122 55 11MB
Italian Pages [546] Year 1986
Enzo Bandelloni
ELEMENTI DI ARCHITETTURA TECNICA Quarta edizione ampliata e aggiornata a cura di Paolo Andriolo Stagno Giorgio Baroni e Francesca Franchini
CLEUP
EDITORE-PADOVA
Prima edizione: settembre 1970 Seconda edizione: marzo 1975 Terza edizione: maggio 1982 Quarta edizione: aprile 1986 Ristampa corretta: febbraio 1991 Ristampa: febbraio 1995 Ristampa: maggio 1998
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CLEUP - Cooperativa Libraria Editrice dell'Università di Padova © 1986 by "CLEUP EDITORE" PADOVA
INDICE
Prefazione alla prima edizione del 1970 di Enzo Bandelloni Prefazione alla terza edizione del 1982 di Pierluigi Giordani Cap.
1
ESPRESSIVITÀ' DELLE STRUTTURE NELLO STUDIO DEL L'ARCHITETTURA TECNICA
IX XI
1
Cap.
2
IL PROBLEMA TECNICO STRUTTURALE
13
Cap.
3
IL LEGNO Proprietà e prove relative ai legnami Classificazione dei legnami Principale impiego dei legnami Difetti dei legnami Applicazione dei legnami come elementi costruttivi Lavorazione del legno
29 30 32 34 34 35 35
Cap.
4
I MATERIALI LAPIDEI
39
Cap.
5
CERAMICI - LATERIZI
47
Cap.
6
I LEGANTI - LE MALTE Le malte Malte addittivate Malte pronte
55 58 59 60
Cap.
7
LE MURATURE Definizioni . Materiali impiegati nelle murature Nomenclatura delle murature Murature con funzione strutturale Caratteristiche fisico-tecniche delle murature Caratteristiche estetiche delle murature Nomenclatura delle parti costitutive le murature laterizie . . Prove per la determinazione della resistenza e del carico ammissibile Carichi gravanti sulle murature Cenni sulle murature non laterizie Norme costruttive
61 61 61 62 63 66 66 67 74 76 83 84
VI
Cap. 8
MATERIALI SINTETICI E METALLICI NON FERROSI Le resine sintetiche I bitumi Materiali non ferrosi
Cap.
ILFERRO I materiali ferrosi Requisiti fondamentali dell'acciaio Caratteristiche dell'acciaio Caratteristiche negative Caratteristiche positive Acciai speciali Formati e denominazioni Esempi profilati a doppio T Norme per la progettazione Acciai da costruzione Collegamenti Confronto acciaio calcestruzzo armato
91 94 95 96 97 99 99 100 1 02 104 106 109 122
IL CALCESTRUZZO ARMATO Cenni storici II calcestruzzo di cemento Il cemento Gli inerti La ghiaia L'acqua Il calcestruzzo Tensioni ammissibili Controllo di qualità del conglomerato L'armatura metallica Casse forme e sostegni per
135 136 156 156 163 164 167 167 181 182 187 198
9
Cap. 10
il
85 85 89 89
getto
Cap. 1 1
CALCESTRUZZO ARMATO PRECOMPRESSO Raffronto fra strutture precompresse e strutture in e.a. . .. I materiali Criteri di calcolo Regolamentazioni legislative Cause e valutazioni delle cadute di tensione Sistemi di precompressione Pregi del conglomerato precompresso
203 204 < 205 209 212 212 212 214
Cap. 12
LE FONDAZIONI Classifica e resistenza dei terreni Le fondazioni Fondazioni in superficie
217 218 228 228
VII
Fondazioni lineari o continue Fondazioni a plinti Fondazioni a trave rovescia Fondazioni a platea Fondazioni in profondità Pali costruiti fuori opera Pali gettati in opera Statica dei pali Formule di stabilità dei pali Stabilità dei pali in gruppo Prove di carico sui pali Le fondazioni speciali Cassoni autoaffondanti Cassoni pneumatici Pali ad elementi Palancole Diaframmi in calcestruzzo Consolidamento del terreno
229 230 231 232 233 234 237 247 249 251 253 255 256 257 258 259 260 261
Cap. 13
ISOLAI Solai in legno Solai in calcestruzzo armato Solai in laterizio e e.a Solai in acciaio
265 265 267 270 280
Cap. 14
LE COPERTURE Coperture a volta Coperture a falda Strutture sottotegola per edifici civili Coperture piane Il manto di copertura
289 289 294 300 302 304
Cap. 1 5
LA PROTEZIONE CONTRO L'UMIDITA' Isolamento dall'umidità sotterranea Isolamento dagli agenti atmosferici Barriera al vapore
311 311 314 318
Cap. 16
PROBLEMI ACUSTICI Materiali acustici L'isolamento acustico La correzione acustica
321 325 326 335
Cap. 1 7
PROBLEMI TERMICI Richiami di trasmissione del calore
339 339
Vili
Normativa italiana Tecniche di architettura bioclimatica
341 348
Cap. 18
LE SCALE Tipo di collegamento verticale Tipologia della scala Norme di progettazione Dimensionamento Struttura
357 358 359 363 366 367
Cap. 1 9
I SERRAMENTI Tipi di serramento Caratteristiche strutturali del serramento Particolarità dei serramenti metallici Vetri
377 379 392 398 401
Cap. 20
OPERE DI FINITURA Intonaci Tipi di intonaco distinti per tipo di lavorazione Pavimenti Rivestimenti Tinteggiature e coloriture
403 403 405 407 418 422
Cap. 21
CENNI SULL'INDUSTRIALIZZAZIONE DELL'EDILIZIA E LA PREFABBRICAZIONE La progettazione per l'edilizia industrializzata
427 431
Cap. 22 IL PROGETTO, LA CONDOTTA, LA CONTABILIZZAZIONE DEI LAVORI E I COLLAUDI Introduzione Compilazione del progetto Approvazione del progetto Appalto Gara di appalto Contratto Esecuzione dei lavori e loro condotta Contabilità dei lavori Revisione dei prezzi Riserve Collaudo tecnico-amministrativo Disciplina per le opere in conglomerato cementizio (semplice, armato e precompresso) e per le strutture metalliche. FAC-SIMILE DEGLI ATTI RELATIVI ALLA CONTABILIZZAZIONE DEI LAVORI. . . .
435 435 438 460 463 465 477 478 486 493 495 497 499 507
Prefazione alla prima edizione del 1970
Questa raccolta di appunti dalle lezioni di Architettura Tecnica che completa e integra le dispense redatte e pubblicate a cura degli studenti durante gli anni scorsi, non deve essere considerata un testo completo della materia ma soltanto un agile ausilio per un primo approccio alla molteplicità di fattori che sono alla base dei problemi tecnico-strutturali inerenti alle costruzioni. Per chi volesse approfondire la materia è riportata per ogni sìngolo capitolo una bibliografia essenziale, alla quale si è largamente attinto sia nella stesura del testo che nella scelta delle illustrazioni. Per ciascun materiale trattato è stato anche succintamente riportato il procedimento per dedurre il costo analitico dello stesso, onde dare un'indicazione seppure sommaria del fattore economico che sovente è alla base per la scelta di un materiale, e che qualche volta non è sufficientemente considerato dal progettista. E' stato invece amplìamente trattato in un capitolo a parte, l'aspetto economico-amministrativo e burocratico che è conseguente ad un progetto, riportando nella bibliografia le principali leggi e norme che possono interessare l'ingegnere civile nell'esercizio della professione. Hanno collaborato gli assistenti ing. Paolo Andriolo-Stagno, ing. Pino Bottacin, ing. Paolo Schwarcz, arch. Piero Mansutti ai quali va un grato ringraziamento per la non lieve fatica.
Enzo Bandelloni
Prefazione alla terza edizione del 1982
Ancora nel 1978 l'indimenticabile amico Prof. Enzo Bandelloni, Ordinario di Architettura Tecnica in questo Istituto, aveva deciso di por mano ad una riedizione del suo testo dì Elementi dì Architettura Tecnica, aggiornandolo secondo le nuove normative ed adattandolo a quanto la sua esperienza didattica e scientifica gli era venuta suggerendo, anche per ciò che riguardava una più attuale ripartizione degli argomenti. La tragica sua scomparsa nel dicembre di quell'anno purtroppo impediva anche il solo avvio concreto dell'operazione, che fino ad allora si era limitata a costruttivi scambi di idee con i collaboratori al suo corso. Esaurite ora anche le ultime scorte del volume, non è apparsa conveniente una semplice ristampa dell'opera, che da anni è adottata come testo anche da altre Facoltà di Ingegneria. Il Prof. Giorgio Baroni, l'Ing. Paolo Andriolo Stagno e l'Ing. Francesca Franchini, allo scopo preminente di perpetuare il ricordo del Prof. Bandelloni tra docenti e discenti, hanno ora provveduto ad un generale aggiornamento ed ampliamento del testo, previa una attenta rilettura e mantenendo la validissima struttura di base del volume. In particolare P. Andriolo Stagno ha curato la revisione dei capitoli dal n. 9 al 13, adeguandoli alle nuove norme sull'accettazione dei materiali e sulla progettazione ed esecuzione delle strutture in acciaio e in calcestruzzo armato, nonché di quelli relativi alle coperture, alle scale, ai serramenti, alle opere dì finitura ed alle norme per il progetto e la condotta dei lavori edili; G. Baroni ha rivisto i primi quattro capitoli ed ha integrato ed in parte rielaborato i capitoli n. 5, 6, 15, 16 e 21 sui ceramici e laterizi, sui leganti e le malte, sulla protezione contro l'umidità, sui problemi acustici e sull'industrializzazione edilizia; F. Franchini ha infine redatto ex novo i capitoli n. 7 sulle murature, n. 8 sui materiali sintetici e su quelli metallici non ferrosi ed il capitolo n. 17 sui problemi termici, in relazione anche alle recenti norme sul contenimento dei consumi energetici.
Pierluigi Giordani Direttore dell'Istituto di Architettura e Urbanistica dell'Università di Padova Gennaio 1982
CAPITOLO PRIMO
ESPRESSIVITÀ DELLE STRUTTURE NELLO STUDIO DELLA ARCHITETTURA TECNICA Pier Luigi Nervi nel suo volume ''Scienza o arte del costruire" pone la domanda se il costruire sia prevalentemente un'arte, ossia un atto creativo dominato e determinato da elementi umani ed individuali, o non piuttosto un fatto eminentemente scientifico, regolato da formule impersonali colleganti in modo rigido ed univoco premesse di problemi a precise conseguenze di soluzioni. La risposta a detta dello stesso Nervi non può essere che unica: il costruire è arte pur nei suoi aspetti più tecnici, cioè quelli che si riferiscono alla stabilità delle strutture. Infatti anche l'indagine strutturale più esatta condotta sia pure con procedimento matematico complesso, presenta sovente una limitata acutezza che può essere integrata e completata solo mediante un lavoro personale di intuizione e comprensione dei fenomeni statici, non certo traducibile a mezzo di leggi di carattere assoluto e numerico. In ogni opera di progettazione è necessario quindi impostare i problemi che, considerando il fatto estetico insito nell'opera, possano permettere di fondere in un tutt'uno, organico ed indiscindibile. le esigenze della tecnica con quelle dell'arte, che è in fondo il presupposto primo per chiunque voglia operare con coscienza nel campo delle costruzioni. E' impensabile infatti una qualsiasi struttura, e non solo edilizia, che risponda soltanto a qualcuno dei quesiti posti all'atto della impostazione del problema, ad esempio alla sola funzione estetica, o strutturale, o economica (fattore quest'ultimo di fondamentale importanza e più volte trascurato dai progettisti), ma per risultare "riuscita" dovrà poter fondere nel suo complesso tutto quell'insieme di fattori che sono di estetica, di funzionalità, di staticità e di economia che compongono un'opera e la qualificano soprattutto nel tempo, anche in relazione ai gusti e alle mode che quasi sempre sono passeggeri. Ogni elemento, ogni organismo, ogni struttura ha una propria funzionalità e nel contempo una propria esteticità, cioè sotto certi aspetti costituiscono deglf strumenti che adempiono a determinate funzioni, e possono perciò essere considerati come degli utensili, e sotto altri possono essere invece riguardati come degli oggetti d'arte nelle opere d'arte. Soprattutto interesserebbe conoscere il motivo per cui il nostro spirito è disposto a riconoscere bella una struttura genuinamente concepita nell'organizzazione unitariamen-
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te totale di fattori razionali e di fattori fantastici. L'architettura, o più genericamente l'arte, è un linguaggio: linguaggio per chi si esprime e linguaggio per chi legge e cerca di penetrare e di interpretare le ragioni che hanno fatto concepire quella determinata forma nella mente e poi nell'opera dell'artefice. Come tutti i linguaggi è quindi costituito da delle parole, dei vocaboli, che nel contesto più ampio di uno scritto o di una poesia assumono una particolare individualità. I vocaboli sono raccolti nei dizionari, e rappresentano degli strumenti per esprimersi che una volta inseriti nel ritmo compositivo, possono essere trasformati dall'artista ed assumere quindi delle nuove utilizzazioni che possono dare ai semplici vocaboli anche delle nuove significazioni. L'architettura tecnica è appunto una raccolta analitica dei singoli vocaboli che sono indispensabili al progettista che si esprime nella sua opera a mezzo di un linguaggio tecnico ed estetico; può essere paragonata ad un vasto dizionario che raccoglie catalogando ed analizzando criticamente le singole voci, che insieme composte con l'aiuto della grammatica e della sintassi cioè con i modi di comporre e di unire correttamente le singole voci — costituisce il linguaggio architettonico, cioè l'espressione della composizione architettonica, che dovrebbe rappresentare appunto il passo ultimo a partire dal singolo vocabolo, cioè dal dizionario, attraverso le regole grammaticali e sintattiche per giungere ad accendere la fantasia nella fase della composizione, ove — solo per chi è dotato - si può raggiungere la poesia. Da ciò si deduce l'importanza dell'approfondimento nello studio dell'architettura tecnica, cioè della precisione dei vocaboli, come elementi tecnici, che possono essere sia elementi strutturali che distributivi, che sempre sono perfezionabili nella loro catalogazione, e quindi inseribili in dizionari — cioè nel bagaglio delle cognizioni tecniche di ciascuno — attraverso una cristallizzazione di perfezionamento che è tecnico, applicativo ed anche estetico. Nell'architettura si dovranno quindi attentamente esaminare tutti gli elementi, ordinandoli e catalogandoli, in quanto sono proprio questi elementi, cioè i materiali, le strutture, le linee, i volumi, i colori, che rappresentano i segni del linguaggio architettonico che permettono di leggere nell'opera la proiezione di noi stessi, come singoli operatori o come artisti, unitamente alla società ed alla civiltà a cui si appartiene. Non è da dimenticare che vi sono infatti degli aspetti di artisticità dovuti ai singoli individui ed altri dovuti al "gruppo". Tale considerazione era soprattutto valida nei secoli passati ove un qualsiasi cittadino inserito in una tradizione trovava la vera identità grazie alla costrizione che gli imponeva di rispettare quanto di vincolante era stato elaborato, cioè il canone delle autorappresentazioni ammesse dalla collettività. Nulla era allora ammissibile al di fuori dell'esistenza di gruppo, che visivamente si rappresentava nell'estetica di gruppo, ed esempio di un tale modo di intendere la civiltà è attorno a noi, nelle nostre antiche città ove, per
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chi sappia leggerla, ogni opera chiaramente rappresenta oltre all'individualità dell'artista, lo spirito e la società del tempo. A questo proposito sembra non inutile molto brevemente accennare allo sviluppo successivo delle tecniche costruttive con particolare relazione alle conseguenze e all'impiego dei materiali, in quanto il problema tecnico strutturale dell'architettura è in fondo l'oggetto del corso di Architettura Tecnica, chiamato anche in altre facoltà come corso di Elementi Costruttivi. E' però necessario cercare di analizzare in profondità e con impegno culturale il problema della struttura, fin dalle sue origini, alle sue significazioni, ragioni e successivi' aggiornamenti per poter affrontare con un sufficiente bagaglio di nozioni, di tecnica, di cultura e di arte, i problemi di oggi che sono di grande importanza e di notevole mutevolezza, dato il continuo aggiornamento che la nascita e la sperimentazione di nuovi materiali richiede. La tecnica costruttiva fin dalle sue origini, per secoli, si è basata su tre elementi fondamentali che sono legno, pietra e laterizio; solo da poco con l'applicazione del calcestruzzo armato, del ferro, delle materie plastiche, del vetro ed in genere dei materiali odierni, la tecnica costruttiva si è rapidamente evoluta, creando un nuovo linguaggio tecnico ed estetico, che è in continua fase di sperimentazione, di sviluppo e di controllo. L'elemento costruttivo originario, che più volte ritroveremo nello sviluppo del corso è il trilite, costruito da due piedritti o pilastri e superiormente da un architrave, detto anche traverso o orizzontamento, vincolato alle strutture verticali da semplice appoggio, Fig. 1.1. Il materiale impiegato è generalmente lapideo e la struttura presenta un fondamentale errore di impostazione statica cioè quello di caricare la pietra disposta orizzontalmente su due appoggi, e assoggettarla quindi a sollecitazioni di flessione e taglio, contrarie alle caratteristiche fisiche e tecnologiche proprie del materiale. L'uso della pietra come elemento strutturale orizzontale, date le sue limitazioni più avanti accennate, portò a particolari determinazioni formali, che in pratica costituirono l'aspetto estetico delle architetture di quei periodi, e basti pensare ai templi greci, ove la necessità di contenere gli orizzontamenti entro luci modeste, condizionò l'interasse tra i pilastri e le colonne, investendo tutta la costruzione con una serie di misure reciproche e di rapporti dimensionali tra i singoli elementi e tra le varie partiture, che rappresentarono anche il senso di una particolare sensibilità formale che fu di ricerca di raffinata proporzione e di un gusto che investì e configurò ogni rappresentazione di quella civiltà. L'architettura romana nacque e si sviluppò sotto il segno della riscoperta di due elementi fondamentali, il laterizio, come elemento costitutivo delle fabbriche e l'arco come elemento di stabilità e di struttura delle stesse. I primi laterizi furono infatti adoperati dalle civiltà orientali, a partire dal 2000 a.C, come testimoniano gli scavi eseguiti in India, a Lothal. che portarono alla luce un forno per mattoni e in epoca anche precedente in Mesopotamia e Babilonia, ove con tale materiale vennero eseguite costruzioni maestose di
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cui ancora oggi restano evidenti tracce. Con i romani il laterizio, cioè l'elemento parallelipedo di argilla impastata, formato e cotto in fornace, divenne il simbolo e la visione di un fatto costruttivo del tutto nuovo. E' però da dire che negli elementi dell'architettura romana il muro o l'arco non era co-
Fig. 1.1 — Porta dei Leoni a Micene.
struito interamente in mattoni, ma di solito questi ne costituivano il paramento esterno, la cassaforma dell'anima della struttura che di solito era il calcestruzzo, opus cementicium, cioè un conglomerato di sostanze solide, o aggregati, e di materie cementizie, quali le calci idrauliche ed il cemento Portland, che era ben conosciuto dai romani, come ci ricorda Vitruvio nella descrizione delle specificazioni tecniche (Vitruvio, De Architectura, 1,2 e 11,4). Infatti come fa notare uno studioso inglese (W. Perkins, Roman concrete and Roman palaces, "The Listener" nov. 1956): "Molti visitatori lasciano Roma senza sospettare che il Pantheon e le Terme di Caracalla non sono assolutamente edifici in mattoni. In effetti i mattoni sono soltanto un rivestimento superficiale, il cui scopo principale era quello di rendere piana la superficie e di contenere il nucleo di calcestruzzo quando questo non era ancora ben essiccato. Un altro comune errore è la convinzione che i mattoni spesso incorporino quelli che ovviamente sembrano elementi strutturali, co-
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me archi di sostegno, sopraporte e finestre. Questa credenza ha portato alcuni studiosi a parlare di volte romane in termini di raccolta e trasmissione di spinte, come se un edificio romano in calcestruzzo fosse un organismo dina-
Fjg. 1.2 — Archi romani sulla via Nova, ai piedi del Palatino.
mico nello stesso senso, ad esempio, di una cattedrale gotica. La verità è che una volta asciugato, il calcestruzzo romano era quasi del tutto inerte. Gli archi di sostegno e simili elementi avevano senza dubbio una notevole importanza durante la costruzione; ma l'edificio, una volta terminato, si reggeva grazie alla grande resistenza ed alla monoliticità del calcestruzzo stesso. Muri e volte potrebbero, in teoria, essere costruiti nella forma preferita dall'architetto, purché la struttura progettata fosse abbastanza resistente da sostenere
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il suo stesso peso", Fig. 1.2 e 1.3. La struttura ad arco era già nota agli egiziani verso il 2000 a.C. come testimoniano numerosi reperti, fu poi in pratica negletta dai greci che preferirono la struttura architravata, e ripresa invece dagli etruschi che ne fecero
Fig. 1.3 — Arco romano con struttura in calcestruzzo.
largo uso, come ad esempio nelle mura di Perugia, nell'arco cosiddetto di Augusto per la superficiale aggiunta d'epoca romana. L'arco romano è generalmente semicircolare, privo di stabilità se le sue spalle non sono sostenute da solidi muri, atti a sopportare la spinta dell'arco, e se i pilastri di sostegno non solo altrettanto solidi. Da ciò ne consegue l'aspetto estetico delle strutture romane, ove archi e volte realizzati senza catene erano impostati su grandi e massicci piedritti, la cui dimensione per il principio delle resistenze passive, era necessaria per assorbire entro il nocciolo d'inerzia della base la risultante delle forze dovute al peso proprio ed alla spinta dell'arco. Tali principi costruttivi, dopo un periodo susseguente alla caduta dell'Impero romano, di notevole regresso e di abbandono delle tecniche divenute ormai tradizionali, trovarono applicazione nel Medio Evo, dopo il Mille, e caratterizzarono formalmente con la loro espressività le strutture dell'architettura romanica, nella quale venne approfondito ed affinato il gusto tutto romano per la lavorazione delle murature con elementi di laterizio, con materiali lapidei. Il principio prima accennato delle resistenze passive, fu quello che informò staticamente le costruzioni di quel periodo, ed in particolare gli edifici religiosi, le cattedrali romaniche le quali, con le due navate affiancate a quella principale, costituivano un efficiente sistema per lo scarico sul terreno delle spinte degli archi e delle volte che coprivano lo spazio. Nella continuità muraria di queste costruzioni si può individuare uno
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scheletro resistente, formato da pilastri o costoloni necessari a scaricare la spinta degli archi; le altre parti dell'involucro — i muri perimetrali e i campi delle volte tra un costolone e l'altro — sono addossati a questo scheletro più o meno strettamente, ma quasi sempre distinguibili con chiarezza. Tutti gli elementi contribuiscono alla stabilità della costruzione. I nodi struttrali affiorano all'esterno, sotto forma di costole e contrafforti, ripetendo i ritmi delle campate interne; i piedritti centrali possono snellirsi in colonne, essendo le resistenze maggiormente affidate alle murature esterne realizzate di notevole spessore per assorbire appunto le spinte degli archi e delle volte. La forma architettonica evidenziata è così essenzialmente in funzione della struttura. Praticamente nello stesso periodo, ma particolarmente fuori d'Italia, sorsero le architetture gotiche, come le grandi cattedrali di Francia e di Inghilterra, nelle quali l'applicazione del materiale lapideo perse quella ottusità statica e pesantezza visiva che, come si è già visto, aveva caratterizzato le costruzioni romane e posteriori; con i gotici il materiale letteralmente vibrò nello spazio con una leggerezza fino allora sconosciuta, rappresentando visivamente con estrema eleganza e raffinatezza la realtà degli sforzi di sostegno e contrasto di quelle arditissime strutture. I caratteri costitutivi dell'architettura gotica sono ben noti; essi sono l'arco acuto, l'arco rampante e la volta a nervature. E' da dire però che nessuna di queste strutture è puramente un'invenzione gotica, ed infatti archi acuti e rampanti compaiono in precedenti chiese romaniche, ma gli architetti di quel periodo combinarono insieme i vari elementi secondo il principio delle resistenze attive, ottenendo l'eccezionale risultato estetico di animare e vibrare le inerti masse murarie accelerandone il movimento spaziale per ridurre l'edificio ad una visibile struttura di linee di forze tra loro intersecantesi. I vantaggi tecnici di tale soluzione sono anche molteplici: innanzi tutto mentre la volta a botte di tipo romano scarica le forze lungo tutta la linea costituita dai due muri perimetrali corrispondenti all'imposta, le volte a crociera permettono lo scarico su soli quattro punti; l'arco acuto permette altresì al costruttore di voltare coperture svincolate dalle piante rigidamente quadrate e di dare a queste con una maggiore verticalità uno slancio visivo più accentuato. Dal punto di vista costruttivo venivano eliminate le costose armature lignee lungo tutta la lunghezza e la larghezza, necessarie per la costruzione delle volte a botte o di quelle a crociera romaniche, perché con la volta a nervature le armature di sostegno erano limitate ai soli archi trasversali ed alle costolature, mentre per gli spicchi di riempimento, tra di loro indipendenti, veniva applicato un sistema leggero di centinatura mobile. La volta infatti era pensata e realizzata come composta da più volte secondarie che ricoprivano gli spazi lasciati libere dalle costolature (elementi di struttura), realizzando così un perfetto sistema spaziale elastico, Fig. 1.4, 1.5 e 1.6). E' da accennare anche al concetto veramente "moderno" dell'ideazione dell'edificio gotico, nel quale le pareti perdono la loro pesantezza e di-
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mensione e quindi l'essenza di maschi murari; gli elementi di chiusura addirittura scompaiono, sostituiti da grandi policromie vetrate tra gli esili elementi strutturali - linee di forza - che contrappuntano con un perfetto linguag-
Fig. 1.4 - Schema strutturale di una volta gotica.
gio tecnico ed estetico tutta la costruzione. Un moderno e famoso scienziato, il Danusso (in "Quaderni della Fondazione Pesenti", 1949) nota a proposito di queste strutture che alla luce delle conoscenze di oggi sembrano impensabili: "Quando penso alla struttura delle cattedrali gotiche, che incanala lungo una sapiente ramificazione il flusso delle forze per guidarlo nella sua discesa sino ai fusti ed alle radici; quando penso al turbamento che devono aver provato e virilmente superato gli ideatori e costruttori di colossi come le Terme di Caracalla, o le cupole del Pantheon, di Santa Maria del Fiore, di San Pietro, vedendole sorgere nella loro imponente realtà, quando penso tutto questo, non posso che riconoscere la precedenza storica dell'intuito sulla scienza, ed inchinarmi sulla sua potenza creatrice". Dopo notevoli ed interessanti esperienze gotiche, filtrate in Italia però attraverso gli influssi delle tradizioni locali e basti per questo pensare ai monumenti dell'Italia centrale ed alle splendide, uniche architetture di Venezia, verso il 1500 fiori e proprio dall'Italia, da Firenze e Padova, quella cultura rinascimentale che con le sue speculazioni filosofiche, con le sue eccezionali personalità artistiche e le sue realizzazioni può essere considerata come punto di partenza della cultura moderna, e non solo nel campo dell'arte. Fu il periodo dei grandi trattatisti, come Leon Battista Alberti, il Serbo, il Palladio, lo Scamozzi, il Vignola, che con le loro opere tentarono di cristallizzare entro normative e schemi i modi e le varie forme di comporre e costruire gli edifici, rifacendosi ai grandi esempi del passato che furono riscoperti, studiati ed analizzati fin nel profondo. I materiali prevalentemente lapidei impiegati nelle strutture delle fabbriche vennero trattati e
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plasmati con un sentimento estetico tale da assumere delle valorizzazioni espressive che ne caratterizzarono l'impiego; anche l'intonaco, prima scarsamente impiegato, acquistò la dignità di materiale come elemento tecnico
Fig. 1.5 - 1.6 - Chiesa di S. Anna ad Annaberg (1499). Pianta e particolare della volta.
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e decorativo, mentre apparirono le prime applicazioni del ferro usato come elemento per contrastare le strutture spingenti, cioè come catena per archi e volte. Il seicento approfondi i grandi concetti già espressi nel secolo precedente superandoli nelle innovatorie concezioni politiche, filosofiche ed artistiche; per la prima volta nell'architettura entrò il concetto di spazio, ma non lo spazio rigido, bloccato e severo delle costruzioni greche, romane o medioevali, ma lo spazio che fluisce e si compenetra valorizzato dalla luce e dagli effetti prospettici. Si può dire che in questo periodo passa in secondo piano l'impiego meditato dei materiali, tanto l'arte è informata da una superiore concezione di spiritualità e di abbandono dei vecchi tradizionali schemi, che in alcuni artisti assunse a vette di poesia, mentre per altri non uscì dai limiti del manierismo. Concezioni statiche di grande interesse trovarono applicazione nelle fantasticherie architettoniche e costruttive dei grandi maestri, come nel S. Lorenzo di Torino del Guarini, ove la struttura venne piegata al lirismo poetico e spaziale dell'idea informatrice per dare, per dirla con le stesse parole del Guarini "lo scopo di erigere edifici molto forti si che sembrassero deboli, e che servissero di miracolo, come stessero in piedi". Verso la metà del settecento si levò a Venezia una voce isolata, quella del frate veneziano Carlo Lodoli che, in nome della ragione predicò la sincerità strutturale, criticando anche gli antichi "perché la pura ragione delle cose è ancora più antica degli antichi". Il "lodoljsmo", noto attraverso le opere dell'Algarotti e del Memmo derivava dalle concezioni meccaniche di Galileo, ed anche più direttamente da quelle sensistiche di Bacone; "devonsi unire fabbrica e ragione e sia funzione la rappresentazione" era tra i suoi motti. Ormai il Barocco, dopo la sua splendida fioritura, si ripiegava sotto il peso degli ornamenti plastici del manierismo e del rococò, ed il neoclassicismo con la pedissequa ripetizione dei canoni e degli ordini dell'antichità denunciava la sua fredda illogicità concettuale. In questo panorama il Lodoli predicava che l'architettura non era da considerare scultura, ma aveva il precipuo scopo di "fare una fabbrica molto durevole"; condannò cosi ogni forma di decorazione, in quanto mai si doveva parlare di bellezza di una fabbrica ma di utilità, perché la bellezza poteva consistere solo nel chiaro ordine degli elementi impiegati per raggiungere un chiaro e determinato fine. Il materiale, ed ogni materiale doveva avere "la sua ragione", veniva così ad assumere un'importanza decisiva in quanto il cosiddetto "stile" non era altro che tecnica nel costruire che poteva essere valorizzato solo "dalle espressioni delle precise proporzioni della materia che si mette in uso in una fabbrica". Quella del Lodoli fu certamente la prima voce, il primo passo verso quella concezione che oggi è intesa come architettura moderna, il cui cammino seguente è in pratica storia di oggi e strettamente connesso ai fenomeni politici, sociali e tecnici degli anni che ci hanno preceduto e di quelli nei qua-
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li viviamo, e sul quale si tornerà sia pur brevemente nel corso dei capitoli che seguono.
Bibliografia G.B. MILANI,L'ossatura murale, 3 voi., Torino, 1920. G.B. MILANI e V. FASOLO, Le forme architettoniche, 2 voi., Milano,1931-1940. P.L. NERVI, Scienza o arte del costruire, Roma, 1945. G. ROISECCO, Vita dei materiali in architettura, Genova, 1958. N. DAVEY, Storia del materiale da costruire, Milano, 1965. A. CAVALLARI MURAT, Intuizione statica ed immaginazione formale nei reticoli delle volte-gotiche nervate, in "Atti e rassegna tecnica", Torino, luglio 1958. N. PEVSNER, Storia dell'architettura europea, Bari, 1959. A. PETRIGNANI, Tecnologìe dell'architettura, Milano, 1967.
CAPITOLO SECONDO
IL PROBLEMA TECNICO STRUTTURALE E' da definire come organismo statico qualsiasi corretta e coerente realizzazione della complessità di elementi portanti e portati che entrano in gioco in una struttura. Naturalmente in ogni organismo di tale tipo non è possibile assolutamente prescindere dalla scelta del materiale da impiegare, in quanto ogni materiale ha precipue e ben determinate proprietà caratteristiche che potranno venire esaltate — sia sotto l'aspetto statico-costruttivo che estetico — soltanto dal corretto impiego dello stesso. Si è già visto come nel passato sia stato proprio l'impiego meditato del materiale, a parte le conoscenze tecniche, che ha determinato delle espressioni formali e delle forme costruttive ed architettoniche. Il problema tecnico strutturale è anche e soprattutto in funzione del corretto e sapiente uso del materiale: in particolare ogni struttura avrà un determinato linguaggio e particolare impiego e specificazioni a seconda del materiale impiegato. Chi ad esempio costruirà in legno o in pietra — tecniche però ormai in disuso — dovrà tener conto e valutare le diverse limitazioni negative che tali materiali impongono; costruendo invece in calcestruzzo armato o in acciaio si dovranno considerare tutti i fattori sia positivi che negativi che sono tipici di due mezzi anche espressivi cosi diversi, unitamente a quella complessità di fattori legati all'ambiente, alla tradizione ed all'economia che non sono mai da dimenticare. Per affrontare con coerenza e sensibilità il problema della struttura, sembra non inutile riportare integralmente quanto Pier Luigi Nervi, ebbe a scrivere nella prefazione del suo volume Nuove Strutture, ove fa particolarmente riferimento alle mentalità tutte diverse nell'affrontare il problema che generalmente caratterizzano il progettista a seconda che sia uscito da una scuola di Ingegneria o di Architettura: "Nel nostro paese, e con poche differenze negli altri, i futuri tecnici e progettisti di tutto il vasto campo del costruire, vengono formati di due diversi ambienti universitari: le scuole di Architettura e quelle di Ingegneria Civile. Da quanto mi risulta per conoscenza diretta, e per considerazioni fatte esaminando, in occasione di concorsi o su riviste specializzate, progetti provenienti da diverse Nazioni, si dovrebbe concludere che le scuole di architettura e l'ambiente culturale architettonico sono tuttora dominati da un formalismo simile, nella sua profonda essenza, a quello che cinquanta anni or sono si manifestava, libero da ogni preoccupazione tecnica, in fan-
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tasiose decorazioni superficiali. Le necessità didattiche, che accentuano l'importanza del disegno, l'abitudine di critica architettonica di carattere essenzialmente formale, la scarsa accentuazione da parte di molti docenti nella ineluttabile necessità di un valido corpo costruttivo per qualsiasi fatto architettonico, fanno si che quasi inconsapevolmente lo studente della facoltà di Architettura sia portato a vedere nell'opera architettonica un qualche cosa di astratto che si identifica con il graficismo che lo rappresenta. Posto di fronte ad un problema strutturale nuovo, per prima cosa pensa ad una forma, e la fissa in schizzi prospettici, che via via elabora e sviluppa, senza domandarsi se tutto ciò alla fine sarà traducibile in un organismo stabile e ragionevolmente economico. Per contro lo studente di Ingegneria è portato, sia dai programmi, sia dalla abitudine alla ricerca matematica, comune a molti docenti, a vedere ogni problema costruttivo sotto l'aspetto astratto del complesso di formule e sviluppi teorici, capaci di inquadrare il relativo problema statico. Da questo angolo visuale la stabilità di una struttura diventa, prima che una realtà fisica, che le teorie non cercano ma solamente aiutano ad indagare, un problema di meccanica dei sistemi elastici, problema che, se matematicamente elegante, acquista una preminente importanza e diventa fine a se stesso. Cosicché si può dire che di fronte ad un nuovo problema strutturale l'abitudine mentale del neo-architetto è quella di pensare ad una forma, a quella del neo-ingegnere di indirizzarsi verso un bel procedimento di calcolo. L'uno e l'altro dimenticano che una struttura non è che un sistema di reazioni e sollecitazioni interne, capace di equilibrare un sistema di forze esterne e che, per conseguenza, deve essere concepita come un organismo materiale diretto a quel preciso scopo. E poiché la capacità resistente di una struttura è data sia dalla sua corrispondenza schematica ad un sistema schematicamente valido, sia dalla possibilità che ogni sua sezione resista stabilmente alle sollecitazioni che in essa si producono, è evidente che alla base della progettazione strutturale si debba porre tanto la definizione di un valido schema statico-costruttivo quanto la valutazione numerica delle sollecitazioni interne della sue parti. L'essenza della corretta progettazione strutturale consiste, a mio modo di vedere, nel lasciarsi prendere per mano dal problema statico e nel prospettarsi, senza apriorismi formali, o reminescenze culturali, le soluzioni possibili nel singolo caso. Ogni soluzione schematizzata in disegni di larga massima deve essere sottoposta, prima di ogni ulteriore sviluppo, a calcoli orientativi per verificarne la possibilità ed efficienza statica e stabilirne un primo dimensionamento. Assurdo proseguire uno studio strutturale senza una verifica statica, al-
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trettanto assurdo e disturbante iniziare durante queste ricerche esplorative, calcoli complessi richiedenti lunghi sviluppi matematici. Esaurita questa prima fase di indagine che sarà tanto più feconda quanto più ampia sarà stata la ricerca e la schematizzazione delle soluzioni possibili, si può passare alla scelta della soluzione migliore e al suo progressivo affinamento formale e costruttivo. In questa seconda fase agli elementi puramente economici, statici e tecnici si aggiungono fattori soggettivi di carattere estetico architettonico. Infatti ognuna delle soluzioni possibili avrà una precisa espressività architettonica e sue caratteristiche tecniche costruttive ed economiche, in altre parole avrà pregi e deficienze, ed è precisamente nella serena valutazione comparativa di tutti questi elementi e nella scelta finale della soluzione che presenta più pregi che si riassume e concentra la difficile "arte del progettare"... Naturalmente qualsiasi suggerimento tecnico o costruttivo non può avere maggior valore di quello di un indirizzo, di una ispirazione, e quindi lascia un notevole margine alla sensibilità personale del progettista, allo stesso modo che gli obbiettivi suggerimenti tecnici che hanno portato alla nascita di tanti elementi formali e strutturali delle architetture del passato, hanno lasciato la più completa libertà nelle relative definizioni formali. Penso che si sarà fatto un grande passo verso una nuova vera architettura strutturale il giorno in cui i progettisti si persuaderanno che ogni parte di una struttura ha in sé, in relazione al materiale di cui è costituita, e alle sue precise funzioni statiche, una potenziale, intrinseca ricchezza formale, e che nell'accogliere, interpretare e rendere visibile queste istanze di natura obbiettiva, consiste l'essenza della progettazione strutturale e il più vasto campo per estrinsecare la sensibilità personale... A mio modo di vedere è quindi necessario che il progettista strutturale si formi una particolare abitudine mentale: da una parte l'assenza di preconcetti formali nel senso di essere disposto a seguire gli indirizzi e i suggerimenti obbiettivi che gli verranno dati dalla statica e dalle esigenze costruttive, e definendoli con amore ed instancabile cura dall'altra potrà trovare la più eloquente espressione della propria personalità...Mi permetto infine di raccomandare alla attenzione di quanti architetti, ingegneri, critici e cultori si interessano del meraviglioso campo del costruire, una considerazione che rappresenta la sintesi di una obbiettiva realtà troppo spesso trascurata o più spesso negata, per una specie di illusoria idealizzazione formale e culturalistica del fatto architettonico: I materiali, la statica, la tecnologia costruttiva, il buon rendimento economico, le esigenze funzionali, sono i vocaboli del discorso architettonico. Impossibile elevare tale discorso alla poesia (Architettura) e nemmeno alla corretta prosa (Buona edilizia) senza la perfetta conoscenza di tali vocaboli e delle regole di grammatica e di sintassi (Tecnica) con cui essi deb-
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bono essere composti". Riguardo ancora al problema tecnico strutturale, il Pozzati fa notare che "la progettazione delle strutture coinvolge problemi non di rado ardui, a causa del calcolo e principalmente delle difficoltà di definire l'effettivo grado di sicurezza di una costruzione, in rapporto alle sue condizioni di vincolo, alle caratteristiche dei materiali impiegati e alle azioni esterne, che possono differire per natura e per tempi e modi di applicazione. L'analisi numerica, pur avendo grande importanza, non è quindi la sola questione che il progettista si trovi a dover esaminare; e in genere non è neppure la prima delle varie fasi del suo lavoro, intervenendo essa, a parte i semplici calcoli preliminari di orientamento, il più delle volte per verificare le dimensioni che si è di solito costretti a definire in precedenza; sussiste infatti la circostanza che le strutture sono frequentemente iperstatiche e quindi hanno lo stato di sollecitazione dipendente in genere dalla rigidezza delle varie loro parti; inoltre le sollecitazioni risultano influenzate dai pesi propri, quindi dalle stesse dimensioni, e non di rado in sensibile misura. Ma, a parte queste ragioni contingenti, è evidente che il calcolo non può direttamente condurre alla scelta della soluzione strutturale, che è il fatto di gran lunga più importante, appena si esca dai casi nei quali ci si debba muovere su schemi prefissati. Si pensi, per citare uno fra gli innumerevoli esempi, alla difficoltà delle scelte nel progetto di un ponte o di un viadotto, che può essere realizzato con strutture ad arco o a travata, isolate o continue, prefabbricate o costruite in opera, metalliche o di calcestruzzo armato, con o senza l'intervento della precompressione. Le decisioni debbono tener conto della natura del suolo, del problemi esecutivi connessi con l'accessibilità del luogo, col reperimento dei materiali e con l'efficienza delle imprese costruttrici; ed essere infine sottoposta ai confronti e al giudizio dei risultati funzionali, estetici ed economici, considerando questi ultimi anche in relazione alla prevedibile durata dell'opera e al costo della sua manutenzione. L'intreccio delle influenze è tale da rendere, sotto un punto di vista rigoroso, ogni progetto dell'ingegneria civile pressocché irripetibile: s'intende che ci sono circostanze, quale il ricorso a strutture prefabbricate, che spesso limitano fortemente l'area delle scelte, però il problema resta complesso, perché decisioni e revisioni critiche non possono far capo alla pura concatenazione di fatti conosciuti e all'utilizzazione di leggi naturali note, ma richiedono anche immaginazione e intuizione di un processo di coordinamento e di sintesi. Principalmente dalla concezione della struttura, più che da minuti perfezionamenti del calcolo, dipende il buon esito dell'opera, ed è chiaro che, qualora la scelta della soluzione non sia felice, le elaborazioni analitiche e numeriche non potranno consentir altro che la definizione delle sezioni necessarie alla resistenza della struttura, le cui caratteristiche resteranno sostanzialmente immutate. In definitiva, la più sensibile difficoltà del progettare deriva dal fatto che valutazioni intuitive e analitiche si trovano, almeno nei loro aspetti es-
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senziali, indissolubilmente legate e simultaneamente necessarie, se pure con diverso peso a seconda della natura del progetto, senza che di solito sia possibile affidare a persone diverse la sensibilità alle due differenti esigenze, perché fin nella prima idea creatrice debbono intervenire precise considerazioni tecniche; le conoscenze specializzate potranno essere utilizzate in un secondo tempo per gli esami approfonditi e per la messa a punto dei particolari costruttivi, anch'essi molto importanti. Occorre che, pur nel rispetto delle diverse propensioni, non venga dalle scuole deformato e guastato il naturale "codice genetico" del progettista, portando questi a ragionare in termini di sola fantasia o di soli procedimenti di calcolo; e che si contrasti questa tendenza a troncare ogni cosa in due, a creare categorie profondamente differenziate di specializzati che, pur dovendo operare per il medesimo fine, rischiano di non serbare neppure una comune sfera di emozioni. E tuttavia, nonostante il legame strettissimo fra la concezione e il calcolo di una struttura, esiste la diffusa opinione che nella stessa persona sensibilità artistica e preparazione tecnica siano due atteggiamenti incompatibili e tali che l'accrescersi dell'uno deteriori inevitabilmente l'altro: ritenendo da un lato che, per verificare l'arte, le conoscenze tecniche debbono venir relegate in posizione secondaria; e dall'altro, che tutto possa invece esser tratto da elaborazioni numeriche, essendo perditempi le questioni riguardante l'arte. E' ignorando così che tutti gli artisti — pittori, musicisti, poeti e scultori — han dovuto di solito impiegare tecniche complesse dominate da regole inflessibili, e che, d'altronde, divengono aride e disumane le attività della tecnica esulanti da quelle dello spirito, esclusivamente sospinte da valutazioni economiche, non illuminate dal riferimento essenziale al rapporto dell'uomo con gli altri uomini e con la natura; ogni progetto tecnico comporta, se pur con diversi gradi d'importanza e di evidenza, problemi di responsabilità morale. L'idea animatrice di un progetto risente sempre, anche quando sembra improvvisa, di un apprendistato graduale, faticoso e lento, nel corso del quale si crea l'abitudine a pensare nei termini concreti di come le cose possano venir compiute. In tale apprendistato il calcolo trascende l'importanza, pur grande, di strumento di verifica e diviene fondamentale ai fini anche dell'ideazione, consentendo di escogitare le più opportune forme, abbozzare i primi dimensionamenti, creare la sensibilità agli ordini di grandezza delle sollecitazioni, alle connessioni determinanti, all'attendibilità delle schematizzazioni tecniche; mentre nel necessario processo a ritroso per la verifica delle previsioni, s'afferma con naturalezza la preziosa esigenza, terminato il lavoro, di riandare col pensiero alle cose fatte e di esaminare i risultati in controluce, ripensando alle ipotesi, alle semplificazioni e al significato fisico delle operazioni eseguite. Avviene così, in questo ripetuto e paziente esercizio, che l'esperienza conduce a mano a mano all'essenziale, affina le intuizioni e le sintesi, quindi la capacità di discernere soluzioni fe-
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liei e di trasferire la complessa realtà della struttura in uno schema teorico il più possibile semplice e tuttavia attendibile. La credibilità delle previsioni teoriche per larga misura risiede nella scelta dello schema strutturale, assunto nei calcoli per interpretare e simulare il comportamento della struttura. Anche la definizione di tale schema è importante e può risultare non semplice, dovendo evitare da un lato che eccessive semplificazioni rendano il modello teorico non più significativo, e dall'altro che calcoli estenuanti o troppo estesi facciano perdere di vista i fatti veramente influenzati e la correlazione dei risultati conseguiti con le ipotesi semplificatrici. Ipotesi che sono inevitabili per vari motivi, cui può convenire soffermare brevemente il pensiero: le condizioni di carico debbono venire in genere ricondotte a schemi convenzionali che, anche se poco rispondenti alla realtà, possano tuttavia dar luogo a stati di sollecitazione abbastanza simili a quelli effettivi, e comunque non meno gravosi ai fini della resistenza. Si debbono addottare vincoli ideali, pur sapendo che quelli supposti mobili in realtà s'inceppano, specie col passar del tempo, mentre quelli fissi possono risultare sensibilmente cedevoli; e varie connessioni spesso si presentano definibili con grandi incertezze, per cui i loro effetti debbono essere trascurati o saggiati con interpretazioni limiti. Gli spostamenti dei vari punti delle strutture sono in genere considerati piccolissimi rispetto alle dimensioni; ma pur piccolissimi, il più delle volte essi debbono essere valutati per lo studio dei problemi staticamente indeterminati, ed allora è necessario introdurre particolari correlazioni fra deformazioni e tensioni. Gli stati di tensione vengono assai spesso influenzati da circostanze estranee ai carichi, quali le variazioni di temperatura, i cedimenti dei vincoli, le operazioni di saldatura per le strutture metalliche e i lunghi processi di solidificazione dei getti contenenti materiali cementanti; e purtroppo tali circostanze sono in genere di difficile valutazione e possono d'altronde aver grande influenza. Inoltre, a causa di uno stato di tensione si manifestano, dopo deformazioni pressocché istantanee, movimenti lenti, per gran parte irreversibili, che possono per certi materiali (quali il calcestruzzo e alcuni tipi di terreni) superare largamente quelli immediati, provocando modificazioni dello stato di tensione a lungo protratte nel tempo, e anche delle stesse caratteristiche di sollecitazione quando la struttura sia iperstatica. La materia, apparentemente inerte, è sede quindi di continue vicende, per azioni che vanno e vengono, per fluttuazioni termiche a lunga e breve ricorrenza, per fenomeni viscosi; e per questo incessante prodursi di variazioni di movimento e di tensioni, il materiale modifica le sue caratteristiche e le strutture subiscono un'inarrestabile trasformazione, presentando a loro modo un volgere di età e di resistenza. Tutto ciò, se pure ridotto a qualche accenno, sta ad indicare quanto siano complessi i fenomeni naturali riguardanti il comportamento delle strut-
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ture, e come di conseguenza i nostri schemi non possono dare se non un'immagine approssimativa, e non di rado sfocata e incerta, di quel che accade nella realtà. Abbiamo già accennato che il progetto di una struttura è da ritenere in genere emanazione tanto dell'arte quanto della scienza del costruire essendo determinante l'apporto dell'immaginazione, senza la quale è certo che sarebbe stata ben diversa la storia dell'uomo. Moderni mezzi come i calcolatori possono venir molto utilmente impiegati nel calcolo per risparmiare snervanti elaborazioni numeriche e per consentire di saggiare diverse soluzioni. Ma al progettista spetterà sempre il compito di distinguere prima quel che vuole e può ottenere dalla macchina, poi analizzare e coordinare i risultati e di prendere le decisioni conclusive; e rimarranno indispensabili, terminati i calcoli, le revisioni delle ipotesi fatte, i riscontri delle previsioni avanzate, mantenendo al di sopra delle elaborazioni numeriche la visione dell'opera nel suo complesso e vivido il giudizio critico conclusivo, per poter constatare se i proporzionamenti rispondano a quell'esigenza di equilibrio generale delle masse che, quando sussista, è il primo indice di un favorevole stato di cose. Occorre che i potenti strumenti di calcolo di cui oggi dispone il progettista siano intesi come mezzi per lasciar più libera la sua attività creativa, che rischia di restare ottenebrata da calcoli gravosi, e per dar maggior respiro alla messa a punto del progetto e allo studio dei particolari costruttivi, non di rado invece trascurati, nonostante la grande importanza che essi possono avere: le difese dagli eccessi delle temperature e dai rumori nelle abitazioni, la scelta dei materiali per protezione e ornamento, l'impermeabilizzazione delle coperture, la corretta specificazione di vincoli, giunti, infissi, scarichi delle acque e condutture costituiscono aspetti del progetto tutt1 altro che secondari, ciò che appare chiaramente, se si riflette al danno che un negligente e maldestro studio di essi può provocare a chi dovrà utilizzare l'opera, o all'influenza che essi possono avere nella preservazione dell'opera stessa. A riguardo delle condizioni di carico più frequentemente ricorrenti nella pratica del progettista, è da far rilevare che tutte le costruzioni possono essere sottoposte a forze di varia natura, distribuzione e intensità. Alcune agiscono senza modificazioni nel tempo, e sono quindi dette permanenti; altre, essendo invece variabili, sono dette accidentali, o sovraccarichi, e richiedono quindi la previsione, riferita a indispensabili termini probabilistici, delle più gravose entità e delle diverse maniere di essere applicate. Per il calcolo delle costruzioni frequentemente ricorrenti nella pratica dei progettisti, il più delle volte si fa riferimento, relativamente ai carichi accidentali, a condizioni semplificate e convenzionali, non di rado poco rispondenti alla realtà,-tuttavia atte a riprodurre stati di' sollecitazione che siano non inferiori a quelli più gravosi conseguenti ai carichi effettivi, o che abbiano la loro legittimità sancita dall'esperienza. Nella maggioranza
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dei casi le forze si considerano applicate staticamente, ossia con lentezza tale da non dar luogo a sensibili effetti dinamici sulle strutture, e conglobando tali effetti nei valori normalizzati delle forze stesse. L'entità dei carichi verticali, comprensivi degli effetti dinamici ordinari, possono desumersi dalla seguente tabella, ricavata dal D. Min. L.L.P.P. 12.2.1982 citato in bibliografia: Tabella 2.1. - Carichi di esercizio.
Un frequente esempio di condizione di carico convenzionale, che si è costretti ad assumere per l'estrema aleatorietà dei valori e delle distribuzioni delle effettive forze, è dato dal calcolo dei solai degli edifici; per essi non si può in genere far altro che considerare il carico, con il valore fornito dalla citata tabella, uniformemente diffuso sull'intera superficie o, qualora questa comprenda più parti fra loro continue, distribuito in modo da provocare i valori massimi delle varie azioni interne valutate nelle più significative sezioni. E quando il complessivo carico accidentale dipenda dall'azione simultanea su superfici molto estese o su numerosi altri elementi strutturali può essere alle volte lecita qualche leggera riduzione del suo valore più intenso: così, ad esempio, il computo dei pesi applicati alle fondazioni di un edificio con più di tre piani può essere eseguito considerando il carico accidentale completo per la copertura e per i due piani più caricati, e riducendo del 10, 20, 30, 40, 50% (e non più del 50%) i carichi accidentali dei rimanenti piani, ordinati secondo il valore decrescente del rispettivo sovraccarico; altrettanto dicasi per il calcolo dei massimi sforzi normali dei pilastri. E' evidente, in queste ultime prescrizioni, il riflesso di valutazioni probabilistiche. Per i solai di costruzioni industriali (magazzini, sili, serbatoi, ecc.). si possono avere pressioni anche di varie tonnellate per metro quadrato o condizioni di carico particolari (derivanti per esempio dalla presenza di macchine) che debbono essere oggetto di relative prescrizioni e di adeguato studio, sulla base delle notizie date dal committente.
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Del fatto che le forze possono essere applicate in modo brusco, i dati della Tab. 2.1 tengono larvatamente conto assumendo per le pressioni valori superiori a quelli corrispondenti al massimo affollamento statico. Gli effetti dinamici dipendono però anche dalle caratteristiche della struttura e non di rado può essere non più legittimo prescindere da esse; cosi per i ponti, i carichi accidentali vengono amplificati mediante un moltiplicatore, che della "risposta" della struttura tiene conto facendo comparire nelle sue espressioni la sola distanza (luce) fra le estremità dell'opera, ossia soltanto uno, se pure fra i più significativi, dei vari parametri che intervengono nel complesso fenomeno quali, ad esempio, il rapporto fra i pesi mobili e fissi, i vincoli della struttura. Ma in certi casi la natura dinamica delle forze diviene essenziale al punto che sarebbe privo di senso un calcolo ancorato a quello statico: è quel che può accadere, ed esempio, quando si debbano valutare gli effetti diparti di macchine in movimento, di azioni sismiche e, alle volte, di azioni del vento, per i quali, oltre ai problemi inerenti alla resistenza, può presentarsi quello di definire il grado di sicurezza nei confronti del grande pericolo di risonanze. Il vento ha natura molto complessa: mutevole, comporta in genere una azione di fondo abbastanza persistente, che può essere assimilata a un carico statico; e presenta anche fluttuazioni, di più elevata frequenza e di variabile rilevanza rispetto alla parte media, che possono provocare sollecitazioni dinamiche di sensibile portata per le strutture molto deformabili. Ma anche quando il vento spira pressocché regolarmente, si possono manifestare, per particolari fenomeni aerodinamici, vibrazioni trasversali, ossia in piani normali alle direzioni dello stesso vento, che spesso possono risultare superiori, pur con eguali deformabilità correlative della struttura, a quelle massime che si verificano longitudinalmente a causa delle raffiche. Le azioni esterne che il vento applica a una costruzione sono complesse, non di rado imprevedibili e dipendenti da numerose circostanze. La velocità e la direzione del vento, la forma, l'esposizione e l'altezza dell'edificio, la località (in relazione anche alla vicinanza di altre costruzioni e alla natura del suolo), la forma, la permeabilità e la scabrezza delle superfici esterne della costruzione sono condizioni che possono avere determinante importanza sul valore delle pressioni esercitate dal vento, ma purtroppo il legame fra il valore della pressione in un punto e una delle variabili mette in gioco anche parte delle restanti, e possono essere non lievi gli errori se si considerasse tale legame univoco. Il vento provoca pressioni e depressioni, e non di rado i più temibili effetti sono dati da queste ultime o dalla simultanea azione di entrambe; le depressioni (che sono considerate negative) si manifestano in genere sulle superfici sotto vento, ma non sono infrequenti anche per quelle sopra vento. Si suppone di solito che il vento spiri orizzontalmente con velocità e direzione persistenti, assimilando quindi la sua azione fluttuante ad una forza
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applicata staticamente con distribuzione spesso uniforme. Il valore della pressione effettiva è riferito alla pressione, detta cinetica, q = v2/2 e poiché la densità dell'aria p = y/g vale all'incirca 0,125 Kg.sec2/m3 , si pone q (pressione cinetica)
Kg/m2 (con v in m/sec).
I massimi valori della velocità del vento, e di conseguenza della pressione cinetica, variano a seconda della località fino a valori di (= 250 Km/h; q = 310 Kg/m 2 ; ma nell'entroterra difficilmente si sono riscontrate punte superiori a 50 m/s 180 Km/h;q 160 Kg/m 2 ). Per il suolo italiano, nelle nostre norme tecniche si trovano previsti quattro diversi gradi di ventosità, e quindi quattro tipi di località o "zone", riferiti all'altezza di 20 m dal suolo e corrispondenti a pressioni cinematiche variabili da 60 a 120 Kg/m 2 . Le istruzioni in proposito sono indicate nella Fig. 2.2, ma vengono ammesse variazioni nei casi particolari in cui le condizioni siano giustificatamente differenziate da quelle medie alle quali le norme si riferiscono. I valori delle pressioni cinetiche variano in funzione del grado di ventosità e dell'altezza dell'edificio, così ad esempio a 20 m vengono diminuiti del 25% e mantenuti uniformi per costruzioni alte non più di 10 m; corretti con il coefficiente (H + 20)/40 e adottati costanti sull'intera altezza //, quando questa sia fra 10 e 20 m; e se l'edificio è alto più di 20 m, si lasciano invariati i valori forniti sino a tale quota, oltre la quale si considera la pressione cinetica variabile linearmente sino a raggiungere l'estremo valore q (20 m) + 60 (H- 20) : 100 (in Kg/m2 , con H in m) ; infine per le parti dell'edificio più alte di 100 m, si può considerare costante il valore raggiunto a 100 m (variabile da 108 a 168 Kg/m2 secondo la zona), poiché praticamente non si fa più risentire l'azione frenante operata al suolo. Invece il carico sulla copertura di una costruzione dovuta alla neve è da determinare tenendo conto delle condizioni locali. In ogni caso, il carico relativo alla proiezione orizzontale della copertura dev'essere assunto, per località di altitudine h minore di 300 m, non inferiore a 90 Kg/m2 (Piemonte, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia-Giulia, Lombardia, Veneto, Emilia, Marche, Umbria, Abruzzi) e a 60 Kg/m2 (per le restanti regioni); per più elevate altitudini, la precedente pressione deve essere aumentata di 0,15 (h - 300) (Kg/m 2 , con h in m). Oltre i 2000 m sono però difficili le previsioni, e le pressioni possono essere molto maggiori di quelle precedentemente citate. Le variazioni degli stati di sollecitazione cui si trovano incessantemente soggette le costruzioni danno luogo di solito a irrilevanti fenomeno di fa-
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tica; ma questi possono diventare di grande importanza per strutture sottoposte a forze alternative derivanti, ad esempio, da organi di macchine in movimento. Le deformazioni della struttura non influenzano in generale i valori delle azioni esterne: ma per l'azione del vento, ad esempio, si possono manifestare vibrazioni autoeccitanti, per le quali i movimenti che subiscono i punti della struttura acquistano la duplice e simultanea veste di effetti e di cause. La possibile ripercussione della deformazione sulle azioni esterne non riguarda però soltanto i regimi dinamici dello stato di sollecitazione: nel calcolo dei manufatti sottoposti alla spinta delle terre, si suppone, per poter determinare questa, che la deformazione della struttura sia tale da poter dar luogo a stati estremi di equilibrio per il terreno; e va da sé che in tali casi l'entità della deformazione influenza la spinta, perché essa, essendo in realtà azione fra due corpi deformabili quali il terreno e la struttura, non può non dipendere dal loro stato di deformazione. Stati di sollecitazione, spesso molto importanti, possono sussistere anche in assenza di forze esterne e vengono detti "di coazione". Pensando la struttura provvisoriamente suddivisa, mediante adeguato numero di tagli, in più elementi liberi di deformarsi, uno stato di coazione deriva dall'esistenza, in tale provvisoria situazione, di movimenti relativi incompatibili con le connessioni esterne e interne; quindi le condizioni di continuità, per poter essere ripristinate, richiedono la presenza di tensioni interne. Vi sono casi in cui il meccanismo di generazione di tali stati può essere definibile in maniera abbastanza semplice, come si può avere, ad esempio, per certe schematizzazioni di variazioni termiche e, se pure con maggiori incertezze, dei ritiri presentati dai materiali cementati durante i processi di solidificazione. Altre volte gli stati di coazione possono essere creati ad arte, per fronteggiare gli effetti delle forze esterne. Gli stati di coazione, essendo dominati dalle condizioni di congruenza, chiamano in causa problemi complessi anche per l'insorgere di deformazioni differite nel tempo, dette viscose, implicanti alle volte una sensibile evoluzione delle stesse caratteristiche del materiale. Pur dalle pochissime cose accennate è facile rendersi conto che il fondamentale problema della determinazione delle azioni agenti su una struttura, intese nell'accezione più vasta del termine, comporta non di rado per l'ingegnere questioni assai complesse che non possono essere congelate tutte in regole, tanto più che la definizione di tali azioni non si pone in termini di possibilità o impossibilità, ma piuttosto di grado di probabilità; grado che dipende da un gran numero di parametri, il cui dosaggio deve prevalentemente scaturire dall'unitaria visione che il progettista deve avere dell'intera struttura. Le azioni agenti sulle strutture vengono suddivise, dalle istruzioni italiane (UNI - CNR 1967), in principali (carichi permanenti e accidentali, neve, spinta delle terre, coazioni impresse) e complementari (vento, variazioni
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termiche, ritiro, fenomeni viscosi, imperfezioni di vincolo, difetti di montaggio), con ciò senza adombrare alcun giudizio sull'importanza che anche le seconde possono avere. Condizioni di carico I e II vengono dette, dalle stesse norme, quelle in cui si accumulano o le sole "azioni principali" oppure le "principali" e "complementari" insieme, combinate sempre nella più sfavorevole maniera: alle condizioni I e II vengono attribuiti di solito coefficienti di sicurezza diversi". Un discorso a parte, che non è qui il caso se non di richiamare, va fatto per le azioni dinamiche conseguenti a sisma: problema che in Italia, come anche recenti tragedie hanno dimostrato, è di grandissima importanza. Esso è attualmente regolato da precise Norme di legge e richiede una alta specializzazione strutturistica per le sue concrete soluzioni. La gamma dei materiali impiegati nelle strutture architettoniche è assai estesa: pietra e muratura, legname, acciaio, alluminio, calcestruzzo armato normale e precompresso, materie plastiche. Tutti questi materiali hanno in comune alcune proprietà essenziali che li rendono atti a resistere alle sollecitazioni imposte dai carichi. Quale che sia la durata dell'azione dei carichi sulla struttura — permanente, intermittente o solo momentanea — occorre che la deformazione della struttura non aumenti progressivamente e che cessi quando cessa l'azione del carico. Si dice che un materiale ha comportamento elastico quando la sua deformazione cessa rapidamente colla cessazione del carico. Tutti i materiali strutturali sono in maggior o minor misura elastici. Se non lo fossero, e quindi se la struttura rimanesse deformata permanentemente dopo la cessazione del carico, l'azione di nuovi carichi aumenterebbe la deformazione permanente e la struttura finirebbe con venir messa fuori uso. Per contro, nessun materiale strutturale è perfettamente elastico: a seconda del tipo di struttura e della natura dei carichi, le deformazioni permanenti sono inevitabili ogni qualvolta l'entità delle sollecitazioni supera determinati valori. I carichi pertanto debbono essere contenuti entro valori che non provochino deformazioni permanenti: i materiali strutturali sono sempre sollecitati entro il loro campo elastico. Per lo più i materiali strutturali sono non soltanto elastici ma anche, entro certi limiti, linearmente o proporzionalmente elastici, il che vuol dire che la loro deformazione è proporzionale al loro carico. Cosi, se entro i limiti di proporzionalità, una trave a mensola si inflette di 2,5 mm sotto un carico verticale di 10 t posto all'estremità libera, la sua deformazione sotto un carico di 20 tonn. sarà di 5 mm. I materiali strutturali sono per la maggior parte impiegati esclusivamente entro i loro limiti di elasticità lineare. Si dice che hanno comportamento plastico i materiali che presentano deformazioni permanenti dopo la cessazione del carico. Al di là dei limiti di elasticità, tutti i materiali strutturali hanno comportamento plastico: il carico sotto il quale un materiale comincia a comportarsi in modo net-
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tamente plastico è detto carico o lìmite di snervamento. I materiali che sono linearmente elastici fino alla rottura, quali il vetro e talune materie plastiche (si noti la improprietà del termine), sono assolutamente inidonei per la realizzazione di strutture: non danno avvertimento della imminenza della rottura e inoltre hanno spesso comportamento fragile e vanno in frantumi per effetto di urti. A temperature normali l'acciaio presenta un campo utile di elasticità lineare, seguito da un campo plastico, ma diviene improvvisamente fragile a temperature attorno ai -34°C. Alcune impreviste rotture di ponti in acciaio nel Canada sono attribuibili a questo brusco passaggio dal comportamento plastico a quello fragile a basse temperature. A temperature elevate anche l'acciaio, che è uno dei materiali strutturali più resistenti, perde la maggior parte della propria resistenza e scorre parallelamente attorno ai 370°C. Per poter essere usato con sicurezza nelle costruzioni, l'acciaio deve venir protetto in modo da diventare resistente alle alte temperature: il calcestruzzo armato resiste a queste temperature purché l'acciaio dell'armatura sia protetto da un sufficiente spessore di calcestruzzo. Alcuni materiali hanno un limite di elasticità relativamente basso, e scorrono plasticamente anche sotto carichi limitati. Alcune materie plastiche (ed in questo caso il termine è proprio) scorrono praticamente sotto qualsiasi carico. Il basso limite di snervamento di alcune materie plastiche ed il comportamento fragile di altre, ha rese queste materie finora poco adatte come materiali strutturali. Vi sono però materie plastiche rinforzate, come il Fiberglass (rinforzato da fibre di vetro), aventi buone caratteristiche strutturali, ed è facile prevedere una maggior diffusione del loro impiego. I moderni materiali strutturali, come l'acciaio, sono generalmente isotropi, e cioè la loro resistenza è indipendente dalla direzione in cui essi vengono sollecitati. Il legno invece ha una resistenza diversa a seconda che venga sollecitato nella direzione delle fibre oppure ortogonalmente ad esse. A tale inconveniente si pone rimedio incollando insieme, con adesivi plastici, sottili fogli di legno disposti colle fibre in direzioni diverse. Il prodotto così ottenuto, il cosiddetto compensato, presenta caratteristiche di resistenza più omogenee. I materiali strutturali possono anche essere classificati a seconda del tipo di sollecitazione semplice a cui sono più atti a resistere: trazione, compressione e taglio. La trazione è il tipo di sollecitazione che tende a separare le particelle componenti il materiale, la compressione invece le spinge l'una contro l'altra. Il taglio tende a far scorrere le particelle una rispetto all'altra, come avviene in un filo metallico tagliato con la pinza a tronchese. Tutti i materiali strutturali sono capaci di reagire a sollecitazioni di compressione. Taluni, come l'acciaio, resistono altrettanto bene a compressione ed a trazione. Altri, come la pietra ed il calcestruzzo, non sono altrettanto versatili: il loro impiego è limitato necessariamente a quelle for-
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me ed a quei carichi che escludano sollecitazioni a trazione. I materiali con buona resistenza alla trazione hanno di norma anche buona resistenza al taglio: per contro, i materiali resistenti essenzialmente a compressione hanno scarsa resistenza alle sollecitazioni di taglio. Come si è detto, ai fini strutturali i materiali vengono di norma impiegati entro i loro limiti di elasticità lineare, e ciò significa che le loro deformazioni risultano proporzionali ai carichi. Ma i vari materiali si comportano in modo diverso sotto gli stessi carichi. Se un filo di acciaio di 2 mm di diametro lungo 300 cm, posto in verticale, viene caricato, alla sua estremità con un peso di 50 Kg, esso si allunga di 2,3 mm; un filo di alluminio delle stesse dimensioni e sottoposto allo stesso carico si allunga di tre volte tanto, e cioè circa 7 mm. L'acciaio ha cioè una rigidità a trazione superiore a quella dell'alluminio. In generale, la misura di tale rigidità è data, per ciascun materiale, da una costante detta modulo di elasticità a trazione. Il modulo di elasticità è misurato (in Kg/cm 2 ) dal numero di Kg capaci teoricamente di stirare un filo della sezione di 1 cm2 fino al doppio della sua lunghezza iniziale (abbiamo detto teoricamente, perché in pratica il filo si romperà prima di allungarsi di tanto). Il modulo di elasticità dell'acciaio è uguale mediamente a 2.100.000 Kg/cm2 ; quello dell'alluminio a 700.000 Kg/cm 2 . Il modulo a compressione differisce in genere da quello a trazione. Il modulo a compressione del calcestruzzo è in media di 200.000 Kg/cm2 ; il suo modulo a trazione ha poca importanza, poiché la resistenza a trazione del calcestruzzo è trascurabile. Il modulo a compressione del legno è in media di 100.000 Kg/cm2 nella direzione delle fibre e di 50.000 Kg/cm2 ortogonalmente alle fibre stesse. Sia l'acciaio che l'alluminio hanno invece lo stesso modulo sia a trazione sia a compressione. Ai fini della sicurezza è di estrema importanza conoscere il valore della sollecitazione alla quale un materiale comincia a cedere sotto carico. Per l'acciaio e l'alluminio il limite medio di snervamento a trazione e a compressione {resistenza a snervamento) corrisponde a circa 3.500 Kg/cm 2 . Quando un materiale non abbia un limite di snervamento ben definibile o non ne abbia affatto, i criteri di sicurezza non possono più essere fissati in relazione a tale limite. Il primo di questi due casi è quello del calcestruzzo, per il quale non esiste un passaggio netto dal comportamento elastico a quello plastico; il secondo si riferisce ai materiali fragili, che hanno comportamento lineare fino alla rottura. In tali casi, per quello che riguarda il materiale, la sicurezza deve essere determinata per riferimento diretto alla rottura. Così è importante sapere che l'acciaio si rompe per una tensione di trazione compresa tra 5.000 e 14.000 Kg/cm2 e che il calcestruzzo cede a sollecitazioni di compressione tra 200 e 600 Kg/cm 2 . Tali sollecitazioni costituiscono il carico di rottura del materiale o meglio la Resistenza a rottura. Dato che ovviamente non si può consentire né la rottura né lo sner-
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vamento delle strutture sotto carico, il valore delle tensioni ammissibili viene di norma fissato ad una frazione della resistenza a snervamento o a rottura; i coefficienti di sicurezza (rapporto tra tensione ammissibile e resistenza a rottura o a snervamento) così introdotti dipendono da diverse condizioni: l'uniformità del materiale ed il controllo della sua produzione, le sue proprietà di resistenza prima definite, il tipo di sollecitazione, la permanenza e la certezza dei carichi, l'uso infine a cui la struttura viene adibita.
Bibliografia P.L. NERVI, Scienza o arte del costruire, Roma, 1945. P.L. NERVI, Costruire correttamente, Milano, 1965. P.L. NERVI,Nuove strutture, Milano, 1963. STRUCTURE: art architect's approach, New York, 1966. M. SALVADORI, Le strutture in architettura, Milano, 1964. C. POZZATI, Teoria e tecnica delle strutture, Torino, 1972. D. MIN. L.L.P.P. 12 febbraio 1982: Aggiornamento delle norme tecniche relative ai "Criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi".
CAPITOLO TERZO
IL LEGNO Il legno, che ha avuto nel passato larghissima applicazione come elemento di struttura e di decorazione, rimane ancora oggi il preferito per determinati ma limitati elementi costruttivi, anche perché, almeno nelle nostre città di pianura, è di difficilissimo reperimento mano d'opera specializzata nella sua lavorazione. Il tessuto che costituisce la massa legnosa del tronco presenta una struttura che può essere generalmente schematizzata come è rappresentato in Fig. 3.1. Esaminando la sezione trasversale di un tronco d'albero, si distingue un'anima centrale di forma cilindrica detta midollo, attorno alla quale si sono venuti formando nel tempo numerosi anelli, l'uno esterno all'altro che comprendono il durame e l'alburno. Il durame, costituito dagli anelli interni e composto da cellule morte e lignificate, è di colore più scuro; l'alburno che rappresenta la parte viva, cioè le cellule in via di lignificazione si riconosce dalla tinta più chiara, e comprende gli anelli esterni. Esso è costituito dal legno di più recente formazione e attraverso i suoi vasi passa la linfa, cioè il liquido nutritivo della pianta. L'alburno a sua volta è seguito da un sottilissimo strato di sostanza filamentosa viva chiamata libro, alla quale è sovrapposta la corteccia, cioè l'elemento più esterno. Fig. 1.3 — Sezione schematica di un tronco. Le cellule dei legnami possono presentare pareti spesse ed aperture molto strette, oppure bordi sottili e vani di notevoli dimensioni. Quando la pianta in primavera comincia a vegetare, l'acqua necessaria sale generalmente attraverso le cellule più recenti e perciò essenzialmente lungo l'ultimo anello di formazione. Di conseguenza in primavera si formano cellule aventi pareti sottili e vani notevoli, permettendo all'acqua di giungere rapidamente ai rami. In estate la richiesta d'acqua è invece minore e le cellule nascono più
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strette e con pareti robuste. Per questa ragione il legname che si forma durante l'estate è di colore più scuro, più resistente e compatto. Nei nostri climi, nei quali si ha una successione regolare di stagioni di vegetazione e di riposo, ogni anno si aggiunge normalmente un anello legnoso, detto appunto anello annuale, composto da uno strato di cellule compreso tra il libro e il legno. Osservando quindi una sezione del legno, dal numero di anelli di accrescimento si può calcolare approssimativamente l'età della pianta.
Proprietà e prove relative ai legnami Una delle proprietà che caratterizza il legname è la massa specìfica, in quanto, la massa per unità di volume di un elemento di legno comprendente fibre, pori, e vani, è uno dei fattori che influenza maggiormente la resistenza del materiale. Essa è funzione della struttura cellulare del legno, della stagionatura, dell'età e del modo di sviluppo della pianta e dell'epoca del taglio. Con l'aumentare della massa specifica del legno aumenta la sua resistenza meccanica, in quanto le cellule con pareti spesse sono formate da fibre più robuste di quelle che costituiscono le cellule a pareti sottili. Un elemento di giudizio della qualità del legname può quindi essere la porzione del legno estivo, in quanto la massa specifica di questo è circa il doppio di quella del legno cresciuto durante la primavera. Empiricamente si riconosce la quantità del legno estivo contenuta negli anelli dalla diversità di colore. La determinazione della massa specifica apparente è eseguita su dei provini di forma cubica di 5 cm di lato con la bilancia idrostatica. Sono di solito determinati per i principali tipi di legno tre valori della massa specifica a seconda che i provini siano costituiti da legno verde o essiccato all'aria oppure artificialmente in essicatoi. Il primo contiene in media il 45% di umidità (massa di acqua contenuta nel materiale espresso in percentuale del legno essiccato in forno a 100°C, fino a massa costante), il secondo il 10 15%, mentre nel legno essiccato al forno l'umidità si riduce a meno del 10%. L'esperienza ha dimostrato che la resistenza del legno è notevolmente influenzata dal contenuto di umidità. L'effetto diretto della riduzione di umidità è rappresentato dall'irrobustimento delle fibre legnose. Infatti i provini cubici prima considerati, se portati ad una bassa percentuale di umidità possono aumentare la loro resistenza fino al 200%.Tuttavia i processi di essicazione, specie quelli artificiali, in forno o autoclave e di breve durata, producono sovente delle fenditure nel legno, il cui effetto di indebolimento compensa l'incremento di resistenza provocato dalla stagionatura, e non è pertanto consigliabile fare affidamento sull'incremento di resistenza tra legno verde e stagionato.
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La variazione soprattutto se rapida del contenuto di umidità produce nel legno il fenomeno del ritiro e del rigonfiamento. La contrazione nel verso delle fibre è molto piccola, circa dello 0,5%, molto più grande è invece nella direzione periferica degli anelli di accrescimento e può raggiungere il valore del 10%. La diminuzione media di volume di un elemento di legno verde, quando venga essiccato all'aria con una percentuale di umidità del 12 15% è di circa 5%. Data la particolare struttura del legno e per la anisotropia che è caratteristica del materiale, la resistenza è funzione oltre che dal tipo di sollecitazione a cui è assoggettato, anche dalla direzione secondo la quale viene esercitato lo sforzo. La resistenza agli sforzi di comprensione dipende essenzialmente dall'angolo che la direzione della forza agente forma con quella delle fibre. Secondo le esperienze eseguite si può affermare che la resistenza a compressione nel senso normale alle fibre è più piccola di tutte; nelle prove che si eseguono sui legnami i campioni, cioè i provini cubici con lato di cm 5, dovrebbero essere prelevati in zone diverse del materiale, in modo che riproducano complessivamente le reali condizioni del legname in analisi. Nella prova a compressione parallelamente alle fibre il provino cede per scorrimento delle fibre le une sulle altre, secondo piani più o meno parallele alla direzione dello sforzo. La macchina di prova indica l'inizio di questo sfibramento con una istantanea diminuzione della resistenza e tale valore viene assunto come carico di rottura del materiale. Nella prova di resistenza alla compressione nel verso normale alle fibre, il provino gradualmente si comprime e si riduce ad uno strato impaccato e sottile di fibre fortemente compresse senza che si verifichi la rottura. Per la determinazione della resistenza a rottura sotto sollecitazioni di trazione, di solito misurata solo in senso assiale, si usano invece provini a sezione cilindrica o rettangolare della sezione di 2 cm 2 , e della lunghezza utile di cm 5, oltre alle due testate opposte che sono necessarie per l'ancoraggio al macchinario di prova. La prova di resistenza a sollecitazioni di flessione si esegue con particolari provini le cui fibre sono disposte normalmente o parallelamente alla direzione dello sforzo, evitando direzioni inclinate. Si impiegano provini di sezione quadrata, con il lato di 3 centimetri e della lunghezza di 22 cm che vengono appoggiati su coltelli a testa arrotondata alla distanza mutua di 18 cm. La resistenza massima è circa uguale alla media fra le resistenze a trazione e a compressione. Per il calcolo della resistenza, come già visto, viene di solito adottata come sollecitazione massima ammissibile una frazione di quella di rottura: generalmente 1/10 di questa. Detto carico può essere però aumentato di circa 1/5 nelle opere provvisorie e ridotto di un terzo nelle opere stabili. Alla sollecitazione di taglio il comportamento del legno, per le difficoltà che si incontrano nelle esperienze, non è determinato con esattezza.
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Il Winkler per questa sollecitazione in direzione parallela alle fibre considera una resistenza pari a 1/9 1/12 di quella a flessione oppure 1/6 1/8 di quella a compressione. Nel verso trasversale alle fibre la resistenza al taglio è certamente maggiore ma è ancora più difficile determinarla sperimentalmente. In linea generale si può ritenere che essa superi tre volte quella nella direzione delle fibre. Tabella sollecitazioni a rottura per alcuni tipi di legno da costruzione.
Classificazione dei legnami I legnami di uso comune possono essere classificati a seconda del tipo di essenza in: 1 ) Legnami duri o dì essenza forte 2) Legnami teneri o di essenza dolce 3) Legnami resinosi 4) Legnami fini. Quelli del primo gruppo sono legni con elevato peso specifico che si scalfiscono con difficoltà, resistono molto bene all'usura e alle alternanze di secco ed umido, per cui vengono in genere usati per pavimentazioni. Per un buon rendimento si deve sottoporre però preventivamente il legno ad una buona essicazione favorendone la traspirazione; si evita così che dopo un certo tempo della posa in opera, il materiale possa rigonfiarsi. Per il loro elevato peso specifico sono poco usati nell'industria dei serramenti, anche perché il costo non è indifferente, in relazione soprattutto
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alla difficoltà di lavorazione. A questo gruppo appartengono le querce, di cui le più note in Europa sono il cerro, il rovere e il leccio. Il rovere {di Sìavonia) è di colorazione giallo bruna con alburno biancastro. E' un legno compatto, tenace, pesante, con fibra diretta. Il leccio e il cerro sono legni di colorazione rosso bruna con alburno più chiaro. Sono molto compatti, pesanti, omogenei; tenaci, di lunga durata e quasi inintaccabili dagli insetti in quanto durissimi. Altri legni che appartengono a questo gruppo sono: il castagno, legno giallo bruno con venature più scure, discretamente leggero e resistente ma non troppo compatto, esposto alle intemperie si deteriora facilmente, e si scurisce in quanto contiene tannino. Il faggio, legno di colore bianco rossastro a raggi midollari; è assai elastico e flessibile, al vapor d'acqua accentua questo suo carattere per cui è molto usato nell'industria del legno curvato; non resiste però alle alternanze di secco e umido. E' anche usato per pavimentazioni, ove sostituisce il rovere, dato il costo meno elevato. Il frassino, legno bianco e chiaro con alburno bianco rosso, presenta riflesse madreperlacei nelle sezioni radiali; è tenace, compatto, elastico ma facilmente flessibile. Il noce, di colore bruno e resistente, è stabile se stagionato. L'acero, legno bianco gialliccio poco differenziato nell'alburno; è elastico, leggero e piuttosto duro. Appartengono al secondo gruppo legni molto teneri che si sfibrano facilmente, tra cui il pioppo, legno di colore biancastro, che è leggero ed abbastanza resistente, ma poiché si sfibra facilmente è poco usato per lavori di una certa consistenza. Il platano, legno con durame rosso bruno; è di poco pregio nelle costruzioni perché è facilmente attaccabile dai parassiti. Quelli del terzo gruppo sono dei legni di grande resistenza, compatti ed elastici, il cui essicamento non richiede particolari cure; resistono molto bene alle intemperie. La principale applicazione dei legnami di essenza resinosa è appunto nell'industria dei serramenti. In questo gruppo troviamo: il larice, legno a durame rosso bruno, molto resinoso e perciò odoroso; compatto, semiduro, resiste bene e lungamente all'azione dell'acqua, attualmente non è però molto usato, soprattutto perché non è facile trovarlo perfettamente stagionato. L'abete douglas del Canada, molto classico e resistente e si avvicina al larice per le sue proprietà, oltre alla caratteristica colorazione giallo rossiccio presenta una quasi perfetta perpendicolarità delle fibre, con assenza di nodi. Vabete ed il pino, si presentano in diverse specie che forniscono legnami molto usati nelle costruzioni. Il pino giallo o picht-pine: largamente usato in Europa proviene in gran parte dall'America centrale e settentrionale in varie qualità; ve ne sono di eccellenti che danno un legno duro, pesante, resinoso, durevole, di colore giallo rossastro fino al rosso bruno.
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I legnami del quarto gruppo presentano fibre sottili e sono annoverabili tra i legni preziosi particolarmente indicati per lavori di ebanisteria. In massima parte raggiungono dimensioni modeste e sono di solito impiegati in limitata quantità per lavori di intarsio e simili nell'industria del mobile.
Principale impiego dei legnami Impalcature Serramenti esterni Serramenti interni Pavimentazioni interne Strutture in tetti di legno
abete, pino, castagno larice, pino, pitch-pine, abete verniciato, douglas abete, castagno, faggio, noce rovere, faggio abete, castagno, rovere, pino, larice.
Difetti dei legnami I principali difetti dei legnami sono i seguenti: — Nodi, dovuti ai rami che attraversano il fusto radialmente e sono poi ricoperti dagli strati annuali di accrescimento. Possono essere vivi, cioè saldati con il circostante tessuto legnoso, o morti, che cadono facilmente lasciando fori sani od avariati. In ogni modo ostacolano la lavorazione e riducono la resistenza del legno. — Fusto eccentrico, cioè con spessore degli anelli non uniforme. Si manifesta in alberi isolati cresciuti su terreni con forte pendenze. In questo caso la resistenza è ridotta e il legname è poco adatto ad essere rifilato o segato. — Torsione del fusto, dovuto all'azione del vento spirante in direzione costante. Si hanno elementi a resistenza ridotta e variabile da punto a punto. — Cipollatura o girello, che consiste nel distacco di due anelli di accrescimento continui lungo l'intera circonferenza, o in parte. E' dovuta alle diverse deformazioni degli anelli prodotti dall'azione del vento e dall'effetto del caldo e dei geli eccessivi. — Falso durame, che è costituito dal legno della parte centrale di circolazione più scura e a contorno irregolare; provoca una riduzione della resistenza e della durata del materiale. — Lunatura o doppio alburno, fenomeno dovuto alle gelate tardive in primavera e precoci in autunno che atrofizzano le cellule dell'alburno arrestando la sua trasformazione in durame. Resta quindi incluso uno strato non lignificato. — Marciume, che proviene dall'alterazione dei tessuti del legno provo-
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cata da una eccessiva circolazione di linfa e da microorganismi vegetali. Il legno si riduce ad un ammasso pulvirulento o fibroso privo di consistenza. — Cretti, che sono spaccature dei fusti in senso radiale. Possono essere periferici o centrali e sono originati da forti geli seguiti da veloci disgeli, oppure da una troppo rapida evaporazione dell'acqua.
Applicazione dei legnami come elementi costruttivi Le principali forme e dimensioni, a seconda dell'uso e dell'impiego dei legnami da costruzione sono: - Travi: di forma parallelepipeda, squadrati a spigolo vivo, di misure che vanno dai 25 ai 42 cm e lunghezze fino a 14 m. — Legname tipo Trieste: sono chiamati così quei legnami semplicemente sgrossati d'ascia e grossolanamente squadrati, senza spigoli vivi. — Travetti o morali: sono elementi di dimensioni minori con sezione quadrata, generalmente 6 x 6 , 7 x 7 , 8 x 8 . Si ha mezzo morale quando una delle dimensioni è dimezzata 3 x 6; 3,5 x 7; 4 x 8. Il loro uso è principalmente nei tetti. - Correntini o listelli: usati specialmente per la piccola orditura dei tetti, hanno sezione 2 x 4 , 3 x 3 , 3 x 5 . - Tavole: generalmente sono lunghe 4 m e larghe da 20 a 40 cm con spessori di 2 4 cm. Se sono di spessore superiori ai 4 cm vengono chiamate palancole.
Lavorazione del legno Reciso il tronco e pulito dalle ramaglie e talora dalla corteccia, a seconda dell'impegno cui è destinato, l'elemento può essere trasportato intero o segato in lunghezze commerciali, in genere circa quattro metri. Nelle costruzioni provvisorie (impalcature, ponti di servizio di cantiere) il tronco viene impiegato senza essere squadrato. Invece nelle costruzioni di maggior durata o di una certa importanza il tronco viene grossolanamente squadrato o ridotto a spigolo vivo. La squadratura a spigolo vivo si fa a macchina. Se la trave deve essere sollecitata a compressione o a trazione conviene farla a sezione quadrata, perché in tal caso è massima l'area della sezione ed è massimo il raggio di inerzia. Se invece la trave è sollecitata a flessione i lati b ed h della sezione rettangolare dovranno avere il rapporto che rende massimo il modulo di resistenza W = 1/6 bh2. Tale rapporto vale circa 5/7.
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La segagione del materiale è diversa a seconda del tipo e degli elementi che si vogliono ottenere. I principali sistemi sono i seguenti, Fig. 3.2: — Segagione a maglia, è generalmente la più usata, anche se per gli elementi che si ottengono non si evita l'imbarcamento, dato l'andamento degli anelli nella sezione del tronco.
Fig. 3.2 - Segagioni del legname.
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— Segagione in quarto con mezzoni, dopo il taglio dei tavoloni centrali si procede al taglio degli elementi nei quarti in direzione radiale, oppure secondo direzioni parallele. — Segagione in quarto, ove gli elementi sono tagliati nei quarti del tronco secondo direzioni alternativamente normali. — Segagione in quarto a misure obbligate, analoga alla precedente ove gli elementi hanno diverse e prefissate misure. Il legno compensato, come già accennato, è un prodotto di grandissima diffusione ed è generalmente usato per le opere di finitura interna degli edifici particolarmente per la costruzione di porte, pannelli di rivestimento, serramenti in genere, e nell'industria del mobile. Il legno compensato si ottiene incollando sotto pressione sottili fogli di legno dello spessore da 0,8 a 2 mm, disposti gli uni rispetto agli altri con le fibre perpendicolari. Si è visto infatti che la resistenza del legname varia grandemente col variare dell'angolo tra la direzione delle fibre e quelle dello sforzo di sollecitazione, pertanto la particolare costruzione di tale materiale evita questo inconveniente. Inoltre le tavole di legname, a causa del ritiro, sono soggette ad un ingobbamento più o meno sensibile a seconda della stagionatura e delle alternanze di secco e di umido. I vantaggi dal punto di vista della resistenza sono quindi evidenti, ed è anche da aggiungere la leggerezza ed il costo non elevato. La fabbricazione del legname compensato ha appunto lo scopo di creare un materiale che abbia una buona resistenza in tutte le direzioni e non sia soggetto a notevoli deformazioni; in definitiva quindi le tavole di legno compensato presentano caratteristiche meccaniche notevolmente migliorate rispetto al legno naturale. I tronchi destinati alla lavorazione del legno compensato (quercia, pioppo, betulla, faggio) devono prima essere scortecciati, e poi mantenuti per molte ore a contatto col vapore d'acqua che renderà il legname più soffice, e quindi collocati su apposite macchine sfogliatrici che funzionano allo stesso modo di un tornio. II tronco viene fatto girare lentamente e mediante un coltello automatico pressato contro il legno, si viene a tagliare un sottile foglio continuo. L'operazione di incollatura dei diversi fogli viene fatta a caldo e sotto pressione, usando colle a base di caseina, che essendo a lenta presa, costringono a mantenere la pressione per 8 10 ore. Riassumendo quindi, il compensato presenta il vantaggio sul legno comune di una maggiore leggerezza, di una minore variazione dimensionale per effetto di umidità, di una maggiore facilità di lavorazione, anche su grandi dimensioni; permettono inoltre di ottenere superfici in vista con legni pregiati, senza necessità di impiallaciatura e in definitiva con costi notevolmente bassi. Un particolare tipo di compensato è il paniforte che è un compensato composto da molteplici sottili fogli di legno incollati e pressati fra loro con
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fibre incrociate fino a formare uno spessore di uno o due centimetri. Sotto lo stesso nome si hanno altri pannelli formati da prismi di legno accostati e incollati così da formare una tavola: sulle due faccie di tale tavola vengono incollati due normali compensati. Altro particolare impiego il legno può trovarlo nei pannelli agglomerati truciolari (tipo Faesite) che si ottengono con pressatura ad alta temperatura; il prodotto finito si presenta come pannello anche di minimo spessore, compatto e durissimo, di solito finito e smaltato su di una faccia e lasciato grezzo dall'altra. Il legno può anche essere usato come materiale isolante sia termico che acustico (come isolamento e come correzione) in appositi pannelli di spessore variabile da cm 1 a 7,5 costituiti da fibre di pioppo imbevute in una soluzione concentrata di solfati di magnesio e trattati termicamente in forni ad alta temperatura {Eraclit). Le fibre di legno così trattate subiscono un vero processo di mineralizzazione e pertanto risultano inalterabili nel tempo mentre la sua struttura, costituita da un insieme di piccole celle irregolari, conferisce al pannello elevati doti di leggerezza e di isolamento. Tale materiale è largamente impiegato nelle costruzioni, data la capacità autoportante del pannello, la facilità della posa in opera, la possibilità di intonacatura, ed il costo non elevato.
CAPITOLO QUARTO
I MATERIALI LAPIDEI
Le pietre naturali impiegate nelle costruzioni, provengono da determinati tipi di rocce, cioè da miscugli eterogenei di sostanze di natura minerale, che formano parte integrante della crosta terrestre. Vengono prelevate dalle cave che possono essere a cielo aperto o sotterranee. Nel primo caso messo a nudo il giacimento, si procede all'escavazione con metodo diverso (ad aria compressa, con filo elicoidale, con esplosivi) a seconda della giacitura e delle caratteristiche del materiale, nel secondo invece l'escavazione avviene a mezzo di cunei oppure con l'impiego del filo elicoidale in vere e proprie gallerie che si addentrano all'interno del giacimento (come ad esempio per i materiali tufacei o più generalmente per la cosiddetta pietra tenera del Vicentino). Il materiale una volta escavato viene trasportato ai piedi della cava e quindi inviato agli stabilimenti di lavorazione. Il blocco così pervenuto, a meno che non venga impiegato in opere particolari, viene di solito segato in lastre di spessore variabile, a partire da un minimo di 7 mm, con apposite macchine chiamate telai costituite da un insieme di lame in ferro poste alla distanza voluta per l'ottenimento dello spessore delle lastre. Le lame costituenti il telaio strisciano con movimento pendolare sul blocco e su di esse si fa cadere una miscela abrasiva, che ha appunto la funzione del taglio, costituita da acqua e sabbia quarzifera; l'operazione di taglio di un blocco, a seconda del tipo del materiale, può durare ininterrottamente per più giorni. Dalle lastre così ottenute, a seconda delle particolarità di impiego, si procederà poi alle lavorazioni successive che si distinguono a seconda che il materiale sia impiegato come rivestimento per l'esterno o l'interno, o come pavimentazione, o scala, o davanzale, ecc.. Le rocce possono essere classificate in tre categorie: A) Eruttive B) Sedimentarie C) Scisti cristallini. Le rocce eruttive provengono dalle viscere della terra, da cui sono uscite allo stato fuso ad alta temperatura, e si sono nel tempo poi solidificate in superficie. Sono essenzialmente rocce di tipo vulcanico, come graniti, porfidi, ba-
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salti, trachiti. Anche la pomice appartiene a questa categoria, ma è un materiale con caratteristiche particolari, come l'estrema leggerezza, per cui viene di solito polverizzata ed applicata come materiale isolante per l'isolamento termico ed acustico. Le rocce appartenenti a questa categoria sono estremamente compatte, hanno elevato peso specifico ed elevata durezza; possono essere impiegate solo per usi particolari (prescindendo dall'effetto estetico: colore, grana e venatura); resistono molto all'usura ma si tagliano e si lavorano con notevole difficoltà. Hanno quindi generalmente un costo elevato. Le rocce sedimentarie derivano dalla sedimentazione di sostanze minerali oppure da depositi organici; sono derivate dalla erosione determinata dagli agenti fisici o chimici degli elementi naturali. Le masse così accumulate hanno subito nel tempo notevoli trasformazioni, da cui derivano diversi tipi di rocce. Altri tipi di rocce sedimentarie si sono originate col disciogliersi e il depositarsi di materiali in acqua, uniti a residui di organismi vegetali o animali, oppure da prodotto vulcanici cementati insieme. Appare dunque evidente che le rocce sedimentarie sono di natura molto varia, sia dal punto di vista della composizione che della struttura. Appartengono a questa categoria i calcari ed i marmi; è infatti non difficile trovare all'interno di essi scheletri di pesci preistorici, conchiglie, lumache ed altri fossili. Le rocce appartenenti a questo gruppo possono essere ulteriormente suddivise in due categorie: 1) Marmi cristallini a struttura saccaroide (Grecia, marmo di Lasa, Vallestrona, Carrara, madreperla di Sicilia). 2) Marmi concrezionati. Al limite estremo di questa categoria troviamo i tufi, ed in genere le pietre tenere. E' questo un materiale che si taglia facilmente con la sega appena escavato ed all'aria subisce un processo di indurimento; è però attaccabile dallo smog e dalle atmosfere inquinate delle nostre città, per cui anche in poco tempo si disgrega e si polverizza. Appartengono ancora a questa categoria le brecce e tutti i brecciati, i quali anche visivamente si presentano come formati dall'unione di vari e diversi elementi. Non sono in genere materiali compatti a struttura cristallina ma si sgretolano con notevole facilità. Scisti cristallini. Sono rocce spesso insieme eruttive e sedimentarie, disposte a strati e quindi facilmente divisibili o sfaldabili. Non vengono infatti quasi mai estratte in blocco ma per sfaldatura. A questa categoria appartengono i Gneis (rocce micacee), le quarziti, i serpentini. Per il corretto impiego del materiale ha notevole importanza conoscere le proprietà fisiche delle varie pietre e, in relazione per un impiego all'esterno, particolarmente la resistenza agli agenti atmosferici. Ad esempio, in-
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fatti, soltanto il costruttore sprovveduto e di scarsa cultura, non solo tecnica, penserà dì applicare a Venezia come rivestimenti esterni pannellature in travertino che, data la struttura non compatta e la porosità che sono tipiche del materiale, darà dei risultati di durevolezza nel tempo — oltre che di esteticità — quanto mai precari. Il travertino che è un ottimo e bellissimo materiale troverà la sua esaltazione a Roma, nell'antica tradizione e nel clima più adatto alla sua corretta applicazione. A Venezia, come l'esperienza dei secoli insegna, l'unico materiale lapideo correttamente impiegabile per esterni è la pietra d'Istria, che viene intaccata solo superficialmente dall'atmosfera e dalla salsedine della laguna patinandosi in colorazioni particolari che hanno caratterizzato nei secoli le principali architetture della città lagunare. Le altre caratteristiche principali, che sono date dall'insieme dei requisiti naturali propri del materiale, e che interessano ai fini di un corretto impiego sono le seguenti: — Peso specifico, che varia da 2.000 a 3.000 kg/m 3 (calcestruzzo armato 2.000 2.500 kg/m 3 ) e che è dato dal rapporto tra il peso del materiale ridotto in polvere ed il suo volume. — Durezza. E' la resistenza al logorio dovuto ad azioni esterne (abrasione). Se ad esempio si dovesse pavimentare un grande magazzino di vendita, non si userà mai una breccia, che pure è di notevole effetto estetico dato il suo colore variegato e la sua grana, in quanto il pavimento costituito da questo materiale si sfalderebbe entro breve tempo. Per un pavimento risulta quindi fondamentale considerare la durezza e la compattezza del materiale in relazione al proprio uso. Tornando all'esempio precedente, sarà corretto impiegare ad esempio un granito per la sicurezza che nel tempo il materiale si conserverà perfetto; l'unico limite nell'applicazione di un tale tipo di pavimentazione è dato soprattutto dal costo e particolarmente in relazione ad altri materiali di normale impiego. — Tenacità. E' la resistenza agli urti e costituisce un requisito molto importante per una pietra; è il contrario della fragilità. — Gelività. E' la resistenza della pietra agli agenti atmosferici. La pietra se adoperata per esterni deve essere a struttura compatta e non presentare fori per non essere intaccata dal gelo; si è già accennato infatti che non sarebbe corretto applicare come rivestimento elementi di materiale gelivo in climi particolarmente umidi e freddi, come a Venezia. Una pietra di questo tipo non è consigliabile anche usarla come pavimento; il travertino ad esempio è una pietra porosa, la cui superficie è costituita da una serie di fori che assorbono l'acqua e la polvere. Pietre di questo tipo trovano invece larghissimo e corretto impiego nei climi più caldi dove in pratica questo pericolo non esiste. — Lavorabilità. E' in diretta relazione con la tenacità e varia con i materiali, e per ciascun materiale a seconda del verso. La lucidabilità è un'attitudine caratteristica di lasciarsi ridurre a superficie perfettamente levigata,
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attraverso successive operazioni. Di solito i materiali più Riciclabili sono i calcari cristallini, mentre i materiali più duri, come il granito, si lucidano con notevole difficoltà e costo elevato, ma una volta acquistata la lucidità la conservano a lungo. Per quanto riguarda le caratteristiche meccaniche è da dire che le pietre presentano elevata resistenza a compressione e scarsissima resistenza a flessione. Le pietre dei gruppi A e C presentano un a compressione che varia da 1.500 a 2.000 kg/cm 2 ,per quelle del gruppo B il varia da 500 a 800 kg/cm 2 . La resistenza a flessione è trascurabile al punto che viene considerata in pratica nulla. Per i gruppi A e C = 1 0 0 kg/cm 2 ; per il gruppo B = 2 = 50 kg/cm . Si veda in proposito la tabella allegata. Tabella comparativa di resistenza alle sollecitazioni per taluni tipi di pietre naturali.
Il coefficiente di sicurezza prima definito varia per i materiali lapidei, e a seconda del materiale, da 10 a 15. Per l'elevata resistenza a compressione le pietre e i materiali lapidei sono stati usati fin dall'antichità per murature, pilastri, colonne: cioè in struttura sollecitate a sforzi normali o di compressione. Per quanto si riferisce all'impiego odierno dei materiali lapidei - ab-
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bandonato naturalmente il concetto dell'uso degli stessi come elementi di struttura — le principali applicazioni sono le seguenti: Rivestimenti esterni. Il materiale lapideo è impiegato in lastre di spessore variabile come rivestimento di una sottostante struttura generalmente laterizia — o di tamponamento tra gli elementi di una struttura a gabbia — oppure come elemento di rivestimento in lastre di minimo spessore posto al di sopra di un supporto autoportante per pannellature prefabbricate. Nel primo caso le lastre di marmo o pietra, di tipo e di spessore adeguato (con un minimo di cm 3), saranno fissate alla sottostante muratura a mezzo di apposite zancature, mentre tra la lastra e la muratura sarà interposto un letto di malta, Fig. 4.1.
Fig. 4.1 - Sistemi di attacco di lastre usate come rivestimenti esterni di facciate.
Le zancature possono essere di diverso tipo, ma sempre di materiale non attaccabile alla corrosione, come ferro zincato, rame od ottone. Nel caso invece dell'impiego del materiale lapideo come elemento di rivestimento superficiale esterno dì un pannello prefabbricato, la lastra dovrà essere di minimo spessore (7 mm) che aderisce a mezzo di collanti speciali ad un supporto autoportante, che in alcuni casi può essere di fibre di legno legato da cemento magnesiaco (Eraclit), Fig. 4.2. I vari pannelli dimensionati in funzione della modulazione prescelta, potranno essere tra loro collegati verticalmente a mezzo di profilati metallici, generalmente di alluminio. Rivestimenti intemi. Di solito limitati ad elementi di non grande dimensione, per cui valgono le prescrizioni di applicazione di cui si è accennato al punto precedente. Naturalmente, a seconda delle estensioni del rivestimento, le zancature avranno dimensioni più limitate, le lastre potranno avere spessore minore ed il materiale impiegato avrà caratteristiche fisi-
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Fig. 4.2 — Pannelli prefabbricati di tamponamento con faccia esterna in materiale lapideo di minimo spessore.
che e meccaniche diverse da quello invece utilizzato per i rivestimenti esterni soggetti agli agenti atmosferici. Pavimentazioni. E' certamente il campo di più largo impiego del materiale lapideo, la cui scelta è direttamente in funzione dell'ambiente nel quale verrà posto, delle caratteristiche estetiche del materiale, della sua resistenza e lucidabilità e del suo costo. E' di solito posto in lastre, su un sottostante massetto di sottofondo in calcestruzzo di cemento, posato con il piano lavorato a filo di sega e poi levigato e lucidato in opera con apposite macchine. Può anche essere utilizzato in frammenti di varie dimensioni, tra loro connessi con un legante e si ottiene così il "pavimento alla palladiana", oppure sbrecciato in piccole dimensioni ed annegato in un pastone di polvere di mattone, calce, pozzolana e polvere di marmo e si ottiene il "terrazzo alla veneziana". Scale, che possono essere del tipo a sbalzo, costruite a massello, cioè con gradini e pianerottoli in struttura massiccia lapidea. Di solito oggi le scale hanno struttura in calcestruzzo armato ed il materiale lapideo è esclusivamente usato come rivestimento in lastre di spessore costante (cm 3), oppure di spessore variabile, da cm 3 per le pedate, i pianerottoli ed i ripiani, e da cm 2 per le alzate, e fissate con malta bastarda alla sottostante struttura, Fig. 4.3. Nell'edilizia civile numerosissimi altri utilizzi trova il marmo o la pietra che vediamo impiegati nei davanzali, negli stipiti e nei contorni delle porte, nelle mensole e in svariati altri elementi che costituiscono le opere di finitura di un edificio.
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Fig. 4.3 - Gradini.
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Bibliografia A. CONSIGLIO, Il marmo, Pisa, 1949. M. PIERI, Marmi d'Italia, Milano, 1952. F. RODOLICO, Le pietre delle città d'Italia, Firenze, 1953. M. PIERI,Marmologia, Milano, 1966. e le riviste specifiche: - Marmi, Graniti, Pietre - Marmo, Tecnica, Architettura - Pietre.
