Fenomeni
 9788811811664

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l GRANDI LIBRI

ARATO DI SOLI

FENOMENI A

cura

di

VALERIA GIGANTE LANZAJU

m

Garzanti

l

edizione: giugno 2018 edizione: ottobre 2020

Il

Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.iUibraio.it

Traduzione dal greco di Valeria Gigante Lanzara

Titolo nriginalf' dell'opera: AINOMENA ISBN 978-88-11-81166-4

© 2018, Garzanti s.r.l., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol Printed in ltaly www.garzanti.it

Arato di Soli

la vita profilo storico-critico dell'autore e dell'opera guida bibliografica

La vita e le opere

Le notizie sulla vita di Arato ci sono giunte da cinque fonti biografiche, una del Lessico Suda e altre quattro anonime, tra le quali la più completa sembra quella del codice Vatica­ nus gr. 191. Da esse apprendiamo il nome dei genitori, Ate­ nodoro e Letofila, e dei tre fratelli, Miris, Calionda e Atena­ doro. Non sono note le date della nascita e della morte, ma un punto di riferimento biografico è l'invito a Pella da parte di Antigono Gonata (319 ca - 239 a.C. ), re di Macedonia dal 276 a.C., figlio di Demetrio Poliorcete. Alla corte di Antigo­ no Arato visse fino alla morte. Fu quindi coevo di Tolemeo Filadelfo, Filita e Callimaco. Ascoltò Menecrate di Efeso, poeta e grammatico, che scriveva alla maniera esiodea, come ricorda il Lessico Suda, e fu in contatto con Timone di Fliun­ te,1 allievo di Pirrone di Elide fondatore della scuola scettica, e col platonico Menedemo2 nonché con Dionisio di Eraclea,3 detto ò �ta8É �vo ç, , perché, abbandonata la filosofia di Zenone, si volse all'edonismo. Autore di opere di astronomia e medicina, Epigrammi, Inni a Pan, Epicedi e, secondo una notizia della Vita l conservata nel codice Vaticanus gr. 191, di una raccolta di poesie brevi dal titolo Katà À.em6v, compose anche epistole in prosa e una �t6Q8wotç dell'Odissea. Secondo alcune fonti fu in Siria alla corte di Antioco (325 ca - 261 a.C.), che lo spinse a curare anche una �t6Q8wotç dell' Iliade Dei suoi scritti ci resta l'ope­ ra didascalica Fenomeni e Pronostici in 1154 esametri, compo­ sta su invito del re Antigono. In essa Arato espresse in poesia il contenuto del trattato sul firmamento di Eudosso di Cnido, intitolato KatOlttQOV. Nella seconda parte, i Pronostici, segul il modello dell'opera De signis (IleQt OT)�(wv 1tVEU �twv xaì ilbatWV xat XELf.IÙ>VWV xaì evou:ilv) attribuita a Teofrasto. Nel Commento ad Arato e Eudosso (Twv ÀQatou xal EM6�ou cpmvoflÉVWV É�T]rfloetç) in tre libri Ipparco di Nicea, astro­ logo e geografo di fama vissuto a Rodi verso la metà del II secolo a.C., criticò in Arato la mancanza di originalità e la scar­ sa conoscenza dei fenomeni celesti. Voci maliziose che non tenevano conto della distanza crono.

' Diog. Laert. IX 113. ' Diog. Laert. n 133. 1 Diog. Laert. vn 167. VII

logica tra i due autori sostenevano che Antigono avesse affi­ dato la composizione di un'opera di astrologia ad Arato che era medico e ben poco sapeva di quell'arte, mentre argo­ menti di medicina erano stati affidati all'astrologo Nicandro di Colofone, autore di Teg1axa e i\ì.e�uj>aQfiDXa, col risulta­ to di ottenere in entrambi i casi opere mediocri. L'opera è divisa in due parti, di cui la più estesa (732 versi) riguarda i Fenomeni. Il titolo, comune a opere di vari autori, si riferisce a ciò che è visibile nel firmamento. Ai Fenomeni seguono i Pronostici (422 versi), con una serie di osservazioni per prevedere da alcuni segni le condizioni meteorologiche. D poema

I Fenomeni Il poema si apre col Proemio (vv. 1-18) nel nome di Zeus che riempie con la sua divinità ogni angolo della terra. L'imma­ gine della divinità è strettamente legata alla sua provviden­ za. Zeus dà agli uomini numerosi segni perché possano com­ piere al meglio le fatiche dell'agricoltura. Tali segni Zeus fissò nel firmamento, al cui studio si rivolge il poeta. Segue la configurazione del firmamento, racchiuso tra i due poli, e la descrizione delle costellazioni in un primo ordine (19-95): le Orse, che circondano il polo nord e il Drago che si estende tra loro mescolando con esse la coda e le spire.Accan­ to al Drago e con un piede sulla testa del mostro si può nota­ re una figura misteriosa in ginocchio, detta appunto Engonasi o l'Jnginocchiato. Seguono la Corona di Arianna, Ofiuco, ossia l' «Uomo col serpente», che regge il Serpente con le mani, men­ tre con i piedi calpesta lo Scorpione. Accanto sono le Chele, anch'esse parte dello Scorpione, oggi costellazione della Libra, e infine Boote, detto anche Artofilace ossia «custode deli'Orsa», perché ne sfiora il carro. Sotto i piedi di Boote c'è la Vergine, al cui mito è dedicata una lunga digressione (vv. 96136). Sulle spalle di Boote si scorge splendente il Vendemmia­ tore, cui seguono Gemelli, Cancro, Leone e in sequenza Auri­ ga, Capra e Capretti e Toro (vv. 137-178). Toro e Auriga sono congiunti da un'unica stella, Elnath, vicina a Aldebaran, la più luminosa stella del Toro. Intorno all'Orsa Minore, detta Cino­ suride, si muovono le costellazioni di Cefeo, Cassiopea e Andromeda ( vv. 179-204). Segue il Cavallo legato ad Andro­ meda da una stella comune. Di esso si scorge solo una parte, dall'ombelico alla testa. Al Cavallo, identificato con Pegaso, segue la digressione sulla fonte Ippocrene (vv. 205-224). Non lontano dal Cavallo si estendono i sentieri dell'Ariete, poi il Triangolo e infine i Pesci, a breve distanza c'è la spalla sinistra di Andromeda e di seguito lo sposo Perseo che ha sulle spalle i piedi di Andromeda (vv. 225-253). Accanto al ginocchio di VIII

Perseo le Pleiadi, piccole e poco luminose, annunciano l'inizio dell'estate e dell'inverno. Se ne conoscono sette nomi, ma misteriosamente le stelle che si scorgono sono sei (vv. 254267). Accanto all'lnginocchiato si incontra la Lira, la piccola tartaruga bucata da Ermes in culla, e non lontano si trovano Uccello, Acquario e Capricorno (vv. 268-299). Accanto allo Scorpione si volge il Sagittario e verso nord la Freccia, l'Aqui­ la e il Delfino (vv. 300-318). Tra il mezzogiorno e l'orbita sola­ re si trova Orione, il cacciatore seguito dal Cane sul cui muso splende la luminosa stella Sirio. Al di sotto la Lepre fugge, inseguita dal Cane (vv. 319-341). La nave Argo avanza sotto la coda del Cane, la Balena verso Andromeda che si tira indie­ tro, ma Noto gliela spinge contro sul Fiume Elidano pieno di stelle, e dietro la Balena sciamano i Pesci che terminano in una stella posta in cima alla pinna della Balena (vv. 342-366). Tra il timone della Balena e i fianchi della Lepre vi sono ammassi di stelle senza nome che non rappresentano figure, a differenza delle costellazioni, che hanno un'immagine e un nome. Nel loro insieme queste stelle non particolarmente luminose sono dette Acqua e tra di loro si libra il Pesce del sud (vv. 367-401). Sotto l'aculeo dello Scorpione si trova l'Ara, di fronte alla quale si leva Arturo foriero di tempeste marine (vv. 402-430). Dinanzi all'Ara si trovano il Centauro, detto anche la Bestia, e in seguito Idra, Cancro, Leone, Cratere, Corvo, Procione (vv. 431-453). Vi sono poi cinque stelle erranti che si muovono tra i dodici segni dello Zodiaco. Arato dichiara di non sapere nulla di esse e si dispone a parlare degli astri che non errano (vv. 454-461), tra i quali la prima è la Via Lattea (vv. 477-479). Segue la descrizione dei quattro cerchi della volta celesta, i due Tropici, l'Equatore e l'Eclittica, che tiene insieme i tre cerchi, e le posizioni delle costellazioni rispetto a essi (vv. 480-558). Quindi il cerchio dello Zodiaco, che va dal sorgere del Capricorno al sorgere del Cancro. Dodici costella­ zioni si muovono in esso, in sintonia con l'avvicendarsi delle stagioni (vv. 559-568). Di qui inizia la parte dedicata all'osser­ vazione dei movimenti delle costellazioni nel loro sorgere e tramontare (vv. 568-732). Nel moto degli astri si inseriscono due digressioni: il mito di Orione (vv. 637-646) e, appena accennata, la vicenda di Cassiopea (vv. 653-658). Se le previsioni del tempo sono importanti per il contadino, sono addirittura vitali per il navigante che si affida alle onde. Arato condivide il terrore dell'uomo dei suoi tempi per i naufragi che erano frequenti, come testimonia la ricca serie di epigrammi dell'Antologia Palatina dedicati ai morti in mare. Si può notare una condivisione quasi fisica dei disagi e del freddo affrontati dai naviganti che spiano gli abissi come gabbiani tuffatori, esposti alla pioggia e alle ondate che traIX

volgono la nave. Pericolosi sono i venti Etesii e i Meltemi che soffiano sulla Grecia d'estate: per difendersi dai danni che essi provocano sono consigliate navi di grandi dimensioni, poiché una nave piccola non è che un pezzo di legno (òì..(yov ... !;uì..ov, v. 299) che separa il navigante dal regno dei morti. Ma il mare, secondo Arato, ribolle tempestoso tutto l'anno. Quando fulmina dalla parte di Borea, il navigante deve temere burrasche a sud, dalla parte di Noto, ma il pericolo si estende anche a levante, da dove spira Euro. l Pronostici La parte dedicata ai Pronostici (vv. 733-1 154) è costituita da

