Diritto costituzionale 8892112945, 9788892112940

"Gli anni 2016 e 2017 hanno sancito alcune svolte – non necessariamente positive – nel diritto costituzionale. La n

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Diritto costituzionale
 8892112945, 9788892112940

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Pisaneschi

Diritto Costituzionale

Edizione disponibile da stampare per uso personale.

INDICE

pag1

Premessa alla seconda edizione

XIX

Premessa alla prima edizione

XXI

INTRODUZIONE STATO E DIRITTO (Giovanni Grottanelli de’ Santi)

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. IL 12.

Premessa Organizzazione e ordinamento Gli elementi dello Stato: popolo, territorio, potere sovrano Potere sovrano e supremazia Conoscenza e certezza del diritto Diritto dello Stato e attività politica Lo Stato come soggetto di diritto Personalità unica dello Stato e nomi diversi Stato di diritto Diritto pubblico e diritto privato La tendenziale invasione dello Stato nella sfera del privato Stato e autonomia dei privati

XXV XXVI XXVII xxvin XXX xxxn XXXIII XXXIV XXXV XXXVI XXXVI XXXVIII

PARTEI

LA COSTITUZIONE

Capitolo I COSTITUZIONE E POTERE COSTITUENTE 1. 2.

La Costituzione: prime definizioni L’origine della Costituzione come limite al potere: potere costituente e poteri costituiti

3 8

Indice

P“g-

3. 4. 5. 6.

La Costituzione nelle monarchie dualiste e nel primo dopoguerra Le Costituzioni contemporanee e la rigidità come tratto caratterizzante Prime distinzioni di sintesi: Costituzioni flessibili e rigide, Costituzioni lunghe e brevi, formali e materiali Sintesi del capitolo

11 13 16 19

Capitolo II ALLE ORIGINI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Lo Statuto albertino e la sua evoluzione Il periodo fascista Il periodo transitorio L’Assemblea Costituente Il congelamento della Costituzione e il suo successivo disgelo Sintesi del capitolo

21 24 26 29 34 36

Capitolo III COSTITUZIONE E PROCEDIMENTO DI REVISIONE 1. 2. 3. 4. 5.

6. 7. 8. 9.

I caratteri essenziali della Costituzione italiana: una sintesi I caratteri essenziali delle norme contenute nella Costituzione Il procedimento di revisione costituzionale I limiti logici alla revisione della Costituzione Il contenuto essenziale della Costituzione ovvero i limiti impliciti alla revisione L’art. 139 della Costituzione tra limite esplicito e limite implicito Le altre leggi costituzionali La adattabilità delle Costituzioni rigide: le consuetudini costituzionali, le convenzioni della Costituzione e la prassi Sintesi del capitolo

39 40 44 46 48 51 52

54 56

PARTE II

FONTI DEL DIRITTO

Capitolo I NORME GIURIDICHE E FONTI DEL DIRITTO

1. 2.

Ordinamento ed ordinamenti giuridici Le norme giuridiche

VI

61 63

Indice

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Dalla disposizione alla norma: l’attività di interpretazione 3.1. Interpretazione giudiziale e interpretazione autentica 3.2. La volontà del legislatore: interpretazione analogica, interpreta­ zione adeguatrice j 3.3. Leggi penali, speciali ed eccezionali 4. Fonti del diritto: distinzioni preliminari 5. Il pluralismo delle fonti nello Stato contemporaneo 6. Come l’ordinamento ricompone ad unità un sistema pluralistico di fonti: il principio di gerarchia 7. Il principio di competenza 8. Sintesi di alcune categorie giuridiche emerse: validità, legittimità, an­ nullamento di una fonte. 9. La successione delle fonti nel tempo 10. Il principio di irretroattività dellalegge 11. Il nucleo di resistenza alla retroattività: rapporti esauriti, diritti quesiti, principio dell’affidamento 12. Sintesi del capitolo 3.

67 68 70

73 75 77

79 82 84

86 89 91 93

Capitolo II LA CENTRALITÀ DELLA LEGGE NELLA COSTITUZIONE

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

La centralità della legge nella Costituzione: il principio della preferen­ za della legge 97 Un primo effetto della centralità della legge: il principio di legalità nel­ la sua generale accezione 99 2.1. Legalità formale e legalità sostanziale' 101 Le riserve di legge: garanzia dei diritti e limitazione del potere esecutivo 103 3.1. Riserve di legge e atti con forza di legge 107 3.2. Riserve assolute, rinforzate, relative/ 108 Il procedimento legislativo: gli obbiettivi costituzionali 110 4.1. La fase della iniziativa 113 4.2. La fase decisoria: il procedimento in sede referente o ordinario 116 4.3. Il procedimento in sede deliberante o in commissione 119 4.4. Il procedimento in sede redigente 120 4.5. Un vincolo importante al potere decisionale del Parlamento: la copertura finanziaria delle leggi 121 4.6. La promulgazione 123 4.6.1. I caratteri del rinviopresidenziale 124 4.7. La pubblicazione 126 La destrutturazione della forma della legge: le leggi rinforzate 127 5.1. Perché le leggi rinforzate? 130 La destrutturazione della legge per contenuto: le leggi provvedimento e le leggi “a basso contenuto di generalità e astrattezza” 132 Sintesi del capitolo 135

VII

Indice

Pag-

Capitolo III ATTI CON FORZA DI LEGGE E REGOLAMENTI

1.

2.

3.

4. 5. 6.

7. 8.

La regola e l’eccezione: dalla legge del Parlamento ai decreti legge e decreti legislativi Il decreto legge nella normativa precostituzionale e nella Costituzione 2.1. La prassi degenerativa 2.2. I primi tentativi di limitare l’eccesso di decretazione di urgenza: il filtro parlamentare 2.2.1. La legge n. 400 del 1988 2.2.2. Gli indirizzi della giurisprudenza costituzionale La delegazione legislativa 3.1. La progressiva deformazione del modello costituzionale 3.2. La giurisprudenza della Corte costituzionale: il sindacato sulle c.d. norme interposte I testi unici I poteri del Governo in caso di guerra Il potere regolamentare del Governo: alcune notazioni preliminari 6.1. La legge n. 400 del 1988: filosofia e tipizzazione dei regolamenti 6.2. Le caratteristiche e la ratio dei modelli di regolamento 6.3. I regolamenti ministeriali 6.4. La delegificazione ed i regolamenti delegati o autorizzati 6.5. La progressiva destrutturazione della delegificazione Le leggi “taglia leggi” e i regolamenti “taglia regolamenti”: nuove fron­ tiere dell’abrogazione Sintesi del capitolo

139 141 144

146 148 151 155 157 159 162 163 164 166 167 170 170 172

173 175

Capitolo IV LE FONTI DI PROVENIENZA DA ORDINAMENTI ESTERNI ALLO STATO ITALIANO: LE NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE 1. 2.

3. 4. 5.