CAPITOLO QUINTO
CERAMICI - LATERIZI
Si definiscono come "ceramici" tutti quei prodotti inorganici e non metallici che per la loro fabbricazione necessitano di elevate temperature; in questo capitolo si tratteranno i prodotti ceramici più tradizionali, ricavati da materiali argillosi, innanzitutto i laterizi e poi le maioliche, le terraglie, il gres e le porcellane. I materiali ceramici (da kéramos = argilla in greco) sono tra i prodotti più antichi della civiltà umana: già 6000 anni a.C. si trovano mattoni o piastrelle cotte ed anche smaltate in Egitto ed in Mesopotamia e India. Le argille sono rocce molto diffuse nella crosta terrestre: sono il risultato di profonde trasformazioni, sviluppatesi attraverso varie ere geologiche, di rocce primarie come graniti, basalti e miche sotto l'azione dell'acqua, della pressione e della temperatura; pur nella loro varietà sono sempre riconducibili a dei silicati di alluminio, ad una associazione di silice ed allumina in diverse proporzioni (illiti, caoliniti, montmorilloniti) con presenza di ossidi di ferro e calcari, i quali ultimi peraltro non devono superare il 10% del totale. I prodotti ceramici vengono classificati come segue:
II processo di formazione dei laterizi avviene in sei successive fasi: 1) estrazione del materiale da cave a cielo aperto, in superficie, previa asportazione del cappellaccio vegetale, ed è eseguita generalmente in autunno. 2) ibernazione (spurgo): si lasciano esposte le argille alle intemperie
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in grandi cumuli, all'aperto, ove per opera del gelo e del disgelo, si degradano le argille liberando le sostanze estranee. Questa operazione permette che il materiale si riduca in grani di dimensioni molto piccole. Può anche essere eseguita un'operazione meccanica (estivazione), nella quale le argille vengono sminuzzate, raffinate, mescolate ed impastate e se necessario con una decantazione che avviene in una serie di vasche con fondo perforato a griglia; in tale caso le operazioni 2 e 3 vengono a coincidere in un unico procedimento meccanico. 3) Mescolazione: la pasta viene finemente impastata con particolari macchine ad elica e viene eventualmente corretta la composizione aggiungendo quei materiali che mancano o che non sono in esatta percentuale per una perfetta composizione della miscela. 4) Impasto e modellazione: i singoli elementi di argilla vengono modellati a mano, procedimento ormai in disuso, oppure a macchina per pressatura; gli elementi per solaio vengono trafilati e tagliati con un filo d'acciaio per ottenere elementi di lunghezza desiderata, cosi come gran parte degli altri elementi forati. 5) Essicazione: una volta modellati, i pezzi vengono essiccati e tale operazione può essere naturale, sotto delle tettoie dove vengono asciugati dall'azione dell'aria, oppure artificialmente nella quale i singoli pezzi vengono immessi in opportune camere ad aria calda, con eventuale ricupero del calore di cottura. 6) Cottura: avviene normalmente intorno a 950-1000°C con ciclo di alcune ore, che negli impianti più moderni si tendono sempre a ridurre (8-4 ore): un tempo erano generalmente usati i forni a fuoco mobile tipo Hoffmann a camere comunicanti e recupero di calore, oggi è invece più diffuso l'uso di forni a tunnel. A seconda del grado di cottura i mattoni laterizi vengono classificati in: aitasi, poco cotti di colore giallo chiaro, molto porosi e con scarsa resistenza; mezzani, a cottura normale; forti, ottenuti a temperature più elevate e con caratteristiche fisico-meccaniche migliori dei precedenti; ferrioli, troppo cotti, in parte vetrificati, di colore più scuro, con scarso appiglio per le malte. Oltre alle terrecotte, derivate dalle stesse materie prime dei laterizi, ma per usi non strettamente edilizi (vasi, recipienti, decorazioni), da materie prime più pure e con minore contenuto di ossido di ferro si ottengono le faenze, normalmente rivestite con vetrine trasparenti o con ingobbio, che, se rivestite invece con smalti e decori (composti di piombo, boro, zirconio, titanio, manganese, ferro, cadmio, cromo, ecc.), prendono il nome di maioliche. Con l'aggiunta di caolini e fondenti (feldspati ed eventualmente talco) si ottengono, con cottura a 1000-1500°C le terraglie tenere, e a 12001250°C le terraglie forti: le terraglie vengono ricoperte in seconda cottura
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fino a 1100-1150°C con smalti opachi. Partendo da argille plastiche di tipo caolinitico o illitico con fondenti, cotte a 1200-1300°C, si ottiene il gres, con struttura molto più compatta e grande resistenza chimica. La porcellana rappresenta il prodotto più nobile dell'industria ceramica: le materie prime sono caolino, quarzo, come smagrante, e feldspato come fondente: quanto maggiore è la percentuale di caolino e inferiore quella del feldspato, maggiore è la durezza della porcellana e più alta la temperatura di cottura, tra 1400 e 1450°C, con invece maggiore percentuale di fondenti si hanno le porcellane tenere, che cuociono a 1300°C ed hanno caratteristiche meccaniche inferiori. Nella gamma dei prodotti ceramici sono compresi anche i vari tipi di refrattari, con uso peraltro soprattutto negli impianti e nell'industria. Nel campo dell'edilizia i principali prodotti sono: Laterizi: - Mattoni pieni (UNI 5626/65) da cm 5,5x12x25 del peso di 2,8 kg ciascuno; persistono ancora in produzione mattoni con formati tradizionali locali, come il veneto 6x 13x26. - Mattoni semipieni (UNI 5629/65): trasversalmente allo spessore prevedono dei fori di diametro inferiore a 15 mm distanti fra loro almeno 7 mm, peso circa 2,4 kg ciascuno. Vengono anche prodotti in dimensioni di cm 12x12x25 denominati "bimattoni". — Mattoni forati (UNI 1607) generalmente hanno 2-3 oppure 4-5 fori longitudinali e superficie esterna rigata. — Blocchi forati (UNI 5630/65) si fabbricano in forme e dimensioni diverse con incastri verticali o orizzontali per facilitare la posa in opera e limitare l'impiego di malte. Secondo le norme UNI 5632/65 questi prodotti devono avere forma regolare, essere esenti da screpolature, fessure e cavità irregolari, presentare a frattura massa omogenea e compatta, dare a un colpo di martello suono chiaro di timbro metallico. I mattoni da paramento, cioè per murature a vista devono anche dare sufficiente uniformità di colore. II carico medio unitario di rottura a compressione deve essere superiore ai valori per ciascun tipo indicati nella tabella 5.1. Per i laterizi dichiarati non gelivi i mattoni divisi a metà vengono immersi in acqua a + 35°C per 1 ora indi posti in frigorifero a — 10°C per 3 ore e il cicli viene ripetuto 20 volte. Alla fine della prova i provini non devono presentare screpolature, sfaldature o tracce di lesioni e alla prova di compressione devono dare un risultato non inferiore all'80% di quello ricavabile sullo stesso campione prima della prova. Il saggio di imbibizione consiste nell'essiccare in stufa i campioni sino
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Tabella 5.1
a costanza di peso e successivamente immergerli in acqua per 2 h. Dopo aver asciugato i campioni con carta bibula si ripesano. La quantità d'acqua assorbita deve essere compresa tra l'8 ed il 28% del peso del campione all'inizio. — Tavelloni, generalmente impiegati in strutture orizzontali portanti; il loro spessore varia da 6 a 8 cm, e la loro lunghezza da un minimo di 40 ad un massimo di 120 cm. Sono autoportanti e trovano il loro impiego per coprire luci molto modeste, con sovraccarichi non elevati. — Tegole curve o coppi, di forma tronco conica usati come manti di copertura. Le dimensioni unificate sono: lunghezza cm 45, larghezza massima e minima cm 18 e cm 14, spessore minimo 12 mm. Il profilo della tegola è ad arco di parabola. Per ogni metro quadrato ne occorrono 33, il peso del manto al metro quadrato è di kg 75 80. — Tegole romane (embrici canali) di forma trapezia con orli rilevati ad angolo retto lungo i lati non paralleli. Per ogni m2 occorrono da 9 a 12 coppie (embricate e canale) peso 60 70 kg/m 2 . — Tegole piane {marsigliesi). Sono di forma rettangolare e presentano nelle due facce opportuni rilievi ed incavi che servono al necessario parziale ricoprimento dei pezzi contigui, e ad offrire un agevole scolo alle acque. Le dimensioni unificate sono cm 24x39. Peso di ogni elemento circa 2,5 kg. Un tratto di copertura della lunghezza di 1 m deve comprendere 5 tegole in lunghezza e 3 tegole secondo la inclinazione della falda. Peso al m2 circa 38 kg. Requisito essenziale per gli elementi usati come manti di copertura è
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l'impermeabilità; la prova si attua sottoponendo un elemento ad un carico di 55 mm di acqua per 24 ore. Una buona tegola, ad imbibizione totale non deve presentare un aumento di peso maggiore del 15%.
Fig. 5.1 - Elementi in laterizio come manti di copertura.
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Piastrelle Le caratteristiche fisiche e meccaniche, la facilità di pulizia, il basso costo, le infinite possibilità di decorazione, la varietà dei tipi a disposizione giustificano il larghissimo uso nell'architettura delle piastrelle ceramiche, legato anche ai miglioramenti via via apportati al prodotto ed alle tecnologie di produzione. I principali tipi sono i seguenti: — Piastrelle in maiolica a pasta debolmente colorata e perciò sempre ricoperte da smalti opachi, sono in genere di dimensioni 15x15 variamente colorate destinate al rivestimento di interni. — Piastrelle in cottoforte, prodotto tipico italiano fabbricato per lo più in Emilia, sono utilizzate per la pavimentazione di interni, nel formato 20x20 ricoperte con smalti opachi colorati e decorati, hanno buone caratteristiche meccaniche. — Piastrelle in cotto non smaltate, di un caldo color rosso servono per pavimentazioni di interni rustici laddove un tempo venivano impiegati i mattoni. Formati più frequenti 30x 30, 25 x 25, 20 x 40, 40x 60. — Piastrelle in gres rosso previste anche dalle norme UNI 6506/69, sono vetrificate, presentano un assorbimento in acqua < 4%. Nel classico formato 7,5x14 vengono utilizzate per pavimentazioni di interni ed esterni in abitazioni, industrie, ospedali e in genere zone di intenso passaggio per la loro resistenza chimica e all'abrasione. — Piastrelle in gres porcellanato, quasi completamente vetrificate con ottime proprietà meccaniche e di resistenza chimica. Nei formati 5x10 e 10x10 servono per pavimentazioni. Possono essere variamente colorate, si producono anche per monocottura e in tal caso risultano smaltate. — Piastrelle in terraglia dolce. Assieme al successivo è il tipo più diffuso nel mondo per rivestimenti di pareti interne. Prodotto a pasta bianca, come fondenti contiene carbonati di calcio e di magnesio. Si può decorare la superficie del biscotto e rivestirla di sola vetrina. Il formato classico è 15x15. — Piastrelle in terraglia forte. Simili alle precedenti prevedono l'impiego di feldspati come fondente. Hanno quindi minore porosità e maggiore resistenza meccanica. La resistenza meccanica viene di solito interpretata attraverso il carico di rottura a flessione di interesse soprattutto per le piastrelle per pavimentazione. Esso risulta in genere superiore ai 100 kg/cm 2 ma per alcuni tipi di gres può raggiungere i 250-350 kg/cm 2 . Laterizi alleggeriti Allo scopo di migliorare la coibentazione termica e l'isolamento acu-
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stico si ricorre anche a prodotti laterizi nei quali viene esaltata la porosità, anche se a scapito del peso specifico e della resistenza meccanica. La tecnologia di produzione dei mattoni "leggeri" contempla l'impiego in miscela (oltre ai prodotti consueti) di prodotti combustibili che liberano pertanto gas al momento della cottura e ostacolano il processo di sinterizzazione. Si ricorre a antracite, segatura di legno, farina di coke e di lignite. Si possono usare anche carbonati che liberano anidride carbonica. Il processo di formatura è del tutto simile a quello già descritto per i mattoni più compatti sol che si ricordi che le deformazioni in cottura di tali prodotti sono molto più sensibili ed è quasi sempre necessaria una operazione finale di rifilatura. Se la formatura avviene per colaggio si possono avere prodotti porosi anche trasformando la sospensione in una schiuma addizionando opportuni agenti emulsionanti e mantenendo l'insieme fortemente agitato per inglobare la massima quantità d'aria. Si fabbricano mattoni isolanti per impianti frigoriferi (fino a -100°C) per temperatura ambiente, per temperature fino a 150°C e oltre. Mattoni refrattari sono considerati quelli che resistono a temperature superiori ai 500-600°C. La resistenza a compressione di questi ultimi non deve essere inferiore ai 50 kg/cm 2 ma può arrivare fino a 200, la conducibilità termica è mediamente 0,5-0,7 kcal/m/h/°C. Nei mattoni porosi la porosità è dell'ordine del 50% e il peso specifico attorno a 1 ma si possono ottenere valori anche molto più bassi come 0,30,4g/cm 3 . Se la porosità è del tipo aperto occorre impermeabilizzare il manufatto per impedire la penetrazione di umidità dato che la conducibilità termica dell'acqua è circa 20 volte quella dell'aria. In genere alle alte temperature è preferita la presenza di moltissimi pori piccoli e chiusi non collegati fra loro per diminuire la trasmissione di calore per irraggiamento. Una interessante e nuova elaborazione del laterizio tradizionale è rappresentata dal Poroton, owerossia "argilla porizzata", così denominata dall'ing. Sven Fernhof suo ideatore. Questa macroalveolatura, ottenuta inserendo nell'impasto argilloso — prima della trafilazione — una miriade di sferette del diametro di circa 1,5 mm di una sostanza a bassa temperatura di sublimazione (polistirolo espanso), esalta le doti di benessere abitativo proprie del laterizio tradizionale. Alle caratteristiche di leggerezza (800 kg/m 3 ) questo materiale unisce notevoli capacità isolanti sia dal punto di vista termico che acustico, per cui è possibile ottenere, a parità di isolamento, murature più leggere e di spessore ridotto rispetto a quelle costruite con il laterizio tradizionale. Allo stesso scopo viene prodotta anche l'argilla espansa, LECA (Light Expanded Clay Aggregate), inerte leggero ottenuto attraverso un procedimento di cottura ad alta temperatura (clinkerizzazione) di speciali argille;
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si presenta in forma di granuli rotondeggianti costituiti da una dura scorza esterna e con struttura interna a cellule chiuse e vetrificate: viene usato per la confezione di calcestruzzo leggeri, di blocchi da muro o anche sciolto per strati isolanti e riempimento di intercapedini. Più attinenti ai ceramici fin qui considerati sono prodotti come la vermiculite (silico alluminato idrato del tipo della montmorillonite) che per riscaldamento a 800°C aumenta fortemente di volume (fino a 15-20 volte) per la trasformazione in vapore dell'acqua che si trova presente tra i vari pacchetti raggiungendo una densità apparente di 0,1. Il prodotto usato come materiale di riempimento può essere anche impastato e formato col 10% di argilla per ottenere dei blocchi con densità apparente 0,5 e ~ 20 kg/cm 2 di resistenza alla compressione. Simile alla vermiculite è la perlite, roccia vulcanica contenente silice e allumina che rigonfia molto per riscaldamento.
Bibliografia C. MONDIN,Muri, infìssi, murature, Bologna, 1963. Annuario dell'industria dei laterizi e compendio di tecnica applicativa, Roma, 1965. G. BRIGAUX, Opere in muratura, Bologna, 1966. Rivista mensile "Costruire", dell'A.N.D.I.L.. V. GOTTARDI,I ceramici, Padova, 1977.
CAPITOLO SESTO
I LEGANTI - LE MALTE
L'impiego dei leganti come materiali cementanti di collegamento di vari elementi delle costruzioni, è di uso antichissimo; le prime tracce di tali materiali possono farsi risalire al X secolo a.C, ma il loro uso più vasto e caratteristico si ebbe con gli Etruschi e soprattutto con i Romani che perfezionarono il processo di cottura, dello spegnimento delle calci, della mescolazione degli elementi, e l'impiego delle malte. Come leganti sono impiegati materiali ottenuti dalla riduzione di calcari (carbonato di calcio) che si trovano in natura sotto forma di grossi ciottoli risultanti dallo sgretolamento in cava a mezzo di esplosivi di grossi blocchi di pietra calcarea; il materiale così sminuzzato viene poi passato in appositi forni a circa 900° (intermittenti o a fuoco continuo), per la dissociazione del carbonato di calcio e l'eliminazione dell'anidride carbonica contenuta nel calcare, per ottenere l'ossido di calcio (Ca Co 3 CaO + C0 2 ). Con il materiale così ottenuto, se mescolato con acqua e sabbia, si costituiscono le malte, se mescolato con acqua, sabbia, ghiaia o pietrisco, i calcestruzzi. Le malte ed i calcestruzzi sono miscele plastiche che in un tempo più o meno breve si solidificano (fenomeno della presa) con il concorso degli agenti atmosferici. Base attiva per questi impasti sono essenzialmente due tipi di elementi: le calci ed i cementi, mentre a fianco di essi, ma con caratteristiche speciali e per usi particolari stanno i gessi. Pertanto i leganti potranno essere suddivisi in: a) calci aeree b) calci idrauliche e) cementi d) gessi.
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Calci aeree
Con questo nome vengono indicate quelle calci capaci di dare malte che induriscono soltanto all'aria, mentre in presenza d'acqua non induriscono, si spappolano e non fanno presa. Sono ottenute, come accennato in precedenza, dalla cottura di calcari, dalla quale si produce l'ossido di calcio anidro, calce viva, che ha la caratteristica di essere caustico ed avido d'acqua. L'ossido così ottenuto deve esse-
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re idrato per ottenere la calce spenta; tale operazione viene eseguita in vasche trapezoidali, dette bagnoli, con fondo in mattoni e sponde in legno, e con l'aggiunta di acqua per circa tre volte il peso della calce viva. Dal bagnolo, il latte di calce ottenuto con la mescolatura continua per due o tre ore della calce viva con l'acqua, viene scaricato attraverso un'apertura munita di griglia posta sulla base minore della vasca, in fosse dette calcinai, dove la pasta si raffredda, dato che nel processo di spegnimento si sviluppa calore, l'acqua evapora e si deposita la vera pasta, o grassello di calce, che si usa per formare le malte. Nella calcinaia il grassello viene lasciato a lungo in riposo, coprendolo con uno strato di acqua o di sabbia, per impedire che la calce perda le sue proprietà indurendo per assorbimento dell'anidride carbonica dell'aria. In genere si prescrive che per la formazione di murature il grassello debba essere stato idratato da non meno di venti giorni, mentre per gli intonaci il periodo richiesto minimo è di due mesi. La presa della calce spenta, una volta posta in opera, avviene per mezzo del fenomeno della carbonatazione, ossia la calce assorbendo l'anidride carbonica dell'atmosfera si trasforma indurendo in carbonato di calcio. Pertanto la calce aerea per la sua proprietà di indurire solo a contatto con l'aria può essere usata soltanto per murature in elevazione. Questo tipo di calce può essere suddivisa in calce grassa e in calce magra, a seconda della resa in grassello della calce viva (maggiore di 2,5 m3 per tonnellata per le calci grasse), della produzione di calore durante lo spegnimento e del tempo di presa. Di solito le calci grasse sono preferite per il loro elevato rendimento, anche se non sono esenti da difetti e imperfezioni. Tra le calci aeree è anche compresa la calce idrata in polvere, cioè calce spenta e macinata e che non richiede idratazione per la formazione del grassello. E' polverizzata in fabbrica e posta in commercio in sacchi, pronta per essere usata, presenta una buona adesività ed una resistenza anche superiore alle calci grasse. Deve però essere riparata in locali adatti e ben protetta dall'umidità prima dell'impiego.
b)
Calci idrauliche
Sono ottenute dalla cottura di calcari contenenti argilla in dosi variabili tra il 6% ed il 20% con procedimento analogo a quello per le calci aeree, ma con durata di cottura e con temperature maggiori (fino a 900° 1000°). Hanno caratteristica di fare presa anche se immerse in acqua; le proprietà idrauliche variano in relazione alla diversa composizione chimica dei calcari marnosi, alla temperatura ed alla durata della cottura. La classificazione comune per le calci idrauliche, cioè l'indice di idraulicità i è dato dal rapporto :
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per cui si potrà distinguere, in relazione a detto rapporto, tra: calci debolmente idrauliche calci mediamente idrauliche calci idrauliche propriamente dette calci eminentemente idrauliche [cementi
/=0,10 i = 0,16 / = 0,31 i = 0,42 /=0,50
0,16 0,31 0,42 0,50 0,58]
Il regolamento distingue le calci idrauliche in: — calce idraulica in zolle, — calce idraulica naturale in polvere, — calce idraulica artificiale, ottenuta con la mescolazione di calcari e di materie argillose e con la successiva estinzione, stagionatura e macinazione, — calce idraulica artificiale pozzolanica, ottenuta per macinazione di pozzolana e calce aerea, — calce idraulica siderurgica, ottenuta per manicazione di loppe di alto forno granulare e calce aerea. Per tutte le calci idrauliche la presa deve iniziare dalle due alle sei ore dal principio dell'impasto e deve essere compiuta dalle 8 alle 40 ore dal medesimo.
c)
Cementi Dei cementi si tratterà diffusamente nei capitoli successivi.
d)
Gessi
Si ottengono dalla cottura della pietra da gesso o selenite (solfato di calcio biidrato), trasformandosi in gesso cotto anidro che macinato e finemente polverizzato dà un prodotto cementante a rapida presa e di tipo aereo. Il gesso non trova in pratica applicazione nelle strutture murarie, particolarmente esterne, in quanto assorbe moltissimo l'umidità aumentando di conseguenza il suo volume. Presenta invece buone qualità di resistenza, è leggero, non dà ritiro, ed ha buone qualità di isolamento termico ed acustico e si presta facilmente ad essere tinteggiato. Trova pertanto largo impiego, oltre che come elemento decorativo per la sua facilità di modellazione, per le opere di finitura interna delle costruzioni civili, particolarmente negli intonaci.
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Le malte Sono impasti, costituiti da legante, sabbia ed acqua, che hanno la proprietà di indurire, solidificandosi, e di aderire ai materiali da costruzione, sia nel caso che siano impiegati per l'unione tra gli elementi costituenti la struttura (muratura di mattoni), sia per ricoprire i muri stessi come superfici di rivestimento (intonaci), sia come supporto a rivestimenti o pavimenti di materiale vario. Gli elementi costitutivi delle malte, come già visto sono i seguenti: — legante. Il compito del legante è di consolidare gli elementi della sabbia con i quali deve essere impastato e la sua dosatura deve essere in relazione all'impiego ed agli interstizi compresi tra i granelli. Lo stesso dicasi per il tipo di legante impiegato; così se si impiegheranno calci aeree, si otterranno malte aeree, ed analogamente per le malte idrauliche. Possono essere anche usate malte esclusivamente di cemento, oppure le malte bastarde, costituite cioè con cemento e calce aerea. Questo tipo di malta, poiché indurisce in poco tempo, aumenta la coesione degli elementi in laterizio ed ha notevoli proprietà idrauliche, è particolarmente impiegata per murature sottili, come ad esempio per le tramezzature divisorie all'interno degli edifici civili. — acqua. Deve essere limpida e pura, ed a temperatura normale perché se troppo fredda ritarda il fenomeno della presa, se troppo calda l'accelera. E' molto importante l'esatto dosaggio della quantità d'acqua; infatti una quantità eccessiva provoca una evaporazione che lascia dei vuoti all'interno della pasta, mentre una quantità scarsa provoca una difficoltosa idratazione e parte del materiale cementante rimane inerte. — sabbia. E' di solito costituita da detriti originati dalla disgregazione di rocce naturali; deve essere accuratamente lavata e non deve contenere alcuna particella terrosa o di materia organica. Per questo sono preferibili le sabbie di fiume. Dal punto di vista della granulometria la sabbia deve essere scelta a seconda dell'uso a cui è destinata la malta; per muri di pietrame dovrà passare attraverso ad un vaglio a maglie circolari del diametro di 3 mm; per muri di mattoni attraverso un vaglio da 1 mm; per intonaci attraverso un vaglio da 0,5 mm di maglia. In relazione al quantitativo di legante impiegato nell'impasto le malte possono essere classificate in: — malte magre, quando il quantitativo di legante non è sufficiente a riempire i vuoti tra i granuli della sabbia. — malte grasse, quando il quantitativo di legante è sufficiente a riempire i vuoti di cui sopra. — malte ricche, quando il quantitativo di legante è superiore a quello sufficiente. — malte molto ricche, quando il quantitativo di legante è notevolmente superiore a quello sufficiente.
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Di solito il dosaggio delle malte è il seguente: A)
di calce aerea Si ha un m3 di calce spenta (grassello) con 500-600 kg di calce viva e 3 m 1,60 circa d'acqua. Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: grassello m3 0,33 (1/3 di m 3 ) o kg 125 e. idrata e cioè un rapporto 1:3 (per volume di grassello ve ne sono 3 di sabbia); — per intonaci: grassello m3 0,50 (1/2 di m 3 ) o kg e. idrata e cioè un rapporto 1:2 (per volume di grassello ve ne sono 2 di sabbia). B)
di calce idraulica Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: kg 350-400 di calce idraulica; — per intonaci: da kg 400 (rustici) a kg 500 (civili) di calce idraulica.
C)
Bastarde Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: calce dolce m3 0,10 + calce idraulica kg 250 oppure + cemento kg 175; — per intonaci: calce dolce m3 0,20 + calce idraulica kg 350 oppure + cemento kg 300. D)
Pozzolaniche (La pozzolana dà una malta eminentemente idraulica che può essere formata con un volume di grassello, un volume di pozzolana e un volume di sabbia). Ogni m3 di pozzolana occorrono: — per murature: grassello m3 0,33 (o kg 100-125 calce idrata); — per intonaci: grassello m3 0,40 (o kg 125-150 calce idrata). E)
di Cemento (Tipo 325) Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: cemento kg 400 — per intonaci: cemento kg 500.
Additivi per malte e calcestruzzi Ai componenti classici della malta e dei calcestruzzi, vengono aggiunti in taluni casi dei prodotti di diversa natura allo scopo di conferire agli impasti particolari requisiti per impieghi specializzati: I principali sono: — fluidificanti-plastificanti, che oltre a migliorare plasticità, adesività e lavorabilità possono anche aumentare le resistenze meccaniche a media o lunga stagionatura;
60 — impermeabilizzanti, sono sostanze idrofughe che ovviando alla scarsa compattezza migliorano la loro impermeabilità. Possono però rallentare la presa e l'indurimento; — antigelo, sono prodotti che accelerano il processo di idratazione del legante e abbassano il punto di congelamento dell'acqua, permettendo getti fino a -15°C ; — acceleranti e ritardanti dei tempi di presa, si possono ottenere accelerazioni modeste o molto rapide nella presa o si possono ottenere ritardi nei tempi di presa del legante; sono in genere uniti ai fluidificanti; — espandenti, servono a confezionare malte senza ritiro o con ritiro controllato introducendo nella miscela una moderata espansione; servono per ancoraggi; — alleggerenti, servono a confezionare malte con buon isolamento termico; — incrementatori di presa, polimeri emulsionanti danno incrementi anche notevoli della resistenza a compressione (fino a 4 volte), della resistenza a trazione (fino a 3 volte) e della resistenza a taglio; — disarmanti: da usare per ottenere buoni getti a faccia vista. Malte pronte o premiscelate Si trovano in commercio delle malte pronte all'uso in forma di miscela secca, per lo più per esecuzione di intonachi. I componenti opportunamente miscelati per specifici impieghi sono contenuti solitamente in sacchi di carta impermeabilizzata. La confezione delle malte può essere ottenuta facilmente seguendo le istruzioni del fornitore. Le malte pronte offrono il vantaggio di una composizione controllata e costante eliminando cosi le incertezze della scelta dei materiali e della loro miscelazione. Le "Raccomandazioni per la progettazione ed il calcolo delle costruzioni a muratura portante in laterizio" prevedono le seguenti classi di malta:
CAPITOLO SETTIMO
LE MURATURE Definizioni Chiamasi "muratura" una struttura in elevazione, non omogenea poiché costituita da più elementi artificiali o naturali (laterizi, pietre, ecc.) lavorati o no, uniti tra loro con legante o altro sistema. Tale struttura può essere considerata: geometricamente come bidimensionale, essendo le dimensioni di larghezza e di altezza notevolmente prevalenti sullo spessore, staticamente come soggetta, per lo più, a carichi verticali e/o spinte laterali derivanti dall'azione di strutture particolari interne all'edificio o da azioni esterne quali ad esempio il vento o, per i muri di sostegno, la spinta del terreno.
Materiali impiegati nelle murature Attualmente si tende a chiamare "muratura" solo quella struttura realizzata, come si è detto, con laterizi o pietre legati con malta. Anticamente per strutture analoghe venivano usati anche altri materiali; lo stesso dicasi per alcune particolari costruzioni. — Strutture in legno: sono ancora realizzate con tronchi lavorati o semilavorati, uniti ad incastro e disposti in modo da costituire sia le pareti che le coperture in costruzioni quali baite, fienili, ecc.. Negli Stati Uniti, nel corso del XIX secolo, fu adottato un sistema, chiamato balloon-frame, basato sull'impiego di elementi di legno modulari e per così dire "prefabbricati", assemblati con l'ausilio di metalleria e incastri. Un altro sistema strutturale di tipo misto, è costituito da un telaio ad elementi lignei verticali, orizzontali ed obliqui di controventamento: gli spazi vuoti sono riempiti da materiale incoerente (pietrisco, terra, frammenti ceramici) ben costipato. Questo tipo strutturale è usuale anche nei "cottages" inglesi e nelle costruzioni eseguite in montagna.
— Strutture in pietra: si possono avere murature realizzate sia con pietra allo stato naturale (per es. ciottoli, pietrame) sia lavorata. La posa
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in opera può avvenire sia a secco, cioè posando gli elementi maggiori ben ravvicinati e riempiendo i vuoti con piccole pietre, sia con l'ausilio di malta. Una tecnica ora poco usata è quella "a sacco": tra due paramenti accuratamente realizzati, viene gettato un riempimento di materiale incoerente. — Strutture miste: per lo più sono realizzate alternando strati in pietra, sia concia (ovvero tagliata in forma regolare) sia in ciottoli o pietrame disposto a volte a spina di pesce, e strati in laterizi (Fig. 7.1).
A = Muratura mista listata di mattoni e pietrame
B - Muratura di pietrame con conci d'angoio squadrati
C = Muratura di pietra a conci squadrati
D = Muratura di pietra a strati alternati di conci squadrati
E = Muratura di pietrame irregolare
Fig. 7.1
Nomenclatura delle murature Le murature si possono suddividere in più classi a seconda che se ne consideri la funzione strutturale, le caratteristiche fisico-tecniche o quelle estetiche.
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Murature con funzione strutturale — Muratura portante. La muratura portante è l'elemento strutturale, sia interno che esterno di una costruzione, atto ad assorbire i carichi verticali provenienti dai solidi murari soprastanti, dagli elementi di solaio o dai carichi accidentali e d'esercizio, assicurando così la stabilità dell'edificio. Generalmente una muratura portante laterizia è composta di elementi pieni o forati ma con rapporto di foratura non troppo elevato. Si considerano come pieni gli elementi forati aventi percentuale di foratura inferiore o uguale al 15%; come semipieni se la percentuale dì foratura è compresa tra il 15% e il 55%; i laterizi sono chiamati forati leggeri qualora la percentuale di foratura sia superiore al 55%. Nel caso che i mattoni o i blocchi (semipieni oppure leggeri) siano messi in opera con la foratura in verticale, vengono denominati "mattoni o blocchi perforati"; nel caso che la foratura si presenti in orizzontale vengono chiamati "mattoni o blocchi cavi". Ovviamente nel secondo caso diminuisce la caratteristica meccanica. Lo spessore del solido murario sarà in relazione con i carichi a cui è assoggettato, essendo esso, in questa tecnica muraria, direttamente proporzionale alla resistenza a compressione; tale spessore non dovrebbe comunque mai essere inferiore a 25 centimetri o a due teste. Nel caso di edifici di notevole altezza, diminuendo il carico con l'aumentare dell'altezza, i muri portanti possono venire eseguiti "a risega" diminuendone cioè lo spessore all'aumentare dell'altezza (la diminuzione in genere è di una testa). Di tali variazioni si dovrà ovviamente tener conto nel calcolo statico. E' bene distinguere, nel progetto, le murature portanti interne, da quelle esterne perimetrali: quelle interne infatti devono resistere quasi esclusivamente alle sollecitazioni di carico, mentre per quelle esterne è necessario tener conto della resistenza alle intemperie (esplicantesi anche in carichi accidentali: pioggia, vento, neve, ecc.) e alla coibenza termica. Con studi recenti per il problema statico e quello di coibentazione si è cercata una soluzione comune. Per lo più si tratta della adozione di "blocchi" a fori orizzontali o verticali formanti camere d'aria, disposte trasversalmente al flusso termico. Una seconda soluzione è presentata dalle murature ad intercapedine. Queste in genere sono formate da due pareti con funzioni portanti,oda una con funzione portante e la seconda di rifodera secondo gli esempi riportati (Fig.7.2,7.3). E' da ricordare, nel caso di adozione di pareti portanti ad intercapedine, l'importanza del collegamento accennato tra l'elemento portato e quello portante e la centratura del carico. Una variante tecnica è rappresentata dalle murature armate. Esse, molto usate in zone sismiche, migliorano la collaborazione tra strutture verticali e orizzontali (cordoli, travi, ecc.). La loro costruzione è realizzata con bloc-
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Fig. 7.2 — Muratura ad intercapedine.
Fig. 7.3 — Murature con rifodera.
chi conformati e disposti in modo da permettere il passaggio dell'armatura verticale. Usando mattoni pieni tradizionali è ugualmente possibile realizzare una muratura armata, costruendo due pareti parallele in laterizio, collegate tra loro con zanche o grappe ecc.; l'intercapedine viene occupata dall'armatura metallica e dal calcestruzzo. - Murature non portanti. Le murature non portanti non hanno funzione strutturale statica pur dovendo sopportare il carico proprio. A seconda che si trovino nel perimetro dell'edificio o all'interno di questo prendono il nome di muri di tamponamento o di tramezzatura.
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a) Muri di tamponamento: costituiscono i muri d'ambito dell'edificio. Hanno applicazione soprattutto in presenza di struttura portante a telaio (in c.a. o acciaio). Anche se in questo caso alla muratura non è affidata funzione strutturale di sostegno, essa deve, oltre ad essere autoportante, presentare requisiti di coibenza sia termica che acustica. Il tamponamento è generalmente realizzato ad intercapedine; lo spessore medio risulta essere attorno ai 40 cm (Fig. 7.4).
Fig. 7.4 - Muratura di tamponamento.
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b) Tramezze: suddividono gli spazi interni di un edificio. Data la loro particolare funzione si cerca di realizzare pareti leggere e di spessore contenuto (8-14 cm) ma con laterizi aventi alte percentuali di foratura per ottenere un leggero isolamento acustico tra un ambiente e l'altro. Per le pareti di divisione tra un alloggio ed un altro o delimitanti i servizi (bagni, cucine, ecc.) o ambienti per i quali è richiesta un'alta insonorizzazione, si possono adottare pareti di maggiore spessore, ad intercapedine, ecc..
Caratteristiche fisico-tecniche delle murature Le murature quasi sempre devono anche soddisfare particolari esigenze quali quelle di isolamento termico, acustico, e dall'umidità. Possono essere realizzate sia con la tecnica ad intercapedine sia usufruendo di particolari rivestimenti. Le prime sono costituite da una parete portante esterna, una non portante interna di spessore minore chiamata di "rifodera"; tra le due pareti si lascia un'intercapedine di 4 6 centimetri nella quale eventualmente si può inserire del materiale coibente. Un effetto analogo si ottiene rivestendo la muratura stessa (senza intercapedine) all'esterno o all'interno con pannelli o intonaci realizzati con particolari materiali aventi proprietà coibenti, come verrà più ampiamente spiegato in seguito.
Caratteristiche estetiche delle murature Sia dei muri portanti sia di quelli di tamponamento si vuole evidenziare a volte l'aspetto estetico; ciò può essere ottenuto utilizzando speciali composizioni delle malte per intonaco (ad esempio con polvere o graniglia di marmi, pietre colorate, quarzi, frammenti di laterizio...) rivestimenti ceramici o in lastre di pietra o marmi, infine usando particolare attenzione nella tessitura della parete esterna. Il paramento, cioè, può essere realizzato a faccia a vista usando cioè speciali laterizi o lasciando in vista la struttura stessa. Il materiale usato a questo scopo deve essere però di ottima produzione; privo di efflorescenza e di inclusioni calcaree (calcinelli) e non gelivo; particolare cura va data ai giunti in malta, anche colorata, che possono essere a raso muro o fugati con appositi ferri. Si esemplificano alcune tecniche di realizzo (Fig. 7.5):
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Nomenclatura delle parti costitutive le murature laterizie Attualmente il tipo di muratura più frequentemente usato è realizzato in laterizi. Per gli altri tipi su menzionati e le relative tecniche di esecuzione si rimanda a testi specifici. Si chiamano "corsi o filari" gli strati orizzontali successivi secondo i quali vengono posati i singoli mattoni. Si chiamano "giunti", gli spessori di malta interposti tra i mattoni di ogni singolo filare, come pure lo strato (letto di posa) steso tra un filare e quello soprastante (Fig. 7.6).
C O L L E G A M E N T O C O N LATERIZI DI P U N T A E DI C O S T A
COLLEGAMENTO CON LATERIZI - DI PUNTA - DI TESTA O DI CHIAVE
Modalità di costruzione Una muratura laterizia si ottiene sovrapponendo ed accostando i mattoni abbondantemente bagnati prima della posa in opera, per evitare che assorbano l'acqua contenuta nell'impasto del legante. I mattoni si pongono in opera in corsi piani perfettamente orizzontali, ben adagiati su letto di malta dello spessore di 1 cm. Tra un mattone e l'altro si pone ugualmente un giunto di malta non eccedente il centimetro. Particolare cura deve essere rivolta allo sfalsamento dei giunti verticali tra i corsi sovrapposti al fine di realizzare uno stretto collegamento tra i singoli filari. A seconda della disposizione dei mattoni si ha la seguente classificazione delle murature: a) murature "in foglio"; i mattoni vengono disposti "di coltello", cioè sulla costa del lato di dimensioni maggiori. Questa tecnica è usata per la costruzione di muri divisori (tramezze) non por-
COLLEGAMENTO CON - BLOCCHI -
Fig. 7.5
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Fig. 7.7 - Muratura in foglio.
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tanti. Lo spessore del muro risulta uguale a quello del mattone impiegato (Fig. 7.7). b) Murature "a una testa", (o "in spessore"): i mattoni vengono posati sul piatto e orientati secondo la lunghezza del muro. Questa tecnica è atta alla costruzione di muri di tamponamento e di muri portanti a intercapedine in strutture di peso contenuto. Lo spessore del muro risulta uguale a quello del mattone impiegato (Fig. 7.8).
Fig. 7.8 - Murature a una testa.
c) Murature "a due teste" i mattoni vengono posati sul piatto e orientati o secondo la lunghezza del muro o perpendicolarmente ad esso. Si esemplificano qui di seguito le disposizioni più usuali: (Fig. 7.9, 7.10, 7.11). Questa tecnica è atta anche alla costruzione dei muri portanti, in edifici di dimensioni non eccessive. Lo spessore del muro risulta uguale alla misura della lunghezza del mattone (a due teste). d) Murature a "tre o più teste". Tre mattoni vengono posati sul piatto, orientati secondo o perpendicolarmente alla lunghezza del muro. Si esemplificano qui di seguito le disposizioni più usuali: (Fig. 7.12, 7.13). Dagli esempi presentati risulta evidente che questa tecnica è atta alla costruzione di muri portanti ai quali, per motivi statici si desidera conferire notevoli spessori.
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DISPOSIZIONE IN - CHIAVE DI PUNTA -
DISPOSIZIONE FIAMMINGA
Fig. 7.9 - Muratura a due teste.
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DISPOSIZIONE GOTICA
DISPOSIZIONE FIAMMINGA
Fig. 7.10 - Muratura a due teste.
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DISPOSIZIONE A BLOCCO
DISPOSIZIONE A CROCE
Fig. 7.11 - Muratura a due teste.
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Fig. 7.12 - Muratura a tre teste.
Fig. 7.13 — Muratura a quattro teste.
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Prove per la determinazione della resistenza e del carico ammissibile Data la natura costruttiva e strutturale delle murature portanti, è necessario determinare esattamente la loro resistenza a compressione. Per la prova si utilizzano dei provini, aventi le stesse caratteristiche della muratura considerata, formati da almeno tre corsi di laterizi con larghezza, non minore a due lunghezze dell'elemento usato e rapporto tra altezza e spessore, (h/t), compreso tra 2,4 e 5. Il provino, posato su un letto di malta, dovrà essere da questa anche ricoperto; oppure può essere posto tra due piastre metalliche. Dopo 28 giorni di stagionatura a 20°C e umidità relativa del 70%, il provino con le superfici accuratamente livellate, viene posto tra i due piatti, di cui uno articolato, della macchina di prova. Il carico di compressione viene centrato ed applicato alla velocità di circa 0,5 MPa (1 megaPascal = 10 kg/cm2 ) ogni 20 secondi. Particolare attenzione va rivolta ai provini costituiti da muratura in blocchi a fori verticali con rapporto di foratura maggiore del 45%. La prova si effettua su almeno sei provini. Si ottiene così la resistenza caratteristica a compressione fk = - ks dove: / = resistenza media s
=
stima dello scarto
k
=
coefficiente dato dalla tabella sotto indicata, a seconda del numero n dei provini.
Tabella 1 - Determinazione del coefficiente k.
La resistenza caratteristica deve inoltre essere verificata per i singoli materiali usati: - malta: almeno n. 3 provini prismatici da 40x40x160 mm; si sottopongono prima a flessione fino a rottura, e quindi le metà risultanti a compressione (metodo RILEM); — laterizi: almeno 10 elementi; si sottopongono a compressione con carico ortogonale al letto di posa, dopo rettifica delle facce. Questa prova può essere evitata per materiali "qualificati", cioè con fabbricazione controllata tramite verifiche effettuate in stabilimento. Il valore della resistenza caratteristica fk per murature di laterizi con percentuale di forature < 45%, si può dedurre dalla resistenza caratteristica
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fbk a compressione del laterizio e della qualità della malta impiegata vedi Tabella 2; per la composizione delle malte unificate vedere la Tabella alla fine del Capitolo 6. Tabella 2
Per valori intermedi si usa la interpolazione. Qualora la verifica di stabilità richieda fk 8 MPa (= 80 kg/cm2 ) è obbligatorio eseguire prove di controllo di qualità durante la costruzione; la resistenza caratteristica "convenzionale" fk si determina considerando tre campioni di muro. Le resistenze a compressione dei tre provini
(cioè i rapporti tra il carico di rottura e l'area lorda di sezione) permettono di calcolare fk che è espresso dal minore tra i seguenti due valori (MPa)
dove: = =
la media dei 3 valori sperimentali; il minimo dei 3 valori.
Determinata fk è possibile ottenere così la "tensione base ammissibile" della muratura:
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Qualora i laterizi siano di qualità controllata si ha:
Carichi gravanti sulle murature Come è stato precedentemente esposto, le categorie dei carichi interessanti le strutture murarie comprendono carichi permanenti e carichi accidentali. Questi si trasmettono alla struttura o in modo concentrato o distribuiti e assiali o eccentrici. Si danno alcuni cenni sui casi particolari dei carichi concentrati e dei carichi eccentrici. Carichi concentrati Dal momento che in una muratura date le discontinuità rappresentate dai fori (porte, finestre), i carichi trasmessi dalle travi vengono necessariamente a gravare su porzioni limitate, è necessario curare la distribuzione e i modi di assorbimento dei carichi stessi. In particolare, per quanto concerne le aperture, si può ritenere che sopra di esse si verifichi "l'effetto volta": il carico soprastante cioè non insiste totalmente sulla trave ma si scarichi in parte ai lati. Con sufficiente approssimazione si può considerare gravante sull'architrave il peso della porzione di muro compresa in un triangolo equilatero avente come base la luce libera della trave (Fig. 7.14). Nel caso di schema strutturale con carichi concentrati, come quelli trasmessi da pilastri o da testa di travi, i carichi si suppongono trasmessi alla muratura sottostante secondo angolazioni di 60° sull'orizzontale, cioè 30° sulla verticale. Per la verifica locale si può ammettere un incremento del 30% delle tensioni ammissibili (Fig. 7.15). Carichi eccentrici Si possono verificare varie condizioni per cui i carichi gravano in modo eccentrico sulle strutture portanti. Fra queste ricordiamo la possibilità di appoggio eccentrico di un solaio prefabbricato, un'eccentricità di carico sulle murature perimetrali dovute all'azione del vento, infine un'eccentricità accidentale dovuta a disassamenti della muratura in fase di costruzione, che comunque non dovrebbero superare il valore di 1/300 dell'altezza totale del muro (Fig. 7.16).
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Fig. 7.14 - Carichi concentrati sulle murature - architravi.
Fig. 7.15 - Carichi concentrati - su travi.
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Fig. 7.16 - Carichi eccentrici.
In questi casi si verifica una riduzione della tensione ammissibile secondo un coefficiente di riduzione 0, tabulato ed espresso in funzione della snellezza l/t e del coefficiente di eccentricità M = 6 ejt. Le tabelle seguenti si riferiscono alle ipotesi di continuità e di articolazione (Tab. 3 -4). Nello schema di continuità si ipotizzano, ai nodi, dei vincoli di incastro, tra muro e solaio, tra muro e muro; tale ipotesi può essere assunta solo qualora la resistenza a flessione del nodo sia sufficiente. Nello schema di articolazione si ipotizzano le pareti articolate in corrispondenza dei solai; il calcolo del muro si esegue in questo caso tenendo sempre conto di un'eccentricità costante per tutta l'altezza. In questo caso ha estrema importanza la "snellezza" del muro. Per "snellezza" dei muri s'intende il rapporto
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Tabella 3 — Schema di continuità
Tabella 4 - Schema di articolazione
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Fig. 7.17
nulla, cioè e = 0 e di conseguenza anche il coefficiente di eccentricità m =
= 6 e /t=0. La muratura è costituita da mattoni con resistenza caratteristica a compressione degli elementi in laterizio fbk = 200 kg/cm2 = 20 MPa legati con malta tipo M 2 . Per calcolare la tensione ammissibile base della muratura, si applica la formula
dove /jt è la resistenza caratteristica della muratura a compressione, che si ricava dalla tabella precedente n. 2, trovando in questo caso il valore di 72 kg/cm 2 . Ora si calcola il coefficiente di riduzione della tensione ammissibile
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Fig. 7.19 - Carichi eccentrici - appoggi su murature di solai di copertura.
Cenni sulle murature non laterizie Viste le crescenti richieste di divisori che soddisfino contemporaneamente esigenze di isolamento acustico, leggerezza e minimo spessore si vanno adottando anche materiali diversi dai laterizi. Tra questi ricordiamo i pannelli laterizi, i pannelli prefabbricati, alcuni dei quali possono essere montati anche a secco, realizzati in cartone gessato, derivati del legno (truciolati, paniforti, ecc.) metallici, ecc.
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Norme costruttive Si ritiene utile dare qui, schematicamente alcune indicazioni per la buona esecuzione di murature laterizie. 1 ) Porre in opera i laterizi bagnati; — i giunti verticali normali alle facce del muro devono risultare sfalsati da corso a corso di almeno 0,4 h (altezza dell'elemento) con un minimo di cm 4,5 ; — spessore dei giunti di malta è di regola 12/13 mm; — ripassare parte esterna dei giunti nei muri a faccia vista per favorire lo scorrimento dell'acqua piovana; — proteggere dal gelo le murature appena eseguite. 2) Particolare attenzione nel caso che nel sistema strutturale murario siano inserite parti strutturali in c.c.a. o in acciaio. 3) Evitare un'eccessiva concentrazione di sforzi sul bordo interno del muro causata dal fatto che la rotazione di estremità del solaio di copertura non è contrastata da una parete sovrastante (ad esempio ponendo una striscia di materiale cedevole in corrispondenza del bordo interno). 4) Sono ammesse deviazioni dalla verticale non superiori a 10 mm per 3 m di altezza, con un massimo assoluto di 30 mm su tutta l'altezza dell'edificio. 5) Nelle murature a doppia parete la funzione portante deve, di norma, essere affidata ad una sola di esse, realizzando l'altra in modo da renderla stabile per se stessa; 6) Evitare che le pareti divisorie leggere si trovino sottoposte a sforzi di compressione derivanti dall'inflessione delle strutture orizzontali sovrastanti. 7) Le tracce per gli impianti in murature portanti devono essere previste in progetto e se ne deve tener conto nel dimensionamento statico.
Bibliografia C. MONDIN,Muri, infissi, murature, Bologna, 1963. G. BR1GAUX, Opere in muratura, Bologna, 1966. N. TUBI, La realizzazione di murature in laterizio, Roma, 1981. A.N.D.I.L., Raccomandazioni per la progettazione ed il calcolo delle costruzioni a muratura portante in laterizio, Roma, 1981. Rivista mensile A.N.D.I.L., "Costruire". Rivista mensile A.N.D.I.L., "Industria italiana dei laterizi".
CAPITOLO OTTAVO
MATERIALI SINTETICI E METALLICI NON FERROSI Le resine sintetiche Si definiscono "materie plastiche" le sostanze organiche (sintetiche o naturali come il legno, la lana, il cotone, il cuoio, la cellulosa, ecc.) con peso molecolare elevato, e così pure i materiali che per la loro plasticità (proprietà di un corpo di subire una deformazione permanente sotto l'azione di uno sforzo applicato) e in determinate condizioni, possono essere facilmente modellati e stampati. Le materie plastiche sintetiche si ottengono con processi di "polimerizzazione": cioè unione di macromolecole disposte o in modo disordinato (polimeri amorfi) o in modo ordinato (polimeri cristallini), o in modo promiscuo (polimeri semicristallini). Le proprietà delle materie plastiche dipendono dalla disposizione delle macromolecole che possono avere sviluppo lineare o ramificato, o essere collegate trasversalmente fra loro (reticolazione). I prodotti sintetici prendono il nome di "resine sintetiche". Le materie plastiche hanno avuto uno sviluppo vertiginoso soprattutto nella seconda metà di questo secolo, anche se alcune resine sintetiche erano già state realizzate precedentemente. Cenni storici: nella "storia naturale" di Plinio il Vecchio, è descritta una resina fossile, l'ambra, che ha la proprietà di attrarre, se strofinata, le particelle di polvere. John Tradescant, studioso inglese, fece conoscere all'Europa la "guttaperca" che dal 1800 al 1900 costituì il materiale ideale per l'isolamento dei cavi sottomarini. Dopo la scoperta dell'America, venne utilizzata la gomma naturale, ottenuta con coagulazione del "lattice" di alcune piante. Nel 1820 Hancock scoprì il processo di masticazione della gomma e nel 1838 Goodyear brevettò il processo di vulcanizzazione. Nel 1838, Regnault e Simon polimerizzarono il cloruro di vinile e lo stirolo. Nel 1869 l'americano Hyatt ricavò, per nitrazione della cellulosa, la nitrocellulosa in seguito filata in fibre (la celluloide). II belga Baekeland, ai primi del 1900, inventò, nel campo delle resine sintetiche, la bachelite, ottenendola per condensazione di fenolo con for-
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maldeide. Sempre ai primi del 1900, si collocano le prime sperimentazioni di fabbricazione della gomma sintetica attuate in Russia e in Germania. Tra le due guerre mondiali, furono scoperte importanti famiglie di resine: le poliviniliche, le acriliche, il nylon. I progressi più recenti riguardano la realizzazione di materiali compositi — resine epossidiche e poliestere — e di materie plastiche resistenti alle alte temperature (poliammidi). Attualmente le materie plastiche vengono usate, nel campo dell'edilizia, per coperture impermeabilizzanti, per isolamenti termici ed acustici, per pavimentazioni, per rivestimenti murali, per arredamenti, per giunti elastici e come sigillanti. Le materie plastiche si possono suddividere in due grandi categorie: — termoplastiche — termoindurenti. Le resine termoplastiche sono delle sostanze solide a temperatura ambiente, che si trasformano nello stato liquido o pastoso se riscaldate, per tornare solide al successivo raffreddamento. Questa proprietà è utilizzata per la loro lavorazione chiamata "formatura". II metodo più usato è lo "stampaggio a iniezione". La resina, in forma granulare, viene preriscaldata e iniettata mediante un pistone in uno stampo mantenuto freddo, in modo che l'oggetto ottenuto può essere immediatamente estratto dallo stampo. Un secondo metodo di formatura è "l'estrusione". Questo è adatto per la produzione di manufatti a sezione costante (profilati, tubi, ecc.). Il polimero fuso viene spinto mediante una vite senza fine e fatto passare attraverso un ugello avente la sezione desiderata. All'uscita dalla macchina, il materiale viene raffreddato così da conservare la forma acquisita. Altri processi impiegati per la formatura sono: "la formatura sotto vuoto" o "termoformatura" e "lo stampaggio per soffiatura". Il primo processo utilizza il materiale plastico in fogli: questi vengono fissati al telaio-forma posto sopra una camera a tenuta e quindi riscaldati. Ottenuto il vuoto nella camera, la pressione dell'aria esterna fa aderire il foglio allo stampo che gli impone così con precisione la forma voluta. Il secondo processo è utilizzato per la fabbricazione dei contenitori. Si pone una grossa goccia di materiale termoplastico in uno stampo, successivamente si insuffla aria in modo tale da espandere la resina così che assuma la forma voluta. Un'applicazione importante delle resine termoplastiche è la composizione di vernici.
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Queste, sciolte in un opportuno solvente, vengono spruzzate o stese a pennello sulla superficie da trattare e lasciate seccare; il solvente evapora lasciando una pellicola aderente lucida con funzioni protettive contro la corrosione atmosferica. Dalle resine termoplastiche si possono ancora ottenere: — Resine Viniliche — Polistiroli — Stirene — Resine Acriliche — Resine Cellulosiche — Polietilene — Leacril — Resine Fluorocarboniche Resine Viniliche: la principale tra esse è il cloruro di polivinile (P.V.C.). Se non plastificato è un prodotto rigido, resistente ai solventi, agli acidi e agli alcali; se plastificato diventa flessibile. La sua maggiore applicazione si ha nelle pavimentazioni e nei tubi rigidi. I pavimenti sono resilienti (resistono cioè a fatica), fonoisolanti e coibenti, resistono all'usura e sono incombustibili. Sono inoltre molto leggeri (2-5 kg/m 2 ). Ancora sono utilizzati per la fabbricazione di tubi rigidi ma da usarsi solo per condutture d'acqua fredda, in quanto il P.V.C, non ha resistenza alle temperature elevate. Il P.V.C, non è corrodibile né soggetto ad incrostazioni. Il Polistirolo è una resina ottenuta per polimerizzazione del vinilbenzene o stirolo. Si tratta di una resina trasparente con un'elevata resistenza meccanica ed elettrica: è però fragile e solubile in molte sostanze. Per migliorare queste caratteristiche si producono i copolimeri (resine A.B.S.) tra acrilonitrile (per aumentare la resistenza ai solventi), butadiene e stirolo (per migliorare la resilienza). Il polistirolo, in forma espansa, si usa per isolanti termici e acustici sia lavorato in lastre, sia, in forma di perline, unito all'impasto del calcestruzzo o dell'argilla dei mattoni. Il coefficiente di conducibilità termica di pareti realizzate con parti in polistirolo può valere circa un terzo di quello di mattoni pieni. Un'altra caratteristica è la leggerezza, per questo è utilizzato per i calcestruzzi leggeri speciali. Stirene non viene utilizzato nel campo dell'edilizia. Le resine acriliche si ottengono dall'acido acrilico tramite un processo di polimerizzazione. Al termine di questo processo si ha il "polimetilmetacrilato" detto, in termini più semplici, plexiglass o perspex. Ha una buona resistenza meccanica, ottima trasparenza, buona resistenza alla luce e agli agenti atmosferici. Si usa per lastre ondulate che possono sostituire nelle coperture il vetro offrendo in più il vantaggio della
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leggerezza e della infrangibilità. Si utilizzano perciò anche per lucernari di grandi dimensioni. Resine cellulosiche. Non hanno importanza rilevante nella edilizia. // polietilene si ottiene per polimerizzazione dell'etilene secondo due processi: uno ad alta e uno a bassa pressione. Ha una grande inerzia chimica e si usa per rivestimenti di vasche e per costruire tubi. Ha inoltre il vantaggio di poter essere saldabile. Ha potere isolante, per cui viene usato nei cavi della televisione e del telefono. Il leacril viene usato soprattutto nell'industria tessile. Le resine fluorocarboniche si ottengono con un processo di polimerizzazione del tetrafluoroetilene. Hanno un'ottima resistenza chimica ed alle alte temperature. Servono per isolare trasformatori, pompe, valvole, ecc. Le resine termoindurenti si suddividono in: — Melanina — Urea — Amminopiasti — Poliesteri — Resine Fenoliche — Resine Epossidiche — Plastici Rinforzanti — Poliammidi — Siliconi — Poliuretani. Le resine melaniniche si ottengono per reazione tra formaldeide e melanina. Si usano per laminati plastici, rivestimenti, ecc.. Le resine ureiche si ottengono per condensazione della formaldeide con urea. Sono trasparenti e hanno particolare durezza e resistenza meccanica. Si usano per laminati plastici (Formica), per impianti igienici, ecc...Queste due resine rientrano nel gruppo delle resine amminoplastiche. Le resine poliestere si ottengono per condensazione di un alcool con un acido; se il poliestere risultante è saturo si ottiene il "Terital". Al contrario, se il poliestere è insaturo, si ottengono resine ad alta stabilità dimensionale, resistenti al calore, agli acidi ed ai solventi organici. Le resine fenoliche si ottengono per condensazione del fenolo con aldeide formica. Si usano generalmente per laminati plastici, adesivi, vernici, ma date le loro caratteristiche di alta resilienza, di resistenza al calore e di isolamento elettrico si possono usare per altri scopi. Le resine epossidiche si ottengono per condensazione del bifenolo con epicloridrina. Al momento dell'impiego danno luogo ad una reticolazione. Sono usate come collanti strutturali (araldite) e sostituiscono, alcune volte, i sistemi di saldatura data la loro aderenza con molti materiali (legno, cemento, metalli, ecc.). / materiali plastici rinforzati, sono combinazioni di resine alchidiche
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con fibre di vetro. Hanno una notevole resistenza meccanica, bassa conducibilità e dilatazione termica e buona stabilità dimensionale. Questi materiali sono impiegati in strutture esterne (tettoie) sotto forma di lastre piane o ondulate, offrendo anche vantaggio di leggerezza e resistenza agli agenti atmosferici. Sono utilizzati anche nella costruzione di pannelli di chiusura "courtain-walls" ad esempio per muri perimetrali di costruzioni prefabbricate in lastre accoppiate con un'intercapedine contenente polistirolo o poliuretano espanso per l'isolamento acustico. I poliammidi si ottengono per condensazione di acido e ammina. 11 prodotto più conosciuto è il nylon con notevoli caratteristiche di resilienza utile per tubi, profilati, ecc.. Le resine siliconiche sono costituite da silicio e ossigeno alternati. Si usano come materiali idrorepellenti per vetri, pavimenti, pareti. / poliuretani si ottengono per condensazione di isocianati polifunzionali e alcooli polivalenti. Si usano sotto forma di espansi, rigidi o flessibili. I rigidi servono come isolanti termici per impianti frigoriferi. Si utilizzano inoltre per costruzione di pannelli "sandwichs", prefabbricati, leggeri.
I bitumi Si chiama "bitume" una miscela formata da più sostanze organiche ad alto peso molecolare. La composizione media è: C 83%. H 10,7%, S 5,5%, 02 0,8%. La formazione avviene per "polimerizzazione" naturale dei residui del petrolio ovvero delle frazioni più pesanti dei prodotti della sua distillazione. In natura il bitume è contenuto negli asfalti da cui può essere facilmente estratto. Può anche essere prodotto industrialmente. II bitume trova largo uso per le impermeabilizzazioni e per le pavimentazioni stradali in genere.
Materiali non ferrosi Oltre al ferro e alle sue leghe, nella edilizia, si usano altri metalli come il Rame, l'Alluminio, il Piombo e le relative leghe. // rame è uno dei metalli noti fin dai tempi più antichi. Era usato per tubazioni già al tempo degli Egizi; ora viene impiegato come conduttore elettrico o termico, per decorazioni esterne, per coperture, per opere di lattoniere, per tubi di riscaldamento. Nelle coperture di tetti, gli elementi di rame vengono ricoperti con uno strato di solfato basico o di bicarbonato con funzione protettiva. Forma delle leghe con molti metalli: con lo zinco forma gli ottoni e con
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lo stagno i bronzi. Gli ottoni sono lavorabili a caldo e a freddo, in quest'ultimo caso danno origine a leghe da lavorazione plastica. Se la percentuale di zinco nella lega è del 40%, si hanno gli ottoni da fonderia. Le caratteristiche meccaniche e di resistenza alla corrosione degli ottoni possono essere migliorate con l'aggiunta di altri elementi ottenendo così gli ottoni speciali. Ad esempio, la presenza dell'I" di piombo facilita la lavorazione agli utensili (ottoni automatici); la presenza di Sn. o di Ni. migliora la resistenza alla corrosione, specie quella causata dall'acqua marina (ottoni navali). Gli ottoni sono usati per rifiniture (di davanzali, di gradini, ecc.), coprigiunti di vario tipo, tubi, cerniere, oggetti d'arredo e rubinetteria, soprattutto cromate. I bronzi vennero usati fin dall'antichità per oggetti artistici e statue, dato il loro basso punto di fusione, la buona colabilità ed il limitato ritiro. Ora sono usati nell'industria meccanica, elettronica, per applicazioni artistiche o come elementi complementari nell'edilizia (ad esempio grappe di fissaggio). L'alluminio è uno degli elementi più diffusi sulla crosta terrestre. Solo da circa un secolo è ottenuto alluminio allo stato metallico, essendo stato messo a punto solo recentemente il processo di separazione dal suo ossido, l'allumina. L'alluminio si ossida in presenza di ossigeno formando cosi una pellicola con caratteristiche protettive ad esempio contro la corrosione atmosferica. Tale processo industrializzato è denominato "ossidazione anodica" da cui il nome di corrente di alluminio anodizzato. E' un metallo non saldabile, per cui le unioni si effettuano solo per aggraffatura o incastro. L'alluminio naturale o anodizzato viene impiegato per lamiere di copertura, lamiere per rivestimenti delle pareti interne ed esterne (vedi Courtain-Walls), profilati per serramenti, impianti elettrici, radiatori. 77 piombo, reperibile in natura allo stato puro, ha un basso punto di fusione (300°), è malleabile e compressibile. Per questo, fin dall'antichità, è usato per giunti di dilatazione, appoggi non rigidi, bloccaggio di grappe e zanche di ferro o bronzo. Non è saldabile; quindi l'impiego di lastre di piombo per manti di copertura implica il loro accurato fissaggio al supporto e il collegamento delle lastre stesse tra loro. Bibliografia G. SCARINCI e D.R. FESTA, Le materie plastiche, Bologna, 1979. V. GOTT.ARDÌ,/metalli, Bologna, 1979.
CAPITOLO NONO
IL FERRO
Pur conosciuto fin dall'antichità, i suoi usi nell'architettura e nelle costruzioni furono sempre modesti a causa delle difficoltà di produzione. Si ebbero principalmente due impieghi; il primo riguardante la statica, come elemento sollecitato a trazione con funzione di tiranti, catene, cravatte. Il secondo, in origine difensivo e poi decorativo, culminante nella splendida fioritura di ferri battuti del Medio Evo e del Rinascimento. Si dovette attendere il 1734, quando in Inghilterra Abramo Darby riusci a fondere il minerale di ferro con il carbone, per poter dare inizio a quella "età del ferro" che fu la principale spinta alla rivoluzione industriale. Le prime leghe ferrose adoperate, essenzialmente ghise piuttosto impure e fragili data la loro ricchezza di carbonio, vennero usate per elementi compressi, ma, già nel 1773 si iniziava la costruzione del primo ponte in materiale ferroso, di più di 30 metri di luce, costruito da Wilkinson e Darby a Coalbrookdale. Logicamente i primi usi furono di sostituzione di questo eccezionale materiale, al legno, laddove il progettista non era turbato dall'eccessiva esilità, rispetto ai materiali tradizionali. Così negli Stati Uniti, la necessità dei lunghi ponti per attraversare quei larghi fiumi, portò a sostituire nelle alte travi reticolari gli elementi tesi in legno con il ferro, come possiamo vedere nei tipi Burr (-1804) e Howe (1840), Fig. 9.1 e 9.2.
Fig. 9.1 - Trave in legno con tiranti verticali in ferro (Burr, 1804).
Ma già nel 1783 veniva brevettato il sistema di produzione detto pudellaggio e si lanciava l'idea dei laminatoi a rulli per la produzione di profilati, e sin dal 1850 la siderurgia poteva offrire una vasta gamma di profili
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e di lamiere in grado di permettere e seguire il grande sviluppo che questo nuovo materiale richiedeva ed imponeva. Il Paxton nel 1851 in soli sei mesi allestiva a Londra il Palazzo di Cristallo, su 98.000 m2 coperti, impiegando 9.642 tonnellate d'acciaio, utilizzando ancora la ghisa per gli elementi compressi, ma riservando le parti tese a tondi in acciaio e pervenendo al risultato più moderno e caratteristico del materiale e cioè la grande leggerezza ed esilità delle strutture accoppiate alla vastità delle superfici vetrate.
Fig. 9.2 - Trave in legno e ferro (Howe, 1840).
Esperienze veramente rivoluzionarie ed indubbiamente premature per il gusto dell'epoca che, soprattutto nelle costruzioni, non voleva rinunciare all'ornamento e perseverò per anni, con irrazionali appesantimenti, nel trattare questo rivoluzionario materiale alla stregua e con le decorazioni di quelli tradizionali, quando non cercò di farlo sparire sotto pesanti strati di gesso e stucco. Ma la costante spinta industriale, che portava le varie nazioni a gareggiare nelle Esposizioni Universali, riportò in auge il ferro come materiale in se stesso decorativo, con la nuova esigenza dei grandi padiglioni a cupola, il cui trionfo si ebbe nel 1889 a Parigi con la costruzione dovuta ad Eiffel del Palazzo delle Arti Liberali e della sua famosa torre. Ma la rivoluzione industriale indicava e seguiva altre strade per il trionfo dell'acciaio. La spinta costante della diffusione dei trasporti che portarono alla costruzione dei vascelli in acciaio e delle strade ferrate; le esigenze per quest'ultimi di ponti e di stazioni; il fiorire delle macchine utensili per la creazione di altre macchine che abbreviassero ed agevolassero il lavoro dell'uomo. Tutto ciò impose alla siderurgia balzi da gigante. Nel 1856 il convertitore Bessemer era in funzione, dal 1864 lavoravano i forni Martin-Siemens. Nel 1878 l'acciaio veniva prodotto con procedimento Thomas. In questa strada di progresso, molto spesso la tecnica costruttiva precedette lo studio teorico e lo costrinse a determinate vie. Molti insuccessi, spesso catastrofici, obbligarono ad una ricerca più accurata su di un materiale troppo generoso da essere spesso sopravalutato o solo poco conosciuto. Dalla prima nave marittima in ferro del 1824 si arriva al varo del pri-
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mo transatlantico ad elica con scafo in acciaio dovuto al Brumel nel 1834, ed ai relativi studi sulle strutture autoportanti a guscio. Stephenson realizza con accoppiamenti di lamiere e profilati il grande ponte Britannia, con travi tubolari autoportanti per la cui realizzazione fu necessario sviscerare i problemi di ingobbamento delle pareti laterali. Nel 1850 Culman suggerisce di alleggerire le pesanti pareti laterali con griglie reticolari dimensionate ciascuna per il proprio sforzo. Gerber nel 1878 realizza il suo sistema con una trave continua nei cui flessi sostituisce delle cerniere, e che porta il suo nome. Una serie di crolli provoca la necessaria emanazione di norme per il calcolo ed il controllo. Vengono più accuratamente valutate le forze esterne dovute al vento ed alla neve. Si cominciano ad intuire i reali limiti dell'instabilità elastica sulle aste compresse, purtroppo a seguito di disastrosi crolli, e nel 1910 Timoshenko ne inizia uno studio sistematico. E per le costruzioni, dalle elefantiache esigenze della società americana, nascono i primi grattacieli in acciaio; del 1912 è il Woolworth Building sui 58 piani, fino al più alto, inaugurato nel 1931, l'Empire State Building con i suoi 85 piani. Queste eccezionali e complesse realizzazioni sollecitarono gli studiosi alla ricerca di un sistema di soluzione per iterazione, dapprima attuato da Takabeya e definitivamente perfezionato e risolto dal Cross nel 1930. Infine, quando già sembrava che nessun'altra rivoluzionaria innovazione potesse ancora allargare gli orizzonti d'impiego del nuovo materiale, vennero perfezionati e messi a punto i procedimenti di saldatura autogena all'arco elettrico, che permettevano un alleggerimento delle costruzioni, rispetto ai precedenti tipi chiodati, valutabili fino al 15% ed una flessibilità di forme e di costruzione veramente impensabili fino ad allora. Anche queste innovazioni dovettero conoscere un cammino di esperienze talvolta dolorose, basti ricordare il crollo dei ponti sul Canale Alberto, a travata Vierendel interamente saldati (Fig. 9.3), provocati dalla fragilità e dall'invecchiamento delle saldature e dal crearsi di stati di sollecitazioni triplici.
Fig. 9.3 - Il ponte di Hasselt dopo il crollo avvenuto il 14 maizo 1938, a travate scariche.
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Ancor oggi problemi parzialmente insoluti esistono: altri problemi nascono dallo stesso inarrestabile progresso che sollecita continuamente i costruttori al superamento di ciò che poco prima costituiva un limite. Abbiamo già appreso, con una quasi assoluta sincerità, ad usare architettonicamente questo materiale. Più spontanei, forse perché più liberi, nelle opere ingegneristiche che in quelle propriamente architettoniche. Ma indubbiamente il cammino aperto è ancora lontano dal suo termine. Da percorrere con coraggio e con una parte spesso di rischio, purché consapevole per un superamento dei limiti e per un vero sincero impiego, in tutta purezza, del materiale che ha dato un nome ad un'epoca: quella dell'acciaio.
I materiali ferrosi 1)
Il ferro
E' il principale componente dei materiali ferrosi da costruzione; le sue caratteristiche principali sono le seguenti: peso specifico durezza limite elastico resistenza a trazione coefficiente lineare di dilatazione termica
7876, = kg/m 3 50 70 brinnel 10 14kg/mm 2 18 25 kg/mm 2 15 x IO"6
Il minerale ferroso viene fuso in altoforni con carbone. Si ottiene una lega ferro-carbonio che viene chiamata, a seconda se è fucinabile1 o meno, acciaio o ghisa. Detta, lega è il materiale che interessa le costruzioni e le sue caratteristiche sono determinate dalla percentuale di carbonio in essa contenuta.
2)
L'acciaio
L'acciaio è una lega che oltre all'elemento preponderante, il ferro, contiene percentuali maggiori o minori di componenti metallici (manganese, rame, nichel, cromo, tungsteno, ecc.) o non metallici (carbonio, silicio, fosforo, zolfo, ecc.), cui alcuni (nichel, cromo, Wolframio, ecc.) deliberatamente aggiunti ad altri invece (carbonio, manganese, fosforo, zolfo, arsenico, ecc.) già presenti nelle materie prime impiegate nella fabbricazione. Infatti il ferro chimicamente puro non ha pratico interesse, mentre soCon fucinatura si indicano le operazioni necessarie per la lavorazione a caldo dei metalli.
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no le sue leghe che si prestano alle applicazioni industriali nel campo delle costruzioni. Il punto dì fusione e le caratteristiche meccaniche, elettriche e magnetiche del metallo base, il ferro, variano sensibilmente in funzione degli elementi aggiunti. Il tenore di carbonio influisce così profondamente sulla lavorabilità delle leghe siderurgiche da servire come criterio fondamentale per la loro classificazione. Una divisione empirica degli acciai è la seguente: acciai extradolci acciai dolci acciai semiduri acciai duri acciai extraduri ghise acciaiose ghise comuni
tenore tenore tenore tenore tenore tenore tenore
di di di di di di di
carbonio carbonio carbonio carbonio carbonio carbonio carbonio
0,15% da 0,15 a 0,30% da 0,30 a 0.45% da 0.45 a 0,65% da 0,65 a 1,70% da 1.70 a 2,50% oltre 2,5%
Il materiale più usato per le costruzioni è l'acciaio dolce, con il quale vengono costruiti tutti i profilati, le barre, i tondi e parte delle lamiere. Gli acciai con più alti tenore di carbonio sono duri, ma eccessivamente fragili e non saldabili; vengono normalmente impiegati per utensili od altri usi speciali. Si arriva infine alle ghise, non fucinabili, fragili e cristalline il cui uso oggi, come materiali da costruzione, è decisamente superato.
Requisiti fondamentali dell'acciaio Un acciaio di qualità per le costruzioni deve possedere i seguenti requisiti: Omogeneità. Ottenuta oggi grazie ai nuovi sistemi di fusione e depurazione delle leghe, per cui la resistenza dei materiali non hanno valori diversi in direzioni preferenziali. Alto limite di snervamento. Nella pratica il limite di snervamento ha ancora più importanza di quello di rottura. Un provino di acciaio sottoposto a carico ha le seguenti fasi di comportamento (Fig. 9.4): — prima fase (campo elastico) nella quale le deformazioni sono proporzionali agli sforzi e sono reversibili e, cioè, il provino, allo scarico, assume la configurazione iniziale e non subisce deformazioni permanenti; — dopo questa fase e continuando ad accrescere gli sforzi, si supera il limite elastico e si entra nella fase elasto-plastica nella quale le deformazioni non sono proporzionali agli sforzi impressi e non sono più reversibili (la configurazione del provino denuncia deformazioni permanenti);
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— continuando ad accrescere gli sforzi si entra nel campo dello snervamento vero e proprio e, cioè, nel campo nel quale un piccolo incremento di sforzo comporta grandi deformazioni (irreversibili) e la rottura.
Fig. 9.4 - Diagramma carichi-allungamenti.
E' detto limite di snervamento il punto di passaggio tra il campo elastico ed il campo elasto-plastico. Il coefficiente di sicurezza viene riferito al limite di snervamento e non alla rottura, tenendo presente che il coefficiente di sicurezza e, cioè, il rapporto tra limite di snervamento e il carico di rottura è mediamente pari a 0,6 + 0,5. Comunque la metallurgia tende ad innalzare il valore di questo rapporto con l'uso di appropriate tecniche e di particolari additivi. La saldabilità direttamente legata alla quantità di carbonio giacché al di sopra dello 0,5% di tenore in carbonio questo procedimento è irrealizzabile. La normativa attuale, prescindendo dagli altri elementi che possono influenzare le possibilità dell'operazione, ammette per acciai saldabili percentuali di carbonio intorno allo 0,2%, concedendo come massimo, con elettrodi particolari, lo 0,24+ 0,26%. La resilienza caratteristica della capacità del materiale a resistere ad urti ed al lavoro a fatica. Caratteristiche dell'acciaio Le principali caratteristiche dell'acciaio sono le seguenti: coefficiente lineare di dilatazione termica peso specifico (circa)
0,000012 C° 7850 kg/m 3
Come ogni materiale anche l'acciaio ha delle caratteristiche positive e negative.
97 Caratteristiche negative Corrosione Si tende attualmente a dare una spiegazione di questo fenomeno con azioni elettriche. La costante possibilità dell'acciaio a comporsi chimicamente sulle sue parti esterne fino a dare ossidi di ferro, porta a notevoli inconvenienti, di cui il più macroscopico è la perdita di spessore che può arrivare, a seconda dei diversi ambienti di esposizione, anche 0,1 0,15 mm di perdita di spessore all'anno in ambienti inquinati da fumi industriali. Da qui la necessità di protezione delle strutture metalliche con diversi tipi di trattamento. Il più comune è la verniciatura. Un ottimo ciclo, di sicura efficacia è il seguente : a) trattamento delle superfici con sabbiatura fino ad un completo distacco delio strato superficiale di calamina (ossido di ferro ricoprente i profili laminati a caldo derivante dallo stesso processo di laminazione); b) verniciatura con una prima mano di minio di piombo; c) verniciatura con una seconda mano di minio dopo la posa in opera; d) copertura con due mani di vernice a finire. Oppure, più modernamente, si può eseguire l'opera di protezione con un ciclo comprendente prima una sabbiatura e poi una verniciatura con zincanti a freddo. Sabbiatura è un'operazione di pulizia dell'acciaio eseguita mediante getti di sabbia ad alta velocità. Le norme dello Swedish A Corrosion Committee prevedono vari gradi di sabbiatura e li individuano con delle sigle SA 2; SA 2,5; SA 3. Una sabbiatura SA 2,5 oppure detta a metallo bianco, pulisce perfettamente l'acciaio da qualsiasi traccia di ruggine o calamina. Una sabbiatura SA 2, detta anche commerciale, è meno accurata della precedente; offre tuttavia una buona pulizia. Dopo la sabbiatura si procede alla verniciatura come sopra indicato. Zincatura a freddo. Si tratta, in sostanza, di applicazione delle vernici ricche di zinco metallico, immerso in un veicolo organico o inorganico, che una volta a contatto con l'acciaio, reagisce intimamente e realizza una protezione elettrochimica. Ricoprendo poi con una o più mani di vernice a finire, si realizza una protezione dell'acciaio paragonabile a quella della zincatura a caldo. Zincatura a caldo, consistente nell'immersione di pezzi finiti e lavorati, dopo ripulitura chimica superficiale (decapaggio), in bagni di zinco fuso, cosicché una volta estratto il pezzo, una pellicola continua di zinco viene a rico-
98 prire ogni parte metallica. Per pezzi di piccole dimensioni viene usata la zincatura galvanica che fa depositare elettroliticamente, in un bagno, lo zinco uniformemente sul manufatto d'acciaio. Attualmente la siderurgia tende alla ricerca d'acciai inossidabili o autoprotettivi di cui si dirà.
Scarsa resistenza al calore lì comportamento dell'acciaio alle varie temperature, dal punto di vista della sua resistenza a rottura, è raffigurato nel diagramma seguente (Fig. 9.5).
Fig. 9.5 - Variazioni della resistenza degli acciai extra-dolci col variare della temperatura.
Come si può vedere all'innalzarsi della temperatura, dopo un primo aumento di resistenza si ha che, giunti a 300 gradi, la resistenza cala velocemente sino ad essere quasi nulla intorno ai 800°C. Detta caratteristica è particolarmente negativa se si pensa a delle colonne poste ai piani inferiori di edifici attaccati dal fuoco o a qualche grande travatura, sottesa da tiranti, investita da fiamme sottostanti. Il cedimento può divenire catastrofico anche per un incendio di modesta entità. Di qui la necessità di rivestimenti protettivi che possono essere realizzati con calcestruzzo, placcature in gesso ed amianto, impasti di amianto e cemento spruzzati, guaine imbottite di lana minerale, particolari vernici che diventano spugnose (coibenti) all'aumentare della temperatura, ecc.
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Caratteristiche positive Affidabilità L'acciaio ha caratteristiche di resistenza più facilmente controllabili e costanti essendo tutta la produzione unificata e rispondente alle tolleranze imposte. Resistenza e leggerezza I moderni acciai da costruzione permettono di realizzare strutture di dimensioni, luci e altezze molto superiori a quelle del calcestruzzo armato. Tali vantaggi si sono potuti ottenere grazie agli elevati limiti di snervamento e soprattutto ai pesi relativamente modesti delle strutture realizzate in profilati di acciaio. Rapidità di costruzione I tempi di costruzione di una struttura in acciaio sono generalmente più contenuti di quelli di analoghe strutture in calcestruzzo armato: tale riduzione nei tempi di lavoro può portare notevoli vantaggi economici nel caso di complessi di grande dimensione. Recupero del materiale L'acciaio permette di realizzare un certo utile all'atto della demolizione o del rifacimento di un'opera. Questa voce diventa importante per quei fabbricati destinati ad avere vita relativamente breve come alcuni tipi di fabbricati industriali.
Acciai speciali Negli acciai possono esser presenti come impurità o come additivi altri componenti (Si, N, Cr, Ni, Mn) che ne migliorano o ne peggiorano alcune caratteristiche. Per diminuire le caratteristiche negative dell'acciaio, la siderurgia si è sempre più impegnata a produrre acciai speciali. Tra quelli che più riguardano le costruzioni e tralasciando gli acciai speciali per macchine, utensili, strumenti, ecc. si ricordano : - acciai inossidabili sono principalmente costituiti da leghe al CromoNichel. II più noto è l'inox 18/8 che contiene il 18% di Cromo ed l'8% di Nichel con varie componenti di carbonio secondo l'uso.
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Gli acciai inossidabili sono proibitivi per le strutture di edifici civili per il loro alto costo, si usano come elementi decorativi o per grondaie e pluviali. — acciai autoprotettivi sono acciai con additivi (primo fra tutti il rame) che tendono a creare una ossidazione superficiale tale da proteggere gli strati interni. Il più noto acciaio autoprotettivo è il COR-TEN. E' un acciaio con una buona percentuale di rame che presenta notevole resistenza alla corrosione e può essere usato "nudo" (senza verniciatura o zincatura) e che — col tempo — viene ad assumere una colorazione rossastra o melanzana. (I guard-rails dell'autostrada del Brennero sono in cor-ten).
Formati e denominazioni L'acciaio per costruzioni metalliche si reperisce in commercio in elementi prodotti dalle ferriere mediante laminatoi a caldo. Nella pratica corrente si definiscono laminati i piatti e le lamiere, profilati le barre di sezione più complesse e travi gli elementi strutturali. Più precisamente la distinzione fra i vari prodotti è la seguente: A)
Prodotti piatti 1) piastre 2) lamiere grosse 3) lamiere medie 4) lamiere sottili 5) lamierini 6) larghi piatti 7) piatti
larghissimi piatti superiori a 40 mm di spess. larghissimi piatti tra 10 e 40 mm di spess. larghissimi piatti tra 4 e 10 mm di spess. larghissimi piatti tra 1 e 4 mm di spess. larghissimi piatti inferiori a 1 mm di spess. fino a 400 mm di larghezza di vari spess. fino a 200 mm di larghezza di vari spess.
La produzione delle piastre e delle lamiere ha dei limiti dimensionali dati dai laminatoi. Formati standard per le piastre sono 1,00x2,00 metri; 1,25x2,50 metri e 1,50x3,00 metri, ma i ferri piatti possono esser laminati anche dai 10 mm ai 2,00 metri di larghezza con lunghezza fino a 8,00 metri, in vari spessori. Le lamiere sottili e soprattutto i lamierini vengono prodotti in "coils" che sono bobine molto lunghe di nastro di lamiera avvolte circolarmente su se stesse e che possono avere pesi da 6 ^ 10 tonnellate. B)
Profilati 1) tondi 2) quadri 3) esagoni 4) angolari a lati eguali (da 15x15 mm fino a 150x 150 mm con vari
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spessori come da tabella riportata di seguito); 5) elle a lati diseguali (da 20x30 mm fino a 100x 150 mm con vari spessori, come da tabella riportata di seguito); 6) ferri a T 7) ferri a Z. I ferri profilati sono unificati e sono prodotti da tutte le ferriere con le stesse caratteristiche geometriche e meccaniche. Vengono usati nella carpenteria metallica per strutture reticolari o per altri usi del tutto secondari. C)
Travi 1) ad U o a C 2) a doppio T 3) a doppio T ad ali larghe
Anche le travi sono unificate e sono prodotte dalle varie ferriere con caratteristiche geometriche e meccaniche del tutto eguali. Per le travi a doppio T e a doppio T con ali larghe esisteva - a partire dalla metà dell'ottocento — una unificazione denominata NP (normal profil). Queste travi NP, per una migliore utilizzazione dell'acciaio e per un miglior collegamento corrispondente ad una diminuzione di peso a parità di caratteristiche statiche,sono state sostituite da altre travi unificate che, in sede europea, soddisfano le norme comunitarie (EURONORM). Questi vantaggi vengono ottenuti con una diminuzione dello spessore dell'anima centrale e con un aumento di spessore delle ali. Inoltre le ali vengono costruite attualmente con i due lati paralleli e non più con la faccia interna rastremata come erano le travi NP. Queste travi a doppio T si possono suddividere in due principali categorie : — travi IPE ([profilo europeo) che hanno un'altezza pari a circa due volte la larghezza delle ali e che pertanto hanno una massima resistenza su di un piano e vengono usate soprattutto per strutture che sono sollecitate esclusivamente su un piano (solai e travi); — travi HE (H europeo) che sono praticamente iscrivibili in un quadrato ed hanno, quindi, caratteristiche statiche assai simili nei due sensi e, cioè, secondo entrambi gli assi principali di inerzia. Queste travi trovano la loro migliore applicazione nei pilastri che, fatalmente, possono esser sollecitati egualmente sui due assi principali d'inerzia. Altro vantaggio delle travi HE è quello di esser prodotte in tre serie: la leggera (HEA), la normale (HEB), la pesante (HEM) aventi le medesime dimensioni di ingombro esterno, ma con sensibili variazioni di spessore. Ciò permette, per esempio, di conservare lo stesso profilo apparente
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di colonna alle varie quote di un fabbricato multipiano pur diminuendo il carico che su di esso grava con l'innalzarsi dei piani. In Italia le trave HE sono prodotte con sezioni variabili da 100 a 600 mm di altezza, mentre all'estero l'altezza delle sezioni arriva anche a 1.000 mm. Per sezioni di altezza superiore ai 600 mm. in Italia, si ricorre alle travi composte di lamiera saldata automaticamente e dimensionate in base agli sforzi effettivi risultati dal calcolo.
Esempi profilati a doppio T Travi Trave INP 200 (Fig. 9.6), dove la sigla sta a significare: l forma del profilo N normale P profilo 200 altezza del profilo in mm Trave IPE 200 (Fig. 9.7) I forma del profilo P profilo E europeo Trave HE B 100 (Fig. 9.8) H forma del profilo E europeo B serie normale (A serie alleggerita) (M serie rinforzata)
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Per i vari tipi di profilati e le loro caratteristiche statiche e geometriche si veda il sagomano allegato in fondo al capitolo.
Scelta del profilo La scelta del profilo è determinata da considerazioni di natura tecnica ed economica. A)
/ profilati angolari
Si impiegano prevalentemente per la realizzazione di strutture reticolari e tralicci. Le loro caratteristiche geometriche infatti, ne facilitano sia l'accoppiamento mediante bullonatura o saldatura, sia la lavorazione in officina con macchine automatiche. Le loro caratteristiche statiche si adattano bene alla realizzazione delle aste tese o compresse delle strutture reticolari, mentre non si prestano per gli elementi inflessi. B)
/ profilati a doppio T, INP o IPE
Si impiegano prevalentemente come elementi inflessi (travi) in quanto le loro caratteristiche geometriche e statiche sono state studiate per offrire il massimo momento d'inerzia e il massimo modulo di resistenza secondo uno solo dei due assi principali della sezione. C)
Profilati HE
Si usano raramente ed in casi particolari come travi. Si usano particolarmente come pilastri o colonne; infatti la loro caratteristica geometrica (alla larga) permette di avere un raggio d'inerzia relativamente elevato secondo ambedue gli assi principali e quindi una buona resistenza al carico di punta. Tutti i profilati si possono accoppiare fra di loro mediante saldatura o bullonatura nella maniera più diversa a seconda delle necessità. Le sezioni composte che ne derivano avranno le caratteristiche ottimali individuate dal progettista per ogni specifico impiego. D)
Tubi
Di discreta importanza nelle costruzioni di carpenteria quando soprattutto si debbo-
Fig. 9.9 — Sezione composta da due profilati IPE per l'impiego come colonna.
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no realizzare delle economie in peso. La loro notevole inerzia, a parità di peso, rispetto ai profilati, permette risparmi fino al 40% sulle strutture compresse. Il loro costo assai maggiore fa rientrare il vantaggio economico e, aggiunto ad una maggior difficoltà di lavorazione, porta il costo della costruzione tubolare finita ad essere maggiore di quella realizzata con profilati. A seconda dei loro diametri e dei loro spessori possono essere realizzati con o senza saldatura. E ) Profila ti a freddo Di notevole interesse e di uso recente, soprattutto per le orditure secondarie sono i profilati a freddo ricavati da coils di lamiera di piccolo spessore attraverso il passaggio del nastro su serie di rulli che man mano gli danno la forma desiderata. Nati per usi automobilistici essi hanno trovato largo impiego soprattutto come orditura minuta in profilo di ottima inerzia a basso peso con caratteristiche tali da agevolare la posa in opera di materiali secondari come isolamenti, controsoffitti, illuminazione. Tra le forme più usate abbiamo quelle riportate in Fig. 9.10 come l'omega (1), l'omega ad ali rinforzate (2), il L" (3), il C ad ali rinforzate (4) ecc..
Fig. 9.10 - Tipi di profilati a freddo.
Norme per la progettazione Fino al 1971 nessuna norma imponeva criteri specifici di progettazione né limitava gli sforzi massimi da indurre nelle strutture in acciaio in relazione alla sua qualità, alla sua forma, ecc.. Nel 1971 per aggiornare le norme di progettazione e di esecuzione delle opere in calcestruzzo armato furono, per la prima volta, emanate direttive anche per la progettazione e per l'esecuzione di opere in calcestruzzo precompresso e matalliche.
105 La legge del 5 novembre 1971, n. 1086 prevede principalmente delle modalità di controllo nella esecuzione di strutture siano esse in calcestruzzo normale, calcestruzzo precompresso o metalliche, e l'art. 21 di questa legge prevede che il Ministero dei LL.PP., sentito il Consiglio superiore dei LL.PP. e il Consiglio nazionale delle ricerche, deve emanare ogni biennio le norme tecniche alle quali deve uniformarsi ogni tipo di struttura sia essa in calcestruzzo o metallica. Queste norme furono emanate con i seguenti decreti del Ministero dei LL.PP.: - D.M. 30 maggio 1972 - D.M. 30 maggio 1974 - D.M. 16 maggio 1976 - D.M. 26 marzo 1980 - D.M. 1 aprile 1983 Tutte le norme previste in questi decreti sono obbligatorie per il calcolo, l'esecuzione ed il collaudo statico delle strutture in calcestruzzo ed in acciaio. Parimente obbligatorie sono le norme tecniche concernenti i criteri generali per la verifica della sicurezza nelle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi che devono essere assunti nella progettazione di ogni struttura. Queste ultime norme derivano da uno studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche pubblicato nel Boll. Uff. del C.N.R. del 31/5/1957, n. 3 e prevedono anche i valori minimi per i vari tipi di carico permanente ed accidentale nonché i carichi della neve e la spinta del vento in varie zone e a diverse altitudini. Sono state rese obbligatorie con il: - D.M. 3 ottobre 1978 — Criteri generali per la verifica della sicurezza delle costruzioni e di carichi e sovraccarichi (G.U. 15 novembre 1978, n. 319). Queste norme sono state chiarite e integrate dalla Circolare del Ministero dei LL.PP del 9 novembre 1978 n. 18591 — Istruzioni relative ai carichi, sovraccarichi ed ai criteri generali per la verifica di sicurezza nelle costruzioni. Pur non essendo obbligatorie per legge è bene attenersi, per l'autorità di chi le ha emanate, alle seguenti direttive per costruzioni in acciaio: 1) Costruzioni in acciaio (B.U. del C.N.R. del 31/2/1973, n. 26) 2) Istruzioni per l'impiego nelle costruzioni di profilati in acciaio formati a freddo (B.U. del C.N.R. del 19/4/1973, n. 33) 3) Ponti stradali in acciaio — Norme di progettazione (del Consiglio Superiore dei LL.PP del 15/5/1970, n. 16) 4) Travi composte in acciaio e calcestruzzo — Istruzioni per il calcolo e l'esecuzione (B.U. del C.N.R. del 31/5/1961, n. 3 - UNI 10012). Le strutture devono esser calcolate staticamente con i normali metodi insegnati dalla Scienza delle costruzioni e seguendo le particolari norme so-
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praricordate che il Ministero dei LL.PP. pubblica ogni biennio. E' bene ricordare che esistono, anche in relazione alla complessità della struttura, tipi di calcolo che prevedono condizioni di carico più o meno complete e cioè: — condizione di carico 1 che cumula, nel modo più sfavorevole le azioni permanenti ed accidentali (compresi eventuali effetti dinamici) ad eccezione degli effetti del vento e degli stati coattivi sfavorevoli (temperatura, cedimento di vincoli, ecc.). Si devono includere nelle condizioni di carico 1 gli effetti statici e dinamici del vento, qualora le tensioni da essi provocate siano maggiori di quelle ingenerate dagli altri carichi permanenti e accidentali. — condizione di carico 2 che cumula, nel modo più sfavorevole, tutti i carichi permanenti ed accidentali (vento e dilatazioni termiche inclusi). Inoltre nelle strutture in acciaio per la grande resistenza del materiale e per la conseguente piccola sezione, in caso si compressione, le aste sono sempre caricate di punta, le pareti sottili sono facilmente soggette a imbozzamento e le travi inflesse a svergolamento. Per il carico di punta un'asta compressa non potrà esser calcolata con la semplice formula = PIA, ma si dovrà adottare la seguente formula:
ove u è un coefficiente maggiore di uno che è tabulato in funzione della snellezza dell'asta, intendendo per snellezza X il rapporto tra la lunghezza libera d'inflessione ed il raggio minimo d'inerzia i
Acciai da costruzione Caratteristiche meccaniche L'acciaio, come già detto è essenzialmente una lega di ferro e carbonio. Gli acciai da costruzione hanno un tenore di carbonio con percentuali variabili dallo 0,15% allo 0,28%. La recente normativa italiana (D.M. del 26 marzo 1980) prevede l'impiego di acciai laminati a caldo, profilati in barre, larghi, piatti, lamiere e profilati cavi (anche tubi saldati ricavati da nastro laminato a caldo) denominati: Fe 360 (già Fe 37) Fe 430 (già Fe 44) Fe 510 (già Fe 52) Nel decreto ministeriale 26 marzo 1980 è stato anche adottato il "Sistema internazionale di unità" indicato con la sigla SI di cui alle direttive
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del Consiglio delle Comunità Europee 76/770/CEE del 27 luglio 1976. Nella relazione fra il sistema SI e quello precedentemente adottato (M K S A) 1 kg F = 9,81 N (Newton) I valori di tensione di rottura e di tensione di s n e r v a m e n t o s o no riportati nel seguente prospetto 1) per profilati, barre, larghi piatti, lamiere e nel prospetto 2) per i profilati cavi. • Prospetto 1 - Caratteristiche meccaniche per profilati, barre, larghi piatti, lamiere.
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Prospetto 2 — Caratteristiche meccaniche per profilati cavi.
I valori delle precedenti tabelle si riferiscono a prodotti qualificati e cioè a quei prodotti che sono stati sottoposti favorevolmente alle prove previste dall'allegato 8 del D.M. 26/3/1980. Costanti elastiche Per gli acciai considerati si assumono i seguenti valori delle costanti elastiche (punto 3.1.3 del D.M. 26/3/1980). Modulo di elasticità normale Modulo di elasticità tangenziale
E = 206.000 N/mm 2 G= 78.400 N/mm 2
Resistenza ammissìbile Nella seguente tabella sono riportati i valori ammissibili a trazione o a compressione (a adm) dei vari tipi di acciaio nell'ipotesi di acciai qualificati e con calcoli eseguiti con le condizioni di calcolo 1.
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Tabella 3 Tensioni ammissibili a trazione o compressione per acciaio laminato.
La tensione tangenziale ammissibile \p adm è pari a 0,576 della tensione normale ammissibile (a adm) (punto 3.1.2 del D.M. 26/3/1980). Le tensioni ammissibili per le condizioni di carico 2 sono da assumersi pari a 1,125 delle relative tensioni ammissibili per i vari tipi dì acciaio sopraindicate e valevoli per le condizioni di carico 1 (punto 3.0.2.2 del D.M. 26/3/1980).
Collegamenti Trascurando la chiodatura, tecnica ormai superata nella carpenteria metallica, oggi si effettuano principalmente due tipi di unione dei profili d'acciaio ai fini di arrivare a strutture composte: a) la bullonatura mediante dadi e bulloni unificati con interposte rondelle, che ha sostituito quasi interamente la più laboriosa e difficoltosa chiodatura. Detti attacchi sono verificati al taglio nel gambo del bullone o nel nucleo a seconda dei casi, ed alla pressione sul contorno del foro, Fig. 9.11. Molto importante è l'attuale uso di bullonatura ad alta resistenza nei tipi denominati 8G e 10K. In queste unioni i bulloni costituiti con acciai speciali ad alti limiti elastici, bonificati, vengono avvitati con particolari chiavi dinamometriche atte ad applicare una coppia di serraggio assai elevata e prefissata, equivalente ad un precarico di trazione sul gambo del bullone stesso. Tale serraggio garantisce il funzionamento dell'unione per attrito tra le superfici a contatto e migliora di molto il rendimento del bullone stesso permettendo così minore numero di fori e bulloni più piccoli, con le logiche e positive diminuzioni d'ingombro. Il funzionamento di un giunto con bulloni ad alta resistenza è sostanzialmente diverso da quello con bulloni normali. Quando in un collegamento del tipo rappresentato in Fig. 9.12 i bulloni ad alta resistenza vengono serrati con la chiave dinamometrica, il precarico indotto della coppia di serraggio nel gambo dei bulloni, che può essere
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Fig. 9.11 - Collegamento realizzato con piastre di coprigiunto e bulloni normali impegnati a taglio.
Fig. 9.12 - Collegamento realizzato con piastre e flangia e bulloni ad alta resistenza impegnati ad attrito ed a trazione.
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dell'ordine di parecchie decine di tonnellate, (un bullone da 24 10K fornisce un precario di 22,3 t) è in grado di sviluppare un momento resistente interno che si oppone al momento delle forze esterne applicate. In altre parole, il momento esterno, mettendo in trazione l'ala inferiore della trave tende a distaccare le flangie fra di loro, mentre il precarico dei bulloni tende a tenerle in compressione. b) La saldatura che viene effettuata mediante arco elettrico, fondendo i due pezzi da unire con l'apporto di materiale di unione derivante dall'elettrodo che innesca l'arco, normalmente protetto da scorie acide o basiche al fine di impedire l'ossidazione della giunzione, coprendo con detto rivestimento fuso in bagno. Esistono particolari coefficienti di riduzione dello sforzo ammissibile nelle saldature a seconda delle loro posizioni e delle sollecitazioni alle quali sono sottoposte. La saldatura è e rimane il collegamento principe fra due elementi metallici. Senza dilungarsi sui vari sistemi e tipi di saldature diremo solo che la normativa le divide in due classi. / classe: sono giunti che devono soddisfare in qualsiasi punto ad un esame radiografico senza presentare difetti di sorta II classe: sono giunti che non richiedono la perfezione di esecuzione di quelli di prima classe, ma che comunque devono presentare difetti contenuti entro un ragionevole limite di accettabilità (punto 2.4.3 del D.M. 26/3/80). La preparazione dei lembi degli elementi da saldare viene effettuata sia per permettere una migliore esecua) Preparazione a K zione della saldatura sia per permettere un risparmio di passate. Nella Fig. 9.13 sono rappresentate una preparazione a K, una V ed una a doppio V. Confronto fra saldatura e bullonatura b) Preparazione a V
Anche qui la scelta è influenzata da considerazioni tecniche, economiche ed estetiche. Ingenerale ci si va orientando verso la saldatura in officina e la bullonatura in cantiere. La bullonatura facilita grandemente i montaggi in opera e, in genere, le operazioni di foratura sono più veloci della saldatura, soprattutto se effettuate con l'impiego di mac-
e) Preparazione a doppio V
Fig. 9.13 — Preparazione dei collegamenti saldati a V, a doppio V e a K.
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chine automatiche. Le strutture saldate risultano più leggere perché le sezioni dei ferri non sono ridotte dai fori per i bulloni, ma richiede più tempo di lavorazioni.
I pilastri semplici e composti Possiamo dividere i pilastri, che devono essere atti precipuamente alla resistenza a compressione ed a momenti flettenti nei due tipi semplici e composti, Fig. 9.14.
Fig. 9.14 - Tipi di pilastri, semplici e composti dall'unione di più profilati.
I pilastri semplici possono eseguirsi con un tubo di diametro e spessore proporzionati ai carichi, con il grande vantaggio di una ottima resistenza al carico di punta presentando la massima inerzia in funzione della quantità di materiale, e pari resistenza ai momenti flettenti in ogni direzione. Si ha grande leggerezza, ma costo elevato e difficoltà nelle giunzioni. Talvolta possono essere riempiti in calcestruzzo. Oppure, ed è il siste-
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ma oggigiorno più usato, vengono utilizzate travi ad ali larghe del tipo HE per le caratteristiche statiche già accennate, abbastanza simili nelle due direzioni principali.
Fig. 9.15 - a) Pilastro a doppio T semplice; b) Pilastro tralicciato composto.
I pilastri composti si ottengono con l'unione di profilati atti a realizzare la sezione voluta (Fig. 9.14). Possono essere ancora ad anima piena, o del tipo reticolare, o calastrellato come rappresentato nella Fig. 9.16.
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Fig. 9.16 - Pilastro calastrellato.
Unione di pilastro in acciaio con fondazione L'unione tra un pilastro in acciaio e il plinto di fondazione in calcestruzzo è molto delicata sia perché si tratta di collegare saldamente fra loro due materiali assolutamente diversi, sia perché il punto di unione può esser sollecitato da sforzi notevoli specialmente in caso di forze orizzontali (Figg. 9.17 e 9.18). Anzitutto è necessario saldare una grossa lastra di acciaio alla base del pilastro. Questa lastra sarà necessariamente piuttosto estesa per ripartire sul calcestruzzo di fondazione il peso e gli sforzi trasmessi dal pilastro e dovrà essere opportunamente irrigidita con ferri piatti saldati sia alla piastra sia al pilastro.
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Fig. 9.17 - Collegamento di pilastro in acciaio con fondazione in calcestruzzo.
La piastra sarà opportunamente forata in più punti simmetrici per lasciar passare i "tirafondi" e cioè quegli elementi di collegamento tra la piastra e la fondazione in calcestruzzo. I tirafondi sono superiormente filettati e inferiormente terminano con un gancio. Nel plinto di fondazione, durante il suo getto, vengono lasciate le "fossette" e cioè profonde scanalature attraversate da un ferro di aggancio. Si infilano i tirafondi nelle fossette e li si fanno passare attraverso i fori della piastra. Quando il pilastro è posizionato (allineato, centrato e messo a piombo) si riempiono le fossette con del calcestruzzo espansivo in modo che i tirafondi siano annegati perfettamente nel calcestruzzo di fondazione senza possibilità di sfilarsi. Sulla parte superiore filettata dei tirafondi si avvitano fortemente dei dadi realizzando così una completa unione tra pilastro in acciaio e fondazione in calcestruzzo.
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Fig. 9.18 — Attacco di pilastro in acciaio con fondazione in calcestruzzo.
Le travi Anche questi elementi portanti, precipuamente atti a sostenere carichi verticali, possono venire realizzati con elementi pieni o con strutture reticolari. Le travi di tipo più semplice per luci non elevate rimangono quelle piene, che vengono realizzate, a seconda della loro importanza e con doppi T, IPE o HE, o con trave a doppio T saldate ricavate dalla composizione di
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lamiere di vari spessori. Per usi particolari si possono anche avere travi composte da diversi tipi di profilati. Un tipo interessante come utilizzo, nei casi in cui si voglia aumentare notevolmente l'inerzia contenendo il peso, è il tipo di trave alveolare ottenuta dal taglio ossiacetilenico a greca operato sull'anima dì un profilo normale ed il successivo ricongiungimento mediante saldatura dei due tronchi, sfalsati di un campo, in maniera tale da aumentare l'altezza di almeno un terzo (Fig. 9.19). Queste travi ricavate da profili IPE tagliati ad embrice a risaldati, posseggono, rispetto al profilato normale di pari altezza, il vantaggio di poter far ricorso ad un profilato minore a parità di carichi e sollecitazioni a flessione. Sono anche possibili altri tipi di taglio.
Fig. 9.19 - Travi con fori esagonali.
Quando si richiede una forte rigidità torsionale le travi vengono realizzate "a cassone" al fine di dotarle di notevole inerzia anche nel senso dell'asse non principale. Si possono considerare come travi anche quelle particolari incavallature ad altezza variabile chiamate "'capriate". Le capriate (in legno, acciaio o calcestruzzo) sono quelle incavallature a forma triangolare composte da reticoli triangolari che costituiscono l'ossatura di tetti a due falde senza sostegni intermedi e che non esercitano alcuna spinta laterale sugli appoggi. I tipi di capriate possono essere innumerevoli ed alcuni sono indicati nella Fig. 9.20. Le capriate in ferro sono sempre più in disuso perché sostituite vantaggiosamente da travi reticolari ad altezza costante ed ancor più da travi in calcestruzzo precompresso. Attualmente, specialmente per le grandi luci, le travi in acciaio più tipiche e più usate sono quelle reticolari ad altezza costante (Fig. 9.21). Capriate e travi reticolari vengono calcolate con il solito sistema del Cremona (diagramma cremoniano), del Culmann o del Ritter e sfruttano il vantaggio delle strutture reticolari di presentare nelle aste solo sforzi di
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Fig. 9.20 — Vari tipi di incavallature. 1, tipo Polonceau adatto fino a/ < 10 va;2,3, tipi adatti per l < 10;4, Polonceau per I < 20 m;25, id. per/ > 20; 5, 21, tipo inglese con diagonali tese per / < 15-25m;6, 19, corrispondenti alle precedenti con diagonali compresse; 7, 8, tipo belga con diagonali più lunghe tese; II, tipo adatto con grandi luci; 30 a 38 tipi per tetti quasi piani con altezza discreta anche agli appoggi il che diminuisce il carico sui correnti; 45, tipo con lucernario ; 46, tipo a trave semiparabolica per aviorimesse e grandi luci ; 4 7 a 56, tipi con lanternini per l'illuminazione.
trazione o di compressione, sempre che siano caricate esclusivamente sui nodi. Normalmente sia le capriate che le travi reticolari sono realizzate mediante la composizione di ferri angolari collegati generalmente con saldatura e talvolta con bullonatura. Sia le capriate che le travi reticolari sono simmetriche rispetto al piano dei carichi esterni, presentano quasi sempre degli elementi in lamiera, chiamati fazzoletti, nei nodi di unione tra le varie aste al fine di poter utilizzare un
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maggior spazio tale da essere sufficiente per eseguire la lunghezza di saldature o il numero dei fori necessario dal calcolo alla tenuta della giunzione. Anche in questo caso vi possono essere oltre a quelle a profili affiancati, travi a cassone, di notevole dimensione anche secondo il piano ortogonale ai carichi, per sopportare adeguatamente sollecitazioni agenti anche in questo piano.
Fig. 9.21 - Schemi di travi reticolali semplici.
Le strutture reticolari sono caratterizzate da uno schema di composizione di triangoli, in maniera tale da assicurarne l'indeformabilità. Esiste però la possibilità di realizzare travi composte da quadrilateri e di queste la più nota è quella ideata e realizzata da Vierendeel. Questa trave (Fig. 9.22, Fig. 9.23) assai elegante nella forma e di indubbi vantaggi funzionali non è altrettanto conveniente dal punto di vista del rapporto peso-resistenza ed è notevolmente complessa come calcolo, dato il suo notevole grado di iperstaticità.
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Fig. 9.22 - Travata semiparabolica Vierendeel.
Fig. 9.23 - Schema di trave Vierendeel.
I posti di ristoro e rifornimento che scavalcano l'autostrada PadovaBrescia sono eseguiti con grandi travi Vierendeel in cemento armato a cassone anche per avere la possibilità di aprire finestre rettangolari sulle fiancate.
Strutture secondarie Al di sopra delle capriate, al fine di sostenere le lastre di copertura atte a formare il tetto delle costruzioni, vengono posti, ad interassi assai limitati gli arcarecci o terzere. Detti arcarecci, costituiti normalmente da travi a doppio T, o a C, o ad omega con profili in lamiera stampata, dovranno possibilmente essere posti sui nodi delle capriate o travi sottostanti al fine di non dare momenti ai correnti. Gli arcarecci sono sollecitati a flessione deviata a causa della loro posizione che segue la pendenza del tetto; vengono pressocché sempre trattati come travi appoggiate su due o più appoggi per non dare momenti torsionali alle strutture sottostanti.
Controventature Al fine di rendere stabili le strutture in piani ortogonali a quelli dei carichi principali verticali, vengono applicate orditure secondarie atte ad assorbire gli sforzi prodotti principalmente dalle spinte del vento (Fig. 9.24).
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Fig. 9.24 - Schemi di strutture controventate in edifici multipiano.
Anche se in effetti sarebbe possibile vincolare rigidamente i nodi delle strutture ed assimilarle a dei telai rigidi atti a sopportare sforzi derivanti da spinte di qualsiasi direzione nello spazio, risulta più economico l'introduzione di queste aste, disposte preferibilmente con funzione di tiranti e atte a riportare gli sforzi alle fondazioni o di rendere collaboranti le varie parti della struttura. Si hanno cosi controventature in edifici multipiano che assimilano l'intera struttura ad una lunga mensola reticolare incastrata al terreno. Oppure, nei capannoni, il collegamento con croci di S. Andrea sulla falda tra la prima e la seconda capriata che le legano insieme creando una grande trave che resiste alle spinte che investono frontalmente le facciate della costruzione. In Fig. 9.25 è riportato uno schema di controventatura della copertura di un edificio di tipo industriale: alle controventature di falda sono affidati i compiti di assorbire le azioni del vento trasmesse dai frontoni, per trasferirle lungo le linee di gronda e trasmetterle agli altri elementi strutturali, ed anche per collegare i correnti superiori compressi delle capriate. I controventi verticali sono elementi rigidi che assicurano la stabilità lungo l'asse longitudinale del fabbricato; sono atti ad assorbire le azioni longitudinali e stabilizzare un sistema che altrimenti risulterebbe labile.
La costruzione Normalmente la tendenza attuale è quella di costruire in officine, mediante l'unione con saldature, grandi elementi trasportabili (colonne, travi,
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Fig. 9.25 - Esempi di controventatura in copertura di edifici industriali.
capriate, arcarecci) e di montarli unendoli in opera mediante bullonatura, assai più agevole da eseguire all'aperto. Solo in alcuni casi gli edifici multipiano oggi pressocché interamente realizzati, sia per le colonne che per le travi, con doppi T preferibilmente HE (per i motivi già citati per le colonne e per contenere l'altezza dei solai, per le travi) si usano unioni interamente saldate in opera che offrono il vantaggio di una maggiore monoliticità e la riduzione d'ingombro dei nodi di giunzione.
Confronto acciaio calcestruzzo armato La scelta dell'uno o dell'altro sistema costruttivo è determinata dall'analisi dei molteplici fattori, ognuno dei quali può assumere importanza predominante rispetto agli altri in relazione alle circostanze particolari di impiego. Sarà compito del progettista valutare tutte le componenti del problema,
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sotto l'aspetto tecnico e sotto quello economico, e quindi procedere alla scelta del materiale più adatto per la struttura in progetto. In alcuni casi la scelta può essere immediata: ad esempio una copertura di 60 m di luce sarà più conveniente realizzarla in acciaio, mentre un fabbricato per abitazione di 6 piani converrà certamente realizzarlo in calcestruzzo armato. In altri casi la scelta non è così immediata e richiede accurate analisi tecnico economiche. Esempio tipico è quello del fabbricato multipliano (10 15 piani) nel quale l'acciaio offre una maggiore leggerezza, un ridotto tempo di montaggio, minori ingombri e quindi maggiori spazi utili. Dall'altro canto risulta più costoso di una struttura tradizionale in calcestruzzo armato; presenta minore resistenza al fuoco ed alla corrosione e quindi richiede adeguate protezioni, che si riflettono poi sui costi. Certamente, nel caso di produzioni in grandi serie e ripetitive di elementi, l'acciaio può risultare più conveniente perché permette una prefabbricazione completa in officine altamente automatizzate, con costi di trasformazione ridotti. Il grattacielo Pirelli a Milano (ora sede degli uffici della Regione) è la massima costruzione in calcestruzzo oggi pensabile: quasi una sfida dei sostenitori del calcestruzzo ai sostenitori dell'acciaio (Fig. 10.15). Si noti, peraltro, come la necessità di grosse strutture alla base ne ha ridotto i vani utili.
