Emanuele Severino. Con l'Occidente, oltre l'Occidente


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Emanuele Severino. Con l'Occidente, oltre l'Occidente

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Marco Rienzi

E1nanuele Severino. Con l'Occidente, oltre l'Occidente

Ai miei genitori

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Note e ringraziamenti

r

Questo volume rappresenta esito delle ricerche da me condotte in sede di tesi magistrale, trattandosi infatti dell'espansione di un capitolo appartenente all'elaborato finale. Desidero perciò ringraziare, in particolare, il prof. Massimo Donà, che dei miei studi ha seguito e guidato evoluzione sin dalla stesura della mia tesi triennale. Del resto, è stato lo stesso prof. Donà a consigliarmi, all'indomani della discussione di laurea tenutasi nel luglio 2022, di pubblicare l'esito delle mie ricerche. A lui devo la passione per il pensiero di Emanuele Severino, filosofo di cui ho avuto la fortuna di seguire gli ultimi corsi presso la sede dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Devo ringraziare, inoltre, anche il dott. Giulio Goria, che gli sviluppi della mia tesi magistrale ha seguito in qualità di correlatore, fornendomi preziosi consigli e indicazioni. Alla disponibilità, alla pazienza e alla dedizione che ha mostrato nel discutere il mio lavoro devo molto.

r

Meritano una menzione anche i compagni con i quali ho condotto il percorso di questi anni, sen7..a i quali tutto questo fiume di parole sarebbe stato né più né meno di uno scolorito esercizio d'erudizione. Grazie a tutti: a coloro che ho avuto la fortuna di avere vicino, così come a chi di questo lavoro - e a

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quel che vi sta dietro - ha visto i natali, sen7,a assistere però alla conclusione. Infinito ringraziamento meritano infine i miei genitori: pur lontani da Milano, la sede ove ho condotto i miei studi, non hanno mai mancato di supportarmi in questo cammino non sempre facile e privo d'ostacoli. Per quel che posso, esprimo questo profondo debito dedicando loro il libro.

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Introduzione

Secoli fa, alcuni greci stravaganti fecero propri i panni di quel-

1'atteggiamento spirituale che secondo Edmund Husserl ha sancito l'apertura dell'orizzonte filosofico così come della razionalità europea. A dispiegarsi, in questo lungo quanto frastagliato cammino, è «un contegno critico ben deciso a non assumere nessuna opinione già data, nessuna tradizione, sen7.a indagarle, e insieme a interrogare, di fronte all'universo tradizionalmente dato, l'universo vero in sé, nella sua idealità» 1• Continuando a manifestarsi nel corso dei secoli della storia occidentale, l'atteggiamento spirituale di quei greci stravaganti ha donato origine a orizzonti filosofici che mai hanno esitato a condurre la testimonian7.a del ÀiYyoç, sino alle sue estreme conseguen7..e, nel solco del più radicale rifiuto di qualsiasi presupposto o dato immediato ereditato dal piano dell'owietàe dell'opinione (ooça).

1. E. Husserl, Die Krisis des europiiischen Menschentums und die Philosophie, in Id., Die Krisis der europaischen Wissenschaften und die transzendentale Phanomenologie, in Husserliana, voi. VI, a cura di W. Biemel, Nijhoff, Den Haag 19762, pp. 314-348: p. 333; tr. it. di E. Filippini, La crisi dell'umanità eurq,ea e la fil.osofia, in E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, pref. di E. Paci, il Saggiatore, Milano 1997,pp.309--336:p.324.

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E tuttavia, il capolavoro husserliano titola: Crisi. Tutto il pensiero del Novecento non ha mancato di attestare questo statuto: la compagine post-hegeliana, ben lungi dal condurre il l6yoc, al suo compimento, sembra al contrario averne diagnosticato il dissolvimento. La ragione precipita nella storia, in una storia a maglie più larghe dello stesso sapere concettuale à la Hegel. È forse in quest'ottica, allora, che potrebbe rileggersi l'intera sequela di pensatori che hanno tentato di riportare in luce un pensiero più originario di quello logico-concettuale. Per citare un caso emblematico, potremmo appellarci al Martin Heidegger di Che cos'è metafisica?, ove il pensatore di MeBkirch palesa I'esigen7.a della filosofia a lasciarsi catturare dal «vortice di un domandare più originario»2 , di un interrogare che cioè non risulti compromesso dall'abito "logico e dalla corrispettiva postura. È questa, per Heidegger, l'unica condizione per sviluppare un pensare che sia realmente in grado di mettere in questione la sovranità della logica3 •

È in un simile sfondo che allora si colloca il nostro lavoro, nella tensione propria del ruolo che la ftlosofia di Emanuele Severino può giocarvi. In certo senso, lo statuto di crisi della filosofia è dal pensatore bresciano ben diagnosticata: l'intero Occidente, teoria e prassi indissolubilmente intrecciate, è nichilismo. I;episteme metafisica, che ha in Hegel il proprio compimento, volge al tramonto. La consapevole7.7.a filosofica di ciò, ossia la consapevoleZ7.a più propria dell'essen7.a dell'Occidente, si ha in coloro cui Severino si rivolge come ai tre grandi protagonisti del sottosuolo ftlosofico del nostro tempo: Leopardi, Niet7..sche e Gentile. Non è allora peregrina la base di parten7.a che abbiamo

2. M. Heidegger, Was ist Metaphysik? (1929), in Id., Wegmarken, in Ge-

samtausgabe, voi. IX, a cura di F.-W. von Hernnann, Klostermann, Frankfurt a.M. 1976, pp. 103-122: p. 117; tr. it., Che cos'è metefrsica?, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2001, p. 58. 3. C&. ivi, p. 44: «Ma può la sovranità della "logica" essere lesa?».

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individuato per quest'introduzione: con Heidegger, Severino si lascia catturare da un interrogare più originario, Ritornare a Pannenide titola una delle sue opere più celebri4; con Husserl, il ritorno all'originario, il ritorno all'eterno passato dell'Occidente, fa tutt'uno con il contegno critico risoluto a non assumere contenuti dalla o~a, in fo17.a del vaglio della razionalità. Può essere però fruttuoso indugiare su natura e statuto che competono all'originarietà severiniana. L'idea da allontanare è quella che si tratti semplicemente del recupero di un contenuto già preconfezionato, tornando a quanto Parmenide avrebbe già espresso e il resto della fìlosofìa dimenticato. Se in questione è la motilità propria di un "ritorno", questo però non è risposta, ma piuttosto domanda in quanto è anzitutto messa in questione, istan7.a critica. Ha visto bene, seguendo questa linea, Andrea Tagliapietra: Il "rttomo" significa[ ... ], non la rtcostruzione di una rtsposta, ma il rtcupero di una domanda, ovvero il disporsi a pensare tutta la filosofia come contemporanea. Severtno pensa l'ortginarto come contemporaneo in quanto rtsorsa efTettiva per ogni Ii-soluzione del pensiero a-venire.5

È in questi termini che in La fi"losofia futura - opera dal titolo non meno eloquente - Severino pone la questione dell'ori4. Ci sia consentita l'inadeguate:a.a di questo rimando; sarà compito del seguito chiarire il senso del "ritornare" qui in gioco, ché come ben noto fìnanco l'eleate Parmenide, per Severino, appartiene al coro nichilista. 5. A. Tagliapietra, Il panorama al limite del senso. La lezione del maestro, in M. Capanna - M. Oonà - l..V. Tarca (a cura di), Charis. Omaggio degli allievi a Emanuele Severino, Inschibboleth, Roma 2019, pp. 135-150: p. 139. Cfr. pure ivi, p. 141: «In questo senso il ritornare che si inscrive nell'insegna araldica del pensiero severiniano non si limita ad indicare un luogo strategico, finanche un "inizio" cronologico della storia della fìlosofìa e di un sapere per così dire "disciplinare", ma fonde la questione della verità posta dai testi del canone fìlosofìco con una radicale messa in questione dell'ovvio e del vissuto di ciascuno».

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ginalità del suo pensiero: originale e originario è ciò che non dipende dal modello, ma anzi, è esso il modello, l'origine rispetto ai derivati. Sfondo intramontabile che però non costringe gli essenti a un'estrinseca relazione, ma al contrario ne incarna il cuore più profondo. Pensiero originale è quindi pensiero originario, testimonian7.a della verità dell'essente, sicché «pensiero autenticamente originale può essere solo quello che riesce a mettere in questione la fede in cui cresce l'intera civiltà occidentale»6 • Differentemente da Heidegger, quindi, non è questione di testimoniare un'apertura dell'essere che sia più originaria rispetto a quella di natura logica. Il tentativo del presente elaborato va dunque collocato in questo sfondo, a dire: prima e dopo il 11.6yoç per Severino v'è ancora il 11.6yoç. Del resto è stato Massimo Cacciari a esprimersi in merito al polemos HeideggerSeverino, rawedendovi «una relazione inconciliabile, [ ... ] un aut-aut»7: questione in cui troverebbe sede nientemeno che il problema fondamentale della nostra filosofia. L'interrogazione più originaria di Severino non perviene ad altro che a una visione maggiormente limpida, e per ciò stesso inaudita, del bagaglio concettuale attraverso cui l'Occidente ha pensato e abitato il mondo. Continuità e rottura rispetto alla tradizione, convivono in Severino in un indissolubile intreccio: continuità, ché s'impossessa degli elementi classici della storia della filosofia; rottura, ché proprio la filosofia s'è dimostrata non ali'alte7.7.a,

6. E. Severino,Lafilosofiafatura, Rizzali, Milano 1989, p. 19. È in quest'ottica, inoltre, che la fìlosofla severiniana ha attirato l'attenzione anche da un punto di vista "meta-6loso6co"; in merito, dì-. L. Illetterati - E. Tripald.i, The

Phi"losophy of the Future: The Relevance of Severino's Metaphilosophy Today, in «Eternit)' & Contrad.iction», voi. 4, n. 7, 2022, pp. 7-34. In merito al rapporto tra meta6loso6a e crisi del sapere fìloso6co, dì-. T. Williamson, The Philosophyof Phdosophy, Blackwell, Oxford 2007. 7. M. Cacciari, Lettera a Severino, in «La Repubblica», 22 febbraio 2011.

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non sufficientemente autocritica, per pensare coerentemente se stessa e le proprie leggi, il proprio statuto. Sempre in La.fiwso.fia futura, Severino scrive infatti che il pensiero dell'originario «è ciò che la filosofia dell'Occidente sarebbe voluta essere, ma non è riuscita adessere» 8•

È all'alte27_.a dell'inequiparabile rigorosità e limpidità speculativa del Destino, che Severino perviene alla celebre tesi dell'eternità di ogni essente, così come alla conseguente identificazione dell'Occidente e della sua storia al nichilismo. Se quella che intendiamo portare avanti è l'idea di Emanuele Severino come pensatore in continuità e insieme rottura con l'Occidente, lo vogliamo fare anzitutto per compiere un passo a lato rispetto all'insieme di quelle letture che, forse eccessivamente schiacciate sulla stessa lettera severiniana, mancano di appurarne lo spirito d'importante vicinan7_.a con il resto della filosofia occidentale, al contrario accentuandone la cesura. In gioco è qualcosa di simile ali'operazione critica messa in campo da Kant: proprio in quanto critica della metafisica, la critica è essa stessa metafisica. Non casualmente, sfogliando le pagine della Introduzione alla Critica della ragione pura, leggiamo: «E così, una qualche metafisica è realmente esistita sempre in tutti gli uomini, non appena la ragione si è estesa in essi sino alla speculazione, ed una qualche metafisica esisterà sempre negli uomini»9 • Ufficio della filosofia critica è anzitutto quello di prowedere a eliminare ogni influsso dannoso della metafisica; e tuttavia, proprio questa operazione è di natura profondamente metafisica, che sempre esisterà negli uomini. Per analogia, potremmo ascrivere un simile gesto anche alla filosofia severiniana, che proprio attingendo al piano dell'originario - e dunque radica8. E. Severino, La filosofia futura, cit., p. 12. 9. I. Kant, Kritik der reinen Vemunft, in Id., Werke, voi. III, a cura di W. Weischedel, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Dannstadt 1983; tr. it. di G. Colli, Critica della ragione pura, Adelphi, Milano 1976, p. 64.

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Jiz7.ando quella che è stata la razionalità filosofica del pensiero occidentale - perviene a una messa in questione, non meno radicale, dell'intera storia dell'Occidente. È criticando l'Occidente, insomma, che il pensiero di Severino mostra la propria inclinazione profondamente occidentale, lungi da ogni astratta e puerile semplice contrapposizione. Assunto il presente intento, potremmo poi esplicitare come lo sguardo con cui intendiamo rileggere la filosofia severiniana assuma natura, per così dire, trascendentale 10: nostro primo obiettivo non sarà tanto il contenuto filosofico in quanto tale, la tesi dell'eternità degli essenti o quella del divenire nichilisticamente inteso, ecc., celebri tematiche che hanno contribuito peraltro a rendere famoso il pensiero severiniano, anche al di fuori delle aule accademiche. Al contrario, quel che cercheremo di porre in luce sarà anzitutto l'operatività razionale che a questo o a quell'altro contenuto ha concesso di sorgere. Ciò non equivale, beninteso, a tralasciare il contenuto della filosofia severiniana, e in tal senso certamente non mancheremo di passare in rassegna alcuni luoghi nevralgici della sua opera. S'intende piuttosto mostrare cosa sia celato da queste tesi, come si rapportino controintuivamente, per esempio, rispetto alle tante presupposizioni del senso comune, venendo così a palesare l'istanza critico-razionale che a quelle posizioni ha condotto. Con Leonardo Messinese, conveniamo quindi nella possibilità d'intendere il pensiero severiniano come «l'indicazione di "un altro apparire", rispetto a ciò che consideriamo il luogo sicuro del nostro pensare e del nostro operare» 11 • Si

10. Secondo la celebre de6nizione kantiana; e&. ivi, B 25; tr. it. cit., p. 67: «Chiamo troscenclentale ogni conoscenza che in generale si occupa non tanto di oggetti, quanto invece del nostro modo di conoscere gli oggetti, nel senso che un tale modo di conoscenza dev'essere possibile a priori».

11. L. Messinese, Nel castello di Emanuele Severino, Inschibboleth, Roma 2021, pp. 11-12.

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tratta dunque di una testimonianza 6losofìca operante anzitutto all'insegna di una razionalità decostruttiva, per dirla con Wittgenstein, delle immagini e dei presupposti che ci tengono prigionieri nel piano dell'ovvio. L'eternità degli essenti, ad esempio, non vuol dire che si debba negare l'eviden7..a dell'apparire come dello scomparire delle cose, ma piuttosto mira a metterne in questione il senso nichilista che l'interpretazione dell'Occidente vi ha sovrapposto. Più nello specifico, mostreremo in generale come tale razionalità sia avvicinabile a un abito critico del pensare, ben deciso a non fare propria nessuna opinione già data, scendendo così ai ferri corti con qualsiasi presupposto immediato, con qualunque affermazione che tragga la propria legittimità da una fonte che non sia lo stesso esercizio in atto del filosofare, peccando così di insufficiente autocritica. Di tale postura, la tesi dell'eternità degli essenti, quanto quella della negazione del divenire, è solo uno dei plurimi precipitati: se per il senso comune è naturale che la legna, bruciando, diventi cenere e quindi altro da sé, il pensare fìlosofìco attesta piuttosto che tale diventar altro dell'essente è una violazione dell'originarietà propria del piano fenomenologico, dato che mai, né in cielo né in terra, appare l'esser diventata altro da sé, o addirittura nulla, da parte della legna. Così come è fede affermare che il sole, tramontando alle spalle dei monti, vada via nel nulla, allo stesso modo per ogni essente: congedandosi dalla luce dell'apparire, questo non viene tuttavia inghiottito dal nihil negativum 12• 12. Come noto, l'esempio è mutuato da E. Severino, Ritornare a Parmenide. Poscritto, in Id., Essenza del nichilismo, nuova ed. ampliata, Adelphi, Milano 1982, pp. 63-133: pp. 85-86: «Questope-ao di carta sta bruciando, ed ora è ridotto a poca cenere. Diciamo allora che è andato distrutto e che il risultato di questa distruzione è il suo essere ormai un niente. Ma - ecco il problema - questo esser niente appare. oppure di quell'oggetto non appare più niente [... ]?Appare che I•oggetto è niente, o l'oggetto non appare più? [ ... ] appare che l'oggetto è ormai un niente, si dice, perché la Gamma

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Questo scenario del corpo a corpo con i presupposti della coscienza comune, che noi evochiamo in sede ermeneutica, merita qualche nota di rilievo anche rispetto all'elaborazione giovanile della dialettica. Dialettico, per Severino, è il dispositivo messo in gioco al fine di accertare il togli mento - rectius: l'originario togli mento - di qualsiasi elemento che in qualche modo avanzi la pretesa di risultare indipendente rispetto allo statuto dell'orizzonte filosofico. Se si pensa, per esempio, a come la dialettica viene ad articolarsi sin da La struttura originaria, è palese l'integrale indirizzo della medesima a manifestare l'impossibilità del porsi di quell'elemento cui Severino si riferisce mediante l'espressione "concetto astratto dell'astratto". Deponendo la terminologia dialettica, ma riservandoci di esplicitarne analiticamente gli snodi entro l'elaborazione che segue, è qui in gioco la nullità della pretesa di chi intenderebbe sfuggire ali'assolutez7.a onto-logica dell'ori7.zonte filosofico, di quel folle che continua a vivere nell'onirica persuasione del nichilismo 13 alterando il contenuto di quanto appare alla luce dell' w.:f1tJsia. Traducendo tutto ciò in linguaggio più colloquiale: esperien7.a astratta è quella di chi, per esempio, non si rende conto che tutti gli eventi che chiama in causa, o cui si riferisce in un'ordinaria conversazione, appaiono sullo sfondo

che lo andava consumando e la cenere che è rimasta appartengono al contenuto dell'apparire. Ma se a costoro si domandasse se il sole che scompare dietro le nubi vada distrutto, essi risponderebbero di no, perché il sole può rito-mare [ ... ]. Ché se, invece di attenersi alle categorie della ooça [ ... ],ci si attiene alle categorie dell'w.11-&t.a [ ... ],e cioè, in questo caso, ci si preoccupa di esprimere il contenuto, che appare, così com'esso appare, allora il divenire che appare non potrà più essere inteso come annullamento dell'essere». 13. Cfr. E. Severino, Oltrepassare, Adelphi, Milano 2006, p. 96: «Il contenuto dell'interpretazione è sogno, illusione - e in esso appare la sconfinata vicenda dei mortali -, ma il sogno e l'illusione non sono un nulla, cioè sono anch'essi essenti, e pertanto anch'essi eterni».