La Costituzione italiana come Costituzione “aperta” 179 L’adattamento automatico e le norme di diritto internazionale gene­ ralmente riconosciute 182 L’adattamento speciale ed il diritto pattizio 184 Il trattamento giuridico dello straniero 187 Sintesi del capitolo 189

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Indice

Pag-

Capitolo V L’UNIONE EUROPEA. LE FONTI EUROPEE E I VINCOLI ALL’ORDINAMENTO INTERNO DERIVANTI DALL’UNIONE

L’Unione Europea: le ragioni ideali I Trattati europei: dalla CECA alla CEE Il Trattato di Maastricht H fallimento della Costituzione europea ed il nuovo Trattato di Lisbona Cenni all’organizzazione interna della Unione Europea Gli atti giuridici dell’Unione Europea L’efficacia delle norme U.E. all’interno degli Stati membri: la natura sui generis del Trattato secondo la Corte di Giustizia 7.1. L’efficacia delle norme U.E. all’interno degli Stati membri: l’ef­ fetto diretto 206 7.2. L’efficacia delle norme U.E. all’interno degli Stati membri: il principio del primato del diritto europeo 208 7.3. II cammino comunitario della Corte costituzionale italiana 7.4. La non applicazione della legge per contrasto con norme U.E.: gli effetti 213 7.5. Se la norma europea contrasta con la Costituzione: la teoria dei controlimiti 214 7.6. Lo stato dell’arte attuale: la forza dei regolamenti e delle direttive nell’ordinamento interno 217 8. La legge europea: partecipazione alla fase ascendente e discendente della normativa comunitaria 217 9. L’Europa ed il problema della spesa pubblica 9.1. La disciplina della spesa pubblica nella Costituzione: l’art. 81 nel­ la sua formulazione originaria 222 9.2. H nuovo art. 81 della Costituzione: Ulisse e le sirene 9.3. Il ciclo europeo di bilancio 10. Sintesi del capitolo

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

IX

191 194 196 199 201 204

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210

220

224 229 231

Indice

Pag.

Parte III L’ORGANIZZAZIONE DELLO STATO

Capitolo I FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO

1. 2. 3. 4. 5.

6.

7. 8. 9. 10. 11.

12. 13. 14.

Forme di Stato e forme di Governo: prime definizioni 237 L’ordinamento feudale: la sovranità basata sul diritto privato 240 Lo Stato assoluto: la sovranità unica e indivisibile 242 Lo Stato liberale: il principio della separazione dei poteri 244 La crisi dello Stato liberale tra le due guerre: l’avvento degli Stati tota­ litari 247 Lo Stato costituzionale a matrice sociale: pluralismo e crisi della so­ vranità 250 La distinzione tra le forme di Stato basata sul grado di decentramento dello Stato: rinvio 252 Criteri e metodi per la classificazione delle forme di Governo 252 I presupposti condizionanti: separazione dei poteri e checks and balan­ ces 254 I presupposti condizionanti: sistema dei partiti e sistemi elettorali 256 La forma di Governo parlamentare: i tratti comuni 260 11.1. La forma di Governo parlamentare a preminenza dell’esecutivo 262 11.2. La forma di Governo parlamentare a preminenza dell’assem­ blea 265 La forma di Governo presidenziale 267 La forma di Governo semipresidenziale e la forma di Governo diretto­ riale 270 Sintesi del capitolo 272

Capitolo II IL PARLAMENTO 1. 2. 3.

4.

5. 6.

La forma di Governo parlamentare italiana: uno sguardo complessivo 277 Il principio del bicameralismo paritario 279 Le differenze tra le due Camere in ordine a composizione e sistema elettorale 282 Le norme costituzionali a tutela del libero esercizio delle funzioni del par­ lamentare: ineleggibilità, incompatibilità e divieto di mandato imperativo 286 La durata delle Camere: la fine della legislatura e la prorogatio 290 L’autonomia delle Camere: le norme costituzionali sui regolamenti parlamentari 292 6.1. I regolamenti parlamentari come fonti del diritto 294

X

Indice

Pag-

7. 8. 9. 10. 11.

12. 13. 14.

6.2. I regolamenti parlamentari e la forma di Governo 296 L’autonomia e l’indipendenza delle Camere: interna corporis, verifica dei poteri e autodichia 299 L’autonomia e l’indipendenza delle Camere: la insindacabilità 301 304 8.1. La inviolabilità L’organizzazione interna delle Camere: Gruppi parlamentari, Com­ missioni, Giunte e Presidente 306 L’attività delle Camere: i principi costituzionali 310 Le funzioni di indirizzo e controllo del Parlamento nei confronti del Governo: mozioni, risoluzioni, ordini del giorno, interrogazioni,- inter­ pellanze 313 Le funzioni di indirizzo e controllo delle Camere: le commissioni di inchiesta 315 H Parlamentoin seduta comune 317 Sintesi del capitolo 318

Capitolo III GOVERNO E PRINCIPI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Il Governo organo non solo esecutivo: la funzione di indirizzo politico La composizione del Governo: il quadro generale L’ambiguità dell’art. 95 e le interrelazioni tra gli organi Gli organi governativi non necessari La formazione del Governo: la prassi prima e dopo il sistema maggio­ ritario 6. Mozione di fiducia, mozione di sfiducia, questione di fiducia 7. La crisi di Governo 8. La responsabilità dei ministri 9. Le funzioni del Governo: i principali/settori nei quali si svolge l’in­ dirizzo politico 10. Il Governo come “organo esecutivo’’: il problema della continuità o della separazione con l’amministrazione 11. I principi costituzionali: imparzialità e buon andamento della Ammini­ strazione 12. Sintesi del capitolo

321 323 325 327

1. 2. 3. 4. 5.

328

331 333 337 338

340

343 345

Capitolo IV IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 1.

2.

Il Presidente della Repubblica nella forma di Governo parlamentare: introduzione 347 L’elezione del Presidente della Repubblica 349 XI

Indice

Pag-

3. 4.

La controfirma ministeriale I poteri nei confronti del Parlamento 4.1. Lo scioglimento delle Camere 5. I poteri nei confronti del Governo 6. I poteri nei confronti dell’ordine giudiziario e della Corte costituzionale 7. Il potere di esternazione 8. Il potere di grazia 9. La responsabilità del Presidente della Repubblica 10. Il ruolo complessivo del Presidente nella forma di Governo 11. Sintesi del capitolo

353 356 358 361 364 366 367 369 372 376

Capitolo V L’ORDINAMENTO REGIONALE

1.

2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17.

Stato accentrato, Stato federale e Stato regionale: alcune distinzioni preliminari 379 Le ragioni storiche del regionalismo in Italia 383 Il modello regionale nella Costituzione del 1948 386 La difficile attuazione del modello regionale 389 L’impianto regionale dopo la riforma del titolo V: una visione com­ plessiva 392 La potestà statutaria delle Regioni ordinarie e speciali 395 Il contenuto degli statuti e la forma di Governo regionale 397 La potestà legislativa concorrente ed i suoi limiti 401 La competenza esclusiva dello Stato 406 La potestà legislativa residuale ed i suoi limiti 408 Il regionalismo differenziato 409 La potestà legislativa delle Regioni a statuto speciale 410 L’autonomia amministrativa 411 L’autonomia finanziaria 413 I collegamenti verso l’alto: raccordi tra lo Stato e le Regioni 415 I collegamenti verso il basso: cenni all’ordinamento degli enti locali 416 Sintesi del capitolo 417

Capitolo VI ORGANI AUSILIARI E AUTORITÀ INDIPENDENTI 1. 2. 3. 4. 5.

Gli organi ausiliari Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro Il Consiglio di Stato La Corte dei Conti Le Autorità indipendenti XII

421 422 423 423 424

Indice

Pag-

Capitolo VII GLI STRUMENTI DIRETTI DI PARTECIPAZIONE POPOLARE 1.

2. 3. 4. 5. 6. 7.

