Etnografia e mito: la storia dei pigmei


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Etnografia e mito: la storia dei pigmei

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PIETRO JANNl

ETNOGRAFIA E MITO La storia dei Pigmei

jel½} edizioni dell'ateneo & bizzarri

I .97 8© Copyright by Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri P.O. Box 7216, 00100 Roma

Indice generale

pag.

VOLUME REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DELLA FONDAZIONE «ALEXANDER VON HUMBOLDT»

D1 BONN

7

Ringraziamento

9

Introduzione

17

Capitolo primo Antichità e Medioevo: le fortune di una favola

65

Capitò/o secondo Età moderna: la lunga disputa

97

Capitolo terzo "Omero aveva ragione": i Pigmei riscoperti in Africa

127

Capitolo quarto Ai confini del mondo: un mito m tre continenti

137

Indice degli autori citati

RINGRAZIAMENTO

Sono lieto di esprimere la mia gatitudine a tutti coloroche mi hanno aiutato nella composiziontdi questolavoro.-la Fondazione «Alvcander von Humboldt» (Bonn), che tNi ha accordatoprima una borsadi ricerca,poi un generoso contributo per la stampa;i colleghi dtll'Imtitut fii.r Alttrtumskunde dell'Univh'sitddi Miinster (e particolarmente ChristianGnilk;t) chemi hanno cortesementt ospitato e stimolatocol lorointeremper il mio latJOro; Francesco Gabrieliche ha controllatoe ritradottoper me le fonti arabe;PaoloDaffinà che ha fatto altrtttantocon quellecinesi,fornendomiineltredellepreziose indicazionibibliografiche e il costanteaiutodellasua erudizione;August Buck_(Marburg) che mi ha indicatoil luogodel Cardanomi Pigmei.RingrazioinoltreBrunoGentili,cheha volutoaccogliere il lavoronella 1ua collana,e f'Edìtore cheha provvedutoalla stampacon sollecitudinee compettnZJI.

P.J. Università di Macerata, 1978

INTRODUZIONE

I nani, si doleva Wilamowitz nel 1895, «sono stati trattati piuttosto male da.l.lamitologia greca, perché la poesia di tono dc• vato si è curata poco di loro. Epp~ c'erano ... » 1• L'osservwa. ne, espressa nel mezzo di uno scritto dove si cercano per l'appun· to le tracce dei nani nel mito greco, è ancora attuale. Non solo la mitologia antica li ha trattati male, ma anche i suoi moderni stu· diosi sono stati poco attratti dall'argomento. Secondo l'immaginazione comune, per i nani non e'è posto sotto il sole d'Omero; abbacinati, essi debbono fuggire il suolo ddl'Elladc e rimpiattarsi nel buio delle foreste nordiche. Certo, ci sono i Pigmei, che non si possono scacciare dall'Iliade;ma dal secolo scorso essi hanno cessato di rappresentare un problema vivamente sentito. Oggi tut· ti sanno che i Pigmei 'esistono davvero', quindi anche quella fa. mosa sin{ilitudine.di Omero, con tutto quel che ne discende, ha perduto molto del suo interesse propriamente mitologico. Così, i Pigmei sono da una parte finiti nelle mani di meri compilatori, che annotano con poca critica qualche vecchia opi• nione a loro riguardo, e dall'altra continuano ad essere di tanto in tanto il pretesto per divagazioni fa~tastlche su insospettati legami e tramiti fra Grecia e Africa equatoriale, un balocco per gli entusiasti dei viaggi straordinari e dimenticati, per i riscopritori di an· tichc scoperte. Ma anche un diffuso manuale di mitologia greca, quello di H. J. Rose, accomuna Pigmei e Ccrcopi per dire che gli uni e gli 'Hcphaistos' in NadJrich1t1t J. K. Gts. J. WwnsdJAfttR 'Z1' Go1ungm, Philul.-biJt.Kl. l89l, Heft 3 (Efesto sarebbe appunto, in origine:, un nano). Cfr. anche Gla11bt d. HellmenI, Berlin 1931, p. 278 sg. Qui Wilamowi~ è sctttico verso le ipotesi di G. Kaibd che: voleva riconoscere degli antidù nani itifallici anche in Eracle ed Hcrmcs (nelle Na,hrùbttt, di Gottinga, ;J,;J., 1

1901, Heft 4).

Etnografia e mito

altri «possono» avere la stessa origine, cioè «secondo ogni probabilità», possono derivare da qualche confusa notizia sugli autentici Pigmei ·africani2 . Un recentissimo commentatore dell'Iliadt (M.M. Willcock) non si fa neppure lo scrupolo di usare quest'espressione di cautela, e informa semplicemente il lettore che la geranomachia dei Pigmei è una tradizione che riflette «una qualche conoscenza» di una popolazione africana di bassa statura. Ma le gru come ci sono entrare? Sarà staro, si risponde, perché i Greci le vedevano volare a sud, «in formazione,,, emettendo grida interpretate come minacciose 3• «Confused rumours>, abbiamo letto in Rose e «dunkle Kunde» troveremo innumerevoli volte in scritti di lingua tedesca: ma ciò che le tradizioni mitiche raccontano, compresa quella dei Pigmei, non è di solito né incerto né oscuro, bensì preciso e ricco di particolari. È ovvio chiedersi se la cosa più importante non sia proprio ciò che sull'incerta nozione si è innestato (o che l'ha preceduta!), per formare infine quel quadro ricco e colorito - e può darsi che alla fine l'incerta nozione interessi ben poco, o addirittura che se ne possa fare a meno senza danno. Oggi, i materiali per una· storia dei Pigmei che apra altre prospettive, diverse da quelle tante volte delineate, ci sono. La ricerca etnologica ha già fornito da decenni più di quanto si potesse sperare, e non c'è da attendersi ragionevolmente che novità sostanziali compaiano nel prossimo futuro. Sono, è vero, materiali' dispersi in pubblicazioni strettamente specialistiche, raccolti da ricercatori che non sapevano l'uno dell'altro, e mai riuniti tutti insieme, tanto meno, purtroppo, çlai fùologi classici. Eppure, riveduta da quello che possiamo ormai chiamare, senza presumere troppo, un punto d'arrivo, la storia dei Pigmei appare istruttiva, esemplare come deve essere una storia che insegni davvero qualcosa. Se noi oggi chiamiamo un popolo africano (o meglio un grup2

A Handbookof GreeA:Mytbology,London 1 19B, p. 296. A Commrolaryon Homer'1 Iliad. BoolQ I-VI, London-Basin8$toke 1970, p. 94. 1

Introduzione

po di popoli) con un nome greco, ciò rappresenta il risultato di un processo che si è ripetuto innumerevoli volte, ogni volta che una leggenda si è dissolta lasciando il suo nome a una cosa della realtà. Quando gli uomini credettero di aver trovato ciò in cui avevano creduto e di cui tanto avevano sentito parlare, chiamarche era parafrasi o aggiunta del testimone. Come frammento 266 il Miiller radunava varie notizie sui Pigmei: due testimonianze, rispettivamente di Eustazio e degli scoli omerici, dove Ecateo è nominato, più un'altra notizia che ('gli traeva dall'edizione bekkeriana (1825) degli scoli all'Iliade,che a Ecateo non fa il minimo accenno: qui si legg(' (fra curiose congetture) che i Pigmei «abitano le parti estreme dell'Alto Egitto, vicino all'Oceano». Mettendo insieme questo materiale disparato senza avvertire esattamente della sua provenienza, il Miiller obbediva a W1 intento di integrazione e di «restauro», secondo una maniera che la critica più matura avC'va respinto già al suo tempo, ma che era stata seguita molto spesso dalle generazioni anteriori. Tipograficamente,

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le due sezioni (quella attribuibile ad Ecateo e quella che non gli spetta) erano staccate da una linea: ma quel fragile ~onfine _non impedì evidentemente a molti lettori di restare coll'1mpress1one del tutto erronea che un frammento di Ecateo collocasse i Pigmei nell'Alto Egitto. Il Miiller stesso metteva questo composito (cframmento" sui Pigmei nella sezione B. cioè nell'«Asia», secondo la divisione di Ecateo che sotto questo nome comprendeva anche l'Africa. Nella raccolta incomparabilmente più critica di F. Jacoby (i Fragmenteder griechùchenHùtori/cer,192 3) la testimonianza sui Pigmei egiziani non compare più tra i frammenti di Ecateo, m~ i due frammenti esplicitamente attribuitigli stanno sotto la rubrica 'l'Etiopia e l'C'stremo Sud' 1i; anche per Jacoby, si direbbe, l'africanità dei Pigmei di Ecateo non è una cosa da dimostrare, ma una cosa risaputa, da considerare vera finché non si sia dimostrato il contrario 16 . Sulla collocazione meridionale, aggiungiamo, può aver influito anche una ricerca di simmetria e di completezza, rispetto ad altri frammenti che si riferiscono di certo ad altre parti del mondo. EcatC'O,secondo Jacoby, aveva distribuito i popoli fa. volosi dell'epos lungo l'orizzonte del mondo noto al suo tempo, e per l'C"stremo sud non ci poteva essere di me~lio che i Pi_gmei. Nel commento, poi, Jacoby si preoccupa dt combattere 1 dubbi che contro l'autenticità dei frammenti potrebbero sorgere dalla localizzazione libica dei Pigmei: si preoccupa cioè, con argomenti peraltro fragili, di giustificare un fatto prima di averlo assodato, . ' 17 un fatto del quale e' anzi· fac1·1e mostrare 1•· mconststmza.

FGrH l F 328 a ~ b. Cosi già nd I 912, redigendo la voce'. 'H ekataios' per la R.-E., col. 2709. Era poi stato prontamente seguito da ~trcn~cr, Stra~osErdft_tt~dt v~~ Li/rytn,Berlin 1913, p. 10: «H~kataios lokahs1m d1rich,di Ssù-ma Ch'icn (c. I H-87 a.C.), cap. 12 3.

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Etnografia e mito

Più ricco e interessante ancora è questo passo, nello stesso capitolo del T'ung titn, che Tu Yu tolse da un'opera sulla storia dei Turchi '(il T'u-chiith pln-mo cht) di autore e data incerti: «Un mese di viaggio a cavallo a nord delle abitazioni in caverna dei T'u-chiieh (Turchi), c'è il paese dei nani. Essi non superano i tre piedi di altezza, ma cc n'è anche di due piedi. Avendo pochi peli e pochi capelli, le loro teste sembrano vesciche di pecora e i T'u-chiich li chiamano appunto « Teste a forma di vescica di pecora» (yangpao t'ou). In prossimità di questo paese, non ci sono altre specie umane da aggredire, o dalle quali esssere aggrediti; perciò il popolo non soffre di stragi e spoliazioni. Ci sono, nondimeno, dei grandi uccelli, alti sette od otto piedi. i quali spiano costantemente i nani, beccano loro la faccia e li divorano. Per premunirsi contro di essi e fermarli, i nani tengono tutti arco e frecce in pugno» 100 • Che in questa e in altre più tarde tradizioni cinesi c'entrino per qualche cosa i Pigmei dei Greci è probabile, poiché anche per altre crearu.rc delle leggende etnografiche cinesi è evidente la provenienza occidentale, o almeno l'influsso che le credenze occidentali hanno esercitato su quelle locali attraverso l'Oriente ellenizzato e l'Asia centrale 101 • Ne}, caso dei Cinocefali, per esempio, è ancora possibile dimostrare l'identità della tradizione originaria. Quando Ctcsia li collocò in India, questi mostri avevano già un passato africano: Erodoto li conosceva nella sua Libia, accanto agli uomini senza testa. Nel Medioevo li troviamo da una parte nell'oriC'ntc favoloso dei Cinesi, dall'altra nel Nord di Adamo di Brema: e l'identità è garantita da un particolare che non è facile ritenere coincidenza: in un caso come nell'altro la mostruosità di questo popolo è limitata al sesso maschile, le donne hanno aspetto normale 102 •

° Cap.

10

193, paragrafi sui hsiao jin e 1111111 jb, («uomini nani-n). 101 Vedi B. Laufer nella FtslsrhriftE. K11hi,,Breslau 1916, p. 200 sgg. 102 Erodoto IV 191; Laufer p. 204 sgg. Altre fonti sui Cino,dali solo mas,hi nelle leggende asiati,he in G. Atkinson, Tht txtraordinaryvoyagt in Fmu-h littrature I, New York 1920. p. 57. Cfr. infine E. Chavannes in

Antichita e medioevo: le fortune di una favola

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Ma alle credenze cinesi dovremo ancora tornare, quando non ci interesseranno più le tarde derivazioni e migrazioni di leggende, bensì le remote parentele dove spC'riamodi trovare la chiave alla forma originaria del mitologhema. Istruttiva per un altro verso è la storia dei pretesi Pigmei nella mitologi~ indiana, storia che si conclude in maniera deludente ma che è anche una efficacissima lezione di metodo e di cautela. A chi si occupa del nostro argomento può capitare di fare un balzo, per la sorpresa e l'interesse, quando legga in serie opere scientifiche, che la leggenda dei Pigmei è altrettanto nota all'epica indiana che a quella greca: «La leggenda dei Pigmei compare in India nel racconto delle ostilità fra l'uccello Garuda e il popolo dC'i K.iràta (cioè nani), gli Sk,irdtaidi Eliano XVI 2211,scrive D'Arcy W. Thompson in un suo libro famoso. E prima di lui uno storico della poesia tedesca, C.L. Cholevius, aveva accennato come a cosa pacifica ai Pigmei del mito indiano e alla guerra che essi comba~tono coi grandi uccelli, rimandando a due opere indologiche fra cui una assai classica e autorevole 103 • Chi risale le citazioni di gradino in gradino trova che all'origine c'è un'opera che riguarda la filologia classica non meno che l'indologia, cioè la raccolta dei frammenti di Megastene pubblicata da E.A. Schwanbeck nel 1846. Qui si legge, come c~utissima ipotesi presentata senza impegno dall'autore, che la geranomachia omerica potrebbe derivare dall'India, dove i Kirata, nani, combattono colle aquile e cogli avvoltoi, in particolare coll'uccello di Visnu. (Per il nanismo dei Kirata Schwanbeck rimandava al lessico dellWilson e non aggiungeva nulla di suo) 104 • Era quella l'epoca di Friedrich

T'oung PaQ 6 {1905) p. 562 n. 1; D. Sinor in JoNrnal asi11tiq,tt 235 (1946/7) p. 45 sg. 1oJ Thompson, A t)ossaryof Grn,4: birds,0Kford p. 7 3; Chokvius, Gtsch. d. dftltschtnPotsitna~hihrm a11ti/unEltmtntm I, Leipzig I 8S4 (=Darmmdt 1968) p. 97 n. 'I. 104 MtgasthrniJI r,di.a, Bonn 1846, p. 6 f

