Edilizia sociale e urbanistica. La difficile transizione dalla casa all'abitare 8843074733, 9788843074730

A chi spetta oggi farsi carico della ormai grave questione abitativa in Italia? In che termini è possibile ed utile occu

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Italian Pages 188 [190] Year 2020

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Edilizia sociale e urbanistica. La difficile transizione dalla casa all'abitare
 8843074733, 9788843074730

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BIBLIOTECA DI TESTI E STUDI

/ 968

ARCHITETTURA E URBANISTICA

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a : Carocci editore Corso Vittorio Emanuele n, 2.2. 9 0 018 6 Roma telefono o6 42. 81 84 17 fax o 6 42. 74 7 9 31

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Saverio Santangelo

Edilizia sociale e urbanistica La difficile transizione dalla casa all , abitare

Carocci editore

Il volume è corredato di un Glossario del social housing in Europa, di cui è autrice Antonella Galassi, consultabile online sul sito di Carocci Editore.

Questo libro costituisce il risultato conclusivo delle attività di ricerca svolte sui diversi temi dell' Edilizia residenziale sociale, negli anni 201 2-2014, sulla base dei Progetti di Ricerca di Ate­ neo finanziati da "Sapienzà: Università di Roma, con responsabile Saverio Santangelo. Oltre al gruppo di lavoro interno al dipartimento PDTA di "Sapienzà: vi hanno partecipato esperti di settore, rappresentanti della PA e docenti delle Università di Camerino, Trieste e Venezia.

a ristampa, marzo 2020 edizione, novembre 2014 © copyright 2014 by Carocci editore S.p.A., Roma l

la

Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari I SBN

978-88-430-7473-0

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 19 41, n. 633) Senza regolare autorizzazione, vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. è

Indice

Prefazione di Francesco Karrer

7

Edilizia residenziale sociale, welfare e urbanistica: un'introduzione di Saverio Santangelo

II

Parte prima Confronti e riferimenti 1.

Il social housing in Europa: un confronto a partire dalle definizioni di Antonella Galassi

43

2.

Housing sociale in Francia: proprietà della casa e mercato libero dell'affitto nei programmi di rénovation urbaine di Manuela Ricci

6o



Edilizia sociale e rigenerazione urbana: una prospettiva regionale di Michele Zanelli

74

Parte seconda Politiche, attori, strumenti

ss



Nuove forme di operatività per le ATER. Per quali obiettivi ? di Paolo Ciampi

s.

Housing sociale e urbanistica: ricorso alla consensualità di Massimo Ghiloni

104

6.

Pubblico/privato e attore finanziario nel sistema dell'edilizia sociale di Guido Bardelli

114

s

INDICE



8.

Nuova edificazione e recupero edilizio nell ' housing sociale : tra carenza di strategie e strumenti innovativi di Elena Borghetti

1 26

Fattibilità dell'edilizia sociale : dall'esemplarità virtuosa alle politiche diffuse e multisettore di Stefano Stanghellini

I39

Parte terza Prospettive: dalla casa all'abitare ? Dal pubblico al sociale. Nuove questioni abitative, città pubblica e spazi abitati di Paola Di Biagi

IS3

IO. Il ruolo dell 'edilizia residenziale pubblica nello sviluppo della città moderna: ieri, oggi, domani ? di Michele Talia

I 6o



I I. Dalla casa all'abitare : de-settorializzare l'edilizia residenziale sociale di Saverio Santangelo Gli autori

I7I

I87

6

Prefazione di Francesco Karrer

Nell'attuale congiuntura politica e disciplinare il tema dell'edilizia sociale e della sua collocazione rispetto all 'urbanistica, come siamo soliti definirla, o, più propriamente, al governo del territorio, ha un particolare rilievo. In primo luogo per l'importanza che la questione abitativa ha di nuovo assunto in Italia negli ultimi dieci anni, in specie nelle grandi città, e in secondo luogo perché, stante da tempo la necessità di operare un salto di qualità ed efficacia nella gestione pubblica sia del problema "casa" che delle trasformazioni urbane complessive, non è più rinviabile la messa a punto di approcci e strumenti operativi più adeguati rispetto a quelli impiegati in passato per affrontare i numerosi problemi che nelle città si sono venuti accumulando, segnatamente negli ultimi anni di difficoltà sociali e stagnazione economica. Continuano a rimanere scarse infatti le risorse destinabili al welfare e dunque an­ che all'edilizia residenziale pubblica, il cui ripensamento secondo forme nuove, in par­ te avviato poco più che sperimentalmente attraverso i primi interventi di housing so­ ciale, è tuttavia ancora da definire compiutamente in modo che il settore possa essere rilanciato con credibili possibilità di successo. Non mancano, altrove, esempi importanti di analoga attenzione al problema e di ricerca di approcci generali più produttivi, nell'ambito dei quali perseguire maggiori complementarità con le dinamiche sociali ed economiche più recenti e, quindi, mag­ giore efficacia delle soluzioni. Così in Francia e Germania, per rimanere a situazioni più confrontabili col nostro paese, dove la tendenza è di rivedere l'approccio che fino a ieri aveva privilegiato l'affitto dell'alloggio in luogo del suo possesso. Ma anche in paesi culturalmente e operativamente più "lontani" si registra una forte attenzione alla necessità di ampliare l'offerta di alloggi a basso costo, in particolare a livello locale, dove il confronto amministratori/amministrati è più direttamente sentito. Come a New York, dove il sindaco Bill de Blasio ha in più occasioni rimarcato la volontà della sua amministrazione di mantenere la gestione del patrimonio di alloggi a carattere so­ ciale, e di accrescerlo significativamente, nel quadro più vasto di un piano decennale per l'housing; e dove Walmart, gruppo industriale della grande distribuzione, studia di riutilizzare i suoi shopping malls, riadattandoli, per soddisfare le esigenze di housing sociale e così fronteggiare gli effetti della crisi dei consumi che non risparmia neanche la grande distribuzione. 7

FRANCESCO KARRER

Come è noto, un secondo aspetto rilevante nei processi di sviluppo attuali delle città, nonché di prospettiva di medio periodo, è la necessità di pensare ad esse soprat­ tutto in termini di rinnovo urbano e accrescimento della qualità della vita e del­ l"'abitare". Il che vuoi dire fare i conti tanto con le mutate dinamiche sociali che con il funzionamento, più o meno soddisfacente, delle città, dello spazio pubblico, delle in­ frastrutture e dei servizi, nonché con le caratteristiche qualitative del patrimonio abi­ tativo, da più punti di vista, funzionale, spaziale e morfologico. Questo è vero in parti­ colare per le città italiane, che sappiamo non crescere più in misura significativa dal punto di vista demografico, e per le quali operazioni di rigenerazione e riqualificazione sono da un lato necessarie e dall'altro realisticamente più fattibili per la maggiore faci­ lità di attivare risorse di privati e di coinvolgimento di attori ulteriori oltre a quello pubblico. Il pensare all'edilizia sociale nell'urbanistica (nel fare urbanistica) significa inver­ tire la gerarchia di un tempo, quello della legge e delle "167" ( i quartieri) per intender­ ci : allorché l 'urbanistica che si faceva era quella "per le case" e non "per la città", come fu lucidamente rilevato. Ripensare il settore dell'edilizia sociale e coniugarlo con investimenti e interventi di riqualificazione e rigenerazione nella città esistente appare dunque obbligato, neces­ sario e realizzabile. E prima di tutto da questa ipotesi - opportunamente, ritengo muovono le riflessioni contenute in questo volume, ragionando sulle molte questioni in gioco in vista di un rilancio delle politiche abitative e urbane e tenendo presenti i diversi strumenti disponibili, urbanistici, gestionali, fiscali e finanziari. Perché questo sia possibile è necessario disporre di un quadro di riferimento nor­ mativa e di legittimazione politica e istituzionale che sia al tempo stesso coerente, rea­ listico ed esigente rispetto all'azione pubblica e rispetto a ruolo e aspettative degli ope­ ratori privati. Ad esso potrà contribuire il d. d.l. Principi in materia dipolitichepubbliche territoriali e trasformazione urbana, presentato nel luglio di quest'anno dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Lupi, e sul quale gli stessi contributi presenti nel volume offrono utili spunti di discussione. Per riferirei al tema della casa sotto il profilo sociale abbiamo fin qui utilizzato : edilizia sociale, edilizia residenziale pubblica, housing sociale, alloggi a basso costo. E prima, in Italia, avevamo conosciuto anche !"'edilizia economica e popolare" dei PEEP ex lege 167/19 62. Tutte locuzioni che concorrono a descrivere diversi profili del tema casa; ma a volte usate impropriamente in sostituzione l'una dell'altra, oggi probabil­ mente in ragione del passaggio ad una nuova fase di politiche e programmi: una chia­ rificazione lessicale e concettuale si impone, soprattutto oggi, per la presenza della componente privata nell'offerta complessiva di alloggi sociali. "Edilizia sociale", come è nel titolo necessariamente sintetico di questo libro, può essere allora completata in "edilizia residenziale sociale", e comprendere tutte le problematiche e i diversi attori coinvolti. 8

PREFAZIONE

Così, del resto, è nel d.d.l. sopra ricordato, dove nel Titolo II, l'art. 18, recita: «l'e­ dilizia residenziale sociale comprende tutti gli interventi di edilizia residenziale pub­ blica e privata » . E dove, sempre nel Titolo II, in termini di necessaria complementari­ tà col tema dell'edilizia residenziale sociale, è collocato il tema del rinnovo urbano, oggetto degli artt. 16 e 17, la cui rilevanza negli attuali processi di trasformazione urba­ na, come si è detto, è oggi unanimemente riconosciuta. Alcune ragioni di interesse di questo volume stanno dunque anche nella comune cogenza dei temi in esso trattati, potremmo dire, rispetto ad alcune delle questioni af­ frontate nel testo di base del d.d.l. Al dibattito che ne precede l'avvio dell'iter appro­ vativo sono certo che anche questo libro potrà contribuire.

9

Edilizia residenziale sociale, welfare e urbanistica: un'introduzione di Saverio Santangelo

I

Casa, politica e urbanistica

L' intento di questo libro è duplice. Per un verso, si è inteso discutere le possibilità di dare risposte alla questione abitativa in un periodo di scarse risorse finanziarie pubbli­ che e di significativi mutamenti sociali e, al tempo stesso, come tali risposte possano prevedere approcci e strumenti adeguati per migliorare la qualità dell'abitare sia nell'e­ dilizia residenziale "pubblica" già esistente che in quella, programmata o da program­ mare, che da qualche anno chiamiamo più genericamente edilizia residenziale "socia­ le"; per l'altro, si è voluto considerare come, tanto nei processi realizzativi delle nuove costruzioni che in quelli di riqualificazione del patrimonio esistente, l'urbanistica pos­ sa svolgere un ruolo importante e cruciale, in relazione ai suoi avanzamenti degli ultimi anni nonché alle prospettive di riforma più generale del suo impianto normativa. Oltre a presentare i saggi dei diversi autori che hanno contribuito alla realizzazione del volume, questo mio saggio introduttivo cerca di delineare uno sfondo generale ed un' ipotesi interpretativa del contesto e delle prospettive in cui !'"edilizia residenziale sociale" e l'urbanistica sono oggi situate. Precisamente, l'ipotesi su cui si ragiona è che nel nostro paese, in assenza di un cambiamento complessivo, culturale, politico-istituzionale e sociale - e che in quanto tale richiede tempi lunghi -, sulle questioni qui affrontate non sia possibile attendersi risultati significativi. E che, pur tuttavia, nell'attuale situazione, "anche" dovuta alla crisi lunga che ancora vivremo per qualche tempo, resti ferma la necessità di finanzia­ mento pubblico del welfare abitativo e siano implicite ( a determinate condizioni ) al­ cune opportunità di accrescimento più generale dell'offerta di edilizia residenziale sociale, nonché di miglioramento della qualità dell'abitare nei relativi insediamenti e di riqualificazione urbana complessiva delle parti di città oggi degradate o fragili. In questo quadro sarebbero possibili inoltre ( a determinate condizioni ) anche rilevanti opportunità per il settore delle costruzioni e per quello degli investimenti finanziari privati. E questo, si ritiene, anche facendo perno su un processo di profondo rinnova­ mento della disciplina urbanistica, che ne confermi e riqualifichi la dimensione emi­ nentemente pubblica e collettiva. II

SAVERIO SANTANG ELO

Ambiti privilegiati dell'azione pubblica dovrebbero essere da un lato ancora i con­ testi regionali, in special modo quelli che hanno fin qui mantenuto e coltivato capacità e intenzionalità politiche e tecniche, includendo in essi quegli specifici attori, anche privati, in grado di condividerne finalità generali e perseguire obiettivi propri; e, dall'al­ tro, lo stesso Stato centrale per quanto riguarda la definizione dei principi fondamen­ tali dell'azione pubblica e di quella privata nell'edilizia residenziale sociale e nell'urba­ nistica, e per quanto attiene alla promozione, integrazione e qualificazione dei contesti regionali più deboli e/ o degradati. A condizione che la anche parziale ed eventuale d­ centralizzazione sia accompagnata da rinnovamento istituzionale e della classe dirigen­ te e tecnica, sia centrale che regionale, soprattutto in quelle periferie della sfera pubbli­ ca e collettiva che alcuni territori sono ormai da tempo diventatP. 1.1.

QUESTIONE ABITATIVA E APPROCCI POLITICO-CULTURALI

La questione abitativa2 è comunemente nota, nell'opinione pubblica del nostro paese, per due principali aspetti: a) le manifestazioni di protesta che nei momenti di più acute difficoltà hanno luogo per rivendicare il diritto alla casa da parte di chi non di­ spone di una casa a nessun titolo, o non potrà disporne più nel breve periodo a causa di procedura di sfratto, o ne dispone ma in termini di estrema precarietà; b) la difficile condizione abitativa che caratterizza molte periferie urbane, in particolare nelle città maggiori e nelle aree metropolitane, soprattutto quelle periferie nate attraverso grandi interventi di edilizia residenziale pubblica (ERP ) , o da questi principalmente costituite, e che proprio per queste difficoltà sono state spesso oggetto di comunicazione e stig­ matizzazione nei media, che poi quell'opinione pubblica concorrono a formare. QuarI. Sono dovute le seguenti avvertenze : la prima è che nelle pagine che seguono ogni riferimento ai pochi successi ed alle molte insufficienze delle politiche per la casa e della pianificazione urbanistica è inevitabilmente generale e sommario ; per sfuggire alla genericità dei ragionamenti è sufficiente dire qui che esperienze e risultati de gl i ultimi decenni sono stati variabili per contesti regionali e territoriali; e che di cale variabilità qui non è possibile dar conto. La seconda avvertenza attiene al lessico "di settore". Sem­ plificando : fino a ieri parlavamo di edilizia residenziale pubblica ( ERP ) ed oggi di edilizia residenziale sociale ( ERS ) . Ecco, è questo che subito va detto : oltre ad ulteriori locuzioni "sul tema", in questa introdu­ zione è quasi solo "convenzionale" aver assunto la seconda locuzione (ERS ) come comprensiva di tutte le modalità e gli strumenti con cui oggi si vorrebbe far fronte al disagio abitativo di un numero crescente di persone e nuclei familiari, a partire da situazioni singole e territoriali pur molto differenziate. E, in questo senso, lo stesso housing sociale (Hs) o social housing (sH), come genericamente inteso in Italia o a livello UE, ne è parte. Tale convenzione, potremmo dire, vale parzialmente anche per i saggi che seguono ; nei quali, ovviamente, valgono prima di tutto le accezioni specifiche che delle diverse locuzioni ogni autore ha inteso dare. A questo particolare aspetto della questione casa/edilizia residenziale pubblica/sociale­ oltre che ad un'analisi comparativa di concetti e strumenti nei paesi UE -, del resto sono dedicati il con­ tributo di Antonella Galassi e un suo Glossario del social housing, consultabile online sul sito di Carocci Editore. 2. Nel 1984 le nuove abitazioni realizzate a carico dello Stato furono 34.000, vent'anni dopo il corri­ spondente valore scende a 1.900 ( Bellicini, 2006 ) .

I2

EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE, WELFARE E URBANISTICA tieri più o meno compiuti - ma prima ancora "case" - in larga misura dovuti ai primi PEEP, Piani per l'edilizia economica e popolare, che prendono corpo negli anni Sessan­ ta e Settanta del Novecento sulla base della legge I67 /1962\ nati appunto come risposta alle sollecitazioni sociali e politiche di quei decenni. Di fatto, si tratta soprattutto del­ la prima generazione di questi piani, sebbene in alcuni casi gli stessi giungano a com­ pletamento solo in anni recenti. Vi è un legame tra i due aspetti richiamati. Vale a dire il rischio che, se accolte le "proteste di piazzà'4, e se soddisfatte le relative richieste di casa in un tempo poniamo breve, nella verosimile ipotesi che, come in passato, gli esiti possano essere ugualmente insoddisfacenti, tra qualche anno ci ritroveremmo in rinnovate critiche agli interventi realizzati per rispondere a questa domanda di welfare abitativo e alle proteste che ne sono espressione. È un rischio reale ? In linea di massima, c 'è da presumere che chi esprime quelle comprensibili richieste di soluzione al proprio problema della casa, in mancanza di alternative, certo accetterebbe di vivere in un alloggio dignitoso e non precarios anche se tendenzialmente viziato appunto da quelle condizioni di insufficien­ te vivibilità che così frequentemente abbiamo rimproverato a molti insediamenti nati coi PEEP della legge I67; ragione per cui - sebbene non manchino numerosi esempi positivi -, le cosiddette "zone I67" (Piani di Zona), che dei PEEP sono articolazione spaziale e attuativa, hanno finito col diventare generica espressione di un modello d'in­ tervento pubblico non convincente, se non perfino rifiutato6• E allora, perché mai do­ vremmo perseguire ancora questo tipo di soluzioni ? Tanto varrebbe ignorare le richie­ ste, pur comprensibili, di singoli e famiglie svantaggiate ? In realtà, ovviamente e come sappiamo da tempo, quel "rischio", qui solo paradossalmente evocato, oggi è molto basso o inesistente. Non solo per ragioni "virtuose", alle quali pure potremmo rifarci; con atteggiamento positivo, ad esempio, potremmo dire: è inesistente prima di tutto perché abbiamo imparato dalle esperienze e dagli errori del passato; oppure, con pre­ sunzione sulpeso decisionale dell'urbanistica, potremmo dire : perché sappiamo che oggi la domanda è molto cambiata rispetto agli anni Sessanta-Novanta del secolo scorso. Ma, soprattutto, con realismo, dovremmo dire: perché non ci sono più le risorse finan-

3· Disposizioni perfavorire l'acquisizione di areefabbricabili per l'edilizia economica e popolare. Ciascun PEEP può essere articolato in diversi Piani di Zona (Pnz). 4· Tra le più recenti è immediato ricordare quelle di Roma, importanti e gravi, e che anche per questo ebbero giustamente molto risalto nei media, del 18 e 19 ottobre 2013. 5· E come potrebbe scegliere diversamente ? In realtà in non pochi casi si è trattato di una scelta neces­ saria e non indolore, per l 'abbandono di ciò che fino ad un certo momento era stato il proprio ambiente di vita; in particolare per i soggetti più fragili, come gl i anziani obbligati a lasciare l'abitazione e il quartiere nei quali erano vissuti. 6. La questione complessiva e i singoli casi sono troppo noti, divenuti negli anni perfino luogo comu­ ne, per indugiare qui su alcuni di essi. E sono anche noti gli aspetti negativi che ne hanno caratterizzato descrizioni e valutazioni; ho avuto modo di elencarne alcuni e di argomentare sui principali, urbanistici, gestionali e sociali, in Santangelo ( 2011 ) .

I3

SAVERIO SANTANG ELO

ziarie (pubbliche) che hanno permesso di realizzare quei grandi interventi, segnata­ mente per la componente in essi di edilizia "sovvenzionata"7• Ora, in primo luogo, va sottolineato che "aver capito e imparato" non ha impedito che spesso si proseguisse burocraticamente nella realizzazione o nel completamento degli interventi senza significativi aggiustamenti. E in secondo luogo, circa la presunzione disciplinare, il peso reale dell'urbanistica come insieme di teorie, metodi, apparati normativi e tecniche nelle decisioni di governo delle trasformazioni e degli interessi, anche pubblici, è andato da tempo via via sceman­ do, ed oggi non si intravedono prospettive realmente diverse, almeno nel breve periodo. Rimarrebbe invece senz' altro "efficace" e dirimente la motivazione meno virtuosa; sarebbe infatti certamente molto difficile realizzare abitazioni in numero così elevato da poter rispondere in tempi ragionevoli e in regime di sovvenzionamento, a totale carico pubblico e con contributi "a fondo perduto", alla pressante domanda oggi pre­ sente in Italia: nel 2o1o presso i Comuni giacevano circa 65o.ooo domande di assegna­ zione8. Quasi il doppio dei 355.000 alloggi realizzati nei quattordici anni del Piano INA-Casa, tra il 1949 e il 19639• Anche se, per dovere di cronaca, ugualmente va ricor­ dato che in sede di programma attuativo triennale 1971-73 della legge 8 65/1971, « tra vecchi e nuovi finanziamenti » , si valutava «intorno ai 2.500 miliardP0 la cifra degli investimenti per l'edilizia sovvenzionata e agevolata » (pari dunque a circa 1.300 milio­ ni di euro, senza considerare però il diverso valore reale della moneta nei due casi), con cui sarebbero dovuti « essere realizzati ben 25o.ooo alloggi valutando quindi un valore medio di 10 milioni (nel 1971) ad abitazione » 11• Come si vedrà, tuttavia, altra cosa è stata poi l'attuazione di questo ambizioso programma. 7· È perfino superfluo qui sottolineare che il modello d'azione pubblica nel settore, se inteso attraver­ so grandi interventi e con costi a carico dello Stato o altri soggetti pubblici, oggi sembrerebbe essere stato del tutto accantonato, e in questo senso se ne parla in pressoché tutta la letteratura sull'argomento. E rifles­ sioni al riguardo sono presenti anche nei contributi di questo volume. Per dare un' idea delle quantità in gioco nei primi anni di attuazione della legge 167, basterà ricordare i numeri del primo PEEP di Roma, il «più esteso d ' Italia: oltre 70o.ooo stanze previste per più di s.ooo ettari- solo leggermente ridotti dal decreto di approvazione» ; ragioni, anche queste, per cui «Una valutazione del PEEP adottato a Roma nel 19 64, specie se fatta considerando le condizioni politico-culturali del momento, non può essere certamen­ te negativa» (cfr. Campos Venuti, s.d.). 8. Già da qualche anno ormai è questo l 'ordine di grandezza del pregresso sociale in tema di casa: « sono 6oo.ooo/7oo.ooo le famiglie aventi diritto alla casa popolare in attesa di assegnazione, nelle gra­ duatorie comunali» (Nomisma, 2.010, p. 41). 9· Cfr. Di Biagi (2.001, p. 18) dove, al riguardo, poi si legge: «L'incidenza delle abitazioni INA-Casa sul totale di quelle realizzate tra il censimento del 1951 e quello del 1961 corrisponde al 10%, con punte più elevate al sud, fino al 1 8,5% della Calabria. Quantità non così impressionanti se confrontate col fabbisogno abitativo del dopoguerra e con quanto costruito in altri paesi europei, ma certo significative nella storia dell'edilizia pubblica italiana » . 10. S i tratta d i miliardi d i lire [N.d.A.]. 1 1. Da allora, in quarant'anni, questo ipotetico valore medio sarebbe aumentato di venti volte. Cfr. Ferracuti, Marcelloni (1982., p. 12.7) e la nota successiva.

14

EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE, WELFARE E URBANISTICA A distanza di oltre 40 anni, oggi per realizzare 25o.ooo alloggi a costo contenuto servirebbero ben 25 miliardi di euro12, il valore di una consistente manovra finanziaria o legge di stabilità, come oggi è definita. Questo ci dà la portata degli interventi allora previsti, del rilievo attribuito alla questione abitativa13, degli investimenti pubblici che era possibile almeno concepire in termini politico-legislativi a livello di azione di go­ verno del paese. E, ad un tempo, ci dà la misura della situazione odierna, nella quale parrebbe solo doversi prendere atto che è molto difficile pensare a grandi interventi di edilizia pubblica sovvenzionata "semplicemente" perché mancano le risorse, così come in ogni utile occasione viene sottolineato da chi ha titolo per farlo. In realtà, se pure questa circostanza è probabilmente innegabile nella situazione di breve periodo data, a questa stessa situazione ci si è arrivati, essa quindi non è data da sempre e per sempre; e proprio per questa "semplice" ragione, intanto, non può accet­ tarsi che la situazione presente sia assunta come un dato non modificabile, come inve­ ce si dà per scontato nella costante azione demolitrice del welfare degli ultimi venti o trent'anni, condotta sempre più unanimemente da più parti, anche attraverso quelle "battaglie discorsive" che finiscono poi per cambiare finanche il modo con cui parlia­ mo di queste cose, che siano o meno a questo scopo esplicitamente finalizzate (Judt, 20io). Gli effetti, se non proprio la logica in senso stretto, sono gli stessi di quell'ap­ proccio « rispecchialista » (che vorrebbe la costante aderenza del progetto alla realtà stessa su cui interviene), fatto proprio e banalizzato « da molti studi, progetti e politi­ che della città e del territorio negli ultimi decenni del ventesimo secolo, senza porre alcuna distanza critica tra la struttura dell'economia e della società e quella del loro progetto ; negando la dimensione discorsiva del progetto e delle politiche urbanistiche; senza considerare il progetto urbanistico come campo linguistico nel quale si costitui­ scono i diversi concetti » 14• Saremmo dunque in presenza di una piena corrispondenza tra le accezioni culturali prevalenti in ognuno dei due ambiti, il welfare e l'urbanistica. Da altro punto di vista, del resto, il primo problema dovuto alla mancanza di risor12. Stimando dunque in 1oo.ooo euro il costo unitario medio di ogni alloggio, come ad esempio è ri­ portato in questo volume nel contributo di Paolo Ciampi a proposito di possibili realizzazioni in ambito di housing sociale. 13. «Dal 1969 al 1973 si sviluppano in tutte le grandi città italiane vasti movimenti di lotta, senz'altro definibili come movimenti di massa, sostanzialmente sulla questione della casa » (Ferracuti, Marcelloni, 19 82, p. 127 ). A conferma dei dati quantitativi riportati, si veda anche: Indici ISTAT. Costi di costruzione {da gennaio I967 a luglio 20I4-provvisorio), dove il costo di costruzione di un fabbricato residenziale, pari a 100 nel 2010, vale 4,5 nel 1971; http ://www.vi.camcom.it/a_242_IT_43_1.htm; riferimento generale: https:/l www.google. it/ ?gws_rd =ssl#q =costo+di+costruzione+serie+storica+. 1 4· E inoltre dimenticando che «dalla metà almeno del diciannovesimo secolo, il discorso urbanistico, lo studio e il progetto della città, in Europa ma inizialmente anche negli Stati Uniti, spesso sono stati mos­ si e si sono costruiti in antitesi a una posizione "rispecchialista" » (Secchi, 2013, p. 12). Su questo tipo di questioni, sia pure secondo un'ottica più strettamente socio-economica, si veda inoltre Masulli (2014), in particolare per la ricostruzione storica delle vicende che negli ultimi quattro decenni ci hanno portato a questo presente.

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SAVERIO SANTANG ELO

se pubbliche, vale a dire la conseguente difficoltà nell'acquisizione delle necessarie aree edificabili per interventi nell'insieme così importanti, sarebbe aggravato in partenza dalla necessità, oggi generalmente condivisa, di limitare il consumo di nuovo suolo. Rispetto ai numeri sopra richiamati, infatti, una pur grossolana approssimazione por­ terebbe, ad esempio, a stimarne in non meno di 1o.ooo ettari il fabbisogno, ipotizzan­ do in esse una densità territoriale abitativa "media"15• In passato non sarebbe stata una quantità particolarmente rilevante: come incidentalmente si è visto, a metà degli anni Sessanta furono circa s.ooo gli ettari impegnati per il primo PEEP del solo Comune di Roma16• Oggi, invece, costi ambientali di questa portata e natura, oltre che economici, sono considerati insostenibili per l'attore pubblico e la collettività. 1.2.

OBIETTIVI DEL VOLUME E IPOTESI ARGOMENTATIVE

Le questioni e i dati fin qui riportati danno il senso e la misura essenziali di cosa stiamo parlando e del quadro generale di riferimento. E prima, come si è visto, si è voluto dare a questa nota introduttiva un incipit reto­ rico e quasi paradossale. Lo si è fatto in primo luogo per porre una domanda, apparen­ temente retorica anch'essa, ma che invece del tutto scontata non è: "a chi spetta farsi interprete di una situazione sociale ed economica difficile e complicata (la questione abitativa), e in che termini è possibile ed utile che questo venga fatto, perché siano evidenziate e rimosse le cause delle insufficienze che permangono nel nostro paese tan­ to per il settore ieri ERP e oggi ERS che per l'urbanistica a specifico riguardo chiamata in causa?". Dove il "chi" sottintende ruoli e attori, pubblici e privati, istituzionali o meno, che, a titolo diverso e a livelli diversi, agiscono nella proposizione di politiche e nella programmazione, progettazione e attuazione di interventi e misure in materia di ERP/ERS, e nella pianificazione urbanistica di settore e generale. Tra gli obiettivi di questo volume si vorrebbe, dunque, che a questa domanda in esso si possa trovare almeno parziale risposta o, meglio, più risposte, in particolare ri­ spetto alle questioni politico-legislative e disciplinari di fondo e operative più recenti e alle possibili prospettive di medio-breve periodo, giacché la letteratura sulle questioni più generali è già vasta e in buona misura consolidata. Ci auguriamo, per questo, che le risposte originate dalle molte dimensioni del tema e dai diversi approcci e competenze disciplinari e professionali dei singoli autori presenti nel volume possano costituire un contributo alla discussione su una questione importante e sensibile come è quella della 15. Secondo i seguenti passaggi, molto essenziali: 6so.ooo famiglie; 2.ooo.ooo di abitanti, con un'am­ piezza media del nucleo familiare di poco superiore a 3 componenti; una densità abitativa territoriale media di 200 ab/ha, necessaria per contenere i costi e il consumo di suolo, e appropriata sia perché è appunto un valore "medio" risultante da insediamenti a densità medio-bassa e insediamenti a densità medio-alta, sia perché adatta per realizzare un certo tipo di spazio edificato e di carattere urbano. 16. Cfr. nota 7· 16

EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE, WELFARE E URBANISTICA "casa", per quanto attiene sia alla sua rilevanza sociale che al ruolo disciplinare, cultura­ le e politico che, in essa, compete all'urbanistica. In questo primo saggio del volume si prova prima di tutto a rispondere in termini generali all'interrogativo appena formulato. L'argomentazione complessiva poggia su tre ipotesi preliminari ed una quarta ipotesi ad esse consequenziale. Le tre ipotesi pre­ liminari sono qui sviluppate secondo un'articolazione non vincolata né all'ordine di enunciazione né ad alcuna cronologia di fatti e relazioni considerate, ma solo funzio­ nale al ragionamento svolto. Esse sono le seguenti: 1. che farsi interprete della domanda abitativa sociale, in particolare quella più debole, spetti ancora principalmente al pub­ blico : in linea di principio perché è dalla sfera pubblica che costitutivamente origina l' ERP l ERS, in secondo luogo perché la giusta considerazione del problema non può che riguardare anche l'urbanistica, anch'essa disciplina propria della sfera pubblica ( e col­ lettiva) , e inoltre per le ragioni che sono state anticipate e altre che si diranno ; 2. che tale ipotesi richieda comunque una verifica: per alcuni aspetti "negativi" che nel com­ plesso hanno marcatamente caratterizzato l'azione pubblica degli ultimi anni ( pur te­ nendo ben presenti le differenze, che, in positivo, hanno qualificato l'azione di alcune Regioni rispetto ad altre ) , e per le difficili condizioni di più ampio contesto è, infatti, da verificare se questa titolarità possa trovare riscontri nell'operatività, se cioè oggi vi possano corrispondere effettivamente azioni concrete e buoni risultati; 3· che per tale verifica sia utile una pur sommaria ricostruzione che permetta di rileggere le esperienze precedenti e valutare se nel presente e/ o in prospettiva di breve periodo siano ravvisa­ bili elementi di novità, di reale alternativa, rispetto al passato che, come si è visto, giu­ dichiamo non soddisfacente; 4. la quarta ipotesi - che è sviluppata nell'ultimo capito­ lo -, come si è detto è consequenziale alle precedenti, ed è che, permanendo con molte probabilità nel breve e medio periodo le difficoltà sopra accennate, sia comunque ne­ cessario tentare di individuare ulteriori forme e strumenti dell'azione pubblica, prati­ cabili già nel breve periodo, magari parziali ma più efficaci di quelli fin qui disponibili. Più precisamente, quest 'ultima ipotesi andrebbe articolata in sottoipotesi: a ) se alcune potenziali novità di contesto, in una prospettiva di breve periodo, lascino presagire nuove e migliori opportunità per affrontare la "nuova" questione abitativa17, anche in relazione alla portata urbanistica delle relative problematiche in gioco; b) o se, invece, in caso di problematicità, non praticabilità o insufficienza di cambiamenti e proposte recenti o in corso, non sia possibile tentare di individuare approcci diversi ma compa­ tibili col quadro complessivo in essere, che nel breve periodo ( nel quale non è pensabi­ le di modificare né le condizioni di contesto né quelle al contorno ) permettano di perseguire obiettivi limitati ma significativi, in attesa di cambiamenti più incisivi. 17. Negli anni recenti si è parlato di una "nuova" questione abitativa per segnalare che si tratta del rie­ mergere di problemi che si ritenevano non più all'ordine del giorno e al tempo stesso che oggi la questione ha caratteristiche diverse dal passato. Tra i molti contributi in tal senso, cfr. Bellicini (2oo6).

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SAVERIO SANTANGELO 1.3. CASA, POLITICA E URBANISTICA. PER UNA RICOSTRUZIONE CRITICA E "TENDENZIOSA"

Ragionare oggi di urbanistica ed edilizia sociale vuoi dire affrontare due ambiti disci­ plinari che da qualche anno sono entrambi oggetto di ridefinizione. L'urbanistica, da tempo in crisi perlomeno di efficacia18, richiede un ridisegno di approcci, apparati, forme e strumenti che, da un lato, legittimi e porti a coerenza le molte innovazioni parziali, variabili per contesti regionali e per effetti prodotti, maturate a partire dagli anni Novanta e in molti casi ancora non a regime; e dall'altro introduca nel sistema di pianificazione principi e contenuti generali rinnovati e adeguati ai processi socio-eco­ nomici e territoriali più recenti e di prospettiva19. L'edilizia residenziale pubblica "so­ ciale" (ERPS)20 necessita anch'essa di una risistematizzazione organica, dopo diversi provvedimenti varati in emergenza e comunque non in grado di far fronte alla nuova questione abitativa nei suoi numeri e caratteri attuali, e rappresenta oggi una condizio­ , ne di frontiera dell azione pubblica per quanto riguarda ciò che resta di quello Stato sociale cui, nonostante tutto, lo si è ricordato, con esiti variabili e incerti, si deve la costituzione di un patrimonio significativo di edilizia residenziale a carattere appunto "pubblico" nel corso del Novecento21• Naturalmente, anche le relazioni tra i due ambiti, fino agli anni Novanta sostan­ zialmente date sebbene non per questo virtuose, oggi sono condizionate da questo stato di cose critico e in divenire. In passato esse hanno mosso soprattutto a partire , dali edilizia residenziale pubblica ( ERP) , segnatamente concretizzandosi nelle previsio­ ni a lunga scadenza dei piani per l'edilizia economica e popolare ex lege I 67 l 1962 cui si 18. Le difficoltà della disciplina sono certe. Qui non se ne discutono le caratteristiche, ad esempio se si tratti di crisi «di ruolo o di senso dell'urbanistica », o invece di crisi «di rappresentazione delle dinami­ che presenti e degli scenari futuri e, semmai, di una strumentazione urbanistica concepita in un'altra stagio­ ne dell'economia, caratterizzata da forti aspettative nei confronti della crescita » , per stare alle due ipotesi formulate da Gabellini; che propende per la seconda, ritenendo che sia fuorviante « ricondurre il problema a una crisi tout court dell'urbanistica, peraltro ripetutamente proclamata anche in passato» (cfr. Gabellini, 201 3). 1 9· Al riguardo, il 24 luglio 201 4 ! 'attuale governo, con primo ministro Renzi, ha presentato la propo­ sta di d.d.l. Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana, che a settembre 2014, su invito istituzionale del ministro responsabile Lupi, dovrebbe aver raccolto contributi per una sua discussione pubblica in attesa del! ' iter parlamentare. Sul testo proposto di questo d.d.l. si torna più avanti in queste pagine e negli altri contributi del volume. 20. Tra le definizioni "recenti" troviamo in effetti anche quella di edilizia residenziale pubblica sociale

( ERPS ) .

21. Già prima che si istituzionalizzasse l'idea di welfare state come poi lo abbiamo conosciuto, come è noto, le iniziative per cercare di affrontare il problema degli alloggi per le classi povere o meno abbienti sono state diffuse e frequenti (come primo fatto rilevante, per l ' Italia è comunemente ricordata la legge Luzzatti del 1903); è solo nel 1942, però, che la questione è recepita in approcci più generali e trova spazio così in «un documento fondamentale come il Rapporto Beveridge », nel quale le politiche per la casa sono considerate complementari a previdenza e assistenza e comunque « meritevoli della più grande attenzione, anche se non prioritarie come l' istituzione di un servizio sanitario nazionale » (Minelli, 2004).

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EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE, WELFARE E URBANISTICA è accennato ( per rimanere ad un passato sì lontano ma ad interventi che ancora ci ri­ guardano perché in diversi casi né compiuti né metabolizzati nelle dinamiche urbane ) . Ed anche oggi, in particolare riferendoci agli approcci generali ed alle prime realizza­ zioni di housing sociale (H s), di fatto tali relazioni sono in prevalenza caratterizzate da input che originano nella sfera della concreta fattibilità dei programmi di edilizia so­ ciale; con implicazioni non secondarie sulla effettiva capacità dell'urbanistica di con­ tribuire ad un progetto per l'abitare e, in termini più generali, ad un progetto di città. Sicché, dunque, sembrerebbe, nulla di nuovo : relazioni da una parte caratterizzate da debolezza dell'urbanistica, tradizionali sue carenze che affondano le radici in pro­ blemi antichi come ad esempio quello del "regime dei suoli", e debolezza, quindi, poli­ tico-culturale in senso più ampio, alla quale negli anni ha contribuito quella etico-di­ sciplinare; e dall'altra condizionate dalla precarietà dell'ERP prima ed oggi dall'incer­ tezza dell'ERS, alla permanente ricerca di modalità e strumenti per rispondere con maggiore efficacia alla domanda sociale di abitazioni. Il tutto nel quadro più ampio dell'indebolimento complessivo dell'azione pubblica, di cui l'urbanistica è parte quan­ to a decisioni di interesse generale e l' ERS lo è in quanto componente di un welfare politicamente in declino e, diciamo a partire dagli anni Duemila, comunque precario per la permanente carenza di risorse finanziarie pubbliche. Ebbene, è tempo dunque di lavorare per rinnovare, risignificare e rendere organici i contenuti di entrambi gli ambiti ; così, ad esempio, la "leva" urbanistica può entrare in gioco nel valorizzare gli interventi di housing sociale, quando possibile anche nel qua­ dro più ampio di un progetto urbanistico per la città intera; oppure, sulla scorta dell'in­ novazione tecnologica che da tempo marca le questioni di adeguatezza energetico­ ambientale dell'edilizia, è possibile e necessario un "ritorno" esteso alla sperimentalità dell'edilizia residenziale pubblica/sociale ( del resto già in atto nel settore complessivo delle costruzioni ) ; e questo inoltre dovrebbe valere, ovviamente e necessariamente, per l'architettura in sé; così come è necessario sperimentare nuove forme e modelli di in­ tervento, e conseguenti relazioni tra attore pubblico e attore privato, sia sul patrimonio residenziale esistente che per quanto riguarda i nuovi insediamenti; nonché sperimen­ tare nuovi modelli di organizzazione e funzionamento dell'urbano ( e dell'urbano­ metropolitano ) quanto a governo e gestione. Rinnovamento e risignificazione che possono più agevolmente essere realizzati se si interpreta l'uso delle necessarie risorse finanziarie da mettere in campo - a dispetto e contro la crisi -, come investimenti economici di medio periodo e non solo come pur doverose poste di welfare e investi­ mento sociale. Si parla molto spesso di opportunità e rischi a proposito di situazioni non soddi­ sfacenti ma suscettibili di miglioramento tramite interventi appropriati; in questo sen­ so, anche in questa fase di crisi, e per forza di cose in divenire, possono essere ricercate e costruite nuove opportunità. E per fare questo, viste la scarsa coerenza e la prevalente separatezza che ne ha caratterizzato fino ad ora le relazioni, è importante mettere a I9

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punto e praticare una diversa dialettica, concettuale e operativa, tra urbanistica ed ERS ; che deve poggiare da un lato su una rinnovata credibilità ed efficacia dell'urbanistica e dall'altro su un progetto politico-culturale e sociale complessivo di cui l'ERS non può che essere parte, e parte non residuale. Le due questioni, del resto, stanno insieme nello stesso progetto di riforma urba­ nistica, prima ricordato, che in questi mesi il governo ha lanciato, con la regia del mi­ nistro delle Infrastrutture e dei Trasporti Lupi22; così come, in altro momento di diffi­ coltà della nostra storia, era già accaduto, e con risultati non convincenti, in occasione delle lotte per la casa, componente forte del più vasto conflitto sociale degli anni 196973. Anche allora si erano sommate le due questioni: «lentamente il problema urbani­ stico e il problema della casa vengono a sovrapporsi nelle proposte politiche di risposta immediata che la situazione conflittuale richiede » ( Ferracuti, Marcelloni, 19 82, p. 1 23)23; anche se poi passò solo la "riforma della casà', con la legge 86sh971, sulla base di un compromesso tra governo e sindacati che invece rinviava la legge di riforma urbani­ stica. E, pur brevemente, va ricordata una seconda analogia con il presente, che all' epo­ ca interessò « il capitale industriale e finanziario da un lato e il settore edilizio tradizio­ nale dall'altro » ( ivi, p. 130). Così come allora, infatti, oggi quest 'ultimo settore, in particolare nell'ambito dell'edilizia residenziale sociale, deve fronteggiare l' iniziativa di altri attori, molto portati all'innovazione gestionale e organizzati va del ciclo edilizio e fortemente caratterizzati da un approccio finanziario alla produzione del prodotto casa; ne è esempio principe proprio l'intervento dei fondi immobiliari nei programmi di housing sociale24• In tempi di finanziarizzazione dell'economia non è questione da poco, e il rinascere del conflitto nel settore delle costruzioni, sotto vesti solo parzial­ mente diverse, sembra ben rispecchiare il passaggio in essere da un'economia industria­ le a quella finanziaria. Ma intanto, quale era stata l'attuazione della riforma della casa dopo l' approvazio­ ne della legge 865 ( e poi del successivo piano decennale ex lege 457/ 1978)? In larga misura gli stessi principi della legge del 1971 furono negati nei fatti: il piano 197 1-73 è disarticolato tra ministero dei Lavori pubblici, GESCAL ( Gestione case per i lavoratori ) e CER ( Comitato edilizia residenziale) ; la regionalizzazione del settore, che avrebbe 22. Si è solo fatto cenno, prima, al d.d.l. presentato il 24 lugl io 2014, il cui Titolo n è appunto dedica­ to a Politiche urbane, edilizia sociale e semplificazioni in materia edilizia. 23. Il testo così prosegue: «Dopo una serie di scioperi provinciali le tre confederazioni sindacali met­ tono a punto un documento unitario con cui si pone il problema dell 'istituzione di un servizio pubblico della casa che la collettività deve garantire a tutti i cittadini. Il documento sottolinea come il problema della casa sia una componente essenziale della riforma urbanistica e dell'assetto del territorio e chiede quin­ di: l'attuazione dei programmi organici di alloggi nel quadro di una riforma urbanistica che contenga un nuovo regime dei suoli, basato sulla separazione del diritto di edificare da quello di proprietà e sull'espro­ prio generalizzato; l 'unificazione degli enti pubblici per l 'edilizia e la produzione di alloggi pubblici da dare solo in locazione » . 24. Sui fondi d i investimento immobiliare cfr., i n questo volume, i capitoli della Parte seconda.

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WELFARE

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interessato gli IACP (Istituti autonomi per le case popolari), è di fatto allontanata nel tempo e su di essi è mantenuto il controllo centrale; la G ESCAL è prorogata. E in accor­ do con rinvii e depotenziamento è la reazione del "blocco edilizio", contrario « ad ogni tentativo programmatorio e razionalizzatore » , e ad « ogni tentativo di interferenza da parte dei grandi gruppi pubblici e privati » ; e così, già un anno dopo, nel I 972, le di­ chiarazioni del governo di centro-destra « sono tese ad evidenziare la necessità di "ri­ formare la riforma della casa". [ ... ] La linea del governo è chiaramente allineata a quella dei costruttori » 2.5• Sarà subito dopo l'inflazione crescente, inoltre, a ridimensionare drasticamente i programmi. Circa il successivo Piano decennale per la casa16 ex lege 4 57 l I978, in breve, lo si può riassumere tra lo scetticismo esplicito che caratterizza l'editoriale del numero di "Edi­ lizia popolare" dedicato ai «primi piani biennali delle Regioni » 2.7 e le valutazioni cri­ tiche che, a distanza di oltre dieci anni, si colgono ad esempio nello studio interno re­ alizzato ad hoc dalla Regione Piemonte, pur in grado all'epoca di svolgere adeguata­ mente il proprio ruolo. Per quanto soprattutto qui interessa, in particolare lo studio segnala due elementi: « come l'amministrazione regionale non sia riuscita pienamente ad integrare l'attuazione del piano all'interno di un disegno più generale di program­ mazione territoriale ed urbanistica » , e « che dai primi risultati della ricerca si comincia a delineare l' ipotesi che il piano decennale abbia rappresentato per molti aspetti più un intervento di politica economica volto al rilancio del mercato edilizio che un interven­ to di politica sociale finalizzato ad una più equa distribuzione del "bene casa" in Ita­ lia » . È chiaro che le due cose sono state e stanno "naturalmente" e "dovunque" insie­ me2.8. E tuttavia, molto recentemente, abbiamo anche conosciuto i danni - e ne stiamo 25. Alcune delle ipotesi furono: « abolizione dell'art. 35, rilancio delle agevolazioni fiscali e creditizie per l 'edilizia privata, reintroduzione dell'art. 16 della legge 167 che era stato abrogato, ricorso al meccani­ smo dei sussidi-casa per sostenere la domanda, allargamento dei soggetti ammessi a costruire alloggi econo­ mici e popolari di tipo convenzionato» (Ferracuti, Marcelloni, 1982, p. 138). 26. Legge s agosto 1978, n. 457, Normeper l'edilizia residenziale. 27. Così l' incipit: «Aprire oggi un dibattito sulla impostazione dei piani casa regionali può apparire assai problematico, in quanto alla pesante realtà oggettiva di un mercato caratterizzato dal crescente divario tra pretese dell'offerta e possibilità della domanda di abitazioni, pare corrispondere una nuova concitata fase di dibattito politico e forse un mutamento legislativo del settore. A meno di un anno e mezzo dalla approvazione di due leggi fondamentali (equo canone e Piano decennale) sono infatti nuovamente sul tappeto questioni di grande rilevanza, quali la credibilità della programmazione finanziaria decennale, le revisione o l 'integrazione dei canali d'agevolazione finanziaria pubblica, la normativa riguardante i con­ tratti di locazione, il rinvio degli sfratti esecutivi, per non citare che alcuni degli argomenti in discussione. li fatto che il quadro sia di nuovo in movimento rende ovviamente difficile, anzi inutile, un discorso sul futuro dei piani casa che entri dettagliatamente nel merito di ciascun singolo aspetto» (Boatti, 1979, p. 2). 28. È superfluo richiamarlo perché celebre, e un po' vecchio ormai, ma- forse- ancora oggi « Quand le batiment va, tout va! » . Così lo stesso Piano INA-Casa del 1949 era proposto dal ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Fanfani, ed era intitolato : Provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori. Ma resta pur sempre che, se se ne riconosce la valenza so­ ciale, l'obiettivo di una più equa distribuzione del "bene casa" dovrebbe essere prevalente rispetto ad esigen2I

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ancora pagando le conseguenze - delle bolle immobiliari, per le quali - in tema di crisi economica e di "impossibile" finanziamento pubblico del welfare -, con la stessa onestà intellettuale che ne è alla base occorre qui riportare la citazione secondo cui al­ cuni economisti « si sono chiesti se le bolle non siano proprio quello di cui hanno bi­ sogno economie mature, altrimenti condannate alla stagnazione, per ottenere un mi­ nimo di crescita » 2.9. 1.4.

IL DIRITTO ALL'ABITAZIONE TRA DOMANDA TRADIZIONALE E NUOVI STRUMENTI. PER Q_UALI CONVENIENZE?

Sono stati richiamati questi due passaggi politico-legislativi e i loro esiti perché, quasi subito dopo, a partire dagli anni Novanta, senza ragioni sufficienti, implicitamente si è data per risolta la questione della casa, e di fatto dell'edilizia residenziale pubblica, come la legge 8 6 s l'aveva definita; e invece da qualche anno abbiamo dovuto prendere atto di essere tornati al punto di due decenni addietro, ma con i soggetti istituzionali tradizionalmente tenuti ad intervenire molto meno in grado di farlo, e ancora con molti problemi irrisolti che quelle leggi avrebbero dovuto affrontare. In più le prospet­ tive sociali, demografiche ed economiche congiunte prefigurano un futuro prossimo di ulteriore invecchiamento della popolazione e di impoverimento dei soggetti più deboli, e di fatto quindi un probabile aumento della domanda di alloggi a carattere sociale; senza contare qui la domanda di quegli immigrati che alla fine decideranno di provare e riusciranno a rimanere in Italia, in qualità di cittadini italiani o meno, e che comunque almeno sul mercato libero dell'affitto esercitano una qualche azione, sebbe­ ne sulla base di redditi da lavoro mediamente bassi. Il problema della casa per un numero consistente di nuclei familiari, dunque, non solo resta ma è destinato ad aggravarsi; problema che attiene certo all'urbanistica e all'edilizia ( e, sperabilmente, all'architettura) , ma in quanto "diritto ad una casa" in cui vivere attiene prima ancora ai diritti di base di ognuno e quindi al dovere della comu­ nità di farsene carico ( per chi condivide questo assunto ) . Come si è già detto, infatti, parliamo di welfare e, sia pure in forma più incerta, di "diritti fondamentali della per­ sona". Infatti, se è vero che nel sistema costituzionale italiano « è noto come tale diritto possa essere ricostruito, secondo l'ordinamento vigente, soltanto come "un diritto so­ ciale di grandi incertezze" » , è vero anche che ad esso è riconosciuta «la natura di di­ ritto fondamentale » ( sent. Cost. 25 2/1989 ) , e che, tra diverse specificazioni ad opera della giurisprudenza costituzionale, è stato inteso anche «come diritto a ricevere una

ze, pur rilevanti, di natura economico-produttiva, e comunque dovrebbe avere valore e importanza in sé, pena il rischio di configurarsi dell' intervento pubblico come welfare di settore - produttivo - e di parte. 29. Larry Summers sarebbe tra questi economisti (forse) più onesti intellettualmente. Cfr. Bergamini, Cesaratto (2014).

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EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE, WELFARE E URBANISTICA casa in assegnazione a seguito della attuazione di politiche pubbliche per la costruzio­ ne di alloggi » 3°. Ed è in una logica di welfare che esso va inquadrato ; dai primi interventi di settore nel Novecento, a partire dalla già ricordata legge Luzzatti 3I maggio I903, n. 254, « sul­ le case popolari » , ai via via successivi provvedimenti, fino al D.L. 28 marzo 20I4, n. 47, convertito in legge 8o/20I4, dell'attuale governo, « recante misure urgenti per l'emer­ genza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 20I5 » . E in questa logica vanno quindi considerati anche i Piani di Zona ex lege I 67/I962, la cui esperienza an­ drebbe assunta non dimenticando che con essi è stata data risposta a quote considere­ voli di domanda sociale, e in alcuni casi anche con realizzazioni di buona qualità31• Altrimenti il rischio - questo sì rischio vero - sarebbe che si arrivasse a liquidare facil­ mente, con un giudizio sommario, tutto l'operato dello Stato e di tanti enti pubblici attuatori e si oscurasse così il ruolo che l'attore (e il finanziamento) pubblico può e deve conservare nell'assicurare il soddisfacimento dei diritti elementari e nella costru­ zione di un ambiente di vita soddisfacente per il maggior numero possibile di cittadini e abitanti privi di mezzi propri. Ad ogni modo, vista la conclamata carenza di soldi pubblici, oggi e per il medio periodo, che si condivida o meno, la prospettiva più probabile è che il welfare abitativo assuma in Italia - in versione reale o virtuale - le sembianze rinnovate e maggiormente update dell'housing sociale; vale a dire la realizzazione solo di abitazioni "sociali" de­ stinate ad una fascia di popolazione sì debole e con reddito medio-basso, ma solvibile. La prospettiva è che risorse pubbliche (poche e non necessariamente finanziarie) e ri­ sorse private reperibili sul mercato si incontrino e collaborino per fare fronte alla do­ manda sociale di sostegno per la casa. È parso infatti che la congiuntura "crisi econo­ mica + crisi dell'alloggio" spingesse per una convergenza delle soluzioni, e quindi che la crisi del settore delle costruzioni ( in generale rivolto al mercato privato) in atto da qualche anno potesse trovare parziale sollievo nella domanda di edilizia a basso costo quale è, per forza di cose, la domanda cosiddetta sociale. La parziale solvibilità della domanda e, in forma e misura variabili, contributi e coperture da parte di soggetti pubblici garantirebbero la redditività per gli investitori privati. Ancora economia, dun­ que; ma c 'è in questi strumenti e programmi anche il welfare ? È evidente, infatti, che non si tratta dello stesso segmento di domanda di cui si è detto in precedenza, e di cui si sono dati alcuni numeri. Non è la domanda di edilizia sovvenzionata in ambito E RP, quella cioè che non è collocabile nemmeno nella fascia 30. In questa « accezione peraltro, la configurazione in concreto di un diritto sociale all'abitazione è comunque ritenuta dalla Corte Costituzionale "condizionabile" dalla quantità di risorse finanziarie che si rendessero disponibili per siffatta destinazione, riconoscendosi in materia "una forte discrezionalità del legislatore"» (cfr. Bilancia, lO IO, anche per il riferimento alla sentenza costituzionale citata). 3 1. È stato, ad esempio, già ricordato il giudizio "non negativo" di Campos Venuti sul primo PEEP di Roma (cfr. nota 7 ).

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bassa solvibile del mercato. È una domanda invece che, in quanto espressa da segmenti deboli del mercato, non sarebbe apprezzata da chi le case le costruisce realizzando mar­ gini di profitto e rendite fondiarie elevate (come è stato nel nostro paese, anche nell'ul­ timo decennio fino al 2010 ), ma è una domanda pur sempre solvibile, in parte in sé e poi perché integrata da altre fonti economico-finanziarie. Essa, inoltre, risulterà eco­ nomicamente plausibile perché, oltre a includere integrazioni, facilitazioni, incentivi a diverso titolo da parte del pubblico, potrà contare - in mancanza di alternative più vantaggiose - sull'accettazione di rendimenti più bassi (ma garantiti) degli investimen­ ti di altri attori (finanziari) nel settore delle costruzioni. Questi rendimenti, in alcuni casi detti "etici"32, sono principalmente prerogativa di quegli attori economici istitu­ zionali, per loro natura orientati sì al profitto ma anche all'azione sociale, la cui attività nell'ambito dell'edilizia sociale prende corpo, in Italia, in concomitanza con l'emerge­ re della crisi nel 2008. Nasce così una nuova offerta di abitazioni a basso costo (o co­ munque a costi minori che non sul "libero mercato") , in locazione prima di tutto, ge­ nericamente definita come di housing sociale, dove tutto promette di funzionare bene, sicuramente meglio che nella vecchia ERP (i cui destinatari specifici però devono anco­ ra trovare una risposta corrente e certa nella rinnovata azione pubblica post-ERP ). Come si comprende facilmente, si tratta di situazioni e problemi confrontabili col passato solo per quanto riguarda le componenti ERP di edilizia agevolata e convenzio­ nata. E dunque, sebbene sia auspicabile (sarebbe un buon indice di miglioramento della situazione economica) , è molto improbabile che un numero elevato delle 6so.o oo domande di assegnazione giacenti presso gli enti ex IACP fra tre anni abbiano risolto il problema casa ad esempio con un voucher, o che risultino, poniamo, collocate fuori graduatoria per mancanza dei requisiti di sufficiente indigenza, o che vengano ritirate perché i relativi nuclei familiari che le hanno inoltrate si trovino in condizioni miglio­ ri e possano rivolgersi appunto all'offerta in housing sociale. Rimarrebbero invece a dar corpo alla domanda di edilizia sovvenzionata di una casa "pubblica", alimentando in questo modo un doppio paradosso : nel momento in cui si acuiscono le differenze di reddito tra ceti sociali sarebbe "normale" che lo Stato o comunque altri attori pubblici si occupassero dei ceti più svantaggiati, ancor più perché penalizzati da condizioni sociali per certi versi critiche (disoccupazione, livelli bassi delle pensioni, costi elevati e bassa qualità dei servizi ad essi accessibili), e invece, pare, questo non può (più) esse­ re se non in forme parziali e limitate ; oppure, se si ritenesse che "normale" non è ­ perché in regime di liberismo ormai quarantennale si ritenesse che "normale" non può essere33 -, allora, sempre in nome del liberismo e del contenimento dell'azione del 32. In particolare, sono quelli che maturano negli investimenti nell'housing sociale realizzato attraver­ so i fondi immobiliari. 33· Sui profondi cambiamenti socio-economici (e culturali) avvenuti negli ultimi decenni, che oggi - stancamente- ci fanno dare per scontati e senza alternative gli approcci socio-economici di tipo neolibe­ rista la letteratura è ampia. Oltre a Harvey (2007) e Gallino (2ou), qui si segnala Masulli (2014), già ricor-

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pubblico, perché, in ambito di housing sociale, prevedere misure di sostegno che alla fine lo sono anche per il settore delle costruzioni, un settore tra l'altro che sappiamo essere ancora oggi poco "innovativo" ? La risposta, potremmo dire quasi "istituzionale", è che con poche risorse pubbliche in questo modo si raggiungono comunque dei risultati socialmente utili, forse per un numero maggiore di nuclei familiari ( ma solo quelli parzialmente solvibili ) perché il contributo è spalmato su un numero maggiore di richiedenti, e, inoltre, che le poche risorse pubbliche sono investite e non concesse a fondo perduto. Certo, è pur vero che nel caso dell'housing sociale, segnatamente con l' intervento dei fondi immobiliari e la partecipazione di Comuni e/ o Regioni, e/ o ex IAC P, questi enti conferiscono risorse che a scadenze di medio e lungo periodo saranno remunerate ( in teoria, quindi, niente o scarsa sovvenzione) , ma il rischio che questa si riveli una prospettiva solo virtuale appare elevato ( Lungarella, 20 1 1 ; Micelli, 20 0 8 ) . E del resto i capitali che Cassa depo­ siti e prestiti oggi apporta nei fondi locali fino all ' S o% in che misura saranno poi remu­ nerati ? In entrambi i casi è verosimile ritenere che quote non marginali di risorse finan­ ziarie, o anche di aree edificabili, alla scadenza del periodo previsto per la dismissione dell'investimento, saranno state apportate "a fondo perduto", o comunque senza che vi corrisponda una qualche redditività, nonostante accordi convenzionali tra gli attori tanto formalizzati quanto illusori. E allora in cosa consisterebbe la differenza rispetto alle tradizionali modalità di sovvenzionamento ? Non sarebbe meglio dichiarare e praticare una convergenza espli­ cita tra "sovvenzione" dell'attore pubblico e investimento ( più o meno etico ) dell'atto­ re privato, riconoscendo che è dovere politico e civile del pubblico farsi carico di ridur­ re il disagio abitativo, soprattutto nelle situazioni di più forte criticità come l'attuale ? Sicché la questione sembra essere soprattutto ideologica, oggi in direzione opposta rispetto al passato, oltre che questione di interessi, pubblico e privato, in conflitto. Che sono stati fino a ieri "tradizionalmente" contrapposti e che oggi invece - nonostante condizioni meno favorevoli - potrebbero trovare composizione e convergenza in un rapporto pubblico/privato finalmente ripensato. Una prima base di riflessione in tal senso è rappresentata dal patrimonio pubblico residenziale non di poco conto, di edi­ fici ed aree, che negli anni si è costituito, e che, inoltre, comporta costi e richiede ge­ stione. E che potrebbe essere suscettibile di valorizzazioneH. Precedenti esperienze in questo senso, del resto, sono presenti già nei Contratti di quartiere, comprese operazio­ ni di demolizione/ricostruzione e densificazione dell'edificato; anche se, qui, si tratta dato, nel quale si sottolinea come sia necessario « capire gli interessi che hanno guidato i cambiamenti degli ultimi trenta anni e i motivi per cui essi hanno prevalso » e si evidenzia come il risultato di tali cambiamen­ ti, tra l'altro, sia stata «la riduzione dei diritti senza che ad essa siano seguiti progressi sia economici che sociali». 3 4· Più avanti nel volume sono presenti esplicite indicazioni al riguardo, in particolare nei contributi di Manuela Ricci per la Francia e di Michele Zanelli per l 'Emilia-Romagna. 25

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di esperienze utili per riflettere soprattutto sulle reali possibilità e capacità di attuazio­ ne degli interventi e delle politiche (e capacità di spesa) ; a maggio 20I4 risultavano erogati solo 487.274.082,33 di euro su un totale di 1.288.260.326,12 finanziati35• 1.5. EDILIZIA SOCIALE E URBANISTICA: ( Q.UALE) PUBBLICO E ( Q.UALE) PRIVATO

Tutto questo - gli esiti largamente insoddisfacenti delle politiche sia per la casa che urbanistiche dell'ultimo mezzo secolo, le difficoltà economico-finanziarie, gestionali e culturali della pubblica amministrazione (sebbene molto differenziate per contesti territoriali) , e le future più probabili dinamiche socio-economiche - non può che ali­ mentare lo scetticismo anche per quanto riguarda le reali possibilità che la stessa legge di riforma urbanistica proposta dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti - qui e ora a prescindere dal merito -, venga prima di tutto approvata e poi attuata e possa dunque raggiungere gli obiettivi prefissati in particolare in materia di Politiche urbane, edilizia sociale e semplificazioni in materia edilizia, come recita il Titolo n del testo del d.d.l.36• Finora, come è noto, di sicuro fino agli anni prima della crisi dei subprime, termine temporale più opportuno per fare valutazioni, il governo del mercato delle abitazioni nel nostro paese, inteso nella sua interezza come «politica complessiva » , è stato infatti « comparativamente » meno efficace che in altri paesi UE; «per l' Italia sono emersi sospetti che l'azione dello Stato sia stata piuttosto marginale, e non in grado di guidare, o almeno orientare nel senso voluto, le dinamiche di questo merca­ to » . E ancora: « L'influenza di variabili partitiche, e a monte di queste, di variabili di natura culturale e ideologica, è stata rilevante nel rallentare i processi di apprendimen­ to deipolicy makers quanto alle correzioni opportunamente apportabili alla politica per la casa, o addirittura a cambiamenti di strategia complessivi » (Minelli, 2004) 37· Appare fondato dunque il timore che anche per il futuro prossimo, anche varata la legge, restino poi incerte le possibilità di una sua efficace attuazione nell'affrontare sia le emergenze che la questione abitativa più ampia nell'ambito delle "politiche pubbli35· Contratti di quartiere 2, Riepilogo nazionale, aggiornamento al 13 maggio 201 4. 3 6. Questi gli obiettivi, in tema di edilizia residenziale sociale, desunti dall'articolato del Titolo I I : concorrere « ad assicurare il diritto sociale all 'abitazione a favore degli individui e dei nuclei familiari che non sono in grado, anche per situazioni di disagio economico e sociale, di accedere al libero mercato, ovve­ ro che hanno esigenze abitative collegate a particolari condizioni di lavoro o di studio» (art. 18, comma 1°). In merito a questo diritto sociale ali ' abitazione, rileva poi che l 'edilizia residenziale sociale sia «un servizio, erogato da operatori pubblici e privati, di interesse economico generale » (art. 18, comma 8°); essendo il Titolo I invece dedicato ai Prindpifondamentali in materia digoverno del territorio, proprieta immobiliare e accordi pubblico-privato. Cfr. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Segreteria tecnica del ministro, Gruppo di lavoro "Rinnovo Urbano': Prindpi in materia di Politichepubbliche territoriali e Trasformazione urbana, brochure, 2014. 37· Se il cambio "obbligato" di strategia che oggi sembrerebbe non avere alternative porterà frutti migliori, naturalmente, è ancora da vedere.