Democrazia rappresentativa e democrazia diretta: alcune coordinate preliminari 427 Il referendum abrogativo nella Costituzione 429 Il procedimento referendario 431 L’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione 433 Il giudizio di ammissibilità della Corte costituzionale 434 Il diritto di petizione 437 Sintesi del capitolo 438

Parte IV I DIRITTI FONDAMENTALI E LE GARANZIE

Capitolo I I DIRITTI FONDAMENTALI: UN INQUADRAMENTO GENERALE 1. 2. 3.

4. 5. 6.

7. 8. 9.

Le situazioni giuridiche soggettive 443 I diritti fondamentali: giusnaturalismo, positivismo, storicismo 447 Le distinzioni tradizionali: libertà dallo Stato, libertà nello Stato, liber­ tà attraverso lo Stato ! 450 3.1. La storicità di queste distinzioni ed il loro superamento 452 La impostazione culturale dei diritti fondàmentali nella Costituzione 456 I diritti inviolabili dell’uomo nell’art. 2 dèlia Costituzione 459 Il principio di eguaglianza nell’art. 3 della Costituzione: notazioni in­ troduttive 463 6.1. Il principio di eguaglianza in senso formale 464 6.2. La eguaglianza sostanziale 466 Il principio lavorista 469 Il principio di laicità dello Stato 471 Sintesi del capitolo 474

Capitolo n LE LIBERTÀ DEI SINGOLI E ; DELLE FORMAZIONI SOCIALI

1.

La libertà personale

477 XIII

Indice

Pag-

2.

3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

La libertà di domicilio La libertà di circolazione e soggiorno La libertà di comunicazione e corrispondenza La libertà di manifestazione del pensiero La libertà della ricerca scientifica edella scuola La libertà di riunione La libertà di associazione I principi costituzionali sulla famiglia Sintesi del capitolo

480 481 483 484 490 490 492 494 497

Capitolo III I DIRITTI POLITICI E SOCIALI

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Partiti politici e democraticità dello Stato I partiti politici: natura e disciplina legislativa Cenni alla c.d. “crisi dei partiti” Il diritto di voto I sindacati I principi costituzionali sulla tutela del lavoro I principi costituzionali sul diritto alla salute Sintesi del capitolo

501 504 506 507 509 511 514 517

Capitolo IV LA COSTITUZIONE ECONOMICA

1. 2. 3. 4.

5. 6. 7. 8.

La Costituzione economica tra diritto ed economia Il c.d. modello di economia mista delineato nella Costituzione La influenza del diritto europeo sulla Costituzione economica L’iniziativa economica privata 4.1. Brevi cenni alla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato La proprietà privata Il possibile trasferimento allo Stato di particolari attività produttive La tutela del risparmio Sintesi del capitolo

XIV

519 521 524 526 528 531 533 535 537

Indice

Pa&-

Capitolo V LA GARANZIA E LA TUTELADEI DIRITTI FONDAMENTALI: DALLA COSTITUZIONE ALLA DIMENSIONE SOVRANAZIONALE

1. 2.

3.

4. 5.

Il bilanciamento dei diritti e il c.d. “contenuto minimo” Principi sulla magistratura: autonomia e indipendenza del giudice 2.1. Le garanzie dell’indipendenza: il CSM e le altre garanzie 2.2. Le garanzie delle parti: il giusto processo La tutela internazionale dei diritti fondamentali: alcune distinzioni pre­ liminari 551 3.1. La protezione dei diritti dell’uomo nei trattati internazionali 3.2. La protezione dei diritti dell’uomo nella Convenzione EDU 3.3. La protezione dei diritti dell’uomo nel Trattato dell’Unione Eu­ ropea Verso una tutela multilivello dei diritti fondamentali Sintesi del capitolo

541 544 546 548

552 554 556 558 560

Capitolo VI LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE NELLA COSTITUZIONE: ORIGINI E PRINCIPI ORGANIZZATIVI

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

La nascita della giustizia costituzionale negli Stati moderni I modelli di giustizia costituzionale La scelta della Costituzione verso un modello accentrato La disciplina costituzionale della Corte e fa sua composizione Il sistema delle fonti che disciplina la Corte Autonomia e indipendenza della Corte costituzionale Regole generali di organizzazione e funzionamento Sintesi del capitolo

563 566 570 572 575 577 579 580

Capitolo VII IL GIUDIZIO INCIDENTALE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE 1. 2. 3.

4.

La incidentalità del giudizio: caratteristiche e ragioni di un modello L’autorità giurisdizionale legittimata a sollevare la questione I filtri preliminari del giudice a quo-, la rilevanza e la non manifesta in­ fondatezza della questione 589 3.1. Un ulteriore filtro introdotto dalla giurisprudenza costituzionale: la interpretazione conforme La ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale

XV

583 586

592 593

Indice

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5.

6. 7.

8.

9. 10. 11. 12. 13.

14.

L’oggetto del giudizio da parte della Corte costituzionale: leggi e atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni 597 Le caratteristiche generali del giudizio davanti alla Corte costituzionale 600 I filtri preliminari della Corte costituzionale: le decisioni processuali di inammissibilità e di restituzione degli atti al giudice a quo 603 7.1. I filtri preliminari di merito: le decisioni di manifesta infondatezza 605 L’incostituzionalità della legge: vizi della legge, tipologia di norme co­ stituzionali e sindacato sulle riorme interposte 606 8.1. Un modello di giudizio particolare: dal giudizio sull’eguaglianza al controllo sulla ragionevolezza della legge 609 Le sentenze di rigetto 612 Le sentenze di accoglimento 613 Le sentenze interpretative di rigetto 617 Le sentenze manipolative, additive, sostitutive, additive di principio, monitorie 620 Gli strumenti decisori della Corte costituzionale nel dialogo tra giudici e Parlamento 624 Sintesi del capitolo 627

Capitolo Vili IL GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE EI CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA LO STATO E LE REGIONI 1.

2. 3. 4. 5. 6.

Introduzione: la diversa ratio del giudizio in via principale rispetto al giudizio in via incidentale 631 Il giudizio in via principale nel “vecchio” titolo V della Costituzione 633 Il giudizio in via principale nel “nuovo” titolo V 635 Il giudizio di costituzionalità sugli statuti regionali 637 I conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni 638 Sintesi del capitolo 640

Capitolo IX I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONI TRA I POTERI DELLO STATO

1. 2. 3. 4.

5.

Introduzione _ I soggetti del conflitto di attribuzioni Profili oggettivi e processuali del conflitto La progressiva espansione del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nella giurisprudenza costituzionale Sintesi del capitolo

XVI

643 (645 648

650 653

Indice

Pag.

Parte VI LA RIFORMA COSTITUZIONALE

Capitolo I RAGIONI E LINEE DIRETTRICI DELLA RIFORMA La Costituzione del 1948: un bilancio storico Ragioni a favore e a sfavore del cambiamento Le linee di fondo della riforma

1. 2. 3.

657 660 662

Capitolo II SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO PARITARIO E TUTELA DELLE MINORANZE Il nuovo Senato: introduzione Il nuovo Senato: composizione e funzioni Le modifiche alla iniziativa legislativa I procedimenti legislativi: un inquadramento generale Il procedimento bicamerale I procedimenti monocamerali Un procedimento a scelta del Governo: il voto a data certa La nuova disciplina del decreto legge Il nuovo contesto elettorale I bilanciamenti: statuto delle opposizioni e tutela delle minoranze I bilanciamenti: elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali 12. I bilanciamenti: il ricorso diretto alla Corte costituzionale sulle leggi elettorali 13. Gli istituti di democrazia diretta

1. 2. 3. 4. 5. 6, 7. 8. 9. 10. 11.

