, il suo negativum. Sotto la veste formale – che però tra breve occorrerà tornare a prendere in considerazione –, i due hanno lo stesso principio vitale, l’unico dinamismo originario che li pone, e cioè la libera, spontanea urgenza di porsi e, ponendosi, di essere. Da questo punto di vista, quel non è la forma che nega la medesima negatività che potrebbe astrarre io da io, sé da sé. Il secondo è senz’altro l’opposto del primo; è addirittura ciò che vuole negare il proprio “essere secondo” negando il primo: è, infatti, il negativum dell’io. Però la sua negatività, dipendendo radicalmente dall’io, in definitiva è necessariamente autonegazione dell’io stesso che, ponendosi, nega sé. Ciò che si nega è propriamente il non (il non-essere, il negativo, la nullità assoluta); ciò che si afferma e si pone, l’io (l’essere, il positivo, la realtà assoluta). Si badi: dire che è precisamente il non a negarsi significa qui che a essere negata è quella negatività che nega sì l’io, e purtuttavia dell’io nega l’originario autoponente negarsi nel suo non. Ciò proprio in quanto, come s’è visto, il “non” di non-io è veramente in principio l’essere e lo spontaneo autoporsi dell’io nell’atto del suo porsi quale ponentesi. Se così stanno le cose, allora nella negatività del secondo ciò che è è unicamente il primo, l’io (l’essere nel suo sorgivo porsi): il che conferma, per questa via argomentativa, che fra i due principi vi è perfetta “gemellarità” di contenuti, ovvero che il primo condizio-
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na contenutisticamente il secondo. Non un mero nulla, anzi; il nulla, appunto, non esiste. È annullato e la negatività negata: non-io è la forma in cui continua a farsi e a operare il porsi e l’essere dell’io in atto nel suo op-porsi e negarsi. Ecco perché Fichte può concludere nel modo seguente un passaggio che abbiamo già citato parzialmente prima: «Se nell’io è posta l’assoluta totalità della realtà, allora necessariamente nel non-io dev’essere posta l’assoluta totalità della negazione e la negazione stessa dev’essere posta quale totalità assoluta»60. Questa pare l’unica via, certo aporetica ma non per ciò falsa, per com-porre sia l’assolutezza ed essenzialità della contrapposizione originaria sia la necessaria (pena la caduta nel nihil absolutum) autocontraddittorietà proprio di tale contrapposizione. Fuori da questo percorso rimarrebbe un’altra soluzione, astrattamente più decisiva eppure più, per dir così, rinunciataria rispetto al complesso speculativo della questione sin qui tracciata. Seguiamola un istante per segnalarne la differente direzione e ciò che pare il suo inciampo. Questa seconda via risolutiva asserisce immediatamente, puramente e semplicemente che l’opposizione di io e non-io (essere e non-essere) non può affatto essere assoluta. Essa muove dall’asserto che la posizione di due integralità d’essere di segno opposto equivale in senso logico-astratto alla contrarietà assoluta di due proposizioni universali, l’una positiva l’altra negativa, le quali non possono essere entrambe vere però possono essere entrambe false. Nel nostro caso la falsità paritetica equivarrebbe all’impossibilità della medesima autoposizione che pur le espone entrambe come proprie forme. Ma quell’impossibilità sarebbe, per quanto detto precedentemente, la stessa impossibilità di qualsiasi essere e di qualsiasi sapere, di qualsivoglia forma e fatto di coscienza, in definitiva, dunque, anche di se stessa. Pertanto, stando a questa risoluzione, si dovrebbe perlomeno assumere che le due
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espressioni cui Fichte ricorre ambiguamente nel parlare sia di contrapposizione assoluta sia di termini essenzialmente contrapposti non soltanto sono eterogenee bensì persino alternative. O la contrapposizione è assoluta, o non lo è. Se assoluta, è falsificabile. Se non lo è, allora può essere inteso il senso dell’«essenziale essere-contrapposto» (wesentliches Entgegengesetztsein) dei due principi gemelli. Per quanto esposto in precedenza, pare invece possibile pensare sia l’assolutezza dei contrapposti sia l’essenzialità del medesimo essere-contrapposti, dando sviluppo (nel senso qui del diaporein) all’assolutezza-irrelatezza dei termini proprio nella loro essenziale, contrappositiva correlatività. Riprendendo espressioni precedenti, parrebbe insomma che soltanto confermando l’ipotesi dell’impossibile verità comune, confermando cioè assolutezza e autocontraddittorietà, sia possibile corrispondere all’esigenza di un tracciato speculativo che non scansi il carico di pensiero della questione. Certo, una contrapposizione astrattamente assoluta non equivale ad un essenziale essere-contrapposto. Un essere assolutamente contrapposto in senso astratto porta con sé l’esteriorità e l’indipendenza reciproche degli opposti, l’indifferenza dei differenti. Astrattamente intesa, la contrapposizione assoluta sicuramente è sussumibile in una relazione di assoluta contrarietà e perciò altrettanto sicuramente smarrisce le proprietà essenziali di almeno uno dei due termini gemelli, proprietà che paiono destinate all’annullamento o alla loro falsificabilità. Ma la questione, pare, si gioca anche nel non intraprendere la via dell’astrattezza. Gli opposti devono rimanere indisgiungibili in quanto essenzialmente tali, ossia assolutamente contrapposti, senza potersi annullare. E ciò è quanto si è tentato di mettere in luce rivisitando l’originaria struttura del contrapporsi assoluto e la strutturazione dell’identico (io) e del suo differente negativum
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(non-io). Essenziale è l’opposizione in cui l’essere dell’uno implica in sé, cioè appunto per propria essenza, l’essere dell’altro come altro; in cui l’io assoluto non è l’io finito proprio nel suo essere identico a quest’ultimo, indistinguibile-inseparabile da esso. Gli essentialiter opposita fichtiani annunciano, in questa loro gemellarità antagonistica, la celeberrima Aufhebung di Hegel: superamento che conserva, il quale si dà se l’io infinito continua a mantenere in sé, indistinto, il distintissimo altro dell’io finito; se l’io finito, paradossalmente, non si distingue dall’io infinito che è il suo altro, come non-finito. Essenziale è la contrapposizione di quegli opposti che nella differenza sono posti identici. Essenziale è la contrapposizione dell’azione assoluta che, mentre pone sé come ponente, oppone sé a sé e dunque identifica e differenzia gli opposti in quanto tali, come differenti che si tolgono-mantengono reciprocamente. La contraddizione di io e non-io, o di io assoluto-infinito e di io determinato-finito, in tanto permane, e permane con validità euristica di conferma del medesimo principio di non-contraddizione, in quanto è relazione essenziale di termini ciascuno dei quali pone in sé il proprio opposto. Il negativum, il non-io è posto per sé, tuttavia ciò significa non soltanto in virtù di se stesso ma anche di quel suo proprium che esso nega, l’io. Consistendo in un’unica azione-in-atto, i due principi gemelli non vengono negati o semplicemente ridotti a identità: sono già uno, essenzialmente ma non immediatamente. Se fossero immediatamente opposti coinciderebbero nella perfetta separatezza, nell’indifferenza assoluta in cui cadrebbero anche se fossero immediatamente coincidenti. Al contrario, il farsi processuale della loro azionein-atto, il venire alla luce contrappositivamente nell’unico parto autoposizionale esclude l’indifferenza nel modo più radicale. Essentialiter opposita, i principi gemelli non sono semplicemente uno nella stasi di un atto per sem-
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pre compiuto, ma sono e si pongono nell’attivo, diveniente e conflittuale processo che, negandoli, li afferma e, affermandoli, li nega. Eppure, anche quest’ultimo esito non basta a se stesso e non permette di chiudere così la questione. Di nuovo, tutta la nostra argomentazione s’è mossa a sua volta presupponendo che la contrapposizione si verifichi con l’autoposizione assoluta dell’io. O meglio, presupposta l’assoluta autoposizionalità dell’io, s’è visto che essa rende nel contempo possibile quel non-io che è l’indeducibile e l’impredicabile dell’io. La negatività essenziale non viene tolta dal fatto che la posizione del non-io consista nel medesimo op-porsi dell’io nell’atto stesso del suo porre sé come ponente: questa è, per dir così, la ratio essendi per la quale, se contrapposizione si dà, non può darsi che così e così fondata. Tuttavia ciò riguarda, come s’è ribadito più volte, il contenuto: ma il contenuto, si badi, non è tutto, cioè non satura l’aporetica del senso. Un breve passaggio del Fondamento può richiamarci altresì il significato dell’antitesi qualitativa a livello formale: «Tra le azioni dell’io figura certamente un contrapporre quanto la proposizione -A non = A figura tra i fatti della coscienza empirica; e questo contrapporre, secondo la sua mera forma, è un’azione assolutamente possibile, non sottoposta a condizione alcuna e che non richiede un più elevato fondamento»61. Ora, l’indeducibilità-impredicabilià di cui sopra va dunque tradotta in questi termini: stando alla sua forma, il contrapporre originario è assolutamente possibile, ossia non deriva necessariamente dall’autoposizione dell’io. Pertanto, fermo restando che il contrapporre, se si verifica, dev’essere assolutamente possibile nell’atto spontaneo dell’incondizionato autoporsi dell’io, ciò nondimeno la forma di tale atto oppositivo non sarà mai deducibile a priori dalla forma dell’autoposizione assoluta dell’io. Di qui il vincolo formale anche a una
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dimensione di aposteriorità, oltre a quella di negatività, che afferisce costitutivamente al fatto della contrapposizione. Che si dia la contrapposizione è un fatto asseribile per posterius. Del resto cosa sta a significare l’intera argomentazione fichtiana sul concetto di “urto”? Precisamente questo: l’opporsi del non-io è sì, necessariamente, l’atto autonegativo immanente all’autoposizionalità dell’io che pone se stesso come ponente, eppure la modalità formale del suo effettivo accadere è puramente eventica, contingente, casuale, sopravveniente. Come sappiamo, “capita”, “accade”, “succede”. E proprio di qui, infine, la necessità fattuale del terzo principio. L’opposizione assoluta capita effettivamente, per una forza propria che la fa accadere all’io senza che questi ne possa in un qualche modo governare la possibilità. L’oggetto, il non-io di fatto ci sono: in essi s’imbatte l’uomo che cerca e conosce, essi lo ostacolano con la loro eventualità e opacità inderivabili-imprevedibili per la ragione teoretico-rappresentativa. Tuttavia soltanto in tal modo egli diventa cosciente del proprio essere e porsi nel mondo. Allora, se le cose stanno così, il principio che è “terzo” quanto alla forma è in realtà il “primo” quanto a trascendentalità del significato. Dunque: l’io “in parte” viene prima dell’io “in assoluto”, l’io diviso prima dell’iointero. Soltanto la coscienza finita, nella sua struttura soggettivo-oggettiva, può infatti parlare sensatamente dell’io assoluto, dentro al quale non v’è spazio per quella riflessività che suppone una differenza e un’alterità. L’assoluta identità, non ancora “urtata” dal non-io, è un puro nulla affatto privo di spessore e valore per l’indagine riflettente. Anzi, neppure la ragione riflettente v’è prima che capiti l’urto. Ma questo urto che fessura la rettilinea posizionalità del libero porre dell’io lo si può sapere soltanto a posteriori, come fatto realmente accaduto. Dunque, il “primo” non è l’io che procede infinitamente lungo la sua corsa, bensì la coscienza finita che, in effet-
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ti, c’è e pone questioni di senso, si interroga sulla propria natura, elegge cose a oggetti del proprio conoscere e volere, tende a rendere la totalità del non-io mondo coltivato e assimilato dalla ragione. Che poi l’io non esaurisca questa impresa, sempre richiesta, di assimilazione, non significa che la struttura soggettivo-oggettiva della coscienza rimanga infine meramente ed esclusivamente soggettiva – come conclude Hegel nella Differenzschrift. Significa invece che il porsi dell’io come ponente è sia già da sempre avvenuto, sia sempre e per sempre ancora a venire: ove ciò che conta è proprio il sia... sia..., ovvero precisamente il farsi obiettivo della mediazione sempre attiva nell’azione-in-atto. Così che, per questo profilo, può chiarirsi altresì che la soggettività assoluta da cui muove l’esposizione – ma l’esposizione soltanto, si badi, non l’essere effettivo – non è il Prius rispetto al suo contrapposto, l’assoluta oggettività dell’incondizionato nonio, in quanto non v’è affatto un Prius. Il discorso riguarda unicamente l’io diviso e divisibile, in quanto la sua strutturazione avviene portando in superficie quel che v’è nel profondo (in-quietante vicinanza alla Offenbarung der Tiefe che è meta dell’itinerario fenomenologico hegeliano: ma proprio in ciò sta, invero, l’«enarrazione» della «storia pragmatica dello spirito umano» che la dottrina della scienza ascrive a proprio compito). E nel profondo l’io è già da sempre, e, nel contempo, ancora per sempre ha da essere io negativo, io passato passato nel proprio negativum e che ancora ha da passarvi. L’inizio logico del primo principio è dunque un’inferenza trascendentale operata dalla coscienza finita che, di fatto e per prima, c’è. E senza il terzo (che in realtà è primo), il primo potrebbe sì a sua volta essere risucchiato nell’astrattezza di un “cattivo infinito”. Si potrà ben concludere che nel suo esserci quale determinazione coscienziale finita dell’io quel che veramente è è quello stesso essere e porsi scaturente in quanto autoposizionalità del-
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l’io assoluto: eppure, v’è da chiedersi, come va valutata questa “primarietà del terzo principio”? Semplicemente si tratta di un primum reale a fronte di un primum ideale? Di una ratio cognoscendi che, in un qualche modo – verosimilmente quel modo intuitivo che Fichte non mette ancora a tema nel Fondamento ma soltanto con la versione successiva della sua “Dottrina della scienza” –, anticipa, fosse anche circolarmente, la ratio essendi? Per rispondere a tali interrogativi, riprendiamo un istante il criterio di questo terzo principio fondamentale. Si tratta, come sappiamo, di un altro atto originario la cui modalità è assoluta e il contenuto incondizionato, ma la forma del quale è però condizionata dai primi due principi presupposti: esso afferma la posizione, nell’io e in virtù dell’io, di un io e un non-io divisibili, o limitati. Tolta l’illimitabile interezza della contraddizione, gli opposti possono essere conciliati e tale conciliazione si dà perché si dà la sintesi reale, la coscienza. Tuttavia la coscienza sa come “prima” quella interezza in quanto la coglie-intuisce come negata. Cioè la sa a partire dalla propria struttura che non coincide certo con quella dell’identità della soggettività assoluta bensì, rispetto a questa, è confitta invincibilmente nella differenza di una soggetto-oggettività finita. D’altro canto, i principi gemelli non si conciliano e rimangono invece perennemente, tensivamente e conflittualmente due. Non v’è, infatti, riunificazione sintetico-coscienziale che possa valere quale perfetta unità assoluta, da tutto “libera”. In altri termini, l’unità-identità è bensì supposta, già data con l’unità soggettivooggettiva coscienziale contemporanea all’opposizione antitetica, però, reciprocamente e inevitabilmente, la sintesi dà realtà agli opposti che, proprio mentre sono dati insieme con la sintesi, non possono essere tolti in quanto tali. La riflessione distingue ciò che, in realtà, è unito ed è unito quale inseparabilità di opposti: antitesi
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e sintesi. Fondamentalmente, radicalmente gli opposti restano dunque non-conciliati e l’unità del primo principio, la cui inalterabile teticità “perfeziona” il sistema del sapere e orienta l’agire mondano, non può che porsi in fieri, ideale regolativo della ragione teoretico-pratica che la coscienza sempre di nuovo si sforza di produrre effettualmente e di pronunciare nelle pro-posizioni del proprio conoscere. Ma, di qui, il terzo principio esige la ripresa non soltanto del proprio criterio istitutivo bensì anche del proprio significato. E il suo significato è, in definitiva, quello che rintraccia il «circolo» del trascendentale: per un verso, il muovere alla ricerca dei principi fondamentali di tutto l’umano sapere i quali, esattamente nella misura in cui e per il motivo che lo rendono possibile, non sono sussumibili sotto il sistema che proprio essi permettono di dedurre-giustificare, e purtuttavia, per altro verso, essi stessi appartengono al sistema che appunto rendono possibile e soltanto entro il suo abbraccio risultano attingibili, tramite i «fatti» che esso, mentre li illustra e incasella, mette a disposizione. In tal senso asserire la “primarietà del terzo” significa che gli altri due principi fondamentali già presuppongono il pensiero quale esercizio esclusivo della coscienzialità soggettivo-oggettiva, anzi dell’individuo ragionevole e finito. Potrebbero mai esservi atti originari della coscienza astraente senza coscienza riflettente, condizioni di possibilità del pensiero senza discorsività del concepire? Stando sul piano dell’analisi trascendentale, come vuole Fichte, il circolo evidentemente non può essere spezzato se non arbitrariamente o per pura utilità didattica ed espositiva: un punto di inizio certo deve pur esservi!. Ma non è questo ciò che qui interessa determinare e porre in discussione. Piuttosto ciò di cui ne va, a quanto sembra, è precisamente che della tanto fraintesa e conclamata «soggettività assoluta», in quanto assoluto stesso, di cui la Dottrina
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della scienza parla – in primis qui nel Fondamento, ma ciò resta la vera e propria crux anche di tutte le esposizioni successive –, in realtà non si parla affatto. O meglio: se è il terzo ad essere il primo, è la stessa coscienza finita ad essere assoluta, e lo è proprio in quanto finita. Ed essa, infatti, è l’unica di cui si parli: ab-soluta nella perfetta irrelatezza del suo essere originariamente e insopprimibilmente in relazione-a. Così totalmente unica che è da sempre, e ancora per sempre ha da essere, molteplice. Una e più che una, duplice; duplice e più che duplice, una. Finita e più che finita, infinita; infinita e più che infinita, finita. L’(io) assoluto, nella sua assoluta autoposizionalità e incondizionatezza, si dà soltanto nel ri-tratto dei suoi principi. È un’immagine, l’assoluto. Nulla di più che di un’immagine creata da quella dolce forza oscillante che, nel testo fichtiano, è l’immaginazione: di ciò parla, a ciò accenna il Fondamento, ciò si mostra in tutto il rigore teorematico del suo fitto argomentare62. Dell’assoluto astrattamente qua talis, invece, non v’è parola. Altro che io divino “fattore” della realtà. Io è io empirico, finito, individuo, diviso e divisibile. Tale è la sua “assolutezza” e “infinità”, quella che egli, riflessivamente, viene a conoscere conoscendo, per tale via, l’assoluto del sapere, ovvero l’immagine dell’assoluto. Se le cose stanno così, tutta l’opera appare, per questo profilo, sospesa tra posizione (dell’io in quanto assoluto) e espressione-proposizione (dell’assoluto in quanto io). E il circolo dell’opera è circolo imperfetto proprio perché non risolve-dissolve l’assoluto, il fondamento, nella proposizione e nell’immagine, il Grund nel Satz, tanto quanto non riassorbe l’immagine e la differenza nell’identità, la proposizione nella stabilizzante posizionalità autofondativa dell’essere-io63. Forse, anche a tale proposito, Fichte parlerebbe di “determinazione reciproca”. In ogni caso, ciò che rimane è, a quanto pare, l’irresolubilità del circolo e, con
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esso, del sistema stesso, almeno nella misura in cui il principio cui pone capo per conferire certezza e solidità a tutte le proprie proposizioni consiste in un’unità sempre in fieri nell’irreconciliabile due che esso è, ed essendo, incessantemente, sorgivamente, pone come ponente. Factum absolute fiens. Irreconciliabili, gli opposti essenziali si dividono il divisibile, l’io-non-io finito. Nella finitezza i due, i principi gemelli divengono “anime gemelle” di ogni singola, insedabile coscienza, individua e infinita. Sentono alla stessa maniera e sono irresistibilmente attratti l’uno dall’altro: due “anime gemelle” che si inseguono e si cercano in-finitamente, si vogliono e si dipartono dentro e fuori l’unica anima di ciascuno. Ognuno è altro, l’altro che patisce nel suo sentire. “Capitano” le “anime gemelle”, sono l’ambiguo daimôn cui è inchiodata ogni vita e destinato ogni dinamismo di coscienza. Nel suo porsi in essere e farsi, l’io si trova inevitabilmente a dover scegliere quale anima ascoltare, come orientare l’agire, perennemente conteso nel polemos-dialogos delle anime gemelle che egli stesso è. In ogni occasione voce volto contesa di io-non-io, dell’essere identicamente sé e altro da sé, ad un tempo; in ogni occasione maschera di un’anima che vuole e insegue la sua gemella: il suo positivumnegativum, il suo bene, il suo limite, il suo male. La coscienza soggettivo-oggettiva è questo due che è uno, nel senso che è la relazione nella quale le due anime si com-pongono relazionandosi secondo la dialettica di identità e differenza prima abbozzata. Tuttavia una dialettica, ora si deve insistere, tutt’altro che garantita nella propria soluzione. Proprio a livello di coscienza finita e di anima individuale, ove il non-io che l’io ha di fronte è quell’altri da sé che può anche essere un’altra coscienza come la propria e la propria come altra – e precisamente con tutti i rischi di oggettivazione che Sartre ha messo in luce spietatamente –, il ritorno nel proprio identico
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(io), rafforzato dal “travaglio del negativo” (Hegel!), è esposto e arrischiato su una serie di eventualità e di dinamiche tutt’altro che prevedibili. Ciò spiega le relazioni spezzate, i fallimenti dissociativi, le disperanti disillusioni, le scompensazioni dell’identità. In ogni sua apertura l’io apre la propria anima al polemos-dialogos che intrattiene fra sé e sé e con il mondo, con voci, sapori, odori, immagini e silenzi della propria inseguita e combattuta anima gemella. Ma nel differirsi in questa apertura, l’identità dell’io può cadere per il “troppo soffrire”, per lo spossessante “condividere affetti”, può alterarsi sino a perdersi nel disturbo, evadere in esperienze allucinatorie o moltiplicarsi nella dissociazione. Non è necessario che accada: ma che accade è confermato ordinariamente dalle infinite, “troppo umane” passioni e psicopatologie dell’io. Instancabile l’io insegue la fuga e le tracce delle proprie anime sin’anche alla delirante fuga da sé, senza potersi acclimatare nell’alterità, senza potervisi in qualche modo placare e appagare: parafrasando Agostino, inquietum cor nostrum! In tal senso la coscienza è strutturalmente erotica, quale inseguita unità di contrapposti irreconciliabili. Antiteticità e irrelatezza non si consolidano contro l’identità e la relazione ma piuttosto vi concorrono tensivamente. La natura profonda, inconscia di io è memoria abissale e scarnificante di quella unità-soggettività assoluta che egli vorrebbe ancora divenire, per essere ciò che da sempre è: id quod erat esse. L’origine è identità, che è differenza; è differenza, che è identità. È Uno, che è Due; è Due, che è Uno. Proposizione di questa unidualità all’origine, sua esposizione “scientifica” è il giudizio che trattiene e disarticola, che penetra nel fondamento e in ciò che lo sprofonda. Hölderlin, in un frammento di notevole intensità elaborato proprio alla lettura del Fondamento di Fichte, Urtheil und Seyn [Giudizio ed essere], ha provato a
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dirlo64. Per Hölderlin all’origine dell’autocoscienza, dell’“io sono io” vi è la partizione originaria, quel “taglio” primigenio che ha fatto dell’uomo, per dir così, un dipartito, l’essere naturale che si è separato dalla naturalità immediata. L’identità coscienziale-riflessiva dell’io è al di qua della partizione insormontabile e della scissione che ha reciso una volta per tutte il legame con l’essere assoluto quale indistinzione di soggetto e oggetto. Soltanto all’intuizione intellettuale è possibile ripristinare, nell’istante, il contatto con l’essere nella sua unità e interezza assolute. Ma, si badi, pure in questo caso il transito per le scissioni è l’unica via d’accesso. Che l’unità possa essere attinta intuitivamente significa che essa non è l’esito di una tensione continua, qual è per esempio quella fichtiana – ove, per altro, l’unità permane invece risospinta in una idealità solamente e necessariamente esigibile ma non soddisfabile. Epperò l’intuizione hölderliniana ha timbro di tragedia: più le lacerazioni sono profonde, scomposte e dolorose, più radicale è l’abbandono ad esse, maggiore è la possibilità per l’intelletto di intuire, in lucida intervalla di sofferenza, l’intero. Fuori da lacerazioni e scissioni, fuori di un abbandono a dismisura, non v’è manifestazione dell’«unitezza di tutto ciò che vive». Lo sguardo hölderliniano si affila, dunque, in questa prospettiva estetico-tragica. Esso vuol vedere oltre l’infinita determinabilità antagonistica di io e non-io, di unità e scissioni, di identità e differenza disposta dal Fondamento fichtiano. E quanto appunto tale prospettiva di Hölderlin permette di far risaltare, per contrasto, la posizione speculativa di Fichte, almeno altrettanto quest’ultimo permette nuovamente di riprendere la stessa concezione hölderliniana. V’è, infatti, un presupposto che Hölderlin non discute e che invece va posto in questione, proprio grazie a Fichte: davvero l’intuizione è manifestazione di unitezza? Se è un subitaneo “vedere
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dentro”, per quanto privo di riflessione e argomentazione, è un vedere di qualcuno e per qualcuno, vale a dire che è comunque una forma di sapere e perciò di distanza e alterità, di differenza che sa l’identità come diversa dal proprio differire, di dualità che nega il proprio essere-altro per cogliere l’uno quale negazione della propria negatività. Aporia platonico-neoplatonica: per sapere l’uno, si sa l’uno-che-è altro dal sapere, si sa, dunque, il due. Se è, è uno in se stesso diviso. L’uno, se è, se lo si vede-intuisce essere, è già nel due e in quanto due. In termini hölderliniani, se è essere, è giudizio. L’origine da cui inizia il sapere, anche intuitivo, è già non-più-uno, altrimenti deve essere dimissione del sapere, per sfociare nel purissimo, inconoscibile contatto che nulla afferra. L’io insegue le tracce dell’unità assoluta. La natura profonda di io-non-io è eros dell’identico e dell’uno – e dunque dell’altro dall’alterità-dualità di io. Eros verso l’inattingibile, inidentificabile Es. La coscienza finita parla di questo eros, l’anima “di carne” parla irriducibilmente, originariamente di tale doppio che è il fondo del suo Es: díssoi logoi sono i suoi discorsi, disperatamente, tragicamente perduti per l’unità. Eros è origine, origine è eros: questo ciò che la coscienza patisce, il fatto del suo urto costitutivo. L’altro cui tende l’anima gemella, dentro e fuori di sé, è il perduto da sempre inseguito, il luogo del proprio ethos, ove porre dimora e liberamente stare, e insieme è l’Es disperante dell’anelito erotico, l’impossedibile altro di ogni possibile sentire, l’intimus intimior che disfa identità, irrelatezza e ogni preteso loro sapere. L’impossedibile, inabitabile mondo da cui non si proviene e verso il quale non si può fare a meno di andare e fare naufragio, ogni volta quando, erranti stranieri, andiamo verso noi stessi, nell’ignoto nostro esodo. «Eros tremendo», «Eros che scioglie le membra» [Saffo] è lo strazio irrefrenabile che costituisce l’io, la perdizione infinita (senza fine né fini) che lo inquieta
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all’altro, che gli fa amare il proprio male più incurabile, il taglio nella carne e l’emorragia lentissima che lo porta a vivere la propria più pura impossibilità a vivere, nella perenne perdita del negativum – che siamo, non possiamo non dire e non possiamo conoscere. Con la lieve, tersa parola colta in una strofa di Cristina Campo: Due mondi – e io vengo dall’altro. La soglia, qui, non è tra mondo e mondo né tra anima e corpo, è il taglio vivente ed efficace più affilato della duplice lama che affonda sino alla separazione dell’anima veemente dallo spirito delicato – finché il nocciolo ben spiccato ruoti dentro la polpa – e delle giunture dagli ossi e dei tendini dalle midolla: la lama che discerne del cuore le tremende intenzioni le rapinose esitazioni. Due mondi – e io vengo dall’altro65.
Mi sono preso cura di questo lavoro nella viva memoria di Francesco Moiso, al quale esso resta dedicato. Che io, bene o male, sia riuscito a concluderlo passando per quel “profondo” che parla nel frammento di Nietzsche, è stato reso possibile da Clotilde Calabi, Giacomo Camuri, Roberto Diodato e Massimo Marassi. A loro non devo qualcosa: ma, semplicemente, tutto. G.B.
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1 A. Schopenhauer, L’arte di insultare, a cura e con un saggio di F. Volpi, Adelphi, Milano 1999, p. 64. 2 Cfr. «La filosofia, in cattedra e a congresso», ivi, pp. 65-66. 3 Infra, p. 117. 4 Al riguardo ha scritto pagine illuminanti G. Deleuze nel suo: La philosophie critique de Kant (Doctrine des facultés), Puf, Paris 1963; trad. it. di M. Cavazza e A. Moscati, La filosofia critica di Kant, Cronopio, Napoli 1997. 5 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, «Zweite Auflage 1787», in Kants gesammelten Schriften, Akad. Ausg., Berlin-Leipzig, poi Berlin 1900 sgg., vol. III, Berlin 1904, 19112, pp. 538-539; trad. it. di G. Colli, Critica della ragione pura, Einaudi, Torino 1957, p. 806. 6 F.W.J. Schelling, Allgemeine Übersicht der neuesten philosophischen Literatur, in Historisch-kritische Schelling-Ausgabe im Auftrag der Schelling-Kommission der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, a cura di H.M. Baumgartner, W.G. Jacobs, H. Krings e H. Zeltner, Fromman-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1976 sgg., vol. IV, a cura di W.G. Jacobs und W. Schieche, con la collaborazione di H. Buchner, ivi 1988, p. 98, trad. it. Rassegna generale della letteratura filosofica più recente, in F. W. J. Schelling, Criticismo e idealismo, a cura di C. Tatasciore, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 35-36. 7 J.G. Fichte, An Johann Friedrich Flatt, novembre o dicembre 1793, in J.G. Fichte, Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, a cura di R. Lauth e H. Jacob, Fromman-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1962 sgg. (d’ora innanzi = GA), vol. III, 2, a cura di R. Lauth e H. Jacob, con la collaborazione di H. Gliwitzky e M. Zahn, n. 168 a, p. 18. Per un approccio alla relazione tra «architettonica» della prima Critica kantiana e concezione fichtiana del sistema: P. Bucci, «Architettonica» e «dottrina della scienza». Filosofia e costruzione sistematica del sapere in Kant e in Fichte, «Giornale critico della filosofia italiana», LXIV (1985), pp. 414-428. 8 Secondo Reinhard Lauth, Fichte espone ben dodici volte la Dottrina della scienza, rielaborandola per intero o soltanto in alcune sue parti: per la precisione, negli anni 1794-95, 1797-99, 1800, 180102, 1804 (ma bisognerebbe aggiungere che solo del 1804 vi sono ben
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tre differenti versioni!), 1805, 1807, 1809, 1810, 1812, 1813, 1814. Cfr. R. Lauth, La filosofia trascendentale di J.G. Fichte, a cura di C. Cesa, Prefazione di L. Pareyson, Guida, Napoli 1986, p. 85, nota 2. 9 G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1830), in G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, a cura della Nordrhein-Westfählischen Akademie der Wissenschaften, vol. 20, a cura di W. Bonsiepen e H.-C. Lucas, Meiner, Hamburg 1992, trad. it. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Parte prima: La scienza della logica, a cura di V. Verra, Utet, Torino 1981, p. 141 (trad. it. lievemente modificata). Per un’intelligente valutazione comparativa dei sistemi dei tre grandi idealisti, si vedano: A. Schurr, Philosophie als System bei Fichte, Schelling und Hegel, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1974 e C. Asmuth, Der Anfang und das Eine. Die Systemgestalt bei Fichte, Schelling und Hegel, in AA.VV., Schelling zwischen Fichte und Hegel, a cura di C. Asmuth, A. Denker e M. Vater, Grüner, Amsterdam-Philadelphia 2000, pp. 403-417. 10 Le avventure e disavventure dell’identità individuale a partire dalla Goethezeit sono ricostruite con finezza nell’affascinante saggio di R. Bodei, Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, Einaudi, Torino 1987. 11 Di questo singolare filosofo latinoamericano (Santafé de Bogotá, 18.V.1913 – 17.V.1994), ancora estraneo al grande pubblico, il lettore italiano può leggere il folgorante distillato di aforismi e scolii che abbiamo citato: In margine a un testo implicito (a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2001, p. 177), silloge tratta da Escolios a un texto implícito (1977), una raccolta di brevissime annotazioni e intuizioni in stile aforistico proseguita nelle altre due opere che con essa costituiscono praticamente tutta la produzione dell’autore: Nuevos escolios a un texto implícito (1986) e Sucesivos escolios a un texto implícito (1992). In merito si veda almeno il nitido ritratto che ne fa Franco Volpi: Un angelo prigioniero del tempo, ivi, pp. 157-183. 12 In merito segnalo due lavori: quello, preciso e sintetico, di Stefano Fabbri Bertoletti, Fichte e la filosofia trascendentale, «Il cannocchiale», III (1984), pp. 93-104, e l’attento e ponderato studio di Gaetano Rametta, Le strutture speculative della Dottrina della scienza. Il pensiero di Fichte negli anni 1801-1807, Pantograf, Genova 1995. 13 Questo termine, coniato in ambito squisitamente geometrico, ha ormai conosciuto una vasta applicazione scientifica alla pluralità dei sistemi non lineari, dai sistemi viventi della fisiologia animale e umana sino alle risorse creative ed estetiche tracciabili sulla frontiera della computer graphics. Qui vi faccio ricorso tenendo presente appunto le nozioni di base elaborate a partire dalla metà degli anni
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settanta del secolo scorso da Benoît B. Mandelbrot, del quale si veda: Gli oggetti frattali. Forma, caso e dimensione, ed. it. a cura di R. Pignoni, Einaudi, Torino 1987. 14 Vi leggiamo infatti: «La filosofia è una scienza […]. Una scienza ha forma sistematica; in essa tutti i principi (Sätze) sono connessi in un unico principio fondamentale (Grundsatz) e in questo si unificano formando un tutto […]. Questa connessione si chiama forma sistematica del tutto, tutto che sorge dalle singole parti. – Ora, qual è lo scopo di questo collegamento? Senza dubbio non il fare un gioco di prestigio grazie al collegare, bensì il dare certezza a proposizioni che, in sé, non ne avessero; in tal modo la forma sistematica non è scopo della scienza, è invece il mezzo contingente per il raggiungimento del suo scopo […] La forma sistematica non è l’essenza della scienza ma una sua proprietà contingente. – La scienza è un edificio, il cui scopo principale è la stabilità» J.G. Fichte, Über den Begriff der Wissenschaftslehre, in GA, vol. I, 2, a cura di R. Lauth e H. Jacob, pp. 112-116, passim. Su questo scritto si è soffermato particolarmente Giovanni Stelli, nel suo: La ricerca del fondamento. Il programma filosofico dell’idealismo tedesco nello scritto di Fichte Sul concetto della dottrina della scienza, Guerini e Associati, Milano 1995. 15 J.G. Fichte, Lezioni di Zurigo. Estratto da J.K. Lavater, in Id., Lezioni di Zurigo. Sul concetto della dottrina della scienza. Estratto di J.K. Lavater Sulla dignità dell’uomo. Appunti di J. Baggesen, a cura di M. Ivaldo, Guerini e Associati, Milano 1997, p. 66 – traduzione lievemente modificata rendendo Grundsatz con «principio fondamentale», anziché con il semplice «principio». L’edizione originale di queste lezioni, non ancora comprese nella Gesamtausgabe diretta da R. Lauth in quanto scoperte soltanto recentemente [autunno 1994gennaio 1995], è stata data da Erich Fuchs nel volume: Züricher Vorlesungen über den Begriff der Wissenschaftslehre. Februar 1794Nachschrift Lavater. Beilage aus Jens Baggesen Nachlass: Exzerptseite aus der Abschrift von Fichtes Züricher Vorlesungen über Wissenschaftslehre, Ars Una, München-Neuried 1996. Secondo Ivaldo, curatore della tempestiva versione italiana, «quello che abbiamo dinnanzi è […] il protocollo dell’esposizione di Fichte o un estratto dal suo manoscritto originale, ovvero una integrazione di entrambi i metodi» ivi, pp. 9-10. Il testo di questi estratti concerne le prime cinque lezioni, di circa 38-40, tenute da Fichte dal 24 febbraio al 26 aprile 1794 presso la casa del pastore della Chiesa di San Pietro in Zurigo Johann Kaspar Lavater (1741-1801), il quale aveva chiesto a Fichte di illustrare con chiarezza e completezza a un ristretto gruppo di uditori il significato della filosofia critica kantiana. Congiuntamente a questa richiesta illuminazione sulla filosofia di Kant, ciò che
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in effetti ne sortì fu, secondo la significativa riconsiderazione della moglie di Fichte, Maria Johanne, «la sua prima dottrina della scienza» Fichte in Gespräch. Berichte der Zeitgenossen, a cura di E. Fuchs, Frommann-Holzboog Stuttgart-Bad Cannstatt 1978 sgg. (d’ora innanzi = FiG), vol. I, p. 52. 16 Id., Lezioni di Zurigo, cit., pp. 67-68. 17 Id., An Karl Leonhard Reinhold, 8 gennaio 1800, in GA, vol. III, 4, a cura di R. Lauth e H. Gliwitzky, in collaborazione con M. Zahn e P. Schneider, p. 182. 18 Sul “trascendentale” in Fichte è d’obbligo il riferimento, negli studi più recenti, a Lauth e alla scuola di Monaco attorno a lui sviluppatasi con l’impresa dell’edizione storico-critica delle opere fichtiane. Di Lauth si veda in italiano, oltre al volumetto La filosofia trascendentale di Fichte già citato, anche la consistente raccolta: Il pensiero trascendentale della libertà. Interpretazioni di Fichte, a cura di M. Ivaldo, Guerini e Associati, Milano 1996; di tutto rilievo è inoltre la monografia di Marco Ivaldo: I principi del sapere. La visione trascendentale di Fichte, Bibliopolis, Napoli 1987. Per una storia del termine “trascendentale”, e in specifico riferimento a Fichte – aspetto, questo, che Lauth non tratta –, è invece necessario riferirsi al puntuale intervento di Claudio Cesa, «Trascendentale» in J.G. Fichte. Materiali per una storia del concetto, in C. Cesa, J.G. Fichte e l’idealismo trascendentale, il Mulino, Bologna 1992, pp. 149-166. 19 Fra i primi è stato Luigi Pareyson, nella sua bella monografia che resta ancora tra i migliori studi dedicati a Fichte, e che peraltro documenta altresì una tappa decisiva per la formazione dello stesso pensiero pareysoniano, a mettere in luce il rilievo anche della Critica della capacità di giudizio nella maturazione del pensiero fichtiano: cfr. Fichte. Il sistema della libertà, seconda edizione aumentata, Mursia, Milano 1976, in particolare cfr. pp. 76-80. Dunque, per un verso occorre tener fermo che fu eminentemente lo studio della seconda Critica kantiana ad inaugurare lo sviluppo della Wissenschaftslehre, per altro verso va ricordato che immediatamente a seguito dei questa lettura Fichte si decise a una illustrazione complessiva della filosofia di Kant, ma ciò che resta di tale progetto è invece soltanto l’incompiuto Versuch eines erklärenden Auszugs aus Kants Kritik der Urtheilskraft [Saggio di un estratto esplicativo dalla Critica della capacità di giudizio di Kant] redatto nell’autunno 1790: cfr. GA, vol. II, 1, a cura di R. Lauth e H. Jacob, in collaborazione con M. Zahn, pp. 325-373. Ancora in merito all’incontro di Fichte con la filosofia kantiana si vogliono segnalare: per una lettura complessiva, Manfred Zahn, Fichtes Kant-Bild, in Erneuerung der Transzendetalphilosophie im Anschluß an Kant und Fichte, volume dedicato a Reinhard Lauth
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per il 60mo compleanno, a cura di K. Hammacher e A. Mues, Fromman-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1979, pp. 479-505; nello stesso volume collettaneo, il saggio di Peter Baumanns sulla deduzione trascendentale delle categorie, Transzendentale Deduktion der Kategorien bei Kant und Fichte, ivi, pp. 42-75. Inoltre si vedano: F. Buzzi, Libertà e sapere nella Grundlage (1794-95) di J. G. Fichte. Sviluppi fichtiani del problema deduttivo kantiano, Morcelliana, Brescia 1984; M. Ramos Valera, La revision fichteana de la filosofia de Kant, «Anales Valentinos», XI (1985), pp 241-295. 20 Celeberrimi sono i passaggi di molta sua corrispondenza epistolare che in questo periodo registra una sorta di vera e propria “conversione” filosofica alla luce proprio dell’idea di libertà. Valgano in tal senso anzitutto un’attestazione della summenzionata lettura della seconda Critica kantiana: «Dopo aver letto la Critica della ragione pratica, vivo in un mondo nuovo. Principi che ritenevo inconfutabili mi sono crollati; cose che stimavo mai potessero essermi dimostrate, per esempio il concetto di una libertà assoluta, di dovere e così via, mi si dimostrano» An Friedrich August Weißhuhn, agosto-settembre 1790, in GA, vol. III, 1, a cura di R. Lauth e H. Jacob, in collaborazione con H. Gliwitzky e M. Zahn, p. 167. E dopo poco, ancora: «È inconcepibile l’influsso che questa filosofia, in particolare la sua parte dedicata alla morale, la quale tuttavia non può essere compresa senza lo studio della Critica della ragione pura, ha sull’intero sistema di pensiero di un uomo. […] Adesso credo con tutto il cuore alla libertà dell’essere umano […] e ben vedo che dovere, virtù e soprattutto una morale sono possibili esclusivamente sulla base di questo presupposto» An Heinrich Nikolaus Achelis, novembre 1790, in GA, vol. III, 1, cit., p. 193. 21 Id., An Friedrich Immanuel Niethammer, 6 dicembre 1793, in GA, vol. III, 2, cit., p. 20. 22 Per la Aenesidemus-Rezension, cfr. in GA, vol. I, 2, cit., pp. 3167, trad. it. di E. Garulli, La recensione dell’Enesidemo, «Il Pensiero», 1982, pp. 97-119; invece per le Meditazioni personali e la Filosofia pratica: GA, vol. II, 3, a cura di R. Lauth e H. Jacob, in collaborazione con H. Gliwitzky e P. Schneider, pp. 1-177 e 181-266. Mirando alla maggiore linearità della mia esposizione, preciso che assumo a schema storiografico interpretativo delle opere di Fichte sinora citate quello fatto valere da Marco Ivaldo nell’Introduzione all’edizione italiana delle Lezioni di Zurigo da lui curata. Vale a dire che le Meditazioni personali e la recensione all’Enesidemo documentano la ricerca fichtiana del primo principio, mentre il successivo Concetto della dottrina della scienza vuole determinare la posizione della filosofia in quanto scienza rispetto alle altre scienze: le Lezioni di Zurigo, che coprono contenutisticamente ma non integralmente l’area problematica e concet-
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tuale proprio del Concetto, rappresenterebbero una specie di «anello intermedio» tra questi due primi momenti dell’indagine fichtiana. Cfr. M. Ivaldo, «Introduzione», in J.G. Fichte, Lezioni di Zurigo, cit., p. 40. 23 Id., An Johann Friedrich Flatt, novembre-dicembre 1793, cit., p. 18. 24 Id., An Heinrich Stephani, metà dicembre 1793, in GA, vol. III, 2, cit., n. 171, p. 28. 25 J. G. Fichte, Lezioni di Zurigo, cit., p. 71. 26 Id., Über den Begriff der Wissenschaftslehre, cit., p. 121. 27 Ivi, pp. 134-135. 28 Ivi, pp. 129-130. 29 Su questo aspetto ha insistito Reinhard Lauth, del quale si veda in particolare: Il problema della completezza della “dottrina della scienza” nel periodo 1793-1796, in R. Lauth, Il pensiero trascendentale della libertà, cit., pp. 99-183. 30 «Le leggi secondo cui si deve in ogni modo pensare quell’azione in atto quale fondamento del sapere umano, oppure – il che è lo stesso – le regole secondo le quali viene svolta quella riflessione, non sono ancora dimostrate valide ma vengono tacitamente presupposte come note e stabilite. Soltanto molto più avanti esse sono dedotte dal principio fondamentale la cui formulazione è corretta puramente a condizione della correttezza di tali leggi. Ecco un circolo, eppure un circolo inevitabile» Infra, pp. 15-17. 31 Infra, p. 25. 32 Così Fichte nelle prime pagine del “Secondo teorema” con cui si apre la “Parte terza” dell’opera, il “Fondamento della scienza del pratico”, parte nella quale, come si tornerà a dire, pulsa il vero “cuore” del Fondamento: cfr. infra, p. 359. 33 Infra, p. 27. 34 Non è difficile riconoscere nell’essenziale attività dell’io ficthiano una derivazione dell’«atto della spontaneità» in cui consiste la rappresentazione-funzione dell’«io penso» di Kant: cfr. KrV, B 132, p. 108, trad. it. cit., p. 156. 35 Infra, p. 43. Per approfondire lo statuto teoretico dei concetti di non-io e contraddizione e le questioni speculative che essi impostano, si vedano senz’altro: il primo capitolo dello studio di Emanuele Severino, Per un rinnovamento della filosofia fichtiana, La Scuola, Brescia 1960, pp. 7-88; la monografia di Giuseppe Duso, Contraddizione e dialettica nella formazione del pensiero fichtiano,
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Argalìa, Urbino 1974, in particolare pp. 251-354; l’intervento di Claudio Cesa, Contraddizione e non-io, in C. Cesa, J.G. Fichte e l’idealismo trascendentale, cit., pp. 121-148; le pagine dedicate ai principi fichtiani da Massimo Donà entro la densa discussione dell’“aporia del nulla” svolta nel suo Aporia del fondamento, La Città del Sole, Napoli 2000, pp. 260-280. 36 Infra, p. 51. 37 Infra, p. 57. 38 Infra, p. 55. Si tratta, evidentemente, di una citazione indiretta del breve scritto kantiano Versuch den Begriff der negativen Grössen in die Weltweisheit einzuführen [Tentativo per introdurre in filosofia il concetto delle quantità negative, 1763], niente di più che uno “scrittarello” per la sua “quantità” appunto, ma denso di notevoli implicanze non soltanto per la genesi della concezione fichtiana bensì, proprio tramite questa, anche per la formazione del pensiero, oltre che del lessico, hegeliano. La Grundlage fichtiana sembra, anzi, riprendere e sviluppare esplicitimente talune argomentazioni di questo breve scritto di Kant, perfino nelle esemplificazioni tratte dal mondo fisico. Alla luce di Kant, ciò che Fichte sostiene, dunque, è che il negativum (-A, non-io) consiste in una contrapposizione di realtà, sicché positivo e negativo non vanno distinti astrattamente (A da -A, io da non-io) in base al principio della contraddizione logica, quanto piuttosto in base all’opposizione reale. Non è la qualità, la forma logica incondizionata a essere limitata, ma la quantità nell’ambito della mediazione (Hegel!) sopravvenuta in ciò che Fichte significativamente chiama il «confine» (Grenze) tra i termini incondizionatamente ed essenzialmente contrapposti. La successiva argomentazione fichtiana relativa all’Anstoß, all’«urto», espliciterà che si tratta di un passaggio in sé non necessario eppure in grado di spiegare che la realtà, se posta, essendo posta come un quantum, ovvero essendo necessariamente provvista di determinazioni, deve necessariamente riferire per sé la propria determinatezza all’essere in quanto tale, cioè – per Fichte – a quell’io assoluto che in sé non è suscettibile di quantificazione. Per un ulteriore approfondimento e per un’estensione di questa problematica si veda direttamente lo scritto kantiano: Versuch den Begriff der negativen Grössen in die Weltweisheit einzuführen, in Kants gesammelte Schriften, cit., vol. II, Berlin 1905, 19122, pp. 165204, per lo stesso concetto di urto, pp. 193-198, nella cornice di una argomentazione poi sviluppata da Kant nell’antinomica della ragione pura; trad. it., Tentativo per introdurre in filosofia il concetto delle quantità negative in I. Kant, Scritti precritici, nuova edizione ampliata da A. Pupi, Laterza, Roma-Bari 20003, pp. 249-290, in particolare pp. 277-283.
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39 Cfr.
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infra, pp. 89, 91. Uno stimolante e preciso contributo alla riflessione su questi aspetti viene in particolare da C. Cesa: Sul concetto di «pratico», in C. Cesa, J.G. Fichte e l’idealismo trascendentale, cit., pp. 101-119; di tono più generale, invece, il recente intervento di Lauth, Il cuore della concezione pratica di Fichte, «Annuario Filosofico», 18 (2002), pp. 103-116. 41 Infra, p. 435. 42 Alle spalle della “determinazione reciproca” fichtiana c’è evidentemente la categoria kantiana di «azione reciproca» (Wechselwirkung) quale unità di attività e passività, ma ancor più nitidamente vi si scorge la «terza legge della meccanica» così come viene formulata nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (1786): «In ogni comunicazione di movimento l’azione e la reazione sono sempre uguali tra loro» (Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft in Kants gesammelten Schriften, cit., vol. IV, p. 544; trad. it. di P. Pecere, Principi metafisici della scienza della natura, testo tedesco a fronte, a cura di P. Pecere, Bompiani, Milano 2003, p. 309). In altri termini, secondo questa legge fra due corpi nello spazio che esercitano un’azione reciproca la quantità d’azione di uno corrisponde in ogni momento alla quantità d’azione esercitata dall’altro. Questa legge è a sua volta un’applicazione alla realtà fisica della Terza analogia dell’esperienza formulata nella Critica della ragione pura: «Tutte le sostanze, in quanto possono venir percepite nello spazio come simultanee, agiscono sempre reciprocamente le une sulle altre» Kritik der reinen Vernunft, cit., p. 180, trad. it. cit., p. 282. 43 Ciò è stato illustrato molto bene da Francesco Moiso nel suo ottimo studio di per sé dedicato alle Eigne Meditationen ma assai illuminante anche per la Grundlage che, per molti versi, ne deriva: Natura e cultura nel primo Fichte, Mursia, Milano 1979, in particolare alle pp. 60-80. 44 Infra, p. 257. 45 Su questo concetto rimangono importanti i chiarimenti apportati da P.-P. Druet, L’«Anstoss» fichtéen: essai d’élucidation d’une métaphore, «Revue philosophique de Louvain», 70 (1972), pp. 384392. 46 Infra, pp. 285, 281. Sul tema dell’immaginazione in Fichte: D. Schäfer, Die Rolle der Einbildungskraft in Fichtes Wissenschaftslehre 1794/95, Diss., Köln 1967; F. Inciarte, Transzendentale Einbildungskraft. Zu Fichtes Frühphilosophie im Zusammenhang des transzendentalen Idealismus, Bouvier, Bonn 1970; J. Schreiter, Produktive Einbildungskraft und Aussenwelt in der Philosophie J.G. Fichtes, in 40
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AA.VV., Der transzendentale Gedanke. Die gegenwärtige Darstellung der Philosophie Fichtes, a cura di K. Hammacher, Meiner, Hamburg 1981, pp. 120-125; W. Metz, Kategoriendeduktion und Produktive Einbildungskraft in der theoretischen Philosophie Kants und Fichtes, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1991; W. Janke, Vom Bild des Absoluten. Grundzüge der Phänomenologie Fichtes, de Gruyter, Berlin-New York 1993; K. Düsing, Einbildungskraft und selbstbewusstes Dasein beim früher Fichte, in AA.VV., kategorien der Existenz, a cura di K. Held e J. Hennigfeld, Königshausen und Neumann, Würzburg 1993, pp. 62-76. In italiano: P. Salvucci, Dialettica e immaginazione in Fichte, Argalìa, Urbino 1963, in particolare pp. 77-140; F. Vercellone, Note sull’immaginazione trascendentale nel primo Fichte, «Annuario filosofico», 16 (2000), pp. 143-158. 47 Infra, pp. 303-305. 48 Infra, p. 321. 49 Infra, pp. 431-433. Molto belle sono altresì le pagine dedicate all’«unica cosa sola» nominata da immaginazione-spirito-vita già nella prima delle Vorlesungen über den Unterschied des Geistes und des Buchstabens in der Philosophie [Lezioni sulla differenza dello spirito e della lettera in filosofia, 1794]: cfr. GA, vol. II, 3, cit., p. 334-5. Fa eco ciò che Fichte stesso scrisse a Reinhold quanto all’inizio della propria filosofia: «L’ingresso nella mia filosofia è l’assolutamente inconcepibile. Ciò la rende difficile, perché la questione può essere impugnata soltanto dall’immaginazione e per nulla dall’intelletto; ciò tuttavia le garantisce nel contempo la sua esattezza. Ogni oggetto concepibile presuppone una sfera più alta nella quale è concepito e, di conseguenza, appunto perciò non è il massimo, perché concepibile», An K.L. Reinhold, 2.7.1795, in GA, vol. III, 2, cit., pp. 344-345. 50 Infra, pp. 433-435. 51 Infra, p. 507. Sul concetto fichtiano di sforzo, si vedano: W.G. Jacobs, Trieb als sittliches Phänomen, Bouvier, Bonn 1967; A.K. Soller, Trieb und Reflexion in Fichtes Jenaer Philosophie, Königshausen und Neumann, Würzburg 1984; C. Cesa, Der Begriff «Trieb» in den Frühschriften von J.G. Fichte (1792-1794), in AA.VV. Kant und sein Jahrhundert. Gedenkschrift für Giorgio Tonelli, a cura di C. Cesa e N. Hinske, in collaborazione con S. Carboncini, Lang, Frankfurt a.M-Berlin-New York 1993, pp. 165-185. 52 Martial Gueroult nella sua ormai classica monografia, L’évolution et la structure de la doctrine de la science, 2 voll., Belles Lettres, Paris 1930, comparando il metodo kantiano e quello fichtiano, ha messo bene in luce che il «procedimento analitico» di Fichte si basa sull’applicazione del principio di ragione (Satz des Grundes) e
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prende la forma del giudizio ipotetico: “se c’è un sapere, allora v’è necessariamente un principio”. Val la pena di precisare che tutto il costrutto della dottrina della scienza si edifica su questa modalità logico-argomentativa definibile appunto sotto il modus tollens del ragionamento apagogico, basato sulla coppia condizionale: “Soll…, so muss”. Secondo Gueroult ciò coincide in definitiva con «il procedimento del kantismo […]: se l’esperienza è possibile, allora … ecc»; cfr. op. cit., vol. I, in particolare pp. 170-174, il passo citato è a p. 170. 53 Infra, p. 415 54 Infra, p. 443. 55 Ibidem 56 Infra, p. 473. 57 Infra, pp. 153, 179. 58 Infra, p. 223. 59 Pur usando il termine anima in forma predicativa e non sostantiva, richiamo qui sullo sfondo le magistrali pagine di Onians: La yuchv e Anima e animus in R.B. Onians, Le origini del pensiero europeo intorno al corpo, la mente, l’anima, il mondo, il tempo e il destino, a cura di L. Perilli, trad. it. di P. Zaninoni, Adelphi, Milano 1998, rispettivamente alle pp. 121-149 e 201-206. 60 Ibidem (corsivo mio). 61 Infra, p. 163. 62 A tale riguardo mi permetto di rinviare ai §§ L’immaginare e L’essere del saggio introduttivo che ho scritto “a quattro mani” con Franco Buzzi: G. Boffi, F. Buzzi, Immaginazione e religione nell’«Introduzione alla vita beata» di Johann Gottlieb Fichte, in J.G. Fichte, Introduzione alla vita beata, originale tedesco a fronte, a cura di G. Boffi e F. Buzzi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 5-64, ma in riferimento ai §§ indicati vedi pp. 27-51. 63 Pur senza poterne dar conto in queste righe, è attorno a tale problema certo decisivo che Massimo Donà, nel suo straordinariamente intenso e ricco saggio citato, Aporia del fondamento, discute (vedi alle pp. 280-292) l’interpretazione di Fichte, che egli ritiene “decostruttiva”, avanzata da Massimo Cacciari nel suo radicale ripensamento teoretico di molte questioni proprie dell’idealismo, in: Dell’Inizio, Adelphi, Milano 1990, pp. 89-101. 64 Ben lungi dal voler eleggere la parola hölderliniana a sola interprete del testo fichtiano, la riascoltiamo invece, e quasi per intero, come sorta di reagente chimico per accentuare le proprietà del testo di Fichte sinora seguito: «Giudizio è nel senso più alto e più rigoroso l’originaria separazione dell’oggetto e del soggetto intimamente uni-
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ficati nell’intuizione intellettuale, quella separazione mediante la quale soltanto diventa possibile oggetto e soggetto, la originaria partizione (Ur-Theilung). Nel concetto di partizione è già contenuto il concetto di rapporto reciproco di oggetto e di soggetto l’uno all’altro, e il necessario presupposto di un intero di cui oggetto e soggetto sono parti. “Io sono io” è l’esempio più pertinente di questo concetto di originaria partizione, in quanto partizione teoretica, poiché nell’originaria partizione pratica esso [l’io] si oppone al non-io, non a se stesso. Realtà (Wirklichkeit) e possibilità sono distinte, come coscienza mediata e immediata. […] Il concetto di possibilità vale per gli oggetti dell’intelletto, quello di realtà per gli oggetti della percezione e dell’intuizione. Essere – esprime il legame di soggetto e oggetto. Laddove soggetto e oggetto sono unificati assolutamente, e non solo in parte, e con ciò unificati in modo tale che non può essere intrapresa una partizione senza violare l’essenza di ciò che deve essere separato, qui e in nessun altro luogo si può parlare di un essere in assoluto, come accade nel caso dell’intuizione intellettuale. Ma questo essere non deve essere scambiato con l’identità. Quando dico: “io sono io”, il soggetto (io) e l’oggetto (io) non sono unificati in modo tale che non possa essere intrapresa alcuna separazione senza violare l’essenza di ciò che deve essere separato; al contrario, l’io è possibile solo attraverso questa separazione dell’io dall’io. Come posso dire “io” senza autocoscienza? Ma come è possibile l’autocoscienza? Per il fatto che io mi oppongo a me stesso, separo me da me stesso, ma, malgrado questa separazione, mi riconosco, come lo stesso nell’opposto. Ma in che misura come lo stesso? Io posso, io debbo [muss] porre tale domanda; infatti sotto un altro aspetto esso è opposto a sé. L’identità non è quindi una unificazione di oggetto e soggetto, che avviene in modo assoluto; l’identità non è quindi = all’assoluto essere». F. Hölderlin, Urtheil und Seyn, in Sämtliche Werke, Grosse Stuttgarter Hölderlinausgabe, a cura di F. Beissner, Stuttgart 1946 sgg., vol. VI, 1, a cura di A. Beck, pp. 216-217, trad. it. di R. Bodei, Giudizio, possibilità, essere, in F. Hölderlin, Sul tragico, con un saggio introduttivo e a cura di R. Bodei, Feltrinelli, Milano 1989, pp. 75-76. 65 C. Campo dal poemetto postumo: Diario bizantino, in Id., La Tigre Assenza, a cura e con una nota di Margherita Pieracci Harwell, Adelphi, Milano 1991, pp. 45-46.
NOTA EDITORIALE
La Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre ebbe, Fichte vivente, tre edizioni che qui e nelle note al testo denomineremo rispettivamente A, B e C: A: due dispense in volume a sedicesimi (XII + 339; Gabler, Leipzig 1794-’95) 1. la prima emissione a fine settembre 1794, per la fiera di san Michele, quando comparvero in libreria la prima e la seconda parte (§§ 1-4); 2. la seconda emissione a fine luglio / inizio agosto 1795 con la terza parte della Grundlage (§§ 5-11) insieme alla Prefazione di tutta l’opera. B: ristampa immutata della prima edizione ma pubblicata in volume unico (XII + 448; Cotta, Tübingen 1802) insieme con il Grundriß des Eigenthümlichen der Wissenschaftslehre in Rücksicht auf das theoretische Vermögen [Compendio di ciò che contraddistingue la dottrina della scienza riguardo alla facoltà teoretica, 1795]. C: seconda edizione riveduta e migliorata dall’autore (XII + 346; Gabler, Leipzig und Jena 1802). Successivamente la Grundlage ebbe altre due ristampe nelle edizioni complessive delle opere fichtiane, e cioè in: SW: edizione nei Werke curati dal figlio Immanuel Hermann, basata su una copia di lavoro con aggiunte marginali fatte su A da Johann Gottlieb stesso. Il figlio però modifica totalmente l’ortografia, variando anche la punteggiatura sino talora a compromettere il senso della pagina, introduce rapsodicamente le correzioni di C e attua in generale una redazione di ben scarsa cura filologica. GA: edizione nella Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, a cura di R. Lauth e H. Jacob. Si basa su A e riporta in nota varianti e aggiunte di B e C, talora anche di SW. Il testo riprodotto a fronte nel presente volume corrisponde fondamentalmente a GA, di cui si riporta in modo intratestuale la numerazione di pagina (il lettore che volesse, potrebbe poi prendere in mano l’edizione della Gesamtausgabe e, nella stessa pagina di volta in
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NOTA EDITORIALE
volta da noi indicata, troverebbe i precisi riferimenti alla paginazione di A e di SW). Su questo testo è stata però effettuata una revisione, in particolare della grafia, che è stata corretta tenendo conto del lavoro già svolto, in tale direzione, dagli altri curatori: Fritz Medicus, Alwin Diemer e Wilhelm G. Jacobs per l’editore Meiner di Amburgo. L’aggiornamento della grafia è stato quindi condotto attenendosi alle norme vigenti prima dell’ultima riforma ortografica (Vienna, 1996). Per fare qualche esempio: in generale, eccetto i pochi termini che ricalcano il greco, th è stato ridotto alla sola t, come nel caso di That, Theil e nothwendig che sono stati semplificati in Tat, Teil e notwendig; seyn e le forme dei suoi derivati, quali Daseyn e Bewußtseyn, sono stati trascritti come sein, Dasein, Bewußtsein ecc.; abstrahiren, referiren e casi analoghi sono stati normalizzati in abstrahieren, referieren ecc.; Copula, Speculation e simili sono stati trasformati in Kopula, Spekulation ecc. Le note di Fichte sono a pie’ pagina richiamate e introdotte, come poi anche nella versione italiana, da un asterisco. Quanto alla traduzione, si è voluto privilegiare la comprensibilità del testo, spesso fortemente astratto e non immediatamente intelligibile, ma non se ne è voluta espungere a tutti i costi ogni oscurità: per dir così, s’è spesso deciso di lasciare a Fichte quel che è di Fichte. In merito al lessico, s’è osservato in generale un criterio di coerenza e corrispondenza tra termini tedeschi e termini italiani, fatti salvi soprattutto quei casi nei quali le ripetizioni, che il tedesco sopporta senza fastidio, non avessero la valenza espressiva di una particolare dichiarazione semantica e concettuale. In pratica, quando il testo l’ha concesso, si è preferito togliere le ripetizioni: ma talora, esattamente al contrario, s’è addirittura preferito sostituire in traduzione al pronome tedesco il sostantivo cui si esso si riferisce per evitare ogni ambiguità. Per quel che concerne la sintassi, pur volendo evitare l’oziosa gratuità delle traduzioni “libere”, si è spesso privilegiata la scorrevolezza sulla stretta aderenza all’originale, facendo leva sulla costante verificabilità di quest’ultimo, sempre disponibile a fronte, per valutare le scelte adottate. In tal senso si è lievemente intervenuti sui costrutti, frequentemente paratattici, del periodo fichtiano, modificandone talora la punteggiatura nella resa traduttoria, al fine di una maggior perspicuità e di un più limpido risalto dei passaggi argomentativi. Anche in questo caso, ci si è affidati alla puntuale verificabilità e discutibilità di ogni scelta determinata. In merito alle parentesi, si è provveduto a inserire le parentesi quadre [ ] nei casi, non rari, in cui A e GA adottano le parentesi tonde anche quando comprese fra precedenti parentesi tonde. Si sono poi mantenute le parentesi quadre nei casi evidenti in cui vi fa
NOTA EDITORIALE
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già ricorso il testo originale. Ho invece introdotte le parentesi uncinate ‹ › per segnalare le integrazioni: sia le integrazioni di punteggiatura, in luoghi lacunosi o corrotti, operate dai curatori di GA; sia, più spesso, le mie integrazioni finalizzate a rendere maggiormente lineare e direttamente comprensibile il testo, esplicitando e ripetendo il soggetto o il predicato all’interno di periodi particolarmente complessi o in casi altrimenti fortemente ambigui. Le note al testo si basano in larga misura, anche se non completamente, sulla scelta disponibile in GA dell’apparato delle varianti apportate da B, C e SW, qui opportunamente riviste e integrate.
CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI FICHTE
1762
Mercoledì 19 maggio Johann Gottlieb Fichte nasce a Rammenau, in Sassonia, da una famiglia di modeste condizioni. È il primo degli otto figli del tessitore Christian Fichte e della sua consorte Maria Dorothea.
1774-80 Nell’ottobre del 1774, superata una prova di traduzione in latino, viene ammesso agli studi liceali presso la celebre “Scuola” di Pforta. Durante l’anno scolastico 1779-80 diviene Famulus, in pratica un assistente, del docente di matematica. Ai primi di ottobre 1780 tiene, secondo le consuetudini scolastiche, l’orazione di congedo dalla “Scuola”: De recto praeceptorum poeseos et rhethorices usu. 1780
Terminati gli studi liceali, inizia lo studio di teologia presso l’Accademia di Jena, che lascerà dopo due semestri. Ascolta lezioni di G. Schütz su Eschilo, di Griesbach sull’esegesi e la storia delle religioni, lezioni di giurisprudenza.
1781-84 Il 25 ottobre 1781 si immatricola all’università di Lipsia: frequenta corsi di dogmatica e giurisprudenza, ascolta lezioni di Platner, Wenk, Morus e Pezold. Nel 1783 si trasferisce presso l’università di Wittenberg, avendo come compagno di studi Gottlob Ernst Schulze. 1785-88 Venuto meno il regolare sussidio economico ricevuto sino ad allora dalla “Signora di Miltitz”, e vedendosi conseguentemente costretto a lasciare gli studi universitari, Fichte si guadagna da vivere come precettore, svolgendo mansioni di insegnante privato in varie località della Sassonia. Nel 1788 scrive varie recensioni per la rivista lette-
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raria: «Kritische Uebersicht der neuesten schönen Litteratur der Deutschen». Verso metà settembre 1788 parte per Zurigo. 1788-90 Giunto nella città svizzera a fine settembre, svolge nuovamente l’attività di precettore e fa conoscenza del pastore della Chiesa di San Pietro, filosofo e letterato Johann Kaspar Lavater. Qui incontra anche la sua futura moglie, Maria Johanne Rhan, nipote di F.G. Klopstock. Nel marzo del 1790 Fichte lascia Zurigo per fare ritorno in Germania. A Lipsia cerca ancora lavoro come precettore. Tra giugno e luglio riceve nuovamente un aiuto economico dalla “Signora di Miltitz”. Nell’estate del ’90 è la sua scoperta della filosofia trascendentale: le sue lettere di questo periodo registrano ampiamente l’entusiasmo per le tre Critiche di Kant, in particolare per la Critica della ragione pratica. Tra agosto e settembre scrive gli Aphorismen über Religion und Deismus [Aforismi a proposito di religione e deismo]. 1791
Ai primi di luglio giunge a Königsberg per ascoltare Kant. Nonostante l’intrattenibile entusiasmo con cui era partito, l’impressione che ne trae è riassunta in un giudizio tranciante: “soporifero”. Ciò nonostante prosegue nello studio della filosofia criticotrascendentale e per guadagnarsi la stima kantiana inizia a scrivere il Versuch einer Critik aller Offenbarung [Saggio in critica di ogni rivelazione], inviandone verso metà agosto la prima stesura (di tre) a Kant stesso, al termine di sei settimane di elaborazione. A fine ottobre si trasferisce a Cracovia, ove ancora una volta si guadagna da vivere come precettore.
1792
Ad aprile, esattamente alla fiera di Pasqua, compare anonimo a Lipsia il Saggio in critica di ogni rivelazione, che viene falsamente segnalato come opera kantiana. Tale errore non accade invece con le copie del saggio vendute proprio a Königsberg, le quali, stampate in un’altra tiratura, recano sul fron-
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tespizio il nome di Fichte come autore. Ad agosto Kant stesso interviene sulle colonne della “Allgemeine Literatur-Zeitung” per rettificare pubblicamente la recensione che gli aveva attribuito la paternità del Saggio e dichiarare l’identità del suo autore, elogiandolo. Passato a Danzica Fichte, tra la fine del 1792 e gli inizi del 1793, ultima la stesura della Zurückforderung der Denkfreiheit von den Fürsten Europens, die sie bisher unterdrückten. Eine Rede [Rivendicazione della libertà di pensiero dai Prìncipi d’Europa che sinora l’hanno calpestata. Un discorso]. 1793
Sempre a Danzica, in gennaio, redige il primo fascicolo del Beitrag zur Berichtigung der Urtheile des Publikums über die französische Revolution [Contributo per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese], pubblicato poi ad aprile insieme alla seconda edizione (aumentata) del Saggio. Durante l’estate torna a Zurigo e in ottobre celebra il proprio matrimonio con Marie Johanne Rahn. A novembre studia l’Aenesidemus oder über die Fundamente der von dem Herrn Professor Reinhold in Jena gelieferten Elementar-Philosophie [Enesidemo ovvero dei Fondamenti della filosofia elementare presentata dal prof. Reinhold di Jena, 1792] di Schulze: ne conclude che la filosofia critico-trascendentale, rappresentata da Kant e dalla sua ricezione in Reinhold, non gode ancora dello statuto di scienza. Tra novembre e dicembre elabora i primi abbozzi del proprio sistema che prendono forma nelle Eigne Meditationen über Elementarphilosophie [Meditazioni personali sulla filosofia elementare] e parallelamente appronta la recensione all’Aenesidemus di Schulze per la «Allgemeine Literatur-Zeitung».
1794
A metà gennaio conclude la redazione delle Eigne Meditationen e inizia a scrivere la Practische Philosophie. A fine mese, mentre si trova ancora a Zurigo, riceve la nomina a professore dell’Università di Jena sulla cattedra lasciata libera da Rein-
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hold, trasferitosi presso la sede universitaria di Kiel. Dalla fine di febbraio alla fine di aprile tiene sempre a Zurigo un ciclo di lezioni domestiche presso l’abitazione di Lavater, che l’aveva pregato di illustrare per un pubblico ristretto i contenuti essenziali della filosofia kantiana. Nascono così le Züricher Vorlesungen über den Begriff der Wissenschaftslehre [Lezioni di Zurigo sul concetto della dottrina della scienza], alle quali fa seguito l’allocuzione di congedo: Über die Würde des Menschen [Sulla dignità dell’uomo]. Tra marzo e aprile compone, su invito accademico, lo scritto programmatico e introduttivo per gli studenti di Jena: Ueber den Begriff der Wissenschaftslehre oder der sogennanten Philosophie [Sul concetto della dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia], saggio che esce in libreria verso la metà di maggio. Alla fine del mese, dopo il suo arrivo a Jena, avvia le lezioni pubbliche sulla Bestimmung des Gelehrten [Destinazione del dotto] e inizia i corsi privati di «philosophia teoretica». A giugno intraprende la stesura della Grundlage der gesammten Wissenschaftslehre [Fondamento dell’intera dottrina della scienza]: il 21 giugno offre a Goethe il primo sedicesimo dell’opera, stampato “pro manuscripto”. A fine settembre, alla fiera di san Michele, compaiono in libreria la prima e la seconda parte (§§ 1-4) del Fondamento e la Destinazione del dotto. A dicembre si impegno di Fichte per lo scioglimento delle corporazioni studentesche di Jena. 1795
Nei primi mesi dell’anno il suo impegno gli causa conflitti con le corporazioni degli studenti e ad aprile, dopo ripetute molestie e aggressioni presso la propria abitazione, Fichte deve abbandonare Jena e rifugiarsi a Osmannstädt. Tra fine luglio e inizio agosto pubblica la terza parte del Fondamento (§§ 5-11) insieme alla Prefazione di tutta l’opera e al corso di “philosophia theoretica specialis”,
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tenuto nel semestre invernale 1794-95, che egli titola: Grundriß des Eigenthümlichen der Wissenschaftslehre in Rücksicht auf das theoretische Vermögen [Compendio di ciò che contraddistingue la dottrina della scienza riguardo alla facoltà teoretica]. A ottobre ritorna a Jena. 1796
A marzo pubblica la prima parte della Grundlage des Naturrechts [Fondamento del diritto naturale] e alla fine di aprile inizia i corsi pubblici con una “Einleitung in die Moral” [Introduzione alla morale]. Il 18 luglio nasce Immanuel Hartmann Fichte, in seguito chiamato Immanuel Hermann e curatore di un’edizione delle opere del padre.
1797
Corsi semestrali di gennaio: Wissenschaftslehre nova methodo; Sittenlehre; Logik und Metaphysik. A fine marzo inizia la pubblicazione sul «Philosophisches Journal» del Versuch einer nueun Darstellung der Wissenschaftslehre [Saggio d’una nuova esposizione della dottrina della scienza]; nei fascicoli dell’annata 1797 escono: “Avvertenza” e (prima) “Introduzione” (vol. V, fasc. I, pp. 1-49); “Seconda introduzione” (vol. V, fasc. IV, pp. 319379; vol. VI, fasc. I, pp. 1-43). Pubblica, a settembre, la seconda parte del Fondamento del diritto naturale e, a dicembre, i primi sedicesimi della Sittenlehre [Sistema di etica].
1798
A fine marzo appare in libreria il Sistema di etica. A ottobre inizia la celeberrima “controversia sull’ateismo” (Atheismusstreits). Circa a metà novembre il governo della Sassonia elettorale dispone la confisca del fascicolo del «Philosophisches Journal» su cui era comparso lo scritto fichtiano Ueber den Grund unsers Glaubens an eine göttliche WeltRegierung [Sul fondamento del nostro credere in un governo divino del mondo] in quanto contenente «espressioni ateistiche».
1799
Il 29 marzo il governo di Sassonia-Weimar licenzia Fichte dal suo posto di professore all’università di Jena. Ai primi di luglio egli lascia Jena per un soggior-
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CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
no a Berlino. A ottobre tiene discorsi presso una loggia massonica. Circa a metà novembre onclude la redazione de Die Bestimmung des Menschen [La destinazione dell’uomo]. A dicembre fa ritorno a Jena. 1800
A metà gennaio esce La destinazione dell’uomo. A marzo si trasferisce a Berlino e ad aprile-maggio tiene conferenze ai fratelli della loggia massonica berlinese Großen Loge Royale York. Ad agosto lavoro assiduamente alle prime tre Lezioni del Sonnenklarer Bericht an das grössere Publikum über das eigentliche Wesen der neuesten Philosophie [Rendiconto chiaro come il sole al grande pubblico sull’essenza propria della filosofia più recente] e a Der geschloßne Handelsstaat [Lo stato commerciale chiuso], che verrà finito di stampare a novembre. A dicembre inizia la polemica con Schelling e intanto lavora a una nuova esposizione della Dottrina della scienza.
1801-03 Alla fine di marzo del 1801 viene finito di stampare il Rendiconto chiaro come il sole e alla fine dell’anno conclude il lavoro per la nuova esposizione della Dottrina della scienza. Continua la polemica con Schelling sino alla rottura definitiva nel 1802: ultima lettera di Fichte a Schelling il 15 gennaio. Tra gli inizi di febbraio e la fine di marzo 1802 tiene presso la propria abitazione, per una ventina di uditori (tra i quali il fisico danese H.C. Ørsted), una lettura quotidiana, eccetto il mercoledì, di una nuova esposizione della Dottrina della scienza; la domenica, conversatorium. 1804
Da metà gennaio circa a fine marzo Fichte tiene il primo corso privato di questa annata esponendo la Dottrina della scienza in trenta conferenze di un’ora ciascuna presso la propria abitazione. Da metà aprile alla prima settimana di giugno tiene la seconda esposizione privata (28 ore) della Dottrina della scienza. Tiene infine la terza esposizione (25 ore) nel 1804 della Dottrina della scienza dai primi di novembre al 31 dicembre.
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Intanto sempre ai primi di novembre, ma fino a metà marzo del 1805, ogni domenica mattina dalle 11.30 alle 13 presso la sala dell’Accademia delle Scienze di Berlino tiene il ciclo di conferenze sul tema Philosophische Charakteristik des Zeitalters [Carattere filosofico dell’epoca]. 1805
Dai primi di febbraio a fine marzo ciclo di lezioni private (23 ore) in materia di teologia, etica e diritto tenute da Fichte presso la propria abitazione. Ad aprile viene nominato per il semestre estivo professore di filosofia a Erlangen, ove ogni sabato mattina dalle 7 alle 8, dai primi di giugno sino a fine agosto, tiene conferenze sul tema De moribus eruditorum. Sempre a Erlangen, dalla seconda decade di giugno sino ai primi di settembre, espone nuovamente la Dottrina della scienza in trenta lezioni tenute a un pubblico di 14 uditori iscritti. Rientra a Berlino in autunno.
1806
Da metà gennaio sino a fine marzo ogni domenica mattina dalle 12 alle 13, eccetto il 19 gennaio, nella sala dell’Accademia delle Scienze svolge un ciclo di conferenze sul tema Anweisung zum seligen Leben [Introduzione alla vita beata]. Ai primi di febbraio, dopo cinque anni privi di uscite editoriali, Fichte pubblica la prima delle tre opere del suo ciclo di “filosofia popolare”: Ueber das Wesen des Gelehrten [Sull’essenza del dotto], che raccoglie in volume il De moribus eruditorum di Erlangen. Ad aprile, per la fiera di Pasqua, esce in libreria l’opera Die Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters [I tratti fondamentali dell’epoca presente] che riunisce le conferenze domenicali tenute a Berlino dal novembre 1804 al marzo 1805. A fine aprile pubblica l’Introduzione alla vita beata. Dopo la rinuncia di Francesco II al titolo di imperatore, dunque con la fine del Sacro Romano Impero della Nazione tedesca (6 agosto), e dopo le umilianti sconfitte impartite dalle truppe napoleoniche all’esercito prussiano (Jena, 14 ottobre), Fichte lascia Berlino e segue la fuga della corte a Königsberg.
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CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
1807
A Königsberg, ai primi di gennaio, inizia l’esposizione della Dottrina della scienza in 28 lezioni presso l’università locale. Tra aprile e maggio studia e lavora su Machiavelli e a saggi di argomento politico. Ritornato a Berlino, a settembre stende il progetto per istituire l’Università. A dicembre, la domenica dalle 12 alle 13 in una sala dell’Accademia, inizia a tenere le Reden an die deutschen Nation [Discorsi alla nazione tedesca] che gli procurano attriti con la censura.
1808
A marzo è nominato membro dell’Accademia Bavarese delle Scienze e a fine mese tiene il quattordicesimo e ultimo discorso “alla nazione tedesca”. Circa a metà maggio escono in libreria i Discorsi alla nazione tedesca. Verso metà luglio Fichte si ammala seriamente: sintomi di una malattia al fegato e oscuramento della vista all’occhio destro, semiparalisi del braccio sinistro e della gamba destra. Sospende ogni lavoro filosofico.
1809
Nei primi mesi le sue condizioni di salute migliorano lentamente ma progressivamente. In estate si sottopone a cure termali e minerali. A dicembre annuncia una serie di lezioni introduttive “all’arte del filosofare” e tiene la lezione di apertura (11 dicembre) dei corsi dell’appena fondata Università di Berlino: Einleitung in die Philosophie [Introduzione alla filosofia].
1810
Tra febbraio e marzo ciclo di lezioni sulla Dottrina della scienza. Il 20 maggio, su proposta di Wilhelm von Humboldt, Fichte viene nominato professore della nuova università di Berlino. A fine agosto nomina a Decano, cioè Preside, della Facoltà di Filosofia. In ottobre tiene un breve ciclo di lezioni intensive sullo studio della filosofia in generale, corso ripetuto nell’aprile del 1811 e del 1812, e di nuovo nell’ottobre 1812. Dalla fine di ottobre a metà gennaio dell’anno successivo tiene lezioni su Tatsachen des Bewußtseins [Fatti della coscienza], ciclo che poi replicherà altre due volte nel corso del 1811 e una volta nel gennaio-febbraio 1813.
CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
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1811
Dalla fine di gennaio ai primi di aprile espone nuovamente in 38 lezioni la Dottrina della scienza. Il 17 luglio il Senato accademico elegge Fichte Rettore dell’Università berlinese ed egli entra in carica il 1 settembre. A ottobre tiene un ciclo di lezioni sull’essenza della filosofia.
1812
Da gennaio alla seconda decade di marzo tiene una nuova esposizione, in 50 ore, della Dottrina della scienza. Fra i 34 uditori della prima lezione, Arthur Schopenhauer. Ad aprile, a causa di frequenti contrasti col Senato accademico e con le autorità ministeriali, si dimette dalla carica di Rettore dell’Università di Berlino: gli succederà F.K. v. Savigny, professore di diritto. Da aprile alla fine dell’anno tiene due cicli di lezioni su Transzendentale Logik [Logica trascendentale], dottrina del diritto e dottrina morale.
1813
A febbraio intraprende di una nuova esposizione della Wissenschaftslehre che però interrompe per tenere un discorso sulla situazione politica. A fine marzo inizio della guerra di liberazione antinapoleonica: Fichte interrompe le lezioni accademiche e chiede di essere arruolato in qualità di cappellano militare. Ad aprile partecipa alle esercitazioni militari ma a fine mese riprende i corsi con lezioni pubbliche e conferenze di filosofia applicata. Dai primi di novembre alla vigilia di Natale tiene lezione a una ventina di studenti con una introduzione alla Dottrina della scienza.
1814
Dal 10 gennaio, lunedì, al 14 gennaio, venerdì, inizia le lezioni sulla Dottrina della scienza. Dopo qualche giorno, assistendo i malati, prima la moglie Johanne e poi lui stesso (17 gennaio) contraggono il tifo. Il 29 gennaio, sabato, Fichte muore alle 5 del mattino. Lunedì 31 gennaio: sepoltura.
GRUNDLAGE DER GESAMTEN WISSENSCHAFTSLEHRE ________ . ________ als Handschrift für seine Zuhörer
von JOHANN GOTTLIEB
FICHTE
_______________ … ______________ Leipzig, bei Christian Ernst Gabler. 1794
FONDAMENTO DELL’INTERA DOTTRINA DELLA SCIENZA ________ . ________ come manoscritto per i propri uditori
di JOHANN GOTTLIEB
FICHTE
_______________ … ______________ Lipsia, presso Christian Ernst Gabler. 1794
[251] VORREDE.
Ich würde vor diesem Buche, das nicht eigentlich für das Publikum bestimmt war, demselben nichts zu sagen gehabt haben, wenn es nicht, sogar ungeendigt, auf die indiskreteste Weise vor einen Teil desselben wäre gezogen worden. Über Dinge der Art vor der Hand nur soviel! Ich glaubte, und glaube noch, den Weg entdeckt zu haben, auf welchem die Philosophie sich zum Range einer evidenten Wissenschaft erheben muß. Ich kündigte dies* bescheiden an, legte dar, wie ich nach dieser Idee gearbeitet haben würde, wie ich nun nach veränderter Lage nach ihr arbeiten müßte, und fing an den Plan ins Werk zu setzen. Dies war natürlich. Es war aber ebenso natürlich, daß andre Kenner, und Bearbeiter der Wissenschaft meine Idee untersuchten, prüften, beurteilten, daß sie, sie mochten nun innere oder äußere Gründe haben, sich den Weg nicht gefallen zu lassen, den ich die Wissenschaft führen wollte, mich zu widerlegen suchten. Aber wozu es dienen sollte, das was ich behauptet, geradezu ohne alle Prüfung zu verwerfen, höchstens sich die Mühe zu nehmen, es zu verdrehen, jede Gelegenheit herbeizuziehen, um es auf die leidenschaftlichste Weise zu schmähen, und zu verschreien, läßt sich nicht einsehen. Was mag doch jene Beurteiler so ganz aus ihrer Fassung gebracht haben? Sollte ich von Nachbeterei, und Seichtigkeit mit Achtung
* In der Schrift: Über den Begriff der Wissenschaftslehre, oder der sogenannten Philosophie: Weimar im Verlage des IndustrieComptoirs, 1794.
PREFAZIONE1
Nessuna prefazione avrei avuto da far precedere a questo libro, che propriamente non era destinato al pubblico, se non ne fosse stata stampata una tiratura quando persino non era terminato, la quale aveva anticipato una sua parte nel modo più inopportuno. Adesso, però, è finita con cose di tal fatta! Ho creduto, e credo ancora, di aver scoperto la via lungo quale la filosofia deve elevarsi al rango di una scienza evidente. Ne ho dato annuncio* con toni pacati, ho esposto in quale maniera avrei lavorato seguendo quest’idea, come dovrei lavorare ora, dopo aver cambiato posizione nei suoi confronti, e ho iniziato a mettere in opera il progetto. Ciò veniva naturale. Tuttavia era davvero così naturale che altri che se ne intendono e conducono ricerche in tale scienza esaminarono la mia idea, la verificarono e giudicarono; che, non andando loro a genio questa via sulla quale io volevo condurre la scienza, per ragioni intrinseche o estrinseche cercarono di confutarmi. Ma non si vede a che cosa poteva servire rigettare direttamente, senza alcuna disamina quanto affermo io, prendendosi al massimo la briga di travisarlo, cogliendo ogni occasione per denigrarlo nel modo più animoso e screditarlo. Ciò nonostante, che cosa può aver fatto perdere totalmente le staffe a quei critici? Dovevo parlare con riverenza del
* Nello scritto: Sul concetto di Dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia, Weimar, Edizioni del Comptoir dell’Industria, 1794.
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JOHANN GOTTLIEB FICHTE
sprechen, da ich dieselben doch gar nicht achte? Was hätte dazu mich verbinden sollen? – besonders da ich mehr zu tun hatte, und vor mir jeder Stümper ruhig seinen Weg hätte gehen mögen, wenn er mich nicht nötigte durch Aufdeckung seiner Stümperei mir selbst Platz zu machen. Oder hat ihr feindseliges Benehmen noch einen andern Grund? – Für ehrliche Leute sei folgendes gesagt, für welche allein es einen Sinn hat. – Was auch meine [252] Lehre sei, ob ächte Philosophie, oder Schwärmerei, und Unsinn, so verschlägt dies meiner Person nichts, wenn ich redlich geforscht habe. Ich würde durch das Glück, die erstere entdeckt zu haben, meinen persönlichen Wert so wenig gehoben, als durch das Unglück, neue Irrtümer auf die Irrtümer aller Zeiten aufgebaut zu haben, denselben erniedrigt glauben. An meine Person denke ich überall nicht: aber für die Wahrheit bin ich entflammt, und was ich für wahr halte, das werde ich immer so stark, und so entscheidend sagen, als ich es vermag. Im gegenwärtigen Buche, wenn man die Schrift: Grundriß des Eigentümlichen der Wissenschaftslehre in Rücksicht auf das theoretische Vermögen mit dazu nimmt, glaube ich mein System so weit verfolgt zu haben, daß jeder Kenner sowohl den Grund, und Umfang desselben, als auch die Art, wie auf jenen weiter aufgebaut werden muß, vollständig übersehen könne. Meine Lage erlaubt mir nicht, ein bestimmtes Versprechen abzulegen, wann und wie ich die Bearbeitung desselben fortsetzen werde. Die Darstellung erkläre ich selbst nur höchst unvollkommen, und mangelhaft, teils weil sie für meine Zuhörer, wo ich durch den mündlichen Vortrag nachhelfen konnte, in einzelnen Bogen, so wie ich für meine Vorlesungen eines bedurfte, erscheinen mußte; teils weil ich eine feste Terminologie – das bequemste Mittel für Buchstäbler
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pappagallismo e della sciatteria, mentre non presto affatto riguardo a tali cose? Che cosa mi ci avrebbe dovuto obbligare? – Nella fattispecie avevo molto altro da fare e qualunque imbrattacarte avrebbe potuto continuare tranquillamente per la sua strada davanti a me, se la scoperta della sua inettitudine non mi avesse costretto a farmi largo di persona. Oppure la vostra accoglienza ostile avrebbe un’altra ragione ancora? – Quanto verrò qui dicendo è per persone onorevoli, solamente per le quali ha senso. – Che poi la mia dottrina sia filosofia autentica o visionarietà e insensatezza, ciò non tocca per nulla la mia persona, se ho rettamente condotto le mie ricerche. Riterrei il mio personale valore tanto poco aumentato dalla fortuna di aver scoperto l’autentica filosofia quanto poco sminuito dalla sfortuna di aver eretto nuovi errori sugli errori di tutti i tempi. In nessuna occasione penso curandomi della mia persona: ardo invece per la verità e ciò che ritengo vero lo esporrò con tanta forza e risolutezza quanto sono capace. Nel presente libro, se lo si ritiene integrandolo con lo scritto Compendio di ciò che contraddistingue la dottrina della scienza riguardo alla facoltà teoretica, credo di aver sviluppato il mio sistema sino al punto in cui chiunque se ne intenda può valutarne il fondamento e insieme l’estensione, e parimenti anche il modo secondo il quale su quel fondamento dev’essere edificato il sistema. La mia situazione non mi consente di promettere precisamente quando e come proseguirò nell’elaborarlo. Io stesso metto in chiaro che l’esposizione è estremamente imperfetta e inadeguata, in parte perché doveva essere pubblicata in singoli sedicesimi di stampa per i miei uditori, al modo in cui uno occorreva a me in vista delle lezioni, nel qual caso potevo aiutarmi sfruttando la declamazione orale; in parte perché ho cercato per quanto possibile di evitare una terminologia rigida – il mezzo
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JOHANN GOTTLIEB FICHTE
jedes System seines Geistes zu berauben, und es in ein trocknes Geripp zu verwandeln – so viel möglich zu vermeiden suchte. Ich werde dieser Maxime, auch bei künftigen Bearbeitungen des Systems, bis zur endlichen vollendeten Darstellung desselben, treu bleiben. Ich will jetzt noch gar nicht zubauen, sondern möchte nur das Publikum veranlassen, mit mir den künftigen Bau zu überschlagen. Man wird aus dem Zusammenhange erklären, und sich erst eine Übersicht des Ganzen verschaffen müssen, ehe man sich einen einzelnen Satz scharf bestimmt; eine Methode, die freilich den guten Willen voraussetzt, dem Systeme Gerechtigkeit widerfahren zu lassen, nicht die Absicht, nur Fehler an ihm zu finden. Ich habe viele Klagen über die Dunkelheit, und Unverständlichkeit des bis jetzt auswärts bekannten Teils dieses Buchs, wie auch der Schrift: Über den Begriff der Wissenschaftslehre, gehört. Gehen die die letztere Schrift betreffenden Klagen insbesondere auf §. 8. dersel-[253]ben, so kann ich allerdings Unrecht gehabt haben, daß ich die bei mir durch das ganze System bestimmten Grundsätze desselben hingab, ohne das System; und mir von den Lesern und Beurteilern die Geduld versprach, alles so unbestimmt zu lassen, als ich es gelassen hatte. Gehen sie auf die ganze Schrift, so bekenne ich im voraus, daß ich im Fache der Spekulation für diejenigen nie etwas Verständliches werde schreiben können, denen sie unverständlich war. Ist jene Schrift die Grenze ihres Verstehens, so ist sie die Grenze meiner Verständlichkeit; unsre Geister sind durch diese Grenze voneinander geschieden, und ich ersuche sie mit dem Lesen meiner Schriften nicht die Zeit zu verderben. – Habe dieses Nichtverstehen einen Grund, welchen es wolle, es liegt in der Wissenschaftslehre selbst ein Grund,
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più comodo, per coloro che si attengono alla lettera, di sottrarre a ogni sistema il suo spirito e di trasformarlo in uno scheletro inaridito. Rimarrò fedele a tale massima anche nelle future rielaborazioni del sistema, fino alla sua compiuta esposizione conclusiva. Non intendo affatto ostruire adesso la vista edificando una costruzione, bensì vorrei soltanto spingere il pubblico a cercare di calcolare con me approssimativamente l’edificio a venire. Prima di poter determinare con esattezza una singola proposizione, la si dovrà spiegare a partire dalla connessione ‹con le altre proposizioni› e in primo luogo si dovrà acquisire una visione panoramica del tutto: un metodo, questo, che presuppone certo la buona volontà di lasciare al sistema la possibilità di giustificarsi, non ‹invece› l’intenzione di individuarvi soltanto errori. Ho udito molte lamentele sull’oscurità e l’incomprensibilità della parte di questo libro finora nota al ‹pubblico› esterno, come pure dello scritto Sul concetto di dottrina della scienza. Se tali lagnanze riguardano in particolare il § 8 di quest’ultimo lavoro2, allora a dire il vero posso aver commesso il torto di offrire, senza il sistema, i principi fondamentali da me determinati mediante il sistema nella sua interezza, pretendendo per me dai lettori e dai critici la pazienza di lasciare ogni cosa così indeterminata al modo in cui l’avevo lasciata io. Se quelle querimonie sono rivolte all’intero testo, allora dichiaro previamente che per coloro ai quali esso risultava indecifrabile non sarò in grado di scrivere alcunché di comprensibile in materia di speculazione. Se quello scritto demarca il limite del loro comprendere, allora esso è il limite della mia comprensibilità; i nostri spiriti sono separati l’uno dall’altro da questo limite e io chiedo Loro di non sprecare tempo leggendo le mie opere. – Quale che sia la ragione di questo non ‹riuscire a› comprendere, c’è nella stessa dottrina della scienza un motivo perché essa
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warum sie gewissen Lesern immer unverständlich bleiben muß: der, daß sie das Vermögen der Freiheit der innern Anschauung voraussetzt. – Dann verlangt jeder philosophische Schriftsteller mit Recht, daß der Leser den Faden des Räsonnements festhalte, und nichts Vorhergegangenes vergessen habe, wenn er bei dem folgenden steht. Etwas, das unter diesen Bedingungen nicht verstanden werden könnte, und nicht notwendig richtig verstanden werden müßte in diesen Schriften – ist mir wenigstens nicht bekannt; und ich glaube allerdings, daß der Verfasser eines Buchs selbst bei Beantwortung dieser Frage eine Stimme habe. Was vollkommen klar gedacht worden ist, ist verständlich; und ich bin mir bewußt, alles vollkommen klar gedacht zu haben, so daß ich jede Behauptung zu jedem beliebigen Grade der Klarheit erheben wollte, wenn mir Zeit, und Raum genug gegeben ist. Besonders halte ich für nötig zu erinnern, daß ich nicht alles sagen, sondern meinem Leser auch etwas zum Denken überlassen wollte. Es sind mehrere Mißverständnisse, die ich sicher voraussehe, und denen ich mit ein paar Worten hätte abhelfen können. Ich habe auch diese paar Worte nicht gesagt, weil ich das Selbstdenken unterstützen möchte. Die Wissenschaftslehre soll sich überhaupt nicht aufdringen, sondern sie soll Bedürfnis sein, wie sie es ihrem Verfasser war. Die künftigen Beurteiler dieser Schrift ersuche ich auf das Ganze einzugehen, und jeden einzelnen Gedanken aus dem Gesichtspunkte des Ganzen anzusehen. Der Hallische Rezensent äußert seine Vermutung, daß ich bloß einen Scherz [254] habe treiben wollen; die andern Beurteiler der Schrift: Über den Begriff der Wissenschaftslehre, scheinen dies gleichfalls geglaubt zu haben; so leicht gehen sie über die Sache hin, und so spaßhaft sind ihre Erinnerungen, als ob sie Scherz durch Scherz zu erwidern hätten. Ich kann zu Folge der Erfahrung, daß ich beim dreimaligen Durcharbeiten dieses Systems meine Gedanken über
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debba risultare sempre inintelligibile a certi lettori: il fatto che essa presuppone la capacità della libera intuizione interna. – Detto ciò, ogni scrittore di filosofia chiede a buon diritto che il lettore tenga saldamente il filo del ragionamento e che, una volta approssimatosi alle conseguenze, non dimentichi alcunché di quanto precede. A tali condizioni, nulla vi è, almeno a mia conoscenza, che in questi scritti non potesse essere capito, e che di necessità non dovesse essere capito correttamente, e ad ogni modo credo che l’autore di un libro abbia pur voce nel rispondere a tale questione. Ciò che è stato pensato in tutta nettezza è comprensibile, e io sono consapevole di aver pensato ogni cosa in modo perfettamente nitido, sicché mi sarebbe possibile elevare ciascuna affermazione a qualsiasi grado di chiarezza voluto, se mi fossero dati abbastanza tempo e spazio. Ritengo necessario far presente in modo particolare che non ho voluto dire tutto, ma ho voluto lasciare qualcosa da pensare anche al mio lettore. Prevedo con certezza alcuni fraintendimenti che avrei potuto prevenire spendendo due parole. Invece non ho detto nemmeno queste due parole, perché avrei recato disturbo al pensare in modo indipendente. La dottrina della scienza non deve, in generale, imporsi bensì dev’essere un bisogno, come lo fu per il suo autore. Prego coloro che giudicheranno in futuro questo lavoro di occuparsi dell’insieme e di considerare dal punto di vista dell’insieme ogni singolo pensiero. Il recensore di Halle3 manifesta l’ipotesi che io abbia semplicemente voluto fare uno scherzo; gli altri critici dello scritto Sul concetto di dottrina della scienza sembrano aver creduto altrettanto, così grande è la faciloneria con cui hanno considerato la cosa e tanto divertiti sono i loro rilievi, come se avessero replicato con scherzo a scherzo. Costatato per esperienza che nelle tre ripetute rielaborazioni di questo sistema ogni volta ho trovato diver-
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einzelne Sätze desselben jedesmal anders modifiziert gefunden, erwarten, daß sie bei fortgesetztem Nachdenken sich immer weiter verändern und bilden werden. Ich werde selbst am sorgfältigsten daran arbeiten, und jede brauchbare Erinnerung von andern wird mir willkommen sein. – Ferner, so innig ich überzeugt bin, daß die Grundsätze, auf welchen dieses ganze System ruht, unumstößlich sind, und so stark ich auch hier und da diese Überzeugung mit meinem vollen Rechte geäußert habe, so wäre es doch eine mir bis jetzt freilich undenkbare Möglichkeit, daß sie dennoch umgestoßen würden. Auch das würde mir willkommen sein, weil die Wahrheit dadurch gewinnen würde. Man lasse sich nur ein auf dieselben, und versuche es, sie umzustoßen. Was mein System eigentlich sei, und unter welche Klasse man es bringen könne, ob echter durchgeführter Kritizismus, wie ich glaube, oder wie man es sonst nennen wolle, tut nichts zur Sache. Ich zweifle nicht, daß man ihm mancherlei Namen finden, und es mehrerer einander gerade zuwider laufenden Ketzereien beschuldigen werde. Dies mag man; nur verweise man mich nicht an alte Widerlegungen, sondern widerlege selbst. Jena zur Ostermesse 1795.
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samente modificate le mie idee al riguardo di alcune sue singole proposizioni, posso aspettarmi che, riflettendo ulteriormente, sempre più si modificheranno e se ne formeranno. Io attenderò a questo lavoro nel modo più accurato e gradirò ogni richiamo utile da parte di altri. – Inoltre, per quanto sia così intimamente convinto che i principi fondamentali su cui poggia tutto questo sistema sono incrollabili, e per quanto energicamente io stesso, con mio pieno diritto, abbia manifestato qua e là tale convinzione, nondimeno potrebbe esservi una possibilità, per me finora davvero impensabile, che essi tuttavia fossero fatti crollare. Anche questo mi sarebbe gradito, perché in tal modo si sarebbe ottenuta la verità. Ci si affidi ‹dunque› soltanto a questi principi fondamentali e si tenti ‹pure› di rovesciarli. Che cosa il mio sistema propriamente sia, e come lo si possa classificare, se, al modo in cui ritengo io, nell’autentico, realizzato criticismo, oppure come altrimenti lo si voglia chiamare, ciò non ha importanza alcuna. Non dubito che gli si troveranno svariati nomi e lo si accuserà di parecchie eresie esattamente contrarie l’una all’altra. Si faccia pure: soltanto, non mi si rinvii a vecchie confutazioni, bensì mi si confuti direttamente. Jena, fiera di Pasqua 1795.
[461] Vorbericht zur zweiten Auflage
Während der Ausarbeitung einer neuen Darstellung der Wissenschaftslehre hat es sich dem Urheber dieser Wissenschaft abermals deutlich ergeben, daß die gegenwärtige erste Darstellung vorläufig noch durch keine neue völlig überflüssig, und entbehrlich gemacht werden könne. Noch scheint der größere Teil des philosophierenden Publikums für die neue Ansicht nicht so vorbereitet, daß es ihm nicht nützlich sein sollte, denselben Inhalt in zwei sehr verschiedenen Formen zu finden, und als denselben wieder zu erkennen; ferner ist in der gegenwärtigen Darstellung ein Gang gehalten, auf welchen die in der neuen Darstellung zu beobachtende, mehr auf Faßlichkeit berechnete Methode zurückzuführen, bis zu der einstigen Erscheinung einer streng szientifischen Darstellung immer sehr gut sein wird; endlich sind in ihr mehrere Hauptpunkte mit einer Ausführlichkeit, und einer Klarheit vorgestellt, welche je zu übertreffen der Verfasser keine Hoffnung hat. Er wird auf mehrere Stücke dieser Art in der neuen Darstellung sich beziehen müssen. Dieser Gründe halber haben wir einen neuen unveränderten Abdruck dieser ersten Darstellung, welche sich vergriffen hatte, besorgt. Die neue Darstellung wird im künftigen Jahre erscheinen. Berlin, im Augustmonat 1801. Fichte.
Avvertenza alla seconda edizione
Presentando nuovamente la Dottrina della scienza, è risultato chiaro un’altra volta all’autore di questa scienza che per il momento l’attuale, prima esposizione non potesse esser resa completamente superflua e trascurabile da una nuova ‹presentazione›. La maggior parte del pubblico di coloro che fanno filosofia non sembra così preparata al nuovo punto di vista che possa risultargli inutile ritrovare il medesimo contenuto in due forme assai differenti e riconoscerlo di nuovo come lo stesso. Inoltre, nell’esposizione attuale si è seguito un procedimento al quale sarà sempre cosa ottima ricondurre il metodo da osservarsi presentando nuovamente ‹la Dottrina della scienza›, procedimento studiato per una resa di maggior comprensibilità, sino a che in futuro non comparirà un’esposizione rigorosamente scientifica. Infine, molti punti capitali dell’attuale presentazione sono profilati con una precisione e una chiarezza quali l’autore non nutre alcuna speranza di poter mai superare. Esponendola di nuovo, egli dovrà riferirsi a parecchi passi di tal genere. Per tali ragioni abbiamo atteso a una nuova, immutata ristampa di questa prima esposizione, già andata esaurita. La nuova esposizione apparirà l’anno venturo. Berlino, nel mese di agosto del 1801. Fichte
[255] ERSTER TEIL. GRUNDSÄTZE DER GESAMTEN WISSENSCHAFTSLEHRE.
§. 1. Erster, schlechthin unbedingter Grundsatz. Wir haben den absolut-ersten, schlechthin unbedingten Grundsatz alles menschlichen Wissen aufzusuchen. Beweisen, oder bestimmten läßt er sich nicht, wenn er absolut-erster Grundsatz sein soll. Er soll diejenige Tathandlung ausdrücken; die unter den empirischen Bestimmungen unsers Bewußtseins nicht vorkommt, noch vorkommen kann, sondern vielmehr allem Bewußtsein zum Grunde liegt, und allein es möglich macht. Bei Darstellung dieser Tathandlung ist weniger zu befürchten, daß man sich etwa dabei dasjenige nicht denken werde, was man sich zu denken hat – dafür ist durch die Natur unsers Geistes schon gesorgt – als, daß man sich dabei denken werde, was man nicht zu denken hat. Dies macht eine Reflexion über dasjenige, was man etwa zunächst dafür halten könnte, und eine Abstraktion von allem, was nicht wirklich dazu gehört, notwendig. Selbst vermittelst dieser abstrahierenden Reflexion nicht – kann Tatsache des Bewußtseins werden, was an sich keine ist; aber es wird durch sie erkannt, daß man jene Tathandlung, als Grundlage alles Bewußtseins, notwendig denken müsse. Die Gesetze, nach denen man jene Tathandlung sich als Grundlage des menschlichen Wissen schlechterdings denken muß, oder – welches das gleiche ist – die Regeln, nach welchen jene Reflexion angestellt wird, sind noch
PARTE PRIMA PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’INTERA DOTTRINA DELLA SCIENZA
§ 1. Primo principio fondamentale in tutto e per tutto incondizionato È nostra intenzione indagare l’assolutamente primo, in tutto e per tutto incondizionato principio fondamentale di ogni umano sapere. Se questo principio fondamentale dev’essere l’assolutamente primo, non può essere né dimostrato né determinato. Esso deve esprimere quell’azione-in-atto che non compare, né può comparire, tra le determinazioni empiriche della nostra coscienza, e che tuttavia sta alla base di ogni coscienza e, sola, la rende possibile4. Presentando tale azione-in-atto, la cosa meno da temere è che in un qualche modo non si pensi ciò che va pensato – di questo s’è già presa cura la natura del nostro spirito –, piuttosto ‹va invece temuto› che si pensi quanto non si deve pensare. Di qui la necessità di una riflessione su ciò che in primo luogo si potrebbe ritenere al riguardo e un’astrazione da tutto quello che effettivamente non vi appartiene. Ciò che in sé non è ‹un› fatto della coscienza, non lo può diventare neppure tramite questa riflessione astraente, mediante la quale tuttavia si apprende che si dovrebbe necessariamente pensare quell’azione-in-atto come fondamento di ogni coscienza. Le leggi5 secondo cui si deve in ogni modo pensare quell’azione-in-atto quale fondamento del sapere umano, oppure – il che è lo stesso – le regole secondo le quali viene svolta quella riflessione, non sono ancora dimostra-
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nicht als gültig erwiesen, sondern sie werden stillschweigend, als bekannt, und ausgemacht, vorausgesetzt. Erst tiefer unten werden sie von dem Grundsatze, dessen Aufstellung bloß unter Bedingung ihrer Richtigkeit richtig ist, abgeleitet. Dies ist ein Zirkel; [256] aber es ist ein unvermeidlicher Zirkel. (S. über den Begriff d. W.L. §. 7). Da er nun unvermeidlich, und frei zugestanden ist, so darf man auch bei Aufstellung des höchsten Grundsatzes auf alle Gesetze der allgemeinen Logik sich berufen. Wir müssen auf dem Wege der anzustellenden Reflexion von irgendeinem Satze ausgehen, den uns jeder ohne Widerrede zugibt. Dergleichen Sätze dürfte es wohl auch mehrere geben. Die Reflexion ist frei; und es kommt nicht darauf an, von welchem Punkte sie ausgeht. Wir wählen denjenigen, von welchem aus der Weg zu unserm Ziele am kürzesten ist. So wie dieser Satz zugestanden wird, muß zugleich dasjenige, was wir der ganzen Wissenschaftslehre zum Grunde legen wollen, als Tathandlung zugestanden sein: und es muß aus der Reflexion sich ergeben, daß es als solche, zugleich mit jenem Satze, zugestanden sei. – Irgendeine Tatsache des empirischen Bewußtseins wird aufgestellt; und es wird eine empirische Bestimmung nach der andern von ihr abgesondert, so lange, bis dasjenige, was sich schlechthin selbst nicht wegdenken und wovon sich weiter nichts absondern läßt, rein zurückbleibt. 1. Den Satz: A ist A (soviel als A = A, denn das ist die Bedeutung der logischen Kopula) gibt jeder zu; und zwar ohne sich im geringsten darüber zu bedenken: man anerkennt ihn für völlig gewiß und ausgemacht. Wenn aber jemand einen Beweis desselben fordern sollte, so würde man sich auf einen solchen Beweis gar nicht einlassen, sondern behaupten, jener Satz sei schlechthin, d. i. ohne allen weitern Grund, gewiß: und indem man dieses, ohne Zweifel mit allgemeiner Beistimmung, tut, schreibt man sich das Vermögen zu, etwas schlechthin zu setzen.
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te valide ma vengono tacitamente presupposte come note e stabilite. Soltanto molto più avanti esse sono dedotte dal principio fondamentale la cui formulazione è corretta puramente a condizione della correttezza di tali leggi. Ecco un circolo, eppure un circolo inevitabile (cfr. Sul concetto di dottrina della scienza, § 7)6. Dato che esso è inevitabile e liberamente concesso, è lecito allora richiamarsi a tutte le leggi della logica generale anche nella formulazione del supremo principio fondamentale. Avviandoci alla riflessione che resta da compiere, noi dovremmo muovere da una qualche proposizione che ognuno ci riconosca senza obiezioni. Di simili proposizioni potrebbero essercene anche parecchie. La riflessione è libera e non ha importanza da quale punto prende le mosse. Noi scegliamo quello da cui più breve è il tragitto al nostro scopo. Non appena è concessa tale proposizione, deve nel contempo essere concesso come azione-in-atto, ciò che vogliamo porre a fondamento dell’intera dottrina della scienza: e dalla riflessione deve risultare che esso in quanto tale è concesso insieme con quella proposizione. – Viene stabilito un qualche fatto qualsiasi della coscienza empirica, e da esso vengono separate, una dopo l’altra, le determinazioni empiriche, sinché rimanga puramente ciò di cui in assoluto non si può immaginare che non ci sia e da cui nulla si possa ulteriormente separare. 1. Ognuno ammette la proposizione A è A (così come A = A, essendo questo il significato della copula logica) e sicuramente senza rifletterci più di tanto: la si riconosce come totalmente certa e stabilita. Se però qualcuno dovesse richiederne una prova, non gliela si concederebbe affatto, ma si affermerebbe che tale proposizione è certa in tutto e per tutto, cioè senza alcuna ulteriore ragione e fondamento: quando si fa questo, senza dubbio con l’approvazione generale, ci si attribuisce il potere di porre qualcosa in assoluto.
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2. Man setzt, durch die Behauptung, daß obiger Satz an sich gewiß sei nicht, daß A sei. Der Satz A ist A ist gar nicht gleichgeltend dem: A ist, oder; es ist ein A. (Sein, ohne Prädikat gesetzt, drückt etwas ganz anders aus, als Sein mit einem Prädikate, worüber weiter unten). Man nehme an, A bedeute einen in zwei gerade Linien eingeschloßnen Raum, so bleibt jener Satz immer richtig: ob gleich der Satz A ist, offenbar falsch wäre. Sondern [257] man setzt: wenn A sei, so sei A. Mithin ist davon ob überhaupt A sei, oder nicht, gar nicht die Frage. Es ist nicht die Frage vom Gehalte des Satzes, sondern bloß von seiner Form; nicht von dem, wovon man etwas weiß, sondern von dem, was man weiß, von irgendeinem Gegenstande, welcher es auch sein möge. Mithin wird durch die Behauptung, daß der obige Satz schlechthin gewiß sei, das festgesetzt, daß zwischen jenem Wenn, und diesem So ein notwendiger Zusammenhang sei; und der notwendige Zusammenhang zwischen beiden ist es, der schlechthin, und ohne allen Grund gesetzt wird. Ich nenne diesen notwendigen Zusammenhang vorläufig = X. 3. In Rücksicht auf A selbst aber, ob es sei, oder nicht, ist dadurch noch nichts gesetzt. Es entsteht also die Frage: unter welcher Bedingung ist denn A. a) X wenigstens ist im Ich, und durch das Ich gesetzt denn das Ich ist es, welches im obigen Satze urteilt, und zwar nach X, als einem Gesetze, urteilt; welches mithin dem Ich gegeben, und da es schlechthin und ohne allen weitern Grund aufgestellt wird, dem Ich durch das Ich selbst gegeben sein muß. b) ob, und wie A überhaupt gesetzt sei, wissen wir nicht; aber da X einen Zusammenhang zwischen einem unbekannten Setzen des A, und einem, unter der Bedingung jenes Setzens, absoluten Setzen desselben A bezeichnen soll, so ist, wenigstens insofern jener Zu-
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2. Affermato ciò, si pone che la proposizione precedente è certa in sé, non che A sia. La proposizione A è A non è affatto equivalente a: A è, ovvero: c’è un A (essere, posto senza predicato, esprime qualcosa di affatto diverso dall’essere con un predicato – ma di ciò poi). Se si assume che A significa uno spazio delimitato da due rette, allora quella7 proposizione resta sempre corretta, anche se la proposizione A è fosse palesemente falsa. Piuttosto, si ponga: se A è, allora è A. Di conseguenza la questione non verte sul fatto se in generale A sia oppure no. Non si pone in questione il contenuto della proposizione bensì semplicemente la sua forma; non ciò di cui si sa qualcosa bensì ciò che si sa, quale che sia l’oggetto di cui possa trattarsi. Di conseguenza, affermando che la proposizione precedente è certa in tutto e per tutto, è stabilito questo: che tra quel se e questo allora v’è una connessione necessaria; ed è tale connessione necessaria fra i due termini ad essere posta in assoluto e senza alcun fondamento né ragione. Provvisoriamente designo questa connessione necessaria = X. 3. Eppure, con ciò, nulla ancora è posto al riguardo di A stesso, se esso sia oppure no. Di qui, dunque, l’interrogativo: a quale condizione mai A è? a) X almeno è nell’io e posto dall’io – perché è l’io ciò che nella proposizione suindicata giudica, e giudica senz’altro secondo X come attenendosi a una legge, la quale, di conseguenza, è data all’io e dev’essergli data tramite l’io stesso, poiché è stabilita assolutamente e senza ogni ulteriore ragione e fondamento. b) Noi non sappiamo se e come A, in generale, sia posto; tuttavia, giacché X deve indicare un nesso tra un ignoto atto di posizione di A e una posizione assoluta di questo medesimo A, sotto la condizione di quel primo atto di porre, allora A dev’essere nell’io e posto dall’io,
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sammenhang gesetzt wird, A in dem Ich, und durch das Ich gesetzt, so wie X. – X ist nur in Beziehung auf ein A möglich; nun ist X im Ich wirklich gesetzt: mithin muß auch A im Ich gesetzt sein, insofern X darauf bezogen wird. c) X bezieht sich auf dasjenige A, welches im obigen Satze die logische Stelle des Subjekts einnimmt, ebenso, wie auf dasjenige, welches im Prädikate steht; denn beide werden durch X vereinigt. Beide also sind, insofern sie gesetzt sind, im Ich gesetzt; und das im Prädikate wird, unter der Bedingung, daß das im Subjekte gesetzt sei, schlechthin gesetzt; und der obige Satz läßt demnach sich auch so ausdrücken: Wenn A im Ich gesetzt ist, so ist es gesetzt; oder so ist es. 4. Es wird demnach durch das Ich vermittelst X gesetzt: A sei für das urteilende Ich, schlechthin, und lediglich kraft seines Gesetztseins im Ich überhaupt; das heißt: es wird gesetzt, daß im Ich, – es sei nun insbesondere setzend, oder urteilend, oder was es auch sei – etwas sei, das sich stets gleich, stets Ein und ebendasselbe sei; und das schlechthin gesetzte X läßt sich auch so ausdrücken: Ich = Ich; Ich bin Ich. 5. Durch diese Operation sind wir schon unvermerkt zu dem Satze: Ich bin (zwar nicht als Ausdruck einer Tathandlung, aber doch einer Tatsache) angekommen. [258] Denn X ist schlechthin gesetzt; das ist Tatsache des empirischen Bewußtseins. Nun ist X gleich dem Satze: Ich bin Ich: mithin ist auch dieser schlechthin gesetzt. Aber der Satz: Ich bin Ich, hat eine ganz andere Bedeutung als der Satz: A ist A. – Nämlich der letztere hat nur unter einer gewissen Bedingung einen Gehalt. Wenn A gesetzt ist, so ist es freilich als A, mit dem A Prädikate gesetzt. Es ist aber durch jenen Satz noch gar nicht ausgemacht, ob es überhaupt gesetzt, mithin, ob es mit irgendeinem Prädikate gesetzt sei. Der Satz: Ich bin Ich, aber gilt
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come X, almeno in quanto è posta quella connessione. – X è in relazione soltanto con un A possibile; ora, X è effettivamente posto nell’io, perciò dev’esserlo anche A, in quanto X è riferito ad esso. c) X si riferisce all’A che nella proposizione suesposta occupa il posto logico del soggetto, come pure ‹si riferisce› a quell’A collocato nel posto del predicato; ambedue i termini sono, infatti, unificati da X. In quanto posti, entrambi sono dunque posti nell’io e l’A che è nel predicato è assolutamente posto, a condizione che sia posto quello che è nel soggetto; la proposizione di cui sopra si può pertanto esprimere anche così: se A è posto nell’io, allora è posto; ovvero, allora è. 4. Per conseguenza esso è posto dall’io per mezzo di X: per l’io che giudica, A è in assoluto ed esclusivamente in forza del suo esser-posto nell’io in generale; ciò significa: è posto il fatto che nell’io – sia esso ora, in particolare, ciò che pone o che giudica o quant’altro sia – c’è qualcosa che è sempre uguale a sé, sempre unico e medesimo; e lo X assolutamente posto si può esprimere anche così: io = io; io sono io. 5. Mediante questa operazione siamo già pervenuti, senza badarvi, alla proposizione: io sono (certo, in quanto espressione non di un’azione-in-atto, bensì di un fatto). Infatti X è posto in assoluto: questo è fatto8 della coscienza empirica. Ebbene, X è uguale alla proposizione: io sono io, per cui anche questa è posta in assoluto. Tuttavia la proposizione: io sono io ha un significato totalmente diverso rispetto alla proposizione A è A. – Quest’ultima possiede, infatti, un contenuto esclusivamente a una certa condizione. Se A è posto, allora è posto certamente come A, col predicato A. Tramite quella proposizione non è però ancora stabilito se in generale A sia posto, di conseguenza se sia posto con un qualche predicato. In compenso la proposizione: io sono io
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unbedingt, und schlechthin, denn er ist gleich dem Satze X; er gilt nicht nur der Form, er gilt auch seinem Gehalte nach. In ihm ist das Ich, nicht unter Bedingung, sondern schlechthin, mit dem Prädikate der Gleichheit mit sich selbst gesetzt; es ist also gesetzt; und der Satz läßt sich auch ausdrücken; Ich bin. Dieser Satz: Ich bin, ist bis jetzt nur auf eine Tatsache gegründet, und hat keine andre Gültigkeit, als die einer Tatsache. Soll der Satz: A = A (oder bestimmter, dasjenige was in ihm schlechthin gesetzt ist = X) gewiß sein, so muß auch der Satz: Ich bin, gewiß sein. Nun ist es Tatsache des empirischen Bewußtseins, daß wir genötigt sind, X für schlechthin gewiß zu halten; mithin auch den Satz: Ich bin – auf welchen X sich gründet. Es ist demnach Erklärungsgrund aller Tatsachen des empirischen Bewußtseins, daß vor allem Setzen im Ich vorher das Ich selbst gesetzt sei. – (Aller Tatsachen, sage ich: und das hängt vom Beweise des Satzes ab, daß X die höchste Tatsache des empirischen Bewußtseins sei, die allen zum Grunde liege, und in allen enthalten sei: welcher wohl ohne allen Beweis zugegeben werden dürfte, ohnerachtet die ganze Wissenschaftslehre sich damit beschäftiget, ihn zu erweisen). 6. Wir gehen auf den Punkt zurück; von welchem wir ausgingen. a) Durch den Satz A = A wird geurteilt. Alles Urteilen aber ist laut des empirischen Bewußtseins ein Handeln des menschlichen Geistes; denn es hat alle Bedingungen der Handlung im empirischen Selbstbewußtsein, welche zum Behuf der Reflexion, als bekannt und ausgemacht, vorausgesetzt werden müssen. b) Diesem Handeln nun liegt etwas auf nichts Höheres Gegründetes, nämlich X = Ich bin, zum Grunde. c) Demnach ist das schlechthin Gesetzte, und auf sich selbst Gegründete – Grund eines gewissen (durch die
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vale invece incondizionatamente e in tutto e per tutto, essendo uguale alla proposizione X9; essa vale non soltanto quanto alla forma ma altresì quanto al suo contenuto. In tale proposizione l’io è posto col predicato dell’uguaglianza con se stesso, non condizionatamente bensì in assoluto; perciò esso è posto e la proposizione si può anche esprimere ‹così›: io sono. Questa proposizione, io sono, è fondata sinora soltanto su un fatto e non ha alcun’altra validità eccetto quella di un fatto. Se la proposizione: A = A (o, più precisamente, ciò che in essa è assolutamente posto = X) dev’essere certa, parimenti dev’esserlo anche la proposizione: io sono. È un fatto della coscienza empirica il nostro essere necessitati a ritenere X in tutto e per tutto certo, e di conseguenza anche la proposizione io sono – sulla quale X si fonda. Il fatto che, prima di ogni porre nell’io, l’io stesso sia posto, è perciò il principio esplicativo di tutti i fatti della coscienza empirica. – (Di tutti i fatti, dico: ciò dipende dalla dimostrazione della proposizione secondo cui X è il fatto supremo della coscienza empirica, che sta a fondamento di tutti ‹gli altri› e in tutti è contenuto; proposizione che potrebbe essere concessa senza prova alcuna, sebbene l’intera dottrina della scienza si occupi di dimostrarla). 6. Torniamo al punto dal quale prendemmo le mosse. a) La proposizione: A = A formula un giudizio. Tuttavia, secondo la coscienza empirica, ogni giudicare è un agire dello spirito umano: esso ha, infatti, tutte le condizioni dell’azione nell’autocoscienza empirica, le quali, in ordine alla riflessione, devono essere presupposte come note e stabilite. b) Ora, a fondamento di questo agire sta qualcosa, vale a dire X = io sono, che non è fondato su alcunché di più alto. c) Pertanto l’assolutamente posto e fondato su se stesso è – fondamento di un certo agire dello spirito umano
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ganze Wissenschaftslehre wird sich ergeben, alles) Handelns des menschlichen Geistes, mithin sein reiner Charakter; der reine Charakter [259] der Tätigkeit an sich: abgesehen von den besondern empirischen Bedingungen derselben. Also das Setzen des Ich durch sich selbst ist die reine Tätigkeit desselben. – Das Ich setzt sich selbst, und es ist, vermöge dieses bloßen Setzens durch sich selbst; und umgekehrt: Das Ich ist, und es setzt sein Sein, vermöge seines bloßen Seins. – Es ist zugleich das Handelnde, und das Produkt der Handlung; das Tätige, und das, was durch die Tätigkeit hervorgebracht wird; Handlung, und Tat sind Eins und ebendasselbe; und daher ist das: Ich bin, Ausdruck einer Tathandlung; aber auch der einzigen möglichen, wie sich aus der ganzen Wissenschaftslehre ergeben muß. 7. Wir betrachten jetzt noch einmal den Satz: Ich bin Ich. a) Das Ich ist schlechthin gesetzt. Man nehme an, daß das im obigen Satze in der Stelle des formalen Subjekts* stehende Ich das schlechthin gesetzte; das in der Stelle des Prädikats aber das seiende bedeute; so wird durch das schlechthin gültige Urteil, daß beide völlig Eins seien, ausgesagt, oder schlechthin gesetzt: das Ich sei, weil es sich gesetzt habe. [259] * So ist es auch allerdings der logischen Form jedes Satzes nach. In dem Satze: A = A ist das erste A dasjenige, welches im Ich, entweder schlechthin, wie das Ich selbst, oder aus irgendeinem Grunde, wie jedes bestimmte Nicht-Ich gesetzt wird. In diesem Geschäfte verhält sich das Ich als absolutes Subjekt; und man nennt daher das erste A das Subjekt. Durch das zweite A wird dasjenige bezeichnet, welches das sich selbst zum Objekte der Reflexion machende Ich, als in sich gesetzt, vorfindet, weil es dasselbe erst in sich gesetzt hat. Das urteilende Ich prädiziert etwas, nicht eigentlich von A, sondern von sich selbst, daß es nämlich in sich ein A vorfinde: und daher heißt das zweite A das Prädikat. – So bezeichnet im Satze: A = B A das, was jetzt gesetzt wird; B dasjenige, was als gesetzt, schon angetroffen wird. – Ist drückt den Übergang des Ich vom Setzen zur Reflexion über das gesetzte aus.
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(di ogni agire, come risulterà dalla dottrina della scienza), dunque il suo puro carattere, il puro carattere dell’attività in sé, prescindendo dalle sue particolari condizioni empiriche. In tal modo, pura attività dell’io è il suo porre da se stesso. – L’io pone se stesso ed è in forza di questo puro e semplice porsi da se stesso, e viceversa: l’io è e pone il suo essere in forza del suo puro e semplice essere. – Esso è nel contempo l’agente e il prodotto dell’azione, ciò che è attivo e ciò che è prodotto dall’attività; azione e atto sono un’unica e medesima cosa; e perciò l’io sono è espressione di un’azione-in-atto: ma anche dell’unica possibile azione-in-atto, come deve risultare dall’intera dottrina della scienza. 7. Adesso consideriamo ancora una volta la proposizione: io sono io. a) L’io è posto in assoluto. Si assuma che l’io, il quale, nella proposizione precedente, occupa il posto del soggetto formale* significhi l’io posto in assoluto e che quello che sta al posto del predicato significhi invece l’io che è; allora, il giudizio valido in assoluto, secondo il quale entrambi i termini sono totalmente uno solo, enuncia ovvero pone assolutamente: l’io è perché si è posto.
* A dire il vero, così è anche secondo la forma logica di ogni proposizione. Nell’enunciato A = A il primo A è quello che viene posto nell’io, o in assoluto, come l’io stesso, oppure sulla base di un motivo qualunque, come ogni non-io determinato. In questa operazione l’io si comporta quale soggetto assoluto: e perciò il primo A è chiamato il soggetto. Ciò che l’io, il quale rende se stesso oggetto della riflessione, trova come posto in sé perché ve l’ha posto in un primo tempo, è designato dal secondo A. L’io giudicante predica qualcosa, non propriamente di A ma di se stesso, che cioè trova in se un A: e perciò il secondo A è chiamato il predicato. – In tal senso, nell’enunciato A = B, A indica ciò che è posto adesso; B ciò che noi troviamo come già posto. È esprime il passaggio dell’io dal porre alla riflessione su ciò che è posto.
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b) Das Ich in der erstern, und das in der zweiten Bedeutung sollen sich schlechthin gleich sein. Man kann demnach den obigen Satz auch umkehren, und sagen: das Ich setzt sich selbst, schlechthin weil es ist. Es setzt sich durch sein bloßes Sein, und ist durch sein bloßes Gesetztsein. Und dies macht es denn völlig klar, in welchem Sinne wir hier das Wort Ich brauchen, und führt uns auf eine bestimmte Erklärung des Ich, als absoluten Subjekts. Dasjenige dessen Sein (Wesen) bloß darin besteht, daß es sich selbst als seiend, setzt, ist das Ich, als absolutes Subjekt. So wie es sich setzt, ist es; und [260] so wie es ist, setzt es sich; und das Ich ist demnach für das Ich schlechthin, und notwendig. Was für sich selbst nicht ist, ist kein Ich. (Zur Erläuterung! Man hört wohl die Frage aufwerfen; was war ich wohl, ehe ich zum Selbstbewußtsein kam? Die natürliche Antwort darauf ist: ich war gar nicht; denn ich war nicht Ich. Das Ich ist nur insofern; inwiefern es sich seiner bewußt ist. – Die Möglichkeit jener Frage gründet sich auf eine Verwirrung zwischen dem Ich als Subjekt; und dem Ich als Objekt der Reflexion des absoluten Subjekts, und ist an sich völlig unstatthaft. Das Ich stellt sich selbst vor, nimmt insofern sich selbst in die Form der Vorstellung auf, und ist erst nun Etwas, ein Objekt; das Bewußtsein bekommt in dieser Form ein Substrat, welches ist, auch ohne wirkliches Bewußtsein, und noch dazu körperlich gedacht wird. Man denkt sich einen solchen Zustand, und fragt: Was war damals das Ich; d. h. was ist das Substrat des Bewußtseins. Aber auch dann denkt man unvermerkt das absolute Subjekt, als jenes Substrat anschauend, mit hinzu; man denkt also unvermerkt gerade dasjenige hinzu, wovon man abstrahiert zu haben vorgab; und widerspricht sich selbst. Man kann gar nichts denken, ohne sein Ich, als sich seiner selbst bewußt, mit hinzu zu denken; man kann von seinem Selbstbewußtsein nie abstrahieren: mithin sind alle Fragen von der obigen
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b) L’io nel primo e quello nel secondo significato devono essere in tutto e per tutto identici. Si può pertanto anche invertire la proposizione precedente e affermare: l’io pone se stesso assolutamente perché è. Esso si pone mediante il suo semplice essere ed è mediante il suo semplice esser-posto. Ciò chiarisce perfettamente in quale senso qui utilizziamo il termine io e ci conduce a spiegare in modo definito l’io quale soggetto assoluto. Ciò il cui essere (essenza) consiste semplicemente nel fatto di porre se stesso come esistente è l’io quale soggetto assoluto. Così come si pone, è; e così come è, si pone; e pertanto l’io è assolutamente e necessariamente per l’io. Ciò che non è per se stesso, non è un io. (Delucidiamo! Si sente, certo, sollevare la questione: che cos’ero io, prima di pervenire all’autocoscienza? La naturale risposta a ciò è: io non ero affatto, perché non ero io. L’io è soltanto in quanto e nel senso in cui è cosciente di sé. – La possibilità di quella domanda si fonda su una confusione fra l’io in quanto soggetto e l’io in quanto oggetto della riflessione del soggetto assoluto ed è in sé completamente inammissibile. L’io rappresenta se stesso, assumendo se stesso nella forma della rappresentazione, e soltanto a questo punto è qualcosa, un oggetto; la coscienza riceve in questa forma un sostrato che è anche senza effettiva coscienza e che per giunta viene pensato in forma corporea. Si pensa un tale stato e si domanda: che cos’era allora l’io, vale a dire, che cos’è il sostrato della coscienza? Ma in tal caso, senza badarci, ci si sta pure figurando mentalmente il soggetto assoluto come intuente quel sostrato; si sta perciò inavvertitamente pensando in aggiunta proprio quello da cui si aveva dato a intendere di fare astrazione e ci si contraddice. Infatti, non si può affatto pensare qualcosa senza in aggiunta pensare il proprio io in quanto consapevole di se stesso; non si può mai fare astrazione dalla propria
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Art nicht zu beantworten, denn sie sind, wenn man sich selbst wohl versteht, nicht aufzuwerfen). 8. Ist das Ich nur insofern es sich setzt, so ist es auch nur für das setzende, und setzt nur für das seiende. – Das Ich ist für das Ich – setzt es aber sich selbst, schlechthin, so wie es ist, so setzt sich notwendig, und ist notwendig für das Ich. Ich bin nur für Mich; aber für Mich bin ich notwendig (indem ich sage für Mich, setze ich schon mein Sein). 9. Sich selbst setzen, und Sein, sind, vom Ich gebraucht, völlig gleich. Der Satz: Ich bin, weil ich mich selbst gesetzt habe, kann demnach auch so ausgedrückt werden: Ich bin schlechthin, weil ich bin. Ferner, das sich setzende Ich, und das seiende Ich sind völlig gleich, Ein und ebendasselbe. Das Ich ist dasjenige, als was es sich setzt; und es setzt sich als dasjenige, was es ist. Also: Ich bin schlechthin, was ich bin. 10. Der unmittelbare Ausdruck der jetzt entwickelten Tathandlung wäre folgende Formel: Ich bin schlechthin, d.i. ich bin schlechthin, weil ich bin; und bin schlechthin, was ich bin; beides für das Ich. [261] Denkt man sich die Erzählung von dieser Tathandlung an die Spitze einer Wissenschaftslehre, so müßte sie etwa folgendermaßen ausgedrückt werden: Das Ich setzt ursprünglich schlechthin sein eignes Sein. __________ Wir sind von dem Satze A = A ausgegangen; nicht, als ob der Satz: Ich bin, sich aus ihm erweisen ließe, sondern weil wir von irgendeinem, im empirischen Bewußtsein gegebnen gewissen, ausgehen mußten. Aber selbst in unsrer Erörterung hat sich ergeben, daß nicht der Satz: A
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autocoscienza: ne consegue che non bisogna rispondere a tutte le questioni del genere ‹di quella› precedente, perché, se ben si comprende se stessi, non possono nemmeno essere sollevate). 8. L’io, essendo solamente in quanto si pone, è altresì soltanto per l’io che pone e pone unicamente per l’io che è. – L’io è per l’io – tuttavia se pone se stesso assolutamente, così com’è, allora si pone necessariamente ed è necessariamente per l’io. Io sono soltanto per me: ma per me sono necessariamente (dicendo per me, pongo già il mio essere). 9. Porre se stessi ed essere, applicati all’io, sono totalmente identici. La proposizione: io sono perché ho posto me stesso, può pertanto essere espressa anche così: io sono in assoluto perché io sono. Inoltre, l’io che si pone e l’io che è sono del tutto uguali, una sola e medesima cosa. L’io è ciò tale quale si pone e si pone come quello che è. Dunque: io sono in assoluto ciò che sono. 10. L’espressione immediata dell’azione-in-atto appena esplicitata si formulerebbe nel modo seguente: io sono in assoluto, vale a dire io sono assolutamente perché sono e sono in assoluto ciò che sono: e l’una e l’altra cosa per l’io. Pensando alla enarrazione di quest’azione-in-atto al vertice di una dottrina della scienza, la si dovrebbe esprimere, diciamo, come segue: l’io pone originariamente in modo assoluto il suo proprio essere10. __________ Abbiamo mosso dalla proposizione: A = A, non come se la proposizione: io sono potesse risultarne dimostrata, bensì perché dovevamo partire da una qualche proposizione, certa, data nella coscienza empirica. Tuttavia persino nella nostra discussione è risultato che non è la pro-
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= A den Satz Ich bin, sondern daß vielmehr der letztere den erstern begründe. Wird im Satze Ich bin von dem bestimmten Gehalte, dem Ich, abstrahiert, und die bloße Form, welche mit jenem Gehalte gegeben ist, die Form der Folgerung vom Gesetztsein auf das Sein, übrig gelassen; wie es zum Behuf der Logik (S. Begriff d. W.L. §. 6.) geschehen muß; so erhält man als Grundsatz der Logik den Satz A = A, der nur durch die Wissenschaftslehre erwiesen und bestimmt werden kann. Erwiesen: A ist A, weil das Ich, welches A gesetzt hat, gleich ist demjenigen, in welchem es gesetzt ist; bestimmt: alles was ist, ist nur insofern, als es im Ich gesetzt ist, und außer dem Ich ist nichts. Kein mögliches A im obigen Satze (kein Ding) kann etwas anders sein, als ein im Ich gesetztes. Abstrahiert man ferner von allem Urteilen, als bestimmtem Handeln, und sieht bloß auf die durch jene Form gegebne Handlungsart des menschlichen Geistes überhaupt, so hat man die Kategorie der Realität. Alles, worauf der Satz A = A anwendbar ist, hat, inwiefern derselbe darauf anwendbar ist, Realität. Dasjenige, was durch das bloße Setzen irgendeines Dinges (eines im Ich gesetzten) gesetzt ist, ist in ihm Realität, ist sein Wesen. (Der Maimonsche Skeptizismus gründet sich zuletzt auf die Frage über unsre Befugnis zur Anwendung der Kategorie der Realität. Diese Befugnis läßt sich [262] aus keiner andern ableiten, sondern wir sind dazu schlechthin befugt. Vielmehr müssen aus ihr alle möglichen übrigen abgeleitet werden; und selbst der Maimonsche Skeptizismus setzt sie unvermerkt voraus, indem er die Richtigkeit der allgemeinen Logik anerkennt. – Aber es läßt sich etwas aufzeigen, wovon jede Kategorie selbst abgeleitet ist: das Ich, als absolutes Subjekt. Für alles mögliche übrige, worauf sie angewendet werden soll, muß gezeigt werden, daß aus dem Ich Realität darauf übertragen werde: – daß es sein müsse, wofern das Ich sei). ____________
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posizione: A = A a fondare la proposizione: io sono, ma che piuttosto è l’ultima a fondare la prima. Se nella proposizione: io sono si astrae dal contenuto determinato, dall’io, e si lascia, come deve accadere per la logica (cfr. Il concetto di dottrina della scienza, § 6)11, la semplice forma che è data con quel contenuto, la forma dell’inferenza dall’esser-posto all’essere, allora si ottiene come principio fondamentale della logica la proposizione: A = A, che può essere dimostrata e determinata soltanto dalla dottrina della scienza. Dimostrata: A è A perché l’io, che ha posto A, è uguale a quello in cui è posto; determinata: tutto ciò che è, è soltanto in quanto è posto nell’io e al di fuori dell’io non è alcunché. Nella proposizione precedente non v’è A possibile (nessuna cosa) che possa essere altro da un A posto nell’io. Se inoltre si fa astrazione da ogni giudicare, in quanto agire determinato, e si guarda semplicemente al modo di quest’azione dello spirito umano in generale, dato attraverso quella forma, allora si ha la categoria della realtà. Tutto ciò cui è applicabile la proposizione: A = A, possiede, in quanto essa stessa gli è applicabile, realtà. Ciò che è posto tramite la semplice posizione di una cosa qualsiasi (di una cosa posta nell’io) è in essa una realtà, è la sua essenza. (Lo scetticismo di Maimon12 si fonda infine sulla questione inerente il nostro diritto ad applicare la categoria di realtà. Questo diritto non è deducibile da alcun altro, ma noi ne siamo dotati assolutamente. Piuttosto, da esso devono essere dedotti tutti i restanti diritti possibili; persino lo scetticismo di Maimon lo presuppone inavvertitamente, perché riconosce la correttezza della logica generale. – Tuttavia si può indicare ciò da cui ogni categoria è dedotta: l’io in quanto soggetto assoluto. Per tutte le restanti cose possibili a cui questa categoria è applicabile dev’essere mostrato che è movendo dall’io che la realtà è a loro trasferita – ‹si deve mostrare› che devono essere ove l’io è). ____________
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Auf unsern Satz, als absoluten Grundsatz alles Wissens hat gedeutet Kant in seiner Deduktion der Kategorien; er hat ihn aber nie als Grundsatz bestimmt aufgestellt. Vor ihm hat Cartes einen ähnlichen angegeben: cogito, ergo sum, welches nicht eben der Untersatz, und die Schlußfolge eines Syllogism sein muß, dessen Obersatz hieße: quodcunque cogitat, est: sondern welches er auch sehr wohl als unmittelbare Tatsache des Bewußtseins betrachtet haben kann. Dann hieße es soviel, als cogitans sum, ergo sum (wie wir sagen würden, sum, ergo sum). Aber dann ist der Zusatz cogitans völlig überflüssig; man denkt nicht notwendig, wenn man ist, aber man ist notwendig, wenn man denkt. Das Denken ist gar nicht das Wesen, sondern nur eine besondre Bestimmung des Seins; und es gibt außer jener noch manche andere Bestimmungen unsers Seins. – Reinhold stellt den Satz der Vorstellung auf, und in der Cartesischen Form würde sein Grundsatz heißen: repraesento, ergo sum, oder richtiger repraesentans sum, ergo sum. Er geht um ein beträchtliches weiter, als Cartes; aber, wenn er nur die Wissenschaft selbst, und nicht etwa bloß die Propädeutik derselben aufstellen will, nicht weit genug; denn auch das Vorstellen ist nicht das Wesen des Seins, sondern eine besondre Bestimmung desselben; und es gibt außer dieser noch [263] andere Bestimmungen unsers Seins, ob sie gleich durch das Medium der Vorstellung hindurch gehen müssen, um zum empirischen Bewußtsein zu gelangen. Über unsern Satz, in dem angezeigten Sinne, hinausgegangen ist Spinoza. Er leugnet nicht die Einheit des empirischen Bewußtseins, aber er leugnet gänzlich das reine Bewußtsein. Nach ihm verhält sich die ganze Reihe der Vorstellungen eines empirischen Subjekts zum einzigen reinen Subjekte, wie eine Vorstellung zur Reihe. Ihm ist das Ich (dasjenige, was Er sein Ich nennt, oder ich mein Ich nenne) nicht schlechthin, weil es ist; sondern weil
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Nella sua deduzione delle categorie, Kant ha indicato la nostra proposizione quale principio fondamentale di tutto il sapere13, eppure non l’ha mai formulata in modo determinato in quanto principio fondamentale. Prima di lui Descartes ne ha proposta una simile: cogito, ergo sum14, che per la precisione non deve essere ‹divisa in› premessa minore e conclusione di un sillogismo la cui premessa maggiore suoni: quodcunque cogitat, est, ma che egli può benissimo aver considerata un fatto immediato della coscienza. E in tal senso equivale a: cogitans sum, ergo sum (come diremmo noi: sum, ergo sum). Però allora l’aggiunta: cogitans è del tutto oziosa; non necessariamente si pensa se si è, ma necessariamente si è, se si pensa. Il pensiero non è affatto l’essenza, bensì soltanto una determinazione particolare dell’essere e oltre a quella vi sono ancora parecchie altre determinazioni del nostro essere. – Reinhold enuncia il principio di rappresentazione15 e nella forma cartesiana il suo principio fondamentale suonerebbe: repraesento, ergo sum, o più correttamente: repraesentans sum, ergo sum. Egli avanza molto più in là di Descartes, tuttavia non abbastanza se intende formulare unicamente la scienza stessa e non formularne puramente, diciamo, la propedeutica; anche il rappresentare non è, infatti, l’essenza dell’essere ma una sua particolare determinazione e vi sono ancora altre determinazioni del nostro essere oltre a questa, sebbene esse debbano passare allo stesso modo per il medio della rappresentazione al fine di giungere alla coscienza empirica. Oltre la nostra proposizione, ‹colta› nel senso indicato16, si è spinto Spinoza. Egli nega non l’unità della coscienza empirica, bensì interamente la pura coscienza. A suo avviso, tutta la serie delle rappresentazioni di un soggetto empirico si rapporta all’unico soggetto puro come una rappresentazione alla serie ‹stessa›. L’io (ciò che lui chiama il suo io, oppure io chiamo il mio io) per
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etwas anderes ist. – Das Ich ist nach ihm zwar für das Ich – Ich, aber er fragt, was es für etwas außer dem Ich sein würde. Ein solches ”außer dem Ich“ wäre gleichfalls ein Ich, von welchem das gesetzte Ich (z. B. mein Ich) und alle mögliche setzbare Ich Modifikationen wären. Er trennt das reine, und das empirische Bewußtsein. Das erstere setzt er in Gott, der seiner sich nie bewußt wird, da das reine Bewußtsein nie zum Bewußtsein gelangt; das letzte in die besondern Modifikationen der Gottheit. So aufgestellt ist sein System völlig konsequent, und unwiderlegbar, weil er in einem Felde sich befindet, auf welches die Vernunft ihm nicht weiter folgen kann; aber es ist grundlos; denn was berechtigte ihn denn über das im empirischen Bewußtsein gegebne reine Bewußtsein hinaus zu gehen? – Was ihn auf sein System trieb, läßt sich wohl aufzeigen: nämlich das notwendige Streben, die höchste Einheit in der menschlichen Erkenntnis hervorzubringen. Diese Einheit ist in seinem System; und der Fehler ist bloß darin, daß er aus theoretischen Vernunftgründen zu schließen glaubte, wo er doch bloß durch ein praktisches Bedürfnis getrieben wurde: daß er etwas wirklich Gegebnes aufzustellen glaubte, da er doch bloß ein vorgestecktes, aber nie zu erreichendes Ideal aufstellte. [264] Seine höchste Einheit, werden wir in der Wissenschaftslehre wieder finden; aber nicht als etwas, das ist, sondern als etwas, das durch uns hervorgebracht werden soll, aber nicht kann. – Ich bemerke noch, daß man, wenn man das Ich bin überschreitet, notwendig auf den Spinozismus kommen muß! (daß das Leibnizische System, in seiner Vollendung gedacht, nichts anders sei, als Spinozismus, zeigt in einer sehr lesenswerten Abhandlung: Über die Progressen der Philosophie usw. Salomo Maimon) und daß es nur zwei völlig konsequente Systeme gibt; das Kritische, welches diese Grenze anerkennt, und das Spinozische, welches sie überspringt.
