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Italian Pages 266 [278] Year 2009
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il mito testi e saggi
1. Eraclito, Questioni omeriche sulle allegorie di Omero in merito agli dèi, Introduzione, traduzione e note di Filippomaria Pontani, 2005, pp. 238. 2. Giambattista Vico, La discoverta del vero Omero seguita dal Giudizio sopra Dante, a cura di Paolo Cristofolini, 2006, pp. 148. 3. Silvio Ferri, La Sibilla e altri studi sulla religione degli antichi, a cura di Anna Santoni, indici di Donatella Erdas, 2007, pp. 272. 4. Mak Dizdar, Il dormiente di pietra, Introduzione, traduzione dal bosniaco con testo originale a fronte, note dell’autore con aggiunte a cura di Stjepan Ku‰ar e Alessandra Lukinovich, 2007, pp. 230. 5. F. Creuzer, G. Hermann, Lettere sulla mitologia, a cura di Sotera Fornaro, 2009, pp. 285. 6. Eratostene, Epitome dei Catasterismi. Origine delle costellazioni e disposizione delle stelle, Introduzione, traduzione e note di Anna Santoni, 2010, pp. 268.
Eratostene
Epitome dei Catasterismi Origine delle costellazioni e disposizione delle stelle introduzione, traduzione e note di
Anna Santoni
Edizioni ETS
www.edizioniets.com
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Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] ISBN 978-884672645-2
Prefazione
“Neanche i bambini piccoli hanno bisogno di cercare in cielo lo smisurato Orione.” oujde; neognoi; pai'de" ejdizhvsanto pelwvrion ∆Wrivwna EUPHORION, frg. 104 Powell
Questo volume nasce con l’intento di rendere accessibile in lingua italiana la lettura dell’Epitome dei Catasterismi di Eratostene di Cirene. Nelle mie intenzioni vuole rivolgersi anche al lettore meno esperto e fornire indicazioni di base per chi voglia approfondire la conoscenza di questo testo nei suoi diversi aspetti. Nello stesso tempo mi piace pensare che qualcuno, leggendo, apprezzerà l’originalità dell’autore dell’Epitome, il suo accostare il racconto di miti e la citazione di poeti e scrittori alla descrizione delle stelle, e magari che la lettura gli faccia nascere il desiderio di alzare gli occhi al cielo sopra di noi, ancora così vicino a quello che gli antichi osservavano anche se oggi è così oscurato dalle luci della Terra. Per quest’ultimo motivo ho aggiunto il disegno moderno di ciascuna costellazione e qualche nota minima e da dilettante sulla sua storia, le sue caratteristiche e gli oggetti celesti significativi che ospita. Ho avuto modo di discutere di questo lavoro con molte persone, ricevendo osservazioni e indicazioni preziose; mi fa molto piacere ringraziarle: Glenn Most e i partecipanti al suo Research Seminar di Filologia greca 2008/9 presso la Scuola Normale Superiore, Salvatore Settis e i partecipanti al suo corso di Storia dell’arte e dell’archeologia classica 2008/9 presso la Scuola Normale Superiore, Luigi Radicati, Giuseppe Bertin, Bruno Barsella, Filippo Pontani, Aldo Corcella, Guido D’Alessandro, Sotera Fornaro, Stefano Andres e Aldo Giannozzi. I disegni delle costellazioni moderne sono di Lorenza Santoni.
Introduzione
“Non pare inutile presentare racconti relativi a tutte queste costellazioni: essi porteranno sicuramente al lettore utilità per la conoscenza e piacere per il divertimento…” Horum (signorum) omnium non inutile videtur historias proponere, quae certe aut utilitatem ad scientiam, aut iucunditatem ad delectationem adferent lectori… HYGIN., Astron. 2, 1
Impietosito dall’incoscienza con cui mi ero gettata a tradurre questo testo, l’Epitome dei Catasterismi1 di Eratostene di Cirene, Luigi Radicati mi mise fra le mani un piccolo manuale di astronomia moderna2. Ricordo bene che ad apertura di pagina mi colpì immediatamente il fatto che la struttura di quest’opera ripeteva ancora quella dell’antico testo che avevo incominciato a studiare: per ogni costellazione, mito e catalogo. Oggi so che molti trattati e manuali di astronomia moderni la riproducono3 1 Negli ultimi anni sono state pubblicate diverse traduzioni e commenti all’Epitome, ma non in lingua italiana. Mi permetto di consigliarne al lettore interessato ad approfondire l’argomento almeno alcune: PÀMIAS 2004 in catalano, è indispensabile, perché offre una nuova edizione critica, lungamente attesa, che tiene conto di tutti i testimoni conosciuti e costituisce dunque il nuovo testo di riferimento per gli studiosi, in particolare si segnala il valore qui attribuito all’Aratus Latinus nella restituzione del testo; il lavoro è inoltre pregevole per i commenti ai diversi miti e alle fonti citate; in seguito è stata pubblicata una traduzione tedesca con testo a fronte e commento di PÀMIAS e GEUS 2007; Geus rappresenta oggi il maggiore studioso dell’opera intera di Eratostene e la sua introduzione offre quanto di meglio per un approccio complessivo al personaggio e alla sua opera; la traduzione francese di CHARVET e ZUCKER 1998 è ricca di notazioni astronomiche e di un commento che evidenzia la simbologia astrale dei miti narrati; infine la traduzione inglese di CONDOS 1997 mette a confronto il testo dell’Epitome con quello di Igino ed è dotato di un amplissimo corredo di fonti sui miti. 2 CHARTRAND-WIMMER, 1984. 3 Anche se a partire dal 1922 l’Unione internazionale degli astronomi
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e che l’Epitome è per noi il più antico esempio pervenutoci, se non il modello originale, di tale struttura espositiva. Questo testo infatti tratta di costellazioni e lo fa accostando (tenendoli distinti, ma anche stretti insieme e fusi come a volte si può vedere) due metodi di esposizione, che implicano due forme di conoscenza molto diverse tra loro: di ciascuna costellazione4 racconta infatti l’origine mitica, cioè come avvenne (UAI-IAU) ha intrapreso una revisone sitematica delle costellazioni e stabilito che una costellazione è prima di tutto una definita porzione di cielo con i corpi celesti in essa osservabili; la sfera celeste è stata così suddivisa in 88 aree che corrispondono ad altrettante costellazioni. Inoltre ormai i libri scientifici di astronomia non ammettono più raffigurazioni artistiche delle costellazioni ispirate alla mitologia, ma nelle illustrazioni si indicano le stelle, con lettere dell’alfabeto greco, a volte il nome di ciascuna, per lo più di derivazione araba, e si può trovare, al massimo come disegno, lo schema geometrico che si ottiene unendo con dei tratti di linea le singole stelle secondo una figurazione convenzionale. Eppure, anche con queste modificazioni, la struttura espositiva mito + catalogo permane in molti testi. Per le informazioni che riguardano l’astronomia il lettore poco esperto come me può fare riferimento a un buon dizionario come DE LA COTARDIE` RE 20062 o RIDPATH 20072. 4 Le costellazioni descritte sono, nell’ordine del testo e secondo la denominazione attuale, seguita da quella usata nell’Epitome, dove quest’ultima usi un nome diverso: 1. Orsa Maggiore (Ursa Maior, UMa); 2. Orsa Minore (Ursa Minor, UMi); 3. Drago (Draco, Dra), Ophis; 4. Ercole (Hercules, Her), Inginocchiato, Engonasi; 5. Corona (Corona Borealis, CrB); 6. Ofiuco (Ophiuchus, Oph) o Serpentario; 7. Scorpione con Chele (Scorpio, Libra, Sco, Lib); 8. Boote (Bootes, Boo), Guardiano dell’Orsa, Arctophylax; 9. Vergine (Virgo, Vir); 10. Gemelli (Gemini, Gem); 11. Cancro (Cancer, Cnc) con Asini e Mangiatoia (Aselli, Praesepe); 12. Leone (Leo); 13. Auriga (Auriga, Aur) con Capra e Capretti (Capella); 14. Toro (Taurus, Tau) con Iadi (Hyades); 15. Cefeo (Cepheus, Cep); 16. Cassiopea (Cassiopeia, Cas); 17. Andromeda (Andromeda, And); 18. Pegaso (Pegasus, Peg) Cavallo; 19. Ariete (Aries, Ari); 20. Triangolo (Triangulum, Tri), Deltoton; 21. Pesci (Pisces, Psc); 22. Perseo (Perseus, Per); 23. Pleiadi (Pleiades); 24. Lira (Lyra, Lyr); 25. Cigno (Cygnus, Cyg), Uccello; 26. Acquario (Aquarius, Aqr); 27. Capricorno (Capricornus, Cap); 28. Sagittario (Sagittarius, Sgr); 29. Freccia (Sagitta, Sge); 30. Aquila (Aquila, Aql); 31. Delfino (Delphinus, Del); 32. Orione (Orion, Ori); 33. Cane (Canis Maior, CMa); 34. Lepre (Lepus, Lep); 35. Argo (Argo Navis, Arg; oggi Carina, Puppis, Vela, Pyxis); 36. Ceto (Cetus, Cet); 37. Eridano (Eridanus, Eri), Fiume; 38. Pesce (Piscis Austrinus, PsA); 39. Altare (Ara); 40. Centauro (Centaurus, Cen); 41. Idra, Cratere e Corvo (Hydra, Crater, Corvus, Hya, Crt, Crv); 42. Procione (Canis Minor, CMi). Come si può vedere le denominazioni usate dall’Epitome non sempre corrispondo-
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che un tal personaggio o animale o oggetto fu rappresentato in cielo con le stelle e a questo fa seguire una catalogazione delle stelle medesime, indicandone il numero e la luminosità. In questo modo vengono presentate insieme due forme di conoscenza praticate dagli antichi, e per noi in genere distinte e poco compatibili, quella mitica (che non permette verifica né confutazione e si esprime in un tipo di discorso chiamato mythos) e quella “scientifica” (che al contrario pretende la confutazione e la verifica, pratiche pertinenti al tipo di discorso che i Greci, almeno da Platone, consapevolmente distinguono e chiamano logos5, e può avvalersi dell’osservazione, della misurazione, dell’esperienza). È in tale accostamento sistematico di astronomia (in senso abbastanza vicino a quello moderno) e mitologia, che consiste per me una delle ragioni di maggiore fascino e interesse dell’opera. La coesistenza di questi due modi di considerare il cielo non è sempre equilibrata e non si può affermare che vada a favore di una migliore conoscenza scientifica; il lettore deve essere avvertito del fatto che l’ago della bilancia sembra pendere piuttosto dalla parte della mitologia, almeno in qualche caso. Per esempio, a proposito dell’origine della costellazione del Triangolo, cap. 21, si legge che essa fu posta sul capo dell’Ariete per segnalare la visibilità in cielo di quest’ultimo, data la sua scarsa luminosità6; secondo il mito riferito dal nostro testo infatti l’Ariete sarebbe privo del suo originario manno a quelle poi diventate canoniche: Cavallo, Fiume, Uccello, Serpente, Chele, Barca, sono oggi Pegaso, Eridano, Cigno, Drago, Bilancia, Corona Australe. Per osservazioni sulla storia delle costellazioni ho utilizzato il vecchio, dottissimo ALLEN 1899; al lettore interessato alla storia delle costellazioni non solo nella tradizione greco-romana, segnalo che I. Ridpath ha aggiornato e reso accessibile su web il suo volume Star Tales, all’indirizzo http:// www.ianridpath.com/startales/contents.htm; una visone complessiva del cielo mesopotamico con una ipotesi di interpretazione molto suggestiva si legge in WHITE 2008. Per una storia delle mappe celesti infine rimando a KANAS 2007 e al sito http://www.atlascoelestis.com di F. Stoppa. 5 La formulazione platonica dei due tipi di discorso in BRISSON 1982. 6 Anche Arato dice che il Triangolo è molto luminoso, più brillante di molte costellazioni (Phaen. 235 sgg.).
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tello d’oro, rimasto sulla terra, e perciò poco visibile in cielo. L’Ariete è in effetti una costellazione poco luminosa rispetto ad altre e che deve la sua grande importanza soprattutto al fatto che la parte di cielo in cui si trova ospitava, già molto tempo prima dell’epoca in cui fu redatto il nostro testo, l’equinozio di primavera, tuttavia, come faceva già notare il grande astronomo Ipparco di Nicea7, l’Ariete non ha affatto bisogno di essere segnalato da altre stelle, tanto meno da quelle del Triangolo che sono meno luminose delle sue. Infatti l’Ariete ha stelle di seconda magnitudine (le attuali a e b Ari, sulla testa), mentre quelle del Triangolo non vanno oltre la terza! Ma Ipparco parlava da osservatore del cielo, non mescolava miti e osservazione scientifica. L’autore dell’Epitome invece, si fa prendere dal mito; questo è il suo fascino, può essere a volte il suo limite, per un lettore moderno. Infine questo testo è molto noto perché vi troviamo una sistematica mitologizzazione dei corpi celesti: esso rappresenta la prima vera mappatura dell’intero cielo dei Greci in chiave mitologica che ci sia pervenuta. Per questa sua caratteristica è considerato una tappa fondamentale dell’affermarsi della fede nella divinità degli astri e quindi della fede nell’astrologia8 nel mondo ellenistico e romano9. In realtà nell’Epitome non c’è ancora 7 In Arat. et Eud.1.6.5-8. Ipparco di Nicea (190-120 a.C. ca.) è forse il più grande degli astronomi greci; si attribuiscono a lui: la prima formulazione del fenomeno della precessione degli equinozi, un catalogo stellare di ca. 1000 stelle, la catalogazione della grandezza delle stelle in 6 livelli secondo la loro luminosità, e forse l’uso dell’astrolabio; fu autore di molti scritti astronomici, dei quali è sopravvvissuto fino a noi soltanto uno, quello appunto in cui critica il cielo di Arato ed Eudosso. 8 Cf. SETTIS 1985, 25-26. 9 La credenza nell’astrologia (una disciplina di origine babilonese), non sembra aver avuto grande influenza nella vita dei Greci e nella loro cultura fino a dopo Alessandro Magno, cf. BOLL-BETZOLD 1999, 46 sgg. In alcuni testi di filosofi si trova affermata la convinzione che gli astri (in particolare i pianeti) sono dèi visibili, come per esempio nell’Epinomide (PS. PLATO, Epin. 984 sgg.), che riconosce questa scoperta ai barbari (dell’Egitto e Siria); ma come si può vedere, nell’Epinomide i pianeti non hanno ancora neanche tutti una denominazione chiara in greco (Saturno non ancora) e non sono considerati come fonti di influenza sulle vicende umane. Ciò che affascinava i filosofi greci, come Platone, era piuttosto la conoscenza astronomica vera e
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traccia di astrologia, non si dice ancora Giove o Venere per indicare i rispettivi pianeti, come facciamo invece anche noi oggi su eredità degli astrologi antichi; si dice ancora invece “il pianeta di Giove”, “il pianeta di Venere” e non si parla dell’influenza degli astri sulle vicende umane; tuttavia il testo stabilisce per ogni costellazione, per ogni corpo celeste un collegamento con una (o più) divinità, ed è evidente che una volta collegati strettamente corpi celesti e divinità, la strada che conduce a considerare le stelle espressioni dirette delle divinità o divinità esse stesse e i loro mutamenti in cielo come manifestazioni delle divinità con ricadute sul mondo umano è ormai aperta10.
Eratostene: poesia, miti e scienza “perché non è vero ciò che afferma Eratostene e cioè che ogni poeta ha di mira la seduzione, non l’istruzione”. ouj d e; ga; r aj l hqev " ej s tin, o{ fhsin ∆Eratosqev n h", o{ t i poihth;" pa'" stocavzetai yucagwgiva", ouj didaskaliva": STRABO, Geogr. 1.1.10
Eratostene di Cirene (280-195 ca. a.C.)11 fu scienziato, ma propria di questi corpi celesti; la ricostruzione del movimento dei pianeti era considerato un problema di particolare difficoltà e una conoscenza davvero elitaria. 10 La fede nell’astrologia, che avrà tanta diffusione nell’età ellenistica, nel mondo romano e tardo antico, permetterà, in questa forma, la sopravvivenza delle antiche divinità pagane anche nel medio evo cristiano, cf. SEZNEC 1981, in particolare p. 32. 11 Sulla vita e le opere di Eratostene la fonte antica principale rimane SUDA s.v., e lo studio di riferimento fondamentale per questo, con tutte le fonti, è GEUS 2002, 7-42; si possono vedere anche FUENTES 2000; DRAGONI 1979; FRAZER 1970; KNAACK 1907. Una discussione dei dati di Suda si trova in Jacoby, che ha edito e commentato i frammenti storico-cronografici, FGrHist 241 e Komm. 704-715. Secondo Svetonio (De gramm. et rhet. 10.4) Eratostene fu il primo a rivendicare a sé l’epiteto di philologus, che doveva indicare la ricchezza e varietà della sua dottrina. Merita di essere ricordata la sua affermazione (STRABO, Geogr. 1.4.9), polemica verso la visione greca e tradizionale (isocratea e aristotelica), che è meglio distinguere gli uomini in buoni e cattivi piuttosto che in Greci e barbari: ejpi; tevlei de; tou' uJpomnhvmato" oujk ej p ainev s a" (oJ ∆Eratosqev n h") tou; " div c a diairou' n ta" a{ p an to; tw' n
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anche letterato e poeta, con una vastissima produzione di scritti in tanti campi diversi; dopo studi a Cirene12, la sua città di nascita, frequentò filosofi di varie scuole ad Atene13, ma senza che il suo nome possa essere collegato in modo esclusivo a nessuna di esse14; per la sua grande fama15 fu invitato da Tolomeo III Evergete ad Alessandria verso il 245 a.C.; lì diresse la biblioteca, forse educò il fututo re Tolomeo IV Filopatore e passò il resto della sua vita dedicandosi alle sue ricerche16. In questo periodo dovremmo collocare l’opera astronomica che è all’origine dell’Epitome, cioè uno scritto di introduzione ajnqrwvpwn plh'qo" ei[" te ”Ellhna" kai; barbavrou" kai; tw'/ ∆Alexavndrw/ parainou'nta" toi'" me;n ”Ellhsin wJ" fivloi" crh'sqai toi'" de; barbavroi" wJ" polemivoi", bevltion ei\naiv fhsin ajreth'/ kai; kakiva/ diairei'n tau'ta. 12 Il grammatico Lisania di Cirene e Callimaco, che Suda indica fra i suoi maestri, apparterranno a questa prima fase della sua formazione. 13 La testimonianza più interessante in proposito è in Strabone (Geogr. 1.2.2): da essa si evince l’ammirazione di Eratostene per l’insieme dei grandi filosofi presenti ad Atene al suo tempo e che ha avuto modo di incontrare; fra loro Arcesilao di Pitane, platonico-scettico, Aristone di Chio, stoico, e il cinico Bione di Boristene. Dubbia per ragioni cronologiche è invece la frequentazione dello stoico Zenone, di cui si parla nello stesso testo. 14 Strabone gli rimprovera superficialità ed eclettismo rispetto alla filosofia, un giudizio negativo che proviene evidentemente dalla sua formazione di stoico, come lui stesso rivela quando lo critica dicendo: “nonostante sia stato ad Atene frequentatore di Zenone, non ricorda nessuno dei suoi successori, ma cita invece degli scolari dissidenti che non hanno lasciato nessuna successione e li qualifica come fiori della filosofia del suo tempo. E nel trattato da lui pubblicato Sui Beni e negli Esercizi, si riconosce lo stesso atteggiamento che lo fa restare a metà strada: voleva fare filosofia ma non aveva il coraggio di impegnare sé stesso in questo genere di vita; ci si dedicava soltanto quanto basta alle apparenze, o forse voleva dedicarsi a qualcosa di diverso dagli altri suoi studi, per distrazione o gioco. È del resto tale anche negli altri campi di studio” (Geogr. 1.2.2). 15 Difficile pensare che con questa chiamata non avessero niente a che fare la moglie del re, la regina Berenice di Cirene e il grande intellettuale di corte Callimaco di Cirene. 16 E utilizzando per esse i vantaggi che la sua posizione gli offriva; per esempio secondo Marziano Capella (De nuptiis, 6.598) si servì dei mensores regii per la misura della distanza fra Alessandria e Siene, nel calcolo della circonferenza terrestre. Pare che Ipparco gli rimproverasse di essersi servito, prendendoli per documentati da testimoni affidabili, dei dati che trovava nei molti resoconti accessibili solo a lui nella grande biblioteca (STRABO, Geogr. 2.1.5).
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generale all’astronomia e ai suoi problemi scientifici, con una sezione, sistematica e originale, in cui si descriveva l’origine mitica di ciascuna costellazione, il catasterismo. Si potrebbe affermare che pochi autori antichi hanno espresso nelle loro opere sia la passione per il mito e la poesia che quella per la conoscenza matematica e scientifica, cosí bene come questo studioso, ma d’altra parte, visto in dettaglio nelle singole testimonianze, il suo atteggiamento di fronte alla poesia e al mito non è così lineare né facile da schematizzare. È di Eratostene l’affermazione che si sarebbero potuti ricostruire i luoghi reali del viaggio di Ulisse come lo descrive Omero solo quando si fosse stati capaci di rintracciare l’artigiano che aveva cucito l’otre dei venti di Eolo17. Il contesto da cui questa testimonianza proviene è fortemente polemico. Nell’introduzione alla sua Geografia Strabone, ergendosi a difensore di Omero che ritiene, come i suoi maestri stoici, fondatore anche della scienza geografica, attacca più volte Eratostene, colpevole, a suo dire, di non riconoscere alcun valore di verità al racconto omerico. Dobbiamo sapere che si tratta di un’affermazione estrapolata dal suo contesto originario e che Strabone non la critica direttamente, ma la fa criticare a Polibio, lo storico che interpretava Omero come fonte veritiera anche se con elementi fantastici e quindi si allineava alla visione di Strabone. Priva del suo contesto originario, riferita in un contesto di violenta critica, non sappiamo quanto la citazione sia fatta in modo da forzarne il senso. Strabone stesso ci conserva anche, presentandola come una incoerenza di Eratostene, la testimonianza secondo la quale all’inizio del suo scritto sulla geografia quest’ultimo parlava di Omero come di uno degli antichi che avevano gareggiato a mostrare le proprie conoscenze in campo geografico, che aveva messo nei suoi versi quanto era riuscito a sapere degli Etiopi, dell’Egitto, della Libia e delle città della Grecia. E che Era17 STRABO, Geogr. 1.2.15 oujk ejpainei' (Polibio) de; oujde; th;n toiauvthn tou' ∆Eratosqevnou" ajpovfasin, diovti fhsi; tovt∆ a]n euJrei'n tina pou' ∆Odusseu;" peplavnhtai, o{tan eu{rh/ to;n skuteva to;n surravyanta to;n tw'n ajnevmwn ajskovn.
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tostene riconosceva nell’uso di certi epiteti e descrizioni in Omero, come Tisbe, “dalle molte colombe”, Aliarto “erbosa”, Antedone “estrema”, Lilea “alle sorgenti del Cefiso”, l’intento di fornire delle informazioni geografiche18. Quindi si potrebbe anche pensare che non tutto nel racconto omerico fosse da considerare fantastico e inattendibile secondo Eratostene19. D’altra parte, riguardo a Omero, comunque un’altra citazione di Strabone ci conferma la prima con cui abbiamo cominciato il nostro discorso, quando scrive: “Eratostene, tu non hai certamente ragione, quando non contento di rifutare a Omero conoscenze tanto diverse (cioè topografia, strategia, agricoltura, retorica) definisci la sua poesia come racconti di una vecchia che ha tutta la libertà di plasmare – lo afferma lui!!! – qualunque cosa le sembri adatta alla seduzione”20. E sempre nelle stesse pagine Strabone ci riporta un’argomentazione di Eratostene secondo il quale la riprova del fatto che i luoghi descritti da Omero sono fantastici e non identificabili, consisteva proprio nei risultati contrastanti cui pervenivano quegli interpreti omerici che cercavano invece di identificarli con luoghi reali21. Insomma sembra davvero che con le sue parole Eratostene negasse, almeno in parte se non per lo più, alla tradizione mitica contenuta nella poesia omerica utilità alla conoscenza geo18
Geogr. 1.2.3.9 sgg. E anche se definiva fluavrou~ i commentatori di Omero e Omero stesso, sempre secondo Strabone (Geogr. 1.2.7), con le tradizioni omeriche doveva fare i conti anche lui, se, come ci dice Plinio, chiamava l’isola di Meninx, Lotophagitis con evidente riferimento ai Lotofagi incontrati da Ulisse (PLIN., Nat. Hist. 5.41.3 Insulas non ita multas complectuntur haec maria. Clarissima est Meninx, longitudine XXV, latitudine XXII, ab Eratosthene Lotophagitis appellata). Inoltre, anche se riteneva che le descrizioni del viaggio di Ulisse in Omero presentassero luoghi fantastici, sembra che rispetto a Esiodo, Eratostene fosse invece disposto a maggiore fiducia (STRABO, Geogr. 1.2.14.1 sgg.). 20 1.2.3 tou`to me;n dh; ojrqw`~ a]n levgoi~, w\ ∆Eratovsqene~: ejkei`na d ˘ oujk ojrqw`~, ajfairouvmeno~ aujto;n th;n tosauvthn polumavqeian kai; th;n poihtikh;n grawvdh muqologivan ajpofaivnwn, h|/ devdotai plavttein, fhsivn, o} a]n aujth`/ faivnhtai yucagwgiva~ oijkei`on. 21 1.2.12. 19
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grafica. E secondo Strabone questa posizione di Eratostene aveva le sue radici in una concezione della poesia che egli combatte strenuamente e descrive attraverso un’affermazione ben conosciuta agli studiosi: “e non è vero quanto sostiene Eratostene, che tutti i poeti hanno di mira la seduzione, non l’istruzione”22. Questa frase di Eratostene piace molto a Strabone, la cita almeno tre volte23, la discute con foga retorica; essa gli permette di sostenere, al contrario, la posizione stoica che ogni poeta ha di mira entrambe le cose, la seduzione e l’istruzione. Ma per noi ancora una volta è difficile valutare pienamente il senso e le implicazioni di questa frase e collocarla nel suo reale contesto originario. Che poesia e mito possano essere ambiti di “poca verità” per Eratostene, lo vediamo anche da altri esempi. Rifiutava per esempio credibilità alle leggende di Dioniso ed Ercole in India, con lo spostamento, fra l’altro, del monte di Prometeo, il Caucaso, all’Hindu Kush24. Le vicende di Dioniso ed Ercole erano a suo dire, secondo Arriano, storie muqwvdh kai; a[pista, motivate solo, in chi le raccontava, dall’intento di accrescere ancora di più la fama di Alessandro25. In questo caso il bisogno di verità lo portava ad essere drasticamente critico anche verso miti che riguardavano divinità parti22
STRABO, Geogr. 1.1.10 oujde; ga;r ajlhqev" ejstin, o{ fhsin ∆Eratosqevnh", o{ti poihth;" pa'" stocavzetai yucagwgiva", ouj didaskaliva". Proprio nel libro secondo del De Astronomia, prima di cominciare a raccontare i miti che spiegano l’origine della costellazioni, dove più sicuramente la sua fonte era Eratostene, Igino afferma invece: Horum omnium non inutile videtur historias proponere, quae certe aut utilitatem ad scientiam, aut iucunditatem ad delectationem adferent lector (Astron. 2.1). I miti che raccontano delle costellazioni sono per Igino (e per la sua fonte?) quel campo di studio in cui diletto e scienza si incontrano. La frase di Eratostene in Strabone è discussa recentemente da CUSSET 2008, 123-135. 23 Geogr. 1.1.10.14-16; 1.2.3 passim. 24 ARRIAN., Alex. Anab. 5.3-4; cf. STRABO, Geogr. 15.1.7. Anche in questo caso siamo in un contesto di conoscenze geografiche. 25 D’altra parte raccontava, e stando alla nostra fonte (PLUT., Alex. 3) sembrerebbe non in modo critico, dell’origine divina di Alessandro da Olimpiade e Zeus.
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colarmente significative per i Tolomei come Dioniso ed Ercole26: un rifiuto come questo avrebbe potuto avere anche risvolti politici. Vediamo che non lo interessavano forme di razionalizzazione del mito, se, come ci testimonia ancora Strabone con Polibio, esprimeva totale disprezzo per Evemero (e altri simili a lui), che definiva “Bergheo” cioè uno simile ad Antifane di Berghe, viaggiatore e raccontatore di favole, tutta gente bollata di flyarìa27, “chiacchieroni di aria fritta”. D’altra parte la passione di Eratostene per la poesia e per i miti è innegabile; insomma il suo rapporto con ciò che è mito e mitico appare in realtà più complesso di quanto una frase estrapolata dal suo contesto e citata da un avversario possa far pensare. Strabone stesso e Polibio, per quanto si debba tenere conto del fatto che per entrambi la polemica è dettata in genere dal desiderio di dare maggior valore al proprio lavoro rispetto a quello dei predecessori, più volte gli rimproverano di avere ceduto al muqw`de~ nei suoi scritti geografici. Polibio gli rimproverava, secondo quanto ci dice Strabone, di aver preso per buone informazioni da Pitea di Marsiglia, l’esploratore del IV sec., che dichiarava viaggi favolosi (quasi un “bergheo”!), di aver percorso l’intera Britannia e ancora il tratto che va da Gades (Cadice) al Tanais (Don) e di essere arrivato ai confini del mondo settentrionale: viaggi che, Polibio ironizzava sottolineando la nota passione di Eratostene per il dio viaggiatore, “nessuno crederebbe che siano stati fatti neanche se lo dicesse Hermes”28. Tra le diverse critiche che muove a Eratostene, Strabone afferma che nella descrizione delle regioni più estreme e a nord 26
I Tolomei vantavano discendenza da Ercole e Dioniso e molto incoraggiarono il culto di Dioniso in Alessandria, cf. FRAZER 1970, 196-198. 27 Cf. STRABO, Geogr. 1.3.1 oJ de; Damavsth/ crwvmeno" mavrturi oujde;n diafevrei tou' kalou'nto" mavrtura to;n Bergai'on h] to;n Messhvnion Eujhm v eron kai; tou;" a[llou", ou}" aujto;" ei[rhke diabavllwn th;n fluarivan. STRABO, Geogr. 2.4.2 ∆Eratosqevnh de; to;n me;n Eujhm v eron Bergai'on kalei'n. 28 POLYB. 34.5.1-6 Büttner-Wobst, ap. STRABO 2.4.2, cf. PYTHEAS frg. 21 Bianchetti.
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dell’Adriatico, proprio lui che mette i lettori in guardia dalle descrizioni mitiche e non documentate, non si è risparmiato nessuna favola (oujdeno;" ajpevcetai muqwvdou")29. Tra l’altro sappiamo dallo stesso passo di Strabone che utilizzava il mito degli Argonauti per descrivere le caratteristiche delle prime navigazioni. Da uno scolio scopriamo che Eratostene ha anche sperimentato qualche forma di critica razionalistica del mito che ci aspetteremmo, se si dovesse giudicare dalle citazioni fatte sopra, per lo più rifiutasse: nello scritto sulla Geografia spiegava, e così salvava, il mito delle Simplegadi con un fenomeno naturale, come un’illusione ottica30. Ma se anche vogliamo prescindere dalle testimonianze indirette, la complessità dell’atteggiamento di Eratostene verso il mito, la poesia e il suo rapporto con la conoscenza e la sua esposizione didattica, si trova nei fatti, nella sua attività. Vediamo dai suoi scritti che non solo ha cercato di fare tutte e due le cose, poesia e ricerca di conoscenza scientifica, ma a volte le ha proprio mescolate insieme, come si può immaginare non solo dall’Epitome, dove ha portato in una trattazione scientifica di astronomia in prosa il racconto di miti arricchiti da continui riferimenti a poeti. Non soltanto è stato poeta di alta qualità e di argomenti mitologici: la sua Erigone31, una composizione in versi che trattava il mito attico del contadino Icario, sua figlia Erigone e della loro trasformazione in costellazioni, è definita “senza difetti” dall’Anonimo autore dello scritto Sul Sublime32. Ma nell’Hermes33, un componimento poetico ben noto nel mondo antico 29
STRABO, Geogr. 1.3.2. Schol. Eurip. Med. 2 Schwartz. 31 ROSOKOKI 1995; GEUS 2002, 100-110. 32 De Sublim. 33.5 dia; pavntwn ga;r ajmwvmhton to; poihmavtion. 33 Frgg. 1-16 Powell. Un frammento papiraceo che conserva la fine dell’opera permette di calcolarne l’ampiezza in 1.660 versi, Suppl. Hell. frg. 397; sull’Hermes cf. SCANZO 2002; GEUS 2002, 110-128 sottolinea il contenuto scientifico di quest’opera, per quanto rivestito da Eratostene di mitologia, e fa notare quanto essa venga citata in opere scientifiche. Secondo ATENEO (11.501e) l’Hermes era stato oggetto di un commento in 4 libri da Timarco. 30
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fra scienziati e poeti34, che raccontava le vicende mitiche del dio, Eratostene aveva anche introdotto una descrizione della struttura dell’universo, la teoria dell’armonia delle sfere, insomma aveva mescolato così poesia e scienza, diletto e insegnamento, in modo strettissimo. Da queste due composizioni, Erigone ed Hermes, che risalgono probabilmente ad epoche anteriori (al tempo del soggiorno ateniese) all’opera astronomica da cui deriva l’Epitome, vediamo anche che la passione per le stelle e i miti ad esse collegati deve essere stata grande e durevole: in entrambi i testi i protagonisti finivano in cielo! In conclusione tutto quello che riusciamo a sapere di lui ci orienta verso una personalità eccezionale, non facile da rinchiudere in schemi, come vorrebbe Strabone. Resta da accennare almeno alla sua attività di scienziato, straordinaria per la produzione scientifica, per i campi del sapere indagati e per i risultati del suo lavoro: il suo contributo alla soluzione del problema della duplicazione del cubo con l’invenzione del mesolabio35, l’invenzione del “setaccio” per il 34
Cf. ultimo AGOSTI 2008. Strumento che Eratostene dedicò a Tolomeo III Evergete, il sovrano che lo aveva chiamato ad Alessandria; l’epigramma di accompagnamento da lui stesso composto ci è conservato nel commento di Eutocio al De Sphaera et Cylindro di Archimede (ARCHIM., Op. III, p. 88 sgg. 96 Heiberg; l’epigramma è il frg. 35 POWELL ); in questo testo si vede che come altri intellettuali prima di lui, anche Eratostene sembra non essersi sottratto al “compito del sapiente” di dare qualche consiglio ed esprimere qualche suggerimento politico ai sovrani. Infatti nell’epigramma il nostro scienziato parlava al re del figlio e gli ricordava anche, si augurava, il momento in cui egli avrebbe ricevuto lo scettro dalle sue mani con queste parole: Eujaivwn, Ptolemai'e, path;r o{ti paidi; sunhbw'n / pavnq∆ o{sa kai; Mouvsai" kai; basileu'si fivla / aujto;" ejdwrhvsw: to; d∆ ej" u{steron, oujravnie Zeu', / kai; skhvptrwn ejk sh'" ajntiavseie cerov": Ritengo che parlando così non augurasse certo al sovrano di morire presto, ma gli suggerisse di imitare Tolomeo I, suo nonno, che aveva associato il figlio al regno mentre era ancora in vita. La procedura in cui questo avvenne è discussa fra gli studiosi, ma è certo che negli ultimi due anni di vita del vecchio re era re anche il figlio (PAUS. 1.6.8; PORPHYR. FGrHist 260 F 2 (3)). Si trattava di un modo per garantire che la successione avvenisse davvero secondo la volontà del re, di proteggere in questo modo il nuovo re evitando le crisi che facilmente si verificano ai cambi di 35
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calcolo dei numeri primi, il calcolo geniale della misura della circonferenza della terra, sono tra le sue scoperte più note e da sole basterebbero a farne uno scienziato di prima grandezza. Come matematico ebbe la stima di Archimede, che dichiara di averlo sperimentato quale “studioso di valore capace di onorare qualunque problema matematico”36. Accanto a questo dobbiamo metterere lavori sistematici di geografia, di cronografia, ma anche di grammatica e letteratura, in particolare sui testi omerici e sulla commedia attica. Dunque siamo difronte a un’intellettuale di straordinaria complessità e vastità di interessi, che è riuscito a far convivere anche concretamente in alcuni suoi scritti, la passione per la ricerca scientifica, la sua divulgazione e l’amore per il mito e la poesia. Un’opera come i Catasterismi, dove i miti raccontati dai poeti e la descrizione del cielo si incontrano, quasi, per usare le sue parole, un incontro tra psychagogia e didaskalia, non poteva nascere che da un esperto di poesia e scienza come lui.
regno, ma anche di dimostrare, punto importante per un filosofo, la capacità del sovrano di esercitare il potere senza esserne dominato. Diogene Laerzio (5.79) ci riporta un aneddoto secondo il quale Tolomeo I si sarebbe consultato con il sapiente Demetrio di Falero appunto sull’opportunità di passare il potere al figlio, il futuro Filadelfo, mentre era ancora in vita; Demetrio avrebbe risposto in modo diverso dal nostro Eratostene, cercando di scoraggiare la scelta del re: “Se dai il regno a lui, non lo avrai più tu” gli avrebbe risposto; possiamo ipotizzare da altre notizie (5.78) che questo consiglio dipendeva dal fatto che Demetrio sosteneva i figli di Euridice (in particolare Tolomeo Cerauno), figlia di Antipatro, per la sua antica amicizia con lui e Cassandro, contro il Filadelfo che era invece figlio di Berenice. Ma quello che ci interessa è che i due dotti compaiono entrambi come consiglieri del re su un grandissimo problema di governo, sembrano cioè avere un altro punto in comune oltre all’essere a corte intellettuali, curatori della biblioteca, educatori in qualche forma dei giovani principi. 36 ARCHIM., Ad Eratosthenem methodus 3.83 Mugler ÔOrw'n dev se, kaqavper levgw, spoudai'on kai; filosofiva" proestw'ta ajxiolovgw" kai; th;n ejn toi'" maqhvmasin kata; to; uJpopivpton qewrivan tetimhkovta ejdokivmasa gravyai soi … “Vedendo che sei uno studioso serio che primeggia in modo degno di considerazione nella filosofia e che onora qualunque problema matematico si possa presentare, ho ritenuto di scriverti…”.
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Che cos’è l’Epitome dei Catasterismi L’Epitome37 è un breve testo in prosa la cui forma attuale e la cui trasmissione nei manoscritti sono collegate ai Fenomeni di Arato di Soli38, un poema astronomico di grandissima popolarità nel mondo greco e romano39. Nella sua versione più ampia l’Epitome comprende 44 capitoli, che descrivono le costellazioni, i pianeti e la Via Lattea; è in genere anonimo e anepigrafo40. Il suo primo editore moderno lo pubblicò come Catasterismi, titolo che Suda ci tra37 Questa denominazione si è affermata soprattutto dopo che è stata usata in uno degli studi che più hanno fatto progredire la comprensione della storia del testo, l’edizione sinottica di ROBERT 1848, 3 e passim. 38 Arato di Soli (310-240 a.C.), di una generazione circa più anziano di Eratostene, legato ad Antigono Gonata e di formazione stoica: attingeva, per la parte scientifica di questa sua opera, a Eudosso di Cnido (408-355 a.C.). Secondo Cicerone (De Rep. 1.14.22) Eudosso sarebbe stato il primo a rappresentare le costellazioni su una sfera solida. La reputazione di Arato come astronomo era assai inferiore a quella di poeta, cf. CIC., De Orat. 1.69 hominem ignarum astrologiae ornatissimis atque optimis versibus Aratum de caelo stellisque dixisse. Tuttavia la sua opera suscitò grande interesse anche scientifico, se Ipparco di Nicea dedicò uno scritto a confutarlo Sui Fenomeni di Arato e di Eudosso. La popolarità dei Fenomeni fu immediata come si vede dalle citazioni dei poeti contemporanei (cf. CALLIM., Epigr. 27 Pfeiffer; Anth. Pal. 9.25). 39 OVID., Am. 1.15-16 Cum sole et luna semper Aratus erit; SALE 1965; HÜBNER 2005. Diffusi in edizioni integrali e abbreviate, corredati di diversi testi di commento, come i materiali dai Catasterismi ed eleganti illustrazioni, i Fenomeni sono stati assai popolari per tutta l’età ellenistica e tardo antica, soprattutto nel mondo romano; tradotti da Cicerone in gioventù (90 ca. a.C.), da Germanico un secolo dopo, da Avieno nel IV sec. È ad essi, al loro successo, che si deve il salvataggio della conoscenza del cielo dei Greci nel mondo cristiano, cf. LE BOURDELLE` S 1979; fino alla traduzione “barbarica” di ambiente franco dell’VIII sec. d.C., il cosidetto Aratus Latinus, cf. LE BOURDELLE` S 1985. 40 Il ms. Edimburgensis Adv. 18.7.15, XIII sec. e altri da esso derivati, presentano il titolo del tutto improprio jAstroqesivai zw/divwn, “Disposizione delle stelle nelle costellazioni zodiacali”; di un prezioso documento di cui si parlerà anche più avanti, una lista greca di costellazioni, chiamato Anonymus II 2 1 (MAASS 1898, 134-139; MARTIN 1956, 104-125; PÀMIAS 2004, 255-256), si conserva traduzione latina con l’acrobatico titolo: Eratosthenis de circa exornatione stellarum et etymologia de quibus videntur.
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manda fra le opere astronomiche di Eratostene41 e lo attribuì appunto quest’ultimo. La ricerca filologica degli ultimi due secoli42, ci ha mostrato che si tratta in realtà di un testo dalla storia complicata, che ha subito molte modifiche rispetto all’opera di Eratostene, ma che certamente proviene da quella o almeno da un’opera astronomico-mitologica che circolava nell’antichità sotto il suo nome43 e che chiamiamo, in modo impreciso, Catasterismi, sottolineandone il contenuto mitologico a spese di quello astronomico. Estratti da questa opera erano stati utilizzati come commento dei Fenomeni di Arato e dovevano servire a illustrarne due aspetti: i miti riguardanti l’origine di ciascuna costellazione, tema poco toccato da Arato44 e il numero delle stelle, visto che, allo stesso modo che per i miti di origine, il poema di Arato non forniva una catalogazione sistematica delle stelle di 41 FELL 1672; cf. SUDA s.v. Eratosthenes, p. 403 Adler e[graye jAstronomivan h] Katasterismouv~; i mss. hanno Katasterigmouv~ conservato da Adler, la correzione è di Portus 1630. La forma tradita è difesa da SANTINI 1998; cf. anche ROSOKOKI 1995, 74 e GEUS 2002, 212. I due termini insistono su due aspetti diversi della formazione della costellazione, sul disegnare la figura il primo, sul fissarla nel cielo il secondo, cf. MARTIN 2002, 23-24; preferisco katasterismoiv che riprende il verbo tecnico ampiamente usato per la nascita di una costellazione. Cf. anche ACHILLES TAT., Isag. 24, p. 37 Di Maria ÔO de; galaxiva" ei[rhtai me;n w{" ejstin oJrato;" kai; movno" ejpi; th'" sfaivra" aijsqhtov", tw'n a[llwn o[ntwn nohtw'n. peri; de; touvtou fhsi;n ∆Eratosqevnh" ejn tw`/ Katamerismw'`/ muqikwvteron to;n galaxivan kuvklon gegonevnai ejk tou' th'" ”Hra" gavlakto". 42 Assai agguerrita soprattutto alla fine dell’800, con lunghi periodi di silenzio e altri di intensa discussione, cf. almeno BURSIAN 1866; ROBERT 1878; MAAS 1883; Id., 1892; BOEHME 1887; OLIVIERI, Mythographi Graeci 3.1 Leipzig 1897; Id., I Catasterismi di Eratostene, 1897; REHM 1896; ID., Hermes 34, 1899, 251-279; I D . Fragmenta Vaticana, Ansbach 1899; GüRKOFF 1931; i due lavori più recenti e che chiarificano la storia del testo sono MARTIN 1956, in particolare pp. 58-126 e PÀMIAS 2004, 29-50. 43 Sicuramente all’epoca di Igino (I a.C./I d.C.), per le testimonianze cf. più avanti n. 51. 44 I Fenomeni sono molto poveri di miti di catasterizzazione (le due Orse, la Corona, la Vergine, il Cavallo, la Lira, Orione) e anche di semplici identificazioni; come mostra MARTIN 1998, II, Comm. vv. 31-35, p.162, Arato conosce sicuramente molti più catasterismi di quanti ne racconti, ma si ferma a raccontarne solo alcuni, rielaborandoli in modo personale.
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ciascuna costellazione. Nella prima parte del suo poema, dopo un inno a Zeus, Arato presenta una per una le costellazioni fino a parlare della Via Lattea (vv. 1- 476)45: a un certo punto della tradizione (II/III sec. d.C., probabilmente anche prima), si sono avute edizioni di Arato in cui il testo poetico si interrompeva ad ogni costellazione e riportava un brano in prosa con le informazioni, mitologiche e catalogiche, relative alla costellazione medesima. Il tutto doveva essere accompagnato dall’illustrazione della costellazione. In particolare, secondo Martin, il materiale estratto dall’opera di Eratostene fu utilizzato per un’edizione di Arato di grande successo, accurata ed elegantemente illustrata46, edizione che egli ricostruisce, chiama F e data al II/III sec. d.C.: ad essa egli fa risalire la nostra tradizione dell’Epitome. Al tempo del rinascimento bizantino, verosimilmente attorno al X sec. e probabilmente a Costantinopoli, questi “commenti in prosa” relativi alle singole costellazioni sono stati estratti dal testo di Arato, raccolti in un trattatello anonimo, in un ordine di esposizione ormai lontano da quello originale, e sono stati ricopiati nei manoscritti assieme al testo poetico di Arato e ad altri documenti destinati a illustrarlo e commentarlo47; è questo il testo di cui si dà qui traduzione e commento e che chiamo Epitome. 45
Arato rifiuta invece di trattare dei Pianeti. L’importanza dei Catasterismi come modello per le illustrazioni delle traduzioni latine del poema (Cicerone, Germanico, Arato Latino), che sono conservate in tanti manoscritti a partire dall’età carolingia, era perfettamente chiara a WEITZMANN 1970, 96; 124, il quale però non riteneva certa la presenza delle illustrazioni nel testo di Arato. Che la nostra tradizione greca di Arato risalga a un modello illustrato (e che non si leggesse in genere Arato senza illustrazioni) è chiaro dagli studi di MARTIN (da ultimo MARTIN 1998, CXXVIII-CXXX) e dalle illustrazioni contenute nel codice Vaticanus Graecus 1087 del XIV sec. che provengono da un’edizione greca commentata di Arato e non dai Catasterismi, come propone MCGURK 1937-4, p. 198 e come sostienen HAFFNER 1997, p. 28. Per uno studio complessivo delle illustrazioni nei manoscritti della traduzione latina di Germanico cf. HAFFNER 1997. 47 Fra di essi sono particolarmente interessanti per noi una breve introduzione astronomica e una lista delle costellazioni; secondo MARTIN 1998, Introd. CXXVI-CXXIX, entrambi facevano parte dello stesso manuale astronomico attribuito ad Eratostene assieme ai miti e ai cataloghi dell’Epitome. 46
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L’Epitome ha una tradizione in due rami, il primo chiamato appunto Epitome, è il più ampio, contiene 44 capitoli, ha avuto molte edizioni e ha il suo testimone più importante nel ms. Edimburgensis Adv. 18.7.15 del XIII sec.48. L’altro ramo prende il nome di Fragmenta Vaticana (Fragm. Vat.), dal suo testimone più autorevole, un “estratto” contenuto nel codice Vaticanus Graecus 1087 del XIV sec.: i 25 capitoli in esso conservati furono pubblicati per la prima volta da Rehm nel 1899 con questo titolo49. Ma l’edizione critica del testo di Fragm. Vat. con tutti i suoi pochi e preziosi testimoni, è molto recente, si deve a Pàmias nel 2004 e costituisce uno, fra i molti, degli aspetti pregevoli della sua recente edizione. Anche se molto incompleta, Fragm. Vat. conserva a volte parti di testo che non abbiamo nell’altro ramo e che ci aiutano a capire di più dell’originale. Per questo motivo, anche se ho scelto di tradurre solo la recensio più ampia del testo, quella che comunemente si chiama Epitome, il lettore troverà nelle note alla mia traduzione frequenti riferimenti a Fragm. Vat., soprattutto nel caso in cui appunto sono conservate parti più ampie di testo o varianti particolarmente significative. In questo contesto e solo in questo contesto, contrapposta a Fragm. Vat., la parola Epitome serve a indicare l’altro ramo della tradizione, quello più anticamente studiato ed edito e più completo. Il testo greco utilizzato per la mia traduzione è quello dell’edizione di Pàmias; ho segnalato in nota quando me ne distaccavo. Il lettore deve sapere poi che ad edizioni greche di Arato con inframezzati i materiali eratostenici si rifanno anche alcuni testi latini ampiamente utilizzati dagli editori e dagli studiosi dell’Epitome e che a volte troverà citati nelle note, in particola48
Cf. CUNNINGHAM 1970, 360-371; il manoscritto rappresenta l’archetipo della tradizione della nostra Epitome secondo MARTIN 1998, Introd. CXLVI n. 36; ma è piuttosto subarchetipo dopo le osservazioni di PÀMIAS 2004, 41-45 e ID., El manuscrito, 2004, 19-25. 49 REHM, Eratosthenis 1899, I-II: il codice, miscellaneo cartaceo, contiene testi di Niceforo Gregora, parte del commento di Teone alla Syntaxis di Tolomeo, i Fragm.Vat. e alcuni fogli di illustrazioni astronomiche di cui si è detto alla n. 46.
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re i cosiddetti Scoli a Germanico, che in realtà sono una traduzione latina dei materiali greci di commento al testo poetico di Arato50 e l’Aratus Latinus, una traduzione del testo di Arato con al suo interno i materiali eratostenici, datata all’VIII sec. d.C., che ha punti di contatto con Fragm. Vat. Inoltre brani di testo “uguali” al nostro si ritrovano negli Scoli ad Arato che più volte citano Eratostene come fonte. Infine si deve dire qualcosa dell’altro importante testimone dei Catasterismi, gli Astronomica di Igino.
Qualcosa in più sull’originale Il materiale contenuto nell’Epitome si ritrova anche nel De Astronomia di Igino, nei libri II e III, anzi in forma più ampia. Sono proprio le molte citazioni di Eratostene in Igino51 a farci 50 Ne sono conservate redazioni molto diverse, edite da Breysig1867 (Scholia Basileensia, BP, Strozziana, S, Sangermanensia, G – per questi ultimi, Recensio interpolata dell’Aratus Latinus, cf. MAAS 1898 e LE BOURDELLE` S 1985) e Dell’Era 1979 (Scholia Basileensia; Strozziana). 51 Igino cita Eratostene 21 volte, 19 nel secondo libro e 2 nel terzo; per lo più gli attribuisce spiegazioni di miti, che quasi tutti si ritrovano nell’Epitome: 2.3.1.14 l’Inginocchiato è Ercole; 2.4.2.13 Boote è Icario e viene citato un verso dell’Erigone; 2.6.1.1 l’Inginocchiato come Ercole sopra al Serpente; 2.7.1.2 la Lira è stata messa in cielo da Mercurio; 2.7.1.12 Orfeo sul monte Pangeo; 2.13.1.2 l’Auriga è Erittonio; 2.14.5.8 l’Ofiuco è Asclepio; 2.15.6.1 la Freccia è quella usata da Apollo; 2.17.1.2 il Delfino è quello che procurò Anfitrite a Posidone; 2.20.1.12 l’Ariete di Frisso si spoglia del vello e sale in cielo; 2.23.3.2 gli Asini sono quelli che salvarono Dioniso; 2.24.2.9 Berenice fa dare la dote alle fanciulle di Lesbo; 2.28.1.6 il Capricorno e la conchiglia; 2.30.1.10 il Pesce proviene dai due Pesci; 2.40.4 il Cratere è quello di Icario; 2.42.2.2 a proposito di Saturno e Fetonte; 2.42.3.2 Marte; 2.42.4.7 Venere; 2.43.1.3 sull’origine della Via Lattea; 3.1.2.4 sulla stella detta Polo attorno alla quale gira l’asse del mondo; 3.6.1.10 sulla disposizione delle stelle della Lira. L’ipotesi che il nostro testo fosse una versione greca di un orginale latino abbreviato, cioè dei ll. 2 e 3 del De Astronomia di Igino, è stata confutata definitivamente da BURSIAN 1866, 765 il quale ha individuato nel testo di Igino degli errori che presuppongono un originale greco. Per altre citazioni di Eratostene cf. Schol. Il. 22, 29 A; Schol. Arat. Vet. 97 p. 127 Martin a proposito di Vergine; 225 Ariete; 403 Altare; 474 Via Lattea e Schol. Germ. BP 74, 20 e S 135, 16 Breysig per il Toro e S 161, 18 Breysig per l’Aquila.
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ragionevolmente ipotizzare che questo materiale risalisse a un’opera che circolava all’epoca sua sotto il nome di Eratostene di Cirene e che Igino abbia attinto ad essa. Secondo Martin, anzi, il De Astronomia di Igino è l’opera antica per molti aspetti più vicina all’originale e ci potrebbe conservare anche la struttura dell’intero manuale eratostenico52. È difficile dire se, nella sua forma completa, esso contenesse davvero anche una parte teorica di introduzione all’astronomia. Comunque l’opera di Igino è divisa in quattro libri dal contenuto seguente: 1. il primo è dedicato ai concetti elementari di introduzione all’astronomia: la sfera celeste, i cerchi del cielo (equatore, tropici, eclittica), la terra e le sue zone; 2. il secondo tratta i miti relativi all’origine delle costellazioni; 3. il terzo riprende le costellazioni una ad una per descrivere la loro posizione in cielo ed enumerare le stelle di cui ciascuna è composta, spiegandone la disposizione all’interno del disegno (astrotesia); 4. il quarto libro completa la parte teorica introduttiva con questioni più complesse: descrive i cerchi celesti in relazione alle costellazioni, spiega il movimento della sfera, il problema della durata dei giorni e delle notti, tratta del sorgere e tramontare delle stelle rispetto al sorgere dei segni zodiacali, dei percorsi del sole e della luna, dei movimenti dei cinque pianeti e della teoria dell’armonia delle sfere. Anche se questa di Martin è un’ipotesi, si deve riconoscere che un lavoro di sintesi di questo genere sarebbe perfettamente coerente con il resto della produzione di Eratostene, per la propensione di questo studioso a lavori sistematici in qualunque disciplina affrontasse, e per la grandissima reputazione 52
MARTIN 1956, 104-125; ID. 1998, I, Introd. CXXVI. Secondo Martin il modello di Igino era una specie di manuale che circolava sotto il nome di Eratostene (forse una forma abbreviata e divulgativa della sua opera astronomica) destinato proprio a spiegare e completare i Fenomeni di Arato; derivati da questo manuale sarebbero anche, come si è visto (cf. supra n. 47), due testi in prosa che accompagnano i Fenomeni nei manoscritti e cioè una introduzione elementare all’astronomia (MAASS 1898, 102-126) e una lista delle costellazioni, (MAASS 1898, 134-139).
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che godeva, ancora negli autori tardo antichi, come maestro di astronomia53, accanto ai massimi, Ipparco e Tolomeo, e probabilmente non solo per il suo geniale calcolo della circonferenza terrestre54. Si ricorderà che sia pure per tradizione indiretta sappiamo che Eratostene si era occupato del problema, di tipo matematico e quindi a lui molto congeniale, e così caro a pitagorici e platonici, dell’armonia delle sfere 55. A questo proposito nell’Epitome compare solo l’esile accenno a una relazione fra il numero delle corde della Lira inventata da Hermes, il dio ordinatore del cielo secondo Eratostene, e quello dei pianeti56. Mi pare valga la pena di osservare infine che in Igino il libro dedicato ai miti delle costellazioni è di gran lunga il più ricco e ampio dei quattro57: viene da pensare che, anche se i Catasterismi erano parte di un manuale più ampio, con definizioni e trattazioni teoriche, come quello di Igino, questa sezione mitica e piena di riferimenti a poeti e letterati, dovesse costituire l’aspetto più originale e seducente del lavoro eratostenico. Da queste poche considerazioni sarà ormai evidente al lettore che l’Epitome rappresenta comunque una pallida eco 53 MARTIANUS CAPELLA, De Nuptiis, 8, 813 Quoniam utcumque in Graiam notitiam errabunda perveni, sufficere oportuit quidquid ab Eratosthene Ptolemaeo Hipparcho ceterisque vulgatum, ne me ultra loquendi necessitas ingravaret. 54 Che forse dava il nome a un intero scritto di contenuto astronomicogeografico GEUS 2002, 223-259. 55 Nell’Hermes. Calcidio (Comm. 73, 120-121 Waszink = frg. 13 Powell) nel suo commentario al Timeo platonico, gli attribuisce una teoria dell’armonia delle sfere secondo la quale le distanze tra i pianeti obbediscono a regole musicali e un ordine “personale” di sequenza delle sfere in cui mette prima la Luna e poi il Sole. Il tema dell’armonia delle sfere implicava uno studio delle proporzioni quale Eratostene affrontava ampiamente nel Platonicus, cf. la ricostruzione e le osservazioni di GEUS 2002, 141-194. 56 Lira, cap. 24. 57 Il successo di Igino come unico manuale astronomico di scuola fino dal primo medio evo (C HIARINI -G UIDORIZZI 2009, Introd. XXXII-III; LVIII-LXI) si deve forse alla sua semplicità, alla capacità divulgativa, ma anche a questa ampia sezione mitografica inserita all’interno del trattato scientifico e suscettibile di essere riccamente illustrata; di fatto questo suo uso scolastico ha consentito la sopravvivenza e la diffusione dei miti sulle costellazioni da lui raccolti fino ad oggi.