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di una struttura logica, che fra le altre implicazioni chiama il differenziarsi della cosa da tutto ciò che essa non è. Se a questo aspetto "dialettico" della filosofia severiniana abbiamo dedicato il primo capitolo, il successivo insiste invece sul tema della contraddizione dell'originario: la contraddizione C. Intento principale che ne ha condotto la stesura è stato quello di mostrare come sia possibile individuare vitalità e dinamicità in una filosofia che, incentrandosi su concetti come quelli di "essere", "eternità", "immobilità", rischia di consegnare al lettore un'idea eccessivamente monocromatica e granitica che al contrario - come tenteremo, in concreto, di dimostrare - non le appartiene. Lo abbiamo fatto, appunto, sviluppando il tema della contraddizione C, che attraversando la filosofia severiniana da La struttura originaria sino a Testimoniando il destino, costituisce di fatto un elemento d'importante costan7,a nell'intera arcata della sua opera. È in essa, infatti, che è probabilmente recuperabile il senso più profondo della processualità severiniana14• Con l'Occidente, oltre l'Occidente: è proprio la processualità in cui consiste l' «oltrepassare» che realiz7.a, da un Iato, la critica radicale alle categorie nichilistiche con le quali l'Occidente avrebbe tradotto e tradito il divenire e, dall'altro, Io sforzo più radicale di Severino per pensare il processo nella sua autenticità. Dalle analisi condotte nei primi due capitoli è infine sorto il tratto conclusivo della nostra indagine, dedicato al confronto con Hegel. Si tratta del filosofo che avrebbe compiuto, secondo Severino, l'episteme occidentale, nonché lo sforzo più radicale per pensare l'identità dell'essente. È un confronto dovuto,

14. Senso più profondo che poi sta alla base dell'inquietudine vitale per la stessa testimonianza linguistica severiniana: essa continuamente torna su se stessa, trovandosi a correggere alcune delle posizioni precedentemente assunte così come a rimodellarne i concetti, i termini, le argomentazioni, ecc.

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proprio nella misura in cui più volte Hegel emergedirettamente dalla pagina severiniana, così come dalla nostra discussione, a testimonian7_.a di una parentela teoretica quanto strutturale certamente da approfondire. Non ci siamo risparmiati dall'assumere, in tutti e tre i capitoli di questo libro, una postura critica e interrogativa, volta a mettere in questione, dall'interno, gli elementi che via via la filosofia severiniana ha tentato di sistemati72_.are. E a un pensiero che fa dell' twrx,oç il proprio pivot, certo non potrebbe che far piacere.

Così non poteva non darsi che tutta la filosofia non fosse al servizio di questo bisogno, di questa «volontà» che ha l'uomo di non morire, e quindi della costruzione della speranza-credenza-certe7.7.a che non si muore. E infatti tutta la fìlosofia, dal Pedone all'idealismo «attuale», si può prospettare come uno sforzo, sempre più complicato e sottile, sempre meno ingenuo, sempre più astuto, infaticabile a cercare nuove vie, elaborate, tortuose, strane, evanescenti, man mano che ognuna delle più semplici e chiare precedenti veniva distrutta, perdentesi infine nella nebbia, ma incoercibile e sempre risorgente, per cancellare il fatto della morte[ ... ]. Così, alla stessa guisa della morte, le contraddizioni devono non esistere. E di conseguen7.a tutta la filosofia, come, sotto un aspetto, può essere prospettata quale lo sforzo per far sparire il fatto della morte, può essere, sotto un altro aspetto, prospettata come lo sforzo o la prestidigitazione per far sparire il fatto delle contraddizioni. G. Rensi, La filosofia dell'assurdo, Adelphi, Milano 2009 4, pp. 41-42.

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Capitolo I

Struttura originaria e dialettica

l. La struttura originaria come nucleo dell'indagine Nella preziosa Introduzione alla nuova edizione de La struttura originaria, che funge da importante raccordo tra l'opera del 1958 e gli scritti successivi, Severino presenta questo testo come «il terreno dove tutti i miei scritti ricevono il senso che è loro proprio» 1• La possibilità che dunque si dia interpretazione della filosofia severiniana lasciando in ombra quest'opera, è immediatamente fugata. L'indagine che intendiamo intraprendere, awalendosi della presente affermazione nonché delle sue implicazioni, intende allora illuminare proprio questo terreno, al fine di guadagnare il senso necessario per gettare poi luce pure sugli scritti successivi a La struttura originaria. Occorre allora porci innanzi al problema che nello scrivere un testo del genere è immediatamente implicato: pretesa di Severino è qui quella di testimoniare l'esposizione della verità, far sì che il contenuto indicato dal linguaggio sia nientemeno che l'apparire della verità nel suo valore, nella sua innegabilità. Cosa poi qui s'intenda tecnicamente per linguaggio e verità re1. E. Severino, La struttura originaria, nuova ed. ampliata, con modifiche e intr., Adelphi, Milano 1981, p. 13.

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sta del tutto indeciso, compito del prosieguo dell'indagine essendo quello di approfondire, tra gli altri, il plesso in questione. Ciononostante, possiamo già ora intraprendere il primo corpo a corpo con un problema teoretico: come si manifestala verità? Come far sì che il dire - nel senso di "manifestazione"2 - possa accogliere il vero in quanto suo contenuto? Ciò è possibile, in linea con Severino, se e solo se il dire non è altro dalla verità, ma piuttosto il dirsi della verità medesima, sua immanente esposizione. Si tratta di un guadagno concettuale che permarrà nell'intero dell'elaborazione severiniana, restando uno dei punti fermi della sua produzione teoretico-speculativa. Un assetto teoretico del genere è presente pure a sottendere le riserve mosse da Giovanni Gentile alla distinzione hegeliana tra Fenomenologia dello spirito e Scienza della wgica3 • All'interno de La riforma della dialettica hegeliana, il pensatore siciliano scrive: Il processo dialettico della fenomenologia dunque non è un processo dentro la verità, ma un processo alla verità: la quale non è concepita perciò come identica al pensiero: ma soprannuotante ad esso, come le idee platoniche all'anima infiammata da Eros, e come l'intelletto attivo all'intelletto passivo di Aristotile."

Ancora un residuo contraddittorio di trascendenza sarebbe presente, per Gentile, a inficiare la filosofia hegeliana; lungi

2. Si ricordi pure la parentela etimologica tra dire e 6eucvuµi (mostrare), parentela che s'installa sulla base della radice indoeuropea "deik". 3. Sul rapporto Gentile-Severino, e&. B. de Giovanni, Emanuele Severino e Giovanni Gentile. Linee difil,osofia italiana, in «Il Pensiero», LI, n. 2, 2012, pp. 137-152; in forma più estesa, cfr. Id., Disputa sul divenire. Gentile e Severino, Editoriale scientifica, Napoli 2013. 4. G. Gentile, La riforma della dialettica hegel,iana, Sansoni, Firenze 19543,

p.227.

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dal prendere in esame il confronto col pensatore tedesco'>, più importante è rilevare la vicinan7,a all'impostazione severiniana: alla verità non si giunge dalla non verità, poiché le strade da questa indicate sarebbero, per l'appunto, non vere e nulla più di sogni di un visionario. La verità non la si ricerca dunque, quanto piuttosto la si abita nell'intrascendibilità peculiare del suo piano: il discorso de La struttura originaria non è una ricerca attorno alla verità, bensì è indice della sua immanente esposizione, realiz7.azione ed esposizione discorsiva della struttura originaria6 • Con e oltre l'Occidente, si ricordava in incipit. E infatti, a proposito di questo modo di concepire la verità, l'errore sorge proprio con Parmenide, «padre venerando e terribile»: Purtroppo il modo più grande in cui questa forma erronea di concepire la verità è stata espressa è proprio il Proemio del Poema di Parmenide. Mégas, questo padre- Platone Io chiamava "padre venerando e terribile" (cfr. Platone, Teeteto, 183 e); ma proprio lui dedica questo grandioso Proemio al viaggio che si compie per arrivare alla verità. Se si impostano le cose in questo modo, il viaggio non potrà mai aver termine. 7

5. A mostrare l'incomprensione gentiliana del rapporto tra fenomenologia e logica è stato anzitutto Vincenzo Vitiello; a tal proposito, si vedano le convincenti argomentazioni contenute in V. Vitiello, Hegel in Italia. Itinerari. I - Dalla storia alla logica. Il - Tra Logica e Fenomenologia, Inschibboleth, Roma 2018, pp. 209-212. 6. Cfr. L. Messinese, L'apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla "struttura originaria" del sapere, Mimesis, Milano 2008, p. 40: «il dire della 6loso6a è vero (e, viceversa, la verità è), solo se esso è il dire che l'essere dice di se stesso. La 6loso6a, in quanto si costituisce come "sapere assoluto", non può non identi6carsi con l'automanifestazione dell'essere (questo genitivo è oggettivo e soggettivo) e insieme[ ... ], con l'automanifestazione incontrovertibile».

1. E. Severino, L'identità della follia. Lezioni veneziane, Rizzoli, Milano 2007, p. 51.

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Non si tratta, quindi, di "bussare alla porta della verità", per usare la metafora evangelica; se la verità è rinchiusa in una casa, il percorso che le si avvicina è nella non verità. L'alternativa è cominciare a pensare alla verità come all'intramontabile sfondo che, già da sempre, accoglie gli essenti.

2. La struttura originaria come fondamento «La struttura originaria è l'essenza del fondamento, in questo senso è la struttura anapodittica del sapere - X11 xaaibv e a come questa vada poi a configurarsi nella filosofia di Aristotele, cfr. E. Severino, Fondamento della contraddizione, cit, pp. 19-112. Notiamo, inoltre, come la tacita presupposizione della dimostrazione elenctica sia, in fondo, che il significatodebba necessariamente essere signifìcatodeterminato, meglio: significato determinato identico a sé in quanto negazione escludente di tutto ciò che è altro da esso: omnis cletenninatio est negatio. Su questo punto, in sede anche critica, avremo modo di tornare in quanto segue.

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re e il non essere la negazione del fondamento 15• La negazione pretende, in actu signato, di negare l'immediato ma, in actu exercito, la negazione afferma al contrario il contenuto intenzionalmente negato, proprio per questo venendo a disegnare uno scarto fra ciò che essa pretenderebbe e quel che, invece, realmente ed effettualmente viene a costituirsi. La negazione è come una freccia che, intendendo colpire il bersaglio dell'originario, colpisce al contrario se stessa, in ciò non riuscendo a negare il fondamento 16• Già qui viene alla luce l'ossatura formale della razionalità di cui Severino intende rendere testimonian7..a. Qualsiasi pretesa contraria rispetto ali'ori7.zonte che si apre con l'originario - e che quindi avvolge, beninteso, tutto ciò che è - verrà palesata nella sua intima inconsistem;a o fantasmacità. Ma appunto, è proprio in virtù di tale istanza critica, per cui verità è ciò che non può essere negato in quanto la sua negazione è autonegazione, che la filosofia severiniana può esser letta come una radicale messa in mora dei presupposti e delle convinzioni che abitano la vita ordinaria del senso comune. Ma qui non si tratta tanto di una distruzione di presupposti, ché sarebbe concedere già troppo 15. E tuttavia, sempre per Severino, il principio aristotelico, pur affermando l'impossibilità che lo stesso insieme sia e non sia a un tempo e sotto il medesimo rispetto, non esclude affatto che l'essente possa non essere. Posta la questione in questi termini, l'autenticità del senso dell'essere è già perduta. In merito alla formulazione del principio nel De interpretatione, scrive Severino che questo «si limita ad affermare che, qualora l'essere sia, l'essere è essere (o l'essere non è non essere), e, qualora l'essere non sia, il non essere non è, o non è non essere»(E. Severino, La struttura originaria, cit.,p. 517).

16. Pagine fondamentali sono state dedicate all'D.eyxoç anzitutto in Ritornare a Parmenide; a tal proposito, cfr. E. Severino, Ritornare a Parmenide, in Id., Essenza del nichilismo, cit., pp. 19-61: p. 43: «esso [l'v,.eyxoç] non consiste semplicemente nel rilevare che la negazione dell'opposizione è anche affermazione dell'opposizione, bensì consiste nel rilevamento che l'affermazione dell'opposizione, ossia l'opposizione, è il fondamento di ogni dire, e quindi, perfino di quel dire in cui consiste la negazione dell'opposizione».

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a un awersario avente, al contrario, la stessa consistenza di un fantasma; ciò che entra in gioco ha, piuttosto, il carattere di uno smascheramento dell'insussisten7.a del presupposto come tale, un accertamento della sua incapacità a esser tenuto fermo, col corrispettivo radicale capovolgimento subito dall'atteggiamento comune o prefìlosofico17• È dunque a mo' d'un «allargamento dell'inquadratura» 18 che intendiamo leggere il gesto ali'opera nel filosofare severiniano, coup de théatre che scuote la pigrizia dell'opinione costringendola a riconsiderare l'intera concezione del mondo, portando trasparen7.a sui presupposti che lo sguardo non filosofico assume inconsapevolmente.

3. Il giudizio originario: L-immediatezza e F-immediatezza Con r espressione "giudizio originario" Severino si rivolge all'affermazione in cui si realizzala struttura originaria: «"Il pensiero è l'immediato"[ ... ]. "Tutto ciò che, nel modo che gli conviene, è immediatamente noto, è l'immediato"» 19• Il primo lato o

17. Per evitare di appesantire l'argomentazione con elementi sinora non necessari allo sviluppo dell'indagine, ci riselVÌamo di introdurre la fìgura dell'isolamento della terra - che mutatis mutandis corrisponde alla coscienza prefìlosofìca - in quanto segue.

18. F. Valagussa, Severino e l'oltrepassamentodella metafisica, in M. Capanna - M. Donà - L.V. Tarca (a cura di), Charis, cit., pp. 193-208: p. 196; per un analogo esempio a proposito dell'aporetica del nulla, cfr. F. Valagussa, L'aporia del nulla: astrazione e narrazione, in «Il Pensiero», LI, n. 2, 2012, pp. 253-265, in part. pp. 262-264. 19. E. Severino, La strutturo originaria, cit., p. 114. Rimandiamo pure, a conferma di quanto abbiamo visto sopra, a ivi, p. 115: «Le ri8essioni che seguono non sono una "dimostrazione" o "fondazione" del giudizio originario, che lo pongano come una struttura estranea alla struttura del porre; ma sono l'esporsi del giudizio originario». Sul sostrato teoretico, ma anche storico, che sottende la posizione del giudizio originario, nonché sul tentativo

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momento dell'immediateZ7.a propria dell'originario è quello relativa al pensiero in quanto manifestazione dell'immediatamente noto. E tuttavia, non meno importante è la seguente caratteri72.azione: «Col termine "pensiero» si intende qui - in sede di caratteri72.azione preliminare - attualità o la presen7.a immediata deiressere, assunta in relazione alle strutture semantiche che sono im1nediatamente implicate dalla posizione dell'attualità o presen7.a immediata deiressere» 20• Se con pensiero è possibile quindi intendere attualità dell'essere, poniamo: la presen7.a immediata di questa scrivania, non meno rilevante è riconoscere come l'immediata presen7.a di questa scrivania si dia unicamente in relazione alle strutture semantiche immediatamente implicate dalla sua posizione. In sede del tutto preliminare, potremmo dire che il darsi di qualsiasi essente implichi, per ciò stesso, un insieme di rimandi logici che ne tessono la strutturazione: il darsi di questa scrivania, per appunto, è tale in quanto, ad esempio, si differenzia da questa luce o da questo libro, così come da tutto ciò che essa non è.

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A questo punto, occorre insistere nel rilevare come il piano dell'immediate72,a non si esaurisca affatto con la posizione dell'immediata presen7.a dell'essere, bensì come si dia immediata relazione tra quel che appare e le strutture semantiche da esso chiamate in causa21 • Se a questa attualità si riserva il nome di "esperienza" ("orizzonte ontico", nella terminologia dello Heidegger), il termine "pensiero" resta definito come implicazione immediata

di assestare la metafisica classica alla luce dei contributi più rilevanti dell'idealismo moderno e dell'attualismo della fìlosofia contemporanea, si veda pure L. Messinese, L'apparire del mondo, cit., pp. 46-50. 20. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 114. 21. Al presente livello possiamo lasciare indeterminato cosa ciò implichi per l'immediata presenza dell'essere, nonché il contenuto più specifico di tali strutture semantiche.