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Mises Van der Rohe - Crown Hall dell'I.I.T. - Chicago 1952. Particolare della struttura.
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Eero Saaiinen - Centro Tecnico della General Motors — 1948-1956.
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Eero Saarinen - Sede della Deere & C, realizzata in corten - 1957-1963.
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Bibliografia GAYLORD, Design of steel structures, New York, 1972. Steel structures, New York, 1968. Steel designers manual, London, 1972. Giunzioni con bulloni A.R., Milano. 1971. U. ZIGNOLI, Costruzioni metalliche, Torino, 1963. F MASI, La pratica delle costruzioni metalliche, Milano, 1963. C. MASSONET, Ossature piane, Bologna, 1967. ITALSIDER,L'acciaio nelle costruzioni, Roma, 1962. L'acciaio nell'edilizia moderna, Genova, 1966. Strutture in acciaio, Genova, 1970-75.
CAPITOLO DECIMO
IL CALCESTRUZZO ARMATO
Il calcestruzzo armato (poco appropriata, anche se più diffusa, è la locuzione "cemento armato") è un materiale artificiale ed eterogeneo ottenuto unendo il conglomerato cementizio ad elementi metallici ("armature") opportunamente disposti e generalmente costituiti da barre di sezione circolare. Tale unione ha lo scopo precipuo di ripartire tra i due elementi, la resistenza della costruzione alle azioni che essa deve sopportare, e ciò in modo da sfruttare nella migliore misura le diverse qualità elastiche di essi: in particolare la resistenza alle sollecitazioni di compressione è affidata al conglomerato cementizio, quella agli sforzi di trazione alle armature metalliche. L'unione dei due materiali è praticamente possibile per le seguenti ragioni: — il calcestruzzo di cemento ed il ferro hanno coefficienti di dilatazione termica pressocché uguali, per cui dalla loro unione non nascono, per le variazioni di temperatura, sollecitazioni secondarie pericolose; — i due materiali hanno reciprocamente un alto potere adesivo, per cui nella loro unione si ha una efficiente e sicura trasmissione di deformazioni e di sforzi tra un materiale e l'altro; — il ferro annegato nel calcestruzzo viene ottimamente preservato dalla ossidazione, cosicché, anche se impiegato in barre di piccola sezione, dà un affidamento di durata ben maggiore di quello che potrebbe presentare, anche con notevoli spese di protezione e di manutenzione, se fosse esposto da solo agli agenti atmosferici. Naturalmente, perché sia possibile una giusta ripartizione degli sforzi tra i due elementi costituenti una membratura di cemento armato e perché questa possa ben resistere alle azioni a cui deve essere sottoposta, occorre non solo calcolare le sezioni dei due elementi, calcestruzzo e ferro, ma determinare altresì la posizione esatta che, in ogni punto della trave, deve assumere l'armatura metallica, onde realizzare nel complesso un elemento unico resistente. Ne nasce che per il progetto di una struttura in e.a. è necessario conoscere, con la massima esattezza, la distribuzione degli sforzi nel suo interno; a ciò sovraintende la scienza delle costruzioni, consentendo un rigoroso studio della struttura nelle condizioni di vincolo e di carico previste dal progetto. A monte di tale studio, esistono peraltro alcune ipotesi semplificative, e cioè: che il calcestruzzo sia omogeneo, isotropo e che se-
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gua la legge di Hooke (proporzionalità tra sollecitazioni e deformazioni); la conservazione delle sezioni piane; l'assoluta mancanza di resistenza a trazione da parte del conglomerato; e un determinato valore del rapporto tra i moduli di elasticità dei due materiali 1 . Per una buona riuscita di una costruzione in cemento armato è necessario, una volta che essa sia stata ben calcolata, che la esecuzione venga curata con intelligente vigilanza affinché l'armatura abbia esattamente in ogni punto la posizione assegnatale dal calcolo. Fattori di riuscita di un'opera sono quindi il calcolo, l'esecuzione e, non meno importante, la qualità dei materiali componenti. Si comprende quindi facilmente come in siffatte costruzioni gli "empirismi" non possano in alcun caso essere ammessi.
Cenni storici L'uso del calcestruzzo non armato, quale conglomerato formato da impasto di pozzolana 2 , acqua, sabbia e ghiaia, si può far risalire fino ai Romani, che l'adoperavano su vasta scala per fondazioni, gettate di muraglie, ed anima delle strutture. Verso la metà del secolo XIX, in Francia e negli Stati Uniti, cominciano a venire usati elementi strutturali in conglomerato cementizio, rinforzati mediante l'inserimento di barre metalliche, limitatamente alle sole fondazioni degli edifici. Nel 1855 il francese J.L. Lambot realizza un canotto costituito da una leggera armatura metallica rivestita in calcestruzzo. Si deve arrivare però al 1877 per veder nascere il primo edificio in c.a., la chiesa di St. Jean de Montmartre a Parigi, di A. de Baudot. Tra il 1901 e il 1904, T. Garnier, nella progettazione della Citè Industrielle di Parigi, anticipando di quasi vent'anni un linguaggio architettonico che sarà abituale nel periodo razionalista, adotta per gli edifici gli schemi basati sul reticolo strutturale, rinunciando ad ogni sovrapposizione decorativa. E' il francese A. Perret però che per primo sfrutta le possibilità delle strutture a scheletro in e.a., nel 1903, per risolvere le difficoltà planimetriche della casa al 25bis di rue Franklin a Parigi, ponendo cosi le premesse della moderna struttura edilizia (Fig. 10:1). Strutture più complesse vengono affrontate con la costruzione di ponti. Lo svizzero R. Maillart nei suoi caratteristici ponti (famoso quello sul Reno a Tavanasa del 1905) evidenzia il comportamento elastico unitario delle strutture fondendo intimamente impalcato, pilastri ed archi (Fig. 10.2). Dal ponte Risorgimento a Roma nel 1911, di 100 m di luce, si arri1 A norma del punto 3.1.1 del D.M. 26 marzo 1980 il rapporto di elasticità tra calcestruzzo ed acciaio è n = 15. (coefficiente di omogeneizzazione). 2 La pozzolana è una varietà di tufo incoerente formata per disaggregazione di scorie laviche. Ridotta in polvere ed unita alla calce aerea rende questa capace di far presa e le conferisce la proprie-' tà di essere un legante idraulico.
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Fig. 10.1 - Auguste Perret - Casa in Rue Franklin, n. 25bis - Parigi 1903.
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Fig. 10.2 - R. Maillart, Klosters, viadotto sulla Landquart, 1930, sezione, pianta.
Fig. 10.3 - R. Morandi — Viadotto sul Polcevera.
139 va nel 1930 ai 172 m del viadotto di Plougaste, in Bretagna, del Freyssinet, e nel 1960-1967 ai ponti di Riccardo Morandi, quali il viadotto sul Polcevera a Genova, Fig. 10.3 (m 207), il ponte sul Fiumarella a Catanzaro (il maggiore d'Italia con il suo arco di 231 m) e il grandioso ponte sulla baia di Maracaibo in Venezuela (m 235)(Fig. 10.4 e 10.5). Il massimo arco in c.a. è oggi quello del ponte di Gladesville sul Parramatta (Sidney), la cui luce libera è di m 304. Altra tappa fra le più significative nella storia delle strutture in c.a. è rappresentata dalla nascita e lo sviluppo dei "pilastri a fungo" (pilastri la cui estremità superiore ha la forma di un tronco di cono o di un tronco di piràmide, così da formare un sistema solidale con il solaio sovrastante: la struttura che ne deriva è anche indicata con il nome di "solaio a fungo"). Queste strutture vengono adottate in particolare per sopportare forti carichi con pochi pilastri: il ringrossamento terminale ha infatti la funzione di evitare il punzonamelo 3 del solaio, che nei casi normali verrebbe prodotto dall'eccessivo sforzo di taglio presente lungo il perimetro di contatto tra pilastro e solaio. Tale sistema costruttivo, brevettato nel 1908 dallo svizzero Robert Maillart dopo lunghe prove sperimentali per sviluppare le virtualità tecniche latenti nel cemento armato, è stato dallo stesso applicato per la prima volta in un magazzino a Zurigo nel 1910, e poi via via da quasi tutti i maggiori architetti, per le particolari realizzazioni architettoniche a cui si prestava. Ricordiamo semplicemente in questa sede, perché veramente degni di menzione, gli Uffici Johnson a Racine di F. LI. Wright, del 1936-39,(figura 10.6) e i famosi pilastri parzialmente in acciaio del Palazzo del Lavoro di Torino, realizzato da P.L. Nervi per l'Esposizione Italia '61,(Figg. 10.7 e 10.8). Intanto l'uso del cemento armato va generalizzandosi anche nel campo dell'edilizia corrente. Nel 1916 Wright realizza l'Albergo Imperiale di Tokyo, che resisterà al disastroso terremoto del 1923, dimostrando l'ottimo comportamento e l'utile applicazione delle strutture in c.a. nelle cosiddette "zone sismiche". Quasi contemporaneamente Le Corbusier presenta il progetto delle case Dom-Ino, a ossatura modulare cementizia, ponendo le premesse per l'attuazione della pianta libera. E nel 1928-31 realizza (in collaborazione con P. Jeanneret) quello che può definirsi il suo capolavoro, la villa Savoye a Poissy, poggiando su esili pilotis un parallelepipedo i cui spazi interni sono appunto articolati in piena libertà, (Fig. 10.9). Qualche anno prima, nel 1925-26, il tedesco Walter Gropius adotta la struttura in cemento armato per gli edifici della Bauhaus a Dessay, condizionandone l'uso in base agli schemi statici ed alle esigenze funzionali, senza dare alcuna particolare caratterizzazione ai singoli elementi costruttivi. 3Per punzonamento si intende il rapporto p = P/l x S (espresso in kg/cm2), in cui P è il carico totale gravante sul pilastro, L il perimetro del pilastro stesso e S lo spessore del solaio sovrastante.
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Fig. 10.5 - Ponte a Maracaibo di R. Morandi — Particolare di un pilone in fase di costruzione.
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Fig. 10.6 - Atrio di ingresso degli uffici della Johnson a Racone, F.L. Wright, 1936.
Fig. 10.7 - Pilastro in c.a. del Palazzo del Lavoro di Torino di P.L. Nervi.
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Fig. 10.9 - Le Corbusier e P. Jeanneret. Villa Savoye a Poissy, 1928-1931.
Quest'opera riassume in sé alcune delle più significative caratteristiche dell'architettura razionalista: l'adesione alla "scala umana" ed alle necessità utilitarie e funzionali, la compenetrazione dello spazio esterno ed interno con la simultanea possibilità di percezione della struttura e della sua costituzione interna attraverso la trasparenza delle grandi vetrate, l'abolizione di qualsiasi simmetria delle facciate, il distacco figurativo dell'edficio dal terreno, la semplificazione dei dettagli e l'uso dei materiali privi di un'autonoma consistenza materica come vetro, acciaio, intonaco. Intanto il problema delle coperture unitarie di grandi spazi sollecita un sempre maggiore approfondimento della ricerca sulle strutture in c.a., ed in particolare sulle strutture a lastra ed a reticolo. Inizia il Maillart con la copertura a lastra incurvata del Padiglione del cemento Portland alla Esposizione Nazionale di Zurigo del 1939; Torroja apre la strada delle tettoie a guscio sbalzanti (m 16) con l'ippodromo La Zarzuela presso Madrid nel 1935; P.L. Nervi con lo stadio comunale di Firenze del 1930-32 (arcata a sbalzo di 22 m), le aviorimesse di Orbetello del 1935-40 (luci libere fra i 60
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e gli 80 metri),(Fig. 10.10),il palazzetto (diametro interno m 60) ed il Palazzo dello Sport di Roma (diametro interno m 100), del 1957-60, imposta globalmente il problema di sfruttare al massimo le capacità di resistenza del materiale, di svincolarne la forma dalle limitazioni derivanti dalla casseratura tradizionale, di ridurre i costi e migliorare l'esecuzione delle opere attraverso l'introduzione della prefabbricazione strutturale. Tra il 1947 ed il 1952, Le Corbusier applica il cemento armato nell'Unité d'habitation di Marsiglia, adottandolo, oltre che per l'ossatura principale, anche per i rivestimenti esterni, per le scale di emergenza, per le strade interne e per i brise-soleil, il cui disegno è rigorosamente rispettoso delle esigenze della produzione di serie e del montaggio razionale, Fig. 10.11 e Fig. 10.12. Nel campo dell'edilizia residenziale e commerciale, Mies van der Rohe con i Promontory Appartments a Chicago (1949) e Belgioioso, Peressutti e Rogers con la Torre Velasca a Milano (1958) Fig. 10.13 e 10.14, affrontano il tema dell'edificio-torre in termini comparativi tra acciaio e c.a, risolvendolo entrambi a favore di quest'ultimo almeno per altezze fino ai 120150 metri, oltre i quali l'ingombro dei pilastri diviene eccessivo. Appunto per tale ragione, lo schema ad intelaiatura tradizionale viene abbandonato a favore di quello a grandi piloni cavi o a quinte ortogonali, come nella Torre Pirelli di Milano, del Gruppo Ponti, costruita da Nervi nel 1958, Fig. 10.15. Il cemento armato però non è soltanto linearità, scheletri portati reticolari, schemi strutturali rigidi e ben precisi. E' bensì un materiale (per non dire l'unico) che permette qualsiasi forma espressiva e qualsiasi modellatura particolare. La prima applicazione del calcestruzzo secondo le sue virtualità plastiche di massa modellabile al di là di ogni schematismo tradizionale, perché fluida, omogenea e continua, si ha con la torre-osservatorio di Einstein a Postdam (nel 1920) di E. Mendelshon, cui fa seguito nel 1921, il monumento ai caduti di marzo, a Weimar di W. Gropius. Nel 1950-55 con la cappella di Notre-Dame-du-Haut a Ronchamp, Fig. 10.16 e nel 1959 con il convento Ste-Marie-de-la-Tourette presso Lione, Le Corbusier sblocca la forma dell'organismo architettonico da ogni rigido schema geometrico. Più recentemente la chiesa dell'Autostrada del Sole a Campi Bisenzio presso Firenze, di Giovanni Michelucci, Fig. 10.17 e 10.18, l'Air Terminal della TWA nell'aereostazione Kennedy a New York di E. Saarinen, Fig. 10.19 e Fig. 10.20 e la cattedrale cattolica a Tokyo di K. Tange, si rivolgono ad una interpretazione ancora più libera del cemento armato, tendendo ad un completo annullamento della struttura nello spazio architettonico da essa determinato .
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Fig. 10.12 - Le Corbusier, Unità di Abitazione di Marsiglia. Particolare dei pilastri.
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Fig. 10.13 - 10.14 - Studio B.B.P.R. - La torre Velasca a Milano, 1957.
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Fig. 10.15 - Sezione strutturale e pianta del piano terreno del grattacielo Pirelli a Milano. Progetto studio G. Ponti - Strutture di P.L. Nervi, 1955.
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Fig. 10.16 - Chiesa a Ronchamp di Le Corbusier, 1950-54.
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Fig. 10.17 — Chiesa sull'Autostrada del Sole di Giovanni Michelucci; pianta e sezione.
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Fig. 10.20 - Eero Saarinen - Terminal della TWA a New York.
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Il calcestruzzo di cemento Il calcestruzzo di cemento è un conglomerato artificiale formato dall'intimo impasto di tre elementi essenziali: il cemento, gli inerti (sabbia, ghiaia o pietrisco) e l'acqua che, indurendosi all'aria o nell'acqua, danno luogo ad una vera e propria pietra artificiale. In prima approssimazione, e salvo quanto si dirà in proposito, le dosature per ottenere un metro cubo di calcestruzzo sono: -
sabbia ghiaia (o pietrisco) cemento acqua
250 120
0,40 m30,80 m3 350 kg 180 litri
La buona qualità e, quindi, la buona resistenza del calcestruzzo dipende da una molteplicità di fattori che spaziano dalla qualità dei singoli componenti, dalle modalità di confezionamento, trasporto e posa in opera alla reciproca dosatura dei materiali, alla costipazione del getto, alla temperatura ambientale. L'esecuzione di un buon calcestruzzo non è un'operazione semplice per le molteplici possibilità di una cattiva riuscita legata a tutti i fattori sopraindicati. Il calcestruzzo va riguardato come un conglomerato artificiale composto dagli inerti, legati assieme dalla miscela acqua-cemento che costituisce, per così dire, un "collante". Migliore sarà il calcestruzzo quanto più compenetrati tra loro saranno gli inerti così da lasciare minori spazi vuoti e tanto migliore sarà il calcestruzzo quanto migliore sarà il "collante" e, cioè, quanto migliore e in maggior dosatura sarà il cemento e quanto meno sarà diluito con l'acqua. Sarà opportuno esaminare partitamente i singoli elementi che compongono il calcestruzzo per indagare su tutti i fattori che ne possono influenzare la buona riuscita.
D cemento Il cemento che si usa per il calcestruzzo armato è un legante idraulico. La materia prima per ottenere il cemento è una miscela di calcare ed argilla. In natura, peraltro si possono trovare, dai calcari marnosi che, con l'aggiunta di pochi materiali correttivi, contengono gli ingredienti richiesti nelle proporzioni volute. Il loro impiego porta all'ottenimento dei così detti cementi naturali intendendosi per cementi artificiali quelli ricavati da opportune miscele di calcare ed argilla o di prodotti intermedi. Dopo l'escavazione del calcare e
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dell'argilla si procede ad una loro prima frantumazione in frantoi e mascelle e ad una successiva macinazione. Questa miscela, il più possibile intima e omogena, viene cotta in forni rotativi, in modo continuo ed uniforme fino a raggiungere un principio di vetrificazione e precisamente fino al color bianco (cioè fino a quasi 1500°C). Il prodotto di questa cottura ("clinker") si presenta sotto forma di particelle all'incirca sferiche. Il clinker, scaricato dai forni rotativi, viene violentemente raffreddato ed esposto per qualche tempo all'aria aperta e successivamente viene finemente macinato e polverizzato in modo da non lasciar sul setaccio di 900 maglie al cm 2 un residuo superiore del 2 5% del volume totale. Una più spinta macinazione migliora la qualità del cemento. Durante la macinazione del clinker si aggiunge dal 2 al 5 % di gesso o di anidrite 4 che hanno la funzione di regolatori della presa. Si ha così una polvere impalpabile di color grigio-azzurro o leggermente verdastro che è il "cemento'"'. E' naturale che la buona qualità e un alto dosaggio di cemento migliorano la qualità del calcestruzzo, ma non quanto potrebbe sembrare.
Tipi di cemento Secondo la legge del 26 maggio 1965, n. 595 (pubb. su G.U. del 10 giugno 1965, n. 143) i leganti idraulici, in generale, ed i cementi in particolare si distinguono in: A)
Cementi normali e ad alta resistenza 1) Portland 2) pozzolanico 3) d'alto forno
B)
Cemento alluminoso
C)
Cemento per sbarramenti di ritenuta 1) portland 2) pozzolanico 3) d'alto forno
Nella stessa legge sono, poi, classificati e descritti gli agglomerati cementizi e le calci idrauliche di cui si è già detto. I cementi sopra nominati rispondono alle seguenti definizioni: 4 L'anidrite è una pietra costituita da solfato di calcio anidro; presenta struttura granulare e compatta ed ha colore biancastro. A contatto con l'acqua si altera trasformandosi lentamente in gesso.
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A)
Cementi normali e ad alta resistenza
1) Cemento portland. Per cemento portland si intende il prodotto ottenuto per macinazione del clinker (consistente essenzialmente in silicati idraulici di calcio), con aggiunta di gesso per regolarizzare il processo di idratazione. 2) Cemento pozzolanico. Per cemento pozzolanico si intende la miscela omogenea ottenuta con la macinazione del clinker portland e di pozzolana o di altro materiale a comportamento pozzolanico, con la qualità di gesso o di anidrite necessaria a regolarizzare il processo di idratazione. 3) Cemento d'alto forno. Per cemento d'alto forno si intende la miscela omogena ottenuta con la macinazione del clinker portland e di loppe basiche5 granulate d'alto forno, con la quantità di gesso o anidrite necessaria per regolarizzare il processo di idratazione. B)
Cemento alluminoso
Per cemento alluminoso si intende il prodotto ottenuto con la macinazione del clinker costituito essenzialmente da alluminati idraulici di calcio. C)
Cemento per sbarramenti
Per eseguire sbarramenti la cui costruzione è soggetta al regolamento approvato con D.P.R. 1 novembre 1959, n. 1363 (Progettazione, costruzione ed esercizio degli sbarramenti di ritenuta - Dighe o traverse), si usano cementi previsti dal predetto regolamento che sono denominati cementi per sbarramenti di ritenuta. Per cementi di ritenuta si intendono quei cementi normali (portland, pozzolanico o d'alto forno) i quali abbiano particolari valori minimi di resistenza alla compressione previsti con il D.M. 3 giugno 1968 (G.U. 17 luglio 1968, n. 180). La particolarità principale dei cementi per sbarramenti è quella che nel processo di idratazione (presa) si ha un minimo sviluppo di calore ed un minimo ritiro. Resistenza dei cementi La resistenza dei cementi viene provata su prismi 40x40x 160 cm confezionati con malta normale standardizzata e cioè confezionata con: a) una parte di cemento; b) tre parti di sabbia composita, perfettamente secca e di tipo unifi5
Le loppe sono i prodotti fusi che si ottengono nell'estrazione e nella affinazione dei metalli, facendo reagire le impurità con opportuni fondenti.
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cato per qualità e granulometria (proveniente dal lago di Massaciuccoli presso Torre del Lago - Livorno); c) mezza parte di acqua potabile priva di sostanze organiche o zuccheri (acqua potabile). Nella malta normale da usare per la prova a resistenza, l'unica variabile è la qualità del cemento. I cementi sono classificati in base al valore della rottura a compressione dei predetti provini dopo ventotto giorni dalla loro confezione. Si hanno così cementi tipo 325; 425; 525 kg/cm 2 . Secondo l'art. 1 del D.M. 3 giugno 1968 i cementi devono avere le seguenti resistenze (con una tolleranza del 5%) espresse in kg/cm 2 . A)
Cementi normali e ad alta resistenza:
1)
normale resistenza a flessione a) dopo b) dopo resistenza a compressione a) dopo b) dopo
2)
40 kg/cm 2 60 kg/cm 2
sette giorni ventotto giorni
175 kg/cm2 325 kg/cm 2
tre giorni sette giorni ventotto giorni
40 kg/cm 2 60 kg/cm 2 70 kg/cm2
tre giorni sette giorni ventotto giorni
175 kg/cm 2 325 kg/cm 2 425 kg/cm2
ad alta resistenza resistenza a flessione a) dopo b) dopo c ) dopo resistenza a compressione a) dopo b) dopo c) dopo
3)
sette giorni ventotto giorni
ad alta resistenza e a rapido indurimento resistenza a flessione a) dopo ventiquattro ore b) dopo tre giorni c) dopo ventotto giorni resistenza a compressione a) dopo ventiquattro ore b) dopo tre giorni c) dopo ventotto giorni
40 kg/cm2 60 kg/cm2 80 kg/cm2 175 kg/cm 2 325 kg/cm 2 525 kg/cm 2
Seguono gli altri simili valori per i cementi alluminosi e per i cementi per sbarramenti di ritenuta.
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Prove sui cementi Le prove sui cementi (da non confondere con le prove sui calcestruzzi) sono dettagliatamente previste e codificate dal D.M. 3 giugno 1968 (G.U. del 17 luglio 1968, n. 180). Tutte le prove sui cementi devono esser eseguite sui provini di "pasta normale" e cioè avente la precisa composizione sopra ricordata. Molte sono le prove che possono esser eseguite sui cementi: prove fisiche di finezza, prove di indeformabilità, prove di espansione in autoclave, prove chimiche per la determinazione del MgO del S 0 3 , ecc.. Per restare entro i limiti di questo corso si segnaleranno soltanto le seguenti prove: A)
Prova di presa
Una importante caratteristica del cemento è il tempo di presa e cioè l'intervallo di tempo, a partire dalla confezione della malta, entro cui il cemento comincia a indurire a quando è del tutto indurito. Si distinguono, pertanto, cementi: — a lenta presa con inizio della stessa ad almeno un'ora dall'impasto e termine dopo 6 + 12 ore; — a rapida presa con inizio di presa almeno un minuto dall'impasto e termine entro 30 minuti. Il fenomeno della presa di un cemento si può modificare artificialmente con particolari additivi; — acceleranti di presa, qualora occorra un disarmo rapido ed una immediata capacità di resistenza; — ritardanti di presa nel caso sia necessaria una lavorazione prolungata o forzatamente interrotta o un trasporto a grandi distanze. Le prove di presa si eseguono su pasta normale posta in un anello tronco conico di ebanite avente le dimensioni indicate in Fig. 10.21, disposto su una lastra di vetro, e tenuto in ambiente a temperatura compresa fra i 15°-20°, avente umidità relativa di circa l'80%. La prova consiste nello stabilire, in funzione del tempo, di quanto affonda nella pasta un ago di ferro (detto ago di Vicat) cilindrico, liscio, terminato da una sezione piana ortogonale all'asse di 1 mm 2 di area e pesante 300 g. Si definisce inizio della presa l'istante in cui il suddetto ago si arresta a distanza di 3 mm dalla lastra di vetro, e termine della presa, l'istante in cui l'ago sia sopporFig. 10.21
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tato dalla pasta senza che vi penetri più di mezzo millimetro. I periodi di tempo occorrenti perché avvengano l'inizio ed il termine della presa vengono calcolati a partire dall'inizio dell'impasto. B)
Resistenza a flessione
Il provino della sezione di 40x40 mm e lungo 160 mm viene posto su due rulli del diametro di 10 mm con gli assi distanziati 100 mm. Un terzo rullo di 10 mm di diametro imprime gradualmente dei carichi in posizione centrale rispetto ai rulli di supporto. La resistenza a flessione Rf, tensione massima di rottura, risulta applicando la formula
dove è: M = b = P = / =
Pl/4 momento flettente; lato della sezione quadra del prisma; carico applicato sul punto di mezzo del prisma; distanza fra i supporti.
La tensione massima di rottura a flessione Rf risulta in kg/cm2 quando / e b sono espressi in cm e P in kg. C)
Resistenza a compressione
La prova della resistenza a compressione è la più comune e caratterizzante. Viene eseguita sui due semiprovini risultanti dalle prove a flessione. Ogni semiprovino deve esser sollecitato a compressione su una fascia laterale (che è stata già a contatto con lo stampo) per una sezione di 40x 40 mm, fra due piastre di metallo duro, da una pressa tale da assicurare un incremento di tensione di 15 kg/cm 2 al secondo. La resistenza a compressione Rc si esprime in kg/cm 2 e risulta pari a Rc = P/\6 cm2 dove P è il carico di rottura in kg e 16 è la sezione in cm2 del provino.
Risultati 1
I valori di resistenza a flessione e a compressione, devono esser determinati su almeno tre provini per ogni scadenza. Le medie aritmetiche dei risultati delle prove a flessione ed a compressione, determineranno per ogni scadenza, la resistenza a flessione e la resistenza a compressione della malta normale, da confrontare con i valori delle norme. Per l'accertamento dei requisiti di accettazione del cemento le prove
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debbono esser eseguite su 50 kg di cemento prelevato da dieci sacchi su partite di 1000 sacchi o frazione o, in via eccezionale, per ogni partita di 2000 sacchi per cantieri con grande consumo giornaliero di cemento e quando il direttore dei lavori si sia reso conto della costanza di qualità del cemento.
Caratteristiche fisiche e particolarità dei cementi Il peso della polvere di cemento non "costipato varia da 1,1 a 1,3 kg/1, mentre il peso specifico del cemento si aggira normalmente fra i 3,0 e 3,2 kg/1. Si preferisce però normalmente dosare direttamente il legante in peso anziché in volume. Bisogna inoltre osservare che un inizio prematuro della presa comporta normalmente un tempo superiore al normale per il completamento del fenomeno e dà luogo a resistenze minori. 11 protrarsi ecccessivo dell'inizio, per contro, fa sospettare che il legante abbia sofferto per l'umidità. Con la presa si ha svolgimento di calore con innalzamento della temperatura della massa più o meno accentuato a seconda della natura del cemento e del suo tenore, del tipo di casseforme e delle condizioni ambientali. Tale innalzamento è ovviamente massimo nei punti interni. Secondo Hummel, in condizioni medie, raggiunge i 10° per i cementi ordinari, i 40° per i cementi ad alta resistenza (dopo 12 ore circa) e i 100° per i cementi alluminosi (dopo 5 ore circa). E' minimo per i cementi per sbarramenti di ritenuta. I cementi ad alta resistenza si ottengono con una più accurata scelta dei componenti le miscele, spingendo la cottura a temperatura più alta e con una maggiore finezza di macinazione. I cementi ad alta resistenza ed alluminosi, per i loro vantaggi, hanno incontrato largo favore fra i costruttori; richiedono tuttavia alcune cautele fondamentali (che vedremo più avanti) intese soprattutto a mitigare gli effetti del ritiro, più sentiti e più rapidi che coi cementi ordinari. Si deve evitare la mescolanza di cementi ordinari con cementi ad alta resistenza, perché si otterrebbero prodotti a pronta presa e di resistenza finale minore. E' invece ammissibile la sovrapposizione di strati di calcestruzzo di resistenza diversa, sempre,che lo strato inferiore abbia una maturazione di almeno 14 giorni, e la sua superficie, all'atto del secondo getto, sia resa scabra, ben pulita ed abbondantemente irrorata. La scelta dei tipo di cemento dipende dalla natura dei lavori, dai carichi di sicurezza stabiliti, dal processo tecnologico di preparazione ed esecuzione degli impasti, e da particolari condizioni ambientali.
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Condizioni e modalità di fornitura I cementi vengono di norma forniti in sacchi del peso di 50 kg, chiusi con sigillo, e recanti stampati (secondo le norme legislative): la qualità del legante, l'indicazione dello stabilimento produttore, la resistenza minima a trazione e pressione della malta normale 1:3 garantita dal produttore dopo maturazione di 28 giorni dei provini. Attualmente, per cantieri di una certa importanza, il cemento viene fornito anche sfuso, e ricoverato in grandi silos. II cemento comunque, specialmente se fornito in sacchi, deve essere conservato in un posto asciutto ed aerato, ed impiegato entro breve termine; una prolungata permanenza danneggia in generale il cemento, la cui resistenza diminuisce rispetto a quella del prodotto fresco nella misura dell'8% dopo tre mesi, fino al 40% dopo un biennio.
Gli inerti Ai fini della resistenza meccanica del calcestruzzo, occorre stabilire una particolare scelta degli inerti, nonché una adeguata composizione gra : nulometrica degli stessi, così che risulti massima la compattezza del calcestruzzo e contemporaneamente minima la quantità di cemento (a parità di resistenza finale).
La sabbia Deve essere "viva", cioè distinguersi per l'angolosità e durezza dei granuli, essere aspra al tatto, scricchiolare tra le dita e non intorbidire l'acqua di un recipiente in cui venga versata. Sono preferibili le sabbie provenienti da fiumi. Quelle di cava spesso contengono materie terrose e devono, quindi, essere lavate, avendo però cura che non venga sporcata la parte più fina. Questo lavaggio, per lavori importanti, potrà anche essere fatto con mezzi meccanici, e, per quanto esso riesca in generale piuttosto costoso, non è assolutamente da trascurarsi quando non sia possibile avere a disposizione sabbia migliore. La sabbia di cava mista a terra, detta "sabbia morta", deve essere assolutamente esclusa. Particolarmente dannose sono le materie organiche: bastano talvolta traceie di esse per rendere la sabbia inservibile. Assai semplicemente si può decidere in ordine a queste impurità mediante la prova di Abrams e riarder, a seconda della colorazione più o meno intensa che assume una soluzione al 3 % di idrato di sodio nella quale sia stato sommerso un campione di sabbia per 24 ore: la sabbia è accettabile se dà luogo ad una colorazione giallo chiara, scar-
164 tata se la colorazione tende al rossiccio 6 . Macinando a mezzo di frantoi o molazze pietre naturali o pietrisco provenienti da rocce silicee o calcari duri, si hanno le sabbie artificiali. Dal punto di vista della composizione granulometrica, onde risulti bene assortita in grossezza, secondo quanto stabilito dalle norme, si deve adoperare sabbia la cui composizione corrisponda ad una curva compresa fra le curve limiti della Fig. 10.22, che si ottiene rilevando le percentuali in peso del materiale passato attraverso quattro setacci aventi rispettivamente fori del diametro di 0,2 - 1 - 3 - 7 mm.
Fig. 10.22
La ghiaia La ghiaia, come la sabbia, può essere di cava o di fiume; la prima risulta dalla sminuzzatura di rocce al frantoio, la seconda normalmente è preferibile perché lavata. Essa comunque deve derivare da rocce sane e non friabili o gelive, e essere sempre scevra da sostanze estranee terrose o comunque dannose. In quest'ultimo caso deve essere lavata con acqua dolce. Per strutture in conglomerato armato, le norme stabiliscono che le dimensioni degli elementi della ghiaia non devono di regola superare i 3 cm; per getti di grandi dimensioni, e con ferri opportunamente distanziati, può 6 Per l'accettabilità delle sabbie in relazione al loro contenuto di materie organiche, cfr. l'allegato 1 del D.M. 3 giugno 1968, già ricordato.
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essere tollerata la presenza di elementi con dimensioni maggiori, ma non superiori ai 7 cm. Nella confezione di conglomerato cementizio si deve usare ghiaia mista a sabbia, così da ottenere una composizione granulometrica bene assortita. Ciò ha notevolissima importanza nella preparazione dei conglomerati e malte cementizie: dalle dimensioni e forma dei granuli dipendono l'entità delle superfici esterne dell'aggregato e la percentuale dei vuoti che determinano, relativamente alla cubatura, la quantità del legante da impiegare; da questi dipende inoltre la resistenza meccanica del conglomerato. La composizione, la quantità ed il tipo dei granuli che rientrano a far parte dell'impasto legante, sono dati da apposite curve che determinano le migliori condizioni di miscela..
Fig. 10.23
Il regolamento americano adotta la curva del Fuller, di equazione Y = 100 ove Y è la percentuale in peso di inerte passato dai vagli di diametro d, e x = d/D, ove d indica il diametro generico e D il diametro massimo dei vagli e degli elementi (Fig. 10.23). Il regolamento tedesco non stabilisce un'equazione, e quindi un'unica curva, ma fissa due curve estreme (vedi Fig. 10.24), stabilendo così le per-
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centuali (in peso) minima e massima di inerte passante attraverso sei setacci aventi rispettivamente fori circolari del diametro di 0,2 - 1 - 3 - 7 - 1 5 30 mm. Stabilisce cioè un certo campo di possibilità, consigliando però come optimum la curva intermedia. Il regolamento italiano, prescrive che la ghiaia mescolata alla sabbia presenti una composizione granulometrica compresa fra le curve limiti in Fig. 10.24, curve che corrispondono più o meno alla curva intermedia ed a quella inferiore del regolamento tedesco.
Fig. 10.24
E' importante peraltro che la granulometria risulti "continua", cioè che siano comprese in quantità opportuna tutte le varie pezzature: solo così si potrà ottenere, a parità di materiale agglomerante adoperato, maggiore compattezza e resistenza nel calcestruzzo. Nei lavori di notevole mole (dighe, viadotti, bacini, ecc.) così come nelle grandi centrali di betonaggio, si esegue il controllo granulo metrico dell'inerte quasi giornalmente.
Pietrisco Qualora invece della ghiaia si adoperi pietrisco, questo deve provenire dalla frantumazione di roccia compatta, non gessosa né geliva, non deve contenere impurità né materie pulvirolenti o terrose e deve essere costi-
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tuito da elementi le cui dimensioni soddisfino alle condizioni sopra indicate per la ghiaia. E' quindi assolutamente da evitare la pessima abitudine (peraltro ancora piuttosto in uso) di annegare blocchi di pietra nei getti di calcestruzzo di fondazione.
L'acqua Ha molta importanza nella composizione delle malte e dei calcestruzzi la qualità e la quantità dell'acqua che vi si impiega. Se questa contiene, in soluzione, cloruri e solfati in percentuali dannose (per i solfati maggiori dell'I%, per i cloruri del 5%), la presa subisce un ritardo, mentre al contrario risulta accelerata dalla presenza di carbonati alcalini. Pertanto l'acqua per gli impasti dovrà essere limpida, dolce, scevra da impurità di natura organica, e non contenere solfati e cloruri in percentuale dannosa. Un elemento decisamente negativo è lo zucchero: questo, anche se contenuto nell'acqua in minima quantità, disturba lo svolgersi regolare della presa. Anche la temperatura dell'acqua esercita una notevole influenza: se è troppo fredda rallenta il fenomeno della presa, se è troppo calda l'accelera. La quantità di acqua da usare per l'impasto del calcestruzzo deve essere determinata, secondo le norme vigenti, in base alla plasticità occorrente per la buona lavorazione dei getti. A questo proposito occorre osservare che l'acqua ha una azione molto importante sulla presa e sull'indurimento del calcestruzzo cementizio, poiché essa idrolizza i costituenti del cemento e produce soluzioni colloidali, che danno luogo a "geli", capaci a loro volta di assorbire considerevoli quantità di acqua, l'eccesso della quale resta nel calcestruzzo sotto due forme principali: come acqua assorbita nelle cellule colloidali e come acqua libera, che riempie la cavità che per essa si formano nel calcestruzzo. In tal modo, all'evaporazione dell'eccesso di acqua, il calcestruzzo rimane poroso. In ogni caso, la presenza di un eccesso di acqua risulta dannosa in quanto ritarda l'indurimento del calcestruzzo e ne diminuisce la resistenza.
Il calcestruzzo Come si è detto, è un conglomerato di cemento, sabbia, ghiaia o pietrisco ed acqua intimamente mescolati e nelle proporzioni volute. La sabbia e la ghiaia (o il pietrisco) debbono avere secondo le norme italiane composizioni granulometriche alle quali corrispondono curve di granulometria comprese tra le curve limiti a cui si è già in precedenza accennato.
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In generale per i bisogni del cantiere è sufficiente l'uso di una serie ridotta di setacci, limitata a quelli di mm 1 ; 7; 30. Con questi possono essere controllate la percentuale di fino della sabbia (vagliata dal setaccio con fori di 1 mm) che deve essere compresa tra il 20 e il 46%, e la percentuale di sabbia nell'inerte, che deve stare tra il 40 e il 57%. In via di massima può dirsi che, secondo le circostanze locali e le esigenze dei lavori, la composizione granulometrica può variare entro limiti piuttosto ampi, senza nuocere alla qualità del conglomerato; è però essenziale controllare, ed eventualmente correggere, la composizione della sabbia e stabilire convenientemente la percentuale di essa nell'intero inerte. Ciò ha il fine di ricercare la maggiore limitazione di vuoti nella miscela degli inerti, così da limitare l'impiego della pasta cementizia, ma sempre in modo che tali vuoti siano totalmente riempiti. Per quanto riguarda la forma degli elementi, di regola sono meno preferibili quelli di forma allungata o lenticolare, perché, a parità di tenore d'acqua usata nell'impasto, rendono la massa meno plastica e se ne separano facilmente. Inerti a superficie ruvida danno in generale risultato migliore di quelli a superficie levigata. Gli elementi a spigoli vivi migliorano la resistenza a trazione rispetto ad elementi tondeggianti; non risulta una diversità di comportamento nei confronti della resistenza alla compressione. Per lo più sabbia e ghiaia granulometricamente idonee vengono approvvigionate separatamente: basta quindi stabilire il rapporto sabbia/ ghiaia in modo da soddisfare le condizioni regolamentari. A tale riguardo si deve osservare che la regola di miscelare, come in uso, una parte in volume di sabbia (m 3 0,40) con due di ghiaia (m 3 0,80) conduce in generale ad una percentuale, anche in peso, di sabbia intorno al 30%, tenore piuttosto lontano dall'intervallo 40-57% previsto dalle norme. Però le sabbie impiegate hanno spesso granuli di dimensione massima alquanto al di sotto del limite di separazione convenzionale, e ciò comporta un certo compenso.
Dosatura del cemento Il cemento è il componente più costoso e pertanto ragioni economiche spingono a limitarne il consumo, stabilendo con giusto criterio la sua dosatura normale. Una dosatura troppo magra nuoce alla resistenza del calcestruzzo, e nelle strutture armate, per difetto di compattezza, pure alla protezione che esso deve offrire alle armature; una dosatura troppo ricca è causa di ritiri più marcati, e d'altra parte non è detto che un alto tenore di cemento per sé stesso, a prescindere da altri fattori, debba dare luogo a calcestruzzi di qualità superiore.
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La compattezza richiede un tenore di cemento sufficiente a riempire i vuoti della sabbia (dando luogo ad una malta ricca) e la malta deve essere sufficiente a riempire i vuoti della ghiaia, con margini sufficienti per tenere conto di inevitabili disuniformità. Dosature alte, fino a 400 500 kg/m 3 di getto, si richiedono per membrature molto sollecitate, soggette ad agenti chimici, e quando si debba compensare l'influenza di un elevato tenore d'acqua richiesto da particolari modalità di posa in opera. Quando viceversa in cantiere sia esercitato un accurato controllo sugli ingredienti, sulla preparazione e posa degli impasti, e sulla resistenza dei getti, la dosatura può scendere in casi particolari fino a 250 kg/m 3 . Dosature ancora più magre (150 kg/m 3 ) possono ammettersi per getti non armati e poco sollecitati (magrone di fondazione). Il regolamento italiano fissa la dosatura minima per getti armati in 300 kg/m 3 per miscuglio secco di materie inerti (sabbia e ghiaia o pietrisco); per il cemento alluminoso la dosatura minima è fissata in 250 kg/m 3 . Secondo le norme UNI 7163/72 per i calcestruzzi a resistenza garantita i minimi dosaggi di cemento (per inerti con diametri fino a 30 mm) sono:
Dosatura dell'acqua Il quantitativo d'acqua necessario all'impasto deve essere determinato in base alla plasticità occorrente per la buona lavorazione dei getti. A tale proposito, a seconda del tenore d'acqua, l'impasto può essere "umido", "plastico" o "fluido". — La "consistenza umida", che corrisponde a circa 120 litri d'acqua per m3 di miscuglio secco, conferisce all'impasto l'aspetto di terra umida, e richiede una battitura molto energica od una particolare vibratura; com-
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porta pertanto una difficile lavorabilità del getto, confortata peraltro dalla massima resistenza ottenibile, con una minore influenza di fattori secondari, quali il ritiro. La consistenza umida del conglomerato è quindi senz'altro da preferirsi ogniqualvolta sia possibile. — La "consistenza plastica" richiede un tenore d'acqua di circa un terzo più elevato (circa 150 litri per m 3 ); dà luogo a resistenze minori, ma in compenso il conglomerato può mettersi in opera più facilmente, risulta più omogeneo, avviluppa e protegge bene le armature. Questi tipi di conglomerati, per le ragioni suddette, sono i più usati nelle costruzioni in cemento armato, specialmente là dove si debba operare getti di limitate dimensioni. — La "consistenza fluida" si ha per tenori d'acqua intorno ai 180 litri per m3 di impasto secco. Essa dà la minima resistenza dei getti, ma è preferita per la facile lavorabilità del getto (per esempio nervature dei travetti di solaio) e lì dove il trasporto di calcestruzzo dalla confezionatura al luogo d'impiego richiede un certo tempo o viene effettuato entro canali o tubazioni (tipo grandi getti di dighe o di pali trivellati). Il regolamento peraltro stabilisce che la dosatura di cemento venga aumentata coll'aumentare della fluidità dell'impasto, in modo che resti più o meno costante il rapporto A/C (acqua/cemento) in peso. Ciò in relazione alle esperienze di Abrams, secondo il quale, per determinati materiali e condizioni di prova, è la quantità d'acqua di impasto che determina la resistenza. Per avere un'idea concreta della influenza del rapporto acqua/cemento sulla resistenza della pasta di cemento, che è poi in definitiva proporzionale alla resistenza del calcestruzzo, se si indica con 100 la resistenza della pasta con rapporto acqua/cemento 0,30 (che sarebbe però un calcestruzzo impossibile a lavorarsi), le resistenze per rapporti superiori sono: per rapporto per rapporto per rapporto per rapporto
0,40 0,50 0,60 0,80
resistenza resistenza resistenza resistenza
60 40 30 14
Tali valori riportati nel diagramma della Fig. 10.25, indicano come il campo di maggior convenienza ai fini della resistenza e della lavorabilità del calcestruzzo sia ristretto ai valori del rapporto acqua/cemento 0,40-0,50. Per definire la consistenza del conglomerato, dagli americani fu proposta la cosiddetta "prova del cono". Viene adoperato uno stampo tronco-conico aperto ad entrambe le estremità; si riempie lo stampo col calcestruzzo, quindi, tolto lo stampo, il materiale si schiaccia da sé gradatamente, e l'abbassamento (slump) fornisce un'idea sufficientemente appropriata della consistenza dell'impasto.
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Fig. 10.25
Preparazione del calcestruzzo Abbandonata la preparazione manuale, che regolava i quantitativi degli inerti in base alla capacità delle carriola adibite al trasporto e quelli del cemento e dell'acqua in base all'occhio più o meno esperto dell'operaio (e che oltretutto forniva una produzione di appena 1 m3 di impasto per ogni ora di lavoro di quattro operai), la preparazione del calcestruzzo avviene oggi meccanicamente, o ricorrendo all'uso di "betoniere" o addirittura in "centrali di betonaggio". Gli inerti ed il cemento, senza preventivo rimescolamento e nelle quantità stabilite, vengono versati o direttamente o a mezzo nastri trasportatori nella tramoggia di alimentazione o nella benna di caricamento di un elevatore che li adduce alla tramoggia; da questa scendono in un tamburo girevole munito di alette, entro il quale vengono rimescolati a secco per qualche giro, e quindi, previa aggiunta dell'acqua, trasformati in calcestruzzo. Le betoniere, azionate da motore elettrico o a scoppio, hanno capacità variabili da 150 a 1500 litri, con corrispondente produzione oraria da 6 a 60 m 3 . Per lavori di grande mole, può convenire l'impianto di una centrale di betonaggio, con silos per il cemento e gli inerti, apparecchi di dosature automatica ed elevatori per gli inerti, camera di dosaggio per il cemento e l'acqua.
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Schema di un'attrezzatura da cantiere per un impianto di betonaggio con inerti ammucchiati in terra.
Trasporto del calcestruzzo Per brevi distanze all'interno del cantiere, il trasporto dell'impasto può avvenire mediante carriole, nastri trasportatori, dumper e tubi a pressione; questi ultimi peraltro hanno l'inconveniente di dare un affioramento dell'acqua di impasto ed una stratificazione dell'inerte, proporzionale alla granulometria. Per distanze maggiori si usano le autobetoniere, in cui si caricano i componenti asciutti; durante il tragitto avviene l'impasto con l'acqua contenuta in apposito serbatoio. E' molto in auge attualmente questo sistema di fornitura di calcestruzzo preconfezionato, molto pratico specialmente nei centri urbani dove molto spesso non vi è spazio sufficiente per un impianto completo di cantiere, ma è da sorvegliare attentamente per i gravi inconvenienti che può presentare. Posa in opera La posa in opera del calcestruzzo avviene normalmente o in volumi di scavo ben delimitati (per opere di fondazione) o di casseri di legno o di ferro, perfettamente riproducenti la forma geometrica della struttura (per le
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opere in elevazione). Le casseforme in legno, prima del getto, devono essere accuratamente pulite ed abbondantemente asperse con acqua affinché non ne sottraggano all'impasto. Si deve inoltre curare di non eseguire mai il getto da una altezza superiore al metro, onde non avere sezioni a resistenza variabile, dovuta ad una diversa stratificazione granulometrica dell'inerte. Le operazioni di getto debbono compiersi prima che si inizi la presa. Questa comincia mediamente entro 2 ore dopo la preparazione, per temperature fra i 15° e 20°, entro un'ora a 30°, in 30 minuti circa a 50°, al crescere della temperatura i getti si asciugano rapidamente per l'evaporazione dell'acqua di impasto, sicché, particolarmente in estate, sarà necessario proteggerli, o continuare ad aspergerli con acqua, almeno nei primi due o tre giorni dopo il getto. Il freddo non è dannoso fino a —2° per calcestruzzi ordinari, fino a — 4° per calcestruzzi ad alta resistenza; basterà in questi casi proteggere le superfici con sacchi, paglia o sabbia. Quando occorre gettare a temperature più basse, si può ricorrere al riscaldamento dell'acqua di impasto od all'aggiunta di additivi all'impato stesso. Con l'aggiunta del 4% di cloruro di calcio si possono eseguire getti fino a - 6 ° ; fino a -10° con l'8%. Con l'aggiunta di cloruro di sodio si possono eseguire getti fino a —21° ; questo si può usare però soltanto in getti non armati (poiché il cloruro di sodio causa l'arrugginirsi delle armature), ed anche qui con precauzione, perché la resistenza del calcestruzzo può abbassarsi fino al 30% circa. Il regolamento italiano peraltro vieta i getti a temperature minori di 0°C. Con cemento alluminoso, il conglomerato può essere messo in opera fino a -10°C. Una volta operato il getto, bisogna curare che il calcestruzzo riempia tutti gli interstizi della struttura, così che questa risulti massimamente omogenea. A tale scopo si può procedere in vari modi. Con la "battitura" o "pigiatura", che viene eseguita sia pigiando direttamente i getti con pestelli particolari, sia battendo con normali martelli sull'esterno dei casseri. L'operazione viene proseguita finché i ferri non siano bene avviluppati e l'eccesso d'acqua non affiori alla superficie. E' questo un sistema normalmente adottato nel getto di pilastri. Con la "vibrazione" del getto, i risultati che si ottengono sono ancora migliori. I vibratori possono distinguersi in "esterni" ed "interni". Fra i primi si possono classificare: — le tavole vibranti, per la fabbricazione di elementi costruiti fuori opera; la vibrazione ha luogo entro casseforme fissate al dispositivo; - vibratori fissati esternamente ai casseri; la loro azione è piuttosto limitata in profondità e servono essenzialmente per la costruzione di membrature sottili, come travetti di solaio, pali, tubi, ecc.;
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- vibratori superficiali o a piatto, che vengono fatti traslare sulla superficie del getto, il quale viene costituito a strati orizzontali di spessore non superiore ai 30 cm; trovano impiego nella esecuzione di opere a grande estensione come pavimentazioni, platee, ecc.. I vibratori interni, o pervibratori, hanno normalmente la forma di lame o cilindri vibranti che vengono immersi nell'impasto. La vibrazione attenua l'attrito interno, dipendente dalla quantità e qualità della pasta, e conferisce fluidità all'impasto; gli elementi della massa partecipi del movimento si assestano e, riempiendo i vuoti, scacciano in superficie l'aria e l'eccesso d'acqua. La posa in opera con vibrazione permette di impiegare impasti con rapporti A/C molto bassi e di ottenere il completo riempimento dei casseri, il perfetto incorporamento dei ferri, l'uniformità nelle superfici dei getti (importante per i getti destinati a restare a vista), ottimi risultati nei riguardi della compattezza e resistenza. L'impasto non deve essere troppo plastico altrimenti oltre all'aria ed all'acqua anche la malta fluisce in superficie, determinandosi così una vera e propria disgregazione; il tempo di vibrazione quindi deve essere ridotto al crescere della plasticità del getto. In generale può dirsi che la vibrazione migliora tutte le caratteristiche su cui influisce favorevolmente una riduzione del rapporto A/C, col notevole vantaggio di aumentare anche l'aderenza delle armature metalliche. Infine, con la "centrifugazione", l'impasto, nel quantitativo necessario, viene posto in forme tubolari metalliche o rivestite di lamiere, che vengono poste in rapida rotazione intorno al loro asse, con una velocità di 600-1000 giri al minuto per circa 10 minuti. L'impasto viene spinto energicamente contro la parete della forma ed al tempo stesso liberato dall'eccesso d'acqua. Il procedimento permette l'impiego di rapporti A/C relativamente piccoli e dà luogo a grande compattezza ed elevata resistenza. La centrifugazione trova esclusiva applicazione nella costruzione di tubi per condotte forzate, di pali di sostegno di fondazione, ecc..
Caratteristiche particolari Mentre la resistenza del calcestruzzo dipende esclusivamente dal tenore di acqua con cui viene eseguito, la "lavorabilità", ossia la maggiore o minore facilità con cui l'impasto potrà essere messo in opera, è funzione di altri fattori, ed in special modo della natura e composizione granulometrica degli inerti e della modalità con cui viene eseguito l'impasto. Essenzialmente essa dipende dal materiale fino con dimensioni massime sotto gli 0,2 mm, il quale conferisce mobilità alla massa, anche con percentuali d'acqua relativamente basse. Composizioni granulometriche prossime a quella caratteriz-
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zata dalla linea limite inferiore del regolamento danno impasti ben lavorabili soltanto per dosature di cemento relativamente elevate e tenori d'acqua piuttosto ristretti; migliore risultato danno quelle più prossime alla linea limite superiore, le quali perciò sono preferibili in condizioni di posa in opera meno facili, entro casseforme anguste e con armature fitte. La ghiaia con elementi lisci e tondeggianti è preferibile, sotto questo aspetto, al pietrisco . Il grado di "impermeabilità" all'acqua varia notevolmente con la natura del cemento impiegato (cementi ad alta resistenza) ed è più alto per i cementi con maggiore finezza di macinazione ed in generale per quelli che danno malte ben lavorabili. Gli impasti umidi danno luogo a getti alquanto porosi; quelli plastici danno i migliori risultati, ma anche i fluidi usati con opportune cautele possono dar luogo a getti impermeabili. Per migliorare l'impermeabilità dei conglomerati, si possono usare talvolta particolari additivi speciali, ed anche materie bituminose o grasse, soluzioni di allume o di sapone, pozzolana, polvere di mattone. Molto cauti, specie nel caso di cementi armati, conviene essere nell'impiego di grassi, in quanto ne risultano diminuite la resistenza del conglomerato e l'aderenza alle armature. Si possono tuttavia ottenere calcestruzzi impermeabili anche senza aggiunte di sorta, usando molta diligenza nella condotta dei lavori e cioè badando alla uniformità degli impasti ed alla posa in opera del conglomerato in strati regolari, ben costipati e di moderato spessore. L'impermeabilizzazione totale può venire raggiunta con l'applicazione di intonaci di malta cementizia o di malta preparata con prodotti speciali. Durante la presa del cemento si manifesta, così nella malta come nel calcestruzzo, una diminuzione di volume, o "ritiro", che ai fini costruttivi presenta una particolare importanza in quanto da esso dipendono incrinature e lesioni che non di rado si riscontrano nei getti cementizi e possono talvolta costituire l'origine di una successiva e progressiva disgregazione del getto. In particolar modo poi, nelle membrature in cemento armato, tale fenomeno di ritiro è causa del formarsi di un particolare stato di tensione per la resistenza opposta dalle armature metalliche alla contrazione della massa che le avvolge, stato di tensione che si sovrappone a quello delle forze sollecitanti e di cui pertanto dovrà tenersi debito conto nei calcoli statici. In particolare il ritiro è funzione della qualità del cemento, della miscela degli aggregati, del rapporto acqua/cemento, delle condizioni di manipolazione e posa in opera, delle modalità di conservazione, e, sembra in misura assai notevole, delle condizioni climatiche di ambiente, per cui è importassimo, specie nella stagione calda, proteggere e mantenere bagnati i getti, almeno per un certo periodo. Per le opere esposte liberamente all'aria esterna, tende a prodursi una specie di compensazione tra il ritiro e le dilatazioni termiche, in quanto, a causa dell'essiccamento che accompagna generalmente l'elevarsi della tem-
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peratura, la dilatazione termica tende ad essere compensata dalla contrazione di ritiro; mentre l'inverso avviene all'abbassarsi della temperatura, poiché allora le influenze igrometriche possono ridurre notevolmente le contrazioni termiche. Da prove eseguite, si è potuto dedurre che per ridurre gli effetti del ritiro è necessario impiegare cementi a debole ritiro ed ad alta resistenza alla trazione (in particolare i cementi ordinari), ridurre al massimo le percentuali di acqua, usare una granulometria bene appropriata per ottenere un calcestruzzo compatto (avendo presente che sono nocivi gli elementi più fini), preferire il pietrisco duro a superfici rugose, mantenere umido il getto per tre o quattro settimane, evitare i bruschi cambiamenti di temperatura e l'azione del sole e del vento, ed infine proteggere il getto con un intonaco elastico, tipo il bitume. Altro fenomeno in certo qual modo concomitante col ritiro e posto in evidenza in tempi relativamente recenti è quello dell'"assestamento plastico", chiamato anche più impropriamente fluidità o "Flauge", cioè del lento progredire delle deformazioni sotto l'azione continuata dei carichi. In Fig. 10.26 sono riportati comparativamente i diagrammi di andamento nel tempo dei fenomeni di ritiro e di assestamento plastico.
Fig. 10..26
Quest'ultimo è stato particolarmente studiato da Freyssinet, il quale ha trovato che le deformazioni lente per effetto di una lunga continuità di carico sarebbero rappresentabili mediante una legge esponenziale e possono raggiungere, dopo diversi anni, il quadruplo delle deformazioni elastiche originarie. Il fenomeno comunque è molto complesso ed imperfettamente reversibile: esso diminuisce con l'aumentare della dosatura di cemento, dell'età del calcestruzzo al momento della messa in tensione, dell'umidità dell'aria ambiente, della percentuale d'armatura, ecc.. Sembra anche che tale fenomeno produca un abbassamento del modulo di elasticità, onde esso tenderebbe ad attenuare gli effetti del ritiro e delle variazioni termiche. Il Graf, inoltre, su esperienze condotte su pilastri, ha tro-
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vato che non solo la deformazione cresce per lungo tempo, ma si modifica la ripartizione del carico con aumento della sollecitazione del ferro e notevole diminuzione di quella del calcestruzzo. Notiamo infine che il regolamento italiano prescrive l'adozione di un coefficiente di dilatazione lineare uguale a 0,00001 (od al valore più esatto che risultasse da una diretta valutazione sperimentale) nelle strutture iperstatiche in cui si deve tener conto degli effetti termici ed assimilare l'effetto prodotto dal ritiro del conglomerato, in mancanza di più esatta valutazione sperimentale, ad una diminuzione di temperatura da 20° a 10° in relazione alla percentuale di armatura, variabile dall'1% al 2%. Prescrive infine, nelle costruzioni di grandi dimensioni, l'adozione di giunti di dilatazione a distanza non maggiore di mi 50 (R.D. 16/11/1939), quando sia effettuato un calcolo completo degli effetti indotti dalle variazioni termiche e dal ritiro, a distanza non maggiore di mi 40 in caso contrario.
Resistenza del calcestruzzo La quasi totalità dei materiali da costruzioni può esser controllata nella sua qualità e resistenza prima della posa in opera (acciai, mattoni, legnami, pavimenti, ecc.). Viceversa, la qualità e la resistenza del calcestruzzo può esser accertata solo quando la massa fluida del conglomerato si è indurita ed ha esaurito il fenomeno della presa e, cioè, almeno 28 gg. dopo il getto delle strutture. Si conosce, quindi, la resistenza effettiva del calcestruzzo solo dopo 28 gg. dal getto quando i lavori di costruzione possono esser progrediti di molto. Le cause della cattiva resistenza del calcestruzzo possono esser le più svariate e, pertanto, è necessario un continuo e costante (se pur tardivo) controllo della qualità del calcestruzzo facendo numerosi e continui prelievi di cubetti che, a maturazione avvenuta, verranno provati per saggiare la qualità e la resistenza del calcestruzzo. Ogni prelievo di campioni consiste nel predisporre due cubetti confezionati con lo stesso calcestruzzo posto in opera. Il prelievo deve esser fatto in contraddittorio fra l'appaltatore ed il committente o fra i loro rappresentanti (direttore di cantiere e direttore dei lavori). I risultati delle prove cubiche a compressione (che sono le più significative) sono influenzati dalle dimensioni dei provini che al crescere delle dimensioni — a parità di qualità di calcestruzzo — denunciano resistenze unitarie inferiori. Secondo il Geheber — pur usando lo stesso calcestruzzo — si hanno, a seconda delle dimensioni del cubetto (o provino) le seguenti resistenze percentuali considerando 100 la resistenza di un cubetto di 20 cm di spigolo.
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Pertanto — per avere dati comparabili — il regolamento italiano prevede che le dimensioni dei provini siano unificate e siano in precisa relazione con le massime dimensioni degli inerti come è previsto dalla norma definitiva (e non più sperimentale) UNI 6130-72.
* Temporaneamente è ammesso anche l'uso di provini con lato di 16 cm.
I provini devono esser confezionati in cantiere entro forme metalliche prelevando il conglomerato dall'impasto all'atto del getto nelle casseforme. II conglomerato da provare deve esser posto nelle forme di tre strati di circa egual spessore e deve esser costipato a mano con l'aiuto di un tondino metallico del diametro di 10 mm fino a quando l'acqua affiori in superficie. I provini si liberano dalle forme 48 ore dopo la confezione (o dopo 24 ore quando il legante sia cemento alluminoso) e si fanno maturate fino al settimo giorno sotto sabbia mantenuta umida; quindi vengono inviati ai laboratori ufficiali di prova. La prova viene, di norma, eseguita dopo 28 gg.; se particolarmente richiesto anche dopo 7 o 14 gg.. Per poter aver un risultato attendibile per ogni tipo di calcestruzzo si devono tener separati i cubetti di prova ed i rispettivi risultati per getti di calcestruzzi omogenei. II conglomerato per il getto delle strutture di un'opera si considera omogeneo se la miscela viene confezionata con i componenti aventi essenzialmente le stesse caratteristiche di qualità e se i rapporti qualitativi tra i componenti, le attrezzature e le modalità di confezione restano praticamente invariati. Si è già detto che ogni prelievo consiste nel confezionamento di due cubetti aventi le dimensioni proporzionate agli inerti. E' detta "resistenza di prelievo" (Rm ), ed è espressa in kg/cm 2 , la media della resistenza a compressione di due cubetti costituenti un prelievo. E' detta "resistenza media di partita omogenea" (RM) la media aritmetica delle varie resistenze di prelievo. In prima approssimazione la resistenza media di partita omogenea po-
179 trebbe indicare il valore medio di resistenza a compressione di una partita di calcestruzzo omogeneo. Ma il regolamento italiano ha voluto introdurre dei correttivi che riducono questa resistenza media per partita omogenea, per ottenere la così detta "resistenza caratteristica'' Rbk che determina la classe dei calcestruzzi (Allegato 2 del D.M. 6 giugno 1976). Questi correttivi variano a seconda del numero dei prelievi. A)
Prelievi in numero maggiore di 30
Se il numero dei prelievi è maggiore di trenta la resistenza caratteristica è data dalla seguente formula: (A) nella quale la media aritmetica delle resistenze di prelievo; lo scarto quadratico medio ; n k
= =
il numero dei prelievi effettuati; un coefficiente che, nel caso di un numero di prelievi non inferiore a 30 può essere assunto con sufficiente approssimazione eguale al valore 1,64 corrispondente ad un numero elevatissimo di prelievi.
Nel caso che il valore dello scarto quadratico risultasse inferiore a 20, nella predetta formula (A) dovrà essere introdotto il valore di 20. B)
Numero di prelievi da 10 a 29
Il procedimento statistico per determinare la resistenza caratteristica di un calcestruzzo omogeneo, può essere esteso, con approssimazione accettabile, anche al caso di un numero di prelievi compreso tra 10 e 29. La formula (A) può esser ancora ritenuta valida assegnando al coefficiente K i valori seguenti:
Anche nel caso di un numero di prelievi compreso tra 10 e 29 il valore 5
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dello scarto quadratico medio da introdurre nella (A) non deve esser minore di 20 kg/m 2 . C)
Numero dì prelievi da 3 a 9
Nel caso che il numero dei prelievi sia compreso fra 3 e 9 la resistenza caratteristica viene assunta eguale al "minore" dei seguenti due valori: 1) Valore minimo delle medie aritmetiche mobili delle resistenze di prelievo, prese a gruppi di tre, diminuito di 70 kg/cm 2 . (Per medie aritmetiche mobili delle resistenze di prelievo si intende la serie di valori medi di tutti i gruppi di tre prelievi successivi, cioè la media aritmetica della l a , 2a e 3a resistenza di prelievo, quindi della 2 a , 3a e 4a e così via fino alla 7 a , 8a e 9a o fino a comprendere l'ultima resistenza di prelievo). L'ordine dei prelievi è quello che risulta dalla data di confezione dei provini, corrispondente alla rigorosa successione dei relativi getti. 2) Valore minimo delle resistenze di prelievo. D)
Numero di prelievi minori di quello necessario
Nelle costruzioni con meno di 100 m3 di conglomerato omogeneo, se il numero dei prelievi è minore di quello necessario a definire la resistenza caratteristica con i metodi sopra indicati, si dovrà comunque controllare, almeno con un prelievo che la resistenza media sia maggiore di 225 kg/cm 2 e si assumeranno le tensioni ammissibili corrispondenti ad una resistenza caratteristica convenzionale RBK = 150 kg/cm 2 . (Punto 2.3 del D.M. 30 maggio 1974).
Classe dei calcestruzzi Si definisce "classe del conglomerato" il valore, espresso in kg/cm 2 , della resistenza caratteristica a 28 gg. di maturazione, come sopra calcolata. Si hanno, pertanto, classi di calcestruzzo 150 - 200 - 250 - 300 - 400 500 kg/cm 2 . Per strutture armate non è ammesso l'impiego di conglomerato con resistenza caratteristica minore di 150 kg/cm 2 . Nei calcoli statici non potrà esser presa in conto una resistenza caratteristica superiori a 500 kg/cm 2 . Per poter adottare nei calcoli resistenze caratteristiche maggiori di 400 kg/cm2 si richiedono controlli statici sia preliminari che in corso d'impiego e calcolazioni accurate della struttura. Il progettista delle strutture, nei suoi elaborati, dovrà indicare in modo chiaro e preciso la classe del conglomerato che l'impresa deve fornire.
181 Tensioni ammissibili In funzione della resistenza caratteristica del conglomerato si determinano le tensioni ammissibili e cioè quei valori massimi che possono essere indotti nelle strutture : 1) Per travi, solette e pilastri soggetti a flessione o presso-flessione lo sforzo massimo ammissibile è pari a
2) Per elementi calcolati a pressione semplice il predetto valore viene ridotto del 30%. 3) Per travi con soletta collaborante il valore della formula viene ridotto del 10%. 4) In mancanza di diretta sperimentazione il valore medio della resistenza a trazione semplice (assiale) può esser assunta pari a (punto 2.1.2 del D.M. 26/3/1980):
5) In mancanza di sperimentazione diretta e con esclusione dei calcestruzzi maturati a valore, il modulo elastico istantaneo può essere assunto (punto 2.1.3 del D.M. 26/3/1980)
6) In mancanza di sperimentazione diretta il coefficiente di dilatazione può esser assunto pari a 0,00001 al grado centigrado (punto 2.1.5 del D.M. 26/3/1980). 7) Gli sforzi unitari di taglio ammissibili sono caratterizzati da due valori: (Punto 2.4 del D.M. 16/6/1976). Al di sotto del valore:
non è richiesta la verifica delle armature al taglio ed alla torsione. In ogni caso nelle travi dovranno esser poste almeno tre staffe per una sezione complessiva non inferiore a 3 cm2 /m e comunque distanziate di non più di 0,8 volte l'altezza della trave. Superato il predetto valore di sforzo unitario di taglio e fino al valore
gli sforzi di taglio (tangenziali) devono essere interamente assorbiti da armature metalliche affidando alle staffe non meno del 40% dello sforzo globale discorrimento.
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Se il predetto valore di dovesse esser superato, è necessario cambiare sezione della struttura perché, per valori così elevati di sforzi unitari di taglio, il regolamento vieta di sopperire ad esso con armature metalliche.
Controllo di qualità del conglomerato Sia prima che durante l'esecuzione di opere in calcestruzzo è prescritto che vengano eseguiti controlli di qualità del conglomerato (allegato 2 del D.M. 26/3/1980) allo scopo di accertare che il conglomerato realizzato abbia la resistenza caratteristica non inferiore a quella richiesta dal progetto. Si hanno i seguenti tipi di controllo : — studio preliminare di qualificazione e resistenza; — controlli di accettazione che il direttore dei lavori deve compiere con il controllo di tipo A o, in alternativa, per costruzioni con più di 1500 m3 di conglomerato, con il controllo statistico di tipo B; — prove complementari da eseguire, se necessario, nel caso che le prove di accettazione non avessero dato risultati favorevoli. Le prove complemenfari hanno lo scopo di accertare se il calcestruzzo giudicato di qualità inferiore a quella prevista, possa esser accettato o, comunque, utilizzato.
Valutazione preliminare della qualità e resistenza Prima dell'inizio di una produzione di serie o della costruzione di un'opera, il costruttore deve valutare la resistenza caratteristica per ciascuna miscela omogenea di conglomerato. Questa valutazione può esser fatta sia sulla scorta di esperienze acquisite, sia su valutazioni sperimentali statistiche oppure con entrambi i modi. Il costruttore resta comunque responsabile della valutazione effettuata.
Controlli di accettazione Durante l'esecuzione dell'opera il direttore dei lavori deve procedere alle prove di accettazione del conglomerato sia esso confezionato in cantiere o preconfezionato. L'allegato 2 del D.M. del 26/3/1980 prevede precise modalità di accettazione del calcestruzzo per ogni partita di 300 m3 di calcestruzzo omogeneo (controllo di tipo A). Solo per le costruzioni con oltre 1500 m3 di calcestruzzo omogeneo si possono adottare, in alternativa, altre modalità di controllo (controllo di tipo B).
183 Controllo di tipo A Il controllo di tipo A prevede che per ogni partita di 300 m3 di conglomerato omogeneo vengano eseguiti prelievi di due cubetti ciascuno per ogni 100 m3 di getto e, in ogni caso, ogni giorno di getto. Di conseguenza se ogni giorno si eseguissero solo 50 m3 di getto si dovranno effettuare almeno sei prelievi. Se, viceversa, in un sol giorno, dovessero esser collocati in opera più di 100 m3 di conglomerato, i prelievi giornalieri dovranno esser aumentati in modo da avere almeno un prelievo ogni 100 m3 di conglomerato posto in opera e per ogni ulteriore frazione di 100 m 3 . Si indichino con: — le resistenze dei singoli prelievi; — Rm la media aritmetica delle resistenze di tutti i prelievi; — Rbk la resistenza caratteristica del calcestruzzo indicata dal progettista. Il controllo di accettazione è positivo ed il quantitativo di conglomerato può esser accettato se risultano verificate entrambe le seguenti diseguaglianze:
Per le costruzioni con meno di 100 m3 di calcestruzzo omogeneo non vi è obbligo di prelievo giornaliero, ma è egualmente necessario procedere a tre distinti prelievi di due cubetti ciascuno per vagliarne l'accettabilità secondo le prescrizioni previste dal controllo di tipo A. Controllo di tipo B In alternativa al precedente tipo di controllo e soltanto per partite di calcestruzzo omogeneo superiori a 1500 m 3 , si può adottare un sistema di controllo di tipo statistico {controllo di tipo B). Per questo tipo di controllo è necessario effettuare almeno un prelievo per ogni 100 m3 di getto e, in ogni caso, per ogni giorno di getto; così se ogni giorno venissero collocati in opera 50 m3 di conglomerato è necessario procedere complessivamente a trenta prelievi. In ogni caso, però, il numero dei prelievi non può essere inferiore a quindici. Pertanto, se in un giorno venissero gettati più di 100 m3 di conglomerato è necessario, per quel giorno, procedere a più prelievi e, precisamente, ad un prelievo ogni 100 m3 di calcestruzzo e per ogni ulteriore frazione di 100 m 3 . Il controllo è positivo e la partita di calcestruzzo può essere accettata,
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quando risultino verificate entrambe le seguenti diseguaglianze
essendo: Rm — la resistenza media dei quindici o più prelievi; s = lo scarto quadratico medio dei quindici o più prelievi; Rbk = la resistenza caratteristica del calcestruzzo prescritta nel progetto statico ; R1 = la resistenza minore dei quindici o più prelievi. Se i risultati delle prove di accettazione, accertati con uno dei metodi A o B sopraindicati, non dovessero esser conformi alle qualità prescritte per il calcestruzzo, è necessario procedere (cfr. allegato 2 del D.M. 26/3/1980) a controlli sperimentali e/o a controlli teorici che possano fornire la tranquillante sicurezza della staticità dell'opera anche se confezionata con calcestruzzo le cui caratteristiche e la cui resistenza siano inferiori a quelle previste dai calcoli statici. I controlli sperimentali consistono nel rinnovo delle prove a compressione su campioni di calcestruzzo indurito in opera e prelevati nel modo più indisturbato possibile (carotaggi, prelievi di grossi blocchi che poi vengono ridotti in cubetti con seghe a filo, ecc.) secondo le norme UNI 6131-72. II rinnovo della prova a compressione trova la sua giustificazione in un eventuale e possibile ritardo di presa (cemento a lenta presa, non idonea confezione o conservazione dei cubetti, avversità atmosferiche, ecc.). Se le nuove prove danno risultati accettabili secondo i criteri sopra indicati la partita può esser accettata. I controlli teorici consistono essenzialmente in una più affinata ricalcolazione delle strutture eventualmente con diverse (ma sempre realistiche) ipotesi di comportamento statico della struttura. Se la accurata ricalcolazione dovesse accertare che la minor qualità del calcestruzzo può esser compatibile — secondo le norme regolamentari e in tutta sicurezza — con le sollecitazioni massime che possono esser indotte nel calcestruzzo nelle peggiori condizioni di carico, la partita può esser accettata. E' consigliabile che un direttore dei lavori attento e scrupoloso, dopo il favorevole esito dei controlli teorici e/o sperimentali, per sua maggior tranquillità, proceda, con ogni prudenza, ad accurate prove di carico delle strutture eseguite con il calcestruzzo sospetto. Se le verifiche teoriche e/o sperimentali non fossero possibili ovvero se i risultati delle indagini non risultassero del tutto rassicuranti si potrà: — dequalificare l'opera (prescrivere carichi accidentali minori dei previsti, ecc.);
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— eseguire ben studiate opere di consolidamento; — demolire l'opera. E' chiaro che l'Impresa esecutrice delle opere è l'unica responsabile della non idoneità del calcestruzzo e che a lei sono imputabili tutti i danni per la dequalificazione dell'opera, per l'esecuzione dei rinforzi o per la sua demolizione. I predetti controlli di accettazione del calcestruzzo sono egualmente validi per il calcestruzzo confezionato in cantiere e per i calcestruzzi preconfezionati in appositi impianti e poi trasportati nei cantieri di utilizzo. Per questo secondo caso è da escludere che i controlli possano esser effettuati presso gli impianti di preconfezìonamento ma è obbligatorio che vengano effettuati nei cantieri di utilizzo precedendo al prelievo del calcestruzzo all'atto del getto o, meglio, prelevandolo dalla massa di calcestruzzo appena immessa nelle casseforme (Norme UNI 6126-72). II prelievo in cantiere di utilizzo deve essere eseguito in contraddittorio fra il direttore dei lavori e l'appaltatore (o loro rappresentanti) e deve esser verbalizzato riportando ogni circostanza obbiettiva (data, ora e cantiere di prelievo, struttura per la quale è stato utilizzato il calcestruzzo, numero e sigla del prelievo, composizione del calcestruzzo, provenienza del prelievo, ecc.).
Calcestruzzi leggeri Per l'esecuzione di elementi costruttivi non destinati a compiti statici (sottofondi, tramezze, murature di tamponamento, blocchi parete, ecc.) si usano talvolta dei calcestruzzi che si differenziano da quelli ordinari per un minore peso specifico apparente e più alto grado di isolamento termico ed acustico. Si distinguono essenzialmente due tipi di conglomerati leggeri: quelli ottenuti con l'impiego di inerti porosi e quelli in cui la porosità è ottenuta mescolando all'impasto sostanze che rigonfiando lasciano il getto disseminato di piccole cavità. Al primo tipo appartengono: — il "calcestruzzo dì pomice", ottenuto impastando con cemento il solo granulato di pomice (elementi fra 2 e 12 mm) oppure aggiungendo anche della sabbia; la dosatura di cemento è di 200 kg/m 3 . Il peso si aggira sugli 800-900 kg/m 3 senza sabbia, sui 1000-1300 kg/m 3 con sabbia. Il carico di rottura, atre, quattro mesi di maturazione, si può ritenere intorno ai 10-30 kg/cm 2 senza sabbia, ed ai 30-70 kg/cm 2 con sabbia. Gli impasti vengono eseguiti con percentuali d'acqua elevate per evitare che l'assorbimento della pomice privi il legante dell'acqua necessaria alla presa, oppure usando granulato di pomice saturo d'acqua. Una parete di calcestruzzo di pomice dello spessore di cm 13,5 dà lo
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stesso isolamento termico di una parete di mattoni pieni dello spessore di cm 40, con un rapporto in peso 1:5; — il "calcestruzzo di scorie", ottenuto impiegando come inerti scorie d'alto forno, che danno un granulato con elementi angolari. Peso specifico apparente fra i 1000 e 2000 kg/m 3 a seconda della percentuale di sabbia; le resistenze sono paragonabili a quelle dei conglomerati di pomice; — il "calcestruzzo di vermiculite", materiale risultante dall'alterazione della mica nera. Questa allo stato naturale si presenta in masse più o meno compatte che si disgregano in scaglie lucenti; sottoposta a riscaldamento, ogni scaglia si sfalda in innumerevoli scagliette e poi si rompe in granuli o fiocchi somiglianti ai granuli di sughero espanso. Il peso specifico apparente del tipo espanso varia dai 150 ai 350 kg/m 3 . Con acqua e cemento costituisce un impasto con forte potere isolante; le principali applicazioni riguardano l'isolamento termico di tetti piani, sottofondi per pavimenti, murature antiacustiche, ecc.; — il "calcestruzzo di argilla espansa", materiale risultante dall'alterazione dell'argilla sottoposta a riscaldamento, presentatesi in granuli marrone tipo ghiaietto. Ha le stesse caratteristiche dei calcestruzzi di pomice e di vermiculite, e le stesse applicazioni, con la particolarità che i granuli di argilla espansa, a differenza di quelli della pomice o della vermiculite, presentano notevole resistenza, conferendone quindi anche al conglomerato risultante (Con calcestruzzo di argilla espansa si eseguono anche strutture). Fra i calcestruzzi del secondo tipo si possono ricordare: — il "gasbeton" e "V"aereokret", che si ottengono mescolando alla pasta o alla malta di cemento con un tenore d'acqua molto alto (circa il 50%) polvere di alluminio in misura varia fra il 10 e il 25%. L'alluminio, combinandosi con l'idrato di calcio, libera l'idrogeno che pervade la massa di minutissime bolle. Il peso specifico è di 280 kg/m 3 . E' un ottimo isolante termico ed acustico; — la "cellulite" (Zellenbeton), proveniente dalla mescolanza della pasta o della malta cementizia con una schiuma di sapone che viene preparata a parte in una macchina staffilatrice connessa alla mescolatrice del calcestruzzo; le bollicine della schiuma si diffondono nella massa e danno luogo a miriadi di cavità sferoidali. Se l'impasto del cemento ha luogo senza sabbia si ottiene un calcestruzzo avente un peso di 300-400 kg/m 3 , largamente usato come isolante termico. Il peso è di 700 1200 kg/m 3 per conglomerati impastati con sabbia e a cui debba essere affidata anche una funzione statica di modesta entità. Resistenza alla compressione 6 12 kg/cm2 nel primo caso, 10 40 2 kg/cm nel secondo; — lo "spugnocemento", conglomerato poroso composto da cemento e sabbia silicea in proporzioni varie. Ha le stesse caratteristiche ed applicazioni dei conglomerati su menzionati.
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Giunti di dilatazione Si è già detto che il coefficiente di dilatazione del calcestruzzo è da assumere pari a 0,00001 metri per grado centigrado. Pertanto un elemento in calcestruzzo lungo 40 metri, sotto uno sbalzo di temperatura di 30°C, ha una escursione di ben 1,20 cm. Di conseguenza fabbricati in calcestruzzo che abbiano una lunghezza dai 40 ai 50 metri devono essere interrotti da "giunti di dilatazione'" per evitare la loro rottura o fessurazione. I giunti di dilatazione sono dei veri e propri tagli della struttura tali da lasciare un intervallo di circa 2 cm. Possono esser realizzati eseguendo su di un unico plinto, non uno ma due pilastri in calcestruzzo indipendenti fra loro e di creare un analogo giunto sui solai e sulle travi (Fig. 10.27). I due pilastri che formano il giunto possono esser gettati in un unico cassero diviso da un setto di polistirolo espanso e aventi ciascuno una propria armatura metallica indipendente. A disarmo avvenuto il polistirolo può esser eliminato con l'uso di un ferro caldo. Lo spazio tra i due pilastri potrà esser saturato con prodotti plastici per evitare il passaggio d'acqua piovana o insetti, o potrà esser chiuso con lamierino a V in rame (Fig. 10.27). Un sistema meno usato in edilizia (ma più comune per i ponti) è quello d'interrompere le travi ove si verifica l'inversione del momento creando degli appoggi e introducendo tra i due monconi di trave del materiale (per es. neoprene) che ne faciliti il reciproco scorrimento (Fig. 10.28). Naturalmente l'eventuale rivestimento (in marmo o clinker) della facciata dovrà esser interrotto lungo il giunto di dilatazione e così anche l'intonaco, le grondaie, eventuali tubi di impianti, ecc.
L'armatura metallica L'armatura metallica più comunemente usata per le armature delle costruzioni in cemento armato può essere costituita da: a) barre "tonde liscie", tipo Fe B 22 K ed Fe B 32 K, con una tensione caratteristica di snervamento rispettivamente non minore di 22 kg/mm 2 e 32 kg/mm 2 ; b) barre "ad aderenza migliorata", tipo Fe B 38 K ed Fe 44 K, con una tensione caratteristica di snervamento rispettivamente non minore di 38 kg/mm 2 e di 44 kg/mm 2 ; questi acciai si differenziano dagli acciai in barre liscie per le particolarità di forma atte ad aumentare l'aderenza al conglomerato cementizio, e sono caratterizzati dal diametro d della barra tonda equipensante.
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Fig. 10.27 - Giunto di dilatazione formato da due pilastri accostati.
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Fig. 10.28 - Giunto di dilatazione su travi.
Particolare importanza comunque, nella determinazione del carico limite ammissibile per gli acciai, riveste, più che il carico di rottura, il carico di snervamento, che, in un diagramma carico-allungamento (Fig. 10.29) può essere identificato nel punto S, in cui vi è un brusco passaggio della curva da funzione pressocché lineare a curva esponenziale.
Fig. 10.29
Di norma, la tensione ammissibile per un dato tipo di acciaio non deve mai superare il 55 65% del carico di snervamento.
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Le tensioni caratteristiche e di rottura per classificare gli acciai nonché gli sforzi massimi ai quali possono esser assoggettati i vari tipi di acciaio sono indicati nel seguente prospetto e sono espressi in kg/cm 2 . Si intende per acciaio controllato in stabilimento quell'acciaio che è stato prelevato — senza preavviso — in ferriera e viene provato per distinte colate, da un Istituto ufficiale di prove dei materiali che ne certifica le caratteristiche .
Per acciai con tensioni di esercizio (K amm) tra 1900 e 220 kg/cm 2 si deve usare conglomerato di classe maggiore o eguale a 200 ; per tensioni superiori a 2200 kg/cm 2 si deve impiegare conglomerato di classe maggiore o eguale a 250 kg/cm2 (Punto 2.5.2.3 del D.M. 30 maggio 1974).
Controllo di accettazione Il controllo di accettazione per gli acciai da calcestruzzo non controllato in stabilimento, è obbligatorio. Per i materiali non controllati in stabilimento, da ogni partita si devono prelevare almeno tre spezzoni (lunghi circa 120 mm) per ogni diametro e li si devono inviare, per la prova, a laboratori ufficiali autorizzati. A norma del punto 2.2.8.3 della prima parte del D.M. 26 marzo 1980, il controllo di accettazione è positivo e la partita può essere accettata se, per ciascun diametro venga accertato contemporaneamente che:
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— la media aritmetica dei valori delle prove a snervamento ridotta di 350 kgf/cm 2 , è almeno eguale alla minima tensione caratteristica di snervamento relativa al tipo di acciaio oggetto della prova; — la media aritmetica dei valori delle prove a rottura, ridotta di 450 kgf/cm 2 , è almeno pari alla minima tensione caratteristica di rottura relativa al tipo di acciaio oggetto della prova. Nel caso che il risultato delle prove dovesse indicare valori inferiori ai minimi previsti, il direttore dei lavori disporrà la ripetizione della prova su ulteriori tre spezzoni per ciascuno dei diametri che non abbiano dato risultati accettabili. Il risultato della prova sarà considerato positivo soltanto se la media aritmetica fra i primi tre risultati ed i successivi tre risultati, ridotti di 350 kgf/cm2 per lo snervamento è di 450 kgf/cm2 per la rottura, raggiunga i valori minimi di tensione caratteristica o di rottura relativi al tipo di acciaio oggetto della prova. In questa ipotesi la partita può essere accettata; diversamente dovrà esser rifiutata.
Aderenza dell'armatura al conglomerato Particolare importanza, nell'accoppiamento fra.acciaio e calcestruzzo, ha l'aderenza che si realizza fra i due materiali, così che la loro unione risulta intima e la loro collaborazione sicura. La resistenza che si oppone allo sfilamento di un tondino di acciaio immerso in un getto è dovuta in parte all'aderenza, in parte all'attrito che si manifesta con l'incipiente moto relativo ed in relazione alla pressione esercitata dal getto in seguito al ritiro, ed in parte infine vi contribuiscono pure le imperfezioni di forma della barra (acciai ad aderenza migliorata). " La resistenza si valuta globalmente e si riferisce all'area della superficie di contatto (Fig. 10.30).
Fig. 10.30
Se p è il perimetro ed / la lunghezza del tondino immerso, e P la forza massima che provoca lo sfilamento, la resistenza specifica vale:
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Poiché , e supposta una ripartizione uniforme, risulta come minimo valore di l necessario affinché l'aderenza possa equilibrare la trazione fino al valore massimo
La resistenza allo sfilamento t, da 15 20 kg/cm 2 per tondi di grande diametro, raggiunge i 40 50 kg/cm2 per i tondini di diametro più piccolo. Inoltre essa passa mediamente da 33 kg/cm 2 per ferri arruginiti a circa 23 kg/cm 2 per ferri di ruvidità normale, e si abbassa a 10 15 kg/cm 2 per ferri a superficie liscia. La resistenza di aderenza cresce per saggi maturati in acqua e con il carico di schiacciamento, ed è influenzata dalla disposizione dell'armatura circostante. La resistenza allo sfilamento si abbassa notevolmente per i ferri che presentino foglie di laminazione o di ruggine, che siano verniciati, polverosi o sporchi di grasso. Tracce di ruggine bene aderente alla superficie conferiscono a questa una certa ruvidità che migliora l'aderenza. Talvolta per aumentare l'aderenza (in particolare nelle riprese di un getto), si spalmano i ferri con "boiacca" (pasta di acqua e cemento); occorre però che lo strato formatosi non si stacchi dai ferri, asciugandosi troppo rapidamente, perché allora il provvedimento risulterebbe dannoso. L'aderenza, o resistenza allo scorrimento reciproco dei due materiali, assicura la trasmissione degli sforzi dall'uno all'altro e la uguaglianza delle loro deformazioni. L'aderenza fa sì che il calcestruzzo possa seguire, senza rompersi, allungamenti superiori a quelli che potrebbe sopportare se non fosse armato. In effetti la presenza dell'armatura provoca dei fenomeni di stiramento per i quali il calcestruzzo segue plasticamente gli allungamenti di essa. Tale fenomeno è noto sotto il nome di "legge di Considère". Una efficacia notevole sulla aderenza esercitano anche le staffe, specialmente se, anziché trovarsi a contatto con l'armatura tesa, ne disfano alquanto, in modo da costituire una parziale cerchiatura della medesima. Influenza particolarmente importante nei riguardi dell'aderenza è da attribuire alla buona qualità del calcestruzzo, alla sua compattezza, alla sua resistenza a trazione, e, soprattutto, alla perfezione del suo inviluppo delle armature, onde si può dire che la "pastosità" di posa in opera del calcestruzzo rappresenta una condizione di massima importanza a questo riguardo, e sembra che, pur di raggiungere un perfetto rivestimento dell'armatura, si possa ben tollerare un qualche eccesso di acqua di impasto, quando pur non si voglia ricorrere alla vibrazione o ad altri moderni sistemi atti ad ottenere una buona lavorabilità del calcestruzzo senza eccedere nel dosaggio dell'ac-
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qua. I controlli di aderenza sono regolamentati dall'allegato 6 del D.M. 26 marzo 1980. Sotto l'azione di sforzi ripetuti, e specialmente per ferri di grosso diametro, l'aderenza non sempre offre una sufficiente garanzia contro possibili scorrimenti di un elemento rispetto all'altro; per sicurezza quindi, il regolamento prescrive, per barre tonde liscie, che i ferri vengano risvoltati ad uncino alle estremità. Tale uncino deve essere piegato a semicerchio (Fig. 10.3 la), con luce interna uguale a 5 volte il diametro del ferro; è inoltre opportuno (proposta del Considère) che la parte rettilinea del gancio sia sufficientemente lunga, onde moderare la dissimetria nella distribuzione della pressione radiale in corrispondenza della curva, e con essa la tendenza del gancio ad aprirsi. E' necessario inoltre che i ferri, quando non più necessari per l'armatura resistente, vengano interrotti in zona compressa, e la lunghezza di ammarraggio nella zona stessa deve essere di almeno 40 volte il diametro (Fig. 10.31b). Per gli acciai ad aderenza migliorata, anziché l'uncino, è sufficiente una piegatura a 30° ed un ammarraggio in zona compressa pari a 10 volte di diametro (Fig. 10.3lc), comunque non minore di cm 15. Generalmente ai ferri di armatura si dà un andamento rettilineo per semplicità di posa in opera, e per garantire nel miglior modo la resistenza alle sollecitazioni assiali. Per molti occorre tuttavia eseguire dei cambiamenti di direzione (per assorbire gli sforzi di taglio, o per seguire la tensione di trazione nelle membrature, che da superiore può divenire inferiore, o viceversa) e bisogna tener presente che ogni deviazione comporta una azione laterale pari alla risultante degli sforzi nei due tronchi contigui, risultante che deve essere sopportata dal calcestruzzo, eventualmente coadiuvato dai ferri trasversali. A tale fine il regolamento stabilisce che le piegature intermedie vengano eseguite con raccordo di raggio di curvatura pari a 6 volte il diametro del tondino (Fig. 10.3 ld). Raccordi più dolci occorrono nei risvolti più sollecitati (Punto 4.4 del D.M. 30/5/1972). Se poi la risultante di un ferro sollecitato a trazione tende a raddrizzarlo, e questo armi un bordo concavo di risvolto, è buona regola sostituire ciascun ferro piegato con una coppia di ferri diritti ed incrociati che si protraggono oltre l'incrocio fino a raggiungere preferibilmente la zona compressa (Fig. 10.31c,f,g). Nel disporre le armature metalliche per le costruzioni in cemento armato, occorre spesso eseguire delle giunzioni, non essendo sempre possibile fare uso di barre di un solo pezzo (normalmente in commercio si trovano barre lunghe m 12 12,50). Per tali giunzioni si può provvedere mediante: — sovrapposizione, — manicotti filettati, — saldatura.
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Fig. 10.31a,b,c,d
Con la sovrapposizione, i ferri piegati ad uncino alle estremità si sovrappongono per una lunghezza di almeno 40 diametri se si tratta di acciaio in barre tonde liscie (Fig. 10.3Ih), o di 30 diametri per gli acciai ad aderenza migliorata (Fig. 10.3 li). E' inammissibile la sovrapposizione per ferri di diametro maggiore di 25 mm, e per qualunque diametro nel caso di nervature
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Fig. 10.31e,f,g,h,i
tese, come catene o tiranti; può accettarsi invece per le pareti dei serbatoi purché le giunzioni siano sfalsate e generalmente quando alla interruzione sopperisca una barra addizionale. La giunzione con manicotto filettato è l'unica consentita dal regola-
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mento per i ferri delle membrature soggette a trazione pura. Naturalmente, se la filettatura viene tagliata sul tondino, lo sforzo di questo deve essere commisurato alla sezione del nucleo. Altrimenti si rifollano a caldo le estremità dei tondini quando basta per ottenere una sezione resistente nella filettatura almeno uguale a quella del tondino. Oggi si usa già abbastanza largamente, e con ottimi risultati, la saldatura delle barre, specialmente conveniente quando si debbano formare degli anelli per armatura di condotte, serbatoi cilindrici e simili, od armature per ponti, ed in generale per travate o strutture di grandi dimensioni. La saldatura viene fatta elettricamente all'arco o per resistenza elettrica; possibile, ma molto meso usata, quella eseguita al cannello ossiacetilenico. La migliore risulterebbe la saldatura a doppio coprigiunto(Fig. 10.3IL) scarsamente usata però perché piuttosto onerosa; le più in uso sono quelle per sovrapposizione (Fig. 10.3lm), che però, per la trasmissione eccentrica degli sforzi, possono dar luogo ad azioni dirompenti nel conglomerato circostante; per questa ragione sono preferibili le saldature a sovrapposizione deviata (Fig. 10.3 In). Sono sconsigliabili le giunzioni di testa. Da numerose esperienze eseguite sia a trazioni statiche che ripetute, si può ritenere ottimo il comportamento delle giunzioni saldate: normalmente infatti il cedimento si ha fuori saldatura.
Fig. 10.31 l,m,n
Copriferro, in ter ferro Perché il ferro che arma il calcestruzzo possa esplicare tutta la sua resistenza e possa esser protetto dalla corrosione è necessario che sia ricoperto da almeno 0,8 cm di calcestruzzo in caso di solette e di due centimetri per travi e pilastri. Questo ricoprimento del ferro con il calcestruzzo è detto "copriferro".
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Per strutture in ambienti aggressivi (zone marine, officine con particolari lavorazioni, ecc.) il copriferro deve esser maggiore e può raggiungere i 3,5 4cm. Inoltre fra le singole barre di armatura in acciaio si deve rispettare in ogni direzione una distanza (interferro) eguale almeno a due centimetri o una maggiore distanza pari al diametro dei ferri. L'interferro non solo permette un più completo sfruttamento di ogni singola barra, ma consente di poter gettare calcestruzzi con granulometria non eccessivamente piccola.
Disposizioni, preparazione e posa delle armature Il peso di acciaio per m3 di getto varia dai 20 ai 50 kg nei getti nei quali l'armatura ha solo scopo precauzionale contro le azioni termiche o di ritiro, dai 70 ai 200 kg circa nei getti armati veri e propri. Di regola l'armatura consta: a) di ferri di "resistenza", le cui sezioni vengono determinate col calcolo; b) di ferri di "orditura", aventi lo scopo di facilitare la formazione delle gabbie metalliche {ferri di "montaggio"), per conferire a queste la necessaria rigidezza (staffe e legature), e di evitare concentrazioni di sforzi; c) ferri di "riparazione" per ripartire i carichi concentrati su superfici maggiori. I diametri più comunemente impiegati nelle ordinarie costruzioni di cemento armato sono : per ferri di ripartizione e staffe; per armature di solette; per piccole nervature; per pilastri, travi e nervature principali; per travate di grandi dimensioni. Soltanto in via eccezionale si impiegano barre di diametro superiore, fino a 50 mm; non usate invece sono le barre di diametro dispari, eccezion fatta per i diametri , usati però quasi esclusivamente nei cantieri di prefabbricazione o nella confezione di travetti di solaio. Conviene limitare al massimo la varietà dei diametri da impiegare, per ridurre lo sciupo di materiale. E' buona regola inoltre sfalsare alquanto le giunzioni, di qualunque specie siano e farle capitare in corrispondenza alle sezioni meno sollecitate. I ferri delle solette si indicano per lo più in proiezione orizzontale; per travi, nervature, pilastri ecc. si eseguono disegni particolareggiati, con sezioni longitudinali e trasversali. Per ciascun elemento costruttivo viene allestita una "distinta dei ferri",
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contenente una numerazione d'ordine, il diametro, la sagoma quotata, il numero dei pezzi, la lunghezza di taglio e il peso teorico corrispondente. La preparazione dell'armatura comporta le seguenti operazioni: a) taglio delle barre alla lunghezza stabilita; b) esecuzione delle uncinature terminale e degli eventuali pieghi intermedi; c) montaggio. Le prime due operazioni vengono normalmente eseguite a freddo per i diametri fino al o 22, a caldo per diametri superiori. Per il taglio si usano cesoie per lo più comandate a mano. La piegatura può essere effettuata col "mordiglione" (Fig. 10.32a) e con moderne macchine "piegabarre" azionate a motore (Fig. 10.32b). Il perno C è fissato alla pistra di base e costituisce il punto di rotazione della leva sulla quale si trova il perno B. Il fermo A è fissato alla piastra di base e fornisce l'appoggio per il ferro da piegarsi. Per diminuire l'attrito i perni B e C sono forniti di rulli girevoli, di cui quello infilato su C è ricambiabile con diversi diametri.
Fig. 10.32
Casseforme e sostegni per il getto Le "'casseforme" o "casseri" sono gli involucri entro i quali viene immesso l'impasto, perché si rassodi nella forma voluta. Esse sono sorrette dall'armatura di servizio, la quale è soggetta ai pesi del calcestruzzo
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e delle casseforme, nonché ai sovraccarichi insistenti durante la costruzione. Le casseforme vengono per lo più costruite con tavole di legno della qualità meno pregiata, di spessore fra 25 e 40 mm e larghezza da 10 a 20 cm; vanno preferiti in genere gli spessori maggiori che meno facilmente danno luogo a rotture nel disarmo. Le tavole vengono semplicemente accostate e collegate con traverse, evitando però di serrarle eccessivamente, onde permettere il rigonfiamento del legname causato dall'umidità del getto. Per getti destinati a rimanere in vista, le tavole vengono piallate ed unte di olio o con un preparato disarmante, per facilitarne appunto il disarmo. Per l'armatura di servizio si impiegano legni squadrati per correnti, traverse e retti, tavole per i controventi. I collegamenti vengono effettuati di regola con chiodi, viti, bulloni e legature con filo di ferro dolce e ricotto del diametro di 2 mm. Importante requisito dell'armatura provvisoria è che si possa procedere al suo disarmo con facilità e con il minor spreco di legname. I casseri dei pilastri dovranno potersi rimuovere prima dei palchi di sostegno dei solai, le sponde dei casseri prima delle travi prima dei fondi. La cassaforma di un pilastro a sezione rettangolare (Fig. 10.33) è costituita da quattro fianchi mutualmente chiodati od avvitati in corrispondenza degli spigoli; le pareti devono essere assicurate contro la flessione con la disposizione di rinforzi trasversali, posti ogni 80 100 cm circa, mantenuti in sito con tiranti bullonati o staffature regolabili. Oggi trovano sempre maggior impiego casseforme metalliche, costituite da lamiera piana e profilati di ferro, che vengono bloccate fra loro con speciali morsetti (cravatte). I casseri dovrebbero presentare un foro al piede di una delle pareti, attraverso il quale sia possibile allontanare, prima di procedere al getto, il materiale eventualmente accumulatosi all'inFig. 10.33 terno. Per mantenere la verticalità dei casseri si dispongono opportune controventature, formate da tavole, dette "briglie". L'armatura delle ordinarie solette e dei solai gettati in opera (Fig. 10.34) consta di un tavolato sorretto da correnti di sezione 8x10 10x12 oppure da tavole disposte di costa di sezione 3x15, poste ad interasse di circa 70 90 cm; i correnti sono a loro volta sorretti da traverse, e queste da ritti a sezione tonda, cui sono collegate mediante coprigiunti chiodati.
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Gli stessi poi sono convenientemente controventati. Il fondo e i fianchi delle casseforme per travi e nervature (Fig. 10.35) si compongono separatamente con tavole dello spessore di 2,5 cm, collegate
Fig. 10.34
con traversi a distanza di circa 1 m. Se l'altezza della trave è rilevante, sono necessari sbadacchi trasversali interni, posti a metà altezza, costituiti da listelli di legno o torcigliari di filo di ferro; questa disposizione poi è necessaria nel caso di travi perimetrali, per la parete esterna che non è contrastata da sbadacchi fra una trave e l'altra, o per travi isolate. Se si tratta di trave per solai a travetti prefabbricati, alle traverse di ciascun fianco si sovrappone longitudinalmente una tavola destinata a fornire l'appoggio appunto dei travetti di solaio. E' opportuno che i casseri siano disposti con una leggera monta di almeno l'l%, per impedire che rimangano, dopo il getto, avvallamenti dovuti a cedimenti dei ritti di sostegno. Tali sistemi di sostegno, sia
Fig. 10.35
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per solette che per solai e travi, possono essere realizzati anche in tubi di ferro, collegati e controventati fra loro con speciali morsetti in ghisa. Il tavolato per il getto di solai o solette, completo di correnti e traverse, prende normalmente il nome di "banchinaggio".
Disarmo Dicesi "disarmo" l'operazione di rimozione dell'armatura provvisoria, operazione che si effettua quando il getto abbia raggiunto un grado di maturazione sufficientemente progredito perché le strutture possano reggersi da sole. Secondo il vigente regolamento, per conglomerati di cemento normale, non si devono rimuovere prima di 3 giorni le sponde dei casseri delle travi e quelle dei pilastri; non prima di 10 giorni per le solette; non prima di 24 giorni per i puntelli delle nervature e non prima di 28 giorni per strutture a sbalzo. Per conglomerati di cemento ad alta resistenza il disarmo può essere eseguito non prima di 48 ore per le sponde dei casseri di travi e pilastri, 4 giorni per armature di solette, 12 giorni per puntelli di travi e di solette di grande portata e non prima di 14 giorni per strutture a sbalzo. (Punto 6.1.5 del D.M. 26 marzo 1980).
Vantaggi e svantaggi del cemento armato Così si è già avuto occasione di dire, l'unione dei due materiali, calcestruzzo e ferro, ha lo scopo precipuo di ripartire tra i due elementi la resistenza alle azioni di compressione e di trazione rispettivamente, ed è resa possibile da fattori particolari quali la pressocché identica dilatazione termica dei due elementi, l'alto potere adesivo e l'ottima preservazione del ferro dall'ossidazione. Come tutti i materiali da costruzioni, d'altra parte, il cemento armato presenta vantaggi e svantaggi che ne consigliano o meno di volta in volta l'uso o la preferenza rispetto ad altri sistemi costruttivi. Tra i vantaggi del cemento armato possiamo annoverare i seguenti: — la "monoliticità" che viene ad assumere la struttura in e.a.; particolarità questa che fa si che l'effettivo comportamento reale della sturttura è sempre più favorevole di quello che si considera in fase di calcolo, dato che quest'ultimo parte sempre da ipotesi limiti e per lo più piuttosto restrittive ; — la sezione di calcestruzzo e la relativa armatura metallica di ogni elemento strutturale possono variare punto per punto, adeguandone così la resistenza alla variabilità delle sollecitazioni esterne; tutto ciò si traduce in un notevole risparmio economico ; — la rapidità di esecuzione di una qualsiasi struttura, data l'immediata
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possibilità di approvvigionamento dei materiali ed il loro facile trasporto; — una struttura in c.a., a differenza di altri sistemi costruttivi, non richiede alcuna spesa di manutenzione; — l'ottima resistenza al fuoco, tanto che in determinati casi la struttura in c.a. è l'unica ammessa dai regolamenti dei Vigili del Fuoco, ai quali deve essere sottoposto per l'approvazione qualsiasi progetto di costruzione; — il cemento armato infine può adeguarsi perfettamente a qualsiasi struttura architettonica, assumendo qualsiasi forma e dimensione, qualsiasi aspetto di leggerezza e di solidità, purché tutto ciò sia suffragato da una profonda conoscenza della Scienza delle Costruzioni. Tra gli svantaggi in particolare ricordiamo: — la difficoltà, se non addirittura (ed è la maggior parte dei casi) l'impossibilità, di modificare o di rinforzare una struttura già eseguita; in molti casi appunto l'unica soluzione è l'abbattimento della stessa; — l'assoluta precisione nella disposizione dei ferri e la particolare attenzione che non avvengano movimenti delle gabbie durante l'operazione di getto; — il notevole onere dovuto al banchinaggio ed alle casseforme; al fine di ridurne l'incidenza, sta prendendo sempre più piede l'uso di profili tubolari metallici, legati vicendevolmente con morsetti in ghisa, per le impalcature di sostegno, e di tralicci reticolari in ferro a lunghezza variabile per l'orditura dell'impalcato. Queste armature di servizio in ferro, oltre alla rapidità di montaggio, presentano spreco pressocché nullo e reimpiego quasi illimitato.
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CAPITOLO UNDICESIMO
IL CALCESTRUZZO ARMATO PRECOMPRESSO Il concetto fondamentale della precompressione è da attribuire al francese Freyssinet, che dopo vari anni di studio teorico e di tentativi pratici, né annunciò la teoria nel 1933. Ma la precorritrice teorica del Freyssinet non potè avere all'epoca una pratica attuazione per la non sufficiente buona qualità dei materiali. La precompressione è un principio generale applicabile a tutti i materiali omogenei e non soltanto al calcestruzzo armato che, a tal fine, viene considerato omogeneo. La precompressione è quella teoria e tecnologia che determinano e permettono di imprimere in una membratura o struttura di qualsiasi materiale omogeneo, un preventivo ed appropriato stato di coazione, entro il limite elastico, di verso contrario a quello che le forze esterne eserciteranno sulla struttura in fase di esercizio. In questo modo, in fase di esercizio, le forze esterne applicate alla struttura in un primo tempo sono contrastate ed assorbite dalla coazione elastica impressa artificialmente, e, successivamente, all'aumentare del carico, agiscono sulla struttura sfruttando le sue naturali capacità di resistenza. Di conseguenza la struttura precompressa può sopportare sforzi molto più elevati (quasi il doppio) di quelli che potrebbero esser sopportati da una analoga struttura non precompressa. In altri termini, se in una struttura induciamo artificialmente sforzi di compressione quando la struttura sarà sottoposta a forze esterne di trazione, queste, prima scaricheranno la struttura dagli sforzi di compressione in essa artificialmente indotti e poi interesseranno la naturale capacità di resistenza a trazione del materiale di cui è costituita. Così, con la precompressione, una struttura invece di sopportare, secondo le proprie naturali caratteristiche, uno sforzo generico N, riesce a sopportare uno sforzo quasi doppio rispetto alla sua naturale capacità di resistenza e, cioè, riuscirà a sopportare uno sforzo commisurabile tra gli sforzi da —N (impresso artificialmente) fino a + N corrispondente alla naturale capacità di resistenza elastica del materiale di cui la struttura è composta. Con la precompressione non si ha la parzializzazione della sezione come avviene nel c.a. normale, ma tutta la sezione risulterà compressa ottenendo un maggiore e più razionale sfruttamento del materiale, così che, a parità di sezione, la struttura precompressa potrà avere luci maggiori oppure
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potrà sopportare carichi più gravosi. Oppure, a parità di luci e di forze esterne, potrà risultare sensibilmente più snella.