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dell’opera astronomica di Eratostene e dei Catasterismi. Qualcosa tuttavia si intravede. L’ordine di presentazione delle costellazioni per esempio risulta mutato nell’Epitome rispetto all’originale e si può ricostruire. Lo sappiamo perché dell’ordine originale è rimasta traccia nella costellazione di Cefeo, cap. 15 della quale si dice che occupa il quarto posto e invece nel nostro testo sta al quindicesimo e in quella della Lira, cap. 24 di cui si dice che sta al nono e invece risulta al ventiquattresimo; inoltre dopo la costellazione del Procione, cap. 42, si annunciano le costellazioni dello Zodiaco, che invece sono state trattate prima insieme alle altre. Così come sono elencate nell’Epitome le costellazioni seguono grosso modo l’ordine in cui sono nominate nel testo di Arato58. L’ordine originale si ricostruisce grazie a una lista greca di costellazioni, denominata Anonymus II.2.159, nella quale Cefeo occupa veramente il quarto posto, la Lira il nono e la trattazione dei segni dello zodiaco si trova dopo il Procione, come nell’Epitome è annunciato60. Questo ordine originale è molto regolare e segue la suddivisione scientifica del cielo in fasce sulla base dei circoli polari, dei tropici, dell’equatore e dell’eclittica. Presenta infatti le costellazioni da polo a polo, da nord a sud, seguendo le cinque fasce tracciate da circoli polari, tropici ed equatore, con qualche aggiustamento61: le circumpolari, (le due Orse, il Serpente 58 Secondo MARTIN 1998, Introd. XLIX-LI, nella presentazione delle costellazioni il poeta ha in mente lo zodiaco e raggruppa le costellazioni, partendo dal polo, attorno ai segni dello zodiaco, risalendo a nord ogni volta che termina la descrizione di un gruppo; ad esempio verso lo Scorpione: Orse, Serpente, Inginocchiato, Corona, Ofiuco, Serpente dell’Ofiuco, Scorpione e Chele, poi Boote, Vergine e così via. 59 È stato uno studioso che nei suoi scritti più importanti negava invece l’origine eratostenica dell’Epitome, Ernest Maass, a pubblicare questa lista, che dalla sua edizione prende il nome (MAASS 1898, 134-139). 60 Sulla lista nelle sue versioni cf. MARTIN 1956, 104-125; l’edizione più recente è in PÀMIAS 2004, 255-258. Cf. supra n. 40, 47. 61 L’Auriga è messo alla fine delle costellazioni settentrionali per non interrompere il gruppo di Cefeo, Perseo, Andromeda, Cassiopea; la Lira al posto nono perché ha nove stelle. Segue lo stesso criterio anche Igino, nel libro II, ma in senso contrario, e secondo MARTIN 1956, 104-109 l’ordine di Igino sarebbe quello orignale.
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e Cefeo), quelle che si trovano fra il Circolo polare artico e il Tropico del Cancro (Perseo, Andromeda, Cassiopea, Uccello, Lira, Inginocchiato, Corona, Guardiano dell’Orsa, Auriga e Capra con Capretti), quelle tra il Tropico del Cancro e l’Equatore (Deltoton, Cavallo, Freccia, Aquila, Ofiuco, Procione); quelle dello Zodiaco, cioè quelle sull’eclittica (Cancro, Leone, Vergine, Chele, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci, Toro, Ariete, Gemelli); quelle tra l’Equatore e il Tropico del Capricorno (Orione, Ceto, Delfino, Idra, Cratere e Corvo, Cane), e quelle tra il Tropico del Capricorno e il Circolo polare antartico (Altare, Centauro, Lepre, Argo, Fiume, Pesce australe); seguono i cinque pianeti. Inoltre originale e caratteristica dell’opera rispetto alla produzione astronomica precedente era certamente la raccolta così sistematica di miti di catasterizzazione. La destinazione di commento al poema di Arato ha probabilmente condizionato anche i contenuti del nostro testo e non solo perché lo ha spesso abbreviato come si vede bene in alcuni casi; forse con questa destinazione si spiega anche il grande rilievo dato a miti con Zeus come protagonista, in coerenza con il modo in cui la figura del dio è presentata nei Fenomeni; di Eratostene sappiamo invece che attribuiva a Hermes il ruolo di divinità (ri)ordinatrice del cielo; di questa originaria importanza di Hermes l’Epitome conserva comunque vistose tracce che affiorano a proposito di Triangolo, cap. 20; Lira, cap. 24; Lepre, cap. 34 e Pianeti, cap. 43. Infine non è facile dire se la scomparsa delle identificazioni di Icario, Erigone e il loro cane, costellazioni di cui Eratostene aveva parlato sicuramente nel poemetto Erigone, per le quali è ricordato nelle fonti antiche, e che sono qui sostituite da Boote, Vergine e Procione, risalga all’originale di Eratostene oppure si debba a un adeguamento al testo di Arato. Le conserva Igino, il quale appunto non attingeva alla nostra Epitome, ma a una redazione diversa e più ampia dei Catasterismi e poteva anche citare qualche verso del testo poetico dell’Erigone.
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Miti e Catalogo Nel nostro testo la trattazione di ogni costellazione, nella sua forma più ampia62, risulta costruita con poche eccezioni63 in questo modo: prima di tutto si fornisce l’identificazione della figura rappresentata e il racconto mitico dell’origine della costellazione; più volte il testo registra più di un’interpretazione della figura e più di un mito di spiegazione della sua origine. Spesso si incontrano citazioni di fonti letterarie antiche. A questo segue il catalogo delle stelle della costellazione con notazioni circa la loro luminosità. Qualche osservazione è riservata a stelle ritenute particolarmente importanti per la visibilità o per il loro rapporto con le attività umane e delle quali si fornisce il nome64. Il collegamento fra queste due parti doveva essere stretto anche nell’originale: se nella parte del mito si dice che il Cavallo, cap. 18 non può essere Pegaso, perché non ha ali, nel catalogo in effetti troviamo che non ci sono stelle per le ali; se per il Fiume, cap. 37 si propone l’interpretazione originale di Nilo, a questa corrisponde l’immagine della costellazione presentata nel catalogo, in cui le stelle sono i rami del Delta del fiume65. 62
Questo schema si vede bene in Orsa Maggiore, cap. 1; Orsa Minore, cap. 2; Serpente, cap. 3; Boote, cap. 8; Vergine, cap. 9; Gemelli, cap. 10; Cancro, cap. 11; Auriga, cap. 13; Toro, cap. 15; Cassiopea, cap. 16; Ariete, cap. 19; Perseo, cap. 22; Uccello, cap. 25; Acquario, cap. 26; Capricorno, cap. 27; Sagittario, cap. 28; Freccia, cap. 29; Aquila, cap. 30; Orione, cap. 32; Cane, cap. 33; Lepre, cap. 34; Ceto, cap. 36; Altare, cap. 39; Centauro, cap. 40. 63 Per pochi casi non si ha racconto del mito di catasterizzazione, il Fiume, cap. 37, le Pleiadi, cap. 23 e per poche costellazioni ci è conservata qualche osservazione iniziale sulla sua posizione in cielo rispetto ad altre cf. infra pp. 55-56. 64 Cf. infra pp. 58-59. 65 Le citazioni di Eratostene in Igino si trovano per la maggior parte nel libro II, ma qualcuna anche nel libro III e proprio con affermazioni che legano le due parti, cf. Astron. 3.1 Orsa Maggiore e 3.6, Lira, come ha mostrato MARTIN 1956, 102-103, il che va a sostenere l’ipotesi che l’opera originale di Eratostene avesse entrambe le trattazioni. E ci sono casi, come quelli di Lira, Delfino e Corona, che fanno pensare che nell’originale, numero delle stelle e mito fossero almeno a volte collegati strettamente fra loro, cf. HÜBNER 1998, 89.
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Identificazioni e raffigurazioni Le oltre quaranta costellazioni trattate offrono al lettore l’occasione di incontrare un gran numero di personaggi mitici, moltiplicati dal fatto che spesso ci viene data notizia di identificazioni diverse (quindi con miti diversi o diverse versioni dello stesso mito) per la stessa costellazione66. Sono conservate più di un’interpretazione per l’Orsa Minore, cap. 2; la Corona, cap. 5; la Vergine, cap. 9; l’Auriga, cap. 13; il Toro, cap. 14; il Cavallo, cap. 18; il Triangolo, cap. 20; l’Acquario, cap. 26; il Cane, cap. 33; il Fiume, cap. 37, il Sagittario, cap. 38, la Bestia del Centauro, cap. 40. Anche se è ragionevole dubitare che tutte si trovassero nell’originale e anche se in alcuni casi è possibile che ci siano state alterazioni, è molto probabile che l’originale del nostro testo presentasse già, almeno in alcuni casi, più di una identificazione67. Come si è detto Arato tratta pochi miti di catasterizzazione e lascia senza identificazione molte figure sulle quali la nostra Epitome ha invece idee molto precise: Serpente, Engonasi, Ofiuco, Scorpione, Boote, Gemelli, Cancro, Leone, Auriga, Acquario, Capricorno, Sagittario, Centauro. È interessante il fatto che qualche volta osserviamo tracce di una discussione sull’attendibilità delle diverse ipotesi68 di identificazione e di una presa di posizione argomentata dell’autore. Arato viene citato per quattro delle sue poche identificazioni: Orsa Minore, cap. 2; Vergine, cap. 9; Cavallo, cap. 18 e Fiume, cap. 37. Le prime due non sono veramente contestate,
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Il lettore ne troverà ancora di piu in Igino, e potrà aggiungere, se questo aspetto lo appassiona, la lettura degli Scoli ad Arato e degli Scoli a Germanico. 67 Lo ha dimostrato MARTIN 1956, 102 mettendo a confronto HYGIN., Astron. 2.43, Schol. Arat. 474, ACHILL., Isag., cap. 24, p. 37 Di Maria, sulla Via Lattea. 68 Cavallo cap. 18; Acquario, cap. 26; Sagittario, cap. 28; Cane, cap. 33; Fiume, cap. 37.
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ma il testo conserva, comunque, accanto a quella aratea, altre interpretazioni delle figure, cosa che non fa sempre altrove. Le ultime due invece sono proprio oggetto di discussione e rifiutate. Arato è chiamato in causa esplicitamente a proposito della sua interpretazione del Fiume (cap. 37). Si dice prima di tutto che il Fiume comincia dal piede sinistro di Orione, per localizzarlo sulla mappa, poi si scarta l’ipotesi di Arato, che lo identifica, ma senza darne dimostrazione, con l’Eridano69 e l’autore si allinea con quelli che vi vedono il Nilo, il solo fiume che ha le sorgenti a sud come la costellazione in cielo70: aveva fatto notare questo carattere fin dall’inizio. In effetti uno dei modi più semplici di sostenere l’identificazione di una costellazione nel nostro testo è far notare la sua vicinanza con un’altra o altre che danno senso alla sua figura: il Serpente, cap. 3 è quello ucciso da Ercole, come dimostra il fatto che è vicino all’eroe (e poco conta che in realtà si tratti di Engonasi, cap. 3, anche lui figura di identificazione discussa); il Procione, cap. 42 è il cane di Orione, cap. 32: è vicino al padrone e ad animali da cacciare quali la Lepre, cap. 34. Più complicato mi pare il discorso relativo al Cavallo, cap. 18. Anche in questo caso, come per il Fiume, la trattazione si apre con un’osservazione che riguarda la figura e che sarà poi significativa nel racconto mitico scelto dall’autore: di essa, si dice, appare soltanto la parte anteriore del corpo. Si rammenta l’ipotesi di Arato: sarebbe il cavallo che fece scaturire sull’Olimpo la sorgente Ippocrene con un colpo di zoccolo; poi si dice che secondo altri si tratterebbe di Pegaso che volò in cielo dopo la caduta di Bellerofonte71 e che questa ipotesi
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ARAT., Phaen. 360 jHridanoi`o, poluklauvtou potamoi`o. Anche il Nilo scorre da sud a nord, come la costellazione. L’interpretazione è ribadita nella parte catalogica, dove si mettono alla foce del fiume sette stelle che rappresentano rami del Delta. Dice anche che sotto il Fiume, alla foce celeste, si trova la stella di Canopo, come alla foce del fiume reale si trova l’isola omonima. 71 Il nostro testo rimanda a un tempo in cui il cavallo che ha causato la nascita di Ippocrene secondo il racconto di Arato non pare ancora identifi70
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non è buona perché il cavallo celeste non ha le ali. L’Epitome ha la sua proposta di identificazione: è Ippe figlia di Chirone, trasformata in una cavalla, senza ali appunto, e di cui è visibile in cielo solo la metà anteriore del corpo, perché il padre Centauro non la riconosca come femmina. Mi sembra che in questo caso il criterio fondamentale per identificare la costellazione per il nostro testo sia iconografico/astronomico: chi scrive ha presente una figura con alcune caratteristiche precise e su di esse motiva la sua scelta di identificazione e del mito di catasterismo che la riguarda72. In modo analogo procede la confutazione di chi, e sono la maggioranza, identifica il Sagittario con un Centauro: nella figura non sono visibili le quattro zampe73, oppone il nostro autore, ma è stante e tira l’arco e l’arco non è arma da Centauri. Chi scrive si richiama evidentemente all’osservazione dell’immagine e afferma: ou|to" d∆ ajnh;r w]n skevlh e[cei i{ppou kai; cato con Pegaso, cavallo di Bellerofonte. Il collegamento fra il nome Pegaso e la parola phghv, sorgente, è già in Esiodo (Theog. 281-283). 72 Se questo passo era stato scritto a commento di Arato, il commento era molto pertinente, perché in effetti anche Arato, che pure descrive alcune stelle del Cavallo, non ne rammenta sulle ali (Phaen. 205-224). Come cavallo la costellazione ha un’origine tutta greca; nel mondo mesopotamico è un quadrato detto “il campo”. È ovvio che, se il cavallo che fece scaturire la fonte (phghv) Ippocrene si identifica con Pegaso, come succede generalmente dopo Arato (cf. MARTIN 1998, Comm. vv. 216-214, 248.249), già seguendo il testo di Arato la figura poteva essere rappresentata con le ali. Comunque sia l’iconografia della costellazione come Pegaso è più che dominante. Anche secondo BOLL 1903, 118-119 questa osservazione nell’Epitome che rivendica un cavallo senz’ali e una identificazioni mitologica diversa dal cavallo di Arato, in ogni caso, e da Pegaso, ha un’origine antica; come THIELE 1898, 155-162, anche Boll osserva che questa immagine del cavallo senz’ali non trova conferma nelle illustrazioni dei manoscritti a noi pervenuti. C’è tuttavia un’eccezione: in alcune visioni del cielo contenute nel manoscritto di Aratea di Germanico della National Library of Wales NLW 735C, a. 1000 ca. (cf. f. 10v, fig. 1), documento che questi studiosi non conoscevano ancora. Il planisfero in questione sembra provenire da un modello originale diverso da quello delle illustrazioni infratestuali delle singole costellazioni del manoscritto e mostra un cielo molto antico e vicinissimo a quello eratostenico. Su questo manoscritto, cf. MCGURK 1973-4. Con ali sembrerebbero tutti i cavalli dei manoscritti di Germanico secondo HAFFNER 1997, 47; 146. 73 Quattro gliene attribuisce invece anche Arato (Phaen. 399-401).
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kevrkon kaqavper oiJ Savturoi. “Questo è un uomo che ha zampe e coda di cavallo, come i Satiri”74. La sua spiegazione è che si tratta di Croto figlio di Eufeme, messo in cielo su suggerimento delle Muse perché ha inventato l’applauso. Ed è tanto è persuaso della sua affermazione che alla fine ribadisce: “per questi motivi chi sostiene che si tratti di un Centauro, si sbaglia”. Mi sembra che da queste considerazioni già emerga l’importanza che le illustrazioni dovevano avere per l’Epitome e per il suo originale75. Anzi il testo risulta a volte proprio costruito strettamente in rapporto con l’illustrazione e chi scrive sembra presupporre che il lettore avrà delle precise illustrazioni davanti a sé mentre legge. Così è descritto l’Engonasi: “sta combattendo, brandisce la clava e indossa la pelle del leone” e ancora più avanti “c’è da una parte il serpente con la testa sollevata, dall’altra Ercole su di lui: lo tiene sotto il suo ginocchio e con l’altro piede gli va sulla testa, protendendo la mano destra che brandisce la clava, come per colpirlo, la sinistra tiene avvolta la pelle di leone”76. L’illustrazione della costellazione che corrisponde a questa descrizione è conservata in parecchi manoscritti di Aratea, cioè codici che contengono traduzioni e commenti latini ai Fenomeni di Arato, ma anche in un documento che ci dà conferma di un originale greco delle illustrazioni medesime, il Vaticanus Graecus 1087 del XIV sec.; è evidente dal confron74
Per un’immagine del Sagittario che corrisponde a questa descrizione cf. Vat. Gr. 1087 fig. 5a e NLW 753C fig. 1. 75 Ancora a un disegno preciso si riferisce chi scrive quando afferma che il Capricorno somiglia a Egipan e infatti deriva da lui (cap. 27). E il mito di catasterismo deve spiegare alcuni caratteri della figura: ha la coda di pesce in memoria del fatto che scoprì la conchiglia Panicon. 76 Cap. 4 ejn ajgw'ni de; e{sthke tovte rJovpalon ajnatetakw;" kai; th;n leonth'n perieilhmevno"… e[sti de; oJ me;n o[fi" metevwron e[cwn th;n kefalhvn, oJ d∆ ejpibebhkw;" aujtw'/ teqeikw;" to; e}n govnu, tw'/ d∆ eJtevrw/ podi; ejpi; th;n kefalh;n ejpibaivnwn, th;n de; dexia;n cei'ra ejkteivnwn, ejn h|/ to; rJovpalon, wJ" paivswn, th'/ d∆ eujwnuvmw/ ceiri; th;n leonth'n peribeblhmevno". ejn ajgw`ni è correzione di Robert (cf. HYGIN. ut ad decertandum paratum), i mss. hanno ejnargw`~, conservato da Pàmias; in questo caso tradurrei “la sua posizione è chiara”, e così il testo farebbe ancora allusione all’immagine.
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to con il testo di Arato (di Engonasi dice che non si sa chi sia, che ha le braccia in alto e le ginocchia piegate nello sforzo e un piede sul serpente, vv. 63-70) che l’illustrazione si riferisce, almeno in questo caso, alla costellazione come è descritta nell’Epitome, quindi ragionevolmente, come era descritta nei Catasterismi77. E il Centauro: “La Bestia sta nelle mani del Centauro, vicino all’Altare. Sembra che la stia portando al sacrificio, ciò che è segno grandissimo della sua pietà”. E più avanti, nella parte catalogica “Ha anche fra le mani la cosiddetta Bestia, di cui rappresentano la figura quadrangolare. Alcuni dicono che sia un recipiente di vino, dal quale fa libazioni agli dèi sull’altare. Ha questo nella mano destra e nella sinistra un tirso”78. Possiamo osservare da tutto ciò che al lettore non veniva chiesto, in prima istanza almeno, di guardare il cielo, ma i disegni. Le illustrazioni che dovevano accompagnare il nostro testo (così come quelle che corredano tanti testi e manoscritti astronomici antichi), anche nel caso in cui sono indicate le posizioni delle singole stelle sulla figura, non sempre aiutano all’identificazione delle singole stelle in cielo79; contribuiscono anzi, per molte ragioni, a una variabilità incredibile nelle astrotesie anche in dipendenza dell’illustratore che esegue il disegno80; 77
Sulle illustrazioni in Arato e nei Catasterismi cf. supra n. 46. Cap. 40 e[sti de; to; Qhrivon ejn tai'" cersi; plhsivon tou' Quthrivou: o} dokei' prosfevrein quvswn, o{ ejsti mevgiston shmei'on th'" eujsebeiva" aujtou' ... e[cei de; kai; ejn tai'" cersi; to; legovmenon Qhrivon, ou| poiou'si to; sch'ma tetravgwnon: tine;" de; ajskovn fasin aujto; ei\nai oi[nou, ejx ou| spevndei toi'" qeoi'" ejpi; to; Quthvrion: e[cei de; aujto; ejn th'/ dexia'/ ceiriv, ejn de; th'/ ajristera'/ quvrson. Il Tirso non figura nella presentazione di Arato del Centauro, vv. 430-442. Oppure quando dice di Cassiopea “E alla figlia viene rappresentata vicina, secondo un’iconografia consueta, seduta su un trono” cap. 16 oijkeivw" de; ejschmavtistai ejggu;" ejpi; divfrou kaqhmevnh. 79 Come è stato bene illustrato da ZUCKER 2008. 80 Molto efficace ZUCKER 2008, 52 “Les variations de la position d’Arcturus sont à ce titre exemplaires: selon les sources, l’étoile majeure du Bouvier est placèe sur la ceinture (scholies à Aratos, Hygin), sous la ceinture (Aratos), entre les cuisses (Ptolémée), au milieu des jambes (Géminos), entre les genoux (Eratosthéne, Vitruve), ou…sur la poitrine (Manilius)”. 78
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da questo punto di vista, cioè per la ricostruzione della posizione effettiva delle stelle nella costellazione, sono causa di molte ambiguità e complicazioni. D’altra parte le illustrazioni, con o senza l’indicazione delle stelle, aiutano a farsi un’idea, soprattutto se pensate e rappresentate in relazione fra di loro, come nei planisferi e nelle mappe, degli spazi celesti in cui collocare le diverse costellazioni e certo trovano grande valorizzazione nella parte mitografica del testo. Una conoscenza approfondita delle illustrazioni, in particolare di quelle originali, potrebbe essere utile per noi per comprendere meglio il testo. A proposito della costellazione dell’Ariete, identificato con l’Ariete che salvò Frisso ed Elle trasportandoli in Colchide si dice: diakomivzwn d∆ aujtou;" kata; to; stenovtaton tou` pelavgou", tou' ajp∆ ejkeivnh" klhqevnto" ÔEllhspovntou, e[rriyen aujth;n kai; to; kevra" ajpolevsa" < Poseidw'n de; swvzei th;n ”Ellhn kai; micqei;" ejgevnnhsen ejx aujth'" pai'da ojnovmati Paivona, “mentre li trasportava attraverso lo stretto di mare che da lei è chiamato Ellesponto, fece cadere Elle perdendo anche il corno, ma Posidone la salvò e unitosi a lei, generò un figlio di nome Peone81”. Quasi tutti gli editori82 trovano diffiE dell’importanza degli illustratori anche gli antichi commentatori erano perfettamente consapevoli, come fa notare MARTIN 1956, 32, n. 2 citando da un frammento di introduzione ad Arato: ”Omhron me;n ei\do~ grafevwn blavptei, tw`n bibliogravfwn: [Araton de; duvo, bibliovgrafwn te kai; zwgravfwn, w|n ta; aJmarthvmata tw`n jAravtou qewrhmavtwn ejgklhvmata poiou`si oiJ koufovteroi dia; th;n ajgnoian tou` panto;~ lovgou kai; ajlhqeiva~ (Marc. gr. 476 in Comm. Ar. Rel. Maass 329, Schol. Arat. Vet. p. 542 Martin) “Homère n’est lésé que par une seule catégorie de “graphistes”, celle des copistes, mais Aratos l’est par deux, celle des copistes et celle des dessinateurs, dont les esprits légers transforment les erreurs en motifs d’accusation contre les conceptions du poète”; e ancora “Bien des gens ont corrompu le texte de ce poème, peintres, astronomes, grammairiens et géomètres, chacun d’eux inventant arbitrairement des lecons et des interpretations personelles” peri; ejxhghvsew~, Schol. Arat. Vet. p. 33 Martin. 81 Il capostipite del popolo dei Peoni. 82 A cominciare da S CHAUBACH 1795, 97; con eccezione di R OBERT 1848, 124, che rimanda a OVID., Fast. 3.869-70 dicitur infirma cornu tenuisse sinistra femina, citazione però poco efficace.
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coltà ad accettare kai; to; kevra" ajpolevsa"83 che viene considerato come un commento di senso poco chiaro finito nel testo ed espunto84. Tuttavia questa frase ha senso se si riferisce non al mito di Frisso ed Elle come lo conosciamo da altre fonti85, ma a una precisa iconografia della costellazione. Penso a un’iconografia attestata anche nei manoscritti, in cui l’Ariete è rappresentato con un solo corno86, o comunque, in cui, se sono indicate le stelle, queste si trovano su un solo corno (e sono 2) e nessuna sull’altro; questa è la raffigurazione canonica della costellazione almeno da Tolomeo in poi87. Non si trovano mai comunque stelle su entrambi i corni. La frase dunque cercava di dare spiegazione di una caratteristica della raffigurazione della costellazione, cioè dell’ariete celeste disegnato di stelle, che chi scriveva aveva presente. Si tratta di un modo di procedere che ritroviamo altre volte nell’Epitome, come quando attraverso il mito ci spiega perché il Cavallo era rappresentato e visibile solo nella parte anteriore del corpo oppure perché il Corvo era raffigurato lontano dalla Coppa, o perché delle sette Pleiadi una era invisibile. L’osservazione dunque ha senso dal punto di vista dell’astrotesia e del disegno della costellazione e rimanda all’osservazione astronomica, anche se non è detto che appartenga all’originale; nella parte catalogica, almeno come la abbiamo, il nostro testo non elenca stelle su nessuno dei due corni, ma solo sul muso. Se queste illustrazioni complesse ed eleganti dovevano accompagnare il testo ed erano decisive per la sua buona comprensione, si deve ancora osservare che l’autore mostra di 83
ajpolevsai Fragm. Vat. Cf. cap. 19. L’immagine canonica dell’Ariete lo presenta con il corpo di profilo e la testa che guarda indietro. 85 Correttamente PÀMIAS 2004, 152, n. 169 va a vedere le iconografie del mito dell’ariete di Frisso, dove non trova conferme a questa storia del corno perso. 86 Cf. Vat. Gr. 1087, fig. 7. 87 PTOLEM, Synt. 7.5 pp. 84-85 Heiberg. E ancora oggi attraverso la nomenclatura araba, le stelle più visibili, sono una sulla testa, a Hamal, “ariete”, detta anche Ras el Hamal, “testa dell’ariete” e due su un unico corno, b Sharatan e g Mesarthim. 84
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conoscere anche un’altra forma di rappresentazione della costellazione, schematica e geometrica, simile alle uniche forme di raffigurazione ammesse ancora oggi dagli astronomi: la Corona, cap. 5, ha forma circolare; le Pleiadi, cap. 23, triangolare; la Bestia del Centauro, cap. 40, è rettangolare. Questo modo di raffigurare (e immaginare) la costellazione è molto più vicino all’osservazione celeste diretta e nei pochissimi casi in cui viene usato fa pensare che, finalmente, almeno qualche volta, il lettore sia invitato ad alzare gli occhi al cielo. Dunque si può ragionevolmente supporre che non solo Arato88, ma anche l’originale della nostra Epitome fosse corredato da illustrazioni, che almeno in alcuni casi, risultano argomento decisivo di identificazione della costellazione stessa, come se le immagini e l’osservazione astronomica che a volte possiamo ricostruire dietro di loro, determinassero il testo e, per quanto possiamo vedere, queste raffigurazioni erano in qualche caso diverse da quelle che poi sono diventate canoniche, come il Satiro/Sileno al posto del Sagittario o Ippe al posto di Pegaso.
I protagonisti Per orientarsi fra i tanti miti cui il testo fa riferimento, può essere d’aiuto al lettore osservare che un buon numero di costellazioni (più della metà) risulta raggrupparsi attorno alle vicende di Zeus e di due suoi figli: Perseo e Ercole, più Orione che per l’Epitome è figlio di Posidone89. Il maggior numero di costellazioni ha a che fare con Zeus; rimandano a episodi della sua infanzia e presa del potere: Asini e Mangiatoia (Cancro, cap. 11); Capra e Capretti (Auriga, cap. 13); Capricorno, cap. 27; Aquila, cap. 30; Altare, cap. 39; ai suoi amori: Orsa Maggiore, cap. 1; Orsa Minore, cap. 2; 88
Ad un unico modello molto antico che illustrava Arato rimandano le immagini del Vossianus lat. Q 79 del IX sec. e del Vaticanus Gr. 1087 del XIV sec. secondo MARTIN 1956, 38 sgg. 89 Questa genealogia risale ad Esiodo secondo l’Epitome, cap. 32, e a Ferecide, cf. cap. 32, n. 269. Secondo altre versioni del mito invece era nato dall’urina di Zeus, Posidone, Hermes.
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Boote, cap. 8; Toro, cap. 14; Cigno, cap. 25; Acquario, cap. 26; alle sue vicende come re degli dèi: Ofiuco, cap. 6; Freccia, cap. 29. Riguardano Ercole e le sue fatiche: il Serpente, cap. 3; l'Inginocchiato, cap. 4; il Cancro, cap. 11; il Leone, cap. 12; il Centauro, cap. 40 e la Via Lattea, cap. 44. Una vera e propria scena tragica rappresentano in cielo Cefeo, cap. 15; Cassiopea, cap. 16; Andromeda, cap. 17; Perseo, cap. 22; Ceto, cap. 36 e il Cavallo cap. 18, inteso come Pegaso. Al mito di Orione sono legate: Orione, cap. 32; Scorpione, cap. 7; Pleiadi cap. 23; Cane, cap. 33; Lepre, cap. 34; Procione, cap. 42. Alcuni miti cui ci si riferisce sono molto famosi, ma a volte ne sono riportate varianti90 rare e di origine locale. Alcuni risultano collegati ad aspetti remoti della religiosità greca: il mito di Callistò e il santuario di Zeus Lykaios91; la storia dell’Ariete e di Frisso ed Elle figli di Atamante e il culto Beotico e Tessalico di Zeus Laphystios92; la Freccia e le offerte in grano e primizie provenienti dagli Iperborei per Apollo a Delo. Qualche volta appaiono miti di cui vorremmo sapere di più e sui quali mi è stato difficile trovare altre informazioni: il mito per cui gli dèi si scelsero ciascuno un uccello sacro, cui si accenna un paio di volte, a proposito dell’aquila di Zeus e del corvo di Apollo93, è per noi sconosciuto, forse di origine egiziana? 90
A proposito di Orione si ha una “contraddizione”, non rimarcata dall’autore, che ci racconta due versioni diverse della fine di Orione; nel capitolo relativo allo Scorpione (cap. 7) dice che è Artemide a far sorgere lo scorpione da un colle perché uccida Orione che ha cercato di farle violenza, nel capitolo su Orione (cap. 32), invece dice che è la Terra che lo manda per colpire Orione, perché nella caccia uccide tutte le creature. Mi domando se l’originale non riportasse entrambe le versioni in almeno uno dei due capitoli, come succede in Igino (Astron. 26; 34.2) e se non ne sia conservata una diversa per ognuno dei due nell’epitomazione. 91 Con uomini che diventano lupi e con rituali di antropofagia. 92 A Zeus Laphystios, “divoratore” veniva sacrificato il figlio più anziano della famiglia del sacerdote, sempre discendenti di Atamante (HERODOT. 7. 197). 93 Cf. Aquila, cap. 30; Idra, Cratere e Corvo, cap. 41.
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Singolare è la spiegazione dell’Egitto come riflesso della costellazione del Delta: un mito “platonico”, si direbbe, visto che si procede, in questo caso, dal cielo alla terra, perché si tratta di un oggetto terreno, il territorio del Delta94, che è fatto sul modello dell’immagine celeste, ma che procede così al contrario rispetto a tutti gli altri miti di spiegazione dell’origine delle costellazioni95.
Essere messi fra le stelle: Dèi e astri “Tutti devono sapere che né Cefeo, né Cassiopea, né Andromeda si trovano in cielo; sarebbe ridicolo pensare che il cielo prima di costoro fosse senza costellazioni, perché le stelle ci sono sempre state. Anche prima di Perseo e di Orione. Per questo presso popoli differenti si trova che sono differenti anche i nomi delle costellazioni. Nella sfera celeste degli Egiziani appunto non sono concepiti né denominati né il Serpente né le Orse né Cefeo, ma ci stanno altri disegni delle figure e altri nomi; e così in quella dei Caldei. I Greci dettero questi nomi alle stelle da eroi famosi in modo che fossero facili da concepire e ben riconoscibili”. ejpi; de; pa'si crh; eijdevnai, o{ti ou[te Khfeu;" ou[te Kassievpeia ou[te ∆Andromevda ejsti;n ejn oujranw'≠`/: geloi'on ga;r uJponoei'n pro; touvtwn ajkatastevriston to;n oujranovn (ajei; ga;r h\san ajstevre" kai; pro; Persevw" kai; ∆Wrivwno"). dio; kai; ejn diafovroi" e[qnesi diavfora kai; ta; ojnovmata tw'n ajstevrwn e[stin euJrei'n. ejn gou'n th'/ tw'n Aijguptivwn sfaivra/ ou[te oJ Dravkwn ejsti; nomizovmeno" h] ojnomazovmeno" ou[te ”Arktoi ou[te Khfeuv", ajll˘ e{tera_ schvmata eijdwvlwn kai; ojnovmata teqeimevna. ou{tw de; kai; ejn th'/ tw'n Caldaivwn. ”Ellhne" de; tau'ta ta; ojnovmata e[qento toi'" a[stroi" ajpo; ejpishvmwn hJrwvwn pro;" to; eujkatavlhpta ei\nai kai; eu[gnwsta. ACHILL. TAT., Isag. 40, De Maria p. 58
In un suo studio Jean Martin96 dimostra che il significato 94
O dell’intero Egitto fino a Siene/Elefantina, cf. HÜBNER 2008. Anche per questo “catasterismo” ci si può chiedere se non sia di origine egiziana. 96 Di solito si scrive che un personaggio, un animale o una cosa fu mes95
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della parola katasterivzein è “rappresentare in forma di costellazione”97. Nella nostra Epitome molte affermazioni confermano questa interpretazione e nessuna la smentisce veramente. Molto spesso per indicare il catasterismo si usa una formula generica “fu messo o portato fra le stelle” che copre casi differenti, persone, animali, cose98; e ci sono molti casi in cui si precisa proprio, come si è visto, che ciò che sta in cielo e di so ejn toi'" a[stroi" o portato eij" ta; a[stra. Solo una volta, per la nave Argo, cap. 35 si scrive che le fu concessa fama imperituta perché sta fra gli dèi (aujth'" te hJ dovxa ajghvrato" diameivnh/ ou[sh" ejn toi'" qeoi'"). 97 MARTIN 2002, 17-26, ciò che viene posto fra le stelle è l’immagine del personaggio o cosa, disegnati con le stelle medesime. Un buon esempio di questo sono i casi del Cigno cap. 25 e della Medusa di Perseo cap. 22. Anche gli usi del termine nell’Epitome non fanno ostacolo a questa interpretazione: Lira, cap. 24 to;n Diva hjxivwsan katasterivsai; Freccia, cap. 29 o{qen eij" ta; a[stra tevqeike to; bevlo" oJ ∆Apovllwn eij" uJpovmnhma th'" eJautou' mavch" katasterivsa"; Orione, cap. 32 tou;" de; qeou;" ejlehvsanta" aujto;n ejn oujranw'/ katasterivsai. 98 Orsa Maggiore, cap. 1 Zeu;" dia; th;n suggevneian aujth;n ejxeivleto kai; ejn toi'" a[stroi" aujth;n e[qhken; Corona, cap. 5 Diovnuso" de; aujto;n eij" ta; a[stra e[qhken; Scorpione, cap. 7 o}n Zeu;" ejn toi'" lamproi'" e[qhke tw'n a[strwn; Boote, cap. 8 oJ de; Zeu;" ejxelovmeno" aujtou;" dia; th;n suggevneian eij" ta; a[stra ajnhvgagen; Ofiuco, cap. 6 tou'ton de; eij" ta; a[stra ajnagagei'n dia; to;n ∆Apovllwna. E questo vale anche per costellazioni che raffigurano animali o cose; Cane, cap. 33 to;n de; eij" ta; a[stra ajnhvgagen. Gemelli, cap. 10 ajmfotevrou" e[sthsen ejn toi'" a[stroi"; Cancro, cap. 11 Ou|to" dokei' ejn toi'" a[stroi" teqh'nai di∆ ”Hran e Asini, cap. 11 [Onoi, ou}" Diovnuso" ajnhvgagen eij" ta; a[stra; Toro, cap. 14 ejn toi'" a[stroi" teqh'nai dia; to; Eujrwvphn ajgagei'n; Cefeo, cap. 15 kai; aujto;" ejn toi'" a[stroi" ejtevqh ∆Aqhna'" gnwvmh/; Cavallo, cap. 18 uJp∆ ∆Artevmido" eij" ta; a[stra teqh'nai; Perseo, cap. 22 tw'/ de; Persei' th;n eij" ta; a[stra qevsin ejpoivhsen; Cigno, cap. 25 ajll∆ ou{tw" eij" oujrano;n ajnapth'nai to;n tuvpon tou' kuvknou e[conta tou'ton kai; e[qhken ejpi; tw'n a[strwn diiptavmeno~; Capricorno, cap. 27 oJ Zeu;" ejn toi'" a[stroi" aujto;n e[qhke kai; th;n ai\ga th;n mhtevra; Sagittario, cap. 28 ou{tw" ejn toi'" a[stroi" ejtevqh; Freccia, cap. 29 o{qen eij" ta; a[stra tevqeike to; bevlo" oJ ∆Apovllwn eij" uJpovmnhma; Delfino, cap.31 kai; eij" ta; a[stra aujtou' suvsthma e[qhken; Orione, cap. 32 ejn toi'" a[stroi" aujto;n e[qhken oJ Zeu;~; Lepre, cap. 34 oJ ÔErmh'" dokei' qei'nai aujto;n ejn toi'" a[stroi"; Argo, cap. 35 Au{th dia; th;n ∆Aqhna'n ejn toi'" a[stroi" ejtavcqh; Ceto, cap. 36 dia; tou'to eij" ta; a[stra ejtevqh uJpovmnhma th'" pravxew" aujtou'; Pesce, cap. 38 ejtivmhsan kai; ejn toi'" a[stroi" e[qhkan.
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cui si parla è un disegno, una copia dell’“originale”99. Dunque, se è vero che la convinzione che gli dèi abitino in cielo100 e il carattere mitologico della nomenclatura degli astri hanno aiutato i Greci e i Romani a considerare i corpi celesti delle vere entità divine e a passare così all’astrologia101, tuttavia questo punto di arrivo non si percepisce ancora nell’Epitome. E questo vale anche per quanto riguarda i pianeti, come si vede dalla loro denominazione, perché sono ancora indicati come l’“astro di Zeus o di Afrodite” e non con il semplice nome del dio. Nel nostro testo il fatto importante e che viene sottolineato nei racconti, come ci sono rimasti, è l’“essere messi fra le stelle con la propria figura”, non il fatto che si tratti del personaggio stesso o tanto meno che sia una divinità. Naturalmente questo non significa che chi scrive consideri un catasterismo un fatto di poca importanza, al contrario: è segno di onore grandissimo e garantisce memoria e gloria perenne a creature mortali. Implicando un premio così straordinario102, si capisce che nella stragrande maggioranza dei casi nel nostro testo si sotto99 Le costellazioni vengono definite ei[dwlon, mivmhma, tuvpo~, suvnqhma. A proposito dell’Orsa Minore, cap. 2, il testo dice che Artemide pose e{teron ei[dwlon di Callistò fra le stelle; anche a proposito di Ercole, cap. 3, si parla di ei[dwlon e di disposizione delle due figure, schmatopoiiva, del Serpente e di Ercole; il Toro, cap. 14 secondo alcuni (Eratostene stesso secondo Igino) è una copia, mivmhma, della vacca in cui era stata trasformata Io; Cassiopea, cap. 16 è rappresentata in una posa consueta, seduta sul trono (oijkeivw" de; ejschmavtistai ejggu;" ejpi; divfrou kaqhmevnh). Siccome Zeus tornò in cielo come cigno, dopo aver sedotto Nemesi, per questo mise fra le stelle l’immagine, la figura, tuvpo~, del cigno cap. 25. Per quanto riguarda la costellazione dell’Acquario, il modo in cui è rappresentata l’immagine (to; ejschmativsqai to; ei[dwlon) suggerisce ad alcuni l’ipotesi che si tratti di Ganimede, cap. 26. L’Aquila, cap. 30 è raffigurata (ejschmavtistai) ad ali spalancate nell’atto di planare. Posidone mise la figura (suvnqhma) del Delfino fra le stelle, cap. 31. Della costellazione Argo non l’immagine intera (to; ei[dwlon oujc o{lon) fu messa fra le stelle, cap. 35. 100 Così anche nell’Epitome cf. supra n. 96. 101 Cf. SEZNEC, 32-33. 102 O comunque una fama straordinaria, se non un premio, perché, come si vedrà, alcune costellazioni rappresentano personaggi negativi.
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linei come l’origine di ogni costellazione si debba alla volontà di un dio: anzi, mettere qualcuno o qualcosa fra le stelle, come si dice esplicitamente a proposito di Argo, vuol dire proprio metterlo in uno spazio riservato agli dèi103, perciò il loro consenso è indispensabile104. Di solito il dio intende in questo modo onorare il soggetto rappresentato e ricordare le sue imprese gloriose105 oppure le sventure che ha dovuto subire106. A volte la costellazione raffigura un mostro o una belva feroce, ma in questo caso si dice che la sua presenza nel cielo serve a dare gloria all’eroe che lo ha vinto (è così per il Serpente e il Leone, vinti da Ercole e per Ceto, vinto da Perseo) oppure a ricordare la loro straordinaria potenza e la loro collaborazione con un dio, come nel caso dello Scorpione107 e del Cancro. Ci sono poi dei personaggi che hanno sfidato le divinità: Cassiopea, Orione, il Corvo e questi sono rappresentati in cielo “per demerito”, per servire come monito agli uomini. Di alcune costellazioni si dice che ricordano miti che le collegano a invenzioni e realizzazioni che hanno contribuito al progresso dell’uomo: il mito narrato per la Corona (cap. 5) è all’origine del costume della sposa di indossare una corona il giorno delle nozze; l’Auriga (cap. 13) rappresenta il primo uomo che è riuscito ad aggiogare i cavalli al carro, che ha organizzato le prime Panatenee e introdotto l’uso del parabates sul carro; il Sagittario (cap. 28) ricorda Croto, inventore dell’applauso; Argo è in cielo, perché è la prima nave che è stata costruita (cap. 35); l’Altare segna l’origine del costume di presta103
Argo cap. 35 hJ dovxa ajghvrato" diameivnh/ ou[sh" ejn toi'" qeoi'". Cf. la Corona, cap. 5 nella versione di Aglaostene. 105 Onori: il Cane (cap. 33) è stato posto fra le stelle da Zeus che l’ha ritenuto degno di questo onore; così l’Aquila (cap. 30); Memoria: Ceto (cap. 36) fu posto in cielo per ricordare l'impresa di Perseo che lo uccise; e la Freccia (cap. 29) fu messa in cielo da Apollo per ricordare la sua lotta contro i Centauri. 106 Il Centauro (cap. 40) è posto in cielo da Zeus, perché pio e per la sventura che lo ha colpito. 107 Se guardiamo alle origini delle costellazioni, questi mostri sono a volte eredità lontane: è così certamente per il Serpente, il Leone e lo Scorpione che sono già presenti nel cielo mesopotamico. 104
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re giuramento solenne su di esso (39). In diversi racconti si affacciano spiegazioni del nome di popoli: gli Arcadi, i Peoni; o luoghi: il porto di Cinosura, l’Hephaisteion in Atene, l’Ellesponto. Da questo punto di vista il cielo presentato nel nostro testo si rivela costruito privilegiando miti eziologici e che raccontano tappe della storia culturale degli uomini, una propensione che corrisponde un tipo di interessi molto sviluppato all’epoca di Eratostene e di tradizione tutta greca108. La divinità alla quale si attribuisce il maggior numero di catasterismi è ancora Zeus. È inevitabile ricordare che Zeus è la divinità che domina anche nei Fenomeni di Arato, il testo a cui l’Epitome serve da illustrazione: secondo Arato è a lui che si deve la distinzione e valorizzazione, nel cielo, delle stelle e costellazioni che forniscono indicazioni agli uomini per lo svolgimento delle loro attività109. Come si è visto, nell’Epitome l’origine di molte costellazioni è proprio collegata alle vicende personali di questo dio. E ce ne sono poi altre di cui si dice che il dio le ha poste in cielo di sua iniziativa (ammirato da certe qualità del personaggio per premiare la sua pietà e consolare le sue sventure) oppure su richiesta di altre divinità110. Altri dèi a volte intervengono, come autori diretti di un catasterismo oppure come divinità in onore delle quali o a causa delle quali il catasterismo è avvenuto. Sono: Atena111, Era112, 108
Per le fonti antiche è ancora utilissimo KLEINGÜNTHER 1933; cf. anche THRAEDE 1962. A questa prospettiva non è forse del tutto estraneo Arato quando racconta la definizione della forma delle costellazioni come opera dei nostri antenati lontani allo scopo di ricordare e riconoscere meglio le stelle in cielo (Phaen. 367-385). Il passo ha ricchissima bibliografia, cf. PENDERGRAFT 1990. 109 Cf. ARAT., Phaen., vv. 10-14. I Fenomeni iniziano con un inno a Zeus e anche nelle illustrazioni dei manoscritti che derivano dall’opera di Arato è caratteristica la presenza dell’immagine di Zeus seduto sull’aquila. 110 Alcune di queste costellazioni Zeus le mette in cielo su richiesta o per far piacere ad altri dèi: la Lira (cap. 24) e il Sagittario (cap. 28) su richiesta delle Muse; Orione (cap. 32) su richiesta di Artemide e Apollo; l’Ofiuco (cap. 4) per farsi perdonare da Apollo. 111 Ad Atena si deve il gruppo di Andromeda, cap. 17; Perseo, cap. 22; Cassiopea, cap. 16; Cefeo, cap. 15 (e Ceto cap. 36), ma anche Argo, cap. 36. 112 Si devono ad Era il Serpente, cap. 3; il Cancro, cap. 11.
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Artemide113, Apollo114, Posidone115, la dea Siria, Derketo che è detta figlia di Afrodite116, Dioniso117, Hermes118. Quest’ultimo merita un’attenzione particolare, perché gli viene anche attribuito il compito di avere curato l’ordinamento delle costellazioni119. Si intravede così per Hermes, nell’originale dell’Epitome, un ruolo molto importante, come non ha affatto nell’opera di Arato120, ma che certo aveva per Eratostene. Il legame fra il dio e l’astronomia si esprime anche nell’invenzione della Lira come strumento e come costellazione. Qualche volta non è detto a chi si deve la trasformazione, anche se si può fare qualche ragionevole ipotesi dal contesto, ad es. Ceto, cap. 35 (siccome va col gruppo di Perseo e Andromeda, sarà in cielo ad opera di Atena), Acquario, cap. 26 (visto che si sostiene l’identificazione con Ganimede, sarà sottinteso che deve il suo posto a Zeus) e gli Asini, cap. 11 (che salvano Dioniso, Efesto e Satiro mentre vanno ad aiutare Zeus nella lotta contro i Giganti, saranno stati messi fra le stelle da Zeus per gratitudine o magari su richiesta dei tre dei). Poche volte non viene spiegata la ragione del catasterismo, ma si dice solo che cosa la costellazione rappresenta: le Pleiadi, cap. 23, il Fiume, cap. 37, il Procione, cap. 42. Ma le Pleiadi e Procione sono collegate alle vicende di Orione e possono trovare in questo la loro origine in cielo. Mentre il Fiume, che qui è identificato in modo del tutto originale con il Nilo, assieme al Triangolo, di cui si dice, di nuovo in modo del tutto ori113
Sono volute da Artemide le costellazioni dell’Orsa Minore (Callistò), cap. 2 e del Cavallo (Ippe), cap. 18. 114 Ad Apollo si devono la Freccia, cap. 29 e l’Idra, il Cratere e il Corvo, cap. 41. 115 È Posidone a volere nel cielo il Delfino, cap. 31. 116 Per farla rientrare nel pantheon greco. Si deve a lei la costellazione del Pesce, cap. 38 e quella dei Pesci, cap. 21 che dal primo discendono. 117 A Dioniso si devono la Corona, cap. 5 e gli Asini, cap. 11. 118 Ad Hermes si devono il Triangolo, cap. 20 e la Lepre, cap. 34. 119 Cf. cap. 43 pevmpto" de; ÔErmou', Stivlbwn, lampro;" kai; mikrov": tw'/ de; ÔErmh'/ ejdovqh dia; to; prw'ton aujto;n to;n diavkosmon oJrivsai tou' oujranou' kai; tw'n a[strwn ta;" tavxei" kai; ta;" w{ra" metrh'sai kai; ejpishmasiw'n kairou;" dei'xai. Cf. anche cap. 20. 120 Che lo rammenta per la Lira Phaen. vv. 268 sgg. e 674 sgg.
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ginale che è modello del territorio del Delta, rimandano esplicitamente al mondo egiziano. Infine diversa è l’origine di una costellazione che sale in cielo da sola, ma si tratta di una divinità, Dike, che torna alla sua casa: la Vergine, cap. 9; qui il testo però riprende l’interpretazione di Arato. Sappiamo che Eratostene invece, almeno nell’Erigone, identificava questa costellazione con la fanciulla omonima e costruiva in cielo un gruppo costituito da lei, il padre Icario, il loro cane e la coppa, come ci conferma Igino121. Infine sale in cielo da solo l’Ariete, cap. 19, che però è definito da subito immortale e quindi non appartiene al mondo umano122.
Citazioni letterarie Nella prima parte della trattazione di ciascuna costellazione, quella riservata all’identificazione della figura e alla sua origine mitica, accanto a tante fonti anonime123, che sono la maggioranza, come è nella tradizione antica, l’Epitome nomina spesso almeno un autore124, a volte anche più di uno125. Una sola autorità è citata non anonimamente invece nella parte catalogica, ed è grandissima e posteriore ad Eratostene: si tratta di Ippar-
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Cf. HYGIN., Astron. 2.25; 2.4. Cf. infra cap. 19, n. 162 e 168. 123 levgetai cap. 2; levgetai cap. 3; fasivn cap. 4; levgetai cap. 5; levgetai cap. 6; fasivn cap. 7; levgetai cap. 8; levgontai de; kai; e{teroi lovgoi peri; aujth'" plei'stoi cap. 9; levgontai cap. 10; etc. 124 Esiodo; Arato; Ferecide; Aglaostene, Nassicà; Epimenide, Creticà;, Aristotele, Sugli animali, Aristotele, Sulle Bestie (?); Euripide, Ione; Euripide, Frisso; Euripide, Andromeda; Euripide, Melanippe; Euripide, Alcesti; 2 Sofocle, Andromeda; Eschilo, Forcidi; Eschilo, Baccanti; Omero; Paniassi, Eraclea; Pisandro di Rodi; Museo; Cratino; Sositeo; Eraclide Pontico, Sulla giustizia; Artemidoro, Elegie su Eros; Ctesia; Eschine socratico, Ercole; Archelao, Nature particolari. Non sorprende che i più citati risultino Esiodo, Arato, Euripide. Non conservano citazioni di autori antichi: Inginocchiato, cap. 4; Serpentario, cap. 6; Scorpione, cap. 7; Gemelli, cap. 10; Pesci, cap. 20; Cane, cap. 33; Argo, cap. 35; Procione, cap. 42; Pianeti, cap. 43; Via Lattea, cap. 44. 125 È il caso di Orsa Maggiore, cap. 1; Orsa Minore, cap. 2; Vergine, cap. 9; Auriga, cap. 13; Toro; Cavallo, cap. 18; Ariete, cap. 19; Freccia, cap. 29. 122
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co di Nicea, ricordato per il suo apprezzamento della forma della figura della costellazione delle Pleiadi (cap. 23). Non è facile valutare in che misura l’epitomazione e le modifiche subite dall’originale abbiano influito su questo aspetto dell’opera, se e quante di queste citazioni si debbano veramente all’originale126. Il confronto con Igino, sia pure tenendo presente che quest’ultimo attinge anche a materiale posteriore ad Eratostene, può far pensare che l’originale ne citasse ancora di più127. Le fonti sono quasi sempre diverse128 per ogni costellazione: nel complesso ci viene offerto un insieme di tanti autori differenti, una ventina rispetto a una quarantina di costellazioni; si tratta di poeti celebri, testi talvolta per noi perduti: una ricchezza documentaria quale ci si può aspettare dal capo della biblioteca di Alessandria e dal dotto e raffinato poeta che sappiamo129: Omero (chiamato semplicemente il Poeta), Esio126 Visto che ce n’è qualcuna certamente posteriore a Eratostene: la citazione di Ipparco di Nicea, come si è detto, e probabilmente quella di un altrimenti ignoto Artemidoro, definito autore di elegie su Eros, menzionato a proposito del Delfino cap. 31, se si deve identificare, secondo l’ipotesi di PÀMIAS, Habis 2002, con il grammatico Artemidoro di Tarso del I sec. a.C. 127 Per quanto riguarda la citazione di fonti antiche nel libro secondo e nel terzo del De Astronomia, dovremmo poter valutare caso per caso, il che non è sempre possibile. È facile pensare che appartenessero all’originale eratostenico citazioni di opere come gli Argolica ricordati a propositio della Corona (Astron. 2, 5.2) o ancor più di Paniassi per l’Engonasi (Astron. 2.6), Aglaostene per il Delfino (Astron. 2.17), Amphis per l’Orsa Maggiore (Astron. 2.1), Ferecide e Museo per le Pleiadi (Astron. 21), Filisco per gli Asini (Astron. 2.23), cf. ROBERT 1848, 9-14 per il quale ragionevolmente risalgono all’originale tutte quelle citazioni che sono comuni ad Igino e Scoli a Germanico; non sarà dell’originale invece, per esempio, la citazione di Egesianatte di Alessandria, autore di Fenomeni, II a.C. (Engonasi, Astron. 6.2; Ofiuco, Astron.14.1). Che Igino avesse aggiunto molto meno di quanto sospettava Robert, pensa MARTIN 1956, 103. 128 Forse l’epitomatore ha scelto con cura in modo da ottenere questa varietà di fonti pur nella selezione? 129 La rarità e ricercatezza di alcune citazioni impressiona anche CAMERON 2004, 103-104, che però non considera questo aspetto come un argomento decisivo circa la possibile origine eratostenica del nostro testo; scrive infatti: “this erudition can go back to some well-informed Alexandrian scholar, possibly to an authentic work by the real Eratosthenes, though the-
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do, Ferecide, i grandi tragici, Eschilo (Forcidi e Baccanti), Sofocle (Andromeda), Euripide (Alcesti, Andromeda, Frisso, Melanippe), Cratino il comico, gli epici delle vicende di Ercole, Pisandro di Rodi e Paniassi di Alicarnasso, lo storico Ctesia, il mitico Museo. La citazione di opere come i Nassicà di Aglaostene o i Creticà di Epimenide bene si accorda con una preferenza per le versioni meno conosciute dei miti, legate a tradizioni locali e all’eziologia di cerimonie e culti che compare nel racconto di diversi catasterismi130 e che è così caratteristica della letteratura alessandrina. Il riferimento a scritti di filosofi come il dialogo Sulla Giustizia di Eraclide Pontico, l’Ercole di Antistene Socratico, lo scritto di Aristotele Sugli Animali non sorprende affatto in uno studioso di varia e poderosa formazione filosofica come Eratostene131, così come la menre is little solid evidence for this identification”. Da un certo punto di vista il suo giudizio mi sembra troppo positivo, quando afferma che è verosimile che tutti i testi citati avessero qualcosa a che fare con il catasterismo trattato (p. 104): non è sempre così; alcune risultano veramente citazioni secondo un uso di riferimenti eruditi “sistematici” che egli ha così bene descritto definendo quelli che chiama “Mythological Summaries and Companions”, una produzione letteraria di cui ha evidenziato in modo molto convincente il significato culturale e sociale nel mondo romano. Tuttavia in generale per quanto riguarda il nostro testo la sua valutazione come “a sort of mythological companion to Aratos” (CAMERON 2004, 62) è davvero riduttiva; sicuramente l’Epitome è stata concepita e ritagliata per servire come una specie di companion ad Arato, ma il materiale da cui essa proviene ha un’altra complessità rispetto a una raccolta mitografica. Si deve considerare che mescola alla mitografia conoscenze astronomiche, di cui Cameron non tiene conto. I molti punti in cui il testo dell’Epitome si contrappone ad Arato nelle interpretazioni delle singole costellazioni dimostra che non siamo di fronte a un compilatore di miti inesperto di astronomia, senza contare la parte catalogica e il suo stretto collegamento con quella mitografica. 130 Orsa Maggiore, cap. 1 (il nome di Arcade e il recinto sacro di Zeus Lykaios); Orsa Minore, cap. 2 (il nome di Cinosura); Boote, cap. 8 (il nome di Trapezunte); Ariete, cap. 19 (il nome Peone); Auriga, cap. 13 (sull’origine della processione delle Panatenee ad Atene). 131 Come è stato osservato (FRAZER 1970, 178-179) la scelta di Eratostene di studiare ad Atene (e il nome dei maestri che la tradizione ci ha conservato: Zenone, Arcesilao, Aristone di Chio, Bione), anziché alla più vicina e “alla moda” Alessandria, sembra dimostrare una chiara preferenza per studi di tipo filosofico anziché letterario erudito.
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zione dei contemporanei: il tragico Sositeo e naturalmente il poeta delle stelle Arato di Soli. A volte l’autore antico è ricordato per una precisa identificazione della costellazione e questo vale sempre nel caso delle citazioni da Arato. Ma altre volte, soprattutto da quello che si può vedere quando possiamo verificare la citazione nel suo contesto, vediamo che essa può servire anche semplicemente a dare informazioni sul mito cui è collegata la costellazione o addirittura su particolari del medesimo: non necessariamente dunque rimanda al racconto del catasterismo. Si ha l’impressione che molte fonti siano state scelte perché particolarmente autorevoli o celebri sul tema, oppure perché conservavano versioni rare e dotte del mito, comunque come un arricchimento erudito al testo, non perché trattavano della costellazione o del catasterismo. A proposito della costellazione dell’Auriga (cap. 13), Euripide è citato perché fornisce informazioni su chi era Eretteo; si rimanda all’Andromeda di Euripide perché spiega chi era Cefeo (cap. 15) e così all’Andromeda di Sofocle a proposito di Cassiopea (cap. 16); quanto ad Andromeda, la tragedia di Euripide è citata a conferma del carattere generoso di lei (cap. 17); di Paniassi e Pisandro (Cancro cap. 10 e Leone, cap. 12) si dice che raccontavano i due episodi della vita di Ercole da cui le due costellazioni avevano origine; di Artemidoro si dice che trattava del Delfino nella sua poesia (cap. 31); Eschine socratico conferma la dedizione di Ercole a Chirone di cui si parla nel mito dell’origine della costellazione del Centauro (Centauro, cap. 40). Del resto nei racconti pur così epitomati si conservano spesso particolari di valenza eziologica che hanno poco o niente a che fare con la costellazione, ma molto con il gusto letterario dell’autore e la sua epoca: l’origine di Arcade capostipite degli Arcadi (Orsa maggiore, cap. 1); l’origine del nome Hephaisteion ad Atene (Auriga cap. 13); l’origine del nome della sorgente Ippocrene sull’Elicona, (Cavallo cap. 18); l’origine di Peone, capostipite dei Peoni (Ariete, cap. 19); l’origine del nome Ellesponto (Ariete, cap. 19).
