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Italian Pages [139] Year 2020
"® MIMESIS l PERCORSI DI CONFINE Saggi /N. 27
Collana diretta da Pio Colonnello (Università della Calabria) COMITATO SCIENTIFICO
John Abbarno (University of Buffalo- New York) Stefano Besoli (Università di Bologna) Giuliano Campioni (Università di Pisa) Pio Colonnello (Università della Calabria) FetTUccio De Natale (Università di Bari "Aldo Moro") Maurizio Ferraris (Università di Torino) Raùl Fomet Betancourt (Bremen Universitllt) Luca Illetterati (Università di Padova) Eugenio Mazzarella (Università di Napoli "Federico Il") David Roberts (University of Georgia- USA) Sergio Sevilla Segura (Universidad de Valencia) Renata Viti Cavaliere (Università di Napoli "Federico II")
ROBERTO MELISI
DIVINIZZAZIONE DELL'UMANO E PATHOS CONOSCITIVO NELLE LETTERE DI FICINO
"® MIMESIS
In copertina: Gabriel Metsu,
Uomo che scrive una lettera ( 1664- 1666) , National
of Ireland, Dublino
MIMESIS EDIZIONI (Milano- Udine) www.mimesisedizioni.it
[email protected] Collana: Percorsi di confine, n. Isbn: 97888575 7 1 355
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C 2020 - MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 1 7/ 1 9 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 2486 1 657 l 244 1 6383 Fax: +39 02 89403935
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INDICE
PREFAZIONE
di V. Sorge
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lùNGRAZIAMENTI
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INTRODUZIONE
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CAPITOLO PRIMO
LAUS BREVITATJS: FARE FILOSOFIA IN FORMA EPISTOLARE L'Epistolario nel contesto delle opere 1. di Marsilio Ficino: redazione e struttura Marsi/ii Ficini Fiorentini Epistolarum familiarium libri: 2. inautenticità vs autenticità 3. L'Epistolario come opera filosofica: alcune osservazioni filologiche
19 19 21 32
CAPITOLO SECONDO
LA LE TTERA COME TRATTATO: GLI 0PUSCULA THEOLOGICA L'originalità del secondo libro 1. Questiones quinque de mente 2. Super sensum est intellectus 3. Elementa moventur mobiliter, celestes spere 4. moventur stabiliter, anime stant mobiliter, angeli stani stabiliter, Deus est ipse status Forma corporea dividitur e t movetur ab a/io 5. Compendium Platonice theologie 6. 7. De raptu Pauli 8. Argumentum in Platonicam theologiam 9. Qualis est amor, talis amicitia Quid sit lumen 10.
41 41 44 50
54 55 56 60 66 72 73
CAPITOLO TERZO L'EPISTOLA-TRATTATO COME STILE FILOSOFICO
77
l.
77
2.
trattato breve come forma letteraria privilegiata Conoscenza e vita: una possibile chiave di lettura dell' Epistolario Il
APPENDICE
l.
NoTA AL TESTO
2.
CINQUE QUESTIONI SULLA MENTE
86
97 99 101
BIBLIOGRAFIA
117
INDICE DEGLI AUTORI DALL'ETA ANTICA AL RINASCIMENTO
127
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
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PREFAZIONE
Nella prefazione all ' edizione americana della sua monografia sul pen siero di Marsilio Ficino, Paul Oskar Kristeller scriveva: "Il hmgo tempo e lo sforzo spesi per un libro di questo genere possono sembrare eccessi vi, specialmente in un momento come il presente; però in un periodo di incertezza e di cambiamenti grandissimi, la devozione a un compito ben determinato è una sorgente di energia per lo studioso, e d' altronde anche un argomento limitato implica più larghi problemi e può quindi giustificare e compensare una ricerca accurata". L' autore racchiudeva in queste parole le vicissitudini editoriali del volume che, già pronto in lingua tedesca nel 193 7, sarebbe stato tradotto l ' anno seguente in italiano per poi vedere la luce soltanto nel 1943 nella versione inglese: es�e rispecchiavano le vicen de biografiche del Kristeller, costretto prima a rifugiarsi dalla Germania in Italia, per poi stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti "mentre il diluvio sommergeva l 'Europa". Questo testo, pubblicato negli anni più dolorosi del secondo conflitto mondiale, avrebbe costi$ito un riferimento impre scindibile per gli studiosi che, dal dopoguerra, �i sarebbero rivolti allo stu dio del pensiero rinascimentale e, in particolare, all' Umanesimo fiorentino. Ben si comprende allora quali siano le motivazioni che hanno orientato l' indagine di Roberto Melisi allo studio dell 'Epistolario di Marsilio Ficino, un testo che più di ogni altro, a parere degli studiosi, riesce a coniugare il senso della riflessione erudita e, al contempo, della meditazione stret tamente privata. D' altra parte, l' attenzione per l' epistolario ficiniano ha una storia parallela a quella della riscoperta contemporanea del pensiero rinascimentale: è infatti nell' ambito del carteggio tra Giovanni Gentile e Paul Oskar Kristeller che si rinvengono le prime tracce dell' interesse nei confronti delle lettere: è il primo, infatti, nel febbraio 1936 ad invitare il giovane studioso tedesco ad intraprendeme lo studio "per illustrare tutto l' ambiente letterario in cui egli si mosse in Italia e fuori". Tuttavia, sarebbe stato egli stesso a dedicarsi in prima persona, con l' aiuto di Eugenio Garin e Alessandro Perosa, al progetto di edizione critica dell' epistolario fici niano nella prestigiosa "Collezione di ' Testi urnanistici ' ", mai realizzato
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Divinizzazione del/ 'umano e pathos conoscitivo nelle lettere di Ficino
nonostante gli entusiasmi iniziali. Soltanto grazie al lavoro di Sebastiano Gentile iniziato negli anni ' 80, possiamo attualmente leggere i primi due volumi dell' epistolario in edizione critica, pubblicati rispettivamente nel 1 990 e nel 20 1 0. Vorrei dunque indicare brevemente la linea di partenza e di approdo dell' indagine condotta da Roberto Melisi il quale propone una lettura stori co-filosofica delle lettere di Ficino ponendo particolare attenzione al tema gnoseologico. Molto opportunamente il giovane studioso, impegnato da tempo a riflettere sulla filosofia ficiniana, con un' esegesi animata da auten tica passione, torna ad interrogarsi, nel suo lavoro, sui capisaldi fondamen tali della teoria della conoscenza, particolarmente articolata e problemati ' ca Il filosofo fiorentino ripone infatti proprio nelle facoltà dell ' intelletto il compito di perfezionamento dell' individuo, sebbene non manchino pagine controverse sulla supremazia della volontà. L' obiettivo che egli si pone resta dunque quello della realizzazione più completa dell'anima immortale dell' uomo che, però, viene attuata nella vita quotidiana. A partire dallo studio della collocazione deli' Epistolario ali ' interno dell' intera produzione letteraria ficiniana, Melisi ne ripercorre le fasi di stesura in relazione alle principali vicende biografiche e agli eventi storici della Firenze della seconda metà del Quattrocento. Risulta di particola re importanza, infatti, osservare le particolari occasioni in cui matura il pensiero di Ficino : spesso il filosofo affida notevoli riflessioni di natura teoretica o gnoseologica a epistole "familiari" e amichevoli. Peraltro, in considerazione dell'originalità del carteggio nel contesto degli epistolari umanistici, vengono affrontate criticamente anche le motivazioni del sin golare giudizio di inautenticità proposto dal primo biografo del filosofo fiorentino, Giovann i Corsi : sarebbe sufficiente - a suo dire - il riconosci mento della sostanziale differenza tra i trattatelli in forma epistolare del secondo libro e tutte le altre lettere per considerare spurie queste ultime. Melisi, attraverso l'analisi di alcune lettere ficinane in cui il filosofo stesso si riferisce alla circolazione, per cosi dire, non "ufficiale" delle sue epistole e con il rinvenimento di una loro sostanziale affinità tematica, ricostruisce l'unità del progetto filosofico complessivo che è alla base della pubblica zione dell' intera opera. Le epistole raccolte nel secondo libro costituiscono poi le voci che Melisi offre ali ' ascolto del lettore nelle pagine finali del volume con studio paziente delle fonti e ricchezza di documentazione: in fatti, a parere dello studioso, esse non costituiscono un' eccezione ma sono semmai la lente attraverso la quale poter leggere ed interpretare i nuclei tematici di tutte le altre. Si tratta di nove brevi trattati che, da una parte, affrontano in maniera sintetica gli argomenti delle opere maggiori men-
Prefazione
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tre, dall' altra, introducono questioni originali. Essi sono accomunati da un frequente riferimento alla teoria della conoscenza: ad esempio, il tema dell' intelletto nell' argumentum e nel compendium alla Theologia Platoni ca, l ' originale interpretazione del rapimento di Paolo al "terzo cielo" e la metafisica della luce del Quid sit lumen sono intimamente correlati. Ma, in particolare, sono le Questiones quinque de mente a rappresentare il testo più significativo dell' epistolario, ragion per cui l' autore ne offre la tradu zione italiana in appendice al presente volume. La realizzazione più com piuta della natura della mente nell' immobilità della contemplazione delle essenze eterne costituisce il modello perfetto di vita umana. La trattazione metafisica di Ficino si tramuta qui, come avviene negli altri testi, in un' e sortazione morale alla vera felicità: l ' inquietudine umana, simbolicamente rappresentata dai miti di Prometeo e Sisifo, deriva dalla debolezza della ragione succube delle illusioni sensibili e incapace di accedere all' apice della mente. Si tratta di testi che ripropongono un chiaro modello di vita contemplativa con lo scopo di esortare i destinatari ad uno "stile di vita" filosofico: tutti gli uomini, infatti, indipendentemente dalla loro professio ne, possono e devono poter essere felici. Ed anzi, dal momento che la vita umana è breve, proprio una scrittura più sintetica ed essenziale come quella epistolare costituisce la forma letteraria migliore per realizzare i principi della filosofia nella propria esperienza quotidiana. L' aspetto più interessante della proposta ermeneutica del volume diven ta allora il recupero nel pensiero ficiniano della dimensione più propria della riflessione filosofica intesa come "esercizio spirituale": la ricerca del la verità costituisce il percorso di "perfezionamento" della natura di ogni uomo, della cui estrema urgenza è ben consapevole il filosofo fiorentino. La volontà di dare alle stampe le missive alle quali Ficino per decenni aveva affidato il compito di diffondere il suo rinnovato platonismo, co stituisce l' esito più naturale di un' autentica aspirazione alla rigenerazione antropologica. Melisi restituisce l ' immagine di un filosofo, per cosi dire, "impegnato" attivamente nella vita intellettuale e politica del suo tempo che non emerge dalle sue opere "maggiori". Conoscenza e vita costituisco no, allora, un binomio inscindibile dell'Epistolario ficiniano. Il lavoro di Melisi ha il merito di inoltrarsi con perizia filologica nei delicati intrecci che possono restituire una possibile chiave interpretativa del testo ficiniano: da qui la scelta di offrire dei "percorsi conoscitivi" che consentano allo studioso di districarsi nel mare magnum costituito dalle centinaia di lettere raccolte da Ficino. L' autore riesce bene a cogliere la portata universale di un pensiero nato da occasioni contingenti ed espres sione di un ambiente culturale ben determinato, il che conferisce dunque
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Divinizzazione del/ 'umano e pathos conoscitivo nelle lettere di Ficino
all'Epistolario un ruolo determinante all' interno della produzione ficinia na. Esso, anzi, consente di osservare sotto una luce rinnovata anche le ope re più celebri del filosofo fiorentino, seguendone da vicino, per così dire, la nascita dei temi attraverso una lunga e profonda meditazione personale. Proporre al lettore moderno questi testi non rappresenta un esercizio di erudizione rivolto esclusivamente agli esperti del settore, ma un autentico invito a pensare il proprio tempo se è vero, come scriveva Kristeller, che "un argomento limitato implica più larghi problemi". E sappiamo come questo sia ancora più vero in un tempo, come il nostro, "pieno di incertez za e di cambiamenti grandissimi". In definitiva, dobbiamo riconoscere al presente lavoro non solo il merito di una ricostruzione attenta del profilo intellettuale di Ficino, coniugato con le risorse di un' amp i a e approfondita conoscenza di un lungo e appassionante dibattito storiografico, ma anche di aver rinnovato una pagina fondamentale dell' Umanesimo fiorentino nella sua affascinante domanda sull' antico. Valeria Sorge
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare, in particolare, la Prof.ssa Valeria Sorge per l'a morevole fiducia con cui ha seguito i miei lavori sin dali' inizio degli studi universitari. La sua costante attenzione, l ' affettuosa benevolenza e i suoi preziosi insegnamenti sono stati indispensabili per la realizzazione del pre sente volume. Ringrazio il Prof. Maurizio Cambi per gli interessanti suggerimenti, l' immensa cortesia con cui ha sempre accolto le mie richieste e, soprat tutto, per l' humanitas che contraddistingue la sua professionalità. Rivol go un particolare ringraziamento al Prof. Giulio d' Onofrio, al quale devo l ' acquisizione di un solido metodo di ricerca scientifica: è stato una guida fondamentale durante gli anni della mia formazione accademica e gli sono particolarmente grato per ogni occasione di confronto intellettuale che mi ha concesso. Inoltre, desidero esprimere la mia gratitudine ai Proff. Arman do Bisogno e Renato de Filippis per la loro immensa disponibilità ed in comparabile cordialità. Grazie agli amici Lucia Pappalardo e Fabio Seller per gli importanti consigli ed il supporto cordiale. Esprimo il mio più sincero ringraziamento al Prof. Pio Colonnello per aver accettato che questo libro fosse pubblicato nella prestigiosa collana da lui diretta. Infine, ringrazio i miei cari per l ' indispensabile aiuto e l' incessante so stegno dimostratomi in questi anni dedicati alla ricerca; a tutti loro porgo le doverose scuse per le mie reiterate assenze.
INTRODUZIONE
Eugenio Garin, nel delineare la figura del filosofo rinascimentale nel contesto di quell 'ampia rassegna di tipi umani a cui è dedicato il volu me collettaneo L 'uomo del Rinascimento, notava dapprima che "la nuova filosofia tendeva ormai a produrre un tipo diverso di opere, dirette a un altro pubblico: leggibili, brevi e gradevoli, largamente accessibili", per poi fare esplicito riferimento alla produzione epistolare. Egli continuava, in fatti, in una pagina non priva di enfatizzazioni, scrivendo: "i nuovi filosofi fanno ormai circolare sempre più spesso le loro idee, non in fastidiosi e incomprensibili corsi di lezioni, per gran parte copiati uno dall' altro, ma in epistole, in genere eleganti, talora già nel Quattrocento in volgare" ' . Lo storico della filosofia mostrava, poi, il medesimo entusiasmo quando, nella prefazione ai testi di Marsilio Ficino ( 1 43 3- 1 499) pubblicati nell' antologia intitolata Prosatori latini del Quattrocento, notava la natura composita del suo epistolario, al cui interno sono raccolti scritti di varia natura, molti dei quali ancora inesploratF. L' Epistolarium ficiniano in dodici volumi, che nell' edizione a stampa degli Opera omnia apparsa a Basilea per i tipi di Henricus Petrus nel 1 56 1 (e in ristampa nel 1 576) occupa le pagine 607-964 del primo volume\ è forse la più autentica testimonianza dell ' intera vicenda speculativa del Ca nonico fiorentino: esso, raccogliendo circa seicento lettere redatte neli' arco temporale che va dal 1 457 al dicembre 1 494 (alla vigilia della pubblicazio ne dell' editio princeps a Venezia l' anno seguente), consente di seguire da vicino l' evoluzione del pensiero ficiniano. La sua lettura, infatti, permette non solo di rilevare tutto il travaglio interiore sotteso ali ' elaborazione del "ritorno di Platone" (talvolta difficilmente apprezzabile nelle opere mag giori) ma anche di conoscere le situazioni contingenti in cui hanno avuto origine quei problemi affrontati tanto nella Theologia Platonica quanto nei l
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Garin ( 1 988), p. 1 89. Cfr. Garin ( 1 952). OM, pp. 607-964.
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Divinizzazione del/ 'umano e pathos conoscitivo nelle lettere di Ficino
Commentarla in Platonem, tanto nel De Christiana religione come nei De vita libri tres. Per meglio dire, la lettura della silloge ha il grande pregio di mostrare l ' altro volto del filosofo fiorentino, più spesso conosciuto per i suoi trattati, il quale esalta se stesso nella brevitas scribendi poiché "loqui superflua philologi est potius quam philosophi"4• Tuttavia, l'Epistolario è un'opera in sé compiuta in quanto risponde al profondo desiderio di divulgare una ben precisa immagine dell'uomo e, più in generale, del significato stesso della filosofia, perseguita già precoce mente dal suo autore facendo circolare diverse raccolte manoscritte, curan done, poi, personalmente alcuni volgarizzam enti nonché, infine, seguendo direttamente le fasi di realizzazione della prima edizione a stampa. Il Ca nonico fiorentino, infatti, affida alle sue lettere il non facile compito di mo strare l 'opportunità e l' urgenza di quella trasformazione dell ' essere umano che egli riteneva come massima aspirazione del rinnovamento generale dei saperi affidatogli dalla provvidenza divina, offrendo peraltro puntuali indi cazioni sulla sua realizzazione. Egli, da buon "medico delle anime", rileva con lucidità i sintomi di quella malattia che affligge l'uomo della seconda metà del Quattrocento lamentandone la stupidità e la miseria: questi cerca falsi beni nei piaceri del denaro e dei sensi come nella ricerca di onore e potere dimenticando la sua vera natura, l'anima. Il richiamo al ritorno a se stessi percorre in maniera trasversale l ' in tera silloge, all ' interno della quale brevi trattati si alternano a lettere di presentazione delle sue opere, esortazioni a personaggi politici ad eleganti conversazioni con uomini di lettere, epistole amatorie a serie esposizioni filosofiche . Si ricava l' immagine di un pensiero che nasce dalle contingenze della vita, tanto dalle occasioni conviviali quanto dai grandi sconvolgimenti socio-politici: le epistole traggono ispirazione, ad esempio, dai festeggiamenti in onore di Platone come dal la Congiura dei Pazzi, dalla solitudine del ritiro nella villa di Careggi come dalle letture pubbliche, dal racconto della guarigione prodigiosa da una ma lattia come dalla morte di Lorenzo il Magnifico . È molto interessante notare come Ficino non nasconda le proprie emozioni, condividendo spesso con i suoi interlocutori tanto dubbi e ripensamenti quanto en tusiasmi e gioie derivanti dalla sua fervida attività intellettuale di tra duttore e commentatore. Egli fa riferimento non soltanto alle sue opere già pubblicate, riprendendone e discutendone in maniera sintetica al cuni contenuti, ma fornisce anche preziose informazioni sullo stato dei suoi lavori non ancora ultimati, per non parlare di quel materiale che 4
Cfr. ELI, p. 39.
Introduzione
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avrebbe lasciato inedito. Eppure, ciò che accomuna questi scritti pur nella loro eterogeneità è l ' ammirevole capacità di coniugare i due piani della speculazione : la motivazione personale e l ' universalità del sapere filosofico. Per meglio dire, anche in quelle non rare pagine in cui si ri volge ad un amico per ragioni accidentali (ad esempio nella circostanza festosa del conferimento di un' importante carica o nel compianto per un evento infausto), F icino sembra scrivere ad una più ampia schiera di lettori : la sua massima aspirazione, concretizzatasi espressamente nelle epistole dedicate "al genere umano", di comunicare al più grande numero possibile di uomini, è rinvenibile anche in quei luoghi in cui essa si mostra apparentemente assente. La fiducia nelle potenzialità dell 'uomo si associa ad una richiesta di conoscenza della propria natura finalizzata al conseguimento del sommo bene, un cammino percorribile da tutti gli uomini e non un privilegio di pochi eletti. Nelle sue lettere, il filosofo fiorentino propone un' immagine luminosa del sapere che deve essere necessariamente "partecipato" e con diviso: la conoscenza di sé è insieme trasformazione del sé e degli altri, acquisizione della consapevolezza di essere tutti membra di un medesimo organismo, o meglio, unus homo "sub una idea et in eadem specie"5• Inol tre, in questa dimensione si mostra altresì l' affiato religioso del Canonico il quale, affidando ali ' Epistolario anche la testimonianza della sua attività predicatrice, vede nella charitas la virtù primaria della relazione con i si mili e con Dio. D' altra parte, è interessante seguire le molteplici esigenze di dialogo tra il cristianesimo e il platonismo, in quanto "philosophia et religio germanae sunt": pertanto, solo per fare un esempio, alcuni titoli come Quod pia sit Platonica disciplina, Confirmatio Christianorum per Socratica, Concordia Mosis et Platonis delineano sicuramente un percorso di lettura dell ' opera che è al contempo la ricostruzione di una "forte" proposta ermeneutica Quest'ultima ruota intorno allo studio dell ' anima in quanto dimensione antologicamente fondativa dell' essere umano: apche in questo caso, baste rebbe sfogliare l ' indice dell' opera per imbattersi frequentemente in titoli che rimandano più o meno esplicitamente al tema e formulare un altro sug gerimento interpretativo. Eppure, è proprio nella commistione di istanze diverse il grande pregio di quest' opera, certamente unica all ' interno della produzione letteraria ficiniana, ma che va letta e commentata sia autono mamente sia alla luce dei più recenti risultati a cui è pervenuta la letteratura critica: da più di un ventennio, infatti, si è registrata una copiosa crescita 5
Cfr. EL l, p. 1 07. Si veda anche Toussaint (2008), pp. 53-57.
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Divinizzazione dell 'umano e pathos conoscitivo nelle lettere di Ficino
di interesse da parte degli studiosi nei confronti della filosofia ficiniana, che ha aggiornato le fondamentali ricerche di Eugenio Garin, Paul Oskar Kristeller, Raymond Marcel e Cesare Vasoli. I "percorsi conoscitivi" che vengono delineati nelle pagine seguenti po trebbero apparire, dunque, soltanto alcuni tra i molteplici itinerari erme neutici possibili tra le lettere; tuttavia, in essi si rende evidente un' esigenza onnipervasiva esibita dal pensiero ficiniano che esula dalle scelte dello stu dioso. Nelle lettere, per meglio dire, il tema della conoscenza è affrontato a più livelli: il discorso prettamente gnoselogico (a cui sono dedicati soprat tutto i trattati in forma epistolare come gli Opuscula theologica) si alterna ad un piano, per cosi dire, "meta-conoscitivo" che raccogl.ie i risultati teo retici della speculazione in vista del perfezionamento dell'uomo. Pertanto, al di là della trattazione più specificamente dedicata alle singole facoltà, ai loro oggetti e alle rispettive operazioni, anche il discorso sulla voluntas rientra a pieno titolo nella trattazione sulla conoscenza, alla cui base vi è certamente l ' idea della specificità dell ' anima umana. L'Epistolario, dunque, grazie alla sua peculiare composizione, consen te di proporre una nuova lettura del pensiero ficiniano, certamente poco "sistematico" per un duplice ordine di ragioni: se, da un lato, ciò è deter minato dalla circostanza dello scambio epistolare, dall'altro, è invece la necessaria frammentarietà e gradualità della ricerca della veritas derivan te dalla natura umana, rappresentata dalle frequenti figure mitologiche di Prometeo, Tantalo e Sisifo, a rendere impossibile il sistema. Questo non vuoi dire certamente smentire la lettura presentata dal Kristeller nella sua fondamentale monografia, ma dare il giusto rilievo ad un aspetto meno conosciuto del pensiero rinascimentale: nell'Epistolario, infatti, emergo no luci e ombre di un'epoca che ha voluto giustamente rivoluzionare l ' i dea dell'uomo guardando all' antichità ma che è la degna erede di più di un millennio di filosofia cristiana. Probabilmente, la maggiore difficoltà dell'interprete sta proprio nel non facile lavoro di ricostruzione delle fon ti ficiniane, sempre lette attraverso quel prisma esegetico della storia del pensiero che prende i nomi di pia philosophia, prisca theologia e docta religio. Per mezzo di queste categorie, dunque, il monito delfico "Conosci te stesso" è inserito facilmente nel contesto della ricognizione del destino escatologico dell'anima umana di cui vengono al contempo narrate sia le vicissitudini nel tempo sia l' intimo legame con Dio, in conformità alla sua natura di Giano bifronte. Le lettere di Marsilio Ficino, pertanto, sono certamente una preziosa testimonianaza di un'epoca ma, confermando le intenzioni universalistiche dell' autore, riescono ad esprimere contenuti che il lettore moderno può non
Introduzione
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soltanto facilmente comprendere ma nei quali può soprattutto rispecchiar si. Se è vero che proprio nelle epistole il filosofo esprime il suo più origi nale pensiero, esso si configura- senza la pretesa di coniare facili etichette storiografiche - come un "Umanesimo del dialogo": sebbene leggiamo soltanto in rare occasioni le risposte degli interlocutori, assistendo quindi all' autentico scambio epistolare, è possibile nondimeno scorgeme l' attua zione nei frequenti richiami alle opinioni altrui da parte del Canonico. Re cuperando l'autentica matrice socratica del pensiero, esso è sempre intrin secamente dialogico in quanto frutto della "conversazione civile"6; inoltre, anche nella sua dimensione solitaria e contemplativa è sempre esente dalla deriva solipsistica: l' invito ad elevarsi "in altam mentis speculam" non è un rifiuto del consorzio umano per rifugiarsi nella torre d' avorio dell' intelletto ma, viceversa, l'accesso a quella dimensione in cui tutti possano partecipa re della medesima essenza in maniera più autentica. Non resta, dunque, che procedere allo studio delle lettere, in particolare di quelle raccolte nel secondo volume dell'Epistolario; inoltre, nella spe ranza che possa consentire al lettore di "familiarizzare" con questa maniera speciale di fare filosofia, si fornisce in Appendice la traduzione del primo opusculum theologicum.
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Per un approfondimento del tema nell'età matura del Rinascimento, rimando a Panichi ( 1 994).
CAPITOLO PRIMO
LAUSBREVITATIS: FARE FILOSOFIA IN FORMA EPISTOLARE
l. L 'Epistolario nel contesto delle opere di Marsi/io Ficino: redazione e struttura Nel saggio introduttivo all' edizione critica del primo libro dell'Epistola rio ficiniano, Sebastiano Gentile scriveva che le lettere di Marsilio Ficino costituiscono lo "specchio più fedele" della sua storia intellettuale poiché "il meno impegnativo genere epistolare permetteva al filosofo di affrontare più a cuor leggero temi difficilmente trattabili in scritti di maggiore organicità"' . La raccolta delle epistole, inoltre, s i presenta come un' opera originale sia nel contesto delle pubblicazioni dell' autore sia nel quadro più ampio della letteratura epistolare umanistica. Le lettere di Ficino - osserva Gentile costituiscono, infatti, il primo esempio di epistole "filosofiche" del Quattro cento, e sono tali anche quando non sembrano trattare problemi di filosofia2• In molti casi, anche le epistole consolatorie o amatorie, che il Kristeller considerava in parte "umanistiche" e risalenti (almeno nella forma) all'ars dictaminis medievale3, rientrano a pieno titolo nel progetto fondamentale di Ficino : la diffusione capillare della rinnovata filosofia platonica. La lettura dei dodici volumi dell'Epistolario consente allo studioso di osservare le fasi della realizzazione di quello che, con una felice espres sione, è stato definito il "ritorno di Platone"4• Le lettere sono la più fervida testimonianza della circolazione delle idee ficiniane dapprima all ' interno delle mura dell' Accademia�, poi in altri centri culturali italiani (in partil
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Cfr. Gentile ( 1 990a}, p. LXN. lvi, p. XIII. Kristeller ( 1 987}, p. 4. Per una generale illustrazione de li 'epistolografia medievale, rimando a Murphy ( 1 983), pp. 223-304. Cfr. Garin ( 1 986); per un'introduzione alla rinascita del platonismo, si veda de Gandillac ( 1 99 1 ). Sulla vexata quaestio riguardante la vera natura dell 'Accademia ficiniana, intorno alla quale è apparsa negli ultimi anni un' abbondante bibliografia, cfr. almeno Field ( 1 988); Hankins ( 1 990); Field ( 1 99 1 ); Poncet (20 1 3).
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Divinizzazione dell 'umano e pathos conoscitivo nelle lettere di Ficino
colare Venezia, Roma e Napoli) fino a diventare il tema privilegiato del la corrispondenza colta in seno a quella "rete europea" che Ficino seppe costruire intorno a sé6• Esse, poi, presentano costanti riferimenti, di vario genere, alle altre opere del filosofo; tuttavia, al di là delle citazioni (più o meno fedeli) di passi tratti dai commenti o dagli scritti originali e degli stessi trattati esplicativi in forma epistolare (di cui ci occuperemo nel se condo capitolo), decisamente più interessanti sono i luoghi in cui si assiste alla prima formulazione di idee che il filosofo avrebbe elaborato in manie ra più approfondita in altri lavori o che avrebbe lasciato semplicemente in forma di abbozzo'. Poiché l' epistolario ficiniano, a differenza di altri cart�ggi umanistici come quello di Giovanni Pico8, risponde alla volontà dell ' autore di diffon dere il contenuto delle lettere private, in un primo momento, indirizzando la stessa epistola a più destinatari (oppure dedicandola spesso "al gene re umano"), e poi successivamente organizzando le missive in vista della pubblicazione9, esso costituisce un originale strumento di conoscenza del pensiero del Canonico fiorentino. Senza tacere le difficoltà che il genere epistolare presenta allo studioso il quale, come scrive Francesco Borghesi, è costretto "in via preliminare a ridefinire continuamente l ' oggetto del pro prio interesse"10, si può affermare, tuttavia, che le lettere di Ficino consen tano di illuminare alcuni punti oscuri della sua filosofia. In particolar modo, la possibilità di "contestualizzare" le sue idee, ad esempio mettendole in relazione alle letture o alle traduzioni che egli stava realizzando in un de terminato periodo della sua vita, consente di fare luce sul suo complesso uso delle fonti. Ancora più interessante è, però, lo studio dei trattatelli che attraversano l' intera opera, a partire da quelli contenuti nel primo volume, risalenti agli anni in cui Ficino poteva attingere esclusivamente alle fonti latine perché non conosceva il greco11 fino agli scritti più tardi, testimoni della traduzione di Plotino, Porfirio, Psello, Prisciano di Lidia, Giamblico e Sinesio che segui alla pubblicazione degli scritti ermetici e dei dialoghi di Platone. Prima di passare ad una più approfondita trattazione delle questioni spe culative presentate dalle epistole, è opportuno affrontare alcune problema tiche di ordine storico, da una parte, e filologico, dall' altra. Attraverso un 6 7 8 9 lO Il
Cfr. Vasoli ( 1 999). Cfr. Gentile (200 l ), l, p. XI. Cfr. Borghesi (2004), pp. 559-560. Cfr. Gentile ( 1 986). Borghesi (2000), p. 34. Cfr. Gentile ( 1 983).
Laus brevitatis: fare filosofia in forma epistolare
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accurato esame della letteratura critica, supportato dal costante riferimento al testo, si proverà a semplificare alcune difficoltà che l'Epistolario mani festa al lettore moderno.
2. Marsilii Ficini Fiorentini Epistol arum familiarium libri: inautenticità vs autenticità
È noto agli studiosi che il primo biografo del Ficino, Giovanni Corsi, nella sua Vita Marsi/ii Ficini ( 1 506) sostiene chiaramente l' inautenticità dell'epistolario, scrivendo nel capitolo XIII dell ' opera: Inoltre, circolano dodici libri di epistole di Marsilio [inviate] a molti amici, con titoli falsificati ed a lui scorrettamente attribuite, fatta eccezione per poche, collocate in più volumi, relative alla filosofia speculativa, cioè Sulle cinque chiavi nella Teologia Platonica e nel medesimo gruppo, Sul rapimento di Pa olo al terzo cielo, Sulla luce, Sulla stella dei Magi e poche altre dello stesso genere, scritte con grande dottrina e maestria. Tutte le altre sono da attribuire a suo nipote.12
Il Corsi, del quale non sappiamo se abbia mai conosciuto Marsilio e che scrive la biografia a sette anni dalla morte del filosofo13, dunque, afferma che, escludendo i pochi trattati rigorosamente filosofici da lui citati, le let tere sono apocrife. Non è questo il luogo per ripercorrere tutte le prove a favore dell'autenticità delle stesse formulate da Arnaldo Della Torre nella sua monumentale Storia del! 'Accademia Platonica di Firenze ma, ciono nostante, bisogna considerare anzitutto diverse pagine di questo scritto per poter meglio affrontare alcune questioni evidenziate dai critici più recenti. Dopo aver smentito le discutibili tesi a favore del Corsi espresse dagli storici di metà Ottocento, il Della Torre proponeva una persuasiva storia della redazione dell' epistolario, in atcuni punti ancora valida14, tramite l ' a-
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VMF, p . 685: "Circumferuntur preterea XII Epistolarum volumina adulterinis Marsilii titulis ad amicos quamplures falso inscripta, quae praeter admodum pauca, pluribus sparsa locis, ad speculatricem Philosophiam pertinentia, videlicet de Quinque clavibus in platonicam theologiam et in eamdem compendium, de Raptu Pauli ad tertium caelum, de Lumine, de Stella Magorum atque alia huiuscemodi nonnulla, summa doctrina et artificio conscripta. Reliqua omnia Ficino ex fratre nepoti adscribenda sunt". A tal proposito, si vedano anche le osservazioni di Raymond Marcel in Marcel ( 1 958), pp. 24-26. Cfr. Kristeller ( 1 956a), pp. 1 92- 1 93 . Cfr. Gentile ( 1 980), p . 83.
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nalisi del contenuto di alcune lettere. Tuttavia, l ' aspetto più interessante della sua ricerca è la scelta di utilizzare l'Epistolario stesso come fonte pri maria: l' accurata analisi di questo scritto era finalizzata alla ricostruzione delle vicende storiche dell'Accademia Platonica15• Proprio per tale motivo, infatti, un'epistola al Poliziano contenuta nel primo libro, intitolata Laus brevitatis16, diventa per lo studioso un documento storico fondamentale. Tuttavia, la lettera si offre almeno a due interpretazioni diverse che ritengo opportuno citare come esempio delle difficoltà enneneutiche che l' episto lario presenta. Nello scritto in questione Ficino lamenta la circolazione a suo nome di let tere false, diffuse da parte di non meglio identificati detractores; esse, infatti, sono ben lontane dalla dottrina platonica celebrata da semprè dal filosofo: Circolano sotto il mio nome, come tu dici, alcune lettere scritte quasi nello stile di Aristippo e, in parte, di Lucrezio piuttosto che di Platone. Se sono mie, o Angelo, non sono di tal fatta; e se sono cosi, non sono mie ma composte dai miei detrattori. lo, infatti, sin da tenera età (come tutti sanno) ho seguito il divino Platone. 1 7
Il passo, secondo Arnaldo Della Torre, costituisce la prova concreta del la pubblicità alla quale Ficino sottopose le sue epistole anche negli anni in cui non aveva ancora maturato la volontà di raccoglierle sistematicamente 15
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Cfr. Della Torre ( 1 968), p . 4 1 : "Prima però di passare alla trattazione del nostro argomento, bisogna che ci fermiamo alquanto a dire qualche cosa della principale delle fonti che ci serviranno a svolgerlo, anzi dell'unica, che veramente possa dirsi tale, - perché nel nostro caso le fonti si riducono pur troppo quasi sempre a semplici accenni, il cui valore sarà discusso a tempo e luogo opportuno - ossia dell'epistolario ficiniano [ . . . ]". Cfr. EL l, p . 3 9 . D'ora i n avanti s i citeranno i primi due libri dell'Epistolario nell'edizione critica curata da Sebastiano Gentile (Firenze 1 990, 20 l 0), mentre per i volumi rimanenti si farà riferimento all 'edizione degli Opera omnia pubblicata nel 1 576 a Basilea. Quest'ultima, seppur non priva di errori - come già notava Mario Sancipriano sul finire degli anni ' 50 del secolo scorso - ha ricevuto diverse ristampe anastatiche in tempi recenti (Torino 1 959, 1 962 e 1 983; Paris 2000), ed è, pertanto, facilmente consultabile. Talvolta, si è reso necessario apportare alcune modifiche al testo, anche in virtù della comparatio con l'editio princeps dell'Epistolario (EMF). Si è preferito, infine, mantenere i dittonghi (a differenza del testo critico stabilito dal Gentile, che viene sempre citato in maniera fedele) e adeguare la punteggiatura. EL l, p . 39: "Circumferuntur, ut ais, epistole quedam meo nomine quasi Aristippice et quadam ex parte Lucretiane potius quam Platonice. Si mee sunt, Angele, non sunt tales; si tales sunt, non mee ille quidem, sed a detractoribus meis conficte. Ego enim a teneris annis divinum Platonem (quod nullus ignorat) sectatus sum".