una lunga serie di consigli basati sui segni che la natura offre all'uomo. Arato procede attenendosi frequentemente al De signis teofrasteo, dove dopo lo studio dei venti sono elencati i segni utili a prevedere le piogge e i temporali. Nella dispo­ sizione della materia segue tuttavia un ordine diverso, affa­ stellando le previsioni che nel trattato sono distinte in sezio­ ni separate. In una sorta di introduzione il poeta sottolinea l'importanza dei segni concessi da Zeus agli uomini e ricava­ bili dall'osservazione della luna e degli astri (vv. 733-777). Numerosi sono i segni offerti dalla luna, di cui sono impor­ tanti il colore, la posizione dei corni, gli aloni (vv. 778-818). Importanti sono anche le indicazioni che vengono dal Sole, dal colore e dalla forma dei raggi, e ancora dagli aloni che indicano burrasca (vv. 819-891). Tra le costellazioni trasmet­ te segnali la Greppia (vv. 892-908), cinta dagli Asini. Segnali soprattutto di tempesta danno inoltre il mare che si gonfia, le stelle cadenti, i lampi a ciel sereno, le nubi che si ammassano, gli aloni neri intorno alle stelle (vv. 909-941 ). Più interessan­ te è la lunga parte dedicata al comportamento degli animali (vv. 942-1141). Anche qui Arato segue il De signis e talvolta riesce a dare un tocco di poesia al quadro delle creature del cielo, del mare e del cortile che avvertono i cambiamenti del tempo. Prevale tuttavia l'enumerazione, due volte torna l'ai­ rone, tre volte la cornacchia, due volte la civetta, due volte i corvi, due volte le tacco!e, tre volte i topi. Buoi, capre e agnel­ li ripetono inconsueti movimenti per annunciare il maltem­ po. A mani piene, com'è noto, attinge a queste immagini, tra­ sfigurandole, quasi per magia, il Virgilio georgico. Gli ultimi versi, in chiusura del poema, ribadiscono l'importanza, vitale per gli uomini, di dare ascolto alla voce della natura. Lo stile

Arato è un uccello pigro. Sempre in procinto di spiccare il volo, è incapace di staccarsi dal punto di osservazione. Sopra il suo capo il firmamento brulica di stelle, al di sotto la terra x

diffonde le sue favole, ma l'uno e l'altra sono trattati con cir­ cospezione. Nel poema, sospeso tra le orbite stellari e le aspettative della corte di Alessandria, l'impostazione stilistica risponde quasi sempre a insondabili scelte. Nella spigolosa struttura degli esa­ metri l'aderenza al canone callimacheo appare una doverosa pratica, più che un habitus mentale. La propensione verso l'in­ solito e lo strano si manifesta non solo nell'utilizzo inusuale dei vocaboli, ma più spesso nel piegare il termine a un signifi­ cato non attestato e ricavabile soltanto dal contesto. La pre­ senza di ripetizioni, anche nello stesso periodo, produce un senso di incuria che contrasta con l'aspirazione alla ricercatez­ za formale, l'affollamento di particelle non indispensabili un sapore prosastico poco conforme all'istanza poetica. Lo slittamento del significato può essere lieve, ma determi­ nante, come è il caso dell'aggettivo oe�t6ç (v. 5), il cui senso in questo luogo, , o piuttosto, per riferirsi ai segni di Zeus, «concesso benevolmente>>, spinge oltre il significato ori­ ginario di , che non sarebbe adatto a segni talvolta forieri di tempesta. Lo slittamento può tuttavia essere anche più complesso e implicare il passaggio da una funzione a un'al­ tra: è il caso del verbo axoilw (v. 336), chiamato a indicare la percezione non necessariamente uditiva e addirittura la con­ sapevolezza di un fenomeno, come intende Mair;4 del sostan­ tivo mlQTJOQLa, (v. 6(Xl) che dal valore originario di passa a significare la ; di (>uf!Oç (v. 927), che dal significato di passa a indicare la della stella; e ancora dell'aggettivo tQO)(aÀ6ç, che nella forma sostantivata tQOXUÀ6v (v. 476) si presta a descri­ vere la Via Lattea. Qualche piccolo gioco di parole accomuna Arato alla maniera alessandrina, come nel caso di UQQT]toç, all'inizio del poema, termine in cui si cela con una raffinata variante, UQQT]toç AQT]tOç, il suo nome, oppure, ai vv. 783-785, l'acrostico A€rrtf] individuato da J.-M. Jacques.5 Arato segue qui il modello ome­ rico imitando l'acrostico Àwxl) dei vv. 1-5 dell'ultimo canto dell'Iliade.• Il gioco non sembra casuale, se si considera l'im­ piego frequente del termine A€m6ç a proposito di Arato. Se però, come pare, l'acrostico resta un unicum, non ha molto peso ai fini di una analisi dello stile. � Cfr. p. 233: (�Are we aware», 5 J-M. Jacques, Sur un acrcmique d'Arato.• (Phén., 7f/3-7f/7), «Revue des Études Anciennes•, 62,1960,1-2, pp. 48-61. 11 Con un po' di fantasia Mathias Hanses ipotizza in questi versi una struttura simile a quella dei technopaegnia e vi individua un secondo acrostico in obliquo col termine ÀFUX�. Cfr. M. Hanses, The pun and the moon in the sky: Aratus' À>, proprio mentre al secondo posto vengono le Muse, invocate delle Opere in apertura. A Esiodo riconduce la rapida allusione alla prima infanzia di Zeus deposto sul monte Ditte (vv. 30-35), anche se nel testo di Arato entrano doverosamente in scena le orse a cui toccò l'ascensione nel firmamento. Una severa Dike, che rinnova l'immagine dell'esiodea figlia di Zeus sedu­ ta accanto al padre a svelare a gran voce (YTJQUEto) i pensieri degli uomini ingiusti (Op. 256 ss.), è l'ospite dell'aratea età dell'oro, nella quale, come nell'età dell'oro esiodea, l'uomo è felice e gode dei prodotti della terra. Non c'è coincidenza ver­ bale tra i due poeti, ma la ripresa si compie in una veloce sin­ tesi che non rinunzia ai toni e ai colori del modello. Nell'età argentea il declino dell'umanità non comporta come in Esio­ do la U�QLç, assente nel frasario di Arato, ma le sue conse­ guenze: guerra e spargimento di sangue. Infine, ancora sulla linea esiodea, fa la sua apparizione l'età funesta del bronzo, tempo di crimini e di violenza. Una ripresa esiodea si può considerare il ricorso occasio­ nale al Du-Stil, che ipotizza un ascoltatore sempre presen­ te allo sviluppo del poema. La seconda parte, dedicata ai Pronostici, nella quale l'uomo è invitato e volgere lo sguardo dal cielo alla terra, come il cielo provvida di molteplici segni, è più immediatamente esiodea, anche se l'aspro pessimismo del poeta di Ascra sfuma per Arato nelle regioni del firmamento. Si è voluto trovare nei Fenomeni traccia di una dottrina filo- Arato sofica, ma, a ben vedere, i rapporti di Arato con la filosofia e lo stoicismo non andarono oltre una patina stoica e la frequentazione dei rappresentanti delle scuole filosofiche del tempo. 8 La coloritura stoica risalta a partire dal Proemio, modellato sull'inno a Zeus di Cleante. Come nell'inno di Cleante, Zeus per Arato V eQyov fléya xat LlLòç dvm 1\EÙ�EQOç OcrtLç �8Ex'licrtQU UELVÒtEQU Questa è l'opera del dotto Arato, che una volta con sottile intelli­ genza mostrò le durevoli stelle, sia le fisse sia le erranti, e i circoli con cui è legato il cielo nel suo splendido roteare. Lode a chi riuscì a comporre un'opera grande: viene sùbito dopo Zeus chi rese gli astri più chiari."

Il più noto fra tutti è però l'epigramma di Callimaco (xxvii Pf.), sul quale occorre fare qualche considerazione. 'Hm.61iou �o �·aELOflll xat ò �Qòrroç où �òv àmowv �OJ(UtoV, àì.ì.'ÒXVÉW f!ft �Ò fJEÀLXQÒ�UTOV �WV È1lfWV Ò UJÀEÙç àmf!cl!;a�o. xa(QetE ÀErrta( (lftmeç, 'AQ!]�ou oùfll3oì.ov àyQultV(l]ç. Canto e stile d'Esiodo! Non sull'ultimo tra gli autori di canti, ma direi, sull'opera più dolce di poesia si modellò il poeta nato a Soli. Salute, frasi minuziose, segno delle notti di Arato senza sonno.

11 M. Gigante (trad. di). L'edera di J.eonida, Bibliopolis, Napoli 2011, p. 95. XVI

Secondo l'interpretazione comune, Callimaco intende salu­ tare in modo augurale il poema di Arato, modellato con ele­ ganti frasi durante insonni e laboriose notti. Lo stile essen­ ziale non lascia spazio a particolari in aggiunta, e l'impres­ sione che si trae a una prima lettura è che Arato rientri tra i raffinati autori di carmi lievi, tali da compiacere il gusto di un poeta che si proponeva di essere oùì..axuç, ò megòeLç, «il delicato, l'alato>> (Cali. Aet. I 32). La lettura del poema di Arato rivela al contrario un'opera che deve il suo fascino principalmente alla trattazione del cosmo popolato di stelle, scritta in uno stile scabro e diseguale, popolata di ripetizioni, intessuta di termini peregrini, più spesso di forme del parla­ re comune. Come intendere allora l'epigramma? Un lume proviene dall'acuta analisi di K. T santsanoglou, il quale ne fornisce una doppia lettura, la prima fedele all'interpretazio­ ne comune degli studiosi, e una seconda sua personale, nella quale rovescia completamente il significato del componi­ mento individuando nelle À.emal (l�meç l'opera di Esiodo. La conclusione è drastica: . 12 Ma è giusto ritenere del tutto negativo il giudizio di Calli­ maco? Se consideriamo l'epigramma da un altro punto di vista, il giudizio appare tutt'altro che elogiativo, ma Callimaco con­ serva per il poema di Arato il rispetto che si deve a un'opera laboriosa. Proviamo a riesaminarlo: la prima affermazione non lascia adito a dubbi. Per Callimaco, Arato ha ripreso due tratti essenziali del poema di Esiodo, il canto e lo stile. L'essersi modellato su Esiodo è un punto a suo favore che lo pone sulla scia dei poeti alessandrini. La seconda affermazione esprime tutta l'ammirazione per l'opera esiodea, definita . La scelta di Esiodo come modello di poesia è chiaramente indicata da Callimaco nel proemio degli Aitia e corrisponde a una diversa concezione dei valori contenutistici e formali rispetto all'epos omerico. Ma il verbo adoperato per indicare l'atto di conformarsi a uno stile volge il giudizio su Arato in altra direzione. à:rro�Jlo l ooo è termine che contiene una forte valenza materiale e solo per traslato si presta a indicare l'imitazione di un genere letterario. Calli­ maco usa à:rro�Jlloooo nell'inno A De/o per rappresentare l'on­ da marina che preme sulla schiuma, e il senso del verbo , , diviene al medio fino a " K. Tsanlsanoglou, The Àrm6n]ç of Arutus, «n·ends in Classics», I, 2009, l. pp. 55-89, in partioolare p. 55,