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Un caso in cui il legame della citazione del testo poetico con la costellazione e la sua origine è davvero esile è quello della Freccia (cap. 29). Troviamo il rimando ad una sola fonte, l’Alcesti di Euripide e il rimando si riferisce al fatto che Apollo era stato servo presso la casa di Admeto132. Visto che per spiegare questa costellazione si racconta dell’uccisione dei Ciclopi da parte del dio (adirato perché col fulmine da loro costruito Zeus gli aveva ucciso il figlio Asclepio) e degli Iperborei, presso i quali il dio aveva nascosto la freccia, e del loro tempio di piume e del ritorno della freccia stessa assieme a Demetra con le messi, ci aspetteremmo una qualche fonte più significativa rispetto a tutto questo materiale mitico. Così misero e marginale rispetto al catasterismo, il riferimento all’Alcesti, del quale possiamo controllare il contesto, in realtà niente altro ci dice se non che il dio aveva dovuto servire presso la casa di Admeto. E che dire di Esiodo, tirato in ballo a proposito della Vergine (cap. 9) solo per dirci che per lui era figlia di Zeus e Themis e si chiamava Dike? Questa genealogia è ricordata nella Teogonia133, dove Esiodo dice davvero soltanto questo e non parla di costellazioni. Arato riporta prima la versione di alcuni che la vogliono figlia di Astreo, antico padre delle stelle (o di qualcun altro), e poi dice che si tratta di Dike e il mito narrato si rifà a un altro passo del testo di Esiodo, quello del mito delle età; tuttavia in Esiodo ad andarsene dal mondo degli uomini per le ragioni per cui se ne va Dike in Arato sono Aidos e Nemesis. Quindi che senso ha citare la genealogia di Esiodo all’inizio? Siccome Astreo è figura presente nella Teogonia134 (e probabilmente proprio creazione esiodea) forse la citazione è un modo di rifiutare soltanto l’ipotesi di quelli che identificavano la costellazione con la figlia di Astreo (una delle tante, visto che era il padre di tutte le stelle), correggendo/completando Esiodo con Esiodo? Complicato appare anche il riferimento allo scritto Sugli 132
EURIP., Alc. 1-6. HESIOD., Theog. 902 sgg. 134 HESIOD., Theog. 378-382, dove non è parola di Dike. 133
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Animali di Aristotele, peraltro problematico perché non si ritrova nelle opere aristoteliche che abbiamo, unica citazione a proposito della costellazione della Lepre (cap. 34); questa fonte è ricordata per confermare il fatto che la lepre è il solo animale a poter portare avanti contemporaneamente gravidanze di età diverse, ma visto che nel presentare la costellazione ha detto che la lepre fu messa fra le stelle per la sua velocità, si resta davvero perplessi e ci si chiede cosa c’entri la fecondità dell’animale con la sua velocità di fuga; solo il confronto con il testo di Igino fa capire che il nostro è danneggiato e ha sofferto di epitomazione135: anche la fecondità era un fattore di onore per la lepre. Dunque la valutazione delle citazioni è resa difficile da molti motivi: la impossibilità a volte di leggere la citazione nel suo contesto, l’epitomazione e le varie vicende del testo che ci è pervenuto. Quello che è certo è che il fatto che si raccontino miti e che questi racconti siano corredati di citazioni letterarie dotte, secondo un gusto tanto diffuso in età ellenistica e romana136, ha contribuito alla fortuna del nostro testo, così come della variante latina di Igino, nonché di Germanico. La presenza della sezione del catalogo stellare, però, e certe precise caratteristiche “astronomiche” del mito ci ricordano che non siamo siamo di fronte ai resti di un semplice trattato mitografico, ma all’epitome di un lavoro in origine anche astronomico.
Il Cielo Può interessare il lettore sapere che nel suo insieme il cielo descritto dagli autori greci137, per le caratteristiche che pre135
Cf. cap. 34 e nota 290. Cf. CAMERON 2004. 137 Il primo a darne un quadro complessivo con le costellazioni fu probabilmente Eudosso di Cnido, IV sec. a.C., autore di Enoptron, lo Specchio e Fenomeni. 136
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senta risale come modello alla situazione celeste della fine del secondo millennio ed è un cielo osservato da una latitudine nord di 36° ca., che corrisponde alla Mesopotamia138. Dunque, anche se questa origine non si può sempre precisare per le singole costellazioni (ma lo si vede benissimo per parecchie), il disegno del nostro cielo è in gran parte un’eredità mesopotamica, viene dai Sumeri, dai Babilonesi e dagli Assiri. Inoltre le costellazioni trattate dall’Epitome sono quasi tutte le stesse che attraverso Tolomeo139 e gli arabi sono arrivate fino a noi. E parecchie delle identificazioni mitologiche che troviamo nell’Epitome sono quelle diventate canoniche ancora oggi: Callistò, il Serpente ucciso da Ercole, Ercole, il Cigno, i Gemelli Castore e Polluce. Eppure se lo vediamo più nei particolari, per quel poco che ci lascia capire, si tratta nel nostro caso di un cielo originale e che per tante cose (denominazione delle costellazioni, identificazioni delle medesime, astrotesie della singole stelle) non ha ancora la forma fissa e canonica che, grazie a Ipparco e poi Tolomeo avrà in futuro; presenta aspetti antichi, originali, a volte unici, a volte di scarso seguito nella tradizione. Possiamo affermare che esso ci conserva i resti di un catalogo stellare molto antico, perciò di particolare interesse. Come ha mostrato Simonetta Feraboli alcune caratteristiche suggeriscono un cielo arcaico, pre-ipparcheo e che si colloca bene geograficamente e culturalmente in ambiente alessandrino140. Annotazioni sulla visibilità perenne di alcune stelle di Boo138
Cf. SCHAEFER 2004. Claudio Tolomeo (100-175 d.C. ca), astronomo, geografo e astrologo; nella Syntaxis Mathematica, conosciuta anche attraverso gli Arabi come Almagesto, si vede dal catalogo stellare (1.2, 38-170 Heiberg), che le costellazioni sono le stesse, con poche differenze; a volte parti di una costellazione presentata come unica nell’Epitome sono considerate costellazioni singole, come il Serpente dell’Ofiuco, o la Bestia del Centauro, ma l’unica costellazione veramente nuova rispetto al nostro è quella che oggi chiamiamo Equuleus, Cavallino, che Tolomeo chiama ”Ippou Protomhv~ e per l’origine della quale Gemino (Elem. 3.8.5), rimanda a Ipparco. 140 FERABOLI 1993; ID. 1998, cui si fa più volte riferimento anche nelle note alle singole costellazioni. 139
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te, cap. 8 e Cefeo, cap. 16 rimandano a un cielo osservato non nella Grecia continentale, ma nel Mediterraneo meridionale. Ugualmente ad una latitudine più bassa della Grecia continentale conviene la menzione di Canopo (“la stella che si vede dall’Egitto” secondo Ipparco 1.2.6), con il suo appellativo Perigeios141, per altro non attestato altrove nella tradizione greca, e la presentazione di Argo e della Barca del Sagittario (l’attuale Corona Australe) come punti di riferimento per i naviganti. Alcune identificazioni di costellazioni caratteristiche dell’Epitome: il Fiume con il Nilo142, il Triangolo con il modello del Delta d’Egitto, rimandano all’Egitto; dunque si collegherebbero molto bene anche culturalmente con il mondo di Eratostene. Oltre al Nilo come il Fiume e il Delta dell’Egitto come modellato sul Triangolo, sono originali del nostro testo anche la Barca che sta ai piedi del Sagittario e la Chioma di Arianna al posto di quella di Berenice; e originali sono alcune iconografie, come si è visto: il Cavallo senza ali, il Sagittario con due gambe e coda equina. Quanto all’antichità del testo per quanto riguarda il nome delle costellazioni, si osserva che il Drago è chiamato Ophis anche nelle citazioni all’interno del testo, come lo chiama Eudosso, mentre in Arato è Dracon e questo è il nome che si è affermato fino a oggi. Alcune interpretazioni compaiono qui per la prima volta, come il Cigno per l’Uccello, Ercole per l’Inginocchiato; a volte quelle proposte nell’Epitome non hanno avuto grande seguito: l’Ofiuco come Asclepio, il Cavallo come Ippe, il Sagittario come Croto, il Fiume come Nilo. Originali sono anche alcune astrotesie143. È da notare che l’Epitome non tratta le Chele (la nostra Bi-
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Fiume, cap. 37 e Argo, cap. 35. Si tratta di uno dei pochi passi in cui è presente una difesa assertiva esplicita dell'identificazione (anche se non vengono forniti nessun mito di catasterizzazione e nessuna fonte si appoggio) e tale identificazione è ribadita, in modo eccezionale, nella parte catalogica. 143 FERABOLI 1993, 80-02; ID. 1998, 356, n. 41. 142
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lancia, Libra) dello Scorpione come costellazione a sé (cap. 7), ma ci lascia ancora pensare a uno zodiaco fatto di 11 figure; le Chele sono invece trattate come una costellazione a parte in Arato e sempre in seguito144. Soltanto l’Epitome usa l’aggettivo eJptavstero~ per le Pleiadi. Originale e senza confronti, come si è detto, è la Chioma di Arianna, al posto della Chioma di Berenice, la costellazione che si deve all’astronomo Conone, il quale la creò nel 246 a.C. in onore della regina Berenice, moglie di Tolomeo III Evergete. La singolare denominazione di Chioma di Arianna permette di ipotizzare che il silenzio sulla Chioma di Berenice sia intenzionale e che l’opera si collocasse, almeno nella sua ultima redazione, in un momento in cui tale silenzio trovava spiegazione nella situazione politica. Osserva Geus145 che nel 221 a.C. Tolomeo IV Filopatore aveva fatto uccidere la madre Berenice: una data di pubblicazione del nostro testo di poco posteriore a questa, per esempio, sarebbe comprensibile e compatibile col silenzio sulla Chioma di Berenice e con l’introduzione, al suo posto, della Chioma di Arianna. Il cielo di Eratostene, per come lo possiamo ricostruire dall’Epitome, ci è conservato al meglio, in molte delle sue caratteristiche più originali146, in un planisfero disegnato nel Codice NLW 735C f. 10v, conservato nella National Library del Galles147: 144
Cf. ARAT., Phaen. 545-549. GEUS 2002, 219. 146 Anche se non tutte; per esempio, la costellazione della Corona Australe che si trova ai piedi del Sagittario, non è rappresentata come Barca (Sagittario, cap. 28), ma come Corona; il Centauro non ha il tirso. 147 Il Codice, fatto conoscere e studiato da MCGURK 1976, è datato al 1.000 ca.; conserva la traduzione di Germanico dei Fenomeni di Arato e per ogni costellazione inserisce, su modello dell’edizione greca di Arato di riferimento, interrompendo il testo poetico, l’immagine della costellazione e un commento in prosa simile a quello da cui è nata l’Epitome (il contenuto corrisponde agli Scholia Basileensia, 55-104 Breysig); il Codice contiene anche il De Astronomia di Igino. Le illustrazioni di ogni costellazione sono a colori e portano l’indicazione delle stelle in rosso brillante. Il manoscritto contiene inoltre un planisfero ed emisferi che sono invece monocromi, sono tutti disegnati dalla stessa mano e presentano iconografie diverse da alcune delle 145
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– lo zodiaco non ha la Bilancia, ma ancora 11 figure, con solo un grandissimo Scorpione con enormi chele che copre appunto due segni dello zodiaco, come scrive il nostro testo (“Questa costellazione per la sua grandezza si divide fra due dei dodici segni zodiacali148: uno ha le chele, l’altro il corpo e la coda”); – il Cavallo non è Pegaso, secondo l’iconografia dominante, ma ancora un cavallo senz’ali, come si afferma nell’Epitome (Cavallo, cap. 18 “Di questo cavallo appare soltanto la parte anteriore fino all’ombelico… Altri affermano che è Pegaso, volato fra le stelle dopo la caduta di Bellerofonte. Ma siccome non ha le ali, ad alcuni questa spiegazione sembra incredibile. Euripide dice nella Melanippe che era Ippe…”); – il Sagittario ha due gambe e coda di cavallo come i Satiri (Sagittario, cap. 28 “Questo è l’Arciere (il Sagittario), che i più sostengono essere il Centauro; altri invece lo negano, perché nella figura non sono visibili le quattro zampe, ma si presenta in posizione stante e tira l’arco. E poi nessuno dei Centauri usa l’arco. Questo è un uomo che ha zampe e coda di cavallo, come i Satiri. Perciò sembra loro incredibile che si tratti di un Centauro e pare piuttosto sia Croto”); – la Vergine ha solo la Spiga in una mano e non tiene la bilancia nell’altra149 (Vergine, cap. 9 “… la stella posta sulla mano sinistra, luminosa, si chiama Spiga…”); – i Gemelli sono raffigurati uniti in un abbraccio, che simboleggia il loro reciproco amore, la ragione per cui secondo il mito dell’Epitome, Zeus li ha messi in cielo (Gemelli, cap. 10 “… superarono chiunque nel dare prova di amore fraterno. illustrazioni infratestuali. Nell’articolo di MCGURK 1976, 200 sgg. si leggono altri argomenti per l’origine antica del modello delle illustrazioni del planisfero e degli emisferi di NLW 735C. 148 Cf. cap. 7, n. 53. 149 Come a volte succede, per via del fatto che è Dike e che è accanto alla Bilancia, cf. anche qui NLW 735C, f.16r e nel palnisfero del Vat. Gr. 1087, fig. 5 (subito dopo il Leone); Arato non parlava di ali della Vergine (il v. 138 dei Fenomeni in cui si parla di un’ala della Vergine è sicuramente interpolato, come mostra il confronto con le traduzioni di Cicerone e Germanico); il catalogo dell’Epitome, invece, sì e anche in questa raffigurazione c’è almeno un’ala, come mi fa notare Jordi Pàmias.
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Infatti non vennero mai a contendere né per il potere né per altro. Zeus, volendo conservare memoria perpetua della loro capacità di condividere ogni cosa…”); – l’Aquila è ad ali spiegate (Aquila, cap. 30 “È rappresentata ad ali spiegate nell’atto di planare.”); – la nave Argo è esattamente come è descritta nell’Epitome, a metà, con i due remi di governo e l’albero (Argo, cap. 35 “Fra le stelle fu posta l’immagine non di tutta la nave, ma ci sono i manici del timone fino all’albero con i due remi di governo”); – il Fiume, non somiglia affatto alle posteriori raffigurazioni personificate dell’Eridano di Arato, è un vero fiume e scaturisce da una specie di massa di fango posta a sud, il che corrisponderebbe benissimo all’affermazione esclusiva del nostro testo dove, coloro che interpretano la costellazione come Nilo, lo fanno argomentando dal fatto che il Nilo è il solo fiume che nasce da sud e va verso nord (Fiume, cap. 37 “Altri sostengono molto giustamente che si tratti del Nilo; è il solo fiume infatti che nasce da sud.”); – il Corvo è sulla coda del Serpente, lontano dalla Coppa e non può bere (Idra, Cratere e Corvo, cap. 41 “Apollo rappresentò e pose fra le stelle il Serpente, il Cratere e il Corvo che non può né bere né avvicinarsi… Sulla coda del Serpente si trova anche il Corvo”); – gli Asini, che l’Epitome tratta insieme al Cancro, sono in effetti rappresentati sul carapace dell’animale (Cancro, cap. 11 “Il Cancro ha due stelle luminose sul carapace: sono gli Asini). – il Capricorno ha un inconfondibile muso da capra, come Egipan (Capricorno, cap. 27 “Questo personaggio come forma somiglia a Egipan… Ha le membra inferiori di pesce e le corna sulla testa”); Ercole ha naturalmente la pelle di leone e la clava.
Localizzazione e visibilità Le indicazioni di localizzazione sono in genere approssimative, fanno riferimento alla semplice vicinanza fra una costellazione e l’altra: per esempio il Serpente, cap. 3, si trova fra le due Orse; l’Ofiuco, cap. 6 si trova sopra lo Scorpione; sul dor-
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so del Toro si trovano le Pleiadi, cap. 23; il Triangolo, cap. 20, sta sopra la testa dell’Ariete; il Fiume, cap. 37 comincia dal piede sinistro di Orione. È un criterio che si ritrova anche nella parte catalogica: la Corona, cap. 5, ha nove stelle in cerchio: di queste tre sono brillanti e sono quelle situate di fronte alla testa del Serpente che sta in mezzo alle due Orse; al di sopra del Leone, cap. 12, si vedono anche sette stelle poco brillanti che formano un triangolo dalla parte della coda e che sono chiamate Chioma di Berenice Evergetide; il Cratere, cap. 41 dista abbastanza dalla curva dell’Idra e giace inclinato verso le ginocchia della Vergine. Soltanto Cefeo viene localizzata in modo più tecnico, dal punto di vista astronomico, cioè utilizzando i cerchi della sfera: i poli, il tropico150. Molte sono le notazioni di visibilità: l’Ofiuco, cap. 6 è ben visibile perché si trova al di sopra della costellazione più grande, lo Scorpione, e perché ha un disegno nitido; lo Scorpione, cap. 7 è grande e luminoso; il Leone, cap. 12 è una delle costellazioni meglio visibili e così il Toro, cap. 14; la testa della Gorgone e la falce di Perseo, cap. 22 si vedono senza stelle. A volte la visibilità viene collegata al mito e trova in esso la sua spiegazione: nelle Pleiadi, cap. 14 e cap. 23, una delle sette stelle è poco visibile e si tratta di quella che ha in sposo un mortale; del Cavallo, cap. 19 non è visibile la parte posteriore del corpo, affinché non si possa riconoscere che si tratta di una femmina e l’immagine è stata messa in cielo da Artemide in modo che non sia visibile a suo padre, il Centauro cap. 28, che infatti si trova nell’altro emisfero; l’Ariete, cap. 20 è poco visibile, perché ha abbandonato sulla terra il vello dorato. Il legame con le raffigurazioni si rivela essenziale anche nella parte catalogica. Per esempio, coerentemente con quanto affermato nel mito, del Cavallo non si elencano stelle sulle ali. Più in generale le oltre 700 stelle enumerate151 sono disposte sulle figure secondo astrotesie che a volte si rivelano origi150
Come succede sempre in Igino nel libro 3. Le hanno contate e catalogate cercando di identificarle tutte quante BRUNET e NADAL nella traduzione di CHARVET e ZUCKER 1998, 211-222. 151
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nali e senza confronti in Ipparco e Tolomeo: – la Vergine, cap. 9, ha una stella su entrambe le mani e i gomiti; – il Gemello primo, cap. 10, ha due stelle sulle mammelle; – Cassiopea, cap. 16 ha una stella su una mano152. Queste descrizioni dovevano essere in rapporto con le illustrazioni (o gli schemi) che l’autore aveva davanti153 e che erano diverse da quelle di Ipparco e Tolomeo. L’indicazione della luminosità delle singole stelle delle costellazioni costituisce una parte essenziale della parte catalogica, ma si tratta di indicazioni molto approssimative e con pochissima graduazione154: per lo più di una stella si dice che è lamprov ~ 155 o aj m aurov ~ 156. Qualche volta la luminosità è espressa in forma comparativa: nella costellazione di Ercole, cap. 4 la stella sulla mano sinistra è più luminosa di quella sulla destra, lamprovtero~, e nell’Ofiuco, cap. 6 è più brillante quella sul piede destro157. Mentre lamprovtato~, luminosissima, è detta Arturo di Boote, cap. 8, che in effetti con Sirio, Canopo e Rigil è una delle quattro più luminose del nostro cielo. Anche la grandezza è un criterio di descrizione distintivo: mevgisto", grandissima, è definita la stella sulla coda del Cigno, cap. 25 sicuramente Deneb, mentre ad altre stelle della 152
Sono osservazioni di FERABOLI 1998, 356. Per l’impatto ambivalente dell’illustrazione riguardo alla conoscenza delle stelle, cf. ZUCKER 2008. 154 Del resto solo con Tolomeo, che l’ha probabilmente mutuato da Ipparco, abbiamo un sistema di classificazione della luminosità delle stelle, in 6 livelli. 155 eujshmovtato" è detta una stella della Freccia, cap. 29 e faidrovtero~ è la stella sulla Chela sud dello Scorpione, oggi a Lyb. 156 Per la scarsa o nulla visibilità troviamo anche la falce di Perseo, cap. 22 detta a[nastro"; una delle Pleiadi, cap. 23 Merope è panafanhv"; cap. 28 Sagittario mh; deiknumevnwn o{lwn fanerw'n. 157 Queste notazioni di lateralità non sono molto frequenti nell’Epitome e risultano spesso contraddette da altri testi; tali ambiguità vengono messe in relazione alla conversione dell’immagine, quando si considerano i due diversi modi di rappresentare le costellazioni, con osservatore da sotto il cielo o da fuori la sfera celeste, ma cf. BAKHOUCHE 1997. 153
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stessa costellazione, una sulla testa e una sul collo è riservato il semplice lamprov~. Luminosità e grandezza sono criteri distiniti: solo Sirio, cap. 33 le merita tutte e due, e a ragione, essendo all’osservazione visiva la più luminosa e la più grande di tutte: mevga" d∆ ejsti; kai; lamprov". Una notazione sul colore della luce emessa è conservata per una stella della Lira, sicuramente Vega, cap. 24 (leuko;n kai; lamprovn). Secondo il nostro testo l’Aquila, cioè la sua stella più grande, Altair, ha luce rossa come Marte, cap. 43. Venere ha luce bianca, cap. 43. Il movimento della luce di Sirio, del Cane, cap. 33 darebbe il nome di “sirie” a un intero gruppo di stelle che lo hanno simile. Per quanto semplificate, queste osservazioni lasciano intravedere uno sforzo di catalogazione delle stelle sulla base della loro luminosità, grandezza, colore della luce e rimandano a un osservazione scientifica, attenta e sistematica, del cielo. Poche stelle vengono ricordate col proprio nome: Arturo in Boote, cap. 8; Spiga e Vendemmiatrice nella Vergine, cap. 9; Propo nei Gemelli, cap. 10; Asini nel Cancro, cap. 11; Capra e Capretti in Auriga cap. 13; Canopo, la seconda più luminosa di tutto il cielo, menzionata due volte, in Argo, cap. 35 e nel Fiume, cap. 37; Sirio nel Cane, cap. 33. In in genere si tratta di stelle molto conosciute per la grande visibilità, ma anche perché danno indicazioni sulle attività umane: Vendemmiatrice segnala il tempo della vendemmia, Capra e Capretti, Asini e Mangiatoia, le tempeste pericolose per i naviganti. Si può comunque verificare che tutte le stelle più visibili del nostro cielo sono riconoscibili nel testo158. Infine, a differenza di Arato, come è da aspettarsi, l’Epitome 158
Escluse Mimosa e Acrux della Croce del Sud, conosciuta in antico come la Corona che sta ai piedi del Sagittario, e nell’Epitome detta la Barca. Le prime venti secondo la magnitudine apparente sono: Sirio, Cane; Canopo, Carena; Arturo, Boote; Rigel Kentaurus, Centauro; Vega, Lira; Capella, Auriga; Rigel, Orione; Procione; Achernar, Eridano; Betelgeuse, Orione; Agena, Centauro; Altair, Aquila; Aldebaran, Toro; Antares, Scorpione; Spica,Vergine; Polluce, Gemelli; Fomalhaut, Pesce australe; Deneb, Cigno; Mimosa, Croce del Sud; Acrux, Croce del Sud.
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non dà spazio a cosa segnalino agli uomini le diverse costellazioni e stelle, salvo qualche osservazione sporadica; per esempio delle Pleiadi cap. 23 (cf. anche cap.14) si dice che sono fra le più conosciute, perché danno indicazioni sulle stagioni159.
159
Come esemplificava benissimo Arato, Phaen. 265-268.
Fig.1 - Planisfero, cod. NLW 735 C, f. 10v
Fig.2 - Costellazione di Ercole, cod. NLW 735 C, f. 13v
Fig.3 - Costellazione di Pegaso, cod. NLW 735 C, f. 20r
Fig.4 - Costellazione dell’Ariete, cod. NLW 735 C, f. 20v
Fig.5a - Planisfero con fascia dello zodiaco, cod. Vat. Gr. 1087, f. 310r
Fig.5b - Planisfero con fascia dello zodiaco, cod. Vat. Gr. 1087, f. 309v
Fig.6 - Costellazione di Ercole, cod. Vat. Gr. 1087, f. 305v
Fig.7 - Costellazioni di Pegaso e dell’Ariete, cod. Vat. Gr. 1087, f. 303v
“I Greci hanno riempito il cielo di miti”. Fabularis commentis Grai compleve¯re coelum. MARTIANUS CAPELLA, De Nuptiis, 8.817
Eratostene
Epitome dei Catasterismi
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1. “Arktou megavlh" Tauvthn ÔHsivodov" fhsi Lukavono" qugatevra ejn ∆Arkadiva/ oijkei'n, eJlevsqai de; meta; ∆Artevmido" th;n peri; ta;" qhvra" ajgwgh;n ejn toi'" o[resi poiei'sqai: fqarei'san de; uJpo; Dio;" ejmmei'nai lanqavnousan th;n qeovn: fwraqh'nai de; u{steron ejpivtokon h[dh ou\san ojfqei'san uJp∆ aujth'" louomevnhn: ejf∆ w|/ ojrgisqei'san th;n qeo;n ajpoqhriw'sai aujthvn: kai; ou{tw" tekei'n a[rkton genomevnhn to;n klhqevnta ∆Arkavda: ou\san d∆ ejn tw'/ o[rei qhreuqh'nai uJpo; aijpovlwn tinw'n kai; paradoqh'nai meta; tou' brevfou" tw'/ Lukavoni: meta; crovnon dev tina dovxai eijselqei'n eij" to; tou' Dio;" a[baton ªiJero;nº ajgnohvsasan to;n novmon: uJpo; de; tou' ijdivou uiJou' diwkomevnhn kai; tw'n ∆Arkavdwn, kai; ajnairei'sqai mevllousan dia; to;n eijrhmevnon novmon, oJ Zeu;" dia; th;n suggevneian aujth;n ejxeivleto kai; ejn toi'" a[stroi" aujth;n e[qhken: “Arkton de; aujth;n wjnovmase dia; to; sumbebhko;" aujth'/ suvmptwma. “Ecei de; ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" zV ajmaurouv", ejf∆ eJkatevrwn wjtivwn bV, ãejp∆à wjmoplatw'n lampro;n aV, ejpi; tou' sthvqou" ãaV, ejpi; tou' e[mprosqen podo;"à bV, ejpi; th'" rJavcew" lampro;n aV, ãejpi; th'" koiliva" lampro;n aV, ejpi; skevlesin ojpisqivoi" bV, ejp∆ a[krw/ tw'/ podi; bV, ejpi; th'" kevrkou gV: tou;" pavnta" kdV.
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1. Orsa Maggiore, Ursa Maior Costei, dice Esiodo1, era figlia di Licaone, viveva in Arcadia e aveva scelto dedicarsi a cacciare bestie selvagge fra le montagne al seguito di Artemide; violata da Zeus, rimase con la dea nascondendole la sua condizione; ma poi fu scoperta, quando stava ormai per partorire, perché Artemide la vide mentre faceva il bagno. Allora, la dea, adirata, la trasformò in fiera; e così, diventata un’orsa, partorì colui che è chiamato Arcade2. Mentre si trovava sulla montagna, l’orsa fu catturata da alcuni pastori e consegnata a Licaone insieme al suo piccolo. Qualche tempo dopo pare penetrasse nel recinto3 di Zeus, ignorando la legge che lo proibiva. Inseguita dal suo stesso figlio e dagli Arcadi4, stava ormai per essere uccisa a causa della legge suddetta, quando Zeus, in nome del figlio che avevano in comune, la sottrasse agli inseguitori e la collocò fra le stelle. E la chiamò Orsa per la sventura che le era toccato subire. Ha le seguenti stelle: sulla testa sette non luminose, su ciascuna delle orecchie due, sulle scapole una luminosa, una sul petto, sulla zampa anteriore due, una luminosa sulla schiena, una luminosa sul ventre, due sulle gambe posteriori, due sulla punta del piede, tre sulla coda; in tutto ventiquattro5.
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2. “Arktou mikra'" Au{th ejsti;n hJ mikra; kaloumevnh: proshgoreuvqh de; uJpo; tw'n pleivstwn Foinivkh: ejtimhvqh de; uJpo; th'" ∆Artevmido": ajgou'sa de; o{ti oJ Zeu;" aujth;n e[fqeiren, hjgrivwsen aujthvn: u{steron de; seswsmevnh/ levgetai dovxan aujth'/ periqei'nai ajntiqei'san e{teron ei[dwlon ejn toi'" a[stroi", w{ste dissa;" e[cein timav". ∆Aglaosqevnh" de; ejn toi'" Naxikoi'" fhsi trofo;n genevsqai tou' Dio;" Kunovsouran, ei\nai de; mivan tw'n ∆Idaivwn numfw'n: ajf∆ h|" ejn me;n th'/ povlei th'/ kaloumevnh/ ÔIstoi'" ªtou[noma tou'to h\nº, h}n oiJ peri; Nikovstraton e[ktisan, kai; to;n ejn aujth'/ ªde;º limevna kai; to;n ejp∆ aujth'/ tovpon Kunovsouran klhqh'nai. “Arato" de; aujth;n kalei' ÔElivkhn ejk Krhvth" ou\san: genevsqai de; Dio;" trofo;n kai; dia; tou'to ejn oujranoi'" timh'" ajxiwqh'nai. “Ecei de; ajstevra" ejpi; me;n eJkavsth" gwniva" tou' plinqivou lampro;n aV, ejpi; de; th'" kevrkou lamprou;" gV∑ tou;" pavnta" zV: uJpo; de; to;n e{teron tw'n hJgoumevnwn katwvterov" ejstin a[llo" ajsthvr, o}" kalei'tai Povlo", peri; o}n dokei' o{lo" oJ povlo~ strevfesqai.
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2. Orsa minore, Ursa Minor È quella che viene detta Orsa Minore; ma i più chiamano questa costellazione Fenice6; era molto cara ad Artemide, ma la dea, ignorando che era stato Zeus a farle violenza7, la trasformò in fiera; in seguito si racconta che a lei, messa in salvo, Artemide dette fama ponendone in cielo una seconda immagine di fronte alla prima, così che ne ricevesse doppio onore8. Invece Aglaostene nei Nassicà9 afferma che si tratta di Cinosura10, nutrice di Zeus, una delle ninfe dell’Ida. Nella città detta Istoi11, che fu fondata da Nicostrato12, sia il porto sia il luogo che la sovrasta hanno preso da lei il nome di Cinosura13. Arato14 poi la chiama Elìche15 e dice che era di Creta. Fu nutrice di Zeus e per questo le toccò l’onore di stare in cielo. Ha una stella luminosa su ogni angolo del quadrilatero16 e tre luminose sulla coda, in tutto sette. Sotto una delle due che guidano il movimento, c’è un’altra stella, rivolta più verso il basso, che si chiama Polo: intorno a lei sembra ruotare tutta la volta celeste17.
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3. “Ofew" Ou|tov" ejstin oJ mevga" te kai; di∆ ajmfotevrwn tw'n “Arktwn keivmeno": levgetai de; ei\nai oJ ta; cruvsea mh'la fulavsswn, uJpo; de; ÔHraklevou" ajnaireqeiv": w|/ kai; ejn toi'" a[stroi" tavxi" ejdovqh di∆ ”Hran, h} katevsthsen aujto;n ejpi; tai`" ÔEsperivsi fuvlaka tw'n mhvlwn: Ferekuvdh" gavr fhsin, o{te ejgamei'to hJ ”Hra uJpo; Diov", ferovntwn aujth'/ tw'n qew'n dw'ra th; n Gh' n ej l qei' n fev r ousan ta; cruv s ea mh' l a: ij d ou' s an de; th; n ”Hran qaumavsai kai; eijpei'n katafuteu'sai eij" to;n tw'n qew'n kh'pon, o}" h\n para; tw'/ “Atlanti: uJpo; de; tw'n ejkeivnou parqevnwn ajei; uJfairoumevnwn tw'n mhvlwn katevsthse fuvlaka to;n o[fin uJpermegevqh o[nta: mevgiston de; e[cei shmei'on: ejpivkeitai de; aujtw'/ ÔHraklevou" ei[dwlon, uJpovmnhma tou' ajgw'no" Dio;" qevnto" ejnargevstaton th'/ schmatopoiiva/. “Ecei de; ajstevra" ejpi; me;n th'" kefalh'" lamprou;" gV, ejpi; de; tou' swvmato" e{w" th'" kevrkou ibV paraplhsivou" ajllhvloi" diestw`ta" de; dia; tw'n “Arktwn: ãtou;" pavnta" ieVÃ.
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3. Serpente, Draco Questo è il Grande Serpente18, quello che si trova fra le due Orse. Si racconta che era il guardiano dei frutti d’oro e fu ucciso da Ercole19. Era gli dette anche un posto fra le stelle, lei che lo aveva messo a proteggere i frutti presso le Esperidi20. Ferecide21 infatti dice che in occasione del matrimonio di Era con Zeus, quando gli dèi le recarono doni, la Terra vi andò portando frutti d’oro22; Era li vide, li ammirò e decise che fossero piantati nel giardino degli dèi, che si trovava vicino ad Atlante. E siccome le figlie di lui continuamente rubavano i frutti, la dea vi mise a guardia il serpente che era enorme. È prova decisiva di questa identificazione il fatto che23 gli sta accanto l’immagine di Ercole: con questa disposizione delle figure Zeus voleva conservare nel modo più efficace il ricordo della lotta fra di loro. Ha tre stelle luminose sulla testa24, sul corpo fino alla coda dodici una vicina all’altra, che si trovano in mezzo25 alle due Orse; in tutto quindici.
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4. Tou' ejn govnasin Ou|to", fasivn, ÔHraklh'" ejstin oJ ej p i; tou' “Ofew" bebhkwv " : ej n ajgw'ni de; e{sthke tov te rJovpalon ajnatetakw;" kai; th;n leonth'n perieilhmevno": levgetai dev, o{te ejpi; ta; cruvsea mh'la ejporeuvqh, to;n o[fin to;n tetagmevnon fuvlaka ajnelei'n: h\n de; uJpo; ”Hra" di∆ aujto; tou'to tetagmevno" o{pw" ajntagwnivshtai tw'/ ÔHraklei': o{qen ejpitelesqevnto" tou' e[rgou meta; ãmegivstouà kinduvnou a[xion oJ Zeu;" krivna" to;n a\qlon mnhvmh" ejn toi'" a[stroi" e[qhke to; ei[dwlon: e[sti de; oJ me;n o[fi" metevwron e[cwn th;n kefalhvn, oJ d∆ ejpibebhkw;" aujtw'/ teqeikw;" to; e}n govnu, tw'/ d∆ eJtevrw/ podi; ejpi; th;n kefalh;n ejpibaivnwn, th;n de; dexia;n cei'ra ejkteivnwn, ejn h|/ to; rJovpalon, wJ" paivswn, th'/ d∆ eujwnuvmw/ ceiri; th;n leonth'n peribeblhmevno". “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" lampro;n aV, ãejpi;à bracivono" dexiou' lampro;n aV, ejf∆ eJkatevrwn w[mwn lampro;n aV, ãejpi; tou` ajgkw'no" tou ajristerou' aV, ejp∆à a[kra" ceiro;" aV, ejf∆ eJkatevra" lagovno" aV, lamprovteron de; to;n ejpi; th'" ajristera'", ãejpi;à dexiou' mhrou' bV, ejpi; govnato" kamph'" aV, ãejpi;à knhvmh" bV, ãejpi;Ã; podo;" aV, uJpe;r th;n dexia;n cei'ra aV, o}" kalei'tai ÔRovpalon, ejpi; th'" leonth'" dV: tou;" pavnta" iqV.
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4. Engonasi, Hercules Costui, dicono, è Ercole che sta sopra al Serpente26: sta combattendo, 27 brandisce la clava 28 e indossa la pelle di leone29. Si racconta che quando era alla ricerca delle mele d’oro, uccise il serpente che vi era stato messo come guardiano30; la dea Era gli aveva dato questo incarico, affinché si opponesse a Ercole31; perciò, quando l’eroe ebbe compiuto l’impresa correndo grandissimo32 rischio, Zeus ritenne il combattimento degno di essere ricordato e ne pose l’immagine33 fra le stelle. C’è da una parte il serpente con la testa sollevata, dall’altra Ercole su di lui: lo tiene sotto il suo ginocchio e con l’altro piede gli va sulla testa, protendendo la mano destra che brandisce la clava, come per colpirlo, la sinistra tiene avvolta la pelle di leone34. Ha le seguenti stelle: una luminosa sulla testa, una luminosa sul braccio destro, una luminosa su ciascuna spalla, una al gomito sinistro, una sulla punta della mano, una su ciascun fianco, più luminosa quella a sinistra, due sulla coscia destra, una sul ginocchio piegato35, due sul polpaccio, una sul piede, una al di sopra della mano destra, che viene chiamata la Clava36, quattro sulla pelle di leone. In tutto diciannove.
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5. Peri; tou' Stefavnou Ou|to" levgetai oJ th'" ∆Ariavdnh": Diovnuso" de; aujto;n eij" ta; a[stra e[qhken, o{te tou;" gavmou" oiJ qeoi; ejn th'/ kaloumevnh/ Diva/ ejpoivhsan: w|/ prw'tw/ hJ nuvmfh ejstefanwvsato par∆ ÔWrw'n labou'sa kai; ∆Afrodivth". ÔHfaivstou de; e[rgon ei\naiv fasin ejk crusou' purwvdou" kai; livqwn jIndikw'n: iJstorei'tai de; kai; dia; touvtou to;n Qhseva sesw`sqai ejk tou' laburivnqou, fevggo" poiou'nto". Fasi; kai; to;n plovkamon tauvth" ei\nai to;n fainovmenon uJpo; th;n kevrkon tou' Levonto". “Ecei de; ajstevra" oJ Stevfano" ejnneva kuvklw/ keimevnou", w|n eijsi lamproi; ãgVÃ oiJ kata; th;n kefalh;n tou' “Ofew" tou' dia; tw'n “Arktwn.
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5. Corona, Corona Borealis Si dice che questa sia la corona di Arianna37. Fu Dioniso38 a metterla fra le stelle, quando39 gli dèi celebrarono le sue nozze nell’isola detta Dia40; con questa corona, allora per la prima volta la sposa dette inizio all’usanza di incoronarsi41, avendola ricevuta in dono dalle Horai e da Afrodite42. Dicono fosse opera di Efesto: era fatta d’oro fiammeggiante e di pietre dell’India. Si racconta che fu ancora grazie a questa corona, per lo splendore che da essa emanava, che Teseo riuscì a mettersi in salvo fuori dal labirinto. Dicono che è di Arianna anche la chioma che appare sotto la coda del Leone43. La Corona ha nove stelle in cerchio: di queste tre44 sono luminose e sono quelle situate difronte alla testa del Serpente che sta in mezzo alle due Orse.
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6. ∆Ofiouvcou Ou| t ov " ej s tin oJ ej p i; tou' Skorpivou eJsthkwv", e[cwn ejn ajmfotevrai" cersi;n to;n o[fin: levgetai de; ei\nai ∆Asklhpiov", o}n Zeu;" carizovmeno" ∆Apovllwni eij" ta; a[stra ajnhvgagen: touvtou tevcnh/ ijatrikh'/ crwmevnou, wJ " kai; tou; " h[ d h teqnhkovta" ejgeivrein, ejn oi|" kai; ÔIppovluton / e[scaton ªto;n Qhsevw~º, kai; tw'n qew'n duscerw'" tou'to ferovntwn, eij aiJ timai; kataluqhvsontai aujtw'n thlikau'ta e[rga ∆Asklhpiou' ejpitelou'nto", levgetai to;n Diva ojrgisqevnta keraunobolh'sai th;n oijkivan aujtou', ei\ta dia; to;n ∆Apovllwna tou'ton eij" ta; a[stra ajnagagei'n: e[cei de; ejpifavneian iJkanh;n ejpi; tou' megivstou a[strou w[n, levgw dh; tou' Skorpivou, eujshvmw/ tw'/ tuvpw/ fainovmeno". “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" lampro;n aV, ejf∆ eJkatevrwn tw'n w[mwn lampro;n aV, ejpi; th'" ajristera'" ceiro;" gV, ejpi; th'" dexia'" dV, ejf∆ eJkatevrwn ijscivwn aV, ejf∆ eJkatevrwn gonavtwn aV: ãejpi; th'" dexia'" knhvmh" aV, ejf∆ eJkatevrw podi; aÃ, to;n ejpi; tou' dexiou' lamprovteron: tou;" pavnta" iz v: tou' de; “Ofew" ejp∆ a[kra" kefalh'" bV * * *
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6. Ofiuco, Ophiuchus Questo personaggio si trova al di sopra dello Scorpione45 e tiene un serpente con entrambe le mani46. Si dice che sia Asclepio47, che Zeus trasportò fra le stelle per compiacere Apollo48. Asclepio esercitava l’arte medica in modo tale da risvegliare perfino i morti, ultimo fra questi Ippolito49, e poiché gli dèi mal sopportavano ciò, nel timore che gli onori loro tributati venissero a finire, se Asclepio compiva imprese tanto grandi, si dice che Zeus, adirato, colpì la sua casa col fulmine, poi, a causa di Apollo, lo portò fra le stelle. Ha sufficiente visibilità trovandosi al di sopra della costellazione più grande, intendo quella dello Scorpione, ed essendo ben riconoscibile dal disegno. Ha una stella luminosa sulla testa, una luminosa su ciascuna spalla, sulla mano sinistra tre, sulla destra quattro, su ciascuna delle anche una e una su entrambi i ginocchi50, sul polpaccio destro una, una su ciascun piede, quella sul destro più luminosa51; in tutto diciassette. Sulla sommità della testa del serpente due52…
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7. Skorpivou Ou|to" dia; to; mevgeqo" eij" duvo dwdekathmovria diairei'tai: kai; to; me;n ejpevcousin aiJ chlaiv, qavteron de; to; sw'ma kai; to; kevntron. Tou'ton fasivn, ejpoivhsen “Artemi" ajnadoqh'nai ãejkà th' " kolwv n h" th' " Civ o u nhv s ou, kai; to;n ∆Wrivwna plh'xai, kai; ou{tw" ajpoqanei'n, ejpeidh; ejn kunhgesivw/ ajkovsmw" aujth;n ejbiavsato: o}n Zeu;" ejn toi'" lamproi'" e[qhke tw'n a[strwn, i{n∆ eijdw'sin oiJ ejpiginovmenoi a[nqrwpoi th;n ijscuvn te aujtou' kai; th;n duvnamin. “Ecei de; ajstevra" ejf∆ eJkatevra" chlh'" bV, w|n eijsin oiJ me;n prw'toi megavloi, oiJ de; deuvteroi ajmauroiv, ejpi; de; tou' metwvpou ãgV, w|n oJ mevso" lamprovtato", ejpi; th'" rJac v ew"à lamprou;" gV, ejpi; th'" koiliva" bV, ejpi; th'" kevrkou eV, ejpi; tou' kevntrou bV: prohgei'tai me;n ejn aujtoi'" pavntwn faidrovtero" w]n oJ ejpi; th'" boreiva" chlh'" lampro;" ajsthvr: ãtou;" pavnta" iq∆Ã.
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7. Scorpione, Scorpio Questa costellazione per la sua grandezza si divide fra due dei dodici segni zodiacali53: uno ha le chele, l’altro il corpo e la coda. Dicono che Artemide lo fece sorgere da un’altura sull’isola di Chio54 e il mostro punse Orione e così lo uccise55, perché contro ogni decenza aveva cercato di violare la dea durante una battuta di caccia56. Zeus lo pose fra le costellazioni brillanti, affinché gli uomini futuri potessero vedere la sua forza e la sua potenza. Ha due stelle su ciascuna delle chele, di cui le prime sono più grandi, le seconde poco luminose, sulla fronte tre, quella di mezzo luminosissima57, sul dorso tre luminose, due sul ventre, cinque sulla coda e due sul pungiglione. Le precede la più splendente di tutte, quella che si trova sulla chela rivolta a nord58. In tutto diciannove.
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8. ∆Arktofuvlako" Peri; touvtou levgetai o{ti ∆Arkav" ejstin oJ Kallistou'" kai; Dio;" gegonwv", o}n katakovya" Lukavwn, ejxevnise to;n Diva paraqei;" ejpi; travpezan: o{qen ejkeivnhn me;n ajnatrevpei, ajf∆ ou| hJ Trapezou'" kalei'tai povli": th;n de; oijkivan aujtou' keraunoi' th'" wjmovthto" aujto;n musacqeiv": to;n de; ∆Arkavda pavlin sumplavsa", e[qhken a[rtion kai; ejn toi'" a[stroi" ajnhvgagen. “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; me;n th'" dexia'" ceiro;" dV, oi} ouj duvnousin, ejpi; de; th'" kefalh'" lampro;n aV, ejf∆ eJkatevrwn tw'n w[mwn lampro;n aV, ejpi; tw'n mastw'n eJkatevrwn aV, lampro;n to;n ejpi; tou' dexiou' kai; uJp∆ aujto;n aV ajmaurovn, kai; ejpi; tou' ãdexiou'Ã ajgkw'no" aV lamprovn, ajna; mevson tw'n gonavtwn aV lamprovtaton, o}" dh; ∆Arktou'ro" kalei'tai, ejf∆ eJkatevrw/ podi; lampro;n aV: ãtou;" pavnta" idVÃ.
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8. Guardiano dell’Orsa, Bootes Di costui si dice che sia Arcade59, il figlio di Callistò e di Zeus60; Licaone lo fece a pezzi e ospitò Zeus servendoglielo in tavola. Donde Zeus rovesciò la tavola e da qui viene il nome della città di Trapezunte61; il dio colpì la casa di Licaone col fulmine, adirato per la sua crudeltà;62 e riplasmato Arcade, gli restituì il corpo intero e lo portò fra le stelle63. Ha quattro stelle sul braccio destro64 che non tramontano, sulla testa una luminosa, su ciascuna spalla una luminosa, una su ciascuna mammella, luminosa quella di destra e sotto questa una poco luminosa e sul gomito destro una luminosa, e tra le ginocchia una luminosissima, che è chiamata Arturo65, una luminosa su ciascun piede. In tutto quattordici.
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9. Parqevnou Tauvthn ÔHsivodo" ejn Qeogoniva/ ei[rhke qugatevra Dio;" kai; Qevmido", kalei'sqai de; aujth;n Divkhn: levgei de; kai; “Arato" para; touvtou labw;n th;n iJstorivan wJ" ou\sa provteron aj q av n ato" kai; ej p i; th' " gh'" su;n toi'" ajnqrwvpoi" h\n kai; o{ti Divkhn aujth;n ejkavloun: metastav n twn de; auj t w' n kai; mhkev t i to; div k aion sunthrouvntwn, oujkevti su;n aujtoi'" h\n, ajll∆ eij" ta; o[rh uJpecwvrei: ei\ta stavsewn kai; polevmwn aujtoi'" o[ntwn ªdia;º th;n pantelh' aujtw'n ajdikivan ajpomishvsasan eij" to;n oujrano;n ajnelqei'n. levgontai de; kai; e{teroi lovgoi peri; aujth'" plei'stoi: oiJ me;n ga;r aujthvn fasin ei\nai Dhvmhtra dia; to; e[cein stavcun, oiJ de; “Isin, oiJ de; ∆Atargavtin, oiJ de; Tuvchn, dio; kai; ajkevfalon aujth;n schmativzousin. “Ecei de; ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" aV ajmaurovn, ãejf∆à eJkatevrw/ w[mw/ aV, ãejpi;à ptevrugi eJkatevra/ bV, oJ d∆ ejn th'/ dexia'/ ptevrugi ãejpi;à tou' te w[mou kai; tou' a[krou th'" ptevrugo" Protrughth;r kalei'tai, ãejp∆à ajgkw'no" eJkatevrou aV, ãejpi;à ceiro;" a[kra" eJkatevra" aV, oJ d∆ ejpi; th'" eujwnuvmou lampro;" kalei'tai Stavcu", ejpi; th'" pevzh" tou' citw'no" ãıVÃ, ªajmauro;n aVº, ejf∆ eJkatevrou podo;" aV: oiJ pavnte" iq v.
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9. Vergine, Virgo Di lei racconta Esiodo, nella Teogonia66, che era figlia di Zeus e di Themis ed era chiamata Dike. Anche Arato racconta la sua storia, riprendendola da Esiodo: dapprima, pur essendo immortale, dimorava sulla terra in mezzo agli uomini ed essi la chiamavano Dike67. Ma siccome gli uomini cambiarono e non rispettarono più la giustizia, ella non restò più insieme a loro e si rifugiò sulle montagne. In seguito, quando gli uomini caddero preda di lotte intestine e guerre, detestando la loro totale mancanza di giustizia, Dike salì in cielo68. Ci sono su questa costellazione anche moltissime altre storie69; alcuni sostengono infatti che sia Demetra, perché ha una spiga, altri Iside, altri Atargati, altri Tyche e per quest’ultimo motivo la rappresentano anche senza testa70. Ha le seguenti stelle: sulla testa una poco luminosa, una su ciascuna spalla, due su ciascuna ala, quella posta sull’ala destra, tra la spalla e la punta dell’ala, si chiama Vendemmiatrice71, una su ogni gomito, una sull’estremità di ciascuna mano72, quella posta sulla mano sinistra, luminosa, si chiama Spiga73, sei74 sono poste sul bordo della sua veste, una su ciascun piede. In tutto diciannove.
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10. Diduvmwn Ou|toi levgontai Diovskouroi ei\nai: ejn de; th'/ Lakwnikh'/ trafevnte" ejpifavneian e[ s con, filadelfiv a / de; uJ p erhv negkan pavnta": ou[te ga;r peri; ajrch'" ou[te peri; a[llou tino;" h[risan: mnhvmhn de; aujtw'n Zeu;" qevsqai boulovmeno" th'" koinovthto", Diduvmou" ojnomavsa" eij" to; aujto; ajmfotevrou" e[sthsen ejn toi'" a[stroi". “Ecousi de; ajstevra" oJ me;n ejpocouvmeno" tou' Karkivnou ãejpi;à th'" kefalh'" ãaV lamprovn, ejp∆ w[mou eJkatevrou aV lamprovn, ejf∆à eJkatevrw/ govnati aV, ãtou;" pavnta" eVÃ: oJ d∆ ejcovmeno" e[cei ejpi; th'" kefalh'" aV lamprovn, ãejp∆à ajristerw'/ w[mw/ lampro;n aV, ejpi; mastw'/ eJkatevrw/ aV, ãejp∆à ajristerou' ajgkw'no" aV, ãejp∆à a[kra" ceiro;" aV, ãejp∆à ajristerw'/ govnati aV, ãejf∆à eJkatevrw/ podi; aV, uJpo; to;n ajristero;n povda aV, o}" kalei'tai Provpou": ãtou;" pavnta" iVÃ.
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10. Gemelli, Gemini Si dice che costoro siano i Dioscuri75. Cresciuti in Laconia, acquistarono grande fama e superarono chiunque nel dare prova di amore fraterno. Infatti non vennero mai a contendere né per il potere né per altro76. Zeus, volendo conservare memoria della loro capacità di condividere ogni cosa77, li chiamò Gemelli78 e li pose entrambi nello stesso punto fra le stelle. Hanno le stelle seguenti: quello dei due che sta sopra il Cancro ha sulla testa una luminosa, una luminosa su ciascuna spalla, una su ciascun ginocchio, in tutto cinque; il gemello che gli sta accanto ha una stella luminosa sulla testa, una luminosa sulla spalla sinistra, una su ciascuna mammella79, una sul gomito sinistro, una sulla punta della mano, una sul ginocchio sinistro, una su ciascun piede, sotto il piede sinistro una, che è chiamata Propo80, in tutto dieci.
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11. Karkivnou Ou|to" dokei' ejn toi'" a[stroi" teqh'nai di∆ ”Hran, o{ti movno" ÔHraklei' tw'n a[llwn summacouvntwn o{te th;n u{dran ajnhv/rei, ejk th'" livmnh" ejkphdhvsa" e[daken aujtou' to;n povda, kaqavper fhsi; Panuvasi" ejn ÔHrakleiva/: qumwqei;" d∆ oJ ÔHraklh' " dokei' tw' / podi; sunqlav s ai auj t ovn , o{qen megavlh" timh'" tetuvchke katariqmouvmeno" ejn toi'" ibV zw/divoi". Kalou'ntai dev tine" aujtw'n ajstevre" “Onoi, ou}" Diovnuso" ajnhvgagen eij" ta; a[stra. e[sti de; aujtoi'" kai; Favtnh paravshmon: hJ de; touvtwn iJstoriva au{th: ”Ote ejpi; Givganta" ejstrateuvonto oiJ qeoiv, levgetai Diovnuson kai; ”Hfaiston kai; Satuvrou" ejpi; o[nwn poreuvesqai: ou[pw de; eJwramevnwn aujtoi'" tw'n Gigavntwn plhsivon o[nte" wjgkhvqhsan oiJ o[noi, oiJ de; Givgante" ajkouvsante" th;~ fwnh`~ e[fugon: dio; ejtimhvqhsan ejn tw'/ Karkivnw/ ei\nai ejpi; dusmav". “Ecei de; oJ Karkivno" ejpi; tou' ojstravkou ajstevra" lamprou;" bV∑ ou|toiv eijsin oiJ “Onoi: to; de; nefevliovn ejstin hJ ejn aujtw'/ oJrwmevnh Favtnh, par∆ h|/ dokou'sin eJstavnai: ejpi; toi'" dexioi'" posi;n ejf∆ eJkavstw/ aV lamprovn, ejpi; de; toi'" ajristeroi'" tou' prwvtou bV lamprou;" kai; ejpi; tou' deutevrou ãbVÃ, kai; ejpi; tou' trivtou ãaVÃ, oJmoivw" ejp∆ a[kra" tou' tetavrtou ãaVÃ, ejpi; tou' stovmato" ãaVà kai; ejpi; th'" chlh'" th'" dexia'" gV, oJmoivou" ãoujà megavlou" ejpi; th'" ajristera'" chlh'" ãbVÃ: oiJ pavnte" ihV.
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11. Cancro, Cancer Questo sembra che sia stata Era a metterlo fra le stelle, perché lui solo81, mentre gli altri82 accorsero in aiuto ad Ercole quando uccise l’Idra83, emergendo dalla palude84, lo morse al piede, come racconta Paniassi nell’Eraclea85. E pare che Ercole, adirato, lo schiacciasse col piede. Per questa ragione ottenne il grande onore di essere enumerato fra i dodici segni dello zodiaco86. Alcune di queste stelle prendono il nome di Asini, quelli che Dioniso portò fra le costellazioni. Hanno anche accanto la Mangiatoia come segno di riconoscimento. La loro storia è questa. Al tempo in cui gli dèi andarono in guerra contro i Giganti, si racconta che Dioniso, Efesto e Satiri87 marciavano su degli asini; quando erano ormai vicini ai Giganti, anche se non riuscivano ancora a vederli, gli asini si misero a ragliare e i Giganti, all’udire quel suono, fuggirono88. Per questo motivo gli asini ebbero l’onore di stare nella costellazione del Cancro verso ovest89. Il Cancro ha due stelle luminose sul carapace: sono gli Asini. L’ammasso nebuloso90 visibile al centro del Cancro è la Mangiatoia e sembra che gli Asini stiano in piedi accanto ad essa. Il Cancro ha una stella luminosa su ciascuna91 delle zampe di destra, due luminose sulla prima zampa di sinistra, due sulla seconda, una sulla terza e ugualmente una sull’estremità della quarta, una sulla bocca e tre sulla pinza destra, due uguali non grandi sulla pinza sinistra. In tutto diciotto.
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12. Levonto" Ou| t ov " ej s ti me; n tw' n ej p ifanw'n a[strwn: dokei' d∆ uJpo; Dio;" timhqh'nai tou'to to; zwvdion dia; to; tw'n tetrapovdwn hJgei'sqai. tine;" dev fasin o{ti ÔHraklevou" prw'to" a\qlo" h\n eij" to; mnhmoneuqh'nai: filodoxw'n ga;r movnon tou'ton oujc o{ploi" ajnei'len, ajlla; sumplakei;" ajpevpnixen: levgei de; peri; aujtou' Peivsandro" oJ ÔRovdio": o{qen kai; th;n dora;n aujtou' e[cein, wJ" e[ndoxon e[rgon pepoihkwv". ou|tov" ejstin oJ ejn th'/ Nemeva/ uJp∆ aujtou' foneuqeiv". “Ecei de; ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" gV, ejpi; tou' sthvqou~ ãaV lampro;n, uJpo; to; sth'qo"Ã bV, ejpi; tou' dexiou' podo;" ªlampro;nº aV, ejpi; mevsh" ãth'" koiliva"Ã aV, uJpo; th;n koilivan aV, ejpi; tou' ijscivou aV, ejpi; tou' ojpisqivou govnato" aV, ãejpi;Ã podo;" a[krou lampro;n aV, ejpi; tou' trachvlou bV, ejpi; th'" rJavcew" gV, ejpi; mevsh" th'" kevrkou aV, ejp∆ a[kra" lampro;n aV, ªejpi; th'" koiliva" aVº: ãtou;" pavnta" iqVÃ. oJrw'ntai de; kai; uJpe;r aujto;n ejn trigwvnw/ kata; th;n kevrkon ajmauroi; eJptav, oi} kalou'ntai Plovkamo" Berenivkh" Eujergevtido".
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12. Leone, Leo Questa è una delle costellazioni meglio visibili92. Sembra che questo segno zodiacale sia stato onorato da Zeus perché è il capo dei quadrupedi93. Alcuni affermano che si tratta della prima fatica di Ercole94, messa in cielo perché se ne serbi memoria. Soltanto questo animale infatti fu da lui ucciso senza l’aiuto di armi, per amore di gloria: lo cinse con le sue braccia e lo soffocò. Parla di questo Pisandro di Rodi95. Viene da qui anche il fatto che Ercole indossa la pelle di leone, come segno della gloriosa impresa compiuta96; è il leone che uccise a Nemea. Ha le stelle seguenti: tre sulla testa, una sul petto luminosa97, sotto il petto due, una sul piede destro98, una sul ventre in mezzo, una sotto il ventre, una sull’anca, una sul ginocchio posteriore, una luminosa sulla punta del piede, due sul collo, tre sul dorso, una nel mezzo della coda e una luminosa sulla punta della coda99. In tutto diciannove. Al di sopra del Leone si vedono anche sette stelle poco luminose100, disposte in forma di triangolo dalla parte della coda, che sono chiamate La Chioma di Berenice Evergetide101.