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che territoriali" e di "governo del territorio", cui fin qui ci siamo riferiti in forma molto sintetica col termine "urbanistica"; quasi che - come pure si è arrivati a ipotizzare sussista e venga costantemente confermato « un rapporto di proporzionali tà inversa tra il grado di esplicitazione della tutela costituzionale dei diritti sociali e il livello di coin­ volgimento attivo dei soggetti pubblici nell'erogazione dei servizi » (Ferrari, I 9 8 6). E questo, naturalmente, suscita gravi interrogativi sulla nostra reale volontà di per­ seguire obiettivi importanti troppo spesso solo dichiarati, nonché di porre in essere seriamente politiche e programmi conseguenti (''casa") e quadri di riferimento politico, legislativo, economico e tecnico ("urbanistica") coerenti e adeguati ai problemi pur evidenti e riconosciuti. Su questi aspetti, apparentemente così d'astrazione rispetto alla stringente concre­ tezza dell'emergenza casa, meriterebbero d'esser fatte riflessioni più approfondite ed estese; ad esempio sul "come" si reagisce a proposito del paventato declino italiano al tempo della globalizzazione (e della crisi), che qualcosa ha a che vedere con le questio­ ni qui trattate. E in tal senso riteniamo possano essere fatte proprie alcune preoccupa­ zioni, espresse tra l'altro nello stesso giorno in cui - non sappiamo con quale rilevanza futura, tra mesi o anni - tutti i media hanno rilevato il sopraggiunto valore statistico negativo dell' inflazione38• La ragione per cui penso che poche cose cambieranno è molto semplice, ed è che una cosa è la crisi, una cosa diversa è il declino; una cosa è una società povera, una cosa diversa è una società ricca. [ . .. ] Una società ricca che è in declino da due decenni (ma secondo molti studiosi da più tempo ancora) può benissimo sottovalutare quel che le succede, e avere ormai esaurito la spinta all'automiglioramento. L' Italia, se si eccettua il segmento degli immigrati [ . ] , è precisamente nella seconda condizione. Dal momento che il nostro declino è lento (perdiamo l'1-2% del no­ stro reddito ogni anno), e la maggior parte della popolazione ha ancora riserve di denaro e di patrimonio, è molto facile cullarsi nell' illusione che basti aspettare, che prima o poi il sole tor­ nerà e la ripresa dell'economia rimetterà le cose a posto. Di fronte a questo deprecabile ma comprensibile stato d'animo dell'opinione pubblica, molto mi colpisce che anche la classe dirigente del paese, che pure dovrebbe avere occhi per cogliere il dramma del nostro declino, si mantenga tutto sommato piuttosto calma e compassa­ ta, limitandosi alle solite invocazioni che sentiamo da trent'anni [ ... ], senza alcuna azione inci­ siva o idea davvero nuova39, ..

Corsi d'azione e opportunità, infatti, non sono inevitabilmente, univocamente e del tutto indirizzati dalle sole condizioni politiche ed economiche più generali, e perfino globali, e invece chiamano in causa intenzionalità, culture, competenze, responsabilità 3 8. Così "ll Sole 24 Ore", 30 agosto 2014: Inflazione a -o,I%, non accadeva dal 's9. 39· Come non condividere questa forte critica che Luca Ricolfi, a partire dalla sua costante analisi sociale ed economica, muove a comportamenti diffusi e responsabilità politiche ? Cfr. Non basta sperare che passi, "La Stampa", 30 agosto 2014, http:/ /www.lastampa.it/20I4/o8/3o/cultura/opinioni/editoriali/non­ basta-sperare-che-passi-eoZSZKOiV3 T 4PZnrekqbiL/pagina.htmi. 27

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di governo, centrale e locale, in senso preciso e diretto. Così, è noto, che crisi urbanisti­ ca e delle politiche pubbliche per la casa del nostro paese sono state espressione di ca­ renze oggettive rispetto alle migliori tradizioni ed esperienze europee, e non solo sul piano quantitativo. Un solo esempio, in tema di edilizia sociale. Sia pure attraverso cambiamenti significativi che ne hanno modificato ruolo e operatività, la municipalità di Vienna (attore pubblico con elevato grado di autonomia) è stata in passato e rimane tuttora protagonista principale del suo sviluppo urbano e della costante costruzione di patrimonio residenziale pubblico o realizzato con significativi apporti finanziari pub­ blici; contribuendo così in misura determinante, anche per questa via, all'alto livello di una delle principali componenti della qualità della vita e della stessa competitività tra città, al punto da risultare costantemente nei primi posti in graduatorie che ne misura­ no le effettive "prestazioni" appunto in ordine a qualità della vita, efficienza, attrattivi­ tà40. E questo accade in uno degli Stati UE a noi più prossimi, che come ogni Stato oc­ cidentale si è dovuto misurare prima con la globalizzazione e poi con la crisi economi­ ca. Con la differenza ulteriore che mentre lì l'azione pubblica nell' housing costituisce da sempre valore collettivo e fonte di buona qualità della vita e di benessere sociale, in Italia mediamente è da tempo vista come appesantimento improduttivo nell'uso di risorse pubbliche e, anche perché condotta non adeguatamente dal punto di vista ur­ banistico, ha via via perduto le caratteristiche riconosciute in passato di buona pratica di welfare e di governo delle città, ed è apparsa sempre meno utile e anzi da condanna­ re. Questo ha fatto sì, inoltre, che il problema sia divenuto "circolare": dal momento che l' ERP "non funzionà' tanto vale non realizzarne ulteriormente, e non realizzando­ ne (e non occupandosi adeguatamente di quella esistente quanto a gestione, manuten­ zione, riqualificazione, integrazione urbana) , il problema si aggrava. Da una parte in­ fatti aumenta il degrado edilizio e sociale nei quartieri pubblici (sovvenzionati), spesso nati e rimasti senza qualità accettabile e poi senza manutenzione (anche a causa dei canoni prossimi allo zero e antieconomici per gli enti gestori, aziende ex IACP e Comu­ ni); e dall'altra aumentano comunque le situazioni di disagio individuale (le "nuove povertà") e di degrado urbano ed edilizio, anche al di fuori dei quartieri ERP, nelle parti critiche delle città e nei territori di margine, in particolare nelle aree metropolita­ ne, perché non trovano nessuna risposta, appunto, vista la scarsità di alloggi "pubblici" o anche da assegnare in agevolata, a canone concordato ecc. E così il problema nel primo caso si autoalimenta, e nel secondo peggiora. Per tutte queste ragioni, allora, al più presto sarà indispensabile imprimere forti accelerazioni sia all'azione pubblica che al cambio di mentalità e di approccio dei nu­ merosi attori inclusi oggi nei processi produttivi di edilizia residenziale "sociale" (non40. In anni recenti le sovvenzioni pubbliche a diverso titolo destinate all 'edilizia residenziale arrivano a interessare l' 8o% del totale, per un numero di alloggi compreso tra 7.000 e 1o.ooo per anno, rispetto ad una popolazione di oltre 1.7oo.ooo abitanti e in crescita costante.

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ché di edilizia residenziale in senso generale, questione che qui non si affronta) , nell'ot­ tica del recupero di una forte progettualità politica e urbanistica: che è problema poli­ tico e culturale, evidentemente, prima ancora che tecnico-disciplinare. Da burocratiche e scandite nel tempo secondo preordinate sequenze amministra­ tive comunque troppo lente per rispondere efficacemente alle esigenze di casa e di qua­ lità dell'abitare, le relazioni tra urbanistica ed edilizia residenziale sociale dovranno essere invece sempre più tese al progetto ed alla sua realizzazione, nelle sue diverse di­ mensioni, sociale, economica, urbanistica, architettonica, tecnologica, edilizia; e, a fronte della carenza, ineludibile almeno per il breve-medio periodo, di risorse finanzia­ rie pubbliche, queste relazioni dovranno tener conto dei nuovi attori, nuovi soprattut­ to perché si tratterà di promuovere e incentivare la partecipazione nei processi realiz­ zativi di quegli operatori economici e tecnici in grado di perseguire interessi e svolgere ruoli diversi dai meri percettori di rendita fondiaria. Solo in questo senso si giustificano e appaiono realizzabili una diversa concezione e la pratica positiva del rapporto pub­ blico/privato nei processi di costruzione e trasformazione urbana, anch'essi da ridi se­ gnare compiutamente ( e saranno necessari anni perché nel nostro paese questo possa accadere ) . E proprio in questo senso, allora, non sarà certo utile un ripiegamento dell'attore pubblico ma al contrario saranno indispensabili accrescimento e diversifi­ cazione delle sue competenze e capacità di interpretare un ruolo probabilmente diver­ so dal passato ma di nuovo realmente centrale, che includa anche il suo rinnovamento etico-disciplinare. Anche perché - se è vero che questo è il tempo del "faire la ville sur la ville" -, gestire da parte del pubblico i processi e i progetti di trasformazione di spa­ zi complessi come sono quelli già edificati e infrastrutturati non è più semplice che pianificare zone d 'espansione, anzi. E dunque, c 'è bisogno di «più urbanistica » e non di meno urbanistica, ovvero di « maggiore capacità di osservare e decifrare i fenomeni che si manifestano nelle città e nei territori, di interpretare genesi e prospettive, di in­ dividuare azioni e politiche adeguate, di aggiustare e innovare strumenti e procedure » ( Gabellini, 20I3). Più urbanistica non come più studi, analisi, piani, passaggi, approva­ zioni amministrative ecc. ; che comunque restano, pur in un quadro rivisto e più essen­ ziale, e possibilmente dovrebbero avere alle spalle amministrazioni e uffici tecnici e "di piano" più adempienti, corretti, competenti, colti ed efficienti; più urbanistica invece intesa come urbanistica migliore, fatta con maggiore serietà, con obiettivi più ambizio­ si, e che per questo richiede l' impegno rilevante di capacità e competenze non banali, non solo burocratico-compatibili, ma appunto di qualità elevata. E che richiede anche la comprensione della domanda finale, la capacità di capire, distinguere, scegliere. E quindi "per definizione", semmai, dovrebbe esserci bisogno di "più pubblico" nel senso sopra detto. E tutto questo dovrebbe avere riflessi diretti sui corsi di studio che si occu­ pano di urbanistica, architettura ed edilizia ( sociale) , in breve "di città", nelle facoltà e nei dipartimenti delle università italiane. Naturalmente, nel considerare la crisi ( di welfare, prima di tutto, per quanto qui si 29

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discute), e le soluzioni per uscirne, qui non è messo in discussione il modello di svilup­ po e il prevalente approccio culturale neoliberista secondo il quale procediamo41• Seb­ bene infatti alcune critiche all'approccio culturale dominante siano state mosse, non è questa la sede per discutere questioni così ampie. Pur tuttavia, alcuni orientamenti anche recenti almeno in parte eterodossi rispetto alla vulgata più diffusa vanno segna­ lati; essi sono sì riferibili a problemi molto generali che sono a monte delle questioni affrontate nel volume, ma da questi poi originano scelte di progetto politico e di pro­ grammazione ed uso delle risorse nel governo delle città e del territorio (urbanistica) e nelle politiche di welfare (edilizia residenziale sociale). Ad esempio per quanto riguar­ da possibili alternative al modello ancora in voga del new public management, in ordine a ruolo, approccio e modalità di governo delle amministrazioni pubbliche, ipotizzando approcci basati non su una funzione di guida ma di servizio rispetto ai cittadini, nel caso del new public service42; o sul ruolo predominante della finanza rispetto all'econo­ mia della produzione (Piketty, 2013), e quindi per lo stesso settore delle costruzioni; o a proposito del ruolo dello Stato e dei privati, e del rapporto tra pubblico e privato, nell'economia della produzione (Mazzucato, 2013). A proposito dei quali - niente di rivoluzionario in nessuno dei tre casi -, ciò che soprattutto merita di essere evidenziato è la fertilità di approcci non conformisti su questioni rilevanti e direttamente impat­ tanti le scelte politiche e i relativi effetti sulle persone. In particolare, nel caso dell 'ultimo riferimento citato, il lavoro già molto noto di Mazzucato, va detto che di esso qui rileva prima di tutto la carica provocatoria e ad un tempo "positiva". Il saggio, infatti, demolendo celebrati luoghi comuni, affronta tema­ tiche inerenti le politiche industriali e come queste oggi possano avere successo; in questo evidenziando il ruolo centrale dello Stato come principale agente d' innovazio­ ne (come succede negli USA ) prima ancora delle capacità imprenditoriali e produttive dei privati, e ponendo, di conseguenza, un principale interrogativo : se lo Stato è il maggior innovatore, perché allora tutti i profitti provenienti da un rischio collettivo finiscono ai privati ? E allora, nel nostro caso - e, per quanto detto, provocatoriamen­ te -, se si riconoscono allo Stato (in quanto attore in senso generale, quindi al "pubbli­ co") potenziali capacità innovative e ruolo centrale nei settori industriali di punta, perché (e a maggior ragione) non riconoscergli ruolo e necessarietà in quanto soggetto promotore e responsabile di programmi generali di welfare ? In particolare nella fatti­ specie qui in questione (edilizia sovvenzionata e housing sociale) l'azione pubblica, se adeguatamente finanziata e condotta, darebbe "profitti sociali" provenienti da un ri­ schio collettivo che, sebbene né oggi né domani finirebbero direttamente ai privati in senso stretto, comunque ne alimenterebbero coesione sociale e benessere. A patto che 41. Né, in questo senso, lo fanno le argomentazioni che nelle pagine seguenti danno corpo alle posi­ zioni di ogni autore. 42. Si veda Tonella (2013) e, in dettaglio, ]. V. Denhardt, R. B. Denhardt (2003).

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il pubblico torni in grado di esercitare appieno il suo ruolo. Il caso della municipalità di Vienna, prima ricordato, ne è testimonianza credibile.

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Struttura e contenuti del volume

Sebbene queste pagine introduttive abbiano carattere più generale rispetto ai successi­ vi contenuti del volume, naturalmente è su molte delle problematiche fin qui presenta­ te - oltre che su ulteriori precipui aspetti dell'edilizia residenziale sociale e dell'urba­ nistica della "città pubblica"43 - che vertono gli altri saggi di questo volume; con accen­ ti diversi, evidentemente, in ragione dei loro diversi autori, dei relativi ruoli professio­ nali, delle diverse posizioni e convinzioni culturali, nonché delle loro esperienze, in alcuni casi direttamente calate nell'operatività di programmi e interventi nei settori interessati. E questo, riteniamo, costituisce una caratteristica necessaria e positiva del lavoro che qui si propone, in linea con gli obiettivi che ci siamo dati di rappresentare ad un tempo sia le principali questioni che le culture e istanze riferibili agli attori pre­ senti nello scenario "casa/ città/urbanisticà'. Il volume è articolato in tre parti: un qua­ dro generale dell'edilizia residenziale sociale, sostanzialmente a partire dall'offerta, ovviamente non esaustivo ma esemplificativo, a scale diverse, delle molte dimensioni del tema affrontato ; una rassegna e discussione delle politiche abitative tentate e in corso nel nostro paese, degli strumenti e degli attori relativi alla loro attuazione; alcune questioni di prospettiva che vanno oltre la pur necessaria considerazione della questio­ ne di base della casa come diritto sociale. I tre contributi che costituiscono la Parte prima ( Confronti e riferimenti) delineano un quadro sintetico ed esemplificativo di cosa si possa intendere per edilizia residenzia­ le sociale e/ o housing sociale, considerando tre diversi contesti/ scale d 'indagine, e met­ tono in luce in cosa consistano oggi l'azione pubblica e la partecipazione dell'attore privato alle attività realizzative e gestionali del settore, anche con riguardo alle politiche generali per le città, in particolare quelle di riqualificazione urbana. Una ricognizione solo implicitamente comparativa che, pur necessariamente "parziale" e con gradi di confrontabilità variabili in relazione agli aspetti considerati, permette tuttavia di co­ gliere, appunto, in primo luogo cosa ci sia in comune e cosa di specifico a livello gene­ rale dei paesi UE nel vasto e complesso ambito delle politiche pubbliche-sociali per la casa; e in secondo luogo di avere elementi di approfondimento su cosa si sta facendo in questi anni in paesi più direttamente confrontabili col nostro, come è la Francia, e in Regioni tradizionalmente ritenute virtuose nel panorama nazionale, come è l'Emilia-

43· Secondo il significato che a questa locuzione ha attribuito Paola Di Biagi già nel lontano 1 9 8 6. 3I

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Romagna. In questi ultimi due casi, comprendendovi le relazioni tra edilizia sociale e urbanistica. Nel suo contributo Antonella Galassi prima di tutto evidenzia per molti stati UE del contesto europeo le condizioni di fondo da cui originano impostazioni e caratteri delle politiche abitative pubbliche, anche odierne. E, anche se si registrano differenze significative tra i welfare state di ciascun paese, mostra come sia possibile riferirsi a grandi aree sovranazionali che condividono culture e forme sociali che sono poi alla base delle scelte dell' intervento pubblico anche in tema di alloggio sociale. Del resto, tentativi di approcci unitari più comprensivi a livello di trattati UE sono stati fatti. E si sono fatti anche passi per rendere confrontabili e relazionabili i concetti di base e le categorie d' intervento. All'accezione di "alloggio sociale" del C E C O DHAS Housing Europe44, ad esempio, oggi è possibile fare riferimento come concetto operativo larga­ mente condiviso. Le significative differenze dell'impegno pubblico nei diversi paesi nell'affrontare i problemi abitativi dei ceti meno abbienti, maturate nel corso di tutto il Novecento, ci ricordano poi che le origini delle nostre difficoltà attuali hanno radici lontane, che hanno fatto sì che oggi, soprattutto in Italia, sia problematico pensare ad un vero rilancio della presenza pubblica nei programmi di edilizia residenziale pubbli­ ca-sociale. L' Olanda, ad esempio, destina una quota percentuale del PIL 16 volte supe­ riore a quella dell' Italia. E quella del Regno Unito è 17 volte superiore; considerando inoltre che, come il contributo sottolinea, secondo un approccio "mirato-residuale", queste risorse vanno a beneficio di un numero ristretto di persone, vuol dire che l' azio­ ne pubblica è in quel paese ad alto impatto nei confronti dei suoi abitanti più svantag­ giati; e siamo in presenza di elevata confrontabilità, considerando che il Regno Unito ha peso demografico simile all' Italia. Anche in Francia, l'attenzione all'edilizia residenziale pubblica è stata tradizional­ mente maggiore che in Italia. E, ciò nonostante, come è naturale nel tempo, anche lì criticità e problemi sono emersi. Ma, proprio in ragione di questa forte attenzione, pur dovendosi registrare nei quartieri popolari francesi realizzati nel secondo dopoguerra del Novecento esiti per alcuni versi simili a quelli italiani, a partire da questi stessi esiti sono stati individuati già alla fine degli anni Novanta nuovi punti di partenza per im­ portanti politiche pubbliche per l'alloggio a costo accessibile. È quanto evidenzia e discute Manuela Ricci nel suo contributo ; nel quale, infatti, sono analizzati i primi si­ gnificativi risultati conseguiti in applicazione della legge Borloo, del 2003, finalizzata a d-orientare e programmare le trasformazioni urbane nell'ottica prevalente di una politica di rinnovamento urbano (rénovation ) . Ambito di applicazione sono le "zone urbane sensibili", zus, oltre 750 quartieri costituiti da grand.s ensembles e/o habitat 44· CECO DHAS (Comité Européen de Coordination de l'Habitat Social ) Housing Europe : «the European Federation of Public, Cooperative an d Social Housing is a network of 42 national and regional federations in 22 countries, including 19 EU member states » .

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urbani degradati principalmente dal punto di vista socio-economico. In queste situa­ zioni lo strumento prioritario d'intervento è costituito dalla "demolizione", in partico­ lare nei gra nds ensembles in difficoltà, che di fatto viene assunta come la sola possibilità di intervento efficace ( e condizione preliminare ) per ridurre o annullare i fattori di degrado. Altro elemento cardine degli interventi è la possibilità di intervenire "sulla" componente fondiaria, e "attraverso" questa componente, nei processi di trasformazio­ ne urbana. Ciò che soprattutto rileva nell'attuazione di questo primo programma na­ zionale (2004-n), è la complementarità in esso di strumenti diversi, abbastanza com­ plessi da maneggiare, e la scelta tra attore pubblico e privato nell'attuazione degli inter­ venti programmati. E dal contributo emerge, inoltre, la capacità di tenere insieme set­ tore pubblico, edilizia e urbanistica. Tutto questo, è da ritenere, è possibile prima di tutto in ragione della reale credibilità che nonostante le difficoltà più recenti hanno mantenuto sia la sfera pubblica che l'ambito economico-produttivo privato. Di analoghe questioni e riflessioni, ma alla scala regionale, dà conto nel contributo successivo Michele Zanelli, secondo un punto di vista che origina da un osservatorio privilegiato, il Servizio qualità urbana e politiche abitative dell'Emilia-Romagna. Che, infatti, è una delle Regioni tra quelle in grado nel nostro paese di maneggiare, appunto, le complessità crescenti insite negli attuali processi di trasformazione delle città; in par­ ticolare se ne consideriamo intenzionalità e capacità politica e amministrativa di rece­ pire le esigenze di governo e di varare e aggiornare provvedimenti adeguati, sia generali che di settore. Aver incluso in questo volume una ricognizione su tali problematiche in una Regione rappresentativa delle migliori potenzialità di intervento di cui oggi dispo­ niamo dovrebbe permettere, tra l'altro, di misurare se e quanto margine ancora c 'è di miglioramento dell'azione pubblica dell'ente Regione rispetto al quadro nazionale ; o se, invece, in quest'ultimo ci sono limiti che si riflettono, condizionandola, sull'azione regionale e che per questo andrebbero superati con provvedimenti, finanziamenti e programmi pubblici statali. Al riguardo, e nell'ottica più comprensiva secondo cui pro­ grammi e interventi per affrontare i molti aspetti problematici del disagio abitativo devono esser parte di strategie più ampie di rigenerazione urbana, il contributo segnala ad esempio la necessità di "un nuovo patto sociale" con la proprietà edilizia, nell'ambi­ to di politiche fiscali che agiscano con obiettivi di sostanziale ricapitalizzazione del patrimonio immobiliare, in alternativa a quanto invece si è fatto recentemente in ter­ mini di tassazione crescente del patrimonio residenziale. Anche queste indicazioni danno la misura di come il governo degli attuali processi di trasformazione urbana ri­ chieda oggi una incisiva e accorta dialettica tra azione pubblica centrale e locale. I primi tre contributi, dunque, esemplificano, per contesti e scale, contenuti e temi di un essenziale quadro generale indicativo di cosa sostanzialmente già si può fare per affrontare la questione abitativa secondo un'ottica più complessiva che, in ultima ana­ lisi, è di sostenibilità sia economica che sociale e ambientale, oltre che istituzionale; ed in essi è riconosciuto che lo "strumento generale" che dia coerenza ed efficacia a poli ti33

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che e interventi è ancora l'urbanistica. I cinque contributi presenti nella Parte seconda del libro (Politiche, attori, strumenti) , invece, sono espressione di punti di vista meno generali e meno strettamente "istituzionali", con un taglio principalmente rivolto agli strumenti e agli attori che danno corpo alle politiche; sono, in certa misura, maggior­ mente rivolti ali'operatività. Per quanto detto nelle pagine precedenti, è d'obbligo vedere, in primo luogo, come in questo quadro in divenire si muovano gli enti gestori del patrimonio pubblico, gli ex IAC P, oggi ATER (Aziende territoriali per l'edilizia residenziale) o in altro modo deno­ minati. Tra esigenze di bilancio e vincoli nell'operatività, essi cercano comunque di adattarsi e darsi delle prospettive, con forme gestionali e approcci sui quali, oltre ai li­ miti dell'impostazione complessiva originata a suo tempo a livello centrale, possono influire oggi le stesse peculiarità locali (d'ambito regionale soprattutto), politiche ed economiche oltre che sociali. È quanto si evince nel contributo di Paolo Ciampi, sulla base deli'esperienza diretta di gestione deli'ente, l 'ATER della Provincia di Latina. Scon­ tati gli effetti negativi della regionalizzazione del settore - tra cui l'azione della politica, quasi mai utile in quanto quasi sempre hostile takeover -, questi enti soffrono oggi una condizione di sostanziale vuoto normativo, difetto di finanziamento, progressiva per­ dita di capacità d'azione, impossibilità di costituire un soggetto diffuso e coerente di riferimento. Nel contributo è descritta la parabola che ne ha segnato la vita a partire dai primi decenni del secolo scorso e che ben rappresenta, di fatto, la parabola della stessa azione pubblica nel settore, prima centrale e poi regionale, mettendo in evidenza prin­ cipalmente una questione di fondo e una prospettiva. La prima concerne la necessità di chiarire quale sia oggi la funzione propria degli enti ex IAC P : gestire il patrimonio abi­ tativo loro affidato secondo criteri di efficienza ed economicità, o invece farsi carico anche di ruoli di natura assistenziale, a prescindere da vincoli di bilancio. La prospetti­ va è di accettare - nel mutato scenario di intervento dell'attore pubblico - un ruolo di fatto concorrenziale rispetto agli attori privati, attraverso il forte potenziamento dell'offerta di edilizia residenziale agevolata ed edilizia residenziale sociale di mercato. Come si è già visto, analogo rinnovamento della cultura economico-produttiva sarebbe necessario anche nel settore privato delle costruzioni. Il contributo di Massimo Ghiloni, che del settore ha conoscenza approfondita in ordine sia alle sue potenzialità che ai suoi limiti, rappresenta bene le istanze di innovazione poste prima di tutto alle pubbliche amministrazioni in tema di più adeguato governo urbanistico delle trasfor­ mazioni urbane, allo scopo (anche) di rendere praticabili ed economicamente fattibili interventi e attività degli operatori privati. Le contraddizioni e la variabilità evidenzia­ te nelle opzioni pubbliche di gestione degli strumenti di pianificazione urbanistica ri­ chiedono da tempo maggiori certezze del quadro normativo e, quando utile e possibile, in quello di governance, in ordine sia agli interventi di housing sociale che a quelli più ampi di rinnovo urbano. In questo senso, il contributo sottintende, di fatto, l'esigenza che un salto di qualità sia necessario anche negli approcci dell'operatore privato, visto 34

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il carattere di settore economicamente "maturo" che oggi mediamente ha il settore delle costruzioni nel nostro paese. Gli approcci d' intervento suggeriti, infatti, implica­ no sedimentate culture e robuste competenze per un efficiente governo pubblico e per un'adeguata competitività e buona gestione delle attività proprie del privato; quanto sono diffuse queste condizioni nel panorama nazionale ? Ancora una volta, in vista sia di più efficaci politiche per l'edilizia residenziale sociale che del rilancio del settore edilizio, sembrerebbero essere chiamate in causa le migliori capacità degli attori in gio­ co, sia pubblici che privati. È per questa ragione che la "consensualità" proposta nel contributo, se espressione di perseguimento dell' interesse collettivo da una parte e di capacità "industriali" prima che relazionali e finanziarie dall'altra, può rappresentare la conditio sine qua non per avviare un nuovo corso nelle politiche urbane e in quelle di sviluppo del settore edilizio. Un ambito dove sono già state sperimentate forme di convergenza pubblico/priva­ to è quello dell' housing sociale, in particolare attraverso l'azione dei fondi immobiliari. Nel suo contributo - più in generale dedicato a tali forme di azione congiunta e coordi­ nata per l'edilizia residenziale sociale - Guido Bardelli ne ricostruisce la genesi, a partire dall' individuazione legislativa della "domandà' cui l'housing sociale è rivolto, nella leg­ ge 350/2003, dove i destinatari di abitazioni in locazione a "canone speciale" sono quei nuclei familiari con reddito superiore alle soglie previste per accedere all'ERP ma insuf­ ficiente per accedere al mercato. È questa la fascia sociale, di cui si è detto ampiamente nelle pagine precedenti, economicamente intermedia e solvibile, cui sono destinati gli alloggi realizzati, recuperati o acquisiti tramite i fondi immobiliari, secondo una gamma ormai ampia di possibilità di intervento. Per questo, dopo l'approvazione e l'avvio di questo strumento nel 2009, in virtù di successivi provvedimenti oggi essi possono gio­ care un ruolo esteso nel tentare di accrescere questo tipo di offerta residenziale pubblico­ privata. E, per quanto da ultimo previsto dalla legge 8o/20I4, oggi a livello di norma statale sono superate anche le limitazioni che riducevano le possibilità di cessione ai fondi di immobili realizzati col concorso di contributi pubblici a fondo perduto. Un ripensamento del legislatore rispetto all'incompatibilità dichiarata col D.L. 112/2oo8, ma in linea con la tendenza attuale nell'evoluzione dei rapporti pubblico/privato che il contributo segnala, infine, nella giurisprudenza amministrativa, a proposito del "social housing" come servizio pubblico locale capace di soddisfare interessi generali e di garan­ tire redditività all'erogatore (privato) del servizio. Se questa è una prospettiva per l'evo­ luzione del settore delle costruzioni lo vedremo; per ora sembrano aperte diverse oppor­ tunità agli operatori privati per esercitare sia capacità imprenditoriali che ruolo sociale. Questo tipo di nuovi strumenti di finanziamento è oggetto di riflessione anche nel contributo di Elena Borghetti, con l'obiettivo di discuterne prima di tutto l'auspicata integrazione tra rigenerazione urbana ed edilizia residenziale sociale che è in molti casi tra le finalità dei provvedimenti adottati per realizzare i programmi di edilizia re­ sidenziale sociale. Il bilancio che ne emerge, riferendosi in particolare agli effetti di 35

SAVERIO SANTANG ELO

leggi e decreti varati a partire dal 2o09 ( col lancio del Piano nazionale di edilizia abita­ tiva, PNEA ) , non è soddisfacente, anche a causa della loro scarsa sistematicità. Per ragio­ ni sia strutturali che contingenti, inoltre, proprio lo strumento che ha suscitato mag­ giori aspettative, i fondi immobiliari di investimento previsti nel PNEA, dovendo misu­ rarsi prioritariamente con la redditività finanziaria delle risorse impiegate, non si è concretizzato in programmi significativi sull'edificato e sui tessuti urbani già esistenti, che restano tuttora di fattibilità problematica. Le poche iniziative ad oggi compiute, infatti, si concentrano sul nuovo e, in termini quantitativi, i risultati non sono rilevan­ ti. È necessario, dunque, da una parte integrare meglio il mosaico dei diversi strumenti teoricamente convergenti verso l' housing sociale, nell'ottica di politiche più compiu­ tamente efficaci anche in termini di rigenerazione urbana; e dali 'altra poter far ricorso a strumenti in certa misura, invece, autonomi e meno dipendenti da fattori congiuntu­ rali o elementi esterni alle relative logiche di funzionamento. Il contributo rimarca, nel primo caso, l'utilità di declinare a favore dell'offerta di "social housing" i vantaggi ot­ tenibili tramite premialità e fiscalità nei processi realizzativi e gestionali; nel secondo, il ritorno a forme di tassazione di scopo e di agevolazione del credito, ad esempio sul modello di fondi rotativi che anche in anni recenti hanno dato risultati positivi in pa­ esi di grande tradizione dell 'edilizia sociale in Europa. Un approccio di sintesi rispetto ad appropriatezza e miglior uso degli strumenti a disposizione per mettere in pratica politiche efficaci e diffuse di ERS caratterizza il contributo di Stefano Stanghellini, in considerazione di alcuni fattori principali: il tempo di risposta alla domanda sociale di abitazioni; la concreta valutazione delle ri­ sorse disponibili in un certo momento, sia pubbliche che private; i fattori di costo di produzione e gestione dell'edilizia sociale. In quest'ottica, dei tre tipi di strumenti con­ siderati - fiscali, finanziari e urbanistici -, i primi permettono di ottenere risultati diffusi in tempi brevi. Mentre le caratteristiche specifiche degli strumenti finanziari sono la flessibilità e versatilità e quindi l'aderenza a condizioni proprie dei contesti alla scala locale. In entrambi i casi, inoltre, questo vuoi dire prima di tutto effetti spazial­ mente estesi di riduzione del disagio abitativo e conseguente uso efficiente del patrimo­ nio residenziale complessivo, non solo quello pubblico-sociale, nonché prevenzione di degrado edilizio e urbano. Situazione quest 'ultima, per la quale, quando già in atto, è invece appropriato lo strumento urbanistico ( "il piano" ) , che pur in tempi medio-lun­ ghi è indispensabile per governare tanto i meccanismi che "muovono" i diritti edifica­ tori, e quindi anche gli investimenti privati, che le operazioni di rinnovo urbano in cui inserire e valorizzare la componente "social housing", associandovi inoltre obiettivi di qualità e adeguatezza tecnologica ed energetica. Il contributo, infine, sottolinea l' im­ portanza del terzo fattore di successo dell'ERS, ridurre i costi del prodotto casa in or­ dine a tutto il suo ciclo di vita e dalla scala urbanistica a quella edilizia; e sottolinea, ancor più, la necessità che i diversi strumenti siano usati in funzione dell' appropriatez­ za di ciascuno e di ogni possibile loro complementarità.

EDILIZIA RESIDENZIALE SOCIALE,

WELFARE

E URBANISTICA

Infine, gli ultimi tre contributi, che costituiscono la terza e ultima parte del volu­ me (Prospettive: dalla casa all'abitare), prestano maggiore attenzione ad aspetti anche non direttamente operativi e, verosimilmente, più di prospettiva, certa o meno che sia, a partire da quanto emerge dalle esperienze sedimentate di edilizia residenziale pub­ blica e nei nuovi stili di vita urbani, e da quanto di tali situazioni e culture si può tra­ durre nei progetti futuri di edilizia residenziale sociale. Anche cercando di valutarne le prospettive in base a primi riscontri di ciò che si sta facendo ( strumenti e risorse disponibili, tendenze culturali e disciplinari ecc. ) , o solo si annuncia. Prendendo atto dei cambiamenti che nel passaggio dal Novecento al nuovo secolo hanno indotto il formarsi di una nuova e differenziata domanda sociale di abitazione, nel suo contributo Paola Di Biagi sottolinea la necessità di riconoscere articolazione e varietà di situazioni vs generalizzazioni onnicomprensive ( come ad esempio il "soci al housing" rischia di diventare ) , che avrebbero effetti critici poi tanto sulla lettura di morfologie e usi dello spazio che, conseguentemente, sulle forme del progetto urbani­ stico. E dunque postula la necessità e il valore di approntare modi adeguati di "osserva­ re" prima di progettare e, per questo, di rileggere il passato : per vedere, ad esempio, come i confini tra pubblico e privato non siano stati sempre definiti e fissi, ma mobili, e come oggi di essi vadano comprese le nuove demarcazioni, se tali sono; e per apprez­ zare ancora l'importanza dell'osservazione dello spazio, che oggi in particolare è di in­ certa e ambigua comprensione. In quest 'ottica, a partire dalla descrizione di come sono stati vissuti quegli spazi dell'abitare, e di come di conseguenza si sono trasformati, i quartieri di edilizia residenziale pubblica realizzati nell'ultimo mezzo secolo oggi pos­ sono costituire al tempo stesso campo di conoscenza e di intervento, a fronte della dif­ fusa necessità di riqualificazione; non precludendo l'estensione di approcci e rinnovati riferimenti disciplinari alla progettazione anche di nuovi insediamenti. Ferma restando la domanda che il contributo pone e alla quale, probabilmente, è ancora difficile, ma cruciale, provare a rispondere: se in passato i quartieri di ERP sono nati e sono stati le­ gittimati all'interno di una visione politica e disciplinare che perseguiva valori generali e condivisi, può oggi e in prospettiva ricercarsi un disegno nuovo e ugualmente condi­ viso di d-composizione collettiva che, come in passato è stato, renderebbe "necessario" esprimere "materialmente al suolo" politiche sociali, economiche e urbanistiche ? Una domanda ugualmente importante ( e complessa) percorre il contributo di Mi­ chele Talia - che per certi versi costituisce una sorta di ampio postulato parallelo rispet­ to alle problematiche morfologico-spaziali espresse nel contributo precedente. Un postulato argomentativo in ordine ad alcuni aspetti sociali qualificanti propri dei cam­ biamenti ultimi e in corso inerenti questione abitativa e pianificazione urbanistica. Cosa è cambiato in termini di culture della città e di cultura urbanistica ( tecnica a non solo ) , con la fine della stagione dell'edilizia residenziale pubblica nel nostro paese ? Soprattutto, l' interrogativo è : a quali nuovi stili di vita, comportamenti e morfologie sociali si accompagna questo passaggio ; quali nuove esigenze vanno incluse in ogni 37

SAVERIO SANTANG ELO

attuale considerazione del problema casa ( e dell'abitare ) oggi; e come vanno letti feno­ meni e tendenze sociali nella necessaria prospettiva di ridisegnare l'offerta non solo di edilizia residenziale sociale, non solo di urbanistica ad essa adeguata, ma di città nella sua multidimensionalità. Si tratta di cogliere i differenti caratteri della nuova, diversa e atipica domanda abitativa, di cui quella sociale è parte "sensibile", e nella quale negli anni recenti e nel futuro acquistano peso modalità dell'abitare caratterizzate da tem­ poraneità, variabilità, instabilità, precarietà. Problemi nuovi, che - nel quadro del ridi­ segno più o meno obbligato delle politiche pubbliche - possono coniugarsi con le opportunità di riqualificare e migliorare la città già esistente; a partire dalle possibilità di tenere insieme virtuosamente quote significative della nuova domanda con nuovi strumenti di cattura ( a fini pubblici ) della rendita fondiaria. Alla condizione, però, che si realizzi una più evoluta, incisiva e credibile cultura di governo delle trasformazioni insediative. Ad alcuni problemi posti in questi due ultimi contributi, oltre che nei precedenti, potrebbe fornire almeno parziali soluzioni l'ultimo avanzamento nel campo normati­ vo e di finanziamento dell'edilizia residenziale sociale di cui oggi disponiamo, il D.L. 47/2014, come convertito con legge S o/2014. Mentre, in prospettiva, e in un ambito più esteso di riforma del governo del territorio, potrebbe concorrere a disegnare il fu­ turo dell' ERS il d. d.l. Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasforma­ zione urbana, in attesa di avvio di iter parlamentare. È questo che nell'ultimo contribu­ to, di Saverio Santangelo - una sorta di nota conclusiva del volume -, si è inteso verifi­ care : quanto le politiche centrali e i relativi provvedimenti varati di recente o in itinere siano in grado di risolvere il vecchio e "nuovo" problema della casa, affrontandolo co­ erentemente con quelli urbanistici ; e, al tempo stesso, quanto aprano prospettive d'in­ tervento più efficaci che in passato ( perché integrate ) , rispetto alle forme emergenti della domanda di casa e dell'abitare, nonché rispetto alle istanze diffuse di recupero e valorizzazione della città costruita. In margine a questa Introduzione, si ringraziano Elena Borghetti, Paolo Ciampi, Anto­ nella Galassi, Massimo Ghiloni, Michele Talia, per aver partecipato allo sviluppo della ricerca; Guido Bardelli, Paola Di Biagi, Francesco Karrer, Stefano Stanghellini, per aver contribuito alla sua fase conclusiva; tutti gli autori, tra cui Manuela Ricci e Michele Zanelli, per i contributi qui pubblicati. Riferimenti bibliografici (2oo6), Casa dolce casa. Il ritorno della questione abitativa in Italia, in "Il Giorna­ le dell'Architetturà', 36. BERGAMINI G., CESARATTO s . (2.01 4), Draghi apre al "quantitative easing': Cos'e e che ejfètti puo avere, in "Il Fatto Quotidiano", 3 aprile 2.014 (consultato il 2. settembre 2.01 4) .

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ED ILIZIA RES IDENZIALE S O C IALE,

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WELFARE E URBANISTICA

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CAMPOS VENUTI G.

39

Parte prima Confronti e riferimenti

I

Il social housing in Europa: un confronto a partire dalle definizioni di Antonella Galassi

1.1

Premessa

Il social housing nell' Unione Europea ( UE ) è caratterizzato da una diversità di signifi­ cati, dipendenti soprattutto dalle concezioni di welfare e dalle politiche sociali degli Stati membri, che comportano anche una forte diversificazione negli approcci qualita­ tivi e quantitativi al tema (status giuridico del proprietario, regime di affitto, metodo di finanziamento, popolazione a cui è rivolto). Nonostante ciò, ci sono tre elementi comuni che caratterizzano il social housing in tutti gli Stati della UE: una missione pubblica di interesse generale, l'obiettivo di aumentare l'offerta di alloggi a prezzi ac­ cessibili e obiettivi specifici definiti in termini di migliorare lo status socio-economico o di diminuire la presenza di vulnerabilità ( IZA, Braga, Palvarini, 2013 ) . Stante la difficoltà di individuare un significato generalizzabile del termine, il C E C O DHAS (Comité Européen de Coordination de l'Habitat Social)1 definisce il so­ eia! housing come « Housing for households whose needs are no t m et by the open market and where there are rules for allocating housing to benefiting households » (abitazioni per nuclei familiari i cui bisogni non possono essere soddisfatti dalle con­ dizioni di mercato e che rispondono a regole per provvedere all'assegnazione di allog­ gi alle famiglie che ne beneficiano). Lavorando su questi concetti, a partire dalle molteplici e diverse definizioni dedu­ cibili dai documenti ufficiali2 e dalla abbondante letteratura italiana ed europea sul tema, si intende:

1. li CECO DHAS , ovvero il Comitato europeo per la promozione del diritto alla casa, è un'organiz­ zazione internazionale no profìt di diritto belga, fondata nel 1988 dietro iniziativa di alcune cooperative italiane, francesi e tedesche. Ne gl i anni successivi la composizione della base aderente si è andata modifi­ cando per la presenza di organismi provenienti dal settore pubblico e privato senza scopo di lucro. Attual­ mente è composto da più di 40 organizzazioni nazionali e regionali rappresentative del settore dell 'housing sociale nei paesi membri dell ' Unione Europea. 2. Per un glossario del social housing europeo, si rimanda al Glossario tematico consultabile online sul sito di Carocci Editore, che raccoglie 64 termini tecnici/specialistici che costituiscono voci e sotto-voci 43

ANTONELLA GALASSI

indagare l'evoluzione dei significati per capire come si può operare un confronto di definizioni, a chi è rivolto e cosa è, oggi, il social housing nei diversi Stati della UE; confrontare le esperienze per valutare i fattori che influenzano la spesa pubblica per il social housing; interpretare le politiche abitative dei diversi Stati della UE e valutare chi offre/fi­ nanzia il social housing ( in contrasto con il mercato immobiliare) anche al fine di va­ lutare come si colloca l' Italia in Europa, in termini di politiche abitative, offerta di social housing, spesa pubblica, utenti potenziali. 1.2

Caratteri del social housing europeo : modelli e politiche abitative (ovvero chi offre/ fornisce e chi finanzia)

Molte ricerche nell'ultimo decennio ( Scanlon, Whitehead, 2007; 2008; Baldini, Fede­ dci, 2oo8 ) hanno messo in evidenza la difficoltà di operare una lettura comparativa tra i sistemi di social housing relativi ai diversi Stati membri, evidenziando come il profon­ do legame esistente tra le politiche per la casa ed i cambiamenti ( passati e presenti ) che hanno riguardato il contesto socio-politico ed economico dei paesi europei, ha fatto sì che la storia del social housing riflettesse la situazione più generale ad essi relativa. Le differenze sostanziali della politica per la casa tra i paesi riguardano, infatti, anche i diversi modelli che, più in generale, sono relativi ai sistemi di protezione socia­ le adottati. Fino agli anni Novanta era possibile individuare tre grandi aree relativamen­ te omogenee ( Esping-Andersen, 1990 ) 3 che dal 2000 si sono mantenute nei fatti, anche se la quantità e la qualità degli interventi hanno subito delle contrazioni signifi­ cative e fanno maggiormente articolare la classificazione ( Zoli, 2004 ) 4: il modello socialdemocratico/ nordico, caratterizzato da elevati livelli di spesa pub­ blica per il sociale e da prestazioni con copertura universale ( per la generalità dei cittaderivate da uno o più riferimenti bibliografici a stampa/online. Le definizioni sono citate da fonti ufficiali e autorevoli, e a queste si rimanda per ulteriori approfondimenti. 3· Secondo Scanlon e Whitehead (2oo8), un utile esempio per comprendere i diversi approcci dei paesi europei al problema "social housing" è fornito dal lavoro di Esping-Andersen, The Three Worlds oJ Welfore Capitalism (Itre mondi del capitalismo sociale), del 19 90, in cui l'autore individua tre modelli/regi­ mi: anglosassone/liberale, scandinavo/socialdemocratico e continentale/conservatore. Applicando i mo­ delli di Esping-Andersen, Scanlon e Whitehead sostengono che molte delle differenze che caratterizzano le strutture che sottendono ali'offerta di alloggi rivolti alle fasce sociali deboli possono essere spiegate dalle differenze nelle concezioni cattoliche e protestanti della famiglia che i tre modelli/ regimi hanno costruito nel tempo. 4· La categorizzazione, basata sull'analisi di diverse componenti come : la dimensione e la composi­ zione della spesa pubblica, gli aspetti istituzionali, le regole di accesso ai servizi, il tipo degli strumenti e di finanziamento utilizzato nell'erogazione dei servizi pubblici, permette di identificare alcune linee comuni nei sistemi di welfare (Zoli, 2004).

44

I.

IL SOCIAL HOUSIN G IN EUROPA

dini), in cui la forma di finanziamento è basata soprattutto sull'imposizione fiscale (Finlandia, Danimarca, Svezia, Olanda); il modello anglosassone/liberale, caratterizzato da una spesa sociale rivolta a ridur­ re principalmente le situazioni di povertà estrema, con rilevanti programmi pubblici di assistenza sociale e di sussidi finanziati tramite il sistema fiscale o contributivo (Irlanda e Regno Unito); il modello continentale, caratterizzato da una robusta spesa sociale e da programmi pubblici frammentati e diversificati per specifiche categorie, in cui la forma di finanzia­ mento è soprattutto di tipo contributivo (Austria, Belgio, Francia, Germania e Lussem­ burgo) ; il modello mediterraneo, corrispondente alla tipologia del modello continentale, ma caratterizzato da una modesta spesa sociale e da una scarsa articolazione nella pro­ tezione minima di base rispetto alle categorie sociali considerate (Grecia, Spagna, Por­ togallo, Italia). Ulteriore motivo di differenziazione dei modelli e delle politiche tra gli Stati membri riguarda le categorie caratterizzanti e qualificanti le procedure, ovvero : il diritto di possesso; il fornitore del servizio (provider); i beneficiari; le modalità per il finanziamento. Secondo le condizioni con cui queste categorie si esplicano è possibile classificare le politiche secondo due tipologie proposte dai ricercatori del CECO DHAS (2007; Pit­ tini, 20I2): universale e mirata. Questa classificazione prevede di affiancare alla classi­ ficazione dimensionale (quantità di alloggi nel settore del social housing, spesa pubbli­ ca destinata al soci al housing, coinvolgimento degli enti pubblici nella realizzazione) quella legata ai criteri usati per l'assegnazione (i beneficiari del social housing). Nell'approccio universale, il diritto alla casa è garantito a tutti da enti pubblici e il soci al housing serve a calmierare il mercato (Olanda, Danimarca e Svezia). Nell 'approccio miratoS, l'ente pubblico interviene per compensare le carenze di un sistema abitativo regolato prevalentemente dal mercato e il social housing è strumen­ tale alle politiche abitative che intendono sostenere chi non riesce ad accedere al libero mercato (Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna).

S · L'approccio mirato si suddivide in due sottosistemi: generalista e residuale. L'approccio è genera­ lista se il social housing è per i nuclei familiari sotto una determinata soglia di reddito, gli affitti hanno un livello massimo fisso e le famiglie ricevono un' indennità sugli affitti. L'approccio è residuale se il social housing si concentra su una categoria più ristretta di beneficiari disagiati, l 'assegnazione avviene diretta­ mente da parte degli Enti locali in base al bisogno abitativo dei nuclei familiari e gli affitti sono determina­ ti in base al loro reddito.

45

ANTONELLA GALASSI

TABELLA 1. 1 Modelli di soci al housing in Europa ( 2007)

Social Housing approaches Description

Targeted

Universalistic

Generalist

Residua!

Housing is considered a "so-

The centrai governrnent

lt is widely spread in

cial universal right': The so-

sets

bracket

countries where public

cial housing sector operates

thresholds to defìne the

resources are delivered

in favor of a broad social

social

group

towards

predominantly through

group.

which

welfare

housing

income

market

mechanisms.

policies are targeted. This

Residua!

policies

approach is an intermedi-

mainly in favor of poor­

ate model

act

between the

est social groups. The

universalistic and the re-

remai market is not p re­

sidua! ones. lt is widely

dominantly social, and

spread in countries where

is

house ownership is pre-

oped.

suffìciently

devel­

dominant housing tenure. Percentage of

> IO %

UK, France.

The Nederlands, Austria, France, Denmark,

social housing

Finland and Poland.

Sweden.

rented stock out of the overall housing stock

Between s and IO %
19%)

Criteri usati per l'assegnazione Allocation

Universalistic

Medium

(11-19%)

Small

(5-10%)

Very small

(o-s%)

The Nederlands, Denmark,

criteria

Sweden Targeted Generalist Austria

Residua!

UK

Czech Republic,

Belgium,

Slovenia,

France, Finland,

Germany,

Luxemburg,

Poland

ltaly

Greece

Francia

Belgium,

Bulgaria,

Estonia,

Cyprus,

Germany,

Hungary,

Ireland,

Latvia,

Malta

Lithuania, Spain,

Fonte: CECODHAS ( 2007 ) , CECODHAS ( 2012 )

Portugal

o

IO

.

.

. .

. .

. .

. .

. .

:

C EC O D H A S Housing Europc's Obscrvatory, Rcscarch Bricfing 20 1 2.

-

'--

L....

-

Fonte: riclaborazionc d c i dati

Paesi Bassi

Austria

Regno Unito

Rep. Ceca

Danimarca

Svezia

Francia

Finlandia

Polonia

Irlanda

Belgio

Slovenia

Malta

Germania

Rep. Slovacca

Italia

Ungheria

Estonia

Lettonia

G recia

F I G U RA 1.1 La dimensione del social housing in Europa

20

30

Media U E

Dimensione social housing • • • • • • • l

-

ANTONELLA GALASSI FIGURA 1.2 La spesa per il social housing ( 2012 ) (quanto si spende e dove)

La spesa per il soci al housing può essere suddivisa in quattro gruppi, corrispondenti a varie situazioni geografiche: - paesi con un nwnero consistente di alloggi a canone sociale e spesa pubblica di oltre il 3% del PIL ( Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito) ; - paesi con un buon numero di alloggi a canone sociale e spesa pubblica generalmente compresa tra 1 e 2% del PIL (Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania ) ; - paesi con un nwnero di alloggi a canone sociale relativamente ridotto e spesa pubblica non superiore all'I% del PIL ( Irlanda, Italia, Belgio, Lussemburgo) ; - paesi con un nwnero insignificante di alloggi a canone sociale e spesa pubblica inferiore all ' I % del PIL ( Porto­ gallo, Spagna, Grecia) .

Fonte: rielaborazione dei dati CECODHAS Housing Europe 's Observatory, Research Briefing lO Il.

I.

IL SOCIAL HOUSING IN EUROPA

TABELLA 1.3

Tipi di fornitori di social housing in Europa Type of provider(s) Country

Ocher privare Private Loca� Indep endent public body Centrai . owned companyl Co-oPerative non-profit for profir Governmenc Authonty Pubhcly x

x

Belgium

x

x

Bulgaria

x

Austria

Cyprus

x

x x

x

Czech Republic

x

X*

X*

Denmark

x

x

x

Estonia

x

Finland

x

France

x

X*

x x

x

X**

Germany x

Greece Hungary

x

Ireland

x

ltaly

x

Malta

x

x

x

x

x

x

x

x

x

Lithuania

x

Latvia

x

Luxembourg

x

x x

Netherlands Poland

x

Portugal

x

Romania

x

x

X***

x

x

x

Slovenia

x

Slovakia

x

x

Spain

x

x

x

x

x

x

x

Sweden **** United Kingdom

x

X*

can apply for funding co provide social housing wichin cerrain funding schemes rhey also include municipal companies, which are considered as parr of rhe privare secror depending on che definirion used there is officially no "social housing" in Sweden, despite rhe coexisrence of a Municipal publicly owned secror cooperative housing in che form of tenanr ownership and a system of negotiared rene serring for rhe whole renta. secror Fonte: CECODHAS (2013).

49

ANTONELLA GALASSI 1 .3

I tanti e ambigui significati di social housing e la costruzione necessaria di un glossario tematico

Il social housing ha conosciuto momenti e situazioni diversificate a seconda dei conte­ sti di riferimento e si trova a doversi confrontare con i processi di cambiamento, demo­ grafici, sociali e politico-economici, che stanno interessando tutta l ' Unione Europea. Oggi, il concetto di social housing, rispetto alla definizione assunta a livello euro­ peo, anche grazie alla proposta del CECO DHAS richiamata precedentemente, tende a comprendere non solo gli alloggi realizzati dall'operatore pubblico, ma anche quelli realizzati attraverso la molteplicità dei soggetti, per lo più, no profit, che si trovano a vario titolo coinvolti nel settore. In più, oltre alla mera realizzazione e produzione di abitazioni sociali, il soci al housing comprende anche l'insieme delle misure messe in atto nei vari paesi per agevolare le famiglie in difficoltà abitativa. Grazie alla ricca documentazione ormai presente in letteratura, è stato possibile individuare come la serie di termini tecnici adottati nei diversi paesi e i significati dati localmente rappresentino, da un lato, la mole delle difficoltà affrontate/ da affrontare per la soluzione del problema casa e, dall'altro, il risultato di una evoluzione di pro­ grammi, di politiche e di esiti raggiunti. Fra i termini usati, se ne trovano alcuni che hanno significati molto diversi, come ad esempio : Allmiinnyttan ( edilizia residenziale pubblica o alloggio municipale o abitazione municipale non gestita a scopo di lucro ) in Svezia; Almene boliger ( edilizia o alloggio sociale ) in Danimarca; Habitaçdo a custos controlados o habitaçdo social ( alloggio a costo controllato o al­ loggio sociale ) in Portogallo ; Habitation a foyer modéré ( abitazione ad affitto moderato ) in Francia; Public housing ( meglio di Social housing dwellings) ( alloggi di edilizia residenziale di proprietà pubblica nei paesi di lingua anglosassone ) in Gran Bretagna e Irlanda; Sociale huurwoning o Sociale huur o Sociale-huursector ( affitto sociale o abitazione a basso costo ) in Olanda; Vivienda con proteccùJn publica o Vivienda protegida ( abitazioni con affitto protet­ to o abitazioni pubbliche con prezzo contenuto ) in Spagna; Wohnbaumforderung ( ahi razioni in promozione ) in Germania; Wohnungs Gemeinnutzigkeit ( edilizia sociale no profit o a profitto limitato ) e Ge­ meindewohnungen ( case popolari o edilizia residenziale pubblica) in Austria; Alloggio sociale ( non necessariamente di proprietà pubblica) , Edilizia agevolata, Edilizia convenzionata, Edilizia economica e popolare, Edilizia residenziale pubblica, Edilizia residenziale sociale, Edilizia sovvenzionata, Edilizia privata sociale in Italia. Poiché le condizioni del mercato locale ( così come le diverse dinamiche economiso

I.

IL SOCIAL HOUSING IN EUROPA

che e demografiche) , come si è detto, sono diverse da paese a paese e non permettono una comparazione tra le questioni abitative che stanno attualmente interessando e af­ frontando gli Stati membri, si è tentato di identificare alcuni termini principali/ deri­ vati, significativi per costruire una sorta di glossario di termini ricorrenti (a volte, anche con significati dissimili) nelle varie situazioni territoriali, con l'intento di capire quan­ to il social housing sia social. Sono stati "ricercati", perciò, termini legati non solo alla voce principale di housing sociale, ma anche quelle voci che a quella principale sono legate direttamente o indirettamente (forme di finanziamento, soggetti/attori, tipi di indennità, leggi speciali, strumenti urbanistici)6• Il termine "alloggio" o "edilizia sociale" affiancato da "profitto limitato" o "no pro­ fit" è ricorrente e spesso usato come una sorta di scorciatoia lessicale per individuare i diversi tipi di offerta di alloggio che rispondono a procedure amministrative in contra­ sto con meccanismi di mercato (Austria, Polonia, Portogallo). In alcuni casi i termini "case pubbliche" o "alloggi municipali", non corrispondono però ad alloggi sociali (ad esempio in Svezia o nella Repubblica Ceca). Inoltre, nei nuovi Stati membri dell' Unione Europea dell'ex blocco socialista, la definizione di "alloggio sociale" ha subito un cambiamento radicale rispetto a quello originale. Oggi, in pratica, l'edilizia sociale nei nuovi Stati membri dell' UE riguarda gli alloggi in locazione gestiti dai Comuni (con l'eccezione della Polonia e, in misura mi­ nore, della Slovenia dove, oltre agli alloggi comunali, ci sono quelli delle organizzazio­ ni no profit), anche se in molti paesi i regimi recenti tendono a includere, a sostegno della creazione di nuovi alloggi popolari, anche le associazioni e/ o le cooperative senza scopo di lucro. Nella maggior parte dei paesi esaminati, dalle voci che appaiono modificate radi­ calmente o parzialmente, negli ultimi dieci anni, si deduce che : gli operatori sono stati obbligati a trovare fonti alternative di finanziamento (a fronte di un finanziamento statale per il social housing ridotto o cresciuto in modo modesto) ; gli attori privati assumono una progressiva importanza nel social housing; lo Stato ha perso il ruolo di operatore principale nel campo del social housing, a favore di altre autorità pubbliche o di organizzazioni diverse (cooperative, agenzie, associazioni) che hanno lo scopo di offrire alloggi di buon livello alle famiglie a basso reddito ; in alcuni casi agenzie ad hoc aiutano le fasce deboli ad avere accesso alla casa sul mercato privato; in alcuni paesi, la responsabilità delle decisioni riguardanti il soci al housing è attri­ buita ai governi regionali e locali, nell'ambito di un programma generale fissato a livel­ lo nazionale; 6. Il Glossario tematico è consultabile online sul sito di Carocci Editore.