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tra l'esperienza e quelle strutture (o tra l'orizzonte ontico e !'"orizzonte ontologico" - intendendo, con questa espressione, il piano della manifestazione di tali strutture). 22

Pensiero designa l'immediato in quanto implicazione tra esperienza e strutture semantiche, tra orizzonte ontico e ontologico. L'immediata presenza di qualsiasi essente implica dunque quello che potremmo definire un "piano logico", nel giogo di quest'implicazione manifestandosi la concrete7.7..a di tutto quel che è. «Nella misura in cui l'ori7.zonte ontologico è immediatamente implicato dall'orizzonte ontico, allora l'orizzonte ontologico rientra nell'orizzonte ontico pur distinguendosene»23 • Quel che qui più interessa a Severino è insistere sul gioco, ossia sul nesso che stringe assieme i due orizzonti: se l'orizzonte ontologico rientra nell'ontico, poiché esso - si potrebbe dire - è pur sempre noto e, in quanto tale, a sua volta contenuto dell'esperienza, se l'ontologico rientra nel noto, dicevamo, tuttavia v'è distinzione tra i due piani 24 • Distinzione, e non separazione,

22. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 114. Il rimando alla 6loso6a heideggeriana non è casuale: il con&onto di Severino con il pensiero di Martin Heidegger è presente sin dalla sua tesi di laurea - dal titolo: Heidegger e la mettifìsica -discussa con Gustavo Bontadini e poi pubblicata nel 1950. Intento dell'indagine severiniana era quello di «mostrare che non solo Gentile (come, invece, riteneva Bontadini), ma anche Heidegger, lungi dall'essere un maestro dell'ateismo, era una porta spalancata sulla metafisica, cioè sull'affermazione dell'esistenza di Dio» (E. Severino, La follia dell'angelo. Conversazioni intonw alla filosofia, a cura di I. Testoni, Mimesis, Milano 2006, p. 16). Per una ricostruzione del contesto da cui emerge la stesura della tesi di laurea severiniana, come più in generale per un ripercorrimento dell'itinerario giovanile della sua 6loso6a, si veda pure il recente L. Messinese, Nel castello di Emanuele Severino, cit., pp. 19-22. 23. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 115. 24. Per ora possiamo limitarci a dire che la distinzione sussiste quanto al contenuto dei due orizzonti; nel seguito dell'indagine ne avremo prova concreta.

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ché l'errore consisterà - come vedremo proprio nel prossimo paragrafo - per l'appunto nell'assunzione astratta dell'astratto, ossia nel considerare la parte di là dal contesto, dal tutto per cui essa unicamente è quel che è. Nella relazione sussistente tra esperien7_.a e strutture semantiche da essa implicate, assistiamo da vicino all'aspetto per cui l'unità in cui consiste la struttura originaria è in sé inclusiva di differenze. E avvalendoci del lessico tecnico che Severino adopera nella presente opera, possiamo finalmente riferirci ai due ambiti semantici fondamentali di cui la struttura è immanente relazione: "immediate7.7_.a logica" (L-immediate7..7_.a) e "immediatezza fenomenologica" (F-immediatezza). Per immediatez7.a logica deve intendersi l'immediate7..7.a del nesso tra i significati, le cose, gli essenti; immediatez7.a cui conviene l'incontrovertibilità propria del principio di non contraddizione. L'immediate7.7_.a fenomenologica, invece, consiste nell'immediate27_.a della notizia, nell'immediate27_.a dell'apparire delle varie forme di nessi che uniscono i significati25 • Struttura originaria è la coalescen7_.a di L-immediate27_.a e F -immediateZ7.a, la loro unità concreta: fra piano logico e fenomenologico sussiste dunque una connessione necessaria e intrinseca, l'errore o astrazione originandosi sempre e solamente a partire da una considerazione che pretenderebbe di isolare il piano fenomenologico dal logico, o viceversa26• Distinzione e non isolamento dunque:

25. Cfr. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 34: «L'immediatezza logica è l'immediate-aa dell'identità-non contraddittorietà dell'ente in quanto ente, cioè di ogni ente, cioè della totalità dell'ente. L'immediatezza fenomenologica è l'immediatezza dell'apparire dell'ente che appare, in quanto ente che appare, cioè di ogni ente che appare, cioè della totalità dell'ente che appare». 26. Sull'originaria coalescenza di L-immediate-aa e F-immediate-aa, cfr. N. Cusano, Capire Severino. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Mime-

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Il contenuto dell'apparire (la configurazione dello spettacolo che appare) non può essere cioè stabilito da una semplice riflessione fenomenologica, cioè da una fenomenologia isolata dal logico, ossia dal senso originario della necessità del nesso ( = predicazione). Alla semplice riflessione fenomenologica sfuggono necessariamente i legami necessari che uniscono ciò che appare, e che rendono ogni determinazione costante di ogni altra detenninazione.27

Tralasciamo per ora tanto la tematica della predicazione quanto quella delle costanti, che verranno discusse in quanto segue. Il punto sul quale occorre battere l'accento è che il contenuto dell'apparire non possa essere determinato da una fenomenologia astrattamente isolata dal logico, dal senso originario della necessità del nesso. L'analisi astrattamente fenomenologica, e cioè svincolata e isolata dal logico, tratta come se fossero un niente tutte quelle relazioni che al contrario sono necessarie affinché sia posta la determinate7.7.a e la signifìcan7..a di quel che appare. A partire dal saggio La terra e l'essenza dell'uomo'lB, quel che appare è '1a terra": la totalità delle cose, umane e divine, che vengono e vanno, entrano ed escono dal cerchio dell'apparire. E tuttavia, perché si palesi «quella sorta di distrazione dalla verità[ ... ], si richiede dell'altro, oltre all'accoglimento della terra»29 : si richiede, per l'appunto, l'isolamento della terra, l'a-

sis, Milano-Udine 2011, p. 57 «In quanto l'apparire è apparire,il "fenomenologico" è già "logico", così come il "logico" è già "fenomenologico" in quanto l'identità-innegabilità logica aP11are come identità-innegabilità logica». 27. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 76. 28. E. Severino, La terra e l'essenza dell'uorrw, in Id., Essenza del nichilisrrw, cit., pp. 195-251. 29. Ivi, p. 202. Si noti, fra le righe: al 6nedi introdurre il problema dell'isolamento della terra, Severino introduce una 6gura dai tratti ben poco "logici": la distrazione dalla verità. Perché? V'è forse un residuo di presupposizione nella 6loso6a del Destino? Un "bruto" darsi dell'isolamento? Si tornerà su questo problema nel par. 8 del presente capitolo.

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strazione di quel che appare dall'intramontabile sfondo della verità dell'essere, ossia da quel piano logico cui tutto quel che si dà è pur sempre connesso. Bene l'analisi fenomenologica dunque, ma guai a recidere i ponti con la logica. E proprio questo taglio avrebbe operato, secondo Severino, l'operazione fenomenologica condotta da Edmund Husserl. Se principio di tutti i principi è che ((ogni intuizione originariamente offerente è una sorgente legittima di conoscenza, [ ... ] tutto ciò che si dà si dà origina/,mente nell'"intuizione" [ ... ] è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà»:>IJ, cionondimeno quanto appare è quel che è unicamente nei rimandi logici che lo rendono tale, uno fra gli altri: l'essere quel che è e il distinguersi dal proprio altro. Scrive Severino: «La più rigorosa delle indagini fenomenologiche, affidata unicamente a sé stessa, è completamente incapace di dire ciò che appare. Altera e impoverisce essenzia/,mente ciò che appare»31 •

4. Concetto concreto e concetto astratto dell'astratto Nel paragrafo precedente abbiamo introdotto dei concetti fondamentali al fine di comprendere più specificamente cosa implichi, per Severino, il darsi dell'originario come una struttura: abbiamo visto, infatti, come originaria sia anzitutto la concretezza che compete alla sintesi dei due piani - logico e fenomenologico - dell'immediate7.7--a. Raggiunto questo livello dell'in-

30. E. Husserl, Icleen zu einerreinen Phiinomenologie und phiinomenologischen Phdosophie. Erstes Buch. Allgemeine Einfohrongin diereine Phiinomenologie. I. Halbband, in Hussertiana, voi. 111/1, a cura di K. Schuhmann, Nijhoff, Den Haag 1976, pp. 43-44; tr. it. di V. Costa, Idee peruna fenomenologia 7mra e per una filosofia fenomenologica. Libro primo. Introduzione generale alla fenomenologia pura, Mondadori, Milano 2008, pp. 52-53. 31. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 76.

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dagine, risulta decisivo soffermarsi su quello che potremmo definire il vero e proprio nucleo della dialettica severiniana, ossia il rapporto sussistente tra concetto concreto e concetto astratto dell'astratto. È da tenere presente che la relazione sussistente tra concreto e astratto non istanzia un elemento di fondamentale importan7.a unicamente per La struttura originaria, bensì per la filosofia severiniana nella sua interez7.a. Severino scrive che «Il concetto concreto dell'astratto si differenzia dal concetto astratto dell'astratto [ ... ]. La concretez7..a dell'astratto consiste nel suo esser posto come tale, cioè come astratto»32• Prendendo le mosse da uno sguardo più superficiale, potremmo cominciare a rilevare che l'elemento contenutistico dei due concetti si presenti come il medesimo-l'astratto -, sicché la differen7.a tra gli stessi consiste piuttosto nella forma, concreta o astratta, mediante la quale tale contenuto viene concepito e assunto. Si tratta di uno sguardo più superficiale nel senso che, ovviamente, forma e contenuto non stanno l'uno di contro all'altro come due pezzi di legno che poi giungerebbero a legarsi tramite l'ausilio del nesso fragile quanto esteriore di una corda. Assunta la presente cautela, possiamo domandare: cosa s'intende per "astratto"? L'idea dell'astratto rimanda all'operazione del separare, del "trarre via da" (astrarre, da abstrahere). Da cosa, tuttavia, sarebbe separato o separabile l'astratto? Per cercare di semplificare questo plesso, awaliamoci dell'esempio già adoperato: è immediato il darsi di questa scrivania, il suo apparire. E tuttavia questa scrivania si distingue, per esempio, dall'armadietto che ho di fronte, dal sole che batte alle mie spalle, così come dall'ufficio alla mia sinistra. Astratto è il finito, la determinatez7.a, la parte in quanto parte: questa scrivania; ma di questo astratto sono possibili due concezioni,

32. Ivi, p. 117.

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concreta la prima, astratta la seconda. Si dà concetto concreto dell'astratto laddove l'astratto è considerato in relazione a tutte quelle implicazioni logiche di cui esso è necessariamente costituito: il non esser questo bagliore, da parte della scrivania, è per l'appunto una di queste relazioni logiche, quella esemplificabile nel non essere il proprio altro. Concetto concreto dell'astratto è quindi la considerazione della parte o dell'astratto in quanto tale, ossia nella nervatura logica in virtù di cui esso è membro di un tutto. Non è quindi da pensare che il concetto concreto dell'astratto annichilisca l'astratto, quanto è piuttosto esso stesso a porlo manifestandone l'autentica essen7--a. In questo caso: porre l'astratto come tale è porre l'astratto in relazione concreta a ciò che da esso si distingue, considerazione dell'essente in relazione a tutto ciò che è altro da esso3.1 • Ebbene, se il concetto concreto dell'astratto è l'unico orizzonte a partire dal quale è possibile riconoscere e porre l'astrattez7.a dell'astratto, in negativo ne emerge pure una delucidazione del concetto astratto dell'astratto: quest'ultimo, in quanto altro dal concetto concreto dell'astratto, pretenderebbe34 di considerare l'astratto come isolato dal plesso relazionale all'interno del quale esso è, dal punto di vista concreto, originariamente inscritto. Riassumendo: il concetto concreto dell'astratto è altro dal concetto astratto dell'astratto; il concetto concreto dell'astratto è la considerazione che pone l'astratto nella sua necessaria relazione ad altro; il concetto astratto dell'astratto è la conside-

33. Potremmo quindi anche dire che il concetto concreto dell'astratto coincida con la posizione della determinazione particolare come tale, ossia della determinatezza in quanto non è il tutto o l'intero, il concreto. 34. Il condizionale è d'obbligo, dato che contenuto del concetto astratto dell'astratto è propriamente, secondo l'articolazione del discorso severiniano, il nulla.

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razione che pretenderebbe di porre r astratto come elemento isolato dalla sua relazione ad altro.

È appunto in questo senso che la posizione dell'astratto in quanto tale (concetto concreto dell'astratto) «implica di necessità la posizione di una ecceden7.a semantica rispetto a ciò di cui si predica l'astrattezza, in relazione alla quale ecceden7.a l'astratto può esser appunto posto come tale»3.5. Il rimando è chiaramente ali'ecceden7_.a semantica - o strutture semantiche - di cui, nel precedente paragrafo, era stata evidenziata la posizione in qualità di termine dell'implicazione chiamata in causa dall'immediatamente noto. In questo senso, possiamo comprendere ancora meglio quanto si diceva a proposito del fondamento in qualità di originaria coalescen7.a di immediateZ7.a logica e fenomenologica: isolare l'uno dei due aspetti dal rimando necessario all'altro e trascurarne la concretez7.a è alterare astratto stesso, indebito scambio della parte con il tutto che pretendendo di assoluti7.7.a.re il finito non fa che perderlo come tale.

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Per dare un saggio tanto della rilevan7.a quanto della fecondità che il tema dell'astratto assume nelia filosofia severiniana, potremmo riflettere su come questo permanga, mutatis mutandis, sino all'ultimo lascito teoretico di Severino: si tratta dell'importante s~ritto apparso nel 2019 e intitolato Testimoniando il destino. E qui che, tirando le somme sugli sviluppi del suo intero Denkweg, Severino paragona astrazione a una rete la quale, gettata sulla pura terra, altera essenzialmente i1 volto di ciò che appare allo sguardo del destino, donando così origine a1la terra isolata36 • Come si può vedere già da queste brevi e cursorie indicazioni, tanto è cambiato negli sviluppi linguistici

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35. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 117. 36. Cfr. E. Severino, Testinwnianclo il destino, Adelphi, Milano2019, p. 118.

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della testimonian7.a severiniana: l'astrattamente astratto è stato identificato alla terra isolata, la struttura originaria, battendo sempre più l'accento sull'innegabilità della stabile verità, si è intanto consolidata come De-stino dell'esser sé dell'essente. Ciò che non è mutato, invece, è l'atteggiamento critico rivolto tanto all'astratto quanto all'isolamento della terra, atteggiamento indiriZ7_.ato ad attestare la nullità dell'illusione e della follia cui i presupposti dell'atteggiamento nichilistico donerebbero origine. Poniamo ora un problema a proposito della struttura dialettica sopra passata in disamina: s'è detto che contenuto della considerazione concreta è l'astratto in quanto tale, ossia l'astratto concepito nella rete logica di connessioni che ne costituiscono l'essenza. Introducendo una terminologia estrinseca a La struttura originaria, ma che potremmo giustificare una volta assunte finalità esemplificative, è possibile rilevare come invece un'altra rete - quella dell'astrazione o della volontà isolante - sia all'origine dell'alterazione dell'astratto, rete che cioè, isolando l'astratto dalla sua connessione ad altro, pretenderebbe di stringerne in pugno l'identità di là dalle relazioni intrattenute con le altre determinazioni. Ma, se il concetto astratto dell'astratto è «quel concetto che

contraddittoriamente nega il concreto»37, quale il contenuto dell'esperien7.a astratta? A tutto questo la filosofia severiniana risponde fermamente, in piena continuità con quanto abbiamo già passato in rassegna: ciò che è negazione della verità, ciò che è quindi negazione del concreto, è nulla e solo nulla. E tuttavia, se come esito dei sogni visionari scaturiti dalla presa di tale rete isolante v'è né più né meno che l'intera storia della civiltà occidentale, tanto nel suo sapere quanto nelle sue pratiche, come rendere ragione dell'intero di questa esperien7.a? Se

37. Ivi, p. 118.

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tutto ciò è nulla, cosa esperisce il mortale? Quel mortale che è addirittura Severino stesso nella misura in cui, col linguaggio, intende, vuok far sì che contenuto di certi segni linguistici sia propriamente il Destino, la verità dell'essere in quanto tale? Perora possiamo accontentarci di aver problemati7.7.ato quest'istan7.a in sede critica, istanza che potremmo sinteti7.7.are nel rapporto sussistente tra l'assenza di un'effettiva negazione della verità e la positività, l'esserci di tutto quel che ci circonda, della nostra storia e fìnanco dello stesso linguaggio di chi intenderebbe testimoniare il Destino. Per non lasciare sospesala questione, possiamo anticipare come l'esito e dunque il ribaltamento di tale aporia sia presente nella sua massima densità teoretica all'interno del capitolo IV de La struttura originaria, ove Severino, facendo i conti con l'antichissima problematica del nihil absolutmn, ha così dato i natali a uno dei punti nevralgici della sua filosofia, che non casualmente è uno degli snodi più discussi in sede critica. Senza arrivare ali'aporetica del nulla, ma già riflettendo sul plesso della dialettica, Massimo Donà ha esposto una rilevante critica al panorama che abbiamo cercato di esporre con Severino. Temati7.7.ando la relazione di alterità posta da Severino fra concetto concreto e concetto astratto dell'astratto, si è detto che la medesima relazione sussiste in quanto l'astrazione pretenderebbe di considerare l'astratto nell'isolamento dalla sua relazione ad altro. Quel che Donà problemati7. za è l'istituzione, poste le or ora menzionate puntuaJiz7.azioni, di una real,e distinzione fra questi due orizzonti: in che misura, insomma, varrebbe la distinzione fra concetto concreto e concetto astratto dell'astratto? Si è davvero certi che, istituendo una siffatta alterità fra i due concetti, si abbia realmente innanzi allo sguardo della mente qualcosa come il concetto astratto dell'astratto? O forse, la posizione dell'astrattamente astratto come altro dal concreto, non è altro che una riproposizione della concezione concreta dell'astratto, per cui l'astratto ver-