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in vista della pubblicazione. Le indicazioni seguenti del filosofo, vere e proprie "istruzioni" per distinguere le lettere autentiche da quelle contraf fatte, poi, mostrerebbero come alla fonte del carteggio vi siano costanti motivazioni filosofiche : Ma tu distinguerai facilmente quelle scritte da me dalle altre in questo modo: nelle mie lettere c'è sempre, per quanto mi riguarda, un qualche discorso con cernente la morale, la natura o la teologia.18
Queste affermazioni sono state accolte in maniera decisamente diversa dal Kristeller: egli, infatti, legge tra le righe della lettera al Poliziano la malcelata intenzione di fugare ogni sospetto sulla paternità di quegli scritti dal carattere epicureo-lucreziano che Ficino, come è noto, produsse negli anni della giovinezza19• Il filosofo, insomma, non avrebbe concesso al let tore un discrimen per riconoscere le sue missive da quelle contraffatte ma avrebbe tentato di misconoscere alcune opere giovanili20• Difficoltà interpretative affini si presentano, poi, nell' analisi degli scam bi epistolari intrattenuti da Ficino con i protagonisti della vita politica nella seconda metà del 1400. A tal proposito, vanno considerati, seppure nella loro eterogeneità, almeno i seguenti aspetti : la vera natura del patronato dei Medici, le relazioni con personaggi più o meno coinvolti nella congiura dei
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Ibidem: "Sed facile hoc signo scripta nostra discemes ab alienis: in epistolis meis sententia quedam semper pro ingenii viribus aut moralis aut naturalis est aut theologica". Cfr. Kristeller ( 1 973), l, p . LXXXVIII: "lmmo vero hoc loco veras quasdam Ficini epistolas ab eo in adolescentia conscriptas et postea suppressas intelligendas esse puto [ . . . ] potius quam aliorum in eius nomen confictas". Sull' influsso dell'epicureismo nel pensiero di Ficino, cfr. Hankins (2013); Brown (20 1 0), pp. 1 6-4 1 . Tale atteggiamento sarebbe coerente, dunque, con il racconto della distruzione del commentariolum a Lucrezio che più tardi Ficino avrebbe scritto a Martino Uranio, cfr. OM, p. 933 (Opiniones non temere divulgandae. ltem Orphei carmina): "Argonautica et hymnos Orphei et Homeri atque Proculi, Theologiamque Hesiodi, quae adolescens, (nescio quomodo) ad verbum mihi soli transtuli, quemadmodum tu nuper hospes apud me vidisti, edere nunquam placuit, ne forte lectores ad Priscum deorum daemonumque cultum iamdiu merito reprobatum, revocare viderer, quantum enim Pythagoricis quondam curae fuit ne divina in vulgus ederent, tanta mihi semper cura fuit, non divulgare prophana, adeo ut neque commentariolis in Lucretium meis, quae puer adhuc, (nescio quomodo) commentabar, deinde pepercerim, haec enim sicut et Plato tragoedias elegiasque suas, Vulcano dedi".
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Pazzi , le relazioni diplomatiche con Venezia e la curia romana e, infine, con la corte ungherese di Mattia Corvino21• È ormai certo che i rapporti tra Ficino e i Medici furono più complessi di quanto la storiografia pensava almeno fino agli anni '80 del secolo scorso. A partire dagli studi condotti da Riccardo Fubini, infatti, è emerso che la tutela esercitata sul filosofo dalla famiglia de' Medici fu caratterizzata da luci e ombre22• In particolar modo, con l 'avvento di Lorenzo il Magnifico cominciò ad incrinarsi gradualmente quel rapporto che, seppur idealizzato, Ficino aveva intrattenuto con Cosimo il Vecchio e (in parte) con Piero. Al di là delle valide ragioni offerte dalla duplice redazione del Commentarium in Convivium23, anche l ' andamento dello scambio epistolare tra Marsilio e Lorenzo costituisce la testimonianza più cogente della c ri si: dopo il car teggio degli anni 1 473 - 1 474, pochissime sono le lettere presenti nei libri centrali dell'opera, fino alla tiepida ripresa dei rapporti nel biennio 1 4901 49 1 (libro X)24• In una lettera del 1 473 a Niccolò Michelozzi (segretario del Magnifico), il filosofo tesseva le lodi del giovane Lorenzo nel quale vedeva riflesso lo splendore di Cosimo, quasi redivivus nel nipote: Nessun altro mi fu più familiare e più caro del grande Cosimo. Ho ricono sciuto in quell'uomo anziano non una virtù umana ma eroica; adesso ricono sco completamente in questo giovane tutte le qualità di quell ' uomo anziano: vedo la Fenice nella Fenice, nel raggio la luce. Lo splendore di Cosimo om si sprigiona dal nostro Lorenzo in molte forme, come luce per la rivelazione dei popoli latini e per la gloria della Repubblica fiorentina.2s
Eppure, dietro ali ' esaltazione delle doti del giovane si cela la speranza di poter ricostruire con Lorenzo lo speciale rapporto di patronato che si era realizzato con Cosimo. Questi, infatti, era diventato a tutti gli effetti un amico del Ficino come dimostra il reciproco scambio di benefici : Marsilio 21 22 23 24
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Per una trattazione completa delle relazioni politiche del Ficino, cfr. V. Rees (2002). Cfr. Fu bini ( 1 984); Fubini ( 1 987). Cfr. Gentile ( 1 98 1 ). Cfr. Gentile ( 1 990a), pp. XLVI-LXII. Si colloca nel periodo della crisi anche la lettera autografa del Ficino a Lorenzo recentemente rinvenuta, cfr. Overgaauw Sanzotta (20 l 0). EL, pp. 55-56 (Laudes Laurentii Medicis mire): "Nemo magno Cosmo me familiarior fuit, nemo carior; cognovi in eo sene non humanam virtutem sed heroicam, agnosco nunc in isto adolescente penitus, agnosco totum illum senem: fenicem video in fenice, in radio lumen. Emicat iam ex Laurentio nostro foras Cosmianus splendor ille multis quotidie modis, lumen ad revelationem gentium Latinarum et Fiorentine reipublice gloriam".
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aveva ricambiato la donazione della villa di Careggi e della casa in Firenze con la sua traduzione di Platone-26• Il filosofo, tuttavia, non sarebbe riuscito a far maturare negli anni la relazione maestro-allievo che, in alcuni casi, divenne conflittuale anche sul piano speculativo27• Il suo sogno di ripetere con Lorenzo l' esperienza giovanile con Cosimo non vide mai la luce. Nonostante la protezione dei Medici, inoltre, Ficino aveva beneficiato an che della contemporanea amicizia con alcuni esponenti della famiglia Valori per la pubblicazione delle sue opere, di cui sono testimoni le diverse epistole scritte inizialmente a Filippo e poi al fratello Niccolèr8• In particolare, nel proemio all' ottavo libro dell'Epistolario, il filosofo esaltava il ruolo fonda mentale rivestito dalla famiglia Valori (insieme ai Medici) nella rinascita di Platone29, mentre, nella dedica del decimo e undicesimo volume esprimeva la sua gratitudine nei confronti di Niccolò in qualità di "observator Platoni cae sapientiae diligens, et studiorum meorum diuturne servator"30• Inoltre, proprio per il tramite di Filippo Valori, il filosofo avrebbe stretto rapporti diplomatici e culturali con Mattia Corvino, re di Ungheria: egli, infatti, prov vide prima alla stesura di lettere di dedica dei manoscritti ficiniani per poi recarsi a Buda per consegnare personalmente il De vita coelitus comparanda al re3 1 • Da quel momento, sarebbe nato un intenso scambio epistolare con alcuni "amici" ungheresi, favorito anche dal trasferimento di Francesco Ban dini, conphilosophus del Ficino, alla corte di Mattia32• Particolarmente interessante è, invece, l' analisi della corrispondenza di Ficino con alcuni personaggi veneziani, innanzitutto Bernardo Bem bo, per due volte ambasciatore della Repubblica di Venezia a Firenze33• In una "lettera di trasmissione" che accompagnava l' invio di una copia del De Christiana religione ad Antonio Vinciguerra, raccolta nel quinto libro dell' opera (dedicato proprio all' ambasciatore veneziano), il filosofo scrive va scherzosamente dell'amicizia con il Bembo in questi termini :
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Cfr. Bullard ( I 990), pp. 4 75-4 78. Cfr. Hankins (2004); Hankins (2003). Cfr. Jurdjevic (2007). Cfr. OM, p. 864: "Opportune admodum quorum [sci/. Iibrorum meorum] vitae iamdiu aspirat domus Medica, aspirat simul et Valoria domus. Quippe cum et hae familiae prorsus idem ubique velint, et opem medicam mox valetudinis prosperae Valor ipse sequatur. Aspiret semper utriusque familiae felicitati Deus omnipotens et concordiam hanc servet antiquam". lvi, p. 904. Cfr. Gentile ( I 994); Jurdjevic (2007), p. 49. Cfr. Rees (I999); Hajn6czi (I999). Cfr. Kristeller (I 983).
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Sembra che Bernardo sia, in un certo qual modo, più averroista che platoni co, dal momento che egli solo riesce a dimostrare, senza parlame, quella eresia di Averroè molto più di tutti gli averroisti che ne dissertano. Proprio perché, mentre con una straordinaria grazia e con amore costante giunge alla conclu sione che ci sia un'unica volontà in più individui, sembra voler dire, come è in Averroè, che anche in più individui ci sia un unico intelletto. 34
La stretta amicizia fondata sulla completa consonanza, tanto da trasfor marsi in una vera e propria unità, tra le due volontà, ricordava soltanto metaforicamente la tanto condannata teoria dell 'unità dell' intelletto aver roista: l'unione realizzata dalla voluntas, in quanto espressione della libertà umana, è in opposizione alla presunta realizzazione della .conoscenza del singolo nell' intelletto unico e separato. Tra le epistolae "veneziane", che rappresentano certamente un valido esempio della peculiare concezione ficiniana dell' amicizia, troviamo anche un' affascinante trattazione della natura di quest'ultima scritta ad Ermolao Barbaro. Il brano presenta la vera identità del rapporto tra gli amici, il quale è autentico soltanto se fondato sull' amore di Dio: Infine, per dirla sommariamente, deve essere chiamato vero e legittimo amante solo quell ' uomo che comprende di essere soddisfatto, fra tutti i beni che da ogni parte gli si offrono e gli piacciono, di nient'altro, in verità, che di quello stesso bene divino da cui e per il quale tutti gli altri beni derivano, e perciò ama Lui in tutte le cose, e ama tutte le cose in Lui, cosicché egli stesso non sia caro a sé, se non in colui per il quale ha ciò che lo rende degno di essere amato. 3S
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OM, pp. 803-804 (Nihil magis ve/ necessarium ve/ volantium est quam amor): "Averroicus videtur esse Bemhardus quodammodo potius quam Platonicus, siquidem hic unus illam Averrois haeresim tacendo persuadet multo magis quam omnes Averroici disputando. Quippe dum mirabili quadam gratia et amore constante unam in pluribus conficit voluntatem, unum quoque, ut est apud Averroem, significare videtur in pluribus intellectum". lvi, p. 778 (Amicitia inter homines nisi afflante Deo con.flari nonpotest): "Denique, ut summatim dicam, solus ille vir verus legitimusque amator est appellandus, qui intelligit in omnibus bonis, quae passim sibi offeruntur et placent, nihil revera aliud sibi piacere, quam divinum ipsum bonum, ex quo et per quod cuncta sunt bona, ideoque in iis omnibus ipsum amat, in ipso diligit omnia, ita ut neque ipsemet sibi sit dilectus, nisi in eo per quem hoc habet ut sit diligendus". Cfr. Tarabochia Canavero ( 1 97 5).
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Molto affine alla lettera al Barbaro (al quale Ficino scrive anche in ter mini concordistici sulla rispettiva traduzione di Platone e Aristotele36), è, poi, la terza epistola inviata il 20 giugno 1477 al cancelliere Marco Aurelio, in cui viene ribadito il necessario intervento di Dio nella nascita e nel per manere di un'amicizia nonostante le vicissitudini contingentP7• Mentre le lettere inviate a Venezia, come si è visto, sono intrise di temi filosofici, la corrispondenza con la curia romana, invece - come osservava il Kristeller è più frequentemente incentrata su questioni pratiche e di natura politica38• Essa diventa più intensa durante il papato di Sisto IV, nel difficile periodo che seguì alla congiura dei Pazzi (26 aprile 1 478 ). Ma, pri ma dei tragici eventi, nel corso degli anni settanta del Quattrocento, il filo sofo aveva intrattenuto assidui contatti proprio con alcune figure coinvolte direttamente nel complotto contro Lorenzo e Giuliano de' Medici. Marsilio avrebbe quindi provveduto tempestivamente a cancellare ogni prova che potesse compromettere in qualche maniera la sua libertà: la soppressione delle lettere a Francesco Salviati, al cardinale Raffaele Riario, a Iacopo di Poggio Bracciolini (insieme alla cancellazione dei passi in cui i primi due venivano semplicemente nominati) nonché il "camuffamento" delle episto-
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Cfr. OM, pp. 869-870 (Charitatis laus): "Spero autem Deum, qui nobis mirabiliter coniunxit animos quandoque similiter oculos coniuncturum. Neque vero putare quemquam volumus Hermolaum atque Marsilium ob id forsan minus vel esse vel fore coniunctos, quod alter quidem Aristoteli favere potius videatur, alter vero Platoni. Nam in eodem veritatis virtutisque cultu sumus unum. In quo Plato et Aristoteles non esse unum non potuerunt. Perge itaque latinissime et atti ce barbare, atque, ut coepisti, atticum Aristotelem a diuturna barbarie strenue vendica. Ego vero Platonem nostrum a lethea quadam oblivione vel somno pro viribus excito. Ita divinitus institutum est, ut mea tuaque opera Latini Platonem loquentem saltem et Aristotelem nunc primum audiant Latine loquentem". Cfr. Kristeller ( 1 983), p. 255. Cfr. ivi, p. 772 (Quando divino a.ffiante spiritu amor accenditur, semper amante altero redamat alter, saepe altero cogitante, idem cogitat alter): "Quando coelesti quodam affiante spiritu mentibus nostris amor accenditur, semper amante altero alter redamat, saepe altero cogitante, alter idem similiter cogitat. Nam et coelestis author, cum tanquarn communis cunctorum causa complectatur utrunque, mutuum amantium creat affectum et affectus amantis, qui per hominem a coelo dependens, tum in plana humanitas faciem, tum in coeli concava resistit, vicissim procreat Echo. Salve igitur amice coelestis, salve semper in authore nostrae benivolentiae Deo, neque terrarum spacia, Marce, neque ulla temporis intervalla nostrum hunc coelestem perpetuumque amorem vel orientem interrumpere vel ortum demorari potuisse videntur, quo minus amante altero mox divina quadam sorte amaverit alter, cogitante quoque atque scribente altero, alter eodem pene momento idem et cogitarit et scripserit". Cfr. Laneri (2006-2007). Cfr. Kristeller ( 1 985).
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le al Salviati che vennero finalmente indirizzate a Francesco Todeschini de ' Piccolomini ne costituiscono la prova più tangibile39• Se già da questi dati è possibile ridimensionare l ' inveterata immagine del filosofo immerso nei suoi studi nella campagna fiorentina, le lettere inviate al papa, da una parte, e quella a re Ferrante d'Aragona, dall'altra, testimoniano anche l'attiva partecipazione (seppure esclusivamente intellettuale) di Ficino alla vita politica; entrambi, infatti, erano impegnati nella guerra contro Fi renze, scoppiata in seguito alla congiura40• La lettera che apre il sesto volume dell 'Epistolario è un'esortazione alla pace rivolta senza remore a Sisto IV: il filosofo, probabilmente sicuro di essere guidato anche in questa occasio ne dalla provvidenza divina, richiama il papa alla sua funzi.one di pastore, ricordandogli che, in quanto vicario di Cristo, la sua vittoria è nella pace e non nella guerra41• Con tono più rispettoso, invece, gli si rivolge il giorno di Natale del 1 478 ; dopo avergli raccontato di una nefasta profezia astrologica avvenuta esattamente un anno prima in seguito alla traslazione di alcune mi racolose reliquie di San Pietro rinvenute a Volterra42, così scrive: Sisto, sublime Fenice del la Teologia, che possiede prima di ogni altro le ec celse rocche di Pallade, consulta qui per ogni cosa il divino oracolo, nell'ammi nistrare le cose divine non si fida del consiglio umano ma, piuttosto, di quello divino. [ . . . ] Il nostro Sisto, celebre per la [sua] pietà, secondo il costume dei genitori affettuosi, da padre bacia amorevolmente i suoi figli dopo le minacce e i rimproveri patemi, li riscalda nel seno benevolo e li stringe con le sante brac cia. E quanto poco prima falsamente sembrava perseguitare i suoi figli con una certa malvagità, cosl dopo realmente con clemenza li segue.43 39 40 41
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Cfr. Gentile ( 1 980), pp. 141 sgg.; Gentile-Niccolì-Viti (a cura di) ( 1 984), pp. 991 0 1 . Sulla congiura dei Pazzi , cfr. Najemy (2006), pp. 3 52-36 1 ; Martines (2003). Cfr. Najemy (2006), pp. 357 sgg. Cfr. OM, p. 808 (Oratio Christiani gregis a d Pastorem Sixtum suadens u t ovibus suis dicat: Pax vobis): "Memento esse te Christi mansuetissimi clementissimique Vicarium, oblìviscere, (sicut solebas) iniuriarum, quarum memoria, nihil est aliud homini quam sui ipsius oblivio"; ivi, p. 8 1 0: "Officium tuum est, (ut te non latet) cognoscere singula, ut ignoscas, purgare aegrotos, ut restituas sanitatem. Victoria tua non tam in bello, quam in pace consistit"; cfr. Trliger (20 1 6), pp. 349-37 1 . Cfr. OM, p. 8 1 3 (Spiritus ubi vult spirat), su cui si veda Pompeo Faracovi (20 1 2), p. 58. OM, p. 8 1 4: "Sixtus sublimis Theologiae Phoenix, excelsas Palladis arces ante alios possidens, divinum ibi oraculum in singulis consulit, neque humano in rebus divinis administrandis, sed divino potius consilìo nititur. [ . . . ] Sixtus noster insignis pietate, pater piorum parentum more, filios suos post minas obiurgationesque patemas blandius osculatur, propitio fovet sinu, almis ulnis amplectitur. Et quantum paulo ante falso maleficentia quadam insequi filios videbatur, tantum mox benificentia revera prosequitur". Cfr. Rees (2002), pp. 353-354 e Trliger (20 1 6), pp. 3 7 1 -378.
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Sisto IV, da buon "pastore di anime", dunque, vince l' inclinazione astra le negativa e diventa anche il baluardo della cristianità contro la minaccia dei Turchi. Ritroviamo il tono adulatorio della seconda lettera al papa anche nell ' ori ginalissima epistola inviata, per il tramite del cardinale Giovanni d'Aragona, a re Ferrante. Il filosofo, impiegando abilmente il diffuso tema propagandi stico del triumphus Alphonsi Regis Neapolitanorum44, riporta la "traduzione" in /inguam humanam dell' oraculum a lui rivelato da re Alfonso. La profezia, vero e proprio compendio di metafisica ed escatologia, dopo aver descritto l'essenza dell'anima e il suo destino dopo la morte, presenta un'Admonitio moralis evidentemente riferita alla situazione politica contingente: Sii contento, piuttosto, dei tuoi limiti. La sorte, credimi, ti darà molti e più grandi doni spontaneamente piuttosto che [se venga] sfidata. Infatti, quante cose perseguirai con violenza, altrettante certamente fuggiranno da te, e - non sia mai - se potranno, eventualmente fuggiranno. Ma quante cose seguirai con benevolenza, tante ti seguiranno volentieri e ti obbediranno . Tante volte vince rai bene, quante volte vincerai con favore . Regnerai in modo molto sicuro fino a quando governerai quelli che vogliono essere dominati. Muoverai facilmente ciascuno, ovunque gli piacerà, se tu stesso non ti muoverai. Una somma pru denza - come sai - non inzia mai (o [lo fa] solo se viene costretta) una battaglia con una fortuna ingannevole. Laddove Marte diventa più crudele, qui la fortuna domina maggiormente e facilmente inganna.45
Ficino, dunque, grazie al suo grande talento retorico e indubbiamente sicuro dell ' appoggio riservatogli dagli amici della curia romana, si fa por tavoce delle istanze di libertà della città di Firenze; egli riesce a sfruttare sapientemente il genere letterario del trionfo affinché le sue richieste pos sano essere accolte.
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Cfr. Soranzo (20 1 2), pp. 4-8. Sul tema del trionfo di Alfonso, cfr. Iacono (2009). OM, p. 8 1 9 (Oraculum Alfonsi regis ad regem Ferdinandum, inter il/os primum angelica lingua pronunciatum, deinde vero in linguam humanam a Marsi/io Ficino translatum): "Omnino autem finibus tuis contentus esto. Plura tibi admodum, crede mihi, maioraque dona sors dabit ultro quam lacessita Quot enim violentia persequeris, totidem certe te fugient, atque quod absit, si quando poterunt, forte fugabunt Quot autem beneficentia prosequeris, totidem et sequentur libenter et obsequentur. Totiens bene vinces quotiens beneficio vinces. Tamdiu securissime dominaberis, quamdiu volentibus dominare. Facile, (quocunque placuerit) movebis omnes, si nusquam ipse moveberis. Summa, ut scis, prudentia aut nunquam aut certe coacta init cum fallacissima fortuna certamen. Ubi Mars saevit maxime, ibi fortuna et plurimum dominatur, et facillime fallit". Cfr. anche Rees (2002), p. 355.
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Il dato più rilevante che emerge dai passi analizzati riguarda la grande disinvoltura, che rompe la formalità dei più comuni rapporti diplomatici, con cui il filosofo, il quale (è opportuno ricordarlo) non si mosse mai dal la Toscana, riesce ad esprimere la sua posizione in merito alle questioni politiche più urgenti. Non può che destare meraviglia, allora, la lettura di un' epistola a Giovanni Cavalcanti, risalente molto verosimilmente a qual che mese prima degli eventi, intitolata Quod philosophia non docet, imo vetat cum principibus vivere. In essa Ficino esalta la libertà del filosofare, incompatibile con la servitù ai principi, come dimostra il tragico fallimento dei tentativi di collaborare con i reggenti da parte dei filosofi antichi. Anzi, la filosofia vieta di vivere con i principi: In quel libro, che ho scritto quest'anno per Bernardo Bembo, oratore dei veneti, sulle lodi della filosofia mi sono sforzato di provare con molte ragioni che la filosofia insegna ogni cosa. Un solo argomento ho dovuto escludere, che essa non ci insegna a vivere con i principi. Se, infatti, proibisce completamente ciò, come certamente fa, in nessun modo lo insegna. D'altra parte, lo proibisce profondamente, come mi sembra, dal momento che comanda cose contrarie; poiché cerca naturalmente l'amore della verità, desidera la tranquillità dell'a nima e la libertà della vita. Invece, presso i principi non abita la verità, ma la menzogna, gli inganni, la finzione, la volgarità e le adulazioni. Non c'è tran quillità dell'anima, ma preoccupazione, inquietudine, invidia e, infine, ogni forma di turbamento. Non c'è libertà più cara di ogni tesoro, ma servitù tanto profondamente misera al punto che non risparmia né i sudditi né i principi, e il suo fine o è un gran danno o un'estrema rovina. 46
Consapevole della sua condizione nei confronti dei Medici, al termine dello scritto, in un passo che, però, sarebbe stato eliminato dali' edizione a stampa, il filosofo ammoniva il lettore della profonda diversità del patro nato fiorentino rispetto alle situazioni politiche precedentemente riportate:
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OM, p. 793 : "In eo libro, quem hoc anno ad Bemardum Bembum Venetorum oratorem de laudibus Philosophiae composui, rationibus multis afferre conatus sum, Philosophiam cuncta docere. Unum hoc excipere debui, quod non docet nos vitam cum principibus agere. Nam si id vetat omnino, ut certe vetat, nullo modo docet. Vetat autem penitus ut mihi videtur, quandoquidem contraria iubet, nempe inveniendo veritatis amore tranquillitatem animi et libertatem vitae desiderat. Apud principes autem non veritas habitat, sed mendacia, simulationes, dissimulationes, obrectationes, adulationes. Non tranquillitas animi, sed cura, sollicitudo, invidia et omnis denique perturbatio. Non Iibertas omni charior auro, imo tam misera servitus, ut neque subditis parcat unquam nec principi bus, eiusque finis sit vel servitus vel ruina".
Laus brevitatis: fare filosofia informa epistolare
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Se qualcuno, invece, che non conosce le mie vicende, mi rimprovera adesso questa mia passata relazione con i Medici, risponderò che questi devono essere definiti non propriamente principi ma qualcosa di più e di più santo di un prin cipe. Infatti, per le loro singolari virtù e per innumerevoli meriti, sono molto più degni di qualunque dignità di cariche e padri della patria in una città Iibera.47
Ancora una volta se, da una parte, assistiamo all ' ennesima idealiz zazione del rapporto tra F icino e i Medici, d àl l ' altra, dobbiamo notare l' estrema prudenza con la quale il filosofo n,o n esita ad eliminare l ' e splicito elogio della famiglia negli anni più difficili dell ' azione politica di Lorenzo. Al di fuori dell' apparente adesione a tradizionali temi filosofici, nel la lettera al Cavalcanti appare, invece, il ritratto di un pensatore inserito pienamente nelle vicende sociali e politiche del suo tempo. D' altra parte, non avrebbe potuto essere diversamente per colui che, sin dagli inizi della sua vicenda intellettuale, aveva inteso gli studi platonici innanzitutto come medicina per i mali della società48• Anzi, soltanto il platonismo poteva co stituire un forte punto d ' incontro tra le istanze dei singoli e della collettività nella ricerca del bene comune49• L' unica verità, pertanto, si manifesta in ogni sfera dell' umano: non c'è separazione - come scrive Valery Rees - tra cosmologia e politica, filosofia e religione, o tra religione e vita quotidiana poiché gli stessi principi sono validi e possono essere efficacemente applicati in tutti questi campi50• Non deve stupire, allora, che Marsilio inserisca esplicite considerazioni politi che all' interno di elevate speculazioni metafisiche, come nell' oraculum di Alfonso d' Aragona o, viceversa, scelga di affrontare questioni filosofiche anche nelle epistole dal tono più confidenziale. Più complessa, invece, risulta l ' interpretazione del linguaggio simbolico che, come accade spesso anche all ' interno delle altre opere del filosofo, ' può generare delle difficoltà nella ne ostruzione del suo autentico pensiero. Ficino mostra in maniera quanto mai spontanea la sua abilità retorica nella corrispondenza epistolare tanto da spingere il lettore verso un grande sfor zo ermeneutico. 47
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Kristeller ( 1 973), l, p. 32: "At si quis rerum nostrarum nescius hic nobis obiciat nostram hanc antiquam cum Medicibus consuetudinem, respondebo hos non principes proprie sed maius sanctiusque aliquid quam principes nominandos. Nam ob singulares virtutes suas ac ingentia merita digniores admodum sunt quam quaelibet nominum dignitates, et in libera civitate patres patriae". Cfr. Hankins (2009), pp. 407 sgg, Cfr. Jurdjevic (2004), p. 59. Cfr. Rees (2002), p. 346.
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A causa della natura composita dell' epistolario ficiniano, poi, emergo no ulteriori problemi in seguito alla valutazione di alcuni aspetti di natura filologica che sarà opportuno affrontare preliminarmente. La scelta delle lettere da inserire nella silloge finale, le cancellazioni, i ripensamenti ri spondono evidentemente ad un ben preciso progetto di cui dovremo riper correre le fasi di realizzazione.
3. L 'Epistolario come operafilosofica: alcune osservazionifilologiche
L' Epistolario del Ficino, come è stato accennato più �opra, costitu isce una vera e propria opera letteraria la cui pubblicazione fu curata direttamente dall' autore . Questo aspetto risulta determinante per i se guenti motivi : esso consente di cogliere all ' interno delle lettere un filo conduttore voluto dal filosofo, anche laddove ad una prima lettura può sfuggire il criterio di raccolta, e al contempo permette di osservare le diverse fasi di realizzazione dell ' opera attraverso un confronto con la tradizione manoscritta5 1 • Alessandro Perosa, in un fondamentale scritto intorno ai criteri di pub blicazione degli epistolari degli umanisti, dettava alcune regole fondamen tali per affrontare quei problemi filologici derivanti dalla natura stessa della raccolta52• Al termine della trattazione, poi, scriveva: Perfino nei casi in cui l ' umanista stesso ha affidato alle stampe la redazione definitiva del suo epistolario, l 'editore moderno ha l ' obbligo di ricostruire, at traverso le precedenti testimonianze, le modifiche che la silloge e ogni singola lettera hanno subito nel tempo, ricercando gli originali o le copie delle lettere che sono state ripudiate o non ritenute degne di figurare nella raccolta. Le ex travaganti non possono mancare in un'edizione che aspiri a completezza.s 3
Lo studioso concludeva, poi, citando come esempio il lavoro magistra le compiuto dal Kristeller nel Supp/ementum ficinianum sia nel riconosci mento dell' esistenza di sillogi parziali dell'opera sia nel rinvenimento di un "gruppo cospicuo di extravaganti"54•
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Per un'esaustiva e puntuale presentazione della natura composita del l Epistolario e delle problematiche filologiche connesse alla sua interpretazione, rimando a Tr6ger (20 1 6), pp. 27- 1 25. Cfr. Perosa (2000), pp. 9-2 1 , in p art. pp. 1 4- 1 7. lvi, p. 1 6. Ibidem. '
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In verità, sembrerebbe che i l Perosa si riferisse proprio all ' episto lario di Ficino per le considerazioni citate; i fondamentali lavori di Sebastiano Gentile, infatti, sono stati condotti seguendo tali direttive. Tuttavia, dal momento che le questioni esclusivamente fi lologiche esu lano dalle finalità del presente lavoro, mi limiterò alla presentazione di alcuni nuclei problematici per l ' interpretazione del contenuto fi losofico delle epistolae. Se da un lato è vero che, come scriveva Mario Marti, un epistolario "è informato ad un concetto d'arte ed obbedisce a soggettivi intendimenti re torici e stilistici" in quanto la sua composizione risponde ad un '" assoluto' generico", dall'altro, nel nostro caso, quanto mai decisivo risulta essere l' ordinamento cronologico55• È determinante, infatti, collocare correttamente una lettera in un perio do piuttosto che in un altro ai fini della giusta comprensione del pensiero ficiniano. Anche se, ribadiamolo, il disegno generale a cui obbedisce anche la stesura dell' epistolario è la diffusione della filosofia platonica, è tuttavia necessario conoscere quali fonti il filosofo stesse traducendo o studiando quando scrive una specifica lettera. Non bisogna dimenticare che l'opera abbraccia un arco cronologico che va dal 1 457 al 1 494 e, pertanto, consen te di osservare le varie fasi del pensiero di Ficino che, come è noto, sono fortemente correlate alla sua opera di traduttore e interprete. Possiamo for nire, a tal proposito, un esempio paradigmatico. Nel primo volume dell 'Epistolario troviamo una lettera che, consi derando il numero dei testimoni manoscritti e la grande diffusione della sua traduzione in volgare, ebbe una circolazione autonoma non indif ferente : l ' epistola De divino furore56, Come è stato dimostrato definiti vamente dal Gentile, il quale ha confutato i tentativi di post-datazione dello scritto che si fondavano su una presunta conoscenza diretta delle fonti greche57, il filosofo attinse esclusivamente agli scritti latini di sponibi l i : l ' opuscolo, che nasce come commento al celebre passo del Fedro platonico sulle quattro forme di flavia divina, risente della lettura della versione di Leonardo B runP8• Nel contesto della trattazione della "follia poetica", Ficino sostiene che essa derivi dalle Muse, figlie di Giove59• Egli cita, poi, alcuni passi tratti dalla letteratura classica sulla 55 56 57 58 59
Cfr. Marti ( 1 96 1 ). Cfr. Gentile ( 1 99 1 ), p. 1 2. Cfr. Sheppard ( 1 980), pp. 98- 1 00. Cfr. Gentile ( 1 983), pp. 36-39. Cfr. EL l, p. 26: "Theologi quoque veteres novem Musas octo sperarum musicos cantus et unam maximam, que ex omnibus conficitur, harmoniam esse voluerunt.
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presenza di Giove all ' interno del mondo per giustificare l ' azione del divino nel l ' uomo "furioso". Diversamente, in una lettera affine (Poeticus furor a Deo est) inserita anch'essa nel primo libro dell' opera, il filosofo, pur ribadendo la necessità della "possessione" da parte delle Muse, riconosce nella provvidenza divi na la causa prima del furore poetico: Platone aggiunge che alcuni uomini completamente inesperti vengono allora posseduti dalle Muse, perché la divina provvidenza vuole mostrare al genere umano che i grandi poemi non sono invenzione degl i uomini ma doni del cielo.60
L' epistola, datata 4 marzo 1 474, risale ad una fase decisiva per la vita del filosofo; il 18 dicembre 1 473, infatti, era stato ordinato sacerdote e dopo pochi mesi avrebbe dato al le stampe il De Christiana rè/igione6 1 . Allo stesso periodo, inoltre, risalirebbe anche la prima stesura della Theologia Platonica62• Tale precisazione cronologica è fondamentale poiché il medesimo testo della lettera appena citata appare nel paragra fo De poetis all ' interno del secondo capitolo del L ibro XIII della Teo logia63 . Dopo aver trattato de sacerdotibus, contestualmente all ' analisi degli indovini e dei profeti, F icino presenta i concetti di provvidenza, fato e natura come i tre ordini di realtà che riguardano rispettivamente le menti, le anime e i corpi64• Si potrebbe, dunque, avanzare l' ipotesi secondo cui l' aggiunta della di vina providentia alla trattazione del pensiero di Platone nell' epistola ad Antonio Pelotti e Baccio Ugolini possa verosimilmente derivare dalla con temporanea meditazione sul tema condotta dal Ficino nella stesura della sua summa. Al contempo, la sua assenza e l 'esclusiva citazione di fonti classiche nel De divinofurore, non significa che essa risalga ad un periodo "pagano" del filosofo precedente alla "conversione" al cristianesimo (come
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Hac igitur ratione poesis a divino furore, furor a Musis, Muse vero a love profìciscuntur". lvi, p. 1 04: "Addit [Plato] ineptissimos quosdarn homines a Musis ideo corripi, quia divina providentia declarare vult hominurn generi non hominum inventa esse preclara poemata, sed celestia munera". Cfr. Vitale (20 l l ), p . LIII. Cfr. Kristeller ( 1 973), l, pp. LXXIX-LXXXI. Cfr. TP, XIII, 2, IV, p. 1 3 1 . lvi, p. 1 32.
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pure è stato ipotizzato65) ma esprime semplicemente la grande fedeltà alle fonti citate da parte del giovane Marsilio. Se passiamo invece ad un' epistola più tarda al poeta Naldo Naldi (Qua tuor divini furoris species sunt, amor omnium praestantissimus), notiamo che l' attenzione del Ficino è ora focalizzata sulla preminenza del furore amoroso sugli altri66• Egli ne spiega la preminenza in questi termini: Lo stesso amore divino, posseduto dal quale tu ci scrivi, è giudicato il più degno fra tutti per due motivi : il primo, perché gli altri furori, senza l ' istinto dell 'amore per quella stessa cosa per la quale l'anima è infiammata dal furo re, né si acquisiscono né si conservano; il secondo, poiché l ' amore trasforma l 'amante nell'amato, ogni volta che si rivolge alle realtà celesti, congiunge la mente a Dio in modo più vicino degli altri furori .67
Appare, dunque, evidente lo spostamento sul piano della conoscenza e, in particolar modo, della conoscenza di Dio. Ficino, infatti, introduce la teoria della trasformazione dell' amante nell' amato per considerare il ruolo del furor amoroso nell 'unione della mente con Dio, un tema a lui molto caro e sul quale ci soffermeremo abbondantemente nell'ultimo capitolo. Qui è sufficiente notare la maturazione della riflessione ficiniana che, ri spetto ali ' epistola De divinofurore, sostituisce la teoria platonica dell'amo re divino come desiderio della contemplazione delle idee con la sua visione dell' amore di Dio come copulatio tra la mens creata e il Creatore. Una corretta interpretazione dell'Epistolario ficiniano come opera filo sofica, pertanto, non può prescindere da una lettura diacronica degli scritti che lo compongono. Tuttavia, di particolare interesse è anche lo studio di quelle lettere che non sarebbero confluite nell' edizione a stampa: l ' analisi delle cosiddette "extravaganti" può infatti illuminare sulle scelte operate dal filosofo nella raccolta delle epistole, in particolare, tra quelle risalenti al periodo giovanile e quelle più propriamente "politiche". 65
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Cfr. VMF, p. 683 : "Sed quum jam annos aetatis suae duos ac quadraginta exegisset, ex pagano Christi miles factus, ex duobusque sacerdotiis, quorum curam per Laurentium Medicem susceperat, proventus annuos satis honestos capiens, patrimonium ornne fratribus reliquit". Vedi anche Marcel ( 1 958), pp. 403-420. Cfr. OM, p. 830. Ibidem: "Amor ipse divinus, quo tu correptus ad nos scribis, omnium praestantissimus duabus de causis iudicatur, altera quidem, quod furores caeteri absque amoris instinctu ad eam ipsam rem circa quam furore animus concitatur, neque comparantur unquam, neque servantur. Altera vero quod amor cum amantem transferat in amatum, quotiens ad superiora dirigitur, mentem cum Deo propius quam furore alii copulat".