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«modellarsi». La scelta non è casuale e non indica l'elegante ripresa di un autore, ma la pedissequa adesione a un modello. Ciò che contrasta principalmente col canone callimacheo è la lode della raffinatezza formale, che non è il vero pregio del poema di Arato.La valutazione della forma si è voluta vede­ re racchiusa nell'aggettivo Àem:6ç, senza tener conto di altre possibili accezioni del termine, che in realtà si apre a un ven­ taglio di significati: da «fine», >, 64, 2014, pp. 609-614. R. Hunter, Written in the Stars. Poetry and Philosophy in the Phaenomena of Aratus, «Arachnion», 2, 1995, pp. 1-34. ,

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ll>AINOMENA

FENOMENI

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Amico mio, non credere alle stelle che ti/anno da guida nel cammino. losif Brodskij

(PROEMIO) Sia il principio da Zeus. Noi, razza umana, non tralasciamo mai di farne il nome. Sono piene di Zeus tutte le strade, sono piene le piazze, è pieno il mare, sono pieni i porti. E tutti noi che siamo la sua stirpe in ogni luogo ricorriamo a Zeus. Benevolo, dà segni favorevoli, spinge le genti umane alla fatica, con la memoria della sussistenza, dice quando la zolla è nel tempo migliore per i buoi e per la vanga, dice quando il periodo è favorevole per cingere le piante tutt'intorno e spandere ogni seme. I segni li fissò nel firmamento distinguendo le stelle lungo il corso dell'anno, e predispose quegli astri che agli uomini potessero fornire sulle stagioni indizi ben precisi per fare germogliare stabilmente ogni coltura. Perciò sempre lo invocano propizio, primo e ultimo. Io ti saluto, padre, gran portento, grande sostegno per la gente umana.

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aiJtòç xat JtQOtÉQ'I'J yEvEi) . Xa(QmtE M Moùom, J.!E lÀ(XLatÉQWV bé ai Ù>f.LWV XELQEç àe(Qavtm, tavuta( YE �v aÀÀUÒtç aÀÀf] oooav Elt' ÒQYUL�V· f.LÉOOq> l'l' ÉV3lEQ8E XUQ�Vq> ÒE�ttEQa\J :rroM ç axgav EXEt oxaÀtaio �gaxavtaç. auta\J xàxetvaç l:tÉavaç, tÒV àyauòv E8f]XE

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fino alla zampa, da cui velocemente si ritrae in senso opposto. Sulla sua testa non da un lato solo brilla una stella solitaria, ma due alle tempie ne ha il tremendo mostro, due agli occhi e una alla mascella, sulla punta. n capo è obliquo e pare integralmente reclinato verso l'estremo punto della coda di Elice. Tanto la bocca che la tempia destra risultano in perfetta linea retta contro l'ultima parte della coda. La testa si rivolge al limitare dove sono tutt'uno tra di loro il tramontare e il sorgere.

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(ENGONASI) E accanto al Drago avanza una figura con l'aspetto d'un uomo sofferente. Nessuno con chiarezza sa chiamarlo, né a quale patimento sia inchiodato, ma lo dicono Engonasi, «in ginocchio», perché somiglia a uno che si piega sulle ginocchia per la sofferenza. Dalle spalle s'innalzano le mani per la misura d'una tesa, aperte da una parte e dall' altra. Poggia dall'alto il piede destro in punta nel mezzo della testa del sinuoso Drago.

(CORONA DI ARIANNA) E sotto il dorso della figura in preda a sofferenza

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(BOOTE) Alle spalle di Elice, con l'aria di chi la stia spingendo, Artofilace, il Custode dell'Orsa, viene avanti. È chiamato dagli uomini anche Boote, l'Aratore, perché appare nell'atto di sfiorare l'Orsa col carro. È tutto risplendente. Sotto la sua cintura si rivolge, in mezzo alle altre stelle ben visibile, l'astro di Arturo.

(VERGINE) Sotto i piedi di Boote puoi scorgere la Vergine che porta tra le mani una splendente spiga. Che sia figlia di Astreo, che viene detto antico padre delle stelle, o di qualcun altro, possa tranquilla fare il suo percorso. Ma tra gli uomini corre una diversa diceria, che un tempo stava giù sulla terra e si muoveva faccia a faccia con le genti umane, senza evitare mai l'antica specie di uomini e di donne d'altri tempi, ma sedeva tra loro, pur essendo immortale. La chiamavano Dike. E radunando i vecchi nella piazza o in un'ampia contrada li incitava a gran voce pronunziando i decreti di legge. Non erano allora a conoscenza del funesto litigio,

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Detto così volgeva il passo ai monti, abbandonando i popoli che ancora la cercavano tutti con lo sguardo. Ma, quando morirono anche quelli, nacque la gente dell'età di bronzo, più funesta di chi la precedeva. E nel bronzo forgiarono per primi il pugnale da strada criminoso, per primi si cibarono dei buoi, bestie adatte all'aratro. E allora, piena d'odio per quella razza umana, Dike volò nel cielo e pose la dimora in questa zona, dove ancora di notte appare agli uomini. È la Vergine, posta accanto a Boote, che si lascia vedere da lontano. Si volge un astro sulle sue due spalle [sull'ala destra, e viene nominato Vendemmiatore] , tanto grande e splendido quanto è la stella posta sulla coda dell'Orsa grande.

(STELLE DELL'ORSA MAGGIORE)

È straordinaria questa e straordinarie sono le stelle accanto. Non potresti alla vista calcolare quale, bella e potente, si muova davanti alle sue zampe, una è sotto le spalle, una nella cascata che scende giù dai fianchi, un'altra dalla parte della coda, nella piega delle ginocchia. Ma procedono tutte senza sistema alcuno e senza nome

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da una parte e dall'altra.

(GEMELLI, CANCRO, LEONE) Sulla testa ha i Gemelli, al di sotto, nel mezzo, il Cancro, sotto le zampe posteriori splende bellamente con il Leone. Là si trovano i cammini del Sole in piena estate e i campi sono vuoti delle spighe al primo congiungersi del Sole con il Leone. Sopra il vasto mare piombano insieme con fragore i venti Etesii. Non è quello il tempo di andare a remi, ma mi piacerebbero navi di grande cabotaggio allora e che i piloti volti avessero volti al vento i timoni.

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(AURIGA, CAPRA, CAPREITI) Se avessi il desiderio di osservare l'Auriga e le sue stelle - e ti giunse la fama della Capra e dei Capretti che nel mare di porpora avvistarono più di una volta uomini dispersi lo incontri in tutta la sua mole reclinato dal lato sinistro dei Gemelli. Di fronte a lui si volge la sommità del capo d'Elice e alla spalla sinistra si avvicina la sacra Capra che offrì, come si dice, la sua mammella a Zeus - i ministri di Zeus le danno il nome di Capra Olenia. È grande e luminosa,

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mentre al contrario appaiono un po' fiochi i Capretti, all'altezza del polso dell'Auriga. Ai piedi dell'Auriga cerca il Toro con le corna, accosciato. Son molto verosimili i suoi segni, tanto la testa si distingue, né potrebbe qualcuno disegnare una testa bovina con un tratto diverso dalle stelle che, muovendosi in circoli, lo formano da entrambi i lati. Se ne fa spesso il nome, e così pure non sono certo senza risonanza le Iadi, una cascata interamente sulla fronte del Toro. Ma la punta del suo corno sinistro e, accanto, il piede destro dell'Auriga sono tenuti da una sola stella, portati avanti da un comune moto. Ma il Toro discende sempre prima dell'Auriga, dall'altra parte, benché si levi nello stesso tempo.

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(CEFEO) Neppure può restare innominata la sventurata stirpe di Cefeo figlio di Iaso, e infatti il loro nome giunse al cielo, perché erano assai vicini a Zeus. Alle spalle dell'Orsa Cinosura Cefeo appare nell'atto di distendere entrambe le sue mani.

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e il giro intero della sua cintura. Ma anche lì giace con le braccia aperte, anche in cielo conserva le catene e per sempre ha le mani spalancate.

(CAVALLO) Con la parte inferiore dell'addome sopra il suo capo avanza un prodigio, il Cavallo, e c'è una stella che risplende in comune per entrambi, a lui sull'ombelico a lei in alto sul capo. Altre tre stelle belle e rilucenti, poste a eguale distanza sui fianchi e sulle spalle del Cavallo, ne segnano il contorno. La testa non è di pari luce né il collo, benché lungo, ma la stella che brilla sul suo muso, proprio in punta, ben può gareggiare con le altre quattro che lo circoscrivono visibili a distanza. Quadrupede non è il Cavallo sacro, ma con metà del corpo, al centro, dalla cima dell'ombelico, compie il suo percorso. Si dice che abbia fatto scaturire dali' eccelso Elicona la sorgente bella e fecondatrice d'Ippocrene, la Fonte del Cavallo . Infatti non ancora era umida d'acque la pendice dell'Elicona, ma la colpì il Cavallo e un fiotto d'acqua si versò improwiso al colpo della zampa sua davanti.