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Etnografia e mito

Schlegel e di Theodor Benfey, quando tutto, proprio tutto, doveva venire' dall'India; la mezza idea di Schwanbeck, che nel suo libro occupa poche righe, era solo un piccolo segno dei tempi, ben più i~nocuo di tante altre stravaganze sostenute a spada tratta. Da una nota a un frammento di Megastene, i «Pigmei dell'epica indiana» passarono poi in un classico e diffusissimo manuale, l'Indùche Altertbum1k.undtdi Christian Lassen (1843, poi 1874). Qui si ripete pedissequamente tutto ciò che aveva già detto Schwanbeck, sempre rimandando a Wilson e sempre senza citare alcuna fonte 101 • Attraverso l'autorità di Lassen la ghiotta notizia trovò la sua strada fino ai libri dei Cholevius e dei Thomson, per essere creduta da chissà quanti. Finalmente, nel nostro secolo, due ricerche specialistiche raccolgono tutto il rdativo materiale e ci aiutano a giudicare coi nostri occhi: sono la monografia sul Supardi Jarl Charpentier (1920) e l'articolo sui Kirata di Ka7Jadhyaya sten Ronnow ( 19 36) 106 . Ecco i fatti, ed ecco il poco cui si riducono questi celebrati pigmei indiani: 1) Non c•è nel mito una pluralità di uccelli, ma c'è solo Garud.a, che non combatte neppure con un popolo, ma lo divora senza fatica, a prova della sua forza illimitata. 2) Non "SÌ tratta dei Kirata, ma dei Ni$ada, dei quali non si è mai detto che siano nani; solo in fonti più tarde Garuda ha l'epiteto di Kiratasin, «divoratore dei Kirata». 3) Neanche si può dire che siano nani gli stessi Kirii.ta: solo una fonte grammaticale afferma che il termine (fra molti altri significati) può valere anche 'nano', ma non se ne trova conferma nella letteratura. Vero è che Kirata e Ni~ada sono termini usati in modo quasi equivalente, che in origine designavano certo dei precisi gruppi etnici, ma che passarono a indicare qualunque popolazione vivente in maniera primitiva, al di fuori dell'ordine bramanico e perciò spregevole, vittima predestinata dell'accompagnatore alato di Viio, Lassen, [,,J. Alterth11ms(.II. Leipz.ig-London2 1874, p. 662. Ch.upcnticr, Di, S•J,a~wg, Upp,ala-Leipzig I p. 369 sgg.; Ronnow, in LA m,md, oriffltal (Uppsala) 30, 1936, p. 90, 107 sg. 106

Antichità e medioevo: le fortune di una favola

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snu. Ad ogni modo il nanismo non è una loro caratteristica, e sarebbe un diminuire la prodezza dell'uccello divino, raffigurarlo in lotta con degli esseri minuscoli, come sapeva fare altrove una gru qualsiasi! 107 N onostanu tutto questo, Charpentier non voleva rinunciare completamente alla vecchia idea e ipotizzava una qualche contaminazione fra credenze orientali e occidentali, da cui sarebbe sorta la tradizione della gcranomachia (ma non poteva certo sostenere una semplice derivazione dall'India!). Ronnow aveva però facile giuoco nel dimostrare il carattere del tutto artificioso della costruzione, e nel sottolinl"are le profonde differenze fra le due tradizioni, tali da sconsigliare la ricerca di un qualsiasi rapporto. Così uscirono di scena i pretesi Pigmei indiani, e a tutt'oggi non vi sono rientrati ios.

107 J. Marqll.lrt, Eransabr,Bedin 1901. p. 15 l. afferma semplicemente che i Kir.ita ddl'Himalaia erano considerati Pigmei dagl'Indiani; ma anche lui non fa che citare il solito Schwanbeck ! lO& Ad un'origine indiana avnra gii pensato (ma in termini assai più vaghi) Richard Holc nd suoi Rt#tarlt_son the Arabia11Nigbts' t11tert.1n,111nm London I 797, p. 64 sgg. Parlando delle credenze arabiche e dci loro nani, egli aveva ipoti:aato una derivazione dall'India, dove si troverebbero leggende simili: non a caso anche Plinio avrebbe collocato in India i suoi Pigmei. H olc ~ anche convinto che all'origine della credenza siano le scimmie.

Capitolo Jecondo ETÀ MODERNA: LA LUNGA DISPUTA

All'inizio dell'età moderna, colle grandi scoperte geografiche e col rinnovamento del pensiero cui esse si accompagnano, anche la storia dei Pigmei entra in una nuova fase. Quando Sebastian Munster raccoglie ancora una volta, in una pagina della sua Cosmografia ( 1 5 72) 1 le vecchie notizie pliniane e aristoteliche, allineando senza alcuna critica i Pigmei indiani e africani fra i mostri delle tradizioni tardo-antiche e medievali, la sua posizione è già arcaica: ora sui Pigmei si comincia a discutere in modo nuovo, cioè portando il contributo di riflessioni originali. La tradizione era intrinsecamente, meno incredibile che la maggior parte di quelle analoghe cui abbiamo già accennato. Nel caso, ,poniamo. degli Steganopodi o degli uomini senza testa, il problema sì ridusse ben presto alla domanda 'come fosse sona la credenza', una domanda destinata com'è noto a ricevere le più curiose risposte 2 . Nel caso dc-i Pigmei, invece, le conoscenze geografiche e le scienze biologiche arrivarono soltanto tardi e per gradi a rendere del tutto incredibili gli aspetti più estremi della tradizione. Ai Pigmei (e, aggiungiamo, ai giganti) si potè continuare a credere anche quando da molto tempo il normale Europeo colto non poteva più accettare i Cinocefali e i Monocoli altro che come leggende: questo almeno se ci si contentava di una piccolezza. non troppo favolosa. E di fatto, anche prima dell'SOO, la 1

Cosmogptphry odtr Bmhreibungalltr Under, Basd 1572. p. U99.

1

Solo qualche c.-sempio,cui ognuno potrà aggiungerne facilmente degli al-

tri: si pensò che la leggenda degli uomini senza testa fosse:nata dall'uso che

avevano cerci popoli siberiani. di coprirsi la testa colla giacca nei freddi intensi: gli Stcganopodi sarebbero ancora gli stessi popoli, cogli sci ai piedi! Vedi srinu flMStn ,hùmischm Rtist. Liibc:ck A. Brand, Neu-m-mehrtt Beschreibung 1734, p. 66 sg.

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Etnografia e mito

statura attribuita ai Pigmei spesso non fu troppo dissimile da quella dei cosiddetti popoli nani che le scoperte africane rivelarono, trasferendo il nome dei Pigmei dalla leggenda all'etnografia e premiando la fede che tanti avevano nonostante tutto conservata. L'umanità, si direbbe, prova periodicamente il bisogno di discutere sull'esistenza di qualche cosa, come i lettori di giornali provano il bisogno di dividersi in colpevolisti e innocentisti davanti ai proct'SSi clamorosi. Quando non si disputa attorno agli antipodi o alla pluralità dei mondi. si può almeno prendere una posizione circa lo yeti e gli UFO, secondo forme che variano coll'epoca storica, la mentalità e la cultura di ciascuno, ma non tanto da nascondere la fondamentale identità dei fatti psicologici che stanno alla radice di queste opposizioni. E nessun problema, forse, ne ha suscitate di così accanite e secolari quanto quello dell'esistenza dei Pigmei. È un problema che ha impegnato teologi e medici, esegeti della Bibbia e filologi classici, filosofi e viaggiatori, con un calore sorprendente, in una lunghissima serie di dibattiti oggi quasi dimenticati, ma degni di essere riesumati per almeno due ragioni: prima di tutto perchè rappresentano in sé una singolare pagina nelle vicende della nostra cultura, poi perché servono a dare concretezza alla storia del problema che trattiamo qui e sono indispensabili per vedere nella giusta luce una vicenda intellettuale che apparirebbe astratta e come esangue, se balzassimo dall'antichità ai tempi nostri scavalcando i secoli dci quali siamo gli eredi, anche quando non lo sappiamo. Il materiale che ora ci si para davanti è quasi sterminato; si stende dalla fine del Medioevo alla prima metà dell'800, cioè fino alla vigilia delle scoperte che parvero la parola definitiva su!!'argomento e imposero una conclusione alla disputa secolare. E un materiale che nessuno ha mai raccolto completamente e che ogni nuova ricerca accresce. Qui lo divideremo col seguente criterio: prima passeremo in rassegna, cronologicamente, gli autori che testimoniano meglio l'!lccanimento attorno al problema della pura e semplice esistenza, e che si valgono per lo più di argomenti puramente teorici e aprioristici; poi, in ordine sistematico, le soluzioni date al problema, cioè soprattutto le localizzazioni geografiche.

Età moderna: la lunga disputa

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le identificazioni con popoli conosciuti e le risposte di ogni genere ad una questione che affascinò la cu.lt~a del nostro continente per una serie lunghissima di generazioni. E una disposizione che rendcrà pecessario qualche rinvio, ma non più di quelli che avrebbe richiesto qualunque altra. La serie dei moderni negatori si apre col nome di un autentico grande scienziato, Gerolamo Cardano ( 15 57). Nel suo De rt-rum varittatr la questione del!' esistenza dei Pigmei è affrontata con una seria argomentazione scientifica che fa quasi sorridere nel suo contrasto cogli aspetti arcaici o puerili della leggenda. Cardano polemizza soprattutto contro la pretesa brevissima vita dei Pigmei, con ragionamenti assai moderni e validi. Poiché esiste, in tutto il regno anima.le. un rapporto fra la durata della vita e quella della gestazione, anche la vita prenatale dei Pigmei dovrebbe essere estremamente breve: ma è impossibile che una creatura evoluta e complessa come l'uomo si formi in un tempo tanto ristretto. I Pigmei non possono quindi essere umani; neppure, second~ Cardano, è.immaginabile qualcosa di intermedio fra l'uom~ e gh animali, poiché l'umanità è data da un potere intellettuale d astrazione che non ammctte gradi.- Quindi non possono esisteredei Pigmei come quelli che si erano immaginati; all'origine di certe testimonianze ci saranno delle specie animali, forse scimmie. Questa supposizione appena accennata valse a Cardano di essere citat~ per secoli (poco esattamente) come l'antesignano di coloro che n~ duccvano i Pigmei a scimmie. Un po' meno radicale è lo scetticismo del suo contemporaneo Benedetto Varchi: anche lui nega ai Pigmei anima razionale, così come esclude che possa darsi una via di mezzo tra uomini e animali. Tiene tuttavia in maggior conto l'autorità degli antichi, e si . ., esprime pm cautamen t e 3.

J Cardano: De rerumvarittalt, lib. VIII cap. 40; Varchi: La primaj,llrtt dellr ftziQ,,i... ntlfa qual, si tratta drlla Natura, dtlla y1mavo11tdtl corpo11mano e de' mo1tri,Fir~ie 1560, cam 135 sg. 'Dc' Pigmd'.

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Etnografia e mito

Con un altro scettico, Giulio Cesare Scaligero ( 1484-15 58), compare un argomento assai più fallace, che fu nondimeno ripetu• to molte volte e che rappresenta un interessante segno dei tempi: tutto il mondo è ormai esplorato, dice il padre del più celebre Giuseppe Giusto commentando la Historiaanimaliumdi Aristotele, ma dei pretesi Pigmei non si è trovata traccia;. sono soltanto «figmenta et merae nugae» degli antichi 4 • Un altro negatore integrale era nel XVI sec. lsaac Casaubon. Commentando il passo di Strabone dove si accusano di mendacità Megastene e Deimaco, rei di aver 'rinnovato' la guerra tra Pigmei e gru, egli ha espressioni di ironia verso quelli che ancora al suo tempo si ostinavano a prestare fede alla «lepida fabella». Quasi blasfemo gli sembra poi l'appellarsi, come fa qualcuno, all'autorità della Scrittura, cioè al passo del profeta Ezechiele dove l'ebraico gammadim era stato tradotto in latino con Pygmaei(un errore che fece nascere un problema nel problema, con un diluvio di discussioni che durò per secoli) f. Nelle file dei teologi si riproduce la stessa divisione che fra gli umanisti, con Ezechiele e Agostino al centro della discussione in luogo di Omero e Aristotele. L'esistenza dei Pigmei si poteva anche difendere identificandoli colle creature di un folk~lort vivo nell'Europa moderna, cioè con nani e gnomi di varia specie, come fanno soprattutto scrittori di lingua tedesca. (Di Olao Magno abbiamo già detto). Il profr.s. sore zurighese K. Gesner ( I 56 5) paragonava colla tradizione an• tica ciò che si credeva fermamente nell'Europa centrale, in Turingia e in Lusazia: qui la gente ritrovava sotterra dei vasi ritenuti opera di nani, gli «Zwergtopfe»: «quasi Pygmaeorum urnas fictiles», spiegava Gesner 6 •

4

Ad VIII 12, Tolosae 16 I 9, p. 914. Scaligero cita Erodoto a sproposito («Nc:gat esse fabulam dc his Hc:rodotus»), poi loda Aristotele per la sua prudema e lascia tacitamente cadere, nella sua traduzione:, il famoso o{; ra.p èon

TOUTO

11,iii)or;

!

' Ad I (48), Atrc:batis 1,s1. 6 Citato presso Bartholin (v. sotto), c;i.rta 12 r.

Eta moderna: la lunga disputa

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Il tedesco Leohhard Thurneisser in un suo trattato sulle acque minerali'( l ~ 7 2) parlava ancora di ritrovamenti di manufatti dei Pigmei, nelle medesime regioni, nonché delle ossa che si scoprivano: una volta si era trovato un intero scheletro, alto due piedi e tre dita 7 • {Poca cosa, comunque, in confronto cogl'innumerevoli, incessanti ritrovamenti di ossa di giganti, testimoniati almeno dai tempi di Erodoto fino al sorgere della paleontologia moderna e alla divulgazione dei suoi risultati). Proprio un autore che tratta di giganti, Jean Chassanion, offre un caratteristico esempio di conversione. Nella prima edizione del suo trattatello De gigantibus( 15 80), egli si era espresso anche sui Pigmei, per negarne l'esistenza; ma nel 1 58 7 troviamo che ha cambiato idea: il numero e la serietà degli autori che l'affermano, egli confessa francamente nella seconda edizione, lo hanno convinto ad abbandonare il suo scetticismo 8 • All'inizio del secolo successivo, compare uno dei negatori più accaniti nella persona del grande naturalista Ulisse Aldrovandi ( 161 3), con una polemica cui in seguito si richiamarono volentieri altri che.la pensavano allo stesso modo. Nel capitolo della sua Ornithologiadedicato alla gru 9 , ·Aldrovandi nota con grande disap· punto che la storia della guerra coi Pigmei è al suo tempo universalmente creduta, non solo dagl'incolti ma anche dai dotti; chi si azzarda appena a negarla viene deriso. Il sobrio osservatore della natura porta nella polemica un animuJ singolare, una rabbiosità che può parere eccessiva: «Nos quidem tantam dicendi proter1

Citato presso Bartholin (v. sotto), carta 11 v. Per lo scheletro custodito

a Drcsda all'inizio dd secolo successivo, vc:di C. Bartholin, infra: per l'altro e:

più famoso scheletro di 'Pigmeo', quello di Tyson, v. sotto, p. 81 n. 30. 8 Dt fi9111tib111, eor11mqutrrliquiù... Authorc loan. Cassanione, B;isilc:ac l'.i80, p. 71; poi Spirae I 587, p. 69: «De Pygmac:is fabulosa esse: omnia, quae de iis narrari solc:m, aliqllilndo c:xistimavi: verum cum vide;i.m,non unurn aut alterum, sed complures dassicos et probatos authores dc his homunculis mult;i,in eandem fere sementiam tradidisse; eo adducor, ut Pygmaeo:sfuisse inficiari non ausim». ~ Ornitbofogialib. XX cap. 5 'Dc: grue', p. 140 ddl'c:diz. Francofurri 161 3.