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13. ÔHniovcou Tou'ton levgousin o{ti oJ Zeu;" ijdw;n prw'ton ejn ajnqrwvpoi" a{rma zeuvxanta i{ppwn, o{" ejstin ∆Ericqovnio" ejx ÔHfaivstou kai; Gh'" genovmeno", kai; qaumavsa" o{ti th'/ tou' ÔHlivou ajntivmimon ejpoihvsato difreivan uJpozeuv x a" i{ p pou" leukou; " , prw' t ov ~ te ∆Aqhna'/ pomph;n h[gagen ejn ajkropovlei, kai; ejpoihvsato pro;" touvtoi" ejpifanh' th;n qusivan aujth'" ãto; xovanonà semnuvnwn ãajnhvgagen eij" ta; a[straÃ. levgei de; kai; Eujripivdh" peri; th'" genevsew" aujtou' to;n trovpon tou'ton: ”Hfaiston ejrasqevnta ∆Aqhna'" bouvlesqai aujth'/ migh'nai, th'" de; ajpostrefomevnh" kai; th;n parqenivan ma'llon aiJroumevnh" e[n tini tovpw/ th'" ∆Attikh'" kruvptesqai, o} n lev g ousi kai; aj p ∆ ej k eiv n ou prosagoreuqh' n ai ÔHfaistei'on: o}" dovxa" aujth;n krathvsein kai; ejpiqevmeno" plhgei;" uJp∆ aujth'" tw'/ dovrati ajfh'ke th;n ejpiqumivan, feromevnh" eij" th;n gh'n th'" spora'": ejx h|" gegenh'sqai levgousi pai'da, o}" ejk touvtou ∆Ericqovnio" ejklhvqh, kai; aujxhqei;" tou'q∆ eu|re kai; ejqaumavsqh ajgwnisth;" genovmeno": h[gage d∆ ejpimelw'" ta; Panaqhvnaia kai; a{rma hJniovcei e[cwn parabavthn ajspivdion e[conta kai; trilofivan ejpi; th'" kefalh'": ajp∆ ejkeivnou de; kata; mivmhsin oJ kalouvmeno" ajpobavth". ∆Eschmavtistai d∆ ejn touvtw/ hJ Ai]x kai; oiJ “Erifoi. Mousai'o" gavr fhsi Diva gennwvmenon ejgceirisqh'nai uJpo; ÔReva" Qevmidi, Qevmin de; ∆Amalqeiva/ dou'nai to; brevfo", th;n de; e[cousan ai\ga uJpoqei'nai, th;n d∆ ejkqrevyai Diva: th;n de; Ai\ga ei\nai ÔHlivou qugatevra fobera;n ou{tw" w{ste tou;" kata; Krovnon qeouv", bdeluttomevnou" th;n morfh;n th'" paidov", ajxiw'sai ãth;nà Gh'n kruvyai aujth;n e[n tini tw'n kata; Krhvthn a[ntrwn: kai; ajpokruyamevnhn ejpimevleian aujth'" th'/ ∆Amalqeiva/ ejgceirivsai, th;n de; tw'/ ejkeivnh" gavlakti to;n Diva ejkqrevyai: ejlqovnto" de; tou' paido;" eij" hJlikivan kai; mevllonto" Tita'si polemei'n, oujk e[conto" de; o{pla, qespisqh'nai aujtw'/ th'" aijgo;" th'/ dora'/ o{plw/ crhvsasqai diav te to; a[trwton aujth'" kai; fobero;n kai; dia; to; eij" mevshn th;n rJavcin Gorgovno" provswpon e[cein: poihvsanto" de; tau'ta tou' Dio;" kai; th'/
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13. Auriga, Auriga Dicono che costui rappresenti l’uomo che Zeus vide aggiogare per la prima volta dei cavalli a un carro, cioè Erittonio102 nato da Efesto e dalla Terra, e che il dio, ammirato da come, avendo aggiogato cavalli bianchi103, aveva guidato il carro alla pari di Helios104 e dal fatto che per la prima volta aveva condotto sull’Acropoli una processione in onore di Atena e aveva isituito105 inoltre il sacrificio solenne per la dea con l’adorazione della statua in legno106 di lei, lo portò fra le stelle107. Anche Euripide108 racconta della sua nascita nel modo seguente. Efesto, innamorato di Atena, voleva unirsi a lei, ma poiché la dea lo respinse e preferì conservare la propria verginità, eglì andò a nascondersi in un luogo dell’Attica che da lui, si dice, prese il nome di Hephaisteion. Il dio aveva creduto di poterla vincere e, mentre l’aggrediva, fu ferito dalla lancia della dea: il desiderio d’amore cessò e il suo seme si sparse a terra. Ne nacque, dicono, un bambino che, per la vicenda, fu chiamato Erittonio109 e da grande inventò il carro e fu molto ammirato nelle gare. Conduceva la corsa delle Panatenee con abilità e guidava il carro tenendo al suo fianco110 un accompagnatore che portava un piccolo scudo e un elmo a tre punte sul capo. È su imitazione di costui che è sorto il cosiddetto apobates111. In questa costellazione è anche raffigurata la Capra con i Capretti. Museo112 racconta infatti che Zeus, appena nato, fu affidato da Rea alle mani di Themis e da costei il neonato fu consegnato ad Amaltea113, la quale, possedendo una capra, ce lo mise sotto ed essa gli fu nutrice. Questa Capra114 era figlia di Helios, così orrenda che gli dèi del tempo di Crono, schifati dalla bruttezza della creatura, pregarono la Terra di nasconderla in una delle caverne di Creta. La Terra la nascose e ne affidò la cura ad Amaltea: con il latte di lei Amaltea nutrì Zeus. Giunto il bambino all’età di giovane uomo e pronto a combattere contro i Titani115, poiché non aveva armi, un oracolo gli consigliò di servirsi della pelle della capra come arma, perché invincibile e terrificante e perché aveva nel mezzo della schiena il volto della Gorgone. Zeus così fece116 e grazie a questo stratagemma apparve grande il doppio e avvolse le
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tevcnh/ fanevnto" diplasivono", ta; ojsta' de; th'" aijgo;" kaluvyanto" a[llh/ dora'/ kai; e[myucon aujth;n kai; ajqavnaton kataskeuavsanto", aujth;n mevn fasin a[stron oujravnion ªkataskeuavsaiº * * * Tine;" dev fasi Murtivlon ojnovmati to;n ãtw`/ OijnomavwÃ/ hJnivocon ei\nai to;n ejx ÔErmou' gegonovta. “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" aV, kai; ejf∆ eJkatevrwn tw'n w[mwn aV, w|n to;n me;n ejpi; tou' ajristerou' lamprovn, o}" kalei'tai Ai[x, ejf∆ eJkatevrou ajgkw'no" aV, ãejpi; dexia'" ceiro;" aV, ejp∆à ajristera'" ceiro;" bV, oi} dh; kalou'ntai “Erifoi: tou;" pavnta" hV.
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ossa della capra con un’altra pelle, le dette vita117 e la rese immortale. Dicono che lei una stella del cielo…118. Alcuni affermano che la costellazione rappresenta Mirtilo119, si chiamava così, auriga di Enomao, figlio di Ermes. Ha una stella sulla testa e una su ciascuna spalla, quella sulla spalla sinistra luminosa, è chiamata Capra120, una su ciascun gomito, una sulla mano destra, sulla mano sinistra due, chiamate Capretti121. In tutto otto.
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14. Tauvrou Ou| t o" lev g etai ej n toi' " a[ s troi" teqh' n ai dia; to; Eujrwvphn ajgagei'n ejk Foinivkh" eij" Krhvthn dia; tou' pelavgou", wJ " Euj r ipiv d h" fhsi; n ej n tw' / Frivxw/: cavrin de; touvtou ejn toi'" ejpifanestavtoi" ejsti;n uJpo; Dio;" timhqeiv". e{teroi dev fasi bou'n ei\nai th'" ∆Iou'" mivmhma: cavrin de; ejkeivnh" uJpo; Dio;" ejtimhvqh ªto; a[stronº. Tou' de; Tauvrou to; mevtwpon su;n tw'/ proswvpw/ aiJ ÔUavde" kalouvmenai perievcousin: pro;" de; th'/ ajpotomh'/ th'" rJavcew" hJ Pleiav" ejstin ajstevra" e[cousa eJptav, dio; kai; eJptavstero" kalei'tai: oujc oJrw'ntai de; eij mh; e{x, oJ de; e{bdomo" ajmaurov" ejsti sfovdra. “Ecei d∆ oJ Tau'ro" ajstevra" zVãejpi; th'" kefalh'"Ã: o}" dh; uJpenantiva e{rpei kaq∆ eJauto;n e[cwn th;n kefalhvn, ejf∆ eJkatevrwn de; tw'n keravtwn ejpi; th'" ejkfuvsew" aV, w|n lamprovtero" oJ ejpi; th'" ajristera'", ejf∆ eJkatevrwn tw'n ojfqalmw'n aV, ejpi; tou' mukth'ro" aV, ejf∆ eJkatevrwn tw'n w[mwn aV: ou|toi ÔUavde" levgontai: ejpi; de; tou' ajristerou' govnato" tou' ejmprosqivou aV, ejpi; tw'n chlw'n bV, ejpi; tou' dexiou' govnato" aV, ejpi; tou' trachvlou bV, ejpi; th'" rJac v ew" gV, to;n e[scaton lamprovn, uJpo; th;n koilivan aV, ejpi; tou' sthvqou" lampro;n aV: tou;" pavnta" ihV.
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14. Toro, Taurus Si dice che fu posto fra le stelle per aver trasportato Europa dalla Fenicia a Creta122 attraverso il mare, come racconta Euripide nel Frisso123; per questo si trova fra le costellazioni più visibili, avendone ricevuto l’onore da Zeus. Altri124 affermano che si tratta di una vacca, copia di Io; grazie a quest’ultima essa fu onorata da Zeus. Circondano la fronte e il volto del Toro125 le stelle chiamate Iadi126. Al taglio del dorso di trova la Pleiade127, che ha sette stelle, e per questo è detta anche heptasteros128; non se ne vedono che sei, la settima è di molto modesta luminosità129. Il Toro ha sette stelle sulla testa130; avanza al contrario, rivolgendo la testa verso il proprio corpo ed ha alla base di ciascuna delle sue corna, una stella, delle quali più luminosa è quella sul corno sinistro131, una su ciascuno degli occhi, una sul naso, una su ciascuna spalla: queste si chiamano Iadi; poi una sul ginocchio sinistro anteriore, due sugli zoccoli, una sul ginocchio destro, due sul collo, tre sul dorso, l’ultima delle quali luminosa, una sotto il ventre, una luminosa sul petto: in tutto diciotto.
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15. Khfevw" Ou|to" ejn tavxei tevtaktai tevtarto": oJ d∆ ajrktiko;" kuvklo" aujto;n ajpolambavnei ajpo; podw'n e{w" sthvqou": to; de; loipo;n eij" to; ajna; mevson pivptei aujtou' tou' te ajrktikou' kai; qerinou' tropikou'. h\n dev, wJ" Eujripivdh" fhsivn, Aijqiovpwn basileuv", ∆Andromevda" de; pathvr: th;n d∆ auJtou' qugatevra dokei' proqei'nai tw'/ khvtei boravn, h}n Perseu;" oJ Dio;" dievswse: di∆ h}n kai; aujto;" ejn toi'" a[stroi" ejtevqh ∆Aqhna'" gnwvmh/. “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" lamprou;" bV, ejf∆ eJkatevrwn w[mwn aV, kai; ãejpi;à ceirw'n eJkatevrwn aV, ãejp∆à ajgkwvnwn eJkatevrwn aV ãajmaurou;~, ejpi;à zwvnh" gV loxou;" ªajmaurouv"º, ªkoiliva" mevsh" lampron aVº, ãejpi;à dexia'" lagovno" aV, ãejp∆ ajristerou'à govnato" bV, ãuJpe;r povda" dV, ejpi;à podo;" a[krou aV: ãtou;" pavnta" iqVÃ.
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15. Cefeo, Cepheus Questa costellazione è quarta nell’ordine132; dai piedi fino al petto è compresa nel circolo polare artico, il resto fino alla sommità della testa cade in mezzo tra il circolo polare artico e il tropico d’estate133. Cefeo era, secondo il racconto di Euripide134, re degli Etiopi e padre di Andromeda. Sembra che avesse offerto la propria figlia in pasto al mostro marino; Perseo figlio di Zeus la salvò; grazie ad Andromeda anche Cefeo fu posto fra le stelle per volontà di Atena. Ha due stelle luminose sulla testa, una su ciascuna spalla, una su ciascuna mano, una su ciascun gomito poco luminose, tre oblique sulla cintura, sul fianco destro una, sul ginocchio sinistro due, sopra i piedi quattro, sulla punta del piede una, in tutto diciannove.
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16. Kassiepeiva" Tauv t hn iJ s torei' Sofoklh' " oJ th' " tragw/diva" poihth;" ejn ∆Andromevda/ ejrivsasan peri; kavllou" tai'" Nhrhivsin eijselqei'n eij" to; suvmptwma, kai; Poseidw'na diafqei'rai th; n cwv r an kh' t o" ej p ipev m yanta: di∆ h} n provkeitai tw'/ khvtei hJ qugavthr. oijkeivw" de; ejschmavtistai ejggu;" ejpi; divfrou kaqhmevnh. “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" lampro;n aV, ãejf∆ eJkatevrwn tw'n w[mwn lampro;n aV, ejpi; tou' dexiou' sthvqou" lampro;n aVÃ, ejpi; tou' dexiou' ajgkw'no" ajmaurovn aV, ejpi; th'" ceiro;~ aV, ã ejpi; th'" ojsfuvo~ lampro;n mevgan a vÃ, ªgovnato" aV, podo;" a[krou aV, sthvqou" aV ajmaurovnº, ãejp∆à ajristerou' mhrou' lamprou;" bV, ãejpi;à govnato" aV lamprovn, ejpi; tou' plinqivou ªa vº tou' divfrou ou| kavqhtai eJkavsth" gwniva" aV: ãtou;" pavnta" idVÃ.
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16. Cassiopea, Cassiopeia Di costei racconta Sofocle, il poeta tragico, nell’Andromeda135, che essendosi messa in gara di bellezza con le Nereidi precipitò nella sventura e che Posidone136 mandò un mostro marino a devastare il paese137. A causa di Cassiopea la figlia venne offerta al mostro. È rappresentata secondo un’iconografia consueta,138 vicino alla figlia, seduta139 su un trono. Ha le seguenti stelle: sulla testa una luminosa, su ciascuna spalla una luminosa, sul seno destro una luminosa140, sul gomito destro una poco luminosa, sulla mano una, sul fianco una grande luminosa,141 due luminose sulla coscia sinistra, sul ginocchio una luminosa, sulla base142 del trono sul quale sta seduta, una a ciascun angolo. In tutto quattordici.
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17. ∆Andromevda" Au{th kei'tai ejn toi'" a[stroi" dia; th;n ∆Aqhna'n, tw'n Persevw" a[qlwn uJpovmnhma, diatetamevnh ta;" cei'ra", wJ" kai; proetevqh tw'/ khvtei: ajnq∆ w|n swqei'sa uJpo; tou' Persevw" oujc ei{leto tw'/ patri; summevnein oujde; th'/ mhtriv, ajll∆ auj q aiv r eto" eij " to; “Argo" aj p h' l qe met∆ ejkeivnou, eujgenev" ti fronhvsasa. levgei de; kai; Eujripivdh" safw'" ejn tw'/ peri; aujth'" gegrammevnw/ dravmati. “Ecei de; ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" lampro;n aV, ejf∆ eJkatevrou w[mou aV, ªdexiou' podo;" bV, ajristerou' aVº, ejpi; tou' dexiou' ajgkw'no" aV, ejp∆ a[kra" th'" ceiro;" lampro;n aV, ejpi; tou' ajristerou' ajgkw'no" aV, ªejpi; tou' dexiou' lampro;n aVº, ãejpi; tou` phdalivou tou` a[kra~ ceiro;" lamprou;~ bVÃ, ejpi; th'" zwvnh" gV, uJpe;r th;n zwvnhn dV, ejf∆ eJkatevrou govnato" lampro;n aV, ejpi; tou' dexiou' podo;" bV, ejpi; tou' ajristerou' aV: ãtou;" pavnta" kVÃ.
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17. Andromeda, Andromeda Andromeda si trova fra le stelle grazie ad Atena, per ricordare le imprese di Perseo; sta con le braccia distese a croce, nella stessa posizione in cui era esposta in offerta al mostro marino. In cambio di ciò che Perseo aveva compiuto per lei, una volta in in salvo143, Andromeda non scelse di restare col padre e con la madre144, ma di sua volontà se ne andò con lui ad Argo145, seguendo il suo animo nobile. Lo dice anche chiaramente Euripide nel dramma che ha composto su di lei. Ha le seguenti stelle: una luminosa sulla testa146, una su ciascuna spalla, una sul gomito destro, una luminosa sulla punta della mano, sul gomito sinistro una, sul remo, sulla punta della mano due brillanti147, tre alla cintura, quattro al di sopra della cintura, su ciascun ginocchio una luminosa, due sul piede destro, una sul sinistro. In tutto venti.
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18. ”Ippou Touv t ou mov n on ta; e[ m prosqen faivnetai e{w" ojmfalou'. “Arato" me;n ou\n fhsi to;n ejpi; tou' ÔElikw'no" ei\nai poihvsanta krhvnhn th'/ oJplh'/, ajf∆ ou| kalei'sqai ”Ippou krhvnhn: a[lloi de; to; n Phv g ason ei\ n aiv fasi to;n eij" ta; a[stra ajnaptavnta u{steron th'" Bellerofovntou ptwvsew": dia; de; to; mh; e[cein ptevruga" ajpivqanon dokei' tisi poiei'n to;n lovgon. Eujripivdh" dev fhsin ejn Melanivpph/ ”Ipphn ei\nai th;n tou' Ceivrwno" qugatevra, uJp∆ Aijovlou de; ajpathqei'san fqarh'nai kai; dia; to;n o[gkon th'" gastro;" fugei'n eij" ta; o[rh, kajkei' wjdinouvsh" aujth'" to;n patevra ejlqei'n kata; zhvthsin, th;n d∆ eu[xasqai katalambanomevnhn pro;" to; mh; gnwsqh'nai metamorfwqh'nai kai; genevsqai i{ppon. dia; gou'n th;n eujsevbeian aujth'" te kai; tou' patro;" uJp∆ ∆Artevmido" eij" ta; a[stra teqh'nai, o{qen tw'/ Kentauvrw/ oujc oJrathv ejstin: Ceivrwn ga;r levgetai ei\nai ejkei'no". ta; de; ojpivsqia mevrh aujth'" ajfanh' ejsti pro;" to; mh; ginwvskesqai qhvleian ou\san. “Ecei de; ajstevra" ejpi; tou' rJuvgcou" bV ajmaurouv", ejpi; th'" kefalh'" aV, ejpi; th'" siagovno" aV, ejf∆ eJkatevrw/ wjtivw/ ajmauro;n aV, ãejpi;à tw'/ trachvlw/ dV, w|n to;n pro;" th'/ kefalh'/ lamprovteron, ejpi; tou' w[mou aV, ãejpi;à sthvqou" aV, ãejpi;à rJavcew" aV, ãejp∆à ojmfalou' e[scaton aV lamprovn, ãejp∆à ejmprosqivwn gonavtwn bV, ejf∆ eJkatevra" oJplh'" aV: ãtou;" pavnta" ihVÃ.
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18. Cavallo, Pegasus Di questo cavallo appare soltanto la parte anteriore fino all’ombelico148. Arato149 racconta che si tratta del cavallo che sul monte Elicona fece scaturire con un colpo di zoccolo la sorgente che da lui è chiamata Ippocrene. Altri150 affermano che è Pegaso, volato fra le stelle dopo la caduta di Bellerofonte151. Ma siccome non ha le ali152, ad alcuni questa spiegazione sembra incredibile. Euripide153 dice nella Melanippe che era Ippe154 figlia di Chirone155; fu sedotta da Eolo156 con l’inganno e come il ventre si ingrossava per la gravidanza, si rifugiò sui monti e là si trovava, in preda alle doglie del parto, quando sopraggiunse suo padre che la cercava ed ella pregò, una volta catturata, di essere trasformata per non essere riconosciuta e diventò un cavallo157. Per la sua pietà dunque e per quella di suo padre, Artemide158 la pose fra le stelle, in una posizione da dove non è visibile al Centauro159. Si dice infatti che il Centauro è Chirone. La parte posteriore del suo corpo non è visibile, in modo che non si possa riconoscere che si tratta di una femmina160. Ha le seguenti stelle161: due poco luminose sul muso, una sulla testa, sulla mascella una, su ciascun orecchio una poco luminosa, sul collo quattro, delle quali quella vicina alla testa più luminosa, sulla spalla una, sul petto una, sul dorso una, sull’ombelico all’estremità una luminosa, due sulle ginocchia anteriori, una su ciascuno degli zoccoli; in tutto diciotto.
102
19. Kriou' Ou|to" oJ Frivxon diakomivsa" kai; ”Ellhn: a[fqito" de; w]n ejdovqh aujtoi' " uJ p o; Nefev l h" th' " mhtrov " : ei\ce de; crush'n doravn, wJ" ÔHsivodo" kai; Ferekuvdh" eijrhvkasin: diakomivzwn d∆ aujtou;" kata; to; stenovtaton tou' pelavgou", tou' ajp∆ ejkeivnh" klhqevnto" ÔEllhspovntou, e[rriyen aujth;n kai; to; kevra" ajpolevsa" < Poseidw'n dVe[swse th;n ”Ellhn kai; micqei;" ejgevnnhsen ejx aujth'" pai'da ojnovmati Paivona gevthn ejx h|" Lakedaivmwn: Poseidw'ni de; duvo migh'nai, ∆Alkuovnhn ejx h|" ÔUrieuv", Kelainw; ejx h|" Luvko": Sterovph de; levgetai “Arei migh'nai, ejx h|" Oijnovmao" ejgevneto: Merovph de; Sisuvfw/ qnhtw'/, dio; panafanhv" ejstin. megivsthn d∆ e[cousi dovxan ejn toi'" ajnqrwvpoi" ejpishmaivnousai kaq∆ w{ran. Qevsin de; e[cousin eu\ mavla keivmenai kata; to;n ”Ipparcon trigwnoeidou'" schvmato".
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23. Pleiadi, Pleiades Sul cosiddetto taglio del dorso del Toro si trova la Pleiade192. È composta da un insieme di sette stelle: si dice che siano le figlie di Atlante193, e per questo ha anche il nome di Heptasteros194. Non se ne vedono però sette, ma sei195 e la spiegazione che si racconta è la seguente196. Dicono che le altre sei197 si unirono a degli dèi, una invece a un mortale. Tre dunque amarono Zeus, Elettra198 dalla quale nacque Dardano, Maia, dalla quale nacque Hermes, Taigeta dalla quale nacque Lacedemone; due amarono a Posidone, Alcione dalla quale nacque Irieo, Celenò dalla quale nacque Lico; Sterope si unì ad Ares e da lei nacque Enomao; Merope199 invece amò Sisifo, che era un mortale, e per questo è invisibile200. Sono fra le stelle più conosciute fra gli uomini, perché danno indicazioni sulle stagioni201. Hanno una bella disposizione secondo Ipparco, perché disegnano una figura triangolare.
112
24. Luvra" Au{th ejnavth kei'tai ejn toi'" a[stroi", e[sti de; Mousw'n: kateskeuavsqh de; to; me;n prw'ton uJpo; ÔErmou' ejk th'" celwvnh" kai; tw'n ∆Apovllwno" bow'n, e[sce de; corda;" eJpta; ajpo; tw'n ∆Atlantivdwn. metevlabe de; aujth;n ∆Apovllwn kai; sunarmosavmeno" wj/dh;n ∆Orfei' e[dwken, o}" Kalliovph" uiJo;" w[n, mia'" tw'n Mousw'n, ejpoivhse ta;" corda;" ejnneva ajpo; tou' tw'n Mousw'n ajriqmou' kai; prohvgagen ejpi; plevon ejn toi'" ajnqrwvpoi" doxazovmeno" ou{tw" w{ste kai; uJpovlhyin e[cein peri; aujtou' toiauvthn o{ti ãta; devndraà kai; ta;" pevtra" kai; ta; qhriva ejkhvlei dia; th'" wjd/ h'": o}" to;n me;n Diovnuson oujk ejtivma, to;n de; ”Hlion mevgiston tw'n qew'n ejnovmizen ei\nai, o}n kai; ∆Apovllwna proshgovreusen: ejpegeirovmenov" te th'" nukto;" kata; th;n eJwqinh;n ejpi; to; o[ro" to; kalouvmenon Pavggaion prosevmene ta;" ajnatolav", i{na i[dh/ to;n ”Hlion prw'to~: o{qen oJ Diovnuso" ojrgisqei;" aujtw'/ e[pemye ta;" Bassarivda", w{" fhsin Aijscuvlo" oJ poihthv": ai{tine" aujto;n dievspasan kai; ta; mevlh dievrriyan cwri;" e{kaston: aiJ de; Mou'sai sunagagou'sai e[qayan ejpi; toi'" legomevnoi" Leibhvqroi". th;n de; luvran oujk e[cousai o{tw/ dwvsein to;n Diva hjxivwsan katasterivsai, o{pw" ejkeivnou te kai; aujtw'n mnhmovsunon teqh'/ ejn toi'" a[stroi": tou' de; ejpineuvsanto" ou{tw" ejtevqh: ejpishmasivan de; e[cei ejpi; tw'/ ejkeivnou sumptwvmati duomevnh kaq∆ w{ran. “Ecei de; aj s tev r a" ej p i; tw' n ktenw' n eJ k atev r wn aV, ej f ∆ eJkatevrou phvcew" aV, ãejp Ãj ajkrwth'ri oJmoivw" aV, ejf∆ eJkatevrwn w[mwn aV, ejpi; zugou' aV, ejpi; tou' puqmevno" aV, leuko;n kai; lamprovn: tou;" pavnta" qV.
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24. Lira, Lyra La lira è nona202 fra le costellazioni ed appartiene alle Muse. La costruì per la prima volta Hermes203 servendosi della tartaruga204e dei buoi di Apollo, ma aveva sette corde205 dal numero delle figlie di Atlante206. Apollo la prese207 e dopo aver composto un canto la passò a Orfeo, il quale essendo figlio di Calliope208, una delle Muse, cambiò in nove il numero delle corde da quello delle Muse e fece grandissimi progressi nell’uso dello strumento, acquistando fama tra gli uomini tanto che si ebbe la reputazione di incantare gli alberi, le pietre e le fiere col suo canto209. Rifiutò di prestare onori a Dioniso e ritenne Helios, che chiamò anche Apollo210, il più grande fra gli dèi. Si svegliava di notte e all’alba saliva sul monte chiamato Pangeo211, rivolto verso oriente, in modo da poter essere il primo a vedere Helios. Adirato con lui per questo, Dioniso gli mandò le Baccanti212, come racconta Eschilo, il poeta tragico213. Le Baccanti lo fecero a pezzi e ne dispersero le membra. Ma le Muse le raccolsero e le seppellirono sui monti detti Libetri214. La lira, non avendo a chi darla, chiesero a Zeus trasformarla in costellazione, in modo che fosse posta fra le stelle a memoria di lui e di loro stesse. Col consenso di Zeus così fu fatto. Rappresenta la sventura di Orfeo, tramontando in ogni stagione. Ha una stella su ognuno dei corni, una su ognuno dei bracci e ugualmente una sulla punta, una su ciascuna delle spalle215, una sul giogo, una sulla sua base, bianca e luminosa216, in tutto nove217.
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25. “Orniqo" Ou|tov" ejstin oJ kalouvmeno" mevga", o}n kuvknw/ eijkavzousin: levgetai de; to;n Diva oJmoiwqevnta tw'/ zwv/w/ touvtw/ Nemevsew" ej r asqh' n ai, ej p ei; auj t h; pa' s an h[ m eibe morfhv n , i{ n a th; n parqeniv a n fulav x h/ , kai; tov t e kuv k no" gev g onen: ou{tw kai; aujto;n oJmoiwqevnta tw/` ojrnevw/ touv t w/ katapth' n ai eij " ÔRamnou' n ta th'" ∆Attikh'", kajkei' th;n Nevmesin fqei'rai: th;n de; tekei'n wj/ovn, ejx ou| ejkkolafqh'nai kai; genevsqai th;n ÔElevnhn, w{" fhsi Krati'no" oJ poihthv". kai; dia; to; mh; metamorfwqh'nai aujtovn, ajll∆ ou{tw" ajnapth'nai eij" to;n oujranovn, kai; to;n tuvpon tou' kuvknou e[qhken ejn toi'" a[stroi": e[sti de; iJptavmeno" oi|o" tovte h\n. “Ecei de; ajstevra" ejpi; me;n th'" kefalh'" lampro;n aV, ejpi; tou' trachvlou lampro;n aV, ejpi; th'" dexia'" ptevrugo" eV, ãejpi; th'" ajristera'" eVÃ, ejpi; tou' swvmato" aV, ejpi; tou' ojrqopugivou aV, o{" ejsti mevgisto": ãtou;" pavnta" idVÃ.
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25. Uccello, Cygnus Questo è chiamato il Grande Uccello218 che rappresentano come un cigno. Si racconta che Zeus, per amore di Nemesi, prese la forma di questo animale, perché lei cambiava continuamente aspetto per proteggere la propria verginità e in quel tempo era diventata un cigno. Così anche il dio assunse la forma di questo uccello, scese in volo su Ramnunte in Attica e là violò Nemesi219. Ella partorì un uovo dal quale si schiuse e nacque Elena220, come racconta Cratino il poeta221. E poiché non cambiò forma, ma risalì al cielo con l’aspetto di cigno, il dio ne pose l’immagine anche fra le stelle. È ad ali spalancate nell’atto di volare come era allora222. Ha le seguenti stelle: sul capo una luminosa, sul collo una luminosa, sull’ala destra cinque, sull’ala sinistra cinque, sul corpo una, sulla coda una che è grandissima223. In tutto quattordici.
116
26. ÔUdrocovou Ou| t o" dokei' keklh' s qai ajpo; th'" pravxew" ÔUdrocovo": e[cwn ga;r e{sthken oijnocovhn kai; e[kcusin pollh;n poiei'tai uJgrou'. levgousi dev tine" aujto;n ei\nai to;n Ganumhvdhn, iJkano;n uJpolambavnonte" shmei'on ei\nai to; ejschmativsqai to; ei[dwlon ou{tw" w{sper a]n oijnocovon cevein: ejpavgontai de; kai; to;n poihth;n mavrtura, dia; to; levgein aujto;n wJ" ajnekomivsqh ou|to" pro;" to;n Diva kavllei uJperenevgka" i{na oijnocoh'/, a[xion krinavntwn aujto;n tw'n qew'n, kai; o{ti tevteucen ajqanasivan toi'" ajnqrwvpoi" a[gnwston ou\san: hJ de; ginomevnh e[kcusi" eijkavzetai tw'/ nevktari o} kai; uJpo; tw'n qew'n pivnetai, eij" martuvrion th'" eijrhmevnh" povsew" tw'n qew'n uJpolambavnonte" tou'to ei\nai. “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" ajmaurou;" bV, ejf∆ eJkatevrwn w[mwn aV, ajmfotevrou" megavlou", ejf∆ eJkatevrw/ ajgkw'ni aV, ejp∆ a[kra" ceiro;" dexia'" lampro;n aV, ejf∆ eJkatevrou mastou' aV, uJpo; tou;" mastou;" eJkatevrwqen aV, ãejp∆à ajristerou' ijscivou aV, ãejf∆à eJkatevrou govnato" aV, ãejpi;à dexia'" knhvmh" aV, ãejf∆à eJkatevrw/ podi; aV: ãtou;" pavnta" izÃ: hJ de; e[kcusi" tou' u{datov" ejstin ejx ajstevrwn laV e[cousa ajstevra" bV oi{ eijsi lamproiv.
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26. Acquario, Aquarius Sembra che questa costellazione debba il suo nome, Acquario224, all’azione che è rappresentata compiere. È una figura stante con una brocca da vino225 e versa una grande quantità di liquido. Alcuni affermano invece che si tratta di Ganimede226, prendendo come prova sufficiente per questo il fatto che la figura227 è rappresentata come fosse nell’atto di versare vino. E adducono come testimone anche il Poeta228, perché dice di Ganimede, che fu trasportato in cielo presso Zeus per la sua bellezza eccezionale, affinché servisse come coppiere, avendolo gli dèi giudicato degno di questo compito e che ottenne l’immortalità che è ignota agli uomini. E il liquido versato rappresenta il nettare, che è ciò che gli dèi bevono, e aggiungono come prova di questo il fatto che il nettare è la bevanda degli dèi. Ha le seguenti stelle229: due poco luminose sulla testa, una su ciascuna spalla, entrambe grandi, una su ciascun gomito, sull’estremità della mano destra, una luminosa, su ciascuna mammella una, sotto le mammelle da ciascuna parte una, sull’anca sinistra una, su ciascun ginocchio una, sulla gamba destra una, una su ciascun piede. In tutto diciassette. L’acqua che viene versata è fatta di trentuno stelle delle quali due sono brillanti.
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27. Aijgovkerw Ou|tov" ejsti tw'/ ei[dei o{moio" tw'/ Aijgivpani: ejx ejkeivnou de; gevgonen: e[cei de; ijcquvo" ta; kavtw mevrh kai; kevrata ejpi; th'/ kefalh'/: ejtimhvqh de; dia; to; suvntrofo ei\nai tw'/ Diiv, kaqavper ∆Epimenivdh" oJ ta; Krhtika; iJstorw'n fhsin, o{ti ejn th'/ “Idh/ sunh'n aujtw'/, o{te ejpi; tou;" Tita'na" ejstravteusen: ou|to" de; dokei' euJrei'n to;n kovclon, ejn w|/ tou;" summavcou" kaqwvplise dia; to; tou' h[cou Paniko;n kalouvmenon, o} oiJ Tita'ne" e[fugon: paralabw; n de; th; n aj r ch; n ej n toi' " a[ s troi" auj t o; n e[qhke kai; th;n ai\ga th;n mhtevra: dia; de; to;n kovclon ejn th'/ qalavssh/ ãeuJrei'nà paravshmon e[cei ijcquvo" ãoujravnÃ. “Ecei d∆ ajstevra" ejf∆ eJkatevrou kevrato" aV, ãejpi; tou' mukth'ro" aVà lamprovn, ejpi; th'" kefalh'" bV, ãejpi;à trachvlou aV, ãejpi;à sthvqou" bV, ãejp∆à ejmprosqivou podo;" aV, ãejp∆ a[krou aujtou` aV, ejpi;à rJavcew" zV, ãejpi;à gastro;" eV, ãejp∆à oujra'" bV lamprouv": tou;" pavnta" kdV.
119
27. Capricorno, Capricornus Questo personaggio come forma somiglia a Egipan230; e deriva da lui. Ha le membra inferiori di pesce231 e le corna sulla testa; ha ricevuto questo onore perché fratello di latte di Zeus, come racconta Epimenide232 scrivendo i Creticà, il quale dice che fu insieme a lui sul monte Ida233, quando Zeus marciò contro i Titani. Sembra sia stato lui a scoprire la conchiglia con la quale armò gli dèi alleati; questa conchiglia è detta Panicon (Terrorizzante) per via del suono di rimbombo che produce e di fronte ad esso i Titani fuggirono234. Dopo che ebbe preso il potere, Zeus lo mise fra le stelle insieme alla capra235, sua madre. Ha la coda di pesce come segno del fatto che trovò la conchiglia nel mare. Ha le seguenti stelle: su ciascun corno una, sul muso una luminosa, sulla testa due, sulla gola una, sul petto due, sulla zampa anteriore una, sulla punta della zampa una, sul dorso sette, sulla pancia cinque, sulla coda due luminose; in tutto ventiquattro.
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28. Toxovtou Ou|tov" ejstin oJ Toxovth", o}n oiJ plei' s toi lev g ousi Kev n tauron ei\na: e{teroi d∆ ou[ fasi dia; to; mh; tetraskelh' aujto;n oJra'sqai, ajll∆ eJ s thkov t a kai; toxeuv o nta: Kentauvrwn de; oujdei;" tovxw/ kevcrhtai: ou| t o" d∆ aj n h; r w] n skev l h e[ c ei i{ p pou kai; kev r kon kaqav p er oiJ Savturoi: diovper aujtoi'" ajpivqanon ejdovkei ei\nai, ajlla; ma'llon Krovton to;n Eujfhvmh" th'" tw'n Mousw'n trofou' uiJovn: oijkei'n d∆ aujto;n kai; diaita'sqai ejn tw'/ ÔElikw'ni: o}n kai; aiJ Mou'sai th;n toxeivan euJravmenon th;n trofh;n ajpo; tw'n ajgrivwn e[cein ejpoivhsan, kaqavper fhsi; Swsivqeo": summivsgonta de; tai'" Mouvsai" kai; ajkouvonta aujtw'n ejpishmasivai" ejpainevsqai krovton poiou'nta: to; ga;r th'" fwnh'" ajsafe;" h\n uJpo; eJno;" krovtou shmainovmenon, o{qen oJrw'nte" tou'ton kai; oiJ a[lloi e[pratton to; aujtov: diovper aiJ Mou'sai dovxh" cavrin tucou'sai th'/ touvtou boulhvsei hjxivwsan to;n Diva ejpifanh' aujto;n poih'sai o{sion o[nta, kai; ou{tw" ejn toi'" a[stroi" ejtevqh th'/ tw'n ceirw'n crhvsei, th;n toxeivan proslabw;n suvsshmon: ejn de; toi'" ajnqrwvpoi" e[meinen hJ ejkeivnou pra'xi": ªo{;º ejsti kai; Ploi'on aujtou' martuvrion o{ti pa`sin e[stai safh;" ouj movnon toi' " ej n cev r sw/ aj l la; kai; toi' " ej n pelav g ei. diov p er oiJ gravfonte" aujto;n Kevntauron diamartavnousin. “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; th'" kefalh'" bV, ejpi; tou' tovxou bV, ejpi; th'" ajkivdo" bV, ejpi; tou' dexiou' ajgkw'no" aV, ãejp∆à a[kra" ceiro;" aV, ejpi; th'" koiliva" lampro;n aV, ãejpi;à rJavcew" bV, ãejpi;à kevrkou aV, ãejp∆à ejmprosqivou govnato" aV, ãejf∆à oJplh'" aV, ãejp∆ ojpisqivou govnato" aVÃ: tou;" pavnta" ieV: tou` de; Ploivou zV ajstevra" uJpo; to; skevlo": o{moioi dev eijsi tw'n ojpisqivwn mh; deiknumevnwn o{lwn fanerw'n.
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28. Sagittario, Sagittarius Questo è l’Arciere (il Sagittario), che i più sostengono essere il Centauro236; altri invece lo negano, perché nella figura non sono visibili le quattro zampe237, ma si presenta in posizione stante e tira l’arco. E poi nessuno dei Centauri usa l’arco238. Questo è un uomo che ha zampe e coda di cavallo, come i Satiri239. Perciò sembra loro incredibile che si tratti di un Centauro e pare piuttosto sia Croto, figlio di Eufeme, la nutrice delle Muse. Trascorse la sua vita abitando sul monte Elicona; a lui le Muse fecero scoprire l’arco dandogli così la possibilità di procurarsi il cibo con la caccia di fiere, come racconta Sositeo240. Essendo in familiarità con le Muse e avendo potuto ascoltarle, manifestò la sua approvazione facendo un applauso241. In effetti l’entità del suono era modesta, poiché si trattava di un solo applauso, ma da questo, vedendo lui applaudire, anche gli altri fecero lo stesso. Per questo motivo le Muse, avendo gustato il piacere della celebrità grazie alla sua approvazione, chiesero a Zeus di renderlo famoso come creatura pia e così fu posto fra le stelle per l’uso delle sue mani, e prese come segno distintivo il tirare d’arco242. Il suo gesto continua ad essere ripetuto fra gli uomini. Anche la Barca243 è testimone del fatto che questa costellazione sarà visibile non solo per chi si trova sulla terraferma, ma anche per chi si trova in mare. Per questi motivi chi scrive che si tratta del Centauro sbaglia. Ha le seguenti stelle: due sulla testa, due sull’arco, due sulla punta della freccia, una sul gomito destro, una sulla punta della mano, una luminosa sul ventre, due sul dorso, una sulla coda, una sul ginocchio anteriore, una sullo zoccolo, una sul ginocchio posteriore; in tutto quindici. Sette sono le stelle della Nave e sono sotto la sua zampa e sono simili, anche se quelle che si trovano dietro non appaiono tutte visibili.
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29. ∆Oistou' Tou'to to; bevlo" ejsti; toxikovn, o{ fasin ei\nai ∆Apovllwno", w|/ te dh; tou;" Kuvklwpa" tw'/ Dii; kerauno;n ejrgasamevnou" ajpevkteine di∆ ∆Asklhpiovn: e[kruye de; aujto; ejn ÔUperboreivoi" ou| kai; oJ nao;" oJ ptevrino". levgetai de; provteron ajpenhnevcqai o{te tou' fovnou auj t o; n oJ Zeu; " aj p ev l use kai; ej p auv s ato th' " para; ∆Admhvtw/ latreiva", peri; h|" levgei Eujripivdh" ejn th'/ ∆Alkhvstidi. dokei' de; tovte ajnakomisqh'nai oJ ojisto;" meta; th'" karpofovrou Dhvmhtro" dia; tou' ajevro": h\n de; uJpermegevqh", wJ" ÔHrakleivdh" oJ Pontikov" fhsin ejn tw'/ peri; dikaiosuvnh": o{qen eij" ta; a[stra tevqeike to; bevlo" oJ ∆Apovllwn eij" uJpovmnhma th'" eJautou' mavch" katasterivsa". “Ecei de; ajstevra" ªd vº ejpi; tou' a[krou aV, kata; to; mevson aV ajmaurovn, ejpi; tou' chlwvmato" bV: eujshmovtato" d∆ ejsti;n oJ ei|": oiJ pavnte" dV.
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29. Freccia, Sagitta Questa costellazione rappresenta la freccia per l’arco che, dicono, appartiene ad Apollo244; proprio con questa, il dio, per vendicare Asclepio245, uccise i Ciclopi246 che avevano fabbricato il fulmine per Zeus. La nascose presso gli Iperborei247, là dove si trova anche il tempio fatto di piume248. Si dice che la riportò indietro quando Zeus lo perdonò dell’omicidio e pose fine alla sua servitù presso la casa di Admeto, di cui racconta Euripide nell’Alcesti249. Sembra che in quell’occasione la freccia sia ritornata attraverso il cielo assieme a Demetra portatrice dei frutti250. Era enorme, come dice Eraclide Pontico nello scritto Sulla giustizia251. Per questo Apollo pose la freccia fra le stelle in memoria della sua lotta, trasformandola in costellazione252. Ha le seguenti stelle: una sulla punta, una nel mezzo, poco luminosa, due sull’intaccatura, una sola delle quali molto visibile; in tutto quattro.
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30. ∆Aetou' Ou|tov" ejstin oJ Ganumhvdhn ajnakomivsa" eij" oujrano;n tw'/ Diiv, o{pw" e[ch/ oijnocovon: e[sti de; ejn toi'" a[stroi" di∆ o{son kai; provteron, o{te oiJ qeoi; ta; pthna; diemerivzonto, tou'ton e[lacen oJ Zeuv". movnon de; tw'n zwv/wn ajnqhvlion i{ptatai tai'" ajkti'sin ouj tapeinouvmenon: e[cei de; th;n hJgemonivan aJpavntwn: ejschmavtistai de; diapeptamevno" ta;" ptevruga" wJ" a]n kaqiptavmeno". ∆Aglaosqevnh" dev fhsin ejn toi'" Naxikoi'" genovmenon to;n Diva ejn Krhvth/ kai; para; tou' patro;" zhtouvmenon, ªdi;" ej k klapev n taº, ej k ei' q en ej k klaph' n ai kai; aj c qh' n ai eij " Navxon, ejktrafevnta de; kai; genovmenon ejn hJlikiva/ th;n tw'n qew'n basileivan katascei'n: ejxormw'nto" de; ejk th'" Navxou ejpi; tou;" Tita'na" kai; ajeto;n aujtw'/ fanh'nai suniovnta, to;n de; oijwnisavmenon iJero;n auJtou' poihvsasqai ªkathsterismevnonº kai; dia; tou'to th'" ejn oujranw'/ timh'" ajxiwqh'nai. “Ecei de; ajstevra" dV, w|n oJ mevso" ejsti; lamprov".
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30. Aquila, Aquila Questa è l’aquila che trasportò Ganimede in cielo da Zeus, affiché lo avesse come coppiere. Si trova fra le stelle anche perché in precedenza, quando gli dèi si ripartirono i volatili, questo toccò a Zeus253. È il solo fra i viventi che vola col sole in faccia senza che i raggi lo facciano abbassare254 e domina su tutti255. È rappresentata ad ali spiegate nell’atto di planare256. Aglaostene dice nei suoi Nassicà257 che Zeus, mentre si trovava a Creta e inseguito dal padre,258 fu portato via da là e trasportato a Nasso, allevato e diventato adulto, s’impadronì del regno degli dèi. Quando stava per muovere da Nasso per marciare contro i Titani, gli apparve un’aquila che gli andò incontro; egli lo considerò un presagio, prese come sacro a sé questo uccello e per questo fu ritenuto degno dell’onore di stare fra le stelle259. Ha quattro stelle, delle quali quella centrale è luminosa260.
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31. Delfi'no" Ou|to" ejn toi'" a[stroi" levgetai teqh'nai di∆ aijtivan toiauvthn: tou' Poseidw'no" boulomevnou th;n ∆Amfitrivthn labei'n ªeij"º gunai'ka, eujlabhqei'sa ejkeivnh e[fuge pro;" to;n “Atlanta, diathrh'sai th;n parqenivan speuvdousa: wJ" de; kai; aiJ plei'stai Nhrhivde" ejkruvptonto kekrummevnh" ejkeivnh", pollou;" oJ Poseidw'n ejxevpemye masth'ra", ejn oi|" kai; to;n delfi'na: planwvmeno" de; kata; ta;" nhvsou" tou' “Atlanto", peripesw;n aujth'/ prosaggevllei kai; a[gei pro;" Poseidw'na. oJ de; ghvma" aujth;n megivsta" tima;" ejn th'/ qalavssh/ aujtw'/ w{risen, iJero;n aujto;n ojnomavsa" ei\nai kai; eij" ta; a[stra aujtou' suvnqhma e[qhken: o{soi d∆ a]n aujtw'/ tw'/ Poseidw'ni carivsasqai qevlwsin, ejn th'/ ceiri; poiou'sin e[conta to;n delfi'na th'" eujergesiva" megivsthn dovxan aujtw'/ ajponevmonte". levgei de; peri; aujtou' kai; ∆Artemivdwro" ejn tai'" ejlegeivai" tai'" peri; “Erwto" aujtw'/ pepoihmevnai" bivbloi". “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; tou' stovmato" aV, ejpi; th'" lofiva" bV, ejpi; tw'n pro;" th'/ koiliva/ pteruvgwn gV, ãejpi;à nwvtou aV, ãejp∆à oujra'" bV: tou;" pavnta" qV. levgetai de; kai; filovmouson ei\nai to; zw'/on dia; to; ajpo; tw'n Mousw'n to;n ajriqmo;n e[cein tw'n ajstevrwn.
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31. Delfino, Delphinus Si racconta che fu messo tra le stelle per questa ragione261: Posidone voleva prendere Anfitrite262 in sposa, ma quella, insospettita, si rifugiò presso Atlante263, cercando di conservare la propria verginità. E poiché anche la maggior parte delle Nereidi si nascondeva, dopo che lei si era nascosta, Posidone mandò diversi investigatori, fra i quali anche il delfino. Vagando alla ricerca di lei fino alle isole di Atlante264, costui vi si imbatté, informò Posidone e la portò da lui265. E quello, dopo averla sposata, stabilì per il delfino grandissimi onori in mare, dichiarandolo sacro, e pose la sua figura266 fra le stelle. E quanti vogliono compiacere lo stesso Posidone, lo rappresentano mentre tiene nella mano il delfino, tributando a questo animale grandissima fama di benefattore. Parla di lui anche Artemidoro267 nelle elegie che ha composto su Eros. Ha le seguenti stelle: una sulla bocca, due sulla pinna del dorso, sulle pinne vicine al ventre tre, sulla schiena una, sulla coda due, in tutto nove. Si dice anche che è un animale amico delle Muse, perché prende dalle Muse il numero delle sue stelle268.
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32. ∆Wrivwno" Tou'ton ÔHsivodov" fhsin Eujruavlh" th'" Mivnwo" kai; Poseidw'no" ei\nai, doqh'nai de; aujtw'/ dwrea;n w{ste ejpi; tw'n kumavtwn poreuvesqai kaqavper ejpi; th'" gh'": ejlqovnta de; aujto;n eij" Civon Merovphn th;n Oijnopivwno" biavsasqai oijnwqevnta, gnovnta de; to;n Oijnopivwna kai; calepw'" ejnegkovnta th;n u{brin ejktuflw'sai aujto;n kai; ejk th'" cwvra" ejkbalei'n: ejlqovnta de; eij" Lh'mnon ajlhteuvonta ÔHfaivstw/ summi'xai, o}" aujto;n ejlehvsa" divdwsin aujtw'/ Khdalivwna to;n auJtou' ªoijkei'onº oijkevthn, o{pw" oJdhgh'/ ªkai; hJgh'tai aujtou'º: o}n labw;n ejpi; tw'n w[mwn e[fere shmaivnonta ta;" oJdouv": ejlqw;n d∆ ejpi; ta;" ajnatola;" kai; ÔHlivw/ summivxa" dokei' uJgiasqh'nai kai; ou{tw" ejpi; to;n Oijnopivwna ejlqei'n pavlin, timwrivan aujtw'/ ejpiqhvswn: oJ de; uJpo; tw'n politw'n uJpo; gh'n ejkevkrupto: ajpelpivsa" de; th;n ejkeivnou zhvthsin ajph'lqen eij" Krhvthn kai; peri; ta;" qhvra" dih'ge kunhgetw'n th'" ∆Artevmido" parouvsh" kai; th'" Lhtou'", kai; dokei' ajpeilhvsasqai wJ" pa'n qhrivon ajnelei'n tw'n ejpi; th'" gh'" gignomevnwn: qumwqei'sa de; aujtw' Gh' ajnh'ke skorpivon eujmegevqh, uJf∆ ou| tw'/ kevntrw/ plhgei;" ajpwvleto: o{qen dia; th;n aujtou' ajndrivan ejn toi'" a[stroi" aujto;n e[qhken oJ Zeu;" uJpo; ∆Artevmido" kai; Lhtou'" ajxiwqeiv", oJmoivw" kai; to; qhrivon tou' ei\nai mnhmovsunon ªkai;º th'" pravxew". a[lloi dev fasin aujxhqevnta tou'ton ejrasqh'nai th'" ∆Artevmido", th;n de; skorpivon ajnenegkei'n kat∆ aujtou', uJf∆ ou| krousqevnta ajpoqanei'n: tou;" de; qeou;" ejlehvsanta" aujto;n ejn oujranw'/ katasterivsai kai; to; qhrivon eij" mnhmovsunon th'" pravxew". “Ecei d∆ ajstevra" ejpi; me;n th'" kefalh'" gV lamprouv~, ejf∆ eJkatevrw/ w[mw/ lampro;n aV, ejpi; tou' dexiou' ajgkw'no" ãajmauro;nà aV, ejp∆ a[kra" ceiro;" aV ªajmaurou;" bVº, ejpi; th'" zwvnh" gV, ejpi; tou' ejgceiridivou gV ajmaurouv", ejf∆ eJkatevrw/ govnati lampro;n aV, ejf∆ eJkatevrw/ podi; oJmoivw" lampro;n aV: ãtou;" pavnta" izÃ.
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32. Orione, Orion Di costui dice Esiodo269 che è figlio di Euriale figlia di Mino e di Posidone: gli fu data la capacità di camminare sulle acque come sulla terra270. Giunto a Chio271, ubriaco, fece violenza a Merope272 figlia di Enopione; ma Enopione lo seppe e, mal sopportando l’offesa, lo accecò e lo cacciò dal paese. Giunto a Lemno, nel suo vagabondare, fece amicizia con Efesto, che ebbe pietà di lui e gli donò Cedalione273, il proprio servo, affinché lo guidasse. Orione lo prese e se lo mise sulle spalle perché gli indicasse la strada. Viaggiò verso est274, fece amicizia con Helios e guarì; così ritornò da Enopione per vendicarsi di lui. Ma quello fu nascosto sotto terra dai suoi concittadini. Disperando di poterlo trovare, Orione si recò a Creta e lì viveva cacciando fiere insieme ad Artemide e Leto e pare che avesse minacciato di uccidere tutte le fiere che vivono sulla terra275. La Terra, adirata contro di lui, fece sorgere uno scorpione gigantesco, ferito dal pungiglione del quale morì. In seguito a questo, per il suo valore Zeus lo pose fra le stelle su richiesta di Artemide e Leto, ugualmente vi pose anche lo scorpione a memoria del fatto. Altri raccontano che diventato uomo, Orione si innamorò di Artemide276 e la dea gli mandò contro lo scorpione, per il morso del quale morì e che gli dèi, mossi a pietà di lui, lo trasformarono in costellazione assieme allo scorpione in ricordo del fatto. Ha le seguenti stelle: sulla testa tre luminose277, su ciascuna spalla una luminosa278, sul gomito destro una poco luminosa, sulla punta della mano una, sulla cintura tre279, sul pugnale tre poco luminose280, su ciascun ginocchio una luminosa, su ciascun piede ugualmente una luminosa281. In tutto diciassette.
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33. Kunov" Peri; touvtou iJstorei'tai o{ti ejsti;n oJ doqei; " Euj r wv p h/ fuv l ax meta; tou' a[ k onto": ajmfovtera de; tau'ta Mivnw" e[labe kai; u{steron uJ p o; Prov k rido" uJ g iasqei; " ej k nov s ou ejdwrhvsato aujth'/, meta; de; crovnon Kevfalo" ajmfotevrwn aujtw'n ejkravthse dia; to; ei\nai Provkrido" ajnhvr: h\lqe de; eij" ta;" Qhvba" ejpi; th;n ajlwvpeka a[gwn aujtovn, eij" h}n lovgion h\n uJpo; mhdeno;" ajpolevsqai: oujk e[cwn ou\n o{ ti poih'sai oJ Zeu;" th;n me;n ajpelivqwse, to;n de; eij" ta; a[stra ajnhvgagen a[xion krivna". e{teroi dev fasin aujto;n ei\nai kuvna ∆Wrivwno" kai; peri; ta;" qhvra" ginomevnw/ sunevpesqai, kaqavper kai; toi'" kunhgetou'si pa'si to; zw'/on sunamuvnasqai dokei' ta; qhriva: ajnacqh'nai de; aujto;n eij" ta; a[stra kata; th;n tou' ∆Wrivwno" ajnagwghvn, kai; touvtou eijkovtw" gegonovto" dia; to; mhde;n ajpoleivpein tw'n sumbebhkovtwn ∆Wrivwni. “Ecei de; ajstevra" ejpi; me;n th'" kefalh'" h] glwvtth" aV, o}n kai; Seivrion kalou'si: mevga" d∆ ejsti; kai; lamprov": tou;" de; toiouvtou" ajstevra" oiJ ajstrolovgoi Seirivou" kalou'si dia; th;n th'" flogo;" kivnhsin∑ ejf∆ eJkatevrw/ w[mw/ aV ajmaurovn, ãejpi;à sthvqou" bV, ãejp∆à ejmprosqivou podo;" gV, ãejpi;à koiliva" bV, ejpi; tou' ajristerou' ijscivou aV, ãejp∆à a[krw/ podi; aV, ejpi; dexiou' podo;" aV, ãejpi;à kevrkou dV, tou;" pavnta" izV.
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33. Cane Maggiore, Canis Maior Di questa costellazione si racconta che si tratta del cane che fu dato ad Europa282 come guardiano, assieme al giavellotto. Entrambe queste cose le prese Minosse e poi, quando Procri lo guarì dalla sua malattia283, ne fece dono a lei; in seguito Cefalo si impadronì di tutte e due, in quanto marito di Procri. Cefalo si recò a Tebe portando il cane per usarlo contro la volpe284, della quale un oracolo sosteneva che non poteva essere uccisa da nessuno. Allora Zeus, non sapendo cosa fare, trasformò l’una in pietra e portò l’altro fra le stelle, giudicandolo degno di questo onore285. Altri dicono che si tratta del cane di Orione286 e che lo accompagnava quando era a caccia, allo stesso modo in cui è opinione comune che questo animale difenda dalle fiere tutti i cacciatori. E fu trasportato fra le stelle quando vi fu portato Orione, e questo è verosimile, perché l’animale non lo abbandonò in nessuna delle sue avventure. Ha le stelle seguenti: sulla testa o sulla lingua287 una, che è detta anche Sirio: è grande e luminosa; e le stelle di questo genere gli astronomi le chiamano Sirie per il particolare movimento della luce288, su ciascuna spalla una poco luminosa, sul petto due, sulla zampa davanti tre, sul ventre due, sull’anca sinistra una, sulla punta della zampa una, sulla zampa destra una, sulla coda quattro, in tutto diciassette.
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34. Lagwou' Ou|tov" ejstin oJ ejn th'/ kaloumevnh/ kunhgiva/ euJreqeiv": dia; de; th;n tacuth'ta tou' zwvo/ u oJ ÔErmh'" dokei' qei'nai aujto;n ejn toi'" a[stroi": movnon de; tw'n tetrapovdwn dokei' kuvein pleivona, w|n ta; me;n tivktei ta; d∆ e[cei ejn th'/ koiliva,/ kaqavper ∆Aristotevlh" oJ filovsofo" levgei ejn th'/ peri; tw'n zwvw / n pragmateiva./ “Ecei de; ajstevra" ejf∆ eJkatevrwn wjtivwn aV, ejpi; tou' swvmato" bV, w|n oJ ejpi; th'" rJavcew" lamprov", ejf∆ eJkatevrwn ojpisqivwn podw'n aV: ãtou;" pavnta" ~VÃ.
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34. Lepre, Lepus È la lepre che fu trovata nella famosa caccia289; sembra che Hermes290 abbia messo l’animale fra le stelle per la sua velocità291; è il solo dei quadrupedi, a quanto pare, ad avere più gravidanze contemporaneamente, alcuni piccoli li partorisce, mentre altri li tiene nel ventre, come racconta il filosofo Aristotele nel trattato Sugli animali292. Ha le stelle seguenti: su ciascun orecchio una, sul corpo due, di cui quella sul dorso luminosa, su ciascuna delle zampe posteriori una; in tutto sei.
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35. ∆Argou'" Au{ t h dia; th; n ∆Aqhna'n ejn toi' " a[stroi" ej tavcqh: prwvth ga;r au{th nau' " kateskeuav s qh ªkai; ajrch'qen ejtektonhvqhº, fwnhvessa de; genomevnh prwvth to; pevlago" diei'len a[baton o[n, i{n∆ h\/ toi'" ejpiginomevnoi" parav d eigma safev s taton: eij" de; ta; a[stra uJpetevqh to; ei[dwlon oujc o{lon aujth'", oiJ d∆ oi[akev" eijsin e{w" tou' iJstou' su;n toi'" phdalivoi", o{pw" oJrw'nte" oiJ th'/ nautiliva/ crwvmenoi qarrw'sin ejpi; th'/ ejrgasiva/, aujth'" te hJ dovxa ajghvrato" diameivnh/ ou[sh" ejn toi'" qeoi'". “Ecei de; ajstevra" ejpi; th'" pruvmnh" dV, ejf∆ eJni; phdalivw/ eV, kai; ãejpi;Ã tw'/ eJtevrw/ dV, ãejpi;Ã stulivdo" a[kra" gV, ãejpi;Ã katastrwvmati eV, uJpo; trovpin ıV, paraplhsivou" ajllhvloi": ãtou;" pavnta" kzVÃ.