SI

ANTONELLA GALASSI gli interventi di social housing fanno uso di molteplici strumenti finanziari e in­ centivi di tipo normativa, fiscale e urbanistico; le nuove modalità di finanziamento del servizio abitativo sociale si spostano verso forme di sovvenzionamento rivolte non all'offerta ma alla domanda; alcuni paesi pur contraendo le risorse a disposizione per il social housing, grazie ad una organizzazione sistematica del settore che vede gli enti pubblici affiancati in deter­ minate circostanze da operatori no profit, riescono ad aumentare lo stock di alloggi per le classi sociali meno abbienti; nella maggior parte dei paesi dell'Europa centrale e orientale dell'ex blocco sovie­ tico, non ci sono operatori realmente coinvolti nella soluzione dei problemi abitativi delle fasce più deboli della popolazione anche se si è tentato di stabilire un settore di soci al housing simile a quello dell'Europa occidentale. 1. 4

L'evoluzione dei significati e delle politiche per la casa. Riflessioni su alcune esperienze europee (strategie, regole e prassi)

Mettendo a confronto i tanti termini che nei diversi paesi sono usati per individuare il soci al housing, è possibile rintracciare quattro gruppi di situazioni lessicali che sembra­ no essere espressione di un concetto di soci al housing diversificato : a) consolidato nel tempo. Paesi che storicamente hanno avuto un'attenzione per il tema della casa come diritto per tutti sono l'Austria, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna. Questi paesi già ali' indomani della Rivoluzione industriale avevano iniziato a porsi il problema e a trovare adeguate soluzioni. La terminologia usata "oggi" è quin­ di facilmente riconducibile ad una eredità culturale/sociale; b) importato da altre culture ma ormai assorbito. Paesi che in tempi successivi hanno "scoperto" la necessità di lavorare sul tema della casa. Sono i paesi del Nord Europa (Danimarca, Olanda, Svezia) , dove la cultura del welfare e della partecipazione è la base per la comprensione terminologica usata e dei risultati esemplari raggiunti; c) recente e autoctono. La Spagna, una democrazia europea relativamente giovane, nel 1976 (a democrazia riconquistata) con la Ley sobre vivienda social ha saputo rimet­ tersi al passo con il resto dell'Europa e presentarsi con un modello esportabile sia in termini di politiche che di prodotti ; d) rinnovato nelle forme di finanziamento e assegnazione. Alcuni paesi dell'Est Eu­ ropa, anomali in quanto (come detto) non è facile dare una definizione standardizzata, ma che sono confrontabili per alcune procedure simili in riferimento alla tassazione. In questi paesi (Polonia, Ungheria, Bulgaria) al programma "Una casa per ogni famiglia" viene applicata, infatti, una tassazione più bassa per i materiali da costruzione e per i servizi tecnici di supporto, per incentivare le imprese a produrre edilizia a basso costo. 52

I.

IL SOCIAL HOUSING IN EUROPA

Parallelamente è possibile individuare cinque fasi ( comuni a molti paesi, soprattut­ to dell'Europa occidentale ) 7 che hanno caratterizzato l'evoluzione del social housing a partire dal secondo dopoguerra, quando, a differenza del periodo precedente, i gover­ ni nazionali sono stati maggiormente "attivi" nell'intervenire sulla questione abitativa: 1. dal I94S al I96o, è definita fase della "ripresà' in quanto, principalmente attraverso un sistema di sovvenzionamento, l 'intervento dello Stato mirava a realizzare nuove abitazioni orientate soprattutto ad agevolare la classe lavoratrice ed il ceto medio ; 2. dal 1960 al 1975, definita fase della "crescita diversificata", in cui l'intervento dello Stato è orientato soprattutto a migliorare la qualità edilizia e, insieme alla produzione di alloggi con un affitto accessibile, si affiancano programmi finalizzati alla proprietà; 3· dal 1975 al I990, definita fase delle "nuove realtà per la casa", che vede un progres­ sivo disimpegno dello Stato nel settore dell'edilizia residenziale pubblica e nuove mo­ dalità di erogazione del servizio con un sistema market-oriented; 4· gli anni Novanta, definibile fase "della contrazione", in cui il settore residenziale si orienta sempre di più al mercato competitivo e gli alloggi a canone agevolato rappre­ sentano una quota sempre minore dello stock totale e si rivolgono a gruppi ristretti di popolazione; s. dagli anni Duemila in poi, definibile fase "dei nuovi bisogni", vede il social housing imporsi come uno strumento di supporto solo per alcune categorie sociali più deboli ( giovani, famiglie a basso reddito, anziani ) , ma anche come incentivo per il mercato immobiliare e aiuto agli enti pubblici per recuperare o salvaguardare il patrimonio edilizio. A fronte di una dislocazione geografica molto variegata di esperienze, derivate da regole complesse e molteplici, la UE è riuscita ( almeno a parole ) a dare agli Stati mem­ bri negli ultimi documenti prodotti una serie di strategie, per una edilizia sociale euro­ pea. Nel giugno 2013, in particolare è stato predisposto il Final reportJor social housing che detta dieci principi fondamentali che gli Stati membri devono tenere in conside­ razione : 1. il diritto alla casa, in termini di accesso alla casa con l'obiettivo specifico di fornire accesso universale ad alloggi dignitosi a prezzi accessibili; 2. i mutati profili sociali efamiliari delle persone che possono usufruire dell'edilizia sociale devono essere tenuti in considerazione al fine di definire una serie di strategie abitative più consone alle circostanze locali reali; 3· la politica di edilizia sociale come parte integrante dei servizi d'interesse economico generale; 4· l'edilizia socialefunzionale a diverse generazioni, per consentire l'acquisto o l' affit­ to con buon rapporto tra qualita e prezzo; 7· Si suggerisce un aggiornamento della periodizzazione proposta da un gruppo di ricercatori negli anni Novanta (Priemus et al., 1993) e di recente riproposta da M. Breglia a UrbanPromo ( 2012 ) .

53

ANTONELLA GALASSI la crisi economica come stimolo per trovare soluzioni alternative ai comportamenti finora messi in atto per la sua soluzione; 6. l'alloggio è una necessità di base, per cui gli Stati membri stabiliscono, in linea con le proprie scelte politiche, gli standard minimi di abitabilita e comfort, una specifica pianificazione urbana e le regole di costruzione e percentuali massime di reddito; 7· la relazione fra lo stato di salute e le abitazioni sub-standard; 8. vanno tutelati alcuni soggetti particolarmente esposti a rischio difragilita e vulne­ rabilita abitativa; 9· gli Stati membri devono istituire e organizzare una integrazione nel mercato degli alloggi, tra quelli di tipo sociale egli alloggi tradizionali a libero mercato anche istituendo specifiche agenzie no profit appositamente per questo scopo; le regole di accesso e i prezzi devono essere stabiliti direttamente dalle autorità pubbliche degli Stati membri contribuendo alla stabilita del mercato immobiliare e alla sua equa distribuzione evitan­ do il verificarsi di ulteriori bolle immobiliari; 10. occorre promuovere il ruolo sociale ed economico degli alloggi sociali e orientare la politica abitativa verso una edilizia sociale europea. s.

I.S

Quanto è social i' housing in Europa. Una sintesi e un confronto con l ' Italia

Negli ultimi trent'anni si sviluppano i principali cambiamenti nelle politiche per la casa nazionali, che hanno anche progressivamente influenzato l'evoluzione successiva del settore, dando esito a situazioni diversificate che corrispondono, più in generale, all'attuale eterogeneità delle pratiche abitative negli Stati europei. I mutamenti intervenuti, che hanno riguardato, se pur con caratteristiche differen­ ziate, tutti i paesi europei, possono essere ricondotti a tre aspetti: a) al decentramento statale, al suo progressivo disimpegno economico-finanziario nel settore e al maggior ruolo attribuito ai livelli di governo locali; b) ad una progressiva importanza assunta dall'attore privato nel social housing; c) a nuove modalità di finanziamento del servizio abitativo sociale con uno sposta­ mento delle forme di sovvenzionamento dali'offerta alla domanda. Contemporaneamente al rinnovamento delle politiche e delle pratiche avvenuto già nella terza fase evolutiva del social housing, negli ultimi anni, in buona parte dei paesi, la domanda abitativa, come detto, ha dato forma a nuovi bisogni ( legati anche all'enfasi prodotta a livello europeo sulla coesione sociale e sulla sostenibilità delle cit­ tà) . Insieme alla riduzione dello stock di abitazioni sociali si è associato l' impoverimen­ to crescente delle famiglie dovuto soprattutto a problemi occupazionali, a nuove dina­ miche demografiche ( le forti migrazioni avvenute in alcuni paesi, come l' Italia, la 54

I.

IL SOCIAL HOUSING IN EUROPA

Francia, la Spagna, la Germania) che hanno determinato una maggiore domanda abi­ tativa, a fronte di un aumento dei prezzi e dei canoni di locazione degli alloggi ( Econo­ mie Commission for Europe, 2oo6; Scanlon, Whitehead, 2007; CECO DHAS, 2oo8 ) . Problemi nuovi, che non sempre trovano soluzione. Confrontando l' Italia con cinque paesi europei, rappresentativi di diversi modelli di welfare e dell'eterogeneità delle politiche adottate, si vuole tentare di dare rilievo alle modalità con cui gli stessi si sono "adattati" ai cambiamenti intervenuti negli ultimi venti anni e alle scelte politiche effettuate per rispondere alle istanze di cambiamento dei meccanismi e del sistema di valori, morali e di giustizia sociale, attribuiti dall' Euro­ pa alla "casa': Se è vero, infatti, che la politica abitativa è strettamente interrelata alla tradizione storica ed istituzionale degli Stati, che l' hanno anche accompagnata nella sua evoluzio­ ne attuale, essa è anche profondamente legata alla gerarchia di valori che gli Stati hanno attribuito agli obiettivi di tale politica. A differenza dell' Italia, questi paesi hanno sa­ puto rispondere prontamente alla nuova questione abitativa, dando rilevanza alla spe­ sa pubblica per l' housing.

TABELLA 1.4

Spesa per social housing e abitazioni sociali % spesa per social housing sul PIL

% spesa sociale totale sul PIL

% spesa per social housing su spesa sociale totale

% di social housing sul totale alloggi in affitto

% alloggi in affitto

Regno Unito

1,7

26,8

6,3

21

31

Germania

0,8

29,4

2,7

6

55

Francia

1,3

31,5

4,1

19

38

35

45

Paesi

Olanda

1,6

28,2

5,6

Spagna

0,4

20,8

1,9

Italia

0,1

26,4

3,2

Media UE

0,9

27,8

II

4

19

13,4

Fonte: CECODHAS (2007, aggiornata nel 2012).

Nelle prime due colonne della tabella, redatta dal C E C O D H AS nel 2007 e aggiornata nel 2oi2, si nota che il livello di spesa per il social housing è molto differenziato tra i diversi paesi, posizionando l' Italia all 'ultimo posto tra quelli considerati. Già con questo dato è possibile sottolineare lo scarso intervento statale nel settore, non giu­ stificato nemmeno da un basso livello di spesa sociale totale. La Spagna ha la percen­ tuale più bassa in tutte le colonne, ma destina maggiori risorse dell' Italia al social housing. ss

ANTONELLA GALASSI Nella tabella si nota, inoltre, che ad una maggiore spesa pubblica per social hou­ sing, prevalentemente nei casi di Regno Unito, Francia e Olanda, corrisponde una maggiore percentuale di alloggi pubblici in affitto, anche se l'eterogeneità delle situa­ zioni viene confermata dall'analisi della percentuale di spesa per l'housing sul totale della spesa sociale. I paesi che hanno maggiori percentuali di alloggi per le classi socia­ li più deboli sono intervenuti tradizionalmente con massicci interventi per aumentare la produzione di edilizia abitativa sociale. In Italia questo è avvenuto con grandi difficoltà e lo Stato ha progressivamente ridotto il proprio intervento nel settore, specialmente quello diretto, prevedendo limi­ tate forme di sussidio indiretto che, sperimentate in altre realtà europee, hanno invece agevolato le classi sociali deboli attraverso sussidi sull'affitto. Il documento del CECODHAS del 2012 curato da A. Pittini ci ricorda che « una definizione ufficiale8 del termine alloggio sociale è stata fornita per la prima volta nel 2oo8 » . Nel contempo precisa che l'espressione "alloggi sociali" (che rappresentano il 4% del nostro patrimonio edilizio nazionale) riguarda principalmente alloggi affittati su base permanente, ma che possono essere anche considerati alloggi sociali quelli co­ struiti o ristrutturati con contributi pubblici e privati o con l'uso di fondi pubblici, se affittati per almeno 8 anni e poi venduti ad un prezzo accessibile agli stessi inquilini assegnatari, con l'obiettivo di conseguire un m ix sociale. Alcuni autori (Bigotti, 2009) hanno ipotizzato che l'aggettivo "sociale" abbia sop­ piantato l'aggettivo "pubblico" perché « ERS è una locuzione che sembra essere in gra­ do di liberarsi del peccato originale dello statalismo e dell'inefficienza della burocrazia pubblica che, inevitabilmente, marchia l'espressione ERP » (Lungarella, 2010 ) ; altri (Alemagna, 200 8), invece, sostengono che l' ERS contiene un numero di tipologie di interventi più ristretto di quello dell'ERP, in quanto per sociali si intendono solo gli alloggi destinati alla locazione, con l'esclusione di quelli destinati alla proprietà. Anco­ ra, si è detto ( INU, 2oo8) che una differenza ulteriore fra ERS e ERP sarebbe data dalle modalità di acquisizione e dalla proprietà dei suoli interessati dagli interventi. Questa argomentazione, che identifica l' ERP con le case popolari di proprietà pubblica, avva­ lorerebbe l'idea che l' ERP (come i vecchi PEEP) incentivi la realizzazione di quartieri isolati/ emarginati mentre l' ERS, avendo una quota di alloggi in proprietà, possa garan­ tire la varietà sociale degli insediamenti. Qui non importa sapere se il passaggio da ERP a ERS sia un capriccio lessicale, ma capire piuttosto se questa modifica comporti un cambio di attenzione del pubblico verso il problema del disagio abitativo che è da considerarsi attuale, emergenziale, con­ creto e ancora in attesa di soluzioni vere. 8. La definizione di alloggio sociale come prodotto dell'edilizia residenziale sociale (ERS) è nata nel momento in cui si è deciso di accantonare l 'edilizia residenziale pubblica (ERP) in tutte le sue forme: edili­ zia economica e popolare, edilizia convenzionata, edilizia agevolata e edilizia sovvenzionata.

s6

I.

IL SOCIAL HOUSING IN EUROPA

Certo è che dopo il D.L. 112/2oo8 è entrata sulla scena l'edilizia sociale a canone moderato, cioè l'housing sociale realizzato con la partecipazione totale o parziale di privati. Una soluzione che nel tempo non ha portato i frutti sperati. La recente legge del Governo Renzi del maggio 20I4, detta "Piano casa 20I4", quindi, pur rappresentando un segno di discontinuità rispetto alla grave assenza di at­ tenzione ai problemi legati alla locazione, ha un grosso handicap : ha un dimensiona­ mento economico di gran lunga inferiore alla domanda. La programmazione del recupero auspicata dalla legge va sostenuta e incoraggiata, con procedure di estrema semplificazione per raggiungere l'obiettivo in tempi rapidi e certi. Questa azione non è realizzabile, come previsto dalla legge, con linee di finanzia­ mento dilatate nei prossimi sei anni e con una dotazione per il 20I4 di soli s milioni di euro. Oltre a queste misure, il provvedimento contiene interventi normativi di agevo­ lazioni fiscali ed urbanistiche nei confronti ancora del "social housing" e non dell'edi­ lizia residenziale pubblica ( ERP ). Questo tipo di soluzione lascia molto perplessi i sog­ getti interessati (Federcasa e sindacati inquilini), perché una norma sull'emergenza, con risorse limitate, dovrebbe indirizzare i propri sforzi verso priorità dettate dalla domanda (che non è il social housing) e perché il risultato prodotto da questo insieme di interventi tramite i fondi immobiliari ha cantierato in s anni solamente 1.684 allog­ gi in locazione. I pochissimi aiuti previsti dallo Stato devono essere destinati esclusiva­ mente all' ERP e non al soci al housing, che non rappresenta una risposta per le fasce meno abbienti. Con l'housing sociale gli affitti superano i soo euro al mese, mentre, invece, servono vere case popolari con affitti massimo di 200 euro al mese. Così sareb­ be possibile aumentare il parco ERP disponibile, dapprima puntando sul recupero degli immobili e poi sulla trasformazione edilizia dell'esistente. Inoltre va sottolineato che 400 milioni di euro per I2.ooo alloggi da ristrutturare sono pochi e che nel piano del Governo Renzi ci sono delle contraddizioni. Da un lato le risorse vengono destinate al recupero degli immobili e dall'altro si cerca di incenti­ vare la vendita di alloggi, a fronte di numeri di alloggi popolari risi bili rispetto agli altri paesi europei. Con una percentuale pari al 4%, infatti, l' Italia ha la minore quota di alloggi di edilizia residenziale pubblica, a fronte del 35% dell'Olanda, del 2I% del Re­ gno Unito e del I3,4% della media comunitaria. Al contrario, l'iniziativa privata ha continuato a proliferare senza dare alcuna risposta alle persone bisognose di un tetto. Infine da più parti si propone un diverso modello di gestione degli alloggi pubbli­ ci che segua criteri unifonni grazie alla costituzione di agenzie pubbliche del we/fare con un amministratore unico e un organo di sorveglianza esterno : un consiglio di indirizzo che assicuri la partecipazione di tutti i soggetti (Regione, Comune, sindacati inquilini) deputati a svolgere un ruolo di controllo delle azioni svolte e di verifica dei risultati ottenuti.

57

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59

2

Housing sociale in Francia: proprietà della casa e mercato libero dell'affitto nei programmi di rénovation urbaine di Manuela Ricci

Nel processo della rénovation urbaine - avviato dalle legge Borloo con la costituzione dell'Agence nationale pour la rénovation urbaine (ANRU) nel 2003 e partito con il primo Programme nationale pour la rénovation urbaine (PNRU), oggi al termine - ri­ sulta di particolare interesse l' impulso alla valorizzazione del Jòncier nei quartieri in zus ( zone urbane sensibili ) formatosi a seguito delle demolizioni dei grands ensembles e delle copropriété degradate. Una delle finalità della legge era, infatti, dare spazio alla produzione di abitazioni da parte del settore privato al fine di promuovere mercati della vendita e dell'affitto qualitativamente migliori di quello consolidato proprio del­ le città con importanti insediamenti HLM. È il tentativo di creare un'offerta più ampia per l' accession a lapropriétée per il mercato libero dell'affitto (pare des logements libres), strada obbligata per favorire uno degli obiettivi più ambiziosi della politique de la ville, vale a dire la mixité sociale. Oltre a questo rileva anche la protezione e il mantenimento della proprietà, quando possibile, nella forma generalmente molto degradata delle co­ propriétés1 e degli habitat anciens2.. È la rinascita dei quartieri e dei loro intorni, a volte incardinati in ambiti intercomunali, a cui la legge punta, promuovendone, quando possibile, la sostenibilità e l' integrazione con politiche e misure che possano esaltare il ruolo del PNRU. In sostanza, il programma assume/accoglie potenzialmente anche ruo­ li sociali favorendo un sistema di scorporo delle particelle fondiarie che apre la strada al ridisegno urbano dei quartieri. Le politiche di logement, dunque, non costituiscono un settore separato, ma piuttosto uno dei segmenti, forse il più rilevante, della politique de la ville. Il 2014 segna il punto di arrivo del primo PNRU, che ha già attraversato varie tappe di valutazione. A fronte del vasto panorama di attività che l'A NRU ha portato avanti, questo saggio affronta nel dettaglio i temi relativi allo sviluppo dell' accession a la propriété e del libero mercato dell'affitto, evidenziandone esiti positivi e rischi alla luce delle modalità di proseguimento della politica della rénovation urbaine attraverso il PNRU 2. I suoi obiettivi vengono rimodulati sulla dimensione di progetti integrati di

1. La copropriété è l 'organizzazione di un immobile o di un gruppo di immobili la cui proprietà è ri­ partita era più persone per lotti comprendenti ciascuno una parte privata e una quota delle parti comuni. 2. AA.VV., Demolire e ricostruire in Europa. Programmi a confronto, Officina, Roma 2005. 6o

2.

HOUSING SOCIALE IN FRANCIA

eccellenza, dove rilevano la scala intercomunale e la connessione dei settori "altri" dal logement ( lavoro, scuola, sicurezza ecc. ) a fronte del lancio di uno strumento attuativo organico, il Contrat de ville unique, che integra tutti gli interventi in materia urbana, sociale ed economica.

2.1

I programmi d i rénovation urbaine e la diversificazione dell ' habitat 2.1.1.

LA LEG G E B O RLOO E IL P RIMO PNRU

La legge Borloo (Loi n. 200]-?IO du rr aout200] d'orientation etdeprogrammation pour la ville et la rénovation urbaine) ha promosso una nuova politica della città. Obiettivo prioritario della legge era la creazione di mixité sociale e di sviluppo durable3 dei quar­ tieri classificati in zus4, e, a titolo eccezionale, in quelli che presentano caratteristiche economiche e sociali analogheS: in sostanza si trattava di restituire attrattività e bana­ liser6 i quartieri di habitat sociale, passando dalla barre all'ilo t, passaggio da cui ci si aspettava una "normalizzazione" sociale. In questo contesto, la demolizione viene adot­ tata come strumento prioritario d'intervento sui grands ensembles in difficoltà. Ricca di disposizioni volte a favorire una migliore distribuzione territoriale delle famiglie più povere, la demolizione è concepita in qualche modo come l'unica possibilità a fronte della povertà crescente dei quartieri periferici degradati. Il ritorno al termine rénovation segna una brusca rottura con le precedenti pratiche di réhabilitation degli anni Ottanta, improntate a una maggiore attenzione ai residenti, e un ritorno a interventi più radicali. Considerata un tabù, la demolizione si era imposta già a partire dal I 99 9 , grazie alla politica di renouvellement urbain. La radicalizzazione dell'azione sul costruito e l'ambiente urbano dei quartieri di habitat sociale era vista come un vero e proprio momento di frattura nell'evoluzione della politique de la ville. Sebbene sia stato scelto di sostituire l'espressione renouvellement urbain con quella in realtà più controversa di rénovation urbaine7 (Ru), il governo che ha promosso la legge ha di fatto Obiettivo divenuto pregnante a partire dal 2oo8 con l'approvazione della legge Grenelle 1. 4· Le zus, create dall'art. 42 della legge d'Orientation pour l'aménagement du territoire et le dévelop­ pement tern'torial del 4 febbraio 1995, si ispirano al principio di zonizzazione di cui alla legge d'Orientation pour la ville del luglio 1991. La loro lista figura nel decreto applicativo della legge Patto nazionale di rilancio della citta del 26 novembre 1996. Le zus costituiscono i territori prioritari della politique de la ville. Esisto­ no più di 750 quartieri (grands ensembles e habitat degradati) classificati nelle zus che presentano caratte­ ristiche socio-economiche degradate. S· A seguito di avviso conforme del sindaco del Comune o del presidente dell ' Etablissement public de coopération intercommunale (EPCI) competente e d'accordo con il ministro de la ville et du logement. 6. La banalisation urbaine era stata annunciata negli anni Novanta dal rapporto di Olivier Piron su Droit et renouvellement urbain. 7· Questo termine costituiva il riferimento agli interventi pesanti di ristrutturazione dei centri-città 3·

6I

MANUELA RICCI conservato e anzi rafforzato questa tendenza8• La legge Borloo ha, in effetti, permesso di concentrare i finanziamenti sugli interventi urbani e di intensificare gli obiettivi quanti­ tativi delle demolizioni. Non siamo, dunque, in presenza di una nuova pratica. La legge ha istituito come org ano di prog rammazione e di attuazione dei pro gram­ mi di

rénovation urbaine (PRV) l'A NRU (scHEDA 2. I ) .

SCHEDA 2.1 L'ANRU L'A NRU è un établissement public industrie! et commercia! (EPIC ). L'agenzia è stata creata con lo scopo di semplificare l ' insieme delle procedure che raggruppavano in un primo tem­ po l ' insieme dei finanziamenti del settore. L'A NRU ingloba e rende continuativi i finanziamenti dello Stato e dei partner pubblici e privati coinvolti nel programma di cui alla le gge Borloo. Dà il suo sostegno alle collettivi­ tà, agli EPCI e agli organismi privati o pubblici che portano avanti operazioni di rénovation urbaine. Mette in opera un piano globale di rénovation urbaine per facilitare il processo (PNRU ) . L'agenzia permette agli eletti locali e a i bailleurs sociali d i gestire e realizzare progetti globali di rénovation urbaine, che comprendono tutte le operazioni legate ali ' alloggio so­ ciale (costruzione, riabilitazione, residenzializzazione, demolizione) e alla riorganizzazione infrastrutturale e degli spazi pubblici. Questi progetti costituiscono l 'occasione di ripensa­ re le città con HLM nel contesto urbano e di privile giare la qualità urbana e architettonica. L'agenzia è rappresentata sul territorio da un delegato territoriale in ciascun diparti­ mento nominato dal direttore generale su proposta del prefetto. Il delegato territoriale è l' interlocutore degli eletti locali per la preparazione dei progetti e l ' istruttore a livello loca­ le dei dossier. Su delega del direttore generale firma le convenzioni pluriennali con l 'A NRU e attribuisce le relative sovvenzioni. Il prefetto è responsabile del PRU nel suo dipartimento. A questo titolo e in coordina­ mento con il prefetto di Re gione : partecipa con il sindaco o il presidente dell ' E P C I interessato ai comitati di pilotaggio dei progetti; sorveglia lo sviluppo della concertazione tra le diverse collettività territoriali, e i loro raggruppamenti, e i bailleurs sociali; controlla inoltre l 'equità delle partecipazioni finanzia­ rie proposte dai PRU; assicura la coerenza dei progetti con l ' insieme delle azioni messe in opera dallo Stato e dai partner nel quadro della politique de la ville e della politica dell ' habitat; emette, inoltre, un avviso sui progetti, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti lega­ ti ali ' habitat, l ' architettura e l 'urbanistica, l'ambiente, la mixité sociale, la sicurezza, la ge­ stione urbana di prossimità. Emette ugualmente un avviso sull 'organizzazione della maitri­ se d'ouvrage e la competenza degli operatori.

promossi a partire dal 1958 ed era stato particolarmente criticato per le sue ripercussioni sul paesaggio ur­ bano e sulle conseguenze sociali; cfr. H. Coing, Rénovation urbaine et changement social, les Éditions Ouvri­ ères, Paris 19 6 6. 8. S. Le Garrec, La rénovation urbaine: le renouvellement de la politique de la ville?, in "Recherche sociale", 176, ottobre-dicembre 2005.

2. HOUSING SOCIALE IN FRANCIA Il PNRU di cui alla legge Borloo, emendata successivamente al 2003, prevedeva una nuova offerta di 25o.ooo alloggi in affitto sociale, la riabilitazione di 40o.ooo alloggi in affitto sociale, la demolizione di 25o.ooo alloggi, nonché équipements pubblics e aménagements urbains per il periodo 2004-II. Al finanziamento dei singoli programmi (PRU) ha contribuito la UESL, Union d'economie sociale pour le logement, nella sua qualità di Fédération nationale des or­ ganismes gestionnaires du I % logement9, in particolare attraverso gli interventi della connessa Association foncière logement (FL). SCHEDA 2.2 L'Association foncière logement (FL) La FL è un'associazione senza scopo di lucro creata nel 2001 dai partner sociali in applica­ zione di una convenzione con lo Stato. Finanziata dall'I% logement, divenuto Action loge­ ment nel 2o1o, ha come missione la produzione di alloggi in affitto per i salariati al fine di diversificare l'habitat nei settori di riabilitazione e nei quartieri dove l'offerta è molto tesa. Sostanzialmente la FL gioca un ruolo d' innovazione nella mixité sociale, dotandosi anche di un patrimonio immobiliare di qualità che costituisce la base dei regimi pensionistici complementari del settore privato. Dal 2004 al 2008, l' 1% logement ha contribuito tra il 40% e il 6o% al finanziamento dell'ANRU, a fronte della quota dello Stato compresa tra il 25% e il 55%. La legge 25 marzo 2009, Mobilisation pour le logement et la lutte contre l'exclusion, ha fortemente incrementato il finanziamento della UESL al PNRU, stabilito per ciascun anno tra il 2009 e il 2o 1 1 in 770 milioni di euro, mentre secondo l'equilibrio stabilito nel contesto della legge Borloo del 2003 il versamento annuale avrebbe dovuto essere pari a 465 milioni di euro così come per lo Stato. Quest'ultimo si è limitato, invece, a partire dal 2009, a fornire un budget di 350 milioni di euro (plan de relance) in autorizzazioni d'engagement e crediti di pagamento. Inoltre la legge finanziaria 2011 (art. 210 ) ha co­ struito un sistema in tre tappe per assicurare un finanziamento all'ANRU per il periodo 201 1-13. In ciascun PRU, la FL riceve a titolo gratuito dall'ANRU, come contreparties, una certa quantità di aree, con incardinati i relativi diritti edificatori, dove la FL medesima realizza alloggi destinati al libero mercato dell'affitto, promuovendo, come nelle inten­ zioni dell 'ANRU, una mixité sociale dgeneratrice negli ambiti urbani coinvolti (cfr. PAR. 9· L'I% logement, denominazione della partecipazione degli impiegati alla realizzazione di alloggi ( ejfort de construction) è stato istituito nel 19 53· Attraverso questo dispositivo, ciascuna impresa non agrico­ la con almeno I O addetti destina lo 0,45% della propria massa salariale al finanziamento di prestiti o aiuti ai propri salariati e lo o,s% al Fondo nazionale di aiuto all'alloggio (FNAL). L'ordinanza ministeriale 2 agosto 2005, n. 892, ha elevato la soglia d 'impresa da IO a 20 occupati a partire dal dicembre 2006, a valere sui salari del 2005. Questo innalzamento della dimensione d' impresa ha avuto come conseguenza una ri­ duzione delle risorse dell'I% logement.

MANUELA RICCI 2. 1.1). La FL stima in 19. 116 alloggi, corrispondenti a 778 terreni, il suo potenziale di costruzione in zona RU. SCHEDA 2.3

Le contreparties

Le contreparties costituiscono uno strumento di diversificazione dell'habitat oltre a essere parte integrante del meccanismo di autofinanziamento dell 'ANRU. Questo principio di in­ tervento è affermato con chiarezza in una nota del direttore generale dell'A NRU (17 dicem­ bre 20 05)10: «Le contropartite fondiarie cedute alla FL contribuiscono a favorire la diversificazione dell'habitat nel quartiere e la mixité sociale. È d'altronde importante che anche i progetti di rinnovo urbano per i quali non sia prevista alcuna demolizione (soprattutto nei centri città) possano ugualmente apportare contropartite fondiarie. È così convenuto che : alla base del calcolo delle contropartite da cedere alla FL è la SHON 1 1 creata dal proget­ to di rinnovo urbano sul sito stesso del progetto (le operazioni di realizzazione di alloggi fuori del sito non sono prese in considerazione) ; le contropartite da cedere alla FL devono rappresentare tra il 15 e il 35% di questa base di calcolo, secondo il contesto e la diversificazione richiesta nel quartiere » . Alla fine d i ottobre 2012, l a F L aveva realizzato 3.400 alloggi circa e altri 1.9 00 erano in costruzione, una cifra pari al 28% degli obiettivi finali12• A marzo 2014 il programma si attesta su 397 progetti, distribuiti in 500 quartieri, approvati dal Comitato d'engagemenf3 dell'ANRU, corrispondenti a un importo di 46,616 miliardi (sovvenzionati dall'ANRU per 11,625 miliardi)14• In dieci anni, circa 145.000 alloggi degradati sono stati demoliti (rispetto ai 250.000 previsti, ma il pro­ gramma ha ancora progetti da realizzare) e quasi altrettanti ricostruiti; nel complesso il programma ha investito 500 quartieri e ha migliorato il quadro di vita di circa 4 mi­ lioni di abitanti. Va evidenziato che oltre al meccanismo delle contreparties15 che coinvolge la FL, il

10. Association foncière logement, Contreparties, aprile 2.005. 1 1. SHON (Surface hors oeuvre nette) è la superfìcie di pavimento ad esclusione di parti di copertura non utilizzabili, sottosuolo di altezza inferiore a un 1,80 m, cantine senza apertura sull'esterno, balconi e garage. 12.. CES ( Comité d 'evalutation et suivi) de l 'ANRU, Changeons de regards sur les quartiers. Vers de nou­ velles exigences pour la rénovation urbaine, La Documentation française, 2.013. 13. li Comitato d'engagement riunisce tutti i partner fìnanziari del programma, lo Stato, i partner so­ ciali, l ' Union sociale pour l'habitat che rappresenta il mondo HLM e la Caisse des Dépòts et Consignations. Questo comitato valida il budget finanziario pluriennale del progetto, sulla base del quale il Consiglio di amministrazione autorizza la fìrma delle convenzioni pluriennali promosse dall 'ANRU. 1 4. ANRU, État du programme nationale de rénovation urbaine al 3 1 maggio 2.014. 15. Foncière Logement, Les contreparties. Un élément concret de mixité s'intégrant dans la cohérence du projet urbain et social local, avril 2.005.

2.

HOUSING SOCIALE IN FRANCIA

"sistema" ANRU introduce operatori privati e bailleurs HLM nelle operazioni di RU, tendendo a rafforzare l'azione della FL verso la diversificazione dell'habitat. Gli alloggi che producono una tale diversificazione rappresentano in media circa il Io% del com­ plesso degli alloggi a quartiere ultimato (con una percentuale che varia da quartiere a quartiere compresa tra l' I % e il 3o%). Si tratta innanzitutto di alloggi in accesso alla proprietà sociale o libera. Il più delle volte l'accesso è detto "intermédiaire" o a costi controllati, attraverso gli aiuti dell'ANRU e della TVA (imposta sul valore aggiunto) a tasso ridotto per le costruzioni nuove. Tale riduzione è stata introdotta dalla legge del 23 luglio 2006, Engagement national pour le logement (ENL), per determinati tipi di soggetti acquirenti, all'interno dei perimetri dei quartieri PNRU e nei loro intorni (per un raggio inizialmente di soo metri dai perimetri zus, successivamente ridotto ; cfr. PAR. 2.2). 2.1.2.

L A " RIFLESSIONE" COME METODO PER DEFINIRE LE MODALITÀ OPERATIVE

DELLE

CONTREPARTIES

PER LA REALIZZAZIONE DU PAR C DES LOGEMENTS LIBRES

Come accennato, la cessione delle aree è realizzata a titolo gratuito. Il dimensionamen­ to delle contreparties viene negoziato operazione per operazione. In effetti il termine "negoziato" che appare nelle convenzioni potrebbe sembrare inappropriato, perché la contropartita potrebbe essere interpretata come un "affare". Lo stesso termine utilizza­ to ("contropartita") d'altronde sembrerebbe rafforzare questa cattiva interpretazione. Di fatto essa costituisce un elemento fondamentale delle operazioni di rinnovo urbano. Il suo ruolo è di essere completamente integrata alla coerenza globale del progetto ur­ bano e di costituire "oggetto di una riflessione" condotta dall'insieme dei partner loca­ li con la FL. I diritti edificatori devoluti alla FL rappresentano tra il I S e il 35% dei diritti resi disponibili dalle operazioni di demolizione e di riconfigurazione dei quartieri attraver­ so il sistema di suddivisione delle particelle catastali. Questa forchetta si applica al pe­ rimetro globale dell'operazione di rénovation urbaine (escluse le aree fuori dal sito del progetto); essa consente un certo margine di manovra in rapporto alle specificità loca­ li dei progetti per quanto concerne tre elementi : privilegiare il criterio della differen­ ziazione; condurre una riflessione caso per caso ; adattare la quantità delle contreparties agli obiettivi locali. Va evidenziato che il ruolo della FL può essere notevolmente amplificato in rela­ zione alla convenzione tra Stato e ANRU del 27 ottobre 2004. Infatti alla FL viene data la possibilità di acquisire ulteriori terreni all' interno dei perimetri di intervento dei PRU, fino a una cifra di 100 milioni di euro annui qualora i diritti trasferiti a titolo gratuito raggiungano almeno il 25% dei diritti di costruzione resi disponibili dalle de­ molizioni previste dal progetto di rénovation urbaine. La contrepartie costituisce un "elemento vivente" dei dossier ANRU che accampa6s

MANUELA

RICCI

gna la convenzione dei PRU. La volontà dei partner sociali è forte: la FL interviene in accompagnamento alle politiche pubbliche e si inscrive nei processi attivati localmen­ te. Le contreparties sono dunque: proposte alla FL dopo avere discusso localmente con tutti i partner del progetto ; discusse e validate dalla F L ; integrate al dossier approvato dal Comitato d'engagement delrANRU. In questo contesto, va evidenziato che il "ragionamento" va portato alla scala com­ plessiva del progetto. Le contreparties possono essere proposte nel perimetro della zus, anche su particelle diverse da quelle degli edifici demoliti e chiunque sia il proprietario del terreno. Non esistono dunque modelli preconfezionati, "solo una riflessione caso per caso risulta pertinente". Successivamente al trasferimento della proprietà delle aree da parte delrANRU, la FL effettua una consultazione per scegliere l'operatore pubblico o privato che dovrà realizzare il programma. Questo dovrà rispettare precisi criteri di costruzione e di qua­ lità1 6 indicati nell'apposito cahier. Tale operazione è realizzata di concerto con i sinda­ ci o con il presidente dell'EPCI, soprattutto a livello di cahier de charge. Viene successi­ vamente siglato un contratto di promozione immobiliare17. In tutte le convenzioni, l'articolo intitolato alle contreparties mette in evidenza il ruolo di queste ultime nella necessaria diversificazione sociale dei quartieri ed eviden­ zia che la mancata cessione di contreparties a Foncière logement può condurre alla so­ spensione della convenzione. Entrando nel dettaglio di una convenzione, per esempio quella relativa al quartie­ re des Hauts de Bayonne (I? marzo 2oo8), nell'art. s, Les contreparties cedées a Fonciere logement, vengono descritti i terreni da cedere con le condizioni di cessione e di realiz­ zazione. In questo caso essi rappresentano il 2o% dei m2. di SHON creati dal progetto di RU sul proprio sito. Vengono indicati orientativamente il numero e la tipologia di al­ loggi ricavabili (individuali e collettivi). Per quanto riguarda la realizzazione si precisa che la FL fa realizzare studi di fatti­ bilità che permettono di definire, di concerto con la ville, il programma da sviluppare. Sulla base di questi, e nel rispetto sia del cahier des charges techniques, definito di con­ certo con i partner locali del progetto, sia della coerenza del progetto stesso di RU, gli alloggi realizzati dovranno rispondere agli obiettivi della FL che si riserva la scelta degli operatori pubblici e privati e dei maitres d'reuvre incaricati della realizzazione. La realizzazione degli alloggi da parte della F L crea un effetto di leva sull'insieme 16. La qualità è fondamentale nei programmi di alloggi in affitto convenzionato o libero della FL, in quanto proprietaria temporanea che deve garantire la buona gestione e il valore patrimoniale dei suoi allog­ gi a termine. 17. La FL ha scelto di esternalizzare molte delle sue attività, così ad esempio sono reclutati attraverso appel d'offre o appel deproposition esperti immobiliari per la scelta dei progetti, dei costruttori qualificati per la realizzazione dei programmi e soggetti dinamici per la gestione locativa degli immobili.

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2.

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del progetto. Per questo è opportuno che il suo intervento venga definito fin dal con­ cepimento dell'operazione. Nonostante ciò, va evidenziato che, in alcuni casi, gli allog­ gi ad affitto libero della FL non potranno che essere realizzati al termine dell'operazio­ ne, sia perché i terreni saranno liberi solo successivamente alle demolizioni sia perché la coerenza globale del progetto può richiedere un intervento tardivo, anche per spun­ tare migliori prezzi sul mercato. Gli alloggi vengono dati in libera locazione ai salariati delle imprese con più di 20 addetti. I dirigenti e i membri esterni alle imprese sono esclusi. Il prezzo della locazione è competitivo rispetto a quelli di mercato, pur a fronte di un'elevata qualità, e l'atteni­ mento del "dispositivo" da parte dei soggetti ammissibili può essere sottomesso ad al­ cune condizioni. Per quanto riguarda il sistema di attribuzione degli alloggi, questo è organizzato attraverso Internet da Apalof (associazione per l'accesso dei salariati agli alloggi della Fonciere) ; uno dei criteri principali è costituito dalla relazione domicilio-lavoro con l 'obiettivo di permettere ai salariati di facilitare l'avvicinamento del loro domicilio al loro luogo di lavoro. 2.2

I dispositivi dell ' accession a la propriété nei P RU : muovere il mercato edilizio in crisi e creare mixité

Il locatifprivé, analizzato nel paragrafo precedente, insieme all' accession a la propriété costituiscono il centro delle azioni volte a creare mixité sociale nei PRU attraverso la diversificazione dell'habitat, per la quale non sono previsti obiettivi quantitativi. L' ac­ cession si sviluppa attraverso due dispositivi, il "Prime specifique" e il "TvA al s ,s % " (SCHEDA 2.4). SCHEDA 2.4 dispositivi dell'accession a fa propriété nei PRU

l

" Prime specifique". Da 5.ooo a 15.000 euro per alloggio versati dall 'ANRU al maitre d'o u­ vrage che deve essere scontato a beneficio dell'acquirente per diminuire il prezzo di acqui­ sto. Due sono le condizioni principali: l 'operazione deve essere contenuta in una convenzione ANRU ed essere oggetto di una convenzione specifica tra l'agenzia, il maitre d'ouvrage e la collettività promotrice del pro­ getto; i beneficiari devono impegnarsi a occupare l'alloggio a titolo di residenza principale per almeno 5 anni. Ad esempio nella convenzione precedentemente citata, il relativo articolo comprende due operazioni di questo tipo: 39 alloggi individuali più 25 con sovvenzione ANRU di 1o.ooo euro per alloggio destinati per il so% a soggetti provenienti dal parco HLM, per i quali viene indicata anche la maitrise d'o uvrage.

MANUELA RICCI " TVA ridotta al s.s%': Nel 2oo6, quando il PNRU era già al suo terzo anno, viene pro­ mulgata la legge ENL che prevede l'introduzione di uno sconto sulla TVA (tassa sul valore aggiunto) per l'acquisto dell 'alloggio. Il beneficio riguarda tutte le operazioni comprese a meno di so o metri dal quartiere per coloro che possono accedere al PLS "accession" (circa il 7o% della popolazione francese) e che rispettano 4 condizioni: l'alloggio deve essere mantenuto a titolo di residenza principale per 15 anni; l'alloggio deve essere localizzato nel perimetro di una zus o quartiere assimilato, og­ getto di una convenzione ANRU a una distanza che inizialmente era di meno di soo metri dal limite dei quartieri. La legge finanziaria per il 2014 ha recentemente modificato questa distanza nei perimetri ANRU a partire dal 1° gennaio 2014; questa è stata articolata in due fasce, una di 300 metri (TVA ridotta al s,s%) e l'altra da 300 a soo (TVA al 2o%)18; il reddito deve rientrare nei plafond di " PLS accession"19 (Pret location sociale) ; il prezzo dell'alloggio non può eccedere i plafond previsti per le operazioni PLSA (Pret location social accession ) 2.0• La TVA ridotta, in particolare, ha avuto un importante ruolo nel contrastare la crisi del settore edilizio degli ultimi anni, soprattutto in alcune aree del paese come l' Ile-de­ France. Nel 20IO, gli alloggi di diversificazione sociale in Francia registrati dall'ANRU erano I8.8 oo, di cui 7.522 nell' Ile-de-France; in questa Regione l' accession a lapropriété raggiungeva i 4.224 alloggi (ANRU, Enquéte livraison mi-2010 ). Altre fonti sottolineano comunque come le cifre siano sottostimate, soprattutto in rapporto agli effetti perva­ sivi della TVA ridotta. Alcune stime relative all' Ile-de-France evidenziano che gli acqui­ sti in TVA al s,s% si sono divisi in parti uguali tra i perimetri dei quartieri e i loro din­ torni (soo metri), altre portano la percentuale dell"'interno" al 75%. La clientela è costituita da coloro che accedono per la prima volta alla proprietà, sostenuti da numerosi aiuti (TVA s,s%, Prime ANRU e altro), per la maggior parte gio­ vani coppie di reddito modesto che vivono nei quartieri e/ o nei loro dintorni, per i quali si pone un problema di sécurisation per imprevisti rispetto alla solvibilità. Rispet­ to a questa, sono stati messi in atto alcuni meccanismi di garanzia (come il riacquisto e il rialloggiamento) soprattutto da parte degli operatori HLM che propongono nell'am­ bito della TVA ridotta l' accession sociale; meccanismi molto più limitati sono stati pre­ visti da parte dei privati. Il ruolo della TVA ridotta è stato molto diverso in rapporto ai contesti urbani;

18. Per le operazioni avviate entro il 2.013 la TVA è al 7%. 19. n plafond varia a secondo del numero dei membri della famiglia (da 1 a 6 più altri) e in relazione ali' area geografica (tre fasce decrescenti: Parigi e Comuni limitrofi, resto del!' lle-de-France, altre Regioni). n massimo reddito ammissibile è quello per 6 persone, a Parigi e nei Comuni limitrofi, pari a 9 8.841 euro (più, per eventuale persona aggiunta, n.o oo euro), a fronte di un minimo di 2.7.740 per una persona nelle altre Regioni. 2.0. n PLSA si rivolge a famiglie di reddito modesto che non dispongono di risorse autonome per ac­ cedere alla proprietà. I plafond sono stati stabiliti nel 2.005 e modificati nel 2.009. I prezzi sono articolati in 4 zone e variano da un minimo di 2..086 euro a un massimo di 4.073 euro al netto delle tasse.

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2.

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sembra aver avuto maggior rilievo in quelle aree in cui è più difficile trovare un'offerta per questi segmenti di mercato, come per esempio in Ile-de-France. La promozione privata in zona ANRU, i cui prezzi e qualità sono simili a quelli degli operatori dell' accession sociale, è stata resa possibile da tre fattori: l'evoluzione positiva dei quartieri ANRU, la TVA ridotta al s .s %, l'esistenza di una domanda di acces­ sion a prezzo moderato che non poteva essere soddisfatta dall'offerta "banale". Nell' Ile­ de-France questo segmento di mercato ha avuto un grande successo, la domanda espres­ sa ha riguardato soprattutto le giovani coppie (meno di 30 anni) che conoscono igran­ ds ensembles, che hanno un budget ristretto e che accettano una superficie limitata dell'alloggio pur di accedere alla proprietà11• L'opportunità della TVA ridotta ha spinto gli operatori ad assumersi il rischio di investire su questi territori. Tale riduzione, infatti, garantiva allo stesso tempo un mar­ gine di profitto sufficiente (intorno al IO%) e la possibilità di andare incontro a una clientela nuova. Rimane comunque il rischio, non facilmente controllabile, che gli al­ loggi possano essere rivenduti prima del previsto a prezzi di mercato decisamente più elevati rispetto a quelli di acquisto. 2. 3

lntercomunalità e integrazione : verso l 'eccellenza del nuovo P N RU 201 4 -2 4

Tre sono gli elementi certi che l'ANRU eredita dal primo PNRU: la ricchezza degli atto­ ri coinvolgibili nel settore del logement e di quelli ad esso potenzialmente connessi, lavoro, trasporti, educazione, sanità, cultura; l' expertise nei programmi complessi; la sicurezza della continuità d 'intervento in questi settori. L'obiettivo della mixité rimane al centro del nuovo programma, soprattutto dopo che le azioni attivate hanno mostrato come questi quartieri possano divenire produt­ tori difoncier, circostanza che prima della legge Borloo non era mai stata seriamente considerata. Si apre, in tal modo, in questi territori un orizzonte di valorizzazione nel passaggio dalla mutation alla mutabilité che costituisce la base stessa della diversifica­ zione dell'habitat e una delle fonti di finanziamento dei PRU. I dati disponibili evidenziano come l'accesso alla proprietà (di cui al PAR. 2.2) , abbia dato il contributo maggiore alla diversificazione dell'offerta di alloggi, gran par­ te dei quali devono comunque ancora essere consegnati, fatto che vale anche per il lo­ catiflibre11, il cui peso appare meno rilevante. 21. ORF ( Observatoire Régional du Fonder e n ile-de-France), LeJoncier dans /es secteurs ANRU, mars 2011. 22. In genere i dati relativi agli interventi privati sono sottostimati, ma l ' enquete ''Livraison" dell 'ANRU dopo il 201 1 si è arricchita con la possibilità di dichiarare le operazioni programmate nel quadro delle con-

MANUELA RIC C I

Ma, al di là dei numeri, ci si domanda quanto questa mixité sia stata effettivamen­ te raggiunta2.3• I bailleurs e le villes hanno configurato in maniera pragmatica una mixité sociale adattata alle singole realtà locali cercando di evi tar e l'abbandono della residen­ za da parte dei salariati (soggetti importanti della diversificazione) che abitano nei quartieri e limitando le attribuzioni di nuovi alloggi a poveri e immigrati provenienti dall'esterno. Le petites moyens2.4 (ménage con un minimo di reddito), che esprimono una preferenza a rimanere incardinati nei quartieri, hanno costituito e costituiscono un valore certo per la commercializzazione degli alloggi dei promotori privati, consenten­ do a queste classi sociali medie di avere una "piccola promozione immobiliare" senza perdere le risorse sociali di prossimità estremamente importanti nei contesti popolari. Contestualmente, sono state attratte classi medie esterne nelle frange delle città con HLM (zones pavillionaires) piuttosto che nelle parti centrali e d-concentrate classi più povere in un numero più ridotto degli edifici esistentFS. Per questo tipo di ménage l'acquisto di un alloggio in tali quartieri può costituire un buon investimento, da con­ cepire come una tappa provvisoria prima di accedere a un alloggio più grande e al di fuori dei quartieri. Pierre Gilbert sottolinea alcuni importanti aspetti di questa promozione sociale legati alla scuola. I genitori tentano di monitorare le condizioni di scolarità dei loro figli, scegliendo percorsi protetti in seno alle strutture scolastiche del settore urbano ma molto spesso in un altro settore. Quest'ultima "rottura" con la socialità locale è vissuta come una condizione se non proprio di ascesa sociale perlomeno di rispettabi­ lità sociale. Ed è proprio su questa presa di distanza che poggia la loro promozione re­ sidenziale2.6. La strada della mixité, nella quale come si è visto l' accession d la propriété ha un ruolo fondamentale, è dunque ancora lunga. Se i risultati rispetto alla produzione di alloggi appaiono di una certa consistenza, lo stesso non è riscontrabile nei settori a cui è connesso il logement. Nonostante le finalità "ambiziose" e gli sforzi compiuti dall'ANRU, molti temi, in particolare quelli legati alla ristrutturazione sociale dei quar­ tieri, sono, infatti, ancora da sviluppare : il lavoro, la scuola, i servizi, la complessa pro­ blematica del rialloggiamento conseguente alle demolizioni ecc. La stessa attività

venzioni di RU e le altre operazioni che possono essere realizzate sulfoncier libero nel perimetro dei quar­ tieri. 23. M. Ricci, Il sogno della mixité sociale nei progetti di trasformazione urbana in Francia, in R. Anto­ nelli, M. l. Macioti (a cura di), Metamoifosi, la cultura della metropoli, Viella, Roma 2013. 24. M. Cartier, l. Coutant, O. Masclet, Y. Siblot, La France des "petits-moyens': Enquéte sur la banlieue pavillonnaire, La Découverte, Paris 2008. 2s. C. Lelévrier,Au nom de la "mixité sociale': Les eJfetsparadoxaux despolitiques de rénovation urbaine, in "Savoir/agir", 24, 2013. 26. P. Gilbert, Promouvoir l'acces a la propriété dans !es cités HLM. Rénovation urbaine etfragmentation des classes populaires, in "Savoir/agir': 24, 2013. 70

2. HOUSING SOCIALE IN FRANCIA dell'ACSÉ (Agence nationale pour la cohésion sociale et l'égalité des chances)27, creata successivamente all'ANRU, ha avuto difficoltà ad amalgamarsi in azioni complessive e organiche, denunciando oggi la necessità di una politica più incisiva dei "diritti comu­ ni", a scala intercomunale. A fronte dei risultati del primo PNRU, la Francia lancia il PNRU 2 nella recente legge del 2I febbraio 2014, Programmation pour la ville et la cohésion urbaine28, che dedica a questo documento il Titolo n. Dotato di s miliardi29 per l 'ANRU, che si pre­ sume avranno un effetto moltiplicativo di 20 miliardi di investimenti, il programma corregge il tiro mirando più in alto. L' intenzione è di rompere con la filosofia della banalisation volta a fare dei grands ensembles quartieri come gli altri, mettendo in que­ ste zone di città ciò che c 'è di meglio per farne veri e propri quartieri di eccellenza e di mixité attraverso l'integrazione/connessione, la promozione dell'attività economica e del lavoro, l'allargamento della scala territoriale di riferimento e un'attenzione sempre più consistente alla qualità architettonica e ambientale dei progetti (appoggiandosi sull'azione "Ville durable", di cui l'ANRU è operatore). In particolare, la volontà di concepire e realizzare quartieri esemplari dal punto di vista della sostenibilità si tradurrà nella generalizzazione di un'etichetta Ecoquartiere e nella creazione di un lnstitut di città sostenibile, garanzia di una città più solidale che si occupi di preservare le risorse. Più specificamente, l' innovazione ambientale sarà il cuore dei nuovi progetti di rinnovamento urbano e concernerà la peiformances degli edifici, lo sviluppo delle reti di riscaldamento, l'estensione delle reti intelligenti. Il PNRU 2 si pone cinque obiettivi inderogabili: continuare nella politica di diversificazione dell'habitat appoggiandosi sugli inter­ venti privati, soprattutto in quei territori dove c 'è carenza di offerta; favorire lo sviluppo del commercio di prossimità e consolidare il potenziale di sviluppo economico ; promuovere la mobilità degli abitanti in quartieri aperti al territorio; concepire i quartieri in base ai bisogni degli abitanti; mirare all'efficienza energetica e al rispetto dell'ambiente. Il Contrat de ville unique alla scala intercomunale, concepito come l '"incarnazione" del "progetto urbano integrato" diventa lo strumento attuativo del PNRU 2 fondando­ si su tre pilastri:

27. L 'ACS É gestisce e finanzia le azioni in favore degli abitanti dei quartieri prioritari con l 'obiettivo di migliorarne la qualità di vita. Resterà operativa fìno alla fìne del 201428. li nuovo programma, che sostituisce il termine renouvellement a quello di rénovation, pone l' ac­ cento sulla coniugazione tra gli interventi fìsici, che hanno caratterizzato in prevalenza il promo PNRU, e il sociale, l 'educazione, l 'economia e la sicurezza. 29. Della somma destinata al primo PNRU restano ancora 4 miliardi da utilizzare fìno al 31 dicembre 2015.

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MANUELA RIC C I

un pilastro sociale che riguarda le questioni del lavoro, dell'educazione, della sani­ tà, della cultura e della lotta contro le discriminazioni; un pilastro "quadro di vita" e di rinnovo urbano che integrerà tutte le questioni legate alla vita quotidiana degli abitanti ( casa, mobilità, cultura, commercio ) ; un pilastro di sviluppo economico e lavoro. L'ambizione di questo strumento è anche quella di coordinare meglio le iniziative di tutti gli attori della città: i prefetti, gli eletti, l'azione sociale, il polo del lavoro, le Camere di commercio e dell'industria, la polizia, l'istituzione giudiziaria, gli operato­ ri dei progetti urbani ecc. Il riferimento territoriale degli interventi, posto come una delle condizioni più importanti per il successo dei nuovi PRU, diventa dunque quello delle agglomérations e dei bacini di habitat. È questo uno dei temi decisivi sottolineati nelle valutazioni del primo PNRU: la dimensione intercomunale ancora una volta ha una rilevanza fonda­ mentale nell'accentuazione della trasversalità dei progetti e nella riduzione del désen­ clevement dei quartieri (in relazione agli interventi in infrastrutture per la mobilità e alla promozione di scambi economici ) e gioca anche un importante ruolo nella "libe­ razione" delfoncier da destinare all'accesso in proprietà, in quanto offre risorse per il rialloggiamento fuori dei perimetri del PRU a seguito delle demolizioni. Rispetto al Joncier in particolare si è evidenziata la necessità di una maggiore connessione con gli strumenti della pianificazione urbanistica : integrare negli sco T (Schéma de cohérence territoriale) le poste in gioco della valo­ rizzazione fondiaria dei settori in RU, specificamente quando questi sono situati nei Comuni vicini ai PRU e formano una sorta d'insieme continuo alle aree della TVA ri­ dotta, e utilizzarle adeguatamente nei PLU (Plan local d'urbanisme) ; creare fluidità nel tessuto urbano evitando fratture e lavorando sulle frange urbane. La proposizione del contratto a livello intercomunale e quindi la coppia agglome­ razione/ Comune sarà fondamentale per l'elaborazione della strategia e la messa in opera del progetto, che potrà essere realizzato più rapidamente consentendo di creare un' immagine che la promozione privata potrà utilizzare per montare e vendere i pro­ grammi assicurando una certa mixité sociale. Il contratto, inoltre, consentirà l'elaborazione di un progetto di territorio condivi­ so da tutti gli attori e di articolare in modo coerente le risposte ai problemi di coesione sociale. Il testo della legge mette l'accento sulla partecipazione degli abitanti tramite la creazione di consigli cittadini al fine di arrivare a una co-costruzione della politique de la ville. Il nuovo PNRU coinvolgerà 200 quartieri ( sui 1.300 prioritari3° ) che presentano le disfunzioni urbane più importanti, favorendo la mixité dell' habitat, la qualità della 3 0. La legge del febbraio 2 0 1 4 ha creato uno statuto unico, i quartieri prioritari della politique de la ville che sostituiscono le zone zus e quelli di cui ai contratti eu es ( Contrats urbains de cohésion sociale),

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2.

HOUSING SOCIALE IN FRANCIA

gestione urbana di prossimità e il désenclavement. Una specifica attenzione sarà desti­ nata alle coproprietà degradate, con la lotta contro la precarietà energetica e contro l' habitat insalubre, oggetti nello specifico della recente legge ALUR (Acces au logement et un urbanisme renové) del 24 marzo 20I4. È prevista, inoltre, una collaborazione tra ANRU e ANAH (Agence nationale de l' habitat) nello specifico per la riqualificazione delle coproprietà in difficoltà a perseguire l'investimento nel Forum delle politiche dell' Habitat privato con l'insieme dei partner membri. In particolare l'habitat privato degradato sarà una delle questioni da affrontare nell'agenda del nuovo PNRU31•

definiti attraverso un unico indicatore: il reddito degli abitanti confrontato con quello a livello nazionale e locale. 31. ANRU, Conflrence de presse, 20 febbraio 2014. 73

3

Edilizia sociale e rigenerazione urbana: una prospettiva regionale di Michele Zane/li

La qualità dell'abitare è il risultato di una molteplicità di fattori che debbono essere tenuti presenti tutti assieme se si vuole uscire dall'attuale stato di crisi in una prospet­ tiva di coesione sociale e sostenibilità dello sviluppo. Per troppo tempo l'edilizia è stata sostenuta in quanto settore primario di investimento a forte occupazione di mano d'o­ pera, senza valutarne appieno l' impatto sulle trasformazioni urbane e territoriali e sen­ za governarne gli indirizzi in una logica di offerta adeguata alla domanda sociale e collegata al mercato del lavoro e alle sue esigenze di mobilità. Le conseguenze di una politica che nel nostro paese ha trovato linfa vitale nella forte spinta della ricostruzione postbellica si sono tradotte nel lungo periodo nella incentivazione alla proprietà della casa, sostenuta dal susseguirsi di provvedimenti legislativi e di "piani casa" di natura congiunturale e da una politica del credito agevolato, che ha prodotto una forte spere­ quazione tra fabbisogno abitativo reale e investimento delle famiglie nel bene rifugio per eccellenza. Oggi ci ritroviamo, caso fortemente anomalo nel panorama europeo, con un pa­ trimonio immobiliare in buona parte obsoleto nel quale è immobilizzato il risparmio delle famiglie e che non rappresenta più la risposta ottimale al fabbisogno abitativo primario, essendo la domanda di case in affitto marginalizzata. Un patrimonio esposto alla crisi economica in una prospettiva di svalutazione progressiva, anche in virtù della scarsa qualità non solo degli immobili, ma anche e soprattutto degli agglomerati urba­ ni generati dallo sviluppo immobiliare, periferie cresciute a margine dei centri e povere di servizi e di spazi pubblici. Non a caso la perdurante recessione che l'economia italiana sta vivendo ha colpito in modo particolare il settore delle costruzioni, che ha visto una contrazione del 30% negli ultimi cinque anni e un crollo dell'occupazione stimata da A N C E in oltre 6oo.ooo unità. Un altro effetto della crisi ( ma ancor più della fase espansiva dell'edilizia prece­ dente al 2oo8 ) è il forte stock di abitazioni invendute, che solo in parte potranno esse­ re riconvertite verso la domanda di abitazioni in affitto a causa dell'ingente coinvolgi­ mento del settore creditizio nelle operazioni immobiliari a rischio. Un sintomo della situazione nella Regione Emilia-Romagna, in cui nello stesso periodo si stima una perdita di 46.ooo posti lavoro nel settore delle costruzioni (ANCE 74



EDILIZIA SOCIALE E RIGENERAZIONE URBANA

Emilia-Romagna), può essere rappresentato dal successo di una operazione iniziata nel 2009 con il programma denominato "una casa alle giovani coppie" : per favorire l' ac­ cesso alla casa, anche con il sistema della proprietà differita, e contemporaneamente offrire un sostegno agli operatori del settore, la Regione ha emanato una serie di bandP offrendo un parziale contributo in denaro a fondo perduto per avvicinare domanda e offerta di case disponibili, con un incremento del 3o% per gli alloggi realizzati in con­ formità alla normativa sul risparmio energetico. Fino ad oggi, con un investimento complessivo di 23,6 milioni di euro da parte della Regione, sono stati assegnati a giova­ ni coppie 1. 142 alloggi che sono andati ad alleggerire lo stock di invenduto delle impre­ se. Si tratta con tutta evidenza di un provvedimento tampone, che tuttavia è stato apprezzato sia dalle imprese che dagli acquirenti, tanto da essere reiterato più volte a grande richiesta delle associazioni di categoria. Ma se in questa fase può essere utile sostenere la domanda e indirizzarla verso il "nuovo da impresà', è evidente che la stra­ tegia per ripartire con un nuovo modello di "servizi abitativi" per rispondere ad un crescente fabbisogno di case a basso costo deve puntare a indirizzare l'offerta sull'affit­ to e quindi su un sistema imprenditoriale diverso da quello dell'immobiliare tradizio­ nale, che tende a chiudere l'operazione con la vendita degli alloggi, disinteressandosi della gestione. Probabilmente il nodo da sciogliere per affrontare l'anomalia di un mercato che non corrisponde più alla domanda solvi bile è proprio quello della gestione, che presup­ pone la comparsa di nuovi soggetti privati, in affiancamento ai tradizionali gestori dell'edilizia residenziale pubblica, ormai confinata ad una quota residuale che in Italia non raggiunge il s% della complessiva disponibilità di alloggi. Questo passaggio è ne­ cessario perché si sviluppi anche nel nostro paese un sistema di edilizia sociale che offra un servizio abitativo evoluto basato sulla gestione sociale delle strutture abitative e dei servizi correlati (spazi comuni, servizi di vicinato, micro-nido, assistenza domiciliare per anziani e disabili ecc.). La sfida è incrociare questo obiettivo di welfare con la soste­ nibilità degli interventi di edilizia sociale, privilegiando la scelta del recupero del patri­ monio edilizio esistente e della rigenerazione dei tessuti urbani più degradati rispetto a quella della espansione degli insediamenti e al consumo di nuovo suolo. La legge regionale 24/200I dell'Emilia-Romagna, Disciplina generale dell'inter­ vento pubblico nel settore abitativo, rinnovata nel dicembre 20I 3 negli obiettivi e nelle finalità, dichiara questo intento in modo esplicito nell'art. 2, che si riporta integral­ mente in margine a questo contributo. La riforma della disciplina organica dell' ERP si è resa necessaria per dare risposta al mutato assetto istituzionale che vede subentrare al ruolo delle Province quello delle Città metropolitane e delle Unioni dei Comuni. L'al­ tro aspetto di cui la legge si fa carico sono gli effetti della crisi economica ed occupazioI.