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È opportuno ricordare, a tal proposito, che si sono susseguite due mo dalità di composizione dell' opera: si passa da una prima fase in cui Fi cino, avendo deciso di pubblicare (probabilmente intorno al 1 473) il suo carteggio, fu costretto a riunire le lettere inviate negli anni precedenti alla seconda in cui, invece, le missive vengono contestualmente trascritte su una sorta di "copialettere" prima di essere spedite68• Il dato che ci interes sa è, dunque, quello che riguarda l ' operazione compiuta a posteriori dal filosofo sui suoi scritti giovanili; l ' autore della Theo/ogia Platonica, in fatti, poco avrebbe tollerato la diffusione di materiale non conforme alla sua speculazione matura. È presumibile che la decisione di raccogliere le lettere in quello che sarebbe diventato il primo libro della silloge sia stata dettata dalla precisa istanza di diffusione del platonismo e che, pertanto, l' esclusione delle altre sia avvenuta evidentemente per la loro non corri spondenza al progetto. Se è vero - come ha sottolineato Sebastiano Gentile - che non vi è contrad dizione tra gli interessi epicurei e i primi tentativi di interpretazione di Platone condotti da F icino sul finire degli anni cinquanta del 1 40()69, tuttavia, l'assenza di alcune lettere coeve riguardanti esclusivamente la "filosofia del giardino" deve indurci ad alcune riflessioni. Nell'epistola De divinofurore troviamo un riferimento esplicito agli epicurei e alla loro teoria dell'amore come unione degli atomi, subito identificata con la platonica Venere "volgare", immagine dell'amore corporeo inteso come una sorta di patologia umana: [ . . ] gli epicurei definiscono l'amore un certo impeto dei corpuscoli (che chiamano atomi) di entrare profondamente in colui dal quale hanno ricavato le immagini della bellezza. Il nostro Platone sostiene che questo genere di amore nasca dai mali dell 'uomo, sia pieno di affanni e pensieri e convenga a quegli uomini la cui mente è offuscata dalle tenebre a tal punto che la mente non pensa niente di elevato e di interamente sublime, ma nient'altro che la fragile ed instabile immagine di questo piccolo corpo, né guarda ai cieli chiusa nelle tenebre e in un buio carcere. 70 .
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Cfr. Gentile ( 1 980), pp. 81 sgg.; Della Torre ( 1 968), p. 92; Kristeller ( 1 973), l, p. XCII. Cfr. Gentile (20 1 3), pp. 1 1 9- 1 35. Cfr. EL l, pp. 23-24: "[ . . . ] Epicurei amorem diffiniunt nixum quendam corpusculorum (quas atomos vocant) sese ei, a quo simulacra pulchritudinis hausta sunt, penitus infundendi. Huiusmodi Plato noster amorem ab humanis morbis nasci dicit et cura solicitudineque plenum esse, eumque iis hominibus convenire, quorum mens adeo tenebris offusa sit, ut nihil altum, nihil omnino egregium, nihil preter fragilem ac fluxam corpusculi huius imaginem cogitet, nec auras respiciat clausa tenebris et carcere ceco".
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Come può evincersi dal passo, l ' amore inteso dalla filosofia epicurea è espressione degli impulsi del carcere dell'anima il quale impedisce a quest' ultima di desiderare la bellezza divina. Qui non vi è alcuna traccia dell'entusiasmo che il filosofo esprime, verosimilmente nello stesso perio do, durante la presentazione della dottrina di Epicuro nel De quatuor sectis philosophorum1 1 • Il breve trattato i n forma epistolare, rinvenuto dal Kristeller e inserito nel secondo volume del suo Supplementum ficinianum, presenta una rassegna per lo più dossografica delle principali tesi sostenute dalla scuola platonica, peripatetica, stoica ed epicurea. Nonostante ! ' "imparzialità" dell ' autore, tuttavia, nella trattazione finale (che è anche la più lunga ed interessante), il Ficino sembra dapprima esprimere una simpatia per Lucrezio ("Lucretius Carus Epicureus nobilissimus"), al cui studio si dedicava nel biennio 1 45758, per poi rileggere in maniera originale la teoria della voluptas: Dicono che il sommo bene sia la volontà, non certamente quella che con siste nel movimento del corpo e nel piacere dei sensi, poiché una volontà di tal genere è unita al dolore e non ha alcuna stabilità, ma piuttosto quella che si ottiene con un'ottima disposizione del corpo, che chiamano apatia, e con la tranquillità dell'anima.72
Nel brano viene presentata la natura della divina voluptas, realizzante si nel raggiungimento della tranquillità dell'anima, che - come già notava Eugenio Garin - consente al filosofo umanista di "riabilitare" Epicuro73• Poco più sopra, infatti, F icino aveva scritto che secondo la filosofia epicu rea, seppure in maniera non totalmente chiara, Dio è beatissimus e sempre "in perpetua tranquillitate"74• Evidentemente, il giovane Marsilio leggeva 71 72
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Cfr. Kristeller ( 1 973) , Il, pp. 9- 1 O. IvL p. l 0: "[Dicunt] summum bonum esse voluptatem, non eam quidem que in motu corporis sensuumque suavitate consistit, cum dolori mixta sit eiusmodi voluptas neque ullam habeat stabilitatem, sed eam potius que et corporis optima affectione quam illi indolentiam nominant et animi tranquillitate percipitur". Cfr. Garin ( 1 979). Per un'analisi più dettagliata del tema, rimando a Ebgi (20 1 9), pp. 96- 1 04. Cfr. Kristeller ( 1 973), Il, p. 9: "Epicurus autem Atheniensis, a quo fluxerunt hi qui Epicurei nominantur, quid omnino sit Deus, non satis explicuit. Verum fingere illum videtur animai quoddam magnum atque ingens, humana imagine preditum, adeo tenue ac splendidum ut vereatur illud corporeum appellare. Quapropter dicere solent Epicurei non corpus sed quasi corpus esse Deum, ac si dixerint: etsi corpus sit Deus, ceteris tamen corporibus tantum potestate prestat et puritate, ut ad cetera comparatum incorporeum videatur. Hoc animai extra omnes mundos vivere, eternum esse, sapientissimum atque beatissimum, nihil agere, nihil administrare, nihil curare.
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la dottrina epicurea filtrata, per usare una metafora, attraverso la "lente" platonica: laddove il sommo bene per Platone è diventare simili a Dio, pa rallelamente per Epicuro non può che essere il raggiungimento dello stato di tranquillitas perpetua della divinità Eppure, nonostante la lettera fosse stata tradotta in volgare e avesse ricevuto anche l'apprezzamento dell' autore7S, il Ficino decise di escluderla dalla silloge. Le ragioni per le quali più tardi, invece, furono eliminate le lettere indirizzate ai protagonisti della congiura dei Pazzi , come abbiamo visto, sono state molto diverse nella stessa manie ra in cui furono differenti anche le modalità di realizzazione di questa scelta. Nel terzo libro, in una lettera a Pietro Soderini, Marsilio parla per la prima volta di un "archetipo" delle sue epistole76, ma è attr�verso la lettura dell'opera che è possibile seguire da vicino le varie fasi della formazione della silloge77• Il filosofo, alla richiesta di invio dei libri mancanti dell'epi stolario formulata da Giovan Francesco Ippolito conte di Gazoldo, il quale era in possesso soltanto del primo volume, risponde che presto gli avrebbe inviato gli altri quattro78• In un' altra epistola a Francesco Bandini datata 9 maggio 1 482, invece, a proposito dell' invio di alcuni suoi libri alla corte di Mattia Corvino, Ficino scrive: Ho dedicato a Mattia, invincibile re d'Ungheria, due libri delle mie lettere, che ora sono stati trascritti da Francesco l uni o. Gli altri miei libri, che voi desi derate, sono già nelle mani degli impressori; non appena saranno stati stampati, i delegati vi raggiungeranno per mostrarvi felicemente il mio pensiero. 79
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Quippe cum hec omnia laborem inferant, Deum autem quod beatissimus sit omni putant labore ac molestia vacuum in perpetua tranquillitate consistere". Cfr. Polcri (2000). Cfr. OM, p. 736 (Sua mittenda sunt ad suos): "Volui saepe, Soderine dulcissime, ad illos qui epistolas meas a me petissent nostrum ipsum Archetypum mittere. Sed haec meus mihi liber summa cum quaerimonia statim obiiciebat. Noli eo me mittere, precor, ubi ipse non es, mi pater". Cfr. anche Della Torre ( 1 968), pp. 77 sgg. Sulle fasi di composizione de li' opera, cfr. Gentile ( 1 990b) . Cfr. OM, p. 827 (Felix est qui vere gaudet, vere gaudet qui sola veritate gaudet): "Franciscus Berlingherius familiaris noster, literis et moribus omatissimus, reddidit nobis epistolam tuam. Qua scribis te primum epistolarum nostrarum librum habere, reliquos cupere. Reliqui quinque sunt [ . . . )" Sebastiano Gentile ha dimostrato, sulla base de li' analisi del codice Magliabechiano VIII 1 44 1 della Biblioteca Nazionale di Firenze, che all'epoca della stesura della lettera Ficino avesse scritto altri quattro volumi e che, solo dopo aver completato il sesto libro, avesse deciso di sostituire "quatuor" con "quinque", non accorgendosi di cadere in contraddizione, cfr. Gentile ( 1 980), pp. 1 5 1 - 1 52. Cfr. OM, p. 856 (In solo Deo sa/us): "Dedicavi Matthiae invicto Pannoniae Regi geminos nostrarum libros epistolarum, qui nunc Fancisci l unii opera exscribuntur. .
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Le epistolae meae della lettera al Soderini sono finalmente denominati libri epistolarum e diventano "octo Epistolarum nostrarum volumina" nel giugno del l 48980• Nonostante la circolazione delle sillogi parziali manoscritte fosse eviden temente già abbastanza diffusa, Ficino non avrebbe esitato ad operare spo stamenti, sostituzioni o modifiche più o meno importanti alle stesse. Il codice Magliabechiano VIII 1 44 1 della Biblioteca Nazionale di Firenze, contenente i libri V e VI, rappresenta, a tal proposito, un documento fondamentale per la ricostruzione delle operazioni compiute dall'autore non soltanto sui volumi in oggetto ma anche su quelli restanti81 • Esse possono essere riassunte, ovvia mente senza pretese di esaustività, nel modo seguente: della minuta dell'e pistola viene fatta una copia personale, probabilmente nel "copialettere" (l ' "archetipo" indicato dal Ficino), dalla quale, poi, in seguito alle correzioni, si ricava la lettera ufficiale destinata al pubblico82• Tuttavia, in corso d'opera, il filosofo avrebbe verosimilmente anche inserito qualche epistola più tarda in un libro precedente, modificandone la data qi invio (laddove presente). Tutto ciò se, da un lato, genera evidenti problemi :filologici, dall' altro, suscita l' interesse dello studioso il quale può rintracciare nella scelta dell' autore mo tivazioni profonde, derivanti dalla sua progressiva attività di pensiero. Come ha sottolineato Stéphane Toussaint, la raccolta finale dell'episto lario ficiniano è lontana dal rispecchiare la cronologia e la consistenza reale degli scambi epistolari intrattenuti dal filosofo quasi nell' intero arco della sua vita, poiché risponde ad una selezione guidata da un' idea fondamen tale: trasmettere "l' image idéalisée d'un philosophe humaniste"83• Fici no, infatti, offre ai suoi lettori un grande messaggio spirituale che, come un Giano bifronte (per usare un' immagine molto cara al filosofo), guar da costantemente all ' immortalità dell'anima mentre osserva criticamente dali ' interno la tragicità deli ' attuale situazione socio-politica84• La filosofia veicolata dalle epistolae è certamente una filosofia umani stica, legata alle radici retoriche e civiche della prima metà del Quattro-
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Caeteri vero libri nostri quos optatis, sunt iam in manibus impressorum, expressi cum fuerint, legati ad vos accedent, nostram vobis mentem feliciter expressuri". Cfr. ivi, p. 90 1 (Responsio desideranti natale m suum et reliqua): "Octo epistolarum nostrarum libros etiam desideratos abs te librariis concedemus propediem exscribendos. Primum missuri primo, deinceps vero secundum. Statui equidem hac aurora nonum ferme iam absolutum tuo potissimum nomini dedicare". Vedi anche Gentile ( l 990b), p. CCIII. Cfr. Gentile ( 1 980), p . 80. Cfr. ivi, pp. 8 1 sgg. Cfr. Toussaint (20 1 1 ), p. VI. Cfr. ivi, p. VII.
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cento, ma fecondata dal messaggio platonico comunicato finalmente in un latino elegante. Nelle sue lettere, smentendo una mitologia diffusa nella letteratura critica fino a qualche anno fa, Ficino dimostra di essere un fi losofo del suo tempo, consapevole dell' importanza della corretta modalità di comunicazione delle idee8s. Emerge, dunque, un "nuovo" platonismo, esempio di quel "ritorno" dei filosofi antichi che, come affermava Garin, consente di dare risposte inedite a esigenze teoretiche e problemi nuovi86• Il "neoplatonismo ficiniano", dunque, si inserisce nel contesto del dibattito quattrocentesco in merito al rapporto tra vita attiva e via contemplativa o tra amore e conoscenza per la fruizione del sommo bene87• Dopo aver analizzato la natura "composita" dell' opera ç giunto il mo mento di fare alcune considerazioni utili per il prosieguo del lavoro. L' Epi stolario di Marsilio Ficino, in quanto raccolta delle lettere scritte ed inviate dall' autore alla sua cerchia di conphilosophi (dapprima limitata all'ambito fiorentino e poi "europea"), consente di seguire le ragioni contingenti della loro stesura ma, come vera e propria "opera filosofica", acquista un valore "assoluto" grazie alle profonde istanze teoretiche che lo contraddistinguo no. Dunque, è al contempo necessario tanto tenere conto anche delle lettere escluse dall' edizione data alle stampe quanto valutare l' importanza della loro assenza ali ' interno dell' opera definitiva. Nel maggior numero di lettere è rinvenibile un messaggio filosofico, più o meno velato, che consente al lettore di effettuare un vero e proprio "percorso iniziatico": la filosofia del Ficino, infatti, è presente all' interno di tutto il carteggio, anche laddove è meno riconoscibile. Eppure, l' autore stesso scelse di dedicare un intero volume dell' opera, il secondo, esclusi vamente a quei trattati in forma epistolare che si distinguevano, a causa dell'elevazione della mente che proponevano, dalle altre lettere. Sarà op portuno, a tal proposito, procedere con l'analisi dell' originalità del libro II e dell'essenza del "epistola-trattato" in quanto genere letterario preferito dal filosofo fiorentino.
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Cfr. ibidem: "Mais Ficin est le premier philosophe de son temps à comprendre ce que l ' art épistolaire apporte aux idées, qui ne vivent pas sans style ni éclat littéraire". Cfr. Garin ( 1 983). Cfr. Mariani Zini (201 4), p. 1 0.
CAPITOLO SECONDO LA LETTERA COME TRATTATO : GLI OPUSCULA THEOLOGICA
l. L 'originalità del secondo libro Eugenio Garin, nella breve introduzione ai due testi di Marsilio Ficino pubblicati nella bella antologia dedicata ai Prosatori latini del Quattro cento, notava come nella "monumentale raccolta delle Epistole" fossero riuniti "accanto alle lettere, opuscoli, saggi, alcuni dei quali fondamentali non meno delle sue opere maggiori" 1 • Il Kristeller, dal canto suo, aveva già individuato all ' interno di ogni volume quei "trattati filosofici" che si distinguevano dalle altre epistole per il loro peso speculativo2• Il filosofo fiorentino, in realtà, aveva compiuto un' operazione ancora più radicale, come si evince dal proemio al II libro dell' opera dedicato a Federico da Montefeltro duca d' Urbino: Poiché ho voluto distinguere in libri le mie lettere raccolte dovunque, mi è piaciuto separare quelle che trattano più delle altre della teologia platonica, come se fossero divine per la loro stessa materia, dalle altre che si possono definire, per cosi dire, umane e metterle insieme. 3
Il Ficino dunque, probabilmente intorno al 1 482, decise di raccogliere in un unico volume le lettere dal contenuto filosofico-teologico. Come è te stimoniato dalla tradizione manoscritta, infatti, alle epistole contenute nel primo libro seguivano quelle contenute attualmente all' inizio del terzo4 • Sebbene la sezione in questione sia esclusivamente composta da trattatelli in forma epistolare, essa non costituisce un' eccezione all' interno dell'o pera: le lettere "filosofiche", infatti, sono presenti in tutti i dodici volumi. l
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Garin ( 1 952), p. 929. Cfr. Kristeller ( 1 973), l, pp. L:XXXVI I-CX. EL II, p. 3 : "Cwn epistolas meas undique collectas in libros distinguerem, placuit eas que ad theologiam pre ceteris Platonicam pertinerent, quasi ob materiam ipsam divinas, ab aliis epistolis velut hwnanis secernere in unwnque redigere"; cfr. i vi, p. Xl. Cfr. Della Torre ( 1 968), pp. 89 sgg.
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Tuttavia, a causa della capitale importanza di questi scritti per l ' interpre tazione del pensiero ficiniano, grazie allo stretto legame sia temporale che contenutistico con la Theologia Platonica, ritengo opportuno offrire una presentazione dei loro nuclei tematici. Raymond Marcel, il "padre" degli studi ficiniani in Francia, nel 1 964 decise di inserire i saggi scritti dal filosofo nel 1 476 in Appendice all' edi zione critica con traduzione da lui curata della Theologia Platoniccr. Qual che anno prima, all' interno della sua "biografia filosofica" del Ficino, egli aveva sottolineato la rilevanza di questi trattati, ripercorrendone le fasi di stesura sulla scorta delle informazioni desunte dall' epistolario stesso6• Marsilio, in una lettera al Cavalcanti datata 28 ottobre 1 476, comunica va ali ' amico di aver appena composto tre theologica opus� ula sull' ascesa della mente a Dio e gli inviava contestualmente il prohemiolum al terzo'. Neli ' epistola seguente (collocata subito dopo nella medesima pagina del terzo volume), che porta la data del l O novembre, invece, il filosofo sostie ne di aver scritto cinque opuscoli, di cui fornisce anche i titoli, durante il suo ultimo soggiorno "in monte Celiano" (nel suo podere alle pendici del Monte Scalari): Proprio adesso lascio la mia villa d i Celle per andare a Firenze. Porto con me cinque opuscoli teologici, che ho composto in questo ultimo periodo del mio soggiorno in campagna: Sulla divina provvidenza, sui nomi di Dio e sulla gioia di chi lo contempla; Sull 'ascesa dalla materia degli elementi al cielo senza materia, all 'anima senza quantità, all 'angelo privo di mutamento, a Dio sostanza senza accidente; Sul rapimento di Paolo al terzo cielo, e sul modo in cui l 'anima veda in quel luogo l 'eternità di Dio e la propria; Su/l 'ostacolo che 5
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Cfr. Marcel ( 1 964), l, p. 30: "Pour etre complet, nous avons cru bon d'ajouter en Appendice, Jes sept Essais que Ficin a écrits en 1 476, pour faire patienter ses amis qui attendaient sa Théologie Platonicienne et surtout pour Jes familiariser avec sa dialectique. L'énoncé de Jeurs titres suffira à nous convaincre de leur importance: Argumentum in Platonicam Theologiam, Compendium Platonicae Theologiae, Quaestiones quinque de Mente, De raptu Pauli ad tertium caelum. Les trois autres traitant de l'ascension de l'àme et de la hiérarchie des etres en fonction de Jeur divisibilité et de Ieur mouvement". Cfr. Marcel ( l 958), pp. 433-437. Cfr. OM, p. 733 (Nemo ascendit ad Deum nisi in quem quodammodo Deus ipse descendit): "Etsi iampridem veteres tres epistolas tibi pollicitus sum, tamen quia opinor te his diebus mustum libentius gustare quam vetus, mitto nova. Composui hoc triduo Theologica opuscula tria de triplici in Deum mentis ascensu, ad quem nullus ascendit nisi in quem quodammodo prius ille descenderit, qui moveri potest nusquam cum externum ei desit spatium, cuncta et intrisecus prorsus implenti et extrisecus infìnitae compraehendenti. Mitto opusculi tertii prohemiolum nondum emendatum". ,
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la mente riceve dal corpo e sulla sua immortalità; Sulla luce, che negli spiriti divini è una chiarezza contenta e una chiara allegrezza, nella macchina del mondo, invece, è un certo sorriso del cielo che deriva dalla gioia dei numi. 8
Marcel, seguendo le indicazioni del Kristeller, il quale aveva già indi viduato l ' appartenenza di questi brevi trattati al secondo volume dell' epi stolario9, si era impegnato nell' identificazione di quegli scritti i cui titoli, a differenza del De raptu Pauli e del De lumine, non li rendevano immediata mente riconoscibili 10• Egli, infatti, analizzando i sottotitoli delle sezioni che costituiscono l'Argumentum in P/atonicam theologiam presenti nella tradi zione precanonica, affermava che in un primo momento esse costituivano tre opuscoli separati, uniti successivamente da Ficino in quella che sarebbe diventata la settima lettera del secondo volume della silloge 1 1 • D i recente, invece, Sebastiano Gentile h a offerto delle convincenti ipo tesi in merito alla problematica identificazione dei tre opuscoli citati nella prima lettera: a differenza del Kristeller, il quale riteneva che essi corri spondessero a tre delle Quinque claves Platonicae sapientiae (cinque trat tatelli cosi denominati dal Ficino) 1 2, lo studioso propone una diversa lettura fino a mettere in dubbio che "i tria opuscula vadano ricercati all' interno delle Quinque claves" 13• 8
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Ibidem (Nugis vulgus pascitur) [il corsivo è mio] : "Abeo hac hora ex agro nostro Celiano Florentiam petiturus. Fero mecum theologica opuscula quinque, hoc ultimo nostrae rusticationis tempore a nobis composita: De divina providentia nominibusque Dei et gaudio contemplantis; De ascensu a materia elementorum ad coelum sine materia, ad animam sine quantitate, ad angelum mutationis expertem, ad Deum sine accidente substantiam; De raptu Pauli ad tertium coelum, et quomodo anima illic Dei aeternitatem videat atque suam; De impedimento mentis a corpore eiusque immortalitate; De lumine, quod sit in divinis numinibus claritas gaudens clarumque gaudium, in mundi vero machina sit risus quidam coeli ex numinum gaudio proficiscens". Cfr. Kristeller ( 1 973), l, pp. XCV-XCVI. Cfr. Marcel ( 1 95 8), pp. 434-436. Cfr. ivi, p. 436; Marcel ( 1 964), III, pp. 249-250; Gentile (20 1 0), pp. LXIV-LXV. Quinque Platonicae sapientiae claves è i l titolo dato dal Ficino a cinque trattatelli, che sarebbero poi confluiti nel secondo volume dell'epistolario, inviati a Mikl6s Bathory, vescovo di Vac, secondo quanto si legge in una lettera a lui spedita il 25 maggio 1 479 (Montes non separant animos montibus altiores): "Cum accepi tuas Bandinique litteras, quibus vehementer suadetis ut in Pannoniam proficiscar, gratissimus Mathiae Pannoniae regi futurus, perfeceram iam Quinque Platonicae sapientiae claves, quarum una caeteris brevior ad vos venit", cfr. OM, p. 782 [il corsivo è mio]. Gentile (20 1 0), p. LXIII; cfr. ivi, p . LXVII: "Si potrebbe allora pensare che i tria opuscula theologica non necessariamente vadano ricercati all ' interno delle
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Dopo questa breve introduzione, resa necessaria a causa dello spessore enneneutico dei problemi evidenziati, è dunque possibile passare ali ' ana lisi dei trattati.
2. Questiones quinque de mente Nella dedica ai conphilosophi, posta in apertura dell' opuscolo, Ficino affenna che la Sapienza, nata dal capo di Giove, invita coloro che la ama no a raggiungere la sommità delle cose: soltanto in tale maniera i filosofi riusciranno a trovarla dal momento che essa predilige i luoghi elevati. Per poter ottenere questo fine, tuttavia, è necessario innanzitutto salire nella parte più alta dell ' anima: Infatti Pallade, creatura divina che è stata inviata dall'alto cielo, abita le alte rocche che ella stessa ha edificato; mostra, soprattutto, che noi non possiamo pervenire ai più elevati principi delle cose se prima, trascurando le parti infe riori dell'anima, non saliamo verso il suo apice, la menteY
L' ascesa in caput animae, alla mens - dice Ficino - viene già pre miata con la nascita di un' altra "mente", tennine con il quale il filosofo identifica metaforicamente il suo trattatello nato da un' intensa riflessione notturna1�. Il lessico non casualmente utilizzato all ' inizio dell ' opuscolo Quinque claves, ma più probabilmente tra i cinque opuscoli nominati nella lettera del l O novembre. Sulla base del contenuto due probabili candidati potrebbero essere il primo e il secondo contemplationis gradus indicati nella lettera del l O novembre con i titoli De ascensu a materia elementorum ad celum sine materia, ad animan sine quantitate, ad angelum mutationis expertem, ad Deum sine accidente substantiam e De divina providentia nominibusque Dei et gaudio contemplantis a cui si potrebbe aggiungere il De raptu Pauli ad tertium celum, che rientrerebbe bene nella descrizione che viene data dei tre opuscula nella lettera del 28 ottobre: de triplici in Deum mentis ascensu. Se cosi fosse, il prohemiolum del terzo opuscolo potrà essere identificato con quello del De raptu, che è per altro indirizzato proprio al Cavalcanti". EL 11, cit., pp. 5-6: "Pallas enim, divina progenies que celo demittitur alto, altas ipsa colit quas et condidit arces; monstrat preterea non posse nos ad summa rerum capita pervenire, nisi prius in caput anime, mentem, posthabitis inferioribus anime partibus ascendamus [ . . . ) Cfr. ivi, p . 6 : "Ego igitur, optimi conphilosophi mei, qualem nuper in monte Celiano una quadam lucubratione mentem mente creaverim, nunc in medium vobis adducam, ut ipsi, qui longe fecundiores estis quam Marsilius, emulatione quadam, ut ita dixerim, provocati, prolem aliquando Iovis Palladisque conspectu digniorem parturiatis". -
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consente di familiarizzare immediatamente con il tema che Marsilio af fronta nei dodici paragrafi seguenti. Dopo aver esposto la ratio del moto delle specie naturali, le quali armo nicamente ritornano al principio in seguito al loro allontanamento, Ficino afferma che soltanto postulando l'esistenza di una mente provvidenziale sia possibile giustificare l ' ordine cosmico 16• Esso, al contempo causa ed effetto del movimento ordinato dei singoli enti l 7, si realizza prima di tutto attraverso gli elementi (di cui è ripresa la teoria dei "luoghi naturali"18), le piante e i bruti. Se il fine particolare di questi ultimi, comune anche alle facoltà inferiori dell'anima umana, è quello di soddisfare le necessità cor poree in cui raggiungono la loro perfezione, diverso, invece, è il caso della mente la cui natura peculiare impegna il filosofo in un' indagine plurima: Non ci resta che indagare sul movimento della mente umana: primo, se ten da a qualche fine oppure no; secondo, se il fine del suo movimento sia il moto o l ' immobilità; terzo, se questo bene [verso il quale si dirige la mente] sia qualcosa di particolare o universale; quarto, se essa possa mai essere in grado di conseguire il suo desiderato fine, vale a dire il sommo bene; quinto, se dopo che abbia raggiunto il suo fine perfetto, se ne allontani mai.19
La risposta del filosofo alle singole questioni è ricchissima di conte nuti speculativi. Ficino sostiene anzitutto che sarebbe impossibile negare che il moto della mente abbia un fine: la sua mancanza contravverrebbe all' ordine stabilito da Dio, in quanto la mens è "ricettacolo della sapien za" (sapientiae receptacu/um), comprende la disposizione di tutte le cose
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Cfr. ivi, p . 7: "In hoc ipso communi totius ordine omnia quamvis diversissima una quadam convenientia et ratione reducuntur in unum. lgitur ab uno quodam ordinatore ratione pienissimo cuncta ducuntur, siquidem ordo apprime rationabilis a summa mentis ratione et sapientia manat, in qua necessario prescripti sunt fines singuli ad quos dirigat singula". Cfr. ibidem: "Si motus singuli ordine quodam mirabili transiguntur, certe universus mundi ipsius motus ordinis perfectione non caret. Sicut enim ab universo atque ad universum sunt singuli, sic ab universi ordine accipiunt ordinem et ad universi ordinem referuntur". Cfr. ibidem: "Eiementa quidem alia gravitate quadam ad centrum mundi descendunt, alia !evitate ad concavum spere superioris ascendunt". Sulla teoria dei "luoghi naturali" in Ficino, cfr. De Pace (2006), pp. 482-489. EL Il, p . 8: "Superest ut de mentis humane motu queramus: primo, utrum ad aliquem tendat finem necne; secundo, utrum motionis eius finis sit motus an status; tertio, utrum particulare quiddam hoc bonum sit vel universum; quarto, utrum optatum finem suum, id est summum bonum, quandoque consequi valeat; quinto, utrum postquam perfectum adepta est finem, ali quando inde discedat".
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naturali e dirige razionalmente (rationabiliter ordinai) la propria attività20• Infatti, in un cosmo gerarchicamente ordinato, è impossibile che un ente dotato di maggiore perfezione sia mancante di una qualità esibita da una realtà inferiore21 ; anzi, proprio a causa del suo status ontologico, la mente deve poter raggiungere l' oggetto del proprio desiderio, tanto più facile da ottenere quanto più semplice22• Peraltro, tutti i fini particolari dell'anima concorrono ali ' ottenimento del fine universale che è il bene supremo. Il filosofo, a questo proposito, per esemplificare ai lettori i concetti espressi, utilizza la metafora della costruzione di un edificio che risulta possibile soltanto se i lavori vengono diretti dall' architetto, il quale serba nella sua mente l ' immagine del prodotto finito23• Il paragrafo intitolato Finis motionis intel/ectualis non est motus sed status presenta delle tesi in cui appare per la prima volta una sottile critica ad "alcuni platonici" (Platonici nonnulli). Evidentemente a proposito della teoria del moto dell' anima espressa nel Fedro, Ficino sostiene che, per evitare un inutile regresso all ' infinito, il fine dell' attività dell' intelletto non può che essere la stasi; quest'ultima, infatti, ontologicamente superiore al •
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Cfr. ibidem: "Si cetera non insipienti casu passim oberrant, sed ordine quodam rationabili ad quiddam maxime proprium et convenientissimum diriguntur, quo et prorsus perficiuntur, multo magis mens, que est sapientie receptaculum, que naturalium rerum ordinem et fines intelligit, que res suas quotidie ad finem quendam rationabiliter ordinat, quae aliis omnibus quotcunque prediximus est perfectior, multo, inquam, magis naturali instinctu ordinatum finem aliquem respicit, quo et ipsa ad votum perficiatur". Sul tema ficiniano della "graduazione dell'essere", cfr. Kristeller ( 1 988), pp. 6685, in part. p. 70. Si tratta di una delle frequenti occorrenze di quello che il Kristeller ha definito, con una felice espressione, "assioma del superfluo (o dell' inutile)": "Come le sostanze, p. e. le anime umane, non sono create invano da Dio, così anche le loro potenze e facoltà non possono essere inutili, né lo possono essere i loro moti ed appetiti in quanto derivano dalla natura e quindi da Dio", cfr. Kristeller ( 1 988), p. 63 . Come si vedrà, esso è alla base della teoria de li' appetitus naturalis e della giustificazione dell'immortalità dell'anima umana. Sulla semplicità dell'oggetto dell' intelletto, cfr. EL l!, p. 1 8: "Ubi enim perfectio illa fonnalis, que innascitur ab initio, prevalet, ibidem nature ordine finalis ipsa perfectio abundantius et facilius feliciusque conceditur, siquidem illa huic obsequitur, hec illius obsequio provenit. Unde concluditur ut multo magis faciliusque ratio quam sensus, homo quam brutum finem congruum optatumque consequi possit". Cfr. EL Il, cit., p. 9: "Nisi enim absoluta totius edificii forma prescripta sit architecto, nunquam diversi ministri eo ordine qui ad totum ipsum conducat ad diversa opera movebuntur; immo vero nullo pacto ad ministeria prefinita mittentur ab ilio qui non ipse prius communem totius operis tenninum habuerit prefinitum". Sulla teoria della "creazione" nella Theologia Platonica, cfr. Gontier (2004).
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moto, è desiderata natura/iter dalla mens24• Ne è la prova più efficace la definizione stessa degli oggetti contenuti in quest'ultima: le rerum rationes aeternae, a differenza delle mutevoli sensazioni corporee, non sono sotto poste al cambiamento che è il sigillo dell' imperfezione delle cose sensibili. Pertanto, le due facoltà superiori dell'anima, intelletto e volontà, aspirano ad un' ascesa verso l 'eternità che, però, risulta possibile soltanto grazie alla loro capacità di "elevazione" esercitata in questa stessa vita: A ciò si aggiunge che, come la potenza della vita, vale a dire l ' intelligenza e la volontà, procede al di là dei confini delle realtà mutevoli verso quelle che sono stabili ed eterne, così la vita stessa raggiunge certamente il suo fine e il suo bene nell'eternità, al di là di qualsiasi mutamento temporale; del resto, l ' a nima non potrebbe passare oltre i limiti delle realtà mutevoli, sia intendendole che desiderandole, se essa, vivendo, non potesse elevarsi sopra di loro.25
Possiamo avanzare l ' ipotesi che l ' affermazione secondo cui l ' anima non potrebbe superare i limiti delle cose in movimento se non avesse la capacità di farlo vivendo pos sa giustificare il peso che il filosofo attribuirà nel corso del l ' intero epistolario al tema del l' ascesi e del "per fezionamento" dell' uomo. Particolarmente interessante è, poi, l ' ulteriore analisi degli oggetti uni versali della mente. Ficino, dopo aver sostenuto che l ' intellectus appren de le notiones amplissimae identificate con i trascendentali della tradizio ne scolastica (ens, verum, bonum)26, presenta le opinioni dei peripatetici e dei platonici a tal proposito. Anzitutto, egli scrive che per i primi come l' oggetto del senso è il sensibile, parimenti l ' oggetto dell' intelletto è l ' in telligibile; quest' ultimo, poi, grazie alla sua ampiezza comprende tutte le cose. Inoltre, l ' intelletto tende per sua natura alla conoscenza del tutto, attraverso la cui nozione esso contempla se stesso27• Riguardo ai trascen24
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Cfr. EL Il, pp. 9- 10: "Puto autem mentem, quandoquidem statum noscit iudicatque ipsum mutatione prestantiorem atque naturaliter appetit illum ultra motum, in habitu quodam stabili potius quam mobili conditione finem bonumque suum optare et denique consequi". lvi, p. l 0: "Accedit quod, quemadmodum vite virtus, scilicet intelligentia et voluntas, ultra rerum mobilium fines ad stabiles progreditur et eternas, sic ipsa vita ultra mutationem quamlibet temporalem certe finem bonumque suum in eternitate consequitur; alioquin non posset animus unquam ve! intelligendo ve! appetendo terminos mobilium transgredi, nisi eos supergredi vivendo valeret". Sulla teoria dei trascendentali nel pensiero di Ficino, cfr. Kristeller ( 1 988), pp. 36 sgg. Cfr. EL Il, pp. l 0- 1 1 : "Rursus intellectus natura afficitur ad tota mentis amplitudinem comprehendam ac in eius notione omnia conspicit vicissimque in omnium notione inspicit ipsum".
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denta/ia il filosofo preferisce in questa occasione l ' uso degli stessi come sinonimi, a differenza di quanto espresso dai platonici per i quali il bene è più ampio dell ' essere28• L'uso, seppur generico, delle fonti aristoteliche da parte del filosofo emerge ancora dalla descrizione dell ' attività del l ' intelletto nella divisione dei generi in specie; tuttavia, la citazione (tratta dal De anima) della teoria secondo la quale l' intellectus, poiché è al contempo la più nobile delle sostanze materiali e la più bassa tra le sostanze spirituali, può diventare tutte le cose29, si trasforma nel pretesto per una breve discussione del suo rapporto con la voluntas30 • Entrambe le facoltà aspirano all' universum, il primo sub ratione entis e la seconda sub ratione boni, anch� se le modalità di raggiungimento dello stesso sono molto differenti: Che cosa cerca l ' intelletto, dipingendo in sé tutte le cose secondo la propria natura, se non di trasfonnarle in se stesso? E cosa, a sua volta, si sforza di fare la volontà se non di trasfonnare se stessa in tutte le cose, godendo di quelle secondo la loro natura? Il primo, dunque, si sforza affinché, in qualche modo, l 'universo diventi intelletto, la seconda affinché la volontà sia l'universo.3'
Dal momento che - continua Marsilio - entrambe non placano il loro appetitus naturalis se non quando raggiungono il loro oggetto supremo, che è la "causa delle cause" (cioè Dio), l ' anima umana è perennemente insoddisfatta. Attraverso il riconoscimento dello status delle due "ali" dell ' anima (per usare la celebre definizione del proemio al De Christiana religione32), dunque, il filosofo rende ragione della contingente inquietudi28 29 30 31
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Cfr. ivi, p. I l : "Utrum vero bonum ente latius sit, quod Platonici putant, necne, ad propositam questionem nihil referre videtur". Proprio su questo punto si sarebbe concentrata la celebre disputa con Giovanni Pico, cfr. Allen ( 1 986). Cfr. Aristotele, De anima, Il, 5, 430a, 1 3 - 14. Sul tema della relazione tra intelletto e volontà, cfr. almeno Albertini (2002); Kristeller ( 1 965); Edelheit (2006). EL Il, p. 1 2: "Quidnam intellectus inquirit, nisi cuncta i n se suo modo pingendo transfonnare omnia in se ipsum? Quid rursus voluntas annititur, nisi omnibus omnium modo fruendo se ipsam in ornn ia transfonnare? Ille ergo conatur ut universum fiat quodammodo intellectus, hec autem ut voluntas sit universum". Cfr. CR, p. 1 55 : "[ . . . ] nam cum animus, ut Platoni nostro placet, duabus tantum alis, id est intellectu et voluntate, possit ad celestem patrem et patriam revolare, ac philosophus intellectu maxime, sacerdos voluntate nitatur et intellectus voluntatem illuminet, voluntas intellectum accendat, consentaneum est, qui primi divina per intelligentiam vel ex se invenerunt vel divinitus attigerunt, primos divina per voluntatem rectissime coluisse rectumque eorum cultum rationemque colendi ad ceteros propagasse".