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viam omni ratione practerquam solius auctoritatis veterum alienam aequo animo ferre non possumus ... ». Le fonti antiche sono citate con discreta completezza, cominciando -da Aristotele che è l'autorità di maggior peso, e la cui testimonianza viene svuotata notando il suo carattere secondario e l'incertei.za che traspare dal1'espressione. Seguono tutti i principali autori antichi e moderni, apprezzati e lodati quando condividono lo scetticismo del naturalista e trattati da semplici o da bugiardi nd caso contrario. Citato è anche Alberto Magno, come colui che ha negato ai Pigmei la natura wnana, ne ha fatto cioè delle scimmie. Neppure questo è possibJe, obietta Aldrovandi, perché non esistono scimmie parlanti. La conclusione è semplice: è tutta una favola poetica inventata da Omero e ripetuta dagli altri; Aldrovandi tiene soprattutto, com 'è logico in un naturalista, a negare la geranomachia.: (l"Cum itaque Pygmaeos dari negemus, grues etiam cum iis bellum geren-, ut fabulantur, negabimus, et tam pertinaciter id negabimus, ut ne iurantibus credamus ... ». In attesa di imbattersi in qualcuno che gli giuri di aver visto i Pigmei combattere colle gru, Aldrovandi registra senza molti commenti le voci che circolavano su Pigmei etiopici, alti come un ragazzo di sette od otto anni. Accanto al negatore laico ne appare uno ecclesiastico altrettanto acceso, nella persona del gesuita Cornelis Van den Steen (Cornelius a Lapide, l 62 l ), che commentando Ezechiele apre un'ampia digressione sul problema 'A.il Pygmaei sint', che si conclude con un reciso 'Esse fabulosos probatur' 10. Insieme con argomenti di carattere più generico, come l'inattendibilità delle testimonianze o l'incertezza delle localizzazjoni, ricompare quello che abbiamo già incontrato e che è destinato a diventare topico: il mondo è stato ormai tutto esplorato, e siccome di Pigmei non se ne sono visti bisogna concludere che non esistono. È un•affermazione di una temerità quasi incredibile, ma esprime bene la sicurezza e l'orgoglio dell'Europa di allora, che espandeva incontrastata le sue conoscenze e la sua civiltà su tutti gli oceani. La stessa cosa ripeteva l'anatomista Adrian Spiegel (Spigdius, IO

Commml in Eze,b. Propb.,Antvc:rpiae 1621, p. 196.

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1627), aggiungendo più precisamente che i Portoghesi avevano esplorato proprio la regione dell'Africa. dove Aristotele aveva collocato, i Pigmei, senza scoprire dei nani così minuscoli, ma solo 11 delle popolazioni etiopiche di piccola statura . Solo un anno dopo, Spiegel veniva corretto amichevolmente dal medico danese Caspar Bartholin, che era stato suo compagno di studi a Padova e che ora dedicava alla difesa dei Pigmei un completo trattatello, il primo mai dedicato per intero all' argomento. come l'autore vanta nell'introduzione. L'opuscolo De pyg,,,aeis ha il merito di raccogliere le opinioni pro e contro con sorprendente completezza, formando una bibliografia ragionata che passerà in eredità a tutti gli autori successivi fino a Leopardi; la sua critica è invece primitiva, e ci ripona a un clima addirittura medievale. Bartholin non considera sorprendente l'esistenza dei Pigmei, perché crede a tanti altri portenti: alla straordinaria precocità sessuale delle Indiane, che generano figli a cinque anni, alle enormi formiche che scavano l'oro, e naturalmente soprattutto ai giganti. (Anche questo argomento diventerà topico: se esistono o almeno. sono esistiti i giganti, si ripeterà cento volte, perché non potrebber~ esistere i Pigmei?) In cerca di conferme, Bartholin considera significativa la concordanza tra i Pigmei arcieri di Ctesia e i pretesi Pigmei guerrieri di Ezechiele. Infine racconta di aver veduto uno scheletro di Pigmeo, sicuramente autentico, presso l'Elettore di Dresda: siamo insomma in un'atmosfera da Wundtrk_atnmtrpiù degna del dottor Faust che della nascente scienza moderna! 12 Se il gesuita Van den Steen aveva negato i Pigmei, il suo confratello J.E. Nieremberg ne affermò l'esistenu con altrettanto calore. Nella sua opera sulle curiosità della natura ( 16 35) egli cita tI

cap. 7.

Adrianus Spigclius, ~ co,-Porù bumanifabri'4, Venetiis l 62 7, Hb. I

. , . C. Bartholinus, Opumila q"atuorYngularia ... III. D, Pyg11NUts ... Hafniac 1628. L'aveva in parte prtteduto (ma con 1ma documenta1.ionc molto più sommaria) il medico parmigiano Giovanni Takntoni, che avc:va difeso l'esistenza e: l'umaniti dei Pigmei dopo una rassegna delle autorità pro e: contro: v. Variarulll'et monditarum rtrllflf thesa,irNs,Francofoni 1601. p. H3 sgg. 12

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gran numero di fonti, mescolando alla rinfusa autori antichi, credenze superstiziose e segnalazioni attendibili di popolazioni nane in varie parti del mondo. Anche fra i modérni• egli può citare degli autorevoli compagni di fede, come J. Camcrs (1448-1546), editore di Mela, Plinio e Solino, e il più recente portoghese H. Pintus, commentatore di Ezechiele ( 15 6 8); gli è ignoto invece Bartholin I J. Nel 1646 i Pigmei sono capitati fr?, le mani di un famoso confutatore di errori popolari: il quarto libro della Pseudodoxia epidemicadi Sir Thomas Brown~ dedica loro un capitolo per negarne l'esistenza, e ridurla di nuovo a invenzione poetica di Omero 14 • In confronto colla focosità di Aldrovandi, il tono del naturalista inglese è pacato. Per prima cosa, si preoccupa di definire ciò che debba intendersi per 'Pigmeo', poi dichiara subito che le indagini più rigorose non hanno mai confermato l'esistenza di un simile popolo. Come Aldrovandi, Browne conosce bene le fonti antiche e la bibliografia moderna, e come Aldrovandi fa derivare tutto da Omero. Fra i sostenitori della teoria che vuole ridurre i Pigmei a scimmie, egli nomina Alberto Magno e Cardanus, più «molti altri» che non la ritengono improbabile. Anche per lui Aristotele è l'osso più duro; ma il peso della sua autorità è diminuito dall'incertezza della testimonianza che è soltanto relazione di voci, un 'sic aiunt'. Browne si richiama anche al parere di G.C. Scaliha omesso il gero che nella sua traduzione dell'Historiaani111alium famoso «perché questa non è una favolalJ, giudicandolo spurio o indegno di un così grande autore. Dopo aver tolto agli avversari il sostegno della massima autorità profana, Browne si preoccupa di quella spirituale, della S. Scrittura, e denuncia l'errore di traduzione che ha fatto entrare i Pigmei nel passo di Ezechiele. Infine sono esaminate una serie di testimonianze sull'esistenza dei Pigmei

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(Paolo Giovio, Pigafetta, Olao Magno), solo per notare la loro debolezza. Dopo un cauto richiamo alla limitarione del nostro sapere, Browne conclude scetticamente. Sulla questione dei Pigmei tornava due volte, nella seconda metà del XVII sec., l'olandese Isaac Voss, pronunciandosi sempre negativamente, prima nelle note a Pomponio Mela ( 16 58 ), poi nel libro sulle sorgenti del Nilo e sui fiumi dell'Africa ( 1666 ). L'importanza della sua opera sta però nell'aver raccolto le prime voci sugli autentici Pigmei africani, e ne riparleremo da questo punto di vista 11 . Il gesuita Jean Harduin coglieva invece l'occasione da un suo commento pliniano ( I 6 8 5) per scagliarsi contro la credenza nei Pigmei: "'Dari integras pumilionum gentes tam falsum est quam quod falsissimum» 16• Ma i difensori non venivano meno: nei suoi fortunati Physica curiosa( 1662) Caspar Schott riportava in campo le due somme autorità. Aristotele cd Ezechiele e notava con malumore l'ostinazion~ degli increduli 17. L'interesse che nel XVII sec. si continuava a tributare all' argomento documentato bene dall'opera dd tedesco Erasmus Francisci ( 16 68 ), dove l'ampio capitolo sui Pigmeiha la forma di un dialogo tra il credente (Sinncbald) e il dubbioso (Angdott). Il primo elimina ad una ad una tutte le perplessità del secondo, ed espone, come portavoce ddl"autore, un'elaborata teoria sui Pigmei cui dovremo tornare 18 • Da Francisci dipende in parte il suo connazionale E.W. Happel (assai noto al suo tempo come romanziere), compilatore delle

è

11 I. Vossii obmvat. ad Pomp.Mtlam, Hagac Comitis 1658, ad III 8,H p. 29 3 della seconda numerazione: Dt Nili ,t altor11m flumm11m origine,H agac:

Comitis 1666, p. 66 sgg. 16 Ad VI 22. p. 668, 1685.

u Joannes Eusebius Nicrcmbcrgius, Historia ltahtrat, •axime pmgrini1,, Antverpiac 1635, lib. V cap. 16 p. 83. 14 Th. Brownc, Pstudodoxiaepidmica or ,nq11i,ùsmto my 1tta1ty rtuiwd ltntls and commonlyprm,mu/ 1n11bs,London 1646 (generalmente citato come 'V11lwn-errors'),cap. XI 'Of Pigmies'.

P.G. Schotrus, PbysfriJr11riosa, Hcrbipoli 1662, p. 434 sgg. Ost- ""J Wtst- lwdisrhtrwit a11rhSnmiubrr L#st- 11t1d Stats-Garun, Niirnberg 1668, voi. I p. 340 sgg.; la u.v. 10 (di fronte a p. 330) ha una mediocre vignetu. raffigurant~ due Pigmei: è una coppia nuda; l'uomo ha un'enorme 11

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barba che lo copre quasi tutto.

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R,lationescuriosa,,un'immensa farragine di ant"ddoti e notizie singolari di ogni geniere, messa insieme con erudizione approssimativa di giornalista e pubblicata con gran fortuna a dispense 19 . In questa indigesta mole c'è posto anche per i popoli fantastici delrAntichità e del Medioevo e ai Pigmei sono dedicati vari capitoli. La testimonianza di Happel contrasta con quella di Aldrovandi, o fa pensare che il credito di cui godevano i Pigmei fosse precipitato nel corso del secolo, quando. asserisce che le persone colte del suo tempo li consideravano unanimemente come una pura fantasia degli scrittori amichi. Egli stesso non vuole essere frettoloso nel giudicare, e intraprende perciò un'ampia rassegna delle opinioni pro e contro, propendendo per una cauta ammissione". Una conferma alla testimonianza di Happel circa lo scetticismo prevalente a quel tempo viene dall'orientalista Job Ludolf, uno dei primi seri studiosi di lingua e cultura etiopica ( 1691): la maggior parte dei dotti del suo tempo (egli riferisce) sottoscriveva la negazione di Strabone 20 . Lo scetticismo prevale anche nel '700, quando non fa luogo ad un tipico atteggiamento riduttivo, che porta a escogitare 'spiegazioni' spesso più grottesche della semplice credulità incontrata nei secoli precedenti. Si dibatte meno attorno al sì e al no, e si fa invece a gara nel trovare soluzioni razionalistiche. La dotta Anne Lefèvre, meglio nota come Mad;i.me Dacier, parlava dei Pigmei nelle note allasua traduzione dell'Iliade,opinando che la loro piccolezza fosse il frutto di un 'esagt"razione poetica, cui avt"vadato occasione la bassa statura di certe popolazioni etiopiche, tt"stimoniata da Aristotele e Strabone. Ad ogni modo, la similitudine dell'Iliade dimosttt"rebbe in Omero una «conoscenza fenomenale di tutti i pat"Si,,. MadameDacier ricorda con insoddisfazione l'ipotesi del teo. •~ Ebierhard Wanier Happel, To111i W. Ersttr Tbtil dw gromn Dm~ditlr,,tm dtr Welt Oderso gtllfJ,u/tR.tlatiotmu,riosat,Ha.mburg 1688, p. H1 sgg. . 20 • lobi Ludo~ alias Lrotholf dicti ad st1111t1 HistornzmAethiopifamannha, td1ta1t1 ,o,nmmtart11s, Francofurti ad Moenum 1691, p. 70.

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logo lsaac Jaquelot, apologeta del cristianesimo contro Bayle e altri: secondo costui i Pigmei non erano altro che certi spaventapasseri collocati dagli Etiopi nei loro campi; di qui la lt"ggendadella lotta contro le gru, cioè contro gli uccelli che minacciavano le coltivazioni! 21 Nell'Illuminismo, i Pigmei fanno le spese di ironie facilmente immaginabili 22 . Se ne fanno gioco il Lessico universale dello Zedltr ( l 741 : i Pigmei un «Mahrlein») e la Encyclopédie, almeno sotto la voce •Pygmées' (17 6 5): i Pigmei esistevano soltanto nella fantasia dei poeti «dont les anciens écrivains s'amusoient, sans en croire un mot». Tutto dipende da Omero, la cui similitudine non può aver valore di testimonianza storica B. Erede di queste ironie illuministiche fu com'è noto il giovane Leopardi; il tono del suo Sag.iosopragli trroripopolaridegliAntichi ricorda quello mordace di Fontenelle e non ha nulla in comune colla pacatezza e coll'equilibrio del lomaro predecessore Tho-mas Browne. Dei Pigmei Leopardi tratta insieme coi giganti, e se per q~esti è disposto ad ammettere qualche fondamento di verità, gli ometti minuscoli sono da lui respinti colla massima risolutezza possibile n~l regno delle favole: « 'fotto ciò dee sospendere il nostro giudizio intorno ai giganti, e farci dubitare se gli antichi abbiano errato o no nell'ammetterli. Ci asterremo dunque dall'annoverare"fra i pregiudizi la loro opinione sopra tale soggetto, benché

21

L 'lliad, d'Homfre, traduitt "'fra11rois,awc dts rtfJIArquts, Paris 171 l, vol. I p. 383 sg. Ar;canto all'ipotesi dd teologo merita di essere ricordata qudla di Job Ludolf (op. cit. sopra, p. 73 e 16,): nella realtà non si sarebbc trattato di gru, ma di condor (Ludolf crcdieva che cc ne fossero anche in Africa), uccelli capaci anche di sollevare un diefantino. ll Mnitano solo una nota le fantasie di Picrre Danet, Dirtio1111ri11m antiq11itat11,n R.omanarnmtt Grau11rum,Amstdodami 1701, p. 689; cita alla svielta Plinio e Strabonie, poi continua collie più ~trane variwoni sul tema dei Pigmei, inventando spudoratamente: i Pigmcì bevono in coppe fatte coi noccioli delle cilicgc; dal loro pa~c vengono gli alberi nani, ,e così via. 21 Gro"ts volls1andiges Uni11mal-uxiron,29. Band, Lcipzig-Hallie 1741, coll. 178 5 sgg.; Enrydopidit, OIIdictionnair,raisonni, .. Tome 13, Ncufchastd I 76}, p. j 91.