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rebbe pensato come ciò che originariamente implica la relazione ali'altro:is? Facciamo un passo indietro. In qualche modo le pretese che potremmo ascrivere all'astrattamente astratto sarebbero quelle di chi, volens nolens, intenderebbe guadagnare un privilegio o quantomeno una refrattarietà del piano dell'immediate7.7.a rispetto all'orizzonte logico. In ciò, per l'appunto, prendendo le distanze dall'immediatezza severinianamente intesa, che non avendo nulla a che fare con tale refrattarietà al piano logico, lo accoglie al contrario in qualità di momento della coalescenza originaria. Ebbene, l'idea di questa immediate7.7.a, di una positività da ascrivere alla determinate7.7..a in una fase precedente, per esempio, al suo differenziarsi da altro per essere quel che è, l'idea di questa immediate7.7..a è autocontraddittoria39 • Perché? Perché per essere quel che è, per essere cioè quell'immediatezza che non è interna all'ori7..zonte logico, abbiamo già chiamato in causa l'alterità o differen7.a tra essa e quell'ori7..zonte logico con cui non intendeva venire a patti, alterità o differen7.a che, chiaramente, sono null'altro che la tacita operatività sotto banco della logica. Non è a quest'esperien7.a dell'immediatez7.a che intende farrichiamo Donà, massimamente consapevole della succitata istan-

38. Questa critica alla necessità di una distinzione reale tra concreto e astratto verrà rivolta dal 6losofo vene".liano pure alla dialettica hegeliana; in ciò ci pare che sia presente un'affinità con la prospettiva critica di un altro pensatore italiano del Novecento come Luigi Scaravelli, il quale problemati".l".lava proprio l'incapacità hegeliana a restituire una concreta differenza. In merito, rimandiamo a L. Scaravelli, Critica del capire, La Nuova Italia, Firen:,.e 1968. 39. Quest'equivalenza tra immediate".l".la e autocontraddittorietà è stata problemati".l".lata su vari fronti, donando origine ad alcune delle più interessanti prospettive teoretiche sorte nel recente dibattito italiano. Si pensi, per esempio, al passo che Massimo Adinolfì avrebbe inteso compiere accanto al plesso logico-meta6sico; su ciò, cfr. M. Adinol6, Qui, accanto. Movimenti del pensiero, Inschibboleth, Roma 2020.

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il suo incedere questiona, al contrario, il rischio della mancanza di una reale ed effettiva distinzione tra il darsi del concreto e dell'astrattamente astratto. L'astrattamente astratto, infatti, non si dà mai, proprio laddove si riconosce che, differenziandosi dal concreto, vi è già originariamente connesso: l'isolantesi dalla distinzione è distinto dalla distinzione, così come l'altro dall'alterità è né più né meno di un fantasma. Mai si dà l'immediatev_..a in quanto al,tra dalla mediazione, ché altra dalla mediazione l'immediatez7_,a è mediata. Ma allora, conclude Donà, non avendo altro cui rapportarsi, è la mediazione stessa a essere il vero immediato, così come l'unico veramente astratto è il concreto stesso, unico punto di vista dal quale si possa «stabilire la differen7_..a tra astratto e concreto» 40 • 7..a critica;

5. Analisi e sintesi. Oltrepassamento originario e toglimento del[>astrattamente astratto È in relazione al rapporto sussistente tra analisi e sintesi che Severino chiama in causa la dialettica tra concreto e astratto. Ogni

40. M. Donà, Identità e totalità. Il pensiero di Emanuele Severino e il folle sogno della 'verità', in «Il Pensiero», LI, n. 2,2012, pp.185-212: p. 203; cfr. pure ivi, pp. 203-204: «stante che l'astratto appare come tale solo in quanto separato da un concreto che, per quanto "come separato" ,appare; e dunque dice la concrete-aa, l'ineludibile concretezza di quel che definiamo "ancora privo di quel che avrebbe reso conoscibile la sua astratte-aa". L'astratto, insomma, appare sempre e comunque come concetto concreto dell'astratto; perché il concetto astratto dell'astratto può apparire come tale solo in relazione ad un concreto che dovrà già essere connesso all'astratto che si dice concepito astrattamente, cioè indipendentemente da ciò rispetto a cui non è affatto indipendente». Se si vuole pensare agli sviluppi che la suddetta tematica guadagnerà entro la 6loso6a severiniana, si tenga presente che la relazione tra concreto e astratto verrà a maturare in quella tra verità del destino e isolamento della terra.

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elemento, ogni oggetto d'analisi - e cioè: ogni astratto - nasce nel contesto alla luce del quale solamente è possibile ricostruire il senso che gli è proprio. Qualsiasi finito, insomma, certamente si distingue da ogni altro finito o parte, e tuttavia mai dai suoi pari va separato, distinzione non essendo pareggiabile a isolamento. Anticipando quanto risulterà decisivo ai fini di una concreta comprensione della risoluzione dell'aporetica del nulla, differenziare distinzione e isolamento rende possibile concentrarsi sulla singola parte - distinta, per rappunto, dagli altri membri del tutto - senza perdere di vista l'intero. Con la terminologia più propria de La struttura originaria, potremmo dire che approccio analitico è quello volto a considerare l'elemento o la parte del plesso come tale, ossia in qualità di astratto inteso alla luce del concreto istanziato dalla struttura originaria. Concetto concreto dell'astratto, lo abbiamo visto, si ha con la considerazione della parte come tale, e cioè all'interno dell'intero: il significato di una pagina de La struttura originaria assume senso unicamente alla luce della relazione con quanto espresso dalle pagine precedenti e da quelle che seguono, isolamento contraddittorio essendo quello di chi pretenderebbe di far valere il contenuto semantico di quanto letto di là da quel cui rimanda la scrittura del resto del volume. Concettualizzando radicalmente un lascito di cui dovrebbe far tesoro chiunque si avvii alla lettura e addirittura alla comprensione di un testo filosofico, Severino insegna a non separare astrattamente analisi e sintesi. Questa separazione è né più né meno di quel che abbiamo visto a proposito dell'isolamento o concetto astratto dell'astratto, concepibile come un «originario passare, da parte dell'astratto, in altro»41 • Mai v'è stata parte avulsa dal contesto, poiché essa, proprio in quanto parte, rimanda necessariamente all'intero di

41. E. Severino, I.A struttura originaria, cit., p. 117.

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cui è membro. Da questo punto di vista, ponendosi al modo di un "originario passare", il toglimento dell'astratto viene ad assumere una caden7.a tipicamente hegeliana. Non sono certamente un segreto importan7.a e ruolo che la dialettica hegeliana ha giocato nel corso dello sviluppo della filosofia severiniana: già in La struttura originaria riferimento e debito nei confronti di Hegel sono palesi, per un percorso che potrebbe giungere almeno sino a Tautotes, altro caposaldo ove si consuma un ulteriore confronto teoretico. A ogni modo, quel che qui più conta è sottolineare la parentela teoretica tra questo originario passare e la configurazione della prima triade interna alla Scienza della wgica hegeliana, composta come noto da essere, non-essere e divenire 42• Così come in Severino, la prima triade della Logica hegeliana insegna come mai vi sia stato un essere a sussistere, in qualità di cominciamento, nella sua separateZ7.a dal non-essere, allo stesso modo in cui neppure v'è mai stato un non-essere sulle prime isolato dall'essere: il passare che muove dall'essere al non-essere e dal non-essere all'essere è un originario oltrepassamento, l'isolamento è pura e fantasmatica astrazione - o opinione (Meinung) - dalla concreteZ7.a propria del Werden, loro unità sintetica. Originario è sempre e solo il divenire, ciò che si riconosce al termine dell'esposizione essendo, al contrario, il vero inizio43 •

42. Cfr. G.W.F. Hegel, Wissenschaftcler Logik I (d'ora in avanti, WdL I), in Id., Wer1ce inzwanzig Biinden (d'ora in avanti, W), a cura di E. Moldenhauer e K.M. Michel, vol. V, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1969, pp. 82-115; tr. it. di A. Moni, riv. da C. Cesa, Scienza della logica, 2 voll., intr. di L. Lugarini, Later.t.a, Roma-Bari 1981, vol. I, pp. 69-102. 43. Cfr. ivi, p. 83; tr. it. cit., vol. I, p. 71: «la verità non è né l'essere né il nulla, bensì che l'essere - non passa, - bensì è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere».

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E così per la dialettica severiniana: l'astrattamente astratto non è elemento che sussista in quanto tale per poi, in un secondo momento, venire oltrepassato, al contrario: originario è l'oltrepassamento dell'astratto in altro, laddove invece «il trattenersi in sé è contraddittorio»44 • L'atomo che pretenderebbe di restare in se stesso è contraddittorio, ché già questo trattenersi chiama in causa una for7.a dal quale l'elemento si tratterrebbe e con la quale è dunque in relazione. Mai si costituisce, dunque, un astratto se non concretamente inteso: nulla è l' astratto che precederebbe l'intero della struttura originaria, e cioè l'apertura del sapere filosofico. L'astrattamente astratto non è il terminus a quo, il trampolino di lancio da cui il movimento dialettico proverrebbe per giungere, infine, alla sua concezione concreta: originariamente contraddittorio è l'astrattamente astratto proprio perché si manifesta solo in questo rinvio alla struttura originaria, all'esterno dell'apertura dell'orizzonte filosofico non essendovi propriamente nulla.

È qui che si può leggere tra le righe la radicale messa in questione dei presupposti a opera della filosofia severiniana: se per presupposto s'intende un elemento tale da condizionare dall'esterno la razionalità fìlosofica, pretendendo così di ritagliare uno spazio in cui accampare i propri diritti, qui non v'è propriamente nulla del genere, nulla che la ragione debba concedere al sentimento, alle immagini, a opinioni, credenze e quant'altro. Rispetto a ogni altra forma di sapere scientifico, tratto distintivo della fìlosofia è quello di non poggiare su giustificazioni esteriori, su presupposti che fungerebbero, per essa, da punto di parten7.a o cominciamento ereditato per altra via. Se ogni sapere scientifico rimanda per sua propria natura a datità e immediate7.ze - tanto per quanto concerne l'ambito d'indagine, quanto per il metodo -, peculiarità della filosofia è l'indisposi-

44. E. Severino, La strutturo originaria, cit., p. 117.

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zione a adottare contenuti affermati per una via che non sia lo stesso esercizio della razionalità45 • «La posizione della quantità originaria dell'eccedenza implica di necessità la posizione di ciò che è così oltrepassato: nel senso che la presentazione concreta del giudizio originario è posta come il concreto[ ... ]. in relazione cioè all'astratto che il concreto toglie in sé ponendolo come tale»46• L'intero è toglimento dell'astratto, laddove hegelianamente il togli mento è assieme negazione e conservazione: negazione dell'astratto in quanto astrattamente inteso, conservazione dell'astratto in quanto concretatnente posto. Tra le righe di questo passaggio si legge però pure come la posizione del concreto si dia unicamente in relazione al toglimento dell'astrattamente astratto. La verità è tale in quanto è in grado di dare ragione di se stessa, ove dar ragione di se stessa è in Severino mostrare il proprio valore, esibire la propria incontrovertibilità accertando rautocontraddittorietà della propria negazione: come dunque mostrare il valore del concreto, come porre la vera concezione del finito? Accertando,sub eodem, la contraddittorietà del finito in quanto isolato, ossia l'originario toglimento dell'astrattamente astratto. I due momenti sono inscindibili: la verità è posta come tale unicamente in virtù della posizione del toglimento dell'errore, in virtù, cioè, dell'accertamento della contraddittorietà conveniente all'astrattamente astratto. Cosa vuol dire, quindi, che il concreto toglie in sé l'astratto ponendolo come tale? Che posizione del concreto è, in uno, posizione della contraddittorietà dell' astrattamente astratto, accertamento del suo originario autotoglimento47•

45. Su questa peculiarità del sapere fìloso6co in riferimento al pensiero severiniano, cfr. L. Messinese, L'ar,Jarire del mondo, cit., pp. 38-39. 46. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 117. 47. Con altro linguaggio, e anni più avanti, dirà Severino: «E l'essere negazione della propria negazione appartiene ali'essenza del Destino: il Destino

47 È a questo livello che dunque viene introdotta la tanto problematica "figura concettuale" dell'esser posto come tolto, corrispondente ali'accertamento della caratura fantasmatica propria dell'astrattamente astratto. Corre in soccorso all'interprete, a testimonian7.a dell'importanza giocata da Hegel, la definizione di Aufhebung data nella Scienza della '/ogica: «Qualcosa è tolto in quanto è entrato nella unità col suo opposto»48• Il tolto è tale in quanto entra in unità col suo opposto: Aujhe'btmg della determinatezza A si dà laddove la sua identità accolga come momento essenziale la differenza, di modo che non-A è ciò che, determinando A, risulta essenziale al suo concreto concepimento. Togliere A è concepirlo in unità con non-A, laddove la concezione isolante della determinateZ7.a- il concetto astratto dell'astratto - viene corrispettivamente a palesarsi in tutta la sua insussisten7_.a. E tuttavia, qui si presenta un problema centrale per La struttura originaria: se verità è tale là dove accerta l'impossibilità dell'errore, come render conto di questo concetto, iuxta propria principia, aporetico?Come accertare, cioè, un'impossibilità, qualcosa che neppure per un momento sfiora la positività propria dell'essere e dunque di tutto ciò che è? Questa quella che, primafacie, sembra l'ineludibile aporia in cui si è immerso l'originario: come tenere insieme possibilità e impossibilità, positività e negatività? Se il toglimento è originario, secondo la prospettiva individuata dalla filosofia severiniana, allora mai v'è stata fase in cui l'astratto astrattamente inteso sarebbe riuscito a costituirsi; ma quindi cosa nega la verità per porsi come tale? Da dove quel minimum di positività necessario affinché la ve-

è lo stante, solo in quanto è tale negazione e dunque solo in quanto include la propria autonegantesi negazione» (E. Severino, Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992, p. 168).

48. G.W.F. Hegel, WdL I, p. 114; tr. it. cit., voi. I, p. 101.

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rità possa porsi come tale, id est: come negazione della propria negazione, o posizione del togli mento dell'errore49?

6. La posizione dell'astratto come posizione dell'impossibile Siamo giunti a quello che potremmo definire, sen7.a particolari timori, uno dei veri e propri nuclei della dialettica severiniana: la posizione del concetto concreto dell'astratto è, allo stesso tempo, posizione del toglimento del concetto astratto dell'astratto. Quel che ha destato maggiori perplessità è certamente la problematicità ascritta alla figura dell'esser posto come tolto, ché l'impossibile a darsi, originariamente toglientesi, pur in certo qual modo appare e si manifesta, quantomeno come oggetto del discorso che, di tale impossibilità, è testimonianza. Affinché sia posto il concreto, è dunque necessaria la posizione dell'impossibile. Questa l'esigenza del discorso severiniano, che dovendo cucire posizione e impossibilità introduce la

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49. Come vedremo, la risposta della fìlosofìa severiniana all'aporia qui enucleata appare nella sua massima evidenza con la risoluzione dell'aporetica del nulla, che in ciò assume infatti valore fondazionale. Sarebbe già possibile enucleare, sulla base offerta da tali plessi concettuali, la distinzione fra contraddizione e contraddirsi che la 6loso6a severiniana provvederà a evidenziare. Latentemente presente, in questo discorso, è infatti la distinzione fra contraddizione, o l'originariamente impossibile a costituirsi, e il contraddirsi, ossia quella persuasione che ha per contenuto la contraddizione. Se il contenuto contraddittorio è l'impossibile, la persuasione che ha per contenuto il contraddittorio, al contrario, non lo è. Ciò che ne nasce è una nuova Ggura problematica: qualcosa d'impossibile - il contenuto contraddittorio-, che non rende impossibile, però, la persuasione che l'abbia per contenuto, la persuasione dell'impossibile: il contraddirsi. È possibile la persuasione di ciò che è impossibile a darsi, di ciò che neppure riesce a costituirsi.