Raffronto fra strutture precompresse e strutture in c.a. Si è già accennato, e lo si vedrà meglio di seguito, che la sezione di una struttura inflessa in calcestruzzo precompresso è interamente compressa, mentre una analoga struttura di calcestruzzo normale risulta parzializzata e lavora a compressione solo per 0,20 0,25 della sua altezza. Altra sostanziale differenza fra strutture precompresse e strutture in c.a. normali va ricercata nel comportamento dell'armatura metallica. In una normale struttura in c.a., l'armatura metallica compie una vera e propria funzione passiva e, cioè, comincia a "lavorare" solo quando la parte di calcestruzzo assoggettata a trazione comincia a cedere dando luogo a micro fessurazioni. In tal modo l'armatura metallica viene ad assumere dei valori che dipendono dalle forze esterne e dal loro modo di distribuirsi, ed il calcolatore può tener conto di questi valori e distribuzione di sforzi solo in base a ipotesi di calcolo più o meno rispondenti alla realtà. Invece nella struttura precompressa l'armatura metallica compie la funzione attiva di creare in essa tensioni ben definite, controllabili sperimentalmente ed indipendenti dalle forze esterne che andranno a sollecitarla. Tali tensioni, che rimangono latenti nella struttura con un rigoroso equilibrio fra la trazione dell'armatura e la compressione del calcestruzzo, possono essere considerate come forze virtuali, le quali entrano in gioco allorché vengono ad agire le forze esterne, nel senso che di mano in mano che per effetto di queste si annulla una parte della compressione del calcestruzzo, viene liberata una equivalente frazione della tensione dell'armatura, la quale va ad equilibrare, o meglio, ad opporsi alle sollecitazioni di trazione indotte dalle forze esterne. Queste forze virtuali quindi assumono il ruolo di forze esterne aggiunte al sistema dei carichi. Tutto ciò avviene in forma di compensazione interna, senza che si manifesti in deformazioni praticamente apprezzabili, sino a quando almeno non si giunga, col crescere delle forze esterne, ad annullare completamente la compressione del calcestruzzo. A questo punto, quando cioè l'azione dei carichi superi i limiti di precompressione, insorgono tensioni di trazione nel calcestruzzo che, superatane la resistenza, si trasferiscono all'armatura metallica (supplementare) e la struttura si comporta come una struttura comune in cemento armato, conservando le sue proprietà elastiche sino a quando non venga superato il limite elastico del calcestruzzo compresso o quello dell'armatura tesa.
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Naturalmente questa diversità di comportamento viene resa subito evidente dall'insorgere di deformazioni di diverso ordine di grandezza, onde il passaggio dall'uno all'altro comportamento viene chiamato "limite di trasformazione" o "limite di avvertimento". Esso avviene bruscamente con cambiamento completo delle proprietà della struttura se in tutte le parti di essa il limite di trasformazione è raggiunto simultaneamente; in caso contrario si genera con una certa gradualità. Comunque al di là del limite di avvertimento si hanno tuttavia deformazioni reversibili senza alterazione delle caratteristiche elastiche del materiale, che può rientrare ancora invariato nel dominio del precompresso, purché non sia stato superato il limite di passaggio dal campo elastico al campo plastico. Invece nella costruzione ordinaria in cemento armato esiste solo quest'ultimo limite, il quale pure si rende manifesto con una esaltazione delle deformazioni, ma che comporta peraltro un decadimento delle caratteristiche elastiche del materiale. Altra importante proprietà delle strutture precompresse è che, in una struttura a precompressione diffusa nella sua massa (praticata cioè in più direzioni), allorché si generano in qualche punto deformazioni ingenti per il superamento dei limiti di avvertimento o addirittura di quello elastico, le precompressioni tendono a concentrarsi intorno al punto minacciato per accrescere considerevolmente la sollecitazione che sarebbe necessaria a provocare la rottura, vale a dire per accrescere la resistenza del materiale in quel punto. Tale fenomeno, intuito dal Freyssinet stesso, trova una qualche analogia col comportamento delle strutture iperstatiche, nelle quali l'affacciarsi in un punto di deformazioni plastiche chiama a concorso la resistenza di parti più lontane, meno affaticate. L'analogia appare del tutto chiara e giustificata quando si pensi alla notevole diversità di ordine di grandezza tra le deformazioni elastiche e quelle, pressocché nulle, del precompresso, e tra le deformazioni plastiche e quelle elastiche.
I materiali // conglomerato L'accurata scelta dei materiali per la composizione del conglomerato è essenziale per le opere in c.a.p., in quanto non si può fare del precompresso con conglomerati scadenti o medi, avendosi elevati sforzi e dovendo ridurre al minimo le deformazioni lente. In Italia è richiesta una resistenza caratteristica minima a 28 giorni di stagionatura di 300 kg/cm2 ; bisogna dire però che normalmente si lavora con conglomerati aventi resistenza cubica aggirantesi sui 500 525 kg/cm 2 .
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Del resto nel precompresso i buoni conglomerati sono meglio utilizzati che non nel c.a., essendo le sezioni interamente reagenti in condizioni di esercizio. I criteri per ottenere un buon conglomerato sono naturalmente gli stessi già noti per le opere in c.a., e cioè: a) il cemento deve essere del tipo ad alta resistenza, con dosaggio intorno ai 400 450 kg/m 3 . Per tracciare le curve granulometriche, con le formule più moderne, occorre stabilire dall'inizio il quantitativo di cemento da impiegare, quantitativo d'altra parte che dipende dagli inerti a disposizione e dalle caratteristiche della struttura da gettare; b) gli inerti devono essere particolarmente curati e privi di sostanze nocive, con una percentuale di sabbia intorno al 25 35% (con scarso quantitativo di sabbia fina fra 0,1 e 0,4 mm) e con le dimensioni degli elementi maggiori preferibilmente non superiori ai 25 30 mm, sia perché le strutture sono in generale esili, sia per non avere segregazioni durante le vibrazioni. La massima dimensione dipende dall'interasse delle armature: detta e la distanza minima fra i cavi, tale dimensione non dovrebbe superare il valore di (0,9 x e), e comunque 1/4 della minore dimensione della struttura. La composizione granulometrica degli inerti deve comunque sempre soddisfare precise curve granulometriche ottimali, fra le quali la più nota ed usata è quella del Füller; c) l'acqua deve essere assolutamente priva di sostanze nocive e nella quantità minima compatibilmente con le esigenze del getto; d'altra parte si preferisce migliorare la lavorabilità con un energico costipamento anziché con un aumento d'acqua. La quantità dèlia stessa poi è legata anche al tipo di cassaforma: mentre le casseforme metalliche trattengono tutta l'acqua, quelle in legname ne assorbono e ne lasciano sfuggire fra le connessure. Mediamente si può dire che la quantità d'acqua deve essere compresa fra lo 0,38 e lo 0,42 in peso del cemento, inclusa l'acqua apportata dagli inerti; in nessun caso comunque deve superare lo 0,5 ; d) il costipamento, ottenuto con vibratori esterni applicati alle casseformi o con pervibratori introdotti nel getto (sono generalmente preferibili questi ultimi che consentono un costipamento migliore e più rapido, con possibilità di azione più energica in determinati punti ove il getto sia maggiormente ostacolato); e) il trattamento nel periodo di stagionatura susseguente al getto. La condizione ideale di sottoporre il c.l.s. ad una pioggia continua può ottenersi solo in stabilimento nella costruzione dei manufatti prefabbricati: in tale modo il ritiro viene ad essere praticamente annullato. Nei cantieri ci si deve limitare ad un frequente inaffiamento. In stabilimento si possono conseguire rapidi indurimenti con la stagionatura a caldo, facendo circolare una corrente di vapore intorno alle casseforme, che mantenga il getto a temperature intorno ai 60°, cosicché il ma-
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nufatto può essere sformato da 3 a 6 ore dopo eseguito il getto. Tale tempo può essere ulteriormente ridotto con temperature prossime ai 100°. E' importante però non sottoporre il conglomerato al trattamento a caldo immediatamente dopo il getto, attendendo, a seconda dei manufatti e del tenore di cemento, da mezz'ora ad un'ora. Con il trattamento a caldo è indispensabile la susseguente stagionatura in ambiente umido.
L'armatura metallica La prerogativa del c.a.p. è l'impiego di acciai duri ad elevata resistenza, detti anche "acciai armonici"; senza di essi non potrebbe farsi del c.a.p. ed a loro volta gli acciai ad alta resistenza non potrebbero essere utilizzati in pieno nel c.a. senza ricorrere alla tecnica della precompressione. Essi vengono prodotti per laminazione o trafila, e vengono classificati in base alla loro resistenza a trazione ed alla curva caratteristica carico-deformazione (Fig. 11.1). Le resistenze per piccoli diametri (min di 2 mm) possono superare notevolmente i 200 kg/mm 2 , mentre per gli acciai da 5 7 mm, impiegati per formare i cavi, le resistenze variano tra i 140 190 kg/mm 2 . Le resistenze decrescono quindi al crescere del diametro; purtuttavia si tende a passare ai fili da 9 mm onde ridurre il costo delle operazioni di tesatura. Con i ferri da 26 mm impiegati con alcuni sistemi di precompressione non sì superano i 100 kg/mm 2 . Per la sicurezza delle strutture si richiede che gli acFig. 11.1 ciai: a) siano completamente privi di difetti sia di origine che prodotti nel trasporto e nelle operazioni di tesatura; b) abbiano una durezza tale da non essere né fragili né duttili, il che risulta dai diagrammi carico-deformazione; c) che le differenze delle caratteristiche misurate in laboratorio, su più provini, siano minime, tali da garantire una ottima omogeneità di fornitura ; d) siano protetti dalla corrosione prima e dopo posti in opera.
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Il fenomeno della corrosione degli acciai costituisce la principale preoccupazione dei costruttori di opere ir. c.a.p., e cioè per un duplice motivo: il primo è la degradazione della resistenza dell'opera, conseguente alla riduzione di sezione dei fili; il secondo è il fenomeno della corrosione fessurante sotto tensione, che può portare alla rottura spontanea dei fili. Non si sono ancora trovati provvedimenti radicali per eliminare tali inconvenienti, per cui non resta che cercare di impedire l'ossidazione delle armature, prima e dopo il getto, con protezioni particolari, e limitare gli sforzi di trazione nel conglomerato a valori minimi, sì da escludere l'apparizione di fessure che costituirebbero vie di attacco degli agenti esterni. Gli acciai duri per c.a.p. vengono normalmente confezionati: a) in "trecce" di fili, o fili sagomati o ritorti (Fig. 11.2); in Italia sono molto diffuse le trecce a 2 o 3 fili di diametro da 1,5 a 2,5 mm, per la costruzione di solai e piccoli manufatti, ma si producono trecce fino a 7 fili (di cui uno al centro) che costituiscono dei veri cavetti impiegati nella costruzione di travi da ponte. Importante particolarità di tali trecce è l'altissima aderenza al getto.
Fig. 11.2
b) ormai superato è l'uso di acciaio in "cavi" o "trefoli", costituiti da fili di acciaio di diametro 0 5 o 0 7, in numero da 8 a 18 per ogni cavo, disposti (come indicato in Fig. 11.3) paralleli e perimetrali ad una spirale di
Fig. 11.3
tondino di acciaio di 1,5 mm di diametro per fili da 0 5 mm, e di 2 mm per fili da 7 mm, stirata in modo da ottenenere un passo di 3 cm per tratti diritti, ridotto fino ad 1 cm nei tratti curvi del cavo. Il diametro esterno della molla è variabile da 1,5 a 2,5 cm a seconda del diametro e numero dei fili, e questi sono tenuti insieme da rade legature in filo di ferro o meglio con nastro isolante.
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Criteri di calcolo Il calcolo delle strutture precompresse si basa sulla verifica della condizione che le tensioni massime siano inferiori a quelle ammissibili per il materiale, ma, mentre nelle costruzioni ordinarie in c.a. va preso in esame il solo caso dei massimi carichi agenti, per queste occorre esaminare tre distinte fasi: a) struttura scarica sotto precompressione iniziale; b) struttura scarica sotto precompressione permanente; c) struttura carica sotto precompressione permanente. In generale le tensioni nello stato a) superano quelle nello stato b) di circa il 15-25%, per cui sembrerebbe superflua la seconda verifica una volta effettuata la prima; ma in realtà per quest'ultima si ammettono tensioni superiori che per l'altra, trattandosi di una situazione temporanea e, a meno che non si oltrepassino i limiti di sicurezza, non più ripetibile. Per tali verifiche si determinano separatamente i sistemi di tensioni derivanti dalla sola precompressione e quelli derivanti dalle sole forze esterne (permanenti ed accidentali), per ricavarne poi, dalla sovrapposizione, il sistema relativo allo stato c), e, sempre considerando la sezione interamente reagente, nel presupposto che non si generino mai tensioni di trazione, o che queste siano di valore assai limitato e quindi largamente sopportabili dal calcestruzzo. E' dunque chiaro che i valori delle tensioni iniziali sono ben lungi dal poter essere mai raggiunti ove la costruzione non venga assoggettata a carichi maggiori di quelli massimi per i quali è stata calcolata. Perciò la stessa operazione iniziale di precompressione costituisce un vero e proprio collaudo severo della costruzione, effettuato prima ancora di sottoporla a qualsiasi regime di carichi ed a mezzo di sollecitazioni esattamente tarate e controllabili. Per fare un semplice esempio esplicativo consideriamo una trave semplicemente appoggiata a sezione costante e destinata ad esser sottoposta a carico uniformemente distribuito. In questo caso l'armatura metallica di precompressione della trave non è rettilinea ma ha un andamento curvilineo che passa per i baricentri delle sezioni estreme e per il limite inferiore del nocciolo d'inerzia della sezione mediana (vedremo che questa non è sempre la posizione più conveniente). Quello indicato è un cavo ideale ed è detto "cavo risultante" in quanto in pratica esisteranno più cavi di acciaio armonico (Fig. 11.4a) i cui effetti si sommano nel cavo risultante. Applichiamo ora, un tiro A' sull'armatura, a cui corrisponde una reazione —N sulla trave —. Il cavo risultante non essendo rettilineo e centrato, dà luogo, in ogni sezione della trave in calcestruzzo, a: 1) una precompressione assiale —N/Ac ; 2) una preflessione N. e/W, essendo e l'eccentricità del cavo risul-
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tante nella sezione considerata. La sovrapposizione di queste precompressioni da per risultante il diagramma triangolare complessivo delle tensioni di precompressione. Nella sezione di mezzana questo diagramma risultante è triangolare come indicato nella Fig. 11.4b, con valore massimo
Cioè la trave precompressa e scarica da ogni peso risulta tutta compressa con valore massimo di nella sezione centrale. Nelle altre sezioni della trave il diagramma è trapezoidale ed in quelle di estremità è rettangolare, in quanto, in tali estremità, la eccentricità è nulla. La trave, cosi sollecitata per la tesatura del cavo risultante, assume un accorciamento elastico ed una curvatura per flessione con andamento contrario alla curvatura che ingenererà l'imposizione dei carichi (Fig. 11.4b). Si pensi adesso la trave posta in opera e gravata da carico uniformemente distribuito, incluso il peso proprio (Fig. 11.4c) di intensità tale che le tensioni marginali della sezione di mezzana siano eguali in valore assoluto alla sollecitazione massima del diagramma di precompressione. Siamo cioè eguali
Sovrapponendo gli effetti della precompressione a quelli del carico massimo, si ha che la sezione del calcestruzzo risulta tutta soggetta a compres-
Fig. ll;4a,b,c
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sione con diagramma triangolare avente come massimo un = - 2 N/Ac. In altre parole, passando dallo stato di sola precompressione che si può dire "a vuoto" a quella di carico massimo, ossia "a pieno" la tensione massima si trasferisce dal lembo inferiore a quello superiore della sezione. Ciò evidentemente corrisponde ad una traslazione della risultante —N dal punto di nocciolo inferiore a quello superiore, e, se chiamiamo e la distanza tra questi due punti, il corrispondente "momento utile" della sezione risulta: Mu
=N'e
La trave in conglomerato, per effetto della precompressione, si muta quindi in una uguale trave di materiale omogeneo, con lo stesso carico di sicurezza a trazione e compressione. Qualora poi il cavo risultante venga fatto passare, nella sezione di mezzeria, non nel punto di nocciolo inferiore, bensì più in basso, evidentemente il momento che può essere sopportato dalla sezione è ancora maggiore. Supponiamo quindi di separare, nel momento flettente M, la parte Mp dovuta al carico permanente da quella Ms dovuta al sovraccarico accidentale, e componiamo lo sforzo —N di precompressione con il momento —Mp, cioè spostiamo lo sforzo —N verso il bordo teso dai momenti flettenti, di una quantità e' = Mp/N Avremo allora il diagramma triangolare b) del caso precedente, non più per la sola precompressione, ma per questa combinata col carico permanente della struttura, senza aver nulla variato all'armatura metallica e dello sforzo ad essa impresso, salvo la sua posizione (Fig. 11.5). Resterà perciò disponibile per i sovraccarichi accidentali l'intero momento M del caso precedente anziché un momento ridotto Ms = M—Mp, come allora si aveva. Si può dunque, con tale accorgimento, compensare il carico permanente della struttura in modo del tutto gratuito, naturalmente sino a quando
Fig. 11.5 - a) precompressione; b) carico permanente; c) precompressione + carico permanente; d) carico accidentale; e) precompressione + carichi.
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questo non superi i sovraccarichi accidentali, nel qual caso la compensazione gratuita potrebbe avvenire solo parzialmente.
Regolamentazioni legislative Le costruzioni in cemento armato precompresso hanno avuto una prima regolamentazione con la Circolare Ministeriale n. 2323 del 2/8/1955, aggiornata con la Circolare n. 494 del 7/3/1960 del Consiglio Superiore del Ministero dei LL.PP., ed infine con la Circolare n. 1398 del 23/1/1965 dello stesso Ministero, ed infine con la legge 1086 del 15/11/1971 e D.M. 30/5/1972 - 30/5/1974 - 16/6/1976 - 26/3/1980 - 1/4/1983.
Cause e valutazioni delle cadute di tensione La somma degli accorciamenti (elastico, di ritiro e di fluimento) del calcestruzzo da una parte, e gli allungamenti viscosi dell'armatura pretesa dall'altra, portano ad una diminuzione inevitabile degli sforzi di precompressione, i quali si adeguano alle nuove lunghezze dei due elementi, dando luogo al cosiddetto fenomeno di "deformazione differita'". Da ciò si comprende come l'uso del precompresso richieda, come condizioni assolutamente indispensabili, l'impiego di un ottimo calcestruzzo ad elevata resistenza e di acciai ad altissimo limite elastico, come già si è detto.
Sistemi di precompressione Vari sono i procedimenti mediante i quali può esercitarsi la precompressione nelle strutture. In particolare accenneremo ai due sistemi principali, e cioè: — sistema ad armatura "pre-tesa" od "ad aderenza": esso consiste nel sottoporre a sforzo di trazione dei sottilissimi fili di acciaio (trecce) di altissima resistenza, prima del getto della struttura, ed annegarli, mentre sono mantenuti in tensione, nel getto di calcestruzzo. A stagionatura avvenuta si liberano i fili dall'apparecchio di trazione, per modo che, nella loro tendenza ad accorciarsi, ed a dilatarsi trasversalmente, si ancorano automaticamente, per effetto dell'aderenza, al calcestruzzo, cui trasmettono una sollecitazione di compressione sino a stabilire un perfetto equilibrio tra questa ed il loro sforzo di trazione. Questo procedimento richiede apparecchiature complesse per la messa in tensione dei fili, ed è particolarmente usato negli stabilimenti di prefabbricazione, dato anche che comporta la necessità di costruire travi esclusivamente rettilinee; si possono in tal modo fabbricare travi di grande lunghezze (es.
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travetti di solaio), dalle quali è possibile tagliare successivamente elementi diversi delle lunghezze volute, atti a conservare il loro stato di precompressione in virtù dell'aderenza; — sistema ad armatura "post-tesa" o "a cavi scorrevoli": in esso si applica la precompressione generalmente a strutture in opera o a piè d'opera, dopo che il calcestruzzo abbia già effettuata la sua presa e, con un conveniente periodo di maturazione (intorno ai 14 giorni) e quando una buona parte del ritiro si è già esaurita. Esso consiste nella formazione e nella posa in opera, entro casseforme formanti la sagoma della struttura desiderata, dei cavi, costituiti da trefoli posti entro dei tubi di lamierino di 2/10 di mm di spessore e di diametro leggermente superiore al trefolo (le guaine metalliche danno il minore attrito al tiro e consentono di ottenere in seguito una buona aderenza con le iniezioni cementizie), si procede quindi al getto del conglomerato e, ad indurimento avvenuto, alla messa in tensione delle armature per mezzo di martinetti idraulici (appositamente costruiti ed abbastanza facilmente maneggevoli) ed all'ancoraggio al calcestruzzo delle armature così tese mediante piastre o con dispositivi di bloccaggio di tipi vari, basati per la maggior parte sull'azione di speciali elementi conici o cuneiformi (Fig. 11.6). Si può quindi procedere ad una eventuale ripresa successiva del tiro (compensando quindi in parte la caduta di tensione dovuta alla deformazione differita) ed infine all'iniezione nei cavi, previa pulizia degli stessi (facendo passare dell'aria compressa), di pasta cementizia (nelle proporzioni in peso acqua: cemento 1:2) ovvero malta cementizia, composta all'incirca nelle proporzioni in volume di 3/4 di cemento ed 1/4 di farina finissima di sabbia od anche di bentonite.
Fig. 11.6 - Elementi di testata per il sistema di precompressione ad armatura post-tesa.
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Le guaine possono essere anche in plastica, di tipo flessibile; comunque, tali da assicurare che i cavi non subiscano spostamenti per la vibrazione del getto. Le guaine si collegano a staffe di diametro non troppo piccolo (generalmente non inferiore a 8 mm) sia pure fortemente distanziate, e, specialmente con nervature esili, si assicura la loro giusta posizione anche trasversalmente, ad evitare che all'atto del tiro si producano spostamenti laterali. Con tale sistema è anche possibile formare strutture di tipo complesso mediante elementi separati, prefabbricati e lasciati stagionare a lungo, che vengono tenuti insieme ed obbligati ad una stretta collaborazione dalla stessa precompressione, alla quale si provvede con cavi di acciaio che, all'atto del montaggio, si allogano in appositi fori predisposti in tali elementi, per essere poi messi in tensione. Precisiamo infine che nelle strutture precompresse in generale, oltre all'armatura di precompressione, esiste sempre, oltre alla gabbia di confezionamento, anche un'armatura secondaria aggiunta (in acciaio ad aderenza migliorata con kf = 2200 kg/cm 2 ) per assorbire eventuali sforzi preponderanti di trazione, flessione e taglio.
Pregi del conglomerato precompresso Appare evidente che il conglomerato precompresso presenta caratteristiche meccaniche talmente diverse da quelle del cemento armato da avere con questo solo una lontana affinità. Le strutture precompresse presentano molteplici vantaggi, e precisamente: — eliminazione o riduzione a valori ammissibili degli sforzi di trazione nel conglomerato prodotto dai carichi esterni; ciò si traduce in una quasi assoluta mancanza di fessurazioni al lembo teso ; — riduzione da 1/5 a 1/10 delle tensioni principali dovute al taglio, ed eventuale annullamento di queste mediante tensione preventiva applicata alle staffe ; — a parità di ogni altra condizione, riduzione dell'altezza delle travi inflesse a quasi meno della metà rispetto al cemento armato; — risparmio del conglomerato dell'ordine dal 20 al 50%, e quindi ulteriore beneficio per la riduzione del carico permanente; — risparmio di metallo derivante dalla possibilità di impiegare acciai ad elevata resistenza, economia che può giungere fino all'80% in peso; — ottimo comportamento alle sollecitazioni alternate, non avendosi inversione nel segno degli sforzi nel conglomerato, ed essendo minime le oscillazioni della tensione nelle armature al variare del carico esterno; — riduzione della freccia nei sistemi inflessi, a parità di sezione, e ciò in dipendenza dell'aumentato valore di Ec ; — collaudo preventivo dei materiali, in quanto, al momento della mes-
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sa in tiro, essi vengono sottoposti alle massime tensioni; in particolare le armature, a causa delle cadute lente di tensione, non verranno mai sollecitate in esercizio oltre la tensione di tiro (questo vantaggio si perde in parte con il sistema della post-tensione); — possibilità di impiego di elementi prefabbricati, conseguendo la solidarietà della struttura mediante cavi di collegamento, solidarietà che invece si perde nella struttura ad elementi prefabbricati in c.a.; — effettivi pregi estetici per l'esilità delle strutture in c.a.p.. A svantaggio delle strutture precompresse vanno le difficoltà insite nella tecnica stessa della precompressione, che richiede attrezzature particolari e manodopera specializzata, elementi entrambi particolarmente onerosi.
Bibliografia BETON KALENDER, vol. 3, Bologna, 1968. G. BORAGA, B. BONI, Riccardo Morandi, Milano, 1962. C. CESTELLI GUIDL Cemento armato precompresso, Milano, 1960. A. PETRIGNANI. Tecnologie dell'architettura, Milano, 1967.
CAPITOLO DODICESIMO
LE FONDAZIONI
Le fondazioni sono quelle strutture che trasmettono e diffondono nel terreno il peso dell'edificio e rendono solidale l'edificio col terreno. Tipo, forma e dimensione delle fondazioni sono in diretta correlazione al terreno sul quale si posano ed al tipo della costruzione che hanno da sostenere. La fondazione deve essere tale da peter sopportare tutti i carichi del fabbricato, trasmettendoli al terreno in modo conforme alla sua natura ed organicamente in rapporto al sistema costruttivo. In particolare deve assicurare che nel tempo sia evitato ogni "cedimento o scorrimento differenziato" tra le varie parti della costruzione, in conseguenza di azioni esterne prevedibili (neve, vento, ecc.) e per cause di corrosioni di acque superficiali o profonde, vibrazioni, prosciugamenti, abbassamenti della falda acquifera, ecc.. Nelle opere di fondazione dicesi "piano di fondazione" il piano di appoggio sul terreno; chiamasi "spiccato del fabbricato" il tracciato delle sue strutture nel piano finale o superiore delle opere di fondazione. Nella progettazione delle opere di fondazione, la relazione che esprime la condizione di equilibrio per la stabilità della fondazione stessa, è
ove il termine N/A rappresenta l'effetto del carico verticale ed il termine M/W l'effetto del momento flettente dovuto alle azioni orizzontali (vento, dilatazioni termiche e ritiro, azioni sismiche, ecc.) ed alle eventuali eccentricità dei carichi; esprime il carico ammissibile sul terreno, N la sommatoria di tutti i carichi (permanenti ed accidentali) trasmessi dalle strutture e gravanti sulla fondazione, A l'area della fondazione (ed in particolare l'area della proiezione dell'opera di fondazione sul piano di fondazione), M il momento flettente dovuto ai carichi orizzontali ed agente sulla sezione più sopra definita, W il modulo di resistenza della sezione stessa. Nel computo dei carichi gravanti si deve tener conto sia del peso proprio della costruzione (pavimenti, sottofondi, solai, tramezzature interne, manti di copertura, intonaci, murature di tamponamento, murature e strutture portanti), che costituisce il cosiddetto "carico permanente", sia di tutti i "carichi accidentali", derivanti da fattori atmosferici (neve e vento), dal-
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l'uso specifico cui è destinata la costruzione, e talvolta dalle località ove sorge la costruzione (come per le zone sismiche). I valori medi dei carichi accidentali su menzionati sono riportati nella Tabella 2.1 del Capitolo 2, e più diffusamente specificati nel D.M. 3 ottobre 1978 (G.U. 15 novembre 1978, n. 319) Criteri generali per la verifica della sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi. Si passa allo studio della fondazione allorché, ultimato il progetto dell'edificio, di questo si possono conoscere i carichi trasmessi. In alcuni casi tuttavia, cioè in presenza di terreni particolarmente sfavorevoli, è necessario già in fase di progetto dell'edificio tener conto delle possibilità di fondazione, evitando, nei limiti delle necessità funzionali, di dare carattere estensivo per esempio a tutte quelle strutture che, di limitata utilità, possano richiedere opere di fondazione di notevole costo. Conosciuti i carichi trasmessi dall'edificio è essenziale, per poter stabilire le opere di fondazione occorrenti, conoscere la natura del terreno di fondazione, con un attento esame dello, stesso. Un primo criterio di larga massima sulla qualità del terreno potrà aversi assumendo informazioni nella zona e sui fabbricati attigui, sul tipo di fondazioni adottate e sui risultati avuti. Però i terreni possono variare fortemente anche in punti relativamente vicini e, pertanto, è sempre necessario, sull'area interessata dal fabbricato, eseguire degli assaggi diretti. Con D.M. 21 gennaio 1981 (Supplem. Ord. G.U. del 7/2/1981 n. 37) e con successiva Circolare del Ministero dei LL.PP. del 3/6/1981 n. 21597, sono state impartite precise norme obbligatorie per i lavori pubblici e privati riguardanti le indagini su terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le prescrizioni per la progettazione, l'esecuzione ed il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione. Lo scopo di queste norme è quello di prescrivere che ogni scelta progettuale dei muri di sostegno e delle fondazioni sia sempre basata su una precisa ed affinata conoscenza del terreno dal punto di vista geologico e geotecnico, che siano sempre previste verifiche di stabilità del terreno su dati certi e che si debba sempre tener conto dei prevedibili spostamenti (verticali od orizzontali) dell'insieme opera-terreno. A garanzia di questa impostazione programmatica, il paragrafo A.3 del D.M. 21 gennaio 1981 vuole che i risultati delle indagini sui terreni e dei calcoli geotecnici costituiscano parte integrante degli elaborati progettuali.
Classifica e resistenza dei terreni Una prima generica suddivisione dei terreni è la seguente: - terreni buoni, con carico minimo ammissibile 2 kg/cm 2 ,
219 - terreni mediocri, con carico minimo ammissibile fra 1,2 e 2 kg/cm 2 , - terreni cattivi, con carico minimo ammissibile minore di 1,2 kg/cm 2 . I terreni del primo gruppo vanno dalla roccia compatta e di notevole spessore (e non presentante piani di scorrimento, quindi non soggetta a scorrimenti o slittamenti), ai terreni ghiaiosi e sabbiosi, per i quali però è necessario uno studio particolare della falda freatica. Al secondo gruppo appartengono le rocce attaccabili dall'acqua e sfaldabili, assieme a tutti i terreni (di natura argillosa) alterabili da agenti atmosferici o da falde sotterranee. Fanno parte del terzo gruppo infine i terreni fangosi, torbosi, percorsi da acque e presentanti stratificazioni di materie organiche. Particolare cura è richiesta, per quest'ultimo tipo di terreni, nelle opere di fondazione, nelle quali è buona norma non lavorare mai al limite del carico ammissibile. Per un primo orientamento, possiamo assegnare i seguenti carichi ammissibili sui terreni: roccia compatta ghiaia compatta sabbia grossa compatta sabbia fine argilla compatta argilla sabbiosa terreno solido plastico terreno molle plastico
7 4 4 2 1,4 1
20 7 7 4 2 1,5 0,8 0,4
kg/cm2 kg/cm 2 kg/cm 2 kg/cm2 kg/cm2 kg/cm2 kg/cm2 kg/cm 2
Tali valori valgono nella ipotesi che il sottosuolo sia omogeneo per una certa profondità (circa 2 3 volte la larghezza delle fondazioni) od almeno che sotto gli strati superficiali non si trovino strati di minore resistenza, nel qual caso il carico ammissibile va riferito alla capacità portante di questi strati, tenuto naturalmente conto della ripartizione dei carichi.
Esami del terreno Data l'importanza che assume la resistenza del terreno, prima di procedere all'esecuzione di qualsiasi opera di fondazione, è di fondamentale importanza procedere ad un accurato esame del terreno stesso. Per costruzioni di modesta mole, di due o tre piani al massimo, normalmente è sufficiente operare uno scavo in trincea (Fig. 12.1) sagomato a gradoni, e portato fino ad una profondità di 2 3 m circa, in modo da poter rilevare direttamente sia la stratigrafia del terreno, sia il livello della falda freatica (qualora sia possibile, si manterrà il piano di fondazione sempre al di sopra di tale livello, per evitare di dovei- eseguire scavi e getti in presenza d'acqua), e sia la quota più appropriata a. cui impostare il piano di fonda-
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zione (che normalmente, per fondazioni in superficie, si pone a circa 1 metri sotto il piano campagna).
Fig. 12.1
Quando si tratta di costruzioni più importanti, si ricorre a sondaggi più rigorosi, che consentano il prelievo di campioni di terreno veri e propri, fino a profondità anche di 20 30 metri. Detti campioni vengono prelevati mediante "perforazione" del terreno a mezzo di particolari trivelle o sonde a valvola, capaci di perforare il terreno e di asportarlo con campioni indisturbati (Fig. 12.2). Dopo un primo esame compiuto all'atto del prelievo, i campioni, accuratamente rinchiusi e conservati in vasi di plastica o di vetro per non alterarne la percentuale di umidità, debbono essere raccolti e classificati per i successivi studi e controlli; si ottiene così la "stratigrafia" del terreno (Fig. 12.3). Con apparecchiature speciali, si può fare diretta-
Fig. 12.2
1,5
221
Fig. 12.3 - Stratigrafia di un terreno.
mente l'analisi delle resistenze del terreno alle varie profondità. Sono queste i "penetrometri", apparecchi costituiti essenzialmente da due cilindri coassiali, di caratteristiche note (superficie di punta, normalmente di 10 cm 2 , e diametro esterno), che vengono spinti alternativamente in profondità da un'apparecchiatura idraulica che a mezzo di due manometri permette il rilevamento della pressione di punta e totale; ciò permette di registrare su appositi grafici (Fig. 12.4) la resistenza di punta, la resistenza totale per attrito
222
Fig. 12.4
laterale (risultante della differenza fra le prime due) incontrate dall'apparecchio alle varie profondità. Le prove penetrometriche sono particolarmente utili in special modo
223 quando si prevedono fondazioni su pali, poiché dai risultati di dette prove si può facilmente dedurre una portata presunta per i pali. Indagini stratigrafiche inadeguate (o perché eseguite in numero insufficiente o perché non spinte fino alle necessarie profondità) possono riservare spiacevoli sorprese e portare a cedimenti differenziati, con pericolo quindi di lesioni, quando non si arriva al crollo vero e proprio.
Prove di carico Si può procedere ad una diretta misura della resistenza del terreno mediante prove di carico effettuate sul piano di fondazione, caricando il terreno oltre i limiti di validità della legge di Hooke. Ciò limitatamente a quei terreni che si mantengono omogenei per una sufficiente profondità e che si suppone non debbano subire modifiche del loro stato fisico. In sostanza la prova si esegue appoggiando sul terreno in esame un tavolo avente le gambe poggianti su quattro piedi di superficie nota (normalmente cm 15x15 o 20x 20), sul quale viene applicato un carico di cui si conosce l'entità e che possa essere incrementato ad intervalli di tempo; i cedimenti del tavolo sotto il carico vengono rilevati a mezzo di quattro flessimetri posti sui quattro lati del tavolo stesso (Fig. 12.5).
Fig. 12.5
Se si riportano come ordinate di un diagramma (Fig. 12.6) i cedimenti rilevati (in particolare il valore medio delle quattro letture effettuate ai flessimetri) e come ascisse i carichi corrispondenti, possiamo osservare che l'incremento del cedimento è pressocché proporzionale a quello del carico, fino a che non si raggiunge il valore critico pc, oltre il quale le deformazioni del terreno aumentano bruscamente. Si potrebbe pensare quindi, detto n il grado di sicurezza richiesto, di poter affidare al terreno un carico ammissibile
224
Questo procedimento di indagine non dà risultati probanti, dato che la superficie di prova è notevolmente diversa da quella effettiva di fondazione, con la conseguenza che i cedimenti, a parità di carico unitario, risultano notevolmente differenti. A tale proposito si trova citato l'esempio di un edificio costruito a San Francisco: mentre la prova di carico dette circa 2 mm di cedimento, la costruzione subì, per lo stesso carico unitario, un cedimento di 50 mm, ossia ben 25 volte maggiore. E' pertanto necessario conoscere quali relazioni passino tra i cedimenti di superficie di area diversa a parità di carico. Secondo le esperienze di Kògler, Scheidig ed altri, risulta che, a parità di carico unitario sul terreno, al crescere delle dimensioni della superficie di base, i corrispondenti cedimenti, che per aree piccolissime sono assai forti, da principio diminuiscono fino a raggiungere un minimo e poi riprendono a crescere quasi proporzionalmente alla radice quadrata dell'area della superficie (Fig. 12.7). In particolare una superficie di carico su un terreno cede per due cause: per la compressibilità stessa del terreno e per il rifluire parziale della terra dalla zona sottostante alla fondazione verso quella periferica. Per chiarire meglio tale concetto, è opportuno vedere come avviene la diffusioFig. 12.7 ne di un carico sul terreno. Le esperienze più interessanti sono quelle del Kògler e dello Scheidig, eseguite su strati di sabbia con piastre circolari rigide, esperienze che hanno posto in evidenza la buona concordanza fra i risultati sperimentali e quelli teorici che si possono dedurre con il calcolo. Se si costruiscono le "isostatiche" (superfici di uguale pressione), si osserva che il terreno sottostante il corpo di carico può essere distinto in tre zone (Fig. 12.8): una zona laterale inerte prossima alla superficie del terreno,
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che rimane indifferente alla presenza del carico ; una seconda zona in cui il terreno viene ad essere pochissimo sollecitato; ed infine il bulbo di pressione. E' evidente quindi che, mentre un carico di prova con superficie ristretta produce un campo di tensione che interessa in modo sensibile solo strati di terreno superficiale, registrando quindi solo i cedimenti dovuti alla compressibilità di questo, la fondazione di area ben maggiore influenzerà gli strati profondi, subendo cedimenti che saranno funzione della compressibilità di tali strati. Pertanto, se un terreno anziché essere omogeneo, è stratificato, non è possibile dedurre alcuna conclusione esatta circa il comportamento di una fondazione dai soli dati delle Fig. 12.8 prove di carico eseguite su superfici di dimensioni diverse da quelle della fondazione stessa. Osservando i risultati di prove di carico eseguite, a parità di tutte le altre condizioni, a quote diverse, si può notare che i cedimenti decrescono dapprima assai rapidamente e poi in misura sempre minore con il crescere della profondità. Ciò dimostra che il rifluimento non si manifesta in modo apprezzabile oltre una certa profondità. Poiché il rifluimento è la causa principale dei cedimenti di fondazioni di piccola superficie (mentre i cedimenti di una costruzione fondata su larga base sono dovuti quasi esclusivamente alla compressibilità del terreno) ed essendo i cedimenti poco variabili in relazione alla profondità di posa, ne consegue che per la loro previsione sono sufficienti prove anche con piccole superfici, eseguite però ad una profondità tale che il rifluimento venga impedito. Dall'esame dei risultati delle prove di carico (Fig. 12.6), si è visto che ad una prima fase di equilibrio elastico con proporzionalità tra carico e cedimento, subentra, con un passaggio abbastanza netto, una seconda fase, nella quale i cedimenti crescono molto più rapidamente del carico. Il valore della pressione corrispondente al punto di passaggio definisce "// carico critico o di snervamento'". In questa seconda fase si producono rifluimenti delle particelle di terra in quelle zone che subiscono deformazioni plastiche, il che permette nuove condizioni di equilibrio, che si definisce "elastoplastico". Incrementando ulteriormente il carico, si perviene ad una terza fase, con veri slittamenti di masse terrose su superfici lungo le quali la resistenza
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al taglio non è sufficiente a mantenere l'equilibrio, slittamenti che possono anche provocare lo slittamento del corpo di carico. La pressione corrispondente all'inizio di questa terza fase si definisce "carico limite o di rottura". A seconda della natura dei terreni, questa terza fase può avere un rapidissimo decorso fino allo sprofondamento, subito dopo sorpassato il carico di rottura, o a volte può prolungarsi, come nei terreni argillosi, per un tempo considerevolmente lungo.
Diagrammi di carico Per diagramma di carico si intende il diagramma delle pressioni effettive trasmesse al terreno delle fondazioni. Diversi fattori influiscono nella sua forma, e principalmente le dimensioni della superficie di appoggio della fondazione, la sua profondità di posa ed il rapporto fra le costanti elastiche del terreno e quelle delle strutture. Seguendo criteri semplificativi sufficienti in molti casi della pratica, il Kògler raggruppa i diversi casi in tre caratteristici, adottando per essi diagrammi di forma geometrica semplice, e cioè rettangolare, parabolica e triangolare (Fig. 12.9a,b,c).
Fig. 12.9a,b,c
Con terreni "incoerenti" (quali sono per esempio tutti i terreni sabbiosi), con fondazioni superficiali molto rigide ed estese si può adottare la forma rettangolare, con superfici di dimensioni medie la forma parabolica, con superfici di dimensioni ridotte la forma triangolare. Quando la fondazione è profonda il rifluimento ai bordi viene quasi totalmente impedito anche in terreni incoerenti, e se essa è sufficientemente rigida può adottarsi la ripartizione rettangolare, indipendentemente dalle dimensioni della fondazione stessa. Con i terreni "coerenti" (quali i terreni rocciosi o di argilla sabbiosa molto compatta) il rifluimento è minimo, e si può adottare un diagramma rettangolare anche con superfici medie e piccole. Se però il terreno, pur essendo coerente, è anche plastico, (come le argille non consolidate), converrà adottare per le superfici medie e piccole il diagramma parabolico. L'eia-
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sticità della fondazione, per carichi su di essa uniformemente ripartiti, ha per effetto la diminuzione della differenza tra le pressioni al centro e quelle ai lembi; per le fondazioni deformabili quindi, nel caso di terreni coerenti è sempre accettabile un diagramma di carico rettangolare, nel caso di terreni incoerenti quello rettangolare per superfici grandi e medie, e quello parabolico per superfici piccole, specialmente se superficiali. Cedimenti Abbiamo già detto che il cedimento di una fondazione è dato da due componenti principali: quella dovuta al costipamento del terreno sotto il carico, e quella dovuta al rifluimento laterale. Quest'ultima si verifica principalmente quando il piano delle fondazioni è all'altezza del terreno di riporto; per evitarla, o comunque ridurla al minimo, basterà quindi approfondire congruamente il piano di posa nel terreno di fondazione, compatibilmente con i maggiori oneri di scavo e di riempimento. Particolarmente pericolosi, per ogni tipo di struttura, sono i "cedimenti differenziati"', cioè cedimenti disuguali nei vari punti della stessa struttura; essi comportano sollecitazioni secondarie nella struttura non indifferenti, e talvolta persino talmente grandi da provocarne il crollo. Ad evitare tale tipo di cedimenti è necessario: — conoscere esattamente il terreno di fondazione per tutta l'estensione interessata; — scaricare sul terreno un carico sempre uniforme e costante, se costanti sono le caratteristiche del ferreno di fondazione, o comunque sempre proporzionale a tali caratteristiche; — prevedere, sin dall'impostazione del calcolo della struttura e delle fondazioni, di poter assorbire cedimenti differenziati sino ad un dato valore.
FIG.
12.10
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Se analizziamo il cedimento di un fabbricato nel tempo, si ricava il diagramma di Fig. 12.10, ove X segna il momento in cui si raggiunge il massimo carico, cioè praticamente quando la costruzione è terminata. In particolare osserviamo che se il terreno di fondazione è buono, dopo un certo tempo non si hanno praticamente più cedimenti; se il terreno è mediocre, il cedimento si protrae, anche minimamente, per molto tempo; se infine il terreno è cattivo, non si ha praticamente mai l'arresto del cedimento.
Le fondazioni Le fasi di progettazione di una fondazione possono riassumersi come appresso : 1 ) prelievo dei campioni dal sottosuolo e loro analisi sperimentale (da eseguirsi eventualmente in appositi laboratori) per determinarne le caratteristiche fisiche e meccaniche. Eventuali prove di carico in sito; 2) scelta del sistema di fondazione e suo dimensionamento di massima; 3) ricerca dello stato di sollecitazione del sottosuolo, ossia analisi della distribuzione in esso delle tensioni generali dovute al peso del terreno (prima e dopo eseguiti i lavori) e ai carichi applicati; 4) verifica della stabilità dell'opera in relazione alle sue esigenze, alle caratteristiche del terreno ed alla variazione di sollecitazione provocata nel sottosuolo ; 5) previsione degli assestamenti degli strati e quindi dei cedimenti della costruzione appoggiata su di essi. I fattori determinanti nella scelta di un tipo particolare di fondazione dipendono esclusivamente dal modo di scaricarsi di una struttura (per esempio, su murature continue o su pilastri isolati) e dalla reazione che il terreno offre, alle varie profondità, alla sollecitazione cui viene sottoposto. In base ai suddetti fattori, si possono dividere le fondazioni in tre tipi particolari, e più precisamente: — fondazioni in superficie o diretta, — fondazioni in profondità o indirette, — fondazioni speciali.
Fondazioni in superficie Col termine di fondazioni "superficiali o dirette" si intendono quelle il cui piano di posa non supera i 2 3 metri sotto il livello del piano di sbancamento.
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Se ne stabiliscono le dimensioni in modo che le pressioni al piano di appoggio siano accettabili in relazione alla natura del terreno, in modo cioè che il valore
sia inferiore al carico ammissibile sul terreno stesso, e che i cedimenti, tenuto conto dei sottostanti strati cedevoli, siano compatibili con le esigenze della costruzione. E' bene ricordare che le fondazioni superficiali devono rispondere a due principali requisiti. Devono essere: a) assolutamente rigide così da non esser deformate dalla spinta verticale, dal basso verso l'alto, delle terre e poter trasmettere al terreno i carichi dell'edificio, in modo uniforme; b) baricentriche. La risultante dei carichi trasmessi dall'edificio deve coincidere con il baricentro geometrico della fondazione per evitare la formazione di momenti interni che si verrebbero a creare tra la risultante dei carichi e la risultante delle reazioni del terreno. Le fondazioni superficiali si possono suddividere in: — lineari o continue, — a plinti, — a trave rovescia, — a platea.
Fondazioni lineari o continue Sono le più indicate per le costruzioni a struttura muraria portante, in cui quindi il peso dell'edificio viene scaricato in modo uniforme su una superficie lineare continua. Esse sono state realizzate in muratura (sistema peraltro attualmente abbandonato). Oggi si eseguono in calcestruzzo semplice o armato, e possono avere una delle forme indicate in Fig. 12.11.
Fig. 12.11
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Nel caso di fondazioni in c.a., Tannatura longitudinale serve unicamente per creare un collegamento continuo, per evitare cedimenti differenziati o per superare brevi tratti superiormente scarichi (per es. in corrispondenza degli accessi carrai). L'armatura trasversale può essere omessa generalmente per le sezioni tipo 11a, 11b fino a che il valore della risega b non superi il valore 2/3 h; oltre tale limite, e per sezioni tipo 11e (per le quali, ove possibile, è preferibile adottare una pendenza della scarpa intorno ai 30°, pari all'angolo di attrito medio del calcestruzzo), normalmente è sempre necessaria un'armatura trasversale resistente posta in basso; il calcolo di quest'ultima avverrà considerando la fondazione come una mensola rovescia, di lunghezza s, sottoposta alla reazione del terreno.
Fondazioni a plinti In un edificio a gabbia, tutti i carichi scaricantesi sul terreno sono concentrati in determinati punti (pilastri); allora, se la resistenza del terreno lo consente, la struttura di fondazione può essere limitata ai soli punti di appoggio dei pilastri. Si viene così ad ottenere una fondazione discontinua formata da elementi d'appoggio detti "plinti", di forma tronco-piramidale come in Fig. 12.12 (allargamento della sezione dei pilastri). Generalmente, ove sia possibile per le caratteristiche del terreno e compatibilmente con le esigenze economiche, si preferisce fare il plinto piuttosto alto, sia per ridurne le sollecitazioni, sia per garantire al pilastro un certo grado di incastro al piede, e sia infine per conferirgli una rigidità sufficiente, che permetta di poter fare assegnamento su una ripartizione uniforme della reazione del suolo. Pur ammettendo quanto sopra, il calcolo di un plinto si presenta alquanto difficile ed incerto. Generalmente, supposto che Fig. 12.12
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il carico P si diffonda uniformemente attraverso il plinto stesso, così da dare un carico sul terreno di fondazione uniformemente ripartito visti i simboli in Fig. 12.12, l'armatura alla base del plinto (ferri incrociati nelle due direzioni) si calcola in prima approssimazione, considerando la sezione trapezia r-r soggetta al momento flettente totale
La sezione trapezia ad armatura semplice tesa Ff inferiore si può per semplicità sostituire con una rettangolare di larghezza b0 = b + 0,35 H, e di altezza H.
Fondazioni a trave rovescia Se, in una struttura di fondazione a plinti, la resistenza del terreno è tale che alcuni plinti dovessero interferire l'un l'altro o se il terreno non è omogeneo, si ricorrerà ad una fondazione a trave rovescia (Fig. 12.13), così detta perché il suo compito è esattamente l'opposto di quello di una normale trave di solaio (anziché concentrare sui pilastri il carico ripartito dei solai, ripartisce sul terreno il carico concentrato dei pilastri).
Fig. 12.13
Il suo calcolo avviene come per una normale trave su due o più appoggi, tenendo presente però che il carico uniforme gravante è di segno negativo (reazione del terreno verso l'alto) per cui il diagramma dei momenti risulterà rovesciato.
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In particolar modo poi bisognerà fare attenzione che il baricentro della fondazione a trave rovescia, coincida con la risultante dei carichi trasmessi dai pilastri, ovverossia che i valori delle reazioni della trave rovescia sui pilastri uguaglino i valori dei carichi sui pilastri stessi.
Fondazioni a platea Se la resistenza del terreno è molto bassa e i carichi sono rilevanti, può darsi che occorra per la fondazione una superficie di appoggio talmente vasta da comprendere tutta l'area coperta del fabbricato. Si giunge così alla fondazione generale a platea (si possono avere anche fondazioni a platee parziali, di cui risulta chiaro il significato). In una fondazione a platea occorre siano soddisfatte la seguenti condizioni: — il terreno deve essere omogeneo; si rischia altrimenti una vera e propria rottura della platea nella zona di variazione dell'omogeneità del terreno; — la distribuzione dei carichi del fabbricato sulla platea deve essere tale che la pressione trasmessa sul terreno risulti la più uniforme possibile; a tal fine, la risultante dei singoli pesi della costruzione dovrà passare per il baricentro della platea; — la platea deve essere calcolata in modo da risultare una struttura rigida e monolitica. Le platee di fondazione (solai rovesci) sono costituite in genere da un solettone in c.a. con travi-nervature sporgenti al di sopra; il loro calcolo non differisce da quello dei solai, poiché sono in effetti dei veri e propri solai rovesciati, il cui carico è rappresentato dalla reazione del terreno, diminuita del peso proprio della platea (aggirantesi normalmente intorno al 15% del peso della costruzione). In quanto alla determinazione del valore e della distribuzione della reazione del terreno, si tratta in generale di un problema iperstatico e complesso, giacché la reazione nei vari punti della superficie di appoggio della platea è funzione della deformazione elastica della platea stessa; importanti studi sono stati fatti in proposito, e per essi rimandiamo ai testi citati in bibliografia. Soltanto nella condizione di platea molto rigida, si potrebbe per semplicità considerare la reazione del terreno come uniformemente distribuita; fortunatamente gli studi eseguiti dallo Szeps hanno posto in luce che nella maggior parte delle costruzioni di usuale dimensione ha relativa importanza considerare la soletta rigida o flessibile; si possono quindi risparmiare calcoli molto laboriosi. E' da ricordare infine che, nella determinazione del peso da ripartire sul terreno, bisogna tener conto, oltre che dei carichi gravanti e del peso proprio della fondazione, anche dell'eventuale terrapieno sovrastante (o
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della struttura e formazione del solaio del piano terra) nonché dei pesi propri e accidentali del piano terra. A volte si ricorre alla fondazione a platea, non tanto per la bassa resistenza del terreno, quanto per la necessità di contrastare la spinta delle acque sotterranee di falda e di preservare dall'umidità i cantinati degli edifici.
Fondazioni in profondità Quando il peso dell'edificio e/o la natura del terreno non consentono che le opere di fondazione possano essere costituite da fondazioni superficiali, risulta necessario l'impiego di pali di fondazione, che hanno lo scopo di trasmettere il carico delle strutture a strati profondi e resistenti del sottosuolo, attraverso terreni incoerenti e inadatti a sopportare carichi. E' chiaro come sia importantissimo in questi casi studiare il terreno in profondità e per la totale estensione del fabbricato, individuando esattamente le caratteristiche fisiche e di portanza dei vari strati. Se esaminiamo il comportamento di un palo di fondazione, notiamo che esso trasmette al terreno il carico P delle strutture superiori in parte come resistenza di punta (Rp ) ed in parte come resistenza di attrito laterale (Ra), realizzandosi la condizione di equilibrio
ove n è coefficiente di sicurezza mediamente variabile fra 1,5 e 2,5. Quando, per la mancanza di uno strato consistente, il palo lavora solo per attrito laterale, si parla di "pali sospesi" o "pali galleggianti", si hanno invece i "pali di punta" nel caso opposto, quando cioè il palo trasmette il carico solo per resistenza di punta, con l'attraversamento di strati di terreno del tutto inconsistente; in quest'ultimo caso la funzione statica del palo non differisce da quella di un normale pilastro, che trasmette il carico alla base. Il bulbo delle pressioni rispettivamente per pali sospesi e pali di punta è rappresentato in Fig. 12.14a,b. Gli elementi che maggiormente concorrono alla scelta del tipo del palo sono: — la stratigrafia del terreno ; — la portanza massima desiderata per ogni palo ; — il livello della falda freatica rispetto al piano di lavoro; — considerazioni economiche; — facilità di installazione delle apposite attrezzature in cantiere; — velocità e facilità di approvvigionamento ed esecuzione dei pali; — considerazioni relative alla posizione del cantiere, tale da permettere o meno la battitura di pali, e quindi la trasmissione di forti vibrazioni
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sotterranee (particolarmente pericolose, per esempio, in prossimità di edifici in muratura, di non recente costruzione). Vari sono i tipi di pali attualmente a disposizione del progettista per opere di fondazione ; in questa sede ci limiteremo, alla descrizione dei più importanti, sia sotto il profilo storico che pratico, rimandando ai testi citati in bibliografia per un maggior approfondimento della materia. In particolare comunque si possono suddividere i pali in due grandi categorie : 1 ) pali costruiti fuori opera (battuti); 2) pali gettati in opera (battuti o trivellati).
Fig. I2.i4a,b
Pali costruiti fuori opera Fanno parte di questa prima categoria i seguenti tipi di pali: — Pali in legno. L'impiego di pali in legno, come struttura portante di fondazione, è oggi limitato quasi esclusivamente ad opere provvisorie o di limitata importanza; si usano invece abbastanza normalmente per opere di costipamento, con una densità media di tre pali per m 2 , della lunghezza media di 3 5 metri. Tali pali si comportano egregiamente nel tempo quando sono completamente immersi in acqua; si distruggono invece con estrema facilità quando sono sottoposti ad alternanza di umidità e di asciugamento all'aria. Regola fondamentale è quindi che queste palificate siano completamente comprese nella falda acquifera del terreno. Essi sono inoltre sconsigliabili in acque salate (anche se Venezia è tutta fondata su pali di legno), perché possono facilmente venire attaccati da organismi marini. E' consigliabile l'uso di pali poco o per nulla stagionati. Le essenze preferite sono il pino, il larice e il rovere. La lunghezza (per pali di fondazione) varia da un minimo di 5 6 metri ad un massimo di 16, ed, eccezionalmente, di 20 metri; la grossezza è proporzionata alla lunghezza, con il rapporto diametro/lunghezza mediamente pari a 1/30. L'estremità più sottile del palo, viene foggiata a punta e rinforzata con una "puntazza" in ferro, mentre la testa viene provvista di un anello di fer-
235 ro ("ghiera") per resistere ai colpi del maglio (Fig. 12.15). I pali in legno possono presentare anche l'inconveniente del deterioramento della punta nell'attraversamento di strati particolarmente resistenti; in alcuni casi si può arrivare anche alla rottura del palo, con ovvii inconvenienti pratici ed economici. II collegamento delle teste dei pali viene fatto o mediante piattaforme in legno, costituite da tavoloni chiodati nei due sensi, o con cordoli o plinti in calcestruzzo. — Pali in calcestruzzo. I pali prefabbricati in calcestruzzo sono stati i primi ad essere impiegati dopo i pali in legno e presentano rispetto a questi ultimi i seguenti vantaggi essenziali: a) durata praticamente illimitata ed indipendente dalle variazioni del livello delle acque di falda; b) maggiore resistenza agli sforzi di flessione e di taglio, e possibilità di adattare l'armatura all'entità degli sforzi; c) possibilità di infissione attraverso terreni anFig. 12.15 che altamente compatti, riducendo al minimo il pericolo della rottura del palo (a tale proposito conviene osservare che la rottura di un palo in c.a. il più delle volte avviene non tanto per la compattezza del terreno attraversato, quando per una errata manovra di battitura, o per una azione di battitura non esattamente coassiale all'asse longitudinale del palo, od infine per un occasionale incontro di trovanti particolari, come vecchie fondazioni). La sezione dei pali in calcestruzzo può essere quadrata, esagonale, ottagonale o circolare: sono questi i pali tipo Hennebique, Considère, Bignel, che hanno attualmente un valore puramente storico, in quanto caduti in disuso. Vastissimo impiego ha attualmente il palo in c.a. centrifugato, dalla caratteristica struttura tubolare (ottenuta appunto dalla centrifugazione) a sezione di corona circolare; la forma longitudinale è tronco-conica, con diametro minimo in punta di 22,5 cm (24 cm per i pali cosiddetti "rinforzati") ed una rastremazione dell' 1,5%. La lunghezza varia da un minimo di 8 ad un massimo di 20 metri. L'impasto di calcestruzzo viene eseguito con cemento ad alta resistenza (tipo 425 o 525) a 4 ql/m 3 di inerte di appropriata granulometria. L'armatura longitudinale è costituita da tondini di acciaio ad alto limite elastico (medialmente 6 o 8 0 12); l'armatura trasversale è costituita da una doppia cerchiatura esterna ai ferri longitudinali (una spirale destrorsa ed una sinistrorsa), mentre all'interno sono disposti degli anelli distanti me-
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diamente 60 cm uno dall'altro, di diametro variabile, cosi da ottenere la rastremazione necessaria. Particolarmente rinforzata è la punta del palo, che termina con una puntazza di ferro di forma conica (Fig. 12.16). L'armatura dei pali in c.a. deve essere tale da poter resistere agli sforzi creati dal sollevamento e dal trasporto {ferri longitudinali), dal carico massimo sopportabile in opera e dalla battitura (ferri a spirale). Mentre le torsioni causate dai primi sforzi possono essere o limitate al massimo (adoperando particolari cautele nel trasporto e nel sollevamento) o precisamente calcolate, più difficile da valutarsi sono le tensioni che si generano durante l'infissione. Pochissima utilità a tale fine ha l'armatura longitudinale, mentre la staffatura a spirale aumenta la resistenza del calcestruzzo alla compressione longitudinale ed agli sforzi di taglio. Questo tipo di pali ha una portata variabile, a seconda della lunghezza e della stratigrafia del terreno attraversato, da un minimo di 20 tonn ad un massimo di 50 60 tonn. Il collegamento di detti pali avviene, previa rottura delle teste per una lunghezza di 30 cm circa, inglobando i ferri longitudinali messi così a nudo nel getto di plinti, travi rovescie o piaFig. 12.16 tee armate. L'infissione dei pali costruiti fuori opera viene fatta con macchine "battipalo", consistenti in un cavalletto o "capra" che oltre al sollevamento ed alla caduta del maglio serve anche alla guida del palo durante l'infissione (Fig. 12.17). Un verricello, mosso da motore elettrico o a scoppio, compie il sollevamento e la manovra del palo stesso e aziona il maglio il cui peso mediamente si aggira intorno agli 800 kg per i pali in legno, ai 3000 kg per i pali in c.a.; è buona norma comunque che il peso del maglio superi il peso del palo di circa il 10%. Si dice "volata" una serie di dieci colpi di maglio, portati da un'altezza di caduta di 1 metro; viene chiamato "rifiuto" l'affondamento medio del palo sotto una volata; è da tale valore, come si vedrà più avanti che si giudica il momento in cui il palo ha raggiunto lo strato consistente di terreno, e comunque la sua capacità portante.
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Fig. 12.17
Pali gettati in opera Il sistema generale consiste nel creare nel terreno, o attraverso l'infissione di un tubo d'acciaio ("tubo forma") o mediamente altri procedimenti, che vedremo più avanti, la "sede", del diametro (da 40 a 120 140 cm) e della profondità (mediamente dai 15 ai 25 metri), entro la quale viene gettato il calcestruzzo a consistenza di terra umida. Questo ha normalmente una dosatura di 3,5 4 ql di cemento per m3 di impasto, ed il getto del conglomerato viene eseguito calando nella sede una "benna" con una valvola all'estremità. Mano a mano che si effettua il getto e si solleva il tuboforma, il conglomerato può venire più o meno battuto, o addirittura compresso. Mediante la battitura o la compressione, oltre che riempire completamente il vano, il calcestruzzo si espande comprimendo la-
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teralmente il terreno, e realizzando così un palo con allargamenti e scabrosità più o meno sensibili, ed importantissimi ai fini dell'attrito laterale. Si deve comunque sempre evitare il getto dall'alto, che porterebbe ad una disgregazione naturale del conglomerato. Nell'ultimo tratto di palo, per una lunghezza di circa sei metri, si inserisce un'armatura di barre d'acciaio con staffatura a spirale, che, oltre che irrobustire la parte terminale del palo contro eventuali sforzi laterali, serve all'unione del palo con le travi di collegamento in c.a.. A seconda del sistema usato per la formazione del foro nel terreno e per il getto del calcestruzzo, possiamo suddividere i pali gettati in opera in: — pali battuti, — pali trivellati, — pali bentonici, — pali rotativi, — micropali. — Pali battuti. La sede per questo tipo di pali viene realizzata mediante l'affondamento nel terreno per battitura di un tubo forma (con magli da 2 a 4 tonn), senza asporto di terreno, ma con semplice costipamento laterale dello stesso. Durante l'infissione, l'estremità inferiore del tubo forma è chiusa da una puntazza (in ferro o in calcestruzzo), che si distacca e si abbandona quando viene ritirato il tubo dal terreno, od è apribile e ritirabile assieme al tubo (Fig. 12.18) (Palo: Alligator). Mano a mano che si procede al getto, viene gradualmente estratto dal terreno il tubo forma. Questo sistema è particolarmente impiegato per pali profondi e di grande portata, dato che anche in terreni incoerenti è possibile ottenere un energico costipamento del sottosuolo; non è invece consigliabile in fondazioni particolarmente vicine a fabbricati esistenti, sia per l'ingombro delle attrezzature, sia per i danni che i colpi di maglio possano provocare alle opere vicine. I principali tipi di pali battuti sono: A) Palo Simplex. L'unica particolarità è che la puntazza del tubo forma è apribile e recuperabile. B) Palo Simplex pressato. Il getto di calcestruzzo avviene attraverso queste fasi: riempito il tubo forma di conglomerato, lo si estrae per circa un metro, lasciando che il conglomerato si espanda occupando il vuoto lasciato dal tubo; si colma quindi Fig. 12.18 di nuovo il tubo, che viene ribattuto sovrapponendogli un contromaglio di acciaio, avviene allora che il conglomerato, non potendosi espandere nel tubo chiuso, si allarga alla base comprimendo il terreno
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e formando un grosso bulbo. Si possono così ottenere numerosi rigonfiamenti, aumentando notevolmente la capacità portante del palo, per attrito. C) Palo Duplex. Consiste nel battere un secondo palo, a mezzo di tubo e puntazza, concentricamente ad un palo Simplex appena gettato ed il cui conglomerato è ancora fresco. D) Palo Frankì. Viene eseguito a mezzo di una camicia di acciaio formata da due o tre tubi telescopici, cioè scorrevoli uno nell'interno dell'altro, provvisti di anelli di arresto. Il tubo viene infisso con colpi di maglio dati non in testa ma in fondo al tubo stesso, in cui viene piazzato un tappo speciale in acciaio o in calcestruzzo; il tubo quindi penetra nel terreno come trascinato anziché spinto.
Fig. 12.19
Un tipo caratteristico è quello per terreni con presenza d'acqua, in cui il tappo viene formato con il getto di circa 1 m3 di calcestruzzo quasi asciutto, che, sotto i colpi si comprime contro le pareti e per aderenza trascina il
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tubo affondandolo nel terreno. Raggiunta la profondità desiderata, si aggancia il tubo per mezzo di funi al battipalo, in modo da impedirne il trascinamento nelle successive fasi di battitura del calcestruzzo. Si stacca allora con violenti colpi del maglio il tappo di fondo e si versa nuovo calcestruzzo per evitare infiltrazioni d'acqua o di terra, l'operazione continua finché il maglio non raggiunge un rifiuto tale da assicurare un sufficiente costipamento del terreno circostante. Si procede allora alla formazione del fusto in modo analogo, sollevando il tubo forma da 20 a 50 cm ogni volta che viene introdotto nuovo calcestruzzo. In questo moto il diametro effettivo del fusto risulta notevolmente superiore a quello del tubo forma, ed il palo presenta una superficie molto rugosa e caratteristiche sporgenze anulari che ne aumentano fortemente la capacità portante per attrito laterale (Fig. 12.19). — Pali trivellati. La categoria comprende tutti i tipi di pali gettati in ope ra per i quali il tubo scende nel terreno per mezzo di speciali trivelle o sonde a percussione (Fig. 19.20). Sostanzialmente i pali trivellati differiscono dai pre-
Fig. 12.20 - Tipo di sonda per pali trivellati.
cedenti perché in fase di infissione avviene asporto di terreno. La sonda cadendo dall'alto per peso proprio urta con forza nel terreno e vi penetra, facilitata dal tagliente posto all'estremità; il materiale, attraversata la valvola, si deposita nel corpo della sonda da cui viene successivamente estratto; il
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tubo forma, sia per peso proprio che pei" un movimento di rotazione impresso, scende nel terreno e, secondo la natura di quest'ultimo, può precedere o meno l'avanzamento della sonda. In terreni coerenti il sondaggio precede normalmente il tubo, la cui infissione è relativamente facile; se il terreno è incoerente, melmoso e frana facilmente, è necessario far precedere l'avanzamento del tubo senza sondare, per impedire che il terreno continui a franare, col pericolo di apportare notevoli danni sia ai pali vicini che ad altre fondazioni. Il palo trivellato è certamente il tipo più economico fra i pali gettati in opera, ed è il tipo di palo che può essere eseguito in tutte le condizioni di terreno e d'ambiente: per terreni particolarmente resistenti si adoperano scalpelli speciali; è inoltre un tipo di palo particolarmente indicato allorché la vicinanza al cantiere di fabbricati già esistenti e che potrebbero lesionarsi sotto le vibrazioni originate dai colpi di maglio sconsigliano l'uso di pali battuti. Per contro, per riuscire bene eseguito, ha bisogno di grande cura e sorveglianza, perché basta una svista per creare nel palo soluzioni di continuità e danni tali da compromettere la stabilità della fondazione. Tra gli inconvenienti più pericolosi è la formazione di un "tappo" di calcestruzzo che impedisca la discesa del getto ed interrompa la continuità del palo (Fig. 12.2la); ciò può accadere se è forte l'attrito contro la parete del tubo (calcestruzzo troppo asciutto, ghiaietto a spigoli vivi, battitura non troppo forte) o se il conglomerato non ha uniforme consistenza. Lo stesso inconveniente può succedere se la camicia viene sollevata più del necessario oltre il livello del calcestruzzo (Fig. 12.2lb); se il terreno intorno è incoerente, di poca consistenza e immerso in acqua, è possibile che del materiale terroso si mescoli al calcestruzzo con evidente soluzione di continuità del getto. Un altro pericolo è il dilavamento del calcestruzzo che, ancora fresco, venga a contatto con una corrente sotterranea in pressione. Fig. 12.21 In terreni sabbiosi, durante il
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sondaggio, c'è il pericolo di un "richiamo" (sifonamento) di terreno intorno al foro eseguito, che può pregiudicare la resistenza d'attrito dei pali vicini e delle fondazioni esistenti. La minima distanza fra i pali è, per questo, uno degli elementi più importanti nel progetto di una palificata. I vantaggi che i pali trivellati in genere presentano rispetto agli altri tipi sono: — conoscenza di volta in volta di tutti gli strati di terreno attraversati e possibilità di una più sicura valutazione della portata del palo mediante l'estrazione di campioni ed il loro esame in laboratorio; — assenza di energhiche battiture e, se la perforazione è eseguita con trivelle a rotazione, esclusione di qualsiasi percussione; — graduale adattamento del palo alle condizioni fisiche del terreno e possibilità di ottenere il palo più adatto per la voluta ripartizione di carichi sul terreno; — possibilità di raggiungere anche facilmente grandi profondità; — possibilità di eseguire i pali in ogni tipo di terreno e di attraversare trovanti, murature, rocce, ecc. adoperando opportuni attrezzi demolitori. I pali trivellati in terreni sabbiosi ed in presenza d'acqua possono costituire una insidia per la stabilità di fabbricati vicini. L'enungiamento di terreni sabbiosi in presenza d'acqua richiama nella zona di trivellazione i terreni circostanti impoverendone la consistenza e la capacità a portare e rendendo precario l'equilibrio statico degli edifici limitrofi che trovavano sostegno su questi terreni. Generalmente questo pericolo — salvo casi clamorosi — non è avvertito o denunciato dai vicini per la mancanza delle vibrazioni e del rumore assordante che procurano i pali battuti. I pali trivellati si differenziano essenzialmente nel modo di costipamento del calcestruzzo, che può essere a battitura meccanica diretta ed ad aria compressa. A) // Palo Strauss. E' il prodotto del palo trivellato, in cui il calcestruzzo è costipato con un maglio azionato da un argano, di mano in mano che viene introdotto nel tubo forma. B) Il Palo Wolfsholz. Differisce dal palo Strauss per la compressione del calcestruzzo che avviene con aria compressa (Fig. 12.22). Affondato il tubo forma ed introdotta l'armatura metallica nella testa del palo, si chiude il tubo con un coperchio a vite e vi si manda dentro aria a bassa pressione (rubinetto "b") per scacciare l'acqua eventualmente introdottasi nel tubo; chiuso " b " si apre la valvola "m" per l'introduzione del calcestruzzo sotto pressione fino a riempire quasi tutto il tubo; chiuso infine "m", si apre il rubinetto "a" dell'aria ad alta pressione, la quale fa rifluire il c.l.s. nei vani del terreno, che ne resta cosi imbevuto, mentre contemporaneamente provoca l'innalzamento della camicia per la pressione che vi esercita sul coperchio. E' quindi necessario a tratti interrompere il getto d'aria ed introdurre altro calcestruzzo.
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Fig. 12.22
Può avvenire, ed in ciò sta il pericolo maggiore, che, per eccessivo valore della pressione, il tubo si sollevi oltre il necessario ed il foro rimanga scoperto, con conseguente discontinuità del palo per immissione di corpi estranei. Per effetto della pressione, il calcestruzzo penetra nel terreno, dando luogo, se incontra strati compressibili, a protuberanze ed espansioni irregolari che aumentano l'attrito tra palo e terreno. — Pali bentonitici. Il continuo progresso della tecnica sotruttiva ha reso possibile un sempre crescente impiego dei pali a grande diametro (da 600 a 1500 mm), che di norma raggiungono profondità notevoli (anche fino a 50 metri e più). La perforazione viene realizzata mediante un utensile a tazza o a trivella, a seconda del tipo di terreno incontrato, con la rotazione dello stesso impressole da una colonna di aste quadre, spinte verticalmente mediante pistoni oleodinamici. Man mano che procede lo scavo, viene immesso, nel foro,del "fango bentonitico"1, che ha lo scopo non solo di sostenere le pareti del foro, ma anche di trattenere in sospensione i prodotti del lavoro di frantumazione dello scalpello, come terriccio, sabbia, ghiaia, ed anche ciottoli di diametro notevole (fino a 10 15 cm).
*La "bentonite" è una roccia argillosa formatasi dall'alterazione di ceneri vulcaniche. Essa ha la proprietà (tixotropia) di formare con l'acqua una sospensione simile a un "gel", e trova il suo principale impiego nell'industria petrolifera, appunto come fango di trivellazione. Il fango bentonitico ha un alto peso specifico.
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La parete del foro, energicamente compressa dallo scalpello, impermeabilizzata e consolidata dalla bentonite, si sostiene senza rivestimento metallico in virtù dell'elevato peso specifico dei fanghi contenuti nel foro e dell'azione coesiva dei fanghi stessi sul terreno da essi imbibito. Ultimata la trivellazione, l'attrezzatura si sposta su un altro palo ed inizia una nuova trivellazione, mentre sul palo già perforato inizia la posa in opera delle armature ed il getto del palo. Molte volte il tempo di perforazione e quello di getto è circa lo stesso, cosicché il ciclo di lavorazione è continuo, senza soste e tempi morti. 11 getto avviene come specificato in Fig. 12.23: viene posta in opera nello scavo eseguito una apposita tubazione di getto, di diametro 200-300 mm, munita di un imbuto all'estremità superiore, mentre quella inferiore si trova ad una distanza di 20 30 cm dal fondo; viene poi formato all'in-
Fig. 12.23
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terno del tubo un tappo di malta cementizia, allo scopo di impedire la miscelazione del calcestruzzo con il fango che riempia la colonna durante la discesa del primo impasto; vengono poi aggiunti impasti successivi fino a quando il calcestruzzo, uscendo dal fondo della colonna, raggiunge un'altezza minima, all'esterno della stessa, che assicuri la continuità del getto. Si continua allora l'alimentazione del calcestruzzo, mentre contemporaneamente si estrae il tubo forma, sino al completamento del palo, avendo cura che il fondo della camicia si trovi sempre immerso nel calcestruzzo del palo in fase di getto. Metodicamente l'altezza del calcestruzzo viene controllata per mezzo di una catena zavorrata. Il fango bentonitico che esce dallo scavo in concomitanza con la posa in opera del calcestruzzo, viene convogliato da una pompa o da una canaletta alla vasca di deposito; il fango così recuperato, viene in parte utilizzato per lo scavo dei pali successivi. In cantiere vengono rilevate le caratteristiche del fango prima e dopo la trivellazione; ciò consiste nella misurazione di densità e peso specifico, in modo da poter avere a disposizione in ogni momento un fango bentonitico adatto alle caratteristiche del terreno. Detto dei diametri e delle profondità a cui questi pali possono arrivare, è infine da precisare che essi possono raggiungere portate massime anche superiori alle 600 tonnellate. — Pali rotativi. Sono usati su terreni rocciosi o molto compatti o per attraversare vecchi manufatti interrati e non comportano quindi, l'uso di tubi forma né circolazione di fanghi bentonitici. Il sistema è basato sull'attraversamento delle strutture da sottofondare, con pali eseguiti a rotazione con una trivella munita di scalpelli particolarmente robusti, in verticale o inclinati. Sono armati per tutta la lunghezza e possono essere assoggettati a sforzi sia di compressione che di trazione, ed hanno un comportamento sotto carico perfettamente elastico: sono particolarmente idonei quindi nei problemi di consolidamento di fondazioni o di strutture spingenti (muri di sostegno, archi, costruzioni antisismiche, muri di sponda, ecc.), di strutture soggette a carichi mobili o vibranti (grues, compressori), nelle sottofondazioni di fabbricati monumentali, in quanto non alterano l'aspetto originario dell edificio. Le attrezzature di lavoro sono di modestissimo ingombro, e quindi particolarmente indicate per lavorare in spazi ristretti e con limitata altezza libera (come cantinati, pile di ponti, cunicoli). Riportiamo in Fig. 12.24 alcuni esempi di applicazioni di detti pali. — Micropali. Sono pali di recente applicazione, di facile infissione, di, buon risultato specialmente per opere di rinforzo di fondazione (Fig. 12.25).
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Fig. 12.24
Viene infisso nel terreno un robusto tubo in ferro con il perimetro abbondantemente forato e chiuso nella parte inferiore con un tappo provvisorio. Raggiunta la profondità voluta ed espulso il tappo, si inietta nel tubo, con alta pressione, del calcestruzzo di buona qualità.
Fig. 12.25 - Micropalo.
Il calcestruzzo fuoriesce dal fondo del tubo creando un bulbo e fuoriesce dai fori laterali formando attorno al tubo una corona di calcestruzzo tanto più grande quanto più comprensibile è il terreno circostante. Si possono così eseguire, con minima attrezzatura, dei pali anche di diametro abbastanza grande, con un ampio bulbo di calcestruzzo alla base e molto scabro lungo le pareti e, cioè, pali che possono sopportare pesi non trascurabili.
247 Statica dei pali Il palo è un "mezzo" che trasferisce il carico al terreno: la resistenza della fondazione dipende dalla natura del terreno e dal modo di diffusione del carico; variabile in una infinità di tipi la prima, incerta spesso la seconda. Si capisce quindi come sia impossibile fissare una formula generale sul comportamento dei pali; tuttavia esamineremo alcuni casi caratteristici che si riscontrano sovente nella pratica, o che comunque possono fornire un'indirizzo utile per lo studio, il più reale possibile, del comportamento di un palo. Supponiamo il palo immerso in uno strato profondo di terreno omogeneo (Fig. 12.26). Applicato il carico P, il palo tende ad infiggersi ulteriormente nel terreno: la resistenza di questo, al di sotto del piano di base BD, costituisce un certo ostacolo al movimento, ma la maggior parte della reazione è formata dalla resistenza di attrito lungo il fusto del palo. Il palo diffonde il carico in una zona di terreno delimitata dalla linea ABCDA e forma con questa porzione un tutto unico: lungo questa linea può avvenire lo scorrimento se la tensione tangenziale supera quella ammissibile. La linea ABCDA forma il "cono di distribuzione" del carico. In altri termiFig. 12.26 ni, il carico concentrato P si trasforma, per mezzo del palo, in un carico diffuso su un cerchio di diametro BD. L'angolo BAD non è conosciuto esattamente e la linea ABCDA serve a dare una rappresentazione qualitativa e non quantitativa del problema. Sul piano BD le tensioni non sono uniformi, e sono massime in corrispondenza dell'asse del palo; la curva BCD rappresenta il "bulbo di pressione" del palo. Sul piano di base le tensioni vanno diminuendo man mano che ci si allontana dal centro, fino a ridursi a valori trascurabili. Una formula empirica indica per l'angolo BAD = l'espressione:
in cui d è il diametro del palo. Il diametro BD del bulbo di pressione sarà:
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e la pressione media sul piano di base è approssimativamente
cioè uguale al carico P distribuito "sulla sezione longitudinale del palo". E' in ogni caso opportuno verificare che la tensione media sia contenuta entro limiti ammissibili, cioè che il carico trasmesso al terreno sia sensibilmente inferiore al carico critico. Questo descritto è il caso di un palo sospeso. Il caso limite opposto al precedente è quello del palo appoggiato;la base del palo appoggia od è incastrata in uno strato resistente ed incomprensibile, mentre il terreno sovrastante è molto compressibile e non offre alcuna resistenza di attrito. All'affondamento del palo reagisce soltanto il terreno al di sotto della base; il piccolo strato resistente che il palo attraversa produce una certa resistenza di attrito che serve a diffondere più uniformemente il carico sulla base ingrandendo il bulbo di pressione. Il carico ammissibile sul palo è in questo caso limitato dalla resistenza specifica del palo e dello strato incompressibile (Fig. 12.27). Teoria ed esperienza escludono, per la generalità dei casi, il pericolo di carico di punta (d'altra parte in tali casi è sempre preferibile porre nel palo un'armatura metallica per tutta la lunghezza interessata dal terreno non resistente). Un caso assai frequente in pratica è quello del palo immerso in terreno consistente dopo aver attraversato uno strato di riporto (Fig. 12.28).
Fig. 12.27
Fig. 12.28
249 In questo caso la resistenza del palo è formata dall'attrito sulla sua superficie laterale, ma soltanto negli strati inferiori. Lo strato superiore (riporto, torba, ecc.) non contribuisce, e quindi nel calcolo di questo palo occorre fare astrazione dalla resistenza offerta da detto strato. Il ragionamento è valido anche per casi in cui i pali vengono infissi, o trivellati, a partire da un piano campagna molto più elevato del piano definitivo, di imposta delle fondazioni.
Formule di stabilità dei pali Chiarito il comportamento del palo nel terreno, vediamo come si può calcolarne la capacità portante (o "portanza"), cioè il carico che un palo può sopportare sottostando a cedimenti limitati nel tempo e contenuti entro i limiti di elasticità del terreno. A tale scopo vi sono due tipi di formule: "dinamiche" e "statiche"; i risultati di entrambe comunque debbono sempre essere assunti con le dovute riserve, sia perché a volte si discostano anche notevolmente dalla realtà, sia perché consentono di realizzare la stabilità di un palo isolato rispetto al terreno circostante, facendo completa astrazione dalla presenza in sito di altri pali, che ne diminuiscono la portanza. Le "formule dinamiche" sono basate sulla equazione della energia relativa all'urto fra maglio e palo, trascurando la natura del terreno; esse pertanto forniscono la sola resistenza dinamica alla penetrazione e possono essere applicate soltanto ai pali eseguiti fuori opera ed infissi, o a quelli gettati in opera previa infissione di un tubo forma e battitura a rifiuto del getto. L'urto può essere supposto "anelastico", per cui il lavoro motore esercitato dal maglio deve uguagliare il lavoro resistente utile per l'affondamento del palo e quello perduto nell'urto per deformazione del palo e del maglio; a tali presupposti si rifà la formula olandese che esprime la portata ammissibile su un palo in
ove n M H Q e
= = = — =
Pamm=
coefficiente di sicurezza variabile da 6 a 12; peso del maglio (in tonn); altezza di caduta del maglio (in cm), normalmente pari ad 1 m; peso del palo (in tonn); il "rifiuto", ovverossia l'abbassamento medio del palo sotto una "volata" di dieci colpi di maglio; il carico ammissibile sul palo, espresso in tonn.
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L'urto fra maglio e palo può essere ammesso perfettamente "elastico", e quindi nell'equazione dei lavori compare l'energia cinetica di rimbalzo che il maglio acquista nell'urto. A detta teoria di rifà la formula di Brix, che esprime la portata ammissibile su un palo con
ove, fermi restando i simboli precedenti, n = un coefficiente di sicurezza variabile fra 8 e 12; C = peso della cuffia (in tonn). La formula di Brix è quella maggiormente applicata per il calcolo dei pali infissi. Esistono particolari diagrammi di cantiere (Fig. 12.29), realizzati assumendo il peso del maglio unitario, e determinati valori del coefficiente di sicurezza nonché del rapporto r = (C + Q)/M\ la portata ammissi-
Fig. 12.29
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bile di un palo si ottiene rapidamente moltiplicando il peso effettivo del maglio, in tonn per il valore fornito dal diagramma in corrispondenza del rifiuto rilevato. Le "formule statiche" risultano dalla condizione di equilibrio fra il carico applicato sul palo e la resistenza opposta al suo affondamento per attrito laterale e per resistenza alla punta. Per la loro applicazione richiedono l'esatta conoscenza della natura dei terreni attraversati e quelli sottostanti al palo. Una formula statica si compone di due parti: l'una che esprime la portata del palo per "resistenza di attrito", l'altra per "resistenza alla punta". Ma è questione molto discussa se la reale portanza di un palo si ottenga dalla somma dei due termini, o se debba prevalere l'uno o l'altro degli addendi, non potendosi astrarre nell'esame del problema, dalla natura fisica del terreno, caso per caso. Le formule statiche si usano di preferenza per la verifica dei pali gettati in opera; a volte anche per pali prefabbricati infissi in terreno argillosi.
Stabilità dei pali in gruppo Non è possibile giudicare la stabilità di una palificata dalla portanza di un palo isolato; paragonare il cedimento di un gruppo al cedimento di un palo durante la prova di carico sarebbe come paragonare il comportamento di una piastra di pochi centimetri quadrati a quello di una fondazione su platea che trasmetta al terreno lo stesso carico unitario. La prova su un palo, scrive il Cummings, non è che una prova su modelli: si tratta di vedere la relazione che sussiste tra il modello ed il caso reale. Il carico trasmesso dalla costruzione è in genere distribuito su un gruppo di pali collegati tra loro da travi, plinti, solette, secondo il tipo di fondazione. Il numero dei pali deve essere determinato in base al principio che tutto il carico della fondazione sia sopportato dai pali: è errato il ritenere che il terreno interposto tra i pali possa sopportare una aliquota del carico trasmesso dalla fondazione. Si tratta quindi di determinare, in base alla portanza di ciascun palo supposto isolato, la portanza dell'intera fondazione disposta su un numero più o meno grande di pali. La battitura può modificare le caratteristiche meccaniche del terreno intorno al palo; può darsi il caso che il terreno stesso, tra i pali, si sollevi di qualche centimetro in seguito all'infissione, stando ad indicare che nessun consolidamento è avvenuto in seno all'ammasso terroso; il fenomeno opposto avviene nei terreni incoerenti (sabbia, ghiaia) ove pali infissi a piccolo interasse producono il costipamento del sottosuolo e ne aumentano la compattezza. Se i pali sono "sospesi" e la resistenza è essenzialmente dovuta all'at-
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trito, teoria e prove hanno dimostrato che la capacità portante di una palificata non è la somma della portanza di singoli pali supposti isolati. Se i pali invece lavorano di punta, possiamo supporre di trovarci in presenza di una platea profonda, avente, per quanto già detto allora, un cedimento diverso da quello di un palo supposto isolato. Bisogna quindi sempre pensare ad una diminuzione della capacità portante di una palificata rispetto a quella del palo singolo, diminuzione che dipende dalla forma e dal tipo del palo, dall'interasse e dalle dimensioni della fondazione, cioè dal numero e disposizione dei pali. L'interasse dei pali di un gruppo è della massima importanza: primo, perché i bulbi di pressione dei vari pali vengono ad intersecarsi, comprimendo maggiormente il terreno circostante e riducendone quindi la portanza utile: secondo, perché dall'interasse dipende direttamente il valore della pressione sullo strato di fondo; terzo, perché durante il lavoro di trivellazione o di battitura potrebbero manifestarsi pressioni tali da provocare inflessioni o lesioni nei pali vicini, dove il calcestruzzo non abbia fatto ancora presa: quarto, perché trivellazioni troppo vicine alterano le caratteristiche fisiche del terreno. Per quanto detto, l'interasse dei pali non dovrebbe essere inferiore a tre volte il diametro del palo stesso: alcuni autori consigliano la formula empirica
dove i è espresso in metri e P, carico sul palo, in tonnellate. La portanza dei pali in gruppo si ottiene riducendo secondo un certo "coefficiente di efficienza " la portanza di ogni singolo palo, cioè assegnando ad ogni palo del gruppo una "portata utile" Pu data da
in cui -eff, o "portata efficiente", è la portata di un palo, considerato singolo, ed il coefficiente di efficienza, calcolato da F.Y. Converse, è rappresentato dalla formula
dove n = m = =
il numero dei pali per fila; il numero delle file: la tangente D/i, espressa in gradi.
La formula di Converse ha solo valore qualitativo, poiché non tiene conto né della natura del terreno né della lunghezza dei pali.
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Come norma generale comunque si dovranno sempre tenere presenti i seguenti punti: — la portanza di un gruppo di pali (tranne casi particolari che il progettista dovrà studiare e valutare volta per volta) non è la somma delle resistenze dei singoli pali supposti isolati; — l'efficienza della palificata sarà tanto più vicina ad 1 quanto maggiore sarà l'interasse dei pali (secondo alcuni Autori per ì = 8 D); — in ogni fondazione bisogna verificare che la pressione trasmessa dalla palificata su un piano orizzontale qualunque, sia inferiore a quella ammissibile per la natura del terreno; — verificare che al di sotto del piano di base dei pali, e per una profondità alla quale i carichi sono ancora sensibili, non vi siano strati di terreno molto compressibili, la cui stabilità può essere compromessa dal carico della palificata; — tenere sempre presente il principio già sottolineato che, se i pali attraversano uno strato compressibile, tale da subire certamente un consolidamento sotto il carico, tutto il terreno al di sopra di questo strato non offre alcuna resistenza di attrito.
Prove di carico sui pali Le prove di carico hanno una importanza fondamentale nello studio di una palificata; e si è usata la parola "studio" proprio perché non si dovrebbe progettare né iniziare alcuna fondazione importante senza aver eseguito una o più prove di carico. Purtroppo, in molti casi, l'onere economico che tali prove comportano fa si che esse o vengono addirittura abolite, o, se eseguite, lo sono solo a posteriori, quando cioè normalmente la palificazione è quasi in fase di completamento. Tranne quindi alcuni casi particolari, le prove di carico sui pali servono per verificare più che stabilire i presupposti del progettista. Di norma poi queste prove vengono effettuate specialmente per i pali gettati in opera, dato che per i pali prefabbricati infissi il rifiuto è di per sé stesso un indice sufficientemente attendibile della portanza del palo. In genere la prova viene eseguita interponendo un martinetto idraulico tra la testa del palo, annegata in un blocco di calcestruzzo o bloccata da una ghiera in ferro, ed un contrasto fisso; tale contrasto, atto a resistere alla reazione del palo, può essere costituito da un cassone zavorrato (per prove a carichi piuttosto limitati) o, più normalmente, da una struttura di travi in ferro saldamente ancorata a due o quattro pali laterali (per i quali il palo dì prova deve risultare baricentrico), struttura alla quale è affidato il compito di trasmettere il carico di compressione al palo centrale e di trazione a quelli laterali (Fig. 12.30). E' chiaro che in quest'ultimo caso si deve stabilire a priori quale sarà il palo di prova, onde armare adeguatamen-
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te a trazione i pali laterali. Un manometro tarato indica la pressione del martinetto e quindi il carico P agente sulla testa del palo; tre o quattro flessimetri disposti simmetricamente intorno al palo di prova permettono di leggere i cedimenti dello stesso. Schema della prova di carico con pali a trazione.
Fig. 12.30
In una prova di carico bisogna prestare particolare attenzione a che: — la testa del palo sia molto ben ripulita e scalpellata prima di essere annegata nel dado del calcestruzzo, o che il collegamento con la ghiera in ferro risulti perfettamente rigido, in modo da escludere la possibilità di uno scorrimento tra dado e palo o tra ghiera e palo; — il calcestruzzo del dado e del palo sia ben stagionato, in modo da non subire deformazioni plastiche, una volta sottoposto al carico; — il martinetto idraulico sia fissato in modo perfettamente coassiale col dado e col palo; — i flessimetri, disposti per leggere gli abbassamenti della testa del palo (o del piano del dado), siano assolutamente indipendenti dalla incastellatura di contrasto e non risentano di possibili deformazioni del terreno in vicinanza del palo; — si operi nell'ombra ed all'asciutto, poiché le variazioni di temperatura e di umidità possono influire sul risultato delle prove; dato perciò che normalmente tali prove durano ben più di 24 ore, si dovrà provvedere ad una copertura provvisoria della zona di prova. La prova normalmente si svolge in due cicli: nel primo, si porta gradatamente il carico fino al valore di progetto, procedendo poi in due o tre riprese allo scarico completo; nel secondo, si porta, sempre gradualmente, il carico fino ad un valore pari ad 1,5 2 volte il valore di progetto, procedendo quindi nuovamente allo scarico come sopra. Gli incrementi del carico sono normalmente pari ad un ventesimo del carico di progetto nella prima fase, ad un decimo nella seconda; ad ogni in-
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cremento si effettua una lettura ai flessimetri, lettura che viene ripetuta ad intervalli regolari di tempo; non si procede ad un incremento successivo del carico fino a che non si ha il completo assestamento dei flessimetri. Se si riporta in un diagramma di assi cartesiani i valori dei carichi applicati e dei corrispondenti cedimenti medi, si ottiene una curva come quella riportata in Fig. 12.31.
Fig. 12.31
Dall'esame del diagramma carichi-cedimenti si possono trarre diverse considerazioni: — osservare se i cedimenti sino al carico del progetto si sono mantenuti entro limiti modesti o meno, e se per ogni incremento di carico si è avuta o meno una costante proporzionalità tra i carichi e i cedimenti; — se la stabilizzazione ad ogni incremento di carico si raggiunge in un tempo più o meno relativamente breve ; — determinare il cedimento massimo sotto il carico di esercizio ed il cedimento residuo massimo, valori questi molto importanti ai fini di una previsione di eventuali cedimenti differenziati, della cui importanza abbiamo già detto, e che in alcuni casi richiedono costose travi di contrasto. Infine, dal comportamento dei pali sottoposti a trazione, si può dedurre se la portata d'attrito di questi pali è più o meno elevata rispetto a quella inizialmente progettata. Le fondazioni speciali Esaminiamo brevemente, solo ai fini almeno di una opportuna conoscenza, alcuni tipi particolari di fondazioni, sottofondazioni e diaframmi di sottofondazione o contenimento.
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Cassoni autoaffondanti In presenza di terreni superficiali scarsamente resistenti, e saturi d'acqua (per esempio fondazioni di ponti), quando non si debbano raggiungere profondità troppo forti, a volte conviene usare il sistema a cassoni autoaffondanti(Fig. 12.32).
h'ig. 1 2 . 3 2
Questi sono in generale in calcestruzzo armato, con taglienti alla base e, se notevolmente estesi, possono essere pluricellulari. Detti cassoni, mancanti del cielo e del fondo, vengono costruiti direttamente sul posto ed in seguito affondati scavando via via la terra all'interno. Raggiunta la profondità voluta, essi vengono riempiti di conglomerato e sabbia battuta, e chiusi superiormente con una soletta di ripartizione. In casi particolari, nel terreno sottostante vengono infissi pali di costipamento. Se non si intende ususfruire delle celle del cassone le si riempiranno si sabbia e superiormente verrà eseguita una soletta portante ancorata ai ferri superiori del cassone che preventivamente saranno messi a nudo. Se, viceversa, le celle del cassone dovessero venir utilizzate (per es. per installarvi le pompe di un impianto idrovoro) si eseguirà, per ogni cella una platea di fondo armata in modo da resistere alla spinta delle terre (o dell'acqua) dal basso in alto. Quando le fondazioni da eseguire in terreni melmosi sono di dimensioni ridotte,invece dei cassoni autoaffondanti si usano i "pozzi autoaffondanti" realizzati con anelli di calcestruzzo armato con diametro fino a 1,20 metri ed alti mediamente 1,00 metro, che vengono sovrapposti l'uno all'altro mano a mano che il pozzo affonda fino alla profondità voluta a seguito di scavo eseguito all'interno del pozzo.
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Cassoni pneumatici Per eseguire fondazioni o altre opere sotto l'acqua di fiumi, laghi o del mare non sempre è sufficiente l'uso di sbarramenti provvisori per prosciugare la zona su cui operare. In questi casi si può ricorrere alla tecnica sofisticata dei cassoni pneumatici. Un cassone generalmente in ferro (Fig. 12.33) viene immerso fino ad una profondità di 20 ed anche di 30 metri sotto il livello dell'acqua.
Fig. 12.33 - Cassone pneumatico.
Il cassone viene vuotato dall'acqua mediante l'immissione di aria compressa a pressione superiore a quella dell'acqua. Per permettere agli operai di scendere o risalire dal cassone ed operare sul fondo, il cassone è corredato da un tubo (camminata) con sopra una camera di compensazione munita di due sportelli. Il cassone è sempre in pressione e cosi anche il tubo (camminata), ma non la camera di decompressione. Gli operai entrano nella camera di decompressione attraverso lo sportello " b " che viene rinchiuso. A questo punto si comincia a insufflare gradatamente aria compressa nella camera di decompressione fino a quando in essa si raggiunge la stessa pressione che esiste nel cassone e nella "camminata". In questa situazione lo sportello " b " resta bloccato e lo sportello "a" si apre permettendo agli operai di accedere al cassone. Con processo inverso si opera per far uscire gli operai. Analoga camminata è predisposta per l'asporto e l'apporto dei materia-
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li, ma in essa la compressione e la decompressione della camera sono molto più rapide. Per profondità di lavoro da 10 e 20 metri occorrono operai di controllata robusta costituzione fisica. In ogni caso gli operai devono esser sottoposti a controlli medici per accertare che non siano affetti da qualsiasi menomazione cardiaca o circolatoria. Le ore di lavoro sono proporzionalmente ridotte. Per profondità maggiori i controlli medici sono continui e più rigorosi e le ore di lavoro sono ulteriormente ridotte.
Pali ad elementi Questo tipo di palo viene usato esclusivamente per il rafforzamento di fondazioni di fabbricati da restaurare o sopravalere o per opere particolari. Il tipo più comune esistente in commercio (Fig. 12.34) è costituito da un primo elemento in calcestruzzo fortemente armato {puntazza) che viene posto sotto le fondazioni da rinforzare. Tra le fondazioni (prima consolidate con la esecuzione di un cordolo in e.a.) e la puntazza viene posto un martinetto che contrastando sulla fondazione infigge la puntazza nel terreno. A questo punto sulla puntazza viene calettato un tubo centrifugato in c.a. (alto 80-100 cm) che viene premuto dal martinetto e fa affondare ulteriormente la puntazza. Procedendo in tal modo ed inserendo degli elementi di centratura (anche essi in c.a.) per centrare e dare continuità ai vari tubi aggiunti e riempiendo i vuoti con calcestruzzo, si coFig. 12.34 struisce il palo ad elementi.
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Bisogna vigilare attentamente che quando il palo ha raggiunta una certa portanza, l'azione del martinetto non "alzi" il fabbricato. Per questo scopo è consigliabile che quando si usano pali ad elementi, i fabbricati da restaurare non vengano preventivamente alleggeriti asportando i pavimenti, le tramezzature e gli altri carichi permanenti. Questo tipo di palificazione garantisce l'assenza di ogni vibrazione e di asporti di terra al di sotto delle strutture, è di rapida esecuzione e richiede pochissimo spazio di manovra. Le teste dei pali quindi vengono collegate con un cordolo di irrigidimento e di ripartizione. Risulta inoltre di notevole interesse la possibilità di collaudare in pratica ogni palo prima di raccordarlo con le strutture esistenti, e di mantenerlo in pressione durante tutta l'operazione di raccordo, così da evitare gli assestamenti che spesso si verificano nella messa in carico delle fondazioni, anche se eseguite su pali.
Palancole Le palancole formano una classe particolare di pali; sono costituite da elementi isolati infissi nel terreno, tali da costituire uno sbarramento o "diaframma", atto a resistere a pressioni laterali. Le palancole sono normalmente impiegate solo per opere provvisorie (per i diaframmi veri e propri parleremo più avanti), per permettere il prosciugamento e lo scavo del terreno in tutte quelle opere ove si debba agire in presenza d'acqua. Esse vengono infisse mediante battitura con maglio, e quindi facilmente recuperate mediante sfilamento. Possono essere in legno, ferro e c.a., ma le più usate sono quelle metalliche, delle quali esistono in commercio diversi tipi, tutti più o meno equivalenti, caratterizzati dalla sezione del profilato e dalla natura dell'acciaio (le più note ed usate sono quelle tipo Larsen della Fig. 12.35a.
Fig. 12.35
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Rispetto alle palancole in legno o in c.a., quelle metalliche presentano i seguenti vantaggi: — grande resistenza agli sforzi di flessione, con leggerezza ed ingombro minimo; — facilità di infissione e scorrevolezza tra le giunzioni dei diversi elementi, con perfetta impermeabilità delle giunzioni stesse; — l'infissione è possibile anche in terreni alluvionali, là dove palancola in legno o in c.a. si romperebbero o perderebbero la loro impermeabilità; — è possibile il reimpiego (e quindi hanno lunga durata), prestandosi quindi maggiormente per le opere provvisorie; — l'elevata resistenza alla flessione infine permette l'impiego di palancole molto lunghe, anche fino a 20 metri. Diaframmi in calcestruzzo Quando è necessario costruire entro terra e a grande profondità dei muri senza poter sbancare l'intera zona o quando si devono eseguire fondazioni di contenimento in aderenza ad altre esistenti, ecc. si ricorre alla esecuzione di "diaframmi". Per profondità non eccessive si scava con una benna larga 40-60 cm un tratto rettilineo di terreno lungo circa due o tre metri e contemporaneamente lo si riempie di bentonite (Fig. 12.36).
Fig. 12.36 - Diaframma bentonitico
Successivamente si posizionano nello scavo le gabbie di armatura metallica e, quindi, si pompa il calcestruzzo a partire dalla parte bassa dello scavo con il sistema già descritto per i pali bentonitici. Si ottiene così un elemento prismatico di calcestruzzo armato inserito a buona profondità nel terreno. Proseguendo con questo sistema ed eseguendo ciascun elemento prismatico in aderenza all'altro si ottiene un diaframma continuo. Per profondità maggiori i diaframmi possono esser costituiti con pali bentonitici o rotativi costruiti gli uni vicino agli altri (Fig. 12.37).
Fig. 12.37 - Diaframma di pali.
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Le perforazioni ed i pali si eseguono nell'ordine indicato dalla Fig. 12.37 creando inizialmente una serie di pali singoli ad una distanza, fra asse ed asse, inferiore al diametro del palo e, quindi, eseguendo, con una trivella munita di robusti scalpelli, un palo d'incastro fra due precedentemente eseguiti. I diaframmi con pali possono raggiungere profondità anche superiori ai 40 metri. Per evitare possibili filtrazioni d'acqua si praticano iniezioni di opportune malte idrofughe lungo le linee di intersezione dei pali o degli elementi prismatici di calcestruzzo. Per aumentare l'impermeabilità, si potranno applicare anche intonaci impermeabili. I diaframmi trovano particolare applicazione in opere come: — fondazioni di contenimento di cantinati di particolare profondità; — fondazioni di pile e spalle di ponti; — lavori di ripresa di sottofondazioni o consolidamento di fondazioni che hanno subito danni in conseguenza di cedimenti del terreno od altro; — sottofondazioni di muri di edifici esistenti in conseguenza di nuove costruzioni adiacenti, o di edifici pericolanti; — difesa di sponde ed opere marittime soggette ad erosione.
Consolidamento del terreno Al fine di rendere la presente trattazione sufficientemente completa, almeno come conoscenza panoramica di tutte le opere di fondazione e affini, si completa la parte dedicata alla fondazione dando brevi cenni sui sistemi più in uso per il consolidamento del terreno, cioè per migliorarne le caratteristiche di resistenza. Ciò può essere utile sia ai fini di aumentare il carico ammissibile, così da realizzare opere di fondazione dirette di minore costo, impossibili per quel dato terreno allo stato naturale, sia per migliorarne le caratteristiche di compattezza sotto fondazioni già esistenti ma, per varie ragioni, pericolanti. Per piccole profondità, si può ottenere un sufficiente, ed abbastanza economico costipamento del terreno a mezzo di infissione di pali o a mezzo di rilevati di sabbia: — Palificate di costipamento. Si ottengono infiggendo pali in legno, della lunghezza di circa 3 4 metri e del diametro di 15 20 cm, con una densità media di tre pali per m2 di superficie, nell'area interessata, procedendo dal perimetro verso l'interno; in tal modo, nelle zone circostanti i pali, il terreno si comprime aumentando così la sua resistenza, consentendo quindi l'adozione di fondazioni superficiali.
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I pali in legno possono essere sostituiti da pali in calcestruzzo vibrato, che eliminano l'inconveniente proprio del legno, di risentire delle variazioni di umidità. — Rilevati di sabbia. Specialmente adatti per zone paludose, i rilevati (completamente di sabbia o di strati alternati di sabbia o ghiaia in natura), innalzati sul terreno, esercitano una compressione su tutta la massa, impedendone i rifluimenti e rendendola più compatta in seguito all'espulsione dell'acqua in essa contenuta. Il rilevato, oltre a comprimere il terreno, penetra in esso, costituendo una massa superficiale notevolmente resistente, che ripartisce sul sottostante strato cedevole i carichi ad esso applicati. Il costipamento avviene normalmente a mezzo di battitura meccanica (con la "rana") o con rulli leggeri. Per profondità maggiori, anche fino a 15 20 metri, il costipamento, che in questi casi peraltro risulta sempre notevolmente oneroso, può avvenire: — Con pali speciali. Il sistema Compressoi consiste nel creare dei pozzi, ad un certo interasse l'uno dall'altro, mediante la caduta libera di magli speciali (del peso di circa 2 tonn) da un'altezza di 15 metri; tali pozzi quindi vengono riempiti con ciottolame a secco fortemente costipato mediante altri magli particolari, oppure con calcestruzzo compresso; altro sistema è quello di riempirli di sabbia accuratamente costipata; — A mezzo di iniezioni di cemento. Particolarmente adatte per terreni sciolti, si eseguono infiggendo nel terreno, con trivellazioni a diverse profondità e ad opportune distanze, dei "tubi iniettori speciali" di piccolo diametro, terminanti a punta, e bucherellati nel contorno per una superficie complessiva di poco superiore a quella della sezione del tubo. Attraverso i tubi si inietta a pressione nel terreno dapprima dell'acqua per liberare e pulire i vani fra i grani di sabbia e di ghiaia, quindi la miscela liquida di cemento o anche semplicemente cemento in polvere ove nel sottosuolo sia già presente in abbondanza l'acqua. II consolidamento con iniezioni di cemento trova le maggiori applicazioni per i terreni immersi in acqua, risultando difficoltosi altri sistemi; bisogna garantirsi però che l'acqua non sia in movimento, altrimenti potrebbe asportare il cemento; in tali casi si provvede a deviarne la corrente con palancolate; — A mezzo di congelamento. Il sistema non porta ad un consolidamento definitivo, e serve solo per consentire difficili lavori di fondazioni, sia formando diaframmi impermeabili di terra congelata che consentono di lavorare all'asciutto, sia formando colonne di terra congelata a sostegno delle vecchie fondazioni delle opere di sottofondazione.
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Il sistema è costosissimo e viene realizzato infiggendo nel terreno dei tubi in comunicazióne con un gruppo frigorifero ed iniettando in genere anidride carbonica a —20°C.
Bibliografia C. CESTELLI GUIDI,Meccanica del terreno, fondazioni, opere in terra, Milano, 1957. G. COLOMBO,Manuale dell'ingegnere, Milano, 1955. MANUALI CREMONESE,Manuale dell'ingegnere civile, Roma, 1952. P. POZZ ATI, Metodi per il calcolo delle fondazioni, Bologna, 1953. R. SANSONI, Pali e fondazioni su pali, Milano ,1955.
CAPITOLO
TREDICESIMO
I SOLAI
I solai sono quelle strutture che dividono l'edificio in piani e che devono sopportare i carichi permanenti (peso proprio, tramezzature, pavimenti, intonaco, ecc.) ed i carichi accidentali (mobili, arredi, persone, ecc.). L'esecuzione dei solai presenta oggi la possibilità di diverse soluzioni. Innanzitutto la tessitura di un solaio, che una volta era realizzata sempre nel senso del lato minore dell'ambiente (la struttura era a muratura portante), oggi può essere indifferentemente realizzata; cioè il solaio può essere posto nel senso della luce minore e le travi portanti nel senso della luce maggiore, oppure viceversa come può farsi per i solai in laterizio e c.a.. I tipi di solai a disposizione del progettista sono inoltre diversi, e precisamente si possono raggruppare in quattro distinte categorie: — solai in legno, — solai in calcestruzzo armato, — solai in laterìzio e calcestruzzo armato, — solai in ferro.
Solai in legno Fino a qualche tempo fa, era questo l'unico sistema possibile per la soluzione di un solaio. Oggi tale sistema è però in disuso. Si realizzano infatti solai in legno solo per casi particolari, quali rifacimento o restauro di vecchi edifici o per strutture aventi particolare carattere architettonico. La realizzazione avviene collocando una serie di travi in legno a tessitura parallela, sovrapponendo quindi un tavolato ortogonale alle travi stesse (Fig. 13.1).
Fig. 13.1
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La facilità con cui marciscono le teste delle travi immorsate nelle murature portanti e l'attacco dei tarli costituiscono il maggior difetto dei solai in legno. Seppure raramente, si sono adottati dei sistemi di protezione. Un sistema è quello di praticare nel muro un foro sufficientemente ampio da permettere l'aereazione della trave diminuendo la facilità di immarcimento delle sue teste inserite nel muro (Fig. 13.2). La trave veniva agganciata ad una piastra metallica esterna che impediva la filtrazione delle acque meteoriche. Altra soluzione - più valida anche se più costosa — era costituita nell'appoggiare la trave su "barbacani" in pietra emergenti dal muro (Fig. 13.3).