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ne dell' uomo : il desiderio dell'anima, come egli ripeterà instancabilmente nella Theologia Platonica, non può essere vano e, dal momento che non si realizza in questa vita, dovrà pertanto compiersi nell ' altra33• L'uomo, infatti, data la sua condizione, è come Prometeo: a causa della costante ricerca dell' intelletto, è tormentato dallo stimulum inquisitionis34• Anzi, l ' infelicità della ragione diventa l ' infelicità dell'anima intera che, nel tentativo di conoscere le forme incorporee, deve necessariamente separarsi dalla materia rinunciando quindi ai piaceri sensibili35• Soltanto per mezzo della /ex Mosayca, dunque, l 'essere umano può re cuperare la sua condizione primigenia, poiché egli anche in seguito allo smarrimento determinato dalla "caduta" non ha perduto la capacità di ri trovare la sua strada, come confermano le teorie dei Magi, seguaci di Zo roastro, e a proposito delle quali concordano sia i pitagorici che i platonici (tutti appartenenti alla catena aurea dei prisci theologi)36• L'anima dell' uomo, la quale tramite l'ardore della volontà e la luce dell' intelletto mostra di essere simile agli enti celesti, aspira al loro stesso 33
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Cfr. EL Il, p. 1 3 : "Vocari autem id ipsum proprie dehet ipsa infinitas et eternitas potius quam vel eternum quiddam vel infinitum. Quoniam vero effectus cause proximus evadit cause ipsi simillimus, consequens est ut anima infinita quodammodo virtus sit et eterna, alioquin ad finem nunquam proprie vergeret infinitum. Hinc nimirum efficitur ut nulli sint inter homines qui contenti suh celo vivant opihusque temporalihus impleantur". Sul principio di affinità, usato spesso dal Ficino, cfr. Kristeller ( 1 940), pp. 304 sgg. Cfr. EL Il, p. 1 9 : "Hic esse videtur infelicissimus ille Prometheus, qui divina sapienta Palladis instructus ignemque celestem, id est rationem, adeptus, oh hoc ipsum in summo vertice montis, hoc est in ipsa contemplationis arce, oh continuum avis rapacissime morsum, id est inquisitionis stimulum, miserimus omnium merito iudicatur, donec transferatur eodem, unde olim acceperat ignem, ut quemadmodum uno ilio luminis superni radiolo nunc assidue stimulatur ad totum, sic toto deinde lumine penitus impleatur". Cfr. ivi, p . 20: "Sic igitur, heu, miseris, sic extra suhlimem patriam religatis in infimo nihil usquam ohicitur non valde difficile, nihil occurrit non undique miserum". A proposito dell 'infelicità umana, si veda anche TP, l, l , l, p. 1 4 : "Cum genus humanum propter inquietudinem animi imbecillitatemque corporis et rerum omnium indigentiam duriorem quam hestiae vitam agat in terris, si terminum vivendi natura illi eundem penitus atque ceteris animantibus trihuisset, nullum animai esset infelicius homine". Cfr. EL Il, p. 2 1 : "Error autem ille noster atque prevaricatio, cum non a nature defectu proveniat, sed varietate rationis et ohliquitate consilii, nequaquam disperdit potentiam naturalem, sed turhat potius voluntatem; atque sicut in elemento etiam extra locum proprium posito una cum natura servatur vis atque inclinatio ad terminum proprium naturalis, qua potest aliquando suam repetere regionem, si c in homine, etiam postquam a recto tramite aberravit, restare putant naturalem tum tramitis tum termini repetendi potentiam".
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grado di felicità che potrà raggiungere separandosi dal corpo terreno; anzi, otterrà la perfezione vivendo una vita senza fine in un corpo incorruttibile. Ficino, pertanto, conclude il suo opuscolo sulla mens con una giustificazio ne filosofica della necessità della resurrezione della carne37•
3 . Super sensum est intellectus
L' immagine della ricerca del vero e del meglio condotta quotidie, posta in apertura di quella che secondo una certa tradizione manoscritta era la tertia P/atonicae sapientiae e/avis, offre molto probabilmente la più sin cera testimonianza dell' attività che accomunava gli amici del Ficino. Essa consisteva nella ricerca della fonna comune incorporea alla quale ricon durre gli oggetti sensibili attraverso l 'uso di regole comuni fomite dalla ra tio38. Quest'ultima, infatti, presente esclusivamente nell' uomo, è la facoltà deputata ali ' attribuzione delle rerum rationes39; tuttavia, come precisa il filosofo, dal momento che trova il suo fine nella somma verità e bontà, necessita parimenti del discursus quanto dell' affectus. Evidentemente ci troviamo dinanzi ad un uso poco rigoroso della tenninologia, messo in luce già dal Kristeller, che consente al Ficino di considerare dapprima la facoltà in senso ristretto per poi attribuirle, successivamente, operazioni notoria mente presenti nell' intera anima40• Nel corso dell' opuscolo, infatti, l ' attenzione del Ficino si sposta sulla realtà degli intelligibili e, come nel trattato precedente, sulla natura del la mens. In una bella pagina, essa appare gravida dei semi delle sostanze superiori, dalle quali è attratta, poiché altrimenti non partorirebbe nient'al37 38
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Cfr. ivi, p. 22: "Quapropter quam difficile felicitatem suam in corpore terreno, intemperato, caduco animus celestis et immortalis continue sequitur, tam facile hanc ve! a corpore liber ve! in corpore temperato, immortali, celesti consequitur". Cfr. ivi, p. 24: "Quid in rebus tam naturalibus quam humanis verius meliusve sit quotidie ratiocinando et consultando querimus atque invenimus. In quo quidem discursu communibus incorporeisque quibusdam veritatis bonitatisve regulis utimur, atque ea de quibus agitur ad incorpoream communemque et summam veritatis bonitatisve formam comparando referimus, ut quod ad ipsius gradum inter alia propius videtur accedere, id esse ceteris verius ac melius iudicetur. Hoc autem totum non sensu facimus sed ratione". Cfr. ibidem : " [ . . ] sola enim in hominibus ratio est, que rerum rationes assignat atque ratiocinando communibus regulis ad communem formam singula comparat" . Sul complesso significato della ratio nelle opere ficiniane, si veda Vasoli ( 1 994). Questo problema costituisce uno degli aspetti più complicati della teoria della conoscenza ficiniana, su cui si veda Kristeller ( 1 988), pp. 407 sgg. .
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tro che oggetti a sé inferiori o uguali; gli oggetti della mente sono invece quelle species sive rationes incorporeae et aeternae attraverso cui essa si innalza sopra se stessa41 • Tale "esercizio" della mens umana è dovuto al suo particolare stato di imperfezione all ' interno della gerarchia delle menti, a causa dell ' errore derivante dalla commistione con il corpo, che la ren de cangiante come la Luna42• Fonte del raggio luminoso è, invece, Dio in quanto prima mens da cui emana il lumen che illustra le altre menti create; tra queste, tuttavia, quella più lontana dalla causa prima non è capace di risplendere interamente a causa della densità di alcune sue parti. È, dunque, a causa di una carenza intrinseca all' anima umana, la quale seppur desi derosa di eternità non può tuttavia conoscere perfettamente, che il raggio divino non illumina totalmente l' ultima mente43• Il riferimento alla teoria appena esposta diventa l ' occasione per una densa tematizzazione d eli ' analogia solare, così frequentemente utiliz zata dal filosofo44• La tesi che troveremo nel Li ber de sole ( 1 492) secon do cui "per Solem vero sempiterna quoque Dei virtus atque divinitas"45 è già argomentata in maniera matura nello sviluppo del trattato che 41
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Cfr. EL Il, cit., p . 25: " S i non possumus que infra nos sunt percipere, nisi ab illis per species quasdam quodammodo moveamur, multo minus possumus quicquam super nos concipere, nisi ita moveamur ab ipso, ut mens eius semine pregnans prolem inde parturiat prestantioris substantie similem. Mens enim virtute omnino propria nihil ederet unquam nisi vel inferius vel aequale. Ergo quando mens ad ipsum intelligibile surgit, tam sensibili verius quam sepe ipsa mente prestantius, necesse est eam ad ipsum supra se ipsam illius virtute penitus elevari". Cfr. iv i, p. 26: "Veriores autem mentes veriores quoque rerum possident rationes, verissima vero verissimas. Unde concluditur rationes rerum incorporales, que ab humana ratione pro arbitrio cogitantur, non esse figmenta quedam - sicut illis, qui sensibus potius quam ratione vivunt atque res iudicant, forsitan videretur -, immo vero super nos in divina quadam mente tanquam supercelesti Sole verissima rationum omnium lumina clarissime perlucere, unde in mentes alias, que inter illam et nostram quasi medie esse videntur, ceu in stellas superiores et quodammodo immutabiles, atque etiam in nostram, ceu in Lunam iam quasi mutabilem, veri rationum radii demittantur". Cfr. ivi, p. 27: "Luna hec nostra, id est mens, prout in Solem suum magis minusve, aliter atque aliter convertitur vel avertitur, luminis et umbrarum quarumdam diversitate et vicissitudine variatur. Nunquam tota luminis recipiendi facultate privatur, nunquam tamen tota undique fulget: pars enim ratione carens, utpote que sit quodammodo densior, id est ineptior, non refulget". Sul tema del Sole e della luce in Ficino, cfr. almeno Garin (1 976), pp. 276-277; Garin ( 1 958), pp. 1 90-2 1 5; Chastel (200 1 ), pp. 1 6 1 - 1 68; Rabassini (2006); Allen (20 1 7). OM, p. 966. Molti nuclei tematici del Liber de sole sono una rielaborazione dell'epistola Orphica comparatio Solis ad Deum, atque declaratio idearum contenuta nel VI libro della silloge, cfr. ivi, pp. 825-826; cfr. Rabassini ( 1 997).
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ricordiamo - risale all ' autunno del 1476. F icino, infatti, dopo aver di chiarato di aver già fruito della platonica similitudo de Sole nei suoi lavori precedenti (Commentarium in Convivium Platonis de amore e Theologia Platonica), scrive : Tra tutti gli strumenti dei sensi l'occhio è il più puro, tra tutte le potenze dell'a nima l 'intelletto è il più puro; nel mondo visibile il Sole è il visibile sommo, nel mondo intelligibile Dio è l ' intelligibile sommo. Dunque, nella maniera in cui lo sguardo si volge agli enti visibili, quasi allo stesso modo l 'intelletto [si rivolge] all'intelligibile. La vista discerne tutte le cose visibili, cioè i colori, nello splen dore del sommo visibile, cioè del Sole. L'intelletto contempla tutte le cose intel ligibili e vere alla luce del sommo intelligibile e della stessa v.erità. E qualsiasi intelletto ha tanto più bisogno della siffatta luce che la vista di quello [splendore], quanto più ogni intelletto e qualunque realtà intelligibile dipende dal supremo ed infinito intelligibile rispetto alla vista e a qualunque realtà visibile dallo stesso Sole, il quale è finito ed è generato e preservato dalle cause superiori.46
Allo stesso modo in cui l' occhio discerne tutti i colori nella luce, cosi l ' intelletto conosce ogni cosa nella luce degli intelligibili concessa da Dio. Tuttavia, quest'ultima può essere ricevuta soltanto dopo che l ' anima si sia resa disponibile ad accoglierla ed abbia rivolto il suo sguardo verso di essa47• Nei passi seguenti, quell' oscillazione del Ficino per il Sole o per la luce nella descrizione dell"'analogia solare", che Andrea Rabassini rinveniva in diverse opere ficiniane48, acquisisce un peculiare valore gno seologico. Percorrendo a ritroso la discesa del lumen attraverso le gerarchie angeliche, la mente umana accede alla contemplazione dell'abisso di Dio (divinae puritatis et infinitatis abysswn)49 affinché rinvenga negli enti finiti 46
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Cfr. EL II, p. 28: "Inter omnia sensuum instrumenta purissimum oculus est, inter omnes anime vires purissimum intellectus; in mundo visibili summum visibile Sol, in mundo intelligibili summum intelligibile Deus. Igitur quemadmodum se ad visibile visus habet, sic pene ad intelligibile intellectus. Visus visibilia omnia, id est colores, in summi visibilis, id est Solis fulgore discernit. Intellectus intelligibilia omnia veraque cuncta in summi intelligibilis veritatisque ipsius lumine conspicit. Ac tanto magis intellectus quilibet eiusmodi indiget lumine quam visus ilio, quanto magis omnis intellectus et quodvis intelligibile a supremo et infinito intelligibili dependet quam visus et visibile quodlibet ab ipso Sole, qui finitus est et a causis superioribus producitur et servatur". Cfr. ivi, p. 29: "Sic radius, qui ex Deo emanans rebus creatis infunditur, creata solum proprie nobis ostendit; Deum vero nobis ipsum ostendit magis qui in mentem ipsarn di rigitur, in Deum vere directam". Cfr. Rabassini (2005), p. 6 1 2. Cfr. EL II, p. 30: "Qui certe nihil aliud intelligimus preter intelligibilis summi lumen, intelligibilis cuiuslibet rationibus undique plenum, sicut neque videmus
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la stessa luce infinita. Esclusivamente in essa, infatti, la mente conosce gli intelligibili : se l ' occhio divino - scrive il filosofo - non ci osservasse, l' o culus mentis sarebbe cieco per le verità sciolte dalla materia50• Anzi, tutto ciò che conosciamo non è altro che il lumen del sommo intelligibile, alla stessa maniera in cui nelle cose non vediamo altro che il lume del Sole:
Pertanto, certamente intendiamo nient'altro se non il lume del sommo intel ligibile, ripieno in ogni parte delle ragioni intelligibili di qualsiasi cosa, come non vediamo nulla se non il lume del Sole dipinto di colori e di immagini. 5 1
Pertanto, coloro i quali credono di poter conoscere per mezzo di una corporea scintilla non soltanto cadono in errore ma, a causa della loro su perbia, sono costretti a vagare nelle tenebre. La citazione paolina tratta dall'Epistola ai Romani52 consente a Ficino di spiegare efficacemente la situazione dei filosofi "empi", attingendo ancora una volta all 'analogia che, come abbiamo visto, regge tutto il suo discorso: le menti di quelli che ri fiutano Dio subiscono una vera e propria eclissi poiché allontanandosi da Lui si distaccano da se stessi 53• La luce che rischiara le anime dei seguaci della pia philosophia, i quali con animo puro si dispongono ad accoglierla, diventa invece insopportabile per i superbi, a cui non resta altra possibilità che sottostare alle monstruosissimae opiniones dei sensi54• L' opuscolo si conclude, allora, con l ' esaltazione della vita beata di co loro i quali attendono alla filosofia coniugando la scienza alla pietas, il desiderio di verità all' amore per la medesima55•
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quicquam nisi Solis lumen, rerum omnium coloribus figurisque depictum". Cfr. ivi, p. 32: "Et dubitamus adhuc, utrum divinus ille oculus, quo etiam proxime et quero passim mentium nostrarum vident oculi, nostros ipse vicissim videat oculos? Nisi nos ipse videret, qui nos continue videndo nos semper illuminat atque illuminando vim nobis videndi actumque largitur, certe nusquam aliquid videremus". Ibidem: "Qui certe nihil aliud intelligimus preter intelligibilis summi lumen, intelligibilis cuiuslibet rationibus undique plenum, sicut neque videmus quicquam nisi Solis lumen, rerum omnium coloribus figurisque depictum". Cfr. Rom l , 2 1 . Cfr. EL Il, p. 33: "Horum mens passa videtur eclipsim, quando superbe nimium defecit a Deo, immo vero miserabiliter admodum a se ipsa". Cfr. ibidem. Cfr. ibidem: "Contra vero nullorum ve! sententie probabiliores ve! mores probatiores ve! vita beatior quam eorum qui legitime, id est pie, philosophantur, hoc est scientie veritatisque studium cum religiosa semper veraque pietate coniungunt".
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4. Elementa moventur mobiliter, celestes spere moventur stabiliter, anime stant mobiliter, angeli stant stabiliter, Deus est ipse status Il breve trattatello in forma epistolare inviato a Giovan Francesco lp polito conte di Gazoldo, che inaugurava le quinque Platonicae sapientiae claves, tratta, come si desume dal titolo, della natura del moto e della quiete. In un cosmo gerarchicamente ordinato, il movimento deve pre supporre la stasi e non viceversa: tutto ciò che si muove, infatti, tende ad altro come suo fine mentre ciò che è fermo è perfetto in se stesso. In posizione intermedia tra gli elementi e le sfere celesti, da una parte, e gli angeli e Dio, dall' altra, vi sono - scrive Ficino - le ani�e razionali che "stanno mobilmente": Qui, dunque, ci sarà qualcosa che sempre rimarrà, sebbene in movimento. Queste, in verità, sono anime razionali, la cui sostanza è sempre la stessa, né patisce alcun movimento, ma varia solo la condizione e l'azione.56
Le anime razionali, dunque, mutano soltanto il loro a.ffectus (con cui si intende l'appetitus naturalis51) e l'actio nel permanere della loro sostan za Gli spiriti dotati di ragione, infatti, effettuano una duplice operazione: la prima, rivolta verso l ' interno, è un'autoriftessione, laddove la seconda, orientata all'esterno, è l' esercizio dialettico dagli effetti alle cause, dal par ticolare all' universale e viceversa58• Il procedimento discorsivo della ratio, tuttavia, come ammonisce il filosofo, non sarebbe possibile se l' anima non disponesse dei principia innata: Bisogna ricordarsi che non appena si realizza il discorso della ragione, vi sono certi innati principi stabili del ragionare, vale a dire certe comuni e mani-
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Cfr. ivi, p. 34: "IIlic igitur erìt aliquid quod stet quidem semper, Iicet mobiliter. He vero rationales anime sunt, quarum substantia semper est eadem neque motum patitur ullum, sed affectus et actio variatur". Cfr. Kristeller ( 1 988), pp. 1 80-2 1 2. Cfr. EL II, p. 35: "[ . . ] multo magis multi sunt spiritus, etsi quadam dispositione mutabiles, substantia tamen penitus immutabile&. Tales vero sunt qui prediti ratione circuitum quendam rationalem a se ipsis in se ipsos intrinsecus agunt, quando se ipsos animadvertunt et colunt. Agunt rursus extrinsecus tum consultando a fine rerum agendarum ad principia atque converso, tum disserendo a propositionibus quibusdam ad conclusiones atque contra, tum speculando ab effectu ad causam rursusque a causis ad effectum; rursus quando particularia in universalia ipsa resolvunt ac vicissim universalia in particularia dividunt componendo". Sull' autoriflessione del pensiero, si vedano Beierwaltes (2000); Lotti (2007). .
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feste nozioni, iniziando dalle quali, come se fossero raggi, cerchiamo le cose che ignoriamo e paragonando le a queste giudichiamo. s9
L'uomo condivide con l ' angelo il possesso dei "principi eterni" delle cose; per tale ragione, l ' anima che li contiene deve essere anch' essa sempiterna60 . Anzi, per meglio dire, dal momento che con la facoltà del discursus (che ci appartiene in maniera e � clusiva) possiamo essere definiti "celesti", considerando i principia innata s iamo invece superl coelestes6 1 . Il tempo e il moto, l' eternità e la quiete formano una mirabile armonia poiché quelle cose che "in inferiora disiuncta videntur, in superioribus mi rifice coniunguntur"62• Dio, somma unità e semplicità, è, infine, l'unico e solo garante dell' ordine dell' universo.
5. Forma corporea dividitur et movetur ab alio
Anche la secunda e/avis Platonicae sapientiae si presenta come un pic colo opuscolo inviato contemporaneamente a Mik16s Bathory vescovo di Vac e a Francesco Bandini, entrambi corrispondenti del Ficino alla corte di re Mattia d' Ungheria. Esso è composto da alcuni brevi paragrafi dedicati rispettivamente alla forma corporea, all' anima, all ' angelo e a Dio (l'ultimo è accompagnato da altri quattro brani esplicativi). Il filosofo ripercorre gradatim l' opera della creazione divina, dalla for ma infima alla prima causa, inversamente alla maniera in cui è scaturita dalla voluntas Dei. Le forme corporee, divisibili, mosse da altro e, per tanto imperfette, vengono separate da quelle incorporee (indivisibili) da parte dell' anima razionale. Questa, inoltre, è completamente autonoma nel compiere tale operazione come dimostra sia il fatto che la mente conosca persino gli enti materiali attraverso le forme intelligibili sia la sua frequen-
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EL Il, p. 36: "Meminisse vero oportet, ubi discursio rationis efficitur, innata esse principia quedam stabilia discurrendi, id est communes quasdam manifestasque notiones, a quibus incipientes quasi radiis queramus ignotiora atque ad easdem comparando diiudicemus". Sulla problematica questione della natura degli angeli e del loro ruolo nel "cosmo ficiniano" in relazione all'anima, cfr. Allen ( 1 975), pp. 232 sgg. Cfr. EL Il, pp. 35-36: "Discursionem quidem illam tanquam nature nostre propriam possidemus, fundamenta vero discursionis nobis cum angelis sunt communia: illa quidem parte celestes sumus, ex ista supercelestes". lvi, p. 38.
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te azione contro l ' istinto dei sensi63• Tuttavia, per Ficino, il movimento dell'anima è qui segno di mancanza, la quale viene colmata dall' immobili tà dell' angelo; quest' ultimo, traboccante della grazia divina, rimanda a sua volta alla perfezione in sé che è Dio. Decisamente meno originale rispetto agli altri opuscula theologica, il trattate Ilo presenta, tuttavia, un brano interessante nel quale Ficino sostiene che le menti ratiocinando scorgono l ' ordine naturale e divino della realtà: Naturalmente, [procedendo] da tale ordine di Dio sia le cause naturali con servano una simile norma nel produrre i loro effetti, sia le menti, riflettendo, tengono allo stesso modo l ' ordine artificiale e naturale e ritrovano il divino.64
6. Compendium Platonice theologie
I problemi che il trattato precedente lasciava insoluti vengono affrontati in maniera approfondita in questa operetta di più ampio respiro dedicata, come le Quaestiones quinque de mente, a tutti i conphilosophi. Ficino de linea le tappe di un' ascesa dal sensibile al sovrasensibile che si configura come un progressivo abbandono del molteplice in vista del raggiungimen to dell' unità somma. In seguito alla considerazione della possibilità del la sostanza corporea di permanere senza gli accidenti, il filosofo afferma quanto sia più nobile la vita delle sostanze incorporee le quali permangono nel loro essere separate dalla materia. Il ragionamento ficiniano è alquanto semplice: come esistono in natura dei corpi senza vita (sassi, metalli, ecc.) tanto più deve esistere una vita senza corpo "ne vana si t semper in universo potentia illa tam rationabilis tamque bona'065• Ficino trova questa vita in nanzitutto nell' intelletto, del quale presenta anche l ' attività: 63
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Cfr. i vi, p. 4 1 : "[ . . . ] tum qui a individuas formas a dividuis ipsa perspicue dividit secumque coniungit, tum quia convertitur in se ipsam, quod forma divisibilis facere nequit. Ubi enim pars altera distat ab altera, nondum totius in se ipsum est facta conversio. Quod vero anima rationalis ex se ipsa libere moveatur, tunc apparet potissimum, quando et res corporeas modo potius suo quam rerum intelligit et contra earum impetum quod ipsa prestare censuerit pro arbitrio eligit sepenumero, motusque suos in plurimas oppositasque partes edit assidue, utpote que non determinata vel nature vel obiecti qualitate trahatur, sed consilii sui potius varietate ducatur". Questo argomento, com'è noto, è proposto frequentemente dal Ficino per dimostrare l'immortalità dell'anima nella Theologia Platonica. Cfr. ivi, p. 42: "Nempe a tali quodam ordine Dei et naturales cause eiusmodi servant ordinem in effectibus producendis et mentes ratiocinando similiter ordinem et artificiosum tenent et naturalem divinumque inveniunt". Cfr. ivi, p. 44.
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Effettivamente, la natura dello stesso intelletto, in quanto intelletto, sembra essere questa: che viva molto più fuori dal corpo che nel corpo. Esso, infatti, conosce per una certa astrazione delle forme dalle singole passioni dei corpi e quanto più si allontana da loro, tanto più chiaramente ed efficacemente discer ne, agisce e vive beato, come se quella fosse la condizione più naturale pos sibile della mente e che, forse, congiungere la mente al corpo fosse, in verità, nient'altro che separarla eccessivamente dalla sua stessa origine.66
Laddove l' intelletto sciolto dai legami corporei (intellectus purus) è del tutto veritiero, quello che alberga nelle anime razionali, nonostante abbia la facoltà di vivere sia nel corpo che fuori di esso, è "ambiguus et quodam spiri tali motu ab ali o in aliud intelligendo discurrit"67• A causa della natura composita dell' anima umana, l ' intelletto non può prescin dere da un' operazione evidentemente discorsiva, tradizionalmente attri buita alla ratio. Dunque, come emerge dai passi citati, le considerazioni metafisiche del Ficino provocano spesso delle significative oscillazioni in campo gnoseologico. È determinante, allora, nel solco del discorso che stiamo delineando, la seguente presentazione della "gerarchia ascendente degli intellet ti": l) mens secundum participationem; 2) mens secundum formam ; 3 ) mens secundum causam. Poiché l ' anima umana possiede l ' intellectus partecipando per mezzo di esso alla natura angelica, di conseguenza ne gli angeli esso sarà presente secondo la forma mentre, infine, in Dio non potrà che mostrarsi secundum causam68• Ficino spiega la partecipazio ne dell 'uomo alla natura intellettuale con un argomento che svilupperà poi nel contesto della confutazione della teoria averroistica del l ' unità 66
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Cfr. ivi, p. 45: "Sane intellectus ipsius, in quantum est intellectus, natura hec esse videtur, ut potius seorsum a corpore quam ut in corpore vivat. Intelligit enim abstractione quadam forrnarum a singulis corporum passionibus et quanto ab eisdem ipse magis abstrahitur, tanto discernit clarius et efficacius, agit vivitque beatius, quasi ille sit mentis habitus potissimum naturalis, coniungere vero corpori mentem forte nihil aliud sit quam eam ab ipsius origine longe seiungere". Cfr. ivi, p. 46: "Se dubi intellectus sensusque coniungitur, quod homini convenit, eiusmodi spiritus ea preditus est natura, ut et in corpore vivere possit et extra. At quoniam intellectus in hoc est pars quedam in anima partes insuper alias continente, est ambiguus et quodam spiritali motu ad alio in aliud intelligendo discurrit". Cfr. ibidem: "Cum vero se res aliter habeat, perspicuum est animam non secundum forrnam proprie principalem, sed secundum participationem quandam intelligentiam possidere. Quemadmodum vero super animarum mentes, que participatione tales esse dicuntur, sunt mentes multe secundum forrnam, id est angeli, ita super mentes secundum formam est mens una secundum causam efficacemque virtutem, id est Deus".
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dell' intelletto, vale a dire la compresenza di opiniones, affectus e habi tus contrari nelle anime degli uomini69• Pertanto, a differenza dell ' im perfetta facoltà intellettiva umana, l ' intuizione delle menti angeliche consente la necessaria comunicazione della luce divina tra i diversi pia ni dell 'essere . Il filosofo presenta, a questo punto, un ' articolata teoria della "visione" della mente, strettamente correl ata alla dottrina della luce che, sebbene già richiamata in precedenza, troverà più ampia trat tazione nell ' epistola Quid si t lume n. Ficino propone un' interessante "analogia della visione" parallela, in un certo senso, all"'analogia solare" di cui si è parlato. Egli, infatti, scrive: . Ciò che è l ' occhio nel corpo e la visione nell'occhio, è quasi l ' intelletto nell'anima. E, ancora, quello che è la luce del Sole per la vista, è la luce della verità per la mente. 70
La mente è, di conseguenza, un oculus spiritalis rivolto al lumen verita tis; tuttavia, dal momento che essa è soltanto una parte dell' anima, non può intuire la verità. Il filosofo ribadisce ancora una volta che soltanto l'angelo, in quanto è interamente intelletto, conosce al di sopra del procedimento di scorsivo-dianoetico71 . Inoltre, poiché il raggio presente nella mens dell 'uo mo è stato donato dalla prima causa, l ' anima umana soltanto nell' incontro con la luce di Dio può conoscere perfettamente, ripetendo così su un altro piano quanto fa l' occhio corporale con il lumen Solis : si spiega, in tale maniera, come per il filosofo la mente possa definirsi "specchio di Dio"72• La fruizione della somma verità, che è essenzialmente anche il sommo bene, in quanto infinitamente superiore alle facoltà più nobili dell'uomo (intelletto e volontà), detennina un rovesciamento dell' attività conoscitiva. Per Ficino la conoscenza di Dio si trasfonna in una conoscenza dell'anima da parte di Dio, il comprehendere diventa un comprehendi: D'altra parte, per quanto sembri un'estrema follia voler comprendere con la mente ciò che eccede in modo insuperabile la mente e lo stimolo della mente, 69 70 71
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Cfr. TP, XV, 1 9, V, pp. 221 -236. Cfr. EL Il, p. 49: "Quod est in corpore oculus et in oculo visus, id ferme est intellectus in anima. Quod rursus Solis lumen ad visum, hoc lumen veritatis ad mentem". Cfr. ivi, p . 50: "Similiter mens tua, quoniam pars est anime, ideo neque clare neque momento eodem intelligit omnia. Si totus animus tuus intellectus unus evadat, iam ex animo fiet angelus, clare cuncta perspiciet neque temporali discursu amplius tum hoc tum illud aucupabitur, sed cuncta simul perspicue contuebitur". Cfr. ivi, p. 52: "Summa igitur in universo post summum universi principium sunt mentes tanquam specula summi".
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vale a dire la volontà, tuttavia, non è in alcun modo da sciocchi voler essere almeno compresi pienamente da quello stesso. 73
Il raggio di Dio, peraltro, agisce sulla mente anche nell ' ambito della conoscenza "ordinaria", quella che attraverso il riconoscimento del!' or do naturale delle cose giunge all ' esaltazione del supremo fattore del l ' u niverso74. L' uomo, infatti, conosce veramente soltanto quando riesce ad intendere la realtà come la intende Dio, anzi come Egli ha voluto che fosse7s. Ficino, seppur insista sulla metafora solare (Sol Dei similitudo, Deus Solis exemplar), afferma senza esitazione che Dio opera con li bera volontà, in quanto questa è superiore alla necessità della natura76, e ama tutte le menti create le quali sono separabili (umane) o separate dalla materia (angeliche)77• L' eternità - continua il filosofo - si mostra alla mens ogni qualvolta essa comprende: la ragione, dono di Dio, attinge infatti le rationes aeternae delle cose, indivisibili e separate, nella luce divina. La facoltà conoscitiva che definisce più di ogni altra l 'essere umano, la ratio, pertanto "traduce", poi, in una definizione finita la "ragione dell' etemità"78• Si può affermare, 73
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Cfr. ivi, p. 5 1 : "Quamvis autem extreme dementie videatur mente comprehendere velle quod mentem insuperabiliter mentisque stimulum, id est voluntatem, exsuperat, non tamen dementis est ullo pacto ab ipso saltem velle pienissime comprehendi". Cfr. i vi, p. 58: "Siquis vero negetmundum tum artificiosissima rationetum voluntate benignissima gubernari, hic mihi videtur neque rationabilem pulcherimumque rerum ordinem in se ipsis et invicem et ad totum, neque mirabilem singulorum commoditatem ubique singulis aptissime servientem mutuumque rerum usum consideravisse". Cfr. ivi, pp. 57-58: "Homo tunc vere ipsas rerum rationes intelligit, quando ita precipue ut sunt intelligit. He autem iccirco sunt vere, quoniam ita sunt ut Deus intelligit, qui ipsa veritas est, qua et vera sunt omnia et vere passim intelliguntur". Cfr. ivi, pp. 56-57 : " [ . . . ] sic Deus ipse, Solis exemplar, eadem claritate et claret ipse sibi suo modo intelligendo et gaudet ipse secum suo modo volendo; eiusdem preterea claritatis radiis, ut vocabulis aliquando loquamur humanis, intelligit atque vult omnia. Verum non tam intelligendo procreat quam volendo [ . . . ]. Quod enim voluntate agit libera, prestantius agit quam quod impulsu nature necessario impellitur ad agendum". Cfr. i vi, p. 59: "Maxime vero omnium mentes, non solum angelicas, verum etiam humanas, Deus curat et diligit tanquam filias ex eo proxime procreatas. Cum enim individue et separabiles a materia separateve sint, non possunt ex precedente vel parte vel materia confici". Cfr. ivi, p. 60: "Summa igitur ratio est eterna sive potius est eternitas. Hec mentibus omnibus passim sese insinuat, qua ubicunque placuerit pro arbitrio possint ratiocinari. Atque eousque quandam etemitatis sue largitur proprietatem,
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infine, che proprio ratiocinando si manifesta la vicinanza a Dio: le menti di coloro i quali si rivolgono alle realtà celesti diventano luminose come le stelle del firmamento, mosse da una inestinguibile sete verso il loro Sole79•
7. De raptu Pauli
In una lettera inviata al Magnifico il 1 4 aprile 1 477, Ficino informava il suo interlocutore di aver composto due opuscoli intitolati De raptu ad tertium coelum Pauli e De celesti et supercoelesti lumine, rispettivamen te per Giovanni Cavalcanti e Febo Capella, il primo giorno di novembre dell'anno precedente80• Il primo, traendo ispirazione dall' episodio dell'e stasi di Paolo narrato nella Seconda Lettera ai Corinzi81 , delinea un artico lato percorso di ascesa al divino oppure, secondo Cesare Vasoli, le tappe di una "compiuta ' deificatio' "82• In esso ritroviamo tematiche apparse negli scritti precedenti ma inserite in un contesto inedito che risente, da un lato, della "filosofia dell ' amore" elaborata nel commento al Simposio platonico e, dall' altro, della "teologia paolina" sulla quale il Canonico fiorentino sa rebbe più volte tomato83• Il filosofo mette in scena un dialogo, forma letteraria prediletta anche in altre epistole84, tra lui e il Santo, all ' interno del quale il "ratto" di Paolo al
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quousque sub rationis ipsius munere, hoc est ratiocinatione, eterne rerum rationes, in quantum eterne sunt, capiuntur: ac rationis eternitas ratioque eternitatis sua quadam defìnitione comprehenditur". Cfr. i vi, pp. 60-6 1 : "Lux illa supercelestis per omnes mentes supercelestia cogitantes, quasi stellas, pro natura cuiusque late diffunditur; eatenus vero suam illam inextinguibilem servat proprietatem, quatenus per eam quod extingui non potest ab eo quod extingui potest quadam rationis luce discernitur". Cfr. OM, p. 755 (Pura neque impure quaeras, neque postquam inveneris, impuris communia facias): "Cum Novembris superioris Calendis epistolam alteram De raptu ad tertium coelum Pauli ad Iohannem Cavalcantem, alteram De coelesti et supercoelesti lumine ad Phoebum Capellam composuissem, mox in eum oculorum morbum infeliciter incidi quem imaginum nomine physici nuncupant proximamque asserunt portendere caecitatem" [il corsivo è mio]. La medesima datazione è confermata nella dedica del volgarizzamento del breve trattato a Bernardo Del Nero: "Composi nella celebrità di Tutti e sancti una epistola latina di questo mysterio dello eletto di Dio al nostro eletto Giovanni Cavalchanti, spirito singulare", cfr. Gentile (20 1 0), p. LXV. Cfr. II Cor 1 2, 2-4. Sulla tradizione esegetica medievale del passo in questione, cfr. Németh (20 1 3). Si veda anche Faes de Mottoni (2005). Cfr. Vaso li ( 1 999), p. 244. Cfr. Catà (2008). Cfr. Reynaud-Galland (2009).