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figura concettuale dell'esser posto dell'astrattamente astratto come tolto. In questo senso, dunque, «la posizione dell'astratto come tale, poi, è lo stesso toglimento del concetto astratto dell' astratto»50 • Se stiamo insistendo tanto su questo plesso - che è poi decisivo per comprendere l'operatività della dialettica severiniana - è per guadagnare l'essenzialità del rimando che si dà tra posizione e toglimento: la posizione dell'astratto non è un che di indifferente al togli mento, non posizione e toglimento dunque, bensì: la posizione è il toglimento. Citando nuovamente Severino: «Per altro verso, il concreto è posto in quanto è attuale l'assenza di un termine in relazione al quale il concreto, a sua volta, sia depotenziato a momento astratto. E, anche qui, il concreto è ciò che attualmente si distoglie da questa relazione, e pertanto è ciò che sta in relazione a tale relazione tolta»51 • Attualmente assente è il concetto astratto dell'astratto, che non riuscendo neppure a costituirsi è posto come tolto. Ed ecco Severino precisare tale giro di concetti facendo nuovamente richiamo alla figura hegeliana dell'Aujhebung: «Ciò che è confermato è appunto la materia, o il contenuto logico dell'astratto. Ciò che è tolto, è invece la forma che conviene all'astratto in quanto esso non è passato nell'ori7.zonte che originariamente lo comprende»52 • L'oltrepassamento originario dell'astratto nella totalità dell'ecceden7.a viene risemanti7.zato come unione di toglimento e conservazione. A esser tolta è la forma dell'astratto in quanto non oltrepassato nell'ori7.zonte che originariamente lo comprende, forma astratta dell'astratto; materia e contenuto logico, al contrario, vengono confermati e conservati, all'interno del già da sempre compiuto movimen-

50. E. Severino, La strutturo originaria, cit., p. 118.

51. Ibidem. 52. Ibidem.

50 to entro il quale si riconfigurano entro la forma concreta che prima pareva assente. È questa forma ( = concetto astratto dell'astratto) ciò di cui l'astratto si spoglia nel suo passare, ed è essa che diventa un «passato», un non esser (originariamente) più- un non esser più nella verità, s'intende, non nel tempo (ché altrimenti non avrebbe senso parlare di un «non essere originariamente più»; tale espressione significando dunque che l'errore è originariamente tolto, oltrepassato ).s.1

L'errore, l'isolamento dal concreto è originariamente (zeitlos) tolto e oltrepassato, di un passato logico e non temporale, s'intende. Ed è un capovolgimento, un cambio dell'inquadratura corrispettivo alla presa di coscienza propria del passaggio dall'astratto al concreto - meglio: ali'astratto concretamente inteso -, quella cui instrada la filosofia severiniana: tutta la nostra civiltà, fino alla più banale delle azioni che possiamo credere di intraprendere, si riveleranno nella loro essenza identiche al nulla, presupposti prefìlosofìci che solamente un'indagine non sufficientemente autocritica è in grado, inconsciamente, di sostenere. La manifestazione dell'intero o struttura originaria si dà quindi nella posizione dell'astrattezza dei singoli momenti: la posizione concreta dell'astratto s'individua nella considerazione del momento come distinto dagli altri elementi della struttura originaria, l'isolamento di questo essendo al contrario l'originariamente toglientesi. «In altri termini: se il contenuto manifesto (= la manifestazione in quanto tale del giudizio originario) si distingue dal modo di manifestazione ( = la discorsività) bisogna, anche qui, tenere presente che il valore di questa distinzione si fonda sulla concreta unità dei due momenti»54 • L'unità di con-

53. Ibidem. 54. Ivi, p. 119.

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tenuto e discorsività si constata nell'esigenza del concreto di esprimersi parzialmente, e cioè: nell'astratto, pena abbandono del discorso per l'intuizione. Se nel discorso a realizzarsi è, necessariamente, l'astratto del momento in quanto mai potrebbe darsi il tutto in forma linguistico-discorsiva, tuttavia il contenuto non per questo va isolato dagli altri momenti del tutto, l'errore consistendo proprio nello slittamento dalla distinzione sussistente tra le parti all'isolamento delle stesse.

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A titolo d'esempio, poniamo che l'intero contenuto si esaurisca in questa stanza. Ebbene: discorsivamente non potremmo che testimoniare, a una a una, tutte le determinatezze che la compongono: la bottiglia, lo zaino, il libro, la scrivania, ecc. Certamente, dunque, l'intero non si dice mai come tale, come concreto sic et simpliciter, ma si dice, in qualche modo, tradendosi: ossia sempre come parte, nella bottiglia, nello 7.aino, nel libro e in tutte le determinatezze che lo compongono. Dove l'errore? Nella concezione isolata della parte che, in quanto tale, lederebbe il senso stesso ad essa conveniente: la bottiglia si trova in questa stan7.a per un motivo preciso, ossia per abbeverarmi, e dunque rimanda a me, così come la mia permanen7.a in questo luogo rimanda al suo essere un'aula-studio, ecc. In quanto contenuto linguistico la determinatezza appare sempre e solo nella sua parzialità, e cionondimeno il darsi dell'intero nella parte non va confuso con un'assolutiz7.azione o isolamento di quest'ultima. Contenuto del discorso non è dunque la reciproca esteriorità o indifferen7.a fra i termini, bensì l'astratte72..a dei momenti che vanno concepiti secondo la loro unità concreta, di modo che il linguaggio possa intendersi come manifestazione parziale e processuale dell'intero. Uno dei testi più importanti ove Severino indaga il rapporto tra verità e linguaggio è certamente Oltre il lingµaggio. In esso, il filosofo bresciano s'impegna a declinare lo sviluppo del linguaggio come la manifestazione di quanto, al contrario, «non

52 si sviluppa»S.5: lo sviluppo è tale in quanto sviluppo del linguaggio della struttura originaria, essa al contrario essendo incontrovertibilmente data di là da ogni storici7.7..azione, linguistica o meno, della medesima. Le determinazioni dell'essen7.a della struttura originaria non possono sopraggiungere nell'apparire, perché, separate le une dalle altre [ ... ], sono qualcosa di controvertibile, e anzi sono negazioni della struttura originaria; e tuttavia esse appaiono in un sopraggiungere, all'interno di uno sviluppo, che dunque non è il loro sviluppo, ma è lo sviluppo del linguaggio. 56

Nel secondo capitolo, vedremo come il problema di un linguaggio in quanto testimonianza del Destino rimanda, in verità, a una contraddizione differente e più originaria rispetto a quella normale, in specie a una contraddizione che non viene tolta per ciò che essa dice, ma piuttosto per la parzialità di quel che dice. Questa contraddittorietà, cui Severino si riferisce mediante respressione "contraddizione C" è infatti il nucleo tematico della seconda parte del presente lavoro. In Testimoniando il destino, a tal proposito scrive Severino: Questa contraddizione - che sussiste perché il linguaggio testimoniante il destino testimonia una dimensione finita della persintassi - non è dunque una contraddizione normale, il cui contenuto è un nulla, ma è una contraddizione C, il cui togli-

55. E. Severino, Oltre il linguaggio, cit., p. 173. Questo il passo integrale: «il linguaggio che dice l'essen~ della struttura originaria è uno sviluppo, ma l'apparire dello sviluppo non si sviluppa, e lo sviluppo del linguaggio che dice quell'essenza dice ciò che non si sviluppa». Per un'interpretazione che assume una postura critica rispetto al tema del linguaggio in Severino, e più speci6camente a proposito del rapporto intercorrente fra segno e identità, rimandiamo a M. Adinol6, Segno e identità. Sul linguaggio, a partire da Emanuele Severino, in «Il Pensiero», LI, n. 2, 2012, pp. 213-230. 56. E. Severino, Oùre il linguaggio, cit., p. 175.

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mento è dato dall'apparire della sempre maggiore concretezdel suo contenuto.57

7.a

Non avendo ancora discusso della contraddizione C, quest'affermazione potrebbe presentarsi molto oscura. A ogni modo, cercando di semplificarla: se per persintassi intendiamo la connessione delle determinazioni fondamentali della struttura originaria, il linguaggio, come tale, è manifestazione parziale della persintassi. Il linguaggio, in questo senso, non è contraddittorio in quanto insieme dice e non dice lo stesso. La testimonian7.a, al contrario, è contraddittoria perché dice non dicendo, ossia perché dice parzialmente quel che guadagna il proprio autentico significato unicamente nella connessione all'intero della dimensione persintattica. Designando l'originario, la testimonianza linguistica lo altera non nel senso che affermi l'opposto di quanto dice l'originario, ma nel senso che il contenuto designato è necessariamente manifestazione astratta e unilaterale rispetto al concreto. Oltrepassamento di questa contraddizione non è quindi sua negazione originaria, ma piuttostooltrepassamento dell'astratte7..7.a e della parzialità del suo contenuto, ossia dell'isolamento dei tratti testimoniati dell'originario58 •

1. Struttura originaria e forma della predicazione A sinteti7..7.are quanto sinora abbiamo visto tramite la dialettica, interviene un passo tratto dall'introduzione del 1979: Ne La struttura originaria la «dialettica» è appunto, nel suo significato centrale, il rapporto tra il concetto concreto e il

57. E. Severino, Testimoniando il destino, cit., p. 226. 58. Ulteriore punto è quello del tramonto della terra isolata, che coinvolgerebbe pure il tramonto del linguaggio in quanto volontà e dunque della testimonianza del destino; ci torneremo nel secondo capitolo.

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concetto astratto dell'astratto - il rapporto per il quale l'originarietà del concetto concreto è negazione della contraddittorietà del concetto astratto dell'astratto. Il nesso necessario, secondo cui l'originario si struttura, è tale in quanto è negazione della contraddizione (cioè della negazione della L-immediatezza) determinata dall'isolamento in cui il concetto astratto rinchiude i tratti dell'originario. Nel linguaggio de La struttura originaria la «dialettica» è questa negazione della contraddizione, e questa contraddizione (cioè l'identificazione dell'astratto e del suo contraddittorio - l'identificazione di A e di non-A) è la «contraddizione dialettica». 00

Dell'operatività dialettica in gioco nella filosofia severiniana è però possibile dare un riferimento più specifico, individuandolo, per esempio, nella forma predicazionale corrispondente alla struttura originaria. A tal proposito, prenderemo le mosse ancora una volta da quanto esposto nella nuova introduzione a La struttura originaria. La struttura originaria è struttura, perché è predicazione, cioè una relazione in cui qualcosa viene detto di qualcos'altro appunto perché quest'altro è ciò che esso è - e quindi il qualcosa detto è dedicato (prae-dicatum) a quest'altro[ ... ]. Ma il dire, in quanto struttura originaria, è l'identità tra il qualcosa detto e il qualcosa di cui esso è detto, ossia è l'apparire dell'identità delle cose che sono in relazione: la relazione è identità.~

Severino riconduce la struttura originaria alla predicazione, non solo: essa è la forma fondamentale della predicazione, la quale si costituisce come identità61 • E tuttavia, proprio passando in rassegna un qualsivoglia enunciato appartenente alla 59. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 47.

60. Ivi, p. 24. 61. C&. ivi, p. 25: «La distinzione tra i vari tipi di proposizioni è interna all'unico senso che la proposizione, in quanto predicazione, può assumere in quanto essa si costituisce come la stessa struttura originaria o come elemento di tale struttura». Tutte le varie e differenti proposizioni assumono il loro

55 vita di tutti i giorni, parrebbe sorgere una facile obiezione: in ogni predicazione, non è mai posta un'identitàsimpliciter. Assumiamo come esempio la proposizione "il divano è giallo", formali7.7~bile in"A è B". Qui ad apparire è certo un'identità, ma semmai un'identità dei diversi, di quei due diversi costituiti dal]'esser-divano e dall'esser-giallo. E nella Scienza della logica proprio tale discrepan7.a viene condotta a coscien7.a, laddove Hegel mostra come neppure nella più semplice delle tautologie - A è A - a darsi sarebbe una pura identità, data la diversità del primo dal secondo termine. Severino, al contrario, afferma che la predicazione nella sua strutturazione fondamentale si costituisce come un'identità, mostrandosi allo stesso tempo ben consapevole dell'aporia: «se di qualcosa si dice altro da ciò che esso è, il dire dice che qualcosa è altro da sé, non è sé, cioè il dire è un contraddirsi» 62• Se predico B di A, sto identificando ad A qualcosa che è altro da A, qualcosa che è non-A: mi sto contraddicendo. Ma allora, come può Severino mostrare il togli mento di questa contraddittorietà che sembra, al contrario, costituire e innervare la struttura stessa del dire? Come è possibile affermare senso in quanto sono, da ultimo, specificazioni interne all'unico senso che proposizione e predicazione assumono in quanto struttura originaria.

62. Ibidem. Cfr. ivi, p. 269: «Se un certo tipo di significato complesso è una struttura apofantica nella quale ogni momento del complesso è in un certo modo gli altri momenti, ogni complessità semantica di questo tipo, i cui momenti siano differenti gli uni dagli altri, sarà una negazione del principio di non contraddizione. Affermare che questa estensione è rossa, significherà infatti affermare che questa estensione è non questa estensione (stante che il colore di questa estensione appartiene all'orizzonte del contraddittorio di essa)». L'aporia è testimoniata dalla tradizione fìlosofica a cominciare dal Sofista di Platone, ove l'autore ne denunciava l'insostenibile e paradossale conseguenza: l'impossibilità di ogni predicazione che non si costituisse come proposizione tautologica del tipo A = A. La linea aporetica giunge alla sua massima radicalità nella formulazione hegeliana, estendendola problematica finanche alle proposizioni tautologiche.

56 che la struttura originaria costituisca la forma fondamentale dell'apparire dell'identità dei relati secondo la modalità propria della predicazione? In quanto segue cercheremo di mostrare come Severino testimoni la struttura originaria in qualità di predicazione fondamentale che lascia apparire l'identità dei termini in relazione. Anche una proposizione sintetica come «questa lampada è accesa», se appartiene alla struttura originaria[ ... ], è necessario che si costituisca come un'identità, come un dire che non dice che qualcosa è altro da sé, non lo identifica al suo altro, ma lo dice identico a sé. 63

Finanche una proposizione sintetica ha da costituirsi come un'identità, e tuttavia ciò continua a risultare incomprensibile, proprio per il giudizio sintetico che Severino ha posto a titolo esemplificativo: l'esser-lampada è infatti al,tro dall'essere accesa, e dunque identificare i due termini sembrerebbe manifestare una contraddittoria identificazione dei distinti. Per comprendere concretamente la tesi severiniana, risulta decisivo intendere il presente passo: «dire che questa lampada è accesa significa dunque che l'essere accesa conviene non semplicemente a questa lampada, ma a questa-lampadache-è-accesa. È al soggetto aperto al predicato, in relazione al predicato, che il predicato conviene»64 • La struttura della predicazione, l'apparire della relazione fra un elemento e qualcosa d'altro da esso - id est: A è B - non corrisponde ali'apparire del soggetto (A) in quanto isolato dal predicato (B), ma al soggetto in quanto aperto, in quanto connesso al predicato (A = B).Quando si dice che la lampada è accesa, non si sta

63. Ivi, p. 25. 64. lvi, p. 29. Cfr. ivi, p. 271: «il giudizio "non identico" non è una contraddizione solo in quanto soggetto e predicato del giudizio hanno essi stessi valore apofantico e l'apofansi in cui sussiste il soggetto è l'apofansi stessa in cui sussiste il predicato».

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predicando B di A, l'esser-accesa dell'esser-lampada, ma si sta predicando l'esser-accesa-di-questa-lampada (B = A) di questa-lampada-che-è-accesa (A= B).Mai B conviene ad A, simpliciter, ma B che è A conviene a un A che è B: questa l'identità che la filosofia severiniana intenderebbe testimoniare. L'identità della predicazione appare in quanto, a ben vedere, non si manifesta il riferimento di un predicato a un soggetto altro o isolato da esso, ma il riferimento dell'identico a se medesimo, l'apparire dell'identità dell'identico con se stesso: la predicazione è l'epifania dell'auto-identità, e la struttura della predicazione assume la seguente formulazione logica: (A = B) = (B = A). Certo allora che, come insegna Hegel, ogni giudizio - tautologico o meno - è contraddittorio, ma solo qualora il giudizio sia considerato astrattamente, considerazione che «consiste nell'assumere il soggetto e il predicato del giudizio come termini irrelati»65 • Questo il tentativo severiniano di mostrare l'originario togli mento della contraddittorietà intrinseca alla struttura della predicazione e del giudizio, che da ultimo si concentrerebbe e sedimenterebbe nella formulazione dell'identità originaria all'interno del cui orizzonte trascendentale va a inscriversi la totalità costituita dalle differenti specificazioni predicazionali: «ciò significa che tutti i giudizi non contraddittori sono giudizi identici, stante appunto che, anche nei giudizi "non identici" sia il soggetto, sia il predicato del giudizio hanno Io stesso valore apofantico [= predicazionale]»66 • E

65. Ibidem. 66. Ivi, p. 272. Una delle critiche più rilevanti che sono state mosse alla struttura predicazionale qui esposta è stata elaborata da Massimo Donà in L'a,wria del fondamento, Mimesis, Milano-Udine 2008, pp. 336-368. Secondo Donà la strutturazione originaria del dire riproduce, in altra guisa, la medesima aporetica che la forma severiniana intenderebbe togliere, rectius: che la forma severi nana intenderebbe porre come }'originariamente toglien-

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nel riconoscimento dell'autentica struttura della predicazione originaria, possiamo assistere pure ali'altrettanto originario toglimento del concetto astratto dell'astratto, il quale appare come il già da sempre negato isolamento del soggetto dal predicato e del predicato dal soggetto.

tesi. Nella formulazione logica sopra esposta - (A = B) = (B = A)-, facendo leva sull'inversione dei termini posti in relazione all'interno delle due parentesi, Donà intende mostrare come la contraddizione venga riproposta a più livelli: 1) All'interno di ciascuna parentesi è riformulata la contraddittoria identificazione dei distinti; 2) nella formulazione in quanto tale è riportata la medesima contraddittorietà. corrispondendo le due espressioni poste fra parentesi tonde ad A e B, della cui identificazione il dire contraddittorio pretenderebbe d'essere testimonianza. In virtù di ciò, sempre secondo la prospettiva teoretica progettata da Donà, a mostrarsi astrattamente astratto sarebbe proprio il concreto, e cioè quella che per Severino costituirebbe invece la strutturazione originaria del dire: (A= B) = (B = A). Posta la contraddittorietà della meta-identità, questa non toglierebbe assolutamente la contraddittorietà del concetto astratto dell'astratto, essa medesima piuttosto essendone inabitata, sia a livello microscopico che macroscopico (livelli corrispondenti ai due punti in questa medesima nota enucleati). Per la medesima motivazione, nella prospettiva elaborata da Donà, aporia e contraddizione non costituiscono elementi da porre in relazione di alterità e di distinzione rispetto all'identità incontraddittoria, al contrario: aporia e contraddizione rappresentano piuttosto la forma del manifestarsi della struttura dell'identità incontraddittoria medesima. Per la replica di Severino a Donà, cfr. E. Severino, Discussioni intorno al senso della verità, Ets, Pisa 2009, parte III. Si noti come, sostenendo che la posizione di Donà (A è insieme identico e non identico a B) si distingue determinatamente da chi sostiene: "A è identico ad A, o: A = A", s'intende adottare la medesima struttura argomentativa che adopera Aristotele nel Libro IV della Metafisica per confutare, tramite e>.zrx,oç, l'awersario della ~ef3awtliTI'l av:dl xcro&,v: dal punto di vista severiniano, dunque, si sta attribuendo alla verità di Donà la struttura dell'identità, e cioè si sta determinando il contenuto del suo discorso, per ciò stesso questo rappresentando un 'ulteriore istanziazione ed esemplificazione del logos dell'identità e dell'incontraddittorietà dell'essente. Sostenere la contraddizione non è sostenere la non-contraddizione: ma, per il medesimo motivo, la contraddizione si determina come incontraddittoriamente identica a sé e differente dal proprio altro.