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sia certo che se i giganti non sono una chimera, moltissime ridicole idee che gli antichi avevano intorno ad essi erano, come la favola dei Pigmei. purissime fole» 24 . 11Sag,ioleopardiano rimase lungamente inedito, ma il capitolo sui Pigmei fu pubblicato in anteprima dal francese J. Bergerde Xivrey, nelle sue Traditionstiratologiquts ( 18 36, dedicate ad Alexandcr von Humboldt). Le pagine leopardiane sono qui arricchite di qualche nota, non sempre ben informata, e il loro scetticismo è approvato con qualche riserva. Berger de Xivrey polemizza contro il grande Cuvier, che per spiegare l'origine della leggenda non si abbandonava alle congetture che potremmo attendere da unnaturalista, ma faceva un'ipotesi di tutt'altro gencre, contenente ai nostri occhi il germe di una buona idea: immaginava cioè che l'immagine dei Pigmei fosse sorta dalle minuscole figure umane che in antiche opere d •arte accompagnavano quelle gigantesche dei trionfatori e dei re. Il 'teratologo' è insomma un negatore tiepido e giudica esagerata, per esempio, l'ironia con cui P. H. Larcher (annotando i frammenti di Ctesia) aveva colpito le testimonianze sulla pretesa esistenza dei Pigmei 2 '. Infine, difendeva questa esistenza il grande filologo C. G. Heyne nel suo commento all'Iliade che abbiamo già citato ( 180 2 ), e col suo nome possiamo concludere questa prima sezione nella storia· della lunga querelle26• Fra i negatori intransigenti come Aldrovandi e i difensori ap~ passionati come Bartholin si oollocano gli autori che propongono ipotesi più differenziate, medianti fra le due posizioni e variamente riduttive. In questo senso si può, com'è noto, procedere per due vie, secondo le tendenze già comparse nel mondo antico, anzi

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Cap. 15 'Dei Pigmei e dei Giganti'. Julcs Bagcr dc Xivrr:y, TraditionstiratolotitJllfSOII ridts dt l'antiq11iti,t d11•oym ag n, o«idmt sar q11tlq11tJpoùmdt la fai,/, J,, mtn1tillt11X il dt l'hi11oirt ua111nll, ... Paris 1836, p. XIX e 106. 26 P. 450, aJ Il. III 5-10: «constat r:nim tribus ac populos pusillos r:t 21

r:xtitissr: olim r:t adhuc existetta.

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addirittura all'alba della nostra civiltà: I) qualche volta si riconducl' ttmo a una semplice realtà fisica o zoologica, come quando ~i fa dei Pigmei una specie di scimmie antropomorfe; 2) oppure, si assurge all'allegorismo, alla metafisica e alla teologia, e si vede nel mito qualcosa da interpretare sottilmente; i Pigmei possono anche diventare la manifestazione visibile di spiriti e spiritelli di varia natura, creature sovrumane o subumane, ma comunque non riconducibili alla fisiologia. Abbiamo già visto come Alberto Magno negasse ai Pigmei l'umanità, respingendoli a un gradino intermedio fra gli uomini e gli animali, e come Cardano pensasse a una possibile interpretazione zoologica dd mito. Non molto esattamente, né in un caso né nell'altro, questi due nomi furono più volte ricordati, quando fu riproposta l'ipotesi della natura scimmiesca dei Pigmei. Cardano aveva negato la possibile esistenza di esseri intermedi fra uomini e scimmie, in tacita polemica contro Alberto: Erasmus Francisci tornò invece ad accennarvi, frà le sue molte congetture e fantasie: una fra le varietà di Pigmei che egli distingueva non era altro che una spede animale, di aspetto umano ma per il resto· simile alle scimmie («wilde Wald-Menschen») 27 . Col nome di Alberto Magno comincia la sua discussione anche Happel, e fra le opinioni che egli passa in rassegna si affaccia continuamente quella dei Pigmei-scimmie. Più generahnente (e seguendo più da vicino l'impostazione che Alberto aveva dato al problema) ci si domanda nella RelationeJcurioJae se ai Pigmei sia da riconoscere intelletto umano, la facoltà del linguaggio e così via. Come esseri di dubbia collocazione sono citati i Pigmei siberiani di Paolo Giovio e quelli della complicata ipotesi di Francisci. Happel stesso si decide per una duplice soluzione. Da una parte, egli pensa, può darsi che il costume indiano di sposarsi giovanissimi abbia prodotto qualche volta dei figli deboli e inetti, che pl"'r incapacità di ricevere un'educazione umana e per paura delle fiere, si ritiraronq a vivere in caverne e sottoterra, dove non potevano distendere le membra e svilupparsi a statura normale,(e 2 7 Op.,it. p. 3 5I . Sulle lunghe discussioni circa presunte creature al limite fra umanità e mondo animale, v. Franck Tinbnd, L 'bo111m, sa"vat,t,Paris 1968.

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questi sarebbero i Pigmei ragionevoli). D'altra parte si possono bene ammettere anche dei Pigmei irragionevoli, cioè una specie ignota di omìni selvatici o di scimmie:assai somiglianti all'uomo («eine gewisse Arth von kleinen wildc:n Mannlein odc:r Mc:nschen gleich geformirten Affen,, ), viventi sottoterra in climi rigidi e: confuse perciò coi Trogloditi. Questi esseri subumani sarebbero i veri Pigmei e avrebbero tratto origine da impuri incroci fra uomini e: scimmie. Anche alla geranomachia Happel è disposto a riconoscere un fondo di verità: può darsi, così egli conclude la sua discussione, che qualche volta un popolo di nani, o di scimmie:assai simili all'uomo, abbia combattuto davvero contro le gru, per difendere:i propri seminati (nd primo caso) o perché fra la loro specie e i grandi uccelli c'era una naturale: 'antipathia'. Ciò spiegherebbe: bene il mito di Enoe (quello raccontato da Antonino Liberale e: dagli altri) 28 • Coll'avvento di una mentalità scientifica più moderna, l'ipotesi viene riproposta in maniera più rigorosa, rinunciando a postulare creature di specie ignota, e cercando più precisamente quali esseri_e quali fatti del mondo animale si celino dietro la leggenda. L'olandese Olfc:rt Dapper, in una sua compilatoria descrizione dell'Africa ( 1670), aveva parlato di una scimmia antropomorfa che si credeva nata dall'incrocio di uomini colle scimmie, ciò che però gl'indigeni negavano. Era alta come un bambino di tre anni e grossa come uno di sei; era sorprendentemente umana. Il confronto coi Pigmei non era però balenato a Dapper che aveva creduto di riconoscere in questa creatura il satiro degli antichi, «quello di cui Plinio e altri raccontano tante cose fantastiche, per sentito dire» 29 • Una generazione più tardi, nel 1699, esce il libro famoso di Edward Tyson (!'«Eduardo Jasone» di Leopardi!) nel cui titolo si promette nientemeno che l'anatomia di un autentico Pigmeo:

Orang-Outang,or the Anatomy of a PygmieComparedwith tbat o/ Op.tit. p. 242. Cito dall'edizione in tedesco: Umbst.i•dlirh,1111d Eigt11tlitht Buçhreib,mt, von Aftù:a, Amstcrdam 1670. p. 583, sg. lft

29

a M onk_ry,an Ape and a Man

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'°.

Il 'Pigmeo' è semplicemente uno scimpanzè (non quello che oggi si chiama orang-utang) che Tyson dissezionò, primo fra gli anatomisti europei, e identificò colle crc:,;1turc: della leggenda antica. Per comprendere quanto luminosa dovesse parergli la rivelazione, occorre richiamarsi alla mente la novità che rappresentava nel XVII secolo una scimmia antropomorfa. Il gorilla fu scoperto solo nel 1847 (e, ricordiamo, ricevette anche lui un nome classico, attraverso l'identificazione cogli 'uomini selvatici' di cui parlava il periplo greco dd cartaginese Annone); lo scimpanzè e l'orango erano già stati conosciuti qualche decennio prima di Tyson, ma non erano stati ancora dissezionati e non ne erano stati definiti i caratteri che li distinguono dalle altre scimmie e li avvicinano ali'uomo. La zoologia europea si trovava di fronte al problt:ma di dare uno status,nei propri schemi, alla nuova creatura, e il problema appariva tanto più inquic:rantc:per i caratteri umanoidi che essa rivelava. Tyson non si stanca di ripetere che il suo 'Pigmeo' (lo chiama sempre cosl) è intermedio fra le scimmie e l'uomo, è qualcosa di non conosciuto prima. E pr~prio questa speciale situazione intellettuale, l'ebbrezza dd nuovo, e dell'insospettato, suggerisce le identificazioni di questo genere: c'è una specie di legge: per cui la spiegazione: delle leggende più antiche si è sempre cercata nelle conoscenze più moderne! È la legge per cui i luoghi leggendari e favolosi sono stati identificati tante: volte nei mari e nei continenti più recentemente: esplorati, e per cui si è cercato in autori antichi, o nelle leggende, il presentimento o la velata conoscenza di tante scoperte: contemporanee ' 1. io London 1699; in appendice: 'A philological essay concc:rningthe Pygmies, The Cynoccphali, the Satyrs a Sphinges of the Ancients. Wbc:rcin it will appcar that thcy are alle cither apes or rnonkcys. and not men, as fonncrly pretended'. L'opera fu riedita a Londra nd 1751 e l'EJJaJancora nd 1894. con un'introduzione di B.C.A. Windle, in una collana diretta da A. Lang. la Bibliothiquedt Carabas.Sul significato dell'opera di Tyson, vedi F.J. Cole, A bistoryuf !1J1Rparative anato111y, London 1944, p. 198 sgg.; sulle curiose vicende dello scheletro, Windle, p. XII. 11 «Es hat imm~r etwas Vcrlockcndcs, Lchren, dic in unsero Tagcn allgc•

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La tesi dei Pigmei scimmie o pitecantropi trovò nel secolo successivo un nuovo e autorevolissimo difensore nella persona del sommo naturalista, il conte di Buffon. Nel capitolo della sua storia naturale dedicato alle gru, la spiegazione della leggenda oml"rica è data colla massima sicurezza, come cosa accertata. Buffon comincia col constatare che la sua assurdità è solo apparente, come sa chi è abituato «à trouver dans ces fables des vérités cachées». L'Antichità è stata tanto spesso accusata di menzogna, mentre le nuove scoperte l'hanno riabilitata e hanno rivelato il suo sapere. Dopo questo esordio, si dà per cosa nota che fra scimmie e uccelli infuri una perpetua e naturale guerra: «on sait que les singes, qui vont en grandes troupes dans la plupart des rcgions de l'Afrique et de l'Inde, font une guerre continuelle aux oiseaux». In una maniera che lascia nel ll"ttore un forte sospetto di fantasiosità, Buffon descrive vivamente queste grandi schiere di scimmie che assalgono i nidi delle gru, insidiando le uova e i piccoli, e le vere battaglie che ne nascono, Gli atteggiamenti delle scimmie, i loro stratagemmi e tutte le loro somiglianze cogli uomini hanno fatto sì che qualche ignorante («des gens peu instruits») le scambiasse per esseri umani, dando corso alla leggenda. «Voilà l'origine et l'histoire de ces fables», conclude perentoriamente Buffon H. Era una spiegazione gratuita e senza vero fondamento, ma piacque tanto che anche autori di orientamento diverso cercarono di lasciarle un posticino, ammettendo che valesse almeno per qualche caso. Il tedesco Georg Forster ( I 7 84) pensava che-fossero scimmie i Pigmei indiani di Ctesia, mentre l'antropologo Quatrefages (1887) cercava ancora di trovare qualcosa di buono nella

mcinc Gelrung bcsitzm, schon in alter Zdt, sei es in Andcutungcn, sei es in deutlichen Wortm, augesprochcn zu fìndcn,,, H. Dillcr, Kltint Scbriftm ZMr anti/e.mMtdizi,,, Berlin-New York 1973, p. 31. u Histoirt ""tNrtll,,giniral, ti partiatlim. OistaNX,tome XIII, Aux DcuxPonts 1787, p. 3 50 sgg. Buffon appmvava l'ipotesi dd naturalista Perrault (v. ibidt. p. 22). secondo il quale le pcmici dei Pigmei di Strabone erano in realtà delle otarde! Abbiamo già visto (sopra, p. 77 n. 21) come Ludolf volesse sostituire i condor alle gru - e ce ne sarebbero altre!

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stessa idea, pur superata al suo tempo: forse qualche viaggiatore aveva davvero pensato ai Pigmei vedendo delle scimmie H. Un altro genere di spiegazione razionalistica fu tentato, nd 1716, dall'erudito Hermann von der Hardt: la guerra tra Pigmei e= gru è immaginata sì nel sud, ma è insieme il travestimento fantasioso di un reale conflitto storico tra due popoli della Megaride, i Geranii e i Pagei. La leggenda è da lui ritradotta in storia vc-ra fino nei particolari, senza dimenticare le notizie date da Ovidio e da Antonino Liberale, coll'insulsa fantasia che si può facilmente immaginare 14. 11 libriccino di Von der Hardt capitò fra le mani dell'abate Banier che ne riferì il contenuto nella sua memoria accademica sui Pigmei e nella sua opera maggiore sulla mitologia, facendosi gioco del 'professore tedesco' e della sua goffa fantasia, e storpiandone il nome in «Wonderart», forma nella quale esso passò nel Sagt,ioleopardiano 15• Il traduttore tedesco di Banier corresse l'errore e criticò la menzione polemica, inutile contro un'opera che nessun connazionale dell'autore avrt"bbc-preso sul st"rio: Von der Hardt era sfavorevolmente· noto per altre stravaganti 'spiegazioni' ddlo stesso genere 36 . La teoria storicizzante non ebbe fortuna e rimase isolata, mentre un successo stupefacente, incomprensibile per la mentalità odierna, t"bbe la spiegazione allegorica del teologo e orientalista

,ma

H G. Forstcr: prima negli HeuiJcht Btitrdg VI Gelehrsam/r.cit Ktmst, poi nelle SJ-tfi(he S(hriftm IV, Leipzig 1843. p. 360 sgg.; A. Dc Quamfa. ges, L,s Pygmits, Paris 188 7, p. I O.

li"'""

14 Detwa mythofogfaGrat(omm ;,, d,r,mtato PygmaeoNltn, et p,rd,cum btllo... Libri II, Lipsiat-Gosla.riae 1716 (il II libro ha "? colophon colla datà Quedlinburgi 1716 e il nome di un diverso editore). E l'opera di uno stravagante, in uno strano latino e pullulante di errori di stampa; non è neppu-

re divertente, solo stucchevole. n Ma le sfortune bibliografiche dello stravagante autore non erano finite: l'àntropologo A. Bastian (Zs.fiir Ethnofogitl, 1869, p. 335) si ricordò di lui chiamandolo semplicemente « Herrmann» l ' 6 La traduzione tedesca di Banicr in cinque volumi (Erl.iNtenmg tkr Gotterlehn Nnd Fabelnans dd Gtsrhichtt)uscì a Lipsia dal 17 H al 1766. Per l'originale v, sotto p. 113 n. 26.

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berlinese Paul Ernst Jablonski { 17 n). Il nome dei Pigmei, leggiamo nel suo erudito PantheonAegyptiorum,deriva da pichys,il cubito, termine che rendeva l'egiziano mahi. I 'cubiti' da cui nacque la leggenda dei Pigmei sono quelli della crescita del Nilo, al tempo della sua famosa inondazione. I sacerdoti egiziani, nel loro linguaggio allegorico, personificarono i cubiti nelle piccole creature alte un cubito; i Greci li presero alla lettera e dei cubiti egiziani fecero i loro Pigmei. Questa luminosa idea, racconta candidamente lo stesso Jablonski, gli venne visitando il Vaticano, davanti alla famosa statua. del Nilo in compagnia dei sedici putti, che rappresentano (questo è vero) i cubiti della sua crescita l7_ Oggi riusciamo soltanto a sorriderne, ma la teoria dell'egittologo settecentesco era a suo modo un segno dei tempi, specialmente nel succedere alla storicizzazione tentata da Von der Hardt: all'evemerismo dominante nella prima metà del XVIII sec. si sostituiscono le inclinazioni occultistiche e simbolistiche della seconda metà; quando poi compaiono nella teoria anche i sacerdoti egiziani, gli applausi sono assicurati, nell'epoca che stava per gustare le allegorie orientaleggianti del Flauto magico. In una forma modificata, la teoria fu presto ripresa da quel singolare personaggio che fu Cornelis Dc Pauw, nelle sue Kechtr· chtsphilosophiqutssur les Egyptienset les Chinois( 17 7 3). Gli antichi Egizi, si legge qui, avevano una immaginazione molto viva e nell'arte passavano con facilità dal colossale al minuscolo, come nelle statue che sotto forma di Pigmei rappresentavano i sedici cubiti del Nilo. «Si crede, conclude De Pauw, che l'allegoria pràticata dai sacerdoti egiziani abbia dato origine al mito dei Pigmei d'Etiapia e della loro guerra colle ibis che si allontanano dal Nilo o vi si avvicinano a seconda se esso cresca o cali ' 8•

31

PanthtrmAegyptiontmJivt tk diil torum. Pm II, Francofurti ad Viadrum 1752, p. 74 sgg. J& L'opera uscì anonima rolla data Amsterdam-Lciden, in due volumi: sui Pigmei in I p. 208. Sulla curiosa personalità dell'autore, vedi A. Gcrbi, La di1putadel Nuovo Mondo. Mih.no-Napoli 19~5. p. 19.