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le altre stelle.

(LEPRE) Sotto i piedi di Orione in ogni tempo c'è la Lepre, inseguita senza sosta. E sempre Siria si muove dietro in atto di braccarla, sorge alla stessa ora e nel tramonto le tiene gli occhi addosso.

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(ARGO) Sulla scia della coda del gran Cane Argo si trae dal lato della poppa. La sua rotta non è secondo regola, ma è rivolta all'indietro come le navi quando i marinai, rigirate le poppe, si dirigono verso gli ormeggi, e ognuno senza indugio blocca il battello che retrocede e tocca terraferma. Così la nave Argo di Giasone viene tratta di poppa. Dalla prua fino all'albero si muove fosca e priva di stelle, tutto il resto espande luce. Il timone abbassato poggia sotto le zampe posteriori del Cane che precede.

(BALENA, FIUME) Un gran mostro marino, la Balena, avanza verso Andromeda, che si ritrae impaurita, e l'incalza non molto da vicino. Lei va avanti, piegata sotto il soffio del trace Borea e nel frattempo Noto le porta contro il mostro detestabile,

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sei parti delle dodici del cerchio ogni notte tramontano e ne sorgono altrettante. E sempre la lunghezza della notte si estende per quanto è la misura della metà del cerchio che si leva al di sopra della terra quando la notte inizia.

(SORGERE E TRAMONTARE DELLE COSTELLAZIONI) E per chi guarda attentamente il giorno sarebbe indispensabile osservare quando ciascuna delle parti sorge. Sempre infatti con una di queste in congiunzione si leva il Sole. Non c'è modo migliore di scrutarle della vista diretta, ma se sono oscurate dalle nubi oppure si levano celate dietro un monte, costruisciti segni ben fondati del loro sopraggiungere. Può darteli l'oceano da una parte e dall'altra dei suoi lati - molte costellazioni lo coronano, quando le fa salire dal profondo. Non sono debolissime le stelle, da una all'altra parte vorticanti al sorgere del Cancro tutt'intorno, sia quelle che tramontano, sia quelle che si levano di fronte. Scende la Corona, scende il Pesce nel verso della spina, una metà la puoi vedere in aria, e spingono i confini della terra metà della Corona che tramonta.

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vediamo spesso nella stessa notte sia andar sotto che sorgere dal lato opposto. Di lui solo una gamba viene scorta, con entrambe le Chele, mentre rivolto altrove fino al capo aspetta che si levino Scorpione e Sagittario. Sono quelli a condurlo, l'uno porta tutt'intera la parte che sta al centro, l'Arciere invece mano sinistra e testa. Avanza dunque in tre parti diviso membro a membro. Al loro sorgere portano le Chele metà della Corona e la parte finale della coda del Centauro. Scende allora il Cavallo, dopo che la sua testa è già scomparsa, ed è tratta davanti a lui la punta della coda dell'Uccello. Scende il capo di Andromeda. Le volge contro il tempestoso Noto la Balena - terrore senza fine mentre da Borea Cefeo la manda indietro con la grande mano. La Balena tramonta accanto a lei, volta sul dorso. Cefeo invece va sotto col capo, con la mano e con la spalla . Nelle belle correnti dell'oceano all'istante potrebbero cadere a precipizio i meandri del Fiume, per l'arrivo dello Scorpione, che, al suo giungere, fa tremare perfino il grande Orione.

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Sia propizia Artemide ! Secondo una leggenda che narravano gli uomini d'una volta, il forte Orione le strappò il peplo in Chio, quando colpiva tutta la selvaggina con la clava possente, per procurare il premio della caccia a quel tale Enopione. Ma lei, fendendo le alture in mezzo all'isola da una parte e dall'altra, gli spedì contro un' altra grossa bestia, lo Scorpione che, apparendo più grande di quanto era, per punirlo di avere molestato addirittura Artemide, lo colpiva e l'uccise, benché fosse di taglia eccezionale. Perciò si dice pure che agli estremi confini della terra Orione cerchi scampo, ogni volta che avanza all 'orizzonte lo Scorpione. Le parti di Andromeda rimaste indietro e del Mostro marino non lo ignorano quando viene fuori, ma a tutta forza fuggono anche quelle. Allora Cefeo con la sua cintura sfiora la terra e immerge nell'oceano il capo tutto intero, non il resto del corpo, ma le Orse gli trattengono i piedi, le ginocchia e la cintola. E l'infelice Cassiopea in persona incalza la figura della figlia. Non appaiono in modo regolare i piedi e le ginocchia dal sedile

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vede un diverso sorgere del giorno. Conosci queste cose pure tu - da tutti infatti sono celebrati i diciannove cicli del Sole risplendente -, e quanto la notte fa girare dalla cintura fino all'estremo limite di Orione e il cane di Orione baldanzoso, e le stelle visibili di Poseidone o dello stesso Zeus offrono agli uomini predisposti segni. Perciò su questo impegnati. Abbi a cuore, se ti affidi a una nave, di scoprire quali sono i segnali che ricorrono coi venti burrascosi o con il mare in preda all'uragano. Si tratta di una piccola fatica, ma immenso è il beneficio per l'uomo che con cura si riguarda. In primo luogo mette in salvo sé stesso maggiormente, e può giovare inoltre a qualcun altro informandolo quando sta per venire la tempesta. Spesso infatti c'è chi pone al sicuro le navi in una notte di bonaccia temendo il mare per il giorno dopo. Certe volte il maltempo si diffonde al terzo giorno, o al quinto, talvolta all'improwiso. Non di tutto noi uomini da Zeus veniamo a conoscenza, ma rimangono ancora non svelate molte cose che presto ci darà Zeus, se lo vuole.

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più avide di sangue, mordono più di prima né, se quando la notte si fa umida, intorno allo stoppino della lampada si raccolgono funghi, oppure se d'inverno talvolta la fiamma della lampada si leva normalmente, ma altre volte le linguette di fuoco balzano come lievi efflorescenze, o se in quel punto si formano dei raggi scintillanti, oppure se nel pieno spiegarsi dell'estate gli uccelli delle isole si muovono fitti tra loro. Non ti sfuggano, quando il tizzone è ardente, le faville d'una pentola o un tripode sul fuoco né il luccichio di segni nella cenere che somigliano a granelli di miglio, ma sta' a osservare bene queste cose, se ti aspetti la pioggia. Se una nuvola scura si estende bassa sopra un alto monte mentre appaiono limpide le vette, puoi avere allora un cielo assai sereno. Sereno vi può essere anche quando una nuvola bassa appare sulla vasta acqua marina e non si leva in alto ma resta densa, come un piatto scoglio. Quando sei nel bel tempo tieni d'occhio il temporale e quando c'è tempesta, la bonaccia. Bisogna guardare senza posa

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Èç aTV1']V ògaav , t�v Kagxivoç àj.Uj>LEÀ(ooEL, JTQ&ta xa8aLQOj.IÉV1']V M01']ç u3TÉVEQ8Ev Ò�XÀ1']ç· XELV1'] yàg 8CvovtL xa8a(QEtm Èv XELJl.Ù.>VL. xal MyEç �OUXLUL ÀUXVWV xal VUXtEQL1'] yÀa'Ùs �ouxov àEic"'ouoa jlUQULVoj.IÉvou XELJ1.6.>voç yLvÉo8w tm of]jl(l, xal �ouxa JT.OLXiÀÀouoa WQTI Èv ÉOJTEQLTI xgauy�v :rro Àuwva XOQWV1'] , XUL XÒQUXEç j.IO'ÙVOL IJÈV ÈQ1']jlULOV �OÒWvtEç c"'LOOOXLç, autàQ EJTELta j.!Éy' a8g6a XEXÀ�yovtEç , JTÀELÒtEQOL c')' ayEÀ1']MV, ÈJÙ]V XOLtOLO j.!Éc"'wvtm, wvf}ç e�Etm· xa(QELV xÉ ttç oi�omto, ola tà IJÈV �OÒWOL ÀLYULVOj.IÉVOLOLV Òj.IOLa , :rroÀÀÒ c"'È c"'EVc"'QELOLO JTEQL Mov , aÀÀot' ÉJt' auto'fl �xi tE xEioumv xal uootgo:rro t àmEguovtm. XUL c')' av JtOU yÉQUVOL jlUÀUxf]ç JTQOMQOL8E yaÀ�V1']ç àoaÀÉwç tUWOUlEV EVa c"'QÒj.IOV �ÀL8a Jtdom, oùM JtaÀLQQÒ8LO( XEV um:MLOL ogÉmvto. � j.!Oç c') ' àotEg68Ev xa8agòv aoç à!-$ì..ilv1']tm, OÙc"'É :rro 8EV VEÉÀUL JTEmEOj.IÉVUL CtVtLÒWOLV , oùM :rro 8Ev �òoç aÀÀoç UJtOtQÉXn oùc"'È OEÀ�V1'] .