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lui non è assolutamente perché è, ma perché qualcosa d’altro è. – L’io, a suo giudizio, è certamente io per l’io – egli tuttavia pone in questione che cosa potrebbe essere l’io per qualcosa esterno all’io. Un tale “esterno all’io” sarebbe del pari un io, di cui l’io posto (il mio io, per esempio) e tutti gli io che è possibile porre sarebbero modificazioni. Egli separa la coscienza pura e quella empirica. Pone la prima in Dio, il quale non è mai cosciente di se stesso perché la pura coscienza non giunge mai a coscienza, e la seconda nelle modificazioni particolari della divinità. Così impostato, il suo sistema è del tutto coerente e inconfutabile, poiché egli si trova in un ambito nel quale la ragione non lo può seguire ad oltranza: questo sistema è tuttavia privo di fondamento; che cosa lo autorizzava, infatti, ad andare oltre la coscienza pura, data nella coscienza empirica? – Si può ben mostrare ciò che l’ha spinto al suo sistema: lo sforzo necessario a produrre l’unità somma nella conoscenza umana. Quest’unità è ‹presente› nel suo sistema e l’errore sta semplicemente nel fatto che egli credeva di concludere in base a ragioni teoriche laddove era spinto puramente da un bisogno pratico; che credeva di formulare qualcosa di effettivamente dato mentre enunciava semplicemente un ideale proposto e pure mai raggiungibile. Nella dottrina della scienza troveremo nuovamente la sua suprema unità, però non come qualcosa che è, bensì come qualcosa che deve essere prodotto da noi e tuttavia senza poterlo essere. – Osservo ancora che, se si oltrepassa l’io sono, si deve necessariamente pervenire allo spinozismo, (nella sua molto istruttiva dissertazione Sui progressi della filosofia ecc., Salomon Maimon ha mostrato che il sistema leibniziano, pensato nella sua ultimità, altro non sia se non spinozismo) e che ci sono soltanto due sistemi pienamente coerenti: il criticismo, che riconosce questo limite, e lo spinozismo, che lo oltrepassa.
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§. 2. Zweiter, seinem Gehalte nach bedingter Grundsatz. Aus dem gleichen Grunde, aus welchem der erste Grundsatz nicht bewiesen, noch abgeleitet werden konnte, kann es auch der zweite nicht. Wir gehen daher auch hier, gerade wie oben, von einer Tatsache des empirischen Bewußtseins aus, und verfahren mit derselben aus der gleichen Befugnis auf die gleiche Art. 1) Der Satz: -A nicht = A, wird ohne Zweifel von jedem für völlig gewiß und ausgemacht anerkannt, und es ist kaum zu erwarten, daß jemand den Beweis desselben fordre. 2) Sollte aber dennoch ein solcher Beweis möglich sein, so könnte er in unserm Systeme (dessen Richtigkeit an sich freilich noch immer bis zur Vollendung der Wissenschaft problematisch ist) nicht anders, als aus dem Satze: A = A, geführt werden. 3) Ein solcher Beweis aber ist unmöglich. Denn setzet das Äußerste, daß nämlich der aufgestellte Satz dem Satze: -A = -A, mithin -A irgendeinem im Ich gesetzten Y völlig gleich sei, und er nun soviel heiße, als: wenn das Gegenteil von A gesetzt ist, so ist es gesetzt: so wäre hier der gleiche Zusammenhang (= X) schlechthin gesetzt, wie oben; und es wäre gar kein vom Satze A = A abgeleite-[265]ter, und durch ihn bewiesner Satz, sondern es wäre dieser Satz selbst... Und so steht denn auch wirklich die Form dieses Satzes, insofern er bloßer logischer Satz ist, unter der höchsten Form, der Förmlichkeit überhaupt, der Einheit des Bewußtseins. 4) Es bleibt gänzlich unberührt die Frage: Ist denn, und unter welcher Bedingung der Form der bloßen Handlung ist denn das Gegenteil von A gesetzt. Diese Bedingung ist es, die sich vom Satze A = A müßte ableiten lassen, wenn der oben aufgestellte Satz selbst ein abgelei-
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§ 2. Secondo principio fondamentale, condizionato secondo il contenuto Il secondo principio non può essere dimostrato né dedotto, per l’identico motivo per cui non poteva esserlo il primo. Anche qui, proprio come sopra, muoviamo pertanto da un fatto della coscienza empirica, comportandoci con questo, con pari diritto, allo stesso modo. 1) La proposizione: -A non è = A è fuor di dubbio riconosciuta da ognuno pienamente certa e sicura e non c’è proprio da aspettarsi che qualcuno ne richieda la dimostrazione. 2) Se però una tale dimostrazione dovesse essere possibile, allora nel nostro sistema (la cui correttezza in sé certamente rimane sempre problematica fino al compimento della scienza) potrebbe essere condotta unicamente sulla base della proposizione: A = A. 3) Una tale dimostrazione è tuttavia impossibile. Poniamo infatti il caso estremo, cioè che proprio la proposizione enunciata sia totalmente identica alla proposizione: -A = -A, che -A di conseguenza sia totalmente identico a un certo Y posto nell’io e che perciò la proposizione equivalga a: se il contrario di A è posto, allora esso è posto: in tal caso l’identica connessione (= X) sarebbe qui posta assolutamente come sopra, e, non si tratterebbe affatto di una proposizione dedotta dalla proposizione A = A e da questa dimostrata, bensì si tratterebbe ancora ‹soltanto› di questa medesima proposizione… E così invero anche la forma di tale proposizione, in quanto mera proposizione logica, sottostà effettivamente alla forma più alta, la formalità in generale, l’unità della coscienza. 4) Rimane del tutto impregiudicata la questione: c’è, dunque, il contrario di A, e a quale condizione della forma della mera azione è posto? Se la proposizione sopra formulata dovesse essere essa stessa dedotta, è tale
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teter sein sollte. Aber eine dergleichen Bedingung kann sich aus ihm gar nicht ergeben, da die Form des Gegensetzens in der Form des Setzens so wenig enthalten wird, daß sie ihr vielmehr selbst entgegengesetzt ist. Es wird demnach ohne alle Bedingung, und schlechthin entgegengesetzt. -A ist als solches, gesetzt, schlechthin, weil es gesetzt ist. Demnach kommt unter den Handlungen des Ich, so gewiß der Satz -A nicht = A, unter den Tatsachen des empirischen Bewußtseins vorkommt, ein Entgegensetzen vor; und dieses Entgegensetzen ist seiner bloßen Form nach eine schlechthin mögliche, unter gar keiner Bedingung stehende, und durch keinen höheren Grund begründete Handlung. (Die logische Form des Satzes als Satzes steht, (wenn der Satz aufgestellt wird -A = -A) unter der Bedingung der Identität des Subjekts, und des Prädikats (d. i. des vorstellenden, und des als vorstellend vorgestellten Ich; S. 259 d. Anmerk.). Aber selbst die Möglichkeit des Gegensetzens an sich setzt die Identität des Bewußtseins voraus; und der Gang des in dieser Funktion handelnden Ich ist eigentlich folgender: A (das schlechthin gesetzte) = A, (dem, worüber reflektiert wird). Diesem A als Objekte der Reflexion, wird durch eine absolute Handlung entgegengesetzt -A, und von diesem wird geurteilt, daß es auch dem schlechthin gesetzten A entgegengesetzt sei, weil das erstere dem letzteren gleich ist; welche Gleichheit sich (§. 1) auf die Identität des setzenden, und des reflektierenden Ich gründet. – Ferner wird vorausgesetzt, daß das in beiden Handlungen handelnde, und über beide urteilende Ich das gleiche sei. Könnte dieses selbst in beiden Handlungen sich entgegengesetzt sein, so würde -A sein = A. Mithin ist auch der Übergang vom Setzen zum Entgegensetzen nur durch die Identität des Ich möglich). 5) Durch diese absolute Handlung nun, und schlechthin durch sie, wird das Entgegengesetzte, insofern es ein
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condizione che si sarebbe dovuta poter dedurre dalla proposizione: A = A. Tuttavia una simile condizione non può affatto risultare da quella proposizione, perché la forma dell’opporre è così poco contenuta nella forma del porre che anzi le è addirittura contrapposta. Pertanto è contrapposta senza condizione alcuna, in tutto e per tutto. -A è posto, in quanto tale, assolutamente, perché è posto. Di conseguenza, tra le azioni dell’io figura un contrapporre quanto la proposizione: -A non = A tanto certamente figura tra i fatti della coscienza empirica; e questo contrapporre, riguardo alla sua mera forma, è un’azione assolutamente possibile, non sottoposta a condizione alcuna e non basata su un più elevato fondamento. (La forma logica della proposizione in quanto proposizione [se si stabilisce la proposizione: -A = -A] è sottoposta alla condizione dell’identità del soggetto e del predicato [vale a dire dell’io che rappresenta e dell’io rappresentato come ciò che rappresenta; cfr. nota a p. 149]. Tuttavia anche la possibilità dell’opporre in sé presuppone l’identità della coscienza, e il percorso dell’io agente in tale funzione è in verità questo: A (il termine assolutamente posto) = A (ciò su cui si riflette); a questo A, in quanto oggetto della riflessione, è contrapposto -A da un’azione assoluta e viene formulato il giudizio che -A è contrapposto altresì all’A assolutamente posto, perché il primo A è identico all’ultimo. Questa identità si fonda sull’identità dell’io che pone e dell’io che riflette (§ 1). – È presupposto inoltre che l’io agente in entrambe le azioni e che le giudica entrambe sia l’identico io. Se questo potesse essere contrapposto a se stesso in ambedue le azioni, allora -A sarebbe = A. Ne deriva che anche il passaggio dal porre al contrapporre è possibile soltanto mediante l’identità dell’io). 5) Ora, il contrapposto, in quanto è un contrapposto (come semplice contrario in generale), è posto da que-
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Entgegengesetztes ist (als bloßes Gegenteil über[266]haupt) gesetzt. Jedes Gegenteil, insofern es das ist, ist schlechthin, kraft einer Handlung des Ich, und aus keinem andern Grunde. Das Entgegengesetztsein überhaupt ist schlechthin durch das Ich gesetzt. 6) Soll irgendein -A gesetzt werden, so muß ein A gesetzt sein. Demnach ist die Handlung des Entgegensetzens in einer andern Rücksicht auch bedingt. Ob überhaupt eine Handlung möglich ist, hängt von einer andern Handlung ab; die Handlung ist demnach der Materie nach, als ein Handeln überhaupt, bedingt; es ist ein Handeln in Beziehung auf ein anderes Handeln. Daß eben so, und nicht anders gehandelt wird, ist unbedingt; die Handlung ist ihrer Form [nach], (in Absicht des Wie) unbedingt. (Das Entgegensetzen ist nur möglich unter Bedingung der Einheit des Bewußtseins des Setzenden, und des Entgegensetzenden. Hinge das Bewußtsein der ersten Handlung nicht mit dem Bewußtsein der zweiten zusammen; so wäre das zweite Setzen kein Gegensetzen, sondern ein Setzen schlechthin. Erst durch Beziehung auf ein Setzen wird es ein Gegensetzen). 7) Bis jetzt ist von der Handlung, als bloßer Handlung, von der Handlungsart geredet worden. Wir gehen über zum Produkte derselben = -A. Wir können im -A abermals zweierlei unterscheiden; die Form desselben, und die Materie. Durch die Form wird bestimmt, daß es überhaupt ein Gegenteil sei (von irgendeinem X). Ist es einem bestimmten A entgegengesetzt, so hat es Materie; es ist irgend etwas Bestimmtes nicht. 8) Die Form von -A wird bestimmt durch die Handlung schlechthin; es ist ein Gegenteil, weil es Produkt eines Gegensetzens ist: die Materie durch A; es ist nicht, was A ist; und sein ganzes Wesen besteht darin, daß es nicht ist, was A ist. – Ich weiß von -A, daß es von irgendeinem A das Gegenteil sei. Was aber dasjenige sei, oder
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st’azione assoluta e in tutto e per tutto da essa. Ogni contrario, in quanto tale, è in assoluto, in forza di un’azione dell’io e per nessun’altra ragione. L’esser-contrapposto in generale è assolutamente posto dall’io. 6) Se un qualche -A dev’essere posto, allora deve necessariamente esser posto un A. Pertanto l’azione del contrapporre è condizionata anche secondo un altro riguardo. Se in generale è possibile un’azione, ‹ciò› dipende da un’altra azione; l’azione ‹del contrapporre› è in tal senso, come un agire in generale, condizionata secondo la materia: è un agire in relazione a un altro agire. ‹Al contrario›, che si agisca proprio così, e non altrimenti, è incondizionato: l’azione è incondizionata secondo la sua forma (per quel che concerne il come). (Il contrapporre è possibile soltanto a condizione dell’unità della coscienza di ciò che pone e di ciò che contrappone. Se la coscienza della prima azione non fosse correlata alla coscienza della seconda, il secondo porre non sarebbe un contrapporre bensì in tutto e per tutto un porre. Unicamente in forza della relazione con un porre esso diviene un opporre). 7) Finora si è parlato soltanto dell’azione in quanto mera azione, della modalità dell’azione. Rivolgiamoci al suo prodotto = -A. Di nuovo, in -A possiamo distinguere due elementi: la sua forma e la materia. Che esso sia in generale un contrario (di un qualche X), è determinato dalla forma. Se A è contrapposto a un A determinato, allora ha materia, ‹eppure› esso non è un qualcosa di determinato. 8) La forma di -A è in tutto e per tutto determinata dall’azione; esso è un contrario, essendo il prodotto di un contrapporre: la materia è determinata da A; esso non è ciò che è A e la sua intera essenza consiste nel non essere ciò che è A. – Di -A so che è il contrario di un qualche A. Ma che cosa sia o non sia ciò del quale ho
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nicht sei, von welchem ich jenes weiß, kann ich nur unter der Bedingung wissen, daß ich A kenne. 9) Es ist ursprünglich nichts gesetzt, als das Ich; und dieses nur ist schlechthin gesetzt (§. 1). Demnach kann nur dem Ich schlechthin entgegengesetzt werden. Aber das dem Ich Entgegengesetzte ist = Nicht-Ich. 10) So gewiß das unbedingte Zugestehen der absoluten Gewißheit des Satzes: -A nicht = A unter den Tatsachen des empirischen Bewußtseins vorkommt: so gewiß wird dem Ich schlechthin entgegengesetzt ein Nicht-Ich. Von diesem ursprünglichen Entgegensetzen nun ist alles das, was wir soeben vom Entgegensetzen überhaupt gesagt haben, abgeleitet; und es gilt daher von ihm ursprünglich: es ist also der Form nach schlechthin unbedingt, der Materie nach aber be-[267]dingt. Und so wäre denn auch der zweite Grundsatz alles menschlichen Wissens gefunden. 11) Von allem, was dem Ich zukommt, muß kraft der bloßen Gegensetzung dem Nicht-Ich das Gegenteil zukommen. (Es ist die gewöhnliche Meinung, daß der Begriff des Nicht-Ich ein diskursiver, durch Abstraktion von allem Vorgestellten entstandner Begriff sei. Aber die Seichtigkeit dieser Erklärung läßt sich leicht dartun. So wie ich irgend etwas vorstellen soll, muß ich es dem Vorstellenden entgegensetzen. Nun kann und muß allerdings in dem Objekte der Vorstellung irgendein X liegen, wodurch es sich als ein Vorzustellendes, nicht aber als das Vorstellende entdeckt: aber daß alles, worin dieses X liege, nicht das Vorstellende, sondern ein Vorzustellendes sei, kann ich durch keinen Gegenstand lernen; vielmehr gibt es nur unter Voraussetzung jenes Gesetzes erst überhaupt einen Gegenstand). __________
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quella conoscenza, posso venirlo a sapere unicamente a condizione di conoscere A. 9) Nulla, originariamente, è posto, eccetto l’io, e questo soltanto è posto in assoluto (§ 1). Dunque, esclusivamente all’io ‹qualcosa› può essere contrapposto in assoluto. Ma ciò che è contrapposto all’io è = non-io. 10) Quanto certamente l’incondizionato riconoscimento della certezza assoluta della proposizione: -A non = A ricorre tra i fatti della coscienza empirica, altrettanto certamente all’io è in assoluto contrapposto un non-io. Tutto ciò che abbiamo appena detto del contrapporre in generale è ora dedotto da questo originario contrapporre e quindi vale per esso originariamente: è in tutto e per tutto incondizionato quanto alla forma, ma condizionato quanto alla materia. E così dunque sarebbe rintracciato anche il secondo principio fondamentale di tutto l’umano sapere. 11) In forza della mera opposizione, al non-io deve spettare il contrario di tutto ciò che spetta all’io. (Opinione comune è che il concetto di non-io sia discorsivo17, sorto per astrazione da tutte le cose rappresentate: è facile mostrare però la superficialità di tale spiegazione. Non appena devo rappresentare qualcosa, devo contrapporlo a colui che rappresenta. Ora, nell’oggetto della rappresentazione può e deve trovarsi fuor di dubbio un qualche X tramite il quale esso si svela come un che da rappresentare, non invece quale rappresentante: ma che tutto ciò in cui si trova questo X sia non il colui che rappresenta bensì un qualcosa da rappresentare non posso apprenderlo da alcun oggetto18; piuttosto, giusto vi è un oggetto in generale solamente presupponendo quella legge). __________
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Aus dem materialen Satze: Ich bin entstand durch Abstraktion von seinem Gehalte der bloß formale, und logische: A = A. Aus dem im gegenwärtigen §. aufgestellten entsteht durch die gleiche Abstraktion der logische Satz: -A nicht = A, den ich den Satz des Gegensetzens nennen würde. Er ist hier noch nicht füglich zu bestimmen, noch in einer wörtlichen Formel auszudrücken; wovon der Grund sich im folgenden §. ergeben wird. Abstrahiert man endlich von der bestimmten Handlung des Urteilens ganz, und sieht bloß auf die Form der Folgerung vom Entgegengesetztsein auf das Nicht-Sein, so hat man die Kategorie der Negation. Auch in diese ist erst im folgenden §. eine deutliche Einsicht möglich.
§. 3. Dritter, seiner Form nach bedingter Grundsatz. Mit jedem Schritte, den wir in unsrer Wissenschaft vorwärts tun, nähern wir uns dem Gebiete, in welchem sich alles erweisen läßt. Im ersten Grundsatze sollte, und konnte gar nichts erwiesen werden; er war der Form sowohl als dem Gehalte nach unbedingt, und ohne irgendeinen höhern Grund gewiß. Im zweiten ließ [268] zwar die Handlung des Entgegensetzens sich nicht ableiten; wurde aber nur sie ihrer bloßen Form nach unbedingt gesetzt, so war streng erweislich, daß das Entgegengesetzte = NichtIch sein müßte. Der dritte ist fast durchgängig eines Beweises fähig, weil er nicht, wie der zweite dem Gehalte, sondern vielmehr der Form nach, und nicht wie jener, von Einem, sondern von Zwei Sätzen bestimmt wird. Er wird der Form nach bestimmt, und ist bloß dem Gehalte nach unbedingt – heißt: die Aufgabe für die
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Astraendo dal contenuto della proposizione materiale: io sono è risultata la proposizione puramente formale e logica: A = A. Dalla proposizione enunciata nel presente § deriva, mediante la medesima astrazione, la proposizione logica: -A non = A, che chiamerei il principio dell’opporre. In questa sede non lo si può ancora determinare convenientemente, né esprimere in una formula verbale: la ragione di ciò risulterà dal prossimo §. Se infine si astrae interamente dall’azione determinata del giudicare, guardando semplicemente alla forma dell’inferenza dall’esser-contrapposto al non essere, si ha allora la categoria della negazione. Anche a tale riguardo è possibile trovare una visione perspicua soltanto nel § che segue.
§ 3. Del terzo principio fondamentale, condizionato secondo la forma Ad ogni passo innanzi che compiamo nella nostra scienza, ci approssimiamo all’ambito nel quale tutto è dimostrabile. Nessunissima cosa si doveva e si poteva dimostrare nel primo principio fondamentale: tanto secondo la forma quanto secondo il contenuto era incondizionato, e certo senza ‹bisogno di› un qualche più elevato fondamento. Nel secondo principio fondamentale l’azione del contrapporre era senza dubbio indeducibile: tuttavia, venendo posta incondizionatamente soltanto secondo la sua mera forma, allora fu possibile dimostrare rigorosamente che il termine contrapposto dovesse essere = non-io. Il terzo principio fondamentale è quasi completamente dimostrabile, essendo condizionato non rispetto al contenuto, come il secondo, bensì piuttosto quanto alla forma, e venendo determinato non, al pari di quello, da un solo principio ma da due. Esso è condizionato secondo la forma ed è incondizionato puramente secondo il contenuto – ciò significa:
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Handlung, die durch ihn aufgestellt wird, ist bestimmt durch die vorhergehenden zwei Sätze gegeben, nicht aber die Lösung derselben. Die letztere geschieht unbedingt, und schlechthin durch einen Machtspruch der Vernunft. Wir heben demnach mit einer Deduktion an, und gehen mit ihr, so weit wir können. Die Unmöglichkeit, sie fortzusetzen, wird uns ohne Zweifel zeigen, wo wir sie abzubrechen, und uns auf jenen unbedingten Machtspruch der Vernunft, der sich aus der Aufgabe ergeben wird, zu berufen haben. A) 1. Insofern das Nicht-Ich gesetzt ist, ist das Ich nicht gesetzt; denn durch das Nicht-Ich wird das Ich völlig aufgehoben. Nun ist das Nicht-Ich im Ich gesetzt: denn es ist entgegengesetzt; aber alles Entgegensetzen setzt die Identität des Ich, in welchem gesetzt, und dem Gesetzten entgegengesetzt wird, voraus. Mithin ist das Ich im Ich nicht gesetzt, insofern das Nicht-Ich darin gesetzt ist. 2. Aber das Nicht-Ich kann nur insofern gesetzt werden, inwiefern im Ich (in dem identischen Bewußtsein) ein Ich gesetzt ist, dem es entgegengesetzt werden kann. Nun soll das Nicht-Ich im identischen Bewußtsein gesetzt werden. Mithin muß in demselben, insofern das Nicht-Ich gesetzt sein soll, auch das Ich gesetzt sein. 3. Beide Schlußfolgen sind sich entgegengesetzt: beide sind aus dem zweiten Grundsatze durch eine Analyse entwickelt, und mithin liegen beide in ihm. Also ist der zweite Grundsatz sich selbst entgegengesetzt, und hebt sich selbst auf. 4. Aber er hebt sich selbst nur insofern auf, inwiefern das Gesetzte durch das Entgegengesetzte aufgehoben wird, mithin, inwiefern er selbst Gültigkeit
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tramite i due precedenti principi è determinato il compito per l’azione19, che da esso vien posto, non però la sua soluzione. Quest’ultima avviene incondizionatamente e in tutto e per tutto attraverso un ordine perentorio della ragione. Iniziamo pertanto con una deduzione20 e procediamo con essa sinché possiamo. L’impossibilità di protrarla ci mostrerà senz’ombra di dubbio dove interromperla e fare appello a quell’incondizionato ordine perentorio della ragione che risulterà dal compito. A) 1. Nella misura in cui il non-io è posto, l’io non è posto: l’io è infatti totalmente eliminato dal nonio. Ora, il non-io è posto nell’io: gli è, infatti, contrapposto, ma ogni contrapporre presuppone l’identità dell’io nel quale esso è posto e viene contrapposto a ciò che è posto. Quindi l’io non è posto nell’io, nell’io essendo posto il non-io. 2. Tuttavia il non-io può venir posto solamente nella misura in cui nell’io (nella identica coscienza) è posto un io al quale esso possa venir contrapposto. Ora, il non-io deve esser posto nella coscienza identica. Ne consegue che in questa stessa deve esser posto anche l’io, dovendo esser posto il non-io. 3. Le due conclusioni si sono contrapposte: ‹eppure› entrambe sono state conseguite analizzando il secondo principio fondamentale e dunque sono ambedue comprese in esso. In tal modo il secondo principio fondamentale è contrapposto a se stesso e si autosopprime. 4. Tuttavia esso sopprime se stesso soltanto in quanto ciò che è posto viene eliminato da ciò che è contrapposto, quindi in quanto esso stesso ha validi-
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hat. Nun soll er durch sich selbst aufgehoben sein, und keine Gültigkeit haben. [269] Mithin hebt er sich nicht auf. Der zweite Grundsatz hebt sich auf; und er hebt sich auch nicht auf. 5. Wenn es sich mit dem zweiten Grundsatze so verhält, so verhält es sich auch mit dem ersten nicht anders. Er hebt sich selbst auf, und hebt sich auch nicht auf. Denn Ist Ich = Ich, so ist alles gesetzt, was im Ich gesetzt ist. Nun soll der zweite Grundsatz im Ich gesetzt sein, und auch nicht im Ich gesetzt sein. Mithin ist Ich nicht = Ich, sondern Ich = Nicht-Ich, und Nicht-Ich = Ich. B) Alle diese Folgerungen sind von den aufgestellten Grundsätzen, nach den als gültig vorausgesetzten Reflexionsgesetzen abgeleitet; sie müssen demnach richtig sein. Sind sie aber richtig, so wird die Identität des Bewußtseins, das einige absolute Fundament unsers Wissens aufgehoben. Hierdurch nun wird unsre Aufgabe bestimmt. Es soll nämlich irgendein X gefunden werden, vermittelst dessen alle jene Folgerungen richtig sein können, ohne daß die Identität des Bewußtseins aufgehoben werde. 1. Die Gegensätze, welche vereinigt werden sollen, sind im Ich, als Bewußtsein. Demnach muß auch X im Bewußtsein sein. 2. Das Ich sowohl, als das Nicht-Ich sind beides Produkte ursprünglicher Handlungen des Ich, und das Bewußtsein selbst ist ein solches Produkt der ersten ursprünglichen Handlung des Ich, des Setzens des Ich durch sich selbst. 3. Aber, laut obiger Folgerungen, ist die Handlung, deren Produkt das Nicht-Ich ist, das Entgegensetzen, gar nicht möglich ohne X. Mithin muß X selbst ein Produkt, und zwar ein Produkt einer ursprünglichen Handlung des Ich sein. Es gibt
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tà. Ora esso deve esser eliminato per opera propria e non avere validità alcuna. Esso, conseguentemente, non si sopprime. Il secondo principio fondamentale si sopprime eppure non si sopprime. 5. Se le cose si mettono in questi termini col secondo principio fondamentale, col primo non vanno ‹certo› diversamente. Esso elimina se stesso eppure non elimina se stesso. Infatti: se io = io, allora tutto ciò che è posto nell’io è posto. Dunque, il secondo principio dev’esser posto nell’io ed altresì non esser posto nell’io. Di conseguenza l’io non è = io, ma io = non-io e nonio = io. B) Tutte queste conclusioni sono tratte dai principi fondamentali enunciati secondo le leggi della riflessione presupposte come valide, per cui devono essere corrette. Tuttavia, se sono corrette, allora è soppressa l’identità della coscienza, l’unico fondamento assoluto del nostro sapere. Con ciò il nostro compito è ora determinato. Deve esser trovato un qualche X per mezzo del quale tutte quelle conclusioni possano esser corrette senza che ‹ne› venga soppressa l’identità della conoscenza. 1. Le opposizioni che devono essere unificate sono nell’io quale coscienza. Anche X deve pertanto essere nella coscienza. 2. Entrambi, tanto l’io quanto il non-io, sono prodotti di azioni originarie dell’io e la coscienza stessa è un tale prodotto della prima azione originaria dell’io, dell’autoporsi dell’io. 3. Tuttavia, stando alle conclusioni precedenti, l’azione il cui prodotto è il non-io, il contrapporre, non è affatto possibile senza X. Di conseguenza X stesso dev’essere un prodotto, e per la precisione un prodotto di un’azione originaria dell’io. V’è
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demnach eine Handlung des menschlichen Geistes = Y, deren Produkt = X ist. 4. Die Form dieser Handlung ist durch die obige Aufgabe vollkommen bestimmt. Es sollen durch sie das entgegengesetzte Ich, und Nicht-Ich vereinigt, gleich gesetzt werden, ohne daß sie sich gegenseitig aufheben. Obige Gegensätze sollen in die Identität des einigen Bewußtseins aufgenommen werden. 5. Wie dies aber geschehen könne, und auf welche Art es möglich sein werde, ist dadurch noch gar nicht bestimmt; es liegt nicht in der Aufgabe, und läßt sich aus ihr auf keine Art entwickeln. Wir müssen demnach, wie oben, ein Experiment machen, und uns fragen: wie lassen A und -A, Sein und NichtSein, Realität, und Negation sich zusammendenken, ohne daß sie sich vernichten, und aufheben? [270] 6. Es ist nicht zu erwarten, daß irgend jemand diese Frage anders beantworten werde, als folgendermaßen: sie werden sich gegenseitig einschränken. Mithin wäre, wenn diese Antwort richtig ist, die Handlung Y ein Einschränken beider Entgegengesetzter durcheinander; und X bezeichnete die Schranken. (Man verstehe mich nicht so, als ob ich behauptete, der Begriff der Schranken sei ein analytischer Begriff, der in der Vereinigung der Realität mit der Negation liege, und sich aus ihr entwickeln ließe. Zwar sind die entgegengesetzten Begriffe durch die zwei ersten Grundsätze gegeben; die Forderung aber, daß sie vereinigt werden sollen, im ersten enthalten. Aber die Art wie sie vereinigt werden können, liegt in ihnen gar nicht, sondern sie wird durch ein besondres Gesetz unsers Geistes bestimmt, das durch jenes Experiment zum Bewußtsein hervorgerufen werden sollte).
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quindi un’azione dello spirito umano = Y il cui prodotto è = X. 4. La forma di quest’azione è perfettamente determinata dal compito suddetto. Tramite quest’azione gli opposti io e non-io devono essere unificati, posti identici, senza che si sopprimano vicendevolmente. I suddetti opposti devono essere assunti nell’identità di una coscienza. 5. Come tuttavia ciò possa accadere e in qual modo sarà possibile, questo non ne risulta affatto ancora determinato: non è implicito nel compito né in alcun modo si lascia derivare da esso. Pertanto, come in precedenza, dobbiamo fare un esperimento e chiederci: come si possono pensare insieme, senza che si annullino e sopprimano, A e -A, essere e non-essere, realtà e negazione? 6. Non c’è da aspettarsi che qualcuno risponderà a tale interrogativo diversamente da quanto segue: essi si limiteranno a vicenda. Quindi, se questa risposta è corretta, l’azione Y sarebbe un limitarsi l’un per l’altro dei due contrapposti e X designerebbe i limiti. (Non mi si interpreti come se affermassi che il concetto di limite è un concetto analitico che sta nell’unificazione della realtà con la negazione e che si può sviluppare a partire da quell’unificazione. Sicuramente i concetti contrapposti sono dati per mezzo dei due primi principi fondamentali, eppure l’esigenza che essi debbano essere unificati è contenuta nel primo. Nondimeno, il modo in cui tali concetti possano essere unificati non è affatto implicito in essi, bensì è determinato da una legge particolare del nostro spirito che con quell’esperimento doveva esser chiamata alla ribalta della coscienza).
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7. Aber im Begriffe der Schranken liegt mehr, als das gesuchte X es liegt nämlich zugleich der Begriff der Realität, und der Negation, welche vereinigt werden, darin. Wir müssen demnach um X rein zu bekommen, noch eine Abstraktion vornehmen. 8. Etwas einschränken heißt: die Realität desselben durch Negation nicht gänzlich, sondern nur zum Teil aufheben. Mithin liegt im Begriffe der Schranken außer dem der Realität, und der Negation noch der der Teilbarkeit (der Quantitätsfähigkeit überhaupt, nicht eben einer bestimmten Quantität). Dieser Begriff ist das gesuchte X und durch die Handlung Y wird demnach schlechthin das Ich sowohl als das Nicht-Ich teilbar gesetzt. 9. Ich sowohl als Nicht-Ich wird teilbar gesetzt; denn die Handlung Y kann der Handlung des Gegensetzens nicht nachgehen d. i. sie kann nicht betrachtet werden, als durch dieselbe erst möglich gemacht; da, laut obigen Beweises, ohne sie das Gegensetzen sich selbst aufhebt, und mithin unmöglich ist. Ferner kann sie nicht vorhergehen; denn sie wird bloß vorgenommen, um die Entgegensetzung möglich zu machen, und die Teilbarkeit ist nichts, ohne ein Teilbares. Also geht sie und unmittelbar in und mit ihr vor; beide sind Eins, und ebendasselbe, und werden nur in der Reflexion unterschieden. So wie dem Ich ein Nicht-Ich entgegengesetzt wird, wird demnach das Ich, dem ent[271]gegengesetzt wird, und das Nicht-Ich, das entgegengesetzt wird, teilbar gesetzt. C) Jetzt haben wir bloß noch zu untersuchen, ob durch die aufgestellte Handlung die Aufgabe wirklich gelöst, und alle Gegensätze vereinigt sind. 1. Die erste Schlußfolge ist nunmehr folgendermaßen bestimmt. Das Ich ist im Ich nicht gesetzt, insofern,
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7. Tuttavia nel concetto di limite v’è più che l’X cercato, essendovi ad un tempo compresi, infatti, i concetti di realtà e di negazione che vi sono unificati. Per ottenere puramente X, dobbiamo pertanto proporci ancora un’astrazione. 8. Limitare qualche cosa significa eliminarne, con la negazione, non tutta la realtà ma soltanto una parte. Di conseguenza, oltre ai concetti di realtà e negazione, nel concetto di limite si trova quello di divisibilità (della capacità di quantità in generale, appunto non il concetto di una quantità determinata). Questo concetto è l’X cercato e tramite l’azione Y tanto l’io quanto il non-io sono dunque posti in tutto e per tutto come divisibili. 9. Tanto l’io quanto il non-io sono posti come divisibili: l’azione Y non può seguire, infatti, l’azione dell’opporre, vale a dire che essa non può essere ritenuta come resa possibile soltanto da questa, poiché, stando alla dimostrazione precedente, senza di essa l’opporre sopprime se stesso e quindi è impossibile. Inoltre essa non la può precedere: infatti, può essere intrapresa semplicemente per rendere possibile la contrapposizione e nulla è la divisibilità senza un che di divisibile. Dunque l’azione Y procede immediatamente nell’azione dell’opporre e con l’opporre: entrambe le azioni sono un’unica e medesima cosa e sono distinte unicamente nella riflessione. Non appena all’io viene contrapposto un non-io, l’io, al quale è contrapposto, e il non-io, che viene contrapposto, son per ciò posti come divisibili. C) A questo punto ci resta ancora da indagare semplicemente se tramite l’azione enunciata il compito sia effettivamente risolto e tutte le opposizioni unificate. 1. La prima conclusione è ormai determinata nel modo che segue. L’io non è posto nell’io nella
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d. i. nach denjenigen Teilen der Realität, mit welchen das Nicht-Ich gesetzt ist. Ein Teil der Realität, d. i. derjenige der dem Nicht-Ich beigelegt wird, ist im Ich aufgehoben. Diesem Satze widerspricht der zweite nicht. Insofern das Nicht-Ich gesetzt ist muß auch das Ich gesetzt sein, nämlich sie sind beide überhaupt als teilbar ihrer Realität nach, gesetzt. Erst jetzt, vermittelst des aufgestellten Begriffes kann man von beiden sagen: sie sind etwas. Das absolute Ich des ersten Grundsatzes ist nicht etwas; (es hat kein Prädikat, und kann keins haben), es ist schlechthin, was es ist, und dies läßt sich nicht weiter erklären. Jetzt vermittelst dieses Begriffes ist im Bewußtsein alle Realität; und von dieser kommt dem Nicht-Ich diejenige zu, die dem Ich nicht zukommt, und umgekehrt. Beide sind etwas; das Nicht-Ich dasjenige, was das Ich nicht ist, und umgekehrt. Dem absoluten Ich entgegengesetzt, (welchem es aber nur insofern es vorgestellt wird, nicht insofern es an sich ist, entgegengesetzt werden kann, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird) ist das Nicht-Ich schlechthin Nichts; dem einschränkbaren Ich entgegengesetzt ist es eine negative Größe. 2. Das Ich soll sich selbst gleich, und dennoch sich selbst entgegengesetzt sein[.] Aber es ist sich gleich in Absicht des Bewußtseins, das Bewußtsein ist einig: aber in diesem Bewußtsein ist gesetzt das absolute Ich, als unteilbar; das Ich hingegen, welchem das Nicht-Ich entgegengesetzt wird, als teilbar. Mithin ist das Ich, insofern ihm ein Nicht-Ich entgegengesetzt wird, selbst entgegengesetzt dem absoluten Ich. Und so sind denn alle Gegensätze vereinigt, unbeschadet der Einheit des Bewußtseins; und dies ist gleichsam die Probe, daß der aufgestellte Begriff der richtige war.
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misura in cui ‹vi› è posto il non-io, cioè per quelle parti della realtà con le quali il non-io è posto. Una parte della realtà, vale a dire quella che è attribuita al non-io, è soppressa nell’io. Tale proposizione non cade in contraddizione con la seconda. In quanto il non-io è posto, anche l’io dev’esser posto, cioè entrambi sono posti in generale come divisibili secondo la loro realtà. Dell’uno e dell’altro soltanto ora, per mezzo del concetto enunciato, è possibile sostenere: sono qualcosa. L’io assoluto del primo principio fondamentale non è qualcosa (non ha predicato e non può averne alcuno), è in tutto e per tutto ciò che è, e questo non è ulteriormente spiegabile. Per mezzo di tale concetto, al momento, nella coscienza è tutta la realtà e, di questa, spetta al non-io quella che non spetta all’io, e viceversa. Entrambi sono qualcosa: il non-io ciò che l’io non è, e viceversa. Contrapposto all’io assoluto (al quale, come si mostrerà al momento opportuno, non può essere contrapposto in sé, bensì solamente in quanto è rappresentato) il non-io è in tutto e per tutto nulla: contrapposto all’io limitabile, è una grandezza negativa. 2. L’io dev’essere identico a se stesso e purtuttavia a se stesso contrapposto. Però è identico a sé nei confronti della coscienza, la coscienza è unica: tuttavia in questa coscienza l’io assoluto è posto come indivisibile, mentre l’io al quale viene contrapposto il non-io è posto in quanto divisibile. Di conseguenza, l’io stesso, nella misura in cui gli viene contrapposto un non-io, è contrapposto all’io assoluto. In tal modo tutti gli opposti sono unificati, ferma restando l’unità della coscienza: e questa è, per dir così, la prova che il concetto stabilito era quello giusto.
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D) Da unsrer, erst durch Vollendung einer Wissenschaftslehre erweisbaren Voraussetzung nach nicht mehr als Ein schlechthin unbedingter, Ein dem Gehalte nach bedingter, und Ein der Form nach bedingter Grundsatz möglich ist; so kann es außer den aufgestellten weiter keinen geben. Die Masse dessen, was unbedingt, [272] und schlechthin gewiß ist, ist nunmehr erschöpft; und ich würde sie etwa in folgender Formel ausdrücken: Ich setze im Ich dem teilbaren Ich ein teilbares Nicht-Ich entgegen. Über diese Erkenntnis hinaus geht keine Philosophie; aber bis zu ihr zurückgehen soll jede gründliche Philosophie; und so wie sie es tut, wird sie Wissenschaftslehre. Alles was von nun an im Systeme des menschlichen Geistes vorkommen soll, muß sich aus dem Aufgestellten ableiten lassen. ___________ 1. Wir haben die entgegengesetzten Ich und Nicht-Ich vereinigt durch den Begriff der Teilbarkeit. Wird von dem bestimmten Gehalte, dem Ich, und Nicht-Ich abstrahiert, und die bloße Form der Vereinigung Entgegengesetzter durch den Begriff der Teilbarkeit übrig gelassen, so haben wir den logischen Satz, den man bisher den des Grundes nannte: A zum Teil = -A und umgekehrt. Jedes Entgegengesetzte ist seinem Entgegengesetzten in Einem Merkmale = X gleich; und: jedes Gleiche ist seinem Gleichem in Einem Merkmale = X entgegengesetzt. Ein solches Merkmal = X heißt der Grund, im ersten Falle der Beziehungs- im zweiten der Unterscheidungs-Grund: denn Entgegengesetzte gleichsetzen oder vergleichen, nennt man beziehen; Gleichgesetzte entgegensetzen heißt, sie unterscheiden. Dieser logische Satz wird bewiesen, und bestimmt durch unsern aufgestellten materialen Grundsatz.
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D) Fuorché un unico principio fondamentale in tutto e per tutto incondizionato, un ‹altro› condizionato secondo il contenuto e un ‹terzo› condizionato quanto alla forma, oltre questi ‹appena› enunciati non v’è principio possibile, secondo il nostro presupposto dimostrabile soltanto completando una dottrina della scienza. La misura di quel che è assoluto e incondizionatamente certo è ormai esaurita e la esprimerei all’incirca nella formula seguente: io contrappongo, nell’io, all’io divisibile un non-io divisibile. Nessuna filosofia oltrepassa questa conoscenza: ma ogni filosofia fondativa deve risalirvi e, facendolo, diviene dottrina della scienza. D’ora in poi tutto ciò che deve comparire nel sistema dello spirito umano, deve necessariamente potersi dedurre da quanto stabilito. ___________ 1. Mediante il concetto di divisibilità abbiamo unificato i contrapposti io e non-io. Facendo astrazione dal contenuto determinato, dall’io e dal non-io, e ritenendo soltanto la mera forma dell’unificazione degli opposti mediante il concetto di divisibilità, otteniamo la proposizione logica che sinora si chiamava principio di ragione: A ‹è› in parte = -A e viceversa. Ogni termine contrapposto è identico al suo contrapposto in un’unica nota caratteristica = X e ogni termine identico è contrapposto al suo identico in una caratteristica = X. Una tale caratteristica = X significa, nel primo caso, la ragione, o fondamento, della relazione e, nel secondo caso, la ragione, o fondamento, della distinzione: infatti, porre come identici, o comparare, termini contrapposti si dice correlare; contrapporre termini posti identici significa distinguerli. Questa proposizione logica è dimostrata e determinata dal nostro principio materiale fondamentale che abbiamo enunciato.
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Bewiesen: denn a) Alles Entgegengesetzte = -A ist entgegengesetzt einem A, und dieses A ist gesetzt. Durch das Setzen eines -A wird A aufgehoben, und doch auch nicht aufgehoben. Mithin wird es nur zum Teil aufgehoben; und statt des X in A, welches nicht aufgehoben wird, ist in -A nicht -X, sondern X selbst gesetzt: und also ist A = -A in X. Welches das erste war. b) Alles gleichgesetzte (= A = B) ist sich selbst gleich, kraft seines Gesetztseins im Ich. A = A. B = B. Nun wird gesetzt B = A, mithin ist B durch A nicht gesetzt; denn wäre es dadurch gesetzt, so wäre es = A und nicht = B. (Es wären nicht Zwei Gesetzte, sondern nur Ein Gesetztes vorhanden). Ist aber B durch das Setzen des A nicht gesetzt, so ist es insofern = -A; [273] und durch das Gleichsetzen beider wird weder A noch B, sondern irgendein X gesetzt, welches =X und = A und = B ist. Welches das zweite war. Hieraus ergibt sich, wie der Satz A = B gültig sein könne, der an sich dem Satze A = A widerspricht. X = X, A = X, B = X mithin A = B, insofern beides ist = X: aber A = -B insofern beides ist = -X. Nur in Einem Teile sind Gleiche entgegengesetzt, und Entgegengesetzte gleich. Denn wenn sie sich in mehrern Teilen entgegengesetzt wären, d. i. wenn in den Entgegengesetzten selbst entgegengesetzte Merkmale wären, so gehörte Eins von beiden zu dem, worin die Verglichenen gleich sind, und sie wären mithin nicht entgegengesetzt; und umgekehrt. Jedes begründete Urteil hat demnach nur Einen Beziehungs- und nur Einen Unterscheidungsgrund. Hat es mehrere, so ist es nicht Ein Urteil, sondern mehrere Urteile.
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Dimostrata: infatti a) Ogni termine contrapposto = -A è contrapposto a un A e questo A è posto. A è soppresso e pure non è soppresso dal porre un -A. Conseguentemente è soppresso soltanto in parte e in luogo di X in A, che non viene soppresso, non è -X ad esser posto in -A, bensì X stesso: dunque, in X è A = -A. Il che costituiva il primo punto. b) Tutto ciò che è posto identico (=A =B) è identico in se stesso, in forza del suo esser-posto nell’io. A = A. B = B. Ora, è posto B = A, quindi B non è posto mediante A: se fosse posto tramite quest’ultimo, infatti, sarebbe = A e non = B. (Non sarebbero posti due termini ma saremmo in presenza soltanto dell’unico termine posto). Tuttavia se B non è posto ponendo A, allora è in quanto = -A. E ponendo identici l’uno e l’altro termine, non è posto né A né B bensì un qualche X il quale è = X e = A e = B. Il che costituiva il secondo punto. Ne risulta come possa essere valida la proposizione A = B, la quale in sé contraddice la proposizione A = A. X = X, A = X, B = X, di conseguenza A = B, in quanto tutti e due = X: eppure A = -B in quanto entrambi = -X. In un’unica parte solo i termini identici sono contrapposti e i contrapposti sono identici. Infatti, se gli identici fossero contrapposti in più parti, vale a dire se nei medesimi termini contrapposti ci fossero caratteristiche contrapposte, allora uno dei due apparterrebbe a quello in cui i termini comparati sono identici, perciò non sarebbero più contrapposti, e viceversa. Ogni giudizio fondato ha quindi soltanto un unico fondamento di relazione e un unico fondamento di distinzione. Se ne avesse più d’uno, non sarebbe allora un unico giudizio, ma sarebbero molteplici giudizi.
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2. Der logische Satz des Grundes wird durch den obigen materialen Grundsatz bestimmt, d. i. seine Gültigkeit wird selbst eingeschränkt; er gilt nur für einen Teil unsrer Erkenntnis. Nur unter der Bedingung, daß überhaupt verschiedene Dinge gleich, oder entgegengesetzt werden, werden sie in irgendeinem Merkmale entgegengesetzt, oder gleichgesetzt. Dadurch aber wird gar nicht ausgesagt, daß schlechthin und ohne alle Bedingung alles, was in unserm Bewußtsein vorkommen könne, irgendeinem andern gleich, und einem dritten entgegengesetzt werden müsse. Ein Urteil über dasjenige, dem nichts gleich, und nichts entgegengesetzt werden kann, steht gar nicht unter dem Satze des Grundes, denn es steht nicht unter der Bedingung seiner Gültigkeit; es wird nicht begründet, sondern es begründet selbst alle möglichen Urteile; es hat keinen Grund, sondern es gibt selbst den Grund alles Begründeten an. Der Gegenstand solcher Urteile ist das absolute Ich, und alle Urteile, deren Subjekt dasselbe ist, gelten schlechthin und ohne allen Grund; worüber unten ein mehreres. 3. Die Handlung, da man im Verglichenen das Merkmal aufsucht, worin sie entgegengesetzt sind, heißt das antithetische Verfahren; gewöhnlich das analytische, welcher Ausdruck aber weniger bequem ist, teils, weil er die Meinung übrig lässt, daß man etwa aus einem Begriffe etwas entwickeln könne, was man nicht erst durch eine Synthesis hineingelegt, teils, weil durch die erste [274] Benennung deutlicher bezeichnet wird, daß dieses Verfahren das Gegenteil vom synthetischen sei. Das synthetische Verfahren nämlich besteht darin, daß man im Entgegengesetzten dasjenige Merkmal aufsuche; worin sie gleich sind. Der bloßen logischen Form nach, welche von allem Inhalte der Erkenntnis, sowie von der Art, wie man dazu komme, völlig abstra-
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2. Il principio logico di ragione è determinato dal suddetto principio materiale fondamentale, vale a dire che la sua validità stessa è limitata: vale unicamente per una parte della nostra conoscenza. Cose differenti sono contrapposte in una qualche caratteristica, o poste identiche, esclusivamente a condizione che in generale esse vengano ‹poste› identiche, o contrapposte. Con ciò tuttavia non si viene affatto asserendo che quanto può comparire nella nostra coscienza dev’essere, in tutto e per tutto e senza alcuna condizione, identificato a un’altra cosa qualsiasi e contrapposto a una terza. Un giudizio relativamente a ciò che non è identificabile ad alcunché e che a nulla è contrapponibile non è affatto sottoposto al principio di ragione, non essendo sottoposto alla condizione della sua validità. Non viene fondato bensì fonda esso stesso tutti i giudizi possibili: non ha alcun fondamento, però dà fondamento a tutto ciò che è fondato. L’oggetto di un simile giudizio è l’io assoluto e tutti i giudizi dei quali è soggetto valgono in tutto e per tutto e senza alcun fondamento, ma di ciò si tratterà più diffusamente poi. 3. L’azione tramite la quale si cerca la caratteristica in cui termini comparati sono contrapposti dicesi processo antitetico; ordinariamente lo si dice processo analitico, espressione che però è meno opportuna, in parte perché può lasciar supporre che, in un qualche modo, da un concetto si possa sviluppare qualcosa che prima non sia stato introdotto mediante una sintesi, in parte perché dalla prima denominazione viene designato in maniera più perspicua che questo processo è il contrario di quello sintetico. Il processo sintetico cioè consiste nel ricercare nei termini contrapposti quella caratteristica nella quale essi sono identici. Attenendosi alla mera forma logica, la quale astrae completamente da ogni contenuto della conoscenza,
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hiert, heißen auf die erstere Art hervorgebrachte Urteile, antithetische oder verneinende, auf die letztere Art hervorgebrachte synthetische oder bejahende Urteile. 4. Sind die logischen Regeln, unter denen alle Antithesis und Synthesis steht, von dem dritten Grundsatze der Wissenschaftslehre abgeleitet, so ist überhaupt die Befugnis aller Antithesis und Synthesis von ihm abgeleitet. Aber wir haben in der Darstellung jenes Grundsatzes gesehen, daß die ursprüngliche Handlung, die er ausdrückt die des Verbindens Entgegengesetzter in einem Dritten, nicht möglich war, ohne die Handlung des Entgegensetzens; und daß diese gleichfalls nicht möglich war, ohne die Handlung des Verbindens: daß also beide in der Tat unzertrennlich verbunden und nur in der Reflexion zu unterscheiden sind. Hieraus folgt, daß die logischen Handlungen, die auf jene ursprünglichen sich gründen, und eigentlich nur besondere nähere Bestimmungen derselben sind, gleichfalls nicht, eine ohne die andere, möglich sein werden. Keine Antithesis ist möglich ohne eine Synthesis; denn die Antithesis besteht ja darin, daß in Gleichen das entgegengesetzte Merkmal aufgesucht wird; aber die Gleichen wären nicht gleich, wenn sie nicht erst durch eine synthetische Handlung gleichgesetzt wären. In der bloßen Antithesis wird davon abstrahiert, daß sie erst durch eine solche Handlung gleichgesetzt werden: sie werden schlechthin als gleich, ununtersucht woher, angenommen; bloß auf das Entgegengesetzte in ihnen wird die Reflexion gerichtet und dieses dadurch zum deutlichen und klaren Bewußtsein erhoben. – So ist auch umgekehrt keine Synthesis möglich, ohne eine Antithesis. Entgegengesetzte sollen vereiniget werden: sie wären aber nicht entgegengesetzt, wenn sie es nicht durch eine Handlung des Ich wären, von welcher in der Synthesis abstrahiert wird, um bloß den Beziehungsgrund durch
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tanto quanto dal modo secondo il quale vi si perviene, i giudizi prodotti con la prima procedura si chiamano antitetici o negativi, quelli prodotti con la seconda giudizi sintetici o affermativi. 4. Se le regole logiche alle quali sottostanno tutte le antitesi e sintesi, sono dedotte dal terzo principio della dottrina della scienza, allora è in generale dedotta da esso la legittimità di tutte le antitesi e sintesi. Tuttavia, presentando quel principio fondamentale abbiamo osservato che l’azione originaria che esso esprime, il nesso dei termini contrapposti in un terzo termine, non era possibile senza l’azione del contrapporre, e che dunque tutti e due sono indisgiungibilmente uniti nel fatto e sono distinguibili solamente nella riflessione. Di qui deriva che neppure le azioni logiche che si fondano su quelle azioni primitive e propriamente ne sono soltanto determinazioni particolari e più precise, saranno possibili prescindendo l’una dall’altra. Non v’è antitesi possibile senza una sintesi, perché l’antitesi consiste precisamente nel ricercare nei termini identici la caratteristica di contrapposizione: ma i termini identici non sarebbero identici se prima non fossero posti identici mediante un’azione sintetica. Nella pura e semplice antitesi si fa astrazione dal fatto che i termini dell’antitesi sono stati posti identici soltanto da una tale azione: essi sono assunti in tutto e per tutto come identici senza indagarne la provenienza: la riflessione è diretta semplicemente su ciò che in essi v’è di contrapposto e che perciò è elevato a coscienza chiara e distinta. – Così pure, inversamente, non v’è sintesi possibile senza un’antitesi. I termini contrapposti debbono esser unificati: ma essi non sarebbero contrapposti se non lo fossero per un’azione dell’io, azione dalla quale nella sintesi si astrae per elevare a coscienza tramite riflessione semplicemente il fonda-
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Reflexion zum Bewußtsein zu erheben. – Es gibt demnach überhaupt dem Gehalte nach gar keine bloß analytischen Urteile; und man kömmt bloß durch sie nicht nur nicht weit, wie Kant sagt, sondern man kömmt gar nicht von der Stelle. [275] 5. Die berühmte Frage, welche Kant an die Spitze der Kritik der reinen Vernunft stellte: wie sind synthetische Urteils a priori möglich? – ist jetzt auf die allgemeinste und befriedigendste Art beantwortet. Wir haben im dritten Grundsatze eine Synthesis zwischen dem entgegengesetzten Ich und Nicht-Ich, vermittelst der gesetzten Teilbarkeit beider, vorgenommen, über deren Möglichkeit sich nicht weiter fragen, noch ein Grund derselben sich anführen läßt; sie ist schlechthin möglich, man ist zu ihr ohne allen weitern Grund befugt. Alle übrigen Synthesen, welche gültig sein sollen, müssen in dieser liegen; sie müssen zugleich in und mit ihr vorgenommen worden sein: und so, wie dies bewiesen wird, wird der überzeugendste Beweis geliefert, daß sie gültig sind, wie jene. 6. Sie müssen alle in ihr enthalten sein: und dies zeichnet uns denn zugleich auf das bestimmteste den Weg vor, den wir in unserer Wissenschaft weiter zu gehen haben. – Synthesen sollen es sein, mithin wird unser ganzes Verfahren von nun an, (wenigstens im theoretischen Teile der Wissenschaftslehre, denn im praktischen ist es umgekehrt, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird), synthetisch sein; jeder Satz wird eine Synthesis enthalten. – Aber keine Synthesis ist möglich, ohne eine vorhergegangene Antithesis, von welcher wir aber, insofern sie Handlung ist, abstrahieren, und bloß das Produkt derselben, das Entgegengesetzte, aufsuchen. Wir müssen demnach bei jedem Satze von Aufzeigung Entgegengesetzter, welche vereinigt werden sollen, ausgehen. – Alle aufgestellten Synthesen sollen in der höchsten Synthesis, die wir eben vorgenommen haben,
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mento di relazione. – Pertanto, in generale, dal punto di vista del contenuto non v’è affatto un giudizio meramente analitico; con i giudizi analitici non soltanto non si va lontano, come dice Kant, bensì non si esce affatto dal luogo ove già ci si trova. 5. La celebre questione che Kant pose a capo della Critica della ragione pura: come sono possibili i giudizi sintetici a priori?21, ottiene ora la risposta più generale e più soddisfacente. Nel terzo principio fondamentale abbiamo effettuato una sintesi tra i contrapposti io e non-io, ponendo la divisibilità di entrambi. Sintesi la cui possibilità non è ulteriormente questionabile e alla quale non è possibile dare fondamento ulteriore: essa è possibile in tutto e per tutto, e si è autorizzati a compierla senza ulteriore ragione e fondamento. Tutte le restanti sintesi, per essere valide, debbono esser comprese in questa, devono esser state intraprese simultaneamente in essa e con essa: in tal modo, come è stato dimostrato, è addotta la prova più convincente che esse sono valide al pari di quella. 6. Tali sintesi devono essere contenute in essa: questo ci indica altresì, nel modo più preciso, la via lungo la quale dobbiamo avanzare nella nostra scienza. – Devono essere sintesi, di conseguenza tutto il nostro procedere d’ora innanzi sarà sintetico (almeno nella parte teoretica della dottrina della scienza, giacché in quella pratica è il contrario, come si mostrerà a tempo debito): ogni proposizione conterrà una sintesi. – Non v’è sintesi possibile, tuttavia, senza una precedente antitesi, dalla quale però, in quanto essa è azione, astraiamo e ne indaghiamo semplicemente il prodotto, ciò che è contrapposto. In ogni proposizione dobbiamo pertanto muovere presentando i termini contrapposti che devono essere unificati. – Tutte le sintesi esposte debbono trovarsi nella sintesi suprema che abbiamo appena intrapreso e devono potersi svi-
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liegen, und sich aus ihr entwickeln lassen. Wir haben demnach in den durch sie verbundenen Ich und NichtIch, insofern sie durch dieselbe verbunden sind, übriggebliebene entgegengesetzte Merkmale aufzusuchen, und sie durch einen neuen Beziehungsgrund, der wieder in dem höchsten aller Beziehungsgründe enthalten sein muß, zu verbinden: in den durch diese erste Synthesis verbundenen Entgegengesetzten abermals neue Entgegengesetzte zu suchen, diese durch einen neuen, in dem erst abgeleiteten enthaltenen Beziehungsgrund zu verbinden; und dies fortzusetzen, so lange wir können; bis wir auf Entgegengesetzte kommen, die sich nicht weiter vollkommen verbinden lassen, und dadurch in das Gebiet des praktischen Teils übergehen. Und so ist denn unser Gang fest und sicher und durch [276] die Sache selbst vorgeschrieben, und wir können im voraus wissen, daß wir bei gehöriger Aufmerksamkeit auf unsern Weg gar nicht irren können. 7. So wenig Antithesis ohne Synthesis, oder Synthesis ohne Antithesis möglich ist; ebensowenig sind beide möglich ohne Thesis: ohne ein Setzen schlechthin, durch welches ein A (das Ich) keinem andern gleich und keinem andern entgegengesetzt, sondern bloß schlechthin gesetzt wird. Auf unser System bezogen gibt diese dem Ganzen Haltbarkeit und Vollendung; es muß ein System und Ein System sein; das Entgegengesetzte muß verbunden werden, so lange noch etwas Entgegengesetztes ist, bis die absolute Einheit hervorgebracht sei; welche freilich, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird, nur durch eine geendete Annäherung zum Unendlichen hervorgebracht werden könnte, welche an sich unmöglich ist. – Die Notwendigkeit, auf die bestimmte Art entgegenzusetzen, und zu verbinden, beruht unmittelbar auf dem dritten Grundsatze: die Notwendigkeit, überhaupt zu verbinden, auf dem ersten, höchsten, schlechthin unbedingten. Die Form
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luppare da essa. Dobbiamo dunque cercare le caratteristiche contrapposte che rimangono nell’io e nel non-io congiunti per mezzo di tale sintesi, e in quanto da questa sono connessi, e collegarle con un nuovo fondamento di relazione che a sua volta dev’essere contenuto nel supremo dei fondamenti di relazione: nei termini contrapposti connessi tramite questa prima sintesi ‹dobbiamo› ricercare per la seconda volta nuovi termini contrapposti, collegandoli mediante un nuovo fondamento di relazione contenuto in quello dedotto per primo e continuare così finché possiamo, sino a pervenire a termini contrapposti i quali non si possono più congiungere perfettamente e perciò passiamo nel dominio della parte pratica. In tal modo il nostro percorso è, infatti, saldo e sicuro e prescritto dalla cosa stessa: noi possiamo sapere anticipatamente che, prestando alla nostra via l’attenzione dovuta, non possiamo affatto errare. 7. Tanto poco è possibile antitesi senza sintesi o sintesi senza antitesi, quanto entrambe non sono possibili senza tesi: senza un assoluto porre mediante il quale un A (l’io) è posto non come identico o contrapposto a un altro, bensì è semplicemente posto in tutto e per tutto. In relazione al nostro sistema, la tesi dà stabilità e perfezione al tutto. Dev’essere un sistema e un sistema unico: sinché v’è ancora qualcosa di contrapposto, quel che è contrapposto dev’essere congiunto, sino a produrre l’unità assoluta, la quale invero, come si vedrà a suo tempo, potrebbe esser prodotta soltanto da una compiuta approssimazione all’infinito, approssimazione che è in sé impossibile. – La necessità di contrapporre e di congiungere nel modo più determinato poggia immediatamente sul terzo principio fondamentale: la necessità in generale di congiungere riposa sul primo, supremo principio fondamentale, in tutto e per tutto incondizionato. La forma del
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des Systems gründet sich auf die höchste Synthesis; daß überhaupt ein System sein solle, auf die absolute Thesis. – Soviel zur Anwendung der gemachten Bemerkung auf unser System überhaupt; aber noch gibt es eine andere noch wichtigere Anwendung derselben auf die Form der Urteile, die aus mehreren Gründen hier nicht übergangen werden darf. Nämlich, sowie es antithetische und synthetische Urteile gab, dürfte der Analogie nach, es auch wohl thetische Urteile geben, welche in irgendeiner Bestimmung den erstern gerade entgegengesetzt sein würden. Nämlich die Richtigkeit der beiden ersten Arten setzt einen Grund, und zwar einen doppelten Grund, einen der Beziehung und einen der Unterscheidung voraus, welche beide aufgezeigt werden können, und wenn das Urteil bewiesen werden soll, aufgezeigt werden müssen. (Z. B. der Vogel ist ein Tier: hier ist der Beziehungsgrund, auf welchen reflektiert wird, der bestimmte Begriff des Tieres, daß es aus Materie, aus organisierter Materie, aus animalisch belebter Materie bestehe; der Unterscheidungsgrund aber, von welchem abstrahiert wird, die spezifische Differenz der verschiedenen Tierarten, ob sie zwei oder vier Füße, Federn, Schuppen oder eine behaarte Haut haben. Oder: eine Pflanze ist kein Tier: hier ist der Unterscheidungsgrund, auf welchen reflektiert wird, die spezifische Differenz zwischen der Pflanze und dem Tiere; der Beziehungsgrund aber, von welchem abstrahiert wird, ist die Organisation überhaupt). Ein thetisches [277] Urteil aber würde ein solches sein, in welchem etwas keinem andern gleich und keinem andern entgegengesetzt, sondern bloß sich selbst gleich gesetzt würde: es könnte mithin gar keinen Beziehungs- oder Unterscheidungsgrund voraussetzen: sondern das Dritte, das es der logischen Form nach, doch voraussetzen muß, wäre bloß eine Aufgabe für einen Grund. Das
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sistema si fonda sulla sintesi più alta; il fatto che, in generale, esso debba essere un sistema, ciò si fonda sulla tesi assoluta. – Tanto basti a riguardo dell’applicazione dell’osservazione rivolta al nostro sistema in generale: però vi è qui un’ancor più importante applicazione di essa alla forma dei giudizi, la quale, per più di una ragione, qui non può essere sorvolata. Infatti, come ci sono giudizi antitetici e giudizi sintetici, analogamente potrebbero ben esservi altresì giudizi tetici, i quali sarebbero precisamente contrapposti ai primi in una qualche determinazione. Infatti la correttezza delle prime due specie di giudizi presuppone una ragione e anzi una ragione duplice: una ragione, o fondamento, di relazione e un’altra di distinzione, che, volendo dimostrare il giudizio, possono e debbono esser indicate entrambe. (Per esempio: “l’uccello è un animale”; qui il fondamento di relazione sul quale si riflette è il concetto determinato di animale, il fatto che questo è costituito di materia, di materia organizzata, di materia vivente in senso animale; mentre il fondamento di distinzione, dal quale si astrae, è la differenza specifica delle varie specie animali: animali a due o quattro zampe, con piume o scaglie o epidermide ricoperta di peli. Oppure: “una pianta non è un animale”; in questo caso il fondamento di distinzione sul quale si riflette è la differenza specifica tra la pianta e l’animale, mentre fondamento di relazione dal quale si astrae è l’organizzazione in generale). Invece un giudizio tetico sarebbe un giudizio di tal fatta in cui qualcosa non fosse posto identico a qualcos’altro o contrapposto a un’altra cosa, bensì semplicemente posto identico a se stesso: non potrebbe affatto presupporre, quindi, alcun fondamento di relazione o di distinzione: il terzo termine, che esso deve pur presupporre secondo la forma logica, sarebbe puramente un compito per un fondamento o ragione. Il massi-
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ursprüngliche höchste Urteil dieser Art ist das: Ich bin, in welchem vom Ich gar nichts ausgesagt wird, sondern die Stelle des Prädikats für die mögliche Bestimmung des Ich ins Unendliche leer gelassen wird. Alle Urteile die unter diesem, das ist, unter dem absoluten Setzen des Ich enthalten sind, sind von der Art; (wenn sie auch nicht allemal wirklich das Ich zum logischen Subjekt hätten.) z. B. der Mensch ist frei. Entweder betrachtet man dieses Urteil als ein positives, (in welchem Falle es heißen würde: der Mensch gehört unter die Klasse der freien Wesen) so sollte ein Beziehungsgrund angegeben werden, zwischen ihm und den freien Wesen, der als Grund der Freiheit in dem Begriffe der freien Wesen überhaupt, und dem des Menschen insbesondere enthalten wäre; aber weit entfernt, daß sich ein solcher Grund sollte angeben lassen, läßt sich nicht einmal eine Klasse freier Wesen aufzeigen. Oder man betrachtet es als ein negatives, so wird dadurch der Mensch allen Wesen, die unter dem Gesetze der Naturnotwendigkeit stehen, entgegengesetzt; aber dann müßte sich der Unterscheidungsgrund zwischen notwendig und nicht notwendig angeben, und es müßte sich zeigen lassen, daß der letztere in dem Begriffe des Menschen nicht, aber wohl in dem der entgegengesetzten Wesen läge; und zugleich müßte sich ein Merkmal zeigen lassen, in welchem beide übereinkämen. Aber der Mensch, insofern das Prädikat der Freiheit von ihm gelten kann, d. i. insofern er absolut und nicht vorgestelltes noch vorstellbares Subjekt ist, hat mit den Naturwesen gar nichts gemein und ist ihnen also auch nicht entgegengesetzt. Dennoch sollen laut der logischen Form des Urteils, welche positiv ist, beide Begriffe vereinigt werden; sie sind aber in gar keinem Begriffe zu vereinigen, sondern bloß in der Idee eines Ich, dessen Bewußtsein durch gar nichts außer ihm bestimmt würde, sondern vielmehr selbst alles
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mo giudizio originario di questa specie è: io sono, nel quale non viene proprio sostenuto alcunché dell’io, però il posto del predicato è lasciato vuoto per la possibile determinazione all’infinito dell’io. Tutti i giudizi compresi sotto di questo, cioè sotto l’assoluto porre dell’io, sono di tal genere (anche se non abbiano effettivamente tutte le volte l’io quale soggetto logico), per esempio: l’uomo è libero. O si considera questo giudizio come positivo (nel qual caso esso significherebbe: l’uomo appartiene alla classe degli esseri liberi), e allora dovrebbe esser dato un fondamento di relazione tra l’uomo e gli esseri liberi che sarebbe contenuto, in quanto fondamento di libertà, nel concetto di esseri liberi in generale e in quello di uomo in particolare: però, ben lungi dal potersi indicare un fondamento siffatto, non si può neppure mostrare una classe di esseri liberi. Oppure si considera quel giudizio come un che di negativo e con ciò allora l’uomo è contrapposto a tutti gli esseri che sottostanno alla legge della necessità naturale: ma dovrebbe quindi presentarsi il fondamento di distinzione tra necessario e non necessario e si dovrebbe poter mostrare che il primo non è compreso nel concetto di uomo bensì nel concetto degli esseri contrapposti all’uomo, e dovrebbe ad un tempo potersi mostrare una caratteristica nella quale entrambi coincidano. Tuttavia l’uomo, in quanto il predicato della libertà può essergli attribuito, vale a dire in quanto è soggetto assoluto non rappresentato né rappresentabile, non ha proprio nulla in comune con gli esseri della natura e dunque nemmeno è a loro contrapposto. Eppure, conformemente alla forma logica del giudizio, la quale è positiva, entrambi i concetti devono essere unificati: tuttavia non v’è concetto in cui essi possono unificarsi, bensì unicamente nell’idea di un io, la cui coscienza non sia determinata da nulla di esterno ad esso, che invece sia piuttosto esso
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außer ihm durch sein bloßes Bewußtsein bestimmte: welche Idee aber selbst nicht denkbar ist, indem sie für uns einen Widerspruch enthält. Dennoch aber ist sie uns zum höchsten praktischen Ziele aufgestellt. Der Mensch soll sich der, an sich unerreichbaren Freiheit ins Unendliche immer mehr nähern. – So ist das Geschmacksurteil: [278] A ist schön, (soviel als in A ist ein Merkmal, das im Ideal des Schönen auch ist) ein thetisches Urteil; denn ich kann jenes Merkmal nicht mit dem Ideale vergleichen, da ich das Ideal nicht kenne. Es ist vielmehr eine Aufgabe meines Geistes, die aus dem absoluten Setzen desselben herkommt, es zu finden, welche aber nur nach einer vollendeten Annäherung zum Unendlichen gelöset werden könnte. – Kant und seine Nachfolger haben daher diese Urteile sehr richtig unendliche genannt, obgleich keiner, soviel mir bewußt ist, sie auf eine deutliche und bestimmte Art erklärt hat. 8. Für irgendein bestimmtes thetisches Urteil läßt sich also kein Grund anführen; aber das Verfahren des menschlichen Geistes bei thetischen Urteilen überhaupt ist auf das Setzen des Ich schlechthin durch sich selbst, gegründet. Es ist nützlich und gibt die klarste und bestimmteste Einsicht in den eigentümlichen Charakter des kritischen Systems, wenn man diese Begründung der thetischen Urteile überhaupt mit der der antithetischen und synthetischen vergleicht. Alle in irgendeinem Begriffe, der ihren Unterscheidungsgrund ausdrückt, Entgegengesetzte kommen in einem höhern (allgemeinern, umfassendern) Begriffe überein, den man den Gattungsbegriff nennt: d. i. es wird eine Synthesis vorausgesetzt, in welcher beide enthalten, und zwar insofern sie sich gleichen, enthalten sind. (z. B. Gold und Silber sind als gleich enthalten in dem Begriffe der Metalle, welcher den Begriff, worin beide entgegengesetzt werden, als etwa
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stesso a determinare tutto ciò che gli è esterno mediante la sua mera coscienza: neanche quest’idea, contenendo per noi una contraddizione, è però pensabile. Nondimeno essa ci è tuttavia presentata come lo scopo pratico supremo. All’infinito, l’uomo deve sempre più avvicinarsi alla libertà che in sé è inattingibile. – Così il giudizio di gusto: A è bello (in quanto v’è in A una caratteristica che c’è anche nell’ideale del bello), è un giudizio tetico; non conoscendo l’ideale, io non posso infatti raffrontare quella caratteristica all’ideale. Trovare questo ideale è piuttosto un compito del mio spirito, che deriva dal suo porre assoluto: epperò tale compito potrebbe esser condotto a termine soltanto secondo una perfetta approssimazione all’infinito. – Per questo motivo Kant e i suoi proseliti hanno in tutta correttezza detto infiniti tali giudizi22, benché nessuno, per quanto ne sappia io, li abbia esplicitati in una maniera chiara e determinata. 8. Dunque, di un qualsiasi giudizio tetico determinato non si può dare alcun fondamento, ma il procedere dello spirito umano nei giudizi tetici in generale è fondato sul porsi dell’io in assoluto per opera propria. È utile, e dà la più perspicua e precisa intelligenza del carattere peculiare del sistema critico, comparare tale fondazione dei giudizi tetici in generale con quella dei giudizi antitetici e sintetici. Tutti23 i termini contrapposti in un concetto qualunque, esprimente il loro fondamento di distinzione, coincidono in un concetto superiore (più generale, più comprensivo) che si è soliti chiamare concetto di genere: ossia, viene presupposta una sintesi nella quale sono contenuti entrambi, e per la precisione vi sono contenuti in quanto fra loro identici (per esempio: oro e argento sono contenuti come identici nel concetto di metallo, che non contiene il concetto in cui entrambi sono contrapposti, quale, diciamo, in questo caso il
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hier die bestimmte Farbe, nicht enthält.[)] Daher die logische Regel der Definition, daß sie den Gattungsbegriff, der den Beziehungsgrund und die spezifische Differenz, die den Unterscheidungsgrund enthält, angeben müsse. – Hinwiederum alle Gleichgesetzten sind in einem niedern Begriffe, der irgendeine besondere Bestimmung ausdrückt von welcher in dem Beziehungsurteile abstrahiert wird, entgegengesetzt, d. i. alle Synthesis setzt eine vorhergegangene Antithesis voraus. Z. B. In dem Begriffe Körper wird abstrahiert von der Verschiedenheit der Farben, der bestimmten Schwere, des Geschmacks, des Geruchs usw. und nun kann alles, was den Raum füllt, undurchdringlich ist, und irgendeine Schwere hat, ein Körper sein, so entgegengesetzt es auch in Absicht jener Merkmale unter sich sein [279] möge. – (Welche Bestimmungen allgemeinere oder speziellere, und mithin welche Begriffe höhere oder niedere seien, wird durch die Wissenschaftslehre bestimmt. Durch je weniger Mittelbegriffe überhaupt ein Begriff von dem höchsten, dem der Realität, abgeleitet ist, desto höher; durch je mehrere, desto niederer ist er. Bestimmt ist Y ein niederer Begriff als X, wenn in der Reihe seiner Ableitung vom höchsten Begriffe X vorkommt: und so auch umgekehrt). Mit dem schlechthin Gesetzten, dem Ich, verhält es sich ganz anders. Es wird demselben ein Nicht-Ich gleichgesetzt, zugleich, indem es ihm entgegengesetzt wird, aber nicht in einem höhern Begriffe, (der etwa beide in sich enthielte und eine höhere Synthesis oder wenigstens Thesis voraussetzen würde) wie es sich bei allen übrigen Vergleichungen verhält, sondern in einem niedern. Das Ich wird selbst in einen niedern Begriff, den der Teilbarkeit, herabgesetzt, damit es dem NichtIch gleichgesetzt werden könne; und in demselben Begriffe wird es ihm auch entgegengesetzt. Hier ist also
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colore determinato.[)] Di qui la regola logica della definizione: che essa debba dare il concetto di genere, quello del fondamento, o ragione di relazione, e la differenza specifica, che contiene il fondamento, o ragione di distinzione. – Per contro, tutti i termini posti identici sono contrapposti in un concetto inferiore che esprime una qualche determinazione particolare dalla quale si astrae nel giudizio di relazione: vale a dire, ogni sintesi presuppone un’antitesi che l’ha preceduta. Per esempio: nel concetto di corpo si fa astrazione dalla differenza dei colori, dei pesi specifici, del gusto, dell’odore e così via: tutto ciò che riempie lo spazio, è impenetrabile ed ha un qualche peso, può essere un corpo, per quanto contrapposti fra loro possano poi essere i corpi riguardo a quelle note caratteristiche. – (Quali determinazioni siano più generali o più particolari e quindi quali concetti siano superiori o inferiori, ciò è determinato dalla dottrina della scienza. Un concetto è tanto più elevato quanto meno numerosi sono in generale i concetti intermedi per il cui tramite esso è derivato dal concetto supremo, quello di realtà; è tanto meno elevato, quanto più numerosi sono quei concetti. Segnatamente, Y è un concetto inferiore ad X, se, nel corso della deduzione di Y, X si presenta dal concetto supremo, e così pure viceversa). La cosa si pone in termini del tutto diversi in merito a ciò che è assolutamente posto, all’io. Un non-io gli è posto identico mentre, ad un tempo, gli è opposto: tuttavia non in un concetto superiore (che in certo modo conterrebbe in sé uno e l’altro e presupporrebbe una sintesi superiore o almeno una tesi), come accade in tutte le altre comparazioni, bensì in un concetto inferiore. Perché possa esser posto identico al non-io, l’io stesso è abbassato a un concetto inferiore, quello di divisibilità, ed in questo medesimo concetto è pure contrapposto al non-io. Qui, dunque, non si ha
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gar kein Heraufsteigen, wie sonst bei jeder Synthesis, sondern ein Herabsteigen. Ich und Nicht-Ich, sowie sie durch den Begriff der gegenseitigen Einschränkbarkeit gleich- und entgegengesetzt werden, sind selbst beide etwas (Akzidenzen) im Ich, als teilbarer Substanz; gesetzt durch das Ich, als absolutes unbeschränkbares Subjekt, dem nichts gleich ist, und nichts entgegengesetzt ist. – Darum müssen alle Urteile, deren logisches Subjekt das einschränkbare oder bestimmbare Ich, oder etwas das Ich Bestimmendes ist, durch etwas Höheres beschränkt oder bestimmt sein: aber alle Urteile, deren logisches Subjekt das absolut unbestimmbare Ich ist, können durch nichts Höheres bestimmt werden, weil das absolute Ich durch nichts Höheres bestimmt wird, sondern sie sind schlechthin durch sich selbst begründet und bestimmt. Darin besteht nun das Wesen der kritischen Philosophie, daß ein absolutes Ich als schlechthin unbedingt und durch nichts Höheres bestimmbar aufgestellt werde und wenn diese Philosophie aus diesem Grundsatze konsequent folgert, so wird sie Wissenschaftslehre. Im Gegenteil ist diejenige Philosophie dogmatisch, die dem Ich an sich etwas gleich- und entgegensetzt und dieses geschieht in dem höher seinsollenden Begriffe des Dinges (Ens) der zugleich völlig willkürlich als der schlechthin höchste aufgestellt wird. Im kritischen Systeme ist das Ding, das im Ich gesetzte; im dogmatischen dasjenige, worin das Ich selbst gesetzt ist: der Kritizism ist darum immanent, weil er alles in das Ich setzt; der Dogmatism transzendent, weil er noch über [280] das Ich hinausgeht. Insofern der Dogmatism konsequent sein kann, ist der Spinozism das konsequenteste Produkt desselben. Verfährt man nun mit dem Dogmatism nach seinen eigenen Grundsätzen, wie man allerdings soll, so fragt man ihn, warum er doch sein Ding an sich ohne einen höhern Grund annehme, da er bei dem Ich nach
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affatto un ascendere, come altrimenti in ogni sintesi, ma un discendere. Io e non-io, essendo posti identici e contrapposti dal concetto di vicendevole limitabilità, sono ambedue essi stessi qualcosa (accidenti) nell’io, quale sostanza divisibile; sono posti dall’io come soggetto assoluto non limitabile, al quale nulla è identico e nulla contrapposto – Perciò tutti i giudizi il cui soggetto logico è l’io limitabile o determinabile, oppure qualcosa che determina l’io, devono essere limitati e determinati tramite qualcosa di superiore: però tutti i giudizi il cui soggetto logico è l’io assolutamente indeterminabile non possono essere determinati da alcunché di superiore, perché l’io assoluto non è determinato da un qualcosa di più elevato, ma essi sono fondati e determinati in tutto e per tutto da se stessi. Ora, l’essenza della filosofia critica consiste in ciò: un io assoluto viene stabilito come in tutto e per tutto incondizionato e non determinabile da alcunché di più alto, e se tale filosofia procede coerentemente da questo principio, allora diventa dottrina della scienza. Per contro, dogmatica è quella filosofia che erige qualcosa di identico e contrapposto all’io in sé: ciò accade nel concetto di cosa (ens), che dev’essere più alto e che nel contempo, e in modo del tutto arbitrario, è enunciato come il concetto assolutamente supremo. Nel sistema critico è la cosa ad esser posta nell’io, nel dogmatico essa è ciò in cui l’io stesso è posto; il criticismo, ponendo tutto nell’io, è perciò immanente; il dogmatismo, oltrepassando l’io, è trascendente. Nella misura in cui il dogmatismo può esser coerente, lo spinozismo ne è il prodotto più coerente. Ebbene, se si procede col dogmatismo secondo i suoi propri principi fondamentali, come a dire il vero si deve, allora gli si domanda perché tuttavia assuma la sua cosa in sé senza ‹esigere› un fondamento più elevato, nonostante richieda tale fonda-
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einem höhern Grunde fragte; warum denn dies als absolut gelte, da das Ich nicht absolut sein sollte. Dafür kann er nun keine Befugnis aufweisen und wir verlangen demnach mit Recht, daß er nach seinem eigenen Grundsatze, nichts ohne Grund anzunehmen, wieder einen höhern Gattungsbegriff für den Begriff des Dinges an sich anführe und wieder einen höhern für diesen und so ins Unendliche fort. Ein durchgeführter Dogmatism leugnet demnach entweder, daß unser Wissen überhaupt einen Grund habe, daß überhaupt ein System im menschlichen Geiste sei; oder er widerspricht sich selbst. Durchgeführter Dogmatism ist ein Skeptizism, welcher bezweifelt, daß er zweifelt; denn er muß die Einheit des Bewußtseins und mit ihr die ganze Logik aufheben: er ist mithin kein Dogmatism, und widerspricht sich selbst, indem er einer zu sein vorgibt*. (So setzt Spinoza den Grund der Einheit des Bewußtseins in eine Substanz, in welcher es sowohl der Materie (der bestimmten Reihe der Vorstellung) nach, als auch der Form der Einheit nach notwendig bestimmt ist. Aber ich [281] frage ihn, was denn dasjenige sei, was wiederum den Grund der Notwendigkeit dieser Substanz enthalte, sowohl ihrer Materie (den [280] * Es gibt nur zwei Systeme, das kritische und das dogmatische[.] Der Skeptizism, so wie er oben bestimmt wird, würde gar kein System sein: denn er leugnet ja die Möglichkeit eines Systems überhaupt. Aber diese kann er doch nur systematisch leugnen, mithin widerspricht er sich selbst und ist ganz vernunftwidrig. Es ist durch die Natur des menschlichen Geistes schon dafür gesorgt, daß er auch unmöglich ist. Noch nie war jemand im Ernste ein solcher Skeptiker. Etwas anders ist der kritische Skeptizism, der des Hume, des Maimon, des Aenesidemus, der die Unzulänglichkeit der bisherigen Gründe aufdeckt, und eben dadurch andeutet, wo haltbarere zu finden sind. Durch ihn gewinnt die Wissenschaft allemal, wenn auch nicht immer an Gehalte, doch sicher in der Form – und man kennt die Vorteile der Wissenschaft schlecht, wenn man dem scharfsinnigen Skeptiker die gebührende Achtung versagt.
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mento superiore quando invece si tratta dell’io; perché dunque questa ‹cosa in sé› valga come assoluta, mentre l’io non dovrebbe essere assoluto. In favore ‹di questo suo atteggiamento› il dogmatismo non può vantare alcun diritto e noi pertanto pretendiamo con ragione che, stando il suo proprio principio fondamentale di non assumere nulla senza fondamento, esso adduca nuovamente un più elevato concetto di genere per ‹ricomprendere› il concetto di cosa in sé e poi ancora, per ‹ricomprendere› questo, un altro concetto più elevato e così via all’infinito. Per cui un dogmatismo ‹coerentemente› applicato o nega che il nostro sapere in generale abbia un fondamento, e che in generale vi sia un sistema nello spirito umano, oppure contraddice se stesso. Il dogmatismo realizzato è uno scetticismo che dubita di dubitare, perché deve sopprimere l’unità della coscienza e, con questa, tutta la logica: di conseguenza, non è un dogmatismo e contraddice se stesso pretendendo di esserlo.* (Così Spinoza24 pone il fondamento dell’unità della coscienza in una sostanza nella quale la coscienza è necessariamente determinata tanto per la materia [la serie determinata della rappresentazione] quanto anche per la forma dell’unità. Tuttavia gli chiedo che cosa sia, dunque, ciò che a sua volta contiene il fondamento della necessità di questa sostanza, tanto * Vi sono soltanto due sistemi: quello critico e quello dogmatico ‹.› Lo scetticismo, come è sopra determinato, non sarebbe affatto un sistema: nega infatti la possibilità di un sistema in generale. Poiché però può negare tale possibilità soltanto in modo sistematico, di conseguenza si autocontraddice ed è del tutto irrazionale. La natura dello spirito umano si è già presa la briga di renderlo altresì impossibile. Non v’è mai stato alcuno che fosse seriamente uno scettico di tal fatta. Quello di Hume, di Maimon, di Enesidemo è qualcosa di diverso, è lo scetticismo critico che scopre l’insufficienza dei fondamenti sinora assunti ed indica precisamente dove se ne debbano reperire di più solidi. Grazie a esso la scienza ci guadagna ogni volta, se non sempre in contenuto, tuttavia, certo, nella forma – e mal si conoscono i vantaggi della scienza, se allo scettico perspicace si nega la stima che gli spetta.
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verschiedenen in ihr enthaltenen Vorstellungsreihen) als ihrer Form nach (nach welcher in ihr alle mögliche Vorstellungsreihen erschöpft sein und ein vollständiges Ganzes ausmachen sollen). Für diese Notwendigkeit nun gibt er mir weiter keinen Grund an, sondern sagt: es sei schlechthin so; und er sagt das, weil er gezwungen ist, etwas Absolut-erstes, eine höchste Einheit, anzunehmen: aber wenn er das will, so hätte er ja gleich bei der ihm im Bewußtsein gegebenen Einheit stehen bleiben sollen, und hätte nicht nötig gehabt, eine noch höhere zu erdichten, wozu nichts ihn trieb). Es würde sich schlechterdings nicht erklären lassen, wie jemals ein Denker entweder über das Ich habe hinausgehen können, oder wie er, nachdem er einmal darüber hinausgegangen, irgendwo habe stille stehen können, wenn wir nicht ein praktisches Datum als vollkommenen Erklärungsgrund dieser Erscheinung anträfen. Ein praktisches Datum war es, nicht aber ein theoretisches, wie man zu glauben schien, das den Dogmatiker über das Ich hinaustrieb; nämlich das Gefühl der Abhängigkeit unseres Ich, insofern es praktisch ist, von einem schlechterdings nicht unter unserer Gesetzgebung stehenden und insofern freien NichtIch: ein praktisches Datum, nötigte ihn aber wiederum irgendwo stille zu stehen; nämlich das Gefühl einer notwendigen Unterordnung und Einheit alles NichtIch unter die praktischen Gesetze des Ich; welche aber gar nicht etwa als Gegenstand eines Begriffes etwas ist, das da ist, sondern als Gegenstand einer Idee, etwas das da sein soll und durch uns hervorgebracht werden soll, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird. Und hieraus erhellet denn zuletzt, daß überhaupt der Dogmatism gar nicht ist, was er zu sein vorgibt, daß wir ihm durch obige Folgerungen unrecht getan haben und daß er sich selbst unrecht tut, wenn er dieselben sich zuzieht. Seine höchste Einheit ist wirklich keine andere
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riguardo alla sua materia [le differenti serie di rappresentazioni contenute in essa] quanto riguardo alla sua forma [secondo la quale tutte le possibili serie rappresentative debbono essere esaurite in essa e formare un tutto compiuto]. Ebbene, di tale necessità egli non mi dà più alcun ulteriore fondamento o ragione, ma dice: la cosa va così in assoluto; e ciò afferma essendo costretto ad assumere qualcosa di assolutamente primo, una suprema unità: tuttavia, se è questa che egli vuole, allora avrebbe dovuto egualmente arrestarsi all’unità che gli era data nella coscienza e non avrebbe avuto bisogno d’inventare un’unità ancora più alta, alla quale nulla lo spingeva). In nessun modo si potrebbe spiegare come mai un pensatore abbia potuto oltrepassare l’io, o come, dopo che l’oltrepassò una volta, abbia potuto fermarsi in un qualche punto, se non trovassimo un dato pratico quale perfetta ragione esplicativa di questo fenomeno. Un dato pratico e non un dato teoretico, come sembrò che si credesse, spingeva il dogmatico al di là dell’io: cioè il sentimento della dipendenza del nostro io, in quanto pratico, da un non-io assolutamente svincolato dalla nostra legislazione e, in tal misura, libero. Ma a sua volta, un altro dato pratico lo costringeva ad arrestarsi da qualche parte, cioè il sentimento di una necessaria subordinazione e unità di ogni nonio sotto le leggi pratiche dell’io. Unità la quale, tuttavia, non è affatto qualcosa che possa esistere quasi al modo di oggetto di un concetto bensì in quanto oggetto di un’idea, qualcosa che deve esistere ed essere prodotta da noi, come si vedrà a tempo debito. Di qui, infine, si chiarisce che in generale il dogmatismo non è affatto ciò che pretende di essere; che noi gli abbiamo fatto torto con le nostre conclusioni precedenti e che esso fa torto a se stesso allorché se le tira addosso. La sua suprema unità effettivamente altro
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als die des Bewußtseins und kann keine andere sein und sein Ding ist das Substrat der Teil-[282]barkeit überhaupt oder die höchste Substanz, worin beide, das Ich und das Nicht-Ich (Spinozas Intelligenz und Ausdehnung) gesetzt sind. Bis zum reinen absoluten Ich, weit entfernt darüber hinauszugehen, erhebt er sich gar nicht: er geht, wo er am weitesten geht, wie in Spinozas System, bis zu unserm zweiten und dritten Grundsatze, aber nicht bis zum ersten schlechthin unbedingten; gewöhnlich erhebt er bei weitem so hoch sich nicht[.] Der kritischen Philosophie war es aufbehalten, diesen letzten Schritt zu tun und die Wissenschaft dadurch zu vollenden. Der theoretische Teil unserer Wissenschaftslehre, der auch nur aus den beiden letzten Grundsätzen entwickelt wird, indem hier der erste bloß eine regulative Gültigkeit hat, ist wirklich, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird, der systematische Spinozismus; nur daß eines jeden Ich selbst die einzige höchste Substanz ist: aber unser System fügt einen praktischen Teil hinzu, der den ersten begründet und bestimmt, die ganze Wissenschaft dadurch vollendet, alles, was im menschlichen Geiste angetroffen wird, erschöpft und dadurch den gemeinen Menschenverstand, der durch alle Vor-Kantische Philosophie beleidigt, durch unser theoretisches System aber ohne jemalige Hoffnung der Versöhnung, wie es scheint, mit der Philosophie entzweit wird, vollkommen mit derselben wieder aussöhnt. 9. Wenn von der bestimmten Form des Urteils, daß es ein entgegensetzendes, oder vergleichendes, auf einen Unterscheidungs- oder Beziehungsgrund gebautes ist, völlig abstrahiert, und bloß das Allgemeine der Handlungsart – das, eins durch das andere zu begrenzen, – übriggelassen wird, haben wir die Kategorie der Bestimmung (Begrenzung, bei Kant Limitation). Nämlich ein Setzen der Quantität überhaupt, sei es nun Quantität der Realität, oder der Negation, heißt Bestimmung.
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non è che quella della coscienza, e non può esservene una diversa, e la sua cosa è il sostrato della divisibilità in generale o la sostanza suprema, nella quale sono posti entrambi, l’io e il non-io (l’intelligenza e l’estensione di Spinoza). Ben lungi dall’oltrepassare il puro io assoluto, il dogmatismo non si eleva affatto sino ad esso: laddove si inoltra il più lontano possibile, come nel sistema di Spinoza, esso giunge sino al nostro secondo e terzo principio fondamentale, ma non sino al primo principio in tutto e per tutto incondizionato, non innalzandosi, per solito, tanto in alto ‹.› Compiere quest’ultimo passo e completare così la scienza era riservato alla filosofia critica. La parte teoretica della nostra dottrina della scienza, pur venendo sviluppata soltanto a partire dai due ultimi principi fondamentali, mentre il primo vi ha semplicemente una valenza regolativa, è effettivamente, come si mostrerà a suo tempo, lo spinozismo sistematico, eccetto che l’io stesso di ognuno è l’unica sostanza suprema. Ma il nostro sistema aggiunge una parte pratica che fonda e determina la prima, ‹quella teoretica appunto,› compiendo per questo tramite l’intera scienza, esaurisce tutto quel si trova nello spirito umano e con ciò riconcilia perfettamente alla filosofia il comune intelletto umano, offeso da tutta la filosofia prekantiana, e che, a quanto pare, il nostro sistema teoretico divide senza alcuna speranza di conciliazione dalla filosofia stessa. 9. Se si astrae completamente dalla forma determinata del giudizio, dal fatto che tale giudizio contrappone o compara, che sia stabilito sopra un fondamento di distinzione o di relazione, e si lascia semplicemente il carattere generale del modo d’azione – quello di delimitare l’uno con l’altro –, abbiamo la categoria della determinazione (delimitazione; in Kant: limitazione)25. In altri termini: dicesi determinazione un porre la quantità in generale, sia essa quantità della realtà o della negazione.
[283] ZWEITE LIEFERUNG DER GRUNDLAGE DER GESAMTEN WISSENSCHAFTSLEHRE. ZWEITER TEIL. GRUNDLAGE DES THEORETISCHEN
WISSENS
§. 4. Erster Lehrsatz. Ehe wir unsern Weg antreten, eine kurze Reflexion über denselben! – Wir haben nun drei logische Grundsätze; den der Identität, welcher alle übrigen begründet; und dann die beiden, welche sich selbst gegenseitig in jenem begründen, den des Gegensetzens, und den des Grundes aufgestellt. Die beiden letztern machen das synthetische Verfahren überhaupt erst möglich; stellen auf und begründen die Form desselben. Wir bedürfen demnach, um der formalen Gültigkeit unsers Verfahrens in der Reflexion sicher zu sein, nichts weiter. – Ebenso ist in der ersten synthetischen Handlung, der Grundsynthesis (der des Ich und Nicht-Ich) ein Gehalt für alle mögliche künftige Synthesen aufgestellt, und wir bedürfen auch von dieser Seite nichts weiter. Aus jener Grundsynthesis muß alles sich entwickeln lassen, was in das Gebiet der Wissenschaftslehre gehören soll. Soll sich aber etwas aus ihr entwickeln lassen, so müssen in den durch sie vereinigten Begriffen noch andre enthalten liegen, die bis jetzt nicht aufgestellt sind; und unsre Aufgabe ist die, sie zu finden. Dabei verfährt man nun auf folgende Art. – Nach §. 3 entstehen alle synthetische Begriffe durch Vereinigung Entgegengesetzter. Man
SECONDA EMISSIONE DEL
FONDAMENTO DELL’INTERA DOTTRINA DELLA SCIENZA. PARTE SECONDA. FONDAMENTO DEL SAPERE TEORETICO.
§ 4. Primo teorema Una breve riflessione sulla nostra via, prima di intraprenderla! – Ebbene, abbiamo enunciato tre principi logici fondamentali: quello di identità, che fonda tutti gli altri; e poi i due, quello dell’opporre e quello di ragione, che sul primo fondano a vicenda se stessi. Entrambi questi ultimi rendono soltanto possibile il procedimento sintetico in generale, ne fissano e fondano la forma. Null’altro ci occorre, pertanto, al fine di assicurarci la validità formale del nostro procedere nella riflessione. – Appunto in tal modo nella prima azione sintetica, nella sintesi fondamentale (quella di io e non-io), è stabilito ed enunciato un contenuto per tutte le possibili sintesi future e anche per questo lato non abbiamo bisogno di null’altro. Da quella sintesi fondamentale è necessario si sviluppi tutto ciò che deve appartenere al dominio della dottrina della scienza. Tuttavia, se qualcosa da essa deve potersi sviluppare, allora nei concetti unificati per suo tramite debbono necessariamente essere compresi anche altri non ancora stabiliti: trovarli è nostro compito. In ciò conviene procedere nel modo seguente. – Stando al § 3 tutti i concetti sintetici si generano attraverso l’unificazione di ele-
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müßte demnach zuvörderst solche entgegengesetzte Merkmale der aufgestellten Begriffe (hier des Ich, und des Nicht-Ich, insofern sie als sich [284] gegenseitig bestimmend gesetzt sind) aufsuchen; und dies geschieht durch Reflexion, die eine willkürliche Handlung unsers Geistes ist: – Aufsuchen, sagte ich; es wird demnach vorausgesetzt, daß sie schon vorhanden sind, und nicht etwa durch unsere Reflexion erst gemacht, und erkünstelt werden (welches überhaupt die Reflexion gar nicht vermag) d. h. es wird eine ursprünglich notwendige antithetische Handlung des Ich vorausgesetzt. Die Reflexion hat diese antithetische Handlung aufzustellen: und sie ist insofern zuvörderst analytisch. Nämlich entgegengesetzte Merkmale, die in einem bestimmten Begriffe = A enthalten sind, als entgegengesetzt durch Reflexion zum deutlichen Bewußtsein erheben, heißt, den Begriff A analysieren. Hier aber ist insbesondre zu bemerken, daß unsre Reflexion einen Begriff analysiert, der ihr noch gar nicht gegeben ist, sondern erst durch die Analyse gefunden werden soll; der analysierte Begriff ist bis zur Vollendung der Analyse = X. Es entsteht die Frage: wie kann ein unbekannter Begriff analysiert werden? Keine antithetische Handlung, dergleichen doch für die Möglichkeit der Analyse überhaupt vorausgesetzt wird, ist möglich, ohne eine synthetische; und zwar keine bestimmte antithetische, ohne ihre bestimmte synthetische (§. 3). Sie sind beide innig vereinigt; eine und ebendieselbe Handlung, und werden bloß in der Reflexion unterschieden. Mithin läßt von der Antithesis sich auf die Synthesis schließen; das dritte, worin die beiden entgegengesetzten vereinigt sind, läßt sich gleichfalls aufstellen: nicht als Produkt der Reflexion, sondern als ihr Fund: aber als Produkt jener ursprünglichen synthetischen Handlung des Ich; die darum, als Handlung, nicht eben
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menti contrapposti. In primo luogo si dovrebbero pertanto ricercare tali note caratteristiche contrapposte ‹proprie› dei concetti enunciati (qui: dell’io e del non-io in quanto posti come vicendevolmente determinantisi); ciò accade mediante riflessione, la quale è un’azione volontaria del nostro spirito. – Ricercare, dicevo: si presuppone, dunque, che quelle caratteristiche siano già disponibili e non vengano, diciamo, fatte soltanto dalla nostra riflessione, né generate artificialmente (cosa della quale, in generale, la riflessione non è affatto capace), cioè viene presupposta un’azione antitetica, originariamente necessaria, dell’io. Alla riflessione spetta di stabilire ed enunciare quest’azione antitetica: quanto a ciò, essa26 è anzitutto analitica. Vale a dire, analizzare il concetto A significa elevare, mediante riflessione, caratteristiche contrapposte, che sono contenute in un determinato concetto = A, a chiara coscienza in quanto contrapposte. Qui però è da osservare, in ispecie, che la nostra riflessione analizza un concetto che non le è ancora dato per nulla ma che dev’essere trovato soltanto per mezzo dell’analisi: finché questa non sia compiuta, il concetto analizzato è = X. Ed ‹allora› sorge la domanda: come può essere analizzato un concetto sconosciuto? Non v’è azione antitetica possibile, benché presupposta per la possibilità dell’analisi in generale, senza un’azione sintetica: e per la precisione nessun’azione antitetica determinata è possibile senza la sua determinata azione sintetica (§ 3). Esse sono entrambe intimamente unite, sono un’unica e medesima azione e vengono distinte per mera via riflessiva. Di conseguenza, dall’antitesi si può concludere alla sintesi; il terzo termine, nel quale entrambi i termini contrapposti sono unificati, si può egualmente stabilire non in quanto prodotto della riflessione bensì quale suo ritrovato: ma come prodotto di quell’originaria azione sintetica dell’io che perciò, in quanto azione, è
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zum empirischen Bewußtsein gelangen muß, ebensowenig, als die bisher aufgestellten Handlungen. Wir treffen also von jetzt an auf lauter synthetische Handlungen, die aber nicht schlechthin unbedingte Handlungen sind, wie die erstern. Durch unsre Deduktion aber wird bewiesen, daß es Handlungen, und Handlungen des Ich sind. Nämlich, sie sind es so gewiß, so gewiß die erste Synthesis, aus der sie entwickelt werden, und mit der sie Eins, und dasselbe ausmachen, eine ist; und diese ist eine, so gewiß als die höchste Tathandlung des Ich, durch die es sich selbst setzt, eine ist. – Die Handlungen, welche aufgestellt werden, sind synthetisch; die Reflexion aber, welche sie aufstellt, ist analytisch. Jene Antithesen aber, die für die Möglichkeit einer Analyse durch Reflexion vorausgesetzt worden, müssen, als vorhergegangen, d. i. als solche gedacht werden, von welchen die Möglichkeit der aufzuzeigenden synthetischen Begriffe abhängig ist. Keine Antithesis aber ist möglich ohne Synthesis. Mithin wird eine höhere [285] Synthesis als schon geschehen vorausgesetzt; und unser erstes Geschäft muß sein, diese aufzusuchen, und sie bestimmt aufzustellen. Nun muß zwar eigentlich dieselbe schon im vorigen §. aufgestellt sein. Es könnte sich aber doch finden, daß wegen des Überganges in einen ganz neuen Teil der Wissenschaft doch noch etwas Besonderes dabei zu erinnern wäre.
A. Bestimmung des zu analysierenden synthetischen Satzes. Das Ich sowohl als das Nicht-Ich, sind, beide durch das Ich, und im Ich, gesetzt, als durcheinander gegenseitig beschränkbar, d. i. so, daß die Realität des Einen die Realität des Andern aufhebe, und umgekehrt (§. 3). In diesem Satze liegen folgende zwei. 1) Das Ich setzt das Nicht-Ich, als beschränkt durch das
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tanto poco capace di giungere alla coscienza empirica quanto la azioni fin qui stabilite. Di qui in poi, noi ci imbattiamo in azioni puramente sintetiche, le quali però non sono azioni in tutto e per tutto incondizionate al pari delle prime. La nostra deduzione dimostra tuttavia che sono azioni, e azioni dell’io. Cioè, sono dell’io tanto certamente quanto lo è la prima sintesi da cui esse vengono sviluppate e con la quale compongono un’unica e medesima cosa; e tale sintesi è una tanto certamente quanto è una la suprema azione-in-atto dell’io, mediante la quale esso pone se stesso. – Le azioni che vengono stabilite ed enunciate sono sintetiche, mentre la riflessione che le stabilisce ed enuncia è analitica. Quelle antitesi tuttavia, che sono presupposte per rendere possibile un’analisi mediante riflessione, devono esser pensate come precedenti, vale a dire come quelle dalle quali dipende la possibilità dei concetti sintetici che vanno indicati. Non v’è antitesi possibile, però, senza sintesi. Una sintesi superiore è, dunque, presupposta come già avvenuta e nostra prima fatica dev’essere il ricercarla ed enunciarla in modo determinato. Ora, a ben vedere, essa dev’essere enunciata propriamente nel § precedente. Eppure potrebbe però accadere che, passando in una parte totalmente inedita della scienza, in merito occorresse tuttavia porre mente ancora a qualcosa di particolare.
A. Determinazione della proposizione sintetica da analizzare Tanto l’io quanto il non-io sono posti entrambi dall’io e nell’io quali vicendevolmente limitabili l’uno dall’altro, ossia in modo che la realtà dell’uno elimini la realtà dell’altro e viceversa (§ 3). In questa proposizione si trovano comprese le due seguenti. 1) L’io pone il non-io come limitato dall’io. Per il
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Ich. Von diesem Satze, der in der Zukunft, und zwar im praktischen Teile unsrer Wissenschaft eine große Rolle spielen wird, läßt, wie es wenigstens scheint, vor der Hand sich noch gar kein Gebrauch machen. Denn bis jetzt ist das Nicht-Ich Nichts; es hat keine Realität, und es läßt demnach sich gar nicht denken, wie in ihm durch das Ich eine Realität aufgehoben werden könne, die es nicht hat; wie es eingeschränkt werden könne, da es nichts ist. Also scheint dieser Satz wenigstens so lange, bis dem Nicht-Ich auf irgendeine Weise Realität beigemessen werden kann, völlig unbrauchbar. Der Satz, unter welchem er enthalten ist: der: das Ich und Nicht-Ich schränken sich gegenseitig ein, ist zwar gesetzt: aber ob auch der eben jetzt aufgestellte durch ihn gesetzt, und in ihm enthalten sei, ist völlig problematisch. Das Ich kann auch bloß, und lediglich in der Rücksicht vom Nicht-Ich eingeschränkt werden, als es dasselbe erst selbst eingeschränkt hat; als das Einschränken erst vom Ich ausgegangen ist. Vielleicht schränkt das Nicht-Ich gar nicht das Ich an sich, sondern nur das Einschränken des Ich ein; und so bliebe der obige Satz doch wahr und richtig, ohne daß dem Nicht-Ich eine absolute Realität zugeschrieben werden müsse, und ohne daß der oben problematisch aufgestellte Satz in ihm enthalten wäre. 2) Liegt in jenem Satze folgender: das Ich setzt sich selbst, als beschränkt durch das Nicht-Ich. Von diesem läßt sich ein Gebrauch machen; und er muß angenom[286]men werden als gewiß, denn er läßt sich aus dem oben aufgestellten Satze ableiten. Das Ich ist gesetzt, zuvörderst als absolute, und dann als einschränkbare einer Quantität fähige Realität, und zwar als einschränkbar durch das Nicht-Ich. Alles dies aber ist gesetzt durch das Ich; und dieses sind denn die Momente unsers Satzes. (Es wird sich zeigen 1) daß der letztere Satz den theoretischen Teil der Wissenschaftslehre begründe – jedoch erst nach
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momento non v’è uso possibile, o almeno così sembra, di questa proposizione che prossimamente, e per la precisione nella parte pratica della nostra scienza, rivestirà un ruolo di primo piano. Poiché sinora il non-io è nulla, non possiede realtà, pertanto non è affatto pensabile in che modo l’io possa eliminare nel non-io una realtà che esso non possiede, né come il non-io, essendo nulla, possa essere limitato. Così tale proposizione sembra totalmente inutilizzabile, almeno sinché al non-io non possa venir concessa, in un qualche modo, realtà. La proposizione sotto la quale essa è ricompresa, cioè: l’io e il non-io si limitano vicendevolmente, è fuor di dubbio posta: tuttavia è del tutto problematico ‹dire› se pure la proposizione or ora enunciata sia posta da essa e in essa contenuta. L’io può essere limitato anche semplicemente ed esclusivamente nei riguardi del non-io, in quanto soltanto quello l’ha limitato, in quanto il limitare prende le mosse unicamente dall’io. Forse il non-io non limita affatto l’io in sé, bensì soltanto il limitare operato dall’io: in tal caso la proposizione che precede rimarrebbe tuttavia vera e corretta senza che al non-io debba essere attribuita una realtà assoluta e senza che la proposizione sopra enunciata in modo problematico sia contenuta in essa. 2) In quella proposizione è contenuta la seguente: l’io pone se stesso come limitato dal non-io. Di questa proposizione si può far uso e dev’essere assunta per certa, perché è deducibile dalla proposizione sopra enunciata. L’io è posto dapprima quale realtà assoluta e poi come realtà limitabile, passibile di una quantità, e precisamente in quanto limitabile dal non-io. Ma tutto ciò è posto tramite l’io, e questi sono, dunque, i momenti della nostra proposizione. (Si mostrerà: 1) che l’ultima proposizione fonda la parte teoretica della dottrina della scienza – tuttavia soltanto dopo il
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Vollendung desselben, wie das beim synthetischen Vortrage nicht anders sein kann. 2) daß der erstere, bis jetzt problematische Satz den praktischen Teil der Wissenschaft begründe. Aber da er selbst problematisch ist, so bleibt die Möglichkeit eines solchen praktischen Teils gleichfalls problematisch. Hieraus geht nun 3) hervor, warum die Reflexion vom theoretischen Teile ausgehen müsse; ohngeachtet sich im Verfolg zeigen wird, daß nicht etwa das theoretische Vermögen das praktische, sondern daß umgekehrt das praktische Vermögen erst das theoretische möglich mache, (daß die Vernunft an sich bloß praktisch sei, und daß sie erst in der Anwendung ihrer Gesetze auf ein sie einschränkendes Nicht-Ich theoretisch werde). – Sie ist es darum, weil die Denkbarkeit des praktischen Grundsatzes sich auf die Denkbarkeit des theoretischen Grundsatzes gründet. Aber von der Denkbarkeit ist ja doch bei der Reflexion die Rede. 4) geht daraus hervor, daß die Einteilung der Wissenschaftslehre in die theoretische, und praktische, die wir hier gemacht haben, bloß problematisch ist; (aus welchem Grunde wir sie denn auch nur so im Vorbeigehen machen mußten, und die scharfe Grenzlinie, die noch nicht als solche bekannt ist, nicht ziehen konnten). Wir wissen noch gar nicht, ob wir den theoretischen Teil vollenden, oder ob wir nicht vielleicht auf einen Widerspruch stoßen werden, der schlechthin unauflösbar ist; um soviel weniger können wir wissen, ob wir von dem theoretischen Teile aus in einen besondern praktischen werden getrieben werden).
[287] B) Synthesis der in dem aufgestellten Satze enthaltnen Gegensätze überhaupt, und im allgemeinen. Der Satz: das Ich setzt sich, als bestimmt durch das Nicht-Ich, ist soeben vom dritten Grundsatze abgeleitet
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suo completamento, come non può essere altrimenti procedendo per via sintetica. 2) che la prima proposizione, finora problematica, fonda la parte pratica della ‹dottrina› della scienza. Poiché però questa medesima proposizione è problematica, resta parimenti problematica la possibilità di una tale parte pratica. Ne risulta allora 3) perché la riflessione debba muovere dalla parte teoretica, sebbene si mostrerà nel seguito che non già la facoltà teoretica rende possibile quella pratica, ma che, viceversa, è unicamente la facoltà pratica a rendere possibile quella teoretica [che la ragione in sé è meramente pratica e che diviene teoretica soltanto applicando le sue leggi a un non-io che la limita]. – Perciò essa è tale: perché la pensabilità del principio pratico fondamentale si fonda sulla pensabilità del principio teoretico fondamentale. Ma della pensabilità si discute, comunque, nell’ambito della riflessione. 4) ne risulta che la partizione della dottrina della scienza in teoretica e pratica, che abbiamo qui operato, è semplicemente problematica [ragione per la quale dovevamo istituirla esclusivamente di passaggio e non potevamo tracciare la netta linea di confine che, in quanto tale, non è ancora nota]. Ignoriamo ancora totalmente se completeremo la parte teoretica o se forse urteremo contro una contraddizione in tutto e per tutto insolubile, tanto meno possiamo sapere se saremo spinti dalla parte teoretica a una particolare parte pratica).
B) Sintesi in linea generale degli opposti e sintesi degli opposti contenuti nella proposizione enunciata. La proposizione: l’io si pone come determinato dal non-io è stata dedotta poco fa dal terzo principio fondamentale: se questo deve avere validità, necessariamente
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worden; soll jener gelten, so muß auch Er gelten; aber jener muß gelten, so gewiß die Einheit des Bewußtseins nicht aufgehoben werden, und das Ich nicht aufhören soll, Ich zu sein (§. 3). Er selbst muß demnach so gewiß gelten, als die Einheit des Bewußtseins nicht aufgehoben werden soll. Wir haben ihn zuvörderst zu analysieren, d. i. zu sehen, ob, und was für Gegensätze in ihm enthalten seien. Das Ich setzt sich, als bestimmt durch das Nicht-Ich. Also das Ich soll nicht bestimmen, sondern es soll bestimmt werden; das Nicht-Ich aber soll bestimmen; der Realität des Ich Grenzen setzen. Demnach liegt in unserm aufgestellten Satze zuvörderst folgender: Das Nicht-Ich bestimmt (tätig) das Ich (welches insofern leidend ist). Das Ich setzt sich als bestimmt, durch absolute Tätigkeit. Alle Tätigkeit muß, soviel wir wenigstens bis jetzt einsehen, vom Ich ausgehen. Das Ich hat sich selbst; es hat das Nicht-Ich, es hat beide in die Quantität gesetzt. Aber das Ich setzt sich als bestimmt, heißt offenbar soviel, als das Ich bestimmt sich. Demnach liegt in dem aufgestellten Satze auch folgender: Das Ich bestimmt sich selbst, (durch absolute Tätigkeit). Wir abstrahieren vor der Hand noch gänzlich davon, ob etwa jeder von beiden Sätzen sich selbst widerspreche, einen innern Widerspruch enthalte, und demnach sich selbst aufhebe. Aber soviel ist sogleich einleuchtend, daß beide einander gegenseitig widersprechen; daß das Ich nicht tätig sein könne, wenn es leidend sein soll, und umgekehrt. (Die Begriffe der Tätigkeit, und des Leidens sind freilich noch nicht, als entgegengesetzte, abgeleitet und entwickelt; es soll aber auch weiter nichts aus diesen Begriffen, als entgegengesetzten gefolgert werden; man hat sich dieser Worte hier bloß bedient, um sich deutlich zu machen. Soviel ist offenbar, daß in dem einen der entwik-
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deve averne anch’essa. Tuttavia, quel principio deve’essere valido con la stessa certezza con la quale l’unità della coscienza non può essere soppressa e l’io non può cessare di essere io (§ 3). Ne consegue che quella proposizione deve necessariamente essere valida con tanta certezza quanto l’unità della coscienza non deve essere soppressa. In primo luogo è nostro dovere analizzare tale proposizione, cioè vedere se in essa siano compresi degli opposti e quali. L’io si pone come determinato dal non-io. L’io deve, quindi, non già determinare bensì essere determinato, mentre il non-io deve determinare, porre limiti alla realtà dell’io. Nella proposizione che abbiamo enunciata è pertanto compresa anzitutto la seguente: il non-io determina (attivamente) l’io (che per questo riguardo è passivo). L’io si pone come determinato tramite attività assoluta. Ogni attività, almeno per quanto possiamo scorgervi sinora, deve procedere dall’io. L’io ha posto se stesso, ha posto il non-io: ha posto entrambi nella quantità. Però l’io si pone come determinato, ‹e› ciò equivale palesemente a dire: l’io si determina. Di conseguenza nella proposizione enunciata è compresa altresì la seguente: L’io determina se stesso (mediante attività assoluta). Al momento facciamo ancora completamente astrazione da questo: se ognuna delle due proposizioni contraddica se stessa, contenga una contraddizione interna e dunque si autosopprima. È però subito lampante che ambedue si contraddicono vicendevolmente l’un l’altra, che l’io non può essere attivo, se dev’essere passivo, e viceversa. (I concetti di attività e passività certamente non sono stati ancora dedotti e sviluppati come contrapposti, ma nulla di più dev’essere dedotto da questi concetti in quanto contrapposti: qui si è fatto ricorso a questi termini semplicemente per spiegarsi distintamente. È poi
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kelten Sätze bejahet werde, was der andere verneint, und umgekehrt; und so etwas ist doch wohl ein Widerspruch). Zwei Sätze, die in einem und ebendemselben Satze enthalten sind, widersprechen einander, sie heben sich demnach auf: und der Satz, in dem sie enthalten sind, hebt sich selbst auf. Mit dem oben aufgestellten Satze ist es so beschaffen. Er hebt demnach sich selbst auf. Aber er darf sich nicht aufheben, wenn die Einheit des Bewußtseins nicht auf-[288]gehoben werden soll: wir müssen demnach suchen, die angezeigten Gegensätze zu vereinigen; (d. h. nach dem obigen nicht: wir sollen in unsrem Geschäfte der Reflexion durch eine Künstelei einen Vereinigungspunkt für sie erdichten; sondern, da die Einheit des Bewußtseins, zugleich aber jener Satz, der sie aufzuheben droht, gesetzt ist, so muß der Vereinigungspunkt schon in unserm Bewußtsein vorhanden sein, und wir haben durch Reflexion ihn nur zu suchen. Wir haben soeben einen synthetischen Begriff = X, der wirklich da ist, analysiert; und aus den durch die Analyse gefundnen Gegensätzen sollen wir schließen, was für ein Begriff das unbekannte X sei). Wir gehen an die Lösung unsrer Aufgabe. Es wird in dem einen Satze bejahet, was in dem andern verneint wird. Realität und Negation sind es demnach, die sich aufheben; und die sich nicht aufheben, sondern vereinigt werden sollen, und dieses geschieht (§. 3) durch Einschränkung oder Bestimmung. Insofern gesagt wird: das Ich bestimmt sich selbst, wird dem Ich absolute Totalität der Realität zugeschrieben. Das Ich kann sich nur als Realität bestimmen, denn es ist gesetzt als Realität schlechthin, (§. 1) und es ist in ihm gar keine Negation gesetzt. Dennoch sollte es durch sich selbst bestimmt sein; das kann nicht heißen, es hebt eine Realität in sich auf; denn dadurch würde es unmittelbar in Widerspruch mit sich selbst versetzt; sondern es muß heißen: das Ich bestimmt die Realität und vermittelst dersel-
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palese il fatto che in una delle proposizioni sviluppate si afferma ciò che l’altra nega e viceversa: e in tal senso si tratta certo di una contraddizione). Due proposizioni che sono comprese in una e medesima proposizione si contraddicono a vicenda: esse pertanto si eliminano e la proposizione nella quale sono comprese si autosopprime. Ciò accade con la proposizione enunciata sopra. Essa dunque sopprime se stessa. Eppure non può sopprimersi, se non deve esser soppressa l’unità della coscienza: dobbiamo perciò cercare di unificare quegli opposti che abbiamo indicati (ossia, secondo quel che abbiamo detto prima, non dobbiamo, operando riflessivamente, escogitare con un artificio un punto d’unione per quei contrari bensì, poiché l’unità della coscienza è posta ad un tempo con quella proposizione che minaccia di eliminarla, il punto di unificazione deve già essere disponibile nella nostra coscienza e dobbiamo soltanto scovarlo riflettendo. A questo punto abbiamo analizzato un concetto sintetico = X che esiste effettivamente e, dai contrari scoperti con l’analisi, dobbiamo concludere che sorta di concetto sia l’incognito X). Veniamo alla soluzione del nostro problema. In una proposizione è affermato ciò che nell’altra è negato. A sopprimersi sono quindi realtà e negazione, che pure non si sopprimono e debbono essere unificate, e ciò avviene (§ 3) tramite limitazione o determinazione. Dicendo: l’io determina se stesso, si ascrive all’io l’assoluta totalità della realtà. L’io può determinarsi unicamente in quanto realtà, perché esso è posto come realtà in assoluto (§ 1) ed in esso non è posta affatto negazione. Tuttavia esso doveva essere determinato per opera propria: questo non può significare che l’io sopprima in sé una realtà, poiché ciò lo metterebbe immediatamente in contraddizione con se stesso, bensì deve significare che l’io determina la realtà e, per mezzo di questa, se
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ben sich selbst. Es setzt alle Realität als ein absolutes Quantum. Außer dieser Realität gibt es gar keine. Diese Realität ist gesetzt ins Ich. Das Ich ist demnach bestimmt, insofern die Realität bestimmt ist. Noch ist zu bemerken, daß dies ein absoluter Akt des Ich ist; ebenderselbe, der §. 3 vorkommt wo das Ich sich selbst als Quantität setzt; und der hier, um der Folgen willen, deutlich und klar aufgestellt werden mußte. Das Nicht-Ich ist dem Ich entgegengesetzt; und in ihm ist Negation, wie im Ich Realität. Ist in das Ich absolute Totalität der Realität gesetzt: so muß in das Nicht-Ich notwendig absolute Totalität der Negation gesetzt werden; und die Negation selbst muß als absolute Totalität gesetzt werden. Beides, die absolute Totalität der Realität im Ich, und die absolute Totalität der Negation im Nicht-Ich sollen vereinigt werden durch Bestimmung. Demnach bestimmt sich das Ich zum Teil, und es wird bestimmt zum Teil. [289] Aber beides soll gedacht werden, als Eins und ebendasselbe, d. h. in eben der Rücksicht, in der das Ich bestimmt wird, soll es sich bestimmen, und in eben der Rücksicht, in der es sich bestimmt, soll es bestimmt werden. Das Ich wird bestimmt, heißt: es wird Realität in ihm aufgehoben. Wenn demnach das Ich nur einen Teil von der absoluten Totalität der Realität in sich setzt, so hebt es dadurch den Rest jener Totalität in sich auf: und setzt den der aufgehobenen Realität gleichen Teil der Realität, vermöge des Gegensetzens (§. 2) und der Gleichheit der Quantität mit sich selbst in das Nicht-Ich (§. 3). Ein Grad ist immer ein Grad; es sei ein Grad der Realität, oder der Negation. (Teilet z. B. die Totalität der Realität in 10 gleiche Teile; setzt deren 5 in das Ich; so sind notwendig 5 Teile der Negation in das Ich gesetzt). So viele Teile der Negation das Ich in sich setzt, so viele Teile der Realität setzt es in das Nicht-Ich; welche Realität
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stesso. Esso pone ogni realtà come un quantum assoluto. Fuorché questa realtà, non ve n’è affatto alcuna. Tale realtà è posta nell’io. L’io è dunque determinato, nella misura in cui la realtà è determinata. V’è ancora da osservare che questo è un atto assoluto dell’io e proprio lo stesso che ricorre nel § 3, dove l’io pone se stesso come quantità, e che qui doveva essere stabilito ed enunciato in modo chiaro e distinto in ragione delle sue conseguenze. Il non-io è contrapposto all’io: in esso vi è negazione, come nell’io realtà. Se nell’io è posta l’assoluta totalità della realtà, allora necessariamente nel non-io dev’essere posta l’assoluta totalità della negazione e la negazione stessa dev’essere posta quale totalità assoluta. Ambedue, l’assoluta totalità della realtà nell’io e l’assoluta totalità della negazione nel non-io, debbono essere unificate tramite determinazione. Pertanto l’io in parte si determina ed in parte è determinato27. Tuttavia entrambi ‹gli aspetti› devono essere pensati come un’unica e proprio medesima cosa, in altri termini l’io, per il profilo in cui appunto è determinato, deve determinarsi, e, precisamente per il profilo in cui esso si determina, dev’essere determinato. L’io è determinato, ‹ciò› significa: in esso viene soppressa della realtà. Se dunque l’io pone in sé soltanto una parte dell’assoluta totalità della realtà, allora così facendo sopprime in sé il resto di quella totalità: pone nel non-io (§ 3) la parte di realtà uguale alla realtà soppressa, in forza dell’opporre (§ 2) e dell’identità della quantità con se stessa. Un grado è sempre un grado, sia esso un grado della realtà o della negazione (dividete, per esempio, la totalità della realtà in 10 parti uguali; ponetene 5 nell’io: in tal modo nell’io sono poste necessariamente 5 parti della negazione). Altrettante parti della negazione l’io pone in sé, quante parti della realtà esso pone nel non-io: questa
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in dem entgegengesetzten die Realität in ihm eben aufhebt. (Sind z. B. 5 Teile der Negation in das Ich gesetzt, so sind 5 Teile Realität in das Nicht-Ich gesetzt). Demnach setzt das Ich Negation in sich, insofern es Realität in das Nicht-Ich setzt, und Realität in sich, insofern es Negation in das Nicht-Ich setzt; es setzt sich demnach sich bestimmend, insofern es bestimmt wird; und bestimmt werdend, insofern es sich bestimmt: und die Aufgabe ist, insofern sie oben aufgegeben war, gelöst. (Insofern sie aufgegeben war; denn noch immer bleibt die Frage unbeantwortet, wie das Ich Negation in sich, oder Realität in das Nicht-Ich setzen könne; und es ist soviel als nichts geschehen, wenn diese Fragen sich nicht beantworten lassen. Dies wird darum erinnert, damit niemand sich an die anscheinende Nichtigkeit und Unzulänglichkeit unsrer Auflösung stoße). Wir haben soeben eine neue Synthesis vorgenommen. Der Begriff, der in derselben aufgestellt wird, ist enthalten unter dem höhern Gattungsbegriffe der Bestimmung; denn es wird durch ihn Quantität gesetzt. Aber wenn es wirklich ein andrer Begriff, und die durch ihn bezeichnete Synthesis wirklich eine neue Synthesis sein soll, so muß sich die spezifische Differenz desselben vom Begriffe der Bestimmung überhaupt; es muß sich der Unterscheidungsgrund beider Begriffe aufzeigen lassen. – Durch Bestimmung überhaupt wird bloß Quantität [290] festgesetzt; ununtersucht wie, und auf welche Art: durch unsern eben jetzt aufgestellten synthetischen Begriff wird die Quantität des Einen durch die seines Entgegengesetzten gesetzt, und umgekehrt. Durch die Bestimmung der Realität oder Negation des Ich wird zugleich die Negation oder Realität des Nicht-Ich bestimmt; und umgekehrt. Ich kann ausgehen von welchem der Entgegengesetzten; wie ich nur will; und habe jedesmal durch eine Handlung des Bestimmens zugleich das andere bestimmt. Diese
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realtà nel contrapposto elimina esattamente altrettanta realtà in esso (se, per esempio, nell’io sono poste 5 parti della negazione, nel non-io in tal modo sono poste 5 parti di realtà). Dunque l’io pone in sé negazione nella misura in cui pone realtà nel non-io, e pone in sé realtà nella misura in cui pone negazione nel non-io; esso si pone dunque come determinantesi in quanto viene determinato, e si pone come ciò che viene determinato in quanto esso determina sé: il compito, nel senso in cui fu sopra assegnato, è risolto. (Nel senso in cui esso fu assegnato, perché resta ancor sempre disattesa la questione circa il modo in cui l’io possa porre in sé negazione o realtà nel non-io: se questi interrogativi non trovano risposta, è come non aver fatto nulla. Noi perciò lo rammentiamo, soltanto perché nessuno se ne abbia a male per l’apparente nullità ed insufficienza della nostra soluzione). Abbiamo appena intrapreso una nuova sintesi. Il concetto che vi è enunciato e stabilito è sussunto sotto il superiore genere della determinazione, perché da esso è posta la quantità. Ma se si tratta effettivamente di un altro concetto e se la sintesi da esso designata dev’essere effettivamente nuova, allora deve potersi mostrare la differenza specifica di quel concetto dal concetto di determinazione in generale, ‹vale a dire› il fondamento di distinzione dei due concetti. – Dalla determinazione in generale vien fissata semplicemente la quantità, lasciando inindagati il come e la maniera: dal concetto sintetico, che proprio ora abbiamo enunciato, la quantità dell’uno è posta da quella del termine a esso contrapposto e viceversa. Dalla determinazione della realtà o della negazione dell’io è determinata nel contempo la negazione o la realtà del non-io e viceversa. Posso muovere da uno qualunque dei termini contrapposti io voglia, in ogni caso con l’azione del determinare ho in pari tempo
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bestimmtere Bestimmung könnte man füglich Wechselbestimmung (nach der Analogie von Wechselwirkung) nennen. Es ist das gleiche was bei Kant Relation heißt.
C. Synthesis durch Wechselbestimmung der in dem ersten der entgegengesetzten Sätze selbst enthaltnen Gegensätze. Es wird sich bald zeigen, daß durch die Synthesis, vermittelst der Wechselbestimmung für die Lösung der Hauptschwierigkeit, an sich nichts Beträchtliches gewonnen ist. Aber für die Methode haben wir festen Fuß gewonnen. Sind in dem zu Anfange des §. aufgestellten Hauptsatze alle Gegensätze enthalten, welche hier vereinigt werden sollen; und sie sollen darin enthalten sein, laut der oben gemachten Erinnerung über die Methode: sind sie ferner im Allgemeinen zu vereinigen gewesen durch den Begriff der Wechselbestimmung; so müssen notwendig die Gegensätze, die in den schon vereinigten allgemeinen Sätzen liegen, schon mittelbar durch Wechselbestimmung vereinigt sein. So wie die besondern Gegensätze enthalten sind unter den aufgestellten allgemeinen; so muß auch der synthetische Begriff, der sie vereinigt, enthalten sein unter dem allgemeinen Begriffe der Wechselbestimmung. Wir haben demnach mit diesem Begriffe gerade so zu verfahren, wie wir eben mit dem Begriffe der Bestimmung überhaupt verfuhren. Wir bestimmten ihn selbst, d. h. wir schränkten die Sphäre seines Umfangs ein auf eine geringere Quantität durch die hinzugefügte Bedingung, daß die Quantität des Einen durch sein Entgegengesetztes bestimmt [291] werden solle, und umgekehrt, und so erhielten wir den Begriff der Wechselbestimmung. Laut des soeben geführten Beweises haben wir von nun an diesen Begriff selbst näher zu
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determinato l’altro ‹termine›. Si potrebbe convenientemente chiamare determinazione reciproca (per analogia con l’azione reciproca) questa più determinata determinazione. È la stessa cosa di ciò che in Kant si chiama relazione.
C. Sintesi mediante determinazione reciproca degli opposti contenuti nella prima delle proposizioni contrapposte Presto si mostrerà che la sintesi tramite determinazione reciproca non consegue alcunché di degno di considerazione per risolvere la difficoltà principale in sé. Tuttavia abbiamo acquisito una solida base per il metodo. Se nella proposizione principale, enunciata all’inizio del §, sono compresi tutti gli opposti che qui devono essere riunificati e se, stando a quanto abbiamo ricordato sopra a proposito del metodo, devono esservi compresi; se inoltre essi hanno dovuto essere riunificati in generale attraverso il concetto di determinazione reciproca, allora gli opposti contenuti nelle proposizioni generali già unificate devono necessariamente essere già unificati in modo mediato tramite la determinazione reciproca28. Al modo in cui gli opposti particolari sono compresi sotto gli opposti generali che abbiamo enunciato, così anche il concetto sintetico che li unifica dev’essere sussunto sotto il concetto generale di determinazione reciproca. Con tale concetto dobbiamo procedere pertanto esattamente come procedemmo col concetto di determinazione in generale. Noi determinammo questo concetto stesso, cioè abbiamo limitato la sfera della sua estensione a una quantità inferiore ponendo la condizione aggiuntiva che la quantità dell’uno debba essere determinata dal termine a esso contrapposto e viceversa, e così ottenemmo il concetto di determinazione reciproca. Rispettando la dimostrazione appena condotta, dobbiamo d’ora in poi determinare in modo
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bestimmen, d. i. seine Sphäre durch eine besondre hinzugefügte Bedingung einzuschränken; und so bekommen wir synthetische Begriffe, die unter dem höhern Begriff der Wechselbestimmung enthalten sind. Wir werden dadurch in den Stand gesetzt, diese Begriffe durch ihre scharfe Grenzlinien zu bestimmen, so daß die Möglichkeit, sie zu verwechseln, und aus dem Gebiet des einen in das Gebiet des andern überzuschweifen, schlechthin abgeschnitten werde. Jeder Fehler entdeckt sich sogleich durch den Mangel an scharfer Bestimmung. Das Nicht-Ich soll bestimmen das Ich, d. h. es soll Realität in demselben aufheben. Das aber ist nur unter der Bedingung möglich, daß es in sich selbst denjenigen Teil der Realität habe, den es im Ich aufheben soll. Also – das Nicht-Ich hat in sich selbst Realität. Aber alle Realität ist in das Ich gesetzt, das Nicht-Ich aber ist dem Ich entgegengesetzt; mithin ist in dasselbe gar keine Realität, sondern lauter Negation gesetzt. Alles Nicht-Ich ist Negation; und es hat mithin gar keine Realität in sich. Beide Sätze heben einander gegenseitig auf. Beide sind enthalten in dem Satze: das Nicht-Ich bestimmt das Ich. Jener Satz hebt demnach sich selbst auf. Aber jener Satz ist enthalten in dem eben aufgestellten Hauptsatze; und dieser in dem Satze der Einheit des Bewußtseins; wird er aufgehoben, so wird der Hauptsatz in dem er enthalten ist, und die Einheit des Bewußtseins, in welcher dieser enthalten ist, aufgehoben. Er kann sich demnach nicht aufheben, sondern die Gegensätze, die in ihm liegen, müssen sich vereinigen lassen. 1) Der Widerspruch ist nicht etwa schon durch den Begriff der Wechselbestimmung aufgelöst. Setzen wir die absolute Totalität der Realität als einteilbar; d. i. als eine solche, die vermehrt oder vermindert werden kann (und selbst die Befugnis dieses zu tun, ist noch nicht deduziert) so können wir freilich willkürlich Teile derselben abziehen, und müssen sie unter dieser Bedingung notwendig in das
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più stringente questo stesso concetto, ossia limitarne la sfera aggiungendo una particolare condizione: in tal modo otteniamo concetti sintetici che sono sussunti sotto il concetto superiore di determinazione reciproca. Per ciò ci siamo messi nella condizione di determinare tali concetti mediante le loro nitide linee di confine, in modo da escludere la possibilità di confonderli e di passare dal dominio dell’uno al dominio dell’altro. Ogni errore si scopre subito per la mancanza di una recisa determinazione. Il non-io deve determinare l’io, in altri termini deve eliminarvi realtà. Tuttavia ciò è possibile soltanto a condizione che abbia in se stesso quella parte di realtà che deve togliere all’io. Quindi il non-io ha, in sé medesimo, realtà. Eppure ogni realtà è posta nell’io, però il non-io è contrapposto all’io, in esso quindi non è posta affatto realtà bensì puramente negazione. Ogni non-io è negazione e di conseguenza non ha in sé realtà alcuna. Le due proposizioni si eliminan l’una l’altra a vicenda. Entrambe sono comprese nella proposizione: il nonio determina l’io. Quella proposizione, dunque, sopprime se stessa. Ma quella proposizione è compresa nella proposizione principale sopra enunciata e questa in quella dell’unità della coscienza: se quella è soppressa, sono eliminate la proposizione principale nella quale essa è compresa e l’unità della coscienza nella quale è compresa quest’ultima. Essa pertanto non può sopprimersi, invece devono potersi unificare i contrari che vi sono contenuti29. 1) La contraddizione non è già risolta per mezzo del concetto di determinazione reciproca. Se poniamo come divisibile l’assoluta totalità della realtà, se cioè la poniamo tale che possa essere aumentata o diminuita (e il diritto stesso di far questo non è ancora dedotto), allora possiamo certamente sottrarne ad arbitrio delle parti e dobbiamo porle, a questa condizione, necessariamente nel non-
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Nicht-Ich setzen; soviel ist durch den Begriff der Wechselbestimmung gewonnen. Aber wie kommen wir denn dazu, Teile von der Realität des Ich abzuziehen? Das ist die noch nicht berührte Frage – die Reflexion setzt [292] freilich, laut des Gesetzes der Wechselbestimmung, die in Einem aufgehobene Realität in das Entgegengesetzte, und umgekehrt; wenn sie erst irgendwo Realität aufgehoben hat. Aber was ist denn dasjenige, das sie berechtigt, oder nötigt, überhaupt eine Wechselbestimmung vorzunehmen? Wir erklären uns bestimmter! – Es ist in das Ich schlechthin Realität gesetzt. Im dritten Grundsatze und soeben ganz bestimmt wurde das Nicht-Ich als ein Quantum gesetzt: aber jedes Quantum ist Etwas, mithin auch Realität. Demnach soll das Nicht-Ich Negation; – also gleichsam eine reale Negation, (eine negative Größe) sein. Nach dem Begriffe der bloßen Relation nun ist es völlig gleichgültig, welchem von beiden Entgegengesetzten man Realität, und welchem man Negation zuschreiben wolle. Es hängt davon ab, von welchem der beiden Objekte die Reflexion ausgeht. So ist es wirklich in der Mathematik, die von aller Qualität völlig abstrahiert, und lediglich auf die Quantität sieht. Ob ich Schritte rückwärts oder Schritte vorwärts positive Größen nennen wolle, ist an sich völlig gleichgültig; und es hängt lediglich davon ab, ob ich die Summe der erstern, oder die der letztern als endliches Resultat aufstellen will. So in der Wissenschaftslehre. Was im Ich Negation ist, ist im Nicht-Ich Realität, und umgekehrt; so viel, weiter aber auch nichts, wird durch den Begriff der Wechselbestimmung vorgeschrieben. Ob ich nun das im Ich Realität oder Negation nennen wolle, bleibt ganz meiner Willkür überlassen: es ist bloß von relativer* Realität die Rede. [292] * Es ist merkwürdig, daß im gemeinen Sprachgebrauche das Wort relativ stets richtig, stets von dem gebraucht worden, was bloß durch die Quantität unterschieden ist, und durch weiter nichts unterschieden werden kann; und daß man dennoch gar keinen bestimmen Begriff mit dem Worte Relation, von welchem jenes abstammt, verbunden.
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io: ecco qual è il guadagno comportato dal concetto di determinazione reciproca. Ma come perveniamo a sottrarre parti alla realtà dell’io30? Ecco la questione non ancora affrontata – certo, stando alla legge della determinazione reciproca, la riflessione, se essa ha prima in qualche modo soppresso della realtà, pone la realtà soppressa in un termine nel suo opposto e viceversa. Ma che cos’è dunque che l’autorizza o la obbliga a intraprendere in generale una determinazione reciproca? Spieghiamoci con maggior precisione! – La realtà è assolutamente posta nell’io. Nel terzo principio fondamentale e poco fa, in modo assai determinato, il non-io fu posto come un quantum: ma ogni quantum è qualcosa, di conseguenza è anche realtà. Tuttavia31 il non-io dev’essere negazione – quindi, in qualche modo, una negazione reale (una grandezza negativa). Ora, attenendosi al concetto della mera relazione, è del tutto indifferente a quale dei due termini contrapposti si voglia assegnare realtà e a quale negazione. Dipende da quale dei due oggetti muove la riflessione. È ciò che in effetti accade nella matematica, la quale astrae completamente da ogni qualità e guarda solo alla quantità. In sé è del tutto indifferente se voglio chiamare quantità positive i passi indietro o i passi in avanti, e dipende semplicemente da ciò: se voglio presentare come risultato finale la somma dei primi o quella dei secondi. Analogamente nella dottrina della scienza. Ciò che nell’io è negazione, nel non-io è realtà e viceversa: è questo, ma anche nulla di più, quanto viene prescritto dal concetto di determinazione reciproca. L’eventualità che io ora voglia chiamare realtà o negazione ciò che è nell’io, ciò resta interamente lasciato al mio arbitrio: si tratta semplicemente di realtà relativa*. * Singolare è il fatto che nell’uso linguistico comune il termine relativo sia utilizzato sempre in senso corretto, sempre riferito a ciò che può essere distinto puramente e semplicemente per quantità e per null’altro; e che tuttavia non vi sia proprio alcun concetto determinato collegato con il termine relazione, dal quale deriva relativo.
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Es zeigt sich demnach eine Zweideutigkeit in dem Begriffe der Realität selbst, welche eben durch den Begriff der Wechselbestimmung herbeigeführt wird. Läßt diese Zweideutigkeit sich nicht heben, so ist die Einheit des Bewußtseins aufgehoben: das Ich ist Realität, und das Nicht-Ich ist gleichfalls Realität; und beide sind nicht mehr entgegengesetzt, und das Ich ist nicht = Ich, sondern = Nicht-Ich. 2) Soll der aufgezeigte Widerspruch befriedigend gelöst werden, so muß vor allen Dingen jene Zweideutigkeit gehoben werden, hinter welcher er etwa versteckt sein und kein wahrer, sondern nur ein scheinbarer Widerspruch sein könnte. [293] Aller Realität Quelle ist das Ich. Erst durch und mit dem Ich ist der Begriff der Realität gegeben. Aber das Ich ist, weil es sich setzt, und setzt sich, weil es ist. Demnach sind Sich-Setzen, und Sein Eins und ebendasselbe. Aber der Begriff des Sich-Setzens, und der Tätigkeit überhaupt sind wieder Eins und ebendasselbe. Also – alle Realität ist tätig; und alles tätige ist Realität. Tätigkeit ist positive (im Gegensatz gegen bloß relative) Realität. (Es ist sehr nötig, den Begriff der Tätigkeit sich hier ganz rein zu denken. Es kann durch denselben nichts bezeichnet werden, was nicht in dem absoluten Setzen des Ich durch sich selbst enthalten ist; nichts, was nicht unmittelbar im Satze: Ich bin, liegt. Es ist demnach klar, daß nicht nur von allen Zeitbedingungen, sondern auch von allem Objekte der Tätigkeit völlig zu abstrahieren ist. Die Tathandlung des Ich, indem es sein eignes Sein setzt, geht gar nicht auf ein Objekt, sondern sie geht in sich selbst zurück. Erst dann, wenn das Ich sich selbst vorstellt, wird es Objekt. – Die Einbildungskraft kann sich schwerlich enthalten, das letztere Merkmal, das des Objekts, in den reinen Begriff der Tätigkeit mit einzumischen: es ist aber genug, daß man vor der Täuschung derselben gewarnt ist, damit man wenigstens in den Folgerungen von allem, was von einer solchen Einmischung herstammen könnte, abstrahiere).
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Un’ambiguità, comportata proprio dal concetto di determinazione reciproca, si manifesta dunque nel concetto stesso di realtà. Se non si può levare tale ambiguità, allora l’unità della coscienza è soppressa: l’io è realtà ed altrettanto è realtà il non-io, e i due non sono più contrapposti, l’io non è = io bensì = non-io. 2) Se la contraddizione indicata dev’essere risolta in modo soddisfacente, bisogna che anzitutto sia tolta quell’ambiguità sotto la quale potrebbe forse celarsi una contraddizione non già vera bensì soltanto apparente. Fonte di ogni realtà è l’io32. Unicamente per opera dell’io e con l’io è dato il concetto di realtà. Ma l’io è perché pone sé e pone sé perché è. Porre-sé ed essere sono pertanto un’unica e medesima cosa. Il concetto di porresé e quello di attività in generale sono però, a loro volta, un’unica e medesima cosa. Dunque – ogni realtà è attiva e ciò che è attivo è realtà. Attività è realtà positiva33 (in opposizione a quella semplicemente relativa). (È qui fortemente necessario pensare in modo purissimo il concetto di attività. Nulla può essere designato da tale concetto che non sia compreso nell’assoluto porsi da se stesso dell’io; nulla che non si trovi immediatamente nella proposizione: io sono. È pertanto chiaro che si deve fare completamente astrazione non soltanto da tutte le condizioni di tempo, ma altresì da ogni oggetto dell’attività. L’azione-in-atto dell’io, ponendo il suo proprio essere, non si dirige affatto su un oggetto bensì fa ritorno in se stessa. Soltanto quando rappresenta se stesso, l’io diventa oggetto. – Con fatica l’immaginazione può trattenersi dal frammischiare al concetto puro di attività quest’ultima caratteristica, quella di oggetto34: è sufficiente essere avvertiti dell’inganno che essa suscita, per poter fare astrazione, almeno nelle conseguenze, da tutto ciò che potrebbe derivare da una tale mescolanza).