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L'allegoria diventa ancora più completa e precisa nel nutrito saggio 'Sui Pigmti' del già nominato Georg Forster che fu compagno di viaggio di Jamcs Cook, maestro di Alexandcr von Humboldt e infine rivoluzionario in Francia. Forster cita le fonti antiche con maggiore completezza che tutti i suoi predecessori, e discute con buon senso tutte le opinioni avanzate. Quando arriva a Jablonski e a De Pauw, il suo entusiasmo prorompe e la sua adesione alla spiegazione allegorica è totale; si preoccupa soltanto di completarla e arricchirla. Il nome dei Pigmei deriva secondo lui dall'egiziano non per via di traduzione ma direttamente dal termine pi-mahi, che designerebbe i famosi cubiti del Nilo, cubiti che i sacerdoti usavano rappresentare asotto il geroglifico» di sedici putti. Il Nilo. spiega ancora Forster, si ritira in autunno, e a novembre le sue acque sono tanto discese che è possibile comin• ciare la semina nel fango da esso lasciato. Proprio allora le gru arrivano da nord e cercano il loro cibo sulle rive del fiume. aUcddere i Pigmei» significa per loro nient'altro che 'inseguire' le ac• què ritraentisi e avvicinantisi sempre più alle rive del fiume. I Pigmei sterminati significano così i cubiti della piena che si dilegua. È impossibile giudicare (pensa ancora Forster, ma il problema gli pare indifferente) se Omero conoscesse o no il significato celato dietro all'immagine che egli evocava. La spiegazione gli sembra comunque la migliore possibile: è perfettamente naturale e consente per soprappiù di spiegare la storia di Eracle fra i Pigmei, nel quadro descritto da Filostrato. Il lambiccato simbolismo astronomico che Forster scopre in Filostrato rende questa pagina degna di essere trascritta per intero, come saggio di un metodo assai caratteristico dell'epoca: a Jablonski ha mostrato che Anteo, il figlio della terra, è la stessa divinità. che presso gli Egizi si chiamava anche Mcndes e che veniva adorata sotto le specie di un caprone, significante la forza vitale e genera• tiva della natura, press'a poco come il Pan greco. Ercole invece significava il sole, come si vede anche dal coincidere delle sue dodici fatiche coi segni dello zodiaco. Sembra perciò che la storia conservataci da Filostrato rappresenti allegoricamente una parte del moto annuo (apparente) del sole attraverso lo zodiaco. Ercole

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lotta con Antro e lo sopraffà; ovvero, con altre parole, il sole diventa sempre più forte, quando si avvicina. al .solstizio estivo. I frutti maturano, le erbe si seccano, tutta la forza vegetativa della natura è come' estinta. Ora Ercole si addormenta e i Pigmei lo assalgono per ucçiderlo. Ma egli si rialza illeso e li porta via prigionieri nella pelle del leone. Infatti, appena la raccolta è compiuta e il solstizio estivo sta per arrivare, subito l'acqua comincia a salire: il sole discende nell'emisfero meridionale; perde la sua fotta, si addormenta per così dire, mentre il livello del Nilo sale di cubito in cubito. Alla fine tutto l'Egitto è sott'acqua; il sole si è allontanato fino al tropico opposto, e non sembra più capace di tornare indietro. Eppure, ecco che si risveglia con tutta la sua forza e porta via con sé i Pigmei, cioè le acque uscite dal loro letto» 39. Forster prosegue citando Dupuis colla sua spiegazione astronomica di tutti i miti e di tutti i culti e si perde in allegorismi cosmici ancora più minuti di questo e ancora più inverosimili, se fosse possibile. La storia dei Pigmei-cubiti dd nilometro pareva ancora degna di seria menzione a G.C. Heyne (che di G. Forster era il suocero) nel suo commento all'Iliadee ancora ad Eduard Jacobi nel suo lessico della mitologia antica (1847) 40 • L'ultimo plauso (questo davvero poco giustificabile) fu tributato alla cervellotica teoria nel 1871, dal direttore di una delle riviste geografiche più importanti del mondo, le Petermanns Mitteilungendi Berlino. I Pigmei africani erano stati ormai scoperti, ed E. Behm faceva il primo bilancio di questa importante pagina nella storia delle esplorazioni moderne. Ma ecco che una nota finale aggiunta all'ultimo momento informa che l'autore dell'articolo ha conosciuto troppo tardi la brillante teoria di Forster: essa gli è parsa tanto convincente, da indurlo a consigliare i lettori di ignorare la sezione del suo articolo relativa ai Pigmei antichi e di leggere al suo posto la memoria di Forster, ormai vecchia di un secoJ

9

40

Op.ci1. p. 370 sgg.

Heyne, op. cit. p. 4m; E. J.acobi, Ha11Jwort,rb11ch dtr uùrh. u. rom. Mythologit. Neuc Ausgabc, Leipzig 1847, p. 776 sg.

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lo! 41 È un caso raro di onestà intellettuale e di modestia, ma non vale cerro a riconciliarci coll'oggetto di tanto entusiasmo: la teoria J~blonski-Forster è caduta in un meritato _oh~? ed è deg?a_di essere ancora riesumata soltanto come una cunostta della storta intellettuale

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I Pigmei potevano servire anche come occasione. pC'r e~uc~brazioni metafisiche o religiose, diventare cioè nucleo d1 nuovi miti fondati su nuove credenze. Abbiamo già veduto come il Lucip d~riusspiegasse l'origine dei popoli. mostr~~si c~ll~ disobbe~ier_12a dei discendenti di Adamo. Ora, nei secoli m cm l Europa melma a vdere dappertutto spiriti e streghe, anche i Pigmei trovano ~osto in questo sabba di creature inquietanti o decisamente demontache. Paracelso considerava i Pigmei insieme con altri esseri di sembianze umane, ma privi di anima immortale. Ne distingueva quattro classi, ciascuna legata ad un elemento: le_sil~di ~ll'aria, le ninfe alle"acque, le salamandre al fuoco, mentre 1 P1gme1 sono l~gati ;ua terra e si confondono cogli gnomi del_folk-l~re~c~man~~ co. Nel trattatello dedicato a queste creature, 11termme P1gme1 compare di rado, e più spesso si incontrano termini locali come 44

Ertmenlein,Bergleut e simili • . _ Il teologo cattolico svizzero (con ascenden'l.e 1tahan~) ~en~ ward Cysat pensava che i nani in generale fossero angeli ribelli caduti dal cielo con Lucifero e non precipitati all'inferno ma rima41 sti sulla terra. incarnati in figure meschine e deformi ( 15 86) •

41

PetrrmanmMi1teil11ngm 17 ( 1871) p. U 5.

Alla teoria di «Pauern accennava ancora, senza pronunciarsi, lo scopritore dei Pigmei africani, Georg Schwcinfurth (Im H,runvonAfrikfl, Leip1.ig H

J I 818,

p. 3 56). . . . .. Libtr d, nymphù,9lphis, pygma,ùet salamandmti de ,a,tms spmttbui. in 5amtlfrheWtrt,. I. Abt., 14. Band, Miinchen-Bcrlin 1933, p. 157 sgg. •i Cosmof!,Mphische ,md warhafftigtBrsrhrtibungdtr 11twerfandtnet1 oritntal~schenjapponiscbtn K6nigreichen, p. 46 dell'edizione:di Friburgo (Br.) ll92. (Citato d.a Muller-Bn-gstrom, Handw5rterbucb drs drntschmAb,rgla11bmIX, Ber44

lin 1938/41.

p. 1036).

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Teorie simili circolano nell'epoca successiva e meritano di essere ricordate, anche se con esse siamo ai margini della storia che ci siamo proposti di scrivere. Il termine di 'Pigmei' è usato qualche volta solo come un sinonimo dotto di na.ni. coboldi e simili 46 • e gli autori hanno tenuto d'occhio prevalentemente credenze di altra origine: ma non mancano neppure i richiami precisi alla tradizione classica. Per Athanasius Kircher ( 166 .5)i Pigmei sono spiriti maligni, diabolici, che vivono sottoterra e prendono l'aspetto di nani per tentare gli uomini. Le testimonianze sono troppo autorevoli perché se ne possa negare l'esistenza; ma neppure si può ammettere che siano uomini, altrimenti sarebbero stati scoperti dalle esplorazioni olandesi, condotte in tutto il mondo. Si manifestano di pri:frrenza nelle regioni settentrionali, fra popolazioni superstizfose e dedite al culto dei dèmoni che appaiono loro in forma di nani: così testimonia soprattutto Olao Magno, ma anche molti altri aurori di cose settentrionali consentono in questa localizzazione. Anche Kircher riferisce· molte storie di nani e gnomi sotterranei nell'Europa settentrionale e centrale 47 • Erasmus Francisci (1668) elabora una più complessa classificazione di nani e Pigmei; ce ne :!.onodi spirituali e di corporei: i primi sono di natura infernale, come gli gnomi delle montagne, i coboldi e simili; i secondi si dividono a loro volta in ragionevoli e irragionevoli (e qui Francisci è la fonte di Happd, le cui teorie abbiamo già esposto sopra) 48 • Col XVIII sec. tramonta la fortuna di questa demonologia (anche se certe propensioni per l'occulto torneranno a farsi vive) e di Pigmei-spiritelli non si parla più. Il campo è dominato dalle teorie etnografiche e geografiche, alle quali dobbiamo ora tornare. Le scoperte ottocentesche di Pigmei in A&ica, è noto, fecero dileguare tutte le diverse identificazioni come le stelle al sorgere 46

Su questa fortuna dd termine v. Miiller-Bergstréim, ibidmtp. I 021 sg.

41

M1mdus subtmaneus.Amstdodami 1665, p. 101 sgg. Op. dt. p. 3) I.

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del sole. Ma fra di esse ce n'era una il cui astro aveva lungamente brillato e aveva raggiunto la culminazione nei due secoli precedenti : è la localizzazione nordica, la tesi di chi riconosceva i Pigmei degli antichi nei popoli più settentrionali dell'Eurasia e pre~endeva di ritrovare tra loro l'origine della leggenda. con maggiore o minore completeua. Abbiamo già visto sopra come all'origi?e di tutto ciò fosse anche lo spirito di campanile di qualche scrittore nordico, cui sorrideva l'idea di dare al proprio paese un blasone di nobiltà classica, pur se di riflesso, facendovi posto agli esseri delle credenze antiche. Nel caso dei Pigmei questo fattore si incontrava da una parte ~on.un d~to ogg~tivo, cioè la ricc?la st~tura di talune popolaziom locali, e dall altra colla diffusione m quelle aree di leggende relative a nani. Il risultato fu una_lunga fortuna di questi Pigmei nordici, cui non fecero danno le nperute negaztom. Accanto ai Pigmei scandinavi di Olao Magno, il '.500 conobbe quelli siberiani di Paolo Giovio (1.52.5).L'u~anista co~as~o ha lungamente parlato coll'ambasciatore moscovita Dememo, ID· viato dallo Zar Basilio a papa Clemente VII, e da lui ha appreso ciò che sui' Pigmei si racconta nel suo paese: «Ultra Lapones, in regione inter Corum et Aquilonem perpetua oppressa caligine, pygmeos reperiri, aliqui eximiae fidei testes retulerunt:u. Non sono più ahi di un nostro bambino di otto anni. sono. ~a~osissi~i e ~i esprimono con strida inarticolate; sono tanto v1cm1alle ~c1~nue quanto lontani dalla statura di un uomo normale. Paolo G10v10 ~a anche che i Lapponi stessi sono di piccola statura, ma non vede m questo alcuna connessione colla tradizione dei Pigmei, come si .. 49 farà spesso nei. seco1· 1 success1v1 . Il cosmografo Giovanni Lorenzo D'Anania aveva notizie anche più ghiot~e. Anche lui sapeva degli 'Screningeri' che vivono nell'isola di Alba vicino alla Groenlandia, abitano sottoterra, sono astutissimi e aggressivi e combattono colle gru «come Pigmei»; ma inoltre aveva avuto la ventura di vedere l'autentico corpo di 49 Pauli Iovii Novocomensis dt ltt,atùmt Basi/iiMa!Jlipri1tdpis Moscoviat ad Clemtntem VII Pont. Max., Romac 15n, carta 8 (non numerata).

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uno Screningero, mostratogli da un certo Morabito, Siciliano « molto curioso delle antichità», che se l'era procurato nientemeno che a Ecbatana. Era poco più lungo d'un palmo e aveva un buco nella testa, ricordo di una geranomachia sfortunata. Sebbene l' aspetto di questo loro rappresentante fosse umano, D'Anania era scettico sull'umanità delle piccole creature, per le ragioni che già sappiamo: «non si servono di leggi, né conversano con altre genti,, ,o Altre testimonianze arrivano dalla Groenlandia. N d 1606 il capitano danese Jacob Hall compì una spedizione nella grande isola artica, alla quale si preparò raccogliendo informazioni in Islanda. Qui sentì raccontare da un vecchio monaco, che dalla Groenlandia era reduce, come il paese fosse pieno di Pigmei (nonché di unicorni), nani villosi fino sulle dita, con barbe che arrivavano fino alle ginocchia. Non avevano intelletto né linguaggio umano, e schiamazzavano come oche. Che facessero guerra alle gru non gli constava. Il monaco aveva aggiunto ancora che il ornare settentrionale,, si estendeva fino al paese dei Pigmei, chiamato da alcuni 'Nova Zemblia'. L'esplorazione del capitano Hall parve confermare il racconto del monaco, anche se i risultati furono solo parziali. Il capitano Hall tentò di raggiungere anche l'altro paese dei Pigmei ma ne fu impedito dal maltempo e dovette tornare in Islanda senza altri risultati. L'olandese Dithmar Blefken raccontò poi la stessa storia identica fino nei particolari, pretendendo di esserne stato protagonista. Il cosmografo Gemma Phrysius (che conosceva Pigmei anche in India e Indonesia) sapeva come nt"i mari più settentrionali dell'Europa se ne incontrasse di tanto in tanto qualcuno, a bordo di barche di cuoio. Sul paese da cui provenivano regnava però l'incertezza

li.

rn L 'univtrsale fabricadtl lllondo,overo'°111tografia. Vmczia 1576, p. 113. Il viaggio di Hall nella raccolta PurchaJbis pilgrùRsIII, London 162 j. poi in quella della Hakluyt Soc., Danish arctù u:plorations Bk. I, London 1897; D. Bldken, lslandia, Lugduni Batavorum 1607, p. 58 sgg. La storia dd capitano Hall è riferita anche da Happd, op. cit. p. 240. Gemma Phrysius, 11

a,.