665 666 668 669 670 672 673 675 677 678

679 680 681

Capitolo III REGIONI E AUTONOMIE LOCALI

1. 2. 3.

Le ragioni e le linee di fondo della riforma costituzionale Il nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni La “abolizione” delle Provincie

683 684 686

Indice analitico sentenze citate

687

Legenda delle abbreviazioni

699 XVII

PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE

Questa seconda edizione viene data alle stampe in un momento di grande incertezza dal punto di vista del diritto costituzionale. Il Parlamento ha ap­ provato la legge costituzionale di riforma della costituzione, ma nel momento in cui il libro viene pubblicato non si è ancora svolto il referendum costituzio­ nale. Ho scelto di aggiungere al libro una V Parte, dedicata alla riforma, nella considerazione che se essa verrà approvata sarà necessario per gli studenti in corso di anno di conoscere le modifiche al testo costituzionale - in ima visione organica e ragionata - senza però prescindere dalla conoscenza del testo anco­ ra in vigore. Se viceversa essa non verrà approvata io avrò fatto un piccolo sforzo inuti­ le, gli studenti potranno prescindere dalla lettura della Parte V, e tutti ci po­ tremo interrogare a lungo sulle ragioni di una ennesima riforma costituzionale fallita.

XIX

PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

Questo manuale esce nel pieno del dibattito sulla riforma costituzionale e a valle di un primo passaggio parlamentare del disegno di legge di revisione. Come ogni libro, che impegna molto tempo, era stato pensato, impostato, e gradualmente scritto, quando del tema della riforma costituzionale non si par­ lava affatto. E quindi basato sulla analisi degli istituti di diritto costituzionale così come questi erano stati delineati nel 1948 e come la giurisprudenza della Corte costituzionale, le convenzioni e la prassi, li ha adattati in questo lungo periodo di tempo. Nondimeno l’accelerazione in questo anno del processo di riforma ha reso necessaria una qualche integrazione. Questo in verità non tan­ to allo scopo di fornire un aggiornamento “dell’ultima ora” sul processo de iure condendo, quanto perché il dibattito sulla ritenuta necessità della modifica costituzionale si è ormai molto sviluppato anche a livello di opinione pubblica, ed è comunque in corso di approvazione un disegno di legge di revisione. Mi è quindi sembrato necessario fornire agli studenti alcuni elementi di riflessione sulle linee direttrici della riforma e su alcune questioni che questa pone. Nella prima parte, pertanto, subito dopo il capitolo che tratta della revisio­ ne della Costituzione, si affronta in modo storicizzato il processo di cambia­ mento della Costituzione e si descrivono incintesi gli obbiettivi più importanti del disegno di legge di riforma, identificati in relazione ai successi o ai suppo­ sti insuccessi della Costituzione del 1948. All’interno di altri capitoli sono poi collocati alcuni paragrafi che esaminano; ancora sinteticamente, le modalità utilizzate dal legislatore costituzionale per il raggiungimento di questi obbiet­ tivi. Dichiaratamente questa tecnica non pretende di garantire la completezza informativa sul processo di modifica (non ho ritenuto opportuno “inseguire” il legislatore costituzionale), ma ha solo l’obbiettivo di iniziare un percorso ra­ gionativo sulle questioni più importanti, identificando in questa fase solo i modelli di riferimento e le connessioni tra i nuovi istituti e le finalità che il le­ gislatore costituzionale vorrebbe raggiungere.

H manuale è basato su di un’impostazione metodologicamente tradizionale. È diviso in una introduzione e quattro parti, a loro volta suddivisi in capitoli e paragrafi. Questi ultimi sono numerosi per mantenere una struttura rigorosa, analitica, e anche più agevolmente studiabile (evitando paragrafi che conten­ gono molte pagine all’interno delle quali si può perdere il filo del ragionamenXXI

Premessa alla prima edizione

to). Ogni capitolo si conclude con una sintesi nella quale si riassumono, para­ grafo per paragrafo, i punti fondamentali trattati. H volume è completato da una bibliografia, correlata a ciascun paragrafo e collocata in una finestra alla fine di ogni paragrafo (con riferimenti prevalen­ temente monografici, stante la enorme mole di saggi ormai presenti su ogni istituto) e da un indice analitico di nuovo taglio (ima sorta di ridotto case book) che contiene la indicazione della giurisprudenza utilizzata nel volume, e che può costituire un ausilio per lo studente per rifocalizzare le posizioni as­ sunte dalla Corte costituzionale sugli istituti più importanti. La prima parte è dedicata alla Costituzione nella storia e alle caratteristiche di fondo della Costituzione italiana. La seconda parte, assai ampia, è dedicata al sistema delle fonti, nella convinzione che una solida preparazione di diritto costituzionale debba partire dalla conoscenza delle regole della produzione normativa; la terza all’organizzazione (forme di Stato e di Governo e forma di Governo italiana); la quarta ai diritti e alle garanzie (i diritti fondamentali e gli strumenti di tutela: magistratura, Corte costituzionale, tutela sovranazionale). Gli istituti sono descritti attraverso un primo paragrafo di inquadramento storico-culturale (spesso con riferimenti al dibattito in assemblea costituente, ai precedenti storici, alle ragioni delle scelte compiute) che costituisce la linea guida del capitolo, al quale segue la descrizione normativa dell’istituto, i pro­ blemi interpretativi e la evoluzione storica, quindi le soluzioni ai problemi in­ terpretativi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza costituzionale (con particolare attenzione a questa ultima). La parte problematica e le soluzioni giurisprudenziali sono scritte in carattere più piccolo per permettere un dop­ pio livello di lettura (meno approfondito e più approfondito). In linea genera­ le, nel bilanciamento tra la quantità dei dati normativi da offrire e un amplia­ mento del percorso ragionativo, è stato scelto di privilegiare il secondo. Si è inoltre cercato di scrivere in maniera chiara e comprensibile, senza tuttavia ri­ correre a forzature semplificatrici o alla utilizzazione di un linguaggio non giu­ ridico. Sono grato a Giovanni Grottanelli de’ Santi, per i consigli durante il lavoro e per aver scritto il primo capitolo, che svolge la funzione di introdurre e ricu­ cire le varie parti del libro. Un ringraziamento a Elena Bindi, che ha letto più volte il manuale e mi ha dato suggerimenti su molte tematiche, a Mario Perini, che ha coordinato il gruppo dei collaboratori che ha lavorato agli apparati bi­ bliografici, a Marco Mancini e Ilaria Neri che hanno svolto le ricerche e sele­ zionato le opere citate nelle note poste alla fine di ogni paragrafo. Grazie an­ che a Valeria Piergigli e agli altri amici e colleghi che si sono gentilmente pre­ stati alle prime letture del libro. Un ringraziamento particolare a Thoma Kriapa per i suoi consigli sempre preziosi.

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INTRODUZIONE

STATO E DIRITTO

SOMMARIO: 1. Premessa. -2. Organizzazione e ordinamento. -3. Gli elementi dello Stato: popolo, territorio, potere sovrano. - 4. Potere sovrano e supremazia. - 5. Conoscenza e certezza del diritto. - 6. Diritto dello Stato e attività politica. - 7. Lo Stato come sog­ getto di diritto. - 8. Personalità unica dello Stato e nomi diversi. - 9. Stato di diritto. 10. Diritto pubblico e diritto privato. - 11. La tendenziale invasione dello Stato nella sfera del privato. - 12. Stato e autonomia dei privati.