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3) Das Ich soll bestimmt sein, d. h. Realität, oder wie dieser Begriff soeben bestimmt worden, Tätigkeit soll in ihm aufgehoben sein. Mithin ist in ihm das Gegenteil der Tätigkeit gesetzt. Das Gegenteil der Tätigkeit aber heißt Leiden. Leiden ist positive Negation, und ist insofern der bloß relativen entgegengesetzt. (Es wäre zu wünschen, daß das Wort Leiden weniger Nebenbedeutungen hätte. Daß hier nicht an schmerzhafte Empfindung zu denken sei, braucht wohl nicht erinnert zu werden. Vielleicht aber das, daß von allen Zeitbedingungen, ferner bis jetzt noch von aller das Leiden verursachenden Tätigkeit in dem Entgegengesetzten zu abstrahieren sei. Leiden ist die bloße Negation des soeben aufgestellten reinen Begriffs der Tätigkeit; und zwar die quantitative, da er selbst quantitativ ist; denn die bloße Negation der Tätigkeit, von der Quantität derselben abstrahiert = 0 wäre Ruhe. Alles im Ich, was nicht unmittelbar im: Ich bin liegt; nicht unmittelbar durch das Setzen des Ich durch sich selbst, gesetzt ist, ist für dasselbe Leiden (Affektion überhaupt)[)]. 4) Soll, wenn das Ich im Zustande des Leidens ist, die absolute Totalität der Realität beibehalten werden, so muß notwendig, vermöge des Gesetzes der [294] Wechselbestimmung, ein gleicher Grad der Tätigkeit in das NichtIch übertragen werden. Und so ist denn der obige Widerspruch gelöst. Das Nicht-Ich hat als solches an sich keine Realität; aber es hat Realität, insofern das Ich leidet; vermöge des Gesetzes der Wechselbestimmung. Dieser Satz: das Nicht-Ich hat, soviel wir wenigstens bis jetzt einsehen, für das Ich, nur insofern Realität, insofern das Ich affiziert ist; und außer der Bedingung einer Affektion des Ich hat es gar keine, ist um der Folgen willen sehr wichtig. 5) Der jetzt abgeleitete synthetische Begriff ist enthalten unter dem höhern Begriffe der Wechselbestimmung; denn es wird in ihm die Quantität des Einen, des Nicht-
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3) L’io dev’essere determinato, ciò significa che in esso dev’essere soppressa della realtà, ovvero per come questo concetto è stato appena precisato, dell’attività. Di conseguenza nell’io è posto il contrario dell’attività. Il contrario dell’attività si chiama tuttavia passività. Passività, patire è negazione positiva35, quanto a ciò contrapposta alla negazione semplicemente relativa. (Sarebbe auspicabile che il termine patire avesse meno accezioni secondarie. È perfettamente inutile ricordare che qui non si tratta di pensare a una sensazione dolorosa. Forse è però da menzionare il fatto che occorre fare astrazione da tutte le condizioni di tempo ed inoltre, finora, da ogni attività che causi il patire nel termine contrapposto. Passività è la semplice negazione del puro concetto di attività appena enunciato, e per la precisione la negazione quantitativa36, poiché questo stesso concetto è quantitativo: la pura negazione dell’attività, fatta astrazione dalla sua quantità, = 0, sarebbe infatti stasi. Tutto ciò che nell’io non giace immediatamente nello: io sono, e non è posto immediatamente mediante il porsi dell’io per se stesso, è per l’io passività [affezione in generale]‹)›. 4) Se la totalità assoluta della realtà dev’essere conservata quando l’io è in stato di passività, un pari grado di attività dev’essere necessariamente trasportato nel non-io in virtù della legge della determinazione reciproca. In tal modo è risolta la contraddizione precedente. In virtù della legge della determinazione reciproca, il nonio, in quanto tale, non ha in sé realtà alcuna, ma ha realtà nella misura in cui l’io patisce. Tale proposizione è molto importante per ciò che ne consegue: il non-io, almeno per quanto abbiamo intravisto sinora, ha realtà per l’io soltanto nella misura in cui l’io è affetto e al di fuori della condizione di un’affezione dell’io non ne ha. 5) Il concetto sintetico ora dedotto è racchiuso entro il superiore concetto di determinazione reciproca: in quel concetto la quantità dell’uno, del non-io, è determi-
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Ich, bestimmt durch die Quantität seines Entgegengesetzten, des Ich. Aber er ist von ihm auch spezifisch verschieden. Nämlich im Begriffe der Wechselbestimmung war es völlig gleichgültig, welches der beiden Entgegengesetzten durch das andere bestimmt wurde: welchem von beiden die Realität, und welchem die Negation zugeschrieben wurde. Es wurde die Quantität, – aber weiter auch nichts, als die bloße Quantität bestimmt. – In der gegenwärtigen Synthesis aber ist die Verwechselung nicht gleichgültig; sondern es ist bestimmt, welchem von den beiden Gliedern des Gegensatzes Realität, und nicht Negation, und welchem Negation, und nicht Realität, zuzuschreiben sei. Es wird demnach durch die gegenwärtige Synthesis gesetzt Tätigkeit, und zwar der gleiche Grad der Tätigkeit in das Eine, sowie Leiden in sein Entgegengesetztes gesetzt wird, und umgekehrt. Diese Synthesis wird genannt die Synthesis der Wirksamkeit (Kausalität). Dasjenige, welchem Tätigkeit zugeschrieben wird, und insofern nicht Leiden, heißt die Ursache (Ur-Realität, positive schlechthin gesetzte Realität, welches durch jenes Wort treffend ausgedrückt wird): dasjenige, dem Leiden zugeschrieben wird, und insofern nicht Tätigkeit heißt das Bewirkte, (der Effekt, mithin von einer andern abhängende und keine Ur-Realität). Beides in Verbindung gedacht heißt eine Wirkung. Das Bewirkte sollte man nie Wirkung nennen. (In dem Begriffe der Wirksamkeit, wie er soeben deduziert worden, ist völlig zu abstrahieren von den empirischen Zeitbedingungen; und er läßt auch ohne sie sich recht wohl denken. Teils ist die Zeit noch nicht deduziert, und wir haben hier noch gar nicht das Recht, uns ihres Begriffs zu bedienen; teils ist es überhaupt gar nicht wahr, daß man sich die Ursache, als solche, d. i. insofern sie in der [295] bestimmten Wirkung tätig ist, als dem Bewirkten in der Zeit vorhergehend denken müsse, wie
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nata infatti dalla quantità del termine suo contrapposto, dell’io. Eppure esso è altresì specificamente diverso dal concetto di determinazione reciproca. In quest’ultimo, cioè era del tutto equivalente quale dei due termini contrapposti fosse determinato dall’altro: a quale fosse da assegnare la realtà e a quale la negazione. La quantità era determinata – tuttavia anche niente di più che la mera quantità. – Ma nella presente sintesi la confusione ‹dei termini› non è equivalente: è determinato, invece, a quale dei due elementi dell’opposizione sia da attribuire realtà e non negazione, e a quale negazione e non realtà. Pertanto dalla sintesi presente è posta attività e, per la precisione, l’identico grado di attività è posto in un termine come il grado di passività nel suo contrapposto, e viceversa. Questa sintesi è denominata la sintesi della capacità di produrre effetti (causalità). Il termine cui è attribuita attività, e in tal misura non passività, si chiama la causa (realtà originaria, realtà posta come positiva in assoluto: cose che sono espresse felicemente da quel termine)37; il termine al quale è attribuita passività, e in tal misura non attività, prende la designazione di prodotto dell’attività (l’effetto, dunque una realtà dipendente da un’altra e nessuna realtà originaria). Una causazione significa entrambi i termini pensati nel loro legame. Mai si dovrebbe chiamare causazione il prodotto dell’attività. (Nel concetto di capacità di produrre effetti, al modo in cui è stato appena dedotto, occorre fare completamente astrazione dalle condizioni temporali empiriche, potendolo pensare benissimo anche senza di esse. Da un lato, il tempo non è ancora dedotto, e qui non abbiamo il diritto di servirci del suo concetto; d’altro lato, in generale, non è affatto vero che la causa come tale, vale a dire nella misura in cui essa è attiva nella causazione determinata, debba essere pensata in quanto precedente nel tempo il prodotto dell’azione, come si mostrerà a suo
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sich einst beim Schematismus zeigen wird. Ursache und Bewirktes sollen ja vermöge der synthetischen Einheit als Eins, und ebendasselbe gedacht werden. Nicht die Ursache, als solche, aber die Substanz, welcher die Wirksamkeit zugeschrieben wird, geht der Zeit nach der Wirkung vorher, aus Gründen, die sich zeigen werden. Aber in dieser Rücksicht geht auch die Substanz, auf welche gewirkt wird, dem in ihr Bewirkten der Zeit nach vorher).
D. Synthesis durch Wechselbestimmung der in dem zweiten der entgegengesetzten Sätze enthaltenen Gegensätze. Der als in unserm Hauptsatze enthalten aufgestellte zweite Satz: das Ich setzt sich, als bestimmt, d. i. es bestimmt sich, enthält selbst Gegensätze; und hebt sich demnach auf. Da er aber sich nicht aufheben kann, ohne daß mittelbar auch die Einheit des Bewußtseins aufgehoben werde, haben wir durch eine neue Synthesis die Gegensätze in ihm zu vereinigen. a) Das Ich bestimmt sich; es ist das Bestimmende, und demnach tätig. b) Es bestimmt sich; es ist das Bestimmt-Werdende, und demnach leidend. Also ist das Ich in einer und ebenderselben Handlung tätig und leidend zugleich; es wird ihm Realität und Negation zugleich zugeschrieben, welches ohne Zweifel ein Widerspruch ist. Dieser Widerspruch ist zu lösen durch den Begriff der Wechselbestimmung; und er würde allerdings vollkommen gelöst sein, wenn statt der obigen Sätze sich folgender denken ließe: das Ich bestimmt durch Tätigkeit sein Leiden; oder durch Leiden seine Tätigkeit. Dann wäre es in einem und ebendemselben Zustande tätig und leidend zugleich: Es ist nur die Frage: ob, und wie obiger Satz sich denken lasse?
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tempo con lo schematismo. Causa ed effetto, in virtù dell’unità sintetica, debbono essere pensati quali un’unica cosa e come proprio la stessa. Non la causa in quanto tale, bensì la sostanza alla quale è attribuita la capacità di produrre effetti precede cronologicamente l’azione causale, per dei motivi che verranno posti luce. Tuttavia, per questo profilo anche la sostanza sulla quale si è agito precede cronologicamente ciò che in essa è prodotto dell’attività causale).
D. Sintesi mediante determinazione reciproca degli opposti contenuti nella seconda delle proposizioni contrapposte. La seconda proposizione, che abbiamo detto contenuta nella nostra proposizione principale: l’io si pone come determinato, vale a dire si determina, contiene essa stessa degli opposti e pertanto si autosopprime. Poiché però non può autosopprimersi senza che, in modo mediato, venga soppressa anche l’unità della coscienza, dobbiamo riunificare gli opposti che vi sono contenuti ricorrendo a una nuova sintesi. a) L’io si determina, è ciò che determina38 ed è dunque attivo. b) Determina sé, è ciò che viene determinato e dunque è passivo39. Così l’io è insieme attivo e passivo in un’unica e medesima azione, insieme gli sono attribuite realtà e negazione, il che è fuor di dubbio una contraddizione. Tale contraddizione è da risolvere mediante il concetto di determinazione reciproca: sarebbe risolta in ogni modo perfettamente, se in luogo delle proposizioni esposte qui sopra fosse pensabile la seguente: l’io determina, agendo, la sua passività o, patendo, la sua attività. In uno e medesimo stato sarebbe allora attivo e passivo insieme: sorge, soltanto, l’interrogativo circa il se e il come possa pensarsi la proposizione suddetta.
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Für die Möglichkeit aller Bestimmung überhaupt (alles Messens) muß ein Maßstab festgesetzt sein. Dieser Maßstab aber könnte kein andrer sein, als das Ich selbst, weil ursprünglich nur das Ich schlechthin gesetzt ist. [296] Aber in das Ich ist Realität gesetzt. Mithin muß das Ich als absolute Totalität (mithin als ein Quantum, in welchem alle Quanta enthalten sind, und welches ein Maß für alle sein kann) der Realität gesetzt sein; und zwar ursprünglich und schlechthin; wenn die soeben problematisch aufgestellte Synthesis möglich sein, und der Widerspruch befriedigend gelöst werden soll. Also: 1) Das Ich setzt schlechthin, ohne irgendeinen Grund, und unter keiner möglichen Bedingung absolute Totalität der Realität, als ein Quantum, über welches, schlechthin kraft dieses Setzens kein größeres möglich ist; und dieses absolute Maximum der Realität setzt es in sich selbst. – Alles, was im Ich gesetzt ist, ist Realität: und alle Realität, welche ist, ist im Ich gesetzt (§. 1). Aber diese Realität im Ich ist ein Quantum, und zwar ein schlechthin gesetztes Quantum (§. 3). 2) Durch und an diesem schlechthin gesetzten Maßstabe soll die Quantität eines Mangels der Realität (eines Leidens) bestimmt werden. Aber der Mangel ist nichts; und das Mangelnde ist nichts. Mithin kann derselbe nur dadurch bestimmt werden, daß das Übrige der Realität bestimmt werde. Also, das Ich kann nur die eingeschränkte Quantität seiner Realität bestimmen; und durch deren Bestimmung ist denn auch zugleich die Quantität der Negation bestimmt (vermittelst des Begriffs der Wechselbestimmung). (Wir abstrahieren hier noch gänzlich von der Bestimmung der Negation, als Gegensatzes der Realität an sich, im Ich: und richten unsre Aufmerksamkeit bloß auf Bestimmung eines Quantums der Realität, das kleiner ist, als die Totalität).
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Per rendere possibile ogni determinazione in generale (ogni misurazione) dev’essere fissata un’unità di misura. Tuttavia non potrebbe essere altro quest’unità di misura, fuorché l’io stesso, perché originariamente l’io solo è in tutto e per tutto posto. Ma nell’io è posta la realtà. Di conseguenza l’io dev’essere posto quale assoluta totalità della realtà (dunque come un quantum in cui sono contenuti tutti i quanta e che può essere una misura per tutti), e precisamente ‹dev’esserlo› in modo originario e in assoluto, se dev’essere possibile la sintesi appena enunciata in via problematica e se la contraddizione dev’essere risolta in modo soddisfacente. Quindi: 1) L’io pone in tutto e per tutto, senza un qualche fondamento e senza ‹sottostare ad› alcuna possibile condizione, assoluta totalità della realtà come un quantum oltre in quale, in forza di questo porre, nessun altro maggiore è possibile, e pone in se stesso tale maximum assoluto della realtà. – Tutto ciò che è posto nell’io è realtà e ogni realtà, che è, è posta nell’io (§ 1). Eppure questa realtà nell’io è un quantum e precisamente un quantum in tutto e per tutto posto (§ 3). 2) È da quest’unità di misura posta in assoluto, e stando ad essa, che dev’essere determinata la quantità in cui la realtà manca (la quantità di una passività). Tuttavia la mancanza è nulla e nulla è quel che manca40. Di conseguenza può essere determinata soltanto determinando la realtà restante. Allora l’io può determinare esclusivamente la quantità limitata della sua realtà, con la cui determinazione è infine determinata nel contempo anche la quantità della negazione (in virtù del concetto di determinazione reciproca). (Qui astraiamo ancora completamente dalla determinazione della negazione come opposto della realtà in sé nell’io: vogliamo essere attenti semplicemente alla determinazione di un quantum di realtà, il quale è minore della totalità).
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3) Ein der Totalität nicht gleiches Quantum Realität, ist selbst Negation, nämlich Negation der Totalität. Es ist als beschränkte Quantität der Totalität entgegengesetzt; alles Entgegengesetzte aber ist Negation dessen, dem es entgegengesetzt ist. Jede bestimmte Quantität ist NichtTotalität. 4) Soll aber ein solches Quantum der Totalität entgegengesetzt, mithin mit ihr verglichen (nach den Regeln aller Synthesis und Antithesis) werden können, so muß ein Beziehungsgrund zwischen beiden vorhanden sein; und dieser ist denn der Begriff der Teilbarkeit (§. 3). In der absoluten Totalität sind keine Teile; aber sie kann mit Teilen verglichen, und von ihnen unterschieden werden: und hierdurch läßt denn der obige Widerspruch sich befriedigend lösen. 5) Um dies recht deutlich einzusehen, reflektieren wir auf den Begriff der Realität. Der Begriff der Realität ist gleich dem Begriffe der Tätigkeit. Alle Realität ist in das Ich gesetzt heißt: alle Tätigkeit ist in dasselbe gesetzt; und umgekehrt; [297] alles im Ich ist Realität; heißt: das Ich ist nur tätig; es ist bloß Ich, inwiefern es tätig ist; und inwiefern es nicht tätig ist, ist es Nicht-Ich. Alles Leiden ist Nicht-Tätigkeit. Das Leiden läßt demnach gar nicht anders sich bestimmen, als dadurch, daß es auf die Tätigkeit bezogen wird. Das entspricht nun allerdings unsrer Aufgabe, nach welcher vermittelst der Tätigkeit, durch eine Wechselbestimmung, ein Leiden bestimmt werden soll. 6) Leiden kann nicht auf Tätigkeit bezogen werden, außer unter der Bedingung, daß es einen Beziehungsgrund mit demselben habe. Das aber kann kein andrer sein, als der allgemeine Beziehungsgrund der Realität und Negation, der der Quantität. Leiden ist durch Quantität beziehbar auf Tätigkeit heißt: Leiden ist ein Quantum Tätigkeit.
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3) Un quantum di realtà, e non uguale alla totalità, è esso stesso negazione, vale a dire negazione della totalità. Come quantità limitata è contrapposto alla totalità: ma ogni termine contrapposto è negazione di ciò cui si contrappone. Ogni quantità determinata è non-totalità. 4) Però se un tale quantum deve poter essere contrapposto alla totalità, e di conseguenza comparato ad essa (secondo le regole di ogni sintesi e antitesi), allora deve rendersi disponibile un fondamento di relazione tra questi due termini: e tale è infine il concetto di divisibilità (§ 3). Nella totalità assoluta non vi sono parti, eppure essa può essere comparata con le parti e distinta da esse: e con ciò la contraddizione summenzionata può infine risolversi in modo soddisfacente. 5) Volendo avere intelligenza autenticamente perspicua di ciò ‹che abbiamo appena esposto›, riflettiamo sul concetto di realtà. Il concetto di realtà è identico al concetto di attività. ‹Dire che› ogni realtà è posta nell’io, significa: ogni attività è posta in esso; e viceversa, ‹dire che› nell’io tutto è realtà, significa: l’io è soltanto attivo, è io semplicemente nella misura in cui è attivo, e nella misura in cui non è attivo, è non-io. Ogni passività è non-attività. La passività non è pertanto determinabile altrimenti che per il fatto di venire posta in relazione all’attività. Ora, ciò corrisponde veramente al nostro compito, secondo il quale, in virtù dell’attività, una passività dev’essere determinata tramite determinazione reciproca. 6) La passività non può essere messa in relazione con l’attività eccetto che alla condizione di avere con essa un fondamento di relazione. Però quest’ultimo non può essere altro che il fondamento generale di relazione della realtà e della negazione: quello della quantità. ‹Sostenere che› la passività è, per mezzo della quantità, riferibile all’attività, significa: la passività è un quantum di attività.
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7) Um sich ein Quantum Tätigkeit denken zu können, muß man einen Maßstab der Tätigkeit haben: d. i. Tätigkeit überhaupt, (was oben absolute Totalität der Realität hieß). Das Quantum überhaupt ist das Maß. 8) Wenn in das Ich überhaupt alle Tätigkeit gesetzt ist, so ist das Setzen eines Quantums der Tätigkeit, Verringerung derselben; und ein solches Quantum ist insofern es nicht alle Tätigkeit ist, ein Leiden; ob es an sich gleich Tätigkeit ist. 9) Demnach wird, durch das Setzen eines Quantums der Tätigkeit, durch Entgegensetzung desselben gegen die Tätigkeit nicht insofern sie Tätigkeit überhaupt, sondern insofern sie alle Tätigkeit ist, ein Leiden gesetzt; d. i. jenes Quantum Tätigkeit, als solches wird selbst als Leiden gesetzt; und als solches bestimmt. (Bestimmt, sage ich. Alles Leiden ist Negation der Tätigkeit, durch ein Quantum Tätigkeit wird die Totalität der Tätigkeit negiert. Und insofern das geschieht, gehört das Quantum unter die Sphäre des Leidens. – Wird es überhaupt als Tätigkeit betrachtet; so gehört es nicht unter die Sphäre des Leidens, sondern ist von ihr ausgeschlossen). 10) Es ist jetzt ein X aufgezeigt worden, welches Realität, und Negation, Tätigkeit und Leiden zugleich ist. a. X ist Tätigkeit, insofern es auf das Nicht-Ich bezogen wird, weil es gesetzt ist in das Ich, und in das setzende, handelnde Ich. b. X ist Leiden, insofern es auf die Totalität des Handelns bezogen wird. Es ist [298] nicht das Handeln überhaupt, sondern es ist ein bestimmtes Handeln: eine unter der Sphäre des Handelns überhaupt enthaltne besondre Handelsweise. (Ziehet eine Zirkellinie = A, so ist die ganze durch sie eingeschlossene Fläche = X entgegengesetzt der unendlichen Fläche im unendlichen Raume, welche ausgeschlossen ist. Ziehet innerhalb des Umkreises von A eine andere Zirkellinie = B, so ist die durch dieselbe eingeschloßne Fläche = Y zuvörderst in dem Umkreise von A einge-
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7) Per poter pensare un quantum di attività si deve avere un’unità di misura dell’attività: cioè attività in generale (ciò che sopra s’è chiamato: totalità assoluta della realtà). Il quantum in generale è la misura. 8) Se nell’io in generale è posta ogni attività, allora porre un quantum di attività è diminuirla, e un tale quantum, non essendo tutta l’attività, è una passività, benché esso in sé sia ugualmente attività. 9) Pertanto, ponendo un quantum di attività, contrapponendolo all’attività non come attività in generale bensì in quanto essa è ogni attività, è posta una passività: vale a dire, quel quantum di attività, come tale, viene posto esso stesso quale passività e determinato in quanto tale. (Determinato, dico. Ogni passività è negazione dell’attività: la totalità dell’attività è negata da un quantum di attività. E nella misura in cui ciò accade, il quantum appartiene alla sfera della passività. – Se quel quantum è considerato in generale come attività, allora non appartiene alla sfera della passività bensì ne viene escluso). 10) Adesso è stato indicato un X che è ad un tempo realtà e negazione, attività e passività. a. X è attività nella misura in cui è riferito al non-io, perché è posto nell’io e nell’io che pone ed agisce. b. X è passività nella misura in cui è riferito alla totalità dell’agire. Esso non è l’agire in generale ma un agire determinato: un particolare modo di agire compreso nella sfera dell’agire in generale. (Se tracciate una circonferenza = A, allora tutta la superficie = X racchiusa da essa è contrapposta alla superficie infinita nello spazio infinito, la quale è esclusa. Se all’interno del cerchio A descrivete un’altra circonferenza = B, ebbene la superficie = Y inclusa da B è in primo luogo racchiusa nella circonferenza A e insieme
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schlossen, und zugleich mit ihm entgegengesetzt der unendlichen durch A ausgeschlossenen Fläche, und insofern der Fläche X völlig gleich. Insofern ihr sie aber betrachtet als eingeschlossen durch B, ist sie der ausgeschloßnen unendlichen Fläche, mithin auch demjenigen Teile der Fläche X, der nicht in ihr liegt, entgegengesetzt. Also, der Raum Y ist sich selbst entgegengesetzt; er ist nämlich entweder ein Teil der Fläche X oder er ist die für sich selbst bestehende Fläche Y). Ich denke, ist zuvörderst ein Ausdruck der Tätigkeit; das Ich ist denkend, und insofern handelnd gesetzt. Es ist ferner ein Ausdruck der Negation, der Einschränkung, des Leidens; denn denken ist eine besondre Bestimmung des Seins; und im Begriffe desselben werden alle übrige Arten des Seins ausgeschlossen. Der Begriff des Denkens ist demnach sich selbst entgegengesetzt; er bezeichnet eine Tätigkeit, wenn er bezogen wird auf den gedachten Gegenstand: er bezeichnet ein Leiden, wenn er bezogen wird auf das Sein überhaupt: denn das Sein muß eingeschränkt werden, wenn das Denken möglich sein soll. Jedes mögliche Prädikat des Ich bezeichnet eine Einschränkung desselben. Das Subjekt: Ich, ist das schlechthin Tätige, oder Seiende. Durch das Prädikat; (z. B. ich stelle vor, ich strebe usf.) wird diese Tätigkeit in eine begrenzte Sphäre eingeschlossen. (Wie und wodurch dieses geschehe, davon ist hier noch nicht die Frage). 11) Jetzt läßt sich vollkommen einsehen, wie das Ich durch und vermittelst seiner Tätigkeit sein Leiden bestimmen, und wie es tätig und leidend zugleich sein könne. Es ist bestimmend, insofern es durch absolute Spontaneität sich unter allen, in der absoluten Totalität seiner Realitäten enthaltnen Sphären in eine bestimmte setzt; und insofern bloß auf dieses absolute Setzen reflektiert, von der Grenze der Sphäre aber abstrahiert wird. Es ist bestimmt, insofern es als in dieser bestimmten Sphäre gesetzt, betrachtet, und von der Spontaneität des Setzens abstrahiert wird.
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a questa contrapposta alla superficie infinita esclusa da A: in tal misura è completamente identica alla superficie X. In quanto invece voi la considerate come racchiusa da B, essa è contrapposta all’infinita superficie esclusa e, di conseguenza, anche a quelle parti della superficie X che non si trovano in essa. Dunque lo spazio Y è contrapposto a se stesso: esso è, infatti, o una parte della superficie X, o la superficie Y sussistente per se stessa). Io penso è anzitutto un’espressione dell’attività: l’io è posto pensante e, in quanto tale, agente. Ma è altresì un’espressione della negazione, della limitazione, della passività; infatti pensare è una determinazione particolare dell’essere e tutte le altre qualità dell’essere sono escluse dal suo concetto. Il concetto “pensare” è così contrapposto a se stesso; designa un’attività allorché viene riferito all’oggetto pensato, designa una passività quando è correlato all’essere in generale: se il pensare dev’essere possibile, l’essere deve infatti essere limitato. Ogni predicato possibile dell’io ne indica una limitazione. Il soggetto: io, è l’assolutamente attivo o essente. Tramite il predicato (per es.: io rappresento, io tendo, e così via) quest’attività è chiusa in una sfera limitata. (Come e per quale via ciò accada, non è ancora in questione). 11) A questo punto si vede perfettamente in che modo l’io possa determinare la sua passività per e mediante la sua attività e come possa essere ad un tempo passivo e attivo. Esso è determinante nella misura in cui si pone, fra tutte le sfere comprese nella totalità assoluta delle sue realtà, in una sfera determinata, e nella misura in cui si riflette soltanto su questo assoluto porre, mentre si astrae dal confine di tale sfera. È ‹invece› determinato nella misura in cui lo si considera come posto in questa sfera determinata e dove si fa astrazione dalla spontaneità del porre.
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[299] 12) Wir haben die ursprünglich synthetische Handlung des Ich, wodurch der aufgestellte Widerspruch gelöst wird, und dadurch einen neuen synthetischen Begriff gefunden, den wir noch etwas genauer zu untersuchen haben. Er ist, ebenso wie der vorige, der der Wirksamkeit, eine näher bestimmte Wechselbestimmung; und wir werden in beide die vollkommenste Einsicht erhalten, wenn wir sie mit jener, so wie unter sich selbst, vergleichen. Nach den Regeln der Bestimmung überhaupt müssen a) beide der Wechselbestimmung gleich b) derselben entgegengesetzt c) einander gleich, insofern sie jener entgegengesetzt sind d) einer dem anderen entgegengesetzt sein a) sie sind der Wechselbestimmung darin gleich, daß in beiden, so wie in jener, bestimmt wird Tätigkeit durch Leiden, oder Realität durch Negation (welches eben das ist) und umgekehrt. b) Sie sind beide ihr entgegengesetzt. Denn in der Wechselbestimmung wird nur überhaupt ein Wechsel gesetzt; aber nicht bestimmt. Es ist völlig frei gelassen, ob man von der Realität zur Negation, oder von dieser zu jener übergehen wolle. In den beiden zuletzt abgeleiteten Synthesen aber ist die Ordnung des Wechsels festgesetzt, und bestimmt. c) Eben darin, daß in beiden die Ordnung festgesetzt ist, sind sie sich gleich. d) In Absicht der Ordnung des Wechsels sind sie sich beide entgegengesetzt. Im Begriffe der Kausalität wird die Tätigkeit durch Leiden; in dem soeben abgeleiteten wird das Leiden durch Tätigkeit bestimmt.
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12) Abbiamo indicato l’azione originariamente sintetica dell’io per mezzo della quale la contraddizione enunciata è risolta e con ciò abbiamo trovato un nuovo concetto sintetico che va preso in esame con maggior precisione. Al pari del concetto precedente, quello della capacità di produrre effetti, questo concetto è una determinazione reciproca determinata in modo più stringente; ricaveremo l’interna e più completa visione di questi due concetti se li confrontiamo con quello di determinazione reciproca e l’uno con l’altro. Stando alle regole della determinazione in generale questi due concetti devono: a) essere identici alla determinazione reciproca; b) essere opposti a essa; c) essere fra di loro identici, nella misura in cui sono contrapposti a essa; d) essere contrapposti l’uno all’altro. a) Essi sono identici alla determinazione reciproca per il fatto che, come in quella, in entrambi l’attività è determinata dalla passività o la realtà dalla negazione (ciò che è precisamente lo stesso) e viceversa. b) Essi sono tutt’e due opposti alla determinazione reciproca. Infatti nella determinazione reciproca è posto in generale soltanto uno scambio reciproco, ma non determinato41. Ed è lasciato completamente libero se si voglia passare dalla realtà alla negazione o da questa a quella. In entrambe le sintesi dedotte da ultimo l’ordine dello scambio reciproco è invece fissato e determinato. c) Essi sono fra loro identici appunto nel fatto che in tutt’e due l’ordine è fissato. d) Fra loro sono contrapposti dal punto di vista dell’ordine dello scambio reciproco. Nel concetto di causalità l’attività è determinata dalla passività: nel concetto dedotto poco fa la passività è determinata dall’attività.
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13) Insofern das Ich betrachtet wird, als den ganzen schlechthin bestimmten Umkreis aller Realitäten umfassend, ist es Substanz. Inwiefern es in eine nicht schlechthin bestimmte Sphäre (wie und wodurch sie bestimmt werde, bleibt vor der Hand ununtersucht), dieses Umkreises gesetzt wird; insofern ist es akzidentell; oder es ist in ihm ein Akzidens. Die Grenze, welche diese besondre Sphäre von dem ganzen Umfange abschneidet, ist es, welche das Akzidens zum Akzidens macht. Sie ist der Unterscheidungsgrund zwischen Substanz und Akzidens. Sie ist im Umfange; daher ist das Akzidens in, und an der Substanz: sie schließt etwas vom ganzen Umfange aus; daher ist das Akzidens nicht Substanz. 14) Keine Substanz ist denkbar, ohne Beziehung auf ein Akzidens: denn erst durch das Setzen möglicher Sphären in den absoluten Umkreis wird das Ich Substanz; erst durch mögliche Akzidenzen entstehen Realitäten; da außerdem alle Realität schlechthin Eins sein würde. Die Realitäten des Ich sind seine [300] Handlungsweisen: es ist Substanz, inwiefern alle möglichen Handlungsweisen (Arten zu sein), darin gesetzt werden. Kein Akzidens ist denkbar ohne Substanz; denn um zu erkennen, daß etwas eine bestimmte Realität sei, muß ich es auf die Realität überhaupt beziehen. Die Substanz ist aller Wechsel im allgemeinen gedacht: das Akzidens ist ein bestimmtes, das mit einem andern wechselnden wechselt. Es ist ursprünglich nur Eine Substanz; das Ich: In dieser Einen Substanz sind alle mögliche Akzidenzen, also alle mögliche Realitäten gesetzt. – Wie mehrere in irgendeinem Merkmale gleiche Akzidenzen der einigen Substanz zusammen begriffen, und selbst als Substanzen gedacht werden können, deren Akzidenzen durch die Verschiedenheit jener Merkmale unter sich, die neben der Gleichheit stattfindet, bestimmt werden, werden wir zu seiner Zeit sehen.
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13) L’io è sostanza in quanto viene considerato come abbracciante l’intero ambito, assolutamente determinato, di tutte le realtà. In quanto posto in una sfera di questo ambito che non è assolutamente determinata (per il momento non è in questione il sapere come e per quale via essa sia determinata), è accidentale, ovvero in esso v’è un accidente. Il confine che separa questa sfera particolare da tutto l’insieme, è ciò che rende accidente l’accidente. Esso è il fondamento di distinzione tra sostanza e accidente. È nell’insieme, e pertanto l’accidente esiste nella e sulla sostanza: questa esclude qualcosa dall’intero insieme, e pertanto l’accidente non è sostanza. 14) Non v’è sostanza pensabile senza relazione a un accidente: l’io diventa sostanza, infatti, soltanto ponendo possibili sfere nell’ambito assoluto; solamente per mezzo di accidenti possibili sorgono realtà, poiché altrimenti tutta la realtà sarebbe in tutto e per tutto un’unica cosa. Le realtà dell’io sono i suoi modi di azione: esso è sostanza in quanto tutte le modalità possibili d’azione (modi d’essere) vi sono poste. Non v’è accidente pensabile senza sostanza: infatti, per riconoscere che qualcosa è una realtà determinata devo porla in relazione alla realtà in generale. La sostanza è la totalità dello scambio reciproco pensato in generale: l’accidente è un ‹qualcosa di› determinato che si scambia con un altro che si pone in rapporto di scambio reciproco. Originariamente v’è esclusivamente un’unica sostanza, l’io; in quest’unica sostanza sono posti tutti i possibili accidenti, dunque tutte le realtà possibili. – A tempo debito vedremo come parecchi accidenti dell’unica sostanza, identici in una qualche caratteristica, possono essere afferrati insieme e pensati addirittura quali sostanze i cui accidenti siano determinati dalla differenza di quelle caratteristiche tra loro, differenza la quale ha luogo accanto all’identità.
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Anmerkung. Ununtersucht, und völlig im Dunkeln ist geblieben teils diejenige Tätigkeit des Ich, durch welche es sich selbst als Substanz, und Akzidens unterscheidet, und vergleicht; teils dasjenige, was das Ich veranlaßt, diese Handlung vorzunehmen; welches letztere, soviel wir aus der ersten Synthesis vermuten können, wohl eine Wirkung des Nicht-Ich sein dürfte. Es ist demnach, wie das bei jeder Synthesis zu geschehen pflegt, in der Mitte alles richtig vereinigt, und verknüpft; nicht aber die beiden äußersten Enden. Diese Bemerkung zeigt uns von einer neuen Seite das Geschäft der Wissenschaftslehre. Sie wird immer fortfahren Mittelglieder zwischen die Entgegengesetzten einzuschieben; dadurch aber wird der Widerspruch nicht vollkommen gelöst, sondern nur weiter hinausgesetzt. Wird zwischen die vereinigten Glieder, von denen sich bei näherer Untersuchung findet, daß sie dennoch nicht vollkommen vereinigt sind, ein neues Mittelglied eingeschoben, so fällt freilich der zuletzt aufgezeigte Widerspruch weg; aber um ihn zu lösen, mußte man neue Endpunkte annehmen, welche abermals entgegengesetzt sind, und von neuem vereinigt werden müssen. Die eigentliche, höchste, alle andere Aufgaben unter sich enthaltende Aufgabe ist die: wie das Ich auf das Nicht-Ich oder das Nicht-Ich auf das Ich unmittelbar einwirken könne, da sie beide einander völlig entgegengesetzt sein sollen. Man schiebt zwischen beide hinein irgendein X, auf welches beide wirken, wodurch sie denn auch zugleich mittelbar aufeinander selbst wirken. Bald aber entdeckt man, daß in diesem X doch auch wieder irgendein Punkt sein müsse, in welchem Ich und Nicht-Ich unmittelbar zusammentreffen. Um dieses zu verhindern schiebt man zwischen und statt der scharfen Grenze [301] ein neues Mittelglied = Y ein. Aber es zeigt sich bald, daß in diesem ebenso wie in X ein Punkt sein müsse, in welchem die beiden
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Nota. Non sono state fatte oggetto d’indagine bensì lasciate del tutto in ombra, da una parte, quell’attività dell’io per la quale esso si distingue in sostanza e accidente e in quanto tale confronta se stesso, dall’altra, ciò che induce l’io a intraprendere quest’azione e che, per quanto possiamo congetturare dalla prima sintesi, potrebbe ben essere una causazione del non-io. Pertanto, come accade per solito in ogni sintesi, tutto è correttamente unificato e connesso nel mezzo: non però i due termini estremi. Quest’osservazione ci presenta sotto un nuovo aspetto l’opera della dottrina della scienza. Essa continuerà sempre a inserire termini medi tra quelli contrapposti, però così facendo la contraddizione non è perfettamente risolta bensì soltanto di nuovo rinviata. Se tra i termini unificati, dei quali, esaminandoli più da presso, si trova che essi non sono tuttavia perfettamente unificati, s’inserisce un nuovo termine medio, allora certamente la contraddizione da ultimo indicata cade: tuttavia, a volerla risolvere, si devono assumere nuovi termini estremi i quali, da capo, sono contrapposti e di nuovo devono essere unificati. Il sommo, vero compito, che ricomprende in sé tutti gli altri, è questo: ‹capire› come l’io possa agire immediatamente sul non-io o il non-io sull’io, dal momento che essi devono essere entrambi totalmente contrapposti fra loro. Tra i due s’inserisce un qualche X su cui agiscono entrambi, attraverso il quale nel contempo essi agiscono anche uno sull’altro in modo mediato. Presto si scopre tuttavia che pure in questo X deve esserci nuovamente un qualche punto nel quale io e non-io si incontrano immediatamente. Volendo evitare ciò, s’inserisce in mezzo, invece del limite preciso, un nuovo termine medio = Y. Ma si vede subito che in questo Y, proprio come in X,
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Entgegengesetzten sich unmittelbar berühren. Und so würde es ins Unendliche fortgehen, wenn nicht durch einen absoluten Machtspruch der Vernunft, den nicht etwa der Philosoph tut, sondern den er nur aufzeigt – durch den: es soll, da das Nicht-Ich mit dem Ich auf keine Art sich vereinigen läßt, überhaupt kein NichtIch sein, der Knoten zwar nicht gelöst, aber zerschnitten würde. Man kann die Sache noch von einer andern Seite ansehen. – Insofern das Ich durch das Nicht-Ich eingeschränkt wird, ist es endlich, an sich aber, so wie es durch seine eigne absolute Tätigkeit gesetzt wird, ist es unendlich. Dieses beide in ihm, die Unendlichkeit, und die Endlichkeit sollen vereinigt werden. Aber eine solche Vereinigung ist an sich unmöglich. Lange zwar wird der Streit durch Vermittelung geschlichtet; das Unendliche begrenzt das endliche. Zuletzt aber, da die völlige Unmöglichkeit der gesuchten Vereinigung sich zeigt, muß die Endlichkeit überhaupt aufgehoben werden; alle Schranken müssen verschwinden, das unendliche Ich muß, als Eins, und als Alles allein übrig bleiben. Setzet in dem fortlaufenden Raume A im Punkte m Licht, und im Punkte n Finsternis, so muß notwendig, da der Raum stetig, und zwischen m und n kein Hiatus ist, zwischen beiden Punkten irgendwo ein Punkt o sein, welcher Licht und Finsternis zugleich ist, welches sich widerspricht. – Ihr setzet zwischen beide ein Mittelglied, Dämmerung. Sie gehe von p bis q, so wird in p die Dämmerung mit dem Lichte, und in q mit der Finsternis grenzen. Aber dadurch habt ihr bloß Aufschub gewonnen; den Widerspruch aber nicht befriedigend gelöst. Die Dämmerung ist Mischung des Lichts mit Finsternis. Nun kann in p das helle Licht mit der Dämmerung nur dadurch grenzen, daß der Punkt p Licht, und Dämmerung, zugleich sei; und da die Dämmerung nur dadurch vom Lichte unterschieden ist, daß sie auch Finsternis ist; – daß
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dev’esserci un punto nel quale i due termini contrapposti si toccano immediatamente. Si proseguirebbe così all’infinito, se il nodo fosse non già sciolto, bensì tranciato con un ordine perentorio della ragione: ordine che non è il filosofo ad impartire, ma che egli si limita a indicare e per il quale, poiché il non-io non può unificarsi in alcuna maniera con l’io, non dev’esserci in generale un non-io. È possibile considerare la cosa ancora sotto un altro aspetto. – Essendo limitato dal non-io, l’io è finito: però in sé, per come è posto dalla sua propria attività assoluta, è infinito. Entrambi questi elementi in esso, l’infinità e la finitezza, devono essere unificati. Tuttavia una tale unificazione è impossibile in sé. Per la precisione, a lungo il conflitto è stato appianato tramite mediazione: l’infinito limita il finito. Ma da ultimo, mostratasi la completa impossibilità dell’unificazione ricercata, la finitezza deve in generale essere soppressa: tutti i limiti devono svanire e deve rimanere l’io infinito, in quanto unico e in quanto tutto. Se all’interno dello spazio continuo A nel punto m ponete la luce e nel punto n il buio, allora, giacché lo spazio è continuo e tra m ed n non v’è iato alcuno, tra quei due punti dev’esserci necessariamente un qualche punto o il quale sia nel contempo luce e buio, il che è contraddittorio. – Ponete tra quei due punti un termine medio, il crepuscolo. Se questo va da p sino a q, allora il crepuscolo confinerà in p con la luce e in q con il buio. Eppure con ciò avete ottenuto puramente una proroga, ma non avete risolto in modo soddisfacente la contraddizione. Il crepuscolo è mescolanza di luce con buio. Ora, in p la chiara luce può confinare con il crepuscolo soltanto per il fatto che il punto p è luce e crepuscolo insieme; ed essendo il crepuscolo distinto dalla luce soltanto perché è anche buio, per il fatto che il crepuscolo è contempo-
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er Licht und Finsternis zugleich sei. Ebenso im Punkte q. – Mithin ist der Widerspruch gar nicht anders aufzulösen, als dadurch: Licht, und Finsternis sind überhaupt nicht entgegengesetzt; sondern nur den Graden nach zu unterscheiden. Finsternis ist bloß eine sehr geringe Quantität Licht. – Gerade so verhält es sich zwischen dem Ich, und dem Nicht-Ich.
[302] E. Synthetische Vereinigung des zwischen den beiden aufgestellten Arten der Wechselbestimmung stattfindenden Gegensatzes. Das Ich setzt sich, als bestimmt durch das Nicht-Ich, war der Hauptsatz, von welchem wir ausgingen; welcher nicht aufgehoben werden konnte, ohne daß die Einheit des Bewußtseins zugleich aufgehoben wurde. Aber es lagen in ihm Widersprüche, die wir zu lösen hatten. Zuvörderst entstand die Frage: wie kann das Ich bestimmen, und bestimmt werden zugleich, – welche so beantwortet wurde: bestimmen und bestimmt werden sind vermittelst des Begriffs der Wechselbestimmung eins und ebendasselbe; so wie demnach das Ich ein bestimmtes Quantum der Negation in sich setzt, setzt es zugleich ein bestimmtes Quantum der Realität in das Nicht-Ich und umgekehrt. Hier blieb zu fragen übrig: wohin soll denn die Realität gesetzt werden, in das Ich, oder in das Nicht-Ich, – welches vermittelst des Begriffs der Wirksamkeit so beantwortet wurde: in das Ich soll Negation oder Leiden, und, nach der Regel der Wechselbestimmung überhaupt, das gleiche Quantum Realität oder Tätigkeit in das Nicht-Ich gesetzt werden. – Aber wie kann doch ein Leiden in das Ich gesetzt werden, – wurde weiter gefragt, und es wurde hierauf vermittelst des Begriffs der Substantialität geantwortet: Leiden und Tätigkeit im Ich sind eins, und ebendasselbe, denn Leiden ist bloß ein geringeres Quantum der Tätigkeit. Aber durch diese Antworten haben wir uns in einen
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raneamente luce e buio. Lo stesso nel punto q. – Di conseguenza, la contraddizione non è affatto risolvibile altrimenti, se non per ciò: che luce e buio non sono in generale contrapposti, ma si distinguono soltanto per gradi. Il buio è puramente e semplicemente una minima quantità di luce. – Esattamente così van le cose tra l’io e il non-io.
E. Unificazione sintetica dell’opposizione avente luogo fra i due modi di determinazione reciproca enunciati L’io si pone come determinato dal non-io: ecco la proposizione capitale da cui muovemmo, la quale non poteva essere eliminata senza che contemporaneamente fosse soppressa l’unità della coscienza. Però in essa si trovavano delle contraddizioni che ci impegnarono nella risoluzione. In primo luogo sorse l’interrogativo di come l’io possa determinare ed insieme essere determinato, al quale si rispose in tal senso: determinare ed essere determinato sono, in virtù del concetto di determinazione reciproca, un’unica e medesima cosa. Di conseguenza, come l’io pone in sé un determinato quantum di negazione, così pone insieme un determinato quantum di realtà nel non-io e viceversa. Rimase qui allora da chiedersi dove dovesse essere posta la realtà, se nell’io o nel nonio. A ciò si rispose mediante il concetto di capacità di produrre effetti: nell’io dev’essere posta negazione ovvero passività42 e nel non-io, secondo la regola della determinazione reciproca in generale, l’uguale quantum di realtà o attività. – Si domandò inoltre come una passività possa tuttavia essere posta nell’io e vi si trovò risposta per mezzo del concetto di sostanzialità: passività e attività sono nell’io un’unica e medesima cosa, perché la passività è semplicemente un minore quantum di attività. Ma rispondendo in tal senso siamo stati coinvolti in
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Zirkel verflochten. Wenn das Ich einen kleinern Grad der Tätigkeit in sich setzt, so setzt es dadurch freilich ein Leiden in sich, und eine Tätigkeit in das Nicht-Ich. Aber das Ich kann kein Vermögen haben, schlechthin einen niedern Grad der Tätigkeit in sich zu setzen; denn es setzt, laut des Begriffs der Substantialität, alle Tätigkeit in sich; und es setzt nichts in sich, als Tätigkeit. Mithin müßte dem Setzen des niedern Grades der Tätigkeit im Ich eine Tätigkeit des Nicht-Ich vorhergehen; diese müßte erst wirklich einen Teil der Tätigkeit des Ich vernichtet haben, ehe das Ich einen kleinern Teil derselben in sich setzen könnte. Aber dieses ist ebenso unmöglich, da vermöge des Begriffs der Wirksamkeit dem Nicht-Ich nur insofern eine Tätigkeit zugeschrieben werden kann, inwiefern in das Ich ein Leiden gesetzt ist. Wir erklären uns, vor der Hand nicht eben in schulgerechter Form, noch deutlicher über den Hauptpunkt, der in die Frage kommt. Man erlaube mir indes [303] den Begriff der Zeit als bekannt vorauszusetzen. – Setzet, als den ersten Fall nach dem bloßen Begriffe der Wirksamkeit, daß die Einschränkung des Ich einzig und allein von der Tätigkeit des Nicht-Ich herkomme. Denkt euch, daß im Zeitpunkte A das Nicht-Ich nicht auf das Ich einwirke, so ist im Ich alle Realität, und gar keine Negation, und es ist mithin, nach dem Obigen, keine Realität in das NichtIch gesetzt. Denkt euch ferner, daß im Zeitpunkte B das Nicht-Ich mit 3 Graden der Tätigkeit auf das Ich einwirke, so sind, vermöge des Begriffs der Wechselbestimmung allerdings 3 Grade der Realität im Ich aufgehoben, und statt deren 3 Grade Negation gesetzt. Aber dabei verhält das Ich sich bloß leidend; die Grade der Negation sind in ihm freilich gesetzt; aber sie sind auch bloß gesetzt. – Für irgendein intelligentes Wesen außer dem Ich, welches Ich und Nicht-Ich in jener Wirkung beobachtet, und nach der Regel der Wechselbestimmung beurteilt, nicht aber für das Ich selbst. Dazu würde erfordert, daß es seinen Zustand im
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un circolo. Se l’io pone in sé un grado inferiore di attività, allora pone sicuramente, in sé, una passività e nel nonio, un’attività. Ma l’io non può avere alcuna capacità di porre assolutamente in sé un più basso grado di attività: secondo il criterio di sostanzialità, esso pone in sé, difatti, tutta l’attività e null’altro se non attività. Alla posizione del più basso grado di attività nell’io dovrebbe conseguentemente precedere un’attività del non-io, e questa dovrebbe anzitutto aver effettivamente annullato una parte dell’attività dell’io prima che l’io potesse porne in sé una piccola parte. Ma ciò è, proprio altrettanto impossibile perché, in virtù del concetto di capacità di produrre effetti, al non-io può essere attribuita un’attività soltanto nella misura in cui nell’io è posta una passività. Spieghiamoci ancora più chiaramente, e per il momento non proprio in forma didattica, intorno al punto capitale che abbiamo messo in questione. Mi si consenta intanto di presupporre come noto il concetto di tempo. – Ponete come primo caso, stante il semplice concetto di capacità di produrre effetti, che la limitazione dell’io provenga unicamente ed esclusivamente dall’attività del nonio. Immaginate che nel momento A il non-io non eserciti un’azione sull’io, allora nell’io c’è tutta la realtà e sicuramente nessuna negazione, e di conseguenza, stando a quanto detto sopra, nessuna realtà è posta nel non-io. Immaginate inoltre che nel momento B il non-io eserciti un’azione sull’io con tre gradi di attività, allora, in virtù del concetto di determinazione reciproca, nell’io sono eliminati tre gradi di attività e in loro luogo sono posti tre gradi di negazione. Ma in ciò l’io si comporta puramente e semplicemente in modo passivo: i gradi della negazione sono senz’altro posti in esso, tuttavia sono anche semplicemente posti – per un qualche essere intelligente al di fuori dell’io che osservi io e non-io in quell’azione causale e che giudichi attenendosi alla regola della determinazione reciproca, e non ‹lo sono› invece per l’io stesso. A
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Momente A mit dem im Momente B vergleichen, und die verschiednen Quanta seiner Tätigkeit in beiden Momenten unterscheiden könnte: und wie dieses möglich sei, ist noch nicht gezeigt worden. Das Ich wäre im angenommenen Falle, allerdings eingeschränkt, aber es wäre seiner Einschränkung sich nicht bewußt. Das Ich wäre, um es in den Worten unseres Satzes zu sagen, allerdings bestimmt; aber es setzte sich nicht, als bestimmt, sondern irgendein Wesen außer ihm könnte es als bestimmt setzen. Oder setzet als den zweiten Fall nach dem bloßen Begriffe der Substantialität, daß das Ich schlechthin und unabhängig von aller Einwirkung des Nicht-Ich ein Vermögen habe, willkürlich ein vermindertes Quantum der Realität in sich zu setzen; die Voraussetzung des transzendentalen Idealismus, und namentlich der prästabilierten Harmonie, welche ein solcher Idealismus ist. Davon, daß diese Voraussetzung schon dem absolut-ersten Grundsatze widerspreche, wird hier gänzlich abstrahiert. Gebt ihm auch noch das Vermögen, diese verminderte Quantität mit der absoluten Totalität zu vergleichen, und an ihr zu messen. Setzet unter dieser Voraussetzung das Ich im Momente A mit 2 Grad verringerter Tätigkeit; im Momente B mit 3 Grad; so läßt sich recht wohl verstehen, wie das Ich in beiden Momenten sich als eingeschränkt, und zwar im Momente B als mehr eingeschränkt, denn im Momente A beurteilen könne; aber es läßt sich gar nicht einsehen, wie es diese Einschränkung auf Etwas im NichtIch, als die Ursache derselben beziehen könne. Vielmehr müßte es sich selbst als die Ursache [304] derselben, betrachten. Mit den Worten unseres Satzes: das Ich setzte dann allerdings sich als bestimmt, aber nicht als bestimmt durch das Nicht-Ich. (Die Befugnis jener Beziehung auf ein Nicht-Ich leugnet allerdings der Idealist, und er ist insofern konsequent: aber die Tatsache des Beziehens kann er nicht leugnen, und noch ist es keinem eingefallen, sie zu leugnen. Aber dann hat er diese zugestandene Tatsache, abstrahiert von der Befugnis derselben, doch wenigstens
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questo scopo sarebbe necessario che l’io potesse paragonare il suo stato nel momento A con quello nel momento B e distinguere i diversi quanta della sua attività nei due momenti: come ciò sia possibile, non è ancora stato mostrato. L’io, nel caso supposto, sarebbe certamente limitato, eppure non consapevole della sua limitazione. Per attenerci ai termini della nostra proposizione, l’io sarebbe veramente determinato, però non si porrebbe in quanto determinato, invece potrebbe porlo come determinato un qualche essere a lui esterno. Oppure ponete come secondo caso, stando al mero concetto di sostanzialità, che l’io abbia la capacità di porre arbitrariamente in sé un quantum diminuito di realtà, in modo assoluto e indipendente da ogni causazione del non-io: il che è il presupposto dell’idealismo trascendente43 e soprattutto dell’armonia prestabilita, la quale è un idealismo di questo tipo. Qui facciamo completamente astrazione dal fatto che tale presupposto già contraddice il principio fondamentale assolutamente primo. Accordategli ancora la capacità di comparare tale quantità diminuita con l’assoluta totalità e di misurarla con essa. Alla luce di questo presupposto ponete l’io, nel momento A, con un’attività ridotta di due gradi e, nel momento B, di tre gradi: è comprensibilissimo allora come l’io possa giudicarsi limitato in entrambi i momenti, e per la precisione nel momento B come maggiormente limitato che nel momento A, mentre non si riesce affatto a capire in che modo l’io possa riferire questa limitazione a qualcosa nel non-io ritenendolo la causa di essa. Piuttosto, è l’io che dovrebbe considerarsi quale causa di quella limitazione. Nei termini della nostra proposizione: allora l’io si pone in ogni modo in quanto determinato, non però come determinato dal non-io. (A dire il vero, l’idealista44 nega la legittimità di quel rapporto a un non-io ed è, a questo proposito, coerente: tuttavia non può negare che tale messa in relazione sia un fatto, anzi non è
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zu erklären. Das aber vermag er aus seiner Voraussetzung nicht, und seine Philosophie ist demnach unvollständig. Nimmt er etwa gar das Dasein der Dinge außer uns noch daneben an, wie es in der prästabilierten Harmonie geschieht, so ist er überdies inkonsequent). Beide Synthesen, abgesondert gebraucht, erklären demnach nicht, was sie erklären sollen, und der oben gerügte Widerspruch bleibt: setzt das Ich sich als bestimmt, so wird es nicht bestimmt durch das Nicht-Ich, wird es bestimmt durch das Nicht-Ich, so setzt es sich nicht als bestimmt. I. Wir stellen jetzt diesen Widerspruch ganz bestimmt auf. Das Ich kann kein Leiden in sich setzen, ohne Tätigkeit in das Nicht-Ich zu setzen; aber es kann keine Tätigkeit in das Nicht-Ich setzen, ohne ein Leiden in sich zu setzen: es kann keines ohne das andere; es kann keins schlechthin, es kann demnach keins von beiden. Also 1) Das Ich setzt nicht Leiden in sich, insofern es Tätigkeit in das Nicht-Ich setzt; noch Tätigkeit in das Nicht-Ich, insofern es Leiden in sich setzt: es setzt überhaupt nicht: (nicht die Bedingung wird geleugnet, sondern das Bedingte, welches wohl zu merken ist. Nicht die Regel der Wechselbestimmung überhaupt, als solche; aber die Anwendung derselben überhaupt auf den gegenwärtigen Fall wird in Anspruch genommen). Wie soeben bewiesen worden. 2) Aber das Ich soll Leiden in sich setzen, und insofern Tätigkeit in das Nicht-Ich; und umgekehrt: laut Folgerung aus den oben schlechthin gesetzten Sätzen. II. Im ersten Satze wird geleugnet, was im zweiten behauptet wird. Beide verhalten sich demnach wie Negation und Realität. Negation und Realität aber werden vereinigt
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ancora capitato a nessuno di negarlo. Tuttavia allora egli deve spiegare almeno il fatto che concede, prescindendo dalla sua legittimità. Egli però non ne è capace movendo dal suo presupposto e la sua filosofia è pertanto incompleta. Se dopo di ciò continua ad assumere l’esserci delle cose al di fuori di noi, come accade nell’armonia prestabilita45, allora è per giunta incoerente). Entrambe le sintesi, utilizzate separatamente, non spiegano pertanto quello che devono spiegare e la contraddizione precedentemente biasimata permane: se l’io si pone come determinato, allora non è determinato dal non-io, e se è determinato dal non-io, allora non si pone come determinato. I. Formuliamo adesso questa contraddizione in modo affatto determinato. L’io non può porre in sé alcuna passività senza porre attività nel non-io, eppure non può porre alcuna attività nel non-io senza porre in sé una passività: non può l’una cosa senza l’altra, non può ‹farne› nessuna in modo assoluto, di conseguenza non può ‹fare› nessuna delle due. Perciò 1) l’io non pone in sé passività in quanto pone attività nel non-io, né attività nel non-io in quanto pone in sé passività: in generale non pone. (Bisogna notare bene che non si nega la condizione, bensì il condizionato; si richiede non la regola della determinazione reciproca in generale in quanto tale, ma la sua applicazione in generale al caso presente). Proprio com’è appena stato dimostrato. 2) Tuttavia l’io deve porre in sé passività e in tal misura attività nel non-io e viceversa, stante quanto consegue dalle proposizioni sopra poste assolutamente. II. Nella prima proposizione è negato ciò che è affermato nella seconda. Entrambe quindi si rapportano come negazione e realtà. Negazione e realtà sono però unificate dalla
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durch Quantität. Beide Sätze müssen gelten; aber sie müssen beide nur zum Teil gelten. Sie müssen so gedacht werden: 1) Das Ich setzt zum Teil Leiden in sich, insofern es Tätigkeit in das Nicht-[305]Ich setzt; aber es setzt zum Teil nicht Leiden in sich, insofern es Tätigkeit in das Nicht-Ich setzt: und umgekehrt. 2) Das Ich setzt nur zum Teil Leiden in das Nicht-Ich, insofern es Tätigkeit in das Ich, und zum Teil nicht Leiden in das Nicht-Ich, insofern es Tätigkeit in das Ich setzt. (Das würde aufgestelltermaßen heißen: Es wird eine Tätigkeit in das Ich gesetzt, der gar kein Leiden im Nicht-Ich entgegengesetzt wird, und eine Tätigkeit in das Nicht-Ich, der gar kein Leiden im Ich entgegengesetzt wird. Wir wollen diese Art der Tätigkeit vor der Hand unabhängige Tätigkeit nennen, bis wir sie näher kennen lernen[)]. III. Aber eine solche unabhängige Tätigkeit im Ich, und Nicht-Ich widerspricht dem Gesetze des Entgegensetzens, welches jetzt durch das Gesetz der Wechselbestimmung näher bestimmt ist; sie widerspricht also insbesondre dem Begriffe der Wechselbestimmung, der in unsrer gegenwärtigen Untersuchung herrschend ist. Alle Tätigkeit im Ich bestimmt ein Leiden im Nicht-Ich, und umgekehrt. Laut des Begriffs der Wechselbestimmung. – Jetzt eben aber ist der Satz aufgestellt: Eine gewisse Tätigkeit im Ich bestimmt kein Leiden im Nicht-Ich; und eine gewisse Tätigkeit im Nicht-Ich bestimmt kein Leiden im Ich, welcher sich zu dem obigen verhält, wie Negation zur Realität. Demnach sind beide zu vereinigen durch Bestimmung, d. i. beide können nur zum Teil gelten. Der obenstehende Satz, dem widersprochen wird, ist der Satz der Wechselbestimmung. Dieser soll nur zum Teil
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quantità. Tutte e due le proposizioni devono essere valide, eppure devono essere entrambe valide soltanto in parte. Devono essere pensate in questi termini: 1) l’io in parte pone in sé passività, nella misura in cui pone attività nel non-io; ma esso in parte non pone in sé passività, nella misura in cui pone attività nel nonio e viceversa46. 2) Ponendo attività nell’io, l’io pone soltanto in parte passività nel non-io, e in parte non pone passività nel non-io, ponendo attività nell’io. (Riformulato secondo quanto su esposto, ciò significherebbe che nell’io è posta un’attività alla quale non è contrapposta nel non-io alcuna passività e nel non-io un’attività a cui nell’io non è contrapposta passività alcuna. Per il momento vogliamo designare attività indipendente questo tipo di attività, finché non impariamo a conoscerlo in modo più stringente.) III. Ma una siffatta attività indipendente nell’io e nel nonio contraddice la legge del contrapporre che adesso è stata determinata più da presso tramite la legge della determinazione reciproca; dunque, in particolare essa contraddice il concetto di determinazione reciproca che nella nostra indagine attuale è dominante. Ogni attività nell’io determina una passività nel non-io47 e viceversa, secondo il concetto di determinazione reciproca. – Tuttavia proprio ora è enunciata la proposizione: una certa attività nell’io non determina alcuna passività nel non-io48 e una certa attività nel non-io non determina alcuna passività nell’io, proposizione la quale si rapporta alla precedente come la negazione alla realtà. Pertanto entrambe sono da unificare mediante determinazione, in altri termini entrambe possono essere valide soltanto in parte. La proposizione di cui sopra, che viene contraddetta, è la proposizione della determinazione reciproca. Que-
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gelten, d. i. er soll selbst bestimmt, seine Gültigkeit soll durch eine Regel in einen gewissen Umfang eingeschlossen werden. Oder, um uns auf eine andere Art auszudrücken, die unabhängige Tätigkeit des Ich, und des Nicht-Ich ist nur in einem gewissen Sinne unabhängig. Dies wird sogleich klar werden. Denn IV. Es soll im Ich eine Tätigkeit sein, die ein Leiden im Nicht-Ich bestimmt, und durch dasselbe bestimmt wird; und umgekehrt, eine Tätigkeit im Nicht-Ich, die ein Leiden im Ich bestimmt, und durch dasselbe bestimmt wird; laut des Obigen. Auf diese Tätigkeit und Leiden ist der Begriff der Wechselbestimmung anwendbar. [306] Es soll zugleich in beiden eine Tätigkeit sein, die durch kein Leiden des andern bestimmt wird; wie soeben postuliert worden, um den sich zeigenden Widerspruch lösen zu können. Beide Sätze sollen beieinander bestehen können; sie müssen demnach durch einen synthetischen Begriff als in einer und ebenderselben Handlung vereinigt gedacht werden können. Dieser Begriff aber kann kein anderer sein, als der der Wechselbestimmung[.] Der Satz, in welchem beide vereinigt gedacht würden, wäre folgender: Durch Wechsel-Tun, und Leiden (das durch Wechselbestimmung sich gegenseitig bestimmende Tun und Leiden) wird die unabhängige Tätigkeit; und durch die unabhängige Tätigkeit wird umgekehrt Wechsel-Tun, und Leiden bestimmt. Wenn dieser Satz sich behaupten sollte, so wäre klar 1) In welchem Sinne die unabhängige Tätigkeit des Ich, und die des Nicht-Ich sich gegenseitig bestimmten; und in welchem nicht. Sie bestimmen sich nicht unmittelbar; aber sie bestimmen sich mittelbar, durch ihr im Wechsel begriffenes Tun, und Leiden.
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sta deve valere soltanto in parte, vale a dire pure essa dev’essere determinata, la sua validità dev’essere limitata, da una regola, a una certa sfera. Oppure, per esprimerci in un altro modo, l’attività indipendente dell’io e del non-io è indipendente soltanto in un certo senso. Ciò si chiarirà subito. Infatti IV. nell’io dev’esserci un’attività che determina una passività nel non-io ed è da questa stessa determinata, e, viceversa, dev’esserci un’attività nel non-io che determina una passività nell’io ed è da questa stessa determinata, secondo quanto detto sopra. Il concetto di determinazione reciproca è applicabile a quest’attività e passività. In entrambi dev’esserci ad un tempo un’attività che non sia determinata dalla passività dell’altro, com’è stato appena postulato per poter risolvere la contraddizione emergente. Ambedue le proposizioni possono sussistere l’una accanto all’altra, pertanto devono poter essere pensate, mediante un concetto sintetico, come congiunte in una e medesima azione. Tuttavia questo concetto può essere esclusivamente quello di determinazione reciproca. La proposizione nella quale entrambe ‹le precedenti› verrebbero pensate unificate sarebbe la seguente: l’attività indipendente viene determinata da un reciproco agire e patire (l’agire e patire che si determinano l’un l’altro tramite reciproca determinazione); e, inversamente, un reciproco agire e patire viene determinato dall’attività indipendente49. Se si potesse asserire tale proposizione, sarebbe allora chiaro 1) in quale senso l’attività indipendente dell’io e quella del non-io si determinino a vicenda e in quale no. Esse non si determinano immediatamente: si determinano invece in modo mediato50, attraverso il loro agire e patire compresi nello scambio reciproco.
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2) Wie der Satz der Wechselbestimmung zugleich gültig sein könne, und auch nicht gültig sein könne. Er ist anwendbar auf Wechsel, und unabhängige Tätigkeit; aber er ist nicht anwendbar auf unabhängige Tätigkeit, und unabhängige Tätigkeit an sich. Wechsel und unabhängige Tätigkeit stehen unter ihm, nicht aber unabhängige Tätigkeit, und unabhängige Tätigkeit. Wir reflektieren jetzt über den Sinn des oben aufgestellten Satzes. Es liegen in ihm folgende drei. 1. Durch Wechsel-Tun und Leiden wird eine unabhängige Tätigkeit bestimmt. 2. Durch eine unabhängige Tätigkeit wird ein WechselTun, und Leiden bestimmt. 3. Beide werden gegenseitig durcheinander bestimmt, und es ist gleichgültig, ob man von Wechsel-Tun, und Leiden zur unabhängigen Tätigkeit, oder ob man umgekehrt von der unabhängigen Tätigkeit zu Wechsel-Tun, und Leiden übergehe. [307] I. Den ersten Satz betreffend haben wir zuvörderst zu untersuchen, was heißt es überhaupt: eine unabhängige Tätigkeit wird durch ein Wechsel-Tun bestimmt; dann haben wir ihn auf die vorliegenden Fälle anzuwenden. 1) Durch Wechsel-Tun, und Leiden wird überhaupt eine unabhängige Tätigkeit bestimmt. – Es ist erinnert, daß wir damit umgehen den Begriff der Wechselbestimmung selbst zu bestimmen, d.i. den Umfang seiner Gültigkeit durch eine Regel zu beschränken. Bestimmung aber geschieht durch Aufzeigung des Grundes. Sowie der Grund der Anwendung dieses Satzes angegeben wird, wird dieselbe zugleich beschränkt.
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2) come la tesi della determinazione reciproca possa essere valida e insieme possa altresì non essere valida. Essa è applicabile allo scambio reciproco e all’attività indipendente, mentre non è applicabile all’attività indipendente e all’attività indipendente in sé: scambio reciproco e attività indipendente vi sottostanno, non ‹così› invece attività indipendente e attività indipendente ‹in sé›51. Riflettiamo ora sul senso della proposizione enunciata sopra. In essa si trovano le seguenti tre ‹tesi›. 1. Un’attività indipendente è determinata da un reciproco agire e patire. 2. Un agire e patire reciproci sono determinati da un’attività indipendente. 3. Entrambi sono completamente determinati a vicenda ed è indifferente se si passa dalla scambievole reciprocità di agire e patire all’attività indipendente oppure, inversamente, dall’attività indipendente alla scambievole reciprocità di agire e patire. I. Per ciò che concerne la prima tesi, anzitutto v’è da esaminare che cosa significhi in generale che un’attività indipendente è determinata da uno scambievole agire; secondariamente dobbiamo applicarlo ai casi che ci si presentano. 1) In generale, un’attività indipendente è determinata da una scambievole reciprocità di agire e patire52. – Si badi al fatto che noi ne trattiamo al fine di determinare il concetto stesso di reciproca determinazione, cioè di delimitare53 mediante una regola l’ambito della sua validità. Ma la determinazione avviene presentando il fondamento. Appena è dato il fondamento dell’applicazione di questa tesi, essa ‹ne› è contemporaneamente limitata.
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Nämlich nach dem Satz der Wechselbestimmung wird unmittelbar durch das Setzen einer Tätigkeit in dem Einen Leiden in seinem Entgegengesetzten gesetzt; und umgekehrt. Nun ist aus dem Satze des Gegensetzens zwar klar, daß, wenn überhaupt ein Leiden gesetzt werden soll, dasselbe in das Entgegengesetzte des Tätigen gesetzt werden müsse: aber die Frage, warum überhaupt ein Leiden gesetzt werden soll, und es nicht bei der Tätigkeit in dem Einen sein Bewenden haben könne, d. i. warum überhaupt eine Wechselbestimmung vorgehen solle, ist dadurch noch nicht beantwortet. – Leiden und Tätigkeit, als solche, sind entgegengesetzt; doch soll unmittelbar durch Tätigkeit Leiden, und umgekehrt, gesetzt werden, mithin müssen sie, laut des Satzes der Bestimmung, in einem Dritten = X auch gleich sein, (welches Dritte den Übergang vom Leiden zur Tätigkeit, und umgekehrt möglich mache, ohne daß die Einheit des Bewußtseins unterbrochen werde, noch in ihr, daß ich so sage, ein Hiatus entstehe). Dieses Dritte ist der Beziehungsgrund zwischen Tun und Leiden im Wechsel (§. 3). Dieser Beziehungsgrund ist nicht abhängig von der Wechselbestimmung; sondern sie ist von ihm abhängig; er wird nicht möglich durch sie, aber sie wird erst durch ihn möglich. Er wird demnach in der Reflexion zwar gesetzt durch die Wechselbestimmung, aber als von ihr, und dem, was vermittelst ihrer wechselt, unabhängig. Er wird ferner in der Reflexion durch den Wechsel bestimmt, d. i. wenn die Wechselbestimmung gesetzt ist, so wird er in diejenige Sphäre gesetzt, welche [308] die Sphäre der Wechselbestimmung in sich faßt; es wird gleichsam durch ihn ein größerer Umkreis um den der Wechselbestimmung gezogen, um ihn durch
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Cioè: secondo il principio della determinazione reciproca, ponendo un’attività in uno ‹dei due› termini, è immediatamente posta una passività nel termine a esso contrapposto, e viceversa. Ora, risulta bensì chiaro dal principio dell’opporre che, se in generale dev’essere posta una passività, questa stessa dev’essere posta nel termine contrapposto a quello attivo: ma con ciò non si è ancora risposto all’interrogativo perché in generale debba essere posta una passività e non ci si possa accontentare dell’attività in un solo termine, vale a dire perché in generale debba verificarsi una determinazione reciproca. – Passività e attività, in quanto tali, sono contrapposte: eppure la passività dev’essere immediatamente posta dall’attività e viceversa, di conseguenza esse, secondo la tesi della determinazione, devono altresì essere uguali in un terzo termine = X (il quale terzo termine rende possibile il passaggio dalla passività all’attività e viceversa senza che venga spezzata l’unità della coscienza o, ancor di più, ‹senza› che in essa, per dir così, sorga uno iato). Questo terzo termine è il fondamento di relazione tra agire e patire nello scambio reciproco (§ 3). Tale fondamento di relazione non dipende dalla determinazione reciproca, è invece quest’ultima a dipendere da quello: non è il primo a divenire possibile grazie alla seconda bensì è quest’ultima a essere resa possibile esclusivamente da quello. Esso pertanto è posto nella riflessione dalla determinazione reciproca, epperò come indipendente da essa e da ciò che per suo tramite si pone alternandosi nello scambio. Se inoltre questo fondamento di relazione è determinato nella riflessione dallo scambio reciproco54, se cioè la determinazione reciproca è posta, allora tale fondamento è posto in quella sfera che abbraccia in sé la sfera della determinazione reciproca; da esso viene descritta, per dir così, una circonferenza più ampia
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denselben sicher zu stellen. Er füllt die Sphäre der Bestimmung überhaupt, die Wechselbestimmung aber nur einen Teil derselben; wie schon aus dem Obigen klar ist; hier aber zum Behuf der Reflexion in Erinnerung gebracht werden muß. Dieser Grund ist eine Realität; oder, wenn die Wechselbestimmung als Handlung gedacht wird, eine Tätigkeit. – So wird durch Wechselbestimmung überhaupt eine unabhängige Tätigkeit bestimmt. (Es ist aus dem Obigen gleichfalls bekannt, daß der Grund aller Wechselbestimmung die absolute Totalität der Realität ist. Diese darf überhaupt nicht aufgehoben werden, und darum muß dasjenige Quantum derselben, das in einem aufgehoben wird, in sein Entgegengesetztes gesetzt werden). 2) Wir wenden diesen allgemeinen Satz an auf die besondern unter ihm enthaltnen und gegenwärtig vorkommenden Fälle. a) Vermittelst des Wechselbegriffs der Wirksamkeit wird durch ein Leiden des Ich gesetzt eine Tätigkeit des Nicht-Ich. Dieses ist eine von den angezeigten Arten des Wechsels: durch sie soll eine unabhängige Tätigkeit gesetzt und bestimmt sein. Die Wechselbestimmung geht aus vom Leiden. Das Leiden ist gesetzt; durch, und vermittelst des Leidens wird die Tätigkeit gesetzt. Das Leiden ist in das Ich gesetzt. Es ist im Begriffe der Wechselbestimmung vollkommen gegründet, daß, wenn diesem Leiden eine Tätigkeit entgegengesetzt werden solle, dieselbe in das Entgegengesetzte des Ich, in das Nicht-Ich, gesetzt werden müsse. – In diesem Übergange gibt es allerdings auch, und muß es geben, ein Glied des Zusammenhangs; oder einen Grund, der hier ein Beziehungsgrund ist. Dieser ist bekanntermaßen die Quantität, die ihr selbst im Ich und Nicht-Ich, – in Leiden, und Tätigkeit gleich ist. Sie ist der Rela-
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attorno a quella della determinazione reciproca, perché con quella quest’ultima sia fermamente fissata. Il fondamento di relazione satura la sfera della determinazione generale, la determinazione reciproca invece ne riempie soltanto una parte, come risulta già chiaro da quanto detto sopra; qui tuttavia, avendo come scopo la riflessione, a ciò si deve porre mente. Questo fondamento è una realtà, oppure, se la determinazione reciproca è pensata quale azione, un’attività. – In tal modo un’attività indipendente è determinata dalla determinazione reciproca in generale. (È altrettanto noto da quanto sopra esposto che il fondamento di ogni determinazione reciproca è l’assoluta totalità della realtà. Questa non dev’essere in generale soppressa e perciò quel quantum di essa che è soppresso in un termine dev’essere posto nel termine a esso contrapposto). 2) Applichiamo questa tesi generale ai singoli casi che essa comprende e che adesso si presentano. a) In virtù del concetto reciproco di capacità di produrre effetti un’attività del non-io viene posta da una passività dell’io. È questa una delle modalità indicate dello scambio: tramite essa un’attività indipendente dev’essere posta e determinata. La determinazione reciproca muove dalla passività. La passività è posta: dalla passività e per mezzo di essa viene posta l’attività. La passività è posta nell’io. È perfettamente fondato nel concetto di determinazione reciproca che, se un’attività dev’essere contrapposta a tale passività, essa dev’essere posta nel termine contrapposto all’io, nel non-io. – A ben vedere, in questo passaggio v’è altresì, e dev’esserci, un termine di connessione oppure un fondamento che qui è un fondamento di relazione. Esso è notoriamente la quantità, che è uguale a se stessa nell’io e nel non-io – nella passività e nell’attività. La quantità è il fonda-
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tionsgrund, den wir aber schicklich den idealen Grund nennen können. Also das Leiden im Ich ist der ideale Grund der Tätigkeit des Nicht-Ich. – Das jetzt geprüfte Verfahren war durch die Regel der Wechselbestimmung vollkommen berechtigt. Eine schwierigere Frage ist folgende: soll denn auch, und warum soll denn überhaupt die Regel der Wechselbestimmung hier angewendet werden? Daß die Tätigkeit in das Nicht-Ich gesetzt werde, wird ohne Bedenken zugestanden, aber warum wird denn überhaupt Tätigkeit ge-[309]setzt? Diese Frage muß nicht wieder durch den Satz der Wechselbestimmung, sondern durch den höhern Satz des Grundes beantwortet werden. Es ist in das Ich ein Leiden gesetzt, d. i. ein Quantum seiner Tätigkeit ist aufgehoben. Dieses Leiden oder diese Verminderung der Tätigkeit muß einen Grund haben; denn das ausgehobne soll ein Quantum sein; jedes Quantum aber wird durch ein anderes Quantum bestimmt, vermöge dessen es weder ein kleineres, noch ein größeres, sondern gerade dieses Quantum ist; laut des Satzes der Bestimmung (§. 3). Im Ich kann der Grund dieser Verminderung nicht liegen; denn das Ich setzt in sich nur Tätigkeit, und nicht Leiden; es setzt sich bloß als seiend, nicht aber als nicht seiend (§. 1). Im Ich liegt der Grund nicht; dieser Satz ist, kraft des Gegensetzens, nach welchem dem NichtIch zukommt, was dem Ich nicht zukommt (§. 2) gleichgeltend mit folgendem: Im Nicht-Ich liegt der Grund der Verminderung. Hier ist nicht mehr von der bloßen Quantität die Rede, sondern von der Qualität; das Leiden wird dem Wesen des Ich, insofern es im Sein besteht, entgegengesetzt, und nur insofern konnte der Grund desselben nicht in das Ich, sondern mußte in das Nicht-Ich gesetzt wer-
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mento di relazione che possiamo tuttavia convenientemente chiamare il fondamento ideale. Dunque, la passività nell’io è il fondamento ideale dell’attività del non-io. – Il procedimento ora esaminato era perfettamente giustificato ricorrendo alla regola della determinazione reciproca. Un interrogativo più oneroso è il seguente: si deve in generale applicare qui la regola della determinazione reciproca? E perché? Che l’attività sia posta nel nonio55 è concesso senza riserve: tuttavia, perché in generale è posta un’attività? A tale domanda non deve trovar risposta nuovamente con la tesi della determinazione reciproca, bensì col più alto principio di ragione. Una passività è posta nell’io, in altri termini un quantum della sua attività è soppresso. Questa passività, ovvero tale diminuzione dell’attività, deve avere una ragione; ciò che è soppresso dev’essere, infatti, un quantum, eppure ogni quantum è determinato da un altro quantum, in virtù del quale esso non è un quantum minore, né uno maggiore, bensì precisamente questo quantum, secondo il principio della determinazione (§ 3). La ragione di questa diminuzione non può risiedere nell’io56: l’io, infatti, pone in sé soltanto attività e non passività; esso si pone semplicemente quale essente, non invece quale non essente (§ 1). La ragione non sta nell’io. Questa proposizione, in forza ‹del principio› dell’opporre secondo cui al non-io spetta ciò che non spetta all’io (§ 2), equivale alla seguente: la ragione della diminuzione sta nel non-io. Qui non si tratta più della mera quantità bensì della qualità; la passività viene contrapposta all’essenza dell’io in quanto questa consiste nell’essere e soltanto in quanto il suo fondamento non poteva essere posto nell’io, mentre doveva esserlo nel non-io. La
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den. Das Leiden wird gesetzt, als der Realität entgegengesetzte Qualität, als Negation (nicht bloß als ein geringeres Quantum der Tätigkeit, siehe B. in unserm §.). Der Grund einer Qualität aber heißt Real-Grund. Eine vom Wechsel unabhängige, für die Möglichkeit desselben schon vorausgesetzte Tätigkeit des Nicht-Ich ist Real-Grund des Leidens; und wird gesetzt, damit wir einen Real-Grund desselben haben. – Es wird also durch den obigen Wechsel gesetzt eine vom Wechsel unabhängige, durch ihn vorausgesetzte Tätigkeit des Nicht-Ich. (Teils weil wir hier auf einem der lichten Punkte angekommen sind, von welchen aus man das ganze System sehr bequem übersehen kann; teils auch, um dem dogmatischen Realismus auch auf die kurze Zeit nicht eine Bestätigung zu lassen, die er aus dem obigen Satze ziehen könnte, machen wir nochmals ausdrücklich bemerkbar, daß der Schluß auf einen Real-Grund im Nicht-Ich sich darauf gründe, daß das Leiden im Ich etwas Qualitatives sei; (welches man in der Reflexion auf den bloßen [310] Satz der Wirksamkeit allerdings annehmen muß,) daß er demnach nicht weiter gelte, als jene Voraussetzung gelten kann. – So wie wir den zweiten Wechselbegriff, den der Substantialität, untersuchen werden, wird sich zeigen, daß in der Reflexion über ihn das Leiden gar nicht als etwas Qualitatives, sondern bloß als etwas Quantitatives gedacht werden könne, als bloße Verminderung der Tätigkeit; daß demnach in dieser Reflexion, wo der Grund wegfällt, auch das Begründete wegfällt, und das Nicht-Ich wieder bloß idealer Grund wird. – Daß ich es kurz sage: geht die Erklärung der Vorstellung, d. i. die gesamte spekulative Philosophie davon aus, daß das Nicht-Ich als Ursache der Vorstellung, sie als sein Effekt gesetzt wird; so ist dasselbe Real-Grund von Allem; es ist
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passività è posta come qualità contrapposta alla realtà, quale negazione (non semplicemente come un quantum minore di attività: cfr. B. nel nostro §). Il fondamento di una qualità si chiama però fondamento reale. Un’attività del non-io indipendente dallo scambio reciproco, già presupposta per la possibilità di quest’ultimo, è il fondamento reale della passività e viene posta perché con ciò noi si abbia un suo fondamento reale. – Così, tramite lo scambio reciproco di cui sopra, è posta un’attività del non-io indipendente dallo scambio e da esso presupposta. (Da un lato perché qui siamo pervenuti a uno dei punti luminosi dal quale si può passare in rassegna assai comodamente l’intero sistema, dall’altro per non concedere al realismo dogmatico, neppure per brevissimo tempo, una conferma che esso potrebbe trarre dalle tesi precedenti, facciamo espressamente osservare ancora una volta che la conclusione a un fondamento reale nel non-io si basa sul fatto che la passività nell’io è qualcosa di qualitativo [cosa che nella riflessione sul mero principio della capacità di produrre effetti dev’essere veramente ammessa], che pertanto essa non è valida più di quanto possa valere quel presupposto. – Non appena avremo esaminato il secondo concetto reciproco, quello di sostanzialità, riflettendo su di esso verrà in luce che la passività non può affatto essere pensata come qualcosa di qualitativo, bensì puramente e semplicemente come qualcosa di quantitativo, quale mera diminuzione dell’attività; ‹verrà in luce› che pertanto dove in questa riflessione viene a mancare il fondamento, viene meno anche il fondato e il non-io diviene nuovamente mero fondamento ideale. – In poche parole: la spiegazione della rappresentazione, ossia l’intera filosofia speculativa, deriva dal fatto che il non-io è posto quale causa della rappresentazione e questa come suo effetto; così esso
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schlechthin, weil es ist und was es ist; (das Spinozische Fatum) das Ich selbst ist bloß ein Akzidens desselben, und gar nicht Substanz; und wir bekommen den materialen Spinozism, der ein dogmatischer Realismus ist; ein System, das den Mangel der höchsten möglichen Abstraktion, der vom Nicht-Ich, voraussetzt, und, da es nicht den letzten Grund aufstellt, völlig ungegründet ist. – Geht im Gegenteil die Erklärung der Vorstellung davon aus, daß das Ich die Substanz derselben, sie aber sein Akzidens sei, so ist das Nicht-Ich gar nicht Real-, sondern bloß Ideal-Grund derselben: es hat demnach gar keine Realität außer der Vorstellung, es ist nicht Substanz, nichts für sich Bestehendes, schlechthin Gesetztes, sondern ein bloßes Akzidens des Ich. In diesem Systeme ließe sich für die Einschränkung der Realität im Ich, (für die Affektion, wodurch eine Vorstellung entsteht), gar kein Grund angeben. Die Untersuchung über denselben ist hier völlig abgeschnitten. Ein solches System wäre ein dogmatischer Idealismus, welcher allerdings die höchste Abstraktion vorgenommen hat, und daher vollkommen begründet ist. Dagegen aber ist er unvollständig, weil er nicht alles erklärt, was erklärt werden soll. Demnach ist die wahre Streitfrage des Realismus und des Idealismus die, welchen Weg man in Erklärung der Vorstellung nehmen solle. Es wird sich zeigen, daß im theoretischen Teile unsrer Wissenschaftslehre diese Frage völlig unbeantwortet bleibt, d. i. sie wird dahin beantwortet: beide Wege sind richtig; man ist unter einer gewissen Bedingung genötigt den einen, und unter der entgegengesetzten Bedingung den andern zu gehen; und dadurch wird denn die menschliche, d. h. alle endliche Vernunft in Widerspruch [mit] sich selbst [311] versetzt, und ist in einem Zirkel befangen. Ein System in welchem dieses gezeigt wird, ist ein kritischer Idealismus, welchen Kant am konsequentesten, und vollständigsten aufge-
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stesso è il fondamento reale di tutto, è in assoluto perché è e ciò che è [il fatum spinoziano]; l’io stesso è puramente e semplicemente un suo accidente e nient’affatto sostanza: otteniamo ‹così› lo spinozismo materiale, che è un realismo dogmatico, un sistema che presuppone la mancanza della più elevata astrazione possibile, quella dal non-io, ed è totalmente infondato perché non stabilisce il fondamento ultimo. – Se, al contrario, la spiegazione della rappresentazione muove dal fatto che l’io ne è la sostanza ed essa invece il suo accidente, allora il non-io non è affatto il suo fondamento reale ma soltanto quello ideale: esso non ha pertanto realtà alcuna al di fuori della rappresentazione, non è sostanza, nulla di autosussistente, di assolutamente posto, essendo invece un mero accidente dell’io. In questo sistema non può darsi ragione alcuna per la limitazione della realtà nell’io [per l’affezione dalla quale scaturisce una rappresentazione]. L’indagine su quella ragione è qui totalmente troncata. Un tale sistema sarebbe un idealismo dogmatico, il quale ha veramente compiuto la più alta astrazione e pertanto è perfettamente fondato. Al contrario, esso è incompleto perché non spiega tutto ciò che dovrebbe essere spiegato. Sicché la vera questione controversa di realismo e idealismo riguarda quale via si debba intraprendere spiegando la rappresentazione. Giungerà a farsi evidente che nella parte teoretica della nostra dottrina della scienza tale questione rimane del tutto disattesa, a essa cioè viene data risposta in tal senso: sono giuste entrambe le vie; a una certa condizione è necessario percorrerne una, alla condizione opposta l’altra: così facendo la ragione umana, vale a dire ogni ragione finita, solleva una contraddizione con se stessa e cade prigioniera di un circolo. Un sistema in cui questo venga mostrato è un idealismo critico, quale Kant ha formulato nel modo
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stellt hat. Jener Widerstreit der Vernunft mit sich selbst muß gelöst werden, wenn es auch nicht eben in der theoretischen Wissenschaftslehre möglich wäre: und da das absolute Sein des Ich nicht aufgegeben werden kann, so muß der Streit zum Vorteile der letzten Folgerungsart entschieden werden, ebenso wie im dogmatischen Idealismus (nur mit dem Unterschiede, daß unser Idealismus nicht dogmatisch, sondern praktisch ist, nicht bestimmt, was ist, sondern was sein solle). Dies muß aber auf eine solche Art geschehen, daß erklärt werde, was erklärt werden soll; welches der Dogmatism nicht vermochte. Die verminderte Tätigkeit des Ich muß aus dem Ich selbst erklärt werden, der letzte Grund derselben muß in das Ich gesetzt werden. Dies geschieht dadurch daß das Ich welches in dieser Rücksicht praktisch ist, gesetzt wird, als ein solches, welches den Grund der Existenz des Nicht-Ich, das die Tätigkeit des intelligenten Ich vermindert, in sich selbst enthalten solle: eine unendliche Idee, die selbst nicht gedacht werden kann, durch welche demnach das zu Erklärende nicht sowohl erklärt, als vielmehr gezeigt wird, daß, und warum es nicht zu erklären sei; der Knoten nicht sowohl gelöst, als in die Unendlichkeit hinaus gesetzt wird). Es wurde durch den Wechsel zwischen Leiden des Ich und Tätigkeit des Nicht-Ich eine unabhängige Tätigkeit des letzteren gesetzt; sie wird durch ebendenselben Wechsel auch bestimmt, sie wird gesetzt, um ein im Ich gesetztes Leiden zu begründen; ihr Umfang erstreckt sich demnach auch nicht weiter, als der Umfang des letzteren sich erstreckt. Es gibt gar keine ursprüngliche Realität und Tätigkeit des Nicht-Ich für das Ich, als insofern das letztere leidet. Kein Leiden im Ich, keine Tätigkeit im Nicht-Ich: gilt auch da, wo von dieser Tätigkeit, als von einer vom Begriffe der Wirksamkeit unabhängigen Tätigkeit, welche Real-Grund ist, geredet wird. Selbst das Ding an sich ist nur insofern, inwie-
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più conseguente e completo. Quel conflitto della ragione con se stessa dev’essere risolto, se anche non fosse possibile proprio nella parte teorica della dottrina della scienza: e dal momento che l’assoluto essere dell’io non può essere tralasciato, allora il contrasto dev’essere deciso a vantaggio dell’ultimo tipo di deduzione, proprio al modo dell’idealismo dogmatico [eccezion fatta per la differenza che il nostro idealismo non è dogmatico ma pratico, non determina ciò che è bensì ciò che deve essere]. Questo tuttavia deve aver luogo in modo tale che venga spiegato ciò che dev’essere spiegato, cosa di cui il dogmatismo non è capace. L’attività diminuita dell’io dev’essere spiegata in base all’io stesso, il suo ultimo fondamento dev’essere posto nell’io. Ciò avviene giacché l’io, che per tale riguardo è pratico, viene posto in modo da dover contenere in se stesso il fondamento dell’esistenza del non-io, il quale diminuisce l’attività dell’io intelligente: un’idea infinita, che pure non può essere pensata, tramite la quale pertanto, più che spiegare quello che dev’essere spiegato, si mostra invece che e perché non dev’essere spiegato: il nodo, lungi dall’essere sciolto, è riallacciato all’infinito). Dallo scambio reciproco tra passività dell’io e attività del non-io venne posta un’attività indipendente di quest’ultimo; dal medesimo scambio essa è anche determinata, è posta per fondare una passività situata nell’io; la sua sfera non si estende dunque più in là di quanto si estenda la sfera dell’ultimo. Non v’è nessunissima realtà e attività originarie del non-io per l’io, se non in quanto quest’ultimo è passivo. Nessuna passività nell’io, nessun’attività nel non-io: ciò vale anche dove si è parlato di questa attività come di un’attività indipendente dal concetto di capacità di produrre effetti, che è fondamento reale. Persino la cosa in sé esiste soltanto nella misura in cui nell’io è
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fern in das Ich wenigstens die Möglichkeit eines Leidens gesetzt wird: ein Kanon, der erst in dem praktischen Teile seine vollkommene Bestimmung, und Anwendbarkeit erhält. b) Vermittelst des Begriffs der Substantialität wird durch Tätigkeit im Ich ein Leiden in ebendemselben gesetzt und bestimmt. Beide sind im Wech-[312]sel begriffen; ihre gegenseitige Bestimmung ist die zweite Art der oben aufgestellten Wechselbestimmung; und auch durch diesen Wechsel soll eine von ihm unabhängige, und in ihm nicht mit begriffene Tätigkeit gesetzt und bestimmt werden. An sich sind Tätigkeit und Leiden entgegengesetzt; und es kann, wie wir oben gesehen haben, allerdings durch eine und ebendieselbe Handlung, durch welche ein bestimmtes Quantum Tätigkeit in das Eine gesetzt wird, das gleiche Quantum Leiden in sein Entgegengesetztes gesetzt werden, und umgekehrt. Aber daß nicht in das Entgegengesetzte, sondern in Ein und ebendasselbe durch Eine, und ebendieselbe Handlung Tätigkeit und Leiden gesetzt werde, ist widersprechend. Nun ist zwar dieser Widerspruch schon oben bei Deduktion des Begriffs der Substantialität überhaupt dadurch gehoben, daß das Leiden an sich und seiner Qualität nach gar nichts anderes als Tätigkeit; der Quantität nach aber eine mindere Tätigkeit sein soll, als die Totalität; und so ließ sich denn im allgemeinen gar wohl denken, wie eine mindere Quantität an absoluter Totalität gemessen, und dadurch, daß sie derselben an Quantität nicht gleich ist, als eine mindere gesetzt werden könne. Der Beziehungsgrund beider ist jetzt Tätigkeit. Die Totalität sowohl als die Nicht-Totalität beider ist Tätigkeit. Aber auch in das Nicht-Ich wird Tätigkeit, und zwar gleichfalls eine der Totalität nicht gleiche, sondern beschränkte Tätigkeit gesetzt. Es entsteht demnach die Frage; wodurch soll eine beschränkte Tätigkeit des Ich
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posta almeno la possibilità di una passività: un canone che riceve la sua perfetta determinazione e applicabilità unicamente nella parte pratica. b) Una passività viene posta e determinata dall’attività nell’io57, per mezzo del concetto di sostanzialità. L’una e l’altra sono comprese nello scambio reciproco; la loro vicendevole determinazione è il secondo tipo della determinazione reciproca sopra enunciata, e pure attraverso questo scambio reciproco dev’essere posta e determinata un’attività da esso indipendente e in esso non compresa. In sé, attività e passività sono contrapposte e a dire il vero, come abbiamo visto sopra, proprio tramite l’unica e medesima azione con la quale un determinato quantum di attività è posto nell’una, l’uguale quantum di passività può esser posto nell’altra a essa contrapposta, e viceversa. Tuttavia, che attività e passività siano poste non in termini contrapposti bensì nell’unico e medesimo termine da un’unica e medesima azione, ciò è contraddittorio. Ebbene, tale contraddizione è certo già precedentemente soppressa nella deduzione del concetto di sostanzialità in generale, grazie al fatto che la passività, in sé e secondo la sua qualità, altro non è se non attività, mentre, secondo la quantità, dev’essere un’attività minore della totalità; e così essa si può ben pensare in generale come una quantità minore, commisurata all’assoluta totalità, e può essere posta come minore perché in quantità non è uguale a quella. Il fondamento di relazione di entrambe è, ora, l’attività. La totalità tanto quanto la non totalità di entrambe è attività. Ma anche nel non-io è posta attività, e precisamente allo stesso modo un’attività non uguale alla totalità bensì limitata. Sorge pertanto l’interrogativo: in che modo un’attività limitata dell’io dev’essere distinta da
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von einer beschränkten Tätigkeit des Nicht-Ich unterschieden werden; das heißt nichts Geringeres, als, wie soll unter diesen Bedingungen Ich und Nicht-Ich überhaupt noch unterschieden werden; denn der Unterscheidungs-Grund des Ich und Nicht-Ich, vermöge dessen das erstere tätig, das andere leidend sein sollte, ist weggefallen. Wenn eine solche Unterscheidung nicht möglich ist, ist auch die geforderte Wechselbestimmung nicht möglich: und überhaupt keine von allen abgeleiteten Bestimmungen möglich. Die Tätigkeit des Nicht-Ich wird bestimmt durch das Leiden des Ich; das Leiden des Ich aber wird bestimmt durch die nach der Verminderung übriggebliebene Quantität seiner Tätigkeit. Hier wird ja für die Möglichkeit einer Beziehung auf die absolute Totalität der Tätigkeit des Ich vorausgesetzt, daß die verminderte Tätigkeit [313] Tätigkeit des Ich; ebendesselben Ich sei, in welches absolute Totalität gesetzt ist. – Verminderte Tätigkeit ist entgegengesetzt der Totalität derselben: die Totalität aber ist in das Ich gesetzt: also sollte, nach der obigen Regel der Gegensetzung, das Entgegengesetzte der Totalität oder die verminderte Tätigkeit in das Nicht-Ich gesetzt werden. Würde sie aber dahin gesetzt, so wäre sie mit der absoluten Totalität durch gar keinen Beziehungsgrund verbunden; die Wechselbestimmung fände nicht statt, und alles bis jetzt abgeleitete würde aufgehoben. Mithin muß die verminderte Tätigkeit, die als Tätigkeit überhaupt auf Totalität nicht beziehbar sein würde, noch einen Charakter haben, der den Beziehungsgrund abgeben könne; einen solchen, wodurch sie zur Tätigkeit des Ich werde, und schlechthin nicht Tätigkeit des Nicht-Ich sein könne. Dieser Charakter des Ich aber, der dem Nicht-Ich gar nicht zugeschrieben werden kann, ist das Setzen schlechthin, und ohne allen Grund (§. 1). Jene verminderte Tätigkeit müßte demnach absolut sein.
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un’attività limitata del non-io? Il che significa niente meno che: come devono essere ancora distinti, a tali condizioni, io e non-io in generale? Infatti, il fondamento di distinzione dell’io e del non-io, in virtù del quale il primo dovrebbe essere attivo e l’altro passivo, è venuto meno58. Se una tale distinzione non è possibile, non è possibile neppure la richiesta determinazione reciproca e soprattutto non è possibile alcuna delle determinazioni dedotte. L’attività del non-io è determinata dalla passività dell’io, ma la passività dell’io è determinata dalla quantità della sua attività restante dopo la diminuzione. Qui si presuppone, per la possibilità di una relazione all’assoluta totalità dell’attività dell’io59, che l’attività diminuita sia attività dell’io, proprio di quello stesso io nel quale è posta assoluta totalità. – Un’attività diminuita è contrapposta alla totalità dell’attività: la totalità però è posta nell’io, dunque, stando alla precedente regola dell’opposizione di cui sopra, la contrapposta alla totalità, ossia l’attività diminuita, dovrebbe esser posta nel non-io. Ma se essa vi fosse posta, non sarebbe connessa da alcun fondamento di relazione con la totalità assoluta, la determinazione reciproca non avrebbe luogo e tutto quanto finora dedotto sarebbe soppresso. Di conseguenza, l’attività diminuita, che in quanto attività in generale non sarebbe correlabile, deve avere ancora un carattere che possa offrire il fondamento di relazione: un carattere siffatto per mezzo di cui tale attività divenga attività dell’io, e non possa assolutamente essere attività del non-io. Questo carattere dell’io, però, che non può affatto essere attribuito al non-io, è il porre60 in assoluto e senza ogni ragione e fondamento (§ 1). Quell’attività diminuita dovrebbe pertanto essere assoluta.
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Aber absolut und ohne Grund heißt (§. 3) gänzlich unbeschränkt; und doch soll jene Handlung des Ich beschränkt sein. Hierauf ist zu antworten: bloß insofern sie überhaupt ein Handeln ist, und nichts weiter, soll sie durch keinen Grund, durch keine Bedingung beschränkt sein; es kann gehandelt werden, oder auch nicht; die Handlung an sich geschieht mit absoluter Spontaneität; aber insofern sie auf ein Objekt gehen soll, ist sie begrenzt; es konnte nicht gehandelt werden; (ohngeachtet der Affektion durch das Nicht-Ich, wenn man sich einen Augenblick eine solche ohne Zueignung des Ich durch Reflexion möglich denken will) aber wenn einmal gehandelt wird, so muß die Handlung eben auf dieses Objekt gehen, und kann auf kein anderes gehen. Demnach wird durch die angezeigte Wechselbestimmung eine unabhängige Tätigkeit gesetzt. Nämlich die im Wechsel begriffene Tätigkeit ist selbst unabhängig, aber nicht insofern sie im Wechsel begriffen ist, sondern insofern sie Tätigkeit ist. Insofern sie in den Wechsel kommt, ist sie eingeschränkt, und insofern ein Leiden. Diese unabhängige Tätigkeit wird ferner durch den Wechsel, nämlich in der bloßen Reflexion, bestimmt. Um den Wechsel möglich zu machen, mußte die Tätigkeit als absolut angenommen werden; also es ist aufgestellt – nicht absolute Tätigkeit überhaupt, sondern absolute Tätigkeit, [314] die einen Wechsel bestimmt. (Sie heißt Einbildungskraft, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird). Eine solche aber ist bloß insofern gesetzt, inwiefern ein Wechsel zu bestimmen ist; und ihr Umfang wird demnach durch den Umfang dieses Wechsels selbst bestimmt.
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Ma assoluto e senza ragione né fondamento significa (§ 3) interamente senza limitazione, eppure quell’azione dell’io deve essere limitata. A ciò bisogna rispondere: semplicemente essendo essa in generale un agire e null’altro, non deve venire limitata per alcun motivo, ad alcuna condizione: si può agire o no, l’azione in sé avviene con spontaneità assoluta. Ma nella misura in cui deve rivolgersi ad un oggetto, essa è delimitata; si potrebbe non agire (tralasciando l’affezione da parte del non-io, se per un istante si vuole pensare una tale affezione come possibile senza l’appropriazione dell’io mediante riflessione): però se l’azione avviene, allora essa deve dirigersi proprio su questo oggetto e non può dirigersi su un altro. Pertanto, mediante la determinazione reciproca che è stata indicata, è posta un’attività indipendente. Infatti, l’attività compresa nello scambio reciproco è essa stessa indipendente, ma non in quanto è compresa nello scambio, bensì in quanto è attività. In quanto è compresa nello scambio, essa è limitata, e in tal misura è una passività61. Quest’attività indipendente è inoltre determinata dallo scambio reciproco, cioè nella mera riflessione. Essa, per rendere possibile lo scambio, doveva essere assunta come assoluta, dunque ciò che è stabilito non è un’attività assoluta in generale, bensì un’attività assoluta che determina uno scambio reciproco. (Essa si chiama immaginazione, come a suo tempo si mostrerà). Tuttavia una tale attività è posta soltanto in quanto v’è da determinare uno scambio reciproco, e la sua ampiezza viene determinata pertanto dalla stessa ampiezza di questo scambio.
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II. Durch eine unabhängige Tätigkeit wird ein WechselTun, und Leiden bestimmt: dies ist der zweite Satz, den wir zu erörtern haben. Wir haben 1) diesen Satz überhaupt zu erklären, und seine Bedeutung von der des vorhergehenden scharf zu unterscheiden. In dem vorigen Satze wurde vom Wechsel ausgegangen; er wurde, als geschehend, vorausgesetzt; es war demnach gar nicht von Form desselben, als eines blossen Wechsels (eines Übergehens von einem zum anderen), sondern von der Materie desselben, von den im Wechsel begriffenen Gliedern, die Rede. Soll ein Wechsel vorhanden sein – so wurde oben im allgemeinen gefolgert – so müssen Glieder vorhanden sein, die verwechselt werden können. Wie sind diese möglich? – und so zeigten wir als den Grund derselben eine unabhängige Tätigkeit auf. Hier aber wird nicht vom Wechsel aus, sondern von demjenigen aus was den Wechsel als Wechsel, und seiner bloßen Form nach, als ein Übergehen von einem zum andern, erst möglich macht, zum Wechsel fortgegangen. Dort war vom Grunde der Materie, hier ist vom Grunde der Form des Wechsels die Rede. Auch dieser formale Grund des Wechsels soll eine unabhängige Tätigkeit sein; und diese Behauptung haben wir hier zu erweisen. Wir können den Unterscheidungsgrund der Form des Wechsels von seiner Materie noch deutlicher angeben, wenn wir auf unsre eigene Reflexion reflektieren wollen. Im ersten Falle wird der Wechsel als geschehend vorausgesetzt; es wird demnach von der Art, wie er geschehen möge, völlig abstrahiert; und bloß auf die Möglichkeit der im Wechsel begriffenen Glieder reflektiert. – Der Magnet zieht das Eisen: das Eisen
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II. Un agire e patire reciproci sono determinato da un’attività indipendente: ecco la seconda tesi che occorre discutere. V’è da 1) spiegare tale tesi in generale e distinguere nettamente il suo significato da quello della precedente. Nella proposizione precedente prendemmo le mosse dallo scambio reciproco, e si presuppose che avesse luogo: pertanto non si discuteva affatto della sua forma, in quanto ‹forma› di un mero scambio (di un passare da un termine all’altro), bensì della sua materia, dei termini compresi nello scambio reciproco. Se uno scambio reciproco dev’essere disponibile – così venne sopra dedotto in generale –, allora devono necessariamente esserci dei termini che possono essere posti nello scambio. Come sono possibili? – E così mettemmo in luce un’attività indipendente quale loro fondamento. Qui però non si è proceduto dallo scambio reciproco ma da ciò che anzitutto lo rende possibile in quanto scambio e secondo la sua mera forma, come un passare62 da un termine all’altro verso lo scambio reciproco. Lì si trattava del fondamento della materia, qui si parla del fondamento della forma dello scambio reciproco. Anche questo fondamento formale dello scambio dev’essere un’attività indipendente; e qui dobbiamo dimostrare quest’affermazione. Volendo riflettere sulla nostra propria riflessione, siamo in grado di indicare in modo ancor più perspicuo il fondamento di distinzione della forma dello scambio reciproco dalla sua materia. Nel primo caso lo scambio è presupposto come avente luogo, facendo quindi completamente astrazione dal modo in cui può aver luogo e riflettendo puramente sulla possibilità dei termini compresi nello scambio reciproco. – Il magnete attrae il ferro; il ferro è attrat-
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wird vom Magnete gezogen: sind zwei Sätze die miteinander wechseln, d. i. durch deren einen der andere gesetzt wird. Dies ist vorausgesetztes und als begründet vorausgesetztes Faktum; und es wird daher nicht gefragt; wer einen durch den andern setze; und wie es über-[315]haupt mit dem Setzen eines Satzes durch den andern zugehe; sondern es wird bloß gefragt, warum unter der Sphäre der Sätze, die einer statt des andern gesetzt werden können, eben jene beiden enthalten sind. In beiden muß etwas liegen, das sie geschickt macht verwechselt werden zu können; dieses, also das Materiale, was sie zu Wechselsätzen macht, ist aufzusuchen. Im zweiten Falle wird auf das Geschehen des Wechsels selbst reflektiert, mithin von den Sätzen, unter denen gewechselt wird, völlig abstrahiert. Die Frage ist nicht mehr die: mit welchem Rechte wird mit jenen Sätzen gewechselt; sondern, wie wird überhaupt gewechselt. Und da findet sich denn, daß ein intelligentes Wesen außer dem Eisen und dem Magnete vorhanden sein müsse, das beide beobachte, die Begriffe beider in seinem Bewußtsein vereinige, und genötigt sei, dem einen das entgegengesetzte Prädikat vom Prädikate des andern (ziehen, gezogen werden) zu geben. In dem ersten Falle geschieht eine einfache Reflexion über die Erscheinung, – die des Beobachters; im zweiten geschieht eine Reflexion über jene Reflexion, – die des Philosophen über die Art des Beobachtens. Nachdem nun einmal ausgemacht ist, daß die unabhängige Tätigkeit, welche wir suchen, die Form des Wechsels, nicht aber seine bloße Materie bestimmen solle; so verhindert uns nichts durch heuristische Methode in unsrer Reflexion vom Wechsel auszugehen, indem die Untersuchung dadurch um ein großes erleichtert wird. 2) Wir wenden jetzt den nunmehr im allgemeinen erklärten Satz an auf die einzelnen unter ihm enthaltenen Fälle.
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to dal magnete: sono due proposizioni che si scambiano l’una con l’altra, cioè ‹tali che› con una di esse è posta ‹anche› l’altra. Questo è un fatto presupposto, e presupposto come fondato, per cui non viene posto in questione chi ponga l’una mediante l’altra e come in generale si ponga una proposizione ponendo l’altra: si chiede invece semplicemente perché nella sfera delle proposizioni che possono essere poste l’una in luogo dell’altra siano contenute proprio quelle due. In entrambe dev’esserci qualcosa che le rende idonee a poter essere scambiate: ciò va esaminato come il materiale che le rende proposizioni reciproche. Nel secondo caso si riflette sull’accadere dello scambio stesso, facendo dunque completamente astrazione dalle proposizioni tra le quali esso ha luogo. La questione non verte più sul diritto con cui ha luogo la scambio reciproco tra quelle proposizioni, bensì sul come in generale abbia luogo lo scambio. E si trova allora che oltre al ferro e al magnete si deve poter disporre di un essere intelligente che li osserva entrambi e che, unificando i concetti dei due nella sua coscienza, è obbligato ad assegnare all’uno il predicato opposto rispetto al predicato dell’altro (attrarre, essere attratto). Nel primo caso ha luogo una semplice riflessione sul fenomeno: quella dell’osservatore; nel secondo avviene una riflessione su quella riflessione: quella del filosofo sul modo di osservare. Essendo una buona volta ormai stabilito che l’attività indipendente da noi cercata deve determinare la forma dello scambio reciproco, non invece la sua mera materia, nulla allora ci vieta nella nostra riflessione di muovere dallo scambio mediante il metodo euristico, col che la ricerca ne viene grandemente facilitata. 2) Adesso applichiamo la proposizione ormai chiarita in generale ai casi singoli che vi sono compresi.
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a. In dem Wechsel der Wirksamkeit wird durch ein Leiden im Ich eine Tätigkeit im Nicht-Ich gesetzt, d. i. es wird eine gewisse Tätigkeit in das Ich nicht gesetzt, oder demselben entzogen, und dagegen gesetzt in das Nicht-Ich. Um die bloße Form dieses Wechsels rein zu bekommen; müssen wir abstrahieren sowohl von dem, was gesetzt wird, der Tätigkeit; als von den Gliedern, in welche nicht gesetzt, und gesetzt wird, vom Ich und Nicht-Ich: und so bleibt uns als reine Form übrig, ein Setzen durch ein Nicht-Setzen: oder ein Übertragen. Dies also ist der formale Charakter des Wechsels in der Synthesis der Wirksamkeit: mithin der materiale Charakter der Tätigkeit, welche wechselt (in aktiver Bedeutung, die den Wechsel vollzieht). [316] Diese Tätigkeit ist unabhängig von dem Wechsel, der durch sie möglich und von ihr vollzogen wird; und sie wird nicht erst durch ihn möglich. Sie ist unabhängig von den Gliedern des Wechsels als solchen; denn erst durch sie sind es wechselnde Glieder; sie ist es, die dieselben verwechselt. An sich mögen beide auch ohne dieselbe immer sein; genug, sie sind isoliert, und stehen in keiner Wechselverbindung. Aber alles Setzen ist der Charakter des Ich; mithin kommt jene Tätigkeit des Übertragens, für die Möglichkeit einer Bestimmung durch den Begriff der Wirksamkeit, dem Ich zu. Das Ich überträgt Tätigkeit in das Nicht-Ich aus dem Ich; hebt also insofern Tätigkeit in sich auf; und das heißt nach dem Obigen; es setzt durch Tätigkeit in sich ein Leiden. Inwiefern das Ich tätig ist im Übertragen der Tätigkeit auf das Nicht-Ich: insofern ist das Nicht-Ich leidend; es wird Tätigkeit auf dasselbe übertragen.
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a. Nello scambio della capacità di produrre effetti, un’attività è posta nel non-io da una passività nell’io, ossia una certa attività non è posta nell’io, ovvero gli è sottratta e per contro posta nel non-io. Per ottenere puramente la mera forma di tale scambio reciproca dobbiamo astrarre tanto da ciò che è posto, l’attività, quanto dai termini in cui questa viene e non viene posta, dal non-io e dall’io: quale pura forma ci rimane in tal modo un porre mediante un non porre, ovvero un trasferire. Ecco, questo è il carattere formale dello scambio reciproca nella sintesi della capacità di produrre effetti: di qui, conseguentemente, il carattere materiale dell’attività che pone in scambio63 (in senso attivo, che compie lo scambio). Tale attività è indipendente dallo scambio reciproco che attraverso di essa diviene possibile e da essa viene compiuto, ed essa non ‹è› esclusivamente per lo scambio ‹che› diviene possibile. È indipendente dai termini dello scambio reciproco in quanto tali, essi sono, infatti, termini scambievoli unicamente per suo tramite ed essa stessa è ciò che li pone in scambio. In sé, entrambi possono sempre esistere anche senza di essa, bastando l’essere isolati e il non stare in alcuna connessione reciproca. Ma tutto il porre è il carattere dell’io; di conseguenza quell’attività del trasferire spetta all’io per la possibilità di una determinazione mediante il concetto di capacità di produrre effetti. L’io trasferisce attività dall’io nel non-io; dunque, in tal misura sopprime in sé attività e, secondo quanto esposto precedentemente, ciò significa che pone in sé, attivandosi, una passività. Essendo l’io attivo nel trasferire l’attività al non-io, il non-io è passivo: l’attività gli viene trasferita.
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(Man lasse sich nicht vor der Zeit dadurch stören, daß dieser Satz aufgestelltermaßen dem ersten Grundsatze, aus welchem nunmehr bei Erörterung des nächstvorhergehenden Satzes eine von allem Wechsel unabhängige Realität des Nicht-Ich (S. 276) gefolgert ist, widerspricht. Genug er fließt durch richtige Folgerungen aus erwiesenen Vordersätzen, so gut, als derjenige, dem er widerspricht. Der Vereinigungsgrund beider wird sich zu seiner Zeit ohne alles unser willkürliches Zutun ergeben. Man lasse nicht unbemerkt, daß oben gesagt wurde: diese Tätigkeit ist unabhängig von dem Wechsel, der durch sie möglich wird. Es könnte darum doch noch einen andern geben, der nicht erst durch sie möglich würde. Mit allen Einschränkungen, die der aufgestellte Satz erleiden dürfte, haben wir durch ihn wenigstens soviel gewonnen, daß das Ich sogar; inwiefern es leidet, auch tätig sein müsse, wenn auch eben nicht bloß tätig; und es könnte leicht sein, daß dieses ein sehr wichtiger Gewinn wäre, der alle Mühe der Untersuchung reichlich belohnte[)]. b. Im Wechsel der Substantialität soll, vermittelst absoluter Totalität Tätigkeit als begrenzt gesetzt werden: d. i. dasjenige an absoluter Totalität, [317] was durch die Grenze ausgeschlossen wird, wird gesetzt, als durch das Setzen der begrenzten Tätigkeit nicht gesetzt, als in derselben mangelnd: mithin ist der bloß formale Charakter dieses Wechsels ein NichtSetzen vermittelst eines Setzens. Das mangelnde wird gesetzt, in der absoluten Totalität; es wird nicht gesetzt in der begrenzten Tätigkeit; es wird gesetzt, als nicht gesetzt im Wechsel. Vom Setzen schlechthin, und zwar von einem Setzen der absoluten Totalität wird ausgegangen; laut des oben aufgestellten Begriffs der Substantialität.
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(Non ci si lasci turbare anzitempo dal fatto che tale proposizione, così enunciata, contraddice il primo principio dal quale, discutendo la proposizione di cui immediatamente sopra, è ormai derivata una realtà del non-io indipendente da ogni scambio reciproco [pag. 277]. È sufficiente che, attraverso corrette deduzioni, tale proposizione fluisca da premesse dimostrate, come quella che essa contraddice. Il fondamento dell’unificazione di entrambe emergerà a suo tempo senza alcun nostro intervento arbitrario. Non si manchi di osservare ciò che abbiamo detto sopra: quest’attività è indipendente dallo scambio reciproco, che diviene possibile grazie a essa64. Si potrebbe perciò dare ancora un altro scambio reciproco che non diventasse possibile soltanto mediante quell’attività. Pur con tutte le limitazioni che la proposizione enunciata potrebbe subire, grazie a essa abbiamo ottenuto almeno questo: che l’io, in quanto è passivo, dev’essere altresì attivo, seppure anche non meramente attivo; e facilmente questo potrebbe essere un guadagno assai importante che ripaga con dovizia tutte le fatiche della ricerca ‹)›. b. Nello scambio reciproco della sostanzialità, tramite l’assoluta totalità, l’attività dev’essere posta come avente un confine: in altri termini, nella totalità assoluta ciò che viene escluso dal confine è posto come non posto dal porre dell’attività limitata, come ‹qualcosa di› mancante in questa: di conseguenza, il mero carattere formale di tale scambio reciproco è un nonporre per mezzo di un porre. Quel che manca è posto nell’assoluta totalità, non è posto nell’attività delimitata, è posto in quanto non posto nello scambio reciproco. Stando al concetto di sostanzialità sopra enunciato, si prese le mosse dal porre in assoluto e precisamente da un porre dell’assoluta totalità.
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Der materiale Charakter derjenigen Handlung, welche diesen Wechsel selbst setzt, muß demnach gleichfalls sein ein Nicht-Setzen durch ein Setzen; und zwar durch ein absolutes Setzen. Woher das Nicht-Gesetzt-Sein in der begrenzten Tätigkeit, die dann als schon gegeben betrachtet wird, kommen, und was es sein möge, das dasselbe begründet; davon wird hier gänzlich abstrahiert. Die begrenzte Handlung ist da, das wird vorausgesetzt, und wir fragen nicht darnach, wie sie an sich da sein möge; wir fragen bloß, wie sie mit der Unbegrenztheit wechseln möge. Alles Setzen überhaupt, und ganz insbesondere das absolute Setzen kommt dem Ich zu: die Handlung, welche den vorliegenden Wechsel selbst setzt, geht vom absoluten Setzen aus: ist demnach eine Handlung des Ich. Diese Handlung oder Tätigkeit des Ich ist völlig unabhängig von dem Wechsel, der durch sie erst gesetzt wird. Sie selbst setzt das eine Glied des Wechsels, die absolute Totalität, schlechthin, und vermittelst dieses setzt sie erst das andere Glied desselben, als verminderte Tätigkeit; als kleiner, denn die Totalität. Wo die Tätigkeit als solche herkommen möge, davon ist nicht die Frage, denn als solche ist sie nicht Glied des Wechsels; bloß als verminderte Tätigkeit ist sie dies, und das wird sie erst durch das Setzen der absoluten Totalität und durch die Beziehung darauf. Die aufgezeigte unabhängige Tätigkeit geht aus vom Setzen; aber das Nicht-Setzen ist es, worauf es eigentlich ankommt: wir können demnach dieselbe insofern ein Entäußern nennen. Es wird ein bestimmtes Quantum der absoluten Totalität von der als vermindert gesetzten Tätigkeit ausgeschlossen; als nicht in derselben, sondern als außer ihr befindlich betrachtet.
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Il carattere materiale di quell’azione che pone questo stesso scambio reciproco dev’essere pertanto egualmente un non-porre tramite un porre, e per la precisione tramite un porre assoluto. Da dove provenga il non-essere-posto nell’attività limitata, che allora viene considerata come già data, e che cosa possa essere ciò che la fonda: da tutto ciò qui si fa completamente astrazione. L’azione65 limitata esiste: ciò è presupposto, e conseguentemente non poniamo in questione come essa possa esistere in sé, chiediamo semplicemente come possa porsi in relazione di scambio reciproco con l’illimitatezza. Ogni porre in generale reciproco e in modo affatto particolare il porre assoluto reciproco spetta all’io: l’azione ponente lo scambio reciproco che si rende disponibile muove dal porre assoluto: è pertanto un’azione dell’io. Tale azione o attività dell’io è del tutto indipendente dallo scambio reciproco posto da essa. Essa stessa pone assolutamente un termine dello scambio reciproco, la totalità assoluta, e tramite questo pone l’altro suo termine in quanto attività diminuita, quindi come minore della totalità. Non ci si domanda da dove la totalità in quanto tale possa provenire, perché in quanto tale essa non è un termine dello scambio reciproco, lo è soltanto quale attività diminuita, e diviene tale unicamente attraverso la posizione dell’assoluta totalità e mediante il riferimento a essa. L’attività indipendente che si è indicata muove dal porre, eppure è il non-porre ciò da cui propriamente sopraggiunge: potremmo pertanto chiamarla una privazione. Un determinato quantum della totalità assoluta viene escluso dall’attività posta come diminuita, considerato come qualcosa che non si trova in questa, bensì al di fuori di essa.
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Man lasse den charakteristischen Unterschied dieses Entäußerns von dem soeben aufgestellten Übertragen nicht unbemerkt. Bei dem letzteren wird allerdings auch etwas aus dem Ich aufgehoben, aber davon wird abstrahiert, [318] und eigentlich bloß darauf reflektiert, daß dasselbe in das Entgegengesetzte gesetzt wird. – Hier hingegen wird bloß ausgeschlossen. Ob das Ausgeschlossene in etwas anderes gesetzt werde, und welches dies andere sein möge, das gehört wenigstens hierher nicht. Der aufgezeigten Tätigkeit des Entäußerns muß ein Leiden entgegengesetzt sein; und so ist es allerdings, nämlich ein Teil der absoluten Totalität wird entäussert; wird gesetzt, als nicht gesetzt. Die Tätigkeit hat ein Objekt; ein Teil der Totalität ist dieses Objekt. Welchem Substrate der Realität diese Verminderung der Tätigkeit, oder dieses Leiden zukomme, ob dem Ich, oder dem Nicht-Ich, davon ist hier nicht die Frage; und es liegt viel daran, daß man nichts weiter folgere, als das, was aus dem aufgestellten Satze zu folgern ist, und die Form des Wechsels in seiner ganzen Reinheit auffasse. (Jedes Ding ist, was es ist; es hat diejenigen Realitäten, welche gesetzt sind, so wie dasselbe gesetzt ist: A = A (§. 1). Es ist irgend etwas ein Akzidens desselben, heißt zuvörderst: dieses Etwas ist durch das Setzen desselben nicht gesetzt; es gehört nicht zu dem Wesen desselben, und ist von seinem Urbegriffe auszuschließen. Diese Bestimmung des Akzidens ist es, die wir jetzt erklärt haben. In einem gewissen Sinne wird aber hinwiederum das Akzidens dem Dinge zugeschrieben, und in dasselbe gesetzt. Was es damit für eine Bewandtnis habe, werden wir zu seiner Zeit gleichfalls sehen).
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Non cada inosservata la differenza che caratterizza tale privazione rispetto al trasferire appena stabilito ed enunciato. Certo, anche in quest’ultimo qualcosa viene eliminato dall’io, da ciò tuttavia si astrae e in realtà si riflette semplicemente sul fatto che esso viene posto nel termine ‹suo› contrapposto. – Al contrario, qui è semplicemente escluso. Se l’escluso venga posto in qualos’altro e che cosa quest’altro possa essere, in questa sede ciò come minimo non è pertinente. All’attività di privazione che è stata indicata dev’essere contrapposta una passività, e così è veramente, cioè una parte dell’assoluta totalità viene alienata; viene posta come non posta. L’attività ha un oggetto; una parte della totalità è quest’oggetto. Qui non è in questione a quale sostrato della realtà spetti tale diminuzione dell’attività o tale passività, se all’io o al non-io; ed è molto importante che nulla si deduca oltre a quello che v’è da dedurre dalla proposizione enunciata e che si comprenda la forma dello scambio reciproco in tutta la sua purezza. (Ogni cosa è ciò che è, ha quelle realtà che sono poste come è posta essa stessa: A = A [§ 1]. Una cosa qualsiasi è soltanto un suo accidente, ‹ciò› anzitutto significa: questo qualcosa66 non è posto con il suo porre, non appartiene alla sua essenza e va escluso dal suo concetto originario. Tale determinazione dell’accidente è quanto ora abbiamo illustrato. In un certo senso però l’accidente è attribuito di nuovo alla cosa ed è posto in essa. Come stiano le cose a questo proposito, lo vedremo del pari a suo tempo).
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[318] III. Beides, der Wechsel, und die von ihm unabhängige Tätigkeit sollen sich selbst gegenseitig bestimmen. Gerade wie bisher haben wir zuvörderst zu untersuchen, was dieser Satz im allgemeinen heißen möge: und dann ihn auf die besondern unter ihm enthaltnen Fälle anzuwenden. 1) In der unabhängigen Tätigkeit sowohl, als im Wechsel haben wir wieder zweierlei unterschieden; wir haben unterschieden die Form des Wechsels von seiner Materie; und nach Maßgabe dieser Unterscheidung eine unabhängige Tätigkeit, welche die erstere bestimmt, von einer andern, welche in der Reflexion durch die zweite bestimmt wird. Man kann demnach den zu erörternden Satz nicht geradezu so wie er aufgestellt ist, der Untersuchung [319] unterwerfen; denn wenn wir jetzt vom Wechsel reden, ist es zweideutig, ob wir auf die Form desselben oder auf seine Materie Rücksicht nehmen: so auch bei der unabhängigen Tätigkeit. Demnach muß zuvörderst in beiden beides vereinigt werden: das aber kann nicht anders geschehen, als durch die Synthesis der Wechselbestimmung. Mithin müssen in dem aufgestellten Satze wieder folgende drei enthalten sein: a) Die von der Form des Wechsels unabhängige Tätigkeit bestimmt die von der Materie unabhängige, und umgekehrt, d. i. beide bestimmen sich gegenseitig, und sind synthetisch vereinigt. b) Die Form des Wechsels bestimmt die Materie desselben, und umgekehrt, d. i. beide bestimmen sich gegenseitig, und sind synthetisch vereinigt. Und nun erst läßt sich der Satz verstehen, und erörtern:
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III Tutt’e due, lo scambio reciproco e l’attività che ne è indipendente, devono determinare vicendevolmente se stessi. Allo stesso modo in cui abbiamo [condotto l’indagine] sinora, v’è anzitutto da esaminare che cosa67 possa significare questa proposizione in linea generale e quindi applicarla ai casi particolari che vi sono compresi. 1) Tanto nell’attività indipendente quanto nello scambio reciproco abbiamo compiuto nuovamente una duplice distinzione: abbiamo distinto la forma dello scambio dalla sua materia e, a misura di questa distinzione, un’attività indipendente che determina la prima da un’altra che nella riflessione è determinata dalla seconda. Non si può pertanto sottoporre a disamina la proposizione da discutere proprio nei termini in cui è stata enunciata e stabilita, perché, quando ora trattiamo dello scambio reciproco, rimane ambiguo se si volge il nostro riguardo alla sua forma o alla sua materia, e così anche in merito all’attività indipendente. Pertanto in entrambi, ‹nello scambio reciproco e nell’attività indipendente,› devono essere unificate in primo luogo forma e materia, ma ciò non può accadere altrimenti che attraverso la sintesi della determinazione reciproca. Ne consegue che altre tre proposizioni devono essere comprese in quella enunciata: a) L’attività indipendente dalla forma dello scambio reciproco determina quella indipendente dalla materia e viceversa, vale a dire ambedue si determinano a vicenda e sono unificate sinteticamente. b) La forma dello scambio reciproco ne determina la materia e viceversa, ossia entrambe si determinano a vicenda e sono unificate sinteticamente. E soltanto ora si può comprendere e discutere la proposizione:
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g) Der Wechsel, (als synthetische Einheit) bestimmt die unabhängige Tätigkeit, (als synthetische Einheit) und umgekehrt, d. i. beide bestimmen sich gegenseitig, und sind selbst synthetisch vereinigt. a) Diejenige Tätigkeit, welche die Form des Wechsels, oder den Wechsel als solchen bestimmen, von ihm aber schlechthin unabhängig sein soll, ist ein Übergehen von einem im Wechsel begriffenen Gliede zum andern, als Übergehen (nicht etwa als Handlung überhaupt), diejenige, welche die Materie desselben bestimmt, ist eine solche, welche dasjenige in die Glieder setzt, was möglich macht, daß von einem zu dem andern übergegangen werden kann. – Die letztere Tätigkeit gibt das oben (S. 270) gesuchte X, das in beiden Wechselgliedern enthalten ist, und nur in beiden enthalten sein kann, nicht aber in einem einzigen; das es unmöglich macht mit dem Setzen des einen Gliedes (der Realität, oder der Negation) sich zu begnügen, sondern uns nötigt, zugleich das andere zu setzen, weil es die Unvollständigkeit des einen ohne das andere zeigt; – dasjenige an welchem die Einheit des Bewußtseins fortläuft, und fortlaufen muß, wenn in ihm kein Hiatus entstehen soll; gleichsam den Leiter desselben. Die erstere Tätigkeit ist das Bewußtsein selbst, insofern es über die Wechselglieder an diesem X fortläuft – Eins ist, ob es gleich seine Objekte, diese Glieder, wechselt, und sie notwendig wechseln muß, wenn es Eins sein soll. [320] Das erstere bestimmt das letztere, würde heißen; das Übergehen selbst begründet dasjenige, woran es übergeht; durch das bloße Übergehen wird das Übergehen möglich. Das letztere bestimmt das erstere, würde heißen: das, woran übergegangen wird, begründet das Übergehen als Handlung; dadurch, daß jenes gesetzt wird, wird unmittelbar das Übergehen selbst gesetzt. Beides bestimmt sich gegenseitig, heißt dem-
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g) lo scambio (in quanto unità sintetica) determina l’attività indipendente (in quanto unità sintetica) e viceversa, cioè l’uno e l’altro si determinano a vicenda ed essi stessi sono unificati sinteticamente. a) Quell’attività che deve determinare la forma dello scambio reciproco o lo scambio reciproco in quanto tale, dovendo esserne però in tutto e per tutto indipendente, è un passare da un termine compreso nello scambio a un altro in quanto passare (non quale azione in generale); quella che determina la materia dello scambio è un’attività siffatta che pone nei termini ciò che rende possibile il passaggio dall’uno all’altro. – L’ultima attività offre l’X sopra cercato (pag. 271), che è contenuto in entrambi i termini dello scambio e può essere contenuto soltanto in tutt’e due, non in uno solo; ciò c’impedisce di accontentarci della posizione di un termine (la realtà o la negazione) costringendoci invece a porre insieme l’altro, perché rende evidente l’incompiutezza dell’uno senza l’altro – quell’X a cui procede l’unità della coscienza, e deve necessariamente procedere se in essa non deve sorgere alcuno iato, per dir così, il conduttore di essa. La prima attività è la coscienza stessa, in quanto essa procede a questo X al di sopra dei termini dello scambio reciproco – è unica, sebbene scambi, alternandoli, i suoi oggetti, cioè questi termini, e deve necessariamente scambiarli, alternandoli reciprocamente, se dev’essere unica. Il dire che la prima attività determina l’ultimo ‹il termine X› dovrebbe avere questo significato: il passare stesso fonda ciò in cui si passa, il passare diviene possibile puramente e semplicemente passando68. Che l’ultimo determina la prima significherebbe: ciò in cui si passa fonda il passare quale azione; per il fatto che quello è posto, è posto immediatamente il passare stesso69. Il determinarsi a vicenda di entrambi
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nach: durch das bloße Übergehen wird dasjenige in die Wechselglieder gesetzt, vermittelst dessen übergegangen werden kann; und dadurch, daß sie als Wechselglieder gesetzt werden, wird unmittelbar zwischen ihnen gewechselt. Das Übergehen wird möglich, dadurch, daß es geschieht; und es ist nur insofern möglich, als es wirklich geschieht. Es ist durch sich selbst begründet; es geschieht schlechthin weil es geschieht, und ist eine absolute Handlung, ohne allen Bestimmungsgrund, und ohne alle Bedingung außer ihr selbst. – Der Grund liegt im Bewußtsein selbst, und nicht außer demselben, daß es von einem Gliede zum andern übergeht. Das Bewußtsein, schlechthin darum, weil es Bewußtsein ist, muß übergehen; und es würde in ihm ein Hiatus entstehen, wenn es nicht überginge, schlechthin darum, weil es dann kein Bewußtsein wäre. b) Die Form des Wechsels, und die Materie desselben sollen sich gegenseitig bestimmen. Der Wechsel wird, wie vor kurzem erinnert worden, von der durch ihn vorausgesetzten Tätigkeit dadurch unterschieden, daß man von dieser Tätigkeit (z. B. der einer beobachtenden Intelligenz, welche in ihrem Verstande die Wechselglieder, als zu verwechselnde, setzt) abstrahiert. Man denkt sich die Wechselglieder als wechselnd durch sich selbst; man trägt auf die Dinge über, was vielleicht bloß in uns selbst liegt. Inwiefern diese Abstraktion gültig sei, oder nicht, wird sich zu seiner Zeit zeigen. In dieser Hinsicht wechseln die Glieder selbst. Das gegenseitige Eingreifen beider ineinander ist die Form; die Tätigkeit und das Leiden, das unmittelbar in diesem Eingreifen und Eingreifen-Lassen, in beiden vorkommt, ist die Materie des Wechsels. Wir wollen sie, um der Kürze willen, das gegenseitige Verhältnis der Wechselglieder nennen. Jenes Eingreifen soll das
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significa dunque: ciò a mezzo del quale il passare può aver luogo è posto nei termini dello scambio mediante il puro e semplice passare e, per il fatto che essi sono posti quali termini scambievoli, tra essi vien posto immediatamente uno scambio. Il passare è possibile perché di fatto accade, e soltanto in quanto effettivamente accade è possibile. Si fonda da se stesso; accade in assoluto perché accade ed è un’azione assoluta, senza altro fondamento della determinazione e senz’altra condizione al di fuori di se stesso. – Il fondamento per cui si passa da un termine all’altro sta nella coscienza stessa e non esternamente ad essa. Perciò la coscienza deve passare, in tutto e per tutto ‹proprio› perché è coscienza, e in essa si aprirebbe uno iato se non passasse, perché in assoluto allora non sarebbe coscienza. b) La forma dello scambio reciproco e la sua materia devono determinarsi vicendevolmente. Lo scambio reciproco, come si è appena ricordato, è distinto dall’attività che esso presuppone per il fatto che si fa astrazione da tale attività (ad es. da quella di un’intelligenza osservativa che pone nel suo intelletto i termini dello scambio come tali da reciprocarsi in una relazione di scambio). Si pensano i termini dello scambio reciproco come reciprocantisi da se stessi; si trasferisce alle cose ciò che forse giace semplicemente in noi stessi. A tempo debito si mostrerà in che misura quest’astrazione sia valida oppure no. Per questo profilo i termini stessi si reciprocano nello scambio. Il vicendevole ingranarsi di entrambi l’uno nell’altro è la forma dello scambio reciproco; l’attività e la passività, che compaiono immediatamente in entrambi in questo ingranarsi e farsi ingranare, ne è la materia. Per amor di brevità, vogliamo chiamarla il vicendevole rapporto dei termini reciprocantisi nello scambio. Quell’ingranarsi deve determinare il rap-
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Verhältnis der Glieder bestimmen, d. i. unmittelbar, und durch das bloße Eingreifen, durch das Eingreifen als solches, ohne alle weitere Bestimmung, soll das Verhältnis bestimmt werden: und umgekehrt; das Verhältnis der [321] Wechselglieder soll ihr Eingreifen bestimmen, d. i. durch ihr bloßes Verhältnis ohne alle weitere Bestimmung ist gesetzt, daß sie ineinander eingreifen. Durch ihr bloßes Verhältnis, hier als bestimmend vor dem Wechsel gedacht, ist schon ihr Eingreifen gesetzt (es ist nicht etwa ein Akzidens in ihnen, ohne welches sie auch bestehen könnten): und durch ihr Eingreifen, hier als bestimmend vor dem Verhältnisse gedacht, ist zugleich ihr Verhältnis gesetzt. Ihr Eingreifen, und ihr Verhältnis ist Eins, und Ebendasselbe. 1.) Sie verhalten sich so zueinander, daß sie wechseln; und außer diesem haben sie überhaupt gar kein gegenseitiges Verhältnis. Sind sie nicht gesetzt als wechselnd, so sind sie überhaupt nicht gesetzt. 2.) Dadurch, daß zwischen ihnen der bloßen Form nach ein Wechsel, überhaupt ein Wechsel gesetzt ist, ist zugleich die Materie dieses Wechsels, d. i. seine Art, die Quantität des durch ihn gesetzten Tuns, und Leidens, usf. ohne alles weitere Zutun vollständig bestimmt. – Sie wechseln notwendig und sie wechseln nur auf Eine mögliche schlechthin dadurch, daß sie wechseln, bestimmte Art. – Sind sie gesetzt, so ist ein bestimmter Wechsel gesetzt; und ist ein bestimmter Wechsel gesetzt, so sind sie gesetzt, Sie und ein bestimmter Wechsel sind Ein und Ebendasselbe. g) Die unabhängige Tätigkeit (als synthetische Einheit) bestimmt den Wechsel (als synthetische Einheit) und
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porto dei termini, vale a dire immediatamente e tramite il puro e semplice ingranarsi, con l’ingranarsi in quanto tale, senza ogni ulteriore determinazione, il rapporto dev’esser determinato; e viceversa: il rapporto dei termini dello scambio reciproco deve determinare il loro ingranarsi, vale a dire con il loro semplice rapporto, senza ogni ulteriore determinazione, è posto che essi ingranino l’uno nell’altro. Mediante il loro mero rapporto, qui pensato come determinante prima dello scambio reciproco, è già posto il loro ingranarsi (che in essi non è un accidente senza cui potrebbero comunque sussistere) e mediante il loro ingranarsi, qui pensato come determinante prima del rapporto, è nel contempo posto il loro rapporto. Il loro ingranarsi e il loro rapporto sono un’unica e medesima cosa. 1) Essi si rapportano l’uno all’altro così da reciprocarsi nello scambio e oltre a questo non hanno affatto in generale alcun rapporto vicendevole. Se non sono posti come reciprocantisi, allora non sono in generale posti. 2) Per il fatto che tra essi è posto in generale uno scambio reciproco, uno scambio secondo la mera forma, ad un tempo è completamente determinata la materia di questo scambio reciproco, ossia il suo tipo, la quantità70 dell’essere attivo e passivo da esso posti e così via, senza ogni ulteriore intervento. – Essi si reciprocano nello scambio necessariamente e si pongono in scambio reciproco soltanto nell’unico modo possibile, in tutto e per tutto determinato per il fatto che si mettono in scambio. – Se essi sono posti, allora è posto un determinato scambio reciproco, e se è posto un determinato scambio reciproco, allora essi sono posti, ed essi e un determinato scambio reciproco sono un’unica e medesima cosa. g) L’attività indipendente (in quanto unità sintetica) determina lo scambio (in quanto unità sintetica) e
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umgekehrt, d. i. beide bestimmen sich gegenseitig, und sind selbst synthetisch vereinigt. Die Tätigkeit, als synthetische Einheit ist ein absolutes Übergehen; der Wechsel ein absolutes durch sich selbst vollständig bestimmtes Eingreifen. Die erstere bestimmt den letztern, würde heißen: bloß dadurch, daß übergangen wird, wird das Eingreifen der Wechselglieder gesetzt: der letztere bestimmt die erstere, würde heißen: so wie die Glieder eingreifen, muß notwendig die Tätigkeit von einem zum andern übergehen. Beide bestimmen sich gegenseitig, heißt: so wie das Eine gesetzt ist, ist das andere gesetzt und umgekehrt; von jedem Gliede der Vergleichung kann, und muß man zu dem andern übergehen. Alles ist Eins, und Ebendasselbe. – Das Ganze aber ist schlechthin gesetzt; es gründet sich auf sich selbst. Um diesen Satz einleuchtender zu machen, und seine Wichtigkeit zu zeigen, wenden wir ihn an auf die unter ihm enthaltenen Sätze. [322] Die die Form des Wechsels bestimmende Tätigkeit bestimmt alles, was im Wechsel vorkommt, und umgekehrt, alles was im Wechsel vorkommt, bestimmt sie. Der bloße Wechsel seiner Form nach, d. i. das Eingreifen der Glieder ineinander ist nicht möglich, ohne die Handlung des Übergehens; durch das Übergehen wird eben das Eingreifen der Wechselglieder gesetzt. Umgekehrt wird durch das Eingreifen der Wechselglieder das Übergehen gesetzt; so wie sie als eingreifend gesetzt werden, wird notwendig übergegangen. Kein Eingreifen, kein Übergehen, kein Übergehen, kein Eingreifen: beide sind Eins und Ebendasselbe, und bloß in der Reflexion zu unterscheiden. Ferner bestimmt die gleiche Tätigkeit das Materiale des Wechsels; durch das notwendige Übergehen werden erst die Wechselglieder, als solche,
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viceversa, cioè entrambi si determinano a vicenda e sono essi stessi unificati sinteticamente. L’attività, quale unità sintetica, è un passare assoluto; lo scambio reciproco un ingranarsi assoluto completamente determinato da se stesso. Che la prima determini l’ultimo significherebbe: l’ingranarsi dei termini dello scambio vien posto semplicemente per il fatto che v’è passaggio; che l’ultimo determini la prima significherebbe: al modo in cui i termini si ingranano, così necessariamente l’attività deve passare dall’uno all’altro. Che entrambi si determinano vicendevolmente significa che non appena l’uno è posto, è posto l’altro e viceversa; da ogni termine del confronto si può e si deve passare all’altro. Tutto è un’unica e medesima cosa. – L’intero è tuttavia posto in assoluto, si fonda su se stesso. Per chiarire tale principio e mostrarne l’importanza, applichiamolo alle proposizioni che vi sono contenute. L’attività determinante la forma dello scambio reciproco determina tutto ciò che ricorre nello scambio e, viceversa, tutto ciò che ricorre nello scambio reciproco la determina. Il mero scambio secondo la sua forma, ossia l’ingranarsi dei termini uno con l’altro, non è possibile senza l’azione del passare: con il passare è posto proprio l’ingranarsi dei termini dello scambio. Viceversa, mediante l’ingranarsi dei termini dello scambio è posto il passaggio: non appena essi sono posti nel loro ingranarsi, il passare è necessariamente avvenuto. Nessun ingranarsi, nessun passaggio; nessun passaggio, nessun ingranarsi: tutt’e due sono un’unica e medesima cosa, distinguibili semplicemente nella riflessione. Inoltre l’identica attività determina il materiale dello scambio reciproco: i termini dello scambio vengono posti in quanto tali esclusivamente dal necessario passaggio ed esclusiva-
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gesetzt, und, da sie nur als solche gesetzt sind, überhaupt erst gesetzt; und umgekehrt, so wie die Wechselglieder als solche gesetzt werden, wird die Tätigkeit, welche übergeht und übergehen soll, gesetzt. Man kann demnach ausgehen, von welchem der unterschiedenen Momente man nur will; so wie deren eines gesetzt ist, sind die übrigen drei auch gesetzt. Die das Materiale des Wechsels bestimmende Tätigkeit bestimmt den ganzen Wechsel; sie setzt das, woran übergegangen werden kann, und eben darum übergegangen werden muß, also sie setzt die Tätigkeit der Form, und durch sie alles übrige. Also die Tätigkeit geht in sich selbst zurück vermittelst des Wechsels; und der Wechsel geht in sich selbst zurück, vermittelst der Tätigkeit. Alles reproduziert sich selbst, und es ist da kein Hiatus möglich; von jedem Gliede aus wird man zu allen übrigen getrieben. Die Tätigkeit der Form bestimmt die der Materie, diese die Materie des Wechsels, diese seine Form; die Form dieses die Tätigkeit der Form, usf. Sie sind alle Ein und ebenderselbe synthetische Zustand. Die Handlung geht durch einen Kreislauf in sich zurück. Der ganze Kreislauf aber ist schlechthin gesetzt. Er ist, weil er ist, und es läßt sich kein höherer Grund desselben angeben. Erst im folgenden wird die Anwendung dieses Satzes sich zeigen. 2) Der Satz: der Wechsel, und die bis jetzt als unabhängig von ihm betrachtete Tätigkeit sollen sich gegenseitig bestimmen, ist jetzt anzuwenden auf die besondern unter ihm enthaltnen Fälle; zuvörderst a) auf den Begriff der Wirksamkeit. – Wir untersuchen die dadurch postulierte Synthesis nach dem soeben aufgestellten Schema a) im Wechsel der Wirk[323]samkeit bestimmt die Tätigkeit der Form die der Materie, und umgekehrt, b) in ihm bestimmt die Form des Wechsels die Materie desselben und
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mente essendo posti soltanto in quanto tali, sono posti in generale; viceversa, non appena i termini dello scambio reciproco sono posti in quanto tali, è posta l’attività che passa e deve passare. Si può pertanto muovere da qualunque dei distinti momenti si voglia, ‹e› non appena uno di essi è posto, son posti anche gli altri tre. L’attività che determina il materiale dello scambio reciproco determina tutto lo scambio; essa pone ciò a cui si può passare e a cui proprio perciò, si deve passare, pone quindi l’attività della forma e, tramite essa, tutto il resto. Così l’attività ritorna in se stessa a mezzo dello scambio reciproco e lo scambio reciproco ritorna in se stesso tramite l’attività. Tutto riproduce se stesso e non v’è iato possibile: da ogni termine si è spinti a tutti gli altri. L’attività della forma determina quella della materia, questa la materia dello scambio reciproco, questa la sua forma, la forma di questo l’attività della forma e così via. Tutte sono un unico e medesimo stato sintetico. L’azione ritorna in sé con un circolo. L’intero circolo è tuttavia posto in assoluto. È perché è, e di esso non può indicarsi fondamento più alto. L’applicazione di tale principio sarà evidente soltanto proseguendo. 2) La proposizione: lo scambio reciproco e l’attività finora considerata come da esso indipendente si devono determinare a vicenda, va ora applicata ai casi particolari compresi in essa, anzitutto: a) al concetto di capacità di produrre effetti – Esaminiamo secondo lo schema appena stabilito ed enunciato la sintesi per ciò postulata: a) nello scambio reciproco della capacità di produrre effetti l’attività della forma determina quella della materia e viceversa; b) in esso la forma dello scambio reciproco ne determina la materia e viceversa;
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umgekehrt. g) die synthetisch vereinigte Tätigkeit bestimmt den synthetisch vereinigten Wechsel, und umgekehrt: d. i. sie sind selbst synthetisch vereinigt. a) Die zum Behuf der Möglichkeit des im Begriffe der Wirksamkeit postulierten Wechsels vorauszusetzende Tätigkeit ist der bloßen Form nach ein Übertragen, ein Setzen durch ein Nicht-Setzen: dadurch daß (in einer gewissen Rücksicht) nicht gesetzt wird, wird (in einer gewissen andern Rücksicht) gesetzt. Durch diese Tätigkeit der Form soll die Tätigkeit der Materie des Wechsels bestimmt werden. Diese war eine unabhängige Tätigkeit des Nicht-Ich, durch welche erst dasjenige Glied, von welchem der Wechsel ausging, ein Leiden im Ich, möglich gemacht wurde. Die letztere wird durch die erstere, bestimmt, begründet, gesetzt, heißt offenbar: diese Tätigkeit des Nicht-Ich selbst ist es, welche durch die erstere, vermittelst ihrer Funktion des Setzens, gesetzt wird; und bloß insofern gesetzt wird, als etwas nicht gesetzt wird. (Was dieses nicht gesetzte sein möge, haben wir hier nicht zu untersuchen). – Der Tätigkeit des Nicht-Ich wird dadurch eine begrenzte Sphäre vorgeschrieben; und die Tätigkeit der Form ist diese Sphäre. Das Nicht-Ich ist bloß insofern tätig, inwiefern es durch das Ich (welchem die Tätigkeit der Form zukommt), vermöge eines Nicht-Setzens, als tätig gesetzt wird. – Kein Setzen durch ein Nicht-Setzen – keine Tätigkeit des NichtIch. Umgekehrt soll die Tätigkeit der Materie, also die unabhängige Tätigkeit des Nicht-Ich, die Tätigkeit der Form, also das Übertragen, das Setzen durch ein Nicht-Setzen, begründen und bestimmen. Das heißt nun nach allem Obigen offenbar soviel, als sie soll das Übergehen, als ein Übergehen bestimmen, sie soll jenes X setzen, welches die Unvollständigkeit des Einen Gliedes andeute, und
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g) l’attività sinteticamente unificata determina lo scambio reciproco sinteticamente unificato e viceversa, ossia essi stessi sono unificati sinteticamente. a) Secondo la mera forma, l’attività che va presupposta in ordine alla possibilità dello scambio reciproco postulato nel concetto di capacità di produrre effetti è un passare, un porre mediante un non-porre: per il fatto che (secondo un certo riguardo) non è posta, (secondo un cert’altro riguardo) è posta. Con tale attività della forma dev’essere determinata l’attività della materia dello scambio reciproco. Questa era un’attività indipendente del non-io, mediante la quale soltanto era reso possibile quel termine da cui muoveva lo scambio reciproco, una passività nell’io. ‹Il fatto che› l’ultima è determinata, fondata, posta dalla prima, significa manifestamente che tale attività del non-io stesso è ciò che viene posto dalla prima tramite la sua funzione di porre, ed è posta semplicemente nella misura in cui qualcosa non è posto. (Qui non dobbiamo esaminare che cosa possa essere questo qualcosa di non posto). – All’attività del non-io è in tal modo prescritta una sfera limitata e l’attività della forma è questa sfera. Il non-io è attivo semplicemente nella misura in cui è posto come attivo dall’io (cui spetta l’attività della forma) in virtù di un non-porre. – Nessun porre per opera di un non-porre, nessuna attività del non-io. Inversamente, l’attività della materia, quindi l’attività indipendente del non-io, deve fondare e determinare l’attività della forma, cioè il passare, il porre mediante un non-porre. Ora, alla luce di tutto quanto sopra esposto, ciò significa palesemente che essa, dovendo determinare il passare come un oltrepassare, deve porre quell’X che designa l’incompiutezza di un termine e con
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dadurch nötige, dasselbe als Wechselglied, und durch dasselbe noch ein zweites zu setzen, mit welchem es wechsle. Dieses Glied ist das Leiden, als Leiden. Demnach begründet das Nicht-Ich das Nicht-Setzen; und bestimmt und bedingt dadurch die Tätigkeit der Form. Diese setzt, durch ein Nicht-Setzen und schlechthin nicht anders; aber das Nicht-Setzen steht unter der Bedingung einer Tätigkeit des Nicht-Ich, mithin die ganze postulierte Handlung. Das Setzen durch ein Nicht-Setzen [324] wird in der Sphäre einer Tätigkeit des NichtIch eingeschlossen. – Keine Tätigkeit des Nicht-Ich – kein Setzen durch ein Nicht-Setzen. (Hier haben wir denn den oben gerügten Widerstreit, nur um ein weniges gemildert, ganz in der Nähe. Das Resultat der ersteren Art zu reflektieren begründet einen dogmatischen Idealismus: alle Realität des Nicht-Ich ist lediglich eine aus dem Ich übertragne. Das Resultat der zweiten Art zu reflektieren begründet einen dogmatischen Realismus: es kann nicht übertragen werden, wenn nicht schon eine unabhängige Realität des Nicht-Ich, ein Ding an sich, vorausgesetzt ist. Die jetzt aufzustellende Synthesis hat demnach nichts Geringeres auf sich, als das, den Widerstreit zu lösen, und den Mittelweg zwischen Idealismus und Realismus aufzuzeigen). Beide Sätze sind synthetisch zu vereinigen, d. i. sie sind zu betrachten, als Ein und ebenderselbe. Dies geschieht folgendermaßen: Was im Nicht-Ich Tätigkeit ist, ist im Ich Leiden (kraft des Satzes des Gegensetzens) wir können demnach Leiden des Ich statt Tätigkeit des Nicht-Ich setzen. Also – kraft der postulierten Synthesis – im Begriffe der Wirksamkeit sind Leiden des Ich, und Tätigkeit desselben, Nicht-Setzen, und Setzen völlig Eins und Ebendasselbe. In diesem Begriffe sagen die Sätze: das Ich
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ciò obbliga a porlo quale termine dello scambio reciproco e, per suo tramite, a porne ancora un secondo con il quale si reciproca nello scambio. Questo termine è la passività in quanto passività. Il non-io fonda quindi il non-porre, determinando e condizionando con ciò l’attività della forma. Questa pone mediante un non-porre e nient’altro in assoluto, epperò il non-porre, e conseguentemente l’intera azione postulata, sottostà alla condizione di un’attività del non-io. Il porre nonponendo è incluso nella sfera di un’attività del non-io. Nessuna attività del non-io, nessun porre tramite un non-porre. (Qui ci avviciniamo moltissimo alla contraddizione, soltanto un po’ mitigata, che sopra abbiamo biasimato. L’esito del primo tipo di riflessione fonda un idealismo dogmatico: tutta la realtà del non-io è esclusivamente una realtà trasposta dall’io. Il risultato del secondo tipo di riflessione fonda un realismo dogmatico: non si può trasporre, se non è già presupposta una realtà indipendente del non-io, una cosa in sé. La sintesi che ora va formulata non si prefigge pertanto niente di meno che sciogliere la contraddizione e additare la via mediana fra idealismo e realismo). Le due proposizioni vanno unificate sinteticamente, ossia sono da considerare come un’unica e proprio medesima cosa. Ciò avviene come segue: quanto nel non-io è attività, è passività nell’io (in forza del principio dell’opporre), pertanto possiamo porre la passività dell’io in luogo dell’attività del non-io. Così nel concetto di capacità di produrre effetti – in forza della sintesi postulata – la passività dell’io e la sua attività, il non-porre e il porre, sono completamente un’unica e medesima cosa. In tale concetto le proposizioni: “l’io non
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setzt etwas in sich nicht – und – das Ich setzt etwas in das Nicht-Ich, völlig einerlei: sie bezeichnen nicht verschiedne, sondern Eine und ebendieselbe Handlung. Keins begründet das andere; noch wird Eins durch das andere begründet: denn beide sind Eins. Wir reflektieren weiter über diesen Satz. Er enthält in sich folgende: a) Das Ich setzt etwas in sich nicht, d. h. es setzt dasselbe in das Nicht-Ich. b) das dadurch im Nicht-Ich gesetzte eben ist es, welches das im Ich nicht gesetzte nicht setzt, oder negiert. Die Handlung läuft in sich selbst zurück: insofern das Ich etwas in sich nicht setzen soll, ist es selbst Nicht-Ich; da es aber doch sein muß, so muß es setzen: und da es nicht in das Ich setzen soll, in das Nicht-Ich setzen. Aber, so scharf dieser Satz auch jetzt bewiesen ist, so fährt der gemeine Menschenverstand dennoch fort, sich gegen denselben zu sträuben. Wir wollen den Grund dieses Widerstrebens aufsuchen, um die Forderungen des gemeinen Menschenverstandes, wenigstens so lange zur Ruhe zu verweisen, bis wir sie durch Auf[325]zeigung ihres Gebiets, in welchem sie herrschen, wirklich befriedigen können. In den beiden soeben aufgestellten Sätzen liegt offenbar ein Doppelsinn in der Bedeutung des Wortes Setzen. Diesen fühlt der gemeine Menschensinn, und daher sein Widerstreben. – Das Nicht-Ich setzt etwas nicht im Ich; oder negiert es, heißt: das Nicht-Ich ist für das Ich überhaupt nicht setzend, sondern bloß aufhebend, demnach wird es insofern dem Ich der Qualität nach entgegengesetzt, und ist Real-Grund einer Bestimmung desselben. – Aber das Ich setzt etwas nicht im Ich, heißt nicht: das Ich ist überhaupt nicht setzend; es ist ja wohl setzend,
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pone in sé qualcosa” e “l’io pone qualcosa nel non-io” si esprimono in modo completamente uniforme: non designano azioni diverse, bensì un’unica e proprio medesima azione. Nessuna cosa fonda l’altra, né una è dall’altra fondata: l’una e l’altra sono, infatti, una sola cosa. Riflettiamo ulteriormente su questa proposizione. In sé comprende le seguenti: a) l’io non pone in sé qualcosa, ossia lo pone nel non-io; b) ciò che in tal modo è posto nel non-io è precisamente ciò che71 non pone, o nega, quanto non è posto nell’io. L’azione rifluisce in se stessa: l’io, non dovendo porre qualcosa in se stesso, è esso stesso non-io72, eppure, dovendo essere, deve porre: e poiché non deve porre nell’io, deve porre nel non-io. Tuttavia, per quanto nettamente anche questa proposizione adesso sia dimostrata, il comune intelletto umano continua nondimeno ad arruffare il pelo dinnanzi a essa. Noi intendiamo cercare il motivo di quest’opposizione per acquietare le esigenze del comune intelletto umano almeno fino a poterle effettivamente soddisfare presentando il loro ambito, l’ambito nel quale esse dominano. In entrambe le proposizioni appena enunciate giace palesemente un doppio senso nel significato del termine porre. Ciò è percepito dal comune intelletto umano e da qui sorge la sua opposizione. – Il non-io non pone qualcosa nell’io, ovvero lo nega, ciò significa: il non-io è in generale per l’io un qualcosa che esercita l’azione non di porre bensì meramente di sopprimere e pertanto viene contrapposto, secondo la qualità, all’io ed è fondamento reale di una sua determinazione. – Tuttavia, ‹il fatto che› l’io non pone qualcosa nell’io non vuol dire: l’io è in generale qualcosa che non esercita l’azione di porre – in ogni caso, infatti, pone:
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indem es etwas nicht setzt, es als Negation setzt: – sondern es heißt: es ist nur zum Teil nicht setzend. Demnach ist das Ich sich selbst nicht der Qualität, sondern bloß der Quantität nach entgegengesetzt; es ist daher bloß der Ideal-Grund von einer Bestimmung in sich selbst. – Es setzt etwas in sich nicht; und es setzt dasselbe in das Nicht-Ich, ist Eins und Ebendasselbe: das Ich ist demnach von der Realität des Nicht-Ich nicht anders Grund, als es von der Bestimmung in sich selbst, von seinem Leiden, der Grund ist; es ist bloß Ideal-Grund. Dieses nun bloß idealiter gesetzte im Nicht-Ich, soll realiter der Grund eines Leidens im Ich, der IdealGrund soll ein Real-Grund werden; und das will der gemeine Menschensinn sich nicht aufdringen lassen. – Wir können ihn in eine große Verlegenheit setzen, wenn wir das Nicht-Ich, in der Bedeutung, in der er es will, Real-Grund sein, es auf das Ich ohne alles Zutun desselben einwirken, es etwa einen Stoff, der ja erst erschaffen sein müsse, geben lassen; und nun fragen, wie denn der Real-Grund ein Ideal-Grund werden solle; – das er doch werden muß, wenn je ein Leiden im Ich gesetzt werden, und durch die Vorstellung zum Bewußtsein gelangen soll – eine Frage, deren Beantwortung gerade, wie die obige das unmittelbare Zusammentreffen des Ich, und Nicht-Ich voraussetzt, und auf welche er, und alle seine Verfechter uns nie eine gründliche Antwort geben werden. – Beide Fragen sind durch unsre Synthesis beantwortet; und sie sind nur durch eine Synthesis, d. i. eine ist nur durch die andere und umgekehrt zu beantworten.