Fig. 13.2
Fig. 13.3
Più spesso, sui barbacani (più distanziati tra loro di quanto non lo fossero nella soluzione precedente) correva una trave di legno sulla quale trovavano appoggio le travi del solaio. Col sistema dei barbacani le travi non venivano inserite nel muro e non risentivano della sua umidità e restavano arieggiate. Contro i tarli si imbevevano le travi con sostanze particolari a base di petrolio e bitume {carbolineum). Per superare luci di particolare grandezza, si collegavano con sovrapposizione a staffe in ferro, più travi, oppure si creavano dei rompitratta con travi principali più grosse, sulle quali si poneva poi l'orditura secondaria costituita da travi più piccole, sulle quali veniva posto infine l'impalcato di tavole. Gravi difetti del solaio in legno sono la facile putrescibilità e la difficile manutenzione, nonché l'essere facilmente attaccabili da tarli e termiti, e il sopportare male un pavimento rigido, per la notevole elasticità del materiale costituente il solaio. I veneziani avevano risolto il problema in modo brillante: avevano cioè ideato un pavimento formato da un impasto di polvere di mattone, calce, pozzolana, e con "seminati" elementi di marmo; il cosiddetto "pavimento alla veneziana", che essendo molto elastico, riusciva a seguire perfettamente
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i movimenti della struttura in legno sottostante. Sopra l'impiantito normalmente veniva steso uno strato di calcinacci, per uno spessore di 15-20 cm, e su di esso il pavimento vero e proprio. Le connessure tra le tavole, però, permettevano il passaggio della polvere e dei detriti creando così un notevole inconveniente. A ciò rimediò per primo il Sansovino ideando il solaio che da lui prese il nome. Il solaio alla Sansovino ha travi molto più ravvicinate così che le tavole dell'impalcato (larghe mediamente 40 cm) possono esser poste parallelamente alle travi (Fig. 13.4) e le loro linee di tangenza si sovrappongono alle travi così che non può verificarsi il passaggio della polvere.
Fig. 13.4
Solai in calcestruzzo armato Con l'avvento del calcestruzzo, si pensò di eliminare i difetti dei solai in legno e di quelli in ferro che li sostituirono, con solai costruiti interamente in calcestruzzo armato (Fig. 13.5). Ma l'impiego di questi solai risultò molto costoso per la necessità di eseguire una casseratura o impalcatura continua in legno che li contenesse e che, per di più, doveva esser molto robusta per sostenere il peso del calcestruzzo (2500 kg/m 3 ). Inoltre le "solette" in calcestruzzo armato trovano un limite nella loro luce proprio nel peso del calcestruzzo. Fig. 13.5
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E' noto che l'altezza di un qualsiasi orizzontamento (solaio) non può esser inferiore a 1/30 della luce. Pertanto un solaio in calcestruzzo della luce di 6,00 metri deve avere almeno un'altezza utile (tra lembo compresso e ferri di armamento tesi) di 20 cm e, cioè, un'altezza reale - per il necessario ricoprimento del ferro di almeno 22 cm che viene a pesare circa 550 kg/m 2 . Si cercò di sopperire a questo svantaggio costruendo solai con solette nervate (Fig. 13.6) che avevano una maggior resistenza ed un minor peso, ma che comportavano una enorme spesa per la casseratura in legno che doveva seguire l'andamento molto articolato dell'intradosso.
Fig. 13.6
Questi solai, a seconda delle loro dimensioni planimetriche, possono essere a semplice o a doppio ordine di nervature; avere cioè nervature in una sola direzione, direttamente appoggiate sui muri o sui pilastri di sostegno, oppure una serie di "nervature principali", direttamente portate dai sostegni, ed una serie, ad esse ortogonali, di "nervature secondarie" che si innestano alle prime (Fig. 13.7). Per ragioni estetiche, si desidera assai spesso non fare apparire le nervature ed avere una soffittatura piana. Ciò può essere realizzato o con un controsoffitto formato con rete metallica intonacata o, meno comunemente con apposite tavelline unite mediante ferri tondi di piccolo diametro 5; 6) disposti in apposite scanalature (vedi Fig. 13.6), o con altri tipi di controsoffittatura. Tutto ciò comunque comportava, e comporta, pesi notevoli e costi molto elevati, sia per l'alto onere delle casserature richieste sia per il costo del controsoffitto di chiusura. La necessità dì ridurre tali oneri, ed il concomitante sviluppo dell'industria del laterizio, ha portato all'impiego dello stesso nella realizzazione dei solai.
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Fig. 13.7
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Solai in laterizio e c.a. Nei solai in calcestruzzo solo la parte compressa, superiore all'asse neutro, contribuisce alla resistenza; mentre la parte sottostante tesa non costituisce che un aggravio di peso. Si è pensato, allora, di alleggerire la parte tesa del solaio in calcestruzzo, che non collabora alla resistenza, con elementi cavi di laterizio ("pignatte") dando luogo ai solai in calcestruzzo e laterizio. L'elemento in laterizio non ha alcuna precisa funzione portante ed in alcuni casi speciali le pignatte sono state sostituite con elementi scatolari in legno truciolare o addirittura con scatole di cartone impermeabilizzate. La pignatta è spesso definita come "cassaforma a perdere". Peraltro, in questi ultimi tempi (a partire da solai in calcestruzzo e laterizio eseguiti attorno agli anni del 1960) si è verificato, dopo otto o dieci anni dalla esecuzione, il distacco e talvolta la caduta dei fondelli degli elementi in laterizio. Le cause di questo inconveniente sono diverse e non sempre ben individuabili. Le pignatte devono avere uno spessore non minore di 8 mm per la parte superiore, non minore di 7 mm per le altre pareti perimetrali e per il fondo e non minore di 6 mm per i setti interni. Questi solai sono formati da una serie di elementi forati in laterizio detti "pignatte", posti ad un interasse tale da lasciare tra pignatta e pignatta uno spazio sufficiente per il getto di calcestruzzo che deve formare la nervatura del solaio. Tali solai si presentano pertanto come solette alleggerite, prive di una buona parte del calcestruzzo teso, (Fig. 13.8). Il loro calcolo non differisce perciò affatto da quello delle ordinarie solette piane o
Fig. 13.8
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nervate, solo che l'armatura, anziché essere distribuita con uniformità lungo tutta la soletta, è concentrata nelle singole piccole nervature. In questi solai il laterizio ha una duplice funzione. — pur lasciando inalterata la zona compressa del calcestruzzo (cappa di circa 4 cm) sostituisce la quasi totalità del calcestruzzo teso che si riduce a nervature di larghezza pari a 8 12 cm. Un solaio in calcestruzzo alto 24 cm pesa circa 600 kg/m 2 , mentre un analogo solaio alleggerito con le pignatte pesa circa 270 kg/m2 ; — evita la spesa del controsoffitto; grazie infatti alle casseforme perse in laterizio, l'intradosso del solaio si presenta completamente piano ed è un supporto perfetto per l'intonaco. I solai in laterizio e c.a. (impropriamente chiamati anche solai in laterizio armato o solai in laterocemento) possono dividersi, a seconda del sistema di esecuzione e getto, in due categorie: — solai eseguiti in opera; — solai eseguiti fuori opera o prefabbricati.
I "solai eseguiti in opera" sono realizzati come si è detto più sopra e come schematizzato in Fig. 13.8. Essi presentano notevoli vantaggi: — migliore sfruttamento del ferro di armatura, che può essere predisposta solo nei punti ove è necessaria; — notevole flessibilità architettonica; questo tipo di solaio si adatta infatti molto bene a qualsiasi tipo di pianta, più o meno irregolare; — possibilità di porre in opera o predisporre, ancora in fase di getto, i passaggi e i vani per i tubi di scarico, dei servizi, delle canalizzazioni, ecc., rinforzando adeguatamente le armature intorno al foro. Per la posa in opera di detti solai si predispone un tavolato in modo da realizzare una superficie completamente piana; su di questa si dispongono in file accostate tra di loro le pignatte in laterizio, che hanno alla base delle alette sporgenti particolari, e che vengono a formare delle gole, o nervature, tra le singole file, in cui viene collocata l'armatura (ferri diritti o piegati). L'impasto di calcestruzzo si fa normalmente con una dosatura di cemento tipo 425 da 3 a 3,5 ql/m 3 ; la granulometria dell'inerte deve essere piuttosto minuta per permettere all'impasto di penetrare nelle nervature ed avvolgere completamente il ferro di armatura (per i ferri che eventualmente rimanessero scoperti, si potrebbero avere pericolosi fenomeni di corrosione, con conseguente riduzione della sezione resistente), per la stessa ragione la consistenza del calcestruzzo sarà del tipo plastico. Prima del getto si dovrà curare di bagnare abbondantemente sia i laterizi che le casseforme in legno, onde evitare che questi ultimi abbiano ad assorbere l'acqua dell'impa-
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sto, "bruciando" in tal modo il calcestruzzo stesso. Oltre al getto delle nervature, si realizza normalmente (per solai portanti) anche uno strato superiore di 4 5 cm ("cappa") uniforme su tutta la estensione del solaio. I solai di questo tipo hanno spessore variabile da un minimo di 8 cm (minimo per legge) ad un massimo di 50 cm, più la cappa; le nervature hanno uno spessore interno sui 7 12 cm; l'interasse delle nervature può variare da un minimo di 40 cm ad un massimo di 60 cm circa; attualmente peraltro si tende ad uniformarlo sui 50 cm. Per le strutture portanti in calcestruzzo sono talvolta usate le travi "in spessore", cioè contenute in altezza nello spessore del solaio, e quindi normalmente molto larghe (a volte anche 2 metri). Se il solaio poggiasse invece su muro portante, l'ancoraggio si realizza a mezzo di un "cordolo", ossia su una trave larga quanto il muro, e alta quanto il solaio, armata semplicemente con 4 10 o 4 12 longitudinali e staffe 6 o 8 a passo piuttosto ampio (0,8 altezza del cordolo). Grande incidenza sul costo di questi solai ha la casseratura per la posa. Attualmente, per il sostegno del tavolato si usano delle speciali travi telescopiche reticolari in ferro, che presentano il vantaggio di potersi usare su luci diverse, di lasciare completamente libero il piano sottostante (poiché sono sostenute solo alle estremità), e di essere riutilizzabili per un numero grandissimo di volte. Altro tipo di solai in opera sono quelli a "nervature incrociate" (Fig. 13.9), realizzati con speciali pignatte che permettono il getto di nervature nei due sensi ortogonali; si hanno in tal modo i solai a piastra, elementi monolitici che presentano struttura portante lungo tutto il perimetro. Questi solai sono normalmente molto costosi, per cui si preferisce realizzarli solo in casi particolari.
Fig. 13.9
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I "solai eseguiti fuori opera" sono normalmente realizzati dal connubio in opera di un elemento portante ("travetto") e di un elemento portato ("pignatta"). A seconda del tipo dei travetti portanti, si possono distinguere in: — solai prefabbricati in laterizio, — solai con travetti prefabbricati in c.a., — solai prefabbricati in c.a. precompresso, — solai speciali.
Solai prefabbricati in laterizio Sono realizzati (Fig. 13.10a,b) tramite l'accostamento di travetti prefabbricati in laterizio, oppure con travetti con interposte pignatte di alleggerimento.
Fig. 13.10a
I travetti prefabbricati sono realizzati, a piè d'opera, o nell'apposito cantiere di prefabbricazione, accostando in fila un numero adeguato di pignatte, fino a raggiungere la lunghezza voluta; collegate fra di loro da due
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o più ferri di armatura, (ferri di confezione) bloccati con malta di cemento in speciali gole presenti nelle pignatte (bisogna fare particolare attenzione a che la malta avvolga completamente il ferro di armatura).
Fig. 13.10b
Fra travetto e travetto, o fra travetto e pignatta, rimangono delle nervature che si riempiono, assieme alla cappa, col getto in opera. In tali nervature, qualora necessiti, possono trovare posto ulteriori ferri di armatura (ferri interposti). I laterizi usati per i travetti prefabbricati hanno forme particolari, presentando non solo alle estremità inferiori delle gole atte all'alloggiamento del ferro di confezione, ma anche una o due scanalature superiori per l'inserimento di appositi ferri normalmente del 4, atti a contrastare eventuali sforzi inversi durante le fasi di trasporto e sollevamento. I solai di questo tipo presentano il vantaggio di una più veloce posa in opera e di una notevole riduzione di costo per le impalcature che, anziché continue, possono ridursi a linee di appoggio (rompitratta) poste ad intervalli di 2 3 metri. Le altezze di questi solai a travetti sono pari a quelli dei solai gettati in opera.
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La cappa per solai con carichi modesti (sottotetti, solai di copertura), può non essere realizzata; al contrario assume particolare importanza per alcuni tipi di solai, come per esempio quando si vuole ottenere una certa ripartizione di eventuali carichi concentrati (biblioteche, librerie, sale di riunione, teatri, garages, ecc.)
Solai prefabbricati con travetti in calcestruzzo armato Parallelamente ai solai in laterizio si è sviluppato, specialmente alcuni anni fa, un solaio realizzato con travi in cemento armato vibrato prefabbricato di sezione a doppio T (travi "Varese"), poste ad un interasse di circa 0,80 1,00 m con superiormente ed inferiormente appoggiati dei tavelloni in laterizio su appositi alloggiamenti; sopra ai tavelloni superiori viene gettata una cappa armata con una rete a maglia larga per una migliore ripartizione dei carichi e per legare in parte l'intera struttura (Fig. 13.11). Il difetto maggiore di tale tipo di solaio è presentato da una assoluta discontinuità fra i vari elementi dell'intradosso, discontinuità che porta logicamente ad una innumerevole serie di fessurazioni, evidenziate esteticamente ancor più dal diverso colore assunto dall'intonaco all'intradosso apFig. 13.11 plicato su un supporto non omogeneo e con diversa capacità di assorbire l'umidità dell'aria (alternanze di travetti in c.a. e tavelloni in laterizio). Tale ultimo inconveniente è stato ultimamente superato con l'uso di tavelloni in calcestruzzo anziché in laterizio. I solai di questo tipo, oltre ad una particolare economia di fornitura, presentano anche una notevole velocità di posa in opera, ma, specialmente in questi ultimi tempi, sono sempre meno usati nelle costruzioni civili, proprio per gli inconvenienti sopra detti; trovano invece largo impiego negli edifici industriali ed agricoli e nella formazione di solai sottotegola. L'uso di tale tipo di solaio è invece particolarmente indicato in casi particolari, come nei restauri di edifici antichi: l'inserimento di questi solai nella muratura portante esistente avviene molto semplicemente creando dei fori nei muri in corrispondenza all'innesto delle travi, senza quindi il bisogno di creare dei cordoli continui di collegamento, che richiederebbero il taglio continuo (e quindi un pericoloso indebolimento) della struttura esistente.
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Solai con travetti in calcestruzzo precompresso Altro tipo di solaio in laterizio e calcestruzzo è il solaio con travetti in c.a.p.(Fig. 13.12). I travetti hanno normalmente sezione a T rovescia con anima, a coda di rondine, superficie perimetrale notevolmente rugosa (per aumentare l'aderenza al getto) e suola costituita da granulato di laterizio (per creare un supporto omogeneo per l'intonaco). Le pignatte intermedie, in laterizio, hanno normalmente la zona superiore rinforzata per realizzare una maggiore massa resistente a compressione.
Fig. 13.12
L'altezza dei travetti mediamente è contenuta fra i 9 e 15 cm, con una larghezza intorno ai 12 15; lo spessore del solaio finito può variare da un minimo di 12 cm ad un massimo di 50 cm; pertanto si può arrivare a coprire anche luci fino ai 12 14 metri. Per casi particolari possono esser abbinati due o più travetti ad ogni pignatta, ottenendo così solai maggiormente resistenti o, a parità di altri elementi, con frecce d'inflessione minori. Sia per i solai Varese sia per i solai con travetti in c.a.p. l'ancoraggio alle travi, a differenza dei solai in laterizio o in e.a. (che terminano con i ferri di armatura sporgenti e liberi) viene realizzato per aderenza, annegando cioè un certo tratto di travetto.
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Solai con cassaforma in calcestruzzo Per praticità di costruzione e anche per cercare di eliminare o ridurre la caduta dei fondelli delle pignatte, si sono creati dei tipi di solai aventi una cassaforma di contenimento con suola in calcestruzzo. Il primo di questi solai, in ordine di tempo, è il solaio "bausta" (Fig. 13.13).
Fig. 13.13 - Solaio tipo "bausta".
E' costituito da una sottile suola di calcestruzzo (circa 4 cm) contenente l'armatura in acciaio (o parte dell'armatura). La suola di calcestruzzo è gettata in un elemento cavo e rettangolare di laterizio che forma cassaforma per il getto del calcestruzzo e — a solaio finito - permette la realizzazione di un intradosso del solaio di materiale uniforme (fondelli del travetto e pignatte) in modo che l'intonaco ad esso applicato non presenti diversità di colore per differente assorbimento di umidità. Nella suola in calcestruzzo è preventivamente inserito un traliccio metallico elettrosaldato che dà al sottile travetto la necessaria resistenza durante il trasporto e la posa. Posti in opera i travetti, inserite tra di essi le pignatte e aggiunta l'eventuale armatura in acciaio di completamento, si gettano in calcestruzzo le nervature e la cappa di almeno quattro centimetri di spessore realizzando un buon solaio monolitico.
278 Particolarità di questo solaio è il suo conveniente impiego anche in caso di restauri (come per il solaio Varese), il modesto peso e la grande maneggevolezza dei travetti, la rapidità di posa, l'economia dei costi. Una estensione di questo tipo di solai è dato dal solaio a lastra prefabbricato o tipo "predai" (Fig. 13.14 e 13.15). In stabilimenti specializzati viene costruita una solettina di calcestruzzo armata, alta circa 4 cm, larga circa da 2,40 a 1,20 metri e lunga anche una dozzina di metri ed oltre.
Fig. 13.14 - Solaio tipo Predai.
Dalla soletta emergono dei tralicci come per i solai bausta. Fra i tralicci viene posto del polistirolo ad alta densità che ha la funzione di cassaforma per il getto in opera della soletta (cappa).
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Fig. 13.15 — Posa in opera delle piastre prefabbricate tipo Predai.
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La cappa gettata in opera è resa perfettamente solidale con la suola a mezzo delle nervature in calcestruzzo che si formano fra i blocchi di polistirolo, nervature che sono armate dai tralicci. In pratica la soletta prefabbricata, completa di tralicci tra i quali è inserito il polistirolo, viene posta in opera poggiandola sulle travi o sui muri portanti accostandole l'una a l'altra. Successivamente vengono gettate le nervature e la cappa con eventuale armatura di ripartizione (reti elettrosaldate 60 8 con maglie da 10 o 20 cm.). Si ha così un solaio a cassone interamente in calcestruzzo che presenta ottime caratteristiche statiche, e che è anche accettato da Vigili del Fuoco a copertura di locali con alto rischio di incendio.
Solai in acciaio I primi solai in acciaio (verso il 1900) si realizzavano con travi in ferro a doppio T poste ad un interasse intorno a 0,70 1,00 metro ed inserendo; nella luce libera tra due travi, venivano poste volterrane in laterizio o tavelloni (Fig. 13.16), pure in laterizio. Tale connubio però, sia per la differente dilatazione termica dei due materiali sia per la discontinuità dei vari elementi presentava gli stessi inconvenienti esposti per i solai tipo Varese.
Fig. 13.16
In più si aveva l'inconveniente del ristagno di umidità nell'intonaco sotto l'ala della trave in ferro. L'inconveniente fu in un secondo tempo, superato con l'inserimento di particolari copriferro in laterizio (Fig. 13.17) che avvolgevano perfettamente l'ala inferiore della trave in modo che l'intradosso del solaio presentasse un piano continuo ed uniforme per la presa e l'adesione compatta dell'intonaco.
Fig. 13.17
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Onde evitare tali inconvenienti, si è arrivati a realizzare solai interamente metallici che oggi vanno prendendo sempre maggiore diffusione, anche se ostacolati dall'alto costo, in parte compensato da una maggiore celerità di esecuzione. Essi sono principalmente realizzati con la posa di lamiere d'acciaio grecate al di sopra delle orditure secondarie, fissate ad esse mediante punti di saldatura, sopra alle quali viene posta, ancora per saldatura a punti all'estradosso delle lamiere, una rete metallica elettrosaldata a maglia quadra, ed il tutto viene completato da un getto di calcestruzzo di adeguata fluidità e granulometria che, oltre a riempire le nervature sormonta di almeno 3 4 cm le lamiere stesse. E' evidente come sì venga a creare una struttura mista acciaio-calcestruzzo, in cui l'acciaio funziona in un primo tempo come cassaforma e, a realizzazione avvenuta, come parte inferiore tesa, mentre al calcestruzzo viene riservata la funzione di resistere nella parte superiore compressa (Fig. 13.18).
Fig. 13.18
Questo comportamento statico si ha raramente e solo nel caso di solaio ad una campata. Viceversa nei casi più comuni quando le campate diventano numerose (il che è frequente perché l'interasse delle travi non supera i 2,50 metri) la struttura lamiera grecata-calcestruzzo ha un comportamento di trave continua su più appoggi. Esistono tabelle di carico in funzione degli spessori delle lamiere (nor-
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malmente da 6 a 12/10), del tipo di grecatura e del getto. Dette tabelle sono tutte di derivazione sperimentale dato che il funzionamento acciaio-caicestruzzo è in questo caso affidato all'aderenza del getto alla sua cassaforma e, soprattutto perché nelle lamiere in acciaio zincato l'aderenza non è mai del tutto assicurata. La rete metallica che viene posta al di sopra delle lamiere ha una duplice funzione: aumentare l'aderenza e ripartire gli sforzi sulla cappa evitando le noiose fessurazioni. Esìstono vari tipi di lamiere grecate a seconda delle Ditte costruttrici. Principalmente esse variano nel numero di nervature e per la loro profondità; elementi che vanno crescendo all'aumentare della portata richiesta. Fra le più usate sono quelle con 4 nervature sullo sviluppo di un metro (si parte sempre per la profilatura da coils di 1 m di larghezza) di profondità di 45 mm o 65 mm o 95 mm. Normalmente la parte nervata stretta ed alta, viene disposta verso il basso al fine di ridurre il getto e conseguentemente il peso del calcesturzzo. Altri tipi di lamiere si possono avere con agganci mutui particolari, e con dispositivi per il sostegno delle orditure di controsoffitto o costituiti da due lamiere accoppiabili fra loro una sull'altra, (Fig. 13.19).
Fig. 13.19
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Notevole vantaggio presentano detti solai per il loro esiguo peso (dai 110 ai 150 kg/m 2 ) e per la velocità di posa in opera anche senza particolari mezzi di sollevamento. Il loro costo è però influenzato anche dalla necessità di controsoffittare gli ambienti dopo la loro posa e di dover difenderli da possibili attacchi del fuoco mediante amianto spruzzato o vere barriere al fuoco poste nel controsoffitto. Altro tipo di solaio sovente realizzato nelle costruzioni metalliche è quello molto schematicamente illustrato in Fig. 13.20 nel quale risulta accoppiato alla struttura metallica principale delle travi, un normale solaio misto in laterizio e c.a., ed in questo caso la trave risulta incorporata nel getto di calcestruzzo di completamento. Può essere anche molto vantaggio-
Fig. 13.20
samente impiegato il solaio illustrato alla Fig. 13.12 ed in tal caso il travetto in c.a. precompresso si appoggerà semplicemente sull'ala inferiore della trave in acciaio, mentre la pignatta costituirà elemento leggero di riempimento. Anche in questo caso un getto di calcestruzzo, incorporando la trave metallica, legherà le diverse strutture. Questi tipi di solaio trovano largo impiego nella pratica, anche perché uniscono ad una notevole efficienza statica e funzionale un costo che è da considerare abbastanza competitivo in relazione ad altri tipi di uso corrente.
Bibliografia A. ARCANGELI, Le Costruzioni in cemento armato, Milano, 1958. 0. BELLUZZI, Scienza delle costruzioni, voi. II, Bologna, 1968. L. SANTARELLA,7Z cemento armato, voi. II, Milano, 1951. G. COLOMBO,Manuale dell'ingegnere, Milano, 1950.
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TRAVE REP Trave autoportante in acciaio - REP -
La trave REP è l'elemento fondamentale e caratterizzante di un sistema costruttivo a prefabbricazione aperta che si realizza accoppiando la trave stessa a qualsiasi tipo di solaio che soddisfi alle esigenze statiche e funzionali richieste. Interamente prefabbricata in acciaio laminato tipo Fe 52 C (Uni 707072), essa è composta da una orditura a traliccio realizzata con tondi saldati su un piatto di base. Quest'ultimo, oltre a svolgere funzione statica, offre il vantaggio di dare appoggio al solaio e di sostituire la casseratura per il getto integrativo. Alle estremità è previsto un dispositivo di appoggio stabilizzante che garantisce un corretto inserimento nei nodi strutturali senza soluzione di continuità (fig. A). I singoli componenti della trave REP sono solidarizzati tra loro mediante un procedimento di saldatura sotto gas di protezione C02 che l'Istituto Italiano per la Saldatura di Genova ha qualificato con i verbali n. 1649-76 e n. 1664-76 conferiti alla produttrice Valdadige spa. II calcolo statico viene eseguito in conformità alla normativa vigente mediante un elaboratore elettronico. Esso rende possibile un dimensionamento "ad hoc" per ogni singola richiesta in base ai dati tecnici forniti dal progettista ed alle prescrizioni dello stesso. Di regola si adotta l'ipotesi di trave continua su più appoggi puntiformi, variamente incastrata alle due estremità, prescindendo dalla struttura verticale che non risulta quindi vincolante.
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La trave REP si presta infatti ad essere posata sia su piedritti in cemento armato o in acciaio, sia su murature nuove o vecchie; offre inoltre soluzioni interessanti anche nella realizzazione di strutture con campate a sbalzo. Dopo la stagionatura del conglomerato, la continuità tra le varie campate è assicurata dalle barre di collegamento in acciaio fornite a corredo. Nella tabella n. 1 sono illustrate 18 sezioni tipo di conglomerato cementizio memorizzate nel calcolatore elettronico e considerate resistenti ai fini statici nella trave mista. Le loro caratteristiche dimensionali indicano la possibilità di realizzare anche travi di spessore diverso da quello del solaio e perciò sporgenti sia verso l'alto, sia verso il basso; in quest'ultimo caso la trave REP è corredata di un apposito dispositivo che sostiene il solaio alla quota richiesta ed evita onerose puntellazioni provvisorie lungo la trave. La struttura mista ottenuta con l'inserimento della trave REP raggiunge caratteristiche meccaniche notevoli, decisamente superiori a quelle che si possono ottenere con la tradizionale trave in cemento armato di uguali dimensioni, in particolare per quanto riguarda la rigidezza. Le armature e le sezioni tipo fornite all'elaboratore possono essere modificate, purché si sottopongano a verifica le singole sezioni in ogni fase di carico. Così potendo scegliere, per il piatto fra le larghezze di 25, 33, 50,
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segue tabella 1 — Sezione tipo
66 cm e fra gli spessori di 6 e 10 mm, per il tondo fra tutti i diametri in commercio, si può facilmente sostituire all'armatura standard memorizzata quella più idonea al caso in esame. Analogo criterio si può seguire nella scelta della sezione tipo. La trave REP offre perciò al progettista una considerevole elasticità nel dimensionamento ed una scelta flessibile della maglia strutturale ; di conseguenza offre anche la possibilità di soddisfare agevolmente le esigenze architettoniche. I campi d'impiego sono rappresentati nel diagramma di fig. 2, dove è possibile rilevare le coppie di valori; "luce solaio, luce trave REP" associabili nell'ipotesi di continuità, in funzione del loro comune spessore. In base ai momenti di esercizio agenti sulla trave REP, si può ricavare, nei casi più comuni, il peso di acciaio richiesto per il corretto dimensionamento della trave stessa, compresa l'armatura necessaria per assorbire i momenti negativi ai nodi. Nel campo dei momenti d'esercizio inferiori a quelli indicati, il peso stesso non può diminuire poiché il dimensionamento minimo rimane costante (Tab. 2). Nei casi in cui: M > 6.000 kgm nella struttura H = 20 M > 8.000 kgm nella struttura H = 24 M > 11.000 kgm nella struttura H = 28 M > 14.000 kgm nella struttura H = 32 è necessario aumentare la larghezza dell'ala nella sezione a T in calcestruzzo collaborante con la trave REP. Ciò si ottiene disponendo nel solaio, la-
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Tabella 2 - Peso TRAVE REP per metro lineare comprese barre integrative per momenti negativi.
teralmente alla trave stessa, blocchi di alleggerimento che abbiano un'altezza inferiore di almeno 4 cm rispetto a quelli impiegati nella zona centrale della campata. La trave REP viene posta in opera senza l'impiego di rompitratta, mentre questi ultimi sono applicati al solaio che ad essa si accoppia. Talvolta risulta conveniente, quando si impiegano solai nervati precompressi, risolvere tutto l'orizzontamento in completa autoportanza. In tal caso va posta speciale attenzione al dimensionamento della trave ed agli ancoraggi ai pilastri, affinché siano assorbiti in piena sicurezza gli sforzi derivanti dalla prima fase di carico, particolarmente gravosa.
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La caratteristica di autoportanza della trave REP, unita alla possibilità di fungere da cassero, consente cosi una sensibile riduzione e in qualche caso la eliminazione dei rompitratta provvisori, maggiore pulizia di cantiere e migliore agibilità del piano sottostante. Figura B — Campi d'impiego per sovraccarichi di civile abitazione.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
LE COPERTURE
La copertura è l'elemento terminale della costruzione ed ha la funzione di proteggere questa dalle variazioni atmosferiche e dalle intemperie. Le coperture possono essere orizzontali o piane, oppure inclinate 0 a falde. Caso particolare sono le coperture a volta o a cupola di cui si accennerà brevemente in appresso. Nelle coperture a falde, l'inclinazione di queste non è tanto in relazione alla zona ed alla latitudine ove dovrà sorgere l'edificio, ma soprattutto in strettissima funzione con il materiale adoperato come manto di copertura, per il quale, almeno per i tipi tradizionali, esistono dei valori di pendenza ottimale che non possono essere superati, né in difetto né in eccesso, senza causare gravi conseguenze all'impermeabilità della copertura o alla stabilità dei singoli elementi costituenti il manto. Ad esempio per un normale tetto di tegole in laterizio (coppi), la pendenza si aggira attorno al 30 35%. Suddivideremo le coperture in relazione alla loro struttura in: — coperture a volta — coperture a falde — coperture piane.
Coperture a volta Furono usate nell'antichità sia come elemento di suddivisione dei vari piani, in sostituzione dei solai, sia come strutture di copertura. Il loro funzionamento statico è analogo a quello degli archi, da cui strettamente derivano: sono cioè costituite da una successione di elementi, o conci, che agendo per mutuo contrastro trasmettono alle imposte il peso proprio e i carichi sovrastanti. Essendo, come gli archi, delle strutture spingenti, necessitano di catene metalliche orizzontali per annullare gli sforzi di trazione in corrispondenza dell'imposta. Si definiscono come volte semplici quelle che non presentano spigoli all'intradosso, costituite cioè da superfici curve uniche. Le principali (Fig. 14.1) sono: La volta a botte (Fig. 14.la), costituita da un semicilindro ad asse retti-
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lineo, oppure obliquo (b), o a generatrici inclinate (c) o con le imposte collocate a diversa altezza (d). Spesso, per particolari strutture, come le scale, è stata impiegata nel passato la volta anulare o elicoidale, costituita da una volta a botte avente per linee di imposta due cerchi concentrici o due eliche coassiali (e). La volta conica o a conoide (Fig. 14.1f,g,h,i), particolarmente usata per la copertura di ambienti di forma irregolare, oppure quando, come nel caso di edifici industriali, si voglia ottenere una zona unidirezionale di illuminazione, analoga a quella delle coperture a "shed". Caso particolare è invece quello riportato nella figura i, conoide a doppia direttrice, usata sovente per coperture industriali di grandi luci, con sostegno centrale o ai vertici della superficie.
Fig. 14.1 - Forme geometriche di alcune volte semplici.
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La volta a vela (Fig. 14.1 l,m) che è costituita da superfici sferiche oppure elissoidiche. Sono indicate per coprire ambienti rispettivamente a pianta quadrata o rettangolare ed hanno caratteristica, al contrario delle volte a botte, di scaricare i pesi soltanto sui quattro punti delimitanti la superficie. Si definiscono come volte composte quelle costituite dall'unione di più volte semplici e che presentano l'intradosso intersecato da spigoli e da angoli che ne interrompono la continuità. Le principali (Fig. 14.2) sono:
Fig. 14.2 - Forme geometriche di alcune volte composte.
La volta a padiglione (Fig. 14.2a), costituita dall'intersezione di due volte a botte aventi le linee di imposta sui lati dell'ambiente. Si immagini cioè di tagliare con due piani verticali diagonali una volta a botte a pianta
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quadrata; si otterranno cosi quattro parti a due a due uguali chiamate unghie le une e fusi le altre. L'unione di quattro fusi, cioè degli elementi di volta in corrispondenza della struttura muraria portante all'imposta, generano appunto le volte a padiglione, mentre l'unione di quattro unghie genera: La volta a crociera (Fig. 14.2e,f) che, analogamente alla volta a vela concentra le azioni di spinta ai vertici della pianta. Se la generatrice dell'unghia è inclinata si ottiene la volta rialzata (g,h), e tale rialzatura può essere più o meno accentuata, fino a raggiungere il tipo ad archi acuti (i), che fu caratteristica dell'arte ogivale, sulla cui individualità estetica e costruttiva brevemente si è accennato nel capitolo 1. Altri tipi, meno importanti di volte composte, possono essere: La volta a botte con testate di padiglione (Fig. 14.2b). La volta a schifo (Fig. 14.2e), ottenuta tagliando con un piano orizzontale la parte superiore di una volta a padiglione oppure a botte con testate di padiglione. La volta lunettata (Fig. 14.2d) costituita dall'intersezione su una volta a botte principale di altre volte a botte, minori, normali alla prima, generalmente impiegate per illuminare l'ambiente sottostante. Per la struttura delle volte nell'antichità vennero impiegati materiali lapidei o laterizi e la loro costruzione, particolarmente per quelle del tipo composto, come avviene per gli archi, era iniziata dalle linee di imposta tracciate sulla parete dell'ambiente e procedendo da queste sino alla sommità. Particolari apparecchi, stabilivano cioè la disposizione più opportuna da assegnare ai conci, sia di struttura nelle volte semplici che di riempimento in quelle composte, naturalmente variabili a seconda del tipo di volta adottata. Le strutture a volta sono oggi quasi generalmente impiegate per la copertura di grandi luci per edifici industriali (i cosiddetti "capannoni"). I tipi più usati sono il tipo classico a botte ove la struttura può essere costituita da elementi prefabbricati reticolari in calcestruzzo, posti ad interesse non superiore ai 2 m e con interposti all'entradosso, tra arco ed arco, elementi rettangolari, cioè lastre anch'esse prefabbricate in calcestruzzo. La struttura può essere anche in laterizio, costituita da travetti preconfezionati e posti in opera accostati come per i già descritti solai in laterizio e cemento armato. In laterizio sono anche eseguite le volte a conoide, o a paraboloide o a doppia curvatura. Queste strutture necessitano di tiranti orizzontali in ferro, che ne limitano in un certo senso l'impiego, sia perché tale elemento deve essere sufficientemente protetto dalle azioni del fuoco, sia perché la presenza di tale suddivisione orizzontale rende in pratica inutilizzabile tutta la porzione di spazio compresa tra le imposte e l'intradosso della volta. Tale
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volume, che generalmente è notevole, è da considerare perso ai fini dell'utilizzo, ma è altresì da considerare nel volume effettivo per il calcolo della illuminazione e del riscaldamento dell'ambiente. Per cui, come si vedrà in seguito, l'attuale tendenza per le coperture di tipo industriale o per grandi luci tende ad eliminare le strutture a volta. La copertura a volta per grandi luci, prefabbricata in calcestruzzo armato in cantieri specializzati, è costituita fondamentalmente da tre elementi: 1) Due semiarchi parabolici monolitici a struttura reticolare posti ad un interesse variabile da 1,50 a 2,50 metri costituenti l'ossatura portante. La conformazione dell'arco risulta con giunto centrale a maschio e femmina funzionante a cerniera, e così pure la conformazione degli appoggi individuando la struttura come un arco a tre cerniere. Tale configurazione statica è particolarmente adatta nel caso della prefabbricazione per la semplicità di calcolo e per la facilità di montaggio, essendo il regime degli sforzi interni insensibili agli errori di posa in opera, cedimenti degli appoggi e variazioni di temperatura. 2) Lastre in c.a. vibrato con dimensioni di circa 2,00x0,35x0,08 metri, interposti tra arco ed arco. La sagomatura di queste lastre è tale da conferire una eccezionale leggerezza unita ad una notevolissima resistenza. Il profilo esterno dà luogo, quando gli elementi sono tra loro accostati, alla formazione di canali disposti a rete con lati alternativamente paralleli e normali agli archi. Tali canali vanno sigillati con conglomerato cementizio ad alta resistenza ed è buona norma costruttiva inserire in essi tondini di acciaio di adeguato diametro allo scopo di creare un efficace collegamento delle strutture in senso longitudinale. 3) Tiranti in tondo di acciaio di controllata qualità per l'assorbimento della spinta orizzontale. Oltre ai tiranti ed ai tenditori si hanno le piastre di acciaio da serrare contro le sezioni terminali di imposta dell'arco con i relativi dadi e controdadi. Questa caratteristica è particolarmente favorevole al costruttore perché elimina il tenditore centrale permettendo di registrare comodamente la tensione del tirante delle sezioni di imposta. Per la fabbricazione degli elementi vengono esclusivamente usati conglomerati ad alto dosaggio di cementi ad alta resistenza, inerti di appropriata granulometria e tondo di acciaio. Le strutture vengono infine confezionate su tavoli vibranti ed in forme di ferro.
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Coperture a falda E' il tipo di copertura più comunemente usato negli edifici civili, nei quali il tetto è costituito da uno o più elementi inclinati, appunto le falde, che devono essere progettate e conformate in modo da assicurare un perfetto e regolare deflusso delle acque piovane. La più semplice disposizione è naturalmente ad una sola falda, ma anche se è qualche volta impiegata, tale soluzione raramente è soddisfacente da un punto di vista estetico, data la differenza considerevole di altezza che vengono ad assumere le pareti opposte dell'edificio in relazione alla pendenza della copertura. E' invece molto usata la disposizione a due falde (il cosiddetto "tetto a capanna") caratterizzato da una linea di colmo centrale sulla copertura e due linee di gronda parallele ed opposte a questa. Nella disposizione a più falde, usata sovente per edifici costituiti planimetricamente da superfici composte, particolare importanza riveste lo studio geometrico della copertura procedendo dagli angoli a mezzo di bisettrici, perché tutte le falde devono avere la medesima pendenza, ed individuano le linee di compluvio, cioè le rette di incontro delle superfici interne e formanti angolo rientrante, le linee di displuvio, cioè le rette di incontro delle superfici esterne e formanti angolo sporgente, la linea di colmo e quella di gronda Fig. 14.3 (Fig. 14.3). In speciali condizioni ambientali e tradizionali si usano costruire anche tetti le cui falde, invece che risultare formate ciascuna di un unico piano inclinato, sono costituite da due piani con differente inclinazione, di solito l'una molto più forte dell'altra. Tale tipo di tetto, prende il nome di mansarda, dall'architetto J. Hardouin Mansard che per primo lo adoperò a Parigi verso la metà del 1600. Con tale tipo di copertura gli ambienti di sottotetto vengono ad essere utilizzati come abitabili ed i locali che se ne ricavano hanno pareti e soffitti piani, in quanto all'altezza di cui si incontrano le falde
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a diversa inclinazione, è eseguita una solita impalcatura, poi controsoffittata. A seconda del tipo di struttura portante di copertura i tetti a falde possono essere suddivisi in: Capriate o incavallature in legno. Tale tipo di struttura è certamente il più classico ed antico, ora generalmente in disuso, esistendo in commercio materiale di minor costo e di più facile esecuzione e posa in opera. Hanno la caratteristica di scaricare il loro peso soltanto sui due muri portanti
Fig. 14.4 - a) Capriata palladiana; b) id con sottocatena; c,d,e,f) particolari costruttivi delle connessioni.
esterni della costruzione; hanno generalmente luce di 12 15 m, anche se in qualche esempio del passato sono riscontrabili luci fino a 25 ^ 30 m. Sono a sezione triangolare, costituite in legno di essenza dura o resinosa quali il larice, il castagno, l'abete o il pino. Gli schemi strutturali più semplici con i particolari degli attacchi sono riportati in Fig. 14.4; è da far rilevare che il monaco non deve mai essere appoggiato all'elemento orizzontale, la catena, ma anzi a mezzo di una o più staffe dovrà opporsi all'inflessione di questa sotto il peso proprio, in quanto tale elemento dovrà resistere soltanto a sforzi di trazione. I carichi che devono sopportare le capriate comprendono: - il peso del manto di copertura,
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— il peso della piccola orditura (listelli di sostegno del manto e travicelli o travetti a questi ortogonali), — il peso della grossa armatura (arcarecci o terzere), — il peso proprio della capriata, — il sovraccarico accidentale dovuto alla neve ed alla spinta del vento. Capriate a strutture metalliche. Si è già visto come le strutture metalliche per la loro leggerezza possono essere agevolmente impiegate fino a 40 metri di luce non creando particolari problemi di progettazione, esecuzione e montaggio. Come già detto, queste luci possono venire superate con tradizionali strutture a capriate (Fig. 9.20), o, con diffusissimo uso per coperture industriali, con strutture a "sheds" costituite da travi reticolari principali rettilinee che portano, appoggiate superiormente da un lato, appesa inferiormente dall'altro, capriate triangolari di sostegno della copertura. La struttura a capriata reticolare era il tipo più comune e ricorrente di copertura metallica, particolarmente impiegata per edifici industriali; essa è costituita da una serie di capriate ordite nel senso trasversale del fabbricato, di cui un esempio schematico è riportato in Fig. 14.5, sul cui corrente superiore, in corrispondenza dei nodi della struttura reticolare, è posta una serie di correnti longitudinali che prendono il nome di terzere o arcarecci ai quali è fissata la copertura. Naturalmente sono in funzione del tipo di manto di copertura adottato sia i tipi di arcarecci impiegati, che l'interasse tra questi ed anche il tipo di capriata, principalmente per quanto riguarda la pendenza della falda, che nei tipi più correnti ha un valore medio del 15% (impiegando cioè manti di copertura in lastre di fibro-cemento o lamiera ondulata).
Fig. 14.5 — Esempio schematico di capriata metallica per edifici industriali.
La struttura a shed invece, offre il vantaggio di poter usufruire del lato esterno della trave principale come lucernario, orientato preferibilmente a nord, al fine di ottenere una illuminazione pressocché costante come intensità, evitando i fastidiosi effetti di abbagliamento dei raggi solari diretti.
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La caratteristica costruttiva di questo tipo di copertura (Fig. 14.6), è di essere costituita da tre ordini di membrature: 1) Travi principali, generalmente reticolari, con funzioni anche di portavetro. 2) Travi secondarie inclinate, appoggiate alla briglia superiore ed a quella inferiore delle travi principali. 3) Arcarecci di sostegno della copertura, correnti sulle travi secondarie e quindi orditi parallelamente alle travi principali.
Fig. 14.6 - Schema di struttura a shed.
Quando per particolari esigenze sia necessario superare le luci sopradetto, si dovrà ricorrere ad altri tipi di struttura, tra le quali hanno un'ampia diffusione quelle ad arco nei vari tipi e soluzioni; gli archi reticolari vengono eseguiti con forma parabolica preferibilmente quando i carichi verticali siano predominanti e possono essere sia del tipo a spinta eliminata con tirante, sia normali, nei quali le spinte vengono affidate alle strutture sottostanti che le trasmettono poi alla base. L'arco a tre cerniere è preferito nei casi in cui si debba supporre possibili cedimenti degli appoggi che, con questo tipo, come già visto, non ne influenzano la stabilità. Da tempo si sono operati però studi in altre direzioni al fine di ottenere coperture di diversa forma pur sempre atte alla copertura di grandi luci, e principalmente per uso industriale. Uno di questi si muove nel campo delle piastre reticolari, costituito cioè da un insieme di strutture reticolari nello spazio, che, nel caso più semplice, sono costituite da una orditura di travi nei due sensi, incrociati a 90°, sistema assai laborioso essendo basato sulla congruenza degli abbassamenti di ogni nodo d'incrocio di dette travi, che oggi è stato di molto snellito nella calcolazione dall'impiego dei calcolatori elettronici ed esistono già numerosi esempi di grandi coperture di questo tipo, per le quali sono stati ottenuti dei pesi non eccessivamente elevati con altezze limitate e coperture pressocché piane. Variante a questo tipo di soluzione pressocché completamente sperimentale, è il tipo di copertura "Behlen" di brevetto americano, costituita
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da lamiere irrigidite e sagomate a grande ondulatura, di spessore discretamente elevato, per copertura, unite a lamiere simili, in controsoffittatura, con una grande serie di diagonali a croce di Sant'Andrea realizzate in profili laminati a freddo con sagoma ad omega irrigidito. L'aspetto complessivo è di un grande cassone, di notevole altezza, che può essere lanciato su luci fino a 60 80 metri con notevole semplicità. Il sistema si basa sull'utilizzazione delle lamiere di copertura e di controsoffittatura come parti compresse e tese di una grande lastra, lasciando alle diagonali il compito di assorbire i tagli e trasmettere tra le due parti gli sforzi (Fig. 14.7). LUCE LIBERA MASSIMA DELLA COPERTURA BEHLEN PER DIVERSI SOVRACCARICHI
Aumentando l'altezza della copertura Behlen si possono ottenere campate fino a 100 metri senza appoggi intermedi.
Fig. 14.7
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L'esperienza dei ponti sospesi ha portato, soprattutto in America, allo studio ed alla realizzazione di coperture realizzate pressoché interamente con cavi. Ne nascono forme complesse e superfici rigate, semplici o complesse, che permettono la copertura di grandi stadi, auditorium, teatri ecc. con notevole leggerezza utilizzando elementi tutti sottoposti a trazione e realizzati con acciaio ad altissima resistenza. Gli sforzi di compressione ed i movimenti derivanti dalla copertura vengono assorbiti dalle strutture verticali d'ambito. Il problema più importante in questo tipo di struttura è rappresentato dalla ricerca dei materiali di copertura e di isolamento che devono essere al tempo stesso molto leggeri e resistenti nel tempo. Oggigiorno le applicazioni più frequenti sono dirette verso il poliuretano espanso, con notevoli densità e spesso schiumato direttamente, ricoperto da manti impermeabilizzanti in resine sintetiche di notevole elasticità. Poco però si può ancora dire sull'invecchiamento di questi nuovi materiali. In Italia una interessante e positiva esperienza è stata realizzata a Genova con la costruzione del Palazzo dello Sport la cui copertura è schematicamente simile ad una ruota di bicicletta posta orizzontalmente in cui il mozzo costituisce un imbuto centrale per la illuminazione ed i raggi reggono copertura e controsoffitto, con le proprie pendenze, in elementi tutti tesi. La copertura è realizzata con tegoloni in resine poliestere costituiti appositamente per l'opera. Capriate in calcestruzzo armato, adatte come impiego in sostituzione delle capriate in ferro; sono sempre prefabbricate, possono coprire luci notevoli, ed in relazione all'impiego ed al loro peso risultano relativamente economiche. Presentano il vantaggio della rapidità della posa in opera, richiedendo una puntellazione provvisoria quanto mai limitata; poggiano o sono incastrate su strutture laterali portanti (travi e pilastri in c.a.) e sono poste di solito ad un interasse di circa 2 metri, in quanto analogamente alle strutture prefabbricate ad arco, una tale luce permette l'interposizione degli elementi di chiusura realizzati con lastre prefabbricate in calcestruzzo che, a mezzo di un getto, vengono ancorati con i ferri che superiormente sporgono dal corrente superiore della capriata stessa. Con tale sistema la struttura di copertura è posta in opera con estrema facilità ed in breve tempo, non richiedendo costose opere di puntellazione e di casseratura. Altro vantaggio delle strutture a capriata è che è possibile utilizzare, a mezzo della costituzione di un controsoffitto a livello della catena, gli spazi sovrastanti, tra le aste, come volume tecnico per il passaggio di tubi o canalizzazioni. Il calcolo di queste strutture, se considerate come travi reticolari piane ad aste rigidamente collegate (infatti le unioni sono dei veri e propri incastri che impediscono alle aste di ruotare attorno ai nodi, generando agli estre-
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mi delle aste dei momenti flettenti che determinano nelle stesse delle sollecitazioni non trascurabili) esigono calcoli notevolmente laboriosi e complessi, presentando tali strutture un rilevante numero di incognite iperstatiche. Di conseguenza, semplificando, e per strutture di semplice copertura, si usano per la calcolazione gli ordinari diagrammi cremoniani, supponendo generalmente tutti i carichi concentrati sui nodi (che è poi la posizione degli arcarecci), e pertanto il dimensionamento delle singole aste verrà eseguito considerando gli sforzi principali quali risultano dai diagrammi cremoniani. Le capriate in calcestruzzo possono assumere qualsiasi forma o dimensione, data la particolarità del calcestruzzo stesso di conformarsi perfettamente all'interno di casseforme precostituite (Fig. 14.8); un tipo particolare che trova specifica applicazione negli edifici industriali che necessitano di una luce unidirezionale, proveniente da nord, è il tipo a shed (Fig. 14.8d), costituito da strutture reticolari più volte ripetute, triangolari ed a lati diversamente inclinati; nei quali quello a pendenza minore sostiene il manto di copertura (di solito con solaio sottostante o con elementi prefabbricati in calcestruzzo), e quello a pendenza più pronunciata, che è qualche volta verticale, la finestratura necessaria. Ogni triangolo dell'incavallatura è composto da due puntoni e da una catena, il puntone più inclinato è soggetto a compressione e poco a flessione, quello più inclinato prevalentemente a flessione, e la catena a trazione; nel caso si volesse diminuire il numero di pilastri tra elemento ed elemento, si dovrà disporre un puntone superiore o briglia, di collegamento dei vertici superiori dei triangoli (Fig. 14.8e). Tale tipo di struttura può essere naturalmente eseguita anche in ferro. Un particolare tipo di capriata che ha trovato un largo impiego è quello del tipo prefabbricato e precompresso in c.a. a parete piana, a sezione rettangolare in corrispondenza degli appoggi ed alleggerita a doppio T nelle altre sezioni, calcolata per sopportare carichi uniformemente ripartiti in condizioni di semplice appoggio. Un tale tipo di struttura viene impiegata esclusivamente con manti di copertura particolari (lastre ondulate di fibro-cemento) che richiedono una pendenza del 15%, e quindi con conseguente riduzione di altezza e riduzione di peso.
Strutture sottotegola per edifici civili Nei comuni edifici civili ove le luci sono generalmente modeste le falde dei tetti sono formate da comuni solai (solai sottotegola) collocati in opera con la pendenza necessaria al di sopra dell'ultimo solaio posto a copertura dell'ultimo piano. La disposizione più classica prevede un muro di spina centrale per il sostegno della trave di colmo che è più alto dei muri perimetrali. I solai sottotegola vengono tessuti fra la trave di colmo e le travi peri-
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Fig. 14.8
metrali di bordo. In maniera analoga si procede nei fabbricati con ossatura in calcestruzzo armato. Nel caso che il muro o la pilastrata di spina non fossero a egual distanza dai muri o dalle travi perimetrali le pendenze delle falde sarebbero diverse e potrebbero essere intollerabili.
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In questa ipotesi, e per luci contenute, l'inconveniente può esser ovviato lasciando libera da appoggi e centrando la trave di colmo. In questo modo le due falde del tetto sono assimilabili a due puntoni di capriata. Per eliminare la spinta che questi due puntoni vengono a ingenerare è necessario sistemare nel più alto solaio a copertura dell'ultimo piano una serie supplementare di ferri orizzontali saldamente connessi con le travi di bordo che vengono ad assolvere le funzioni della catena della ipotizzata capriata. Per i solai di sottotegola trovano buon impiego i solai tipo Varese che con le tavelle superiori costituiscono un ottimo piano di appoggio al manto di copertura (tegole, lamiere grecate, ecc.) e che consentono l'inserimento, nell'interspazio fra tavelle superiori e inferiori, di materiale termicamente isolante. Il volume di un sottotetto realizzato con travi sottotegola risulta praticabile e può essere usato come locale accessorio o anche, se opportunamente attrezzato e protetto, come mansarda. La costruzione delle falde di un tetto con solai sottotegola risulta relativamente caro e certamente più caro della costruzione delle falde con muretti e tavelle di cui si dirà. Da pochi anni, infatti, per economizzare sul costo di costruzione delle falde del tetto si è adottata altra tecnica che certamente non risponde ai migliori canoni del buon costruire e i cui risultati potranno essere valutati fra pochi anni. La nuova tecnica consiste nel costruire l'ultimo solaio a copertura dell'ultimo piano sufficientemente robusto. Sopra questo solaio e con andamento perpendicolare ai travetti che lo compongono, vengono costruiti dei sottili muri con interasse fino ad un metro e di altezza degradante dal colmo alla gronda. Sopra i detti muretti vengono posti delle tavelle saldate con malta che costituiscono il piano di appoggio del manto di copertura. L'intenso reticolo di muretti rende inutilizzabile il sottotetto che, peraltro, con opportuni varchi lasciati nei muretti, dovrà poter essere accessibile per poter accedere al tetto per riparazioni, posa di antenne, ecc..
Coperture piane Il tipo più semplice per coperture di luci normali è quello rappresentato dal solaio di copertura dell'ultimo piano, al di sopra del quale per ragioni pratiche od estetiche, si voglia realizzare una terrazza (tetto piano) praticabile o meno. Questo solaio oltre ad essere adatto a sopportare i carichi accidentali (persone, neve) ed i carichi permanenti (pavimenti, sottofondi, ecc.) dovrà esser impermeabile all'acqua e termicamente isolante.
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Per la struttura si rimanda al capitolo dei solai, per l'isolamento e lo scolo delle acque si rimanda al capitolo 15 (isolamento dall'umidità) per la protezione termica si rimanda al capitolo 17 (problemi termici). Per le coperture di grande luce, e generalmente per gli edifici industriali, si trascurano ormai le capriate (in ferro e in c.a.), le travi ad anima piena in calcestruzzo, le travi reticolari o a cassone in ferro o calcestruzzo perché il loro impiego risulta di alto costo e per il pericolo di attacco dal fuoco nel caso di strutture in ferro. In questi ultimi anni hanno trovato vantaggioso e larghissimo impiego le strutture costituite con travi prefabbricate e precompresse che oltre a superare luci notevoli, permettono una rapida esecuzione del lavoro ed hanno un prezzo contenuto e altamente competitivo oltre ad avere un aspetto più consono ai gusti estetici attuali e ad eliminare i volumi persi presenti nelle strutture ad arco. Queste travi precompresse possono o meno richiedere un completamento superiore di copertura (Fig. 14.9) e possono assumere le forme più svariate a seconda dei brevetti o delle industrie che le producono; si hanno così forme a Y, a X ad omega diritto o rovescio, a T, a C, a TT, ecc.. Nella Fig. 14.9 sono riportate le sezioni di tre tipi di coperture piane con travi precompresse. Nel caso di travi a Y poste tra loro ad un certo interasse e rese più o meno solidali con le strutture portanti perimetrali, lo spazio fra le varie travi viene chiuso con cupolini in calcestruzzo che, per dare una sufficiente illuminazione all'interno, possono, per file continue o a tratti, essere sostituite da cupolini translucidi in materiale plastico. Nella Figura 14.9 è anche rappresentata la sezione di una copertura a travi precompresse ad omega rovescia ed accostate fra di loro. In questo caso l'illuminazione supplementare necessaria può esser fornita da finestrelle ricavate sulle pareti verticali della trave ad omega. In tutte queste coperture con travi precompresse di grande luce il problema della condensa assume particolare importanza. Cosi, per evitare stillicidi di condensa, se il locale è riscaldato, è necessario adottare i necessari accorgimenti con contrasoffittature isolanti o altri sistemi. Le travi precompresse sono prodotte in stabilimenti a elevato livello di meccanizzazione, per cui, dati i costanti controlli a cui sono sottoposte, risultano confezionate con materiali di caratteristiche costanti; sono realizzate in calcestruzzo precompresso a fili aderenti e presentano il lembo superiore perfettamente finito in quanto per il loro impiego non è previsto alcun completamento superiore, essendo la loro sezione reagente atta a resistere da sola alle sollecitazioni esterne. Il loro vincolo alle strutture laterali (che possono essere anch'esse prefabbricate) è di semplice appoggio, mentre il loro interasse è variabile a seconda del tipo di copertura o di manto che vie-
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Fig. 14.9 - Esempi di coperture piane con tiavi precompresse.
ne adottato. Trovano impiego in tutti quei casi in cui si vuole evitare l'impalcatura provvisoria di sostegno e in quei casi in cui, per ragioni strutturali, non è necessario applicare una soletta collaborante. Il manto di copertura li manto di copertura è l'elemento che rende impermeabile la struttura del tetto permettendo un regolare e costante deflusso delle acque piovane. I tipi più comunemente usati sono le tegole curve, le tegole alla romana e le marsigliesi, a cui si è già accennato nel capitolo riguardante i laterizi, che pre-
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Fig. 14.10
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sentano pur con pesi propri abbastanza rilevanti il grandissimo vantaggio di essere adattabili ad ogni tipo di copertura per la limitata misura di ogni singolo elemento. Le caratteristiche per il loro impiego e le pendenze della falda del tetto su cui sono posti, possono essere sintetizzate nella tabella seguente:
Un materiale largamente usato, principalmente per manti di copertura di edifici industriali, per la notevole leggerezza e resistenza e per il fatto che consente pendenze delle falde non superiori al 15% è il fibro-cemento (impasto di cemento ed amianto pressato, il cui nome commercialmente tra i più noti è "Eternit"), conformato in lastre piane oppure ondulate. Tali lastre che hanno la caratteristica di essere autoportanti, hanno dimensioni variabili tra 0,95 e 1,050 m di larghezza e tra 1,22 e 2,44 m di lunghezza; hanno spessore variabile tra mm 5,5 e 7, ed il peso di un tale tipo di manto di copertura varia dagli 8 ai 12 kg/m 2 . Le lastre sono poste in opera con sovrapposizioni di circa 12 cm e fissate con viti di ferro zincato alla sottostante struttura se questa è in legno, oppure con bulloncini di ferro zincato e dado quadro se la struttura è metallica. Oltre all'estrema leggerezza e resistenza, tale tipo di materiale presenta il non indifferente vantaggio che non è necessaria una struttura sottostante continua di supporto, ma è sufficiente una struttura aperta (arcarecci) di maglia leggermente inferiore alle dimensioni della lastra. Sono però fragili e possono rompersi in casi di forti grandinate. I materiali metallici in lastre di rilevante spessore trovarono largo impiego nell'antichità come manti di copertura, e basti pensare ad esempio alle lastre di piombo che rivestono la struttura delle cupole della Basilica del Santo o della grande volta a carena del Palazzo della Ragione di Padova. Attualmente si usano lastre di minimo spessore, generalmente in lamiera sottile di acciaio zincato e sagomato, materiale dotato di elevata resistenza meccanica, di ottima resistenza all'azione degli agenti atmosferici che assicura, data la superficie perfettamente liscia, un agevole e costante defluire delle acque; sono anche di estrema leggerezza, di facile e rapida posa in opera e si adattano a qualsiasi tipo di struttura.
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Gli elementi di copertura in lamiera di acciaio zincata e sagomata (e la sagomatura può essere ad onde, come per le lastre di fibro-cemento oppure a greca e si hanno le lamiere grecate) sono solitamente caratterizzati da forma rettangolare con nervature, ricavate nel senso della lunghezza, che ne aumentano la resistenza a flessione. Le dimensioni sono variabili; le più comuni hanno uno spessore fino a 2 mm, una larghezza di circa un metro ed una lunghezza fino a 16 metri, ed il peso di una copertura di tale tipo è variabile da circa 10 a 20 kg/m 2 . Con l'applicazione di lamiere zincate fortemente nervate a tre onde trapezoidali (Fig. 14.11) che ne aumentano la capacità portante, si possono ricoprire ampie superfici ove gli appoggi sono costituiti da maglie poste ad interasse rilevanti; un lembo piegato verso l'alto lungo la testata superiore elimina le infiltrazioni di acqua per stravento, mentre un lembo piegato verso il basso lungo la testata inferiore fa le funzioni di gocciolatoio. Il fissaggio alla sottostante struttura, di qualunque tipo essa sia, avviene a mezzo di appositi giunti stagni a cappuccio studiati nei diversi tipi adatti ad ogni condizione di impiego (Fig. 14.11).
Fig. 14.11
Possono essere anche impiegati per tali tipi di copertura lamiere grecate in acciaio zincato, nervate secondo la lunghezza ed aventi forme e dimensioni diverse a seconda della portata richiesta ed in relazione alla distanza tra gli appoggi; in tal caso il manto di copertura continuo è ottenuto so-
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vrapponendo i lembi esterni delle lamiere, e l'ancoraggio alla sottostante struttura avviene con uno dei tipi di ganci di cui alla Fig. 14.12. Le lamiere zincate che costituiscono questi tipi di manti di copertura, hanno la capacità di riflettere, grazie alla loro speculante i raggi solari, fungendo da discreti isolanti; pur tuttavia nei casi si volesse ottenere un buon
Fig. 14.12
valore dell'isolamento, verranno impiegati i pannelli "sandwich" composti da due lamiere, una inferiore ed una superiore, con interposto strato isolante costituito da materassini di fibre minerali, oppure da resine sintetiche o schiume espanse. Come soluzione più economica possono essere usate speciali vernici isolanti con caratteristiche antirombo, che si applicano a spruzzo sulla superficie al di sotto della copertura. Altro materiale, eccellente sotto ogni punto di vista come manto di copertura, è il rame, conformato in lastre o in striscie lisce o nervate, che alle caratteristiche di resistenza e leggerezza proprie delle lamiere metalliche unisce la proprietà di autoproteggersi dagli agenti atmosferici. Il rame infatti appena esposto all'aria, diventa opaco e si scurisce per la formazione di solfato basico che forma una patina protettiva per il materiale sottostante; nel tempo tale patina assume la caratteristica colorazione verde-rame di gra-
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devole effetto estetico. Soltanto l'elevato costo ne limita notevolmente l'impiego. Anche molto usato per le sue eccellenti caratteristiche è l'alluminio, che anch'esso ha la proprietà di autoproteggersi naturalmente senza bisogno di vernici protettive. Tutti i manti di copertura metallici possono essere posti in opera con pendenze di falda minima di circa il 6 8 %.
Bibliografia G.B. MILANI, L'ossatura murale, Torino, 1911 A. CAVALLARI-MURAT, Intuizione statica ed immaginazione formale nei reticoli spaziali delle volte gotiche nervate, in "Atti e rassegna tecnica", luglio 1958. E. PITTINI, Lezioni di Architettura Tecnica, Torino, 1954. L. GUARNERI, Elementi costruttivi nell'Architettura, Volume II, Milano, 1965. A. PETRIGNANI, Tecnologie dell'Architettura, Milano, 1967. L'acciaio nell'Edilizia Moderna, Italsider, 1966Il rame nell'Architettura: i tetti, Cisar, 1964.
CAPITOLO QUINDICESIMO
LA PROTEZIONE CONTRO L'UMIDITA
Particolare importanza rivestono in un edificio tutte quelle opere protezionali che sono approntate per impermeabilizzarlo, cioè per difenderlo dalla penetrazione dell'acqua, che può essere di origine sotterranea oppure atmosferica. Pertanto potremo nettamente distinguere le opere relative a: — isolamento dall'umidità sotterranea, — isolamento dagli agenti atmosferici, — barriera al vapore.
Isolamento dall'umidità sotterranea Nel sottosuolo l'acqua si propaga essenzialmente per capillarità, ed infatti qualsiasi tipo di terreno è da considerarsi in pratica come un insieme di infiniti capillari; tale umidità proviene dal drenaggio delle acque superficiali nei vari strati del terreno e delle variazioni del livello della falda freatica; essa talora può esercitare anche delle gravose controspinte sulle pareti e sulle solette a pavimento di vani interrati. Nel caso di locali sotterranei sarà necessario individuare con esattezza il massimo livello raggiungibile dalla falda e provvedere di conseguenza ai vari tipi di impermeabilizzazione. Oltre all'impiego di calcestruzzi armati calcolati per l'antifessurazione e addittivati per renderli più plastici ed impermeabili, tra i manti protettivi che vanno applicati all'esterno delle murature d'ambito o superiormente al vespaio o sotto alla soletta di sostegno della pavimentazione, il più comune è certamente l'asfalto steso a caldo in uno strato su un sottofondo di malta di cemento fratazzata; oggi esistono in commercio emulsioni bituminose oppure, ancor più diffuse attualmente, membrane o guaine bituminose elastomeriche o di resine sintetiche anche armate con fili di vetro o di poliestere o altri prodotti particolari, il cui nome è variabile a seconda della ditta produttrice, che possono assicurare nei vari casi una sufficiente protezione alla penetrazione delle acque sotterranee. Un particolare accorgimento può essere adottato per impedire che l'acqua di falda penetri negli scantinati attraverso la discontinuità tra il getto della fondazione continua e quello del muro superiore, strutture che normalmente vengono eseguite
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Fig. 15.1 - Disposizione schematica degli strati impermeabili per la protezione degli scantinati dalla umidità.
Fig. 15.2 - Particolari per la protezione dall'acqua e per la ventilazione di uno scantinato.
Fig. 15.3 - Schemi di vespai aerati.
in tempi diversi: si inserisce nel getto della fondazione una metà di un elemento in plastica con foro ovalizzabile e lunghe alette la cui metà superiore viene poi incorporata nel sovrastante muro, creando una barriera invalicabile.
313 Generalmente poi, per eliminare ogni residuo di umidità, è necessario che i locali interrati siano sempre convenientemente aerati, con finestre dirette, ponendo cioè il livello del pavimento del piano sovrastante al di sopra del piano campagna, oppure con la creazione di "bocche di lupo", quando tale soluzione non si presenta di possibile realizzazione. In caso comunque di locali interrati molto ampi, o completamente ciechi, sarà sempre opportuno inserire in essi delle canne di aereazione, costituite da semplici tubi in cemento o cemento-amianto o laterizio, che sboccando al di sopra della copertura, permettano con un adeguato "giro d'aria" una buona ventilazione dell'ambiente. In ogni caso l'addossare alla muratura d'ambito dello scantinato un vespaio di pietrame o ghiaione non è mai soluzione consigliabile, in quanto con tale sistema si convoglia proprio a ridosso delle murature che si desiderano isolare, l'acqua piovana proveniente dalla superficie del terreno, a meno che non esista un'apposita e costosa fognatura drenante posta al di sotto del vespaio verticale per poter convenientemente convogliare e allontanare l'acqua dal fabbricato. Nel caso invece di locali posti al piano terra, il sistema più semplice e comunemente usato è quello di creare un supporto al pavimento a mezzo di un vespaio, costituito da uno spessore costipato di 20 o 30 cm di ghiaione o pietrisco, posto con cura, con gli elementi più grossi intervallati da pezzature più minute di saturazione e con un massetto sovrastante dello spessore di 6 8 cm di calcestruzzo dosato a qli 2 2,5 di cemento. Tale disposizione, particolarmente in presenza di terreni cedevoli, è soggetta a naturali assestamenti che si ripercuotono sulle eventuali tramezzature poste a suddivisione degli ambienti, creando in esse visibili incrinature che possono essere ovviate con l'interposizione di una leggera armatura in ferro a maglia posta nello spessore del massetto, per tutta l'estensione del pavimento, oppure limitatamente al di sotto delle tramezze. Un normale vespaio, come descritto, favorisce però ovviamente la penetrazione per capillarità dell'umidità dal sottosuolo, e pertanto si cerca di ovviare a tale inconveniente stendendo uno strato impermeabilizzante al di sopra del massetto e realizzando nello spessore del vespaio stesso dei cunicoli di aereazione in diretta comunicazione con l'esterno. Un sistema più conveniente e normalmente usato è quello di creare al di sotto del supporto del pavimento uno strato continuo di aria, a mezzo di una serie di muretti verticali costituiti in muratura ad una testa di mattoni con interposti superiormente dei tavelloni orizzontali autoportanti in laterizio, sui quali viene gettata una sottile cappa in calcestruzzo per legare la struttura e costituire sottofondo alla pavimentazione. La camera così costituita è messa in diretta comunicazione con l'esterno onde permettere una agevole e continua ventilazione. Quando il livello del pavimento del piano terreno è posto ad una quota superiore ai 60 80 cm dal piano di campagna, invece delle soluzioni in
314 precedenza descritte, può essere più conveniente porre in opera un normale solaio in laterizio, nel quale lo strato d'aria sottostante allo stesso sia messo in comunicazione con l'esterno per creare appunto un'efficace ventilazione al di sotto del pavimento. Un sistema di tale tipo è generalmente prescritto in caso di costruzioni scolastiche o di edilizia popolare con ambienti abitabili posti al piano terreno. Sarà sempre comunque necessario interrompere con elementi impermeabili la muratura d'ambito dallo spiccato delle fondazioni onde evitare che l'umidità possa salire lungo i muri verticali, e tali interruzioni che una volta, o ancora oggi per particolari lavori di restauro, erano realizzate con sottili lastre di piombo, sono attualmente generalmente eseguite con uno strato di asfalto colato a caldo, oppure con uno strato di emulsione bituminosa o di una guaina elastomerica posta al di sotto dell'inizio della muratura del piano terreno, sia questa di struttura oppure di tamponamento.
Isolamento dagli agenti atmosferici Si è già visto nel capitolo precedente come tutti i tetti a falda, o comunque inclinati, debbano essere protetti da adeguati manti di copertura che consentano, soprattutto in relazione alla pendenza della falda, un agevole e costante defluire dell'acqua piovana. Tale acqua è raccolta in corrispondenza delle linee di gronda in apposite canalizzazioni orizzontali, chiamate appunto grondaie, e convogliata a mezzo di condotti verticali, detti pluviali, al terreno ove si inserisce in una rete di fognatura, detta delle acque bianche, distinta da quelli degli impianti igienici dell'edificio detta delle acque nere, fino a confluire nella rete di fognatura stradale oppure, ove questa mancasse, in apposite vasche perdenti. La grondaia, con o senza cornice, essendo in pratica la linea terminale dell'edificio, è stata sempre considerata e particolarmente nell'antichità come un elemento di rilevante importanza architettonica, e pertanto nel suo disegno e conformazione dovrà essere posta cura particolare, sia per la funzionalità che per l'estetica dell'edificio; le grondaie quindi possono essere di differente linea o materiale, comunque perfettamente impermeabili, liscie, ed atte ad un rapido defluire delle acque. Il primo fattore da determinare è la quantità Q di acqua che il tetto potrà ricevere, che è funzione dell'intensità della pioggia L e della superficie S della proiezione orizzontale della porzione di tetto servita da ogni singolo pluviale di discesa. Si avrà: Q = LxS ove L è espresso in litri/minuto per m2 ; Q è espresso in litri/min; S è espres-
315 so in m 2 . L'intensità ordinaria della pioggia per le nostre zone temperate è di un litro/minuto per m 2 , però si considera generalmente un valore di 2 litri/minuto m2 per mediare con l'intensità massima ed assicurare alla copertura un regolare deflusso dell'acqua piovana. Noto Q si può determinare il diametro D della gronda con la seguente formula empirica D = 2,04(2 Apposite tabelle danno la sezione della gronda in funzione della pendenza e della superficie di falda servita. Occorre, poi, prevedere giunti di dilatazione qualora la gronda avesse una lunghezza superiore ai 15 20 m, per evitare la rottura della stessa dovuta alle dilatazioni termiche. Per i pluviali la sezione migliore è quella tonda (e il diametro generalmente usato è 100 miti) e bisogna proteggerne l'imbocco sulla grondaia con una griglia, per evitare intasamento, dovuti a foglie e terriccio trasportati dal vento. Il tipo di grondaia più classica è quello in lamiera zincata dello spessore di 6 7 decimi di mm, di forma semicircolare, isolata ed esterna all'edificio sostenuta da appositi ferri detti "cicogne" (Fig. 15.4). Le lamiere sono vendute in rotoli alti un metro, ragione per la quale lo sviluppo di una grondaia è sempre sottomultiplo del metro, ad evitare sprechi; misura quindi 33;50;66;100 cm.
Fig. 15.4 - Grondaia in lamiera.
Una fìarte della grondaia viene infilata sotto il manto di copertura risalendo in modo da evitare che l'acqua che trabocca dalla grondaia possa penetrare nel tetto; bisogna anche sempre fornire la grondaia di un goccio-
316 latoio nella parte esterna per evitare che l'acqua traboccante corra lungo il muro. Variabile naturalmente è il disegno e la forma, nel caso si volesse che la grondaia fosse interna ad un cornicione aggettante (Fig. 15.5); anche in questo caso la lamiera dovrà essere sagomata in modo da estendersi per un tratto al di sotto del manto di copertura e da formare elemento di gocciolatoio all'esterno, al di sopra del bordo della cornice e al di sotto. Converse in lamiera verranno anche poste sul manto di copertura in corrispondenza delle linee di compluvio o comunque in tutte quelle zone di incontro della falda inclinata con murature verticali, come ad esempio attorno ai muri Fig. 15.5 - Cornice di gronda. di delimitazione dei camini. Tutte le opere in lamiera andranno trattate con antiruggine e successiva verniciatura a più mani, a meno che non si volesse impiegare la lamiera di rame, il cui uso però, come già detto, è notevolmente limitato dato l'elevato costo del materiale, o di acciaio inossidabile o di resine sintetiche. Per evitare infiltrazioni all'interno dell'edificio delle pareti verticali esterne, dovute ad acqua di stravento o a tracimazioni delle grondaie, sarà opportuno che tali pareti siano le più liscie possibili, e nel caso presentassero superfici anche minimamente in rilievo o rientranti, come ad esempio i cordoli dei solai che possono avere funzione estetica di marcapiani, sarà opportuno predisporre delle apposite scossaline in lamiera nel contatto tra il muro e tali superfici, onde evitare che l'acqua possa fermarsi al di sopra di esse. Nel caso di pareti lisce esterne, semplicemente intonacate, sarà da usare dell'idrofugo mescolato alla malta, mentre è oggi normalmente diffuso l'impiego di tinteggiature idrorepellenti, o meglio trasparenti ai siliconi che creano un'efficace pellicola protettiva invisibile per ricoprire la faccia esterna della parete che può anche essere realizzata in mattoni oppure in calcestruzzo a vista. Nel caso che la copertura dell'edificio venga realizzata a terrazza piana, praticabile o meno, particolare cura dovrà essere posta nell'isolare dalle variazioni termiche gli ambienti dell'ultimo piano al di sotto della terrazza e nel creare un manto perfettamente impermeabile al di sopra del solaio. Il primo problema può essere risolto adottando innanzi tutto un solaio di notevole spessore, magari del tipo a camera d'aria per aumentarne la capacità di isolamento termico, eseguendo poi sulla superficie di copertura il trac-
317 ciamento per il defluimento e la raccolta delle acque piovane, creando delle vere e proprie linee di compluvio e displuvio e, fissata la posizione dei pluviali, la pendenza richiesta — variabile tra il 2% e il 4% — potrà essere ottenuta gettando sulla cappa orizzontale del solaio un massetto di calcestruzzo leggero (500 800 kg/m 3 ) conformato a pendenza e realizzato con calcestruzzo con inerti leggeri ed isolanti, quali pomice, vermiculite, argilla espansa ecc.. Nel caso si volesse ottenere un valore maggiore dell'isolamento per gli ambienti sottostanti, potrebbe essere molto vantaggiosamente realizzata una struttura a camera d'aria analoga a quella già analizzata per i vespai aerati dei locali al piano terra; sarà da porre cioè sulla superficie orizzontale del solaio una serie di muretti in mattoni, ad una testa o forati, a diversa altezza per realizzare la pendenza desiderata, e ricoprire il tutto con tavelloni in laterizio autoportanti. Potrà essere posto nell'intercapedine così creata tra il tavellone ed il solaio, all'interno dei muretti, anche del materiale isolante termico. In tal modo, o con il massetto in calcestruzzo leggero o con il sistema muretti-tavelloni, si è realizzato il supporto in pendenza atto a ricevere l'impermeabilizzazione che era di solito costituita da più strati di cartonfeltro bitumato e di asfalto oppure di emulsione bituminosa. La poco valida tecnica di impermeabilizzazione con cartonfeltro e emulsione bituminosa è stata completamente abbandonata e sostituita con tecniche decisamente migliore. Si usano, oggi, quasi esclusivamente, (fig. 15.6) guaine elastometriche da 3 4 mm. armate con fibre di vetro o di poliestere che — contrariamente al cartonfeltro bitumato — conservano immutate nel tempo la loro caratteristica di elasticità e di impermeabilità, oppure fogli di resine sintetiche (P.V.C.). Preventivamente si livella e si liscia a frattazzo l'estradosso della struttura da impermeabilizzare. Su questo piano si posano le guaine elastomeriche o di poliestere interponendo un qualsiasi materiale (cartonfeltro, tessuto non tessuto, carta craft) tra il manto impermeabile e la struttura per evitare che il movimento di quest'ultima, per escursioni termiche, strappi il manto impermeabile. Le guaine o meglio "membrane" elastometriche o in P.V.C. si fanno risalire per circa 15 20 cent. lungo i muri che circondano il piano da impermeabilizzare, così da formare un catino assolutamente impermeabile e duraturo nel tempo. Le guaine elastomeriche vengono saldate tra loro a caldo mentre quelle in P.V.C, con collanti fluidi dello stesso materiale P.V.C. cosi da costituire un unico foglio impermeabilizzante senza soluzioni di continuità. Per esser praticabile e comunque per proteggerla dagli effetti degradanti dei raggi solari una copertura di tale tipo abbisogna di una pavimentazione adeguata. Nelle zone ove il clima è soggetto a notevoli alternanze di temperatura durante le stagioni; e particolarmente in inverno, non sarà mai consigliabile porre in opera un normale pavimento in mattonelle, nel quale il sottile giunto tra piastrella e piastrella può costituire, con la penetrazio-
318 ne dell'acqua per capillarità, l'elemento disgregatore dell'intera pavimentazione. Sarà pertanto più adatto costituire una pavimentazione in calcestruzzo normale, con superficie lisciata oppure levigata, tagliata a quadroni di circa 80x80 era di lato e con interposto materiale elastico tra giunto e giunto per impedire le infiltrazioni e per favorire la dilatazione del pavimento,
Fig. 15.6 - L'isolamento di un tetto piano praticabile.
particolarmente durante i mesi caldi. Nel caso che la copertura non fosse praticabile può essere posto al di sopra dell'ultimo strato in sostituzione del pavimento, come "volano termico", uno spessore di 5 cm di ghiaietta, oppure un foglio sottilissimo di lamiera di alluminio o, nel caso delle membrane, con applicazione di vernici riflettenti con emulsione di alluminio. Barriera al vapore Il vapore contenuto nell'aria interna dei singoli locali è, entro determinati limiti, condizione essenziale di benessere per l'uomo; difatti l'umidità relativa dell'aria viene oggi controllata e se del caso corretta con i più aggiornati impianti di climatizzazione. Tale vapore può però generare fenomeni negativi sugli elementi costruttivi degli edifici, specificatamente nei casi in cui esso condensa: in particolare si considerano qui due casi: - quando le superfici delimitanti un vano, soprattutto quelle di pareti perimetrali, dei vetri e dei soffitti, raggiungono la temperatura di ru-
319 giada, il vapore condensa su dette superfici: il fenomeno è facilmente rilevabile d'inverno nei punti più freddi, sulle finestre ed in corrispondenza dei ponti termici e di spigoli esposti a nord-est. Ciò può comportare formazione di antiestetiche muffe e talora alterazioni permanenti delle tinteggiature e degli intonaci; a ciò va posto rimedio con un adeguato uso della coibentazione termica affinché appunto anche nelle condizioni climatiche più gravose tali superfici non scendano sotto la temperatura di rugiada; — quando la temperatura di rugiada si raggiunge in una certa posizione all'interno dello spessore dei muri, il vapore che naturalmente passa da temperatura superiore a temperatura inferiore, condensa all'interno della muratura; l'umidità che qui si forma, oltre a ridurre, come si dirà più avanti, il potere isolante termico della parete, può provocare deterioramenti irreversibili di certi materiali, soprattutto dei pannelli termoisolanti. Per evitare questo pericolo si provvede a creare una barriera al vapore, interponendo uno strato impermeabile al vapore (ad esempio un foglio di alluminio) in posizione tale che prima di esso la temperatura rimanga al di sopra di quella di condensazione (rugiada).
Fig. 15.7 — Tetto rovescio pedonatole.
Bibliografia P. MARSH, La tenuta all'aria e all'acqua degli edifici, BE-MA Ed., Milano, 1979. R. CADERGIUS, Isolamento e protezione dei fabbricati, Bologna, 1975.
CAPITOLO SEDICESIMO
PROBLEMI ACUSTICI
Il suono è un'alterazione della pressione di particelle, della tensione, della posizione o velocità delle stesse che si propaga in un mezzo elastico, di solito l'aria, secondo onde concentriche alternativamente di compressione e rarefazione; tale fenomeno era conosciuto fin dall'antichità, tanto che era già definito nel IV secolo a.C, da Aristosseno da Taranto che così lo descriveva (Vitruvio, De Architettura, V, 3): "La voce è un movimento di onde dell'aria sensibile al senso dell'udito. Esso si propaga per infinite vibrazioni circolari, come quando, gettando un sasso nell'acqua stagnante si producono innumerevoli circoli di onde che si allargano e si diffondono per quanto possibile dal centro; a meno che non si opponga la ristrettezza del luogo o qualche ostacolo che non lascia giungere le onde al loro termine... Nello stesso modo si estende la voce anche circolarmente, ma con la differenza che nell'acqua i cerchi si estendono in larghezza orizzontalmente, e la voce si estende in larghezza e man mano sale verso l'alto". La velocità del suono nell'aria (alla temperatura di 18°C e ad un valore definito dell'umidità) è di 343 m/sec; in altri materiali è direttamente proporzionale alla densità del mezzo; cioè più il materiale è duro e compatto maggiore è la velocità del suono, e tale fenomeno è particolarmente rilevabile in edilizia ove sono impiegati generalmente materiali pesanti e compatti e di elevata densità. Nella tabella seguente sono riportate le velocità del suono attraverso i materiali di uso più frequente.
La rappresentazione di un'onda sonora è una sinusoide ; tale figura rappresenta però visivamente un suono puro, cioè quello emesso dai rebbi di
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un diapason. Se invece si considerano dei suoni comuni, come quelli originati da strumenti musicali o dalla voce umana, non si avranno più come rappresentazione grafica delle semplici sinusoidi, ma delle formazioni estremamente complesse. Infatti ogni suono composto è formato da un suono puro fondamentale e da suoni puri di intensità molto minori, detti suoni armonici, che vengono ad aggiungersi al primo e che caratterizzano qualitativamente il suono. La voce umana, ad esempio, è molto ricca di armoniche; le frequenze che caratterizzano le vocali vanno da 3.000 a 4.500 Hz, le consonanti invece possono arrivare a 10.000 Hz. Per quanto riguarda l'acustica tecnica è però necessario non solo considerare la frequenza dei suoni fondamentali, ma anche le zone di frequenza che caratterizzano gli armonici. Generalmente si esegue un calcolo acustico o si osserva il potere di assorbimento di un materiale alle seguenti frequenze principali: 128; 256; 512; 1024; 2048; 4096 Hz. L'orecchio umano è sensibile ai suoni compresi tra i 20 e i 20.000 Hz. Le unità di misura più usate nell'acustica tecnica sono il decibel (dB) e il phon. La prima è un'unità fisica e rappresenta il minimo aumento di sensazione che l'orecchio umano può apprezzare, è un rapporto tra due diverse intensità o pressioni ed esprime la misura di una amplificazione o di una attenuazione rispetto ad una grandezza base conosciuta (zero dB). E' possibile quindi costruire una scala delle pressioni sonore da 0 dB {soglia di udibilità) a 130 dB {soglia del dolore); entro tali limiti è il campo di udidibilità, come riportato nell'allegata tabella. Il phon è invece l'unità di eguale livello sonoro, o livello fisiologico; cioè un'unità di misura psicofisica con la quale, a differenza del decibel che è un'unità matematica, si riesce a tener conto dell'effetto simultaneo e complesso della frequenza e dell'intensità sulla nostra sensibilità generale. Sono state stabilite sperimentalmente delle curve di uguale livello sonoro, dette isofoniche, che rappresentano in funzione della frequenza il livello di intensità fisica dei suoni che provocano una sensazione di uguale intensità, Fig. 16.1. Dalla lettura delle curve si nota che il livello fisiologico espresso in phon è uguale al livello fisico espresso in decibel solo per la frequenza di 1000 Hz, cioè per il suono di riferimento. Una considerazione di rilevante importanza, particolarmente per lo studio delle superfici investite dalle onde sonore, è da fare a riguardo della propagazione del suono, che nei fenomeni della riflessione segue le medesime ben note leggi delle onde luminose relative alla riflessione ottica. Quando un'onda sonora nel suo moto di propagazione incontra un'ostacolo, ad esempio una parete, l'energia sonora incidente viene in parte riflessa, in parte assorbita ed in parte trasmessa, Fig. 16.2. L'assorbimento di energia sonora da parte della parete in esame è dovuta a diversi fenomeni che trasformano il suono in altre forme di energia,
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Pressione e livello sonoro medio in ambienti diversi.
e dipende strettamente dalla natura stessa del materiale; se il materiale impiegato è a struttura porosa e non omogenea (fibre di vetro, di legno, lana minerale ecc.) l'assorbimento di energia sonora sarà maggiore che per materiali compatti a superficie dura e liscia (marmo, vernici, pietra, ecc.).
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Fig. 16.1 - Curve di uguale livello sonoro.
Fig. 16.2 - Un'onda sonora che incontra una parete viene in parte riflessa, in parte assorbita e in parte trasmessa.
Infatti nel primo caso l'onda sonora penetrando nelle cavità, mette in vibrazione l'aria contenuta in esse, la quale trasforma l'energia sonora in calore mediante la resistenza per viscosità ed attrito offerta dal materiale, ed accresce cosi il naturale processo di assorbimento, che viene ancora esaltato dalle vibrazioni forzate delle innumerevoli fibre che compongono il ma-
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teriale. Le dimensioni di queste cavità e di questi fori, il numero e la forma di essi fanno variare l'assorbimento di energia sonora, anche a seconda della frequenza e dell'ampiezza del suono incidente. L'assorbimento quindi non è altro che un processo dissipativo, di distruzione cioè dell'energia sonora, ed esso avviene quando il regolare moto vibratorio è distrutto dalle forze di viscosità ed attrito offerto dalle molecole del materiale incontrato. La capacità di un materiale ad assorbire l'energia sonora ad una determinata frequenza è chiamato coefficiente di assorbimento a quella frequenza; detta quantità rappresenta il rapporto tra l'energia sonora non riflessa (assorbita e trasmessa) e l'energia totale incidente. La definizione del coefficiente di assorbimento è basata sull'ipotesi del Sabine, il quale dopo varie esperienze definì come unità di assorbimento o unità di finestra aperta, una superficie unitaria attraverso la quale l'energia sonora viene completamente assorbita, cioè una superficie a coefficiente di assorbimento uguale ad uno. Per cui si dirà che un materiale ha coefficiente di assorbimento uguale a 0,20, quando un metro quadrato di esso assorbe il 20% dell'energia incidente, oppure che occorrono cinque metri quadrati di tale materiale per ottenere un'unità assorbente. Se indichiamo quindi, con a il valore del coefficiente di assorbimento, avremo che l'assorbimento totale A di un materiale di superficie S sarà dato dal prodotto:
Materiali acustici In relazione alle proprietà acustiche sopraccennate, i materiali potranno quindi essere classificati come materiali riflettenti e come materiali assorbenti l'energia sonora incidente. In linea generale i materiali riflettenti si presentano a superficie dura ed a struttura compatta, come il ferro, l'alluminio, il marmo, il legno verniciato, i laminati plastici, ecc. mentre i materiali assorbenti si presentano a superficie non compatta e a struttura porosa a cellule aperte, come la lana di vetro o di roccia, i materiali costituiti da agglomerati di legno di polistirolo espanso, ecc.. E' possibile suddividere i materiali acustici nelle seguenti categorie principali: Pannelli prefabbricati. Possono essere in gesso, oppure in lamierino di alluminio o in ferro zincato e verniciato, e presentano la superficie forata. I pannelli di questo tipo hanno al di sotto della superficie forata dei materassini di fibre minerali (lana di vetro o di roccia), e i fori che presenta la lamiera funzionano come dei piccoli risuonatori di Helmotz e possono es-
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sere di diverse dimensioni per poter assorbire suoni di diverse frequenze; questo tipo di materiale ha la proprietà di assorbire molto bene frequenze che variano dai 500 ai 5000 Hz. Pannelli di materiale compresso. L'esempio più classico di questo tipo di isolante è l'Eraclit, prodotto, come già visto, ottenuto con sfilacciature di legno di pioppo impastato con legante magnesiaco, e autoportante, tanto che può essere impiegato per rivestimenti di pareti e di soffitti, sia al naturale che verniciato. Hanno caratteristiche di assorbimento particolarmente alle medie frequenze. Intonaci acustici, che possono essere posti in opera con i sistemi normali o a spruzzo. Questi intonaci sono costituiti da elementi di particolari materiali assorbenti, generalmente a grana molto fine (vermiculite, perlite ecc.), combinati con leganti che ne permettono un rapido e facile montaggio. Pur presentando un coefficiente di assorbimento minore dei tipi precedenti, e particolarmente alle basse frequenze, hanno il vantaggio del basso costo e della facilità della posa in opera. L'assorbimento di questo tipo di materiale varia con lo spessore, la composizione ed il modo con cui è applicato alle pareti; hanno però l'inconveniente di essere scarsamente decorativi, di facile deterioramento e di non poter essere lavati o dipinti.
L'isolamento acustico E' conveniente classificare i rumori a seconda del tipo particolare di propagazione sonora, per essere in grado di poter studiare ed attuare il modo più adatto per attuirne gli effetti. Potremo pertanto distinguere tra: Rumori aerei, provocati da sorgenti sonore e trasmessi attraverso l'atmosfera. Essi arrecano disturbo negli ambienti dove sono emessi ed anche in quelli limitrofi, propagandosi in questi ultimi per trasmessione attraverso le pareti o attraverso le fessure, in base al principio di Huygens. Rumori dovuti a vibrazioni, provocati da macchinari e si trasmettono alle strutture eccitandone le frequenze proprie e trasmettendo le vibrazioni all'interno delle strutture stesse. Rumori di questo tipo sono provocati nelle abitazioni da macchine in movimento, come pompe, motori delle apparecchiature di riscaldamento, ascensori, ecc.. Rumori dovuti a percussioni. Sono i più comuni rumori della casa, dovuti in genere ad urti sul pavimento (calpestio, oggetti che cadono) o sulle pareti. Per limitare gli effetti dei rumori aerei bisogna provvedere ad isolare
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in modo opportuno le pareti verticali interne, esterne, i serramenti e l'intradosso dei solai. Per eliminare i rumori dovuti a vibrazioni bisogna creare per gli impianti che li provocano, dei basamenti o dei giunti isolanti (detti appunto antivibranti), cioè dei veri e propri cuscinetti entro i quali le vibrazioni si smorzino . Vi sono due leggi fondamentali che regolano l'isolamento acustico ; la prima è la seguente : — Per impedire la trasmissione del suono in un corpo occorrono dei materiali isolanti la cui resistività sia il più possibile diversa da quella del corpo stesso. La resistività acustica è data dal prodotto della densità del corpo per la velocità di propagazione del suono in esso; è una grandezza caratteristica di un materiale in determinate condizioni fisiche, e dipende oltre che dalla natura del materiale stesso, anche dai trattamenti subiti. Questo spiega che, quando si vuol realizzare l'isolamento da un suono che si propaga nell'aria, la quale ha bassa resistività acustica, occorrono materiali pesanti ad alta resistività e viceversa; da ciò in conseguenza la necessità di forti spessori murari per impedire che il suono che si propaga nell'aria si trasmetta nell'interno degli ambienti, come l'utilità di diaframmare con camere d'aria le strutture murarie. L'esperienza ha dimostrato però, che raddoppiando lo spessore, e quindi il peso di una parete di materiale rigido ed omogeneo, non si aumenta che di soli 5 dB il suo potere di attenuazione acustica. Così, se si considera ad esempio, una parete di mattoni pieni dello spessore complessivo di 25 cm, che attenua 48 dB e pesa 420 kg/m 2 , e si pensasse di raddoppiarne lo spessore, si otterrebbe solo un'attenuazione di circa 53 dB con un peso proprio di oltre 800 kg/m 2 . Il diagramma riportato in Fig. 16.3 rappresenta l'isolamento globale di una parete di peso dato,
Fig. 16.3 - Isolamento della parete piena in funzione della massa, per frequenze comprese tra i 125 e 2048 Hz.
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per le frequenze comprese tra 25 e 2048 Hz, e chiaramente dimostra che l'isolamento varia sensibilmente con il logaritmo della massa. Tale principio può essere considerato come la seconda legge dell'isolamento acustico. Risulta quindi evidente che se la massa è necessaria in partenza per creare una certa isolazione, si dovranno poi raggiungere pesi enormi per ottenere degli isolamenti sufficienti; nelle moderne costruzioni, specie multipiane, ovviamente non è possibile applicare un principio di tale tipo. Ciò spiega l'utilità del sughero, del feltro, delle fibre di vetro o minerali, delle più recenti resine espanse, cioè di ogni analogo materiale poroso e leggero, per isolare corpi di elevata densità. Per la tecnica dell'isolamento, potremo pertanto distinguere tra pareti semplici e pareti multiple. Le prime s'intendono costituite da uno o più strati connessi rigidamente tra di loro, ove i singoli elementi possono essere anche costituiti da materiali differenti, come ad esempio mattoni più intonaco. Pareti multiple si intendono invece quelle, composte da due o più strati di materiale leggero indipendente, non connessi tra loro rigidamente, ma separati da un intercapedine di aria che può essere anche riempita con del materiale fono-isolante, Fig. 16.4. L'isolamento di quest'ultimo tipo di parete, con una appropriata esecuzione, è superiore a quella risultante dalla somma dei pesi dei singoli strati che ne costituiscono la struttura. Esaminiamo brevemente i due differenti tipi. Le caratteristiche acusti-
Fig. 16.4 - Esempi di pareti multiple esterne e divisorie per l'isolamento dai rumori aerei.
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che di una parete semplice sono strettamente in funzione: a) del peso per unità di superficie della parete; b) della sua rigidezza alla flessione; c) del valore del coefficiente di assorbimento del materiale di cui è costituita la parete. In alcuni Stati sono fissati con precisione i valori di isolamento (cioè di abbattimento del livello sonoro, in dB) che dovrebbe avere una parete divisoria tra ambienti diversi; ad esempio nelle norme tedesche per l'edilizia (DIN 4110 cpv. D 11), nel campo delle frequenze tra 100 e 3000 Hz e nel caso di civili abitazioni, è fissata un'attenuazione minima di 48 dB, di 53 dB invece nel caso di ospedali. Si è però già visto in precedenza, come per ottenere in una parete semplice il valore succitato di attenuazione sonora, sia necessaria una parete della massa di 420 kg/m 2 , il che, come già detto, è in pratica irrealizzabile. Si useranno quindi le pareti multiple, leggere e sottili, che rispondono ai requisiti richiesti, e facilmente raggiungono il valore dell'isolamento prescritto, in quanto presentano tra l'altro il non indifferente vantaggio di poter raddoppiare il valore dell'attenuazione, ponendo in opera due pareti indipendenti, non collegate tra loro da legami rigidi. Per una parete multipla il valore di isolamento è in funzione: a) del peso per unità di superficie della parete; b) dello spessore dei vari strati che ne costituiscono struttura; e) della costituzione fisica e chimica del materiale degli strati; d) del sistema di montaggio dello strato isolante; e) del sistema di ancoraggio della parete multipla all'ossatura dell'edificio. Particolare importanza in questo tipo di parete, riveste l'intercapedine che generalmente separa i due elementi principali costitutivi della sua struttura; ogni intercapedine infatti costituisce una speciale camera riverberante, per cui, ricorrendo all'assorbimento della energia sonora, si può incrementare il valore dell'isolamento. Riportiamo nella tabella seguente i valori dell'attenuazione in dB dello strato d'aria tra due pareti di peso uguale.
E' opportuno però che le pareti che racchiudono l'intercapedine, che non dovrebbe mai essere inferiore a 5 cm, siano di materiale diverso, per non avere gli stessi modi propri di risonanza; se cosi non fosse si provvede-
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rà ad intonacare con un particolare tipo di malta una faccia della parete, lasciando sull'altra, ad esempio, il laterizio a vista. Per sfruttare però, come già accennato, l'assorbimento di energia sonora per migliorare l'isolamento acustico, si può riempire completamente con materiale poroso e fono assorbente lo strato d'aria dell'intercapedine, oppure disporre nastri di tale materiale lungo i bordi o riempire parzialmente la camera d'aria con elementi di detto materiale. Per quanto riguarda le pareti esterne, perimetrali dell'edificio, che costituiscono l'unico schermo dai rumori provenienti dalla strada, sarà opportuno adottare una soluzione del tipo precedentemente indicato, con doppia parete racchiudente un'intercapedine continua interna. Per ottenere un soddisfacente risultato nel valore di attenuazione bisognerà osservare: — che ciascuno dei due elementi costituenti la parete sia quanto più pesante possibile; ad esempio la parete verso l'esterno in mattoni pieni, e quella verso l'interno in forati o mattoni in foglio, per opporre una determinata massa al primo frangersi delle onde sonore; — che ogni elemento sia da considerare completamente isolato, cioè costruito senza collegamenti rigidi con l'elemento opposto; infatti l'effetto dell'intercapedine può venire pregiudicato od anche completamente annullato, quando i singoli elementi della parete siano uniti rigidamente tra loro, ad esempio con mattoni, ponti di malta, tubi passanti, ecc.; — che gli strati di malta siano continui e non lascino alcuna fessura poiché, per il noto principio, verrebbe in pratica annullata ogni opera di isolamento; — che nell'intercapedine di almeno 5 cm, sia applicato del materiale poroso e fonoassorbente, se non dello spessore della camera d'aria, almeno dello spessore di cm 2, e ciò per aumentare con l'assorbimento di energia sonora, il valore dell'isolamento. In questo tipo di pareti estrema cura ed accorgimenti dovranno essere posti nella costruzione e nella scelta delle finestre, per non annullare i vantaggi ottenuti con l'adozione della parete multipla. Per quanto riguarda le pareti interne, interesse particolare rivestono quelle di suddivisione degli appartamenti, o di delimitazione di determinati ambienti, quali camere da letto, servizi, cucine, sale. Anche in questo caso, vale ovviamente quanto suesposto a proposito delle pareti esterne poiché non potendone aumentare il peso, converrà adottare pareti multiple, con doppia parete ed intercapedine. I singoli elementi potranno essere in laterizio forato, anche se è consigliabile che una delle due faccie venga eseguita con mattoni pieni disposti in foglio; nell'intercapedine è bene sia posto uno strato di materiale poroso dello spessore non inferiore a cm 2; valgono comunque le medesime osservazioni riportate a proposito delle pareti esterne. E' da far notare che una parete così descritta viene però ad occupare uno spessore totale di oltre 20 cm, e sovente nelle nostre abitazioni, ove
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lo spazio è studiato e calibrato al millimetro, non è sempre possibile porre in opera una struttura di tale tipo. In Germania ha trovato di recente larga applicazione un tipo di parete, che si descrive in appresso, e che permette di ottenere l'attenuazione prescritta dalle norme DIN di 48 dB, pur con spessore totale non rilevante, e consente altresì una facile applicazione anche su pareti già costruite da tempo. Su una parete di 80 120 mm di spessore, già intonacata e pareggiata sulla faccia da isolare, viene applicato con precauzione uno strato isolante di fibre minerali da 80 100 mm su questo poi è appoggiata una rete portaintonaco, fissata al soffitto a mezzo di ganci isolati e che sostiene un intonaco civile a due strati di malta di calce e gesso, dello spessore totale di cm 2,5. Sarà in ogni caso opportuno che qualsiasi tipo di parete interna sia montata su un supporto di materiale fono isolante, ad esempio un agglomerato di fibre di legno, per far sì che eventuali vibrazioni della parete non si trasmettano alle strutture dello stabile. Per quanto riguarda la trasmissione di rumore attraverso i solai, a mezzo di percussioni degli stessi che, come il calpestìo, è uno dei fenomeni più diffusi e fastidiosi dei moderni edifici a struttura in calcestruzzo armato, nei quali i solai adottati generalmente del tipo misto in laterizio e c.a., che se presentano discrete caratteristiche di isolamento contro i rumori aerei, sono in pratica nulli contro il calpestìo, e pertanto la tecnica moderna ha messo a punto un sistema notevolmente efficace ed economico per dare all'isolamento acustico sufficienti valori di accettabilità. Si tratta dei cosiddetti pavimenti galleggianti, cioè di una serie di cuscinetti fono assorbenti, posti paralleli tra di loro al di sotto di una caldana di calcestruzzo i quali, oltre a distaccare nettamente il pavimento dal solaio, vengono risvoltati verso l'alto alle estremità, in modo da isolare completamente il pavimento delle pareti circostanti e farlo così "galleggiare" sullo strato smorzante. E' necessario però che il materiale impiegato per questi cuscinetti sia atto a sopportare con continuità e nel tempo i carichi statici e accidentali che possono gravare sul pavimento, senza subirne delle deformazioni permanenti. Di solito, come hanno consigliato recenti esperienze, vengono adoperati o pannelli rigidi di fibre di vetro o minerale impregnati di resine sintetiche, oppure normali pannelli a fibra lunga del medesimo materiale, o di altro materiale (ad es. granulare di gomma, sughero, ecc.). Uno dei sistemi migliori per interrompere la propagazione delle onde sonore all'interno delle strutture dell'edificio sarebbe la creazione di una discontinuità strutturale che potesse fare da schermo alla trasmissione del rumore. Poiché, come si è già visto, una soluzione di tale tipo non è in pratica realizzabile, si è così creata una completa discontinuità tra gli elementi strutturali e gli ambienti abitabili a mezzo dei pavimenti galleggianti e delle pareti multiple per cui, teoricamente, il rumore si propaga soltanto lungo
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le strutture, le cui vibrazioni vengono poi assorbite dal materiale isolante che le separa dagli ambienti abitabili. L'efficacia del pavimento galleggiante può essere in casi particolari aumentata, con l'adozione di un soffitto sospeso isolante, posto nell'ambiente al di sotto del pavimento in esame. Un soffitto di tale tipo è costituito in genere da elementi in metallo, leggeri e componibili, che sono semplicemente appoggiati alle murature perimetrali a mezzo di uno strato isolante oppure sospesi al solaio mediante accoppiamenti smorzanti; la piccola intercapedine che risulterà tra il solaio ed il soffitto, sarà riempita da uno strato di materiale fono assorbente, disteso sugli elementi metallici. Nel caso vi fosse la necessità di aumentare l'assorbimento di energia sonora nell'ambiente ove è installato un soffitto di tale tipo, basterà porre in opera degli elementi forati. Esaminiamo un esempio di pavimento galleggiante, come quello riportato in Fig. 16.5, analizzando tutti gli elementi costitutivi. Lo strato isolan-
Fig. 16.5 - Pavimento galleggiante e soffitto sospeso, costituenti la "struttura a scatola".
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te può essere costituito da pannelli bachelizzati in fibra di vetro, dello spessore di cm 1 e del peso specifico di 60 kg/m 3 , oppure in pannelli di fibra lunga di vetro del medesimo spessore e del peso specifico di 150 kg/m 3 . Sopra detto strato, sarà posto un foglio di carta catramata che servirà da fondo al sovrastante massetto in calcestruzzo, e impedirà al getto fluido di impregnare il materiale isolante creando dei collegamenti rigidi tra le fibre e annullandone la porosità. Il massetto in calcestruzzo, di solito dosato a 250 kg di cemento e con inerti piuttosto fini, avrà lo spessore medio di cm 4, sarà posto in opera generalmente senza armatura, e costituirà il sottofondo vero e proprio del pavimento; lungo tutte le pareti sia il massetto che il pavimento non andranno incastrati in esse, in quanto dovranno essere come galleggianti sullo strato isolante. Qualora anche i soffitti degli ambienti siano del tipo sospeso, come in precedenza descritto, si verrà a realizzare una struttura a scatola che permette, come già accennato, di rendere completamente indipendenti gli ambienti di abitazione delle strutture portanti dell'edificio, lungo le quali si propaga il suono generato da urti o vibrazioni delle stesse. Tale soluzione risulta quanto mai complessa e costosa anche per la necessità di chiudere ermeticamente la scatola, con doppi e particolari serramenti, ma si presenta oggi come delle poche possibilità che offre la tecnica, per poter ottenere dei risultati concreti nel campo dell'isolamento acustico degli edifici utili. L'isolamento acustico di un ambiente è però realizzato soltanto quando dalle aperture praticate sulle pareti, cioè dalle porte e dalle finestre, non si propaghi il suono attraverso l'aria. Nei problemi di isolamento tra ambiente e ambiente, ma particolarmente tra interno ed esterno, grande importanza ha la perfetta tenuta dei serramenti; infatti fessure di pochi millimetri nei telai delle finestre possono completamente compromettere il risultato dell'isolamento. Tale difetto è spesso la causa per cui si ottengono valori di isolamento effettivo pari 10 20 dB, in luogo dei 25 35 dB che, in teoria, lascierebbe prevedere la scelta del materiale utilizzato. A questo proposito è da notare, che i serramenti metallici presentano caratteristiche di ermeticità di chiusura inferiore ai serramenti in legno perfettamente eseguiti; però questi ultimi notevolmente risentono delle variazioni di umidità e temperatura. Sono comunque da ricercare dei profili e dei nodi tali, con scanalature, con doppia o tripla battuta, sì da poter realizzare degli incastri quasi perfetti tra battenti e telaio, evitando il minimo gioco tra di essi. Sono sovente anche usate a tale scopo delle speciali guarnizioni a tenuta pneumatica, che non dovranno essere ovviamente di materiale troppo rigido, come il feltro, ad esempio, che farebbe contatto solo su di una parte del profilo, ma di materiale cedevole, come quelle di gomma soffice e cava che, adattandosi a tutto il contorno del serramento, provvederanno ad una chiusura praticamente ermetica. Si può far uso, per aumentare il valore dell'isolamento, della finestra
334
galleggiante, cioè di una normale finestra a perfetta tenuta, con interposta una fascia di materiale plastico tra il vetro e la scanalatura del telaio, che permette di isolare il vetro dal resto della costruzione. Un serramento di tale tipo presenta anche il vantaggio del perfetto fissaggio del vetro al telaio, e sono così evitate le eventuali vibrazioni dei diversi elementi del serramento; il gioco tra vetro e telaio, provoca infatti una notevole perdita di isolamento, e sotto l'azione di suoni particolari, come ad esempio il passaggio di autoveicoli o vibrazioni di macchine, si viene ad eccitare la frequenza propria di risonanza del materiale cioè, come si dice in linguaggio corrente, il vetro "si mette a cantare". Quando si desideri invece ottenere decisamente valori elevati di isolamento, sarà preferibile utilizzare serramenti a doppio vetro, oppure doppie finestre, o serramenti con vetri speciali. In effetti, per applicazione del primo tipo, data la relativa distanza che può intercorrere tra le due facce, cioè circa 2 3 cm, si potranno ottenere risultati soddisfacenti avendo cura però che i due vetri abbiano spessore diverso, ad esempio 4 mm verso l'esterno e 3 mm verso l'interno, e che siano rispettati i requisiti già citati a riguardo della tenuta degli infissi e della rigidità dei telai. Nel caso della doppia finestra, risultati efficaci di isolamento saranno ottenuti particolarmente per i suoni acuti, ed in generale a seconda del tipo di vetro e, analogamente a quanto constatato per le pareti multiple, a seconda dello spessore della camera d'aria interposta. Per vetri doppi, e per larghezza dell'intercapedine variabile da 7 a 37 cm, il valore dell'isolamento varia da circa 38 a 44 dB mentre, con l'applicazione di due cristalli si può raggiungere il valore di attenuazione pari a circa 50 dB. Il problema della perfetta tenuta tra battente e telaio in una porta, è facilmente risolta creando delle chiusure a doppia o tripla battuta e interponendo tra queste delle striscie di materiale plastico che, alla chiusura del serramento, risultando compresse, elimineranno qualsiasi fenomeno di gioco, ed eviteranno altresì all'atto della chiusura, l'urto dell'anta mobile contro il telaio. Sarà bene porre una striscia di detto materiale anche tra il telaio fisso e la cassa morta del serramento. Con porte normali, costruite in legno ben stagionato, si può ottenere un valore dell'isolamento medio pari a circa 20 dB; per aumentare tale valore si può applicare il principio della parete multipla, costruendo cioè delle ante doppie, ciascuna delle quali fissata, possibilmente con telaio indipendente, su una delle due pareti costituente il tramezzo multiplo. Se l'intercapedine tra le due porte è di circa 20 25 cm, è possibile raggiungere dei valori di isolamento pari a 30 40 dB. Le numerose apparecchiature meccaniche e gli impianti installati in un edificio, sono la principale fonte delle vibrazioni che si trasmettono agli elementi strutturali, e tale disturbo è anche propagato attraverso il diramarsi della rete di tubazioni nel fabbricato. E' opportuno pertanto agire direttamente sulla sorgente di disturbo creando per tali apparecchiature degli
335 appositi basamenti galleggianti, costituiti di solito da una massa di calcestruzzo a cui è rigidamente fissata la macchina, poggiante su uno strato cedevole e smorzante, che ne ripartisce il carico sul terreno. Come materiale è sovente usato il piombo ma, per ogni tipo di apparecchio, e caso per caso, sarà bene calcolare opportunamente il tipo e lo spessore dello strato cedevole da impiegare. In caso di ventilatori per fumo, o pompe di circolazione, si dovranno ovviamente impiegare apparecchiature del tipo più silenzioso, a basso numero di giri, ed interrompere l'attacco rigido delle tubazioni, a mezzo di un manicotto smorzante di lamierino e gomma. Per i disturbi provocati dai bruciatori dell'impianto di riscaldamento, oltre al già previsto supporto isolato, si dovrà trattare acusticamente il focolare della caldaia, a mezzo di piastrelle perforate di refrattario che, funzionando da risuonatori, possono ridurre e smorzare il rumore prodotto nell'emissione della fiamma. In ogni caso è sempre opportuno collegare con manicotti smorzanti l'attacco della caldaia con la tubazione. Anche le tubazioni, oltre a propagare il rumore prodotto dalle pompe o dall'impianto di combustione e di sollevamento possono essere fonte di disturbo a causa del passaggio di fluido attraverso di esse; una adeguata rete di ventilazione o di espansione può agevolare l'isolamento, avendo però cura di calcolare una bassa velocità di propagazione del fluido nei tubi, di progettare curve ad ampio raggio, e di raccordare tutte le variazioni di sezione. Anche la GESCAL (Gestione Case per Lavoratori) ha emanato delle norme tecniche di esecuzione e progettazione, colmando per quanto riguarda le abitazioni popolari, una lacuna dell'attuale legislazione italiana relativamente all'isolamento delle costruzioni. L'art. 76 di dette norme prevede per le pareti esterne un isolamento medio non inferiore a 45 dB per frequenze comprese tra 100 e 3000 Hz ed analogo valore per le pareti divisorie interne. Per i solai le norme si limitano a prescrivere un livello massimo di trasmissione dei rumori di calpestio non superiore a 70 dB. Analoga materia è trattata in una circolare del 1966 del Ministero dei LL.PP. relativa ai "criteri di valutazione e collaudo dei requisiti acustici nelle costruzioni edilizia".