1. Premessa Non è raro nel nostro tempo sentir parlare di dissoluzione dello Stato, co­ me se fosse in atto una revisione radicale di vecchi concetti e si profilassero nuove formule di aggregazione sociale. Questo senso di dissoluzione si ac­ compagna nel mondo occidentale con annunci e con formule del genere di “fine della storia” o di “post-modernità” che vanno assai oltre il più delimitato profilo dello Stato, non sembrano avere contenuti concettuali molto precisi, ma sono sicuramente tali da ingenerare un' senso di indistinto pessimismo; nel nostro paese a questo senso di dissoluzione si aggiunge il disagio che deriva dalle frequenti analisi sconsolate relative alle disfunzioni dei nostri apparati pubblici. Si tratta di un quadro negativo che non sembra diffuso soltanto nei media della grande comunicazione, ma che spesso viene avvertito e descritto dagli studiosi del diritto pubblico. Così può quasi sembrare un andare felice­ mente controcorrente la pubblicazione di una ampia e solida trattazione del nostro diritto costituzionale nella quale non vengono messe in dubbio le isti­ tuzioni ed i procedimenti che vengono descritti. Sia pure nei limiti di un curriculum universitario sembra necessario dare agli studenti uh quadro più completo possibile delle strutture portanti della nostra società così come queste erano state disegnate dalla Assemblea Costi­ tuente della nostra Repubblica e come queste si sono evolute dal 1948 ad oggi. Gli studenti più svegli ed avvertiti sono spesso colpiti dalle considerazioni ora menzionate su un certo nostro caos, ma il caos (anche a volerlo ammettere) è concepibile soltanto relativamente ad un ordine; inoltre si può sicuramente dire che è solo avendo un quadro più completo possibile del “sistema” può XXV

Stato e diritto

aver senso pensare ad un adeguamento di questo agli orientamenti attuali ver­ so una riforma. Le presenti note introduttive si propongono di presentare in maniera sem­ plice ed elementare una prima nozione dello Stato. La conoscenza della nostra Costituzione e in generale del diritto costituzionale presuppone, quasi si po­ trebbe dire dà per scontata, l’esistenza dello Stato; questo tuttavia non costi­ tuisce un prius rispetto alla sua costituzione, scritta o non scritta che sia. Un aggregato sociale nasce nel momento in cui, appunto, un gruppo di esseri umani “si aggrega” e si fissano alcune regole che del nuovo soggetto delineano la vita e questo si dimostra capace di un certo grado di stabilità. Qualsiasi società umana si caratterizza per come si svolge la sua vita, quali sono le finalità che si propone e di quali mezzi si avvale, quali comportamenti richiede ai suoi associati, e via dicendo. Ora, dei vari ed infiniti aggregati so­ ciali che si conoscono, tribù di maori, club ippico o dopolavoro aziendale che siano qui interessa quello che per convenzione universalmente riconosciuta viene chiamato “Stato”.

2. Organizzazione e ordinamento Tutte le società, anche quelle più primitive vivono e durano per un certo tempo se e in quanto abbiano una organizzazione che ne articola l’esistenza e le attività e prevedano dei comportamenti che dovranno essere tenuti dai con­ sociati; il complesso delle regole o norme stabilite in una società e in media ri­ spettate e seguite dai consociati viene denominato un “ordinamento”. Nei paesi più evoluti si assiste ad una quantità di società e quindi di ordinamenti diversi tra di loro (sportivi, sindacali, culturali, religiosi, ecc.) che convivono nell’ambito dello Stato e poiché tutti vincolano in qualche modo i propri con­ sociati la pluralità da essi costituita dà luogo al fenomeno, molto studiato nella nostra materia, del c.d. “pluralismo giuridico” (cfr. infra, Parte II, Cap. I). Si dice correntemente che questi diversi soggetti, queste diverse società, hanno carattere derivato1,in altri termini la loro soggettività è riconosciuta dallo Stato; poco importa qui se sia incoraggiata o soltanto tollerata dallo Stato, l’es­ senziale è che lo Stato la riconosce e prende atto della loro esistenza e quindi fa sì che i soggetti stessi possano agire autonomamente perseguendo le loro finalità (sportive, sindacali, culturali o religiose che esse siano). Soltanto lo Stato non ha carattere “derivato” ed anzi si pone come un ente “originario” nel senso che deve unicamente a sé stesso la propria esistenza; lo Stato quindi si legittima da sé per il fatto di porsi come una struttura autoritaria dotata di positività e di stabilità (Mortati). Inoltre, a differenza dalle società che deriva­ no la propria personalità dallo Stato e che devono precisare i fini che si pro­ pongono, lo Stato è un soggetto con finalità generalissime (quali ad es. sicu­ rezza, benessere, pace sociale), definibili soltanto quando appaia opportuno e XXVI

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suscettibili di accrescimento, di talché, come si accenna di seguito, alcuni fini possono divenire pubblici fini mentre in precedenza non lo erano.

3. Gli elementi dello Stato: popolo, territorio, potere sovrano Lo Stato si configura sicuramente come il più sviluppato e complesso degli ordinamenti (Cassese-Perez). Secondo l’opinione più corrente e accettata gli elementi dello Stato sono costituiti dal popolo, dal territorio e dal potere so­ vrano (o potere di impero). Per “popolo” si intende la collettività umana complessivamente intesa, com­ prendente persone di ogni sesso e di ogni età. Non è immaginabile uno Stato solo di donne o di omosessuali o di solo ultrasettantenni. Come già accennato si possono configurare società profondamente diverse dallo Stato sia sotto il profilo dei soggetti (o soci) sia sotto quello delle finalità che le caratterizzano; queste possono talora avere un grado di specificazione molto pronunciato (so­ lo giovani, solo donne, solo i fedeli che professano una determinata religione, ecc.) fissato nel loro ordinamento, in base al quale gli organi direttivi hanno dei poteri nei confronti dei soci ed anche possono irrogare sanzioni, ma non esercitare un vero e proprio potere di impero, essendo la “sovranità” un attri­ buto dello Stato soltanto. Nella nozione di popolo o più esattamente in quella dei “soggetti” sottoposti al potere di impero statuale si comprendono non solo gli essere umani, ma anche le “persone giuridiche”, ovvero tutti gli enti diversi dalle persone fisiche dei quali lo Stato riconosce l’esistenza attraverso il confe­ rimento della “personalità” e con essa la titolarità di diritti, di poteri ed anche di doveri. Il popolo è costituito dalla collettività sociale indipendentemente dalla razza dal sesso e dalla lingua di colorò che lo compongo e quindi "popo­ lo” è un termine assai più comprensivo della “nazione” con la quale di massi­ ma si descrive un complesso di soggetti legati da vari elementi comuni più specifici (lingua, cultura, storia, aspirazioni). Tutti conoscono ad es. come l’im­ pero austroungarico o l’Unione Sovietica fossero formati da complessi nazio­ nali estremamente diversi e come avviene del resto, in misura assai minore, anche nella nostra Repubblica dove sono egualmente cittadini soggetti di di­ versa etnia e che in qualche caso si presumono bilingui. Non può esserci uno Stato senza “territorio”, ad eccezione di situazioni straordinarie come può accadere in tempi di guerra nei quali vi è incertezza di quella che potrà1 essere la realtà finale con il ristabilirsi della pace, ma la “statualità” perdura normalmente attraverso uno degli organi di vertice grazie alle figu­ re dei c.d. governi in periodi di occupazione militare o dei “governi in esilio”. Tanto è ritenuto essenziale l’elemento del territorio che per il vertice della Chie­ sa Cattolica voléndosi assicurarle da parte dello Stato italiano un massimo di so­ lidità si è ritenuto dotarla di un territorio per fare imo Stato, creando appunto lo Stato della Città del Vaticano. Va tuttavia ricordato che in dottrina alcuni nega­ XXVII