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35. Argo, Argo Navis (Carina, Vela...) Argo ebbe un posto fra le stelle grazie ad Atena293 – essa infatti fu la prima nave costruita; era capace di parlare294 e per prima traversò il mare, che era impercorribile295 – affinché restasse per i posteri come modello luminosissimo. Fra le stelle fu posta l’immagine non di tutta la nave296, ma ci sono i manici del timone fino all’albero con i due remi di governo, in modo che quelli che sono impegnati nella navigazione, guardandola, prendano fiducia nella loro attività297 e la sua fama permanga imperitura essendo lei posta fra gli dèi. Ha le stelle seguenti: a poppa quattro, su un remo cinque, e sull’altro quattro, sulla punta dell’albero minore tre, sul ponte cinque, sulla carena sei, l’una all’altra vicina; in tutto ventisette.
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36. Khvtou" Tou' t ov ej s tin o} Poseidw'n e[pemye Khfei' dia; to; Kassievpeian ejriv s ai peri; kav l lou" tai' " Nhrhiv s in: Perseu;" d∆ aujto; ajnei'le, kai; dia; tou'to eij" ta; a[stra ej t ev q h uJ p ov m nhma th' " pravxew" aujtou': iJstorei' de; tau'ta Sofoklh'" oJ tw'n tragw/diw'n poihth;" ejn th'/ ∆Andromevda/. “Ecei de; ajstevra" ejpi; tou' oujraivou bV ajmaurouv", ajpo; de; th'" oujra'" ãejpi;Ã tou' kurtwvmato" e{w" tou' kenew'no" eV, uJpo; th;n koilivan ~V: tou;" pavnta" igV.
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36. Ceto, Balena, Cetus Questo è il mostro298 che Posidone mandò a Cefeo per il fatto che Cassiopea aveva osato gareggiare in bellezza con le Nereidi. Ma Perseo lo uccise, e per questo il mostro fu posto fra le stelle come ricordo dell’impresa dell’eroe299. Racconta questa vicenda Sofocle, il poeta tragico, nell’Andromeda300. Ha le seguenti stelle: sull’estremità della coda due poco luminose, dalla coda sulla curva del dorso fino al basso ventre cinque, sotto il ventre sei; in tutto tredici.
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37. Potamou' Ou| t o" ej k tou' podo; " tou' ∆Wriv w no" tou' aj r isterou' th;n ajrch;n e[cei: kalei' t ai de; kata; me; n to;n “Araton ∆Hridanov": ouj d emiv a n de; aj p ov d eixin peri; aujtou' fevrei. e{teroi dev fasi dikaiovtaton aujto;n ei\nai Nei'lon: movno" ga; r ou| t o" aj p o; meshmbriv a " ta; " aj r ca; " e[ c ei: polloi' " de; a[ s troi" diakekovsmhtai: uJpovkeitai de; auj t w' / kai; oJ kalouvmeno" ajsth;r Kavnwbo", o}" ejggivzei tw'n phdaliv w n th' " ∆Argou' " : touvtou de; oujde;n a[stron katwvteron faivnetai, dio; kai; Perivgeio" kalei'tai. “Ecei de; ajstevra" ªejpi; th'" kefalh'" aVº ejpi; th'/ prwvth/ kamph'/ gV, ejpi; th'/ deutevra/ gV, ejpi; th'" trivth" e{w" tw'n ejscavtwn zV, a{ fasin ei\nai ta; stovmata tou' Neivlou: tou;" pavnta" igV.
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37. Fiume, Eridanus Questo fiume comincia dal piede sinistro di Orione; secondo Arato301 si chiama Eridano; ma non porta nessuna dimostrazione di questo. Altri sostengono molto giustamente che si tratti del Nilo302; è il solo fiume infatti che nasce da sud. È adornato da molte stelle. Sotto di esso si trova anche la stella detta Canopo303, che sta vicino ai remi di Argo304; nessuna stella è visibile più in basso di questa e perciò è chiamata anche Perigea305. Ha le stelle seguenti: sulla prima curva tre, sulla seconda tre, sulla terza fino alla fine sette e queste dicono essere i rami del Delta del Nilo306; in tutto tredici.
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38. ∆Icquvo" Ou|tov" ejstin oJ mevga" kalouvmeno" ∆Icquv", o}n kavptein levgousi to; u{dwr th'" tou' ÔUdrocovou ejkcuvsew": iJstorei'tai de; peri; touvtou, w{" fhsi Kthsiva", ei\nai provteron ejn livmnh/ tini; kata; th;n Bambuvkhn: ejmpesouvsh" de; th'" Derketou'" nuktov", h}n oiJ peri; tou;" tovpou" oijkou'nte" Surivan qeo;n wjnovmasan, ãouto~ dokei` sw'sai aujthvnÃ. touvtou kai; tou;" duvo fasi;n ∆Icquva" ejggovnou" ei\nai, ou}" pavnta" ejtivmhsan kai; ejn toi'" a[stroi" e[qhkan. “Ecei de; ajstevra" ibV, w|n tou;" ejpi; tou' rJuvgcou" lamprou;" gV.
141
38. Pesce, Piscis Austrinus Questa è la costellazione chiamata il Grande Pesce, che dicono inghiotte307 l’acqua del fiotto che esce dall’Acquario308. Si racconta che questo pesce, come dice Ctesia309, prima si trovasse in un lago nella regione di Bambike310. Ma una notte Derketo311, che gli abitanti del luogo chiamano “dea Siria”, cadde nel lago e questo pesce, a quanto pare, la salvò312. Dicono che da lui discendano anche i due Pesci313; e questi pesci tutti e tre ricevettero onori e furono messi fra le stelle.314 Ha dodici stelle, delle quali sul muso tre luminose.
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39. Quthrivou Tou'tov ejstin ejf∆ w|/ prw'ton oiJ qeoi; th;n sunwmosivan e[qento, o{te ejpi; Krovnon oJ Zeu;" ejstravteusen. ejpitucovnte" de; th'" pravxew" e[qhkan kai; aujto; ejn tw'/ oujranw'/ eij" mnhmovsunon: o} kai; eij" ta; sumpovsia oiJ a[nqrwpoi fevrousi kai; quvousin oiJ koinwnei'n ajllhvloi" proairouvmenoi kai; ojmnuvein kai; th'/ ceiri; ejfavptontai th'/ dexia'/ martuvrion eujgnwmosuvnh" tou'to hJgouvmenoi. “Ecei de; ajstevra" ejpi; th'" ejscarivdo" bV, ejpi; th'" bavsew" bV: tou;" pavnta" dV.
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39. Altare, Ara Questo è l’altare sul quale gli dèi prestarono giuramento comune per la prima volta315, quando Zeus combatté contro Crono.316 Dopo che ebbero successo nell’impresa, gli dèi posero anch’esso in cielo per ricordo317. Gli uomini lo portano nei simposi e su questo offrono sacrifici coloro che scelgono di fare accordi comuni reciproci e prestare giuramento e toccano l’altare con la mano destra prendendolo a testimone della loro buona fede.318 Ha sul focolare due stelle, due sulla base; in tutto quattro319.
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40. Kentauvrou Ou|to" dokei' Ceivrwn ei\nai oJ ejn tw'/ Phlivw/ oijkhvsa", dikaiosuvnh/ de; uJperenevgka" pavnta" aj n qrwv p ou" kai; paideuv s a" ∆Asklhpiovn te kai; ∆Acilleva: ejf∆ o}n ÔHraklh'" dokei' ejlqei'n di∆ e[rwta, w|/ kai; sunei'nai ejn tw'/ a[ntrw/ timw'n to;n Pa'na: movnon de; tw'n Kentauvrwn oujk ajnei'len, aj ll∆ h[kouen aujtou', kaqavper ∆Antisqevnh" fhsi;n oJ Swkratiko;" ejn tw'/ ÔHraklei': crovnon de; iJkano;n oJmilouvntwn aujtw'n ejk th'" farevtra" aujtou' bevlo" ejxevpesen eij" to;n povda tou' Ceivrwno" kai; ou{tw" ajpoqanovnto" aujtou' oJ Zeu;" dia; th;n eujsevbeian kai; to; suvmptwma ejn toi'" a[stroi" e[qhken aujtovn. e[sti de; to; Qhrivon ejn tai'" cersi; plhsivon tou' Quthrivou: o} dokei' prosfevrein quvswn, o{ ejsti mevgiston shmei'on th'" eujsebeiva" aujtou'. “Ecei de; ajstevra" uJperavnw th'" kefalh'" ajmaurou;" gV, ejf∆ eJkatevrwn tw'n w[mwn lampro;n aV, ãejp∆à ajristerou' ajgkw'no" aV, ãejp∆à a[kra" ceiro;" aV, ejpi; mevsou tou' iJppeivou sthvqou" aV, ejf∆ eJkatevrwn tw'n ejmprosqivwn oJplw'n aV, ãejpi;à rJavcew" dV, ãejpi;à koiliva" bV lamprouv", ãejpi;à kevrkou gV, ejpi; tou' iJppeivou ijscivou aV lamprovn, ejf∆ eJkatevrwn tw'n ojpisqivwn gonavtwn aV, ejf∆ eJkatevra" oJplh'" aV: tou;" pavnta" kdV. e[cei de; kai; ejn tai'" cersi; to; legovmenon Qhrivon, ou| poiou'si to; sch'ma tetravgwnon: tine;" de; ajskovn fasin aujto; ei\nai oi[nou, ejx ou| spevndei toi'" qeoi'" ejpi; to; Quthvrion: e[cei de; aujto; ejn th'/ dexia'/ ceiriv, ejn de; th'/ ajristera'/ quvrson. e[cei de; ajstevra" to; Qhrivon ejpi; th'" kevrkou bV, ejp∆ a[krou tou' ojpisqivou podo;" lampro;n aV, ãkai; ejpi; th'" rJavcew" lampro;n aVÃ, kai; ejpi; tou' ejmprosqivou podo;" aV lamprovn, kai; uJp∆ aujto;n aV, ejpi; th'" kefalh'" gV: tou;" pavnta" qV.
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40. Centauro, Centaurus Sembra che questa costellazione rappresenti Chirone320, che viveva sul monte Pelio, era superiore a tutti gli uomini per giustizia e fu maestro di Asclepio e di Achille. Da lui si recò Ercole per amore e con lui si unì nella caverna, onorando Pan. Lui solo, fra i Centauri, non uccise, anzi gli prestava ascolto, come racconta Antistene il socratico321 nell’Ercole. Vivevano insieme da tempo quando dalla faretra di Ercole una freccia cadde sulla zampa di Chirone e siccome così trovò la morte, Zeus lo pose fra le stelle per la sua pietà e per la sventura che l’aveva colpito. La Bestia sta nelle mani del Centauro, vicino all’Altare322. Sembra che la stia portando al sacrificio, ciò che è segno grandissimo della sua pietà. Ha le stelle seguenti: al di sopra della testa tre poco luminose, su ciascuna delle spalle una luminosa, sul gomito sinistro una, sull’estremità della mano una, nel mezzo del petto cavallino una, su ciascuno degli zoccoli anteriori una323, sul dorso quattro, sul ventre due luminose, sulla coda tre, sul fianco del cavallo una luminosa, su ciascuno dei ginocchi posteriori una, su ciascun zoccolo una; in tutto ventiquattro. Ha anche fra le mani la cosiddetta Bestia324, di cui rappresentano la figura quadrangolare325. Alcuni dicono che sia un recipiente di vino, dal quale fa libazioni agli dèi sull’altare. Ha questo nella mano destra e nella sinistra un tirso326. La Bestia ha le seguenti stelle: sulla coda due, sulla punta della zampa posteriore una luminosa, sul dorso una luminosa, sulla zampa anteriore una luminosa e sotto una, sulla testa tre, in tutto dieci.
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41. ”Udrou ejn w|/ Kratãh;r kai; Kovrax Tou'to to; a[stron koinov n ej s tin aj p o; prav x ew" gegono; " ej n argou' " : timh; n ga; r e[ c ei oJ kov r ax para; tw'/ ∆Apovllwni: eJkavstw/ ga;r tw'n qew'n o[rneovn ejstin aj n akeiv m enon: qusiva" de; ginomevnh" toi'" qeoi'" spondh;n pemfqei;" ejnevgkai ajpo; krhvnh" tinov", ijdw;n para; th;n krhvnhn sukh'n ojluvnqou" e[cousan e[meinen e{w" pepanqw'sin: meq∆ iJkana;" de; hJmevra" pepanqevntwn touvtwn kai; fagw;n tw'n suvkwn aijsqovmeno" to; aJmavrthma ejxarpavsa" kai; to;n ejn th'/ krhvnh/ u{dron e[fere su;n tw'/ krath'ri, favskwn aujto;n ejkpivnein kaq∆ hJmevran to; gignovmenon ejn th'/ krhvnh/ u{dwr: oJ de; ∆Apovllwn ejpignou;" ta; genovmena tw'/ me;n kovraki ejn toi'" ajnqrwvpoi" ejpitivmion e[qhken iJkano;n tou'ton to;n crovnon diyh'n, kaqavper ∆Aristotevlh" ei[rhken ejn toi'" peri; qhrivwn: mnhmovneuma de; ge th'" eij" qeou;" aJmartiva" safev" eijkonivsa", ejn toi'" a[stroi" e[qhken ei\nai tovn te ”Udron kai; to;n Krath'ra kai; to;n Kovraka mh; dunavmenon piei'n kai; mh; proselqei'n. “Ecousi d∆ ajstevra" oJ me;n ”Udro" ejp∆ a[kra" th'" kefalh'" gV lamprouv", ejpi; th'" prwvth" kamph'" ıV, lampro;n de; aV to;n e[scaton, ejpi; th'" deutevra" kamph'" gV, ejpi; th'" trivth" dV, ejpi; th'" tetavrth" bV, ajpo; th'" eV kamph'" mevcri th'" kevrkou qV ajmaurouv": tou;" pavnta" kzV. “Esti de; kai; ejpi; th'" kevrkou oJ Kovrax blevpwn eij" dusmav": e[cei d∆ ajstevra" ejpi; tou' rJuvgcou" ajmauro;n aV, ejpi; th'" ptevrugo" bV, ejpi; tou' ojrqopugivou bV, ejf∆ eJkatevrwn podw'n a[krwn aV: tou;" pavnta" zV. Touvtou de; iJkano;n ajpevcwn ajpo; th'" kamph'" oJ Krath;r kei'tai ejgkeklimevno" pro;" ta; govnata th'" Parqevnou: e[cei de; ajstevra" oJ Krath;r ejpi; tou' ceivlou" bV, ajmaurouv", ejpi; to; mevson bV, kai; para; tw'/ puqmevni bV: tou;" pavnta" ~V.
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41. Serpente d’acqua su cui stanno Cratere e Corvo, Hydra, Crater, Corvus Questa costellazione è ben nota perché nasce da un evento eccezionale327. Il corvo è onorato nel culto di Apollo328: a ciascun dio infatti è consacrato un uccello329. Una volta mentre si faceva un sacrifico agli dèi, il corvo venne mandato a prendere dell’acqua di sorgente per la libazione330; e avendo visto presso la sorgente un fico che aveva frutti ancora acerbi, restò ad aspettare finché non fossero maturi. Quando furono maturi, passati i giorni necessari, il corvo li mangiò, ma resosi conto dell’errore, afferrò anche il serpente d’acqua che si trovava nella sorgente e lo trasportò insieme al cratere e sostenne che questo mostro si beveva ogni giorno tutta l’acqua della sorgente; ma Apollo, che sapeva cosa era successo al corvo, gli dette come punizione corrispondente di soffrire la sete fra gli uomini per questo tempo331, come racconta Aristotele nello scritto Sugli animali332. Per lasciare evidente memoria del torto compiuto dal corvo verso gli dèi333, Apollo rappresentò e pose fra le stelle il Serpente, il Cratere e il Corvo che non può né bere né avvicinarsi. Il Serpente d’acqua ha le stelle seguenti: sulla sommità della testa tre luminose, sulla prima curva sei, luminosa una, l’ultima, sulla seconda curva tre, sulla terza quattro, sulla quarta due, dalla quinta curva fino alla coda nove, poco luminose; in tutto ventisette. Sulla coda del Serpente si trova anche il Corvo, rivolto verso ovest; ha le seguenti stelle: sul becco una poco luminosa, sull’ala due, sul sedere due, su ciascuna estremità delle zampe una; in tutto sette. Il Cratere dista abbastanza dalla curva del Serpente d’acqua e giace inclinato verso le ginocchia della Vergine; ha le seguenti stelle: sul bordo due, poco luminose, nel mezzo due e presso il piede due; in tutto sei.
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42. Prokunov" Ou| t ov " ej s tin oJ pro; tou' megav l ou Kunov " : Prokuv w n de; lev g etai wJ " pro; tou' Kunov " : ∆Wrivwno" de; kuvwn ejstivn: levgetai ga;r dia; to; filokuvnhgon aujto;n ei\nai parateqh'nai tou'ton aujtw'/: kai; ga;r Lagwo;" ejcovmeno" kai; a[lla qhriva par∆ aujto;n sunora'tai. “Ecei de; ajstevra" gV, w|n ei|" oJ prw'to" ªajnatevlleiº lamprov": kai; poiei' oJmoiovthta tou' Kunov": dio; kai; Prokuvwn kalei'tai, kai; provtero" ajnatevllei kai; duvnei ejkeivnou. Ta; de; meta; tau'ta a[stra givnetai ejn tw'/ zw/diakw'/ kuvklw/, o}n oJ ”Hlio" diaporeuvetai ejn ibV mhsivn, diovper kai; ta; zwv/dia touvtou ijsavriqmav ejstin.
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42. Procione, Canis Minor È la costellazione che precede il Grande Cane; è chiamata Procione, perché si trova davanti al Cane334. È un cane di Orione335. Si dice appunto che sia stato messo accanto ad Orione per la sua passione per la caccia; e infatti è possibile vedere vicino a lui la Lepre e altre fiere336. Ha tre stelle di cui una, la prima, luminosa; ed è simile al Cane, per questo è chiamata Procione e sorge e tramonta prima337 di quello. Le stelle che seguono si trovano nel cerchio zodiacale, che il Sole percorre in dodici mesi e per questo i segni zodiacali sono nello stesso numero338.
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43. Planhtw`n Peri; tw'n pevnte ajstevrwn tw'n kaloumevnwn planhtw'n dia; to; kivnhsin e[cein ijdivan aujtouv". Levgontai de; qew'n ei\nai pevnte: prw'ton me;n Diov", Faivnonta, mevgan: oJ deuvtero" ejklhvqh me;n Faevqwn, ouj mevga": ou|to" wjnomavsqh ajpo; tou' ÔHlivou: oJ de; trivto" “Arew", Puroeidh;" de; kalei'tai, ouj mevga": to; crw'ma o{moio" tw'/ ejn tw'/ ∆Aetw'/: oJ de; tevtarto" Fwsfovro", ∆Afrodivth", leuko;" tw'/ crwvmati: pavntwn de; mevgistov" ejsti touvtwn tw'n ajstevrwn, o}n kai; ”Esperon kai; Fwsfovron kalou'sin: pevmpto" de; ÔErmou', Stivlbwn, lampro;" kai; mikrov": tw'/ de; ÔErmh'/ ejdovqh dia; to; prw'ton aujto;n to;n diavkosmon oJrivsai tou' oujranou' kai; tw'n a[strwn ta;" tavxei" kai; ta;" w{ra" metrh'sai kai; ejpishmasiw'n kairou;" dei'xai: Stivlbwn de; kalei'tai dia; to; fantasivan toiauvthn aujto;n poiei'n.
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43. Pianeti Delle cinque stelle, che sono chiamate pianeti per il fatto che ciascuna si muove con moto particolare339. Si dice che sono proprie di cinque dèi. La prima è di Zeus, Phaenon (Splendente)340, è grande. La seconda fu chiamata Phaethon (Radioso)341, non è grande e prende il suo nome dal figlio di Helios. La terza da Ares. È chiamato Pyroeides (Dall’aspetto di fuoco)342, non è grande e il suo colore è simile a quello dell’Aquila343. La quarta Phosphoros (Portatore di luce), è di Afrodite, di colore bianco; è la più grande fra tutte queste stelle. La chiamano sia Hesperos che Phosphoros344. Quinta è quella di Hermes, Stilbon, luminosa e piccola. Fu data ad Hermes perché questo dio fu il primo345 a definire la disposizione del cielo e le collocazioni delle stelle, a misurare le stagioni e mostrare i tempi favorevoli attraverso segnali celesti. È chiamato Stilbon per il fatto che il dio fa questa immagine splendente.
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44. Galaxiva" Ou|to" givnetai ejn toi'" fainomevnoi" kuvkloi", o}n prosagoreuv e sqaiv fasi Galaxiv a n: ouj ga; r ej x h' n toi' " Dio; " uiJ o i' " th' " ouj r aniv o u timh' " metascei' n eij mhv ti" auj t w' n qhlavseie to;n th'" ”Hra" mastovn: diovper fasi; to;n ÔErmh'n uJpo; th;n gevnesin ajnakomivsai to;n ÔHrakleva kai; prosscei'n aujto;n tw'/ th'" ”Hra" mastw'/, to;n de; qhlavzein: ejpinohvsasan de; th;n ”Hran ajposeivsasqai aujtovn, kai; ou{tw" ejkcuqevnto" tou' perisseuvmato" ajpotelesqh'nai to;n Galaxivan kuvklon.
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44. Via Lattea Fra i cerchi visibili si trova questo che ha il nome di Galassia. Non era possibile infatti ai figli di Zeus avere parte agli onori del cielo, se non avevano succhiato il seno di Era. Per questo si racconta che Hermes trasportò Ercole sull’Olimpo, dopo la sua nascita, e lo attaccò al seno di Era e quello succhiò. Quando se ne accorse, la dea lo respinse e il latte in più, versato in questo modo, costituì il Cerchio latteo346.
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1. Orsa Maggiore, Ursa Maior a Dubhe
z Mizar d Megrez h Alkaid
e Alioth b Merak g Phecda
Questa è una delle costellazioni più antiche e conosciute; per la sua posizione – è una costellazione circumpolare – è sempre visibile alle nostre latitudini; con le sue sette stelle più brillanti (sette buoi secondo una delle immagini più diffuse, da cui il nome settentrione, septem triones), costituisce da millenni un facile punto di riferimento stabile in cielo: a Ulisse, quando parte da lei per tornare a Itaca, la dea Calipso ordina di tenere l’Orsa alla sinistra durante la navigazione (Od. 5. 276-277). È usata ancora oggi per individuare le altre costellazioni, a cominciare dall’Orsa Minore e dalla sua Stella Polare. Come orsa, con uno stesso mito (l’orsa rappresentata dalle 4 stelle centrali e i cacciatori che la inseguono dalle altre 3), è conosciuta da popoli dell’Eurasia e delle Americhe, ciò che lascia supporre un’origine della costellazione antecedente all’ultima glaciazione (al tempo in cui, almeno 14.000 anni fa, popolazioni dell’Eurasia migrarono nelle Americhe attraverso lo stretto di Bering allora percorribile, portando presumibilmente la costellazione e il mito con sé), cf. SCHAEFER 2007. È interessante osservare che il mito di Callistò come è raccontato qui continua a introdurre la catasterizzazione proprio nel momento di una scena di inseguimento (l’orsa e il figlio e altri Arcadi), anche se la figura della costellazione è intesa ormai solo come orsa e anche se nelle illustrazioni di tradizione più antica è raffigurata come orsa, con una lunga coda, però, (che gli orsi in realtà non hanno) al posto degli inseguitori e anche se il figlio Arcade è piuttosto, come nell’Epitome, identificato con Boote. L’interpretazione della costellazione come carro (in Mesopotamia è MAR.GID.DA, Il Carro), ben nota anche in Grecia fino da Omero (Il. 18.487; Od. 5.272), presuppone l’invenzione della ruota (IV millennio) ed è quindi molto più recente.
158 1 Cf. HESIOD. frgg. 163-164 Merkelbach-West. La protagonista della storia si chiamava Callistò, “Bellissima”. Esiodo (secondo APOLLOD. 3.8.2) la dice nymphe, nome che allude alla condizione di vergine della ragazza e il mito rimanda ad aspetti rituali del passaggio da ragazza a donna; in Attica con la cerimonia della ajrkteiva le ragazze servivano Artemide come orse, prima di diventare donne e passare sotto la protezione di Era. Secondo l’Epitome, cap. 8, Esiodo trattava anche del mito di Licaone, trasformato in lupo da Zeus per la sua empietà (frg. 163b Merkelbach-West). Per noi la prima testimonianza certa del catasterismo di Callistò è Callimaco (frg. 632 Pfeiffer), secondo il quale Callistò fu trasformata in orsa da Era per gelosia e la dea stessa esortò poi Artemide a colpirla, ma l’orsa fu salvata da Zeus che la mise in cielo. Come Orsa questa costellazione è ricordata già in Omero, che la conosce però anche come Carro (Il. 18.487; Od. 5.273). Callistò trasformata in orsa a causa di Zeus, che l’aveva privata della sua condizione di vergine, si trova in Euripide (Hel. 375), ma la vicenda viene raccontata con moltissime varianti: cf. APOLLOD. 3.8; HYGIN., Astron. 2.1. Arato (Phaen. 30-37) collegava le due Orse all’infanzia di Zeus: sarebbero le sue due ninfe nutrici, Eliche e Cinosura, cf. cap. successivo. 2 Su Arcade cf. PAUS. 1.25.1; 10.31.10; APOLLOD. 3.8.2. Fragm. Vat. a questo punto del testo ha: “Amfi~ ãde;Ã oJ tw`n kwmwdiw`n poihth;~ fhsi;n o{ti to;n Diva jArtevmidi oJmoiwqevnta ejlqei`n eij~ to; o[ro~ kai; sunkunhgetou`san fqei`rai aujthvn: meta; de; to;n crovnon th`~ gastro;~ metewvrou genomevnou, ejtazomevnhn eijpei`n mhdevna ai[tion ei\nai tou` sumptwvmato~, plh;n “Artemin. ejf∆ w|/ ojrgisqei`san th;n qeo;n qhriw`sai aujthvn (AMPHIS, frg. 46 Kassel-Austin). “Il poeta comico Amfis invece afferma che Zeus assunse l’aspetto di Artemide, si recò fra le montagne, e mentre andava a cacciare con lei, la violò; tempo dopo, siccome il suo ventre si era ingrossato, Callistò, interrogata, rispose che di questo fatto non c’era nessun responsabile se non Artemide e la dea, adirata per questa risposta, la trasformò in fiera”. Cf. HYGIN., Astron. 2.1.2 Sed, ut ait Amphis comoediarum scriptor, Iuppiter simulatus effigiem Dianae, cum virginem venantem ut adiutans persequeretur, amotam a conspectu ceterorum compressit. Quae rogata Diana quid ei accidisset, quod tam grandi utero videretur, illius peccato id evenisse dixit. Itaque propter eius responsum, in quam figuram supra diximus, eam Diana convertit; ARAT. LAT. (Amphis vero carminum poeta differenter dixit. Iovem enim ait Dianae adsimilatum). 3 Pausania (8.38.6) racconta che sul monte Lycaios si trova un recinto sacro a Zeus nel quale non è consentito entrare e se un uomo non rispetta il divieto ed entra, non sopravviverà un anno; tutti, animali o uomini, se vi entrano, perdono la loro ombra e un cacciatore che insegue una fiera, se questa entra nel recinto, non la seguirà. Tutto il mito ha elementi del mondo arcade; dal nome del figlio di Callistò, all'episodio di antropofagia di cui si macchia Licaone (cf. APOLLOD. 3.8.1-2), padre di Callistò nella nostra versione della storia, alla trasformazione del medesimo in lupo ad opera di Zeus; queste ultime vicende mettono il mito in relazione al rito praticato,
159 forse per iniziazione, nel santuario arcade di Zeus Lykaios dove, cibandosi di viscere umane mescolate a quelle animali, l'uomo diventava lupo per un certo periodo di tempo. Secondo altre versioni del mito Callistò viene uccisa da Artemide, cf. APOLLOD. 3.8.101 oppure da Era; la nostra versione mette in evidenza il ruolo di Zeus. 4 Fragm. Vat., ejkdiwkomevnhn de; uJpo; tou` ijdivou uiJou` kai; ajmfotevrwn tw`n ∆Arkavdwn mellovntwn ajnairei`sqai dia; to;n proeirhmevnon novmon, oJ Zeu;~ dia; th;n suggevneian ejxeivleto aujtou;~ kai; ejn toi`~ a[stroi~ e[qhken “Arkton ojnomavsa~ dia; to; suvmptwma. “inseguita dal proprio figlio ed entrambi dagli Arcadi, quando stavano per essere uccisi a causa della legge suddetta, Zeus, in nome della parentela che li univa, li sottrasse e li mise fra le stelle, chiamandola Orsa per la sua sventura”. 5 In antico era costituita da 7 stelle, quelle che si osservano facilmente ancora oggi: a, Dubhe, “orso”, la più vicina alla Stella polare; b, Merak; g, Phecda; d Megrez, “base della coda”; e, Alioth; z, Mizar; h, Alkaid, “fine della coda”. Sull’astrotesia di questa costellazione cf. FERABOLI 1990.
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2. Orsa minore, Ursa Minor Non è una costellazione particolarmente luminosa (nessuna delle sue stelle va oltre la magnitudine 2), ma è molto conod Yildun sciuta per la sua posizione: ospita la stella oggi più vicina al polo (a UMi), la stella e polare. Al tempo in cui la usavano i Fenici e a partire dal 1200 a.C. circa, invece, la z stella più vicina al polo (ma in realtà semh pre distante da esso parecchi gradi) era b UMi, Kochab. Il nome Cinosura, “coda di cane”, allude alla sua forma spirale e al fatb Kochab to che si vede girare intorno al polo e a sé g Pherkad stessa. Né Omero né Esiodo la rammentano mai; Callimaco (frg. 191.54 sgg. Pfeiffer) ne attribuiva la definizione allo scienziato Talete di Mileto: “di lui si diceva che avesse fissato la figura stellata del Carro con la quale i Fenici guidano le navi”. Arato (Phaen. 40-44) sottolinea il fatto che è piccola e poco luminosa rispetto all’Orsa maggiore, ma la definisce “migliore per i naviganti, perché compie la sua rivoluzione con un giro più piccolo’’ e dice che “grazie ad essa anche i Sidonii navigano con rotte precisissime”. a Polaris
6 Come altre volte il testo è fortemente abbreviato; presenta un andamento più chiaro del discorso Fragm. Vat. ejn tauvth/ th'/ “Arktw/ th'/ ejlavttoni oiJ Foivnike" pepoiqovte". o[ntw" uJp∆ aujtw'n ejtimhvqh Foinivkh kaloumevnh. ejtimhvqh de; kai; para; th'" ∆Artevmido" dia; ta; prolecqevnta e[mprosqen sumptwvmata. ajgnoou'sa ga;r o{ti oJ Zeu;" aujth;n… “su questa costellazione fanno affidamento i Fenici e in realtà da loro essa prende l’onore di essere chiamata Fenice. Ma fu onorata anche da Artemide per le sventure suddette. Infatti la dea ignorando che era stato Zeus…”. Per Arato (Phaen. 37-40) è cosa nota che i Greci si orientavano nella navigazione con l'Orsa Maggiore e i Fenici con l'Orsa Minore. Igino (Astron. 2.2.3) collega al nome Fenice il fatto che la scoperta di questa costellazione sarebbe dovuta a Talete, il quale era di origine fenicia. 7 jAgnoou'sa è ricostruzione di Pàmias, da Fragm. Vat., e dal ms. Edimburgense, in rasura; tutti gli altri mss. hanno gnou'sa; cf. Arat. Lat. ignorans, “non sapendo che era stato Zeus a sedurla”, in questa forma il testo riprenderebbe la versione di AMPHIS frg. 46 Kassel-Austin, di cui era citazione nel cap.1: Zeus aveva assunto l’aspetto di Artemide per sedurre Callistò e dun-
161 que nemmeno lei poteva confessare alla dea chi fosse il vero responsabile, anzi l’avrà fatta irritare ancora di più dicendole che era lei medesima; per questo la dea l’avrebbe uccisa, ma perdonata dopo aver saputo della macchinazione di Zeus. Il testo resta tormentato e poco chiaro, seswmevnh ... aujth'/ implica un percorso di eventi incomprensibile; secondo Robert ha sofferto di eccessiva condensazione e ne conserverebbe la versione integra HYGIN., Astron. 2.1 Nonnulli dixerunt, cum Callisto ab Iove esset compressa, Iunonem indignatam in ursam eam convertisse; quam Dianae venanti obviam factam, ab ea interfectam et postea cognitam inter sidera conlocatam. Robert corregge seswmevnh con ejgnwsmevnh (cognitam). Cioè sarebbe stata Giunone (persa nella condensazione del testo greco) ad adirarsi e a trasformare Callistò, dopo aver saputo del tradimento di Zeus, invece Artemide avrebbe offerto all’orsa un posto fra le stelle dopo averla uccisa per sbaglio durante una battuta di caccia e avere riconosciuto l’amica. 8 Il primo glielo aveva conferito Zeus, cf. cap. 1. L’espressione e{teron ei[dwlon si riferisce evidentemente all’immagine del personaggio come appare disegnata in cielo dalle stelle e sulla mappa celeste che l’autore ha presente. 9 FGrHist 499 F 1; nei Nassicà trattava vicende di Zeus per le quali è ricordato anche nel cap. 30, l’Aquila (FGrHist 499 F 2); in Igino (Astron. 2.17, FGrHist 499 F 3) Aglaostene è citato come fonte per un mito relativo alla costellazione del Delfino, cap. 31. 10 Cinosura è conosciuta prevalentemente come nutrice di Zeus, cf. ARAT., Phaen. 30-37. Il nome descrive una precisa morfologia del territorio, a “coda di cane”, ed è attestato per diverse località. 11 ejn Krhvth" povlei secondo Robert, cf. Schol. Germ. BP 59.15 Breysig a qua in Cretae oppido Istoe. tou[noma tou'to h\n è un commento finito nel testo ed espunto da molti editori. 12 Nicostrato, figlio di Elena e Menelao. Cf. HESIOD. frg. 175 Merkelbach-West e PAUS. 2.18.6; 3.19.9; 3.18.3. 13 Da Fragm. Vat. ejlqei'n de; meta; tw'n Telcivnwn, oJu;" ei\nai th'" ÔReva" parastavta~, w{sper Kourh'ta" kai; ∆Idaivou" Daktuvlou". “Ed ella vi giunse insieme ai Telchini, accompagnatori di Rea, come i Cureti e i Dattili dell’Ida”. Rea cercò di sottrarre il figlio Zeus al padre Crono, che lo avrebbe inghiottito come gli altri figli, nascondendolo in una caverna sul monte Ida a Creta; i Telchini erano demoni dotati di poteri magici, originari dell’isola di Rodi e collegati all’educazione di Posidone; i Cureti demoni originari dell’Eubea, che in Creta protessero il piccolo Zeus, coprendone il pianto con il rumore delle loro danze guerresche, in modo che il padre Crono non lo sentisse e non lo trovasse; anche i Dattili sono personaggi dotati di poteri magici, di ambiente cretese e collegati alla lavorazione del ferro. 14 ARAT., Phaen. vv. 30-37. In uno dei pochi casi in cui si ferma a trattare ampiamente di un catasterismo, non a caso relativo a Zeus, ci dice che le due costellazioni avrebbero rappresentato due nutrici di Zeus nella caverna sul monte Ida: Eliche, l’Orsa maggiore, Cinosura, l’Orsa minore. I due nomi, Elìche e Cinosura, fanno evidente riferimento alla forma delle due costellazioni (a spirale e a coda di cane). Nei materiali di commento ad Arato,
162 Schol. Arat. Vet. pp. 30-31 e pp. 543-544 Martin (e Schol. Od. 5.272 Dindorf) si racconta che Zeus trasformò le due ninfe nutrici in orse e sé stesso in serpente, per sfuggire al padre Crono che lo cercava, poi, una volta diventato re degli dèi, mise tutti e tre i personaggi come costellazioni, e il serpente alla guida del cielo, cf. anche n.19. 15 Non Elìche, in realtà, ma Cinosura. 16 Anche se collegata col mito dell’Orsa, qui la costellazione è descritta come un quadrato con la coda, senza né testa né zampe, come se la figurazione del carro e quella dell’orsa convivessero insieme. 17 Il testo tradito povlo~, (kovsmo" corregge Robert, alii alia) è difeso con buoni argomenti da PÀMIAS, Catasterismes II, 1999; cf. HIGYN., Astron. 3.1 Sed in prioribus caudae stellis una est infima quae Polus appellatur, ut Eratosthenes dicit, per quem locum ipse mundum exisitimatur versari; reliqui autem choreutae dicuntur, quod circum Polum versantur, ma anche 4.8.2 dove dice che il polo è l Dra. C’è confusione su questo perché, a causa del fenomeno della precessione degli equinozi, la posizione delle stelle intorno al polo varia nel tempo. In conseguenza della complessità delle forze di attrazione della Luna e del Sole l’asse di rotazione della Terra si sposta in modo lento e ininterrotto compiendo un giro (come quello di una trottola) che fa cambiare le posizioni delle stelle nel cielo e anche dei punti di equinozio sull’eclittica, donde il nome di precessione degli equinozi. È uno spostamento lento e continuo e il giro completo del cielo si compie in circa 25.800 anni. In conseguenza allo spostamento dell’asse terrestre, risultano spostati anche i poli celesti e così è cambiata e cambierà nel tempo la stella polare, cioè la stella più vicina al polo. Dopo q Boo, dal IV millennio fino agli inizi del II, la stella più vicina al polo è stata a Dra, Thuban; poi b UMi, Kochab. All’epoca di Eratostene in realtà, e fino ai primi secoli d.C, non c’era una stella così vicina al polo, come l’attuale stella polare, a Umi, la prima della coda; anzi, l’identificazione del polo con una precisa stella da parte di Eudosso (frg. 11 Lasserre “Esti dev ti" ajsth;r mevnwn ajei; kata; to;n aujto;n tovpon: ou|to" de; oJ ajsth;r povlo" ejsti; tou' kovsmou.), forse su eredità di una fonte molto antica, che il nostro testo pare riprendere, fu oggetto delle critiche di Ipparco (In Arat. et Eud. 1.4.1). Secondo Ipparco (e secondo Pitea di Marsiglia, prima di lui) c’erano tre stelle attorno al polo (presumibilmente b UMi, k e l Dra) e con il punto del polo (dove non c’era nessuna stella) costituivano un quadrilatero. Il nostro testo sembra riferirsi a una stella reale, localizzata dalla parte dell’Orsa Minore, sotto alle stelle b e g, quelle che guidano il movimento della costellazione attorno al polo. In ogni caso è chiaro che sta parlando di una stella che non è la nostra stella polare, visto che le tre della coda sono già state catalogate prima, a parte, ma di una stella che è fuori dalla costellazione ed è rivolta più verso il basso, verso l’orizzonte. Invece che si tratti di un punto teorico, calcolato sulla sfera celeste (o sulla mappa), che l’autore ha davanti e sta descrivendo, è la possibilità ipotizzata da BRUNET e NADAL in CHARVET - ZUCKER 1998, 36.
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3. Serpente, Draco l
k
t a Thuban
c
e
d
z
h
q
i
x n
g Eltanin
b Rastaban
Questa costellazione è costituita da stelle non particolarmente luminose e non è facile da individuare in cielo: ha la testa fra Lira ed Engonasi e la coda fra le due Orse. La sua stella a Dra, Thuban, “il basilisco”, che si trova a metà della coda, è stata per molto tempo, nel quarto e terzo millennio, la stella più vicina al Polo; nel 2.700 a.C. distava dal polo solo 2 gradi: appariva dunque come un vero perno dell’asse del mondo e per questo era venerata e conosciuta fra i popoli antichi, in Mesopotamia e presso gli Egiziani, i cui architetti orientarono rispetto ad essa alcuni ambienti delle piramidi, cf. LE BOEUFFLE 1996. Igino dà due diverse indicazioni di stella polare, la prima nell’Orsa Minore (3.1.2 in prioribus caudae (Ursae minoris)
164 stellis una est infima quae polus appellatur, ut Eratosthenes dicit, per quem locum ipse mundus existimatur versari), la seconda (4.8.2 in extrema cauda Draconis stellam esse, quae in se uertatur et in eodem loco constet) nella coda del Serpente. Sempre Igino racconta il mito di Atena che uccide il serpente, lo scaglia fra le stelle e lo fissa con l’asta sull’asse del mondo, facendo così forse ancora ancora riferimento a questo antico ruolo della costellazione (Astron. 2.13). Si trova comunque nel Serpente il polo nord dell’eclittica, cioè dell’asse perpendicolare al piano dell’eclittica, il quale, a differenza del polo celeste, resta fisso. Eratostene chiama la costellazione Ophis, secondo una denominazione antica (EUDOX. frg. 15 Lasserre), ma già Arato la chiamava Dracon distinguendola così dal Serpente dell’Ofiuco, cui riserva l’altro nome, come sarà anche in seguito fino a oggi. Nelle leggende mesopotamiche questa costellazione sembra collegabile alla grande serpentessa Tiamat, regina del caos, uccisa da Marduk.
18 Nei manoscritti il nome di questa costellazione nel titolo è Draco, come in Arato, sul quale è stato modellato il materiale dell’Epitome; Draco è ancora il nome con cui essa è conosciuta oggi, ma Eratostene la chiamava con una denominazione più antica, Ophis, come si vede nelle citazioni all’interno del testo capp. 3, 4, 5 e nell’elenco originario Anonymus II 2, 1. È chiamato Grande Serpente per distinguerlo dal serpente più piccolo che l’Ofiuco tiene nelle mani, cap. 6. 19 Igino (Astron. 2.13) e gli Scoli a Germanico (Schol. Germ. BP 60.25 Breysig) riportano anche la versione di alcuni secondo i quali si tratterebbe del serpente mandato dai Giganti contro Atena e dalla dea stessa scagliato fra le stelle e fissato in cielo con l’asse del mondo. Per altri la costellazione rappresentava il serpente in cui si era trasformato Zeus quando mutò in orse le sue nutrici (Schol. Arat. Vet. 45, 46; Schol. Od. 5.272 Dindorf), il che completerebbe anche il quadro come lo vede Arato (che però non separa del tutto il Serpente dall’inginocchiato), oppure il serpente Python ucciso da Apollo a Delfi, oppure il serpente ucciso da Cadmo in Beozia. 20 tai`" ÔEsperivsi è correzione di Robert; i mss. hanno ejpi; th'" eJspevra" cioè “a occidente” che si potrebbe anche conservare, cf. ms. Scorialensis gh'" eJspevra", cf. ARAT. LAT. ad vesperum: “Gli dette un posto fra le stelle Era che lo aveva messo a guardia dei frutti a occidente”. Olivieri propone ejpi; ta;" ÔEsperivda", “contro le Esperidi”, accolto da Pàmias. Normalmente le Esperidi custodivano i frutti d’oro assieme al serpente (HESIOD., Theog. 215-16; 274-275; APOLL. RHOD. 4.1396-1400; APOLLOD. 2.5.11) e il luogo in cui l’albero si trova è detto Giardino delle Esperidi: la proposta di Robert mi pare la più accettabile e trova conferme sia in Schol. Ger. BP 60.5 Breysig
165 hortorum Hesperidum custos fuisse, sia in HYGIN., Astron. 2.3 aurea mala Hesperidum custodisse. La correzione di Olivieri introduce un’identificazione tra Esperidi ed Atlantidi che il testo non richiede e che è molto rara; essa implica che le Esperidi siano figlie di Atlante e di Esperide anziché della Notte, come vuole Esiodo o di Forco e Ceto e si chiamino Atlantidi dal nome del padre ed Esperidi da quello della madre, come solo in DIOD. SIC. 4.27.2 e nel nostro testo, che risalebbe a Fercide, cf. PÀMIAS 2004, 87, n. 33; anche se in questa parte, in cui si parla di Ercole che uccide il serpente, la fonte è piuttosto Paniassi, cf. n. 31. 21 PHERECYD. frgg. 16a, b, c, d; 17 Fowler. 22 su;n toi`~ klavdoi~ Fragm. Vat., “coi rami”, cf. HYGIN., Astron. 2.3 cum ramis. 23 HYGIN., Astron. 2.3 (cf. anche 2.6) Hoc enim signi erit, quod in sideribus supra eum draconem Herculis simulacrum ostenditur, ut Eratosthenes monstrat. 24 Ne aveva cinque secondo Arato (Phaen. 54-57), due alle tempie, due sugli occhi e una all’estremità della mandibola, dunque il catalogo nostro si differenzia da Arato, come già aveva osservato ROBERT 1848, 33-34. Sulla testa si trova g Dra, Eltanin, “la testa”, la stella più brillante della costellazione. 25 I mss. dell’Epitome hanno diestwv~; diestw`ta" è correzione della maggior parte degli editori, confermata da Fragm. Vat. e Arat. Lat. In questo modo la descrizione della costellazione corrisponde di più alla sua posizione reale, perché la testa del Serpente non è affatto fra le due Orse.
166
4. Engonasi, Hercules t f o p
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M13
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e
m l Maasym
d Sarin b Kornephoros g
a Ras Algiethi
È una delle costellazioni più grandi del cielo; si individua bene perché sta fra Vega e Arturo. Anche se l’identificazione con Ercole è ovviamente greca e forse dovuta proprio a Eratostene, come figura di guerriero in lotta contro il serpente era già conosciuta in antico, presso i Fenici (il dio Melqart) e in area mespotamica (Marduk contro Tiamat oppure Gilgamesh). Arato dichiara che nessuno sa dire chi sia e perché stia soffrendo e lottando. Nel cielo questa figura appare a testa in giù con le gambe veso il polo e la testa vicino a quella del Serpentario (krevmatai dice Arato, “sta appeso, penzoloni”). Tra le sue stelle più conosciute b Her, Kornephoros, “colui che por-
167 ta la clava” di magnitudine 2.7 e a Her, Ras Algethi, “la testa dell’inginocchiato” di magnitudine 3.5. La costellazione ospita l’ammasso globulare più luminoso del nostro emisfero, M 13, visibile a occhio nudo. Cf. figg. 2 e 6.
26
Per questa costellazione si registrano presso i Greci tante identificazioni diverse: Teseo, Tamiri, Orfeo, Issione, Prometeo, Atlante, Tantalo. Arato afferma che nessuno sa dire con certezza chi sia e si limita a riconoscere la figura di un uomo inginocchiato, in preda a uno sforzo, con le braccia alzate e un piede sul serpente, e lo chiama Engonasi, Inginocchiato (Phaen. 63-66 to; me;n ou[ti~ ejpivstatai ajmfado;n eijpei'n, oujd∆ o{tini krevmatai kei'no~ povnw/, ajllav min au{tw~ ∆Engovnasin kalevousi.). Del suo scetticismo tiene conto anche Igino (Astron. 2.6.1 etsi qui sit hic negata Aratus quemquam posse demonstrare, tamen conabimur ut aliquid verisimile dicamus), il quale ci conferma che questa proposta dell’Epitome è propria di Eratostene (Astron. 2.6 Hunc Eratosthenes Herculem dicit, supra Draconem…) e ci dice anche che Eschilo nel Prometeo Liberato (frg. 199 Radt) sostiene che si tratta di Ercole nell’atto di combattere non con il Serpente, ma contro i Liguri, piegato dalle ferite che quelli gli avevano inflitto, durante il viaggio di ritorno da Gerione e che Zeus in questa posa l’avrebbe messo in cielo. Anche se non appartiene ad Arato, questa rappresentazione di Ercole come Engonasi, con clava e pelle di leone in lotta contro il Serpente attorcigliato all’albero dei frutti d’oro, è quella che si ritrova nei manoscritti di Aratea e questo costituisce un segno del debito di queste illustrazioni verso le illustrazioni originarie dei Catasterismi, debito già intuito da WEITZMANN 1970, 96. 27 ejn ajgw'ni è correzione di Robert (cf. HYGIN. ut ad decertandum paratum), i mss. hanno ejnargw'" che è conservato da Pàmias: “è evidente che brandisce la clava.” in questo caso la frase sottolinea ancora di più il fatto che l’autore si sta riferendo non all’osservazione diretta in cielo della costellazione, ma ad una sua precisa rappresentazione iconografica, cf. figg. 2, dal ms. NLW 735C e 6, dal ms. Vat. Gr. 1087. 28 La descrizione di Arato non parla della clava, che non compare nemmeno in Ipparco né in Tolomeo, ma è conosciuta nel medioevo, cf. FERABOLI 1998, 357. 29 ARATO, Phaen. 66-70. La figura descritta da Arato non ha né clava né pelle di leone, né altri attributi. 30 Fragm. Vat. … polla; pravgmata e[conta∑ poluvfwnov" te ga;r h\n kai; tw'/ megevqei uJperbavllwn kai; th'/ dunavmei qaumastov". kai; oujde; u{pno" ejqivgganen aujtou', “con molta fatica perché emetteva molte voci (cf. Ferecide frg. 16b Fowler), era di dimensioni esagerate, dotato di una forza stupefacente e mai lo vinceva il sonno”. Da notare che la descrizione del serpente è conservata qui nella trattazione della costellazione di Ercole e non in quella del Serpente medesimo.
168 31
Al cap. precedente si dice che le figlie di Atlante rubavano i frutti. Esistevano versioni del mito secondo le quali il serpente, immortale, non veniva ucciso da Ercole: l’eroe si procurava i frutti d’oro grazie all’aiuto di Atlante (APOLLOD. 2.5.11; PHERECYD. frg. 17 Fowler; DIOD. SIC. 4.27; TZETZ., Chil. 2.372). Nel trattare questa costellazione sia Igino (Astron. 2.6 De hoc etiam Panyasis in Heraclea dicit) che gli Scoli a Germanico (Schol. Germ. BP 61 dicitur cum ad mala profectus esset, ut refert Panuassis, serpens hortorum custos immensae magnitudinis insomnisque fuisse) citano Paniassi come fonte per quanto riguarda il combattimento dell’eroe con il serpente, cf. PANYASS. frg. 11 Bernabé. 32 megivstou è aggiunta di Robert sulla base di Schol. Germ. BP maximo periculo. 33 Questo è uno dei casi in cui si specifica che la costellazione non è la metamorfosi del personaggio, ma la sua raffigurazione. 34 È evidente che l’autore sta descrivendo una precisa rappresentazione iconografica della costellazione, perché non si vede certo in cielo la pelle di leone. Mi chiedo se questa pelle di leone avvolta nella mano sinistra che si dovrebbe vedere in cielo non sia l’ammasso globulare M13. Rispetto alla figura della costellazione nella sua forma attuale, M13 si trova nel corpo, dal lato sinistro; secondo le parole del nostro testo la pelle di leone avvolgerebbe il braccio sinistro. Sarebbe la prima testimonianza di una osservazione di M13, molto antica. Di solito si dice che fu scoperto nel 1714 da Edmond Halley; M13 può essere visibile a occhio nudo, come mi conferma Giuseppe Bertin, anche se solo in condizioni di particolare visibilità, tuttavia, mi avverte, appare troppo piccola per essere intesa come la pelle che avvolge il braccio di Ercole per proteggerlo dal morso del serpente. 35 Il ginocchio piegato sarebbe il destro secondo Ipparco (In Arat. et Eud. 1.4.9). In teoria destra e sinistra dipendono dal punto di vista dell’osservatore, se è immaginato sotto o sopra la volta celeste. Ma il percorso attraverso il quale un testo o un illustratore rappresentano ogni singola figura secondo l’uno o l’altro modo di guardare non appare sempre coerente, cf. BAKHOUCHE 1997. 36 Una stella con questo nome non è conosciuta da Tolomeo; la stella più brillante della costellazione, nella sua forma attuale, b Her, è detta proprio Kornephoros, “colui che porta la clava”, il che ci conferma di una lunga tradizione che attribuisce alla figura una clava.
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5. Corona, Corona Borealis È una piccola costellazione q conosciuta oggi come Corona Boreale per distinguerla dalla i Corona Australe (cap. 28); ha b forma semicircolare. La sua stela Alphecca la più luminosa è a CrB, Alphece ca o Gemma, di magnitudine g d 2.2; fra gli astronomi è molto conosciuta R CrB, una variabile a intervalli irregolari la cui magnitudine diminuisce da 6 a 14 per poi aumentare di nuovo; essa costituisce il prototipo di un tipo di stelle, dette anche novae inversae.
37 Già Ferecide (frg.148a, b Fowler oJ de; Qhseu;" labw;n th;n ∆Ariavdnhn eij" th;n nau'n ejmbavlletai kai; tou;" hji>qevou" kai; parqevnou" oujdevpw fqavsanta" tw'/ Minwtauvrw/ parateqh'nai. kai; tau'ta poihvsa" nukto;" mevsh" ajpoplei'. prosormivsa" de; th'/ Diva/ nhvsw/ ejkba;" ejpi; th'" hji>ovno" metakoima'tai. kai; aujtw'/ hJ ∆Aqhna' parasta'sa keleuvei th;n ∆Ariavdnhn eja'n kai; ajfiknei'sqai eij" ∆Aqhvna". suntovmw" de; dianasta;" poiei' tou'to. katolofuromevnh" de; th'" ∆Ariavdnh" hJ ∆Afrodivth ejpifanei'sa qarrei'n aujth'/ parainei': Dionuvsou ga;r e[sesqai gunai'ka kai; eujkleh' genevsqai. o{qen oJ qeo;" ejpifanei;" mivsgetai aujth'/ kai; dwrei'tai stevfanon aujth'/ crusou'n, o}n au\qi" oiJ qeoi; kathstevrisan th'/ tou' Dionuvsou cavriti. ajnaireqh'nai de; aujth;n uJp∆ ∆Artevmido" proemevnhn th;n parqenivan.), descrive la vicenda in termini simili alla prima versione: Dioniso sposa Arianna, abbandonata da Teseo, e gli dèi mettono in cielo la corona di nozze. È una vicenda che piace ai poeti alessandrini, la ricordano Apollonio Rodio (3.1001-4) e Callimaco (frg. 110.59-60 Pfeiffer). Se si interpreta l’Inginocchiato come Teseo (come faceva anche Egesianatte di Alessandria nei suoi Fenomeni, cf. HYGIN., Astron. 2.6.2), vale la pena di ricordare che esso è figura simmetrica tra la Lira e la Corona, attributi tradizionali rispettivamente di Teseo e Arianna. 38 Insieme agli Asini, questa è la sola costellazione che si deve a Dioniso nell’Epitome. Secondo Arato (Phaen. 71-74) la Corona è stata messa in cielo da Dioniso dopo la scomparsa di Arianna. Un mito del tutto diverso, di origine locale, attribuisce a Dioniso la collocazione della corona fra le stelle in Igino (Astron. 2.5.2): un autore di Argolica racconta che Dioniso da ragazzo si recò in Argolide alla ricerca dell’accesso agli Inferi per riprendere la madre Semele; il dio indossava la corona che aveva ricevuto da Afrodite e la posò fuori dall'ingresso agli Inferi per non contaminarla conferendo così al luogo
170 il nome di Stephanos; poi, compiuta l'impresa, mise la corona fra le stelle. 39 Cf. HYGIN., Astron. 2.5 Haec existimatur Ariadnes fuisse, a Libero patre inter sidera conlocata. Dicitur enim in insula Dia, cum Ariadne Libero nuberet, hanc primum coronam muneri accepisse a Venere et Horis, cum omnes dii in eius nuptiis dona conferrent e in Schol. Arat. Vet. 71 peri; tou' boreivou StefavnouÚ fasi; th;n ∆Ariavdnhn eij" gavmon ejlqou'san tw'/ Dionuvsw/ dw'ron par∆ ∆Afrodivth" kai; tw'n ÔWrw'n labei'n stevfanon, o}n meta; qavnaton ∆Ariavdnh" kathstevrisen oJ Diovnuso" dia; to;n pro;" aujth;n e[rwta. Su questo capitolo come esempio per la ricostruzione della storia del testo, cf. MARTIN 1956, 64-66 e ROBERT, Prolegomena, p. 10. 40 I mss. hanno I j dh/; corretto sulla base di Igino e Schol. Germ. BP. A Nasso (CALLIMACH., frg. 601 Pfeiffer) oppure Standia (nord di Creta), ma il nome Dia è molto diffuso e più avanti si parla di Nasso, che pare distinto da Dia. In Fragm. Vat. segue a questo punto aujtoi'" boulovmeno" ejpifanh;" genevsqai, “con l’intento di apparire loro nella sua gloria”. Le nozze di Arianna e Dioniso sono ricordate in Esiodo (Theog. 947-8). 41 Questo particolare del mito è presentato come aition del costume matrimoniale tradizionale, secondo il quale la futura sposa indossava una corona. Fragm. Vat.: w|/ prw'ton. 42 A questo punto del testo Fragm. Vat. riporta una versione molto diversa: o{ de; ta; Krhtika; gegrafw;" levgei∑ o{te h\lqe Diovnuso" pro;" Mivnw fqei'rai boulovmeno" aujthvn, dw'ron aujth'/ tou'to devdwken: w|/ hjpathvqh hJ ∆Ariavdnh. “L’autore dei Creticà dice invece che quando Dioniso giunse da Minosse con l’intenzione di sedurla le offrì questa corona in dono; grazie ad essa Arianna si lasciò ingannare.” Questo ci permettte di capire il seguito del testo della nostra recensione, malamente epitomato: secondo il racconto dei Creticà infatti Arianna aveva già la corona quando Teseo arrivò da Minosse e per questo il nostro testo può affermare che la luce che da essa emanava servì ad aiutare l’eroe a mettersi in salvo dal Labirinto. L’autore di Creticà è Epimenide (frg. 3 Fowler), ricordato anche al cap. 27; è un personaggio circondato da leggende e caratteristiche sovrannaturali, gli si attribuisce la purificazione di Atene dopo l’eccido dei Ciloniani e si colloca fra VII e VI secolo; sotto il suo nome si citavano opere epiche, mitologiche e oracoli. Secondo la versione a lui attribuita Arianna avrebbe amato Dioniso prima di innamorarsi di Teseo e avrebbe tradito il dio per l’eroe ateniese (cf. Od. 11.321-325 te i[don kalhvn t∆ ∆Ariavdnhn, / kouvrhn Mivnwo" ojloovfrono", h{n pote Qhseu;" /ejk Krhvth" ej" gouno;n ∆Aqhnavwn iJeravwn/ h\ge mevn, oujd∆ ajpovnhto: pavro" dev min “Artemi" e[kta / Divh/ ejn ajmfiruvth/ Dionuvsou marturivh/si) cf. PÀMIAS 2004, p. 95 n. 48. 43 Come Chioma di Arianna questa costellazione non è conosciuta altrove. Più avanti, dove si parla del Leone, c. 12, la costellazione è identificata con la Chioma di Berenice (la moglie di Tolomeo Evergete), così denominata dall'astronomo Conone nel 246 a.C. e così conosciuta ancora oggi. Dobbiamo pensare che la redazione originale del testo fosse anteriore al 246 oppure che Eratostene volutamente ignorasse la dedica a Berenice, cf. Introd. pp. 52-53 e HÜBNER 1998.