Ad oggi è in corso il nono bando regionale.

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MICHELE ZANELLI è uno dei sintomi più gravi : un dato si gnifica­ è il numero crescente degli sfratti emessi per m orosità che sul territorio regionale

nale, di cui il crescente disagio abitativo tivo

è p assato da 3.504

nel 2oos a 6.4 76 nel 2o12, secondo i dati del m inistero degli Interni.

SCHEDA 3.1 Regione Emilia-Romagna, Legge regionale 24/20 01, art. 2: Finalita della programmazione degli interventi di edilizia residenziale sociale 1. La Regione persegue il coordinamento delle politiche abitative con gli indirizzi della pianificazione territoriale, sostenendo l ' incremento della disponibilità di alloggi di edilizia residenziale sociale prioritariamente attraverso la riqualificazione urbana, la rigenerazione sostenibile e l'acquisto del patrimonio edilizio esistente e contrastando il consumo di suolo derivante dalla dispersione degli insediamenti nel territorio rurale. In particolare le politi­ che abitative della Regione e de gli enti locali dell ' Emilia-Romagna sono dirette : a) a rispondere al fabbisogno abitativo delle famiglie meno abbienti e a quello di partico­ lari categorie sociali attraverso l ' incremento e la rigenerazione del patrimonio pubblico di alloggi ; b) ad ampliare l 'offerta di abitazioni in locazione permanente ed a termine a canone ri­ dotto rispetto ai valori di mercato, anche attraverso il concorso dei soggetti privati, privile­ giando i promotori di interventi di riqualificazione, al raggiungimento della quota di allog­ gi di edilizia residenziale sociale stabiliti dai Piani strutturali comunali (Psc), in attuazione dell 'articolo 7 bis, comma 1°, della legge regionale 24 marzo 20 0 0, n. 2o, Disciplinagenera­ le sulla tutela e l'uso del territorio, e degli articoli A-6-bis e A- 6-ter dell 'Allegato alla legge regionale 20 /2o o o, anche a seguito di accordi di cui all 'articolo 18 della medesima legge re gionale ; c) ad assicurare il sostegno finanziario al reddito dei nuclei meno abbienti, per consentire il loro accesso al mercato delle abitazioni in locazione ; d) a favorire la permanenza in alloggi di ERP di assegnatari che necessitano di sostegno sanitario o sociale, anche tramite l'adeguamento degli alloggi stessi ovvero la mobilità pri­ oritariamente in alloggio del medesimo immobile ; e) a favorire gli interventi di manutenzione, di recupero e sostituzione del patrimonio edilizio esistente, per renderlo adeguato ai requisiti di risparmio energetico, di sicurezza sismica e accessibilità stabiliti dalle norme vigenti in materia, in base alla legislazione comu­ nitaria, nazionale e regionale ; /J a favorire l 'acquisto della prima casa di abitazione, nell 'ambito di programmi di edili­ zia residenziale sociale ; g) a realizzare, completare o adeguare le dotazioni territoriali, di cui agli articoli A-22, A- 23, A-24 e A-25 dell 'Allegato alla legge regionale 20/2o o o, ivi compresi gli interventi di sistemazione, risanamento e bonifica ambientale anche ai fini della sicurezza urbana, di arredo urbano delle aree verdi e degli spazi pubblici, nonché a promuovere l'acquisizione di aree a basso costo per l 'attuazione degli interventi e la loro messa a disposizione degli operatori; h) a promuovere la qualificazione dei programmi, dei progetti e degli operatori e lo svi­ luppo di tecniche bioclimatiche, ecolo giche e di bioarchitettura, nonché il raggiun gimento di elevati standard di sostenibilità ambientale. 2. La Regione promuove il coordinamento delle funzioni e dei servizi complementari

3· EDILIZIA SOCIALE E RIGENERAZIONE URBANA alla residenza e il miglioramento della qualità ambientale e architettonica dello spazio ur­ bano, sostenendo lo sviluppo di programmi di riqualificazione urbana di cui alla legge re­ gionale 3 luglio 1998, n. 19 (Norme in materia di riqualifìcazione urbana). Nella program­ mazione delle risorse destinate alla riqualificazione urbana la Regione favorisce le iniziative che a livello locale promuovono la partecipazione di cui alla legge regionale 9 febbraio 2010, n. 3 (Norme per la definizione, riordino epromozione delle procedure di consultazione eparte­ cipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali) e l'associazionismo dei cittadini. 3· La Regione favorisce il raccordo della programmazione degli interventi abitativi con le politiche sociali e sanitarie, anche attraverso la promozione di progetti di assistenza do­ miciliare integrata per gli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale sociale quali condo­ mini solidali, cohousing, patti e protocolli antisfratto, nonché con le politiche per il diritto allo studio, per il lavoro e per l'immigrazione. 3·1

Il nuovo paradigma dell 'edilizia residenziale sociale

A questa situazione di vera e propria emergenza sociale che potremmo definire di pover­ ta abitativa non si può più rispondere con l'intervento pubblico nella tradizionale edi­ lizia sovvenzionata, è necessario ripensare il sistema dell'offerta di servizi abitativi rea­ lizzati, anche con il contributo pubblico, ma attraverso una strategia complessiva che consenta di reperire aree ed immobili a basso costo tramite il riuso di un patrimonio sottoutilizzato e la realizzazione o il recupero di alloggi a costo contenuto. Si tratta quin­ di di dare senso alla definizione di alloggio sociale e del sistema dell'edilizia residenziale sociale ( ERS ) come insieme di provvidenze pubbliche finalizzate ad incentivare l'inter­ vento degli operatori privati nell'offerta di servizi abitativi a costi accessibili alla doman­ da rappresentata da chi oggi vive un disagio abitativo dovuto alla sproporzione degli oneri sostenuti per soddisfare un bisogno primario ad un livello dignitoso rispetto al proprio reddito familiare, spesso deprivato dalla crisi economica e occupazionale. La legge regionale 24/20I3 considera come un unico corpo organico il sistema di edilizia residenziale sociale, costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie così come definito dal decreto del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, 22 aprile 200 82, e promuove la programmazione regionale degli interventi pubblici di edilizia residenziale sociale, compresi quelli di edi­ lizia residenziale pubblica: l'ERP, dunque, come parte di un più articolato sistema di provvedimenti di edilizia residenziale sociale. Ma contemporaneamente la legge regionale si propone di ampliare l'offerta di abi­ tazioni in locazione permanente ed a termine a canone ridotto rispetto ai valori di mercato attraverso il concorso dei soggetti privati, privilegiando i promotori di inter2. Definizione di alloggio sociale ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea.

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venti di riqualificazione, al raggiungimento della quota di alloggi di edilizia residenzia­ le sociale stabiliti dai Piani strutturali comunali ( P s c ) , in attuazione della legge regio­ nale 24 marzo 2000, n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio). È in base a questa legge, anch'essa rinnovata in tempi recenti (L.R. 6/2009) che la pianifi­ cazione urbanistica è chiamata a contribuire allo sviluppo dell'edilizia residenziale so­ ciale tramite la cessione di aree o la realizzazione di interventi di ERS da parte dei sog­ getti privati detentori di diritti edificatori in un'ottica di trasformazioni urbane coor­ dinate dagli strumenti di perequazione e da una regia pubblica tesa alla omogenea di­ stribuzione diffusa di alloggi sociali e di servizi complementari alla residenza. Nel 20I3 il programma regionale di edilizia residenziale sociale varato nel 2010 è entrato nella fase di attuazione. Complessivamente per il finanziamento degli interven­ ti sono stati stanziati circa 73 milioni di euro che permettono di realizzare 773 alloggi da assegnare in locazione o godimento permanente, a termine di medio periodo ( IO anni) e a termine di lungo periodo (25 anni) a favore di nuclei familiari, in possesso di specifici requisiti soggettivi, che hanno difficoltà a reperire alloggi per uso abitativo primario a canoni accessibili. Questo programma è articolato in modo da integrarsi con gli interventi di riquali­ ficazione urbana promossi anche con gli ultimi finanziamenti statali del piano nazio­ nale di edilizia abitativa, costituendo un primo nucleo organico di una politica coordi­ nata di rigenerazione urbana e politiche abitative, cui corrisponde l'unificazione dei servizi regionali competenti in un unico "Servizio qualità urbana e politiche abitative". Per l'attuazione del piano il 3 giugno 20IO è stato sottoscritto tra il ministero delle In­ frastrutture e dei Trasporti e la Regione Emilia-Romagna un Accordo di programma che approva il programma integrato di promozione di edilizia residenziale sociale e di riqualificazione urbana, finalizzato ad incrementare la disponibilità di alloggi di edilizia residenziale sociale mediante interventi di recupero e ristrutturazione urbanistica volti alla realizzazione di quartieri integrati con ampie dotazioni di servizi e spazi pubblici. 3·2

La rigenerazione urbana nelle politiche regionali

Ridi segnare i servizi urbani, sviluppare progetti per l'inclusione sociale, rafforzare le capacità delle città di potenziare le filiere produttive sono anche gli obiettivi strategici cui si affida il "Piano nazionale per le città" per indirizzare le azioni mirate allo svilup­ po urbano sostenibile con i fondi comunitari 2014-20. Le politiche di sviluppo regionale che concorreranno a programmare l'uso dei fon­ di strutturali e delle risorse nazionali dovranno orientarsi verso azioni integrate a soste­ gno dei redditi delle famiglie e della qualità delle aree urbane, per promuovere un am­ biente favorevole alla ripresa degli investimenti in attività produttive.



EDILIZIA SOCIALE E RIGENERAZIONE URBANA

Questi obiettivi convergono nella direzione già da tempo indicata di riqualificare il patrimonio edilizio esistente e migliorare la dotazione infrastrutturale delle città : una strategia che possiamo definire di rigenerazione urbana e che, data la riduzione delle risorse finanziarie disponibili, deve fare ricorso a procedure di evidenza pubblica per attivare investimenti in partnership pubblico/privato, direttamente finalizzati alla re­ alizzazione dei servizi di interesse pubblico. La dotazione infrastrutturale di una determinata area urbana è l' indicatore della qualità e della quantità dei servizi esistenti nel territorio di riferimento e rappresenta quindi un'evoluzione della nozione di standard urbanistico, in quanto non definisce dei livelli teorici di superficie da destinare a verde e servizi, ma è finalizzata all'adegua­ mento delle aree e dei servizi disponibili in un ambito urbanizzato da riqualificare : obiettivo del riequilibrio è la ricerca di un livello di qualità urbana che non solo risar­ cisca il deficit infrastrutturale della situazione esistente, ma prefiguri la rigenerazione funzionale, ambientale ed energetica del costruito per raggiungere un più elevato livel­ lo complessivo di vivibilità del territorio urbano. Affrontare l'obiettivo del riequilibrio delle situazioni urbane comporta una redi­ stribuzione della rendita fondiaria che negli ultimi anni, caratterizzati dalla crisi eco­ nomica, non ha generato quegli investimenti nelle trasformazioni urbane su cui si pun­ tava per finanziare la città pubblica: per invertire la tendenza alla sottocapitalizzazione delle città occorre sviluppare nuove forme di perequazione orientate al miglioramento della qualità urbana all'interno dei tessuti esistenti e promuovere la realizzazione di progetti urbani integrati in cui la rigenerazione dell'edilizia privata e la riqualificazione della città pubblica siano ricomprese in una iniziativa unitaria e contestuale, in accordo tra l'amministrazione e gli investitori privati. Nella normativa urbanistica regionale, con la legge di riforma 6/2009, Governo e ri­ qualificazione solidale del territorio, è stato introdotto il Documento programmatico per la qualita urbana, uno strumento di bilancio assimilabile al piano dei servizi, che definisce «gli obiettivi di riallineamento funzionale e qualitativo che costituiscono, per ciascun ambito di riqualificazione, le priorità di interesse pubblico a cui dovranno essere subor­ dinate le successive procedure partecipative, concorsuali o negoziali » : procedure di evi­ denza pubblica finalizzate a definire il programma di riqualificazione, con il coinvolgi­ mento attivo dei cittadini che risiedono o operano nell'ambito interessato, ma anche a selezionare le proposte di intervento da inserire nel P O C (Piano operativo comunale), sulla base degli obiettivi di qualità urbana ed ecologico-ambientale definiti dal P S C. Con questa riforma il Documento programmatico per la qualita urbana entra nel processo di pianificazione come contenuto obbligatorio del P O C finalizzato ad indivi­ duare i fabbisogni abitativi, di dotazioni territoriali e di infrastrutture per la mobilità, e gli elementi di identità territoriale da salvaguardare, perseguendo gli obiettivi del miglioramento dei servizi, della qualificazione degli spazi pubblici, del benessere am­ bientale e della mobilità sostenibile. Per gli ambiti di riqualificazione urbana il P O C 79

M ICHELE ZANELLI

prevede la dettagliata descrizione degli interventi da realizzare e le relative tipologie, coniugando in un unico programma gli interventi pubblici e privati e i relativi costi ripartiti tra i partecipanti. Per il soddisfacimento del fabbisogno di dotazioni territoriali e di edilizia residen­ ziale sociale il P O C può mettere in atto meccanismi perequativi o di permuta o di tra­ sferimento di quote del patrimonio edilizio esistente in altre aree idonee destinate all'edificazione con incentivi alla delocalizzazione. Allo stesso scopo la pianificazione urbanistica stabilisce incentivi volumetrici e altre forme di premialità progressive e pa­ rametrate ai livelli raggiunti per realizzare obiettivi di interesse pubblico ( tra cui la ri­ qualificazione dei tessuti urbani ) e nel contempo disincentivare la diffusione insedia­ tiva e il consumo di suolo ( art. 7 ter L.R. 20/2ooo modificata dalla L.R. 6/2009). Dunque la legge urbanistica regionale ha posto le premesse per introdurre quel cambio di paradigma, dall'espansione alla rigenerazione dei tessuti consolidati, che tutti invocano per una sostanziale modifica del modello di sviluppo, orientato verso una crescita sostenibile e un riequilibrio funzionale delle aree urbane che corrisponda agli obiettivi di coesione sociale individuati dall'Agenda urbana della CE. Si tratta ora di declinare questi obiettivi in strumenti operativi eliminando gli ostacoli procedimen­ tali che si frappongono ad una promozione degli interventi diffusi di rigenerazione, che in primis debbono vedere il coinvolgimento della piccola proprietà immobiliare, che costituisce nel nostro paese la principale fonte di un potenziale investimento finan­ ziario in edilizia. Ma nel contempo occorre ridefinire in un quadro unitario riferito alle politiche urbane gli obiettivi di qualità a cui fare riferimento per generare ai diversi livelli ( unità di vicinato, quartiere, ambito urbano, città) un risultato che corrisponda al soddisfaci­ mento dei bisogni dei cittadini e allo stesso tempo a un principio di equità territoriale che consenta di superare il conflitto tra centro e periferie. Gli interventi di rigenerazione a scala di quartiere sono l'occasione per introdurre la componente necessaria di edilizia sociale in modo diffuso e amalgamato nel conte­ sto, generando ambiti urbani omogenei e ricchi di servizi, in cui la coesione sociale sia un risultato cui puntare senza forzature di piano ma dosando con cura il mix funziona­ le. È bene ricordare che la rigenerazione urbana si discosta dagli interventi di riqualifi­ cazione delle grandi aree dismesse ( nelle quali si procede di norma per sostituzione di funzioni ) perché riguarda interventi puntuali di ristrutturazione o sostituzione a scala edilizia e a volte urbanistica negli ambiti urbani consolidati, senza che necessariamente si verifichi una significativa sostituzione di funzioni. In questi interventi la componente sociale delle trasformazioni non è meno rile­ vante di quella fisica nella definizione degli obiettivi di progetto : sono infatti interven­ ti per lo più rivolti alle periferie urbane in cui siamo in presenza di tessuti edilizi già densi caratterizzati da una prevalente destinazione residenziale, da un forte fraziona­ mento proprietario e da una bassa qualità. So



EDILIZIA SOCIALE E RIGENERAZIONE URBANA

Per ottenere un significativo miglioramento della qualità urbana in questi contesti, oltre a rispondere alle esigenze di adeguamento del patrimonio edilizio ai requisiti di efficienza energetica e sicurezza strutturale, è necessario operare degli interventi di mi­ glioramento delle dotazioni territoriali e di ridisegno dello spazio pubblico, che spesso costituisce in questi ambiti un deficit sia quantitativo che qualitativo. Pertanto la rige­ nerazione del tessuto edilizio consolidato comporta l'adozione di piani urbanistici adeguati, quanto meno alla scala del comparto insediativo. Tuttavia l'attuale congiuntura economica e la conseguente crisi del settore edilizio comportano il reperimento di un margine differenziale di incentivazione alla riquali­ ficazione urbana: puntando su un sistema di crediti edilizi trasferibili che possa funzio­ nare anche in presenza di situazioni già dense, in cui non è immaginabile introdurre ulteriori incrementi volumetrici, anche per obiettivi limitati di carattere strutturale o di carico urbanistico. Nei P O C , oltre agli ambiti consolidati nei quali intervenire tramite ristrutturazio­ ne urbanistica, i Comuni possono definire le aree di atterraggio della premialità asso­ ciata agli obiettivi di sostenibilità ed efficienza energetica. Occorre dunque riformulare una strategia di riqualificazione urbana che coniughi in modo indissolubile obiettivi di contrasto al degrado urbano e al disagio sociale con un nuovo modello di sviluppo improntato alla sostenibilità ecologica, economica ed ambientale dei sistemi insediativi. I temi della città pubblica, della sostenibilità ambientale e della rigenerazione ur­ bana possono così incanalare progetti di qualità delle amministrazioni locali e promuo­ vere, attraverso procedure concorsuali e partecipative, un reale confronto concorren­ ziale che si traduca in soluzioni progettuali di alto valore qualitativo e che richiamino anche investimenti esterni. In questo quadro complessivo può trovare spazio una strategia di strumenti coor­ dinati di intervento, tra cui anche i fondi immobiliari, come il Fondo investimenti per l'abitare della Cassa depositi e prestiti, che svolgono un ruolo di supplenza all'attuale rarefazione del credito immobiliare, ma non bastano provvedimenti parziali come pu­ re la recente legge 8 o/20I4, ennesimo Piano casa con pretese superiori alla dotazione finanziaria, a generare una svolta verso la sistematica adozione di programmi di rigene­ razione delle periferie residenziali, per i quali più che la ripresa del settore delle costru­ zioni occorre prospettare un nuovo "patto sociale" con la proprietà edilizia: anziché gravare la casa di tasse crescenti in una prospettiva di ulteriore calo dei valori immobi­ liari, occorre incanalare il risparmio delle famiglie e gli investimenti del settore in un piano di ricapitalizzazione del patrimonio immobiliare che partecipi al grande proget­ to di rinnovamento necessario del nostro paese, per uscire dalle emergenze che ciclica­ mente si incaricano di segnalarci la estrema vulnerabilità del nostro sistema urbano ed ambientale e il rischio crescente cui è sottoposto il nostro capitale territoriale.

8I

Parte seconda Politiche, attori, strumenti

4

Nuove forme di operatività per le Per quali obiettivi ?

AT ER.

di Paolo Ciampi

I primi Istituti autonomi per le case popolari ( IACP ) sono stati costituiti agli inizi del secolo scorso, in attuazione della Legge Luzzatti del 1903, che si prefiggeva di affronta­ re « il non facile problema di avere case per le classi meno abbienti, che siano sane e a buon mercato » . Il provvedimento risultò il frutto di una nuova concezione di politica sociale, che vide nella creazione di forme nuove di enti economici la possibilità di pia­ nificare l' intervento dello Stato in aree di solidarietà sociale quale quella del "bene casa", oltrepassando interessi prettamente economici, improntati ad una logica di pro­ fitto. Con il Testo Unico 1165 del 19 3 8, che regolamentò la legislazione sull'edilizia eco­ nomica e popolare, si arrivò al conferimento esclusivo della titolarità del comparto agli IACP, lasciando ai Comuni un'operatività residuale. A partire da questa impostazione regolatoria iniziale, l'evoluzione normativa suc­ cessiva evidenziò la presenza dello Stato in senso pianificatorio ed interventista ( anni Settanta) , per passare quindi ad un atteggiamento di sostanziale disinteresse allorquan­ do le competenze normative sono state attribuite alle Regioni. Al di là delle modifiche legislative intercorse, l'attuale assetto di aziende ed enti che gestiscono nel nostro paese l'edilizia residenziale pubblica, discende naturalmente da tali esperienze ultracentenarie, assommandone professionalità, capacità progettuali ed operative ma anche contraddizioni. Parliamo di oltre cento entità di diversa natura giuridica ( enti pubblici economici, enti pubblici non economici, società per azioni ) che gestiscono circa 8so.o oo abitazioni. Pur rappresentando esse, tuttora, il riferimen­ to di settore, nei fatti il venir meno dei finanziamenti pubblici e, ancor prima, della contribuzione G E S CAL , nonché la difficoltà di reperire aree edificatorie, hanno deter­ minato la perdita del ruolo propulsivo del passato, facendo emergere una percezione comune secondo cui non assolvono alla funzione sociale di propria pertinenza, rappre­ sentando per lo Stato più un peso che una risorsa. Senza contare, altresì, che l' attuazio­ ne da parte della politica di un hostile takeover ne ha ridotto indubbiamente l'efficienza ( Dexia Crediop, CEN S I S , 2008 ) . Di fronte al mutato quadro di operatività, conseguente ai mutati scenari economi­ co-finanziari ma anche sociali, si tratta di capire quale ruolo, sia pur residuale, possano ss

PAOLO C IAMPI

svolgere gli enti gestori del patrimonio residenziale pubblico. Scopo del presente con­ tributo è evidenziarne le potenzialità, alla luce dell'evoluzione normativa e, conseguen­ temente, operativa che ne ha caratterizzato l'azione, rispetto alle nuove opportunità emergenti nel settore. 4· 1

Evoluzione delle politiche di edilizia residenziale pubblica in Italia 4.1.1.

L' INTERVENTO FINANZIARIO D I RETTO DELLO STATO E LA REG IONALIZZAZIONE DEL S ETTORE

Delle fasi cui si è fatto cenno, quella che a noi più interessa, prima degli anni più recen­ ti, riguarda il periodo 1971-95. Essa è segnata dalla legge 865 del 1971 ( cosiddetta "Leg­ ge sulla casa" ) istitutiva dei nuovi Istituti autonomi case popolari, come referenti esclu­ sivi in materia di "edilizia residenziale pubblicà', nonché dalla legge 457 del 1978 (Pia­ no decennale per l'edilizia). Sinteticamente, con questi provvedimenti lo Stato abban­ dona le proprie competenze centralizzate, decentrando le proprie funzioni alle Regio­ ni e, paradossalmente, dà avvio ad un consistente intervento finanziario per il settore. Nel concreto, con la legge 865 si istituisce formalmente l'edilizia residenziale pub­ blica ( ERP ) , individuandola come parte integrante del sistema di welfare nazionale, statuendo la responsabilità in capo alle Regioni, con l'avvalimento sia degli IACP sia di cooperative edilizie e loro consorzi, della programmazione e dell'attuazione dei piani di ERP. In un'ottica di razionalizzazione del settore, vengono soppressi alcuni enti come la G E S C A L , con il conseguente trasferimento ai competenti IACP di beni e personale ( D.P.R. 1036/ 1972). Il Piano decennale per l'edilizia residenziale pubblica, programmato per quadrien­ ni e articolato in cinque bienni, prevedeva, per la prima volta, attraverso interventi di edilizia sovvenzionata ed agevolata, nonché l'acquisizione e l' urbanizzazione di aree, una specifica attività di recupero del patrimonio edilizio degradato, disciplinando, per i relativi interventi, nuovi tipi di strumentazione urbanistica, ad iniziativa pubblica o privata, consistenti in piani di recupero, formati sulla base della preliminare individua­ zione delle zone di recupero e della cosiddetta "perimetrazione", e subordinati al rila­ scio dei permessi di costruire. Per il completamento del Piano decennale, veniva suc­ cessivamente approvato un secondo programma, concernente il quadriennio 1988-91 e finanziato ai sensi della legge 67 del 1988, che si caratterizzava per l'attribuzione alla Regione, accanto all'attività di programmazione, della gestione della parte finanziaria dei programmi e dei compiti di indirizzo e controllo. Con le leggi 8 65/1971 e 457/ 1978, inoltre, la nozione di "edilizia popolare" o di "edilizia economica e popolare" è sostituita da quella di "edilizia residenziale pubblica", 86

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER

caratterizzata per l'articolazione in tre diverse tipologie d' intervento cui corrispondo­ no forme differenziate di finanziamento pubblico3• Di portata rilevante dal punto di vista economico è, invece, la nozione contenuta nell'art. I della legge 56o/I993, recante norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, secondo la quale « sono alloggi di edilizia residenziale pubblica quelli acquisiti, realizzati o recuperati, ivi compresi quelli di cui alla legge n. 52 del 1976, a totale carico o con concorso o con contributo dello Stato, della Regione o di enti pubblici territoriali, nonché con i fondi derivanti da contributi dei lavoratori ai sensi della legge n. 6o del I963, dallo Stato, da enti pubblici territoriali, nonché dagli IACP e dai loro consorzi comunque denominati e disciplinati con legge regionale ». Di fatto, con tale legge è iniziato il processo di progressivo abbandono dell' inter­ vento diretto dello Stato centrale sia in termini di competenze amministrative, sia di finanziamento. Tale norma ha peraltro consentito agli enti proprietari di alloggi di ERP di porre in vendita parte del patrimonio immobiliare amministrato. Il trasferimento dell'intera materia alla competenza regionale è avvenuto quindi con il D.Lgs. 112 del 1998, con la soppressione del Comitato per l'edilizia residenziale4 e con l'attribuzione alle Regioni dei fondi per il finanziamento degli interventi, accan­ to alla competenza in ordine alla fissazione dei criteri per l'assegnazione degli alloggi e per la definizione dei canoni. Allo Stato sono rimasti i compiti di semplice determina­ zione di principi e finalità di carattere generale, di raccolta di informazioni, di impulso, di garanzia e di sostegno delle fasce economicamente più deboli. La ripartizione di competenze operata dal citato decreto legislativo presenta carat­ tere di marcata novità rispetto alla precedente disciplina che aveva mantenuto allo Sta­ to le funzioni di programmazione nazionale dei finanziamenti dell'ERP. Nel ristretto nucleo di competenze mantenute allo Stato dall'art. 59 del decreto non compare più infatti tale funzione, mentre al successivo art. 6o fra le funzioni conferite alle Regioni viene indicata la «programmazione delle risorse finanziarie destinate al settore » . Con l a riforma del Titolo v della Costituzione del 2oo1 l'edilizia residenziale pub­ blica non è stata inclusa né tra le materie su cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva ( art. 1 17, 2° comma) , né tra quelle in cui la competenza è concorrente ( art. 1 17,

3· Le tipologie sono: edilizia sovvenzionata, realizzata in via diretta da Stato, Regioni e altri enti pubblici (IACP e Comuni) con mezzi finanziari esclusivamente pubblici e finalizzata essenzialmente alla locazione a canone contenuto; edilizia agevolata, ovvero realizzata da privati (promotori immobiliari o cooperative edilizie) con il concorso di finanziamenti pubblici sotto forma di mutui a tasso minimo, age­ volati o anche indicizzati; edilizia convenzionata, realizzata direttamente dai privati con copertura dei costi a carico degli stessi. Essa è sorretta da apposita convenzione tra soggetto beneficiario dell'area e Comune relativamente alle modalità di utilizzazione della medesima (diritto di superficie) e prevede la concessione ai privati delle aree a costo contenuto. 4· CER, che aveva il compito di provvedere al riparto dei fondi previsti per i piani di ERP, alla redazio­ ne di essi ed alla verifica della loro attuazione.

PAOLO CIAMPI 3° comma) . Pertanto, ai sensi del 4 comma, tale materia afferisce alla competenza esclu­ o

siva di carattere residuale delle Regioni. 4.1.2.

IL PIANO CASA 2 0 1 4 E LE MISURE PER IL SETTORE RESIDENZIALE

L'intervento legislativo di settore più recente è rappresentato dal D.L. 47l 20I4 (cosid­ detto "decreto Lupi" ) , dal valore di circa I,8 miliardi di euro. I filoni d'intervento sono differenziati e principalmente volti a: sostenere e rilanciare l'affitto ; incrementare l'offerta di ERP; agevolare lo sviluppo dell' housing sociale. In particolare, si punta al sostegno dell'affitto a canone concordato soprattutto tramite la previsione di alcune misure, quali la riduzione dell'aliquota della cedolare secca ed un incremento degli stanziamenti dei fondi nazionali previsti a supporto del­ le locazioni, con la finalità di calmierare il mercato. Sul fronte dell 'edilizia residenziale pubblica, sono previste misure per il migliora­ mento degli alloggi esistenti, tramite un apposito programma di recupero e razionaliz­ zazione del valore di so o milioni di euro. È favorita altresì l'alienazione agli attuali conduttori con l'utilizzo dei relativi proventi per la realizzazione di nuovi alloggi po­ polari. Il legislatore nazionale ha, infine, posto l'accento sullo sviluppo dell'edilizia resi­ denziale sociale, anzitutto prevedendo agevolazioni e detrazioni fiscali in relazione agli alloggi sociali in locazione. Si stabilisce, inoltre, la facoltà di riscattare gli alloggi socia­ li da parte degli inquilini al termine della locazione settennale, con la previsione di al­ cuni vantaggi per l'acquisto dell 'abitazione locata. Al fine di incrementare l'offerta di alloggi di edilizia residenziale sociale, il legisla­ tore prevede, infine, la possibilità di attivare una serie di interventi, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, quali ristrutturazioni, sostituzioni, variazioni di de­ stinazione d'uso, che possono in parte usufruire di uno stanziamento pari a IOO milio­ ni di euro. Inoltre, il legislatore consente, anche in deroga alle relative norme di finan­ ziamento, la cessione o il conferimento ai fondi immobiliari di immobili residenziali (ultimati o in corso d'opera) realizzati da soggetti pubblici e privati con il concorso di un contributo pubblico, e destinati a contribuire all'aumento dell'offerta di alloggi sociali. La produzione normativa elaborata dunque a partire dal Piano nazionale di edili­ zia abitativa del 2009 ad oggi è arrivata ad individuare un nuovo ambito di intervento, promosso da privati con contributi pubblici parziali: l'edilizia residenziale sociale di mercato, cui ci si riferisce comunemente in termini di housing sociale. La relativa attività si affianca, per analogia dell'offerta e dei soggetti destinatari,

88

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER

ali'edilizia agevolata e a quella convenzionata, andando pertanto ad integrare l'offerta dell'edilizia residenziale sociale5• Di seguito (FIG. 4. I ) , vengono riportati i quattro ambiti d'intervento dell'edilizia residenziale sociale; sono altresì ad essa riferibili le misure a sostegno di canoni calmie­ rati (dal canone concordato della legge 43 I/ I99 8 alla recente "cedolare secca") che deb­ bono ritenersi alternativi e sostitutivi dell'intervento pubblico, intervenendo diretta­ mente sul mercato privato, contrariamente a quanto avviene nell'edilizia sociale di mercato ove, sia pur in via residuale, è previsto l'intervento di soggetti di natura pub­ blicistica.

FIGURA 4 . 1 Gli ambiti d'intervento delle politiche pubbliche dell'edilizia residenziale sociale

Edilizia residenziale sociale Edilizia sovvenzionata

Edilizia agevolata

Edilizia convenzionata

Edilizia sociale di mercato

Locazione di mercato (cedolare secca) Fonte: elaborazione dell'autore.

4· 2

Un quadro normativa frammentario e inefficace

Delineata per punti salienti l'evoluzione normativa del settore, vale la pena chiedersi se il corpo legislativo di riferimento supporti adeguatamente, oggi come oggi, l'operativi­ tà di settore. Ebbene, risulta evidente come la mancanza di una strategia di medio e lungo periodo in grado di predisporre strumenti operativi, sia di natura economico­ finanziaria che tecnico-amministrativa, abbia portato ad un quadro lacunoso ed inef-

S· A livello funzionale si può, infatti, sostenere che l 'edilizia residenziale sociale di mercato (attivata da operatori "di mercato") è una parte dell'edilizia residenziale sociale.

PAOLO C IAMPI

ficace nell'assicurare il principio costituzionale della "casa come servizio sociale". Tale vuoto è in primis normativa, non potendo non rilevarsi una frammentazione delle competenze pianificatorie ed operative6• I diversi interventi legislativi che si sono succeduti nel tempo, talvolta non sempre coordinati e collegati, dimostrano la complessità della materia che, sebbene abbia come principale finalità quella di garantire, anche attraverso l' impiego di risorse pubbliche, il diritto alla casa alle categorie sociali più deboli, si presenta composita ed articolata, andando ad interessare tre ambiti d'intervento consequenziali: l'urbanistica, i lavori pubblici e le politiche sociali. A seguito della riforma del Titolo v della Costituzione la materia "edilizia residen­ ziale pubblica" ha assunto un carattere di "trasversalità", presentandosi articolata su tre diversi livelli normativi ai quali corrispondono tre diversi ambiti di competenza: la determinazione dell'offerta minima di alloggi per i ceti meno abbienti, con la fissazione di principi per garantire uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato (art. 1 1 7, 2 comma, lett. m, Cost.); la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia "governo del territorio" rientrante nella competenza concorrente Stato­ Regioni (art. 1 1 7, 3° comma, Cost.); la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprie­ tà degli enti gestori, rientrante nella competenza residuale delle Regioni (art. 1 1 7, 4° comma, Cost.). Nell'ambito delle proprie competenze ciascuna Regione è intervenuta con diversi provvedimenti legislativi che si sono tradotti in diversissimi modi di regolare la funzio­ nalità degli enti gestori, l' individuazione dei soggetti destinatari dell'edilizia residenzia­ le pubblica, la fissazione dei canoni di locazione e del prezzo di alienazione delle unità abitative. All'ambiguità contribuisce l'assenza di una definizione univoca di edilizia sociale con l'utilizzo sempre più ricorrente di nuove espressioni (edilizia residenziale sociale, housing sociale, affordable housing) che, in assenza di una definizione normati­ va includente, non consentono di identificare univocamente il segmento di intervento. Al di là dell'assenza di base giuridica formalizzata, peraltro, lo Stato sembrerebbe aver ritenuto di non avere obblighi di finanziamento del settore, con la conseguenza che sono risultate del tutto episodiche, discontinue ed estemporanee le scarse risorse reperite in sede di formazione del bilancio dopo l'esaurimento dei finanziamenti proo

6. li processo di attribuzione di competenze, avviato negli anni Settanta dopo l' istituzione delle Regioni e completato con il D.Lgs. 112 del 1 9 9 8 e, all'inizio degli anni Duemila, con la nuova stesura del Titolo v della Costituzione, «ha prodotto un quadro normativa non esente da ambiguità interpretative e da evidenti contraddizioni, solo formalmente sanati dalle sentenze della Corte Costituzionale (in primis la sentenza n. 94 del 7 marzo 2007 ), che hanno generato più conflitti che forme stabili ed efficaci di collabo­ razione tra Stato, Regioni e Comuni» (Conferenza delle Regioni, ANCI, Federcasa, C G IL, CISL, UIL, 2013). 90

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER

venienti dalle ritenute G E S CAL. Diversamente da come avviene in buona parte dei pa­ esi europei?, lo Stato si è ritenuto esentato dalla responsabilità di finanziare continua­ tivamente il settore dell'edilizia residenziale pubblica. Questo contrariamente all'art. 1 1 9 della Costituzione, laddove si prevede lo stan­ ziamento di "risorse aggiuntive" per interventi speciali finalizzati allo sviluppo econo­ mico, alla coesione ed alla solidarietà sociale tra cui non può non rientrare a pieno ti­ tolo l'edilizia sociale. 4 ·3

Gli enti gestori dell'edilizia residenziale pubblica e la domanda abitativa

Le agenzie di promozione e gestione degli alloggi sociali rappresentano di fatto il rife­ rimento per le politiche pubbliche di settore. Pur essendo relazionate ad un patrimonio abitativo di proporzioni rilevanti oggi, però, hanno perso in termini di ruolo propulsi­ vo ed operativo e ciò non solo per la mancanza di finanziamenti. Permane difatti ancora irrisolto un nodo cruciale che condiziona la funzione che gli istituti sono chiamati a svolgere, ovvero se compito primario loro attribuito debba essere quello di gestire un rilevante patrimonio secondo criteri di efficienza ed econo­ micità, o se spetti loro anche un compito di natura assistenziale, prescindente dai vin­ coli di bilancio8• Peraltro, la composita configurazione giuridica degli istituti sulla base della legisla­ zione vigente nelle diverse Regioni, appare casuale ed irrazionale : in taluni casi si è in presenza di enti non economici, in altri casi di enti economici, in altri ancora di società per azioni. I recenti processi di riordino da parte di alcune Regioni (Lombardia, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Sardegna) hanno operato con la finalità di snellire lagovernance attraverso la fusione di due o più enti, lasciando però irrisolte le problematiche che attengono alla funzionalità specifica degli enti gestori. 4·3·1. G LI A S P ETTI G EST I O NALI D E G LI ENTI

La gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata è affidata, di norma, all'ente proprietario, ovvero Comune o ente/azienda regionale comunque de7·

Sull 'argomento, nel presente volume, si veda il CAP. 1 di Antonella Galassi. 8. Nella sostanza: «si tratta di superare una condizione non priva di ambiguità che, oltre ad eviden­ ti problemi gestionali, si riflette sulla stessa credibilità ed immagine degli Istituti con il risultato, non da ultimo, di ridurre la disponibilità della politica, peraltro responsabile di tale situazione, a finanziare ulte­ riormente l'edilizia residenziale pubblica » (Conferenza delle Regioni, ANCI, Federcasa, C G IL, CISL, UIL, 2013). 91

PAOLO CIAMPI

nominata, ad eccezione dei casi dell'Emilia-Romagna ( le ACER hanno trasferito la proprietà del patrimonio ai Comuni territorialmente competenti ) e Toscana ( proprie­ tà in capo a società consortili costituite tra Comuni e ATER) . La proprietà del patrimonio gestito ( TAB. 4.I), da un lato, rappresenta un plus in termini di patrimonializzazione aziendale ( parliamo di oltre 8 o o.ooo alloggi con un valore di bilancio stimabile, prudenzialmente, in 20.0 0 0 euro ; il valore complessivo degli alloggi di ERP è pertanto di I6 miliardi di euro ) , con tutte le connesse opportuni­ tà in termini di leva finanziaria attivabile per nuovi investimenti; dall'altra, rappresen­ ta un appesantimento finanziario sia in termini di obblighi di manutenzione facenti capo al proprietario, sia in termini di fiscalità ( l' IMU prima, la TA S I poi ) . TABELLA 4.1 Alloggi gestiti dalle aziende per la casa, anno 20n Alloggi gestiti dalle aziende per la casa

Nord Centro Sud

Italia

In locazione

A riscatto

Totale

379-8 12 1 61.345 264·989 8o6.146

1 8.86o 1 9.277 11.75 8 49·8 95

398.672 1 8 0.622 276·747 856.041

Fonte: Federcasa (2013).

4.3.2. LA L O CAZI O N E D E G L I A LL O G G I D I ERP

I rapporti locativi con gli assegnatari sono regolati da norme, regolamenti e procedi­ menti amministrativi risalenti all'intera "filiera" Stato-Regioni-Comuni-enti gestori; nello specifico, in tema di assegnazione alloggi lo Stato garantisce l'uniformità dei cri­ teri di assegnazione; la Regione determina le regole relativamente ai redditi di accesso e decadenza e ai criteri di priorità; il Comune emana il bando di assegnazione e gestisce la graduatoria; l'ente gestore consegna l'alloggio, contrattualizza il rapporto locativo con l'avente diritto e ne determina il canone sulla base della vigente legge regionale. In caso di verifiche amministrative successive ( peraltro obbligatorie con cadenza almeno biennale) l'ente gestore segnala al Comune le anomalie riscontrate ( perdi t a dei requisiti di permanenza per morosità e/o per variazione della situazione reddituale) richiedendo la decadenza. Tali processi evidenziano una linea gestionale che non può non risultare inefficace: la fissazione di canoni locativi prescindenti dall'impatto sui conti, l' individuazione dei soggetti assegnatari da parte di terzi determinano difficoltà operative talvolta insor­ montabili per gli enti gestori. Si configura, per di più, una evidente disparità di tratta­ mento tra gli utenti delle varie Regioni che hanno legiferato in modo disorganico e differenziato, come risulta evidente dall'analisi dei canoni percepiti ( TAB. 4.2). 92

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER

TABELLA 4 . 2

Canone medio di locazione 20 I I Canone medio di locazione lO I I (su campione di 47 l.ooo alloggi) Canone medio mensile in euro Canone medio annuo in euro

Nord Centro Sud Italia

1.462 1.313 76 8 1.262

I 22

Fonte: Federcasa (l013).

4·3·3· LA VENDITA D E G L I A L L O G G I DI E RP

Anche per quanto concerne la vendita degli alloggi patrimoniali, gli enti gestori fungo­ no da meri esecutori rispetto a quanto stabilito dalle leggi nazionali e regionali. La legge quadro è rappresentata tuttora dalla s6o del 1993, declinata successiva­ mente dalle singole Regioni in modo differenziato sia rispetto alla definizione dei re­ quisiti degli aventi diritto, sia rispetto alla definizione del prezzo di vendita fissato sulla base di valori convenzionali (TAB. 4.3). Ne consegue, anche in questo caso, un quadro fortemente sperequato. TABELLA 4·3

Prezzi medi di vendita Prezzi medi di vendita (espressi in euro)

Nord Centro Sud Italia

lO O I

lOOS

lO II

1 7·930 3o.66o 1 1.896 1 8.343

34.811 23·559 21.017 24.610

6 6.149 22.171 23.840 39·144

Fonte: Federcasa (l013).

Quelli evidenziati sono valori, sia pur nella loro diversa riferibilità territoriale, che de­ notano una notevole distanza rispetto alle quotazioni di mercato. Ne sono riprova i prezzi di successiva compravendita degli alloggi a suo tempo riscattati, che mediamen­ te vedono un quadruplicarsi dell'importo di cessione. Dall'entrata in vigore della legge 590/1993, sono stati venduti oltre 19o.ooo allog­ gi e, al netto delle nuove costruzioni, il saldo finale del patrimonio pubblico è negativo per s 6.ooo unità. Se la finalità originaria della norma era dismettere parte del patrimonio per realiz­ zarne di nuovo e, in via del tutto residuale, per compensare i deficit di gestione degli enti gestori, nell'evoluzione applicativa corretta dalle legislazioni regionali, in mancan­ za di forme alternative di compensazione, il secondo aspetto è risultato prevalente. 93

PAOLO C IAMPI

Peraltro, tenuto conto dei prezzi di vendita, il rapporto di conversione alloggi ceduti/ alloggi costruiti è mediamente di 3 a 1. '

4 · 3 · 4· I L CAS O DELL AT E R D ELLA P ROVI N C IA D I LATINA

Può risultare utile analizzare gli aspetti gestionali dell'ATER della Provincia di Latina (di cui alla TAB. 4.4), presentando gli stessi, per ubicazione geografica e per entità del patrimonio gestito, diversi aspetti - con un buon grado di approssimazione - media­ mente riferibili al sistema complessivo degli enti gestori. Nella Regione Lazio, al di là degli alloggi popolari di proprietà dei Comuni, il patrimonio immobiliare di ERP consiste in circa I o o. o o o alloggi, gestiti da sette azien­ de territoriali corrispondenti ai cinque Comuni capoluogo, più il comprensorio della Provincia di Roma e il comprensorio di Civitavecchia. Il settore sta per essere investito dagli organi regionali di una riforma non più rinviabile, pena il collasso economico finanziario delle aziende. L'economicità delle attività poste in essere, in termini di pareggio costi/ricavi pre­ visto dalla legge istitutiva (L.R. 30/2002) e connaturato allo status di enti pubblici economici, è strutturalmente inattuabile dato l'attuale quadro normativa che interessa i canoni e i prezzi di vendita. Al di là dei necessari interventi finalizzati all'efficienta­ mento dei processi e alla riduzione dei costi, l'attuale legislazione rende inattuabile tale obiettivo, mettendo a rischio la continuità operativa e la sostenibilità dell'eroga­ zione dei servizi. Sul piano dei ricavi, non si può non rilevare l'inadeguatezza dei canoni di loca­ zione che, nella Regione Lazio, si attestano sui livelli più bassi nel panorama dell'edi­ lizia residenziale pubblica del paese (so euro mensili circa). Le modalità di determi­ nazione dei canoni di locazione, anche successivamente all'emanazione della L.R. 6 agosto I999, n. I2 (Disciplina dellefunzioni amministrative regionali e locali in materia di edilizia residenziale pubblica), sono rimaste quelle previste dalla L.R. 26 giugno I987, n. 33, così come modificata dall'art. 284 della L.R. IO maggio 200I, n. I O. Infatti i 7,75 euro mensili del canone sociale (riferibili cioè alla fascia di reddito più bassa) derivano dalla m era conversione in euro delle I s . o o o lire previste dall'art. 39 della L. R. 33/1987. A puro titolo esemplificativo, si precisa che all'epoca dell'individuazione di tale importo ( I987 ), lo stesso rappresentava il 7% della pensione sociale; attualmente, tale valore si attesta all' I,S %. Volendo ristabilire l'originaria incidenza sugli attuali livelli di pensione sociale, oggi come oggi il canone di fascia più bassa dovrebbe attestarsi sui 35 euro mensili. Qualche considerazione di utilità generale rispetto alla tabella suesposta: l'applicazione della normativa sulla determinazione del canone (basata sul reddito degli assegnatari) ha comportato dal 2oi2 al 20I3 una diminuzione del monte canoni 94

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER

TABELLA 4 · 4

Dati gestionali d i sintesi dell 'ATER della Provincia d i Latina Alloggi ERP Alloggi di terzi Alloggi edilizia agevolata Locali Alloggi venduti Affitto medio mensile alloggi ERP Affitto medio mensile canone calmierato Ricavi da cessioni Valore di realizzo medio

anno 2.013

anno 2.012.

7·055 1 94 107 246 42 € 51,46 € 237.53 € 1.189.000 € 28.ooo

7.120 154 IOO 236 76 € 51,40 € 235,83 € 2.674.000 € 35.000

3·631 305 374 530 4·840 30% 1.413 s63 3·133 168

4·148 283 407 502 5·340 28% 2.230 890 3·475 288

127 199 66 313 58 26

1.050 22

55 128

59 120

1.545 449 838 653 196

5·318 223 1.1 8 6 716

Dati finanziari (in migliaia di euro)

Fitti ERP Fitti canone calmierato Fitti locali Indennità occupazione Totale introiti da canoni Morosità d'esercizio canoni ERP Costo manutenzione Spese generali Costo personale Costo organi aziendali Tasse (in migliaia di euro)

IMU IRES IRAP IVA indetraibile Imposta di registro Altre imposte e tasse

836 44 14

Personale dipendente

Totale Alloggi per addetto Investimenti (in migliaia di euro)

Investimenti nuove costruzioni/ristrutturazioni Investimenti manutenzione straordinaria Costo medio complessivo annuo (per alloggio, tasse comprese) Incasso annuo (per alloggio) Morosità (3o%) (per alloggio/annua) Morosità (28%) (per alloggio/annua) Differenza costi/ricavi annua per alloggio ERP Fonte: ATER Provincia di Latina.

95

381

200 670

PAOLO C IAMPI

del I3%; al di là dell'inadeguatezza intrinseca, in un periodo di progressivo peggiora­ mento della redditualità delle fasce sociali medio-basse, è da attendersi un'ulteriore contrazione del monte affitti; le uniche leve aziendali attivabili (a fronte della predeterminazione esogena dei ricavi) sono quelle relative ai costi, principalmente quelli riferibili alla manutenzione e al personale. Averle attestate su livelli minimali non ulteriormente comprimibili (con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità del servizio erogato), ha comportato nel periodo di riferimento una diminuzione del deficit gestionale per alloggi, non certo il suo azzeramento; se la vendita degli alloggi fosse stata attuata con prezzi di vendita medi di 6o.ooo euro ( livello ancora ampiamente al di sotto delle quotazioni di mercato), si sarebbe potuto compensare, a parità di condizioni, il deficit di gestione; il fitto medio degli alloggi locati a canone calmierato, pur attestandosi alla metà dei valori di mercato, è cinque volte maggiore del canone medio degli alloggi di ERP; ne deriva che, potendo aumentare in modo significativo la differenziazione dell'offerta abitativa con un aumento della quota dell'edilizia agevolata, ne conseguirebbero mar­ gini di finanzi abilità riportabili all'edilizia sovvenzionata; la morosità crescente rappresenta sempre più un ulteriore costo incomprimibile, atteso che le azioni attivabili, oltre che spesso inefficaci, comporterebbero ricadute so­ ciali rilevanti; dal punto di vista operativo, del resto, i Comuni che adottassero i prov­ vedimenti amministrativi di decadenza per morosità, dovrebbero gestire la conseguen­ te ulteriore emergenza abitativa. Si tratta pertanto di stabilire chi debba sostenere l'o­ nere della morosità cosiddetta "incolpevole" perché dovuta al disagio socio-economico degli assegnatari. Occorre peraltro specificare che il 30% degli assegnatari percepisce redditi inferiori ai Io.ooo euro annui, con tutto ciò che ne consegue in termini di disa­ gio economico. 4· 4

I dati dell 'emergenza abitativa

Rispetto alle criticità viste, per l'ATER Latina ma più in generale, che riguardano la gestione del patrimonio esistente, rimane da capire quale sarebbe l'area di intervento allorquando gli enti gestori fossero in grado di intercettare la domanda abitativa, deli­ neandone l'entità e le tipologie. La "questione abitativa" ha assunto ormai in Italia livelli tali da essere connotata dagli elementi tipici di un'emergenza sociale. La percentuale degli alloggi sociali calco­ lata sul patrimonio abitativo totale è, nel nostro paese, al di sotto del s%, condizione comune con Spagna, Portogallo e Grecia, contro una media del 25% degli altri paesi europei. A fronte di tale condizione, si registrano giacenti nei Comuni circa 6so.ooo

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER domande per l'assegnazione di un alloggio ( Federcasa, 201 1 ) , rappresentative di alme­ no 2 milioni di persone in situazione di bisogno, con possibilità di accoglimento del tutto residuali ( Federcasa, 2014 ) . L'ERP risponde oggi ad un quota minima di popolazione ( rappresenta il 4% dell' intero patrimonio abitativo e il 2o% di quello in locazione, una delle quote più basse d ' Europa ) . Il mercato privato, dal canto suo, ha prodotto aumenti dei canoni di affitto di oltre il 100% nell'ultimo decennio e, anche al netto delle recenti flessio­ ni, presenta oggi livelli insostenibili e non consente il decollo di strumenti di calmie­ ramento per gli scarsi incentivi messi in campo. Ad aggravare ulteriormente la situa­ zione c 'è da rilevare la ulteriore forte emergenza rappresentata dagli sfratti, ed in particolare da quelli per morosità, passati dalle percentuali irrisorie dei primi anni Ottanta all'attuale 90% del totale delle sentenze emesse ( 265.000 negli ultimi 5 an­ ni ) . Alcuni dati forniscono contezza delle dimensioni effettive dell'area del disagio : 4 milioni di giovani tra i 25 ed i 39 anni risiedono ancora nella famiglia di origine; 4 milioni di lavoratori stranieri vivono in affitto, l ' S o % in coabitazione ed in condizio­ ni di sovraffollamento. Delle famiglie che sono attualmente in locazione, oltre il 70% ( 2,3 milioni di nuclei familiari ) ha un reddito inferiore ai 30.ooo euro annui e vive in prevalenza nelle grandi aree metropolitane, dove gli affitti sono più elevati; delle fa­ miglie che abitano in proprietà, il 2o% ( 3,3 milioni ) deve assolvere al pagamento di un mutuo. Ne consegue che il "mercato" potenziale esprime una domanda forte, peraltro articolata e differenziata rispetto ai soggetti interessati ( edilizia sovvenzionata/ agevo­ lata) . Una recente stima di Federcasa effettuata sulla base di diversi Comuni campio­ ne, valuta in questi termini il fabbisogno della sola edilizia residenziale pubblica ( TAB. 4·5 ) : TABELLA 4 · 5

Domande di assegnazione di alloggi ERP in graduatoria Domande di assegnazione di alloggi ERP in graduatoria

Nord Centro Sud Italia

288.6u 122.606 23 5.228 646·445

Fonte: Federcasa (2011).

In sostanza, per far fronte interamente alle richieste di assegnazione presentate presso i Comuni occorrerebbe quasi raddoppiare l 'intero stock abitativo di edilizia residen­ ziale pubblica attualmente esistente. 97

PAOLO C IAMPI

4· 5

Il futuro degli enti gestori del patrimonio di ERP

Rimane ora da capire quale ruolo gli enti gestori possano svolgere in un ambito così complesso, caratterizzato dalla mancanza di concreti indirizzi generali ed esecutivi e dalla scarsità di risorse e, in sintesi, di progettualità. 4·5 · 1·

PRIMUM VIVERE ...

Si dà per assunta la necessità di strutture territoriali che capillarmente gestiscano un patrimonio di rilevante entità, sia dal punto di vista tecnico-manutentivo che ammini­ strativo. L'alternativa sarebbe avvalersi in outsourcing della fornitura di tali servizi, ma le più recenti esperienze in tal senso che hanno riguardato il patrimonio di ERP di proprietà dei Comuni (Napoli e Roma, ad esempio) non sembrano aver corrisposto a criteri e modalità gestionali efficaci. Né le strutture dei Comuni sembrano in grado di sopportare e supportare tali attività, atteso che spessissimo viene delegata la gestione degli alloggi di rispettiva pertinenza proprio alle aziende per la casa. Se pertanto, perlomeno con riferimento alla gestione del patrimonio esistente, gli enti/ aziende/ società eredi degli IACP svolgono una funzione peculiare e insostituibile, la successiva domanda da porsi è se gli stessi siano nelle condizioni di poter adeguata­ mente svolgere il proprio ruolo. Ebbene, al di là di qualche condizione di bestpractice favorita da una particolare legislazione regionale che, purtroppo, non può assurgere a livello di paradigma, sulla base di quanto precedentemente evidenziato dovrebbe risul­ tare chiaro come, nel medio se non nel breve periodo, il sistema rischi il collasso; sem­ pre più frequenti sono le notizie di gravi difficoltà finanziarie degli enti gestori del Nord, del Centro e del Sud Italia. Il comparto si trova ormai in una condizione di default tecnico ; se ci fosse una holding settoriale, ci troveremmo nelle condizioni di dover attivare una procedura concorsuale, rispetto alla conclamata incapienza dei costi nei ricavi. La trasformazione degli IACP in enti pubblici economici è stata funzionale ad un processo di "aziendalizzazione", finalizzato a potenziare il loro ruolo manageriale nel "mercato" dell'edilizia residenziale pubblica. Questa presunta "sburocratizzazione" si è scontrata, fatalmente, contro i vincoli dirigistici della filiera Stato-Regione-Comune, i tre soggetti che, a vario titolo, predeterminano i livelli dei ricavi a prescindere dalla stima dei costi ed individuano i soggetti "clienti", lasciando le aziende per la casa a dover approntare bilanci con strutture dei conti fondate su variabili indipendenti (i ricavi) e voci di costo entro certi limiti incomprimibili (manutenzione, personale). Date le note condizioni della finanza pubblica, può il sistema di welfare continuare a garantire un canone medio di 105 euro mensili e un prezzo medio di riscatto di euro 39.144? Se la risposta fosse affermativa, anche a costo di voler continuare a garantire quelli

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER

che a giusto titolo potrebbero essere percepiti come dei privilegi, si tratterebbe comun­ que di individuarne la fonte di finanziamento. Ebbene, fino ad ora agli enti gestori sono stati attribuiti compiti di carattere assistenziale senza individuare una compensa­ zione economica rispetto a canoni non in grado di coprire i costi di gestione corrente né, tantomeno, accantonamenti per manutenzione programmata ed ammortamento degli investimenti. Ciò si verifica nonostante il D.M. 22 aprile 2008 ( ricettivo della decisione 2oos/842/cE), nel formulare la definizione di "alloggio sociale", abbia previ­ sto la possibilità di compensare, attraverso un sostegno finanziario dello Stato, i costi specifici relativi agli obblighi di servizio pubblico come quello in questione, tenendo conto dei relativi introiti, nonché - addirittura - di un margine di utile ragionevole. Piuttosto, si rende necessaria una revisione generale che consenta di superare la frammentarietà e le incongruenze del settore e che riconduca ad un governo effettivo dei processi afferenti le politiche abitative, di cui gli enti gestori rappresentano il riferi­ mento territoriale e funzionale. Ciò potrà avvenire mediante : l'armonizzazione delle diverse forme giuridiche degli enti gestori ( fin qui enti pub­ blici economici, enti pubblici non economici, istituti di diritto pubblico, società per azioni, società consortili ) , tenuto conto che una normativa nazionale, per quanto d' in­ dirizzo e di fissazione di principi, non può conoscere diverse declinazioni a seconda del modello operativo degli attori in campo; la fissazione di costi standard, sul modello della sanità pubblica, che consenta di disporre di parametri predefiniti, ovvero benchmarks settoriali, per quanto attiene al numero di addetti per alloggio, alle quote di manutenzione ordinaria e programmata, ai costi generali; la previsione di una forma di compensazione costi/ricavi attraverso la stipula di specifici contratti di servizio e/o l'elaborazione di piani economico-finanziari sul mo­ dello della concessione dei servizi pubblici. La relativa fonte di finanziamento potrà essere endogena ( aumento dei canoni di locazione con criteri di progressività sulle ba­ si reddituali degli assegnatari ) o a carico della fiscalità generale, qualora si ritenesse di dover continuare a garantire gli attuali livelli assistenziali. 4·5·2. G L I AMBITI D ' INT ERVENT O PER AUMENTA RE L' O FFERTA ABITATIVA

Dato il contesto di riferimento sin qui delineato, volendo individuare dei campi d'a­ zione - per quanto più o meno residuali -, che possano vedere l' intervento degli enti/ aziende non più e non solo per la gestione del patrimonio esistente ma anche finalizza­ to all 'aumento dell'offerta ahi tativa, è utile analizzare le opportunità riferibili a ciascun ambito operativo. La particolarità e forse l'unicità del ruolo di questi attori è costituita dalla possibi­ lità di azione in ben tre dei quattro ambiti d'intervento dell'edilizia residenziale soda-

99

PAOLO CIAMPI

le, potendo essi in questo modo garantire quel mix sociale, più volte individuato come fattore di successo dei nuovi interventi edilizi. FIGURA 4.2 Gli ambiti operativi delle "aziende casa"

A: Area intervento ATER

Fonte: elaborazione dell'autore.