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no che il territorio sia un elemento dello Stato e si ritiene che debba piuttosto essere visto come limite di validità dell’ordinamento statuale (Cassese-Perez). Sta tuttavia di fatto che non si conoscono Stati privi di territorio. Infine elemento dello Stato deve essere considerato il “potere sovrano” ovve­ ro la potestà di impero che viene esercitata sul popolo e sul territorio o, se si vuole, tenendo conto del rilievo ora ricordato, limitatamente al territorio. Quan­ do si dice che lo Stato è sovrano si afferma anzitutto che si tratta di un soggetto che non riconosce nessun ente o soggetto che sia a lui superiore (superiorem non recognoscens) e che esercita nei confronti dei consociati il potere massimo che si può configurare. È in collegamento di questo “massimo potere” che alcuni sot­ tolineano come allo Stato si debba riconoscere il monopolio della forza; solo al­ lo Stato si riconosce la possibilità di costringere fisicamente, ove necessario e con le dovute procedure, i soggetti privati a conformarsi alle leggi. Per quanto specificamente riguarda il nostro Paese si rileva da alcuni au­ tori come sia discutibile che la sovranità appartenga direttamente allo Stato e che di conseguenza ne costituisca un elemento essenziale e che piuttosto per la disposizione del 2° comma del primo articolo della nostra Costituzione la sovranità stessa debba essere riconosciuta al popolo “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Lo Stato quindi sarebbe soltanto rap­ presentante del popolo sovrano (Crisafulli, Cassese-Perez). Si può subito os­ servare che anche se fosse così il popolo non è in grado di dare istruzioni molto precise allo “Stato suo rappresentante” e che anzi gli lascia sicuramen­ te una libertà decisionale assoluta. Se l’Assemblea Costituente avesse voluto davvero scindere i due soggetti (rappresentante e rappresentato) avrebbe al­ meno scritto “popolo” con la maiuscola che invece ha dato ad enti come le Regioni, le Province e i Comuni che sicuramente non hanno potestà di impe­ ro! Quel 2° comma, lungi dal mutare una impostazione del passato sembra piuttosto che voglia essere ima invocazione certamente molto significativa ed una testimonianza del nuovo clima politico democratico che potrebbe esser vista quasi in senso contrario alla formula mitologica del passato che afferma­ va il Re “per grazia di Dio”.

4. Potere sovrano e supremazia L’esercizio del potere sovrano su un dato territorio implica “in modo ne­ cessario” (Mortati) la subordinazione dei soggetti ad esso appartenenti. Ed è nell’ordine di questa stessa subordinazione che la supremazia dello Stato si af­ ferma anche nei confronti di tutti gli ordinamenti che senza il riconoscimento dello Stato non potrebbero sussistere se non “di fatto”. Nessun ordinamento diverso dallo Stato (ad es. chiese, circoli culturali o di atletica) potrebbe pro­ porsi finalità contrarie allo Stato stesso e tanto meno richiedere ai propri con­ sociati comportamenti incompatibili con i fini pubblici o contrari ad essi. Non xxvm

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si affronta qui il complesso problema del possibile conflitto che si ponga a un soggetto privato tra il seguirei una propria norma morale ed una norma dell’or­ dinamento statale. È il caso ben noto ad es. dell’obiezione di coscienza parti­ colarmente in tempo di guerra oppure del medico antiabortista, ma dipenden­ te da una struttura sanitaria pubblica. Problema di fondo, ma che può avere ovviamente risposte assai divèrse a seconda che la norma statale che si impone appaia “poco convincente” sémplicemente da un punto di vista morale o vice­ versa abietta in modo inequivocabile. La sovranità dello Stato si dispiega via via che nelle materie ovvero nei tipi di rapporti più diversi, viene individuato ciò che lo Stato ritiene rilevante e di con­ seguenza regolato e non più lasciato alla libertà dei singoli. Ed è proprio sotto questo profilo che possono configurarsi i conflitti ai quali sopra si accennava. Indubbiamente nel nostro tempo la sovranità dello Stato così come veniva con­ cepita e insegnata fino a mezzo secolo fa è fortemente insidiata e ridotta; si po­ trebbe dire che è insidiata dall’alto e dal basso. Dall’alto se si pensa all’enorme sviluppo del diritto internazionale dopo il secondo Dopoguerra e da quello che possiamo chiamare “diritto europeo” che dalla prima realizzazione nel 1951 del­ la Comunità del carbone e dell’acciaio (CECA) all’Unione Europea attuale (v. infra, Parte II, Cap. V) ha visto consolidarsi e progredire un movimento di ten­ denza federalista che implica una progressiva recessione (molto spesso nemme­ no recepita dai media) della sfera di competenza effettiva dello Stato. La previ­ sione di quelli che potranno essere gli sviluppi futuri di una possibile Unione fra gli Stati europei sembra difficile e tuttavia è certo che già da ora quelle “limita­ zioni di sovranità” verso le quali la nostra Costituzione si dimostrava nel 1948 così ben disposta con l’art. 11 (v. infra, Parte II, Cap. IV) già si fanno sentire sia che si tratti ad es. di regole sulla produzione di generi alimentari o di disciplinare la vita privata dai contracettivi all’aborto, Naturalmente l’affievolirsi della so­ vranità è qui concretamente riferibile ad ogni singolo Stato membro europeo, ma non è in contrasto con la tesi riportata che vede nella sovranità stessa un elemento essenziale unitamente al popolo^ al territorio; non a caso la nascita dello Stato federale viene individuata neptrasferimento della sovranità stessa al­ l’Unione, mentre agli Stati che dell’unione fanno parte non rimane altro che una potenziata autonomia. L’insidia nei confronti della sovranità statuale si avverte inoltre, come si è detto, anche “dal basso” perché lo straordinario sviluppo dei diritti di libertà ha perlomeno di fatto ridotto in misura notevolissima il potere dello Stato. Questa riduzione non deriva semplicemente da principi costituzionali che possono imporsi allo Stato soprattutto in un sistema a costituzione rigida (v. infra, Parte I, Cap. Ili), ma è anche un risultato concreto del formidabile af­ fermarsi della pubblica opinione interna e internazionale. Si tratta in realtà di una forza che sì ha natura politica e non giuridica, ma la cui consistenza nel nostro tempo e divenuta tale da imporsi decisamente all’attenzione del giuri­ sta. Infatti, senzà pretendere di risolvere questioni universali ci si può limitare ad osservare che per essere sovrani, o più modestamente per esercitare dei po­

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teri, non occorre soltanto avere un titolo legittimo, ma anche trovare quella rispondenza di fatto (oltre che di diritto) certo non agevolmente quantizzabile che viene chiamata, appunto dai giuristi, obbedienza media. L’obbedienza media viene assicurata dal fatto che, come già si è detto, lo Stato ha il monopolio della forza. Si è però tentati di dire che la forza, anche se essenziale, non è sufficiente; un certo grado di consenso spontaneo della gente, anche se è consenso ad esser trattati male, è pur sempre necessario. Spesso questa effettività complessiva è messa in pericolo dal gran numero di leggi che si infittiscono e si intrecciano nello Stato moderno ed è facile osser­ vare che il loro numero aumenta di pari passo le probabilità di contradizioni. In Italia, tenendo conto della raffinata capacità degli italiani ad adattarsi a si­ tuazioni non chiare il maggior numero di contradizioni può aumentare note­ volmente il solco tra il cittadino e lo Stato.