La correzione acustica Un secondo ordine di problemi acustici in architettura è costituito dal miglioramento della qualità dei suoni all'interno dello stesso vano in cui essi sono stati generati; la corretta soluzione di tale tipo di problemi è particolarmente importante per teatri, cinematografi, auditorium, sale da concerto e da registrazione, aule per lezioni e conferenze, chiese. I termini della questione sono i seguenti: il suono prodotto da una sor-
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gente (conferenziere, strumento musicale, altoparlante) raggiunge l'uditore sia direttamente sia anche per onde riflesse dalle varie superfici interne del locale, pareti, soffitti, pavimenti; i diversi percorsi dell'onda sonora comportano al punto d'ascolto uno "sfasamento" temporale che viene denominato tempo di riverberazione o coda sonora, misurabile in secondi o loro frazioni e che corrisponde al tempo necessario affinché l'intensità del suono istantaneo nel locale si riduca praticamente a zero (Fig. 16.6).
Fig. 16.6 — Schema riverberazione dei suoni.
Questa coda sonora, entro determinati limiti non superiori a 1,5 1,7 secondi, proporzionali al volume dell'ambiente e alla destinazione dello stesso è persino un elemento favorevole, che rende i suoni più pastosi e gradevoli; oltre tale limite invece crea fenomeni di disturbo e confusione, dal semplice sovrapporsi di suoni successivi a rimbombi e persino agli echi. Un calcolo sufficientemente approssimato della coda sonora f, che in realtà dipende anche dalla forma dell'ambiente e dalla conformazione specifica delle superfici che lo delimitano, si può fare con la seguente formula:
con
ove = =
area delle superfici interessate alla riflessione coefficienti di assorbimento dei singoli materiali
337 La classica "correzione acustica" va quindi eseguita portando il tempo di riverberazione o coda sonora prossimo ai valori ottimali, operando sulle superfici, in particolare dei soffitti e delle pareti, con l'adozione di materiali di adatto coefficiente di assorbimento (vedi ad esempio la tabella in fig. 16.7). Marmo
0.015
Schermo cinema
0,120
Lamiera gracata Cemento lisciato
0.018 0,020
Stoffe su muro Moquette s. medio
0,150 0,180
Muro intonacato liscio
0,025
Tendaggi pesanti
0,200
Vetro spessore mm. 3
0.020
Eracustic 2,5
0,640
Muro intonacato grezzo 0,030
Feltro minerale
0,580
Agglomerati di sughero 0.050
Gesso forellato
0,420
Legno duro naturale Doghe mlcroforate
Persone, cad. Doghe forate
0.400 0,600
0.080 0.750
Fig. 16.7 - Coefficienti di assorbimento acustico per metro quadrato.
Oggi il problema, di fronte all'adozione generalizzata di sistemi di amplificazione sonora, è sostanzialmente di correzione acustica degli ambienti mediante l'uso di materiali fortemente fonoassorbenti; in passato peraltro aveva grande importanza anche la possibilità di ampliare e dirigere correttamente i suoni, come possiamo ancor oggi riscontrare in tanti antichi teatri, soprattutto all'aperto, ed in talune chiese e sale da concerto.
Bibliografia KNUDSEN & HARRIS, Acoustical Designing in Archiecture, New York, 1955. BURRIS-MEYER & COODFRlED,Acousticsfor the Archi tee t, New York, 1957. L. VILLARD, Acoustique appliqueè, Parigi, 1961. L. BERANEK,Musik, Acoustics & Architecture, New York, 1962. E. BANDELLONI, Elementi di acustica architettonica, Padova, 1964. R. CADERGIUS, Isolamento e protezione dei fabbricati, Bologna, 1975. R. LAMORAL, Acoustique et architecture, Parigi, 1975. C. ROUGERON, L'isolation acoustique et termique dans le batiment, Parigi, 1975. A. GIULIANI, A. COCCHI, Elementi di acustica tecnica, Bologna, 1973. M.D. EGAN, Concepts in Architectural Acoustics, New York, 1972. G. TREVISAN, L'acustica degli ambienti, Ingegneri e costruttori n. 6, Vicenza 1983.
CAPITOLO DICIASETTESIMO
PROBLEMI TERMICI Richiami di trasmissione del calore Come viene ampiamente trattato nei corsi di fisica tecnica, il calore si propaga fra corpi diversi o nei corpi dalla zone a temperatura superiore alle zone di temperatura inferiore sostanzialmente per: — conduzione, cioè senza trasporto di massa; — convezione, cioè con movimento delle molecole che formano il corpo; si può avere questo tipo di propagazione solo nei liquidi e nei gas; — irraggiamento, cioè quando i corpi emettono energia raggiante o ne ricevono da quelli circostanti; l'energia si può propagare anche in assenza di materia. Le grandezze in gioco sono le seguenti: — conducibilità termica (X) di un materiale omogeneo è la quantità di calore passante attraverso un corpo di superficie e spessore unitari nella unità di tempo e con un salto termico di 1°C: si misura in Kcal/h°C-m2-m; — conduttanza termica è, per un dato materiale di conducibilità X, la quantità di calore trasmesso in un'ora attraverso 1 m2 di superficie con salto termico 1°C tra le facce opposte di una parete di spessore s; — trasmittanza o coefficiente di trasmissione termica globale (k) esprime la quantità di calore che si propaga in un'ora attraverso 1 m2 di parete di spessore s con una differenza di temperatura 1°C. Si consideri infatti una parete piana ed omogena, che separi due ambienti rispettivamente a temperatura f, e te con r,- > te. La trasmissione di calore avviene in tre fasi: — dall'ambiente a temperatura /,• alla faccia interna della parete, tramite moti convettivi e per irraggiamento; — dalla faccia interna della parete alla seconda faccia interna (cioè attraverso la parete) tramite conduzione; — dalla seconda faccia alla temperatura te tramite convezione e irraggiamento. La quantità di calore che passa dall'ambiente a temperatura maggiore all'ambiente a temperatura minore, si può esprimere tramite la formula:
340
dove: ed
5 S h
sono coefficienti di adduzione interna ed esterna, espressi in kcal/ m 2 h°C; essi esprimono la quantità di calore ceduta sia (a,) dall'aria interna nell'unità di tempo ad ogni unità di superficie della parete per ogni grado di differenza di temperatura sia all'ambiente a temperatura te nell'unità di tempo da ogni unità di superficie della parete per ogni grado di differenza di temperatura. = spessore della parete (m); = superficie della parete (m2 ); = coefficiente di conducibilità della parete; = tempo di durata della trasmissione di calore (ore).
Il termine esprime l'inverso della trasmittanza H o il coefficiente di trasmissione termica globale K cioè la quantità di calore trasmesso in un'ora attraverso 1 m2 di superficie per la differenza di 1° C di temperatura tra i due ambienti. Quindi
da cui si può dedurre che:
La resistenza termica è l'inverso della trasmittanza
Essa rappresenta la resistenza per unità di superficie che la parete oppone al flusso termico; è direttamente proporzionale allo spessore della parete ed è inversamente proporzionale alla conducibilità termica dei materiali. Cioè aumentando lo spessore della parete o usando materiali a bassa conducibilità termica (isolanti si definiscono convenzionalmente isolanti termici quei materiali la cui conducibilità termica < 0,1) oppure limitando l'area interessata al flusso termico
e si esprime in m2 h°C/kcal. Se la parete è composta da più strati, in serie, diversi fra loro, K si determina:
341
// calore specifico è la quantità di calore necessaria per innalzare di 1° la temperatura di 1 kg di sostanza. Varia secondo la temperatura; per l'aria il calore specifico è
La capacità termica è la quantità di calore che innalza di 1°C la temperatura di un corpo.
dove: m, = masse ; Gi = calori specifici. (vedi tabella 1 e 2) . Normativa italiana La legge 30/4/1976 n. 373 stabilisce i limiti zona per zona della potenza termica massima di un impianto di riscaldamento, valutata tramite la relazione
dove: Cg =
è il coefficiente volumico globale di dispersione termica, espresso in W/m3 °C o dato che 1 kcal/h = 1,16 W si avrà anche 1 kcal/1,16 h m3 °C. Esso è composto di due termini Cg = Cv + Q dove: Cv = è il coefficiente volumico di dispersione termica per ventilazione cioè è la potenza termica necessaria per il riscaldamento dell'aria di rinnovo. (W/m3 °C). Cv si ricava dalla formula Cv = 0,25 x n (dove 0,25 è il calore specifico dell'aria); n sono i ricambi d'aria orari; in genere si è stabilito n - 0,5. Cd = è il coefficiente volumico di dispersione termica per trasmissione; esso rappresenta la sommatoria delle dispersioni termiche attraverso l'involucro sempre riportato all'unità di volume v.p.p. V = è il volume delle parti d'edificio riscaldate. Si esprime in m3 ; A t = èia differenza di temperatura tra l'aria interna che in genere non può superare i 20°C e l'aria esterna definita nelle tabelle per zone. Riassumendo, la legge tratta il contenimento delle dispersioni termiche imponendo dei livelli massimi di dispersione totali dell'edificio. In generale si può affermare che la temperatura delle pareti non deve
342
343 scostarsi di più di 3°C dalla temperatura dell'ambiente altrimenti ci si sente fisiologicamente a disagio, inoltre se ci fosse un forte sbalzo avverrebbe il fenomeno di condensazione in superficie dell'umidità presente nell'aria. La temperatura della faccia interna della parete è tanto più vicina a quella dell'ambiente quanto minore è la trasmissione termica attraverso la parete. Un ambiente è più confortevole quanto maggiore è la capacità termica della parete. Per contenere le dispersioni termiche si deve tener conto delle proprietà isolanti delle murature, delle malte e degli intonaci e dello spessore e peso della muratura e dei materiali isolanti nelle intercapedini. La conduttività termica delle malte e degli intonaci si può contenere adottando additivi isolanti. Un altro sistema per migliorare il comportamento termico è quello di aumentare lo spessore delle murature in quanto il tempo impiegato per la propagazione del calore all'interno della muratura aumenta con lo spessore e diminuisce la diffusione termica. Da qui si può dedurre il concetto di inerzia termica: essa misura l'attitudine di un materiale ad accumulare calore e rimetterlo successivamente verso gli ambienti a diretto contatto con esso. La trasmittanza termica può essere anche contenuta con strutture murarie a intercapedine, con murature con strato isolante all'esterno (isolamento a cappotto) o con strato isolante all'interno. Le murature a intercapedine stagna cioè non ventilata aumentano le caratteristiche di isolamento: l'intercapedine può essere libera e di dimensioni di circa 2 5 cm oppure riempita di materiale isolante come pannelli di polistirolo espanso, di lana di roccia, di fibre di vetro, argilla espansa ecc.. Se l'intercapedine è occupata parzialmente dai pannelli isolanti si avrà un maggior contributo all'isolamento dato dalla camera d'aria. E' necessario che i pannelli contengano una barriera al vapore verso l'interno dell'edificio per evitare condensazioni pericolose ma la controindicazione è data dalla non traspirabilità del muro. Oggi si usano le "barriere di freno al vapore" che permettono la traspirazione parziale della muratura. E' necessario inoltre stendere un rinzaffo di intonaco sulla faccia interna del paramento esterno per evitare infiltrazioni d'acqua (Fig. 17.1, 17.2, 17.3). Le murature con lo strato isolante all'esterno cioè con l'isolamento a cappotto hanno il vantaggio di eliminare i ponti termici; in questo caso si ha un maggiore tempo di messa a regime dell'impianto di riscaldamento e un più lento raffreddamento degli ambienti dopo lo spegnimento. E' quindi consigliabile per edifici residenziali stabili con impianti a funzionamento intermittente (Fig. 17.4). Quelle con lo strato isolante posto all'interno sono di facile ed economica realizzazione; la messa a regime ma anche il raffreddamento sono più rapidi per cui sono consigliabili per residenze temporanee (case da week-end) o uffici (Fig. 17.5).
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Fig. 17.2 - Muratura con intercapedine riempita totalmente con isolante.
345
Fig. 17.4
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Fig. 17.5 — Isolamento a cappotto. Una soluzione più recente, è rappresentata dalle facciate ventilate che sono costituite da: isolamento termico sull'esterno delle pareti dell'edificio in muratura tradizionale, camera d'aria ventilata, e paramento esterno in materiale affidabile: Alluminio, Amianto Cemento, Glasal (fig. 17.5bis). Assomma in sé i pregi della coibentazione esterna e cioè: • Eliminazione dei ponti termici • Maggior inerzia termica dell'ambiente - Inoltre il «Sistema Facciata Ventilata» offre i seguenti vantaggi sul tradizionale cappotto: • Eliminazione dei fenomeni di condensa La ventilazione della camera d'aria che si forma tra lo strato isolante e il paramento esterno garantisce il continuo smaltimento, del vapore che dall'interno migra verso l'esterno. Ciò garantisce dalle formazioni di condensa all'interno del sistema; quindi la resistenza termica non viene alterata. • Maggior benessere abitativo - Nella stagione estiva, a motivo della ventilazione che smaltisce il calore irraggiante, nonché del potere riflettente del paramento esterno, nonché della protezione dei raggi solari diretti sulla faccia esterna dell'isolante. - Nella stagione invernale, grazie all'innalzamento della temperatura superficiale delle pareti interne, alla maggior inerzia termica, all'eliminazione delle condense.
Fig. 17,5bis - Facciata ventilata.
347 I ponti termici si hanno in quelle zone dove c'è concentrazione di passaggi di calore, cioè con maggiore trasmittanza, come: — nei cordoli in calcestruzzo; — negli architravi di porte e finestre; — nei muri di sottofinestre ; — negli angoli di muri perimetrali; — nelle nervature verticali. E' necessario dunque contenere il passaggio di calore e il formarsi di condensazioni di umidità. Nei cordoli si cerca di coprirli esternamente con intonaci isolanti oppure con tavelle isolanti (Fig. 17.6 e 17.7). La legge 30/4/1976 n. 373, tiene conto in sostanza solo della trasmittanza, in quanto Cd e t sono fissati a priori; ne consegue che questa normativa è soddisfatta - a parità di K -indipendentemente dal materiale costruttivo o isolante impiegato.
Fig. 17.7
348 Questa impostazione deriva da una semplificazione iniziale: cioè dal considerare il regime termico come permanente, cosa astratta in quanto si trascura l'andamento reale delle temperature esterne ed interne e di conseguenza il comportamento delle componenti dell'edificio. Infatti la temperatura esterna varia durante le ore del giorno, con un andamento che si può definire sinusoidale. Si ha di conseguenza la cosiddetta "onda termica" sulla quale il tipo di parete, al passare di essa dall'esterno all'interno, produce uno smorzamento sensibile dell'ampiezza e uno sfasamento nel tempo. Questo regime reale si definisce "regime variabile": in esso entra in gioco al fine dello smorzamento dell'onda, e del suo sfasamento, la capacità di accumulo termico o "capacità termica''' degli elementi costruttivi. Essa è proporzionale alla conducibilità termica del materiale, al suo peso volumetrico e al calore specifico dello stesso. Ad es.: la capacità termica di 1 m3 d'acqua è dato da
dove: m Cp
= = =
densità dell'acqua = 1000 kg/m 3 ; calore specifico dell'acqua = 1 kcal/°C; il salto termico tra la temperatura del materiale e quella di utilizzo.
Dalla capacità termica si può dedurre la "inerzia termica" che è il prodotto della capacità termica per la resistenza termica del materiale. Una corretta impostazione della progettazione degli elementi costruttivi, deve quindi tener conto anche dei fattori summenzionati, in quanto appaiono chiari alcuni effetti sia per la riduzione dei consumi di energia sia per un miglior benessere termo-igrometrico ambientale.
Tecniche di architettura bioclimatica La cosiddetta "crisi energetica" degli anni '70 ha ridimensionato in relazione soprattutto ai problemi di riscaldamento e di climatizzazione degli edifici tutto quanto era stato raggiunto con facilità a seguito del grande sviluppo delle tecnologie impiantistiche e di automatizzazione e della disponibilità di grandi quantità e a basso costo di combustibili, in particolare liquidi e gassosi. In conseguenza di ciò si è rimessa in moto tutta una serie di studi e di approfondimenti teorici e sperimentali orientati prevalentemente sui seguenti due settori: 1 ) ricerca di fonti di energia alternativa, in particolare, quella solare, diretta e indiretta (eolica e biomassa) e quella geotecnica;
349 2) tecniche dì architettura "bioclimatica", tendenti oltreché a ridurre le dispersioni termiche, a utilizzare e soprattutto a "conservare" l'energia solare captata dagli edifici. Il primo settore detto anche dei "sistemi attivi", rientra nel campo della impiantistica, anche se l'integrazione nell'edificio dei collettori o captatori solari può costituire un problema architettonico. Il secondo comprende tutti questi sistemi che sono detti "passivi". I sistemi vengono infatti definiti passivi quando l'energia termica passa attraverso l'edificio (dalla captazione all'accumulo e alla distribuzione) con flusso termico naturale, cioè senza forza motrice dall'esterno pompe, ecc.. L'involucro edilizio deve raccogliere e conservare le radiazioni solari a mezzo degli elementi strutturali ed architettonici. Questi sistemi necessitano quindi di un controllo del flusso termico in modo da bloccare il flusso entrante nell'edificio o uscente dall'involuco (isolamento o schermatura) e di modificare le aperture e le chiusure nei momenti in cui agisce il flusso termico (reciproca apertura o chiusura degli spazi). Gli elementi architettonici che caratterizzano i sistemi passivi sono le vetrate, le murature massicce, le pareti isolanti, le schermature mobili o fisse, i piani riflettenti. Le tipologie delle case solari "passive" dipendono dalla forma di captazione dell'energia solare. L'energia solare viene utilizzata con tre metodi: diretto, indiretto e separato (Fig. 17.8). Captazione diretta (dal sole-all'ambiente-alla massa di accumulo). I raggi solari passano attraverso l'ambiente prima di essere accumulati in un impianto termico per un riscaldamento differito. In questo modo l'ambiente è riscaldato direttamente dal sole, le radiazioni raggiungono la massa accumulatrice, successivamente il calore viene distribuito dalla massa termica e circola negli ambienti per convezione. Gli edifici che impiegano questa captazione dei raggi solari devono avere: — una ampia e doppia superficie vetrata esposta a sud a diretto contatto con l'ambiente abitato; — il pavimento e le pareti che fungono da elemento di accumulo e quindi devono essere di dimensioni notevoli e dotati di grande capacità termica; — un sistema per isolare l'energia dalle variabilità climatiche esterne (riflettori, sistemi di oscuramento e chiusure) (Fig. 17.9). Captazione indiretta (dal sole-all'elemento di accumulo-all'ambiente). Nel metodo indiretto la struttura dell'edificio raccoglie e accumula l'energia solare e quindi trasferisce calore all'interno. I tipi principali di captazione indiretta sono: il muro di "Trombe" o "parete solare", il "muro d'acqua" o "water wall" o "parete Baer" e il "roof pond" o "solard pond" o lo "stagno sul tetto" (Fig. 17.10).
350
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Fig. 17.10 - Incremento indiretto.
Il muro di Trombe è formato da un vetro posto davanti a una massa muraria nera, per assorbire le radiazioni, rivolta verso il sole. Il muro posto dietro al vetro ha dei fori o bocchette di sfogo all'altezza del pavimento e del soffitto in modo tale che l'aria riscaldata tra la muratura e il vetro sale per convezione verso l'alto o entra attraverso i fori superiori nell'ambiente abitato, mentre l'aria fredda dell'ambiente viene aspirata dai fori in basso. Il vetro può ugualmente avere bocchette in alto e in basso in modo tale che d'estate, per convezione, l'aria surriscaldata esca, creando eventualmente un ricambio d'aria nell'ambiente abitato (Fig. 17.11 a-b). Il muro ad acqua o water wall o parete Baer è una variante del muro di Trombe dove al posto della muratura, c'è una parete formata da contenitori neri riempiti di acqua; il calore viene trasmesso dal sole al vetro e dal vetro al muro d'acqua il quale per irraggiamento e convezione crea una circolazione naturale. Per evitare l'irraggiamento verso l'esterno si usano degli elementi isolanti esterni (Fig. 17.12). Un terzo sistema è il Roof Pond o il Solar Pond dove la captazione del•l'energia solare avviene dal tetto. Il roof pond è formato da contenitori di plastica riempiti di acqua con la superficie inferiore nera e quella superiore formata da due fogli trasparenti con intercapedine d'aria per aumentare l'effetto serra. L'acqua assorbe e accumula calore e lo espande per irraggiamento all'ambiente sottostante (Fig. 17.13). Captazione separata: essa è caratterizzata dal fatto che l'isolamento
352
termico degli ambienti avviene separatamente sia dalla superficie di captazione che dall'accumulo.
Fig. 17.Ila - Muro di Trombe (inverno).
Fig. 17.11b - Muro di Trombe (estate).
La superficie di captazione deve essere ampia e vetrata, orientata verso Sud; essa è collegata termicamente alla massa accumulatrice (che può. essere un basamento di pietra, un muro massiccio, una vasca d'acqua, dei contenitori d'acqua) in quanto nei giorni nuvolosi viene sfruttata l'energia immagazzinata e successivamente viene distribuita.
353
Fig. 17.12 — Muratura ad acqua water-wall.
Fig. 17.13 - Roof Pond - Solar Pond - Stagno sul tetto.
354 La captazione separata avviene tramite due sistemi "a serra" o "a termosifone". La "serra" è formata da una parete trasparente, uno spazio vuoto che funziona da cuscinetto e una superficie assorbente. I raggi solari che attraversano la vetrata vengono assorbiti dalla parete assorbente, la quale emette a sua volta radiazioni di lunghezza d'onda diversa, verso la superficie vetrata: essa, in questo caso, funziona come un corpo opaco, di modo che le radiazioni non vengono più trasmesse all'esterno, e quindi nella zona tra il vetro e la parete assorbente si crea una temperatura più elevata di quella esterna. Questo è il cosiddetto "effetto serra". L'energia termica captata dalla serra viene trasmessa all'edificio con: — trasmissione diretta della radiazione solare; — scambio d'aria diretto; — conduzione attraverso le murature. Nel primo caso il muro tra la serra e l'edificio deve avere delle aperture, in quanto parte del calore penetra direttamente dalla serra all'edificio soprattutto d'inverno. Nel secondo caso il calore viene trasmesso all'edificio per convezione naturale quando tra la serra e l'edificio non c'è un muro ma teloni o a mezzo di ventilatori. Nel terzo caso il calore viene assorbito dalla superficie rivolta verso la serra e per conduzione naturale passa all'interno dell'edificio riscaldandolo. Gli elementi fondamentali sono la serra, un muro ad elevata inerzia termica e l'ambiente (Fig. 17.14).
Fig. 17.14 - Effetto serra.
355 Il sistema a termosifone sfrutta l'effetto che si produce tra una piastra nera, assorbitrice, distinta dall'edificio ed esposta al sole e l'ambiente da riscaldare (Fig. 17.15).
Fig. 17.15 - Sistema a termosifone.
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CAPITOLO DICIOTTESIMO
LE SCALE
Le scale sono vie di comunicazione verticali, assimilabili a vere e proprie vie di scorrimento che servono al collegamento di ambienti posti a livelli o piani diversi. Le scale vanno dimensionate in relazione al dislivello da superare ed alla funzione a cui la scala è destinata. Alcuni tipi particolari di scale, come le scale mobili e gli ascensori, richiedono speciali volumi tecnici superiormente ed inferiormente al vano scala, per la sistemazione dei meccanismi di manovra. Lungo la scala deve fluire nel modo più uniforme possibile il traffico verticale dell'edificio. Si può assimilare la scala ad un condotto, e quindi, in analogia con quanto avviene in idraulica, si dovranno sempre evitare in esso sporgenze o restringimenti di sezione, operando semmai degli allargamenti, in particolare agli angoli di tale condotto non rettilineo, intendendosi per angoli (normalmente a 180°) i pianerottoli di sosta e di arrivo, ove in particolare vi è rallentamento di flusso. La larghezza del pianerottolo di una scala non dovrà quindi mai essere inferiore alla larghezza della scala stessa (Fig. 18.1), anzi dovrà essere aumentata di un certo coefficiente che dovrà tener conto sia del traffico che la scala deve sopportare, sia del fatto che sul pianerottolo possono aprirsi
358 porte di accesso ai locali diversi. Dal traffico piuttosto limitato che si può avere in una scala di un fabbricato unifamiliare, si passa ad un flusso massimo di circa 50 persone per un condominio di 10 appartamenti, ed ad un traffico ancora superiore in caso di edifici pubblici: parimenti quindi dovrà esser aumentata la larghezza dei pianerottoli.
Tipo di collegamento verticale Possiamo suddividere i collegamenti verticali in varie categorie, a seconda dell'inclinazione sull'orizzontale che essi presentano (Fig. 18.2):
Fig. 18.2 - Inclinazioni usuali per giadonate, scale normali, pei locali macchine, a pioli.
— da 0° a 15° i collegamenti prendono il nome di "rampe", particolari collegamenti a piano inclinato, privi di gradini, usati soprattutto per esterni (giardini, strade ripide, sistemazioni urbanistiche), per interni di edifici particolari (ville, asili-nido, accessi ai garages situati ai piani interrati), e cosi via; — da 15° a 20° i collegamenti prendono il nome di "gradonate" (Fig. 18.3) scale a gradini molto allungati, usati per accessi esterni o interni di edifici particolari (asili-nido, scuole elementari, ospedali); — da 20° a 45° sono compresi tutti i tipi di scala usati negli edifici di civile abitazione, pubblici o di commercio, come vedremo più avanti; — da 45° a 75° si hanno le scale di servizio, tipo quelle usate a bordo
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Fig. 18.3 - Gradonate.
delle navi, per servizi di manutenzione in edifici industriali, per accesso a locali macchine ; — da 75° a 90° sono infine comprese le scale a pioli o alla marinara, quelle di accesso ai locali ascensori, ai serbatoi, ecc..
Tipologia della scala Esaminando in particolare la scala usata negli edifici di civile abitazione (con un angolo di inclinazione sull'orizzontale compreso fra i 20° e i 45°), a seconda dello schema assunto dalla scala in pianta, si possono avere: — "scale dirette": sono coperte da un'unica rampa, spezzata o meno da uno o più pianerottoli, a seconda della lunghezza (Fig. 18.4a,b); sono usate di solito soltanto in particolari circostanze, o per ottenere motivi di particolare effetto architettonico ; — "scale a rampa con elemento centrale": sono composte da due rampe affiancate che si succedono arrivando e partendo dallo stesso pianerottolo (Fig. 18.5). Possono appoggiare soltanto sui muri laterali, oppure su questi o su un muro di spina. Questo tipo di scala fu particolarmente usato nel passato, con le rampe portate da volte in muratura (Fig. 18.6), data la sua relativamente facile esecuzione, pur presentando l'inconveniente di poter essere poco illuminata per
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Fig. 18.4a
Fig. 18,4b - Tipi di scale dilette.
Fig. 18.5 - Scale a due rampe affiancate con parapetto chiuso.
Fig. 18.6
361 il particolare tipo di struttura portante, che non permetteva assolutamente (nelle volte) o relativamente (nei muri portanti laterali e di spina) l'apertura di fori di illuminazione. L'avvento del cemento armato ha eliminato tale ultimo inconvenoente consentendo innanzi tutto l'eliminazione del muro di spina, e quindi la sostituzione della muratura portante perimetrale con una struttura a telaio e trave rampante, di cui si accennerà in appresso. — "scale a tenaglia": (Fig. 18.7) in questo tipo di scala si succedono alternativamente una rampa centrale (normalmente larga) e due rampe laterali, più strette.
Fig. 18.7 - Scale a tenaglia.
Hanno avuto sempre una importante funzione architettonica, specie nel passato (nelle ville palladiane e nel periodo del barocco romano), che conservano ancora a tutt'oggi, specie negli edifici pubblici, ove vengono ormai quasi esclusivamente usate. — "scale a pozzo": le più usate nelle moderne costruzioni civili. Esse possono essere a pianta rettangolare (Fig. 18.8 e 18.9), circolare (Fig. 18.10) od elittica. Le rampe possono essere sostenute dai muri perimetrali portanti, o da una struttura in telaio in c.a.. Esse lasciano comunque sempre
Fig. 18.8 - Scale a pozzo.
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Fig. 18.9 — Scala a pozzo a tre rampe con parapetto a giorno.
Fig. 18.10 - Scala a chiocciola con gradini in massello di marmo a sbalzo della muratura perimetrale.
363 uno spazio vuoto al centro, più o meno ampio a seconda dell'area destinata al vano scala e a seconda dell'assetto in pianta assunto dalla scala stessa.
Norme di progettazione In un edificio è ammessa una sola scala quando la superficie coperta da servire è inferiore o uguale a m2 400, ed una scala aggiuntiva ogni m2 350 o frazione. Per un edificio superiore ai 24 m di altezza, se destinato ad abitazione, o anche in altezza inferiore, se avente particolare destinazione (alberghi, scuole, ospedali, grandi magazzini ecc.) è prescritta una scala "a tenuta di fumo" (Fig. 18.11), in cui la gabbia della scala e degli ascensori ed i rispettivi accessi e disimpegni non devono avere alcuna comunicazione con i vani abitati. La scala a tenuta di fumo deve esser ideata e attuata in modo che se una unità immobiliare abbia preso fuoco e dal suo portoncino d'ingresso fuoriesce del fumo, questo non debba invadere e permanere nella scala rendendo più difficoltosi o impossibili i soccorsi. Si ricordi che il vano scala, per quanto riguarda il fumo, si comporta come una canna fumaria che convoglia il fumo verso l'alto, ma che difficilmente lo elimina perché il vano scala non ha sfoghi sufficienti. E', pertanto, necessario che l'eventuale fumo che fuoriesce dalla porta di ingresso di una unità immobiliare non sia convogliata nel vano scale ma in altro vano che, in diretta comunicazione con l'esterno, ne consenta una rapida fuoriuscita ed eviti il ristagno del fumo nel vano delle scale. Se la scala è posta in corrispondenza di una parete perimetrale dell'edificio non si potrà accedere alle singole unità immobiliari direttamente dal pianerottolo, ma da un localino (con porta a tenuta di fuoco) che sia ampiamente aperto verso l'esterno (Fig. 18.11). In questo modo se l'unità immobiliare prende fuoco ed espelle fumo dal portoncino d'ingresso, il fumo non potrà invadere le scale, ma uscirà verso l'esterno dal detto localino dotato di ampio foro verso l'esterno e privo di qualsiasi tipo di chiusura. Se la scala fosse ubicata in centro all'edificio il detto localino fra pianerottolo e portoncino d'ingresso dovrà esser posto in diretta comunicazione di un cavedio (pozzo di luce e d'aria) che convoglia il fumo al di sopra del tetto ed impedisce al fumo di invadere le scale grazie al verso di apertura di porte incombustibili come indicato in Fig. 18.11. Altri sistemi, tutti finalizzati ad impedire che il fumo invada le scale, possono esser attuati in relazione alla ubicazione e conformazione del vano scale. La larghezza della scala per edifici unifamiliari di abitazione deve essere almeno di m 1,00 (Fig. 18.12), aumentando tale valore a seconda della destinazione dell'edificio.
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Fig. 18.11 - Scale a tenuta di fumo: prototipi.
Una rampa di scala dovrà inoltre avere tutti i gradini uguali: si preferisce eventualmente diminuire l'alzata negli ultimi piani di edifici multipiano, al fine di non affaticare l'utente. Per quanto riguarda l'altezza minima da osservare tra rampe e rampe immediatamente sovrapposte, bisognerà fare attenzione a permettere un passaggio fluido e senza ostacoli, assumendo quindi
365 come minimo una dimensione di m 2,10 2,20 (Fig. 18.13). Sarà inoltre opportuno contenere la lunghezza delle rampe in un numero limitato di gradini: le norme di sicurezza per gli edifici per spettacoli prescrivono a questo riguardo fino ad un massimo di 13 gradini per ogni rampa.
Fig. 18.13 - Pendenze.
Per permettere la sosta delle persone e l'apertura delle porte che vi si affacciano, senza con ciò creare intralci nel traffico, sarà bene abbondare nella larghezza dei pianerottoli, tenendoli di 20% circa maggiore della larghezza della scala. Sarà bene inoltre non adottare larghezza di scala superiore ai 2 m per
366 permettere l'appoggio a chi sale; nel caso in cui la larghezza superi i 2 metri, si potranno inserire longitudinalmente degli appoggi intervallati, fungenti anche da corrimano. Il corrimano, che ha lo scopo di impedire la caduta nel vano scala, va progettato in funzione del numero e categorie degli utenti della scala; la sua altezza media non deve essere mai inferiore ai 90 cm utili.
Dimensionamento Gli elementi costitutivi della scala sono i gradini: ogni gradino è forma to da una parte orizzontale, detta "pedata", e da una parte verticale, detta "alzata" (Fig. 18.14).
Fig. 18.14
Questi due elementi sono legati tra loro da formule empiriche, basate sulla lunghezza del passo medio dell'uomo in salita (Fig. 18.13), tenendo presente che, aumentando la pendenza, il passo dell'uomo si accorcia per equilibrio dinamico. Le formule più comunemente usate per il dimensionamento dei gradini sono 2 a + p = 63 cm
a + p = 46 cm
Si potrà quindi variare a piacere uno solo di questi due elementi dato che, aumentandone uno, diminuisce ovviamente l'altro; e di ciò si dovrà
367 tener conto al fine di non progettare scale scomode, disagevoli e pericolose. Si è prima accennato alla categoria degli utenti, e cioè alla destinazione della scala; con tale criterio si potrà creare un'ulteriore suddivisione nella gamma delle scale vere e proprie ; avremo così: — "scale leggere", con una alzata di 14 15 cm che sono particolarmente usate per asili, scuole, ospedali; — "scale normali", con una alzata di 16 17 cm che sono le più comuni nell'edilizia civile; — "scale pesanti", con alzata da 19 22 cm, usate come scale di servizio, accessi agli scantinati, ecc.. Le scale destinate agli edifici di abitazione si possono inoltre suddividere in: — "scale esterne", in cui si adotteranno alzate più basse (mediamente intorno ai 15 cm) e gradini lavorati in modo particolare sulla pedata (bugnatura, bocciardatura, zigrinatura, inserimento di fascie antisdrucciolevoli) per impedire lo scivolo per l'azione della pioggia, neve e ghiaccio; — "scale interne", in cui non sono necessari gli accorgimenti suddetti; le alzate varieranno quindi normalmente dai 16 ai 17 cm, arrivando anche ai 20 cm per le scale di servizio nelle quali peraltro la pedata sarà tenuta almeno di 26 cm. Nella realizzazione di una scala, bisognerà cercare di evitare il più possibile gli scalini "a zampa d'oca" (Fig. 18.15), sempre molto pericolosi per la riduzione della pedata e la conseguente facilità di cadute. Bisognerà inoltre curare particolarmente l'inserimento nel gruppo scala del vano dell'ascensore, la cui dimensione varia a seconda della portata, o dal numero di persone trasportate dall'ascensore stesso: da un minimo di m 1,30x 1,50 per 4 persone, ad un massimo di m 2,10x2,10 per 13 persone, Fig. 18.15 a m 2,10x2,80 per un montalettighe). Attualmente, contro la vecchia soluzione del vano scala quadrato con tre rampe di scala e gli ascensori inseriti al centro, si preferisce adottare una scala a due rampe e collocare l'ascensore in sede propria immediatamente a lato della scala, con accesso diretto ai pianerottoli (Fig. 18.11). Struttura La soluzione strutturale di una scala può avere diverse soluzioni. Si tralascia la descrizione delle scale in legno o in ferro oggi pochissimo usate nel-
368 l'edilizia comune; si richiameranno le scale in calcestruzzo armato facendo qualche cenno alle scale in massello di pietra o marmo. Le scale siano esse formate da gradini isolati o da solette generalmente sono contornate da strutture portanti che perimetrano il vano delle scale ed alle quali le scale possono esser rese solidali. Queste strutture portanti possono esser costituite da murature in mattoni per i più modesti tipi di edificio o da murature in c.a. o travi in calcestruzzo a ginocchio o rampanti, per gli edifici costruiti con intelaiatura in cemento armato. Nulla di particolare devono avere le murature che sostengono le scale; si deve solo ricordare che i muri perimetrali delle scale o degli ascensori si fanno spesso in calcestruzzo per dare una maggior rigidezza generale all'edificio. Viceversa, le travi che sostengono longitudinalmente le scale (le travi a ginocchio) sono travi che alle estremità, in corrispondenza dei pianereottoli, sono orizzontali e nel tratto mediano, corrispondente alla rampa, sono inclinate (Fig. 18.16). Le travi a ginocchio si incastrano nei pilastri ubicati nei quattro angoli del vano delle scale e sono contenute nello spessore dei muri di tamponamento che perimetrano il vano delle scale. La trave a ginocchio sostituisce per quanto riguarda l'immorsamento della struttura delle scale, i muri di sostegno delle stesse. Infatti, mentre un muro in mattoni pieni (o in calcestruzzo) può offrire sufficiente incastro alla struttura delle scale, nel caso di fabbricati a travi e pilastri in c.a. i leggeri muri di tamponamento non possono offrire un analogo incastro che, invece, deve esser realizzato eseguendo la trave a ginocchio (Fig. 18.16). Trovano incastro nei muri perimetrali longitudinali o nelle travi a ginocchio le strutture delle scale che siano realizzati "a sbalzo" e cioè: — le scale con gradini a sbalzo prefabbricati; — le scale con gradini a sbalzo costruiti in opera; — le solette a sbalzo sulle quali, secondo la pendenza della rampa, possono o meno esser costruiti dei gradini. Viceversa le scale costruite da soletta rampante longitudinale trovano appoggio o sui muri di testa del vano scale (perpendicolari ai precedenti) o su travi in c.a. poste tra i pilastri a quote diverse corrispondenti alle quote dei pianerottoli. Chiarito questo concetto si potranno elencare, sotto un profilo strutturale, i vari tipi di scale. — Scale con gradini appoggiati all'estremità. Sono scale quasi esclusivamente esterne realizzate con lastre di marmo o di pietra di un certo spessore (6 8 cm) o in calcestruzzo rivestito o meno di altro materiale. Questa soluzione è poco usata per scale interne perché, necessitando li un muro di spina, rendono il vano scala buio e scomodo (si veda quanto detto per le scale a volta).
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Fig. 18.16 - Trave a ginocchio compresa nello spessore del muro di tamponamento.
— Scale con gradini a sbalzo prefabbricati. Si possono prefabbricare gradini in calcestruzzo armato aventi, per ragioni estetiche, inerti formati con graniglia di marmo. Questi gradini (Fig. 18.17a) sono naturalmente armati come mensole (ferro in alto) e vengono inseriti nei muri perimetrali e preferibilmente annegati in un cordolo di calcestruzzo.
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Sono sagomati come in Fig. 18.17a sia perché il calcestruzzo non può terminare con un angolo acuto che fatalmente si romperebbe, sia perché, sotto il carico, ogni gradino può trovare collaborazione nei gradini sottostanti.
Fig. 18.17a,b
I gradini in calcestruzzo prefabbricati possono assumere forme anche diverse da quelle indicate nella Fig. 18.17a e possono esser costituiti dalla sola pedata (Fig. 18.18) soprattutto per brevi scale esterne e, in questo caso, sono generalmente confezionate con cemento bianco e sono rese scabre con la "bocciardatura". Oppure possono esser costituite dalla sola pedata (spessore circa 5 6 cm) resa solidale, con opportuna armatura metallica, all'alzata (spessore 3 4 cm) per aumentare il momento d'inerzia del gradino. Questo ultimo tipo di gradino è, però, poco consigliabile perché non sempre ha dato buoni risultati. In questa categoria di Fig. 18.18 gradini si possono ricordare gli analoghi gradini ricavati da masselli di marmo o di pietra (Fig. 18.17b) per i quali, peraltro, si dovranno valutare attentamente le caratteristiche meccaniche e di resistenza del materiale impiegato che, essendo lapideo, resiste ben poco alla flessione e che, essendo naturale, non presenta una costanza di caratteristiche di omogeneità e di compattezza. Pertanto il materiale lapideo da usare per gradini a massello dovrà essere a struttura compatta ed omogenea e privo di piani di frattura prestabilita (peli), come ad esempio i graniti. Le scale in massello di marmo sono proibite nelle zone sismiche di categoria 2 (le più pericolose).
371 Da non molti anni vengono prefabbricate in c.a. intere rampe di gradini che vengono incastrate nelle travi dei pianerottoli ed i cui gradini vengono poi rivestiti con materiali più o meno pregiati. — Scale con gradini in calcestruzzo costruite in opera. Con incastri sui muri longitudinali del vano scale o sulla trave a ginocchio possono esser costruiti in opera dei gradini in c.a. a sbalzo. Mentre i pianerottoli non sono che delle solette appoggiate ai sostegni laterali (muri o parti orizzontali delle travi a ginocchio) le rampe sono costituite da gradini in c.a. che, con casseratura complessa, vengono gettati in opera e vengono opportunamente armati come mensole (Fig. 18.19).
Fig. 18.19 — Scala in calcestruzzo con gradini a sbalzo costruiti in opera.
Al di sotto dei gradini viene lasciata una soletta " s " di circa 5 cm che sarà opportunamente armata in senso longitudinale per ripartire i carichi concentrati su di un solo gradino e che li collega fra di loro. Oltre ai ferri di armatura posti in alto (in Fig. 18.19 sono due ferri 10) saranno necessari altri ferri (staffe) di confezionamento o per sopperire a possibili sforzi di taglio. Se i gradini costruiti in opera sono incastrati nella muratura la loro sezione è quella della Fig. 18.19. Se viceversa i gradini costruiti in opera sono incastrati in una trave a ginocchio la loro sezione è tutta compresa nello spessore della trave a ginocchio alla quale sono incastrati come chiaramente appare dalla Fig. 18.20. Il tipo di scala con gradini a sbalzo costruiti in opera è oggi quello più usato. A scala finita i gradini ed i pianerottoli vengono ricoperti con materiale più o meno pregiato come marmo, moquette, o con altri numerosi
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Fig. 18.20 - Scala con gradini gettati in opera e a sbalzo su trave a ginocchio.
idonei materiali o con combinazioni varie secondo l'estro del progettista (alzata in marmo e pedata in linoleum, oppure in cotto, ecc.). - Scale con soletta a sbalzo. E' possibile costruire, con incastro nelle murature laterali o nelle travi a ginocchio, delle solette a sbalzo per 1,201,50 metri che emergono dalle strutture di sostegno e che seguono l'andamento dei pianerottoli e la pendenza della rampa (Fig. 18.21). Si pensi a qualcosa come ad un poggiolo che emerga dalla facciata di un edificio, ma che, invece di essere tutto su di un piano, abbia il primo e l'ultimo tratto orizzontali e a quota diversa (i pianerottoli) ed il tratto cen-
373 trale inclinato (rampa) in modo da congiungere i due pianerottoli. Lo spessore della soletta per una comune scala con soletta a sbalzo può variare dai 10 ai 15 cm a seconda della larghezza della scala (luce della soletta a sbalzo) e del carico che deve sopportare. Se la rampa ha pendenza modesta (fino al 10 12%) la si usa come tale e può essere pavimentata in un modo qualsiasi, ma evitando pavimenti sdrucciolevoli. Se, viceversa, la pendenza è notevole, sopra la parte inclinata della soletta a sbalzo, si costruiscono i gradini con materiale inerte (mattoni, calcestruzzo di argilla espansa, ecc.). Fig. 18.21 Nella sezione di una rampa a sbalzo, i gradini verrano disegnati sopra la soletta (Fig. 18.22). I gradini, poi, vengono rivestiti come per il caso precedente di scale con gradini costruiti in opera. - Scale con soletta rampante. Talvolta, lateralmente alla scala non esistono strutture portanti (scala aerea non racchiusa in un vano scale) ma si hanno strutture portanti sui lati corti della scala (Fig. 18.22). In questi casi si eseguono delle solette "appoggiate" alle strutture di testa e aventi quindi una "luce" pari allo sviluppo della rampa e dei pianerottoli, luce non sempre trascurabile. La soletta ha un andamento a ginocchio (rampante) per sagomarsi in modo da formare i pianerottoli e la rampa. Lo spessore " s " della soletta rampante è dell'ordine di 20 cm. Anche in questo caso i gradini vengono eseguiti in fase di finiture con un qualsiasi materiale idoneo allo scopo, e nella sezione della rampa verranno disegnati sopra la soletta portante. - Scale con trave a ginocchio, rampante, corrente in mezzeria del gradino e poggiante su travi di testata poste sui lati più corti (Fig. 18.23). In questo caso, trave a ginocchio e gradino assumono comunemente la conformazione in Fig. 18.23. L'economia di questa soluzione consiste nel fatto che il gradino risulta a sbalzo su una luce dimezzata, e la trave è sollecitata a torsione solo per la quota parte di carico accidentale gravante su mezzo gradino.
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Fig. 18.22 - Scala a soletta rampante. Le strutture portanti sono di testa al gruppo delle scale; le rampe ed i pianerottoli in c.a. costituiscono solette a ginocchio (rampanti) sostenute dalle strutture portanti. I gradini non sono elementi strutturali, ma sono formati dopo il getto della soletta.
375 - Scala con travi a ginocchio, rampanti, inserite nei muri laterali di ogni rampa; con questa soluzione, particolarmente usata nel caso di strutture in ferro, i gradini sono sollecitati a momento flettente di semplice appoggio, e le travi a semplice flessione (non esiste infatti torsione). Scale a struttura speciale sono le scale elicoidali e le scale a chiocciola: esse consentono particolari risultati architettonici, ma presentano nel contempo complessi problemi sia di calcolo sia, particolarmente, di esecuzione e di utilizzazione.
Bibliografia O. BELLUZZI,//cemento armato, Bologna, 1967. Manuale dell'Architetto, Roma, 1962. L. SANTARELLA, La struttura in e.a., Milano, 1962.
Fig. 18.23
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
I SERRAMENTI Nell'approfondire lo studio di un'opera architettonica è molto importante, per il perfetto completamento della stessa, saper risolvere nel giusto rapporto il problema del serramento, in quanto la risoluzione di tale elemento può modificare notevolmente il risultato estetico ed architettonico dell'intera opera. Molto spesso, infatti, può essere proprio il serramento a configurare e caratterizzare l'aspetto definitivo di un edificio; basti pensare a particolari tipi di costruzioni come, ad esempio, quella a "courtain wall" (a facciata continua) o a certe ville o costruzioni ad impostazione razionalista per rendersi conto dell'importanza che assume il serramento. Inoltre, il serramento deve essere progettato o scelto in base alle sue particolari caratteristiche in funzione del tipo di edificio cui deve servire. Un determinato tipo di serramento può esser ottimo per una scuola, ma non funzionalmente conveniente per un locale di soggiorno, ecc.. La scelta del tipo o del materiale di un serramento può sia qualificare l'opera per il quale è destinato (casa di lusso, o casa popolare) sia classificare la tipologia edilizia (case d'abitazione, per uffici, scuole, ospedali ecc.) (in quanto le necessità tecnico-funzionali sono diverse). E' pertanto indispensabile, essendo il serramento uno degli elementi principali della casa, approfondirne lo studio, al fine di riuscire ad imprimere all'opera progettata un carattere di massima coerenza stilistica e di massima funzionalità. Il serramento deve innanzi tutto assicurare agli ambienti degli edifici, nei quali è posto, ed in relazione alle particolari esigenze, un'adeguata protezione dagli agenti atmosferici, ed altresì garantire una efficace difesa e sicurezza dall'esterno. Inoltre il serramento, date le sue caratteristiche tecnico strutturali, è l'elemento architettonico che permette di illuminare e di arieggiare gli ambienti. La diversa configurazione del serramento può modificare notevolmente le caratteristiche abitative di un ambiente; a seconda di come è dimensionato e strutturato può creare diverse zone di luce e d'ombra in maniera tale da poter corrispondere ed adeguarsi alle funzioni che vengono esplicate nell'ambiente stesso. Il serramento per soddisfare le esigenze per le quali è concepito, deve, soprattutto, presentare delle caratteristiche di indeformabilità e di durata
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nel tempo; si deve perciò scegliere, coerentemente con la situazione in cui si viene ad operare, il materiale più adatto. La scelta del materiale per il serramento può essere determinata sia dal risultato estetico che si vuole ottenere, sia dalle possibilità economiche. I tipi fondamentali di serramento in relazione ai materiali sono: — serramento in legno, — serramento in ferro, — serramento in allumìnio, — serramento in plastica. I difetti ed i pregi principali dei tipi suesposti possono essere così brevemente sintetizzati: — il serramento in legno dà buoni risultati di tenuta; col tempo è però soggetto a deteriorarsi e a deformarsi. I vantaggi si notano soprattutto nella facilità di lavorazione del materiale e nella possibilità di variare la forma e le dimensioni della sezione in infiniti modi. I principali legnami usati sono: l'abete, il larice, il douglas, il pitch-pine. — // serramento in ferro, oltre ad essere pesante, è soggetto a fenomeni di corrosione, è molto rumoroso e non dà soddisfacenti garanzie di tenuta; sono per questo oggi molto usati serramenti in lamiera profilata a freddo e zincata, anche verniciata a fuoco, che riducono notevolmente le caratteristiche negative prima accennate. — il serramento in alluminio è molto leggero e dà la massima garanzia di durata nel tempo e di tenuta dall'acqua e dall'aria; è però un serramento, almeno in Italia, ancora di un costo relativamente elevato. — serramenti in plastica. Con il progredire della chimica e con la produzione in plastica degli oggetti più svariati era fatale che si arrivasse a costruire serramenti in plastica. Per quanto riguarda le finestre si nota che la possibilità di dare le più svariate forme alla plastica permette di realizzare serramenti con ottime "battute" ed incastri che evitano passaggi d'aria e di acqua. Peraltro è molto problematica la scelta del tipo di plastica che deve essere indeformabile anche se assogettata da una parte alla temperatura ambiente (20°C) e dall'altra alla temperatura esterna che può variare da —5 a + 35°C. Altro punto delicato è quello della applicazione della ferramenta per il fissaggio del serramento e per la sua chiusura e movimentazione. Per quanto riguarda le porte si possono fare meno riserve. Naturalmente le porte in plastica (come del resto anche le finestre) hanno misure standardizzate. Le porte sono costituite da elementi scatolari a coda di rondine che possono esser connessi tra loro con un modulo di 5 cm e sono contornati e connessi da un pesante elemento ad "U" così da formare l'anta mobile della porta. Gli elementi scatolari possono esser o meno trasparenti alla luce e pos-
379 sono esser composti così da avere pannellature di porta in parte cieche e in parte translucide. Si usano porte in plastica dove assieme all'igiene (sono facilmente lavabili anche con soluzioni disinfettanti) non è necessario un gran pregio estetico. Sono ideali per cabine di piscine e trovano buon impiego in ospedali, caserme, stadi, scuole, ecc.. Molto usate sono le persiane avvolgibili in plastica che — per il loro prezzo e la non necessità di manutenzione — hanno soppiantato le persiane avvolgibili in legno. E' però necessario limitarne l'uso a luci contenute perché per la loro deformabilità potrebbero dare risultati non soddisfacenti. Tipi di serramento Le finestre sono quei serramenti che permettono l'illuminazione e la aereazione dei locali e li proteggono dagli agenti atmosferici. Gli oscuri sono quei serramenti che permettono l'oscuramento dei locali e offrono difesa dall'esterno. Le porte permettono o impediscono il passaggio dall'esterno all'interno e tra i vari locali. Altri tipi di serramenti (serrande metalliche, cancelli estensibili ecc.) hanno esclusivo scopo di protezione. A seconda del modo di apertura di un serramento e a seconda delle sue funzioni, si possono distinguere i seguenti tipi di serramenti: A)
finestre : I) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9)
B)
finestre ad 1 battente finestre a 2 battenti (la più comune) finestre a più battenti finestre a bilico (orizzontale o verticale) finestre a wasistas (interno od esterno) finestre a slitta finestre a saliscendi o a ghigliottina finestre scorrevoli finestre composte (unione di più tipi)
oscuri: 10) oscuri ad 1 battente (pieni o a lamelle) 11 ) oscuri a 2 battenti (pieni o a lamelle) 12) oscuri a libro 13)persiane avvolgibili (in legno, in plastica, in alluminio)
380 C)
porte interne: 14) porte 15) porte 16) porte 17) porte
D)
a battente a ventola scorrevoli a soffietto
serramenti di chiusura: 18) porte basculanti 19) serrande metalliche 20) cancelli riducibili
Le caratteristiche dei vari tipi di serramenti sopraelencati sono le seguenti: A— 1), 2), 3) Finestre ad uno o più battenti (Fig. 19.1) Sono le più semplici e tradizionali finestre usate generalmente nelle abitazioni. Consentono la totale apertura del vano finestra ed un comodo affaccio. Se la finestra giunge fino al pavimento, indipendentemente dal fatto che permetta il passaggio all'esterno (logge, balconi), è detta portiera o porta-finestra. A — 4) Finestre a bilico orizzontale o verticale (Fig. 19.2) Hanno il vantaggio, per l'illuminazione, di esser costituite da un'unica specchiatura. Si aprono facendole ruotare, anche di 180 gradi, attorno ad un asse verticale od orizzontale che non deve essere necessariamente centrale, ma può essere eccentrico. E' un tipo di finestra che offre buone garanzie d'indeformabilità, ed è molto luminosa. Si usa principalmente per edifici pubblici, uffici e scuole. A— 5) Finestre a wasistas (Fig. 19.3) Sono dette a wasistas (dal nome dell'igienista che le ha ideate) quelle finestre che hanno le cerniere fissate al traverso superiore od inferiore a seconda che il telaio mobile si apre verso l'esterno o verso l'interno. E' un tipo di finestra che permette un buon ricambio d'aria (specialmente per il tipo apribile verso l'interno), evita forti correnti d'aria ed impedisce l'affaccio . L'apertura non è mai completa, limitandosi ad un angolo di 30 + 35 gradi e nei tipi migliori è graduata da apposite frizioni. Generalmente le finestre a wasistas hanno modeste dimensioni ed hanno una specchiatura uni-
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Fig. 19.2
Fig. 19.1
ca. Trovano il loro impiego in locali particolari di ospedali, scuole ed uffici. La pulizia della parte esterna del vetro non è facile, a meno che non sia prevista anche la possibilità di apertura ad anta normale. A - 6) Finestre a slitta (Fig. 19.4) Sono un perfezionamento delle finestre a wasistas con cerniera sul traverso superiore e quindi sono apribili verso l'esterno. Un apposito congegno permette al telaio mobile di aprirsi ruotando attorno ad un asse orizzontale corrispondente al traverso superiore e contemporaneamente di abbassarsi in modo da lasciare, superiormente, una vasta fessura, tra telaio e specchio mobile, nella parte alta del serramento. In tal modo l'aria calda può facilmente fuoriuscire attraverso la descritta fessura che manca, nelle comuni finestre a wasistas, permettendo un rapido ricambio d'aria. Per la pulizia del vetro esterno si hanno gli stessi inconvenienti precisati per le finestre a wasistas. A — 7) Finestre a ghigliottina o a saliscendi (Fig. 19.5) Sono finestre più usate nei paesi nordici o anglosassoni che in Italia.
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Fig. 19.4
Fig. 19.3
Sono costituiti da due elementi vetrati particolari e paralleli e che sono fatti scorrere verticalmente, a mezzo di un sistema di guide, sul telaio fisso, o di un sistema di contrappesi che bilanciano le parti mobili, in modo che l'apertura delle stesse possa essere graduata a piacere. A parità di dimensioni nel foro del muro, permettono la massima luminosità, in quanto i montanti della parte mobile possono essere contenuti nel montante del telaio fisso ma non permettono un ricambio d'aria a tutta sezione del foro murario. Hanno il vantaggio di non presentare, né verso l'esterno, né verso l'interno ingombro alcuno.
Fig. 19.5
A- 8) Finestre scorrevoli (Fig. 19.6) Sono anch'esse costituite essenzialmente da elementi vetrati che posso no esser fatti scorrere (su guide opportunamente sagomate) sul telaio fis so, in modo che l'elemento traslato si venga a sovrapporre ad altro elemen to fisso o anch'esso scorrevole.
383 Si usa preferibilmente per elementi fincstrati a sviluppo orizzontale. Presenta diversi vantaggi come la notevole luminosità, la mancanza di ingombro, in quanto non occupa spazio per l'apertura, permette l'affaccio e la pulizia dei vetri può anche non essere molto difficoltosa. Si usa principalmente per uffici, scuole, ecc.. A — 9) Finestre composte (Fig. 19.7) Sono serramenti particolari risultanti dall'accoppiamento di due o più dei tipi sopra elencati. Un es. di finestra composta è dato da quella costituita da due ante normali con sovrastante elemento a wasistas. Si usano in ospedali, scuole ed ogni qual volta si vogliano sfruttare le diverse caratteristiche dei vari tipi di finestre.
Fig. 19.6
Fig. 19.7
B — 10), 11) Oscuri ad uno o due battenti (Fig. 19.8) Sono gli oscuri più antichi e comuni, formati da una o due ante girevoli su cardini a muro fissati negli spigoli esterni del foro murario. Il tipo tradizionale veneto è formato da un doppio ordine di tavole d'abete da 25 mm lordi poste con le fibre incrociate. La parte d'oscuro che risulta esterna quando il serramento è chiuso, è costituito da tavole accostate e con le fibre verticali, l'altra parte (connessa solidamente con la prima mediante fitta chiodatura) è formata da tavole immaschiate fra loro con fi-
384 bre ad andamento orizzontale e sagomate in modo da far gocciolare verso l'esterno l'acqua piovana. In certi casi i perni a muro su cui ruotano le antine sono poste nello spessore di muro del foro della finestra, in questi casi, allora, per permettere la completa apertura delle ante, queste sono ripieghevoli su cerniere.
Fig. 19.8
Quando questi scuri sono aperti, una parte di ciascuna anta è contenuta nel vano della finestra ed è addossata agli stipidi e l'altra parte è ripiegata di 90 gradi, e risulta aderente e parallela, alla facciata. Vari tipi di oscuri esistono oltre a quelli tradizionali veneti sopra ricordati. Talvolta le antine sono formate da telai in legno e specchiature in panforte o di lamiera. Nel centro e sud Italia, gli oscuri sono formati da un telaio avente la specchiatura formata da alette orientabili (Fig. 19.9). In generale gli oscuri permettono una discreta sicurezza, una buona protezione e coibentazione, ed un sufficiente oscuramento (salvo quelli con alette orientabili). In questo caso l'oscuramento può esser ottenuto applicando un copriportello all'interno del telaio a vetri.
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386 B- 12) Oscuri a libro (Fig. 19.10) Se si vuole, per ragioni estetiche, evitare che gli oscuri (quando sono aperti) siano visibili dall'esterno, o se si vuole proteggerli dalle piogge battenti o dai raggi del sole, o quando, infine, si abbiano due fori di finestra, tanto vicini per cui l'ingombro degli oscuri aperti non potrebbe esser contenuto nel tratto di muratura intercorrente tra i due fori di finestra, si usano gli oscuri a libro. Sono comuni oscuri girevoli su cardini posti nello spessore di muro del vano finestra che hanno le ante composte da diversi elementi ripiegabili a fisarmonica gli uni sugli altri, così da formare un "pacchetto" che risulta, ad oscuro aperto, contenuto nello spessore del muro del vano di finestra. Questo pacchetto però deve trovar Fig. 19.10 sede o in un incavo del muro o esser contenuto da un "elemento" di marmo o pietra (anche artificiale) che è posto a contorno del foro di finestra. Diversamente la vista del "pacchetto" formato dalla sovrapposizione degli elementi ripieghevoli di ciascuna anta, risulterebbe antiestetica. B— 13) Persiane avvolgibili (Fig. 19.11) Di comune applicazione come oscuri sono le persiane avvolgibili che possono essere di legno (pino, pitch-pine, ramin, ecc.), in plastica o in alluminio . Sono formate da lastre di piccola sezione (12x40 mm circa) connesse tra di loro con opportuni ganci che ne permettono l'avvolgimento (come una stuoia) attorno ad un albero orizzontale (rullo). L'albero è solidale con una puleggia comandata da una cinghia. Azionando la cinghia la persiana avvolgibile si svolge dal rullo e scende su guide fissate alle spalle del foro di finestra fino a chiuderlo completamente. Con manovra inversa, la persiana viene aperta. Il rullo e la puleggia sono contenuti in un "cassonetto" ispezionabile. Le persiane offrono il vantaggio di poter essere chiuse o aperte senza aprire i telai a vetri, sono contenute nel vano della finestra e quindi non si sovrappongono alla facciata. Mentre il rotolante in legno ha una buona coibenza termica, ma richiede una manutenzione piuttosto lunga ed onerosa, quello in plastica ha tenuta meno buona ma è più duraturo e più leggero, consentendo così di co-
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Fig. 19.11
prire anche luci elevate senza richiedere particolari congegni meccanici. Inoltre, per quanto riguarda i rotolanti in plastica, è molto facile sostituire un elemento rotto, in quanto sono sfilabili l'uno sull'altro. C- 14) Porte a battente (Fig. 19.12 e 19.13) Sono le comuni porte incernierate da una parte che possono essere aperte solo in un verso. Sono costituite da un telaio in legno, formato da assicelle incrociate in legno (nido di ape) sulle quali viene applicato, per ciascuna parte, un foglio compensato, oppure un compensato impellicciato con legni pregiati (noce, mogano, tek, ecc.). Sono montate sulle casseporte e cioè su quegli elementi in legno che rivestono il vano interno della porta e, con cornicette riportate, risvoltano sulle pareti. Le casseporte sono fissate al muro con arpioni. Con tecnica più affinata, le casseporte sono avvitate su casse morte che sono delle tavole in abete che, arpionate sul vano interno della porta, servono da supporto alle casseporte. Le porte a battente possono essere cieche e cioè interamente in legno o a vetri e cioè con specchiature formate da vetri stampati.
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Fig. 19.12
Sono dette sopraluci quegli elementi vetrati (fissi o apribili a wasistas) che sono posti sopra il battente della porta. C- 15) Porte a ventola (Fig. 19.14) Sono porte a due battenti che, grazie a particolare tipo di ferramenta d'attacco, possono esser aperte in un verso o nell'altro. Sono usate per ambienti con grande traffico. C- 16) Porte scorrevoli (Fig. 19.14) Sono serramenti di porte che si aprono con scorrimento orizzontale, agganciate superiormente su guide in ferro mediante rotelle scorrevoli. Normalmente il serramento nella fase di apertura si incunea nella intercapedine
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Fig. 19.13 — Particolari nodi porta tamburata ad un battente.
390 formata da due divisori; in tal modo la porta aperta, resta celata alla vista e non crea ingombro. C- 17) Porte a soffietto (Fig. 19.15) Sono anch'esse porte a scorrimento orizzontale con la differenza che, in fase di apertura, il serramento si riduce di dimensioni come se fosse un soffietto di fisarmonica.
Fig. 19.14
Sono costituite da una intelaiatura metallica a losanghe rivestita esternamente di tessuto elastico, tessuto sky, ecc., che si può ridurre a circa 1/5 della luce corrispondente alla massima estensione. Sono comprese in questa categoria anche quelle porte formate da elementi di legno che in fase di apertura si ripiegano l'uno sull'altro. Il loro uso è generalmente indicato per suddividere in due, un ambiente spazioso. D — 18) Porte basculanti o a bìlico (Fig. 19.16) Sono porte formate da una unica pannellatura (anche di grandi dimensioini) che si apre, con movimento di roto-traslazione così da passare dalla posizione verticale di chiusura ad una posizione di apertura orizzontale. So-
Fig. 19.16
391 no bilanciate con molle o contrappesi così che la loro apertura o chiusura è facile e poco faticosa. Non creano ingombro alcuno. Sono usate quasi esclusivamente come porte per box di autorimesse private. D — 19) Serrande metalliche (Fig. 19.17) Sono fondate sullo stesso principio delle persiane avvolgibili, e sono costituite da elementi ondulati di lamiera per i magazzini o a maglie metalliche per i negozi.
Fig. 19.17
Alcuni tipi di serrande hanno uno scorrimento orizzontale ed in curva per cui da una posizione, a serranda chiusa, parallela alla facciata, vengono ad assumere una posizione perpendicolare alla facciata quando siano aperte e sono usati per garages o capannoni industriali.
392 D— 20) Cancelli riducibili o estensibili (Fig. 19.18) Sono serrande formate da montanti in doppio ferro ad U e diagonali in ferro piatto disposte a losanga in modo che, con la manovra di apertura, le fa scorrere orizzontalmente riducendone la lunghezza a circa 1/20 della luce.
Fig. 19.18
Quando la serranda è aperta e il cancello ridotto, può essere raccolto o dietro la mazzetta del foro cui serve, o può essere incassato nel muro, o può essere ribaltato sullo spessore del muro del foro.
Caratteristiche strutturali del serramento Tutti i tipi di serramenti presi in considerazione al paragrafo precedente devono essere progettati secondo criteri di massima funzionalità nei riguardi dei modi di apertura, dei meccanismi relativi, delle sagomature e della possibilità di tenuta e di durata. Il serramento è essenzialmente composto da due parti e precisamente: — parte fissa, - parte mobile, ed è completato della ferramenta di attacco e di chiusura (Fig. 19.19).
393 La parte fissa è generalmente denominata telaio e viene agganciata alle pareti in una apposita sede e fermata mediante zanche in ferro. Con la tecnica moderna, si usa predisporre, nelle murature,apposite cassemorte in legno o in ferro, a seconda del tipo di serramento impiegato, che consentono di ultimare la costruzione di tutti i suoi dettagli, prima di porre in opera i serramenti già verniciati o lucidati mediante semplice avvitatura dei serramenti alle cassemorte. Fig. 19.19 La parte mobile è per le finestre la parte vetrata che consente l'areazione e la illuminazione degli ambienti; per le porte è la parte che, a secondo che la porta è chiusa o aperta impedisce o consente il passaggio tra un ambiente e l'altro o tra l'interno e l'esterno dell'edificio. La ferramenta d'attacco, tra parte fissa e parte mobile, è costituita da cerniere di vario tipo che permettono il movimento di rotazione delle antine mobili o da guide e rotelle che ne permettono lo scorrimento. Il più comune sistema di bloccaggio delle ante mobili è, per le finestre, il "cremonese" e cioè un'asta metallica contenuta nella parte mobile e che, comandata da una maniglia, fuoriesce al di sopra e al di sotto dell'antina mobile incuneandosi in boccole solidali con il telaio fisso. Per le porte, il sistema di bloccaggio è costituito da serrature con scrocco comandato da maniglie e paletto comandato da chiavi. L'incontro o la sovrapposizione della parte mobile col telaio, viene attuato mediante una o più battute (Fig. 19.20). La battuta è l'incavo di una parte di serramento per creare l'appoggio all'altra e per garantire una buona tenuta all'aria ed all'acqua. Per le finestre è sempre preferibile creare una particolare battuta interna. Le battute vanno dimensionate a seconda delle caratteristiche tecniche e fisiche dei materiali. In corrispondenza delle battute è sempre opportuno prevedere una certa aria (distanza tra parte fissa e parte mobile) in maniera tale da consentire un facile movimento alla parte mobile. Sono detti nodi le sezioni orizzontali o verticali di un serramento. Per le finestre i nodi principali sono: — il nodo inferiore in corrispondenza del davanzale; — il nodo superiore in corrispondenza dell'attacco con il cassonetto o con l'architrave; — il nodo orizzontale in corrispondenza dell'attacco con la parete e
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Fig. 19.20
e quello in corrispondenza dell'incontro di due parti mobili. Di seguito si prenderanno in sommario esame i nodi principali di un serramento in legno, tralasciando i nodi dei serramenti metallici le cui caratteristiche, del resto, sono ispirate agli stessi criteri anche se la loro realizzazione è necessariamente alquando diversa (Fig. 19.21). L'attacco del telaio (parte fissa) al davanzale della finestra deve essere oggetto di particolare attenzione. E' necessario evitare che tra la inevitabile fessura fra davanzale e telaio fisso, si infiltri acqua od aria. Perseguono lo scopo due sistemi fra loro analoghi che consistono nel creare uno sbarramento alle filtrazioni o con una sporgenza in risalto del davanzale o con una lama in ottone o in plastica per metà inserita in apposita scanalatura del davanzale stesso. Facendo sormontare il dentello del davanzale o la lama, dal telaio fisso della finestra non è più possibile che avvenga filtrazione alcuna. Sul traverso inferiore del telaio fisso, e dalla parte interna è incastrato un elemento di legno, sagomato con un canaletto (raccogli condensa), che permette di raccogliere l'acqua che si condensa sui vetri e quella che potrebbe infiltrarsi tra telaio fisso e telaio mobile e di allontanarla all'esterno, mediante boccole in ottone. E' solidale al telaio mobile ed è posto nella parte verso l'esterno un elemento in legno sagomato detto battiacqua che ha lo scopo di proteggere dall'acqua battente la fessura fra telaio fisso e telaio mobile. Nella parte superiore del nodo inferiore è ricavata la sede per il vetro
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Fig. 19.21
che, appoggiato su un letto di stucco, viene bloccato mediante una speciale listolina di legno, chiamata fermavetro, e fissata al serramento tramite viti o chiodi. Il nodo superiore è il simmetrico di quello inferiore solo che l'attacco nella parte superiore è molto più semplice e non ha né gocciolatoio né battiacqua. Il nodo laterale presenta la particolarità che su di esso è fissata la cerniera che permette i movimenti di rotazione alla parte mobile.
396 Sul nodo centrale (nel caso di finestra a due ante) vi è invece inserito il cremonese, l'inversione delle battute consente l'inversione di apertura delle due ante. L'attacco di tutto il telaio con la struttura viene mascherato da opportune fascette coprigiunto. Per quanto riguarda i nodi di serramenti particolari si allegano alcune tavole illustrative. Molto spesso, soprattutto nei paesi nordici, dove fa molto freddo, sono molto usati i serramenti doppi. Essi possono essere composti da un serramento normale con sezioni maggiorate sulla cui parte mobile è ricavato un secondo telaio mobile, di dimensioni molto ridotte, in quanto esso è aperto solo per le pulizie (Fig. 19.22); oppure possono essere ottenuti da due serramenti posti uno davanti l'altro, e resi solidali mediante un'asta in ferro (Fig. 19.23)
Fig. 19.22
Sempre per una maggior protezione dal freddo, esistono serramenti a doppio sistema di apertura. Sono infissi ad una sola anta mobile con doppia possibilità di apertura, a ribalta o a ventola, comandata da particolari meccanismi di manovra e congegno per impedire l'apertura a ribalta quando l'anta si trova aperta a ventola e viceversa.
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398 Particolarità dei serramenti metallici Sono serramenti che trovano sempre più frequenti impieghi. Possono venir realizzati con profilati e materiali diversi. Il tipo più semplice ed economico è ottenuto da un accoppiamento di normali ferri profilati a L, Z, T. I serramenti così ottenuti sono piuttosto rustici, hanno poca tenuta all'aria, sono proporzionalmente pesanti. Si sono ottenuti risultati molto migliori impiegando, per la costruzione di finestre, dei profilati di ferro appositamente studiati (ferro-finestra). Sono serramenti con discreta tenuta d'aria, non sempre risultano esteticamente gradevoli, abbisognano di continua manutenzione. Sono relativamente pesanti e proporzionalmente costosi. Si è passato, quindi, con tecnica recente, ai serramenti metallici a profili tubolari. I profili sono diversi da ditta a ditta e i materiali impiegati sono: — acciaio zincato da 8 10 decimi i cui profili sono ricavati dalla profilatura a freddo di nastri di acciaio zincato. Per la protezione dell'acciaio zincato, i profilati subiscono un processo di fosfatazione a caldo con immersione con ciclo completo di sgrassaggio (Fig. 19.24). I serramenti in ferro zincato devono esser coloriti a smalto e ad olio previa mano di antiruggine. — acciaio inossidabile (di raro uso); — ottone nudo, satinato o brunito (di raro uso); — leghe di alluminio (Fig. 19.25). La sagomatura delle lamiere è ottenuta mediante profilatura continua (particolare procedimento di estrusione) o mediante presso piegatura a freddo delle lamiere. I profili vengono uniti con saldatura elettrica a scintillio lungo tutto il perimetro della sezione o, meglio, con particolari tipi di giunto che evitano differenze di anodizzazione. I profilati tubolari sono realizzati con elementi standardizzati aventi dimensioni variabili in altezza o larghezza. Le doppie battute formate dalle particolari sagomature e le guarnizioni in gomma assicurano una ottima tenuta all'aria. Si ottengono serramenti rigidi, a perfetta tenuta di aria, leggeri e, a seconda del materiale impiegato, anche di buon valore estetico. L'attacco al muro dei serramenti metallici più comuni si effettua mediante l'ancoraggio del telaio fisso con speciali piastre o zanche metalliche e con eventuale riempimento con calcestruzzo degli interstizi tra telaio fisso e muratura. I serramenti metallici di qualità migliore e con materiali più pregiati vengono applicati su controtelai in profili di ferro zincato precedentemente posto in opera. E' il caso di ricordare i serramenti realizzati con profilati in acciaio a
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Fig. 19.24 - Serramento in lamiera di acciaio zincato. Nodo orizzontale e verticale.
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Fig. 19.25 — Serramento in alluminio.
sezione tubolare rivestiti esternamente con materiali plastici (guaine a forte aderenza). Questi tipi di finestre assomano i vantaggi offerti dai serramenti in legno (isolamento, mancanza di condensa, mancanza di spigoli taglienti) ai vantaggi di leggerezza ed indeformabilità dei serramenti metallici. Sono serramenti che non abbisognano di manutenzione alcuna.
401 Vetri A seconda di varie circostanze per cui la dimensione ed il tipo di serramenti si usano diversi tipi di vetri. Trascurando anche cenni sommari sulla tecnica vetraria, si indicano i tipi commerciali più comuni di vetro in lastre. In Italia le lastre in vetro vengono classificate in base allo spessore con una terminologia che, secondo le norme UNI, risulta la seguente (con spessori espressi in millimetri) : Norme UNI 6486 - 69 — semplice — semidoppio — doppio
1.6 2.7 3.6
1.9 3.2 3.9
Norme UNI 6487 - 69 — mezzo cristallo — ultraforte o cristalli Esistono poi dei tipi speciali di vetro detti vetri "stampati" che non permettono la visione di cose od oggetti attraverso di essi. Hanno sagome, decorazioni e lavorazioni di diverso tipo. I vetri semplici semidoppi, doppi ed anche i mezzi cristalli si usano per le finestre; i cristalli che non presentano impurità di impasto né bolle d'aria, si usano per vetrine o per specchiature molto grandi anche curvate; i vetri stampati trovano impiego quasi esclusivamente in specchiature di porte. Un particolare tipo di vetro stampato e quello detto "retinato" perché in esso — durante la colatura della lastra — è posta una sottile rete metallica a maglie romboidali o rettangolari. Questo accorgimento evita che — in caso di rottura della lastra — pezzi di vetro possano cadere da portiere o serramenti, sulla strada. Si fa un semplice richiamo per i vetri stampati colorati ormai di impiego molto limitato. Esiste, poi, una vasta gamma di vetri speciali. — Vetri camera (ad es. il Thermopan). Sono costituiti da due lastre di vetro o cristallo distanziate e saldamente unite al perimetro cosi da formare una camera d'aria che può esser riempita da gas inerte. Sono vetri che proteggono gli ambienti diminuendo le dispersioni termiche, impedendo la condensa ed attenuando i rumori. Le due lastre di vetro possono avere spessori eguali o per una migliore difesa termica e acustica, possono avere spessori diversi.
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- Vetri stratificati. Sono formati da due lastre di vetro accoppiate per il tramite di un foglio di materiale plastico trasparente (polivinilbuttirile). Oltre ad una sicurezza in caso di rottura permettono un discreto comportamento di difesa termica ed acustica. I tipi più comuni sono (spessori in millimetri)
— Vetri fotocromici. Sono vetri che aumentando la luminosità esterna si iscuriscono e venendo a diminuire la luminosità esterna riacquistano gradualmente il color bianco. — Vetri di sicurezza. Sono vetri già di per sé resistenti. Mediante una tempra termica o chimica si inducono nei vetri delle tensioni (specie di precompressione) interne. Così in caso di rottura, si avrà la polverizzazione del vetro in minutissimi frammenti a contorno meno tagliante, e, pertanto, meno pericolosi. Anche i vetri stratificati si possono considerare come vetri di sicurezza. — Vetri ariti proiettile e/o antisfondamento. Sono vetri di tempera e di composizione chimica speciali, di grosso spessore e molto pesanti che resistono a forti urti e anche a colpi d'arma da fuoco ripetuti ed esplosi da breve distanza. Hanno un uso limitato a banche, uffici postali e in ogni caso che ragioni di sicurezza lo impongono. — Vetri filtro. Sono vetri speciali che trattengono i raggi del sole pur lasciando passare la luce polarizzata. — Vetri tagliafuoco (tipo Pyrostop): questo tipo di vetro è in grado di bloccare non solo le fiamme ma anche il calore prodotto da un incendio. A temperature di 800-900 °C la superficie opposta al lato ove è l'incendio non supera i 140 °C per il tempo stabilito (collaudo a REI a 30 o REI a 60 minuti), impedendo così il propagarsi del fuoco per autocombustione dei materiali di arredamento; ciò è possibile grazie alla composizione del complesso, che è formato da sottili lastre di vetro e da strati di un particolare materiali termoisolante che, reagendo sotto l'azione del calore, forma una efficacissima barriera termica, mentre a freddo è perfettamente trasparente.
CAPITOLO VENTESIMO
OPERE DI FINITURA
Sono comunemente chiamate opere di finitura quelle particolari opere che completano e rifiniscono la struttura al grezzo dell'edificio. Le opere di finitura comprendono principalmente gli intonaci, i rivestimenti, i pavimenti, le coloriture e le verniciature. Queste opere riguardano sia l'interno che l'esterno dell'edificio e interessano tutti i locali. Le opere di finitura sono quelle che principalmente differenziano un fabbricato civile, da un fabbricato economico o popolare. I concetti della moderna edilizia — infatti — non fanno discriminazione alcuna tra case civili o popolari per quanto riguarda la distribuzione interna. La differenza tra i due tipi edilizi è dato principalmente dalla differenza tra le finiture, oltre che naturalmente dalle superfici a disposizione. Non è sempre vero che un alto costo delle finiture sia sicura garanzia di un più valido risultato tecnico o di maggior effetto estetico. E' necessario conoscere le proprietà di ogni tipo di finitura per adattarlo nei casi in cui il suo impiego sia più razionale. Una approfondita conoscenza dei materiali usati per le finiture, delle loro caratteristiche tecniche ed una opportuna scelta del loro impiego possono permettere di "finire" un fabbricato con proprietà, eleganza ed in modo tecnicamente valido pur riuscendo a contenere le spese.
A)
Intonaci
Sono detti intonaci gli strati di malta (sabbia più legante) applicati ai muri, ai soffitti ed alle varie parti rustiche dell'edificio in uno o due strati con spessori complessivi da 1,5 a 2 cm. Gli intonaci hanno diversi scopi pratici ed estetici. Gli intonaci esterni proteggono l'edificio dalla pioggia e dalle intemperie e gli conferiscono un miglior effetto estetico. Gli intonaci interni, regolarizzando i muri rendono le pareti più funzionali, più igieniche e conferiscono — in generale — un aspetto più luminoso e confortevole ai locali. La dosatura dei leganti delle malte per intonaci, come già visto, è sempre superiore di quella delle malte per muri e ciò per consentire che le mal-
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te aderiscano ai muri in modo completo e continuo. Difficile e complessa sarebbe una classificazione degli intonaci, sembra quindi più efficace elencare separatamente i vari tipi di intonaco : — in base al tipo ed alla quantità di legante; — in base al grado di finitura e tipo di lavorazione. Esistono, poi, intonaci speciali che hanno soprattutto uno scopo ornamentale o di maggior protezione delle pareti e di cui si dirà alla voce rivestimenti in quanto per composizione, spessore e qualità tali strati protettivi sono da classificare più come rivestimenti che come intonaci veri e propri, e perchè vengono applicati sopra comuni intonaci. Intonaco di malta di calce idraulica E' il tipo più comune di intonaco ed è usato ad uno strato per locali rustici o per sottofondo a intonaci più pregiati oppure a due strati (specie per esterni). Quando sono usati per esterni e su pareti esposte alle intemperie questi intonaci sono arricchiti con sostanze idrofughe per renderli il più possibile impermeabili. E' errato usare all'interno degli edifici intonaci idrofugati e ciò per evitare che su dette superfici si verifichi il fenomeno della condensa dei vapori. Gli intonaci di calce idraulica induriscono abbastanza presto, sono resistenti, ma — anche se ben lavorati - non raggiungono il grado di finitura degli intonaci di calce aerea.
Intonaco di calce aerea Viene impiegato soltanto come finitura degli intonaci a calce idraulica per renderne più regolare la superficie e per evitare che alcuni tipi di tinteggiature — reagendo con la calce idraulica — si deteriorino. Sono intonaci che — in un tempo relativamente lungo e se ricchi di calce — possono esser abbastanza resistenti e, se ben lavorati, presentano superfici liscie e regolari di buon effetto estetico.
Intonaco di cemento Viene usato, in uno o più strati, quando si vuol ottenere un intonaco più resistente o più impermeabile di quelli di calce idraulica. Si usa raramente intonaco avente per legante il solo cemento, si usa più comunemente intonaco con malta di cemento mescolata a calce idraulica o calce aerea. Solo per particolari impieghi viene usato l'intonaco avente come solo legante il cemento ed in tali casi si usano additivi che lo rendano più imper-
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meabile o più resistente, o meno soggetto a cavillature (ritiro). Gli additivi per l'indurimento saranno richiamati nella voce pavimenti in cemento.
Intonaci dì malta bastarda Sono intonaci costituiti da malte aventi leganti diversi. Si hanno intonaci di calce idraulica e cemento quando si vogliano render più resistenti gli intonaci di calce idraulica o per particolari sottofondi; si hanno intonaci di cemento e calce aerea quando si vogliano aver intonaci resistenti e con poco ritiro; si hanno intonaci di calce idraulica e calce aerea quando la resistenza dell'intonaco non ha grande importanza ma si ha necessità di un intonaco più plastico.
Intonaco di gesso E' un tipo di intonaco diverso dagli altri perché il gesso è inerte e legante nello stesso tempo e sono, quindi, privi di sabbia. E' bene eseguire tali intonaci non direttamente sulle pareti (come purtroppo vien fatto talvolta) ma su intonaci ad uno strato di calce idraulica. Sono intonaci molto levigati, lisci che però possono risultare freddi e non sempre adatti per tutti i tipi di tinteggiature. Sono da escludere nei locali ove si produce vapor acqueo (bagni, cucine) perchè al suo contatto, il gesso assorbendo l'umidità e l'acqua, si deteriora. Naturalmente sono assolutamente da escludere per esterni.
Intonaci speciali Tipo Terranova, Emalux, Plastirithe, Settef, ecc., che pur essendo intonaci hanno carattere di rivestimenti e di essi verrà fatto breve cenno trattando dei rivestimenti.
Tipi di intonaco distinti per tipo di lavorazione Rabboccatura E' il tipo più rustico di intonaco e consiste nel conguagliare le fronti della muratura con malta (generalmente cementizia). Tale tipo di intonaco è usato quasi esclusivamente su murature in pietrame e per locali rustici.
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Rinfazzo Più che un intonaco è un supporto per intonaci predisposto su opere in calcestruzzo o sui soffitti ove l'intonaco comune potrebbe non aderire a perfezione. Si tratta di una malta piuttosto fluida e molto ricca di legante (cemento a 6 7 qli) lanciata con forza sulle superfici da intonacare e sulle quali aderisce creando una superficie molto frastagliata e ben aderente alla struttura. Il rinfazzo funge da ottimo supporto per altri intonaci. Intonaco frattonato (o frattazzato) E' un intonaco ad uno o due strati che viene pareggiato e levigato con uno speciale strumento (frattazzo) costituito da una tavoletta con manico. Si usa in uno strato per locali di servizio o come primo strato di intonaci più raffinati (a civile o a gesso) ed in due strati per esterni. Intonaco a civile Consiste in un primo strato di intonaco frattonato su cui vien steso un sottile strato di malta di calce aerea che — per la sua pastosità - permette una finitura più regolare e liscia. Viene fatto col frattazzo.
Intonaco a panno E' un intonaco a civile che ha il secondo strato (malta di calce aerea) lisciato con panno e feltro invece che col frattazzo.
Intonaco lisciato (ormai superato da altri tipi) E' un intonaco con malta di cemento molto grassa tirata a frattazzo e subito dopo lisciata con l'aggiunta di polvere di cemento, pressato e lisciato con la cazzuola in modo da ottenere una superficie liscia, compatta e resistente.
Intonaci bugnati, rigati, ecc. Sono intonaci in malta di cerriento usati per esterni e lavorati in modo da ottenere particolari effetti esserido lavorati a riquadri, bugnature, riguture, ecc..
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Intonaco a marmorìno ormai superato da altri materiali Era usato ancora fino a pochi anni fa come zoccolo per scale o locali per bagno. Per la sua compattezza, lucentezza e venatura imitativa, non felicemente, l'effetto estetico del marmo. E' formato con tre parti di polvere di marmo bianco ed una parte di calce trivellata. Viene steso in due spessi strati di cui il secondo, quello in vista, viene strofinato con un feltro, lisciato con un ferro regolare piano ed infine lucidato con uno spianatoio d'acciaio caldo (45°C).
Intonaco a gesso (clet) ed altri Gli intonaci a gesso sono già stati descritti nella composizione e nell'impiego. Vengono "tirati" da specialisti (stuccatori) con frattazzi metallici (spatole) su sottofondo di intonaco di calce idraulica. L'intonaco a stucco, a stucco marezzato, l'incausto, lo stucco lucido sono tipi di intonaco assolutamente superati anche se talvolta potevano avere un loro pregio. E' difficile trovare oggi gli artigiani per eseguirli; si usano talvolta per restauri di antichi edifici.
B)
Pavimenti
Dicesi pavimento quell'opera di finitura eseguita sopra i solai o i vespai e su cui transitano le persone. I requisiti di un pavimento ideale sono molti, anzi troppi perché un solo tipo di pavimento possa possederli tutti. Di volta in volta, quindi, si dovrà rinunciare a qualche particolarità a favore di altre a seconda dello scopo e dell'uso principale cui è destinato il pavimento. Un buon pavimento deve esser resistente all'usura ed allo sgretolamento ; deve poter sopportare bene anche carichi concentrati (piedini metallici di sedie, ecc.); deve esser facilmente pulibile; non dovrebbe aver connessure ove — contro principi igienici — si annida fatalmente lo sporco; non dovrebbe esser assorbente e dovrebbe resistere ad acidi o altre sostanze che su di esso possono casualmente esser versate. In più si chiede al pavimento una certa eleganza data dal colore o dall'accostamento di colori, dalla lucentezza, ecc. I vari tipi di pavimento necessitano di un appropriato "sottofondo" cioè di un idoneo supporto che viene predisposto sopra i solai o i vespai e su cui viene applicato il pavimento. Per pavimenti lapidei (marmo, marmette, marmettoni, battuto di ce-
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mento) il sottofondo è costituito da un massello di malta (con sabbia grossa) di calce idraulica o di cemento che non necessita di particolari rifiniture. Per i pavimenti di gomma, linoleum, piastrelle viniliche, parchetti lamellari, moquette, ecc. si usa un sottofondo come il precedente ma tirato perfettamente a livello e frattonato a fino e poi rasato con malta fluida e con preparati speciali (livellina, pianolina, ecc.). (Si vedano i pavimenti in linoleum o vinilici). Per i pavimenti in legno (parchetti e tavole) il sottofondo può esser costituito da morali in legno resi solidali con il solaio (con malta e reggette di ferro) su cui inchiodare il pavimento, oppure il sottofondo può esser costituito da un semplice strato di sabbia di spessore regolare ed asciuttissima su cui poggiare — incastrati a maschio e femmina — gli elementi in legno (doghe) del pavimento. Tra lo strato di sabbia ed il pavimento si interpone un foglio di cartone catramato per impedire la fuoriuscita della sabbia dagli interstizi del pavimento. L'industria fornisce oggi in gran quantità tipi di pavimento che si differenziano per materiali, forme, tipi di posa, ecc.. Uno stesso tipo di materiale può dar luogo a pavimenti con caratteristiche diverse a seconda del sistema di posa o della variazione della quantità dei componenti. Difficile è quindi una classificazione razionale. Si potrebbe tentare una classificazione per materiali; ma con lo stesso materiale si possono fare diversi tipi di pavimento. Si potrebbero classificare i pavimenti distinguendoli tra quelli eseguiti in opera e quelli preformati e posati in opera, ma alcuni tipi di pavimenti possono esser eseguiti in opera o preformati. Si potrebbero distinguere i pavimenti in base alle loro proprietà fisiche o chimiche, ma ciò non metterebbe in risalto altre importanti caratteristiche. Si preferisce quindi elencare i più comuni e caratteristici tipi di pavimento senza tentarne una classificazione.
Pavimento in cemento (rullato, frattonato, lisciato) E' un tipo molto povero di pavimento usato esclusivamente per locali accessori di servizio. Sopra un sottofondo di calcestruzzo o malta che non abbia ancora finita del tutto la presa (e ciò per favorire una incorporazione del pavimento con il sottofondo) si stende una "pasta di cemento" (malta di cemento molto grassa) dello spessore di 2 3 cm che viene "tirata" come un intonaco. Sulla "pasta di cemento", ancora fresca, si getta polvere di cemento per arricchirla e renderne più resistente lo strato superficiale. Il pavimento viene finito o a frattazzo, o viene lisciato o — infine — quello lisciato, viene anche "rullato" con un rullo la cui superficie è fornita di quadratini in ri-
409 lievo che formano sul pavimento dei piccoli incavi a quadratini. Talvolta il pavimento in cemento è arricchito — per ragioni estetiche — con terre colorate (quasi esclusivamente il rosso). Per pavimenti in cemento di edifici industriali esistono in commercio degli additivi che lo rendono molto duro, ma non fragile (atto — in alcuni casi - anche al transito con carrelli con ruote metalliche), non sgretolabile ed antisdrucciolevole. Si tratta di "indurenti" a base di ghisa acciaiosa di struttura fibro-reticolare, trattata con un procedimento brevettato tale da conferirle la proprietà di incorporarsi nella malta di cemento. Lo strato di usura è arricchito con alcuni minerali duri (coridone e calcedonio) per esaltare le caratteristiche di antiusura. Con i migliori additivi si ottengono pavimenti in cemento di durezza simile alle più dure pietre naturali, con stabilità dimensionale che evita fessurazioni. Le malte senza additivi per i comuni pavimenti in cemento devono esser particolarmente ben dosate perché diano luogo a piani di calpestio resistenti e non fessurati per il fenomeno del ritiro. Si usa spesso malta bastarda (cemento e calce aerea) molto grassa ed è buona norma eseguire giunti di dilatazione molto ravvicinati specialmente se i pavimenti sono esterni.
Mattonelle di cemento Si tratta di mattonelle ormai in disuso preformate in casseforme e compresse che hanno misure di 20x20 con spessori di 2 3 cm. Ebbero un periodo di grande impiego qualche decennio fa. Si usavano, bugnate, e senza aggiunte di coloranti, per marciapiedi androni rustici, ecc., oppure lisce e colorate o a disegni per locali interni non rappresentativi. Talvolta le marmette non avevano forma quadrata o rettangolare ma forme centinate e complementari che permettevano l'incastro di un elemento nell'altro (per es. il certosino). Il variare delle forme, la composizione dei colori e l'accurata preparazione tecnica delle mattonelle in cemento permetteva, talvolta, di creare pavimenti abbastanza decorativi ma pur sempre poveri.
Marmette di graniglia e marmettoni Sono tipi di pavimento che, pur avendo caratteristiche, valore estetico e prezzi ben diversi, hanno molte particolarità di costruzione e di posa che sono comuni e pertanto sembra opportuno descriverli in un unico contesto
410 pur precisandone le differenze che spesso sono notevoli. Per questi tipi di pavimento il sottofondo è costituito da un massello di calcestruzzo (con ghiaia molto piccola) o di malta di calce cementizia con sabbia grossa. Il sottofondo non abbisogna di particolari cure o finiture. I singoli elementi vengono posti in malta cementizia sui predetti sottofondi. Le marmette di graniglia sono simili a quelle di cemento precedentemente descritte ma confezionate — per la parte superiore — con granulato di marmo (graniglia) e polvere di marmo (spolverone). I marmettoni sono anch'essi preformati in misure di 30x30 o 40x40 con spessori da 3 a 4 cm. Sono costituiti da piccoli elementi di lastre di marmo (6-15 cm) legati con calcestruzzo avente inerti di marmo e formate su un fondo di malta di cemento. Per limitare piccole vacuità (forellini superficiali) che nelle marmette o nei marmettoni si formano per l'evaporazione dell'acqua di impasto, è consigliabile usare miscele di inerte e cemento, quasi asciutte e comprimerle fortemente con idonee presse. Recentemente — per quasi tutti questi tipi e soprattutto per i marmettoni — il legante classico (il cemento) è stato sostituito, e sembra con ottimo successo, da resine viniliche. Sia nel caso di legante cementizio che di resine, alcune ditte usano una meno comune tecnica per produrre i marmettoni, tecnica che è scarsamente usata per le marmette. Da un grosso blocco (del volume anche di un m 3 ) risultante dal getto pressato e vibrato in casse forme di blocchetti di marmo, graniglia e legante (cemento o resine viniliche) vengono "segati" i marmettoni. L'uso di levigare e lucidare le marmette o i marmettoni prima di porli in opera è stato abbandonato perché con tale tecnica le giunzioni restavano evidenziate e la piccola ed inevitabile diversità di piano di posa dei singoli elementi costituivano difetti evidenti del pavimento. Oggi si usa porre in opera i singoli elementi di pavimento o rustici come provengono dalla formatura o appena sgrezzati (ed eventualmente stuccati) cospargendoli con un "beverone" (boiacca a lenta presa, colorata) in modo che tutti gli interstizi tra piastrella e piastrella, vengano saturati. Quando i vari leganti hanno fatta sicura presa, il pavimento viene levigato e stuccato con diverse mole sempre più fini finché viene — se del caso — lucidato a piombo con panno. Si ottengono così pavimenti senza discontinuità e perfettamente lisci di buon effetto e di buon valore tecnico.
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Palladiana E' un tipo di pavimento eseguito in opera ponendo, su di un letto fresco di malta di cemento, elementi di una determinata qualità di marmo o di più qualità mescolate aventi tutti lo stesso spessore (due centimetri). Gli interstizi vengono saturati con boiacca di cemento talvolta frammista a graniglia dello stesso marmo usato per la palladiana o di marmi diversi. Per ragioni estetiche la boiacca viene arricchita da sostanze coloranti. Le boiacche chiare venivano predisposte con cementi bianchi — che dato il loro forte ritiro - spesso si cavillavano. Da pochi anni è disponibile in commercio un cemento, il "Bianco 1000", che accoppia lo scarsissimo ritiro ed una forte resistenza ad un bel colore assolutamente bianco. L'uso del "Bianco 1000" può ovviare ai ricordati inconvenienti della cavillatura delle connessure. Quando i leganti hanno fatto buona presa si procede alla leviguatura, stuccatura e lucidatura del pavimento come per i marmettoni. A seconda della qualità, del valore e della pezzatura del marmo si possono aver pavimenti mediocri o di buon valore estetico e tecnico.
Pavimenti in lastre di marmo I pavimenti in discorso sono formati da lastre regolari di marmo dello spessore medio di 2 cm posti su malta cementizia. Si dicono "a correre" quei pavimenti formati con elementi di misure standard (per es. 20x40) mentre son detti a casellario quelli formati con lastre aventi misure che sono esattamente sottomultipli delle misure del locale e ciò per evitare che nella parte terminale dei pavimenti, debbano esser impiegate lastre di misura diversa e più piccola. La varietà dei pavimenti in marmo è cosi vasta quanto vasta è la gamma dei tipi di marmo. Generalmente i marmi più variegati e policromi presentano dei difetti, a meno che non si ricorra a tipi molto rari e quindi molto costosi. Tra i marmi, ottimi per pavimenti, per durezza, lucidabilità e valore estetico sono i graniti che pure essendo abbastanza comuni in Italia hanno prezzi altissimi perché di difficile lavorazione e lucidatura per la loro estrema durezza.
Battuti di graniglia E' un tipo di pavimento eseguito in opera che è ancora usato, con un certo prestigio, in alcune regioni italiane (Liguria) mentre in altre è ormai completamente in disuso.
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Non è altro che un conglomerato di marmo e leganti gettato e battuto in opera con giunti di ottone (distanziati di circa un metro) e poi levigati. Il suo pregio dipende dall'accuratezza della lavorazione e dai tipi di graniglia usati.
Battuto o terrazzo alla Veneziana Questo pavimento, orgoglio di molti palazzi monumentali della Repubblica veneta, merita un cenno storico. L'originale ed antico battuto alla veneziana veniva formato da un sottofondo grasso, dello spessore di almeno dieci centimetri, formato da 3 parti di rottami di tegole o di mattoni (grossi come una noce) e da uno o due parti di polvere di mattone legati da una parte di calce spenta. Questo sottofondo veniva battuto dopo un giorno dal getto fino a ridurlo a 4/5 dello spessore originario. Sopra il sottofondo si stendeva la "coperta" o il secondo strato formato con malta molle di calce e polvere di mattone in parte eguali. La "coperta" dopo un giorno dal getto veniva anch'essa vigorosamente battura e — quindi — in essa venivano conficcati pezzetti di marmo cominciando dagli elementi più grossi. Dopo ciò si bagnava abbondantemente e si rullava il pavimento per regolarizzarne la superficie. Infine si levigava il pavimento con battuto di calce e polvere di marmo (non esistevano allora altri abrasivi). E' un pavimento di notevole spessore ed estremamente pesante anche se ha il vantaggio di esser sufficientemente elastico e di scarsa usura. Il mutato gusto, l'alto costo, la mancanza di artigiani provetti e la frenetica corsa a diminuire gli spessori per contenere gli edifici nei limiti imposti dai regolamenti edilizi, hanno bandita la costruzione del terrazzo alla veneziana dai nuovi fabbricati. Si usano talvolta delle imitazioni che non raggiungono la nobilita e la bellezza del vero terrazzo alla veneziana.
Pavimenti in piastrelle di gres Il gres è una particolare ceramica e cioè è quella ceramica derivante da un impasto il cui ingrediente fondamentale è l'argilla bianca o naturalmente colorata purché a pasta compatta ed impermeabile. Si usa di preferenza un'argilla ferruginosa vetrificabile ossia una argilla che — al calore — diventa compatta prima di fondersi o deformarsi. Gli elementi di pavimento in gres vengono cotti a circa 1500°C. Le piastrelle in gres sono di forme diversissime (esagoni, quadrelli, rettangoli, ottagoni alternati con quadrelli, mosaico, figure mistilinee intrecciate). Esiste una vastissima gamma di pezzi speciali per zoccolini angoli convessi o concavi, listelli ecc. ecc..
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La gamma dei colori è abbastanza vasta: dal nero, al marrone di diverse tonalità, al bruno, al giallo e al rosso (che è il più comune). La superficie superiori può esser liscia, a buccia di arancia, zigrinata. Il gres è uno degli ottimi materiali per pavimento perché è duro, impermeabile, resistentissimo all'usura; inattaccabile da quasi tutti gli agenti (acidi, basi, petroli, soda ecc.). Si tratta però di un pavimento esteticamente modesto anche se di costo contenuto e con numerose connessure a causa delle modeste misure degli elementi. In particolari casi, per eliminare le inevitabili scabrosità dovute a diverso piano di appoggio, i pavimenti in gres sono stati levigati con una spesa di molto superiore e quella del costo del pavimento. Si sono ottenuti peraltro risultati eccellenti. Un ambiente ospedaliero in gres chiaro levigato e lucidato accoppia ai grandi pregi del gres anche un tono di eleganza. In generale il gres era usato, prima dell'avvento del gres smaltato, per bagni, cucine, laboratori, locali sanitari, magazzini, poggioli, ecc.. La posa richiede un sottofondo duro e resistente sul quale si stende uno strato semiduro di sabbia e cemento (300 kg di cemento per m3 di sabbia). Su tale strato si posano le piastrelle e le si battono con tavole abbastanza lunghe per pareggiare i livelli. Si cola quindi nelle strettissime connessure una pasta liquida di cemento per sigillare i giunti e fissare gli elementi al sottofondo. Gres smaltato Non è da confondere con altro tipo di pavimento (famose quelle di Vietri e di Marsiglia) costituite da argilla cotta e smaltata a basse temperature. La tecnica moderna ha permesso di ottenere piastrelle di gres smaltate cotte ad alta temperatura che accoppiano ai pregi del gres, l'effetto cromatico e decorativo dei vari smalti policromi e dei disegni floreali o geometrici. L'industria - stretta dalla concorrenza - produce piastrelle in gres smaltato in una vasta gamma di tipi, colori e decorazioni.
Pavimenti in legno Sono di tipi svariatissimi per le varie essenze usate, per la pezzatura degli elementi, per la diversità della posa. Trascuriamo i pavimenti in tavoloni di abete usati nelle case delle nostre Alpi e in zone ove l'abete costa poco e trascuriamo pure i pavimenti a legno intarsiato perché di impiego eccezionale. Le essenze più usate commercialmente sono il faggio, il rovere, il pitch-pine, ecc. ma viene usato anche il noce, l'ulivo e altre essenze esotiche.
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A tolda di nave Tipo poco usato anche se — in certi locali — di ottimo effetto estetico sono i pavimenti in legno a tolda di nave (o a bastimento). Si tratta di tavolette da 2,00 2,50 cm di spessore larghe da 60 a 80 mm connesse a maschio e femmina, ed inchiodate (o comunque connesse) a mezzi morali in legno (3x6 cm), solidali con il solaio, disposti perpendicolarmente alle tavole del pavimento a distanze di 30 40 cm. Più comuni sono i parchetti e cioè tavolette in legno da 5x25 a 10x50 cm connessi a maschio e femmina o con lame metalliche o sono del tipo da incollare sul pavimento. Parchetti comuni negli spessori da 20 22 a 15 17 mm con immorsatura a maschio e femmina sono posti o su mezzi morali come per i pavimenti in legno a tolda di nave o su letto di sabbia asciutta. Talvolta i parchetti sono posti in opera su strato di asfalto caldo (in tal caso non sono immaschiati tra loro). Se i parchetti sono asfaltati nella parte inferiore possono esser posati direttamente su malta cementizia (sistema poco usato se non in Lombardia). I parchetti vengono comunemente posti a spina di pesce. Non di rado però si dispongono parallelamente ad una parete con giunti sfalsati. La posa a "quadri" è riservata ai tipi con elementi prefabbricati. Parchetti sovrapponibili hanno spessori modesti 8 10 mm e sono connessi tra loro con linguette metalliche fisse ad un elemento e che penetrano nelle scanalature fresate di un contiguo elemento. I parchetti sovrapponibili sono adatti anche per ricoprire vecchi pavimenti (purché siano piani e solidi).
Parchetti a elementi prefabbricati Constano di elementi di tavole compensate delle misure varie da 30x40 a 50x50 cm con innesti a maschio e femmina sulle quali sono incollate tavolette di legno, pregiato con motivi vari a scacchiera, a intarsio, con composizioni ornamentali ecc.). Vengono posati con uno dei sistemi predetti. Per alcuni tipi manca il supporto di tavola e le tavolette di legno pregiato sono fissate su supporti di carta e vengono incollati (con mastici idonei) su un sottofondo assolutamente piano e livellato.
Pavimenti in linoleum II linoleum è un materiale fornito in piastrelle o in rotoli fino a 2,00x x 30 mi, costituito da un supporto di grossa tela di juta su cui viene disposta la linossina (miscela di farina di sughero, olio di lino cotto ossidato, re-
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sine e pigmenti coloranti). La tela di juta con la linossina passa fra due cilindri (calandra) che regolarizzano la superficie e comprimono i materiali fino allo spessore voluto. I teli sono posti in magazzini per 4 mesi per la stagionatura delle resine (se la temperatura è portata a 60°C bastano due mesi). Il linoleum — nei vari tipi — è usato per rivestimenti di pareti o di mobili, per pavimenti, ecc.. Per pavimenti si usano spessori da 2,0 2,5 mm. Si hanno colori pastello a tinta unita, oppure marmorizzati o variegati. Quello in linoleum è un pavimento afono, morbido resistente all'usura di facile pulizia, ma delicato e facilmente danneggiabile per l'umidità. II linoleum è fissato al sottofondo di calcestruzzo grasso con colle resinose in soluzione alcoolica previa livellazione del sottofondo con mastice livellatore (ad esempio gesso da forma o — meglio — livellina, ardur, pianolina, ecc.).