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non ponendo, pone in quanto negazione –, bensì: è soltanto in parte qualcosa che non pone. Stando a ciò, l’io è contrapposto a se stesso non secondo la qualità ma semplicemente secondo la quantità; pertanto è puramente e semplicemente il fondamento ideale di una determinazione in se stessa. – Il fatto che non pone qualcosa in sé e che lo pone nel non-io sono un’unica e medesima cosa: l’io è dunque fondamento della realtà del non-io non altrimenti di com’è fondamento della determinazione in se stessa, della sua passività; è puramente e semplicemente fondamento ideale. Ciò che nel non-io è posto meramente idealiter deve ora diventare realiter il fondamento di una passività nell’io, il fondamento ideale deve diventare un fondamento reale: e questo il senso comune dell’uomo non vuole doverlo accettare per forza73. – Noi possiamo mettere in grande imbarazzo il senso comune se concediamo che il non-io sia fondamento reale, nel significato in cui esso lo vuole, che eserciti un’azione sull’io senza che quest’ultimo ‹operi un› suo intervento, ‹se concediamo che il non-io sia› una qualche materia la quale soltanto avrebbe dovuto già essere creata. Adesso poniamo in questione come poi il fondamento reale debba diventare un fondamento ideale – cosa che esso deve pur diventare, se una passività deve esser posta nell’io e giungere alla coscienza attraverso la rappresentazione –, un interrogativo la cui esatta risposta, proprio come la precedente, presuppone l’immediato incontrarsi dell’io e del non-io e al quale il senso comune e tutti i suoi sostenitori non ci risponderanno mai in modo fondato. – Tutt’e due le questioni trovano risposta mediante la nostra sintesi e a esse v’è da rispondere solamente attraverso una sintesi, il che significa rispondere all’una esclusivamente per mezzo dell’altra e viceversa.
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[326] Demnach ist der tiefere Sinn der obigen Synthesis folgender: Ideal- und Real-Grund sind im Begriffe der Wirksamkeit (mithin überall, denn nur im Begriffe der Wirksamkeit kommt ein RealGrund vor) Eins und Ebendasselbe. Dieser Satz, der den kritischen Idealismus begründet, und durch ihn Idealismus und Realismus vereinigt, will den Menschen nicht eingehen; und daß er ihnen nicht eingehen will, liegt am Mangel der Abstraktion. Nämlich, wenn verschiedene Dinge außer uns durch den Begriff der Wirksamkeit aufeinander bezogen werden, wird – inwiefern auch das mit Recht oder Unrecht, wird sich zu seiner Zeit zeigen – zwischen dem Real-Grunde ihrer Beziehbarkeit, und dem Ideal-Grunde derselben unterschieden. Es soll etwas von unsrer Vorstellung unabhängiges in den Dingen an sich sein, vermittelst dessen sie ohne unser Zutun ineinander eingreifen; daß wir sie aber aufeinander beziehen, davon soll der Grund in uns liegen, etwa in unsrer Empfindung. So setzen wir denn auch unser Ich außer uns, als ein ohne unser Zutun, und wer weiß wie, existierendes Ding; und nun soll ohne alles unser Zutun irgendein anderes Ding darauf wirken; so wie etwa der Magnet auf ein Stück Eisen.* [326] * Weniger für meine Zuhörer, als für andere – gelehrte und – philosophische Leser, denen diese Schrift etwa in die Hände fallen sollte, sei folgende Anmerkung. – Die meisten Menschen würden leichter dahin zu bringen sein, sich für ein Stück Lava im Monde, als für ein Ich zu halten. Daher haben sie Kant nicht verstanden, und seinen Geist nicht geahndet; daher werden sie auch diese Darstellung, obgleich die Bedingung alles Philosophierens ihr an die Spitze gestellt ist, nicht verstehen. Wer hierüber noch nicht einig mit sich selbst ist, der versteht keine gründliche Philosophie, und er bedarf keine. Die Natur, deren Maschine er ist, wird ihn schon ohne alle sein Zutun in allen Geschäften leiten, die er auszuführen hat. Zum Philosophieren gehört Selbstständigkeit: und diese kann man sich nur selbst geben. – Wir sollen nicht ohne Auge sehen wollen; aber sollen auch nicht behaupten, daß das Auge sehe.
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Pertanto il senso più profondo della sintesi di cui sopra è il seguente: fondamento ideale e fondamento reale sono una sola e medesima cosa nel concetto di capacità di produrre effetti (quindi dovunque, essendo che soltanto nel concetto di capacità di produrre effetti ricorre un fondamento reale). Questa proposizione, che fonda l’idealismo critico e tramite cui vengono unificati idealismo e realismo, non entra in testa agli uomini: e non vuole entrar loro in mente a causa della mancanza di astrazione. Cioè: se cose diverse al di fuori di noi vengono riferite le une alle altre dal concetto di capacità di produrre effetti, si distingue – se a torto o a ragione, si mostrerà a tempo debito – tra il fondamento reale della loro riferibilità e il loro fondamento ideale. Nelle cose in sé dev’esserci qualcosa di indipendente dalle nostre rappresentazioni, a mezzo del quale esse, senza nostro intervento, ingranano le une con le altre; il fatto che noi però le riferiamo le une alle altre deve derivare da un fondamento presente in noi, per esempio nella nostra sensazione. Così poniamo anche il nostro io fuori di noi, come74 una cosa esistente senza nostro intervento e chissà come, ed ora, senza nostro intervento, una qualche altra cosa deve aver effetto su di esso, come per esempio un magnete su di un pezzo di ferro.* * Questa nota è destinata meno ai miei uditori che non ad altri lettori – colti e –, filosoficamente istruiti, ai quali questo scritto potrebbe per esempio capitare fra le mani. – La maggior parte degli uomini sarebbe portata a ritenersi più facilmente un pezzo di lava lunare anziché un io. Perciò essi non hanno capito Kant né hanno avuto sentore del suo spirito, perciò non capiranno ‹per lo stesso motivo› neppure la presente esposizione, benché ponga capo alla condizione di ogni filosofare. Chi a tal proposito non è ancora in accordo con se stesso non comprende alcuna profonda filosofia e nemmeno ne ha bisogno. La natura, di cui egli è macchina, lo guiderà senza che egli intervenga in tutte le faccende che deve sbrigare. Al filosofare appartiene l’autonomia: e questa la si può dare unicamente a se stessi. – Non dobbiamo pretendere di vedere senza occhi: ma neanche serve affermare che l’occhio vede75.
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Aber das Ich ist nichts außer dem Ich, sondern es ist selbst das Ich. Besteht nun das Wesen des Ich bloß und lediglich darin, daß es sich selbst setzt, so ist für dasselbe sich setzen und sein Eins und Ebendasselbe. In ihm ist Real-Grund und Ideal-Grund Eins. – Umgekehrt, sich nicht setzen und nicht sein ist für das Ich abermals Eins; der Real-Grund und der [327] Ideal-Grund der Negation sind auch Eins. Wird dies teilweise ausgedrückt, so sind die Sätze: das Ich setzt irgend etwas nicht in sich, und: das Ich ist irgend etwas nicht, abermals Eins und Ebendasselbe. Etwas ist im Ich nicht gesetzt (realiter) heißt demnach offenbar: das Ich setzt es nicht in sich (idealiter) und umgekehrt: das Ich setzt etwas nicht in sich, heißt: es ist im Ich nicht gesetzt. Das Nicht-Ich soll auf das Ich wirken, es soll etwas in demselben aufheben, heißt offenbar: es soll ein Setzen in demselben aufheben; es soll machen, daß das Ich etwas nicht in sich setzt. Wenn das, worauf gewirkt wird, nur wirklich ein Ich sein soll, so ist keine andere Wirkung darauf möglich, als die zu einem Nicht-Setzen in sich. Umgekehrt, es soll für das Ich ein Nicht-Ich sein, kann nichts anders heißen, als das Ich soll Realität in das Nicht-Ich setzen; denn für das Ich gibt es keine andre Realität, und kann keine andere geben, als eine durch dasselbe gesetzte. Tätigkeit des Ich, und Nicht-Ich sind Eins, und Ebendasselbe, heißt: das Ich kann nur dadurch etwas in sich nicht setzen, daß es dasselbe in das Nicht-Ich setzt; und nur dadurch etwas in sich setzen, daß es dasselbe in das Nicht-Ich nicht setzt. Aber überhaupt setzen muß das Ich, so gewiß es ein Ich ist; nur nicht eben in sich setzen. – Leiden des
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Nulla è però l’io al di fuori dell’io, ma esso stesso è l’io. Ora, se l’essenza dell’io consiste puramente e semplicemente nel suo porre se stesso, per esso il porsi e l’essere sono in tal caso un’unica e medesima cosa. Fondamento reale e fondamento ideale sono in esso un’unica cosa. – Inversamente, non porre sé e non essere sono per l’io ancora una volta una cosa sola; il fondamento reale e il fondamento ideale anche della negazione sono un’unica cosa. Se ciò viene espresso parzialmente, allora le proposizioni: l’io non pone in sé una cosa qualunque, e: l’io non è una cosa qualunque, sono un’altra volta una sola e medesima cosa. ‹Asserire che› qualcosa non è posto nell’io (realiter) significa pertanto evidentemente: l’io non lo pone in sé (idealiter); e vicerversa, che l’io non pone qualcosa in sé significa: non è posto nell’io. Il non-io deve avere effetto sull’io, vi deve sopprimere qualcosa, ‹ciò› significa manifestamente: vi deve sopprimere un porre, deve far sì che l’io non ponga in sé qualcosa. Se ciò su cui si ha effetto dev’essere effettivamente soltanto un io, non è possibile alcuna causazione su di esso eccetto quella riferentesi a un non-porre in sé. Inversamente, che per l’io vi debba essere un nonio null’altro può significare eccetto che l’io deve porre realtà nel non-io: per l’io non v’è, infatti, altra realtà, né vi può essere, se non una da esso stesso posta. L’attività dell’io e del non-io sono un’unica e proprio la stessa cosa: ciò significa che l’io può non porre qualcosa in sé soltanto per il fatto che lo pone nel non-io e che può porre in sé qualcosa unicamente non ponendolo nel non-io. In generale, l’io deve tuttavia porre, quant’è certo che è un io: solo, non ‹è necessario che› ponga in sé. –
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Ich, und Leiden des Nicht-Ich sind auch Eins und Ebendasselbe. Das Ich setzt etwas in sich nicht heißt: dasselbe wird in das Nicht-Ich gesetzt. Tätigkeit und Leiden des Ich sind Eins und Ebendasselbe. Denn insofern es etwas in sich nicht setzt, setzt es (ebendasselbe in das Nicht-Ich) – Tätigkeit und Leiden des Nicht-Ich sind Eins und Ebendasselbe. Insofern das Nicht-Ich auf das Ich wirken, etwas in demselben aufheben soll, wird durch das Ich das gleiche in dasselbe gesetzt. Und so ist denn die völlige synthetische Vereinigung klärlich dargetan. Keines unter allen den genannten Momenten ist der Grund des andern; sondern sie sind alle Eins und Ebendasselbe. Demnach ist die Frage; welches ist der Grund des Leidens im Ich, überhaupt nicht, und am wenigsten durch Voraussetzung einer Tätigkeit des Nicht-Ich, als Dinges an sich, zu beantworten; denn es gibt kein bloßes Leiden im Ich. Aber wohl bleibt eine andere Frage übrig, nämlich fol-[328]gende: welches ist denn der Grund des ganzen soeben aufgestellten Wechsels? Zu sagen: er ist überhaupt schlechthin, und ohne allen Grund gesetzt, und das Urteil, das ihn als vorhanden setzt, ist ein thetisches Urteil, ist nicht erlaubt: denn nur das Ich ist schlechthin gesetzt; im bloßen Ich aber liegt kein solcher Wechsel. Aber es ist sogleich klar, daß in der theoretischen Wissenschaftslehre ein solcher Grund unbegreiflich ist, weil er unter dem Grundsatze derselben: das Ich setzt sich, als bestimmt durch das Nicht-Ich nicht mit begriffen ist, sondern vielmehr durch denselben vorausgesetzt wird. Mithin müßte ein solcher Grund, wenn er sich dennoch sollte aufzeigen lassen außerhalb der Grenze der theoretischen Wissenschaftslehre liegen.
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Anche passività dell’io e passività del non-io sono un’unica e medesima cosa. L’io non pone qualcosa in sé, ciò significa: questo stesso qualcosa è posto nell’io. Attività e passività dell’io sono un’unica e medesima cosa. Non ponendo qualcosa in sé, esso pone la stessa cosa nel non-io – attività e passività del non-io sono un’unica e medesima cosa. Nella misura in cui il non-io deve avere effetto sull’io sopprimendovi qualcosa, l’io pone questo stesso qualcosa nel non-io. E in tal modo è chiaramente esposta l’intera unificazione sintetica. Di tutti i momenti che abbiamo menzionato, non ve n’è uno a fondamento dell’altro, sono invece tutti un’unica e medesima cosa. Dunque, non v’è in generale da trovar risposta alla domanda: qual è il fondamento della passività nell’io? E meno che mai ‹v’è da rispondere› presupponendo un’attività del non-io quale cosa in sé: non v’è, infatti, alcuna semplice passività nell’io. Un altro interrogativo, tuttavia, rimane, cioè il seguente: qual è allora il fondamento dell’intero scambio reciproco appena stabilito ed enunciato? Non è consentito rispondere: tale scambio reciproco è in generale posto in assoluto, senza alcuna ragione e fondamento, e il giudizio che lo pone come presente, a disposizione, è un giudizio tetico. Soltanto l’io è posto, infatti, assolutamente, ma nel puro e semplice io non si trova un simile scambio reciproco. È però altrettanto chiaro che nella dottrina della scienza, lungo il suo versante teoretico, un tale fondamento è inconcepibile, perché lungi dall’esser compreso nel suo principio, l’io si pone come determinato dal non-io, piuttosto è da esso stesso presupposto. Di conseguenza, un tale fondamento, se pure dovesse potersi mostrare, dovrebbe collocarsi al di fuori dei limiti del profilo teoretico della dottrina della scienza.
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Und so ist denn der kritische Idealismus, der in unsrer Theorie herrscht, bestimmt aufgestellt. Er ist dogmatisch gegen den dogmatischen Idealismus, und Realismus, indem er beweist, daß weder die bloße Tätigkeit des Ich der Grund der Realität des Nicht-Ich; noch die bloße Tätigkeit des Nicht-Ich der Grund des Leidens im Ich sei; in Absicht der Frage aber, deren Beantwortung ihm aufgelegt wird, welches denn der Grund des zwischen beiden angenommenen Wechsels sei, bescheidet er sich seiner Unwissenheit, und zeigt, daß die Untersuchung hierüber außerhalb der Grenzen der Theorie liege. Er geht in seiner Erklärung der Vorstellung weder von einer absoluten Tätigkeit des Ich, noch des NichtIch, sondern von einem Bestimmtsein aus, das zugleich ein Bestimmen ist, weil im Bewußtsein unmittelbar nichts anders enthalten ist, noch enthalten sein kann. Was diese Bestimmung wieder bestimmen möge, bleibt in der Theorie gänzlich unentschieden; und durch diese Unvollständigkeit werden wir denn auch über die Theorie hinaus in einen praktischen Teil der Wissenschaftslehre getrieben. Zugleich ist der oft gebrauchte Ausdruck, verminderte, eingeschränkte, begrenzte Tätigkeit des Ich völlig klar. Es wird dadurch eine Tätigkeit bezeichnet, die auf etwas im Nicht-Ich, auf ein Objekt geht, also ein objektives Handeln. Das Handeln des Ich überhaupt, oder das Setzen desselben ist gar nicht begrenzt, und kann nicht begrenzt werden; aber sein Setzen des Ich wird begrenzt, dadurch, daß es ein Nicht-Ich setzen muß. b) Die Form des bloßen Wechsels im Begriffe der Wirksamkeit und die Materie desselben bestimmen sich gegenseitig. [329] Wir haben im obigen den bloßen Wechsel überhaupt von der von ihm unabhängigen Tätigkeit
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E così l’idealismo critico, vigente nella nostra teoria, è stabilito ed enunciato determinatamente. Contro l’idealismo e il realismo dogmatici, esso è dogmatico, dimostrando che né la mera attività dell’io è il fondamento della realtà del non-io, né la mera attività del non-io è il fondamento della passività nell’io: tuttavia, riguardo alla questione a cui gli è imposto rispondere, ‹e cioè› quale sia poi il fondamento dello scambio assunto fra io e non-io, esso si accontenta della sua ignoranza e mostra che la ricerca in merito si situa al di fuori dei confini della sfera teoretica. Spiegando la rappresentazione esso non parte da un’attività assoluta, né dell’io né del non-io, bensì da un essere-determinato che è insieme un determinare, perché null’altro è immediatamente contenuto nella coscienza, né può esservi contenuto. Che cosa questa determinazione possa nuovamente determinare rimane interamente non deciso nella teoria e da questa incompiutezza noi siamo spinti infine oltre la teoria, in una parte pratica della dottrina della scienza. Al tempo stesso si è chiarita completamente l’espressione: attività dell’io diminuita, limitata, determinata da confini, cui spesso s’è fatto ricorso. Con ciò si indica un’attività che si rivolge verso qualcosa nel non-io, verso un oggetto, insomma un agire oggettivo. L’agire dell’io in generale, ovvero il suo porre, non è per nulla delimitato e non può essere delimitato: ma la sua posizione dell’io è delimitata per il fatto che deve porre un non-io. b) Nel concetto della capacità di produrre effetti la forma del mero scambio e la sua materia si determinano vicendevolmente. Precedentemente abbiamo trovato che il mero scambio reciproco in generale poteva essere distinto dall’attività da esso indipendente soltanto
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nur vermittelst der Reflexion unterscheidbar gefunden. Wird das Wechseln in die Glieder des Wechsels selbst gesetzt, so ist von der Tätigkeit abstrahiert, und der Wechsel wird bloß an sich, und als Wechsel betrachtet. Welche Betrachtungsart die richtige, oder ob vielleicht keine von beiden, allein angewendet, richtig sei, wird sich zu seiner Zeit zeigen. Im Wechsel, als solchem, läßt sich abermals die Form desselben von seiner Materie unterscheiden. Die Form des Wechsels ist das bloße gegenseitige Eingreifen der Wechselglieder ineinander, als solches. Die Materie ist dasjenige in beiden, welches macht, daß sie gegenseitig eingreifen können, und müssen. – Die charakteristische Form des Wechsels in der Wirksamkeit ist ein Entstehen durch ein Vergehen (ein Werden durch ein Verschwinden). – (Es ist hier, welches wohl zu merken, gänzlich zu abstrahieren, von der Substanz, auf welche gewirkt wird, vom Substrate des Vergehens, und demnach von aller Zeitbedingung. Wird dieses gesetzt, so wird in Beziehung auf dasselbe das Entstehende freilich in die Zeit gesetzt. Aber davon, so hart dies der Einbildungskraft auch ankommen möge, muß abstrahiert werden, denn die Substanz kommt nicht in den Wechsel: bloß das in sie Eintretende, und das durch das Eintretende Verdrängte und Aufgehobene kommen in den Wechsel; und es ist bloß die Rede von dem was in den Wechsel kommt, insofern es darein kommt. Z. B. X vernichtet -X: -X war freilich vorher da, ehe es vernichtet wurde, soll es als existierend betrachtet werden, so muß es allerdings in die vorhergehende Zeit, und X im Gegensatze in die folgende Zeit gesetzt werden. Aber es soll ja eben nicht als existierend, sondern als nicht existierend gedacht werden. Aber die Existenz von X und die Nicht-Existenz von -X sind schlechterdings nicht
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per mezzo della riflessione. Se lo scambio reciproco è posto nei termini dello scambio stesso, allora si fa astrazione dall’attività ed esso è considerato semplicemente in sé, in quanto scambio reciproco. Quale modo di considerare sia quello esatto, o se forse nessuno dei due singolarmente applicato, si mostrerà a tempo debito. Nello scambio reciproco in quanto tale si può distinguere ancora una volta la sua forma dalla sua materia. La forma dello scambio è il puro ingranarsi a vicenda dei termini dello scambio l’uno con l’altro, in quanto tale. In entrambi la materia è ciò che fa sì che essi possano e debbano ingranarsi a vicenda. – La forma caratteristica dello scambio reciproco nella capacità di produrre effetti è un sorgere attraverso un trapassare (un divenire attraverso uno scomparire). – (Qui, si badi bene, bisogna fare totalmente astrazione dalla sostanza su cui si ha effetto, dal sostrato del trapassare e, dunque, da ogni condizione temporale. Se questo sostrato è posto, allora, in relazione a esso, ciò che sorge è posto certamente nel tempo. Tuttavia, per quanto arduo possa riuscire all’immaginazione, da ciò si deve fare astrazione, perché la sostanza non entra nello scambio reciproco: vi entrano soltanto ciò che sopraggiunge nella sostanza e ciò che è scalzato e soppresso da quanto vi sopraggiunge; il discorso riguarda semplicemente ciò che entra nello scambio reciproco in quanto vi entra. Per es.: X annulla -X; prima di essere annullato, -X certamente esisteva; dovendo essere considerato come esistente, -X a ben vedere dev’essere posto nel tempo antecedente e X, al contrario, nel tempo successivo. Tuttavia -X dev’essere pensato non già come esistente, bensì in quanto non esistente. Eppure l’esistenza di X e la non esistenza di -X
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zu verschiednen Zeiten, sondern sie sind in demselben Momente. Sie sind demnach, wenn sonst nichts da ist, das uns nötigt den Moment in eine Reihe von Momenten zu setzen, gar nicht in der Zeit). Die Materie des zu untersuchenden Wechsels ist wesentlichen Entgegensein (Inkompatibilität der Qualität nach). Die Form dieses Wechsels soll seine Materie bestimmen, heißt: weil und [330] insofern die Glieder des Wechsels sich gegenseitig aufheben, sind sie wesentlich entgegengesetzt. Das (wirkliche) gegenseitige Aufheben bestimmt den Umkreis des wesentlichen Entgegenseins. Heben sie sich nicht auf, so sind sie sich nicht wesentlich entgegen (essentialiter opposita). – Dies ist ein Paradoxon, gegen welches sich abermals der soeben angezeigte Mißverstand erhebt. Nämlich man wird auf den ersten Anschein glauben, hier werde von einem Zufälligen auf ein Wesentliches geschlossen; aus dem gegenwärtigen Aufheben könne man zwar auf das wesentliche Entgegensein schließen; nicht aber umgekehrt aus dem wesentlichen Entgegensein auf das gegenwärtige Aufheben. Dafür müsse noch eine Bedingung hinzukommen, nämlich der unmittelbare Einfluß beider aufeinander, (z. B. bei Körpern, die Anwesenheit in dem gleichen Raume). Beide wesentlich Entgegengesetzten könnten ja isoliert, und außer aller Verbindung sein; dann würden sie nicht minder entgegengesetzt sein, und darum sich doch nicht aufheben. – Die Quelle dieses Mißverstandes, so wie das Mittel zu heben, wird sich sogleich zeigen. Die Materie dieses Wechsels soll seine Form bestimmen, heißt: das wesentliche Entgegengesetztsein bestimmt das gegenseitige Aufheben; nur unter
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non sono assolutamente proprie di tempi diversi, ma sono nello stesso momento. Esse pertanto non sono affatto nel tempo, se per il resto nulla v’è a costringerci a porre il momento in una serie di momenti). La materia dello scambio reciproco esaminato è ‹un› essenziale essere-contrapposto (incompatibilità secondo la qualità). ‹Sostenere che› la forma di questo scambio reciproco deve determinarne la materia significa: i termini dello scambio reciproco, sopprimendosi l’un l’altro, sono essenzialmente contrapposti. La (effettiva) soppressione a vicenda determina la cerchia dell’essenziale essere-contrapposto. Se non si sopprimessero, non sarebbero essenzialmente contrapposti (essentialiter opposita). – Questo è un paradosso al cui livello si colloca ancora una volta il fraintendimento or ora indicato. A prima vista si crederà, cioè: che qui si sia concluso da un qualcosa di contingente a un qualcosa di essenziale: è vero che dal sopprimere attuale si potrebbe concludere all’essere-contrapposto essenziale, però non viceversa dall’essere-contrapposto essenziale all’attuale sopprimere. Per questo si dovrebbe aggiungere ancora una condizione, ossia l’influsso immediato di tutt’e due l’uno sull’altro (ad es., per quel che riguarda i corpi, la ‹loro› presenza nello stesso spazio). Entrambi i termini essenzialmente contrapposti potrebbero addirittura essere isolati e al di fuori di ogni legame: non sarebbero poi meno contrapposti e perciò non si dovrebbero davvero annullare. – La scaturigine di questo fraintendimento, tanto quanto il mezzo per superarlo, saranno subito mostrati. Affermare che la materia di tale scambio deve determinarne la forma significa: l’essenziale essere-contrapposto determina il vicendevole soppri-
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der Bedingung, daß die Glieder wesentlich entgegengesetzt sind, und insofern sie es sind, können sie sich gegenseitig aufheben. – Wird das gegenwärtige Aufheben zwar in die Sphäre des Entgegengesetztseins überhaupt gesetzt, soll aber dieselbe nur nicht etwa ausfüllen, sondern nur unter ihr eine engere, deren Grenzlinie die hinzukommende Bedingung des wirklichen Einflusses bestimmte: so wird jeder ohne Bedenken diesen Satz zugeben, und das Paradoxe dabei könnte bloß das sein, daß wir ihn erst ausdrücklich aufstellten. Aber Materie des Wechsels und Form desselben sollen sich gegenseitig bestimmen, d. h. aus dem bloßen Entgegensein soll das gegenseitige Aufheben, also auch das Eingreifen, der unmittelbare Einfluß; und aus dem gegenseitigen Aufheben soll das Entgegensein folgen. Beides ist Eins, und Ebendasselbe: sie sind an sich entgegengesetzt, oder – sie heben sich gegenseitig auf. Ihr Einfluß, und ihr wesentliches Entgegengesetztsein ist Eins und Ebendasselbe. [331] Wir reflektieren noch weiter über dieses Resultat. Das was durch die vorgenommene Synthesis eigentlich zwischen die Wechselglieder gesetzt ist, ist die Notwendigkeit ihrer Verbindung; jenes X, welches die Unvollständigkeit eines von beiden zeigt, und nur in beiden enthalten sein kann. Die Möglichkeit ein Sein an sich, von einem Sein im Wechsel abzusondern, wird geleugnet: beide sind gesetzt als Wechselglieder, und sind außer dem Wechsel gar nicht gesetzt. – Es wird von realem Entgegensein auf das Entgegensetzen, oder ideale Entgegensein gefolgert, und umgekehrt; reales Entgegensein, und ideales sind Eins und
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mersi; i termini possono sopprimersi l’un l’altro solamente a condizione di essere essenzialmente contrapposti e nella misura in cui lo sono. – L’attuale sopprimersi è bensì posto in generale nella sfera dell’essere-contrapposto, tuttavia non è precisamente questa che esso deve quasi riempire, ma soltanto una sfera più ristretta compresa in essa, una sfera la cui linea di confine determini la sopraggiunta condizione dell’influsso reale: allora ognuno concederà tale proposizione senza pensarci su e in ciò la cosa paradossale potrebbe consistere unicamente nel nostro averla enunciata in modo esplicito. Epperò: materia dello scambio reciproco e forma di questo devono determinarsi l’un l’altra, vale a dire dal mero essere-contrapposto devono risultare la soppressione vicendevole, e quindi anche l’ingranarsi, l’influsso immediato, e l’essere-contrapposto deve risultare dal vicendevole sopprimersi. I due sono un’unica e proprio medesima cosa: sono contrapposti in sé, ovvero si sopprimono l’un l’altro a vicenda. Il loro influsso e il loro essenziale esserecontrapposto sono una sola e stessa cosa. Torniamo a riflettere ancora su questo esito. Ciò che propriamente, attraverso la sintesi intrapresa, è posto tra i termini dello scambio reciproco è la necessità del loro legame: quell’X che mostra l’incompletezza di uno dei due termini e che può essere contenuto esclusivamente in entrambi. La possibilità di separare un essere in sé da un essere nello scambio reciproco è smentita: l’uno e l’altro sono posti come termini dello scambio e al di fuori di esso non sono in alcun modo posti. – Dal reale essere-contrapposto si conclude al contrapporre, ovvero all’essere-contrapposto ideale e viceversa: essere-contrapposto reale e ideale sono
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Ebendasselbe. – Der Anstoß den der gemeine Menschenverstand daran nimmt, verschwindet, sobald man sich erinnert, daß das eine Glied des Wechsels das Ich ist, dem nichts entgegen ist, als was es sich entgegensetzt; und das selbst keinem entgegen ist, dem es sich nicht entgegensetzt. Das jetzige Resultat ist demnach unter einer andern Gestalt gerade das vorige. g) In der Wirksamkeit bestimmen sich gegenseitig die Tätigkeit, als synthetische Einheit gedacht, und der Wechsel, als synthetische Einheit gedacht, und machen selbst eine synthetische Einheit aus. Die Tätigkeit als synthetische Einheit, können wir ein mittelbares Setzen (das letztere Wort im bejahenden Sinne gebraucht – ein Setzen der Realität vermittelst eines Nicht-Setzens derselben) nennen; der bloße Wechsel, als synthetische Einheit, besteht in der Identität des wesentlichen Entgegenseins, und realen Aufhebens. 1. Durch die erstere wird der letztere bestimmt, heißt: Die Mittelbarkeit des Setzens (auf welche es hier eigentlich ankommt), ist die Bedingung und der Grund davon, daß das wesentliche Entgegensein, und das reale Aufheben völlig Eins, und Ebendasselbe sind: weil und inwiefern das Setzen ein mittelbares ist, sind Entgegensein und Aufheben identisch. a) Fände ein unmittelbares Setzen der Glieder, welche wechseln sollen, statt, so wären Entgegensein, und Aufheben verschieden. Setzet die Wechselglieder seien A und B. Setzet A sei zuvörderst = A und B = B, hernach aber, d. i. einer bestimmten Quantität nach, sei A auch gleich -B, und B gleich -A: so könnten gar wohl
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un’unica e medesima cosa. – Lo scandalo del comune intelletto umano urtato da quest’affermazione svanisce non appena si ponga mente al fatto che uno dei membri dello scambio reciproco è l’io, al quale nulla è contrapposto eccetto ciò che esso si contrappone, e che esso stesso non è opposto a nulla cui non si contrapponga. L’attuale risultato è pertanto identico, per un altro profilo, proprio al precedente. g) L’attività, pensata quale unità sintetica, e lo scambio reciproco, pensato quale unità sintetica, si determinano vicendevolmente nella capacità di produrre effetti, costituendovi essi stessi un’unità sintetica. Possiamo chiamare l’attività, quale attività sintetica, un porre mediato76 (quest’ultimo termine utilizzato in senso affermativo – un porre operato dalla realtà ricorrendo al non-porre di essa); il puro scambio reciproco, in quanto unità sintetica, consiste nell’identità di essere-contrapposto essenziale e sopprimere reale. 1. Lo scambio reciproco è determinato dall’attività: ciò significa che la mediatezza del porre (ciò di cui propriamente qui ne va) è la condizione e il fondamento del fatto che l’essenziale essere-contrapposto e il reale sopprimere sono del tutto un’unica e medesima cosa: sopprimere ed essere-contrapposto sono un’unica e medesima cosa perché e nella misura in cui il porre è un qualcosa di mediato. a) Se avesse luogo un porre immediato dei termini che devono essere in reciproco scambio, allora esserecontrapposto e sopprimere sarebbero separati. Siano A e B i termini dello scambio reciproco. Ponete che A sia dapprima = A e B = B, ma che poi, ossia secondo una quantità determinata, A sia uguale anche a -B e B uguale a -A: in tal caso tutt’e due potrebbero
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beide ihrer ersten Bedeutung nach gesetzt sein, ohne daß sie sich dadurch aufhöben. Von dem, worin sie entgegen-[332]gesetzt wären, würde abstrahiert; sie wären demnach nicht, als wesentlich entgegengesetzt (deren Wesen in dem bloßen Entgegengesetztsein besteht) und sich gegenseitig aufhebend gesetzt, weil sie unmittelbar, eins von dem andern unabhängig, gesetzt wären. Aber dann wären sie auch nicht als bloße Wechselglieder, sondern als Realität an sich (A = A §. 1) gesetzt. Wechselglieder können nur mittelbar gesetzt werden; A ist gleich -B, und schlechthin nichts weiter; und B ist gleich -A, und schlechthin nichts weiter; und aus dieser Mittelbarkeit des Setzens folgt das wesentliche Entgegensein, und das gegenseitige Aufheben, und die Identität beider. Denn b) wenn A bloß als das Gegenteil von B gesetzt ist, und gar keines andern Prädikats fähig ist, und B bloß als das Gegenteil von A, und gar keines andern Prädikats fähig (auch nicht des Prädikats eines Dinges, welches die noch nicht zu strenger Abstraktion gewöhnte Einbildungskraft einzumischen stets bereit ist) mithin A nicht anders als real zu setzen ist, als daß B nicht – und B nicht anders, als daß A nicht gesetzt werde; so besteht ja offenbar ihr gemeinschaftliches Wesen darin, daß jedes durch das Nicht-Setzen des andern gesetzt werde, also im Entgegensein; und – wenn von einer tätigen Intelligenz, welche setzt, abstrahiert, und bloß auf die Wechselglieder reflektiert wird – darin, daß sie sich gegenseitig aufheben. Ihr wesentliches Entgegensein, und ihr gegenseitiges Aufheben sind demnach insofern identisch, inwiefern jedes Glied bloß durch das NichtSetzen des andern, und schlechthin nicht anders gesetzt wird.
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benissimo essere posti, secondo il loro primo significato, senza per questo sopprimersi. Si farebbe astrazione da ciò in cui sarebbero contrapposti, pertanto non sarebbero posti in quanto essenzialmente contrapposti (la cui essenza consiste nel puro e semplice essere-contrapposto) e vicendevolmente sopprimentisi, poiché sarebbero posti immediatamente, l’uno indipendentemente dall’altro. Tuttavia, in tal caso, essi nemmeno sarebbero posti quali meri termini dello scambio reciproco bensì come realtà in sé (A = A, § 1). I termini dello scambio reciproco possono essere posti soltanto mediatamente, A è uguale a -B e in tutto e per tutto a nient’altro, e B è uguale a -A e in assoluto a null’altro, e da questa mediatezza del porre consegue l’essenziale essere-contrapposto e il sopprimersi a vicenda nonché l’identità di ambedue. Dunque b) se A è posto semplicemente come il contrario di B e non è suscettibile di nessunissimo altro predicato, e B semplicemente come il contrario di A e non è affatto suscettibile di un altro predicato (neanche del predicato: una cosa, che l’immaginazione ancora disavvezza a una rigorosa astrazione è sempre pronta a intromettervi), ne consegue che se A non è da porre in quanto reale se non alla condizione che non lo sia B, e se B se non può essere posto come reale se non alla condizione che non lo sia A, allora la loro comune essenza consiste palesemente nel fatto che ognuno è posto dal non-porre dell’altro, insomma nell’essere-contrapposto, e – facendo astrazione da un’intelligenza attiva che pone e riflette semplicemente sui termini dello scambio reciproco – nel fatto che essi si sopprimono l’un l’altro. Dunque, il loro essenziale essere-contrapposto e il loro vicendevole sopprimersi in tanto sono identici in quanto ogni termine è posto semplicemente dal non porre dell’altro e in assoluto da nient’altro.
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Dies ist nun, laut des Obigen, der Fall mit dem Ich, und Nicht-Ich. Das Ich (hier als absolut tätig betrachtet) kann auf das Nicht-Ich bloß dadurch Realität übertragen, als es dieselbe in sich nicht setzt; und umgekehrt in sich nur dadurch Realität übertragen, daß es dieselbe in das Nicht-Ich nicht setzt. (Daß der letztere Punkt der oben aufgestellten absoluten Realität des Ich nicht widerspreche, wird sich bei einer nähern Bestimmung desselben ergeben; und ist zum Teil auch schon hier klar: es ist von einer übertragenen, und von gar keiner absoluten Realität die Rede). Das Wesen derselben, insofern sie wechseln sollen, besteht demnach lediglich darin, daß sie entgegengesetzt sind, und einander gegenseitig aufheben. Demnach Die Mittelbarkeit des Setzens, (wie sich inskünftige zeigen wird, das Gesetz des Bewußtseins: kein Subjekt, kein Objekt, kein Objekt, kein Subjekt) und sie allein begründet das wesentliche Entgegensein des Ich, und des Nicht-[333]Ich, und dadurch alle Realität des Nicht-Ich sowohl, als des Ich – inwiefern die letztere eine bloß als gesetzt gesetzte, ideale sein soll; denn die absolute bleibt dabei unverloren; sie ist im Setzenden. Sie soll, so weit wir in unsrer Synthesis vorgerückt sind, nicht wiederum durch dasjenige, was durch sie begründet wird, begründet werden; noch kann sie es nach dem gesetzlichen Verfahren mit dem Satze des Grundes. In den aufgestellten Stücken demnach, in der Realität des Nicht-Ich, und der idealen des Ich liegt der Grund jener Mittelbarkeit nicht. Er müßte also im absoluten Ich liegen; und diese Mittelbarkeit müßte selbst absolut, d. i. durch, und in sich selbst begründet, sein. Diese, hier ganz richtige Folgerungsart führt auf einen neuen, noch abstraktern Idealism, als der vorige es war. In dem vorigen wurde eine an sich gesetzte Tätigkeit aufgehoben durch die Natur und das Wesen des Ich.
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Ora, secondo quanto suesposto, questo è il caso dell’io e del non-io. L’io (qui considerato come assolutamente attivo) può trasferire realtà al non-io soltanto non ponendola in sé e, inversamente, può trasferire in sé realtà soltanto non ponendola nel non-io. (Una più stringente determinazione dell’io mostrerà che l’ultimo punto non ne contraddice l’assoluta realtà enunciata in precedenza, e in parte ‹ciò› è chiaro già qui: il discorso riguarda una realtà trasposta e nient’affatto assoluta). L’essenza dell’io e del non-io, in quanto devono alternarsi nello scambio reciproco, consiste quindi unicamente nel loro essere contrapposti e sopprimersi l’un l’altro vicendevolmente. Pertanto La mediatezza del porre (come si mostrerà per l’avvenire: la legge della coscienza: nessun soggetto nessun oggetto, nessun oggetto nessun soggetto), ed essa sola, fonda l’essenziale essere-contrapposto dell’io e del non-io e, con ciò, tutta la realtà tanto del non-io quanto dell’io – nella misura in cui l’ultima dev’essere posta puramente e semplicemente come ‹una realtà› posta, come ideale; in ciò l’assoluta realtà, infatti, non va perduta: è nell’elemento che opera il porre. Essa, a tal punto siamo avanzati nella nostra sintesi, non dev’essere a sua volta fondata su ciò che da essa è fondato, né può esserlo procedendo legittimamente con il principio di ragione. Il fondamento di quella mediatezza non sta pertanto nelle porzioni stabilite, nella realtà del non-io e nella realtà ideale dell’io. Dovrebbe quindi situarsi nell’io assoluto e questa mediatezza dovrebbe essere essa stessa assoluta, cioè fondata da se stessa e in se stessa. Questo tipo di argomentazione, qui affatto corretta, conduce a un nuovo idealismo, ancor più astratto rispetto a quello che lo precedeva. Nel precedente idealismo un’attività posta in sé era soppressa dalla natura e dall’essenza dell’io. Tale attività, in sé benis-
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Sie, die an sich gar wohl mögliche Tätigkeit, wurde schlechthin und ohne allen weitern Grund aufgehoben; und dadurch wurde ein Objekt, und ein Subjekt, usf. möglich. In jenem Idealismus entwickelten sich die Vorstellungen, als solche, auf eine uns gänzlich unbekannte, und unzugängliche Art aus dem Ich; etwa wie in einer konsequenten, d. i. in einer bloß idealistischen prästabilierten Harmonie. In dem gegenwärtigen Idealismus hat die Tätigkeit überhaupt ihr Gesetz unmittelbar in sich selbst: sie ist eine mittelbare, und schlechthin keine andere, absolut darum, weil sie es ist. Es wird demnach gar keine Tätigkeit im Ich aufgehoben; die mittelbare ist vorhanden, und eine unmittelbare soll es überhaupt nicht geben. Aus der Mittelbarkeit dieser Tätigkeit aber läßt sich alles übrige – Realität des Nicht-Ich, und insofern Negation des Ich, Negation des Nicht-Ich, und insofern Realität des Ich vollkommen erklären. Hier entwickeln sich die Vorstellungen aus dem Ich nach einem bestimmten, und erkennbaren Gesetze seiner Natur. Für sie läßt sich ein Grund anführen, nur nicht für das Gesetz. Dieser letztere Idealismus hebt notwendig den ersteren auf, weil er das, was jenem unerklärlich war, wirklich aus einem höhern Grunde erklärt. Der erstere Idealismus läßt sich sogar idealistisch widerlegen. Der Grundsatz eines solchen Systems würde heißen: Das Ich ist endlich, schlechthin weil es endlich ist. [334] Ob nun gleich ein solcher Idealismus höher hinauf steigt, so steigt er doch nicht so hoch, als man steigen soll; bis zum schlechthin Gesetzten, und Unbedingten. Zwar soll eine Endlichkeit schlechthin gesetzt sein; aber alles Endliche ist, vermöge seines Begriffes, begrenzt durch sein Entgegengesetztes: und absolute Endlichkeit ist ein sich selbst widersprechender Begriff.
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simo possibile, era soppressa assolutamente e senza alcuna ulteriore ragione, e così facendo divennero possibili un oggetto e un soggetto, e così via. In quell’idealismo le rappresentazioni, in quanto tali, si sviluppavano dall’io in un modo totalmente ignoto e inattingibile, per esempio, come in una coerente, cioè puramente idealistica, armonia prestabilita. Nel presente idealismo l’attività ha assolutamente la sua legge in se stessa, in maniera immediata: essa è un’attività mediata e semplicemente nient’altro, assolutamente perché è tale. Pertanto nell’io non è soppressa alcuna attività: quella mediata è disponibile e un’attività immediata non deve affatto darsi in generale. Ma basandosi sulla mediatezza di quest’attività si può spiegare perfettamente tutto il resto: realtà del non-io e perciò negazione dell’io, negazione del nonio e perciò realtà dell’io. Qui le rappresentazioni si sviluppano dall’io secondo una legge, determinata e conoscibile, della sua natura. Ad esse si può dare un fondamento, non però alla legge. Quest’ultimo idealismo sopprime necessariamente il primo, spiegando effettivamente da un superiore fondamento ciò che a quello rimaneva indecifrabile. Il primo può confutarsi addirittura idealisticamente. Il principio fondamentale di un simile sistema direbbe: l’io è finito, puramente e semplicemente perché è finito. Ebbene, per quanto un tale idealismo si spinga più in alto, tuttavia non si innalza tanto su quanto ci si deve elevare, fino all’assolutamente posto e incondizionato. È bensì vero che una finitezza dev’essere posta in assoluto, eppure ogni finito, in virtù del suo concetto, è limitato dal suo contrapposto: e ‹quello di› assoluta finitezza è un concetto autocontraddittorio.
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Ich nenne zum Unterschiede jenen ersten Idealismus, der etwas an sich Gesetztes aufhebt, den qualitativen; den letzteren, der sich ursprünglich eine beschränkte Quantität setzt, den quantitativen. 2. Dadurch, daß das Wesen der Wechselglieder in dem bloßen Entgegensein besteht, wird die Mittelbarkeit des Setzens bestimmt; nur unter Bedingung des erstern ist sie möglich. Wenn das Wesen der Wechselglieder noch in etwas anderm besteht, als im bloßen Entgegensein, so ist sogleich klar, daß durch das NichtSetzen des einen seinem ganzen Wesen nach, noch gar nicht das andere seinem ganzen Wesen nach, gesetzt sei; und umgekehrt. Besteht ihr Wesen aber in nichts anderm, so können sie, wenn sie gesetzt werden sollen, nur mittelbar gesetzt werden, wie aus dem soeben Gesagten erhellet. Hier aber wird das wesentliche Entgegensein, das Entgegensein an sich, als Grund der Mittelbarkeit des Setzens aufgestellt. Das erstere ist schlechthin, und läßt sich nicht weiter erklären; die letztere ist durch die erstere begründet. So wie die erstere Folgerungsart einen quantitativen Idealismus, so stellt diese einen quantitativen Realismus auf, der wohl zu unterscheiden ist von dem oben aufgestellten qualitativen Realismus. In ihm geschieht durch ein unabhängig vom Ich in sich selbst Realität habendes Nicht-Ich ein Eindruck auf das Ich, wodurch die Tätigkeit desselben zum Teil zurückgedrängt wird; der bloß quantitative Realist bescheidet hierüber sich seiner Unwissenheit, und erkennt an, daß das Setzen der Realität in das Nicht-Ich für das Ich erst nach dem Gesetze des Grundes geschehe; aber er behauptet das reale Vorhandensein einer Einschränkung des Ich, ohne alles eigne Zutun des Ich selbst; weder durch absolute Tätigkeit, wie der qualitative Idealist,
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Per distinguerlo, quel primo idealismo che sopprime qualcosa di posto in sé, lo chiamo idealismo qualitativo; idealismo quantitativo ‹chiamo invece› il secondo, che pone a sé originariamente una quantità limitata. 2. La mediatezza del porre è determinata dal fatto che l’essenza dei termini dello scambio reciproco consiste nel semplice essere-contrapposto, sola condizione, questo essere-contrapposto, che rende possibile quella mediatezza. Se l’essenza dei termini dello scambio consiste ancora in qualche cos’altro rispetto al semplice esserecontrapposto, allora si chiarisce subito che un termine non è posto nell’intera sua essenza ‹proprio› dal fatto che l’altro non pone ancora secondo la sua intera essenza e viceversa. Tuttavia se la loro essenza non consiste in nient’altro, quei termini, se devono essere posti, possono essere posti soltanto mediatamente, al modo in cui risulta chiaro da quanto appena esposto. Ma qui l’essenziale essere-contrapposto, l’essere-contrapposto in sé, è enunciato quale fondamento della mediatezza del porre. Esso77 è in assoluto e non è spiegabile ulteriormente, la mediatezza è fondata per suo tramite. Come il primo modo di argomentare formula un idealismo quantitativo, così questo formula un realismo quantitativo che va tenuto ben distinto dal realismo qualitativo di cui sopra. In esso78, per opera di un non-io avente in se stesso una realtà indipendente dall’io, si produce sull’io un’impressione mediante la quale la sua attività viene frenata e respinta all’indietro; il semplice realista quantitativo si accontenta a questo proposito della sua ignoranza e riconosce che la posizione della realtà nel non-io avviene per l’io secondo il principio di ragione. Tuttavia egli afferma il reale essere-disponibile di una limitazione dell’io, senza qualsiasi intervento proprio dell’io stesso: né mediante l’assoluta attività, come afferma l’idealista
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noch nach einem in seiner Natur liegenden Gesetze, wie der quantitative Idealist behauptet. Der qualitative Realist behauptet die vom Ich unabhängige Realität eines Bestimmenden; der quantitative, die vom Ich unabhängige Realität einer bloßen Bestimmung. Es ist eine Bestimmung im Ich da, deren Grund nicht in das Ich zu setzen ist; das ist ihm Faktum: über den Grund [335] derselben an sich ist ihm die Untersuchung abgeschnitten, d. i. die Bestimmung ist für ihn schlechthin und ohne allen Grund da. Er muß allerdings nach dem in ihm selbst liegenden Gesetze des Grundes dieselbe auf etwas im Nicht-Ich, als Real-Grund, beziehen; aber er weiß, daß dieses Gesetz bloß in ihm liegt, und wird dadurch nicht getäuscht. Es fällt sogleich jedem in die Augen, daß dieser Realismus kein andrer ist, als der oben unter dem Namen des kritischen aufgestellte Idealismus, wie denn auch Kant keinen andern aufgestellt hat, als diesen, noch auf der Stufe der Reflexion, auf welche er sich gestellt hatte, einen andern aufstellen konnte, noch wollte.* [335] * Kant erweist die Idealität der Objekte aus der vorausgesetzten Idealität der Zeit, und des Raumes: wir werden umgekehrt die Idealität der Zeit und des Raumes aus der erwiesenen Idealität der Objekte erweisen. Er bedarf idealer Objekte, um Zeit und Raum zu füllen; wir bedürfen der Zeit und des Raumes, um die idealen Objekte stellen zu können. Daher geht unser Idealismus, der aber gar kein dogmatischer, sondern ein kritischer ist, um einige Schritte weiter, als der seinige. Es ist hier weder der Ort zu zeigen, was sich übrigens handgreiflich zeigen läßt, daß Kant sehr wohl auch das wußte, was er nicht sagte; noch der, die Gründe anzugeben, warum er nicht alles sagen konnte, noch wollte, was er wußte. Die hier aufgestellten, und aufzustellenden Prinzipien liegen offenbar den seinigen zum Grunde, wie jeder sich überzeugen kann, der sich mit dem Geiste seiner Philosophie, (die doch wohl Geist haben dürfte) vertraut machen will. Daß er in seinen Kritiken die Wissenschaft nicht, sondern nur die Propädeutik derselben aufstellen wolle, hat er einigemal gesagt; und es ist schwer zu begreifen, warum seine Nachbeter nur dieses ihm nicht haben glauben wollen.
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qualitativo, né secondo una legge riposante nella natura dell’io, come sostiene l’idealista quantitativo. Il realista qualitativo asserisce la realtà indipendente dall’io di un ‹fattore› determinante, il realista quantitativo la realtà indipendente dall’io di una mera determinazione. V’è una determinazione, nell’io, il cui fondamento non è da porre nell’io ‹stesso›; per il realista quantitativo ciò è un fatto: l’indagine sul fondamento di questa determinazione in sé gli è preclusa, vale a dire essa79 per lui c’è in assoluto e senza alcuna ragione o fondamento. A ben vedere il realista quantitativo deve, attenendosi al principio di ragione presente in lui stesso, riferire questa ‹determinazione› a qualcosa nel non-io, in quanto fondamento reale, tuttavia sa che tale principio sta puramente e semplicemente in lui e che, così facendo, non è ingannato. Balza subito agli occhi di ognuno che questo realismo non può essere diverso da quanto sopra chiamato con il nome di idealismo critico, al modo in cui anche Kant non ne ha enunciato un altro differente questo, né al livello della riflessione in cui si era collocato poteva o voleva enunciarne un altro)*. * Kant dimostra l’idealità degli oggetti sulla base della presupposta idealità del tempo e dello spazio80; viceversa noi dimostreremo l’idealità del tempo e dello spazio sulla base della dimostrata idealità degli oggetti. Egli ha bisogno di oggetti ideali per riempire tempo e spazio; noi abbiamo bisogno del tempo e dello spazio per poter porre gli oggetti ideali. Pertanto il nostro idealismo, che tuttavia non è affatto dogmatico bensì critico, muove alcuni passi più avanti del suo. Non è qui il luogo di mostrare, cosa che del resto è chiaramente alla portata di ognuno, che Kant sapeva benissimo anche ciò che non diceva; e nemmeno è questa la sede in cui addurre i motivi per i quali non poteva, né voleva, dire tutto ciò che sapeva. I principi qui enunciati, e da enunciare, giacciono manifestamente a fondamento dei suoi, come può convincersene chiunque voglia familiarizzare con lo spirito della filosofia kantiana (che pure ben potrebbe avere uno spirito). Che nelle sue Critiche volesse formulare non la scienza bensì unicamente la propedeutica ad essa, Kant stesso una volta l’ha detto81 ed è arduo capire perché esclusivamente in questo non abbiano voluto credergli i suoi pappagalli.
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[336] Von dem soeben beschriebnen quantitativen Idealismus ist der jetzt aufgestellte Realismus dadurch unterschieden, daß zwar beide eine Endlichkeit des Ich annehmen; aber der erstere eine schlechthin gesetzte, der letztere eine zufällige, die sich aber auch nicht weiter erklären läßt. Der quantitative Realismus hebt den qualitativen,d als ungegründet und überflüssig auf, dadurch, daß er ohne ihn, freilich mit dem gleichen Fehler, vollkommen erklärt, was durch ihn erklärt werden sollte, das Vorhandensein eines Objekts im Bewußtsein. Mit dem gleichen Fehler, sage ich: nämlich er kann schlechterdings nicht erklären, wie eine reale Bestimmung eine ideale, wie eine an sich vorhandne Bestimmung eine Bestimmung für das setzende Ich werden möge. – Es ist jetzt freilich gezeigt, wie durch das wesentliche Entgegengesetztsein die Mittelbarkeit des Setzens bestimmt, und begründet werde; aber wodurch wird denn das Setzen überhaupt begründet? Wenn gesetzt werden soll, so kann freilich nur mittelbar gesetzt werden; aber das Setzen an sich ist doch eine absolute Handlung des in dieser Funktion schlechthin unbestimmten und unbestimmbaren Ich. Mithin wird dieses System durch die schon oft angedeutete Unmöglichkeit des Überganges vom Begrenzten zum Unbegrenzten gedrückt. Der Idealismus hat mit dieser Schwierigkeit nicht zu kämpfen, denn er hebt den Übergang überhaupt auf; dagegen aber wird er durch einen offenbaren Widerspruch, daß er nämlich schlechthin ein Endliches setzt, vernichtet. – Es ist zu erwarten, daß unsere Untersuchung gerade den Gang nehmen werde, wie oben; und daß durch synthetische Vereinigung beider Synthesen sich ein kritischer quantitativer Idealism als Mittelweg zwischen beiden Erklärungsarten zeigen werde. 3. Die Mittelbarkeit des Setzens, und das wesentliche Entgegensein bestimmen sich gegenseitig; beide füllen Eine und ebendieselbe Sphäre aus, und sind Eins. Es
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Il realismo enunciato in questo istante è distinto dall’idealismo quantitativo appena descritto per il fatto che assumono sì entrambi una finitezza dell’io, però il primo ‹assume› una finitezza assolutamente posta, ‹mentre› il secondo una finitezza contingente, che tuttavia non è ulteriormente spiegabile. Il realismo quantitativo sopprime quello qualitativo come infondato e superfluo, spiegando perfettamente, senza di esso e certo con l’identico errore, ciò che da esso dev’essere spiegato, l’essere-disponibile di un oggetto nella coscienza. Con l’identico errore, dico: vale a dire, esso non può assolutamente spiegare come una determinazione reale possa diventare una determinazione ideale, come una determinazione che è disponibile in sé possa diventare una determinazione per l’io che pone. – Si è adesso certamente mostrato come la mediatezza del porre sia determinata e fondata dall’essere-contrapposto essenziale: ma su che cosa è fondato, allora, il porre in generale? Se dev’essere posto, certo può esserlo soltanto in modo mediato, tuttavia il porre in sé è un’azione assoluta dell’io, in tale funzione in tutto e per tutto indeterminato e indeterminabile. Di conseguenza questo sistema è oppresso dall’impossibilità, già spesso indicata, di passare dal limitato all’illimitato. L’idealismo82, sopprimendo in via di principio il passaggio, non deve combattere con tale difficoltà, per contro, è annullato da una palese contraddizione: vale a dire il fatto di porre assolutamente un finito. – Ci si deve aspettare che la nostra ricerca prenda esattamente la strada di prima e che un idealismo critico quantitativo, unificando sinteticamente entrambe le sintesi, si mostri come la via mediana tra i due tipi di spiegazione. 3. La mediatezza del porre e l’essenziale essere-contrapposto si determinano vicendevolmente, l’uno e l’altro saturano un’unica e medesima sfera e sono una sola
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ist sogleich klar, wie dies gedacht werden müsse, um als möglich gedacht werden zu können; nämlich Sein, und Gesetztsein, ideales und reales Verhältnis, Entgegensetzten, und Entgegengesetztsein müssen Eins und Ebendasselbe sein. Ferner ist sogleich klar, unter welcher Bedingung dies möglich ist, nämlich, wenn das im Verhältnis gesetzte, und das setzende Ein, und ebendasselbe, d. i. wenn das im Verhältnis gesetzte das Ich [337] ist. – Das Ich soll mit irgendeinem X das insofern notwendig ein Nicht-Ich sein muß, in dem Verhältnisse stehen, daß es nur durch das Nicht-Gesetztsein des andern gesetzt sein soll, und umgekehrt. Nun steht das Ich, so gewiß es ein Ich ist, nur insofern in einem gewissen Verhältnis, als es sich setzt, als stehend in diesem Verhältnisse. Also ist, vom Ich gebraucht, völlig gleich, ob man sagt: es wird in dieses Verhältnis gesetzt, oder es setzt sich in dieses Verhältnis[.] Es kann nur insofern darein versetzt werden (realiter) als es sich darein setzt (idealiter): und es kann sich nur insofern darein setzen, als es darein versetzt wird, weil durch das bloße, schlechthin gesetzte Ich ein solches Verhältnis nicht gesetzt ist, sondern demselben vielmehr widerspricht. Wir entwickeln noch deutlicher den wichtigen Inhalt unsrer Synthesis. – Es ist – immer unter Voraussetzung des zu Anfange unsers §. aufgestellten Hauptsatzes des gesamten theoretischen Verfahrens, aus welchem Hauptsatze wir alles bisherige entwickelt haben; aber auch unter keiner andern Voraussetzung – es ist, sage ich, Gesetz für das Ich, Ich sowohl als Nicht-Ich nur mittelbar zu setzen; d. i. das Ich bloß durch Nichtsetzen des Nicht-Ich, und das Nicht-Ich bloß durch Nichtsetzen des Ich. (Das Ich ist in jedem Falle, mithin schlechthin, das Setzende, wovon aber in unsrer gegenwärtigen Untersuchung abstrahiert wird; das
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cosa. In che modo ciò debba essere pensato per poterlo pensare come possibile, è subito chiaro: vale a dire, essere ed essere-posto, rapporto ideale e rapporto reale, contrapporre ed essere-contrapposto devono essere un’unica e medesima cosa. È subito chiaro, inoltre, a quale condizione ciò è possibile, ossia se ciò che è posto nel rapporto e ciò che pone sono una sola e stessa cosa, vale a dire se quel che è posto in relazione è l’io. – L’io dev’essere in rapporto con un qualche X, che in quanto tale dev’essere necessariamente un non-io, in modo da dover esser posto soltanto tramite il non-esser-posto dell’altro, e viceversa. Ora l’io, in quanto è sicuramente un io, sta in un certo rapporto esclusivamente in quanto si pone come sussistente in questo rapporto. Insomma, detto a proposito dell’io, è totalmente lo stesso dire: viene posto in questo rapporto, oppure: si pone in questo rapporto. Esso può venirvi trasposto (realiter) unicamente in quanto vi si pone (idealiter): e può porvisi soltanto in quanto vi viene trasposto, perché un tale rapporto non è posto per mezzo del semplice io, assolutamente posto, bensì piuttosto tale rapporto contraddice l’io. Sviluppiamo in modo ancor più perspicuo l’importante contenuto della nostra sintesi. – È – sempre in base al presupposto della proposizione fondamentale dell’intero procedimento teoretico enunciata all’inizio del nostro §, proposizione fondamentale da cui abbiamo sviluppato tutto il resto senza tuttavia presupporre alcunché d’altro – è, dico, legge per l’io porre tanto l’io quanto il non-io esclusivamente in modo mediato, vale a dire porre l’io puramente e semplicemente non ponendo il non-io e il non-io puramente e semplicemente mediante la non-posizione dell’io. (Ciò che pone, in ogni caso e dunque in tutto e per tutto, è l’io, cosa da cui tuttavia nella
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Gesetzte ist es nur unter der Bedingung, daß das NichtIch gesetzt werde, als nicht gesetzt; daß es negiert werde). – In gemeinerer Sprache ausgedrückt: das Ich, so wie es hier betrachtet wird, ist bloß das Gegenteil des Nicht-Ich, und nichts weiter; und das Nicht-Ich bloß das Gegenteil des Ich, und nichts weiter. Kein Du, kein Ich; kein Ich, kein Du. Wir wollen um der Deutlichkeit willen schon von jetzt an, in dieser Rücksicht, aber auch in keiner andern, das Nicht-Ich Objekt, das Ich Subjekt nennen; ob wir gleich das Passende dieser Benennungen hier noch nicht zeigen können. Das von diesem Wechsel unabhängige NichtIch soll nicht Objekt, und das von ihm unabhängige Ich nicht Subjekt genannt werden. – Also Subjekt ist das, was nicht Objekt ist, und weiter hat es bis jetzt gar kein Prädikat; und Objekt ist das, was nicht Subjekt ist, und weiter hat es bis jetzt auch kein Prädikat. Legt man dieses Gesetz ohne weiter nach einem Grunde zu fragen, der Erklärung der Vorstellung zum Grunde, so bedarf man zuvörderst keiner Einwirkung des Nicht-Ich, die der qualitative Realist annimmt, um das im [338] Ich vorhandne Leiden zu begründen – dann bedarf man selbst dieses Leidens (Affektion, Bestimmung) nicht, das der quantitative Realist annimmt, zum Behuf seiner Erklärung. – Nehmet an, das Ich müsse überhaupt setzen, kraft seines Wesens; ein Satz, den wir in der folgenden Hauptsynthesis erweisen werden. Nun kann es nur setzen, entweder das Subjekt, oder das Objekt, und beide nur mittelbar. Es soll das Objekt setzen; – dann hebt es notwendig das Subjekt auf, und es entsteht in ihm ein Leiden, es bezieht dieses Leiden notwendig auf einen Real-Grund im Nicht-Ich, und so entsteht die Vorstellung von einer vom Ich unabhängigen Realität des Nicht-Ich. – Oder es setzt das Subjekt, so hebt es notwendig das gesetzte
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nostra attuale ricerca si fa astrazione; ciò che è posto lo è soltanto a condizione che il non-io sia posto in quanto non-posto, che venga negato). – Espresso in termini più semplici: l’io, com’è qui considerato, è semplicemente il contrario del non-io e nulla di più, e il non-io semplicemente il contrario dell’io e nulla di più. Nessun tu, nessun io; nessun io, nessun tu. Per amor di chiarezza vogliamo chiamare fin d’ora, da questo punto di vista ma anche da nessun altro, il non-io oggetto e l’io soggetto, sebbene qui non siamo ancora in grado di mostrare l’adeguatezza di tale denominazione. Il non-io indipendente da questo scambio reciproco non dev’essere chiamato oggetto, né l’io da esso indipendente soggetto. – Dunque, soggetto è ciò che non è oggetto e che inoltre finora non ha alcun predicato, e oggetto è ciò che non è soggetto e che inoltre finora non ha nemmeno un predicato. Se si pone questa legge quale principio esplicativo della rappresentazione senza chiederne ulteriormente il fondamento, anzitutto non v’è bisogno di un’azione influente del non-io che il realista qualitativo assume per fondare la passività presente nell’io; poi non v’è bisogno di questa passività (affezione, determinazione) che il realista quantitativo accoglie a sostegno della sua spiegazione. – Assumete che l’io in generale debba porre, in forza della sua essenza (una proposizione che dimostreremo nella successiva sintesi principale). Ebbene, può porre soltanto o il soggetto o l’oggetto, e l’uno e l’altro unicamente in modo mediato. L’io deve porre l’oggetto: allora sopprime necessariamente il soggetto e sorge in esso una passività; riferisce necessariamente tale passività a un fondamento reale nel non-io e così scaturisce la rappresentazione di una realtà del non-io indipendente dall’io. Oppure l’io pone il soggetto, allora sopprime necessariamente l’oggetto posto e una volta ancora nasce una passività
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Objekt auf, und es entsteht abermals ein Leiden, welches aber auf eine Tätigkeit des Subjekts bezogen wird, und die Vorstellung von einer vom Nicht-Ich unabhängigen Realität des Ich erzeugt; (die Vorstellung von einer Freiheit des Ich, welche in unsrer gegenwärtigen Folgerungsart allerdings eine bloß vorgestellte Freiheit ist). – So ist, von dem Mittelgliede aus, wie es kraft der Gesetze der Synthesis allerdings geschehen soll, das (ideale) Leiden des Ich, und die (ideale) unabhängige Tätigkeit des Ich sowohl, als des Nicht-Ich vollkommen erklärt, und begründet. Da aber das aufgestellte Gesetz offenbar eine Bestimmung (der Tätigkeit des Ich, als solcher) ist, so muß es einen Grund haben, und die Wissenschaftslehre hat den Grund desselben aufzuzeigen. Nun läßt sich, wenn man nicht durch eine neue Synthesis ein Mittelglied einschiebt, wie man doch soll, der Grund nur in den diese Bestimmung zunächst begrenzenden Momenten, dem Setzen des Ich, oder seinem Leiden, suchen. Das erstere nimmt als Bestimmungsgrund an der quantitative Idealist, welcher jenes Gesetz zum Gesetze des Setzens überhaupt macht; das zweite der quantitative Realist, der es aus dem Leiden des Ich ableitet. Nach dem ersten ist jenes Gesetz ein subjektives, und ideales, das seinen Grund bloß im Ich hat; nach dem zweiten ein objektives und reales, das seinen Grund nicht im Ich hat. – Wo es ihn haben möge, oder ob es überhaupt einen habe, darüber ist die Untersuchung abgeschnitten. Freilich muß die als unerklärlich aufgestellte Affektion des Ich auf eine sie bewirkende Realität im Nicht-Ich bezogen werden; aber das geschieht bloß zur Folge von einem erklärbaren, und eben durch die Affektion erklärten Gesetze im Ich. Es ist das Resultat unsrer soeben aufgestellten Synthesis, daß beide Unrecht haben; daß jenes Gesetzt weder ein bloß subjektives, und ideales, noch ein bloß
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che tuttavia viene riferita a un’attività del soggetto e che produce la rappresentazione di una realtà dell’io indipendente dal non-io (la rappresentazione di una libertà dell’io che nel nostro presente modo di argomentare è certo una libertà semplicemente rappresentata). – La passività (ideale) dell’io e l’indipendente attività (ideale) dell’io, tanto quanto del non-io, sono in tal modo perfettamente spiegate e fondate a partire dal termine medio, come veramente deve avvenire in forza della legge della sintesi. Tuttavia la legge enunciata, essendo palesemente una determinazione (dell’attività dell’io in quanto tale), deve possedere un fondamento e la dottrina della scienza deve indicarlo. Ora, se mediante una nuova sintesi non si introduce un termine medio, come pure occorre fare, il fondamento è reperibile soltanto nei momenti che delimitano in primo luogo questa determinazione, il porre operato dall’io o la sua passività. L’idealista quantitativo, che fa di quella legge la legge del porre in generale, assume il primo quale fondamento della determinazione; il realista quantitativo, che deriva quella legge dalla passività dell’io, assume come fondamento la seconda. Per il primo quella legge è un qualcosa di soggettivo e di ideale che ha il suo fondamento puramente e semplicemente nell’io; per il secondo qualcosa di oggettivo e di reale che non si fonda nell’io. – Dove possa averlo, o se in generale ne abbia uno, a ciò la ricerca non può accedere. Certo, l’affezione dell’io dichiarata inspiegabile dev’essere riferita a una realtà nel non-io che la produce: però ciò avviene puramente e semplicemente in conseguenza di una legge dell’io spiegabile e spiegata esattamente tramite l’affezione. Il risultato della nostra sintesi, appena formulata in questo modo, è che entrambi hanno torto; che quella legge non è meramente un qualcosa di soggettivo e
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objektives und reales sei, sondern daß der Grund desselben im Objekt [339] und Subjekt zugleich liegen müsse. Wie er aber in beiden liege, darüber ist die Untersuchung vor der Hand abgeschnitten, und wir bescheiden uns hierüber unsrer Unwissenheit, und das ist denn der kritische quantitative Idealismus, dessen Aufstellung wir oben versprachen. Da jedoch die oben gegebne Aufgabe noch nicht vollständig gelöst ist, und wir noch mehrere Synthesen vor uns haben, so dürfte wohl in der Zukunft sich etwas Bestimmteres über diese Art der Begründung sagen lassen. b) Ebenso, wie wir den Begriff der Wirksamkeit behandelt haben, behandeln wir jetzt den Begriff der Substantialität; wir vereinigen synthetisch die Tätigkeit der Form, und der Materie; dann die Form des bloßen Wechsels mit der Materie desselben; und endlich die dadurch entstandnen synthetischen Einheiten miteinander. a) Zuvörderst die Tätigkeit der Form, und der Materie; (in welchem Sinne diese Ausdrücke hier gebraucht werden, wird aus dem Obigen als bekannt vorausgesetzt). Die Hauptsache, worauf es bei diesem Momente sowohl, als bei allen folgenden, eigentlich ankömmt, ist, das Charakteristische der Substantialität richtig und bestimmt aufzufassen. Die Tätigkeit der Form in diesem besondern Wechsel ist nach dem Obigen ein Nicht-Setzen durch ein absolutes Setzen; – das Setzen eines etwas als nicht gesetzt, durch das Setzen eines andern als gesetzt: Negation durch Affirmation. – Das Nichtgesetzte soll also doch gesetzt werden, es soll gesetzt werden, als nicht gesetzt. Es soll demnach nicht überhaupt vernichtet werden, wie im Wechsel der Wirksamkeit; sondern nur ausgeschlossen werden aus einer bestimmten Sphäre. Es ist demnach nicht durch das Setzen überhaupt negiert,
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ideale, né di oggettivo e reale, e che invece il suo fondamento deve trovarsi ad un tempo nell’oggetto e nel soggetto83. Ma a proposito di come esso giaccia in entrambi, la ricerca è al momento bloccata e in merito noi ci accontentiamo della nostra ignoranza: tale è, infatti, l’idealismo critico quantitativo di cui in precedenza abbiamo promesso la formulazione. Poiché tuttavia il compito sopra assegnato non è ancora completamente assolto e abbiamo di fronte a noi ancora parecchie sintesi, in futuro si dovrà ben poter dire qualcosa di più determinato su questo tipo di fondazione. b) Esattamente al modo in cui abbiamo trattato il concetto di capacità di produrre effetti, trattiamo adesso il concetto di sostanzialità: unifichiamo sinteticamente l’attività della forma e della materia, quindi la forma del mero scambio reciproco con la materia di esso e infine l’una con l’altra le unità sintetiche così sorte. a) In primo luogo l’attività della forma e della materia (si presuppone noto da quanto sopra esposto quale sia il senso in cui qui viene usata quest’espressione). L’aspetto fondamentale che si vuole propriamente porre questione, in questo momento quanto in quelli successivi, è intendere in modo corretto e determinato l’elemento caratteristico della sostanzialità84. Stando a ciò di cui sopra, l’attività della forma in tale particolare scambio reciproco è un non-porre tramite un porre assoluto – il porre un qualcosa come nonposto ponendo un altro in quanto posto: negazione mediante affermazione. – Il non-posto deve in tal modo essere altresì posto, dev’essere posto come non posto. Quindi non deve in generale essere annientato, come nello scambio reciproco della capacità di produrre effetti, bensì dev’essere soltanto escluso da una determinata sfera. Esso pertanto non è negato dal porre in generale, ma esclusivamente da un porre
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sondern nur durch ein bestimmtes Setzen. Durch dieses Setzen, das in dieser seiner Funktion bestimmt, mithin als objektive Tätigkeit auch bestimmend ist, muß das (als gesetzt) Gesetzte gleichfalls bestimmt; d. h. es muß in eine bestimmte Sphäre gesetzt werden, als dieselbe ausfüllend. Und so läßt sich einsehen, wie durch ein solches Setzen ein anderes gesetzt werden könne, als nicht gesetzt; es wird nur in diese Sphäre nicht gesetzt, und eben dadurch in sie nicht gesetzt, oder von ihr ausgeschlossen, weil das in sie Gesetzte dieselbe ausfüllen soll. – Durch diese Handlung nun wird das Ausgeschloßne noch gar nicht in eine bestimmte Sphäre gesetzt; seine Sphäre bekommt dadurch schlechthin kein anderes [340] Prädikat, als ein negatives; es ist nicht diese Sphäre. Was für eine es sein möge; oder ob es überhaupt eine bestimmte Sphäre sei, bleibt dadurch allein gänzlich unausgemacht. – Also, der bestimmte Charakter der formalen Tätigkeit bei der Wechselbestimmung durch Substantialität ist ein Ausschließen von einer bestimmten, erfüllten, und insofern Totalität (des darin enthaltnen) habenden Sphäre. Die Schwierigkeit dabei ist offenbar die, daß das Ausgeschlossene = B allerdings gesetzt, und nur in der Sphäre von A nicht gesetzt; die Sphäre von A aber als absolute Totalität gesetzt sein soll, woraus folgen würde, daß B überhaupt nicht gesetzt sein könne. Mithin muß die Sphäre von A gesetzt sein als Totalität, und als Nicht-Totalität zugleich; sie ist gesetzt als Totalität, in Beziehung auf A; sie ist gesetzt als NichtTotalität in Beziehung auf das ausgeschloßne B. Nun aber ist die Sphäre von B selbst nicht bestimmt; sie ist bloß negativ bestimmt, als die Sphäre Nicht-A. A würde mithin, wenn auf alles Rücksicht genommen wird, gesetzt, als bestimmter, und insofern totaler vollständiger Teil eines unbestimmten, und insofern nicht vollständigen Ganzen. Das Setzen einer solchen höhern, beide, die bestimmte, und unbestimmte in sich
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determinato. Mediante questo porre, che in tale sua funzione è determinato e di conseguenza anche determinante in quanto attività oggettiva, il posto (in quanto posto) dev’essere parimenti determinato: dev’essere, cioè, posto in una determinata sfera come ciò che la satura. E così si può intuire in che modo, da un tale porre, un altro termine possa essere posto come non posto: non è posto soltanto in questa sfera e quindi proprio perciò è, in essa, non posto, ovvero escluso da essa, perché ciò che vi è posto deve riempirla. – Ora, mediante quest’azione quanto è escluso non viene ancora posto in una sfera determinata; con ciò la sua sfera non ottiene in assoluto alcun altro predicato se non uno negativo: esso non è questa sfera. Quale possa essere quest’ultima, o se in generale esso sia una sfera determinata, rimane per tale ragione interamente ancora da stabilire. – In tal modo il carattere determinato dell’attività formale nella determinazione reciproca tramite sostanzialità è un’esclusione da una sfera determinata, satura e, in tal misura, in possesso della totalità (di quanto vi è contenuto). La difficoltà a tale riguardo è manifestamente che il termine escluso = B in verità è posto e soltanto nella sfera di A non è posto; dovendo tuttavia la sfera di A essere posta quale totalità assoluta, ne deriverebbe che, in generale, B non possa esser posto. Quindi la sfera di A dev’essere posta come totalità e insieme non totalità: totalità in relazione ad A, non-totalità in relazione al B escluso. Ora, la sfera di B stesso non è però determinata: è determinata puramente e semplicemente in modo negativo, come la sfera non-A. A, se viene assunto da tutti i punti di vista, verrebbe posto di conseguenza quale parte determinata, e quanto a ciò totale e completa, di un intero indeterminato e, in quanto a ciò, non completo. Il porre operato da una tale sfera più elevata, abbracciante in sé entrambe le
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fassenden Sphäre wäre diejenige Tätigkeit, durch welche die soeben aufgestellte formale Tätigkeit möglich würde; mithin die Tätigkeit der Materie, die wir suchen. (Es sei gegeben das bestimmte Stück Eisen = C welches sich fortbewegt. Ihr setzt das Eisen schlechthin, wie es durch seinen bloßen Begriff (vermöge des Satzes A = A §. 1) gesetzt ist = A, als absolute Totalität, und findet in der Sphäre desselben die Bewegung = B nicht; ihr schließt demnach durch das Setzen von A B aus seiner Sphäre aus. Doch hebt ihr die Bewegung des Stücks Eisen = C nicht auf, ihr wollt ihre Möglichkeit gar nicht schlechthin leugnen: also ihr setzt sie außer der Sphäre von A in eine unbestimmte Sphäre, weil ihr gar nicht wißt, unter welcher Bedingung, und aus welchem Grunde das Stück Eisen = C sich bewegen möge. Die Sphäre A ist Totalität des Eisens, und ist es doch auch nicht, denn die Bewegung von C, das doch auch Eisen ist, ist darunter nicht mit befaßt[.] Ihr müßt demnach um beide Sphären eine höhere ziehen, die beides, bewegtes und unbewegtes Eisen in sich fasse. Insofern das Eisen diese höhere Sphäre erfüllt ist es Substanz; (nicht insofern es die Sphäre A als solche erfüllt, wie man gewöhnlich irrig dafür hält; in dieser Rück-[341]sicht ist es Ding an sich) Bewegung und Nicht-Bewegung sind seine Akzidenzen. Daß ihm die Nicht-Bewegung in einem andern Sinne zukomme, als die Bewegung, und worauf das sich gründe, werden wir zu seiner Zeit sehen). Die Tätigkeit der Form bestimmt die der Materie, würde heißen: bloß insofern etwas von der absoluten Totalität ausgeschlossen, und als nicht enthalten in ihr gesetzt wird, kann eine umfassendere, aber unbestimmte Sphäre gesetzt werden; nur unter Bedingung des wirklichen Ausschließens ist eine höhere Sphäre möglich; kein Ausschließen, keine umfassendere Sphäre; d. h. kein Akzidens im Ich, kein Nicht-Ich. Der Sinn die-
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sfere, la determinata e l’indeterminata, sarebbe quell’attività mediante la quale diverrebbe possibile l’attività formale appena enunciata, dunque sarebbe l’attività della materia che cerchiamo. (Sia dato il determinato pezzo di ferro = C, in movimento. Ponete in tutto e per tutto il ferro, com’è posto dal suo semplice concetto = A [in virtù della proposizione: A = A, § 1], in quanto totalità assoluta, e non trovate nella sua sfera il movimento = B, per cui, ponendo A, escludete B dalla sua sfera. Tuttavia non sopprimete il movimento del pezzo di ferro = C, non volete assolutamente negarne la possibilità, la ponete quindi al di fuori della sfera di A, in una sfera indeterminata, perché non sapete affatto a quale condizione e per quale ragione il pezzo di ferro = C possa muoversi85. La sfera A è totalità del ferro eppure altresì non lo è, perché il movimento di C, che nondimeno è ferro, non vi è compreso‹.› Attorno alle due sfere dovete pertanto descriverne una superiore che contenga in sé entrambi, il ferro mosso e quello non mosso. In quanto satura questa sfera superiore, il ferro è sostanza [non, come per solito si ritiene erroneamente, riempiendo la sfera A in quanto tale: a questo riguardo esso è una cosa in sé]86; movimento e non-movimento sono suoi accidenti. Che il non-movimento gli sia attribuito in un altro senso rispetto al movimento, e su cosa ciò si fondi, si vedrà a suo tempo). L’attività della forma determina quella della materia: ciò significherebbe che semplicemente in quanto qualcosa è escluso dall’assoluta totalità, e posto come non-contenuto in essa, può esser posto una sfera più comprensiva ma indeterminata; soltanto a condizione dell’effettiva esclusione è possibile una sfera superiore: nessuna esclusione, nessuna sfera più comprensiva: cioè, nessun accidente nell’io, nessun non-io. Il
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ses Satzes ist sogleich klar, und wir setzen bloß einige Worte über seine Anwendung hinzu. – Das Ich ist ursprünglich gesetzt, als sich setzend; und das SichSetzen füllt insofern die Sphäre seiner absoluten Realität aus. Setzt es ein Objekt, so ist dieses objektive Setzen auszuschließen aus jener Sphäre, und in die entgegengesetzte des Sich-nicht-Setzens zu setzen. Ein Objekt setzen, und – sich nicht setzen, ist gleichbedeutend. Von dieser Handlung geht das gegenwärtige Räsonnement aus; es behauptet: das Ich setzt ein Objekt, oder es schließt etwas von sich aus, schlechthin weil es ausschließt, und aus keinem höhern Grunde: durch dieses Ausschließen nun wird erst die höhere Sphäre des Setzens überhaupt (davon abstrahiert; ob das Ich, oder ein Nicht-Ich gesetzt werde) möglich. – Es ist klar, daß diese Folgerungsart idealistisch ist, und mit dem oben aufgestellten quantitativen Idealismus, nach welchem das Ich etwas als ein Nicht-Ich setzt, schlechthin weil es dasselbe setzt, zusammentrifft. In einem solchen Systeme müßte demnach der Begriff der Substantialität gerade so erklärt werden, wie er soeben erklärt worden ist. – Es wird ferner im allgemeinen hier klar, daß das Sich-Setzen, in doppelter Beziehung der Quantität vorkomme; einmal als absolute Totalität; einmal als bestimmter Teil einer unbestimmten Größe. Dieser Satz dürfte in der Zukunft höchst wichtige Folgen haben. – Ferner ist klar, daß durch die Substanz nicht das Dauernde, sondern das Allumfassende bezeichnet werde. Das Merkmal des Dauernden kommt der Substanz nur in einer sehr abgeleiteten Bedeutung zu. Die Tätigkeit der Materie bestimmt und bedingt die der Form – würde heißen: Die umfassendere Sphäre, als eine umfassendere, (mithin mit den [342] ihr untergeordneten Sphären des Ich, und Nicht-Ich) ist schlechthin gesetzt; und dadurch wird erst das Ausschließen, als wirkliche Handlung des Ich, (unter einer
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senso di questa proposizione è subito chiaro e aggiungiamo semplicemente qualche parola sul suo uso. – Originariamente l’io è posto come ponentesi e, quanto a ciò, il porsi satura la sfera della sua realtà assoluta. Se pone un oggetto, tale oggettivo porre è allora escluso da quella sfera e va posto in quella contrapposta del non-porre-sé. Porre un oggetto e non porre sé sono sinonimi. Da quest’azione muove il ragionamento presente, che asserisce: l’io pone un oggetto ovvero esclude da sé qualcosa in assoluto perché lo esclude e per nessuna ragione più alta: soltanto da tale esclusione viene resa possibile la sfera superiore del porre in assoluto (fatta astrazione dal fatto se sia posto l’io oppure il non-io). – È chiaro che questo modo di argomentare è idealistico e s’incontra con il suddetto idealismo quantitativo, stando al quale l’io pone qualcosa come un non-io in tutto e per tutto perché lo pone. In un tale sistema il concetto di sostanzialità dovrebbe pertanto essere spiegato esattamente nel modo in cui è stato appena spiegato. – Qui inoltre si chiarisce, in termini generali, che il porre sé compare in una duplice relazione di quantità: una volta quale totalità assoluta, un’altra come parte determinata di una grandezza indeterminata. Questa proposizione potrebbe avere in futuro importantissime conseguenze. – Inoltre è chiaro che con la sostanza si indica non ciò che perdura bensì ciò che tutto abbraccia. La caratteristica di essere qualcosa di duraturo spetta alla sostanza soltanto in un’accezione assai derivata. Dire che l’attività della materia determina e condiziona quella della forma significherebbe ‹sostenere› la sfera che abbraccia più, in quanto è una che più abbraccia (quindi con le sfere ad essa subordinate dell’io e del non-io), è posta in assoluto e soltanto per ciò è possibile l’operazione dell’escludere, in quanto
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noch hinzukommenden Bedingung) möglich. – Es ist klar, daß diese Folgerungsart auf einen Realismus führt, und zwar auf einen qualitativen Realismus. Ich, und Nicht-Ich sind, als entgegengesetzte, gesetzt: das Ich ist überhaupt setzend; daß es unter einer gewissen Bedingung, wenn es nämlich das Nicht-Ich nicht setzt, sich setzt ist zufällig, und bestimmt durch den Grund des Setzens überhaupt, der nicht im Ich liegt. – Das Ich ist in dieser Folgerungsart ein vorstellendes Wesen, das sich nach der Beschaffenheit der Dinge an sich richten muß. Aber keine Folgerungsart von beiden soll gelten, sondern beide sollen gegenseitig durcheinander modifiziert werden. Weil das Ich einiges von sich ausschließen soll, soll eine höhere Sphäre sein, und gesetzt werden, und weil eine höhere Sphäre ist, und gesetzt ist, muß das Ich einiges von sich ausschließen. Kürzer: es ist ein Nicht-Ich, weil das Ich sich einiges entgegensetzt; und das Ich setzt einiges sich entgegen, weil ein Nicht-Ich ist, und gesetzt wird. Keins begründet das andere, sondern beides ist eine und ebendieselbe Handlung des Ich; die bloß in der Reflexion unterschieden werden kann. – Es ist sogleich klar, daß dieses Resultat gleich sei dem oben aufgestellten Satze: Der Ideal- und RealGrund sind Eins und Ebendasselbe; und aus ihm sich erläutern lasse; daß demnach durch das gegenwärtige Resultat ebenso wie durch den genannten Satz der kritische Idealismus aufgestellt werde. b) Die Form des Wechsels in der Substantialität, und die Materie desselben sollen sich gegenseitig bestimmen. Die Form des Wechsels besteht im gegenseitigen Ausschließen und Ausgeschlossenwerden der Wechselglieder durcheinander. Wird A gesetzt, als absolute Totalität, so wird B aus der Sphäre desselben ausgeschlossen, und gesetzt in die unbestimmte, aber
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effettiva azione dell’io (a una condizione che ancora deve verificarsi). – È chiaro che questo tipo di argomentazione conduce a un realismo, e precisamente a un realismo qualitativo. Io e non-io sono posti come contrapposti: l’io è in generale ponente; che esso si ponga a una certa condizione, cioè non ponendo il non-io, è contingente e determinato per opera del fondamento del porre in generale che non si trova nell’io. – In questo tipo di argomentazione l’io è un essere rappresentante, che deve volgersi alla conformazione della cosa in sé. Dei due tipi di argomentazione non ve ne deve essere però uno ‹solo› valido, ma entrambi devono essere vicendevolmente modificati l’uno dall’altro. Dal momento che l’io deve escludere qualcosa da sé, dev’esserci ed essere posta una sfera più alta, e dal momento che una sfera superiore c’è ed è posta, l’io deve escludere da sé qualcosa. In breve: v’è un non-io perché l’io si contrappone qualcosa e l’io si contrappone qualcosa perché un non-io c’è ed è posto. Nessuno fonda l’altro, entrambi sono invece un’unica e medesima azione dell’io che può essere distinta puramente e semplicemente nella riflessione. – È subito chiaro che questo risultato è identico alla proposizione sopra stabilita ed enunciata: il fondamento ideale e quello reale sono un’unica e medesima cosa e si possono illustrare in base a quella proposizione; e che pertanto l’idealismo critico è stabilito ed enunciato dall’attuale esito quanto dalla proposizione menzionata. b) La forma dello scambio reciproco nella sostanzialità e la materia di questo scambio devono determinarsi a vicenda. La forma dello scambio reciproco consiste nel vicendevole escludersi ed essere-escluso l’uno per l’altro dei termini dello scambio. Posto A in quanto totalità assoluta, dalla sua sfera viene escluso B e posto nell’inde-
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bestimmbare Sphäre B. – Umgekehrt, so wie B gesetzt wird, (auf B als gesetzt, reflektiert wird) wird A ausgeschlossen aus der absoluten Totalität; nämlich die Sphäre A ist nun nicht mehr absolute Totalität; sondern sie ist zugleich mit B Teil einer unbestimmten, aber bestimmbaren Sphäre. – Das letztere ist wohl zu merken, und richtig aufzufassen, denn darauf kommt alles an. – Also die Form des Wechsels ist gegenseitiges Ausschließen der Wechselglieder von der absoluten Totalität. [343] (Setzet Eisen überhaupt und an sich; so habt ihr einen bestimmten vollständigen Begriff, der seine Sphäre füllt. Setzet das Eisen sich fortbewegend; so habt ihr ein Merkmal, das in jenem Begriffe nicht liegt, und demnach von ihm ausgeschlossen ist. Wie ihr aber diese Bewegung doch dem Eisen zuschreibt; so ist der vorher bestimmte Begriff des Eisens nicht mehr bestimmt, sondern bloß bestimmbar; es fehlt in ihm eine Bestimmung, die ihr zu seiner Zeit als Anziehbarkeit durch den Magnet bestimmen werdet). Die Materie des Wechsels anbelangend, ist sogleich klar, daß in der Form desselben, wie sie soeben dargelegt gelegt worden, unbestimmt bleibt, welches die eigentliche Totalität sei: Soll B ausgeschlossen werden, so füllt die Sphäre von A die Totalität; soll im Gegenteil B gesetzt werden, so füllen beide Sphären, die von B und von A die zwar unbestimmte aber bestimmbare Totalität. (Daß auch die letztere Sphäre des A und B noch zu bestimmen sei, davon wird hier gänzlich abstrahiert). Diese Unbestimmtheit kann nicht bleiben. Die Totalität in beider Rücksicht ist Totalität. Hat nun nicht jede noch außer diesem ein anderes Merkmal, wodurch sie von einander zu unterscheiden sind, so ist der ganze postulierte Wechsel unmöglich; denn dann ist die Totalität Eins, und es ist nur Ein Wechselglied;
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terminata, ma determinabile, sfera B. – Inversamente, non appena B viene posto (non appena si riflette su B in quanto posto), A è escluso dalla totalità assoluta, la sfera di A, vale a dire, ora non è più totalità assoluta87, mentre è parte, insieme con B di una sfera indeterminata eppure determinabile. – Si badi bene a quest’ultimo punto, che è da affermare correttamente perché tutto vi è in gioco. – Dunque, la forma dello scambio reciproco è il vicendevole escludersi dei termini dello scambio dalla totalità assoluta. (Se ponete del ferro in generale e in sé, avete un concetto determinato e completo che satura la sua sfera. Se ponete del ferro che si muove, avete una caratteristica che non sta in quel concetto e che perciò ne è da esclusa. Ma non appena avete attribuito tale movimento al ferro, il concetto di ferro precedentemente determinato non è più determinato bensì puramente e semplicemente determinabile; vi manca una determinazione che a tempo debito preciserete quale capacità di essere attratto dal magnete). Per quel che concerne la materia dello scambio, è subito chiaro che nella forma dello scambio, com’è stata appena esposta, rimane indeterminato che cosa sia l’autentica totalità: se B dev’essere escluso, la totalità satura la sfera di A; se al contrario B dev’essere posto, allora tutt’e due le sfere, quella di A e quella di B, saturano la totalità certo indeterminata eppure determinabile. (Si fa qui completamente astrazione dal fatto che anche le ultime sfere di A e B siano ancora da determinare). Tale indeterminatezza non può permanere. La totalità è totalità per l’uno e l’altro riguardo. Ora, se ciascuna totalità non ha, oltre a questa, ancora un’altra caratteristica per mezzo della quale esse vanno distinte l’una dall’altra, allora l’intero scambio reciproco postulato è impossibile: in tal caso, infatti, la totalità è una sola e v’è soltanto un unico ter-
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mithin überhaupt kein Wechsel. (Faßlicher, aber weniger stringent! – Denkt euch als Zuschauer dieses wechselseitigen Ausschließens. Wenn ihr die zwiefache Totalität nicht unterscheiden könnt, zwischen welcher der Wechsel schwebt, so ist für euch kein Wechsel. Ihr könnt sie aber nicht unterscheiden, wenn nicht außer beiden, insofern sie nichts als Totalität sind, irgendein X liegt, nach welchem ihr euch orientiert). Mithin wird zum Behuf der Möglichkeit des postulierten Wechsels die Bestimmbarkeit der Totalität, als solcher, vorausgesetzt; es wird vorausgesetzt, daß man beide Totalitäten an irgend etwas unterscheiden könne; und diese Bestimmbarkeit ist die Materie des Wechsels, dasjenige woran der Wechsel fortläuft, und wodurch einzig und allein er fixiert wird. (Wenn ihr das Eisen, etwa so wie es durch die gemeine Erfahrung ohne gelehrte Kenntnis der Naturlehre gegeben ist, an sich, d. h. isoliert, und außer aller euch bemerkbaren Verbindung mit etwas außer demselben, unter andern auch als beharrlich an seinem Orte setzt, so gehört die Be-[344]wegung nicht in den Begriff desselben, und ihr habt, wenn es euch in der Erscheinung als sich fortbewegend gegeben wird, ganz recht, wenn ihr diese Bewegung auf etwas außer demselben bezieht. Aber wenn ihr denn doch die Bewegung dem Eisen zuschreibt, worin ihr gleichfalls recht habt, so ist jener Begriff nicht mehr vollständig, und ihr habt in dieser Rücksicht ihn weiter zu bestimmen, und z. B. die Anziehbarkeit durch den Magnet in seinen Umfang zu setzen. – Das macht einen Unterschied. Wenn ihr von dem ersten Begriffe ausgeht, so ist die Beharrlichkeit am Orte dem Eisen wesentlich, und nur die Bewegung in ihm ist zufällig; geht ihr aber von dem zweiten Begriffe aus, so ist die Beharrlichkeit sowohl zufällig, als die Bewegung; denn die erstere steht gerade so unter der Bedingung der Abwesenheit, als die letztere unter der Bedingung der Anwesenheit eines Magnets.
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mine dello scambio, di conseguenza in generale nessuno scambio reciproco. (In modo più comprensibile tuttavia meno stringente! – Pensatevi quali osservatori di questo reciproco escludersi. Non c’è per voi alcuno scambio se non potete distinguere la duplice totalità fra cui lo scambio si libra. Però non potete distinguerle se al di fuori dell’una e dell’altra, in quanto nulla sono se non totalità, non v’è un qualche X secondo il quale vi orientate). Di conseguenza la determinabilità della totalità in quanto tale è presupposta in vista della possibilità dello scambio reciproco postulato; si presuppone che entrambe le totalità possano distinguersi in un qualcosa e tale determinabilità è la materia dello scambio reciproco, ciò in cui lo scambio si sussegue e unicamente dal quale viene fissato. (Se ponete il ferro, per esempio, com’è dato in sé, attraverso l’esperienza ordinaria, in assenza di cognizioni erudite di fisica, vale a dire isolato e al di fuori di ogni legame da voi rilevabile con qualcosa di esterno a esso e, fra l’altro, altresì in quanto permanente nel suo luogo88, allora il moto non appartiene al suo concetto e voi, quando quel ferro vi è dato fenomenicamente come in movimento, avete pienamente ragione se riferite tale movimento a qualcosa di esterno a esso. Se invece attribuite il moto al ferro, ciò che sarebbe parimenti legittimo, allora quel concetto non è più completo e dovete ulteriormente determinarlo a tale riguardo, per esempio ponendo nel suo ambito la capacità di subire l’attrazione da parte del magnete. – Ciò marca una differenza. Se muovete dal primo concetto, allora la permanenza nel luogo è essenziale al ferro e soltanto il moto gli è accidentale; se invece muovete dal secondo concetto, allora la permanenza è accidentale al pari del movimento89: la permanenza è condizionata dall’assenza di un magnete, quanto il moto è condizionato dalla presenza di esso. Siete
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Ihr seid also desorientiert, wenn ihr nicht einen Grund angeben könnt, warum ihr vom ersten, und nicht vom zweiten Begriffe oder umgekehrt, ausgehen mußtet; d. i. im allgemeinen, wenn sich nicht auf irgendeine Art bestimmen läßt, auf welche Totalität man zu reflektieren habe: ob auf die schlechthin gesetzte und bestimmte, oder auf die durch diese und das Ausgeschloßne entstandene bestimmbare, oder auf beide.[)] Die Form des Wechsels bestimmt seine Materie, würde heißen: das gegenseitige Ausschließen ist es, welches die Totalität in dem eben aufgestellten Sinne bestimmt, d. i. welches andeutet, welche von beiden möglichen Totalitäten absolute Totalität sei, und von welcher ausgegangen werden müsse. Dasjenige, welches ein anderes von der Totalität ausschließt, ist, insofern es ausschließt, die Totalität; und umgekehrt, und weiter gibt es gar keinen Bestimmungsgrund derselben. – Wird durch das schlechthin gesetzte A ausgeschlossen B, so ist insofern A Totalität; und wird auf B reflektiert, und demnach A nicht als Totalität betrachtet, so ist insofern A + B, das an sich unbestimmt ist, die bestimmbare Totalität. Bestimmtes, oder Bestimmbares ist Totalität; nachdem man es nun nimmt. – Zwar scheint in diesem Resultate nichts Neues, sondern gerade das, was wir vor der Synthesis vorher auch wussten, gesagt zu sein; aber vorher hatten wir doch Hoffnung, irgendeinen Bestimmungsgrund zu finden. Durch das gegenwärtige Resultat aber wird diese Hoffnung völlig abgeschnitten; [345] seine Bedeutung ist negativ, und es sagt uns: es ist überhaupt gar kein Bestimmungsgrund möglich als durch Relation. (Im vorigen Beispiel kann man von dem schlechthin gesetzten Begriffe des Eisens ausgehen, so ist die Beharrlichkeit am Orte dem Eisen wesentlich; oder von dem bestimmbaren Begriffe desselben, so ist sie
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dunque disorientati, se non potete rendere ragione del perché siete dovuti partire dal primo e non dal secondo concetto oppure viceversa, vale a dire se è in linea di principio indeterminabile, in qualunque modo, su quale totalità vi sia da riflettere, se su quella in tutto e per tutto posta e determinata, o su quella determinabile sorta tramite la prima totalità e il termine che vi è escluso, oppure su entrambe‹)›. Dire che la forma dello scambio reciproco ne determina la materia, significherebbe asserire che l’esclusione vicendevole è ciò che determina la totalità nel senso appena stabilito ed enunciato, vale a dire ciò che indica quale delle due possibili totalità sia la totalità assoluta e da quale si dovrebbe muovere. Ciò che esclude un’altra cosa dalla totalità, in quanto l’esclude, è la totalità e inversamente; e ancora, della totalità non v’è affatto un altro fondamento di determinazione. – Se B è escluso dall’A assolutamente posto, allora A è, in tal misura, totalità; se si riflette su B, e quindi non si considera A quale totalità, allora, in tal misura, A + B, che è in sé indeterminato, è la totalità determinabile. La totalità è il determinato o il determinabile, a seconda del profilo da cui la si assume. – Certamente non sembra che in questo risultato vi sia qualcosa di nuovo, ma proprio ciò che sapevamo anche prima della sintesi: prima però nutrivamo la speranza di trovare un qualche fondamento di determinazione. Questa speranza è invece svanita del tutto con il risultato presente, il cui significato è negativo e ci dice: nessun fondamento di determinazione è in generale possibile se non tramite relazione. (Nell’esempio precedente si può muovere dal concetto di ferro in quanto concetto assolutamente posto, e allora la permanenza nel luogo è essenziale al ferro; oppure si può muovere dal suo concetto in quanto determinabile, e in tal caso la permanenza è un acci-
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ein Akzidens. Beides ist recht, je nachdem man es nimmt, und es läßt hierüber sich gar keine bestimmende Regel geben. Der Unterschied ist lediglich relativ). Die Materie des Wechsels bestimmt seine Form würde heißen: Die Bestimmbarkeit der Totalität, im erklärten Sinne, die demnach gesetzt ist, da sie etwas anderes bestimmen soll, (d. i. die Bestimmung ist wirklich möglich, und es gibt irgendein X, nach welchem sie geschieht, mit dessen Aufsuchung wir es aber hier nicht zu tun haben) bestimmt das gegenseitige Ausschließen. Eins von beiden, entweder das Bestimmte, oder das Bestimmbare, ist absolute Totalität, und das andere ist es dann nicht; und es gibt daher auch ein absolutes Ausgeschloßne, dasjenige welches durch jene Totalität ausgeschlossen wird. Ist z. B. das Bestimmte – absolute Totalität, so ist das dadurch Ausgeschloßne das absolut Ausgeschloßne. – Also – das ist das Resultat der gegenwärtigen Synthesis – es gibt einen absoluten Grund der Totalität, und dieselbe ist nicht lediglich relativ. (Im obigen Beispiele – es ist nicht gleichgültig, ob man von dem bestimmten Begriffe des Eisens, oder von dem bestimmbaren Begriffe desselben ausgehen; und ob man die Beharrlichkeit am Orte für ein Wesentliches desselben oder für etwas Zufälliges halten wolle. Gesetzt es müßte, aus irgendeinem Grunde, von dem bestimmten Begriffe des Eisens ausgegangen werden, so ist nur die Bewegung ein absolutes Akzidens, nicht aber die Beharrlichkeit). Keins von beiden soll das andre, sondern beide sollen sich gegenseitig bestimmen heißt: um ohne lange Umschweife zur Sache zu kommen – absoluter und relativer Grund der Totalitäts-Bestimmung sollen Eins, und Ebendasselbe sein; die Relation soll absolut, und das Absolute soll nichts weiter sein, als eine Relation.
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dente90. Tutt’e due i sensi sono corretti a seconda di come li si assuma e in merito non si può proprio fornire una regola determinante. La distinzione è esclusivamente relativa). ‹Asserire che› la materia dello scambio reciproco ne determina la forma vorrebbe significare: la determinabilità della totalità, nel senso spiegato, che è posta perché deve determinare qualcos’altro, determina l’esclusione a vicenda (ossia, la determinazione è effettivamente possibile ed essa avviene secondo un qualche X che, di fatto, c’è, ma l’andarlo a scovare non ci riguarda qui minimamente). Uno solo dei due, o il determinato o il determinabile, è totalità assoluta, e l’altro allora non lo è; v’è pertanto anche un assolutamente escluso, ciò che viene escluso da quella totalità. Se per es. il determinato è assoluta totalità, quanto viene escluso è con ciò l’assolutamente escluso. – Insomma, e questo è il risultato della presente sintesi, v’è un fondamento assoluto della totalità e quest’ultima non è esclusivamente relativa91. (Nell’esempio di cui sopra non è indifferente muovere dal concetto determinato di ferro o da quello determinabile di ferro, né è indifferente volerne ritenere la permanenza nel luogo come un che di essenziale o accidentale. Se, per un qualche motivo, si dovesse muovere dal concetto determinato di ferro, il movimento sarebbe soltanto un accidente assoluto, non allora però la permanenza). Nessuno dei due deve determinare l’altro, mentre entrambi devono determinarsi vicendevolmente: ciò significa, per arrivare al nocciolo senza lunghi giri di parole, fondamento assoluto di determinazione della totalità e fondamento relativo di determinazione della totalità devono essere un’unica e medesima cosa; la relazione dev’essere assoluta e l’assoluto dev’essere nulla di più di una relazione.
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Wir suchen dieses höchst wichtige Resultat deutlich zu machen. Durch die Bestimmung der Totalität wird zugleich das Ausschließende bestimmt, und umgekehrt: das ist auch eine Relation, aber über sie ist keine [346] Frage. Die Frage ist, welche von beiden möglichen Bestimmungsarten ist anzunehmen, und festzusetzen. Hierauf wurde im ersten Gliede geantwortet; keine von beiden; es gibt hierbei gar keine bestimmte Regel als die: nimmt man die eine an, so kann man insofern die andere nicht annehmen, und umgekehrt; welche von beiden aber man annehmen solle, darüber läßt sich nichts festsetzen. Im zweiten Gliede wurde geantwortet: es ist eine von beiden anzunehmen, und es muß darüber eine Regel geben. Welches aber diese Regel sei, mußte natürlich unentschieden bleiben, weil Bestimmbarkeit, nicht aber Bestimmung der Bestimmungsgrund des Auszuschließenden sein sollte. Beide Sätze werden durch den gegenwärtigen vereinigt; es wird demnach durch ihn behauptet: es sei allerdings eine Regel, aber nicht eine solche, die eine von beiden Bestimmungsarten, sondern die beide, als gegenseitig durcheinander zu bestimmend, aufstelle. – Keine einzelne von den bis jetzt als solche betrachteten ist die gesuchte Totalität, sondern beide gegenseitig durcheinander bestimmt, machen erst diese Totalität. Also – von einer Relation beider Bestimmungsarten, der durch Relation, und der absoluten, ist die Rede; und durch diese Relation wird erst die gesuchte Totalität aufgestellt. Nicht A soll die absolute Totalität sein, auch nicht A + B, sondern A bestimmt durch A + B. Das Bestimmbare soll durch das Bestimmte, das Bestimmte soll durch das Bestimmbare bestimmt werden; und die hieraus entstehende Einheit ist die Totalität, welche wir suchen. – Es ist klar, daß dieses das Resultat unsrer Synthesis sein mußte; aber es ist etwas schwerer zu verstehen, was dadurch gesagt werden möge.
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Cerchiamo di delucidare questo importantissimo risultato. Ciò che è da escludere è determinato ad un tempo dalla determinazione della totalità e viceversa: anche questa è una relazione, tuttavia nel suo merito non si pone alcun problema. La questione è quale dei due possibili modi di determinazione sia da assumere e mantener fermo. Nella prima articolazione la risposta fu quindi: nessuno dei due; per questo lato non v’è regola determinata eccetto questa: se si assume un modo di determinazione, per ciò allora non si può assumere l’altro e viceversa: ma non si può stabilire quale dei due vada assunto. Nella seconda articolazione si rispose: uno dei due va assunto e si deve dare una regola in merito. Tuttavia, quale sia questa regola deve naturalmente restare in sospeso, perché non la determinazione bensì la determinabilità doveva essere il fondamento di determinazione di quanto è da escludere. Entrambe le proposizioni sono unificate dalla presente, con la quale pertanto si afferma che una regola c’è veramente, eppure non siffatta che enunci uno dei due modi di determinazione, bensì entrambi come tali da determinarsi vicendevolmente l’un l’altro. – Delle due totalità finora considerate in quanto tali nessuna singolarmente è quella che cerchiamo, ma entrambe la costituiscono in quanto l’un l’altra vicendevolmente determinate. Dunque si sta parlando di una relazione dei due modi di determinazione, il modo tramite relazione e quello assoluto, e la totalità cercata viene stabilita soltanto da questa relazione. Non dev’essere A la totalità assoluta e neppure A + B, bensì A determinato da A + B. Il determinabile dev’essere determinato dal determinato, il determinato dal determinabile, e l’unità che qui ne sta scaturendo è la totalità che cerchiamo. – Che questo dovrebbe essere l’esito della nostra sintesi è chiaro, più difficile è invece capire che cosa con ciò possa essere detto.
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Das Bestimmte, und das Bestimmbare sollen sich gegenseitig bestimmen, heißt offenbar: die Bestimmung des zu Bestimmenden besteht eben darin, daß es ein Bestimmbares sei. Es ist ein Bestimmbares, und weiter nichts; darin besteht sein ganzes Wesen. – Diese Bestimmbarkeit nun ist die gesuchte Totalität, d. h. die Bestimmbarkeit ist ein bestimmtes Quantum, sie hat ihre Grenzen, über welche hinaus keine Bestimmung weiter statt findet; und innerhalb dieser Grenzen liegt alle mögliche Bestimmbarkeit. Wir wenden dieses Resultat an auf den vorliegenden Fall, und es wird sogleich alles klar sein. – Das Ich setzt sich. Darin besteht die schlechthin gesetzte Realität desselben; die Sphäre dieser Realität ist erschöpft, und [347] enthält daher absolute Totalität (für schlechthin gesetzten Realität des Ich). Das Ich setzt ein Objekt. Notwendig muß dieses objektive Setzen ausgeschlossen werden aus der Sphäre des Sich-Setzens des Ich. Doch soll dieses Objektive Setzen dem Ich zugeschrieben werden; und dadurch erhalten wir dann die Sphäre A + B als (bis jetzt unbegrenzte) Totalität der Handlungen des Ich. – Nach der gegenwärtigen Synthesis sollen beide Sphären sich gegenseitig bestimmen: A gibt, was es hat, absolute Grenze; A + B gibt, was es hat, Gehalt. Und nun ist das Ich setzend ein Objekt, und dann nicht das Subjekt, oder das Subjekt, und dann nicht ein Objekt, – insofern es sich setzt, als setzend nach dieser Regel. Und so fallen beide Sphären ineinander, und füllen erst vereint eine einzige begrenzte Sphäre aus, und insofern besteht die Bestimmung des Ich in der Bestimmbarkeit durch Subjekt und Objekt. Bestimmte Bestimmbarkeit ist die Totalität, die wir suchten, und eine solche nennt man eine Substanz. – Keine Substanz ist als solche möglich, wenn nicht erst aus dem schlechthin gesetzten, hier aus dem Ich, das nur sich setzt, herausgegangen, d. i. wenn nicht etwas von dem-
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‹Dire che› il determinato e il determinabile devono determinarsi a vicenda significa scopertamente: la determinazione di quanto v’è da determinare consiste appunto nel fatto che esso è un determinabile. È un determinabile e nulla di più; in ciò consiste l’intera sua essenza. – Ora, questa determinabilità è la totalità cercata, vale a dire la determinabilità è un quantum determinato, ha i suoi confini, al di là dei quali nessuna determinazione ha ulteriormente luogo, ed entro tali confini si situa ogni possibile determinabilità. Applichiamo questo risultato al caso presente e subito tutto si chiarirà. – L’io si pone. In ciò consiste la sua realtà, posta in assoluto; la sfera di questa realtà è esaurita e pertanto contiene assoluta totalità (per la realtà assolutamente posta dell’io). L’io pone un oggetto. Questo porre oggettivo deve necessariamente essere escluso dalla sfera dell’autoporsi dell’io. Eppure questo porre oggettivo dev’essere nondimeno attribuito all’io e così facendo otteniamo poi la sfera A + B quale totalità (finora sconfinata) delle azioni dell’io. – Stando alla presente sintesi tutt’e due le sfere devono determinarsi vicendevolmente: A dà ciò che ha, il confine assoluto; A + B dà ciò che ha, il contenuto. Ebbene, se l’io è ponendo un oggetto, non pone quindi il soggetto, oppure se è ponendo il soggetto, non pone quindi un oggetto – nella misura in cui esso pone sé come ponente secondo questa regola. Così le due sfere coincidono l’una con l’altra e soltanto unite saturano un’unica sfera avente un confine; e in tal senso la determinazione dell’io consiste nella determinabilità tramite soggetto e oggetto92. Determinabilità determinata è la totalità che cercavamo e una tale totalità la si dice una sostanza. – Non v’è sostanza possibile in quanto tale se in primo luogo non scaturita dall’assolutamente posto, nel nostro caso dall’io, che pone sé soltanto, vale a dire se qualcosa non è
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selben ausgeschlossen wird, hier ein gesetztes Nicht-Ich, oder ein Objekt. – Aber die Substanz, die als solche nichts weiter als Bestimmbarkeit, aber doch eine bestimmte, fixierte festgesetzte Bestimmbarkeit sein soll, bleibt unbestimmt, und ist keine Substanz (nichts allumfassendes) wenn sie nicht wieder durch das schlechthin Gesetzte bestimmt wird, hier durch das Sich-Setzen. Das Ich setzt sich als: sich setzend dadurch, daß es das NichtIch ausschließt, oder das Nicht-Ich setzend, dadurch, daß es sich ausschließt. – Sich setzen kommt hier zweimal vor; aber in sehr verschiedener Rücksicht. Durch das erstere wird ein unbedingtes, durch das letztere ein bedingtes, und durch ein Ausschließen des Nicht-Ich bestimmbares Setzen, bezeichnet. (Die Bestimmung des Eisens an sich sei Beharrlichkeit am Orte, so ist die Veränderung des Orts dadurch ausgeschlossen; und das Eisen ist insofern nicht Substanz, denn es ist nicht bestimmbar. Nun aber soll die Veränderung des Ortes dem Eisen zugeschrieben werden. Dies ist nicht möglich in der Bedeutung, daß die Beharrlichkeit am Orte dadurch ganz aufgehoben würde, denn dann würde das Eisen selbst, so wie es gesetzt ist, dadurch aufgehoben, mithin die Veränderung des Ortes dem Eisen nicht zugeschrieben, welches der Forderung widerspricht. Also die Beharrlichkeit kann nur zum Teil aufgehoben werden, und die Veränderung des Orts [348] wird durch die Beharrlichkeit bestimmt und begrenzt, d. i. die Orts-Veränderung findet nur statt in der Sphäre einer gewissen Bedingung (etwa der Anwesenheit eines Magnets) und findet nicht statt, außer dieser Sphäre. Außer dieser Sphäre findet wiederum statt die Beharrlichkeit. – Wer sieht nicht, daß Beharrlichkeit hier in zwei sehr verschiednen Bedeutungen vorkomme; das eine Mal unbedingt, das zweite Mal bedingt durch die Abwesenheit eines Magnets?). Um in Anwendung des oben aufgestellten Grundsatzes weiter fortzugehen – so wie A + B bestimmt ist durch
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escluso dall’io, qui un non-io posto, ovvero un oggetto. – Però la sostanza, che in quanto tale non dev’essere nulla di più che determinabilità, nondimeno una determinabilità determinata, fissata e stabilita, rimane indeterminata e non è affatto sostanza (nulla di onnicomprensivo) se non viene determinata a sua volta dall’assolutamente posto, qui dal porre sé. L’io pone sé come ponentesi escludendo il non-io, ovvero come ciò che pone il non-io93 escludendo sé. – Porre sé ricorre qui due volte, ma da punti di vista diversissimi. Con il primo si designa un porre incondizionato, con l’ultimo un porre condizionato e determinabile mediante un’esclusione da parte del non-io. (Se la determinazione del ferro in sé è permanenza nel luogo, il mutamento di luogo è allora con ciò escluso e per tale aspetto il ferro non è sostanza, perché non è determinabile. Tuttavia il mutamento di luogo dev’essere attribuito al ferro. Ciò non è possibile nel senso che la permanenza in un luogo sia in tal modo totalmente soppressa, perché così facendo il ferro stesso ne sarebbe soppresso appena è posto; di conseguenza il mutamento di luogo non è ascritto al ferro, il che contraddice la richiesta. Soltanto in parte, dunque, la permanenza può essere soppressa e il mutamento di luogo viene determinato e delimitato dalla permanenza, vale a dire che il mutamento di luogo avviene soltanto nella sfera di una certa condizione [per esempio la presenza di un magnete] e non al di fuori di questa sfera. Al di fuori di questa sfera si verifica nuovamente la permanenza. – Chi non vede che ‹il termine› permanenza ricorre qui in due significati assai diversi, la prima volta in senso incondizionato, la seconda condizionato dall’assenza di un magnete?94) Per proseguire ulteriormente nell’applicazione del principio sopra enunciato: non appena A + B è deter-
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A, ist B selbst bestimmt, denn es gehört in den Umfang des nunmehr bestimmten Bestimmbaren; und A ist nun selbst, wie eben gezeigt worden, ein Bestimmbares. Insofern nun B selbst bestimmt ist, kann auch durch dasselbe A + B bestimmt werden, und da eine absolute Relation statt finden – nur sie die gesuchte Totalität ausfüllen soll, so muß es dadurch bestimmt werden. Mithin wird, wenn A + B gesetzt, und insofern A unter die Sphäre des Bestimmbaren gesetzt ist, A + B hinwiederum bestimmt durch B. Dieser Satz wird sogleich klar werden, wenn wir ihn auf den vorliegenden Fall anwenden. – Das Ich soll etwas von sich ausschließen: dies ist die bisher als das erste Moment des ganzen in der Untersuchung begriffenen Wechsels betrachtete Handlung. Ich folgere weiter, – und da ich hier im Gebiete des Grundes bin, so habe ich das Recht weiter zu folgern – soll das Ich jenes Etwas von sich ausschließen, so muß dasselbe in ihm, vor dem Ausschließen, d. i. unabhängig von dem Ausschließen gesetzt sein, also es ist, da wir keinen höhern Grund anführen können, schlechthin gesetzt. Gehen wir von diesem Punkte aus, so ist das Ausschließen des Ich etwas in dem schlechthin Gesetzten, insofern es das ist, nicht Gesetztes und muß aus der Sphäre desselben ausgeschlossen werden, es ist ihm nicht wesentlich. (Es ist dem Objekte, wenn dasselbe gleich auf eine uns völlig unbegreifliche Art in dem Ich (für das mögliche Ausschließen) gesetzt und insofern allerdings ein Objekt sein soll, zufällig, daß es ausgeschlossen, und, – wie sich ferner ergeben wird, zur Folge dieses Ausschließens vorgestellt wird. Es wäre an sich, – nicht außer dem Ich, aber im Ich, – ohne dieses Ausschließen vorhanden. Das Objekt überhaupt (hier B) ist das bestimmte: Das Ausgeschlossensein durch das Subjekt (hier B + A) [349] ist das Bestimmbare. Das Objekt kann ausgeschlossen sein oder auch nicht,
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minato da A, B stesso è determinato, appartenendo all’ambito del determinabile ormai determinato; e lo stesso A, come appena mostrato, è un determinabile. Ora, nella misura in cui B stesso è determinato, anche A + B può essere determinato da B e, poiché in tal caso si verifica una relazione assoluta la quale sola deve riempire la totalità cercata, allora con ciò A + B deve essere determinato. Conseguentemente, se A + B è posto, e nella misura in cui A è posto entro la sfera del determinabile, A + B è a sua volta determinato da B. Questa proposizione si chiarisce immediatamente se l’applichiamo al caso presente. – L’io deve escludere qualcosa da sé: questa è l’azione considerata finora come il primo momento dell’intero scambio reciproco compreso nella ricerca. Proseguo la deduzione – e, trovandomi qui nel dominio del fondamento, ho il diritto di argomentare ulteriormente – se l’io deve escludere da sé quel qualcosa, allora quest’ultimo dev’essere posto in esso prima dell’esclusione, vale a dire indipendentemente dall’escludere, per cui questo qualcosa è assolutamente posto, dal momento che non possiamo addurne alcun più elevato fondamento. Se muoviamo da questo punto, allora l’escludere operato dall’io è qualcosa di non posto, nella misura in cui è tale, nell’assolutamente posto, dalla cui sfera dev’essere escluso: non gli è essenziale. (All’oggetto, se dev’essere posto nell’io in un modo a noi totalmente incomprensibile ‹per la possibile esclusione › e nella misura in cui dev’essere veramente un oggetto, è accidentale che sia escluso – e, come risulterà in seguito, che sia rappresentato in seguito a questa esclusione. Senza questa esclusione, esso sarebbe presentemente disponibile in sé, non fuori dell’io ma nell’io. L’oggetto in generale [qui B] è il determinato: l’essere escluso operato dal soggetto [qui B + A] è il determinabile. L’oggetto può essere o non essere escluso e
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und bleibt in dem obigen Sinne immer Objekt. – Hier kommt das Gesetztsein des Objekts zweimal vor; aber wer sieht nicht, in welchen verschiednen Bedeutungen: einmal unbedingt, und schlechthin; einmal unter Bedingung eines Ausgeschlossenseins durch das Ich? [)] (Aus dem als beharrlich gesetzten Eisen soll die Bewegung ausgeschlossen werden. Die Bewegung war im Eisen, laut seines Begriffs, nicht gesetzt, sie soll jetzt vom Eisen ausgeschlossen werden; sie muß demnach unabhängig von diesem Ausschließen gesetzt, und zwar, in Rücksicht auf das Nichtgesetztsein durch das Eisen, schlechthin gesetzt sein. [Das heißt – faßlicher aber weniger stringent – soll man die Bewegung dem Eisen entgegensetzen, so muß sie schon bekannt sein. Durch das Eisen aber soll sie nicht bekannt sein. Mithin ist sie anderwärts her bekannt; und, da wir hier auf gar nichts weiter Rücksicht nehmen, als auf Eisen, und Bewegung, – ist sie schlechthin bekannt]. Gehen wir von diesem Begriffe der Bewegung aus, so ist es für ihn zufällig, daß er unter andern auch dem Eisen zukomme. Er ist das Wesentliche und das Eisen ist für ihn das Zufällige. Es ist gesetzt die Bewegung schlechthin. Von ihrer Sphäre wird ausgeschlossen das Eisen, als beharrlich am Orte. Jetzt wird die Beharrlichkeit aufgehoben, und dem Eisen Bewegung zugeschrieben. – Hier kommt der Begriff der Bewegung zweimal vor; einmal unbedingt; das zweitenmal bedingt durch die Aufhebung der Beharrlichkeit im Eisen). Also – und das war der oben aufgestellte synthetische Satz – die Totalität besteht bloß in der vollständigen Relation, und es gibt überhaupt nichts an sich Festes, was dieselbe bestimme. Die Totalität besteht in der Vollständigkeit eines Verhältnisses, nicht aber einer Realität. (Die Glieder des Verhältnisses einzeln betrachtet, sind die Akzidenzen, ihre Totalität ist Substanz, wie schon oben gesagt worden. – Hier ist nur noch das für dieje-
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rimane pur sempre, nel senso sopra indicato, oggetto. – Qui l’essere-posto dell’oggetto ricorre due volte, ma chi non vede in quali diversi significati: una volta incondizionatamente e in assoluto, un’altra volta a condizione di un essere-escluso operato dall’io?‹)›. (Il movimento dev’essere escluso dal ferro posto quale permanente. Il moto non era posto nel ferro stando al suo concetto, ora dev’esserne escluso; pertanto dev’essere posto indipendentemente da questa esclusione e, per la precisione essere posto in assoluto riguardo al suo non-essere-posto dal ferro. [In modo più chiaro ma meno stringente, ciò significa che il movimento, se dev’essere contrapposto al ferro, dev’essere di necessità già conosciuto95. Tuttavia non può essere conosciuto in virtù del ferro. Di conseguenza, è conosciuto altrimenti e, dal momento che qui di null’altro ci occupiamo fuorché del ferro e del movimento, esso è conosciuto in tutto e per tutto]. Se muoviamo da questo concetto del movimento, gli è accidentale lo spettare, tra l’altro, anche al ferro. Tale concetto è l’essenziale e per esso il ferro è l’accidentale. Il moto è posto in assoluto. Dalla sua sfera è escluso il ferro in quanto permanente nel luogo. Ora è la permanenza ad essere soppressa e il movimento è attribuito al ferro. – Il concetto di movimento ricorre qui due volte, una volta in modo incondizionato, la seconda volta in modo condizionato dalla soppressione della permanenza nel ferro). Insomma, e questa era la proposizione sintetica suesposta, la totalità consiste semplicemente nella relazione completa e non v’è in generale nulla di rigido in sé a determinarla. La totalità consiste nella compiutezza di un rapporto, ma non di una realtà. (I termini del rapporto, singolarmente considerati, sono gli accidenti, la loro totalità è sostanza, come abbiamo già detto sopra. – Qui è sufficiente sottoli-
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nigen ausdrücklich aufzustellen, welche eine so leichte Folgerung nicht selbst zu ziehen vermögen, daß in der Substanz gar nichts fixiertes zu denken ist, sondern ein bloßer Wechsel. – Soll eine Substanz bestimmt – welches sattsam erörtert worden – oder soll etwas Bestimmtes als Substanz gedacht werden, so muß der Wechsel freilich von irgend-[350]einem Gliede ausgehen, welches insofern fixiert ist, inwiefern der Wechsel bestimmt werden soll. Aber es ist nicht absolut fixiert; denn ich kann ebensowohl von seinem entgegengesetzten Gliede ausgehen; und dann ist eben dasjenige Glied, was vorher wesentlich, festgesetzt, fixiert war, zufällig; wie sich aus den obigen Beispielen erläutern läßt. Die Akzidenzen, synthetisch vereinigt, geben die Substanz; und es ist in derselben gar nichts weiter enthalten, als die Akzidenzen: die Substanz analysiert, gibt die Akzidenzen, und es bleibt nach einer vollständigen Analyse der Substanz gar nichts übrig, als Akzidenzen. An ein dauerndes Substrat, an einen etwaigen Träger der Akzidenzen, ist nicht zu denken; das eine Akzidens ist jedesmal sein eigner und des entgegengesetzten Akzidens Träger, ohne daß es dazu noch eines besondern Trägers bedürfte. – Das setzende Ich, durch das wunderbarste seiner Vermögen, das wir zu seiner Zeit näher bestimmen werden, hält das schwindende Akzidens so lange fest, bis es dasjenige, wodurch dasselbe verdrängt wird, damit verglichen hat – Dieses fast immer verkannte Vermögen ist es, was aus steten Gegensätzen eine Einheit zusammenknüpft, – was zwischen Momente, die sich gegenseitig aufheben müßten, eintritt und dadurch beide erhält – es ist dasjenige, was allein Leben und Bewußtsein, und insbesondre Bewußtsein als eine fortlaufende Zeitreihe möglich macht; und das alles tut es lediglich dadurch, daß es an sich, und in sich Akzidenzen fortleitet, die keinen
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neare ancora espressamente, per coloro che non sono capaci di trarre una conclusione così facile, che nella sostanza non va affatto pensato alcunché di fisso ma un puro e semplice scambio reciproco. – Se una sostanza dev’essere determinata, il che è stato sufficientemente trattato, oppure se qualcosa di determinato dev’essere pensato quale sostanza, allora certamente lo scambio reciproco deve muovere da un qualche termine che in tanto è fisso in quanto lo scambio reciproco dev’essere determinato. Tuttavia non è fisso in assoluto: posso muovere, infatti, altrettanto bene dal termine suo contrapposto e allora proprio quel termine che prima era essenziale, stabilito, fisso, è accidentale, com’è possibile illustrare sulla base degli esempi precedenti. Gli accidenti, sinteticamente unificati, danno la sostanza e in essa null’altro è contenuto se non gli accidenti: la sostanza analizzata dà gli accidenti e dopo un’analisi completa della sostanza nulla resta se non gli accidenti. Non v’è da pensare a un sostrato permanente, a un eventuale sostegno degli accidenti: un accidente è ogni volta sostegno di se stesso e dell’accidente che gli è contrapposto96, senza che occorra aggiungervi un altro particolare supporto. – L’io che pone, grazie alla più mirabile delle sue facoltà, che a tempo debito determineremo più da vicino, tiene stretto tanto a lungo l’accidente che sta per svanire finché non l’ha confrontato con quello da cui viene scalzato. – Questa facoltà, quasi sempre misconosciuta, è ciò che da termini costantemente contrapposti riallaccia un’unità – è ciò che s’inserisce tra momenti che dovrebbero sopprimersi a vicenda e, così facendo, li mantiene entrambi –, è quella capacità che, sola, rende possibile vita e coscienza, e in particolare la coscienza come una progressiva serie temporale; e fa tutto questo esclusivamente per il fatto che trasmette a sé e in sé accidenti
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gemeinschaftlichen Träger haben, noch haben könnten, weil sie sich gegenseitig vernichten würden.[)] g) Die Tätigkeit, als synthetische Einheit, und der Wechsel, als synthetische Einheit sollen sich wechselseitig bestimmen, und selbst eine synthetische Einheit ausmachen. Die Tätigkeit, als synthetische Einheit, wird am kürzesten beschrieben durch ein absolutes Zusammenfassen, und Festhalten entgegengesetzter, eines Subjektiven und Objektiven, in dem Begriffe der Bestimmbarkeit, in welchem sie doch auch entgegengesetzt sind. (Zur Erläuterung und Aufstellung eines höhern umfassenden Gesichtspunktes vergleiche man die hier bezeichnete Synthesis mit der oben (§. 3) angestellten Vereinigung des Ich und Nicht-Ich überhaupt durch Quantität. So wie dort zuvörderst das Ich, der Qualität nach als absolute Realität, schlechthin gesetzt wurde; [351] so wird hier etwas, d. h. ein durch Quantität bestimmtes, schlechthin in das Ich gesetzt, oder das Ich wird schlechthin gesetzt, als bestimmte Quantität; es wird etwas Subjektives gesetzt, als ein schlechthin Subjektives; und dieses Verfahren ist eine Thesis, und zwar eine quantitative Thesis, zum Unterschied von der obigen qualitativen. Alle Handlungsweisen des Ich aber müssen von einem thetischen Verfahren ausgehen. [In dem theoretischen Teile der Wissenschaftslehre nämlich, und innerhalb der Begrenzung, welche wir uns hier durch unsern Grundsatz vorgeschrieben haben, ist es eine Thesis, weil wir um jener Begrenzung willen nicht weiter vorwärts gehen können; ob sich gleich, wenn wir einst diese Grenze durchbrechen werden, zeigen dürfte, daß es gleichfalls eine auf die höchste Thesis zurükkzufahrende Synthesis sei]. So wie oben dem Ich überhaupt entgegengesetzt wurde ein Nicht-Ich, als entgegengesetzte Qualität, so wird hier dem Subjektiven entgegengesetzt ein Objektives, durch das bloße Ausschließen desselben aus der Sphäre des Subjektiven; also bloß durch und vermittelst der Quantität (der
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che non hanno alcun sostegno comune, né potrebbero averlo perché si annienterebbero a vicenda.‹)› g) L’attività, in quanto unità sintetica, e lo scambio reciproco, in quanto unità sintetica, devono determinarsi reciprocamente e costituire essi stessi un’unità sintetica. L’attività, quale unità sintetica, è descritta nel modo più breve da un assoluto abbracciare insieme e mantener fermi i termini contrapposti, uno soggettivo e uno oggettivo, nel concetto di determinabilità, nel quale essi sono nondimeno contrapposti. (Per l’illustrazione e la formulazione di un più alto, comprensiovo punto di vista si confronti la sintesi qui indicata con l’unificazione, sopra [§ 3] impiegata dell’io e del nonio in generale tramite quantità. Come dapprima l’io fu in tutto e per tutto posto in quanto realtà assoluta, secondo la qualità, così qui qualcosa, vale a dire un termine determinato secondo la quantità, è assolutamente posto nell’io, ovvero l’io è in tutto e per tutto posto come quantità determinata; qualcosa di soggettivo è posto come un qualcosa di soggettivo in assoluto e questo procedimento è una tesi e precisamente una tesi quantitativa, a differenza di quella qualitativa precedente. Tutti i modi d’azione dell’io devono però muovere da un procedimento tetico. [Cioè: nella parte teoretica della dottrina della scienza, e limitatamente al campo che qui ci siamo prescritti col nostro principio fondamentale, questa è una tesi, perché non possiamo andare oltre per rispetto di quella delimitazione, benché, se una volta violeremo questo confine, dovrebbe mostrarsi subito che essa è parimenti una sintesi da ricondursi alla più alta delle tesi]. Come precedentemente all’io in generale fu contrapposto un non-io, in quanto qualità contrapposta, così qui un oggettivo, tramite la sua pura esclusione dalla sfera del soggettivo, e dunque semplicemente a opera e per mezzo della quantità [della limitazione, della determi-
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Begrenzung, der Bestimmung) und dieses Verfahren ist eine quantitative Antithesis, so wie das obige eine qualitative war. Nun soll aber weder das Subjektive durch das Objektive, noch das Objektive durch das Subjektive vernichtet werden, ebensowenig, als oben das Ich überhaupt durch das Nicht-Ich, oder umgekehrt, aufgehoben werden sollte; sondern beide sollen nebeneinander bestehen. Sie müssen demnach synthetisch vereinigt werden, und werden es durch das Dritte, worin sie sich beide gleich sind, durch die Bestimmbarkeit. Beide – nicht das Subjekt, und Objekt an sich – aber das durch Thesis, und Antithesis gesetzte Subjektive und Objektive, sind gegenseitig durcheinander bestimmbar, und bloß insofern sie das sind, können sie zusammengefasst, und durch das in der Synthesis tätige Vermögen des Ich (die Einbildungskraft), fixiert und festgehalten werden. – Aber gerade wie oben, ist die Antithesis nicht möglich, ohne Thesis, weil nur dem Gesetzten entgegengesetzt werden kann; aber auch selbst die hier geforderte Thesis ist ihrer Materie nach nicht möglich ohne die Materie der Antithesis; denn ehe etwas schlechthin bestimmt, d. i. der Begriff der Quantität darauf angewendet werden kann, muß es der Qualität nach vorhanden sein. Es muß also überhaupt etwas da sein, in welchem das tätige Ich eine Grenze für das Subjektive absteckt, und das übrige dem Objektiven über[352]läßt. – Der Form nach aber ist, gerade wie oben, die Antithesis nicht möglich, ohne die Synthesis; weil außerdem durch die Antithesis das Gesetzte aufgehoben, mithin die Antithesis keine Antithesis, sondern selbst eine Thesis sein würde; also sind alle drei Handlungen nur Eine, und ebendieselbe Handlung; und bloß in der Reflexion über sie können die einzelnen Momente dieser Einen Handlung unterschieden werden). Den bloßen Wechsel anbelangend – wenn die Form desselben, das gegenseitige Ausschließen der Wechsel-
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nazione], è contrapposto al soggettivo, e questo procedimento è un’antitesi quantitativa, al modo in cui quello di prima era un’antitesi qualitativa. Ora, né il soggettivo dev’essere però annientato dall’oggettivo, né l’oggettivo dal soggettivo, tanto poco quanto sopra nemmeno l’io in generale doveva essere soppresso dal non-io e viceversa, ma entrambi dovevano sussistere l’uno accanto all’altro. Pertanto essi devono essere riunificati sinteticamente e lo sono in virtù di un terzo nel quale entrambi sono uguali, in virtù ‹dunque› della determinabilità. Tutt’e due – non il soggetto e l’oggetto in sé – bensì il soggettivo e l’oggettivo, posti mediante la tesi e l’antitesi, sono vicendevolmente determinabili l’uno dall’altro e soltanto per il fatto che lo sono possono essere abbracciati insieme, fissati e mantenuti fermi dalla facoltà dell’io ‹l’immaginazione› attiva nella sintesi. – Tuttavia, proprio come sopra, l’antitesi non è possibile senza tesi, perché può essere contrapposta soltanto a ciò che è posto; ma anche la tesi qui richiesta non è possibile, secondo la sua materia, senza la materia dell’antitesi, perché, prima che qualcosa sia in tutto e per tutto determinato, vale a dire prima che il concetto di quantità gli possa essere applicato, esso dev’essere disponibile secondo la qualità. Dunque, dev’esserci in generale qualcosa in cui l’io attivo tracci un confine per il soggettivo e lasci il resto all’oggettivo. – Ma stado alla forma, proprio come sopra, l’antitesi non è possibile senza la sintesi, perché altrimenti quanto è posto sarebbe soppresso dall’antitesi e di conseguenza l’antitesi non sarebbe antitesi bensì essa stessa una tesi: dunque, tutt’e tre queste azioni sono soltanto un’unica e medesima azione e solo riflettendo su di essa se ne possono distinguere i singoli momenti). Quanto al puro e semplice scambio reciproco: se la sua forma, l’esclusione vicendevole dei termini dello
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glieder, und die Materie, die umfassende Sphäre, welche beide, als sich ausschließende, in sich enthält, synthetisch vereinigt werden, ist das gegenseitige Ausschließen selbst die umfassende Sphäre, und die umfassende Sphäre ist selbst das gegenseitige Ausschließen, d. i. der Wechsel besteht in der bloßen Relation; es ist weiter gar nichts da, als das gegenseitige Ausschließen, die eben genannte Bestimmbarkeit. – Es ist leicht, einzusehen, daß dies das synthetische Mittelglied sein mußte; aber es ist etwas schwerer, sich bei einer bloßen Bestimmbarkeit, einer bloßen Relation, ohne etwas, das in Relation steht (von welchem Etwas hier, und im ganzen theoretischen Teile der Wissenschaftslehre überhaupt gänzlich zu abstrahieren ist) etwas einzubilden, das nicht absolut Nichts sei. Wir leiten die Einbildungskraft, so gut wir es vermögen. – A und B (es ist schon bekannt, daß eigentlich A + B bestimmt durch A, und das gleiche A + B bestimmt durch B dadurch bezeichnet werden, aber für unsern Zweck können wir davon abstrahieren, und sie geradezu A und B nennen) A und B also sind entgegengesetzt, und wenn das eine gesetzt ist, kann das andre nicht gesetzt sein: und dennoch sollen sie, und zwar nicht etwa nur zum Teil, wie bisher gefordert worden ist, sondern ganz, und als entgegengesetzte, beisammen stehen, ohne sich gegenseitig aufzuheben; und die Aufgabe ist, dies zu denken. Aber sie können auf gar keine Art, und unter keinem möglichen Prädikate zusammengedacht werden, als lediglich, inwiefern sie sich gegenseitig aufheben. A ist nicht zu denken, und B ist nicht zu denken; aber das Zusammentreffen, – Eingreifen beider ist zu denken, und bloß dieses ist ihr Vereinigungspunkt. (Setzet in den physischen Punkt X im Zeitmomente A Licht, und Finsternis in den unmittelbar darauf folgenden Zeitmoment B: so ist Licht und Finsternis scharf voneinander geschieden, wie es sein soll. Aber die
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scambio, e la materia, l’abbracciante sfera che li contiene tutt’e due in quanto escludentisi, sono sinteticamente unificate, allora l’esclusione a vicenda è essa stessa la sfera che li abbraccia e questa medesima sfera abbracciante è la vicendevole esclusione; vale a dire: lo scambio reciproco consiste nella pura e semplice relazione e non v’è null’altro che il vicendevole escludersi, che è appena stato chiamato determinabilità. – Intuire che in questo doveva consistere il termine medio sintetico è facile, invece, trovandosi in una pura e semplice determinabilità, in una pura e semplice relazione senza qualcosa che stia in relazione (qualcosa dal quale, qui e nell’intera parte teoretica della dottrina della scienza in generale, va fatta astrazione completa), è più difficile immaginarsi qualcosa che non sia il nulla assoluto. Guidiamo l’immaginazione quanto meglio ci è possibile. – A e B (è già noto che in tal modo propriamente si designa A + B determinato da A e l’identico A + B determinato da B, tuttavia per il nostro scopo possiamo astrarre da ciò e chiamarli addirittura A e B), A e B sono quindi termini contrapposti e se è posto l’uno, l’altro non può essere posto: nondimeno devono stare insieme, e precisamente non soltanto in parte, come finora si è richiesto, ma per intero e in quanto contrapposti, senza sopprimersi a vicenda. Il compito è pensare tutto ciò. Ma in nessun modo e sotto nessun predicato possibile, eccetto in quanto si sopprimono a vicenda, essi possono essere pensati insieme. Non va pensato A, non va pensato B: bensì l’incontrarsi, ingranarsi97 di entrambi, e semplicemente questo è il loro punto di unificazione. (Nel punto fisico X ponete la luce al momento A e l’oscurità al momento B immediatamente successivo: la luce e l’oscurità sono allora nettamente separate l’una dall’altra, come dev’essere. Tuttavia i momenti
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Momente A und B begrenzen sich unmittelbar, und es ist zwischen ihnen [353] keine Lücke. Bildet euch ein die scharfe Grenze zwischen beiden Momenten = Z. Was ist in Z? Nicht Licht, denn das ist im Momente A und Z ist nicht = A; und ebensowenig Finsternis, denn diese ist im Momente B. Mithin keins von beiden. – Aber ich kann ebensowohl sagen: es ist in ihm beides, denn wenn zwischen A und B keine Lücke ist, so ist auch zwischen Licht, und Finsternis keine Lücke, mithin berühren sie sich beide in Z unmittelbar. – Man könnte sagen, ich dehne in der letzteren Folgerungsart Z, das nur Grenze sein sollte, durch die Einbildungskraft selbst zu einem Momente aus; und so ist es allerdings. [Die Momente A und B sind selbst auf keine andere Art entstanden, als durch eine solche Ausdehnung vermittelst der Einbildungskraft]. Ich kann demnach Z durch die bloße Einbildungskraft ausdehnen; und muß es, wenn ich mir die unmittelbare Begrenzung der Momente A und B denken will – und es ist hier zugleich ein Experiment mit dem wunderbaren Vermögen der produktiven Einbildungskraft in uns angestellt worden, welches in kurzem erklärt werden wird, ohne welches gar nichts im menschlichen Geiste sich erklären läßt – und auf welches gar leicht der ganze Mechanismus des menschlichen Geistes sich gründen dürfte). a) Die soeben erklärte Tätigkeit bestimmt den Wechsel, den wir erklärt haben, würde heißen: das Zusammentreffen der Wechselglieder, als solcher, steht unter der Bedingung einer absoluten Tätigkeit des Ich, vermittelst welcher dasselbe ein Objektives, und Subjektives entgegensetzt, und beide vereinigt. Nur im Ich, und lediglich kraft jener Handlung des Ich sind sie Wechselglieder; lediglich im Ich, und kraft jener Handlung des Ich treffen sie zusammen. Es ist klar, daß der aufgestellte Satz idealistisch ist.