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terzo cielo diventa l'occasione per trattare dei diversi gradi della salita a Dio. Attingendo ad un vasto repertorio di simbologia e numerologia misti ca medievale, Ficino descrive sette vie per attraversare il "triplice cielo". Dopo aver richiamato le metafore della Luna e dello specchio8', utili a sottolineare come il privilegio paolino sia stato possibile esclusivamente per opera della grazia divina che ha attirato a sé l'Apostolo (analogamente al profeta Elia), Ficino tratta dell' acquisto delle virtù preparatorie a quello che solo impropriamente può definirsi ascensus. Dio infatti - scrive il filo sofo - si offre alle menti di coloro che lo cercano con fede, speranza e ca rità86, le tre virtù teologali che diventano il "carro di fuoco" su cui l'anima viaggia per ottenere le restanti virtutes necessarie. In un brano che risente fortemente dell' influsso del Commento al Sogno di Scipione di Macrobio87, viene presentata la neoplatonica tripartizione tra virtutes civiles, virtutes purgatoriae e virtutes animi purgati che conducono alla "somma idea della virtù"88• Successivamente viene proposta una "salita" attraverso le sfere plane tarie fino all 'ottava sfera, che si conclude con la contemplazione del cielo empireo illuminato dal lumen vitale di Dio. Ma è il terzo gradino a presen-
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Cfr. EL II, p. 63 : "Quemadmodum Luna non refulget in Solem, nisi a Sole prius accensa, sic ipsum non amas amorem, nisi amore ipso te amante atque afficiente fueris inflammatus. Hunc rursus non invocas, instar echo, nisi prius te vocantem; non apprehendis eum, sicuti neque locum, nisi comprehendentem: finita quidem ut plurimum capere potes, etiam si ab illis non capiaris, infinitum vero capere nihil aliud est quam capi. Et quemadmodum imago in speculo non respicit vultum, nisi ipsam vultus aspiciat, immo etiam, quando hec vultum videtur aspicere, nihil hoc aliud est quam aspici hanc a vultu". Cfr. ivi, pp. 64-65 : "Hic ego, o Anima nimium vagabunda, hic solum pretiosissima Dei penetralia penetravi, que, nisi a patre familias aperiantur, non videntur. Non autem panditur domus omnipotentis Olympi, nisi mentibus hoc ipsum fide querentibus, spe petentibus, charitate pulsantibus". Cfr. Macrobio (2007), l, 8, 5, p. 308: "Quattuor sunt, inquit [Plotinus], quaternarum genera virtutum. Ex his primae politicae vocantur, secundae purgatoriae, tertiae animi iam purgati, quartae exemplares". Cfr. Mariani Zini (201 4), p. 44. Cfr. EL Il, p. 65 : "Primo quidem horum trium meritis tria quoque virtutum tibi genera divinitus donabuntur - civiles virtutes et purgatorie animique purgati -, que quidem faciant ut nescias utrum in corpore sis an extra corpus; quibus fonnatus exemplares denique virtutes attinges, que nihil aliud sunt quam Deus". Si veda anche l'epistola De virtutibus civilibus purgatoriis, purgati animi exemp/aribus in EL l, p. 42. La medesima tripartizione ritorna, poi, nel contesto del .serrnone De /aboribus ac erumnis d. Pauli Apostoli, cfr. Conti (20 1 4a), pp. XCVI-CVII. Sulle Predicationes del Ficino, si vedano Vasoli (2003) e Edelheit (2008), in part. pp. 1 64- 1 65.
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tare alcuni spunti a dir poco interessanti. Vale la pena, dunque, riportare per intero il passo: In terzo luogo, attraverserai tutto il corpo del mondo come un unico cielo visibile agli occhi e ti dedicherai alla sua immagine dipinta nella fantasia come al secondo cielo. Quindi, lasciando tutto il corpo visibile e la sua immagine fantastica, ti dirigerai con intelligenza alla natura stessa, con la quale necessa riamente corrisponde, e alla ragione, dalla quale è definito; questo nella mente sopra al senso e alla fantasia sarà per te il terzo cielo. Qui subito risplende alla tua intelligenza la divina intelligenza. Che cos'altro è, infatti, la ragione dell'universo e delle sue parti se non quella eterna arte con la quale il suo archi tetto l 'ha disposto? Se, infatti, da qualsiasi oggetto corporeo sottrai la materia lasciando l 'ordine, quello che ci resta è la mente dell ' arteficè che è già chiara alla tua mente.89
Il ritorno al divino si articola, in questo caso, come un vero e proprio itinerario conoscitivo attraverso le varie facoltà della conoscenza, dalle più basse in quanto legate alla materia, fino al "terzo cielo" della mente in cui riluce l ' intelligenza divina. Si può affermare allora che, in questa sede, Fi cino offra una precisa divisione dei diversi agenti della conoscenza, evitan do quell' oscillazione terminologica che invece appare in altri luoghi della sua opera90• Il percorso di purificazione inaugurato dalle virtù si arricchi sce, ora, con le regole per una retta condotta della comprensione del finito e, nei limiti concessi ali' anima umana, dell' infinito. In un brano successi vo, infatti, il filosofo sostiene che nella conoscenza delle rationes aeter nae delle cose risiede la prova più cogente della partecipazione dell'uomo all ' infinito9 1 ; anzi, tale consapevolezza trasforma anche l' atteggiamento 89
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Cfr. EL Il, p. 66: "Tertio totum mundi corpus tanquam celum unum transibis oculis manifestum atque ad eius imaginem phantasia depictam tanquam secundum celum te conferes. Deinde et universum corpus visibile et imaginem corporis phantasticam dimittens, ad naturam ipsam, qua necessario constat, et rationem, qua definitur, intelligentia perges, quod tertium tibi erit in mente celum super sensum et phantasiam. Hic subito intelligentie tue intelligentia divina subrutilat. Quid enim aliud est ratio universi partiumque illius quam ars illa eterna qua eum suus disposuit architectus? Si enim a corporeo quodam artificio materiam relicto ordine subtrahas, quod reliquum est mens est artificis tue iam menti conspicua". Cfr. Garin ( 1 988), pp. 8-9: "Senonché in Ficino tutto resta ambiguo: non c'è parola il cui significato non oscilli di continuo [ . . . ]". Cfr. EL II, pp. 74-75 : "lnvenisti et hic tu modo immortalitatem tuam. Quo enim pacto potuisses a mundi formis mortales conditiones secernere et rationes inde immortales concipere, in eternam Dei vitam intelligentiamque huiusmodi rationes redigere ac tuum illum cogitatione quodammodo, ut ita dicam, efficere effectorem, nisi ipsa immortalis esses eterneque Dei vite et intelligentie capax?".
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nei confronti delle realtà visibili attraverso le quali, parafrasando il celebre dettato paolino, si intendono gli invisibilia Dei. Poiché la mente è specchio di Dio, infine, ritrovando il divino nelle cose, l'anima ritorna pienamente a se stessa, superando le opinioni dei sensi riguardo alla realtà corporea92• Torniamo, a questo punto, ai rimanenti gradi dell' ascesa. Il quarto pre vede una considerazione della progressiva perfezione degli spiriti al cui centro vi è l 'anima umana che, in quanto dotata di ragione, è sospesa tra gli animali irrazionali e l ' angelo definito ocu/us quidam lucidissimus93• Il quinto dunque presenta i nove cori angelici "quasi tres speras intelligibiles circa divinum centrum iugiter se volventes"9\ ma l ' esaltazione dell' amore ardente dei Serafini diventa occasione favorevole affinché Paolo confermi il privilegio della volontà sull' intelletto: Spesso, prima del rapimento, avevo pensato se il bene stesso sia ogget to della volontà piuttosto che dell ' intelletto, affinché l ' anima goda del bene stesso con il profumo della volontà più che con la chiarezza dell ' intelligenza. Qui subito preso da rapimento, ho riconosciuto che io pensavo cose vere, credendo che non la scienza dei Cherubini ma anzi la carità dei Serafini sia più vicina a Dio.95 92
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Cfr. i vi, p. 72 : "Hic dum in rebus tanquam divina Deum reperis, reperis et te ipsam, quippe si in corporibus invenis spiritum, in tenebris lucem, in malis bonum, in morte vitam, etemitatem in tempore, in rebus finitis infinitum, memento te esse spiritum incorporeum, lucidum natura bonumque, immortalem, eterne veritatis ac stabilitatis immensique boni capacem". Cfr. ivi, p. 67: "Quarto esto primum tibi celum spiritus omnis infra tuum; secundum tuus spiritus sit ob rationis munus, quo irrationalia iudicat quidem, sed ab eis non iudicatur, illis longe prestantior; tertium angelus, qui oculus quidam est lucidissimus, cui quidem nota momento stabili sunt que tu temporali quodam discursu aucuparis". Ibidem. ' lvi, p. 69: "Sepenumero cogitaveram ante raptum, si bonum ipsum est voluntatis potius quam intellectus obiectum, sequi ut animus voluntatis flagrantia ipso bono fruatur magis quam intelligentie claritate. Agnovi illìc statim raptus me vera cogitavisse, cum viderem non Cherubinorum scientiam, immo charitatem Seraphinorum Deo esse quam proximam". Ficino dedica un intero paragrafo ( Voluntas Deo fruitur magis quam intellectus) a questo tema: "Ecce video, ubi quodammodo deficit intellectus, sufficere voluntatem. Penetrat, ecce, charitas, quo non potest omnino scientia penetrare. Infinitatem quidem prospicis, quamvìs non clarissime; hanc ardentissime amas, hac gaudes vehentissime. Vides tu quidem quantum est tibi visibile. Amas et quantum vides ipsa et quantum vides abs te, quia nimis exuberat, non posse piane videri; et hoc ipsum te iuvat maxime, quod sine ulla ve! solicitudine ve! satietate fruaris bono, quod, cum sit infinitum, et infinite tibi suppetit et infinite delectat. Hic si non infinita omnino ratione discemit immensum intelligentia lumen, tamen immenso amore gaudioque afficitur, dum
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Nel sesto stadio dell' ascesa, la mente, avida dell'infinito bene, considera la propagazione infinita dell' amore nelle persone della Trinità e la neces sità dell 'appagamento del suo appetitus naturalis. Finalmente, al settimo grado, l ' anima "considerat Deum in creaturis, creaturas in Deo, Deum in se ipso'>96 pervenendo cosi al supremo grado della contemplazione che coin cide evidentemente con il "rapimento•>97. A questo livello dell' ascensus si realizza l' intima unione con il divino, presentata attraverso i consueti temi luminoso-solari, in questa circostanza rivestiti di echi giovanne i. Ficino scrive che il lumen divino, che è vita per gli uomini, non è stato com preso da questi ultimi resi ciechi dall'attaccamento alla materia; esso è al con tempo "giocondo" (iocundum) agli occhi dei sani e insopportabile (molestissi mum) per gli infermi98• Soltanto per i primi può realizzarsi quel meraviglioso cerchio conoscitivo del quale Dio è principio e fine e l' intelletto ne è il centro: [ . . . ] la luce di Dio, in quanto in esso assolutamente si raccoglie, è sopra l ' intelligenza, in quanto poi si esplica nelle ragioni delle cose, è intelligibile, in quanto infusa nell 'intelletto diventa a quello naturale, si fa intellettiva, e quan do ritorna nello stesso Dio, è intelligente. Per cui, in questo luogo, si crea un certo cerchio straordinariamente lucente dalla stessa divina verità all 'intelletto e nuovamente dall'intelletto ad essa. Il principio e il fine di questo circolo è Dio, l ' intelletto è il mezzo.99
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fruitur bono infinito voluntas; que quidem si piena est, ad quam pertinet esse contentam, totus omnino contentus est animus", cfr. ivi, p. 79. Cfr. ivi, pp. 7 1 -72 : "Considera mecum unum trinumque superceleste celum, videlicet primo Deum patrem tuum in rebus ab eo creatis, res deinde creatas in Deo, tertio Deum ipsum in semet ipso. In quod quidem tertium celum optime raptus sum olim, ut et ipse haud ulterius pessime raperer et quicunque in terris miserime rapiuntur illuc mecum beatissime raperem". Cfr. Vasoli ( 1 999), p. 252. Cfr. EL Il, p. 74: "Diumum lumen sanis quidem oculis est iocundum, egrotantibus molestissimum; radius Dei hone menti benignus advenit paterque et gratia nominatur, male autem rigidus iudex est et furia". lvi, p. 8 1 : "[ . . . ) Dei lux, quantum in ipso absolute se colligit, est super intelligentiam, quantum inde in rerum se explicat rationes, intelligibilis est, quantum infusa intellectui ipsi fit naturalis, evadit intellectiva, quando vero in ipsum Deum resilit, est intelligens. Quamobrem circulus quidam hic efficitur mirifice lucens ab ipsa divina veritate in intellectum, ab intellectu rursus in ipsam. Circuii huius principium finisque est Deus, intellectus est medium". Cfr. Vasoli ( 1 999), p. 258; sui legami tra il De raptu Pauli e il tema della luce, si veda Rabassini (2006), pp. 266 sgg.; in merito all'identificazione del principio e del fine, cfr. Lotti (2007), p. 1 57.
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Anche per le anime contemplative, però, la più alta conoscenza di Dio viene a coincidere con la sua non-conoscenza100, la sua luce si rivela "tene bra luminosissima". È evidente l ' influsso della tradizione mistico-specula tiva e della teologia negativa pseudo-dionisiana che si ritroverà, poi, nella produzione tarda del filosofo 101 • L a seconda parte del De raptu Pauli è incentrata invece sull' autorevole dimostrazione paolina dell' immortalità dell ' anima, in cui il filosofo riela bora alcuni nuclei tematici della Theologia Platonica. Sulla scorta di quel lo che il Kristeller definisce "principio di affinità"102, Ficino dimostra con un esempio tratto dalla dimensione della sensibilità la proportio tra l'anima sitibunda liquoris aeterni e il suo oggetto: Se, dunque, tu fossi mortale, non potresti mai comprendere le realtà eterne in quanto sono eterne e sotto la ragione del i ' eternità, mai comprenderesti l ' eter nità della ragione e la ragione dell'eternità; ma, come per gli occhi rossi tutte le cose sono rosse e per la lingua amara le cose sono tutte amare, così da un animo mortale tutte le cose sarebbero ritenute mortali . 103
I "raggi di verità", con i quali la mente Dei speculum apprende, rappre sentano ancora una volta l ' intimo legame esistente tra Dio e l ' anima104• Anzi, se è vero che nella conoscenza umana gli enti finiti acquistano una maggiore nobiltà, in quanto la loro immagine è pur sempre superiore alla loro ombra materiale, è comprensibile come la speculazione permetta all' uomo persino di abbandonare l ' ombra dell' eternità, il tempo, per dimo rare nello splendore dell' indescrivibile sempiternitas. L' itinerarium verso la luce, che è vita, è dunque una liberazione dal le umbrae esteriori anche se, più spaventose di queste, come dice Ficino, sono le tenebre interiori dei melancholici, inferiori soltanto a quelle dei
1 00 Cfr. EL Il, p. 79: "Sufficit ti bi ab incomprehensibili feliciter comprehendi, neque tibi aliquid, nisi sit incomprehensibile, sufficit". 1 0 1 Cfr. Allen (2009). 1 02 Cfr. Kristeller ( 1 940), p. 303. 1 03 EL Il, p. 77: "Si ergo mortalis esses, nunquam eterna in quantum eterna sunt et sub eternitatis ratione, numquam rationis eternitatem eternitatisque conciperes rationem; sed sicut rubris oculis et amare lingue rubra et amara sunt singula, ita mortali animo mortalia cuncta iudicarentur". l 04 Cfr. i vi, p. 82: "Vides, o mea Mens, vides esse te Dei speculum, quando intelligentie tue radii in eum ab eo immissi resiliunt. Si eius speculum es - ut es absque dubio, quandoquidem eum in te specularis teque in eo -, sequitur ut quod ex Deo infra te vestigium quoddam duntaxat est et umbra, id in te imago Dei similitudoque sit expressior, ut merito dictum sit ad imaginem similitudinemque Dei te esse creatam".
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dannati 105 • Forte è, pertanto, il contrasto finale tra la notte luminosissima di Dio, cantata dal Salmista ("Quia tenebrae non obscurabuntur a te, et nox sicut dies illuminabitur: sicut tenebrae eius, ita et lumen", Salmo 1 3 9 ), e l 'oscurità che alberga in interiore homine. Eppure i l compito del filosofo resta ancora quello di indicare la strada per la scoperta autonoma, sempre antica e sempre nuova del sé, nel quale si manifesta Iddio stesso. Nel rin venimento della scintilla divina è riposto il segreto dell ' illuminazione delle nubi della malinconia, derivante dali' inquietudine dell'homo viator, che può essere sconfitta solo vivendo in ciò che non ha fine. Si comprende, cosi, una delle ultime sentenze paoline al termine dell ' opera, che rimanda come in un cerchio, sia alla metafora dello specchio, ora c�iaramente ispi rata alla Prima Lettera ai Corinzi106, sia al monito delfico; si può vedere in speculo unicamente se si è visti da Dio: O immagine di Dio nello specchio della mente, fino a quando sei nell'e nigma, vale a dire nell'ombra del corpo, conosci attraverso lo specchio, ma fuori dell ' ombra vedrai faccia a faccia! O immagine del volto divino, guarda il tuo volto nello specchio, e guardarlo è quasi nient'altro che essere guardati; dal momento che il raggio del suo occhio è lo stesso che guarda, esso è colui che è guardato da se stesso ! Conosci te stessa, o mente cosi tanto desiderosa di conoscere le altre cose! 1 07
8 . Argumentum in Platonicam theologiam
Dedicato a Lorenzo de' Medici in attesa della pubblicazione dell' ope ra maggiore, l 'Argumentum in Platonicam theologiam è molto più di una semplice "introduzione" alla Teologia Platonica. Ficino, infatti, riesce abilmente ad annodare in maniera coerente, nonostante la brevitas del di scorso, diverse questioni a cui avrebbe dedicato una trattazione più articoCfr. iv i, p. 84: "Terribiles ante omnia tenebre, quia et vita consistit in luce et lux in vita, et quo interiores, eo terribiliores adveniunt! Horribiles extra corpus tenebre cunctis, horribiliores intra corpus sunt melancolicis, horribilissime in anima miseris l". 1 06 Cfr. I Cor 1 3 , 1 2: "Videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem; nunc cognosco ex parte, tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum". l 07 EL II, p. 83 : "O imago Dei in mentis speculo, quandiu es in enigmate, id est umbra corporis, cognoscis per speculum, sed extra umbram facie videbis ad faciem! O divini vultus imago, in speculo vultum aspice tuum, quem aspicere nihil ferme aliud est quam aspici, quandoquidem oculi illius radius ipse est qui inspicit, ipse est qui a se ipso respicitur! Cognosce te ipsam, Mens aliarum rerum cognoscendarum usque adeo cupida!". l 05
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lata; il risultato di tale operazione è alquanto originale. I problemi intorno alla materia, all'anima e a Dio vengono affrontati, in stretta relazione con gli opuscoli precedenti, come "gradi" di un processus ascensivo: Tre sono, in verità, i gradi principali della contemplazione platonica: il pri mo certamente ascende a Dio dal corpo attraverso l ' anima, il secondo, invece, si ferma in Dio, il terzo, finalmente, discende all ' anima e al corpo. Anche il nostro argomento contiene tre gradi . 1 0s
Alla "salita" al divino segue necessariamente una "discesa" nel corpo: il processo di purificazione-conoscenza ha un carattere circolare affinché nessun gradus dello stesso resti privo della luce. L' operetta ha inizio con una rassegna delle diverse opinioni di alcune tra le maggiori auctoritates filosofiche (Aristotele, Averroè e Proclo) intorno alla materia dei cieli; vengono, dunque, proposte alcune questioni "scola stiche" sul rapporto tra forma, qualità e quantità fino alla discussione a pro posito della differenza tra luce nei cieli e negli elementi apud Platonicos ac Peripateticos1 09• La valutazione dell 'armonia dei composti conduce poi il filosofo verso la lode del Sommo Artefice, che resta l 'unica possibilità di accesso al divino, altrimenti inconoscibile. Ficino pone la materia prima e Dio agli antipodi della creazione : laddo ve la prima è definita abyssus tenebrarum, il Creatore è abyssus luminum e fons formarum 1 1 0 • Eppure entrambi, nonostante la loro assoluta distanza ontologica, non possono essere conosciuti dalla mente umana: La sola materia è l 'ultima ombra delle cose umbratil i , il solo Dio è la supre ma luce delle luci. La materia è ignota per le troppe tenebre, Dio è sconosciuto per la troppa luce. 1 1 1
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lvi, pp. 85-86: "Tres vero sunt precipui contemplationis Platonice gradus: primus quidem a corpore per animam ascendit ad Deum, secundus autem consistit in Deo, tertius denique ad animam corpusque descendit. Tres quoque gradus nostrum continet argumentum". l 0 9 Sulle tematiche connesse al concetto di materia nel pensiero di Ficino, rimando a Snyder (20 I l ); Id. (2008); Vitale ( 1 999). 1 1 0 Cfr. EL II, p. 94: "Materia enim apud Moysem tenebrarum abyssus est formarumque informe subiectum; Deus lux, abyssus luminum formaque, fons formarum". I I I Ibidem: "Una materia est umbra rerum umbratilium infima, unus Deus lux summa luminum. Materia ob nimias tenebras ignota est, Deus ob nimiam lucem est incognitus".
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Dio - dirà il filosofo nel paragrafo seguente è al contempo notte per l ' intelletto e giorno per la volontà; mentre il suo raggio luminoso è scono sciuto all' intellectus, il suo calore arde d' amore la voluntas1 12• Peraltro, l'a nima purificata e perfezionata dalla grazia dell'amor Dei diventa limpida come il diafano e, attraversata dalla luce sovrasensibile, impara a discerne re in maniera più corretta. Ciò è dovuto alla sostanziale differenza tra lux visibilis e lux invisibilis, per cui laddove la prima riscalda dopo aver illu minato, la seconda invece si irradia in seguito all"'incendio" dell'anima1 13• Essa quanto più ama, tanto meglio conosce: è questo il nucleo centrale del ragionamento che Ficino, confennato dal dettato platonico, porta avanti nei paragrafi conclusivi della prima parte d eli' Argumentum 1 1 4 • Il secondo gradino della contemplazione consiste nella pennanenza dell'anima in Dio. Viene anzitutto approfondita la definizione di "fonte delle fanne" data più sopra, facendo riferimento al procedimento conosci tivo messo in opera dai perscrutatores rerum. Questi, scrive Ficino, cono scono le species degli enti in Dio: -
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[ . . . ) e quando [coloro che investigano le cose] conoscono le specie astratte dai singoli enti, nei quali consiste la verità di ciascuna cosa, intendono nient'al tro che la stessa verità, vale a dire Dio, che è compendio e fonte di tutti gli astratti, vale a dire le idee, come la luce del Sole è fonte dei colori. 1 15
In tale operazione, come si legge dopo, l ' anima raggiunge il piacere della mente, incomparabile con quello dei sensi a causa della sostanzial l 2 Cfr. ivi, pp. 94-95 : "Cum vero a lumine calor trahat originem, est etiam ardor immensus, ardor in bono infinito infinite beneficus. Hunc nos ardorem voluntatis ardore potius quam scintilla mentis attingimus. Nam Deus quantum intellectus sui luce nos supereminet, tantum ferme bonitatis ardore se nobis inurit, ut nihil Deo excelsius sit, nihil quoque profundius. Quo amplior eius lux, eo intellectui naturaliter est ignotior; quo vehementior ardor, eo, ut ita dicam, certior voluntati. Deus ergo in summa intellectus cognitione quodammodo nox quedam est intellectui, in summo voluntatis amore certe dies est voluntati". l l 3 Cfr. ivi, p. 96: "In hoc potissimum differt lux invisibilis a visibili, quod visibilis quidem tarn in igne quam in celo extrinsecus veniens illuminat priusquam calefaciat, invisibilis autem contra intrinsecus agens quodammodo calefacit antea quam illuminet. Ideo in illa a visu ad tactum, in hac quasi a tactu quodam in visum progredimur". l l 4 Cfr. ivi: "Hinc Plato asserit divinam lucem non rationis digito demonstrari, sed perspicua pie vite serenitate capi". l l S lvi, p. 98: "[. , . ] et cum species a singulis abstractas, in quibus rei cuiusque veritas consistit, [rerum perscrutatores] intelligunt, non n i si veritatem ipsam, id est Deum, intelligunt, qui comp lexio et fons est ornn ium abstractorum, id est idearum, sicuti Solis lumen fons est colorum".
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le differenza nella relazione del senso con i sensibili rispetto a quella tra l' intelletto e gli intelligibili' 16• L'anima, protagonista dell' itinerario della purificatio, finalmente spogliata delle voluttà sensibili, nel momento in cui scorge in sé la pura idea di umanità (humanitatis idea) alla quale confor marsi, ritrova finalmente se stessa1 17• Tuttavia, l ' entusiasmo è destinato a durare per poco tempo poiché immediatamente Ficino evidenzia tutti gli impedimenti alla compiuta realizzazione di tale processo. Sono pagine at traversate da un sottile pessimismo antropologico che stride spesso con l' esaltazione della partecipazione umana all' eterno alla quale ci ha abituati il filosofo. Nel seguente passo, ad esempio, scompare l ' "affinità" tra l'ani ma e la verità eterna: L' anima, circondata dal carcere tenebroso di questo corpo, comprende m inimamente la luce m irabile della verità e le cose vere, che in essa mera vigliosamente risplendono, per il fatto che ha solo una minima proporzione con quella. 1 1 8
Tre sono l e cause della deficentia dell'anima: anzitutto, l a sua unione con il corpo ("quoniam anima forma quedam est coniuncta corpori") che turba l' azione dell' intelletto pur non inibendo la sua attività e dal quale ci si può liberare attraverso retti costumi e profonda contemplazione; in secondo luogo, il suo affectus natura/is rivolto quasi esclusivamente alle cose corporee; la terza, invece, presenta un peso speculativo particolare poiché è legata alle cosiddette "facoltà intermedie" della conoscenza. La
1 1 6 Cfr. ivi, p. 99: "Proinde sensus atque sensibile ita se invicem habent, ut propter eorum crassitudinem debilitatemque sese prorsus penetrare non possint. Intelligibile vero sua tenuitate vique mirabili illabitur in intellectus interiora atque intellectus subtilitate virtuteque sua undique intelligibile penetrat, alioquin non posset mens rei intelligende naturam ab alienis secernere, in partes suas distinguere, intima eius cum extimis comparare. Quo fìt ut voluptas mentis, siquando rite contemplando revera percipitur, interior vehementiorque sit quam sensus oblectamenta". 1 1 7 Cfr. ivi, p. l 00: "Ac si ex rebus magis magisque convenientibus maior gradatim maiorque nascitur delectatio atque si nihil convenientius homini quarn ipsa humanitatis idea, que verus est homo, quid suavius quam et eam intelligendo in se complecti et in eam amando restituì? [ . . . ] I bi ergo placet idea nostra - est enim sibi quisque carissimus -, ibi solum pienissime delectamur, ubi solum verissime nos reperimus. In nostra idea idee placent omnes, pulchritudo oblectat in omnibus, omnes in bonitate nos implent". 1 1 8 Ivi, p. l 02: "Anima tenebroso corporis huius carcere circumsepta mirabile veritatis lumen et vera, que mirifìce in ilio refulgent, minime percipit, quia minimam ad illud habet proportionem".
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phantasia, infatti, dalla quale la conoscenza umana non può evidentemente prescindere, "offusca" con le sue "nubi" i luminosi enti intelligibili : La terza causa è che [ l ' anima] frequentemente volge la forza della co noscenza al senso e alle cose sensibili e alle immagini di quelle nascoste nella fantasia. In verità, queste immagini, come certe nubi, adombrano a tal punto l ' acutezza della mente che non discerne la mirabi le luce degli intel li gibili, m entre fissa il loro splendore per lo più non in quello stesso ma nelle nuvole; dove già lo considera dissimile da se stesso e già diventato quasi corporeo e per questo non lo vede né vero né chiaro, ma offuscato dalla caligine delle immagini . l 19
I contenuti della mente, dunque, vengono "tradotti" e "traditi" dalle im magini prodotte dalla fantasia120, attraverso cui, come avviene per gli occhi affetti da cataratta, vengono "oscurati" gli intelligibili. Questi ultimi pos sono essere conosciuti in maniera completa solo dall ' intelletto sciolto dal corpo; anzi, questa operazione è propriamente rivelatrice dell' immortalità della sostanza nella quale ha origine121• Ficino, allora, al termine dell' opera torna a celebrare le straordinarie capacità dell' intellectus: nonostante esse riescano a verificarsi per istanti fugaci, sono sufficienti a postulare la possibilità di una conoscenza senza phantasmata. Il filosofo presenta in un primo momento il procedimento conoscitivo che dalle specie naturali giunge alle idee separate, attraverso i principi razionali, prendendo le mosse dal dato sensibile (ad esempio la visione di un uomo) : Naturalmente, il modo comune di intendere è il seguente: quando la fantasia si immagina questo o quell'uomo, allora l 'intelletto, abbandonati gli accidenti 1 1 9 lvi, p. l 03 : "Tertia, quod [anima] aciem cognoscendi frequenter vertit ad sensum et sensibilia eorumque imagines in phantasia reconditas. He vero imagines, tanquam nubes quedam, usque adeo aciem mentis obumbrant, ut lucem intelligibilium rnirabilem non discemat, dum splendorem eorum ut plurimum non in se ipso sed in his nubibus intuetur; ubi iam a se ipso degenerantem et quasi corporalem iam factum aspicit et ob hoc neque verum ipsum videt neque clarum, sed imaginum caligine obfuscatum". 1 20 Cfr. ivi, p. 1 04: "Adde et oblique, quippe etiam quando paulo attentius pro viribus aspicit, quia ipsa coniuncta est corpori, sepissime ad coniuncta se flectit, id est ad corporalium nubes in phantasia volantes. Phantasia etiam radios spiritalium, cum primum menti subrutilant, corporalium simulacris induit ideoque mens aut nullo pacto aut vix obscureque videt". 1 2 1 Cfr. ivi, p. 1 05 : "Si absque corpore potest agere, potest et seorsum ab ilio vivere atque intelligere"; i vi, pp. l 06- 1 07: "Profecto quoniam ab essentia provenit actio, semper qualis essendi conditio est, talis agendi atque converso".
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mortali dell'uomo, lasciati spazio e tempo, s i rivolge all 'umanità stessa comu ne ai singoli uomini, ovunque e sempre vivente e allo stesso modo nelle altre specie. Allora, in verità, l ' intelletto si mostra del tutto separato quando, talvol ta, al di là della condizione nella quale abita qui, risolve completamente quelle specie delle cose naturali nelle stesse ragioni e idee completamente libere da ogni materia. E come dall' immagine precedentemente ritrovata nella fantasia l 'intelletto è giunto alla specie per mezzo dell 'astrazione, con un certo intui to naturale, cosi, poi, passando dalla specie alla ragione assolutamente eterna della specie, è evidente, poiché è necessario, che la natura unica nel molteplice derivi da un'unica forma al di là della moltitudine.1 22
In questo brano, i prodotti della fantasia appaiono necessari al processo della conoscenza poiché l ' intelletto può ricavare le species soltanto dopo aver diradato le nubi dei fantasmi; al contempo, tuttavia, esso non potrebbe affatto conoscerle se non fosse separato dalla materia. In seguito, peraltro, Ficino non può non ammettere che, a causa della nostra condizione attuale, la luce degli intelligibili viene presto offuscata nuovamente dai fantasmi123• L'anima umana raggiungerà il suo fine solo nell' altra vita, nella quale apprenderà percorrendo a ritroso le fasi della conoscenza: essa non giun gerà all 'universale tramite il particolare ma, viceversa, intuirà i singoli enti nella species universalis124• Si instaurerà, cosi, una speciale comunicazione 1 22 lvi, p. 1 07: "Nempe communis intelligendi modus hic est, ut quando phantasia hominem hunc et illum imaginatur, tunc intellectus pretermissis mortalibus hominis accidentibus, pretermisso hoc situ temporeque et ilio, ad humanitatem ipsam se conferat singulis communem hominibus ubique semperque vigentem similiterque in aliis speciebus. Maxime vero tllnc separatus apparet, quando interdum ultra conditionem qua hic habitat, species illas rerum naturalium resolvit prorsus in rationes ipsas ideasque super naturam ab omni materia penitus absolutas. Et sicut ab imagine in phantasia reperta ante naturali quodam intuitu processit ad speciem abstrahendo, sic deinde a specie argumentando ad speciei rationem prorsus etemam, videlicet quia necessarium sit naturam in multis unam a forma una super multitudinem proficisci". : 1 23 Cfr. ivi, pp. 1 06- 1 07: "Quamobrem animus no�ter, quia nunc ita iunctus est corpori, ut separabilis sit aliquando et ut permaneat separatus, ideo cognoscendo, quamvis conditione loci incipiat a singulis rerum formis ornn ino materie iunctis, tamen deinde procedit ad species coniunctas quidem effectu, sed et sua quadam natura et virtute intelligentie separabiles, tertio vi sua discussis a se parumper phantasie simulacris ad rationes iam separatas. Quas in rerum ordine omnino absolutas existere nunquam excogitare posset, nisi saltem ad brevissimum tempus ab acie phantasmatum nubes expelleret". 1 24 Cfr. ivi, p. 1 07: "Verum quando separatus animus est, progreditur aliter quam in corpore. Nam in corpore animus a singulis ad species, a speciebus transit ad rationes; separatus autem contra: nempe a familiaribus suis naturaliter tunc ' incipiens, in divinis rationibus naturali intuitu naturales videt species ac in
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tra il finito e l' infinito, come un circolo di tempo ed etemità125, nel quale anche le più basse facoltà dell 'anima, in quanto create da Dio, verranno no bilitate; infatti, quando l ' anima conoscerà le ragioni eterne nella luce senza fine, allora potrà discernere chiaramente anche le cose temporali. 9 . Qualis est amor, talis amicitia La lettera ad Alamanno Donati, inizialmente inclusa nel sesto libro della silloge1 26, ha un aspetto diverso dagli altri opuscula; essa, infatti, consen te quasi al lettore di recuperare le forze smarr ite nelle ardue speculazioni metafisico-teologiche svolte in precedenza. Ficino affronta il tema della natura dell' amicizia, facendo tesoro delle tesi discusse nel commento al Simposio di Platone: Poiché l ' amicizia, come nessuno dubita, ricava la forza e il nome dal l ' a more - l ' am icizia è, infatti, nient' altro che un amore reciproco rafforzato da una stabile, vale a dire onesta, consuetudine è opportuno che quale sia l ' amore stesso, da cui l ' amicizia è guidata e definita, tale anche sia sempre l ' amicizia. 1 27 -
Dall "'amore platonico" deriva, infatti, una "platonica amicizia" che si nutre dei doni delle Muse. Il legame che si instaura tra i veri amici è cosi forte da spingere il filosofo ad immaginare l ' esistenza di una sola anima divisa in più corpi l 28• Tale ipotesi, tuttavia, è il pretesto per una breve confutazione, su richiesta del destinatario del l ' epistola, dell ' opi nione di alcuni peripatetici secondo la quale per Platone esistono più anime in un solo corpo.
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speciebus, quasi subita quadam argumentatione, et tamen momento, inspicit singula". Cfr. ibidem: "Hinc circulus ab eo fit a tempore ad etemitatem, ab etemitate rursus ad tempus". Cfr. Gentile (20 1 0}, pp. XII-XIII. EL Il, p. 1 1 1 : "Cum amicitia, quod nemo dubitat, ab amore viro nomenque accipiat - nihil enim aliud est amicitia quam mutuus amor stabili quad&n:�, id est honesta, consuetudine confirmatus - consentaneum est ut qualis est ipse amor, a quo amicitia ducitur et dicitur, talis quoque semper sit amicitia". Cfr. ivi, pp. 1 1 1 - 1 1 2: "Tantum abest quod in uno sint plures, ut sepe quodammodo ve! contra contingere videatur, quando videlicet unam ferme in pluribus amicorum corporibus animam Platonico amore conflante perspicimus".
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La lettera come trattato: gli Opuscula theologica
Come il fuoco - scrive Ficino - attraverso la luce illumina, per la sua leggerezza si muove verso l ' alto e con il suo calore riscalda, cosi l ' anima ha tre virtutes pur rimanendo \lna sola nella sostanza129• Le pa gine finali contengono proprio un estratto del commento al quarto libro della Repubblica, in difesa dell' unità dell ' anima nella pluralità delle sue potenze1 30•
1 0. Quid sit lumen L' ultimo opusculum concentra in sé tutte le dottrine legate alla luce che abbiamo rinvenuto fino a questo momento. L' importanza di tale scritto, dedicato a Febo Capella ambasciatore di Venezia, è data anche dal fatto che Ficino lo avrebbe ripubblicato, insieme all ' opera sul Sole, a distanza di oltre quindici anni con il titolo Liber de lumine ( 1 492) 1 3 1 • Il filosofo, che si interroga sull' essenza della luce, propone una rassegna delle possibili definizioni dell' oggetto da parte delle facoltà conoscitive, dalle più basse, ancora legate alla materia, fino alla mens. Per gli occhi, i quali sono i primi a dover rispondere all ' interrogativo mosso loro dal la ratio "regina dei sensi", la luce è una sorta di emanazione spirituale, immensa ed improvvisa, dei corpi 132• Ma tale definizione appare oscura alla ragione che, insoddisfatta, si rivolge ad sublimem mentis speculam, la 1 29 Cfr. ivi, p. 1 1 2: "Queris nunquid Peripateticis illis adhibenda sit fides, qui Platonem, quod plures in homine animas, scilicet rationalem, irascibilem, concupiscibilem collocaverit, calumniari non dubitant. Respondeo equidem unam tantum esse animam, per quam pluribus eius viribus hec omnia faciamus. Quemadmodum corpus ignis unum tribus qualitatibus sufficienter agit tria - luce enim fulget atque illuminat, !evitate celer ascendit, calore calefacit et urit - atque in qualibet ignis particula pariter tres he qualitates vigent suntque loco simul, quadam tamen invicem proprietate distinc�, sic anime substantia una eademque sufficienter posse videtur tribus eius viribus offida exequi tria, videlicet ratione, tanquam luce quadam, verum bonumque a falso maloque discernere, appetitu insuper quasi !evitate ad ea que sibi placent facilime se conferre, animositate rursus iracundieque fervore, ceu calore quodam in ea ve! consumenda vel propellenda efferri, que aliquando ipsam ab eorum, que petit, consecutione impedire posse videntur". 1 3 0 Cfr. ibidem, p. 1 1 3 : "Sed opere pretium est Platonem ipsum audire in quarto De republica libro ita hac de re disputantem, ut hoc ipsum habeat certum, anime scilicet substantiam esse unam, vires vero eiusmodi simul in anima plures". 1 3 1 Per un confronto tra le due edizioni de li' opera, cfr. Vasiliu (200 l ), pp. l O 1 - 1 1 2. 1 32 Cfr. EL Il, p. 1 1 6: "Lumen est spiritalis quedam et subita et latissima a corporibus nature eorum sine detrimento proprio emanatio [ . . ]". .