Pavimenti in resine asfaltiche Le pavimentazioni in piastrelle di asfalto usato per scuole, palestre, ecc. è ormai limitata a pochissimi e particolari ambienti. Si usano piuttosto pavimenti in resine asfaltiche in fogli da 25x25 dello spessore di circa 2 mm. Le piastrelle sono formate da una miscela di resine comaroniche (derivanti dall'asfalto), asfalto e coloranti. Questi pavimenti hanno dato buoni risultati perché sono resistenti alla usura, afonici, di aspetto talvolta gradevole anche se hanno il difetto di rompersi alla flessione con gran facilità. Le piastrelle vengono incollate al sottofondo, ben lisciato e rasato come per il linoleum, con collanti asfaltici.
Pavimenti vinilici o di vinil-amianto Sono prodotti moderni che, anche se non di gran lusso, hanno ottimi requisiti fisici ed estetici. Sono forniti in piastrelle di misure varianti secondo i tipi, con una vasta gamma di colori pastello, marmorizzati, variegati di buon effetto cromatico, componibili anche a scacchiera o con altri motivi geometrici. Per questi tipi di pavimenti ha molta importanza una buona preparazione del sottofondo che deve esser molto resistente perfettamente levigato a "bolla". I sottofondi sono di due tipi principali: — massetto di calcestruzzo con inerti di varia ed assortita granulometria ed almeno 3,5 ql di cemento, accuratamente regolarizzato con frattazzo
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e poi lisciato con mastice livellatore (livellina, pianolina, ardur, Bostik, ecc.); — sottofondo di anidrene. L'anidrene è un legante ottenuto per sintesi chimica e fa parte delle anidridi sintetiche. L'anidrene è prodotta anche in Italia ed è coperta da diversi brevetti. Contiene un catalizzatore (ossido di calcio) che ne accelera la presa. Si presenta come una polvere biancastra molto somigliante al cemento bianco ed è confezionata in sacchi di carta da 50 kg. Si usa — per sottofondo — pura impastata con acqua (resistenza e compressione dopo 28 gg pari a 670 kg/cm2 ) oppure mescolata ad un volume doppio di sabbia (resistenza a compressione dopo 28 gg pari a 380 kg/cm 2 ). L'inizio della presa avviene non prima di due o tre ore e ciò permette di eseguire con tutta comodità la messa in opera. Dopo tale periodo la massa indurisce in brevissimo tempo senza fessurazioni neppure se stesa su grandi superfici così da consentire una rapida utilizzazione del sottofondo. Questo sottofondo si deteriora a contatto anche di poca acqua che su di esso ricada quando è già indurito. I principali tipi di questi pavimenti sono: Pavimenti in vinil-amianto. Si ottengono dalla miscela di 45 parti di cloruro di polivinile (P.V.C.) con 55 parti di amianto e pigmenti coloranti. Si usa sia amianto in polvere sia - con migliori risultati — amianto in fibre. La miscela viene fatta passare attraverso una calandra a rulli ad alta temperatura ottenendo fogli dello spessore di 1,6 1,8 2 mm. Dai fogli si tagliano piastrelle da 25x25 (non misure maggiori per evitare rotture in quanto le piastrelle di vinil amianto hanno un forte coefficiente di dilatazione). Si hanno pavimenti, caldi, afoni, isolanti, sufficientemente elastici e quindi morbidi, di aspetto semilucido, assolutamente impermeabili (una macchia di inchiostro viene pulita perfettamente con uno straccio imbevuto d'acqua anche dopo diversi giorni). Peraltro segni di suole di gomma o forti pesi concentrati (tacchi a spillo, piedini di mobili) sporcano o incidono definitivamente il pavimento. Pavimenti in p.v.c. puro. Il cloruro di polivinile (puro fino al 95% e con l'aggiunta di coloranti, può esser ridotto in fogli di circa 2 mm e tagliato in piastrelle (fino a 50x50) ed usato per pavimenti. Si trovano in commercio piastrelle a "spessore unico" formate tutte con lo stesso impasto o piastrelle formate da uno strato di colore naturale ed un secondo strato colorato. II materiale viene pressato a 120 atmosfere e viene quindi stabilizzato (quattro passaggi da + 180°C a —25°C). Dopo questo trattamento i singoli pezzi (piastrelle) vengono rifilate nelle esatte misure volute. Si ottiene un pavimento simile al precedente, ma molto più lucido molto più elastico e molto più resistente all'usura, di più facile manutenzione di quelli in Vinil-amianto e che resiste molto meglio ai carichi concentrati.
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Le singole piastrelle possono essere unite co-n un procedimento simile a quello della saldatura autogena. Per impieghi particolari per i quali la resistenza del pavimento deve esser aumentata (ospedali, per passaggio di carrelli, lettighe, ecc.) la miscela è arricchita fino al 5 % con minerali indurenti, perdendo - peraltro — nella lucentezza del pavimento. Naturalmente il costo dei pavimenti in p.v.c. puro è maggiore di quelli in Vinil-amianto, anche se — pur tenendo conto del maggior costo del sottofondo — il loro prezzo è largamente competitivo con i comuni pavimenti. Pavimenti in gomma. I pavimenti in gomma sono per lo più forniti in rotoli; si usano anche in piastrelle ma possono anche esser gettati in opera. Due sono i tipi di pavimento in gomma, quello di tipo civile (liscio e colorato) e quello del tipo industriale (rigato o bullonato). Sono formati da gomma naturale o da gomma sintetica. I primi hanno il grave difetto di emanare un forte odore di gomma (specialmente quando è in funzione l'impianto di riscaldamento). I pavimenti in gomma per usi civili sono di bell'effetto con colorazione imitanti marmi o a tinte pastello; sono soffici, afoni ed isolanti. Il loro prezzo è relativamente alto. Hanno la proprietà di esser "autolucidanti" e cioè di levigarsi e lucidarsi con l'uso. Questa proprietà può esser un pregio per l'estetica e la facilità di manutenzione, ma può risultare pericolosa perché rende il pavimento sdrucciolevole. I pavimenti in gomma per usi industriali con superfici rigate e bullonate hanno dato ottimi risultati di durevolezza. Alcuni pannelli posti sperimentalmente sul piazzale delle ferrovie Nord di Milano qualche anno prima della guerra hanno sopportato ottimamente l'intenso traffico, i cingoli dei carri armati, la caduta delle macerie di case bombardate. In Francia è stato prodotto ed è oggi in commercio in Italia un tipo di pavimento in gomma da gettare in opera; è un ottimo pavimento che può esser impiegato sia nell'industria che per edifici civili. Tre principali elementi vengono miscelati subito prima dell'impiego; essi sono: lattice di gomma naturale, granuli di caucciù, speciali cariche disidratanti e acceleranti della vulcanizzazione delle gomme. La miscela è autocollante e viene stesa in spessori di circa 8 mm su qualsiasi superficie: calcestruzzo, legno, lamiere (da qui la vasta applicazione sulle navi). Con questo preparato di gomma si ottengono pavimenti dalla superficie leggermente ruvida, e quindi non sdrucciolevole, dimensionalmente stabili per cui può esser impiegato anche su vaste superfici continue e può essere risvoltato sulle pareti così da conferire assoluta impermeabilità al pavimento. Le caratteristiche del pavimento sono l'eccezionale antiusura, elasticità, buon isolamento elettro-termo-acustico; insensibilità agli agenti chimici,
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ai detergenti; resistente all'invecchiamento per la sua stabilità chimica. E' un pavimento igienico perché continuo e che non produce o trattiene polvere. La sua aderenza al supporto è notevole infatti la resistenza media al decollaggio supera i 1000 kg/cm 2 . Moquette. E' un tipo di pavimento-tappeto. Sono dei tappeti (su supporto di feltro, juta o tessuti polipropilenici) di fibre poliesteri, polipropileniche (leacril, nylon, ecc.) con svariati tipi di lavorazione ed una vasta gamma di colori. La tecnica per la produzione della moquette si è affinata al punto che il loro impiego non è più limitato a particolari locali (soggiorno, camere da letto) ma viene usato anche in corridoi od hall di alberghi, in sale di riunioni e concerti e financo nelle cucine, in locali pubblici di grande traffico. Esiste anche un tipo di moquette per rivestire il fondo, le pareti ed i bordi di piscine. Naturalmente esistono tipi diversi di moquettes per i diversi impieghi. Le fibre sintetiche assicurano buona resistenza all'usura, relativa facilità di pulizia, varietà e solidità dei colori, e isolamento dal filtraggio di liquidi o passaggio di umidità. Si ottengono pavimenti soffici, afoni di aspetto gradevole e confortevole di buona qualità tecnica. La posa avviene su sottofondi normali (masselli di calcestruzzo o di anidrene ben pareggiati e stuccati) con idonei collanti anche vinilici. Il loro prezzo — in origine elevatissimo — con il crescere della richiesta e con l'aumentata concorrenza fra le varie ditte, diventa sempre meno elevato. Esistono delle norme di accettazione (R.D. 16/11/1939 n. 2234) che fissano le caratteristiche dei materiali per pavimentazione. Tali norme — già superate al momento della loro emanazione — riguardano quasi esclusivamente materiali o non più impiegati o impiegati scarsamente e cioè pianelle in argilla o argilla pressata, mattonelle in cemento; piastrelle in graniglia, mattonelle di gres, alcuni marmi, mattonelle d'asfalto. Sfuggono, quindi, ad ogni norma legale di accettazione quasi tutti i pavimenti.
C)
Rivestimenti
Per ragioni estetiche; per maggior protezione dall'acqua, dalla umidità, dagli urti ecc., alcune zone di parete o pareti intere (sia esterne che interne), vengono rivestite con materiali particolari che — a seconda dello scopo per cui vengono posti in opera — hanno peculiari caratteristiche di durezza, im-
419 permeabilità o valore decorativo. I migliori tipi di rivestimento assommano alcune o tutte le sopralencate caratteristiche. I rivestimenti per correzione acustica sono già stati trattati in altro capitolo, in quanto assolvono a diverse e ben precise finalità. Alcuni tipi di rivestimento sono impiegati esclusivamente per esterni, altri esclusivamente per interni ed — infine — ne esistono svariati tipi che possono esser usati indifferentemente sia all'interno che all'esterno. Non si pretende qui di seguito di enumerare tutti i tipi di rivestimento, ma, piuttosto, di indicare le categorie più comuni trascurando le diversità dei vari tipi della stessa categoria. Come per i pavimenti, anche per i rivestimenti, ogni classifica non consente di raggrupparli in categorie omogenee. Quindi si procede ad una elencazione dei vari tipi di rivestimento senza, raggrupparli per categorie. Rivestimento in marmo, di cui si è già accennato nel capitolo riguardante i materiali lapidei.
Rivestimenti imitanti faccia vista Per ragioni diverse (di ordine estetico, ambientale, ecc.) si richiede, talvolta, di avere delle facciate a faccia-vista. Non sempre è possibile ottenere una muratura con i mattoni in vista su cortine continue sia per il pratico ed economico diffondersi dell'uso di blocchi, sia per il caso di fabbricati con struttura in calcestruzzo armato. Si ripiega allora su rivestimenti che producano l'effetto di muratura a faccia vista. A tale scopo si possono usare elementi di laterizio di ottima qualità e ben cotto con superfici lisce, lavorate o sabbiate con colori dal rosato al rosso, al rosso bruno; si ricorre anche a elementi di clinker che sono laterizi cotti ad altissima temperatura e vetrificati e che possono avere colori più forti ed aspetto più lucente. Le misure possono esser quelle del mattone di costa (circa 5,5x25 cm) o del mattone in piano (circa 12x25) e possono aver altre misure e forme. Questi elementi di laterizio o di clinker imitanti i mattoni sono corredati da pezzi speciali ad L per render continuo il rivestimento anche in corrispondenza degli spigoli del fabbricato o in corrispondenza dei fori di porte e finestre. Gli elementi possono esser posti in opera a contatto fra loro oppure distanziati con un ferro tondo a 4 5 mm in modo da creare un interstizio che poi viene saturato con malta.
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Granulati di marmo Sono intonaci speciali che costituiscono rivestimento. Polvere o graniglie di marmo in una vasta gamma di colori omogenei o miscelati vengono legati tra loro con resine viniliche e applicati a spatola su intonaci vecchi o nuovi perché asciutti e preferibilmente formati con malte bastarde (metà cemento e metà calce idraulica). Dopo l'applicazione possono esser battuti per renderne la superficie più liscia. Per aumentare la resistenza del rivestimento, agli inerti può esser aggiunta graniglia di quarzo. I tipi formati con polvere di marmo (anche arricchita con polvere di graniglia) possono esser stesi sull'intonaco di sottofondo anche a spruzzo. Si ottiene con tali prodotti un rivestimento di effetto cromatico, a volte discutibile, con superfici più o meno granulate, compatti, impermeabili e resistenti. Sono usati più comunemente i granulati di marmo per facciate esterne e gli altri prodotti a grana più fine per interni limitatamente a locali molto particolari.
Rivestimenti resilienti di ceramica Miscele di resine e ceramica plastica possono esser stese su intonaci o su rasature a gesso e costituiscono un rivestimento impermeabile ed elastico facilmente adattabile a qualunque forma, inattacabile da detersivi, da acidi ed alcali diluiti. E' possibile disporre del prodotto in un gran numero di colori anche con tinte forti. Tale prodotto viene impiegato principalmente per zoccolature o per pareti di vani scala, refettori, laboratori chimici.
Resine plastiche Si possono usare, come rivestimenti, resine plasiche, quasi pure, rinforzate da minerali ad altissimo grado di durezza e coloranti. Tali resine vengono stese sugli intonaci e costituiscono rivestimenti duri ed impermeabili.
Piastrelle maiolicate Sono rivestimenti formati con piastrelle di maiolica (nei tipi migliori di caolino) cotte e smaltate ad alta temperatura. Vi sono svariate forme e misure (7,5x 15; 10x 10; 15x 15; ecc.) dispo-
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nibili in un gran numero di tonalità. Talvolta le piastrelle maiolicate di caolino sono anche decorate a disegni vari. E' 0 classico rivestimento per bagni e cucine. Alcuni pezzi speciali (per angoli) o elementi terminali (a becco di civetta) rendono continui ed esteticamente efficienti i rivestimenti in piastrelle. Le piastrelle sono poste in malta su sottofondi di malta idraulica o bastarda e le connessure sono fugare con cemento bianco. Mosaici Tesserine da 2x2; 3 x 3 ; incollate su carta pesante possono esser poste in opera così da formare mosaico a tinta unica o con tessere di colore vario. Le tessere possono essere in gres smaltato, gres colorato, in materiale vetroso, in ceramica o in vetro. Si usa per esterni ed anche per interni, ma il loro impiego è in declino. Intonaci tipo Terranova Sono così chiamati dal nome con cui fu lanciato commercialmente questo tipo di intonaco. Sono intonaci speciali che possono venir annoverati tra i rivestimenti per le loro caratteristiche fisiche, chimiche di durezza e impermeabilità. Polvere di marmo, pigmenti coloranti, cemento bianco e resine vengono impastate e applicate a spatola o spruzzo. Sono intonaci duri, impermeabili. Rivestimento in legno Per particolari ambienti possono esser richiesti rivestimenti in legno per soffitti o pareti interne o esterne. Generalmente si tratta di pannellature perlinate (e cioè formate da stretti elementi di legno con sagome diverse immaschiati tra loro). Le essenze più usate sono il mogano, l'aframosia, il noce mansonia, il douglas, ecc. trascurando le essenze più comuni (abete, larice) impiegate per case rustiche in montagna.
Carte o stoffe da parati Possono esser considerati come rivestimenti le carte o stoffe da parati che — ormai — sono quasi esclusivamente sostituiti da tessuti di resine viniliche imitanti le carte o le stoffe con motivi moderni o classici.
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Rivestimenti metallici Per rivestimenti esterni si ricordano le lamiere smaltate e soprattutto i pannelli di alluminio sagomati con cui si rivestono le grandi pareti cieche di magazzini o depositi mascherandone le strutture, oppure interi elementi alternativamente ciechi e con serramenti per i moderni edifici multipiano (court ain-wall).
D)
Tinteggiature e coloriture
Importanti tra le opere di rifinitura sono le tinteggiature e le coloriture con cui si completano le pareti, i soffitti, le opere in legno, in ferro, in lamiera ecc. Si classificano normalmente — con dizione non rigorosa — tinteggiature, le applicazioni di sostanze coloranti alle pareti o ai soffitti e cioè — in genere — a elementi ricoperti con intonaco e con coloriture l'applicazione di sostanze coloranti a opere in legno, ferro ecc..
Tinteggiature Oltre alle tinteggiature classiche si citeranno anche alcune tinteggiature più moderne ed altri trattamenti superficiali.
Tinteggiatura a calce con veicolo acquoso La base di queste tinteggiature è il latte di calce che è il normale grassello di calce aerea decantato, passato per tele metalliche molto fitte che trattengono tutte le impurità, diluito con acqua. Nel latte di calce si stemperano i colori (costituiti generalmente da terre) che non reagiscono con l'idrato di calcio contenuto nel latte di calce. E' buona norma stemperare i colori in acqua prima di mescolarli al latte di calce in modo che i granuli delle terre si possano bagnare bene e si possono, poi, ben miscelare al latte di calce. Questa tinta è adatta per tutte le superfici di materiali assorbenti e granulosi, è quindi idonea per tinteggiare intonaci comuni, ma non opere in cemento armato, legno, ferro, ecc.. Si apllica sia agli interni che agli esterni a più strati con pennello o a spruzzo. Queste tinte a veicolo acquoso hanno un grave difetto; le tinte esterne si dilavano alle prime piogge ed all'interno si deteriorano facilmente. Una volta si usavano dei fissativi che — peraltro - non eliminavano del
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tutto gli inconvenienti (gelatina animale, latte, olio di oliva, o di semi). Oggi si usa — con migliori risultati — il vinavil o prodotti similari. Dicesi "imbiancatura" la tinteggiatura composta da solo latte di calce senza coloranti. Per i suaccennati difetti, questo tipo di tinteggiatura è riservato, e solo come imbiancatura, per locali di servizio oppure — con coloranti e fissativi — per cucine e bagni ove altri tipi di tinteggiatura sarebbero rovinati dal vapor d'acqua.
Tinte a colla (o tempera di colla) In queste tinte è assente la calce. I pigmenti coloranti sono impastati con soluzioni colloidali di varie sostanze che fungono da fissativi. A seconda delle varie soluzioni colloidali impiegate si hanno tinte di qualità diverse. I fissativi più comuni sono: il latte sgrassato, la caseina, la colla di pesce, la colla d'ossa, la salda di farina e di amido. E' un tipo di tinteggiatura che si rovina ("fiorisce") al contatto con l'umidità, pertanto non può essere usata per esterni o per cucine e bagni. Si applica agli intonaci con pennello o a spruzzo.
Tinte lavabili (al silicato) Vari sono i brevetti per tali tinte e non sempre sono noti tutti gli additivi usati dalle singole ditte produttrici. In genere, peraltro, i colori sono stemperati in una soluzione di silicati alcalini (il più economico è il silicato di sodio). Queste tinte sono stabili, si prestano abbastanza bene al dilavamento e non sporcano, sono quindi idonee per esterni e per interni. Le tinte al silicato possono essere applicate anche su superfici liscie e non molto assorbenti (calcestruzzi). Pur chiamandosi tinte lavabili non lo sono nel senso letterale della parola.
Tinte a fresco Non sono tinte speciali, ma tinte a calce applicate in più mani all'intonaco ancora fresco di calce aerea in modo che la tinta si "incorpori" con la parte superficiale dell'intonaco. L'indurimento è lento, ma si ottiene una buona resistenza al dilava-
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mento ed all'usura e — spesso — effetti estetici impossibili ad ottenere con altre tinte o con diverse tecniche.
Tinte incorporate nell'intonaco Si usa talvolta mescolare all'intonaco di calce aerea di arricciatura elementi coloranti. Si ottiene così un intonaco colorato e non una pellicola di tinta sopra di esso. Anche se scalfito superficialmente l'intonaco mantiene il suo colore. Un affinamento nella tecnica e l'impiego di inerti e leganti più pregiati ha dato luogo agli intonaci tipo Terranova già in precedenza descritti. La difficoltà maggiore per eseguire questo tipo di tinta incorporata nell'intonaco, consiste nel poter dosare con la massima precisione la quantità di terre coloranti a ciascun impasto di malta per ottenere tinte con toni uniformi.
Stab ilizzan ti idrorepellen ti Esistono in commercio alcuni prodotti che possono esser classificati come tinteggiature trasparenti idrorepellenti o stabilizzanti per intonaci. Per lo più sono a base di siliconi. L'uso di tali prodotti permette di proteggere dall'umidità pareti esposte alle intemperie senza che le superficie sottostante venga alterata nell'aspetto o nel colore. Vengono quindi usate vantaggiosamente per impermeabilizzare murature a faccia vista, per impermeabilizzare e stabilizzare vecchi intonaci colorati di cui non si voglia o non si possa modificare l'aspetto (restauri), per proteggere elementi di pietra tenera naturale o anche pietra artificiale.
Vernici e smalti A parte alcune vernici e smalti opportunamente predisposti per gli intonaci, questi prodotti coloranti sono usati principalmente per opere metalliche (lamiere, opere in ferro) o per opere in legno. Le vernici e gli smalti, peraltro, non proteggono efficacemente dalla ruggine. Pertanto prima di colorire opere metalliche è bene ripulirle accuratamente da eventuali strati di grasso (residuati dalla laminazione o dalla trafila) o dalla ruggine e poi trattarle con vernici antiruggine. La più nota ed antica vernice antiruggine è il minio (ossido puro di piombo su veicolo oleoso); ottimo per i risultati è il cromato di piombo di
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color giallo che si usa in modo particolare per le navi. Anche le opere in legno da verniciare all'olio o a smalto devono subire un delicato intervento di preparazione. Devono cioè esser stuccate e levigate (con carta e vetro o pomice) per render liscia ed uniforme la superficie da colorire.
Vernici all'olio Le comuni vernici sono preparate con olio di lino cotto, pigmenti coloranti finissimamente macinati con l'aggiunta di essicanti. Per economia, talvolta, all'olio di lino cotto si aggiungono altri oli (olio di girasole). Per vernici bianche si usa l'ossido di zinco, il bianco di titanio, carbonato di piombo. La biacca di piombo, una volta molto usata, per colori bianchi è assolutamente da bandire non solo perché ossidandosi si annerisce, ma soprattutto per le sue tossiche emanazioni solforose. Per vernici nere si usa il nerofumo. Per vernici rosse si usa l'ossido di ferro, il cinabro ecc.; per quelle gialle o brune si usa l'ocra o il cromato di piombo; per le verdi si usa il verde di cromo o di zinco. Per applicare queste vernici ad olio su pareti è necessario spalmare queste ultime con colla animale seguita da una mano di olio di lino cotto. Vernici particolari sono:
Vernici tipi cementite Sono costituite da un disperdente grasso a base di olio di lino crudo imbianchito, miscelato a olio di lino polimerizzato (standoil) e a resine eterificate, acquaragia, pigmenti bianchi (ossido di zinco, biossido di titanio, litopone) ed idonei essicativi. Sono vernici da sottofondo con superfici opache o semilucide che essicano rapidamente e posseggono buona resistenza e lavabilità.
Vernici trasparenti (dette flatting) Sono soluzioni di resine diluite in oli essicativi. Si usano per verniciare opere in legno quando non se ne voglia nascondere l'aspetto naturale. Trovano impiego anche per conferire lucidità a vernici opache o meno resistenti, quando siano applicate sopra di queste.
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Smalti Gli smalti sono preparati in diversi tipi: — grassi, — sintetici, — alla cellulosa. Smalti grassi, sono preparati con oli fortemente essicativi e "filmogeni" come l'olio del legno di Cina oppure con olio di lino polimerizzato. All'olio vengono aggiunge resine dure naturali delle zone tropicali (come il coppale) e solventi ed essicativi rari. Sono vernici note dall'antichità che danno strati brillanti e molto resistenti. Smalti sintetici sono prodotti più moderni e forniscono superfici molto brillanti e di discreta resistenza (specie negli interni). Sono preparati con base di resine ottenute sinteticamente da glicerina, o acidi grassi. Smalti alla cellulosa, devono esser applicati a spruzzo per ottenere superfici di uniforme brillantezza in quanto essicano rapidissimamente. Sono soluzioni colloidali di esteri cellulosici in liquido organico (acetone, alcool superiori).
CAPITOLO VENTUNESIMO
CENNI SULL' INDUSTRIALIZZAZIONE DELL'EDILIZIA E LA PREFABBRICAZIONE Per poter spiegare con chiarezza il concetto di industrializzazione dell'edilizia è necessario definire preliminarmente cosa si intenda per metodo di produzione industriale: secondo la sempre valida definizione del prof. G. Ciribini per metodo industriale si intende quello tra i modi della produzione che poggia esclusivamente su processi organizzativi di natura ripetitiva e nel quale l'incontrollabile varietà di ogni fase di lavoro, propria delle azioni artigianali, cede il posto a previsti gradi di costanza esecutiva, peculiari di forme operative limitatamente e totalmente meccanizzate. La meccanizzazione del processo di produzione è stata il primo strumento di industrializzazione dei vari settori produttivi; nel settore edilizio essa è stata introdotta molto più tardi rispetto agli altri settori, agricoltura compresa, ed ha coinvolto in un primo tempo soltanto le operazioni di servizio alla edificazione, quali lo scavo, il sollevamento e trasporto dei materiali, l'impasto del calcestruzzo. Nell'ultimo dopoguerra la quantità della domanda rivolta al settore edilizio non ha trovato una risposta adeguata nella sua tradizionale organizzazione, soprattutto nei paesi carenti di manodopera altamente specializzata; la risposta data dai paesi più industrializzati fu l'adozione nel settore del metodo industriale che, pur non operando inizialmente una effettiva riduzione dei costi rispetto ai metodi tradizionali, soddisfaceva l'esigenza in tempi più brevi e con manodopera solamente qualificata. Le condizioni perché si possa innescare un metodo di industrializzazione edilizia sono essenzialmente: — una condizione di struttura, cioè l'aggregazione della domanda per settore (abitativo, produttivo, sociale) intendendo il termine "aggregazione" con il significato di coordinamento e concentrazione; questa condizione è legata all'esistenza di una consistente struttura di committenza pubblica, come gli IACP, e di base, come le cooperative di utenti; — una condizione di mercato: la continuità della domanda, che richiede l'esistenza di un corpus legislativo urbanistico e programmatorio che indirizzi e condizioni gli interventi sia pubblici sia privati; solo quando si sia dato corpo a queste condizioni con le opportune azioni politico-programmatiche di ragionevole respiro, 3-5 anni almeno, si può ipotizzare una industrializzazione del settore con l'impiego di tecnologie anche nuove che
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permettano una produzione di massa compatibile con le risorse disponibili: investimenti, quantità e qualificazione della manodopera, materiali, semilavorati, componenti, subsistemi di componenti. Industrializzare il settore edilizio significa dunque, a queste condizioni, fondare la produzione edilizia su un processo operativo in cui la singolarità e la variabilità di ogni azione, tipiche dei processi artigianali, siano sostituite da operazioni di programmazione, organizzazione, meccanizzazione e gestione operativa, proprie e caratteristiche delle attività industriali. Se intendiamo il termine processo come uno sviluppo successivo di fatti e di fenomeni che hanno tra di loro un nesso più o meno profondo, possiamo definire con l'UNI, norme 867-1979, il termine processo edilizio come "sequenza organizzata di fasi operative che partono dal rilevamento di esigenze fino al loro soddisfacimento in termini di produzione edilizia". Si può pertanto definire con il C.N.R., LE. 1972, l'industrializzazione dell'edilizia come "modo di concepire la produzione del bene edilizio in termini di processo di progettazione-produzione-utenza, cioè come sequenza di momenti operativi, organizzativi e gestionali coerenti e coordinati, in vista dell'ottimizzazione dei risultati conseguibili con determinate risorse e condizioni contestuali. Le caratteristiche del metodo industriale possono quindi essere sintetizzate nelle quattro espressioni visibili dell'industrializzazione e cioè: 1 ) la qualità del prodotto 2) la complessità del prodotto 3) la producibilità in serie 4) il grado di automazione nel processo di produzione. Sia per l'innesco del processo edilizio industrializzato sia per la sua guida e controllo risulta indispensabile l'attivazione di un riferimento ad un quadro normativo generale, intendendo per norma un insieme di condizioni trasformate in istruzioni che devono essere rispettate da un processo produttivo, un atto di relazione che indirizza e condiziona gli operatori e le operazioni del processo. Programmazione, normativa tecnica e industrializzazione edilizia sono dunque tra di loro strettamente collegate e non si può avere vera industrializzazione senza una seria normativa programmatica, urbanistica e tecnica. E' noto che l'innesco dell'industrializzazione in qualsiasi settore produttivo non è mai avvenuta in modo repentino ma trae le sue premesse anche da una costante evoluzione delle tecnologie. In edilizia dalla primaria fase dell'autocostruzione si è passati alla meccanizzazione e poi alla razionalizzazione (scorporo di attività, subappalto, cottimismo, primi componenti costruiti in officina di prefabbricazione), alla industrializzazione dei getti in cantiere, con prefabbricazione delle strutture portanti, fino alla industrializzazione della produzione degli elementi costruttivi in officina con successivo montaggio in cantiere. L'impiego di elementi prefabbricati ha come fine:
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1 ) la semplificazione delle operazioni di produzione e di cantiere, con rapido addestramento della manodopera; 2) il miglioramento del lavoro degli operai con conseguente maggior rendimento degli stessi e riduzione degli sprechi di cantiere. L'industrializzazione edilizia, cioè il mezzo tecnico con cui operare l'industrializzazione dell'edilizia, può avere facce diverse, proporre numerose soluzioni e invenzioni tecniche le più varie, ma non ha alcuna incidenza nella reale evoluzione del settore se non comprende anche un totale cambiamento nel modo di ideare, di progettare, di organizzare e di controllare il bene edilizio. Diamo ora alcuni cenni sull'industrializzazione nel cantiere edile e sulla prefabbricazione in officina con metodo industriale di componenti, subsistemi e sistemi costruttivi. L'industrializzazione nel cantiere edile nasce con l'industrializzazione dei getti di calcestruzzo, con il beton banche, cioè con getti in opera su casseri più o meno complessi come: — i casseri a perdere (Er-cal, Velox, ecc.) — le banches et tables — i casseri rampanti — i casseri pneumatici — i casseri tunnels o demitunnels. Tale industrializzazione comporta una rigida organizzazione del lavoro con utilizzo di manodopera poco qualificata che viene addestrata in tempi brevissimi, richiede una progettazione esecutiva accurata e definita in tutti i particolari e la stretta integrazione del progetto degli impianti con il progetto distributivo e statico, riduce infine notevolmente i tempi di costruzione, con conseguente riduzione dei costi. La prefabbricazione in officina con metodo industriale viene definita invece (ricalcando una definizione dell'A.I.P.) esecuzione fuori opera di parti dell'edificio che trasportate nel cantiere possono essere assemblate con prevalenti operazioni di montaggio. La prefabbricazione è dunque uno strumento di fabbricazione che, se viene industrializzata, rientra tra i mezzi dell'industrializzazione dell'edilizia. Per rispondere alla finalità di ridurre il più possibile il numero delle operazioni di montaggio furono inizialmente ideati i sistemi costruttivi a grandi pannelli portanti in c.a., tecnologia che si sviluppò in Francia e nell'Unione Sovietica negli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale; chiamati anche sistemi pesanti o sistemi chiusi per la loro mancanza di flessibilità distributiva post-costruzione, questi sistemi vennero introdotti in Italia negli anni '60 dopo la messa a punto da parte del Ministero dei LL.PP. di alcune disposizioni regolamentari prima provvisorie e poi definitive in materia (Circolare 11 agosto 1969 "Norme per la progettazione, il calcolo, l'esecuzione ed il collaudo di costruzioni con strutture prefabbricate in zone
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asismiche e sismiche"). La tecnologia dei grandi pannelli portanti in c.a. assicura una riduzione dei tempi di costruzione ed una semplificazione delle operazioni di cantiere, presupponendo però una continuità della domanda di alloggi con caratteristiche tipologiche sufficientemente costanti, una concentrazione degli interventi nel territorio ed una specifica dotazione delle imprese di attrezzature e macchinari, come mezzi di trasporto, gru di adeguata potenza e largo sbraccio. In quegli stessi anni furono immessi sul mercato vari sistemi prefabbricati con elementi piano-lineari e puntiformi in c.a. o in acciaio per l'edilizia industriale e commerciale, che furono presto ristudiati e riproposti per l'edilizia scolastica. Negli ultimi anni il costante aumento del fabbisogno abitativo accompagnato dall'aumento dei costi di costruzione e dalla diminuzione della reperibilità di manodopera in edilizia hanno riportato l'attenzione del settore verso sistemi di edificazione che conciliassero la riduzione dei costi finali con l'utilizzo di manodopera a bassa specializzazione per semplici operazioni di montaggio, cioè in definitiva verso la prefabbricazione; un ulteriore impulso in tal senso si è avuto dopo le recenti catastrofi sismiche nel Friuli e nell'Irpinia. I sistemi a struttura portante puntiforme, nati per l'edilizia scolastica e industriale-commerciale sono stati oggetto di studi e di innovazioni ad alto contenuto tecnologico per affinarli ed adattarli alle esigenze dell'edilizia ad uso abitativo; un altro incentivo a tali ricerche e messe a punto è stato dato, ad esempio, dalla Regione Lombardia che ancora nel 1978 ha bandito un concorso per la formazione di un repertorio regionale di progetti tipo. Oltre alla produzione di sistemi completi "chiavi in mano", si è potenziata la presenza sul mercato di componenti più o meno complessi, come chiusure esterne, partizioni, serramenti, blocchi bagno, pareti attrezzate di servizio, e di subsistemi di componenti, che attualmente tendono a superare il modello tradizionale del processo edilizio
recuperando il contatto diretto tra produttore e committente senza l'intermediazione dell'impresa. In questo modo la committenza, quella privata ma soprattutto quella pubblica, può stimolare la presenza sul mercato di componenti tra di loro aggregabili secondo norme (regole del gioco) di combinazione e di aggiustaggio messe a punto a livello nazionale: è la cosiddetta ideologia o meglio utopia del "sistema aperto".
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La progettazione per l'edilizia industrializzata Una produzione di tipo industriale è possibile solo se con un tipo di elemento si possono produrre grandi serie; le grandi serie d'altra parte si possono realizzare solo se l'elemento tipo può essere impiegato per costruzioni diverse. Tutto questo condiziona naturalmente un coordinamento delle misure e delle dimensioni delle singole costruzioni e soprattutto, a monte, una particolare opera di progettazione elaborata sulla base di un sistema dimensionale, che deve rappresentare una soluzione ottimale sia dal punto di vista economico e costruttivo adottando elementi tipizzati e standardizzati, sia dal punto di vista estetico-architettonico. Per la tipizzazione e normalizzazione degli elementi occorre introdurre un sistema unificatore delle dimensioni che deve: — contenere tutte le misure e le dimensioni della costruzione; — contenere il minor numero possibile di variabili cioè di tipi diversi; — permettere l'intercambiabilità tra i vari elementi. Così ogni singola parte dell'edificio dovrà essere studiata in base a multipli di un'unità dimensionale prefissata all'atto dell'impostazione del programma, e tale unità dovrà essere il massimo denominatore comune dai cui multipli derivano tutte le dimensioni della costruzione. Tale unità è il modulo, che può essere liberamente scelto, ma che rappresenta in realtà uno dei problemi chiave dell'edilizia di oggi. L'esempio di modulazione più noto è certamente il Modulor di Le Corbusier, basato sulle leggi dell'armonia, la cui chiave è il magico rapporto indicante la sezione aurea (Fig. 21.1). Le misure della scala Modulor stanno in tale rapporto, e dato che il corpo umano ideale rientra nella legge dell'armonia, le misure di partenza della scala sono dimensioni del corpo umano, il Modulor è così una scala umana, ed ogni suo valore ha per definizione un significato funzionale per la casa dell'uomo. La scala così definita ha anche la proprietà di essere 'additiva", vale a dire che ogni termine è somma di termini precedenti, proprietà quest'ultima di fondamentale importanza nelle applicazioni tecnologiche. Altri autori, quali il Wachsmann, hanno teorizzato e hanno praticamente sperimentato in concrete applicazioni le teorie modulari, che oggi sono oramai un fatto compiuto ed adottate da tutti i paesi che riconoscono la necessità dell'adozione di un modulo base. In campo internazionale un'azione coordinata in tale senso iniziò nel 1954 all'OECE (Organisation Economie Commision for Europe) con il Progetto EPA 174, sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, e poi con il rapporto sulla Coordinazione dimensionale nell'edilizia, edito anch'esso dalle Nazioni Unite nel 1967. Tali ricerche si pongono però piuttosto sul piano della organizzazione produttivistica che su quello di una vera e propria teoria della modulazione, proponendo una coordinazione degli standard entro i limiti dell'attuale situazione dell'industria edilizia. In Italia gli studi sulla definizione della normalizzazione edilizia che
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iniziarono in pratica nel 1954, portarono attraverso numerose e successive definizioni nel 1965 ad un'iniziativa del Ministero dei Lavori Pubblici circa due proposte di norma che concernono la coordinazione modulare, alla quale si dovrà necessariamente fare riferimento per tutti i progetti di edilizia sovvenzionata dallo Stato o comunque convenzionata con esso. Tali norme fissano, a fondamento della coordinazione modulare nell'edilizia, sia in orizzontale che in verticale, il modulo base M = 10 cm, che rappresenta l'unità di misura delle dimensioni di coordinazione, stabilendo altresì una sequenza modulare per le dimensioni di coordinazione per componenti edilizi e per complessi assemblati.
Fig. 21.1 - La griglia fornisce tre misure 113, 70, 43 cm,che sono tra loro in rapporto aureo 4 : 43 + + 70= 113; oppure 113 - 7 0 = 43. Addizionandole esse danno: 113 + 70= 183; 113 + + 70 + 43 = 226. Queste tre misure (113 — 183 — 226) sono quelle che caratterizzano l'occupazione dello spazio da parte di un uomo alto m 180 (6 ft). La misura 113 dà come sezione aurea 70, creando una prima serie, denominata serie rossa 4-6-10-16-27-43-70-113-183-296, ecc. La misura 226 (2 x 113) dà come sezione aurea 140-86, creando una seconda sezione denominata serie blu, 13-20-3-33-53-86-140-226-365-592, ecc. Si tratta di una gamma di dimensioni che permette di costruire le case per l'uso umano con l'aiuto della matematica, assecondando i gesti dell'uomo, sia eretto, che seduto, che coricato. E' stato detto che per la prima volta un sistema di proporzionamento matematico è basato sulla statura umana.
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Risulta a questo punto evidente, che tutti i problemi connessi alla coordinazione modulare e quindi alla normalizzazione e tipizzazione degli elementi per una produzione industriale, richiedono una particolare opera di progettazione, ben diversa da quella tradizionale, nella quale deve essere attentamente seguita una precisa metodologia del coordinamento di tutte le componenti che intervengono nella progettazione stessa, per realizzare la componente tecnologica-produttiva, nella progettazione descrittiva, completa e particolareggiata dell'opera, considerando in ogni momento tutte le possibili condizioni per poterla attuare nel quadro locale dell'industrializzazione edilizia. Tale opera di progettazione "ottimizzata" sotto tutti gli aspetti richiede, in base alle specializzazioni dei compiti, la formazione di un gruppo di lavoro ("équipe" o "team"), a cui si è già brevemente accennato, che opera con particolare efficienza nel campo della progettazione integrale. Il principio di lavoro di gruppo intende naturalmente superare quelle condizioni accentratrici del dominio della conoscenza e dell'inventiva in un unico individuo dotato di facoltà geniali, che hanno sempre improntato di sé la storia della cultura — in una forma decentratrice, attraverso apporti diversi e qualificati che è la forma più prevalente ed ormai validamente acquisita nel campo tecnico e scientifico. Per una perfetta riuscita di tale attività collegiale è però essenziale il raggiungimento di un'unità di linguaggio attraverso la conoscenza seppure in misura sufficiente, del campo di specializzazione di- ciascun membro costituente il gruppo, onde non creare una "équipe" costituita da successivi "compartimenti stagni", ove sia impossibile alcuna comunicazione al di fuori delle personali conoscenze e attribuzioni del problema. Sembra non inutile semplicemente accennare alla fondamentale importanza delle tecniche di programmazione che sono naturalmente alla base dell'intero fenomeno dell'edilizia industrializzata, che devono essere assunte dalla progettazione, fino all'esecuzione, al montaggio degli elementi, ed alla conseguente industrializzazione del cantiere. Tra i vari metodi statisticomatematici oggi più largamente impiegati è il PERT (Programme Evaluation and Review Technique), che consente di poter stimare attraverso particolari reticoli, dal punto di vista probabilistico, il valore di tempi per loro natura di valutazione estremamente complessa e di poter introdurre in essi frequenti cambiamenti di programma. Bibliografia LE CORBUSIER, Le modulor, Parigi, 1948-1955. G. CIRIBINI, Architettura e industria, Milano, 1958. K. WACHSMANN, Una svolta nelle costruzioni, Milano, 1959. P.N. MAGGI e altri, La progettazione integrata per l'edilizia industrializzata, Milano, 1959.
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G.M. GOLINELLI,// Pert, Bari, 1965. G.C. ARGAN,Progetto e destino, Milano, 1965. A. PETRIGNANI, Tecnologia dell'Architettura, Milano, 1967. FINSIDER, Procedure di coordinazione modulare per la progettazione edilizia, doc. n. 6, Genova, 1976. G. BLACHERE, Compendio dì tecnologia delle costruzioni industrializzate, Bologna, 1977. A.M. TALANTI, Storia dell'industrializzazione edilìzia in Italia, Milano, 1981. UNI-7861-7862-7863-7864-7865-7866-8104-8105 anno 1978/81, Norme su edilizia, coordinazione dimensionale e modulare. P.N. MAGGI, Metodi e strumenti di progettazione edilizia, Milano 1985.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
IL PROGETTO, LA CONDOTTA, LA CONTABILIZZAZIONE DEI LAVORI E I COLLAUDI A.l
-Introduzione
Ogni qualvolta si debba eseguire una opera d'ingegneria è necessario predisporre un appropriato progetto che ne preveda l'esecuzione anche nei minimi particolari. E' opportuno chiarire subito che una sia pur numerosa serie di grafici, anche se molto particolareggiati, non costituisce di per sé un progetto completo che permetta l'esecuzione dell'opera. Infatti la realizzazione di un'opera non comporta esclusivamente previsioni tecniche, ma anche problemi economici e rapporti contrattuali tra chi l'opera vuole realizzare e chi si assume il compito di realizzarla materialmente. Di conseguenza "il progetto", oltre ai grafici, deve comprendere una serie di elaborati che li completino di quelle prescrizioni e di tutte quelle previsioni che dai disegni non possono esser evidenziate, oltre a delle previsioni della spesa e da norme che disciplinano ogni rapporto economico per l'esecuzione dell'opera. Per una più chiara comprensione della esposizione è bene indicare e definire i compiti dei principali protagonisti che intervengono nella realizzazione di un'opera. Committente è colui che decide di eseguire e finanziare l'opera e, generalmente, ne è anche il proprietario. Se il committente, per la realizzazione dell'opera, delega un ente tecnico, questo è detto stazione appaltante (S.A.). Progettista è quel tecnico, abilitato alla professione e iscritto all'albo professionale, che, generalmente su incarico del committente, predispone i piani e gli elaborati tecnici per l'esecuzione dell'opera. Nel campo dell'edilizia, con il dilatarsi delle tecnologie e con l'affinamento delle specializzazioni, al compilatore del progetto architettonico si affiancano, con sempre maggior frequenza, i progettisti delle strutture ed i progettisti degli impianti.
436 Appaltatore è quel privato o quella società che, con l'organizzazione dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, si assume il compito di eseguire materialmente un'opera verso un corrispettivo in denaro. 77 direttore dei lavori è quel tecnico che — su incarico del committente, a sue spese e nel suo esclusivo interesse — vigila sulla buona esecuzione delle opere e sulla loro rispondenza alle previsioni dei progetti ed alle norme contrattuali entro i limiti precisati dagli articoli 1661 C.C. (Variazioni ordinate dal Committente) e 1662 C.C. (Verifica nel corso dell'opera). Compito del direttore dei lavori è anche quello di liquidare gli importi maturati dalla Impresa per l'esecuzione delle opere. E' auspicabile che lo stesso progettista possa anche dirigere i lavori perché egli può, con più cognizioni di causa, sorvegliare che vengano scrupolosamente rispettate le previsioni di progetto e che se più specialisti hanno collaborato per predisporre altrettanti progetti particolari (strutture, impianti, ecc.) possano essi stessi sorvegliarne la realizzazione. * * * Il Committente, rilevata la necessità o l'opportunità di eseguire una determinata opera, dopo essersi assicurato della disponibilità finanziaria o con mezzi propri o con finanziamenti pubblici o con mutui, deve procedere ad una serie logica e coordinata di atti che permettono la realizzazione dell'opera. In maniera sintetica il Committente deve procedere: — al progetto dell'opera, affidandone l'incarico — per iscritto — ad un tecnico o ad un gruppo di tecnici. Il progetto oltre alle previsioni tecniche per l'attuazione dell'opera deve indicare le norme esecutive e la previsione di spesa e quindi non è composto soltanto da grafici, ma anche da un capitolato d'oneri (con l'elenco dei prezzi unitari), da un dettagliato preventivo di spesa e da altri documenti complementari di cui si dirà. — all'approvazione. Ogni progetto, oltre a quella del Committente, deve ottenere approvazioni di vario tipo. Deve infatti esser sempre approvato dal Sindaco del Comune ove è prevista l'esecuzione dell'opera, ed, eventualmente, dall'ANAS, dai Vigili del Fuoco, dalla Soprintendenza ai Monumenti, dal Genio Civile (per opere finanziate in tutto o in parte dallo Stato e per opere da eseguirsi in zone sismiche), ecc.. — aggiudicazione. Per eseguire materialmente l'opera è necessario rivolgersi ad un'Impresa che dia sicuro affidamento e che offra le migliori condizioni. Il Committente privato sceglie l'Impresa a suo piacimento. Viceversa un ente pubblico deve — con le modalità che si vedranno — espletare fra di-
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verse imprese di fiducia, una gara d'appalto a seguito della quale l'esecuzione dell'opera viene commessa ad una Impresa, detta Impresa aggiudicataria, o a più ditte specializzate (opere murarie ed affini, opere idrotermosanitarie, opere da falegname, opere da marmista, da fabbro, da elettricista, ecc.). — Contratto. E' necessario che i rapporti tra il Committente (Stazione Appaltante) e l'Impresa aggiudicataria siano preventivamente regolati, in ogni particolare, da un contratto che deve esser registrato all'Ufficio del Registro, non solo per assolvere agli oneri fiscali conseguenti all'esecuzione dell'opera, ma perché anche eventuali liti possono esser risolte giudizialmente solo se il contratto sia stato registrato. In ogni caso la registrazione di ben precisi accordi riduce la possibilità di liti o, quanto meno, permette di risolverle speditamente e con equità. — Esecuzione e condotta dei lavori. L'Impresa appaltatrice ha il dovere di eseguire i lavori in conformità al progetto ed alle norme contrattuali ed ha il diritto di venir compensata durante il corso dei lavori in rapporto all'entità e qualità dei lavori eseguiti con rate di acconto regolate anch'esse dal contratto. La direzione dei lavori (composta dal direttore dei lavori, dai suoi assistenti e dai sorveglianti) che agisce in nome e per conto del committente, controlla la regolare esecuzione delle opere sia dal punto di vista tecnico-economico sia dal punto di vista contrattuale; contabilizza e quantifica le opere eseguite; propone i pagamenti in acconto; redige perizie per l'esecuzione di nuove opere; concorda eventuali nuovi prezzi; discute con l'Impresa eventuali richieste di maggiori compensi che l'Impresa appaltatrice dovesse avanzare e propone al Committente di accettarle o di respingerle; compila il consuntivo dei lavori (stato finale), assiste al collaudo fornendo al Collaudatore tutti i ragguagli del caso con relazione sul conto finanziario. — Collaudo tecnico-amministrativo. Non si tratta di una verifica statica delle opere che può essere eseguita dal direttore dei lavori per tranquillità sua e del committente o del collaudo statico che deve esser eseguito da un ingegnere estraneo alla progettazione o direzione dei lavori, per ottenere il permesso di abitabilità (o di agibilità se si tratta di fabbricati industriali) e di cui all'art. 7 della legge n. 1086 del 5 novembre 1971. Il collaudo tecnico amministrativo, generalmente espletato per le sole opere pubbliche, pur non escludendo un attento esame circa la statica dell'opera eseguita, puntualizza la sua indagine sulla regolarità degli atti amministrativi relativi al progetto; sulla condotta dei lavori; sull'esame del consuntivo dei lavori; sulla conformità dell'opera eseguita con le previsioni contrattuali; sulla qualità dei materiali posti in opera e sul modo di esecuzione di ciascuna categoria di opera. Si tratta, in definitiva, di un controllo generale fatto per conto del Committente che riguarda l'esecuzione dell'opera sia dal punto di vista formale ed amministrativo sia dal punto di vista tecnico.
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Da quanto sopra esposto si evidenzia il ruolo che compete a ciascuna delle figure che intervengono nell'esecuzione di un'opera. Il Committente o la Stazione appaltante programmano, finanziano ed affidano ad un appaltatore la realizzazione di un'opera. Per la realizzazione del programma prefissato, il Committente si avvale dell'opera di tecnici qualificati che apprestano tutte le previsioni tecniche e tecnico-amministrative (progetti) necessarie per la precisa esecuzione di un'opera e che sorvegliano che l'opera venga realizzata secondo le previsioni (direzione dei lavori). L'appaltatore è, per così dire, il dirimpettaio del committente; egli, pur perseguendo lo scopo della buona esecuzione dell'opera, ha interessi economici contrastanti con quelli del committente. E' naturale infatti che il committente aspiri ad aver il massimo risultato con la minore spesa mentre l'appaltatore aspiri ad un compenso sempre maggiore.
A.2 A)
Compilazione del progetto Progettisti
Il progettista di un'opera civile deve esser laureato in ingegneria o in architettura o deve esser geometra o perito edile iscritto all'Albo (per i laureati) o al Collegio (per i diplomati) della rispettiva categoria professionale. Infatti l'art. 2229 del Codice civile stabilisce che per esercitare in maniera autonoma e legalmente valida alcune professioni intellettuali e, tra queste, anche quelle sopra ricordate, è necessaria l'iscrizione a particolari Albi tenuti dagli Ordini o dai Collegi provinciali. Gli Ordini ed i Collegi non sono dei Sindacati di categoria, ma sono speciali Magistrature istituite a tutela del pubblico interesse e dipendenti dal Ministero di Grazia e Giustizia tramite il procuratore della Repubblica competente per territorio. Per essere iscritti agli Albi professionali non basta esser laureati o diplomati ed esser abilitati all'esercizio della professione, ma è anche necessario comprovare una specchiata moralità e rettitudine, a garanzia del pubblico interesse. Esistono disposizioni di legge che regolano i limiti di attività di ciascuno dei ricordati professionisti, ma queste disposizioni non sono né chiare, né precise e si prestano, quindi, ad interpretazioni discordanti che spesso arrivano fino al giudizio dei Magistrati che non sempre si sono pronunciati in maniera univoca e concorde e, così, i limiti di competenza professionale fra le diverse categorie di tecnici sono piuttosto vaghi ed imprecisi. Il progettista prima di accingersi ad espletare l'incarico affidatogli deve accuratamente vagliare gli strumenti legislativi urbanistici nazionali e comu-
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nali, i regolamenti comunali di edilizia e di igiene, i diritti dei vicini. Queste indagini sono complesse e talvolta difficili perché le norme urbanistiche e quelle relative ai diritti di terzi sono spesso disperse in diverse leggi e spesso sono controverse e la stessa Magistratura ha risolto i singoli casi ma non sempre in maniera concorde e, per di più, raramente ha permesso di stabilire dei principi generali tali da poter tranquillamente seguire. Il vasto complesso di leggi urbanistiche nazionali e regionali, la disciplina urbanistica di ciascun comune, le norme di vicinato sono così complesse che un tecnico difficilmente può averne una sufficiente conoscenza, mentre i legali, per la loro specifica cultura, non riescono a comprendere i problemi tecnici o non sempre sanno interpretarli in modo del tutto corretto. B)
Conoscenze urbanistiche e legali
Ogni costruzione civile (case, strada, ponte, ecc.) incide sull'assetto territoriale e può recare menomazioni ai diritti delle proprietà vicine. Pertanto è necessario che ogni intervento, nel campo delle costruzioni civili debba rispettare ben precise norme che - a grandi linee - sono norme di carattere urbanistico e legale. — Norme e vincoli urbanistici. Perché i centri urbani possano crescere in maniera ordinata e ragionata seguendo una precisa direttiva prestabilita è necessario che vengano predisposti, adottati ed approvati i piani urbanistici. Gli strumenti urbanistici sono graduati per importanza, per estensioni di previsioni e per contenuto e sono completati da norme di attuazione, dai regolamenti comunali edilizi e d'igiene. — Norme e limitazioni di vicinato. L'interesse ed il vantaggio del singolo devono trovare un limite nel diritto dei vicini. I limiti nel disporre della proprietà privata sono fissati da norme di vicinato che sono, per lo più, contenute nel codice civile o variati da regolamenti locali e riguardano distanze dai confini, distanze di vedute, comunione di muri, immissioni, appoggi al muro comune, distanze di pozzi, tubi e fosse fognarie, servitù di passaggio, servitù di elettrodotto, di acquedotto, e di stillicidio apertura di finestre di prospetto o di luce, ecc. ecc.. In caso di violazione di queste ultime norme, che non riguardano l'interesse della collettività, il danneggiato può chiedere che le opere illecite vengano poste in pristino senza neppure la necessità di dimostrare che, da queste opere, gli sia derivato un danno (art. 872 Codice Civile). Viceversa, per la violazione delle altre norme non previste dal codice civile o da queste ispirate che rivestono un pubblico interesse, il danneggiato deve dimostrare l'esistenza di un danno che gli deve esser risarcito, ma non può esigere la rimessa in pristino. Naturalmente la pubblica amministrazione può agire nei confronti di chi ha compiuto l'infrazione — se lo riterrà conveniente per la pubblica
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utilità — applicando penalità, ordinando la demolizione dell'opera o in altri modi che riterrà opportuni. Pertanto, prima ancora di accingersi a studiare un progetto è necessario verificare che le sue previsioni non contrastino con gli strumenti urbanistici, con le loro norme di attuazione, con i regolamenti comunali di edilizia e d'igiene, con le norme del codice civile e con eventuali servitù o limitazioni che dovessero gravare sull'area da costruire (servitù non aedificandi, servitù altius non tollendi, ecc.) e con i vincoli delle varie soprintendenze E' questa un'indagine difficile e complessa soprattutto per quanto riguarda le norme urbanistiche che sono emaciate con frammentarie leggi nazionali, con leggi regionali non sempre chiare ed esaurienti e con le varie norme dei regolamenti comunali di edilizia e di igiene che differiscono da Comune a Comune. La necessità di una sempre più diffusa e capillare programmazione urbanistica ha moltiplicato i tipi di strumenti urbanistici che dai più generali (con previsioni anche geografiche) arrivano ai più particolari (con previsioni topografiche). Si hanno così strumenti di programmazione generale e strumenti attuativi limitati a zone o a insediamenti particolari. Schematicamente si possono così riassumere i vari tipi di strumenti urbanistici. 1 ) Piani di inquadramento che comprendono : a) piano territoriale di coordinamento (art. 5 della legge urbanistica); b) piano paesistico (art. 5 della legge per la protezione delle bellezze naturali del 29 giugno 1939, n. 1497); c) piano regolatore generale intercomunale (art. 12 della legge urbanistica); d) piano di sviluppo urbanistico delle comunità montane (art. 7 della legge 1202/71); 2) Piani generali a) piano regolatore generale comunale (art. 7 della legge urbanistica); b) piano di ricostruzione (art. 3 del D.L. legge 154/45 e legge 1402/51); c) programma di fabbricazione e regolamento edilizio (artt. 33-34 della legge urbanistica); 3) Piani esecutivi a) piano particolareggiato di esecuzione (art. 13 della legge urbanistica); b) piani di zona (P.E.E.P. piani per l'edilizia economia e popolare art. 9 della legge 1962, n. 167 e successive modifiche); c) piani per gli insediamenti produttivi P.I.P. (art. 27 della legge 1971/865);
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d) piani di lottizzazione ad iniziativa privata o comunale (art. 28 della legge urbanistica). e) piani di recupero (L. 1976/457); f) piani pluriennali di attuazione (L. 1977/10). Le fondamentali leggi urbanistiche in sede nazionale sono: — la legge urbanistica fondamentale del 17 agosto 1942, n. 1150 modificata e integrata con la legge 6 agosto 1967, n. 765 (detta "legge ponte"); — la legge 22 ottobre 1971, n. 865 che — al titolo III — reca modifiche alla predetta legge urbanistica; — la legge 28 gennaio 1977, n. 10 - Norme per l'edificabilità dei suoli (detta legge Bucalossi); — legge 5 agosto 1978, n. 457 (Norme per l'edilizia residenziale). Non è questa la sede per dissertazioni di contenuto urbanistico; basterà ricordare pochi basilari punti di queste leggi che hanno stretta attinenza con questo corso: Art. 10 della legge urbanistica (del 17 agosto 1942 modificata e integrata dalla legge 6 agosto 1967, n. 765 ed altre) che così recita: — Chiunque intenda, nell'ambito del territorio comunale: a) eseguire nuove costruzioni; b) ampliare, modificare o demolire quelle esistenti; e) procedere ad opere di urbanizzazione del terreno; deve chiedere apposita licenza (concessione) al Sindaco. L'ultimo comma dello stesso art. 10 della legge urbanistica considera il committente titolare della concessione, il direttore dei lavori e l'assuntore dei lavori solidamente responsabili di ogni inosservanza — in fase esecutiva — sia delle norme urbanistiche generali e di regolamento come delle modalità esecutive che fossero fissate nella concessione edilizia. Eventuali inosservanze di leggi o regolamenti, o difformità della concessione comportano delle severe sanzioni amministrative previste dall'art. 26 della legge urbanistica e in parte modificate dall'art. 15 della legge Bucalossi, ma soprattutto sono configurate, dall'art. 41 della legge urbanistica (modificato dall'art. 17 della legge Bucalossi), come reati penali che comportano per il committente, per il direttore dei lavori e per il costruttore: a) l'ammenda (penale) fino a due milioni nel caso che l'opera, pur autorizzata dal Sindaco, sia difforme dalle leggi urbanistiche, dalle relative norme di attuazione o dai regolamenti comunali o dalla concessione; b) l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda fino a cinque milioni nel caso di esecuzione dei lavori: — in totale difformità dalla concessione; — in assenza di concessione; — di prosecuzione dei lavori nonostante l'ordine di sospensione emanato da qualsiasi autorità competente; — di inosservanza dell'art. 28 della legge urbanistica (lottizzazio-
442 ne di aree a scopo edificatorio). E' anche da notare che la legge Bucalossi ha tolto dal diritto di proprietà del terreno, il diritto di edificarlo ("ius aedificandi") per trasferirlo al Comune. Di conseguenza se il proprietario del terreno vuole edificarlo non può chiedere al Sindaco una "licenza edilizia", ma deve chiedere una "concessione" a titolo oneroso, (art. 1 e 3 della legge Bucalossi). La concessione viene data dal Sindaco al proprietario dell'area (o a chi ne può aver diritto) con le stesse modalità e procedure e con gli stessi effetti previsti dall'art. 31 della legge urbanistica per il rilascio della licenza (art. 14 della legge Bucalossi), ma pur sempre nel rispetto delle previsioni urbanistiche e regolamentari. Peraltro, la concessione può esser rilasciata solo per costruzioni da eseguirsi in determinate zone del territorio comunale che vengono precisate dai Comuni con i programmi pluriennali d'attuazione (art. 13 della legge Bucalossi). L'onerosità della concessione ha riferimento a due distinte motivazioni: — oneri relativi alla urbanizzazione primaria e secondarie. L'incidenza di questi oneri è fissata con delibera del Consiglio Comunale in base a tabelle parametriche definite da ciascuna Regione; — oneri relativi al costo di costruzione. Il contributo relativo al costo di costruzione per i nuovi edifici ammonta ad una cifra variabile dal 5 al 20% del costo delle costruzioni. Il costo delle costruzioni nuove viene annualmente indicato dal Ministero dei lavori pubblici per varie classi di edifici (tipo popolare, civile, di lusso, ecc.). Per interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi. Per alcuni tipi di intervento come interventi in zone agricole, manutenzione ordinaria e straordinaria, per opere da realizzare in attuazione di norme o provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità (alluvioni, terremoto, ecc.) la concessione è a titolo gratuito. Attualmente in quasi tutte le città si è risvegliata una coscienza culturale finalizzata al recupero del patrimonio edilizio esistente nei vecchi centri urbani sia che si tratti di fabbricati storici o monumentali sia che si tratti di fabbricati che abbiano particolare interesse tipologico o ambientale. Gli interventi per il recupero di questi fabbricati erano definiti, nei vari regolamenti comunali, in maniera del tutto diversa. L'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, con definizioni che prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici comunali, ha definito questi interventi di recupero in: a) interventi di manutenzione ordinaria quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecno-
443 logici esistenti; b) interventi dì manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire anche parti strutturali degli edifici; nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche nella destinazione d'uso; c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze d'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio ; d) interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti; e) interventi di ristrutturazione urbanistica quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
C)
Elaborazione del progetto
L'esecuzione di una qualsiasi opera o manufatto presuppone un adeguato studio tecnico economico ed una elaborazione di documenti e grafci che nel loro complesso è chiamato "progetto". Lo studio diligente ed accurato di un progetto è condizione necessaria per la buona riuscita dell'opera che si vuole realizzare. E' naturale che il progetto — secondo la sua importanza — passi attraverso stadi successivi di affinamento che possono essere ben distinti o meno a seconda della natura e dell'importanza dell'opera da seguire. Prima di accingersi allo studio di un progetto oltre alle predette indagini urbanistiche è necessario conoscere con esattezza quali siano gli scopi dell'opera da eseguire, cioè quali siano le necessità cui l'opera deve soddisfare e le caratteristiche cui deve rispondere. Così, per esempio, di una scuola si deve conoscere quale sia il numero di aule e i locali accessori (refettorio, aula magna, palestra, alloggio custode, ecc.) che si vuole vengano realizzati; di un ponte è necessario siano pre-
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fissate la larghezza e la portata; di un alloggio il numero dei vani; ecc. ecc.. Quasi sempre viene anche indicato un limite massimo entro cui devono essere contenute le spese e, quindi, le previsioni del progetto dovranno esser adeguate alle disponibilità finanziarie. E' anche necessario che sia indicato con precisione il terreno sul quale dovrà esser ubicato l'edificio e l'opera da progettare, le strade viciniori, l'orientamento, ecc.. Noti tali elementi il tecnico incaricato di redigere il progetto dovrà: 1) esaminare sul posto il terreno e, farne un rilievo altimetrico e planimetrico per studiare una appropriata distribuzione dell'edificio anche in funzione dell'orientamento, delle vie di accesso delle accidentalità e della forma del terreno, ecc.; 2) esaminare, a varie quote, la natura del terreno per studiare la possibilità di eseguire opere entro terra, per dimensionare opportunamente le fondazioni, e per conoscere la quota della falda freatica; 3) accertare l'esistenza di eventuali servitù o circostanze di fatto che possono limitare la edificabilità del terreno e tener presenti le norme del Codice Civile, dei regolamenti di edilizia, dei piani regolatori per poter progettare un edificio che rispetti detti vincoli, norme e servitù; 4) accertare tutte le circostanze di fatto che possono influire sulla impostazione del progetto e sulla risoluzione dei problemi ad esso inerenti; 5) accertare l'esistenza e le caratteristiche dei pubblici servizi come, ad esempio, l'esistenza di fognature, la quota delle sue condotte e le relative portate, l'esistenza, la potenzialità e la distanza di acquedotti, delle linee elettriche, del gas, ecc. ecc.. Acquisite tutte queste nozioni ed accertate tutte le dette circostanze di fatto, chi è incaricato di redigere il progetto è in grado di iniziarne lo studio. Se il progetto viene eseguito dallo Stato o commissionato da esso ad un libero professionista, o l'opera viene realizzata con il contributo dello Stato, dovranno essere seguite le norme contenute nel decreto del Ministero dei Lavori Pubblici in data 29 maggio 1895, "Regolamento per la compilazione dei progetti di opere dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei Lavori Pubblici" e tutte le norme successive. Altri enti hanno altri regolamenti o disciplinari. In ogni casi tutti questi regolamenti riflettono la necessità di un accurato e completo studio tecnico ed economico indispensabile per redigere dei progetti che siano compilati con rigore tecnico ed in maniera tale da poter essere realizzati compiutamente, anche nei particolari. Diverse e particolari sono le norme per la compilazione delle varie opere: strade, ponti, derivazioni d'acqua, dighe, bacini montani, bonifiche, ecc. e ciò sia per la diversità delle opere da eseguire, sia per la differente legislazione che regola ciascun tipo di opera. Qui si farà riferimento particolare
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alle opere di edilizia in genere, sia perché queste opere sono le più diffuse, sia perché la diversità delle norme non inficia i principi che hanno determinata l'emanazione delle diverse norme a principi che sono sempre ispirati ad una esauriente e particolareggiata previsione tecnico-economica dell'opera. Tutte le indicazioni e prescrizioni che di seguito vengono elencate per la compilazione dei progetti si riferiscono alle norme dettate dal Ministero dei LL.PP. per i progetti di opera eseguite dallo Stato o con il contributo dello Stato. Il privato può seguire formalità diverse, ma è consigliabile seguire le norme dettate dal Ministero LL.PP. perché — frutto di lunghe esperienze — danno sicura garanzia di una completa e precisa compilazione di progetti. Un progetto prima di giungere alla stesura definitiva dovrà passare attraverso stadi di successivo affinamento.
A.2.1.
Progetto di massima
Può anche essere limitato a semplici grafici con scala a grande denominatore che diano un'idea sufficientemente chiara e completa dell'insieme dell'opera (piante e prospetti). Allegato al progetto di massima deve essere predisposto un calcolo sommario di spesa, generalmente ricavato a cubatura vuoto per pieno.
A.2.2.
Progetto esecutivo
Una volta prescelta una soluzione, in seguito al vaglio dei progetti di massima, viene redatto il progetto esecutivo, che dovrà contenere, oltre a tutte le previsioni tecniche fino ai particolari, anche tutte quelle norme tecniche-economiche e legali che possono permettere l'attuazione della opera progettata, anche da persona diversa dal progettista. Così il progetto esecutivo dovrà constare dei seguenti elaborati: A.2.2.1. Relazione (particolarmente necessaria per progetti di Enti Pubblici o per conto dello Stato) La relazione è quel documento che illustra nel suo insieme tutto il progetto da un punto di vista tecnico-economico così da fornire — con chiarezza anche se in maniera sintetica — ogni ragguaglio circa lo scopo del progetto, le previsioni distributive e tecniche e le spese necessarie per realizzarlo nonché i criteri che hanno determinato la scelta progettuale. E' necessario, poi, che nella relazione vengano illustrati tutti quei dati non desumibili dai grafici o difficilmente reperibili negli altri allegati al prò-
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getto e fornire quei chiarimenti atti a dimostrare l'utilità e la funzionalità dell'opera da eseguire in forma ed in maniera tale da derimere ogni possibile dubbio o incertezza in chi dovrà esaminare ed approvare il progetto. Così si dovranno descrivere i sistemi costruttivi adottati, indicando i tipi di fondazione previsti, i tipi di solai, di coperture, ecc.. Importante è la descrizione degli impianti di riscaldamento o condizionamento, idraulico, sanitario, elettrico, ecc.. Merita di esser illustrata la sistemazione e destinazione delle aree scoperte (parcheggi, zone alberate, gioco dei bambini, ecc.) ed i percorsi. Ed infine è importante concludere con le considerazioni economiche rimandando, per i dettagli, alla stima dei lavori, ma indicando con precisione tutte le spese necessarie per realizzare l'opera e cioè indicando le previsioni di spesa non soltanto per le opere murarie ed affini, per gli impianti, per le opere da fabbro, ecc. ma elencando anche le spese accessorie come le spese per gli allacciamenti alla rete urbana della fognatura, alla rete di distribuzione dell'energia elettrica, dell'acqua e del gas, nonché le spese per progettazione, direzione e sorveglianza dei lavori ed eventualmente le spese per collaudo, nonché una somma stimata in percentuale relativa agli imprevisti (circa il 5% del costo dell'opera), ed una somma non inferiore al 15 + 20% per far fronte, in questo periodo di aumento di prezzi, ad una eventuale revisione dei prezzi, nonché gli oneri previsti dalla legge Bucalossi. La relazione è il primo allegato al progetto perché — logicamente — è quello che per primo viene esaminato. Peraltro viene redatto per ultimo perché deve riassumere tutti i dati risultanti dagli altri elaborati. A.2.2.2. Grafici L'insieme dei grafici dovrà, con disegni in scala appropriata, individuare nel suo insieme e nei particolari l'intera opera da eseguire. Tutti i grafici dovranno riportare (su di un reticolo disegnato, secondo le norme UNI, in basso a destra del disegno) i dati più interessanti e cioè il titolo dell'opera, l'oggetto della tavola, la scala del disegno, la data, le generalità e la qualifica del progettista. Potrà esser anche riportato il numero progressivo della tavola, il numero di archivio, il titolo del disegno, ecc.. Per una maggior efficacia espressiva dei grafici è consigliabile usare per le piante e sezioni (in scala 1:50 ed in scala 1:100) i seguenti pennini: — per le linee grosse (parti sezionate) i pennini 0,4 mm ; — per le linee sottili (parti in vista e indicazioni di misure) i pennini 0,15 mm; - per le linee a tratti (proiezioni di parti non viste) i pennini 0,2 mm; - per le linee a tratto e punto (indicazioni dei piani di sezione), i pennini 0,3 mm. I prospetti vengono preferibilmente disegnati con un unico spessore sen-
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za chiaro scuri (pennino 0,16 continuo) per tutte le linee ed i dettagli. Normalmente un comune progetto comprende i seguenti grafici: 1) estratto della mappa catastale dove è indicato il lotto di terreno da edificare ed una vasta area circostante (non dimenticare di indicare l'orientamento); 2) rilievo del terreno (scala 1:500 e ingrandimento 1:200) nella quale vengono indicati, in pianta, il fabbricato ed i vari corpi di fabbrica, la relativa altezza, le misure principali degli edifici e le distanze di questi dai confini delle strade. E' pure necessario rappresentare in pianta le misure delle strade ed i fabbricati vicini con le distanze dai confini e le relative altezze, perché possa esser verificato il rispetto delle norme che presiedono alla distanza dai confini e dagli edifici vicini, e le altezze di progetto. 3) Pianta delle fognature. Nella stessa scala delle piante o in scala a denominatore maggiore dovrà esser predisposta una pianta relativa ai manufatti per la raccolta e la depurazione delle acque di rifiuto ed alle condotte di allontanamento delle stesse. Nel caso che nella zona ove dovrà sorgere il fabbricato esista una vera fognatura (e non solo delle tombinature per la raccolta e l'allontanamento delle acque) dovranno esser tenute rigorosamente distinte le acque bianche dalle acque nere. 4) Pianta delle fondazioni. Tale pianta riporta, con linee grosse, lo spiccato dei muri portanti o dei pilastri al piano terra e — con linee più sottili — l'ingombro delle fondazioni alla quota ove queste vengono eseguite nello scavo precedentemente predisposto. In tale pianta vengono indicati gli "assi" delle fondazioni e le quote o misure vengono riferire alle distanze tra asse ed asse perché sia più facile e sicuro il tracciamento dell'edificio. La scala del disegno della pianta delle fondazioni è, generalmente, eguale a quella dei piani sovrastanti. 5) Pianta di tutti i piani compresi gli scantinati, i sottotetti e la pianta del tetto. Queste piante vengono disegnate — generalmente — in scala 1:100 od 1:50 a seconda del tipo di edificio. Si userà la scala 1:100 per edifici molto estesi e con piante semplici, mentre si userà la scala 1:50 per opere ove necessita un maggior dettaglio. Per opere particolari saranno usate le scale 1:20 e 1:25. In ogni caso la scala del disegno è precisata nei regolamenti comunali. Le piante devono esser oggetto di particolare diligenza ed è necessario che riportino tutte le misure e tutte le indicazioni perché l'opera possa esser realizzata secondo le precise ed esplicite previsioni del progettista senza lasciare all'esecutore alcuna libertà di soluzione. Le misure si riferiscono sempre al "rustico" dell'edificio e ciò non soltanto per omogeneità fra le strutture intonacate e quelle prive di intonaco,
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ma anche perché tale sistema permette una più esatta compilazione del computo metrico. Le misure ("quote") vanno indicate al di fuori delle piante. La disposizione delle misure deve avere una successione logica e quindi le quote minori vanno poste più vicine alla figura e le maggiori, somma delle precedenti, sempre più esterne. Dovranno esser poste più vicine alla figura le misure relative all'interasse dei fori di porte e finestre ed, esternamente a queste, le misure dei locali e lo spessore dei muri. Nelle piante non è sufficiente indicare lo spessore dei muri, le misure dei locali e le misure di insieme, ma è necessario indicarne altre. Per le finestre, le misure sono convenzionalmente indicate con un segno di frazione posto in asse alla finestra e con a numeratore la larghezza e a denominatore l'altezza della finestra. E' conveniente indicare il verso di apertura delle singole ante specie per finestre ad una, tre o più ante. Per le porte è necessario indicare la loro esatta ubicazione riferendo l'asse del relativo foro, alle murature. Per le porte è essenziale indicare il verso di apertura non solo in rapporto all'ingombro di apparecchi fissi (lavandini, WC, radiatori, lavatrici, ecc.) ma anche in relazione alla funzionalità del verso di apertura. Per la misura delle porte si usa — come per le finestre — una indicazione convenzionale riportando sopra la linea indicante l'asse, la larghezza della porta, e, sotto a detta linea, la sua altezza. Poiché il tipo delle porte usate può esser diverso per i vari locali (cantine, porte basculanti per garage, porte in ferro o in legno, ecc.) può anche esser indicata per ciascuna porta una sigla convenzionale di riferimento che rimanda ai particolari costruttivi delle porte stesse redatti su una tavola riferentesi ai serramenti, siano essi in legno, ferro o alluminio. Per le scale dovranno esser indicate il numero e l'entità delle alzate e delle pedate dei gradini, la profondità dei pianerottoli nonché l'aggetto dei gradini. Dovranno esser indicati tutti gli scarichi, gli sfiati, le canne fumarie, gli ingombri degli apparecchi fissi (bagni, docce, lavelli, WC, ecc.). A parte i grafici che verranno predisposti appositamente per i progetti degli impianti, nelle tavole del progetto architettonico dovranno esser indicate: le nicchie o l'ubicazione dei radiatori; la posizione ed il tipo dei punti luce (deviazione, commutazione) e delle prese, ecc. ecc.. E' bene anche rappresentare l'ubicazione dei doccioni di gronda, la direzione della tessitura dei solai, la superficie di pavimento di ogni locale, ecc.. Nelle piante — a tratteggio grosso — dovranno esser indicati i piani secondo cui verranno disegnate le sezioni distinguendole tra loro (Sezione A.B, Sezione C D). Non bisogna dimenticare di indicare nelle piante l'orientamento e pos-
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sibilmente la direzione dei venti dominanti. Quanto sopra esposto circa la compilazione delle piante ha valore puramente indicativo. In ogni caso è necessario tradurre l'idea del progettista nel modo più completo, efficace ed esauriente senza trascurare alcun particolare. Se il progetto è relativo al restauro od alle trasformazioni di un edificio civile è consuetudine, ormai radicata, indicare sia sulle piante che sulle sezioni, con colore giallo, le parti da demolire e con colore rosso quelle da farsi nuove oppure tratteggiare le prime e punteggiare le seconde. 6) Sezioni. Le sezioni longitudinali e trasversali dell'edificio devono esser in numero sufficiente ad individuare tutte le variazioni altimetriche dell'edificio ed a precisare le modalità costruttive non rilevabili dalle piante. Pertanto i disegni delle sezioni dovranno esser eseguiti su piani significativi come per es. in corrispondenza delle scale o nel punto ove i piani dovessero risultare sfalsati tra loro, ecc.. Nelle sezioni oltre alle normali quote, è bene indicare le "quote di livello" delle strutture orizzontali (solai, pianerottoli, cornicioni, poggioli, ecc.) e cioè la distanza intercorrente tra la struttura ed il piano 0,00 che può esser il piano convenzionale di campagna, il piano del marciapiede, ecc.. 7) Prospetti. E' necessario disegnare, sulla scorta delle piante e delle sezioni tutti i prospetti dell'edificio per sincerarsi della buona riuscita estetica dell'opera e non limitarsi a disegnare il solo prospetto principale. Nel caso di un complesso edilizio formato da più corpi di fabbrica è consigliabile riportare in un unico disegno, l'insieme dei vari edifici visti dalle quattro esposizioni principali per poter avere una visione d>'insieme dei vari corpi e poter valutare l'effetto estetico del complesso. Nei prospetti non vanno indicate misure o quote se non in casi assolutamente eccezionali. L'uso moderato ed oculato di retini adesivi potrà dare un valore plastico ai disegni dei prospetti. 8) Disegni dei particolari. Non tutti i particolari possono esser rappresentati nelle piante e nelle sezioni e devono, quindi, esser oggetto di uno studio particolare, attento e approfondito. Pertanto si rende necessario allestire altri grafici riportanti tutti i particolari che possono esser di carattere costruttivo o decorativo. L'attento studio della distribuzione dell'edificio, l'accurata risoluzione dei problemi statici, l'opportuna previsione degli impianti, verrebbe in parte frustrato se non si studiassero e se non si rappresentassero, con grafici, anche tutti i particolari che — unitamente all'impostazione generale dell'opera — la caratterizzano e la distinguono da altre e non la fanno cadere nell'anonimato di tutti quegli edifici le cui finiture sono lasciate alla discrezione del costruttore che, per consuetudine o pigrizia, tende a ripetere, in tutti i casi, i particolari di gradini, inferriate, serramenti ecc., che ha più volte eseguito.
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Pertanto le previsioni dei particolari devono essere accurate e minuziose e tradotte in tanti grafici quante sono le categorie particolari di lavoro cui si riferiscono. Si dovranno allestire, quindi, anche le seguenti tavole di particolari: a) Particolari delle opere in legno (porte e finestre) con misure del telaio, schema e senso di apertura, particolari dei nodi e delle giunzioni. Dovranno esser indicate l'essenza del legno, i tipi di lastronatura o di impellicciatura, nonché lo spessore dei serramenti e il tipo di ferramenta di attacco e chiusura. A conclusione di tali grafici si può, talvolta, riportare l'ordinativo dei serramenti e cioè indicare, generalmente su casellario, quanti pezzi di ciascun serramento, nelle varie misure e tipi, dovranno esser approvvigionati. b) Particolari dei serramenti metallici. Nel caso siano previsti serramenti metallici si predisporranno i relativi grafici dei particolari ed eventualmente l'ordinativo come per i serramenti in legno. c) Particolari delle opere in ferro. Agli effetti funzionali ed estetici è molto importante lo studio e la rappresentazione dei parapetti in ferro, della ringhiera delle scale, delle recinzioni, ecc.. E' bene prevedere l'uso di profilati che facilmente si trovino sul mercato. d) Pietre da taglio e marmi. A meno che non si tratti di elementi molto semplici (come le soglie) è necessario disegnare i particolari per le opere in marmo o in pietra (naturale o artificiale) usando una scala opportuna (anche 1:1 oppure 1:2), indicando con chiarezza i sistemi di fissaggio od ancoraggio. e) Opere particolari. Non sempre sulle piante, sezioni o prospetti possono esser riportati esaurientemente i particolari di alcune strutture o decorazioni. E' pertanto necessario che tali particolari vengano studiati ed indicati con appositi e dettagliati disegni. Cornicioni di gronda, gradinate particolari, scale elicoidali, murette di recinzione, ecc. possono esser oggetto di precise previsioni esecutive e quindi di grafici particolari. Tra questi particolari si possono includere la rappresentazione (in scala 1:20) di elementi di sezione e di prospetto dell'intero edificio disegnati in corrispondenza dei piani caratteristici. In tali particolari di facciata e di sezione dovranno esser indicati tutti i materiali impiegati (tipi di mattoni, sottofondi inerti o isolanti, pavimenti, tipi di intonaci, ecc. ecc.) nonché gli eventuali rivestimenti con i sistemi di ancoraggio, il grado di finitura, e dovranno esser indicati i riferimenti ai particolari sviluppi di dettaglio. 9) Disegni costruttivi e degli impianti. Quando un edificio abbia una struttura portante in cemento armato o metallica, il progetto dovrà esser corredato di tutti i grafici esecutivi delle strutture e delle relative relazioni
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di calcolo. Analogamente, a corredo degli elaborati del progetto, dovranno esser prodotti i calcoli ed i grafici di tutti gli impianti (riscaldamento, condizionamento, idrico, elettrico, di riscaldamento) ecc.. La descrizione particolareggiata di tali disegni e delle relative relazioni di calcolo esula dai limiti della presente trattazione e, generalmente, anche dal progetto architettonico. Per le opere pubbliche, il progetto delle strutture e degli impianti è, normalmente, demandato al costruttore. A.2.2.3. Computo metrico E' un elaborato non meno importante degli altri ed a cui deve essere dedicata una cura scrupolosa perché dalla sua diligente compilazione dipende un sicuro accertamento preventivo delle somme necessarie per eseguire l'opera progettata. Il computo metrico costituisce generalmente un solo allegato al prospetto, ma sarà diviso in più parti, secondo le varie categorie di lavori'o di spesa, seguendo — per quanto possibile — l'ordine dell'esecuzione delle opere. In generale il computo metrico sarà suddiviso come segue: 1)
Occupazioni di terreni
Il computo metrico dei terreni indicherà le dimensioni, la quantità, la qualità ed i prezzi dei terreni da edificare, nonché gli estremi catastali (sempre che il terreno non sia già disponibile). 2)
Movimento, distribuzione e trasporto di terre
In questa seconda parte del computo metrico devono esser previsti tutti i movimenti, la distribuzione ed il trasporto di terre. Tale previsione è basilare per opere stradali ed idrauliche, viceversa per i fabbricati ha minore importanza al punto che può esser conglobata con il computo delle opere d'arte. 3)
Opere d'arte e lavori diversi
Il computo per le opere d'arte verrà eseguito con metodi particolari e diversi da caso a caso. Generalmente però — per ragioni d'ordine pratico — si raggruppano le varie categorie di opere (opere in terra, opere murarie, calcestruzzi, opere da pittore, da falegname, da idraulico, da elettricista, ecc. ecc.) seguendo l'ordine di esecuzione dei lavori. Bisognerà calcolare con esattezza le quantità delle singole opere tenendo conto dei sistemi di misura fissati nel capitolato per le varie categorie di opere.
452 Così si computeranno a m3 gli scavi di terra, le murature grosse, i calcestruzzi ecc.; a m2 i solai, i coperti, gli intonaci e i rivestimenti, i pavimenti; a numero gli apparecchi sanitari; a kg il ferro; a metro lineare le grondaie in lamiera, i corrimano, ecc. A.2.2.4. Analisi dei prezzi Prima di procedere alla stima preventiva dei lavori da eseguire è necessario valutare i prezzi unitari. I prezzi delle opere edilizie in generale variano non soltanto con il variare degli elementi che li compongono (materiali e manodopera) ma anche con altri fattori contingenti e connessi con il particolare lavoro. Variano, cioè, con la distanza dai luoghi di approvvigionamento, variano con la maggiore o minore difficoltà di trasporto dei materiali in conseguenza di strade più o meno agevoli, variano con il particolare tipo di strutture da eseguire; variano con la circostanza che gli operai debbano o meno pernottare in cantiere ecc. ecc.. Di conseguenza è necessario determinare prima il costo unitario di ciascuna categoria d'opera eseguendo un'analisi accurata di tutte le voci che concorrono alla sua formazione, e cioè: — manodopera qualificata o comune, — materiali, — noli, — trasporti. Conosciuto il costo dell'opera si aggiunge ad esso, in percentuale, una aliquota per spese generali ed una aliquota per l'utile dell'appaltatore e si ha così il prezzo dell'opera da tener a base per la stima preventiva dei lavori. Lo Stato riconosce dal 13 al 15% per spese generale e il 10% sul costo dell'opera aumentato per le spese generali. Pertanto lo Stato riconosce globalmente sul "costo" dal 24,3 al 26,5% per quantificare il "prezzo" (art. 14 della Legge 10/12/1981, n. 741). A.2.2.5. Preventivo di spesa II preventivo di spesa persegue lo scopo di accertare preventivamente l'ammontare di tutte le spese per l'esecuzione dell'opera e delle spese accessorie ad essa strettamente collegate per fornire al committente una esatta indicazione delle spese che dovrà affrontare. Il preventivo di spesa è generalmente diviso in due parti principali: a) importi a base d'asta (per eseguire lavori da appaltare), b) spese di amministrazione diretta (oppure "somme a disposizione della stazione appaltante") per altre spese (allacciamenti, spese di sorveglianza, spese per collaudi, ecc.). Gli importi a base d'asta sono la previsione delle spese per l'esecuzione delle singole categorie di opere da affidare ad una o più imprese specializzate e viene redatta applicando i prezzi unitari risultanti dalle analisi alle
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quantità delle diverse categorie di lavoro accertate dal computo metrico. Spesso il computo metrico delle opere da appaltare ed il preventivo di spesa costituiscono un unico allegato al progetto. In esso, di seguito all'entità totale di ogni singola categoria di lavoro, è indicato il prezzo unitario e l'importo complessivo. Si ha in questo caso un unico allegato al progetto chiamato "computo metrico-estimativo". Le somme in amministrazione diretta contengono le previsioni di tutte le altre spese come quelle necessarie per l'esecuzione di opere particolari da affidare per trattativa a ditte altamente specializzate; le spese per allacciamenti a pubblici servizi (luce e forza elettromotrice, fognature, gas, acqua, ecc.) le spese tecniche (progetto, direzione lavori, sorveglianza, collaudo, ecc.), nonché gli oneri previsti dalla legge Bucalossi. E' bene ipotecare una somma per "imprevisti": e cioè per quelle maggiori opere che fosse necessario eseguire e che non fossero state prese in esame nel computo metrico o perché non prevedibili o perché rilevatesi necessarie per l'esecuzione di piccole varianti in corso d'opera. La somma ipotecata per imprevisti è molto diversa da lavoro a lavoro. Può esser minima per un progetto di case popolari appaltato a forfait ed invece sarà elevata per un lavoro di risanamento o restauro durante il quale possono emergere necessità di eseguire opere di consolidamento statico che non potevano esser previste e che si appalesano soltanto durante il corso dei lavori. In questo periodo di continua crescita dei prezzi e in particolare dei prezzi di costruzione, è anche da prevedere una somma per la "revisione dei prezzi" di cui si dirà al seguente paragrafo H. Revisione dei prezzi e che consiste in un compenso, previsto dall'art. 1664 del Codice Civile, nel caso che il prezzo di appalto superi del 10% quello concordato per un imprevisto aumento del costo della manodopera e/o dei materiali. Pertanto lo schema generico di un preventivo di spesa può esser il seguente ed andrà integrato o semplificato a seconda dei casi particolari.
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A.2.2.6. Capitolati Bisogna distinguere con tutta chiarezza, tra capitolati generali, capitolati speciali tipo e capitolati speciali. a) Capitolati generali che contengono le norme da seguire nelle gare d'appalto, i criteri per aggiudicare i lavori nonché i principi e le condizioni generali che regolano gli appalti di qualsiasi tipo di lavoro (edile, stradale, idraulico, ecc.)- Ogni amministrazione può avere un proprio capitolato generale (Ministero LL.PP.; Ferrovie; Genio militare, ecc.). b) Capitolati speciali tipo che contemplano le condizioni generali ed i principi che regolano gli appalti di un ben preciso tipo di lavoro. I capitolati speciali tipo derivano direttamente dai capitolati generali cui devono necessariamente uniformarsi e contengono tutte quelle norme particolari che si possono adottare solo per un determinato tipo di lavoro (edile, stradale, idraulico). II capitolato speciale tipo per le opere di edilizia detterà norme sulle modalità di esecuzione dei muri, dei pavimenti, degli intonaci, mentre il capitolato speciale tipo per le opere stradali detterà norme sulle modalità di esecuzione dei sottofondi stradali, dei manti di copertura ed usura, ecc.. I capitolati speciali tipo prevedono tutte le norme e le possibili clausole relative ad un ben preciso tipo di lavoro e possono quindi servire come falsariga per i capitolati speciali da allegare ai progetti quando vengano opportunamente integrati con tutti quei dati che hanno una peculiare attinenza
455 con quella specifica opera da appaltare (descrizione ed ubicazione dell'opera, suo importo, previsione del tempo di esecuzione, ecc.), e vengono opportunamente sfrondati da tutte quelle clausole e modalità che non si dovessero attagliare alla specifica opera da eseguire. c) Capitolati speciali. Sono quegli allegati del progetto che possono esser elaborati sulla falsariga dei capitolati speciali tipo e contengono tutte le norme, condizioni, prescrizioni e previsioni per quel determinato, specifico lavoro da appaltare. Ogni Aministrazione (Ministero dei lavori pubblici, Ferrovie dello Stato, Genio Militare, ecc.) hanno loro particolari capitolati generali che devono tutti, però, inquadrarsi nello spirito e nella lettera del R.D. 23/5/1924 n. 827 - Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato (G.U. n. 130 del 3/6/1924) quando queste Amministrazioni dipendono dallo Stato. Le stesse Amministrazioni hanno talvolta predisposti dei capitolati speciali tipo. Se il diligente ed oculato studio delle condizioni particolari cui l'opera è soggetta e se le soluzioni tecniche prescelte permettono l'elaborazione di un progetto che dia garanzia di un buon risultato tecnico, funzionale ed estetico dell'opera, l'oculata e precisa compilazione del capitolato speciale dà le migliori garanzie di una condotta dei lavori sicura e priva di controversie a tutto vantaggio della buona e tempestiva riuscita dell'opera, nello interesse del committente e dell'appaltatore. Pertanto nella compilazione del capitolato è necessario prevedere ogni e qualsiasi eventualità possibile. Poiché le varie clausole del capitolato sono interdipendenti tra di loro è necessario che l'una sia concatenata all'altra e che non siano contraddittorie. E' necessario esser assolutamente chiari nella forma e rigorosi nelle prescrizioni per evitare interpretazioni ambigue. Particolare cura dovrà esser posta nel precisare i sistemi di misura e nel dettagliare le varie voci dell'elenco dei prezzi specificando tutti gli oneri, finiture, grado di lavorazione di ogni opera. Il capitolato non deve contenere clausole contrarie alle leggi e — possibilmente — agli usi locali, deve includere tra le prescrizioni e tra gli oneri a carico dell'Impresa solo quelli di cuì si è tenuto conto in sede della determinazione dei prezzi unitari, deve fissare norme eque e prevedere tempi di esecuzione possibili. Il capitolato è predisposto dal progettista per conto del Committente e l'appaltatore non può che accettarlo o rinunciare al lavoro. E' naturale perciò che tutte le norme in esso contenute tendano a garantire più il Committente che l'Impresa. Ma non è equo né giusto approffittare di tale circostanza: pertanto è bene che il capitolato contenga non solo clausole che garantiscono il Committente, ma anche quelle che possano tutelare l'appaltatore.
456 Di seguito — per dare un esempio di capitolato — si prenderà in esame il capitolato speciale redatto dal servizio tecnico del Ministero dei Lavori Pubblici per gli appalti di opere edilizie che è anche il capitolato speciale di uso più corrente (si compra in librerie specializzate). Il capitolato speciale per appalti di lavori edilizi del Ministero dei LL.PP. (e quasi tutti gli altri) si articola in tre capitoli: — Capo I
— Oggetto ed ammontare dell'appalto. Designazione, forma e principali dimensioni delle opere; — Capo II — Qualità e provenienza dei materiali. Modo di esecuzione di ogni categoria di lavoro. Ordine da tenersi nell'andamento dei lavori; — Capo IH - Disposizioni particolari riguardanti l'appalto. Sistemi di misurazione dei lavori. Elenco dei prezzi. A)
Nel primo capitolo vengono indicati:
1) L'oggetto dell'appalto e cioè le indicazioni sommarie relative all'opera da eseguire con l'indicazione della ubicazione del terreno da edificare, numero dei fabbricati e degli alloggi, tipo della costruzione. 2) // modo d'appalto e cioè se i lavori vengono compensati a misura, a forfait, in economica, ecc.. 3) L'ammontare dell'appalto. Si indica cioè — sulla scorta del preventivo di spesa - l'importo presunto dei lavori suddivisi per categorie e cioè, per esempio, nel caso di edifici civili, si raggruppano gli importi previsti per scavi, murature varie, solai, soffitti, e coperti, opere in cemento armato; intonaci, decorazioni; opere in marmo o in pietra da taglio; opera in ferro; opere da elettricista; opere da pittore, ecc. ecc.. 4) Designazione sommaria delle opere. In questo articolo vengono descritte succintamente le opere da eseguire indicandone le principali caratteristiche tecniche, e ciò per dare una idea chiara — anche se schematica — non solo dell'entità dell'opera, nel suo complesso, ma anche delle eventuali difficoltà tecniche di esecuzione delle singole opere. 5) Forma e principali dimensioni dell'opera. E' anche necessario descrivere l'opera da eseguire in rapporto alla sua forma ed alle sue dimensioni perché tali caratteristiche possono influire sul prezzo dell'opera e sulla attrezzatura necessaria per eseguirla. In questo articolo vengono riassunti i dati principali relativi alla forma e alle dimensioni dell'opera completandoli con quelli che non fossero desumibili dai grafici. B)
Il secondo Capitolo del capitolato è suddiviso in tre parti principali:
Nella prima parte sono precisate minuziosamente le qualità, le caratteristiche meccaniche, chimiche, di resistenza ecc. cui devono rigorosamente
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corrispondere i materiali da impiegarsi su fornitura dell'Impresa. Per i materiali per i quali sono previste da decreti o leggi, ben precise norme di accettazione, possono esser richiamati i relativi decreti di legge. La seconda parte del secondo capitolo del capitolato speciale è — praticamente — un manualetto contenente le buone norme e le regole per la buona esecuzione di tutte le opere. In esso vengono prese in esame tutte le opere particolari come scavi, sbancamenti, paratie, palificazioni, vari tipi di murature, opere in cemento armato, solai, soffitti, coperti, pavimenti di vario tipo. Per ciascuna opera sono prescritte la qualità, gli spessori e le quantità dei materiali da impiegare nonché le modalità esecutive ed ogni altro particolare perché ciascuna opera possa esser compiuta nel migliore dei modi. Ed infine la terza parte del secondo capitolo del capitolato prevede l'ordine cronologico che dovrà esser tenuto nella esecuzione dei lavori. E' sempre consigliabile lasciar facoltà all'Impresa di sviluppare i lavori secondo suoi criteri conseguenti, oltre che alla natura e tipo dei lavori stessi, anche all'attezzatura dell'impresa ed al tempo concesso contrattualmente per l'esecuzione dell'opera. Peraltro è bene aggiungere una clausola per la quale il committente ha facoltà di richiedere che un determinato lavoro sia eseguito in un prefissato tempo e ciò soprattutto per esigenze dipendenti dalla esecuzione di opere o dalla consegna di forniture non comprese nell'appalto. Cosi si potrà ordinare che entro un ragionevole termine siano posti in opera i davanzali perché il falegname possa provvedere al collocamento in opera delle finestre che siano oggetto di altro appalto, e si può pretendere che alcuni solai di copertura siano ultimati prima del giungere della cattiva stagione per poterne permettere l'impermeabilizzazione durante la stagione calda che è la più favorevole per tale lavoro. C)
Nel terzo capitolo del capitolato speciale sono, per lo più riportate norme di carattere amministrativo o relative all'andamento dei lavori e cioè :
1) Osservanza del capitolato generale. E' necessario che sia indicato con tutta precisione a quale capitolato generale si intenda far riferimento citandone esattamente il titolo e tutti gli estremi atti ad individuarlo in maniera non equivocabile. Meglio ancora se si provvede ad allegare al contratto, copia a stampa del capitolato cui si fa riferimento, copia che si può reperire facilmente in commercio, se si tratta del capitolato del Ministero dei Lavori Pubblici. 2) Documenti che fanno parte del contratto. Formano parte integrante del contratto d'appalto, il capitolato generale, il capitolato speciale ed i disegni di progetto che vanno minutamente elencati. Sono esclusi dal contratto tutti gli altri elaborati del progetto come la relazione, l'analisi dei prezzi, il computo metrico e la stima dei lavori.
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Questi ultimi documenti, anzi, non vanno mai forniti all'Impresa perché questa non abbia modo di trarre argomenti per avanzare richieste di maggiori compensi. 3) Cauzione provvisoria. La cauzione — in generale — è quella somma che si versa a garanzia di determinati obblighi assunti o da assumere e che può esser incamerata quando, chi la presta, non assolva agli obblighi assunti. Solo per partecipare ad una gara d'appalto, è necessario che le varie imprese versino — a garanzia — una somma in denaro o in titoli del debito pubblico o garantiti dallo Stato, detta "cauzione provvisoria" il cui importo varia tra il decimo ed il ventesimo dell'importo a base d'asta (art. 2 del Capitolato Generale). Nel capitolato speciale dovrà esser precisato l'importo della cauzione provvisoria e le particolari modalità di deposito della stessa. 4) Cauzione definitiva (art. 3 del capitolato generale). Nel capitolato speciale deve esser previsto anche l'importo della cauzione definitiva, e cioè di quella somma — in contanti o con fidejussione — che l'appaltatpre deve versare alla Stazione Appaltante alla stipula del contratto a garanzia degli obblighi che si assume con il contratto stesso. Normalmente l'importo della cauzione definitiva è fissata nel 5% (un ventesimo) dell'importo d'appalto al netto del ribasso d'asta offerto dall'impresa appaltatrice ma — in casi particolari — può arrivare fino ad un massimo del 10%. Inoltre la Stazione Appaltante ha il diritto di impiegare tutta o parte della cauzione per far fronte alle spese per l'eventuale esecuzione d'ufficio di lavori non ben riusciti e che l'appaltatore non volesse rifare. La cauzione definitiva viene restituita all'appaltatore (o la fidejussione viene svincolata) soltanto dopo che il collaudo dei lavori sia stato approvato dalla Stazione Appaltante. 5) Tempo ultimo per l'ultimazione dei lavori e penale in caso di ritardo (art. 29 del capitolato generale). Il capitolato speciale deve fissare il tempo per l'esecuzione dei lavori. Il tempo generalmente viene indicato in giorni naturali, successivi e consecutivi comprendendo in essi — quindi — anche i giorni festivi. Il tempo di esecuzione dei lavori viene computato dalla data del verbale di consegna e cioè dal giorno in cui il direttore dei lavori ha ufficialmente dato il via ai lavori a seguito di ricognizione del luogo ove le opere dovranno esser eseguite. L'appaltatore, per il tempo che impiegasse in più del termine contrattuale fissato per l'esecuzione dei lavori, salvo i casi di ritardi a lui non imputabili, deve rimborsare alla Stazione Appaltante le spese di assistenza e sorveglianza ed in più deve sottostare ad una penale pecuniaria che viene fissata preventivamente nel capitolato speciale in ragione di ogni giorno di ritardo, restando salvi il rimborso di eventuali danni cagionati con il ritardo. 6) Pagamenti in acconto. Il capitolo terzo del capitolato generale indica genericamente sulla scorta di quali elementi debbano esser corrisposti
459 all'appaltatore le rate di acconto e di saldo e contempla anche i casi di ritardato pagamento delle rate di acconto ed il relativo riconoscimento di interessi all'Impresa. Nel corso dell'esecuzione dei lavori devono esser corrisposti all'appaltatore (sulla scorta dei dati risultanti dai libri contabili, circa i quali si dirà quando verrà trattata la conduzione dei lavori) pagamenti in acconto in rapporto alla quantità di lavoro eseguito. Vanno anche comprese nelle rate di acconto eventuali prestazioni in economia di manodopera o materiali o eventuali anticipazioni in denaro fatte dall'Impresa ai sensi dell'art. 28 del capitolato generale per la esecuzione di opere in economia o per provviste relative ai lavori appaltati ma non compresi nel contratto (art. 1 della Legge 12/1/1974). Circa l'entità delle trattenute di garanzia da effettuare sugli acconti, le attuali norme prescrivono che corrispondono al 5% dell'importo netto complessivo dei lavori eseguiti. Inoltre, poiché a norma dell'art. 19 del capitolato generale, l'appaltatore ha l'obbligo di osservare tutte le norme e prescrizioni dei contratti collettivi, delle leggi e dei regolamenti sulla tutela, protezione, assicurazione ed assistenza dei lavoratori viene effettuata una ulteriore trattenuta dello 0,5% che viene accantonato per far fronte a detti oneri se l'appaltatore dovesse trascurarne l'adempimento. 7) Conto finale. Nel capitolo speciale dovrà esser fissato il tempo entro cui, dopo l'ultimazione dei lavori accertata dal certificato di ultimazione dei lavori, deve esser predisposto il conto finale. Tale tempo deve esser ragionevolmente breve e commisurato alla natura dell'opera. 8) Visita di collaudo. Il termine entro cui deve compiersi la visita di collaudo, ove non fosse indicato nel capitolato speciale un tempo diverso, deve esser effettuata dopo sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori (art. 38 del capitolato generale). 9) Oneri ed obblighi diversi a carico dell'Appaltatore. Responsabilità dell'Appaltatore. Oltre agli oneri specificatamente previsti dagli articoli 11, 15, 16, 17, 18 e 19 del capitolato generale a carico dell'Appaltatore dovranno esser specificati, nel capitolato speciale, tutti gli oneri che di volta in volta e per ogni singolo lavoro, vengano imposti all'Impresa. Tutti questi obblighi ed oneri devono esser elencati dettagliatamente e devono esser imposti — per equità — solo quelli di cui si è tenuto conto nella formazione dei prezzi. 10) Norme per la misurazione e valutazione delle opere. Nel capitolo generale è prescritto che le varie partite di lavoro devono esser valutate esclusivamente con misure geometriche, escludendo ogni altro metodo. Nel capitolato speciale devono esser minuziosamente previsti gli specifici criteri di misurazione e valutazione di tutte le singole opere previste nell'elenco dei prezzi e tutti gli oneri accessori compresi nel prezzo. Per esempi in proposito si rimanda ai vari capitolati speciali tipo.
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lì)Invariabilità dei prezzi. L'art. 37 del capitolato generale prescrive che i prezzi di appalto si intendono fissi ed invariabili. Pertanto è opportuno che nel capitolato prima dell'elenco dei prezzi, sia ricordato che i prezzi sono fissi invariabili per ogni eventualità e che si intendono accettati dall'appaltatore a seguito di calcoli di sua convenienza e che — nel loro complesso — sono remunerativi e tali da consentire il ribasso offerto, salvo l'applicazione delle disposizioni di legge sulla revisione dei prezzi nei termini e secondo le norme vigenti al momento in cui verrà chiesta l'eventuale revisione (cfr. paragrafo H). 12) Elenco dei prezzi. In calce al capitolato sarà riportato l'elenco dei prezzi presi a base per compilare il preventivo di spesa e che verranno usati per compensare i lavori eseguiti dall'appaltatore. Anche per opere eseguite a forfait si completerà il capitolato con l'elenco dei prezzi per poter contabilizzare eventuali opere eseguite in più o in meno in rapporto alle previsioni contrattuali. Particolare cura dovrà esser posta nell'indicare l'unità di misura e cioè indicare se l'opera viene compensata al mi, a m 2 , a m 3 , a kg; o a numero ecc. per evitare facili contestazioni. Il prezzo e l'unità di misura è bene che siano indicati in cifre ed in lettere per maggior chiarezza.
B)
Approvazione del progetto
Una volta che il progetto sia stato completato ed abbia soddisfatto il committente dal punto di vista funzionale, estetico ed economico, è necessario che — prima di procedere alla sua realizzazione dando inizio ai lavori — venga approvato dalle pubbliche autorità a ciò preposte o interessate alla realizzazione dell'opera. Verranno di seguito elencate le approvazioni che più comunemente si devono ottenere tralasciando le molte altre che di volta in volta è necessario richiedere.
B.l — Approvazione del sindaco Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche o intenda demolire quelle esistenti o abbia in programma l'esecuzione di opere di urbanizzazione, deve presentare un idoneo progetto e deve chiedere apposita concessione al Sindaco competente per territorio (art. 31 della legge 7 agosto 1942 n. 1150 modificata ed integrata dalla legge 6 agosto 1967 n. 765 e con legge 28 gennaio 1977, n. 10). Naturalmente, il Sindaco, per vagliare le richieste e per concedere o negare le concessioni edilizie, dovrà avvalersi di vari organi tecnici il cui parere, però, non è per lui vincolante.
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Solo le Amministrazioni statali sono esenti dall'obbligo di richiedere la concessione edilizia, ma esse devono comunicare preventivamente i progetti al ministero dei lavori pubblici cui compete accertare — d'intesa con le amministrazioni interessate e sentito il Comune — che le opere da eseguirsi non siano in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore e del regolamento edilizio vigenti nel territorio comunale in cui esse ricadono (art. 29 e 31 della legge urbanistica). Talvolta il Sindaco condiziona il rilascio della concessione edilizia alla preventiva approvazione del progetto da parte di altri Enti. Così, se si tratta di un fabbricato monumentale da restaurare, o di un fabbricato nuovo da erigere in zona vincolata, il Sindaco deve richiedere la preveventiva approvazione del progetto da parte della Soprintendenza ai monumenti. Se si tratta di un cinema, di un deposito di materiale esplosivo, il Sindaco può richiedere la preventiva approvazione del progetto da parte dei Vigili del Fuoco. La concessione edilizia rilasciata dal Sindaco ha soltanto il valore di "permesso a costruire" ma non può esser fatta valere nei confronti di terzi che venissero lesi nei loro diritti per effetto della costruzione intrapresa. Infatti il Sindaco autorizza una costruzione che sia concepita in armonia con le norme urbanistiche e regolamentari, ma non è in grado di conoscere e di vagliare eventuali vincoli particolari che, per una qualsiasi ragione, colpiscono il fondo (servitù di passaggio, servitù "altius non tollendi", diritti di veduta, ecc.).
B.2 — Approvazione dei vigili del fuoco I Vigili del Fuoco non hanno soltanto il compito di intervenire in caso di calamità come incendi, alluvioni od altro, ma hanno, per preciso scopo istituzionale, anche quello di prevenirli. Di conseguenza i Vigili del Fuoco devono poter esaminare i progetti di edifici che per la loro destinazione o per i materiali o per la loro mole possano destare preoccupazioni di pericolo in ordine al loro uso. Così per i cinematografi, per i locali pubblici, per edifici molto alti, per garages, per depositi di materiali infiammabili è necessaria la preventiva approvazione del progetto anche da parte dei Vigili del Fuoco. Anche per fabbricati con struttura in acciaio è necessario il parere dei Vigili del Fuoco.