171 44 Fragm. Vat. oiJ trei|~. Si riferisce alle attuali a, b, g CrB. L’espressione “Il serpente che sta fra le due orse” è quella che viene usata anche nel catalogo di Anonymus II.2.1 e serviva per distinguere questo serpente da quello dell’Ofiuco.
172
6. Ofiuco, Ophiuchus a Ras Alhague k
b Cebalrai
a
g
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l Marfik
e d
n z x
h Sabik
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L’Ofiuco o Serpentario è una grande costellazione della zona equatoriale e tocca la Via Lattea; per questo ospita molti oggetti celesti. La sua stella più luminosa è a Oph, Rasalhague, “la testa dell’incantatore del serpente” di magnitudine 2.07. Quando fu tracciato lo zodiaco, il Sole non transitava nel Serpentario; attualmente, per la precessione degli equinozi, invece, il Sole si trova in questa costellazione tra la fine di novembre e la prima metà di dicembre, prima di entrare nel Sagittario: è dunque oggi una costellazione zodiacale. Si trova testa a testa con l’Inginocchiato; e anche lui tiene un mostro sotto i piedi, lo Scorpione, come dice anche l’Epitome; questo fa pensare ad altre remote identificazioni: come l’Inginocchiato, anche questa è un’antica figura di gigante o eroe che lotta contro un mostro, anzi contro due, il serpente e lo scorpione. L’identificazione con
173 Asclepio, presumibilmente originale di Eratostene, non si è affermata nella tradizione, a differenza di quella di Ercole per l’Inginocchiato; come per l’Inginocchiato, Arato non ne dà alcuna (Phaen. 76 sgg.), si limita a chiamarlo O j fiou`co~, nome con cui la costellazione è conosciuta ancora oggi.
45
Diverse volte nell’Epitome si usa come modo di reperire una costellazione in cielo la sua vicinanza ad un’altra: il Serpente sta fra le due Orse, cap. 3, Ercole sta sopra il Serpente, cap. 4. 46 Fragm. Vat. uJpov tinwn ajstrolovgwn “Secondo alcuni astrologi”. 47 Altre interpretazioni ci conserva Igino (Astron. 2.14), per poi concludere con questa nostra a proposito della quale ricorda Eratostene: il Geta Carnabonte che ha offeso Demetra tendendo insidie a Triptolemo (secondo Egesianatte di Alessandria); Ercole nell’atto di uccidere un serpente in Lidia, messo in cielo per questo da Zeus; Triopa re dei Tessali, che ha offeso Demetra; l’eroe tessalo Forbante che ha liberato l’isola di Rodi dai serpenti (fonte Polizelo di Rodi), rappresentato in cielo da Apollo nell’atto di ucciderne uno. Nel nostro testo l'epitomazione selvaggia ha fatto cadere la parte (conservata in HYGIN., Astron. 2.14.5 e necessaria), in cui si racconta il mito che motiva la presenza del serpente nella costellazione: mentre cerca di richiamare alla vita Glauco, figlio di Minosse, che era caduto e affogato in un otre pieno di miele, Asclepio vede un serpente resuscitarne un altro con un’erba e la utilizza per resuscitare Glauco. Così il serpente diventa simbolo di Asclepio e compare in cielo con lui. Nel nostro testo manca anche la descrizione delle stelle del Serpente. 48 Fragm. Vat. o}n oJ Zeu;~ carizovmeno~ A j povllwni dia; th;n keraunobolivan dokei` aujtw`/ timh;n ajponei`mai tauvthn: ejn ga;r toi`~ ajnqrwvpoi~ w]n... “pare che Zeus, per compiacere Apollo (adirato) perché l’aveva colpito col fulmine, gli conferì questo onore; quando era fra gli uomini infatti, …”. Asclepio era figlio di Apollo e di Coronide (o Arsinoe), una ragazza tessala, figlia del re dei Lapiti; quando era già incinta di Apollo, Coronide fu uccisa da Artemide per punizione, perché aveva preferito l’amore di un mortale a quello del dio; Apollo salvò il bambino togliendolo dal corpo della madre con l’auito di Hermes e lo chiamò Asclepio. Asclepio ereditò dal padre le capacità di guaritore e fu istruito nella medicina da Chirone; il serpente è il suo animale sacro, sempre presente nei suoi santuari e nelle sue raffigurazioni; già in Esiodo (frg. 51 Merkelbach-West) è colpito dal fulmine di Zeus. 49 Cf. HYGIN., Astron. 2.14 Aesculapius enim, cum esset inter homines et tantum medicina ceteris praestaret ut non satis ei uideretur hominum dolores leuare, nisi etiam mortuos reuocaret ad uitam, nouissime fertur Hippolytum, quod iniquitate nouercae et inscientia parentis erat interfectus, sanasse, ita uti Eratosthenes dicit... Ad Asclepio si attribuiva la resurrezione di molti personaggi: Capaneo, Licurgo, Tindaro, Imeneo, Glauco di Minosse (cf. APOLLOD.
174 3.10.3). to;n Qhsevw~ ”figlio di Teseo” è espunto da Pàmias come glossa. 50 Fragm. Vat. ejpi; th'" dexia'" knhvmh" aV, ejf∆ eJkatevrw/ podi; a ,v “una sulla gamba destra e una su ciascun piede”. E quindi la stella splendente a destra sarebbe sul piede, non sul ginocchio. Keplero osservò e descrisse (De stella nova in pede Serpentarii) un’esplosione di supernova che apparve il 10 ottobre 1604 vicino a q Oph, su un piede della figura. Questo fenomeno metteva in dubbio il dogma aristotelico dell’immutabilità dei cieli. 51 lamprovteron Robert, cf. HYGIN., Schol. Germ. BP; i manoscritti hanno lamprovn. 52 La parte che riguarda il Serpente è ricostruita da Olivieri con l'aiuto di Schol. Germ. BP e di HYGIN. 3.13. jEpi; th'" kamph'" th'" kefalh'" dV, e{w" th'" ajristera" ceiro;" tou' jOfiouvcou bV, lamprovtaton de; tw'n plhsiaivtaton aujth'", ejpi; th'" speivra" tou' ' “Ofew", e{ w " tou' stov m ato" tou' j O fiouv c ou eV, ej p i; th' " prwv t h" kamph'" dV, ejpi; de; th'" deutevra" kai; trivth" e{w" th'" kevrnou "V, tou;" pavnta" kgV. “Il Serpente ha quattro stelle sulla curva della testa, due alla mano destra del Serpentario, ma quella più vicina alla mano è la più brillante; cinque sulle spire del Serpente vicino al corpo del Serpentario, quattro sulla prima curva, sei sulla seconda e la terza dalla parte della coda. Ci sono ancora due stelle sulla sommità della testa del Serpente, in tutto ventitré.”
175
7. Scorpione, Scorpio b d Dschubba a Antares t
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z h
Lo Scorpione è una costellazione dell’emisfero australe, sta vicino al centro della Via Lattea; per questo nei suoi confini si possono osservare molti oggetti galattici, ammassi aperti, ammassi globulari e nebulose. Ha molte stelle luminose, la più brillante delle quali, di prima magnitudine, è a Sco, Antares, detta così perché gareggia con Marte (Ares) per il suo colore rossastro. Alle nostre latitudini è ben visibile d’estate. È una costellazione molto grande per l’Epitome perché considera ancora unite due parti che oggi costituiscono due costellazioni differenti: Scorpione e Bilancia (cf. Vat. Gr. 1087, fig. 5a). In questo modo il nostro testo conserva uno zodiaco fatto di 11 segni, come quello rappresentato nel manoscritto NLW 753C, f.10v, cf. fig. 1. Così come il Leone e il Toro, lo Scorpione è una delle costellazioni di più antica e sicura origine mesopotamica (GIR.TAB, “lo scorpione”): in sigilli che datano attorno al 3.000 a.C. lo scorpione si trova rappresentato circondato da stelle, il che inequivocabilmente ci fa capire che si tratta di una costellazione. La distinzione delle chele dello scorpione come asterismo a sé è rintracciabile nelle tavolette assire di Mulapin (700 a.C.), dove si trova ZI.BA.AN.NA, “i piatti della bilancia, corna dello scorpione”. Il nome di Bilancia, ben attestato nel mondo romano (Libra), e usato ancora oggi, si addice all’epoca in cui questa parte del cielo ospitava il Sole nell’equinozio
176 d’autunno, il momento di equilibrio di durata fra il giorno e la notte; oggi, per la precessione, l’equinozio d’autunno si trova invece nella costellazione della Vergine. Arato (Phaen. 645-646) rintraccia nei movimenti del cielo il legame fra Scorpione e Orione: al sorgere dello Scorpione a oriente, Orione fugge a occidente. 53 L’Epitome non tratta le Chelai (la nostra Bilancia) come una vera costellazione a sé, ma afferma che la figura dello scorpione occupa due segni zodiacali. Allo stesso modo si comporta Igino, nei libri 2 e 3, ed è stato osservato che quest’ultimo adopera a loro proposito un’espressione antica, huius (Scorpii) prior pars (LE BOEUFFLE 1983, Introd. XXVI). Poche altre notazioni sono riservate nell’Epitome ai segni zodiacali: al cap. 11 e 12, di Leone e Cancro si dice che sono segni dello zodiaco, mentre una breve frase alla fine di tutte le costellazioni, dopo il Procione, cap. 42, lascia aperta la possibilità di una una trattazione a parte per i segni dello zodiaco, che però non c’è. 54 Secondo altre versioni la vicenda si svolse a Delo o Creta. 55 Quando la costellazione dello Scorpione sorge a est, quella di Orione scende sotto l’orizzonte a ovest, secondo quanto disposto da Zeus, su richiesta di Artemide (cf. HYGIN., Astron. 2. 26: Itaque eum ita constitutum ut cum Scorpius exoriatur, occidat Orion). Il mito sembra così costruito sull’osservazione astrale. 56 Questa stessa versione si trova in A RAT ., Phaen. 637-644; Igino (Astron. 2.34.2) rimanda in proposito a Callimaco (Hymn. 3.265 Pfeiffer). Quando si parla della costellazione di Orione (cap. 32), l’Epitome riporta un’altra versione del mito: a mandare lo scorpione contro di lui sarebbe stata la Terra, per impedirgli di sterminare tutte le creature selvagge, come aveva minacciato di fare. In Fragm. Vat. questa stessa versione compare anche a proposito dello Scorpione. E Igino conserva esattamente questa sola versione trattando dello Scorpione (Astron. 2.26), ma vi fa riferimento anche quando parla di Orione (Astron. 2.34.2), pur menzionando, in questo caso, altre versioni e altri miti. Sul problema dell’intreccio fra le vicende di Orione con Enopione e di Orione con Artemide, e in generale sul mito nei Catasterismi cf. MARTIN 1998, vol. I, Annèxe 4, 96-114. 57 L’attuale d Sco, Duschubba, “la fronte”, di magnitudine 2.2. 58 In realtà, almeno nella raffigurazione attuale, la stella più brillante della costellazione è a Sco, Antares di prima magnitudine e si trova sul dorso, seguita da l, Shaula “la punta della coda” di magnitudine 1.6, l’ultima sul pungiglione. La stella che il nostro testo pone sulla chela a nord è b Lib, di magnitudine 2.6. Anche oggi, nonostante la costellazione sia conosciuta come Libra, queste due stelle conservano nel nome di provenienza araba la traccia dell’antico collegamento con lo Scorpione: Zubenelgenubi, “la chela rivolta a sud”; Zbeneschemali, “la chela rivolta a nord”.
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8. Guardiano dell’Orsa, Bootes k
l
b Nekkar g Seginus d r s e Izar
a Arcturos h Muphrid
z
Il suo nome oggi è Boote, Bovaro; così la chiama Omero (Od. 5.272-4). Entrambi i nomi, Bovaro e Guardiano dell’Orsa, collegano questa costellazione con quella dell’Orsa o Carro (Il. 18.487; Od. 5.272); Boote è colui che guida i sette buoi del Carro. Arato rammenta entrambi i collegamenti (Phaen. 91-93, con l’Orsa e col Carro), ma non menziona l’identificazione con Arcade. La sua stella più luminosa a Boo, Arturo, di magnitudine 0, dopo Sirio, Canopo e a Centauri, è la più splendente del cielo; insieme a Spica della Vergine e Denebola del Leone costituisce il Triangolo di Primavera. Si irradia da un’area vicina a questa costellazione lo sciame meteorico delle Quadrantidi, visibile ai primi di gennaio.
59 Forse per conservare un collegamento con l’Orsa Callistò, l’Epitome non ricorda l’identificazione di questa costellazione che in molte fonti anti-
178 che era attribuita ad Eratostene, quella con Icario, padre di Erigone (HYGIN., Astron.2.4.2 Nonnulli hunc Icarum Erigones patrem dixerunt, cui propter iustitiam et pietatem existimatur Liber pater vinum et vitem et uvam tradidisse, ut ostenderet hominibus quomodo sereretur, et quid ex eo nasceretur; et, cum esset natum, quomodo id uti oporteret. Qui cum sevisset vitem et diligentissime administrando floridam facile fecisset, dicitur hircus in vineam se coniecisse et, quae ibi tenerrima folia videret, decerpsisse. Quo facto, Icarum animo irato tulisse eumque interfecisse, et ex pelle eius utrem fecisse ac vento plenum praeligasse, et in medium proiecisse suosque sodales circum eum saltare coegisse. Itaque Eratosthenes ait: ∆Ikarivou posi; prw'ta peri; travgon wjrchvsanto (frg. 22 Powell, frg. 4 Rosokoki). Icario, contadino attico, eponimo del demo di Icaria, iniziatore dell'uso di danzare attorno al capro (da cui secondo alcune teorie degli antichi ebbe origine la tragedia), fu ucciso nella sua missione di diffondere fra gli uomini il consumo del vino e la coltivazione della vite affidatigli da Dioniso. Secondo questa interpretazione la figlia Erigone, suicida dal dolore per la morte del padre, sarebbe da identificare con la Vergine e il loro cagnolino con il Procione (cf. Astron. 2.35). La vicenda era ricca di eziologie: l’origine dell’uso di danzare attorno al capro, già citata, l’origine della festa attica delle altalene, Aiora, ma anche l'origine dei venti etesii, che Igino si ferma a raccontare (2.4.2-6). Alla fine della sua trattazione (2.4.7) Igino riporta altre spiegazioni della figura: si tratta di Giasione amante di Demetra, fulminato da Zeus, secondo Ermippo di Smirne, di Filomelo figlio di Demetra e Giasione, inventore del carro, posto in cielo dalla madre, secondo Petellide di Cnosso. Nella trattazione di Igino compaiono diverse divinità come responsabili del catasterismo: Zeus, Dioniso, Demetra. 60 A questo punto Fragm. Vat. ha w[/khse de; peri; to; Luvkaion fqeivranto" aujth;n Diov": ouj prospoihsavmeno" oJ Lukavwn to;n Diva ejxevnizen, w{" fhsin ÔHsivodo", kai; to; brevfo" katakovya", parevqhken ejpi; th;n travpezan. “Viveva presso il santuario di Zeus Lycaios, dopo che Zeus aveva sedotto la donna. Alla qual cosa Licaone facendo finta di niente, invitò Zeus a casa sua, come racconta Esiodo (frg. 163 Merkelbach-West), fece a pezzi il bambino e lo servì sulla tavola”. Esiodo è citato come fonte per Callistò anche al cap. 1, Orsa maggiore. 61 Città dell’Arcadia presso il Monte Lycaios. 62 Segue in Fragm. Vat. to;n de; Lukaovna ajpeqhrivwse kai; auto;n luvkon ejpoivhse “lo trasformò in bestia e ne fece un lupo”. La storia richiama il rito praticato presso il santuario di Zeus Lycaios, durante il quale chi si cibava di viscere umane mescolate a quelle di altri animali diventava lupo per un certo periodo di tempo, cf. PAUS. 8.38.7; PLATO, Resp. 8.565D; PS. PLATO, Minos 315C. È un rituale a cui le fonti antiche accennano soltanto e di cui dicono poco, forse perché riservato a iniziati, e che, così come viene raccontato, pare implicare sacrifici umani o comunque forme di antropofagia, forse simbolica. Come rito di iniziazione per i giovani fa pensare alle ragazze ateniesi che diventano orse nel culto di Artemide prima di diventare donne. 63 Fragm. Vat. to;n de; ∆Arkavda pavlin ajnaplavsa" e[qhken a[rtion, kai;
179 ejtravfh par∆ aijpovlw/ tiniv∑ neanivsko" d∆ w]n h[dh dokei' katadramei'n eij" to; Luvkaion kai; ajgnohvsa" th;n mhtevra gh'mai: oiJ de; katoikou'nte" to;n tovpon ajmfotevrou" kata; novmon quvein e[mellon: oJ de; Zeu;" ejxelovmeno" aujtou;" dia; th;n suggevneian eij" ta; a[stra ajnhvgagen. “Riplasmò Arcade e lo dette a crescere a un pastore; quando era ormai giovane uomo, Arcade penetrò nel tempio di Zeus Lycaios e sposò la madre, non conoscendola. Gli abitanti del luogo stavano per mandarli a morte entrambi secondo le leggi; ma Zeus, in nome del legame che li univa, li rapì e li trasportò fra le stelle”. Fragm. Vat. è l’unica fonte antica che parli di unione di Arcade con la madre, cioè di incesto; questa versione della vicenda non si accorda con quanto è scritto al cap.1, dove invece Arcade insegue e cerca di uccidere Callistò che, come orsa, è entrata nel recinto sacro e durante questa azione, insieme a lei, è trasportato in cielo; Schol. Germ., BP 64.15 dice che tentò di violentare Callistò; HYGIN., Astron. 2.4, che la inseguì nel recinto sacro durante una battuta di caccia. 64 Epitome e Fragm. Vat. dexia'"; ajristera'" HYGIN., Astron. 3.3. La notazione sulle quatttro stelle della mano alzata che non tramontano mai vale per un osservatore che si trovi alla latitudine di Alessandria, come sarebbe stato appunto Eratostene, cf. FERABOLI 1993, 354. 65 Arturo è una delle poche stelle di cui l’Epitome ci conserva il nome; il significato di Arturo (ou|ro~ vuol dire guardiano, come fuvlax) è sinonimo di Arctophylax, cioè “guardiano dell’Orsa”; è la stella luminosissima attorno alla quale si è definita la costellazione; da Esiodo vediamo che Arturo costituiva un punto di riferimento per i contadini greci; scandiva il tempo di diverse attività agricole: (HESIOD., Op. 566) “quando abbandonata la sacra corrente di Oceano, per prima questa stella risplende e si leva al crepuscolo, è il momento migliore per potare le viti”; (Op. 610) “quando Orione e Sirio sono giunti nel mezzo del cielo e l’Aurora dalle dita di rosa vede Arturo, allora è il momento della vendemmia”.
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9. Vergine, Virgo e Vindemiatrix
b d t h Zaniah g Porrima m
q
i Syrma
a Spica
La Vergine è una delle costellazioni più grandi del cielo, si stende ampiamente in longitudine sull’equatore celeste, sopra a Coppa, Idro e Corvo e sotto Boote; non è ricca di stelle luminose, ma si può localizzare grazie alla sua stella più brillante, a Vir, Spica, “spiga” una stella doppia di magnitudine 1, che varia di luminosità con un ciclo di pochi giorni e che si trova vicino all’eclittica proseguendo verso sud da Arturo. È una stella conosciuta e venerata presso molti popoli antichi per la sua luminosità e per una antichissima levata eliaca che coincideva con il tempo dei raccolti (quarto millennio). Spica e Protrygeta, “vendemmiatrice”, e Vir, conferiscono alla costellazione una funzione di protrettrice dei raccolti e della fertilità che compare in molte identificazioni: Demetra, Iside, Atargati. Con Arturo di Boote e Denebola del Leone, Spica costituisce il vertice più meridionale dell’asterismo detto Triangolo di Primavera. Confrontando la posizione di Spica in cielo al suo tempo e 150 anni prima Ipparco scoprì il fenomeno delle precessione degli equinozi. La costellazione contiene un’area in cui sono osservabili moltissime galassie, detta Ammasso della Vergine. Il catasterismo creato da Arato, che la interpreta come una divinità, Dike (la Giustizia), fuggita dalla terra e salita in cielo in seguito al degrado del comportamento degli uomini, fa della costellazione il simbolo della rottura dell’antica armonia fra mondo divino e umano, simbolo ancora presente a Virgilio, quando prospetta una nuova “età dell’oro”, Eclog. 4.6 Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna.
181 66
Come si dice in seguito questa interpretazione della costellazione risale ad Arato (Phaen.96-136), anzi la Vergine è una delle poche costellazioni di cui il poema descriva l’origine. Il testo di Arato è ispirato a Esiodo, (Op. 109-201 sgg.), per il mito delle razze degli uomini, all'interno del quale, fra i segni finali della decadenza, compaiono Aidos e Nemesis che abbandonano il mondo degli umani e si rifugiano fra gli dèi (Op. 197-201, ma non diventano costellazioni), come in Arato fa Dike, allontanandosi progressivamente dal consesso degli uomini man mano che i loro costumi peggiorano fino a tornare in cielo. Arato non rammenta la genealogia esiodea di Dike, che la vuole figlia di Zeus e Themis (Theog. 901-2); questo viene ricordato nell’Epitome, forse proprio per correggere la sola ipotesi precisa circa la sua nascita di cui parli Arato nel testo, cioè che sia figlia di Astreo, padre di tutte le costellazioni. Interpretata come Dike, la costellazione è in relazione con la Bilancia, che sta alla sua destra, proprio accanto al suo braccio, e viene a volte rappresentata con una piccola bilancia in una mano e la spiga nell’altra (p.es. nel ms. NLW 735C, f.16r); non così nel planisfero del ms. NLW 735C, f.10v, fig. 1, che rispetta su questo la descrizione dell’Epitome. 67 Fragm. Vat. kai; toi'" me;n ajndravsin oujk wjptavneto, meta; de; tw'n gunaikw'n h\n. kai; o{ti Divkhn ejkavloun aujth;n aiJ gunai'ke". “Ma i maschi non la vedevano, stava insieme alle donne e le donne la chiamavano Dike”. Che questa separazione dai maschi possa rimandare a rituali collegati al culto di Demetra, secondo un modo non inconsueto nei miti descritti nell’Epitome, suggerisce PÀMIAS 2009. 68 L’origine della costellazione è diversa dalle altre dell’Epitome, perché in questo caso il soggetto della figura è la divinità stessa, si mette in cielo da sola e nella sua stessa immagine (non come Zeus nell’aspetto di Cigno, p. es.), ma come si è già detto, questo catasterismo risale ad Arato. 69 Con Erigone figlia di Icario (Boote, cap. 8) la identificava Eratostene secondo Igino (Astron. 2.4 e 2. 25.2 Nonnulli eam Erigonen Icari filiam dixerunt, cf. anche Schol. Arat. Vet. 97 p. 127 Martin ‘Eratosqevnh~ de; aujthvn fhsin ei\nai th;n ∆Hrigovnhn tou' ∆Ikarivou), sicuramente nell’Erigone e forse anche nei Catasterismi. Come la coppa contenente il vino di Icario Eratostene interpretava il Cratere che si trova accanto alla Vergine e che fa parte della costellazione di Idra, Cratere e Corvo, cf. cap. 41. La Vergine è conosciuta come Erigone in Virgilio (Georg. 1.33). Igino riferisce fra le altre una spiegazione non attestata altrove: alcuni la intendevano come Parthenos, figlia di Apollo e Crisotemi, morta prematuramente e per questo posta fra le stelle dal padre. 70 La Fortuna è rappresentata cieca o senza volto. Sulla scarsa visibilità della testa della figura cf. HYGIN., Astron. 2.25.2 caput eius nimium obscurum videtur e 3.24 huius in capite est stella obscura una. 71 e Vir, Vindemiatrix. Al tempo in cui Arato ed Eratostene scrivevano la sua levata eliaca corrispondeva al tempo della vendemmia. Arato (Phaen. 137) la descrive come “grande e fulgente come la coda dell’Orsa Maggiore”; in realtà Alkaid dell’Orsa è di magnitudine 1.9, mentre Provindemiator solo
182 2.8. Le ali della Vergine sembrerebbero una novità del nostro testo, perché non si trovano ancora in Arato; il v. 138 dei Fenomeni, nel quale si parla dell’ala destra della Vergine, viene comunemente espunto, perché non si trova nelle traduzioni di Cicerone e di Germanico; tuttavia anche il nostro testo parla di ali in relazione alla stella Vindemiatrix, alla quale si riferisce proprio il verso 138 di Arato. Non possiamo dire con certezza se l’originale dell’Epitome prevedeva la Vergine con le ali; ci possiamo chiedere anche se la versione dell’Epitome che ci è pervenuta non rispecchi, in questo punto del catalogo, un adattamento del materiale alla versione interpolata del testo di Arato, che includeva il v. 138. 72 Sono due stelle originali di questa astrotesia: né Ipparco né Tolomeo mettono stelle ai gomiti e alla mano destra, cf. FERABOLI 1998, 357. 73 a Vir, Spica. A sinistra anche per Tolomeo, Synt. 7.5, p. 102 Heiberg, ma a destra per HYGIN., Astron. 3.24; la confusione al solito si dovrebbe spiegare con i due diversi punti di osservazione previsti in queste trattazioni: il cielo, osservato come una volta da sotto, o una sfera celeste, dall’esterno, da sopra. 74 Ulivieri integra ejpi; th`~ pevzh~ tou` citw`no~ ãajmaurou;~ ~VÃ “sull’orlo della veste sei oscure” segnalando lacuna subito dopo; in effetti questa parte della costellazione non ha neanche nell’astrotesia attuale stelle luminose.
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10. Gemelli, Gemini q
a Castor
b Pollux e Mebsuta k
m h Propus d Wasat z g Alhena
Le due stelle brillanti a e b Gem sono all’origine della costellazione; erano già conosciute come i Grandi Gemelli (MAS.TAB BA.GAL.GAL.) in Mesopotamia. a Gem, Castor è una stella multipla composta di ben 6 stelle, di magnitudine 1.5, mentre b, Pollux, a sud-est di Castor, è una gigante rossa, un po’ più luminosa (1.1 di magnitudine) della prima nonostante il nome b. La costellazione ospita oggi il solstizio d’estate, che, per la precessione, si sta spostando verso il Sole nel Toro. I Dioscuri hanno fama di protettori dei naviganti già in Omero, perché l’ingresso del Sole in questa costellazione segnava la fine delle tempeste invernali e la ripresa di una navigazione più sicura. L’eccezionale amore fraterno che univa i due, e che è all’origine della loro presenza in cielo secondo il nostro testo, è espresso nell’iconografia che li vede abbracciati, cf. NLW 375C, f.10v, fig. 1.
75 Castore e Polluce, entrambi figli di Zeus e Leda, fratelli di Elena e Clitemnestra, oppure, Polluce figlio di Zeus e Castore figlio di Tindaro, donde entrambi sono conosciuti anche come Tindaridi. Il testo come lo abbiamo non rammenta la più grande delle condivisioni fra i due gemelli: Polluce avrebbe dato metà della sua immortalità al fratello Castore, morto in una delle loro avventure, così da poter dividere con lui la vita e la morte. Cf. HYGIN., Astron. 2.22 Sed qui de Castore et Polluce dicunt, hoc amplius addunt ut Castor in oppido Aphidnis sit occisus, quo tempore Lacedaemones cum Atheniensibus bellum gesserunt. Alii autem, cum oppugnarent Spartam Lynceus et Idas, ibi perisse dixerunt. Pollucem ait Homerus concessisse fratri
184 dimidiam vitam; itaque alternis diebus eorum quemque lucere. Quest’ultima notazione astronomica, che ciascuno di loro brilla in cielo a giorni alterni, è contestata sulla base dell'osservazione celeste diretta da Germanico (GERMAN. 540). Il mito di una loro condivisione della vita e della morte è già in Omero (Od. 11.298-304); vivono alternando la presenza fra gli uomini e sull’Olimpo in PINDARO (Pyth. 2.61-64). Nell’Inno Omerico loro dedicato (Hymn. 33.6 sgg.) i Dioscuri sono rappresentati come salvatori dei marinai e apportatori di calma sul mare. Si pensava che il fenomeno del fuoco di Sant’ Elmo, che compare nelle tempeste di mare provocato dall’accumulo di elettricità atmosferica sugli alberi della nave, fosse segno della loro presenza in soccorso dei marinai (cf. ALC. frg. 34 Lobel-Page). 76 Fragm. Vat. conserva, come Igino, il racconto della morte di Castore e probabilmente della richiesta di Polluce al padre di poter dividere con il fratello la propria immortalità ou[te peri; a[llou tino;" h[risan, ajll∆ a{ma pavnta oJmou' e[pratton. tou' de; eJno;" pesovnto" ejn th'/ pro;" ∆Aqhnaivou" mavch/ e{tero" ejfwvnei to;n i[son crovnon i{na w\si met∆ aujtw'n “nè per alcuna altra cosa contendevano fra loro, ma tutto facevano insieme e d’accordo. Quando uno morì nella battaglia contro gli Ateniesi, l’altro …”. Sulla vicenda cf. APOLLOD. 3.11. 77 Secondo Igino (Astron. 2.22) per questo stesso motivo Nettuno li avrebbe premiati con i cavalli che sono loro attributo, anche iconografico, e con la prerogativa di poter aiutare i naviganti. 78 La costellazione è identificata nel mondo greco anche con altre coppie maschili, con Ercole e Apollo; con Triptolemo e Giasione (HYGIN., Astron. 2.22); con Anfione e Zeto (Schol. Germ. BP 68.2). 79 Le due stelle come due capezzoli nel Gemello sono un carattere originale della rappresentazione della costellazione in questo testo cf. FERABOLI, 1998, 356, n. 41. 80 Il nome di questa stella significa: “che sta prima del piede”. La lezione Trivpou" (Tripode) che è conservata nel manoscritto Matritensis 4629, si riferisce all’interpretazione che vedeva nella costellazione Ercole e Apollo; a questo dio è collegato il tripode di Delfi, cf. HIPPARCH., In Arat. et Eud. 240.4; 268.28. A questa stella, come segno celeste del tripode di Delfi, allude LUCIAN., De Astrolog. 23.
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11. Cancro, Cancer Al tempo di Eratostene questa i costellazione zodiacale ospitava il Sole al solstizio d’estate (da cui il nome di Tropico del Cancro al pag Asellus Borealis rallelo che segna il punto più alto del cammino del Sole nel cielo bod Asellus Australis reale). Per la forma può avere preso a modello la costellazione egizia dello Scarabeo che si trova nello stesso punto del cielo (P ÀMIAS a Acubens GEUS, 2007, 223, n. 51), mentre la Mangiatoia e i due Asini sono antib Al Tarf che figurazioni celesti che evidentemente il Cancro ha inglobato. Una raffigurazione del Cancro con i due Asini sul carapace si vede nel ms. NLW MS 735C, f.10v, fig. 1. Il Cancro è una costellazione di modesta estensione e non particolarmente luminosa, che si individua bene in cielo perché si trova fra il Leone e i Gemelli; la sua stella più brillante è b Cnc, Al Tarf, “la fine della zampa”, di magnitudine 3.5. La Mangiatoia, oggi conosciuta come Presepe, è un ammasso aperto, M44, ben visibile a occhio nudo come una nebbia luminosa: contiene centinaia di stelle e fu osservato per la prima volta e rappresentato astronomicamente da Galileo, nel Sidereus Nuncius, 1610.
81 movno" è espunto da Pàmias; si dice lo stesso del Leone, cap. 12. Era è responsabile anche della costellazione del Draco, anch’essa legata alle vicende di Ercole. 82 Iolao e Atena. Il mito è conosciuto già in HESIOD., Theog. 313-318 dove si racconta che Iolao e Atena aiutarono Ercole nell’impresa contro l’Idra, mostro cresciuto da Era; il granchio enorme che morde il piede di Ercole e per questo viene da lui ucciso è ricordato in APOLLOD. 2.5.2; da questo episodio proviene il proverbio “contro due (cioè Idra e Granchio) nemmeno Ercole”, cf. PLATO, Phedo 89 C. 83 L’Idra era un serpente a più teste (il numero è molto variabile nella tradizione): quando una testa veniva tagliata, dal collo ne spuntavano due. Iolao avrebbe aiutato Ercole bruciando ogni collo dopo che l’eroe aveva tagliato la testa.
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La palude di Lerna, città dell’Argolide, dove l’Idra viveva. PANYASS., frg. 6 Bernabé. 86 Cf. HYGIN., Astron. 2.23.1 Iunonem autem inter sidera constituisse, ut esset cum duodecim signis, quae maxime solis cursu continentur. Solo a proposito del Cancro e del Leone (12) l’Epitome conserva la notazione che si tratta di costellazioni dello zodiaco. 87 Questo mito è proprio di Eratostene (HYGIN., Astron. 2.23.3 Dicitur etiam alia historia de Asellis; ut ait Eratosthenes, quo tempore Iuppiter, bello Gigantibus indicto...), che ha forse elaborato del materiale da un dramma satiresco, come propone PÀMIAS, Eratostenes, Catasterismi 118, n. 102; in questo mito come in altri dell’Epitome, cap. 5 e 24, il testo rivelerebbe l’ironia di Eratostene verso questa divinità che aveva grande rilievo propagandistico presso i Tolemei, cf. PÀMIAS, Dionysus and Donkeys 2004. Secondo Igino (Astron. 2.23.3) fanno parte del corteggio anche i Sileni; in Euripide Dioniso e Sileni partecipano alla Gigantomachia (EURIP., Cycl. 5-9). 88 Igino associa a questa la storia della conchiglia di Tritone, con il suono della quale egli avrebbe messo in fuga i Giganti; del suono terrorizzante della conchiglia si parla nell’Epitome a proposito del Capricorno, al cap. 27, ma in questo caso durante la lotta di Zeus contro i Titani. 89 Sempre in Igino (Astron. 2. 23) un’altra spiegazione (risalente a Filisco, cf. Schol. Germ. BP 70, 15 e 129, 6 Breysig) dice che si tratterebbe di due asini che aiutarono Dioniso, reso folle da Era, mentre era in viaggio verso Dodona. 90 In Arato (Phaen. 892-908; 995-998) sia gli Asini che la Mangiatoia forniscono, a seconda della loro visibilità, indicazioni meteorologiche su tempeste, pioggia, vento. 91 In realtà le stelle del Cancro sono poco luminose, per questo Olivieri correggeva ejpi; toi'" dexioi'" posi;n ejf∆ eJkavstw/ aV lamprovn, ejpi; de; toi'" ajristeroi'" tou' prwvtou bV lamprou;" con ejpi; toi'" dexioi'" posi;n ejf∆ eJkavstw/ aV aJmaurovn, ejpi; de; toi'" ajristeroi'" tou' prwvtou bV aJmaurou;". Cf. HYGIN., Astron. 2.23. 85
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12. Leone, Leo m Rasales z Adhafera
e
d Zosma g Algieba h q Coxa b Denebola a Regulus
o
È una delle grandi costellazioni zodiacali e ha stelle molto luminose: a Leo, Regulus, “piccolo re” (Basilivsko~ in Tolomeo, Synt. 7.5), una bianco-azzurra di magnitudine 1.4, tra le più luminose del cielo, b Leo, Denebola, “la coda del leone”, una bianca di magnitudine 2.1, g Algieba, “la criniera”, di magnitudine 2, composta da due giganti arancioni. Nel mondo mesopotamico la costellazione esisteva già e aveva già carattere regale: a Leo era detta UR.GU.LA, “il re”; nel terzo millennio cadeva nel Leone il solstizio d’estate, cioè il momento di massima altezza del Sole nel cielo. Per Arato il Leone corrispondeva ormai al periodo più caldo dell’estate, dopo la raccolta del grano e quando spiravano i venti etesii con buona navigazione (ARAT., Phaen. 147 sgg.).
92 Notazioni sulla visibilità delle costellazioni compaiono anche in altri punti del testo, cf. Introd. pp. 55-56. 93 Questa spiegazione del catasterismo conserva l’antico carattere regale della costellazione. 94 Il Leone è la terza costellazione che si riferisce a una fatica celebre dell’eroe, dopo Serpente e Cancro. Del combattimento con il leone di Nemea parla già Esiodo (Theog. 326). In Apollodoro (2.5.1) si legge che Ercole rinunciò a colpire il leone con le frecce, quando scoprì che era invulnerabile e per questo dovette strangolarlo; la versione seguita da Eratostene invece, al fine di giustificare il catasterismo, afferma che l’eroe scelse di affrontare il leone a mani nude, rendendo così più difficile il combattimento, per amore di gloria. 95 Pisandro di Rodi (VII sec.), frg. 1 Bernabé, cf. APOLLOD. 2.5.1. L’Epi-
188 tome menziona tre autori di opere fondamentali sulle vicende di Ercole: Pisandro, Paniassi, Ferecide. 96 Anche qui non si dice che, essendo la pelle impenetrabile a ferite, essa aveva anche la funzione di proteggere l’eroe. Questo abbigliamento di Ercole risalirebbe a Stesicoro secondo Megaclide (ATHEN. 12.512f-513a) e, assieme alla clava, cap. 4, di sicuro caratterizza Ercole come eroe “preistorico”, PÀMIAS 2004, p. 122, n. 19. 97 lamprovn aggiungono Charpet-Zucker. Normalmente nella raffigurazione del Leone anche oggi è questa la posizione di a Leo, che è conosciuta pure come “cuore del leone” (cf. anche Schol. Germ. S 132.6 Breysig in pectore claram unam); è sorprendente che né il nostro testo, né Igino (Astron. 3.23) ne sottolineino la grande luminosità: forse si tratta di un’ astrotesia differente? 98 lamprovn espungono Charvet-Zuckerr. 99 Questa è certamente b Leo, Denebola. 100 Secondo Achille Tazio (Isagog. 14) invece le stelle della Chioma sono ben visibili: ou{tw" mevntoi oJ Kallivmaco" æpri;n ajstevri tw'/ Berenivkh"æ ejpi; tou' Plokavmou fhsivn, o}" ejx ajstevrwn suvgkeitai eJpta; eu\ katafanw'n (tou'ton de; to;n Plovkamon oujk oi\den “Arato", parethvrhse de; Kovnwn oJ maqhmatikov"). Al cap. 5 l’Epitome conosce un’altra interpretazione della costellazione non attestata altrove, Chioma di Arianna, che forse si deve a una fase di damnatio memoriae della regina Berenice nel corso delle lotte di corte. Arato non rammenta questa costellazione – non la conosceva, come osserva Achille Tazio – e in altri autori posteriori essa è nota anche come Criniera della coda del leone, Foglia d’edera, Grappolo d’uva, Fuso. 101 La Chioma di Berenice fu così denominata dall’astronomo Conone di Samo (cf. HYGIN., Astron. 2.24), in onore della regina Berenice, moglie di Tolomeo III Evergete (246-221); la regina aveva dedicato la sua chioma nel santuario di Afrodite Arsinoe come voto per il ritorno del marito da una spedizione militare (la terza guerra siriaca 246-241); quando i riccioli scomparvero dal tempio, l’astronomo li ritrovò in cielo come costellazione. Si tratta dunque di una costellazione assai celebre nel tempo e ambiente di Eratostene, il quale conobbe e frequentò personalmente questa regina che proveniva come lui da Cirene e che era moglie del sovrano che l’aveva fatto chiamare ad Alessandria. Trattava dell’origine della costellazione una nota composizione di Callimaco (Aet. frgg. 110-112 Pfeiffer), ripresa da Catullo (66). Il testo di Igino (2.24) dedica spazio alla rappresentazione della regina Berenice e ci dà una serie di informazioni esclusive: allevava cavalli, li presentava in gara ad Olimpia, sapeva cavalcare e guidare i soldati contro i nemici; infine riporta una notizia che attribuisce esplicitamente da Eratostene, ma che risulta di senso piuttosto oscuro (Eratosthenes autem dicit et virginibus Lesbiis dotem quam cuique relictam a parente nemo solverit, iussisse reddi, et inter eas costituisse petitionem, “Berenice ordinò che fosse restituita alle fanciulle di Lesbo la dote lasciata a ciascuna dal padre e che nessuno pagava e istituì tra loro il diritto di fare causa”); su questo cf. MARINONE 1990.
189
13. Auriga, Auriga Come nel caso del Cancro con a Capella Asini e Mangiatoia, anche nell’Auri- b Menkalinan e ga siamo di fronte a una figurazione che ne ingloba un’altra preesistente z h e di origini antiche. La stella che dà w origine alla figurazione della Capra q e Capretti è anche la più luminosa i dell’Auriga, a Aur, Capella; con una magnitudine 0, è la sesta più luminosa del cielo. Nell’astrotesia ancora b Tauri oggi canonica e che si trova già in Eudosso (frg. 29 Lasserre), l’Auriga ha la stella su un piede (g Aur), in comune con la costellazione del Toro, della quale costituisce l’estremità di uno dei due corni (b Tau); questa caratteristica non compare nel nostro testo, nonostante anche Arato (Phaen. 174-176) e Igino (Astron. 3.12; 3.21) la conoscano. La costellazione è attraversata dalla Via Lattea e la scarsezza di polveri in questo punto del cielo permette l’osservazione di galassie e oggetti celesti molto lontani.
102 Questa identificazione è propria di Eratostene secondo Igino (Astron. 2.13 Hunc nos Aurigam latine dicimus, nomine Erichthonium, ut Eratosthenes monstrat.), Arato non ne dà nessuna. Anche per l’Auriga Eratostene ci trasporta in Attica, come con Erigone ed Icario. Apollodoro (3.14.6) racconta che Erittonio fu re di Atene, innalzò sull’Acropoli lo xoanon della dea Atena, istituì le Panatenee e sposò la ninfa Prassitea da cui ebbe Pandione, il re al tempo del quale sarebbero vissuti Icario ed Erigone. Sulla presenza di figure di eroi civilizzatori nell’Epitome, cf. Introd. p. 42. La processione delle Panatenee, in onore della divinità poliade, era la cerimonia religiosa più significativa in Atene. 103 uJpozeuvxa" i{ppou" leukou;" è espunto da Pàmias. 104 Cioè avesse pareggiato in abilità il Sole nella guida del suo carro attraverso il cielo. 105 Fragm. Vat. prw'tov~ te ∆Aqhna'/ pomph;n h[gagen ejn ajkropovlei kai; nao;n ejpoihvsato “e per primo condusse la processione di Atena sull’Acropoli e costruì il tempio”, cf. HYGIN., Astron. 2.13 et sacrificia Minervae et templum in arce Atheniensium primum instituit. 106 to; xovanon aggiunge Ulivieri da APOLLOD. 3.14.6. Lo xoanon è una
190 immagine di culto in legno, a volte aniconica. 107A questo punto del testo gli editori segnalano lacuna oppure integrano con qualcosa come ajnhvgagen eij" ta; a[stra “lo portò fra le stelle” che è di Schaubach. 108 EURIP., Ion 21-24; Euripide aveva dedicato a questo soggetto la tragedia Eretteo, cf. frgg. 349-370 Kannicht. 109 Il nome veniva collegato alla terra (cqovno") dalla quale era nato; per questo Erittonio incarnava l'orgogliosa origine autoctona degli Ateniesi; il nome si metteva anche in relazione con la parola lana (e[rion), perché con la lana Atena avrebbe raccolto il seme di Efesto o alla contesa (e[ri~) delle due divinità. 110 a{rma hJniovcei è correzione di Robert; i manoscritti hanno a{ma hJniovcei e[cwn, Pàmias espunge hJniovcei. 111 Lett. “colui che smonta da cavallo”. Qui viene ricordata l’origine della gara omonima, che aveva grande importanza nelle Panatenee: lo testimoniano anche i carri con auriga ed apobates nel fregio del Partenone. L’apobates, guerriero con elmo e scudo, saltava dal carro, percorreva di corsa dei tratti accanto ad esso, e poi risaliva, imitando probabilmente antiche forme di combattimento. 112 MUS. frg. 83 Bernabé; Museo è una figura mitica di poeta cui la tradizione attribuiva diverse opere, fra le quali una Titanomachia e una Teogonia. 113 Su Amaltea come ninfa e come capra cf. CALLIM., Hymn. 1.46; 49 Pfeiffer. Cf. anche APOLLOD. 2.7.5. 114 Qui si comincia a parlare di un’altra versione, come anche in Igino (Astron. 2.134 Nonnulli aetiam Aega Solis filiam dixerunt, multis candore corporis praestantem, cui contratius pulchritudini horribilis aspectus existebat. Quo Titanes perterriti petierunt a Terra ut eius corpus obscuraret); cf. anche Schol. Germ. BP 73.12 Breysig (Solis filiam cuius aspectus tam atrox fuisse dicitur ut Titanes eam timerent). Questa vicenda è ricordata anche a proposito della costellazione del Capricorno, inteso come figlio della capra e fratello di latte di Zeus, al cap. 27. 115 Tita'si è correzione di Robert e altri; i manoscritti hanno Givgasi. Zeus si afferma combattendo contro Crono e i Titani; di questo momento l’Epitome si ricorda anche ai capp. 29 e 39. 116 Da qui gli viene l’epiteto di Aijgivoko~, Egioco. 117 Lo stesso Zeus ha fatto con il corpo smembrato di Arcade, cf. Boote, cap. 8. 118 Si deve pensare che seguisse l’affermazione che la capra fu messa in cielo assieme ai capretti. 119 Mirtilo amico di Pelope, ma auriga di Enomao, sabotò il carro di quest’ultimo per permettere a Pelope di vincere la gara e ottenere in sposa la figlia di Enomao, Ippodamia. Fu in seguito ucciso dallo stesso Pelope e ne maledì in punto di morte l’intera discendenza. Il suo catasterismo si deve al padre Hermes, come esplicita Igino (Astron. 2.13.3). In Igino abbiamo anche la versione che intende il personaggio come l’argivo Orsiloco, anche lui inventore della quadriga (Astron. 2.13.2). Molte altre identificazioni si ricor-
191 dano per l’Auriga, quali Ippolito, figlio di Teseo o Fetonte, figlio del Sole. 120 a Cap. Secondo questa astrotesia la Capra starebbe sulla spalla sinistra e sul polso sinistro starebbero i Capretti. 121 Sono le stelle h e z Aur. Il loro sorgere e il loro tramontare annunciavano tempeste; Arato ci dice che queste stelle molte volte hanno visto i marinai dispersi in mare nei naufragi (ARAT., Phaen. 158-159; 681-682). Secondo Igino (Astron. 2.13.3) li avrebbe individuati in cielo per primo Cleostrato di Tenedo.
192
14. Toro, Taurus b El Nath
Pleiades
w
e z
Hyades
a Aldebaran
q
g
l
x
o
In Mesopotamia, nel terzo millennio questa costellazione era il Toro celeste (GUD.AN.NA); era più estesa dell’attuale e allora ospitava l’equinozio di primavera, fatto che le conferiva grandissima importanza. Nella raffigurazione greca il Toro è più piccolo, visibile solo nella metà anteriore (quella posteriore è diventata la costellazione dell’Ariete), e non è più così carico di significato, perché l’equinozio si era ormai spostato nell’Ariete. Fa parte della costellazione a Tau, Aldebaran, “l’inseguitore (delle Pleiadi)”, una stella arancione, di magnitudine 0.8, fra le più lumiose del nostro emisfero. Il Toro ha nei sui confini anche due ammassi aperti visibili a occhio nudo e per questo ben conosciuti all’antichità, le Pleiadi e le Iadi. Nell’astrotesia comune greca questa costellazione ha la stella che si trova sul corno più a nord in comune con l’Auriga di cui indica l’estremità di un piede. Con il telescopio si può osservare vicino all’estremità del corno più in basso la Nebulosa del Granchio, resto dell’esplosione di una supernova; l’esplosione fu avvistata dalla Terra il 4 luglio1054 e restò visibile a occhio nudo e in pieno giorno per mesi; ne conservano registrazione testi storici cinesi.
122
Europa, figlia del re di Tiro, Agenore, è un altro degli amori di Zeus,
193 al quale generò, trasportata a Creta, Minosse e altri figli. Più avanti è ricordata a proposito della costellazione del Cane, cap. 37 che rappresenterebbe uno dei doni di Zeus per lei. 123 Euripide aveva composto due drammi con lo stesso titolo (frgg. 818 – 838 Kannicht) e secondo il nostro testo ricordava l’impresa del Toro, forse per confronto con l’Ariete che aveva messo in salvo Frisso ed Elle trasportandoli in Colchide attraverso il mare, cf. cap. 18. Con questa versione del mito il catasterismo del toro si allinea come tipologia a quello dell’aquila che rapì Ganimede per Zeus (cap. 30) e del delfino che procurò Anfitrite a Posidone. Il toro è in origine una delle tante forme assunte da Zeus stesso nelle sue molte imprese di seduttore (cf. HESIOD. frg. 140 Merkelbach-West; APOLLOD. 3.1.1), come il cigno con Nemesi (o Leda), la pioggia d’oro con Danae: Zeus, innamoratosi di Europa, si sarebbe trasformato in un bellissimo e mite toro bianco, che si stese davanti alla ragazza quasi invitandola a salire sul suo dorso, ma appena lei lo fece, il toro la trasportò via da Tiro a Creta. Da notare che la costellazione è definita mivmhma, come quella del cigno (cap. 25) è detta tuvpon; in quest’ultimo caso, è conservata ancora la trasformazione del dio in animale. 124 Questa era l’interpretazione di Eratostene secondo gli Scoli a Germanico (Schol. Germ. BP, p. 74.20 Breysig Eratosthenes dicit bovem esse, quae fuit Io). Il mito di Io ci porta in ambiente egiziano. Argiva, discendente di Inaco, Io fu sedotta da Zeus e per questo subì, come Callistò, una trasformazione in animale, in vacca (ad opera del dio stesso o di Era), si rifugiò in Egitto dove partorì Epafo e in quel paese è identificata con Iside e suo figlio con il bue Api. Secondo un’altra versione la costellazione rappresenta invece il toro di cui si invaghì Pasife, moglie di Minosse, e da cui generò il Minotauro (Schol. Arat. Vet. 167). 125 Iadi e Pleiadi sono note già in Omero (Il. 18.486); in Esiodo (Op. 614-621) si vede che erano punto di riferimento per scandire alcuni lavori agricoli e per delimitare la stagione della navigazione. Le Iadi sono l’ammasso stellare aperto più vicino alla Terra (151 a. luce) e sono vicine alla stella luminosissima Aldebaran, sulla testa dell’animale; annunciavano le piogge autunnali e per questo, secondo un’ etimologia diffusa, il loro nome era collegato a u{ein, “piovere”. In Igino (Astron. 2.21) sono contenute diverse spiegazioni del catasterismo (sui rapporti con le fonti parallele cf. MARTIN 1956, 84-94). 126 Fragm. Vat. a{~ fhsi Ferekuvdh" jAqhnai`o~ tiqhnou;~ ei\nai tou` Dionuvsou, ai{tine~ Dwdwnivade~ nuvmfai ejkalou`nto… “Ferecide Ateniese dice che erano nutrici di Dioniso, che venivano chiamate ninfe Dodonidi”. Cf. HYGIN., Astron. 2.21 Has autem Pherecydes Atheniensis Liberi nutrices esse demonstrat, numero septem, quas etiam antea nymphas Dodonidas appellatas. Harum nomina sunt haec: Ambrosia, Eudora, Pedile, Coronis, Polyxo, Phyto, Thyone. Hae dicuntur a Lycurgo fugatae et praeter Ambrosiam omnes ad Thetim profugisse, ut ait Asclepiades. Ed ut Pherecydes dicit, ad Thebas Liberum perlatum Inoni tradiderunt. Quam ob causam ab Iove his gratia est relata, quod inter sidera sunt constitutae. PHERECYD. frg. 90 a, b, c, d, e Fowler.
194 127 Alle Pleiadi l’Epitome riserva anche una trattazione a sé, cap. 23, non così Igino (Astron. 2.21.2-4) che ne tratta insieme al Toro. 128 “dalle sette stelle”. Cf. NONN., Dionys. 38.380; ANATOL., Peri; dekavdo~ kai; tw`n ejnto;~ aujth`~ ajriqmw`n 12.7. Questo epiteto è attestato anche per le due Orse (GALEN., De diebus decretoriis 9.935.9; CLEM. AL., Strom. 6.16.143); nel nostro testo è ripetuto ancora al cap. 23 sempre per le Pleiadi. Arato (Phaen. 257) usa eJptavporoi, frequente in Euripide (cf. Iph. Aul. 708). 129 Ma c’è e in qualche modo è visibile. In questa forma il testo evita la critica che Ipparco muoveva ad Arato (Phaen. 258 sgg.) il quale sosteneva che le stelle visibili sono sei. Secondo Ipparco (In Arat. et Eud. 1.6.14), se si guarda con attenzione, in una notte chiara e senza luna, si vedrà che ci sono sette stelle. 130 Complessivamente dice alla fine che ne ha diciotto e queste sette sono quelle del muso, perciò Robert aggiunge qui ejpi; th`~ kefalh`~. 131 a Tauri, Aldebaran, che anche nell’astrotesia attuale occupa la stessa posizione (la base del corno oppure l’occhio). Tra le due stelle delle corna, z Tau più a sud, e b Tau, più a nord, la più luminosa è quest’ultima con 1.6 di magnitudine, mentre l’altra è di 2.9.
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15. Cefeo, Cepheus Questa costellazione è la prima g Errai di una scena di insieme che comprende Cassiopea, Andromeda, Perseo, Pegaso e Ceto; tutta la b Alfirk scena è una costruzione greca e Cefeo, eccezionalmente rispetto alle altre costellazioni, sta in cielo h non per onore personale o come i a Alderamin simbolo di qualche impresa straordinaria, ma per completare la scena. È una delle costellazioni z circumpolari, l’unica, oltre le due Orse e il Serpente a entrare con la sua figura, almeno in parte, nel circolo polare artico. Per questo nell’originale dell’Epitome occupava il quarto posto, dopo le Orse e il Serpente. È attraversata dalla Via Lattea nella parte meridionale, dove si disegnava la testa. La sua stella più luminosa, a Cep, Alderamin, “il braccio destro”, di magnitudine 2.4, per la sua posizione è stata in passato e sarà ancora fra circa 7.500 anni stella polare. Fra gli astronomi è molto nota la stella d Cephei, che varia con regolarità la sua magnitudine ogni 5 giorni e per questa caratteristica ha dato il nome a una categoria di stelle, le Cefeidi, ugualmente variabili di magnitudine con tempi regolari, che vengono utilizzate come indicatori di distanza.
132 La stessa notazione conservano Schol. Germ. BP. 77 e Schol. Germ. G 137 Breysig. Occupava davvero il quarto posto nell’ordine originale di presentazione delle costellazioni, ordine di cui è rimasta traccia nel nostro testo anche per la Lira, cap. 24. L’originale dell’Epitome descriveva le costellazioni partendo dal nord, per cerchi, e Cefeo fa parte delle costellazioni del circolo polare artico, per questo occupava uno dei primi posti nella serie. Questo uso di ricorrere ai cerchi celesti per collocare le costellazioni si trova nel libro terzo degli Astronomica di Igino. 133 Cefeo è rappresentato a testa in giù, con i piedi rivolti verso il polo; se per l’autore dell’Epitome la parte dal petto ai piedi è compresa entro il circolo polare artico e non tramonta mai, questo presuppone che egli, o la sua fonte, osservino il cielo da una latitudine più bassa della Grecia continentale, dove invece, come indica Ipparco (In Arat. et Eud. 1.11.1), solo la testa
196 tramonta, mentre spalle e petto restano visibili. La latitudine presupposta è compatibile con Alessandria, cf. FERABOLI 1998, 353, cf. anche le osservazioni su Boote, cap. 8. 134 Nella tragedia Andromeda di Euripide frgg. 114-156 Kannicht. Il re fu costretto a offrire la figlia al mostro marino inviato da Posidone contro il suo paese; sua moglie Cassiopea aveva osato sfidare in bellezza le Nereidi, suscitando l’ira del dio. Cf. anche APOLLOD. 2.4.3; HERODOT. 7.61.
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16. Cassiopea, Cassiopeia Anche Cassiopea è una e costellazione sempre visibile in cielo alle nostre latitudini: g Cih si trova in posizione opposta b Caph rispetto all’Orsa Maggiore. d Ruchbah Le sue 5 stelle più brillanti appaiono nel loro movimena Schedar to annuale nella volta celeste disposte in una forma a W/M, che la rende molto bene riconoscibile. Questo disegno caratteristico si trova già in sigilli mesopotamici. Ha due stelle molto luminose, a Cas, Schedar, “il petto” e b Cas, Caph, “la mano”, entrambe di magnitudine 2 e g Cas, una variabile che oscilla da 1.6 a 3 magnitudini. Con la sua stella b Cas, che si trova a 0 ore di Asclusione Retta, cioè sul meridiano passante per il punto gamma, Cassiopea è spesso usata come indicatore del tempo siderale, il tempo più usato dagli astronomi. Il tempo siderale indica il tempo che la Terra impiega a compiere un giro di 360° rispetto alle stelle; è più breve di circa 4 minuti di un giorno solare e serve per localizzare la posizione delle stelle nel cielo. Cassiopea si trova sulla Via Lattea e nei suoi confini si possono osservare ammassi e galassie. Si trova nella costellazione una forte radiosorgente, Cassiopea A.
135 S OPHOCL ., Andromeda frgg. 126-136 Radt. L’Epitome suddivide equamente tra le due Andromede, quella più celebre di Euripide e questa meno nota di Sofocle, le sue citazioni quando parla delle costellazioni implicate nel mito: due a Euripide, Cefeo e Andromeda, e due a Sofocle, Cassiopea e Ceto. Della trasformazione in costellazione di Cassiopea e della sua colpa parla anche Arato (Phaen. 189 sgg.; 653-658); nel suo giro nel cielo appare a testa in giù, posizione che secondo Igino deve alla sua empietà (Astron. 2. 10 De hac Euripides et Sophocles et alii complures dixerunt ut gloriata sit se forma Nereidas praestare. Pro quo facto inter sidera sedens in siliquastro constituta. Quae propter impietatem, vertente se mundo, resupinato capite ferri videtur. 3.9 haec…capite cum sedili resupina ferri perspicitur). 136 A questo punto Fragm. Vat. ha di j aujthvn, “per causa sua”. 137 A questo punto Fragm. Vat. ha o{qen wJ~ ei[rhtai ejn toi`~ a[stroi~ ejtevqh, “donde, come si è detto, fu messa fra le stelle”. 138 Oijkeivw~, è espunto da Pàmias, probabilmente come commento finito nel testo. Andromeda sta su un trono anche secondo Arato (Phaen. 653 sgg.).