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quale immediatamente identifica la vera "luce invisibile infinita" con Dio. Anche questa affermazione, tuttavia, risulta incomprensibile al pari della prima, dal momento che la ragione non ne può cogliere il contenuto se non per gradi 133• È cosl, allora, che si giunge ad una nuova definizione, che tiene conto delle varie manifestazioni della luce nei diversi piani dell' essere. Il lumen, inoltre, è anche la potenza vivificatrice delle facoltà conoscitive e contemporaneamente, in quanto verità, il loro stesso fine 1 34• L' esaltazione ficiniana della luce nella dimensione celeste ci offre al cuni passi di straordinaria bellezza. La descrizione del "sorriso del cielo", che attraverso i raggi stellari nutre ogni cosa e nei suoi movimenti pro duce un concerto meraviglioso, fa da contrasto all ' immagine della terra che piange nelle sue tenebre m. Il risus coeli fa, poi, da contrappunto al risus hominis: Che la luce sia il sorriso del cielo, derivante dalla gioia degli spiriti celesti, lo mostrano gli uomini i quali, ogni volta che si rallegrano nello spirito e ridono in volto, senza dubbio splendono internamente e si ingrandiscono nello spirito; sembra anche che risplendano in viso, soprattutto con gli occhi, i quali sono sommamente celesti tanto più nel sorriso producono un movimento circolare a somiglianza del cielo. 1 36
La considerazione della reattività dell ' intelletto umano rispetto alla vo lontà è poi usata come esempio per spiegare la differenza tra la luce e il calore che da essa deriva: 1 3 3 Cfr. ivi, pp. 1 1 7- 1 1 8 : "Verum ad tam sublimem speculationem haud tam repente prosiliendum, sed gradatim ascendendum Mens admonet, ne caligare cogamur ac splendore nimio occecari: 'Noli, Ratio, confidere sensibus [ . . ] "'. 1 34 Cfr. ivi, p. 1 1 8: "Sed hinc a me discito primum quidem me, scilicet Intelligentiam, esse lumen quoddam intellectuale, quandoquidem obiectum meum est intelligibile lumen, quod in qualibet re et querenda quero et reperta reperio, siquidem lumen cuiusque rei et ipsius veritas idem, veritas est lumen intimum, lumen veritas se ad extima fundens. Discito deinde te, scilicet Rationem, esse lucem quandam rationalem rationemque lucentem, postquam rationem lucis tanquam originem tuam ratiocinando tanta aviditate perquiris". 1 3 5 Cfr. ivi, p. 1 1 9: "Ad ipsum celestium mirabile gaudium, celum; quasi corpus eorum, immo quasi oculus eorum - "ocu1um" enim Orpheus Solem appellat -, ridet splendore motuque exultat, sicuti terra tanquam ab illis remotissima luget tenebris situque torpet et ocio". 1 36 lvi, pp. l l 9- 1 20: "Quod lumen sit risus celi ex spirituum celestium gaudio profìciscens indicant homines, qui quotiens letantur spiritu ridentque vultu, splendent certe intus dilatanturque spiritu, vultu quoque splendere videntur, oculis maxime, qui maxime sunt celestes quique in risu motum celi instar efficiunt circularem". Cfr. O'Rourke Boyle ( 1 999). .
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Che il caldo derivi dalla luce, lo scoprirà chiunque penserà che anche negli spiriti la chiarezza dell'intelligenza precede, per una tale origine, il desiderio della volontà e, nella macchina del mondo, i raggi del Sole sono l 'origine del calore che segue . 1 37
La comunicazione della luce alla gerarchia degli esseri comporta un progressivo allontanamento da Dio, lumen luminis; tuttavia, proprio grazie alla funzione mediatrice (in quanto vinculum) della luce, la stessa distanza viene ricomposta138• Se in Dio vi è una luce superiore all ' intelletto - con tinua Ficino - nella mente angelica essa diventa uguale all' intelligenza, nell' anima umana si identifica con la ragione, nello spirito è pari alla fan tasia, mentre nel senso è presente agli occhi 139• Il paragrafo conclusivo, influenzato in particolar modo da temi orfici, presenta - come nota Andrea Rabassini - un' interpretazione teologica dell ' analogia platonica della Repubblical40: mentre nella fonte platonica la luce è condizione di possibilità della conoscenza, qui invece è cau sa dell' essere poiché Dio è Pater luminum. Inoltre, dal momento che si conosce nella luce, allora si apprende ogni cosa in Dio : l 'esito della speculazione teologica ficiniana è la mistica, intesa come coronamento de li' ascensus dell ' anima.
1 3 7 EL II, p. 1 20: "Quod sit calor a lumine, inveniet quisquis cogitabit etiam in spiritibus intelligentie claritatem origine quadam antecedere voluntatis affectum et in mundi machina Solis radios sequentis caloris originem esse". 1 3 8 Cfr. Rabassini (2005), p. 6 1 6. 1 39 Cfr. EL Il, cit., p. 1 22: "Lumen in divina mente intelligentiam supereminet. Inde angelice menti lumen idem infusum secundum intelligentiam redditur, sed super tenninos rationis. Divinum hoc angelicumque lumen in mentibus hominum secundum rationem iam evadit, sed superat phantasiam; in spiritu secundum phantasiam super sensum; in corpore vero maxime oculis, quasi celesti bus anime stellis, sensui iam familiare fit, sed non materie". 1 40 Cfr. Rabassini (2005), pp. 2 1 8 sgg.; si veda anche Castelli ( 1 984), pp. 5 1 -64.
CAPITOLO TERZO L ' EPISTOLA-TRATTATO COME STILE FILOSOFICO
l. Il trattato breve come forma letteraria privilegiata Il carattere peculiare del secondo libro dell' opera va compreso non tanto nella scelta di destinare allo scambio epistolare questi brevi trattati ma nel la loro concentrazione esclusiva all' interno del volume. Esso, per meglio dire, si distingue dagli altri soltanto a causa della quantità di lettere di tal genere che accoglie; ulteriori esemplari di trattatelli in forma epistolare, infatti, sono presenti anche nei libri rimanenti. Si tratta di scritti di diversa natura e provenienza: possibili trascrizioni parziali delle "letture" pubbli che tenute dal filosofo1, estratti o brevi argumenta delle opere maggiori presentate spesso come vere e proprie "introduzioni" ad esse nonché ver sioni "nascoste" dei sermonF. Le ragioni della predilezione di Ficino per questa forma di scrittura van no ricercate nel grande valore attribuito alla brevitas scribendi in alcune significative epistole. È opportuno richiamare anzitutto la lettera intitolata Laus brevitatis, di cui ci siamo occupati precedentemente, nella quale il fi losofo sostiene di aver scelto, dall' inizio dei suoi studi, di scrivere soltanto ciò che è necessario, evitando il superfluo: l' abbondanza di parole, infatti, non si addice agli amanti della sapienza3• Nel!' epistola Breviter loquen dum, sed non breviter ve/ cogitandum, ve/ amandum, inserita nel quinto libro, il tema viene affrontato in maniera più interessante. Ficino scrive di aver pienamente accolto la richiesta di Antonio !vani (il destinatario della
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Cfr. Conti (20 1 4a), pp. XXXVII-LXXVII. Cfr. Rees (20 1 3), p. 82: "However, we should recai! that some ofFicino's sermons Iie buried within his Letters, which enjoyed a healty circulation in both manuscript and print, in Latin and Italian". Cfr. EL l, p. 39: "Statui enim ab initio studiorum meorum semper quam brevissime possem scribere. Nam in tanta temporis brevitate loqui superflua philologi est potius quam philosophi".
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lettera), il quale era desideroso di leggere per intero alcune sue opere, fa cendogli dono soltanto dei rispettivi argumenta: Vedi, Antonio, di quale scaltro ingegno ti considero dotato? Ogni volta che mi richiedi i libri interi, ti invio i compendi. Per primo, mi hai chiesto il libro sul sommo bene, e ti inviai il compendio. Poi, hai voluto la mia Teologia Pla tonica e, ancora, ti ho spedito il compendio, che avevo ricevuto poco prima. Ma perché io ti stimi tre volte scaltro, vale a dire scaltrissimo, accetta il terzo compendio a quel mio libro sulla religione, che hai letto.4
Per Ficino, dunque, i "sommari" alle opere si addicono meglio all' intel ligenza del destinatario il quale potrà evidentemente appre zzarne il signifi cato con maggiore consapevolezza. Diverso è, però, il caso del commento al Simposio: dal momento che il suo oggetto è l ' amore, esso dovrà essere letto nella sua interezza poiché non si può amare brevemente�. Nella stessa direzione ermeneutica può essere inserito anche un passo dell 'epistola De divinitate animi a religione. Il filosofo elogia la grande perspicacia di Francesco Bandini il quale, con un' intuizione subitanea, ri conosce l' immortalità dell ' anima per la cui dimostrazione, invece, Ficino aveva impiegato cinque anni: i diciotto libri della Theologia Platonica de immortalitate animorum, dunque, vengono "contratti" nella conoscen za immediata della divinità dell' anima umana6• Si tratta, a ben vedere, di un' affermazione che va oltre l ' esteriore tono iperbolico dell' encomio,
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OM, p. 784: "Vides Antoni quam arguti ingenii te existimem? Quotiens libros petis integros argumenta mitto. Librum primo de summo bono petisti, argumentum misi. Theologiam deinde nostram Platonicam postulasti, dedi et argumentum, quod pau! o ante recepì. Sed ut ter argutum te, id est, argutissimum faciam, accipe tertium argumentum in nostrum illud de religione librum, quem legisti". Ibidem: "Convivium de amore desiderabas, hic solum Hyvanus non argumentum tantum nostro nomine, sed integrum opus accepit. Utpote cui non portiuncula quaedam impartiatur Marsilianae benivolentiae, sed tota in ipsum penitus transfundatur. Novi disserere breviter, breviter amare non novi, quam angustus est sermo noster, tam amplus affectus". EL l, p. 1 95 : "Ceteri cum ad Marsilium Ficinum et Iohannem Cavalcantem, unicum eius Achatem, scripturi sunt, geminas scribunt epistolas, putantes, ubi duo vident corpora, duas quoque voluntates inesse. Bandinus autem, qui Linceis oculis, ut ita dicam, introspicit, unicam ad unicum scripsit epistolam; in ea Marsilium appellat immortalem atque divinum, utpote qui non in carnea hominis huius veste figat intuitum, sed interiorem hominem intueatur, animum scilicet ipsum, qui hominibus a Deo tributus est immortalis atque divinus. O quam perspicax es, Bandine, qui subito intuitu cemas quod ego primum per longas ambages decem annis investigavi, deinde composui hac de re quinquennio octo decemque libros".
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come stile filosofico
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collocandosi al centro della riflessione ficiniana sulla concentrazione dello spirito su se stesso. La scelta stilisti ca de Il' argumentum non è affatto casuale poiché que sta forma permette all ' intelletto di ritornare a sé: all' integrità dello scritto che raccoglie coerentemente tutte le informazioni che vengono "sciolte" (e in qualche modo "disperse") in un' opera di ampio respiro corrisponde l ' integrità dell' intelletto libero dalla dissipazione dei sensi. L'argumentum riveste, pertanto, una duplice funzione presentandosi sia precedentemente all' argumentatio sia in seguito alla medesima. L' esercizio dell' intelletto è, dunque, doppiamente collegato all' operazione discorsiva della ratio che si realizza nello svolgimento delle argumentationes, come dimostrano i due diversi casi dell'Argumentum in Platonicam theologiam e l 'argumentum al De Christiana religione inviato all' Ivani. Il primo, infatti, nasce come in troduzione all' opera non ancora conclusa mentre il secondo è assimilabile ad un compendio dello scritto sulla religione. Ciò che bisogna sottolineare qui è che non si tratta di una sorta di "riassunto" che sminuisce la portata complessiva dell' opera ma, anzi, di uno scritto intenso attraverso il quale poter avere un accesso privilegiato e, in un certo senso, migliore ai conte nuti espressi. La propensione per il trattato breve sembra essere alquanto precoce nel la produzione del Ficino: i suoi primi esercizi di scrittura filosofica, infatti, vengono redatti in questa forma. Intendo riferirmi, in particolar modo, alla lettera ad Antonio Serafico ( 1 454), la più antica testimonianza scritta del Ficino a noi pervenuta, e a quelle operette che vanno sotto il nome di "trat tati Moreniani" risalenti all' incirca allo stesso periodo7• Queste ultime, in fatti, sono precedute da un' epistola dedicatoria della Summa philosophiae Marsi/ii Ficini ad Michaelem Miniatensem nella quale sono già presenti in nuce i plessi tematici appena richiamati: Dal momento che la miserabile brevità della nostra vita è solita toglierei la speranza e la possibilità di leggere nel breve tempo volumi quasi infiniti relativi alle scienze, dunque, Michele, ho deciso di mandarti questo trattato compen dioso di dialettica e, insieme, di filosofia in uno stile molto breve, affinché tu conosca una piccola parte di quegli studi, nei quali gli insegnamenti del nostro Platone prescrivono che la nostra vita, per quanto lunga sarà, debba realizzarsi completamente. 8 7 8
Cfr. Kristeller ( 1 950); Id. ( 1 944). Si veda anche Gentile-Niccoli-Viti (a cura di) ( 1 984), pp. 1 2- 1 3 . Kristeller ( 1 944), p. 274 : "Quoniam vite nostre miseranda brevitas infinita pene disciplinarum volumina brevi tempore volvendi spem simul facultatemque nobis auferre solet, idcirco Michael brevissimo stilo dialectice simul et philosophie
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In questo brano, all ' interno del quale non può non apparire immediata mente il riferimento giovanile al Plato noster9, la necessità della scrittura brevis è dettata dalla brevità della vita che rende vano qualsiasi tentativo di ingannare l' inesorabile scorrere del tempo nella lettura di opere quasi infinite. Di qui, la cospicua produzione di opuscoli destinati agli amici più cari, i quali avrebbero di certo apprezzato le contemplazioni ficiniane senza dover rinunciare lungamente alle esigenze della vita activa. Diverso, e sotto alcuni aspetti ancora più interessante, è il caso delle "epistole-trattati" derivanti da rielaborazioni di materiale eterogeneo, come nel caso delle due lettere intitolate De Platonica philosophi natura, institu tione, actione e De vita Platonis, inviate rispettivamente a Qiovan France sco Ippolito conte di Gazoldo e Francesco Bandini 10• Esse, infatti, risultano dal successivo rimaneggiamento della trascrizione di una lettura pubblica sul Filebo tenuta dal Ficino verosimilmente intorno al 1 46 9 1 1 • Nel 1 477, poi, il filosofo avrebbe anzitutto diviso il testo in due parti e, dopo aver aggiunto l'Apologia de moribus Platonis in calce alla Vita, finalmente de ciso di trasformarle in due epistole, confluite dunque nel quarto libro della silloge. Nel medesimo volume, inoltre, sono contenute due orationes giovanili che il Ficino invia all 'umanista Marco Aurelio. L' Oratio de laudibus Phi losophiae e l' Oratio de !audibus Medicinae sono le sole superstiti delle sex declamatiunculae che il filosofo spedisce al destinatario veneziano, come si evince dali' epistola dedicatoria che, anzi, può definirsi più propriamente "lettera di trasmissione" dei testi 12• Tuttavia, grazie ad alcune informazioni presenti in una certa tradizione manoscritta, è stato possibile identificare le
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compendiosum bune tibi tractatum mietere decrevi, ut illorum iam studiorum aliquantulum particeps efficiaris, quibus etatem nostram, quantacunque futura sit, Platonis nostri precepta iubent penitus exercendam". Cfr. Melisi (20 1 8) , pp. 33-40. Cfr. OM, pp. 76 1 -770. Cfr. Robichaud (2006), pp. 23-28; Podolak (20 1 1 ). Sulle letture pubbliche del Filebo, si veda Allen ( 1 977). Cfr. OM, p . 757: "Hic [Marsilius tuus] ergo tibi sex declamatiunculas offert, quarum primae illae duae de philosophiae medicinaeque Jaudibus iamdiu a tenera aetate, quatuor vero sequentes de praecipuis humani generis institutis [ . . . ]". Il Kristeller dichiarava l'impossibilità di offrire una data certa di composizione degli opuscoli, a differenza del Della Torre il quale, invece, sosteneva che risalissero a un periodo precedente al 1 456, cfr. Kristeller ( 1 973), l, p. C; Della Torre ( 1 968), p. 5 1 1 ; si vedano anche Kristeller ( 1 956b), pp. 1 1 6- 1 1 8; Laneri (2006-2007), pp. 2 1 9-224.
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operette mancanti con altrettante lettere indirizzate "al genere umano" (ad eccezione dell' ultima)13• L'Epistolario si rivela ancora una volta una miniera di preziose informa zioni in due luoghi dell ' ottavo libro. Si tratta, anche in questo caso, della trascrizione di due orazioni che, però, non subiscono una sensibile trasfor mazione per adattarle al genere epistolare (manca, infatti, la consueta dedi ca al destinatario), né tantomeno sono state redatte "tenera aetate". Questi scritti sono, invece, la diretta testimonianza delle ulteriori letture pubbli che ficiniane, come manifestano i titoli : Oratio Marsi/ii Ficini de charitate habita in collegio canonicorum Florentinorum et ad populum e l ' Oratio in principio Lectionis intitolata Philosophia Platonica tanquam sacra le genda est in sacris14• Il primo è stato oggetto di un importante studio di Sebastiano Gentile il quale ne ha scoperto una versione volgare che, per certi versi, può aiutare a ricostruire i processi di trasformazione delle pro prie opere da parte del filosofo: nella versione stampata, infatti, sono stati espunti i passi in cui egli si rivolge direttamente all 'uditorio15• Il secondo, invece, è strettamente legato alla predicazione del Ficino al monastero ca maldolese di Santa Maria degli Angeli sulla cui effettiva natura il dibattito tra gli studiosi è ancora aperto 16• Il suo contenuto, peraltro, informa il let tore in merito allo stretto legame dottrinale tra platonismo e cristianesimo di cui evidentemente il filosofo si faceva paladino non soltanto nelle opere scritte ma anche nelle occasioni pubbliche, in veste di sacerdote: In verità, i pitagorici, che i nostri platonici hanno seguito, avendo innan zitutto ringraziato Dio per la sapienza desiderata e ricevuta per suo volere, disputavano nei templi sui sacri misteri della filosofia e la insegnavano. Noi, dunque, seguendo secondo le nostre possibilità le orme degli antichi sapienti, tratteremo la filosofia religiosa del nostro Platone nel mezzo di questa Chiesa. Contempleremo la verità divina in queste sedi degli angeli . l ' 13
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Cfr. Kristeller ( 1 956b}, p. l l 7; Laneri (2006-2007}, p . 224. Si tratta delle lettere intitolate: Nihi/ turpius il/o apud quem praeter animum pulchra sunt omnia, Ut sortem in melius mutes animae .figuram in me/ius muta, Omnia mundi bona il/a ma/a sunt qui immundus vivit in mundo. Cfr. OM, pp. 88 1 -882, 886. Cfr. Gentile (2006}, pp. 1 45- 1 82. S i veda anche Conti (20 1 4a}, pp. LXIX sgg. Cfr. Kristeller ( 1 956b} , p . 1 1 1 ; Toussaint (2004) . Daniele Conti h a recentemente avanzato delle convincenti ipotesi sul legame tra I 'Oratio in principio Lectionis e le Praedicationes, identificando come sede comune il monastero degli Angeli e fornendone anche una probabile datazione, cfr. Conti (20 1 4a), pp. XXXVII-XLV. OM, p . 886: "Pythagorici vero quos nostri sequuti sunt Platonici optatam imprimis et acceptam divinitus sapientiam Deo reddentes, sacra Philosophiae mysteria meditabantur in templis, atque docebant. Nos igitur antiquorum sapientum
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Ficino, dunque, considera la religiosa Platonis philosophia degna di esse re discussa nel tempio sacro della cristianità poiché i suoi insegnamenti sono perfettamente coerenti con quelli evangelici. Sono numerosi e spesso espli citi i riferimenti a questa dottrina all'interno dell'epistolario, come testimo niano, da un lato, la lettera a Braccio Martelli Concordia Mosis et Platonis e, dall'altro, la celebre epistola Corifirmatio Christianorum per Socratica al FerobantP8• La prima, riprendendo il tema della celebrazione di Platone in qualità di "Mosè attico", delinea anche un interessante cursus studiorum per gli accademici, costituito da una lettura progressiva dei dialoghi, che rinnova quello delineato dai tardi neoplatonicP9• La seconda, invece, presenta una vera e propria agiografia di Socrate, di cui vengono esaltate le virtù in totale armonia con gli insegnamenti del Cristo, come dimostra l' incipit: Se io non temessi, ottimo Paolo, che potrebbero esserci alcuni che o per di fetto d ' ingegno o per pochezza di giudizio potrebbero intendere le singole cose
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vestigia pro viribus observantes, religiosam Platonis nostri Philosophiam in hac media prosequemur Ecclesia. In his sedibus angelorum divinam contemplabimur veritatem". Cfr. ivi, pp. 866-868. Sul "santo filosofo" Socrate come prefigurazione di Cristo, cfr. Allen ( 1 998), pp. 1 25- 1 47, 1 96-2 1 2; Hankins (2009), pp. 449-455. Più in generale, cfr. Hankins (2006). Cfr. OM, p . 866 : "Numenius Pythagoricus quem Origines non solum Pythagoricis, verum etiam Philosophis pene omnibus anteponit, cum et Mosaicos et Platonicos legisset libros, ait se in Platone Mosem agnovisse, nihilque aliud esse Platonem quam alterum Mosem Attica lingua loquentem. Quamobrem qui te, optime Bracci ad academiam vocant, non tam ad Platonicam disciplinam, quam ad legem Mosaicam exhortatur. Nam cum primum ingressus academiam fueris, occurret ti bi Pannenides, qui unicum demonstrabit Deum esse rerum omnium ideas, id est, exemplaria rationesque eminentissime continentem ve! producentem. Occurret Melissus et Zeno, qui salurn Deum revera esse demonstrent, caetera vero videri . Veniet obvius et Timaeus ostendens mundum a Deo suae bonitatis gratia fuisse creatum, Deumque a principio coelum terramque creavisse, deinde aereum spiritum super aquas circunfudisse, atque haec omnia tamdiu permansuram quamdiu divinae placuerit voluntati. Deum fecisse hominem adeo sibi similem, ut unicum Dei in terris cultorem terrenorumque dominum collocaverit. Offerent ibidem se tibi Politicus, Prothagoras et Menexenus et Critias differentes ex terra homines ab initio rerum Dei virtute creatos atque sub spirituum divinorum perpetua custodia positos, legem a solo quodam Dei nuncio accepisse, ac demum post mundi cursum ex terra, (Deo iubente) resurrecturos. lbi Philebus, Thaeetaetus, Phedon, Phedrus, Socrates in sola Dei ipsius similitudine atque fruitione nostram beatitudinem esse docent [ . . . )". Il curriculum dei neoplatonici prevedeva lo studio dei seguenti dialoghi: Alcibiade, Gorgia, Fedone, Crati/o, Teeteto, Sofista, Politico, Fedro, Simposio, Filebo, Timeo, Parmenide, cfr. Motta (20 1 4), pp. 1 40- 1 44.
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che diciamo in altro senso, dimostrerei che Socrate, anche se non con la figura con la quale Giobbe e Giovanni Battista [hanno presagito Cristo], forse almeno con una certa ombra ha quasi preannunciato, per così dire, la venuta di Cristo quale artefice della nostra salvezza.20
Ficino presenta una serie di aspetti della vita di Socrate per confermare la sua tesi : grazie all ' eccellenza della sua mente e alle innate doti profeti che, egli sdegnò sempre i beni caduchi per dedicarsi al conseguimento di quelli eterni e, spinto esclusivamente dalla carità e dalla pietà, in qualità di "medico delle anime", era intento a purgare dalla superbia le anime dei suoi concittadinF' . Inoltre, alcuni eventi determinanti della sua esistenza, in particolare quelli legati alle ore precedenti la morte (ad esempio le trenta mine proposte ai giudici ateniesi come pena, l ' esortazione alla pietà nell'o ra della cena, il riferimento al gallo e, perfino, il fatto che siano stati i suoi discepoli a riportare i suoi detti), diventano un parallelo della passione di Cristo22• Al di là del riferimento al medicus animorum, all' interno del qua20
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Cito il testo della lettera nell'edizione stabilita da M. J. B. Allen, cfr. Allen ( 1 998), p. 209: "Nisi vererer, optime Paule, fore nonnullos qui ve! pravitate ingenii ve! parvitate iudicii alio quam nos loquamur sensu captent singula, demonstrarem Socratem, et si non figura qua Iob atque Ioannes Baptista, tamen adumbratione forte quadam Christum salutis auctorem quasi (ut ita loquar) praesignavisse"; cfr. OM, p. 868. Cfr. ibidem: "Hic ergo non rudi quadam simplicitate, immo singulari mentis excellentia atque (ut Plato Xenophonque testantur) divinitate insuper vaticinioque ingenito, aeterna bona caducis in omni eius vita praeposuit; incommodaque corporis inediam praesertim et nuditatem atque fortunae mala omnia ultro substinuit, solo animi malo detrimentoque sempiterno perterritus, uni duntaxat pietatis charitatisque intentus officio, quippe qui propria negligens commoda nulloque detentus periculo, tanquam animorum medicus, mentibus hominum ubique citra fines patrios purgantis incumberet. Dum superbiam ante omnia detestatur, mansuetudinem vero et charitatem religionemque prae caeteris approbat, solum veri amoris charitatisque studiorum profitetur, ambitiosam scientiarum excludit professionem". Cfr. ivi, p. 2 1 0: "Mitto in praesentia triginta nummorum pretium de Socrate factum; et ipsius Socratis vaticinia vindictam quoque divinitus post eius necem subito consecutum; lotionem vesperi paulo ante obitum institutam a Socrate, exhortationemque eius ad pietatem hora coenae. Quid quod in eadem hora de calice atque benedictione et in obitu ipso de gallo fit mentio? Mitto praeterea multa Socratis tam facta quam dieta non ab ipso quidem sed a discipulis eius quattuor praecipue scripta, quibus Christiana fides adversus Lucianum maxime confirmatur. Multa enim sunt et ea quidem maxima quae de numine huic infuso deque abstractione mentis a corpore et quasi quadam transfiguratione traduntur". A tal proposito, si veda il recente saggio di Conti (20 1 4b). Più in generale, sulla figura di Socrate nell'opera ficiniana, rimando a Cro ( 1 983); Pinchard (200 1 ), pp. 1 59- 1 64; Erler (20 10).
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le Paul Richard Blum ha rinvenuto una nascosta allusione alla missione profetica del Ficino stesso, ciò che preme sottolineare è la rivoluziona ria portata del progetto ficiniano di renovatio: la conferma della dottrina cristiana attraverso la filosofia greca si trasforma in una legittimazione di quest'ultima attraverso l' elogio delle sue figure paradigmatiche23• Alla rap presentazione di Socrate quale alter Christus si accompagnano, infatti, i frequenti riferimenti cristologici legati a Platone, dal parallelismo tra la definizione di Gesù come incarnazione dell 'Idea di virtù nel De Christiana religione24 e quella di Platone come primus exemplar di filosofo e Idea di filosofia allo stesso tempo del De vita Platonis25, fino all ' ardita ripresa del mito del concepimento del filosofo ateniese da parte di Apollo e della sua duplice natura umana e divina26• Il dato più rilevante di questa analisi è da ricercare probabilmente nella estrema sintesi di tali problematiche nel i ' Oratio in principio Lectionis. Se, infatti, il lettore attento dell'epistolario può ricostruire i fondamenti teoretici dell' audace proposta ficiniana, il pubblico che ascoltava il filosofo poteva essere sorpreso dalle sue parole. Possiamo solo avanzare delle ipotesi a ri guardo: potrebbe darsi che Ficino fosse in qualche modo convinto dell'ade guata preparazione del! ' uditorio, cosa che porterebbe ad estendere la cerchia dei suoi, per cosi dire, conphilosophi anche al di fuori de li' Accademia (con tutte le riserve del caso sulla genuina natura della stessa). Al contrario, con siderando quanto detto all' inizio, si tratterebbe semplicemente del massimo esempio della ricerca di brevitas loquendi da parte del Canonico. ·
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Cfr. Blum (20 1 0), pp. 1 1 6- 1 1 9. Ficino esprime ancora il suo intento di tradurre Platone per convertire i filosofi, ripetendo quasi alla lettera il proemio alla Theologia Platonica, nell'epistola Quod pia sit Platonica disciplina: "Reor equidem neque vana fides hoc providentia divina decretum, ut acutissima quaeque ingenia quae soli divinae legis authoritati haud facile cedunt, saltem Platonicis rationibus religioni admodum suffragantibus denique cedant", cfr. OM, p. 8 5 5 . È interessante sottolineare l a variante terminologica del proemio, poiché qui gli ingenia sono perversa e non più acutissima: "Reor autem (nec vana fides) hoc providentia divina decretum, ut et perversa multorum ingenia, quae soli divinae legis auctoritati haud facile cedunt, platonicis saltem rationibus religioni admodum suffragantibus acquiescant [ . . . ]", cfr. TP, l, l, p. IO. Cfr. OM, pp. 25-26. Cfr. ivi, p. 763 : "Conatus sum diebus superioribus ideam philosophi Platonicis coloribus pingere. Verum si Platonem ipsum in medium adduxissem, certe non quandam illius ideae picturam, sed ideam ipsam veri philosophi digitis ostendissem. Ergo Platonem nostrum intueamur, et philosophum et philosoph iam simul atque ideam ipsam pariter videamus". Cfr. Robichaud (2006), pp. 32-33.
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Si può considerare, pertanto, l'Epistolario come una raccolta di brevi trat tati. Il Kristeller, nello studio introduttivo al suo Supplementum ficinianum, elencava quegli scritti da lui definiti opuscula o libelli, i quali si distingueva no dalle altre lettere27• Escludendo il secondo volume poiché è stato ampia mente oggetto di analisi più sopra, è opportuno ed utile riportare nel seguente schema i titoli delle operette che lo storico citava, fornendo anche tra le pa rentesi l' indicazione di pagina dell' edizione basileese degli Opera omnia: - I libro: l) Dialogus inter Deum et animam theo/ogicus (pp. 609-6 1 1 ); 2) De furore divino (pp. 6 1 2-6 1 5); 3) De /ege et iustitia (pp. 652-653); 4) De felicitate, quod habet gradus, quod est aeterna (pp. 662-665); 5) Oratio ad Deum theologica (pp. 665-666); 6) Laus philosophiae oratoria, mora /is, dia/ectica, theo/ogica (pp. 668-670). - III libro: l) De sufficientia, fine, forma, materia, modo, condimento, auctoritate convivii (pp. 739-740); 2) De officiis (pp. 744-745). - IV libro: l) De Platonica philosophi natura, institutione, actione (pp. 76 1 -763); 2) De vita Platonis (pp. 763-770). - V libro : l) Legis divinaefides scientia confirmatur (p. 783); 2) Veritas de institutione principis (pp. 795-798). - VI libro: l) Oratio Christiani gregis ad pastorem Sixtum (pp. 808-8 1 0); 2) Spiritus ubi vult spirat (pp. 8 1 3-8 1 5); 3) Oraculum Alfonsi Regis ad Re gem Ferdinandum, inter illos primum angelica lingua pronunciatum, deinde vero in linguam humanam a Marsi/io Ficino trans/atum (pp. 8 1 6-820); 3) Orphica comparatio Solis ad Deum, atque declaratio idearum (pp. 825826); 4) Philosophica principis institutio (pp . 830-83 1 ); 5) Quam immundus sit hic mundus, quamfa/sus, quamfallax (pp. 836-839); 6) Marsilius Ficinus Florentinus fingit Florentiam congratulari Danti, pia Christophori Landini opera, iam redivivo et in patriam restituto et coronato (p. 840). - VII libro: I ) De tribus Gratiis et Genio (pp. 845-846); 2) Apologi (pp. 847849); 3) Divina /ex.fieri a coelo non potest, sedforte significari (pp. 849-853). - VIII libro: l) Concordia Mosis et Platonis (pp. 866-867); 2) Confirma tio Christianorum per Socratica (p. 868); 3) Versio Porphyrii de daemoni bus (pp. 876-879); 4) Oratio Marsi/ii Ficini de charitate habita in collegio canonicorum Florentinorum et ad populum (pp . 88 1 -882); 5) Cognitio di vinitate animae ante omnia necessaria (p. 885). - X libro : l) De Adoratione (pp. 9 1 5-9 1 6); 2) Apo/ogi de voluptate (pp. 92 1 -924).
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Cfr. Kristeller ( 1 973), I, pp. XC N-CV.
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- XII libro: l ) Oratio Marsi/ii Ficini Fiorentini ad Carolum magnum Gallorum Regem (pp. 960-96 1 ) ; 2) Cur providentia permittat adversa. /tem de vaticiniis remediisque malorum (pp. 96 1 -963 ). La scelta del Kristeller è coerente alla metodologia da lui seguita nell' at tento esame del pensiero filosofico ficiniano: le epistole citate sono, qua si interamente, brevi opere che, per cosi dire,. riproducono in forma più sintetica l' andamento speculativo delle opere maggiori. Evidentemente, la ricerca di una sistematicità della filosofia ficiniana, la quale è alla base della sua importante monografia, induceva lo storico ad una selezione cer tamente efficace perché utile ad orientarsi nel mare magnf!m della silloge ma, al contempo, parziale. Sulla scorta dei più recenti studi critici intorno ai lavori del Kristeller8, è possibile anche aggiornare in qualche maniera la sua chiave di lettura dell' epistolario. Ficino si presenta spesso come una sorta di "maestro spirituale" o, per usare le sue parole, un "medico delle anime"; egli elargisce consigli, am monisce i suoi interlocutori e, soprattutto, mostra una via di ritorno a Dio attraverso l' esercizio delle virtù e della conoscenza. Se, come egli stesso sostiene nella già citata epistola al Poliziano, le sue lettere si distinguono dalle altre perché esibiscono un titolo dal contenuto morale, naturale o te ologico, allora in ognuna di esse è racchiusa la sua dottrina. Si tratta, evi dentemente, di un sapere poco sistematico per un duplice ordine di ragioni: se, da un lato, ciò è determinato dalla situazione contingente dello scambio epistolare, dall' altro, è invece la necessaria frammentarietà e gradualità della ricerca della veritas derivante dalla natura umana, rappresentata dalle figure mitologiche di Prometeo e Tantalo29, a rendere impossibile il siste ma. L'Epistolario, pertanto, nella sua forma definitiva conferita dali' auto re, si configura come una sorta di "itinerario", spesso impervio, verso la riscoperta di sé che è contemporaneamente anche conoscenza di Dio.
2. Conoscenza e vita: una possibile chiave di lettura dell 'Epistol ari o Nel sesto libro dell' epistolario è raccolta un' originale lettera a Lotterio Neroni caratterizzata da una forte vena di pessimismo, come può evincersi già dal titolo: Quam immundus sit hic mundus, quamfalsus, quamfalla:Jé3°.
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Cfr. Monfasani (ed. by) (2006); si veda anche Catana (20 1 4}, pp. 684-685. Mi sia consentito di rinviare a Melisi (20 1 9). Cfr. OM, pp. 836-839.