' 4·S·3· L EDI LI Z IA SOVVENZ I O NATA

I più recenti interventi normativi, in considerazione dei mutamenti sociali intercorsi, hanno comportato l'allargamento della fascia sociale interessata, intervenendo priori­ tariamente su un· area di disagio sociale non estremo. Rimane da capire, conseguente­ mente, quali siano le possibilità di intercettare la domanda abitativa di chi, per condi­ zione sociale, non rientra nella "fascia grigia", ovvero le oltre 64o.ooo famiglie che hanno presentato domanda di assegnazione di una "casa popolare': Superato il problema della scarsità/ onerosità delle aree edificatorie ( per effetto della cosiddetta "urbanistica negoziata", ovvero concessione in perequazione di volumi edificatori in cambio della cessione di superfici ) , rimane il tema del finanziamento dei nuovi interventi. Andando a ritroso nel tempo, è noto come i primissimi interventi di edilizia sociale, antecedenti agli anni Cinquanta, siano stati realizzati mediante il ricor­ so a mutui fondiari da parte dei soggetti attuatori, IAC P in primis. Se dunque dovesse perdurare la latitanza finanziaria del sistema Stato-Regioni nel "sovvenzionare" il com­ parto, quantomeno potrebbero essere attuate politiche impulsive e facilitatorie per l'accesso al credito, mediante, ad esempio, l' istituzione di fondi rotativi e/ o l' accensio­ ne di linee di credito a plafond. Altra possibilità per aumentare l'offerta abitativa è quella garantita da un utilizzo più dinamico dello stock esistente di edilizia residenziale pubblica. Le attuali legislazioni regionali favoriscono e determinano, di fatto, in capo al soggetto beneficiario una sorta di "diritto di proprietà" talvolta estendibile a familiari, piuttosto che garantire una rota­ zione degli assegnatari sulla base del mutamento delle rispettive condizioni reddituali. IOO

4· NUOVE FORME DI OPERATIVITÀ PER LE ATER Non disponendo di un indice sintetico di rotazione, a titolo puramente esemplifi­ cativo si riporta il dato che ha interessato nel 2013 l'ATER della Provincia di Latina ( TAB. 4.6). TABELLA 4.6

Riassegnazione di alloggi di ERP Riassegnazione di alloggi di ERP

Numero alloggi

Patrimonio complessivo

%

7·055

1,1 3

Fonte: ATER Provincia di Latina.

Ovviamente l'attivazione di subentri frequenti imporrebbe un' intensa attività manu­ tentiva che dovrebbe essere pianificata e, soprattutto, finanziata. In tal senso ha opera­ to il recente "decreto Lupi", laddove ha previsto lo stanziamento di so o milioni di euro da destinarsi alla manutenzione degli alloggi cosiddetti "di risultà'. 4·S·4· L' HOUSING SO CIALE È un "mercato" - quello che include, per analogia dei soggetti destinatari, l'edilizia

agevolata e l'edilizia sociale di mercato -, nell'ambito del quale il ruolo degli enti ge­ stori è concorrenziale rispetto ad altri operatori privati ma anche sinergico, tenuto con­ to che alla base delle diverse tipologie d'intervento è stata individuata la promozione della partnership pubblico/privato ( cosiddetta "sussidiarietà orizzontale"). Per quanto concerne le esperienze di edilizia agevolata - e con riferimento all 'ATER della Provincia di Latina che negli ultimi anni ha messo in campo iniziative che hanno permesso l'acquisizione di 100 alloggi ( cfr. TAB. 4.4, voce: Alloggi edilizia agevolata) -, vanno rilevati i seguenti punti di forza: vantaggi economici per gli utenti ( fitto medio inferiore del 3o% al "canone concordato" ex lege 431/1998, possibile grazie alla rinuncia all"'utile d'impresà'); vantaggi economici per l'ente gestore ( fitto medio cinque volte superiore a quello ERP, morosità minimale). Riuscire a riequilibrare il portafoglio immobiliare degli enti gestori potenziando la quota parte di "agevolata", oltre al vantaggio di consentire una differenziazione dell'offerta, ovvero una capacità di rispondere a più ampie forme di bisogno, consenti­ rebbe il conseguimento di surplus economico-finanziari da poter destinare agli inter­ venti di "sovvenzionata". Peraltro, dato il livello dei canoni percepiti, eventuali finan­ ziamenti ottenuti mediante accesso al credito bancario avrebbero una natura auto-li­ quidante, evitando, dunque, che i piani di ammortamento impattino sul conto econo­ mico delle aziende. Infine, è indubbio e va segnalato come le opportunità più innovative siano quelle 101

PAOLO C IAMPI

che originano dai fondi di investimento immobiliare, e quindi dal Fondo investimenti per l'abitare ( FIA ) gestito da CDP Investimenti SGR. Il meccanismo del funzionamento del Sistema integrato dei fondi, normato dal D.P.C.M. I6 luglio 2 0 0 9 , all'interno del quale il FIA svolge un ruolo primario, modifica radicalmente l'approccio alle politiche abitative, rispetto ad una consolidata attività ultracentenaria. Con lo stanziamento di oltre 2 miliardi di euro, che rappresenta la dotazione eco­ nomica di partenza del FIA, si è tornati, sia pur con strumenti d' intervento diversi, al ruolo d'impulso da parte dell'amministrazione centrale. Attraverso il sistema dei fondi immobiliari si passa: dal contributo a fondo perduto all' investimento ; dall' intervento edilizio al progetto sociale di formazione di una comunità sostenibile ; dall'intervento pubblico alla partnership pubblico/privato. All'interno di tali processi, l'ente gestore non può esimersi dal cogliere le oppor­ tunità che consentono un aumento dell'offerta abitativa, anche se indirettamente. Sia pure al prezzo di rinunciare al tradizionale protagonismo che nel tempo ha garantito la proprietà degli alloggi e una sostanziale autonomia, infatti, sia pure entro parametri definiti, nell' individuazione delle politiche gestionali, in tale nuovo ambito può svol­ gere ruoli importanti quali: socio finanziatore, mediante il conferimento al fondo di aree di proprietà inutiliz­ zate per mancanza di finanziamenti pubblici; gestore tecnico-amministrativo del patrimonio del fondo, con riconoscimento di specifico compenso; garante della exit strategy del fondo, mediante l'acquisizione del patrimonio inven­ duto al termine della durata dell'investimento. Con questa consapevolezza l 'ATER della Provincia di Latina e la Regione Lazio hanno attivato un tavolo con CDP Investimenti SGR per arrivare alla verifica di fattibi­ lità e all'eventuale attuazione di un programma di housing sociale di circa 3 0 0 alloggi. L' investimento complessivo è di circa 30 milioni di euro, nell'ambito del quale l'effet­ to leva che garantisce il finanziamento da parte del fondo immobiliare, cui va ad ag­ giungersi una quota pubblica di portata residuale (8o% a carico del FIA, Io% ATER mediante apporto di aree, Io% Regione Lazio mediante conferimento di equity ) rende possibile interventi altrimenti irrealizzabili per le note ed ampiamente illustrate moti­ vazioni. ,

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I02

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I03

5

Housing sociale e urbanistica: ricorso alla consensualità di Massimo Ghiloni

Gli ultimi anni hanno visto al centro dell'attenzione il tema dell 'housing sociale che non ha trovato, però, un suo organico inquadramento, anche se è stato oggetto del cosiddetto "Piano casa" finalizzato principalmente a coinvolgere nuovi soggetti finan­ ziari per soddisfare la domanda di abitazioni sociali. Non si intende in questa sede analizzare i discordanti effetti finora prodotti dal piano, bensì verificare l'evoluzione di questo settore nell'ambito della pianificazione urbanistica. s. I

Cronistoria legislativa

Per fare ciò è opportuno operare una sintetica cronistoria dell'edilizia sociale e delle tappe legislative che si sono succedute negli anni a cominciare dalla legge 167 l 1962 che inquadra l'edilizia economica e popolare nel sistema della pianificazione urbanistica introducendo un piano settoriale, ossia il Piano di Zona, che deve essere, nei Comuni medio-grandi, obbligatoriamente inserito come contenuto necessario dello strumento urbanistico generale ed è equiparato ad un piano attuativo delle zone di espansione, stabilendo altresì (in virtù della successiva legge 10/!977) che l'estensione delle zone per edilizia economica e popolare non può essere inferiore al 40% e superiore al 70% di quella necessaria a soddisfare il fabbisogno di edilizia abitativa nel decennio. Successivamente con la legge 86s/ 1971 si prevede che nei Comuni che non dispon­ gono del Piano di zona, i programmi costruttivi possono essere localizzati su aree ri­ comprese nell'ambito delle zone residenziali dei piani regolatori. Il quadro urbanistico di riferimento si è, dunque, consolidato cercando di incasto­ nare un piano settoriale nel perimetro dello strumento urbanistico generale in modo da affermare una gestione globale del territorio in grado di offrire una risposta artico­ lata alle diverse esigenze abitative. Risolto l'aspetto della pianificazione andava, però, affrontato quello della programmazione ed anche a questa problematica fu data una risposta con la legge 457/ !978 recante il Piano decennale per l'edilizia residenziale, in modo da assicurare un impegno pluriennale di finanziamento e sostegno per l'edilizia 104

S· HOUSING SOCIALE E URBANISTICA

sovvenzionata e per l'edilizia agevolata e convenzionata, cercando di coinvolgere anche gli investimenti privati. 5· 2

Programmi speciali

Quanto delineato sinteticamente è quello che potremmo definire la prima puntata di una telenovela, per cui si può ora spostare l'attenzione su cosa è successo negli ultimi venti anni, caratterizzati da interventi urgenti ed episodici sempre in attesa di una nuo­ va disciplina dell 'intervento pubblico nel settore dell'edilizia residenziale, come già previsto dalla legge 179/I992. Si è assistito, infatti, alla stagione dei programmi com­ plessi succedutisi negli anni e per i quali ogni volta si introduceva un nuovo acronimo ed una procedura speciale per adeguare (o meglio variare) le previsioni degli strumenti urbanistici, anche se spesso con risultati insoddisfacenti quanto ai tempi di attuazione. Il quadro si è poi aggravato per la progressiva riduzione dei flussi finanziari pubbli­ ci, cominciata con la distrazione per altre finalità dei contributi ex G E S CAL che garan­ tivano la continuità degli interventi. 5· 3

L'urbanistica "creativa"

A segui to di ciò, entra in gioco l'urbanistica "creativa" in sede di gestione degli strumen­ ti di pianificazione. Prima esigenza è quella di reperire le aree per l'edilizia sociale a costo zero. A livello locale sono state prese in considerazione le aree a standard che vengono cedute gratuitamente dagli interventi privati, ritenendole idonee per realizza­ re l'edilizia sociale ed affermando il principio che tale edilizia di interesse pubblico è equiparabile allo standard urbanizzativo e quindi può costituire un onere urbanizzati­ vo aggiuntivo per il privato. In altri casi, l'obiettivo può essere conseguito da una veri­ fica della disponibilità eccessiva di aree vincolate a standard rispetto alle esigenze urba­ nizzative, liberando così quote per l'edilizia sociale. L'anomalia, se vogliamo, è consi­ derare standard un edificio residenziale che richiede a sua volta standard. In alternativa a questa impostazione, viene previsto che il soggetto che promuove una rilevante trasformazione urbanistica deve cedere una porzione di aree per l'edilizia sociale ed in alcuni casi è altresì obbligato a realizzare tali interventi per i quali viene concesso un indice di edificabilità aggiuntiva o, al contrario, lo stesso è sottratto alla disponibilità di quello destinato all'edilizia privata. Anche per queste fattispecie siamo, perciò, di fronte ad un "pendolo" nei compor­ tamenti delle amministrazioni, le quali a volte riconoscono una premialità urbanistica IOS

MASSIMO GHILONI

a chi realizza una quota di housing sociale nell 'ambito dell ' intervento sul territorio, altre volte prevedono una penalizzazione. È con queste oscillazioni di comportamenti tra obblighi e premialità che si scontra il tema dell'housing sociale senza trovare un punto di equilibrio generalizzato. Per conseguire tale obiettivo, si dovrebbe predisporre, prima di tutto per esigenze di uniformità, un principio generale sulle nuove modalità di acquisizione delle aree per l'housing sociale, ricorrendo a forme di accordo consensuale tra Comune e soggetto interessato, in modo da definire le forme di concorso dei privati al soddisfacimento delle esigenze sociali di housing nel rispetto del bilanciamento degli interessi sociali ed economici, senza alterare la fattibilità economica degli interventi con l' introduzione di extraoneri a carattere unilaterale. L'urbanistica contrattata vuol dire porre al centro il rapporto pubblico-privato e dunque il contratto di gestione degli interventi secondo i criteri ispiratori della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, che rimane una delle poche riforme orga­ niche varate negli ultimi decenni. Deve essere, però, definito il confine, oggi labile, tra diritto urbanistico e codice dei contratti in modo da offrire certezze sia all'amministra­ zione che ai soggetti privati nell'impostazione delle proposte, dando così dignità alla figura del promotore ed ampliando il ricorso a forme di concorsualità. D 'altronde, ciò è conseguenza della nuova articolazione dello strumento urbanistico, sdoppiato in par­ te strutturale e in parte operativa, per cui l'amministrazione è indotta a confrontarsi con gli operatori sulla fattibilità delle scelte strategiche operate in sede di piano strut­ turale in modo da pervenire ad un accordo in una logica di amministrazione di risulta­ to e di urbanistica per operazioni. Esaminiamo ora le altre problematiche che interessano direttamente o indiretta­ mente il tema dell'housing sociale in rapporto all'urbanistica. 5·4

Nuovi modelli di gestione del piano urbanistico nell' ipotesi di riforma del governo del territorio

Le Regioni negli ultimi anni hanno introdotto, nelle loro leggi sulla pianificazione urbanistica, nuovi istituti di gestione del piano quali perequazione, compensazione e premialità. Ciò ha suscitato dubbi di legittimità sulla possibilità di intervento in una materia che rientra sostanzialmente nel regime della proprietà, di competenza esclusiva dello Stato. Il primo obiettivo di un'iniziativa assunta dal ministero delle Infrastruttu­ re e dei Trasporti, al fine di predisporre i nuovi principi generali della materia, è proprio quello di mettere in sicurezza tali normative fissando i principi che devono ispirare l 'esercizio dell'attività legislativa concorrente delle Regioni. Tali istituti: perseguono l' indifferenza delle situazioni proprietarie di fronte alle scelte urbanistiche attraverso 106



HOUSING SOCIALE E URBANISTICA

la perequazione in termini di diritti e obblighi; rappresentano una alternativa alla cor­ responsione dell 'indennità di esproprio mediante il riconoscimento di misure com­ pensative quali attribuzione di diritti edificatori o aree pubbliche in permuta; introdu­ cono forme di premialità per agevolare in particolare la riqualificazione urbana. Tutto ciò viene inquadrato nelle nuove forme di accordi di natura urbanistica tra parti pubbliche e private nella predisposizione ed attuazione della pianificazione, nel rispetto dei diversi ruoli, assicurando l'osservanza dei principi di proporzionalità, pa­ rità di trattamento, pubblicità e concorrenza. In attuazione di tali principi, si prevede che nel caso di richiesta da parte dei Comuni di oneri aggiuntivi per le trasformazioni urbanistiche deve essere riconosciuta una premialità in termini di diritti edificatori e, come corollario, che ove i diritti edificatori riconosciuti al privato nelle varie forme di gestione del piano siano annullati a seguito di varianti urbanistiche, il Comune deve riconoscere un indennizzo. Altro tema trattato riguarda il rinnovo urbano, da inten­ dersi come il costruire sul costruito, come unica effettiva alternativa al consumo del suolo, per cui devono essere poste le condizioni per realizzare politiche urbane di ri­ qualificazione, sostituzione e rifunzionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, superando l'intervento occasionale che non produce effetti urbanistici. A tal fine, si prevede una nuova articolazione e graduazione degli incentivi finanziari ed urbanistici finalizzati principalmente alla densificazione edilizia ed al miglioramento sismico ed energetico. L'ulteriore obiettivo da perseguire riguarda la previsione di strumenti in grado di contrastare l' inerzia dei privati che ostacolano le operazioni di rinnovo urba­ no, attraverso forme di negoziazione diretta tra Comune e soggetti interessati e l'ado­ zione, in caso di esito negativo, di forme coercitive. S·S

Il ruolo delle dismissioni pubbliche

La dismissione del patrimonio pubblico è il tema che torna di attualità ogni volta che si cerca una soluzione per ridurre il deficit pubblico, risolvendosi, però, alla prova dei fatti, nella postazione di una voce in bilancio, senza indagare poi sulla insufficienza dei risultati conseguiti nella fase attuativa. Queste operazioni hanno sollevato dubbi anche a livello europeo in ordine alla loro concreta potenzialità di ridurre il debito pubblico, considerate proprio le pregresse esperienze in termini quantitativi. A ciò si aggiunga la non precisa identificazione delle finalità delle operazioni: valorizzazione; alienazione; assegnazione in diritto di superficie. Ogni volta si cerca di rimuovere alcuni ostacoli come ha fatto da ultimo il D.L. I33/20I3, convertito nella legge s/20I4, ma queste di­ sposizioni si limitano a fornire chiarimenti ed integrazioni ad un procedimento che continua ad essere una corsa a ostacoli relativamente a molti aspetti, quali i rapporti con il ministero della Difesa, le Regioni ed i Comuni nonché la pluralità degli strumenti I07

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societari e finanziari. Centrale è poi la definizione delle nuove destinazioni, in merito alle quali si oscilla tra intese preventive, procedure speciali per le varianti, interventi sostitutivi, ricorso al permesso di costruire in deroga, coinvolgimento degli enti pro­ prietari degli immobili pubblici nella fase di redazione degli strumenti urbanistici. Nel merito, si va dal ricorso alla predeterminazione unilaterale di una o più destinazioni d'uso al riconoscimento delle capacità propositive dei privati in una logica di bilancia­ mento degli interessi. Come si vede siamo di fronte al solito ginepraio delle procedure che non conduce alla scelta di elaborare linee guida a carattere generale, bensì a soluzioni di carattere straordinario che non risolvono a regime il problema e lasciano invariato l'ormai obso­ leto quadro di riferimento anche in questo caso a causa della perdurante assenza di una riforma del governo del territorio. Non esiste, però, solo la finalità della riduzione del debito pubblico, in quanto la dismissione può e deve essere valutata anche in termini di potenziale volano per una concreta poli tic a di riqualificazione urbana mirata anche all'edilizia sociale, considera­ ta anche la progressiva riduzione della contribuzione pubblica. Ciò vuol dire affronta­ re temi quali i deficit urbanizzativi pregressi, la rigenerazione delle vecchie periferie, la delocalizzazione di impianti ubicati in sedi ormai incongrue, anche per dare una rispo­ sta all'esigenza di ridurre il consumo del suolo. Difatti, il periodo dell'espansione urba­ na è stato agevolato dalla ampia disponibilità di aree edificabili per rispondere all'ele­ vata domanda di abitazioni, mentre la riqualificazione sconta una rarefazione della materia prima concretamente disponibile, dovuta alla parcellizzazione delle proprietà immobiliari, al non riutilizzo di impianti produttivi dismessi, all'insufficienza di poli­ tiche finalizzate alla sostituzione edilizia ed alla densificazione edilizia. Gli strumenti urbanistici di nuova generazione cercano di delineare nuove strategie, ma non sono ancora sorretti da efficaci procedure gestionali. La dismissione del patrimonio pubblico può, perciò, rappresentare una reale svolta per la riqualificazione urbana, in quanto può immettere nel mercato la materia prima in grado di riequilibrare gli squilibri tra domanda ed offerta e di ricreare l'effetto città in zone edificate nella logica di costruire una casa dopo l'altra senza un disegno di compo­ sizione urbana. Anche il tema delle destinazioni d'uso deve essere incentrato sulle po­ tenziali compatibilità, ossia: il Comune stabilisce quelle assolutamente vietate, mentre le altre principali e complementari possono coesistere senza limitazioni percentuali consentendo anche il successivo passaggio dall'una all'altra grazie a nuovi standard ur­ banizzativi polifunzionali. Le eventuali forme di recupero del plusvalore indotto dalla riqualificazione non dovrebbero rispondere ad una logica di entrate finanziarie, bensì essere finalizzate alla dotazione di servizi ed infrastrutture della zona. Da ultimo devono essere introdotte nuove forme concorsuali per la valutazione delle proposte dei privati, quale il dialogo competitivo. Occorre, dunque scegliere tra dismissioni come contribu­ to alla riduzione del deficit oppure come volano per la riqualificazione urbana. 108



HOUSING SOCIALE E URBANISTICA

s.6

Il decreto casa 47 l 201 4 per gli alloggi sociali in locazione

Il D.L. 47 l 20I4, convertito nella legge 8 o/20I4, cosiddetto "decreto casa", reca misure urgenti per l'emergenza abitativa e per il mercato delle costruzioni ed è principalmente finalizzato a rilanciare il mercato delle locazioni e dell'alienazione e manutenzione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. In particolare, l'art. IO intende aumenta­ re l'offerta di alloggi sociali senza consumo del suolo nell'ambito di politiche urbane mirate ad un processo integrato di rigenerazione delle aree urbanizzate e dei tessuti edilizi esistenti. Si cerca perciò di riproporre il collegamento tra l'edilizia sociale e la pianificazione in modo da proporre interventi organici. La dotazione del provvedi­ mento è alquanto limitata, Io o milioni di euro, per cui è necessario far ricorso ad inve­ stimenti privati costruendo un sistema di convenienze urbanistiche in grado di solleci­ tare risposte positive da parte del mercato in modo da contribuire alla risoluzione di una problematica di interesse generale che si è particolarmente acuita in questi ultimi tempi a causa della crisi economica. Viene ampliata la nozione di edilizia sociale ricomprendendo l'insieme delle unità immobiliari residenziali da concedere in locazione a soggetti svantaggiati che non sono in grado di accedere agli alloggi a condizioni di mercato, nonché le residenze universi­ tarie, con vincolo di destinazione non inferiore a quindici anni e quelle con patto di futura vendita per un periodo non inferiore ad otto anni. È altresì inserita una norma che suscita qualche problema interpretativo, in quanto si afferma che le aree e gli im­ mobili da destinare all'edilizia sociale non si computano ai fini delle quantità minime inderogabili di standard urbanistici previsti dal D.M. I444/ 1968. La disposizione si presta, infatti, a diverse interpretazioni, ossia: gli alloggi sociali non sono equiparati agli standard a differenza di quanto stabilito in altri provvedimenti; gli stessi non ri­ chiedono standard, in contraddizione con l'obbligo della dotazione di urbanizzazioni funzionale ad ogni intervento (salvo non far gravare i relativi oneri urbanizzativi a ca­ rico del fondo previsto dal comma 10° del D.L. 47/2014). Indubbiamente sarebbe op­ portuno un chiarimento, poiché se si è in presenza di una deroga al regime ordinario la stessa deve essere espressa in modo chiaro ed univoco ed adeguatamente motivata in relazione agli obiettivi di interesse pubblico che si intendono perseguire. In coerenza con l'obiettivo di non incidere sull'ulteriore consumo del suolo si cir­ coscrive r ambito oggettivo del provvedimento, in quanto si applica al patrimonio edi­ lizio esistente nei Comuni ad alta tensione abitativa, ricomprendendo anche gli immo­ bili non ultimati e gli interventi non ancora avviati oggetto di titoli abilitativi rilasciati entro la data di entrata in vigore del decreto, ovvero regolati da convenzioni urbanisti­ che stipulate e vigenti alla stessa data. Posti questi paletti temporali, si elencano gli in­ terventi ammissibili: ristrutturazione edilizia; restauro e risanamento ; manutenzione straordinaria; sostituzione edilizia (categoria non formalmente codificata nel testo 109

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unico dell'edilizia) , ossia la demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma nel rispetto delle condizioni fissate dal D.L. 69/2013, e diverso sedime nel lotto di riferi­ mento comunque dotato di infrastrutture e servizi (espressione che ripropone il tema sopra accennato dell'esistenza degli standard) ; variazione della destinazione d'uso di edifici anche senza opere; creazione di servizi e funzioni connesse e complementari alla residenza ed al commercio con esclusione delle grandi strutture di vendita per ga­ rantire l'integrazione sociale degli inquilini degli alloggi sociali; edilizia abitativa con gestione collettiva dei servizi; recupero di immobili fatiscenti o da dismettere esistenti nei centri storici e nelle periferie (ipotesi particolarmente interessante in relazione ai problemi di rifunzionalizzazione di questi edifici); alloggi di edilizia temporanea per residenti di immobili di edilizia residenziale pubblica in corso di ristrutturazione o per soggetti sottoposti a procedure di sfratto. A fronte del concorso alla risoluzione del problema della disponibilità di alloggi sociali si offrono, oltre ad agevolazioni fiscali, i seguenti incentivi urbanistici: riduzione degli oneri di urbanizzazione, concessione di premialità volumetriche previste dalle leg­ gi sulla riqualificazione; deroghe alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, fatta ecce­ zione per la creazione di servizi e per gli interventi di sostituzione edilizia (salvo che non siano riconducibili alla categoria della ristrutturazione edilizia come disciplinata dal testo unico dell'edilizia). Specifiche limitazioni sono stabilite per i centri storici e sono esclusi gli edifici abusivi o si ti in aree ad inedificabilità assoluta e viene richiamato l'ob­ bligo del rispetto dei vincoli artistici, storici, archeologici, paesaggistici ed ambientali e delle norme di carattere igienico sanitario, della destinazione agricola e degli obiettivi di qualità dei suoli. La realizzazione degli interventi è sottoposta alla condizione della stipula di una convenzione tra Comune e soggetto interessato con la previsione di clau­ sole sanzionatorie per il mancato rispetto del vincolo di destinazione d'uso. In sintesi, il nuovo provvedimento sull'edilizia sociale ribadisce implicitamente la carenza di consistenti flussi finanziari pubblici e rilancia il tema della cosiddetta "mo­ neta urbanisticà', ossia la concessione di incentivi urbanistici rivolgendosi alle iniziati­ ve in corso per dare una risposta in tempi brevi alla domanda esistente. 5·7

L' housing sociale e la rigenerazione delle periferie

Nel quadro della significativa riconduzione dell'housing sociale nell'ambito della ri­ qualificazione urbana, che auspicabilmente dovrebbe essere la componente principale delle future trasformazioni urbanistiche, nel corso degli ultimi anni, in particolare quello delle periferie delle grandi città è un tema che è tornato alla ribalta a causa della inadeguatezza delle politiche finora perseguite. La maggior parte delle città sono carat­ terizzate infatti, al loro interno, da zone contrassegnate da situazioni di degrado anche 110



HOUSING SOCIALE E URBANISTICA

fisico, dalle quali non è possibile prescindere in una logica di rigenerazione delle realtà urbane. Le periferie sono, infatti, la conseguenza di una produzione edilizia che, in un determinato periodo storico, ha privilegiato la quantità piuttosto che la qualità intesa nel senso più ampio del termine ( architettonica, tecnologica e strutturale ) , per cui og­ gi la semplice manutenzione degli edifici ha effetti non risolutivi rispetto alle proble­ matiche esistenti. Ciò impone di avviare una nuova politica di rinnovamento urbano, in sostanziale accordo tra l'altro con l'ipotesi di riforma del governo del territorio appena vista, che abbia come punti di forza la sostituzione edilizia, la delocalizzazione degli edifici ubi­ cati in zone divenute incongrue, l'impiego di materiali e tecniche edilizie eco-sosteni­ bili volte ad assicurare il risparmio energetico, l'utilizzo di fonti rinnovabili e l'adegua­ mento antisismico. È evidente, però, che per far realmente decollare la riqualificazione occorre indivi­ duare norme e procedure in grado di superare l' immobilismo della proprietà ed il fra­ zionamento di essa, le lungaggini procedurali e l'incertezza nei tempi di realizzazione delle opere. Ciò che si deve porre in essere è un contratto di riqualificazione condivisa che crei un sistema di convenienze per tutti i soggetti coinvolti : dall'intera collettività residente nell'ambito territoriale, ai singoli proprietari, nonché agli operatori privati. Uno dei principali ostacoli ai programmi di riqualificazione è rappresentato, in­ dubbiamente, dalla struttura stessa delle periferie, caratterizzate da edifici condominia­ li, con una grande parcellizzazione delle proprietà, oltre che da piccole strutture com­ merciali. In tali contesti, per poter attuare un effettivo programma di riqualificazione, attra­ verso anche la demolizione e ricostruzione, è necessario incentivare i privati a lasciare le abitazioni ed i locali per consentire l'attuazione degli interventi stessi. Andranno, pertanto, preventivamente realizzati appositi alloggi con adeguati ser­ vizi, la cosiddetta edilizia temporanea o definitiva, destinati ad ospitare i proprietari degli immobili oggetto di riqualificazione, i quali potranno poi valutare se la perma­ nenza in queste abitazioni debba essere temporanea o definitiva. La convenienza di un simile programma di riqualificazione sarà sia per i privati proprietari, sia per tutta la collettività, in quanto viene assicurato un reale processo di rigenerazione urbana, che altrimenti difficilmente si potrebbe perseguire, con positive ripercussioni anche nelle aree limitrofe, per il cosiddetto effetto domino. Inoltre, per quanto riguarda l'edilizia temporanea, questa, una volta esaurita la sua funzione, potrà essere utilizzata per far fronte alle esigenze abitative di alcune categorie di soggetti, che pur non appartenendo a ceti cosiddetti indigenti hanno difficoltà di accedere all'abitazione, quali giovani coppie, studenti, lavoratori fuori sede, con evi­ denti ricadute positive anche in termini sociali. In primo luogo, quindi, occorrerà individuare le aree da destinare alla cosiddetta III

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edilizia temporanea o definitiva e conseguentemente gli ambiti territoriali che, a causa delle condizioni di accentuato degrado sia edilizio sia urbanistico, necessitano di rien­ trare in un programma di riqualificazione. In altri termini, il piano dovrebbe precostituire un patrimonio di aree dove realiz­ zare gli alloggi per i residenti nelle zone oggetto degli interventi di demolizione e rico­ struzione : aree che possono derivare dall'applicazione della perequazione urbanistica ovvero da obblighi di cessione delle stesse nell'ambito di convenzioni urbanistiche. Relativamente alle procedure e agli strumenti da utilizzare, occorrerà innanzi tutto promuovere forme di adesione volontaria dei proprietari degli immobili, in modo da ridurre le ipotesi di conflitto e contrasto, ma anche di evitare forme strumentali di rendite di posizione che ostacolano gli interventi, assicurando tempi certi di realizza­ zione. Per superare possibili inerzie si potrebbe prevedere l'applicazione della disciplina di cui all'art. 27 della legge 1 66/2002, che consente alla maggioranza assoluta delle proprietà degli immobili, ricompresi nel piano attuativo, di acquisire in via coattiva le aree e le costruzioni dei proprietari non aderenti. Per quanto riguarda il rapporto privatistico tra proprietari ed imprese di costruzio­ ne si possono prevedere due distinte ipotesi: i privati possono cedere le proprie quote alle imprese o conferire alle stesse apposi­ to mandato con rappresentanza; le imprese possono consorziarsi con i privati proprietari. Sotto il profilo pubblicistico, invece, l'amministrazione dovrà indire un apposito concorso pubblico per la selezione delle relative proposte di riqualificazione e la con­ seguente concessione delle aree dove realizzare alloggi temporanei e degli incentivi urbanistici. Il passaggio successivo è rappresentato dalla stipula della relativa conven­ zione, ove andranno definiti obblighi, garanzie e tempistiche, nonché le sanzioni per le inadempienze sia pubbliche sia private. L'approvazione del programma comporta la dichiarazione di pubblica utilità, in­ differibilità ed urgenza delle opere previste, in quanto il perseguimento della riqualifi­ cazione è di interesse pubblico. In tal modo si potrebbe conseguire la finalità non solo di migliorare la condizione abitativa dei singoli e l' integrazione delle varie componen­ ti sociali, ma anche di pervenire ad un contesto residenziale che consenta un sistema di relazioni urbane. Un'ipotesi particolare potrebbe essere rappresentata dagli immobili a destinazione produttiva ubicati in sede divenuta ormai impropria per i quali si potrebbe ipotizzare il ricorso alla deroga alle destinazioni d'uso contenute negli strumenti urbanistici ed ai parametri volumetrici in modo da riconvertirli ad usi residenziali, prevedendo che una quota delle nuove superfici sia destinata a soddisfare esigenze di edilizia sociale.

112



HOUSING SOCIALE E URBANISTICA

s.s

La "cassetta" degli incentivi

In questo nuovo contesto di politiche mirate all'housing sociale l'obiettivo primario è dunque quello di assicurare l'equilibrio economico degli interventi attraverso il ricorso ad incentivi urbanistici e fiscali da adattare alle singole fattispecie secondo criteri di differenziazione prefissati e non legati al caso per caso, facendo ricorso anche a proce­ dure di evidenza pubblica per selezionare le proposte e riconoscendo particolare rilievo alle capacità progettuali innovative in tema di qualità urbana. La "cassetta" degli incentivi derivanti dal ricorso alla cosiddetta "moneta urbanistica" potrebbe essere così articolata: incremento premiale dei diritti edificatori; cessione diritti edificatori a fronte della cessione di alloggi; riduzione del contributo di costruzione; esonero dal corrispettivo per l'assegnazione di aree pubbliche derivanti da forme di perequazione e compensazione ; esenzione dall' IMU e dai tributi comunali. 5·9

Le innovazioni del prodotto edilizio

A fronte di questi incentivi urbanistici vi deve essere, però, un' innovazione del prodot­ to edilizio attraverso il concorso delle tre componenti principali: impresa, progettista e amministrazione pubblica. Per le imprese che operano nel settore privato non è più rinviabile il tema della qualificazione per l'accesso alla professione edile e per il suo esercizio in modo da ga­ rantire l' immissione nel mercato di prodotti adeguati alle normative prestazionali in­ trodotte in questi ultimi anni. È altresì necessario un nuovo approccio culturale che porti ad un'alleanza tra progettisti ed imprese in grado di perseguire una nuova qualità progettuale e realizzativa della città. La qualità non è un costo, ma un plusvalore. Da parte dell'amministrazione pubblica si richiede una capacità decisionale in termini concretamente perentori, ricorrendo anche a forme di dialogo con i progettisti nel corso del procedimento per il rilascio dei titoli abilitativi. Per fare innovazione ci vuole discontinuità, ossia superare gli attuali schemi basati sul rimpallo delle responsabilità. Alla base vi deve essere il trinomio "certezza dei tem­ pi, delle regole e delle decisioni", perché sono i ritardi e la mutevolezza amministrativa che generano le distorsioni.

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6

Pubblico/privato e attore finanziario nel sistema dell'edilizia sociale di Guido Bardelli

6. 1

Introduzione

Negli ultimi anni il nostro ordinamento ha registrato una serie di interventi legislativi volti a innovare il sistema dell'edilizia residenziale in chiave sociale, per dare una rispo­ sta alla sempre più crescente emergenza abitativa. Come vedremo, sin dagli anni Duemila in Italia il bisogno di abitazione da parte dei ceti meno abbienti era stato affrontato dal sistema dell'edilizia residenziale pubbli­ ca, in parte, mediante l 'offerta di alloggi da concedere in locazione a canoni sociali e, in parte, per rispondere alla domanda di acquisto delle fasce che non potevano accede­ re al libero mercato, ma che erano comunque in grado di affrontare un costo conven­ zionato, mediante l'offerta di case realizzate da cooperative edilizie e da imprese di costruzione, da assegnare in proprietà, su aree espropriate dai Comuni o dai loro con­ sorzi. La crisi del sistema pubblico, i costi di esproprio, le maggiori difficoltà nell'accesso a fonti di finanziamento da parte delle famiglie e, non da ultimo, i nuovi bisogni di abitazione hanno imposto di individuare diverse forme di edilizia residenziale sociale maggiormente adeguate alle esigenze espresse dalla collettività, meglio note come hou­ sing sociale, perché idealmente collegate alla maturazione di una definizione comuni­ taria di questa materia. 6. 2

Il sistema di edilizia residenziale sociale e i fondi immobiliari 6.2.1. L' EVO LU Z I O N E N O RMATIVA D E LL' EDI L IZIA RES IDENZIA LE S O C IA L E E I L S ISTEMA DEI F O N D I IMMOBI L IA RI

Il sistema di housing sociale nasce dunque con l' intento primario di intercettare la domanda di quei soggetti che, sebbene non possano accedere al libero mercato, sono in grado tuttavia di sostenere canoni calmierati e prezzi di acquisto convenzionati per 114

6. PUBBLICO/PRIVATO E ATTORE FINANZIARIO

alloggi realizzati da soggetti sia pubblici che privati. Infatti, secondo la definizione del C E C O D H A S (Comitato europeo di coordinamento per l'edilizia sociale), l' housing so­ ciale è l' insieme delle attività volte a fornire soluzioni abitative per quei nuclei familia­ ri i cui bisogni non possono essere soddisfatti alle condizioni di mercato e per le quali esistono regole di assegnazione1• In questo modo tra il settore dell'edilizia residenziale pubblica, rivolto a fasce di reddito svantaggiate e finanziato con contributi interamen­ te pubblici e a fondo perduto, e l'edilizia cosiddetta libera, cioè offerta a condizioni di libero mercato, emerge una specifica fascia di utenza e di offerta abitativa. La peculia­ rità di quest 'ultimo segmento di offerta abitativa è quella di essere finanziata con inve­ stimenti privati (o pubblico-privati) mediante l' istituzione di appositi fondi immobi­ liari. Già nel 2003, ali' interno del sistema di edilizia residenziale pubblica, con la legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Finanziaria 2004 ) è rinvenibile un tentativo di rispondere alla domanda di emergenza abitativa intervenendo nel mercato degli alloggi da conce­ dere in locazione, sicché l'art. 3, comma I08°, aveva previsto l'istituzione, presso il mi­ nistero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Fondo per l'edilizia a canone speciale, con il precipuo scopo (esplicitato al comma I I0°, art. 3 ) di attuare i programmi finaliz­ zati alla costruzione e al recupero di unità immobiliari nei Comuni ad alta tensione abitativa, destinate ad essere locate a titolo di abitazione principale a canone speciale a determinati soggetti. A tal fine, il comma I I3° del citato articolo prevedeva che « i con­ tratti di locazione a canone speciale possono essere stipulati esclusivamente con sogget­ ti il cui reddito annuo complessivo, riferito al nucleo familiare, sia superiore a quello massimo previsto dalle leggi regionali per la concessione di alloggi di edilizia residen­ ziale pubblica, ma inferiore all'importo determinato, ai sensi della presente legge, dalla Regione nel cui territorio si trovano le unità immobiliari, tenuto conto dell' andamen­ to del mercato delle locazioni immobiliari e dell'incidenza tra la popolazione residen­ te delle situazioni di disagio abitativo » ; merita di essere evidenziato che il legislatore aveva individuato una categoria di destinatari "innovativa" rispetto al panorama codi­ ficato dell'edilizia residenziale pubblica, riferendosi a quei soggetti che non rientrava­ no nei parametri di reddito per poter essere assegnatari di alloggi di edilizia residenzia­ le pubblica, ma che comunque non potevano garantirsi l'accesso ad alloggi in locazio­ ne a canoni di mercato. Questa è la ragione per cui al comma II4 del citato articolo era previsto che le unità abitative, realizzate e recuperare nelle modalità descritte dal com­ ma II0°, fossero vincolate alla locazione "a canone speciale" per la durata prevista dalle convenzioni stipulate tra imprese di costruzione e Comune, e comunque per un perio­ do non inferiore a cinque anni con successivi rinnovi biennali. Da ultimo, in coerenza o

1. «Housing for households whose needs are not met by the open market and where there are rules fo r allocating housing to beneflting households » è la defìnizio ne di social housing adottata dal cECo D HAS a Salonicco nel novembre 2006.

IIS

GUIDO BARDELLI

con gli strumenti predisposti per far fronte all'emergenza abitativa, il comma 114° con­ cludeva prescrivendo che la misura del canone annuo non avrebbe dovuto essere supe­ riore al s% del valore convenzionale dell'alloggio locato. Nell'ambito di queste conven­ zioni, a loro volta, i Comuni avrebbero potuto disporre «la riduzione del contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione o al costo di costruzione ovvero l'esenzione dai contributi stessi nonché la riduzione dell'aliquota ICI » (comma 1 15°, art. 3), con­ correndo così indirettamente al finanziamento degli interventi in parola. Nel 2007, sempre con legge Finanziaria ( 244/2007 ), il legislatore interveniva nuo­ vamente in materia di edilizia residenziale sociale prevedendo all'art. 1, comma 258°, che «negli strumenti urbanistici sono definiti ambiti la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari, singoli o in forma consortile, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in rapporto al fabbisogno locale e in relazione all'entità e al valore della trasformazione. In tali ambiti è possibile prevede­ re, inoltre, l'eventuale fornitura di alloggi a canone calmierato, concordato e sociale » . All'interno della strumentazione urbanistica era dunque prevista la necessità d i indivi­ duare ambiti territoriali da trasformare attraverso la cessione gratuita di aree o immobi­ li da destinare a edilizia residenziale sociale, con possibilità di fornire alloggi a canone calmierato: l'edilizia residenziale sociale acquistava così una valenza territoriale, entran­ do nel mix funzionale della residenza con una connotazione sociale. Ai fini di incenti­ vare la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale, era inoltre specificato che il Comune poteva consentire un aumento di volumetria premiale nei limiti di incre­ mento massimi della capacità edificatoria prevista per gli individuati ambiti territoriali. All'art. 2, commi 285° e 28 6°, della stessa legge 244/2007, il legislatore si preoccu­ pava di sistematizzare la specifica categoria, così da dare una definizione degli alloggi da destinare a edilizia residenziale sociale, prescrivendo che « si considerano "residenze d'interesse generale destinate alla locazione" i fabbricati situati nei comuni ad alta ten­ sione abitativa [ ... ] composti da case di abitazione non di lusso sulle quali grava un vincolo di locazione ad uso abitativo per un periodo non inferiore a 25 anni » . Perché dunque si potesse parlare di residenze sociali era necessario che sui predetti alloggi ve­ nisse costituito un vincolo di locazione ad uso abitativo per un periodo minimo di 25 anni. Sempre in una prospettiva sistematica, la norma (comma 286°, art. 2), riconduce­ va le residenze sociali al genus del "servizio economico di interesse generale". Le medesime esigenze e i medesimi principi introdotti dalle norme sopra richia­ mate trovavano una enunciazione più compiuta con decreto del ministero delle Infra­ strutture e Trasporti del 22 aprile 2008, n. 32438, che, in ottemperanza alla normativa comunitaria, contiene la definizione di alloggio sociale ai fini dell'esenzione dall'obbli­ go di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli artt. 87 e 88 del Trattato lstitutivo della Comunità europea2• Ai sensi di detto decreto è definito alloggio sociale « l'unità im2.

L'art. s , legge 8 febbraio 2007, n.

9,

ha previsto l'obbligo di definizione con decreto del ministero

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6. PUBBLICO/PRIVATO E ATTORE FINANZIARIO

mobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abi­ tativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L'alloggio sociale si configura come ele­ mento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie ». Nei commi successivi dell'art. I, il decreto chiarisce che possono essere compresi nella definizione sopra riportata anche gli alloggi in locazione temporanea per almeno 8 anni e quelli in proprietà, e che quello che ormai è definito a pieno titolo "il servizio di edilizia residenziale sociale", può essere erogato indifferentemente da soggetti pub­ blici e privati (cfr. in termini art. I, commi 3° e 4° dello stesso D.M. 22 aprile 2oo8). In continuità con gli orientamenti normativi sin qui riportati, con l'art. II del D.L. 25 giugno 2008, n. II2, sono stati posti i fondamenti per la redazione e approvazione del Piano nazionale di edilizia abitativa, con il fine di superare in maniera organica e strutturale il disagio sociale e il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa. Il citato piano, avente ad oggetto la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente o di costruzione di nuovi alloggi, doveva essere rivolto all' incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso «l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza ener­ getica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pub­ blici e privati » , destinate prioritariamente alle categorie sociali indicate nel comma 2 del citato articolo. Il Piano nazionale doveva essere articolato sulla base di criteri oggettivi che tenes­ sero conto dell'effettivo disagio abitativo presente nelle diverse realtà territoriali, in particolare, tra le altre modalità, attraverso interventi di « costituzione di fondi immo­ biliari destinati alla valorizzazione e all'incremento dell'offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale » (art. I I, comma 3°), con la possibilità altresì di prevedere il conferimento al fondo dei cano­ ni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili: si assisteva così all'in­ gresso del sistema dei fondi immobiliari nel settore dell'edilizia residenziale sociale. In attuazione dell'art. II del citato D.L. 25 giugno 2008, n. I I2, il I 6 luglio 2009, con decreto 4025I del presidente del Consiglio dei ministri, veniva approvato il Piano nazionale di edilizia abitativa, che appare rilevante sotto più profili. Il piano infatti costituisce un insieme integrato di molteplici linee di intervento o

delle Infrastrutture, di concerto con i ministri della solidarietà sociale, delle politiche per la famiglia, per le politiche giovanili e le attività sportive, delle caratteristiche e dei requisiti degli alloggi sociali esenti dali 'ob­ bligo di notifica degli aiuti di Stato. II7

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rivolte all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo, attraverso l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale sociale, nel rispetto dei criteri di efficienza energe­ tica e di riduzione dell'inquinamento, con il coinvolgimento di capitali pubblici e pri­ vati. Il citato piano è articolato in sei linee di intervento riconducibili a loro volta a tre modalità di finanziamento. La prima modalità è quella diretta al finanziamento dell 'edilizia residenziale pub­ blica di proprietà degli enti locali attraverso contributi a fondo perduto. Una seconda modalità prevista dal piano per il finanziamento dell'edilizia residenziale interessa sia l'edilizia residenziale pubblica, sia l'edilizia residenziale sociale, attraverso accordi di programma Stato-Regioni e riguarda: a) l' incremento del patrimonio di edilizia resi­ denziale pubblica con risorse dello Stato, delle Regioni, delle Province autonome, degli enti locali e di altri enti pubblici, comprese quelle derivanti dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica; b) interventi di projectfinancing; c) agevolazioni di natura ammi­ nistrativa alle cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari dell'intervento; d) programmi integrati di promozione di edilizia residenziale, anche sociale. La terza mo­ dalità di attuazione prevista dal piano, infine, è quella diretta ad incentivare l' interven­ to degli investitori istituzionali e privati anche in forma di partenariato pubblico-pri­ vato, attraverso la realizzazione di una rete di fondi di investimento. Secondo quest 'ultima modalità le risorse (sia pubbliche che private) destinate agli interventi di edilizia residenziale sociale non sono più da considerarsi quali contributi erogati a fondo perduto, ma al contrario assumono la forma di un vero e proprio inve­ stimento. Difatti, con il sistema dei fondi immobiliari, l'investimento di risorse in uno di questi fondi non rappresenta più un investimento privo di aspettativa di redditività (come accadrebbe nel caso di versamento a fondo perduto), ma è in grado di garantire all'investitore un possibile e vantaggioso - seppur contenuto - ritorno economico. Questa innovativa dinamica finanziaria non era stata considerata dalla precedente nor­ mativa che aveva regolato il sistema dell'edilizia residenziale pubblica: il contributo con cui si finanziava un intervento di edilizia residenziale pubblica infatti non veniva concepito come un investimento, ma come una sovvenzione e veniva quindi erogato a fondo perduto, con ciò accreditando una visione "assistenziale" del settore, che invece poteva essere sviluppato attraverso una oculata gestione economica. 6.2.2. A L CUNE ES EMP L I F I CAZI O N I. I L F O N D O INVESTIMENTI PER L'ABITA RE

Come evidenziato in precedenza, la terza modalità di intervento indicata nell 'art. I, lett. a, del citato D.P. C.M. del I6 luglio 2009, prevedeva dunque la costituzione di un sistema organico di fondi di investimento per il finanziamento dell'edilizia sociale (Si­ stema integrato dei fondi di investimento, S I FI ) . All'interno di questo sistema convergono, con la partecipazione di soggetti pub­ blici e privati, sia fondi nazionali sia fondi locali che siano destinati alla valorizzazione 118

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e all'incremento dell'offerta di alloggi di edilizia residenziale sociale. I suddetti fondi di investimento, unitamente alle relative iniziative, finanziate dai fondi stessi, vengono gestiti dalla Cassa depositi e prestiti investimenti SGR S.p.A. (COPI), società di gestione del risparmio di cui sono azionisti la Cassa depositi e prestiti, l'Associazione delle ban­ che italiane (ABI) e l'Associazione delle fondazioni di origine bancaria (ACRI). La COPI è stata costituita nel 2009, con il precipuo obiettivo di creare una piatta­ forma per il lancio di fondi comuni di investimento immobiliare destinati all'incre­ mento dell'offerta abitativa nel territorio nazionale. Questa società di gestione del ri­ sparmio, con delibera del I6 ottobre 2009, ha istituito il Fondo comune d' investimen­ to immobiliare di tipo chiuso, riservato a investitori qualificati, denominato Fondo investimenti per l'abitare (FIA), il cui regolamento di gestione è stato approvato da Banca d' Italia nel marzo 20IO. Nello specifico, l'attività di COPI è stata quella di promuovere, istituire e gestire il FIA. Quest'ultimo opera come "fondo dei fondi", investendo in fondi immobiliari lo­ cali gestiti da altre società di gestione del risparmio e finalizzati ad incrementare l' of­ ferta di alloggi sociali per la locazione a canoni calmierati e la vendita a prezzi conven­ zionati. Con l'aggiudicazione della gara promossa dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel 20II per l' individuazione della società di gestione del risparmio alla qua­ le affidare la gestione del fondo nazionale, il FIA è stato selezionato come Fondo nazio­ nale del Sistema integrato dei fondi, e ha completato il proprio assetto attuale entrando nella sua piena operatività. Questa operatività è stata ancor più valorizzata in seguito all'innalzamento del li­ mite massimo per la partecipazione del Fondo nazionale nei patrimoni dei fondi loca­ li. Se infatti il comma 4°, lett.f, dell'art. I I del D.P.C.M. I 6 luglio 2009, al fine di garan­ tire che la maggioranza del capitale investito fosse apportato da soggetti locali, impo­ neva al Fondo nazionale la sottoscrizione di partecipazioni di minoranza fino al limite massimo del 40%, il più recente D.P.C.M. Io luglio 20I2, a seguito del permanere delle difficoltà del settore immobiliare e creditizio, ha elevato la soglia massima di in­ vestimento, stabilendo che «il regolamento del fondo immobiliare chiuso di cui ali' art. I I, comma I0, dell'allegato al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri I6 luglio 2009, è modificabile prevedendo il superamento del limite massimo del 40% per le partecipazioni da acquisire nell'ambito degli investimenti locali. Tale limite può essere innalzato in relazione alle autonome valutazioni dei sottoscrittori dei suddetti fondi immobiliari, fermo restando la necessità di salvaguardare la partecipazione di capitali privati negli investimenti locali » . Concludendo dunque questa breve analisi sulla struttura e sul funzionamento del Fondo investimenti per l'abitare, tenteremo di riepilogare quali siano i soggetti con cui il Fondo si relaziona. L'attività di COPI si articola secondo un sistema multi-stakeholders sul territorio II9

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che permette di perseguire e conseguire gli scopi per i quali è nato il FIA. Tra i soggetti con cui C D P I si relaziona vi sono : a) le S G R "locali", titolari delle iniziative sul territorio, che rappresentano l'asse principale di questo sistema multi-stakeholders attivato per promuovere gli interventi del FIA (nello specifico sono i soggetti che valorizzano e in­ crementano le iniziative di edilizia residenziale sociale ) ; b) gli enti pubblici tra cui i Comuni titolari della potestà di pianificazione del territorio, le Province per il reperi­ mento delle aree in concerto con le amministrazioni comunali, le Regioni per il coor­ dinamento delle piattaforme regionali e per gli interventi normativi relativi alla rego­ lamentazione regionale del settore, vari ministeri e Governo per i programmi speciali, quali il Piano Città, o per interventi normativi di carattere fiscale e di regolamentazio­ ne generale del settore ; c) gli investitori e gli istituti di credito (fondazioni di origine bancaria, banche, enti previdenziali e altri ) con i quali vengono mantenuti rapporti funzionali volti a supportare la raccolta e il finanziamento dei fondi locali e ad accom­ pagnare uno sviluppo delle iniziative che risulti in linea con le aspettative del pool dei sottoscrittori; d) gli operatori e i consulenti del settore (cooperative, ex IACP, imprese, developers, soggetti del Terzo settore, advisors) , che sono potenziali fonti di approvvi­ gionamento di iniziative di housing sociale e fornitori di servizi per i fondi locali; e) gli atenei delle principali città universitarie, al fine di promuovere nuove strutture dedica­ te a studenti. 6. 3

La più recente evoluzione normativa e giurisprudenziale 6.3.1. L'ART I C O L O

IO D E L D E C RETO L E G G E

47/2014

Nonostante gli interventi normativi che abbiamo passato in rassegna, i quali hanno permesso di individuare la categoria dell'edilizia residenziale sociale e di tentare - in modo più deciso rispetto al passato - di far fronte all'emergenza abitativa, i risultati che ci si auspicava di ottenere con il Piano nazionale approvato con il D.P.C.M. I6 luglio 2009 non sono stati completamente raggiunti. Si è avvertita dunque l'esigenza di intervenire nuovamente in materia di edilizia residenziale sociale e per questa ragione, con D.L. 28 marzo 20I4, n. 47, convertito con modificazioni in legge 23 maggio 20I4, n. S o, sono state adottate, tra le altre, misure urgenti per l'emergenza abitativa. Come vedremo, si tratta di un vero e proprio Piano casa dell'edilizia sociale. In particolare l'articolo IO (Edilizia residenziale sociale) del citato D.L. ha intro­ dotto una serie di regole volte a «perseguire la riduzione del disagio abitativo di indi­ vidui e nuclei familiari svantaggiati attraverso l'aumento dell'offerta di alloggi sociali in locazione, senza consumo di nuovo suolo rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, I20

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favorendo il risparmio energetico e la promozione, da parte dei Comuni, di politiche urbane mirate ad un processo integrato di rigenerazione delle aree urbanizzate e dei tessuti edilizi esistenti attraverso lo sviluppo dell'edilizia sociale » (comma I 0 , art. IO, D.L. 47/2oi4). L'ambito di applicazione del citato articolo comprende il «patrimonio edilizio esistente nei comuni ad alta tensione abitativa [ ... ] ivi compresi gli immobili non ulti­ mati e gli interventi non ancora avviati provvisti di titoli abilitativi rilasciati entro la data di entrata in vigore del presente decreto ovvero regolati da convenzioni urbanisti­ che stipulate entro la stessa data e vigenti alla data di entrata in vigore del presente de­ creto » (comma 4°, art. IO, D.L. 47/20I4). In questo modo l'ambito di applicazione si estende non solo agli edifici esistenti e già realizzati ma anche agli immobili non ulti­ mati e agli interventi non ancora avviati, provvisti solo dei relativi titoli abilitativi o regolati da convenzioni urbanistiche già sottoscritte alla data di entrata in vigore del decreto. Gli interventi ammessi, al fine del perseguimento degli scopi indicati nel comma 0 I della norma, sono diversificati in relazione alle tipologie di intervento : da una parte quelli volti alla valorizzazione e al recupero del patrimonio edilizio esistente, dall'altra parte quelli diretti alla realizzazione di nuovi alloggi, con i limiti testé ricordati di in­ terventi non ancora avviati ma forniti di titoli validi ed efficaci. Vale la pena di segna­ lare - per la gamma di possibilità - gli interventi ammessi sul patrimonio esistente, che comprendono : «a) ristrutturazione edilizia, restauro o risanamento conservativo, ma­ nutenzione straordinaria, rafforzamento locale, miglioramento o adeguamento sismi­ co ; b) sostituzione edilizia mediante anche la totale demolizione dell'edificio e la sua ricostruzione con modifica di sagoma e diverso sedime nel lotto di riferimento comun­ que dotato di infrastrutture e servizi [ ... ] ; c) variazione della destinazione d'uso di edi­ fici anche senza opere; d) creazione di servizi e funzioni connesse e complementari alla residenza, al commercio con esclusione delle grandi strutture di vendita, necessarie a garantire l'integrazione sociale degli inquilini degli alloggi sociali; e) edilizia abitati­ va con gestione collettiva dei servizi di pertinenza e di edilizia abitativa e dei relativi servizi finalizzati ad utenti di età maggiore di sessantacinque anni;}) recupero di im­ mobili fatiscenti o da dismettere esistenti nei centri storici e nelle periferie » . Sul piano sistematico, desta qualche perplessità che il legislatore con i l decreto legge in questione abbia limitato la definizione di alloggi sociali alle sole unità immo­ biliari in locazione per almeno I S anni (comprendendo anche l'edilizia universitaria convenzionata), ovvero a quelli assegnati sempre in locazione per almeno 8 anni con patto di futura vendita: limitazione che può essere giustificata in un intervento straor­ dinario, mentre desterebbe perplessità se divenisse una caratteristica a regime. Restano infatti escluse le case in proprietà che pure continuano a rappresentare un elemento importante nel sistema dell'edilizia residenziale sociale e che, come abbiamo visto, era-

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no ricomprese, seppure in via subordinata, nella definizione di alloggio sociale del D.M. 22 aprile 2008. E ancora, lo stesso legislatore ha voluto chiarire che «le aree e gli immobili da de­ stinare ad alloggio sociale [si deve sempre intendere ai fini dell'applicazione del D.L 47 l 20I4] non si computano ai fini delle quantità minime inderogabili di spazi pubbli­ ci o riservati alle attività collettive a verde pubblico o a parcheggi, previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici del 2 aprile I968 n. I444 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del I4 aprile I968 » . Anche in questo caso il "piano casa per l'edilizia sociale" ha introdotto una specificazione limitativa rispetto al D.M. del 22 aprile 2008 che aveva definito «l'alloggio sociale in quanto servizio di interesse economico gene­ rale [ ... ] standard urbanistico aggiuntivo » . Il legislatore infatti ha trascurato che la ri­ conduzione degli alloggi sociali nella categoria dei servizi, anche se aggiuntivi, dava la possibilità alle normative regionali3 di concedere agevolazioni di natura urbanistica alle aree ove si prevedesse la realizzazione di alloggi sociali (anche in proprietà) ; si era trattato di una significativa innovazione nella nozione di standard urbanistico che non è stata colta, nelle sue potenzialità, nel caso qui esaminato. Uno degli aspetti più interessanti è stato introdotto dalla legge di conversione: si tratta del comma I0° bis dell'art. IO. Il legislatore ha ivi previsto che: Al fine di assicurare i mezzi finanziari per la completa e rapida realizzazione di programmi di alloggi sociali finanziati con fondi nazionali e regionali, anche in deroga a quanto previsto dalle relative norme di finanziamento, possono essere ceduti o conferiti ai fondi immobiliari o ad altri soggetti di cui al comma 3, lettera a), dell'articolo 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 1 1 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 1 3 3, immobili residenziali, ultimati od in corso d'opera, realizzati da soggetti pubblici e privati con il concorso di un contributo pubblico, e destinati a concorrere all'aumento dell'offerta di alloggi sociali, a condizione che, per questi ultimi, siano mantenuti i vincoli di destinazione previsti dalle norme di finanziamen­ to. Il soggetto subentrante è tenuto a darne comunicazione all'ente erogatore del finanziamento pubblico, trasmettendo preventivamente lo schema dell'atto di cessione o conferimento, affin­ ché il medesimo ente si esprima in merito alla conformità dell' impegno del subentrante a man­ tenere i vincoli di destinazione, in relazione a quanto previsto dalle norme di finanziamento. L'aumento dell'offerta di alloggi sociali si intende realizzato anche quando, al fine di mantene­ re l'originale destinazione ad alloggio sociale e mitigare il disagio dei locatari, sono ceduti o conferiti, con le medesime modalità, anche immobili privati realizzati con il concorso di contri­ buti pubblici e destinati originariamente alla locazione se, a seguito di procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, debbano essere destinati alla alienazione.

Dall'esplicito richiamo all'art. 1 1, comma 3°, lett. a del D.L. 112/2oo8, si evince che il legislatore ha voluto riconoscere al Sistema integrato dei fondi di investimento un ruo-

3· Ad esempio la L.R. 1 1 marzo 2005, n. 12, della Regione Lombardia, all'art. 9 (rubricato "Piano dei servizi") comprende l'edilizia residenziale pubblica nel novero dei servizi di interesse pubblico o generale.