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Le stesse notizie ripeteva poco più tardi (ma senza usare il nome ,di Pigmei) il pastore danese David Fabricius: i nani groenlandesi sono villosi fino sulle dita e hanno barbe che arrivano fino alle ginocchia. Il loro intelletto non è umano, né essi possiedono un linguaggio 12• La bassa statura di varie popolazioni dell'estremo nord colpiva gli osservatori europei e diventava una nozione sempre più comune. Nel suo viaggio in Cina (1692) il diplomatico tedesco Adam Brand nota più c più volte la piccolezza di alcuni popoli siberiani, ma non li identifica coi Pigmci; invece li fa cannibali, sul.l'autorità di Plinio e di Olao Magno H. Annotando Pomponio Mela (nel U:68) Isaac Voss aveva attribuito ai Lapponi una normale statura di tre cubiti, negando però che si trattasse di veri e propri Pigmei. Nella sua celebre Lapponia(1673) Johann Scheffer si era poi associato all'opinione di Voss, e ricordava solo per smentirla l'ipotesi di coloro che avevano messo i Pigmei in quel paese 14• Job Ludolf, che ebbe come vedremo un sorprenciente presentimento della scoperta dei Pigmei in Africa, dichiarava erronee tutte· le localizzazioni fuori che l'africana, e particolarmente infondata la nordica: i Lapponi.sono sì bassi, ma non meritano di essere chiamati Pigmei: «Ipse vidi Lappones solito breviores, sed qui nemini essent mira.culo,, ( 1692) n. Ma di Lapponi si continuò a parlare molto nel secolo successivo, e spesso proprio per esagerare la loro piccolezza. Cosi il Lessico universale di Zedler ( 17 3 7) ha una lunghissima voce 'LappDt principiiJaJlronotwiat et comiographiae, Antverpiac l i48, cc. 63 r., 68 v., 38 r. 1 ' bi.md u, Gronlandzu Anfang deJ17. Jabrh,"'kt, hcrau,gegcbcn von K. Tannen, Bremcn 1890, p. 26. L'originale usci nel 1616 col titolo Van Issfandt t1ndeGronlandt. 'l Nruc~rmehrtt BtJthreibung, sàner groJJm chinrsischmRrise... Drittcr Drµck; Lubeck 1734, p. 4 7, 60 sgg .. 8 l. ' 4 Voss, Obmvat. ad Pomp.Melam rit. p. 293; Scheffcr, Lapponia, Francofurti 1673, p. I 3. n Nd Commentariuscit. p. 7 2.

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land', dove si legge che quella gente supera di rado la statura di tre 'Ellen' , 6 • Nel 17 56 i Pigmei nordici finirono.sotto l'autorità, nientemeno, di Voltaire che li nominò in una digr~ssione sulla Lapponia, nel suo faJai sur les moturs. La sua informazione sull'argomento non brilla _veramente per esattezza: «Questo grande paese vicino al polo, egli scrive, era stato designato da Strabone col nome di paese dei Trogloditi e dei Pigmei settentrionali». (Strabone non aveva scritto nulla di simile e soprattutto non si era sognato di distinguere i Pigmei in settentrionali e meridionali, come Omero aveva diviso gli Etiopi in orientali e occidentali!) Prosegue sbrigativamente Voltair';.: «Abbiamo saputo che la razza dei Pigmei non è una favola. E probabile che i Pigmei meridionali siano scomparsi, sterminati dai loro vicini». (Ma dove saranno stati questi suoi Pigmei meridionali?) Nella Histoirtd, Russie,Voltaire è ancora più vago, asserendo di nuovo che gli antichi conoscevano la Lapponia sotto il nome di paese dei Trogloditi e di Pigmei set( 176 5) tentrionali 17 • Come è facile immaginare, la Encyclopidie raccomanda di preferire Voltaire a Scheffer e ne ripete testualmente le parole: « ... La race des Pygmées n'est point une fable». I Pigtnei sono stati riscoperti «sotto il polo» (come si sa dalle relazioni degli Svedesi e dei Danesi) cioè identificati coi Lapponi, che non misurano più di tre 'coudies'.Tutto questo sotto la voce 'Laponie' in pieno contrasto colla contemporanea voce 'Pygmées', che abbiamo già citato. Ai Pigmei di Lapponia accenna anche l'abate Banier, pur senza citare particolari fonti. Neppure G. Forster manca di elenc~re coloro che hanno ritrovato i Pigmei fra Lapponi, Samoiedi e Groenlandesi (Paolo Giovio, Olao Magno più altri svedesi): gli arieti e i capri da loro cavalcati sarebbero allora le renne. Egli stesso ammette che Megastene e altri scrittori di cose indiane· potessero avere raccolto qualche notizia su.i popoli a nord dell'India, nella moderna Tartaria. Si spiegherebbero cosl la piccola statu,ra e 16 17

Nd voi. 16, col. 766 sgg. Essai sur /es moe,m, ca.p, 119: Hi11. d, R.ussit,lib. I cap. 1. ·

il genere di vita loro attribuito

18 •

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La piccolezza dei Lapponi era abbastanza proverbiale perché nel I 7 71 il francese Commerson la invocasse onde rendere credibili i pretesi Pigmei segnalati nell'iso9 la del Madagascar, e dei quali allora si discuteva , _ Un commentarore di Giovenale (N. L. Achaintre, 181 O)supponeva che la leggenda fosse nata dall'incontro di qualche viaggiatore coi Lapponi che sono alti quattro piedi e dei quali si disse 60 esagerando che erano alti due o meno • Ancora nel 1871 le Pettrmanm Mitteilungtn pubblicavano una tabella comparativa, dove la statura dei Lapponi era data per esageratamente minuscola, in confronto co~ ciò che dicon~ fon~i più aggiornate: essa non avrebbe superat? 1__138~15_0 centllTletri, mentre gli Eschimesi non sarebbero stati pm altt d1 ~ metro _e trenta, anche se questa cifra è seguita da un punto mterrogat1vo 6 1• (Oggi si parla di 14 7-160 centimetri). Q~es~e sta_ture.son? non superiori, o addirittura inferiori, a quelle dei_Pigmei af~1can1; davanti a queste cifre (vere o soltanto credute, ciò non ha importanza) si può immaginare che il nome dei Pigmei sarebbe ben potuto 'andar~ in modo perm_anenteagli abitanti dell'estremo nord dell'Europa, anziché a quelli dell'Africa centrale, come accadde nell'800. Vi ostò forse il fatto che la migrazione delle gru indicasse il sud, come si sapeva bene almeno da Aristotele, anzi da Erodoto in poi, e come si proiettava (a torto) anche in Omero e nelle origini della leggenda. Nondimeno, la localizzazione nordica primeggiò per importanza nel corso di quasi due secoli, come quella indiana nella tarda antichità e nel medioevo. L'ultima sua seria menzione si trova proprio nell'opera dell'etnologo che sosteneva più risolutamente di tutti ~'id~ntific_azione africana. Nei Pygmfodi A. De Quatrefages sono c1tat1ampiamente gl'inediti dd naturalista Roulin (morto nel I 873) che «aveva adottato (dice Quatrefages) le opinioni di Ola.o Magno e Paolo

13

Op.cii. p. 368.

i~

Cit. presso Bchm, PettrmamtsMitttil, 17 (1871) p. 142. Ad VII 167 sgg., Parìs I 810. E. BC"hm,art. di. sopra, p. 15 S-

60 61

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. - 62 . P ropno- come e.ristor,oro Cowmbo, , Roulin aveva anG1ov10» notato i margini di un esemplare della Histarianaturalisdi Plinio e là aveva deposto la sua intuizione della realtà dietro la leggenda. I Lapponi erano anche per lui la più bassa razza umana e solo gli Eschim~si, forse, li superavano in piccolezza: nel nord bisognava cercare il punto di partenza dell'antica leggenda. Dell'imbarazzante circostanza che le gru di Omero migrassero verso sud, Roulin si sbriga disinvoltamente (riferisce Quatrefages) prendendo l'espressione in senso non troppo rigoroso e intendendo che le battaglie coi Pigmei si svolgessero all'estremo settentrionale del percorso. Con intrepido evemerismo (o «palefatismo») Roulin trova verità anche nei particolari più favolosi. Le capanne che Plinio descrive come fatte di fango e di gusci d'uovo erano in realtà (egli suggerisce) di forma ovale, più precisamente a forma di mezzo uovo: erano cioè gl'igloodcgli Eschimesi che hanno proprio questa forma! Queste note di Roulin, osserva ancora Quatrefages, sono comunque anteriori alle scoperte:.-africane:.-,sicché sono da considerarsi superate - ma non certo solo per questo motivo, vorremmo aggiungcre noi! Un esempio ancora gioverà a mostrare per quali vie impensate una leggenda possa viaggiare nel tempo e nello spazio, c cornei suoi elementi possano dissodarsi per entrare in nuove combinazioni, tutte ugualmente lontane da una pretesa realtà che si potrebbe essere tentati di cercare dietro di esse. Rudolf Wittkower ha fatto la storia delle fortune, soprattuttq iconografiche, di un goffo mostro medievale e rinascimentale: un uomo di normale conformazione con collo e testa di gru 63 . (Ma in almeno due fra le varie raffigurazioni, notiamo bene, esso ha soltanto collo da uccello, mentre la tcsta è quasi normalmente umana). Come fonte più antica Wittkower cita le GestaRomanorum, ma non rammenta che un popolo intero di creature simili, uomini con collo di gru (collosoltanto, si badi bene, secondo la 62

6

l

Lts Pyt,mits cit. p. 1O sgg. of tht Warburt,tr Co11rta11/d Inst. dt. p. 193 sgg.

Jo,,tn,,

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stessa curiosa concezione di una parte delle sue fonti) è anche nelepopea tedesca del Duca Ernesto che risale al XII scc. e che abbiamo ·già citato come un' odissc-a ricca di molti tradizionali por. non esclusi- 1, p·1gme1 · 64 . tenti etnogra f ic1, Sitratta, come osserva Wittkower stesso, di un amalgama fra il Pigmeo, cresciuto a dimensioni normali, e l'uccello suo nemico: La sede africana deriva dai Pigmei, ma non se ne parla nelle font, medievali, che non conoscono né localizzazione geografica né lotta coi grifoni; quest'ultimo motivo deriva dalla storia asiatica degli Arimaspi, nota e popolarissima alme?o da Erodoto in poi. ~n~ che il mostro cinquecentesco ('Tartaro, secondo alcune fonti) e insomma un lontano e degenere parente dei Pigmei. In casi come questo sorge spontanea la domanda: che cosa sarebbe accaduto se la prima notizia sull'uomo-gru ci fosse venuta da una o due opere letterarie-antiche e im~ortanti~ sen_zanessuna storia anteriore che ne chiarisse la provemenza? E chiaro: se ne sarebbe cercato il modello in Africa (e annesso Madagascar), e di certo si sarebbe scovata qualche popolazione africana particolarmente longilinea, oppure frequentemente affetta da qualche deformità ei:edit~ria, abbastanza quanto basti per giustificare il collo da gru. Ma questa è solo una modesta ipotesi: non mettiamo limiti alla mal indirizzata fantasiosità di cerci studiosi ...

r

64

V. ropra, p. 53 sg.

Capitolottrz.o «OMERO AVEVA RAGIONE»:... I PIGMEI RISCOPERTI IN AFRICA

Eccoci finalmente ai Pigmei più importanti, quelli la cui scoperta è parsa all'opinione più diffusa come la soluzione definitiva e come l'ultima parola sul!'argomento: i Pigmei africani. Tutto quello che abbiamo raccontato finora dovrebbe essere servito soprattutto a mostrare come la loro comparsa non rappresenti la rivelazione, la novità strepitosa che s'immagina quando non si conosce bene tutta la storia precedente. L'accostamento fra le creature della similitudine omerica e certi popoli d'Africa è in realtà solo un ·ipotesi fra le tante di una lunghissima serie. Essa sembra oggi, senza dubbio, la più seriamente sostenibile, ma rimane nondimeno un:ipotesi, e non ha la palmare evidenza che tanti tendono ad attribuirle, suècubi di una CQmmunis (Jpini(Jfondata su un'informazione parziale e sul riecheggiamento acritico, nonché sulla suggestione di certi fattori irrazionali. Anche la psicologia più elementare sa quanto sia grande la potenza delle parole e dei nomi: e proprio l'identità del nome fa sì che molti prendano come indiscutibile quest'accostamento che ora dovremo più da vicino discutere. C'è da essere sicuri che se il nome 'Pigmei' non fosse stato definitivamente adottato dall'etno• grafia nel secolo scorso, l'affermazione che tutta la leggenda deri• vi dall'Africa centrale si incontrerebbe oggi più di rado e sarebbe meno perentoria! La luce di 'rivelazione' in cui taluni collocano le scoperte africane del secolo scorso, e in cui altri più o meno consciamente le vedono, è falsa anche per un altro motivo: l'esistenza dei piccoli popoli africani era stata segnalata già molte volte e in Europa sr ne parlav;l da secoli. Alcune probabili testimonianze vengono dal mondo antic:o, e abbiamo già dovuto accennarvi. Nell'età moder~

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Etnografia e mito ''Omero aveva ragione", i Pigmei riscoperti in Africa

na, esse ~i moltiplicano e diventano più precise, tanto che non si ~uo du_b1t~red~ll~ fondatezza di almeno qualcuna di esse. L'ipotesi che ,1 P1gme1 di Omero avessero a che fare coi nani d'Africa è assai vecchia e nella storia del problema si perde fra cento altre. Il posto ~rivilegiato e unico che essa occupa oggi le è stato attribuit~ p~r 11concorrere fortunato di vari fattori e di impulsi irrazionali, primo fra tutti il pericolosissimo entusiasmo della scoperta. Ora che ne siamo ormai immuni e che conosciamo meglio le vicende att~averso le quali si è arrivati a questo punto, possiamo esaminare I fondamenti dell'ipotesi, tenendo ben presente che le autorità non si sommano quando si limitano a ripetere una dall'altra sempre le stesse congetture. Di _Erodot~ ab~iam~ già detto abbastanza, quando abbiamo notato il suo s1lenz10sw Pigmei davanti alle due storie di nani africa~i da lui raccolte. Questa è la cosa più importante, mentre solo mdirettamentc interessa qui l'attendibilità stessa delle due storie._Se ~ono autentiche e se davvero hanno origine in incontri con P1gme1,esse rafforzano la possibilità che i Greci potessero saperne qualcosa già in età antica, sebbene il divario fra l'età di Erodot1J e quella di Omt"ro, anzi quella ancora precedente, riman~a g_rand~.~l racconto dei Nasamoni e quello di Sataspe sono stati d'.scuss1_ •~w:nerevo!i ~o!te, ma sempre attraverso generiche cons1deraz1omd1 veros1m1ghanza, spesso in obbedienza a indina~ioni preconcette. Citiamo solo qualche esempio fra ciò che sul1 argomento si è scritto, scegliendo qualche opinione tipica o singolare. . Un autore che faceva la storia della scoperta dei Pigmei africam (_Behm, 1871) dava credito al racconto dei Nasamoni, pur sottolineando la difficoltà di riconoscere i luoghi relativi; i nani di Sataspe avrebbero avuto invece un carattere più favoloso o sarebbero stati il frutto di una 'illusione ottica', non meglio specificata, ~uatrefages ( l 8 8 7) localizzava invece colla massima precisione e s1~urezzaproprio l'incontro fra i Nasamoni e i piccoli uomini neri d oltre Sahara, mentre un autore più moderno che scriveva su viaggi e scoperte africane in Erodoto (H. Treidler, 1926) era di parere opposto, non nominando affatto i Pigmei nel caso dei ~ a-