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A e B si sono immediatamente confinati e tra di essi non v’è alcun vuoto. Immaginatevi = Z il netto confine tra i due momenti. Che cosa c’è in Z? Non luce, essa è infatti nel momento A e Z non è = A, né l’oscurità, essendo questa nel momento B. Nessuna delle due, dunque. – Eppure altrettanto correttamente posso dire: entrambe si trovano in Z, perché se non v’è alcun vuoto tra A e B, allora non c’è vuoto nemmeno tra luce e ombra e di conseguenza tutt’e due coincidono immediatamente in Z. – Si potrebbe dire che, ricorrendo all’immaginazione stessa, nell’ultima inferenza argomentativa estendo Z, che dovrebbe essere soltanto il confine, fino a farne un momento, e così è veramente98. [Anche gli stessi momenti A e B non sono sorti in alcun altro modo se non con una simile estensione operata attraverso l’immaginazione]. Pertanto io posso, e lo devo, estendere Z tramite la pura e semplice immaginazione, se voglio figurarmi l’immediata delimitazione dei momenti A e B – e qui nel contempo abbiamo effettuato in noi un esperimento con la mirabile facoltà dell’immaginazione produttiva, che tra breve sarà illustrata, senza della quale nulla si può spiegare nello spirito umano – e facoltà su cui sarebbe lecito fondare con gran facilità l’intero meccanismo dello spirito umano). a) ‹Dire che› l’attività appena illustrata determina lo scambio reciproco, che abbiamo spiegato, significherebbe: l’incontrarsi dei termini dello scambio in quanto tali è sottoposto alla condizione di un’assoluta attività dell’io mediante la quale quest’ultimo contrappone un termine oggettivo e uno soggettivo e li unifica entrambi. Essi sono termini dello scambio solamente nell’io ed esclusivamente in forza di quell’azione dell’io; unicamente nell’io e soltanto in forza di quell’azione dell’io essi s’incontrano. È chiaro che la proposizione enunciata è idealistica.
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Wird die hier aufgestellte Tätigkeit für die das Wesen des Ich, insofern dasselbe eine Intelligenz ist, erschöpfende genommen, wie sie dafür allerdings, nur unter einigen Einschränkungen, genommen werden muß, so besteht das Vorstellen darin, daß das Ich ein Subjektives setze, und diesem Subjektiven ein anderes, als ein Objektives entgegensetze, usw. und so sehen wir den Anfang zu einer Reihe der Vorstellungen in dem empirischen Bewußtsein. Oben wurde aufgestellt ein Gesetz der Mittel-[354]barkeit des Setzens, und nach diesem konnte, wie es allerdings hier auch gültig bleibt, kein Objektives gesetzt werden, ohne daß ein Subjektives, und kein Subjektives, ohne daß ein Objektives aufgehoben werde; und hieraus würde sich denn der Wechsel der Vorstellungen haben erklären lassen. Hier kommt die Bestimmung hinzu, daß beide synthetisch vereinigt, daß beide durch Einen und ebendenselben Akt des Ich gesetzt werden sollen; und hieraus würde sich denn die Einheit desjenigen, worin der Wechsel ist, bei dem Entgegengesetztsein des Wechselnden, erklären lassen, welches durch das Gesetz der bloßen Mittelbarkeit nicht möglich war. Und so hätte man denn eine Intelligenz mit allen ihren möglichen Bestimmungen bloß und lediglich durch absolute Spontaneität. Das Ich wäre so beschaffen, wie es setzte, wie es sich setzte, und weil es sich, als so beschaffen, setzte. – Aber man gehe zurück in der Reihe, so weit man will, so muß man zuletzt doch auf ein im Ich schon Vorhandnes kommen, in welchem einiges als Subjektiv bestimmt, ein anderes als Objektiv demselben entgegengesetzt wird. Das Vorhandensein dessen, was Subjektiv sein soll, ließe sich zwar aus dem Setzen des Ich schlechthin durch sich selbst erklären;
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Se l’attività qui stabilita è presa, al modo in cui dev’esserlo veramente, eccetto che per alcune delimitazioni, per quella che esaurisce l’essenza dell’io in quanto esso è un’intelligenza, allora il rappresentare consiste nel fatto che l’io pone un ‹termine› soggettivo e gliene contrappone un altro in quanto oggettivo e così via: ed è in tal modo che vediamo iniziare una serie di rappresentazioni nella coscienza empirica. Sopra era stata formulata una legge della mediatezza del porre e secondo questa, come invero anche qui rimane valido, non poteva essere posto alcunché di oggettivo senza che venisse soppresso un qualcosa di soggettivo e nulla di soggettivo senza che venisse soppresso un qualcosa di oggettivo: in base a ciò si sarebbe potuto spiegare lo scambio reciproco delle rappresentazioni. A questo punto si aggiunge la determinazione che entrambi i termini devono essere unificati sinteticamente, che entrambi devono esser posti da un unico e medesimo atto dell’io e di qui si potrebbe allora spiegare l’unità di ciò in cui interviene lo scambio reciproco, accanto all’essere-contrapposto dei termini reciprocantisi nello scambio, il che non era possibile mediante la legge della pura e semplice mediatezza. E così si avrebbe un’intelligenza con tutte le sue determinazioni possibili semplicemente ed esclusivamente in virtù di un’assoluta spontaneità. L’io sarebbe conformato così come pone, come si pone e perché si pone99 in quanto conformato in tal modo. – Ma risalendo la serie delle rappresentazioni quanto lontano si vuole, si deve nondimeno giungere infine a un qualcosa di già disponibile nell’io, nel quale un termine è determinato come soggettivo e a questo stesso è contrapposto un altro in quanto oggettivo. Basandosi sull’assoluto autoporsi dell’io si può bensì spiegare l’essere-disponibile di ciò che dev’essere soggettivo, non invece l’essere-disponibile
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nicht aber das Vorhandensein dessen, was Objektiv sein soll, denn ein solches ist durch das Setzen des Ich schlechthin nicht gesetzt. – Der aufgestellte Satz erklärt demnach nicht vollständig, was erklärt werden soll. b) Der Wechsel bestimmt die Tätigkeit, würde heißen: Zwar nicht durch das reelle Vorhandensein Entgegengesetzter, aber doch durch ihr bloßes Zusammentreffen, oder Sichberühren im Bewußtsein, wie es soeben erklärt worden, wird das Entgegensetzen und Zusammenfassen durch die Tätigkeit des Ich möglich: jenes Zusammentreffen ist die Bedingung dieser Tätigkeit. Es kommt nur darauf an, dieses richtig zu verstehen. Es wurde soeben gegen die aufgestellte idealistische Erklärungsart erinnert: soll im Ich etwas als ein Subjektives bestimmt, und ein anderes als Objektiv durch jene Bestimmung aus der Sphäre desselben ausgeschlossen werden, so muß erklärt werden, wie das Letztere Auszuschließende, im Ich vorhanden sein könne, und das läßt sich nach jener Folgerungsart nicht erklären. Dieser Einwurf wird durch den gegenwärtigen Satz dahin beantwortet: das auszuschließende Objektive braucht gar nicht vorhanden zu sein; es darf nur bloß, daß ich mich so [355] ausdrücke, ein Anstoß für das Ich vorhanden sein, d. h. das Subjektive muß, aus irgendeinem nur außer der Tätigkeit des Ich liegenden Grunde, nicht weiter ausgedehnt werden können. Eine solche Unmöglichkeit des weiteren Ausdehnens machte denn aus – den beschriebenen bloßen Wechsel, oder das bloße Eingreifen; er begrenzte nicht, als tätig, das Ich; aber er gäbe ihm die Aufgabe, sich selbst zu begrenzen. Alle Begrenzung aber geschieht durch Gegensatz; mithin müßte das Ich, eben um jener Aufgabe eine Genüge zu tun, etwas Objektives dem zu
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di ciò che dev’essere oggettivo, perché una tal cosa non è assolutamente posta per mezzo del porre operato dall’io. – Dunque, la proposizione enunciata non spiega pienamente ciò che dev’essere spiegato. b) Lo scambio reciproco determina l’attività: ciò significherebbe che il contrapporsi e il riabbracciarsi tramite l’attività dell’io viene reso possibile certamente non grazie al reale essere-disponibile dei termini contrapposti, bensì in forza del loro puro e semplice incontrarsi o toccarsi nella coscienza, com’è stato appena spiegato sopra: quell’incontrarsi è la condizione di quest’attività. Non si tratta che di comprenderlo correttamente. Contro il tipo di spiegazione idealistica esposto abbiamo appena ricordato: se nell’io dev’essere determinato qualcosa come un che di soggettivo e questa stessa determinazione deve escludere dalla sfera dell’io qualcos’altro in quanto oggettivo, allora bisogna necessariamente spiegare come l’ultimo termine, quello da escludere, possa essere disponibile nell’io, e secondo quella modalità argomentativa ciò non è spiegabile. A questa obiezione si dà risposta con la presente proposizione: non occorre affatto che l’elemento oggettivo da escludere sia presente e disponibile, basta soltanto e semplicemente, per esprimermi così, che vi sia un urto per l’io, vale a dire: per una qualche ragione, purché posta al di fuori dell’attività dell’io, l’elemento soggettivo non deve potersi estendere ulteriormente. Una tale impossibilità di estensione ulteriore costituirebbe, infatti, il puro e semplice scambio reciproco descritto, o il puro e semplice ingranarsi; l’urto non imporrebbe confini all’io in maniera attiva, ma gli assegnerebbe il compito di dare a sé un confine. Tuttavia ogni delimitazione avviene per opposizione, quindi l’io, proprio per soddisfare quel compito, dovrebbe contrapporre qualcosa di
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begrenzenden Subjektiven entgegensetzen, und dann beide synthetisch vereinigen, wie soeben gezeigt worden; und so ließe sich denn die ganze Vorstellung ableiten. Diese Erklärungsart ist, wie sogleich in die Augen fällt, realistisch; nur liegt ihr ein weit abstrakterer Realismus zum Grunde, als alle die vorher aufgestellten; nämlich es wird in ihm nicht ein außer dem Ich vorhandenes Nicht-Ich, und nicht einmal eine im Ich vorhandne Bestimmung, sondern bloß die Aufgabe für eine durch dasselbe selbst in sich vorzunehmende Bestimmung, oder die bloße Bestimmbarkeit des Ich angenommen. Man dürfte einen Augenblick glauben, diese Aufgabe der Bestimmung sei ja selbst eine Bestimmung, und das gegenwärtige Räsonnement sei von dem oben aufgestellten quantitativen Realismus, der das Vorhandensein einer Bestimmung annahm, in nichts verschieden. Aber der Unterschied ist sehr einleuchtend darzutun. Dort war die Bestimmung gegeben; hier soll sie erst durch die Spontaneität des tätigen Ich vollendet werden. (Wenn es erlaubt ist, einige Blicke vorwärts zu tun, so läßt der Unterschied sich noch bestimmter angeben. Nämlich im praktischen Teile wird sich zeigen, daß die Bestimmbarkeit, von welcher hier geredet wird, ein Gefühl ist. Nun ist ein Gefühl allerdings eine Bestimmung des Ich, aller nicht des Ich, als Intelligenz, d. i. desjenigen Ich, welches sich setzt, als bestimmt durch das Nicht-Ich, und von diesem allein ist doch hier die Rede. Mithin ist jene Aufgabe zur Bestimmung nicht die Bestimmung selbst). Das gegenwärtige Räsonnement hat den Fehler alles Realismus, daß es das Ich bloß als ein Nicht-Ich betrachtet, und daher den Übergang vom Nicht-Ich zum Ich, der erklärt werden sollte, nicht erklärt. Geben wir zu, was gefordert wird, so ist die Bestimmbarkeit
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oggettivo al soggettivo da delimitare e poi unificarli sinteticamente entrambi, com’è stato appena mostrato, e in tal modo si dovrebbe allora poter dedurre l’intera rappresentazione. Questo tipo di spiegazione, come balza subito agli occhi, è realistico; soltanto, si basa su un realismo ancora più astratto di tutti quelli prima stabiliti ed enunciati, nel quale non è cioè assunto un non-io presente e disponibile all’esterno dell’io e neppure una determinazione presente e disponibile all’interno dell’io, bensì è assunto puramente e semplicemente il compito di un’autodeterminazione che l’io stesso può prefiggersi, ovvero la pura e semplice determinabilità dell’io. Per un istante si potrebbe credere che tale compito di determinazione sia esso stesso davvero una determinazione e che il presente ragionamento non si diversifichi in nulla dal realismo quantitativo sopra formulato, che assunse la presenza disponibile di una determinazione. Invece la differenza va esibita in modo estremamente plausibile. Per il realismo quantitativo la determinazione era data; qui dev’essere compiuta soltanto dalla spontaneità dell’io attivo. (Se è consentito proiettarci più in là, la differenza può essere dichiarata in modo ancora più preciso. Nella parte pratica si mostrerà, cioè, che la determinabilità, di cui stiamo trattando, è un sentimento. Ora, certo un sentimento è una determinazione dell’io eppure dell’io non in quanto intelligenza, cioè dell’io, che si pone come determinato dal non-io, il solo io di cui invece stiamo parlando. Quel compito che assegna ‹l’esercizio› di determinare non è quindi la determinazione stessa). Il presente ragionamento ha il difetto di tutto il realismo, il considerare l’io puramente e semplicemente come un non-io, e pertanto non spiega il passaggio, che dovrebbe essere spiegato, dal non-io all’io. Se concediamo quanto è richiesto, allora la determinabi-
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des Ich, oder die Aufgabe, daß das Ich bestimmt werden solle, allerdings gesetzt, aber [356] ohne alles Zutun des Ich; und es ließe sich daraus nun wohl erklären, wie das Ich durch und für etwas außer dem Ich, nicht aber, wie es durch und für das Ich bestimmbar sein könne, da doch das letztere gefordert wird. Das Ich ist vermöge seines Wesens nur insofern bestimmbar, als es sich bestimmbar setzt, und nur insofern kann es sich bestimmen; wie aber dies möglich sei, wird durch die aufgestellte Folgerungsart nicht erklärt. c) Beide Folgerungsarten sollen synthetisch vereinigt werden; die Tätigkeit, und der Wechsel sollen sich gegenseitig bestimmen, Es konnte nicht angenommen werden, daß der Wechsel, oder ein bloßer ohne alles Zutun des setzenden Ich vorhandner Anstoß dem Ich die Aufgabe gebe, sich zu begrenzen, weil das zu Erklärende nicht in dem Erklärungsgrunde lag; es müßte demnach angenommen werden, daß jener Anstoß nicht ohne Zutun des Ich vorhanden wäre, sondern daß er eben auf die Tätigkeit desselben im Setzen seiner selbst, geschähe; daß gleichsam seine weiter hinaus strebende Tätigkeit in sich selbst zurückgetrieben, (reflektiert) würde, woraus denn die Selbstbegrenzung, und aus ihr alles übrige, was gefordert worden, sehr natürlich erfolgen würde. Dadurch würde denn wirklich der Wechsel, und die Tätigkeit durcheinander bestimmt und synthetisch vereinigt, wie durch den Gang unsrer Untersuchung gefordert wurde. Der (durch das setzende Ich nicht gesetzte) Anstoß geschieht auf das Ich, insofern es tätig ist, und er ist demnach nur insofern ein Anstoß als es tätig ist, seine Möglichkeit wird durch die Tätigkeit des Ich bedingt; keine Tätigkeit des Ich, kein Anstoß. Hinwiederum wäre die Tätigkeit des Bestimmens des Ich durch sich selbst, bedingt durch den Anstoß; kein
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lità dell’io, ovvero il compito che l’io debba essere determinato, è veramente posta senza che l’io però vi contribuisca, e di qui ora si può ben spiegare come l’io possa essere determinabile da e per qualcosa di esterno ad esso, non invece come possa essere determinabile da e per l’io100, benché proprio quest’ultimo chiarimento fosse richiesto. L’io è determinabile in virtù della sua essenza soltanto nella misura in cui si pone come determinabile e solamente in tale misura può determinarsi: tuttavia come ciò sia possibile non è chiarito con l’argomentazione esposta. c) Le due argomentazioni devono essere unificate sinteticamente, l’attività e lo scambio reciproco devono determinarsi a vicenda. Non si poté assumere che lo scambio reciproco, o un puro e semplice urto presentatosi senza alcun intervento dell’io ponente, assegni all’io il compito di darsi un confine, perché ciò che va spiegato non si trovava in questo principio esplicativo; si dovrebbe pertanto assumere che quell’urto non si presenta senza intervento dell’io, bensì accade all’io proprio nella sua attività di porre se stesso; che, in certo qual modo, la sua attività tendente a espandersi ulteriormente sarebbe risospinta in se stessa (riflessa), ciò da cui poi conseguirebbe assai naturalmente l’autoconfinamento e da esso quant’altro è stato richiesto. Così facendo lo scambio reciproco e l’attività sarebbero dunque effettivamente determinati l’uno dall’altro e sinteticamente unificati, com’è richiesto dall’andamento della nostra ricerca. L’urto (non posto dall’io ponente) accade all’io nella misura in cui quest’ultimo è attivo e unicamente nella misura in cui l’io è attivo è pertanto urto: la sua possibilità è condizionata dall’attività dell’io; nessuna attività dell’io, nessun urto. Da capo, l’attività dell’io di determinarsi da sé sarebbe condizionata dall’urto: nessun urto, nessu-
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Anstoß, keine Selbstbestimmung. – Ferner, keine Selbstbestimmung, kein Objektives, usw. Wir suchen uns mit dem höchst wichtigen und Endresultate, das wir hier gefunden haben, bekannter zu machen. Die Tätigkeit (des Ich) im Zusammenfassen Entgegengesetzter, und das Zusammentreffen (an sich, und abstrahiert von der Tätigkeit des Ich) dieses Entgegengesetz-[357]ten sollen vereinigt, sie sollen Eins, und ebendasselbe sein. – Der Hauptunterschied liegt im Zusammenfassen und Zusammentreffen; wir werden demnach am tiefsten in den Geist des aufgestellten Satzes eindringen, wenn wir über die Möglichkeit diese beiden zu vereinigen, nachdenken. Wie das Zusammentreffen an sich unter der Bedingung eines Zusammenfassens, stehe und stehen müsse, läßt sich leicht einsehen. Die Entgegengesetzten an sich sind völlig entgegengesetzt; sie haben gar nichts Gemeinschaftliches; wenn das eine gesetzt ist, kann das andre nicht gesetzt sein: Zusammentreffende sind sie nur, inwiefern die Grenze zwischen ihnen gesetzt wird, und diese Grenze ist weder durch das Setzen des einen, noch durch das Setzen des anderen gesetzt; sie muß besonders gesetzt werden. – Aber die Grenze ist denn auch weiter nichts, als das beiden Gemeinschaftliche; mithin ihre Grenzen setzen – heißt, sie zusammenfassen, aber dieses Zusammenfassen beider ist auch nicht anders möglich, als durch das Setzen ihrer Grenze. Sie sind zusammentreffend lediglich unter Bedingung eines Zusammenfassens, für und durch das Zusammenfassende. Das Zusammenfassen, oder, wie wir jetzt bestimmter sagen können, das Setzen einer Grenze steht unter der Bedingung eines Zusammentreffens, oder, da das in der Begrenzung Tätige, laut Obigem, selbst, und zwar bloß als Tätiges, eins der Zusammentreffenden sein soll, unter der Bedingung eines Anstoßes auf die Tätigkeit desselben. Dies ist nur unter der Bedingung möglich,
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na autodeterminazione. – Inoltre, nessuna autodeterminazione, niente di oggettivo e così via. Cerchiamo di comprendere meglio l’esito di estremo rilievo e conclusivo al quale siamo qui pervenuti. L’attività (dell’io) nell’abbracciare insieme gli elementi contrapposti e il loro incontrarsi (in sé e facendo astrazione dall’attività dell’io) devono essere unificati, devono essere un’unica e medesima cosa. – La differenza capitale risiede nell’abbracciare insieme e nell’incontrarsi, pertanto penetreremo nello spirito più profondo della proposizione enunciata se riflettiamo sulla possibilità di unificarli. Si può facilmente intuire come l’incontrarsi in sé soggiaccia e debba soggiacere alla condizione di un riabbracciarsi. I termini contrapposti in sé sono totalmente contrapposti, non hanno proprio nulla in comune; se l’uno è posto, non può essere posto l’altro: sono termini che si incontrano soltanto nella misura in cui è posto il confine tra essi e questo confine non è posto col porre dell’uno né col porre dell’altro, esso dev’essere posto di per sé. – Tuttavia il confine non è poi nient’altro che quanto è comune a entrambi, di conseguenza porre i loro confini significa abbraciarli insieme, eppure tale abbraciarsi di tutt’e due non è possibile altrimenti che ponendo il loro confine. Sono termini che si incontrano esclusivamente alla condizione di abbracciarsi per e mediante101 ciò che li abbraccia insieme. L’abbracciare insieme, o come adesso possiamo esprimere in modo più definito, il porre un confine, è sottoposto alla condizione di un incontrarsi, ovvero – poiché, stante quanto sopra, ciò che è attivo nella delimitazione dev’essere esso stesso, e precisamente semplicemente in quanto attivo, uno dei termini che si incontrano – ‹è sottoposto› alla condizione di un urto con l’attività di quest’ultimo. Ciò è possibile
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daß die Tätigkeit desselben in das Unbegrenzte, Unbestimmte und Unbestimmbare d. i. in das Unendliche hinausgehe. Ginge sie nicht in das Unendliche hinaus, so würde aus einer Begrenzung desselben gar nicht folgen, daß ein Anstoß auf die Tätigkeit desselben geschehen sei; es könnte ja die durch seinen bloßen Begriff gesetzte Begrenzung sein, (wie in einem Systeme angenommen werden müßte, in welchem schlechthin ein endliches Ich aufgestellt würde). Es möchte dann wohl innerhalb der ihm durch seinen Begriff gesetzten Schranken neue Begrenzungen geben, die auf einen Anstoß von außen schließen ließen, und das müßte sich anderwärts her bestimmen lassen. Aus der Begrenzung überhaupt aber, wie doch hier gefolgert werden soll, ließe sich ein solcher Schluß gar nicht machen. [358] (Die Entgegengesetzten, von denen hier die Rede ist, sollen schlechthin entgegengesetzt sein; es soll zwischen ihnen gar keinen Vereinigungspunkt geben. Alles Endliche aber ist unter sich nicht schlechthin entgegengesetzt; es ist sich gleich im Begriffe der Bestimmbarkeit; es ist durchgängig durcheinander bestimmbar. Das ist das allem Endlichen gemeinschaftliche Merkmal. So ist auch alles Unendliche, insofern es mehrere Unendliche geben kann, sich gleich im Begriffe der Unbestimmbarkeit. Mithin gibt es gar nichts geradezu Entgegengesetztes und in gar keinem Merkmale sich Gleiches, als das Endliche, und das Unendliche, und diese müssen mithin diejenigen Entgegengesetzten sein, von welchen hier geredet ist). Beides soll Eins, und ebendasselbe sein; das heißt kurz: keine Unendlichkeit, keine Begrenzung; keine Begrenzung, keine Unendlichkeit; Unendlichkeit und Begrenzung sind in Einem und ebendemselben synthetischen Gliede vereinigt. – Ginge die Tätigkeit des Ich nicht ins Unendliche, so könnte es diese seine Tätigkeit nicht selbst begrenzen; es könnte keine Grenze dersel-
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solamente a condizione che l’attività di questo medesimo termine102 proceda all’illimitato, all’indeterminato e all’indeterminabile, ossia all’infinito. Se essa non procedesse all’infinito, da una sua delimitazione in nessun modo potrebbe derivare che all’attività di questo termine sia sopravvenuto un urto; la delimitazione potrebbe anzi essere posta tramite il suo mero concetto (come dovrebbe essere assunto in un sistema nel quale un io finito fosse posto in assoluto). Entro i limiti posti all’io dal suo concetto, si potrebbero allora ben dare nuovi confinamenti, confinamenti che permettessero di inferire un urto dall’esterno, e qui ciò dovrebbe potersi determinare in altro modo. Tuttavia dalla delimitazione in generale, come qui deve pur essere argomentata, non si può affatto trarre una simile conclusione. (I termini contrapposti di cui si sta parlando devono essere contrapposti in assoluto, fra loro non dev’esserci alcun punto di unificazione. Ma tutti i termini finiti non sono in assoluto contrapposti fra loro, sono identici nel concetto di determinabilità, sono l’un l’altro interamente determinabili. Questa è la caratteristica comune a tutto ciò che possiede natura finita. Allo stesso modo anche tutti i termini infiniti, nella misura in cui ci sono più infiniti, sono identici nel concetto di indeterminabilità. Di conseguenza non v’è proprio nulla di diametralmente contrapposto e di non identico in alcuna caratteristica se non il finito e l’infinito, e questi devono dunque essere quei termini contrapposti dei quali s’è fatto discorso). Entrambi devono essere una cosa sola, e proprio la stessa; ciò in breve significa: nessuna infinità, nessuna delimitazione; nessuna delimitazione, nessuna infinità; infinità e delimitazione sono unificate in un unico e medesimo termine sintetico. – Se l’attività dell’io non procedesse all’infinito, esso non potrebbe delimitare
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ben setzen, wie es doch soll. Die Tätigkeit des Ich besteht im unbeschränkten Sich-Setzen; es geschieht gegen dieselbe ein Widerstand. Wiche sie diesem Widerstande, so würde diejenige Tätigkeit, welche über die Grenze des Widerstandes hinausliegt, völlig vernichtet, und aufgehoben; das Ich würde insofern überhaupt nicht setzen. Aber es soll allerdings auch über diese Linie hinaus setzen. Es soll sich beschränken, d. i. es soll insofern sich setzen, als sich nicht setzend; es soll in diesen Umfang die unbestimmte, unbegrenzte, unendliche Grenze setzen, (oben = B) und wenn es dies soll, so muß es unendlich sein. – Ferner, wenn das Ich sich nicht begrenzte, so wäre es nicht unendlich. – Das Ich ist nur das, als was es sich setzt. Es ist unendlich, heißt, es setzt sich unendlich: es bestimmt sich durch das Prädikat der Unendlichkeit: also es begrenzt sich selbst, (das Ich) als Substrat der Unendlichkeit; es unterscheidet sich selbst von seiner unendlichen Tätigkeit, (welches beides an sich Eins, und ebendasselbe ist); und so mußte es sich verhalten, wenn das Ich unendlich sein sollte. – Diese ins unendliche gehende Tätigkeit, die es von sich unterscheidet, soll seine Tätigkeit sein; sie soll ihm zuge-[359]schrieben werden: mithin muß zugleich in einer und ebenderselben ungeteilten und unzuunterscheidenden Handlung das Ich diese Tätigkeit auch wieder in sich aufnehmen, (A + B durch A bestimmen). Nimmt es sie aber in sich auf, so ist sie bestimmt, mithin nicht unendlich: doch aber soll sie unendlich sein, und so muß sie außer dem Ich gesetzt werden. Dieser Wechsel des Ich in und mit sich selbst, da es sich endlich, und unendlich zugleich setzt – ein Wechsel, der gleichsam in einem Widerstreite mit sich selbst besteht, und dadurch sich selbst reproduziert, indem das Ich Unvereinbares vereinigen will, jetzt das Unendliche in die Form des Endlichen aufzunehmen versucht, jetzt, zurückgetrieben, es wieder außer der-
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questa sua attività, non potrebbe porle alcun confine, come pur deve. L’attività dell’io consiste nell’illimitato porre-sé; contro di essa si verifica una resistenza. Se cedesse a questa resistenza, allora quell’attività che si estende oltre il confine della resistenza sarebbe completamente annientata e soppressa: a tale riguardo l’io, in generale, non porrebbe. Ma, a dire il vero, esso deve porre anche oltre questa linea. Deve limitarsi, vale a dire deve porsi non ponendo sé; deve porre in quest’ambito il confine (sopra = B) indeterminato, sconfinato, infinito e se fa questo, dev’essere infinito. – Inoltre, se l’io non si desse un confine, non sarebbe infinito. – L’io è soltanto ciò che esso si pone. Il suo essere infinito significa: esso si pone infinito, si determina mediante il predicato dell’infinità; quindi esso traccia un confine a se stesso (l’io) quale sostrato dell’infinità, distingue se stesso dalla sua attività infinita (due aspetti che in sé sono uno solo e medesimo); e così doveva andare di necessità, se l’io doveva essere infinito. – Quest’attività procedente all’infinito che esso distingue da sé, dev’essere la sua attività, dev’essergli attribuita: quindi l’io deve, in pari tempo, assumere anche quest’attività in un’unica e medesima azione indivisa e indistinguibile (determinare A + B per mezzo di A). Ma se l’io l’assume in sé, essa è determinata e, di conseguenza, non infinita: essa, tuttavia, dev’essere infinita e così dev’essere posta al di fuori dell’io. Questo scambio reciproco dell’io in se stesso e con se stesso, poiché si pone finito e infinito ad un tempo – uno scambio consistente per dir così in una lotta con se stesso e che in tal modo riproduce se stesso, in quanto l’io vuole unificare ciò che non è unificabile, ora tenta di accogliere l’infinito nella forma del finito, ora, respinto, pone di nuovo l’infinito fuori di quella forma e tenta un’altra volta di accoglierlo nella
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selben setzt, und in dem nämlichen Momente abermals es in die Form der Endlichkeit aufzunehmen versucht – ist das Vermögen der Einbildungskraft. Hierdurch wird nun vollkommen vereinigt Zusammentreffen, und Zusammenfassen. Das Zusammentreffen, oder die Grenze ist selbst ein Produkt des Auffassenden im, und zum Auffassen, (absolute Thesis der Einbildungskraft, die insofern schlechthin produktiv ist). Insofern das Ich, und dieses Produkt seiner Tätigkeit entgegengesetzt werden, werden die Zusammentreffenden selbst entgegengesetzt, und es ist in der Grenze keins von beiden gesetzt; (Antithesis der Einbildungskraft). Insofern aber beide wiederum vereinigt werden – jene produktive Tätigkeit dem Ich zugeschrieben werden soll – werden die Begrenzenden selbst in der Grenze zusammengefaßt. (Synthesis der Einbildungskraft; die in diesem ihren antithetischen, und synthetischen Geschäfte reproduktiv ist, wie wir dies alles zu seiner Zeit deutlicher einsehen werden). Die Entgegengesetzten sollen zusammengefaßt werden im Begriffe der bloßen Bestimmbarkeit; (nicht etwa dem der Bestimmung). Das war ein Hauptmoment der geforderten Vereinigung; und wir haben auch über dieses noch zu reflektieren; durch welche Reflexion das soeben Gesagte vollkommen bestimmt, und aufgeklärt werden wird. Wird nämlich die zwischen die Entgegengesetzten (deren eines das Entgegensetzende selbst ist, das andere aber seinem Dasein nach völlig außer dem Bewußtsein liegt, und bloß zum Behuf der notwendigen Be-[360]grenzung gesetzt wird) gesetzte Grenze als feste, fixierte, unwandelbare Grenze gesetzt, so werden beide vereinigt durch Bestimmung, nicht aber durch Bestimmbarkeit: aber dann wäre auch die in dem Wechsel der Substantialität geforderte Totalität nicht erfüllt; (A + B wäre nur durch das bestimmte A nicht aber zugleich durch das unbe-
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forma della finitezza – questo scambio reciproco è la facoltà dell’immaginazione. Con ciò l’incontrarsi e l’abbracciare insieme sono ora perfettamente unificati. L’incontrarsi, ovvero il confine, è esso stesso un prodotto dell’atto di comprensione nella e per la103 comprensione (tesi assoluta dell’immaginazione che, quanto a ciò, è in tutto e per tutto produttiva). Nella misura in cui l’io e questo prodotto della sua attività sono contrapposti, sono contrapposti i medesimi termini che si incontrano e né uno né l’altro è posto nel confine (antitesi dell’immaginazione). Nella misura in cui però tutt’e due sono di nuovo unificati – quell’attività produttiva dev’essere attribuita all’io –, i termini delimitantisi sono essi stessi riuniti nel confine (sintesi dell’immaginazione, la quale è produttiva in queste sue operazioni antitetiche e sintetiche, come vedremo per intero e in modo perspicuo a tempo debito). I termini contrapposti devono essere abbracciati insieme nel concetto della pura e semplice determinabilità (non, per esempio, in quello di determinazione). Ciò era un momento capitale dell’unificazione richiesta e anche in merito ad esso ci resta ancora da riflettere: mediante questa riflessione verrà perfettamente determinato e illustrato quanto appena detto. Se il confine posto fra i termini contrapposti (dei quali uno è proprio ciò che esercita la contrapposizione, mentre l’altro, quanto al suo esserci, è interamente esterno alla coscienza ed è posto semplicemente in vista del necessario confinamento) è posto come limite saldo, fissato, immodificabile, in tal caso entrambi sono unificati mediante determinazione ma non tramite determinabilità: tuttavia allora anche la totalità richiesta nello scambio reciproco della sostanzialità non sarebbe satura (A + B sarebbe definito soltanto dall’elemento A determinato, non però ad un tempo
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stimmte B bestimmt). Demnach muß jene Grenze nicht als feste Grenze angenommen werden. Und so ist es denn auch allerdings, laut der soeben gegebnen Erörterung über das in dieser Begrenzung tätige Vermögen der Einbildungskraft. Es setzt, zum Behuf einer Bestimmung des Subjekts eine unendliche Grenze, als Produkt seiner ins unendliche gehenden Tätigkeit. Es versucht diese Tätigkeit sich zuzuschreiben, (A + B durch A zu bestimmen); täte es dies wirklich, so ist es nicht mehr diese Tätigkeit; sie ist, als in ein bestimmtes Subjekt gesetzt, selbst bestimmt, und also nicht unendlich; die Einbildungskraft wird daher zurückgetrieben wieder ins Unendliche, (es wird ihr die Bestimmung von A + B durch B aufgegeben). Demnach ist lediglich Bestimmbarkeit, die auf diesem Wege unerreichbare Idee der Bestimmung, nicht aber Bestimmung selbst vorhanden. – Die Einbildungskraft setzt überhaupt keine feste Grenze, denn sie hat selbst keinen festen Standpunkt; nur die Vernunft setzt etwas Festes, dadurch, daß sie erst selbst die Einbildungskraft fixiert. Die Einbildungskraft ist ein Vermögen, das zwischen Bestimmung, und Nicht-Bestimmung, zwischen Endlichem, und Unendlichem in der Mitte schwebt; und demnach wird durch sie allerdings A + B zugleich durch das bestimmte A und zugleich durch das unbestimmte B bestimmt, welches jene Synthesis der Einbildungskraft ist, von der wir soeben redeten. – Jenes Schweben eben bezeichnet die Einbildungskraft durch ihr Produkt; sie bringt dasselbe gleichsam während ihres Schwebens, und durch ihr Schweben hervor. (Dieses Schweben der Einbildungskraft zwischen Unvereinbaren, dieser Widerstreit derselben mit sich selbst ist es, welcher, wie sich in der Zukunft zeigen wird, den Zustand des Ich in demselben zu einem ZeitMomente ausdehnt: (Für die bloße reine Vernunft ist alles zugleich; nur für die Einbildungskraft gibt es eine
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dall’elemento B indeterminato). Pertanto quel confine non può essere assunto quale confine saldo. Ed infatti è veramente così, stante anche la spiegazione appena fornita in merito alla facoltà dell’immaginazione attiva in questa delimitazione. Questa facoltà pone, in vista di una determinazione del soggetto, un confine infinito quale prodotto della sua attività che prosegue infinitamente. Essa cerca di attribuirsi quest’attività (di determinare A + B tramite A): se effettivamente vi riuscisse, non sarebbe più questa attività, essa stessa sarebbe determinata e quindi non infinita, essendo posta in un soggetto determinato; l’immaginazione è pertanto nuovamente respinta all’infinito (le è assegnata la determinazione di A + B tramite B). Dunque, è presente e disponibile esclusivamente la determinabilità, che è l’idea, inattingibile per questa via, di determinazione ma non la determinazione stessa. – L’immaginazione non pone in genere alcun saldo confine, non avendo alcun fermo punto d’appoggio: soltanto la ragione pone qualcosa di saldo per il fatto che soltanto essa stessa fissa l’immaginazione. L’immaginazione è una facoltà che oscilla librandosi in mezzo tra determinazione e non-determinazione, tra finito e infinito, e pertanto da essa A + B è veramente determinato ad un tempo tramite l’elemento A determinato e ad un tempo tramite l’elemento B indeterminato, che è quella sintesi dell’immaginazione di cui abbiamo appena parlato. – Proprio quel librarsi designa l’immaginazione mediante il suo prodotto; essa lo produce, per dir così, durante il suo librarsi e per mezzo del suo librarsi. (Questo librarsi dell’immaginazione fra termini che non si possono unificare, questo suo conflitto con se stessa, è ciò che, come si mostrerà in futuro, estende a un momento del tempo lo stato dell’io in essa [per la mera ragione pura è tutto contemporaneo; soltan-
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Zeit). Lange, d. i. länger als einen Moment (außer im Gefühl des Erhabnen, wo ein Staunen, ein [361] Anhalten des Wechsels in der Zeit entsteht) hält die Einbildungskraft dies nicht aus; die Vernunft tritt ins Mittel, (wodurch eine Reflexion entsteht) und bestimmt dieselbe, B in das bestimmte A (das Subjekt) aufzunehmen: aber nun muß das als bestimmt gesetzte A abermals durch ein unendliches B begrenzt werden, mit welchem die Einbildungskraft gerade so verfährt wie oben; und so geht es fort, bis zur vollständigen Bestimmung der (hier theoretischen) Vernunft durch sich selbst, wo es weiter keines begrenzenden B außer der Vernunft in der Einbildungskraft bedarf, d. i. bis zur Vorstellung des Vorstellenden. Im praktischen Felde geht die Einbildungskraft fort ins unendliche, bis zu der schlechthin unbestimmbaren Idee der höchsten Einheit, die nur nach einer vollendeten Unendlichkeit möglich wäre, welche selbst unmöglich ist). *
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1) Ohne Unendlichkeit des Ich – ohne ein absolutes in das unbegrenzte, und Unbegrenzbare hinausgehendes Produktions-Vermögen desselben, ist auch nicht einmal die Möglichkeit der Vorstellung zu erklären. Aus dem Postulate, daß eine Vorstellung sein solle, welches enthalten ist in dem Satze: das Ich setzt sich, als bestimmt durch das Nicht-Ich, ist nunmehr dieses absolute Produktionsvermögen synthetisch abgeleitet und erwiesen. Aber es läßt sich vorher sehen, daß im praktischen Teile unsrer Wissenschaft jenes Vermögen auf ein noch höheres werde zurückgeführt werden.
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to per l’immaginazione v’è un tempo]. L’immaginazione non lo mantiene a lungo, cioè più a lungo di un momento [eccetto che nel sentimento del sublime, ove sorge uno stupore, un arrestarsi dello scambio reciproco nel tempo]; si mette in mezzo la ragione [dal che sorge una riflessione] e determina l’immaginazione ad accogliere B nell’elemento A determinato [il soggetto]. Però l’elemento A posto come determinato ora deve di nuovo essere delimitato da un elemento B infinito, a riguardo del quale l’immaginazione procede proprio come in precedenza, e si continua in questo modo fino alla completa determinazione della ragione [qui teoretica] mediante se stessa, dove non occorre nell’immaginazione alcun ulteriore elemento B delimitante, esterno alla ragione, vale a dire si procede fino alla rappresentazione dell’elemento rappresentante. Nel campo pratico l’immaginazione procede all’infinito fino all’idea in assoluto indeterminabile dell’unità suprema, che sarebbe possibile soltanto secondo una infinità perfetta, la quale è pure essa stessa impossibile). *
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1) Senza infinità dell’io, senza una sua facoltà produttiva assoluta che procede in ciò che non ha confini e che non è delimitabile, non si può spiegare nemmeno la possibilità della rappresentazione. Quest’assoluta facoltà produttiva è ormai sinteticamente dedotta e dimostrata sulla base del postulato, secondo il quale dev’esserci una rappresentazione, contenuto nella proposizione: l’io si pone come determinato dal nonio. Tuttavia è prevedibile che nella parte pratica della nostra dottrina della scienza quella facoltà sarà ricondotta a una facoltà ancora superiore.
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2) Alle Schwierigkeiten, die sich uns in den Weg stellten, sind befriedigend gehoben. Die Aufgabe war die, die Entgegengesetzten, Ich und Nicht-Ich zu vereinigen. Durch die Einbildungskraft, welche Widersprechendes vereinigt, können sie vollkommen vereinigt werden. – Das Nicht-Ich ist selbst ein Produkt des sich selbst bestimmenden Ich, und gar nichts Absolutes, und außer dem Ich Gesetztes. Ein Ich, das sich setzt, als sich selbst setzend, oder ein Subjekt ist nicht möglich ohne ein auf die beschriebene Art hervorgebrachtes Objekt (die Bestimmung des Ich, seine Reflexion über sich selbst, als ein bestimmtes ist nur unter der Bedingung möglich, daß es sich selbst durch ein Entgegengesetztes begrenze). – Bloß die Frage, wie, und wodurch der für Erklärung der Vorstellung anzunehmende Anstoß auf das Ich geschehe, ist hier nicht zu beantwor-[362]ten; denn sie liegt außerhalb der Grenze des theoretischen Teils der Wissenschaftslehre. 3) Der an die Spitze der gesamten theoretischen Wissenschaftslehre gestellte Satz: das Ich setzt sich als bestimmt durch das Nicht-Ich – ist vollkommen erschöpft, und alle Widersprüche, die in demselben lagen, gehoben. Das Ich kann sich nicht anders setzen, als, daß es durch das Nicht-Ich bestimmt sei. (Kein Objekt, kein Subjekt). Insofern setzt es sich als bestimmt. Zugleich setzt es sich auch als bestimmend; weil das Begrenzende im Nicht-Ich sein eigenes Produkt ist, (kein Subjekt, kein Objekt). – Nicht nur, die geforderte Wechselwirkung ist möglich, sondern auch das, was durch das aufgestellte Postulat gefordert wird, ist ohne eine solche Wechselwirkung gar nicht denkbar. Das was vorher bloß problematisch galt, hat jetzt apodiktische Gewißheit. – Dadurch ist denn zugleich erwiesen, daß der theoretische Teil der Wissenschaftslehre vollkommen beschlossen ist; denn jede Wissenschaft ist
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2) Tutte le difficoltà postesi lungo il nostro tragitto sono superate in modo soddisfacente. Il compito consisteva nell’unificare i termini contrapposti, io e non-io. Essi possono essere perfettamente unificati dall’immaginazione, che unifica i contraddittori. – Il non-io stesso è un prodotto dell’io autodeterminantesi e non è alcunché di assoluto e di posto al di fuori dell’io. Un io che si ponga come ponente se stesso, ovvero un soggetto, non è possibile senza un oggetto prodotto nel modo descritto (la determinazione dell’io, la sua riflessione su se stesso come un termine determinato è possibile soltanto a condizione che si delimiti mediante un termine contrapposto). – Puramente e semplicemente non è qui il luogo ove trovar risposta alla domanda: come e per quale tramite accade nell’io l’urto che va assunto ai fini di spiegare la rappresentazione? Tale interrogativo è situato, infatti, al di fuori dei confini della parte teoretica della dottrina della scienza. 3) La proposizione posta a capo dell’intera parte teoretetica della dottrina della scienza: l’io si pone come determinato dal non-io, è completamente esaurita e tutte le contraddizioni che vi sono comprese sono superate. L’io non può porsi altrimenti che determinato dal non-io (nessun oggetto, nessun soggetto). In questo riguardo esso si pone come determinato. Nello stesso tempo l’io si pone anche in quanto determinante, essendo suo proprio prodotto ciò che nel non-io traccia il confine (nessun soggetto, nessun oggetto). – Non soltanto la richiesta azione reciproca è possibile, ma altresì ciò che viene richiesto dal postulato enunciato non è affatto pensabile senza una tale azione reciproca. Quanto prima era valido in modo semplicemente problematico riveste ora certezza apodittica. – Così facendo è poi ad un tempo dimostrato che la parte teoretica della dottrina della scienza è perfettamente compiuta: compiuta è, infat-
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beschlossen, deren Grundsatz erschöpft ist; der Grundsatz aber ist erschöpft, wenn man im Gange der Untersuchung auf denselben zurückkommt. 4) Soll der theoretische Teil der Wissenschaftslehre erschöpft sein, so müssen alle zur Erklärung der Vorstellung nötige Momente aufgestellt und begründet sein; und wir haben demnach von nun an nichts weiter zu tun, als das bis jetzt erwiesne anzuwenden, und zu verbinden. Aber ehe wir diesen Weg antreten, ist es nützlich, und von wichtigen Folgen für die vollkommne Einsicht in die gesamte Wissenschaftslehre, über ihn selbst zu reflektieren. 5) Unsere Aufgabe war, zu untersuchen, ob, und mit welchen Bestimmungen der problematisch aufgestellte Satz: das Ich setzt sich, als bestimmt durch das NichtIch, denkbar wäre. Wir haben es mit allen möglichen durch eine systematische Deduktion erschöpften Bestimmungen desselben versucht; haben durch Absonderung des Unstatthaften und Undenkbaren das Denkbare in einen immer engeren Zirkel gebracht, und so Schritt vor Schritt uns der Wahrheit immermehr genähert, bis wir endlich die einzige mögliche Art zu denken, was gedacht werden soll, aufgefunden. Ist nun jener Satz überhaupt d. i. ohne die besondern Bestimmungen, die er jetzt erhalten hat, wahr – daß er es sei, ist ein auf den höchsten Grundsätzen beruhendes Postulat – ist er, kraft der gegenwärtigen Deduktion, nur auf diese eine Art wahr: so ist das Aufgestellte zugleich ein ursprünglich in unserm Geiste vorkommendes Faktum. – Ich mache [363] mich deutlicher. Alle im Verlauf unsrer Untersuchung aufgestellten Denkmöglichkeiten, die wir uns dachten, die wir uns mit Bewußtsein unsers Denkens derselben dachten, waren auch Fakta unsers Bewußtseins, inwiefern wir philosophierten; aber es waren durch die Spontaneität unsers
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ti, ogni scienza il cui principio fondamentale è esaurito; ma il principio fondamentale è esaurito se, nell’andamento della ricerca, vi si fa ritorno. 4) Se la parte teoretica della dottrina della scienza dev’essere esaurita, allora tutti i momenti necessari per spiegare la rappresentazione devono essere stabiliti e fondati, e pertanto d’ora in avanti non dobbiamo far nulla di più che applicare e collegare quanto sin qui dimostrato. Tuttavia, prima di intraprendere questa strada, è utile e pregno di rilevanti conseguenze per la piena intelligibilità di tutta la dottrina della scienza riflettere proprio su di essa. 5) Il nostro compito consisteva nell’esaminare se e con quali determinazioni fosse pensabile la proposizione enunciata in via problematica: l’io si pone come determinato dal non-io. Abbiamo cercato di farlo esaurendo mediante una deduzione sistematica tutte le determinazioni possibili di questa proposizione; abbiamo condotto il pensabile entro un circolo sempre più ristretto, eliminando l’inconsistente e l’impensabile, e in tal modo, passo dopo passo, ci siamo vieppiù avvicinati alla verità, sinché alla fine abbiamo scoperto l’unico possibile modo di pensare ciò che deve essere pensato. Ora, se quella proposizione in generale, vale a dire senza le determinazioni particolari che attualmente ha ottenuto, è vera – il fatto che lo sia è un postulato che poggia sui più alti principi –, è vera in forza della presente deduzione soltanto in quest’unico modo: così ciò che è stato enunciato è nel contempo un fatto che ricorre originariamente nel nostro spirito. – Mi chiarisco. Tutte le possibilità di pensare formulate nel corso della nostra ricerca, che pensavamo con la coscienza del nostro pensarle, erano altresì fatti della nostra coscienza in quanto filosofavamo, ma erano fatti prodotti artificialmente
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Reflexionsvermögens nach den Regeln der Reflexion künstlich hervorgebrachte Fakta. Die jetzt aufgestellte, nach Absonderung alles erwiesen falschen, einig übrigbleibende Denkmöglichkeit, ist zuvörderst auch ein solches durch Spontaneität künstlich hervorgebrachtes Faktum; es ist dies, insofern es vermittelst der Reflexion zum Bewußtsein (des Philosophen) erhoben worden ist; oder noch eigentlicher, das Bewußtsein jenes Faktums ist ein durch Kunst hervorgebrachtes Faktum. Nun soll aber der unsrer Untersuchung an die Spitze gestellte Satz wahr sein, d. i. es soll ihm in unserm Geiste etwas korrespondieren; und er soll nur auf die eine aufgestellte Art wahr sein können, mithin muß unserm Gedanken von dieser Art etwas in unserm Geiste ursprünglich, unabhängig von unsrer Reflexion Vorhandnes, entsprechen; und in diesem höhern Sinne des Wortes nenne ich das Aufgestellte ein Faktum, in welchem es die übrigen angeführten Denkmöglichkeiten nicht sind. (Z. B. die realistische Hypothese, daß etwa der Stoff der Vorstellung von außen her gegeben sein möchte, kam im Verlaufe unsrer Untersuchung allerdings vor; sie mußte gedacht werden, und der Gedanke derselben war ein Faktum des reflektierenden Bewußtseins; aber wir fanden bei näherer Untersuchung, daß eine solche Hypothese dem aufgestellten Grundsatze widerspräche, weil dasjenige, dem ein Stoff von außen gegeben würde, gar kein Ich sein würde, wie es doch laut der Forderung sein soll, sondern ein Nicht-Ich; daß mithin einem solchen Gedanken gar nichts außer ihm korrespondieren könne, daß er völlig leer, und als Gedanke eines transzendenten, nicht aber transzendentalen Systems zu verwerfen sei). Noch ist im Vorbeigehen das mit anzumerken, daß in einer Wissenschaftslehre allerdings Fakta aufgestellt werden, wodurch sich dieselbe als System eines reellen
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mediante la spontaneità della nostra facoltà di riflettere, stando alle regole della riflessione. Eliminate tutte quelle dimostratesi false, la sola possibilità restante ora enunciata è in primo luogo un fatto simile, prodotto artificialmente mediante spontaneità104, e lo è in quanto è stata elevata alla coscienza (del filosofo) grazie alla riflessione; oppure, ancor più propriamente, la coscienza di quel fatto è un fatto prodotto con artificio. Ebbene, la proposizione posta al vertice della nostra ricerca dev’essere tuttavia vera, vale a dire che qualcosa deve corrisponderle nel nostro spirito, e deve poter essere vera soltanto nell’unico modo stabilito. Di conseguenza qualcosa, presente originariamente nel nostro spirito e indipendentemente dalla nostra riflessione, deve corrispondere alla nostra idea di questo modo; in tale più alto senso del termine io chiamo quello enunciato un fatto, senso nel quale non rientrano tutte le restanti possibilità di pensiero che abbiamo addotto (per es. nel corso della nostra ricerca compariva l’ipotesi realistica che in qualche modo la materia della rappresentazione possa essere data dall’esterno: essa doveva essere pensata e il suo pensiero era un fatto della coscienza riflettente, ma operando un’indagine più stringente trovammo che una tale ipotesi contraddiceva il principio fondamentale enunciato, perché ciò a cui fosse data una materia dall’esterno sarebbe un non-io e nient’affatto un io, come invece dev’essere secondo la richiesta; trovammo conseguentemente che a un tale pensiero non può corrispondere proprio nulla che gli sia esterno, che esso è totalmente vuoto e va rigettato come pensiero di un sistema non trascendentale bensì trascendente). Di sfuggita va ancora osservato che veramente in una dottrina della scienza sono stabiliti ed enunciati fatti, per cui essa stessa, in quanto sistema di un pensiero
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Denkens von aller leeren Formular-Philosophie unterscheidet; daß es aber in ihr nicht erlaubt sei, etwas als Faktum geradezu zu postulieren, sondern daß der Beweis geführt werden müsse, daß etwas ein Faktum sei, wie er in gegenwärtigem Falle geführt worden ist. Berufung auf Fakta, die innerhalb des Umfangs des gemeinen, durch keine philosophische Reflexion geleiteten Bewußtseins liegen, bringt, wenn man nur konsequent ist, und die Resultate, die herauskommen sollen, nicht schon vor sich liegen hat, nichts hervor, als eine [364] täuschende Popular-Philosophie, die keine Philosophie ist. Sollen aber die aufgestellten Fakta außerhalb jenes Umfangs liegen, so muß man ja wohl wissen, wie man zu der Überzeugung gelangt ist, daß sie als Fakta vorhanden; und man muß ja wohl diese Überzeugung mitteilen können, und eine solche Mitteilung jener Überzeugung ist ja wohl der Beweis, daß jene Fakta Fakta sind. 6) Aller Erwartung nach muß jenes Faktum Folgen in unserm Bewußtsein haben: Soll es ein Faktum im Bewußtsein eines Ich sein, so muß zuvörderst das Ich dasselbe als in seinem Bewußtsein vorhanden, setzen; und da dies seine Schwierigkeiten haben, nur auf eine gewisse Art möglich sein dürfte, so läßt sich vielleicht die Art, wie es dasselbe in sich setzt, aufzeigen. – Um es deutlicher auszudrücken – das Ich muß sich jenes Faktum erklären; aber es kann dasselbe sich nicht anders erklären, als nach den Gesetzen seines Wesens, welches die gleichen Gesetze sind, nach denen auch unsre bisherige Reflexion angestellt worden. Diese Art des Ich, jenes Faktum in sich zu bearbeiten, zu modifizieren, zu bestimmen, sein ganzes Verfahren mit demselben, ist von nun an der Gegenstand unsrer philosophischen Reflexion. – Es ist klar, daß von diesem Punkte an diese ganze Reflexion auf einer ganz andern Stufe stehe, und eine ganz andere Bedeutung habe. 7) Diese vorhergehende Reihe der Reflexion, und die künftige sind zuvörderst unterschieden ihrem Gegen-
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reale, si differenzia da ogni vuota filosofia fatta di formule; eppure ‹va osservato› che in essa non è consentito postulare qualcosa addirittura quale fatto, bensì dev’essere fornita la prova che qualcosa è un fatto, com’è stata addotta nel caso presente. Il richiamo a fatti che giacciono entro l’ambito della coscienza comune, non guidata da alcuna riflessione filosofica, anche se si è coerenti e non si possiedono già, di fronte a sé, gli esiti che devono risultare, non produce nulla se non un’illusoria filosofia popolare la quale non è affatto filosofia. Se invece i fatti enunciati devono situarsi al di fuori di quell’ambito, allora si deve anzi ben sapere come ci si è persuasi che essi sono disponibili in quanto fatti e si deve perfino poter ben comunicare questa convinzione; comunicare quella persuasione è certo la prova che quei fatti sono fatti. 6) Stante ogni aspettativa, quel fatto deve avere delle conseguenze nella nostra coscienza: se dev’esserci un fatto nella coscienza di un io, di necessità allora l’io stesso deve porlo in primo luogo come disponibile nella sua coscienza e sebbene ciò potrebbe comportare le sue difficoltà ed essere possibile soltanto in un certo modo, così è possibile forse indicare come esso stesso lo pone in sé. – Per esprimerci con maggior chiarezza: l’io deve spiegarsi quel fatto, tuttavia non può spiegarselo altrimenti che conformemente alle leggi della sua essenza, che sono le stesse leggi secondo le quali anche la nostra riflessione è stata sinora svolta. Questo modo dell’io di elaborare, modificare, determinare quel fatto in sé, l’intero metodo con cui procede nei suoi confronti, è d’ora in poi l’oggetto della nostra riflessione filosofica. – È chiaro che, di qui in poi, tutta questa riflessione si situa su di un piano affatto diverso e ha un diversissimo significato. 7) La precedente serie della riflessione e quella che sta per venire differiscono, in primo luogo, quanto al
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stande nach. In der bisherigen wurde reflektiert über Denkmöglichkeiten. Die Spontaneität des menschlichen Geistes war es, welche den Gegenstand der Reflexion sowohl, – eben jene Denkmöglichkeiten, jedoch nach den Regeln eines erschöpfenden synthetischen Systems, – als die Form der Reflexion, die Handlung des Reflektierens selbst, hervorbrachte. Es fand sich, daß das, worüber sie reflektierte, zwar etwas Reelles in sich enthielt, das aber mit leerem Zusatz vermischt war, der allmählich abgesondert werden mußte, bis das für unsere Absicht, d. i. für die theoretische Wissenschaftslehre, hinlänglich Wahre, allein übrig blieb. – In der künftigen Reflexionsreihe wird reflektiert über Fakta; der Gegenstand dieser Reflexion ist selbst eine Reflexion; nämlich die Reflexion des menschlichen Geistes über das in ihm nachgewiesne Datum: (das freilich bloß als Gegenstand dieser Reflexion des Gemüts über dasselbe ein Datum genannt werden darf, denn außerdem ist es ein Faktum). Mithin wird in der künftigen Reflexionsreihe der Gegenstand der Reflexion nicht erst durch die gleiche Reflexion selbst hervorgebracht, sondern bloß zum Bewußtsein erhoben. – Es geht daraus zugleich hervor, daß wir es [365] von nun an nicht mehr mit bloßen Hypothesen zu tun haben, in denen der wenige wahre Gehalt von dem leeren Zusatze erst geschieden werden muß; sondern daß allem, was von nun an aufgestellt wird, mit völligem Rechte Realität zuzuschreiben sei. – Die Wissenschaftslehre soll sein eine pragmatische Geschichte des menschlichen Geistes. Bis jetzt haben wir gearbeitet, um nur erst einen Eingang in dieselbe zu gewinnen; um nur erst ein unbezweifeltes Faktum aufweisen zu können. Wir haben dieses Faktum; und von nun an darf unsre, freilich nicht blinde sondern experimentierende Wahrnehmung, ruhig dem Gange der Begebenheiten nachgehen.
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loro oggetto. In quella ora conclusasi riflettemmo sulle possibilità di pensare. La spontaneità dello spirito umano era ciò che produceva tanto l’oggetto della riflessione – appunto quelle possibilità di pensare, tuttavia secondo le regole di un esauriente sistema sintetico – , quanto la forma della riflessione, l’azione stessa del riflettere. Si vide che ciò su cui la spontaneità rifletteva conteneva qualcosa di bensì reale in sé, che tuttavia era mischiato con una vuota argomentazione aggiuntiva che gradualmente doveva esserne separata, finché restasse esclusivamente ciò che era sufficientemente vero per il nostro profilo, cioè per la dottrina della scienza teoretica. – Nella prossima serie della riflessione si riflette su fatti; l’oggetto di questa riflessione è esso stesso una riflessione, ossia la riflessione dello spirito umano sul dato che in esso è stato indicato (che certo può essere chiamato dato semplicemente in quanto oggetto di questa riflessione dell’animo su di esso, essendo al di fuori di ciò un fatto). Nella prossima serie della riflessione l’oggetto non è, conseguentemente, prodotto dalla riflessione stessa ma solamente elevato a coscienza. – Da ciò risulta nel contempo che, di qui in poi, non avremo più a che fare con mere ipotesi nelle quali il poco contenuto di verità dev’essere anzitutto separato dalla vuota argomentazione aggiuntiva, invece attribuiremo realtà, con pieno diritto, a tutto quanto d’ora innanzi sarà stabilito. – La dottrina della scienza dev’essere una storia pragmatica dello spirito umano. Finora abbiamo lavorato soltanto per ottenervi anzitutto un accesso, soltanto per essere anzitutto in grado di indicare un fatto indubitabile. Possediamo questo fatto: il nostro svolgere osservazioni, sicuramente non cieco bensì sperimentante, può d’ora in poi seguire il corso degli eventi, in tutta tranquillità.
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8) Beide Reihen der Reflexion sind verschieden ihrer Richtung nach. – Man abstrahiere vorläufig gänzlich von der künstlichen philosophischen Reflexion, und bleibe bloß bei der ursprünglich notwendigen Reflexion stehen, die der menschliche Geist über jenes Faktum anstellen soll (und welche von nun an der Gegenstand einer höhern philosophischen Reflexion sein wird). Es ist klar, daß derselbe menschliche Geist nach keinen andern Gesetzen über das gegebne Faktum reflektieren könne, als nach denjenigen, nach welchen es gefunden ist, mithin nach denjenigen, nach denen unsre bisherige Reflexion sich gerichtet hat. Diese Reflexion ging aus vom Satze: das Ich setzt sich, als bestimmt durch das Nicht-Ich, und beschrieb ihren Weg bis zum Faktum; die gegenwärtige natürliche, und als notwendiges Faktum aufzustellende Reflexion geht aus von dem Faktum, und, da die Anwendung der aufgestellten Grundsätze nicht eher beschlossen sein kann, bis jener Satz selbst als Faktum sich bewähre, (bis das Ich sich setze, als sich setzend bestimmt durch das Nicht-Ich) muß sie fortgehen bis zum Satze. Mithin beschreibt sie den ganzen Weg, den jene beschrieben hat, aber in umgekehrter Richtung; und die philosophische Reflexion, die jener bloß folgen kann, aber ihr kein Gesetz geben darf, nimmt notwendig die gleiche Richtung. 9) Nimmt von jetzt an die Reflexion die umgekehrte Richtung, so ist das aufgestellte Faktum zugleich der Punkt der Rückkehr für die Reflexion; es ist der Punkt, in welchem zwei ganz verschiedne Reihen verknüpft sind, und in welchem das Ende der einen sich an den Anfang der zweiten anschließt. In ihm muß demnach der Unterscheidungsgrund der bisherigen Folgerungsart von der nunmehr gültigen liegen. – Das Verfahren war synthetisch, und bleibt es durchgängig: das aufgestellte Faktum ist selbst eine Synthesis. In dieser Synthesis sind zuvörderst vereinigt zwei Entgegenge-
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8) Quanto alla loro direzione, le due serie della riflessione sono diverse. – Per l’intanto, si astragga completamente dalla riflessione filosofica artificiale e ci si soffermi soltanto sulla riflessione originariamente necessaria che lo spirito umano deve svolgere in merito a quel fatto (e che di qui in poi costituirà l’oggetto di una riflessione filosofica superiore). È chiaro che lo spirito umano stesso non può riflettere sul fatto dato secondo leggi diverse da quelle grazie a cui è stato trovato, quindi attenendosi a quelle secondo le quali si è orientata finora la nostra riflessione. Tale riflessione mosse dalla proposizione: l’io si pone come determinato dal non-io, e descrisse il suo percorso sino a questo fatto; la presente riflessione naturale, che va formulata come fatto necessario, muove da tale fatto e, poiché i principi fondamentali stabiliti non possono essere applicati prima di aver dimostrato che quella stessa proposizione è un fatto (ossia sino a che l’io si ponga come ponentesi determinato dal non-io), questa riflessione deve proseguire fino alla proposizione. Perciò essa ripercorre l’intero tragitto che quella ha descritto, ma nella direzione inversa e la riflessione filosofica, che può semplicemente seguire la nuova riflessione senza poterle però imporre alcuna legge, prende necessariamente l’identica direzione. 9) Se d’ora innanzi la riflessione assume la direzione inversa, allora il fatto enunciato è insieme il punto di ritorno per la riflessione105; è il punto in cui due serie interamente differenti si congiungono e nel quale la fine dell’una si collega all’inizio dell’altra. In esso deve pertanto trovarsi il fondamento che distingue la modalità argomentativa fin qui seguita da quella valida d’ora in poi. – Il metodo con cui si procedeva era sintetico e così generalmente si continua: il fatto enunciato è esso stesso una sintesi. In tale sintesi sono unificati anzitutto i due termini contrapposti per
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setzte aus der ersteren Reihe; [366] welches demnach das Verhältnis dieser Synthesis zur ersten Reihe wäre. – In der gleichen Synthesis müssen nun auch liegen zwei Entgegengesetzte für die zweite Reihe der Reflexion zu einer möglichen Analyse, und daraus erfolgenden Synthesis. Da in der Synthesis nicht mehr als zwei Entgegengesetzte vereinigt sein können; so müssen die in ihr als Ende der ersten Reihe Vereinigten ebendieselben sein, die zum Behuf des Anfangs einer zweiten Reihe wieder getrennt werden sollen. Aber wenn dies sich ganz so verhält, so ist diese zweite Reihe gar keine zweite; es ist die bloß umgekehrte erste, und unser Verfahren ist ein bloß wiederholendes Auflösen, welches zu nichts dient, unsre Kenntnis um nichts vermehrt, und uns um keinen Schritt weiter bringt. Mithin müssen die Glieder der zweiten Reihe, insofern sie das sind, von denen der ersten Reihe, wenn es auch die gleichen sind, doch in irgend etwas verschieden sein; und diese Verschiedenheit können sie bloß und lediglich vermittelst der Synthesis, und gleichsam im Durchgehen durch dieselbe erhalten haben. – Es ist der Mühe wert, und verbreitet das hellste Licht, über den wichtigsten, und charakteristischen Punkt des gegenwärtigen Systems, diese Verschiedenheit der entgegengesetzten Glieder, insofern sie Glieder der ersten, oder der zweiten Reihe sind, recht kennen zu lernen. 10) Die Entgegengesetzten sind in beiden Füllen ein Subjektives und ein Objektives; aber sie sind als solche, vor der Synthesis, und nach ihr auf eine sehr verschiedne Art im menschlichen Gemüte. Vor der Synthesis sind sie bloß Entgegengesetzte, und nichts weiter; das eine ist, was das andre nicht ist, und das andre, was das eine nicht ist; sie bezeichnen ein bloßes Verhältnis, und weiter nichts. Sie sind etwas Negatives, und schlechthin nichts Positives (gerade wie im obigen Beispiele Licht, und Finsternis in Z wenn dasselbe als bloß gedachte
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mezzo della prima serie, il che costituirebbe pertanto il rapporto di questa sintesi alla prima serie. – Ora, nella stessa sintesi devono esserci altresì due termini contrapposti per la seconda serie della riflessione, in ordine a una possibile analisi e alla conseguente sintesi. Poiché nella sintesi non possono essere unificati più di due opposti, quelli in essa unificati in quanto fine della prima serie devono essere esattamente gli stessi che vanno nuovamente separati per iniziare una seconda serie. Tuttavia, se le cose stanno proprio così, allora questa seconda serie non è affatto seconda, è la prima semplicemente invertita e il metodo con cui procediamo è una soluzione meramente replicata, che non serve a nulla, in nulla accresce la nostra conoscenza e non ci fa avanzare neanche di un passo. Ne consegue che i termini della seconda serie, in quanto sono tali, devono diversificarsi in qualcosa da quelli della prima, seppure siano loro identici, e possono aver ricevuto questa diversità puramente ed esclusivamente ad opera della sintesi e, per dir così, attraversandola. – Imparare a riconoscere con esattezza questa diversità dei termini contrapposti, in quanto sono termini della prima o della seconda serie, è ciò per cui vale la pena di sforzarsi e che diffonde la più luminosa luce sul punto di massima importanza e caratteristico del presente sistema. 10) I termini contrapposti, in entrambi i casi, sono uno soggettivo e uno oggettivo, ma nell’animo umano si presentano come tali in una maniera assai differente prima della sintesi e dopo di essa. Prima della sintesi sono semplicemente contrapposti e nient’altro: l’uno è ciò che non è l’altro e quest’ultimo è ciò che il primo non è; designano un puro e semplice rapporto e nulla di più. Sono un qualcosa di negativo e in assoluto niente di positivo (proprio come nell’esempio precedente, luce e oscurità in Z allorché questo è conside-
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Grenze betrachtet wird). Sie sind ein bloßer Gedanke ohne alle Realität; noch dazu der Gedanke einer blossen Relation. – So wie eins eintritt, ist das andre vernichtet; aber da dieses eine bloß unter dem Prädikate des Gegenteils vom andern eintreten kann, mithin mit seinem Begriffe der Begriff des andern zugleich eintritt, und es vernichtet, kann selbst dieses eine nicht eintreten. Mithin ist gar Nichts vorhanden, und es kann Nichts vorhanden sein; unser Bewußtsein wird nicht gefüllt, und es ist in ihm absolut Nichts vorhanden. (Allerdings hätten wir auch alle bisherige Untersuchungen ohne eine wohltätige Täuschung der Einbildungskraft, die unvermerkt jenen bloß Entgegengesetzten ein Substrat unterschob, gar nicht vornehmen können; wir hätten über sie nicht denken können, denn sie waren absolut Nichts, und über [367] Nichts kann man nicht reflektieren. Diese Täuschung war nicht abzuhalten, und sollte nicht abgehalten werden; ihr Produkt sollte nur von der Summe unsrer Folgerungen abgerechnet, und ausgeschlossen werden, wie wirklich geschehen ist). Nach der Synthesis sind sie etwas, das sich im Bewußtsein auffassen, und festhalten läßt, und welches gleichsam dasselbe füllt. (Sie sind für die Reflexion, mit Vergünstigung, und Erlaubnis der Reflexion, was sie vorher freilich auch, aber unvermerkt, und mit stetem Einspruch derselben waren). Gerade wie oben Licht, und Finsternis in Z als der durch die Einbildungskraft zu einem Momente ausgedehnten Grenze allerdings etwas waren, das sich nicht absolut vernichtete. Diese Verwandlung geht mit ihnen vor, gleichsam indem sie durch die Synthesis hindurch gehen, und es muß gezeigt werden, wie, und auf welche Art die Synthesis ihnen etwas mitteilen könne, das sie vorher nicht hatten. – Das Vermögen der Synthesis hat die
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rato quale limite semplicemente pensato). Sono un mero pensiero senza la benché minima realtà e per di più il pensiero di una pura e semplice relazione. – Non appena l’uno sopraggiunge, l’altro è annientato; ma poiché quest’uno può sopravvenire puramente sotto il predicato di termine contrario all’altro, e di conseguenza con il suo concetto subentra ad un tempo il concetto dell’altro e lo annienta, questo stesso primo termine non può sopraggiungere. Dunque, non v’è assolutamente nulla, né può esservi, di disponibile al presente, la nostra coscienza non è colma e in essa non è disponibile assolutamente nulla. (A dire il vero, senza una benefica illusione prodotta dall’immaginazione, che a nostra insaputa attribuiva un sostrato a quei termini meramente contrapposti, non avremmo in alcun modo potuto intraprendere tutte le ricerche fin qui condotte: non avremmo potuto pensare gli opposti, perché essi erano assolutamente nulla e sul nulla non si può riflettere. Questa illusione non poteva e non doveva essere evitata; il suo prodotto doveva soltanto essere sottratto ed escluso dalla somma delle nostre inferenze, come in effetti è accaduto). Dopo la sintesi i termini contrapposti sono qualcosa che si può comprendere e mantener saldi nella coscienza e che in un certo senso la colma. (Per la riflessione, con il favore e l’autorizzazione della riflessione, essi sono ciò che erano certo anche prima ma in modo inavvertito e con incessante protesta della riflessione stessa). Esattamente come sopra luce e oscurità in Z, in quanto confine esteso dall’immaginazione a un momento, erano veramente qualcosa che non si annientava assolutamente. Questa trasformazione ha luogo con essi proprio mentre, per dir così, attraversano la sintesi e si deve mostrare come e in qual modo la sintesi possa comunicare loro qualcosa che precedentemente non aveva-
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Aufgabe die Entgegengesetzten zu vereinigen, als Eins zu denken, (denn die Forderung ergeht zunächst, gerade wie vorher immer, an das Denkvermögen). Dies vermag sie nun nicht; dennoch aber ist die Aufgabe da; und es entsteht daher ein Streit zwischen dem Unvermögen, und der Forderung. In diesem Streite verweilt der Geist, schwebt zwischen beiden; schwebt zwischen der Forderung, und der Unmöglichkeit, sie zu erfüllen, und in diesem Zustande, aber nur in diesem, hält er beide zugleich fest, oder, was das gleiche heißt, macht sie zu solchen, die zugleich aufgefaßt, und festgehalten werden können – gibt dadurch, daß er sie berührt, und wieder von ihnen zurückgetrieben wird, und wieder berührt, ihnen im Verhältnis auf sich einen gewissen Gehalt, und eine gewisse Ausdehnung (die zu seiner Zeit als Mannigfaltiges in der Zeit, und im Raume sich zeigen wird). Dieser Zustand heißt der Zustand des Anschauens. Das in ihm tätige Vermögen ist schon oben produktive Einbildungskraft genannt worden. 11) Wir sehen, daß gerade derjenige Umstand, welcher die Möglichkeit einer Theorie des menschlichen Wissens zu vernichten drohte, hier die einzige Bedingung wird, unter der wir eine solche Theorie aufstellen können. Wir sahen nicht ab, wie wir jemals absolut Entgegengesetzte sollten vereinigen können; hier sehen wir, daß eine Erklärung der Begebenheiten in unserm Geiste überhaupt gar nicht möglich sein würde, ohne absolut Entgegengesetzte; da dasjenige Vermögen, auf welchem alle jene Begebenheiten beruhen, die produktive Einbildungskraft, gar nicht möglich sein würde, wenn nicht absolut Entgegen-[368]gesetzte, nicht zu Vereinigende, dem Auffassungsvermögen des Ich völlig Unangemessene, vorkämen. Und dies dient denn zugleich zum einleuchtenden Beweise, daß unser System richtig ist, und daß es das zu Erklärende
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no. – La facoltà della sintesi ha il compito di unificare i termini contrapposti, di pensarli come un’unica cosa (infatti, l’esigenza investe in primo luogo, proprio com’era sempre accaduto prima, la facoltà di pensare). Ora, ciò non le è possibile e purtuttavia rimane il compito da assolvere e ne scaturisce pertanto un contrasto tra l’incapacità e l’esigenza. In tale conflitto lo spirito si trattiene indugiando, oscilla fra i due opposti, tra incapacità ed esigenza di realizzarli, e in questo stato, tuttavia in questo soltanto, li tiene tutt’e due fermi ad un tempo, ossia, il che è lo stesso, li rende tali che essi possono venire insieme colti e tenuti fermi – ed entrando in contatto con essi e venendone respinto nuovamente e nuovamente entrando in contatto, dà ad essi in rapporto a sé un certo contenuto ed una certa estensione (che a tempo debito si mostrerà come un molteplice nel tempo e nello spazio). Questo stato si chiama lo stato dell’intuire. La facoltà in esso attiva è già stata più sopra chiamata immaginazione produttiva. 11) Vediamo che esattamente quella circostanza che minacciava di annientare la possibilità di una teoria del sapere umano diviene qui l’unica condizione alla quale possiamo stabilire una tale teoria. Non capivamo, osservando, come mai dovessimo poter unificare termini assolutamente contrapposti: qua vediamo che una spiegazione degli eventi nel nostro spirito in generale non sarebbe affatto possibile senza termini assolutamente contrapposti, giacché la facoltà sulla quale poggiano tutti quegli eventi, l’immaginazione produttiva, non sarebbe in alcun modo possibile se non comparissero termini assolutamente contrapposti, non unificabili, totalmente inappropriati alla facoltà di comprensione dell’io. E ciò poi serve nel contempo a dimostrare in modo lampante che il nostro sistema è esatto e che spiega esaurientemente
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erschöpfend erklärt. Das Vorausgesetzte läßt sich nur durch das Gefundne, und das Gefundne läßt sich nur durch das Vorausgesetzte erklären. Eben aus dem absoluten Entgegengesetztsein erfolgt der ganze Mechanismus des menschlichen Geistes; und dieser ganze Mechanismus läßt sich nicht anders erklären, als durch ein absolutes Entgegengesetztsein. 12) Zugleich wird hier völliges Licht über eine schon oben geschehene, aber noch nicht völlig aufgeklärte Äußerung verbreitet; wie nämlich Idealität, und Realität Eins, und Ebendasselbe sein können; wie beide nur durch die verschiedne Art sie anzusehen, verschieden seien, und von dem einen auf das andre sich folgern lasse. – Die absolut Entgegengesetzten (das endliche Subjektive, und das unendliche Objektive) sind vor der Synthesis etwas bloß Gedachtes, und, wie wir das Wort hier immer genommen haben, Ideales. Sowie sie durch das Denkvermögen vereinigt werden sollen, und nicht können, bekommen sie durch das Schweben des Gemüts, welches in dieser Funktion Einbildungskraft genannt wird, Realität, weil sie dadurch anschaubar werden: d. i. sie bekommen Realität überhaupt; denn es gibt keine andre Realität, als die vermittelst der Anschauung, und kann keine andre geben. Sowie man von dieser Anschauung wieder abstrahiert, welches man für das bloße Denkvermögen, nicht aber für das Bewußtsein überhaupt (SS. 424-26) allerdings kann, wird jene Realität wieder etwas bloß Ideales; sie hat bloß ein, vermöge der Gesetze des Vorstellungsvermögens, entstandnes Sein. 13) Es wird demnach hier gelehrt, daß alle Realität – es versteht sich für uns, wie es denn in einem System der Transzendental-Philosophie nicht anders verstanden werden soll – bloß durch die Einbildungskraft hervorgebracht werde. Einer der größten Denker unsers Zeitalters, der, so viel ich einsehe, das gleiche lehrt, nennt dies eine Täuschung durch die Einbildungskraft.
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ciò che va spiegato. Quel che è presupposto è spiegabile soltanto con quanto è trovato e quel che è trovato con quanto è presupposto. L’intero meccanismo dello spirito umano deriva proprio dall’assoluto essere-contrapposto e tutto questo meccanismo non è altrimenti spiegabile se non tramite un assoluto essere-contrapposto. 12) Qui, ad un tempo, è stata fatta piena luce su un’affermazione già sostenuta prima ma non ancora pienamente chiarita: come cioè idealità e realtà possano essere un’unica e medesima cosa; come l’una e l’altra si diversifichino soltanto per il diverso modo di considerarle e si possa inferire dall’una all’altra. – I termini assolutamente contrapposti (il soggettivo finito e l’oggettivo infinito) prima della sintesi sono qualcosa di semplicemente pensato e di ideale, nel senso in cui qui abbiamo sempre assunto il termine. Dovendo essere unificati dalla facoltà di pensiero, e non potendolo, gli opposti ricevono realtà dal librarsi dell’animo, che in questa funzione è chiamato immaginazione, perché in tal modo essi divengono intuibili: vale a dire, ottengono realtà in generale, perché non si dà realtà se non mediante l’intuizione e altra non può darsene. Non appena si astrae di nuovo da questa intuizione, il che è possibile per la semplice facoltà di pensare ma non per la coscienza in generale (pagg. 425-27), quella realtà diviene ancora qualcosa di meramente ideale, possiede semplicemente un essere sorto per mezzo delle leggi della facoltà rappresentativa. 13) Pertanto qui s’insegna che ogni realtà – s’intende, per noi, come infatti non è da intendersi altrimenti in un sistema di filosofia trascendentale – è prodotta semplicemente dall’immaginazione. Uno dei massimi pensatori del nostro tempo106, che insegna la stessa cosa, per quanto ne capisca io, chiama ciò un’illusione per opera dell’immaginazione. Ad ogni illusione
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Aber jeder Täu-[369]schung muß sich Wahrheit entgegensetzen, jede Täuschung muß sich vermeiden lassen. Wenn denn nun aber erwiesen wird, wie es im gegenwärtigen Systeme erwiesen werden soll, daß auf jene Handlung der Einbildungskraft die Möglichkeit unsers Bewußtseins, unsers Lebens, unsers Seins für uns, d. h. unsers Seins, als Ich, sich gründet, so kann dieselbe nicht wegfallen, wenn wir nicht vom Ich abstrahieren sollen, welches sich widerspricht, da das abstrahierende unmöglich von sich selbst abstrahieren kann; mithin täuscht sie nicht, sondern sie gibt Wahrheit, und die einzige mögliche Wahrheit. Annehmen, daß sie täusche, heißt einen Skeptizismus begründen, der das eigne Sein bezweifeln lehrt.
Deduktion der Vorstellung. I) Wir setzen uns zuvörderst recht fest auf dem Punkte, bei welchem wir angekommen waren. Auf die ins Unendliche hinausgehende Tätigkeit des Ich, in welcher eben darum, weil sie ins Unendliche hinausgeht, nichts unterschieden werden kann, geschieht ein Anstoß; und die Tätigkeit, die dabei keineswegs vernichtet werden soll, wird reflektiert, nach innen getrieben; sie bekommt die gerad umgekehrte Richtung. Man stelle sich die ins Unendliche hinausgehende Tätigkeit vor unter dem Bilde einer geraden Linie, die von A aus durch B nach C usw. geht. Sie könnte angestoßen werden innerhalb C oder über C hinaus; aber man nehme an, daß sie eben in C angestoßen werde; und davon liegt nach dem Obigen der Grund nicht im Ich, sondern im Nicht-Ich. [370] Unter der gesetzten Bedingung wird die von A nach C gehende Richtung der Tätigkeit des Ich reflektiert von C nach A. Aber auf das Ich kann, so gewiß es nur ein Ich sein soll, gar keine Einwirkung geschehen, ohne daß dasselbe
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deve tuttavia contrapporsi la verità, ogni illusione deve poter essere evitata. Quindi se ora invece si dimostra, come nel presente sistema dev’essere dimostrato, che su quell’azione dell’immaginazione si fonda la possibilità della nostra coscienza, della nostra vita, del nostro essere per noi, cioè del nostro essere in quanto io, allora quest’azione non può venir meno, se noi non dobbiamo fare astrazione dall’io, la qual cosa sarebbe contraddittoria perché quel che fa astrazione non ha la possibilità di astrarre da se stesso; di conseguenza quell’azione non illude bensì dà la verità, e l’unica verità possibile. Assumere che illuda significa fondare uno scetticismo che insegna a dubitare del proprio essere.
Deduzione della rappresentazione I) Anzitutto fissiamo il punto ove siamo giunti. All’attività dell’io procedente all’infinito, nella quale proprio per questo suo proseguire all’infinito nulla può essere distinto, capita un urto e l’attività, che ciò nonostante non deve affatto esser annullata, è riflessa, spinta all’interno: riceve la direzione esattamente opposta. Ci si rappresenti l’attività che prosegue all’infinito con l’immagine di una linea retta che procede da A attraverso B fino a C ecc. Essa potrebbe subire l’urto al di qua di C o al di là di esso, invece si assuma che essa venga urtata proprio in C: il fondamento e la ragione di ciò consistono, secondo quanto detto sopra, non nell’io ma nel non-io. Alla condizione posta, la direzione procedente da A verso C viene riflessa da C verso A. Tuttavia sull’io, se esso dev’essere un io, non può avvenire alcuna azione che produca effetti senza che
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zurückwirkte. Im Ich läßt sich nichts aufheben, mithin auch die Richtung seiner Tätigkeit nicht. Mithin muß die nach A reflektierte Tätigkeit, insofern sie reflektiert ist, zugleich zurückwirken bis C. Und so erhalten wir zwischen A und C eine doppelte mit sich selbst streitende Richtung der Tätigkeit des Ich; in welcher sich die von C nach A als ein Leiden, und die von A nach C als bloße Tätigkeit ansehen läßt; welche beide ein und ebenderselbe Zustand des Ich sind. Dieser Zustand, in welchem völlig entgegengesetzte Richtungen vereinigt werden, ist eben die Tätigkeit der Einbildungskraft; und wir haben jetzt ganz bestimmt das, was wir oben suchten, eine Tätigkeit, die nur durch ein Leiden und ein Leiden, das nur durch eine Tätigkeit möglich ist. – Die zwischen A und C liegende Tätigkeit des Ich ist eine widerstehende Tätigkeit, aber eine solche ist nicht möglich ohne ein Reflektiertsein seiner Tätigkeit; denn alles Widerstehen setzt etwas voraus, dem widerstanden wird: sie ist ein Leiden insofern die ursprüngliche Richtung der Tätigkeit des Ich reflektiert wird: aber es kann keine Richtung reflektiert werden, welche nicht als diese Richtung, und zwar in allen Punkten derselben, vorhanden ist. Beide Richtungen, die nach A und die nach C, müssen zugleich sein, und eben daß sie zugleich sind, löst die obige Aufgabe. Der Zustand des Ich, insofern seine Tätigkeit zwischen A und C liegt, ist ein Anschauen; denn Anschauen ist eine Tätigkeit, die nicht ohne ein Leiden, und ein Leiden, das nicht ohne eine Tätigkeit möglich ist. – Das Anschauen ist jetzt, aber bloß als solches, bestimmt für die philosophische Reflexion; aber noch völlig unbestimmt in Absicht des Subjekts, als Akzidens des Ich, denn dann müßte sich dasselbe von andern
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esso reagisca. Nulla può essere soppresso nell’io, di conseguenza neanche la direzione della sua attività. Quindi l’attività riflessa verso A, in quanto è riflessa, deve insieme reagire fino a C. E così otteniamo tra A e C una duplice, contrastante con se stessa, direzione dell’attività dell’io, in cui quella che va da C verso A si lascia considerare come una passività e quella che va da A verso C come pura e semplice attività; le due sono uno e medesimo stato dell’io. Tale stato, nel quale direzioni completamente contrapposte sono unificate, è precisamente l’attività dell’immaginazione, e noi abbiamo ora in modo del tutto determinato ciò che sopra cercavamo: un’attività che è possibile soltanto tramite passività e una passività che è possibile soltanto mediante attività. – L’attività che sta tra A e C è un’attività resistente, ma un’attività siffatta non è possibile senza un essereriflesso dell’attività dell’io; ogni resistere presuppone infatti qualcosa al quale è fatta resistenza: è una passività, nella misura in cui la direzione originaria dell’attività dell’io viene riflessa, tuttavia nessuna direzione può essere riflessa se essa non è disponibile in quanto è questa direzione, e ciò precisamente in tutti i suoi punti. Le due direzioni, quella verso A e quella verso C, devono sussistere simultaneamente e proprio per il fatto che sussistono insieme il compito di cui sopra è risolto. Lo stato dell’io, in quanto la sua attività sta tra A e C, è un intuire107; intuire è, infatti, un’attività che non è possibile senza una passività, ed è una passività che non è possibile senza un’attività. – A questo punto l’intuire, ma semplicemente in quanto tale, è determinato per la riflessione filosofica: però nella prospettiva del soggetto permane ancora pienamente indeterminato in quanto accidente dell’io, dovrebbe infatti
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Bestimmungen des Ich unterscheiden lassen, was bis jetzt noch nicht möglich ist; und ebenso unbestimmt in Absicht des Objekts, denn dann müßte ein Angeschautes als solches sich unterscheiden lassen von einem nicht angeschauten, welches bis jetzt gleichfalls unmöglich ist. (Es ist klar, daß die ihrer ersten ursprünglichen Richtung zurückgegebne Tätigkeit des Ich auch über C hinausgehe. Insofern sie aber über C hinausgeht, ist sie nicht widerstrebend, weil über C hinaus der Anstoß nicht liegt, mithin auch nicht anschauend. Also ist in C die Anschauung begrenzt, und das An-[371]geschaute begrenzt. Die über C hinausgehende Tätigkeit ist keine Anschauung, und das Objekt derselben kein Angeschautes. Was beides sein möge, werden wir zu seiner Zeit sehen. Hier wollten wir bloß bemerkbar machen, daß wir etwas liegen lassen, was wir einst wieder aufnehmen wollen). II) Das Ich soll anschauen; soll nun das Anschauende nur wirklich ein Ich sein, so heißt dies soviel, als: das Ich soll sich setzen, als anschauend; denn nichts kommt dem Ich zu, als insofern es sich dasselbe zuschreibt. Das Ich setzt sich, als anschauend, heißt zuvörderst: es setzt in der Anschauung sich als tätig. Was es noch weiter heißen möge, wird in der Untersuchung sich von selbst ergeben. Insofern es sich nun in der Anschauung tätig setzt, setzt es sich selbst etwas entgegen, das in derselben nicht tätig, sondern leidend ist. Um in dieser Untersuchung uns zu orientieren, haben wir uns nur an das zu erinnern, was über den Wechsel im Begriffe der Substantialität oben gesagt ist. Beides Entgegengesetzte, die Tätigkeit, und das Leiden sollen sich nicht vernichten und aufheben, sie sollen neben einander bestehen: sie sollen sich bloß gegenseitig ausschließen.
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potersi poi distinguere dalle altre determinazioni dell’io, ciò che al momento non è ancora possibile; e precisamente allo stesso modo permane indeterminato nella prospettiva dell’oggetto, poiché un che di intuito dovrebbe poi, in quanto tale, potersi distinguere da un non-intuito, ciò che finora è parimenti impossibile. (È chiaro che l’attività dell’io, ritornata alla sua prima originaria direzione, prosegue anche oltre C. Tuttavia, in quanto procede oltre C, essa non è resistente, perché oltre C non vi è l’urto e di conseguenza essa non è più nemmeno un’attività intuente. In tal modo in C l’intuizione ha un confine ed ha un confine l’intuito. L’attività proseguente oltre C non è affatto intuizione e il suo oggetto non è un che di intuito. A tempo debito vedremo ciò che tutt’e due possono essere. Qui volevamo semplicemente far rilevare che trascuriamo qualcosa che poi torneremo a prendere in considerazione). II) L’io deve intuire; ebbene, se quel che esercita l’attività intuente dev’essere effettivamente soltanto un io, allora ciò equivale a dire: l’io deve porsi come intuente, nulla infatti giunge all’io se non nella misura in cui esso stesso se lo attribuisce. L’io si pone quale intuente: ciò significa in primo luogo che esso si pone come attivo nell’intuizione. Quanto ancora può ulteriormente significare risulterà da sé nella ricerca. Ora, ponendosi attivo nell’intuizione, contrappone a se stesso qualcosa che in quest’ultima non è attivo bensì passivo. Per orientarci in questa ricerca dobbiamo soltanto ricordarci quanto è stato detto sopra in merito allo scambio reciproco nel concetto di sostanzialità. I due termini contrapposti, l’attività e la passività, non devono annullarsi e sopprimersi, devono sussistere l’uno accanto all’altro: devono semplicemente escludersi a vicenda.
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Es ist klar, daß dem Anschauenden, als Tätigem, entgegengesetzt werden müsse ein Angeschautes. Es fragt sich nur, wie und auf welche Art ein solches Angeschaute gesetzt werden möge. Ein Angeschautes, das dem Ich, dem insofern anschauenden Ich, entgegengesetzt werden soll, ist notwendig ein Nicht-Ich; und hieraus folgt zuvörderst, daß eine ein solches Angeschaute setzende Handlung des Ich keine Reflexion, keine nach innen, sondern eine nach außen gehende Tätigkeit, also, soviel wir bis jetzt einsehen können, eine Produktion sei. Das Angeschaute, als solches, wird produziert. Ferner ist klar, daß das Ich seiner Tätigkeit in dieser Produktion des Angeschauten, als eines solchen, sich nicht bewußt sein könne, darum, weil sie nicht reflektiert, dem Ich nicht zugeschrieben wird. (Nur in der philosophischen Reflexion, die wir jetzt anstellen, und die wir immer sorgfältig von der gemeinen notwendigen zu unterscheiden haben, wird sie dem Ich beigemessen). Das produzierende Vermögen ist immer die Einbildungskraft; also jenes Setzen des Angeschauten geschieht durch die Einbildungskraft, und ist selbst ein Anschauen. Diese Anschauung nun soll einer Tätigkeit in der Anschauung, die das Ich [372] sich selbst zuschreibt, entgegengesetzt sein. Es sollen zugleich in einer und ebenderselben Handlung vorhanden sein eine Tätigkeit des Anschauens, die das Ich vermittelst einer Reflexion sich zuschreibt, und eine andere, die es sich nicht zuschreibt. Die letztere ist ein bloßes Anschauen; die erstere soll es auch sein; aber sie soll reflektiert werden. Es ist die Frage, wie dies geschehe, und was daraus erfolge. Das Anschauen als Tätigkeit hat die Richtung nach C, ist aber lediglich insofern ein Anschauen, als sie der entgegengesetzten Richtung nach A widerstrebt. Widerstrebt sie nicht, so ist sie kein Anschauen mehr, sondern eine Tätigkeit schlechthin. Eine solche Tätigkeit des Anschauens soll reflektiert
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È chiaro che all’intuente, in quanto attivo, dev’essere contrapposto un che d’intuìto. Ci si interroga soltanto su come e in che modo un tale intuìto possa essere posto. Un qualcosa d’intuìto che dev’essere contrapposto all’io, all’io che in quanto a ciò è intuente, è necessariamente un non-io; ne consegue anzitutto che un’azione dell’io ponente un tale intuìto non è riflessione, non è attività diretta all’interno ma verso l’esterno, insomma, per quanto finora possiamo capire, una produzione. L’intuìto, come tale, viene prodotto. Inoltre è chiaro che, in questa produzione dell’intuìto in quanto tale, l’io non può essere consapevole della sua attività per il motivo che essa, non essendo riflessa, non è attribuita all’io. (Quest’attività è attribuita all’io soltanto nella riflessione filosofica, che stiamo svolgendo ora e che dobbiamo sempre distinguere con cura da quella necessariamente ordinaria). La facoltà produttiva è sempre l’immaginazione; dunque quel porre l’intuìto avviene mediante l’immaginazione ed è esso stesso un intuire108. Ora, questa intuizione dev’essere contrapposta a un’attività nell’intuizione, un’attività che l’io attribuisce a se stesso. In una e proprio medesima azione devono essere nel contempo disponibili un’attività intuente, che l’io si ascrive per mezzo di una riflessione e un’altra che non si attribuisce. L’ultima è un puro e semplice intuire; la prima altresì dev’esserlo, però dev’essere riflessa. La questione è da porre in merito a come ciò accada e che cosa ne consegua. In quanto attività, l’intuire ha direzione verso C, è tuttavia un intuire solamente nella misura in cui resiste all’opposta direzione verso A. Se non resiste, non è più un intuire bensì in tutto e per tutto un’attività. Una tale attività dell’intuire dev’essere riflessa, vale a
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werden, d. i. die nach C hin gehende Tätigkeit des Ich (welches immer eine und ebendieselbe Tätigkeit ist) soll, und zwar als einer entgegengesetzten Richtung widerstrebend (denn sonst wäre es nicht diese Tätigkeit, nicht die Tätigkeit des Anschauens) nach A gelenkt werden. Die Schwierigkeit hierbei ist folgende: die Tätigkeit des Ich ist durch den Anstoß von außen schon einmal nach A reflektiert, und jetzt soll sie, und zwar durch absolute Spontaneität (denn das Ich soll sich setzen, als anschauend, schlechthin, weil es ein Ich ist) abermals nach der gleichen Richtung reflektiert werden. Werden nun diese beidesmaligen Richtungen nicht unterschieden; so wird gar keine Anschauung reflektiert, sondern es wird bloß zu wiederholten Malen auf eine und ebendieselbe Art angeschaut, denn die Tätigkeit ist die gleiche; es ist eine und ebendieselbe Tätigkeit des Ich; und die Richtung ist die gleiche von C nach A. Sie müssen demnach, wenn die geforderte Reflexion möglich sein soll, unterschieden werden können; und wir haben, ehe wir weiter gehen können, die Aufgabe zu lösen, wie, und wodurch sie unterschieden werden. III) Wir bestimmen diese Aufgabe näher. – Es läßt sich schon vor der Untersuchung vorher ohngefähr einsehen, wie die erstere Richtung der Tätigkeit des Ich nach A von der zweiten gleichen Richtung unterschieden werden möge. Die erstere nämlich ist durch einen bloßen Anstoß von außen; die zweite wird durch absolute Spontaneität reflektiert. Dies können wir nun wohl von der Stufe unsrer philosophischen Reflexion aus, auf welche wir uns vom Anfange der Untersuchung an willkürlich gestellt haben, erblicken; aber es ist die Aufgabe, eben dies für die Möglichkeit aller philosophischen Reflexion Voraus-[373]gesetzte zu erweisen. Es ist die Frage, wie der menschliche Geist ursprünglich zu jener Unterscheidung zwischen einer Reflexion der Tätigkeit
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dire l’attività dell’io diretta verso C (il quale io109 è sempre una sola e medesima attività) dev’essere condotta verso A, e ciò precisamente in quanto attività resistente alla direzione opposta (altrimenti non sarebbe infatti già questa attività, non l’attività dell’intuire). Riguardo a ciò, la difficoltà è la seguente: l’attività dell’io è già stata riflessa una volta verso A da un urto proveniente dall’esterno e ora dev’essere riflessa di nuovo verso la stessa direzione e, per la precisione, con assoluta spontaneità (l’io deve infatti porsi come intuente, in tutto e per tutto, perché è un io). Ebbene, se l’una e l’altra volta queste due direzioni non vengono distinte, non v’è allora alcuna intuizione che venga riflessa, ma semplicemente si intuisce in un unico, ripetuto e medesimo modo, perché identica è l’attività, la stessa, sola attività dell’io, e medesima è la direzione, da C verso A. Pertanto, se la riflessione richiesta dev’essere possibile, esse devono di necessità potersi distinguere e noi, prima di poter proseguire, dobbiamo risolvere il compito di come e in virtù di cosa esse siano distinte. III) Determiniamo più da vicino questo compito. – Già anticipando la disanima è più o meno intuibile come la prima direzione dell’attività dell’io verso A possa essere distinta dalla seconda ‹pur› identica direzione. Cioè: la prima è riflessa da un puro e semplice urto ‹impresso› dall’esterno, la seconda dall’assoluta spontaneità. Ora, a livello della nostra riflessione filosofica, livello sul quale ci siamo artificiosamente collocati sin dall’inizio della ricerca, ciò lo possiamo ben ravvisare: tuttavia si pone il compito di dimostrarlo propriamente ‹come il› è presupposto per la possibilità di ogni ricerca filosofica110. Si tratta della questione di come lo spirito umano pervenga originariamente a distinguere fra una riflessione dell’attività proveniente dal di fuori e un’altra riflessione proveniente
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von außen, und einer andern von innen komme. Diese Unterscheidung ist es, die als Faktum abgeleitet, und eben durch diese Ableitung erwiesen werden soll. Das Ich soll durch das Prädikat eines anschauenden bestimmt, und dadurch von dem angeschauten unterschieden werden. Dies war die Forderung, von welcher wir ausgingen, und wir konnten von keiner andern ausgehen. Das Ich, als Subjekt der Anschauung, soll dem Objekte derselben entgegengesetzt, und dadurch zu allererst vom Nicht-Ich unterschieden werden. Es ist klar, daß wir in dieser Unterscheidung keinen festen Punkt haben, sondern uns in einem ewigen Zirkel herumdrehen, wenn nicht erst die Anschauung an sich, und als solche, fixiert ist. Erst dann läßt das Verhältnis des Ich sowohl, als des Nicht-Ich zu ihr sich bestimmen. Die Möglichkeit, die oben gegebene Aufgabe zu lösen, hängt demnach von der Möglichkeit ab, die Anschauung selbst, und als solche, zu fixieren. Diese letztere Aufgabe ist gleich der soeben aufgestellten, die erstere Richtung nach A von der zweiten unterscheidbar zu machen; und eine wird durch die andere gelöst. Ist die Anschauung selbst einmal fixiert, so ist in ihr die erstere Reflexion nach A schon enthalten; und ohne Furcht vor der Verwechselung, und dem gegenseitigen Aufheben kann nun, nicht eben die erste Richtung nach A, aber die Anschauung überhaupt, nach A reflektiert werden. Die Anschauung, als solche soll fixiert werden, um als Eins, und ebendasselbe aufgefaßt werden zu können. Aber das Anschauen als solches ist gar nichts Fixiertes, sondern es ist ein Schweben der Einbildungskraft zwischen widerstreitenden Richtungen. Dasselbe soll fixiert werden, heißt: die Einbildungskraft soll nicht länger schweben, wodurch die Anschauung völlig vernichtet, und aufgehoben würde. Das aber soll nicht geschehen; mithin muß wenigstens das Produkt des
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dall’interno. Tale distinzione è ciò che dev’essere dedotto quale fatto e dimostrato appunto tramite questa deduzione. L’io dev’essere determinato dal predicato di un intuente e così facendo dev’essere distinto dall’intuìto. Questa era l’esigenza dalla quale movemmo e da nessun’altra potevamo muovere. In quanto soggetto dell’intuizione, l’io dev’essere contrapposto all’oggetto della medesima e per ciò distinto, primo fra tutti dal non-io. È chiaro che in questa distinzione non possiamo avere alcun punto fermo ma ci rigiriamo in un eterno circolo, se prima non viene fissata l’intuizione in sé e in quanto tale. Soltanto allora si può determinare il rapporto ad essa da parte tanto dell’io quanto del non-io. La possibilità di risolvere il compito sopra assegnato dipende pertanto dalla possibilità di fissare l’intuizione stessa e in quanto tale. Quest’ultimo compito equivale a quello, appena enunciato, di rendere la prima direzione verso A distinguibile dalla seconda, e un compito è risolto mediante l’altro. Una volta fissata l’intuizione stessa, vi è già contenuta la prima riflessione verso A e, senza temere la confusione e la soppressione a vicenda, ora può essere riflessa verso A non appunto la prima direzione, bensì l’intuizione in generale può ora essere riflessa verso A. L’intuizione in quanto tale dev’essere fissata perché possa essere compresa come un’unica e medesima cosa. Eppure, di per sé, l’intuire non è proprio nulla di fissato, bensì è un librarsi e oscillare dell’immaginazione tra direzioni contrastanti. Sostenere che il medesimo dev’essere fissato significa: l’immaginazione non può librarsi più a lungo, per il motivo che con ciò l’intuizione sarebbe completamente annientata e soppressa. Ciò tuttavia non deve accadere, di conseguenza deve rimanere almeno il prodotto dello stato
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Zustandes in der Anschauung, die Spur der entgegengesetzten Richtungen, welche keine von beiden, sondern etwas aus beiden Zusammengesetztes ist, bleiben. Zu einem solchen Fixieren der Anschauung, die erst dadurch eine Anschauung wird, gehört dreierlei. Zuvörderst die Handlung des Fixierens oder Festsetzens. Das ganze Fixieren geschieht zum Behuf der Reflexion durch Spontaneität, es geschieht durch diese Spontaneität der Reflexion selbst, wie sich sogleich zeigen wird; mithin kommt die Handlung des Fixierens zu, dem schlechthin setzenden [374] Vermögen im Ich, oder der Vernunft. – Dann, das Bestimmte oder Bestimmt-Werdende; – und das ist bekanntermaßen die Einbildungskraft, deren Tätigkeit eine Grenze gesetzt wird. – Zuletzt das durch die Bestimmung Entstandne; – das Produkt der Einbildungskraft in ihrem Schweben. Es ist klar, daß wenn das geforderte Festhalten möglich sein solle, es ein Vermögen dieses Festhaltens geben müsse; und ein solches Vermögen ist weder die bestimmende Vernunft, noch die produzierende Einbildungskraft, mithin ist es ein Mittelvermögen zwischen beiden. Es ist das Vermögen worin ein Wandelbares besteht, gleichsam verständigt wird, und heißt daher mit Recht der Verstand. – Der Verstand ist Verstand, bloß insofern etwas in ihm fixiert ist; und alles, was fixiert ist, ist bloß im Verstande fixiert. Der Verstand läßt sich als die durch Vernunft fixierte Einbildungskraft, oder als die durch Einbildungskraft mit Objekten versehne Vernunft beschreiben. – Der Verstand ist ein ruhendes untätiges Vermögen des Gemüts, der bloße Behälter des durch die Einbildungskraft Hervorgebrachten, und durch die Vernunft Bestimmten, und weiter zu Bestimmenden; was man auch von Zeit zu Zeit über die Handlungen desselben erzählt haben mag. (Nur im Verstande ist Realität; er ist das Vermögen des
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nell’intuizione, la traccia delle direzioni contrapposte, che non è alcuna delle due, bensì qualcosa di composto da entrambe. Tre diverse cose appartengono a un tale fissare operato dall’intuizione, la quale diventa un’intuizione soltanto in tal modo. In primo luogo l’azione fissante, ovvero il tener fermo. Nella sua interezza, il fissare avviene tramite spontaneità111 in vista della riflessione, avviene, come si mostrerà subito, mediante questa spontaneità della riflessione stessa; di conseguenza, l’azione fissante spetta alla facoltà dell’io che pone assolutamente, ossia alla ragione. – Secondariamente il determinato, ovvero ciò che viene determinato: e questo è notoriamente l’immaginazione, alla cui attività è posto un confine. – Da ultimo quanto sorge a opera della determinazione: il prodotto dell’immaginazione nel suo oscillare. È chiaro che se il tener fermo che esigiamo dev’essere possibile, di necessità dev’esserci una facoltà di questo tener fermo, e una tale facoltà non è né la ragione determinante né l’immaginazione produttiva, dunque è una facoltà mediana collocata fra l’una e l’altra. È una facoltà in cui un mutevole permane, viene per dir così fatto stare immobile112 e pertanto si chiama, a buon diritto, intelletto. – L’intelletto è intelletto semplicemente nella misura in cui qualcosa è fissato in esso, e tutto ciò che è fissato è fissato soltanto nell’intelletto. L’intelletto si può altresì descrivere come l’immaginazione fissata dalla ragione, ovvero la ragione provvista di oggetti tramite l’immaginazione. – L’intelletto è un’inattiva, quiescente facoltà dell’animo, il mero recipiente di ciò che è prodotto dall’immaginazione e determinato e ancora da determinare dalla ragione, il che può essere stato detto anche, di volta in volta, delle sue azioni. (Soltanto nell’intelletto vi è realtà; esso è la facoltà di
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Wirklichen; in ihm erst wird das Ideale zum Realen: [daher drückt verstehen auch eine Beziehung auf etwas aus, das uns ohne unser Zutun von außen kommen soll]. Die Einbildungskraft produziert Realität; aber es ist in ihr keine Realität; erst durch die Auffassung und das Begreifen im Verstande wird ihr Produkt etwas Reales. – Demjenigen, dessen wir uns als eines Produktes der Einbildungskraft bewußt sind, schreiben wir nicht Realität zu; wohl aber dem, was wir im Verstande, dem wir gar kein Vermögen der Produktion, sondern bloß des Aufbehaltens zuschreiben, als enthalten antreffen. – Es wird sich zeigen, daß man in der Reflexion, vermöge der Gesetze derselben, nur bis auf den Verstand zurückgehen könne, und in diesem dann allerdings etwas der Reflexion Gegebnes, als einen Stoff der Vorstellung, antreffe; der Art aber, wie dasselbe in den Verstand gekommen, sich nicht bewußt werde. Daher unsre feste Überzeugung von der Realität der Dinge außer uns, und ohne alles unser Zutun, weil wir uns des Vermögens ihrer Produktion nicht bewußt werden. Würden wir in der gemeinen Reflexion uns bewußt, wie wir in der philosophischen uns [375] dessen allerdings bewußt werden können, daß sie erst durch die Einbildungskraft in den Verstand kommen, so würden wir wieder alles für Täuschung erklären wollen, und würden durch das letztere ebenso Unrecht haben, als durch das erstere). IV) Wir nehmen den Faden unsers Räsonnements wieder auf, wo wir ihn, weil es unmöglich war ihn weiter zu verfolgen, fallen ließen. Das Ich reflektiert seine in der Anschauung nach C gehende Tätigkeit. Als widerstehend einer entgegengesetzten von C nach A gehenden Richtung, kann sie nicht reflektiert werden, aus dem oben angeführten Grunde. Dennoch kann sie auch nicht als eine überhaupt nach außen gehende Tätigkeit reflektiert werden, denn dann wäre es die ganze unendliche Tätigkeit
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ciò che è realmente effettivo; soltanto in esso113 l’ideale diviene reale; [pertanto concepire con l’intelletto esprime anche una relazione a qualcosa che ci deve giungere dal di fuori, senza nostro intervento]114. L’immaginazione produce realtà, però in essa non v’è realtà alcuna; soltanto con il cogliere e il concepire nell’intelletto il suo prodotto diviene qualcosa di reale. – A ciò di cui siamo coscienti come di un prodotto dell’immaginazione non attribuiamo realtà: l’attribuiamo invece a quanto troviamo contenuto nell’intelletto, cui non ascriviamo una facoltà di produzione bensì soltanto di contenimento. – In seguito si mostrerà che nella riflessione115, in forza delle sue leggi, è possibile risalire soltanto fino all’intelletto e che in questo si trova senz’altro qualcosa di dato alla riflessione, come una materia della rappresentazione; non si diviene però coscienti della maniera in cui esso è giunto nell’intelletto. Di qui la nostra ferma convinzione della realtà delle cose fuori di noi e senza che noi vi abbiamo parte, perché non diveniamo coscienti della facoltà della loro produzione. Se nella riflessione ordinaria divenissimo mai coscienti, come invero possiamo divenirne coscienti nella riflessione filosofica, che le cose giungono nell’intelletto soltanto tramite l’immaginazione, ci parrebbe di dover prendere allora tutto per un’illusione ed avremmo non meno torto di prima). IV) Riallacciamoci al filo del nostro ragionamento ove l’abbiamo lasciato perché era impossibile protrarlo ulteriormente. L’io riflette la sua attività che nell’intuizione si dirige verso C. Per la ragione addotta prima, essa non può essere riflessa in quanto resistente a una direzione opposta che va da C verso A. Tuttavia non può neanche essere riflessa quale attività diretta in generale al di fuori, perché allora sarebbe l’intera attività infinita del-
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des Ich, welche nicht reflektiert werden kann; aber nicht die in der Anschauung vorkommende, deren Reflexion doch gefordert worden ist. Mithin muß sie reflektiert werden als bis C gehende, als in C begrenzte und bestimmte Tätigkeit; welches das Erste wäre. In C wird demnach die anschauende Tätigkeit des Ich durch die absolute in der Reflexion handelnde Tätigkeit begrenzt. – Da aber diese Tätigkeit bloß reflektierend, nicht aber (außer in unsrer gegenwärtigen philosophischen Reflexion) selbst reflektiert ist, so wird die Begrenzung in C dem Ich entgegengesetzt, und dem Nicht-Ich zugeschrieben. Über C in die Unendlichkeit hinaus wird ein bestimmtes Produkt der absolut produzierenden Einbildungskraft durch eine dunkle, nicht reflektierte und nicht zum bestimmten Bewußtsein kommende Anschauung gesetzt, welches das Vermögen der reflektierten Anschauung begrenzt; gerade nach der Regel und aus dem Grunde, aus welchem das erste unbestimmte Produkt überhaupt gesetzt wurde. Welches das Zweite wäre. – Dieses Produkt ist das Nicht-Ich, durch dessen Entgegensetzung für den gegenwärtigen Behuf das Ich überhaupt erst als Ich bestimmt, – wodurch erst das logische Subjekt des Satzes: das Ich ist anschauend, möglich wird. Die so bestimmte Tätigkeit des anschauenden Ich wird, wenigstens ihrer Bestimmung nach festgesetzt, und begriffen im Verstande zu weiterer Bestimmung; denn ohne dies würden widersprechende Tätigkeiten des Ich sich durchkreuzen, und einander gegenseitig vernichten. Diese Tätigkeit geht von A nach C und soll in dieser Richtung, aber durch eine reflektierende, also von C nach A gehende Tätigkeit des Ich aufgefaßt werden. Es ist klar, daß in dieser Auffassung entgegengesetzte Richtungen vorkommen, daß mithin diese Auffassung durch das Vermögen des Entgegen-[376]gesetzten, die Einbildungskraft geschehen, also selbst eine Anschau-
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l’io, che non può essere riflessa, ma non quella che compare nell’intuizione, la cui riflessione invece è stata richiesta. Conseguentemente essa dev’essere riflessa in quanto attività che giunge sino a C, come determinata e avente confine in C; e questo sarebbe il primo punto. L’attività intuente dell’io è pertanto delimitata in C dall’attività assoluta che agisce nella riflessione. – Tuttavia poiché quest’attività è soltanto riflettente ma non altresì essa stessa riflessa (eccetto che nella nostra presente riflessione filosofica), il confinamento in C è allora contrapposto all’io e attribuito al non-io. Un determinato prodotto dell’immaginazione assolutamente produttiva è posto nell’infinità estendentesi oltre C da un’intuizione oscura, non riflessa e che non perviene alla coscienza determinata, prodotto il quale delimita la facoltà dell’intuizione riflessiva precisamente secondo la regola e per il motivo stando al quale è stato posto il primo indeterminato prodotto in generale. La qual cosa costituirebbe il secondo punto. – Questo prodotto è il non-io, mediante la cui contrapposizione per il presente scopo l’io in generale è determinato unicamente come io e per il cui tramite soltanto diviene possibile il soggetto logico della proposizione: l’io è intuente. L’attività così determinata dell’io intuente è, almeno secondo la sua determinazione, tenuta ferma e compresa nell’intelletto per poterla ulteriormente determinare, perché senza di ciò le attività contrarie dell’io si incrocerebbero e annienterebbero l’un l’altra a vicenda. Quest’attività va da A verso C e in questa direzione dev’essere compresa ma da un’attività riflettente dell’io, vale a dire da un’attività diretta da C ad A. – È chiaro che in questa comprensione ricorrono direzioni contrapposte che questa comprensione deve avvenire conseguentemente mediante la facoltà del contrapporre, l’immaginazione, la quale dev’essere
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ung sein müsse. Welches das Dritte wäre. Die Einbildungskraft in ihrer gegenwärtigen Funktion produziert nicht, sondern faßt bloß auf (zum Setzen im Verstande, nicht etwa zum Aufbehalten) das schon Produzierte, und im Verstande Begriffene, und heißt daher reproduktiv. Das Anschauende muß, und zwar als solches, d. h. als tätig, bestimmt, es muß ihm eine Tätigkeit entgegengesetzt werden, die nicht dieselbe, sondern eine andere sei. Tätigkeit aber ist immer Tätigkeit, und bis jetzt kann in ihr nichts unterschieden werden, als ihre Richtung. Eine solche entgegengesetzte Richtung aber ist die durch das Reflektiertsein von außen entstandne und im Verstande aufbehaltene Richtung von C nach A. Welches das Vierte wäre. Diese entgegengesetzte Richtung muß, insofern die im Anschauen vorhandne dadurch bestimmt werden soll, selbst angeschaut werden; und so ist denn mit der Bestimmung des Anschauenden zugleich eine, aber nicht reflektierte, Anschauung des Angeschauten vorhanden. Aber das Angeschaute selbst muß als ein Angeschautes bestimmt werden, wenn es dem Anschauenden entgegengesetzt werden soll. Und dies ist nur möglich durch Reflexion. Es ist bloß die Frage, welche nach außen gebende Tätigkeit reflektiert werden solle; denn es muß eine nach außen gehende Tätigkeit sein, die reflektiert wird, aber die im Anschauen von A nach C gehende Tätigkeit gibt die Anschauung des Anschauenden. Es ist oben erinnert worden, daß zum Behuf der Begrenzung der Anschauung überhaupt in C die produzierende Tätigkeit des Ich über C hinaus in das Unbestimmte gehen müsse. Diese Tätigkeit wird aus der Unendlichkeit über C nach A reflektiert. Aber von C nach A liegt die im Verstande ihrer Spur nach aufbehaltene erstere Richtung, die der dem Ich zugeeigneten Tätigkeit von A nach C in der Anschauung widerstrebt: und in Beziehung auf dieselbe dem dem Ich Ent-
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insomma essa stessa un’intuizione. Il che sarebbe il terzo punto. Nella sua presente funzione l’immaginazione non produce ma semplicemente comprende quanto già prodotto e compreso nell’intelletto (per porlo nell’intelletto non, per esempio, per mantenervelo) e per ciò si chiama riproduttiva116. L’intuente dev’essere determinato e precisamente in quanto tale, vale a dire come attivo, dev’essergli contrapposta117 un’attività che sia non questa stessa bensì un’altra. Eppure l’attività è sempre attività e finora niente può esservi distinto se non la sua direzione. Tuttavia una simile direzione contrapposta è quella da C verso A sorta dal di fuori dall’essere-riflesso e mantenuta nell’intelletto. La qual cosa costituirebbe il quarto punto. Questa direzione contrapposta dev’essere essa stessa intuita, nella misura in cui quella disponibile nell’intuire dev’essere con ciò determinata; e così, infatti, insieme alla determinazione dell’intuente è disponibile un’intuizione dell’intuìto118, tuttavia non riflessa. L’intuìto dev’essere però determinato come un intuito, se dev’essere opposto all’intuente. E ciò è possibile soltanto per mezzo della riflessione. In questione è semplicemente quale attività che si dirige all’esterno debba essere riflessa, perché dev’esserci un’attività, che viene riflessa, diretta al di fuori, mentre l’attività che, intuendo, si dirige da A a C consegna l’intuizione dell’intuente. È stato sopra ricordato che, in vista della delimitazione dell’intuizione in generale in C, l’attività produttiva dell’io deve oltrepassare C estendendosi nell’indeterminato. Quest’attività viene riflessa verso A movendo dall’infinità ulteriore a C. Ma da C verso A si colloca la prima direzione, che secondo la sua traccia è mantenuta nell’intelletto e che nell’intuizione resiste all’attività diretta da A a C attribuita all’io: ed è in rapporto a questa che essa dev’essere attribuita
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gegengesetzten, d. i. dem Nicht-Ich zugeeignet werden muß. Diese entgegengesetzte Tätigkeit wird als eine entgegengesetzte angeschaut; welches das Fünfte wäre. Dieses Angeschaute muß als solches bestimmt werden; und zwar als das dem Anschauenden entgegengesetzte Angeschaute; also durch ein Nicht-Angeschautes, das aber doch ein Nicht-Ich ist. Ein solches aber liegt als absolutes Produkt der Tätigkeit des Ich über C hinaus. Innerhalb C und A aber liegt das [377] Angeschaute, welches nach seiner Bestimmung im Verstande als etwas Reales aufgefaßt wird. Welches das Sechste wäre. Sie verhalten sich gegenseitig wie Tätigkeit, und Leiden (Realität, und Negation) und sind demnach vereinigt durch Wechselbestimmung. Kein Angeschautes, kein Anschauendes, und umgekehrt. Hinwiederum, wenn und inwiefern ein Angeschautes gesetzt ist, ist ein Anschauendes gesetzt, und umgekehrt. Beide müssen bestimmt werden, denn das Ich soll sich setzen, als das Anschauende, und sich insofern dem Nicht-Ich entgegensetzen; zu diesem Behufe aber bedarf es eines festen Unterscheidungsgrundes zwischen dem Anschauenden und Angeschauten; einen solchen aber gibt laut obiger Erörterungen, die Wechselbestimmung nicht. So wie das eine weiter bestimmt wird, wird es durch dasselbe auch das andre, eben darum, weil sie in Wechselbestimmung stehen. – Eines von beiden aber muß aus dem gleichen Grunde durch sich selbst und nicht durch das andre bestimmt werden, weil wir außerdem aus dem Kreise der Wechselbestimmung nicht herauskommen. V) Das Anschauende an sich, d. i. als Tätigkeit ist schon dadurch bestimmt, daß es in Wechselbestimmung steht; es ist eine Tätigkeit, der im Entgegengesetzten ein Leiden korrespondiert, eine objektive Tätigkeit. Eine solche wird weiter bestimmt durch eine nicht-objektive, mithin reine Tätigkeit, Tätigkeit überhaupt, und schlechthin.
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all’opposto dell’io, cioè al non-io. Questa contrapposta attività è intuita come un’attività contrapposta: il che sarebbe il quinto punto. Questo intuìto dev’essere determinato in quanto tale, e per la precisione intuìto quale contrapposto all’intuente, quindi dev’essere determinato da un non-intuìto, che tuttavia è un non-io. In quanto prodotto assoluto dell’attività dell’io, un tale non-io si trova però al di là di C119. Ma tra A e C si trova l’intuìto, che secondo la sua determinazione è concepito nell’intelletto come qualcosa di reale. Il che sarebbe il sesto punto. Intuìto e intuente si rapportano l’un l’altro al modo di attività e passività (realtà e negazione) e sono pertanto unificati mediante determinazione reciproca. Nessun intuìto nessun intuente, e viceversa. A sua volta, se e nel modo in cui un intuìto è posto, è posto un intuente e viceversa. Entrambi devono essere determinati, perché l’io deve porsi come l’intuente e in tal misura contrapporsi al non-io, però a tal fine necessita di un saldo fondamento di distinzione tra l’intuente e l’intuito: ma, stando alle considerazioni svolte sopra, la determinazione reciproca non fornisce un simile fondamento. Appunto per il fatto che si situano in determinazione reciproca, non appena l’uno è determinato più estesamente, per suo tramite lo è anche l’altro. – Tuttavia, proprio per lo stesso motivo, uno dei due dev’essere determinato da se stesso e non dall’altro, perché altrimenti noi non usciamo dal circolo della determinazione reciproca. V) L’intuente in sé, cioè quale attività, è determinato già per il fatto di trovarsi in rapporto di determinazione reciproca; è un’attività a cui corrisponde, contrapposta una passività, un’attività oggettiva. Un’attività siffatta è determinata ulteriormente da un’attività non-oggettiva, e quindi pura, attività in generale e in assoluto.
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Beide sind entgegengesetzt; beide müssen auch synthetisch vereinigt, d. i. gegenseitig durcheinander bestimmt werden. 1) die objektive Tätigkeit durch die Tätigkeit schlechthin. Die Tätigkeit überhaupt ist die Bedingung aller objektiven Tätigkeit; sie ist Realgrund derselben. 2) die Tätigkeit überhaupt durch die objektive Tätigkeit ist gar nicht zu bestimmen, außer durch ihr Entgegengesetztes, das Leiden; mithin durch ein Objekt der Tätigkeit, und also durch objektive Tätigkeit. Objektive Tätigkeit ist der Bestimmungs- oder Ideal-Grund der Tätigkeit überhaupt. 3) beide wechselseitig durcheinander, d. i. die Grenze zwischen beiden muß gesetzt werden. Diese ist der Übergang von der reinen zur objektiven Tätigkeit; und umgekehrt; die Bedingung, auf welche reflektiert, oder von ihr abstrahiert werden kann. Diese Bedingung, als solche, d. i. als Grenze der reinen, und der objektiven [378] Tätigkeit wird angeschaut durch die Einbildungskraft, fixiert im Verstande; beides auf die oben beschriebne Weise. Die Anschauung ist objektive Tätigkeit unter einer gewissen Bedingung. Unbedingt wäre sie nicht objektive Tätigkeit, sondern reine. Vermöge der Bestimmung durch den Wechsel ist das Angeschaute auch nur unter einer gewissen Bedingung ein Angeschautes. Außer der Bedingung wäre es kein Angeschautes, sondern ein schlechthin Gesetztes, ein Ding an sich: ein Leiden schlechthin, als Gegenteil einer Tätigkeit schlechthin. VI) Sowohl für das Anschauende als das Angeschaute ist die Anschauung etwas Bedingtes. Durch dieses Merkmal sind sie demnach noch nicht zu unterscheiden, und wir haben sie jetzt weiter zu bestimmen. – Wir suchen die Bedingung der Anschauung für beide zu bestimmen; ob sie etwa durch diese zu unterscheiden sein möchten.
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Le due attività sono contrapposte; ambedue devono altresì essere unificate sinteticamente, vale a dire determinate l’una dall’altra a vicenda. 1) L’attività oggettiva è determinata dall’attività in assoluto. L’attività in generale è la condizione di ogni attività oggettiva, è suo fondamento reale. 2) L’attività in generale non va affatto determinata dall’attività oggettiva, se non dal termine suo contrapposto, la passività: di conseguenza, da un oggetto dell’attività e, in tal senso, da un’attività oggettiva. L’attività oggettiva è il fondamento di determinazione, ovvero il fondamento ideale dell’attività in generale. 3) Entrambe si determinano l’una con l’altra in maniera reciproca, vale a dire che tra le due dev’esser posto il confine. Questo è il passaggio dall’attività pura a quella oggettiva e viceversa, la condizione su cui si può riflettere o da cui si può astrarre. Questa condizione come tale, cioè in quanto confine dell’attività pura e di quella oggettiva, è intuita dall’immaginazione, fissata nell’intelletto; entrambe le cose nel modo precedentemente descritto. L’intuizione è attività oggettiva a una certa condizione. Se fosse incondizionata, non sarebbe attività oggettiva ma pura. In virtù della determinazione tramite lo scambio reciproco, anche l’intuìto è un intuìto soltanto a una certa condizione. Al di fuori della condizione non sarebbe un intuìto bensì un che di assolutamente posto, una cosa in sé: una passività in assoluto, quale contrario di un’attività in assoluto. VI) Tanto per l’intuente come per l’intuìto, l’intuizione è un che di condizionato. Intuente e intuito non sono pertanto ancora distinguibili tramite questa caratteristica ed ora dobbiamo determinarli ulteriormente. – Tentiamo di determinare la condizione120 dell’intuizione di entrambi, per esempio, se per mezzo di questa essi possono essere distinti.
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Die absolute Tätigkeit wird durch die Bedingung eine objektive – heißt offenbar, die absolute Tätigkeit wird als solche, aufgehoben und vernichtet; und es ist in Rücksicht ihrer vorhanden ein Leiden. Demnach ist die Bedingung aller objektiven Tätigkeit ein Leiden. Dieses Leiden muß angeschaut werden. Aber ein Leiden läßt sich nicht anders anschauen, als wie eine Unmöglichkeit der entgegengesetzten Tätigkeit; ein Gefühl des Zwanges zu einer bestimmten Handlung, welches der Einbildungskraft allerdings möglich ist. Dieser Zwang wird im Verstande fixiert als Notwendigkeit. Das Gegenteil dieser durch ein Leiden bedingten Tätigkeit ist eine freie; angeschaut durch die Einbildungskraft als ein Schweben der Einbildungskraft selbst zwischen Verrichten, und Nicht-Verrichten einer und ebenderselben Handlung; Auffassen, und NichtAuffassen eines und ebendesselben Objektes im Verstande; aufgefaßt in dem Verstande, als Möglichkeit. Beide Arten der Tätigkeit, die an sich entgegengesetzt sind, werden synthetisch vereinigt. 1) Der Zwang wird durch Freiheit bestimmt; die freie Tätigkeit bestimmt sich selbst zum bestimmten Handeln (Selbstaffektion) 2) die Freiheit durch Zwang. Nur unter Bedingung einer schon vorhandnen Bestimmung durch ein Leiden bestimmt sich die, in der Selbstbestimmung noch immer freie Selbsttätigkeit, zu einem bestimmten Handeln. (Die Spontaneität kann nur reflektieren unter Bedingung einer durch einen Anstoß von außen schon geschehenen [379] Reflexion: aber sie muß auch unter dieser Bedingung nicht reflektieren). 3) Beide bestimmen sich gegenseitig in der Anschauung. Wechselwirkung der Selbstaffektion des Anschauenden, und einer Affektion von außen ist die Bedingung, unter der das Anschauende ein Anschauendes ist. Dadurch ist denn auch zugleich das Angeschaute
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L’attività assoluta diviene un’attività oggettiva per opera della condizione: chiaramente ciò significa che l’attività assoluta è in quanto tale soppressa e annientata e che riguardo a essa si rende disponibile una passività. Una passività è pertanto la condizione di tutta l’attività oggettiva. Questa passività dev’essere intuita. Ma una passività non si può intuire diversamente da un’impossibilità dell’attività contrapposta, al modo di un sentimento di costrizione a un’azione determinata, sentimento che è veramente possibile all’immaginazione. Questa costrizione è fissata quale necessità121, nell’intelletto. Il contrario di quest’attività condizionata da una passività è un’attività libera, intuita tramite l’immaginazione come un oscillare dell’immaginazione stessa tra eseguire e non-eseguire una sola e medesima azione, comprendere e non-comprendere un solo e medesimo oggetto nell’intelletto; ‹il contrario è quest’attività› compresa nell’intelletto come possibilità122. I due tipi di attività, in sé contrapposti, sono unificati sinteticamente. 1) La costrizione è determinata dalla libertà, la libera attività si autodetermina all’agire determinato (autoaffezione). 2) La libertà è determinata dalla costrizione. L’autoattività, ancor sempre libera nell’autodeterminarsi, si determina a un agire determinato soltanto a condizione di una determinazione già disponibile tramite passività. (La spontaneità può riflettere unicamente a condizione di una riflessione già avvenuta per mezzo di un urto sorto dal di fuori: ma a questa condizione essa deve anche non riflettere). 3) L’una e l’altra si determinano a vicenda nell’intuizione. L’azione reciproca dell’autoaffezione dell’intuente e di un’eteroaffezione esterna è la condizione alla quale l’intuente è un intuente. Così facendo anche l’intuìto è ad un tempo determi-
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bestimmt. Das Ding an sich ist Gegenstand der Anschauung unter Bedingung einer Wechselwirkung. Insofern das Anschauende tätig ist, ist das Angeschaute leidend; und insofern das Angeschaute, welches insofern ein Ding an sich ist, tätig ist, ist das Anschauende leidend. Ferner insofern das Anschauende tätig ist, ist es nicht leidend, und umgekehrt; so auch das Angeschaute. Aber das gibt keine feste Bestimmung, und wir kommen dadurch aus unserm Zirkel nicht heraus. Mithin muß weiter bestimmt werden. Wir müssen nämlich suchen den Anteil eines von beiden in der aufgezeigten Wechselwirkung durch sich selbst zu bestimmen. VII) Der Tätigkeit des Anschauenden, welcher ein Leiden im Objekte korrespondiert, und die demnach in jener Wechselwirkung mit inbegriffen ist, ist entgegengesetzt eine solche Tätigkeit, der kein Leiden im Objekte korrespondiert; die demnach auf das Anschauende selbst geht (die in der Selbstaffektion) und durch diese müßte demnach die erstere bestimmt werden. Eine solche bestimmende Tätigkeit müßte angeschaut werden durch die Einbildungskraft, und fixiert werden im Verstande, gerade wie die bis jetzt aufgezeigten Arten derselben. Es ist klar, daß auch die objektive Tätigkeit des Anschauenden keinen andern Grund haben könne, als die Tätigkeit der Selbstbestimmung: ließe sich demnach diese letztere Tätigkeit bestimmen, so wäre auch die erstere, und mit ihr der Anteil des Anschauenden in der Wechselwirkung, so wie durch denselben der Anteil des Angeschauten bestimmt. Beide Arten der Tätigkeit müssen sich gegenseitig bestimmen 1) die in sich selbst zurückgehende die objektive, wie soeben gezeigt worden 2) die objektive die in sich selbst zurückgehende. Soviel objektive Tätigkeit, soviel sich selbst bestimmende zur Be-
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nato. La cosa in sé123 è oggetto dell’intuizione a condizione di un’azione reciproca. Nella misura in cui l’intuente è attivo, l’intuìto è passivo; e nella misura in cui l’intuìto è attivo, che per questo aspetto è una cosa in sé, l’intuente è passivo. Inoltre, nella misura in cui l’intuente è attivo, esso non è passivo e viceversa; così anche l’intuito. Ciò però non offre alcuna salda determinazione e per questa via non usciamo dal nostro circolo. È necessario, di conseguenza, determinare ulteriormente. Dobbiamo infatti cercare di determinare per se stessa la parte di uno dei due elementi dell’azione reciproca che è stata indicata. VII) All’attività dell’intuente, alla quale corrisponde una passività nell’oggetto e che pertanto con questa è compresa in quell’azione reciproca, è contrapposta un’attività siffatta cui non corrisponde alcuna passività nell’oggetto, un’attività, questa, che dunque è rivolta verso l’intuente stesso (è l’attività nell’autoaffezione) e dalla quale pertanto la prima dovrebbe essere determinata. Una tale attività determinante dovrebbe essere intuita dall’immaginazione e fissata nell’intelletto, esattamente come i modi finora mostrati di quest’attività. È chiaro che anche l’attività oggettiva dell’intuente non può avere alcun altro fondamento se non l’attività dell’autodeterminazione: se quindi quest’ultima attività fosse determinabile, lo sarebbe pure la prima e con essa sarebbe determinata la parte dell’intuente nell’azione reciproca, tanto quanto la parte dell’intuito mediante quella dell’intuente. Tutt’e due i modi di attività devono determinarsi a vicenda: 1) com’è stato appena mostrato, quella ritornante in se stessa deve determinare quella oggettiva124; 2) quella oggettiva deve determinare l’attività che ritorna in sé. Quanta attività oggettiva, altrettanta attività autodeterminantesi per la determinazione
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stimmung des Objekts. Aber die objektive Tätigkeit läßt sich durch Bestimmung des Objekts bestimmen, mithin durch sie die in der Selbstbestimmung vorkommende. 3) Beide stehen demnach in Wechselbestimmung, wie jetzt gezeigt worden; und wir haben abermals keinen festen Punkt der Bestimmung. [380] Die Tätigkeit des Angeschauten in der Wechselwirkung, insofern sie auf das Anschauende geht, wird gleichfalls bestimmt durch eine in sich selbst zurückgehende Tätigkeit, durch die es sich zur Einwirkung auf das Anschauende bestimmt. Nach obiger Erörterung ist die Tätigkeit zur Selbstbestimmung, Bestimmung eines fixierten Produkts der Einbildungskraft im Verstande durch die Vernunft: mithin ein Denken. Das Anschauende bestimmt sich selbst zum Denken eines Objekts. Insofern das Objekt durch das Denken bestimmt wird, ist es ein Gedachtes. Nun ist es dadurch soeben bestimmt worden, als sich selbst bestimmend; zu einer Einwirkung auf das Anschauende. Diese Bestimmung ist aber lediglich dadurch möglich geworden, daß ein Leiden im entgegengesetzten Anschauenden bestimmt werden sollte. Kein Leiden im Anschauenden, keine ursprüngliche und in sich selbst zurückgehende Tätigkeit im Objekte, als gedachte Tätigkeit. Keine solche Tätigkeit im Objekte, kein Leiden im Anschauenden. Eine solche Wechselbestimmung aber ist nach obiger Erörterung die durch Wirksamkeit. Also wird das Objekt gedacht als Ursache von einem Leiden im Anschauenden, als seinem Effekt. – Die innere Tätigkeit des Objekts, wodurch es sich bestimmt zur Wirksamkeit, ist ein bloß Gedachtes (ein Noumen, wenn man dieser Tätigkeit durch die Einbildungskraft ein Substrat gibt, wie man es muß).