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verso la Greppia, che è al centro dell'orbita del Cancro, non appena al di sotto si chiarisce di ogni brwna. Infatti quando la tempesta va placandosi diviene chiara. E le fiammelle calme della lampada e la civetta amica della notte che emette un calmo suono siano il segno per te che tem para le si allontana, e così la cornacchia dalle molte voci che un verso calmo modula di sera, e i corvi che quando sono soli emettono un unico suono per due volte, ma poi in fitta schiera schiamazzano senza interruzione a voce piena, quando è l'ora del sonno. Si potrebbe pensare che san lieti dato che il loro suono sembra un canto, spesso intorno alla scorza rigogliosa di un albero, altre volte su di esso, e lì vanno a dormire e in quel punto ritornano volando. E poi le gru, in vista di un sereno delicato, potrebbero spiegarsi tutte insieme col tempo bello, in un sicuro volo senza ritorno. Quando si affievolisce delle stelle il limpido chiarore e da nessuna parte degli ammassi di nubi le contrastano e da nessuna parte si interpone sotto di loro l'ombra né la Luna,

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àì.:Aà "[(X y' è!;amvT]ç atn:wç à�-�EVTJVà égwvrm, 11-TJXÉ'tL toL 'tòb€ OfJ!-LU yaÀT]Va(T]ç È:mxefa8W , àì.ì.' è m xei�-LU Mxeve· xaL òmt61:e 1:af � v ewmv aù'tfl ÈVL xwgn veÉÀm, 'taL b' O.ì.:Am bt' aù1:aiç, 'taL �v Ù!lEL�Ò!lEVaL 'taL b' è1;6m8ev, ogéwvrm. xaL xf]veç xÀayyT]Mv bray6�-�Evm �QW!-LOio XELIJ.Ù>VOç !-LÉYa Of]�-LU, xal ÈvveétyT]Qa XOQWVT] vux'tEQOV àe(bovaa , xaL Ò'4JÈ �OWV't€ xoÀmo(, xaL muvoç �VOç L6vroç :7fQÒOOW :71'0L�OaLVLO VO�V XT]QOLO !-LÉÀLOOaL, àì.ì.' aùtofl !-LÉÀL't6ç 'tE xaL egywv eiì.fooov•m· oùb' ù'4Jofl yegavwv 11-UXQaL o•fxeç aù1:à xÉÀev8a 'tefvov'tm, mgoabeç bè rr.aÀL!13fE'tÈç à:rrov éovrm. 11-TJb' . o•e VTJve�n xev àgaxvta Àelttà ÉQTJ'taL,

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ma all'improvviso spontaneamente avanzano con luce molto fioca, questo non sia per te una previsione di tempo buono, ma ti devi aspettare il temporale, così pure quando l'una sull'altra nello stesso luogo si muovono le nubi e altre su quelle, alcune superandole, altre dietro. E sono segnale di maltempo le oche, quando cercano il becchime avidamente strepitando, e la cornacchia dalle nove vite, quando canta di notte, e le taccole, quando rumoreggiano in ora tarda, e il fringuello che pigola a prim'ora, e gli uccelli che fuggono tutti dal mare, e lo scricciolo e pure il pettirosso che cercano rifugio nelle tane, e le tribù di taccole che passano dal pascolo all'asciutto al nido per la notte. All'arrivo di un grande temporale neppure le api fulve farebbero lontano la raccolta della cera, ma, dandosi da fare per il miele, starebbero a ronzare lì vicino. Né si estendono in alto nei sentieri consueti i grandi stormi delle gru, ma ritornano indietro roteando. Quando nel tempo buono si producono lievi ragnatele

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xal cpMyEç aleuoowm fJEÀmVÒf.IEVaL ÀUXVOLO, ìì Jtll Q aurrcm o:rr.ou bfl xal um:Ubt.a ì..uxva , motEUELV XEL�VL. t( tOL Myw oooa JtÉÀOVtm o��m· bt' àv8gw:rr.ou ç; bl) yàg xat àELXEL tÉcpgn UUtO'U Jtr]yvti�VTI VLEtoÙ È:rtLtEXj.L�QaLO, xat ÀilXVAÒJ? ·m 8ono1,t1mc DXJl.�D S\} 1DX 1DAC!JM'll! \J , mTil,to 1oTIJOl.\} 53l.A'9ll 100lC Òl?li �ç J? l. ·1 0lC(l)Ò8 A"9, A31iO ewç 6 'Evyòvaa(v ÈatLV, lJrTÈQ ti']ç XEaÀt)ç tÒV ÒE;LÒv rr.6òa EXWV; ma lp­ parco (I 2, 6) riteneva che il piede fosse il sinistro. 7 1 -73 . Alle spalle dell'uomo inginocchiato si distingue la Corona. In essa gli antichi, come annotano gli scollasti, riconoscevano la co­ rona che Arianna ricevette in dono da Afrodite e dalle Ore, quando divenne sposa di Dioniso. Al catasterismo della Corona fa cenno Callimaco nella Chioma di Berenice (fr. 1 10 Pf. ) . TI testo corrotto è ristabilito da Catullo: «Vario ne salurn in lumine caeli l ex Ariad­ neis aurea temporibus l fixa corona foret» (Carm. LXVI 60 s.). Così Cicerone (fr. XIII ): «Hic ill a eximio posita est fulgore Corona>>. xaxEivoç ha la funzione dell'il/e latino riferito a qualcuno o qual­ cosa ben noto. Arato segue la versione secondo cui Dioniso, ad­ dolorato per la morte di Arianna, ne trasportò in cielo la corona. Secondo Apollonia Rodio (III 1 000- 1 004) furono gli dei a porre in cielo la corona di Arianna. anmxo�Vt']ç ÀQLCtÒV'I']ç: il nesso è ri­ preso da Nonno nelle Dionisiache (XLVIII 97 1 ) . 73 -78. L a Corona è vicina alla parte posteriore dell'Inginoc­ chiato. Il concetto, già espresso, è introdotto dall'anafora vwtcp . . . VWt!p. XEaì..fl YE �v axQn: il dativo deve intendersi come locativo, ma la struttura della frase è contorta e complicata dall'introduzione della seconda persona, axbttE o, «guarda», «scruta». 78-8 1 . Ofiuco è raffigurato come un uomo che porta un serpente. La costellazione appare così fulgida che se ne possono scorgere an­ che nelle notti di Luna piena le spalle, non così le mani disegnate da stelle più fioche, (cfr. Hipparch. I, 4, 1 6- 17 ) . Eiawm:>t tEÀÉ6oLEv: «risultano visibili». Eiawrr.Oç è rarità america, (cfr. Il. xv 653 , dove è costruito col gen.). Arato dice che le mani di Ofiuco non splendono come le spalle. ÀE:rrt� . . . aryì..l'] : l'espressione ricalca, fin nella clausola un verso omerico, Od. VI 45 : ÀE1JX� [)' èmòÉÒQOf.IE atyÀ'I']. Qui ÀE:rrt� varia ÀEux� . e la luce tenue che trascorre sulle mani di Ofiuco si oppone al candido bagliore dell'Olimpo. Tutta­ via anche le mani di Ofiuco sono visibili, perché non sono incon133

sistenti. ÈÀa� sono uno dei pochi casi in cui il poe­ metto didascalico si apre a un'immagine poetica. L'impiego di �X�E tç, che ricorre nell' Ilzade in relazione al mare in un verso in cui s'incontrano anche i monti, oiJQEét tE oxt6EVta 8aÀ.aooét tE �x�­ woa (I 157) , è un esempio di allusione al modello omerico con va­ riazione. ù:rro ÒELEÀ.oç, «verso sera», neologismo ripetuto anche al v. 826. 1J0uva�, ionico per fillva� (v. 194) , è termine omerico ( Od. VIII 37 1 , XI 4 17 ) . tEcp tLVL. j.IEIÀLX(OLOLV, sci!. E:rtEOOLV: la forma sostan­ tivata ricorre in Omero (Il. IV 256, VI 2 14). ET] Eiowrròç ÈÀ.EuoE­ o8at, costruzione anacolutica. Per ELowrr6ç cfr. v. 79. 123 - 126. TI discorso diretto contiene il rimprovero di Dike. XQiJ­ oELOL rtatÉQEç: con una inedita trasposizione, l'appellativo dell'età =

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dell'oro passa direttamente ai n:atÉQeç. yeve�v ... xeLQOtÉQlJV (cfr. Hes. Op. 127: yévoç .. . xeLQ6teQOV). xa( . . . aÀ.yoç: il verso riecheg­ gia Esiodo ( Op. 1 61 s . : xat toùç f!ÈV ooÀ.eJillç te xaxòç xat cjn!À.o­ mç atvij). àvaQaLOv atfW: il nesso è originale (cfr. Kidd, op. cit. , p. 227 : «calltda iunctura») . 127-128 &ç elJroua( a): la fonnula che conclude il discorso diretto coincide con la sparizione di Dike sui monti, i quali fungono da spartiacque tra la terra e il cielo. toùç . . . n:ama(vovtaç. Lo sgo­ mento dell'umanità, che cerca ancora con occhi ansiosi la giustizia, è presente nel nesso allitterante, quasi un balbettio, ÈÀ.LJ.UIDVe n:a­ ma(vovtaç. 129- 134. àì..ì.. ' ote, ripreso al v. 133 da xat t6te, introduce il mo­ tivo dell' allontanamento di Dike. Gli uomini dell'età del bronzo si rivelano peggiori dei precedenti, JlQOtÉQWV ÒÀ.owteQOL. Manca la pausa esiodea dell'età degli eroi, ma una visione acutamente pessimistica presiede al cammino di una umanità sempre peg­ giore. IJilxaLQav: gli uomini malvagi inventarono il pugnale, da portare con sé per compiere azioni criminose, etvobtl]V, quasi «da passeggio»; inoltre, come se non bastasse, non più vegetariani, in­ vece di usare i buoi per l'aratro, li mangiarono. Si avverte nei par­ ticolari una nuance comica, probabilmente involontaria. ema8 'im:O'UQUVL1'] : è l'ultimo atto del soggiorno sulla terra di Dike che vola al cielo, come se ne vanno Aidòs e Nemesis nel poema esiodeo, mentre Dike resta, con effetti catastrofici, Èv xeQaL 135-136. Nel firmamento Dike forma la costellazione della Ver­ gine, vicina a Boote che appare fortemente visibile. 137- 140. Il v. 138, in cui compare un'ala destra della Vergine, è presente nei codici più antichi, ma non nell'Arato latino, non risulta tradotto da Cicerone né da Gennanico, ed è stato espunto dal Voss. La presenza delle ali, forse posteriore al poema di Arato, è rico­ nosciuta da lpparco (II 5 , 6; III 4, 1 1 ) , che pone su ciascun'ala della Vergine una stella. Eratostene pone sull'ala destra la stella detta Vendemmiatore (Cat. 9). Il Vendemmiatore, che sorgeva a set­ tembre, indicava agli antichi il tempo della vendemmia. Oggi, per la precessione degli equinozi, l'autunno ha inizio col Sole nel segno della Vergine, per cui il Vendemmiatore non è l'astro che brilla al­ l' alba in quel periodo. La mitologia indicava nella figura del ven­ demmiatore il giovinetto Ampelo, amato da Dioniso e da lui posto dopo la morte nel firmamento. Il catasterismo è narrato da Ovidio (Fast. III 409-4 14). La stella descritta è la e Virginis, eccezionale per 136