59 «E, analogamente, è il predicato del soggetto che conviene al soggetto67 [ ••• ] • Il dire non è la sintesi di soggetto e predicato [ ... ] ma è l'identità tra la relazione del "soggetto" al "predicato" e la relazione del "predicato" al "soggetto"»68 • Il dire non è l'apparire della sintesi fra soggetto e predicato, bensì dell'identità fra la relazione del soggetto al predicato e del predicato al soggetto: la lampada che è accesa è l'essere acceso della lampada, questa la strutturazione concreta, l'intreccio dell'identità del dire ponentesi come l'oriz7.onte dell'originari0 69• Dire che questa lampada è accesa significa che la luminosità in cui consiste questo essere accesa non è una luminosità generica e isolata da un contesto specillco, «ma è appunto questa lampada, questa certa forma visibile da cui si diffonde questa luce: lo stare acceso è questo esser lampada (giacché questa lampada è questo esser lampada) e il predicato "accesa", che conviene alla lampada, è uno stare accesa» 70• Il dire si struttura originariamente secondo tale sintesi: al soggetto aperto al predicato conviene il predicato del soggetto. Proprio per questo l'identità non è la contraddittoria identificazione dei distinti, ma l'originario apparire dell'identità dell'identico con se stesso, archetipica luminosità e relazione di due relazioni: non "A = B", simpliciter, bensì "(A = B) = (B = A)"11.

67. Con l'esempio di Severino: è ]'esser-acceso della lampada che conviene alla lampada che è accesa. 68. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 29. 69. Cfi-. E. Severino, Taut6tés, Adelphi, Milano 1995, p. 121: «Ogni pensare che qualcosa è qualcosa - ogni pensiero che pensa la relazione tra qualcosa e qualcosa - manifesta l'identità della relazione con se stessa. L'apparire dell'essente è l'apparire dell'identità dell'essente». 70. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 29. 71. In Taut6te.s Severino rileva l'insufficienza di tale formulazione logica; al 6ne di preservare il "non essere B" da parte di A, si afferma che A è piuttosto identico al suo "essere insieme a B". La formulazione logica si ripresenta come segue: [A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A].

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«In questa espressione72, il segno di "uguale" che connette le due equazioni tra parentesi ha un senso diverso dai segni di "uguale" che costituiscono queste due equazioni. Esso è l'identità originaria, separatamente dalla quale l'identificazione di A a B (A= B) e di Ba A (B = A) è la contraddittoria affermazione dell'identità dei non identici (A, B)»73• Distinto è il segno di "uguale" che sta per la meta-identità, quello che connette le due equazioni fra parentesi, dai segni interni alle medesime equazioni; il primo è identità originaria74, originario separatamente dal quale a prodursi è la predicazione contraddittoria, affennazione dell'identità dei non identici. Dire contraddittorio che, in quanto esemplificazione dell'isolamento del soggetto dal predicato del dire, «è fondato, come ogni altro isolamento, sull'isolamento della terra dalla Necessità [ ... ]. L'isolamento che costituisce il nichilismo de1I'Occidente»75 •

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II linguaggio è ovviamente estraneo a La struttura originaria, e tuttavia risulta possibile chiarirlo con poche note. Per Severino, ogni significato o essente è costituito dalla sintesi tra la determinate7.za (il "ciò che") e il suo essere o positivo significare (il suo "è"). Sin da Platone - ma a ben vedere, già con Pannenide76 - l'Occidente avrebbe gettato la propria rete iso72. Il riferimento è sempre alla formulazione logica: (A = B) = (B

=

A).

73. E. Severino, La struttura originaria, cit., pp. 29-30. 74. Cfr. ivi, p. 30: «E l'identità è originaria, perché, come risultato di un movimento, sarebbe essa stessa contraddittoria». In polemica con Severino, e dalla prospettiva di una 61oso6a della possibilità pura, cfr. V. Vitiello, La lampada di Severino, in «aut aut», n. 267-268, 1995, pp. 77-86. 75. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 31.

76. Scrive infatti Severino: «Parmenide è insieme il primo responsabile del tramonto dell'essere. Poiché le differenze non sono l'essere -poiché "rosso", "casa", "mare", non signi6cano "essere", non signi6cano cioè "]'energia che spinge via il nulla"-, le differenze sono non-essere, sono esse stesse il nulla, che la d6xa chiama con molti nomi» (E. Severino, Ritornare a Parmenide, cit., p. 23).

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lante sull'essente, separando così detenninatezza ed essere. Con il fondatore dell'Occidente, infatti, si è aperta la dimensione entro cui ente verrebbe concepito in maniera del tutto contraddittoria, pensato come ciò cui converrebbe la libertà del diveni~e, ossia: la libertà di passare dall'essere al nulla, e viceversa. E questa la detenni nazione trascendentale dell'ente come oscillazione (da sxaµq>o'tspfsstv) tra essere e non-essere. A tal proposito, vale citare un passo geniale di Severino tratto da Destino della necessità:

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In greco la contesa si dice epu;; ed ep{l;etv è il contendere dei contendenti, e quindi il dibattersi tra i contendenti, da parte del conteso. Platone porta alla luce il senso della cosa - l'orizzonte al cui interno cresce l'intera storia dell'Occidente -, ponendo la cosa come un énaµc:po-cep{l;etv (Civitas, 479 c), ossia un epiçetv ém -ca. àµc:p6-cepa. L'espressione -ca. àµc:p6-cepa ("l'uno e l'altro") si riferisce ali'essere e al niente. La cosa è il dibattersi tra l'uno e l'altro[ ... ]. Ma la cosa si dibatte tra l'uno e l'altro appunto in quanto essi sono un contendersela. L'ente in quanto ente è ciò che è conteso dall'essere e dal niente.71

Lanciata da Platone la rete isolante, la concezione dell'ente è deturpata - deturpazione necessaria, come si dirà sempre

a partire da Destino della necessità -, il legame tra rente e il suo essere abbandona l'inscalfibilità propria del ne-cessarlo, cedendo piuttosto all'oscillazione del divenire: qui le origini platoniche del nichilismo occidentale78, che pur credendo di

77. E. Severino, Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980, p. 21. 78. Il nichilismo raggiunge coerenza e radicalità massime con Leopardi, Nieooche e Gentile. Tale coerenza, consiste nella posizione del divenire come l'unico vero immutabile. Che il divenire sia l'immutabile, per Severino, non implica contraddizione, poiché se l'immutabile del divenire venisse eliminato, allora si affermerebbero nuovamente quelli propri della tradizione occidentale che hanno provveduto a "soffocare" il divenire. In merito, cfr. E. Severino, Attualismo e serietà della storia, in Id., Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Armando, Roma 1981, pp. 116-127.

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concepire l'ente come non-niente, si tradisce nell'interpretazione dello stesso come bta.µq>o-cspiçsiv. E così, operando questo vicendevole isolamento tra determinatez7.a ed essere, il nichilismo occidentale perviene alla contraddittoria identificazione di ente e niente, contraddittoria identificazione che altro non è se non l'inconscio dell'intero Occidente. Quello della predicazione è inoltre un ottimo punto da sfruttare per comprendere adeguatamente la tesi severiniana dell' eternità propria dell'ente in quanto ente79: lungi da concepire la determinatez7.a e il suo essere come due termini isolati, essendo al contrario originaria la loro sintesi, è altrettanto originaria l'impossibilità che qualsiasi ente, in quanto tale, non sia. Al cuore di ogni cosa, la più effimera inclusa: l'essere, financo la più radicale delle separazioni non potendo darsi che come il contenuto di un sogno, insufficiente a scalfire l'incorruttibile nesso che accorda l'essente al suo essere. Meritava rimprovero il giovane Socrate a pensare che non ci fossero idee delle cose più effimere: ogni cosa, per quanto spregevole, se è una cosa, è etema80 • Ha visto bene allora Vincenzo Vitiello, cogliendo «la ragione più profonda dell'attribuzione dell'eternità ali'essente [ ... ] nella logica dell'ineren7.a del predicato - rectius: dei predicati - al soggetto»81 • Predicatum inest sulJjecto: l'essere-predicato non

79. Come noto, l'eternità dell'essente sulla base del nesso necessario che lo lega al suo essere, è guadagno decisivo di Ritornare a Parmenide. 80. Cfr. E. Severino, Ritornare a Parmenide, cit., p. 28. 81. V. Vitiello, Tautà ae(. La logica dell'inerenza di Emanuele Severino, in E. Severino - V. Vitiello, Dell'essere e del possibile, Mimesis, Milano-Udine 2018, pp. 63-80: p. 70. A Vitiello va riconosciuto l'importante merito di aver posto la 6losofìa severiniana in un dialogo serio e serrato con i grandi autori della 6losofìa occidentale: Platone, Aristotele, Kant e Hegel, tra gli altri. In certo senso, l'operazione metodologica del 6losofo napoletano è dunque in sintonia con l'approccio che abbiamo cercato di adoperare, tentando di

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s'aggiunge a un soggetto pensato a mo' di noema isolato, in attesa dell'addizionale attribuzione. Al contrario: l'essere è contenuto già da se11rpre nell'essente, A è già da sempre A = A, «per cui l'identità-a-sé non è un atto noetico, bensì dianoetico»82 • Collocando Severino nel grande filone occidentale della logica dell'inerenza&1 , l'inciso aristotelico presente nel Libro IX della Metafisica, che prowede a differenziare affermazione (1emfupacru;) ed enunciazione (q>a:cru;), viene prontamente disciolto84. Non v'è nessun momento noetico, nessun A aprecedere il suo esser quel che è, la sua identità con sé, A = A. Il noetico è originariamente dianoetico, l'astratto è originariamente concreto, l'essente originariamente è, già da sempre: è eterno. L'affiliazione severiniana al filone della logica dell'inerenza, così come ci viene mostrata da Vincenzo Vitiello, è tacitamente un'ottima base di sostegno per la nostra tesi: proprio a valoriz7.are l'innegabile novitas rispetto alla tradizione dell'Occidente, il pensiero di Severino non va tuttavia separato dai grandi interpreti del pensiero filosofico. Ancora una volta: con l'Oc-

illuminare i problemi di Severino, ma di Severino solo in quanto di tutto il pensiero dell'Occidente, solo in quanto della 6losofia. 82. Ivi, p. 65. 83. Filone che include, secondo il pensatore napoletano, altri 6losofi come Leibniz e Hegcl.

84. Cfr. Aristotele, M~ph., IX, 1051b 24-25; tr. it. cit., p. 395: «non sono infatti la stessa cosa l'affermazione e l'enunciazione». Su questo aspetto, ha battuto l'accento Guido Calogero nella sua interpretazione della logica aristotelica; a tal proposito si veda il suo fondamentale G. Calogero, I fondamenti della logica aristotelica, Le Monnier, Firenze 1927; nuova ed., con appendici integrative di G. Giannantoni e G. Sillitti, La Nuova Italia, Firenze 1968. In polemica con l'interpretazione calogeriana, si è espresso lo stesso Severino: cfr. E. Severino, Nota su 'I fondamenti della logica aristotelica' di Guido Calogero, ora in Id., Fondamento della contraddizione, cit., pp. 143-173.

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cidente, oltre l'Occidente. I continui corpo a corpo ingaggiati dalla filosofia severiniana sono tali, sono cioè del pensiero severiniano, solo in quanto propri di tutto il pensiero dell'Occidente, solo in quanto propri della filosofia. Per concludere l'analisi della struttura predicazionale, mostriamo pure originario togli mento di un• aporia che parrebbe istituirsi in relazione alla posizione del principio d'identità: 'Tessere è essere". In relazione a quest'ultima proposizione,si potrebbe nuovamente obiettare che la posizione dell'identità del soggetto e del predicato richiederebbe una distinzione, tra l'essere come soggetto e l'essere come predicato. In tal senso condizione di possibilità del principio di identità sarebbe data dalla negazione del principio di non contraddizione, visto che affermare che r essere è essere, equivarrebbe a presupporre che essere deve, in certa misura, distinguersi dall'esseres.5.

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E tuttavia Severino illumina come, pure in questo caso, l'aporia è ingenerata dall'intelletto astratto, al quale sfugge necessariamente l'originarietà dell'identità sintetica che connette soggetto e predicato. Di là dall'isolamento del soggetto e del predicato che poi verrebbe tolto nella posizione dell'identità del giudizio, Severino afferma piuttosto: «L'essere, che è essere (l'essere cioè che vale come soggetto della proposizione "l'essere è essere", è l'essere-che-è-essere, ossia è l'essere che è posto come identità; e non l'essere che, essendo posto (presupposto), è poi posto come identità (onde l'identità si costituisce come l'identificazione dell'alterità)»86 • In questo senso si vede come l'autentica posizione dell'incontraddittorietà dell'essere, o del principio del logo strutturantesi quale concreta sintesi di principio di identità (l'essere è essere) e principio di non contraddizione (l'essere non è non essere), 85. Cfr. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 180. 86. Ivi, p. 181.

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è nuovamente il riconoscimento dell'originarietà sintetica del

giudizio, originarietà che mostra il già da sempre awenuto toglimento dell'isolamento del soggetto dal predicato e viceversa. O, in altri termini, riconoscendo e testimoniando l'originario valore apofantico di soggetto e predicato, palesa l'autocontraddittorietà di ogni tentativo di pensare l'uno o l'altro termine quali semplici momenti noetici87 • Ancora una volta, l'analisi della struttura predicazionale ha concesso di assistere a un vero e proprio capovolgimento del nostro comune modo d'intendere soggetto e predicato, termini che si sono riconfigurati deponendo il loro senso abituale. Ingaggiando un testa a testa con l'aporia implicata dalla contraddittorietà del dire, e così facendo propria - pratica non desueta in Severino - una problematica ereditata almeno dal Sofista di Platone, la filosofia severiniana testimonia una forma predicazionale tale da accertare l'insufficiente autocritica propria di quella occidentale.

8. Sul contenuto del concetto astratto dell'astratto Sempre nel corso della nuova introduzione a La struttura originaria, Severino dedica un intero paragrafo alla trattazione della dialettica, cui quindi rivolgiamo particolare attenzione88 • «Nel suo significato essenziale, il "concreto" è la strutturazione stessa dell'originario, ossia quell'unificazione dei tratti dell'originario, per la quale la negazione dell'originario è autonegazione. E l"'astratto" è il tratto o l'elemento particolare della

87. Perulteriori rimandi che coinvolgano la tematica dell'incontraddittorietà dell'essere in relazione alla struttura predicazionale della 6loso6a severiniana, si veda l'intero capitolo III de La struttura originaria.

88. Si tratta del par. 4, intitolato La dialettica.

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struttura»89 • Nulla di nuovo sotto il sole: la struttura è tale in quanto nesso necessario delle determinazioni che la compongono, e in quanto il nesso è necessario, la sua negazione è autonegazione. Se le determinazioni dell'originario - corrispondenti ali'elemento astratto cui prima ci siamo diffusamente riferiti - sono, certo, originariamente comprese nel concreto, mostrate e poste come tali solo nella loro strutturazione concreta, in uno va affermato originario toglimento dell'astrattamente astratto, id est: della concezione che isolerebbe la determinazione del plesso pretendendo di farla valere come tale.