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dell’oggetto. Ma l’attività oggettiva si può determinare con la determinazione dell’oggetto, di conseguenza con essa può essere determinata quella ricorrente nell’autodeterminazione. 3) L’una e l’altra attività si trovano pertanto in determinazione reciproca, com’è stato ora mostrato, e una volta di più noi non abbiamo alcun punto fermo della determinazione. L’attività dell’intuìto nell’azione reciproca, nella misura in cui è rivolta all’intuente, è parimenti determinata da un’attività ritornante in se stessa, mediante la quale l’intuìto si determina a causare un’azione sull’intuente. Stando alla discussione precedente, l’attività di autodeterminazione è determinazione tramite la ragione di un prodotto dell’immaginazione fissato nell’intelletto: conseguentemente, di un pensiero. L’intuente determina se stesso al pensiero di un oggetto. L’oggetto, essendo determinato dal pensiero, è un che di pensato. Ora, con ciò esso è appena stato determinato quale autodeterminantesi125, come determinante se stesso a causare un’azione sull’intuente. Questa determinazione è tuttavia divenuta possibile unicamente per il fatto che una passività doveva essere determinata nell’intuente che gli è contrapposto. Nessuna passività nell’intuente, nessun’originaria e in sé ritornante attività nell’oggetto, in quanto attività pensata. Nessuna siffatta attività nell’oggetto, nessuna passività nell’intuente. Secondo la discussione sopra condotta, una tale determinazione reciproca è però quella tramite capacità di produrre effetti. In tal modo l’oggetto è pensato come causa di una passività nell’intuente, quest’ultima quale suo effetto. – L’interna attività dell’oggetto, mediante la quale esso si determina alla capacità di produrre effetti, è un mero pensato (un noumeno, se a quest’attività si dà, come si deve fare, un sostrato mediante l’immaginazione).
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VIII) Die Tätigkeit einer Selbstbestimmung zum Bestimmen eines bestimmten Objekts muß weiter bestimmt werden; denn noch haben wir keinen festen Punkt. Sie wird aber bestimmt durch eine solche Tätigkeit des Anschauenden, die kein Objekt, als ein bestimmtes (= A) bestimmt; die auf kein bestimmtes Objekt geht (also etwa auf ein Objekt überhaupt, als bloßes Objekt). Eine solche Tätigkeit müßte durch Selbstbestimmung, A oder -A sich zum Objekte geben können. Sie wäre demnach in Rücksicht auf A oder -A völlig unbestimmt, oder frei; frei auf A zu reflektieren, oder davon zu abstrahieren. Eine solche Tätigkeit muß zuvörderst angeschaut werden durch die Einbildungskraft; da sie aber zwischen Entgegengesetzten, zwischen dem Auffassen und Nicht-Auffassen von A mitten inne schwebt, muß sie angeschaut werden auch als Einbildungskraft, d. i. in ihrer Freiheit des Schwebens von einem zum andern; (gleichsam, wenn man auf ein Gesetz sieht, von welchem wir hier freilich noch nichts wissen, als eine Beratschlagung des Gemüts mit sich selbst). – Da jedoch durch diese Tätigkeit eins von beiden entweder A oder [381] -A aufgefaßt, (A als ein zu Reflektierendes, oder als ein solches, von dem zu abstrahieren ist, gesetzt) werden muß, so muß sie insofern auch als Verstand angeschaut werden. – Beides, durch eine neue Anschauung wieder vereinigt, und im Verstande festgesetzt, heißt Urteilskraft. Urteilskraft ist das bis jetzt freie Vermögen über schon im Verstande gesetzte Objekte zu reflektieren, oder von ihnen zu abstrahieren, und sie, nach Maßgabe dieser Reflexion oder Abstraktion mit weiterer Bestimmung im Verstande zu setzen. Beide Tätigkeiten, der bloße Verstand, als solcher, und die Urteilskraft als solche, müssen sich wieder gegen-
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VIII) L’attività di un’autodeterminazione a determinare un determinato126 oggetto dev’essere ulteriormente determinata: non possediamo ancora, infatti, alcun punto fermo. Essa è tuttavia determinata da una siffatta attività dell’intuente la quale non determina alcun oggetto come un qualcosa di determinato (= A), né è rivolta a un oggetto determinato (quindi è rivolta, per esempio, verso un oggetto in generale, in quanto mero oggetto). Una tale attività dovrebbe, autodeterminandosi, potersi dare per oggetto A oppure -A. Essa sarebbe pertanto completamente indeterminata nei confronti di A o -A, ovvero libera: libera di riflettere su A o di astrarre da esso. Una tale attività deve anzitutto essere intuita per mezzo dell’immaginazione, poiché però oscilla librandosi tra termini contrapposti, tra il comprendere e il non comprendere di A, essa dev’essere intuita anche quale immaginazione, vale a dire nella sua libertà di librarsi dall’uno all’altro (per dir così, volendovi vedere una legge della quale qui certamente non si sa ancora nulla, come una deliberazione dell’animo con se stesso). – Poiché tuttavia mediante quest’attività uno dei due termini dev’essere compreso, o A o -A (A è posto come qualcosa su cui si deve riflettere o dal quale si deve fare astrazione), essa, a tale riguardo, dev’essere altresì intuita quale intelletto. – L’uno e l’altro, nuovamente unificati da una nuova intuizione e fermamente tenuti nell’intelletto, equivalgono alla capacità di giudizio. Capacità di giudizio è la facoltà, sinora libera, di riflettere su oggetti già posti nell’intelletto, oppure di fare astrazione da essi e porli con ulteriore determinazione nell’intelletto, in misura di questa riflessione o astrazione. Ambedue le attività, il puro e semplice intelletto in quanto tale e la capacità di giudizio in quanto tale,
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seitig bestimmen. 1) Der Verstand die Urteilskraft. Er enthält schon in sich die Objekte, von welchen die letztere abstrahiert, oder sie reflektiert, und ist daher die Bedingung der Möglichkeit einer Urteilskraft überhaupt. 2) Die Urteilskraft den Verstand; sie bestimmt ihm das Objekt überhaupt als Objekt. Ohne sie wird überhaupt nicht reflektiert; ohne sie ist mithin nichts Fixiertes im Verstande, welches erst durch Reflexion, und zum Behuf der Reflexion gesetzt wird, mithin auch überhaupt kein Verstand; und so ist die Urteilskraft hinwiederum die Bedingung der Möglichkeit des Verstandes, und beide 3) bestimmen sich demnach gegenseitig. Nichts im Verstande, keine Urteilskraft; keine Urteilskraft, nichts im Verstande für den Verstand, kein Denken des Gedachten, als eines solchen. Laut der Wechselbestimmung wird dadurch nun auch das Objekt bestimmt. Das Gedachte als Objekt des Denkens, also insofern als leidend, wird bestimmt durch ein Nicht-Gedachtes, mithin durch ein bloß Denkbares (das den Grund seiner Denkbarkeit in sich selbst, und nicht in dem Denkenden haben, mithin insofern tätig, und das Denkende in Beziehung darauf leidend sein soll). Beide, das Gedachte, und das Denkbare, werden nun gegenseitig durcheinander bestimmt 1) alles Gedachte ist denkbar 2) alles Denkbare wird gedacht als Denkbares, und ist nur insofern denkbar, als es als solches gedacht wird. Kein Denkbares, kein Gedachtes; kein Gedachtes kein Denkbares. – Das Denkbare, und die Denkbarkeit als solche sind bloßer Gegenstand der Urteilskraft. Nur das als denkbar Beurteilte kann als Ursache der Anschauung gedacht werden. Das Denkende soll sich selbst bestimmen etwas, als
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devono ancora una volta determinarsi a vicenda. 1) L’intelletto ‹determina› la capacità di giudizio. Esso contiene già in sé gli oggetti dai quali la capacità di giudizio fa astrazione o su cui riflette ed è pertanto la condizione di possibilità di una capacità di giudizio in generale. 2) La capacità di giudizio determina l’intelletto; per quest’ultimo, essa ‹determina› l’oggetto in generale come oggetto. Senza di essa, in assoluto, non si riflette; senza di essa non v’è conseguentemente nulla di fissato nell’intelletto, che è posto soltanto dalla riflessione e in vista della riflessione, e perciò neppure v’è intelletto in generale; e così la capacità di giudizio è a sua volta la condizione della possibilità dell’intelletto e l’una e l’altro 3) si determinano pertanto vicendevolmente. Nulla nell’intelletto, nessun giudizio; nessun giudizio, nulla nell’intelletto per l’intelletto, nessun pensiero del pensato in quanto tale. Così facendo, stante la determinazione reciproca, anche l’oggetto è determinato. Quel che è pensato quale oggetto del pensiero, e quindi in quanto passivo, è determinato da un non-pensato, di conseguenza da un puro e semplice pensabile (oggetto che deve avere il fondamento della sua pensabilità in se stesso e non nel pensante, e che perciò in tal misura dev’essere attivo e il pensante dev’essere passivo in rapporto a esso). Entrambi, il pensato e il pensabile, sono ora vicendevolmente determinati l’un l’altro: 1) ogni pensato è pensabile; 2) ogni pensabile è pensato quale pensabile ed è pensabile solamente in quanto è pensato come tale. Nessun pensabile, nessun pensato; nessun pensato nessun pensabile. – Il pensabile e la pensabilità come tale sono puri e semplici oggetti della capacità di giudizio. Unicamente quanto è giudicato come pensabile può essere pensato quale causa dell’intuizione. Il pensante deve determinare se stesso a pensare
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denkbar zu denken und insofern wäre das Denkbare leidend; aber hinwiederum soll das Denkbare sich selbst bestimmen, ein Denkbares zu sein; und insofern wäre das Denkende leidend. Dies gibt hinwiederum eine Wechselwirkung des Denkenden, und [382] des Gedachten im Denken; mithin keinen festen Bestimmungspunkt, und wir müssen das Urteilende noch weiter bestimmen. IX) Die Tätigkeit, die überhaupt ein Objekt bestimmt, wird bestimmt durch eine solche, die gar kein Objekt hat, durch eine überhaupt nicht-objektive, der objektiven entgegengesetzte Tätigkeit. Es ist nur die Frage, wie eine solche Tätigkeit gesetzt, und der objektiven entgegengesetzt werden könne. So wie eben die Möglichkeit deduziert wurde, von allem bestimmten Objekte = A zu abstrahieren, so wird hier die Möglichkeit postuliert, von allem Objekte überhaupt zu abstrahieren. Es muß ein solches absolutes Abstraktions-Vermögen geben, wenn die geforderte Bestimmung möglich sein soll; und sie muß möglich sein, wenn ein Selbstbewußtsein, und ein Bewußtsein der Vorstellung möglich sein soll. Ein solches Vermögen sollte zuvörderst angeschaut werden können. – Die Einbildungskraft schwebt überhaupt zwischen Objekt und Nicht-Objekt, kraft ihres Wesens. Sie wird fixiert kein Objekt zu haben; das heißt die (reflektierte) Einbildungskraft wird gänzlich vernichtet, und diese Vernichtung, dieses Nicht-Sein der Einbildungskraft wird selbst durch (nicht-reflektierte, und daher nicht zum deutlichen Bewußtsein kommende) Einbildungskraft angeschaut. (Die in uns vorhandne dunkle Vorstellung, wenn wir erinnert werden, zum Behuf des reinen Denkens von aller Beimischung der Einbildungskraft zu abstrahieren, ist diese dem Denker gar oft vorkommende Anschauung). – Das Produkt einer solchen (nicht-reflektierten) Anschauung sollte
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qualcosa come pensabile e, quanto a ciò, il pensabile sarebbe passivo; ma a sua volta il pensabile deve determinare se stesso a essere un pensabile e, a tale riguardo, il pensante sarebbe passivo. Ne risulta di nuovo un’azione reciproca del pensante e del pensato nel pensiero: non v’è, di conseguenza, alcun punto fermo di determinazione e dobbiamo proseguire nel determinare il giudicante. IX) L’attività che in generale determina un oggetto, è determinata da un’attività siffatta che non ha affatto un oggetto, da un’attività generalmente non-oggettiva e contrapposta a quella oggettiva. La questione si pone soltanto nel sapere come una tale attività possa esser posta e contrapposta all’attività oggettiva. Come fu dedotta la possibilità di fare astrazione da ogni oggetto determinato = A, così qui è postulata la possibilità di fare astrazione da ogni oggetto in generale127. Se la determinazione richiesta dev’essere possibile, dev’esserci una tale assoluta facoltà di astrazione, e quella determinazione dev’essere possibile, se devono essere possibili un’autocoscienza e una coscienza della rappresentazione. Una tale facoltà dovrebbe in primo luogo poter essere intuita. – In forza della sua essenza, l’immaginazione oscilla in generale tra oggetto e non-oggetto. Essa viene fissata a non avere oggetto alcuno: ciò significa che l’immaginazione è interamente negata e tale negazione, questo non-essere dell’immaginazione è esso stesso intuito dall’immaginazione (non riflessa e quindi non in grado di pervenire a chiara coscienza). (L’oscura rappresentazione disponibile in noi allorché ci rammentiamo di astrarre da ogni aggiunta dell’immaginazione in vista del pensiero puro, è precisamente questa intuizione, che si presenta spessissimo allo spirito del pensatore). – Il prodotto di una simile intuizione (non riflessa) dovrebbe esser fissato nel-
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fixiert werden im Verstande; aber dasselbe soll Nichts, gar kein Objekt sein, mithin ist es nicht zu fixieren. (Die dunkle Vorstellung des Gedankens von einem bloßen Verhältnisse, ohne Glieder desselben, ist so etwas). Bleibt demnach nichts übrig, als überhaupt die bloße Regel der Vernunft, zu abstrahieren, das bloße Gesetz einer nicht zu realisierenden Bestimmung (durch Einbildungskraft, und Verstand für das deutliche Bewußtsein) – und jenes absolute Abstraktionsvermögen ist mithin selbst die Vernunft. Wenn alles Objektive aufgehoben wird, bleibt wenigstens das sich selbst Bestimmende, und durch sich selbst Bestimmte, das Ich, oder das Subjekt übrig. Subjekt und Objekt werden so durcheinander bestimmt, daß eins durch das andre schlechthin ausgeschlossen wird. Bestimmt das Ich nur sich selbst, so bestimmt es nichts außer sich; und bestimmt es etwas außer sich, so bestimmt es nicht bloß sich selbst. Das Ich aber ist jetzt als dasjenige bestimmt, welches [383] nach Aufhebung alles Objekts durch das absolute Abstraktionsvermögen, übrig bleibt; und das Nicht-Ich als dasjenige, von welchem durch jenes Abstraktionsvermögen abstrahiert werden kann: und wir haben demnach jetzt einen festen Unterscheidungspunkt zwischen dem Objekte, und Subjekte. (Dies ist denn auch wirklich die augenscheinliche, und nach ihrer Andeutung gar nicht mehr zu verkennende Quelle alles Selbstbewußtseins. Alles, von welchem ich abstrahieren, was ich wegdenken kann [wenn auch nicht auf einmal, doch wenigstens so, daß ich von dem, was ich jetzt übrig lasse, hinterher abstrahiere, und dann dasjenige übrig lasse, von dem ich jetzt abstrahiere] ist nicht mein Ich, und ich setze es meinem Ich bloß dadurch entgegen, daß ich es betrachte als ein solches, das ich wegdenken kann. Je mehreres ein bestimmtes
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l’intelletto: nulla dev’essere però questo stesso prodotto, non deve essere un oggetto e di conseguenza non va fissato. (L’oscura rappresentazione del pensiero di un mero rapporto, privo dei suoi termini, è qualcosa di simile). Quindi non rimane altro se non in generale la mera regola della ragione di astrarre, la mera legge di una determinazione da non realizzarsi (da parte di immaginazione e intelletto per la chiara coscienza) – e conseguentemente quella facoltà di astrazione assoluta è essa stessa la ragione128. Se è soppresso tutto ciò che è oggettivo, resta perlomeno quel che determina se stesso ed è da se stesso determinato: l’io, ovvero il soggetto. Soggetto e oggetto sono determinati l’uno dall’altro in modo che il primo è in tutto e per tutto escluso dal secondo. Se l’io determina unicamente se stesso, al di fuori di sé esso nulla determina; e se determina qualcosa al di fuori di sé, non determina semplicemente se stesso. In questo momento, tuttavia, l’io è determinato come quel che resta successivamente alla soppressione di ogni oggetto operata dall’assoluta facoltà di astrazione; e il non-io ‹è determinato› come ciò da cui si può astrarre tramite quella facoltà di astrazione: ora abbiamo dunque un fermo punto di distinzione tra oggetto e soggetto. (Questa è infatti realmente anche la fonte manifesta, e non più misconoscibile dopo esser stata avvistata, di ogni autocoscienza. Tutto ciò da cui io posso astrarre, ciò che posso immaginare che non ci sia ‹anche se non tutto d’un colpo, però almeno in modo che in seguito mi è possibile fare astrazione da ciò che per l’intanto lascio sussistere e lascio sussistere ciò da cui al momento faccio astrazione›, non è il mio io e lo contrappongo al mio io semplicemente per il fatto che lo considero come qualcosa di cui posso immaginare che non ci sia. Quante più cose un determinato
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Individuum sich wegdenken kann, desto mehr nähert sein empirisches Selbstbewußtsein sich dem reinen; – von dem Kinde an, das zum ersten Male seine Wiege verläßt, und sie dadurch von sich selbst unterscheiden lernt, bis zum popularen Philosophen, der noch materielle Ideen-Bilder annimmt, und nach dem Sitze der Seele fragt, und bis zum transzendentalen Philosophen, der wenigstens die Regel, ein reines Ich zu denken, sich denkt, und sie erweiset[)]. X) Diese, das Ich durch Abstraktion von allem, wovon abstrahiert werden kann, bestimmende Tätigkeit müßte selbst wieder bestimmt werden. Da aber in dem, von welchem nicht, und in welchem von Nichts abstrahiert werden kann (daher wird das Ich als einfach beurteilt) sich nichts weiter bestimmen läßt, so könnte sie bloß durch eine schlechthin nicht bestimmende Tätigkeit – und das durch sie Bestimmte durch ein schlechthin Unbestimmtes bestimmt werden. Ein solches Vermögen des schlechthin Unbestimmten, als die Bedingung alles Bestimmten, ist nun allerdings an der Einbildungskraft durch Folgerungen nachgewiesen worden; aber es läßt als solches sich gar nicht zum Bewußtsein erheben, weil dann dasselbe reflektiert, mithin durch den Verstand bestimmt werden müßte, mithin es nicht unbestimmt, und unendlich bliebe. Das Ich ist in der Selbstbestimmung soeben, als bestimmend und bestimmt zugleich, betrachtet worden. Wird vermittelst der gegenwärtigen höhern Bestimmung darauf reflektiert, daß das, das schlechthin Bestimmte Bestimmende ein schlechthin Unbestimmtes sein müsse; ferner darauf, daß das Ich und Nicht-Ich schlechthin entgegengesetzt sind, so ist, wenn das Ich als bestimmt [384] betrachtet wird, das bestimmende Unbestimmte das Nicht-Ich; und im Gegenteil, wenn das Ich als bestimmend betrachtet
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individuo può immaginare non ci siano, tanto più la sua autocoscienza empirica si avvicina a quella pura: dal fanciullo che per la prima volta lascia la sua culla e così facendo impara a distinguerla da se stesso, fino al filosofo popolare che assume ancora idee-immagini materiali e indaga sulla sede dell’anima e al filosofo trascendentale che come minimo pensa la regola per pensare un io puro e la dimostra.‹)› X) Quest’attività, che determina l’io astraendo da tutto ciò da cui si può fare astrazione, dovrebbe essere essa stessa nuovamente determinata. Tuttavia giacché in ciò da cui e in cui non si può astrarre nulla (di qui l’io è giudicato come semplice) nulla può essere ulteriormente determinato, allora quest’attività potrebbe essere determinata semplicemente da un’attività in tutto e per tutto non determinante e quanto è determinato da essa potrebbe esserlo da un qualcosa in tutto e per tutto indeterminato. Una tale facoltà dell’indeterminato in assoluto, quale condizione di tutto il determinato, invero ora è attribuita mediante argomentazioni all’immaginazione, ma non può affatto innalzarsi alla coscienza in quanto tale, perché in tal caso dovrebbe essere riflessa e, di conseguenza, determinata dall’intelletto, sicché non resterebbe indeterminata e infinita. Nell’autodeterminazione l’io è stato appena considerato in quanto determinante e determinato nel contempo. Se a mezzo della presente determinazione si riflette sul fatto che ciò che determina l’assolutamente determinato dev’essere un assolutamente indeterminato e inoltre sul fatto che l’io e il non-io sono in tutto e per tutto contrapposti, allora, nel caso in cui l’io sia considerato in quanto determinato, l’indeterminato determinante è il non-io; al contrario, nel caso in cui l’io sia considerato come determinante, è esso
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wird, ist es selbst das Unbestimmte, und das durch dasselbe Bestimmte ist das Nicht-Ich, und hieraus entsteht folgender Widerstreit: Reflektiert das Ich auf sich selbst, und bestimmt sich dadurch, so ist das Nicht-Ich unendlich und unbegrenzt. Reflektiert dagegen das Ich auf das Nicht-Ich überhaupt (auf das Universum) und bestimmt es dadurch, so ist es selbst unendlich. In der Vorstellung stehen demnach Ich und Nicht-Ich in Wechselwirkung; ist das eine endlich, so ist das andere unendlich; und umgekehrt; eins von beiden ist aber immer unendlich. – (Hier liegt der Grund der von Kant aufgestellten Antinomien). XI) Wird in einer noch höhern Reflexion darauf reflektiert, daß das Ich selbst das schlechthin Bestimmende, mithin auch dasjenige sei, welches die obige Reflexion, von der der Widerstreit abhängt, schlechthin bestimme, so wird das Nicht-Ich in jedem Falle wieder ein durch das Ich bestimmtes; es sei nun für die Reflexion ausdrücklich bestimmt, oder es sei für die Bestimmung des Ich durch sich selbst in der Reflexion unbestimmt gelassen: und so steht das Ich, insofern es endlich oder unendlich sein kann, bloß mit sich selbst in Wechselwirkung: eine Wechselwirkung, in der das Ich mit sich selbst vollkommen vereinigt ist, und über welche keine theoretische Philosophie hinauf steigt.
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stesso l’indeterminato e ciò che è determinato da esso è il non-io; di qui il seguente contrasto: se l’io riflette su se stesso e in tal modo si determina, allora il non-io è infinito e non delimitato. Se invece l’io riflette sul non-io in generale (sull’universo) e così facendo lo determina, allora è esso stesso infinito. Io e non-io si situano pertanto in azione reciproca nella rappresentazione: se l’uno è finito, l’altro è infinito e viceversa, ma uno dei due è sempre infinito. – (Qui il fondamento delle antinomie formulate da Kant129). XI) Se in una modalità ancora superiore si riflette sul fatto che l’io stesso è l’assolutamente determinante, di conseguenza anche ciò che determina in tutto e per tutto la precedente riflessione dalla quale dipende il contrasto, il non-io diviene allora in ogni caso nuovamente un che di determinato dall’io, sia esso determinato espressamente per la riflessione oppure in quest’ultima sia lasciato indeterminato per l’autodeterminazione dell’io: e così l’io, potendo essere finito o infinito, si colloca in azione reciproca unicamente con se stesso: un’azione reciproca in cui l’io è perfettamente unificato con se stesso e oltre la quale non v’è filosofia teoretica ad innalzarsi.
[385] DRITTER TEIL. GRUNDLAGE DER WISSENSCHAFT DES PRAKTISCHEN.
§. 5. Zweiter Lehrsatz. In dem Satze, welcher das Resultat der drei Grundsätze der gesamten Wissenschaftslehre war: das Ich, und das Nicht-Ich bestimmen sich gegenseitig, lagen folgende zwei: zuvörderst der: das Ich setzt sich als bestimmt durch das Nicht-Ich, den wir erörtert und gezeigt haben, welches Faktum in unserm Geiste demselben entsprechen müsse: und dann folgender: das Ich setzt sich als bestimmend das Nicht-Ich. Wir konnten zu Anfange des vorigen §. noch nicht wissen, ob wir dem letztern Satze jemals eine Bedeutung würden zusichern können, da in demselben die Bestimmbarkeit, mithin die Realität des Nicht-Ich vorausgesetzt wird, welche anzunehmen wir dort noch keinen Grund aufzeigen konnten. Nunmehro aber ist durch jenes postulierte Faktum, und unter Voraussetzung desselben zugleich die Realität eines Nicht-Ich – es versteht sich für das Ich, – wie denn die ganze Wissenschaftslehre, als transzendentale Wissenschaft nicht über das Ich hinausgehen kann, noch soll – postuliert, und die eigentliche Schwierigkeit, die uns verhinderte jenen zweiten Satz anzunehmen, ist gehoben. Hat ein Nicht-Ich Realität für das Ich, und, – welches das Gleiche heißt – setzt das Ich dasselbe als real, wovon die Möglichkeit sowohl, als die Art und Weise nunmehro dargestellt worden, so kann, wenn die anderweitigen Bestimmungen des Satzes denkbar sind, wie wir freilich noch nicht wissen können, das Ich allerdings auch sich setzen, als bestimmend (einschränkend, begrenzend) jene gesetzte Realität.
PARTE TERZA. FONDAMENTO DELLA SCIENZA DEL PRATICO.
§ 5. Secondo teorema Nella proposizione che era il risultato dei tre principi fondamentali dell’intera dottrina della scienza: l’io e il non-io si determinano a vicenda, si trovavano le due che seguono: anzitutto la proposizione: l’io si pone come determinato dal non-io, che abbiamo discusso mostrando quale fatto nel nostro spirito debba corrisponderle; e poi questa: l’io si pone come determinante il non-io. All’inizio del precedente § non potevamo ancora sapere se mai riuscissimo ad assicurare un significato all’ultima proposizione, poiché in essa è presupposta la determinabilità e conseguentemente la realtà del non-io, per assumere la qual cosa lì non potevamo ancora addurre una ragione. Di qui in poi, in forza di quel fatto postulato e sotto la sua presupposizione, è invece ad un tempo postulata la realtà di un non-io – s’intende, per l’io – , per cui l’intera dottrina della scienza in quanto scienza trascendentale non può, né deve, proseguire oltre l’io e la vera e propria difficoltà che ci impediva di assumere quella seconda proposizione è eliminata. Se un non-io ha realtà per l’io e se – ciò che è la medesima cosa – l’io stesso lo pone come reale, cosa della quale a questo punto sono stati esposti tanto la possibilità quanto il tipo e il modo, allora, se le altre determinazioni della proposizione sono pensabili, come noi non possiamo ancora sapere, l’io può certamente porre anche sé in quanto determinante (limitante, tracciante il confine) quella realtà posta.
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In Erörterung des aufgestellten Satzes: das Ich setzt sich, als bestimmend das Nicht-Ich, könnten wir gerade so verfahren, wie wir in Erörterung des obigen Satzes: das Ich setzt sich als bestimmt durch das Nicht-Ich, verfuhren. Es liegen in diesem ebensowohl als in jenem mehrere Gegensätze; wir könnten dieselben aufsuchen, sie synthetisch vereinigen, die durch diese Synthesis entstandnen Begriffe, wenn sie etwa wieder entgegengesetzt sein sollten, abermals synthetisch vereinigen, usf. und wir wären sicher nach einer einfachen und gründlichen [386] Methode unsern Satz völlig zu erschöpfen. Aber es gibt eine kürzere, und darum nicht weniger erschöpfende Art, ihn zu erörtern. Es liegt nämlich in diesem Satze eine Haupt-Antithese, die den ganzen Widerstreit zwischen dem Ich, als Intelligenz, und insofern beschränktem, und zwischen ebendemselben, als schlechthin gesetztem, mithin unbeschränktem Wesen umfaßt; und uns nötigt als Vereinigungsmittel ein praktisches Vermögen des Ich anzunehmen. Wir werden zuvörderst diese Antithese aufsuchen, und die Glieder ihrer Gegensetzung vereinigen. Die übrigen Antithesen werden sodann sich von selbst finden, und sich um so leichter vereinigen lassen. I. Wir nehmen, um diese Antithese aufzusuchen, den kürzesten Weg, auf welchem zugleich, von einem höhern Gesichtspunkte aus, der Hauptsatz aller praktischen Wissenschaftslehre, der: das Ich setzt sich als bestimmend das Nicht-Ich, als annehmbar erwiesen wird, und gleich vom Anfange an eine höhere Gültigkeit erhält, als eine bloß problematische. Das Ich überhaupt ist Ich; es ist schlechterdings Ein, und ebendasselbe Ich, kraft seines Gesetztseins durch sich selbst (§. 1).
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Discutendo la proposizione enunciata: l’io si pone come determinante il non-io, potevamo procedere esattamente come procedemmo nella discussione della proposizione precedente: l’io si pone come determinato dal non-io. Come in quella, altrettanto in questa proposizione ben si trovano opposizioni molteplici: noi potremmo scovarle, unificarle sinteticamente, unificare un’altra volta sinteticamente i concetti sorti per mezzo di questa sintesi, se per esempio dovessero essere nuovamente contrapposti, e così via, e saremmo certi di esaurire pienamente la nostra proposizione secondo un metodo semplice e scrupoloso. C’è tuttavia un modo più breve, ma non per questo meno esaustivo, di discuterlo. In questa proposizione si trova infatti un’antitesi capitale, che comprende l’intero contrasto fra l’io quale intelligenza, e a tale riguardo come essere limitato, e lo stesso in quanto assolutamente posto, e di conseguenza illimitato, antitesi che ci obbliga ad assumere una facoltà pratica dell’io quale mezzo di unificazione. Noi ricercheremo anzitutto questa antitesi e unificheremo i termini della sua opposizione. Poi le rimanenti antitesi risulteranno da sé e si potranno unificare tanto più facilmente. I Per metterci in cerca di quest’antitesi prendiamo la via più breve su cui nel contempo, da un punto di vista superiore, la proposizione capitale di tutta la dottrina della scienza pratica, ‹e cioè› questa: l’io si pone come determinante il non-io, può essere dimostrata degna di essere assunta e ottenere parimenti sin dall’inizio una validità superiore a quella semplicemente problematica. L’io in generale è io; è assolutamente un unico e proprio medesimo io in forza del suo essere-posto da se stesso (§ 1).
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Insofern nun insbesondre das Ich vorstellend oder eine Intelligenz ist, ist es als solches allerdings auch Eins; ein Vorstellungsvermögen unter notwendigen Gesetzen: aber es ist insofern gar nicht Eins und ebendasselbe mit dem absoluten, schlechthin durch sich selbst gesetzten Ich. Denn das Ich als Intelligenz ist zwar, insofern es dies schon ist, seinen besondern Bestimmungen nach innerhalb dieser Sphäre durch sich selbst bestimmt; es ist auch insofern nichts in ihm, als dasjenige, was es in sich setzt, und in unsrer Theorie ist nachdrücklich widersprochen worden der Meinung, daß irgend etwas in das Ich komme, wogegen dasselbe sich bloß leidend verhalte. Aber diese Sphäre selbst, überhaupt, und an sich betrachtet, ist ihm nicht durch sich selbst, sondern durch etwas außer ihm gesetzt; die Art und Weise des Vorstellens überhaupt ist allerdings durch das Ich, daß aber überhaupt das Ich vorstellend sei, ist nicht durch das Ich, sondern durch etwas außer dem Ich bestimmt, wie wir gesehen haben. Wir konnten nämlich die Vorstellung überhaupt auf keine Art möglich denken, als durch die Voraussetzung, daß auf die ins Unbestimmte und Unend-[387]liche hinausgehende Tätigkeit des Ich ein Anstoß geschehe. Demnach ist das Ich als Intelligenz überhaupt, abhängig von einem unbestimmten, und bis jetzt völlig unbestimmbaren Nicht-Ich; und nur durch und vermittelst eines solchen Nicht-Ich ist es Intelligenz.* [387] * Wer in dieser Äußerung tiefen Sinn, und ausgebreitete Folgen ahnet, ist mir ein sehr willkommner Leser, und er folgere aus ihr nach seiner eignen Art immer ruhig fort. – Ein endliches Wesen ist nur als Intelligenz endlich; die praktische Gesetzgebung die ihm mit dem Unendlichen gemein sein soll, kann von nichts außer ihm abhängen. Auch diejenigen, welche sich die Fertigkeit erworben haben, aus wenigen Grundlinien eines völlig neuen, und von ihnen nicht zu übersehenden Systems – wenn auch nichts weiter, doch aufs mindeste Atheismus zu wittern, halten sich indessen an diese Erklärung, und sehen, was sie etwa daraus machen können.
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Ora, nella misura in cui in particolare l’io è rappresentante, ovvero è un’intelligenza, in quanto tale è veramente anche unico, una facoltà rappresentativa sottoposta a leggi necessarie: tuttavia, quanto a ciò, non è una sola e stessa cosa con l’io assoluto, in tutto e per tutto posto da se stesso. Infatti l’io quale intelligenza, essendo già tale, entro questa sfera è certamente determinato da se stesso, secondo le sue peculiari determinazioni: nulla altresì v’è in esso se non ciò che esso pone in sé, e nella nostra teoria è stata fermamente avversata l’opinione secondo la quale nell’io sopraggiunge un qualcosa nei cui confronti esso si rapporta in modo soltanto passivo. Epperò questa sfera stessa, in assoluto e considerata in sé, non è per l’io posta per opera propria bensì da qualcosa di esterno a esso: come abbiamo visto, il tipo e il modo del rappresentare in generale sono veramente determinati dall’io, tuttavia il fatto che in generale l’io sia rappresentante non è determinato dall’io ma da qualcosa che gli è esterno. Vale a dire, in nessun modo potemmo ritenere possibile la rappresentazione in generale se non presupponendo che nell’attività dell’io, procedente all’indeterminato e infinito, avvenisse un urto. L’io, in quanto intelligenza in generale, è dunque dipendente da un non-io indeterminato e finora totalmente indeterminabile, e soltanto per opera di e mediante un tale non-io esso è intelligenza*. * È per me assai benvenuto il lettore che avverta il senso profondo e le grandi conseguenze di questa osservazione e da essa prosegua sempre pacatamente da par suo. – Un essere finito è finito soltanto in quanto intelligenza; la legislazione pratica che gli dev’essere comune con l’essere infinito non può dipendere da alcunché a lui esterno. Anche coloro che, da poche linee fondamentali di un sistema completamente nuovo e del quale non sono in grado di avere una visione d’insieme, si sono guadagnati l’abilità di sospettare se non altro almeno un po’ di ateismo, si arrestino nel frattempo a questa spiegazione e vedano che cosa possano mai farsene.
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Das Ich aber soll allen seinen Bestimmungen nach schlechthin durch sich selbst gesetzt, und demnach völlig unabhängig von irgendeinem möglichen Nicht-Ich sein. Mithin ist das absolute Ich, und das intelligente (wenn es erlaubt ist, sich auszudrücken, als ob sie zwei Ich ausmachten, da sie doch nur Eins ausmachen sollen) nicht Eins und ebendasselbe, sondern sie sind einander entgegengesetzt; welches der absoluten Identität des Ich widerspricht. Dieser Widerspruch muß gehoben werden, und er läßt sich nur auf folgende Art heben: – Die Intelligenz des Ich überhaupt, welche den Widerspruch verursacht, kann nicht aufgehoben werden, ohne daß das Ich abermals in einen neuen Widerspruch mit sich selbst versetzt werde, denn wenn einmal ein Ich gesetzt, und ein Nicht-Ich demselben entgegengesetzt ist, so ist auch, laut der gesamten theoretischen Wissenschaftslehre, ein Vorstellungsvermögen mit allen seinen Bestimmungen gesetzt. Auch ist das Ich, insofern es schon als Intelligenz gesetzt ist, bloß durch sich selbst bestimmt, wie wir soeben erinnert, und im theoretischen Teile erwiesen haben. Aber die Abhängigkeit des Ich, als Intelligenz, soll aufgehoben werden, und dies ist nur unter der Bedingung denkbar, daß das Ich jenes bis jetzt unbekannte Nicht-Ich, dem der Anstoß beigemessen ist, durch welchen das Ich zur Intelligenz wird, durch sich selbst bestimme. Auf diese Art würde das vorzustellende Nicht-Ich unmittelbar, das vorstellende Ich aber mittelbar, vermittelst jener Bestimmung, durch das absolute Ich bestimmt; das Ich würde lediglich von sich selbst abhängig d. i. es würde durchgängig durch sich selbst [388] bestimmt; es wäre das, als was es sich setzt, und schlechthin nichts weiter, und der Widerspruch wäre befriedigend gehoben. Und so hätten wir denn wenigstens die zweite Hälfte unsers aufgestellten Hauptsatzes, den Satz: das Ich bestimmt das Nicht-Ich (nämlich das Ich ist das Bestimmende, das Nicht-Ich das BestimmtWerdende) vorläufig erwiesen.
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Eppure l’io dev’essere posto in tutto e per tutto da se stesso secondo tutte le sue determinazioni e pertanto dev’essere totalmente indipendente da un qualunque non-io possibile. Ne consegue che l’io assoluto e l’io intelligente (se è consentito esprimersi come se formassero due io, mentre devono formarne uno solo) non sono un’unica e medesima cosa ma sono l’un l’altro contrapposti, ciò che contraddice l’identità assoluta dell’io. Questa contraddizione dev’essere tolta e si può levare soltanto nel modo seguente. – L’intelligenza dell’io in generale, che causa la contraddizione, non può essere soppressa senza che l’io sia da capo messo in una nuova contraddizione con se stesso, perché, una volta posto un io e contrappostogli un non-io, è altresì posta, in conformità all’intera dottrina della scienza teoretica, una facoltà rappresentativa con tutte le sue determinazioni. Inoltre l’io, essendo già posto quale intelligenza, è determinato semplicemente da se stesso, come abbiamo appena rammentato e dimostrato nella parte teoretica. Però la dipendenza dell’io, in quanto intelligenza, dev’essere soppressa e ciò è pensabile soltanto a condizione che l’io determini da se stesso quel non-io, finora ignoto, a cui è attribuito l’urto per mezzo di cui l’io diviene intelligenza. In tal modo il non-io che va rappresentato sarebbe determinato immediatamente dall’io assoluto, mentre l’io che svolge l’operazione del rappresentare sarebbe determinato mediatamente, per mezzo di quella determinazione; l’io dipenderebbe esclusivamente da se stesso, ossia sarebbe determinato da se stesso, senza eccezioni: sarebbe ciò che esso si pone e assolutamente nulla di più, e la contraddizione sarebbe felicemente tolta. E in tal modo avremmo poi temporaneamente dimostrato almeno la seconda metà della proposizione fondamentale che abbiamo stabilito, cioè la tesi: l’io determina il non-io (cioè l’io è il determinante, il non-io ciò che diviene-determinato).
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Das Ich, als Intelligenz, stand mit dem Nicht-Ich, dem der postulierte Anstoß zuzuschreiben ist, im KausalVerhältnisse; es war bewirktes vom Nicht-Ich, als seiner Ursache. Denn das Kausal-Verhältniss besteht darin, daß vermöge der Einschränkung der Tätigkeit in dem Einen (oder vermöge einer Quantität Leiden in ihm) eine der aufgehobnen Tätigkeit gleiche Quantität der Tätigkeit in sein Entgegengesetztes, nach dem Gesetze der Wechselbestimmung, gesetzt werde. Soll aber das Ich Intelligenz sein, so muß ein Teil seiner in das Unendliche hinausgehenden Tätigkeit aufgehoben werden, die dann, nach dem angeführten Gesetze, in das Nicht-Ich gesetzt wird. Weil aber das absolute Ich gar keines Leidens fähig, sondern absolute Tätigkeit, und gar nichts als Tätigkeit sein soll; so mußte, wie soeben dargetan, angenommen werden, daß auch jenes postulierte Nicht-Ich bestimmt, also leidend sei, und die diesem Leiden entgegengesetzte Tätigkeit mußte in das ihm Entgegengesetzte, in das Ich, und zwar nicht in das intelligente, weil dieses selbst durch jenes Nicht-Ich bestimmt ist, sondern in das absolute gesetzt werden. Ein solches Verhältniss aber, wie dadurch angenommen worden, ist das Kausal-Verhältnis. Das absolute Ich soll demnach Ursache vom Nicht-Ich sein, insofern dasselbe der letzte Grund aller Vorstellung ist, und dieses insofern sein Bewirktes. 1) Das Ich ist schlechthin tätig, und bloß tätig – das ist die absolute Voraussetzung. Aus dieser wird zuvörderst ein Leiden des Nicht-Ich, insofern dasselbe das Ich als Intelligenz bestimmen soll, gefolgert; die diesem Leiden entgegengesetzte Tätigkeit wird in das absolute Ich gesetzt, als bestimmte Tätigkeit, als gerade diejenige Tätigkeit, durch welche das Nicht-Ich bestimmt wird. So wird demnach aus der absoluten Tätigkeit des Ich eine gewisse bestimmte Tätigkeit desselben gefolgert. 2) Alles, was soeben erinnert worden, dient zugleich, um die obige Folgerungsart noch einleuchtender zu
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L’io, quale intelligenza, stava in rapporto causale con il non-io, a cui è da attribuire l’urto postulato: sull’io aveva effetto, quale sua causa, il non-io. Infatti il rapporto causale consiste, in virtù della limitazione dell’attività in uno dei termini (ovvero in forza di una quantità di passività in esso), nel porre nel termine che gli è contrapposto una quantità di attività pari a quella soppressa, rispettando la legge della determinazione reciproca. Tuttavia, se l’io dev’essere intelligenza, è necessario allora che una parte della sua attività proseguente all’infinito sia soppressa, la quale poi è posta nel non-io, secondo la legge menzionata. Poiché tuttavia l’io assoluto non è affatto suscettibile di una passività, dovendo invece essere attività assoluta e nient’altro che attività, allora si doveva assumere, come appena esposto, che anche quel non-io postulato è determinato, e perciò passivo, e che l’attività contrapposta a questa passività doveva essere posta in ciò che è gli è contrapposto, nell’io, e precisamente non nell’io intelligente, perché proprio questo è determinato da quel non-io, bensì in quello assoluto. Ma un tale rapporto, come si è con ciò assunto, è il rapporto causale. L’io assoluto dev’essere quindi causa del non-io, nella misura in cui esso è il fondamento ultimo di ogni rappresentazione, e in quanto a ciò il non-io è suo effetto. 1) L’io è in tutto e per tutto attivo e puramente e semplicemente attivo – questo è il presupposto assoluto. Di qui deriva prima di tutto una passività del non-io, in quanto esso deve determinare l’io come intelligenza; l’attività contrapposta a questa passività è posta nell’io assoluto quale attività determinata, esattamente come quell’attività mediante cui il non-io viene determinato. Pertanto dall’attività assoluta dell’io è così dedotta una certa sua attività determinata. 2) Tutto ciò che è stato appena ricordato serve insieme a delucidare ancor più chiaramente la modalità argo-
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machen. Die Vorstellung überhaupt (nicht etwa die besondern Bestimmungen derselben) ist unwidersprechlich ein Bewirktes des Nicht-Ich. Aber im Ich kann schlechthin nichts sein, das ein Bewirktes sei; denn das Ich ist das, als was es sich setzt, und es ist nichts in ihm, was es nicht in sich setzt. Mithin muß jenes Nicht-Ich selbst ein Bewirktes des Ich, und zwar des absoluten Ich sein: [(] – und so hätten wir denn gar keine [389] Einwirkung auf das Ich von außen, sondern bloß eine Wirkung desselben auf sich selbst; die freilich einen Umweg nimmt, dessen Gründe bis jetzt noch nicht bekannt sind, aber vielleicht in der Zukunft sich werden aufzeigen lassen). Das absolute Ich soll demnach sein Ursache des NichtIch an und für sich, d. i. nur desjenigen im Nicht-Ich, was übrig bleibt, wenn man von allen erweisbaren Formen der Vorstellung abstrahirt; desjenigen, welchem der Anstoß auf die ins Unendliche hinausgehende Tätigkeit des Ich zugeschrieben wird: denn daß von den besondern Bestimmungen des Vorgestellten, als eines solchen das intelligente Ich nach den notwendigen Gesetzen des Vorstellens Ursache sei, wird in der theoretischen Wissenschaftslehre dargetan. Auf die gleiche Art, nämlich durch absolutes Setzen, kann das Ich nicht Ursache des Nicht-Ich sein. Sich selbst setzt das Ich schlechthin, und ohne allen weitern Grund, und es muß sich setzen, wenn es irgend etwas anderes setzen soll: denn was nicht ist, kann nichts setzen; das Ich aber ist (für das Ich) schlechthin, und lediglich durch sein eignes Setzen seiner selbst. Das Ich kann das Nicht-Ich nicht setzen, ohne sich selbst einzuschränken. Denn das Nicht-Ich ist dem Ich völlig entgegengesetzt; was das Nicht-Ich ist, ist das Ich nicht; insofern demnach das Nicht-Ich gesetzt ist (ihm das Prädikat des Gesetztseins zukommt) ist das Ich nicht gesetzt. Würde etwa das Nicht-Ich ohne alle Quantität als unbeschränkt, und unendlich gesetzt, so wäre das Ich gar nicht
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mentativa di cui sopra. La rappresentazione in generale (non, per esempio, le sue determinazioni particolari) è inconfutabilmente un effetto del non-io. Ma nell’io non può esserci alcunché in assoluto che sia un effetto: l’io è infatti soltanto ciò che esso si pone e nulla v’è in esso che esso non ponga in sé. Di conseguenza quello stesso non-io dev’essere un effetto dell’io, e precisamente dell’io assoluto (e così non avremmo affatto causazione dall’esterno sull’io bensì semplicemente un’azione dell’io su se stesso, la quale certo prende una via traversa senza che ne siano ancora noti i motivi, i quali però in futuro forse potranno essere indicati). L’io assoluto deve quindi essere causa del non-io in sé e per sé, vale a dire soltanto di quello che resta nel nonio se si fa astrazione da tutte le forme dimostrabili della rappresentazione; di quello a cui viene attribuito l’urto nei confronti dell’attività dell’io procedente all’infinito: nella parte teoretica della dottrina della scienza è stato dimostrato infatti che l’io intelligente è, secondo le leggi necessarie della rappresentazione, causa delle particolari determinazioni del rappresentato in quanto tale. Allo stesso modo, cioè tramite assoluto porre, l’io non può essere causa del non-io. L’io in tutto e per tutto pone se stesso, e senza ragione e fondamento ulteriore, ed è necessario che si ponga, se deve porre un qualcosa d’altro: infatti, ciò che non è non può porre nulla, ma l’io è (per l’io) assolutamente ed esclusivamente ponendo proprio se stesso. L’io non può porre il non-io senza limitare se stesso. Il non-io è, infatti, totalmente contrapposto all’io: ciò che il non-io è, non è l’io; pertanto nella misura in cui è posto il non-io (il predicato dell’essere-posto gli spetta), non è posto l’io. Se, per esempio, il non-io fosse posto come illimitato e infinito, senza alcuna quantità, allora l’io non sarebbe affatto posto, la sua realtà sarebbe del
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gesetzt, seine Realität wäre völlig vernichtet, welches dem Obigen widerspricht. – Mithin müßte es in bestimmter Quantität gesetzt werden, und demnach die Realität des Ich um die gesetzte Quantität der Realität des Nicht-Ich eingeschränkt werden. – Die Ausdrücke: ein Nicht-Ich setzen, und: das Ich einschränken, sind völlig gleichgeltend, wie in der theoretischen Wissenschaftslehre dargetan worden. Nun sollte in unsrer Voraussetzung das Ich ein NichtIch setzen schlechthin, und ohne allen Grund, d. i. es sollte sich selbst schlechthin, und ohne allen Grund einschränken, zum Teil nicht setzen. Es müßte demnach den Grund sich nicht zu setzen, in sich selbst haben, es müßte in ihm sein das Prinzip sich zu setzen, und das Prinzip, sich auch nicht zu setzen. Mithin wäre das Ich in seinem Wesen sich selbst entgegengesetzt, und widerstreitend; es wäre in ihm ein zwiefaches entgegengesetztes Prinzip, welche Annahme sich selbst widerspricht, denn dann wäre [390] in ihm gar kein Prinzip. Das Ich wäre gar nichts, denn es höbe sich selbst auf. (Wir stehen hier auf einem Punkte, von welchem aus wir den wahren Sinn unsers zweiten Grundsatzes: dem Ich wird entgegengesetzt ein Nicht-Ich, und vermittelst desselben die wahre Bedeutung unsrer ganzen Wissenschaftslehre deutlicher darstellen können, als wir es bis jetzt irgendwo konnten. Im zweiten Grundsatze ist nur einiges absolut; einiges aber setzt ein Faktum voraus, das sich a priori gar nicht aufzeigen läßt, sondern lediglich in eines jeden eigner Erfahrung. Außer dem Setzen des Ich durch sich selbst soll es noch ein Setzen geben. Dies ist a priori eine bloße Hypothese; daß es ein solches Setzen gebe, läßt sich durch nichts dartun, als durch ein Faktum des Bewußtseins, und jeder muß es sich selbst durch dieses Faktum dartun; keiner kann es dem andern durch Vernunftgründe beweisen.
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tutto annientata, il che contraddice ciò di cui sopra. – Di conseguenza il non-io dovrebbe essere posto in quantità determinata e la realtà dell’io sarebbe pertanto limitata in favore della quantità di realtà posta nel non-io. – Le espressioni porre un non-io e limitare l’io sono affatto equivalenti, com’è stato dimostrato nella dottrina della scienza teoretica. Ora, nella nostra presupposizione l’io dovrebbe porre in assoluto, e senza ragione e fondamento alcuno, il non-io, in altri termini dovrebbe in tutto e per tutto, e senza ragione e fondamento alcuno, limitare se stesso, in parte dovrebbe non porre sé. Dovrebbe pertanto avere in se stesso la ragione e il fondamento per non porre sé; in esso dovrebbe esserci il principio del porsi ed altresì il principio del non porre sé. Conseguentemente, l’io nella sua essenza sarebbe contrapposto a se stesso e con se stesso in conflitto; vi sarebbe in esso un duplice principio contrapposto, la cui assunzione è autocontraddittoria perché in tal caso in esso non vi sarebbe proprio un principio. L’io non sarebbe assolutamente alcunché, perché si autosopprimerebbe. (Siamo qui in un punto dal quale possiamo esporre in modo più perspicuo di quanto finora abbiamo potuto il senso vero del nostro secondo principio fondamentale: all’io è contrapposto un non-io, e con quello il vero significato dell’intera nostra dottrina della scienza. Nel secondo principio fondamentale c’è soltanto un unico assoluto: tuttavia esso presuppone un fatto che si può far vedere non a priori bensì esclusivamente nell’esperienza propria di ognuno. Oltre al porsi dell’io ad opera propria dev’esserci ancora un ‹altro› porre. A priori questa è una pura e semplice ipotesi: che vi sia un tale porre non si può affatto dimostrare, se non con un fatto della coscienza e ognuno deve dimostrarlo a se stesso tramite questo fatto; nessuno può dimostrarlo all’altro ricorrendo a motivazioni
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(Er könnte wohl irgendein zugestandnes Faktum durch Vernunftgründe auf jenes höchste Faktum zurückführen; aber ein solcher Beweis leistete nichts weiter, als daß er den andern überführte, er habe vermittelst des Zugestehens irgendeines Faktums auch jenes höchste Faktum zugestanden). Absolut aber, und schlechthin im Wesen des Ich gegründet ist es, daß, wenn es ein solches Setzen gibt, dieses Setzen ein Entgegensetzen, und das Gesetzte ein Nicht-Ich sein müsse. – Wie das Ich irgend etwas von sich selbst unterscheiden könne, dafür läßt kein höherer Grund der Möglichkeit irgend woher sich ableiten, sondern dieser Unterschied liegt aller Ableitung, und aller Begründung selbst zum Grunde. Daß jedes Setzen, welches nicht ein Setzen des Ich ist, ein Gegensetzen sein müsse, ist schlechthin gewiß: daß es ein solches Setzen gebe, kann jeder nur durch seine eigene Erfahrung sich dartun. Daher gilt die Argumentation der Wissenschaftslehre schlechthin a priori, sie stellt lediglich solche Sätze auf, die a priori gewiß sind: Realität aber erhält sie erst in der Erfahrung. Wer des postulierten Faktums sich nicht bewußt sein könnte – man kann sicher wissen, daß dies bei keinem endlichen vernünftigen Wesen der Fall sein werde – für den hätte die ganze Wissenschaft keinen Gehalt, sie wäre ihm leer; dennoch aber müßte er ihr die formale Richtigkeit zugestehen. Und so ist denn die Wissenschaftslehre a priori möglich, ob sie gleich auf Objekte gehen soll. Das Objekt ist nicht a priori, sondern es wird ihr erst in der Erfahrung gegeben; die objektive Gültigkeit liefert jedem sein eigenes Bewußtsein des Objekts, welches Bewußtsein sich a priori nur postulieren, nicht aber deduzieren läßt. – Folgendes nur als Beispiel! – Für die Gottheit, d. i. für ein Bewußtsein, in welchem durch das bloße Gesetztsein des Ich alles gesetzt wäre (nur ist für uns [391] der Begriff eines solchen Bewußtseins undenkbar) würde unsre
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razionali. [Uno potrebbe ben ricondurre a quel fatto supremo un qualche fatto ammesso attraverso motivazioni razionali, ma una tale dimostrazione non condurrebbe a nulla di più se non a convincere l’altro che egli, ammettendo un qualche fatto, ha ammesso anche il fatto più elevato]. Ma è fondato assolutamente e in tutto e per tutto nell’essenza dell’io che se un tale porre si dà, questo porre dev’essere un contrapporre e quel che è posto dev’essere un non-io. – In che modo l’io possa distinguere una cosa qualunque da se stesso, è un fatto la cui possibilità non è inferibile da alcuna più alta ragione, tuttavia questa distinzione sta alla base di ogni inferenza e di ogni fondazione. È in tutto e per tutto certo che ogni porre che non sia un porre dell’io debba essere un opporre: che un tale porre vi sia ognuno può dimostrarselo soltanto per sua personale esperienza. Quindi l’argomentazione della dottrina della scienza vale in tutto e per tutto a priori: essa stabilisce ed enuncia soltanto proposizioni tali che sono certe a priori ma riceve realtà unicamente nell’esperienza. Per chi non potesse essere consapevole del fatto postulato – si può sapere con sicurezza che ciò non capiterà mai in alcun essere ragionevole finito –, per costui l’intera dottrina della scienza non avrebbe contenuto, sarebbe per lui vuota e tuttavia egli dovrebbe riconoscerle la correttezza formale. E così infatti la dottrina della scienza è possibile a priori, benché debba rivolgersi a oggetti. L’oggetto è dato non a priori, alla dottrina della scienza invece è dato unicamente nell’esperienza; la validità oggettiva offre a ciascuno la sua propria coscienza dell’oggetto, coscienza la quale può a priori essere soltanto postulata ma non dedotta. – Quanto segue ne sia soltanto un esempio! – Per la divinità, ossia per una coscienza in cui, attraverso il semplice esser-posto dell’io, tutto sarebbe posto [solo che il concetto di una coscienza siffatta è per noi impensabile], la nostra dottrina della scienza non
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Wissenschaftslehre keinen Gehalt haben, weil in einem solchen Bewußtsein gar kein anderes Setzen vorkäme, als das des Ich; aber formale Richtigkeit würde sie auch für Gott haben, weil die Form derselben die Form der reinen Vernunft selbst ist). II. Wir haben gesehen, daß die geforderte Kausalität des Ich auf das Nicht-Ich, durch die der aufgezeigte Widerspruch zwischen der Unabhängigkeit des Ich, als absoluten Wesens, und der Abhängigkeit desselben, als Intelligenz gehoben werden sollte, selbst einen Widerspruch enthält. Dennoch muß der erste Widerspruch gehoben werden, und er kann nicht anders gehoben werden als durch die geforderte Kausalität; wir müssen demnach den in dieser Forderung selbst liegenden Widerspruch zu lösen suchen, und wir gehen jetzt an diese zweite Aufgabe. Um dies zu bewerkstelligen, suchen wir zuvörderst den wahren Sinn dieses Widerspruchs etwas tiefer auf. Das Ich soll Kausalität auf das Nicht-Ich haben, und dasselbe für die mögliche Vorstellung von ihm erst hervorbringen, weil dem Ich nichts zukommen kann, was es nicht, sei es nun unmittelbar, oder mittelbar selbst in sich setzt, und weil es schlechthin alles, was es ist, durch sich selbst sein soll. – Also die Forderung der Kausalität gründet sich auf die absolute Wesenheit des Ich. Das Ich kann keine Kausalität auf das Nicht-Ich haben, weil das Nicht-Ich dann aufhörte Nicht-Ich zu sein (dem Ich entgegengesetzt zu sein), und selbst Ich würde. Aber das Ich selbst hat das Nicht-Ich sich entgegengesetzt; und dieses Entgegengesetztsein kann demnach nicht aufgehoben werden, wenn nicht etwas aufgehoben werden soll, das das Ich gesetzt hat, und also das Ich aufhören soll Ich zu sein, welches der Identität des Ich widerspricht. – Demnach gründet der Widerspruch gegen die geforderte
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avrebbe un contenuto, perché in una tale coscienza non ricorrerebbe alcun altro porre, se non quello dell’io; tuttavia anche per Dio essa possiederebbe correttezza formale, perché la sua forma è la forma della ragione pura stessa). II. Abbiamo visto che la richiesta causalità dell’io sul non-io, tramite la quale doveva essere soppressa la contraddizione indicata tra l’indipendenza dell’io quale essere assoluto e la sua dipendenza come intelligenza, contiene anch’essa una contraddizione. La prima contraddizione deve tuttavia essere soppressa e non può esserlo se non appunto attraverso la causalità di cui si avanza l’esigenza: pertanto dobbiamo cercare di risolvere la contraddizione presente in questa richiesta e procediamo ora a questo secondo compito. Per riuscirci, anzitutto indaghiamo un po’ più approfonditamente il vero senso di questa contraddizione. L’io deve possedere causalità sul non-io e ciò soltanto per produrne la possibile rappresentazione, perché nulla può spettare all’io che esso stesso non ponga in sé, immediatamente o in modo mediato, e perché tutto ciò che l’io è esso dev’esserlo in assoluto da se stesso. – L’esigenza della causalità si fonda dunque sull’assoluta essenzialità dell’io. L’io non può possedere alcuna causalità nei confronti del non-io, perché in tal caso il non-io cesserebbe di essere non-io (di essere contrapposto all’io) e diverrebbe esso stesso io. Tuttavia è l’io in quanto tale ad essersi contrapposto il non-io e questo essere-contrapposto non può quindi essere soppresso se non dev’essere soppresso ciò che l’io ha posto e se l’io non deve cessare in tal modo di essere io, la qual cosa contraddice l’identità dell’io. – Dunque, la contraddizione nei confronti della
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Kausalität sich darauf, daß dem Ich ein Nicht-Ich schlechthin entgegengesetzt ist, und entgegengesetzt bleiben muß. Der Widerstreit ist demnach zwischen dem Ich selbst in jenen zwei verschiednen Ansichten desselben. Sie sind es, die sich widersprechen; zwischen ihnen ist eine Vermittelung zu treffen. (In Rücksicht auf ein Ich, dem Nichts entgegengesetzt [392] wäre, die undenkbare Idee der Gottheit, würde ein solcher Widerspruch gar nicht statthaben). Insofern das Ich absolut ist, ist es unendlich, und unbeschränkt. Alles was ist, setzt es; und was es nicht setzt, ist nicht (für dasselbe; und außer demselben ist nichts). Alles aber, was es setzt, setzt es als Ich; und das Ich setzt es, als alles, was es setzt. Mithin faßt in dieser Rücksicht das Ich in sich alle, d. i. eine unendliche unbeschränkte Realität. Insofern das Ich sich ein Nicht-Ich entgegensetzt, setzt es notwendig Schranken (§. 3) und sich selbst in diese Schranken. Es verteilt die Totalität des gesetzten Seins überhaupt an das Ich, und an das Nicht-Ich; und setzt demnach insofern sich notwendig als endlich. Diese zwei sehr verschiednen Handlungen lassen sich durch folgende Sätze ausdrücken. Der erste: Das Ich setzt schlechthin sich als unendlich, und unbeschränkt. Der zweite: Das Ich setzt schlechthin sich als endlich und beschränkt. Und es gäbe demnach einen höhern Widerspruch im Wesen des Ich selbst, insofern es durch seine erste und durch seine zweite Handlung sich ankündigt, aus welchem der gegenwärtige herfließt. Wird jener gelöst, so ist auch dieser gelöst, der auf jenen sich gründet. Alle Widersprüche werden vereinigt durch nähere Bestimmung der widersprechenden Sätze, so auch dieser. In einem andern Sinne müßte das Ich gesetzt sein als unendlich, in einem andern als endlich. Wäre es in einem und ebendemselben Sinne als unendlich und als endlich gesetzt, so wäre der Widerspruch unauflösbar, das Ich wäre nicht Eins, sondern Zwei; und es bliebe uns kein Ausweg übrig, als der des Spinoza, das Unendliche außer
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causalità richiesta si fonda sul fatto che all’io è, e deve restare, in tutto e per tutto contrapposto un non-io. Il conflitto è, conseguentemente, fra quei due diversi aspetti insiti nell’io stesso. Sono essi a contraddirsi ed è tra loro che va trovata una mediazione. (Una tale contraddizione non potrebbe affatto aver luogo al riguardo di un io cui nulla fosse contrapposto, ‹quell’›io che poi è l’impensabile idea della divinità). Essendo assoluto, l’io è infinito e illimitato. Pone tutto ciò che è e ciò che esso non pone non è (per esso stesso, e al di fuori di esso non v’è alcunché). Tutto ciò che pone, però, lo pone quale io, e pone l’io come tutto ciò che esso pone. Ne consegue che l’io, per questo riguardo, comprende in sé tutto, vale a dire un’illimitata, infinita realtà. Contrapponendosi un non-io, l’io necessariamente pone limiti (§ 3) e se stesso entro questi limiti. Esso suddivide nell’io e nel non-io la totalità dell’essere posto in generale e in tal modosi pone dunque necessariamente come finito. Queste due diversissime azioni si possono esprimere con le proposizioni seguenti. La prima: l’io si pone in assoluto come infinito e illimitato. La seconda: l’io si pone in assoluto come finito e limitato. Nell’essenza dell’io stesso, in quanto esso si annuncia per mezzo della sua prima e della sua seconda azione, vi sarebbe perciò una più alta contraddizione dalla quale deriva quella presente. Risolta quella, è risolta allora pure questa che su quella si fonda. Tutte le contraddizioni sono unificate da una determinazione più ravvicinata delle proposizioni contraddittorie: è questo il caso anche della presente. In un senso l’io dovrebbe essere posto come infinito, in un altro come finito. Se fosse posto in un solo e medesimo senso come infinito e finito, la contraddizione sarebbe insuperabile, l’io non sarebbe una sola cosa bensì due e non ci rimarrebbe alcuna via d’uscita, se non quella di Spinoza,
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uns zu versetzen; wobei aber immer unbeantwortet bliebe, (Spinoza selbst konnte um seines Dogmatismus willen sich auch nicht einmal die Frage aufwerfen) wie doch wenigstens die Idee davon in uns gekommen sein möge. In welchem Sinne nun ist das Ich als unendlich, in welchem ist es endlich gesetzt? Das eine wie das andere wird ihm schlechthin beigemessen; die bloße Handlung seines Setzens ist der Grund seiner Unendlichkeit sowohl, als seiner Endlichkeit. Bloß dadurch, daß es etwas setzt, setzt es in einem wie in dem andern Falle sich in dieses Etwas, schreibt sich selbst dieses Etwas zu. Wir dürfen demnach nur in der bloßen Handlung dieses verschiedenen Setzens einen Unterschied auffinden, so ist die Aufgabe gelöst. Insofern das Ich sich als unendlich setzt, geht seine Tätigkeit (des Setzens) auf [393] das Ich selbst, und auf nichts anderes, als das Ich. Seine ganze Tätigkeit geht auf das Ich, und diese Tätigkeit ist der Grund und der Umfang alles Seins. Unendlich ist demnach das Ich, inwiefern seine Tätigkeit in sich selbst zurückgeht, und insofern ist denn auch seine Tätigkeit unendlich, weil das Produkt derselben, das Ich, unendlich ist. (Unendliches Produkt, unendliche Tätigkeit; unendliche Tätigkeit, unendliches Produkt; dies ist ein Zirkel, der aber nicht fehlerhaft ist, weil es derjenige ist, aus welchem die Vernunft nicht heraustreten kann, da durch ihn dasjenige ausgedrückt wird, was schlechthin durch sich selbst, und um sein Selbst willen gewiß ist. Produkt, und Tätigkeit, und Tätiges sind hier Eins und ebendasselbe (§. 1), und bloß um uns ausdrücken zu können, unterschieden wir sie). Die reine Tätigkeit des Ich allein, und das reine Ich allein ist unendlich. Die reine Tätigkeit aber ist diejenige, die gar kein Objekt hat, sondern in sich selbst zurückgeht. Insofern das Ich Schranken, und nach dem Obigen sich selbst in diese Schranken setzt, geht seine Tätigkeit (des Setzens) nicht unmittelbar auf sich selbst, sondern auf
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consistente nel trasferire l’infinito al di fuori di noi: laddove rimarrebbe pur sempre senza risposta in che modo possa essere giunta in noi almeno l’idea di ciò (Spinoza stesso, attenendosi al suo dogmatismo, non poteva sollevare la questione, neppure una volta). Ora, in che senso l’io è posto quale infinito, in quale come finito? L’uno come l’altro gli sono ascritti in assoluto, la pura e semplice azione del suo porre è il fondamento tanto della sua infinità quanto della sua finitezza. Semplicemente per il fatto di porre qualcosa, in uno come nell’altro caso esso si pone in questo qualcosa, se lo attribuisce. Pertanto, se soltanto potessimo rinvenire una distinzione nella mera azione di questo diversificato porre, il compito sarebbe risolto. Nella misura in cui si pone come infinito, l’attività (di porre) dell’io si rivolge all’io stesso e a nient’altro che l’io. L’intera sua attività mira all’io e quest’attività è il fondamento e l’ambito di tutto l’essere. L’io è di conseguenza infinito in quanto la sua attività ritorna in se stessa e in tal modo anche la sua attività è infinita perché il suo prodotto, l’io, è infinito. (Prodotto infinito, attività infinita; attività infinita, prodotto infinito: questo è un circolo che tuttavia non è vizioso, essendo quello da cui la ragione non può venir fuori poiché con esso è espresso ciò che è in tutto e per tutto certo da se stesso e in favore di se stesso. Prodotto e attività e agente sono qui un’unica e medesima cosa [§ 1] e li distinguiamo semplicemente per poterci esprimere). Solamente l’attività pura dell’io e solamente il puro io sono infiniti. La pura attività è però quella che non ha alcun oggetto e che invece ritorna in se stessa. Nella misura in cui l’io pone limiti e, secondo quanto detto sopra, pone se stesso entro questi limiti, la sua attività (di porre) non si volge immediatamente a se stesso
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ein entgegenzusetzendes Nicht-Ich (§§. 2, 3). Sie ist demnach nicht mehr reine sondern objektive Tätigkeit (die sich einen Gegenstand setzt. Das Wort Gegenstand bezeichnet vortrefflich, was es bezeichnen soll. Jeder Gegenstand einer Tätigkeit, insofern er das ist, ist notwendig etwas der Tätigkeit Entgegengesetztes, ihr Wider- oder Gegenstehendes. Ist kein Widerstand da, so ist auch überhaupt kein Objekt der Tätigkeit, und gar keine objektive Tätigkeit da, sondern wenn es ja Tätigkeit sein soll, ist es reine in sich selbst zurückgehende. Im bloßen Begriffe der objektiven Tätigkeit liegt es schon, daß ihr widerstanden wird, und daß sie mithin beschränkt ist). Also, endlich ist das Ich, insofern seine Tätigkeit objektiv ist. Diese Tätigkeit nun in beiden Beziehungen sowohl, insofern sie auf das tätige selbst zurückgeht, als insofern sie auf ein Objekt außer dem tätigen gehen soll, soll Eine und ebendieselbe Tätigkeit, Tätigkeit Eines und ebendesselben Subjekts sein, das in beiden Rücksichten sich selbst als Ein, und ebendasselbe Subjekt setze. Es muß demnach zwischen beiden Arten der Tätigkeit ein Vereinigungsband geben, an welchem das Bewußtsein von der einen zur andern fortgeleitet wird; und ein solches wäre gerade das geforderte Kausalitätsverhältnis; nämlich daß die in sich zurückgehende Tätigkeit des Ich zu der objektiven sich verhalte wie Ursache zu seinem Bewirkten, daß das Ich durch die erstere sich selbst zur letzteren bestimme; daß demnach die erstere unmittelbar auf das Ich [394] selbst, aber mittelbar vermöge der dadurch geschehnen Bestimmung des Ich selbst, als eines das Nicht-Ich bestimmenden, auf das Nicht-Ich gehe, und dadurch die geforderte Kausalität realisiert würde. Es wird demnach zuerst gefordert, daß die Handlung des Ich, durch welche es sich selbst setzt, (und welche im ersten Grundsatze aufgestellt worden), zu der, vermittelst welcher es ein Nicht-Ich setzt (die im zweiten Grundsatze aufgestellt wurde), sich verhalte, wie Ursache zum
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bensì a un non-io che dev’essere contrapposto (§§ 2-3). Quindi è attività non più pura ma oggettiva (che si pone un og-getto, un qualcosa che sta di fronte. Il termine oggetto designa eccellentemente ciò che deve denominare. Ogni oggetto di un’attività, in quanto è tale, è necessariamente qualcosa di contrapposto all’attività, che le sta contro o di fronte. Se non v’è resistenza, non v’è neppure in generale alcun oggetto dell’attività e proprio nessuna attività oggettiva, ma se dev’esserci attività, dev’essere attività pura ritornante in se stessa. Nel semplice concetto dell’attività oggettiva si trova già compreso che le si contrapponga resistenza e che essa sia di conseguenza limitata). Insomma, l’io è finito in quanto la sua attività è oggettiva. Ora, questa attività, per entrambi gli aspetti, sia in quanto ritorna sull’agente stesso, sia in quanto deve volgersi verso un oggetto esterno all’agente, dev’essere un’unica e medesima attività, attività di un unico e medesimo soggetto, che, per entrambi i riguardi, pone se stesso come un solo e medesimo soggetto. Tra i due modi dell’attività dev’esserci pertanto un vincolo di connessione che li unifichi, per mezzo del quale la coscienza sia condotta dall’uno all’altro, e tale legame unificante sarebbe proprio il rapporto causale che era stato richiesto. In altri termini: l’attività, che ritorna in sé, dell’io si rapporta a quella oggettiva come causa al suo effetto; mediante la prima attività l’io si autodetermina nei confronti della seconda; dunque, la prima si rivolge immediatamente all’io stesso ma mediatamente al non-io, grazie alla determinazione così attuata dell’io stesso come di un soggetto che determina il non-io, e così facendo sarebbe realizzata la causalità richiesta. Anzitutto si esige quindi che l’azione dell’io tramite la quale esso pone se stesso (e che è stata enunciata nel primo principio fondamentale) si rapporti a quella in virtù di cui esso pone un non-io (azione che venne enun-
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Bewirkten. Nun hat im allgemeinen ein solches Verhältnis nicht aufgezeigt werden können, vielmehr ist es völlig widersprechend gefunden worden; denn dann müßte das Ich durch das Setzen seiner Selbst zugleich das Nicht-Ich setzen, mithin sich nicht setzen, welches sich selbst aufhebt. – Es ist ausdrücklich behauptet worden, daß das Ich schlechthin, und ohne allen Grund sich selbst etwas entgegensetze; und nur zufolge der Unbedingtheit jener Handlung konnte der Satz, der dieselbe aufstellt, ein Grundsatz heißen. Es wurde aber zugleich angemerkt, daß wenigstens etwas in dieser Handlung bedingt sei, das Produkt derselben – das, daß das durch die Handlung des Gegensetzens Entstandne notwendig ein Nicht-Ich sein müsse, und nichts anderes sein könne. Wir gehen jetzt tiefer ein in den Sinn dieser Bemerkung. Das Ich setzt schlechthin einen Gegenstand, (ein gegenstehendes, entgegengesetztes Nicht-Ich). Es ist demnach im bloßen Setzen desselben nur von sich, und von nichts außer ihm abhängig. Wenn nur überhaupt ein Gegenstand, und vermittelst desselben das Ich nur überhaupt begrenzt gesetzt wird, so ist geschehen, was verlangt wurde; an eine bestimmte Grenze ist dabei nicht zu denken. Das Ich ist nun schlechthin begrenzt: aber wo geht seine Grenze? Innerhalb des Punktes C oder außerhalb desselben? Wodurch könnte doch ein solcher Punkt bestimmt sein? Er bleibt lediglich von der Spontaneität des Ich, die durch jenes »schlechthin« gesetzt wird, abhängig. Der Grenzpunkt liegt, wohin in die Unendlichkeit ihn das Ich setzt. Das Ich ist endlich, weil es begrenzt sein soll; aber es ist in dieser Endlichkeit unendlich, weil die Grenze ins Unendliche immer weiter hinaus gesetzt werden kann. Es ist seiner Endlichkeit nach unendlich; und seiner Unendlichkeit nach endlich. – Es wird demnach durch jenes absolute Setzen eines Objekts nicht eingeschränkt, als inwiefern es sich selbst schlechthin, und ohne allen Grund einschränkt; und da eine solche absolute Einschränkung dem absoluten unendlichen Wesen des Ich widerspricht,
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ciata nel secondo principio) come causa all’effetto. Ora, un tale rapporto non ha potuto essere dimostrato in linea di principio, anzi lo si è trovato del tutto contraddittorio, perché in tal caso l’io, autoponendosi, dovrebbe porre insieme il non-io e di conseguenza non porsi, la qual cosa si elimina da sé. È stato espressamente affermato che l’io si autocontrappone qualcosa in assoluto e senza ragione né fondamento alcuno, e soltanto sulla scorta dell’incondizionatezza di quell’azione la proposizione che la enuncia potrebbe dirsi un principio fondamentale. Nel contempo fu tuttavia osservato che almeno qualcosa in quest’azione è condizionato: il suo prodotto – che quanto nasce dall’azione del contrapporre dev’essere necessariamente un non-io e altro non può essere. Approfondiamo adesso il senso di questo rilievo. L’io pone in assoluto un oggetto (un non-io che gli sta di fronte, contrapposto). Nel suo puro e semplice porre, l’io dipende quindi soltanto da se stesso e da nulla che gli sia esterno. Se un oggetto è posto esclusivamente in generale, e per mezzo di esso l’io è posto come delimitato soltanto in generale, allora si è realizzato quanto richiesto: ciò che qui v’è da pensare non è un confine determinato. Ebbene, l’io è delimitato in assoluto: ma dove corre il suo confine? All’interno del punto C o fuori di esso? In che modo un tale punto potrebbe tuttavia essere determinato? Esso continua a dipendere unicamente dalla spontaneità dell’io, posta da quell’“in assoluto”. Il punto di confine si trova nell’infinità, dove l’io lo pone. L’io è finito perché dev’essere delimitato, però in questa finitezza è infinito perché il confine può essere spostato sempre più in là, all’infinito. È infinito secondo la sua finitezza e finito secondo la sua infinità. – L’io non è quindi limitato da quell’azione assoluta di porre un oggetto, se non in quanto esso limita se stesso in assoluto e senza alcuna ragione né fondamento; e poiché una tale limitazione assoluta contraddice l’assoluta,
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ist sie selbst unmöglich, und das ganze Entgegensetzen eines Nicht-Ich ist unmöglich. Aber ferner – es setzt einen Gegenstand, wohin auch in der Unendlichkeit es ihn setzen möge, und setzt dadurch eine außer ihm liegende, und von seiner Tätigkeit (des Setzens) nicht abhängende, sondern vielmehr ihr entgegengesetzte Tä-[395]tigkeit. Diese entgegengesetzte Tätigkeit muß allerdings in einem gewissen Sinne (ununtersucht in welchem) im Ich liegen, insofern sie darin gesetzt ist; sie muß aber auch in einem andern Sinne (gleichfalls ununtersucht in welchem) im Gegenstande liegen. Diese Tätigkeit, insofern sie im Gegenstande liegt, soll irgendeiner Tätigkeit (= X) des Ich entgegengesetzt sein; nicht desjenigen, wodurch sie im Ich gesetzt wird, denn dieser ist sie gleich; mithin irgendeiner andern. Es muß mithin, insofern ein Gegenstand gesetzt werden soll, und als Bedingung der Möglichkeit eines solchen Setzens, noch eine von der Tätigkeit des Setzens verschiedne Tätigkeit (= X) im Ich vorkommen. Welches ist diese Tätigkeit? Zuvörderst eine solche, die durch den Gegenstand nicht aufgehoben wird; denn sie soll der Tätigkeit des Gegenstandes entgegengesetzt sein; beide sollen demnach, als gesetzt, nebeneinander bestehen: – also eine solche, deren Sein vom Gegenstande unabhängig ist, so wie umgekehrt der Gegenstand von ihr unabhängig ist. – Eine solche Tätigkeit muß ferner im Ich schlechthin gegründet sein, weil sie unabhängig vom Setzen alles Gegenstandes, und dieser im Gegenteil von ihr unabhängig ist; sie ist demnach gesetzt durch die absolute Handlung des Ich, durch welche es sich selbst setzt. – Endlich soll, laut Obigem, das Objekt in die Unendlichkeit hinaus gesetzt werden können; diese ihm widerstehende Tätigkeit des Ich muß demnach selbst in die Unendlichkeit, über alles mögliche Objekt hinausgehen; und selbst unendlich sein. – Ein Objekt aber muß gesetzt werden, so gewiß, als der zweite Grundsatz gültig ist. – Demnach ist X die durch
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infinita essenza dell’io, essa è impossibile di per sé ed è impossibile tutto il contrapporsi di un non-io. Ma inoltre l’io pone contro e di fronte un og-getto, dovunque possa porlo nell’infinità, e così facendo pone un’attività esterna a sé e dipendente non dalla sua attività (di porre) bensì piuttosto da un’attività contrapposta alla sua. In un certo senso (non esaminiamo in quale) quest’attività contrapposta deve veramente aver sede nell’io, nella misura in cui v’è posta, però in un altro senso (del pari non indaghiamo in quale) deve aver sede anche nell’oggetto. Quest’attività, in quanto si situa nell’oggetto, dev’essere contrapposta a una qualche attività (= X) dell’io: non a quella da cui è posta nell’io, essendo uguale a questa, e di conseguenza a una qualche altra. Perciò, in quanto un oggetto dev’essere posto e ‹posto› quale condizione della possibilità di un tale porre, nell’io deve figurare ancora un’attività (= X) diversa dall’attività del porre. Qual è questa attività? Prima di tutto è un’attività siffatta da non essere eliminata per l’intervento dell’oggetto, deve infatti essere contrapposta all’attività dell’oggetto: l’una e l’altra devono pertanto, in quanto poste, coesistere – è perciò un’attività tale che il suo essere è indipendente dall’oggetto, così come, inversamente, l’oggetto è indipendente da essa. – Inoltre, una tale attività dev’essere in tutto e per tutto fondata nell’io, perché essa è indipendente dall’azione con cui è posto un qualunque oggetto e quest’ultimo, al contrario, è indipendente da essa: è posta, dunque, dall’azione assoluta tramite la quale l’io si pone se stesso. – Infine, stando a ciò di cui sopra, l’oggetto deve poter essere posto nell’infinità, pertanto quest’attività dell’io, a esso resistente, deve essa stessa procedere all’infinito, oltre ogni oggetto possibile, ed essere infinita anch’essa. – Un oggetto dev’essere, tuttavia, posto, con tanta certezza quanta è la validità del secondo principio fondamentale. – X è quindi l’attività infinita posta
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das Ich in sich selbst gesetzte unendliche Tätigkeit; und diese verhält sich zur objektiven Tätigkeit des Ich, wie Grund der Möglichkeit zu dem Begründeten. Der Gegenstand wird bloß gesetzt, insofern einer Tätigkeit des Ich widerstanden wird; keine solche Tätigkeit des Ich, kein Gegenstand – Sie verhält sich wie das Bestimmende zum Bestimmten. Nur inwiefern jener Tätigkeit widerstanden wird, kann ein Gegenstand gesetzt werden; und inwiefern ihr nicht widerstanden wird, ist kein Gegenstand. Wir betrachten jetzt diese Tätigkeit in Rücksicht ihrer Beziehung auf die des Gegenstandes. – An sich betrachtet sind beide völlig unabhängig voneinander, und völlig entgegengesetzt; es findet zwischen ihnen gar keine Beziehung statt. Soll aber, laut der Forderung, ein Objekt gesetzt werden, so müssen sie doch durch das ein Objekt setzende Ich aufeinander bezogen werden. Von dieser Beziehung hängt gleichfalls das Setzen eines Objekts überhaupt ab; insofern ein Objekt gesetzt wird, werden sie bezogen, und inwiefern sie nicht bezogen werden, wird kein Objekt gesetzt. – Ferner, da das Objekt absolut, schlechthin, und ohne [396] allen Grund (der Handlung des Setzens bloß als solcher) gesetzt wird, so geschieht auch die Beziehung schlechthin und ohne allen Grund; und erst jetzt ist völlig erklärt, inwiefern das Setzen eines Nicht-Ich absolut sei: es ist absolut, inwiefern es sich auf jene lediglich vom Ich abhängende Beziehung gründet. Sie werden schlechthin bezogen, heißt, sie werden schlechthin gleich gesetzt. Da sie aber, so gewiß ein Objekt gesetzt werden soll, nicht gleich sind, so läßt sich nur sagen, ihre Gleichheit werde schlechthin gefordert: sie sollen schlechthin gleich sein. – Da sie aber wirklich nicht gleich sind, so bleibt immer die Frage, welches von beiden sich nach dem andern richten, und in welchem der Grund der
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dall’io in se stesso e questa si rapporta all’attività oggettiva dell’io come il fondamento della possibilità sta a quel che ne viene fondato. L’oggetto è posto semplicemente in quanto un’attività dell’io incontra una resistenza: nessuna siffatta attività dell’io, nessun oggetto. – Essa si rapporta come il determinante al determinato. Solamente nella misura in cui quell’attività incontra una resistenza, un oggetto può essere posto, e nella misura in cui non ne incontra, non v’è oggetto. Esaminiamo adesso quest’attività per la sua relazione all’attività dell’oggetto. – Considerate in sé, entrambe sono completamente indipendenti l’una dall’altra e del tutto contrapposte: tra di loro non si dà affatto una relazione. Tuttavia, stando a ciò che si esige, se un oggetto dev’essere posto, di necessità esse devono essere riferite l’una all’altra dall’io che pone un oggetto. Porre un oggetto in generale dipende parimenti da questa relazione: nella misura in cui un oggetto è posto, le due attività sono correlate, e nella misura in cui non sono correlate, nessun oggetto è posto. – Inoltre, poiché l’oggetto è posto assolutamente, in tutto e per tutto e senza alcuna ragione né fondamento (l’azione del porre semplicemente come tale), anche il porre-in-relazione ha luogo in assoluto e senza alcuna ragione né fondamento; e soltanto ora si spiega pienamente in che modo l’azione ponente un non-io è assoluta: è assoluta nel senso che si fonda unicamente su quel porre-in-relazione dipendente dall’io. Sostenere che queste attività sono in tutto e per tutto correlate significa che sono poste in tutto e per tutto allo stesso modo. Tuttavia, poiché esse non sono identiche, quant’è certo che un oggetto dev’essere posto, allora si può dire soltanto che la loro identità sia puramente e semplicemente richiesta: esse devono essere in tutto e per tutto identiche. – Poiché però non sono effettivamente uguali, rimane sempre la questione di sapere quale delle due debba conformarsi all’altra e in quale debba essere
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Gleichung angenommen werden solle. – Es ist sogleich einleuchtend, wie diese Frage beantwortet werden müsse. So wie das Ich gesetzt ist, ist alle Realität gesetzt; im Ich soll Alles gesetzt sein; das Ich soll schlechthin unabhängig, Alles aber soll von ihm abhängig sein. Also, es wird die Übereinstimmung des Objekts mit dem Ich gefordert; und das absolute Ich, gerade um seines absoluten Seins willen, ist es, welches sie fordert*. (Die Tätigkeit Y (in dem, was hernach als Objekt gesetzt sein wird) sei gegeben: (es bleibt ununtersucht, wie, und welchem Vermögen des Subjekts). Auf sie wird eine Tätigkeit des Ich bezogen; es wird demnach gedacht eine Tätigkeit außer dem Ich (= -Y), die jener Tätigkeit des Ich gleich wäre. Wo ist bei diesem Geschäft der Beziehungsgrund? Offenbar in der Forderung, daß alle Tätigkeit der des Ich gleich sein solle, und diese Forderung ist im absoluten [397] Sein des Ich gegründet. -Y liegt in einer Welt, in der alle Tätigkeit der des Ich wirklich gleichen würde, und ist ein Ideal. – Nun kommt Y mit -Y nicht überein, sondern ist demselben entgegengesetzt. Daher wird es einem Objekte zugeschrieben; und ohne jene Beziehung, und die absolute Forderung, welche die[396] * Kants kategorischer Imperativ. Wird es irgendwo klar, daß Kant seinem kritischen Verfahren, nur stillschweigend, gerade die Prämissen zu Grunde legte, welche die Wissenschaftslehre aufstellt, so ist es hier. Wie hätte er jemals auf einen kategorischen Imperativ, als absolutes Postulat der Übereinstimmung mit dem reinen Ich kommen können, ohne aus der Voraussetzung eines absoluten Seins des Ich, durch welches alles gesetzt wäre, und, inwiefern es nicht ist, wenigstens sein sollte. – Kants mehreste Nachfolger scheinen das, was sie über den kategorischen Imperativ sagen, diesem großen Manne bloß nachzusagen, und über den Grund der Befugnis eines absoluten Postulats noch nicht aufs reine gekommen zu sein. – Nur weil, und inwiefern das Ich selbst absolut ist, hat es das Recht absolut zu postulieren; und dieses Recht erstreckt sich denn auch nicht weiter, als auf ein Postulat dieses seines absoluten Seins, aus welchem denn freilich noch manches andre sich dürfte deduzieren lassen. – Eine Philosophie, die an allen Enden, wo sie nicht weiter fortkommen kann, sich auf eine Tatsache des Bewußtseins beruft, ist um weniges gründlicher, als die verrufne Popularphilosophie.
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assunto il fondamento dell’uguaglianza. – È subito chiaro che è necessario rispondere a questa domanda. Non appena è posto l’io, è posta tutta la realtà; tutto dev’essere posto nell’io; l’io dev’essere assolutamente indipendente, però tutto deve dipendere da esso. In tal modo è richiesto l’accordo dell’oggetto con l’io, ed è l’io assoluto a esigerlo, appunto per volere del suo assoluto essere.* (Sia data ‹tralasciando di esaminare come e per quale facoltà del soggetto› l’attività Y ‹in ciò che, in seguito, sarà posto quale oggetto›. Correlata a quest’attività è posta un’attività dell’io; viene quindi pensata un’attività fuori dell’io (= -Y) uguale a quell’attività dell’io. Dov’è il fondamento di relazione in quest’operazione? Palesemente nell’esigenza che ogni attività dev’essere uguale a quella dell’io, e quest’esigenza è fondata nell’essere assoluto dell’io. -Y si situa in un mondo nel quale ogni attività sarebbe effettivamente uguale a quella dell’io, ed è un ideale. – Ora, Y non si accorda con -Y, gli è invece contrapposto. È pertanto attribuito a un oggetto. Senza quel porre-in-relazione, e l’esigenza assoluta che lo fonda, * Imperativo categorico di Kant. Se in qualche punto è chiaro che Kant ha posto a fondamento del suo metodo critico, in modo però tacito soltanto, proprio le premesse che la dottrina della scienza enuncia, eccolo qui. Come avrebbe mai potuto pervenire a un imperativo categorico quale postulato assoluto dell’accordo con l’io puro, se non presupponendo un essere assoluto dell’io, per mezzo del quale tutto fosse posto e, in quanto non lo è, dovesse almeno esserlo? – Per quel che sostengono sull’imperativo categorico, la maggior parte dei proseliti di Kant sembra semplicemente ripetere questo grand’uomo e non essere ancora giunta a chiarezza intorno al fondamento della legittimità di un postulato assoluto. – Soltanto perché e in quanto è esso stesso assoluto, l’io ha il diritto di postulare assolutamente, e questo diritto non si estende neppure al di là del postulato di questo suo essere assoluto, dal quale certo poi si potrebbe dedurre ancora qualcos’altro. – Una filosofia che, in tutte le conclusioni nelle quali essa non può ulteriormente proseguire, si richiama a un fatto della coscienza è poco più fondata della screditata filosofia popolare.
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selbe begründet, wäre kein Objekt für das Ich, sondern dasselbe wäre Alles in Allem, und gerade darum, wie wir tiefer unten sehen werden, Nichts). Also, das absolute Ich bezieht sich selbst schlechthin auf ein Nicht-Ich (jenes -Y), das, wie es scheint, zwar seiner Form nach, (insofern es überhaupt etwas außer dem Ich) nicht aber seinem Gehalte nach Nicht-Ich sein soll; denn es soll mit dem Ich vollkommen übereinstimmen. Es kann aber mit demselben nicht übereinstimmen, insofern es auch nur der Form nach ein Nicht-Ich sein soll; mithin ist jene auf dasselbe bezogne Tätigkeit des Ich gar kein Bestimmen (zur wirklichen Gleichheit) sondern es ist bloß eine Tendenz, ein Streben zur Bestimmung, das dennoch völlig rechtskräftig ist, denn es ist durch das absolute Setzen des Ich gesetzt. Das Resultat unsrer bisherigen Untersuchungen ist demnach folgendes: die reine in sich selbst zurückgehende Tätigkeit des Ich ist in Beziehung auf ein mögliches Objekt ein Streben; und zwar, laut obigem Beweise, ein unendliches Streben. Dieses unendliche Streben ist ins Unendliche hinaus die Bedingung der Möglichkeit alles Objekts: kein Streben, kein Objekt. Wir sehen jetzt, inwiefern durch diese aus andern Grundsätzen erwiesnen Resultate der Aufgabe, die wir übernahmen, Genüge geschehen, und inwiefern der aufgezeigte Widerspruch gelöst sei. – Das Ich, welches, überhaupt als Intelligenz betrachtet, von einem Nicht-Ich abhängig, und lediglich nur insofern Intelligenz ist, inwiefern ein Nicht-Ich ist, soll dennoch bloß vom Ich abhängen; und um dieses möglich zu finden, mußten wir wieder eine Kausalität des Ich zur Bestimmung des Nicht-Ich annehmen, insofern dasselbe Objekt des intelligenten Ich sein soll. Auf den ersten Anblick, und das Wort in seiner ganzen Ausdehnung genommen, hob eine solche Kausalität sich selbst auf; unter Voraussetzung derselben war entweder das Ich nicht gesetzt, oder das Nicht-Ich
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non vi sarebbe alcun oggetto per l’io, ma quest’ultimo sarebbe tutto in tutto e proprio perciò, come vedremo più approfonditamente in seguito, nulla). Pertanto, l’io assoluto pone in relazione se stesso assolutamente con un non-io (quel -Y) che, a quanto sembra, dev’essere bensì non-io per la sua forma ma non per il suo contenuto, perché esso deve accordarsi precisamente con l’io. Tuttavia con quest’ultimo non può accordarsi, nella misura in cui dev’essere un non-io secondo la forma soltanto, di conseguenza quell’attività dell’io riferita al non-io non è una determinazione (verso l’effettiva uguaglianza) mentre si tratta semplicemente di una tendenza, uno sforzo alla determinazione, che nondimeno ha pienamente forza di legge, perché è posto dal porre assoluto dell’io. Il risultato delle nostre ricerche condotte sinora è quindi il seguente: la pura attività dell’io ritornante in se stessa è, in relazione a un possibile oggetto, uno sforzo, e per la precisione, secondo la dimostrazione precedente, uno sforzo infinito. Questo sforzo infinito è all’infinito la condizione di possibilità di ogni oggetto: nessuno sforzo, nessun oggetto. Vediamo adesso in quale misura, grazie a questi risultati dimostrati movendo da altri principi fondamentali, il compito che abbiamo intrapreso sia soddisfatto e in che misura sia risolta la contraddizione indicata. – L’io, che considerato in generale come intelligenza dipende da un non-io e che è intelligenza soltanto nella misura in cui v’è un non-io, deve tuttavia dipendere puramente e semplicemente dall’io e, affinché ciò lo si ritenga possibile, dovemmo assumere di nuovo una causalità dell’io in ordine alla determinazione del non-io, in quanto quest’ultimo dev’essere oggetto dell’io intelligente. Di primo acchito, e assumendo il termine in tutta la sua estensione, una tale causalità sopprimeva se stessa; se la si presupponeva, o l’io non era posto oppure non lo era
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nicht gesetzt, und mithin konnte kein KausalitätsVerhältnis zwischen ihnen stattfinden. Wir suchten diesen Widerstreit zu vermitteln durch die Unterscheidung zweier entgegengesetzter Tätigkeiten des Ich, der reinen, und der objektiven; und durch die Voraussetzung, daß vielleicht die erstere zur zweiten unmittelbar sich verhalten möchte, wie Ursache zum Bewirkten; die zweite unmittelbar zum Objekte sich verhalten möchte, wie Ursache zum Bewirkten, und daß demnach die reine Tätigkeit des Ich wenigstens mittelbar (durch das Mittelglied der objektiven [398] Tätigkeit) mit dem Objekte im Kausalitäts-Verhältnisse stehen dürfte. Inwiefern ist nun diese Voraussetzung bestätigt worden, und inwiefern nicht? Inwiefern hat fürs erste die reine Tätigkeit des Ich sich als Ursache der objektiven bewährt? Zuvörderst, insofern kein Objekt gesetzt werden kann, wenn nicht eine Tätigkeit des Ich vorhanden ist, welcher die des Objekts entgegengesetzt ist, und diese Tätigkeit notwendig vor allem Objekte schlechthin und lediglich durch das Subjekt selbst im Subjekte sein muß, mithin die reine Tätigkeit desselben ist, ist die reine Tätigkeit des Ich als solche, Bedingung aller ein Objekt setzenden Tätigkeit. Insofern aber diese reine Tätigkeit ursprünglich sich auf gar kein Objekt bezieht, und von demselben, so wie dasselbe von ihr gänzlich unabhängig ist, muß sie durch eine gleichfalls absolute Handlung des Ich, auf die des Objekts, (das insofern noch nicht als Objekt gesetzt ist)*, bezogen, mit ihr [398] * Die Behauptung, daß die reine Tätigkeit an sich, und als solche sich auf ein Objekt bezöge, und daß es dazu keiner besondern absoluten Handlung des Beziehens bedürfe, wäre der transzendentale Grundsatz des intelligiblen Fatalismus; des konsequentesten Systems über Freiheit, das vor der Begründung einer Wissenschaftslehre möglich war: und aus diesem Grundsatze wäre man denn allerdings in Rücksicht auf endliche Wesen zu der Folgerung berechtigt, daß insofern keine reine Tätigkeit gesetzt sein könne, inwiefern sich keine äußre,
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il non-io, e di conseguenza nessun rapporto causale poteva aver luogo fra essi. Cercammo di mediare questo contrasto distinguendo due contrapposte attività dell’io, quella pura e quella oggettiva, e presupponendo che forse la prima potrebbe rapportarsi immediatamente alla seconda quale causa ad effetto, e la seconda potrebbe rapportarsi immediatamente all’oggetto come la causa all’effetto, e che pertanto l’attività pura dell’io potrebbe trovarsi, almeno in modo mediato (attraverso il termine medio dell’attività oggettiva), in rapporto causale con l’oggetto. Ora, in quale misura questo presupposto è stata confermato e in che misura no? Per il momento, in che misura l’attività pura dell’io si è confermata quale causa di quella oggettiva? Anzitutto, la pura attività dell’io, in quanto tale, è130 condizione di ogni attività che pone un oggetto, in quanto nessun oggetto può esser posto se non è disponibile un’attività dell’io alla quale è contrapposta quella dell’oggetto, e nel soggetto quest’attività deve necessariamente esistere in tutto e per tutto e soltanto mediante il soggetto stesso prima di ogni oggetto, e di conseguenza è la pura attività del soggetto medesimo. In quanto tuttavia questa pura attività non è originariamente in relazione ad alcun oggetto e ne è del tutto indipendente, come questo lo è nei suoi riguardi, essa mediante un’azione ugualmente assoluta dell’io dev’essere messa in relazione all’attività dell’oggetto (che, quanto a ciò, non è ancora posto come oggetto)*, dev’essere confrontata con essa. Ora, benché * L’asserzione che l’attività pura in sé e in quanto tale si riferirebbe ad un oggetto, e che a questo scopo non sarebbe necessaria alcuna particolare azione del mettere-in-relazione, sarebbe il principio fondamentale trascendentale del fatalismo intelligibile, il sistema più coerente, in merito alla libertà, che fosse possibile prima della fondazione della dottrina della scienza. E movendo da questo principio fondamentale si sarebbe autorizzati a concludere, riguardo a esseri finiti, che nessun’attività pura può essere posta se non si manifesta e
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verglichen werden. Ob nun gleich diese Handlung, als Handlung, ihrer Form nach (daß sie wirklich geschieht) absolut ist; (auf ihr absolutes Sein gründet sich die absolute Spontaneität der Reflexion im Theoretischen, und die des Willens im Praktischen, wie wir zu seiner Zeit sehen werden) so ist sie doch ihrem Gehalte nach, (daß sie ein Beziehen ist, und Gleichheit, und Subordination dessen, was nachmals als Objekt gesetzt wird, fordert), durch das absolute Gesetztsein des Ich, als Inbegriffes aller Realität, abermals bedingt: und die reine Tätigkeit ist in dieser Rücksicht Bedingung des Beziehens, ohne welches kein Setzen des Objekts möglich ist. – Inwiefern die reine Tätigkeit durch die soeben aufgezeigte Handlung auf ein (mögliches) Objekt bezogen wird, ist sie, wie ge-[399]sagt, ein Streben. Daß überhaupt die reine Tätigkeit in Beziehung auf ein Objekt gesetzt wird, davon liegt der Grund nicht in der reinen Tätigkeit an sich; daß aber, wenn sie so gesetzt wird, sie als ein Streben gesetzt wird, davon liegt in ihr der Grund. (Jene Forderung, daß alles mit dem Ich übereinstimmen, alle Realität durch das Ich schlechthin gesetzt sein solle, ist die Forderung dessen, was man praktische Vernunft nennt, und mit Recht so nennt. Ein solches praktisches Vermögen der Vernunft war bisher postuliert, aber nicht erwiesen worden. Die Anforderung, welche von Zeit zu Zeit an die Philosophen erging, zu erweisen, daß die Vernunft praktisch sei, war demnach sehr gerecht. – Ein solcher Beweis nun muß für die theoretische Vernunft selbst befriedigend geführt, und dieselbe darf nicht bloß durch einen Machtspruch abgewiesen werden. Dies ist auf und daß das endliche Wesen schlechthin endlich, es versteht sich nicht durch sich selbst, sondern durch etwas außer ihm, gesetzt sei. Von der Gottheit, d. i. von einem Wesen, durch dessen reine Tätigkeit unmittelbar auch seine objektive gesetzt wäre, würde, wenn nur nicht überhaupt ein solcher Begriff für uns überschwenglich wäre, das System des intelligiblen Fatalismus gelten.
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quest’azione in quanto azione, secondo la sua forma (per il fatto che effettivamente avviene), sia assoluta (sul suo essere assoluto si fonda l’assoluta spontaneità della riflessione nella sfera teoretica e quella del volere in quella del pratico, come vedremo a suo tempo), secondo il suo contenuto (in quanto è un mettere in relazione e richiede uguaglianza e subordinazione di ciò che in seguito è posto quale oggetto) è invece ancora una volta condizionata dall’assoluto esser-posto dell’io quale complesso di tutta la realtà: da questo punto di vista l’attività pura è condizione del mettere-in-relazione, senza del quale non è possibile porre alcun oggetto. – Essendo correlata a un (possibile) oggetto dall’azione appena indicata, l’attività pura è, come detto, uno sforzo. Che l’attività pura sia in generale posta in relazione a un oggetto è ciò la cui ragione non sta nella pura attività in sé; mentre il fatto che essa sia posta come uno sforzo, se essa è così posta, è ciò la cui ragione si trova in quest’attività pura. (Quell’esigenza che tutto debba concordare con l’io, che ogni realtà debba essere in tutto e per tutto posta dall’io, è l’esigenza di ciò che si chiama, e a buon diritto, ragione pratica. Sinora una tale facoltà pratica della ragione era stata postulata ma non dimostrata. Era pertanto giustissima la richiesta, di tanto in tanto avanzata ai filosofi, di provare che la ragione è pratica. – Ora, una tale dimostrazione dev’essere condotta in modo che soddisfi anche la ragione teoretica e non è lecito respingerla semplicemente per decreto. Ciò non è possibile se non che l’essere finito è posto in tutto e per tutto come finito, s’intende non da se stesso bensì da qualcosa al di fuori di esso. Per la divinità, cioè per un essere dalla cui pura attività sarebbe posta immediatamente anche la sua attività oggettiva, se per noi questo concetto non fosse in generale frutto d’esagerazione, varrebbe il sistema del fatalismo intelligibile.
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keine andere Art möglich, als so, daß gezeigt werde, die Vernunft könne selbst nicht theoretisch sein, wenn sie nicht praktisch sei; es sei keine Intelligenz im Menschen möglich, wenn nicht ein praktisches Vermögen in ihm sei; die Möglichkeit aller Vorstellung gründe sich auf die letztere. Und dies ist denn soeben geschehen, indem dargetan worden, daß ohne ein Streben, überhaupt kein Objekt möglich sei). Noch aber haben wir eine Schwierigkeit zu lösen, die unsre ganze Theorie umzustoßen droht. Nämlich die geforderte Beziehung der Tendenz der reinen Tätigkeit auf die des nachmaligen Objekts, – diese Beziehung geschehe nun unmittelbar, oder vermittelst eines nach der Idee jener reinen Tätigkeit entworfnen Ideals, – ist nicht möglich, wenn nicht schon auf irgendeine Weise die Tätigkeit des Objekts dem beziehenden Ich gegeben sein soll. Lassen wir sie ihm nun auf die gleiche Weise durch Beziehung derselben auf eine Tendenz der reinen Tätigkeit des Ich gegeben sein, so dreht sich unsre Erklärung im Zirkel, und wir erhalten schlechthin keinen ersten Grund der Beziehung überhaupt. Ein solcher erster Grund muß, es versteht sich bloß in einer Idee, weil es ein erster Grund sein soll, aufgezeigt werden. Das absolute Ich ist schlechthin sich selbst gleich: alles in ihm ist Ein und ebendasselbe Ich, und gehört, (wenn es erlaubt ist, sich so uneigentlich auszudrücken), zu Einem und ebendemselben Ich; es ist da nichts zu unterscheiden, kein Mannigfaltiges, das Ich ist Alles, und ist Nichts, weil es für sich nichts ist, kein Setzendes und kein Gesetztes in sich selbst unterscheiden kann. – Es strebt, (welches gleichfalls nur uneigentlich in Rücksicht auf eine künftige Beziehung gesagt wird) kraft seines Wesens sich in diesem Zustande zu be-[400]haupten. – Es tut in ihm sich eine Ungleichheit, und darum etwas Fremdartiges hervor: (Daß das geschehe, läßt sich a priori gar nicht erweisen, sondern jeder kann es sich nur in seiner eignen Erfahrung dartun.
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mostrando che la ragione stessa non può essere teoretica se non è pratica; che nessun’intelligenza è possibile nell’uomo se in lui non v’è una facoltà pratica; che su quest’ultima si fonda la possibilità di ogni rappresentazione. E ciò ha appena avuto luogo, nel momento in cui è stato dimostrato che senza uno sforzo non è generalmente possibile un oggetto). A noi spetta tuttavia risolvere ancora una difficoltà che minaccia di revocare l’intera nostra teoria. Vale a dire, la richiesta messa-in-relazione della tendenza dell’attività pura con l’attività dell’oggetto successivo – che questa relazione abbia luogo immediatamente oppure per mezzo di un ideale disegnato secondo l’idea di quell’attività pura – non è possibile se l’attività dell’oggetto non dev’essere, in un qualche modo, già data all’io che opera la messa-inrelazione. Ora, se concediamo che essa gli sia data nello stesso modo, tramite la sua messa-in-relazione a una tendenza dell’attività pura dell’io, allora la nostra spiegazione si avvita in circolo e assolutamente in nessun modo otteniamo il fondamento primo della messa-in-relazione in generale. È necessario che un tale fondamento primo venga indicato, beninteso, semplicemente in un’idea, perché dev’essere un fondamento primo. L’io assoluto è in tutto e per tutto uguale a se stesso: in esso tutto è un unico e medesimo io e appartiene (se è concesso esprimersi in modo tanto improprio) a un unico e medesimo io; nulla v’è da distinguere, nessun molteplice, l’io è tutto e nulla perché per sé esso non è alcunché, in se stesso non può distinguere nulla che ponga e nulla che sia posto. – Esso si sforza (il che è detto soltanto in modo parimenti improprio al riguardo di una relazione futura) di affermarsi, in forza della sua essenza, in questo stato. – In esso si mette in evidenza una disuguaglianza e perciò qualcosa di eterogeneo (che ciò accada non lo si può affatto dimostrare a priori, mentre ognuno può spiegarselo solamente nella sua propria
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Ferner können wir bis jetzt von diesem Fremdartigen weiter auch gar nichts sagen, als daß es nicht aus dem innern Wesen des Ich abzuleiten ist, denn in diesem Falle wäre es überhaupt nichts zu Unterscheidendes). Dieses Fremdartige steht notwendig im Streite mit dem Streben des Ich, schlechthin identisch zu sein; und denken wir uns irgendein intelligentes Wesen außer dem Ich, welches dasselbe in jenen zwei verschiedenen Zuständen beobachtet, so wird für dasselbe das Ich eingeschränkt, seine Kraft zurückgedrängt erscheinen, wie wir z. B. es in der Körperwelt annehmen. Aber nicht ein Wesen außer dem Ich, sondern das Ich selbst soll die Intelligenz sein, welches jene Einschränkung setzt; und wir müssen demnach noch einige Schritte weiter gehen, um die aufgezeigte Schwierigkeit zu lösen. – Ist das Ich sich selbst gleich, und strebt es notwendig nach der vollkommenen Identität mit sich selbst, so muß es dieses, nicht durch sich selbst, unterbrochne Streben stracks wiederherstellen; und so würde denn eine Vergleichung zwischen dem Zustande seiner Einschränkung, und der Wiederherstellung des gehemmten Strebens, also eine bloße Beziehung seiner selbst auf sich selbst, ohne alles Hinzutun des Objekts möglich, wenn sich ein Beziehungsgrund zwischen beiden Zuständen aufzeigen ließe. Setzet die strebende Tätigkeit des Ich gehe von A bis C fort ohne Anstoß, so ist bis C nichts zu unterscheiden, denn das Ich, und Nicht-Ich ist nicht zu unterscheiden, und es findet bis dahin gar nichts statt, dessen das Ich sich nie bewußt werden könnte. In C wird diese, den ersten Grund alles Bewußtseins enthaltende, aber nie zum Bewußtsein gelangende Tätigkeit gehemmt. Aber vermöge ihres eigenen innern Wesens kann sie nicht gehemmt werden; sie geht demnach über C fort, aber als eine solche, die von außen gehemmt worden, und nur durch ihre eigene innere Kraft sich erhält; und so geht sie bis an den Punkt, wo kein Widerstand mehr ist, z. B. bis D. [a) über
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esperienza. Inoltre, di questo fattore eterogeneo noi finora altro non possiamo dire eccetto che non è dedotto dall’intima essenza dell’io, perché in tal caso nulla vi sarebbe in generale da distinguere). Questo elemento eterogeneo necessariamente confligge con lo sforzo dell’io di essere in tutto e per tutto identico; e se noi ci figuriamo un qualche essere intelligente al di fuori dell’io, che lo osservi in quei due differenti stati, per tale essere intelligente l’io apparirà limitato, la sua forza apparirà respinta, come, per esempio, assumiamo che avvenga nel mondo dei corpi. Epperò l’intelligenza che pone quella limitazione dev’essere non un essenza al di fuori dell’io bensì l’io stesso, e noi dobbiamo pertanto muovere ancora qualche altro passo in avanti per risolvere la difficoltà indicata. – Se l’io è uguale a se stesso e tende necessariamente alla perfetta identità con se stesso, deve subito ripristinare questo sforzo che non si è interrotto da se stesso: in tal modo sarebbe possibile, infatti, un confronto tra lo stato in cui era limitato e lo stato nel quale lo sforzo impedito è ripristinato, quindi una pura e semplice relazione di se stesso con se stesso, senza alcun intervento dell’oggetto, se si potesse indicare un fondamento di relazione fra i due stati. Ponete che l’attività esercitante lo sforzo propria dell’io proceda da A a C senza urto, allora fino a C non v’è alcunché da distinguere, non v’è da distinguere io e nonio, e fino a questo punto non ha luogo proprio nulla di cui l’io possa essere consapevole. Quest’attività, che contiene il fondamento primo di ogni coscienza e che alla coscienza non perviene mai, viene arrestata in C. In virtù della sua propria intima essenza, essa non può tuttavia essere arrestata e pertanto prosegue oltre C, ma quale attività che è stata arrestata dall’esterno e si mantiene soltanto per la sua propria forza interna, e così fino al punto dove non v’è più alcuna resistenza, per esempio fino a D.
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D hinaus kann sie ebensowenig Gegenstand des Bewußtseins sein, als von A bis C, aus dem gleichen Grunde. b) Es wird hier gar nicht gesagt, daß das Ich selbst seine Tätigkeit, als eine gehemmte und nur durch sich selbst sich erhaltende setze; sondern nur, daß irgendeine Intelligenz außer dem Ich sie als eine solche würde setzen können]. Wir bleiben zur Beförderung der Deutlichkeit innerhalb der soeben gemachten [401] Voraussetzung. – Eine Intelligenz, welche das Geforderte richtig und der Sache gemäß setzen sollte – und diese Intelligenz sind gerade wir selbst in unsrer gegenwärtigen wissenschaftlichen Reflexion – müßte jene Tätigkeit notwendig als die eines Ich – eines sich selbst setzenden Wesens, dem nur dasjenige zukommt, was es in sich setzt, – setzen. Mithin müßte das Ich selbst sowohl die Hemmung seiner Tätigkeit, als die Wiederherstellung derselben, in sich selbst setzen, so gewiß es die Tätigkeit eines Ich sein soll, welche gehemmt, und wiederhergestellt wird. Aber sie kann nur als wiederhergestellt gesetzt werden, inwiefern sie als gehemmt; und nur als gehemmt, inwiefern sie als wiederhergestellt gesetzt wird, denn beides steht nach Obigem in Wechselbestimmung. Mithin sind die zu vereinigenden Zustände schon an und für sich synthetisch vereinigt; anders, als vereinigt können sie gar nicht gesetzt werden. Daß sie aber überhaupt gesetzt werden, liegt in dem bloßen Begriffe des Ich, und wird mit ihm zugleich postuliert. Und so wäre demnach lediglich die gehemmte Tätigkeit, die aber doch gesetzt, und demnach wiederhergestellt sein muß, im Ich, und durch das Ich zu setzen. Alles Setzen des Ich ginge demnach aus vom Setzen eines bloß subjektiven Zustandes; alle Synthesis von einer in sich selbst notwendigen Synthesis eines Entgegengesetzten im bloßen Subjekte. Dieses bloß und lediglich Subjektive wird sich tiefer unten als das Gefühl zeigen.
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[a) Oltre D essa può, per la medesima ragione, essere oggetto della coscienza tanto poco quanto da A a C. b) Qui non si sta dicendo che l’io stesso pone la sua attività come un’attività arrestata e che si conserva unicamente da se stessa, bensì soltanto che una qualche intelligenza esterna all’io potrebbe porla come tale]. Volendo favorire la chiarezza rimaniamo all’interno di quanto appena presupposto. – Un’intelligenza che dovesse porre in modo corretto, e conforme alla cosa, ciò che è stato richiesto – e noi stessi, nella nostra attuale riflessione scientifica, siamo questa intelligenza –, dovrebbe necessariamente porre quell’attività come l’attività di un io, di un essere che pone se stesso, al quale spetta soltanto quel che esso pone in sé. Di conseguenza, l’io medesimo dovrebbe di necessità porre in se stesso tanto l’arresto della sua attività quanto il ripristino di essa, se è certo che l’attività che viene arrestata e ripristinata dev’essere quella di un io. Tuttavia quest’attività può esser posta come ripristinata soltanto nella misura in cui essa è stata arrestata, e può esser posta come arrestata solamente nella misura in cui è posta come ripristinata, perché, secondo ciò di cui sopra, arresto e ripristino si situano in determinazione reciproca. Ne consegue che gli stati da unificare sono già sinteticamente unificati in sé e per sé, altrimenti non possono affatto esser posti in quanto unificati. Il fatto però che essi in generale siano posti è compreso nel puro concetto dell’io ed è postulato insieme con esso. E così dunque l’attività arrestata, la quale purtuttavia dev’essere posta e pertanto ripristinata, dovrebbe esser posta esclusivamente nell’io e dall’io. Ogni atto con cui l’io pone muoverebbe quindi dal porre operato da uno stato puramente e semplicemente soggettivo; ogni sintesi muoverebbe dalla sintesi, in se stessa necessaria, di un contrapporre nel puro e semplice soggetto. Questo stato semplicemente ed esclusivamente soggettivo si mostrerà più profondamente in seguito come quello del sentimento.
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Als Grund dieses Gefühls wird nun weiter eine Tätigkeit des Objekts gesetzt; diese Tätigkeit wird demnach allerdings, wie oben gefordert wurde, dem beziehenden Subjekte gegeben durchs Gefühl, und nun ist die verlangte Beziehung auf eine Tätigkeit des reinen Ich möglich. Dies zur Lösung der aufgezeigten Schwierigkeit. Jetzt gehen wir zurück zu dem Punkte, von welchem wir ausgingen. Kein unendliches Streben des Ich, kein endliches Objekt im Ich: war das Resultat unsrer Untersuchung, und dadurch scheint denn der Widerspruch zwischen dem endlichen bedingten Ich, als Intelligenz, und zwischen dem unendlichen und unbedingten gehoben. Wenn wir aber die Sache genauer ansehen, so finden wir, daß er zwar von dem Punkte, auf welchem wir ihn antrafen, zwischen dem intelligenten, und nicht intelligenten Ich, entfernt, überhaupt aber nur weiter hinausgeschoben sei, und höhere Grundsätze in Widerstreit bringe. Nämlich wir hatten den Widerspruch zwischen einer unendlichen und einer endlichen Tätigkeit eines und ebendesselben Ich zu lösen, und lösten ihn so, daß [402] die unendliche Tätigkeit schlechthin nicht objektiv, sondern lediglich in sich selbst zurückgehend, die endliche aber objektiv sei. Nunmehr aber ist die unendliche Tätigkeit selbst, als ein Streben, bezogen auf das Objekt, mithin insofern selbst objektive Tätigkeit; und da dieselbe dennoch unendlich bleiben, aber auch die erstere endliche objektive Tätigkeit neben ihr bestehen soll, so haben wir eine unendliche, und eine endliche objektive Tätigkeit Eines und ebendesselben Ich, welche Annahme abermals sich selbst widerspricht. Dieser Widerspruch läßt sich nur dadurch lösen, daß gezeigt werde, die unendliche Tätigkeit des Ich sei in einem andern Sinne objektiv, als seine endliche Tätigkeit. Die Vermutung, welche sich jedem auf den ersten Anblick darbietet, ist ohne Zweifel diese, daß die endliche objektive Tätigkeit des Ich auf ein wirkliches, sein unend-
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Ora, un’attività dell’oggetto è posta più avanti quale fondamento di questo sentimento, quindi tale attività, come si richiese in precedenza, è veramente data dal sentimento al soggetto che pone in relazione e la richiesta correlazione con un’attività dell’io puro è allora possibile. Ciò quanto alla soluzione della difficoltà indicata. Adesso facciamo ritorno al punto da cui prendemmo le mosse. Nessuno sforzo infinito dell’io, nessun oggetto finito nell’io: questo fu il risultato della nostra disanima, e in tal modo la contraddizione fra l’io finito e condizionato, quale intelligenza, e l’io infinito e incondizionato appare allora tolta. Però, se osserviamo la cosa con maggior precisione, troviamo che la contraddizione è stata bensì allontanata dal punto dove la reperimmo, tra l’io intelligente e l’io non-intelligente, tuttavia in generale essa è stata soltanto dislocata e conduce a principi fondamentali più alti a entrare in conflitto. Dovemmo cioè risolvere la contraddizione fra un’attività infinita e un’attività finita di un solo e medesimo io, e la risolvemmo con il fatto che l’attività infinita non è in tutto e per tutto oggettiva bensì soltanto tale che ritorna in se stessa, mentre quella finita è oggettiva. Però l’attività infinita stessa, in quanto sforzo, è ormai correlata con l’oggetto, conseguentemente è anch’essa, per questo profilo, attività oggettiva e poiché quest’attività deve nondimeno rimanere infinita ma, accanto ad essa, deve sussistere anche la prima attività finita oggettiva, abbiamo in tal modo un’attività infinita e un’attività finita oggettiva di un unico e medesimo io, cosa la cui ammissione contraddice di nuovo. Questa contraddizione è risolvibile soltanto mostrando che l’attività infinita dell’io è oggettiva in un senso diverso da quello secondo cui lo è la sua attività finita. Fuor di dubbio ad ognuno si offre a prima vista questa ipotesi: l’attività oggettiva finita dell’io si rivolge ad un oggetto effettivamente reale, mentre il suo sforzo infi-
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liches Streben aber auf ein bloß eingebildetes Objekt gehe. Diese Vermutung wird sich allerdings bestätigen. Da aber dadurch die Frage in einem Zirkel beantwortet, und eine Unterscheidung schon vorausgesetzt wird, die erst durch Unterscheidung jener beiden Tätigkeiten möglich ist, so müssen wir in die Untersuchung dieser Schwierigkeit etwas tiefer hineingehen. Alles Objekt ist notwendig bestimmt, so gewiß es ein Objekt sein soll; denn insofern es das ist, bestimmt es selbst das Ich, und sein Bestimmen desselben ist selbst bestimmt (hat seine Grenze). Alle objektive Tätigkeit ist demnach, so gewiß sie das ist, bestimmend, und insofern auch bestimmt; demnach auch endlich. Mithin kann selbst jenes unendliche Streben nur in einem gewissen Sinne unendlich sein, und in einem gewissen andern muß es endlich sein. Nun wird demselben eine objektive endliche Tätigkeit entgegengesetzt; diese muß demnach endlich sein in demjenigen Sinne, in welchem das Streben unendlich ist, und das Streben ist unendlich, inwiefern diese objektive Tätigkeit endlich ist. Das Streben hat wohl ein Ende; es hat nur nicht gerade das Ende, welches die objektive Tätigkeit hat. Es fragt sich nur, welches dieses Ende sei. Die endliche objektive Tätigkeit setzt zum Behuf ihres Bestimmens schon eine der unendlichen Tätigkeit des Ich entgegengesetzte Tätigkeit desjenigen voraus, was nachmals als Objekt bestimmt wird. Sie ist, zwar nicht inwiefern sie überhaupt handelt, denn insofern ist sie nach dem Obigen absolut, sondern inwiefern sie die bestimmte Grenze des Objekts setzt (daß es gerade insoweit, und nicht mehr oder weniger dem Ich widerstehe) abhängig, beschränkt, und endlich. Der Grund ihres Bestimmens, und mithin auch ihres Bestimmtseins, liegt außer ihr. – Ein durch diese insofern beschränkte Tätigkeit bestimmtes Objekt ist ein wirkliches. [403] In dieser Rücksicht ist das Streben nicht endlich;
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nito a un oggetto semplicemente immaginato. Questa ipotesi sarà certamente confermata. Ma poiché con ciò si risponde alla questione entrando in un circolo e presupponendo già una distinzione la quale è possibile soltanto distinguendo quelle due attività, allora dobbiamo penetrare ancor più profondamente nell’esame di questa difficoltà. Ogni oggetto, per quanto è vero che dev’essere un oggetto, è necessariamente determinato, infatti esso stesso, in quanto tale, determina l’io e il suo medesimo determinarlo è determinato (ha i suoi confini). Ogni attività oggettiva, per quanto è vero che è tale, è pertanto determinante e, stando a ciò, altresì determinata, dunque anche finita. Di conseguenza quello stesso sforzo infinito può essere infinito solamente in un certo senso e in un cert’altro dev’essere finito. Ora, a quello sforzo è contrapposta un’attività oggettiva finita: questa deve pertanto essere finita nel senso in cui lo sforzo è infinito e lo sforzo è infinito al modo in cui questa attività oggettiva è finita. Lo sforzo ha ben un termine: solo, non ha esattamente il termine che ha l’attività oggettiva. Ci si interroga su quale sia questo termine. L’attività oggettiva finita presuppone già, in vista del suo determinare, un’attività contrapposta all’attività infinita dell’io, un’attività di ciò che in seguito è determinato come oggetto. Essa è dipendente, limitata e finita, certo non agendo in generale perché secondo quello che è stato detto sopra, è per questo rispetto assoluta, bensì ponendo il confine determinato dell’oggetto (il fatto che questo resista all’io proprio in questa misura e né più né meno). Il fondamento del suo determinare, e quindi anche del suo esser-determinato, sta al di fuori di essa. – Un oggetto determinato da questa attività, in quanto è limitata, è un oggetto effettivamente reale. Da questo punto di vista, lo sforzo non è finito, pro-
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es geht über jene durch das Objekt vorgezeichnete Grenzbestimmung hinaus, und muß laut Obigem darüber hinausgehen, wenn eine solche Grenzbestimmung sein soll. Es bestimmt nicht die wirkliche, von einer Tätigkeit des Nicht-Ich, die in Wechselwirkung mit der Tätigkeit des Ich steht, abhängende Welt, sondern eine Welt, wie sie sein würde, wenn durch das Ich schlechthin alle Realität gesetzt wäre; mithin eine ideale, bloß durch das Ich, und schlechthin durch kein Nicht-Ich gesetzte Welt. Inwiefern aber ist dennoch das Streben auch endlich? Inwiefern es überhaupt auf ein Objekt geht, und diesem Objekte, so gewiß es ein solches sein soll, Grenzen setzen muß. Nicht die Handlung des Bestimmens überhaupt, aber die Grenze der Bestimmung hing bei dem wirklichen Objekte vom Nicht-Ich ab: bei dem idealen Objekte aber hängt die Handlung des Bestimmens sowohl, als die Grenze, lediglich vom Ich ab; dasselbe steht unter keiner andern Bedingung, als unter der, daß es überhaupt Grenzen setzen muß, die es in die Unendlichkeit hinaus erweitern kann, weil diese Erweiterung lediglich von ihm abhängt. Das Ideal ist absolutes Produkt des Ich; es läßt sich ins Unendliche hinaus erhöhen, aber es hat in jedem bestimmten Momente seine Grenze, die in dem nächsten bestimmten Momente gar nicht die gleiche sein muß. Das unbestimmte Streben überhaupt, – das insofern freilich nicht Streben heißen sollte, weil es kein Objekt hat, für welches wir aber keine Benennung haben, noch haben können, – welches außerhalb aller Bestimmbarkeit liegt – ist unendlich; aber als solches kommt es nicht zum Bewußtsein, noch kann es dazu kommen, weil Bewußtsein nur durch Reflexion, und Reflexion nur durch Bestimmung möglich ist. Sobald aber über dasselbe reflektiert wird, wird es notwendig endlich. So wie der Geist inne wird, daß es endlich sei, dehnt er es wieder aus;
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cede oltre quella determinazione di confini prefissata da parte dell’oggetto e se, stando a ciò di cui sopra, una tale determinazione confinaria ha da esservi, deve di necessità procedere oltre. Esso non determina il mondo effettivamente reale, dipendente da un’attività del non-io, che sta in azione reciproca con l’attività dell’io, bensì un mondo come sarebbe se in assoluto ogni realtà fosse posta dall’io: di conseguenza, un mondo ideale, posto puramente e semplicemente dall’io e in tutto e per tutto non da un non-io. In che misura però lo sforzo è, ciò nonostante, anche finito? Nella misura in cui in generale si rivolge a un oggetto e deve imporgli confini, per quanto è vero che quest’ultimo dev’essere tale. In quel che attiene all’oggetto reale, non l’azione del determinare in generale ma il confine della determinazione dipendeva dal non-io: per quel che riguarda l’oggetto ideale, invece, l’azione del determinare dipende, tanto quanto il confine, unicamente dall’io; questo non sottostà ad alcun’altra condizione eccetto al dover porre in generale dei confini che può estendere all’infinito, perché tale estensione dipende esclusivamente da lui. L’ideale è prodotto assoluto dell’io: esso è elevabile all’infinito, tuttavia in ogni momento determinato ha il suo confine, che non deve affatto essere lo stesso nel successivo momento determinato. Lo sforzo indeterminato in generale – che in tal senso non dovrebbe certo essere chiamato sforzo dal momento che non ha un oggetto, ma per il quale non abbiamo alcuna denominazione, né possiamo averne, e che si colloca al di fuori di ogni determinabilità – è infinito: come tale, però, non perviene alla coscienza né può pervenirvi, perché la coscienza è possibile soltanto mediante la riflessione e la riflessione soltanto riflettendo. Eppure, non appena si riflette su di esso, diviene necessariamente finito. Allorché lo spirito si rende conto che lo sforzo è finito, lo estende di
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sobald er sich aber die Frage aufwirft: ist es nun unendlich, wird es gerade durch diese Frage endlich; und so fort ins Unendliche. Also die Zusammensetzung unendlich, und objektiv ist selbst ein Widerspruch. Was auf ein Objekt geht, ist endlich, und was endlich ist, geht auf ein Objekt. Dieser Widerspruch wäre nicht anders zu heben, als dadurch, daß das Objekt überhaupt wegfiele; es fällt aber nicht weg, außer in einer vollendeten Unendlichkeit. Das Ich kann das Objekt seines Strebens zur Unendlichkeit ausdehnen; wenn es nun in einem bestimmten Momente zur Unendlichkeit ausgedehnt wäre, so wäre es gar kein Objekt mehr, und die Idee der Unendlichkeit wäre realisiert, welches aber selbst ein Widerspruch ist. Dennoch schwebt die Idee einer solchen zu vollendenden Unendlichkeit uns vor, und ist im Innersten unsers Wesens enthalten. Wir sollen, laut der Anforderung [404] desselben an uns, den Widerspruch lösen; ob wir seine Lösung gleich nicht als möglich denken können, und voraußehen, daß wir sie in keinem Momente unsers in alle Ewigkeiten hinaus verlängerten Daseins werden als möglich denken können. Aber eben dies ist das Gepräge unserer Bestimmung für die Ewigkeit. Und so ist denn nunmehr das Wesen des Ich bestimmt, insoweit es bestimmt werden kann, und die Widersprüche in demselben gelöst, insoweit sie gelöst werden können. Das Ich ist unendlich, aber bloß seinem Streben nach; es strebt unendlich zu sein. Im Begriffe des Strebens selbst aber liegt schon die Endlichkeit, denn dasjenige, dem nicht widerstrebt wird, ist kein Streben. Wäre das Ich mehr als strebend; hätte es eine unendliche Kausalität, so wäre es kein Ich, es setzte sich nicht selbst, und wäre demnach Nichts. Hätte es dieses unendliche Streben nicht, so könnte es abermals nicht sich selbst setzen, denn es könnte sich nichts entgegensetzen; es wäre demnach auch kein Ich, und mithin Nichts.
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nuovo; ma non appena si pone la domanda: ora è infinito?, quello, appunto per questa domanda, diviene finito, e così via senza fine. Insomma, il comporre infinito e oggettivo è esso stesso una contraddizione. Ciò che si volge a un oggetto è finito e ciò che è finito si volge a un oggetto. Questa contraddizione non si potrebbe eliminare altrimenti che se venisse a mancare l’oggetto in generale: ma esso non viene meno eccetto che in una perfetta infinità. L’io può estendere all’infinito l’oggetto del suo sforzo: ora, se in un determinato momento fosse esteso all’infinito, non vi sarebbe più proprio alcun oggetto e l’idea di infinità sarebbe realizzata, la qual cosa è di per sé una contraddizione. Ciò nonostante l’idea di una tale infinità da compiere ci si libra davanti ed è contenuta nella sfera più intima del nostro essere. Noi, avvertendone l’esigenza, dobbiamo risolvere la contraddizione benché altrettanto non possiamo pensarne possibile la soluzione e prevediamo che in nessun momento della nostra esistenza, neppure se prolungata in eterno, potremo figurarcela possibile. Proprio qui, tuttavia, riconosciamo l’impronta della nostra destinazione all’eternità. E così, poi, è ormai determinata l’essenza dell’io, nella misura in cui può essere determinata, e le contraddizioni vi sono risolte, nella misura in cui possono essere risolte. L’io è infinito, ma semplicemente secondo il suo sforzo: esso si sforza di essere infinito. Nel concetto stesso di sforzo già si trova tuttavia la finitezza, perché ciò a cui non si oppone resistenza non è sforzo. Se l’io fosse più che in sforzo, se avesse una causalità infinita, non sarebbe un io, non porrebbe se stesso e sarebbe, pertanto, nulla. Non avesse questo sforzo infinito, mai potrebbe porre se stesso, non potendosi contrapporre nulla; pertanto, neppure sarebbe un io e di conseguenza sarebbe nulla.
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Wir legen das bis jetzt deduzierte noch auf einem andern Wege dar, um den für den praktischen Teil der Wissenschaftslehre höchst wichtigen Begriff des Strebens völlig klar zu machen. Es gibt, nach der bisherigen Erörterung, ein Streben des Ich, das bloß insofern ein Streben ist, als ihm widerstanden wird, und als es keine Kausalität haben kann; also ein Streben, das, inwiefern es dies ist, auch mit durch ein Nicht-Ich bedingt wird. Insofern es keine Kausalität haben kann, sagte ich; mithin wird eine solche Kausalität gefordert. Daß eine solche Forderung absoluter Kausalität im Ich ursprünglich vorhanden sein müsse, ist aus dem ohne sie nicht zu lösenden Widerspruche zwischen dem Ich, als Intelligenz, und als absolutem Wesen, dargetan worden. Demnach ist der Beweis apagogisch geführt, es ist gezeigt worden, daß man die Identität des Ich aufgeben müsse, wenn man die Forderung einer absoluten Kausalität nicht annehmen wolle. Diese Forderung muß sich auch direkt, und genetisch erweisen lassen; sie muß sich nicht nur durch Berufung auf höhere Prinzipien, denen ohne sie widersprochen würde, glaubwürdig machen, sondern von diesen höhern Prinzipien selbst eigentlich deduzieren lassen, so daß man einsehe, wie eine solche Forderung im menschlichen Geiste entstehe. – Es muß sich nicht bloß ein Streben nach einer (durch ein bestimmtes Nicht-Ich) bestimmten Kausalität, sondern ein Streben nach Kausalität überhaupt aufzeigen lassen, welches letztere das erstere begründet. – Eine über das Objekt hinaus gehende Tätigkeit wird ein Streben, eben darum, weil sie über das Objekt hinausgeht, und mithin nur unter der Bedingung, daß schon ein Objekt vorhanden sei. Es muß sich ein Grund des [405] Herausgehens des Ich aus sich selbst, durch welches erst ein Objekt möglich wird, aufzeigen lassen. Dieses aller widerstrebenden Tätigkeit vorausgehende, und ihre Möglichkeit in Rücksicht auf das Ich begründende
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Al fine di chiarire pienamente il concetto di sforzo, d’importanza decisiva per la parte pratica della dottrina della scienza, esponiamo diversamente ancora quanto dedotto sin qui. Secondo la spiegazione finora illustrata, v’è uno sforzo dell’io che è uno sforzo puramente e semplicemente in quanto gli si resiste e in quanto non può avere alcuna causalità, dunque uno sforzo che, nella misura in cui è tale, è anche condizionato da un non-io. In quanto non può avere alcuna causalità, dicevo: una tale causalità è, conseguentemente, richiesta. Il fatto che una tale esigenza di causalità assoluta debba essere disponibile nell’io originariamente è stato spiegato movendo dalla contraddizione, irrisolvibile senza quella causalità, tra l’io come intelligenza e l’io come essere assoluto. La prova è quindi condotta per via apagogica ed è stato mostrato che si dovrebbe rinunciare all’identità dell’io, se non si volesse assumere l’esigenza di una causalità assoluta. Questa esigenza dev’essere dimostrabile anche direttamente e geneticamente, deve rendersi plausibile non soltanto appellandosi a principi più alti, ai quali senza di essa si contraddirebbe, ma deve potersi dedurre propriamente da questi stessi più alti principi, cosicché si veda come una tale esigenza nasca nello spirito umano. – Non si deve puramente e semplicemente indicare uno sforzo verso una causalità determinata (da un non-io determinato), bensì uno sforzo secondo causalità in generale, il quale ultimo sforzo è il fondamento del primo. – Un’attività che oltrepassa l’oggetto diviene uno sforzo appunto oltrepassando l’oggetto e, di conseguenza, unicamente alla condizione che un oggetto sia già disponibile. È necessario che si possa indicare che cosa fondi l’uscir fuori dell’io da se stesso, per la qual cosa soltanto diviene possibile un oggetto. Questo fuoriuscire, che precede ogni attività resistente fondandone la possibilità
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Herausgehen muß bloß, und lediglich im Ich begründet sein; und durch dasselbe erhalten wir erst den wahren Vereinigungspunkt zwischen dem absoluten, praktischen, und intelligenten Ich. Wir erklären uns noch deutlicher über den eigentlichen Fragepunkt: – Es ist völlig klar, daß das Ich, inwiefern es sich selbst schlechthin setzt, inwiefern es ist, wie es sich setzt, und sich setzt, wie es ist, schlechterdings sich selbst gleich sein müsse, und daß insofern in ihm gar nichts Verschiednes vorkommen könne; und daraus folgt denn freilich sogleich, daß wenn etwas Verschiednes in ihm vorkommen solle, dasselbe durch ein Nicht-Ich gesetzt sein müsse. Soll aber das Nicht-Ich überhaupt etwas im Ich setzen können, so muß die Bedingung der Möglichkeit eines solchen fremden Einflusses im Ich selbst, im absoluten Ich, vor aller wirklichen fremden Einwirkung vorher gegründet sein; das Ich muß ursprünglich, und schlechthin in sich die Möglichkeit setzen, daß etwas auf dasselbe einwirke; es muß sich, unbeschadet seines absoluten Setzens durch sich selbst, für ein anderes Setzen gleichsam offen erhalten. Demnach müßte schon ursprünglich im Ich selbst eine Verschiedenheit sein, wenn jemals eine darein kommen sollte; und zwar müßte diese Verschiedenheit im absoluten Ich, als solchem, gegründet sein. – Der anscheinende Widerspruch dieser Voraussetzung wird zu seiner Zeit sich von selbst lösen, und die Ungedenkbarkeit derselben sich verlieren. Das Ich soll etwas Heterogenes, Fremdartiges, von ihm selbst zu Unterscheidendes in sich antreffen: von diesem Punkte kann am füglichsten unsre Untersuchung ausgehen. Aber dennoch soll dieses Fremdartige im Ich angetroffen werden, und muß darin angetroffen werden. Wäre es außer dem Ich, so wäre es für das Ich Nichts, und es würde daraus Nichts für das Ich erfolgen. Mithin muß es in gewisser Rücksicht dem Ich auch gleichartig sein; es muß demselben zugeschrieben werden können.
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riguardo all’io, dev’essere fondato semplicemente ed esclusivamente nell’io, e soltanto tramite ciò otteniamo il vero punto di unificazione tra l’io assoluto, quello pratico e quello intelligente. Spieghiamoci in modo ancor più perspicuo in merito a ciò che è propriamente in questione. – È del tutto chiaro che l’io, in quanto pone se stesso in assoluto, in quanto è come si pone e si pone come è, dev’essere in ogni modo identico a se stesso e che, stando a ciò, non può affatto comparirvi alcunché di diverso; di qui ne segue allora certamente che se in esso deve comparire qualcosa di diverso, questo dev’essere posto da un non-io. Se il non-io deve però in generale poter porre qualcosa nell’io, allora è necessario che la condizione di possibilità di un tale influsso estraneo sia fondata nell’io stesso, nell’io assoluto, prima di ogni effettiva causazione estranea; l’io deve porre originariamente e assolutamente in sé la possibilità che qualcosa eserciti un effetto su di esso; deve mantenersi aperto anche per un altro porre, senza pregiudicare il suo porre assoluto per se stesso. Pertanto, già originariamente dovrebbe di necessità esserci nell’io stesso una diversità, se mai diversità dovesse esserci, e precisamente questa diversità dovrebbe essere fondata nell’io assoluto in quanto tale. – L’apparente contraddizione di questo presupposto si risolverà da sé a tempo debito e quel che ha di inconcepibile svanirà. L’io deve trovare in sé qualcosa di eterogeneo, di estraneo, qualcosa che va distinto da se stesso: è da questo punto che la nostra ricerca può muovere nel modo più conveniente. Tuttavia questo fattore estraneo dev’essere trovato nell’io, e trovarvelo è necessario. Se fosse esterno all’io, non sarebbe alcunché per l’io e all’io nulla ne deriverebbe. Di conseguenza, sotto un certo riguardo, dev’essere pure simile all’io, gli deve poter essere attribuito.