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samoni e ricordandosene invece quando scriveva del viaggio di Sataspe, accettato come vero 1 . Un recente Herodotomarlix (D. Fehling, 1971) giudica inverosimile la storia della traversata come si legge presso Erodoto, a causa di certi parallelismi formali troppo evidenti, mentre in un volume collettivo sull"Africa nell'antichità classica' (1966) ci si contenta di affermare che «non c'è motivo di dubitare» della verità dei due racconti e del loro rapporto coi Pigmei africani 2 • Ma sarebbe inutile spiegare ancora una volta perché la realtà o non-realtà di questi racconti interessi qui solo indirettamente: Erodoto non ha nominato affatto i Pigmei e la sua testimonianza resta al margine della storia che stiamo indagando. Un posto di primo piano va invece alla testimonianza aristotelica che abbiamo dovuto citare più e più volte. Fino all'età moderna la sua autorità ha dato sostegno e rispettabilità ad ogni teoria che ritrovasse in Africa l'origine della leggenda e ha incoraggiato l'uso del termine 'Pigmei' per ogni possibile speci_edi nani nel continente nero, conosciuti o soltanto sospettaci. Poiché da cosa nasce cosa, non è troppo avventuroso immaginare che senza quel passo dell'Historia ani111alium, i nostri Pigmei oggi forse non si chiamerebbero così! Tanto più doloroso è quindi l'essere, come siamo noi, del tutto all'oscuro sui fondamenti di quell'affermazione così sicura: «. .. perché questa non è una favola». Per Strabone i Pigmei, africani o indiani, sono una favola, come egli non perde occasione di ripetere. Di piccoli uomini in Africa, che potrebbero spiegare l'origine della leggenda, egli non sa, e probabilmente non ci pensava neppure nel passo della sua opera dove si è creduto di trovare qualcosa del genere. Scrive Strabone sull'Etiopia: gli abitanti delle parti estreme del mondo E.Behm, nelle Pmrmo,n,uMitttil. già cit., p. 141; Quatrefagcs,Lrs Pyi~ R.emna. Fomb.nll" in Afrilr,,,Lcipz.ig mfts cit.p. 18 sgg.; Trcidler, Herodo1, I 926, p. 99 sgg. - Difendeva la realtà dd viaggio di Sataspe,contro lo scetticismo di Hrnnig, anche A. Klotz (Klio 30, 1937, p 343 sgg.) 1 Fehling, Die Quellt1U1ngabm lui HmJtiot,Bn-lin-NewYork 1971, p. 7 j; Africa in Cianica/Antiquity. Edited by L.A. Thompmn ,1: J. frrguson, Jbadan 1969, p. IO sg. 1

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sono spggetti a climi aspri e non temperati; conducono una vita dura, vanno quasi nudi e sono nomadi; i loro animali domestici, pecote, capre, buoi e cani sono piccoli. «Forse, prosegue Strabone, dalla loro (totiton)!Piccolezzasi è immaginata e finta la leggenda dei Pigmei, che nessun uomo degno di fede sostiene di aver veduto»'. 'Loro' di chi? degli animali o dei proprietari? I traduttori sembrano aver inteso prevalentemente nella seconda maniera, ma tutto il contesto nonché i termini usati farebbero preferire la prima. Strabone pensa a qualcuno che davanti al minuscolo bestiame congetturi, per analogia, dei proprietari altrettanto minuscoli. (E di fatto è probabile che molte leggende di nani e giganti siano sorte', o almeno abbiano trovato sostegno, nell'esistenza di oggetti che si potevano interpretare come esemplari più piccoli o più grandi di cose del nostro mondo). L'interpretazione che Iagli uomini e non agli animali si concilia anche riferisce il toiiton. male (lasciando stare tutto quel che si potrebbe addurre da altri autori) con ciò che si legge subito dopo, cioè che gli Etiopi usano archi lunghi ben quattro cubiti e che eleggono come re i più belli: 4 Strabone non voleva certo far sorridere i suoi lettori colla grottesca imml!,gine di un concorso di bellezza fra nanerottoli! Come Erodoto, neppure Plinio nomina i Pigmei a proposito della piccola popolazione africana che gli è nota, cioè i Tentiriti cacciatori e domatori di coccodrilli. Anche in questo caso, non pare che la moderna antropologia abbia saputo dire nulla di preciso, cosicché l'argomento non promette risultati di particolare interesse. Di Pigmei 'etiopici' c'è ancora una traccia nel lessico di Esichio, dove 'Pygmdioi'è spiegato laconicamente con Nobai, cioè nubiani. Infine, ormai alle soglie del medioevo, arriva la testimonianza più famosa e più importante di tutte, qudla di Nonnoso ambasciatore di Giustiniano, che i Pigmei etiopici li avrebbe visti coi suoi occhi, stando al racconto conservatoci da Fozio: erano piccoli, neri e villosi per tutto il corpo; andavano nudi tranne che per un perizoma, uomini e donne; non erano selvatici e avevano 1 4

XVII 2,1 (821). XVII 2,3 (822).

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voce umana, anche se incomprensibile agli stessi loro vicini; vivevano di ostriche e di pesci gettati in terra dal mare; non erano co1 raggiosi e fuggivano alla vista degli uomini normali . Le coincidenze con ciò che le esplorazioni dovevano rivelare oltre mille anni più tardi sono notevoli, anche se qualche tratto è generico o rientra nella topica dell'etnografia antica, come l'ittiofagia attribuita volentieri a tutti i popoli estremamente primitivi. Precisi sono altri particolari come la villosità diffusa, l'abbigliamento estremamente ridotto e il carattere singolare della lingua, riconoscibile per altro come umana, a differenza di ciò che riferivano racconti meno attendibili. Il termine di Pigmei non compare, almeno nella breve relazione di Fozio, come non era comparso in Erodoto: all'inizio e alla fine della cultura classica troviamo le più verosimili tradizioni su incontri tra uomini del mondo mediterraneo e popoli nani dell'Africa, ma né l'una né l'altra volta la leggenda viene ricordata! Col racconto dell'ambasciatore di Giustiniano concludiamo degnamente le testimonianze antiche, prima del grande iato medievale. L 'étà di mezzo conoscerà Pigmei solo in India e le circostanze storiche faranno sì che di incontri coi Pigmei africani non si parli più fino all'età delle grandi scoperte geografiche. Una localizzazione africana, abbiamo già visto, si troverà solo in Alberto Magno, come eco dd riscoperto Aristotele. Prima di passare alla nuova e più importante fase in questi fuggevoli contatti, dobbiamo però aprire un'importante parentesi, su un argomento lungamente discusso. Chi sostiene la genesi africana dei Pigmei greci deve cercare, per dare concretezza storica alla sua ipotesi, un tramite attraverso il quale la conoscenza di Akka e affini sia potuta arrivare ai ~cci già all'inizio del primo millennio a.C., poiché un contatto diretto non è la cosa più verosimile, né è stato mai ipotizzato seriamente. Data la situazione storico-culturale del mondo mediterraneo e nord-africano nell'epoca da considerare, il possibile tramite è ovi

Esichio, Lex. s.v. 'Nwj3a1; Nonnoso ap. Phot. Bibl. cod. 3.

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viamente quasi uno solo, cioè l'Egitto. È quindi di importanza decisiva accertare se dai monumenti letterari e artistici egiziani traspaia una conoscenza dei Pigmei africani, tale da poter essere trasmessa ai Greci e da poter dare origine alla credenza già riflessa in Omero. E qui si apre un problema molto spinoso. Per una risposta alla questione dobbiamo naturalmente ricorrere agli egittologi, così come gli egittologi non potrebbero suggerire una soluzione di tutto il problema senza l'aiuto degli ellenisti e degli storici della grecità: ma le autorità a cui ricorriamo si rivelano discordi, le loro opinioni sono qualche volta perfettamente opposte, anche se al profano possono parere tutte ugualmente ben fondate. In questa situazione si può soltanto valutare il metodo impiegato, che dovrebbe essere uguale per tutti, esaminare il tono di certe argomentazioni, se per caso non riveli un giudizio preconcetto, e infine, quando è possibile, giudicare da sé se certe immagini artistiche dicano proprio ciò che vi si vuole trovare. Di fatto, s'incontrano nella bibliografia specialistica motivi di diffidenza che nascono da tut~i e tre questi ordini di fattori: evidenti peccati contro il buon metodo, tono pregiudicato e forzature di documenti figurativi che nessun appello alle convenzioni artistiche può giustificare; e tutto ciò si trova sempre, sarà bene dirlo subito, dalla parte di quelli che hanno risposto affermativamente, sostenendo cioè che gli Egiz.i avessero familiarità coi Pigmei africani e che potessero trasmetterne la conoscenza ai Greci. Inoltre, affermazioni che in origine sono condizionate, o dubbiose, o frettolose, passano dalle opere specialistiche di cose egiziane negli scritti di storici e antropologi, diventando nel passaggio incondizionate, sicure, infine communis opinioquasi inestirpabile quando siano state ripetute un sufficiente numero di volte. Proviamo a raccontare qualcuna delle curiose avventure intdlettu~i e. bibliografiche che possono capitare a chi penetra in questo difficile terreno cercando di formarsi una propria opinione, sia pure soltanto attraverso il confronto di diverse autorità. L'egittologo Mariette, nel secolo scorso, avrebbe letto il nome 'Akka' su di un bassorilievo egizio dell'Impero antico accanto ad una figura

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di nano. Questo, che abbiamo ripetutamente citato, è per l' appunto il nome di uno dei popoli pigmei scopertì in quel torno di tempo. C'era nell'aria l'ebbrezza della scoperta e questa concordanza doveva parere sensazionale. Ne diede subito notizia Quatrefages (1887) che alla tra.fùa: Africa centrale-Egitto-Grecia credeva fermamente, non citando però Mariette stesso, bensì l'antropologo Ernest-Théodore Hamy (1879) che in un suo articolo aveva dato notizia di questa importante osservazione 6 • Pochi anni dopo, nel 1890, l'altro egittologo e commentatore di Erodoto, A. Wiedemann, si sbrigava in una nota di Mariette e del suo preteso Akka: la lettura è del tutto inverosimile (dice Wiedcmann) e anche se fosse esatta il nome potrebbe essere al massimo quello personale del nano, e non un etnico 7 • E certo, le considerazioni generali, più la difficoltà facilmente immaginabile anche da noi, -~ stabilire un'identità rra un termine scritto su un monumento eg11.1anoe un altro raccolto a voce in Africa molte migliaia di anni dopo, bastano largamente a ~enderci scettici. Eppure l'i~probabile Pig~eo d'Egitto era ancora vivo nel 1932, qu31:1do1ar~e~l~go ~s1~0 W.B.Mc Daniel tornò a parlare come d1 cosa s1cunss1mad1 Pigmei già noti agli antichi Egizi, e noti proprio sotto il nom~ di Akka (aggiungeva una nota terminata da un punto esda~anvo) che essi ancora portano 11• E chi si citava a fondamento d1 questa asserz.ione? Ancora Quarrefages. che non era egittologo cd era una fonte di terza mano, e P. Monceaux. né egittologo né antropologo, la cui attendibilità sull'argomento cercheremo di mostrare più sotto. . . Chiunque si sia occupato di geografia antica conosce il nome del geografo~filologo Richar~. H~nnig: infaticab~c ~ifcnsore e rivalutatore di tutte le rradwom antiche su v1agg1 e scoperte, nonché ingegnoso raz.ionalizz.atoredi tutte le leg~~nde, un p~' ~r~de di Strabone ma più di Palefato. Una delle pm autorevoli riviMuseum,pubblicò nel 1932 ste delle nostre materie, il Rheinisches Le, Pygmfo dt. p. 2 5 e n. I. Htrodou zweitts Buch, Leipzig 1890 (= Milano 1971), p, 14011 Amtr, Jaurn. o/ Arcbaeol. 36 (1932) p. 261.

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un suo breve articolo dall'imponente titolo 'Der kulturhistorische Hintergr~d der Geschichte vom Kampf zwischen Pygmaen und 9 Kranichen' ; qui ricompaiono i Pigmei noci agli Egizi e da loro passati ai Greci. Chi non si fa impressionare dal titolo né dallasicurezza ton?, che press~ questo autore è_sempre proporzionale alla fragihta dei fondamenti, trova presto diverse cose da obiettare, come qui mostreremo per esteso, perché il caso lo merita. Hennig c?m~ncia.affer~a~do che la similitudine dove compaiono le gru e t P1gme1 costitwsce un caso isolato, incomprensibile ed enigmatico perchè i paragoni omerici mostrano sempre un' osservazione straordinariamente acuta e realistica della natura: qui invece ~vremmo (second~ l'opinione corrente che egli si propone di raddrizzare) qualcosa dt puramente fantastico, cioè irreale. Ma la similitudine riguarda solo il volo delle gru, che Omero avrà certo bene osservato; i Pigmei compaiono solo per accenno in uri unico ver~o. D'al~a parte, ncp?ure .Henn~g potrà sostenere' che il poeta ab?,a. proprio veduto cm suoi occhi l" gru azzuffarsi coi Pigmei: qumd1 un elemento di immaginazione e non di diretta osservazion~ ci sarà per forza. Si prosegue evocando le autentiche guerre tra gh Akka.e le gru, tanto più facili a scoppiare in quanto l'uccello (spiega Hennig) quando incontra un Pigmeo non crede di avere davanti a sé un uomo, ma qualche specie di debole animale. Purrr?ppo e~Ii_non dice ':11igl! ab~ia raccont~to tutto questo: presso gh autent1c1esplora.ton dell Afnca non abbiamo mai letto nulla di simile; uno dubitava piuttosto che le gru arrivino nelle loro migrazioni fino alla latitudine dove vivono i Pigmei 10 . Questa spensierata fantasiosità è la stessa di Buffon (che non si era mai mosso dall'Europa) quando descriveva le battaglie fra le gru e le schiere delle scimmie africane e indiane. Ma veniamo al nocciolo della discu~sione_:Hennig dà per scontato che gli Egiziconoscessero i Pigmei, e cita (con varie inesattezze) un'unica fonte, cioè la traduzione tedesca della storia dell'Egitto di J.H. Breasted li. Qui tro-

?~l,

L'abbiamo già citato sopra, p. 37. Schweinfunh, Im H,rz.m 110,, Aftilcl, dt. p. 356. 11 J. H. Brcastcd (non «H.»), Guchicht,Atgptens. Dc:utschvon Dr. Hc:rmann Rankc:, Bc:rlin 1910 (non 1911), p. 131 (non 350). 9

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viamo effettivamente la menzione dei nani che col loro aspetto grottesco e colle loro goffe danze divertivano gli antichi Egizi. Una volta, col tono di chi non vuole impegnarsi troppo nella questione, Breasted accenna alla provenienza di questi nani ocda uno dei popoli Pigmei dell'Africa centrale». A prov~ l'egittologo. adduce una famosa lettera, cento volte citata, dove 11faraone Phiops Il (attorno al -2360 a.C.) incarica il suo ufficiale Herchuf di procurargli un nano (Hennig si affretta a dire «Negerzwer~») dal paese di Y am, come ha già fatto altre v?lte. Breaste_d _nmanda inoltre a due illustrazioni dd suo libro, una delle quali riproduce la statuetta di un nano, perfettamente bianco, e l'altra è altrettanto poco convincente, mostrando dei nani dalla fi~ionomia del tutto simile a quella degli altri Egizi. Sulle orme d1 Breasted, Hennig crede che i nobili Egizi si servissero dei Pi~ei_ co~e buff?ni di corte, facendo loro eseguire delle danze che h divertivano immensamente. Dalla sua unica fonte egli trascrive anche espressioni come «brutti» e 1.1:dallegambe storte», per convincerci che nulla divertiva tanto gli antichi Egizi come la danza di un Pigmeo, quasi naturaliterpagliaccio. Anche questa è fant~sia_se~a fo_nda~ men~o: tuti::i quelli che· hanno veduto davvero 1 P~gme1 a:ricam ill shahanno sottolineato che essi non sono affatto deforrm (1.1:not ped», scrisse testualmente uno dei primissimi) e che si muovono con agilità e quasi con grazia 12 : la danza di un Pigmeo non doveva essere tanto grottesca, come può essere invece _quella di un .v~ro nano se è crudelmente addestrato alla buffoneria. Anche qw, msomma, quando andiamo a saggiare i fondamenti dell'orgogliosa costruzione troviamo poco o nulla: ma ciò non impedisce a Hennig di usare il suo solito tono perentorio e di annunciare la_riabilitazione anche di Goethe, la cui allusione alla geranomachia nella 'Notte di Walpurga classica' è infine spogliata del suo «puro carattere favolosOD (che al geografo-fil_ologo pare _evidentem~nte cosa inferiore:) e collocata su una solida «naturw1ssens.c~thc~geographisch-kultu.rgeschichtliche Grwuilage», come egh st esprime. i, Vedi p. es. Bc:hm, art.

rit. p. UO.