grandezza e splendore, tanto da poter essere paragonata a quella che brilla sulla coda dell'Orsa Maggiore. 14 1 - 146. beLvi]: bnv6ç è vox media, con varie sfumature di si­ gnificato. Con l'aggettivo, che ha qui un valore pregnante, il poeta intende rappresentare una qualità di grado talmente elevato da ge­ nerare uno stupore vicino allo spavento. Così scrive lo scoliasta Q: àvd TOU XaTanÀT)XTLX� bLÙ T�V Àaf.LITQOTT)Ta TWV àm:ÉQWV, e cita Omero (Il. XVI 104 s.) per la luminosità dell'elmo di Aiace. Arato mostra la costellazione dell'Orsa in tutto il suo splendore con una cascata di stelle, una più fulgente dell' altra. àÀÀ' ... OQÉOVTm: le stelle che formano l'Orsa non hanno nome e non sono fisse, ma si muovono in orbite distinte. àvwvu� è un hapax. 147- 148. Sulla posizione dei Gemelli e del Cancro, rispetto al­ l'Orsa, Arato espone la tesi di Eu dosso (fr. 3 3) riferita da lpparco, che tuttavia non la condivide, affermando che sotto l'Orsa ci sia sol­ tanto il Leone. La costellazione dei Gemelli presenta due stelle par­ ticolarmente brillanti a cui si è dato il nome di Polluce e Castore, figli gemelli, il primo di Zeus e Leda, il secondo di Leda e Tindaro. Il Cancro, secondo Eratostene (Cat. 1 1 ) , fu posto nel firmamento da Era, come premio per avere morso al piede Eracle che com­ batteva contro l'idra di Lerna (cfr. Hyg. Astr. 2; Apollod. II 5 , 2). Il Leone, ancora per Eratostene (Cat. 12), sarebbe la belva nemea uccisa da Eracle e posta da Zeus nel firmamento. 149- 15 1 . Il momento culminante dell'estate si manifesta quando il Sole è in congiunzione col Leone. SeQe(m-rm: raro superlativo di Stgnoç. xÉÀEuSm: il termine che qui ha uno scopo funzionale, non è privo di una valenza poetica che risale a Omero, il quale conosce i veloci sentieri dei venti (Il. XIV 1 7 : àVÉf.WJV Àan)'T)QÙ xÉÀEuSa) , come quelli della notte e del giorno ( Od. X 86) . Quando il Sole è in congiunzione col Leone i campi sono privi di messi perché il grano è stato già mietuto, piuttosto che perché le spighe sono bru­ ciate dalla vampa solare. 152- 155. xeÀabov-reç ... È�oumv: la descrizione acquista en­ fasi dall'eccesso del suono e del movimento. Gli Etesii, o Meltemi, sono venti periodici provenienti da nord che soffiano sulla Grecia peninsulare e insulare durante la stagione estiva. Non sono parti­ colarmente violenti, anche se possono occasionalmente provocare burrasche. ÙQÉOXOLEV: il poeta entra in prima persona nel quadro a sconsigliare l'uso di piccole navi a remi e a testimoniare il timore del mare diffuso nell'antichità. Diversa l'antitesi tra navi piccole e grandi fmalizzata al maggiore guadagno in Esiodo (Op. 643 ) , che 137

non manca tuttavia di accennare ai pericolosi soffi dei venti (cfr. v. 645 : xaxàç . . . àrrmç) . 156- 1 6 1 . ei . . bijELç: il periodo ipotetico misto oscilla tra l'ipotesi che l'interlocutore voglia scorgere la costellazione e la certezza della posizione dell'Auriga nel firmamento. La figura dell'Auriga è stata identificata con Erittonio, figlio di Efesto e Atena, che nelle Pana­ tenee si esibiva come guidatore di un carro a quattro cavalli o con Mirtilo, l'infelice auriga di Enomao, innamorato di lppodamia, ri­ vale di Pelope e da questi gettato a mare. (mç: la scelta del ter­ mine aggiunge un tocco di favolosa lontananza, ma in realtà la Ca­ pra e i Capretti erano ben noti ai naviganti. Così nella Parodos dell'Ippolito euripideo si esprime l'ancella: IJOL :rre cirra atLç �À.8E bw:n:o(vaç (v. 130). aly6ç: la Capra è una stella molto luminosa, in­ dividuata sulla spalla sinistra dell'auriga (Cic., fr. XXV 3: «At Capra laevum umerum clara obtinet») . 'Eg(wv: i Capretti, due stelle (T] e �) sulla mano sinistra dell'Auriga sono all'orizzonte in ottobre. I Capretti erano considerati forieri di pioggia fino a divenire un to­ pos poetico (cfr. Cali. Ep. XVIII 5 s. Pf. ; Theocr. Id. VII 53 s.). oi . . àv8gw:n:ouç: l'influsso nefasto dei Capretti produce naufragi. :n:og­ ugouan : il termine non ricorre altrove prima di Arato, ma la ma­ trice è omerica. In Omero :n:ogiJgwç è associato a XÙf.Ul (I/. I 482 , XIV 16), con significato di movimento tempestoso, e in Alceo (fr. 45 , 2 Voigt) a 8aÀ.aaaa. xEbaLOj.IÉvouç: il verbo xEbaCw, «rom­ pere», insolito in questa forma, si presta a rappresentare i naufra­ ghi distrutti dall a tempesta. aùt6v . . . bijELç: l'apodosi giunge dopo un piccolo giro di parole a stabilire la posizione dell'Auriga, che ap­ pare reclinato tutto intero dalla parte sinistra dei Gemelli. 1 6 1 - 1 64 . 'EJ..(xf]ç . . . bLVEUEL: Eudosso (fr. 29) scriveva: xatÉvavtL bè tf)ç; xEaÀ.i')ç; ti')ç MEyaÀ.T]ç AQlttou. La disposizione ambigua delle parole ha creato qualche disparità di interpretazione sull' ap­ partenenza del capo all'Auriga oppure a Elice. Cicerone (fr. XXV 2) traduce: «Adversum caput huic Belice truculenta tuetur». Il Mar­ tin: «Tandis que le sommet de sa tete [sci!. dell'Auriga] tourne en face d'Béliké»; il Kidd: «While apposite Belice circles his head at the extremity». Che la sommità del capo appartenga all'Orsa sem­ bra tuttavia la soluzione più convincente. AL!; iEgi]: la mitologia identificava nell'astro, detto Capella, la capra Amaltea, nutrice di Zeus. 'QÀ.EVLT]V: l'epiteto riconducibile a WÀ.ÉVT] , «gomito», do­ vrebbe indicare la posizione della stella rispetto all'Auriga, ma non è da escludere il riferimento al mitico personaggio di Oleno, figlio di Efesto e padre delle ninfe Elice e Ege, quest'ultima iden.

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tificabile con la capra (Al;) , a cui fu affidato Zeus bambino (Hyg. Myth. 1 3) . u:rrofjtm: il tennine che ricorre una volta in Omero (Il. XVI 235) è più ricercato rispetto a neo�tT]ç e sembrerebbe indi­ care, oltre il veggente, il sacerdote. 165- 166. La Capella è grande e luminosa, al contrario dei Capretti che hanno un lume fievole. Cic. (fr. XXVI 2) traduce: «Contra Haedi exiguum iaciunt mortalibus ignem». xaQltÒV xatà XELQ6ç: si tratta del polso dell'Auriga della cui costellazione fa parte la Ca­ pra, ma il riferimento risulta alquanto lontano. 167- 1 7 1 . Il Toro appare ben visibile con le corna, disteso ai piedi dell'Auriga. Èmx6ta O�f!ata X Eitm: la medesima clausola è ai vv. 437 e 820. f!U1eo8m: infinito con valore di imperativo; an­ cora un invito a un personaggio indefinito a partecipare all'os­ servazione del firmamento. Arato mette in rilievo il disegno per­ fetto, in cui si distingue molto bene la testa dell' animale, anzi aggiunge che nessuno potrebbe rappresentare una testa bovina con maggiore evidenza di quanto lo fanno gli astri che formano la costellazione muovendosi in cerchio da entrambi i lati. :rre ­ m:Tj6ta: la derivazione più probabile del participio, per la figura del Toro, sembrerebbe :rretaVVU J.U piuttosto che mmw, mentre è da escludere m:�oow, che implica uno sgomento poco adatto alla scena. Il Toro appare disteso, appoggiato con tutto il corpo, e in tal senso è da intendere anche la resa ciceroniana (fr. XXVII: «conixus corpore») . Scrive Eratostene (Cat. 14) che il Toro venne posto nel firma­ mento per avere trasportato dall a Fenicia a Creta Europa, che da lui generò Minosse. Affenna inoltre che di questo argomento scri­ veva Euripide nel Frt'sso , ma altri ritengono che in realtà si tratti della vacca in cui fu trasformata lò. 172 - 1 74. Benché le stelle che formano il Toro fossero note, il poeta non ne dice il nome, passando direttamente alle Iadi, un am­ masso stellare che costituisce la testa del Toro. Secondo la mitolo­ gia, le Iadi erano figlie di Atlante ed Etra. Il nome era fatto risalire a UEL, perché il loro apparire annunciava le piogge autunnali. Un'al­ tra etimologia le collega a uç, «SCrofa», per cui in latino erano dette anche suculae. L'origine del catasterismo è legata all a figura di Dioniso che, quando Semele fu arsa dal fulmine, fu tratto dal ven­ tre materno e accolto nella coscia di Zeus (Apollod. III 4 , 3 ). Una volta nato il bambino, Zeus, per difenderlo da Era lo avrebbe tra­ sfonnato in cap retto (Hesych., "EQLoç· ò .-lL6vuooç, ad vocem) e af­ fidato alle ninfe ladi perché lo accudissero (Pherec. FGrHt'st 3 F90) . 139