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Il problema che intendiamo risollevare in questo paragrafo concerne però, più specificamente, il contenuto dell'astrattamente astratto: il significato dell'astratto, all'interno della connessione necessaria, è infatti diverso dal significato dell'astratto al di fuori di tale connessione. Se A è il significato di una detenninazione astratta nel suo concreto apparire come detenninazione distinta e insieme necessariamente connessa all'originario, al di fuori di questa connessione A non è A e non è significante come A, ossia ciò che nella connessione è A, al di fuori della connessione è nonA, è significante come non-A. 90

E tuttavia, se la connessione è necessaria, esserle esterno è impossibile, così come impossibile è il contenuto affermato dall'isolamento. Affermando che A è significante come A indipendentemente da ogni connessione ad altro, il riferimento dell'isolamento (A) è pur sempre il concetto concreto dell'astratto, ossia r astratto nel suo apparire come necessariamente connesso ali'originario. Per isolarsi, astrattamente astratto presuppone necessariamente la relazione a ciò da cui intenderebbe isolarsi, in ciò mostrandosi come concetto autocontraddittorio.

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89. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 42. 90. Ivi, p. 43.

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L'astratto, su cui cade la rete isolante del concetto astratto dell'astratto, è un tratto dell'originario, nel suo concreto strutturarsi come originarietà. È di questo tratto (A)[ ... ] che il concetto astratto afferma che il suo esser significante così come esso è significante (cioè il suo esser significante come A) è indipendente da ogni sua connessione ad altro. 91

La rete potrà pur essere gettata, ma sempre sull'elemento in connessione ad altro. L'isolamento presuppone il non-isolamento, questo dice Severino.

Ciò non sposta d'un centimetro il problema, affatto. Riproponiamolo: l'isolamento presuppone il non-isolamento, l'astratto presuppone il concreto. Quale allora il contenuto dell'isolamento? A quale spettacolo assiste chi getta la rete isolante, proprio laddove va pur riconosciuta una differen7..a tra isolamento e non isolamento, astratto e concreto, errore e verità? A tal proposito, sebbene l'argomentazione severiniana prenda a cuore la questione, invero pare ripiegarsi su se stessa. Per un'intrinseca problematicità? Certamente, ma solo laddove il problema è del pensiero stesso, solo laddove il problema è di Severino perché della filosofia stessa: Ciò che pertanto resta in verità affermato nell'afTermazione che A è A indipendentemente dalla connessione di A ad altro, è che A è non-A: appunto perché ciò che nella connessione necessaria è significante come A, al di fuori di tale connessione è significante come non-A, sì che ciò che in verità il concetto astratto predica di A non è A, ma è non-A. Ciò che in verità sta dinanzi, nel concetto astratto dell'astratto, è l'esser non-A da parte di A: ma il concetto astratto pone questo esser non-A da parte di A, come un esser A da parte di A.92

L'astratto afferma in verità- e cioè: alla luce del concreto - che A è non-A. E tuttavia, l'astratto pone ciò che in verità è l'esser 91. Ivi, p. 44. 92. Ibidem.

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non-A da parte di A come un esser A da parte di A. Vè quindi uno scarto a consumarsi tra ciò che l'errore afferma in verità e l'interpretazione che l'errore offre di quel che gli sta innanzi. Con un esempio: l'albero è tale unicamente all'interno della tessitura di relazioni necessarie che gli competono, una tra le tante quella del non essere il proprio altro. Quando il prefìlosofìco, ropinione s'approccia all'albero, non tiene conto della detta trama logica pur necessaria affinché quell'albero sia quel che è. E tuttavia, quell'albero, una volta offuscate le relazioni, non è quell'albero: A è non-A. Ciononostante, il prefìlosofìco che si rivolge all'albero, continua a pensarlo come albero, pur in quanto isolato da tutte le strutture semantiche necessariamente implicate: A è A. Se però risolleviamo la domanda che investe il contenuto del prefìlosofìco, si può facilmente rilevare come una vera e propria risposta non sia stata data: certamente come inconscio dell'isolamento si darà pur sempre il concreto, ossia quel presupposto necessario affinché la rete isolante possa esser gettata; certamente, inoltre, gettata la rete l'isolamento interpreterà quel cui assiste come la vera natura della cosa, pur laddove in verità è solo contraddizione; e tuttavia, resta la domanda: cosa si manifesta all'isolamento? Quale l'esito, quale lo spettacolo cui s'assiste una volta gettata la rete? A questa domanda La struttura originaria, fìnanco riletta nella nuova introduzione, non risponde: se cioè appartiene alla struttura originaria della Necessità che A, come separato, sia un non-A, per tale struttura rimane ancora un problema quale sia il significato determinato del non-A che effettivamente appare. Nel concetto astratto di A appare effettivamente questo significato determinato del non-A, ma la struttura originaria non è ancora in grado di identificarlo.113

93. Ivi, p. 46.

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Si sta dicendo: certamente il contenuto dell' astrattamente astratto non può essere A, in quanto A si dà unicamente nella connessione necessaria alle altre determinazioni, ossia nel concetto concreto dell'astratto. Ad apparire, dunque, al concetto astratto dell'astratto è un non-A, un non-A che esso interpreta come A, un qualcosa d'altro dall'albero che esso interpreta come albero. L'unica affermazione che ne La struttura originaria è possibile avan7,.are a proposito di quel che è chiamato "esito" del concetto astratto dell'astratto, è che esso corrisponda a un contraddittorio dell'astratto o di A, dove ciò che resta indeterminato è se tale contraddittorio sia un contrario di A, un diverso da A, o addirittura niente. Quel che qui più importa è tuttavia cercare di offrire una comprensione del problema con cui la filosofia severiniana ingaggia un vero e proprio corpo a corpo. Da un lato, si sta cercando di render conto del contenuto di uno sguardo che, alla luce della verità, è nullo, l'impossibile A = non-A. Ci si sta chiedendo, insomma, cosa appaiaa uno sguardo che ha percontenuto propriamente l'impossibile, posto che contenuto del detto sguardo non possa essere comunque quello della verità, ché altrimenti non si renderebbe conto della distinzione. Dall'altro, è presente l'esigenza severiniana di manifestare come, a ben vedere, vero contenuto dell'astrattamente astratto sia il concreto, esso gettando la rete isolante proprio su ciò che, al contrario, isolato non è. Cucire i due lati della questione è l'operazione severiniana: in verità ali'astratto appare lo stesso contenuto del concreto, e tuttavia, gettando la rete isolante, lo sguardo astratto s'imprigiona in un contenuto altro da quello del concreto. Cercando di semplificare ulteriormente la questione con l'ausilio di un'immagine: è come se concreto e astratto si costituissero nelle vesti di punti di vista aventi, dinanzi a loro, il medesimo contenuto; e tuttavia, a rendere ragione della loro distinzione, è come se l'astratto disponesse di lenti atte a deformare quello stesso contenuto cui pure, in verità, assiste.

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Verrebbe da chiedersi: da dove questa distinzione? Da dove questo '1ancio" della rete che stiamo cercando, con Severino, di narrare in immagine? L:on è dato dalla caduta della rete, e il 3t6-tt? Contenuto dell'astratto è lo stesso del concreto, contenuto dell'isolamento della terra è la pura terra. E allora, perché l'isolamento? Donde la sua necessità? Questa domanda, a partire quantomeno da Destino della necessità, verrebbe tacciata probabilmente di nichilismo: non corrisponde forse questo a ipotizzare una possibilità altra rispetto al darsi della terra isolata? Cei_:tamente, e tuttavia il problema resta: perché la terra isolata? E necessario che tutto quel che si dà si dia così come si dà, ma il darsi di quel che si dà, la necessità del darsi di quel che si dà, è forse inchiodata al bruto fatto del suo darsi? Di più: questa distinzione tra verità ed errare, seppure tutta partorita all'interno della verità - sfondo trascendentale 6nanco della terra isolata - è forse narrata e solo narrata? È casuale questa funzione immaginifica del linguaggio severiniano94? Ricapitolando: contenuto dell'astrattamente astratto è quindi propriamente un concetto autocontraddittorio, l'impossibile. Ciò che in verità appare all'isolamento è dunque il medesimo contenuto del concreto, A in quanto A. E tuttavia, dovendosi riconoscere una distinzione tra verità ed errore, concreto e

94. La lettura di Vitiello procede probabilmente in sintonia con la linea critica qui ripresa: «Ma l'errore non è riducibile alla prospettiva della verità, alla autonegazione dell'errore. V'è ]'errore non consapevole di sé in quanto errore, v'è l'errore che nulla sa della sua autonegazione. V'è, per dirla con Severino, la posizione dell'errore, l'atto dell'errare, che non è il contenuto autonegantesi dell'errore. Come spiegare questa posizione, l'affermazione, cioè, dell'errore, affermazione che è un positivo essere, un essente, qualcosa che è, ed è, come ogni altro essente, eterno, sebbene il suo contenuto sia negativo? Come spiegare il positivo accadere dell'errore?» (V. Vitiello, Anulus Aetemitatis. Severino interprete di Nietzsche, in Id., Grammatiche del pensiero. Dalla kenosi dell'io alla logica della seconda persona, Ets, Pisa 2009, pp. 77-98: p. 91).

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astratto, Severino vi prowede identificando il contenuto dell'astratto a un aporetico non-A. Quel che più ci sembra problematico, è proprio l'istituzione ragionata di questo non-A, il darsi dell'errare, dell'astratto. Non casualmente, in questa medesima cornice Severino introduce narrazioni immaginifìche95 - è il caso della «rete isolante» - che poco hanno a che fare con il dare ragione proprio della radicalità del ì...6yoc.,00 •

9. L'aporetica del nulla Una volta pervenuti al presente stadio dell'indagine, giova ripercorrere una tematica centrale de La struttura originaria cui Severino dedica un intero capitolo: l'aporetica del nulla. Ciò risulta non più procrastinabile in quanto diverse volte, nel corso dell'esposizione, abbiamo fatto riferimento all'apertura di un aporetico luogo concettuale individuato dal darsi, sub eodem, di posizione e toglimento del medesimo contenuto. Il concetto astratto dell'astratto, si diceva, è posto come l'originariamente toglientesi, ove problematico era anzitutto il tentativo di rendere ragione dello stare insieme di posizione e toglimento, in

95. Ma, tra gli altri, è possibile fare riferimento anche al saggio La terra e l'essenza dell'uomo, in cui Severino introduce la tematica trattando della «distrazione dalla verità»; in merito, cfr. E. Severino, La terra e l'essenza dell'uomo, cit., p. 205. 96. Questa linea critica sarà ripresa e approfondita nei prossimi paragrafi e poi inquelliconclusivi. Sulpunto, cfr. F. Valagussa,L'aporiadelnulla:astrazione e narrazione, cit., pp. 139-140: «In termini vichiani, la lingua pistolare di cui Severino è certamente uno dei massimi esponenti nel contemporaneo, è davvero capace di desensibilizzare in toto il proprio dire? O non sussiste invece una dimensione metaforica, narrativa - robustamente fantastica- anche del dire severiniano? Si potrebbe parlare, allora, di un "resto" che la logica non riesce a redimere[ ... ]. E quel resto inevaso sembra alludere a un dire che venga prima della logica: il dire che narra».

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una battuta: problematica è anzitutto la figura concettuale dell"'esser posto come tolto". Da questo punto di vista l'aporetica del nulla, e nella fattispecie l'originaria risoluzione testimoniata dalla pagina severiniana, gioca un ruolo fondamentale: è in essa che a palesarsi è una chiara esemplificazione della posizione dell'impossibile nell'icastica figura del nulla, di modo che ciò consenta di pervenire a gettare maggior luce su quanto restava taciuto nei precedenti paragrafi. Non solo: è sulla base della posizione dell'autocontraddittorietà individuata dal concreto significare del nulla che può essere illuminata pure la distinzione fra contenuto contraddittorio e contraddizione97, anch'essa fondamentale tanto per la trattazione precedente quanto per quella che segue. L'aporetica del nulla coinvolge nientemeno che l'istituzione del principio di non contraddizione: nel sancire l'originaria distinzione fra essere e non essere, il principio richiede la posizione del non essere, così venendo attestata la contraddittorietà implicata dalla positività del nulla, la quale verrebbe afferma97. Su ciò, cfr. N. Cusano, Capire Severino, cit., p. 26: «"autocontraddizione" indica sia il contenuto impossibile e inesistente della contraddizione sia il suo positivo signifìcare. Negli scritti successivi, Severino utilizza più rigorosamente l'espressione "contraddittorio" per indicare il contenuto impossibile della contraddizione, e "contraddizione" (o "contraddirsi") per indicare il suo positivo signifìcare. L'espressione "differenza tra contraddirsi e contraddizione", che si incontra in molti testi severiniani, indica appunto la distinzione tra la "contraddizione" quale contenuto contraddittorio (impossibile) e il "contraddirsi" quale positivo signifìcare di quel contenuto». Sul tema specifìco tornerà pure lo stesso autore; cfr. E. Severino, Intorno al senso del nulla, Adelphi, Milano 2013, p. 109: «Tutte le volte che in tale scritto[: La struttura originaria] si afferma l'esistenza di quel "signifìcato autocontraddittorio" - "ossia" contradàicentesi - non si dice dunque che l'impossibile, il contraddittorio in sé stesso, sia, ma che la contraddizione è [ ... ].Tutte le volte che in quel libro si parla del nulla come "signifìcato contraddittorio" o "autocontraddittorio" si devono intendere dunque queste espressioni come indicanti il contradàirsi del signifìcato nulla, e cioè come indicanti, appunto, il signifìcato contraddicentesi del nulla».

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ta appunto in virtù del medesimo plesso relazionale. Di qui il sorgere dell'antica aporetica del nulla; antica, poiché è noto come questa fosse già testimoniata esplicitamente nel Sofista di Platone: «osiamo pronunciare, mi pare, l'espressione "ciò che in nessun modo è"»98• Esplicitiamo allora, sinteticamente, i termini del problema: se il principio di non contraddizione afferma l'alterità fra essere e non essere, il medesimo viene a contraddirsi proprio nella testimonian7.a di questa legge, in quanto il non essere - e proprio in quanto escluso -viene a godere di un'aporetica positività. Ne segue a mo' di corollario il rilievo che lo stesso principio di non contraddizione viene a installarsi su un'originaria aporia, quella cioè implicata dall'essere del non essere che viene posto come paradossale termine della medesima relazione d'incontraddittorietà99 • Sinora abbiamo avuto modo di indugiare diffusamente sul nesso relazionale che coinvolge concetto concreto e astratto dell'astratto, cuore pulsante della dialettica severiniana. Con l'aporetica del nulla, si ha un'ottima occasione per manifestare in concreto l'operatività della logica dialettica severiniana: in piena coeren7.a con l'originario toglimento del contraddittorio,

98. Platone, Soph., 231b 7; tr. it., Sofista, con testo gr. a fronte, a cura di B. Centrone, Einaudi, Torino 2008, p. 99. Per Severino, tuttavia, in Platone l'aporia resta solo prospettata e poi defìnitivamente accantonata. Anche Aristotele formula l'aporia, senza però rilevarla come tale: «Perciò anche il non ente diciamo essere non ente» (Aristotele, Metaph., N, 2, 1003b 10; tr. it. cit., p. 127). 99. Si tenga presente che, coinvolgendo tale aporetica pure la posizione dell'essere - ché l'essere è per essenza ciò che non è non essere-, essa va a investire la posizione di qualsivoglia signifìcato, costituendosi ogni signifìcato, anzitutto, come un "qualcosa-che-è"; cfi-. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 211: «Ma non porre l'essere signifìca non porre alcun altro signifìcato determinato, stante che [ ... ] porre un signifìcato equivale a porre una certa 7wsitività, o una certa determinazione del positivo, dell'essere».

74 il gesto severiniano non consisterà nel risolvere,sic et simpliciter, l'aporia, quanto piuttosto nell'accertarne l'originario autotoglimento, come a dire che mai un'aporia si è concretamente costituita. E tuttavia, è possibile operare tale accertamento solo una volta guadagnata la relazione sussistente fra i termini dell'autocontraddittorietà del nulla: il rilievo fondamentale consiste nell'attestare come la contraddizione del non-essere-che-è non sia interna al significato "nulla", ma piuttosto si apra fra il medesimo significato e l'essere, o la positività del significato stesso. A darsi è la contraddizione tra positività del significare e contenuto del significato, o assoluta negatività.

Mutatis mutandis, sulla base dell'aporia del nulla è possibile gettare uno sguardo sulle modalità entro cui il problema verrà a evolversi nella filosofia severiniana. Leonardo Messinese, infatti, osserva come «Il "secondo" Severino riferirà tale "autocontraddittorietà che non è" alla Terra isolata dal, Destino della verità dell'essere, la quale è "nulla" quanto a ciò che un tale apparire pretende di essere, e tuttavia non è un nulla quanto al suo "positivo significare"»100• Come si vede, il problema del nulla intesse di sé l'intera arcata della filosofia severiniana, sino a coinvolgere il sostrato teoretico sotteso da un importante concetto com'è quello della terra isolata. Per cercare di chiarire i termini in gioco, può essere utile illuminare un tratto centrale dell'ontologia severiniana: ogni significato - id est: ogni essente - si costituisce quale sintesi semantica tra positività del significare e contenuto determinato

100. L. Messinese, L'apparire del -rrwndo, cit., p. 77. Cfr. E. Severino, Fondamento della contraddizione, cit., p. 86: «la terra isolata è nulla, in quanto l'apparire separati dal Destino è impossibile, è nulla; e la terra isolata non è nulla, in quanto è il positivo significare del nulla»; e Id., La nwrte e la terra, Adelphi, Milano 2011: «la totalità del contenuto della terra isolata è, in quanto tale, nulla. Come contenuto della fede in cui consiste la terra isolata, tale totalità è quell'essente che è la totalità del positivo significare del nulla».