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lo centrale, al fine di assicurare i mezzi finanziari per la completa e rapida realizzazione di programmi di alloggi sociali. Diversi sono gli aspetti rilevanti e le novità introdotte dal citato comma I0° bis. Il primo di questi consiste nella possibilità di cedere o conferire ai fondi immobiliari o ad altri soggetti di cui all'art. I I, comma 3°, lett. a del D.L. II2/2oo8, immobili residenzia­ li « anche in deroga a quanto previsto dalle relative norme di finanziamento » . L' inci­ so non è casuale : frequenti sono infatti i casi in cui sussistono, in capo ai soggetti che realizzano interventi di edilizia residenziale sociale, limitazioni ( derivanti da norme di finanziamento ) ad alienare e trasferire, per un certo arco temporale, gli immobili rea­ lizzati. Con questo inciso, invece, si è permesso ai fondi immobiliari di acquisire edifi­ ci che altrimenti non potrebbero essere alienati, in quanto vietato dalle norme di finan­ ziamento in base alle quali sono stati realizzati. Un secondo aspetto da rilevare è la possibilità di conferire ai fondi non solo edifi­ ci completamente realizzati ma anche quelli in corso d'opera. Anche in questo caso il legislatore compie una scelta di campo attraendo nel sistema dei fondi anche operazio­ ni immobiliari di edilizia sociale ancora in attuazione, con conseguente coinvolgimen­ to dello stesso sistema dei fondi anche nell'attività realizzati va degli immobili e non solo nella gestione di patrimoni immobiliari già edificati e assegnati in locazione o in proprietà4• Proseguendo nell'analisi, un ulteriore profilo da segnalare è quello secondo cui gli edifici alienabili ai soggetti contemplati dall'art. II, comma 3°, lett. a del D.L. II2/2oo8, possono essere destinatari di contributi pubblici. La precisazione è importante, poiché con questo articolo anche le operazioni immobiliari di edilizia sociale finanziate con contributo a fondo perduto possono essere "acquisite" da fondi immobiliari in cui - lo ricordiamo - il contributo pubblico come quello privato ha la natura di investimento destinato a conseguire una redditività. Si tratta quindi di un primo significativo tentati­ vo del legislatore di far dialogare due forme di intervento - quella finanziata dal pubbli­ co e quella dei fondi immobiliari di proprietà pubblico/privata - che nel D.L. II2/2o08 erano stati considerati due sistemi diversi ed incompatibili tra loro. L'ultimo aspetto da evidenziare è quello relativo alla necessità che, in capo al sog­ getto subentrante nella realizzazione o nella gestione degli alloggi sociali, siano mante­ nuti i vincoli di destinazione previsti dalle norme di finanziamento. Condizione per­ ché un nuovo soggetto possa subentrare ad un altro nella realizzazione o nella gestione di alloggi di edilizia residenziale sociale è che il primo si assuma le obbligazioni che facevano capo all'alienante (durata del periodo di locazione, ammontare dei canoni di 4·

Differentemente da quanto introdotto dall'art. 10, comma I 0 ° bis, del citato D.L., con riferimento alla conferibilità al fondo di immobili in corso di realizzazione, sono state adottate soluzioni più restrittive. L'art. 16 bis della L.R. 6 agosto 1999, n. 12, della Regione Lazio, ad esempio, prevede che gli immobili possano essere ceduti ai fondi a condizione che: «a) gli immobili da conferire siano completamente realiz­ zati; b) siano stati individuati i locatari degli immobili e stipulati i relativi contratti di locazione » .

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locazione ecc.). Questo trasferimento di obblighi tra soggetti onerati, però, non può avvenire senza una idonea informazione all'ente erogatore del finanziamento (come in ogni caso di modifica di un rapporto giuridico bilaterale); il nuovo acquirente dovrà infatti darne comunicazione trasmettendo preventivamente lo schema dell'atto di ces­ sione o conferimento, affinché il medesimo ente si esprima in merito alla conformità dell'impegno del subentrante a mantenere i vincoli di destinazione in relazione a quan­ to previsto dalle norme di finanziamento. 6.3.2.

C O N S I GL I O D I STATO - ADUNANZA P L ENARIA

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G ENNA I O

2014,

N.

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L'evoluzione normativa in materia di housing sociale, che ha determinato il passaggio dal sistema di edilizia residenziale pubblica al sistema di edilizia residenziale sociale, ha registrato una prima importante decisione del giudice amministrativo, il quale ha for­ nito una ricostruzione del sistema. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ( senten­ za n. 7 del 3o gennaio 20I4) è stata recentemente chiamata a pronunciarsi su un ricorso avente ad oggetto, tra gli altri, la qualificazione giuridica di uno specifico programma di housing sociale. In particolare la questione sottoposta ali 'Adunanza plenaria riguar­ dava la riconducibilità del suddetto programma alla figura degli appalti pubblici o a quella delle concessioni di servizi pubblici (con conseguenti differenze relativamente all'applicabilità o meno delle norme del D.L. I2 aprile 2006, n. I63, cosiddetto codice dei contratti pubblici). Per quanto interessa l'oggetto del presente scritto, il programma prevedeva, fra l'altro : a) progettazione (definitiva ed esecutiva) e realizzazione sull'area assegnata (di pro­ prietà comunale) di un intero quartiere residenziale, per un totale di almeno SSS allog­ gi (di cui 8o alloggi di edilizia residenziale pubblica da retrocedere al Comune in regi­ me di proprietà; almeno so alloggi da mantenere in locazione per 25 anni al canone mensile sostenibile di euro 6,oo al mq di superficie complessiva, che al termine reste­ ranno nella disponibilità dell'assegnatario per 99 anni fino alla scadenza del diritto di superficie; almeno ISO alloggi da destinare a locazione con patto di futura vendita con canone mensile sostenibile di euro 8,oo al mq; almeno 27S alloggi da cedere a prezzo convenzionato) ; b ) gestione venticinquennale ( inclusa l a locazione e l a vendita) , i n regime d i proprie­ tà superficiaria, dell'edilizia residenziale destinata alla locazione a canone sostenibile, a riscatto o alla vendita a prezzo convenzionato ; in questo ambito sono attribuiti all'as­ segnatario (in partnership con l'amministrazione) compiti di soggetto gestore dell'as­ segnazione degli alloggi (comprensivi della predisposizione degli avvisi e della selezio­ ne delle domande), nel rispetto delle tariffe imposte da Roma Capitale (canoni e prez­ zi da praticare alle diverse categorie di beneficiari del programma). Dopo aver descritto le ragioni che hanno portato all'introduzione dell'art. 1 1, D.L. I24

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II2/ 2008, e dopo aver brevemente delineato il quadro normativa di riferimento, l'Adu­ nanza plenaria ha verificato se sussistessero i presupposti per ricondurre la fattispecie a una concessione di servizi. Dall'esame del contenuto degli elementi essenziali del programma di housing so­ ciale, il Consiglio di Stato è giunto alla conclusione che nel caso di specie era stata posta in essere « una iniziativa di partenariato pubblico-privato per la gestione di un servizio pubblico locale di rilievo economico e a domanda individuale, mediante lo strumento della concessione di servizio pubblico » . Gli indici rivelatori della concessione d i servizio pubblico ravvisati nel caso con­ creto erano : a) i caratteri di servizio pubblico locale, in quanto rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali, del quale i cittadini usufruiscono uti singuli e come componenti della collettività; b) la prestazione a carico degli utenti, che si riscontra tipicamente nei servizi a domanda individuale; c) l'assunzione a carico del concessionario del rischio economico relativo alla gestione del servizio ; d) la preordi­ nazione dell'attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indif­ ferenziata di utenti, tendenzialmente a tempo indeterminato o comunque per un pe­ riodo di lunga durata; e) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, perché ciò che connota in modo rilevante la natura di servizio pubblico è il conseguimento di fini sociali a favore della collettività per il tramite dell'attività svolta dal gestore; }) la delega traslativa di poteri organizzatori dall'ente al privato, poiché solo grazie al modulo concessorio è possibile esternalizzare il servizio affidandone la gestione a soggetti privati per i quali il vantaggio è costituito dalla possibilità di esigere un prezzo (tariffa) nei confronti degli utenti; g) il contenuto del programma di housing si caratterizza per la sua struttura trilaterale in quanto tutte le prestazioni dei soggetti coinvolti fanno capo all'amministrazione, al gestore ed agli utenti, mentre nel contratto d'appalto il rapporto ha carattere bilaterale. Concludendo, l 'Adunanza plenaria con la sentenza de qua, da un lato è giunta a ricomprendere la realizzazione di un programma di edilizia residenziale sociale all'in­ terno dello schema della concessione di servizio pubblico, dall'altro ha definito il siste­ ma di housing sociale come « autentico servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali - ovvero [ ... ] un "servizio di interesse economico generale" che viene a svolgere funzione essenziale [ ... ] dovendosi intendere per tale quello rivolto all'utenza, capace di soddisfare interessi generali e di garantire redditi vi tà » . Non vi è dubbio quindi che i futuri interventi normativi ed amministrativi in ma­ teria di edilizia residenziale sociale non potranno prescindere dalla qualificazione rico­ nosciuta al sistema dell' housing sociale dall'autorevole giurisprudenza amministrativa consentendo l'introduzione di una serie di agevolazioni urbanistiche e fiscali che po­ tranno contribuire a dare una risposta più completa e qualificata alla domanda di abi­ tazioni nel nostro paese. I 2S

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Nuova edificazione e recupero edilizio nell'housing sociale: tra carenza di strategie e strumenti innovativi di Elena Borghetti

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Verso l' integrazione tra ERS e riqualifìcazione urbana ?

La crisi economico-finanziaria internazionale che ha colpito duramente l' Italia ha co­ stretto ad un ripensamento sulle politiche urbane e sulle forme di sviluppo delle città che si sono reiterate principalmente nell'ultimo ventennio. È divenuta intanto eviden­ te l' insostenibilità di un modello basato sull'espansione, sul consumo di suolo e su va­ lori immobiliari in costante crescita che hanno anche alimentato la "culturà' dell' inde­ bitamento diffuso e ridotto le città, le "case" e i suoi abitanti a meri mezzi per specula­ tivi vantaggi finanziari ( Caudo, 2006; Tocci, 2009 ) . Anche se il valore del capitale fisi­ co è cresciuto in modo esponenziale nei dieci anni del boom dell'immobiliare ( il perio­ do 199 6-2oo6)1, quel plusvalore non è stato reinvestito per accrescere quantitativamen­ te e qualitativamente l' infrastrutturazione delle nostre città. L'elevata ricchezza immo­ biliare, veicolata nel mercato finanziario, ha solo contribuito ad accrescere il divario tra ricchi e poveri, tra funzioni urbane centrali e redditizie, in nome della rendita di posi­ zione, o suburbane e divoratrici di suolo, tipiche dello sprawl, e hinterland degradati e privi di servizi che ospitano urban amenities più consone ad una visione speculativa della valorizzazione immobiliare che a quella della domanda sociale ivi proveniente. Oggi la condizione generale del mercato immobiliare appare profondamente mu­ tata e la crisi del ciclo edilizio imporrebbe la ricerca di nuove forme di investimento più attente alle relazioni esistenti tra crescita economica, sostenibilità ambientale ed equi­ tà sociale, nel quadro di una riflessione critica sul tradizionale nesso tra sviluppo terri­ toriale ed espansione urbana. A partire dalla crisi, dunque, segue una fase in cui i temi del recupero del patrimo­ nio edilizio esistente, della riconversione del patrimonio dismesso, della riqualificazio­ ne urbana e dell'housing sociale, sono ritornati ad essere oggetto di particolare atten1. Una recente analisi del CRE S ME , effettuata per "l 'Espresso", evidenzia che la casa ha avuto rendi­ menti migliori anche dell'oro. Una casa di 90 mq acquistata nel 1995 in una zona qualificata di una metro­ poli e affìttata in questi ultimi 15 anni ha reso il 9,3% annuo netto ( lo stesso alloggio ha reso 1' 8,1% in una città di medie dimensioni ) . L'oro, nello stesso periodo, ha reso l' 8% ( Maggi, Vergine, 2010 ) .

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7· NUOVA

EDIFICAZIONE E RECUPERO EDILIZIO

zione nell'agenda politica di governo. È, infatti, in atto una "riconfigurazione" ( Belli­ cini, 2013b ) del mercato immobiliare che spinge l'attivazione di interventi micro ri­ guardanti la manutenzione, ordinaria e straordinaria, del patrimonio esistente2 e verso interventi socialmente utili che, come l'edilizia sociale, nonostante la contenuta profit­ tabilità, hanno in qualche modo trainato il settore edilizio in questa fase di stasi e crisi economica. Sembra quindi un'acquisizione ormai condivisa dai diversi attori a vario titolo coinvolti nel dibattito che l'integrazione tra l'edilizia sociale e la riqualificazione urba­ na possa costi tuire l'aspetto decisi vo per far ripartire la crescita e la competi tivi tà dell' I­ talia, partendo dall'implementazione di una politica pubblica per le città. Anche e soprattutto perché questi settori costituiscono assi di sviluppo economico immediata­ mente attivabili, avendo un riscontro più che favorevole nella domanda sociale di rife­ rimento3. L' immobilismo relativo allo sviluppo di una politica urbana è stato interrotto da quando, a partire dal 2o11\ si sono susseguite fino ad oggi una serie di leggi che hanno tentato di incentivare il recupero e la riqualificazione urbana, da un lato, e la realizza­ zione dell'offerta abitativa in locazione sociale, dall'altro, sfruttando anche la principa­ le strategia politica di intervento prevista nel Piano casa del 2oo8, con il Sistema inte­ grato dei fondi immobiliari ( S I F ) . Se numerose iniziative sono state avviate, anche mediante l'istituzione di nuovi organismi e l'utilizzo di diversificati e più recenti stru­ menti attuativi, è ancora difficile poter parlare di un'effettiva integrazione tra riquali­ ficazione urbana ed edilizia sociale, soprattutto per l'elevata frammentazione e setto­ rialità delle relative politiche che non conducono verso una strategia organica, declina­ bile, più in generale, in una politica urbana. Anche sulla spinta dell' Unione Europea che, nel marzo 2010, ha lanciato la strate-

2. Nel 20I2, mentre la nuova costruzione ha perso il sso/o del mercato 2oo6, la ristrutturazione, la manutenzione e la trasformazione del patrimonio edilizio esistente hanno perso circa 2 punti percentuali. Nello stesso anno, sono stati spesi So miliardi per riqualifìcazione e manutenzione straordinaria del patri­ monio esistente e circa 36 miliardi per quella ordinaria; il mercato delle nuove costruzioni residenziali ha movimentato risorse per 25 miliardi di euro, con un calo degli investimenti del SI% (Bellicini, 20I3a; 20I3b ) 3· I dati sul disagio abitativo sono ormai noti: circa 6oo.ooo domande di ERP inevase; circa I,3 mi­ lioni le famiglie che, nel 2oo8, superano la soglia di sostenibilità economica per sostenere le spese locative; circa 2oo.ooo famiglie che, secondo i dati del Censimento 2011, vivono in "altro tipo di alloggio" (baracche, camper ecc.), con una crescita triplicata rispetto al 200I. La domanda che, più in generale, riguarda la rige­ nerazione urbana coinvolge, invece, diversificati settori: le infrastrutture, la prevenzione dal rischio sismico e idrogeologico, l 'ecosostenibilità degli edifici (sul piano energetico-tecnologico), il recupero del patrimo­ nio edilizio costruito dal secondo dopoguerra, i centri storici, anche minori. 4· Testimonianza di una nuova e più incisiva attenzione sul tema delle città è, in primis, il Libro bianco sulgoverno delle citta italiane elaborato nell 'aprile lO I I dal Consiglio italiano per le Scienze Sociali (css). Si ricordano inoltre il bando "Smart cities and Communities and Social lnnovation" del M I UR (lu­ glio 2012); il piano decennale di riqualifìcazione degli edifici scolastici (D.L. sho12, art. 53); la valorizza­ zione dei beni demaniali (a partire dal D.L. 9 8hon, art. 33). .

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gia decennale "Europa 2020", in cui si richiede agli Stati membri di dotarsi di « un'am­ biziosa Agenda Urbana » e a cui è poi seguita la proposta di destinare il s% del F E S R alle aree urbane per interventi di sviluppo e riqualificazione (approvata nel 2013 con il rapporto "Politica di coesione e riqualificazione urbana"), è stato promosso, con D.L. 83/2012, il "Piano nazionale per le città" (art. 12) e l'istituzione del C I P U - Comitato interministeriale per le politiche urbane (art. 12 bis). Quest'ultimo, costituito nel gen­ naio 2013, nell'elaborazione del documento di indirizzo per una politica nazionale per le città, ha sottolineato che (punto 3.3) la limitazione del consumo di suolo e gli inter­ venti di riqualificazione urbana « affrontata con un approccio attento anche alla ge­ stione sociale delle poli ti che ahitative, attraverso l' incentivazione dell'edilizia sociale » ( C I PU, 2013, p. 23) costituiscono gli assi strategici per il rilancio dell'economia e le priorità principali per lo sviluppo di una politica urbana. Le misure, pur lodevoli, che si sono susseguite in tal senso, anche nel tentativo di raggiungere nell'immediato gli obiettivi sottesi, non hanno ancora prodotto gli effetti auspicati. Da un lato, perché trattasi di due recenti e fondamentali provvedimenti ur­ banistici ancora in corso di discussione critica nelle aule parlamentari, dall'altro, a cau­ sa delle esigue risorse pubbliche ad esse assegnate, nel quadro di una più generale ete­ rogeneità di strumenti che risentono di una scarsa sistematizzazione. Le iniziative che hanno in embrione il rilancio della riqualificazione urbana come elemento strutturale per una politica per le città, contestualmente alla sua integrazione con l'edilizia sociale, sono : il d.d.l. sul Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato (approvato in Consiglio dei ministri nel dicembre 2013) e la bozza di ri­ forma urbanistica, lanciata dal MIT, Principi in materia dipolitiche pubbliche territoria­ li e trasformazione urbana5• Se la prima introduce come principio fondamentale di go­ verno del territorio il riuso e la rigenerazione edilizia del suolo edificato esistente, ri­ mandando poi - con gravi ripercussioni sull'immediata attuazione della norma - la definizione quantitativa della riduzione del consumo di suolo (fino al raggiungimento dello "zero" nel 2050) ad un decreto interministeriale, la seconda iniziativa, insieme a principi più generali sulla pianificazione territoriale ed urbana, introduce alcuni ele­ menti di notevole interesse per la riqualificazione e l'edilizia sociale, promuovendone una definitiva integrazione. Il "rinnovo urbano" (art. 17) è considerato come intervento attuativo del principio di razionale uso del suolo ed è « realizzato attraverso un insieme organico e coordinato di operazioni, finalizzate all' innalzamento complessivo della qualità urbana e dell'abitare, alla valorizzazione, alla rigenerazione del tessuto econo­ mico sociale e produttivo » ; ai Comuni spetta l'attivazione delle operazioni di rinnovo urbano integrate « con azioni di politica sociale ed assistenziale » . In questo contesto S· li testo è disponibile nel portale Casa e Territorio del "Sole l4 Ore': sezione News, Norme, http:/ l www.casaeterritorio. ilsolel40re.com/ art/ norme/ lO 1 4-0S-li/ riforma-urbanistica-scarica-bozza o 9 3 s s 4-php ?uuid=AbPXcUmJ&ch=et.

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rientra a pieno titolo il servizio di edilizia residenziale sociale (art. 19 ), definitivamente riconosciuto come "standard aggiuntivo" e come "dotazione territoriale essenziale" relativa ai diritti di cittadinanza - che trova compiutezza quale componente della rige­ nerazione urbana in quanto elemento « indispensabile per il raggiungimento dei livelli di qualità urbana e per la realizzazione di interventi organici di riqualificazione dei tessuti edilizi » (art. 6). Se, dunque, si riconosce all'ERS la finalità strategica di miglio­ rare le condizioni di vita degli abitanti, sia facilitando l'accesso all'abitazione, sia pro­ muovendo la qualità degli ambiti urbani, anche verso una logica di rigenerazione urba­ na, bisogna sottolineare che la definizione di questo servizio, di cui non si stabilisce ancora una misura minima, ricalca strettamente quella proposta con il D.M. 22 aprile 200 8, in attuazione del Piano casa. Oltre ad aggiungere un'ennesima definizione ERPS : Edilizia residenziale pubblica sociale - a quelle già esistenti, come housing socia­ le, edilizia residenziale sociale privata/ di mercato, rientra nuovamente nel servizio abi­ tativo sociale l'abitazione in locazione permanente e temporanea, ma anche quella in proprietà. Si ripropone pertanto una sostanziale continuità di contenuti con l'ERP di tradizione in quanto a tipologie di offerta, proprie dell'edilizia convenzionata (di cui alla legge 865/I97I), e pluralità di attori coinvolti nel processo di erogazione del servizio (attore pubblico, cooperative, imprese edilizie). In attesa che si compia la definitiva approvazione dell'auspicata legge di principi sul governo del territorio, con cui si giungerebbe all'effettiva integrazione tra ERS e rigenerazione urbana, sono in atto alcune misure che, con scarso successo, tentano di rimettere in moto l' industria edilizia colpita dalla crisi incentivando progetti di riqua­ lificazione urbana e di edilizia sociale. Anche per coinvolgere il rilevante patrimonio del Fondo investimenti per l'abitare ( FIA ) della CDPI SGR, che deve essere definitiva­ mente impegnato entro il 20I5, pari a 933 milioni di euro. Un ammontare di risorse importante, soprattutto quando le banche ancora stentano a riavviare il credito. 7· 2

Il Sistema integrato dei fondi nell ' housing sociale. Quali progetti per quali trasformazioni urbane ?

Una prima iniziativa che ha avuto il merito di stimolare la progettualità a livello locale indirizzando la verso interventi di rigenerazione urbana con attenzione alla tendenzia­ le "riduzione dei fenomeni di tensione abitativa" è il "Piano nazionale per le città", precedentemente ricordato. Le scarse risorse pubbliche ad esso destinate - 3I8 milioni di euro -, le lungaggini burocratiche, per cui ad oggi non sono stati ancora registrati alla Corte dei Conti i 28 "contratti di valorizzazione urbana", e il ridotto stimolo delle risorse private, hanno bloccato in nuce questo piano, troppo debole per stimolare la crescita e per garantire un efficace intervento di rigenerazione urbana. Anche il FIA, I 29

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rappresentato, in veste di osservatore, nella "cabina di regia" appositamente costituita, non ha trovato importanti sbocchi di investimento, principalmente perché, questi ul­ timi, sono vincolati alla tenuta dei piani economico-finanziari e alla redditività delle iniziative, essendo, di fatto, la C D P I S GR un investitore che agisce come qualsiasi pri­ vato. Questo aspetto, contestualmente alla complessità tecnico-gestionale che caratte­ rizza l'implementazione di un fondo immobiliare, vincola le amministrazioni locali interessate a determinare, caso per caso - mediante differenziate tipologie di agevola­ zione -, le condizioni affinché si attui un intervento di edilizia sociale con questo strumento finanziario, tanto più se inserito in un progetto alternativo alla nuova co­ struzione6. L'aggravarsi della crisi economico-finanziaria ha reso poi sempre più anacronistico l'utilizzo del fondo immobiliare per incrementare il patrimonio abitativo in locazione, soprattutto perché l'equilibrio economico-finanziario degli investimenti, ottenuto mediante la localizzazione di un mix di funzioni e destinazioni d'uso degli immobili realizzati (affitto, patto di futura vendita, vendita libera e convenzionata), ha profon­ damente risentito della recessione del mercato residenziale. Il finanziamento e la red­ ditività della quota di alloggi in locazione si regge anche sui flussi di cassa generati nel breve-medio termine dalla restante quota di immobili in vendita; se le famiglie non possono comprare l'abitazione impossibilitate ad accendere un mutuo, come avviene a causa del credit crunch generalizzato, si determina una stasi degli interventi di housing sociale. Che è stata anche determinata dalla carenza di investitori privati disposti ad implementare, in via complementare all'investimento del FIA nazionale, la quota parte del patrimonio del fondo locale. Per questo, nell'aprile 2013, l'assemblea dei sottoscrit­ tori del FIA (M I T, CDP, fondazioni, banche e assicurazioni) ha deciso di elevare l' inve­ stimento nei fondi locali dal 4o% all ' S o%. Grazie a questo provvedimento, nell'ultimo anno, le risorse del FIA definitivamente impegnate sono passate da 4 05 milioni a 1.0 9 5 milioni di euro e sono stati costituiti ulteriori 10 fondi immobiliari, oltre ai 15 fondi locali pienamente operativi. Dalle esperienze avviate è possibile ricostruire un quadro d'insieme su alcuni aspetti generalizzabili che riguardano la costituzione dei fondi immobiliari, la connes­ sa operatività e la tipologia dei progetti attuati mediante lo strumento. Sono due le

6. Le prime esperienze effettuate mediante il fondo immobiliare dimostrano che il recupero degli immobili esistenti è legato a tre particolari aspetti: alla necessaria presenza di investitori che, come le fon­ dazioni bancarie, accettano rendimenti molto contenuti dall' investimento; ai costi del recupero, tenden­ zialmente più elevati della nuova costruzione e quindi difficilmente compatibili con l 'applicazione di ca­ noni calmierati; alla potenziale valorizzazione dell ' immobile recuperato nel momento della vendita. Oltre alle difficoltà gestionali, dunque, la possibilità di recuperare una quota elevata di immobili degradati (mol­ to diffusi, ad esempio, nei centri storici minori) mediante il fondo immobiliare è assai improbabile, soprat­ tutto se, come nel caso del patrimonio ERP, esiste un'elevata frammentazione della proprietà e devono es­ sere considerate tra le variabili di costo anche la sistemazione temporanea o a termine degli inquilini. 130

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principali modalità di costituzione del fondo, diverse anche secondo la tipologia di attori coinvolti nel suo processo di implementazione. La prima prevede che, contestualmente alle indagini di marketing territoriale fina­ lizzate ad individuare potenziali iniziative finanziabili, siano gli investitori istituziona­ li (principalmente le fondazioni bancarie), in partnership con le amministrazioni lo­ cali ( in particolare le Regioni), a promuovere un fondo immobiliare mediante la rac­ colta di una massa critica idonea ad avviare il meccanismo finanziario (pari a circa 8 o/ Io o milioni di euro). Recentemente, in via alternativa, sono state le Regioni a pro­ muovere il fondo immobiliare come strategia per stimolare l'iniziativa dei privati e il coinvolgimento degli investitori istituzionali. La seconda modalità, invece, vede coin­ volte nella costituzione del fondo le imprese e le cooperative che, mediante l'apporto di aree o immobili e il successivo coinvolgimento della CDPI S G R, portano avanti ini­ ziative, di livello comunale, di cui hanno ottenuto i provvedimenti autorizzativi?. Un fondo implementato a livello regionale, anche grazie al patrimonio degli inve­ stitori meramente di natura finanziaria, garantisce una maggiore flessibilità nella sele­ zione delle iniziative ed una maggiore diversificazione del rischio di investimento ri­ spetto alla seconda modalità operativa. Se nel primo caso la S G R può selezionare discre­ zionalmente le iniziative a seconda della redditività degli interventi - avendo come riferimento il territorio regionale e uno stock di risorse potenzialmente investibili -, nel secondo caso, l'operatività e la redditività del patrimonio del fondo si reggono sull'attuazione di una singola iniziativa (o di più progetti tra loro connessi) , fortemen­ te legata al contesto locale e alle capacità tecnico-finanziarie delle imprese coinvolte. Oltre a questi aspetti gestionali, che rendono molto complesso il processo decisio­ nale sui progetti, sono inoltre la componente finanziaria e la disponibilità delle aree a costi ridotti gli elementi che vincolano l'attuazione delle iniziative e la scelta localizza­ tiva degli interventi di housing sociale, che sono oggi per lo più di nuova costruzione. La logica del "caso per caso", con cui le amministrazioni locali determinano le tipologie di agevolazione per sussidiare l' intervento, con scarsa capacità negoziale, non consente di governare la localizzazione dell'housing sociale rispetto allo sviluppo della città; nello stesso tempo, la possibilità di utilizzare le aree a standard ai fini dell'edilizia so­ ciale, come avvenuto ad esempio a Milano, costringe le amministrazioni locali a ripen­ sare e ad orientare il privato nella costruzione fisica degli insediamenti, soprattutto quando sono inseriti nelle aree interstiziali dei contesti urbani consolidati e, spesso, densamente abitati. La mixité sociale e l'integrazione della funzione residenziale con quelle di servizio alla persona attribuiscono all'housing sociale anche la funzione stra7· Soprattutto in questo ultimo anno, a partire dai 10 fondi recentemente costituiti, si denota un maggiore coinvolgimento delle imprese nell' implementazione del fondo immobiliare. Questa situazione è da ricondursi principalmente all'attuale contrazione creditizia che, impedendo di accedere all' indebita­ mento finanziario, incentiva le imprese a costituire un fondo per ottenere l ' investimento del FIA e portare avanti le iniziative di housing sociale. I3I

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tegica di "ricucitura" dei quartieri esistenti, orientando la formazione di un contesto urbano socialmente integrato. Tuttavia, se il tema dell'housing sociale ha contribuito ad alimentare e rinnovare il dibattito sul ruolo della residenza sociale nella costruzione della città fisica, le differenti misure che sono oggi portate avanti in partnership tra pubblico e privato sembrano sempre più svincolate da una strategia più generale di trasformazione urbana. Tanto più vero se ci si riferisce ai recenti progetti attuati me­ diante i fondi immobiliari, come l'acquisto di immobili invenduti o di iniziative avvia­ te in fase di stallo. Operazioni immobiliari che, inoltre, sono state incentivate da due recenti provvedimenti : il Decreto Sviluppo del D.L. 70/2012 (legge 106/2012) e il de­ creto "Lupi-Renzi" 47/2014 (legge S o/2014). Il primo decreto integra (art. s , comma 9°), più in generale, le leggi regionali ema­ nate in attuazione del Piano casa 2. Solo nelle aree degradate con presenza di funzioni eterogenee, tessuti edilizi disorganici o incompiuti e aree dismesse, si incentivano la demolizione e ricostruzione e il mutamento di destinazione d'uso mediante volumetrie premiali. Come il vecchio Piano casa 2, anche questo provvedimento non ha prodotto gli effetti anticongiunturali sperati e, inoltre, non è stato efficace a innescare un proces­ so complessivo di rigenerazione urbana. Le misure previste sono tendenzialmente limi­ tate ai soli edifici, senza comprendere il recupero dell'intero ambito urbano, e sono esclusi i centri storici che, qui penalizzati, sono anche quelli che più necessitano inter­ venti di rigenerazione urbana (si pensi, ad esempio, ai centri storici minori). Alcune Regioni, tuttavia, hanno previsto che, per usufruire degli incentivi volumetrici, si deb­ ba riservare una quota di immobili alla residenza sociale previa demolizione e ricostru­ zione/mutamento di destinazione d'uso8• Questi interventi, innovativi nella logica dell'integrazione tra ERS e riqualificazione, non sono ancora entrati nella comune pra­ tica di trasformazione urbana, in quanto sono ancora poco incisive le misure finalizza­ te a rendere economicamente vantaggioso un intervento di rigenerazione urbana piut­ tosto che di nuova costruzione. Anche il più recente decreto "Lupi-Renzi", che sembra lanciare qualche timido segnale innovativo sul piano fiscale per agevolare la locazione sociale9, non introduce

8. Alcuni esempi sono : la L.U.R. Lombardia 4/2012: nell'ambito degli interventi di sostituzione del patrimonio edilizio esistente o di variazione della destinazione d 'uso, sono previsti incrementi premiali volumetrici fino al 40% per gli edifici sociali di proprietà pubblica (che otterrebbero anche una riduzione del so% degli oneri di urbanizzazione) e fino al 20% per gli altri edifici (nei Comuni a fabbisogno acuto, critico o elevato quest'ultima può arrivare fino al 4o%) ; la L.U.R. Puglia 21/2011: consente un aumento di volumetria premiale per demolizione e ricostruzione, subordinata alla destinazione ad ERS del 20% della nuova volumetria; la L.U.R. Marche 22/20 1 1 : consente un ampliamento della volumetria esistente fino al so%, previa demolizione e ricostruzione, solo per gli edifici di ERP. 9· n decreto prevede: la possibilità per le imprese che utilizzano alloggi di nuova costruzione (anche invenduti) o recuperati a fini sociali, di dedurre il 40% dei redditi da locazione dal reddito di impresa ai fini della tassazione dell ' IRAP; la riduzione al 10% della cedolare secca per i contratti a canone concordato nei Comuni ad alta tensione abitativa per il periodo 201 4-17.

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elementi di rilievo in campo urbanistico, ripercorrendo la stessa strada con cui, dal Piano casa del 2 o o 8 ad oggi, richiamando in causa un principio di interesse generale quale la tutela del diritto abitativo, sono poi stati perseguiti obiettivi sottesi legati alla fase recessiva dell'industria edilizia. L'art. I O del decreto prevede procedure semplificate (Comune-proponente) per ri­ convertire o avviare progetti in variante, anche con sostituzione edilizia e mutamenti di destinazione d'uso, sia per immobili esistenti (dunque invenduti) e/o non ultimati, sia per iniziative provviste dei titoli abilitativi ma non ancora avviate a causa della crisi eco­ nomico-finanziaria. È previsto (art. IO, comma I0 ° bis), inoltre, che per il finanziamento e la rapida realizzazione dei programmi di edilizia sociale, oltre ai contributi pubblici, le stesse iniziative possano essere conferite o cedute ai fondi immobiliari per l'housing sociale. La portata di questa norma, che ha nelle sue finalità esplicite (art. IO, comma I 0) la promozione, senza consumo di nuovo suolo, di politiche urbane finalizzate alla rige­ nerazione delle aree urbanizzate e dei tessuti edilizi esistenti attraverso lo sviluppo dell'e­ dilizia sociale, appare quanto mai limitata. Da un lato, infatti, mediante il mutamento di destinazione d'uso delle aree si possono determinare carichi urbanistici non previsti dagli strumenti urbanistici vigenti, dall'altro, in ragione di un interesse sociale - l' au­ mento degli alloggi in locazione - del quale ancora una volta non si stabilisce una quan­ tità minima, si continuano a sostenere, con risorse pubbliche, iniziative non ancora av­ viate proprio per la crisi del mercato residenziale. Si continua, dunque, ad incentivare la nuova costruzione a discapito della rigenerazione degli ambiti urbani degradati. 7· 3

Le leve su cui puntare per un futuro dell ' housing sociale : premialità, fiscalità e ...

Pur nelle più generali criticità, sopra accennate, delle norme in vigore, che sembrano rallentare il processo di saldatura tra ERS e riqualificazione urbana, esistono alcuni strumenti ai quali guardare per un futuro dell'housing sociale nelle politiche urbane. Per superare la cronica carenza di risorse pubbliche e stimolare l'apporto di quelle private ormai necessarie alla realizzazione delle opere di interesse generale, è quanto mai urgente promuovere una stretta connessione tra la leva urbanistica e la leva fiscale nei processi di trasformazione urbana. Questo quadro economico incerto, per cui sem­ bra ormai avviato un mutamento strutturale del mercato immobiliare e dell'industria edilizia, non consente di fare affidamento sui pilastri che tradizionalmente sono stati alla base dello sviluppo urbano. Il plusvalore fondiario, da solo, non è più funzionale al finanziamento delle parti pubbliche della città10 (Micelli, Antoniucci, 2 0 I 3 ) . Se, dun10.

Lo sviluppo di interventi di trasformazione urbana attraverso l 'accordo pubblico-privato si è baI33

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que, la premialità edilizia rientra tra gli strumenti di incentivo al rinnovo urbano e all'edilizia sociale, sia nelle previsioni di legge regionale sia, più di recente, in quelle nazionali (legge 244/2007, comma 259°; D.L. 70/2012, art. s, e poi anche nella bozza di riforma urbanistica), non è più in grado da sola di assicurare l'equilibrio economico­ finanziario dei progetti, specialmente se orientati alla rigenerazione urbana anche me­ diante l'housing sociale. Una volta chiarite le questioni più spinose che la riguardano, come la trasferibilità tra aree diverse e la libera commercializzazione dei diritti edifica­ tori che generano rilevanti problemi nell' individuazione delle aree di atterraggio, ren­ dendo incerti gli esiti attuativi del suo utilizzo, la premialià edilizia andrebbe integrata con altri strumenti di natura fiscale. Un esempio proviene dall'attuale applicazione della detrazione I RPEF del 6s% per chi effettua, nel rispetto dei requisiti di prestazione energetica degli edifici previsti per legge (Decreto del ministero dello Sviluppo economico 11 marzo 2oo8), interventi di demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma. Questa agevolazione fiscale potrebbe essere estesa anche agli interventi con modifiche della volumetria, conformi al recupero degli ambiti urbani degradati, se orientati, ad esempio, a garantire quote di edilizia sociale. Altra questione sarebbe, invece, sfruttare l'imposta municipale sugli immobili. L'art. 9 della bozza di riforma urbanistica, comma 5°, prevede che le imposte locali sugli immobili siano commisurate all'indice di densità edilizia. Ove la densità è mag­ giore si applicherebbero aliquote ridotte rispetto alle aree con indici inferiori. Questo sistema progressivo andrebbe ad incentivare la riqualificazione urbana, da un lato, e, dali'altro, consentirebbe di generare uno stock di risorse che, prelevate nelle aree mag­ giormente tassate, potrebbero essere utilizzate ai fini dell'housing sociale. Una riforma sulla tassazione degli immobili dovrebbe, inoltre, contribuire a ri­ pristinare una tassa di scopo per il finanziamento agevolato dell'edilizia sociale, co­ me era un tempo la G E S CAL. Se i Comuni applicassero delle aliquote molto elevate sulle aree fabbricabili e sugli immobili non utilizzatiu, oppure, chiamando in causa

sato principalmente, ai fini dell'equilibrio economico-finanziario, sulla ripartizione della rendita derivante dalla valorizzazione immobiliare (quantità volumetriche e localizzazione degli immobili) frutto delle scel­ te amministrative, a fronte della realizzazione, da parte del privato, di opere pubbliche (solitamente le po­ tenzialità edificatorie determinate dalle amministrazioni sono in eccesso rispetto a quanto previsto dagli strumenti urbanistici). Se, dunque, entrambi i soggetti - pubblico e privato - trovavano convenienza nell'attuazione di un intervento di trasformazione urbana mediante questo meccanismo negoziale, oggi, poiché i valori di commercializzazione degli immobili hanno subito una brusca contrazione, è invece pos­ sibile che il privato trovi addirittura sconveniente portare avanti questo tipo di investimento. 1 1. Stanghellini (2013) propone di utilizzare il prelievo tributario sulle aree fabbricabili e sugli im­ mobili non utilizzati sia per incentivare la realizzazione di opere pubbliche nella città da riqualificare, sia per evitare il "residuo" che grava sulle future scelte urbanistiche. n prelievo maggiore potrebbe, infatti, in­ durre i proprietari ad avviare in tempi rapidi la trasformazione urbana oppure a chiedere ali' amministrazio­ ne locale il ripristino di una destinazione agricola delle aree.

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la responsabilità collettiva, sui grandi patrimoni immobiliari, si potrebbero veicolare le risorse accantonate verso l' implementazione di un fondo dedicato a finanziare l' housing sociale. 7· 4

... una diversa politica del credito. Il fondo rotativo di S alzburg

La stagione dei fondi immobiliari ha contribuito ad alimentare il dibattito sulle forme di partenariato finalizzate al finanziamento dell'edilizia sociale che, in seguito all'eli­ minazione della GE SCAL ( legge 431/1998), ha profondamente risentito della progres­ siva riduzione di risorse pubbliche. Con l' introduzione del Sistema integrato dei fondi, però, nel quadro di un profondo cambiamento della politica abitativa, si è passati, di fatto, da un fondo di erogazione a un fondo di investimento. Nonostante l'originalità del meccanismo finanziario abbia trovato esito nel veicolare ingenti risorse private nel settore, la sua applicazione non ha di rimando dimostrato di essere una strategia in grado di incidere strutturalmente nella carenza di abitazioni in affitto. Le aspettative di profittabilità dei progetti, la scarsa partecipazione delle fondazioni bancarie - che avrebbero dovuto costituire il perno del sistema - le scelte discrezionali market-orien­ ted degli operatori finanziari e quella fortemente centralista della CDP, e infine la crisi, hanno messo in luce tutti i limiti di questa misura di intervento : una soluzione tempo­ ranea, lanciata anche per sostenere l' industria edilizia in fase recessiva, che richiede un poderoso sforzo dell ' attore pubblico a livello locale senza comportare sostanziali van­ taggi rispetto alle modalità più tradizionali dell'edilizia convenzionata. L'erogazione del servizio abitativo in locazione, oltreché spesso temporaneo (vedi il patto di futura vendita) , è inoltre limitato a quote residuali caratterizzanti un'offerta sostitutiva piut­ tosto che aggiuntiva nel comparto della locazione : le fasce estreme del bisogno, un tempo supportate dall'offerta di ERP, sono tagliate fuori forse in modo troppo discri­ minatorio, e la reale soddisfazione del disagio abitativo, non più riconducibile alla casa in proprietà, trova luogo solo in seguito a faticosi accordi e negoziazioni a redditività garantita. Pur nel successo di alcune iniziative, il Sistema integrato dei fondi non può né potrà mai rappresentare una risposta esaustiva alla questione abitativa italiana. Per agevolare una maggiore produzione di edilizia abitativa in locazione occorre­ rebbe, infatti, individuare meccanismi in grado di ridurre il costo dei capitali e di di­ sancorarne, per quanto possibile, l'approvvigionamento dal mercato. Una questione che veniva affrontata già ai tempi del Piano "Fanfani", quando « si diffuse l'idea che, per incrementare e agevolare la produzione di edilizia abitativa, occorresse coinvolgere il settore bancario, agendo sul costo del denaro e sui tassi di interesse dei mutui, anziché operare con contributi dello Stato a fondo perduto » ( Gorio, 2002, p. 262) ; e che non è stata invece affrontata mediante il meccanismo finanziario gestito dalla C D P I S GR, I3S

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che ha richiesto, ai fini del coinvolgimento patrimoniale nei fondi locali, rendimenti tendenzialmente in linea con quelli del mercato. Un'esperienza replicabile in Italia, anche dai governi locali, è stata implementata dal Land austriaco Salzburg2 che, nel 2oo6, ha convogliato in un unico fondo le risor­ se provenienti da diverse misure di politica abitativa13. Il modello scelto si basa su un fondo di rotazione che concede mutui agevolati, sia alle famiglie sia alle imprese, ad un tasso di interesse del 2,5 %. Il fondo consente di generare entrate costanti provenienti dai sussidi federali, che vi confluiscono direttamente senza ricadere nel bilancio gene­ rale, e dai flussi prodotti dai mutui concessi per l'acquisto di un'abitazione o per la nuova costruzione/recupero di edilizia abitativa sociale. Esiste, in particolare, un in­ centivo, rivolto a chi ha contratto un mutuo prima del 2oo6 (anno di costituzione del fondo), che consiste nella riduzione dell'intera somma del capitale da rimborsare pro­ porzionalmente ai suoi tempi di ammortamento. Prima si estingue il mutuo, inferiori sono gli interessi da restituire. In questo modo si riesce a generare una notevole liqui­ dità che permette la concessione di nuovi mutui. Solo nel 2o11 sono stati concessi 1,5 miliardi di prestiti, si conta di giungere nel 2o28 ad un ammontare complessivo di circa 3,8 miliardi e di destinare 10 milioni annui al sovvenzionamento diretto della domanda, come unica forma di contribuzione a fondo perduto dello strumento. Oltre ad aver consentito la realizzazione, nel periodo 2oo8-1o, di 5.201 alloggi (tra nuova costruzione e recupero), i canoni di locazione applicati sono ridotti del 35% ri­ spetto al mercato e si stima che il programma abbia creato circa 9.ooo posti di lavoro nel solo anno 2012. Gli obiettivi politici sottesi alla costituzione del fondo, che dovrebbero essere un esempio anche per le pratiche nostrane, oltre a garantire continuità temporale alla rea­ lizzazione delle abitazioni sociali, miravano : all'indipendenza da sussidi esterni e alla sostenibilità di lungo termine, trasfor­ mando la formula del contributo a fondo perduto in un prestito agevolato per 30 anni; all'indipendenza rispetto al mercato, permettendo la raccolta di capitali a basso costo interamente dedicati all'housing sociale14. I 2. L' iniziativa austriaca, A New Financing Mode!Jor Ajfordable Housing: The Austrian U'lly, è stata presentata nell'ambito dell'European Housing Forum (20I2) dal titolo "Invecchiamento attivo e solidarietà intergenerazionale" a Bruxelles, il 22 maggio 20I2. I 3· li fondo è stato anche implementato attraverso la raccolta di capitali sul mercato (per circa 5 30 milioni) concessi grazie all'elevato rating (tripla A) di cui gode il Land, esso stesso garante del prestito. Si conta di estinguere questo debito entro il 2o28. I 4. Nel centro un appartamento ha un costo medio di locazione pari a circa I MO euro/mq; l 'affitto di un appartamento di 70 mq sarebbe dunque pari a circa 945 euro/mese. Per lo stesso appartamento rea­ lizzato mediante l 'utilizzo del fondo, il canone locativo sarebbe pari a 595 euro/ mese (costo medio di loca­ zione di 8,50 euro/mq). Nell'hinterland i canoni al mq sul mercato e agevolati dal fondo sono rispettiva­ mente: 10,9 5 euro/mq e 7,8o euro/mq.

7· NUOVA EDIFICAZIONE E RECUPERO EDILIZIO

Pur nelle modeste dimensioni, anche legate al territorio di riferimento, questo pro­ gramma richiama in causa il credito agevolato come via per il finanziamento dell'hou­ sing sociale. Un'audace politica del credito e il governo delle aree, che - quelle pubbliche vengono spesso distolte dal loro fine originario di aree a standard di servizio - l'edilizia sociale in locazione - contribuirebbero a ridurre la gran parte delle problematiche con­ nesse alla carenza strutturale di abitazioni in affitto in Italia. Riferimenti bibliografici (201 3), Forum dell:Agenda Urbana Italiana, Atti del seminario, css - Consiglio italiano per le Scienze Sociali, Roma, Palazzo San Macuto, 23 gennaio. BELLICINI L. (201 3a), I tempi, le risorse gli ostacoli della trasformazione urbana, in AA.VV., Forum dell'Agenda Urbana Italiana, Atti del seminario, css - Consiglio italiano per le Scienze Sociali, Roma, Palazzo San Macuto, 23 gennaio, pp. 33-5. ID. (201 3b), Costruzioni, immobiliare e citta tra rendita urbana e rendita di procedura. La diffici­ le innovazione del Paese, in M. Leonori, P. Testa (a cura di), La citta oltre lo sprawl. Rendi­ ta, consumo di suolo epolitiche urbane ai tempi della crisi, Cittalia, Edizioni Solaris, Roma, pp. 107-24. BORGHETTI E. (2013), I Fondi di investimento immobiliare nell'Housing Sociale. Strumento poco efficace in un rapporto pubblico/privato ancora problematico, Tesi di dottorato in Pianifica­ zione Territoriale e Urbana, la "Sapienza" Università di Roma, in http:/ /padis.uniromai. it/bitstream/1o8 os/20 35/1/TESI_DEF.pdf. CAUDO G. (2oo6), Case di carta, in "Urbanistica Informazioni", 207, INU Edizioni, pp. 38-40. CIPU (2013), Metodi e contenuti sulle priorita in tema di Agenda Urbana. CONSIGLIO ITALIANO PER LE SCIENZE S O CIALI (2oi i), Societa e territori da ricomporre. Libro

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8

Fattibilità dell'edilizia sociale: dall'esemplarità virtuosa alle politiche diffuse e multisettore di Stefano Stanghe/lini

8.1

Le peculiarità degli strumenti urbanistici, fiscali e finanziari

Le politiche urbane, e in particolare quelle abitative, possono avvalersi di strumenti di diversa natura per raggiungere le loro finalità: strumenti urbanistici, finanziari e anche fiscali. Merita quindi riflettere sull'utilità di tali strumenti nelle attuali condizioni so­ ciali ed economiche del paese, allo scopo di comprendere quale sia la funzione più appropriata per ciascuno di essi e di riflettere sulle condizioni necessarie perché la fun­ zione di ciascuno strumento possa essere esplicata nel modo più efficace possibile. Il punto di partenza del ragionamento proposto è rappresentato dalla notevole consistenza raggiunta dal patrimonio edilizio residenziale. In Italia esistono già quasi 29 milioni di alloggi, di cui quasi 24 occupati da residenti. È vero che dei s milioni di abitazioni non occupate dai residenti, una parte è costituita dalle seconde case, un'altra da abitazioni ubicate in parti del territorio nazionale distanti dalle aree urbane, ed un'altra ancora da alloggi in condizioni manutentive insufficienti per consentirne l 'u­ so. Cionondimeno, il sintetico dato rende evidente che nelle nostre città esiste un con­ sistente numero di alloggi che potrebbe essere utilizzato per soddisfare la domanda di abitazioni a canone moderato. La rilevanza di questo apporto è evidente, qualora si consideri che in Italia il patrimonio di edilizia residenziale gestito dalle aziende pubbli­ che già IACP è di appena 1 milione di alloggi. In estrema sintesi, dunque, esiste una offerta potenziale di alloggi di ragguardevo­ le entità che, se diventasse reale, avrebbe il grande pregio di potere soddisfare una rile­ vante quota della domanda di abitazioni in affitto a canone moderato, e anche di farlo in tempi molto brevi. Il duplice aspetto di questa potenziale offerta - la rilevante di­ mensione e la disponibilità in tempi brevi - va tenuto in grande considerazione. Gli strumenti appropriati per incrementare l'offerta di alloggi a canone calmierato utilizzando il patrimonio edilizio già esistente non sono né quelli urbanistici né quelli finanziari. Gli strumenti funzionali all'attivazione, nel breve periodo, di una quota notevole di offerta sono di tipo fiscale, appartengono cioè alla sfera della fiscalità edi­ lizia e immobiliare nazionale e locale. 139

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Nell 'imposizione fiscale locale, in particolare, già l'aumento dello scarto tra l'ali­ quota IMU applicata alle abitazioni mantenute sfitte rispetto a quella delle abitazioni affittate a canone calmierato, può dare luogo, nelle aree urbane a forte tensione abita­ tiva, ad un consistente incremento dell'offerta di abitazioni disponibili per le politiche sociali. L'uso più efficiente del patrimonio edilizio esistente nelle nostre città potrebbe essere accentuato rendendo stabili nel tempo, ed eventualmente anche potenziando, gli incentivi fiscali all'esecuzione degli interventi di manutenzione straordinaria e di riqualificazione energetica. La fiscalità immobiliare generale, se opportunamente go­ vernata, potrebbe favorire l'uso più efficiente delle abitazioni anche agevolando lo scambio dell'abitazione usata in proprietà, ma non più funzionale alle proprie esigenze, con un'altra, sempre in proprietà e più funzionale. Dunque, gli strumenti di natura fiscale possono svolgere un ruolo di importanza cruciale nelle moderne politiche abitative, sia perché rendono disponibile una quanti­ tà di alloggi molto consistente, sia perché lo fanno nel breve periodo, soddisfacendo quindi il disagio abitativo delle famiglie nel momento in cui esso si manifesta. Il filo del ragionamento che è stato impostato a proposito delle politiche abitative può essere ulteriormente esteso. Oggi, infatti, le politiche di rigenerazione urbana tro­ vano uno strumento fondamentale, spesso imprescindibile, nella leva fiscale. La fisca­ lità, locale e generale, può infatti modificare il comportamento degli operatori econo­ mici, e quindi delle imprese e delle famiglie, nella produzione e nell'uso dei beni im­ mobili. La fiscalità immobiliare generale e locale può disincentivare la nuova edifica­ zione e quindi frenare l'urbanizzazione di nuovi terreni, può stimolare il recupero del patrimonio edilizio esistente, può favorire la creazione e l' insediamento di nuove atti­ vità nei centri storici, e via dicendo. In Italia, dunque, l'importanza della riforma degli estimi catastali, di prossimo avvio, non riguarda solo l'entità e l'equità del prelievo fi­ scale sui beni immobili, e quindi un settore specialistico che parrebbe distante dal go­ verno del territorio, perché rappresenta un passaggio obbligato per conseguire un uso efficiente del patrimonio edilizio delle nostre città attraverso un uso efficace della leva fiscale. A dispetto della fondamentale importanza che lo strumento fiscale potrebbe avere per le politiche abitative, finora, nel nostro paese, non se ne è fatto un uso organico e complessivo. Sono state sì adottate singole misure allo scopo di ottenere specifici risul­ tati ( ad esempio, la riduzione dell 'aliquota I M U per incentivare l'affitto delle abitazio­ ni a canone calmierato viene già praticata in qualche città) ma non si è mai allestito un organico piano d'azione fiscale per le politiche abitative, mettendo in campo in modo combinato tutte le misure complessivamente attivabili. Un piano d'azione fiscale qua­ le quello ipotizzato dovrebbe essere accompagnato da un sistema di monitoraggio degli esiti, al fine di eseguire periodiche verifiche e di apportare i necessari aggiustamenti, nel corso del tempo, alle misure introdotte. Per contro, per le politiche di riqualificazione e di rigenerazione di cui necessitano

8. FATTIBILITÀ DELL ' EDILIZIA SOCIALE

le nostre città, lo strumento urbanistico non può più ricoprire il ruolo complessiva­ mente egemone che aveva svolto nel periodo dell'espansione urbana. Il ruolo dello strumento urbanistico era predominante nelle politiche urbane degli anni Sessanta e Settanta, quando il futuro delle nostre città dipendeva soprattutto dalla realizzazione dei nuovi insediamenti, e quindi anche degli insediamenti di edilizia economico-po­ polare. Nel caso dell'housing sociale, in particolare, oggi gli strumenti di carattere ur­ banistico si trovano a svolgere un ruolo più circoscritto per due ragioni: il divario tem­ porale tra domanda e risposta che ne caratterizza l'impiego, e la mancanza del sostegno di una consistente leva finanziaria pubblica. La produzione di alloggi sociali attraverso l'impiego degli strumenti urbanistici richiede tempi lunghi, e quindi si concretizza in un momento molto distante nel tem­ po, incompatibile con quello in cui si manifesta il disagio abitativo. Inoltre la produ­ zione di nuovi alloggi sociali richiede di essere alimentata da una notevole quantità di risorse finanziare pubbliche, non più disponibile, o almeno non più disponibile nella misura in cui lo era stata nello scorso secolo. Oggi, come è noto, le risorse finanziarie pubbliche disponibili sono scarse, e quindi il numero di alloggi che è possibile produr­ re con esse è molto limitato. Il grande punto di forza che gli strumenti urbanistici possiedono nelle politiche di housing sociale prescinde quindi dal tempo e dalla quantità. Esso sta nella qualità degli interventi attivabili. Gli strumenti urbanistici dispiegano la loro utilità quando si trat­ ta di intervenire nelle parti di città che presentano una elevata condizione di degrado. Essi si prefiggono di attivare un investimento ( privato o misto pubblico/privato ) che sia in grado di rimuovere il degrado e creare nuova città. Pertanto inseriscono la pro­ duzione di alloggi sociali nel contesto di un progetto di riqualificazione urbana conno­ tato da mixité funzionale e da mixité sociale, che deve essere capace di propagare ester­ nalità positive nel tessuto urbano circostante. L'housing sociale inserito in un progetto di riqualificazione urbana ne diventa infatti una componente qualitativa di spicco. In particolare, vi trasferisce alcuni suoi importanti ingredienti quali, appunto, la mixité sociale, i servizi pubblici e privati connessi all'abitare, l' innovazione tecnologica, e altro ancora. In ciò si registra una differenza di fondo rispetto agli anni Sessanta e Settanta, in cui gli strumenti urbanistici avevano sì condotto alla realizzazione di quantità di alloggi molto rilevanti, ma anche prodotto grandi insediamenti monofunzionali, che in alcuni casi sono divenuti dei veri e propri ghetti. La leva necessaria per attivare qualsiasi operazione di housing sociale è di carattere finanziario. Degli strumenti finanziari merita di essere messa in luce soprattutto la loro estrema versatilità, una versatilità che ne rispecchia la grande varietà. Per quanto riguar­ da l' housing sociale, gli strumenti di natura finanziaria possono essere utilizzati per rendere l'offerta più accessibile, riducendo i prezzi o i costi del prodotto edilizio, o rendendo la domanda più solvibile, incrementando quindi la quota del reddito fami­ liare impiegabile per l'abitazione. Grazie ad un uso appropriato degli strumenti di tipo

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finanziario si può sostenere la produzione di alloggi attraverso il recupero del patrimo­ nio edilizio piuttosto che attraverso la costruzione di nuove case in zone di espansione urbana, si può incentivare la produzione di alloggi pubblici da dare in locazione a ca­ none sociale, o anche produrre alloggi di edilizia convenzionata e agevolata da rendere accessibili per l'acquisto in proprietà a prezzi contenuti. Strumenti finanziari quali il contributo in conto interessi sul mutuo, il buono casa, e via dicendo, fanno parte delle consolidate politiche abitative. Di recente sono state sperimentate modalità innovative, legate alla congiuntura economica ed ai suoi effetti sociali negativi. Nelle città di Torino e di Cuneo, ad esempio, le fondazioni di origine bancaria hanno predisposto, d' intesa con le amministrazioni comunali, dei programmi d'intervento volti a prevenire l' insorgere del disagio abitativo. Questi programmi di prevenzione, nella cui attuazione sono impegnati i servizi sociali comunali e apposite commissioni di gestione, si attuano individuando le fami­ glie che, per sopraggiunte criticità quali la perdita del posto di lavoro da parte del ca­ pofamiglia, stanno per non essere più in grado di pagare il canone di locazione o la rata del mutuo. Prima che la criticità si manifesti attraverso lo sfratto o il pignoramen­ to del bene, la famiglia è aiutata nel pagamento del canone di affitto - in tutto o in parte, per un periodo limitato nel tempo - oppure nella modifica del piano di ammor­ tamento del mutuo. Gli esiti di queste esperienze sono molto positivi : in primo luogo sul piano sociale, perché con grande cura viene salvaguardata la dignità della persona e della famiglia, e poi anche in termini finanziari poiché la collettività, con un impiego di denaro molto contenuto, evita che le famiglie in difficoltà, una volta rimaste senza casa, generino una domanda aggiuntiva di alloggi pubblici. La finanziarizzazione dei mercati immobiliari ha portato prima alla nascita dei fondi immobiliari di investimento, e poi al loro impiego nelle politiche abitative. Poi­ ché l'esaurimento dei fondi G E S CAL , dall'inizio degli anni Novanta, ha ridotto in mi­ sura molto consistente l'ammontare delle risorse finanziarie pubbliche impiegabili per le politiche abitative, è diventata essenziale la creazione di sinergie tra le minori risorse pubbliche disponibili e le risorse che possono mettere in campo i soggetti privati depu­ tati allo svolgimento di una missione sociale. Decisivi, al riguardo, sono stati dapprima l' iniziativa propulsiva delle fondazioni di origine bancaria e della Cassa depositi e pre­ stiti, e poi l' intervento dello Stato, che nel "Piano nazionale di edilizia abitativa" ha indicato nel fondo immobiliare uno dei principali strumenti di intervento ed ha quin­ di stimolato la nascita del Sistema integrato dei fondi (siF) per l'housing sociale. Molti interventi realizzati o in corso di realizzazione grazie al SIF o all'autonoma iniziativa delle fondazioni di origine bancaria si distinguono per più aspetti: il valore strategico dell'iniziativa urbanistica nel contesto urbano degradato, la qualità del pro­ getto architettonico, l'innovazione tecnologica nei materiali impiegati, il programma di gestione sociale, l' integrazione del "servizio abitativo" con altri servizi pubblici e privati, la messa in pratica dei principi di sostenibilità e di efficienza energetica. Fra

8. FATTIBILITÀ DELL ' EDILIZIA SOCIALE

questi merita citare "Cenni di cambiamento", il noto progetto realizzato a Milano dal Fondo immobiliare di Lombardia gestito da Polaris Real Estate S GR. Analoghe carat­ teristiche possiedono interventi realizzati direttamente dalle fondazioni, quali la Resi­ denza Temporanea di Porta Palazzo a Torino per iniziativa del Programma Housing della Compagnia di San Paolo e, sempre a Torino, il progetto Sharing Ivrea 24 Abitare Sostenibile, a cura della Fondazione Sviluppo e Crescita della Fondazione CRT. Esisto­ no quindi valide ragioni per sostenere la tesi che oggi, in Italia, l'housing sociale rap­ presenta la frontiera dell'innovazione su tutti i profili che sono stati appena indicati: urbanistico, architettonico, tecnologico, sociale, finanziario. Per i motivi che sono stati sin qui esposti, non sembra che sia appropriato valutare l'attività svolta dal Sistema integrato dei fondi principalmente attraverso la quantità di alloggi realizzati, e quindi sulla base del contributo quantitativamente recato al soddi­ sfacimento della domanda di abitazioni a canone moderato. A tal fine altri strumenti di natura finanziaria - quali la contribuzione all'affitto - o gli strumenti di natura fi­ scale - quali l'incentivazione del canone concordato - sono più appropriati sia in ter­ mini di quantità che di tempestività. Per le modalità attraverso cui si è sviluppata l'esperienza del Sistema integrato dei fondi, le sue realizzazioni vanno considerate so­ prattutto per la qualità delle innovazioni che esse veicolano. Queste realizzazioni, quindi, nell'insieme dell'housing sociale, possiedono un carattere esemplare, e quindi è soprattutto sui parametri dell'innovazione che esse meritano di essere valutate. Le tre tipologie di strumenti sin qui discusse possono essere utilizzate autonoma­ mente l'una dall'altra. La necessità di realizzare alloggi sociali in parti di città molto degradate, e quindi nell'ambito di progetti quali i programmi integrati di intervento o i programmi di riqualificazione urbana, può tuttavia incontrare difficoltà molto rile­ vanti, che si traducono in costi non compatibili con la pratica di prezzi o canoni signi­ ficativamente inferiori a quelli presenti nel mercato. L'uso sinergico di più strumenti di varia natura diventa quindi essenziale per conseguire una forte riduzione dei costi che il promotore di un intervento di edilizia residenziale sociale deve sostenere. Una rivisitazione delle attività che formano il processo produttivo di alloggi sociali può quindi servire per mettere in luce le sinergie che possono instaurarsi fra gli strumenti esaminati. 8.2