In riconoscimento di ciò furono collocate nel firmamento. Il loro numero è attestato in modo variabile, come si legge nello scollo al v. 172, e va da due a sette. Esiodo (fr. 29 1 M-W) ne conosceva cin­ que. �e�Matm: il verbo �étìJ.w è una felice scelta terminologica per dipingere la manciata di stelle che copre interamente la fronte del Toro(cfr. v. 3 7 1 ) . 174- 176. Una delle stelle è comune al Toro e all'Auriga. S i tratta di Elnath (� Tauri o y Aurigae) che segna il corno sinistro del Toro e il piede destro dell'Auriga. La più splendente è Aldebaran che se­ gna l'occhio del Toro. 177-178. TI Toro e l'Auriga sorgono insieme, ma il Toro tra­ monta sempre per primo. Critico il commento dello scoliasta, che accusa i poeti di presentare come fenomeni strani fatti che rientrano nelle leggi della fisica. li tramonto anticipato del Toro si spiega poi­ ché, trovandosi più a sud dell'Auriga, compie un giro minore sul­ l'orizzonte. 179- 181 La costellazione settentrionale di Cefeo raffigura il re del­ l'Etiopia, marito di Cassiopea e padre di Andromeda. 'Iaa(l\ao: la paternità di Cefeo è controversa. Secondo Erodoto (VII 6 1 , 3) era figlio di Belo, ma Arato sceglie una diversa discendenza, da Iaso re di Argo, figlio di Zeus e Niobe e padre di Iò (Apollod. II 3; Paus. II 16, l ; schol. Eur. Or. 932) . Non diversa è la divinità della stirpe, se si accetta la paternità di Belo, generato da Epafo, figlio di Zeus e Iò (Apollod. II l , 2-4) . iiQQT]tOv: il termine, che al v. 2 ricorre in relazione a Zeus, sottolinea l'importanza, per la stirpe di Cefeo, di essere nominata e ricordata dal poeta, ma anche la nobiltà della stirpe stessa. €YfÙ8ev �aav: l'espressione indica parentela divina in Eschilo (fr. 162 Nauck: oi Sewv étYXlaJTOQOL ol Zl]vòç èyyilç), e in tal senso ricorre già in Omero a proposito dei Feaci ( Od. VII 205 ) , considerati u n popolo eletto. 1 82- 1 83 . Cefeo appare con le braccia e le mani tese alle spalle del­ l'Orsa Minore (Cic. fr. XXIX: «Namque ipse ad tergum Cynosurae vertitur Arcti») . 1 84- 1 85 . Arato traduce Eudosso (fr. 3 3 : 'YJtè> M t�v oiJgàv tf)ç MLXQéìç AQXtOU toùç rr6l\aç 6 KT]Eùç EXEL :rtQÒç axgav t�V oiJgàv tQ(ywvov laolTÀeugov rrowùvtaç ) , tralasciando la men­ zione del triangolo equilatero che si viene a formare unendo le rette che rappresentano la distanza tra i piedi di Cefeo e la punta della coda di Cinosuride e quella tra i due piedi della figura umana. Il Kidd (op. cit. , p. 250) tuttavia mette in luce il gioco di parole derivante dalla triplice flessione del termine rroilç al v. l 85 , 140

come «an ingenious and lucid version of Eudoxus' geometry>>. lp­ parco (I 5, 1 9) dissentiva da Eudosso riconoscendo nella figura un triangolo isoscele, poiché, secondo lui, la misura dello spazio tra i due piedi è inferiore alle altre. 1 86- 1 87 . L'atto di spiare dietro la cintura di Cefeo è presentato come un'ipotesi da considerare volendo scorgere la prima delle spire del Drago, poiché Cefeo è alle spalle delle Orse intorno alle quali passano le spire del Drago (vv. 45 ss. ) . 1 88- 1 89. Cassiopea è presentata come una costellazione non molto estesa e non particolarmente luminosa. Arato dice che nelle notti di Luna piena non si scorge chiaramente. La moderna scienza astronomica ha riconosciuto la presenza di stelle giganti lumino­ sissime la cui distanza in anni luce dalla terra è variabile. Se ne de­ duce che il disegno che si scorge dalla terra è frutto di una illusione ottica. Secondo il mito la costellazione raffigurava Cassiopea, regina di Libia e moglie di Cefeo che si era vantata d'essere più bella delle ninfe marine Nereidi. Per punirla dell'insulto arrecato alle ninfe, Poseidone mandò un mostro, rappresentato nella costellazione della Balena, a razziare le coste del territorio di Cefeo. Per liberarsi del mostro, Cefeo ebbe l'ordine dall'oracolo di Ammone di offrirgli in sacrificio la figlia Andromeda. La fanciulla, incatenata alla costa rocciosa, fu salvata dall'intervento di Perseo, che uccise il mostro (Eratosth. Cat . 16, 1 7 ; Apollod. II 4, 3 ). Il mito era argomento del­ l'Andromeda di Sofocle (frr. 126- 136 Radt) e dell 'Andromeda di Eu­ ripide (frr. 1 14- 156 Nauck 2 ) . ÒaLf.LOVLr]: l'aggettivo qualifica feli­ cemente la figura di Cassiopea, come causa e vittima di terribili giochi del destino. neoxuÀLVÒE'taL: il verbo ricorre solo una volta in Omero (Il. XIV 1 8) per il movimento del mare. Qui sembra vo­ ler indicare un'andatura precipitosa. MJ.lJ.lT)VLÒL, «di Luna piena», è hapax. 1 90- 1 92 . Le stelle di Cassiopea non sono molto splendenti, ma ne delineano la figura. yav6w è termine tardo. 1 93 - 1 95 . otn ÒÈ XÀT)LÒL: il paragone è insolito e complicato. Il te­ sto dei manoscritti è stato corretto in due punti: al v. 192 codd. OLT)V, Grotius otn; al v. 1 93 codd. ÒXf)Eç, Voss òxf)aç. Secondo la lezione dei codici il poeta paragona gli astri che coprono Cassiopea a una porta che viene aperta da una chiave, secondo il testo corretto il pa­ ragone è con la chiave. In questo caso bisogna intendere che gli astri che delineano Cassiopea formino la figura di una chiave (cfr. Zan­ noni, Arato di Solz; Fenomeni e Pronostici, Sansoni, Firenze 1 948, p. 57 ; Kidd, op. cit. , pp. 253 s.). La forma riconosciuta della costel141

lazione è in realtà una W. mooS': gli scollasti precisano che il sistema di apertura con chiave dall'esterno è più recente rispetto alla chiu­ sura dall'interno in uso nei tempi antichi, e citano una scena ame­ rica (Od. XXI 47) in cui Penelope apre con la chiave una porta della casa. IJDUVét� (cfr. v. 1 1 9) : gli astri mandano ciascuno la propria luce. Arato sembra quasi intuire la reale distanza tra le stelle di Cassiopea. 1 95 - 1 96. Cassiopea è raffigurata con le braccia tese. Letteral­ mente «tesa in avanti per lo spazio di un 'orgia», che equivale al­ l'apertura delle braccia. Il poeta aggiunge che dall'atteggiamento si direbbe in pena per la figlia. àrrotELVEtm: il verbo indica preci­ samente l'atto di estendersi ma, probabilmente influenzato dalla no­ tazione poetica, lo scoliasta lo interpreta nel senso di m:Egvoxorrt­ OJ..IU L , «battersi il petto». tfl rr.a.Lf>(: il tormento di Cassiopea è generato dall'infelice sorte di Andromeda. 1 97-204. La costellazione di Andromeda emerge sotto il segno della madre Cassiopea. alvòv ayaÀ.J..IU : nell'aggettivo è racchiuso l'orrore della sorte di Andromeda che anche nel firmamento con­ serva l'aspetto che aveva sulla terra. XEXawÀ.mo: si tratta di Engonasi, la figura sco­ nosciuta che si incontra alle spalle della costellazione del Drago (w. 63 ss.) . àrreu8ftç è una rarità da Omero ( Od. III 88, 1 84). Jt:Étl]À.ov : il senso del termine che dovrebbe indicare la posizione dell'Ingi­ nocchiato, non è molto chiaro. n LSJ traduce «OUtspread, stret­ ched», il Martin aLQT)MV è una rarità da Omero, come l'intero nesso con ÉÌ-(aaw (Il. XIII 204). �J.I.ULa m'lvta è nesso omerico che in questa sede ri­ stabilisce l'istanza letteraria (cfr. Hes. Th. 3 05 ; Mimn. fr. 12 West). 534-536. 'tà j.IÈV: i tre cerchi dell'Equatore e dei Tropici sorgono e ridiscendono al fondo parallelamente, ma ciascuno, scrive Arato, ha un unico punto nel quale tramonta e sorge, J.L(a M . . . xa'taÀu­ a(T) i &.voMç 'tE. 537-540. aù"tàQ 6 y' . . . : il quarto cerchio, l'Eclittica, percorre tanta acqua dell 'oceano quanta ne è compresa dal sorgere del Ca­ pricorno al sorgere del Cancro, e la misura è la stessa sia nel sor­ gere che nel tramontare. 540-544. Arato tenta di dare l'idea dell a grandezza del circolo ce­ leste, per percorrere il quale con lo sguardo occorrerebbe un' acu­ tezza della vista sei volte maggiore rispetto a quella umana. Cfr. Martin, op. cit. , p. 3 68: «Le regard de l'homme émet un rayon . . . égal à l'un de còtés d'un hexagone inscrit dans l'écliptique». ò8aÀJ.10io �oÀf)ç: l'espressione ricalca il nesso omerico òSaÀJ.I.Wv ... �oÀa( di Od. IV 150. Éxéta"tT): ognuna delle parti misurate, cioè un sesto, taglia due costellazioni. �o)L{)(wv: si è dato il nome di Zo­ diaco a una parte compresa nell 'Eclittica in cui si trovano i percorsi apparenti del Sole, dei pianeti e della Luna. In esso trovano posto le dodici costellazioni che il Sole attraversa durante l'anno. 545-549. Sono elencate le costellazioni dello Zodiaco partendo 161