B.3 — Approvazione della soprintendenza ai monumenti Le "cose" di interesse storico ed artistico ("cose" che interessano la paelontologia, la preistoria, la -numismatica, i manoscritti, le incisioni non-
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che le ville i parchi ed i giardini che abbiano interesse storico od artistico) devono sottostare alle norme previste dalla Legge 1 giugno 1939, n. 1089 - Tutela delle cose di interesse artistico e storico. In mancanza di regolamento di attuazione hanno ancora valore i vecchi regolamenti di cui al R.D. 30 gennaio 1913, n. 363 e il R.D. 11 gennaio 1923,n.204. Le bellezze naturali e cioè le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o singolarità geologica, le ville, i giardini ed i parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, sono protetti dalla Legge 29 giugno 1939, n. 1497 - Protezione delle bellezze naturali, che è completata dal regolamento di applicazione emanato con R.D. del 3 giugno 1940, n. 1357. Pertanto, chi intenda eseguire lavori su fabbricati di interesse storico o artistico o in ambienti di importanza monumentale o paesaggistica dovrà presentare i progetti dei lavori o le previsioni di modifica alle Soprintendenze regionali competenti per territorio e dovrà astenersi da qualsiasi intervento o lavoro di modifica o di adattamento fino a quando non abbia avuto l'autorizzazione della stessa Sovraintendenza.
B.4 — Approvazione dello Stato o della Regione Se l'opera da eseguire è finanziata dallo Stato o dalla Regione o se il committente è un ente da essi tutelato, il relativo progetto deve esser sottoposto all'esame dei relativi organi tecnici che possono essere il Genio Civile, l'Ufficio Tecnico della Regione, il Provveditorato regionale alle opere pubbliche, il Consiglio Superiore dei lavori pubblici, l'ANAS o altri enti competenti per il territorio o per tipo d'opera. Questi organi periferici o centrali esaminano i progetti per accertare non soltanto la loro validità tecnica, ma anche per accertare che siano stati compilati con il rigoroso rispetto delle istruzioni generali dettate per la esecuzione dei progetti per conto dello Stato e delle particolari disposizioni della legge in forza della quale viene elargito il contributo e lo esaminano sotto il profilo amministrativo per accertarsi che la spesa complessiva sia contenuta nelle somme ammesse a contributo. Alcuni enti locali, opere assistenziali, opere pie, ecc. sono poste, per legge, sotto il controllo degli organi di controllo regionali e pertanto, se detti enti devono eseguire dei lavori di costruzione o restauro hanno l'obbligo di sottoporre all'approvazione di detti organi non soltanto i progetti ma anche il piano economico per la loro realizzazione. Nel caso che le opere debbano esser eseguite in zone sismiche, qualsiasi progetto deve esser approvato dal Genio Civile unitamente ai calcoli
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di stabilità. Il Genio Civile deve accertare che le previsioni del progetto, i metodi di calcolo delle strutture, il numero dei piani ecc. siano conformi alle prescrizioni della legge 2 febbraio 1974, n. 64 ed alle norme di cui al D.M. 3 marzo 1975, n. 39 che regolamentano le costruzioni in zone sismiche.
C)
Appalto
L'appalto secondo l'art. 1655 del Codice Civile, è il contratto con il quale una parte assume, con l'organizzazione dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro. Trascurando gli appalti riferentesi alla fornitura di servizi, ed anche quelli riferentesi alla fornitura di materiali, esamineremo soltanto gli appalti riguardanti l'esecuzione di opere. Oggetto dell'appalto può essere la costruzione di una diga, di una strada, di un edificio, di un impianto industriale, di una nave ecc. e cioè oggetto dell'appalto può essere l'esecuzione di un'opera completa, ma l'appalto può avere per oggetto anche l'esecuzione di opere parziali e cioè l'esecuzione del solo rustico di un edificio, l'esecuzione di sole capriate in ferro o cemento armato, l'esecuzione dell'impianto di riscaldamento o l'esecuzione delle sole opere da falegname. Diverse possono essere le forme di appalto: C.1 — Appalto a misura Cioè a prezzi unitari singoli prestabiliti da applicarsi ad ogni categoria di opere e provviste (prezzo delle murature, dei solai, degli intonaci). Le opere vengono misurate in contraddittorio sul posto, contabilizzate e valutate con i prezzi unitari. Con tale sistema il committente non è sicuro del costo a consuntivo che risulterà più o meno paragonabile al preventivo a seconda delle più o meno esatte previsioni del preventivo stesso e delle maggiori o minori varianti introdotte durante l'esecuzione dei lavori. L'appaltatore corre pochi rischi in quanto gli è facile stabilire a priori il prezzo unitario delle singole opere e può, con più precisione, determinare un ribasso indipendentemente dalla quantità assoluta dei lavori da eseguire. C.2 — Appalto a forfait Cioè a prezzo complessivo prefissato ed immutabile e comprendente tutti o parte dei lavori, provviste, opere provvisionali ecc. per consegnare
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un'opera completamente finita in ogni parte. Il forfait può comprendere tutte le opere per dare finito l'edificio (murarie, da idraulico, da pittore, da falegname, ecc.) e tale da esser subito agibile (chiavi in mano); oppure può riguardare determinate categorie di opere (il rustico dell'edificio, l'impianto di riscaldamento, lo scavo di sbancamento per le cantine, la demolizione di un vecchio edificio). Il committente, con tale tipo di appalto, conosce a priori il prezzo finale, salvo le varianti che volesse introdurre. Per evitare controversie, il progetto per un appalto a forfait deve essere minuzioso e dettagliato nei grafici, completo e non equivoco nella descrizione dei lavori. L'appaltatore oltre che determinare il prezzo di ogni singola opera deve conteggiare a priori, e con tutta esattezza, la quantità di ogni opera da eseguire. Ogni sua errata valutazione può avere gravi conseguenze economiche.
C.3 — Appalto in economia Si ha quando si compensa l'appaltatore non in funzione della quantità delle opere eseguite, ma sulla scorta della manodopera e dei materiali elementari forniti. Si tratta del sistema più dispendioso d'appalto (anche se denominato in economia) sia perché manca nell'appaltatore ogni stimolo di eseguire sollecitamente ed economicamente i lavori, sia perché difficilmente la sorveglianza è efficiente. Si adotta l'appalto in economia solo per particolari lavori di restauro o in tutti quei casi in cui non si possono prevedere prezzi unitari per categorie di opere o le opere non possono esser misurate convenientemente.
C.4 — Appalto a cottimo Si ha un appalto a cottimo quando il committente provvede direttamente a fornire i materiali e l'appaltatore assume l'incarico di fornire ed organizzare la manodopera per l'esecuzione di un determinato lavoro, provvedendo agli obblighi assicurativi degli operai ed assumendosene ogni responsabilità. Il lavoro viene conteggiato a misura secondo l'unità che a ciascuna opera compete. I cottimi sono praticamente degli appalti a misura per ristrette categorie di lavori; si appaltano a cottimo, per esempio, gli intonaci oppure la posa dei rivestimenti, ecc.. Tale tipo di appalto è convenuto più spesso dall'appaltatore dell'opera
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(la strada, il ponte, la casa) nei confronti di "cottimisti" e cioè di gruppi di operai associati cui viene fornito ogni materiale e che sono specializzati nell'esecuzione di determinate opere. Questa forma di appalto — stimolando l'interesse economico dei cottimisti — permette rapide esecuzioni di lavoro, ma, spesso, a detrimento della buona esecuzione. Questo tipo di appalto è avversato da sindacati dei lavoratori. D)
Gara di appalto
Il Committente privato non è soggetto ad alcuna formalità per scegliere l'appaltatore; egli commetterà l'opera a quell'impresa che, tra quelle che gli ispirano più fiducia, gli offre le condizioni più vantaggiose. Nessuno, peraltro, può vietare al privato di scegliere l'appaltatore che pur richieda un prezzo maggiore se questi gli ispira più fiducia. Gli Enti pubblici, invece, debbono sottostare a tutto quel complesso di norme che regolano i pubblici appalti e che sono contenute nelle norme per l'Amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato e non hanno libera scelta dell'affidare l'esecuzione dei lavori. In particolare gli enti pubblici devono rispettare il R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 (Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato pubblicato sulla G.U. n. 275 del 23 novembre 1923) ed il regolamento di attuazione emanato con R.D. 23 maggio 1924 n. 827 (Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato), nonché le norme dettate dalla legge 2 febbraio 1973 n. 14 pubblicato sulla G.U. del 24 febbraio 1973 n. 51 (norme sui procedimenti di gara negli appalti di opere pubbliche mediante licitazione privata) che poi è stata chiarita dalia circolare dell'8 marzo 1973 n. 2795 del Ministero LL.PP. (Ispettorato Gen. A.N.C, e contratti). Data la complessità delle norme dettate dal decreto e dal suo regolamento è meglio sintetizzare di seguito le più comuni modalità di appalto. Per l'aggiudicazione dei lavori ad una impresa bisogna distinguere: a) le formalità di appalto e cioè la prassi con cui si bandice e si esplica la gara di appalto ; b) i criteri che vengono seguiti per l'aggiudicazione, in base all'offerta delle ditte. Esaminiamo prima le varie forme con cui si predispongono le gare di appalto per poi passare ai criteri di aggiudicazione dell'appalto. D.1 — Forme di aggiudicazione Si è già detto che il committente privato può appaltare l'esecuzione dell'opera ad una impresa di sua fiducia che, peraltro, può esser scelta richie-
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dendo — senza alcuna formalità — a più imprese il prezzo e le condizioni alle quali sono disposte ad attuare un ben preciso progetto secondo un prefissato tipo di appalto (a misura o forfait). Così il committente privato, predisposto il progetto ed il capitolato che dovrà dare in visione alle Imprese, potrà seguire uno dei seguenti metodi. — predisporre anche un elenco dei prezzi unitari delle varie opere (scavo di terra, murature, solai, intonaci, ecc.) e richiedere alle imprese che ribasso sono disposte a praticare sui prezzi proposti per eseguire l'appalto a misura ; — predisporre, in sintesi, l'elenco e le quantità delle singole opere da eseguire (scavi, calcestruzzi, muri, solai, ecc.) e richiedere alle Imprese una offerta di prezzi per le singole opere. Dalla somma del costo delle singole opere, il committente desume il prezzo complessivo di appalto; — predisporre un'accurata e completa elencazione descrittiva di tutte le opere da appaltare (senza indicarne la quantità) e richiedere all'impresa una offerta forfettaria del prezzo d'appalto. Con uno qualsiasi di questi sistemi il committente privato ha la possibilità di paragonare le varie offerte sotto un profilo esclusivamente economico. Il committente privato, peraltro, non ha l'obbligo di affidare l'appalto a quell'impresa che ha fatta l'offerta economicamente più vantaggiosa. Egli, infatti, può — a suo insindacabile giudizio — affidare l'appalto a quell'impresa che pur non avendo fatta l'offerta economicamente più favorevole, gli dia maggior garanzia di serietà e capacità tecnica ed organizzativa. Viceversa gli enti pubblici per aggiudicare l'appalto devono attenersi alle complesse e rigorose norme soprarichiamate. In base a tali norme, i contratti dai quali derivi una spesa per lo Stato (forniture, trasporti, lavori riguardanti le varie amministrazioni o i vari servizi dello Stato) devono essere preceduti da gare mediante pubblico incanto o licitazione privata a giudizio discrezionale dell'Amministrazione (art. 3 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440). I principali tipi di gare di appalto per i lavori pubblici vengono esaminati di seguito.
D.l.l
Asta pubblica (art. 36, 37, 63, 64, 65 e seguenti del regolamento per l'Amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato - R.D. 23 maggio 1924, n. 827)
Questo sistema è quello che viene indicato come il più usuale per selezionare l'Impresa che dovrà eseguire il lavoro, in effetti, viene adottato
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molto raramente e soltanto per quei lavori che comportano particolari difficoltà tecniche esecutive od organizzative, attrezzature speciali e notevole impegno finanziario. All'asta pubblica possono partecipare senza invito, ma volontariamente e liberamente, tutte le imprese iscritte nell'Albo dei costruttori per quel determinato tipo di lavoro e per quel determinato importo purché si trovino nelle condizioni previste dall'avvio d'asta. L'amministrazione appaltante ha, però, la piena ed insindacabile facoltà di escludere dalla gara, prima dell'espletamento formale dell'asta, qualsiasi concorrente senza che l'escluso possa reclamare alcuna indennità né possa pretendere che gli siano rese note le ragioni dell'esclusione {art. 68 del Regolamento di cui al R.D. del 23 maggio 1924, n. 827). Sono, invece, tassativamente ed obbligatoriamente escluse dal fare offerte quelle persone o quelle ditte che nell'eseguire altro appalto si siano rese colpevoli di negligenza o malafede. L'esclusione di queste ultime ditte o persone viene formalmente dichiarata, con atto insindacabile, dalla competente amministrazione centrale (art. 68 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827). Quando si procede alla gara mediante asta pubblica, l'Ufficio presso il quale si deve procedere alla stipulazione del contratto fa pubblicare l'avviso d'asta almeno quindici giorni prima del giorno fissato per l'incanto (gara) e per l'aggiudicazione, purché tale giorno non sia festivo. Il termine di quindici giorni non è perentorio e può esser ridotto a cinque giorni in casi di particolare urgenza. Gli avvisi d'asta sono pubblicati nell'albo dei comuni ove devono esser effettuati i lavori e, secondo l'importanza delle opere, anche sul foglio degli annunci legali della provincia, sul Bollettino ufficiale regionale o sulla Gazzetta Ufficiale. L'avviso d'asta deve indicare (art. 65 del Regolamento R.D. 23 maggio 1924, n. 827): 1) l'autorità che presiede l'incanto (gara) nonché il luogo, il giorno, l'ora in cui viene eseguita la gara; 2) l'oggetto dell'asta; 3) la qualità ed il prezzo a base d'asta dell'opera d'appaltare; 4) il termine per l'esecuzione dei lavori; 5) gli uffici presso i quali si può prender visione dei progetti e delle condizioni che disciplinano l'appalto; 6) l'elenco dei documenti che comprovino l'identità e la capacità tecnica dei concorrenti (ivi compresi il certificato penale, il certificato dei carichi pendenti, ecc.), 7) il metodo con cui seguirà l'asta ed il modo di presentazione delle offerte se si tratta di offerte segrete; 8) il deposito cauzionale che deve esser effettuato dai concorrenti, le modalità di deposito e le tesorerie presso le quali dovrà esser effettuato il deposito (ai srrrer-derTart. 2 del Capitolato generale dello Stato Decreto
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del Presidente della Repubblica del 16 luglio 1962, ri. 1063, il deposito cauzionale deve variare fra 1/10 ed 1/30 dell'importo a base d'asta. Generalmente è pari a 1/30 dell'importo a base d'asta); 9) se l'aggiudicazione sia definitiva ad unico incanto oppure se sia soggetta ad offerte di ribasso o di aumento che non potranno essere inferiori al ventesimo del prezzo di aggiudicazione; 10) se, nel caso ad offerte segrete, si procederà alla aggiudicazione anche quando venga presentata una sola offerta. Le ditte ammesse a partecipare alla gara per aver modo di rendersi conto del tipo e dell'entità dei lavori, delle loro caratteristiche tecniche, delle eventuali difficoltà esecutive, possono esaminare i grafici di progetto, il capitolato speciale e l'elenco dei prezzi presso l'ente appaltante o — eventualmente — anche presso i suoi uffici distaccati. Solo dopo tale esame la ditta potrà, con perfetta cognizione di causa, proporre un ribasso sui prezzi di capitolato, ribasso che gli deve consentire un giusto margine di utile come la ditta stessa deve dichiarare con documento allegato all'offerta. L'art. 330 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 - Legge sulle opere pubbliche - allegato F (G.U. del 27 aprile 1865) prevede tassativamente che possono esser esibiti all'appaltatore (e, poi, allegati al contratto) soltanto: — i grafici del progetto dell'opera da appaltare; — il capitolato speciale d'appalto con l'elenco dei prezzi unitari. Non devono esser mai resi noti all'appaltatore tutti gli altri elaborati del progetto come la relazione, il computo metrico estimativo, le analisi dei prezzi, ecc.. La "ratio" di questa norma è di evitare eventuali e possibili contestazioni da parte dell'appaltatore, basati sull'esame di questi documenti che — del resto — non possono fornire all'appaltatore alcun elemento per formulare la sua offerta. Le offerte fatte dalle Imprese, unitamente alla prova dell'avvenuto deposito cauzionale e agli altri documenti richiesti dall'avviso d'asta, devono prevenire all'ente appaltante — in plico sigillato — entro il termine indicato dall'avviso d'asta. Questo termine è rigorosamente perentorio e non differibile per alcuna ragione. Il regolamento prevede che l'invio del plico possa esser fatto o a mezzo di posta o a mezzo di terze persone. Peraltro, il R.D. 20 dicembre 1937 n. 2339 dà facoltà alle Amministrazioni appaltanti (e questa è divenuta la prassi usuale) di prescrivere, con l'avviso d'asta, che le offerte dei concorrenti alla gara, unitamente alla prova dell'avvenuto deposito cauzionale e a tutta la documentazione richiesta, siano inviate esclusivamente per posta con plico sigillato e raccomandato in modo che pervengano all'Ufficio appaltante non più tardi del giorno precedente a quello fissato per la gara.
469 Ogni altra offerta, recapitata oltre la data prefissata, anche se fosse aggiuntiva o sostitutiva d'altra offerta, non deve esser considerata valida e viene automaticamente scartata, senza neppure prender visione del suo contenuto.
D.1.2
Licitazione privata (art. 38, 39, 89 del regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato R.D. 23 maggio 1924 n. 827).
Nei casi più comuni e nei casi previsti dall'art. 89 del regolamento, la gara d'appalto viene espletata con il sistema della licitazione privata. La differenza che esiste tra asta pubblica e licitazione privata consiste soltanto nel fatto che all'asta pubblica possono partecipare tutte le Imprese che si trovano nelle condizioni indicate nell'avviso d'asta, mentre nella licitazione privata è l'Amministrazione che invita a partecipare alla gara soltanto alcune ditte (purché iscritte all'albo degli appaltatori) che siano di sua fiducia e che sono particolarmente idonee, per capacità tecnica e finanziaria e per attrezzatura, ad eseguire quel particolare lavoro oggetto dell'appalto. Nel caso di licitazione privata, l'avviso d'asta è sostituito dall'invito alla gara che, peraltro, deve esser compilato con gli stessi criteri e accorgimenti dell'avviso d'asta. Anche nel caso di licitazione privata è concesso alle Imprese di esaminare il progetto, il capitolato e l'elenco dei prezzi. Nel caso di gara per licitazione privata, l'invio delle offerte e degli altri documenti dell'ente appaltante, deve esser effettuato con le stesse modalità e formalità previste per le gare espletate con il sistema d'asta pubblica. Recentemente Vart. 1 detta legge 2 febbraio 1913 n. 14 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 1973 {Norme sui procedimenti di gara negli appalti dì opere pubbliche mediante licitazione privata), ha introdotto una importante innovazione nella prassi burocratica per l'esperimento di gara col sistema della licitazione privata, per evitare che la gara di appalto possa andar deserta perché tutte le ditte invitate non vogliano partecipare alla gara o perché oberate da altri lavori o per qualsivoglia altra ragione. L'art. 7 della citata legge, infatti, prevede che — in caso di licitazione privata per opere pubbliche — l'ente appaltante ha l'obbligo di dare preventivo e pubblico avviso della sua intenzione di procedere ad una gara per l'aggiudicazione di un determinato lavoro. In tal modo tutte le imprese che sono interessate all'esecuzione del lavoro possono far domanda all'ente appaltante per esser invitate alla gara. L'avviso della gara deve esser pubblicato sul foglio delle inserzioni della Gazzetta Ufficiale della Repubblica, se l'importo dei lavori da appai-
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tare sia almeno pari ad un miliardo e duecentomilioni di lire. Se l'importo dei lavori da appaltare è inferiore ad un miliardo e duecentomilioni, l'avviso di gara deve esser pubblicato sul bollettino ufficiale della Regione nella quale ha sede la stazione appaltante. In ogni caso l'avviso d'asta deve esser pubblicato, per estratto, sui principali quotidiani o su almeno due dei quotidiani che hanno particolare diffusione nella regione ove ha sede la stazione appaltante. Solo nel caso in cui l'importo dei lavori posti a gara non raggiunga i cento milioni di lire l'avviso della gara viene affisso all'Albo pretorio del Comune ove ha sede l'ente appaltante. L'avviso di gara deve contenere (art. 7 della legge del 2 febbraio 1973 n. 14): a) l'indicazione dell'ente che intende appaltare i lavori e l'Ufficio al quale devono essere indirizzate le domande degli interessati per essere invitati alla gara; b) l'indicazione sommaria delle opere da eseguire, nonché l'importo a base di appalto (anche approssimativo) quando la conoscenza del medesimo sia necessaria per presentare l'offerta; c) la procedura che si intende adottare per l'aggiudicazione dei lavori; d) la concessione di un termine, non inferiore a dieci giorni dalla pubblicazione dell'avviso d'asta, entro il quale gli interessati possono chiedere di esser invitati alla gara. Ogni Impresa che abbia i requisiti richiesti ed abbia interesse a partecipare alla gara può chiedere all'ente appaltante di essere invitata a partecipare all'incanto, ma tale richiesta non obbliga l'ente appaltante ad invitarla. Ciò, in ossequio al principio generale (sancito dall'art. 68 del R.D. del 23 maggio 1924 n. 827) secondo cui l'ente appaltante può, insindacabilmente, escludere dalla gara, senza darne motivo, quelle imprese che ritenga non idonee. E' anche prescritto che gli inviti alla gara devono essere diramati alle singole ditte entro i centoventi giorni precedenti alla data di pubblicazione del'awiso di gara. Se dopo i predetti centoventi giorni l'ente appaltante non ha dato corso alla gara deve rinnovare l'intera procedura relativa all'avviso di gara.
D.1.3
Trattativa privata (art. 41 del Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità dello Stato - R.D. 23 maggio 1924 n. 827).
In realtà la trattativa privata non può essere considerata una gara di appalto perché è una modalità inconsueta e anomala per aggiudicare un determinato e modesto lavoro che viene seguita mediante trattativa diretta e
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bonaria con poche ditte prescelte dall'ente appaltante. A questa forma di aggiudicazione si ricorre eccezionalmente e nei casi previsti dalla legge o dai regolamenti e soltanto in concorrenza di determinate circostanze per cui non sia conveniente o possibile seguire utilmente le forme dei pubblici incanti e della licitazione privata. La trattativa privata può essere adottata o per lavori particolari o quando la licitazione privata o il pubblico incanto siano andati ripetutamente deserti per mancanza di offerte (art. 41 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827). Da un diretto contatto tra ente appaltante ed Impresa è possibile, talvolta, indurre qualche ditta ad appaltare il lavoro, magari apportando qualche modifica alle condizioni contrattuali o al progetto (per lo più sulle finiture) senza alterare sostanzialmente il risultato e la natura dell'opera. D.l .4
Offerta dei prezzi (art. 4 del R.D. dell'8 febbraio 1923, n. 422).
E' un tipo di gara quasi mai usato per i lavori pubblici mentre è abbastanza comune per i lavori privati. Il committente desume dal computo metrico dell'opera da appaltare tutte le quantità delle singole opere che intende appaltare (scavi, muri, solai, intonaci, tinte, impianti, serramenti, ecc.) e ne consegna l'elenco (in duplice copia) all'appaltatore unitamente al capitolato e ai grafici di progetto. L'appaltatore — eseguendo calcoli di sua convenienza — applica i prezzi da lui ritenuti equi e remunerativi alle quantità delle singole opere ottenendo il costo di ciascuna singola opera (calcestruzzi, muri, intonaci, solai). La somma dei prezzi delle singole opere costituisce il prezzo di appalto che viene proposto dalle singole imprese su parità di qualità e di quantità di opere da eseguire. Naturalmente il committente pubblico dovrà affidare l'appalto a quella ditta che ha fatto l'offerta che sia globalmente più vantaggiosa, mentre il privato potrà derogare da questo principio esclusivamente economico e, per affidare l'appalto, potrà tener conto di altri fattori come la serietà dell'impresa, le maggiori garanzie tecniche che può offrire, ecc.. Il lavoro poi prosegue come un qualsiasi lavoro a misura o a forfait. (L'argomento è più diffusamente tratto al punto D.2.5 del successivo paragrafo Criteri per l'aggiudicazione dell'appalto). D.l.5
Appalto concorso (art. 4 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 e artt. 40 e 91 del Regolamento di cui al R.D. del 23 maggio 1924, n.827).
E' un tipo anomalo di gara di appalto che ha anche suscitato critiche e dissensi, ma che viene ancora usato con relativa frequenza.
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Si adotta (con invito a singole ditte o con pubblico avviso aperto a tutte le ditte) per l'esecuzione di opere particolari per le quali l'amministrazione pubblica ritenga conveniente utilizzare una pluralità di competenze di comprovato valore tecnico, artistico o scientifico ; oppure nei casi nei quali una diversa soluzione tecnica, pur non mutando il risultato funzionale dell'opera, può comportare una notevole differenza di spesa per l'adozione di tecniche differenti. Nel caso di appalto-concorso, la committenza non predispone un progetto ed un capitolato, ma invita persone o ditte, ritenute idonee e particolarmente qualificate, a presentare un loro progetto per la costruzione di una precisata opera (ospedale, viadotto, diga, magazzini generali, impianto di riscaldamento, elettrico o di condizionamento, ponte sullo stretto di Messina ecc.)- L'ente committente deve però precisare in un "disciplinare" le caratteristiche e le dimensioni dell'opera. A titolo di esempio l'ente appaltante potrà specificare nella lettera di invito che: — i magazzini generali posti a base dell'appalto-concorso devono avere reparti di stoccaggio comune di una determinata superficie e cubatura, che le celle frigorifere devono assicurare una certa temperatura e debbono avere superfici e volumi prestabili, che gli uffici devono comprendere un determinato numero di locali, determinati servizi, ecc.; — un ponte dovrà avere una determinata lunghezza e larghezza e dovrà essere atto a portare prefissati carichi; — un macello dovrà avere determinate caratteristiche igieniche, prefissati impianti di depurazione, capacità prestabilite di sosta per gli animali, capacità prefissata di macellazione giornaliera, che le celle frigorifere dovranno avere prefissate temperature cubature e caratteristiche, ecc.. L'ente appaltante oltre a tutte queste prescrizioni che devono essere dettagliate ed alle quali ogni concorrente — pena l'esclusione — deve attenersi, mette a disposizione la cartografia necessaria ed esatta, i rilievi altimetrici e planimetrici, e deve anche fornire i dati per lo scolo delle acque, ecc. ed ogni altro dato che possa risultare necessario o utile per una esaurinte ed esecutiva progettazione. Ogni concorrente, pena l'esclusione della gara, dovrà far pervenire entro il termine perentorio fissato nella lettera di invito non soltanto il progetto, ma anche l'indicazione del prezzo che richiede per l'esecuzione dell'opera (prezzo, generalmente, forfettario) e un elenco di prezzi unitari per le eventuali varianti nonché la precisazione del tempo di esecuzione dell'opera. Naturalmente ogni concorrente dovrà presentare tutti gli elaborati e tutte le indicazioni specificatamente richieste nella lettera d'invito e ogni concorrente, inoltre, dovrà illustrare e giustificare le soluzioni adottate, dovrà precisare l'idoneità dei materiali, delle tecniche costruttive e degli impianti che si impegna a fornire producendo calcoli e verifiche tecniche (magari sommarie) e dovrà garantire la buona qualità e il buon risultato del-
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l'opera circa i quali è l'unico responsabile. L'amministrazione appaltante, poi, seguendo la prassi indicata nell'invito o nell'avviso di gara, procederà alla scelta del progetto, che ritiene preferibile non sulla scorta del minor prezzo, ma tenendo anche conto degli elementi tecnici delle singole offerte, delle garanzie di capacità tecnica e di serietà della ditta concorrente e di ogni altro elemento. Il giudizio dell'amministrazione appaltante è insindacabile e le motivazioni della scelta sono assolutamente riservate. Se l'amministrazione appaltante dovesse ritenerlo utile od opportuno può avvalersi del parere consultivo di una commissione di esperti appositamente nominata. L'ente appaltante, quasi sempre, si riserva la facoltà insindacabile di poter non prescegliere alcun progetto e di non dichiarare vincitrice dell'appalto-concorso alcuna ditta, nel caso in cui dovesse ritenere — a suo insindcabile giudizio — che nessuno dei progetti presentati sia idoneo allo scopo, o anche per qualsiasi altra ragione. L'amministrazione appaltante può chiedere delle modifiche al progetto prescelto e la ditta dovrà apportarle sotto la propria responsabilità. Il progetto prescelto verrà dato in appalto alla ditta che lo ha presentato e, così, la ditta vincitrice troverà il compenso, per la predisposizione del progetto, nell'utile dell'appalto. L'art. 4 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, prevede che nessun compenso o rimborso possa esser riconosciuto alle persone o alle ditte per la predisposizione del progetto o per altre analoghe prestazioni. E' proprio questa mancanza di compensi che è stata, ed è, oggetto delle maggiori critiche dell'appalto-concorso, perché non è equo invitare imprese o persone a concorrere, con la propria opera qualificata e con un notevole dispendio finanziario, alla migliore riuscita dell'opera prevista, senza riconoscere loro alcun compenso e neppure la rifusione delle spese sostenute. E' pur vero che i concorrenti conoscono l'alea che corrono, ma è altrettanto vero che l'ente appaltante trae un notevole e gratuito vantaggio nel poter scegliere il migliore tra i progetti presentati da persone o ditte particolarmente qualificate. Si è cercato di ovviare a questa palese ingiustizia con una successiva normativa. Infatti, l'art. 2 del D.L. del 28 agosto 1924, n. 1396 pur riconfermando il principio che a nessun concorrente spetta alcun compenso per la progettazione, riconosce all'ente appaltante la facoltà di far proprio qualche altro progetto pagandolo al prezzo fissato nella lettera diirìvito, come pure riconosce all'Amministrazione appaltante la facoltà di concedere compensi o parziali rimborsi di spese a favore degli autori di quei progetti che, pur non prescelti, presentino particolari pregi. Anche questo emendamento alla legge originaria è però vanificato da
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rimborsi o compensi che sono assolutamente irrisori e comunque molto modesti. Con il sistema dell'appalto concorso, l'amministrazione ha il vantaggio di poter scegliere la migliore fra diverse soluzioni (tutte proposte da concorrenti qualificati), e il concorrente vincitore vede compensata la propria opera ottenendo l'appalto dei lavori mentre tutti gli altri concorrenti, che pure si sono sobbarcati a spese ed a qualificato lavoro, non ricevono compenso alcuno oppure sono costretti a cedere l'uso del loro progetto o di parte di esso per un compenso irrisorio senza poter pretendere niente altro che il modesto compenso che fosse, eventualmente, previsto nell'invito all'appalto-concorso. D.1.6
Commessa
Questa modalità atipica di appalto, che va sempre più diffondendosi per lavori di una certa consistenza e complessità, prevede un "capo-commessa" (che generalmente è un'impresa, ma può anche non esserlo) che assume in proprio l'onere di fornire al committente un'opera compiuta e subito agibile (chiavi in mano) o un impianto provvedendo, anche a mezzo di altre ditte, ad eseguire tutte le categorie di opere necessarie (opere murarie, idrauliche, stradali, elettriche, impiantistiche, arredamenti, ecc.). Il capo-commessa può anche fornire il progetto dell'opera. Ad esempio, con il sistema di appalto per "commessa", è stato costruito in Arabia Saudita, da una ditta italiana, l'edificio del Ministero della pubblica istruzione completo di strutture metalliche, di tamponamenti, di finiture, di impianti di condizionamento, della piccola moschea, di elaboratori di dati, di fognature, di strade, di sistemazioni esterne, di arredamento così, che, per il giorno prefissato, tutto il complesso edilizio era pronto per accogliere i dipendenti ministeriali per iniziare subito il loro diuturno lavoro. Altro esempio può esser dato da una società immobiliare che vuole creare un centro turistico. Il capo-commessa, stipulando singoli contratti di appalto a proprio nome e sfruttando la propria organizzazione, provvede all'esecuzione dell'intero complesso eseguendo acquedotti, fognature, strade, impianti generali elettrici, case, alberghi, cinema ecc. e talvolta, formando anche l'arredamento e — se richiesto — provvedendo all'esecuzione delle attrezzature sportive (piscine, porti e banchine oppure rifugi, impianti di risalita, ecc.). Il capo-commessa, nei confronti del committente, è l'unico responsabile di eventuali vizi o difetti di una qualsiasi opera così come lo è un comune appaltatore che abbia eseguito l'opera personalmente o con la propria impresa. Il capo-commessa, peraltro, come committente delle singole opere, può rivalersi, con analoga garanzia,nei confronti delle singole ditte che hanno eseguito i lavori.
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D.2 — Criteri per l'aggiudicazione dell'appalto Si è già detto che l'appaltatore privato può affidare l'esecuzione dei lavori a un qualsiasi appaltatore di sua fiducia, mentre l'appaltatore pubblico deve seguire una rigida prassi che regolamenta le modalità delle gare di appalto nonché i criteri per aggiudicarli in modo da evitare favoritismi o brogli. Questi criteri erano dettagliatamente previsti dall'art. 73 e seguenti del Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato (R.D. 23 maggio 1924, n. 827). Comunemente veniva affidata l'esecuzione dei lavori a quella ditta che aveva offerto il maggior ribasso, ed aveva, cioè, fatta l'offerta più conveniente per l'appaltante. Questo criterio ottusamente economico, aveva, però, dato dei risultati non sempre soddisfacenti per l'esecuzione di opere e, in buona parte, è stato proficuamente abbandonato e sostituito da altri criteri. Infatti, accadeva sempre più spesso, che alcune ditte facessero i maggiori ribassi o perché sbagliavano i loro conteggi o per assumere — anche sotto costo — nuovi lavori per poter avere un certo giro di denaro sperando vanamente, con ciò, di sanare situazioni finanziarie precarie. In un caso e nell'altro l'esecuzione dei lavori ne veniva a soffrire e le imprese, che avevano fatto ribassi eccessivi cercavano, con tutti i modi, di non andare in perdita tentando di fornire materiali di qualità inferiore o cercando ogni cavillo per chiedere maggiori compensi o interrompendo i lavori per fallimento. Si è pensato allora di temperare il criterio di affidare i lavori a chi fa il massimo ribasso e di escludere dalle gare sia quelle ditte che avessero fatto ribassi eccessivi (per evitare una non regolare esecuzione dei lavori), sia quelle ditte che avessero fatto ribassi troppo modesti (per dar modo al committente di perseguire un ragionevole risparmio economico). Per questi motivi, i nuovi criteri di aggiudicazione vengono, in qualche modo, ancorati alla media delle offerte nel fondato presupposto che la media delle offerte possa essere il prezzo di appalto più equo. Infatti, la legge 2 febbraio 1973, n. 14 - Norme sui procedimenti di gara negli appalti di opere pubbliche mediante licitazione privata (G.U. del 24 febbraio 1973, n. 51), ha ridimensionato i criteri per l'aggiudicazione dei lavori ed ha previsto che ogni ente pubblico appaltente, prima di indire una gara di licitazione privata, dia pubblico avviso di questa sua intenzione per dar modo alle ditte che sono interessate, di chiedere di essere invitate alla gara e di evitare che le gare possano andar deserte perché gli inviti sono stati inviati a ditte non interessate al lavoro. La predetta legge 1973, n. 14 prevede cinque diversi criteri che possano esser adottati per prescegliere, nelle gare di appalto a licitazione privata indette da enti pubblici, la ditta a cui affidare l'appalto dei lavori.
476 Chiarimenti a questa legge sono stati forniti con circolare del Ministero LL. PP. del 3/3/73 N. 2795.
D.2.1
Sistemi di minimo ribasso
L'appalto viene aggiudicato alla impresa che ha presentata l'offerta più vantaggiosa per il committente, purché la sua offerta sia in ribasso sui prezzi a base d'asta o, almeno, li eguagli (ribasso = zero). Eccezionalmente sono consentite offerte in aumento.
D.2.2
Sistema della media delle offerte
Subito prima della gara, la commissione aggiudicatrice dell'appalto, prefissa segretamente un ribasso minimo ed un ribasso massimo sui prezzi a base d'asta in modo che fra questi ribassi esista uno scarto non superiore al cinque per cento sui prezzi a base d'asta. Dopo l'esame delle varie offerte, vengono resi noti i limiti di massimo e minimo ribasso prefissati segretamente dalla commissione aggiudicatrice. Si escludono dalla gara le ditte che hanno fatte delle offerte che oltrepassino tali limiti. Cioè si escludono le ditte che hanno fatte offerte che risultino rispettivamente inferiori o superiori ai prefissati limiti fissati dalla commissione. Delle offerte rimaste in gara si fa la media. L'appalto viene affidato alla ditta che eguaglia tale media o, in mancanza, a quella ditta la cui offerta più si avvicini, per eccesso o per difetto, alla media delle offerte.
D.2.3
Sistema delle medie, mediate con prefissato massimo ribasso determinato segretamente
Come per il caso precedente, la commissione aggiudicatrice dell'appalto prefissa, segretamente, i due limiti di ribasso minimo e massimo (compreso in uno scarto del cinque per cento sui prezzi a base d'asta) ed esclude dalla gara quelle ditte che non abbiano fatto un'offerta compresa fra questi due limiti. Indi, la commissione fa la media delle offerte proposte dalle ditte rimaste in gara e, successivamente, determina una nuova media tra la media delle offerte rimaste in gara ed il minimo ribasso prestabilito dalla commissione aggiudicatrice. L'aggiudicazione dell'appalto viene fatta al concorrente che ha presentata l'offerta che eguaglia l'ultima media o, in mancanza, a quella impresa che più si avvicina, per difetto, a tale media.
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D.2.4
Sistema delle graduatorie delle migliori offerte e della loro media
Con questo sistema la Commissione aggiudicatrice non prefissa i valori di minimo e massimo ribasso. Dopo aver vagliate le offerte ne fa una graduatoria ed esclude dalla gara quella metà (o la metà più uno se le offerte sono dispari) delle offerte che hanno fatto i maggiori ribassi. Poi procede alla media delle offerte rimaste in gara ed affida l'appalto a quell'impresa che ha fatto l'offerta pari a questa media o che più le si avvicina per difetto.
D.2.5
Sistema delle migliori offerte di prezzi
Prima della gara, l'ente appaltante invia alle ditte invitate alla gara un modulo a più colonne denominato "lista delle categorie di lavoro e forniture previste dall'appalto". Questo modulo comprende quattro colonne: a) nella prima colonna è riportato, dall'ente appaltante, l'indicazione dettagliata delle opere e delle forniture previste dall'appalto; b) nella seconda colonna è riportato, dall'ente appaltante, la quantità delle singole opere e forniture previste in appalto con la relativa unità di misura; e) la terza colonna sarà completata da ciascuna ditta con il prezzo (espresso in cifre e lettere) da lei offerto per eseguire quella data fornitura o quella specifica opera (muro, solaio, intonaco); d) nell'ultima colonna viene riportato, dalle varie ditte, l'importo ottenuto moltiplicando, per ciascuna voce, la quantità delle opere indicate dall'ente appaltante con il prezzo offerto dall'impresa. L'impresa deve provvedere a fare la somma di tutti gli importi, sopra detti per ottenere il prezzo totale di appalto. La commissione presceglie quella ditta che ha fatta complessivamente l'offerta più favorevole per l'ente appaltante e, dopo aver controllati i conteggi dell'offerta, le affida l'appalto.
E)
Contratto
Una volta che sia intervenuta l'aggiudicazione del lavoro, o a seguito di gara, per gli Enti pubblici, o per libera scelta dei privati, tra committente ed appaltatore dovrà esser stipulato un contratto di appalto. Secondo la enunciazione dell'art. 1321 del Codice civile "il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare od estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale".
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Nel caso di appalto per l'esecuzione di opere si tratta di sancire con un atto (il contratto) tutte le norme e le clausole che debbano regolare i rapporti di carattere tecnico ed economico tra committente ed appaltatore. Così nel contratto sarà richiamato (o verrà ad esso allegato) il progetto con il capitolato completo dell'elenco dei prezzi e in esso verranno richiamate tutte le approvazioni dei progetti e degli stanziamenti, verrà indicato il domicilio legale delle parti contraenti, verrà designata la persone che dovrà riscuotere i pagamenti, ecc. ecc.. In ogni caso dovrà sempre essere indicato l'importo presunto del prezzo dell'appalto sia al lordo che al netto del ribasso d'asta. Il contratto deve esser registrato all'Ufficio del Registro non solo perché possano esser assolti gli oneri fiscali conseguenti all'appalto, ma anche perché eventuali liti possono esser risolte giudizialmente o con un arbitro rituale, solo se il contratto sia stato registrato. Per i privati il contratto può esser sostituito da una denuncia verbale con le sole seguenti indicazioni: nome dei contraenti, indicazione dell'opera, oggetto ed importo dei lavori, durata presunta dell'appalto. La denuncia verbale, cioè, assolve solo la parte fiscale della registrazione, ma non contiene gli accordi particolari tra le parti. E', quindi, consigliabile registrare il contratto per esteso perché la pattuizione formale di ben precisi accordi, riduce la possibilità di liti o permette di risolverle anche giudizialmente. Invece del contratto può esser registrato il verbale di gara e di aggiudicazione rimandando, per gli accordi tra le parti, al capitolato generale ed al capitolato speciale, che vengono allegati al verbale di gara di aggiudicazione (art. 16 del R.D. 18 novembre 1923 N. 2440).
F)
Esecuzione dei lavori e loro condotta
Una volta stipulato e registrato il contratto, il committente privato può subito dare inizio ai lavori. Viceversa per gli Enti pubblici che non siano autonomi, l'inizio dei lavori è subordinato all'approvazione del contratto da parte dei superiori organi di controllo e vigilanza.
F.l — Responsabilità nella condotta dei lavori A norma del Codice civile, il titolare dell'Impresa è l'unico responsabile della condotta dei lavori, della loro organizzazione, della loro buona esecuzione e della loro buona riuscita. Infatti sulla scorta dell art. 1655 del Codice civile si può definire "appaltatore" quell'imprenditore (art. 2082 Cod. civ.) che con l'organizzazione
479 dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, persegue il compimento di una prefissata opera contro un corrispettivo in denaro. Da tutto il contesto del Capitolo VI del Codice civile (art. 1655 e seguenti) si evince chiaramente che l'appaltatore è il solo responsabile non solo di eventuali vizi dell'opera o di eventuali difformità dalle previsioni di progetto o di contratto (art. 1667 C.C.), ma anche dei difetti costruttivi e della eventuale rovina dell'opera stessa (art. 1669 C.C.). Cioè l'appaltatore è l'unico responsabile non soltanto dell'esecuzione di opere che siano difformi dal progetto architettonico o statico, ma è anche responsabile di vizi conseguenti a cattiva o difettosa esecuzione di opere, della qualità dei materiali impiegati e del crollo totale o parziale dell'edificio. La sua responsabilità è limitata a due anni dalla consegna dell'opera al committente per vizi occulti (art. 1667 C.C.) ed invece è estesa a dieci anni dalla consegna nel caso di crollo totale o parziale o pericolo di crollo (art. 1669 C.C.) anche se causato da vizio del suolo. A norma del codice, il committente non ha responsabilità alcuna per l'esecuzione dell'opera, ma ha solo delle responsabilità verso eventuali terzi danneggiati per violazione di norme edilizie, per norme di vicinato, o per danni che potessero esser loro arrecati in conseguenza dei lavori eseguiti. (Per i danni causati dall'esecuzione dei lavori, il committente può rivalersi sull'appaltatore). Durante l'esecuzione dei lavori, il committente ha solo la facoltà di ordinare variazioni (art. 1661 C.C.) che però non comportino una variazione superiore — in denaro — ad un sesto in più o in meno dell'importo a base d'asta e che non comportino notevoli modificazioni della natura dell'opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l'esecuzione dell'opera medesima. In deroga a ciò, il vigente capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici (D.P.R. del 16/7/1962, n. 1063) prevede all'art. 14, che la variazione dell'importo dei lavori eseguiti possa giungere fino ad un quinto del valore dei lavori appaltati (e non un sesto come previsto dal codice civile). E' naturale peraltro che il committente abbia anche la facoltà di sorvegliare lo svolgersi dei lavori (art. 1662 C.C.) sia personalmente sia designando un tecnico di sua fiducia chiamato, comunemente e con voce ancorata alle norme dell'abrogato codice: "Direttore dei Lavori". Infatti il vecchio codice configurava l'appaltatore non come un imprenditore, ma come un semplice prestatore di opere (nudus minister) che operava alle dirette dipendenze del progettista (o del direttore dei lavori) e quindi questi aveva potere e dovere di organizzare il cantiere ed i lavori e si assumeva — con l'appaltatore — la conseguente responsabilità della loro buona riuscita. Il direttore dei lavori è quindi — secondo il codice vigente — quel tee-
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nico che — su incarico del committente, a sue spese e nel suo esclusivo interesse — vigila sulla buona esecuzione delle opere e sulla loro rispondenza alle previsioni del progetto e delle altre norme contrattuali, ma tale sua vigilanza non può debordare dai limiti precisati dagli articoli 1661 e 1662 del Codice civile che contemplano le sopraricordate facoltà del committente (vigilanza e facoltà di ordinare modifiche). Si comprende così che — a norma del Codice vigente — la nomia del direttore dei lavori è una facoltà del committente non un suo obbligo anche se molti Comuni obbligano la sua designazione in forza di altre leggi (legge comunale e provinciale) o di nuove leggi. In particolare l'art. 31 della legge 6/8/1967 n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica) chiama responsabili, per eventuali inosservanze cosi delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive, che siano fissate nella licenza edilizia, non soltanto il committente, ma anche il costruttore e addirittura il direttore dei lavori. Anche la legge del 5 novembre 1971 n. 1086 (Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica) attribuisce serie responsabilità al direttore dei lavori e prevede severe condanne penali in caso di sue particolari inadempienze. Si noti, che in molti Paesi esteri non esiste neppure la figura del direttore dei lavori, tanto è pacifico che l'unico responsabile della buona riuscita dell'opera è l'appaltatore. Solo per le opere pubbliche, in particolare per i lavori dello Stato, è prevista la designazione del direttore dei lavori. L'appaltatore può farsi sostituire o coadiuvare da un tecnico di fiducia che è detto "direttore di cantiere". Il direttore di cantiere assume su di se tutte le responsabilità ed i compiti del suo mandante, l'appaltatore. Egli quindi ha la diretta responsabilità del cantiere in ordine a: 1) l'esecuzione regolare delle opere; 2) l'organizzazione del cantiere, della manodopera e delle attrezzature; 3) eventuali infortuni che dovessero accadere ai dipendenti per mancata applicazione delle norme antinfortunistiche. In cantieri di una certa importanza il direttore di cantiere è spesso un ingegnere, ma — in proposito - la legge non prescrive nulla. Naturalmente il direttore di un grosso cantiere è aiutato da assistenti (geometri o ex capi operai) e dal capo-uomini. Nei piccoli cantieri è l'appaltatore stesso che presiede all'esecuzione delle opere e — nei periodi di sua assenza — delega il capo uomini. F.2 - Compiti del direttore dei lavori Il direttore dei lavori ha diversi compiti per assolvere il suo incarico compiutamente. Cioè egli:
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1) deve sorvegliare l'andamento dei lavori per accertarsi che vengano compiuti nel tempo contrattuale, accertando con verbali predisposti in contraddittorio, le date di inizio, sospensione, ripresa ed ultimazione dei lavori; 2) deve ordinare eventuali varianti in corso d'opera sia con ordini verbali o, meglio, scritti sia predisponendo grafici o schizzi; 3) deve assicurarsi della buona qualità dei materiali forniti, della regolare esecuzione delle opere in conformità alle previsioni contrattuali e di progetto, ed alle leggi della statica, inviando all'Impresa, se questa non operasse in maniera soddisfacente, opportuni "ordini di servizio"; 4) deve controllare la corretta contabilizzazione delle opere eseguite e deve provvedere ad emettere gli stati di avanzamento, a proporre i certificati di pagamento delle rate di acconto e a predisporre lo stato finale dei lavori in cui vengono ricapitolate tutte le quantità delle varie opere eseguite e l'importo delle stesse. 5) può eseguire prove di carico e deve eseguire prelievi sul calcestruzzo e sull'acciaio; 6). deve provvedere, per ottemperare all'art. 5 della legge 5/11/71 N. 1086, a conservare in cantiere la copia restituita dal Genio Civile del progetto statico; 7) deve denunciare al Genio Civile entro sessanta giorni la ultimazione delle strutture per ottemperare all'art. 6 della detta legge. (Cfr. il seguente paragrafo M Disciplina delle opere in conglomerato cementizio). Tutte queste diverse mansioni di carattere tecnico-amministrativo vengono ad accavallarsi nel tempo e ad interferire tra di loro durante lo svolgimento ed il progredire dei lavori. Per maggior chiarezza esamineremo partitamente, secondo la precedente elencazione di compiti, quali sono gli atti che il direttore dei lavori deve compiere e gli elaborati che deve redigere. F.2.1
Controllo dell'andamento dei lavori
Molto importante è poter avere gli elementi per accertare il tempo impiegato dall'appaltatore per dare finite le opere e ciò anche per l'eventuale applicazione della penalità prevista nel caso di ritardo nell'esecuzione dei lavori. Pertanto il direttore dei lavori deve aver cura particolare di far risultare da appositi verbali, controfirmati dall'Impresa appaltatrice, la data di inizio dei lavori, i periodi di sospensione dei lavori per cause indipendenti dall'Impresa, la concessione di eventuali proroghe e la data di ultimazione dei lavori. F.2.1.1 Verbale di consegna (art. 9, 10, 11, 12 del regolamento del 25 maggio 1895,n.350) Prima di iniziare i lavori il direttore dei lavori convoca l'appaltatore ed
482 il personale di sorveglianza sull'area da edificare, designa i lavori da eseguire, controlla sul terreno le misure del progetto, fissa i capisaldi e la quota di partenza per le misure in elevazione (quota zero). L'operazione viene verbalizzata e nel verbale viene anche ricordata la data di ultimazione prevista dal capitolato. Il verbale, redatto in due esemplari su carta legale, è firmato dall'appaltatore e dal direttore dei lavori e da eventuali altri intervenuti. F.2.1.2 Verbali di sospensione e verbali di ripresa (art. 16 del citato regolamento) Nel caso che circostanze particolari, non dipendenti dall'Impresa, impediscano che i lavori possano procedere regolarmente o utilmente ed a regola d'arte, il direttore dei lavori ne ordina la sospensione. Le cause più frequenti di sospensione sono: a) inclemenza del tempo, b) impossibilità di ordinare varianti e contabilizzare le relative opere perché la D.L. è in attesa della superiore approvazione, e) impossibilità di proseguire i lavori per dar modo e tempo ad altre ditte (installatori di impianti o manufatti) di eseguire i loro lavori. Non appena vengono a cessare le cause che hanno determinata la sospensione, la D.L. ordina prontamente la ripresa dei lavori. Sia della sospensione che della ripresa vengono redatti appositi verbali su carta legale in modo che si possano sempre accertare la durata e la causa della sospensione. La durata della sospensione non viene calcolata nel computo del tempo contrattuale per dar finiti i lavori. Complessivamente le sospensioni non possono durare più di sei mesi o più di un quarto di tempo utile per ultimare i lavori (art. 30 del capitolato generale). F.2.1.3 Proroghe (art. 17 del citato regolamento) L'art. 31 del capitolato generale prevede che l'appaltatore, prima dello spirare del tempo concessogli per ultimare'! lavori, possa chiedere, con domanda motivata, proroga per la loro ultimazione, qualora per cause da lui indipendenti, non sia in grado di ultimarli nel tempo prefissato (gran numero di giornate piovose, particolari opere impreviste nelle fondazioni, mancanza di materiali sul mercato). Non il direttore dei lavori, ma la Stazione Appaltante verificherà la fondatezza della richiesta e potrà negare o concedere la proroga per il tempo richiesto o per un tempo più breve. In ogni caso la S.A. deve rispondere con lettera raccomandata all'Impresa entro breve termine. La concessione della proroga non pregiudica i diritti che può vantare l'appaltatore se la maggior durata dei lavori è da ascriversi a fatto o a colpa
483 della Stazione Appaltante. Nel caso che la Stazione Appaltante richieda all'Impresa l'esecuzione di lavori eccedenti quelli previsti contrattualmente, possono esser concesse adeguate proroghe al termine di consegna. F.2.1.4 Certificato di ultimazione dei lavori (art. 62 del citato regolamento) Quando tutti i lavori eseguiti dall'impresa sono ultimati, il direttore dei lavori rilascerà il certificato di ultimazione redatto con la stessa forma e con le stesse modalità degli altri verbali ed in contraddittorio con l'impresa. Si noti che il regolamento denomina "certificato" la verbalizzazione della ultimazione dei lavori, dando con ciò più importanza a tale accertamento. Si ricordi in proposito che l'art. 29 del Capitolato generale prevede che, in caso di ritardata ultimazione, l'appaltatore deve indennizzare il committente di tutte le spese di sorveglianza ed assistenza da questo sostenute per tutto il periodo di lavoro superiore a quello previsto dal contratto per l'esecuzione del lavoro, oltre a pagare la penale prevista dal capitolato speciale per ogni giorno di ritardo. F. 2.2 Varian ti in corso d'opera L'art. 1661 del Codice civile da facoltà al Committente di apportare variazioni al progetto purché: a) il loro ammontare non superi il sesto del prezzo convenuto; b) non importino notevoli variazioni nella natura dell'opera; e) non importino notevoli variazioni dei quantitativi nelle singole categorie. Il capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero LL.PP. prevede, all'art. 13, che l'appaltatore non può apportare modifiche di alcun genere al progetto ed ha — invece — l'obbligo di eseguire tutte le varianti richieste della D.L. purché tali varianti non mutino essenzialmente la natura delle opere comprese nell'appalto e non modifichino l'importo di ciascuna categoria di opere di oltre un quinto, in più o in meno, rispetto agli importi originari d'appalto. L'art. 14 dello stesso capitolato prevede che la S.A. possa ordinare, alle stesse condizioni del contratto, un aumento o una diminuzione di opere fino alla concorrenza di 1/5 in più o in meno dell'importo complessivo di appalto, senza che l'Impresa possa richiedere indennità alcuna. Oltre tale limite l'appaltatore ha facoltà di recedere dal contratto senza pretendere alcun speciale compenso, ma solo il pagamento delle opere eseguite. Su accordo tra il committente e l'Impresa è possibile proseguire i lavori o alle condizioni contrattuali o concordare diverse condizioni. Pre-
484 messo ciò, si intende che è compito del direttore dei lavori accertare periodicamente l'andamento contabile dei lavori e di raffrontarlo con le previsioni di spesa. Ogni variante da ordinare all'Impresa deve esser prima approvata dal committente anche per il caso che non comporti alcuna variazione di spesa. Così il direttore dei lavori per apportare varianti da lui ritenute necessarie (per ragioni statiche, per lavori imprevisti, per migliorie) o varianti richieste dalla committenza, deve predisporre degli appositi elaborati denominati perizie suplettiva o di variante. Tali perizie - prendendo a base il preventivo di spesa - devono elencare e quantificare (con i prezzi d'appalto) gli importi in più od in meno che le varianti comportano, devono accertare se le eventuali maggiori spese siano comprese nello stanziamento e devono illustrare le ragioni che consigliano le varianti. Talvolta è necessario predisporre dei grafici esecutivi che illustrino le varianti proposte. Può succedere che per eseguire le varianti necessitano opere i cui prezzi non sono compresi nell'elenco dei prezzi ed allora il direttore dei lavori — ai sensi dell'art. 21 del più volte citato regolamentò — deve concordare con l'appaltatore, con apposito verbale, dei nuovi prezzi (N.P.) che sono impegnativi per l'appaltatore e lo saranno per l'ente appaltante quando questo li avrà approvati. I nuovi prezzi devono esser stabiliti ispirandosi ai seguenti criteri (art. 21 del regolamento); a) ragguagliandoli — se possibile — a quelli di lavori consimili contemplati nel contratto; b) ricavandoli totalmente o parzialmente da nuove analisi. I nuovi prezzi devono essere anch'essi soggetti a tutte le norme contrattuali e quindi anche al ribasso d'asta contrattuale ed alla revisione dei prezzi. Quando la perizia suplettiva è approvata il direttore dei lavori predispone un "atto di sottomissione" e cioè un'appendice al contratto di appalto. Con tale atto l'Impresa si dichiara disposta ad eseguire i lavori di varianti previsti dalla D.L. nella perizia suplettiva agli stessi prezzi, patti e condizioni sanciti nel contratto principale e nel relativo capitolato, accetta di estendere ai nuovi lavori la garanzia già prestata, riconosce congrui i nuovi prezzi e prende atto di una eventuale proroga per il termine di consegna. L'atto di sottomissione ha sempre una simile forma di accettazione, ma non sempre l'Impresa è d'accordo su tutte le clausole ed è in sua facoltà di sottoscriverlo con riserva, (salvo il caso che le opere previste non superino il quinto d'obbligo perché in tal caso può recedere dal contratto). L'atto di sottomissione con l'elenco dei nuovi prezzi deve esser registrato all'Ufficio del Registro come atto aggiuntivo al contratto d'appalto. II direttore dei lavori può introdurre varianti di modesta entità, la cui decisione rientra fra i suoi poteri discrezionali di decisione, senza far ricor-
485 so alle perizie suplettive. Tali varianti devono sempre esser ordinate alla Impresa per iscritto con "ordini di servizio" da inviare per raccomandata all'Impresa in due copie, una delle quali deve esser restituita alla D.L., sottoscritta dall'Impresa. F.2.3
Controllo sulla esecuzione delle opere
Uno dei compiti principali del direttore dei lavori è quello di accertare la regolare esecuzione dei lavori. A tale scopo dovrà richiedere i campioni di tutti i materiali da impiegare nella costruzione, accettarne la buona qualità non trascurando, poi, di controllare che i materiali usati nella costruzione rispondano ai campioni. Il direttore dei lavori deve anche assicurarsi della buona tecnica impiegata dall'appaltatore nell'eseguire l'opera nel suo insieme e nei particolari. Controllerà la qualità delle malte e dei calcestruzzi, la sezione, la forma e la posizione dei ferri impiegati nelle opere in calcestruzzo e quant'altro è necessario controllare per assicurarsi della buona riuscita dell'opera. E' importante ricordare l'obbligo del direttore dei lavori di prelevare in cantiere, in contraddittorio con l'appaltatore, campioni di acciaio e di conglomerato da sottoporre alle prove di resistenza. Questo obbligo deriva dalla legge 5 novembre 1971 n. 1086 e le modalità di controllo derivano dal D.M. 26 marzo 1980. Per le modalità e la frequenza dei prelievi del calcestruzzo e del ferro e per i criteri di accettabilità dei materiali si è già detto al capitolo decimo Il calcestruzzo. Se il direttore dei lavori accerta che alcuni materiali non sono idonei per lo scopo per cui l'appaltatore intende utilizzarli o non sono corrispondenti alle norme contrattuali ne ordina l'allontanamento dal cantiere con ordine di servizio. Il direttore dei lavori nel caso riscontrasse ritardi ingiustificati nella esecuzione dei lavori oppure se dovesse accettare che, per negligenza od imperizia, l'appaltatore comprometta la buona riuscita dell'opera, predispone ed invia all'impresa degli ordini di servizio con i quali sollecita l'impresa ad accelerare l'esecuzione dell'opera o — contestata la cattiva esecuzione di alcune opere — dà un termine all'impresa per la loro demolizione ed il rifacimento a regola d'arte. In casi di inadempienza grave o in casi di recidiva o nel caso che l'Impresa non dovesse obbedire agli ordini, il direttore dei lavori può consigliare al committente la rescissione del contratto (art. 1662 C.C.). F.2.4
Denuncia al Genio Civile della ultimazione delle strutture Il direttore dei lavori, ai sensi dell'art. 6 della legge 5 novembre 1971,
486 n. 1086 (cfr. successivo paragrafo M), entro 60 gg. dalla ultimazione delle strutture ha l'obbligo di farne denuncia al locale Genio Civile allegando i certificati di prova sui materiali e gli eventuali verbali delle prove di carico. La mancata denuncia comporta un'ammenda da 40 a 200 mila lire. F.2.5
Controllo della contabilità
L'ingegnere direttore dei lavori, non ha l'obbligo di tenere la contabilità dei lavori, ma — naturalmente — non ne ha neanche il divieto. Più spesso la contabilità viene tenuta da un tecnico di fiducia del Committente e di gradimento al direttore dei lavori. Peraltro il direttore dei lavori ha l'obbligo (salva particolare diversa pattuizione) di controllare la contabilità, di predisporre stati di avanzamento e certificati di pagamento e di procedere alla liquidazione finale dei lavori. Circa le modalità di tener la contabilità si dirà in seguito e in tale occasione si dirà degli stati di avanzamento dei lavori, dello stato finale e dei certificati di pagamento.
G)
Contabilità dei lavori
La contabilizzazione dei lavori per i privati siano essi appaltati a misura, a forfait o in economia non deve sottostare a nessuna norma particolare e può esser tenuta in un qualsiasi modo. Esiste peraltro un regolamento che — compilato sulla scorta delle esperienze di molti anni e collaudato dall'esperienza di molti lavori — prevede un sistema di contabilizzazione apparentemente complesso, ma in effetti pratico e chiaro e che permette facili controlli. E' consigliabile seguire tali norme di contabilizzazione anche per lavori privati non cullandosi nella illusione di poterne seguire altre che possono apparire meno complesse e che, in realtà, sono quasi sempre inadatte a fornire un quadro economico delle spese chiaro, preciso e controllabile. Le norme ricordate sono contenute nel Capo III - Contabilità dei lavori (artt. 36 65) del R.D. del 25/5/1895 n. 350 (Regolamento per la direzione, contabilità e collaudo dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei LL.PP.). La contabilità di un'opera ha lo scopo di accertare e registrare tutti i fatti che producono spesa per l'esecuzione..deiropera. L'accertamento e la registrazione di quelle opere che in un tempo successivo non possono più esser accertate (ferri nel calcestruzzo) o che lo siano difficilmente (fondazioni) devono esser fatti tempestivamente ed in contraddittorio tra i rappresentanti del committente ed il rappresentante dell'appaltatore. In ogni caso la misurazione e la registrazione delle opere deve seguire
487 da vicino la loro esecuzione perché: a) la D.L. sia sempre in grado di conoscere l'importo dei lavori eseguiti e proporre eventuali pagamenti in acconto; b) la D.L. possa dare in tempo e con sicurezza le necessarie disposizioni per l'esecuzione dei lavori entro i limiti delle spese autorizzate; c) la D.L. abbia la possibilità di predisporre, con assoluta tempestività, gli opportuni provvedimenti in caso di deficienza di fondi. I più comuni documenti amministrativi e contabili sono riportati in appendice e sono (art. 39 del regolamento): 1 ) il giornale dei lavori; 2) i libretti di misura e delle provviste; 3) le liste settimanali per i lavori in economia; 4) il registro di contabilità; 5) il sommario del registro di contabilità; 6) gli stati di avanzamento dei lavori; 7) i certificati per il pagamento di acconti; 8) il conto finale. L'impresa deve prender visione e firmare: i libretti delle misure, il registro di contabilità e le eventuali liste settimanali, gli stati di avanzamento ed il conto finale (stato di avanzamento finale).
G.l — Giornale dei lavori E' un diario tenuto dal personale della D.L. su cui si notano l'ordine, il modo e l'attività con cui progrediscono i lavori; il numero degli operai e la loro qualifica ed i mezzi impiegati dall'appaltatore. Nel giornale debbono esser menzionati tutti quei fatti che possono influire sul lavoro: tempo atmosferico, natura dei terreni, periodi di sciopero, ecc. Periodicamente il D.L. controlla il giornale dei lavori e lo sottoscrive facendo — se del caso — le sue rettifiche od osservazioni.
G.2 — Libretto delle misure E' il primo libro contabile ed è considerato un libro di campagna di prima nota che non deve esser bollato (cfr. fac-simile, in calce al testo). Su di esso vengono annotate, da personale della direzione dei lavori, le misure di tutte le opere che questi ha rilevate in contraddittorio con l'impresa. Ciascun foglio del libretto delle misure comprende due facciate suddivise in colonne. Nella prima facciata si hanno le seguenti colonne :
488 a) numero d'ordine con il quale vengono annotate progressivamente tutte le misurazioni; b) data della misura; c) articolo dell'elenco prezzi di quella particolare opera (muratura, solaio, ecc.) che viene contabilizzata; d) indicazione delle opere che riporta in sintesi la descrizione dell'opera da contabilizzare come specificata nell'elenco dei prezzi; e) fattori: lunghezza, larghezza e, se del caso, altezza dell'opera da contabilizzare; oppure n.ro se si tratta di opere da compensare a n.ro (pozzetti, fosse biologiche, ecc.). Nella seconda pagina si hanno le seguenti colonne: f) prodotti. Questa colonna è divisa in due: prodotti positivi ove si riporta il risultato dei prodotti delle misure delle opere da contabilizzare) e prodotti negativi (ove si riportano le eventuali deduzioni delle stesse opere). Se per esempio si misura un muro sul quale si apre una finestra, nella colonna dei fattori positivi si riporta la cubatura di tutto il muro e sulla colonna dei fattori negativi si riporta la cubatura del vuoto della finestra. Dalla differenza dei due fattori risulterà la quantità di muratura effettivamente eseguita. g) Figure ed annotazioni. Su tale ampia colonna potranno esser inserite note esplicative o potranno esser disegnati schematici e chiari schizzi che permettano di comprendere, con tutta facilità, il modo in cui sono state rilevate le misure. Per uno stesso lavoro potranno esser necessari più libretti di misura come potranno usarsi distinti libretti di misura per diverse categorie di lavori (per esempio libretto delle misure per il ferro). Può accadere che — per varie ragioni — non possono esser prese le misure di alcune opere, ma che si possa valutarne — con approssimazione in difetto — la quantità complessiva. In questi casi — per non ritardare il pagamento delle rate di acconto — il direttore dei lavori può autorizzare che detta quantità venga accreditata sul libretto delle misure come "quantità provvisoria". Quando - poi — dell'opera in questione saranno state eseguite e registrate le effettive misure -, si annullerà la quantità provvisoria, portandola in detrazione alle quantità risultanti dalle misure effettive. Il libretto, scritto ad inchiostro, dovrà esser firmato dall'Impresa ad ogni registrazione o gruppo di registrazioni e comunque in ogni foglio del libretto. L'impresa dovrà pure controfirmare gli schizzi. Analoghe firme sono richieste al direttore dei lavori.
G.3 - Liste settimanali Per l'esecuzione di determinati lavori in economia, l'art. 21 del regola-
489 mento prevede che l'Impresa debba fornire operai, materiali e mezzi d'opera. Di tali prestazioni si tiene conto con le liste settimanali (o quindicinali) che sono di due tipi: a) lista settimanale degli operai e mezzi d'opera forniti dall'impresa; b) lista settimanale delle provviste; che devono esser predisposte in duplice copia di cui una in bollo. Ogni lista avrà il proprio numero progressivo. I prezzi unitari da applicare sono quelli lordi di contratto e da ogni lista dovrà risultare l'importo di ciascuna di esse. E' bene - poi - fare un riepilogo in calce alla lista raggruppando le stesse categorie di operai, la stessa qualità di materiali e lo stesso tipo di mezzi d'opera sia per un controllo sia per esser facilitati nel riportare le prestazioni in economia nel sommario del registro di contabilità. Nelle apposite colonne dovranno esser chiaramente specificate i lavori per i quali furono prestati la manodopera ed i materiali (cfr. facsimile, in calce al testo). G.4 - Anticipazioni su fattura A norma dell'art. 28 del vigente capitolato generale (sempre che la previsione sia inserita anche nel capitolato speciale) la Stazione appaltante può chiedere all'appaltatore di anticipare le somme necessarie per l'esecuzione di opere o forniture di lavori autorizzati ma non compresi nell'appalto (fornitura e posa di alberature, fornitura e posa di tende alla veneziana, ecc.). In tal caso l'Impresa salderà le relative fatture (preventivamente liquidate dalla D.L.) richiedendone formale quietanza al fornitore. Se le fatture pagate dall'Impresa sono numerose possono esser annotate in apposito registro, diversamente possono esser inserite su una apposita colonna del registro di contabilità in modo che non vadano sommate con gli altri importi ai quali dovrà esser applicato il ribasso d'asta.
G.5 — Registro di contabilità (art. 52, 53, 54, 55 del regolamento) II registro di contabilità è il documento più importante della contabilità dei lavori. Mentre il libretto delle misure permette l'annotazione delle misure rilevate in opera, il registro di contabilità rappresenta il documento ufficiale da compilare a tavolino. Le partite di lavoro, nelle quantità totali accertate dai libretti di misura, per ciascuna categoria di opere, devono esser riportate nel registro di contabilità. Ogni singola annotazione ha un proprio numero progressivo (colonna 1 del registro); è contraddistinta con il corrispondente numero dell'elenco
490 prezzi (colonna 2); riporta la data della trascrizione dal libretto delle misure al registro (colonna 3). Segue, nella colonna 4, la descrizione dell'opera adottando sinteticamente la stessa dizione dell'elenco dei prezzi. Nella colonna 5 sono indicati il n.ro e la pagina del libretto di misura da cui si fa il trasporto di scritturazione. Seguono l'indicazione dell'unità di misura e le colonne dei prodotti (positivi per le opere eseguite e negativi per le opere da detrarre) nonché il prezzo unitario. La colonna importi è divisa in due parti: debito e pagamenti. Nella prima si riportano gli importi delle singole opere contabilizzate al lordo del ribasso d'asta e nella seconda gli acconti proposti dell'effettivo loro importo e cioè al netto delle trattenute di legge. Sotto la stessa data possono esser riportate nel registro di contabilità anche più partite che nei libretti siano state annotate con date diverse, purché si rispetti una rigorosa cronologia. Nel registro si riportano anche le liste in economia, inserendole non analiticamente, ma complessivamente e designandole con il proprio numero. Le fatture (che non sono soggette a ribasso d'asta) vanno anch'esse iscritte nel registro di contabilità ma' devono figurare sotto un capo distinto perché non possono esser sommate agli altri importi che devono esser ridotti per il ribasso d'asta. Ogni volta che — sotto una determinata data — cessano le scritturazioni sul registro, il direttore dei lavori deve invitare l'appaltatore ad apporre la sua firma e firmerà egli stesso il registro di contabilità. L'appaltatore — ove ritenga che la contabilizzazione di qualche voce non sia conforme ai patti contrattuali — può firmare il registro con "riserva" e deve esplicare le ragioni della sua riserva nel termine perentorio di 15 gg precisando quale sia — a suo giudizio — il maggior compenso che gli spetti. Alla esplicazione delle riserve il direttore dei lavori, entro analogo tempo perentorio, deve opporre le sue contro-deduzioni. Se ad ogni successiva firma del registro (e poi sullo stato finale) l'appaltatore non richiama e riconferma le precedenti riserve, decade da ogni diritto circa le richieste avanzate con le riserve stesse. Delle riserve si dirà più diffusamente in un paragrafo a parte anche se è proprio il registro di contabilità l'unico documento nel quale le riserve devono esser inserite per esser considerate valide. Ogni volta che l'importo delle opere eseguite è tale da poter proporre un acconto all'impresa, si chiuderà il registro con la somma di tutti i lavori eseguiti dall'inizio dei lavori e si avrà così l'importo totale di tutti i lavori e si farà firmare il registro all'appaltatore ed al direttore dei lavori. Dopo aver rilasciato il certificato di pagamento se ne indicherà nella colonna 12 il relativo importo (al netto delle trattenute di garanzia) preceduto dalla data e con la dizione "Proposta la ... rata di acconto per l'im-
491 porto netto di L ) (cfr. fac-simile in calce al testo). Così si procede in modo che si hanno sempre a confronto l'importo lordo dei lavori eseguiti e l'importo netto degli acconti proposti.
G.6 — Sommario del registro di contabilità (art. 56 del regolamento) Il sommario non è un documento ufficiale e quindi non va né bollato, né deve esser firmato dall'appaltatore. Esso ha due distinti e precisi scopi pratici: a) serve da efficace controllo del registro di contabilità; b) facilita la compilazione degli stati di avanzamento e finale. Infatti in questo registro sono riportate le singole partite di lavoro in altrettante colonne in modo che ciascuna categoria di lavoro ha un conteggio a sé stante. In testa ad ogni colonna c'è una casella che riporta: a) la categoria di lavoro ed il relativo n.ro di elenco prezzi; b) l'unità di misura con cui si deve contabilizzare quella partita di lavoro ; c) il prezzo unitario di elenco. Ogni colonna (al di sotto della rispettiva casella) è divisa in due: nella prima si riporta la quantità di quella determinata categoria di lavoro indicata nella casella e nella seconda il relativo importo. Ad ogni successivo stato di avanzamento si sommano alle quantità ed agli importi precedenti, le quantità e gli importi relativi alle opere contabilizzate in quello stesso stato di avanzamento. Si ha così, alla fine di ogni stato di avanzamento ed alla fine del lavoro, un elenco di tutte le opere eseguite raggruppate per categorie di lavoro. Nel sommario del registro si riportano anche le liste settimanali scomponendole, peraltro, secondo le singole voci unitarie che le compongono in modo da poter incolonnare separatamente ed indipendentemente dallo stato di avanzamento le varie quantità delle singole categorie di lavoro (ecco spiegato perché si è consigliato di fare — per ogni lista — un riepilogo per categoria di lavoro).
G.7 — Stati di avanzamento (art. 58 del regolamento) Lo stato di avanzamento è quel documento rilasciato dal direttore dei lavori che compendia tutti i lavori eseguiti dal principio del lavoro ad una certa data. (N.B. nello stato di avanzamento non si riportano - quindi — solo i lavori eseguiti dopo il precedente stato di avanzamento, ma tutte le quantità di opere eseguite dall'inizio dei lavori ed i rispettivi importi). Lo stato di avanzamento viene ricavato con facilità dal sommario del
492 registro di contabilità dove si trovano già pronte le somme e gli importi lordi di tutte le categorie di opere eseguite dal principio del lavoro. Nello stato di avanzamento si riportano prima i lavori a misura (comprese anche eventuali quantità provvisorie); quindi le quantità di materiali impiegate ed i relativi importi per i lavori in economìa raggruppati per categoria, così come sono riportati nel sommario del registro di contabilità. Dalla somma dei lavori a misura ed in economia si detrarrà il ribasso contrattuale e quindi, a questo, si aggiungeranno gli importi delle anticipazioni che non sono soggette al ribasso. Lo stato di avanzamento predisposto e sottoscritto dal direttore dei lavori viene sottoposto alla firma dell'appaltatore che — come si vedrà - potrà firmare con o senza riserva. Gli stati di avanzamento sono numerati progressivamente e sono compilati su appositi moduli in vendita in cartolerie specializzate.
G.8 — Certificato di pagamento per ratei di acconto (art. 57 del regolamento Quando dai libri contabili risulta che l'importo dei lavori è tale per cui possa esser corrisposto un acconto all'Impresa, il direttore dei lavori, dopo aver predisposto lo stato di avanzamento, rilascerà un certificato di pagamento. Il certificato di pagamento non è firmato dall'Impresa. In questi certificati, numerati progressivamente, viene indicato l'importo totale lordo e l'importo totale netto di tutti i lavori eseguiti nonché l'importo delle anticipazioni effettuate e riguardanti - quindi - tutte le opere eseguite e le spese sostenute dall'inizio dei lavori. A parte vengono calcolate le trattenute di garanzia, le trattenute per oneri sociali a favore dei lavoratori e gli acconti precedentemente erogati. Le ritenute di garanzia sono pari al 5 % delle somme dovute alle Imprese giustificate dai prescritti documenti (art. 1 della legge 12 gennaio 1974, n. 8 e seguenti). Le trattenute per garantirsi che l'Impresa ha ottemperato ai versamenti degli oneri sociali a favore dei lavoratori sono dello 0,5% delle somme a lei dovute (art. 19 del D.P.R. del 16 luglio 1962, n. 1063 - Capitolato Generale dello Stato). Dalla differenza di queste due partite si ricava l'importo della rata di acconto.
493 G.9 — Stato finale (art. 63 del regolamento) Quando i lavori sono ultimati viene redatto uno stato corrispondente al finale che possa giustificare il rilascio dell'ultima rata di acconto. Successivamente viene predisposto lo stato finale o conto finale con le stesse modalità degli stati di avanzamento salvo che, in calce ad esso, vengono riportati gli acconti proposti e viene indicato il credito residuo dell'Impresa risultante dalla differenza tra l'importo netto dei lavori e gli acconti proposti. L'appaltatore potrà firmare lo stato finale senza riserve se non intende proporne o se intende rinunciare a quelle avanzate in corso di lavoro. Potrà anche firmarlo "con riserva" se intende richiamare le riserve già avanzate ed in tal caso dovrà richiamarle espressamente, ma non può inserire nuove riserve che non siano già state inserite ed esplicate nel registro di contabilità.
G.10— Avviso ad opponendum (ai creditori) (art. 93 del regolamento) Durante l'esecuzione di determinati lavori (strade, ponti, ecc.) può accadere che l'appaltatore occupi permanentemente o anche temporaneamente immobili di terzi procurando dei danni che, per legge, sono a carico del proprietario dell'opera, ma che, generalmente, in forza dei capitolati speciali, sono accollati all'esecutore dell'opera. Per premunirsi contro l'eventuale richiesta di indennizzo dei danni suddetti, prima che le opere siano collaudate e liquidate e che ogni rapporto giuridico-amministrativo sia estinto tra S.A. ed appaltatore, l'ente committente, a mezzo del Prefetto, pubblica un avviso con il quale fissa un termine perchè gli eventuali danneggiati possano presentare i titoli del loro credito. Per i lavori edili ben raramente l'impresa occupa beni di terzi ed è chiaro che diventa superflua la pubblicazione degli avvisi ad opponendum. In tal caso il direttore dei lavori rilascia una dichiarazione con cui attesta che non vi furono occupazioni di stabili di proprietà di terzi perché i lavori stessi si svilupparono esclusivamente sull'area della S.A. e che quindi è da omettere la pubblicazione degli avvisi ad opponendum prescirtta dall'art. 360 della legge sui lavori pubblici (legge 20/3/1865 n. 2248 pubblicata sulla G.U. del 27/4/1865).
G.ll — Relazione del direttore dei lavori sul conto finale (art. 65 del regolamento) Ultimata l'opera, il direttore dei lavori deve inviare alla stazione appaltante tutta la documentazione tecnico-amministrativa relativa alla di-
494 rezione dei lavori. Dovrà inoltre predisporre una relazione riepilogativa riguardante la realizzazione dell'opera con particolare riguardo alle domande di maggiori compensi avanzate dall'appaltatore. Su tali richieste il direttore dei lavori dovrà esprimere il proprio parere motivato e — se del caso - proporne l'accettazione. Nella relazione dovranno esser riportati gli estremi del progetto, gli estremi della sua approvazione, gli importi stanziati ed approvati. Sarà richiamata la gara d'appalto, verrà indicata la ditta appaltatrice ed il ribasso offerto. Saranno elencati i tempi di lavoro, le sospensioni, le proroghe. Sarà precisato l'importo consuntivo dei lavori, gli acconti proposti e verrà fornita ogni altra notizia riguardante l'andamento del lavoro.
H)
Revisione dei prezzi
La revisione dei prezzi e l'invariabilità dei prezzi non sono due clausole contrattuali contraddittorie perché hanno un diverso contenuto, perché sono completamente diverse nel significato, nello scopo e nelle ragioni che le ispirano. L'invariabilità dei prezzi ha riferimento ad un libero accordo contrattualmente stabilito fra le parti e che non ammette alcuna deroga, mentre la revisione dei prezzi ha riferimento al concetto della sopravvenuta "eccessiva onerosità" nell'adempimento degli impegni contrattuali (art. 1467 cod. civ.) in conseguenza di cause straordinarie ed imprevedibili. I prezzi contrattuali devono restare fissi ed invariabili nel senso che per ciascuna determinata opera (muratura, solai, calcestruzzo, intonaci, ecc.) come dettagliatamente descritti nell'elenco dei prezzi con le sue caratteristiche ed i suoi oneri non può esser richiesto alcun maggior compenso per ragione alcuna. Così, se per il confezionamento del calcestruzzo, l'appaltatore - con. suo maggior onere — fosse costretto — per una qualsiasi ragione — ad approvvigionare gli inerti in punti di estrazione più lontani, non può richiedere alcun maggiore compenso. Ma se durante i lavori, per effetto di circostanze imprevedibili, si siano verificati aumenti del prezzo dei materiali o della manodopera che comportino il supero del decimo del prezzo globale di appalto si può dar luogo alla revisione dei prezzi, per la parte di aumento che supera il decimo del prezzo globale di appalto (il decimo non revisionabile è considerato l'alea d'appalto dell'Impresa). Secondo l'art. 1664 del Codice se il prezzo contrattuale d'appalto di un'opera fosse stato stabilito in 100 e se, durante i lavori, per cause imprevedibili, si fosse verificato un aumento di costo dei materiali e della manodopera tale da portare a 130 il prezzo dell'opera, il committente deve pagare:
495 — il prezzo contrattuale (100) - l'importo revisionale pari a 30 diminuito del decimo dell'importo contrattuale (10). Deve, cioè, pagare 120. La revisione dei prezzi è prevista dall'art. 1664 cod. civ. ma in modo che l'effettivo aumento del costo dell'opera non è praticamente quantificabile e ciò ha reso difficile il calcolo dell'importo revisionale ed ha dato luogo a lunghe dispute. Il Ministero dei LL.PP., per le sole opere di sua competenza, ha messo a punto un sistema revisionale di tipo parametrico di pronta e facile applicazione che, peraltro, si discosta concettualmente dal sistema poco o nulla attuabile, previsto dal codice civile. Questo sistema è del tutto legittimo (e può essere usato anche negli appalti privati, sull'accordo delle parti), perché le previsioni del codice, per quanto riguarda la revisione dei prezzi, sono derogabili e, se preventivamente pattuito, qualsiasi sistema revisionale è legittimo. Per i lavori pubblici questo accordo è inserito nel capitolato speciale o nel contratto. Il sistema revisionale messo a punto dal Ministero dei LL.PP. non tiene conto del maggior valore che viene ad avere l'opera finita in conseguenza dell'aumentato costo dei materiali e/o della manodopera, ma ha riguardo soltanto al maggior onere che l'appaltatore deve sostenere per i predetti aumenti di costo. I principi su cui si articola questo sistema parametrico sono stati enunciati con la legge del 17 febbraio 1968 n. 93 (Disposizioni in materia di appalti di opere pubbliche) mentre i parametri per il conteggio dell'importo revisionale per ogni categoria di lavoro (opere edili, opere idrauliche, ecc.) sono stati recentemente ritoccati con il D.M. 11 novembre 1978 (Nuove tabelle delle quote di incidenza per le principali categorie di lavoro nonché la composizione delle rispettive squadre tipo, ai fini della revisione dei prezzi contrattuali). Gli acconti revisionali, con l'alea del 5 % a carico dell'appaltatore ed assoggettati all'eventuale ribasso contrattuale, devono esser corrisposti unitamente ad ogni singolo stato di avanzamento nella misura dell'85% restando il rimanente 15 % come ritenuta di garanzia che sarà versata all'impresa a collaudo favorevolmente espletato. La legge 10/12/1981, n. 741 prevede che — previa fidejussione — possa esser versato l'intero importo revisionale. I)
Riserve
Anche se negli appalti per eseguire lavori per conto dello Stato, i contratti - predisposti dalla S.A. ed accettati dalle Imprese - sono sempre favorevoli all'ente committente, è pur sempre prevista la possibilità per le imprese di far valere i loro diritti e di avanzare richieste di maggiori compensi per avere eseguito opere più onerose di quelle contrattuali o per al-
496 tre varie ragioni. A tale scopo le imprese hanno una unica grande possibilità: la riserva. La riserva — pur non consentendo all'Impresa di rifiutarsi di fare i lavori o di differirli (e ciò a tutto vantaggio della celere e buona esecuzione dell'opera), permette all'Impresa di far risultare precise circostanze di fatto che - in proseguo di tempo - possono permetterle di rivendicare maggiori compensi di quelli riconosciutile e conseguenti ad effettive maggiori prestazioni. L'istituto della riserva è una valvola di sicurezza per le Imprese per il caso di direzione di lavori poco diligenti o troppo autoritarie. Come si è visto, a cominciare dal verbale di consegna, al certificato di ultimazione, al verbale di concordamento nuovi prezzi, alla contabilizzazione dei lavori, ogni atto è sottoscritto dall'Impresa e dalla direzione dei lavori. Ogni qualvolta l'Impresa è chiamata ad avallare un qualsiasi ordine, una qualsiasi contabilizzazione o un qualsiasi atto della D.L. può, se ritiene di aver diritto a maggiori compensi o a riconoscimento di danni, firmare tali documenti con riserva che, però, deve esplicitare nel termine perentorio di 15 gg' motivando le ragioni e indicando il maggior importo cui crede di aver diritto. Ad ogni riserva dell'impresa, la D.L. deve rispondere, entro un periodo di ulteriori 15 gg, per contestare tempestivamente dati di fatto obbiettivi o ragioni non valide. (Non sembri assurdo che la D.L. rigetti sempre le riserve dell'impresa: infatti se tra le parti sussiste accordo sulle ragioni della riserva è la stessa D.L. che accorda subito all'impresa quanto fosse giustamente richiesto e la riserva non avrebbe più ragione di essere). Le riserve per ritardata consegna dei lavori all'Impresa, per ingiustificate o troppo lunghe sospensioni ecc. possono esser inserite nei relativi verbali, ma devono esser ripetute ed esplicate nel registro di contabilità entro 15 gg. Le riserve circa la contabilizzazione delle opere vanno inserite esclusivamente nel libretto delle misure e nel registro di contabilità, e vanno ripetute negli stati di avanzamento e nello stato finale. Le riserve non possono esser inoltrate in nessun altro modo pena la loro validità. Se l'Impresa, ad ogni successiva firma del registro di contabilità e poi dello stato finale, non richiama le già fatte ed esplicate riserve è da considerarsi rinunciataria alle richieste formulate con le dette riserve. Questa prassi, cosi formale e rigorosa, ha una ben precisa ragione di essere. Ogno qualvolta l'impresa ritenga di aver diritto a maggiori compensi deve immediatamente renderne edotta la D.L. che, di conseguenza, può regolarsi in proposito e prendere i provvedimenti del caso per non gravare
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di eccessive spese l'esecuzione dell'opera. Peraltro, quasi tutta la giurisprudenza arbitrale ammette una eccezione alla tempestività della riserva e cioè solo per quelle domande di maggiori compensi che non si riferiscono ad una o più partite di lavoro o alla loro contabilizzazione, bensì alla generalità dell'opera nel suo complesso, al di sopra ed al di fuori delle registrazioni contabili o quando si tratti di contestazioni riferibili alla interpretazione giuridica di clausole contrattuali da effettuarsi in relazione al comportamento delle parti durante tutto l'arco di tempo in cui si sivluppa il lavoro. In questi casi l'obbligo di manifestare le riserve è da ritenere adempiuto allorché la richiesta e la esplicazione di essa sia effettuata almeno al momento dello stato finale. Infatti, solo in questo momento, è possibile valutare il danno economico dovuto ad un certo comportamento del committente. Possono rientrare in questi casi per es. i ritardi eccessivi e iterati nell'approvare i calcoli statici obbligando l'impresa all'inattività per non poter eseguire le strutture o i ritardi nella decisione di adozione di materiali, oppure la richiesta di interessi su ritardi nei ratei di acconto, ecc.. L)
Collaudo tecnico-amministrativo (artt. dal 96 al 117 del regolamento)
Il collaudo tecnico-amministrativo è quell'insieme di operazioni di verifica e controllo sulle modalità esecutive e amministrative espletate per la realizzazione di un'opera che vengono assolte da un tecnico qualificato, su incarico e nell'interesse della Stazione Appaltante. L'art. 92 del Regolamento prevede — per tali operazioni di collaudo — la nomina di un solo collaudatore o di una Commissione di collaudo (composta da tre o cinque membri). Non può assumere l'incarico di collaudatore o membro della Commissione di collaudo chi — comunque — abbia preso parte alla realizzazione dei progetti od alla sorveglianza o direzione dei lavori. Il predetto art. 92 è stato integrato dal D.R. 15/4/1940 n. 462, che prevede la possibilità della nomina dei collaudatori o della commissione di collaudo all'inizio o durante l'esecuzione dei lavori per render possibile verifiche controlli e risoluzioni di controversie anche durante il lavoro. Questo tipo di collaudo non è da confondere con il collaudo statico previsto come obbligatorio dall'art. 7 della legge 5 novembre 1971, n. 1086, Norme per la disciplina delle opere in conglomerato cementizio (normale, armato e precompresso) ed a struttura metallica. Naturalmente il privato non ha obbligo di far eseguire alcuna delle verifiche previste dal collaudo mentre per lo Stato e per gli Enti pubblici tale obbligo è perentorio. Peraltro, in forza dell'art. 17 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, quando l'importo dei lavori non supera i 150 milioni di lire, si può omettere il col-
498 laudo e sostituirlo con un certificato di regolare esecuzione rilasciato dallo stesso direttore dei lavori che attesti la regolarità tecnico-amministrativa dei lavori da lui diretti. Alcune regioni hanno modificato il detto importo minimo. L.l — Scopo del collaudo Il collaudatore, dall'esame del progetto, del contratto, del capitolato e della contabilità, e con visite e saggi superlocali deve perseguire i seguenti scopi (art. 91 del regolamento R.D. 25/5/1895, n. 350). 1) Confrontare la corrispondenza dell'intera opera eseguita e delle singole partite, alle previsioni di progetto e delle eventuali varianti approvate; 2) accertare la qualità dei materiali forniti anche mediante saggi; 3) valutare i magisteri impiegati e le modalità di esecuzione delle singole opere; 4) controllare se le singole partite di lavoro sono state compensate con i relativi prezzi contrattuali o con i nuovi prezzi regolarmente approvati e se è stato regolarmente applicato il ribasso d'asta; 5) controllare la riuscita finale dell'opera sia dal punto di vista statico, sia in corrispondenza con le precisioni del progetto e con tutte le norme di contratto e di capitolato ; 6) verificare — sia pure saltuariamente — la concordanza tra le misure reali delle singole opere con quelle annotate nei vari libri contabili e riassunte nello stato finale; 7) controllare la regolarità amministrativa di tutto l'andamento dei lavori sia per quanto riguarda il tempo di esecuzione dei lavori, sia per l'obbligo dei versamenti dei contributi agli Enti assicurativi e previdenziali, ecc. ecc.; 8) esprimere un parere sull'appaltatore e sulla D.L. circa il modo in cui operarono ; 9) esaminare le riserve dell'impresa chiedendo i chiarimenti del caso per poi esprimere il proprio parere in proposito alla S.A., con relazione riservata. In altri termini, il Collaudatore, deve controllare tutto e tutti a partire dal progetto approvato e fino alla ultimazione dei lavori per garantire il committente che l'opera è stata eseguita regolarmente dal punto di vista tecnico ed amministrativo, che l'opera è conforme alle previsioni del progetto ed alle varianti approvate e che è in buone condizioni statiche, che le spese esposte sono giustificate da corrispondenti lavori eseguiti e sono state computate in base ai prezzi contrattuali. Se il collaudatore dovesse riscontrare degli errori materiali di conteggio o errata applicazione di prezzi, o errata contabilizzazione di quantità, approfondirà ed estenderà le sue verifiche e i suoi controlli e poi correggerà gli atti contabili e lo stato finale (o li farà correggere dal D.L.).
499 Nel caso che il collaudatore riscontrasse dei difetti o deficienza di esecuzione o discordanza di qualità tra le previsioni e la fornitura di materiali, ha tre possibilità (art. 102 del regolamento): a) se i vizi o difetti sono tali da render l'opera inaccettabile, il collaudore non emetterà il certificato di collaudo e ne informerà la S.A. unendo al verbale di vista le sue proposte perché la S.A. possa decidere in merito; b) se i difetti o i vizi sono riparabili in breve tempo e sono di lieve entità, il collaudatore ordinerà all'Impresa di ripararli in un prefissato termine ed attenderà a rilasciare il certificato di collaudo finché le riparazioni siano state eseguite; c) se i difetti non dovessero esser pregiudizievoli alla stabilità e funzionalità dell'opera e fossero tali da poter esser lasciati sussistere senza inconveniente, il collaudatore proporrà alla S.A. un congruo diffalco dal prezzo contrattualmente convenuto. L.2 — Atti di collaudo In base alle disposizioni del regolamento il collaudatore deve predisporre i seguenti e distinti documenti: - verbale di visiva (art. 99 del regolamento); - relazione sui risultati della visita (art. 100 del regolamento); - certificato di collaudo (art. 104 del regolamento); - relazione riservata e suo parere circa la fondatezza delle riserve dell'impresa (art. 100 del regolamento). Peraltro tutti questi documenti hanno delle parti in comune (località ove sorge l'opera, estremi del progetto e del finanziamento e loro approvazione, nominativo dell'appaltatore, estremi del contratto, ecc. ecc.) e l'art. 108 del regolamento prevede che per lavori di non grande importanza tutti i predetti documenti possano esser riassunti in un unico documento, con esclusione della relazione riservata. In pratica viene predisposta una prima parte ove sono raccolti tutti i dati che riguardano i tre documenti e la si fa seguire da un verbale di visita, da una relazione circa la collaudabilità dell'opera o delle condizioni sotto cui può esser collaudata e la si completa con il certificato di collaudo. A parte si redige l'eventuale relazione riservata sui maggiori compensi richiesti dall'Impresa. Il collaudatore — contrariamente a quanto è comunemente ritenuto — non è un arbitro e ogni sua decisione è subordinata all'approvazione della S.A. e all'accettazione dell'appaltatore. M)
Disciplina per le opere in conglomerato cementizio (semplice, armato e precompresso) e per le strutture metalliche Le calcolazioni delle strutture in calcestruzzo sia esso semplice, arma-
500 to o precompresso e delle strutture metalliche, che possono coinvolgere la pubblica incolumità, sono di esclusiva competenza degli ingegneri e degli architetti iscritti ai rispettivi albi professionali. Fino al 1971 lo Stato esercitava un certo controllo esclusivamente sulle strutture in calcestruzzo, trascurando totalmente tutte le strutture metalliche che — peraltro — non sono meno semplici da calcolare o meno pericolose. Cosi un qualsiasi fabbro ferraio poteva costruire,vendere e porre in opera capriate in ferro, o qualsiasi altro manufatto in acciaio senza essere soggetto a controllo alcuno. Con la legge del 5 novembre 1971 n. 1086 (G.U. n. 321 del 21 dicembre 1971) è stato completamente mutato il sistema di controllo sulla progettazione ed esecuzione di tutti i tipi di strutture in calcestruzzo estendendo il controllo anche alle strutture metalliche. Questa nuova normativa è stata opportunamente chiarita con la Circolare del Ministero dei LL.PP. del 14 febbraio 1974 n. 11951 che specifica quali opere in c.a. sono da considerare soggette alla disciplina della legge 1971/1086, che, per inizio e fine dei lavori, si deve intendere l'effettivo inizio o ultimazione delle "strutture" e non delle opere di preparazione o di rifiniture e che il Genio Civile non ha funzioni di controllo circa la regolarità delle calcolazioni o dei collaudi, ma ha solo funzione di "archivio" di tutti gli elaborati tecnici. L'art. 21 della legge 1971 n. 1086 prevede che il Ministero dei LL.PP., sentito il Consiglio superiore dei LL.PP. e il Consiglio nazionale delle ricerche, deve emanare ogni biennio le norme tecniche alle quali devono uniformarsi le strutture in calcestruzzo o metalliche. Infatti, il Ministero dei LL.PP. ha emanato (tutti con il titolo "Norme tecniche per l'esecuzione delle opere in c.a. normale e precompresso e per le strutture metalliche") i seguenti decreti: - D.M. 30 maggio 1972; - D.M. 30 maggio 1974; - D.M. 16 giugno 1976; - D.M. 26 marzo 1980; - D.M. 1 aprile 1983. L'esame di tali norme esula dai limiti e dagli scopi della presente trattazione. Si esamineranno invece le disposizioni burocratiche ed amministrative dettate per il controllo dell'esecuzione delle strutture in calcestruzzo e metalliche che sono contenute nella legge del 5 novembre 1971 n. 1086 (G.U. n. 321 del 21/12/1971). Innanzitutto bisogna precisare che la prassi prevista dalla citata legge per i controlli si articola in tre periodi: 1) denuncia del costruttore al Genio Civile prima di iniziare i lavori dell'opera da eseguire (art. 4);
501 2) denuncia del direttore dei lavori al Genio Civile a struttura ultimata (art. 6); 3) collaudo (art. 7). Tutti questi atti devono esser dimessi dagli interessati in duplice copia al Genio Civile che restituirà subito una copia con l'attestazione di avvenuto deposito.
M.l — Denuncia al Genio Civile prima di iniziare l'opera (art. 4) Il costruttore deve denunciare all'Ufficio del Genio Civile, che abbia competenza territoriale sul luogo ove viene effettuata la costruzione, ogni opera la cui struttura sia in conglomerato cementizio normale, in conglomerato cementizio precompresso o in acciaio. La denuncia va fatta in duplice copia, e l'Ufficio del Genio Civile ne restituirà al costruttore una copia con l'attestazione dell'avvenuto deposito. La denuncia comporta la produzione dei seguenti documenti: 1) denuncia di costruzione (su carta bollata) dell'opera con precisa indicazione: a) del titolo dell'opera; b) del luogo ove sorgerà l'opera; c) l'indicazione completa dei nominativi e dei recapiti del progettista, del committente, del calcolatore, del direttore dei lavori e del costruttore (con estremi della iscrizione dell'Albo per i professionisti); 2) progetto architettonico con gli stessi elaborati prodotti al Comune per ottenere la concessione edilizia, firmato dal progettista architettonico; 3) una relazione illustrativa firmata dal progettista architettonico e dal direttore dei lavori, dalla quale risultino le caratteristiche, la qualità, la dosatura dei materiali che verranno impiegati nella costruzione; 4) relazione di calcolo, a firma del calcolatore, della quale risultino in modo chiaro ed esauriente le calcolazioni eseguite, l'ubicazione, il tipo, le dimensioni delle strutture e quant'altro occorre per definire l'opera sia nei riguardi dell'esecuzione, sia nei riguardi della conoscenza delle condizioni di sollecitazione; 5) disegni esecutivi delle strutture firmati dal calcolatore e controfirmati dal direttore dei lavori e dal costruttore (una serie dei disegni costruttivi deve essere bollata); 6) bollettino di versamento in c.c. postale n. 1/15046 intestato alla Banca Nazionale del Lavoro - Centro servizi speciali - Cassa Nazionale Previdenza ingegneri e architetti - Roma. L'importo del versamento deve essere pari al 2°/00(due per mille) dell'importo delle strutture calcolate (questa percentuale viene fissata ogni biennio dal Ministero del Lavoro).
502 Il costruttore che ometta o ritardi la denuncia dei lavori è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da 100.000 lire a 1.000.000 di lire. Nel caso che durante il corso dei lavori si volessero introdurre delle modifiche, esse devono essere denunciate al Genio Civile prima di dare inizio alla loro esecuzione e con le stesse modalità sopraelencate. La copia della denuncia e di tutti i suoi allegati, che il Genio Civile restituisce al costruttore, deve essere sempre conservata in cantiere. Deve inoltre essere tenuto in cantiere un giornale dei lavori costantemente aggiornato con particolare riguardo alle date dei getti in calcestruzzo. Di tali documenti da conservare in cantiere, è responsabile il direttore dei lavori. Nel caso in cui il direttore dei lavori non ottemperi a tali norme è punito con l'ammenda da 40.000 a 200.000 lire.
M.2 — Relazione a struttura ultimata (art. 6) Il direttore dei lavori non oltre il 60° giorno dell'ultimazione dei lavori relativi alle strutture (e non delle finiture e impianti) dovrà depositare al Genio Civile (in carta semplice e in duplice esemplare) una relazione, sull'adempimento degli obblighi di cui alla denuncia originaria (art. 4). Alla relazione dovranno essere allegati (in originale e copia): a) i certificati delle prove sui materiali impiegati, rilasciati da Istituti autorizzati (di cui l'elenco è riportato all'art. 20 della legge e che erano in pratica, tutti i laboratori di Scienza delle costruzioni delle Facoltà di Ingegneria e che oggi sono anche laboratori provinciali o altri); b) per le opere in conglomerato armato precompresso, ogni indicazione inerente alla tesatura dei cavi ed ai sistemi di messa in coazione; e) l'esito di eventuali prove di carico, allegando le copie dei relativi verbali. Il Genio Civile restituirà al direttore dei lavori una copia della dichiarazione e degli allegati muniti dell'attestazione di avvenuto deposito. Il direttore dei lavori che dovesse omettere o ritardare la predetta relazione al Genio Civile entro i 60 giorni dalla ultimazione dei lavori è punito con l'ammenda da 40.000 a 200.000 lire.
M.3 — Collaudo statico Il committente non oltre il 60° giorno dall'ultimazione delle strutture comunicherà al Genio Civile l'avvenuta nomina del Collaudatore indicando il suo nominativo e recapito, precisando che il prescelto collaudatore è iscritto all'albo professionale da almeno dieci anni, e fissando i termini di tempo entro il quale dovranno essere completate le operazioni di collaudo.
503 Nel caso non esista il committente e cioè nel caso che il costruttore esegua in proprio le opere, egli non ha libertà assoluta di scelta del collaudatore. Egli dovrà nominare il collaudatore su una terna di nomi che a sua richiesta gli fornirà l'ordine degli ingegneri o quello degli architetti. Al collaudatore devono esser prodotte tutte le copie dei documenti presentati al Genio Civile dal costruttore prima dell'inizio delle opere (e, per varianti, in corso di costruzione), dal direttore dei lavori a fine dei lavori e dal committente per informazione della nomina del collaudatore. Nel caso che l'Impresa abbia costruito in proprio, al collaudatore dovrà esser esibita anche la nota con cui l'ordine professionale ha proposta la terna dei nominativi tra cui scegliere il collaudatore. Il collaudo viene eseguito con la prassi normale dei collaudi statici (art. 51 del Dec. 16 novembre 1939 n. 2229) ed avrà l'estensione che il collaudatore riterrà necessaria essendo egli l'unico responsabile dell'atto di collaudo. In ogni caso ai sensi del D.M. 26/3/80 (Norme tecniche per l'esecuzione delle opere in c.a. normale e precompresso ed a struttura metallica), perché le prove di carico possano risultare soddisfacenti e probanti è necessario: a) per le opere in conglomerato cementizio armato (punto 8 della prima parte del D.M. 26 marzo 1980) che: — le deformazioni si accrescano all'incirca proporzionalmente ai carichi; — nel corso della prova non si producano lesioni, deformazioni o dissesti che compromettano la sicurezza o la conservazione dell'opera; — la deformazione residua, dopo la prima applicazione del carico massimo, non superi una quota parte di quella totale commisurata ai prevedibili accertamenti iniziali di tipo anelastico della struttura oggetto della prova. Nel caso, invece, che questo limite venga superato, prove di carico successive accertino che la struttura tende ad un comportamento elastico. — la deformazione elastica risulti non maggiore di quella calcolata. Secondo il punto 8 del D.M. 26 marzo 1980 nel caso che le prove di carico non dovessero venir eseguite dovranno esser sostituite da un accurato controllo della rispondenza alle prescrizioni di progetto e da controlli di altro tipo (prove dinamiche, prove fisiche, ecc.) atte a dare indicazioni valide sulla capacità resistente dell'opera. b) Per strutture metalliche valgono, per quanto applicabili le prescrizioni per le opere in calcestruzzo sopra riportate (Punto 6 della seconda parte del D.M. 26/3/80). Per travi in acciaio di solaio la freccia dovuta al sovraccarico non deve superare 1/400 della luce. Le frecce teoriche orizzontali degli edifici multipiani alti, dovute all'azione del vento, non devono essere maggiori di 1/500 dell'altezza totale dell'edificio, ecc.. Il collaudatore dovrà produrre al Genio Civile due copie del certificato
504 di collaudo (redatto su carta bollata). Il collaudo deve essere firmato, secondo interpretazioni della legge, oltre che dal collaudatore anche dal direttore dei lavori e dal costruttore. Nell'atto di collaudo per strutture in acciaio è necessario richiamare le incombenze di spettanza del committente disposte, al capo 6, sotto titolo 6.3.1 - 6.3.2 - 6.3.3 delle norme del D.M. Ministero LL.PPdel 30 maggio 1972 (Sorveglianza e manutenzione delle opere in ferro). Il Genio Civile restituirà al Collaudatore una copia con l'attestazione di avvenuto deposito, copia che il collaudatore trasmetterà al committente che dovrà produrla al Comune per ottenere il permesso di abitabilità. Il Collaudatore che non dovesse osservare le disposizioni sopra riportate è punito con l'ammenda da 40.000 a 200.000 lire. M.4 .— Vigilanza La vigilanza sull'osservanza delle norme dettate dalla legge 1086 spetta al Sindaco del Comune nel cui territorio vengono realizzate le opere, avvalendosi dei funzionari e agenti comunali. I funzionari o agenti comunali che accertino l'innosservanza dei predetti adempimenti redigono processo verbale che, a cura del Sindaco, verrà inoltrato al Pretore ed alla Prefettura per i provvedimenti del caso che — in primis — sono l'ordine della sospensione dei lavori (art. 10, 11, 12 della legge 5 novembre 1971 n. 1086).
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Bibliografia dr. ing. A. VALENTINETTI, La pratica amministrativa e contabile nella condotta dei lavori di opere pubbliche, Brescia, 1972. Regolamento per la compilazione dei progetti di opere dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero (Decreto Ministero LL.PP. 29/5/1895), Ed. Pirola n. 125. Capitolato Generale dì appalto per le opere di competenza del Ministero dei LL.PP. (D.P.R. 16/7/1962 n. 1063: pubblicato su G.U. n. 198 del 7/8/1962), Edizioni Pirola. Regolamento per la direzione, contabilità e collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei LL.PP (R.D. 25/5/1895 n. 350; pubblicato sulla G.U. dell'8 e 10 giugno 1895), Ed. Pirola. Disposizioni sull'amministrazione del Patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2240; pubblicato sulla G.U. n. 275 del 23 novembre 1923) Ed. Pirola n. 1208. Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato (R.D. 23 maggio 1924 n. 827 - Suppl. G.U. n. 130 del 3/6/1924). Modificazioni al R.D.L. 8/2/1923 n. 422 sulla esecuzione di opere pubbliche (R.D. 28 agosto 1924 n. 1396- n. 1398 -G.U. 19/9/1924 n. 221). Legge 17/8/1942 n. 1150 (legge urbanistica) integrata dalla legge 6/8/1967 n. 765 - Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica (detta legge ponte). Legge 22 ottobre 1971 n. 865 (G.U. 30 ottobre 1971 n. 276). Legge 5 novembre 1971 n. 1086 (G.U. 21 dicembre 1971 n. 321). Legge 28 gennaio 1977 n. 10 (G.U. 29 gennaio 1977 n. 27). Legge 5 agosto 1978 n. 457(G.U. 19 agosto 1978 n. 231). Legge 10 dicembre 1981 n. 741 - Ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche (G.U. 16 dicembre 1981 n. 344). P. ANDRIOLO-STAGNO, Delle professioni intellettuali e dell'Ordine, L'ingegnere libero professionista, Milano, dicembre 1968. P. ANDRIOLO-STAGNO, La responsabilità del direttore dei lavori alla luce del Codice Civile, Milano, Edilizia popolare, n. 77, luglio-agosto. P. ANDRIOLO-STAGNO, La diversa configurazione del direttore dei lavori nel confronto tra il vecchio ed il nuovo codice, Atti e Rassegna tecnica della Società degli ingegneri ed architetti di Torino, Torino, novembre 1967. G. PRIVILEGIO, N. SINOPOLI, // concorso appalto, Università di Padova, Istituto Architettura, Padova, 1969. A. CUNEO, Appalti pubblici e privati, Padova, 1972. P. PASTORE, L 'arbitrato negli appalti di opere pubbliche, Milano, 1961. P. ANDRIOLO-STAGNO, Introduzione alla legislazione urbanistica, Padova 1984. P. ANDRIOLO-STAGNO, Ingegneria legale, compendio ragionato e commentato anche con sentenze della cassazione della vigente legislazione in materia di ingegneria civile. Padova 1984.
FACSIMILE DEGLI ATTI RELATIVI ALLA CONTABILIZZAZIONE DEI LAVORI