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Dopo il riconoscimento del fallimento di qualsiasi tentativo di conoscenza degli enti finiti, in quanto intrinsecamente falsi, il filosofo racconta una cosmogenesi molto particolare in questi termini : Forse, poiché Dio aveva creato il globo quasi a fonna di un pomo rotondo, quale è quello che volgannente siamo soliti chiamare mela, e vedendo che era abbastanza immondo, dato che era tratto dall'immondissimo caos (come qual che poeta diceva), subito cominciò, dalla stessa superficie del mondo come se fosse una mela, a pulire e a mondare, e tali scarti crollarono per il loro peso al centro sopra di noi miseri. Dunque, se nell 'universo c'è qualcosa di puro, ci è stato donato solo dai celesti.31
Il globo terrestre è rappresentato come una grande mela che, in base alla sua etimologia, è cattiva: la terra abitata dagli uomini sembrerebbe nient' altro che lo "scarto" della Creazione. Ficino, tuttavia, accorgen dosi immediatamente della pericolosità di questa teoria, si premura di distinguerla dalle mitologie dei Manichei attraverso citazioni bibliche tratte dal l ' Apocalisse; ma il suo intento è in verità quello di giustificare alla maniera di Platone nel Teeteto la presenza del male nel mondo e di dichiarare la necessità della "fuga" del saggio32• Di qui l ' esortazione finale al "vivere sapientemente" che coincide con il "vivere veramente e felicemente" : Dunque, i miseri mortali d'ora in poi prendano coscienza e la smettano di allontanarsi in silenzio dalla verità. Cosi, infatti, senza dubbio cesseranno di affaticarsi. Dunque, prima o poi, anzi quanto prima, inizino a vivere sapiente mente; infatti, solo cosi finalmente cominceranno a vivere veramente e felice mente.33
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lvi, p . 836: "Forte cum creavisset Deus eiusmodi globum, quasi rotundum pomum aliquod, quale id quod pomum malum vulgo nominare solemus, videretque esse nimis immundum, utpote qui ex immundissimo chao, (ut poetarum aliquis diceret) esset eductus, statim ab ipsa superficie mundi quasi mali pomi, mundare purgareque coepit, putamina vero in centrum medi'um ad nos miseros suo pondere deciderunt. Siqua igitur in universo sunt munda, coelestibus tantum donata sunt". Cfr. ivi, pp. 836-837 : "Hinc illud Platonicum, contraria bono mala esse necessarium est, cum vero apud superos esse mala non possent, regionem hanc inferiorem necessario circumeunt. Nullumque nobis aliud datur remedium, quam hinc illuc, quam celerrime purissima quadam vitae divinae similitudine fugere". lvi, p. 839: "Ergo errare mutum a vero mortales miseri se iam et agnoscant et desinant. Sic enim iam proculdubio desinent laborare. Ergo incipiant quandoque imo vero quam primum sapienter vivere, nam ita demum vere vivere incipient atque feliciter".
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Il passo citato costituisce il cuore dell' insegnamento che Ficino propone ai suoi corrispondenti epistolari. Il filosofo, infatti, si fa portavoce di un sapere non confinato alla mera speculazione ma finalizzato al "perfeziona mento" dell' essere umano; in tale maniera si spiega, dunque, lo stretto le game tra vita contemplativa e vita attiva che spesso emerge dai suoi scritti. Può essere illuminante, a questo proposito, una breve digressione sul Commentarium in Convivium Platonis conosciuto anche come De amore. Intendo riferirmi ad alcuni brani della quarta orazione che, nella finzione dialogica, viene pronunciata da Cristoforo Landino. Il mito dell ' integrità dell ' uomo primordiale viene qui interpretato in termini gnoseologici; le anime, infatti, erano dotate originariamente di un lume n�turale e di un lume soprannaturale, quest' ultimo andato poi perduto a causa del desiderio superbo di volersi eguagliare a Dio: In verità, il punto centrale della nostra interpretazione è il seguente: gli uo mini, vale a dire le anime degli uomini, in quel tempo, cioè, quando vengono create da Dio, sono integre, ornate di due lumi, uno naturale e uno soprannatu rale, affinché con quello naturale comprendessero le cose uguali e inferiori, con il soprannaturale le superiori. Vollero eguagliarsi a Dio, si volsero solo a quello naturale e di qui furono divise. Persero il loro splendore soprannaturale quando si diressero al solo lume naturale e subito precipitarono nei corpi.34
Al culmine della conoscenza naturale, l'anima è mossa dalla volontà di conoscere il Sommo Ordinatore del tutto e, pertanto, viene mossa dall'a more a riconquistare il lumen infusum in assenza del quale è impossibile giungere a Dio. Le viae per ottenere la beatitudine sono le quattro virtù cardinali: prudentia,fortitudo, iustitia, temperantia35• Come ha notato Leo Catana, allora, il recupero delle facoltà perdute in seguito alla "caduta" non avviene in termini cognitivi ma essenzialmente etici36• Si spiega, in tale maniera, l ' insistenza ficiniana sul tema dell ' elogio delle virtù nelle sue lettere. E, per di più, non è un' esaltazione confinata al campo della filosofia morale dal momento che è finalizzata ad una forma originale di "fuga" dal mondo. In un' epistola a Giovanni Cavalcanti dal 34
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DA, p. 1 69: "Summa vero nostre interpretationis erit huiusmodi. Homines, id est, hominum anime. Quondam, id est, quando a deo creantur. Integre sunt, duobus sunt exomate luminibus, ingenito et infuso. Ut ingenito equalia et inferiora, infuso superiora conspicerent. Deo equare se voluerunt. Ad unicum lumen ingenitum se reflexerunt. Hinc divise sunt. Splendorem infusum amiserunt, quando ad solum ingenitum sunt converse statimque in corpora cecidere". Cfr. ivi, p. 1 74. Cfr. Catana (20 1 4), pp. 692-694.
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titolo De constantia adversw; fortunam comparanda, ad esempio, ritorna questo tema: l ' anima può ottenere la libertà dal corpo, avvicinandosi per quanto le è possibile alla forma di vita perfetta (quella di Dio), per mezzo dell' esercizio della prudenza, della giustizia e della pietà37• Inoltre, sullo stesso piano speculativo possono essere collocati anche tutti i riferimenti alla patientia come rimedio ai mali della Fortuna38• In queste occasioni, il filosofo sembra proporre un ideale di vita non ascetico che consenta anche agli uomini impegnati negli affari cittadini di ricordarsi della pro pria natura più autentica. Il raggiungimento della verità non è, dunque, il privilegio di una classe circoscritta di individui ma, al contrario, deve riguardare tutti gli uomini. La pratica delle virtù, peraltro, risulta necessaria anche per l'homo con templativus. La verità, infatti, non può "accendersi" in un' anima distratta dalla materialità del corpo; cosi si rende necessaria la riproposizione della teoria tardo-antica dei gradi delle virtù, già presente nel De raptu Pauli. Anzitutto, all' interno della lettera Vìrtutum definitio, officium, finis ad An tonio Calderini, Ficino offre la seguente definizione: "Virtus est habitus animi electione ad beatitudinem conferens"39• Ad essa si accompagna la distinzione tra virtù speculative e virtù morali, di cui le prime sono in in tellectu mentre le seconde in appetitlfO. La classificazione delle stesse è descritta in questi termini : Di questo genere [di virtù] ci sono la sapienza, cioè la contemplazione delle cose divine; la scienza, che è la conoscenza delle cose naturali; la prudenza, che 37
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Cfr. EL l , p. 98: "Addit [Plato] "quam celerime" ob eam arbitror rationem, ut a tenera etate segregare a commertio corporis animum incipiamus, antequam diuturna eius consuetudine submergatur. Per hanc utique fugam Deo similis non immerito redditur animus, quippe cum a corporis contagione liber tanquam Deus evadat. Huiusmodi libertatem virtutibus precipue tribus assequimur: "Prudentia, iustitia, sanctitate". Prudentia quid Deo, quid mundo debeamus agnoscit; iustitia quod suum est mundo; sanctitas Deo quod suum est tribuit. Itaque vir prudens corpus quidem suum, mundi membrum, mundi ipsius revolutioni concedit quocunque contigerit agitandum; animum autem, Dei filium, a corporis commertio segregat et divine commictit providentie pro arbitrio gubemandum". Su questo tema, si vedano Rees (2008), p. I l ; Vaso li (2005), p. 39; Kristeller ( 1 988), pp. 322-323 . EL l, p. 1 84. Cfr. ibidem : "Virtutum duo sunt genera: alie in intellectu, in appetitu vero sive rationali sive irrationali sunt alie; ille speculative vocantur, iste morales; ille quidem speculative, quia speculando comparantur et comparate versantur in speculando; iste vero morales, quia more et consuetudine acquiruntur atque acquisite in mori bus et operum usu consistunt".
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è la consapevolezza delle cose private e pubbliche da amministrare rettamente; l 'arte, infine, che è retta regola delle opere da compiere. Dell' altro genere sono la giustizia, che spontaneamente attribuisce a ciascuno il suo; soprattutto, la fortezza che, sempre indirizzata ad opere oneste, ci libera dall'impedimento del timore; infine, la temperanza che allontana il desiderio dei piaceri, il quale è ostacolo per le altre opere oneste. Inoltre, la liberalità e la magnificenza sono compagne della giustizia e le restanti virtù similmente compagne delle altre.41
Il fine ultimo di tutte le virtù è, ancora, la virtus virtutum che è il culto di Dio, premiato finalmente con la consecutio Dei42• Viene delineato, dunque, un virtuoso percorso di deificatio hominis che, in altre occasioni, risente anche dell' evidente influsso della morale neoplatonica. N:ell' epistola De virtutibus civilibus, purgatoriis, purgati animi, exemplaribus, Ficino de scrive la seguente divisione delle virtù dei cercatori di Dio: Cercano Dio per un sentiero giustissimo coloro i quali, innanzitutto grazie alle virtù civili, sopprimono le passioni alquanto eccessive dell'anima; poi, per mezzo delle virtù purgatoriali, le recidono continuamente quasi fino alla carne viva; in terzo luogo, grazie alle virtù dell'anima già purificata le estirpano alla radice in conformità a quelle virtù, e una volta sradicatele, essi finalmente ven gono formati, per quanto è possibile ali 'uomo, dalle virtù esemplari che sono in Dio. Questi tre generi di virtù sono i gradi attraverso cui accediamo a poco a poco alle virtù divine. Prima o poi, ogni movimento naturale può raggiunge re il suo fine e ogni potenzialità, che è naturalmente ordinata alla forma, può finalmente ottenerlaY 41
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lvi, pp. 1 84- 1 85 : "In e o genere sunt sapientia, contemplatio divinorum; scientia, que est cognitio naturalium; prudentia, hoc est notitia rerum privatim et publice recte administrandarum; ars denique, que est recta efficiendorum operum regula. In alio genere sunt iustitia, que sponte suum unicuique tribuit; fortitudo preterea, que ad opera honesta promptior abicit a nobis timoris impedimentum; temperantia denique, que libidinum mollitiem, quod alterum honestorum impedimentum est, repellit. Liberalitas autem et magnificentia iustitie comites sunt atque virtutes alie similiter aliarum". Cfr. i vi, p. 1 85 : "Quoniam vero Deus principium finisque omnium est, ideoque nos Deo non nobis nati sumus, que in superioribus narrabantur eatenus virtutes sunt, quatenus a nobis colendi, imitandi consequendique Dei gratia exercentur. Cultus itaque Dei virtutum virtus est, consecutio autem Dei premium est virtutum". EL l, p. 42: "Illi Deum querunt rectissimo calle qui primo per civiles virtutes affectus anime nimium luxuriantes aliquantum amputant, deinde per virtutes purgatorias eos pene ad vivum usque resecant, tertio loco per virtutes animi iam purgati pro viribus radicitus illos extirpant, quibus quantum homini possibile est eradicatis denique virtutibus exemplaribus, que sunt in Deo, formantur. Nam tria illa virtutum genera gradus quidam sunt, quibus paulatim ad divinas virtutes accedimus. Omnis autem naturalis motus finem suum aliquando potest attingere,
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L a fonte, seppur indiretta poiché mancante nella versione latina ficinia na, è la celebre Sentenza 32 di Porfirio che ha avuto una lunga tradizione nella storia della filosofia occidentale44• Ma, a ben vedere, l' attenzione di Ficino è rivolta al ruolo strumentale delle virtù per la conoscenza. Come si legge nella lettera intitolata Nullus incontinens potest sapiens esse, non casualmente rivolta a tutti i filosofi e ai sofisti, l'anima non può conoscere le rationes rerum se non in seguito ad una purgatio morum preliminare alla speculazione45• La mente, infatti, può ricevere la luce divina della verità soltanto se mondata dalle nubi dei vizi e pura serenitate. Per le seguenti ragioni - continua Ficino - Socrate antepose la disciplina morale alla co noscenza e, allo stesso modo, Pitagora impediva l' accesso ai suoi insegna menti agli empi: Come un vaso fetido rende disgustoso al suo contatto qualunque liquore si versi, anche dolcissimo, così la mente turpe, dopo aver accolto la scienza, offre malizia e non sapienza. Inoltre, come avviene per l ' aria alla luce del sole, cosi avviene per la mente alla luce della verità e della sapienza. Dunque, né l ' aria né l ' intelletto mentre sono immersi nelle nubi ricevono mai i loro raggi, ma en trambi li ricevono improvvisamente, non appena sono ritornati puri e sereni.46
La verità, che è come una scintilla accesa da una pietra focaia, secondo quanto è scritto nella VII Epistola di Platone, non può illuminarsi in un'a nima tenebrosa; peraltro, la ricerca del vero comporta un impegno esclusi vo, incompatibile con i piaceri del corpo47• La mente deve rendersi serena
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et omnis preparatio, que naturaliter ordinatur ad formam, formam ipsam aliquando consequi potest". Cfr. Brisson (éd. par) (2005), l, pp. 334-344; cfr. anche Brisson (2006); Catana (20 1 4), pp. 685-686. Cfr. OM, p. 786: "Non attinget animus rationes rerum verissimas, quae sunt a corporibus separatae, nisi ipse seipsum tum morum purgatione, tum speculationis intentione a corpore separaverit". Si veda Kristeller ( 1 988), pp. 324-327. OM, p. 786: "Quia sicut vas foetidum quencumque liquorem infuderis vel suavissimum reddit sua contagione foetentem, sic mala mens accepta scientia malitiam parit non sapientiam. Praeterea sicut aer ad lumen Solis, sic mens se habet ad veritatis et sapientiae lumen. Ergo neque aer neque intellectus unquam dum nubilus est, suos radios comprehendit, et uterque comprehendit subito, cum primum purus et serenus evasit". Cfr. ibidem: "Anxii certe vivunt qui solis serviunt corporis voluptatibus. Sed multo magis anxii qui voluptates infimas cum supremis frustra copulare conantur. Nam cum nimium utrinque laborent, neutra ex parte vel mentis vel corporis voluptatibus perfruuntur. Nullos Deus reprobat magis quam eos qui sordidis vitiorum vasculis nectar et ambrosiam haurire confidunt. Nullos probat amatque magis (ut disputat Aristoteles) quam qui mentem Deo simillimam imprimis colunt, et a corporis labe
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e buona attraverso l' esercizio delle virtù e cosi potrà finalmente rendersi degna di risplendere, come uno specchio, dei raggi della divina Bontà48• In tale maniera, essa sarà colma di sapienza e, al contempo, raggiungerà la somma felicità. In un'altra lettera raccolta nel quinto libro Ficino, invitando esplicitamen te il destinatario a leggere quanto scritto nell'epistola precedente, commenta il passo evangelico in cui Cristo magister vitae sostiene che i sacri misteri sono nascosti al volgo ma saranno rivelati ai discepoli; in esso è evidente mente espressa la tesi secondo la quale la verità è un dono di Dio e, pertanto, può essere conosciuta soltanto dalle menti che più desiderano farsi simili a Lui, come dimostra la sapienza degli antichi sacerdoti49• Div�ntano necessa rie per questa finalità, dunque, insieme alle virtù cardinali anche le tre virtù teologali : Fides gignit spem, spes charitatem, charitatis ardor affert intelli gentiae claritatem è il titolo di una breve lettera al Bembo50• A questo punto della ricerca si presenta, però, un' importante questione. Torniamo per un attimo alla lettera al Calderini intitolata Vìrtutum definì rio, officium, .finis. Il filosofo, dopo aver definito e classificato le virtù, cosi riassume il suo discorso: E, per dirla in modo sommario, la virtù speculativa non è nient'altro che un'acquisita chiarezza dell' intelletto e la virtù morale nient'altro se non il fer vore stabile di un appetito infiammato dalla chiarezza dell'intelletto. Bisogna ricordare, in verità, che, fra le umane virtù, nessuna è più preziosa della facoltà di scelta, per migliorare la quale Platone afferma nei libri della Repubblica che tutto il resto deve essere abbandonato. Infatti, tutte le cose possono nuocere, e
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longe dissimili segregant, divinumque lumen non nebulis obruere vitiorum, sed pura student mentis serenitate percipere". Cfr. ibidem: "Discite rursus a Pythagora et Platone, sapientiam mentis nihil aliud esse, quam summi ipsius boni lumen per animos vere bonos tanquam specula quaedam purissima ubique diffusum. Ergo cum primum boni penitus evaseritis, summi ipsius boni splendore, hoc est sapientia, refulgebitis". Cfr. ivi, p. 787 (Prophanis sapientia non conceditur): "Compertum vero habemus solos apud Barbaros Sacerdotes, physicas, mathematicas, metaphysicas scientias tractavisse. Utpote qui sciebant sapientiam praecipuum Dei donum, non nisi mentibus maxime sacris divinisque vel debere vel posse concedi. Hac potissimum (ut arbitror) ratione Christus vitae magister ait, sacra mysteria dari quidem vulgo velata, electis autem discipulis penitus revelari". Cfr. ivi, p. 794. Nell'epistola Sapientia a solo Deo a Giovann i Cavalcanti, si legge: "Omnes apud Iudaeos Christianosque sacrae Iitterae clamant, sapientiam, (nisi docente Deo) disci non posse. ldeoque ab eo solo esse fide quaerendam, spe petendam, charitate pulsandam", cfr. ivi, p. 842.
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niente può essere di vantaggio, a colui il quale non sa riconoscere il bene dal male e separare le cose malvagie da quelle buone. 5 1
Ficino affenna che la virtù speculativa è una chiarezza dell'intelletto mentre la virtù morale uno stabile appetito acceso dalla claritas intellectus. Sembre rebbe, dunque, essere capovolta la prospettiva speculativa seguita dal filosofo precedentemente: laddove la serenità della mente ottenuta con la purificazione era il risultato dell'azione virtuosa, qui invece leggiamo della virtus moralis accesa da una claritas che non sappiamo come venga acquisita. Un passo di una lettera inserita nel settimo volume può sciogliere alcune perplessità: Platone, iniziato ai divini misteri di Mercurio Trismegisto, nella Repubblica ed in altri passi spesso afferma che se qualcuno non vedrà in qualche modo la luce dello stesso Dio e non conoscerà la sua bontà, non potrà vedere nulla di vero, né portare a termine qualunque opera di bene, sia pubblica che privata. In verità, il Sole divino può essere guardato soltanto dalla sua stessa luce. Dun que, quella luce è solita diffondersi solo in una mente serenaY
Il passo, informando che il lumen della verità viene infuso direttamente da Dio nella mente "serena" (in ossequio a quella che potremmo definire una teoria illuminazionistica della conoscenza), risponde al nostro inter rogativo; tuttavia, lascia ancora aperta la questione fondamentale poiché omette qualsiasi spiegazione della claritas mentis. Evidentemente, bisogna considerare quanto segue: se, da un lato, potrebbe trattarsi della riproposi zione della vexata quaestio riguardante la circolarità dell ' intellettualismo etico (seppur complicata da un' eclettica gnoseologia), dall' altro, ritengo che si debba tenere conto della dialettica tra intelletto e volontà, al centro della filosofia ficiniana53• È, allora, opportuno citare un passo che sembra avvalorare tale proposta enneneutica: 51
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EL l, p. 1 85 : "Et, ut summatim dicam, speculativa virtus nihil aliud est nisi acquisita claritas intellectus, moralis autem nihil aliud nisi fervor stabilis appetitus ab intellectus claritate succensus. Meminisse vero oportet nihil in humanis virtutibus electione pretiosius esse, pro qua emenda Plato in libris De republica censet cetera omnia esse vendenda. Obsunt enim illi omnia, prodest nihil, qui nescit discernere a malis bona et a bonis mala secernere". OM, p. 854 (Philosophia et Religio germanae sunt): "Piato divinis Mercurii Trismegisti mysteriis imbutus, in De republica et alibi saepe disputat, nisi quis Dei ipsius et lucem quodammodo viderit et agnoverit bonitatem, neque aliud quicquam veri posse videre, neque aliquid bene unquam agere ve! publice ve! privatim. Divinum vero Solem, solo eiusdem lumine perspici. Lumen denique illud menti solum serenae infundi solere". Cfr. Albertini ( 1 997).
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Certamente, un corpo celeste infonde la luce prima del calore ripetutamente ai corpi trasparenti, in quanto molto simili a lui, invece, a quelli terrestri offre il calore prima della luce; dunque, questa, purgata dali 'ardore e resa molto simile al cielo, subito porta il lume di là. Occorre, dunque, che l ' anima, circondata dal corpo terreno, nasca dall'amore di Dio, affinché purgata dall'amore, riceva di là la luce divina e con la luce la gioia. 54
L'anima deve essere anzitutto purgata dall' amore divino per farsi degna di ricevere la conoscenza che, in verità, coinciderà con Dio stesso. Al termine di questa analisi è opportuno provare a trarre le conclusio ni. L'alto contenuto della filosofia ficiniana non appartiene esclusivamente alla pura speculazione; essa, anzi, informa di sé la peculiare modalità di co municazione del Ficino con i suoi interlocutori. Per meglio dire, l' esercizio del filosofare è il fondamento della corrispondenza epistolare: ci troviamo di fronte ad un sapere vivo, ad un' idea di "filosofia totale" che va innanzi tutto vissuta nel quotidiano, come avveniva per gli antichi. Diversamente, sarebbero incomprensibili i frequenti riferimenti alla stultitia hominum e le exhortationes alla conoscenza, non più privilegio del sapiente ma di ogni essere umano. Ciò che è proprio dell'uomo - scrive Ficino nell' epistola Exhortatio ad scientiam a Niccolò degli Albizzi è il sapere, tutto il resto dipende dalla fortuna55• Occorre, dunque, "emulare doctos bonosque viros, quorum mens Deo similis" e guardarsi da coloro i quali sono schiavi, da una parte, di Scilla (i sensi) e, dali' altra, di Cariddi (l' opinio in quanto falsa conoscenza)56• Il recupero della filosofia platonica, allora, diventa onnipervasivo, in teressando tutti i campi dell' esperienza umana e rendendo, d' altra parte, l' epistolario il luogo dove probabilmente Ficino esprime in maniera più -
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OM, p. 887 (Quod ab amore Dei exordiri debemus, ut Deum intelligamus): "Coeleste profecto corpus perspicuis subinde corporibus, tanquam valde similibus, Iumen prius communicat quam calorem, terrenis autem admodum dissimilibus calorem impertit ante quam lucem, haec igitur ardore purgata factaque simillima coelo, lumen protinus inde portat. Animus igitur terreno corpore circunseptus ab amore Dei exordiatur oportet, ut amore purgatus, lumen sortiatur inde divinum et in lumine gaudium". Cfr. EL l, p. 46: "Nostrum est quod scimus, cetera vero fortune". Cfr. ibidem : "lnvideant homunculi divitibus, quorum arca dives est, non animus; tu emulare doctos bonosque viros, quorum mens Deo similis. Condiscepulos tuos admone ut Scyllam caveant et Caribdim, voluptatum videlicet illecebras pestiferamque mentis inflationem opinantis potius quam scientis; meminerint eam sibi quandoque summam voluptatem fore, que in summa animi ·parte ex summo veritatis ipsius thesauro tunc demum percipietur, cum inanium voluptatum umbras scientie gratia posthabuerint".
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autentica il suo pensiero a tal riguardo. Il filosofo, pertanto, nell ' esalta zione dell' amicizia quale comunione tra le anime sigillata dall' amor Dei e finalizzata all' ottenimento del medesimo fine, di cui indica la strada da percorrere per raggiungerlo, si rivela "amico del genere umano": Ascendiamo verso l ' alta vetta della mente dopo aver lasciato la polvere in significante del corpo! Allora guarderemo più da vicino le cose divine, più da lontano le cose umane; quelle sembreranno più grandi di come erano abi tualmente, queste più piccole; perciò diligenti verso quelle e negligenti verso queste, non saremo più stolti né miseri, ma già sapienti e beati. 57
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lvi, p. 1 1 1 (Stultitia et miseria hominum): "Ascendamus in altam mentis speculam infimo corporis pulvere derelicto ! Tunc divina propius, humana procul spectabimus; illa maiora quam consueverint videbuntur, ista minora; quapropter diligentes illa et ista negligentes neque stulti amplius erimus neque miseri, sed sapientes iam atque beati".
APPENDICE
NOTA AL TESTO
La traduzione delle Questiones quinque de mente è stata condotta sul testo critico stabilito da Sebastiano Gentile in Marsilio Ficino, Lettere Il Epistolarum familiarium liber Il, Olschki, Firenze, 20 1 0, pp. 5-23 . Al fine di rendere più agile la lettura del testo, si è preferito evitare di inserire in nota i riferimenti alle fonti, per le quali si rimanda ali' edizione critica. Vengono fornite soltanto alcune informazioni esplicative che integrano la trattazione condotta più sopra. Si è cercato, talvolta, di semplificare la sin tassi del latino ficiniano senza, tuttavia, privare il testo della freschezza speculativa che lo caratterizza.
CINQUE QUESTIONI SULLA MENTE
Cinque questioni sulla mente. La prima: se il suo movimento si dirige oppure no verso un certo fine definito; la seconda, se il fine del suo movi mento sia il moto o l 'immobilità,· la terza, se [questo fine} sia qualcosa di particolare o universale; la quarta, se possa mai essere in grado di otte nere il suo fine desiderato; la quinta, se dopo che ha raggiunto il fine, si allontani mai da esso. Marsilio Ficino saluta i suoi amici filosofi La Sapienza, nata dalla sommità del capo di Giove, creatore di tutte le cose, prescrive ai filosofi suoi amanti che, se desiderano veramente conqui stare un giorno la loro amata, devono desiderare sempre la sommità delle cose piuttosto che le loro tracce più infime. Infatti Pallade, creatura divina che è stata mandata dali' alto cielo, abita le alte rocche che ella stessa ha edificato; mostra, soprattutto, che noi non possiamo pervenire ai più alti principi delle cose se prima, trascurando le parti inferiori dell'anima, non saliamo verso il suo apice, la mente; infine, ella promette che se ci saremo raccolti nel fecondissimo capo dell' anima, qui senza dubbio tramite esso, vale a dire la mente, genereremo un' altra mente che - sostengo - sarà com pagna della stessa Minerva e figlia del sommo Giove. Allora, miei ottimi amici filosofi, non molto tempo fa sul Monte Celiano ho creato, in una veglia notturna, una mente di questo genere attraverso la mente, ed ora la voglio introdurre tra voi affinché voi stessi, che siete molto più fecondi di Marsilio, spinti - per così dire - da una certa forma di emulazione, possiate partorire, un giorno, una prole più degna al cospetto di Giove e di Pallade.
Si riconosce che il movimento di ogni specie naturale, poiché è deter minato da un certo ordine, è diretto e proviene da un certo principio verso un determinato fine
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Ogni movimento di tutte le specie naturali procede secondo un certo principio. Specie differenti si muovono in modi diversi, ed ogni specie conserva sempre lo stesso corso nel suo movimento poiché procede sem pre da questo posto verso quell ' altro e, viceversa, recede dall' ultimo al primo, in una certa maniera assolutamente coerente. Ci chiediamo spe cialmente da dove il movimento riceva un ordine di tal genere. Secondo i filosofi, sono due i limiti del movimento, quello dal quale proviene e quello nel quale fluisce : da questi due limiti esso riceve il suo ordine. Per cui, un movimento non ha origine da uno stato incerto e disordinato verso un altro indeterminato e privo di ordine, ma è diretto da un princi pio naturale determinato ed ordinato verso uno stato [altrettanto] deter minato ed ordinato, che si accorda con quel principio. Infatti, ogni cosa ritorna al proprio principio piuttosto che ad un altro estraneo, altrimenti specie differenti di cose talvolta si muoverebbero nella stessa maniera, e specie simili in una maniera differente; e [analogamente] le stesse spe cie sarebbero mosse in modi diversi e specie diverse spesso allo stesso modo. Inoltre, [se fosse così] sarebbe distrutta quella ordinata sequenza del movimento, attraverso la quale un movimento scorre gradualmen te per diversi gradi e forme appropriate in un certo tempo, e attraverso certi intervalli di tempo ritorna [al principio] . Si aggiunga, infine, che il movimento non si dirigerebbe verso una determinata regione, qualità o sostanza piuttosto che verso qualsiasi altra.
Il movimento più ordinato del cosmo è diretto verso un determinatofine dalla divina provvidenza Se i movimenti individuali si compiono secondo un determinato ordine mirabile, allora certamente il movimento universale del cosmo non è privo della perfezione dell' ordine. Infatti, proprio come i movimenti individuali derivano da quello universale e si dirigono verso il movimento universale, cosi ricevono regolarità dall' ordine del movimento universale e si rivolgo no all 'ordine dell' universo. In questo stesso ordine comune di tutte le cose, tutti gli enti, per quan to diversi, sono ricondotti all' unità secondo una determinata convenienza e ragione. Dunque, sono condotti insieme da un solo ordinatore pieno di ragione, se è vero che l ' ordine razionale deriva dalla più alta ragione e sapienza della mente, dalla quale secondo necessità sono stabiliti i fini indi viduali verso cui si indirizzano gli enti singoli . Certamente, è fissato il fine comune dell' universo, verso il quale i fini individuali conducono.
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Cinque questioni sulla mente
Quali fini abbia il movimento degli elementi, delle piante e dei bruti Non dubitiamo quali fini abbia il movimento degli elementi, del le piante e dei bruti. Alcuni elementi, a causa di una certa pesantezza discendono al centro del mondo, altri ascendono, a causa della loro leggerezza, alla cavità della sfera superiore. Anche il movimento delle piante, generato dalla potenza della nutrizione e della generazione, ter mina nel nutrimento sufficiente della stessa pianta e nella generazione di una pianta simile. Lo stesso accade alla potenza che noi e i bruti ab biamo in comune con le piante. Il movimento degli animali irrazional i, che riguarda propriamente il senso, ha origine dalla forma sensibile e dall' indigenza della natura per mezzo di quelle cose che sono percepi te dal l ' esterno per soddisfare il bisogno del corpo. Lo stesso riguarda quella natura che abbiamo in comune con tutti gli animali. Tutti questi movimenti di cui abbiamo parlato, dal momento che tendono verso un che di particolare, derivano da una potenza particolare ed in quei fini che abbiamo descritto ottengono il loro compimento e si perfezionano, secondo quanto richiede la loro natura.
Cinque questioni sul movimento della mente Non ci resta che indagare sul movimento della mente umana: primo, se tenda a qualche fine oppure no; secondo, se il fine del suo movimento sia il moto o l ' immobilità; terzo, se questo bene [verso il quale si dirige la mente] sia particolare o universale; quarto, se essa possa mai essere in grado di conseguire il suo fine desiderato, vale a dire il sommo bene; quinto, se dopo che ha raggiunto il suo fine perfetto, si allontani mai da esso.
Il movimento della mente guarda verso
un
determinato fine
Se gli altri enti non errano qua e là secondo un caso immotivato, ma sono diretti con un ordine razionale verso qualcosa che è al massimo grado ad essi appropriato e adatto, attraverso cui sono assolutamente per fezionati, ancora di più la mente, che è il ricettacolo della sapienza, che conosce l ' ordine e i fini delle realtà naturali, che ordina ogni giorno ra zionalmente i suoi scopi verso un determinato fine, che è superiore a tutti gli altri menzionati, la mente - ribadisco - si volge molto di più verso
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un determinato fine ordinato secondo un istinto naturale, attraverso cui è perfezionata in relazione al suo desiderio. Soprattutto perché, come le singole parti della vita, vale a dire le deliberazioni, le scelte e le abilità, si rivolgono verso fini individuali (dal momento che, infatti, ciascuno di essi cerca il proprio fine come se fosse il proprio bene), così la vita uni versale si volge, allo stesso modo, verso un fine ed un bene universali. Infatti, dal momento che le parti di qualsiasi ente sono finalizzate al tutto, ne consegue che l ' ordine, che esiste nelle parti, esista a sua volta a causa del loro ordine che si riferisce principalmente al tutto stesso. Inoltre, il loro ordine, che mira a fini particolari, dipende da un tale ordine comune del tutto, che contribuisce specialmente al fine comune del tutto. Certa mente se ogni motore muove per il suo vantaggio, è conveniente che la mente non conduca tutte le sue [parti] ai propri fini per qualsiasi altra causa se non per condurre verso il fine e il bene comune della mente. Infi ne, chi è così tanto fuori di senno da credere che la mente si sforzi, sia per natura che per proposito, di offrire alle realtà singole e diverse un certo ordine in relazione al l' unità, se non avesse essa stessa un tale ordine? In verità, dal momento che il fine ultimo e comune muove tutti gli altri [fini] dappertutto - è, infatti, il primo che desideriamo, per mezzo del quale cerchiamo le altre cose - senza dubbio, se il fine ultimo e comune stesso dovesse mancare, tutti gli altri non potrebbero esserci. Infatti, se la forma perfetta di un edificio non fosse stabilita da un architetto, gli operai non potrebbero mai compiere le loro diverse opere secondo quell' ordine che conduce al tutto stesso; anzi, in verità, in nessun modo potranno essere indirizzati alle attività stabilite [per loro] da qualcuno che non possiede prima il fine comune prestabilito dell' intera opera.
Ilfine del movimento intellettuale non è il moto ma l 'immobilità Se il fine del movimento intellettuale è il moto stesso, certamente [l' in telletto] si muove per muoversi ancora, e nuovamente affinché si muova di seguito e senza fine . Da ciò deriva che, perseverando continuamente in questo movimento, l ' intelletto non cessa di muoversi e, per questo mo tivo, non smette mai di vivere né di conoscere. Probabilmente, questo è quel movimento continuo dell ' anima attraverso cui essa agisce sempre e vive, come alcuni platonici hanno pensato. Ritengo, invece, che la mente, poiché conosce la stasi e la giudica migliore del cambiamento, e poiché essa la desidera naturalmente piuttosto che il moto, desidera il suo fine e il suo bene in un certo stato di immobilità piuttosto che in una condizione
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di movimento 1 • È indizio di questo il fatto che la mente ottiene più risul tati nella immobilità che nel movimento; per di più, i suoi oggetti ordinari sono le ragioni eterne delle cose, non le mutevoli passioni della materia2• A ciò si aggiunge che, come la potenza della vita, vale a dire l' intelligen za e la volontà, procede al di là dei confini delle realtà mutevoli verso quelle che sono stabili ed eterne, così la vita stessa raggiunge certamente il suo fine e il suo bene nell' eternità, al di là di qualsiasi mutamento temporale; del resto, l ' anima non potrebbe oltrepassare i limiti delle re altà mutevoli, sia intendendole che desiderandole, se essa, vivendo, non potesse elevarsi sopra di loro. Infine, il movimento è sempre imperfetto e tende verso qualcos' altro, mentre la natura dello stesso fine, specialmente del più elevato, è quella di non essere né imperfetta né di procedere verso qual cos' altro.
L 'oggetto e ilfine della mente sono la verità e bontà universali Dunque, bisogna dire che il fine dell' intelligenza e della volontà sia una certa verità e bontà individuale oppure universale? Certamente universale, poiché l ' intelletto concepisce una nozione più ampia di ciò che i filosofi chiamano ente, vero e buono, sotto la quale ogni cosa che esiste, o può esistere, è compresa in maniera totale. I peripatetici sostengono che quel lo stesso che è definito ente, vero e buono, che contiene tutte le cose, sia l'oggetto comune dell' intelletto umano, dal momento che come l' oggetto del senso è il sensibile, cosi l' oggetto dello stesso intelletto si chiama intel ligibile, e l' intelligibile comprende, nella sua ampiezza, ogni cosa. Inoltre, l ' intelletto è predisposto dalla natura alla comprensione dell' intera esten sione dell' ente, e nella nozione di quello percepisce tutte le cose e, a sua volta, in questa, contempla se stesso. Inoltre, sotto il concetto della verità conosce tutto, sotto quello del bene desidera tutto. I peripatetici riferiscono entrambi al concetto di ente. In verità, se il bene sia più ampio dell'ente, come ritengono i platonici, oppure no, mi sembra che non riguardi la pre sente questione.
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I temi del movimento dell'anima e della stabilità della sua sostanza vengono presentati da Ficino come prime prove della sua immortalità nel libro quinto della Theologia Platonica, cfr. TP, V, 1 -2, Il, pp. 1 2- 1 6. Cfr. TP, IX, 4, III, p. 40: "Agimus enim non modo per imagines illas obiectu corporum acceptas sive conceptas, sed etiam per universales rerum species et rationes, quae partim insunt animo, partim eius peculiari vi pariuntur". Cfr. Spruit ( 1 994), pp. 32-38.