dal Cancro, e lo scoliasta si domanda perché l'enumerazione abbia inizio da questo, mentre gli Egizi partono dall'Ariete, e conclude che ciò accade perché Arato inizia sempre dall a regione boreale e il Cancro è �oQet.6tatoç. Al seguito del Cancro c'è il Leone. Segue la Vergine, che Arato posiziona al di sotto, quindi le Chele, lo Scor­ pione, il Sagittario, l'Acquario, i Pesci, l'Ariete, il Toro e, per ultimi, i Gemelli. àoteQ6Wvtm: è lezione dei manoscritti, considerata er­ ronea per àoteQ6evteç (cfr. LSJ, s. v. ) , poiché non ricorre altrove in questa forma e significato. La costellazione dei Pesci, piena di stelle, è in ogni caso un tocco poetico che interrompe felicemente l'elenco dei segni zodiacali e aggiunge, come scrive il Kidd, varietà al catalogo. 550-552. n giro annuale del Sole passa per i dodici segni dello Zo­ diaco ai quali corrispondono le stagioni e i frutti a esse legati. Ém­ xétQmoç è termine tardo che in questo senso ricorre solo qui. 553-558. Poiché l'Eclittica è tagliata dall'orizzonte, la parte che tramonta immergendosi nell'oceano ha la stessa misura della parte che rimane visibile sulla terra, e mentre sei delle dodici costellazioni tramontano, le altre sei sorgono. Inoltre la durata della notte ha la misura della metà del cerchio che, al cominciare della notte stessa, si leva sulla terra. 559-560. Arato richiama all'osservazione delle costellazioni di­ cendo che per chi volesse approfondire lo studio del giorno sarebbe assai utile scrutare attentamente il sorgere di ognuna delle parti dello Zodiaco. Infatti per ogni costellazione che sorge un'altra, in posizione diametralmente opposta, tramonta. Osserva il Martin (p. L): «On peut dire que toute la partie proprement astronomique des Phénomènes (tà oiJQétvta) se présente comme une révélation pro­ gressive du zodiaque et de ses fonctions». J.IOIQUWV: chiama J.IOLQU ciascuna delle dodici costellazioni, come altrettanti sezioni che co­ stituiscono lo Zodiaco. oxémea8m: il verbo indica un'attenzione scrupolosa che inizia dallo sguardo per trasmettersi alla mente; si tratta di una forma prediletta da Arato che ricorre assai frequen­ temente, ben quattordici volte, nel poema. 561 -562. n Sole si leva sempre con un'unica costellazione, men­ tre le altre tramontano. 562-565 . n modo migliore per scorgere le costellazioni è guardarle direttamente. Torna axÉlttO I.I.UL, questa volta in composizione con rr.eQ(, a indicare un modo di osservare con attenzione. Nel caso in cui vi siano nubi o una montagna ne nasconda la vista, Arato invita a costruirsi personalmente dei segni in confondibili che possano in1 62

dicare il sopraggiungere delle costellazioni. af]jillt a: il termine che altrove indica i segni celesti, qui è adoperato nel suo senso proprio di segnale. ÙQ1']Q6ta: ricorre al v. 482, col significato di «ben saldo», riferito all ' Auriga. Qui, con valore metaforico, caratterizza il ca­ rattere dei segni inconfutabili. 566-568. Le costellazioni, una volta sorte, circondano l'oceano da un lato all 'altro. XEQawv: con una scelta terminologica non proprio felice, chiama «corni» le parti estreme dell'oceano. 569-576. Sono descritti il sorgere e il tramontare delle costella­ zioni che si muovono intorno al Cancro. Le discrepanze tra Arato ed Eudosso sul loro ordine e sul loro tramonto sono segnalate da Ipparco (II 2, 4) . otÉavoç: la Corona, che Arianna ricevette in dono da Afrodite e dalle Ore quando divenne sposa di Dioniso (vv. 7 1 -73 ) , tramonta alle spalle dell'Inginocchiato. 'IxSuç: si tratta del Pesce australe, ultimo elencato nella lista di Eudosso riportata da Ipparco, che tramonta a metà nel verso della spina. QUXLç è pro­ priamente il dorso (Il. IX 208). Zannoni (op. cit. , pp. 6 1 -64) sugge­ risce di leggere ò fvù� in luogo di 'IxSuç e riferisce alla figura del­ l'Inginocchiato il tramonto sul dorso. I confini della terra inglobano metà della Corona. o . . . tEtQ>. Con altro senso, in relazione ai corni delle milizie, ricorre in Polibio (XVIII 24, 9). 783 -787 . ÀEm:fj �v xa8aQi]: il nesso rappresenta la Luna tenue e pura in un cielo sereno. Le iniziali di questi versi formano l'acro­ stico ÀEm:f] , individuato per la prima volta daJ.-M. Jacques. Arato segue il modello omerico imitando l'acrostico ÀEuxi] dei versi 1 -5 171

dell'cltimo canto dell'Iliade. Le implicazioni sono innumerevoli. n gioco non sembra casuale, se si considera l'impiego frequente del termine ì-em6ç a proposito di Arato. Se però, come pare, l'acrostico resta un unicum, non ha molto peso ai fini di un'analisi dello stile. La ripresa di Ì.. E ltt TJ in connessione con l'espressione x.al, e-il IJ.UÌ.. . ÈQE1!8f!ç accentua il carattere pittorico del disegno corrispon­ dendo alla predilezione di Arato per le ripetizioni. JtVEU!J.Ut('Y), ha­ pax. àJ.$ì..u ç: il senso dell'aggettivo è «ottuso», contrario di ò�uç. I corni della Luna riscltano ottusi quando la Luna appare più gon­ fia, na:x.Cwv. àfll3ì..u vtm: felice correzione del Mair. La lezione dei codici è àfll3 ì..u vetm. Il verbo ripropone l'etimo dell'aggettivo àfll3ì..u ç. Il senso è chiaro: quando il vento del sud e la pioggia sono in arrivo, la luce della Luna è meno vivida e i corni appaiono come smussati. 788-795 . Ancora indizi che si possono trarre dall'aspetto della Luna, nel terzo e nel quarto giorno. Secondo Arato i corni diritti da entrambi i lati nel terzo giorno e la luce vivida della Luna non ripiegata su sé stessa sono segnali dell'arrivo di venti da occidente, ma se l'aspetto della Luna e dei corni appare immutato anche nel quarto giorno, è segno che si prepara una tempesta. ÈmveuOTà�n: il composto non ricorre altrove. Il significato «inclinarsi» è il me­ desimo della forma semplice VEUOTa�w . Quanto ai venti, l'arrivo del vento del nord è reso prevedibile dall'aspetto dei corni ben in­ clinati. Se i corni appaiono rilassati bisogna aspettarsi l'arrivo del vento del sud. iJmL6waa è forma verbale unica da un U:rtt Law, equi­ valente di U:rtt La�w. 796-799. Negli aspetti della Luna è nascosto anche l'insorgere dei temporali. Se al terzo giorno un cerchio rosso la cinge, è in arrivo una tempesta, se poi il cerchio è addirittura color fuoco, si tratta di una tempesta violenta. Il poeta si lascia prendere la mano da una co­ loritura che va oltre i reali aspetti del satellite dipingendo una Luna che il riflesso delle nubi rende fiammeggiante come la porpora. 800-804. Arato invita a osservare la Luna quando raggiunge il ple­ nilunio, ma anche quando cresce e quando decresce. L'indica­ zione più volte ripetuta è chiara: il bel tempo è annunziato dal co­ lore pallido del satellite, i venti dal colore rosso, la pioggia dal colore scuro. x.a8aQfl: cfr. v. 783 , dove l'aggettivo è connesso con ì..emfJ . àVÉJ.IOLO X.EÌ..E u8ouç: il nesso e la bella immagine sono omerici (l/. XIV 1 7 : ì.. Lyéwv àvéf.Uùv ì..m'ljJYJQà x.éì..Eu8a) . 805-810. I segni della Luna non sono riferibili a tutti i giorni del mese, ma quelli del terzo e del quarto giorno valgono fino al com172

pletamento del primo quarto, i segni del primo quarto valgono fino al plenilunio e così di seguito dalla Luna piena i segni valgono fino all'ultimo quarto. Restano da considerare i segni dei quattro giorni del mese uscente e dei tre giorni del mese entrante. 8 1 1 -818. Ai segni legati all'aspetto della Luna si aggiunge la pre­ senza degli aloni, che possono essere due o tre oppure uno soltanto. Se l'alone è uno, bisogna aspettarsi tempo ventoso, ma non tem­ porale. lfl è forma eolico-epica per �q.. L'alone spezzato fa presa­ gire vento, se sono due verrà un temporale, se sono tre il tempo­ rale sarà più forte. xa( . . . rcù8mo: la frase conclusiva sugli aspetti lunari corrisponde a quanto premesso, tétmv xat JreQL J..Ll]VÒç ÈE­ m:a6toç XE rcù8mo, «da loro puoi avere cognizione del mese en­ trante» (cfr. v. 782). 8 1 9-82 1 . Una lunga serie di osservazioni riguarda gli aspetti del Sole e le indicazioni che se ne possono trarre per prevedere il tempo. ' HeÀ(mo M tm J..LEÀ.Étm: ritorna l'ignoto interlocutore al quale sono rivolti i consigli. J.ldÀ.Àov Èmx6ta: i segni visibili nel Sole appaiono più evidenti di quelli lunari. La superiorità del Sole ri­ spetto alla Luna nel fornire segnali certi è attribuita alla sua mag­ giore potenza e alla capacità di dominare i mutamenti climatici. tx6.tEQ8Ev l6vtoç, da un lato all'altro dell'orizzonte, cioè dal sor­ gere al tramontare. 822-824. J..L� ol ... xuxÀ.oç: bisogna augurarsi che il disco solare non cambi colore e non presenti striature al momento in cui sorge, qua­ lora si abbia bisogno di un giorno sereno. Il Sole che fa presagire bel tempo non deve avere segni, ma mostrarsi semplice. L'aggettivo ÀLt6ç, scelto per indicare la limpidezza del disco solare, ancora una volta esibisce un significato che va oltre l'uso corrente del termine. Qui va inteso nel senso che il Sole deve apparire in forma lineare, privo di elementi luminosi o cromatici inconsueti. La fonte, quasi ad verbum, è il De signis teofrasteo (50, 2 ) . Il Kidd (op. cit. , p. 461 ) suggerisce un'allusione alla predilezione dei letterati contempora­ nei per la forma essenziale. 825-83 1 . Due aspetti del Sole sono utili per prevedere il tempo: il primo riguarda l'ora del tramonto, detta �ouÀ.umoç, perché in essa si sciolgono le mandrie (cfr. v. 583 : �ouÀ.ut