Il piano urbanistico quale generatore di convenienze per l ' housing sociale

Si è detto che il grande pregio dello strumento urbanistico, nell'ambito delle politiche abitative, sta nel collocare la produzione di alloggi sociali all'interno di progetti di ri­ qualificazione urbana. Sotto il profilo gestionale, l'intervento di housing sociale previI 43

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sto nel quadro del progetto di riqualificazione urbana può essere realizzato direttamen­ te dal soggetto promotore del progetto complessivo, oppure delegato ad un operatore, pubblico o privato, specializzato nell'edilizia residenziale sociale. È noto come nell'economia immobiliare esista un legame diretto fra il valore di mercato dei beni ed i redditi che tali beni devono dispiegare in favore di chi ne detiene la proprietà. Tant 'è che la somma attualizzata dei redditi futuri che un bene può pro­ durre, effettuata con l'ausilio di un appropriato saggio di sconto, è uno dei principali procedimenti estimativi che conducono alla individuazione del valore di mercato del bene immobile. La produzione e la gestione di alloggi sociali in condizioni di mercato richiedono dunque che sia raggiunto un equilibrio economico fra i costi di produzione e gestione, per un verso, e i redditi, per l'altro, in presenza di un vincolo finanziario rappresentato dal limite, fissato con criteri sociali, da assegnare all'ammontare del canone di locazio­ ne e quindi del reddito ottenibile. In questo contesto, è di fondamentale importanza l 'obiettivo della riduzione dei costi di produzione degli alloggi sociali, ossia dell'am­ montare del prezzo da pagare per il terreno da edificare o comunque per gli edifici da riqualificare, dei costi di costruzione, delle spese aggiuntive rappresentate dagli oneri di urbanizzazione e dal contributo sul costo di costruzione, delle spese tecniche, degli oneri finanziari, del profitto imprenditoriale e degli oneri fiscali. Per tale ragione, ap­ posite norme di legge esentano la produzione degli alloggi sociali dal pagamento del contributo sul costo di costruzione e stabiliscono regimi fiscali agevolati per la loro produzione, vendita ed acquisto. Dei fattori di costo appena elencati, il più importante è costituito dal prezzo degli immobili di intervento, ossia dei terreni da edificare o degli edifici da recuperare. L' im­ portanza deriva da due aspetti. Il primo è costituito dal fatto che il costo del terreno, in un'area urbana, generalmente incide sul prezzo di vendita degli alloggi realizzati in condizioni di libero mercato in misura variabile fra un terzo e un quarto. Pertanto, per importanza, si tratta della seconda componente della struttura dei costi di produzione, essendo la principale rappresentata dai costi di costruzione. Il secondo aspetto è che il costo degli immobili di intervento, a differenza del costo di costruzione, può essere compresso fino all'azzeramento. Di conseguenza, i costi di produzione possono essere abbattuti di una quota variabile tra un quarto ed un terzo solo grazie alla disponibilità gratuita degli immobili di intervento. Tale riduzione dei costi di produzione si riflette proporzionalmente sui canoni di locazione che possono essere praticati nel rispetto del vincolo finanziario di cui si è detto. Per la ragione appena esposta, tutti i programmi di housing sociale contemplano la disponibilità gratuita, o comunque a prezzi molto contenuti, dei beni immobili di intervento. Per fortuna gli strumenti messi a disposizione a tal fine dalla disciplina ur­ banistica non mancano. In passato, si riteneva che l'acquisizione dei terreni necessari per l'edilizia residenziale pubblica ( sovvenzionata o convenzionata agevolata) potesse 144

8. FATTIBILITÀ DELL ' EDILIZIA SOCIALE

avvenire a prezzi molto contenuti se il loro valore veniva depurato dall'incremento generato dalla rendita fondiaria urbana. Pertanto si faceva affidamento a norme di legge che consentissero di espropriare i terreni ai loro proprietari pagando un prezzo molto basso, vicino al valore che i medesimi terreni avrebbero avuto solo per effetto della loro utilizzazione agricola. Oggi, dopo che è stato definitivamente chiarito che le indennità di esproprio devono essere commisurate ai valori di mercato dei beni espro­ priati, si fa affidamento ad altri strumenti. La perequazione urbanistica, in particolare, permette di concentrare la capacità edificatoria privata dei terreni edificabili su una porzione di essi, e di realizzare la ces­ sione gratuita al Comune di una quota dei terreni rimasti privi di capacità edificatoria privata. In questo modo il Comune ottiene, senza alcun esborso monetario, la proprie­ tà dei terreni che possono essere quindi assegnati agli operatori dell'edilizia residenzia­ le sociale, direttamente nel caso degli operatori pubblici o tramite procedure di eviden­ za pubblica nel caso degli altri. Nei progetti di sviluppo urbano, l'operazione descritta può essere congegnata in modo che il Comune ottenga la disponibilità di terreni già urbanizzati, con conseguente eliminazione, dalla struttura dei costi di produzione de­ gli alloggi sociali, anche dei costi di realizzazione delle opere di urbanizzazione prima­ ria. Uno strumento simile al precedente, perché anch'esso fa leva sul potere del piano urbanistico di attribuire ai terreni una certa capacità edificatoria, e quindi un determi­ nato valore economico, è rappresentato dalla premialità. Questo strumento è previsto dalla legge nazionale (legge 244/2007, art. I, commi 258° e 259°) ed anche da alcune leggi regionali, ma soprattutto è utilizzato in diversi piani comunali. Esso consiste nel riconoscere quantità edificatorie maggiori, quindi di natura premiale, ai proprietari di terreni che ne cedono quota parte per gli interventi di edilizia residenziale sociale. La legge nazionale, più precisamente, ha considerato i terreni per l'edilizia residenziale sociale quale standard urbanistico aggiuntivo, ponendo così un limite al loro successivo uso, dato che i terreni che il Comune ha così acquisito entrano a fare parte del suo pa­ trimonio indisponibile. Gli strumenti perequativi e premiali possiedono tuttavia un limite: si avvalgono della creazione, attraverso il piano urbanistico, di rendita fondiaria urbana, e pertanto abbisognano di un mercato immobiliare dinamico. Nelle attuali condizioni economi­ che, caratterizzate da uno scarso dinamismo del mercato immobiliare e da prezzi decre­ scenti, la forza che essi possedevano alcuni anni fa si è molto attenuata. Le amministra­ zioni comunali stanno quindi cercando delle alternative. Una di esse è rappresenta dall'uso del patrimonio immobiliare pubblico, dello Stato e di enti pubblici in genera­ le. Proprio l'attuale debole domanda espressa dagli investitori immobiliari per i beni pubblici, confermata dai numerosi insuccessi incontrati dalle gare indette per alienarli, stimola le amministrazioni comunali, principali destinatarie delle manifestazioni di disagio abitativo, a proporre l'uso, temporaneo o permanente, dei beni immobili pubI4S

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blici per finalità di edilizia residenziale sociale. Guardando verso questa prospettiva, sono tuttavia numerosi i problemi giuridici e tecnico-economici da risolvere, rispetto ai quali non si è ancora delineata una proposta organica d'intervento. Sempre il piano urbanistico offre un'altra possibilità, quella di sfruttare la sua va­ lenza negoziale per compensare, nei progetti di trasformazione urbana di dimensioni significative, la cessione gratuita di terreni urbanizzati a fronte del riconoscimento, in favore del promotore privato, di quantità edificatorie associate a destinazioni molto pregiate, ad esempio commerciali. Tuttavia i presupposti economici ed urbanistici per­ ché questa via possa essere perseguita esistono solo in alcuni casi. Un'altra valenza del piano urbanistico è quella concorsuale. Questa valenza si esprime in modo efficace soprattutto nel piano urbanistico riformato, ossia nel piano in cui la dimensione operativa è separata da quella strategico-strutturale. Il piano ope­ rativo può infatti essere progettato sollecitando le proposte dei promotori privati e quindi sottoponendole a confronto concorrenziale. Fra i criteri di selezione può infat­ ti figurare la cessione gratuita al Comune di terreni o la realizzazione di alloggi sociali. Questo approccio vanta già numerose esperienze, compiute con esito positivo, in di­ versi Comuni italiani. 8.3

Dai costi di costruzione a quelli di manutenzione e gestione

Fra gli altri fattori incidenti sui costi totali di produzione su cui è possibile agire per rendere conveniente la produzione e la locazione di alloggi sociali, spiccano i costi di costruzione, la cui incidenza oscilla di solito, nelle aree urbane, tra il 35 e il so%. Il peso che essi possiedono sui costi totali di produzione è quindi rilevante, ma il margine di compressione è contenuto, perché ad essi corrisponde un effettivo consumo di risorse che devono essere remunerate : manodopera, materiali e materie prime, noli e trasporti, spese generali ed utile dell' imprenditore costruttore. La crisi economica, e quindi il maggior grado di concorrenzialità presente nel mercato delle costruzioni, con conse­ guente riduzione dei profitti imprenditoriali ed anche maggiore controllo del costo di tutti i fattori produttivi, ne comporta comunque una riduzione, come attestano i ribas­ si con cui sono aggiudicati gli appalti. Un ulteriore apporto alla riduzione dei costi di costruzione può provenire dall' innovazione tecnologica, e quindi dall'avvento di nuo­ ve tecnologie e di nuovi materiali costruttivi. Soprattutto, la produzione di alloggi sociali per l'affitto richiede che i costi di co­ struzione non siano più trattati autonomamente rispetto a quelli di manutenzione e di gestione, e che essi, in quanto costi iniziali, siano considerati congiuntamente con quel­ li di manutenzione e di gestione, in quanto costi differiti nel tempo, del ciclo della vita utile delle abitazioni.

8. FATTIBILITÀ DELL' EDILIZIA SOCIALE

Questa esigenza è nota da tempo, tuttavia finora non è stata soddisfatta in modo sistematico. Nel settore delle costruzioni e nel mercato abitativo, la tradizionale sepa­ razione tra la convenienza del costruttore e quella del proprietario, e tra la convenienza del proprietario e quella dell'inquilino, in passato ha sempre prevalso sulla ricerca del­ la complessiva minimizzazione delle risorse impiegate sul lungo periodo. L'evoluzione delle poli tiche energetiche sta riproponendo in modo molto forte l'esigenza della ricer­ ca di una maggiore efficienza, sul lungo periodo, del processo di produzione e gestione degli alloggi in generale, e in particolare modo di quelli sociali, i cui costi d 'uso devono essere compatibili sia con i redditi delle famiglie che con i ricavi attesi dai proprietari e dai gestori. In questo quadro, particolare interesse riveste la cost-optimal methodology, propo­ sta in ambito europeo. Direttive abbastanza recenti propongono agli Stati membri la metodologia cost-optimal, di cui definiscono il modello di valutazione, che è volto a calcolare i requisiti minimi di prestazione energetica, ottimali in funzione dei costi (Commissione europea, lO I o ) . Il calcolo del costo ottimale prende in considerazione l' investimento iniziale, la somma dei costi annui per ciascun anno del ciclo di vita e il valore finale, nonché - quando presenti - i costi di smaltimento. Da segnalare anche l' inclusione, nel modello, del costo delle emissioni di gas serra, definite come il valore monetario del danno ambientale causato dalle emissioni di C0 relative al consumo 2 energetico in un edificio. Tutte le voci di costo sono attualizzate e sommate, così da consentire il calcolo del costo ottimale in termini di valore attuale. L'approccio cost-optimal è stato pensato per definire livelli di prestazione energe­ tica degli edifici ottimali con riferimento ai costi. Analizza dunque i costi energetici sul ciclo di vita di un edificio tipo, per il quale vengono confrontate (dal punto di vista dei costi e del risparmio energetico) una serie di alternative tecnologiche o combinazioni di pacchetti. Il confronto del rapporto tra prestazioni e costi di ciascuna alternativa permette di individuare la soluzione più efficiente. Grazie alla diffusione di approcci di questa natura è dunque ragionevole attendersi un significativo contributo alla ridu­ zione dei costi, e quindi alla possibilità di praticare prezzi d'uso maggiormente compa­ tibili con le capacità di spesa delle famiglie a basso reddito. 8. 4

Considerazioni conclusive

Nelle condizioni economico-finanziarie del paese e nella situazione urbanistica delle nostre città, l'evoluzione della domanda sociale di abitazioni pone sfide inedite. La li­ mitatezza delle risorse pubbliche disponibili e gli stringenti vincoli di mercato defini­ scono infatti il perimetro entro cui possono essere congegnate le strategie e gli inter-

I 47

STEFANO STANG HELLINI

venti di housing sociale, chiamati a privilegiare l'uso efficiente del patrimonio edilizio esistente e il riuso di parti di città degradate. La gamma degli strumenti utilizzabili è molto ampia, ma ciascuno strumento deve essere utilizzato in ragione delle proprie peculiarità. Le politiche abitative di carattere diffusivo, in particolare, richiedono di essere sostenute soprattutto da misure di carat­ tere fiscale. Grazie al sistema di incentivi e disincentivi proprio della leva fiscale, la proprietà immobiliare privata può essere indotta a mettere a disposizione della collet­ tività alloggi a canone moderato, e quindi a svolgere una funzione socialmente qualifi­ cata. La peculiarità degli strumenti di natura urbanistica è quella di inserire gli interven­ ti di housing sociale in progetti di riqualificazione di parti di città, e anche di concepi­ re tali interventi in modo da renderli importanti ingredienti di una strategia integrata di riqualificazione urbana. Inoltre, i piani urbanistici possono essere allestiti, sotto il profilo attuativo, in modo da ridurre in misura rilevante i costi di produzione degli alloggi sociali, attraverso l'acquisizione gratuita - o comunque a prezzi contenuti - dei beni immobili di intervento. La riduzione dei costi totali di produzione degli alloggi sociali è di importanza essenziale, perché ad essa corrisponde la riduzione dei canoni di locazione. La spesa delle famiglie per l'alloggio comprende tuttavia anche i costi d'uso. Per­ tanto, negli interventi di housing sociale, è indispensabile considerare congiuntamente i costi di produzione, cui sono relazionati i canoni di locazione, e quelli di manuten­ zione e di gestione degli alloggi. A questo proposito, rileva la diffusione in ambito progettuale di metodologie valutative volte a definire livelli di prestazione energetica degli edifici ottimali con riferimento ai costi. La scarsità delle risorse pubbliche disponibili, la necessità di mirare alla riqualifi­ cazione delle parti degradate delle città, lo scarso dinamismo del mercato immobiliare, suggeriscono di impiegare in modo congiunto strumenti di diversa natura - urbanisti­ ca, fiscale, finanziaria - allo scopo di cumulare il contributo che ciascuno di essi può recare - nelle attuali condizioni, in misura modesta - alla produzione di alloggi socia­ li. Questa consapevolezza porta a vedere l'esistenza di ampi spazi di ricerca e di speri­ mentazione multidisciplinare nei quali le varie discipline coinvolte sono chiamate a relazionarsi all'attività degli operatori economici dell'edilizia residenziale e sociale, allo scopo di stabilire proficue sinergie tra l 'elaborazione teorica e la sperimentazione operativa.

8. FATTIBILITÀ DELL ' EDILIZIA SOCIALE

Riferimenti bibliografici AA .VV.

(2013), Abitare sociale. Modelli architettonici e urbanistici per l'housing. Linee guida, Ali­

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(2ou), Perequazione e compensazione nel governo del territorio della Toscana, Editoriale Scientifica, Napoli. COMMI S SIONE EUROPEA (2010), Direttiva 2 0IO/JI/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio delI!) maggio 2 0IO sulla prestazione energetica nell'edilizia, Gazzetta ufficiale dell' Unione Europea, 18 giugno. DE MATTEI S M., MARIN A. (201 3), Nuove qualita del vivere in periferia, Edicom Edizioni, Gori­ zia. STANGHELLINI s. (2013), Perequazione, compensazione,Jattibilita, INU Edizioni, Roma. CARTE! G. F., AMANTE E.

149

Parte terza Prospettive: dalla casa all'abitare ?

9

Dal pubblico al sociale. Nuove questioni abitative, città pubblica e spazi abitati di Paola Di Biagi

9· 1

Dal pubblico al sociale

La questione abitativa è tornata al centro del dibattito disciplinare e politico, ponen­ dosi in termini differenti da come l'abbiamo conosciuta nel secolo scorso. Un nuovo, consistente e sfaccettato bisogno di casa si ramifica attraverso ceti sociali diversi, facen­ do emergere una varietà di soggetti che, per ragioni molteplici, si trovano in situazioni di fragilità e vulnerabilità economica, sociale e abitativa. Siamo dunque di fronte a una inedita e differenziata domanda che, unitamente alla scarsità di finanziamenti pubbli­ ci, porta a una inevitabile diversificazione della risposta al fabbisogno, aprendo pro­ spettive nelle quali il soggetto pubblico, a differenza del Novecento, non è più unico regista e principale attore. La varietà di situazioni e di interventi nel campo dell'edilizia residenziale viene oggi spesso riassunta con la definizione di "housing sociale". Mutuando dal lessico in­ glese, si tende ad utilizzare, spesso in maniera vaga e generalizzante, una locuzione che rischia di semplificare l'articolazione e la complessi tà dell'odierna questione abitativa. Con le incerte definizioni di housing sociale si prova a rappresentare le trasformazioni avvenute, i cui esiti non sono ancora del tutto chiari, sia sul fronte dei fabbisogni e della domanda, sia su quello degli operatori e delle risorse economiche. Con conse­ guenze altrettanto critiche anche sui modelli insediativi, tipologici e urbani. Il frequente utilizzo di housing sociale indica con certezza il ridursi del ruolo pub­ blico nell'intervento in campo abitativo e il farsi strada di esperienze che superano la tradizionale dicotomia pubblico/privato, mettendo in scena protagonisti, tipi di finan­ ziamento e modelli insediativi che provano a sperimentare nuove soluzioni e forme dell'abitare ( come avviene ad esempio con il co-housing). A fronte dell'avanzare di una nuova questione casa, si assiste dunque a una sorta di arretramento del pubblico che si rende visibile fin dall'uso delle parole: sociale ha preso il posto di pubblico. Una sosti­ tuzione codificata anche normativamente: non più "edilizia residenziale pubblica" ma "edilizia residenziale sociale". Cambiamenti lessicali interessano più in generale discorsi e riflessioni sullo spazio 153

PAOLA DI BIAGI

pubblico che diviene: comune, sociale, condiviso, di prossimità ecc. Una ricchezza te­ minologica che non solo richiama la complessità derivante dalle trasformazioni in atto nella città-società contemporanea, mettendo in discussione molte delle nostre consue­ tudini interpretative e progettuali, ma che rappresenta la ricerca di nuovi modi di os­ servare e intervenire in uno spazio di per sé incerto. «Lo spazio pubblico - la sfera dove si articolano gli interessi comuni e si amministrano le differenze - non è mai una realtà precostituita - come ci ricorda il filosofo spagnolo Daniel lnnerarity -. Si tratta invece di una costruzione impegnativa, fragile, variabile, che esige continuamente un lavoro di rappresentazione e di argomentazione » 1• Anche in questa direzione appare positivo lo sforzo che si sta facendo, attraverso numerose ricerche - come quella resti­ tuita nel presente volume - per ridefinire, non solo da un punto di vista semantico, il sociale e il pubblico nella città contemporanea e per comprendere come slittamenti e modificazioni di senso si riflettano su morfologie e usi dello spazio, e conseguentemen­ te sulle forme del progetto urbanistico. 9· 2

Tornare sulla "città pubblica"

Lungo tutto il Novecento, l'edilizia per i ceti meno abbienti si è confrontata con la varietà delle sue definizioni : minima, economica, popolare, sociale, per lavoratori, per tutti, agevolata, convenzionata ecc. ; ciascuna definizione rinviava a norme, operatori, tipi di intervento e di spazi in parte diversi. Ma, fin dalla promulgazione delle prime leggi per la casa in Europa, agli esordi di quel secolo, la dimensione prevalentemente pubblica e il carattere generale di questo tipo di intervento erano evidenti e certi. Per contribuire a riflettere sui modi nei quali si pone l'odierna questione abitativa e su come affrontarla, può essere utile tornare su quell'esperienza novecentesca e sui suoi esiti, richiamandone brevemente alcuni caratteri costitutivi. Sulla scia dei primi interventi privati nel campo dell'edilizia "per i poveri" da parte di associazioni filantropiche, di industriali, di compagnie assicurative ecc. - a dimostra­ zione che i confini tra pubblico e privato in realtà sono sempre stati mobili - si è fatta strada tra Ottocento e Novecento la convinzione che fosse necessario l' intervento del­ lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, per rispondere ai gravi fabbisogni abitativi, ormai sempre più evidenti, e per garantire a tutti un diritto fondamentale: quello di abitare e di una "razione" di spazio "abitabile". Un intervento pubblico cresciuto in modo consistente, che ha avuto un effetto fondamentale nella costruzione delle politi­ che pubbliche e dello Stato sociale nell'Europa del xx secolo. 1. D. Innerarity, Il nuovo spazio pubblico, Meltemi, Roma 2008, p. 10 ( ed. or. El nuevo espacio publi­ co, Espasa Calpe, Pozuelo de Alarc6n 2oo6).

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9· DAL PUBBLICO AL S O C IALE

In quel secolo, la questione abitativa ha fortemente condizionato anche l'urbani­ stica: la sua dimensione descrittiva ( le indagini sulle condizioni dell'abitare nei grandi centri industriali in espansione o nelle città dei dopoguerra) e quella progettuale ( la formulazione di idee di città per un nuovo e più "sano" modo di abitare: la città giardi­ no, la città lineare, la città organica ecc., fino alla loro traduzione nell'idea di quartiere) . In quella tradizione potremmo affermare che l'abitare, come problema o come soluzio­ ne, è sempre stato affrontato nella sua duplice dimensione spaziale: negli ambiti dome­ stici e privati e in quelli pubblici, coerentemente alla convinzione che l'abitabilità si generi dalla continuità tra lo spazio interno e quello esterno e dai reciproci riflessi e condizionamenti1• La sperimentazione progettuale sull'abitabilità si è dunque svilup­ pata su e tra diversi tip i di spazio e forme aggregative : l'alloggio, il principio insediativo, l'unità di vicinato, il quartiere, secondo sequenze non sempre lineari e deduttive. Per architetti e urbanisti questi temi hanno rappresentato un grande campo di la­ voro e progresso nella ricerca e nel progetto sui luoghi dell'abitare quotidiano ; impe­ gnandosi per bisogni universali, per il miglioramento delle condizioni abitative delle famiglie più disagiate, generazioni di progettisti hanno avuto anche l'occasione di mi­ surarsi col loro ruolo pubblico e con la dimensione sociale della professione3• L'intervento nel campo dell'edilizia "sociale" ha avuto effetti determinanti anche per la costruzione dei territori novecenteschi: parti urbane, quartieri e complessi resi­ denziali, hanno formato brani di una città nuova. Parti composte non solo di edilizia "economicà', ma anche di giardini, corti, piazze, aree per il gioco, asili, scuole, campi sportivi, chiese. Ambiti interni e domestici insieme a spazi abitabili esterni e comuni hanno integrato e allargato, nelle intenzioni di teorie e progetti, un principio di abita­ bilita. Una qualità dell'abitare cioè da risolvere non solo all'interno dell'alloggio, nel privato, ma in una sequenza di spazi aperti, non costruiti, condivisi, pubblici, che pro­ ietta l'idea stessa di abitare e di casa verso l'esterno, fino a inglobare anche servizi so­ ciali e attrezzature collettive. lnsita nell'idea stessa di quartiere, la dotazione di servizi e attrezzature esprimeva la volontà di rendere autonome e autosufficienti queste nuove parti urbane e di creare vicinati e comunità, come è stato ad esempio negli anni Cin­ quanta, con l'esperienza del Piano INA-Casa4• Attraverso le attrezzature di prossimità si è poi anche provato a "uscire" dal quartiere per attrezzare più ampie e limitrofe peri­ ferie, cresciute senza disegno e senza servizi, come si è fatto in alcuni contesti urbani negli anni Sessanta e Settanta con i Piani di edilizia economica e popolare ( ad esempio 2. Ho sviluppato alcune riflessioni su questa idea di abitabilità in Lo spazio abitabile nei Congressi in­ ternazionali di architettura moderna, in "Urbanistica': 106, 1996, pp. 168-90, e in Rileggere gli spazi del moderno, in V. Fasoli (a cura di), Spazi, FrancoAngeli, Milano 2004, pp. 91-103. 3· Cfr. G. Amendola, Uomini e case. Ipresupposti sociologici della progettazione architettonica, Deda­ lo, Bari 1 9 84. 4· Cfr. P. Di Biagi (a cura di), La grande ricostruzione. Ilpiano INA-Casa e l'Italia degli anni Cinquan­ ta, Donzelli, Roma 2001 e 2010. ISS

PAOLA DI BIAGI

col PEEP di Bologna). Un patrimonio di attrezzature comuni che ancora infrastruttura e rende più abitabili i quartieri e in generale le nostre periferie, anche se non pochi sono i problemi di degrado e manutenzione che questi edifici oggi pongono. Dunque un tipo di città che possiamo definire "pubblica"s perché composta di parti più o meno ampie costruite su suoli pubblici, attraverso finanziamenti statali e processi di programmazione e progettazione coordinati da una regia pubblica. Ma so­ prattutto perché lungo il Novecento, cercando di garantire diritti fondamentali, come quello di uno spazio abitabile "per tutti", questa città ha perseguito valori generali e condivisi. In sintesi, possiamo affermare che nel secolo passato l' intervento nel campo dell'edilizia sociale ha operato entro un grande disegno che ha provato a tenere insieme, ed espresso anche materialmente al suolo, politiche sociali, economiche e urbanistiche. Un carattere generale che oggi, a fronte della accentuata frammentazione del fabbiso­ gno e delle soluzioni, insieme al venir meno di risorse pubbliche, si è in gran parte perso. Nuovi sguardi a quel tipo di città e alle esperienze che l' hanno generata non sono orientati da atteggiamenti nostalgici, ma dalla convinzione che essi possano portare a qualche utile indicazione per interventi contemporanei e futuri; ad esempio, per cerca­ re di comprendere se e come quello che viene definito housing sociale possa svolgere il ruolo di un campo di ricerca e sperimentazione progettuale per migliorare la qualità dell'abitare, individualmente e insieme, nella città contemporanea; se, al di là di diver­ si esiti critici, le nuove forme di intervento nel campo residenziale possano rappresen­ tare un'occasione per innovare lo spazio abitabile, domestico e comune. Tornare sulla città pubblica, inoltre, rappresenta un'occasione per comprendere meglio quell'importante esperienza novecentesca e i suoi esiti fisici, intesi come luoghi abitati, parte della città contemporanea, e come fertili campi di azione progettuale con i quali confrontarsi nuovamente, non solo per risolverne le problematicità, ma anche per riconoscerne potenzialità e risorse6• Appare sensato chiedersi dunque se i quartie­ ri abbiano ancora qualcosa da insegnarci. In altri termini: possiamo ancora "imparare dalla città pubblica" ? E, dopo la grande varietà di progetti che, come architetti e urba-

s. Cfr. P. Di Biagi, La costruzione della citta pubblica, in "Urbanistica", Ss, 19 86, pp. 6-25; Id., La citta pubblica. Edilizia sociale e n'qualicazione urbana a Torino, Allemandi, Torino 2008. 6. In questa direzione si è mossa la ricerca La ''citta pubblica" come laboratorio di progettualita. La produzione di Linee guida per la riqualificazione sostenibile delle periferie urbane, finanziata nel 2006 dal Ministero dell ' Università e della Ricerca. I quartieri sono divenuti terreno condiviso di riflessione e proget­ to per alcuni gruppi di ricercatori delle Università di Trieste, Milano, Roma, Napoli, Bari e Palermo. Scopo comune è stato mettere a punto e sperimentare strumenti concettuali e operativi per la rigenerazione di queste parti urbane e più in generale delle periferie contemporanee. Una sintesi dei principali risultati è ora pubblicata nel volume a cura di LaboratorioCittàPubblica, Citta pubbliche. Linee guida per la riqualifica­ zione urbana, coordinamento generale di P. Di Biagi, coordinamento redazionale di E. Marchigiani, Bruno Mondadori, Milano 2009.

9· DAL PUBBLICO AL S O C IALE

nisti, abbiamo depositato nello spazio delle periferie pubbliche, cosa possiamo appren­ dere ora da coloro che sono andati ad "abitare" e trasformare quegli stessi progetti ? 9· 3

Una città sociale : quartieri, spazi, abitanti

Seppure quella della città pubblica sia un'esperienza costruttiva conclusa, le sue parti restano non solo come un'eredità moderna, come testimonianza di politiche pubbliche e di idee di città e di società che hanno attraversato il Novecento, ma si impongono come parti vive della città contemporanea, dove l'aggettivazione "sociale" si esprime sì attraverso le loro origini, ma anche nei modi in cui essi sono abitati, quotidianamente. Sociale qui allude inoltre alle attuali condizioni di questi luoghi, talvolta marginali e investiti da varie forme di degrado, aspetti che hanno portato nell'immaginario collet­ tivo, e talvolta disciplinare, a una loro facile stigmatizzazione, non sempre completa­ mente giustificata. Tornare, anche fisicamente, nella città pubblica può farci uscire da luoghi comuni. Osservare le sue parti come "paesaggi di un abitare quotidiano"7 mette in scena gli abitanti e i modi con cui essi occupano e trasformano lo spazio, in particolare quello aperto e condiviso, e attribuisce alla definizione "sociale" una prospettiva che colloca il nostro sguardo tra spazio e società, oltre che tra pubblico e privato. Una prospettiva questa che aiuta a superare sterili stigmatizzazioni e a riconoscere l'obsolescenza di certe definizioni, come quella di "quartieri dormitorio"; un tempo forse giustificata dalla loro monofunzionalità8, ma oggi non più coerente con la varietà di persone che nell'arco dell' intera giornata vi abitano : le donne, i bambini, gli adolescenti, i vecchi, i portatori di handicap, gli ammalati. Osservare come la vita quotidiana si svolge in que­ ste periferie porta a riconoscere dunque differenti identità tra gli abitanti, le loro diver­ sificate condizioni (fisiche, sociali, di genere, di generazione) e i conseguenti modi di usare lo spazio, la varietà dei bisogni e delle fatiche generate dall'abitare di ogni giorno. Proprio immergendoci nei quartieri della città pubblica possiamo osservare come siano gli spazi aperti a meglio rappresentare il luogo nel quale le relazioni tra persone e tra esse e il loro ambiente si rendono maggiormente visibili, in termini di appropriazio­ ne e cura (ed anche di incuria9). In molte situazioni, col passare del tempo, gli ambiti 7· Cfr. P. Di Biagi, La citta pubblica. Un paesaggio dell'abitare quotidiano, in A. Magnier, M. Moranti (a cura di), Paesaggi in mutamento. L'approccio paesaggistico alla trasformazione della citta europea, Franco­ Angeli, Milano 2013, pp. 129-35. 8. Cfr. G. Astengo, Dormitori o Comunita, in "Urbanistica", I O - I I , 19 52, pp. 3-6. 9· L'osservazione degli esiti di usi e pratiche pone in luce non solo le tracce di trasformazioni spon­ tanee virtuose, ma anche quelle di azioni di incuria da parte di abitanti, come l 'abbandono di materiali di scarto, rottami, rifiuti, o la vandalizzazione di ambiti comuni e degli elementi che li compongono ecc.

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PAOLA DI BIAGI

esterni hanno saputo accogliere usi e attività, divenendone supporto e offrendosi alla trasformazione. Abituali pratiche, come il giardinaggio, l'orticoltura, il gioco, lo sport, il riposo, l' incontro, hanno modificato spazi esterni e comuni in maniera minuta e diffusa, trasformandoli in orti, aiuole coltivate, playground, piccole zone d'ombra at­ trezzate per sostarvi ecc. Queste trasformazioni, oltre a dimostrare una capacità di adattamento e inventiva quotidiana e oltre a rivelare l' implicita azione progettuale che l'abitare produce, evi­ denziano come un simile modo di dare forma all'ambiente superi di fatto modalità difensive di un interno, inteso come "proprio", contrapposto a un esterno-estraneo, aiutandoci a mettere meglio a fuoco ciò che intendiamo per "abitazione". Pratiche, modi di usare e curare, materiali semplici, microappropriazioni, trasformazioni, forme di accudimento, ci mostrano come un processo di espansione della sfera domestica oltre l'alloggio porti a un "fare casa fuori casa" che tende ad "addomesticare" lo spazio pubblico10, a dar luogo a una "domesticità estesa"11 e a proiettare un sentimento di identificazione verso ambienti esterni, alcuni dei quali sono così associati all'idea stes­ sa di "casà' e percepiti quindi come "famigliari", dove potersi sentire protetti e sicuri. Specie di spazi, modi d'uso e trasformazioni che ci fanno dunque meglio comprendere come tra le due polarità del domestico e del comune si pongano "soglie"12., permeabili e porose, tra le persone e tra sfere diverse (tra privato e pubblico, tra interno ed esterno), luoghi "membrana" che rendono lo spazio pubblico più abitato e abitabile, dunque anche più sicuro. In particolare, gli spazi che per primi si prestano ad essere curati e "addomesticati" sono proprio quelli "di mezzo", di "transizione" tra interno ed esterno, messi in eviden­ za dalle incessanti sequenze che un « giorno dopo l'altro » 13 portano gli abitanti dallo spazio domestico e famigliare a quello urbano, per poi ricondurli nuovamente verso casa, lungo itinerari che attraversano e ridisegnano incessantemente i confini tra pubTracce e segni che progetti orientati a una riqualifìcazione multidimensionale possono riuscire a intercet­ tare e interpretare per i disagi e i bisogni che anch'essi esprimono e per quanto rivelano delle caratteristiche di quegli stessi spazi. Io. Cfr. G. Mandich, M. Rampazi, Domesticita e addomesticamento. La costruzione della sfera dome­ stica nella vita quotidiana, in "Sociologia@Dres. Quaderni di ricerca� I, 2009, http :/ /veprints.unica. it/ 423/I/m_mandich.rampazi.pdf (ultima consultazione 26 giugno 20I 4). 1 1. Cfr. G. Nuvolati, Presenze e assenze abitative: le donne nei luoghi di vita urbana, in A. Mazzette (a cura di), Estranee in citta. A casa, nelle strade, nei luoghi di studio e lavoro, FrancoAngeli, Milano 2009, pp. 37-47· I2. Cfr. I. lllich, Abitare (discorso tenuto al Royal Institute of British Architects, York, in occasione della celebrazione del centocinquantesimo anniversario deli ' istituto, luglio I9 84), in Id., Nello specchio del passato. Le radici storiche dei moderni concetti di pace, economia, sviluppo, linguaggio, salute, educazione, Bo­ roli Editore, Milano 2005, pp. 48-57; anche in http:/ /www. bibliogalilei.it/fùes/lllichspecchiodelpassato. pdf.pdf(ultima consultazione 20 giugno 20I4). I3. Cfr. P. Jedlowski, Un giorno dopo l'altro. La vita quotidiana tra esperienza e routine, il Mulino, Bologna 2005.

9· DAL PUBBLICO AL S O C IALE

blico e privato. Un repertorio di spazi come scale, androni, portici, cortili, corti, giar­ dini, che consentono la continuità di reti fisiche e sociali ed esprimono, spesso non esplicitamente, la vocazione di favorire l' incontro, lo stare insieme, l'accoglienza, il gioco, la cura del verde. Si tratta di spazi "filtro", molto presenti nei quartieri della città pubblica14 che, seppure minuti, interstiziali, talvolta marginali, spesso non risolti dal progetto originario, opportunamente ripensati potrebbero contribuire ad articolare e specificare nuovi progetti di suolo e generare una più diffusa qualità nelle periferie re­ sidenziali. Osservare la quotidianità porta dunque a una maggiore attenzione verso gli indi­ vidui e verso le relazioni con gli ambiti nei quali, un giorno dopo l'altro, si snodano le vite di ognuno, non solo in termini routinari o di adattamento ma anche in termini inventivi e creativPs. Superate visioni universalistiche di bisogni e standard, l'attenta lettura dei rapporti degli abitanti con lo spazio in termini di pratiche abitative potreb­ be divenire uno degli strumenti attraverso cui riconoscere la crescente diversificazione dei bisogni e dei modi di usare l'ambiente e delle aspettative che ciascuno ha nei suoi confronti. Come dimostrano alcune esperienze urbanistiche contemporanee, leggere le "tracce" dell'abitare nello spazio e interpretarle in termini di richieste di prestazioni, consentirebbe di attribuire valore all'implicita progettualità di chi abita, rendendola una risorsa per progetti di riqualificazione di ampie parti delle periferie pubbliche. Verificare come progetti e realizzazioni nella città pubblica abbiano reagito alla prova del quotidiano, offrendosi alla trasformazione, aiuta non solo a riconoscerne il grado di abitabilità - una qualità misurabile proprio attraverso la capacità di accogliere e facilitare lo svolgimento della vita di ogni giorno, oltre le intenzioni dei progettisti ma può orientare futuri interventi di riqualificazione, di questi e di altri luoghi, e può supportare la costruzione di nuove politiche e progetti per l'abitare, andando così a confermare e rinnovare il ruolo di "laboratorio di progettualità innovative" dell'edilizia residenziale pubblica e sociale.

14. Cfr. S. Basso, Ripensare ilprogetto degli spazi aperti. Soglie e gradienti negli spazi di trasizione, in A. Lambertini, A. Metta, M. L. Olivetti (a cura di), Citta pubblica/Paesaggi comuni. Materiali per ilprogetto degli spazi aperti dei quartieri Erp, Gangemi, Roma 2013, pp. 47-9; A. Bruzzese, Spazi domestici. L 'alloggio entro una sequenza di spazi abitabili, in F. Infussi (a cura di), Dal recinto al territorio. Milano, esplorazioni nella citta pubblica, con testi di P. Bozzuto, A. Bruzzese, F. Cognetti, S. Pendini, Bruno Mondadori, Milano 2011, pp. 1?6-216. 15. Cfr. M. de Certeau, L'invention du quotidien, vol. 1 : Arts defoire, Gallimard, Paris 1990 (trad. it. L 'invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001 ) .

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Il ruolo dell'edilizia residenziale pubblica nello sviluppo della città moderna: ieri, oggi, domani ? di Michele Talia

I O. I

Premessa È opinione largamente condivisa che il processo di formazione della città moderna non

possa essere compiutamente analizzato senza far riferimento al ruolo svolto dai pro­ grammi di edilizia residenziale pubblica, la cui prima applicazione risale, almeno in Europa, ad oltre un secolo fa1• Attraverso una fertile contaminazione tra competenze tecniche e politiche sociali, l'esigenza di fornire risposte efficaci a una domanda sempre più pressante di alloggi a basso prezzo ha favorito la ricerca di soluzioni innovative a problemi che tradivano una crescente complessità. Soprattutto nel caso delle periferie che si sono sviluppate ai margini delle città di media e di grande dimensione, l'attuazione di tali programmi ha prodotto conseguen­ ze assai rilevanti, che possono essere valutate in prima approssimazione in rapporto alla loro capacità di soddisfare la domanda abitativa delle famiglie a basso reddito e, dunque, di alimentare - unitamente alla spinta alla industrializzazione - le rilevanti tendenze all'inurbamento registrate nella fase di più intenso sviluppo economico ita­ liano. In secondo luogo, tuttavia, le politiche pubbliche di questo periodo hanno con­ temporaneamente favorito l'adozione di risposte originali ai problemi sociali, gestio­ nali ed urbanistici che erano innescati dalla crescita urbana, e attraverso un ripensa­ mento della formula del quartiere di derivazione ottocentesca hanno contribuito a dare vita al paradigma e, in qualche modo, anche alla "utopià' della città pubblica2• Ma, come è noto, questo modello è stato messo da tempo in discussione; dapprima nei paesi dell'Europa centro-settentrionale e poi anche in Italia il comparto della edi1. In realtà le prime testimonianze di iniziative pubbliche riguardanti l'edilizia abitativa con fìnalità sociali sono molto più antiche. Si pensi ad esempio all 'episodio citato da F. Ventura in un testo del 1 9 9 9 (L'istituzione dell'urbanistica. Gli esordi italiani, Libreria Alfani, Firenze, pp. u 8-21), e relativo alla « costru­ zione di S3 case da poveri capaci di n. 318 famiglie » (1 837-42) in una Firenze ancora granducale. 2. Per chi volesse analizzare più in dettaglio le riflessioni e gli avvenimenti che hanno contribuito alla ricerca sul "quartiere operaio modello" nell'Europa di fìne Ottocento, un riferimento essenziale è co­ stituito dal volume di G. Piccinato, La costruzione dell'urbanistica. Germania IS7r-I9I4, Offìcina, Roma 1977· pp. 81-7.

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li zia pubblica ha attraversato, almeno a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, una crisi probabilmente irreversibile, tanto che le politiche che hanno caratterizzato questo settore un tempo strategico ne sono uscite radicalmente trasformate. Per effetto di una tendenza convergente alla contrazione del weijà re state e alla fi­ nanziarizzazione del mercato abitativo, l' impegno della pubblica amministrazione nei confronti delle aree di più acuto disagio non solo si è notevolmente ridotto in termini quantitativi, ma ha rapidamente abbandonato il sostegno diretto alla produzione di alloggi da destinare alla domanda più debole. Con questo nuovo orientamento si pun­ ta alla predisposizione di politiche di sostegno alla locazione a canone calmierato, che sono ritenute più efficaci proprio in virtù della scelta di evitare non solo una marcata polarizzazione degli investimenti, ma anche quella concentrazione spaziale che, fino a quel momento, aveva caratterizzato le realizzazioni più significative. Parallelamente a questa approfondita ri-considerazione degli strumenti d' inter­ vento, il dibattito architettonico e urbanistico dell'epoca è stato investito dalla consa­ pevolezza che gli insuccessi che avevano caratterizzato molti grandi interventi di edili­ zia pubblica realizzati negli ultimi decenni tendevano in realtà ad avvalorare l'esigenza di cambiamenti radicali nel settore dell'edilizia pubblica. E la riflessione che ne è con­ seguita ha assunto ben presto un carattere spiccatamente autocritico, che ha compor­ tato una drastica liquidazione delle grandi "narrazioni" con almeno due importanti conseguenze : da un lato la manifestazione della volontà di demolire gli insediamenti più degradati e di ridurre notevolmente lo sviluppo in altezza dei nuovi insediamenti; dall'altro l'affermazione della tendenza a considerare i programmi di edilizia pubblica come una semplice articolazione della politica economica, priva in ultima analisi di rilevanti conseguenze spaziali. Al termine della parabola disegnata dalle politiche pubbliche i quartieri di edilizia sociale non vengono più considerati un inevitabile riferimento dei più ambiziosi pro­ getti di riqualificazione della città esistente, ma sembrano destinati piuttosto a rappre­ sentare l' imbarazzante testimonianza di una stagione che si vorrebbe rimuovere in nome di una "modernità liquida". E se la scala intermedia del quartiere - perennemen­ te in bilico tra la dimensione urbana complessiva e gli innumerevoli frammenti che convivono a fatica nella città contemporanea - è costretta a rinunciare alla sua caratte­ rizzazione formale, esiste probabilmente il pericolo che le conseguenze di questa rapida erosione non ricadano solo sulla riconoscibilità delle politiche pubbliche in materia di edilizia residenziale. Ciò che in questa prospettiva appare messo a repentaglio è, in modo molto più preoccupante, la stessa capacità delle strutture insediative di costitui­ re un fondamentale riferimento per ricostruire quei processi identitari che rischiano la decomposizione, per rieducare lo sguardo delle nuove comunità alla articolazione e alla complessità degli spazi urbani, e per riannodare il telaio dei processi di metropoliz­ zazione. Dal tentativo di contribuire a contrastare questa pericolosa deriva trae la sua prin-

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ci pale ispirazione proprio questo contributo. In particolare esso cercherà in primo luo­ go di richiamare i contenuti più significativi - e ancora vitali - della esperienza storica maturata dalle politiche pubbliche nel campo della edilizia sociale. In seguito punterà a segnalare le principali criticità determinate dalla crisi della citta pubblica, e dalla im­ possibilità di far leva, a differenza di quanto avveniva in un recente passato, su strategie organizzative elementari, e tuttavia tali non solo da imprimere un orientamento all'in­ tera struttura insediativa, ma anche da contrastare quella lenta dissoluzione dei proces­ si identitari che sta interessando molte comunità urbane. Quindi proverà a evidenziare come una risposta alla crisi delle politiche pubbliche nel campo dell' housing sociale non possa prescindere da un'attenta considerazione dei nuovi termini della domanda abitativa, e di come tale evoluzione possa comportare al tempo stesso una differente declinazione della stessa idea di comunità urbana e di quartiere. Infine metterà in luce la possibilità che i nuovi processi di valorizzazione economica consentano di affronta­ re contestualmente la proposizione di un differente paradigma urbano e la riscoperta di alcuni tradizionali strumenti delle politiche abitative, tra cui in primo luogo il quar­ tiere di edilizia pubblica. In altri termini di quella parte di città che è nata dal contin­ gente bisogno di rispondere a esigenze di natura funzionale e organizzativa di tipo settoriale, ma che oggi può contribuire alla sperimentazione di strumenti innovativi di rigenerazione urbana e alla attivazione di nuove forme di cittadinanza. 10. 2

Il retaggio delle politiche pubbliche per l 'abitazione popolare

In linea con questo schema di ragionamento conviene affrontare in via prioritaria le questioni che attengono all'eredità storica dei quartieri di edilizia pubblica, soprattut­ to laddove questi ultimi hanno tentato di rispondere da un lato alla domanda abitativa più pressante, e dall'altro alla richiesta di strumenti urbanistici atti a favorire la ricom­ posizione dell'arcipelago urbano che stava prendendo forma intorno alle aree di più antico insediamento. L'argomentazione critica che a tale proposito conviene sviluppa­ re deve proporsi di dimostrare che, anche se nella maggioranza dei casi la decisione di concentrare l'edilizia pubblica in aree "specializzate" (monofunzionali) e ad altissima densità ha finito per tradursi in una generosa illusione, se non addirittura in un auten­ tico fallimento, non conviene sottovalutare la possibilità di trarre anche in questo caso importanti insegnamenti proprio dagli insuccessi più clamorosi3• Nel fare i conti con il passato della edilizia pubblica nel nostro paese è utile inter-

3· Cfr. a questo proposito : M. Baioni, La costruzione della citta pubblica, Alinea, Firenze 2oo8; P. Di Biagi, La periferia pubblica: da problema a risorsa per la citta contemporanea, in A. Belli (a cura di), Oltre la citta. Pensare la periferia, Cronopio, Napoli 2006, pp. 95-101.

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rogarsi, ad esempio, sugli esiti di un processo di urbanizzazione che dopo aver indivi­ duato nel quartiere autonomo un fondamentale principio di organizzazione e di strut­ turazione formale, virtualmente applicabile all'intera area urbana\ ha finito per ri­ nunciarvi, lasciando senza risposta l'aspirazione a disporre di modelli di aggregazione in grado di riportare ordine nella infinita addizione di elementi primari che contraddi­ stingue la città contemporanea. Un effetto non trascurabile di questa brusca rimozione della dimensione interme­ dia tra il piano generale e la piccola scala può essere individuato senza dubbio nella ri­ nuncia ad affrontare il tema della città pubblica con una visione di insieme ed un ap­ proccio visionario. Ma c 'è di più ; l'abbandono degli ambiziosi programmi che sono stati concepiti negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, e che avrebbero dovuto diffondere e aggiornare l'esperienza del quartiere di edilizia pubblica, ha finito per ri­ flettersi nella dismissione di laboratori di progettualità di fondamentale importanza per l'innovazione dei processi edilizi e per la sperimentazione di nuove forme di colla­ borazione tra la disciplina urbanistica e la progettazione architettonica. Anche se il divorzio tra piano e progetto ha radici ben più articolate e complesse da decifrare, e non può essere ricondotto semplicisticamente al venir meno di un terre­ no di confronto e di collaborazione tecnicas, è difficile sfuggire alla sensazione che la crisi delle grandi narrazioni che ha caratterizzato la fase di lento declino che stiamo attraversando ( e che è probabilmente ali'origine della interruzione del dialogo tra ar­ chitetti e urbanisti) ha trovato un fattore di ulteriore amplificazione nella decisione di portare a compimento quella lunga stagione di investimento finanziario, gestionale e cognitivo che aveva privilegiato il tema delle abitazioni per le famiglie a basso reddito. In una perniciosa spirale auto-incentivante, non solo l'abbandono della dimensione progettuale delle politiche abitative, ma anche la frammentazione delle strutture inse­ diative e la stessa decostruzione del linguaggio architettonico rischiano di far sì che la città e le sue rappresentazioni simboliche non riescano più ad ospitare strutture sociali atte a generare processi identitari, comunanza di valori e di obiettivi, sistemi di relazio­ ne e di aggregazione6• Eppure la possibilità che l'edilizia pubblica possa svolgere ancora un ruolo di orientamento nei processi di urbanizzazione non appare del tutto tramontata, almeno nella misura in cui si riuscirà ad affermare nuovamente una consapevolezza che in un passato ormai remoto appariva largamente condivisa, ma che oggi tende ad essere di-

4· Cfr. P. Sica, Storia dell'Urbanistica. Il Novecento, Laterza, Roma-Bari 1 996, vol. 1, pp. 1 64-7 1. s . Si muove in questa direzione un mio contributo di qualche anno fa, Il divorzio tra architettura e urbanistica dagli anni Sessanta all'ultimo decennio, in F. Evangelisti, P. Orlandi, M. Piccinini (a cura), Dise­ gnare la citta. Urbanistica e architettura in Italia nel Novecento, Edisai, Bologna 2011, pp. 100-7. 6. lvi, p. 101.

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menticata: e cioè che la modellazione dello spazio fisico è un'attività priva di senso fino a quando non riesce a tradursi nella costruzione sociale e culturale di luoghi7. In linea con questa re-attribuzione di significato la ricerca di nuove centralità all' interno delle periferie della città moderna può passare attraverso la valorizzazione delle potenzialità inespresse del quartiere di edilizia pubblica e l'attivazione di un dia­ logo e di un fertile scambio tra quest 'ultimo e la città ormai consolidata, nel tentativo cioè di creare una nuova identità urbana sulla base degli elementi costitutivi, debita­ mente reinterpretati e variamente assemblati, delle differenti stagioni dell'abitare con­ temporaneo. Come è stato acutamente osservato, una siffatta strategia può giovarsi di un ripen­ samento più generale del ruolo da attribuire tanto agli spazi aperti quanto agli ambien­ ti interni degli edifici spingendosi oltre il loro reciproco rapporto, e recuperando la capacità intrinseca del progetto di riscoprire i principi insediativi e di porre le premes­ se per assegnare alla vita urbana il suo autentico spessore8. 1 0 .3

La crisi della città pubblica e l 'attenuazione dei legami identitari

Nel più generale processo di contrazione della spesa pubblica indirizzata al migliora­ mento delle condizioni di vita dei cittadini cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, la crisi dell'edilizia pubblica rivendica un'indiscutibile rilevanza, soprattutto in quei casi in cui segna il passaggio da un'egemonia ampiamente riconosciuta delle politiche urbane alla consapevolezza di doversi affidare a un'algida e impersonale applicazione di strumenti macroeconomici. Per effetto di questo cambiamento radicale di prospettiva l'elaborazione di rispo­ ste concrete al disagio abitativo e alle altre forme di malessere urbano non dispone più di alcuni riferimenti tradizionali su cui si era basata in precedenza. Soprattutto sotto il profilo spaziale ne consegue una perdita progressiva di interesse per la conoscenza e il governo degli effetti collaterali prodotti dalle politiche abitative, tra cui, più in parti­ colare, la sostenibilità ambientale e sociale degli insediamenti e la qualità della strumen­ tazione tecnica offerta dalla progettazione edilizia e urbanistica. A seguito di un processo accelerato di finanziarizzazione del comparto residenzia­ le è dunque maturata la rinuncia a farsi carico di quella concezione multidimensionale dell'abitare che si era fatta strada nella cultura e nella sensibilità di molti amministra­ tori e progettisti, e che aveva dato luogo ad un più avanzato livello d'integrazione fra

7· Si veda, a questo proposito, il testo di J. Rykwert, La seduzione de/ luogo. Storia efuturo della citta, Einaudi, Torino 2003, p. S· 8. A. Iacomoni, Laperiferia quale nuova centralita, in www.planum.net.

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le misure di sostegno ai bisogni abitativi e le più generali politiche di produzione del welfare locale. A differenza di quanto sta avvenendo in alcuni paesi del Nord Europa, dove una particolare attenzione viene tuttora riservata anche agli aspetti qualitativi che connotano la residenza per le famiglie a basso reddito e la sua localizzazione - fino al punto che molti attori del settore abitativo sono coinvolti in misura rilevante nella fornitura di servizi nelle aree più esposte al rischio di segregazione sociale e spaziale - in Italia non si è più indotti a ritenere che tra i compiti della edilizia pubblica vi sia anche quello di favorire il consolidamento dei rapporti identitari degli utenti degli alloggi della fascia "assistita" nei confronti del proprio territorio e della comunità di apparte­ nenza. A fronte di questo disimpegno nei confronti del contesto più generale in cui ope­ rano le politiche che sostengono la domanda abitativa non solo si deve prendere atto, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, che il quartiere non riesce più a presidia­ re quella fondamentale area intermedia tra il tessuto urbano complessivo e la sfera fa­ miliare che in passato gli competeva9, ma che ormai si deve puntare alla individuazio­ ne di nuovi processi di identificazione in grado di associare gli abitanti delle nuove conurbazioni ai luoghi irrisolti della contemporaneità. Il senso e la drammaticità di questa transizione è riconducibile, molto probabil­ mente, al diffondersi della consapevolezza che le relazioni umane non sono più salda­ mente rinchiuse nell'ambito della prossimità, e che l' identità locale non costituisce più un attributo connaturato alla condivisione di un rapporto di cittadinanza, ma rappre­ senta semmai un problema o addirittura un obiettivo10 del governo del territorio. Coerentemente con questa impostazione l'identità urbana si configura pertanto come l'esito di un processo evolutivo, che ci dovrebbe consentire di analizzare il ruolo specifico che in passato è stato svolto dalla "casa popolare" come catalizzatore di rela­ zioni elementari atte a produrre coesione e inclusione sociale, e che in un prossimo futuro potrebbe essere assunto dalle nuove configurazioni che le politiche pubbliche tenderanno ad acquisire. Ma a condizione, naturalmente, che queste ultime non si li­ mitino a definire nuovi e più efficaci strumenti d' ingegneria finanziaria con cui favori­ re il soddisfacimento del fabbisogno abitativo11• È solo il caso di sottolineare, a questo punto, che la capacità di operare questa transizione in modo equilibrato, e senza gli scompensi che vengono normalmente at­ tribuiti al venir meno del patrimonio identitaria che abbiamo ereditato dalle genera­ zioni precedenti, risiede molto probabilmente nella determinazione con cui cerchere-

9· Cfr. F. Zajczyk, Il quartiere come area complessa di analisi, in F. Zajczyk et al., Milano. Quartieri periferici tra incertezza e trasformazione, Bruno Mondadori, Milano 2005, pp. 1 5-28. 10. Z. Bauman, Intervista sull'identita (a cura di B. Vecchi), Laterza, Roma-Bari 2003, p. 17. I I. Cfr. S. Boeri, L'anticitta, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 42-3.

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mo di attribuire agli spazi di vita in comune il compito fondamentale di armonizzare le pratiche sociali ai nuovi modelli abitativi12.. Nel concludere queste brevi considerazioni sulla crisi dei processi identitari e sulle terapie che a tale proposito è possibile concepire, non si può fare a meno di evidenzia­ re come il carattere strategico che viene assegnato allo spazio pubblico proprio quando quest 'ultimo è al centro di valutazioni che ne mettono in luce il degrado, l' insicurezza, il costo eccessivo o la cattiva qualità progettuale rischia di costituire un nuovo parados­ so. Molto probabilmente la risposta a questo apparente rompicapo può essere offerta da Martin Heidegger, che era solito affermare che ci si accorge delle cose, ponendole sotto la lente della contemplazione, solo quando svaniscono, vanno in rovina o ti delu­ dono in qualche altro modo. 1 0. 4

I caratteri emergenti della nuova domanda abitativa

Nello slittamento di senso che caratterizza le nuove forme dell'abitare è possibile co­ gliere una delle declinazioni più eclatanti della contemporaneità, ma ciò che più conta, almeno ai fini di questo contributo, esse manifestano una evidente vocazione a supera­ re le rigidità che in passato avevano compromesso non solo l'efficacia delle politiche per l'edilizia pubblica, ma anche la loro capacità di costituire un motore dei processi di riqualificazione dei tessuti urbani di recente formazione. In particolare è utile interrogarsi sulla possibilità di conseguire risultati positivi in vista del soddisfacimento del segmento della domanda abitativa che il mercato privato non è in grado di accogliere senza aver proceduto preventivamente a mettere in discus­ sione le tipologie dell'alloggio e le stesse modalità d'uso degli spazi domestici. Possono contribuire a questa riflessione quegli approfondimenti che puntano a indagare gli ef­ fetti prodotti dall'affermarsi di condizioni di abitabilità sempre più instabili ( che spin­ gono ad esempio a utilizzare spazi incongrui per usi temporanei ) , dalla accettazione di forme programmate di promiscuità (come nel caso del co-housing) o infine dalla rein­ terpretazione di spazi condominiali ( ex lavatoi, cortili ecc. ) per integrare/ arricchire l'offerta abitativa più tradizionale, per consentire l'erogazione di servizi ai residenti o, addirittura, per dar vita ad una nuova declinazione dell' idea di comunità. Nel tentativo di definire più accuratamente questo tema è difficile sfuggire alla consapevolezza che mai come in questa fase la funzione abitativa costituisca il termi­ nale di una molteplicità di bisogni inediti e di modelli culturali in divenire; questi ul-

12. Chi volesse approfondire il senso e il ruolo dello spazio pubblico può trovare di notevole interesse la lettura del volume di A. Di Giovanni, Spazi comuni. Progetto urbanistico e vita in pubblico nella citta contemporanea, Carocci, Roma 2010. 166

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timi mettono in discussione non solo i modi d'uso più tradizionali degli spazi abitativi, ma anche gli stessi confini che siamo abituati a tracciare tra la sfera pubblica e quella privata, o tra gli spazi domestici e gli spazi pubblici o semipubblici. Eppure, nonostante le tensioni che investono la modellazione tanto del "centro", quanto della "periferia" della funzione abitativa, questo tema è tuttora oggetto di una sperimentazione certamente inadeguata, che penalizza in modo evidente la produzio­ ne edilizia corrente e la stessa ricerca progettuale compiuta all'interno dell'università. Il taglio medio degli alloggi che vengono attualmente realizzati e il trattamento degli spazi comuni fanno riferimento a stili di vita e di consumo ritenuti virtualmente im­ mutabili, ma che invece sono in profondo e radicale mutamento, che sovente riflettono cambiamenti avvenuti nelle relazioni interpersonali e nel mondo del lavoro, e che in altri casi addirittura li anticipano. Il primo e più evidente cambiamento riguarda ad esempio il carattere sempre meno permanente delle scelte abitative, che spingono non solo verso un ripensamento delle soluzioni tipologiche a livello edilizio, ma anche in direzione di una revisione corri­ spondente delle modalità di accesso al bene-casa da parte della fascia protetta, di cui è necessario verificare nel tempo tanto la disponibilità dei requisiti soggettivi, quanto l' interesse ad esercitare un diritto alla mobilità all'interno del patrimonio. Naturalmente questa tendenza alla temporaneità della funzione abitativa è in linea con la frammentazione e la liquidità della società contemporanea13, ma non si può fare a meno di considerare che tra la volatilità delle scelte compiute dalle imprese o la natura transitoria di molte relazioni personali da un lato, e la vischiosità del settore delle costruzioni (e delle decisioni) che attengono al comparto abitativo dall'altro per­ mangono rilevanti differenze a carattere strutturale di cui le politiche pubbliche do­ vranno farsi carico. Da questo conflitto insanabile tra gli agenti che spingono verso un'accentuazione dei caratteri di instabilità e la resistenza esercitata dai fattori che puntano viceversa ad un consolidamento delle condizioni di equilibrio provvisorio che sono state progressi­ vamente conseguite discendono almeno due conseguenze di notevole rilievo. Quanto alla prima, essa riguarda la necessità di affrontare in modo creativo le esigenze manife­ state dalla nuova cultura dell'abitare che si sta affermando soprattutto nelle aree urba­ ne di maggiori dimensioni. Qui la diffusione di nuove forme di convivenza, di condi­ visione dell'alloggio e di comunità di vicinato offre un terreno ideale di sperimentazio­ ne di nuove formule abitative che prevedono il ricorso al co-housing e all'uso tempora­ neo degli spazi comuni, con importanti benefici che non si limitano al contenimento del costo dell'alloggio, ma che tendono ad una marcata contrazione dei costi di eserci­ zio (riduzione del consumo di energia, economie di gestione relativamente alle spese 1 3· Cfr., a questo proposito, di A. Lanzani, Abitare temporaneo, abitare in movimento, in Multiplicity Lab (a cura di), Milano. Cronache dell'abitare, Bruno Mondadori, Milano 20 07, pp. 3 1 2-9.