198 139
A questo punto Fragm. Vat. ha kai; aujthv “anch’essa”. Quella che oggi è, Schedar, “il petto”, a Cas. Potremmo identificare le 5 stelle della W, secondo gli attuali nomi di derivazione araba, con il petto, la mano, il fianco e le due sulla coscia sinistra. 141 Questa dovrebbe essere l’attuale g Cas. 142 Cf. HYGIN., Astron. 3.9 in quadrato, quo sella deformatur una in angulis utriusque singulae clarius ceteris lucentes. 140
199
17. Andromeda, Andromeda
g Alamak m
p
b Mirach
d
a Alpheraz, Sirrah
Andromeda condivide la stella a And, Alpheraz, “testa della donna incatenata”, con Pegaso (in questo caso è d Peg, Sirrah, “l’ombelico del cavallo”): è una stella di magnitudine 2 e più o meno altrettanto luminose sono b And, Mirach, “la cintura” e g And, Alamak. L’oggetto più interessante della costellazione dal punto di vista astronomico è la galassia di Andromeda (M 31), una galassia a spirale molto simile alla Via Lattea, visibile ad occhio nudo e che fa parte del Gruppo Locale, un ammasso di circa 53 galassie legate fra loro da gravità, cui appartiene anche la nostra galassia. L’Epitome non rammenta la galassia di Andromeda; la troviamo però probabilmente menzionata per la prima volta negli Aratea di Avieno (vv. 467-469 nam diducta ulnas magna distendit in aethra / vinculaque in caelo retinent quoque, tenuia quippe / bracchia contortis adstringunt nubila nodis.), il quale la situa attorno alle braccia della donna come le funi di nebbiolina che la incatenano; come è noto Avieno (IV d.C.) conosce e utilizza ampiamente il materiale dell’Epitome nella sua “traduzione” dei Fenomeni di Arato. Il modo in cui si esprime ha fatto pensare che anche su questo avesse come fonte del materiale da Eratostene, visto che con un linguaggio molto simile nell’Epitome è presentata la nebulosa nel Cancro, cap. 11 e si ricorda anche quella in Perseo, cap. 22, cf. SOUBIRAN 1979, 227-235.
200 143 La storia si può leggere in APOLLOD. 2. 4. 3. Di ritorno dall’impresa dell’uccisione della Gorgone, Perseo vede Andromeda incatenata e offerta al mostro e decide di salvarla, chiedendo in cambio a Cefeo di poterla sposare. Dopo averla messa in salvo uccidendo il mostro, Perseo dovrà ancora combattere contro le insidie di un precedente pretendente della ragazza, ma alla fine Andromeda sarà sua sposa. 144 La scena dei genitori che cercavano di trattenere Andromeda era nella tragedia di Euripide, famosisima nell’antichità; Cefeo non voleva dare la figlia in sposa a un bastardo come Perseo (Androm. frg. 141 Kannicht). 145 Argo è la patria di origine di Perseo, cf. cap. 22. 146 a And. 147 ejpi; bracivono" aV, ejpi; th'" ceiro;" aV integra Olivieri, seguendo gli Schol. Germ. BP e HYGIN. Pàmias propone invece ejpi; tou` phdalivou tou` a[kra~ ceiro;~ lamprou;~ b v da Arat. Lat. In sinistro cubitu unam, in pedalium de summitate manu nitidas duas. Pàmias propone di riconoscere in questa descrizione l’iconografia di Andromeda incatenata, non a una roccia, ma a due remi (il phdavlion timone, in forma di remo), che si ritrova in pitture vascolari e che è quella sofoclea cf. PÀMIAS, La Andrómeda, 1999, 285-288.
201
18. Cavallo, Pegasus p a And, Sirrah
h Matar
b Scheat
m
i
k
l
g Algenib
a Markab x z Homam e Enif
q Baham
Il tratto più caratteristico di questa costellazione oggi nota come Pegaso, è il grande quadrato costituito dalle stelle a, b, g Peg e a And (d Peg), tutte di seconda magnitudine, quadrato denominato “il Campo” (ASH-IKU) nell’astronomia babilonese. La stella a And, Sirrah, è in comune con Andromeda e oggi attribuita a quest’ultima costellazione. Pegaso ha la testa rivolta verso il basso non lontano dall’equatore. Il suo nome più antico è Cavallo e, come ci conferma l’identificazione con Ippe che il nostro testo fa risalire ad Euripide, la forma più antica della figura era senza ali. Di essa rimane traccia nella costellazione del Cavallino, Equuleus, una delle più piccole del cielo, che è raffigurata accanto al Cavallo, è nota a Tolomeo e fatta risalire a Ipparco da Gemino. Il mito di Ippe dà spiegazione della particolare figurazione del cavallo in cielo – è visibile solo nella metà anteriore – e della sua posizione rispetto alla costellazione del Centauro – quando una sorge, l’altra tramonta. Nella tradizione è prevalsa invece l’identificazione con Pegaso. La parte catalogica del nostro testo, coerentemente con l’identificazione mitica, non parla di stelle sulle ali. È evidente che Eratostene si rifà in realtà a una rappresentazione della costellazione antica e ra-
202 ra da trovare nelle illustrazioni; illustrazioni del cavallo senza ali sono sconosciute a BOLL 1903, 118-119, ma il Cavallo senza ali, come Eratostene lo descrive, è conservato nel planisfero del manoscritto NLW 735C, f. 10v, fig. 1, dove pure il testo che riguarda il Cavallo è ormai illustrato con il canonico cavallo alato. Interpretata come Pegaso anche questa costellazione rientra nella “scena tragica” assieme a Cefeo, Cassiopea, Andromeda e Perseo, visto che il cavallo alato scaturì dalle gocce del sangue di Medusa quando fu uccisa dall’eroe e se ne volò in cielo da Zeus; Perseo, proprio di ritorno dall’impresa, vide Andromeda e se ne innamorò.
148
Fragm. Vat. Ou|to~ faivnhtai hJmitevlhv~, “questo appare per metà”, cf. ARAT., Phaen. 214-215. 149 ARAT., Phaen. 216-224. La sorgente Ippocrene, sul monte Elicona, sede sacra alle Muse, è ricordata già in HESIOD., Theog. 6. 150 Qui il testo dà come alternative le due identificazioni; invece nelle nostre fonti posteriori ad Arato è proprio Pegaso il cavallo dal cui colpo di zoccolo scaturì la sorgente Ippocrene (NICANDR. fr. 54 Schneider, di datazione controversa, ma fra III e II a.C.; STRABO 8.6.21; OVID., Metam, 5.257; PAUSAN. 9.31.3; Schol. Callimach. Varia 2a.18 Pfeiffer; cf. anche Anth. Pal. 9.230.2; 11.24.6; PROPERT., Eleg. 3.1.19; OVID., Epist. 15.27; Trist. 3.7.15); il nome di Pegaso è legato alla parola phghv (sorgente) in HESIOD., Theog. 281. L’osservazione che il Cavallo non può essere Pegaso, risale a un autore che ha presente l’antica rappresentazione della costellazione e a un tempo in cui l’identificazioen fra i due cavalli non è ancora predominante, è perciò ragionevolmente eratostenica, cf. BOLL, Sphaera, 117-119. 151 Secondo il racconto di Esiodo (Theog. 280-286) Pegaso nacque assieme al gigante Crisaore dal sangue schizzato dal collo di Medusa, quando Perseo tagliò la testa al mostro e volò in cielo da Zeus. 152 Arato nel descrivere questa costellazione non parla di ali; anche in Igino (Astron. 3.17) e così in Ipparco nello scritto contro Eudosso e Arato; il Cavallo, anche se con questo nome e non Pegaso, ha un’ala e una stella all’estremità dell’ala in Tolomeo (Synt. 7.5, p. 78 Heiberg); nelle rappresentazioni figurate ha le ali il Cavallo dell’Atlante Farnese, il cui modello di cielo, anche se di datazione molto discussa, è post-eratostenico e risale ragionevolemente almeno alla metà del II sec. a.C. (anche se non con certezza ad Ipparco) cf. SCHAEFER 2005. Il nostro testo nega che la costellazione possa essere identificata con Pegaso, perché chi scrive ha davanti a sé o comunque come punto di riferimento, un’illustrazione in cui questo cavallo è senz’ali. In Tolomeo (Synt. 7.5, p. 76 Heiberg) si trova la piccola costellazione del Cavallino, che chiama Protomh; I{ ppou (e che si deve a Ipparco, secondo GEMIN., Elem. 3.8.5), accanto a questa di Pegaso. Il Cavallino è senza ali ed è spesso rappresentato negli antichi atlanti stellari del ‘600 proprio sbucare da sotto
203 Pegaso, per questo SCHAUBACH 1795, 96 scrive Res astronomica non satis clara est. Dubium enim utrum stellae, quae hodie Equleum formant, ad hoc sidus referantur, necne. 153 Alle vicende di Melanippe figlia di Ippe (o Ippò) e di Eolo, Euripide aveva dedicato due tragedie (frgg. 480-514 Kannicht): Melanippe incatenata (frgg. 489-496 Kannicht) e Melanippe filosofa (frgg. 480-488 Kannicht). Della madre Melanippe riferiva le parole in un celebre attacco, ricordato da Platone nel Simposio (177a). In Igino (Astron. 2.18.3) troviamo anche altre spiegazioni: Ippe era una profetessa trasformata in cavalla, perché rivelava agli uomini i disegni divini; oppure (secondo Callimaco) Ippe, seguace di Artemide, era stata punita dalla dea (come Callistò), perché l’aveva abbandonata. 154 HYGIN., Astron. 2.18 Euripides autem in Melanippa Hippen, Chironis Centauri filiam. 155 Fragm. Vat. Eujripivdh~ dev fhsin ejn th/` Melanivpph / {Ipphn ei\nai th;n Ceivrwno~ qugatevra ejn toi`~ a[stroi~: h}n iJstorei`tai trefomevnhn ejn tw/` Phlivw/ peri; ta;~ a[gra~ ei\nai kai; dh; kai; th;n fusikh;n qewrivan sunthrei`n uJp∆ Aijovlou d∆ ajpathqei`san fqarh`nai kai; e{w~ mevn tino~ kruvptein∑ ejpeidh; de; katafanh;~ h\n dia; to;n o[gkon... “Euripide nella Melanippide dice che è Ippe, figlia di Chirone fra le stelle; racconta che era cresciuta sul monte Pelio, praticava la caccia ed era dedita allo studio delle scienze, sedotta da Eolo con l’inganno, per un certo tempo lo tenne nascosto, ma dopo che la seduzione fu evidente per l’ingrossarsi del ventre, …”. La conoscenza del cielo e dei corpi celesti (anche allo scopo di prevedere il futuro) è una prerogativa di Chirone. 156 Figlio di Elle ed eponimo degli Eoli. 157 Fragm. Vat. tekou`san to; paidivon “e partorì il piccolo “, una bambina, Melanippe. 158 Ippe era cacciatrice e seguace di Artemide, come Callistò, e come quest’ultima è trasformata in animale in conseguenza della violenza subita. 159 Cap. 40. Il Centauro è una costellazione dell’emisfero australe. 160 In Igino (Astron. 2.18.3) si dice che la costellazione (intesa come Ippe) infatti non si trova sotto lo sguardo del padre Chirone (Centauro). 161 In coerenza con quanto è affermato nella parte mitica, il cavallo è descritto senza stelle sulle ali, quindi senz’ali.
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19. Ariete, Aries a Hamal b Sheratan g Mesarthim d Botein
L’Ariete è una costellazione piccola e di modesta luminosità; è importante dal punto di vista astronomico, perché durante il secondo e quasi tutto il primo millennio, dopo il Toro e le Pleiadi, è stata la costellazione che ha ospitato l’equinozio di primavera; per questo il punto vernale, che indica proprio il punto di incrocio fra l’equatore e l’eclittica, si chiama anche, ancora oggi, Punto dell’Ariete; per questo punto passa il coluro equinoziale, il meridiano celeste utilizzato per determinare la posizione degli astri nei vari sistemi di coordinate celesti. Oggi, per la precessione degli equinozi, il punto vernale si trova invece nella costellazione dei Pesci. Anche se è conosciuta col nome di MUL-LU-HUN-GA, “Bracciante agricolo”, la costellazione sarebbe già collegata all’ariete nel mondo babilonese (WHITE 2008, 127131). Nel nostro testo la scarsa luminosità della costellazione trova una spiegazione nel mito col fatto che l’ariete con cui viene identificata, quello che trasportò Frisso ed Elle, sta in cielo privo del vello d’oro che è rimasto sulla terra. Per Arato (Phaen. 233-238) nessuna sua stella merita di essere rammentata: è una costellazione scialba e senza stelle quando splende la luna. Secondo Ipparco, invece, la costellazione non era così oscura; e in effetti la sua stella più luminosa a Ari, Ras el Hamal “la testa dell’ariete”, è di magnitudine 2. Secondo Plinio (N.H. 2,31) le costellazioni dell’Ariete e del Sagittario sarebbero state introdotte da Cleostrato di Tenedo (VI sec. a.C), forse il primo greco ad averne scritto a sua conoscenza.
162 Figli di Nefele e Atamante, re di Beozia, i due erano caduti vittima di un inganno della matrigna Ino: la donna aveva fatto seminare del grano tostato, così le messi non erano germogliate; aveva poi persuaso messaggeri inviati a consultare l’oracolo di Delfi a riferire che per uscire dalla carestia il dio chiedeva di sacrificare Frisso. L’ariete, “immortale” inviato da Nefele
205 mise in salvo i due giovani; l’ariete era figlio di Posidone e Teofane e sarebbe stata proprio Nefele a ordinare ai figli di rifugiarsi in Colchide e, lì giunti, sacrificare l’ariete (HYGIN., Fab. 188). Sulla vicenda cf. APOLLOD. 1.9.1; è un mito molto conosciuto nei poeti, cf. PIND., Pyth. 4.160; APOLL. RHOD. 2.1144. Euripide aveva scritto due drammi intitolati Frisso (frgg. 818-838 Kannicht) dai quali forse proviene parte del racconto di Eratostene. Igino conosce un’altra versione, che coglie il valore astrale dell’Ariete come costellazione che dà inizio alla stagione delle messi e collega dall’inizio alla fine il mito del catasterismo (la vicenda era cominciata con grano sterile) con questa caratteristica della costellazione: Frisso, scampato al viaggio, sacrifica a Zeus l’ariete e dedica la pelle nel tempio; la sua immagine viene messa in cielo da Nefele a occupare la stagione in cui si semina il grano (Praeterea Phrixum incolumem ad Aetam pervenisse, arietem Iovi immolasse, pellem in templo fixisse et arietes ipsius effigiem ab Nube inter sidera constitutam habere tempus anni quo frumento seritur, id Ino quod tostum seruit ante, quae maxime fugae fuit causa). Sempre in Igino si leggono due racconti (Astron. 2.20.3-4 ), da Ermippo e da Leone di Pella, che collegano invece l'Ariete con Dioniso e il culto di Ammone, il dio dalla testa di ariete, identificato con Zeus, e attribuiscono a Dioniso la sua collocazione fra le stelle. 163 HESIOD. frg. 68 Merkelbach West (cf. anche 254, 255, 256 e 299); PHERECYD. frg. 99 Fowler. 164 kai; to; kevra~ ajpolevsa~ è espunto Pàmias e altri editori come commento finito nel testo (Schaubach notam marginalem redolere videtur); Robert rimanda a un debole OVID., Fast. 3.869 dicitur infirma cornu tenuisse sinistra femina. Il testo è conservato da Fowler frg. 99 con l’espunzione di kai;. Mi sembra che l’osservazione sulla perdita del corno, qualunque sia la sua origine, sia da mettere in relazione con l’astrotesia della costellazione: nella disposizione delle stelle sulla figura poi canonica (già da Tolomeo, Synt. 7.5, p. 84 Heiberg; cf. anche Germanico, Arat. 224-233) l’Ariete ha stelle su un corno solo (per la precisione una grande sulla testa e due su un corno); e spesso viene proprio raffigurato di profilo con un solo corno visibile, cf. Vat. Gr. 1087, fig. 7; nel nostro catalogo nessuna stella figura sulle corna, sono descritte solo quelle sul muso, secondo un’ astrotesia che si vede illustrata, per esempio, nel NLW 735C, cf. fig. 4 e che pare suggerita da Ipparco (In Arat. et Eud. 1.6.7). il quale, in polemica con Arato, dice solo che l’Ariete ha 3 stelle sulla testa, che sono più luminose di quelle della cintura della Vergine, senza specificarne la disposizione (cf. anche 1.6.10-11). 165 Cf. Anche HYGIN., Astron. 2.20, il quale aggiunge nonnulli Edonum dixerunt; Peone è il capostipite dei Peoni, Edono degli Edoni; questo racconto è costellato di spiegazioni dei nomi di luoghi e popoli. 166 Eeta, re della Colchide, figlio di Helios è conosciuto già in Od. 10.137; HESIOD., Theog. 956-958. Dopo diekovmisen Robert mette una lacuna. Il testo che segue è in effetti di comprensione non chiara. 167 w|/ espunge Pàmias, che accoglie l’interpretazione di Martin, cf. nota seguente; lo stesso testo dell’Epitome è in Igino, che attribuisce questa immagine dell’ariete che si toglie da solo il vello e sale in cielo proprio a Erato-
206 stene, HYGIN. Astron. 2.20. Eratosthenes ait arietem ipsum sibi pellem auream detraxisse et Phrixio memoriae causa dedisse, ipsum ad sidera peruenisse, quare, ut supra diximus, obscurius uideatur. Ambiguo Schol. Germ. BP 79 Phrixum autem perlatum Colchos arietem immolasse pellemque eius auream Iovi sacrasse. Ideo eum pallere ait Eratosthenes, quod deposito vellere aureo in caelum sit receptus. 168 Secondo MARTIN 1956, 98 ejkdu;" non vorrebbe dire “spogliatosi, liberatosi”, ma “scampato al pericolo del mare” (rimanda a PLATO, Phaedo 109d dove ejkdu;" sarebbe da intendere “emerso dalla profondità del mare”, ma l’Ariete non era immerso nel mare); il soggetto della frase diventerebbe Frisso: “a quest’ultimo, cioè Eeta, Frisso, scampato dal mare, donò anche il vello d'oro per ricordo”. Gli Scholia Vetera ad Arato attribuiscono ad Eratostene una versione che concorda sul dono del vello d’oro, ma dicono solo che Frisso sacrificò l’ariete e non che quest’ultimo salì da sé in cielo: Schol. Vet. 225 tou'ton to;n Krio;n ∆Eratosqevnh" ei\naiv fhsi to;n ”Ellh" kai; Frivxou, o}n quvsa" tw'/ Fuxivw/ Dii; Frivxo" th;n dora;n e[dwken Aijhvth/: dio; kai; tou;" ajstevra" aujtou' ajmaurou'sqaiv fhsin. Si comprende bene la perplessità di Martin sull’immagine dell’ariete che si toglie da solo il vello, tuttavia era immortale, figlio di Posidone, poteva benissimo lasciare il vello e volare in cielo; la scena non sarebbe così strana in una tragedia euripidea. In Apollonio Rodio è conservato un verso secondo il quale (2.1145b) è l’ariete stesso, il cui manto è stato reso aureo da Hermes, a chiedere a Frisso di venire sacrificato a Zeus. Altrove Apollonio Rodio dice che Frisso dedicò il vello aureo a Zeus Phyxios, protettore dei fuggitivi, su suggerimento di Hermes (APOLL. RHOD., Argon., 4.118-120). 169 L'unico altro personaggio che fa lo stesso nell'Epitome è la Vergine, cap. 9. Igino, nella versione “non eratostenica” in cui dice che l’ariete venne sacrificato e la sua pelle dedicata nel tempio di Zeus, attribuisce alla madre Nefele la catasterizzazione (Astron. 2.20.1 arietem Iovi immolasse, pellem in templo fixisse et Arietis ipsius effigiem ab Nube inter sidera constitutam). 170 Sulla scarsa luminosità dell’Ariete cf. Schol. Germ. BP 79-80 Breysig Ideo pallere ait Eratosthenes, quod deposito vellere aureo in coelo sit receptus. Ad Eratostene è attribuita la considerazione che il movimento delle due costellazioni, Ariete e Cavallo, è velocissimo per la vicinanza all’equatore (cioè perché nello stesso tempo in cui le costellazioni circumpolari compiono il giro del circolo polare, queste equatoriali fanno il giro dell’equatore, un cerchio molto più ampio) in Schol. Arat. Vet. 225.p. 185.8 sgg. Martin … fhsi; de; tou` te ”Ippou kai; tou` Kriou`, dia; to; plhsivon ei\nai tou` ijshmerinou`, tacutavthn ei\nai th;n kivnhsin. Cf. ARAT., Phaen. 1.225 e HYGIN., Astron. 1.3 e 4.3. Ipparco correggeva questa collocazione dell’Ariete e metteva la costellazione più a nord dell’equatore, che secondo lui toccava solo con gli zoccoli (In Arat. et Eud., 1.10.18). Ho accolto il testo di Fragm. Vat. th`~ kefalh`~ lampro;n aV, che è sicuramente quello corretto (l’Epitome non ha lamprovn), perché corrisponde all’astrotesia della costellazione su un punto indiscutibile, che la stella più luminosa dell’Ariete, a Ari, Ras el Hamal, sta sulla testa.
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20. Deltoton, Triangulum La costellazione è conosciuta come b Deltoton anche in altri autori, compreso Arato (Phaen. 235), ma è prevalso g nella tradizione l’altro nome antico, Triangolo, da cui ancora oggi è detta a Triangulum. In realtà le sue tre stelle sono di magnitudine 3-4, quindi non così luminose da fungere da segnale di riconoscimento dell’Ariete, come scrive l’Epitome. La forma della costellazione è collegata a Zeus (l’iniziale del nome nella flessione, escluso nominativo e vocativo) e così anche l’Ariete, data l’identificazione del dio greco con il dio Ammon dalla testa di ariete, molto conosciuto e venerato dopo la visita di Alessandro al santuario nell’oasi di Siwa. Oggi ha la forma di un triangolo isoscele. Nel Triangolo si trova la galassia M33, una delle più vicine alla Via Lattea e membro del Gruppo Locale.
171 Cf. ARAT., Phaen. 233-238. Ipparco sostiene invece, a ragione, che l’Ariete non è una costellazione così poco visibile, ha anzi sulla testa alcune stelle molto più brillanti di queste del Triangolo ed annovera questa affermazione fra gli errori di Arato (In Arat. et Eud. 1. 6. 7). 172 La denominazione Deltoton si deve probabilmente ad Arato, cf. MARTIN 1998, Comm. v. 235, pp. 254-234; l’interpretazione della costellazione come allusione al nome di Zeus si accorda bene con l’importanza che Arato attribuisce a Zeus nel cielo. 173 A Hermes viene attribuito l’ordinamento delle costellazioni anche al cap. 43; lo stesso compito svolge nella mitologia egiziana il dio Toth, figura sincretica con Hermes in Alessandria. 174 Naturalmente intende la forma della regione del Delta. L’idea di un modello astrale dell’Egitto è originale del nostro testo e si accorda bene con la cultura alessandrina di Eratostene, il suo interesse per l’Egitto. È sicuramente una delle interpretazioni, come il Nilo per la costellazione del Fiume, cap. 37, che orientano verso la possibilità di un ambiente egiziano dell’originale dell’Epitome, FERABOLI 1998, 54-5. Per un’estensione del riferimento della forma della costellazione non solo alla regione del Delta, ma all’intero paese fino a Siene/Elefantina e altri possibili contatti con il mondo egiziano, cf. HÜBNER 2006. 175 Per la terra del Nilo a forma di triangolo, cf. AESCHYL., Prom. 814. Per l’Egitto come dono del Nilo HERODOT., 2.5. Igino riferisce di alcuni che nel Deltoton, sempre per la sua forma triangolare, vedono la Sicilia (Astron. 2.19).
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21. Pesci, Pisces t u f
c
h
o i z n a Alrisha
e
d
q
b
w
g
m l
k
Oggi i Pesci sono la prima costellazione dello zodiaco, perché ospitano il Sole all’equinozio di primavera, che comunque, per la precessione, si sta ormai spostando verso l’Acquario. Le sue stelle sono poco luminose: le più brillanti sono di magnitudine 3-4. Sono rappresentati nuotare in direzioni opposte e tenuti insieme per le code da un nastro. Il testo come lo abbiamo non contiene spiegazioni mitologiche o d’altro genere per questo legame. Nel mondo babilonese questa costellazione era rappresentata con un pesce e una (pesce) rondine uniti dal nastro (cf. Schol. Arat. Vet. 242 e WHITE 2008, 216-217).
176 Cap. 38. HYGIN., Astron 2.30 Eratosthenes autem ex eo pisces natos dicit, de quo posterius dicemus. Igino (Astron 2.30) riporta anche la versione di Diogneto di Eritre (FGrHist 120) secondo la quale si tratterebbe di Afrodite e Cupido che si trasformarono in pesci dell’Eufrate per sfuggire a Tifone.
209 177
Cioè dove uno ha la testa, l’altro ha la coda. Le due parti del cielo sono i due emisferi, boreale e australe. In mezzo ai due passa l’equatore. 179 Fragm. Vat. kai; suvndesmon ejn ajllhvloi~. 180 Il nodo che arriva fin sotto la zampa anteriore dell’Ariete è segnato da una stella più brillante, a Pis, Alrisha, “il nodo”; al tempo di Eratostene era un punto di grande significato astrale, nodo dell'intera sfera celeste, perché vicino al punto equinoziale (o punto d’Ariete), cf. ARAT., Phaen. 245, 365 suvndesmon uJpouravnion e HYGIN., Astron. 3, 29 Cicero nodum caelestem dicit. Naturalmente il punto equinoziale, a causa del movimento di precessione degli equinozi, non è fisso, ma si sposta (verso ovest di 1° ogni 72 anni circa). Quindi oggi il “nodo dell’universo” non è più dove lo mettevano Arato e contemporanei. 178
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22. Perseo, Perseus Al posto di questa costellazione il cielo babilonese aveva g una figura maschile, il Vecchio, signore degli dèi. Perseo appare cosparso dalla polvere di a Algenib d stelle della Via Lattea; la sua stella più luminosa è a Per, Mirphak , “il gomito”, di man gnitudine, 1.8; ma la più famosa è la stella sulla testa di Mee dusa, b Per, Algol, “la stella b Algol del diavolo” una binaria a x Menkib r eclisse, che varia da 2 a 3.2 magnitudini in poco meno di 3 giorni e quindi appare lampegz giante. La costellazione ospita molti ammassi stellari e nebulose. Da Perseo parte anche lo sciame meteorico delle Perseidi, che attraversa il nostro cielo estivo e che conosciamo come le stelle cadenti di San Lorenzo. Perseo completa, assieme a Cefeo, Cassiopea, Andromeda, Pegaso e Ceto, il più grande quadro relativo a un mito nel cielo greco e anche nel nostro; le costellazioni si trovano riunite nella stessa zona dell’emisfero boreale; solo Ceto, il mostro marino, si trova nell’emisfero australe. h
181 Zeus si trasformò in pioggia d’oro per potersi unire a Danae, che era tenuta prigioniera per ordine del padre Acrisio. Un oracolo aveva predetto a quest’ultimo che sarebbe stato ucciso dal nipote. Quando seppe del bambino, Acrisio, credendo di poter sfuggire al proprio destino, lo fece gettare in mare chiuso in un'arca assieme alla madre; l’arca approdò a Serifo, isola delle Cicladi, dove i due si misero in salvo. Sulla vicenda cf. APOLLOD. 2.4.2. 182 Polidette, fratello del re di Serifo, si innamorò di Danae e cercò di allontanare Perseo, ormai cresciuto, dalla madre con la richiesta della testa della Gorgone. 183 L’elmo era originariamente di Ade e rendeva invisibile chi lo indossasse, i calzari alati sono caratteristici di Hermes. Perseo ottenne anche la kybisis, sacca magica che poteva contenere qualunque cosa, una falce in-
211 frangibile per tagliare la testa del mostro e, da Atena, uno scudo lucente nel quale poter guardare l’immagine di Medusa addormentata. 184 AESCHYL., frg. 261-262 Radt. 185 Gorgoni e Graie erano figlie di Forcide e Ceto, divinità marine (cf. HESIOD., Theog. 270-74) e per questo dette Forcidi. 186 Graiva" è correzione comune fra gli editori sulla base di Igino; i manoscritti hanno a{". Le Graie, “le Vecchie” erano chiamate così perché avevano i capelli bianchi fino dalla nascita, controllavano la via che portava alle Gorgoni; secondo Apollodoro (2.4.2), conoscevano il modo di vincerle e la via per raggiungere le Ninfe, che possedevano gli strumenti necessari per poterle affrontare. 187 Con questo nome si indica una località collocata nell’estremo occidente oppure in vari punti dell’Africa. 188 Secondo APOLLOD. 2.4.3 Atena lo usa come scudo. A scopo difensivo Zeus aveva usato la pelle della capra, cf. 13. 189 Perseo tiene in una mano la Gorgone e nell’altra la falce. 190 Per questo vengono espunti dagli editori i due riferimenti al numero di stelle. 191 Come kekonimevno" lo descrive Arato (Phaen. 253); il significato di questa parola (per lui nella forma kekonismev n o") è discusso in Igino (Astron. 3.11.2), il quale (fonte Eratostene forse, cf. MARTIN 1998, Comm. v. 253, p. 262) nega possa significare, come nell’uso comune (e già omerico) “coperto di polvere” e propone di intendere, richiamandosi a un verbo del dialetto eolico, “in atto di correre”. In fuga dall’inseguimento delle Gorgoni Perseo in effetti è rappresentato secondo un’ iconografia antica e ben attestata (HESIOD., Scut. 216 sgg.). Tuttavia la nebbiolina bianca che “impolvera” la costellazione è ben visibile in cielo e trova la più ovvia spiegazione nel fatto che essa è attraversata dalla Via Lattea (cf. Schol. Arat. Vet. 201.5-7 Martin). L’aggettivo a[nastro~ viene usato per le sfere celesti; per le stelle e le costellazioni si usa ajnavstero~, come fa Arato per la parte anteriore della costellazione della Nave (Phaen. 349); la forma a[nastro~ si trova in relazione alla medesima in Schol. Arat. Vet. 345.17 Martin.
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23. Pleiadi, Pleiades Le Pleiadi sono in realtà un ammasso aperto (M45) costituito da centinaia di stelle, di cui 6-10 visibili a occhio nudo. Come costellazione sono una fra le più anticamente conosciute; presso popoli di tutti i continenti vengono descritte come costituite sempre da 7 o 6 stelle; in particolare presso popolazioni indiane d’America si parla, come qui, di 7 stelle di cui una non visibile. Attorno al 2.500 a.C. il sorgere eliaco delle Pleiadi, cioè il momento in cui la costellazione sorgeva subito prima del sole, avveniva in corrispondenza dell’equinozio di primavera che, presso gli antichi popoli della Mesopotamia, rappresentava l’inizio dell’anno. La stella più luminosa è Alcyone, una stella tripla di magnitudine 2.8. Anche per i Greci le Pleiadi erano una delle costellazioni più note: davano indicazioni per le attività agricole e per la navigazione, come ci dice Esiodo; il loro tramonto eliaco (novembre) indicava il tempo della semina e l'arrivo dell'inverno, il loro sorgere (fine maggio) quello del raccolto e dell'estate; con la loro comparsa e scomparsa delimitavano la stagione adatta alla navigazione e per questo il loro nome viene anche collegato a plei'n, navigare. Assieme a Orione, Orsa (o Carro) e Iadi, figurano sullo scudo di Achille (Il. 18.486-490) e ad esse tiene fissi gli occhi Odisseo per tenere la rotta verso Itaca, ad esse, a Boote e all’Orsa maggiore, perché quest’ultima, su istruzioni di Calipso, deve tenere alla sua sinistra navigando verso casa (Od. 5.270-275). In Giappone le Pleiadi sono chiamate Subaru.
192
Cf. cap. 14 e ARAT., Phaen. 254 sgg. L’uso di questo rarissimo aggettivo per le Pleiadi è caratteristico del nostro testo; eJptapovroi “dalle sette vie” le chiama Euripide (Iph. Aul. 7-8; Orest. 1005) e così Arato (Phaen. 257). Come figlie di Atlante e Pleione (cf. HESIOD., Op. 383) erano dette anche Atlantidi. Il testo come è pervenuto a noi non riporta il motivo della catasterizzazione. Ci sono testimoniate diverse spiegazioni, la più comune, già Esiodea (Op. 619-20) e raccontata in Igino (Astron. 2.21.4) le collega ad Orione, il quale avrebbe inseguito la madre Pleione o le sue figlie per violentarle, così come le insegue perennemente nel cielo; secondo altri erano colombe che portavano l’ambrosia a Zeus bambino (cf. ATHEN. 11.488-492) con rimando etimologico a peleiav~, colomba. In Igino (Astron. 2.21) una versione attribuita a Museo mette il nome Pleiadi in relazione con il comparativo pleivwn: Atlante ed Etra avevano 15 figlie, 5 delle quali morirono di dolore per la perdita del fratello Hyas, sono le Iadi; le 10 rimaste decisero cosa fare e la maggioranza di loro, 7, le 193
213 Pleiadi appunto, scelse di togliersi la vita. Eschilo rammentava la loro trasformazione in costellazione (frg. 312 Radt). 194 È chiamata così anche al cap. 14, Toro; l’aggettivo si trova riferito anche alle due Orse. 195 Secondo Ipparco un osservatore attento in una notte chiara e senza luna ne vede veramente sette (In Arat. et Eud. 1.66.14). In effetti in condizioni ottime di visibilità si può arrivare a individuarne anche qualcuna di più a occhio nudo. 196 La stessa spiegazione è attribuita ad Ellanico di Lesbo FGrHist 4 F 19a, 19a Fowler. 197 Pàmias aggiunge eJx, “sei”, come diversi editori; forse non necessariamente. 198 I nomi sono gli stessi in Arato, Phaen. 262-263, cf. anche HESIOD. frg. 169 Merkelbach-West. Nomi diversi attribuisce alla Pleiadi Callimaco (frg. 693 Pfeiffer), che le dice figlie della regina delle Amazzoni e attribuisce loro il nome di Colombe. 199 Merope vuol dire “mortale”. Secondo altri la non visibile sarebbe Elettra; disperata per la fine di Troia, Elettra abbandona le sorelle, si rifugia al circolo artico, appare di tempo in tempo lamentarsi con le chiome sparse ed è detta “cometa” (HYGIN., Astron. 2.21). 200 Cf. cap. 14: non del tutto oscura, ma pochissimo visibile. 201 Le Pleiadi sono una delle costellazioni più legate alle attività dell'uomo, come già dice Esiodo Op. 383. Il testo che segue è espunto da Pàmias; è assente in Igino e negli Scoli a Germanico; si trova in ARAT. LAT. p. 228.18 Maas Ipparchus septem inquit stellas iuges bene iacentes trianguli speciem demonstrat. La citazione di Ipparco (II sec. a.C.) è ovviamente posteriore ad Eratostene.
214
24. Lira, Lyra La Lira è una piccola costellazione che contiene però stelle molto brillanti, come a Lyr, Vega di mad gnitudine zero, una delle più luminose del cielo; Vega è stata stella polare circa 12.000 anni fa e lo sarà di nuovo fra altri 13.000. Assieme a Deneb del Cigno e Altair dell’Aquib la costituisce il Triangolo Estivo. g Sulaphat Come si vede dal nome Vega, che vuol dire “aquila o avvoltoio”, gli Arabi vedevano in questa costellazione un uccello, aquila con le ali chiuse o avvoltoio (ben integrato con il Cigno e l’Aquila attuali nella stessa zona di cielo) e in molti antichi atlanti celesti dietro la Lira appare raffigurato un uccello. a Vega
202
Nel nostro catalogo, modellato sulla sequenza delle costellazioni in Arato, in realtà occupa il ventiquattresimo posto; questa annotazione, assieme a quella sulla costellazione di Cefeo (cap. 14), costituisce traccia dell'antico ordine di trattazione. Cf. anche anche Schol. Germ. BP 83, 21 Breysig Haec nono loco posita est Lyra Musarum. La presentazione delle costellazioni in effetti a questo punto “fa un salto” dalle Pleiadi, oltrepassando il Triangolo, Andromeda, i Pesci, Pegaso, Delfino e Cigno, per trattare della Lira. Il numero 9 ha una serie di valenze indagate da HÜBNER 1998, 84-111; con l'introduzione della Chioma di Berenice nel catalogo della costellazioni (non è ancora inserita nel nostro, cf. cap. 5 e 12), la Lira scivolerà al decimo posto, dove la troviamo sia in Ipparco che in Tolomeo, i quali le attribuiscono anche 10 stelle. 203 Cf. ARAT., Phaen. 268-274. Nell’Hermes, il giovane dio dopo aver inventato la lira, salendo per la prima volta in cielo scopriva con meraviglia la somiglianza tra l’armonia prodotta dal moto dei pianeti e quella della lira da lui costruita (frg. 13 Powell … fhsi; ga;r wJ" ÔErmh'" e[ti nevo~, ejrgasavmeno" th;n luvran, e[peita prwvtw" eij" to;n oujrano;n ajniw;n kai; parameivbwn ta; plana'sqai legovmena, qaumavsa" th;n dia; th;n rJum v hn th'" fora'" aujtw'n ginomevnhn aJrmonivan th'/ uJp∆ aujtou' kateskeuasmevnh/ luvra/ ãoJmoivanÃ). E secondo Igino, questa versione del catasterismo è propria di Eratostene, Astron. 2.7 Lyra inter sidera constituta est hac, ut Eratosthenes ait, de causa: quod initio a Mercurio facta de testudine, Orpheo est tradita. Igino riferisce anche una versione secondo la quale Orfeo viene ucciso dalle donne della Tracia aizzate da Afrodite, adirata verso Calliope, la madre di Orfeo, perché
215 quest’ultima non l’aveva favorita nella contesa con Proserpina per ottenere Adone in esclusiva: Calliope aveva infatti deciso che Adone dovesse passare metà dell’anno con Afrodite e metà con Proserpina, nell’Ade. 204 Cf. Hymn. 4. 24-61. 205 Lo stesso numero in Hymn. 4. 51, ma esistevano anche tradizioni che presentavano questa prima lira con tre o quattro corde. A questo punto del testo Fragm. Vat. ha h] ajpo; tw'n zV planhtw'n h] “o dai sette pianeti o” interpolazione secondo Pàmias, ma difeso da Maass. Del rapporto fra il numero delle corde della lira e l'armonia prodotta dal moto dei pianeti Eratostene trattava nell’Hermes frg. 13 Powell, cf. supra n. 204. 206 Le Pleiadi, una delle quali era Maia, la madre di Hermes. 207 In cambio della lira Apollo rinunciò a farsi restituire da Hermes i buoi che quest’ultimo gli aveva rubato, Hymn. 4. 436-502 e APOLLOD. 3.10.2. 208 Come figlio di Calliope anche in TIMOTH., Pers. 234; PLAT., Resp. 364e. Calliope, “dalla bella voce”, è la più nobile fra le nove Muse (HESIOD., Theog. 79), fece da arbitro nella contesa fra Afrodite e Persefone su Adone. Le si attribuivano come figli Orfeo e Lino, o da Apollo o dal re trace Eagro. 209 Fragm. Vat. ha dia; de; th;n gunai'ka eij" ”Aidou kataba;" kai; ijdw;n ta; ejkei' oi|a h\n, to;n me;n Dionuvson oujkevti ejtivma uJf∆ ou| h\n dedoxasmevno", to;n de; {Hlion “Sceso all’Ade per amore della moglie e avendo visto come stavano le cose nel mondo dei morti, non onorava più Dioniso, dal quale pure avea ricevuto grande gloria, ma Helios…”. Orfeo aveva istituito i misteri dionisiaci, APOLLOD. 1.3.2. 210 L’identificazione tra Apollo e Helios, il Sole ha grande diffusione in età ellenistica e romana. 211 In Tracia. 212 Le Baccanti (o Menadi) della Tracia, che accompagnavano Dioniso, indossavano pelli di volpe (bassàra) donde il nome. Cf. il racconto di Igino (Astron. 2.7.1) Postea igitur Orpheus, ut complures dixerunt, in Olympo monte qui Macedonia dividit e Thracia, sed ut Eratosthenes ait in Pangaeo, sedens, cum cantu delectaretur, dicitur Liber obiecisse Bacchas, quae corpus eius discerperent interfecti. 213 AESCHYL., frgg. 23-25 Radt. 214 In Macedonia, lontano dal Pangeo. 215 Cf. HIGYN., Astronom. 3.6 in mediis iisdem, quos umeros Eratosthenes fingit, singulas. 216 È Vega. 217 Tutti i manoscritti dell’Epitome hanno 9, ma il conto delle stelle rammentate nel testo tradito è 8, per questo, e seguendo anche Schol. Germ. BP 84.15 Breysig, Robert corregge in 8, hV. Difende il valore del numero 9, che collega le nove stelle della costellazione, alle nove Muse e al nono posto nel catalogo all’interno dell’Epitome, HÜBNER 1998, 84-111. Nove stelle ha anche la costellazione del Delfino, anch’essa legata esplicitamente alle Muse; Lira e Delfino tramontano e sorgono all’incirca nello stesso tempo.
216
25. Uccello, Cygnus i
a Deneb d
g Sadr h e Gienah
z
b Albireo
L’interpretazione della figura di questa costellazione come cigno si deve a Eratostene; prima era conosciuta come Uccello, nome con cui continua ad essere citata anche successivamente (cf. ARAT., Phaen. 275 e PTOLEM., Synt. 7.5). A causa della disposizione delle sue stelle principali è chiamata anche Croce del Nord (in contrapposizione alla Croce del Sud). La sua stella più luminosa è a Cyg, Deneb, “la coda”, di magnitudine 1.2. La costellazione si stende per intero sulla Via Lattea, per questo è ricca di ammassi stellari e nebulose; a partire da Deneb la Via Lattea risulta solcata da un sistema di nubi scure, la Spaccatura del Cigno.
218
È detta grande uccello rispetto all’Aquila che è più piccola. A Ramnunte in Attica esisteva un santuario di Nemesi, divinità distributrice di giustizia e vendicatrice, ma anche (p. es. a Smirne) divinità legata alla terra e all’agricoltura. Il catasterismo viene perciò collegato ad una versione del mito che rimanda a un culto locale attico. Igino (Astron. 2.8) racconta in dettaglio la strategia di Zeus: su sua richiesta Afrodite assunse l’aspetto di un’aquila e inseguì il dio trasformato in cigno; quest’ultimo cercò scampo all’inseguimento presso Nemesi, che lo accolse fra le braccia e così tenendolo si addormentò. 220 Secondo versioni più comuni del mito la madre di Elena, amata da Zeus in forma di cigno, è Leda (cf. EURIP., El. 17; APOLLOD. 3.10; PAUS. 219
217 3.16.1). Ma esisteva una variante secondo la quale Leda trovò l'uovo (SAPPH. frg. 166 Lobel-Page) o le fu dato da Hermes (HYGIN., Astron. 2.8). Probabilmente questa era la versione seguita da Cratino, frg. 114 Kassel-Austin. Una versione simile della vicenda rappresentò l’autore (Fidia secondo Pausania, il suo allievo Agoracrito in realtà) della statua di Nemesi nel santuario a Ramnunte, che mostrava nel fregio alla base della statua Nemesi come madre e Leda come nutrice (PAUS. 1. 33.7). 221 CRAT. frgg. 114-127 Kassel-Austin. La commedia di Cratino doveva avere come obiettivo polemico Pericle e la sua responsabilità nello scoppio della Guerra del Peloponneso, una guerra non meno grave di quella di Troia scoppiata a causa di Elena. La donna causa della guerra in questo caso sarebbe stata Aspasia. 222 Qui è molto chiaro che il catasterismo è il disegno di qualcuno o qualcosa fatto di stelle cf. MARTIN 2002. 223 Questa è Deneb.
218
26. Acquario, Aquarius p h
z
a Sadalmelik
g Sadachbia b Sadalsud
l q Ancha
n w
t
e Albali
i
d Skat
L’Acquario è una delle costellazioni autunnali, come sottolinea la spiegazione che debba il suo nome al fatto che è portatrice di piogge, cf. Schol. Germ. BP. 85.8 Breysig Hic nomen accepisse dicitur, quod eius exortu imbres plurimi fiant. È legata all’acqua già nell’astronomia babilonese; si collega per questo tema al vicino Pesce, cf. cap. 38 e si trova in una parte del cielo popolata da altre costellazioni acquatiche: Ceto, cap. 36 e Capricorno, cap. 27. A causa della precessione degli equinozi il punto gamma, cioè il punto sull’eclittica in cui passa il Sole all’equinozio di primavera, si sta spostando verso questa costellazione, dove arriverà fra circa 600 anni. Le sue stelle più luminose sono a e b Aqr, Sadal melik, “il fortunato del re” e “Sadalsuud”, “il fortunato dei fortunati”, due supergiganti gialle di magnitudine 2.9. Hanno origine in questa costellazione due sciami meteorici: le Eta Aquaridi e Delta Aquaridi visibili fra maggio e giugno.
224
Il testo è condensato: esordisce dicendo che si chiama Acquario, perché versa del liquido da una brocca da vino (sic!), poi afferma che alcuni lo identificano con Ganimede, perché la figura rappresenta un coppiere nell’atto di mescere e che costoro sostengono anche, con un ragionamento che pare un circolo vizioso, che il liquido versato è nettare. È comunque interessante il fatto che troviamo qui uno dei casi in cui ci è conservato un accenno di discussione dell’autore sulle interpretazioni proposte, cf. Introd.
219 pp. 30 sgg. La posizione dell’Acquario, vicino all’Aquila che rapì Ganimede (cf. cap. 30), confermerebbe l’identificazione della nostra costellazione con il ragazzo secondo Igino (Astron. 2.16). 225 L’acqua è descritta come una costellazione a sé in Arato (Phaen. 393399), che la chiama proprio Acqua, la fa scaturire dal braccio destro dell’Acquario e scendere in due fiotti, uno che si ferma con una stella (“bella e grande” v. 397) ai piedi dell’Acquario e l’altro che arriva fino alla coda di Ceto; in questo modo l’Acqua è in relazione col Pesce australe, cosa che non si potrebbe fare, se si accetta l’ipotesi che l’Acquario è Ganimede che versa nettare agli dei; tuttavia trattando del Pesce australe, cap. 38, anche il nostro testo la mette in realzione con il liquido versato dall’Acquario e dice che questa è l’acqua che beve il Pesce, riferendosi evidentemente alla grande stella luminosa di cui parla Arato, Fomalhaut, sulla bocca del Pesce (cf. anche PTOLEM., Synt.8.1). Il recipiente è detto Kalpis e trattato a sé in Gemino (Elem. 3.6; cf. HIPPACH., In Arat. et Eud. 2.6.5; 3.1.9). 226 Su questa versione del mito di Ganimede, cf. APOLLOD. 3.12.2. Secondo Igino (Astron. 2.29) la costellazione veniva anche identificata con Deucalione (fonte Egesianatte), che vagò con la sua arca sulle acque del diluvio per nove giorni e nove notti e con Cecrope (fonte il comico Eubulo), l’antichissimo re di Atene, che sarebbe rappresentato nell’atto di versare dell’acqua (non il vino che ancora non esisteva) durante un rito sacrificale. 227 La parola ei[dwlon, “figura”, è un termine che richiama il disegno, e usata per Ganimede, come prima per Ercole (cap. 3 e 4), precisa il fatto che questi due personaggi non sono stati trasformati in stelle (abitano l’Olimpo entrambi, anche Ercole, almeno nella sua versione divina, assieme a Ebe), ma la loro immagine è stata disegnata in cielo con le stelle. 228 Il. 20. 232-235; cf. anche Hymn. 5. 203 sgg. 229 Anche se si dice che l’Acquario versa il liquido da un recipiente, anzi da un tipo preciso di recipiente (oinochoe), evidentemente quello della rappresentazione iconografica che l’autore ha presente, nel catalogo nessuna stella viene segnalata sul recipiente; nell’astrotesia attuale il recipiente, detto Urna, è indicato dalle stelle g, z, h e p Aqr.
220
27. Capricorno, Capricornus a2
d Deneb Algedi
g Nashira
i
a1 Algedi
t
b Dabih
q r
e
p o
z y w
Il Capricorno è una costellazione di scarsa luminosità, ma già conosciuta nel mondo mesopotamico, con una figura che assomigliava al nostro: era chiamata “pesce-capra” SUHUR-MASH-HA. Al tempo di Eratostene e di Ipparco si trovava ancora in questa costellazione il solstizio invernale, il momento in cui nel nostro emisfero i giorni sono più brevi e le notti più lunghe e il Sole raggiunge la sua altezza minima nel cielo a mezzogiorno; per questo motivo la costellazione aveva un grande valore simbolico: da qui il Sole iniziava la sua lenta risalita nel cielo e i giorni ricominciavano a crescere. Ancora oggi si chiama Tropico del Capricorno il parallelo in cui il Sole è allo zenith (cioè manda raggi perpendicolari alla Terra) a mezzogiorno del solstizio d’inverno, anche se ormai, per la precessione degli equinozi, il solstizio d’inverno si trova nel Sagittario. La stella più luminosa del Capricorno è d Cap, Deneb Algedi, “la coda del capretto”, di magnitudine 2.8, ma molto nota è anche a Cap, Algedi, “il capretto”, che è composta di due stelle a1 e a2 in realtà molto distanti fra loro, ma distinguibili anche a occhio nudo in condizioni di particolare visibilità. Secondo Arato il passaggio del Sole nel Capricorno segna terribili tempeste per i marinai (ARAT., Phaen. 287-299).
230 Egipan è una figura che ha lasciato poche tracce nella letteratura e nel mito. Igino riporta anche una spiegazione del catasterismo, di fonte egiziana, secondo la quale Pan, per nascondersi a Tifone, si sarebbe trasformato per metà in capro e per metà in pesce, meritando per questo l'ammirazione
221 di Zeus e la trasposizione in cielo (Astron. 2.28). 231 ijcquvo" è correzione di Fell; i manoscritti hanno qhrivou che è conservato da Pàmias. 232 A un Epimenide (frg. 16 Diels-Kranz), probabilmente lo stesso cretese, si attribuiva la genealogia per cui Pan era gemello di Arcade e figlio di Zeus e Callistò. 233 Normalmente la Titanomachia ha luogo in Tessaglia, non a Creta sull’Ida (cf. HESIOD., Theog. 629), ma visto che la fonte è Epimenide (frg. 2 Fowler) si tratterà di una versione cretese del mito. All’infanzia cretese di Zeus si fa riferimento anche ai capp. 2 e 13. 234 Igino attribuisce ad Eratostene questa stessa interpretazione della costellazione, ma ignora il particolare della conchiglia che provoca il panikòs. Parla invece di conchiglie come proiettili che Egipan avrebbe gettato contro i nemici: hic etiam dicitur, cum Iuppiter Titanas obpugnaret, primus obiecisse hostibus timorem qui panikovn appellatur, ut ait Eratosthenem. Hac etiam de causa eius inferiorem partem piscis esse formatione, et quod muricibus hostes sit iaculatus pro lapidum iactatione (Astron. 2.28). Questo si può spiegare forse con l’intervento di un interpolatore che cerca di colmare una lacuna precedente, come sospetta ROBERT, 149. 235 È la capra che ha nutrito Zeus, ma anche quella che ha terrorizzato i Titani con il suo aspetto, aiutando il dio nella sua lotta contro di loro, cf. cap. 13 e HYGIN., Astron. 2.13.
222
28. Sagittario, Sagittarius u r p o c
s Nunki
y
w
l
t z Ascella
f
d Kaus Media g Al Nasi e Kaus Australis h
a Rukbat
i b2
b1
g e a b ù d z
Arkab
Come il Capricorno anche il Sagittario è costellazione di origine babilonese, conosciuta come il Gigante re della guerra (PA.BIL.SAG o l’antico dio arciere Negal) e a volte rappresentata come un centauro alato e quadrupede. Nella nostra epoca il Sagittario ospita il Sole durante il solstizio d’inverno. Osservato dalla Terra, il centro della nostra galassia, la Via Lattea, si trova nella zona occupata da questa costellazione, che perciò appare densa di ammassi stellari e nebulose. La stella più luminosa della costellazione è e Sgr, Kaus Australis di magnitudine 1.8. La parte centrale della costellazione è conosciuta anche come la Teiera. L’interpretazione della figura come Croto, un personaggio pochissimo attestato in letteratura, è di Eratostene e non ha avuto fortuna, ma è conservata nelle illustrazioni di alcuni manoscritti di Aratea, cf. NLW 735C, f.10v, fig. 1 e Vat. Gr. 1087, fig. 5a.
236 Questa era l’interpretazione diffusa fra gli astronomi antichi e che è poi prevalsa anche nelle raffigurazioni moderne. In genere lo si identifica
223 con Chirone, un centauro molto diverso dagli altri, per genealogia e per livello di civiltà. L’interpretazione della costellazione come Croto è proprio eratostenica e di scarso seguito (COLUM., De Agric. 10.1.1 Sed trepidus profugit chelas et spicula Phoebus Dira Nepae tergoque Croti festinat equino). Il nostro testo non menziona l’esistenza di un’altra costellazione chiamata Centauro, peraltro descritta al cap. 40. 237 Invece, secondo altri, Arato compreso, erano visibili le quattro zampe, cf. ARAT., Phaen. 399-401; HIPPARCH. 3.4.6 e 3. 3.6, PTOLEM., Synth. 8.1, pp. 112-114 Heiberg. 238 Uno strumento come l’arco indica un livello di civiltà più elevato di quello cui in genere si mettono i Centauri: nelle battaglie sono rappresentati scagliare rocce e rami; nella caccia, il più evoluto fra di loro, Chirone, usa il giavellotto (XENOPH., De venat. 1.1-2). Le argomentazioni contro il Centauro presuppongono che l’autore si riferisca a una precisa raffigurazione della costellazione, una figura con due gambe e non quattro, quindi diversa da quella canonica. 239 In origine rappresentati con tratti di capra, i Satiri a partire dal V sec. a. C. sono caratterizzati dalla coda di cavallo che li fa assomigliare e confondere con i Sileni; vivono nelle foreste e accompagnano Dioniso. 240 SOSITHEOS frg. 5 Snell, poeta alessandrino (III a.C.), autore di un dramma satiresco e innovatore, molto apprezzato al suo tempo. 241 Croto è figlio di Eufeme e Pan in HYGIN., Fab. 224.3 (Crotos Panis et Euphemes filius conlactius Musarum in stellam Sagittarium) ed è personaggio pochissimo menzionato nelle fonti cf. Schol. Germ. BP89.18 sgg., G 158.22 sgg. Breysig; AMPELIUS, Liber Memorialis 2.9.1 Sagittarius, Crotos, filius nutricis Musarum; quem Musae semper dilexerunt eo quod plausu et lusu sagittarum eas oblectaret. Il suo nome indica il suono del piede che batte il suolo nella danza e dell’applauso. 242 Nel gesto dell’arciere vengono fuse insieme l’invenzione dell’arco e quella dell’applauso con le mani. Croto è uno dei personaggi dell’Epitome la cui presenza in cielo è connessa a un loro ruolo di inventori, civilizzatori. 243 Per Arato si tratta di stelle sparse (Phaen. 399-401); in seguito queste stelle sono individuate come una costellazione a sé chiamata Corona australe (PTOLEM., Synt. 8.1, pp. 164-166 Heiberg; GEMIN., Elem. 3.13) e così le conosce anche Igino, (Astron. 2.27.1 Ante huius pedes stellae sunt paucae et in rotundo deformatae; quam coronam eius ut ludentis abiectam nonnulli dixerunt). Oggi è conosciuta come Corona australe per distinguerla dalla Corona boreale, quella di Arianna (cap. 5). Come Barca la conosce solo l’Epitome su probabile origine egiziana (BOLL 1903, 169 sgg.). Per la sua posizione, la presenza di questa costellazione riconduce a un’osservazione del cielo da una latitudine più meridionale della Grecia continentale, cf. FERABOLI 1998, 354.
224
29. Freccia, Sagitta g d
a b
244
La Freccia è una delle costellazioni più piccole e meno luminose; si trova tra il Cigno e l’Aquila ed è bene reperibile in cielo a nord di Altair. La sua stella più luminosa è g Sge di magnitudine 3.5.
Cf. HYGIN., Astron. 2.15 (Ut Eratosthenes autem de sagitta demonstrat, hac Apollo Cyclopas interfecit, ..); Igino preferisce però la versione secondo la quale si tratta della freccia con cui Ercole uccise l'aquila che divorava il fegato di Prometeo. Vista così la costellazione appartiene a una scena che vede insieme nella stessa parte del cielo Ercole, la Freccia e l’Aquila. Nello scritto sui miti, Igino (Fab. 31) conserva il nome di questa aquila, Aetone, che vuol dire “splendente”, un nome che allude ad Altair, la stella più luminosa della costellazione dell’Aquila, cf. cap. 43 dove le viene attribuito un colore rosseggiante. 245 Asclepio, figlio di Apollo, era stato folgorato da Zeus, adirato con lui perché con la sua abilità di medico riusciva a guarire gli uomini, salvandoli anche dalla morte e rischiava così di indebolire il potere degli dèi su di loro, cf. Ofiuco, cap. 6. 246 Si riferisce ai tre Ciclopi figli di Gaia e Urano: Bronte, Sterope e Arge (HESIOD., Theog. 139-146). Sulla loro uccisione cf. APOLLOD. 3.10.4. 247 Popolo mitico, rammentato già nell’Inno omerico a Dioniso, (Hymn. 7.29), gli Iperborei (gente di oltre Borea) abitavano secondo Erodoto (4. 3236) molto a nord, oltre i Monti dell’Altai (Urali), ed erano dediti al culto del dio. Il viaggio di Apollo, in fuga dalle minacce di Zeus e adirato per la morte di Asclepio, presso gli Iperborei è ricordato da Apollonio Rodio (Argon., 4, 611-618), che attribuisce ai Celti il mito per cui le lacrime del dio sarebbero all’origine dell’ambra. 248 Costruito dalle api con cera e piume, era il secondo tempio di Delfi in ordine di tempo, dopo un primo in rami di alloro; il dio stesso l’aveva mandato presso gli Iperborei, cf. PIND., Pae. 11 Bowra; STRABO 9.3.8; PAUS. 10.5.5. A questo sarebbe seguito un tempio in bronzo e, quarto, il tempio in pietra con diverse modifiche. 249 EURIP., Alc. 1-6. 250 La presenza di Demetra nel ritorno della freccia va messa in relazione con il ritorno del Sole e della stagione delle messi. Il ritorno di Apollo dal soggiorno invernale presso gli Iperborei (che simboleggia appunto il viaggio annuale del Sole nel cielo), si celebrava ogni anno a Delfi a mezza estate. E dagli Iperborei giungevano ogni anno a Delo primizie avvolte in spighe, HERODOT. 4.32 sgg. 251 Fragm. Vat. ÔHrakleiv d h" de; oJ Pontiko; " ãfhsinà ej n tw' / peri; dikaiosuvnh" kai; ejpi; touvtou “Abarin tina; ferovmenon ejlqei'n “Eraclide
225 Pontico, nello scritto Sulla giustizia dice anche che un certo Abari venne trasportato sulla freccia”; cf. HERACLID. frg. 51c Wehrli. In questo dialogo compariva il personaggio dell’iperboreo Abari, sacerdote di Apollo, guaritore, che aveva visitato la Grecia trasportato dalla freccia. 252 Cf. Schol. Germ. BP 91.10 Breysig; HYGIN., Astron. 2.15. La stella molto visibile è g Sge.