5. Conoscenza e certezza del diritto Il problema della coerenza (ovvero l’esigenza di evitare le contradizioni al­ l’interno dello Stato ordinamento) è strettamente legato a quello della comple­ tezza ed entrambi, coerenza e completezza in una materia definibile come “si­ stema giuridico” nel quale per principio veramente “tout se tieni”, coerenza e completezza possono essere visti come profili della certezza del diritto. È ovvio che la completezza si riferisce a tutto ciò che è rilevante secondo lo Stato e quindi deve essere oggetto di regolamentazione (il c.d. rilevante giuridico). Non è certo necessario diffondersi sul rilievo per il quale i cittadini per os­ servare la disciplina dettata dallo Stato e per orientare i propri comportamenti devono sapere ciò che il diritto chiede, esige o comanda. Il fine comune della sicurezza è certamente ciò che primariamente lega i consociati nella comunità statuale. Se le attività umane non possono orientarsi su regole certe, se le san­ zioni irrogate non sono la conseguenza di sicure violazioni di regole si confi­ gura una società nella quale dominano l’imprevedibilità, l’insicurezza e l’arbi­ trio, La certezza è necessaria per i soggetti, ma è anche essenziale per chi go­ verna. Anche il re assoluto di una volta o il tiranno dei nostri tempi devono dare - se conoscono il loro mestiere - in un certo senso la certezza in un con­ sistente ambito di rapporti sociali come la famiglia, il lavoro o la proprietà, sia pure mantenendosi un vasto margine di potere del tutto libero (ovvero non prefigurato e quindi incerto) per colpire a piacimento i propri avversari indi­ cati magari come nemici del popolo. La certezza richiama il problema della conoscibilità del diritto. Per lo stu­ dio delle forme di Stato e di Governo (cfr. infra, Parte III, Cap. I) è di grande importanza non solo la conoscenza del modo nel quale il diritto viene prodot­ to e sancito, ma anche la possibilità di manifestare e di individuare (lo ius dice­ re dei romani) il diritto sancito e quindi l’indicazione dei soggetti e degli orga­ XXX

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ni competenti per tale compito, saggi, anziani, sacerdoti o magistrati che essi siano. Una esigenza questa avvertita ad es. nell’antico Stato senese nel quale si stabilì che il testo costituzioriale fosse scritto a grossi e chiari caratteri, in lin­ gua volgare (invece che in latino) e reso pubblico (Ascheri) in modo che tutti lo potessero conosceremo come nell’Inghilterra dei Plantageneti ove si decise che il pubblico deposito della! Magna Carta avvenisse presso le cattedrali. Le consuetudini che si fondano su comportamenti ripetuti e ritenuti obbliga­ tori e che sembrerebbero quindi a prima vista regole nate da atteggiamenti ed attività spontanei non costituiscono certo una eccezione, anche esse cioè devono essere accertate, ricercate e dichiarate tali e anche per esse si presenta il proble­ ma di una sicura conoscibilità. Il diritto scritto e pubblicato costituisce una tap­ pa importante nella storia di ogni civilizzazione e, quello che è più importante, una tappa decisiva nella direzione della libertà e della democraticità. Nei sistemi come il nostro, almeno in linea di massima vige come deterren­ te, attraverso una finzione, la presunzione di conoscenza della legge (ignorantia legis non excusat). Il diritto scritto presuppone a sua volta una pubblica­ zione; anche le presunzioni per reggere hanno bisogno di un minimo di buon senso: non si può presumere che la gente sappia cose di diffìcile reperimento o che sono addirittura tenute gelosamente segrete. Certezza del diritto significa chiarezza, senza consistente ombra di dubbio, su ciò che il diritto vuole e comanda. Anche se si tratta di diritto scritto, pub­ blicato, facilmente reperibile e conoscibile, è facile osservare che un margine di incertezza rimane sempre. Perfino le leggi ben scritte (oggi rarissime) e pre­ cise ai limiti della pedanteria richiedono inevitabilmente una attività interpre­ tativa che consenta, come si dice, di “sussumere il caso pratico nella norma” o nella “fattispecie astratta”, ovvero di stabilire come debba essere valutato un concreto rapporto, un fatto della vita, alla 'luce della legge. E questo il famoso interrogativo se la legge che parla di “senza tetto” significhi solo “chi dorme sotto le stelle” o anche “chi vive in una capanna priva di acqua e di facilitazio­ ni igieniche”; e ancora il quesito se la legge che parla di coloro che sono “sen­ za fissa dimora” si riferisca soltanto ai vagabondi e ai nomadi o anche agli ap­ partenenti alla c.d. jet-society. Tutto il mondo del diritto, e quindi degli studi di diritto, si imposta sull’in­ terrogativo (con relative varie risposte) dominante dal tempo di Aristotele ad oggi se e fino a qual punto uno Stato sia retto dalle leggi oppure dagli uomini che leggono nelle leggi quello che a loro sembra che ci sia scritto. Naturalmen­ te non c’è bisogno di abbandonarsi a interrogativi e a risposte pirandelliani. I margini dell’incertezza sono pur sempre segnati da limiti invalicabili: limiti forniti da inequivocabili espressioni linguistiche (per es. il “semaforo rosso” o il “semaforo verde”), limiti logici, e poi ancora limiti di onestà, di ragionevo­ lezza, di buon sènso, ecc. Nello Stato di un tempo come il nostro caratterizzato da un ritmo di cam­ biaménto costante e impressionante, per le esigenze della certezza del diritto e

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quindi della sicurezza e della garanzia di tutti (e non soltanto quindi dei citta­ dini) l’ideale sarebbe che via via che la realtà cambia, sorgono nuovi problemi e si configurano nuovi rapporti, rapidi strumenti di adeguamento provvedes­ sero a mutare, ove necessario, il diritto e nel contempo eliminare le oscurità e le ambiguità che in esso si riscontrano. Questa sequenza ideale non sempre è facile e spesso per varie ragioni coloro che governano non vogliono perseguir­ la. Il fine e il comando della certezza rimangono così, spesso, inascoltati. Si può peraltro affermare che il grado del loro soddisfacimento è strettamente legato al grado di coesione di ima società statuale.