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di tale positività. Il significato-essente "casa", per esempio, è una sintesi tra l'essere e il contenuto determinato individuatosi nella casa: è cioè una positività determinata. È dunque chiaro come si palesi autocontraddittorietà nel caso specifico del significato "nulla": in esso, infatti, l'assoluta negatività del contenuto, il nihù absolutum, contraddice il positivo significare o essere con cui è in sintesi. Di qui s'illumina dunque la concreta strutturazione del significato nulla quale autocontraddittorietà, che include come suo momento semantico il nulla significante come nulla - ossia il nulla come significato incontraddittorio - l'altro momento individuandosi, invece, nel positivo significare del nulla101 • Compresa la situazione in questione, è possibile palesare l'originario toglimento dell'aporetica del nulla rilevando come il principio di non contraddizione, piuttosto che affermare l'inesistenza del significato autocontraddittorio, vada a sancire la differen7.a tra essere e nulla. Nella formulazione del principium finnissimum, infatti, il non essere che compare quale negazione dell'essere è il nulla valente come momento del non essere in quanto significato autocontraddittorio. L'autocontraddittorietà del nulla non implica infatti che "nulla" significhi "essere", ma piuttosto che l'assolutamente negativo sia positivamente significante; ove i momenti di tale autocontraddittorietà sono, appunto, l'essere o positivo significare e il nulla come significato incontraddittorio, il nulla come assolutamente e incontraddittoriamente distinto dall'essere.

101. Si osseivi che la positività del significare non è data semplicemente dall'essere del nulla, ma pure dal concreto contenuto semantico che conviene al significato "nulla" in quanto distinto dal significato "essere": ciò che sta oltre l'intero, il nihil absalutum, è significante in modo così complesso da includere, nella struttura del suo significato, addirittura l'intero semantico. Oltre l'intero nulla, ma il significare del nulla implica lo stesso intero semantico.

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La contraddizione, insomma, non è interna al nulla, ma piuttosto essa si determina nel «cortocircuito logico-ontologico» - prendendo in prestito una bella espressione da Mauro Visentin - che si accende quando «si pronuncia l'espressione "nulla", tra la "positività del significare" e l'assoluta negatività del contenuto significante»102.

È proprio in virtù dell'esistenza dell'autocontraddittorietà del significato "nulla" che può sussistere il principio di non con-

r

traddizione10.1: affinché si possa escludere che essere non sia - e che cioè sia non essere - è necessario che il non essere sia, id est: che sussista il significato autocontraddittorio in cui consiste quell'essere del non essere. Meglio: se il significato "nulla" non valesse come quell'autocontraddittorietà, e se dunque il nulla consistesse unicamente nel nihil absolutmn del significato in contraddittorio, allora escludere che l'essere sia nulla sarebbe un non escluder nulla, ché l'esclusione non avrebbe neppure termine alcuno su cui esercitarsi 104 . E dunque, affermare che la contraddizione è condizione del costituirsi del principio di non contraddizione, non significa certo che la negazione di tale principio ne stia alla base, ma piuttosto che il principio si costituisce solo in quanto il nulla sussiste come significato autocontraddittorio. È sulla base di tale autocontraddittorietà che si può affermare che l'essere non

102. M. Visentin, Tm struttura e problema. (Note intonw al pensiero di E. Severino), in Id., Il neoparmenidismo italiano, voi. II, Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Bibliopolis, Napoli 2011, pp. 301-426: p. 315. 103. Si può dire addirittura che, lungi da negare il principio di non contraddizione, l'autocontraddittorietà del nulla ne costituisca la condizione del suo stesso sussistere.

104. Del resto la medesima supposizione che il nulla consista unicamente in quell'assoluta negatività è autocontraddittoria, in quanto che il nulla sia proprio nulla lo si può dire anzitutto sulla base del suo manifestarsi, foss'anche del suo manifestarsi come l'assoluta negatività.

77 è non essere, ove questo non essere è il momento incontraddittorio del nulla come significato autocontraddittorio: il nulla è nulla, secondo quanto esige il principio di non contraddizione, solo in quanto il nulla incontraddittorio è momento semantico del nulla come significato autocontraddittorio. Nuovamente l'aporia sorge a causa dell'intervento dell'intelletto astratto, il quale pretenderebbe di isolare l'un momento dall'altro, nel caso specifico: il nulla assoluto dal suo positivo significare. Concetto concreto dell'astratto è invece lo sguardo che mira alla relazione di distinzione che compete ai due momenti; distinzione e non isolamento, poiché positivo significare e nulla assoluto sussistono solo nella concreta relazione istanziata dal significato autocontraddittorio1ire Severino, cit., p. 43: «La differenza tra distinzione e separazione è questa: mentre i distinti sono ciò che sono solo all'interno di una certa relazione, i separati sono ciò che sono anche al di fuori di tale relazione. Intendere il nulla-momento come separato dal suo posi-

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Se la dialettica severiniana è posizione del concreto in quanto toglimento dell'astrattamente astrato, l'aporetica del nulla ne dà un'importante esemplificazione.

9.1. Nulla e significati autocontraddittori Sempre nel capitolo IV de La struttura originaria, Severino prowede ad analizzare pure le relazioni sussistenti fra significati autocontraddittori e nulla. Come avremo modo di enucleare sulla base delle argomentazioni che seguiranno, l'aporetica che sottende la posizione dei significati autocontraddittori è infatti la medesima di quella del nulla, trattata nel precedente paragrafo. Ogni significato autocontraddittorio è il nulla, e dunque la posizione di ciascuno di questi significati - RnR, ove R indica una determinatezza qualsiasi e n la sua negazione: x non-x, R non-R, rosso non-rosso - equivale alla posizione del nulla. Da questo punto di vista, così come porre il nulla non è un non porre nulla, allo stesso modo porre l'autocontraddittorietà non è un non porre nulla: pure i significati autocontraddittori sono presenti, e pertanto sono. L'aporetica dell'essere dell'autocontraddittorietà è analoga a quella del nulla: come per il significato "nulla", anche quello dell"'autocontraddittorietà" è un significato autocontraddittorio. Rileva Severino: Che l'autocontraddittorietà sia incontraddittoriamente significante, o, che è il medesimo, che l'assolutamente negativo sia positivamente significante: questa è l'autocontraddittorietà i cui momenti sono il significato autocontraddittorio (= autocontraddittorietà-momento) e l'incontraddittorio o positivo significare del significato autocontraddittorio. 108

tivo signi6caresigni6ca credere che esso possa esistere[ ... ] anche fuori da quella relazione».

108. E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 229.

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Porre il significato RnR equivale alla posizione di un significato autocontraddittorio, i cui momenti sono il significato autocontraddittorio e il positivo significare di questo significato. Momenti che corrispondono, guardando al significato autocontraddittorio "nulla", rispettivamente, al nulla-momento e al positivo significare di questo. Momenti distinti, ma non irreùzti. Come è facile rilevare, l'operatività della logica dialettica severiniana è la medesima messa in luce con l'aporetica del nulla: attestare l'originarietà della sintesi che stringe assieme i due momenti costituenti l'autocontraddittorietà in quanto distinti, e corrispondente toglimento dell'irrelate72.a degli stessi. Se si vuole: posizione del concetto concreto dell'astratto in quanto originario toglimento dell'astrattamente astratto. Di qui Severino provvede a distinguere due tipi o sensi del-

1'autocontraddittorietà: il contraddirsi (o contraddizione) e il contenuto della contraddizione. Il primo individua il positivo significare del significato autocontraddittorio, mentre il secondo palesa il signillcato impossibile vero e proprio, il contenuto che cioè viene detto dalla contraddizione, in sintesi con la sua positiva significan7.a 100 • E dunque tutte le autocontraddizioni i cui momenti sono o il nulla-momento e il positivo significare del nulla, o un'autocontraddittorietà (RnR) e il suo positivo signillcare, non sono il nulla. Sono il nulla, al contrario, quelle autocontraddizioni nelle quali la contraddizione si costituisce come lo stesso significato, ossia quelle nelle quali i termini tra loro contraddittori sono momenti nel significato. Guadagnati i presenti elementi, siamo finalmente in grado di offrire risposta alle domande sorte a proposito del contenuto dell'esperienza astratta, o, con linguaggio successivo a La struttu.raoriginaria, a proposito del contenuto dell'isolamento

109. Ciò di cui il folle è persuaso è nulla, ma il folle non è, egli, un nulla: è reale, e agisce nel mondo.

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della terra. Contenuto dell'isolamento è propriamente il nulla, e tuttavia un nulla originariamente connesso al suo positivo significare. L'insieme dei saperi, delle pratiche, delle azioni e di quant'altro compare entro l'alone del nichilismo è positivo significare del nulla.

9.2. Autocontraddittorietà e distinzione Va senz'altro segnalato come la tematica dell'aporetica del nulla sia stata certamente una delle più discusse, in sede critica, della fìlosofia severiniana. Tante sono le posizioni che si sono misurate proprio facendo i conti con essa, e in questo paragrafo cercheremo di esplicitare quelle che, da parte nostra, ci sembrano le più rilevanti sotto un punto di vista teoretico. Ricordiamo, in sintesi, come il nucleo speculativo relativo ali'aporetica consista nell'attestare la natura della relazione che innerva il significato autocontraddittorio del nulla, relazione che garantisce tanto la posizione del principio di non contraddizione quanto la possibilità che il significato "non essere" venga escluso. Una critica del detto dispositivo proviene, ancora una volta, da Massimo Donà. Se il nihil absolutmn è sempre da pensare in sintesi col momento del suo positivo significare - poiché altrimenti neppure potrebbe palesarsi discorso alcuno su di esso-, si domanda: com'è possibile che ciò garantisca la distinzione fra essere e non essere che intenderebbe porre il principio di non contraddizione? Se a esser posta è questa originaria e intrascendibile inseparabilità dei due momenti del significato autocontraddittorio, non andrebbe attestato, piuttosto, il fatto che il nulla si dia solo ed esclusivamente nel suo positivo significare, e dunque nel suo essere o nella sua presen7.a? E quindi, dandosi il nulla solo ed esclusivamente come momento della sintesi originaria dell'autocontraddittorietà- così come a darsi è ogni essente o significato-, non si sta forse dicendo che il principio di non contraddizione, lungi dal far valere la distinzione tra essere

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e nulla ne sancisca, piuttosto, la loro originaria in-distinzione? L'essere non riesce a determinarsi come altro dal proprio altro, il proprio altro essendo quell'assoluta negatività che, proprio in quanto originariamente in sintesi con il suo positivo significare, vale come essente essa medesima. Scrive Donà: Infatti, se il 'nulla è nulla', o 'significa nulla', in quanto nulla, esso non è altro dal suo positivo significare. Anzi, è proprio quel positivo significare che Severino astrattamente distingue dall'essere-nulla del nulla. Fermo restando che distinguere 'astrattamente' non vuol dire 'separare' ciò che sarebbe solamente distinto; ma indica piuttosto il semplice distinguere, che è proprio quel che in questo caso non può essere assolutamente istituito. E non può esserlo, appunto perché [ ... ], la positività del significare è già inclusa in ciò che quel significare (il significare come nulla da parte del nulla) significa, e dunque lo determina ab origine. Anzi, lo fa essere ciò che è - è infatti solo nel positivo significare come nulla (il nulla è nulla) che il "nulla è nulla". 110

Pensato come altro dall'essere, il non essere è appunto positivamente significante, è. Ma è allora nell'essere che si palesa il nulla, è nel positivo e solo nel positivo che a palesarsi è il negativo111. L'essente e il significato sono la base all'interno della

110. M. Donà, L'aporia del, fondamento, cit., p. 200. 111. Sull'aporetica del nulla, entro una linea critica che si avvicina alla tesi qui avanzata, e cioè all'impossibilità di distinguere il nulla-momento incontraddittorio dal nulla come sintesi autocontraddittoria, segnaliamo pure V. Vitiello, Topologia del moderno, Marietti, Genova 1992, pp. 243-245. Lo stesso Vitiello, inoltre, ha avanzato un rilievo estremamente interessante per cui, interpretando l'autocontraddittorietàcome insignificanza, e riconoscendo a quest'ultima la positività, l~è" del Jl.atus vocis, sostiene che «ci siamo sottratti alla tirannia del 'significato', alla pretesa aristotelica, alla hrjhris della 6losofìa di considerare h6moios phyto colui che non parla signifìcando» (Id., Aporia - Contradàizione - Insignificanza, in «Il Pensiero», LI, n. 2, 2012 pp. 127-136: p. 131).

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quale solamente si manifesta !'in-determinato, quella negazione che essi stessi recano in sé. Quel che va posto in questione, insomma, è che realmente possa sussistere la relazione di originaria distinzione che Severino attesta fra i due momenti del significato autocontraddittorio. In questo gesto, in quest'operatività volta a sancire la relazione di distinzione fra nulla-momento e positivo significare del nulla, consiste una cellula fondamentale della logica severiniana. Sotto questo punto di vista, la critica di Donà mostra come trattare dell'autocontraddittorietà assimilandola a una relazione di distinzione, e non d'identità, sembrerebbe essere operazione parziale. Porre l'un momento è porre l'altro, porre l'altro è porre l'uno: i due momenti sono indistinguibili. Se una distinzione viene apportata, ciò viene effettuato unicamente a livello linguistico, ove l'incapacità del linguaggio a rendere la simultaneità della cosa non va tuttavia trasferita alla cosa stessa, andando quindi a distinguere con Severino i due momenti dell' autocontraddittorietà. Sempre in sede critica, una prospettiva alternativa rispetto al dispositivo severiniano è certamente quella elaborata da Luigi Vero Tarca. L'idea teoretica è quella di individuare un piano originario dell'essere che non rovini, sic et simpliciter, nella reciprocità propria della determinazione negativa dei significati conforme al principio omnis detenninatio est negatio. La via tracciata da Tarca fa richiamo alla diversità tra l'essere come differen7.a (o positività) e l'essere come negazione112, venendo corrispettivamente a dischiudere un ori7.l.onte per cui il passaggio alla determinazione negativa dei significati, che ovviamen-

112. Si tratta della diversità tra l'essere come positivo e l'essere come negativo, ossia l'essere come non-non-essere. L'essere positivo si distingue dall'essere-in-quanto-non-non-essere, ove la distinzione va qui diversificata dalla negazione.

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te la fa da padrone entro la dialettica severiniana, risulterebbe solo possibue e non necessario. Assunto questo punto di vista in relazione alle problematiche qui sollevate, se ne guadagna un approccio ali'ente per cui, concepito nel suo isolamento dal piano logico-negativo, non verrebbe affatto a rovinare necessariamente nell'originario autotoglimento. Che I'astrattamente astratto sia contraddittorio, insomma, vale da un ben preciso punto di vista, ossia quello per cui la relazione dell'essente al proprio altro viene a tradursi in quella elenctico-negativa 113• Ambedue le vie tracciate da questi indirizzi critici intendono dunque "disegnare" un orizzonte alternativo rispetto a quello severiniano. Andando a scavare nelle aporie proprie della struttura originaria, Donà fa richiamo all'immanente contraddittorietà che s'annida entro il principio di non contraddizione, mentre Tarca fa invece appello ali'essere quanto alla sua positività. Che sia una differen7..a sen7..a negazione (Tarca), o una negazione sen7..a differen7.a (Donà) 11 4, ambedue i pensatori enucleano le supposte aporie che la struttura originaria lascerebbe irrisolute.

113. Confonnemente al principio per il quale ciascun essente o signifìcato si costituisce anzitutto come immediata negazione di tutto ciò che da esso è altro. Che tale principio abbia valore elenctic:o viene sancito in quanto, negarlo equivarrebbe ad affennarlo, esso essendo proprio il principio della logica negativa. Per la prospettiva speculativa individuata da Tarca, la quale fa leva sulla differenza tra diversità e negazione, invece, non è affatto necessario che la detenninatezza si ponga come identica a sé esclusivamente con la negazione dal proprio altro. Su ciò si veda, in fonna più estesa: L.V. Tarca, Differenza e negazione. Peruna filosofia positiva, La Città del Sole, Napoli 2001; Id., Elenchos. Ragione e paradnsso nella filosefia contemporanea, Marietti, Genova 1993; in relazione al tema specifìco dell'aporetica del nulla, e inoltre in forma più ridotta, cfr. Id., Negazione del non essere e verità dell'essere, in «Il Pensiero», LI, n. 2, 2012, pp. 153-168. 114. Per la teorizzazione del presente plesso, cfr. anzitutto M. Donà, Sulla negazione, Bompiani, Milano 2004, p. 15: «ad accadere è in primis, il nondistinguersi dell'essere dalla propria negazione».

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Potremmo concludere questo primo capitolo dell'elaborato prendendo a nostra volta misura rispetto alla filosofia severiniana, indicando una via per certi versi differente da quelle qui suggerite. Giunti a questo punto, ci pare necessario rilevare come la filosofia severiniana possa senz'altro essere riletta nei termini della più estrema radicali72.azione di quel cui la tradizione occidentale s'è riferita come al fondamento della propria logica: il principio di non contraddizione. Non è casuale che ambedue gli indirizzi critici qui passati in rassegna, tanto Donà quanto Tarca, si confrontino col pensatore bresciano proprio a partire da una presa di posizione quanto alla pspmo-c