226
30. Aquila, Aquila L’Aquila è una costellazione di modeste dimensioni g che si trova vicino all’equatore celeste. Ma la sua stella a Altair più importante è una delle b Alshain più luminose del cielo: a Aql, Altair “aquila” è una d Denebokab stella tripla di magnitudine q 0.7 e con Vega della Lira e Deneb del Cigno costituisce l il Triangolo Estivo. Arato definisce questa costellazione “molesta, quando sorge dal mare al calar della notte” (Phaen. 314), il che avviene in inverno (quando il Sole è nel Sagittario), dunque non ci sorprende che sia considerata annunciatrice di grandi tempeste, come ci spiegano anche Schol. Arat. Vet. 314. La costellazione è di probabile origine mesopotamica: la stella Altair era chiamata “aquila” anche da Sumeri e Babilonesi. e
z
253 L’aquila è il più caro a Zeus fra gli uccelli già in Omero (Il. 24, 292); la costellazione dell’Aquila come “il grande messaggero di Zeus” anche in ARAT., Phaen. 523. Di un mito di ripartizione degli uccelli fra gli dèi non ho trovato altre notizie; naturalmente si possono osservare associazioni tradizionali di alcuni uccelli con alcune divinità, anche nel nostro testo, per es. del corvo con Apollo. A un racconto di origine egiziana fa riferimento Igino (Astron., 2.28): per difendersi dal gigante Tifone che li aggredisce all’improvviso durante una riunione in Egitto, gli dèi assumono l’aspetto di alcuni animali, Hermes l’ibis, Apollo il corvo, Artemide una gatta. 254 Secondo una credenza diffusa l’aquila espone i suoi piccoli al sole e rifiuta quelli che abbassano o distolgono lo sguardo (ARISTOT., Hist. An. 9, 34, 620 a; AELIAN., NA 2.26). 255 Una considerazione simile si legge per il Leone, cap. 12, anch’esso animale simbolo di regalità e re dei quadrupedi. Fragm. Vat. ha di seguito givnetai de; kai; ejn toi`~ a[stroi~ ejnantivon tai`~ ajnatolai`~, “anche fra le stelle appare in posizione frontale davanti al sorgere del sole”. 256 Il testo si riferisce evidentemente a una precisa rappresentazione figurata della costellazione che l’autore ha davanti a sé e nella quale l’aquila è ad ali spiegate, come è nel planisfero del NLW 735C, f.10v, fig. 1, ma la trovia-
227 mo raffigurata anche ad ali chiuse o semichiuse, per es. nel planisfero conservato nel Vat. gr. 1087, fig. 5a. 257 Aglaostene (FGrHist 499 F 2), scrittore di età alessandrina; i Nassicà sono citati anche al cap. 2, per l’infanzia di Zeus. 258 para; tou` patro;~ è correzione di Robert; il testo dell’Epitome ha kata; kravto~, “inseguito pressantemente”, conservato da Pàmias. Il padre è Crono. di;~ ejkklapevnta “due volte sfuggì agli inseguitori” è espunto dalla maggior parte degli editori come glossa; il bambino sfuggì due volte, perché fu tenuto nascosto prima a Creta e poi a Nasso. Fragm. Vat. ha dio; ejkklapevnta ajnacqh`nai eij~ Navxon ou| ejktrafevnta, “perciò di nascosto fu portato a Nasso dove fu allevato…”. 259 Per l’origine di questa costellazione il testo dell’Epitome accumula diverse motivazioni: l’aquila si trova fra le stelle, perché è l’uccello che rapì Ganimede, poi perché era l’uccello scelto da Zeus come suo proprio, e perché anche l’aquila è re, re sui volatili e quindi adatta al re degli dèi, infine è in cielo in quanto preannunciò a Zeus la vittoria sui Titani. Igino (Astron. 2. 16. 2) racconta anche una versione “egizia” del catasterismo: l’aquila, inviata da Zeus, avrebbe aiutato Hermes a conquistare Afrodite, sottraendo una scarpetta alla dea mentre faceva il bagno e consegnandola ad Hermes (ad Amythaonia, in Egitto), in modo che la dea si dovesse recare da lui per recuperarla. Secondo questa versione il catasterismo sarebbe dovuto alla gratitudine di Hermes verso l’aquila. Anche Strabone ambienta in Egitto una versione, diversa, della scarpetta rubata da un’aquila (STRABO 17.1.33). Igino (Astron. 2.16.1) riferisce inoltre dell’identificazione della costellazione con Merope, re di Cos, trasformato da Era in aquila e posto in cielo, affinché dimenticasse il dolore per la perdita della moglie. 260 Altair.
228
31. Delfino, Delphinus Il Delfino è una piccola costellazione conosciuta anche come Croce di Gesù o Aquiz d lone; è vicina all’equatore celeste e si trova in b Rotanev una parte del cielo in cui si raggruppano coh stellazioni legate al mare e alle acque: la Balena, i Pesci, il Capricorno, il Pesce australe, l'Acquario. Le sue stelle più luminose sono a e Del di magnitudine 3.8 e b Del di magnitudine 3.6, che portano rispettivamente cognome e nome di un un astronomo latinizzato e letto alla rovescia a, Sualocin e b Rotanev. La costellazione è rammentata da ARIST., HA 566b. g
a Sualocin
261 Cf. HYGIN., Astron. 2.17 Hic qua de causa sit inter astra collocatus Eratosthenes ita cum ceteris dicit: Neptunum, quo tempore voluerit Amphitriten ducere uxorem... complures eam quaesitum dimisisse, in his et Delphina quemdam nomine... Pro quo facto inter sidera Delphini effigiem conlocavit; nel racconto di Igino però Delfino è un uomo (con interpretazione razionalistica di tipo palefateo del mito, cf. SANTONI 2000); Igino riferisce anche altre due interpretazioni: il delfino ricorderebbe i pirati etruschi che avevano rapito Dioniso fanciullo e che furono da lui trasformati in delfini; il dio ne pose l’immagine in cielo come monito per gli uomini (fonte i Nassica di Aglaostene); la costellazione rappresenterebbe il delfino che salvò il poeta Arione dai suoi rapitori, per questo posto in cielo dagli antichi astronomi (ab antiquis astrologi est figuratum). Senza la catasterizzazione la stessa storia di Posidone e Anfitrite è raccontata in OPPIAN., Halieut. 1.383; 5.385-393. 262 Anfitrite è sposa di Posidone, al quale genera Tritone e altre creature in HESIOD., Theog. 243; 390; cf. anche APOLLOD. 1.4.6. 263 “Il terribile Atlante, che di tutto il mare conosce gli abissi, regge le grandi colonne che sostengono la terra e il cielo da una parte e dall’altra.” Od., 1.52 sgg. Questo luogo ai confini del mondo ricorre molte volte nei miti conservati nell’Epitome (capp. 3, 4, 22). 264 Un riferimento a Atlantide secondo Schol. Germ. B.P., 92.2 Breysig. 265 Fragm. Vat. kai; aujto;~ th;n kovrhn ajpanthvsa~ ajnevlaben ajpo; th`~ ajkth~ kai; parevdwken, “e lui stesso andò incontro alla ragazza, la prelevò dalla riva e la consegnò”. 266 Per i passi in cui è più evidente il significato di raffigurazione del catasterismo cf. Introd., p. 41, n. 99. 267 Artemidoro è un personaggio di difficile identificazione. La frase è espunta da PÀMIAS, Artemidoro, 2002, 193-197; si tratterebbe di Artemidoro di Tarso, autore di una raccolta di poesia bucolica del I sec. a.C.; la cita-
229 zione sarebbe dunque un’interpolazione post-eratostenica, come quella di Ipparco del cap. 23, Pleiadi. Sempre secondo Pàmias tai'" ejlegeivai" è una glossa finita nell’Epitome, ma che non ha riscontro né nei Fragm. Vat. né nel resto della tradizione e dunque non si doveva trovare nell’archetipo. 268 Il delfino è anche sacro ad Apollo, il dio che veniva venerato come Apollo Delfinio; lo ricorda bene la storia di Arione e il delfino citata da Igino.
230
32. Orione, Orion Di origine mesopotamica (si chiamava URU-ANNA e indicava g Bellatrix l’eroe Gilgamesh nella sua lotta contro il toro celeste, che gli sta accanto), Orione è una delle costellazioni più anticamente attestad Mintaka te fra i Greci (compare in Omero, z Alnitak e nello scudo di Achille assieme alle Alnilam Pleiadi, le Iadi e l’Orsa Il.18. 486; e anche in Od. 5.274; 11.571). La sua posizione sull’equatore la renb Rigel k Saiph de visibile da gran parte della terra e la luminosità e disposizione di alcune delle sue stelle ne fanno una delle costellazioni più conosciute e più facilmente identificabili in cielo. Tra le sue stelle più luminose: a Ori, Betelgeuse, di magnitudine 0.5, b Ori, Riegel, di magnitudine 0.2 e g Ori, Bellatrix di magnitudine 1.7, ma molto note sono le tre stelle allineate che costituiscono la Cintura di Orione (conosciute anche come I Re Magi, I Tre Re, I Tre Mercanti): d, e, z Ori. La cintura serve da orientamento nel cielo per individuare altre stelle, punta a sud-est verso Sirio e a nord-ovest verso Aldebaran. Molte delle caratteristiche del mito di Orione appaiono avere origine dalla costellazione stessa, dalla sua posizione e dal suo movimento sulla volta celeste: cammina sulle acque, per la sua posizione celeste a cavallo dell’equatore; l’Orsa e le Pleiadi lo fuggono, come inseguitore violento; il Cane e il Procione sono suoi aiuti nella caccia; la Lepre è sua preda; lo Scorpione che sorge a est, quando Orione tramonta a ovest, è il nemico che lo uccide. Ha stelle molto luminose e vi si trovano diverse nebulose come la Nebulosa di Orione e la Testa di Cavallo, la prima visibile a occhio nudo. l
a Betelgeuse
269
Hesiod., frg. 148a Merkelbach-West; cf. anche frgg. 148b e 149. In APOLLOD. 1.4.3 raccontava così Ferecide, frg. 52 Fowler. Esistevano altre tradizioni che lo volevano figlio della Terra oppure dell'urina di tre divinità (Zeus, Posidone ed Hermes) deposta in una pelle e senza intervento femminile. In genere nella tradizione il personaggio ha origini beotiche.
231 270 Anche questa, come il legame con le Pleiadi e l’Orsa, è una delle caratteristiche del personaggio che hanno origine astronomica: tagliata a metà dall’equatore, infatti, la costellazione appare a volte poggiare sul mare. 271 Il vino di questa isola era famoso nell’antichità ed Enopione (“Bevitore di vino”) era detto figlio di Dioniso e Arianna. 272 Nelle molte versioni del mito Orione gode comunque di una solida fama di violentatore, avendoci provato anche con Artemide, con le Pleiadi o la loro madre, con Opide, vergine degli Iperborei (APOLLOD. 1. 4.3). 273 Servo oppure, secondo altra versione, maestro di Efesto (Schol. Il. 14.296). 274 Anche la guarigione ad opera del Sole ha riferimenti astromici, la costellazione tramonta a ovest e rinasce a est. Orione avrebbe anche amato Eos, l’aurora, sorella del Sole. 275 Orione come grande cacciatore è ricordato in Od. 11.571: “Vidi Orione il gigante che cacciava nel prato di asfodeli le fiere che già aveva atterrato nei boschi deserti…”. 276 Quando parla dello Scorpione (cap. 7) l’Epitome riferisce una versione del mito simile a questa. Ma di Artemide come responsabile della morte di Orione esistevano versioni molteplici, a partire da Od. 5.118-9, dove il grande cacciatore viene ucciso dalla freccia della dea, per aver amato Eos, cf. anche Callimaco (Hymn. 3.264). Istro callimacheo (FGrHist 334 F 64), secondo Igino (Astron. 2. 34.3) raccontava invece che Artemide ed Orione si amavano al punto che Apollo, ingelosito, intervenne e con uno stratagemma spinse la dea, ignara, ad ucciderlo: osservò che nuotando Orione lasciava vedere solo la testa e sfidò la dea a colpire con precisione quel corpo lontano sull’acqua: forse un mito che nasce dall’osservazione della costellazione quando appare bassa sull’orizzonte? 277 I manoscritti dell’Epitome hanno ajmaurouv", ma tutto il resto della tradizione ha lamprouv~. Nella nostra attuale figurazione di Orione la testa è segnata da una stella brillante (Heka o Melissa, l Ori) e due oscure. 278 La descrizione potrebbe corrispondere all’astrotesia attuale, se le due stelle sono Betelgeuse, a Ori e Bellatrix, g Ori. 279 Le tre sono ben riconoscibili per la loro posizione allineata; si chiamano Alnitak, Alnilam e Mintaka, rispettivamente z, e e d Ori. Sotto la cintura si trova la Nebulosa di Orione, M42, che è visibile a occhio nudo e può essere identificata con il pugnale che nel nostro testo è descritto come segnato da tre stelle poco brillanti. 280 Così i manoscritti ajmaurouv~. Olivieri col consenso di Schiaparelli corregge lamprouv". 281 Forse le attuali k Ori, Saiph, “la spada”, e b Ori, Riegel, “il piede”, quest’ultima la più luminosa della costellazione.
232
33. Cane Maggiore, Canis Maior Questa costellazione, parzialmente immersa nella Via Lattea, a Sirius contiene l’oggetto più luminoso b Mirzam del nostro cielo, dopo il Sole, la p Luna, Venere e Giove, cioè la stella Sirio (“a stento meno o grande del Sole, se non che stand Wezen do fissa da lontano irradia gelide w s luci dal suo volto ceruleo”, Vix h e Adhara sole minor, nisi quod procul haez Furud rens frigida ceruleo contorquet lumina vulto – dice Manilio, Astron. 1.408), di magnitudine -1.5. Con Procione e Betelgeuse costituisce il Triangolo Invernale. Nell’antico Egitto la levata eliaca di questa stella (cioè il fenomeno per cui in un preciso momento dell’anno una stella sorge allo stesso tempo del Sole ed è dunque visibile subito prima di esso) era messa in relazione con l’arrivo della piena del Nilo (DIOD. SIC. 1.19) e segnava l’inizio dell’anno; era sacra alla dea Iside. Sirio risulta già conosciuta da Omero, Il. 22.27-31 che le attribuisce cattivi presagi in quanto apportatrice di grandi febbri e calore ai poveri mortali. La levata eliaca al tempo dei giorni più caldi dell’estate faceva sì che le si attribuisse il potere di rafforzare il calore del Sole e con questa fama compare anche in altri poeti HESIOD., Op. 582-596; ALC. frg. 347 Lobel-Page. il Cane è spesso rappresentato con un’aura di raggi infuocati attorno alla testa, cf. il manoscritto Vat. gr. 1087, fig. 5b. g Muliphen
282 Sia il cane che il giavellotto sarebbero stati doni di Zeus ad Europa, la quale li avrebbe lasciati al figlio Minosse. Anche in questo caso il testo mostra traccia di una discussione sulla validità delle diverse versioni con preferenza per quella che ne fa il cane di Orione, sulla base del fatto che il cane lo accompagnò in tutte le sue avventure. Igino (Astron. 2.35) riporta anche la versione secondo cui questa costellazione apparterrebbe al gruppo di Icario ed Erigone, secondo Eratostene, e si tratterebbe del cane di Icario, identificazione che ricorda anche per il Procione (Astron. 2.4.2). 283 A causa di questa infermità Minosse non poteva unirsi a una donna senza ucciderla. 284 I Tebani dovevano offrire ogni mese uno dei loro giovani a questa
233 volpe, nota come Volpe Teumesia (dalla città di Teumesos in Beozia), mandata contro di loro dagli dèi perché colpevoli di aver cacciato i discendenti di Cadmo dal trono. Igino dice che secondo Istro (FGrHist 334 F 65) Zeus, non sapendo cosa fare, trasformò in pietra entrambi. 285 Fragm. Vat. peri; de; th`~ ajnatolh`~ aujtou` [Amfi~ oJ tw`n kwmwdiw`n poithv~ fhsin o{ti uJpo; tw`n ajnqrwpw`n… “Del suo sorgere il poeta comico Amphis racconta che dagli uomini…”. Cf. AMPHIS, frg. 47 Kassel-Austin: Amphis metteva il sorgere del Cane in relazione con la stagione delle messi ( jOpwvra) e con lo spirare dei venti etesii. Il comico è citato anche per l’Orsa Maggiore. 286 Già in Omero (Il. 22.65). La costellazione è inserita in un gruppo che ha come protagonista Orione: si trova ai suoi piedi, ha sopra di sé il Procione e accanto la Lepre, che insegue. 287 La stella di solito è collocata sulla lingua, sulla punta del muso o sulla gola. Olivieri ricostruisce “Ecei de; ajstevra" ejpi; me;n th'" kefalh'" ªh] glwvtth"º aV ão}" “Isi" kalei'taiÃ, o}n kai; Seivrion kalou'si: mevga" d∆ ejsti; kai; lamprov": tou;" de; toiouvtou" ajstevra" oiJ ajstrolovgoi Seirivou" kalou'si dia; th;n th'" flogo;" kivnhsin: ãejpi; de; th'" glwvtth" aV lamprovn, o}" Kuvwn kalei'tai, ejpi; tou' trachvlou bÃ, ejf∆ eJkatevrou w[mou aV ajmaurovn, ãejpi;à sthvqou" bV, ãejp∆à ejmprosqivou podo;" gV, ãejpi; th'" rJac v ew" gV, ejpi;à koiliva" bV, ejpi; tou' ajristerou' ijscivou aV, ãejp∆à a[krw/ podi; aV, ejpi; dexiou' podo;" aV, ãejpi;à kevrkou aV, tou;" pavnta" kV, seguendo Igino (Astron. 2.35 Sed Canis habet in lingua stellam unam, quae ipsa Canis appellatur, in capite autem alteram, quam Isis suo nomine statuisse existimatur et Sirion appellasse propter flammae candorem, quod eiusmodi sit ut preter ceteras lucere videatur. Itaque quo magis eam cognosceerent, Sirion appellasse e 3.34 Hic Canis habet in lingua stellam unam quae stella Canis adpellatur, in capite aute alteram, quam nonnulli Sirion appellant e Schol. Germ. BP 95.7 sgg. Breysig). La denominazione Iside fa pensare a influssi egiziani. Secondo Arato (Phaen. 326-332) Sirio sta sulla punta del muso del Cane. 288 La parola significa “fiammeggiante, ardente” e viene usata anche per il Sole e per altre stelle, cf. HESYCH. s.v. seivrio~; non si riferisce al colore della sua luce, almeno come è oggi, cioè bianco-azzurra. Arato dice di lei mav l ista oj x ev a seiriav e i “che arde in modo particolarmente acuto” (Phaen. 331), alludendo al suo nome.
234
34. Lepre, Lepus La Lepre è una piccola costellazione dell’emisfero australe, che si trova ai piedi di Orione. La sua stella più luminosa è a Lep, di magnitudine 2.5.
i
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a Arneb
k
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b Nihal
d g
289 Una caccia che la vedeva inseguita dal Cane di Orione (cf. cap. 42, Procione), secondo Igino, il quale ci dice anche che alcuni (Eratostene?) affermavano che era stata messa in cielo da Hermes e che essa sola ha la capacità di generare nel modo che sappiamo (Astron. 2. 33.1 Quem nonnulli a Mercurio constitutum dixerunt, eique datum esse, praeter cetera genera quadrupedum, ut alios pareret, alios haberet in ventre). Questa qualità dunque parrebbe essere la giustificazione della sua presenza fra le stelle, almeno in Igino, non la velocità. Igino ci dice anche che alcuni rifiutavano di intendere la Lepre come oggetto di caccia di Orione, sostenendo che una preda così piccola non sarebbe all’altezza di un grande cacciatore e interpretavano le figure come se Orione fosse in lotta col Toro; lo stesso rimprovero di aver dato tanta importanza a questo piccolo animale per qualificare un grande cacciatore si faceva a Callimaco che aveva definito Artemide cacciatrice di lepri (Hymn. 3.2). Sempre Igino (Astron. 2. 33.2) racconta un’origine del tutto diversa della costellazione: la lepre sarebbe stata messa in cielo a ricordo di un'invasione di questi animali nell’isola di Lero. Anche Arato (Phaen. 338-341) parla della Lepre inseguita da Sirio (il Cane). 290 Hermes è dio caratterizzato dalla velocità del suo passo, dio corridore, come la lepre. 291 Per dare più coerenza al testo Valckenaer aggiungeva kai; th;n polugonivan. 292 ARIST., HA 579b-580a; 542b; 585a; GA 774a. Fragm. Vat. ha di seguito to;n de; aujto;n trovpon kai; jArcevlao~ ejn toi`~ jIdiofuevsi tau`ta dhloi` “allo stesso modo espone queste cose anche Archelao nelle Nature particolari”. Archelao è paradossografo alessandrino, contemporaneo di Eratostene, Paradox. graec. rell. pp. 24-28 Giannini.
e
235
35. Argo, Argo Navis (Carina, Vela...) r x
y p l
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g n m d
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t a Canopus
b w
Argo era una costellazione australe molto vasta, distinta oggi in cinque costellazioni diverse: Poppa, Vele, Carena, Bussola e Colomba; questo aiuta a capire l’oscillazione così larga del suo numero di stelle che sono ventisei secondo Ipparco e quarantacinque secondo Tolomeo. Vicino ai remi di governo della nave si trova Canopo (a Car oggi) che con -0.7 di magnitudine è la stella più brillante del cielo dopo Sirio e che l’Epitome ricorda a proposito del Fiume, cap. 37, per convalidare l’interpretazione di questa costellazione come il Nilo. Una raffigurazione di Argo fedele alla descrizione che ne fa il nostro testo si può vedere nel manoscritto NLW 735C, f.10v, fig. 1.
293
Atena è divinità costruttrice. Secondo PLUT., Is. et Os. 22, gli Egiziani identificavano questa costellazione con la barca di Osiride. 294 Argo parlava attraverso un pezzo di legno della quercia sacra di
236 Dodona che Atena le aveva applicato a prua, cf. AESCHYL. frg. 20 Radt; anche nelle Argonautiche di Apollonio Rodio la barca parla: dà il segnale di partenza (1.524; 585) e profetizza (4.580-592). 295 È la nave che guidò Giasone e i suoi compagni alla ricerca del vello d’oro (quello dell’ariete di Frisso ed Elle, cf. cap. 19) ed è già mitica in Omero, Od. 12.70, così come tutta l’impresa degli Argonauti. 296 Igino (Astron, 2.37) dice che la nave è rappresentata non intera perchè i marinai non perdano coraggio durante la navigazione e le tempeste, neanche se la loro nave si spezza. Altre costellazioni rappresentano figure non intere: il Toro cap. 14 e il Cavallo cap. 18. CONDOS 1997, 182-183 riferisce l’ipotesi che spiega questa forma della costellazione da una sua possibile origine fenicia; essa rappresenterebbe una nave fenicia da guerra del VII sec. con la prua che finisce con una linea verticale, tale che ad occhio greco la nave sembrava spezzata. 297 L’osservazione vale per chi naviga a una latitudine bassa, come quella di Alessandria cf. FERABOLI 1998, 354.
237
36. Ceto, Balena, Cetus l
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a Menkar g Kaffaljidhma
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t b Deneb Kaitos
È una grande costellazione dell’emisfero australe, oggi denominata Balena, ma ancora nel seicento rappresentata negli atlanti come il tremendo mostro marino inviato da Posidone contro la terra di Cefeo. È collocata in una zona “acquatica” della sfera celste, circondata dai Pesci, dal Fiume, dal Pesce australe e dall’Acquario. Le sue stelle più luminose sono a Cet, Menkar, “il naso” di magnitudine 2.5 e b Cet, Deneb, “la coda”di magnitudine 2, ma la più nota è o Cet, Mira, “la stupefacente”, la prima stella variabile conosciuta, individuata alla fine del XVI sec. e così denominata da Hevelius; la sua scoperta portava un argomento contro l’immutabilità del cielo; Mira è variabile a lungo periodo: passa da 2 (visibile a occhio nudo) a 10 (visibile con strumento) di magnitudine e viceversa in 330 giorni circa. 298 Cefeo aveva dovuto offrire la figlia a questo mostro per salvare il suo popolo, cf. cap. 15, 16, 17 e 22. È rappresentato marciare contro Andromeda secondo Arato (Phaen. 353-354). 299 HYGIN., Astron. 2.31 sed quod a Perseo sit interfectus, propter immanitatem corporis et illius virtutem inter sidera conlocatus. 300 SOPH., Androm, frgg. 126-136 Kannicht.
238
37. Fiume, Eridanus b Cursa
m n
d Rana
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z Zibal
h Azha
p g Zurak
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k f
c
a Achernar
Oggi è conosciuta come Eridanus, secondo l’identificazione di Arato: la proposta del nostro testo di identificarla con il Nilo non ha avuto successo. È una costellazione australe che arriva a toccare l’equatore. Contiene moltissime stelle visibili a occhio nudo, di cui una molto luminosa, a Eri, Achernar, “la fine del fiume”, di magnitudine 0.5, una delle stelle più luminose dell’emisfero australe. Una parte delle stelle di Eridano costituisce oggi la costellazione della Fornace.
239 301 ARAT., Phaen. 358-360. Eridano è un fiume di identificazione controversa presso gli antichi, già in Esiodo (frg. 150.23-25 Merkelbach-West) collegato alla via dell’ambra. Nell’Eridano precipitò Fetonte al termine della sua folle corsa col carro del Sole (cf. APOLLON. RHOD. 4.595-611) e l’ambra è in genere interpretata come le lacrime delle sue sorelle. Esiodo lo rammenta come un fiume reale, al pari del Nilo (Theog. 338), ma Erodoto (3.115) e Strabone (5.1.9) dubitano della sua esistenza; a partire da Ferecide (frg. 74 Fowler) è attestata l’identificazione con il Po, che è quella prevalente. 302 Questa è l’interpretazione preferita dal nostro testo; è adatta al mondo alessandrino così come quella del Delta, cap. 20. Per chi afferma che il Fiume è il Nilo perché è il solo fiume che nasce da sud, è evidente che non si può dire che comincia da Orione e poi scorre più a sud, ma deve essere rappresentato scaturire dalla parte opposta, e scorrere da sud verso nord, appunto come fa il Nilo. Così è l’illustrazione della costellazione nel ms. NLW 735C, f.10v, fig.1: il fiume, che arriva ai piedi di Orione, è rappresentato scaturire da una massa di fango a sud. Igino riporta anche la versione per cui si tratterebbe di Oceano (HYGIN., Astron. 2.32 ). 303 La vicinanza alla foce del fiume di una stella con questo nome (omonima all’isola che si trova alle foci del Delta) ne rafforza l’identificazione col Nilo (HYGIN., Astron. 2.32 praeterea quod infra eum quaedam stella sit, clarius ceteris lucens, nomine Canopos appellata. Canopos autem insula flumine adluitur Nilo). Canopo si trova in una parte del cielo visibile a latitudini più basse della Grecia continentale, come appunto Alessandria d’Egitto, il luogo in cui Eratostene è vissuto. “La stella che è visibile dall’Egitto” la chiama Eudosso in Ipparco (In Arat. et Eud., 1.11.6 = frg. 74 Lasserre). 304 Su Argo cf. supra cap. 35. Canopo era il timoniere della nave di Menelao che morì in Egitto durante il ritorno dalla spedizione contro Troia e dette il suo nome alla località del Delta (STRABO 17. 1. 17); secondo Plutarco (De Iside et Osiride 359 E) si chiamava così anche il timoniere della barca di Osiride, con la quale in Egitto si identificava la costellazione Argo. In ogni caso si comprende che questa stella, che è collocata accanto ai remi di governo della nave, abbia il nome di un celebre timoniere. Assieme alla Chioma di Berenice è una stella che ha avuto il suo nome molto di recente secondo Strabone (1, 1. 6). 305 La denominazione Perivgeio~ è caratterstica del nostro testo (cf. FERABOLI, 1998), da cui terrestris in Schol. Germ. BP 98.10 Breysig. L’aggettivo riferisce evidentemente alla latitudine della stella vicina all’orizzonte. 306 Già rappresentati anche nella costellazione del Delta, cf. cap. 20.
240
38. Pesce, Piscis Austrinus È una costellazione dell’emisfero australe di debole luminosità, con la sola eccezione di a PsA, Foa Fomalhaut malhaut, “bocca del pesce” una stella di prima magnitudine, una i d b g m delle 20 più luminose tra quelle osservabili a occhio nudo, visibile anche in gran parte dell’emisfero boreale in una parte dell’anno. Come Boote, l’Aquila, i Gemelli, la Lira, il Cane e molte altre, anche il Pesce australe suggerisce che gran parte delle costellazioni sia nata dalla delimitazione di un’area di cielo vicina a una stella particolarmente luminosa. e
307 Conservo il testo tradito kai; pivein, cf. HYGIN., Astron. 41 hic videtur ore aquam excipere a signo Aquarii; Fragm. Vat. kavmptein “nuota”; Pàmias, Koppiers kavptein “inghiotte”. 308 Cf. cap. 26. Come di una costellazione a sé chiamata Acqua ne parla Arato (Phaen. 389-399), cf. n. 225. L’acqua pare rappresentata proprio dalla stella Fomalhaut, sulla bocca del Pesce cf. PTOLEM., Synt. 8.1, p. 166 Heiberg. 309 Ctesia di Cnido, autore di Persikà, FGrHist 688 F 1e. 310 Hierapolis in Siria. Vi si trovava un tempio di Derketo, cf. LUCIAN., De dea Syria, 10. 28; PLIN., NH 5.81, con tanto di pesce sacro. 311 Conosciuta anche come Atargatis o come Syria, è una dea con la parte inferiore del corpo a forma di pesce. Igino la chiama Iside (Astron. 2.41) e mette l’episodio all’origine del divieto di mangiare pesce (Itaque Syrioi complures pisces non esitant et eorum simulacra inaurata pro diis Penatibus colunt). 312 La storia si trova in Schol. Germ. G 176.17 Breysig; Schol. Arat. Vet. 239, p. 193.17 sgg. Martin. 313 Cf. cap. 21. HIGYN., Astron. 2.30 Eratosthenes autem ex eo pisce natos hos dicit de quo posterius dicemus. 314 Fragm. Vat. ou}" pavnta" di∆ ejkeivnhn ∆Afrodivth" ou\san qugatevra kai; ejtivmhsan kai; ejn toi'" a[stroi" e[qhkan: poiou'si de; oiJ th;n cwvran ejkeivnhn katoikou'nte" crusou'" te kai; ajrgurou'" ijcquva" kai; wJ" iJerou;" timw'si teleivan peri; tou' sumptwvmato" timhvn. “i quali pesci tutti e tre, grazie a quella divinità, che è figlia di Afrodite, ricevettero onori e furono posti fra le stelle. E gli abitanti del luogo fabbricano pesci d’oro e d’argento e li venerano come sacri, onorando in modo perfetto l’accaduto.” In Erodoto Afrodite è la variante greca della stessa Derketò, HERODOT. 1.105; 131; 199. Che in Siria i pesci fossero sacri ed esistesse il divieto di mangiarli era fatto noto, cf. XENOPH., Anab., 1.4.9; LUCIAN., De dea Syria 14.
241
39. Altare, Ara È una costellazione piccola e non molto luminosa: la sua stella più visibile è b Ara di magnitudine 2.9. Si trova sotto la coda dello Scorpione ed è visibile solo a latitudini meridionali.
a
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315 Non sappiamo altro di questo giuramenh to comune di sostegno a Zeus nella sua lottta contro Crono; si conosce il giuramento solenne d sulle acque di Stige, istituito da Zeus, cf. HESIOD., Theog. 400, 792; APOLLOD. FGrHist 144 F 102 b-c, 355; APOLLOD. 1.2.5. Anche questo è un catasterismo collegabile con l’origine di costumi e riti, come la Corona, l’Auriga, il Capricorno. È interessante ossevare che il testo si sofferma a descrivere proprio il rituale del giuramento, col gesto di toccare l’altare con la mano destra. 316 Fragm. Vat. Kuklwvpwn kataskeuasavntwn e[conto" tou' puro;" kavlumma o{pw" mh; i[dwsi th;n tou' keraunou' duvnamin “lo costruirono i Ciclopi con un nascondiglio per il fuoco, affinché la potenza del fulmine non fosse visibile”. In realtà gli altari greci di solito non hanno una copertura per il fuoco; negli astronomi greci e latini la costellazione è spesso identificata con un incensiere, qumiathvrion (HIPPARCH., In Arat. et Eud. 1.64; PTOLEM., Synt. 8.1, p. 164 Heiberg; GERM. 394; 707; VITRUV., 9.5.1 turibulum). 317 Esitevano altre spiegazioni: si tratterebbe dell’altare presso il quale ebbero luogo le nozze di Peleo e Teti, Schol. Arat.Vet. 436; secondo Arato (Phaen. 408-430) la Notte lo mise in cielo fra le costellazioni come aiuto ai naviganti, perché quando si avvicinava una tempesta, esso sarebbe rimasto l’unica costellazione visibile vicino all’orizzonte e li avrebbe così avvisati del pericolo. A volte è collegato alla costellazione del Centauro, come l’altare su cui il Centauro sacrifica la Bestia, cf. cap. 40; A RAT ., Phaen. 439-442; HYGIN., Astron. 2.38. Fragm Vat. ha un testo più ampio, ma corrotto ejpitucovnte" de; th'" pravxew" e[qhkan kai; ejn tw'/ oujranw'/ to; aujto; kataskeuvasma: kai; eij" ta; sumpovsia fevrousi kai; quvousin oiJ koinwnei'n ajllhvloi" proairouvmenoi – e[n te toi'" ajgw'si kai; toi'" ojmnuvein boulovmenoi~ – wJ" dikaiotavthn pivstin tiqevnte", kai; th'/ ceiri; ejfavptontai th'/ dexia'/ martuvrion eujgnwmosuvnh" hJgouvmenoi tou'to: “Dopo che ebbero successo nell’impresa, gli dèi posero la stessa costruzione anche in cielo: lo portano nei simposi e su di esso offrono sacrifici gli uomini che scelgono di fare accordi comuni reciproci e nelle gare e nei... che vogliono giurare in modo da stabilire una fedeltà il più possibile secondo giustizia e toccano l’altare con la mano destra prendendolo a testimone della loro buona fede.”
242 318
Fragm. Vat. oJmoivw" de; kai; oiJ mavntei" ejpi; touvtw/ quvousin o{tan bouvlwntai ajsfalevsteron ijdei'n. “Allo stesso modo anche gli indovini sacrificano su questo altare quando vogliono vedere il futuro nel modo più sicuro.” 319 Anche Igino (Astron. 3. 38), su modello del nostro testo, rappresenta la costellazione come un semplice quadrato. Più complicata la figura in Ipparco (In Arat. et Eud. 1. 18. 15) e in Tolomeo (Synt. 8.1, p. 164 Heiberg), che gli attribuiscono 7 stelle.
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40. Centauro, Centaurus q
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b Agena a Rigel Kentaurus l
È una costellazione grande e luminosa; è visibile per intero dall’emisfero australe o dalle basse latitudini di quello boreale. La sua stella a Cen, Rigil Kentaurus, “piede del Centauro”, è la più vicina al Sole e con la sua magnitudine di - 0.1 è la terza più luminosa fra quelle visibili a occhio nudo. In realtà è una doppia fatta da due stelle gialle come il Sole; una terza stella poco più vicina alla Terra delle altre due, è chiamata Proxima Centauri. Ma ha anche altre stelle molto luminose: b Cen Hadar di magnitudine 0.6 (a e b costituiscono i due zoccoli anteriori) e numerose stelle di seconda magnitudine. Si trova in parte sulla Via Lattea e per questo è molto ricca di corpi celesti.
320 Le qualità di Chirone sono già note in Omero (Il. 11.832). Secondo Igino (Astron., 2.38) questa costellazione era identificata anche con il centauro Folo, anch’esso figura di centauro lontana dal carattere selvaggio degli altri Centauri. In entrambi i casi il personaggio rappresenta una scena di sacrificio assieme alla Bestia e all’Altare.
244 321 Del legame amoroso fra il maestro e il suo scolaro parlava probabilmente Antistene, nell’Ercole, frgg. 92-98 Giannantoni. 322 Cf. cap. 39. 323 Nella astrotesia attuale a e b Cen. 324 Conosciuta oggi come Lupus. 325 tetravgwnon Heringa; tetagmevnon mss. 326 Il tirso è un bastone nodoso con in cima una pigna e intrecciati tralci di edera o vite e bende di lana, attributo di Dioniso. Si adatterebbe molto bene a Folo, che è figlio di un Sileno e quindi meglio collegabile a Dioniso di Chirone. Arato (Phaen. 431-442) nella sua descrizione del Centauro parla della Bestia ma non del tirso, anche se questo faceva già parte della raffigurazione della costellazione, come si vede in Ipparco (In Arat. et Eud. 2.5.14; 3.5.6) e in Tolomeo (Synt. 8.1, p. 158 Heiberg).
245
41. Serpente d’acqua su cui stanno Cratere e Corvo, Hydra, Crater, Corvus z t
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a Alphard l q e h g Gienah h d Algorab b p
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a Alkes
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a Alchiba
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È la più estesa delle costellazioni attuali (il Serpente d’acqua ha la testa a sud del Cancro e la coda fra Bilancia e Centauro), ma di debole luminosità; la sua stella più brillante è a Hya, Alphard, “la solitaria” di magnitudine 1.9. È una costellazione contenuta quasi interamente nell’emisfero australe, per questo alle nostre latitudini si presenta sempre piuttosto bassa sull’orizzonte.
327
Una versione simile del mito racconta Eliano (NH 1.47) e la frase kovrax uJdreuvsei “il corvo va a cercare da bere” ha valore proverbiale in HESYCH. s.v. Igino (Astron., 2.40.2-3) conserva notizia di altre identificazioni: il corvo (fonte Istro FGrHist 334 F 66) sarebbe quello che fece ad Apollo la spia, quando la sua amata Coronide gli preferì l’amore di un mortale e per il dolore della brutta notizia il dio lo trasformò da bianco in nero; il cratere (fonte Filarco FGrHist 81) sarebbe quello che fu servito al re Demofonte pieno di vino e del sangue delle sue figlie, come vendetta da parte di Mastusio del quale il re aveva offerto in sacrificio la figlia; ancora il cratere era identificato con il recipiente in cui Oto ed Efialte rinchiusero Ares. Infine sempre Igino riferisce ad Eratostene l’interpretazione del cratere come il recipiente in cui Icario servì per la prima volta il vino (Astron. 2.40.4): Nonnulli cum Eratosthenes dicuntur eum cratera esse quo Icarius sit usus cum
246 hominibus ostenderet vinum. Come si è visto con Erigone, figlia di Icario, Eratostene identificava la costellazione della Vergine, ai piedi della quale si trova il Cratere (HYGIN., Astron. 2. 25), con suo padre Icario, Boote (cap. 8), con il cane di lei, Mera, il Procione (HYGIN., Astron. 2.35); tutte queste identificazioni erano trattate nel poema Erigone e con esse Eratostene disegnava una grande scena celeste con diversi protagonisti ed elementi della vicenda. A questo cratere le anime attingevano la materia per incarnarsi di nuovo durante il loro viaggio di ritorno dal cielo (Via Lattea) alla terra, secondo Macrobio (In Scipionis Somnium Comm. 1.12-25). 328 Il corvo è messaggero di Apollo nella vicenda di Coronide, Apollod. 3.10.3. 329 Cf. cap. 30, Aquila. 330 Fragm. Vat. h\n provteron me;n aJgiwtavth pri;n h] to;n oi\non fanh'nai “l’acqua era il liquido più sacro prima che apparisse il vino”. 331 Il tempo in cui maturano i fichi, cioè l’estate; 60 giorni secondo Plinio (N.H. 10, 32). 332 ARISTOT. frg. 343 Rose. Al cap. 34 con questo titolo intende l’Historia Animalium, ma in tale opera come l’abbiamo noi non si parla della sete del corvo. Fragm. Vat. aggiunge kai; ∆Arcevlao" dev fhsin oJmoivw" ejn toi'" ∆Idiofuevsin “e Archelao dice lo stesso nell’opera Nature particolari”. Archelao è ricordato in DIOG. LAER. 2.17, lo cita Antigono di Caristio che è forse contemporaneo (III sec.); testimonianze e frammenti in Paradox. Graec., pp. 2428 Giannini. 333 In realtà Apollo mette in cielo la costellazione a memoria di tutta la vicenda e anche della punizione del Corvo, che è posto, come dice il nostro catalogo sulla coda dell’Idra, distante dall’acqua del Cratere e con il capo rivolto verso il basso, cf. ms. NLW 735C, f.10v, fig. 1.
247
42. Procione, Canis Minor È una piccola costellazione che si identifica attraverso due stelle a CMi, b Gomeisa Procione e b CMi, Gomeisa; la prima è una fra le più luminose del cielo con a Procyon 0.3 di magnitudine e prende il nome di Procione, perché sorge prima del Cane, della stella Sirio e veniva considerata rafforzarne l’azione sul sole estivo. Da lei deriva il nome canicola (piccolo cane) per indicare il massimo caldo dell’estate. Con Sirio del Cane e Betelgeuse di Orione costituisce il Triangolo Invernale. g
e
334 Hic ante maiorem Canem exoriri videtur HYGIN., Astron. 2.36; cf. 4.2 dove Procione è identificato con il Cane di Icario. 335 Cf. cap. 32 e 33. Come anche il Cane Maggiore. 336 Cf. cap. 34; in realtà la Lepre è più vicina al Cane Maggiore e vicino al Cane Minore ci sono Cancro, Idra e più in là Leone; oltre Orione e accanto a lui, c’è il Toro. Altre fiere vicine possono essere il Granchio, l’Orsa Maggiore. 337 I mss. hanno prw`to~, che Pàmias accetta; alcuni editori da Robert in poi correggono in provtero". 338 Questa frase introduttiva cui non segue nessuna trattazione, è un’altra traccia, assieme alle posizioni di Cefeo cap. 15 e della Lira cap. 24 dell’ordine originale che si ricostruisce grazie ad Anonymus II.2.1. Nell’opera di Arato si parla dei dodici segni dello zodiaco (Phaen. 559-732) dopo un breve accenno alle stelle erranti (i Pianeti), che Arato non descrive, e dopo la trattazione dei cerchi, via Lattea, tropici, equatore (451-558).
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43. Pianeti I Pianeti sono i corpi celesti più vicini a noi, fanno parte del Sistema solare; non sono dotati di luce propria, ma sono visibili perché riflettono quella del Sole. Si presentano all’osservazione ad occhio nudo come diversi dalle stelle per la loro forma, che è a disco e non a puntino brillante, per la loro luce, che è ferma, rispetto a quella tremolante delle stelle e perché, anche a distanza di pochi giorni, appaiono occupare posizioni diverse nel cielo, mentre le stelle sono fisse e ruotano insieme all’intera volta celeste. I Greci hanno dato a questi corpi celesti il nome che portano ancora oggi di planh`te~, “erranti” proprio in riferimento al loro singolare moto in cielo. Secondo Platone il Sole, la Luna e i cinque pianeti sono in cielo per segnare il tempo: la Luna i mesi, il Sole gli anni e i cinque Pianeti un anno molto più grande che si compie quando tutti questi ritrovano la stessa posizione. Ma è chiaro a Platone che, a differenza di quelli del Sole e della Luna, i movimenti dei Pianeti sono molto complicati da ricostruire e rappresentano un tipo di conoscenza altamente elitaria (PLATO, Tim. 38c-39 c-d). In effetti il moto dei pianeti ha costituito un problema di difficile soluzione su cui si è molto esercitata l’astronomia antica. Proprio perché appaiono dotati ciascuno di un moto proprio, i pianeti sono stati caricati fin dai tempi più remoti di particolari valori religiosi. Aristotele (Metaph. 12, 1074 b) ci dice che uomini di età antichissime hanno tramandato sotto forma di racconto mitico il pensiero che i pianeti sono dèi. Il loro modo di muoversi nel cielo e il loro essere dèi è collegato etimologicamente nel Cratilo di Platone (PLATO, Crat. 397). Testimonianze come queste ci fanno capire l’origine dell’astrologia: i pianeti sono dèi e i loro movimenti nel cielo hanno significati e conseguenze per il mondo e per gli uomini. Il nostro testo li elenca nell’ordine di durata del loro anno di rivoluzione (dal più lontano al più vicino al Sole), con l’inversione fra Saturno e Giove: Giove, Saturno, Marte, Venere e Mercurio cf. CharvetZucher 1998, 192. Come i suoi contemporanei Eratostene conosceva questi cinque pianeti; gli mancavano Urano, Nettuno e Plutone, se si vuole considerarlo un pianeta, che non sono visibili a occhio nudo. Di ciascun pianeta ricorda l’appartenenza ad una precisa divinità, ma non li identifica. Nel mondo ellenistico e romano si finirà invece per identificare ogni pianeta con la divinità di appartenenza e si formerà la denominazione in vigore ancora oggi. La grande fortuna dell’astrologia permetterà così la sopravvivenza, nelle arti figurative e nella cultura, di questi antichi dèi pagani attraverso il medio evo e
249 l’età moderna (cf. SEZNEC 1981). Mi pare rilevante il fatto che nell’Epitome la presentazione di ogni pianeta avvenga attraverso le sue caratteristiche fisiche quali appaiono all’osservazione: dimensione, luminosità, colore. 339
Nello stesso ordine i pianeti sono in Gemino (Elem. 1.24-30). Il primo è il nostro Giove. 340 Il mito di Phaenon, uomo bellissimo fabbricato da Prometeo, che Hermes condusse da Zeus e da quest’ultimo fu posto in cielo è conservato in Igino (Astron. 2.40.1, fonte Eraclide Pontico frg. 66a-b Wehrli). Un testo diverso con l’ordine invertito, Saturno, Giove, conserva il ms. Paris. Graec. 1310, cf. PÀMIAS 1998, 71-77. 341 Saturno. È considerato il sostituto del Sole nel cielo notturno, per questo è chiamato Stella del Sole (PS. PLATO, Epinom. 987 c). Fetonte è il figlio di Helios che cercò di guidare il carro del padre senza esserne capace e bruciando cielo e terra, cf. HESIOD., Theog. 986-991. Cf. HIGYN., Astron. 2.42.2 Secunda stella dicitur Solis, quam alii Saturni dixerunt. Hanc Eratosthenes a Solis filio Phaethonta appellatam dicit. Questa identificazione è carattersitica di Eratostene. 342 Marte. Igino (Astron. 2.42.3) racconta anche che secondo Eratostene l'aspetto rosseggiante della stella era il segno della sua passione per Venere, che non poteva mai raggiungere a causa della sorveglianza di Vulcano. Perciò il dio avrebbe ottenuto dalla dea il solo favore che la sua stella potesse inseguire quella di lei (Tertia est stella Martis, quam alii Herculis dixerunt, Veneris sequens stellam hac, ut Eratosthenes ait de causa: quod Vulcanus cum uxorem duxisset et propter eius observantiam Marti copia non fieret, ut nihil aliud adsequi videretur, nisi sua stella Veneris sidus persequi a Venere impetravit. Itaque cum vehementer amor cum eum incenderet, significans e facto stellam Pyroenta appellavit.). 343 Cf. cap. 30. Il paragone con la stella dell’Aquila è discutibile, dato che il colore di quest’ultima è giallo e non rosso. 344 Venere è già in Omero (Il. 23. 226 e 22. 318), ma come due stelle diverse, una del mattino e una della notte. Igino ci dice che secondo Eratostene era figlio di Aurora e Cefalo, talmente bello da rivaleggiare con Venere e per questo chiamato Stella di Venere e visibile al sorgere e al tramontare del Sole. (Astron. 2.42 Nonnulli hunc (Vesperum) Aurorae et Cephali filium dixerunt, pulchritudine multos praestantem, ex qua re etiam cum Venere dicitur certasse, ut etiam Eratosthenes dicit eum hac de causa Veneris appellari.et exoriente sole et occidente videri). In realtà all’osservazione Venere appare di colore azzurro-verde. 345 Mercurio, che segue il Sole stando a volte sopra a volte sotto di lui. Il compito di ordinare le costellazioni nel cielo è affidato a Hermes al cap. 20. In Arato (Phaen. 5-13), la grande divinità del cielo, alla quale si deve la diversa luminosità delle stelle e la loro funzione di indicatori per le attività umane è Zeus.
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44. Via Lattea La Via Lattea, solo cerchio celeste visibile, serviva a facilitare per confronto la rappresentazione dei cerchi astratti, l’equatore, i due tropici e l’eclittica (Arat., Phaen. 469-479). In realtà è la parte visibile della galassia in cui si trova il nostro pianeta, che è chiamata semplicemente Galassia. La Via Lattea appare come un semicerchio bianco che oggi attraversa il cielo dal Sagittario ai Gemelli, al tempo di Eratostene dal Cancro al Capricorno. È costituita da miliardi di stelle. Il valore simbolico della Via Lattea è antichissimo: i suoi estremi toccano l’eclittica e quindi essa si configurava come una strada, con alle estremità due porte, una di accesso e una di allontanamento dal cerchio del Sole e quindi dalla vita (DE SANTILLANAVON DECHEND 1969, 304). Non a caso presso tanti popoli diversi (Indiani delle Americhe, Polinesiani, i Pitagorici in Grecia) era diffusa la credenza che la Via Lattea fosse la sede, più o meno provvisoria, cui ritornano le anime dopo la morte dei corpi; secondo Macrobio (In Somnium Scipionis Comm. 1.12-15) i due punti in cui il cerchio galattico interseca l’eclittica (le costellazioni del Capricorno e del Cancro ancora al tempo della sua fonte, fino al I a.C., ma al suo tempo, come al nostro, del Sagittario e dei Gemelli) costituivano le due porte per le anime, la prima “porta degli dèi” perché attraverso di essa le anime ritornavano alla sede della propria immortalità e la seconda “porta degli uomini”, perché da lì le anime ritornavano sulla Terra, recuperando un corpo.
346 Secondo Igino (Astron., 2.43), che riporta anche la nostra versione con Ercole, Eratostene raccontava invece nel poema Hermes che il piccolo che avrebbe succhiato il latte della dea a sua insaputa sarebbe stato lo stesso Hermes Eratosthenes enim dicit in Mercurio infanti puero insciam Iunonem dedisse lacte; sed postquam rescierit eum Maiae filium esse, reiecisse eum ab se; ita lactis profusi splendorem inter sidera apparere. Alii dixerunt dormienti Iunoni suppositum; cf. anche ACHILL. TAT., Isag., cap. 24 p. 37 Di Maria peri; de; touvtou fhsi;n ∆Eratosqevnh" ejn tw'/ Katasterismw/` (mss. Katamerismw'/) muqikwvteron to;n galaxivan kuvklon gegonevnai ejk tou' th'" ”Hra" gavlakto": tou' ga;r ÔHraklevou" e[ti brevfou" o[nto" ªkai;º to;n masto;n th'" ”Hra" ejpispasamevnou sfodrovteron ejkeivnhn ajntispavsai, kai; ou[tw pericuqevnto" tou' gavlakto" kuvklon genevsqai pagevnto". to; de; aujto; kai; ejpi; tou' ∆Ermou' levgei gegenh'sqai ∆Eratosqevnh" (frg. 2 Powell), wJ" a[ra oJ ÔErmh'" tou' mastou' th'" ”Hra" ejpespavsato. a[lloi de; ejk th'" sumbolh'"
251 tw'n duvo hJmisfairivwn levgousin aujto;n gegonevnai. e{teroi dev fasin, w|n ejstin kai; Oijnopivdh" oJ Ci'o", o{ti provteron dia; touvtou ejfevreto oJ h{lio", dia; de; ta; Quevsteia dei'pna ajpestravfh kai; th;n ejnantivan touvtw/ pepoivhtai e Schol. Arat. Vet. 474. La via Lattea era collegata al latte di Era anche in DIOD. SIC. 4.9.6; PAUS. 9.25.2. Manilio (Astron. 1.729-749, cf. OVID., Metam. 1.747-2.400) riferisce anche una versione che ne faceva risalire l’origine al mito di Fetonte: la Via Lattea segnerebbe in cielo il percorso di Fetonte col carro del Sole uscito fuori dal suo consueto percorso, l’eclittica (cf. anche ARIST., Metreol. 1, 8, 345 a). Il nostro testo ignora spiegazioni di tipo “scientifico” e non mitologiche, anche se ne dovevano esistere molte; ce sono conservate in PLUT., De plac. phil. 892 E sgg.: è l’antico corso del Sole; è il riflesso dei raggi del Sole; è l’ombra che la Terra proietta nel cielo, quando il Sole la illumina da sotto (Anassagora); è un saldo addensamento di piccoli corpi che si illuminano l’un l’altro (Democrtito); è vapore secco e infiammato (Aristotele); è una combinazione di fuoco e materia più sottile delle stelle e più densa della luce (Posidonio).
Tabelle
255 Tabella 1 Costellazione
Divinità alla quale si deve il catasterismo
Fonti citate
Orsa Maggiore Orsa Minore Serpente Engonasi Corona
Zeus Artemide/Zeus Zeus Zeus Dioniso/Teseo con consenso degli dèi
Esiodo, Amphis Aglaostene, Nassicà; Arato Ferecide
Ofiuco Scorpione Guardiano Vergine Gemelli Cancro Asini Leone Auriga Capra e Capretti Toro Cefeo Cassiopea Andromeda Cavallo Ariete Deltoton Pesci Perseo Pleiadi Lira Uccello Acquario Capricorno Sagittario Freccia
Zeus Zeus Zeus Va in cielo da sola Zeus Era Dioniso Zeus Zeus Zeus Zeus Atena
Aquila Delfino Orione Cane Lepre Argo
Zeus Posidone Artemide e Leto/ Zeus Zeus Hermes Atena
Atena/Artemide Va in cielo da solo Hermes v. Pesce Australe Atena Muse, Zeus Zeus Zeus Zeus Muse, Zeus Apollo
autore di Creticà (Epimenide)
Esiodo Esiodo, Teogonia; Arato Paniassi Pisandro Euripide; Museo Euripide, Frisso Euripide Sofocle, Andromeda Euripide, Andromeda Euripide, Melanippe; Arato Esiodo; Ferecide
Eschilo, Forcidi (Ipparco) Eschilo, Baccanti Cratino Omero Epimenide, Creticà Sositeo Euripide, Alcesti; Eraclide Pontico, Sulla giustizia Aglaostene, Nassicà Artemidoro, Elegie su Eros Esiodo Aristotele, Sugli animali
256 Costellazione Ceto Fiume Pesce Altare Centauro Idra, Cratere, Corvo Procione
Divinità alla quale si deve il catasterismo
Fonti citate Sofocle, Andromeda Arato Ctesia
Derketo (?) Gli dèi Zeus Apollo
Antistene, Ercole Aristotele, Sulle bestie; Archelao, Nature particolari
Tabella 2 Costellazione
Epitome
Arato
Orsa Maggiore Orsa Minore Serpente Engonasi Corona Ofiuco
Callistò Callistò/Cinosura/Eliche Il guardiano del giardino delle Esperidi Ercole Corona di Arianna Asclepio
Eliche Cinosura
Scorpione Guardiano dell’Orsa Vergine
Lo scorpione che uccise Orione Arcade figlio di Callistò
Gemelli Cancro Leone Auriga Capra Toro Cefeo Cassiopea Andromeda Cavallo Ariete Deltoton Pesci
Dike/Demetra/Iside/Atargati/ Tyche Castore e Polluce Il Cancro che combatte contro Ercole Il leone di Nemea ucciso da Ercole Erittonio/Mirtilo La capra nutrice di Zeus Il toro che trasportò Europa da Zeus/ Io Cefeo Casiopea Andromeda Ippe figlia di Chirone/Cavallo di Ippocrene/Pegaso L’ariete che mise in salvo Frisso ed Elle Il delta modello del Delta del Nilo/Il delta del nome di Zeus Discendenti del Pesce Australe
Corona di Arianna
Boote che guida il Carro dell’Orsa Dike
La capra nutrice di Zeus
Cefeo Cassiopea Andromeda Cavallo di Ippocrene
257 Costellazione
Epitome
Arato
Perseo Pleiadi
Perseo Elettra, Maia, Taigete, Alcione, Celenò, Steope, Merope
Lira Uccello Acquario
La lira di Hermes Il cigno (Zeus) che sedusse Nemesi Ganimede/figura stante che versa un liquido Egipan, fratello di latte di Zeus Croto/centauro La freccia con cui Apollo uccise i Ciclopi L’uccello di Zeus
Perseo Alcione, Merope, Celenò, Elettra, Sterope, Taigete e Maia La lira di Hermes
Capricorno Sagittario Freccia Aquila Delfino Orione Cane Lepre Argo Ceto Fiume Pesce Australe Altare Centauro Idra, Cratere e Corvo Procione Via Lattea
Il Delfino che trovò Anfitrite per Posidone Orione Il cane di Europa/ il cane di Orione La lepre di una caccia famosa La prima nave Il mostro mandato da Posidone contro Andromeda Nilo/ Eridano Il pesce che salvò Derketò L’altare del giuramento degli dèi con Zeus contro Crono Chirone Il corvo della favola di Apollo Cane di Orione Il latte caduto dal seno di Era
Il messaggero di Zeus
Orione
Eridano
Bibliografia delle opere citate
Testo dell’Epitome dei Catasterismi Edizioni, traduzioni, commenti
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Indice
Prefazione
5
Introduzione
7
Orsa Maggiore Orsa Minore Serpente Engonasi Corona Ofiuco Scorpione Boote Vergine Gemelli Cancro Leone Auriga Toro Cefeo Cassiopea Andromeda Cavallo Ariete Deltoton Pesci Pegaso Pleiadi Lira Uccello Acquario Capricorno Sagittario
65 67 69 71 73 75 77 79 81 83 85 87 89 93 95 97 99 101 103 105 107 109 111 113 115 117 119 121
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Freccia Aquila Delfino Orione Cane Maggiore Lepre Argo Ceto Fiume Pesce australe Altare Centaruo Idra, Corvo e Coppa Procione Pianeti Via Lattea
123 125 127 129 131 133 135 137 139 141 143 145 147 149 151 153
Commenti
155
Tabelle
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Bibliografia delle opere citate
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Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected] - www.edizioniets.com
Finito di stampare nel mese di maggio 2010