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condominiali, accesso a nuovi istituti di collaborazione volontaria come nel caso della Banca del tempo ecc. ) . La seconda conseguenza virtuosa che può essere favorita dalla necessità di equili­ brare le opposte spinte alla flessibilità e al radicamento sembra dar vita a quella propo­ sta temperata di modernità che stiamo provando a coltivare. Essa passa attraverso il coinvolgimento diretto della sfera abitativa in una nuova declinazione dell'idea di co­ munità, in cui le formule residenziali appena richiamate possono costituire la proiezio­ ne fisica di una iniziativa pubblica improntata alla valorizzazione del criterio di prossi­ mità, come nel caso dei gruppi di acquisto solidale o del car sharing. In virtù di questo tentativo di riannodare i fili di una trama sociale sempre più labile, le nuove "comunità elettive" possono rappresentare il punto di arrivo di un processo di territorializzazione selettivo, che sembra in grado di spingersi oltre l'uniformità coatta del quartiere della città moderna e di mettere in rete le nuove energie che le politiche urbane e un approc­ cio rinnovato ali'edilizia residenziale sociale, in particolare nelle forme dell' housing sociale, riusciranno a mobilitare. 1 o. s

L' housing sociale alle prese con i nuovi mercati

Nello scenario che abbiamo appena provato a disegnare tende in qualche modo ad af­ facciarsi una strategia di accesso ai nuovi mercati che la ristrutturazione economica successiva alla crisi del 2oo8 dovrebbe far decollare. A differenza di un approccio con­ venzionale all'housing sociale che rischia di essere trascinato nel più generale declino del settore delle costruzioni, le considerazioni che abbiamo sviluppato nei paragrafi precedenti prefigurano un possibile sviluppo dei processi di valorizzazione urbana che sono presenti, allo stato germinale, nelle nostre città, e che possono contribuire ad una evoluzione delle politiche abitative che è funzionale all'ampliamento delle frontiere del progetto per la città esistente. Come le esperienze più recenti hanno messo ripetutamente in evidenza, si tratta di aggiornare le considerazioni più diffuse sulla rendita immobiliare, anche al fine di evidenziare come gli strumenti innovativi di "cattura dei plusvalori fondiari" possono strappare le iniziative tendenti a soddisfare la domanda abitativa delle famiglie a basso reddito dal recinto assistenziale entro cui sono attualmente confinate. Pur privilegian­ do questa particolare accezione, la dimensione del quartiere - o meglio ancora quella della "comunità elettivà' che abbiamo richiamato in precedenza - può costituire un utile riferimento per sviluppare quelle sinergie atte a dimostrare la sostenibilità econo­ mica di una città più equa. Alcune esperienze internazionali di rigenerazione urbana indicano con chiarezza le opportunità offerte dalle politiche pubbliche che affidano all' incremento di valore 168

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delle aree di trasformazione il compito di finanziare importanti obiettivi di valenza collettiva14• Nel caso di Monaco di Baviera, ad esempio, la "socializzazione" di una quota significativa dei profitti ottenuti grazie al cambio di destinazione d'uso di alcune aree periferiche ha messo in moto rilevanti risorse, che sono state impiegate per il 45% per finanziare ambiziosi programmi di infrastrutturazione, per il I8% per realizzare nuove aree verdi e per il 28% sono state destinate all'housing sociale e alle attrezzature di interesse collettivo, mentre per il restante 9% hanno sostenuto le spese di progetta­ zione. Il successo di questa formula di planninggain è da attribuirsi, oltre che al recupero di ingenti risorse destinate a finanziare l' incremento delle dotazioni urbanistiche, ad una articolata strategia tendente alla modificazione del regime dei suoli e al controllo degli esiti morfologici degli interventi che puntavano al ridisegno del sistema degli spazi pubblici. Nella misura in cui le procedure adottate per realizzare le modifiche fondiarie necessarie a introdurre un nuovo regime dei suoli presentano notevoli analo­ gie con la perequazione urbanistica, è ragionevole supporre che le prospettive di trasfe­ rimento di tali politiche alla situazione italiana si rivelino piuttosto promettenti, ma a condizione che nelle nostre città l'equilibrio tra la convenienza pubblica e quella pri­ vata sia conseguito mediante una oculata regia delle misure finalizzate al cambiamento delle destinazioni d'uso. Secondo Roberto Camagni tale opportunità può essere colta, ad esempio, garan­ tendo un ritorno alla mano pubblica di almeno il so% dell' incremento di valore otte­ nuto con le scelte di piano1s. Soprattutto in una fase come quella attuale di probabile transizione verso un nuovo paradigma economico e territoriale che non siamo ancora in grado di prevedere, non si può fare a meno di introdurre nei nuovi strumenti di in­ tervento importanti fattori di flessibilità, mediante i quali ottenere una elevata adatta­ bilità al contesto che può esprimersi, ad esempio, consentendo una possibilità di opzio­ ne tra un certo numero di alternative : l'urbanizzazione digreenfield, il recupero di aree dismesse, la rigenerazione di quartieri periferici ecc. Ancora più importante di una scelta ponderata tra differenti strategie è poi la ma­ turazione di una cultura della trasformazione che integri e riconnetta le tradizionali destinazioni d'uso mediante sistemi integrati di welfare. Grazie al concorso del privato tali sistemi possono tradursi in vere e proprie "infrastrutture sociali"16, con cui quali­ ficare non solo i nuovi programmi di edilizia sociale, ma anche i processi di rigenera­ zione urbana. Si pensi ad esempio ad una integrazione sempre più marcata tra un'offer-

1 4· Cfr. L. Nespolo, Rigenerazione urbana e reeupero delplusvalorefondiario, IRPET, Firenze 2012. 15. R. Camagni, Verso una riforma della governance territoriale. Area vasta e controllo della rendita fondiaria e immobiliare, in "Storicamente", 8, 2012, pp. 39-62. 16. Nespolo, Rigenerazione urbana, cit., pp. 1 14-5·

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ta abitativa pubblica più inclusiva di quella attuale e l'offerta di servizi di prossimità, in tutto o in parte gestiti dai residenti o da strutture del terzo settore. Nelle trasformazioni urbane che ruotano intorno alle dimensioni molteplici dell'abitare sembra dunque manifestarsi la possibilità che lo stesso impianto del quar­ tiere che abbiamo ereditato da una stagione ormai remota dell'intervento pubblico possa essere reinterpretato e dar vita a nuove forme di cittadinanza. Operando su un terreno che è ancora ampiamente sperimentale, questa evoluzione presuppone una sa­ piente combinazione di misure che puntano rispettivamente all'arricchimento del tes­ suto economico locale, al rafforzamento della dotazione dello spazio pubblico e alla sua riqualificazione, al miglioramento della accessibilità e alla innovazione delle reti cui è affidato il recupero di livelli adeguati di sostenibilità. Il ventaglio di misure alle quali si allude è molto ampio, e spazia dall'insediamento di "incubatori di impresa" - che avranno il duplice compito di arricchire il mix funzio­ nale del quartiere e di recuperare quote significative del patrimonio dismesso di cui è disseminata la periferia - alla realizzazione di progetti del verde che consentiranno di valorizzare l'offerta frammentaria di aree, spesso di piccola dimensione, che sono state acquisite nel corso del tempo grazie alla applicazione della legislazione sugli standard o alla implementazione di politiche di compensazione ecologica. È possibile associare a questo ampio segmento di iniziative finalizzate alla re-interpretazione del quartiere anche interventi infrastrutturali più impegnativi, come nel caso della realizzazione di sistemi di trasporto pubblico collettivo finanziati almeno in parte dal recupero degli incrementi di valore fondiario che ne conseguiranno, o della applicazione delle nuove tecnologie alla informazione dei cittadini, alla raccolta e alla gestione dei rifiuti o alla produzione di energie rinnovabili, a dimostrazione che la retorica delle smart cities e i canali di finanziamento che a tale proposito possono essere intercettati trovano nella scala urbana intermedia un fondamentale campo di applicazione7• Almeno in prospettiva lo scenario che abbiamo tentato di delineare in questo con­ tributo presuppone un positivo sviluppo dei programmi di edilizia sociale, ma a con­ dizione che l'evoluzione dei processi di generazione della rendita e le nuove forme di "cattura dei plusvalori fondiari" vengano mitigate da una più evoluta cultura di gover­ no delle trasformazioni insediative. È solo in questo modo, molto probabilmente, che la riqualificazione urbana non si tradurrà nell'attivazione di processi di esclusione so­ ciale e digentrijìcation , e che la promozione di nuove pratiche di rigenerazione consen­ tirà di perseguire congiuntamente il miglioramento dei livelli di sostenibilità e la pro­ posizione di nuove espressioni dell'identità locale.

17. Cfr., a tale proposito, il mio recente contributo La crisi urbana e le nuoveforme della competizione, in "Quaderni Planning Design Technology': 2, 2014, pp. 36-43. 1 70

II

Dalla casa all'abitare: de-settorializzare l'edilizia residenziale sociale di Saverio Santangelo

I I .I

Dopo i mille giorni

Quando tra un anno, o tra "mille giorni", saremo usciti dalla grave crisi economica e sociale che si protrae ormai da tempo, con tutti gli effetti di impoverimento sociale e di riduzione del benessere collettivo e individuale che in questo periodo avremo accu­ mulato1, dovremo fare i conti con quel che sarà di una situazione generale che, se non dovesse ulteriormente peggiorare, per le questioni che qui interessano è, ad oggi, così sintetizzabile: elevato tasso di disoccupazione ( 12,3% a giugno 2014 2 ) ; costante dimi­ nuzione del potere d'acquisto delle famiglie (-1,1% tra 2013 e 20123 e -4,8% tra 2012 e 201 14 ) ; crescita rilevante del numero di domande di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (ERP) nelle graduatorie comunali ( 646.445 al 20115). Ugual­ mente preoccupanti sono, poi, anche i dati parziali, com'è, ad esempio, nel caso del Comune di Bologna, nel quale le iscrizioni alle liste comunali per l'assegnazione di un alloggio "popolare" sono passate da 5.465 a 9.967 dal 2007 al 2012, mentre per un al-

1. È impossibile, naturalmente, dire oggi cosa resterà nei prossimi anni del governo Renzi e quali saranno gli effetti della sua politica. Come Renzi stesso ha ufficialmente annunciato il 23 giugno 2014 e poi ripetuto, nel volgere appunto di "mille giorni", quindi entro il 28 maggio 2017, dovrebbero trovare soluzio­ ne i principali problemi del paese (cfr. http://www.ilgiornale.it/video/interni/renzi-allue-mille-giorni-ri­ forme-I03I062.html, 24 giugno 2014). 2. Dati forniti da Eurostat, cfr. https://www.google.it/publicdata/explore ?ds=z8o7pt6rdsuqa6_ &met_y=unemployment_rate&idim=country:it:es:fr&hl=it&dl=it, 2014. Con un tasso di disoccupa­ zione giovanile intorno al 40% a fine 2013. 3· «li potere di acquisto delle famiglie, cioè il reddito disponibile in termini reali, è sceso anche nel 2013, con un ribasso dell' I,I%» (cfr. http ://www.ansa.it/sito/notizie/flashhoi4/04/07/pressione-fìscale­ del-quarto-trimestre-a-sis_fe987cso-dds6-4268-8aae-Ieofosoc26ee.html, 7 aprile 2014). 4· «Crolla il potere d'acquisto delle famiglie consumatrici: tenuto conto dell'inflazione, nel 2012, rispetto al 2o11, si è ridotto del 4,8% [ ... ] . Lo rileva l' Istat aggiungendo che nel quarto trimestre del 2012 il calo è stato ancora più accentuato, pari al s,4% su base annua » (cfr. http ://www.corriere.it/economia/I L aprile_o9/istat-potere-acquisto-famiglie_22f6es8o-aof6-IIe2-9e3c-268aoo4da2ea.shtrnl, 9 aprile 2013). S· Stima di Federcasa del 3o novembre 201 1 ; riportata nel CAP. 4· 171

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loggio a canone calmierato, dopo una crescita fino al 2009, sono tornate ai livelli del 2oo6 ( 1.587 ) 6• Un'azione pubblica che voglia affrontare adeguatamente la grave problematica sociale qual è ormai diventata la questione abitativa non può ignorare la portata delle difficoltà che questi dati pur essenziali rappresentano, né i processi di cambiamento avvenuti e in atto nelle diverse componenti sociali e culturali del nostro paese relativa­ mente alle tematiche qui affrontate. Né può ignorare, nell'attivazione di politiche pub­ bliche coerenti ed efficaci, la scarsa qualità della vita e il funzionamento insoddisfacen­ te propri di molte città, la tardiva ridefinizione della forma di governo delle maggiori aree urbane, le questioni ambientali che interessano i territori urbanizzati e, nello spe­ cifico, la situazione di difficoltà che permane da tempo nel settore delle costruzioni. In breve - e anche sulla scorta dei contributi precedenti -, la questione abitativa va oppor­ tunamente riconsiderata prima di tutto a partire dall'assunzione di riqualificazione e rigenerazione urbana come alternative alla forte e mal regolata crescita edilizia che, per oltre cinquant'anni, ha accompagnato lo sviluppo socio-economico italiano e favorito l' insorgere delle problematiche appena indicate. È noto come a questo scopo servano rinnovate forme e strumenti di intervento, ed è ugualmente noto che da tempo vanno quasi sempre deluse le aspettative riposte in nuovi provvedimenti e conseguenti attuazioni. Si è avanzata l'ipotesi, nel capitolo introduttivo, che a monte di questa situazione vi sia un problema più generale di ina­ deguata intenzionalità e capacità politica, nonché - mediamente -, di carenza nella costruzione e gestione di programmi e interventi, anche quelli a contenuto urbanisti­ co. E si è detto inoltre che in questo capitolo avremmo provato a seguire la quarta ipotesi di dettaglio del ragionamento complessivo lì delineato; e cioè che, permanen­ do nel breve e medio periodo antiche e nuove difficoltà, avremmo dovuto valutare se alcune novità di contesto, in una prospettiva di breve periodo, lasciassero presagire migliori opportunità per affrontare la "nuova" questione abitativa, aspetti urbanistici compresi. Infine, che avremmo dovuto valutare se non fosse necessario tentare di in­ dividuare più efficaci forme e strumenti dell'azione pubblica per affrontare il proble­ ma "casa", possibilmente non tenendolo disgiunto dal problema "città". È quanto si fa in queste pagine, a partire dallo stato dell'arte ultimo, quindi considerando principal­ mente il D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito in legge S o/2014 ( da qui in avanti solo D.L. 47, o solo D.L. ) , e cercando di collocarne i possibili esiti nel quadro più ampio e di prospettiva costituito dal testo del d.d.l. del ministro Lupi Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana ( da qui in avanti solo d. d.l. ) , nel

6. li dato è riportato in P. Gabellini, Capire il carattere della crisi, agire gradualmente e selettivamen­ te, accettare la parzialita, in L. Fregolent, M. Savino (a cura di), Citta epolitiche in tempo di crisi, 2013, http:/ l lazio.inu.it/wp-content/uploads/2013/os/PG_Citta_e_politiche_in_tempo_di_crisi.pdf.

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cui ambito, più comprensivo, della pianificazione urbanistica andrebbe collocata la questione "casa"7• Per quanto si è detto, il D.L. 4 7 dovrebbe essere espressione, nella lettura che qui se ne è fatta, della novità di contesto politico costituita dal governo Renzi. Nel decreto è possibile individuare una strategia costituita da tre linee d'azione: una linea di vero e proprio welfare abitativo e contestuale sostegno al settore delle costruzioni e all'offerta di abitazioni private oggi sul mercato ; una seconda linea, tesa a promuovere forme di gestione "attivà' del patrimonio residenziale pubblico (ERP ); una terza, di sostegno alla domanda solvibile sostanzialmente orientata al mercato e, in teoria, caratterizzata da associati obiettivi di rigenerazione urbana (nel più comprensivo ambito dell'ERS). Nei tre casi, comunque, sempre con attenzione all'economia del settore delle costru­ zioni e alla proprietà edilizia. Una prima notazione è che, a prescindere dall'efficacia intrinseca che il provvedi­ mento potrebbe avere, è forte l' impressione che sia difficile concretizzare le misure previste, prima di tutto per i tempi lenti di attuazione, non essendo ancora stati ema­ nati i previsti decreti attuativi a dieci mesi dall'emanazione del decreto e a cinque dall'approvazione della legge di conversione, e qui saremmo purtroppo nella tradizione delle lentezze politico-operative cui siamo abituati. E tuttavia è questo il primo punto di debolezza, ancora una volta, dell'azione pubblica: per una norma e dei finanziamen­ ti ad essa associati che dovrebbero fronteggiare l' "emergenza" viene meno il primo re­ quisito di efficacia, vale a dire "fare presto". E questo non può che falsare le ulteriori considerazioni che sul decreto possono essere fatte; se attuate in tempi brevi, le misure previste possono avere una determinata efficacia, ma se dilazionate o rinviate nel tempo ne hanno un'altra, se non risultare perfino inutili o non più praticabili. Dove sono le responsabilità ? Il problema dei decreti attuativi è noto e al momento è ancora in attesa di essere affrontato. In secondo luogo, poi, non si può prescindere dalla reale portata del provvedimen­ to in termini quantitativi, vale a dire delle risorse impegnate, o anche solo previste aspetto che resta anch'esso fondamentale per valutarne l'efficacia e l'adeguatezza. Ri­ spetto ai tre principali ambiti d'azione sopra indicati, nel D.L. 47 i primi 466 milioni di euro pubblici sono destinati ad alimentare il Fondo nazionale per il sostegno all'ac­ cesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431, per gli anni 2014-15, e un Fondo destinato agli "inquilini morosi incolpevoli", istituito nell'ot­ tobre 2013 (da utilizzare nei Comuni ad alta tensione abitativa), per gli anni 2014-20; i successivi s68 milioni, di provenienza pubblica anch'essi, sono destinati al finanzia­ mento di un Programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pub7· Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Segreteria tecnica del ministro, Gruppo di lavoro "Rinnovo Urbano", Principi in materia di Politiche pubbliche territoriali e Trasformazione urbana, brochure, 2 0 1 4. Testo proposto alla discussione pubblica, luglio 2 0 1 4.

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blica « di proprietà dei Comuni e degli IAC P, comunque denominati » , e di altri enti con medesime finalità (art. 4). Infine, ulteriori risorse pubbliche per 113,4 milioni di euro sono messe a disposizione per la costituzione di un Fondo per la concessione di contributi in conto interessi su finanziamenti per l'acquisto (da parte dei conduttori), di alloggi di proprietà degli enti gestori ex I A C P e dei Comuni per gli anni 2015-20 (art. 3). È evidente come con quest'ultimo fondo si intenda sostenere le alienazioni del pa­ trimonio residenziale pubblico, di cui sempre all'art. 3, e quindi favorire la messa in circolo di risorse private, a vantaggio dell'edilizia residenziale pubblica8. Fin qui, dunque, nel D.L. solo risorse pubbliche; parte delle quali in grado di atti­ vare risorse private tramite alienazioni del patrimonio pubblico, la cui quantificazione non potrà che essere fatta solo a posteriori. È questa, dunque, una prima risposta dell' at­ tore pubblico che vale complessivamente 1. 147 milioni, verosimilmente spalmati su un quinquennio, e in questo senso, quindi, teoricamente incrementabili9; valore simile a quello del finanziamento dei Contratti di quartiere, cui, tra l'altro, si è fatto cenno nelle mie pagine introduttive in questo volume a proposito delle scarse capacità di spesa da parte del pubblico nel nostro paese. Efficienza della spesa a parte, un confron­ to significativo può agevolmente farsi tra l'incidenza di questa cifra sul P I L italiano e i corrispondenti valori di paesi UE con cui tradizionalmente ci rapportiamo, come evi­ denziati da Antonella Galassi nel CAP. 1 : da noi il rapporto varrebbe lo o,o8% del P I L 2013, cioè un ventesimo dell' 1,7 del Regno Unito e un decimo dello o,8 della Germania (dati C E C O D H A S , 2012), nei quali, occorre dire, le percentuali degli alloggi in affitto valgono rispettivamente 31% e 55% ( in Italia solo il 19%). Come è evidente, il nostro o,o 8 vale ancor meno se si considera che - a meno di future risorse aggiuntive ai 1. 147 milioni - dovrebbe riguardare almeno un triennio, ragione per cui non sarebbe nem­ meno in linea con quello 0,1% attribuito all' Italia da C E C O D H A S per il 201210• Dunque, sebbene - come il suo stesso titolo dichiara -, si tratti di un provvedimen­ to emergenziale, col D.L. 4 7, in assenza di ulteriori finanziamenti, da una parte avrem­ mo conferma che il pubblico, sia pure in misura limitata e decrescente, continui ad occuparsi della questione casa, ma dall'altra avremmo chiari segnali dell'ipotesi di ab-

8. «Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manuten­ zione straordinaria del patrimonio esistente » . 9 · Per quanto riguarda i Io o milioni destinati, nell'ambito degli interventi d i edilizia residenziale sociale previsti dali ' art. IO, al fìnanziamento di « servizi e funzioni connesse e complementari» e al raggiun­ gimento dell'obiettivo di realizzare « quote di alloggi da destinare alla locazione temporanea» nonché «di quelli per la realizzazione degli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheg­ gi, previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile I96 8, n. I444» , ebbene tali risorse, sembre­ rebbe (vedi comma I0°), si intendono «a valere sulle risorse rese disponibili ai sensi dell'art. 4, comma 2 » , vale a dire quelle già destinate al programma di recupero d i cui s i è detto. IO. Quindi, stessa fonte e stesso anno dei dati appena riportati per Regno Unito e Germania. Cfr. TAB. I.4, nel CAP. I, dove i valori (qui riportati) sono riferiti alla spesa per social housing e abitazioni sociali.

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bandonare definitivamente il campo. Questo accade nell'ambito della "novità di con­ testo" che il governo Renzi fino ad oggi rappresenta. Del resto, stando ancora ai mate­ riali per la comunicazione "istituzionale" disponibili in sede ministerialeu, andrebbe­ ro considerati nell'ambito del D.L. 47, e precisamente nel pacchetto «Edilizia popola­ re » (sic!), anche i 200 milioni per anno (triennio 201 4-16 ) destinati al Fondo di garan­ zia mutui "prima casa", per la concessione della garanzia dello Stato sui mutui ipoteca­ ri, di importo non superiore a 25o.ooo euro. Collocazione verosimilmente molto problematica e che è, anch'essa, indice di una intenzionalità perlo meno incerta. Potremmo, alla fine, solo ipotizzare di sommare a quello o,o8% una quota percen­ tuale quasi simile, derivante dai 933 milioni di euro del Fondo investimenti per l'abita­ re ( FIA ) della Cassa depositi e prestiti investimenti SGR S.p.A. (strumento d'investi­ mento per l' housing sociale di cui hanno trattato, in questo volume, Guido Bardelli ed Elena Borghetti) , da impegnare entro il 2015; ma per molti versi sarebbe un cumulo arbitrario. E comunque rimarrebbe, ad oggi, una prospettiva di impegno sostanzial­ mente debole e decrescente, se non di progressivo disimpegno, del pubblico rispetto alla questione abitativa, in particolare rispetto alla sua componente più critica (le oltre 6oo.ooo richieste di case ERP ) , che è poi quella che ha maggiori esigenze di aiuto. 1 1. 2

Dalla casa ali ' abitare ?

Accantonando ora la debolezza quantitativa del D.L. e ragionando, invece, riguardo ad eventuali novità nell'approccio complessivo e negli obiettivi, cosa è lecito attendersi dalla sua attuazione ? Sono noti i problemi che hanno accompagnato l'ERP a partire dai primi interventi ex lege 1 67 l 1962 e che ancora oggi frequentemente ne caratterizzano gli insediamenti, e se ne è ampiamente parlato nelle pagine precedenti: problemi urba­ nistici di impostazione e di attuazione, scarsa qualità edilizia e relativo degrado, forti criticità sociali, gestione molto problematica da parte degli enti preposti, perdita di valore del patrimonio, difficile integrazione nella città. Al riguardo, nelle tre linee d'a­ zione indicate non risalta con particolare evidenza l' intenzione di incidere, magari indirettamente, su tali problemi, né su aspetti qualitativi degli interventi futuri previsti. Ovviamente, non è possibile produrre per decreto qualità urbana e qualità dell'abitare, tuttavia un teorico range dei potenziali effetti di un provvedimento può essere consi­ derato e dovrebbe così essere possibile stimare se con quel provvedimento si promuo­ vono o meno condizioni che favoriscano gli esiti, anche in senso estensivo, più deside­ rabili. Che spazio c 'è allora, se c 'è, negli interventi che il D.L. dovrebbe promuovere e finanziare, per affrontare le questioni e sostenere le proposte suggerite nei precedenti I I.

Cfr. http://www.mit.gov.it/mit/site.php ?p=cm&o=vd&id=323l, consultato in novembre 2014.

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capitoli ? Ci sono elementi che prefigurino la possibilità di passare "dalla casa ali' abitare , �. Una risposta di massima è che le misure previste, di fatto, sembrano "condannate" in larga misura a mantenere lo status quo: permanente insufficienza e precarietà dell'of­ ferta rivolta alla domanda più debole ( quella d'ambito ERP ) , e orientamento al merca­ to di quella appena solvibile attraverso un tanto dichiarato quanto problematico soste­ gno all'housing sociale pubblico-privato ( d 'ambito ERS ) , specialmente, come si dirà, se perseguito attraverso ipotesi di rigenerazione e riqualificazione urbana. È solo in quest 'ultima direzione che, sembrerebbe, il D.L. spinge per cercare di rinnovare gli approcci e migliorare gli esiti. Del resto, anche entrando nei dettagli del D.L. 47 convertito in legge, in assenza di decreti attuativi è possibile fare ancora solo considerazioni molto generali12, e tra queste prima di tutto sulla valenza urbanistica dei provvedimenti, a partire dal « Pro­ gramma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica » di cui all'art. 4, non scadenzato nel tempo e del quale, tra l'altro, non sembra potersi cogliere la valenza - se trattasi, cioè, di programma nazionale o riferito a diversi e più definiti ambi ti terri tori ali. In esso, la "categoria d 'intervento" di riferimento è la « manutenzio­ ne straordinaria » , includendovi anche il « ripristino di alloggi di risulta » . Si trattereb­ be dunque di interventi significativi, la cui necessità e/ o ammissibilità dovrebbe essere strettamente legata allo stato edilizio e funzionale sia dei singoli alloggi che dei relativi immobili cui appartengono13. Intanto, però, va subito registrato che al comma successivo, 1 ° bis, gli elenchi che le Regioni avrebbero dovuto predisporre entro trenta giorni avrebbero dovuto ri­ guardare, invece, le « unità immobiliari che, con interventi di manutenzione ed effi­ cientamento di non rilevante entità, siano rese prontamente disponibili per le

12. Con successivo decreto dei tre ministeri interessati, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto sarebbero dovuti essere approvati «i criteri per la formulazione di un Programma di re­ cupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dei Comuni e degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati» (cfr. il testo coordinato del D.L. 28 marzo 201 4, n. 47, coordinato con la legge di conversione 23 maggio 2014, n. 8o, recante Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 20IS). 13. Per questi ultimi, però, a condizione che venga precisamente confermata la previsione anche «dell 'adeguamento energetico, impiantistico statico e del miglioramento sismico degli immobili» , di cui al comma 1° dell'art. 4, che verosimilmente dovrebbe trovare criteri di individuazione e selezione in sede attuativa. Al riguardo, alcune indicazioni rinvenibili sul sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - dove sono consultabili a partire dalla pagina web http:/ /www.mit.gov.it/mit/site. php ?p=cm&o=vd&id=3232, con data di riferimento 20 maggio 2014 e consultabile ancora in novembre 20 1 4 -, sotto la voce « edilizia popolare » prevederebbero soo milioni di euro per il recupero di 12.000 « alloggi ex IACP e di proprietà dei Comuni» e altri 67,9 milioni per ulteriori 2.300 alloggi. È da vedere, appunto, se tali indicazioni, non presenti poi nella legge di conversione 8o/2014, saranno contenute in sede di decreti attuativi.

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assegnazioni » 14; e questo sembra contraddire quanto si afferma al comma preceden­ te. Ma potrebbe essere stata una contraddizione salutare, se utilmente risolta in sede attuativa. Considerando i tempi, necessariamente non brevi, per gli interventi di ma­ nutenzione straordinaria previsti al comma I0, interventi meno impegnativi potreb­ bero invece avere tempi brevi e interessare un maggior numero di alloggi a parità di risorse disponibilPS, e avrebbero inoltre la possibilità di interessare zone urbane rela­ tivamente più ampie, ottenendo, quindi, qualche effetto di recupero-riqualificazione urbana, oltre che edilizio. Obiettivi di riqualificazione e rigenerazione di contesti abitativi "omogenei per degrado" non possono essere raggiunti in assenza di interven­ ti estesi che riguardino quantità edilizie significative, se non prevalenti, sul totale degli immobili degradati. E interventi estesi non sono possibili senza finanziamenti adeguati. Se ad esempio ipotizzassimo una spesa di I5.ooo euro ad alloggio, se ne potrebbero rimettere in gioco circa 40.0 00 (e col vantaggio di fare presto) : numeri ancora non particolarmente significativi, ma che avrebbero il vantaggio di tempi bre­ vi e impegno tecnico alla portata di qualunque tipo di impresa del settore. Dovreb­ bero essere accantonate, invece, ambizioni maggiori, pur meritevoli di considerazio­ ne, quali interventi sulla statica e la tenuta antisismica degli immobili, per ragioni di tempo e per dedicare risorse solo a quei casi in cui abbia senso economico interveni­ re per consolidare in luogo di demolire. Su questi aspetti ancora non del tutto definiti del Programma possono per ora valere le indicazioni non ufficiali del MIT che abbiamo appena visto16 e qualche prima risposta delle Regioni ai sensi del D.L. A solo titolo indicativo, così, possiamo registra­ re che in una piccola Regione come l ' Umbria, a fine giugno 20I4, erano stati quantifi­ cati rispettivamente in circa 900 gli alloggi non agibili e quindi non disponibili alla locazione, perché necessitanti di interventi di « manutenzione ed efficientamento di non rilevante entità » (circa 330) o di interventi di « manutenzione straordinaria » (circa 6 o o), di proprietà di enti ex IAC P e ComunP7• Riportato il dato medio del costo di un intervento unitario a livello complessivo, vorrebbe dire poter recuperare 27.000 alloggi. Il dato d'insieme, dunque, resta molto incerto, compreso tra i circa 15.000 non ufficiali del MIT (richiamati in nota I3) e la stima di 4o.ooo basata su interventi più leggeri rispetto alla manutenzione straordinaria. Cifre suscettibili di qualunque inter14. Si tratta comunque di patrimonio materialmente esistente, costituito da quegli alloggi di proprie­ tà di enti ex IACP e Comuni che richiedono indispensabili interventi per poter essere utilizzati. 15. Le risorse previste sono stabilite entro il «limite massimo di soo milioni di euro» di fìnanzia­ mento generale (comma lo) e in 67,9 milioni (comma 6°), in via prioritaria per particolari categorie svan­ taggiate. 1 6. In questo caso (vedi nota 13), ad ognuno degli alloggi interessati da manutenzione straordinaria sarebbero destinati mediamente, rispettivamente nei due casi, 41.700 e l9.6oo euro; cifre signifìcative, anche perché riferite ad alloggi di dimensioni contenute, comunque che non superano i 100 mq. 17. Cfr. In Umbria 330 alloggi indisponibili per mancanza di risorse, l4 giugno lOI4, http :// www. regione.umbria. it/ notizie/- l asset_publisher/VQyRMqH 3GnjG lcontenti asterurb-63? read_more=true.

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pretazione, come è evidente. Ciò che alla fine, tuttavia, va rilevato è che - a fronte delle 6so.ooo domande giacenti nei Comuni -, si ripropone la questione della scarsità delle risorse finanziarie disponibili col D.L. 47 ( in questo caso, per il Programma di recupero). Sempre nella stessa logica di promuovere una migliore qualità dell'abitare, sarebbe stato poi opportuno che gli interventi finanziabili avessero potuto comprendere anche gli elementi di base del tessuto urbano, favorendo la ricostituzione di situazioni di qualità fisiche e morfologiche dello spazio collettivo. Le "parti comuni" di edifici e complessi edilizi ERP, in particolare "a livello terra", sarebbero in questo senso i primi elementi da recuperare. Non dimenticando, inoltre, che per tentare di raggiungere que­ sto tipo di risultati - oltre al finanziamento degli interventi - occorrerebbero : 1. pro­ getti accurati; 2. progetti aperti alla partecipazione degli abitanti, a partire dalle loro esperienze in quelle situazioni e spazi di vita; 3· progetti che di tali esperienze ed esiti spaziali e d'uso sappiano tenere conto, come suggerisce Paola Di Biagi nel CAP. 9; e, infine, 4· l'abbandono di logiche e procedure di intervento troppo spesso solo ammi­ nistrative e freddamente tecniche e/ o contabili. Decreti ministeri ali attuativi e provve­ dimenti delle Regioni - in attuazione e in affiancamento del D.L. - potranno agire in questa direzione ? E, sempre in questa logica di accrescimento della qualità della vita nei contesti degradati e fragili, andrebbero anche previste risorse per il miglioramento della qualità urbana a livello di quartiere e di parti urbane, in ordine a servizi, spazio pubblico e mobilità, e secondo forme organizzative virtuose che portino mutua valorizzazione ed effettiva disponibilità di fruizione del bene casa ( a carattere pubblico o sociale che sia) e del bene città. In un verso e nell 'altro ulteriori risorse sarebbero ben spese, forse più propriamente rispetto ai poco convincenti incentivi presenti sempre nel D.L. 4 7 per l'acquisto di elettrodomestici ( art. 7 ) . È certo un bene, infatti, che le politiche siano integrate, ma prima di tutto nel perseguimento di obiettivi costitutivi, primari e strut­ turali. In tal senso, e a proposito di integrazione, anche le misure di sostegno all'affitto e di facilitazione alla locazione ( che figurano nella prima linea d'azione del D.L. ) , ri­ volgendosi a chi ha già in locazione un alloggio e a chi, in quanto proprietario, è parte interessata e visibile dell'offerta ( evidentemente parliamo delle locazioni "registrate" ) , rivestono interesse urbanistico, in quanto determinano condizioni di presidio d'uso e, in certa misura, di possibili attività economiche connesse alla residenza - ad esempio in aree più limitrofe a insediamenti ERP -, e comunque fanno sì che una quota di do­ manda trovi accoglimento e sostegno, con quegli effetti nell'insieme positivi che ci ri­ corda Stefano Stanghellini nel CAP. 8. E, analogamente, possono risultare efficaci mi­ sure selettive per favorire l'acquisto della prima casa, e al temp o stesso sostenere il mer­ cato privato del nuovo residenziale già esistente, come segnala Michele Zanelli nel CAP. 3 a proposito delle politiche abitative condotte in Emilia-Romagna. C 'è infine un altro aspetto, particolarmente rilevante, che nel D.L. non è affronta-

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to : la gestione economico-finanziaria degli alloggi che verrebbero recuperati (oltre a quelli già in uso), compresi i cosiddetti alloggi di risulta indicati nel D.L. Se permanes­ sero, infatti, le inadeguatezze del sistema che hanno condotto gli enti gestori ex IACP alla quasi paralisi operativa, avrebbe poco senso investire ancora "nuove" risorse su al­ loggi la cui gestione sarebbe destinata ad essere in passivo, come è facile dedurre dalle argomentazioni di Paolo Ciampi nel CAP. 4· Ancor più che in passato, sarebbe neces­ sario sapere da subito come tali problemi potrebbero essere affrontati. Tra i criteri con cui scegliere "dove" prioritariamente intervenire, ad ogni modo, dovrebbero essere comprese valutazioni di fattibilità inerenti anche questi aspetti. 1 1.3

De-settorializzare l 'edilizia residenziale sociale (e pubblica)

Proprio gli enti gestori avrebbero, inoltre, la possibilità di intervenire sull'uso, oltre che degli spazi comuni, cui si è già fatto cenno, anche degli spazi accessori (locali comuni, spazi porticati, locali sottotetto, locali per negozi ed uffici ecc.), frequentemente pre­ senti nell' ERP. Potrebbero farlo governandone gli usi - quando non recuperabili a re­ sidenza - per attività commerciali, artigianali e professionali, e !imitandone l'offerta per favorire la sostenibilità economica delle attività che devono poter contare su bacini minimi di domanda locale. Potrebbero, secondo logiche di questo tipo, concedere lo­ cali per servizi prestati in cooperativa e in generale dal terzo settore18, favorendo così quei soggetti economici e sociali che da qualche tempo cercano di dare corpo alla co­ siddetta "economia civile"19. Tutto questo richiede un cambio di mentalità e potrebbe recuperare, secondo declinazioni al presente, importanti culture "politiche" del nostro Novecento "migliore", o perfino utopico ; qui basterà ricordare il pensiero e l'azione di Adriano Olivetti. Una sfida tanto per gli enti ex IACP, oggi ATER, che per i Comuni e per le politiche pubbliche sia regionali sia di livello centrale. Approcci di questo tipo sarebbero non solo non ostativi ma compatibili con le nuove domande di "casa" e di "abitare" che si accompagnano al passaggio dall'ERP all'ERS (inevitabile o meno che sia) , ad esempio con quella quota di domanda caratte­ rizzata da temporaneità, variabilità, instabilità, precarietà sottolineata da Michele Talia nel CAP. IO. Non va dimenticato, infatti, che non sempre queste forme di bisogni sono frutto di libera scelta, e che per questo non può essere il solo mercato a dar loro risposte ma anche la collettività nelle sue forme organizzative più flessibili, o più nudge, per

18. Terzo settore che nel d.d.l. Lupi è considerato tra i soggetti attuatori delle «politiche abitative pubbliche dirette alla programmazione, regolamentazione, realizzazione e gestione degli alloggi sociali [ ] sulla base del principio di sussidiarietà » (art. 19, comma 1°). 19. Al riguardo, primo riferimento è il lavoro di Stefano Zamagni. ...

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dirla con Sunstein e Thaler2.o. Così come è ugualmente poco credibile che il patrimo­ nio di differenziazione di spazi e di usi maturato nell'esperienza ERP, e dunque quelle forme dell'abitare non del tutto standardizzato cui fa riferimento Paola Di Biagi, pos­ sano trovare facilmente espressione solo nei "prodotti residenziali" del mercato. Sono, anche queste, tra le ragioni per ritenere che ancora oggi l' impegno pubblico debba, utilmente, restare centrale nella questione abitativa, se essa è anche questione dell'abi­ tare. In concreto, si tratterebbe di costruire un'offerta molto puntuale rispetto all'arti­ colazione della domanda, e per questo specificamente aderente ai singoli contesti di intervento. In questo senso la strategia più adeguata non può che risiedere nel "proget­ to", urbanistico, edilizio-architettonico, gestionale e, non ultimo, sociale. È in questo senso che qui va intesa l' ipotesi di de-settorializzare - più di quanto si sia tentato di fare e, episodicamente, si sia fatto - l'edilizia residenziale sociale ( e pubblica) e di valo­ rizzare politiche e interventi che integrino domande e obiettivi all'origine "distinti". Essa va intesa prima di tutto in ordine alle relazioni tra edilizia residenziale ( sociale/ pubblica) e urbanistica; l'esperienza dei grandi Piani di Zona ex lege 1 67 /!962, per tan­ ti versi critica, dovrebbe averci insegnato molto, tra cui due cose rilevanti: la necessità di non separare le due questioni "case" e "città"; e la necessità che a monte del progetto ci siano le giuste condizioni. Il progetto deve poter essere interpretazione locale di politiche e programmi di livello centrale ( e regionale ) ; politiche del tipo che ci ricorda, ad esempio, Manuela Ricci nel CAP. 2 dedicato ad un bilancio del primo PNRU france­ se, del quale, a prescindere da puntuali valutazioni di merito, per certi versi anche criti­ che, interessa evidenziare soprattutto la credibilità delle culture e dei comportamenti degli attori in gioco, privati compresi. È da qui, riteniamo, che si debba ripartire. Da tempo il settore privato delle costruzioni, comprendendovi le diverse figure che ad esso fanno capo nel nostro paese, è esplicitamente chiamato in causa come attore rilevante e potenzialmente dirimente nei processi di trasformazione urbana. È neces­ sario ormai che - analogamente alla Pubblica amministrazione - esso compia un salto di qualità, senza il quale avrebbe poco significato pensare di attribuirgli quel ruolo propositivo e quelle responsabilità decisionali-operative pur comprensibilmente solle­ citate da Massimo Ghiloni nel CAP. S · Del resto, modalità d' intervento orientate in questa direzione, che chiaramente rileva Guido Bardelli ( CAP. 6 ) nella sua disamina del D.L. 47, sono confermate, estese e tentativamente proposte in forma organica nel d.d.l. proposto dal ministro Lupi, che qui - lasciando da parte le importanti questioni generali che, per impostazione e con­ tenuti, solleva nei 20 articoli di cui è composto - consideriamo solo per quanto riguar20. Cfr. C. R. Sunstein, Why Nudge? The Politics oJLibertarian Paternalism, Yale University Press, New Haven 2014, e R. H. Thaler, C. R. Sunstein, Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness, Yale University Press, New Haven 2008.

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da specifici aspetti del suo Titolo II (Politiche urbane, edilizia sociale e semplificazioni in materia edilizia), e che, nominalmente, potrebbe voler ricondurre l' ERS/ERP all'urba­ nistica (o anche al "governo del territorio") , prima di tutto attraverso le politiche e gli interventi di rinnovo urbano. Nel Titolo II del d.d.l., sia negli articoli dedicati al rinnovo urbano che in quelli specifici per l' ERS, troviamo anche indicazioni per favorire l' integrazione di politiche e azioni del tipo di cui si è detto sopra, ad esempio inerenti «l' innalzamento comples­ sivo della qualità urbana e dell'abitare, [ ... ] la valorizzazione, la rigenerazione del tessu­ to economico sociale e produttivo » o « azioni di poli tic a sociale e assistenziale » (art. I6, commi 2° e 3 ° ) o «Le azioni di politica sociale e assistenziale integrano il servizio di edilizia residenziale sociale » (art. I8, comma 7 ° ) 21 • Elementi significativi del d.d.l., che qui possiamo solo segnalare. E, tuttavia, è da vedere quanto realmente sarebbero in grado di orientare nel breve e medio periodo l'azione pubblica, in particolare nei con­ testi regionali tradizionalmente meno attivi, soprattutto se non efficacemente coordi­ nata con più specifiche previsioni normative, come ad esempio quelle presenti in pre­ cedenti provvedimenti, maggiormente significativi in merito all'ipotesi sopra avanzata di de-settorializzare l' ERS/ERP. È soprattutto a quel tipo di strumenti, sebbene non esclusivamente rivolti all'ambito dell'ERS/ERP, che qui, a titolo esplicativo, ci si vuole riferire: la legge 7 agosto 1 9 9 7, n. 266, Interventi urgenti per l'economia, che prevede all'art. 14 Interventi per lo sviluppo imprenditoriale in aree di degrado urbano; i Contrat­ ti di quartiere, avviati nel I 9 9 8 e rilanciati nel 20 o 2 (cui si è accennato); o anche le Zone franche urbane varate alla fine del 2oo6. 1 1. 4

Edilizia residenziale sociale e urbanistica

Valutare oggi in termini disciplinari più stretti come possano concretizzarsi le mutue relazioni tra ERS e urbanistica - in relazione al D.L. 47 e al testo di d. d.l., segnatamen­ te in ambito di rigenerazione e rinnovo urbano - richiede di scontare le inevitabili incertezze dovute, da una parte, all'esito dell'iter di approvazione del d.d.l. e, dall'altra, alla congiuntura economico-finanziaria, la cui evoluzione resta tuttora problematica. Tuttavia, la non previsione nel D.L. (come convertito con legge 8 o/20I4), di futuri decreti attuativi inerenti l'art. I 0 22 , e la potenziale compatibilità reciproca tra le impo21. Così come indicazioni simili sono presenti da tempo in leggi regionali approvate e attuate. Si veda ad esempio la legge regionale Emilia-Romagna 24hoo1, art. 2, Finalita della programmazione degli interventi di edilizia residenziale sociale, qui riportata nel CAP. 3· 22. Almeno fìno ad oggi, per quanto attiene l'art. 10 è prevista l 'emanazione di un solo decreto attua­ tivo del MI T, « previa intesa della Conferenza unifìcata inerente la ripartizione tra le Regioni della quota di finanziamento destinata a sostenere la realizzazione di « servizi e funzioni connesse e complementari» >> ,

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stazioni dei due provvedimenti ( D.L. e d. d.l. ) rendono plausibili alcuni ragionamenti complessivi. Al riguardo, è opportuno però tenere presente che mentre l'art. IO del D.L. tiene insieme ERS e « rigenerazione delle aree urbanizzate e dei tessuti edilizi esistenti » ( comma I 0 ) , nel d.d.l., invece, pur riportate entrambe sotto il Titolo n ( come si è accen­ nato ) , le due questioni restano poi distinte. Così, in ordine ad alcune specifiche que­ stioni affrontate nell'art. IO del D.L., ad esempio « gli interventi ammessi » , il d. d.l. non aggiunge, né integra, né considera23• I rimandi tra i due provvedimenti che qui si pro­ pongono hanno di conseguenza il valore limitato che tali circostanze determinano. Con il riferimento fatto sopra a Cassa depositi e prestiti ( CDP ) , avevamo solo allu­ so alla terza linea dell' intervento pubblico del D.L. 47, come qui l'abbiamo individua­ ta; vale a dire una linea d'azione di sostegno alla domanda solvibile sostanzialmente orientata al mercato e caratterizzata da obiettivi di rigenerazione urbana, che caratte­ rizza l'intero art. IO, Edilizia residenziale sociale. Ad essa, non trattandosi di edilizia residenziale pubblica, sarebbero destinati soltanto I O O milioni di euro, tra l'altro già allocati, sembrerebbe, nell'ammontare complessivo di risorse per il Programma di re­ cupero di cui all'art. 4 , visto prima. Per trovare ulteriori e più specifiche risorse per l' ERS, invece, sia pubbliche che private - il cui utilizzo il D.L. si propone di accelerare ai fini di « garantire l' incremento degli alloggi sociali » -, è necessario rifarsi a quelle attivabili nell'ambito del precedente D.L. 112/2oo8, anche attraverso la costituzione dei fondi immobiliari, in cui protagonista primario è appunto C D P. L' insieme di questo tipo di risorse, di diversa natura e provenienza, non p re asse­ gnate ma da promuovere, negoziare, mettere insieme, orientare e gestire, sconta l' incer­ tezza propria di qualunque risorsa che si presti ad essere investita potendo scegliere tra più alternative. Da qui il carattere diverso e specifico di una ERS così concepita, il cui tratto distintivo è che la prima condizione di fattibilità da verificare è che esistano at­ tori, anche e soprattutto privati, disposti ad investire in queste iniziative; di fatto, in termini analoghi alle situazioni di investimento dell'edilizia agevolata e convenziona­ ta24. Le misure previste all'art. IO, a parte la possibilità di «locazione con patto di futu­ ra vendita, o assegnazione, per un periodo non inferiore ad otto anni » , sono finalizzae « residenze destinate a locazione temporanea » ; che potrà incidere sulla distribuzione delle dotazioni fi­ nanziarie, quindi, ma non sul funzionamento e gli effetti della norma. 23. L'unico punto di contatto è al comma 14° dell'art. 16 (Rinnovo urbano) : « Gli alloggi realizzati ai sensi del comma 10 del presente articolo, utilizzati in via temporanea da parte dei proprietari degli immo­ bili ricadenti nelle operazioni di rinnovo, possono essere successivamente destinati a soddisfare esigenze di edilizia sociale o ceduti al Comune » . 2 4. I n realtà, come il d.d.l. potrebbe lasciare intendere all'art. 1 8, comma 1° e successivi ( e comunque come nel presente volume generalmente si è inteso), dovremmo intendere l' ERS come comprensiva del! ' ERP e di altre forme di sostegno e aiuto «a favore degli individui e dei nuclei familiari che non sono in grado, anche per situazioni di disagio economico e sociale, di accedere al libero mercato », e quindi riferire l 'ERS finanziabile nei termini qui visti solo alla sua componente pubblico-privata.

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te all'accrescimento del patrimonio di alloggi sociali «in locazione » (comma 3°), e alle seguenti condizioni : 1. riguardano i soli Comuni "ad alta tensione abitativà'; 2. non deve esserci consumo di nuovo suolo rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Dovrà quindi essere interessato solo il patrimonio edilizio "esistente" (ma in esso compren­ dendovi « gli immobili non ultimati e gli interventi non ancora avviati provvisti di ti­ toli abilitativi rilasciati entro la data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero regolati da convenzioni urbanistiche stipulate entro la stessa data e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto » ). In assenza, come si è ricordato, di rinvio a successivi decreti ministeriali, sembre­ rebbe quindi affidata alla totale discrezionalità dei Comuni la scelta di quante e quali « aree urbanizzate » e/o « tessuti edilizi esistenti » debbano essere oggetto di « rigene­ razione » « attraverso lo sviluppo dell'edilizia sociale » (comma I 0 ) , « anche attraverso lo stanziamento di risorse pubbliche e l'accelerazione dell'utilizzo delle risorse » - cui si è fatto cenno -, elencate nel D.L. 1 1 2/2oo82s. Quanto valgono, in termini di quan­ tità edilizie in gioco, alla data di entrata in vigore del decreto i titoli abilitativi già rila­ sciati, ovvero regolati da convenzioni urbanistiche già stipulate e vigenti ? Dalla risposta dipende l'entità del rischio che possano risultare premiati, per così dire, quei Comuni che hanno largheggiato nelle previsioni edificatorie, ad esempio in chiave di procaccia­ mento di potenziali entrate da oneri di urbanizzazione (per le quali poi sono stati chie­ sti e rilasciati titoli abilitativi) ; e penalizzati i Comuni da questo punto di vista più virtuosi. Su questo aspetto, in prospettiva, può giovare guardare all'art. I 6, Rinnovo urbano, del d.d.l. Il comma 3°, infatti, prevede che «l Comuni, nelle aree ritenute a particolare disagio sociale, attivano operazioni di rinnovo urbano » e, al comma 4°, che « Le aree prioritarie per le operazioni di rinnovo sono individuate dai Comuni nella pianifica­ zione urbanistica comunale programmatoria di cui all'art 7, comma 2, lett. a) » . È in­ trodotta così la nozione di « aree prioritarie » , la cui individuazione in sede di «piani­ ficazione di carattere programmatorio » avrebbe però solo « efficacia conoscitiva e ricognitiva » 26• Quanto contribuirebbe, in questa forma, a governare le trasformazio­ ni ? Di fatto, per ora, aver inteso in modo estensivo, nel D.L. 47, la qualificazione di patrimonio edilizio "esistente" ai fini degli obiettivi propri dell'art. IO (comma I 0 ) po­ trebbe avere l 'effetto di produrre urbanizzazioni ed edificazioni incoerenti, realizzate 25. Quindi risorse derivanti da: fondi immobiliari; alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favo­ re degli occupanti muniti di titolo legittimo; promozione da parte di privati di interventi ai sensi del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163; altre misure di incentivazione, imperniate anche sul trasferimento di diritti edifica­ tori in favore dei promotori degli interventi; incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dota­ zione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana. 26. Mentre « efficacia attuativa» sarebbe riservata alla «pianificazione di carattere operativo» , sem­ pre prevista dali' art. 7, comma 2 del d. d.l. o

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"a pelle di leopardo", in relazione allo stato amministrativo delle singole previsioni di trasformazione edilizia, con ulteriori effetti, potenzialmente perniciosi, se non di "con­ sumo", senz' altro di compromissione anche di quei suoli nel breve periodo non edifi­ cabili ( in quanto sprovvisti di titoli abilitativi ) ma interclusi tra aree ricadenti in ambi­ to "ERS-rigenerazione urbana" e subito edificabili perché, queste sì, già «provviste di titoli abilitativi » o regolate da convenzioni urbanistiche già stipulate. Tali aree/inter­ venti godrebbero infatti di incentivi e riduzioni di costo "attuale" di alcuni fattori di trasformazione, e sarebbero quindi di maggiore appetibilità sul mercato ( in certi casi anche rispetto al "nuovo" recente ma invenduto) . Va ricordato al riguardo che: 1. gli interventi ammessi fanno sì che si possano operare anche demolizioni e trasformazioni profonde dei tessuti edilizi2.7; 2. le Regioni «possono introdurre norme di semplifica­ zione per il rilascio del titolo abilitativo edilizio convenzionato e ridurre gli oneri di urbanizzazione per gli interventi di cui al presente articolo » ( comma 6°), che i Comu­ ni poi recepiscono; 3· gli stessi Comuni hanno la facoltà di assegnare « incentivi volu­ metrici a seguito del miglioramento delle prestazioni energetiche » ecc., anche alle nuove costruzioni quando ammesse; 4· alcuni tipi di intervento e trasformazione sono ammessi in deroga al piano urbanistico ( comma 5°). Naturalmente, nel perseguire l'obiettivo di accrescere l'offerta di alloggi sociali, la discrezionalità dei Comuni potrà portare anche a scelte oculate, selettive e appropriate, efficacemente orientate a riqualificazione e rigenerazione; ma, per il tipo di ragioni appena esposte, è da ritenere che criteri regolatori di selezione dell'edificato "esistente", di scelta delle aree e di graduazione nel tempo delle quantità ammesse ad interventi di rigenerazione urbana sarebbero stati opportuni ( e più cogenti rispetto a quelli prospet­ tati nel D.L., cui si è accennato ) . È da vedere se e cosa faranno le Regioni. E sarebbe da vedere cosa "potrebbero" fare le Regioni anche in ambito del d.d.l. Ad esempio, se fosse confermato in sede di iter approvativo quanto previsto dall'art. 16, comma 7°, spetterebbe loro la scelta di ammettere o meno la possibilità di attuazione indiretta delle « operazioni di rinnovo urbano » , altrimenti realizzabili « anche in as­ senza di pianificazione operativa o in difformità dalla stessa, previo accordo urbanisti­ co tra Comune e privati interessati dalle operazioni » ; ma, anche in caso di decisione regionale di « consentire l'attuazione indiretta » , se vale l' interpreazione del testo pro­ posto del d.d.l., la scelta ultima potrebbe alla fine riguardare i Comuni. Anche qui, per quanto in passato si è visto, appare legittimo nutrire perplessità. Sicuramente alle Re­ gioni, invece, sarebbe demandata la disciplina legislativa del « dibattito pubblico » cui sarebbero soggette «le operazioni di rinnovo urbano che comportano abbattimento e

27. Qui, in breve, gli interventi ammessi vanno dal restauro o risanamento conservativo alla manu­ tenzione straordinaria, alla demolizione e ricostruzione con modifica di sagoma e diverso sedime, con va­ riazione di destinazione d'uso di edifici. E, per alcuni tipi di trasformazione, sono ammessi in deroga al piano (cfr. comma 5°).

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ricostruzione di porzioni di città » (comma 8°) ; in questo caso l'aspetto più problema­ tico potrebbe essere cosa intendere, in chiave discriminante, per «porzione » . Ma, tornando all'art. 1 0 (ERS) della legge d i conversione del D.L. 4 7 oggi vigente, due ultime notazioni, di senso diverso, vanno fatte. Anche considerandone le poten­ zialità d' intervento (fino alla demolizione e alla sostituzione di tessuti edilizi, e con deroghe rispetto al piano urbanistico) , quali potranno essere i tempi di realizzazione di questi interventi ? Difficilmente saranno brevi, e invece dovremmo già essere in ambito "emergenzà' abitativa, dalla quale il D.L. è originato. E, d'altra parte, siamo certi che nello sviluppo degli interventi più impegnativi tra quelli previsti dal D.L. ci sia vantag­ giosità per il settore delle costruzioni, convenienza collettiva e fattibilità complessiva a fronte dell'invenduto o non in uso, recente o meno, e che, per le ragioni sopra viste, probabilmente tale rimarrebbe ? Questi aspetti, insieme a quelli prima evidenziati, non possono non essere stati considerati in sede di legge di conversione del decreto, e in certa misura già oggi - tem­ pi e difficoltà di attuazione a parte - ne riducono l'effettiva portata. È auspicabile che, oltre alle Regioni, anche il d.d.l. ad oggi solo proposto possa ri­ tornare sui punti maggiormente critici, suoi propri e del D.L. 47, oggi legge So/2014, perseguendo maggiore coerenza tra obiettivi urbanistici più generali e obiettivi dell'e­ dilizia residenziale sociale sia in ambito di rinnovo urbano che di nuova edificazione. Tra essi, quelli di una migliore qualità dell'abitare di fatto appaiono oggi solo enuncia­ zioni; probabilmente una legge di principi non può dire e fare di più. Ma, intanto, ai principi potrebbero seguire indicazioni e soprattutto rinvii normativi coerenti, ad esempio, nel perseguimento dei livelli essenziali di quelle dotazioni territoriali che già figurano all'art. 6, e nel favorire l' integrazione delle principali componenti inerenti la qualità complessiva dell'abitare e del vivere nelle città, cui qui si è fatto cenno anche richiamando gli altri contributi presenti nel volume. De-settorializzare l'ERS non vuol dire farlo necessariamente e strettamente dal punto di vista normativo, quanto in ordine alle politiche pubbliche (tra cui anche quel­ le urbanistiche), che dovrebbero essere promosse a monte della concezione e della seri t­ tura dei testi dei singoli provvedimenti. E per le quali servono intenzionalità, chiarezza, coordinamento tecnico e determinazione politica.

Gli autori

GUIDO BARDELLI è iscritto all'Ordine degli Avvocati di Milano dal 1986, specializza­ to nella disciplina del Governo del territorio con particolare riferimento all'housing sociale, è nel gruppo di lavoro "Rinnovo urbano" presso il ministero delle Infrastruttu­ re e dei Trasporti ed è docente nel master in housing sociale presso il Politecnico di Milano. ELENA BORGHETTI ha conseguito il titolo di PhD in Pianificazione territoriale e ur­ bana nel 2013 presso l' Università "Sapienza" di Roma. Suoi principali temi di ricerca sono gli strumenti innovativi nelle politiche abitative, in particolare quelli di tipo fi­ nanziario, e l'integrazione tra politiche per l'housing sociale e strumenti urbanistici. PAOLO CIAMPI è direttore generale dell'ATER della Provincia di Latina dal 2006. Ha operato in primari istituti di credito, occupandosi prevalentemente di finanza d' impre­ sa. Laureato in Scienze politiche presso la LUISS, ha conseguito il master in Innovazio­ ne e management nelle amministrazioni pubbliche presso l' Università di Roma Tor Vergata. PAOLA DI BIAGI è professore ordinario di Urbanistica all' Università di Trieste. Si oc­ cupa dello studio e del progetto della città contemporanea, con particolare attenzione ai temi dell'edilizia sociale e dello spazio pubblico. Su questi argomenti ha scritto saggi e promosso ricerche, concorsi, mostre e convegni nazionali e internazionali. ANTONELLA GALASSI è architetto, PhD in Pianificazione territoriale e urbana, ricer­ catore e docente di Progettazione urbanistica nella Facoltà di Architettura dell' Uni­ versità "Sapienza" di Roma, membro del Collegio docenti del dottorato in Pianifica­ zione, design, tecnologia dell'architettura. I suoi temi di ricerca riguardano : le opera­ zioni di piano e di indirizzo per il riordino dei valori insediativi unificanti la città e i territori metropolitani, la rigenerazione urbana e l'housing sociale. MASSIMO GHILONI, esperto di diritto urbanistico, è stato incaricato dal ministero del­ le Infrastrutture e dei Trasporti e da assessorati regionali della redazione di studi in tema di governo del territorio, collabora con "Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio" e numerose riviste giuridiche.

GLI AUTORI

professore di Urbanistica presso l' Università "Sapienza" di Ro­ ma, è coordinatore del gruppo di lavoro "Rinnovo urbano" istituito presso la Segreteria Tecnica del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti per la messa a punto del dise­ gno di legge Principi in materia dipolitiche pubbliche territoriali e trasformazione urba­ na. F RAN C E S C O KARRER,

MANUELA RI C C I è professore ordinario di Urbanistica presso l' Università "Sapienza" di Roma, è nel Collegio docenti del dottorato in Pianificazione, design, tecnologia dell'architettura, membro GEV, area o8 per la VQR 2 0 0 4- 1 0, e direttore dal 2 0 07 del Centro di ricerca di Sapienza Fo.cu.s. È autrice di numerose pubblicazioni sui temi ri­ guardanti in particolare il welfare urbano e le politiche di rigenerazione e sviluppo dei centri storici minori. SAVERI O SANTANGEL O , architetto, PhD in Pianificazione territoriale e urbana, è ri­ cercatore presso l' Università "Sapienza" di Roma, dove insegna Progettazione urbani­ stica; membro del Collegio docenti del dottorato in Pianificazione, design, tecnologia dell'architettura, è responsabile di progetti di ricerca su pianificazione di area vasta, urbanistica e sicurezza urbana, edilizia residenziale sociale. STEFANO STAN G H ELLINI è professore ordinario di Estimo presso l' Università I UAV di Venezia. Nella propria attività di ricerca ha privilegiato lo studio delle forme partena­ riali pubblico-privato e la valutazione dei progetti di trasformazione urbana. È stato presidente dell'INU dal 1 9 9 3 al 2 0 0 1 . M I C H ELE TALlA è professore ordinario di Urbanistica presso la Scuola di Architettura e Design "Edoardo Vittoria" dell' Università di Camerino. Svolge attività di ricerca nel campo della pianificazione strategica e delle politiche per il contenimento del consumo di suolo.

architetto, si occupa di programmi di riqualificazione urbana presso la Regione Emilia-Romagna, in cui dirige il "Servizio qualità urbana e politiche abitative", assieme alla newsletter Inforum. Professore a contratto presso l' Università di Ferrara, svolge attualmente un incarico di supporto alla didattica nel Laboratorio di Urbanistica. M I C H ELE ZANELL I ,

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