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Divinizzazione del/ 'umano e pathos conoscitivo nelle lettere di Ficino
Usiamo, dunque, per ora - se è consentito - questi tre nomi, vale a dire ente, vero e buono, come se fossero sinonimi, giacché nel commento al Filebo ne abbiamo discusso più accuratamente3• Innanzitutto mi sembra che ci si debba chiedere se l ' intelletto possa conoscere qualsiasi cosa sia inclusa chiaramente sotto [il concetto di] ente. Può farlo senz' altro: l' in telletto divide l' essere nei dieci generi universalissimi e, per gradi, que sti dieci in quanti più possibili generi subordinati ad essi; poi, sistema certe specie ultime sotto i generi subordinati; finalmente, colloca, come abbiamo detto, senza fine, gli enti singoli sotto le specie. Se l' intelletto può descrivere l' ente stesso come un tutto e gradualmente dividerlo, per cosi dire, in tutte le sue membra e diligentemente comp�arle tra loro e rispetto al tutto, chi non vede che è per natura capace dello stesso ente universale? Infatti, chi vede il tutto stesso nella sua forma e osserva i suoi confini e i gradi attraverso cui si espande ovunque, senza dubbio può com prendere come realtà intermedie quei singoli enti che sono compresi entro quei limiti. Tralascio ora [di discutere sul fatto] che l ' intelletto, poiché secondo i platonici è in grado di scoprire l'uno e il bene al di sopra e al di sotto dell' essere, potrà molto di più percorrere da ogni parte tutta la sua estensione. Certamente, dopo la nozione di ente (il cui termine abbiamo ripetuto spesso), esso può a suo piacimento pensare anche alla nozione di ciò che si può rappresentare diversissimo da quello, vale a dire il non ente. Se può passare da quello a ciò che ad esso è infinitamente distante, allora molto più facilmente [può farlo] per quegli enti che sono contenuti sotto l' ente come realtà intermedie. Per questa ragione Aristotele dice: come la materia, che è l 'ultima delle realtà naturali, può ricevere tutte le forme corporee e può diventare in questo modo tutte le cose corporee, cosi l' in telletto che è, per cosi dire, l 'ultima delle realtà sovrannaturali e la prima di quelle naturali, può assumere la forma di tutte le cose e diventare tutte le cose. Come l'universo sotto il concetto dell' ente e della verità è oggetto dell' intelletto, cosi sotto quello del bene è oggetto della volontà. Che cosa cerca l' intelletto, dipingendo in sé tutte le cose secondo la propria natura,
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Cfr. CP, VI, pp. 1 1 1 - 1 1 3 : "Quod omnia finem aliquem expetant et ad ultimum reducantur finem, idque sit ipsum bonum et ipsum unum sitque rerum omnium principium, satis est, ut arbitror, demonstratum. Ex quo Peripateticorum contra divum Platonem cavillationes explosae iam sunt. Verum absolutum id bonum est omnibusque commune. Quod ut nobis pateat textum Platonis aggrediemur, qui summum hominis bonum, id est, hominis felicitatem beatamque vitam in ipsius absoluti boni fruitione consistere arbitratur, quippe cum omne quod cum conditione est ab absoluto dependeat". Sulla controversia con Giovanni Pico della Mirandola a proposito del concetto di ente, cfr. Allen ( 1 986) e Vanhaelen (2009).
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se non di trasformarle in se stesso? E cosa, a sua volta, si sforza di fare la volontà se non di trasformare se stessa in tutte le cose, godendo di quelle secondo la loro natura? Il primo, dunque, si sforza affinché, in qualche modo, l' universo diventi intelletto, la seconda affinché la volontà sia l'u niverso. Pertanto, in entrambi, lo sforzo naturale dell ' anima tende, come dice Avicenna nella Metafisica, a questo: che l'anima diventi a suo modo il mondo intero. Infatti, notiamo che qualsiasi anima, secondo un istinto naturale ed uno sforzo continuo, desidera conoscere con l' intelletto tutte le verità e godere di tutti i beni tramite la volontà4•
L 'origine e ilfine dell 'anima è la sola verità e bontà bifìnita Bisogna ricordare, in verità, che lo stesso universo, il quale - abbiamo detto - è il fine dell ' anima, è totalmente infinito. Infatti, noi riteniamo chè il fine peculiare e proprio di qualcosa sia ciò che desidera particolarmente con grande sforzo, come se fosse il suo sommo bene, in vista del quale cerca e realizza ogni altra cosa, e dove, infine, si riposa completamente a tal punto da porre già fine del tutto allo stimolo della natura e dell' appe tito. Certamente, la condizione naturale del nostro intelletto è quella di cercare la causa di ogni cosa e, per di più, la causa della causa. Pertanto, la ricerca dell' intelletto non termina se non trova quella causa della quale nient' altro sia causa, ma essa stessa sia causa delle cause, che è soltan to l' immenso Dio. Anche il desiderio della volontà non si sazia di alcun bene, fino a quando riteniamo che vi sia un altro bene superiore: allora, esso è soddisfatto da quel solo bene, al di là del quale non vi è altro bene. Cosa può essere questo bene se non l' immenso Dio? Di conseguenza, fino a quando si presenti qualsiasi cosa di vero o di buono che abbia certi e quanto più possibile diversi gradi, se ne cerca di più con l' intelletto e se ne desidera ancora con la volontà; per cui, in nessun luogo ci si può riposare se non nella verità e bontà immensa, né trovare fine se non nell' infinito. Dunque, dal momento che qualsiasi realtà si riposa nella propria origine dalla quale è prodotta e dove è perfezionata, e la nostra anima, senza dub4
Cfr. EL l, pp. 20 1 -2 1 0, in partic. pp. 206-207 (Quid est felicitas, quod habet gradus, quod est eterna): "lntellectus enim cum non tam pro natura rerum quam pro natura sua res ipsas intelligat, res ad se ipsum quodammodo videtur attrahere, ideoque non proprie movere dicitur animam. Voluntas cum res appetat eo modo consequi quo sunt in se ipsis, trahit animam ad externa, ideoque motus initium est voluntas; finis autem motus universalis extrinsecus est, qui denique tanquam forma quedam anime sese iungit".
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bio, è in grado di riposare soltanto nell' infinito, ne consegue che solo ciò che è infinito sia la sua origine. D' altra parte, questo stesso deve essere chiamato propriamente la stessa infinità ed eternità piuttosto che qualcosa di eterno o infinito. Dal momento che, in verità, l ' effetto prossimo alla causa diventa più simile alla causa stessa, ne consegue che l ' anima sia in un certo modo una potenza infinita ed eterna, altrimenti non si volgerebbe mai particolarmente all ' infinito. Da ciò deriva, senza dubbio, che non vi sia nessuno tra gli uomini che viva appagato sotto il cielo e sia soddisfatto delle attività temporali.
Prima o poi l 'anima può raggiungere ilfine desiderato e il suo bene L' anima razionale, prima o poi, può conseguire il suo fine perfetto. Se, infatti, quegli enti che sono meno perfetti in natura conseguono la loro naturale perfezione nel possesso del loro desiderato fine, quanto più [lo farà] l ' anima che è sia la più perfetta, sia il fine di tutte le realtà naturali. Se quegli enti che non prescrivono un fine né agli altri né a se stessi prima o poi raggiungono il fine adeguato, quanto più [lo farà] la mente che cerca e trova il proprio fine e, per di più, determina il fine di molte cose, di molte altre lo prevede e di tutte lo osserva. Se la potenza naturale negli enti più bassi non è vana, certamente non lo è nell' anima, che è tanto grande da misurare precisamente con quale intervallo gli enti inferiori si allontanano da quelli superiori. A ciò si aggiunge che l'anima non seguirebbe mai na turalmente un determinato fine, se non potesse attenerlo. Infatti, da quale altra potenza è mosso verso tale fine, se non da quella con la quale può raggiungerlo? Inoltre, vediamo che quando essa si sforza intensamente [di attenerlo], migliora molto in siffatto movimento. E con la potenza con la quale migliora, essa stessa prima o poi viene perfezionata. Notiamo, allora, che essa si muove a poco a poco più intensamente, come ogni elemento che si avvicina al suo luogo naturale, quanto più velocemente si dirige verso di esso. Pertanto, come un elemento, cosi nemmeno la mente passa continua mente da una cosa all' altra senza fine invano, ma prima o poi ottiene il fine desiderato per se stesso5• Vi sono, dunque, nelle cose e nelle azioni naturali ed umane, principi e fini. È contro la natura e la ragione stessa del p rincipio risalire da un principio ad un altro senza un [primo] principio. È contrario alla ragione 5
Viene qui esposta in maniera sintetica la teoria de li' appetitus naturalis, che ritorna spesso nelle opere ficiniane e su cui si veda Kristeller ( 1 988), pp. 1 80-2 12.
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del fine discendere successivamente da un fine ad un altro senza un fine [ultimo] . Ogni azione trae origine dal sommo agente, ogni appetito dal fine ultimo. Tutti gli enti che sono tali a causa di qualcos' altro, necessa riamente sono ricondotti a quello stesso che è tale per se stesso. Allora, se non vi fossero entrambi [il sommo agente e il fine ultimo], non potrebbe iniziare alcuna azione, né alcun appetito potrebbe stimolare. Di conse guenza, poiché ogni motore si muove da sé, dove è il sommo motore [lì] trova parimenti il fine ultimo, e ciò è vero in qualsiasi ordine delle cose e similmente nell ' ordine dell ' universo. Ma occorre ampliare ancor più largamente il precedente argomento sul la mente. Se qualcuno ci chiedesse qual è più perfetto, se l' intelletto o il senso, l' intelligibile o il sensibile, prometteremmo di mostrargli immedia tamente quanto desidera, se prima avrà risposto alla seguente domanda: "Sei consapevole che c'è qualcosa in te stesso che possiede la nozione di entrambi, o amico che mi stai interrogando, la nozione, intendo [dire], dello stesso intelletto e del senso, e dell' intelligibile e del sensibile: infatti, la stessa potenza che confronta l'uno e l ' altro, in qualche modo riguarda entrambi . Dimmi, allora, se una potenza di tal genere sia dell' intelletto o del senso. Dimmi, ti prego, liberamente, in maniera tale che io attraverso la tua risposta possa presto replicare alla domanda che mi hai posto". Dun que, già ti sento rispondere così : "Una potenza di tal genere non appartiene al senso: infatti, tutti continuamente usiamo soprattutto e con grande sforzo i sensi. Se, dunque, il senso potesse vedere se stesso e le altre cose, tutti gli uomini o almeno molti di essi conoscerebbero con facilità e chiaramente la stessa facoltà del sentire e del conoscere, e le cose intelligibili e sensibili. Dal momento che, per la verità, quelli che conoscono tutte le cose sono pochissimi, e a fatica e non senza un lungo ragionamento dell' intelligen za le conoscono, è certo che il senso non conosce affatto né se stesso né l' intelletto e gli oggetti intellettuali; dunque, spetta all ' intelletto conoscere tutto ciò. Inoltre, quella facoltà che conosce entrambe è la stessa che le trova attraverso il ragionamento e con ragione deduce quale sia più perfetta tra le due. Poiché cerca con ragionamento e assegna una ragione [alla sua decisione], è la ragione, non il senso. Dunque, soltanto l' intelletto è quello che conosce tutte le cose". Pertanto, alla tua prima domanda ora ti rispondo così : "L' intelletto è almeno tanto superiore al senso, quanto la sua potenza si propaga più ampiamente e perfettamente nella sua azione. Il senso, come tu stesso hai mostrato, non può conoscere né se stesso né l ' intelletto e gli oggetti intellettuali, mentre l' intelletto conosce entrambi". A ciò si aggiunge un ulteriore grado di perfezione, giacché l' intelletto, quando compara vicendevolmente se stesso, il senso e le altre cose in
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merito al loro grado di perfezione, già possiede, come se fosse dinanzi agli occhi, la più alta forma di perfezione, e paragonando li ad essa, quello che si avvicina di più lo giudica più perfetto. Se esso raggiunge la più alta forma di perfezione, senza dubbio la raggiunge per una certa proporzione tra la somma perfezione e la sua. Non soltanto, dunque, [l ' intelletto] è superiore al senso, ma anche quasi sommamente perfetto, al di sotto della perfezione stessa. Noto, inoltre, i.m terzo grado di perfezione dell' intelligenza: mentre, in fatti, essa cerca e giudica se stessa, certamente si riflette in se stessa. Ciò che è tale, esiste e permane anche in se stesso, è inoltre completamente incorporeo e semplice. Infine, poiché procede da se stesso verso se stesso in un movimento circolare, può senz'altro muoversi perpetUam ente, vale a dire agire e vivere sempre. Tralascio di dire che l' intelletto, in quanto più perfetto, è comune a po chi e si manifesta più tardi e più raramente, ed anzi, cosi come un fine, ci è concesso dopo l'uso della facoltà vegetativa e del senso, dà regola e leggi al senso e ne prescrive il fine; quando ragiona e riflette, induce se stesso ad agire secondo giudizio. Il senso, invece, quando la ragione non resiste, è orientato sempre dall ' istinto della natura. Tralascio di dire che la ragione spesso sceglie diversamente da quanto il senso e la necessità del corpo richiedono, poiché evidentemente il principio della scelta non dipende dal corpo; altrimenti il suo fine tenderebbe sempre al corpo. Da ciò si comprende certamente che la ragione nel suo movimen to non è mai sottoposta ai corpi perché riflettendo trascende i corpi, deli berando estende se stessa a cose diverse ed opposte e giudicando spesso respinge l' inclinazione del corpo; per cui in misura inferiore si subordina ad alcun corpo nell' essenza e nella vita. E che dire del fatto che il senso sembra indebolirsi con l'avanzare dell'e tà, mentre l ' intelletto niente affatto? Ciononostante, esso può allontanarsi dalla tensione della speculazione quando è occupato eccessivamente dalla cura e dal governo del corpo. E cosa dire del fatto che l' oggetto dello stesso senso, qualora sia più intenso, colpisce con violenza immediatamente il senso e dopo il suo incontro non può conoscere i suoi oggetti più deboli? Cosi come uno splendore eccessivo colpisce con violenza l' occhio, un ru more troppo intenso danneggia le orecchie. La mente, al contrario, non è colpita né turbata dal suo oggetto più elevato, anzi, dopo averlo conosciuto, distingue allo stesso tempo più chiaramente ed esattamente anche le realtà inferiori, il che significa davvero che la natura della mente è massimamente spirituale ed eccellente. E che dire del fatto che il senso è limitato dai soli oggetti corporei mentre l' intelletto, libero da ogni legame con le realtà cor-
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poree secondo la sua più profonda attività - in quanto per la sua essenza e vita non è sommerso in quelli - separa le forme corporee dalle passioni del la materia, e [separa] le forme che per sé sono completamente incorporee da quelle corporee, dal momento che è separato dalle passioni della materia e dalle condizioni della forma corporea? Inoltre, il senso è soddisfatto solo da oggetti particolari, mentre gli oggetti familiari all ' intelletto sono le ra gioni universali ed eterne delle cose, alle quali esso può diventare familiare non diversamente [se non per il fatto che possiede] una specifica propor zione con loro. Da ciò si rivela esso stesso assoluto ed eterno, soprattutto perché raggiunge le ragioni di quel genere attraverso certe specie che esso stesso produce ed accoglie, le quali devono essere separate dalle passioni della materia, altrimenti non potrebbero rappresentare quelle ragioni ed idee. Dunque, l ' intelletto stesso, se non fosse libero dalle passioni della materia, non potrebbe affatto né produrre né accogliere specie di tal genere.
La mente può raggiungere il suo fine desiderato molto più del senso La ragione è certamente peculiare alla nostra natura: infatti, Dio non l ' ha infusa nelle bestie, altrimenti avrebbe concesso loro il linguaggio come interprete della ragione e, inoltre, la mano come ministro e strumento della ragione; in secondo luogo, avremmo visto nelle bestie segni di deliberazio ne e versatilità. Dunque, osserviamo, invece, che esse non fanno altro che ciò da cui sono stimolati dall' impulso della natura per la necessità del cor po. Tutti i ragni tessono allo stesso modo la tela, non imparano a tessere né migliorano attraverso la pratica per quanto lungo tempo [vi si dedichino]. Infine, apparirebbero nelle bestie certi chiari indizi della religione ed azio ni manifeste a tutti : infatti, dove c'è l' intelletto, che è una sorta di occhio disposto verso il lume intelligibile, lì anche il lume intelligibile, che è Dio, risplende, è accolto, amato e venerato6• 6
Il tema della religione come "differenza specifica" dell'essere umano rispetto agli animali è presente anche nel primo capitolo del De Christiana religione, cfr. CR, l, p. 1 57: "Singulas generis humani dotes videmus in bestiis quibusdam, saltem secundum quandam similitudinem, excepta religione aliquando apparere. Nullum bruta pre se ferunt religionis inditium, ut propria nobis sit mentis in Deum celi regem erectio, sicut corporis in celum erectio propria cultusque divinus ita ferme hominibus naturalis, quemadmodum equis himnitus canibusve latratus. [ . . . ] Rursus, si homo animalium mortalium perfectissimus est in quantum homo, oh eam precipue dotem est omnium perfectissimus, quam inter hec habet ipse propriam ceteris animalibus non comunem: ea religio est. Per religionem igitur est perfectissimus".
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Quanto l ' intelletto è migliore del senso, tanto almeno l'uomo è miglio re della bestia. Ed è migliore per il fatto che ha qualcosa di proprio, non comune agli altri animali. Dunque, grazie all ' intelligenza, è ritenuto tan to migliore in special modo poiché, con l ' opera dell' intelletto, partecipa all' infinita perfezione, che è Dio, attraverso l' amore, il pensiero ed il culto. Inoltre, la particolare perfezione di un ente consiste nel possesso del suo fine appropriato, il cui raggiungimento è tanto più facile e più completo quanto più abbondante è la [sua] innata perfezione. Infatti, dove quella perfezione formale, che è innata dal principio, è più forte, lì la stessa per fezione finale, secondo l' ordine della natura, è garantita più abbondante mente, facilmente e con maggiore successo, dal momento. che quella [la perfezione finale] obbedisce a questa [la perfezione formale], e nasce per subordinazione ad essa. Da ciò si conclude che la ragione può raggiungere il suo fine desiderato ed appropriato molto più facilmente del senso, l' uo mo molto di più della bestia.
L 'anima immortale è sempre misera nel corpo mortale Facciamo esperienza che la nostra bestia in noi, vale a dire il senso, rag giunge molto spesso il proprio fine e bene quando esso, per quanto attiene a sé, senza dubbio è del tutto soddisfatto dal raggiungimento del suo oggetto adeguato; invece, non abbiamo esperienza di quando il nostro uomo, cioè la ragione, ottenga il suo fine desiderato. Infatti, anche nei più alti piaceri del corpo, quando il senso stesso è completamente saziato per quanto gli è possibile, la ragione è ancora violentemente agitata e scuote il senso. Se vuole seguire i sensi, dubita sempre di qualcosa, inventa nuovi piaceri, ricerca continuamente non so cos' altro. Quando tende a resistere ai sensi, invece, rende la vita faticosa: in entrambi i casi, allora, non solo non è feli ce, ma disturba profondamente anche la felicità del senso stesso; oppure se ha già domato il senso e si raccoglie in se stessa, allora, spinta dalla propria natura, ricerca le ragioni e le cause delle cose. Quando trova spesso ciò che non vuole, o non trova quello che vuole, o eventualmente non compren de tanto quanto desidera e conosce, certamente [la ragione] sempre esita, vacilla e si tormenta. Siccome non è tranquilla da nessuna parte, senza dubbio, mentre è cosi disposta, non raggiunge mai il suo fine desiderato né consente al senso di ottenere il suo fine che è già presente. In verità, non ci si può immaginare niente di più irrazionale dell ' uomo, che grazie alla ragione è più perfetto di tutti gli animali, anzi di tutte le cose sotto il cielo, più perfetto - sostengo - per quanto riguarda alla sua perfezione formale,
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che ci è concessa dal principio, [ma] a causa della medesima ragione è la più imperfetta quanto alla perfezione finale, per raggiungere la quale è stata concessa la prima perfezione'. Questi sembra essere quell' infelicissimo Prometeo, il quale istruito dal· la divina sapienza di Pallade ha ottenuto il fuoco celeste, ovvero la ragio ne; a causa di ciò, sulla sommità di un monte, vale a dire all' apice della contemplazione, per un incessante morso di un uccello rapace, cioè del tormento della ricerca, è giudicato a buon diritto il più misero di tutti finché non si rivolge a quello stesso luogo da cui un tempo ha preso il fuoco, in modo che, come ora è costantemente spinto da quel solo raggio della luce superiore verso il tutto, cosi poi sia totalmente colmato dall' intera luce8•
L 'uomo, quanto difficilmente consegue la felicità fuori dalla condizione naturale, tantofacilmente la ottiene una volta restituito alla sua condizio ne naturale Le ragioni da noi addotte precedentemente sulla inclinazione della feli cità umana sembravano mostrare chiaramente la verità stessa con un certo ordine naturale. Da dove viene, allora, come insegna l' esperienza, tanta difficoltà che si oppone al nostro sforzo di giungere alla beatitudine cosic ché sembriamo rotolare la grande pietra di Sisifo sopra i pendii della mon tagna? Cosa c'è da stupirsi? Noi desideriamo le sommità del monte Olim po, ma abitiamo l'abisso della valle più bassa, siamo oppressi dal fardello del corpo pesantissimo, e mentre aneliamo alla cima, spesso tanto per lo stesso peso quanto per le rupi scoscese [che sono] ovunque, repentinamen te ricadiamo giù precipitando. E che dire del fatto che, da una parte, molte7
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La condizione infelice dell'uomo, fonte della sua connaturata "inquietudine spirituale", è il motivo ispiratore della Theo/ogia Platonica, come si legge nella prima pagina dell'opera, cfr. TP, l, l, l, p. 1 4 : "Cum genus humanum propter inquierudinem animi imbecillitatemque corporis et rerum omnium indigentiam duriorem quam bestiae vitam agat in terris, si terminum vi vendi natura iii i eundem penitus atque ceteris animanti bus tribuisset, nullum animai esset infelicius homine. Quoniam vero fieri nequit ut homo, qui dei cultu propius cunctis mortalibus accedit ad deum, beatitudinis auctorem, omnino sit omnium infelicissimus, solum autem post mortem corporis beatior effici potest, necessarium esse videtur animis nostris ab hoc carcere discedentibus Iucem aliquam superesse". Ficino dedica diverse epistole al tema della miseria hominis, prima di decidere di raccoglierle e di tradurle in volgare con il titolo di Sermoni morali della stultitia et miseria degli huomini, cfr. Greco (2003); Davie (2005); Gentile-Niccoli-Viti (a cura di) ( 1 984), pp. 1 0 1 - 1 02.
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plici pericoli ed ostacoli ci trattengono, dall' altra, ci aspettano le lusinghe nocive di certi prati? Allora, ahimè, a noi miseri, fuori dalla patria sublime, legati in questo luogo bassissimo, non ci si presenta mai niente che non sia molto difficile, niente accade che non sia miserabile sotto ogni aspetto. Che cosa mai risponderemo ad una contraddizione di tal genere? Da un lato, la dimostrazione assicura una grande facilità, dall' altro, contemporaneamen te l' esperienza mostra una grande difficoltà. Insomma, soltanto la legge di Mosè risolve una tale controversia: siamo collocati al di fuori dell' ordine della prima natura, e contro l' ordine della natura - ahimè - agiamo e soffriamo; il primo uomo, quanto più facilmente poteva raggiungere la felicità quando prima era completamente rivolto a ' Dio, tanto più facilmente ora, allontanatosene, perde quella facilità. Dun que, tutta la stirpe del primo uomo, collocata al di fuori dell' ordine della sua prima natura, tanto difficilmente conquista la beatitudine, quanto facil mente, una volta restituita a quell' ordine, la riacquisterà. Cosa dicono i filosofi riguardo a tali questioni? I Magi, seguaci di Zoro astro e Ostane, sostengono certamente qualcosa di simile. Dicono, infatti, che per un' antica debolezza della mente umana ci toccano in sorte tutte le infermità e difficoltà, e se qualcuno restituisse al i' anima la sua costitu zione [precedente], subito tutte le altre cose sarebbero ben disposte. Non si distacca da ciò neanche l ' opinione dei pitagorici e dei platonici, i quali sostengono che l ' anima è afflitta da innumerevoli mali perché, eccessiva mente sedotta dal desiderio dei beni sensibili, ha abbandonato incautamen te i beni del mondo intelligibile. I peripatetici forse direbbero che l' uomo si allontana più della bestia dal proprio fine perché si muove con libero ar bitrio, di conseguenza può trasgredire da una parte e dall' altra, in base alle diverse congetture che usa nel riflettere. Invece, l'animale irrazionale non è guidato da se stesso ma è diretto al fine appropriato dalla stessa provviden za della natura che non sbaglia mai. Quel nostro errore o peccato, allora, dal momento che non dipende da un difetto della natura ma dall' instabilità della ragione e dall' ambiguità della decisione, non distrugge affatto la po tenza naturale ma piuttosto turba la volontà; e come in un elemento posto al di fuori del suo luogo proprio rimangono intatte, insieme alla sua natura, la potenza e l' inclinazione. naturale verso il proprio fine, con la quale può prima o poi ritornare alla sua regione, cosi dicono che nell 'uomo, anche dopo che ha deviato dalla strada giusta, resta la potenza naturale di ripren dere sia il cammino che il fine. Infine, l ' esattissima indagine dei teologi conclude l' intera questione in questo modo : non vi può essere alcuna inclinazione superiore alla poten za motrice. Poiché, dunque, l ' inclinazione dell ' anima tende soprattutto
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all ' infinito, certamente dipende solo dall' infinito. Se, infatti, provenisse immediatamente da una determinata causa che muove l ' anima dopo Dio, si volgerebbe anche soltanto ad un fine limitato, se è vero che la potenza di muovere, per quanto sia infinita nel principio infinito, tuttavia, è limitata nella causa successiva, che è determinata, e il movimento segue la quali tà del motore più vicino piuttosto che di quello più lontano. Per cui quel motore, che converte appropriatamente l ' anima all' infinito è solo l' infinita potenza che, in conformità alla libera natura della volontà, muove la mente, in un certo modo assolutamente libero, per farle scegliere le strade [da per correre] ; inoltre, per l ' infinita potenza del motore la incita continuamente al fine da raggiungere tanto da non poteri o non desiderare. Se un movimento del genere non può raggiungere il fine verso il quale è diretto, allora nessuno potrà [farlo] . Dove prospera un' infinita potenza, lì domina un' infinita sapienza e bontà. Essa, allora, non muove nulla invano né nega alcun bene a qualcosa che possa o debba riceverlo. Pertanto, poiché l'uomo si avvicina di più delle bestie, da una parte, agli angeli beatissimi per l ' uso della ragione e della contemplazione e, dall 'al tra, a Dio fonte della beatitudine grazie al culto divino, è necessario che sia prima o poi molto più beato [di loro] nel possesso del fine desiderato; poiché, chi è più simile alle realtà superiori tanto per l' ardore della volontà quanto per la luce dell' intelligenza, allo stesso modo sia simile nella feli cità della vita, se è vero che la potenza e l ' eccellenza del pensiero e della volontà derivano dalla potenza della vita. Ora, in verità, in questo corpo, [l'uomo] è di gran lunga più miserabile, sia a causa della debolezza ed infermità dello stesso corpo e per la mancanza di ogni cosa, sia a causa del continuo affanno della mente. Per cui, l ' anima celeste ed immortale quanto difficilmente insegue la sua felicità nel corpo terreno, intemperante e fragi le, tanto più facilmente la raggiungerà sia libero dal corpo che in un corpo temperato, immortale e celeste. Dunque, lo stesso fine naturale non sembra esistere se non nella con dizione naturale. La condizione più naturale dell ' anima eterna sembra essere quella di vivere nel suo corpo ormai eterno. Pertanto, si dedu ce con un' argomentazione necessaria che l ' immortalità e la luminosità dell ' anima possa e debba, un giorno, risplendere nel proprio corpo, nel quale stato è certamente compiuta la più alta beatitudine de li ' uomo. Inol tre, questa dottrina dei profeti e dei teologi è confermata dai Magi e dai filosofi ermetici e platonici9• 9
Questi argomenti sulla resurrezione vengono più ampiamente affrontati nel libro diciottesimo della Theologia Platonica, cfr. TP, XVIII, 9, VI, pp. 1 64- 1 78.
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La mente che ha acquisito la beatitudine non la perde mai Quando, in verità, l ' anima raggiunge il fine infinito, poiché lo raggiunge soprattutto per la ragione con la quale è [da esso] influenzata, sollecitata ed attirata, senz' altro lo raggiunge infinitamente. Se l' anima ha potuto, un giorno, risalire all ' immensità da un certo posto finito da cui è infinitamente distante, può anche rimanere infinitamente nella stessa immensità, soprat tutto perché la stessa potenza infinita, che l ' aveva attirata a sé per così tanto tempo, la tiene vicina a sé più intensamente di quanto si possa spiegare. Finalmente, nella bontà infinita non si può immaginare alcun male e, qual siasi bene si immagini o desideri, può essere completamel).te trovato. Ll, dunque, c'è la vita eterna, il lume più chiaro dell ' intelligenza, l' immobilità priva del mutamento, la condizione priva di mancanza, un tranquillo e si curo possesso di ogni bene, piena gioia ovunque. Fine delle cinque questioni sulla mente.
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INDICE DEGLI AUTORI DALL ' ETÀ ANTICA AL RINASCIMENTO
Aristotele , 27 , 48 n , 67 , 1 06 Aurelio, M . , 27 , 80
Macrobio , 61 e n Michelozzi , N . , 24
Averroè , 26 , 67 Naldi , N . , 35 Bandini , F., 25 , 3 8 , 55 , 78 , 80 Barbaro, Errnolao, 26-27 Bembo, B . , 25 , 30, 92 Bruni , Leonardo, 33 Calderini , A ., 89, 92 Capella, Febo , 60, 73 Cavalcanti , Giovanni , 30-3 1 , 42 , 44 n , 60 , 88 , 92 n Corsi , G . , 8 , 2 1
Paolo di Tarso, 9 , 2 1 , 42 , 60-6 1 , 63 Pelotti , A . , 34 Pico della Mirandola, Giovanni , 20 , 48 n, 106 n Platone, 1 3 - 1 4 , 1 9 , 20 , 22, 25 , 27 , 34, 36, 38 , 72, 79, 8 1 -82, 84 e n, 87 , 9 1 93
Donati , A . , 72
Plotino , 20 Poliziano , A . , 22-23 , 86 Porfirio, 20, 9 1 Prisciano di Li dia, 20
Epicuro, 37-38
Proclo , 67 Psello , 20
Giamblico, 20 Ivani , A . , 77 , 79
Sinesio, 20 Si sto IV, papa, 27-29 Socrate , 82 e n, 83 n, 84, 9 1
Lorenzo de ' Medici , 14, 24 e n, 25 , 27 ,
Ugolini , B . , 34
3 1 , 66 Lahdino, C . , 88 Lucrezio, 22 , 23 n, 37
Valori , F. , 25 Vinciguerra, A . , 25
INDICE DEGLI AUTORI MODERNI
Albertini , T., 48 n, 93 n Allen , M . J . B ., 48 n, 5 1 n, 55 n, 65 n , 80 n, 82 n, 83 n, 106 n Beierwaltes, W., 54 n Blum , P. R . , 84 e n Borghesi , F. , 20 e n Brisson , L . , 91 n Brown , A . , 23 n Bullard , M . M . , 25 n
Gentile, S . , 8 , 1 9 e n, 20 n , 21 n, 22 n , 2 4 n , 2 5 n , 2 8 n , 33 e n , 36 e n , 38 n , 39 n , 4 3 e n , 6 0 n , 7 2 n , 7 9 n , 8 1 e n , 99, 1 1 3 n Gontier, T., 46 n Greco, R . , 1 1 3 n Hajn6czi , G ., 25 n Hankins, J ., 1 9 n, 23 n, 25 n, 3 1 n, 82 n lacono, A . , 29 n
Castelli , P. , 75 n Chastel , A . , 5 1 n Conti , D . , 6 1 n, 77 n, 8 1 n , 83 n Cro, S . , 83 n
Jurdjevic, M . , 25 n, 3 1 n Kristeller, P.
O.,
7, 1 0 , 1 6 , 19 e n, 2 1 n,
23 e n, 25 , 27 e n , 31 n , 32, 34 n , 36 n , 37 e n , 41 e n , 43 e n, 46 n , 47 n, 48 n, 49 n, 50 e n, 54 n, 65 e n, 79 n, 80 n , 8 1 n, 85 e n , 86, 89 n , 91 n, 108 n
Davie, M ., 1 1 3 n de Gandillac , M . , 1 9 n De Pace , A . , 45 n Della Torre , A . , 2 1 , 22 e n, 36 n, 38 n , 41 n, 80 n
Laneri , M . T., 27 n, 80 n, 8 1 n Lotti , B . , 54 n, 65 n
Ebgi , R . , 37 n Marcel , R. , 1 6 , 2 1 n , 35 n , 42 e n , 43 e n Mariani Zini , F. , 40 n , 6 1 n Marti , M ., 33 e n Martines , L . , 28 n
Edelheit , A . , 48 n, 62 n Erler, M . , 83 n Faes de Mottoni , B . , 60 n Field , A . M . , 19 n Fubini , R . , 24 e n Galland, S . , 6 1 n Gari n , E . , 7, 1 3 e n , l 6 , 1 9 n, 37 e n, e n , 4 1 e n , 5 1 n , 62 n Gentile, G . , 7
40
Melisi , R., 7-9, 80 n, 86 n Monfasani , J . , 86 n Motta, A . , 82 n Murphy, J . J . , 19 n Najemy, J . M ., 28 n Németh, C . , 60 n
O ' Rourke Boyle , M . , 74 n Overgaauw, E . , 24 n Panichi , N . , 17 n Perosa , A . , 7, 32 e n, 33 Pinchard, B., 83 n Podolak, P. , 80 n Polcri , A . , 38 n Pompeo Faracovi , 0 . , 28 n Poncet, C . , 1 9 n Rabassini , A . , 5 1 n, 52 e n, 65 n, 75 e n Rees, V. , 24 n , 25 n, 28 n, 29 n, 3 1 e n , 77 n, 89 n Reynaud, J ., 61 n Robichaud, D . J .-J . , 80 n, 84 n
Sanzotta, V. , 24 n Sheppard, A . , 33 n Snyder, J . S . , 67 n Soranzo, M . , 29 n Spruit, L . , 1 05 n Tarabochia Canavero , A . , 26 n Toussaint , S . , 1 5 n , 39 e n, 8 1 n Troger, U ., 28 n, 32 n Vanhaelen , M . , 1 06 n Vasiliu, A . , 73 n Vasoli , C . , 1 6 , 20 n, 50 n, 60 e n, 62 n , 64 n , 89 n Vitale , E . , 34 n , 67 n
PERCORSI DI CONF� Collana diretta da Pio Colonnello Romeo Bufalo, Il mondo che appare. Storie di fenomeni Pio Colonnello e Stefano Santasilia (a cura di), Intercultura, democrazia, società. Per una società educante 3 . Sante Maletta, Il giusto della politica. Il soggetto dissidente e lo spazio pubblico 4 . Raffaele Cirino, Leibniz e il criterio di convenienza. La .fisica come specchio della filosofia 5. Fortunato M. Cacciatore, Giuliana Mocchi, Sandra Plastina (a cura di), Per corsi di genere. Filosofia Letteratura Studi postcoloniali 6. Pio Colonnello, Orizzonti del trascendentale 7. Maria Teresa Catena e Anna Donise, Sentire e Pensare. Tra Kant e Husserl 8. Simona Venezia, La misura dellafinitezza. Evento e linguaggio in Heidegger e Wittgenstein 9. Pio Colonnello (a cura di), Il soggetto riflesso. Itinerari del corpo e della mente 1 0. Maria Teresa Catena e Valeria Sorge (a cura di), Spazio e Misura. Medioevo e Modernità a confronto 1 1 . Pio Colonnello (a cura di), Fenomenologie e visioni del mondo. Tra mente e corpo 1 1 bis. Liborio Dibattista (a cura di), Emozioni Infettive. Saggi storico-filosofici sul contagio emozionale 1 2. Luigi Laino, Salvare i fenomeni. Saggio sullafisica greca e sui presupposti della matematizzazione della natura 1 3 . Ferruccio De Natale (a cura di), Il primato del dialogo. Esperienze filoso fiche, letterarie e teatrali su silenzio, parola e ascolto con scritti di Niky D' Attoma, Pasquale D' Attoma, Ferruccio De Natale e Valentina Patruno 1 4. Deborah De Rosa, L 'ordine discontinuo. Una genealogiafoucaultiana 1 5 . Pietro Gori, Il pragmatismo di Nietzsche. Saggi sul pensiero prospettivistico 1 6 . Daniele Garritano, Il senso del segreto. Benjamin, Bataille, Deleuze, Blanchot e Derrida lettori di Proust 1 7. Giuseppe Bomino, D "Pesa-Nervi ". Linguaggio, mente e corpo in Antonin Artaud 1 8. Stefano Santasilia, Introduzione allafilosofia latinoamericana 1 9. Vincenzo Bochicchio, Costruttivismo e psicopatologia. Tra epistemologia e clinica 20. Fabrizio Palombi, Elogio dell 'astrazione. Bachelard e lafilosofia della mate matica 21 . Pio Colonnello, Fenomenologia e patografia del ricordo 22. Luca Lupo, Forma ed etica del tempo in Nietzsche l.
2.
23 . Davis Colombo, Patologie dell 'esperienza. Lajìlosojìa di Giinther Anders fra contingenza e tecnica 24. Fabio Seller, Apocalittica e tempo dellafine in Tommaso Campanella 25. Riccardo Roni, Victor Egger (1 848-1 909). Lafilosofia spiritualista in Fran cia tra Ottocento e Novecento 26. Maria Teresa Catena, Breve storia del corpo
Finito di stampare nel mese di settembre 2020 da Geca Industrie Grafiche - San Giuliano Milanese (MI)