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.Ne~ I~ 38 ~~ altro_egittologo, W.R. Dawson, parlava con fiducia di Pigmei m E~mo, fondandosi sulla lettera di Phiops già nota a Breasted, ma rifiutando le due raffigurazioni artistiche, che raprrese~tano (ce n~eravarno già accorti) non dei Pigmei ma dei ven naru. Dawson rimanda invece disinvoltamente a wia statuetta bronzea nel Museo del Cairo, pubblicata da G. Daressy nel 190~, che ~vrebbe forti caratteri negroidi. (In wi altro caso è dubbioso egh stesso). Andiamo alla fonte e anche questo •p· ' · dii 1gmeo s1 egua come nebbia al sole, Daressy non aveva affatto pensato a un Pigmeo, e _1'unicoca.rattere della figura che può a prima vista sembrare negroide sono 1 capelli, raffigurati da un 'pointill(, che potrebbe essere un tentativo di renderne la lanosità. L'autore della pubbli°';zione .~i era affrettato però ad aggiungere che in questa o~era d artl" c e senza dubbio «la tendenza ad esagerare la somiglianza naturale che' presenta un cranio visto dall'alto con uno s~arabeo». Quindi anche questo particolare si spiega colla stilizzazione e sarebbe imprudente volerne trarre qualcosa di più ''. Ma quale uso possa fare delle fonti chi non è strettamente specialista, lo _mostranella maniera più crassa il caso dell'antropolo~ M. G~mde, che al suo libro sui Pigmei premette il solito capitoletto Introduttivo sulla loro conoscenza nell'antichità . Q Ul· 1 . egg1~0 un paio di affl"rmazioni che dobbiamo semplicemente trascrivere e che non harmo bisogno del nostro commento: «Cer~amente ~r~doto, nei suoi viaggi in Egitto, ha appreso attraverso m~or~azio_massunti."personalmente ciò che gli Egiziani sapevano dei P1gme1e ha trasmesso questa conoscenza ai suoi connazionali». E più avanti: «Ciò che la remota antichità aveva mostrato di sapere, ma più per congettura che per via di chiara informazione e ciò che l'attendibile Erodoto aveva appreso nella sua visita i~ Egitto, è stato finalmente confermato etc. etc.JJ. Inutile dire che manca ~gni in?icazio~e di luogo, perché tutto ciò è semplicemente pura mvenztone, dimostrabile falsità. Naturalmente anche Gu13

Dawson, Journ. of Egypt.Archa,ol. 24 (1938) p. 186· Daressy An,w/,s du strvia d,r antùJuilésJ, l'Eopt, 4, 1903 , P· 124 sg. ' ' .

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sinde cita la famosa lettera di Phiops, commentandola come se tutto fosse chiaro e certo 14• Ancora un esempio più recl"nte e poi basta. Nel 19 52 uscì un articolo di M. Stracmans che portava nel titolo la tesi: 'Les Pygmées dans l' aacienne Égypte' 1' • In un tono che è assai acido contro gl'increduli, l'autore deve ammettere che vari egittologi hanno negato negli ultimi anni un qualunque rapporto fra Egitto e paese dei Pigmei. Il lettore è subito perplesso: se certe prove sono chiare come Stracmans sostiene, non si capisce come la questione sia ancora aperta, anzi come sia potuta sorgere. Quanto a queste prove, sono della solita spi Quando poi incontra faccia a faccia il suo Pigmeo, esclama: «Ora potevo finalmente pascere i miei occhi dell'incarnazione palpabile di un mito millenario, pot('V0 ritrarlo col disegno e interrogarlo,i 37 . Sono frammenti preziosi, occhiat(' inestimabili ndl'animo di uno scopritore che come tanti prima di lui aveva portato con sé una reminiscenza mitica e letteraria, dalla quale la realtà traeva gran parte dd suo pr('gio. Col suo candore, Schweinfurth ci mostra allà luce ciò che tante volte è avv('nuto nell'oscurità delle coscienze: per una lunghissima serie di secoli una leggenda· av('va cer~ato una patria, e ora la scoperta di un~ nuova realtà veniva ad allogarla per sempre nel mondo geografi-

La cautela di Schweinfurth non impedì che la sua scoperta (colle conferme che seguirono) venisse subito salutata da molti come l'evento provvidenziale che rendeva giustizia al calunniato sapere degli antichi. Ciò che si scrisse allora nell'('uforia della scoperta continua ad essere presente nella nostra cultura perché è co~fluito nelle enciclopedie e nei comm.('nti a Omero che ancora utilizziamo, infidi e parziali su questo punto quasi tutti, così come parziali sono anche molti scritti che dovrebbero essere di ricerca originale. Farne una vera e propria rassegna non sarebbe cosa grata né utile: sarebbe una monotona sfilata dove troveremmo S('m~ pre gli stessi trattamenti arbitrari delle fonti, gli stessi pr('concetti " lm Hnun von Afrilr,.a dt., p 355 sgg.

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e le stesse imprecisioni. Istruttiva sarebbe soltanto la lunghezza di questa sfilata, perché insegnerebbe ancora una volta come la stessa tendepza possa fuorviare una dopo l'altra intere generazioni di studiosi e come gli errori diventino verità riconosciute dopo che sono stati ripetuti un sufficiente numero di volte. Sarà invece opportuno scegliere uno di questi scritti apologetici ed esaminarlo per una volta un po• da vicino, in modo da mostrare come le inesattezze e la tendenziosità nei particolari possano distorcere completamente l'immagine del problema e del suo stato attuale. La francese Rmu historiqut pubblicò nel 1891 un nutrito saggio di Paul Monceaux che in sessantaquattro pagine tratta esaurientemente il tema 'La légende des Pygmées et les nains de l'Afrique équatoriale' 38 • Lo spirito in cui quest'autore scrive è annunciato con chiare parole nel preambolo: si tratta di rivalutare le conoscenze degli antichi sull'interno dell'Africa, ingiustamente sminuite. Quasi tutto sapevano già i Greci: « I nostri viaggiatori e i nostri geografi non fanno altro che riprendere, precisare e completare l'opera dei grandi dotti greci». Monceaux cita Stanley (che in Africa c'è stato davvero: come oseremo contraddirlo noi ' topi di biblioteca?) e risuscita perfino l'ipsedixit aristotelico: «Ceci n'tst pas ;.me fable, c'est Aristote qui l'affirme». (È il solito passo famoso dell' Hùtoria animalium). Le pagine che seguono sono piene di mezze verità o di falsi veri e propri, e più ancora di adattamenti piccoli e grandi, che alla fine riescono a far tornare i conti e a far coincidere Omero coi resoconti delle esplorazioni, i Pigmei dell'lliadt con quelli dì Stanley. «Le rive del fiume Oceano (vi leggiamo) sono il limite estremo delle terre verso sud, cioè le regioni equatoriali, soprattutto le regioni che sono site a sud della Ionia, dunque l'Etiopia. E lo scoliaste interpretava esattamente questo passo dell'Iliade, quando collocava i Pigmei 'nelle parti più remote della terra d'Egitto'». Naturalmente non è vero, perché l'Oceano omerico non sta solo a sud ma da ogni parte; le determinazioni più precise sono poi pura fantasia. «Le regioni dell'India dove Ctesia e Pli33

Voi. 47 p. 1 sgg.

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nio hanno segnalato dei Pig,nei [Plinio, è ovvio, non ha «segnalato» nulla, ha ripetuto ciò che altri diceva] racchiudono anche oggi dei negritos»\g. Falso anche questo, sebbene Monceaux non fosse il primo ad affermarlo: popolazioni nane si trovano solo nelle isole Andamane 40 . Il ramo. maggiore della tradizione, quello relativo ai Pigmei indiani, è peraltro scomodo per l'apologeta dd sapere antico, perciò egli scrive che anche oggi il gruppo più considerevole di popoli pigmei si trova proprio nel luogo dove li colloca «la tradizione più antica e costante (?] accettata da Aristotele e da tutti [??] i dotti greci.,, cioè l'Africa orientale 41 . Ancora: secondo Monceaux i Greci vedevano migrare le gru verso sud, verso i paesi 42 dove la «costante tradizione» poneva i piccoli uomini neri . Ma abbiamo già visto come i Pigmei della tradizione letteraria siano di rado neri e come mai lo siano quelli dell'arte; la loro bruttezza ricorda il tipo del Sileno, quello cui si paragonava anche Socrate: rAfrica non c'entra e tantomeno si può parlare di una costante tradizione. Qualcosa, nel lungo articolo. sa di abbellimento aggiunto senza troppi scrupoli: «1 negretti dell'Africa equatoriale fanno ancora, ai nostri giorni. una guerra accanita ai grandi uccelli acquatici che devastano le loro piantagioni di banane e il loro mais. La lotta degli antichi Pigmei contro le gru non è dunque un'invenzione dei poeti» 43 • Qui Monceaux .stesso -deve sentirsi per un momento a disagio. La tesi principale del suo articolo è che la tradizione dei Pigmei sia arrivata ai Greci dopo essere passata per molte mani, soprattutto per via iconografica, cioè attraverso le figurazioni egizie e fenicie, dove la gru non è però mai presente. Sarebbe quindi inesplicabile che questo elemento si ritrovi ai due estremi della lunga catena, cioè nella realtà africana da una parte e nella

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4i

P. V. P. P.

H

Ibidtm.

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14, 23. Gusinde citato sopra, p. 108. 24. 46.

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credenza greca dall'altra, ma non nd mezzo cioè nelle raffigura7_ioniartistiche che dovrebbero costituire la trafila. Monceaux risolve così la difficoltà: scegliendo la gru ad avversaria dei nani conosciuti dalle figurazioni orientali «i Greci hanno d'istinto ricondotto la tradizione alla ~ua prima origine. In mezzo alle invenzioni fantastiche dell'Oriente essi hanno, con una sicurezza meravigliosa [ !] isolato il fatto vero, oggi accertato scientificamente)). Ma il vizio metodico fondamentale, come al solito, è l'indebita libertà che l'autore si prende continuamente, di scegliere fra i dati della tradizione quelli ~he meglio paiono concordare con una realtà, nel presupposto tacito o espresso che proprio essi debbano rappresentare il buon 'nocciolo•, mentre tutto il resto sarebbe evidente accrezione posteriore. Assai caratteristica è anche l'affermazione che il tipo del nano conosciuto attraverso l'Oriente abbia dovuto vivamente colpire la fantasia ccgiovane e fresca,, dei Greci 4 4. È il solito miraggio: i Greci antichissimi sono un popolo «giovanen - solo perché non sappiamo nulla del loro passato; la loro immaginazione è «frescan - cioè pronta a ricevere le impressioni della realtà e a rispecchiarle ~enza sciuparle troppo ! L 'irruente doqut'nZJ. di Monceaux. impiegata per rivestire e mascherare delle evidenti ingenuità, può far sorridere: ma opinioni della stessa specie si trovano in scritti più recenti e più compassati, tali da farsi accreditare una maggior attendibilità. Trascurando la miriade di minori compilatori e copiatori, prendiamo come recente esempio la voce 'Pigmei' nell'Enciclopedia dr/I'artt antica classicae oritmalt ( 196 5) 4 i. Vi leggiamo per l'ennesima volta che la localizzazione primaria dei Pigmei sarebbe quella nell'Alto Egitto, di Ecateo, mentre quella indiana sarebbe arrivata per ultima; e per l'ennesima volta Erodoto è citato in maniera tendenzio• sa: si dice che in II 32 (è il solito racconto dei Nasamoni) egli «ricorda dei Libici che avrebbero incontrato nel sud Pigmei neri ., P 43. 41

Di Giovanni

Becani

"Omero aveva ragione": i Pigmei riscoperti in A.fr1ca

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che parlavano una lingua sconosciuta,>. La tendenziosità sta in quell'unica parola, ma è ugualmente grave: qualunque lettore deve pensare qui che il termine Pigmei sia stato impiegato da Erodoto e immaginare lo storico come un testimone della localizzazione africana. Invece proprio il silenziodi Erodoto è il più valido argo40 mento contro l'esistenza al suo tempo di quella localizzazione'. Peggio se andiamo ad altre stimate opere di consultazione, come l'Oxford Cianica!Dictionary(seconda edizione, 1970, voce 'Pygmies'). Qui troviamo ancora gli stessi procedimenti: fonti inventate e bibliografia citata fuori di proposito. Erodoto avrebbe, leggiamo qui. accennato («hinted,,) alla possibilità che nel mito dei Pigmei si nascondano i nani dell'Africa centrale. Il passo citato a sostegno è il solito Il 32. dove Erodoto (siamo costretti aripeterlo per !"ennesima volta) i Pigmei non li nomina e non accenna proprio a nulla. Aristotele. si prosegue, l'avrebbe «confermato» - e per questo, invece di indicare il luogo aristotelico, si cita un articolo del!' antropologo F.J. Nicolas, che tocca appena l'argomento. Neanche qui si rinuncia ai soliti ornamenti poco scrupolosi: «Gli esploratori moderni riferiscono che i nani Akka dànno la caccia alle gru, e cht! gli uccelli resistono energicamente». La conclusione: uAttorno a questo nocciolo di realtà, forse («possibly,)) trasmesso ai Greci da fonti egiziane [e qui si cita Hennig, 1932] crebbe una compatta scorza di racconti tradizionali sui nani,,, (E qui infine è citato l'americanista R. Dangel, 1931, che al proble~ ma ha dato un contributo di ben altra importanza, del quale c1 varremo tra poco). Le manifestazioni di questa mentalità e di questo modo di ragionare si trovano più frequentemente nella cultura. anglo-sa~so~~ che in quella di lingua tedesca, conformemente a1 caratten ptu profondi che le distinguono, anche se non manca.no le ~ccezi~ni; tedesco era Hennig. come A. Gossen-Steier. la cui voce KrantCh

• 6 La buona ~serva1ionc si nascondeva fra le buffonerie di Von der_ ... li p. J I sg.): «Neque enim Herodotus, uhi vd ~oHardt (Dftuta mythologia lertissimr agcre instituit de Aethiopia, vd minimam Pygmamrum facit ment10nrm,,. Tanto è vno nullum mt /ibrum tam mal,111, ... !

Etnografi,,

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t.'

mito

scritta per la Real-Enryl