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Das Wesen des Ich besteht in seiner Tätigkeit; soll demnach jenes Heterogene dem Ich auch zugeschrieben werden können; so muß es überhaupt sein eine Tätigkeit des Ich, die als solche nicht fremdartig sein kann, sondern deren bloße Richtung vielleicht fremdartig, nicht im Ich, sondern außer dem Ich begründet ist. – Wenn die Tätigkeit des Ich, nach der mehrmals gemachten Voraussetzung, hinausgeht in das Unendliche, in einem gewissen Punkte aber angestoßen, doch dadurch nicht vernichtet, sondern nur in sich selbst zurückgetrieben wird, so ist und bleibt die Tätigkeit des Ich, insofern sie das ist, immer Tätigkeit des Ich; [406] nur daß sie zurückgetrieben wird, ist dem Ich fremdartig, und zuwider. Es bleiben hierbei nur die schwierigen Fragen unbeantwortet, mit deren Beantwortung wir aber auch in das Innerste des Wesens des Ich eindringen: wie kommt das Ich zu dieser Richtung seiner Tätigkeit nach außen in die Unendlichkeit? wie kann von ihm eine Richtung nach außen von einer nach innen unterschieden werden? und warum wird die nach innen zurückgetriebne als fremdartig und nicht im Ich begründet, angesehen? Das Ich setzt sich selbst schlechthin, und insofern ist seine Tätigkeit in sich selbst zurückgehend. Die Richtung derselben ist, – wenn es erlaubt ist, etwas noch nicht Abgeleitetes vorauszusetzen, bloß um uns verständlich machen zu können, und wenn es ferner erlaubt ist ein Wort aus der Naturlehre zu entlehnen, das gerade von dem gegenwärtigen transzendentalen Punkte aus erst in dieselbe kommt, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird – die Richtung derselben, sage ich, ist lediglich zentripetal. (Ein Punkt bestimmt keine Linie; es müssen für die Möglichkeit einer solchen immer ihrer zwei gegeben sein, wenn auch der zweite in der Unendlichkeit läge, und die bloße Direktion bezeichnete. Ebenso, und gerade aus dem gleichen Grunde gibt es keine Richtung, wenn es ihrer nicht zwei, und zwar zwei entgegengesetzte gibt. Der Begriff der Richtung ist ein bloßer Wechselbegriff; eine
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L’essenza dell’io consiste nella sua attività; se pertanto quel fattore eterogeneo deve poter essere attribuito anche all’io, dev’esserci in generale un’attività dell’io che, in quanto tale, non può essere estranea, ma di cui è forse estranea la semplice direzione, fondata non nell’io bensì al di fuori dell’io. – Se l’attività dell’io, secondo il presupposto più volte fatto valere, procede all’infinito ma in un certo punto viene urtata, e tuttavia in tal modo non è azzerata ed invece soltanto risospinta in se stessa, allora l’attività dell’io, in quanto essa è tale, è e rimane sempre attività dell’io: estraneo e avverso all’io è solamente il fatto di essere respinta indietro. Con ciò rimangono disattese solo le ardue questioni rispondendo alle quali però penetriamo anche nell’intima essenza dell’io: in che modo l’io perviene a questa direzione della sua attività verso l’esterno, nell’infinità? Come può essere distinta da esso una direzione verso l’esterno da una verso l’interno? E perché la direzione risospinta all’interno è considerata come estranea e non fondata nell’io? L’io pone se stesso in assoluto e, a tale riguardo, la sua attività fa ritorno in se stessa. La direzione di quest’attività – se, puramente e semplicemente al fine di poterci rendere comprensibili, è consentito presupporre qualcosa di non ancora dedotto, e se è consentito inoltre, come a suo tempo si mostrerà, prendere a prestito dalla fisica un termine che le viene proprio dal presente punto trascendentale – la sua direzione, dico, è soltanto centripeta. (Un punto non definisce alcuna linea, per la cui possibilità devono sempre essere dati due punti, anche se il secondo si trovasse all’infinito e indicasse la mera direzione. Così appunto, e proprio per la stessa ragione, non v’è una direzione se non ve ne sono due, e precisamente due contrapposte. Il concetto di direzione è un puro e semplice concetto di reciprocità: una sola direzione non esiste affatto ed è in tutto e per tutto impensabile. Di
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Richtung ist gar keine, und ist schlechthin undenkbar. Mithin können wir der absoluten Tätigkeit des Ich eine Richtung, und eine zentripetale Richtung, nur unter der stillschweigenden Voraussetzung zuschreiben, daß wir auch eine andere zentrifugale Richtung dieser Tätigkeit entdecken werden. Nach der äußersten Strenge genommen ist in der gegenwärtigen Vorstellungsart das Bild des Ich ein mathematischer, sich selbst durch sich selbst konstituierender Punkt, in welchem keine Richtung, und überhaupt nichts zu unterscheiden ist; der ganz ist, wo er ist, und dessen Inhalt und Grenze (Gehalt und Form) Eins, und ebendasselbe ist.) Liegt im Wesen des Ich nichts weiter, als lediglich diese konstitutive Tätigkeit, so ist es, was für uns jeder Körper ist. Wir schreiben dem Körper auch zu eine innere, durch sein bloßes Sein gesetzte Kraft; (nach dem Satze A = A) aber, wenn wir nur transzendental philosophieren, und nicht etwa transzendent, nehmen wir an, daß durch uns gesetzt werde, daß sie durch das bloße Sein des Körpers (für uns) gesetzt sei; nicht aber, daß durch und für den Körper selbst gesetzt werde, daß sie gesetzt sei: und darum ist der Körper für uns leblos, und seelenlos, und kein Ich. Das Ich soll sich nicht nur selbst setzen für irgendeine Intelligenz außer ihm; sondern es soll sich für sich selbst setzen; es soll sich setzen, als durch sich selbst gesetzt. Es soll demnach, so gewiß es ein Ich ist, das Prinzip des Lebens, und des Bewußtseins lediglich in sich selbst haben. Demnach [407] muß das Ich, so gewiß es ein Ich ist, unbedingt, und ohne allen Grund das Prinzip in sich haben über sich selbst zu reflektieren; und so haben wir ursprünglich das Ich in zweierlei Rücksicht, teils, inwiefern es reflektierend ist, und insofern ist die Richtung seiner Tätigkeit zentripetal; teils, inwiefern es dasjenige ist, worauf reflektiert wird, und insofern ist die Richtung seiner Tätigkeit zentrifugal, und zwar zentrifugal in die Unendlichkeit hinaus. Das Ich ist gesetzt, als Realität, und indem reflektiert wird, ob es Realität habe, wird es not-
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conseguenza, all’attività assoluta dell’io possiamo assegnare una direzione, e una direzione centripeta, soltanto tacitamente presupponendo che scopriremo anche un’altra direzione, centrifuga, di tale attività. Assecondando questa maniera di rappresentare le cose, l’immagine dell’io, colta nel modo assolutamente più rigoroso, è un punto matematico che costituisce se stesso da sé ‹e› nel quale non si può distinguere una direzione né in generale alcunché; un punto che è tutto dov’è e la cui superficie e il cui confine ‹contenuto e forma› sono un’unica e proprio medesima cosa). Se nell’essenza dell’io altro non v’è che questa sola attività costitutiva, allora esso è ciò che ogni corpo è per noi. Noi attribuiamo al corpo anche una forza interna, posta dal suo puro e semplice essere (secondo il principio A = A), ma, se filosofiamo in modo esclusivamente trascendentale e non, per esempio, trascendente, assumiamo che siamo noi a porre che essa sia posta dal puro e semplice essere del corpo (per noi), mentre non assumiamo che sia attraverso il corpo e per il corpo stesso a porre che essa sia posta: e perciò il corpo è, per noi, senza vita e senz’anima, e non è un io. L’io non deve porre se stesso soltanto per una qualche intelligenza ad esso esterna, deve invece porsi per se stesso, si deve porre in quanto posto da se stesso. Esso, per quanto è vero che è un io, deve pertanto avere unicamente in se stesso il principio della vita e della coscienza. Dunque, per quanto certamente è un io, l’io deve avere in sé, in modo incondizionato e senza ragione né fondamento alcuno, il principio per riflettere su di sé. Abbiamo così l’io, originariamente, per un duplice profilo: da un lato, in quanto è riflettente, e a tale riguardo la direzione della sua attività è centripeta, dall’altro, in quanto esso è ciò su cui si riflette, e per tale aspetto la direzione della sua attività è centrifuga, e per la precisione centrifuga all’infinito. L’io è posto quale realtà e poiché si riflette se esso abbia realtà, è necessariamente
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wendig, als Etwas, als ein Quantum gesetzt; es ist aber gesetzt, als alle Realität, mithin wird es notwendig gesetzt, als ein unendliches Quantum, als ein die Unendlichkeit ausfüllendes Quantum. Demnach sind zentripetale und zentrifugale Richtung der Tätigkeit beide auf die gleiche Art im Wesen des Ich gegründet; sie sind beide Eins und ebendasselbe, und sind bloß insofern unterschieden, inwiefern über sie, als unterschiedne, reflektiert wird. – (Alle zentripetale Kraft in der Körperwelt ist bloßes Produkt der Einbildungskraft des Ich, nach einem Gesetze der Vernunft Einheit in die Mannigfaltigkeit zu bringen, wie sich zu seiner Zeit zeigen wird). Aber die Reflexion, wodurch beide Richtungen unterschieden werden könnten, ist nicht möglich, wenn nicht ein Drittes hinzukommt, worauf sie bezogen werden können, oder welches auf sie bezogen werden könne. – Der Forderung, (wir müssen immer etwas voraußetzen, das noch nicht nachgewiesen ist, um uns auch nur ausdrücken zu können; denn der Strenge nach ist bis jetzt noch gar keine Forderung, als Gegenteil des wirklich Geschehenden möglich) der Forderung, daß im Ich alle Realität sein solle, geschieht unter unsrer Voraussetzung Genüge; beide Richtungen der Tätigkeit des Ich, die zentripetale, und zentrifugale fallen zusammen, und sind nur Eine, und ebendieselbe Richtung. (Setzet zur Erläuterung, das Selbstbewußtsein Gottes solle erklärt werden, so ist dies nicht anders möglich, als durch die Voraussetzung, daß Gott über sein eignes Sein reflektiere. Da aber in Gott das Reflektierte Alles in Einem, und Eins in Allem, und das Reflektierende gleichfalls Alles in Einem, und Eins in Allem sein würde, so würde in und durch Gott Reflektiertes, und Reflektierendes, das Bewußtsein selbst, und der Gegenstand desselben, sich nicht unterscheiden lassen, und das Selbstbewußtsein Gottes wäre demnach nicht erklärt, wie es denn auch für alle endliche Vernunft,
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posto come qualcosa, come un quantum; ma esso è posto come tutta la realtà, di conseguenza è necessariamente posto quale quantum infinito, come un quantum che satura l’infinità. Direzione centripeta e direzione centrifuga dell’attività sono quindi entrambe, allo stesso modo, fondate nell’essenza dell’io; ambedue sono un’unica e medesima cosa e si distinguono solamente nella misura in cui si riflette su di esse in quanto distinte. – (Ogni forza centripeta nel mondo dei corpi è puro e semplice prodotto dell’immaginazione dell’io, secondo una legge della ragione ‹che impone› di recare unità nel molteplice, come si mostrerà a tempo debito). La riflessione, per mezzo della quale l’una e l’altra direzione potrebbero essere distinte, non è però possibile se non sopraggiunge un terzo elemento a cui quelle possano esser messe in relazione o che possa essere messo in relazione ad esse. – L’esigenza (al fine anche soltanto di poterci esprimere, noi dobbiamo sempre presupporre qualcosa che non è ancora dimostrato: a rigore, infatti, nessuna esigenza, quale contrario di ciò che in effetti realmente accade, è finora possibile), l’esigenza che nell’io debba esserci tutta la realtà viene accontentata dal nostro presupposto: le due direzioni dell’attività dell’io, la centripeta e la centrifuga, coincidono e sono un’unica e proprio medesima direzione. (Per illustrare la cosa, ponete che debba essere spiegata l’autocoscienza di Dio: ciò non è possibile se non presupponendo che Dio rifletta sul suo proprio essere. Ma poiché in Dio l’essere-riflesso sarebbe tutto in uno e uno in tutto e, allo stesso modo, l’essere-riflettente sarebbe tutto in uno e uno in tutto, allora in e per Dio l’essere-riflesso e l’essere-riflettente, la coscienza stessa e il suo oggetto non si potrebbero distinguere e pertanto l’autocoscienza di Dio non sarebbe spiegata, come del resto rimarrà sempre inspiegabile e incomprensibile per ogni ragione fini-
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d. i. für alle Vernunft, die an das Gesetz der Bestimmung desjenigen, worüber reflektiert wird, gebunden ist, ewig unerklärbar, und unbegreiflich bleiben wird.) So ist demnach aus dem oben Vorausgesetzten kein [408] Bewußtsein abzuleiten: denn beide angenommene Richtungen lassen sich nicht unterscheiden. Nun aber soll die ins Unendliche hinausgehende Tätigkeit des Ich in irgendeinem Punkte angestoßen, und in sich selbst zurückgetrieben werden; und das Ich soll demnach die Unendlichkeit nicht ausfüllen. Daß dies geschehe, als Faktum, läßt aus dem Ich sich schlechterdings nicht ableiten, wie mehrmals erinnert worden; aber es läßt allerdings sich dartun, daß es geschehen müsse, wenn ein wirkliches Bewußtsein möglich sein soll. Jene Forderung des in der gegenwärtigen Funktion reflektierenden Ich, daß das durch dasselbe reflektierte Ich die Unendlichkeit ausfüllen solle, bleibt, und wird durch jenen Anstoß gar nicht eingeschränkt. Die Frage, ob es dieselbe ausfülle, und das Resultat, daß es dieselbe wirklich nicht ausfülle, sondern in C begrenzt sei, bleibt – und erst jetzt ist die geforderte Unterscheidung zweier Richtungen möglich. Nämlich nach der Forderung des absoluten Ich sollte seine (insofern zentrifugale) Tätigkeit hinausgehen in die Unendlichkeit; aber sie wird in C reflektiert, wird mithin zentripetal, und nun ist durch Beziehung auf jene ursprüngliche Forderung einer ins Unendliche hinausgehenden zentrifugalen Richtung – was unterschieden werden soll, muß auf ein Drittes bezogen werden – die Unterscheidung möglich, weil nun in der Reflexion angetroffen wird eine jener Forderung gemäße zentrifugale, und eine ihr widerstreitende (die zweite, durch den Anstoß reflektierte) zentripetale Richtung. Zugleich wird dadurch klar, warum diese zweite Richtung als etwas Fremdartiges betrachtet, und aus einem dem Prinzip des Ich entgegengesetzten Prinzip abgeleitet wird.
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ta, vale a dire per ogni ragione legata alla legge della determinazione di ciò su cui si riflette). Dunque, da quanto sopra presupposto non va dedotta alcuna coscienza: entrambe le direzioni assunte non si possono, infatti, distinguere. Ora, l’attività dell’io procedente all’infinito dev’essere però urtata in un qualche punto e respinta in se stessa e l’io non deve, quindi, saturare l’infinità. Che ciò accada, quale fatto, non è in alcun modo deducibile dall’io, com’è stato ricordato più volte, invece si può veramente dimostrare la necessità che tale fatto accada, se un’effettiva coscienza reale dev’essere possibile. Quell’esigenza dell’io riflettente nella presente funzione, ‹ossia› che l’io da esso riflesso debba saturare l’infinito, permane e non è affatto limitata da quell’urto. Restano la questione se l’io lo saturi e il risultato che esso in effetti non lo satura bensì viene delimitato da un confine in C – soltanto adesso è possibile la distinzione richiesta fra le due direzioni. Vale a dire: stando all’esigenza dell’io assoluto, la sua attività (in quanto centrifuga) dovrebbe procedere sporgendosi sull’infinito, invece è riflessa in C, divenendo, conseguentemente, centripeta, ed allora, grazie alla messa-in-relazione con quell’originaria esigenza di una direzione centrifuga che procede all’infinito – ciò che dev’essere distinto è necessario venga messo in relazione a un terzo termine – la distinzione è possibile, perché adesso nella riflessione s’incontrano una direzione centrifuga dell’attività, direzione conforme a quell’esigenza, e una direzione centripeta che la contrasta (la seconda direzione, quella dell’attività riflessa dall’urto). Nel contempo si chiarisce con ciò perché questa seconda direzione è considerata come qualcosa di estraneo ed è dedotta da un principio contrapposto al principio dell’io.
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Und so ist denn die soeben aufgestellte Aufgabe gelöst. Das ursprüngliche Streben nach einer Kausalität überhaupt im Ich ist genetisch abgeleitet aus dem Gesetze des Ich, über sich selbst zu reflektieren, und zu fordern, daß es in dieser Reflexion als alle Realität erfunden werde; beides, so gewiß es ein Ich sein soll. Jene notwendige Reflexion des Ich auf sich selbst ist der Grund alles Herausgehens aus sich selbst, und die Forderung, daß es die Unendlichkeit ausfülle, der Grund des Strebens nach Kausalität überhaupt; und beide sind lediglich in dem absoluten Sein des Ich begründet. Es ist, wie gleichfalls gefordert wurde, der Grund der Möglichkeit eines Einflusses des Nicht-Ich auf das Ich im Ich selbst dadurch aufgefunden worden. [409] Das Ich setzt sich selbst schlechthin, und dadurch ist es in sich selbst vollkommen, und allem äußern Eindrucke verschlossen. Aber es muß auch, wenn es ein Ich sein soll, sich setzen, als durch sich selbst gesetzt; und durch dieses neue, auf ein ursprüngliches Setzen sich beziehende Setzen öffnet es sich, daß ich so sage, der Einwirkung von außen; es setzt lediglich durch diese Wiederholung des Setzens die Möglichkeit, daß auch etwas in ihm sein könne, was nicht durch dasselbe selbst gesetzt sei. Beide Arten des Setzens sind die Bedingung einer Einwirkung des Nicht-Ich; ohne die erstere würde keine Tätigkeit des Ich vorhanden sein, welche eingeschränkt werden könnte; ohne die zweite würde diese Tätigkeit nicht für das Ich eingeschränkt sein; das Ich würde sich nicht setzen können, als eingeschränkt. So steht das Ich, als Ich, ursprünglich in Wechselwirkung mit sich selbst; und dadurch erst wird ein Einfluss von außen in dasselbe möglich. Dadurch haben wir endlich auch den gesuchten Vereinigungspunkt zwischen dem absoluten, praktischen, und intelligenten Wesen des Ich gefunden. – Das Ich fordert, daß es alle Realität in sich fasse, und die Unendlichkeit erfülle. Dieser Forderung liegt notwendig zum Grunde die Idee des schlechthin gesetzten, unendlichen
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E in tal modo è risolto anche il problema appena enunciato. Lo sforzo originario verso una causalità in generale nell’io è dedotto geneticamente dalla legge dell’io ‹consistente› nel riflettere su se stesso e nell’esigere che in questa riflessione esso sia compreso come tutta la realtà: entrambe le cose quanto è vero che dev’esserci un io. Quella riflessione necessaria dell’io su se stesso è il fondamento di ogni uscir fuori dell’io da se stesso e l’esigenza che esso saturi l’infinito è il fondamento dello sforzo verso la causalità in generale131: e tutt’e due sono fondate unicamente nell’essere assoluto dell’io. Com’era egualmente richiesto, così facendo è trovato nell’io stesso il fondamento della possibilità di un influsso del non-io sull’io. L’io pone se stesso in assoluto e perciò è in se stesso perfetto e chiuso a ogni impressione esterna. Ma, se dev’essere un io, deve di necessità porsi altresì in quanto132 posto da se stesso, e tramite questo nuovo porre che si relaziona a un porre originario esso si apre, per dir così, alla causazione dall’esterno; unicamente per mezzo di questa ripetizione del porre, l’io pone la possibilità che, in esso, possa esservi qualcosa di non posto da esso stesso. I due modi del porre sono la condizione di una causazione del non-io: senza il primo non sarebbe disponibile un’attività dell’io che potesse essere limitata; senza il secondo quest’attività non sarebbe limitata per l’io, l’io non si potrebbe porre come limitato. In tal modo l’io, in quanto io, si situa originariamente in azione reciproca con se stesso e soltanto così facendo diviene possibile un influsso sull’io dall’esterno. In tal modo abbiamo infine rinvenuto anche il punto di unificazione cercato tra l’essenza assoluta, quella pratica e quella intelligente dell’io. – L’io esige di comprendere in sé tutta la realtà e di saturare l’infinito. A fondamento di questa esigenza si trova necessariamente l’idea dell’io infinito, in tutto e per tutto posto, e questo è l’io
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Ich; und dieses ist das absolute Ich, von welchem wir geredet haben. (Hier erst wird der Sinn des Satzes: das Ich setzt sich selbst schlechthin, völlig klar. Es ist in demselben gar nicht die Rede von dem im wirklichen Bewußtsein gegebnen Ich; denn dieses ist nie schlechthin, sondern sein Zustand ist immer, entweder unmittelbar, oder mittelbar durch etwas außer dem Ich begründet; sondern von einer Idee des Ich, die seiner praktischen unendlichen Forderung notwendig zu Grunde gelegt werden muß, die aber für unser Bewußtsein unerreichbar ist, und daher in demselben nie unmittelbar, [wohl aber mittelbar in der philosophischen Reflexion] vorkommen kann). Das Ich muß – und das liegt gleichfalls in seinem Begriffe – über sich reflektieren, ob es wirklich alle Realität in sich fasse. Es legt dieser Reflexion jene Idee zum Grunde, geht demnach mit derselben in die Unendlichkeit hinaus, und insofern ist es praktisch: nicht absolut, weil es durch die Tendenz zur Reflexion eben aus sich herausgeht; ebensowenig theoretisch, weil seiner Reflexion nichts zum Grunde liegt, als jene aus dem Ich selbst herstammende Idee, und von dem möglichen Anstoße völlig abstrahiert wird, mithin keine wirkliche Reflexion vorhanden ist. – Hierdurch entsteht die Reihe dessen, was sein soll, und was durch das bloße Ich gegeben ist; also die Reihe des Idealen. Geht die Reflexion auf diesen Anstoß, und betrachtet das Ich demnach sein [410] Herausgehen als beschränkt; so entsteht dadurch eine ganz andere Reihe, die des Wirklichen, die noch durch etwas anderes bestimmt wird, als durch das bloße Ich. – Und insofern ist das Ich theoretisch, oder Intelligenz. Ist kein praktisches Vermögen im Ich, so ist keine Intelligenz möglich; geht die Tätigkeit des Ich nur bis zum Punkte des Anstoßes, und nicht über allen möglichen Anstoß hinaus, so ist im Ich, und für das Ich kein anstoßendes, kein Nicht-Ich, wie schon mehrmals dargetan worden. Hinwiederum, ist das Ich nicht Intelligenz, so ist kein
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assoluto di cui abbiamo parlato. (Soltanto qui il senso della proposizione: L’io pone se stesso assolutamente si chiarisce del tutto. Non vi si parla affatto dell’io dato nella coscienza effettivamente reale: quest’io, infatti, non è mai, in assoluto, mentre il suo stato è sempre direttamente o indirettamente fondato da qualcosa situato fuori dell’io; si parla invece di un’idea dell’io che dev’essere messa necessariamente a fondamento della sua esigenza pratica infinita, che tuttavia è irraggiungibile per la nostra coscienza e dunque non può mai comparirvi immediatamente [però certo ‹può ricorrere› in modo indiretto nella riflessione filosofica]). L’io deve – e ciò è incluso egualmente nel suo concetto – riflettere su di sé per capire se comprenda effettivamente in sé ogni realtà. Esso pone quell’idea alla radice di questa riflessione, quindi con tale idea procede all’infinito e a questo riguardo è pratico: non è assoluto, perché esce da sé appunto tramite la tendenza alla riflessione, e tanto meno è teoretico, perché nulla sta alla base della sua riflessione eccetto quell’idea che proviene dall’io stesso, e si astrae totalmente dall’urto possibile per cui non è disponibile alcuna effettiva riflessione. – Di qui scaturisce la serie di ciò che deve essere e di ciò è dato dal puro e semplice io, insomma la serie dell’ideale. Se la riflessione si rivolge a questo urto e pertanto l’io considera il suo uscir fuori come limitato, con ciò sorge allora una serie interamente diversa, quella del reale, che è determinata da qualcos’altro ancora rispetto al puro e semplice io. – E in quanto tale l’io è teoretico, ovvero intelligenza. Se nell’io non v’è alcuna facoltà pratica, non v’è intelligenza possibile; se l’attività dell’io giunge soltanto fino al punto ove accade l’urto e non oltre ogni urto possibile, allora nulla v’è nell’io e per l’io a produrre l’urto, nessun non-io, come è già stato dimostrato in più luoghi. A sua volta, se l’io non è intelligenza, non è possibile alcu-
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Bewußtsein seines praktischen Vermögens, und überhaupt kein Selbstbewußtsein möglich, weil erst durch die fremdartige durch den Anstoß entstandne Richtung die Unterscheidung verschiedner Richtungen möglich wird, wie soeben gezeigt worden. (Davon nämlich wird hier noch abstrahiert, daß das praktische Vermögen, um zum Bewußtsein zu gelangen, erst durch die Intelligenz hindurch gehen, die Form der Vorstellung erst annehmen muß). Und so ist denn das ganze Wesen endlicher vernünftiger Naturen umfaßt, und erschöpft. Ursprüngliche Idee unsers absoluten Seins: Streben zur Reflexion über uns selbst nach dieser Idee: Einschränkung, nicht dieses Strebens, aber unsers durch diese Einschränkung erst gesetzten wirklichen Daseins* durch ein entgegengesetztes Prinzip, ein Nicht-Ich, oder überhaupt durch unsre Endlichkeit: Selbstbewußtsein und insbesondre Bewußtsein unsers praktischen Strebens: Bestimmung unsrer Vorstellungen darnach: (ohne Freiheit, und mit Freiheit) durch sie unsrer Handlungen, – der Richtung unsers wirklichen sinnlichen Vermögens: stete Erweiterung unsrer Schranken in das Unendliche fort. Und hierbei noch eine wichtige Bemerkung, welche allein wohl hinreichen dürfte, die Wissenschaftslehre in ihren wahren Gesichtspunkt zu stellen und die eigentliche Lehre derselben völlig klar zu machen. Nach der soeben vor[410] * Im konsequenten Stoizismus wird die unendliche Idee des Ich genommen für das wirkliche Ich; absolutes Sein, und wirkliches Dasein werden nicht unterschieden. Daher ist der stoische Weise allgenugsam, und unbeschränkt; es werden ihm alle Prädikate beigelegt, die dem reinen Ich, oder auch Gott zukommen. Nach der stoischen Moral sollen wir nicht Gott gleich werden, sondern wir sind selbst Gott. Die Wissenschaftslehre unterscheidet sorgfältig absolutes Sein, und wirkliches Dasein, und legt das erstere bloß zum Grunde, um das letztere erklären zu können. Der Stoizismus wird dadurch widerlegt, daß gezeigt wird, er könne die Möglichkeit des Bewußtseins nicht erklären. Darum ist die Wissenschaftslehre auch nicht atheistisch, wie der Stoizismus notwendig sein muß, wenn er konsequent verfährt.
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na coscienza della sua facoltà pratica e in generale alcuna autocoscienza, perché la distinzione delle diverse direzioni diventa possibile unicamente per via della direzione estranea sorta a causa dell’urto, com’è stato appena mostrato. (Cioè: qui si astrae ancora dal fatto che la facoltà pratica, per giungere alla coscienza, deve prima passare per l’intelligenza, deve prima assumere la forma della rappresentazione). E in tal modo l’essenza intera delle nature ragionevoli finite è abbracciata ed esaurita. Idea originaria del nostro essere assoluto: sforzo di autoriflessione secondo quest’idea: limitazione, non di questo sforzo, bensì della nostra esistenza effettivamente reale*, posta soltanto con questa limitazione, per opera di un principio contrapposto, un non-io, ovvero in generale dalla nostra finitezza; autocoscienza e in particolare coscienza del nostro sforzo pratico; destinazione a ciò delle nostre rappresentazioni; (senza libertà e con libertà) per mezzo di questa, delle nostre azioni, della direzione della nostra facoltà sensibile effettivamente reale; ampliamento continuo, all’infinito, dei nostri limiti. Riguardo a ciò, ancora un’osservazione importante, che da sola ben potrebbe essere sufficiente a collocare la dottrina della scienza nel suo vero punto di vista e a chiarire completamente la sua peculiare teoria. Secondo * Nello stoicismo coerente l’idea infinita dell’io è presa per l’io reale; essere assoluto ed esserci effettivamente reale non sono distinti. Perciò il saggio stoico è autosufficiente e illimitato; a lui sono attribuiti tutti i predicati che spettano all’io puro o anche a Dio. Secondo la morale stoica noi non dobbiamo diventare uguali a Dio, ma Dio siamo noi stessi. La dottrina della scienza distingue accuratamente essere assoluto ed esserci effettivamente reale e pone il primo a fondamento, semplicemente per poter spiegare la seconda. Lo stoicismo è confutato mostrando che non può spiegare la possibilità della coscienza. Perciò la dottrina della scienza non è neppure atea, come di necessità dev’essere lo stoicismo se procede in modo coerente.
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genommenen Erörterung ist das Prinzip des Lebens und Bewußtseins, der Grund seiner Mög-[411]lichkeit, – allerdings im Ich enthalten, aber dadurch entsteht noch kein wirkliches Leben, kein empirisches Leben in der Zeit; und ein anderes ist für uns schlechterdings undenkbar. Soll ein solches wirkliches Leben möglich sein, so bedarf es dazu noch eines besondern Anstoßes auf das Ich durch ein Nicht-Ich. Der letzte Grund aller Wirklichkeit für das Ich ist demnach nach der Wissenschaftslehre eine ursprüngliche Wechselwirkung zwischen dem Ich, und irgendeinem Etwas außer demselben, von welchem sich weiter nichts sagen läßt, als daß es dem Ich völlig entgegengesetzt sein muß. In dieser Wechselwirkung wird in das Ich nichts gebracht, nichts Fremdartiges hineingetragen; alles was je bis in die Unendlichkeit hinaus in ihm sich entwickelt, entwickelt sich lediglich aus ihm selbst nach seinen eignen Gesetzen; das Ich wird durch jenes Entgegengesetzte bloß in Bewegung gesetzt, um zu handeln, und ohne ein solches erstes Bewegendes außer ihm würde es nie gehandelt, und, da seine Existenz bloß im Handeln besteht, auch nicht existiert haben. Jenem Bewegenden kommt aber auch nichts weiter zu, als daß es ein Bewegendes sei, eine entgegengesetzte Kraft, die als solche auch nur gefühlt wird. Das Ich ist demnach abhängig seinem Dasein nach, aber es ist schlechthin unabhängig in den Bestimmungen dieses seines Daseins. Es ist in ihm, kraft seines absoluten Seins, ein für die Unendlichkeit gültiges Gesetz dieser Bestimmungen, und es ist in ihm ein Mittelvermögen, sein empirisches Dasein nach jenem Gesetze zu bestimmen. Der Punkt, auf welchem wir uns selbst finden, wenn wir zuerst jenes Mittelvermögens der Freiheit mächtig werden, hängt nicht von uns ab, die Reihe, die wir von diesem Punkte aus in alle Ewigkeit beschreiben werden, in ihrer ganzen Ausdehnung gedacht, hängt völlig von uns ab. Die Wissenschaftslehre ist demnach realistisch. Sie zeigt, daß das Bewußtsein endlicher Naturen sich schlech-
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la disamina appena condotta, il principio della vita e della coscienza, il fondamento della sua possibilità, è sì contenuto nell’io, ma per esso non sorge ancora una vita effettivamente reale, una vita empirica nel tempo; e un’altra vita è per noi affatto impensabile. Affinché una simile vita effettivamente reale sia possibile, occorre ancora a questo scopo un particolare urto sull’io impartito da un non-io. Secondo la dottrina della scienza, il fondamento ultimo di ogni realtà per l’io è dunque un’originaria azione reciproca tra l’io e un qualcosa di esterno ad esso di cui non si può dire altro se non che dev’essere del tutto contrapposto all’io. In quest’azione reciproca nulla è recato nell’io, nulla di estraneo vi è introdotto: tutto ciò che vi si sviluppa all’infinito, si sviluppa unicamente da esso stesso secondo sue proprie leggi; l’io viene messo in movimento da quell’elemento contrapposto semplicemente al fine di agire e senza un tale primo elemento motore esterno non avrebbe mai agito e, consistendo la sua esistenza puramente nell’agire, neppure sarebbe esistito. A quell’elemento motore nient’altro spetta, tuttavia, se non l’essere una forza motrice, una forza contrapposta che inoltre, in quanto tale, è anche solo sentita. Rispetto al suo esserci, l’io è quindi dipendente, mentre è in tutto e per tutto indipendente nelle determinazioni di questo suo esserci. Nell’io, in forza del suo essere assoluto, c’è una legge di queste determinazioni valida all’infinito e c’è una facoltà mediatrice di determinare il suo esserci empirico secondo quella legge. Il punto in cui troviamo noi stessi quando, per la prima volta, diventiamo capaci di quella facoltà mediatrice della libertà non dipende da noi, mentre dipende totalmente da noi la serie, pensata nella sua completa estensione, che da questo punto descriveremo in eterno. La dottrina della scienza è dunque realistica. Essa mostra che la coscienza delle nature finite non si può in
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terdings nicht erklären lasse, wenn man nicht eine unabhängig von denselben vorhandne, ihnen völlig entgegengesetzte Kraft annimmt, von der dieselben ihrem empirischen Dasein nach selbst abhängig sind. Sie behauptet aber auch nichts weiter, als eine solche entgegengesetzte Kraft, die von dem endlichen Wesen bloß gefühlt, aber nicht erkannt wird. Alle mögliche Bestimmungen dieser Kraft, oder dieses Nicht-Ich, die in die Unendlichkeit hinaus in unserm Bewußtsein vorkommen können, macht sie sich anheischig, aus dem bestimmenden Vermögen des Ich abzuleiten, und muß dieselbe, so gewiß sie Wissenschaftslehre ist, wirklich ableiten können. Ohnerachtet ihres Realismus aber ist diese Wissenschaft nicht transzendent, sondern bleibt in ihren innersten Tiefen transzendental. Sie erklärt allerdings alles Be[412]wußtsein aus einem unabhängig von allem Bewußtsein vorhandnen; aber sie vergißt nicht, daß sie auch in dieser Erklärung sich nach ihren eignen Gesetzen richte, und so wie sie hierauf reflektiert, wird jenes Unabhängige abermals ein Produkt ihrer eignen Denkkraft, mithin etwas vom Ich abhängiges, insofern es für das Ich (im Begriff davon) da sein soll. Aber für die Möglichkeit dieser neuen Erklärung jener ersten Erklärung wird ja abermals schon das wirkliche Bewußtsein, und für dessen Möglichkeit abermals jenes Etwas, von welchem das Ich abhängt, vorausgesetzt: und wenn jetzt gleich dasjenige, was fürs erste, als ein Unabhängiges gesetzt wurde, vom Denken des Ich abhängig geworden, so ist doch dadurch das Unabhängige nicht gehoben, sondern nur weiter hinausgesetzt, und so könnte man in das Unbegrenzte hinaus verfahren, ohne daß dasselbe je aufgehoben würde. – Alles ist seiner Idealität nach abhängig vom Ich, in Ansehung der Realität aber ist das Ich selbst abhängig; aber es ist nichts real für das Ich ohne auch ideal zu sein; mithin ist in ihm Ideal- und
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alcun modo spiegare se non assumendo come disponibile, indipendentemente da quelle, una forza a esse interamente contrapposta e da cui quelle dipendono quanto al loro esserci empirico. Tuttavia essa altresì non afferma altro se non una tale forza contrapposta, che dall’essere finito è semplicemente sentita ma non conosciuta133. La dottrina della scienza si assume l’onere di dedurre dalla facoltà determinante dell’io tutte le determinazioni possibili di questa forza, ovvero di questo non-io, che possono ricorrere all’infinito nella nostra coscienza, e deve poterle dedurre effettivamente, per quanto è vero che essa è dottrina della scienza. A dispetto del suo realismo, questa scienza non è però trascendente bensì rimane trascendentale nella sua radice più profonda. Essa spiega veramente ogni coscienza in base a un qualcosa disponibile indipendentemente da ogni coscienza, tuttavia non si dimentica che anch’essa, in questa spiegazione, si orienta secondo le sue proprie leggi e non appena riflette su ciò, quel qualcosa di indipendente diviene ancora una volta un prodotto della sua propria forza di pensiero, di conseguenza qualcosa di dipendente dall’io, nella misura in cui deve esistere per l’io (nel suo concetto). Per la possibilità di questa nuova spiegazione di quella prima spiegazione è però già presupposta la coscienza effettivamente reale e per la possibilità di quest’ultima di nuovo quel qualcosa da cui l’io dipende: e se ora giusto quello che dapprima fu posto come un che di indipendente è divenuto dipendente dall’attività di pensiero dell’io, non per questo ciò che è indipendente dall’io è soppresso bensì soltanto spostato più in là, e così si potrebbe procedere nella totale sconfinatezza senza che quello venga soppresso. – Quanto alla sua idealità, tutto dipende dall’io, mentre, stando al punto di vista della realtà134, l’io stesso è dipendente: epperò nulla v’è di reale per l’io senza che sia anche ideale, di conse-
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Realgrund Eins und ebendasselbe, und jene Wechselwirkung zwischen dem Ich und Nicht-Ich ist zugleich eine Wechselwirkung des Ich mit sich selbst. Dasselbe kann sich setzen, als beschränkt durch das Nicht-Ich, indem es nicht darauf reflektiert, daß es jenes beschränkende NichtIch doch selbst setze; es kann sich setzen, als selbst beschränkend das Nicht-Ich, indem es darauf reflektiert. Dies, daß der endliche Geist notwendig etwas Absolutes außer sich setzen muß (ein Ding an sich) und dennoch von der andern Seite anerkennen muß, daß dasselbe nur für ihn da sei (ein notwendiges Noumen sei) ist derjenige Zirkel, den er in das Unendliche erweitern, aus welchem er aber nie herausgehen kann. Ein System, das auf diesen Zirkel gar nicht Rücksicht nimmt, ist ein dogmatischer Idealismus; denn eigentlich ist es nur der angezeigte Zirkel der uns begrenzt und zu endlichen Wesen macht: ein System, das aus demselben herausgegangen zu sein wähnt, ist ein transzendenter realistischer Dogmatismus. Die Wissenschaftslehre hält zwischen beiden Systemen bestimmt die Mitte, und ist ein kritischer Idealismus, den man auch einen Real-Idealismus, oder einen IdealRealismus nennen könnte. – Wir setzen noch einige Worte hinzu, um, wo möglich, allen verständlich zu werden. Wir sagten: das Bewußtsein endlicher Naturen läßt sich nicht erklären, wenn man nicht eine unabhängig von denselben vorhandne Kraft annimmt. – Für Wen läßt es sich nicht erklären? und für Wen soll es erklärbar werden? Wer überhaupt ist es denn, der es erklärt? Die endlichen Naturen selbst. So wie wir sagen »erklären« sind wir schon auf dem Felde der [413] Endlichkeit; denn alles Erklären, d. i. kein Umfassen auf einmal, sondern ein Fortsteigen von einem zum andern, ist etwas Endliches, und das Begrenzen oder Bestimmen ist eben die Brücke, auf welcher übergegangen wird, und die das Ich in sich selbst hat. – Die entgegengesetzte Kraft ist unabhängig vom Ich ihrem Sein, und ihrer Bestimmung nach, welche doch das
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guenza in esso fondamento ideale e fondamento reale sono un’unica e proprio medesima cosa e quell’azione reciproca tra l’io e in non-io è ad un tempo un’azione reciproca dell’io con se stesso. L’io non può porsi come limitato dal non-io, riflettendo sul fatto di porre esso stesso quel non-io limitante: riflettendo su ciò, può porsi come limitante il non-io. Il dover porre fuori di sé necessariamente qualcosa di assoluto (una cosa in sé) e nondimeno il dover riconoscere, d’altro canto, che quello stesso ‹assoluto› esiste unicamente per lui (che è un noumeno necessario): ecco qual è quel circolo che lo spirito finito amplia all’infinito ma da cui non può mai uscire. Un sistema che non presta affatto attenzione a questo circolo è un idealismo dogmatico, propriamente è infatti soltanto il circolo indicato a darci dei confini e renderci esseri finiti; un sistema che s’illude di esserne uscito è un dogmatismo realistico trascendente. La dottrina della scienza mantiene in modo definito la linea mediana tra i due sistemi ed è un idealismo critico che si potrebbe altresì chiamare un real-idealismo o un ideal-relismo. – Aggiungiamo ancora qualche parola allo scopo, se possibile, di essere intesi da tutti. Dicevamo: la coscienza delle nature finite non è spiegabile se non assumendo ‹come› disponibile una forza da esse indipendente. – Per chi non è spiegabile? E per chi deve diventarlo? Chi è allora, in generale, che la spiega? Le nature finite stesse. Appena diciamo “spiegare” siamo già nel dominio della finitezza: ogni spiegare, vale a dire non il comprendere all’improvviso in una sola volta bensì il risalire da un passaggio all’altro, è infatti qualcosa di finito e il delimitare o determinare è appunto il ponte su cui si passa e che l’io ha in se stesso. – Quanto al suo essere e alla sua determinazione, che però la facoltà pratica dell’io, ovvero il suo impulso verso la realtà, si sforza di modificare, la forza contrapposta è indipen-
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praktische Vermögen des Ich, oder sein Trieb nach Realität zu modifizieren strebt; aber sie ist abhängig von seiner idealen Tätigkeit, von dem theoretischen Vermögen desselben; sie ist für das Ich nur, inwiefern sie durch dasselbe gesetzt wird, und außerdem ist sie nicht für das Ich. Nur inwiefern etwas bezogen wird auf das praktische Vermögen des Ich, hat es unabhängige Realität; inwiefern es auf das theoretische bezogen wird, ist es aufgefaßt in das Ich, enthalten in seiner Sphäre, unterworfen seinen Vorstellungsgesetzen. Aber ferner, wie kann es doch bezogen werden auf das praktische Vermögen, außer durch das theoretische, und wie kann es doch ein Gegenstand des theoretischen Vermögens werden, außer vermittelst des praktischen? Also hier bestätigt sich wieder, oder vielmehr, hier zeigt sich in seiner vollen Klarheit der Satz: keine Idealität, keine Realität, und umgekehrt. Man kann demnach auch sagen: der letzte Grund alles Bewußtseins ist eine Wechselwirkung des Ich mit sich selbst vermittelst eines von verschiednen Seiten zu betrachtenden NichtIch. Dies ist der Zirkel, aus dem der endliche Geist nicht herausgehen kann, noch, ohne die Vernunft zu verleugnen, und seine Vernichtung zu verlangen, es wollen kann. Interessant wäre folgender Einwurf: wenn nach obigen Gesetzen das Ich ein Nicht-Ich durch ideale Tätigkeit setzt, als Erklärungsgrund seiner eignen Begrenztheit, mithin dasselbe in sich aufnimmt; setzt es doch wohl dieses Nicht-Ich selbst als ein Begrenztes (in einem bestimmten endlichen Begriffe)? Setzet dieses Objekt = A. Nun ist die Tätigkeit des Ich im Setzen dieses A notwendig selbst begrenzt, weil sie auf ein begrenztes Objekt geht. Aber das Ich kann sich selbst nie, demnach auch nicht im angezeigten Falle begrenzen; mithin muß es, indem es A, das allerdings in dasselbe aufgenommen wird, begrenzt, selbst begrenzt sein, durch ein von ihm noch völlig unabhängiges B, das nicht in dasselbe aufgenommen ist. – Wir gestehen dies alles zu: erinnern aber, daß auch dieses B wieder
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dente dall’io, mentre dipende dall’attività ideale dell’io, dalla sua facoltà teoretica: è per l’io soltanto nella misura in cui è posta da esso e oltre a ciò non è alcunché per l’io. Un qualcosa ha realtà indipendente soltanto nella misura in cui è messo in relazione alla facoltà pratica dell’io; in quanto è messo in relazione a quella teoretica, è compreso nell’io, contenuto nella sua sfera, sottomesso alle leggi della sua rappresentazione. Ma inoltre, quel qualcosa come può essere messo in relazione alla facoltà pratica se non tramite la teoretica, e come può diventare oggetto della facoltà teoretica, se non per mezzo della pratica? Insomma, qui trova nuovamente conferma, o piuttosto qui si mostra in tutta nettezza, la proposizione: nessuna idealità, nessuna realtà e viceversa. Pertanto si può anche dire che il fondamento ultimo di ogni coscienza è un’azione reciproca dell’io con se stesso per mezzo di un non-io che va considerato da diversi lati. Questo è il circolo da cui lo spirito finito non può evadere, né può volerlo senza rinnegare la ragione e desiderarne l’annientamento. Sarebbe interessante la seguente obiezione: se mediante attività ideale l’io pone, in conformità alle leggi di cui sopra, un non-io quale fondamento esplicativo della sua propria confinatezza, assumendo di conseguenza in sé questo medesimo non-io, pone dunque questo stesso non-io come un elemento limitato (in un concetto determinato e finito)? Ponete tale oggetto = A. Ora, nel porre questo A l’attività dell’io, rivolgendosi a un oggetto determinato da un confine, è necessariamente delimitata essa stessa. Ma l’io non può mai delimitare se stesso, nemmeno nel caso indicato, dunque; l’io deve conseguentemente, determinando A con un confine, assumendolo veramente in sé, essere delimitato anch’esso da un B totalmente indipendente dal lui e che non è assunto nell’io. – Noi concediamo tutto ciò: eppure ricordiamo che anche questo B può a sua volta essere
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in das Ich aufgenommen werden kann, welches der Gegner zugibt, aber von seiner Seite erinnert, daß für die Möglichkeit es aufzunehmen das Ich abermals durch ein unabhängiges C begrenzt sein muß: und so ins Unendliche fort. Das Resultat dieser Untersuchung würde sein, daß wir unserm [414] Gegner in die Unendlichkeit hinaus keinen einzigen Moment würden aufzeigen können, in welchem nicht für das Streben des Ich eine unabhängige Realität außer dem Ich vorhanden wäre; er aber auch uns keinen, in welchem nicht dieses unabhängige Nicht-Ich vorgestellt, und auf diese Art von dem Ich abhängig gemacht werden könnte. Wo liegt nun das unabhängige Nicht-Ich unsers Gegners, oder sein Ding an sich, das durch jene Argumentation erwiesen werden sollte? Offenbar nirgends, und allenthalben zugleich. Es ist nur da, inwiefern man es nicht hat, und es entflieht, sobald man es auffassen will. Das Ding an sich ist etwas für das Ich, und folglich im Ich, das doch nicht im Ich sein soll: also etwas Widersprechendes, das aber dennoch als Gegenstand einer notwendigen Idee allem unsern Philosophieren zum Grunde gelegt werden muß, und von jeher, nur ohne daß man sich desselben und des in ihm liegenden Widerspruchs deutlich bewußt war, allem Philosophieren, und allen Handlungen des endlichen Geistes zu Grunde gelegen hat. Auf dieses Verhältnis des Dinges an sich zum Ich gründet sich der ganze Mechanismus des menschlichen, und aller endlichen Geister. Dieses verändern wollen, heißt alles Bewußtsein, und mit ihm alles Dasein aufheben. Alle scheinbaren, und denjenigen, der nicht sehr scharf denkt, verwirrenden Einwürfe gegen die Wissenschaftslehre werden lediglich daher entstehen, daß man der soeben aufgestellten Idee sich nicht bemächtigen, und sie nicht festhalten kann. Man kann sie auf zweierlei Art unrichtig auffassen. Entweder man reflektiert bloß darauf, daß sie, da es eine Idee ist, doch im Ich sein muß; und so wird man, wenn man übrigens ein entschloßner Denker ist,
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assunto nell’io, cosa che l’avversario concede osservando tuttavia, per parte sua, che per la possibilità di assumerlo l’io dev’essere di nuovo delimitato da un C indipendente e così all’infinito. L’esito di questa ricerca sarebbe che non potremmo indicare al nostro avversario, procedendo all’infinito, alcun momento in cui per lo sforzo dell’io non fosse disponibile una realtà indipendente al di fuori dell’io; egli invece non potrebbe mostrarcene neppure uno in cui questo non-io indipendente non fosse rappresentato e, in questa maniera, reso dipendente dall’io. Ora, dove si trova il non-io indipendente del nostro avversario o la sua cosa in sé, che attraverso questa argomentazione doveva venire provata? Evidentemente in nessun luogo e ovunque nello stesso tempo. Essa c’è soltanto in quanto non la si ha e sfugge non appena la si vuole cogliere. La cosa in sé è qualcosa per l’io e quindi nell’io, che tuttavia non deve essere nell’io: insomma, qualcosa di contraddittorio, ma che ciò nonostante deve, in quanto oggetto di un’idea necessaria, essere posto a fondamento di tutto il nostro filosofare, e che in ogni tempo, solo senza che si avesse perspicua consapevolezza di essa e della contraddizione che in essa giaceva, è stato il fondamento di ogni filosofare e di tutte le azioni dello spirito finito. L’intero meccanismo dello spirito umano e di tutti gli spiriti finiti si fonda su questo rapporto della cosa in sé all’io. Volerlo modificare significa sopprimere ogni coscienza e, con essa, ogni esistenza. Tutte le apparenti obiezioni alla dottrina della scienza, che confondono colui che pensa con scarso acume, sorgeranno solamente per il fatto che non si può padroneggiare l’idea appena enunciata, né mantenerla salda. Si può coglierla scorrettamente per duplice verso. O si riflette puramente e semplicemente sul fatto che essa, dal momento che è un’idea, deve pur trovarsi nell’io e in tal modo, se d’altronde si è pensatori risoluti, si diventa
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Idealist, und leugnet dogmatisch alle Realität außer uns, oder hält man sich an sein Gefühl, so leugnet man, was klar daliegt, widerlegt die Argumentationen der Wissenschaftslehre durch Machtsprüche des gesunden Menschenverstandes (mit welchem sie wohlverstanden innigst übereinstimmt) und beschuldigt diese Wissenschaft selbst des Idealismus, weil man ihren Sinn nicht faßt. Oder man reflektiert bloß darauf, daß der Gegenstand dieser Idee ein unabhängiges Nicht-Ich sei, und wird transzendenter Realist, oder falls man einige Gedanken Kants aufgefaßt haben sollte, ohne sich des Geistes seiner ganzen Philosophie bemächtigt zu haben, beschuldigt man von seinem eignen Transzendentismus aus, den man noch nie abgelegt, die Wissenschaftslehre des Transzendentismus, und wird nicht inne, daß man mit seinen eignen Waffen nur sich selbst schlägt. – Keines von beiden sollte man tun; man sollte weder auf das Eine allein, noch auf das Andere allein, sondern auf beides zugleich reflektieren; zwischen den beiden entgegengesetzten Bestimmungen dieser Idee mitten inne schweben. Dies ist nun das Geschäft der schaffenden Einbildungs-[415]kraft, und diese – ist ganz gewiß allen Menschen zu Teil geworden, denn ohne sie hätten dieselben auch nicht eine einzige Vorstellung, aber bei weitem nicht alle Menschen haben dieselbe in ihrer freien Gewalt, um durch sie zweckmäßig zu erschaffen, oder, wenn auch in einer glücklichen Minute das verlangte Bild wie ein Blitzstrahl vor ihre Seele sich stellte, dasselbe festzuhalten, es zu untersuchen, und es sich zu jedem beliebigen Gebrauche unauslöschlich einzuprägen. Von diesem Vermögen hängt es ab, ob man mit, oder ohne Geist philosophiere. Die Wissenschaftslehre ist von der Art, daß sie durch den bloßen Buchstaben gar nicht, sondern daß sie lediglich durch den Geist sich mitteilen läßt; weil ihre Grund-Ideen in jedem, der sie studiert, durch die schaffende Einbildungskraft selbst hervorgebracht werden müssen; wie es denn bei einer auf die letzten Gründe der mensch-
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idealisti e si nega dogmaticamente ogni realtà al di fuori di noi, ovvero ci si attiene al proprio sentimento e per questo motivo si nega ciò che è evidente, si controbattono le argomentazioni della dottrina della scienza mediante ordini perentori del sano intelletto umano (con cui essa, ben compresa, concorda intimamente) e si accusa questa medesima scienza di idealismo perché non se ne afferra il senso. Oppure si riflette puramente e semplicemente sul fatto che l’oggetto di quest’idea è un non-io indipendente e si diventa un realista trascendente, ovvero, nel caso si dovesse aver compreso alcuni pensieri di Kant senza essersi impossessati dello spirito di tutta la sua filosofia, dall’alto del proprio trascendentismo, che non si è mai deposto, si accusa la dottrina della scienza di trascendentismo e non ci si accorge che con le proprie armi si colpisce unicamente se stessi. – Non si dovrebbe fare né l’una né l’altra delle due cose: non si dovrebbe riflettere su una determinazione soltanto o unicamente su un’altra, bensì contemporaneamente su entrambe, librandosi nell’oscillazione di mezzo tra le due determinazioni contrapposte di quest’idea. Ora, tale è l’ufficio dell’immaginazione creatrice, e questa è sì stata partecipata a tutti gli uomini perché senza non avrebbero nemmeno una sola rappresentazione, eppure quelli sono ben lontani dal disporne liberamente per creare con essa secondo una finalità, ovvero, se anche davanti alla loro anima si presentasse in un attimo felice, come una saetta, l’immagine anelata, non tutti sarebbero capaci di tenerla ferma, di esaminarla, di imprimersene indelebilmente per qualunque uso a piacere. Da questa facoltà dipende che si filosofi con o senza spirito. La dottrina della scienza è tale che non si lascia affatto comunicare con la mera lettera ma esclusivamente con lo spirito, perché le sue idee fondamentali devono venir prodotte dalla stessa immaginazione creatrice in ciascuno che la studi, come non potrebbe essere diversamente in una scienza
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lichen Erkenntnis zurückgehenden Wissenschaft nicht anders sein konnte, indem das ganze Geschäft des menschlichen Geistes von der Einbildungskraft ausgeht, Einbildungskraft aber nicht anders, als durch Einbildungskraft aufgefaßt werden kann. In wem daher diese ganze Anlage schon unwiederbringlich erschlafft oder getötet ist, dem wird es freilich auf immer unmöglich bleiben, in diese Wissenschaft einzudringen; aber er hat den Grund dieser Unmöglichkeit gar nicht in der Wissenschaft selbst, welche leicht gefaßt wird, wenn sie überhaupt gefaßt wird, sondern in seinem eignen Unvermögen zu suchen*. So wie die aufgestellte Idee der Grundstein des ganzen Gebäudes von innen ist, so gründet darauf sich auch die Sicherheit desselben von außen. Es ist unmöglich über irgendeinen Gegenstand zu philosophieren, ohne auf diese Idee, und mit ihr auf den eignen Boden der Wissenschaftslehre zu geraten. Jeder Gegner muß, vielleicht mit verbundenen Augen, auf ihrem Gebiete, und mit ihren Waffen streiten, und es wird immer ein leichtes sein, ihm die Binde vom Auge zu reißen, und ihn das Feld erblicken zu lassen, auf welchem er steht. Diese Wissenschaft ist daher durch die Natur der Sache vollkommen berechtigt, im voraus zu erklären, daß sie von manchem mißverstanden, von mehreren gar nicht verstanden, [416] daß sie, nicht nur nach der gegenwärtigen äußerst unvollendeten Darstellung, sondern auch nach der vollendetsten, die
[415] * Die Wissenschaftslehre soll den ganzen Menschen erschöpfen; sie läßt daher sich nur mit der Totalität seines ganzen Vermögens auffassen. Sie kann nicht allgemein geltende Philosophie werden, so lange in so vielen Menschen die Bildung eine Gemütskraft zum Vorteil der andern, die Einbildungskraft zum Vorteil des Verstandes, den Verstand zum Vorteil der Einbildungskraft, oder wohl beide zum Vorteil des Gedächtnisses tötet; sie wird so lange sich in einen engen Kreis einschließen müssen – eine Wahrheit, gleich unangenehm zu sagen, und zu hören, die aber doch Wahrheit ist.
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che riconduca ai fondamenti ultimi della conoscenza umana, in quanto l’intera impresa dello spirito umano muove dall’immaginazione, tuttavia l’immaginazione non può essere compresa altrimenti che dall’immaginazione. Perciò rimarrà per sempre sicuramente impossibile accedere a questa scienza a colui nel quale tale attitudine nella sua globalità è già irreparabilmente assopita o estinta, ma egli deve cercare la ragione di questa impossibilità non certo della scienza stessa, che è compresa facilmente se, in generale, è compresa, bensì nella sua propria incapacità.* Come l’idea enunciata è la pietra angolare che sostiene dal di dentro l’intero edificio, così su di essa si fonda pure la sicurezza dell’edificio dall’esterno. È impossibile filosofare su un qualche oggetto senza imbattersi in quest’idea e senza calpestare, con essa, il suolo proprio della dottrina della scienza. Ogni avversario deve combattere sul suo dominio, forse con gli occhi bendati e con le sue armi, e sarà sempre facile strappargli la benda dagli occhi e fargli vedere il campo su cui si trova. Questa scienza è perciò perfettamente legittimata dalla natura delle cose a spiegare in anticipo che essa è equivocata da taluni e dai più non è compresa affatto; che essa rimarrà assai bisognosa di miglioramento in tutte le sue parti non soltanto nella presente esposizione, estremamente imperfetta, ma anche nella più esauriente che potesse
* La dottrina della scienza deve esaurire l’intero uomo, perciò si può comprenderla soltanto insieme alla totalità delle facoltà umane. Essa non può diventare una filosofia universalmente valevole finché in così tanti uomini l’educazione ucciderà una facoltà dell’animo a vantaggio dell’altra: l’immaginazione a profitto dell’intelletto, l’intelletto a vantaggio dell’immaginazione, oppure entrambi a vantaggio della memoria; per tutto questo tempo essa dovrà rinchiudersi in un ristretto circolo – una verità ugualmente spiacevole da dire come da ascoltare, e purtuttavia una verità.
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einem Einzelnen möglich sein dürfte, in allen ihren Teilen der Verbesserung gar sehr bedürftig bleiben, daß sie aber ihren Grundzügen nach von keinem Menschen und in keinem Zeitalter widerlegt werden wird. _______________
§. 6. Dritter Lehrsatz. Im Streben des Ich wird zugleich ein Gegenstreben des Nicht-Ich gesetzt, welches dem erstern das Gleichgewicht halte. Zuvörderst einige Worte über die Methode! – Im theoretischen Teile der Wissenschaftslehre ist es uns lediglich um das Erkennen zu tun, hier um das Erkannte. Dort fragen wir: wie wird etwas gesetzt, angeschaut, gedacht, usf. hier: was wird gesetzt? Wenn daher die Wissenschaftslehre doch eine Metaphysik, als vermeinte Wissenschaft der Dinge an sich haben sollte, und eine solche von ihr gefordert würde, so müßte sie an ihren praktischen Teil verweisen. Dieser allein redet, wie sich immer näher ergeben wird, von einer ursprünglichen Realität; und wenn die Wissenschaftslehre gefragt werden sollte: Wie sind denn nun die Dinge an sich beschaffen? so könnte sie nicht anders antworten als: So, wie wir sie machen sollen. Dadurch nun wird die Wissenschaftslehre keineswegs transzendent; denn alles was wir auch hier aufzeigen werden, finden wir in uns selbst, tragen es aus uns selbst heraus, weil in uns etwas sich findet, das nur durch etwas außer uns sich vollständig erklären läßt. Wir wissen, daß wir es denken, es nach den Gesetzen unsers Geistes denken, daß wir demnach nie aus uns herauskommen, nie von der Existenz eines Objekts ohne Subjekt reden können. Das Streben des Ich soll unendlich sein, und nie Kausalität haben. Dies läßt sich lediglich unter Bedingung eines Gegenstrebens denken, das demselben das
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essere possibile a un singolo individuo, e che però, nei suoi tratti fondamentali, non sarà confutata da alcun uomo e in alcuna epoca. _______________
§ 6. Terzo teorema. Nello sforzo dell’io è posto insieme un controsforzo del non-io, che equilibra il primo. In primo luogo qualche parola sul metodo! – Nella parte teoretica della dottrina della scienza si deve affrontare unicamente il conoscere, qui il conosciuto. Lì chiediamo: come qualcosa è posto, intuito, pensato e così via; qui: che cosa è posto? Di conseguenza, se la dottrina della scienza dovesse comprendere davvero una metafisica, quale presunta scienza delle cose in sé, e se una tale scienza le venisse richiesta, essa di necessità dovrebbe rinviare alla sua parte pratica. Come risulterà in modo sempre più stringente, soltanto questa parte tratta di una realtà originaria, e se alla dottrina della scienza si dovesse chiedere: come sono conformate le cose in sé?, non si potrebbe rispondere altrimenti che: così come noi dobbiamo farle. Ora, così facendo la dottrina della scienza non diventa in alcun modo trascendente: tutto ciò che anche noi qui mostreremo lo troviamo, infatti, in noi stessi, lo traiamo da noi stessi, perché soltanto mediante qualcosa fuori di noi si può spiegare completamente qualcosa che si trova in noi. Noi sappiamo che lo pensiamo, che lo pensiamo secondo le leggi del nostro spirito, che dunque non possiamo mai uscire da noi, né mai possiamo parlare dell’esistenza di un oggetto senza soggetto. Lo sforzo dell’io dev’essere infinito e non avere mai causalità. Ciò è pensabile esclusivamente a condizione di un controsforzo che lo equilibri, vale a dire che abbia
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Gleichgewicht halte, d. i. die gleiche Quantität innerer Kraft habe. Der Begriff eines solchen Gegenstrebens, und jenes Gleichgewichts ist im Begriffe des Strebens schon enthalten, und läßt durch eine Analyse sich aus ihm entwickeln. Ohne diese beiden Begriffe steht er im Widerspruche mit sich selbst. [417] 1) Der Begriff des Strebens ist der Begriff einer Ursache die nicht Ursache ist. Jede Ursache aber setzt Tätigkeit voraus. Alles Strebende hat Kraft; hätte es keine Kraft, so wäre es nicht Ursache, welches dem vorigen widerspricht. 2) Das Streben, inwiefern es das ist, hat notwendig seine bestimmte Quantität als Tätigkeit. Es geht darauf aus, Ursache zu sein. Nun wird es das nicht, es erreicht demnach sein Ziel nicht, und wird begrenzt. Würde es nicht begrenzt, so würde es Ursache, und wäre kein Streben, welches dem Vorigen widerspricht. 3) Das Strebende wird nicht durch sich selbst begrenzt, denn es liegt im Begriffe des Strebens, daß es auf Kausalität ausgehe. Begrenzte es sich selbst, so wäre es kein Strebendes. Jedes Streben muß also durch eine der Kraft des Strebenden entgegengesetzte Kraft begrenzt werden. 4) Diese entgegengesetzte Kraft muß gleichfalls strebend sein, d. h. zuvörderst, sie muß auf Kausalität ausgehen. Ginge sie nicht darauf aus, so hätte sie keinen Berührungspunkt mit dem Entgegengesetzten. Dann, sie muß keine Kausalität haben; hätte sie Kausalität, so vernichtete sie das Streben des Entgegengesetzten völlig, dadurch daß sie seine Kraft vernichtete. 5) Keines von den beiden Entgegenstrebenden kann Kausalität haben. Hätte sie eines von beiden, so würde dadurch die Kraft des Entgegengesetzten vernichtet, und sie hörten auf entgegenstrebend zu sein. Mithin muß die Kraft beider sich das Gleichgewicht halten.
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pari quantità di forza interna. Il concetto di un tale controsforzo e di quell’equilibrio è già compreso nel concetto di sforzo e vi può trovare sviluppo per via analitica. Senza questi due concetti, il concetto di sforzo si trova in135 contraddizione con se stesso. 1) Il concetto di sforzo è il concetto di una causa che non è causa. Ogni causa presuppone però attività. Tutto ciò che opera uno sforzo ha forza: se non avesse forza, non sarebbe causa, il che contraddice quanto precede. 2) Lo sforzo, in quanto è tale, ha necessariamente la sua quantità determinata quale attività. Esso mira a ciò, a essere causa. Ebbene, se non vi riesce, non raggiunge pertanto il suo scopo e viene delimitato. Se non fosse delimitato, sarebbe causa e non sforzo, cosa che contraddice quel che è stato prima enunciato. 3) Ciò che opera lo sforzo non è delimitato per opera propria, il concetto di sforzo implica, infatti, che esso miri alla causalità. Se esso delimitasse se stesso, non sarebbe un qualcosa che opera uno sforzo. Ogni sforzo deve insomma essere delimitato da una forza contrapposta alla forza esercitante lo sforzo. 4) Questa forza contrapposta deve essere parimenti uno sforzo, vale a dire, in primo luogo deve puntare alla causalità. Se non mirasse alla causalità, non avrebbe alcun punto di contatto con ciò che le contrapposto. Inoltre, essa non deve possedere causalità: se ce l’avesse, annullerebbe totalmente lo sforzo del contrapposto, annullandone la forza. 5) Nessuno dei due termini contrapposti nello sforzo deve avere causalità. Se uno o l’altro l’avesse, la forza del termine contrapposto sarebbe, con ciò, annientata ed essi cesserebbero di contrapporsi nello sforzo. Ne consegue che la forza di entrambi deve controbilanciarsi in equilibrio.
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§. 7. Vierter Lehrsatz. Das Streben des Ich, Gegenstreben des Nicht-Ich, und Gleichgewicht zwischen beiden muß gesetzt werden. A) Das Streben des Ich wird gesetzt, als solches. 1. Es wird überhaupt gesetzt, als Etwas, nach dem allgemeinen Gesetze [418] der Reflexion; mithin nicht als Tätigkeit, als etwas, das in Bewegung, Agilität ist, sondern als etwas Fixiertes, Festgesetztes. 2. Es wird gesetzt, als ein Streben. Das Streben geht auf Kausalität aus; es muß daher, seinem Charakter nach, gesetzt werden, als Kausalität. Nun kann diese Kausalität nicht gesetzt werden, als gehend auf das Nicht-Ich; denn dann wäre gesetzt reale wirkende Tätigkeit, und kein Streben. Sie könnte daher nur in sich selbst zurückgehen; nur sich selbst produzieren. Ein sich selbst produzierendes Streben aber, das festgesetzt, bestimmt, etwas Gewisses ist, nennt man einen Trieb. (Im Begriffe eines Triebes liegt 1.) daß er in dem innern Wesen desjenigen gegründet sei, dem er beigelegt wird; also hervorgebracht durch die Kausalität desselben auf sich selbst, durch sein Gesetztsein durch sich selbst. 2.) Daß er ebendarum etwas Festgesetztes, Dauerndes, sei. 3) Daß er auf Kausalität außer sich ausgehe, aber, inwiefern er nur Trieb sein soll, lediglich durch sich selbst, keine habe. – Der Trieb ist demnach bloß im Subjekte, und geht seiner Natur nach nicht außerhalb des Umkreises desselben heraus). So muß das Streben gesetzt werden, wenn es gesetzt werden soll; und es muß – geschehe es nun unmittelbar mit oder ohne Bewußtsein, – gesetzt werden, wenn es im Ich sein soll, und wenn ein Bewußtsein, welches nach dem Obigen sich auf eine Äußerung des Strebens gründet, möglich sein soll.
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§ 7. Quarto teorema Lo sforzo dell’io, il controsforzo del non-io e il loro equilibrio devono esser posti A) Lo sforzo dell’io è posto in quanto tale. 1. Lo sforzo è posto in generale come qualcosa, conformemente alle leggi generali della riflessione; di conseguenza non quale attività, come qualcosa che è in movimento, che è agilità, bensì come qualcosa di fissato, di tenuto fermo. 2. Esso è posto come uno sforzo. Lo sforzo mira alla causalità, quindi, stando al suo carattere, dev’esser posto quale causalità136. Ora, questa causalità non può essere posta come avente di mira il non-io, perché allora sarebbe posta una reale attività avente effetti, e non uno sforzo. Essa potrebbe allora soltanto ritornare in se stessa, solamente produrre se stessa. Ma uno sforzo che produce se stesso, che è tenuto fermo, determinato, che è qualcosa di certo, si dice un impulso. (Nel concetto di un impulso si trova: 1. che esso abbia il suo fondamento nell’intima essenza di ciò a cui è attribuito, quindi che sia prodotto dall’autocausalità di questo stesso, dal suo esser-posto da se stesso; 2. che proprio perciò esso sia qualcosa di tenuto fermo e di duraturo; 3. che esso miri alla causalità fuori di sé ma, dovendo essere solamente impulso, esclusivamente da se stesso, non ne abbia alcuna. – L’impulso è dunque puramente e semplicemente nel soggetto e per sua natura non esce fuori dalla sfera di questo). Se lo sforzo dev’esser posto, di necessità dev’esser posto così; ed è necessario che sia posto – che ciò accada immediatamente con o senza coscienza – , se esso dev’essere nell’io e se dev’essere possibile una coscienza la quale, stando a ciò di cui sopra, si fonda su una manifestazione dello sforzo.
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B) Das Streben des Ich kann nicht gesetzt werden, ohne daß ein Gegenstreben des Nicht-Ich gesetzt werde; denn das Streben des erstern geht aus auf Kausalität, hat aber keine; und daß es keine hat, davon liegt der Grund nicht in ihm selbst, denn sonst wäre das Streben desselben kein Streben, sondern Nichts. Also, es muß, wenn es gesetzt wird, außer dem Ich gesetzt werden, und abermals nur als ein Streben; denn sonst würde das Streben des Ich, oder, wie wir es jetzt kennen, der Trieb würde unterdrückt, und könnte nicht gesetzt werden. C) Das Gleichgewicht zwischen beiden muß gesetzt werden. Es ist hier nicht die Rede davon, daß ein Gleichgewicht zwischen beiden sein müsse; dies haben wir schon im vorigen §. gezeigt; sondern es wird nur gefragt, was im Ich, und durch das Ich gesetzt werde, indem es gesetzt wird? [419] Das Ich strebt die Unendlichkeit auszufüllen; zugleich hat es das Gesetz, und die Tendenz über sich selbst zu reflektieren. Es kann nicht über sich reflektieren, ohne begrenzt zu sein, und zwar in Rücksicht des Triebes, durch eine Beziehung auf den Trieb begrenzt zu sein. Setzet, daß der Trieb im Punkte C begrenzt werde, so wird in C die Tendenz zur Reflexion befriedigt, der Trieb nach realer Tätigkeit aber beschränkt. Das Ich begrenzt dann sich selbst, und wird mit sich selbst in Wechselwirkung gesetzt: durch den Trieb wird es weiter hinausgetrieben, durch die Reflexion wird es angehalten, und hält sich selbst an. Beides vereinigt, gibt die Äußerung eines Zwanges, eines Nicht-Könnens. Zum Nicht-Können gehört a) ein Weiterstreben; außerdem wäre das, was ich nicht kann, gar nichts für mich; es wäre auf keine Art in meiner Sphäre. b) Begrenzung der wirklichen Tätigkeit; demnach wirkliche Tätigkeit selbst, denn was nicht ist, kann nicht begrenzt werden. c) Daß das Begrenzende nicht in mir, sondern außer mir liege (gesetzt werde) außerdem wäre
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B) Lo sforzo dell’io non può essere posto senza che sia posto un controsforzo del non-io, lo sforzo del primo si volge, infatti, a causalità ma non ne ha alcuna e la ragione del fatto che non ne alcuna non sta in esso stesso, perché altrimenti il suo sforzo non sarebbe affatto uno sforzo bensì nulla. Perciò se lo sforzo è posto, dev’esserlo al di fuori dell’io e ancora una volta soltanto come uno sforzo, perché altrimenti lo sforzo dell’io ovvero, come ora lo conosciamo, l’impulso sarebbe represso e non potrebbe essere posto. C) L’equilibrio tra i due sforzi dev’essere posto. Qui non si sta dicendo che debba esserci un equilibrio tra i due – questo è già stato mostrato nel § precedente, ma si pone sin questione soltanto che cosa sia posto nell’io e dall’io quando esso è posto. L’io si sforza di saturare l’infinità; nel contempo ha la legge e la tendenza a riflettere su se stesso. Esso non può riflettere su se stesso senza essere delimitato, e precisamente a riguardo dell’impulso, senza essere delimitato da una relazione all’impulso. Ponete che l’impulso sia delimitato nel punto C, allora in C è soddisfatta la tendenza alla riflessione mentre viene limitato l’impulso verso l’attività reale. In tal caso l’io delimita se stesso ed è posto in azione reciproca con se stesso: è sospinto oltre dall’impulso, è arrestato dalla riflessione e arresta se stesso. Riunite, le due cose manifestano un’imposizione, un nonpotere. Al non-potere appartengono a) un oltre-sforzo, al di fuori del quale ciò che io non posso non sarebbe proprio nulla per me, non rientrerebbe in alcun modo nella mia sfera. b) Una delimitazione dell’attività effettivamente reale, pertanto l’attività reale stessa, perché ciò che non è non può essere delimitato. c) Il fatto che il limitante stia (sia posto) non in me bensì fuori di me, altrimenti non vi sarebbe alcuno sforzo, non vi sarebbe
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kein Streben da. Es wäre da kein Nicht-Können, sondern ein Nicht-Wollen. – Also jene Äußerung des NichtKönnens ist eine Äußerung des Gleichgewichts. Die Äußerung des Nicht-Könnens im Ich heißt ein Gefühl. In ihm ist innigst vereinigt Tätigkeit – ich fühle, bin das Fühlende, und diese Tätigkeit ist die der Reflexion – Beschränkung – ich fühle, bin leidend, und nicht tätig; es ist ein Zwang vorhanden. Diese Beschränkung setzt nun notwendig einen Trieb voraus, weiter hinaus zu gehen. Was nichts weiter will, bedarf, umfaßt, das ist – es versteht sich, für sich selbst – nicht eingeschränkt. Das Gefühl ist lediglich subjektiv. Wir bedürfen zwar zur Erklärung desselben, – welches aber eine theoretische Handlung ist, – eines Begrenzenden; nicht aber zur Deduktion desselben, inwiefern es im Ich vorkommen soll, der Vorstellung, des Setzens eines solchen im Ich. (Hier zeigt sich sonnenklar, was so viele Philosophen, die trotz ihres vermeinten Kritizismus vom transzendenten Dogmatismus sich noch nicht losgemacht haben, nicht begreifen können, daß und wie das Ich alles, was je in ihm vorkommen soll, lediglich aus sich selbst, ohne daß es je aus sich herausgehe, und seinen Zirkel durchbreche, entwickeln könne; wie es denn notwendig sein mußte, wenn das Ich ein Ich sein soll. – Es ist in ihm ein Gefühl vorhanden; dies ist eine Beschränkung des Triebes; und wenn es sich als ein bestimmtes, von andern Gefühlen zu unterscheidendes Gefühl sollte setzen lassen, wovon wir freilich hier die Möglichkeit noch nicht einsehen, die Beschränkung eines bestimmten, von [420] andern Trieben zu unterscheidenden Triebes. Das Ich muß einen Grund dieser Beschränkung setzen, und muß denselben außer sich setzen. Es kann den Trieb nur durch ein völlig Entgegengesetztes beschränkt setzen; und so liegt es demnach
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un non-potere ma soltanto un non-volere. – Dunque, quel manifestarsi del non-potere è una manifestazione dell’equilibrio. La manifestazione del non-potere nell’io si chiama un sentimento. In quest’ultimo sono intimamente unificate attività – io sento, sono il senziente, e quest’attività è quella della riflessione – e limitazione – io sento, sono passivo e non attivo: è presente un’imposizione. Questa limitazione presuppone necessariamente un impulso ad andare oltre, fuori. Ciò che non vuole nulla di più, che non ha bisogno di nulla di più, che non è mosso a comprendere di più, ciò non137 è – s’intende, per se stesso – limitato. Il sentimento è esclusivamente soggettivo. Per fornirne la spiegazione – il che è però un’azione teoretica –, noi abbiamo bisogno sì di un essere delimitante: ma per la deduzione del sentimento, in quanto deve comparire nell’io, non abbiamo bisogno della sua rappresentazione, della sua posizione nell’io. (Qui si mostra chiaro come il sole ciò che non possono comprendere così tanti filosofi, i quali non si sono ancora liberati del dogmatismo trascendente malgrado il loro preteso criticismo: il fatto che l’io possa e come possa sviluppare soltanto da se stesso tutto ciò che in esso deve presentarsi, senza uscire mai da sé e spezzare il proprio circolo; come doveva essere necessariamente, se l’io dev’essere un io. – Nell’io è disponibile un sentimento; ciò è una limitazione dell’impulso e, se questo sentimento deve poter essere posto come un sentimento determinato da distinguersi da altri sentimenti, della qual cosa noi non vediamo ancora certamente la possibilità, esso è la limitazione di un impulso determinato138, che va distinto da altri impulsi. L’io deve porre un fondamento per questa limitazione e porlo al di fuori di sé. Esso può porre l’impulso come limitato unicamente mediante un qualcosa di totalmente contrapposto e pertanto ciò che
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offenbar im Triebe, was als Objekt gesetzt werden solle. Ist der Trieb z. B. bestimmt = Y so muß als Objekt notwendig Nicht-Y gesetzt werden. – Da aber alle diese Funktionen des Gemüts mit Notwendigkeit geschehen, so wird man seines Handelns sich nicht bewußt, und muß notwendig annehmen, daß man von außen erhalten habe, was man doch selbst durch eigne Kraft nach eignen Gesetzen produziert hat. – Dieses Verfahren hat dennoch objektive Gültigkeit, denn es ist das gleichförmige Verfahren aller endlichen Vernunft, und es gibt gar keine objektive Gültigkeit, und kann keine andre geben, als die angezeigte. Dem Anspruche auf eine andere liegt eine grobe, handgreiflich nachzuweisende Täuschung zum Grunde. Wir zwar in unsrer Untersuchung scheinen diesen Zirkel durchbrochen zu haben; denn wir haben zur Erklärung des Strebens überhaupt ein von dem Ich völlig unabhängiges, und ihm entgegenstrebendes Nicht-Ich angenommen. Der Grund der Möglichkeit, und der Rechtmäßigkeit dieses Verfahrens liegt darin: Jeder, der mit uns die gegenwärtige Untersuchung anstellt, ist selbst ein Ich, das aber die Handlungen, welche hier deduziert werden, längst vorgenommen, mithin schon längst ein NichtIch gesetzt hat (von dem er eben durch gegenwärtige Untersuchung überzeugt werden soll, daß es sein eignes Produkt sei). Er hat das ganze Geschäft der Vernunft schon mit Notwendigkeit vollendet, und bestimmt sich jetzt, mit Freiheit, die Rechnung gleichsam noch einmal durchzugehen, dem Gange, den er selbst einmal beschrieb, an einem andern Ich, das er willkürlich setzt, auf den Punkt stellt, von welchem er selbst einst ausging, und an welchem er das Experiment macht, zuzusehen. Das zu untersuchende Ich wird einst selbst auf dem Punkte ankommen, auf welchem jetzt der Zuschauer steht, dort werden beide sich vereinigen, und durch diese Vereinigung wird der aufgegebne Kreisgang geschlossen sein).
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dev’essere posto, quale oggetto, sta manifestamente nell’impulso. Se per es. l’impulso è determinato = Y, allora non-Y deve necessariamente esser posto come oggetto. – Poiché tutte questa funzioni dello spirito si svolgono però con necessità, non ci si rende conto del suo agire e si deve necessariamente assumere che si sia ricevuto dall’esterno quanto invece si è prodotto in virtù della propria forza secondo proprie leggi. – Questo procedimento ha tuttavia validità oggettiva perché è il procedimento uniforme di ogni ragione finita e non v’è proprio alcuna validità oggettiva, né può esservene altra, eccetto che quella indicata. Alla base della pretesa che ce ne sia un’altra sta una grande illusione, facile da mostrare. Certamente noi sembriamo aver spezzato questo circolo nel corso della nostra ricerca: volendo spiegare lo sforzo dell’io in generale abbiamo assunto, infatti, un non-io del tutto indipendente dall’io ed esercitante uno sforzo a esso contrapposto. Il fondamento della possibilità e della legittimità di questo procedimento risiede in ciò: chiunque compia con noi la presente ricerca è egli stesso un io che tuttavia ha da lungo tempo compiuto le azioni qui dedotte, di conseguenza già da molto ha posto un non-io [a proposito del quale appunto l’indagine presente deve averlo persuaso che sia un suo proprio prodotto]. Egli ha già ultimato con necessità l’intero operato della ragione e si determina ora con libertà, per dir così, a rivederne il conto, a seguire, spettatore, con lo sguardo, lungo il cammino che egli stesso ha già percorso, un altro io che egli pone arbitrariamente nel punto da cui egli stesso una volta prese le mosse e nel quale compie l’esperimento. L’io oggetto dell’indagine giungerà poi anch’esso un giorno fino al punto in cui ora si colloca l’osservatore, e grazie a tale riunificazione il tragitto circolare iniziato sarà chiuso).
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[421] §. 8. Fünfter Lehrsatz.
Das Gefühl selbst muß gesetzt, und bestimmt werden. Zuvörderst einige allgemeine Bemerkungen zur Vorbereitung auf die jetzt zu erhebende höchst wichtige Untersuchung. 1) Im Ich ist ursprünglich ein Streben die Unendlichkeit auszufüllen. Dieses Streben widerstreitet allem Objekte. 2) Das Ich hat in sich das Gesetz, über sich zu reflektieren, als die Unendlichkeit ausfüllend. Nun aber kann es nicht über sich, und überhaupt über nichts reflektieren, wenn dasselbe nicht begrenzt ist. Die Erfüllung dieses Gesetzes, oder – was das gleiche heißt – die Befriedigung des Reflexionstriebes ist demnach bedingt, und hängt ab vom Objekte. Er kann nicht befriedigt werden, ohne Objekt, – mithin läßt er sich auch beschreiben als ein Trieb nach dem Objekte. 3) Durch die Begrenzung vermittelst eines Gefühls wird dieser Trieb zugleich befriedigt, und nicht befriedigt[.] a.) befriedigt; das Ich sollte schlechthin über sich reflektieren: es reflektiert mit absoluter Spontaneität, und ist daher befriedigt der Form der Handlung nach. Es ist daher im Gefühle etwas, das sich auf das Ich beziehen, demselben zuschreiben läßt. b.) nicht befriedigt dem Inhalte der Handlung nach. Das Ich sollte gesetzt werden, als die Unendlichkeit ausfüllend, aber es wird gesetzt, als begrenzt. – Dies kommt nun gleichfalls notwendig vor im Gefühle. c.) Das Setzen dieser Nichtbefriedigung aber ist bedingt durch ein Hinausgehen des Ich über die Grenze, die ihm durch das Gefühl gesetzt wird. Es muß etwas gesetzt sein, außer der vom Ich besetzten Sphäre, das auch zur Unendlichkeit gehöre, auf
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§ 8. Quinto teorema Il sentimento stesso dev’essere posto e determinato Anzitutto alcune osservazioni generali preparatorie alla ricerca estremamente importante che adesso va intrapresa. 1) V’è nell’io originariamente uno sforzo a saturare l’infinità. Questo sforzo confligge con ogni oggetto139. 2) L’io ha in sé la legge di riflettere su di sé come saturante l’infinità. Tuttavia non può riflettere su di sé, e in generale su nulla, se ciò stesso su cui riflette non è delimitato da un confine. L’adempimento di questa legge, ovvero – il che è lo stesso – la soddisfazione dell’impulso alla riflessione, è pertanto condizionato e dipende dall’oggetto. L’impulso non può essere soddisfatto senza oggetto – di conseguenza si può altresì descrivere come un impulso verso l’oggetto. 3) Questo impulso viene soddisfatto e ad un tempo non soddisfatto dalla delimitazione per mezzo di un sentimento‹.› a. soddisfatto: l’io doveva riflettere in tutto e per tutto su di sé: esso riflette con assoluta spontaneità e perciò è soddisfatto secondo la forma dell’azione. Conseguentemente, c’è nel sentimento qualcosa che può essere messo in relazione con l’io, che gli è attribuibile. b. non soddisfatto quanto al contenuto dell’azione. L’io doveva essere posto come saturante l’infinità, eppure è posto come delimitato da un confine. – Ebbene, ciò si presenta del pari necessariamente nel sentimento. c. Il porre operato da questa non-soddisfazione è tuttavia condizionato dal fatto che l’io supera il confine postogli dal sentimento. Al di fuori della sfera occupata dall’io dev’esser posto qualcosa,
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welches demnach der Trieb des Ich auch gehe. Dies muß gesetzt werden, als durch das Ich nicht bestimmt. Wir untersuchen, wie dieses Hinausgehen, also das Setzen dieser Nichtbefriedigung, oder des Gefühls, welches das gleiche heißt, möglich sei. [422] I.) So gewiß das Ich über sich reflektiert, ist es begrenzt, d. i. es erfüllt die Unendlichkeit nicht, die es doch strebt zu erfüllen. Es ist begrenzt, sagten wir, d. h. für einen möglichen Beobachter, aber noch nicht für sich selbst. Diese Beobachter wollen wir selbst sein, oder, was das gleiche heißt, statt des Ich etwas setzen, das nur beobachtet wird, etwas lebloses; dem aber übrigens dasjenige zukommen soll, was in unsrer Voraussetzung dem Ich zukommt. Setzet demnach eine elastische Kugel = A und nehmt an, daß sie durch einen andern Körper eingedrückt werde, so a. setzt ihr in derselben eine Kraft, die, sobald die entgegengesetzte Gewalt weicht, sich äußern wird, und das zwar ohne alles äußere Zutun; die demnach den Grund ihrer Wirksamkeit lediglich in sich selbst hat. – Die Kraft ist da; sie strebt in sich selbst, und auf sich selbst zur Äußerung: es ist eine Kraft, die in sich selbst, und auf sich selbst geht, also eine innere Kraft; denn so etwas nennt man eine innere Kraft. Es ist unmittelbares Streben zur Kausalität auf sich selbst, die aber, wegen des äußeren Widerstandes, keine Kausalität hat. Es ist Gleichgewicht des Strebens, und des mittelbaren Gegendruckes im Körper selbst, also dasjenige, was wir oben Trieb nannten. Es ist daher in dem angenommenen elastischen Körper ein Trieb gesetzt[.] b. Wird in dem widerstrebenden Körper B dasselbe gesetzt – eine innere Kraft, welche der Rückwirkung, und dem Widerstande von A widersteht,
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che appartenga anche all’infinità, al quale pertanto si volga altresì l’impulso dell’io. Ciò dev’esser posto come non determinato dall’io. Esaminiamo come è possibile questo superamento, quindi il porre operato da questa non-soddisfazione o dal sentimento, ciò che poi è lo stesso. I) In quanto certamente riflette su di sé, l’io è delimitato, in altri termini non satura l’infinito, che peraltro si sforza di saturare. È limitato, dicevamo, ossia è delimitato per un osservatore possibile ma non ancora per se stesso. Quest’osservatore vogliamo essere noi stessi, ovvero, il che è la stessa cosa, in luogo dell’io vogliamo porre qualcosa che sia solamente osservato, qualcosa di inanimato al quale però deve, del resto, spettare ciò che nella nostra supposizione spetta all’io. Ponete dunque una palla elastica = A e assumete che subisca la pressione di un altro corpo, allora a. voi ponete in essa una forza che si manifesterà non appena la potenza contrapposta diminuirà, e ciò precisamente senza alcun intervento esterno, una forza la quale pertanto possiede il fondamento della propria capacità di produrre effetti esclusivamente in se stessa. – V’è la forza; essa tende in se stessa e per se stessa a manifestarsi: è una forza che procede in se stessa e su se stessa, dunque una forza interna, qualcosa di tal genere si chiama, infatti, una forza interna. È uno sforzo immediato all’autocausalità, che tuttavia non ha causalità a causa della resistenza esterna. È equilibrio, nel corpo stesso, dello sforzo e della pressione contrapposta e indiretta, insomma ciò che sopra chiamavamo impulso. Un impulso è pertanto posto nel corpo elastico che abbiamo assunto‹.› b. Lo stesso è posto nel corpo B resistente – una forza interna la quale resiste alla reazione e alla resistenza di A e che pertanto è limitata da questa
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die demnach durch diesen Widerstand selbst eingeschränkt wird, ihren Grund aber lediglich in sich selbst hat. – Es ist in B Kraft, und Trieb gesetzt, gerade wie in A. c. Würde eine Kraft von beiden vermehrt, so würde die entgegengesetzte geschwächt; würde die eine geschwächt, so würde die entgegengesetzte vermehrt; die stärkere äußerte sich vollständig, und die schwächere würde aus der Wirkungssphäre der erstern völlig ausgetrieben. Jetzt aber halten sie sich vollkommen das Gleichgewicht, und der Punkt ihres Zusammentreffens ist der Punkt dieses Gleichgewichts. Wird dieser um das geringste Moment verrückt, so wird das ganze Verhältnis aufgehoben. II) So verhält es sich mit einem ohne Reflexion strebenden Gegenstande (wir nennen ihn elastisch). Das hier zu Untersuchende ist ein Ich, und wir sehen, was daraus erfolgen möge. Der Trieb ist eine innere sich selbst zur Kausalität bestimmende Kraft. Der leblose Körper hat gar keine Kausalität, denn außer sich. Diese soll durch den [423] Widerstand zurückgehalten sein; es entsteht demnach unter dieser Bedingung durch seine Selbstbestimmung nichts. Gerade so verhält es sich mit dem Ich, inwiefern es ausgeht auf eine Kausalität außer sich; und es verhält sich mit ihm überhaupt nicht anders, wenn es nur nach außen eine Kausalität fordert. Aber das Ich, eben darum, weil es ein Ich ist, hat auch eine Kausalität auf sich selbst; die, sich zu setzen, oder die Reflexionsfähigkeit. Der Trieb soll die Kraft des Strebenden selbst bestimmen; inwiefern nun diese Kraft im Strebenden selbst sich äußern soll, wie die Reflexion es soll, muß aus der Bestimmung durch den Trieb notwendig eine Äußerung erfolgen; oder es wäre
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stessa resistenza, una forza che tuttavia ha il proprio fondamento esclusivamente in se stessa. – Forza e impulso sono posti in B proprio come lo sono in A. c. Se una di queste due forze aumentasse, diminuirebbe quella contrapposta; se l’una calasse, la contrapposta aumenterebbe; se quella di maggiore intensità si manifestasse completamente, la più debole sarebbe del tutto espulsa dalla sfera d’azione della prima. Ma attualmente esse si equilibrano in modo perfetto e il punto del loro incontrarsi è il punto di questo equilibrio. Il loro intero rapporto è soppresso se per un istante, per un nonnulla, questo equilibrio è turbato. II) Così stanno le cose con un oggetto che esercita uno sforzo senza riflessione (lo chiamiamo elastico). Ciò che qui va esaminato è un io e stiamo a vedere che cosa ne può risultare. L’impulso è una forza interna che determina se stessa alla causalità. Il corpo inanimato non ha proprio causalità, eccetto fuori di sé. Questa dev’essere tenuta a freno mediante la resistenza: a tale condizione nulla quindi si genera tramite la sua autodeterminazione. Esattamente così a riguardo dell’io, nel senso in cui esso mira ad esercitare una causalità fuori di sé, e generalmente per quel che lo concerne le cose non vanno in modo diverso, se esso esige soltanto una causalità su quanto gli è esterno. Ma l’io, proprio per il fatto di essere un io, possiede altresì una causalità su se stesso: quella di porsi, ovvero la capacità di riflessione. L’impulso deve determinare la forza di ciò stesso che opera lo sforzo: ora, nella misura in cui questa forza deve esternare sé in ciò stesso che opera lo sforzo, come deve fare la riflessione, è necessario che una manifestazione segua necessariamente dalla determinazione tramite l’impulso, altri-
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kein Trieb da, welches der Annahme widerspricht. Also, aus dem Triebe folgt notwendig die Handlung der Reflexion des Ich auf sich selbst. (Ein wichtiger Satz, der das hellste Licht über unsre Untersuchung verbreitet. 1.) Das ursprünglich im Ich liegende, und oben aufgestellte Zwiefache – Streben, und Reflexion – wird dadurch innigst vereinigt. Alle Reflexion gründet sich auf das Streben, und es ist keine möglich, wenn kein Streben ist. – Hinwiederum ist kein Streben für das Ich; also auch kein Streben des Ich, und überhaupt kein Ich, wenn keine Reflexion ist. Eins erfolgt notwendig aus dem andern, und beide stehen in Wechselwirkung. 2.) Daß das Ich endlich sein müsse, und begrenzt, sieht man hier noch bestimmter ein. Keine Beschränkung, kein Trieb (in transzendentem Sinne:) kein Trieb, keine Reflexion (Übergang zum transzendentalen:) keine Reflexion, kein Trieb, und keine Begrenzung, und kein Begrenzendes, usf. (in transzendentalem Sinne:) so geht der Kreislauf der Funktionen des Ich, und die innig verkettete Wechselwirkung desselben mit sich selbst. 3) Auch wird hier recht deutlich, was ideale Tätigkeit heiße, und was reale; wie sie unterschieden seien, und wo ihre Grenze gehe. Das ursprüngliche Streben des Ich ist als Trieb, als lediglich im Ich selbst begründeter Trieb betrachtet, ideal, und real zugleich. Die Richtung geht auf das Ich selbst, es strebt durch eigne Kraft; und auf etwas außer dem Ich: aber es ist da nichts zu unterscheiden. Durch die Begrenzung, vermöge welcher nur die Richtung nach außen aufgehoben wird, nicht aber die nach innen, wird jene ursprüngliche Kraft gleichsam geteilt: und die übrigbleibende in das Ich selbst zurückgehende ist die ideale. Die reale wird zu ihrer Zeit gleichfalls gesetzt werden. – Und so erscheint
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menti non vi sarebbe impulso, cosa che contraddice l’assunto di base. Dunque, dall’impulso segue necessariamente l’azione della riflessione dell’io su se stesso. (Questo è un asserto importante che diffonde la luce più limpida sulla nostra ricerca. 1. La summenzionata dualità, che si trova originariamente nell’io – sforzo e riflessione – viene con ciò unificata nel modo più stretto. Ogni riflessione si fonda sullo sforzo e senza sforzo non v’è riflessione possibile. – Inversamente, non v’è sforzo per l’io, quindi nemmeno sforzo dell’io, e in generale non v’è io, se non vi è riflessione. L’una cosa segue necessariamente dall’altra e tutt’e due stanno in azione reciproca. 2. Che l’io debba essere finito e delimitato da un confine si vede qui in maniera ancor più determinata. Nessuna limitazione, nessun impulso [in senso trascendente]; nessun impulso, nessuna riflessione [passaggio al trascendentale]; nessuna riflessione, nessun impulso e nessuna limitazione e nessun delimitante e così via (in senso trascendentale): così procede il circolo delle funzioni dell’io e la relazione di azione reciproca dell’io con se stesso che gli è strettamente connessa. 3. Inoltre qui diventa veramente perspicuo che cosa significhi attività ideale e che cosa attività reale, in che modo siano distinte e dove corra il loro confine. Lo sforzo originario dell’io quale impulso, quale impulso ritenuto fondato esclusivamente nell’io stesso, è nel contempo ideale e reale. La direzione è rivolta verso l’io stesso, esso si sforza in virtù della propria forza e a qualcosa fuori dell’io: ma là nulla v’è da distinguere. Per mezzo della delimitazione, grazie alla quale è soppressa soltanto la direzione verso l’esterno non invece quella verso l’interno, quella forza originaria è, per dir così, divisa: la forza ideale è quella che resta e fa ritorno nell’io stesso. Quella reale sarà, del pari, posta a tempo debito. – E in tal modo
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denn hier abermals in seinem vollsten Lichte der Satz: Keine Idealität, keine Realität, und umge-[424]kehrt. 4) Die ideale Tätigkeit wird sich bald zeigen, als die vorstellende. Die Beziehung des Triebes auf sie ist demnach zu nennen der Vorstellungstrieb. Dieser Trieb ist demnach die erste und höchste Äußerung des Triebes, und durch ihn wird das Ich erst Intelligenz. Und so mußte es sich denn auch notwendig verhalten, wenn je ein andrer Trieb zum Bewußtsein kommen, im Ich als Ich stattfinden sollte. 5) Hieraus erfolgt denn auch auf das einleuchtendste die Subordination der Theorie unter das Praktische; es folgt, daß alle theoretischen Gesetze auf praktische, und da es wohl nur Ein praktisches Gesetz geben dürfte, auf ein, und ebendasselbe Gesetz sich gründen; demnach das vollständigste System im ganzen Wesen; es folgt, wenn etwa der Trieb sich selbst sollte erhöhen lassen, auch die Erhöhung der Einsicht, und umgekehrt; es erfolgt die absolute Freiheit der Reflexion, und Abstraktion auch in theoretischer Rücksicht, und die Möglichkeit pflichtmäßig seine Aufmerksamkeit auf etwas zu richten, und von etwas anderm abzuziehen, ohne welche gar keine Moral möglich ist. Der Fatalismus wird von Grund aus zerstört, der sich darauf gründet, daß unser Handeln, und Wollen von dem Systeme unsrer Vorstellungen abhängig sei, indem hier gezeigt wird, daß hinwiederum das System unsrer Vorstellungen, von unserm Triebe, und unserm Willen abhänge: und dies ist denn auch die einzige Art ihn gründlich zu widerlegen. – Kurz, es kommt durch dieses System Einheit, und Zusammenhang in den ganzen Menschen, die in so vielen Systemen fehlen). III) In dieser Reflexion auf sich selbst nun kann das Ich, als solches, nicht zum Bewußtsein kommen, weil es seines Handelns unmittelbar sich nie bewußt wird. Doch
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ancora una volta qui vediamo apparire, infatti, nella sua luce più piena la tesi: nessuna idealità, nessuna realtà e viceversa. 4. L’attività ideale si mostrerà ben presto come quella rappresentante. La relazione a essa da parte dell’impulso va pertanto chiamata impulso alla rappresentazione. Quest’impulso è quindi la prima e più alta manifestazione dell’impulso, e soltanto per suo tramite l’io diventa intelligenza. E dunque le cose dovevano andare necessariamente così, se un altro impulso doveva pervenire alla coscienza, doveva aver luogo nell’io in quanto io. 5. Di qui la subordinazione della teoria al pratico risulta nel modo più luminoso; ne segue che tutte le leggi teoretiche si fondano su leggi pratiche e, non essendoci che un’unica legge pratica, esse si fondano su una sola e proprio medesima legge, da cui il sistema più completo in tutto l’essere; ne segue che semmai l’impulso stesso dovesse elevarsi, si eleverebbe anche l’intellezione e viceversa; ne segue l’assoluta libertà della riflessione e dell’astrazione anche per il profilo teoretico e la possibilità di rivolgere la propria attenzione su qualcosa, o di distoglierla da qualche altra, in modo conforme al dovere, possibilità senza la quale non v’è morale possibile. Il fatalismo, che si fonda sulla dipendenza del nostro agire e volere dal sistema delle nostre rappresentazioni, è distrutto alla radice, poiché qui si mostra che a sua volta il sistema delle nostre rappresentazioni dipende dal nostro impulso e dalla nostra volontà: e questo è poi anche l’unico modo per confutare recisamente il fatalismo. – In breve, mediante questo sistema pervengono nell’uomo tutt’intero unità e concatenazione, che difettano in così tanti sistemi). III) Ora, in questa riflessione su se stesso l’io non può, in quanto tale, giungere alla coscienza, perché non diviene mai immediatamente consapevole del suo agire.
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aber ist es nunmehr, als Ich, da; es versteht sich für einen möglichen Beobachter; und hier geht denn die Grenze, wo das Ich als lebendiges sich unterscheidet vom leblosen Körper, in welchem allerdings auch ein Trieb sein kann. – Es ist etwas da, für welches etwas da sein könne, ohnerachtet es für sich selbst noch nicht da ist. Aber für dasselbe ist notwendig da eine innere treibende Kraft, welche aber, da gar kein Bewußtsein des Ich, mithin auch keine Beziehung darauf möglich ist, bloß gefühlt wird. Ein Zustand, der sich nicht wohl beschreiben, wohl aber fühlen läßt, und in Absicht dessen jeder an sein Selbstgefühl verwiesen werden muß. (Der Philosoph darf nicht in Absicht des daß, (denn dies muß unter Voraussetzung eines Ich streng erwiesen sein), sondern lediglich in Absicht des was, jeden an sein Selbstgefühl verweisen. Das Vorhandensein eines gewissen Gefühls postulieren, heißt nicht [425] gründlich verfahren. In der Zukunft läßt sich dieses Gefühl freilich auch erkennbar machen, aber nicht durch sich selbst, sondern durch seine Folgen). Hier scheidet sich das Lebendige vom Leblosen, sagten wir oben. Kraftgefühl ist das Prinzip alles Lebens; ist der Übergang vom Tode zum Leben. Dabei, wenn es allein ist, bleibt freilich das Leben noch höchst unvollständig; aber es ist doch schon abgesondert von der toten Materie. IV.) a.) Diese Kraft wird gefühlt, als etwas Treibendes: das Ich fühlt sich getrieben, wie gesagt worden, und zwar hinaus außer sich selbst getrieben. (Woher dieses hinaus, dieses außer sich herkomme, läßt sich hier noch nicht einsehen, wird aber sogleich klar werden). b.) Gerade wie oben muß dieser Trieb wirken, was er kann. Die reale Tätigkeit bestimmt er nicht, d. i. es
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Purtuttavia ormai esso esiste, in quanto io: beninteso, vale a dire che esiste per un osservatore possibile; e qui corre infine il confine dove l’io come vivente si distingue dal corpo inanimato, nel quale certo può esservi anche un impulso. – Esiste qualcosa per il quale qualcosa potrebbe esistere, benché per se stesso esso non esista ancora. Tuttavia per esso c’è necessariamente una forza interna che impartisce l’impulso la quale però, poiché non è possibile una coscienza dell’io e perciò neppure una relazione a esso, è semplicemente sentita. Uno stato che non si può descrivere ma sentire e al cui riguardo ognuno dev’essere rimandato al proprio sentimento di sé. (Il filosofo deve rimandare ognuno al proprio sentimento di sé non riguardo al fatto che vi sia un tale stato [questo dev’essere infatti dimostrato rigorosamente presupponendo un io], bensì esclusivamente riguardo a ciò che esso è. Postulare l’essere presente e disponibile di un certo sentimento significa procedere in modo superficiale. Nelle pagine che devono venire questo sentimento si lascia anche conoscere, tuttavia non per se stesso bensì per le sue conseguenze). Qui ciò che è vivo si separa da ciò che è inanimato, dicemmo prima. Il senso di forza è il principio di ogni vita, è il passaggio dalla morte alla vita. Con questo, se qui c’è solamente tale sentimento, la vita rimane bensì ancora estremamente incompiuta, ma già separata dalla materia morta. IV) a. Questa forza è sentita come qualcosa che dà l’impulso: l’io si sente spinto, com’è stato detto, e precisamente spinto fuori da se stesso. (Non è ancora intelligibile donde derivino questo al di fuori, questo fuori di sé, ma presto si chiarirà). b. Questo impulso deve, esattamente come sopra, operare ciò che può. Esso non determina l’attività
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entsteht keine Kausalität auf das Nicht-Ich. Die ideale, lediglich vom Ich selbst abhängende, aber kann er bestimmen, und muß sie bestimmen, so gewiß er ein Trieb ist. – Es geht demnach die ideale Tätigkeit hinaus, und setzt etwas, als Objekt des Triebes; als dasjenige, was der Trieb hervorbringen würde, wenn er Kausalität hätte. – (Daß diese Produktion durch die ideale Tätigkeit geschehen müsse, ist erwiesen; wie sie möglich sein werde, läßt sich hier noch gar nicht einsehen, und setzt eine Menge anderer Untersuchungen voraus). c.) Diese Produktion, und das Handelnde in derselben kommt hier noch gar nicht zum Bewußtsein; mithin entsteht dadurch noch gar nicht – weder ein Gefühl des Objekts des Triebes; ein solches ist überhaupt nicht möglich – noch eine Anschauung desselben. Es entsteht daraus gar nichts; sondern es wird hier dadurch nur erklärt, wie das Ich sich fühlen könne, als getrieben nach irgend etwas Unbekanntem; und der Übergang zum folgenden wird eröffnet. V.) Der Trieb sollte gefühlt werden, als Trieb, d. i. als etwas, das nicht Kausalität hat. Inwiefern er aber wenigstens zu einer Produktion seines Objekts durch ideale Tätigkeit treibt, hat er allerdings Kausalität, und wird insofern nicht gefühlt, als ein Trieb. Inwiefern der Trieb ausgeht auf reale Tätigkeit, ist er nichts Bemerkbares, Fühlbares, denn er hat keine Kausalität. Er wird demnach auch insofern nicht gefühlt, als ein Trieb. [426] Wir vereinigen beides: – es kann kein Trieb gefühlt werden, wenn auf das Objekt desselben nicht die ideale Tätigkeit geht; und diese kann darauf nicht gehen, wenn die reale nicht begrenzt ist. Beides vereinigt gibt die Reflexion des Ich über sich als ein begrenztes. Da aber das Ich in dieser Reflexion sei-
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reale, in altri termini sul non-io non si sviluppa alcuna causalità. Invece può determinare l’attività ideale, che dipende esclusivamente dall’io stesso, e deve determinarla, se è veramente un impulso. – Pertanto l’attività ideale esce fuori e pone qualcosa quale oggetto dell’impulso, come ciò che l’impulso produrrebbe se avesse causalità. – (Che questa produzione debba verificarsi tramite l’attività ideale è dimostrato: come ciò sarà possibile qui non è ancora intelligibile in alcun modo, e presuppone una congerie di altre ricerche). c. Questa produzione e ciò che in essa agisce non pervengono qui ancora a coscienza, di conseguenza così facendo non sorge proprio alcunché: né un sentimento dell’oggetto dell’impulso (un tale sentimento non è in generale possibile), né una sua intuizione. Non ne nasce proprio nulla, tuttavia con ciò qui è spiegato soltanto come l’io possa sentirsi come spinto verso un qualcosa di sconosciuto, e si schiude il passaggio a quanto segue. V) L’impulso doveva essere sentito quale impulso, vale a dire come qualcosa che non ha causalità. Però nella misura in cui spinge almeno a una produzione del suo oggetto mediante attività ideale, esso ha veramente causalità e non è, in quanto tale, sentito come un impulso. In quanto l’impulso mira all’attività reale, non è alcunché di osservabile o che si possa sentire, non possiede, infatti, causalità. Pertanto, anche quanto a ciò non è sentito come un impulso. Uniamo questi due momenti: nessun impulso può essere sentito se al suo oggetto non si rivolge l’attività ideale, e quest’attività non vi si può volgere se l’attività reale non è delimitata. Riuniti, questi due momenti porgono la riflessione dell’io su di sé come un che di delimitato. Ma poiché
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ner selbst sich nicht bewußt wird, so ist dieselbe ein bloßes Gefühl. Und so ist das Gefühl vollständig deduziert. Es gehört zu ihm ein bis jetzt sich nicht äußerndes Gefühl der Kraft, ein Objekt desselben, das sich gleichfalls nicht äußert, ein Gefühl des Zwanges, des Nicht-Könnens; und das ist die Äußerung des Gefühls, welche deduziert werden sollte.
§. 9. Sechster Lehrsatz. Das Gefühl muß weiter bestimmt, und begrenzt werden. I.) 1) Das Ich fühlt sich nun begrenzt, d. i. es ist begrenzt für sich selbst, und nicht etwa, wie schon vorher, oder wie der leblose elastische Körper, bloß für einen Zuschauer außer sich. Seine Tätigkeit ist für dasselbe aufgehoben – für dasselbe, sagen wir, denn wir, von unserm höhern Gesichtspunkte aus sehen allerdings, daß es durch absolute Tätigkeit ein Objekt des Triebes außer sich produziert hat, nicht aber sieht es das Ich, welches der Gegenstand unsrer Untersuchung ist. Diese gänzliche Vernichtung der Tätigkeit widerstreitet dem Charakter des Ich. Es muß demnach so gewiß es ein Ich ist, dieselbe, und zwar für sich, wiederherstellen, d. h. es muß sich wenigstens in die Lage setzen, daß es sich, wenn auch etwa erst in einer künftigen Reflexion frei, und unbegrenzt setzen könne. Dieses Wiederherstellen seiner Tätigkeit geschieht, laut unsrer Deduktion [427] desselben, durch absolute Spontaneität, lediglich zufolge des Wesens des Ich, ohne allen besondern Antrieb. Eine Reflexion auf das
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l’io in tale riflessione non è consapevole di se medesimo, questa stessa riflessione è allora un puro e semplice sentimento. E il sentimento è in tal modo pienamente dedotto. Gli appartengono un sentimento della forza che finora non si è manifestato; un suo oggetto che parimenti non si manifesta; un sentimento dell’imposizione, del non-potere: ed ecco questa è la manifestazione del sentimento che doveva essere dedotta.
§ 9. Sesto teorema Il sentimento dev’essere ulteriormente determinato e delimitato I) 1. L’io si sente ora delimitato, vale a dire è delimitato per se stesso e non per esempio, come già in precedenza o come il corpo elastico inanimato, semplicemente per uno spettatore fuori di lui. La sua attività è soppressa per esso stesso – diciamo per esso stesso, perché, dal nostro punto di vista superiore, vediamo sì il fatto che l’io ha prodotto fuori di sé, per assoluta attività, un oggetto dell’impulso, mentre non vediamo140 l’io, che è l’oggetto della nostra indagine. Quest’integrale annientamento dell’attività confligge con il carattere dell’io. Quest’ultimo quindi, se è vero che è un io, deve ristabilire tale attività, e precisamente la deve ristabilire per sé, ossia deve mettersi almeno in condizione di potersi porre libero e non determinato da confini, anche se, per esempio, soltanto in una riflessione a venire. Questo ripristino della sua attività avviene, stando a come l’abbiamo dedotto, tramite spontaneità assoluta unicamente a seguito dell’essenza dell’io, senza qualsiasi stimolo particolare. Una riflessione sul soggetto
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reflektierende, als welche die gegenwärtige Handlung sich sogleich bewähren wird, ein Abbrechen einer Handlung, um eine andre an deren Stelle zu setzen – indem das Ich oben beschriebenermaßen fühlt, handelt es auch, nur ohne Bewußtsein; an die Stelle dieser Handlung soll eine andre treten, die das Bewußtsein wenigstens möglich mache – geschieht mit absoluter Spontaneität. Das Ich handelt in ihr schlechthin weil es handelt. (Hier geht die Grenze zwischen bloßem Leben und zwischen Intelligenz, wie oben zwischen Tod, und Leben. Lediglich aus dieser absoluten Spontaneität erfolgt das Bewußtsein des Ich. – Durch kein Naturgesetz, und durch keine Folge aus dem Naturgesetze, sondern durch absolute Freiheit erheben wir uns zur Vernunft, nicht durch Übergang, sondern durch einen Sprung. – Darum muß man in der Philosophie notwendig vom Ich ausgehen, weil dasselbe nicht zu deduzieren ist; und darum bleibt das Unternehmen des Materialisten, die Äußerungen der Vernunft aus Naturgesetzen, zu erklären, ewig unausführbar). 2) Es ist sogleich klar, daß die geforderte Handlung, die bloß und lediglich durch absolute Spontaneität geschieht, keine andre sein könne, als eine durch ideale Tätigkeit. Aber jede Handlung, so gewiß sie das ist, hat ein Objekt. Die jetzige, die bloß und lediglich im Ich begründet sein, lediglich allen ihren Bedingungen nach, von ihm abhängen soll, kann nur so etwas zum Objekt haben, was im Ich vorhanden ist. Aber es ist nichts in ihm vorhanden, denn das Gefühl. Sie geht demnach notwendig auf das Gefühl. Die Handlung geschieht mit absoluter Spontaneität, und ist insofern, für den möglichen Beobachter, Handlung des Ich. Sie geht auf das Gefühl, d. h. zuvörderst, auf das in der vorhergegangenen Reflexion, die
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che riflette: si accerterà subito che tale è l’azione presente, un interrompere un’azione per porne un’altra in suo luogo – mentre l’io sente proprio nella misura sopra descritta e pure agisce, benché senza coscienza; al posto di quest’azione deve subentrarne un’altra che renda almeno possibile la coscienza – e quest’azione avviene con spontaneità assoluta. In quest’azione l’io agisce in tutto e per tutto perché agisce. (Qui corre il confine tra pura e semplice vita e intelligenza, similmente a come sopra correva tra morte e vita. La coscienza dell’io risulta soltanto da questa spontaneità assoluta. – Noi non ci eleviamo alla ragione mediante una legge di natura né mediante una conseguenza di una legge di natura, bensì tramite libertà assoluta: non attraverso un passaggio bensì attraverso un salto. – Perciò nella filosofia si deve necessariamente muovere dall’io, perché l’io non va dedotto; e perciò l’impresa del materialista, lo spiegare le manifestazioni della ragione basandosi sulle leggi naturali, resta perennemente inattuabile). 2. È subito chiaro che l’azione richiesta, la quale avviene puramente ed esclusivamente per mezzo di assoluta spontaneità, altro non può essere eccetto che un’azione mediante attività ideale. Ogni azione, quanto certamente è tale, ha tuttavia un oggetto. Quella attuale, che dev’essere fondata puramente ed esclusivamente nell’io, e che soltanto in tutte le sue determinazioni deve dipendere dall’io, può avere ad oggetto unicamente qualcosa di disponibile e presente nell’io. Ma nulla v’è disponibile in esso, se non il sentimento. Dunque, quest’azione si dirige necessariamente al sentimento. L’azione avviene con assoluta spontaneità e in questo è, per il possibile osservatore, azione dell’io. Essa si rivolge al sentimento, vale a dire anzitutto a ciò che rifletteva nella riflessione precedente, la quale costi-
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das Gefühl ausmachte, Reflektierende. – Tätigkeit geht auf Tätigkeit; das in jener Reflexion Reflektierende, oder, das Fühlende wird demnach gesetzt als Ich; die Ichheit des in der gegenwärtigen Funktion Reflektierenden, das als solches gar nicht zum Bewußtsein kommt, wird darauf übertragen. Das Ich ist dasjenige, was sich selbst bestimmt, laut der soeben vorgenommenen Argumentation. Demnach kann das Fühlende nur insofern als Ich gesetzt werden, inwiefern es bloß durch den Trieb, demnach durch das Ich, demnach durch sich selbst zum Fühlen bestimmt ist, d. i. lediglich inwiefern es [428] sich selbst, und seine eigne Kraft in sich selbst fühlt. – Nur das Fühlende ist das Ich, und nur der Trieb, inwiefern er das Gefühl, oder die Reflexion bewirkt, gehört zum Ich. Was über diese Grenze hinausliegt, – wenn etwas über sie hinausliegt, und wir wissen allerdings, daß etwas, nämlich der Trieb nach außen über sie hinausliegt – wird ausgeschlossen; und dies ist wohl zu merken, denn das Ausgeschloßne wird zu seiner Zeit wieder aufgenommen werden müssen. Dadurch wird also das Gefühlte in der gegenwärtigen Reflexion, und für sie – gleichfalls Ich, weil das Fühlende nur insofern Ich ist, inwiefern es durch sich selbst bestimmt ist, d. i. sich selbst fühlt. II. In der gegenwärtigen Reflexion wird das Ich gesetzt als Ich, lediglich inwiefern es das Fühlende, und das Gefühlte zugleich ist, und demnach mit sich selbst in Wechselwirkung steht. Es soll als Ich gesetzt werden; es muß demnach auf die beschriebne Weise gesetzt werden. 1) Das Fühlende wird gesetzt als tätig im Gefühl, inwiefern es ist das Reflektierende, und insofern ist in demselben Gefühl das Gefühlte leidend; es ist Objekt der Reflexion. – Zugleich wird das Fühlende gesetzt als leidend im Gefühl, inwiefern es sich fühlt als getrieben, und insofern ist das Gefühlte oder der Trieb tätig; er ist das Treibende.
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tuiva il sentimento. – Attività si rivolge ad attività: ciò che riflette in quella riflessione, ovvero il senziente, è quindi posto quale io e vi è trasportata l’egoità di ciò che riflette nella presente funzione, che come tale non può affatto pervenire a coscienza. Stante l’argomentazione appena svolta, l’io è l’essere che si autodetermina. Pertanto il senziente può essere posto quale io soltanto nella misura in cui sia determinato a sentire semplicemente tramite l’impulso, quindi tramite l’io, quindi tramite se stesso, in altri termini esclusivamente nella misura in cui esso in se stesso senta se stesso e la sua propria forza. – Soltanto il senziente è l’io e soltanto l’impulso, nella misura in cui ha per effetto il sentimento o la riflessione, appartiene all’io. Ciò che si sporge oltre questo confine – se qualcosa si sporge al di là di esso e noi sappiamo veramente che qualcosa vi sporge, cioè l’impulso verso l’esterno – è escluso; e questo è ben da notare, perché ciò che è escluso dovrà a suo tempo essere di nuovo assunto. Così facendo, dunque, nella e per la presente riflessione ciò che è sentito diventa parimenti io, perché il senziente è io unicamente nella misura in cui è determinato da se stesso, vale a dire sente se stesso. II) Nella presente riflessione l’io è posto come io esclusivamente nella misura in cui è il senziente e insieme il sentito, e pertanto sta in azione reciproca con se stesso. Esso dev’esser posto come io, dunque è necessario che sia posto nel modo descritto. 1. Il senziente è posto come attivo nel sentimento, in quanto è il riflettente e in quanto nello stesso sentimento il sentito è passivo, è oggetto della riflessione. – Ad un tempo il senziente è posto come passivo nel sentimento, nella misura in cui sente sé quale spinto dall’impulso, e in tal modo il sentito o l’impulso è attivo, è ciò che imprime l’impulso.
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2) Dies ist ein Widerspruch, der vereinigt werden muß, und der sich nur auf folgende Weise vereinigen läßt. – Das Fühlende ist tätig in Beziehung auf das Gefühlte; und in dieser Rücksicht ist es nur tätig. (Daß es zur Reflexion getrieben ist, kommt in ihr nicht zum Bewußtsein; es wird auf den Reflexionstrieb – zwar in unsrer philosophischen Untersuchung, nicht aber im ursprünglichen Bewußtsein – gar nicht Rücksicht genommen. Er fällt in das, was Gegenstand des Fühlenden ist, und wird in der Reflexion über das Gefühl nicht unterschieden). Nun aber soll es doch auch leidend sein, in Beziehung auf einen Trieb. Dies ist der nach außen, von welchem es wirklich getrieben wird, ein Nicht-Ich durch ideale Tätigkeit zu produzieren. (Nun ist es in dieser Funktion allerdings tätig, aber gerade wie vorher auf sein Leiden, wird hier auf seine Tätigkeit nicht reflektiert. Für sich selbst, in der Reflexion über sich, handelt es gezwungen, ohnerachtet dies ein Widerspruch zu sein scheint, der sich aber zu seiner Zeit auflösen wird. Daher der gefühlte Zwang etwas als wirklich vorhanden zu setzen). 3) Das Gefühlte ist tätig durch den Trieb auf das Reflektierende zur Reflexion. Es ist in der gleichen Beziehung auf das Reflektierende auch leidend, denn es [429] ist Objekt der Reflexion. Auf das letztere aber wird nicht reflektiert, weil das Ich gesetzt ist, als Eins, und ebendasselbe, als sich fühlend, und auf die Reflexion, als solche, nicht wieder reflektiert wird. Das Ich wird demnach leidend gesetzt in einer anderen Beziehung; nämlich inwiefern es begrenzt ist, und insofern ist das Begrenzende ein Nicht-Ich. (Jeder Gegenstand der Reflexion ist notwendig begrenzt; er hat eine bestimmte Quantität. Aber in und beim Reflektieren wird diese Begrenzung nie von der Reflexion selbst abgeleitet, weil insofern auf dieselbe nicht reflektiert wird).
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2. È, questa, una contraddizione che dev’essere unificata e che è unificabile solamente nel modo che segue. – Il senziente è attivo in relazione al sentito e a tale riguardo esso è soltanto attivo. (Da tale punto di vista il fatto che esso sia spinto alla riflessione in quest’ultima non viene a coscienza, non si bada affatto all’impulso alla riflessione – per la precisione ‹non vi si bada› nella nostra ricerca filosofica, non però nella coscienza originaria. L’impulso alla riflessione si confonde con ciò che è oggetto del senziente e non è distinto nella riflessione sul sentimento). Ora, esso tuttavia deve altresì essere passivo in relazione a un impulso. Questo è l’impulso verso l’esterno da cui il senziente è effettivamente spinto a produrre un non-io tramite attività ideale. (Ebbene, in questa funzione esso è veramente attivo eppure su questa sua attività non si riflette, esattamente come sopra non si è riflettuto sulla sua passività. Per se stesso, nella riflessione su di sé, esso agisce costretto, incurante che ciò appaia essere una contraddizione, che a tempo debito però si risolverà. Di qui l’imposizione che si sente nel porre qualcosa come effettivamente presente e disponibile). 3. Il sentito è attivo attraverso l’impulso alla riflessione esercitato sul riflettente. Nell’identica relazione al riflettente, il sentito è anche passivo, essendo oggetto della riflessione. Su quest’ultimo aspetto tuttavia non si riflette, perché l’io è posto come un’unica e medesima realtà, come senziente se stesso, e non si torna a riflettere nuovamente sulla riflessione in quanto tale. L’io è posto quindi come passivo in un’altra relazione, ossia nella misura in cui è delimitato e in quanto il delimitante è un non-io. (Ogni oggetto della riflessione è necessariamente limitato, esso possiede una quantità determinata. Però tale delimitazione non è dedotta dalla riflessione stessa nel e con il riflettere, perché non si riflette su di essa a tale riguardo).
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4) Beides soll Ein und ebendasselbe Ich sein, und als solches gesetzt werden. Dennoch wird das eine betrachtet, als tätig in Beziehung auf das Nicht-Ich; das andre als leidend in der gleichen Beziehung. Dort produziert durch ideale Tätigkeit das Ich ein Nicht-Ich; hier wird es durch dasselbe begrenzt. 5) Der Widerspruch ist leicht zu vereinigen. Das produzierende Ich wurde selbst als leidend gesetzt, so auch das gefühlte in der Reflexion. Das Ich ist demnach für sich selbst in Beziehung auf das Nicht-Ich immer leidend, wird seiner Tätigkeit sich gar nicht bewußt, noch wird auf dieselbe reflektiert. – Daher scheint die Realität des Dinges gefühlt zu werden, da doch nur das Ich gefühlt wird. (Hier liegt der Grund aller Realität. Lediglich durch die Beziehung des Gefühls auf das Ich, die wir jetzt nachgewiesen haben, wird Realität für das Ich möglich, sowohl die des Ich, als die des Nicht-Ich. – Etwas, das lediglich durch die Beziehung eines Gefühls möglich wird, ohne daß das Ich seiner Anschauung desselben sich bewußt wird, noch bewußt werden kann, und das daher gefühlt zu sein scheint, wird geglaubt. An Realität überhaupt, sowohl die des Ich, als des Nicht-Ich findet lediglich ein Glaube statt). [430] §. 10. Siebenter Lehrsatz.
Der Trieb selbst muß gesetzt, und bestimmt werden. So wie wir jetzt das Gefühl bestimmt, und erklärt haben, ebenso muß auch der Trieb bestimmt werden, weil er mit dem Gefühle zusammenhängt. Durch diese Erklärung kommen wir weiter, und gewinnen Feld innerhalb des praktischen Vermögens. 1) Der Trieb wird gesetzt, heißt bekanntermaßen: das Ich reflektiert über denselben. Nun kann das Ich nur über
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4. Senziente e sentito devono essere tutt’e due un unico e proprio medesimo io ed esser posti in quanto tali. Ciò nonostante l’uno è considerato attivo in relazione al non-io, nella stessa relazione l’altro è stimato passivo. Là l’io produce un non-io per mezzo di un’attività ideale, qui l’io è delimitato dal non-io. 5. Questa contraddizione è facile da unificare. L’io produttivo stesso fu posto come passivo, così anche quello sentito nella riflessione. Pertanto, in relazione al non-io l’io è per se stesso sempre passivo, non diviene affatto cosciente della sua attività né riflette su di essa. – Di conseguenza, la realtà della cosa sembra esser sentita, mentre si sente solo l’io. (Si radica qui il fondamento di ogni realtà. Per l’io una realtà, tanto quella dell’io quanto quella del non-io, diviene possibile esclusivamente tramite la relazione, or ora comprovata, del sentimento all’io. – Ciò che diviene possibile esclusivamente tramite la relazione di un sentimento, senza che l’io abbia consapevolezza, né possa averne, della sua intuizione di questa cosa e che perciò sembra esser sentita, è oggetto di credenza. In merito alla realtà in generale, tanto quella dell’io quanto quella del non-io141, ha luogo esclusivamente una credenza).
§ 10 Settimo teorema L’impulso stesso dev’essere posto e determinato Come abbiamo ora determinato e spiegato il sentimento, così appunto dev’essere determinato anche l’impulso, perché questo è connesso col sentimento. In virtù di questa spiegazione avanziamo ulteriormente e guadagniamo terreno all’interno della facoltà pratica. 1) Che l’impulso è posto significa, com’è noto, che l’io riflette su di esso. Ora, l’io può riflettere soltanto su
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sich selbst, und dasjenige, was für dasselbe, und in ihm ist, was gleichsam demselben zugänglich ist, reflektieren. Demnach muß der Trieb schon etwas im Ich, und zwar, inwiefern es durch die soeben aufgezeigte Reflexion schon als Ich gesetzt ist, bewirkt, – sich in demselben dargestellt haben. 2) Das Fühlende ist als Ich gesetzt. Dieses wurde durch den gefühlten ursprünglichen Trieb bestimmt, aus sich selbst herauszugehen, und wenigstens durch ideale Tätigkeit etwas zu produzieren. Nun aber geht der ursprüngliche Trieb gar nicht auf bloße ideale Tätigkeit, sondern auf Realität aus; und das Ich ist durch ihn daher bestimmt zur Hervorbringung einer Realität außer sich. – Dieser Bestimmung nun kann es keine Genüge tun, weil das Streben nie Kausalität haben, sondern das Gegenstreben des Nicht-Ich ihm das Gleichgewicht halten soll. Es wird demnach, inwiefern es bestimmt ist durch den Trieb, beschränkt durch das Nicht-Ich. 3) Im Ich ist die immer fortdauernde Tendenz über sich selbst zu reflektieren, sobald die Bedingung aller Reflexion – eine Begrenzung – eintritt. Diese Bedingung tritt hier ein; das Ich muß demnach notwendig über diesen seinen Zustand reflektieren. – In dieser Reflexion nun vergißt das Reflektierende sich selbst, wie immer, und sie kommt daher nicht zum Bewußtsein. Ferner geschieht sie auf einen bloßen Antrieb, es ist demnach in ihr nicht die geringste Äußerung der Freiheit, und sie wird, wie oben, ein bloßes Gefühl. Es ist nur die Frage: Was für ein Gefühl? 4) Das Objekt dieser Reflexion ist das Ich, das getriebne, mithin idealiter in sich selbst tätige Ich; getrieben durch einen in ihm selbst liegenden Antrieb, [431] mithin ohne alle Willkür, und Spontaneität. – Aber diese Tätigkeit des Ich geht auf ein Objekt, welches dasselbe
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se stesso e su ciò che è in esso e per esso, ciò che gli è, per dir così, accessibile. Pertanto l’impulso deve aver già prodotto qualcosa nell’io, e precisamente questo qualcosa, in quanto è già posto come io dalla riflessione appena indicata, dev’essersi già presentato nell’io. 2) Il senziente è posto quale io. Ciò veniva determinato dal sentito impulso originario a uscire da sé stessi e a produrre qualcosa almeno per mezzo di attività ideale. Ora l’impulso originario però non mira affatto a una pura e semplice attività ideale bensì alla realtà, e per suo tramite l’io è di conseguenza determinato alla produzione di una realtà fuori di sé. – Ebbene, a questa determinazione non si può dare soddisfazione, perché lo sforzo non può avere mai causalità, mentre il controsforzo del non-io deve mantenere l’equilibrio. L’io, dunque, in quanto è determinato dall’impulso, è limitato dal non-io. 3) V’è nell’io la tendenza sempre persistente a riflettere su se stesso non appena sopraggiunge la condizione di ogni riflessione – una delimitazione. Qui tale condizione fa la sua comparsa, pertanto l’io deve necessariamente riflettere su questo suo stato. – Ebbene, come sempre, in questa riflessione il riflettente dimentica se stesso e di conseguenza questa non giunge a coscienza. Inoltre essa si verifica in virtù di un puro e semplice stimolo, quindi in essa non v’è la minima manifestazione della libertà, ed essa diviene, come precedentemente, un puro e semplice sentimento. Non si pone altro interrogativo che questo: quale sentimento? 4) L’oggetto di questa riflessione è l’io, l’io che è stato spinto dall’impulso, conseguentemente l’io idealiter attivo in se stesso: io spinto da uno stimolo che si trova nell’io stesso e dunque senza alcun arbitrio né spontaneità. – Eppure questa attività dell’io si volge a
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nicht realisieren kann, als Ding, noch auch darstellen, durch ideale Tätigkeit. Es ist demnach eine Tätigkeit, die gar kein Objekt hat, aber dennoch unwiderstehlich getrieben auf eins ausgeht, und die bloß gefühlt wird. Eine solche Bestimmung im Ich aber nennt man ein Sehnen; einen Trieb nach etwas völlig unbekannten, das sich bloß durch ein Bedürfnis, durch ein Mißbehagen, durch eine Leere, die Ausfüllung sucht, und nicht andeutet, woher? – offenbart. – Das Ich fühlt in sich ein Sehnen; es fühlt sich bedürftig. 5) Beide Gefühle, das jetzt abgeleitete des Sehnens, und das oben aufgezeigte der Begrenzung, und des Zwanges müssen unterschieden, und aufeinander bezogen werden. – Denn der Trieb soll bestimmt werden; nun offenbart sich der Trieb durch ein gewisses Gefühl, demnach ist dieses Gefühl zu bestimmen; das kann aber lediglich bestimmt werden durch ein Gefühl andrer Art. 6) Wenn im ersten Gefühle das Ich nicht beschränkt wäre, würde im zweiten kein bloßes Sehnen vorkommen, sondern Kausalität; denn das Ich könnte dann etwas außer sich hervorbringen, und sein Trieb wäre nicht darauf eingeschränkt, das Ich selbst bloß innerlich zu bestimmen. Umgekehrt, wenn das Ich sich nicht als sehnend fühlte, so könnte es sich nicht als beschränkt fühlen, da lediglich durch das Gefühl des Sehnens das Ich aus sich selbst herausgeht – lediglich durch dieses Gefühl im Ich und für das Ich erst etwas, das außer ihm sein soll, gesetzt wird. (Dieses Sehnen ist wichtig, nicht nur für die praktische, sondern für die gesamte Wissenschaftslehre. Lediglich durch dasselbe wird das Ich in sich selbst – außer sich getrieben; lediglich durch dasselbe offenbart sich in ihm selbst eine Außenwelt). 7) Beide sind demnach synthetisch vereinigt, eins ist ohne das andre nicht möglich. Keine Begrenzung, kein
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un oggetto che esso non può realizzare, come cosa, e neanche esibire mediante attività ideale. Si tratta pertanto di un’attività che non ha un oggetto e che a un oggetto tuttavia si rivolge spinta irresistibilmente verso di esso, e che viene semplicemente sentita. Una tale determinazione nell’io la si chiama però un anelare, un impulso verso qualcosa di affatto ignoto, che si rivela puramente e semplicemente tramite un bisogno, un disagio, un vuoto, che cerca soddisfazione e che non indica da dove la possa trarre. – L’io sente in sé un anelito, si sente bisognoso. 5) Tutt’e due i sentimenti, quello ora dedotto dell’anelare, e quello sopra indicato della delimitazione e dell’imposizione devono essere distinti e l’uno all’altro riferiti. – L’impulso deve infatti essere determinato; ora, l’impulso si manifesta attraverso un certo sentimento, quindi tale sentimento va determinato, ma può esser determinato esclusivamente da un sentimento di altra natura. 6) Se l’io non fosse limitato nel primo sentimento, nel secondo comparirebbe non un puro e semplice anelare bensì causalità, l’io potrebbe infatti produrre qualcosa al di fuori di sé e il suo impulso non si limiterebbe a determinare in modo puramente e semplicemente interno142 l’io stesso. Reciprocamente, se l’io non si sentisse come anelante, non potrebbe sentirsi come limitato, perché esclusivamente tramite il sentimento dell’anelare l’io esce da sé – soltanto mediante questo sentimento viene posto nell’io e per l’io qualcosa che dev’essere al di fuori di esso. (Questo anelare è importante non soltanto per la dottrina della scienza pratica, ma per tutta quanta la dottrina della scienza. Unicamente tramite l’anelare l’io in se stesso viene spinto fuori di sé; solo per suo tramite si rivela in esso stesso un mondo esterno). 7) Dunque, i due sono unificati sinteticamente: l’uno non è possibile senza l’altro. Nessuna delimitazione,
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Sehnen; kein Sehnen, keine Begrenzung. – Beide sind einander auch vollkommen entgegengesetzt. Im Gefühl der Begrenzung wird das Ich lediglich als leidend, in dem des Sehnens auch als tätig gefühlt. 8) Beide gründen sich auf den Trieb, und zwar auf einen, und ebendenselben Trieb im Ich. Der Trieb des durch das Nicht-Ich begrenzten, und lediglich dadurch eines Triebes fähigen Ich bestimmt das Reflexionsvermögen, und dadurch entsteht das Gefühl eines Zwanges. Derselbe Trieb bestimmt das Ich durch ideale Tätigkeit aus sich herauszugehen, und etwas außer sich hervor[432]zubringen; und da das Ich in dieser Absicht eingeschränkt wird, so entsteht dadurch ein Sehnen, und durch das dadurch in die Notwendigkeit des Reflektierens gesetzte Reflexionsvermögen ein Gefühl des Sehnens. – Es ist die Frage, wie ein und ebenderselbe Trieb ein Entgegengesetztes hervorbringen könne. Lediglich durch die Verschiedenheit der Kräfte, an welche er sich richtet. In der ersten Funktion richtet er sich lediglich an das bloße Reflexionsvermögen, das nur auffaßt, was ihm gegeben ist; in der zweiten an das absolute, freie, im Ich selbst begründete Streben, welches auf Erschaffen ausgeht, und durch ideale Tätigkeit wirklich erschafft; nur daß wir bis jetzt sein – Produkt noch nicht kennen, noch vermögend sind, es zu erkennen. 9) Das Sehnen ist demnach die ursprüngliche, völlig unabhängige Äußerung des im Ich liegenden Strebens. Unabhängig, weil es auf gar keine Einschränkung Rücksicht nimmt, noch dadurch aufgehalten wird. (Diese Bemerkung ist wichtig; denn es wird sich einst zeigen, daß dieses Sehnen das Vehikel aller praktischen Gesetze sei; und daß sie allein daran zu erkennen sind, ob sie sich von ihm ableiten lassen, oder nicht). 10) Im Sehnen entsteht durch die Begrenzung zugleich ein Gefühl des Zwanges, welches seinen Grund in einem
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nessun anelare; nessun anelare, nessuna delimitazione. – Ambedue sono l’un l’altro altresì perfettamente contrapposti. Nel sentimento della delimitazione l’io viene sentito semplicemente come passivo, in quello dell’anelare anche come attivo. 8) Tutt’e due si fondano sull’impulso, e precisamente su un solo e medesimo impulso nell’io. L’impulso dell’io limitato dal non-io, e che esclusivamente così facendo diviene suscettibile di un impulso, determina la facoltà di riflessione e, con ciò, scaturisce il sentimento di un’imposizione. Questo stesso impulso determina l’io a uscire da sé tramite attività ideale e a produrre qualcosa al di fuori di sé, e poiché l’io a questo riguardo è limitato, sorge per ciò un anelare e mediante la facoltà di riflessione, posta così facendo nella necessità di riflettere, sorge un sentimento dell’anelito. – La questione è di sapere in che modo un solo e medesimo impulso possa produrre un qualcosa di contrapposto. Esclusivamente attraverso la differenza delle forze alle quali si dirige. Nella prima funzione si dirige unicamente alla pura e semplice facoltà di riflessione, la quale soltanto coglie ciò che le è dato; nella seconda si dirige allo sforzo assoluto, libero, fondato nell’io stesso, sforzo che mira a creare e che effettivamente crea mediante attività ideale; soltanto che finora noi non conosciamo il suo prodotto, né siamo capaci di conoscerlo. 9) L’anelare è pertanto la manifestazione originaria, completamente indipendente dello sforzo che risiede nell’io. Indipendente, perché esso non si riferisce ad alcuna limitazione, né ne viene trattenuto. (Tale osservazione è importante perché in seguito si mostrerà che questo anelare è il veicolo di tutte le leggi pratiche, le quali sono riconosciute solamente dal loro lasciarsene dedurre oppure no). 10) Ad un tempo nell’anelare sorge, in virtù della delimitazione, un sentimento dell’imposizione che deve
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Nicht-Ich haben muß. Das Objekt des Sehnens (dasjenige welches das durch den Trieb bestimmte Ich wirklich machen würde, wenn es Kausalität hätte, und welches man vorläufig das Ideal nennen mag) ist dem Streben des Ich völlig angemessen, und kongruent; dasjenige aber, welches durch Beziehung des Gefühls der Begrenzung auf das Ich, gesetzt werden könnte, (und auch wohl wird gesetzt werden) ist demselben widerstreitend. Beide Objekte sind demnach einander selbst entgegengesetzt. 11) Indem im Ich kein Sehnen sein kann, ohne Gefühl des Zwanges, und umgekehrt, ist das Ich in beiden synthetisch vereinigt, ein und ebendasselbe Ich. Dennoch ist es in beiden Bestimmungen offenbar in Widerstreit mit sich selbst versetzt; begrenzt, und unbegrenzt, endlich und unendlich zugleich. Dieser Widerspruch muß gehoben werden, und wir gehen jetzt daran, ihn deutlicher auseinanderzusetzen, und befriedigend zu lösen. 12) Das Sehnen geht, wie gesagt, darauf aus, etwas außer dem Ich wirklich zu machen. Das vermag es nicht; das vermag überhaupt, soviel wir einsehen, das Ich in keiner seiner Bestimmungen. – Dennoch muß dieser nach außen gehende Trieb wirken, was er kann. Aber er kann wirken auf die ideale Tätigkeit des Ich, dieselbe bestimmen, aus sich herauszugehen, und etwas zu produzieren. – Über dieses Vermögen der Produktion ist hier nicht zu fragen; dasselbe wird sogleich genetisch deduziert werden; wohl aber ist folgende Frage, die sich [433] jedem, der mit uns fortdenkt, aufdringen muß, zu beantworten. Warum machten wir doch diese Folgerung, ohngeachtet wir ursprünglich von einem Triebe nach außen ausgegangen sind, nicht eher? Die Antwort hierauf ist folgende: Das Ich kann für ich selbst gültig (denn davon allein ist hier die Rede, und für einen möglichen Zuschauer haben wir schon oben
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avere il suo fondamento in un non-io. L’oggetto dell’anelare (quello che l’io determinato dall’impulso effettivamente produrrebbe se avesse causalità, e che provvisoriamente si può chiamare l’ideale) è pienamente adeguato e coerente allo sforzo dell’io, tuttavia con esso contrasta l’oggetto che potrebbe essere posto (e che sarà anche posto) tramite la messa in relazione del sentimento della delimitazione con l’io. I due oggetti sono dunque contrapposti l’uno l’altro. 11) Poiché nell’io non vi può essere un anelare senza sentimento di imposizione e viceversa, in tutt’e due l’io è sinteticamente unificato, è un solo e proprio medesimo io. Ciò nonostante, in entrambe le determinazioni esso è manifestamente trasportato in contrasto con se stesso, ad un tempo delimitato e non delimitato, finito e infinito. Questa contraddizione dev’essere tolta e adesso ci accingiamo a discuterla più perspicuamente e a scioglierla in modo soddisfacente. 12) Come detto, l’anelare ha di mira il realizzare effettivamente qualcosa al di fuori dell’io. Esso non ne è in grado e, in generale, per quanto ci consta, non è capace di farlo l’io in alcuna delle sue determinazioni. – Tuttavia questo impulso che si dirige all’esterno deve effettuare ciò che può. Ma esso può avere effetto sull’attività ideale dell’io, determinarla a uscire da sé e a produrre qualcosa. – Non è qui in questione tale facoltà di produrre: essa sarà dedotta geneticamente tra breve. Occorre invece trovare una risposta alla domanda seguente, che deve imporsi a chiunque abbia atteso con noi alla meditazione: perché però non traemmo prima questa conclusione, a dispetto del fatto che originariamente avessimo preso le mosse da un impulso verso l’esterno? Ecco la risposta a tale interrogativo: L’io, per se stesso, non può dirigersi all’esterno in modo valido (soltanto di ciò si sta parlando, infatti, e già in precedenza abbiamo tratto
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diese Folgerung gemacht) nicht nach außen richten, ohne sich selbst erst begrenzt zu haben; denn bis dahin gibt es weder ein Innen, noch ein Außen für dasselbe. Diese Begrenzung seiner selbst geschah durch das deduzierte Selbstgefühl. Dann kann es sich ebensowenig nach außen richten, wenn nicht die Außenwelt sich ihm in ihm selbst auf irgendeine Art offenbart. Dies aber geschieht erst durch das Sehnen. 13) Es fragt sich, wie, und was die durch das Sehnen bestimmte ideale Tätigkeit des Ich produzieren werde? Im Ich ist ein bestimmtes Gefühl der Begrenzung = X. Im Ich ist ferner ein auf Realität ausgehendes Sehnen. Aber Realität äußert sich für das Ich nur durchs Gefühl: also das Sehnen geht auf ein Gefühl aus. Nun ist das Gefühl X nicht das ersehnte Gefühl; denn dann fühlte das Ich sich nicht begrenzt, und nicht sehnend; und fühlte sich überhaupt gar nicht; – sondern vielmehr das entgegengesetzte Gefühl -X. Das Objekt, welches vorhanden sein müßte, wenn das Gefühl -X im Ich statt finden sollte, und welches wir selbst -X nennen wollen, müßte produziert werden. Dies wäre das Ideal. – Könnte nun entweder das Objekt X (Grund des Gefühls der Beschränkung X) selbst gefühlt werden, so wäre durch bloße Gegensetzung das Objekt -X leicht zu setzen. Aber dies ist unmöglich, weil das Ich nie ein Objekt fühlt, sondern nur sich selbst; das Objekt aber lediglich produzieren kann durch ideale Tätigkeit. – Oder könnte etwa das Ich das Gefühl -X selbst in sich erregen, so wäre es vermögend beide Gefühle selbst unmittelbar unter sich zu vergleichen, ihre Verschiedenheit zu bemerken, und sie in Objekten, als den Gründen derselben, darzustellen. Aber das Ich kann kein Gefühl in sich erregen; sonst hätte es Kausalität, die es doch nicht haben soll. (Dies greift ein
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questa conclusione per uno spettatore possibile) senza aver in primo luogo determinato un confine a se stesso: sino ad allora non v’è, infatti, né un interno né un esterno per l’io. Questa limitazione di se stesso ebbe luogo per mezzo del sentimento di sé che avemmo dedotto. L’io non può allora dirigersi all’esterno se in un qualche modo il mondo esterno non gli si manifesta in lui stesso. Epperò ciò accade unicamente per via dell’anelare. 13) Si chiede: come e che cosa produce l’attività ideale dell’io determinata dall’anelare? – V’è nell’io un determinato sentimento della delimitazione = X. – Inoltre nell’io v’è un anelare che va in cerca di realtà. Tuttavia la realtà si manifesta per l’io solamente attraverso il sentimento: l’anelare mira quindi ad un sentimento. Ora, il sentimento X non è il sentimento anelato, perché nel caso in cui lo fosse l’io non si sentirebbe delimitato e anelante, e in generale non avrebbe sentimento di sé: è invece il sentimento opposto X. L’oggetto, che sarebbe necessario fosse presente e disponibile se il sentimento -X dovesse aver luogo nell’io, e che noi stessi vogliamo chiamare -X, dovrebbe essere prodotto. Ciò sarebbe l’ideale. – Ebbene, se l’oggetto X (fondamento del sentimento X di limitazione) potesse esser sentito esso stesso, sarebbe facile porre l’oggetto -X mediante una pura e semplice contrapposizione. Ciò è tuttavia impossibile perché l’io non ha mai il sentimento di un oggetto bensì di se stesso e può produrre l’oggetto esclusivamente a mezzo di un’attività ideale. – Oppure143, se l’io potesse per esempio eccitare in sé il sentimento stesso -X, in tal caso sarebbe in grado di confrontare tra loro immediatamente i due sentimenti, di rilevarne la differenza e di esibirli in oggetti, come loro fondamenti. Ma l’io non può eccitare in sé alcun sentimento, altrimenti possederebbe quella causalità che
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in den Satz der theoretischen Wissenschaftslehre: das Ich kann sich nicht selbst begrenzen). – Die Aufgabe ist demnach keine geringere, als daß unmittelbar aus dem Gefühle der Begrenzung, welches sich weiter auch gar nicht bestimmen läßt, auf das Objekt des ganz entgegengesetzten Sehnens geschlossen werde: daß das Ich bloß nach Anleitung des ersten Gefühls durch ideale Tätigkeit es hervorbringe. [434] 14) Das Objekt des Gefühls der Begrenzung ist etwas Reelles; das des Sehnens hat keine Realität, aber es soll sie zufolge des Sehnens haben, denn dasselbe geht aus auf Realität. Beide sind einander entgegengesetzt, weil durch das eine das Ich sich begrenzt fühlt, nach dem andern strebt, um aus der Begrenzung herauszugehen. Was das Eine ist, ist nicht das andre. Soviel, und weiter nichts, läßt vor jetzt sich von beiden sagen. 15) Wir gehen tiefer ein in die Untersuchung. – Das Ich hat nach Obigem durch freie Reflexion über das Gefühl sich gesetzt als Ich, nach dem Grundsatze: das sich selbst Setzende, das, was bestimmend und bestimmt zugleich ist, ist das Ich. – Das Ich hat demnach in dieser Reflexion, (welche sich als Selbstgefühl äußerte) sich selbst bestimmt, völlig umschrieben, und begrenzt. Es ist in derselben absolut bestimmend. 16) An diese Tätigkeit richtet sich der nach außen gehende Trieb, und wird daher in dieser Rücksicht ein Trieb zum Bestimmen, zum Modifizieren eines Etwas außer dem Ich, der durch das Gefühl überhaupt schon gegebnen Realität. – Das Ich war das Bestimmte, und Bestimmende zugleich. Es wird durch den Trieb nach außen getrieben, heißt: es soll das Bestimmende sein. Alles Bestimmen aber setzt einen bestimmbaren Stoff voraus. – Das Gleichgewicht muß gehalten werden; also die Realität bleibt immerfort was sie war, Realität,
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tuttavia non deve avere. (Ciò si riallaccia al principio della parte teoretica della dottrina della scienza: l’io non può delimitare se stesso). – Pertanto il compito è nientemeno che concludere direttamente dal sentimento della delimitazione, sentimento che non si può determinare ulteriormente, all’oggetto dell’anelare del tutto contrapposto a questo sentimento: ‹ancora, i compito consiste nel fatto› che l’io produca, tramite attività ideale, questo oggetto semplicemente affidandosi alla guida del primo sentimento. 14) L’oggetto del sentimento di delimitazione è qualcosa di reale, l’oggetto dell’anelare non ha realtà ma deve averla conformemente all’anelare, perché quest’ultimo è in cerca di realtà. L’uno e l’altro oggetto sono fra loro contrapposti, essendo che l’io per l’uno si sente delimitato, per l’altro, si sforza di uscire dalla delimitazione. Ciò che l’uno è, l’altro non è. Tanto, e nulla di più, è ciò che per ora si può dire di entrambi. 15) Approfondiamo la nostra indagine. – Stando a quanto sopra, l’io si è posto quale io attraverso una libera riflessione sul sentimento, secondo il principio: l’io è ciò che pone se stesso, ciò che nel contempo è determinante e determinato. – In questa riflessione (che si manifestò quale sentimento di sé), l’io ha dunque determinato, pienamente circoscritto e limitato se stesso. In questa medesima riflessione l’io è assolutamente determinante. 16) L’impulso che va all’esterno si dirige a questa attività e, a tale riguardo, diventa perciò un impulso a determinare, a modificare un qualcosa fuori dell’io, la realtà già data in generale attraverso il sentimento. – L’io era nel contempo il determinato e il determinante. Dire che esso è spinto dall’impulso che va all’esterno, significa: esso dev’essere il determinante. Ogni determinare presuppone tuttavia una materia determinabile. – L’equilibrio va mantenuto, quindi la realtà rima-
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etwas auf das Gefühl beziehbares; es ist für sie als solche, als bloßer Stoff, gar keine Modifikation denkbar, als die Vernichtung, und gänzliche Aufhebung. Aber ihr Dasein ist die Bedingung des Lebens; was nicht lebt, in dem kann kein Trieb sein, und es kann kein Trieb des Lebenden ausgehen auf Vernichtung des Lebens. Mithin geht der im Ich sich äußernde Trieb gar nicht auf Stoff überhaupt, sondern auf eine gewisse Bestimmung des Stoffes. (Man kann nicht sagen: verschiedner Stoff. Die Stoffheit, Materialität ist schlechthin einfach; sondern Stoff mit verschiednen Bestimmungen). 17) Diese Bestimmung durch den Trieb ist es, welche gefühlt wird, als ein Sehnen. Das Sehnen geht demnach gar nicht aus auf Hervorbringung des Stoffes, als eines solchen, sondern auf Modifikation desselben. 18) Das Gefühl des Sehnens war nicht möglich, ohne Reflexion auf die Bestimmung des Ich durch den aufgezeigten Trieb, wie sich von selbst versteht. Diese Reflexion war nicht möglich ohne Begrenzung des Triebes, und zwar ausdrücklich des Triebes nach Bestimmung, welcher allein sich im Sehnen äußert. Alle Begrenzung des Ich aber wird nur gefühlt. Es fragt sich, was das für ein Gefühl sein möge, durch welches der Trieb des Bestimmens, als begrenzt, gefühlt wird. [435] 19) Alles Bestimmen geschieht durch ideale Tätigkeit. Es müßte demnach, wenn das geforderte Gefühl möglich sein soll, durch diese ideale Tätigkeit schon ein Objekt bestimmt worden sein, und diese Handlung des Bestimmens müßte sich auf das Gefühl beziehen. – Hierbei entstehen folgende Fragen: 1) wie soll die ideale Tätigkeit zur Möglichkeit und Wirklichkeit dieses Bestimmens kommen? 2) wie soll dieses Bestimmen sich auf das Gefühl beziehen können?
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ne ininterrottamente ciò che essa era, realtà, qualcosa di riferibile al sentimento: nessuna modificazione è pensabile per essa in quanto tale, come pura e semplice materia, eccetto l’annientamento e la soppressione integrale. Ma il suo esserci è la condizione della vita: non può esservi impulso in ciò che non vive e nessun impulso di ciò che è vivente può mirare all’annientamento della vita. Di conseguenza l’impulso manifestantesi nell’io non mira affatto alla materia in generale, bensì a una certa determinazione della materia. (Non si può parlare di una materia diversa. La materialità è in tutto e per tutto semplice, però si può parlare di materia con diverse determinazioni). 17) Quel che è sentito come un anelare è questa determinazione tramite l’impulso. L’anelare quindi non mira affatto alla produzione della materia in quanto tale, bensì a modificarla. 18) Come si capisce automaticamente, il sentimento dell’anelare non era possibile senza riflettere sulla determinazione dell’io mediante l’impulso indicato. Questa riflessione non era possibile senza delimitazione dell’impulso, e per la precisione espressamente dell’impulso alla determinazione il quale soltanto si manifesta nell’anelare. Ma ogni delimitazione dell’io è soltanto sentita. La questione riguarda quale possa essere quel sentimento tramite il quale l’impulso ‹all’azione› del determinare è sentito come delimitato. 19) Ogni determinare avviene per mezzo di attività ideale. Pertanto, se il sentimento richiesto dev’essere possibile, sarebbe necessario che mediante quest’attività ideale fosse già stato determinato un oggetto e che quest’azione del determinare si riferisse al sentimento. – A tale proposito si pongono gli interrogativi seguenti: 1. come l’attività deve pervenire alla possibilità e, all’effettiva realtà, di questo determinare? 2. quest’azione del determinare come deve esser messa in relazione con il sentimento?
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Auf die erste antworten wir: es ist schon oben eine Bestimmung der idealen Tätigkeit des Ich durch den Trieb, der beständig wirken muß, soviel er kann, aufgezeigt worden. Durch sie muß zufolge dieser Bestimmung zuvörderst der Grund der Begrenzung, als übrigens durch sich selbst völlig bestimmtes Objekt, gesetzt worden sein; welches Objekt aber ebendarum nicht zum Bewußtsein kommt, noch kommen kann. Dann ist soeben ein Trieb im Ich nach bloßer Bestimmung angegeben worden; und ihm zufolge muß die ideale Tätigkeit vors erste wenigstens streben, darauf ausgehen, das gesetzte Objekt zu bestimmen. – Wir können nicht sagen, wie das Ich zufolge des Triebes das Objekt bestimmen solle; aber wir wissen wenigstens soviel, daß es nach diesem im Innersten seines Wesens gegründeten Triebe das Bestimmende, das im Bestimmen bloß, lediglich, und schlechthin tätige sein solle. Kann nun, selbst wenn wir von dem schon bekannten Gefühle des Sehnens abstrahieren, dessen Anwesenheit allein schon über unsre Frage entscheidet kann, sage ich, dieser Bestimmungstrieb, nach reinen Gründen a priori, Kausalität haben, befriedigt werden, oder nicht? Auf seine Begrenzung gründet sich die Möglichkeit eines Sehnens; auf dessen Möglichkeit die Möglichkeit eines Gefühls, auf dieses – Leben, Bewußtsein, und geistiges Dasein überhaupt. Der Bestimmungstrieb hat demnach, so gewiß das Ich Ich ist, keine Kausalität. Davon aber kann, ebensowenig wie oben beim Streben überhaupt, der Grund nicht in ihm selbst liegen, denn dann wäre er kein Trieb: mithin in einem Gegentriebe des Nicht-Ich, sich selbst zu bestimmen, in einer Wirksamkeit desselben, die völlig
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Al primo interrogativo rispondiamo: è già stata indicata precedentemente una determinazione dell’attività ideale dell’io per mezzo dell’impulso, il quale, per quanto gli è possibile, deve agire costantemente. Conseguentemente a tale determinazione, ‹è› anzitutto da quest’attività ‹che› dev’esser stato posto il fondamento della delimitazione, come un oggetto, per altro, totalmente determinato da se stesso, oggetto il quale appunto perciò non perviene tuttavia a coscienza, né mai può giungervi. Poi è appena stato indicato nell’io un impulso al puro e semplice determinare, in conseguenza del quale l’attività ideale in primo luogo deve, almeno, sforzarsi, avere di mira la determinazione dell’oggetto posto. – Come l’io debba determinare l’oggetto in conseguenza dell’impulso noi non siamo in grado di dirlo, tuttavia sappiamo per lo meno questo, che stante tale impulso fondato nel più intimo del suo essere, l’io dev’essere il determinante, quello che nell’azione del determinare è semplicemente, esclusivamente, in tutto e per tutto attivo. Ora, può, anche se noi facciamo astrazione dall’ormai noto sentimento dell’anelare, la cui presenza già da sola risulta decisiva per la nostra questione, può, dico, quest’impulso alla determinazione possedere causalità, secondo pure ragioni a priori, può essere soddisfatto oppure no? Sulla sua delimitazione si fonda la possibilità di un anelare; sulla sua possibilità si fonda la possibilità di un sentimento; su questo sentimento si fondano in generale vita, coscienza ed esistenza spirituale. Se è vero che l’io è io, l’impulso alla determinazione non ha pertanto alcuna causalità. La ragione di ciò non può tuttavia trovarsi in quello stesso impulso, come precedentemente essa tanto poco poteva trovarsi nello sforzo in generale, perché in tal caso non sarebbe un impulso: si trova, di conseguenza, in un controimpulso del non-io a determinare se stesso, in una
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unabhängig von dem Ich, und seinem Triebe ist, ihren Weg geht, und nach ihren Gesetzen sich richtet, wie dieser sich nach den seinigen richtet. Ist demnach ein Objekt, und sind Bestimmungen desselben an sich, d. i. durch die eigne innere Wirksamkeit der Natur hervorgebrachte (wie wir indessen hypothetisch annehmen, für das Ich aber sogleich realisieren werden:) ist ferner die ideale (anschauende) Tätigkeit des Ich durch den Trieb hinausgetrieben, wie wir erwiesen haben, so wird und muß das Ich das Objekt bestimmen. Es [436] wird in dieser Bestimmung durch den Trieb geleitet, und geht darauf aus, es nach ihm zu bestimmen; es steht aber zugleich unter der Einwirkung des Nicht-Ich, und wird durch dasselbe, durch die wirkliche Beschaffenheit des Dinges begrenzt, dasselbe in höherm oder niederem Grade nicht nach dem Triebe bestimmen zu können. Durch diese Beschränkung des Triebes wird das Ich begrenzt; es entsteht, wie bei jeder Begrenzung des Strebens, und auf die gleiche Art ein Gefühl, welches hier ein Gefühl der Begrenzung des Ich, nicht durch den Stoff, sondern durch die Beschaffenheit des Stoffes ist. Und so ist denn auch zugleich die zweite Frage, wie die Beschränkung des Bestimmens sich auf das Gefühl beziehen möge, beantwortet. 20) Wir erörtern weiter, und beweisen schärfer das soeben Gesagte. a. Das Ich bestimmte sich selbst durch absolute Spontaneität, wie oben gezeigt worden. Diese Tätigkeit des Bestimmens ist es, an welche der gegenwärtig zu untersuchende Trieb sich wendet, und sie nach außen treibt. Wollen wir die Bestimmung der Tätigkeit durch den Trieb gründlich kennen lernen, so müssen wir vor allen Dingen sie selbst gründlich kennen.
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sua capacità di produrre effetti che è totalmente indipendente dall’io e dal suo impulso, che segue la sua strada e si orienta secondo sue leggi, come l’impulso dell’io si orienta secondo le proprie. Se quindi v’è un oggetto, e se le sue determinazioni sono prodotte in sé, vale a dire tramite l’interna capacità di produrre effetti propria della natura (come per il momento assumiamo ipoteticamente ma che realizzeremo subito per l’io); se inoltre l’attività ideale (intuitiva) dell’io è spinta fuori per opera dell’impulso, come abbiamo dimostrato, allora l’io deve determinare, e determinerà, l’oggetto. In questa determinazione l’io è guidato dall’impulso e secondo l’impulso mira a determinare l’oggetto, tuttavia esso sottostà pure all’influsso del non-io ed è limitato da quest’ultimo, dall’effettiva conformazione della cosa, così da non poterla più, in grado maggiore o minore, determinare secondo l’impulso. L’io è limitato da questa limitazione dell’impulso; ne deriva, come per ogni limitazione dello sforzo e in ugual modo, un sentimento, che qui è un sentimento di limitazione dell’io tramite non la materia bensì tramite la composizione interna di essa. E in tal modo si è nel contempo risposto anche al secondo interrogativo inerente il modo in cui la limitazione del determinare potesse esser messa in relazione al sentimento. 20) Poniamo ulteriormente in discussione e comproviamo in modo più rigoroso quanto appena detto. a. Come è stato mostrato sopra, l’io determinava se stesso per via di spontaneità assoluta. È quest’attività del determinare ciò cui si volge l’impulso che dobbiamo presentemente esaminare ed è essa che l’impulso spinge al di fuori. Volendo imparare a conoscere a fondo la determinazione dell’attività tramite l’impulso, è soprattutto quest’attività stessa che dobbiamo conoscere a fondo.
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b. Sie war im Handeln bloß und lediglich reflektierend. Sie bestimmte das Ich, wie sie es fand, ohne etwas in ihm zu verändern; sie war, könnte man sagen, bloß bildend. Der Trieb kann nicht, noch soll er etwas hineinlegen, was in ihr nicht ist: er treibt sie demnach lediglich zum Nachbilden dessen, was da ist, so wie es da ist; zur bloßen Anschauung, keineswegs aber zum Modifizieren des Dinges durch reale Wirksamkeit. Es soll nur im Ich eine Bestimmung hervorgebracht werden, wie sie im Nicht-Ich ist. c. Dennoch aber mußte das über sich selbst reflektierende Ich in einer Rücksicht den Maßstab des Reflektierens in sich selbst haben. Es ging nämlich auf das, was (realiter) bestimmt und bestimmend zugleich war, und setzte es als Ich. Daß ein solches da war, hing nicht von ihm ab, inwiefern wir es bloß, als reflektierend betrachten. Aber warum reflektierte es nicht auf weniger, auf das Bestimmte allein, oder auf das Bestimmende allein? warum nicht auf mehr? warum dehnte es den Umfang seines Gegenstandes nicht aus? Davon konnte der Grund auch schon darum nicht außer ihm liegen, weil die Reflexion mit absoluter Spontaneität geschah. Es mußte demnach das, was zu jeder Reflexion gehört, die Begrenzung desselben, lediglich in sich selbst haben. – Daß es so war, geht auch aus einer anderen Betrachtung hervor. Das Ich sollte gesetzt werden. Das »bestimmte und bestimmende zugleich« wurde als [437] Ich gesetzt. Diesen Maßstab hatte das Reflektierende in sich selbst, und brachte ihn mit zur Reflexion hinzu; denn es selbst, indem es durch absolute Spontaneität reflektiert, ist das Bestimmende und Bestimmte zugleich. Hat etwa das Reflektierende auch für die Bestimmung des Nicht-Ich ein solches inneres Gesetz der Bestimmung, und welches?
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b. Nell’agire essa era puramente ed esclusivamente riflettente. Essa determinava l’io come lo trovava, senza modificarvi qualcosa: era, si potrebbe dire, semplicemente configurante. L’impulso non può, né deve, introdurre alcunché che non sia in essa: pertanto la spinge esclusivamente a riprodurre quel che c’è per come c’è, alla pura e semplice intuizione ma in nessun modo alla modificazione della cosa tramite una reale capacità di produrre effetti. Nell’io dev’esser soltanto prodotta una determinazione come è nel non-io. c. Purtuttavia l’io autoriflettente doveva avere in se stesso, a un qualche riguardo, la misura del riflettere. Esso perveniva, infatti, a ciò che era realiter determinato e insieme determinante e lo poneva quale io. Che una tal cosa esistesse non dipendeva da esso, nella misura in cui lo consideravamo soltanto come riflettente. Ma perché esso non rifletteva su qualcosa di minor impegno, solo sul determinato o solo sul determinante? Perché non su qualcosa di più? Perché non ampliava l’ambito del suo oggetto? La ragione di ciò non poteva trovarsi fuori di esso, se non altro già per il fatto che la riflessione aveva luogo con assoluta spontaneità. Pertanto doveva avere unicamente in se stesso ciò che appartiene a ogni riflessione: la sua limitazione. – Che la cosa stesse così risulta anche da un’altra considerazione. L’io doveva esser posto. Il “determinato e insieme determinante” era posto quale io. Il riflettente aveva questo criterio di misura in se stesso e l’aggiunse alla riflessione: esso stesso, in quanto riflettente con assoluta spontaneità, è infatti il determinante e insieme il determinato. Anche per la determinazione del non-io il riflettente possiede, per esempio, una tale legge interna della determinazione, e quale?
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Diese Frage ist leicht zu beantworten, aus den schon oben angeführten Gründen. Der Trieb geht auf das reflektierende Ich, so wie es ist. Er kann demselben nichts geben, oder nehmen, sein inneres Gesetz der Bestimmung bleibt das gleiche. Alles, was Gegenstand seiner Reflexion, und seines (idealen) Bestimmens sein soll, muß (realiter) »bestimmt und bestimmendes zugleich« sein; so auch das zu bestimmende Nicht-Ich. Das subjektive Gesetz der Bestimmung ist daher dieses, daß etwas Bestimmtes und Bestimmendes zugleich, oder durch sich selbst bestimmt sei: und der Bestimmungstrieb geht darauf aus, es so zu finden, und ist nur unter dieser Bedingung zu befriedigen. – Er verlangt Bestimmtheit, vollkommne Totalität und Ganzheit, welche lediglich in diesem Merkmale besteht. Was, inwiefern es Bestimmtes ist, nicht auch zugleich das Bestimmende ist, ist insofern Bewirktes; und dieses Bewirkte wird, als etwas Fremdartiges, vom Dinge ausgeschlossen, durch die Grenze, welche die Reflexion zieht, abgesondert, und aus etwas anderem erklärt. Was, inwiefern es bestimmend ist, nicht zugleich das Bestimmte ist, ist insofern Ursache, und das Bestimmen wird auf etwas anderes bezogen, und dadurch aus der dem Dinge durch die Reflexion gesetzten Sphäre ausgeschlossen. Nur, inwiefern das Ding mit sich selbst in Wechselwirkung steht, ist es ein Ding, und dasselbe Ding. Dieses Merkmal wird durch den Bestimmungstrieb aus dem Ich heraus übergetragen auf die Dinge; und diese Bemerkung ist wichtig. (Die gemeinsten Beispiele dienen zur Erläuterung. Warum ist süß, oder bitter, rot, oder gelb usf. eine einfache Empfindung, die nicht weiter zerlegt wird in mehrere – oder warum ist es überhaupt eine für sich bestehende Empfindung, und nicht bloß ein
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Rispondere a questa domanda è facile sulla scorta delle ragioni sopra addotte. L’impulso si rivolge all’io riflettente così com’è. Nulla può dargli o prendergli, la sua legge interna di determinazione rimane identica. Tutto ciò che dev’essere oggetto della sua riflessione e del suo (ideale) determinare è necessario sia (realiter) “determinato e insieme determinante”, così anche per il non-io che va determinato. La legge soggettiva della determinazione è perciò questa, che c’è qualcosa di determinato e insieme determinante, ovvero determinato da se stesso: l’impulso alla determinazione mira a trovarlo e soltanto a questa condizione può essere soddisfatto. – Esso richiede determinatezza, totalità e interezza perfette, che consistono soltanto in questa caratteristica. Ciò che, essendo determinato, non è insieme il determinante, è in tal misura effetto, e questo effetto è escluso dalla cosa come qualcosa di estraneo, separato per opera del limite che la riflessione traccia e spiegato in base a qualcos’altro. Ciò che, essendo determinante, non è insieme il determinato, è in tal misura causa, e il determinare è riferito a qualcos’altro e così facendo escluso dalla sfera assegnata alla cosa dalla riflessione. Soltanto stando con se stessa in azione reciproca, la cosa è una cosa unica e quella medesima cosa. Questa nota caratteristica è trasportata fuori dall’io sulle cose dall’impulso alla determinazione: e tale osservazione è importante. (Gli esempi più comuni servono a illustrare. Perché una semplice sensazione è dolce o amara, rossa o gialla e così via, senza essere ulteriormente scomposta in più sensazioni? – o perché in generale una sensazione sussiste di per sé e non semplicemente quale componente di un’altra? Palesemente, la ragione di ciò deve pur trovarsi
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Bestandteil einer andern? Davon muß doch offenbar im Ich, für welches es eine einfache Empfindung ist, der Grund liegen; in ihm muß daher a priori ein Gesetz der Begrenzung überhaupt sein). d. Der Unterschied des Ich, und Nicht-Ich, bleibt bei dieser Gleichheit des Bestimmungsgesetzes immer. Wird über das Ich reflektiert, so ist auch das Reflektierende, und Reflektierte gleich, eins und ebendasselbe, bestimmt, und [438] bestimmend: wird über das Nicht-Ich reflektiert, so sind sie entgegengesetzt; denn das Reflektierende ist, wie sich von selbst versteht, immer das Ich. e. Hier ergibt sich zugleich der strenge Beweis, daß der Bestimmungstrieb nicht auf reale Modifikation, sondern lediglich auf ideales Bestimmen, Bestimmen für das Ich, Nachbilden, ausgehe. Dasjenige, was Objekt desselben sein kann, muß realiter vollkommen durch sich selbst bestimmt sein, und da bleibt für eine reale Tätigkeit des Ich nichts übrig, vielmehr stünde eine solche mit der Bestimmung des Triebes in offenbarem Widerspruche. Wenn das Ich realiter modifiziert, so ist nicht gegeben, was gegeben sein sollte. 21) Es fragt sich nur, wie, und auf welche Weise dem Ich das Bestimmbare gegeben werden solle; und durch die Beantwortung dieser Frage kommen wir abermals tiefer in den synthetischen Zusammenhang der hier aufzuzeigenden Handlungen hinein. Das Ich reflektiert über sich, als das Bestimmte und Bestimmende zugleich, und begrenzt sich insofern, (es geht gerade so weit, als das Bestimmte und Bestimmende geht): aber es ist keine Begrenzung ohne ein Begrenzendes. Dieses Begrenzende, dem Ich Entgegenzusetzende, kann nicht etwa, wie in der Theorie postuliert wird, durch die ideale Tätigkeit produziert werden, sondern es muß dem Ich gegeben sein, in ihm
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nell’io per il quale è una sensazione semplice, perciò nell’io dev’esserci a priori una legge di limitazione in generale). d. Pur con questa uguaglianza della legge di determinazione, la differenza dell’io e del non-io permane continuamente. Se si riflette sull’io, in tal caso anche il riflettente e il riflesso sono uguali, sono una sola e medesima cosa, determinato e determinante; se si riflette sul non-io, allora essi sono contrapposti, perché il riflettente, come ben s’intende, è sempre l’io. e) Di qui, nel contempo, la prova rigorosa che l’impulso alla determinazione non mira alla modificazione reale bensì esclusivamente al determinare ideale, il determinare per l’io, il riprodurre. Ciò che può essere suo oggetto deve realiter essere determinato perfettamente da se stesso e in tal caso non resta alcunché per un’attività reale dell’io, anzi una tale attività risulterebbe in palese contraddizione con la determinazione dell’impulso. Se l’io modifica realiter, allora ciò che dovrebbe esser dato non è dato. 21) Ci si chiede soltanto come e in qual modo il determinabile debba esser dato all’io: rispondendo a tale interrogativo, penetreremo ancora una volta più approfonditamente il nesso sintetico delle azioni che qui vanno indicate. L’io riflette su di sé come il determinato e insieme il determinante, e in tal misura si limita (esso si distende esattamente tanto quanto si distendono il determinato e il determinante), non v’è tuttavia limitazione senza un limitante. Questo limitante, che va contrapposto all’io, non può, com’è postulato nella teoria, essere per esempio prodotto dall’attività ideale ma dev’esser dato all’io, deve trovarsi in esso. In tal modo nell’io si trova veramente qualcosa, ossia ciò
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liegen. So etwas findet sich nun allerdings im Ich vor, nämlich dasjenige, was in dieser Reflexion ausgeschlossen wird, wie oben gezeigt worden. – Das Ich setzt sich nur insofern als Ich, inwiefern es ist das Bestimmte, und Bestimmende, aber es ist beides nur in idealer Rücksicht. Sein Streben nach realer Tätigkeit aber ist begrenzt; ist insofern gesetzt, als innere, eingeschloßne, sich selbst bestimmende Kraft (d. i. bestimmt und bestimmend zugleich) oder, da sie ohne Äußerung ist, intensiver Stoff. Auf ihn wird reflektiert, als solchen; so wird er demnach durch die Gegensetzung nach außen getragen, und das an sich, und ursprünglich Subjektive in ein Objektives verwandelt. a. Hier wird ganz deutlich, woher das Gesetz: das Ich kann sich nicht als bestimmt setzen, ohne sich ein Nicht-Ich entgegenzusetzen, entstehe. – Nämlich wir hätten, nach jenem nun sattsam bekannten Gesetze gleich anfangs so folgern können: soll das Ich sich bestimmen, so muß es sich notwendig etwas entgegensetzen; aber da wir hier im praktischen Teile der Wissenschaftslehre sind, und daher allenthalben auf Trieb, und Gefühl aufmerken müssen, hatten wir dieses Gesetz selbst von einem Triebe abzuleiten. – Der [439] Trieb, der ursprünglich nach außen geht, wirkt was er kann, und da er nicht auf reale Tätigkeit wirken kann, wirkt er wenigstens auf ideale, die ihrer Natur nach gar nicht eingeschränkt werden kann, und treibt sie nach außen. Daher entsteht die Gegensetzung; und so hängen durch den Trieb, und im Triebe zusammen alle Bestimmungen des Bewußtseins, und insbesondre auch das Bewußtsein des Ich, und Nicht-Ich. b. Das Subjektive wird in ein Objektives verwandelt; und umgekehrt, alles Objektive ist ursprünglich ein Subjektives. – Ein völlig passendes Beispiel kann
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che è escluso in questa riflessione, com’è stato mostrato sopra. – L’io si pone quale io unicamente nella misura in cui è il determinato e determinante, però li è entrambi solo per il profilo ideale. Il suo sforzo verso l’attività reale invece è limitato, in tal misura è posto come una forza interna, inclusiva, autodeterminantesi (vale a dire, determinata e insieme determinante), ovvero, giacché essa è senza manifestazione esterna, quale materia intensiva. Se si riflette su questa materia in quanto tale, allora essa è condotta all’esterno dall’opposizione e ciò che è in sé ed originariamente soggettivo si tramuta in un elemento oggettivo. a. In tutta nettezza ecco qui da dove scaturisce la legge: l’io non può porsi come determinato senza contrapporsi un non-io. – Sin dall’inizio avremmo potuto, infatti, ragionare in tal modo, attenendoci a quella legge ora sufficientemente nota: se l’io deve determinarsi, è necessario si contrapponga qualcosa; ma questa legge stessa dovevamo dedurla da un impulso, poiché qui ci troviamo nella parte pratica della dottrina della scienza e perciò le nostre osservazioni devono ovunque prestare attenzione all’impulso e al sentimento. – L’impulso che originariamente si dirige al di fuori, ha effetto su ciò che può e, non potendo agire con efficacia sull’attività reale, ha effetto almeno su quella ideale, che per sua natura non può affatto essere limitata, e la spinge verso l’esterno. Di qui sorge l’opposizione; e così, per mezzo dell’impulso e nell’impulso, tutte le determinazioni della coscienza si collegano unitariamente e in particolare anche la coscienza dell’io e del non-io. b. Il soggettivo si tramuta in oggettivo e, inversamente, ogni oggettivo è all’origine un che di soggettivo. – Un esempio pienamente calzante non può
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nicht angeführt werden; denn es ist hier von einem Bestimmten überhaupt, das weiter auch gar nichts ist, denn ein Bestimmtes, die Rede; und ein solches kann gar nicht im Bewußtsein vorkommen, wovon wir den Grund bald sehen werden. Jedes Bestimmte, so gewiß es im Bewußtsein vorkommen soll, ist notwendig ein Besonderes. Durch Beispiele von der letzteren Art aber läßt sich die oben geschehne Behauptung ganz klar im Bewußtsein nachweisen. Es sei z. B. etwas süß, sauer, rot, gelb, oder dgl. Eine solche Bestimmung ist offenbar etwas lediglich Subjektives; und wir hoffen nicht, daß irgend jemand, der diese Worte nur versteht, das ableugnen werde. Was süß oder sauer, rot oder gelb sei, läßt sich schlechthin nicht beschreiben, sondern bloß fühlen, und es läßt sich durch keine Beschreibung dem andern mitteilen, sondern ein jeder muß den Gegenstand auf sein eignes Gefühl beziehen, wenn jemals eine Kenntnis meiner Empfindung in ihm entstehen soll. Man kann nur sagen: in mir ist die Empfindung des bittern, des süßen, usf. und weiter nichts. – Dann aber, gesetzt auch der andre bezieht den Gegenstand auf sein Gefühl; woher wißt ihr denn auch, daß die Kenntnis eurer Empfindung dadurch in ihm entstehe, daß er gleichförmig mit euch empfinde? Woher wißt ihr, daß z. B. der Zucker gerade denjenigen Eindruck auf den Geschmack desselben mache, den er auf den eurigen macht? Zwar nennt ihr dasjenige, was in euch entsteht, wenn ihr Zucker eßt, süß, und er, und alle eure Mitbürger nennen es mit euch auch süß; aber dieses Einverständnis ist lediglich in den Worten. Woher wißt ihr denn aber, daß was ihr beide süß nennt, ihm gerade das ist, was es euch ist? Darüber läßt in Ewigkeit sich nichts ausmachen; die Sache liegt im Gebiete des lediglich subjektiven, und ist gar nicht objektiv. Erst mit der Synthesis des
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essere addotto, qui si tratta, infatti, di un determinato in generale che non è nulla di più di un determinato e, cosa di cui si vedrà quanto prima la ragione, tale determinato non può affatto presentarsi nella coscienza. Ogni determinato, se è vero che deve presentarsi nella coscienza, è necessariamente un particolare. Ma con esempi dell’ultimo tipo l’asserzione di cui sopra può essere provata nella coscienza in maniera del tutto limpida. Poniamo il caso, per esempio, di qualcosa che sia dolce, acido, rosso, giallo o simili. Una tale determinazione è palesemente qualcosa di esclusivamente soggettivo144 e noi confidiamo che non ci sarà mai qualcuno, sol che comprenda queste parole, che potrà negarlo. Che cosa sia il dolce o l’acido, il rosso o il giallo, non si può assolutamente descrivere ma soltanto sentire e non si può comunicarlo ad altri con una descrizione: è invece necessario che ognuno, se mai una conoscenza della mia sensazione deve nascere in lui, metta in relazione l’oggetto al suo proprio sentimento. Si può dire soltanto: v’è in me la sensazione dell’amaro, del dolce e così via, nulla di più. – Ma allora, posto pure che l’altro rapporti l’oggetto al suo sentimento, da dove sapete altresì che così facendo la conoscenza della vostra sensazione sorge in lui e che egli prova la vostra stessa sensazione? Donde venite a sapere che, per esempio, lo zucchero lascia sul gusto di costui proprio la stessa impressione che produce sul vostro? Voi chiamate bensì dolce ciò che si sviluppa in voi quando mangiate zucchero, e lui e tutti i vostri concittadini insieme con voi lo chiamano anch’essi dolce: quest’intesa attiene però esclusivamente ai termini. Ma da dove sapete che quanto tutt’e due chiamate dolce è per lui esattamente quello che è per voi? In merito non si può decidere in eterno alcunché: la cosa si situa nel dominio di ciò che è esclusivamente soggettivo e non è affatto oggettivo. Essa si sposta nel dominio dell’ogget-
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Zuckers, und einem bestimmten, an sich subjektiven, aber lediglich durch seine Bestimmtheit über-[440]haupt objektiven Geschmacke geht die Sache über auf das Feld der Objektivität. – Von solchen lediglich subjektiven Beziehungen auf das Gefühl geht alle unsre Erkenntnis aus; ohne Gefühl ist gar keine Vorstellung eines Dinges außer uns möglich. Diese Bestimmung eurer selbst nun übertragt ihr sogleich auf etwas außer euch; was eigentlich Akzidens eures Ich ist, macht ihr zu einem Akzidens eines Dinges, das außer euch sein soll, (genötigt durch Gesetze, die in der Wissenschaftslehre zur Genüge aufgestellt worden sind) eines Stoffes, der im Raume ausgebreitet sein, und denselben ausfüllen soll. Daß dieser Stoff selbst wohl nur etwas in euch Vorhandnes, lediglich Subjektives sein möge, darüber sollte euch wenigstens ein Verdacht schon längst entstanden sein, daher, weil ihr ohne weiteres, ohne daß etwa ein neues Gefühl von jenem Stoffe hinzukomme, etwas eurem eignen Geständnisse nach lediglich Subjektives darauf zu übertragen vermögt; weil ferner ein solcher Stoff, ohne ein darauf zu übertragendes Subjektives für euch gar nicht da ist, und er daher für euch weiter auch gar nichts ist, als der Träger des aus euch heraus zu übertragenden Subjektiven, dessen ihr bedürfet. – Indem ihr das Subjektive darauf übertraget, ist er ohne Zweifel in euch, und für euch da. Wäre er nun ursprünglich außer euch da, und von außen für die Möglichkeit der Synthesis, die ihr vorzunehmen habt, in euch gekommen, so müßte er etwa durch die Sinne in euch gekommen sein. Aber die Sinne liefern uns bloß ein Subjektives, von der Art des oben aufgezeigten; der Stoff, als solcher, fällt keineswegs in die Sinne, sondern kann nur durch produktive Einbildungskraft entworfen, oder gedacht werden. Gesehen wird er doch wohl nicht, noch gehört, noch geschmeckt,
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tività soltanto con la sintesi dello zucchero e di un gusto determinato145, in sé soggettivo ma oggettivo esclusivamente per la sua determinatezza in generale. – Tutta la nostra conoscenza muove da tali riferimenti unicamente soggettivi al sentimento: senza sentimento non è affatto possibile rappresentare una cosa fuori di noi. Ora, voi trasportate subito a qualcosa fuori di voi questa determinazione di voi stessi: di ciò che propriamente è un accidente del vostro io fate un accidente di una cosa che dev’essere fuori di voi (obbligati da leggi che sono state sufficientemente formulate nella dottrina della scienza), di una materia che dev’essere estesa nello spazio e che deve saturarlo. Già da lungo tempo il sospetto che questa stessa materia possa ben essere soltanto qualcosa di presente in voi, di esclusivamente soggettivo, vi dovrebbe esser sorto per lo meno perché voi potete senz’altro trasportare in essa qualcosa che, stando alla vostra propria confessione, è esclusivamente soggettivo146, senza che sopraggiunga, per esempio, un nuovo sentimento di quella materia; inoltre perché tale materia per voi non esiste affatto senza un elemento soggettivo che si deve trasportare in essa, e quindi per voi essa non è nulla di più che il sostegno dell’elemento soggettivo che dev’essere trasportato fuori di voi, sostegno di cui avete bisogno. – Quando voi trasportate su questa materia il soggettivo, essa senza dubbio esiste in voi e per voi. Ebbene, se la materia esistesse originariamente fuori di voi e in voi fosse giunta dall’esterno, per rendere possibile la sintesi che dovete intraprendere, essa vi dovrebbe esser pervenuta per esempio attraverso i sensi. Tuttavia i sensi ci danno puramente e semplicemente un che di soggettivo, della specie di quello su indicato: la materia in quanto tale non cade affatto sotto i sensi, mentre può essere ideata o pensata soltanto dall’immaginazione produttiva. Un individuo non esercitato nell’astrazione potrebbe forse obiettare che pur se la materia non è
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noch gerochen; aber er fällt in den Sinn des Gefühls (tactus), möchte vielleicht ein im Abstrahieren Ungeübter einwerfen. Aber dieser Sinn kündigt sich doch nur durch die Empfindung eines Widerstandes, eines Nicht-Könnens an, das subjektiv ist; das Widerstehende wird doch hoffentlich nicht gefühlt, sondern nur geschlossen. Er geht nur auf die Oberfläche, und diese kündigt sich immer durch irgendein Subjektives an, daß sie z. B. rauh oder gelind, kalt oder warm, hart oder weich, u. dgl. ist; nicht aber in das Innere des Körpers. Warum verbreitet ihr denn zuvörderst diese Wärme, oder Kälte, die ihr fühlt (zusamt der Hand, mit welcher ihr sie fühlt) über eine ganze breite Fläche, und setzet sie nicht in einen einzigen Punkt? Dann, wie kommt ihr denn dazu, noch ein Inneres des Körpers zwischen den Flächen anzunehmen, das ihr doch nicht [441] fühlt? Dies geschieht offenbar durch die produktive Einbildungskraft. – Doch haltet ihr diesen Stoff für etwas Objektives, und das mit Recht, weil ihr alle über das Vorhandensein desselben übereinkommt, und übereinkommen müßt, da sich die Produktion desselben auf ein allgemeines Gesetz aller Vernunft gründet. 22) Der Trieb war gerichtet an die über sich selbst reflektierende, sich selbst als Ich bestimmende Tätigkeit desselben, als solche. Es liegt demnach ausdrücklich in der Bestimmung durch ihn, daß das Ich es sein solle, welches das Ding bestimmt – demnach, daß das Ich über sich selbst in diesem Bestimmen reflektieren solle. Es muß reflektieren, d. i. sich als das Bestimmende setzen. – (Wir werden zu dieser Reflexion zurückkommen. Hier betrachten wir sie bloß als ein Hilfsmittel, um in unsrer Untersuchung weiter vorzurücken). 23) Die Tätigkeit des Ich ist Eine, und sie kann nicht zugleich auf mehrere Objekte gehen. Sie sollte das Nicht-Ich, das wir X nennen wollen, bestimmen. Das Ich soll jetzt in diesem Bestimmen durch die gleiche
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vista, né udita, né gustata, né odorata, essa però cade sotto il senso del tatto (tactus). Nondimeno, questo senso si annuncia unicamente tramite la sensazione di una resistenza, di un’impotenza, il che è soggettivo; il resistente non è tuttavia, come si sperava, sentito bensì soltanto argomentato. Il tatto va unicamente alla superficie e questa si annunzia sempre per un qualcosa di soggettivo, ad esempio il suo essere ruvida o liscia, fredda o calda, dura o molle e simili, non si annunzia invece all’interno del corpo. Perché allora in primo luogo voi estendete questo caldo o freddo che sentite (insieme con la mano mediante la quale lo sentite) su un’intera vasta superficie, e non lo ponete in un unico punto147? Inoltre, come giungete poi ad assumere tra le superfici anche un interno del corpo, interno che però non sentite? Ciò avviene palesemente ricorrendo all’immaginazione produttiva. – Tuttavia ritenete questa materia qualcosa di oggettivo, e a ragione, perché sul suo essere presente e disponibile voi tutti concordate, e dovete concordare, dato che la produzione di questa materia si fonda su una legge generale di ogni ragione. 22) L’impulso era diretto all’attività riflettente su se stessa, all’attività dell’io determinante se stessa quale io, a quest’attività in quanto tale. Sta pertanto espressamente nella determinazione mediante l’impulso il fatto che debba essere l’io a determinare la cosa – quindi che debba essere l’io a riflettere su se stesso in questa determinazione. Esso deve riflettere, in altri termini deve porsi come il determinante. – (Faremo ritorno su questa riflessione. Qui la consideriamo semplicemente come un mezzo per progredire ulteriormente nella nostra ricerca). 23) Unica è l’attività dell’io e non può dirigersi nel contempo su più oggetti. Essa doveva determinare il non-io, che vogliamo chiamare X. Adesso, in questo determinare, l’io deve riflettere su se stesso tramite la
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Tätigkeit, wie sich versteht, auf sich selbst reflektieren. Dies ist nicht möglich, ohne daß die Handlung des Bestimmens (des X) abgebrochen werde. Die Reflexion des Ich über sich selbst geschieht mit absoluter Spontaneität, mithin auch das Abbrechen. Das Ich bricht die Handlung des Bestimmens ab, durch absolute Spontaneität. 24) Das Ich ist demnach im Bestimmen beschränkt, und daraus entsteht ein Gefühl. Es ist beschränkt, denn der Trieb des Bestimmens ging nach außen ohne alle Bestimmung, d. i. in das Unendliche. – Er hatte überhaupt die Regel in sich, über das realiter durch sich selbst Bestimmte, als Eins, und ebendasselbe zu reflektieren; aber kein Gesetz, daß dasselbe, – daß in unserm Falle X, – gehen sollte bis B oder bis C usf. Jetzt ist dieses Bestimmen abgebrochen in einem bestimmten Punkte, den wir C nennen wollen. (Was dies für eine Begrenzung sei, lasse man indessen an seinen Ort gestellt; hüte sich aber, an eine Begrenzung im Raume zu denken. Es ist von einer Begrenzung der Intension die Rede, z. B. von dem, was das süße vom sauren, u. dergl. scheidet). Also es ist eine Beschränkung des Bestimmungstriebes da, als die Bedingung eines Gefühls. Es ist ferner eine Reflexion darüber da, als die andere Bedingung desselben. Denn indem die freie Tätigkeit des Ich das Bestimmen des Objekts abbricht, geht sie auf das Bestimmen, und die Begrenzung, den ganzen Umfang desselben, der eben dadurch ein Umfang wird. Aber dieser Freiheit seines Handelns wird das Ich sich nicht bewußt; daher wird die Begrenzung dem Dinge zugeschrieben. – Es ist ein Gefühl der Begrenzung des Ich durch die Bestimmtheit des Dinges, oder ein Gefühl eines Bestimmten, Einfachen. [442] 25) Wir beschreiben jetzt die Reflexion, welche an die Stelle des abgebrochnen, und durch ein Gefühl als
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medesima attività, com’è evidente. Ciò non è possibile senza che sia interrotta l’azione del determinare (di X). La riflessione dell’io su se stesso, conseguentemente anche l’interruzione, avviene con spontaneità assoluta. Per mezzo di una spontaneità assoluta l’io interrompe l’azione del determinare. 24) L’io, nel determinare, è quindi limitato e da ciò sorge un sentimento. È limitato perché l’impulso al determinare si diresse all’esterno senza alcuna determinazione, vale a dire all’infinito. – L’impulso aveva in sé generalmente la regola di riflettere su ciò che era determinato realiter da se stesso come unico e identico, ma non aveva alcuna legge, perché quello – X, nel nostro caso – dovesse giungere fino a B o fino a C e così via. Quest’azione del determinare è interrotta adesso in un punto determinato, che vogliamo chiamare C. (Per il momento si tralasci di considerare quale limitazione sia questa, evitando però di pensare a una limitazione nello spazio. Qui si tratta di una limitazione dell’intensità148, per esempio di ciò che distingue il dolce dall’acido e simili). Quale condizione di un sentimento v’è dunque una limitazione dell’impulso di determinazione. Inoltre, come altra condizione di quest’ultimo v’è una riflessione in merito. Infatti, mentre la libera attività dell’io interrompe l’azione che determina l’oggetto, essa si volge al determinare e alla limitazione, a tutta la sfera dell’oggetto la quale proprio così facendo diventa una sfera. Tuttavia tale libertà del suo agire non è consaputa dall’io, perciò la limitazione è attribuita alla cosa. – Questo di cui si sta parlando è insomma un sentimento della limitazione dell’io per opera della determinatezza della cosa, ovvero un sentimento di una realtà determinata, semplice. 25) Descriviamo ora la riflessione che si sostituisce alla determinazione interrotta e che si rivela come inter-
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abgebrochen sich verratenden Bestimmens tritt. – In ihr soll das Ich sich als Ich, d. i. als das in der Handlung sich selbst Bestimmende setzen. Es ist klar, daß das, als Produkt des Ich Gesetzte nichts anderes sein könne, als eine Anschauung von X ein Bild desselben, keineswegs aber X selbst, wie aus theoretischen Grundsätzen, und selbst aus dem oben Gesagten erhellet. Es wird gesetzt als Produkt des Ich in seiner Freiheit, heißt: es wird als zufällig gesetzt, als ein solches, das nicht notwendig so sein müßte, wie es ist, sondern auch anders sein könnte. – Würde das Ich seiner Freiheit im Bilden (dadurch daß es auf die gegenwärtige Reflexion selbst wieder reflektierte) sich bewußt, so würde das Bild gesetzt als zufällig in Beziehung auf das Ich. Eine solche Reflexion findet nicht statt; es muß demnach zufällig gesetzt werden in Beziehung auf ein anderes Nicht-Ich, das uns bis jetzt noch gänzlich unbekannt ist. Wir erörtern dies hier im allgemeinen Gesagte vollständiger. X mußte, um dem Gesetze der Bestimmung angemessen zu sein, durch sich selbst bestimmt (bestimmt und bestimmend zugleich) sein. Dies nun ist es laut unsers Postulats. Nun soll X ferner, vermöge des vorhandnen Gefühls, gehen bis C und nicht weiter; aber auch bestimmt so weit. (Was dies sagen wolle, wird sich bald zeigen). Von dieser Bestimmung liegt im idealiter bestimmenden, oder anschauenden Ich gar kein Grund. Es hat dafür kein Gesetz. (Geht etwa das sich selbst Bestimmende nur so weit? Teils wird sich zeigen, daß lediglich an sich selbst betrachtet dies weiter, d. i. bis in die Unendlichkeit hinausgehe; teils, wenn auch etwa da, in dem Dinge, ein Unterschied sein sollte, wie kommt er in den Wirkungskreis des idealen Ich? Wie
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rotta per opera di un sentimento. – In essa l’io deve porsi come io, in altri termini come l’elemento che, agendo, si autodetermina nell’azione. È chiaro che quanto è posto quale prodotto dell’io non può essere altro che un’intuizione di X, una sua immagine e tuttavia in nessun modo X stesso, come risulta evidente dai principi teoretici e anche da quanto spiegato sopra. Asserire che è posto quale prodotto dell’io nella sua libertà, significa: è posto come contingente, come tale che non dovrebbe necessariamente essere così com’è ma potrebbe essere anche altrimenti. – Se l’io fosse consapevole della sua libertà nell’immaginare (tornando così a riflettere sulla medesima, presente riflessione), l’immagine sarebbe posta come contingente in relazione all’io. Una tale riflessione non ha luogo: di conseguenza l’immagine dev’esser posta contingente in relazione a un altro non-io che finora ci rimane del tutto ignoto. Poniamo a questo punto in discussione, trattandolo in maniera più articolata, ciò che abbiamo detto per linee generali. Per essere conforme alle leggi della determinazione, X doveva essere determinato da se se stesso (determinato e insieme determinante). Ora esso è tale, secondo il nostro postulato. Inoltre, in virtù del sentimento che si rende presente, X deve giungere sino a C e non oltre, ma nella stessa misura deve altresì essere determinato. (Che cosa ciò voglia dire, verrà presto in luce). Nell’io che idealiter determina o intuisce non v’è fondamento di questa determinazione. A tale riguardo esso non ha alcuna legge. (Ciò che determina se stesso non va forse soltanto sin là? Per un verso si mostrerà che, considerato esclusivamente in se stesso, esso giunge più lontano, vale a dire procede all’infinito; d’altro canto, se per esempio anche nella cosa dovesse esserci una differenza, in che modo questa rientra nella sfera d’azione dell’io ideale? In che
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wird er diesem zugänglich, da dasselbe mit dem NichtIch gar keinen Berührungspunkt hat, lediglich insofern idealiter tätig ist, inwiefern es keinen solchen Berührungspunkt hat, und durch das Nicht-Ich nicht begrenzt wird? – Populär ausgedrückt: warum ist süß etwas anderes, als sauer, demselben entgegengesetzt? Überhaupt etwas Bestimmtes ist beides. Aber außer diesem allgemeinen Charakter, welches ist ihr Unterscheidungsgrund? Lediglich in der idealen Tätigkeit kann er nicht liegen, denn von beiden ist kein Begriff möglich. Dennoch muß er wenigstens zum Teil im Ich liegen; denn es ist ein Unterschied für das Ich). Demnach schwebt das ideale Ich mit absoluter Freiheit über und innerhalb der Grenze. Seine Grenze ist völlig unbestimmt. Kann es in dieser Lage blei-[443]ben? Keineswegs; denn es soll jetzt, laut des Postulats über sich selbst in dieser Anschauung reflektieren, sich mithin in derselben bestimmt setzen; denn alle Reflexion setzt Bestimmung voraus. Die Regel der Bestimmung überhaupt ist uns wohl bekannt; es ist etwas nur insofern bestimmt, inwiefern es durch sich selbst bestimmt ist. Demnach müßte das Ich in jenem Anschauen des X sich selbst die Grenze seines Anschauens setzen. Es müßte sich durch sich selbst bestimmen, eben den Punkt C als Grenzpunkt zu setzen, und X würde demnach durch die absolute Spontaneität des Ich bestimmt. 26) Aber – diese Argumentation ist wichtig – X ist ein solches, das sich nach dem Gesetze der Bestimmung überhaupt, durch sich selbst bestimmt, und es ist lediglich insofern Gegenstand der postulierten Anschauung, inwiefern es sich durch sich selbst bestimmt. – Wir haben zwar bis jetzt nur von der innern Bestimmung des Wesens geredet; aber die äußere der Begrenzung folgt daraus unmittelbar. X = X
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modo quella differenza diviene accessibile a quest’ultimo, dal momento che esso non ha alcun punto di contatto con il non-io, anzi è idealiter attivo esclusivamente nella misura in cui non ha assolutamente un tale punto di contatto e non è limitato dal non-io? – Esprimendoci in tono popolare: perché il dolce è qualcosa di diverso dall’acido e gli è opposto? In generale sono tutt’e due qualcosa di determinato. Eppure, al di fuori di questa caratteristica generale, qual è il loro fondamento di distinzione? Esso non può trovarsi esclusivamente nell’attività ideale, perché non è possibile alcun concetto di entrambi. Ciò nonostante esso, almeno in parte, dev’essere riposto nell’io: è per l’io, infatti, che c’è una differenza). Pertanto l’io ideale oscilla con assoluta libertà al di là e al di qua del limite. Il suo limite è del tutto indeterminato. Può rimanere in questa condizione? In nessun modo, dovendo ora, conformemente al postulato, riflettere su se stesso in tale intuizione e in quest’ultima porsi conseguentemente come determinato: ogni riflessione presuppone, infatti, una determinazione. La regola della determinazione in generale ci è ben nota: qualcosa è determinato solamente nella misura in cui è determinato da sé. In quell’intuizione dell’X, l’io dovrebbe pertanto porre a se stesso il limite del suo intuire. Dovrebbe autodeterminarsi a porre esattamente il punto C quale punto-limite, ed X sarebbe quindi determinato dalla spontaneità assoluta dell’io. 26) Tuttavia – e quest’argomentazione è importante – X è tale che si determina da se stesso secondo la legge della determinazione in generale ed è oggetto dell’intuizione postulata esclusivamente nella misura in cui si determina attraverso se stesso. – Finora abbiamo sì parlato soltanto della determinazione interna dell’essere, ma la determinazione esterna della limitazione
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inwiefern es bestimmt, und bestimmend zugleich ist, und es geht soweit, soweit es das ist, z. B. bis C. Soll das Ich X richtig, und der Sache angemessen begrenzen, so muß es dasselbe in C begrenzen, und man könnte daher nicht sagen, die Begrenzung geschehe durch absolute Spontaneität. Beides widerspricht sich, und dürfte eine Unterscheidung nötig machen. 27) Aber – die Begrenzung**** in C wird bloß gefühlt, und nicht angeschaut. Die frei gesetzte soll bloß angeschaut, und nicht gefühlt werden. Beides aber, Anschauung und Gefühl haben keinen Zusammenhang. Die Anschauung sieht, aber sie ist leer; das Gefühl bezieht sich auf Realität, aber es ist blind. – Doch soll X der Wahrheit nach, und so wie es begrenzt ist, begrenzt werden. Demnach wird eine Vereinigung, ein synthetischer Zusammenhang des Gefühls, und der Anschauung gefordert. Wir untersuchen die letztere noch weiter, und dadurch werden wir unvermerkt auf den Punkt kommen, den wir suchen. 28) Das Anschauende soll X durch absolute Spontaneität begrenzen, und zwar so, daß X als lediglich durch sich selbst begrenzt erscheine – war die Forderung. Diese wird dadurch erfüllt, wenn die ideale Tätigkeit durch ihr absolutes Produktionsvermögen, über X hinaus (im Punkte B C D usw. denn den bestimmten Grenzpunkt kann die ideale Tätigkeit weder selbst setzen, noch kann er ihr unmittelbar gegeben werden) ein Y setzt. – Dieses Y als entgegengesetzt einem innerlich Bestimmten, einem Etwas, muß 1) selbst [444] Etwas sein, d. i. bestimmt, und bestimmend zugleich nach dem Gesetze der Bestimmtheit überhaupt 2) es soll X entgegengesetzt sein oder dasselbe begrenzen, d. h. zu X, inwiefern es bestimmend ist, verhält sich Y nicht wie das Bestimmte, und inwiefern es bestimmt ist, verhält sich Y nicht dazu wie das Bestimmende; und umge-
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ne segue immediatamente. X = X nella misura in cui esso è determinato e insieme determinante, ed esso procede tanto quanto è, per esempio fino a C. Se l’io deve limitare X esattamente e adeguatamente alla cosa, è necessario che lo limiti in C, e pertanto non si potrebbe dire che la limitazione avvenga tramite una spontaneità assoluta. Le due istanze si contraddicono e potrebbe rendersi necessaria una distinzione. 27) Però: la limitazione149 in C è semplicemente sentita e non intuita. La limitazione liberamente posta dev’essere semplicemente intuita e non sentita. Ma intuizione e sentimento non hanno, tutt’e due, alcuna connessione. L’intuizione vede eppure è vuota; il sentimento si mette in relazione con la realtà eppure è cieco. – Tuttavia X dev’essere limitato secondo la verità e così com’esso è limitato. È pertanto richiesta un’unificazione, una connessione sintetica del sentimento e dell’intuizione. Esaminiamo quest’ultima ancora più a fondo e così facendo perverremo, senz’accorgercene, al punto che cerchiamo. 28) L’intuente deve, tramite spontaneità assoluta, limitare X e precisamente in modo tale che X appaia come limitato esclusivamente da se stesso: tale era l’esigenza. Esigenza che viene soddisfatta se l’attività ideale, ricorrendo alla sua facoltà di produzione assoluta, pone un Y al di là di X (nel punto B, C, D e così via: l’attività ideale non può, infatti, porre essa stessa il punto-limite determinato, né quest’ultimo può esserle dato immediatamente). – Questo Y, in quanto contrapposto a un termine internamente determinato, a un qualcosa, deve: 1. essere anch’esso qualcosa, ossia, stando alla legge della determinatezza in generale, essere determinato e insieme determinante; 2. essere contrapposto a X o limitarlo, vale a dire che Y non si rapporta a X come il determinato nella misura in cui questo è il determinante, e nella misura in cui X è il
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kehrt. Es soll nicht möglich sein, beide zusammenzufassen, auf beide zu reflektieren, als auf Eins. (Es ist wohl zu merken, daß hier die Rede nicht ist von relativer Bestimmung, oder Begrenzung; in dieser stehen sie allerdings; sondern von innerer, in dieser stehen sie nicht. Jeder mögliche Punkt von X steht mit jedem möglichen Punkte von X in Wechselwirkung; so auch in Y. Nicht aber jeder Punkt von Y steht mit jedem von X in Wechselwirkung, und umgekehrt. Sie sind beide Etwas; aber jedes ist etwas anderes; und dadurch kommen wir denn erst zum Aufwerfen und zur Beantwortung der Frage: Was sind sie? Ohne Gegensetzung ist das ganze Nicht-Ich Etwas, aber es ist kein bestimmtes, besonderes Etwas, und die Frage: Was ist dies oder jenes, hat gar keinen Sinn, denn sie wird lediglich Gegensetzung beantwortet). Dies ist es, wozu der Trieb die ideale Tätigkeit bestimmt; das Gesetz der geforderten Handlung ist nach der obigen Regel leicht zu deduzieren, nämlich: X und Y sollen sich wechselseitig ausschließen. Wir können diesen Trieb, inwiefern er, wie hier, bloß an die ideale Tätigkeit sich richtet, nennen den Trieb nach Wechselbestimmung. 29) Der Grenzpunkt C wird lediglich durch das Gefühl gesetzt; mithin kann das über C hinausliegende Y inwiefern es gerade in C angehen soll, auch nur durch Beziehung auf das Gefühl gegeben werden. Das Gefühl allein ist, welches beide in der Grenze vereinigt. – Der Trieb der Wechselbestimmung geht demnach zugleich aus auf ein Gefühl. In ihm sind daher ideale Tätigkeit und Gefühl innig vereinigt; in ihm ist das ganze Ich Eins. – Wir können ihn insofern nennen den
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determinato Y non si gli si rapporta come il determinante, e viceversa. Non dev’essere possibile coglierli entrambi unitariamente, riflettere sull’uno e sull’altro come su un’unica cosa. (Va ben osservato che qui non si tratta di determinazione o limitazione relativa: in una tale relazione X e Y stanno veramente; si tratta invece della determinazione o limitazione interna, nel quale rapporto essi non stanno. Ogni punto possibile di X si trova in azione reciproca si trova in azione reciproca con ogni punto possibile di X, e così anche in Y. Tuttavia non ogni punto di Y si relaziona in azione reciproca con ogni punto di X, e viceversa. Ambedue sono qualcosa però ciascuno è qualcosa d’altro, e solamente con ciò giungiamo a sollevare l’interrogativo: che cosa sono essi?, e a rispondergli. Senza opposizione l’intero non-io è qualcosa eppure non qualcosa di determinato, di particolare e la domanda: Che cos’è questo o quello? non ha senso150, perché essa trova risposta esclusivamente per opposizione). È questo ciò a cui l’impulso determina l’attività ideale; la legge dell’azione richiesta è facile da dedurre secondo la regola di cui sopra, cioè: X e Y devono escludersi vicendevolmente. Nella misura in cui quest’impulso, come qui, si dirige semplicemente all’attività ideale, noi possiamo chiamarlo l’impulso alla determinazione reciproca. 29) Il punto-limite C è posto esclusivamente dal sentimento, di conseguenza l’Y che si trova al di là di C, nella misura deve cominciare proprio in C, può anch’esso esser dato unicamente da una messa in relazione al sentimento. Soltanto il sentimento riunisce l’uno e l’altro nel limite. – Dunque, l’impulso alla determinazione reciproca mira parimenti a un sentimento. Perciò in esso sono intimamente riunite attività ideale e sentimento, in esso l’io intero è un’unica cosa. – A tale riguardo noi possiamo chiamarlo l’im-
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Trieb nach Wechsel überhaupt. – Er ist es, der sich durch das Sehnen äußert; das Objekt des Sehnens ist etwas anderes, dem Vorhandnen Entgegengesetztes. Im Sehnen ist Idealität, und Trieb nach Realität innig vereinigt. Das Sehnen geht auf etwas anderes; dies ist nur möglich unter Voraussetzung einer vorhergegangenen Bestimmung durch ideale Tätigkeit. Es kommt ferner in ihm vor der Trieb nach Realität (als beschränkt) weil es gefühlt, nicht aber gedacht, oder dargestellt wird. Hier zeigt sich, wie in einem Gefühle ein Trei[445]ben nach außen, demnach die Ahnung einer Außenwelt vorkommen könne; weil es nämlich durch ideale Tätigkeit, die von aller Begrenzung frei ist, modifiziert wird. Hier zeigt sich ferner, wie eine theoretische Funktion des Gemüts sich auf das praktische Vermögen zurückbeziehen könne; welches möglich sein mußte, wenn das vernünftige Wesen jemals ein vollständiges Ganzes werden sollte. 30) Das Gefühl hängt nicht von uns ab, weil es von einer Begrenzung abhängt, und das Ich sich nicht selbst begrenzen kann. Nun soll ein entgegengesetztes Gefühl eintreten. Es ist die Frage: wird die äußere Bedingung, unter welcher allein ein solches Gefühl möglich ist, eintreten? Sie muß eintreten. Tritt sie nicht ein, so fühlt das Ich nichts Bestimmtes; es fühlt demnach gar Nichts; es lebt daher nicht, und ist kein Ich, welches der Voraussetzung der Wissenschaftslehre widerspricht. 31) Das Gefühl eines Entgegengesetzten ist die Bedingung der Befriedigung des Triebes, also der Trieb nach Wechsel der Gefühle überhaupt ist das Sehnen. Das Ersehnte ist nun bestimmt, aber lediglich durch das Prädikat, daß es sein soll etwas anderes für das Gefühl. 32) Nun kann das Ich nicht zweierlei zugleich fühlen, denn es kann nicht begrenzt in C und zugleich nicht-
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pulso allo scambio in generale. – È quest’impulso che si manifesta attraverso l’anelare: l’oggetto dell’anelare è qualcosa d’altro, di contrapposto a ciò che è presentemente disponibile. Idealità e impulso alla realtà sono strettamente uniti nell’anelare. L’anelare mira a qualcos’altro, ciò è possibile soltanto presupponendo una determinazione precedente tramite attività ideale. L’impulso alla realtà (come limitata) compare inoltre nell’anelare perché è sentito ma non pensato o rappresentato. Viene qui in luce come in un sentimento possa ricorrere una spinta all’esterno, dunque il presentimento di un mondo esterno, perché esso è modificato dall’attività ideale che è libera da ogni limitazione. Qui si mostra inoltre come una funzione teoretica del sentimento possa ricondursi alla facoltà pratica, il che era necessario fosse pur possibile, se l’essere ragionevole doveva una buona volta diventare un tutto compiuto. 30) Il sentimento non dipende da noi perché dipende da una limitazione e l’io non può limitare se stesso. Ora deve sopraggiungere un sentimento contrapposto. L’interrogativo è: si verificherà la condizione esterna sotto la quale soltanto un tale sentimento è possibile? Essa deve sopraggiungere. Se non si presenta, l’io non sente alcunché di determinato, dunque non sente nulla del tutto, esso perciò non vive e non è un io, cosa che contraddice il presupposto della dottrina della scienza. 31) Il sentimento di un contrapposto è la condizione della soddisfazione dell’impulso, per cui l’impulso allo scambio reciproco dei sentimenti in generale è l’anelare. L’oggetto dell’anelare è ora determinato, ma esclusivamente tramite il predicato che debba essere qualcos’altro151 per il sentimento. 32) Ebbene, l’io non può sentire in due modi ad un tempo, non può infatti essere limitato in C e contem-
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begrenzt in C sein. Also der veränderte Zustand kann als veränderter Zustand nicht gefühlt werden. Das andere müßte daher lediglich durch die ideale Tätigkeit angeschaut werden, als etwas anderes und dem gegenwärtigen Gefühle Entgegengesetztes. – Es wäre demnach im Ich notwendig immer zugleich vorhanden Anschauung, und Gefühl, und beide wären synthetisch vereinigt in einem und demselben Punkte. Nun kann ferner die ideale Tätigkeit keines Gefühls Stelle vertreten, oder eins erzeugen; sie könnte demnach ihr Objekt nur dadurch bestimmen, daß es nicht sei das Gefühlte; daß ihm alle mögliche Bestimmungen zukommen können, außer der im Gefühle vorhandnen. Dadurch bleibt das Ding für die ideale Tätigkeit immer nur negativ bestimmt; und das Gefühlte wird dadurch gleichfalls nicht bestimmt. Es läßt sich da kein Mittel der Bestimmung erdenken, als das ins Unendliche fortgesetzte negative Bestimmen. (So ist es allerdings. Was heißt z. B. süß? Zuvörderst etwas, das sich nicht auf das Gesicht, das Gehör, usf. sondern auf den Geschmack bezieht. Was der Geschmack sei, müßt ihr schon durch Empfindung wissen, und könnt es euch durch die Einbildungskraft, aber nur dunkel, und negativ (in einer Synthesis [446] alles dessen, was nicht Geschmack ist), vergegenwärtigen. Ferner, unter dem, was sich auf den Geschmack bezieht, ist es nicht sauer, bitter, usf. so viele besondre Bestimmungen des Geschmacks ihr etwa aufzuzählen wißt. Wenn ihr aber auch die euch bekannten Geschmacksempfindungen alle aufgezählt hättet, so können euch doch immer neue, bis jetzt euch unbekannte gegeben werden, von denen ihr dann urteilen werdet: sie sind nicht süß. Mithin bleibt die Grenze zwischen süß, und allen euch bekannten Geschmacksempfindungen noch immer unendlich.)
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poraneamente non limitato in C. Così lo stato modificato non può essere sentito come stato modificato. L’altro sentimento non dovrebbe di conseguenza essere intuito152 esclusivamente attraverso l’attività ideale, come qualcosa d’altro e di contrapposto al sentimento presente. – Dunque, intuizione e sentimento sarebbero necessariamente presenti e disponibili nell’io, sempre assieme, e l’uno e l’altro sarebbero sinteticamente unificati in un solo e medesimo punto. Ebbene, l’attività ideale inoltre non può sostituirsi ad un sentimento, né produrne alcuno: potrebbe pertanto determinare il suo oggetto soltanto così facendo: con il fatto che esso non è il sentito, che possono spettargli tutte le determinazioni possibili eccetto quelle disponibili nel sentimento. Con ciò la cosa rimane sempre determinata soltanto negativamente per l’attività ideale, e con ciò l’oggetto del sentimento è parimenti non determinato. Non si può pertanto escogitare un mezzo di determinazione al di fuori del determinare in modo negativo reiterato all’infinito. (E così è veramente. Cosa significa, per esempio, dolce? In primo luogo qualcosa che non si riferisce alla vista, all’udito e così via, bensì al gusto. Che cosa sia il gusto dovete già saperlo in virtù della sensazione e potete rammentarvelo tramite l’immaginazione tuttavia soltanto oscuramente e negativamente (in una sintesi di tutto ciò che non è gusto). Inoltre il dolce, fra tutto ciò che si rapporta al gusto, non è acido, amaro ecc., per quante determinazioni particolari del gusto, per esempio, voi sappiate enumerare. Tuttavia se aveste altresì elencato tutte le sensazioni gustative a voi note, ciò nonostante possono esservi date sensazioni sempre nuove, finora a voi sconosciute, delle quali poi giudicherete: esse non sono dolci. Di conseguenza il limite tra il dolce e tutte le altre sensazioni di gusto a voi note resta pur sempre infinito).
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Die einzige noch zu beantwortende Frage wäre folgende: Wie gelangt es an die ideale Tätigkeit, daß der Zustand des Fühlenden sich verändert hat? – Vorläufig: dies entdeckt sich durch die Befriedigung des Sehnens, durch ein Gefühl; – aus welchem Umstande viel Wichtiges erfolgen wird.
§. 11. Achter Lehrsatz. Die Gefühle selbst müssen entgegengesetzt werden können. 1) Das Ich soll durch ideale Tätigkeit ein Objekt Y dem Objekt X entgegensetzen; es soll sich setzen, als verändert. Aber es setzt Y nur auf Veranlassung eines Gefühls, und zwar eines andern Gefühls. – Die ideale Tätigkeit ist lediglich von sich selbst abhängig, und nicht vom Gefühl. Es ist im Ich ein Gefühl X vorhanden, und in diesem Falle kann, wie gezeigt worden, die ideale Tätigkeit das Objekt X nicht begrenzen, nicht angeben was es ist. Nun soll im Ich ein anderes Gefühl = Y entstehen, laut unsers Postulats; und jetzt soll die ideale Tätigkeit das Objekt X bestimmen, d. i. ihm ein bestimmtes Y entgegensetzen können. Die Veränderung, und der Wechsel im Gefühl soll daher auf die ideale Tätigkeit Einfluß haben können. Es fragt sich, wie das geschehen möge. 2) Die Gefühle selbst sind verschieden, für irgendeinen Zuschauer außer dem Ich, aber sie sollen für das Ich selbst verschieden sein, d. h. sie sollen als entgegengesetzte gesetzt werden. Dies kommt nur der idealen Tätigkeit zu. Es [447] müssen demnach beide Gefühle gesetzt, damit sie beide gesetzt werden können, synthetisch vereinigt, aber auch entgegengesetzt werden. Wir haben daher folgende drei Fragen zu beantworten a.) wie wird ein Gefühl gesetzt? B.) wie werden Gefühle
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L’unica questione che attende ancora una risposta sarebbe la seguente: in che modo all’attività ideale occorre di cogliere che lo stato senziente sia modificato? – Per ora: questo si svela mediante il soddisfacimento dell’anelare, mediante un sentimento – circostanza dalla quale risulterà qualcosa di assai rilevante.
§ 11. Ottavo teorema I sentimenti stessi devono poter essere contrapposti 1) Ricorrendo all’attività ideale, l’io deve contrapporre un oggetto Y all’oggetto X, deve porsi come mutato. Tuttavia esso pone Y soltanto per iniziativa di un sentimento, e precisamente di un altro sentimento. – L’attività ideale dipende esclusivamente da se stessa, non dal sentimento. Nell’io è disponibile un sentimento X e in tal caso, come fu messo in luce, l’attività ideale non può limitare l’oggetto X né stabilire ciò che esso è. Ora, stante il nostro postulato, un altro sentimento = Y deve nascere nell’io e adesso l’attività ideale deve determinare l’oggetto X, cioè potergli contrapporre un determinato Y. Il mutamento e lo scambio reciproco nel sentimento devono conseguentemente poter avere influsso sull’attività ideale. Ci si domanda come ciò possa accadere. 2) Per un qualunque spettatore esterno all’io, i sentimenti stessi sono differenti, però devono essere differenti anche per l’io medesimo, in altri termini devono esser posti come contrapposti. Ciò spetta unicamente all’attività ideale. Pertanto tutt’e due i sentimenti devono esser posti affinché entrambi possano essere posti e sinteticamente unificati ma anche contrapposti. Di conseguenza abbiamo da rispondere ai tre interrogativi seguenti: a) com’è posto un senti-
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durch Setzen synthetisch vereinigt? c.) wie werden sie entgegengesetzt? 3) Ein Gefühl wird durch ideale Tätigkeit gesetzt: dies läßt sich nur folgendermaßen denken: das Ich reflektiert ohne alles Selbstbewußtsein über eine Beschränkung seines Triebes. Daraus entsteht zuvörderst ein Selbstgefühl. Es reflektiert wieder über diese Reflexion, oder setzt sich in derselben, als das Bestimmte und Bestimmende zugleich. Dadurch wird nun das Fühlen selbst eine ideale Handlung, indem die ideale Tätigkeit darauf übertragen wird. Das Ich fühlt, oder richtiger, empfindet etwas, den Stoff. – Eine Reflexion, von der schon oben die Rede gewesen, durch welche X erst Objekt wird. Durch die Reflexion über das Gefühl wird dasselbe Empfindung. 4) Es werden Gefühle durch ideales Setzen synthetisch vereinigt. Ihr Beziehungsgrund kann kein anderer sein, als der Grund der Reflexion über beide Gefühle. Dieser Grund der Reflexion war der: weil außerdem der Trieb nach Wechselbestimmung nicht befriedigt würde, nicht gesetzt werden könnte, als befriedigt, und weil, wenn dies nicht geschieht, kein Gefühl, und dann überhaupt kein Ich ist. – Also der synthetische Vereinigungsgrund der Reflexion über beide ist der, daß ohne Reflexion über beide, über keins von beiden, als über ein Gefühl, reflektiert werden könnte. Unter welcher Bedingung die Reflexion über das einzelne Gefühl nicht statthaben werde, läßt sich bald einsehen. – Jedes Gefühl ist notwendig eine Begrenzung des Ich; ist demnach das Ich nicht begrenzt, so fühlt es nicht; und kann es nicht als begrenzt gesetzt werden, so kann es nicht als fühlend gesetzt werden. Wenn demnach zwischen zwei Gefühlen das Verhältnis wäre, daß das eine nur durch das andere begrenzt, und bestimmt
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mento? b) come vengono sinteticamente unificati dei sentimenti dal porre? c) come sono contrapposti? 3) Un sentimento è posto dall’attività ideale: ciò è concepibile soltanto nel modo che segue: l’io senza alcuna autocoscienza riflette su una limitazione del suo impulso. Ne scaturisce anzitutto un sentimento di se stesso. L’io torna a riflettere su questa riflessione, ovvero si pone in essa come determinato e insieme determinante. Ora, così facendo il sentimento stesso diventa un’azione ideale, in quanto l’attività ideale vi è trasportata. L’io sente, o più esattamente, ha la sensazione di qualcosa, la materia. – Una riflessione, questa, di cui si è già trattato sopra e per mezzo della quale soltanto X diventa oggetto. Per mezzo della riflessione sul sentimento questo stesso diventa sensazione. 4) I sentimenti sono sinteticamente uniti dal porre ideale. Il loro fondamento di relazione non può essere altro che il fondamento della riflessione su ambedue i sentimenti. Tale fondamento di riflessione era il seguente: senza la riflessione, l’impulso alla determinazione reciproca non sarebbe soddisfatto, non potrebbe esser posto come soddisfatto e, se ciò non si verifica, non è possibile sentimento alcuno e quindi in generale non è possibile un io. – Dunque, il fondamento sintetico dell’unificazione della riflessione sui due sentimenti è che senza una riflessione su entrambi, non si potrebbe più riflettere su nessuno dei due come su un sentimento. È facilmente intuibile a quale condizione la riflessione su un singolo sentimento non possa aver luogo. – Ogni sentimento è necessariamente una limitazione dell’io: pertanto se l’io non è limitato, non sente; e se non può esser posto come limitato, non può esser posto come senziente. Se dunque fra due sentimenti vi fosse il rapporto per cui l’uno sarebbe limitato e determinato unicamente dall’altro, sarebbe allora
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würde, so könnte – da auf nichts reflektiert werden kann, ohne daß auf seine Grenze reflektiert werde, aber hier jedesmal das andre Gefühl die Grenze des einen ist – weder auf das eine noch auf das andre reflektiert werden, ohne daß auf beide reflektiert würde. 5) Sollen Gefühle in diesem Verhältnisse stehen, so muß in jedem etwas sein, das auf das andre hinweise. – Eine solche Beziehung haben wir denn auch wirklich gefunden. Wir haben ein Gefühl aufgezeigt, das mit einem Sehnen verbunden war; demnach mit einem Triebe nach Veränderung. Soll dieses Sehnen vollkommen bestimmt werden, so muß das andre, ersehnte aufgezeigt [448] werden. Nun ist auch wirklich ein solches anderes Gefühl postuliert worden. Dasselbe mag an sich das Ich bestimmen, wie es wolle: inwiefern es ein ersehntes, und das ersehnte ist, muß es sich auf das erstere beziehen, und in Rücksicht desselben begleitet sein von einem Gefühle der Befriedigung. Das Gefühl des Sehnens läßt sich nicht setzen, ohne eine Befriedigung, auf die dasselbe ausgeht; und die Befriedigung nicht, ohne Voraussetzung eines Sehnens, das befriedigt wird. Da wo das Sehnen aufhört, und die Befriedigung angeht, da geht die Grenze. 6) Es fragt sich nur noch, wie die Befriedigung sich im Gefühl offenbare? – Das Sehnen entstand aus einer Unmöglichkeit des Bestimmens, weil es an der Begrenzung fehlte; es war daher in ihm ideale Tätigkeit, und Trieb nach Realität vereinigt. Sobald ein anderes Gefühl entsteht, wird 1) die geforderte Bestimmung, die vollkommne Begrenzung des X möglich, und geschieht wirklich, da der Trieb, und die Kraft dazu da ist 2) eben daraus, daß sie geschieht, folgt, daß ein anderes Gefühl da sei. Im Gefühle an sich, als Begrenzung,
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impossibile – giacché è impossibile riflettere su qualcosa senza riflettere sul suo limite, qui invece un sentimento è ogni volta il limite dell’altro – riflettere sull’uno o l’altro sentimento senza riflettere su entrambi i sentimenti. 5) Se i sentimenti devono stare in questo rapporto, è necessario che vi sia in ognuno qualcosa che rinvia all’altro. – Noi abbiamo effettivamente trovato una relazione siffatta. Abbiamo indicato un sentimento che era congiunto con un anelare, e quindi con un impulso al cambiamento. Se questo anelare dev’essere perfettamente determinato, è necessario che sia indicato l’altro sentimento, oggetto dell’anelare. Ora, un tale altro sentimento è stato postulato anche effettivamente. L’io può determinare in sé questo medesimo sentimento come vuole: nella misura in cui questo è un oggetto dell’anelare e l’oggetto dell’anelare153, dev’essere in relazione con il primo sentimento e dev’essere accompagnato da un sentimento di soddisfazione riguardo ad esso. Il sentimento dell’anelare non si lascia porre senza una soddisfazione alla quale esso stesso aspira, e la soddisfazione non può esser posta senza presupposto un anelare che viene soddisfatto. Il limite corre laddove cessa l’anelare e comincia la soddisfazione. 6) Ci si domanda ancora soltanto in che modo la soddisfazione si manifesta nel sentimento. – L’anelare sorse da un’impossibilità del determinare perché mancava di limitazione, in esso erano perciò unificate attività ideale e impulso alla realtà. Appena nasce un altro sentimento, 1) la determinazione richiesta, la perfetta limitazione dell’X diviene possibile ed effettivamente avviene, poiché ci sono l’impulso e la forza per un tale scopo; 2) proprio dal fatto che essa ha luogo segue che c’è un altro sentimento. Nel sentimento in
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ist gar kein Unterschied, und kann keiner sein. Aber daraus, daß etwas möglich wird, was ohne Veränderung des Gefühls nicht möglich war, folgt, daß der Zustand des Fühlenden verändert worden. 3) Trieb und Handlung sind jetzt Eins, und ebendasselbe; die Bestimmung, die der erstere verlangt, ist möglich, und geschieht. Das Ich reflektiert über dies Gefühl und sich selbst in demselben, als das Bestimmende und Bestimmte zugleich, als völlig einig mit sich selbst; und eine solche Bestimmung des Gefühls kann man nennen Beifall. Das Gefühl ist von Beifall begleitet. 7) Das Ich kann diese Übereinstimmung des Triebes, und der Handlung nicht setzen, ohne beide zu unterscheiden; es kann aber beide nicht unterscheiden, ohne etwas zu setzen, in welchem sie entgegengesetzt sind. Ein solches ist nun das vorhergegangene Gefühl, welches daher notwendig mit einem Mißfallen (dem Gegenteile des Beifalls, der Äußerung der Disharmonie zwischen dem Triebe, und der Handlung) begleitet ist. – Nicht jedes Sehnen ist notwendig von Mißfallen begleitet, aber wenn dasselbe befriedigt wird, so entsteht Mißfallen am vorigen; es wird schal, abgeschmackt. 8) Die Objekte X und Y welche durch die ideale Tätigkeit gesetzt werden, sind jetzt nicht mehr bloß durch Gegensatz, sondern auch durch die Prädikate, mißfallend, und gefallend bestimmt. Und so wird fortbestimmt ins Unendliche, und die innern Bestimmungen der Dinge (die sich auf das Gefühl beziehen) sind nichts weiter, als Grade des Mißfallenden, oder Gefallenden. [449] 9) Bis jetzt ist jene Harmonie, oder Disharmonie, der Beifall oder das Mißfallen (als Zusammentreffen, oder Nicht-Zusammentreffen zweier Verschiednen, nicht aber als Gefühl) nur für einen möglichen Zuschauer da, nicht für das Ich selbst. Aber es soll bei-
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sé, come limitazione, non v’è nessunissima distinzione e non ve ne può essere. Dal fatto che diviene possibile qualcosa che non era possibile senza modificazione del sentimento segue tuttavia che lo stato del senziente è stato cambiato. 3) Impulso e azione sono adesso un’unica e medesima cosa, la determinazione che il primo richiede è possibile e avviene. L’io riflette su questo sentimento e su se stesso in tale sentimento, come il determinante e insieme il determinato, come perfettamente uno con se stesso, e si può chiamare consenso una tale determinazione del sentimento. Il sentimento è accompagnato da consenso. 7) L’io non può porre questo accordo dell’impulso e dell’azione senza distinguere l’uno dall’altro, ma non può distinguerli se non ponendo qualcosa in cui essi sono contrapposti. Ebbene, un qualcosa siffatto è il sentimento precedente, il quale è perciò necessariamente accompagnato da una riprovazione (l’opposto del consenso, la manifestazione della disarmonia tra l’impulso e l’azione). – Non ogni anelare è necessariamente accompagnato da disapprovazione, però se esso è soddisfatto sorge allora disapprovazione per ciò che l’aveva preceduto, per ciò che diviene insipido e scontato. 8) Gli oggetti X e Y che sono posti dall’attività ideale adesso non sono più determinati semplicemente per opposizione ma anche attraverso i predicati riprovevole e approvabile. E così si prosegue all’infinito e le determinazioni interne delle cose (che si riferiscono al sentimento) non sono altro che gradi del riprovevole o dell’approvabile. 9) È soltanto per uno spettatore possibile e non per l’io stesso che esistono sinora quell’armonia o disarmonia, il consenso o la disapprovazione (quale incontrarsi o non-incontrarsi di due termini diversi, ma non come sentimento). tuttavia l’uno e l’altro devono
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des auch für das letztere da sein, und durch dasselbe gesetzt werden – ob bloß idealisch durch Anschauung, oder durch eine Beziehung auf das Gefühl, wissen wir hier noch nicht. 10) Was entweder idealisch gesetzt, oder gefühlt werden soll, dafür muß sich ein Trieb aufzeigen lassen. Nichts ist ohne Trieb im Ich, was in ihm ist. Es müßte sich daher ein Trieb, der auf jene Harmonie ausginge, aufzeigen lassen. 11) Harmonierend ist, was sich gegenseitig als das Bestimmte, und Bestimmende betrachten läßt. – Doch soll das Harmonierende nicht Eins, sondern ein harmonierendes Zwiefaches sein; mithin wäre das Verhältnis folgendes: A muß in sich selbst überhaupt bestimmt, und bestimmend zugleich sein, so auch B. Nun muß aber noch eine besondre Bestimmung (die Bestimmung des Wie weit) in beiden sein, in Rücksicht welcher A das Bestimmende ist, wenn B gesetzt wird als das Bestimmte, und umgekehrt. 12) Ein solcher Trieb liegt im Triebe der Wechselbestimmung. – Das Ich bestimmt X durch Y und umgekehrt. Man sehe auf sein Handeln in beiden Bestimmungen. Jede dieser Handlungen ist offenbar bestimmt durch die andere, weil das Objekt jeder bestimmt ist durch das Objekt der andern. – Man kann diesen Trieb nennen den Trieb nach Wechselbestimmung des Ich durch sich selbst, oder den Trieb nach absoluter Einheit, und Vollendung des Ich in sich selbst. – (Der Umkreis ist jetzt durchlaufen: Trieb zur Bestimmung, zuvörderst des Ich; dann durch dasselbe des Nicht-Ich; – da das Nicht-Ich ein Mannigfaltiges ist, und darum kein Besonderes in sich, und durch sich selbst vollkommen bestimmt werden kann – Trieb nach Bestimmung desselben durch Wechsel; Trieb nach Wechselbestimmung des Ich durch sich selbst,
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esserci anche per l’io ed essere posti da esso – se semplicemente in via ideale per mezzo dell’intuizione o per mezzo di una relazione al sentimento, noi qui non sappiamo ancora. 10) È necessario che si possa indicare un impulso per ciò che dev’essere o posto idealmente o sentito. Nulla v’è nell’io che vi si trovi senza impulso. Si dovrebbe quindi poter indicare un impulso che pervenga a quell’armonia. 11) Armonizzante è ciò che si può considerare reciprocamente come determinato e determinante. – Tuttavia ciò che è armonizzante dev’essere non uno bensì doppio, una dualità che armonizza; di conseguenza il rapporto sarebbe il seguente: A dev’essere in se stesso, in generale, determinato e insieme determinante, e lo stesso anche B. Ora, in entrambi dev’esserci tuttavia ancora una particolare determinazione (la determinazione del “fin dove”) riguardo alla quale A è il determinante, quando B è posto come il determinato, e viceversa. 12) Un tale impulso si situa nell’impulso alla determinazione reciproca. – L’io determina X tramite Y e viceversa. Si badi al suo agire in ambedue le determinazioni. Ognuna di queste azioni è palesemente determinata attraverso l’altra, perché l’oggetto di ciascuna è determinato dall’oggetto dell’altra. – Si può chiamare quest’impulso l’impulso alla determinazione reciproca dell’io da se stesso, oppure l’impulso all’unità assoluta e completezza dell’io in se stesso. – (Il circolo è ora completamente percorso: impulso alla determinazione, dapprima nell’io, poi mediante proprio esso del non-io – poiché il non-io è un molteplice, e perciò nessun particolare può essere perfettamente determinato in sé e da se stesso – impulso a una determinazione del medesimo tramite scambio; impulso a una determinazione reciproca dell’io da se
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vermittelst jenes Wechsels. Es ist demnach eine Wechselbestimmung des Ich, und des Nicht-Ich, die, vermöge der Einheit des Subjekts, zu einer Wechselbestimmung des Ich durch sich selbst werden muß. So sind, nach dem schon ehemals aufgestellten Schema die Handlungsweisen des Ich durchlaufen und erschöpft, und das verbürgt die Vollständigkeit unsrer Deduktion der Haupt-Triebe des Ich, weil es das System der Triebe abrundet, und beschließt[)]. 13) Das Harmonierende, gegenseitig durch sich selbst Bestimmte, soll sein Trieb und Handlung. a) Beides soll sich betrachten lassen, als an sich bestimmt, [450] und bestimmend zugleich. Ein Trieb von der Art wäre ein Trieb, der sich absolut selbst hervorbrächte, ein absoluter Trieb, ein Trieb um des Triebes willen. (Drückt man es als Gesetz aus, wie es gerade um dieser Bestimmung willen auf einem gewissen Reflexionspunkte ausgedrückt werden muß, so ist ein Gesetz um des Gesetzes willen, ein absolutes Gesetz, oder der kategorische Imperativ – Du sollst schlechthin). Wo bei einem solchen Triebe das Unbestimmte liege, läßt sich leicht einsehen; nämlich er treibt uns ins Unbestimmte hinaus, ohne Zweck, (der kategorische Imperativ ist bloß formal ohne allen Gegenstand). b) Eine Handlung ist bestimmt, und bestimmend zugleich, heißt: es wird gehandelt, weil gehandelt wird, und um zu handeln, oder mit absoluter Selbstbestimmung und Freiheit. Der ganze Grund, und alle Bedingungen des Handelns liegen im Handeln. – Wo hier das Unbestimmte liege, zeigt sich ebenfalls sogleich: es ist keine Handlung, ohne ein Objekt; demnach müßte die Handlung zugleich ihr selbst das Objekt geben, welches unmöglich ist. 14) Nun soll zwischen beiden, dem Triebe, und dem Handeln, das Verhältnis sein, daß sie sich wechselseitig bestimmen. Ein solches Verhältnis erfordert zuvör-
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stesso, per mezzo di quello scambio. È pertanto una determinazione reciproca dell’io e del non-io che, grazie all’unità del soggetto, deve diventare una determinazione reciproca dell’io mediante se stesso. Così, stando allo schema già enunciato un tempo, le modalità d’azione dell’io sono percorse ed esaurite e questo garantisce la completezza della nostra deduzione degli impulsi principali dell’io perché ciò arrotonda e conclude il sistema degli impulsi‹)›. 13) L’armonizzante, determinato reciprocamente da se stesso, dev’essere impulso e azione. a) L’uno e l’altro devono poter essere considerati come in sé determinati e insieme determinanti. Un impulso di questo genere sarebbe un impulso che produce se stesso assolutamente, un impulso assoluto, un impulso in virtù dell’impulso. (Espresso quale legge, come dev’essere espresso, proprio in virtù di questa determinazione, a un certo punto della riflessione, allora è una legge in virtù di una legge, una legge assoluta, ossia l’imperativo categorico – Tu devi in assoluto). Si può intuire agevolmente dove stia l’indeterminato in un tale impulso: esso, infatti, ci spinge avanti nell’indeterminato, senza scopo (l’imperativo categorico è puramente e semplicemente formale, privo di alcun oggetto). b) Asserire che un’azione è determinata e insieme determinante significa: si agisce perché si agisce e per agire, ovvero con assoluta autodeterminazione e libertà. L’intero fondamento e tutte le condizioni dell’agire si trovano nell’agire. – Si vede parimenti subito dove si situi l’indeterminato in questo caso: non v’è azione senza oggetto, pertanto l’azione dovrebbe nel contempo dare a se stessa l’oggetto, la qual cosa è impossibile. 14) Ora, tra i due, l’impulso e l’agire, deve intercorrere il rapporto di un loro vicendevole determinarsi. Un tale rapporto richiede anzitutto che l’agire si lasci conside-
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derst, daß das Handeln sich betrachten lasse, als hervorgebracht durch den Trieb. – Das Handeln soll absolut frei sein, also durch gar nichts unwiderstehlich bestimmt, also auch nicht durch den Trieb. Es kann aber doch so beschaffen sein, daß es sich betrachten lasse, als durch ihn bestimmt, oder auch nicht. Wie nun aber diese Harmonie oder Disharmonie sich äußere, das ist eben die zu beantwortende Frage, deren Beantwortung sich sogleich von selbst finden wird. Dann erfordert dieses Verhältnis, daß der Trieb sich setzen lasse, als bestimmt durch die Handlung. – Im Ich kann nichts Entgegengesetztes zugleich sein. Trieb aber und Handlung sind hier entgegengesetzt. So gewiß demnach eine Handlung eintritt, ist der Trieb abgebrochen, oder begrenzt. Dadurch entsteht ein Gefühl. Auf den möglichen Grund dieses Gefühls geht die Handlung, setzt, realisiert ihn. Ist nun nach obiger Forderung das Handeln bestimmt durch den Trieb, so ist durch ihn auch das Objekt bestimmt; es ist dem Triebe angemessen, und das durch ihn geforderte. Der Trieb ist jetzt (idealiter) bestimmbar durch die Handlung; es ist ihm das Prädikat beizulegen, daß er ein solcher sei, der auf diese Handlung ausging. Die Harmonie ist da, und es entsteht ein Gefühl des Beifalls, das hier ein Gefühl der Zufriedenheit ist, der Ausfüllung, völligen Vollendung, (das aber nur [451] einen Moment, wegen des notwendig zurückkehrenden Sehnens, dauert). – Ist die Handlung nicht durch den Trieb bestimmt, so ist das Objekt gegen den Trieb, und es entsteht ein Gefühl des Mißfallens, der Unzufriedenheit, der Entzweiung des Subjekts mit sich selbst. – Auch jetzt ist der Trieb durch die Handlung bestimmbar; aber negativ; es war nicht ein solcher, der auf diese Handlung ausging.
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rare come prodotto dall’impulso. – L’agire dev’essere assolutamente libero, da nulla quindi determinato in modo irresistibile, perciò nemmeno dall’impulso. Tuttavia esso può essere conformato in modo che si possa considerarlo come determinato dall’impulso oppure no. Ma come si manifesti questa armonia o disarmonia è esattamente l’interrogativo a cui occorre rispondere e la cui risposta si troverà subito da sé. Quindi questo rapporto richiede che l’impulso si lasci porre come determinato dall’azione. – Nell’io non possono esservi termini contrapposti ad un tempo. Ma impulso e azione sono qui contrapposti. Pertanto, appena ha luogo un’azione, l’impulso interrotto oppure limitato. Con ciò sorge un sentimento. L’azione mira al possibile fondamento di questo sentimento, lo pone, lo realizza. Ora, se stando all’esigenza di cui sopra l’agire è determinato per via dell’impulso, tramite esso è determinato anche l’oggetto, esso è adeguato all’impulso ed è ciò che è richiesto da esso. L’impulso è ora (idealiter) determinabile attraverso l’azione: gli si può attribuire il predicato che esso sia un impulso che si dirige verso quest’azione. L’armonia è realizzata e ne nasce un sentimento di consenso, che qui è un sentimento di contentezza, di realizzazione, perfetto compimento (che però dura soltanto un momento a causa del necessario ritorno dell’anelare). – Se l’azione non è determinata tramite l’impulso, allora l’oggetto è contro154 l’impulso e ne nasce un sentimento di disapprovazione, di scontentezza, di divisione del soggetto con se stesso. – Anche ora l’impulso è determinabile attraverso l’azione, ma soltanto negativamente: esso non era tale da rivolgersi a quest’azione.
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15) Das Handeln, von welchem hier die Rede ist, ist wie immer ein bloß ideales, durch Vorstellung. Auch unsre sinnliche Wirksamkeit in der Sinnenwelt, die wir glauben, kommt uns nicht anders zu, als mittelbar durch die Vorstellung.
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15) L’agire di cui stiamo trattando è, come sempre, un agire puramente e semplicemente ideale, tramite rappresentazione. In nessun altro modo se non indirettamente, tramite la rappresentazione, ci si confà altresì la nostra sensibile capacità di produrre effetti nel mondo sensibile, al quale noi crediamo.
NOTE AL TESTO
1 Il testo di B ha invece: Premessa alla prima edizione. C aggiunge la nota seguente: Nella prima edizione questa prefazione apparve con la seconda emissione, ovvero con la Parte Terza della dottrina della scienza, la quale è stata stampata un po’ più tardi e fornita assieme al Compendio di ciò che contraddistingue la dottrina della scienza. Questo Compendio, che Fichte cita anche alla pagina successiva, era stato distribuito, infatti, assieme alla “Scienza del Pratico” (appunto la “Parte Terza” del Fondamento) ma anche alla “Prefazione” di tutta l’opera soltanto tra fine luglio e inizio agosto 1795. 2 Totalmente emendato nella seconda edizione del Concetto (uscita nel 1798, «migliorata e ampliata», per i tipi dell’editore Gabler di Jena e Lipsia), nella prima edizione tale § 8 costituisce da solo la terza sezione dell’opera, “Divisione ipotetica della dottrina della scienza”. In questo paragrafo, che anticipa la prima parte del Fondamento, è inoltre sottolineato, soprattutto verso la conclusione dello scritto, l’aspetto morale della dottrina della scienza. 3 Fichte si riferisce al filosofo Jakob Siegmund Beck (1761-1840), che nel febbraio 1795 pubblicò sugli «Annalen der Philosophie und des philosophischer Geistes» pubblicati ad Halle una recensione anonima particolarmente ostile, della quale egli stesso inserirà un estratto nelle “Aggiunte” alla seconda edizione del Concetto intendendo così esibire esemplarmente un caso di totale fraintendimento della sua filosofia. 4 Nota di C: Ciò non è stato colto con chiarezza da tutti coloro i quali ricordano che ciò che afferma il primo principio non figura tra i fatti della coscienza, o che li contraddice. Personalmente, traduco il termine Tathanlung con “azione-inatto” (vedi: Parole chiave), recependo l’indicazione fornita da Claudio Cesa nella sua monografia: Introduzione a Fichte, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 25. 5
C integra: leggi (quelle della logica generale).
6 Nel paragrafo citato del Concetto Fichte scrive infatti: «Qualora le leggi della riflessione che noi troviamo nel corso della scienza concordino con quelle che ipoteticamente presupponiamo quali regole
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NOTE AL TESTO
del nostro procedere, sono tuttavia esse stesse il risultato della loro precedente applicazione; e si scopre perciò qui un nuovo circolo: abbiamo presupposto certe leggi di riflessione e ora nel corso della scienza troviamo le medesime leggi, quelle presupposte sono dunque le uniche esatte» Über den Begriff der Wissenschaftslehre, cit., p. 144. Fichte s’era peraltro già soffermato sul circolo del pensiero al termine del § 4 del Concetto, trattando del rapporto tra il primo principio fondamentale e l’unicità del sistema del sapere: cfr. ivi, p. 133. 7
C integra: quella prima proposizione.
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C aggiunge il corsivo: fatto.
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Nota di C: In altri termini, espresso in modo affatto divulgativo (populär): ponendo A al posto del predicato, e conseguentemente in luogo di ciò che venne collocato al posto del soggetto, io so necessariamente del mio porre-il-soggetto (Subjektsetzten) e dunque di me stesso, a mia volta intuisco me stesso e per me io sono la medesima cosa. 10 Nota di C: Ora, in altri termini, termini coi quali l’ho espresso da tempo, tutto ciò significa: io è necessariamente identità del soggetto e dell’oggetto: soggetto-oggetto: ed è tale in assoluto, senza ulteriore mediazione. Questo, sostengo, significa ciò, malgrado che tale proposizione non sia intesa tanto facilmente né ponderata, come si potrebbe credere, secondo la sua alta importanza correntemente trascurata prima della dottrina della scienza; pertanto le precedenti spiegazioni in merito non possono essere trascurate. 11 In tale paragrafo Fichte scrive: «Esemplifico ciò che qui è stato
inferito per via sistematica: A = A è, fuor di dubbio, un principio logicamente corretto e, in quanto è tale, il suo significato è questo: se A è posto, allora A è posto. Di qui sorgono i due interrogativi: A è, dunque, posto? – e in quanto, e perché A è posto, se esso è posto – come in generale si connettono quel se e questo allora? Ponete che A, nella proposizione precedente, significhi io ed abbia quindi il suo contenuto determinato, in tal modo quella proposizione significherebbe anzitutto: io sono io: ovvero, se io sono posto, allora sono posto. Tuttavia, perché il soggetto della proposizione è il soggetto assoluto, il soggetto in tutto e per tutto, allora, in quest’unico caso, insieme con la forma della proposizione è posto in pari tempo il suo intimo contenuto: io sono posto, perché mi sono posto. Io sono perché sono. – La logica, dunque, dice: Se A è, è A; la dottrina della scienza: Perché A è, è A. E perciò alla domanda: A è, dunque, posto? la risposta sarebbe questa: Esso è posto, perché è posto. Ponete [secondariamente] che nella precedente proposizione A non significhi l’io bensì una qualche altra cosa, allora, stando a quanto detto
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sopra, si potrebbe intendere la condizione alla quale si può dire: A è posto, e come si sarebbe autorizzati a concludere: Se è posto A, allora è posto. – Infatti, la proposizione A = A vale originariamente soltanto dell’io: essa è tratta dal principio della Dottrina della scienza: io sono io; ogni contenuto, dunque, cui essa deve (soll) potersi applicare, deve necessariamente (muß) trovarsi nell’io ed essere compreso sotto di lui. Nessun A può quindi essere altro che un A posto nell’io ed allora la proposizione avrebbe questo senso: Ciò che nell’io è posto, è posto; se A è posto nell’io, allora esso è posto (in quanto, cioè, è posto come possibile, reale o necessario), e così essa è inconfutabilmente vera, se l’io dev’essere io – Se inoltre l’io è posto, perché è posto, allora tutto ciò che nell’io è posto, è posto, perché è posto; e se soltanto A è qualcosa posto nell’io, allora esso è posto, se è posto; ed anche al secondo interrogativo è data una risposta.» Über den Begriff der Wissenschaftslehre, cit., pp. 139-140. 12
Il filosofo ebreo lituano Salomon Maimon (1753-1800) fu studioso di Spinoza, Leibniz, Kant e ovviamente fervido ammiratore del filosofo, medico e giurista ebreo Mosé Maimonide (tanto da eleggerlo nello pseudonimo che ricopre il suo nome ebraico originario: Salomon ben Josua), autore nel XII secolo della celeberrima Guida dei perplessi. Fichte si confrontò con la speculazione di Maimon durante i primi mesi del 1794, all’epoca dell’elaborazione del Concetto, classificandola come esempio di pensiero scettico denigratore della dignità della filosofia. Confrontandola con la matematica, capace di costruire la realtà del proprio procedimento, sia induttivo sia deduttivo, e dunque anche del proprio prodotto, secondo Fichte nell’analisi di Maimon la filosofia sembrerebbe in grado di garantire il passaggio dal piano trascendentale a quello del particolare empirico. I testi di Maimon sui quali Fichte matura il proprio giudizio sono con ogni probabilità la dissertazione del 1792 Über die Progressen der Philosophie [Sui progressi della filosofia] e il saggio Die Kathegorien des Aristoteles [Le categorie di Aristotele, 1794]. 13 Cfr. I Kant, Kritik der reinen Vernunft, «Zweite Auflage 1787», in Kants gesammelten Schriften, Akad. Ausg., Bd. III, Berlin 1904, 19112 (= KrV) pp. 99-130, in particolare §§ 16-18; trad. it. di G. Colli, Critica della ragione pura, Einaudi, Torino 1957, pp. 141-212, in particolare pp. 155-168, ai paragrafi indicati. 14 15
Cfr. R. Descartes, Discorso sul metodo, IV.
Di Reinhold Fichte sta citando i Beiträge zur Berichtigung bisherigen Mißverständnisse der Philosophen, Erster Band, Mauke, Jena 1790.
660
NOTE AL TESTO
16 Cfr. B. Spinoza, Ethica ordine geometrico dimostrata, II, proposizioni: 5, dimostrazione; 10, corollario; 12. 17
C corregge: sia semplicemente un concetto generale.
18
Di qui in poi C conclude il paragrafo tra parentesi in quest’altro modo: «anche soltanto per poter porre un qualche oggetto io devo già saperlo, esso dev’essere dunque originariamente in me, il rappresentante, prima di ogni esperienza possibile. – E questa osservazione balza agli occhi tanto da essere fuori discussione che chi non la capisce e non ne viene elevato all’idealismo trascendentale dev’essere spiritualmente cieco)». 19
C adotta il corsivo: compito per l’azione.
20
C modifica integrando: con una deduzione che fa derivare il compito. 21
Cfr. I. Kant, KrV, p. 39, trad. it. cit., p. 62.
22
Ivi, pp. 86-88, trad. it. cit., pp. 124-127.
23
SW aggiunge il corsivo: Tutti.
24
Ethica, II, Prop. I; Prop. IV; Prop. VI, cor..; Prop. XXXVI.
25
Cfr. KrV, p. 93, trad. it. cit., p. 133.
26
C corregge: e questa riflessione è.
27
C integra: in parte è determinato – in altri termini: la proposizione va presa in un duplice significato, epperò i due significati devono poter sussistere l’uno accanto all’altro. 28 C aggiunge il corsivo: essere già unificati in modo mediato attraverso la determinazione reciproca. 29 C elimina tutto questo capoverso, da «Tuttavia quella proposizione…» sino a «…devono potersi unificare». 30 C e SW introducono il corsivo: Ma come perveniamo a sottrarre parti alla realtà dell’io? 31
B e SW: «Pertanto» anziché «Tuttavia».
32
C aggiunge: l’io, perché esso è l’immediatamente e in tutto e per tutto posto. 33
C aggiunge: positiva, assoluta.
34
C aggiunge: dell’oggetto da cui muove l’attività
35
C integra: negazione positiva assoluta.
NOTE AL TESTO
36
661
C aggiunge il corsivo: quantitativa
37 Il termine tedesco Ursache (in italiano appunto“causa”) è composto dal prefisso Ur- (it.: “originario”) e Sache (it.: “cosa”), e letteralmente varrebbe dunque quale “cosa originaria”. Il dizionario dei Grimm (vol 24, coll. 2507-2508) alla voce Ursache riporta anche due luoghi di Fichte (Sämmtliche Werke, a cura di I.H. Fichte, 8 voll., Veit, Berlin 1845-46: vol. I, 311 e vol. VIII, 11) riconducendo il significato del termine a quello proprio del rapporto di causa ed effetto, di condizione e condizionato, entro la più ampia cornice semantica della ratio efficiendis. 38
C aggiunge: ciò che determina, (ossia, il termine è all’attivo)
39 C corregge e integra: Esso si determina; è un determinato e per-
ciò passivo. (Nel suo intimo significato, “determinatezza” indica sempre una passività, uno staccarsi della realtà). 40
C aggiunge la parentesi: (il non-essere non è percepibile).
41 C aggiunge due corsivi: è posto in generale soltanto uno scambio, ma non è determinato 42
C sottolinea col corsivo: passività
43
B e SW correggono «trascendente» con «trascendentale».
44
C integra con: dogmatico
45
C aggiunge: armonia prestabilita almeno da alcuni leibniziani
46 C aggiunge la parentesi: e viceversa. (detto in modo più perspi-
cuo: da un certo punto di vista, la determinazione reciproca è valida ed è applicata, invece da un certo altro punto di vista non viene applicata[)]. 47 C aggiunge la parentesi prima del «e viceversa»: nel non-io (da una tale passività è possibile inferire conclusioni) e viceversa. 48 C aggiunge la parentesi prima della «e»: nel non-io (da una tale passività non è possibile inferire conclusioni) e 49 C aggiunge la parentesi: indipendente. (Ciò che rientra nella sfera dello scambio reciproco non appartiene a quella dell’attività indipendente e viceversa, così ogni sfera è determinabile tramite quella opposta). 50 C inserisce i due corsivi: Esse non si determinano immediatamente: si determinano invece in modo mediato. 51
Questo «in sé» ricorre tanto in B, quanto in C e in SW, men-
662
NOTE AL TESTO
tre è assente sia nel testo di A sia, conseguentemente, in quello di GA che lo riproduce: qui è parso opportuno assecondare la scelta già effettuata da Mauro Sacchetto, che nella sua versione del Fondamento (in Scritti sulla dottrina della scienza 1794-1804, a cura di M. Sacchetto, Utet, Torino 1999) ha direttamente inserito tale «in sé» nel testo per una maggiore comprensibilità della proposizione, costruita su un’avversativa di due enunciati altrimenti identici. 52 C integra con una parentesi: un’attività indipendente è determinata (una sua quantità determinata è posta) da reciproco agire e patire 53
C introduce la sottolineatura: delimitare.
54
C inserisce corsivo e aggiunge: questa ragione di relazione è determinata nella riflessione dallo scambio reciproco, le è assegnato il suo posto nella riflessione, 55 C integra con inciso: nel non-io, dopo che la passività è stata posta nell’io, 56 C introduce periodo tra parentesi: (non può provenire dall’io immediatamente a partire dalla sua essenza originaria), 57 C corregge ed integra: Una passività (una negazione) viene posta e determinata dall’attività nell’io (accidens nell’io) 58
C aggiunge inciso tra parentesi: venuto meno (= un punto che preghiamo assai il lettore di non trascurare). 59
C introduce il corsivo: attività dell’io
60
C completa: porre e opporre in assoluto
61
C aggiunge: passività. Essa è considerata da un duplice punto di vista. 62
C applica il corsivo: passare
63
C introduce il corsivo: attività che pone in scambio
64
C introduce il corsivo: dallo scambio reciproco, che diviene possibile grazie a essa 65
C corregge: L’attività
66 C
integra: questo qualcosa in quanto tale non è
67
SW ha «come» al posto di «che cosa»
68
C aggiunge la parentesi: (un’affermazione idealistica)
69
C aggiunge la parentesi: (un’affermazione dogmatica)
NOTE AL TESTO
663
70 C introduce il corsivo: è posto in generale uno scambio reciproco, uno scambio secondo la semplice forma, ad un tempo è totalmente determinata la materia di questo scambio, ossia il suo tipo, la quantità 71
C introduce il corsivo: è precisamente ciò che
72
SW introduce il corsivo: esso stesso non-io
73 C corregge: e questo la propensione dogmatica presente nell’uomo non consente di capirlo 74
C aggiunge: al di fuori di noi, ciò che pone, come un io in sé,
come 75 C aggiunge (nota alla I edizione): Alla prima apparizione di questa nota molti, nella cerchia dell’autore, che si sentirono colpiti da essa se ne presero gioco. Ora avrei voluto cancellarla però mi accorgo che purtroppo è pur sempre valida. 76
C aggiunge: (un ricomporre mediato)
77
C aggiunge: in questo sistema
78
C sostituisce «Nell’ultimo» a «In esso»
79
SW esplicita il pronome: vale a dire la determinazione
80
Cfr. Kant, KrV, B 37-73, pp. 51-73, trad. it. cit., pp. 77-107.
81
Ivi, B 24-25, p. 43, trad. it. cit. p. 67: «Un organon della ragione pura dovrebbe essere un insieme di quei principi, sulla base dei quali possono essere acquistate e realmente costituite tutte le conoscenze pure a priori. L’applicazione dettagliata di un tale organon produrrebbe un sistema della ragione pura. Tuttavia, dato che questa è una pretesa assai forte, e che è ancora incerto, se anche qui, e in quali casi, sia possibile in generale un’estensione della nostra conoscenza, noi possiamo allora considerare una scienza della semplice valutazione della ragione pura, delle sue fonti e dei suoi limiti, come la propedeutica al sistema della ragione pura. Una tale propedeutica dovrebbe chiamarsi non già dottrina della ragione pura, ma soltanto critica della ragione pura, e riguardo alla speculazione avrebbe l’utilità certo solo negativa, di servire non all’estensione, bensì semplicemente alla purificazione della nostra ragione, e di liberare quest’ultima da errori, il che costituirebbe già un guadagno assai notevole». 82 83
C modifica: L’idealismo quantitativo
SW introduce il corsivo: deve stare ad un tempo nell’oggetto e nel soggetto
664
NOTE AL TESTO
84 C aggiunge la parentesi: (a motivo dell’opposizione alla capacità di produrre effetti) 85 C introduce il corsivo: in una sfera indeterminata, perché non conoscete quale sia la ragione per cui il pezzo di ferro = C possa muoversi. 86 C aggiunge: esso è una cosa determinata per sé dal suo puro e semplice concetto, secondo la proposizione A = A). 87 C integra: la sfera di A, infatti, non più sussunta sotto il suo concetto, non è più totalità assoluta 88
C mette in corsivo: permanente nel suo luogo
89
C e SW introducono il corsivo: allora la permanenza nel luogo è essenziale al ferro e soltanto il movimento gli è accidentale; se invece muovete dal secondo concetto, allora la permanenza è accidentale al pari del movimento 90 C mette in corsivo: essenziale al ferro; oppure si può muovere dal suo concetto in quanto determinabile, e in tal caso la permanenza è un accidente. 91 SW introduce il corsivo: v’è un fondamento assoluto della totalità e quest’ultima non è soltanto relativa. 92 SW introduce il corsivo: nella determinabilità tramite soggetto e oggetto. 93
C e SW mettono in corsivo: che pone il non io,
94
C applica il corsivo: condizionato dall’assenza di un magnete?
95
C introduce il corsivo: conosciuto
96
C corregge: un accidente qualsiasi, quello che vuoi adesso, è ogni volta supporto di se stesso e dell’accidente che gli è contrapposto 97
C introduce il corsivo: l’incontro, l’ingranarsi
98
C introduce il corsivo: e così è veramente.
99 C corregge: L’io sarebbe conformato così come pone, come si pone e perché si pone. SW corregge: come si pone e perché si pone 100
C applica il corsivo e integra: possa essere determinabile da e per qualcosa di esterno ad esso, non invece come possa essere determinabile da e per l’io (come quel compito di determinare possa giungere alla scienza di sé, così che d’ora in poi determini se stesso con sapere).
NOTE AL TESTO
101
665
SW mette in corsivo: per e mediante
102 C modifica integrando: l’attività di questo medesimo termine, in sé e per sé e lasciata a se stessa, 103
SW applica il corsivo: nella e per la
104
C integra: spontaneità del filosofare,
105
C integra: per la riflessione del filosofare;
106
Si tratta del già citato Salomon Maimon del quale, in questo caso, Fichte ha presente Streifereien im Gebiete der Philosophie (Berlin 1793) e Versuch einer neuen Logik oder Theorie des Denkens (Berlin 1794). 107
SW applica il corsivo: intuire
108
C aggiunge la parentesi: un intuire (un guardare-dentro [in senso attivo] un qualcosa di indeterminato). 109
SW ha «la quale» riferito ad «attività», anziché «il quale».
110
C corregge: il compito di esporre proprio ciò, presupposto quale fatto originario della coscienza naturale. 111
C e SW mettono in corsivo: spontaneità
112
C introduce la parentesi: (per dir così, viene portato a stare). Fichte sta evidentemente giocando sul termine Verstand – “intelletto” appunto – che ha in radice lo stehen (stare). 113 C corregge e integra: vi è realtà (seppure soltanto tramite l'immaginazione); esso è la facoltà di ciò che è realmente effettivo; soltanto in esso 114 C aggiunge: senza nostro intervento, ma che deve tuttavia essere completamente interpretato e percepito. 115 C aggiunge: la riflessione naturale contrapposta a quella filosofico-trascendentale artificiale 116
SW applica il corsivo: riproduttiva
117
C introduce il corsivo: dev’essere determinato e precisamente in quanto tale, vale a dire come attivo, dev’essergli contrapposta 118 119
C e SW applicano in corsivo: intuizione dell'intuito,
C aggiunge la parentesi: al di là di C (la cosa in sé e per sé, quale noumeno. Pertanto la differenza naturale tra la rappresentazione e la cosa in essa rappresentata).
666
NOTE AL TESTO
120
C e SW mettono in corsivo: condizione
121
C e SW applicano il corsivo: necessità
122
C e SW applicano il corsivo: possibilità
123
C aggiunge: e per sé
124
C applica il corsivo: quella ritornante in se stessa deve determinare quella oggettiva 125
C e SW mettono in corsivo: autodeterminantesi
126
C e SW applicano il corsivo: determinato
127 C e SW applicano il corsivo: da ogni oggetto determinato = A, così qui è postulata la possibilità di fare astrazione da ogni oggetto in generale 128 C mette in corsivo e integra con la parentesi: la ragione (la ragione pura, senza immaginazione, nel significato teoretico, quello che Kant ha posto a suo oggetto nella Critica della ragione pura). 129 Cfr. Kant, KrV, cit., B 349-366, pp. 234-244; trad. it. cit., pp. 359-372. 130
SW applica il corsivo: la pura attività dell’io, in quanto tale, è
131
SW mette in corsivo: il fondamento di ogni uscir fuori dell'io da se stesso e l’esigenza che esso saturi l’infinito è il fondamento dello sforzo verso la causalità in generale 132
SW mette in corsivo: in quanto
133
SW mette in corsivo: sentita ma non conosciuta
134
SW applica il corsivo: alla sua idealità, tutto dipende dall’io, mentre, stando al punto di vista della realtà 135
B e SW mettono in corsivo: in
136
SW modifica aggiungendo a margine e applicando il corsivo: il suo carattere particolare , esser posto quale causalità 137
SW applica il corsivo: non
138
SW mette in corsivo: determinato
139
SW nota a margine: chiudere-sé in ogni singolo oggetto
140
SW modifica: mentre non lo vede
141
SW mette in corsivo: nella realtà in generale, tanto quella dell’io quanto quella del non-io
NOTE AL TESTO
142
667
SW applica il corsivo: in modo puramente e semplicemente
interno 143
SW mette in corsivo: Oppure
144
B e SW non hanno il corsivo: soggettivo
145 SW nota a margine: solamente tramite la sintesi dello zucchero con un qualcosa di determinato e così via 146
SW nota: come dolce, rosso e simili
147
SW nota: nell'unico punto che sentite?
148
SW: di ciò che possiede intensità
149
SW nota aggiunta a margine: di X in C
150
SW nota aggiunta a margine: senza opposizione
151
SW nota aggiunta a margine: un qualcosa che cambia
152
SW applica il corsivo: intuito
153 SW nota aggiunta a margine: l’oggetto determinato dell’anelare 154
B e SW non hanno il corsivo: contro
PAROLE CHIAVE
Affezione [Affektion] È, in generale, lo stato di «negazione positiva» in cui l’io si trova a patire (vedi Passività, patire) qualcosa che non è immediatamente in esso o posto dalla sua azione. Anelito [Sehnen] Senso di una mancanza radicale che insorge nella coscienza per l’impossibilità avvertita dall’io finito di determinare totalmente ed assimilare, eguagliandola a sé al fine della compiuta identità con se stesso, l’intera realtà oggettiva. Antitesi [Antithese] Operazione tramite cui si cerca la caratteristica per la quale i termini di comparazione assunti sono contrapposti. Assoluto, assolutamente [absolut] Come aggettivo (o avverbio significativamente usato in modo quasi sinonimico di schlechtin [assolutamente, in assoluto, in tutto e per tutto, «senza ulteriore ragione e fondamento»]) è il predicato di ciò che è “sciolto”, “libero” da qualsiasi limite o legame. Fichte lo utilizza per designare l’io quale presupposto, principio assolutamente primo [absolut-erste] che gode della proprietà di «porre in assoluto e senza fondamento», cioè «senza limitazione». Attività [Tätigkeit] Per Fichte coincide con la realtà, anzi i due concetti sono identici: attività è realtà, realtà è attività Attività ideale [ideale Tätigkeit] È l’attività che muove alla rappresentazione ritornando nell’io stesso. Attività indipendente [unabhängige Tätigkeit] È fondamento di relazione posto tramite la determinazione reciproca (vedi) ma, appunto, indipendente da essa e da ciò che in essa si alterna nello scambio reciproco. Viene individuata infine nella stessa immaginazione (vedi). Attività reale [reale Tätigkeit] È l’attività che, uscendo dall’io, non dipende da questo ma dal non-io: è attività pratica e non teoretica. Azione-in-atto [Tathandlung] Termine costruito da Fichte, per opposizione simmetrica a “dato di fatto” [Tatsache], composto da Tat [“fatto” come risultato dell’atto] e Handlung [“azione”], è espressione e manifestazione della autoattività e autoposizionalità dell’io (vedi), ovvero del suo porsi come ponente, del suo porre originariamente in modo assoluto il proprio porre. In tale azione originaria, proprio per la sua assoluta identità e unicità,
670
PAROLE CHIAVE
non v’è alcuna forma differenziante e riflessiva, dunque non si distingue l’io posto dall’io ponente. Capacità di giudizio [Urteilskraft] È la facoltà di riflettere su oggetti già posti nell’intelletto (vedi) oppure di astrarre da essi. Capacità di produrre effetti [Wirksamkeit] Il termine tedesco, tradotto più spesso direttamente con “efficacia”, è utilizzato da Fichte per richiamare la capacità di ogni cosa di istituire rapporti di causazione (vedi) nei quali essa manifesta la propria realtà fondata originariamente nell’attività libera e spontanea dell’io. Causazione [Wirkung] Concetto della relazione tra la “causa” [Ursache], che esprime il termine cui è attribuita attività e realtà originariamente, assolutamente positiva, e il “prodotto dell’attività causale” [Bewirkte], cioè l’“effetto” [Effekt], il termine cui al contrario è attribuita passività e realtà dipendente. Coscienza [Bewußtsein] Proprietà essenziale e tipica dell’essere umano finito, presenta un’insuperabile struttura soggetto-oggettiva di cui la dottrina della scienza vuole mettere in luce e dedurre (vedi Deduzione) la genesi. Caratterizzata originariamente da dinamismo operativo, la coscienza appare determinata dagli oggetti che conosce (vedi Io teoretico) e nel contempo costantemente protesa a realizzare se stessa nel mondo (vedi Sforzo; Io pratico). Credenza [Glauben] Termine cui Fichte ricorre per designare l’originaria ed immediata adesione alla propria realtà, intesa anche quale mondo esterno all’io, “credenza” di cui peraltro la dottrina della scienza vuole dare una giustificazione razionale (vedi Deduzione). Deduzione [Deduktion, Ableitung] Giustificazione razionale che riconduce la conoscenza fattuale ai fondamenti che la rendono geneticamente comprensibile. Determinazione reciproca [Wechselbestimmung] È la categoria di relazione mediante la quale due termini opposti si pongono l’uno come condizione di possibilità dell’altro in un solo medesimo stato sintetico (vedi Sintesi). Divisibilità [Teilbarkeit] Caratteristica saliente del terzo principio fondamentale, assolutamente incondizionato quanto al contenuto ma condizionato secondo la forma, consiste nella limitazione in base alla quale l’opposizione incondizionata di io e non-io, insuperabile a livello assoluto, viene tolta su un piano inferiore. La divisibilità è quindi funzione della sintesi la quale può porsi
PAROLE CHIAVE
671
soltanto differendo la contraddizione sul piano reale-quantitativo, consegnandola alla determinazione reciproca (vedi) di io e non-io. Dottrina della scienza [Wissenschaftslehre] È il sapere ricondotto ai suoi ultimi fondamenti. La dottrina della scienza è infatti “sapere del sapere”, cioè indagine che si interroga sulle condizioni ultime di possibilità che rendono razionalmente comprensibile e giustificabile il sapere e indagine la quale, proprio così facendo, traccia in filigrana il percorso di quella «storia pragmatica dello spirito umano» in cui la dottrina della scienza stessa deve consistere. Filosofia trascendentale [Transzendentalphilosophie] È quella peculiare modalità filosofica che si interroga sul «per noi» [für uns], ovvero che intende spiegare le condizioni che rendono possibile ogni cosa, sia per il sapere teoretico sia per il sapere pratico, a partire dalla coscienza, nella coscienza e per la coscienza. Immaginazione [Einbildungskraft] È la facoltà teoretica e produttiva per eccellenza la quale, oscillando tra determinazione e indeterminazione, tra finito e infinito, colti come termini che non sono immediatamente riducibili o conciliabili, rende possibile l’io stesso in quanto intelligenza (vedi Io teoretico). Impulso [Trieb] È uno sforzo soggettivo che produce se stesso, dotato di autocausalità ma privo di effettiva causalità esterna. Intelletto [Verstand] È l’«inattiva» facoltà teoretica nella quale l’ideale diviene reale. Esso svolge una funzione fissante rispetto al prodotto dell’immaginazione (vedi) il quale di per sé rimane ideale per la caratteristica oscillazione immaginativa tra soggetto e oggetto, finito e infinito. Intuizione [Anschauung] È lo stato in cui opera l’immaginazione (vedi) determinato dallo spontaneo porsi dell’io come attivo e dal suo incontrare un ostacolo contro cui urta (vedi Urto) e rispetto al quale la direzione della sua attività subisce un’inversione che lo rende passivo. L’attività dell’intuire è dunque possibile esclusivamente tramite una passività (vedi) e nel contempo è però definibile anche come uno stato di passività reso possibile soltanto da un’attività. Io assoluto [absolutes Ich] Assunto a primo principio, è la struttura apriorica fondamentale caratterizzata costitutivamente da autoposizionalità e il cui originario, infinito porsi ha per contenuto l’essere. Nell’io è posta, infatti, «l’assoluta totalità della realtà». Io pratico [praktisches Ich] È l’io in quanto tende a soddisfare la pro-
672
PAROLE CHIAVE
pria esigenza di assimilare infinitamente tutta la realtà e, pur dovendo riflettere per capire se riesca effettivamente a eguagliarla e comprenderla, si astrae da ogni possibile “urto” (vedi) e dunque non accede ad alcuna riflessione. Da questa condizione dell’io scaturisce ciò che deve essere, dunque la serie dell’ideale. Io teoretico [theoretisches Ich] È l’io in quanto qualcosa di esterno ad esso lo rende «rappresentante», ovvero lo fa «intelligenza»: dunque, soltanto in quanto dipendente da un indeterminato nonio che ne frena ed ostacola l’attività. Non-io [Nicht-Ich] Assunto a secondo principio fondamentale, formalmente incondizionato al pari del primo principio, è posto dall’identica posizionalità dell’io al quale si contrappone in tutto e per tutto – rimanendovi dunque contenutisticamente correlatocondizionato – proprio nell’unico atto in cui esso (l’io) si pone come ponente in assoluto. Passività, patire [Leiden] È l’opposto dell’attività (vedi), la negazione positiva e quantitativa della sua realtà. Rappresentare [Vorstellen] È, in generale, l’attività conoscitiva fondamentale resa possibile dall’immaginazione (vedi): ogni conoscenza è anzitutto “rappresentazione” [Vorstelung] che sintetizza per la coscienza (vedi) una realtà oggettiva, ossia rende conoscibile all’intelligenza (vedi Io teoretico) un non-io esterno opposto ad essa. Riflessione [Reflexion] Modalità conoscitiva tipica della coscienza finita in quanto l’attività procedente all’infinito ritorna in se stessa dopo essersi imbattuta nell’oggetto esterno contrapposto all’io. La facoltà teoretica che presiede alla riflessione è la “capacità di giudizio” (vedi). Riflessione astraente [abstrahierende Reflexion] È quel tipo di riflessione che dà a conoscere non un fatto, neppure di coscienza, bensì la condizione del tutto intrascendibile di qualsiasi fatto e rappresentazione coscienziale. Scambio reciproco [Wechsel] Attività nella quale due termini opposti si alternano in modo imprescindibile l’uno dall’altro secondo determinazione reciproca (vedi). L’attività di scambio reciproco è tipica dell’immaginazione (vedi). Scienza [Wissenschaft] È il sapere dotato di forma sistematica, ossia le cui proposizioni siano tutte perfettamente deducibili dall’unico principio fondamentale assolutamente indimostrabile e incondizionatamente certo.
PAROLE CHIAVE
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Sentimento [Gefühl] Stato soggettivo generato dall’incontro dell’attività infinita spontaneamente autoponentesi dell’io con ciò che, negando la direzione di tale attività, la ostacola. Il sentimento afferisce dunque a una limitazione esterna imposta all’io, e in quanto tale è manifestazione di un suo «non-potere» [NichtKönnen]. Nel sentimento sono intimamente unificate attività – l’io è il senziente e questa sua attività è la riflessione – e limitazione – l’io sente, è passivo al cospetto di un’imposizione. Sforzo [Streben] È la stessa attività infinita dell’io ma ritornante in se stessa in relazione a un possibile oggetto da assimilare a sé e superare. Sintesi [Synthesis] È l’operazione peculiare di ogni «rappresentare» (vedi) in quanto com-pone termini assolutamente contrapposti cercandovi quella caratteristica per la quale essi sono identici, senza peraltro poterli unificare o conciliare in modo riduttivo e definitivo ma dando luogo alla loro «determinazione reciproca» (vedi). Sistema [System] È il sapere organizzato secondo i principi ultimi del sapere stesso. La forma sistematica è proprietà inalienabile della “scienza” (vedi) e dunque della filosofia quale “dottrina della scienza” (vedi). Spiegare [Erklären] Procedura razionale finita tramite cui qualcosa viene determinatamente illustrato per la coscienza, la quale ottiene per tale via una comprensione non improvvisa e in una volta sola ma argomentata passaggio dopo passaggio. Urto [Anstoß] È ciò che «accade» all’io inceppandone e invertendone l’attività altrimenti procedente linearmente all’infinito. Il termine tedesco ricopre, nei testi di Fichte, un’area semantica plurivoca, sfumando con “ostacolo” (Hemmung), “impedimento” (Hindernis), “resistenza” (Widerstand), sin quasi a identificarsi con il confine (Grenze), il non-io e la cosa-in-sé.
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INDICE GENERALE
SAGGIO INTRODUTTIVO Posizione e proposizione. Tratti essenziali della «Grundlage» di J. G. Fichte. 1. Geometria e architettonica, scienza e sistema 2. Abitare all’aria aperta? 3. Scientia scientiae et scientiarum 4. L’edificio dell’io 4.1. Galleria di specchi 4.2. Figure e funzioni della relazione 4.3. Il sistema operativo dell’io teoretico 4.4. Sforzo infinito e sentimento del limite 5. Anime gemelle
7 7 17 28 34 34 45 57 67 78
Note al Saggio introduttivo
100
Nota editoriale
111
Cronologia della vita e delle opere di Fichte
115
FONDAMENTO DELL’INTERA DOTTRINA DELLA SCIENZA COME MANOSCRITTO PER I PROPRI UDITORI
125
Prefazione
127
Avvertenza alla seconda edizione
137
Parte prima Principi fondamentali dell’intera dottrina della scienza
139
§ 1. Primo principio fondamentale in tutto e per tutto incondizionato § 2. Secondo principio fondamentale, condizionato secondo il contenuto § 3. Terzo principio fondamentale, condizionato secondo la forma
139 161 169
686
INDICE GENERALE
Parte seconda Fondamento del sapere teoretico
209
§4. Primo teorema 209 A. Determinazione della proposizione sintetica da analizzare 213 B. Sintesi in linea generale degli opposti e sintesi degli opposti contenuti nella proposizione enunciata 217 C. Sintesi mediante determinazione reciproca degli opposti contenuti nella prima delle proposizioni contrapposte 227 D. Sintesi mediante determinazione reciproca degli opposti contenuti nella seconda delle proposizioni contrapposte 239 E. Unificazione sintetica dell’opposizione avente luogo fra i due modi di determinazione reciproca enunciati 257 Deduzione della rappresentazione 433 Parte terza Fondamento della scienza del pratico
475
§ 5. Secondo teorema § 6. Terzo teorema Nello sforzo dell’io è posto insieme un controsforzo del non-io, che equilibra il primo § 7. Quarto teorema Lo sforzo dell’io, in controsforzo del non-io e il loro equilibrio devono essere posti § 8. Quinto teorema Il sentimento stesso dev’essere posto e determinato § 9. Sesto teorema Il sentimento dev’essere ulteriormente determinato e delimitato § 10. Settimo teorema L’impulso stesso dev’essere posto e determinato § 11. Ottavo teorema I sentimenti stessi devono poter essere contrapposti
475
Note al testo
657
Parole chiave
669
Bibliografia
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559 563 571 585 593 641
Nella collana Testi a fronte* diretta da Giovanni Reale: Abelardo Teologia del sommo bene Testo latino a fronte. A cura di Marco Rossini. (80) Anonimo Francofortese Teologia tedesca. Piccolo libro della vita perfetta Testo tedesco medio-orientale a fronte.A cura di Marco Vannini. (127) Aurelio Agostino Amore Assoluto e «Terza Navigazione» Testo latino a fronte. A cura di Giovanni Reale. (2) Aurelio Agostino Contro gli Accademici Testo latino a fronte. A cura di Giovanni Catapano. (92) Aurelio Agostino Il Maestro e la parola Testo latino a fronte. A cura di Maria Bettetini. (90) Aurelio Agostino Natura del bene Testo latino a fronte. A cura di Giovanni Reale. (37) Aurelio Agostino Soliloqui Testo latino a fronte. A cura di Onorato Grassi. (53) Aurelio Agostino Sull’anima (L’immortalità dell’anima. La grandezza dell’anima) Testo latino a fronte. A cura di Giovanni Catapano. (83) Aurelio Agostino Sulla bugia Testo latino a fronte. A cura di Maria Bettetini. (43) Anassagora Frammenti e testimonianze • Sulla natura Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Gilardoni e Giampiero Giugnoli. (66)
* Il numero tra parentesi è quello progressivo di pubblicazione.
Anselmo d’Aosta La caduta del diavolo Testo latino a fronte. A cura di padre Elia Giacobbe e Giancarlo Marchetti (98) Anselmo d’Aosta Monologio e Proslogio • Gaunilone. Difesa dell’insipiente • Risposta di Anselmo a Gaunilone Testo latino a fronte. A cura di Italo Sciuto. (56) Aristotele L’anima Testo greco a fronte. A cura di Giancarlo Movia. (32) Aristotele L’anima e il corpo • Parva Naturalia Testo greco a fronte. A cura di Andrea L. Carbone. (67) Aristotele Il cielo Testo greco a fronte. A cura di Alberto Jori. Prefazione di Giovanni Reale. (63) Aristotele Etica Nicomachea Testo greco a fronte. A cura di Claudio Mazzarelli. (4) Aristotele Metafisica Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (1) Aristotele Meteorologia Testo greco a fronte. A cura di Lucio Pepe. (81) Aristotele Poetica Testo greco a fronte. A cura di Domenico Pesce. (18) Aristotele Retorica Testo greco a fronte. A cura di Fabio Cannavò. (148) [Aristotele] I colori e i suoni Testo greco a fronte. A cura di Maria Fernanda Ferrini. (112) [Aristotele] Piante Testo greco a fronte. A cura di Maria Fernanda Ferrini (143)
[Aristotele] Problemi Testo greco a fronte. A cura di Maria Fernanda Ferrini. (62) [Aristotele] Meccanica Testo greco a fronte. A cura di Maria Fernanda Ferrini. (129) Atomisti antichi Testimonianze e frammenti (secondo la raccolta di H. Diels e W. Kranz). Testo greco a fronte. A cura di Matteo Andolfo. (44 ) Gaston Bachelard La dialettica della durata Testo francese a fronte. A cura di Domenica Mollica. (131) Francesco Bacone Dei principi e delle origini secondo le favole di Cupido e del Cielo ovvero la filosofia di Parmenide e di Telesio e specialmente di Democrito trattata nella favola di Cupido Testo latino a fronte. A cura di Roberto Bondì. Presentazione di Paolo Rossi. (94) Francesco Bacone La grande instaurazione. Parte seconda. Nuovo Organo Testo latino a fronte. A cura di Michele Marchetto. (54) Francesco Bacone Sapienza degli antichi Testo latino a fronte. A cura di Michele Marchetto. (20) George Berkeley Saggio sulla visione • Trattato sulla conoscenza umana Testo inglese a fronte. A cura di Daniele Bertini. (88) Bonaventura da Bagnoregio Itinerario dell’anima a Dio Testo latino a fronte. A cura di Letterio Mauro. (57) Bernard Bolzano Dottrina fondamentale. Dalla Dottrina della scienza [§§ 1-45] Testo tedesco a fronte. A cura di Gianni Rigamonti e Lorenzo Fossati. (146) Tommaso Campanella Apologia per Galileo Testo latino a fronte. A cura di Paolo Ponzio. (38) Cartesio Discorso sul metodo Testo francese a fronte. A cura di Lucia Urbani Ulivi. (59)
Cartesio Le passioni dell’anima Testo francese a fronte. A cura di Salvatore Obinu. (73) Cartesio Meditazioni metafisiche Testo latino a fronte; tr. francese in appendice. A cura di Lucia Urbani Ulivi. (39) Cartesio Regole per la guida dell’intelligenza Testo latino a fronte; tr. francese in appendice. A cura di Lucia Urbani Ulivi. (9) Dionisio di Alessandria Descrizione della Terra abitata Testo greco a fronte. A cura di Eugenio Amato. Con un saggio di Filomena Coccaro Andreou. (93) Giovanni Duns Scoto Trattato sul primo principio Testo latino a fronte. A cura di Pasquale Porro. (114) Eleati Testimonianze e frammenti Testo greco a fronte. A cura di Mario Untersteiner e Giovanni Reale. Presentazione di Giovanni Reale (137) Empedocle di Agrigento Frammenti e testimonianze – Origini – Purificazioni Testo greco a fronte. A cura di Angelo Tonelli. (65) Johann Gottlieb Fichte Fondamento dell’intera dottrina della scienza Testo tedesco a fronte. A cura di Guido Boffi. (84) Johann Gottlieb Fichte Missione del dotto Testo tedesco a fronte. A cura di Diego Fusaro. Postfazione di Marco Ivaldo. (145) Baltasar Gracián L’eroe Testo spagnolo a fronte. A cura di Antonio Allegra. (116) Guglielmo d’Ockham Il filosofo e la politica. Otto questioni circa il potere del papa Testo latino a fronte. A cura di Francesco Camastra. (58) Johann Georg Hamann Aesthaetica in nuce (una rapsodia in prosa cabbalistica) Testo tedesco a fronte. A cura di Angelo Pupi. (45)
Georg Wilhelm Friedrich Hegel Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1830) Testo tedesco a fronte. A cura di Vincenzo Cicero. (24) Georg Wilhelm Friedrich Hegel Fenomenologia dello Spirito Testo tedesco a fronte. A cura di Vincenzo Cicero. (3) Georg Wilhelm Friedrich Hegel Lineamenti di filosofia del Diritto • Diritto naturale e scienza dello Stato. Testo tedesco a fronte. A cura di Vincenzo Cicero. (96) Martin Heidegger Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare Testo tedesco a fronte. A cura di Vincenzo Cicero. (126) Dietrich von Hildebrand Che cos’è la filosofia? Testo inglese a fronte. Saggio introduttivo e revisione di Paola Premoli De Marchi. Saggio integrativo di Josef Seifert. Tr. di Manuela Pasquini. (46) Thomas Hobbes Libertà e necessità Testo inglese a fronte. A cura di Andrea Longega. (14) Edmund Husserl Fenomenologia e teoria della conoscenza Testo tedesco a fronte. A cura di Paolo Volonté. (10) Giovanni Pico della Mirandola Dell’Ente e dell’Uno Testo latino a fronte. A cura di Raphael Ebgi. Prefazione di Marco Bertozzi. Postfazione di Massimo Cacciari. (133) Pietro Ispano Trattato di logica • Summule logicales Testo latino a fronte. A cura di Augusto Ponzio. (86) Immanuel Kant Critica della ragion pratica Testo tedesco a fronte. A cura di Vittorio Mathieu. (8) Immanuel Kant Enciclopedia filosofica Testo tedesco a fronte. Introduzione di Giuseppe Landolfi Petrone. Traduzione di Laura Balbiani. (76) Immanuel Kant Fondazione della metafisica dei costumi Testo tedesco a fronte. A cura di Vittorio Mathieu. (79)
Immanuel Kant Principi metafisici della scienza della natura Testo tedesco a fronte. A cura di Paolo Pecere. (82) Immanuel Kant La religione entro i limiti della semplice ragione Testo tedesco a fronte. A cura di Vincenzo Cicero e Massimo Roncoroni. (35) Søren Kierkegaard Appunti delle lezioni berlinesi di Schelling sulla “Filosofia della Rivelazione” 1841-1842 Testo danese a fronte. A cura di Ingrid Basso. (115) Lattanzio La collera di Dio Testo latino a fronte. A cura di Luca Gasparri (138) Gottfried Wilhelm Leibniz Monadologia Testo francese a fronte. A cura di Salvatore Cariati. (26) Gotthold Ephraim Lessing Gli ebrei Testo tedesco a fronte. A cura di Alberto Jori. (70) John Locke Sulla tolleranza e l’unità di Dio Testo inglese a fronte. A cura di Mario Montuori. Tr. it. della Epistola de Tolerantia a cura di Vincenzo Cicero. (60) Raimondo Lullo Arte breve Testo latino a fronte. A cura di Marta M. M. Romano. (69) Gabriel Marcel Presenza e immortalità Testo francese a fronte. A cura di Maria Pastrello e Andrea Serra. Prefazione di Glauco Tiengo (140) Marco Aurelio Pensieri Testo greco a fronte. A cura di Cesare Cassanmagnago. (69) Karl Marx Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro Testo tedesco a fronte. A cura di Diego Fusaro. (89) Karl Marx Forme di produzione precapitalistiche Testo tedesco a fronte. A cura di Diego Fusaro. (119)
Karl Marx La questione ebraica Testo tedesco a fronte. A cura di Diego Fusaro. (100) Karl Marx Lavoro salariato e capitale Testo tedesco a fronte. A cura di Diego Fusaro. (111) Karl Marx - Friedrich Engels Manifesto e princìpi del comunismo Testo tedesco a fronte. A cura di Diego Fusaro. (122) Karl Marx Salario, prezzo e profitto Testo inglese a fronte. A cura di Diego Fusaro. (132) John Stuart Mill Sulla libertà Testo inglese a fronte. A cura di Giovanni Mollica. (21) John Milton Areopagitica. Discorso per la libertà di stampa Testo inglese a fronte. A cura di Mariano e Hilary Gatti. (50) Michel de Montaigne Apologia di Raymond Sebond Testo francese a fronte. Saggio introduttivo di Diego Fusaro. A cura di Salvatore Obinu. (87) Michel de Montaigne L’esperienza Testo francese a fronte. A cura di Salvatore Obinu. (97) Musonio Rufo Diatribe, frammenti e testimonianze Testo greco a fronte. A cura di Ilaria Ramelli. (31) Pierre Nicole Sulla commedia Testo francese a fronte. A cura di Domenico Bosco. (74) Friedrich Nietzsche La visione del mondo dionisiaca Testo tedesco a fronte. A cura di Tommaso Scappini. Prefazione di Livio Bottani (136) Friedrich Nietzsche Su verità e menzogna Testo tedesco a fronte. A cura di Francesco Tomatis. (101) Novalis I discepoli di Sais Testo tedesco a fronte. A cura di Alberto Reale. (42)
Novalis La Cristianità o Europa Testo tedesco a fronte. A cura di Alberto Reale. (64) José Ortega y Gasset Origine ed epilogo della filosofia e altri scritti Testo spagnolo a fronte. A cura di Armando Savignano. (52) Panezio Testimonianze e frammenti Testo greco-latino a fronte. A cura di Emmanuele Vimercati. (61) Parmenide Sulla natura Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (28) Blaise Pascal Pensieri Testo francese a fronte. Introduzione di Adriano Bausola. Traduzione di Adriano Bausola e Remo Tapella. (19) Jan Patocˇka Socrate • Lezioni di filosofia antica Testo ceco a fronte. A cura di Giuseppe Girgenti. Traduzione di Martin Cajthaml. (78) Charles Sanders Peirce Pragmatismo e oltre Testo inglese a fronte. A cura di Giovanni Maddalena. (15) Platone Apologia di Socrate Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (5) Platone Critone Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (23) Platone Eutifrone Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (48) Platone Fedone Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (12) Platone Fedro Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (16)
Platone Filebo Testo greco a fronte. A cura di Maurizio Migliori. (17) Platone Gorgia Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (36) Platone Ione Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (29) Platone Menone Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale, con un saggio di Imre Toth. (22) Platone Politico Testo greco a fronte. A cura di Maurizio Migliori. (41) Platone Protagora Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (27) Platone Simposio Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (11) Platone Timeo Testo greco a fronte. A cura di Giovanni Reale. (6) Giorgio Gemisto Pletone Trattato delle virtù Testo greco a fronte. A cura di Moreno Neri. (134) Plutarco Iside e Osiride e Dialoghi delfici (La E delfica. I responsi della Pizia. Il tramonto degli Oracoli) Testo greco a fronte. Presentazione di Giovanni Reale. A cura di Vincenzo Cilento. (55) Edgar Allan Poe Eureka Testo inglese a fronte. A cura di Paolo Guglielmoni. (30) Jules-Henri Poincaré La scienza e l’ipotesi Testo francese a fronte. A cura di Corrado Sinigaglia. (75)
[Gilberto Porretano] Libro dei sei princìpi Testo latino a fronte. A cura di Francesco Paparella. (125) Porfirio Contro i Cristiani Testo greci, latini e tedeschi a fronte. A cura di Giuseppe Muscolino. Notizia biografica su Harnack di Andrea Ardiri. Presentazione di Giuseppe Girgenti. (120) Porfirio Isagoge Testo greco a fronte. In appendice versione latina di Severino Boezio. A cura di Giuseppe Girgenti. (85) Porfirio Sullo Stige Testo greco a fronte. Acura di Cristiano Castelletti. (99) Richard Price Rassegna delle principali questioni della morale Testo inglese a fronte. A cura di Massimo Reichlin. (91) Jean-Jacques Rousseau Discorso sull’origine della disuguaglianza • Contratto sociale Testo francese a fronte. A cura di Diego Giordano (144) Friedrich Wilhelm Joseph Schelling Introduzione filosofica alla filosofia della mitologia Testo tedesco a fronte. A cura di Leonardo Lotito. (68) Friedrich Wilhelm Joseph Schelling Sistema dell’idealismo trascendentale Testo tedesco a fronte. A cura di Guido Boffi. (97) Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher Ermeneutica Testo tedesco a fronte. A cura di Massimo Marassi. (25) I Sette Sapienti Vite e opinioni. Nell’edizione di Bruno Snell Testo greco e latino a fronte. A cura di Ilaria Ramelli. (95) Senofane Testimonianze e frammenti Testo greco a fronte. A cura di Mario Untersteiner. (117) Lev Šestov Kierkegaard e le filosofia esistenziale Testo russo a fronte. A cura di Glauco Tiengo ed Enrico Macchetti. (124)
Sofisti Testimonianze e frammenti Testo greco a fronte. Introduzione di Giovanni Reale. A cura di Mario Untersteiner con la collaborazione di Antonio Battegazzore. (123) Benedetto Spinoza Etica Testo latino a fronte. A cura di Giovanni Gentile, Gaetano Durante e Giorgio Radetti. (106) Benedetto Spinoza Trattato politico-teologico Testo latino a fronte. A cura di Alessandro Dini. (33) Hippolyte-Adolphe Taine Filosofia dell’Arte (Parti I e V) Testo francese a fronte. A cura di Olga Settineri. (47) Bernardino Telesio La natura secondo i suoi princìpi Testo latino a fronte. A cura di Roberto Bondì. (121) Teodorico di Freiberg L’origine delle realtà predicamentali Testo latino a fronte. A cura di Andrea Colli. (135) Tommaso d’Aquino Commenti a Boezio Testo latino a fronte. A cura di Pasquale Porro. (107) Tommaso d’Aquino Il male Testo latino a fronte. A cura di Fernando Fiorentino. (40) Tommaso d’Aquino La felicità Testo latino a fronte. A cura di Umberto Galeazzi. (128) Tommaso d’Aquino L’ente e l’essenza Testo latino a fronte. A cura di Pasquale Porro. (49) Tommaso d’Aquino Le passioni e l’amore Testo latino a fronte. A cura di Umberto Galeazzi (142) Tommaso d’Aquino Le virtù. Quaestiones de virtutibus, I e IV Testo latino a fronte. A cura di Maria Silvia Vaccarezza. (149)
Tommaso d’Aquino Trattato sull’unità dell’intelletto Testo latino a fronte. A cura di Alessandro Ghisalberti. (7) Upanisad Testo sanscrito a fronte. A cura di Raphael. (130) Miguel de Unamuno Agonia del cristianesimo Testo spagnolo a fronte. A cura di Enrico Rubetti (141) Voltaire Il filosofo ignorante Testo francese a fronte. A cura di Michela Cosili. (13) Max Weber La scienza come professione Testo tedesco a fronte. A cura di Paolo Volonté. (118) Simone Weil L’ombra e la grazia Testo francese a fronte. Introduzione di Georges Hourdin. Traduzione di Franco Fortini. (51) A.N. Whitehead - B. Russell Introduzioni ai Principia Mathematica Testo inglese a fronte. Introduzione di Pietro Emanuele. Traduzione di Paolo Parrini. (147) Johann Joachim Winckelmann Storia dell’arte dell’antichità Testo tedesco a fronte. A cura di Fabio Cicero. (72) Karol Wojtyła La dottrina della fede secondo S. Giovanni della Croce Testo latino a fronte. A cura di Massimo Bettetini. (77) Karol Wojtyła Persona e atto Testo polacco a fronte. A cura di Giovanni Reale e Tadeusz Styczeń. Revisione della tr. italiana e apparati a cura di Giuseppe Girgenti e Patrycja Mikulska. (34) Karol Wojtyła L’uomo nel campo della responsabilità Testo polacco a fronte. Introduzione di Antonio Delogu. Presentazione di Alfred Wierzbicki. Traduzione di Luigi Crisanti. (71) Christian Wolff Logica tedesca Testo tedesco a fronte. A cura di Raffaele Ciafardone (139)
Finito di stampare nel mese di aprile 2015 presso Rotolito Lombarda S.p.A. – Seggiano di Pioltello (MI) Stampato in Italia - Printed in Italy
ISBN 978-88-452-9259-0