6. Diritto dello Stato e attività politica Riferendosi ad una distinzione molto sentita nello Stato contemporaneo il diritto ha la funzione di regolare e di disciplinare l’attività politica. Ora, in questa enunciazione che sembra del tutto da condividere se soprattutto essa significa che il diritto può sì tendere ad imporsi con la sua qualità di certezza e di precisione, ma non può andare molto oltre lo stabilire una linea di confine; in realtà se della politica si accoglie la definizione di regime della collettività nel suo insieme e di modo di organizzazione della collettività stessa (R. Aron) si avverte subito che c’è nell’aria una genericità ed una flessibilità che almeno di massima non sono compatibili con il diritto vero e proprio. Una genericità che è connaturata all’idea dello Stato inteso come società a fini generali e ca­ ratterizzato dal suo avere il monopolio del potere della coercizione. Le grandi idee-forza che, come dicono i francesi, descrivono le “istituzioni politiche” appartengono al mondo della politica, animano ed orientano un sistema socia­ le, ma non lo regolano. Si pensi, a titolo di esempio, all’idea monarchicaautoritaria tuttora dominante in molte parti del mondo, oppure all’idea socia­ lista. Idee-forza che talora vengono formulate in maniera appena più specifica (“liberté, egalité, fraternité”, “la legge è uguale per tutti”) e che spesso ricevo­ no la qualifica di “norme” seguite tuttavia dalla aggettivazione di “program­ matiche” (v. infra nel testo, Parte I, Cap. Ili); norme per le quali difficilmente si può chiedere l’attuazione attraverso una azione giudiziaria. A proposito di queste ultime Luigi Einaudi consigliava di parlare di “situazioni raccomanda­ te”. Per le presenti osservazioni è forse qui sufficiente dire che non è molto facile individuare il vincolo e l’obbligatorietà che derivano da una norma pro­ grammatica, per contro se ne avvantaggia considerevolmente il potere dell’in­ terprete quale che sia la sua posizione e il suo potere (es. magistrato, ammini­ stratore, professore universitario, ecc.). La politica quindi costituisce il magma fluido dal quale si consolida e si cristallizza il diritto. In senso molto lato la po­ litica è “fonte” del diritto, perché da essa scaturisce e scorre il diritto. Intesa come funzione è stato detto incisivamente che, analogamente alla funzione co­ stituente (v. infra, Parte III, Cap. Ili) la funzione di indirizzo politico ha ri­ xxxn

Stato e diritto

spetto alla tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) una priorità logica e cronologica e una funzione integrativa (S. Cassese-R. Perez).

7. Lo Stato come soggetto di diritto Lo Stato, si dice, è soggetto di diritto; di questa realtà quasi non ci si rende conto quando in una qualunque conversazione, indipendentemente dagli studi di diritto, si dice ad es. che lo Stato italiano ha buoni rapporti con lo Stato francese oppure che lo Stato italiano è uno Stato membro delle Nazioni Unite oppure che ha firmato un trattato per la repressione del commercio delle dro­ ghe pesanti. Analogamente allo Stato possiamo dire ad es. che alcune società sportive o le università italiane o l’ANAS sono soggetti di diritto. In tutti i sistemi statuali evoluti si conosce la distinzione tra persone fisiche e persone giuridiche. Oggi tutti gli esseri umani, almeno nel mondo occidenta­ le hanno personalità giuridica, sono cioè soggetti di diritti e di doveri. Non è stato sempre così, basti ricordare che nell’antica Roma e in Grecia gli schiavi non erano soggetti di diritto come pure avviene oggi in alcuni Stati del mondo non occidentale. Sono persone giuridiche gli organismi unitari ovvero gli enti ai quali lo Stato riconosce e/o conferisce personalità giuridica propria, distinta da quella delle persone che di esse fanno parte e che magari ad esse hanno da­ to vita creandole, facendole vivere e agire per proprio conto secondo le regole del loro ordinamento. La personalità giuridica dello Stato è un argomento che grazie alle forti in­ clinazioni filosofiche e dogmatiche dei nostri studiosi dell’ottocento ha dato origine a copiose discussioni e numerosissimi contributi scientifici. Ai fini di queste note sembra che basti ricordare che in Italia si riconosce allo Stato per­ sonalità unica e che come già sappiamo siamo dinanzi ad una personalità che ha l’attributo della sovranità, ovvero, come già si è detto, del potere di impero. La unicità della personalità dello State/ italiano costituisce un elemento di differenza rispetto a quei casi nei quali pur sempre nell’ambito dello Stato si conoscono varie soggettività separate. Questo avviene per ragioni storiche o anche per l’indole di una società. In Inghilterra ad es. nei manuali di diritto costituzionale i “soggetti” ai quali si riconoscono le competenze più varie ed anche più importanti ovvero “i titolari” dei poteri pubblici a sé stanti sono ad es. la Corona, il Parlamento, il Governo a volte inteso, quest’ultimo, come ver­ tice del potere esecutivo mentre altre volte viceversa si parla di “government” in modo generalissimo e tale da ricordare molto da vicino la nostra idea di “Stato”. Queste differenze che possono sembrare a volte soltanto terminologi­ che sono spesso indicative di sviluppi storici che si sono determinati nel modo nel quale i diversi paesi sono stati governati. Così è significativo l’uso di for­ mule piuttosto velleitarie come quella molto famosa di Luigi XIV di “lo Stato sono io”, come pure l’immagine dello “Stato patrimoniale” inteso come un xxxm

Sfato e diritto

“bene” oggetto, diremmo nel nostro tempo, di “proprietà privata” per cui in caso di morte i figli procedono ad una successione, testamentaria o consensua­ le che sia o per cui le figlie del re quando si sposavano portavano al marito modeste doti come la Sicilia o la Borgogna. Tuttavia a un certo punto si è do­ vuto distinguere tra il re “in carne ed ossa” (con le sue virtù personali e con i suoi vizi) e il re-istituzione-perenne e si è inventata “la Corona”. Del re - di­ remmo noi - inteso come istituzione ovvero come “re-Stato-perenne ” diceva­ no i giuristi del tempo della grande Elisabetta, che si trattava di un re che non solo non poteva sbagliare o essere pazzo, ma anche che era “immortale e invi­ sibile” (G. Marshall). Una formula questa, come subito su dirà, assai vicina come contenuto alla corrente affermazione italiana del nostro Stato ritenuto persona giuridica e soggetto di diritto, senza che se ne conosca l’indirizzo e il numero di telefono.

8. Personalità unica dello Stato e nomi diversi Da noi nonostante si parli di una personalità unica e tenendo conto di una tendenza molto pronunciata in Italia lo Stato prende nomi diversi a seconda del contesto; così se si parla dello Stato inteso come “ordinamento” e con rife­ rimento all’attività normativa troviamo “la legge” o al plurale “le leggi” o an­ cora, di nuovo personalizzando, “il legislatore” (cfr. infra, Parte II, Cap. II). Quando invece si vuole indicare lo Stato come soggetto agente e ancor più “personalizzato” troviamo espressioni diverse addirittura nello stesso testo co­ stituzionale; a volte infatti si dice “la Repubblica” (ad es. negli artt. 2, 3, 4, 6, 9, 34,45) o “l’Italia” (art.,11) o “la Patria” (artt. 52,59) e, nella maggior parte dei casi, naturalmente, è usato il termine “Stato”. “Repubblica” e “Stato” ap­ paiono addirittura nello stesso comma dello stesso articolo (v. art. 5). Con la premessa che non sembra affatto essenziale lasciarsi trasportare da ardue e difficilmente motivabili discussioni sulla natura dello Stato, si può af­ fermare che siamo dinanzi ad un ente “unitario e perpetuo” che “sorpassa la caduca esistenza degli individui che lo compongono” (Santi Romano) aggiun­ gendo subito che questa personalità dello Stato si svolge in quanto soggetto di diritti di doveri nell’ambito della comunità internazionale e come soggetto di diritto interno, all’interno cioè del nostro stésso ordinamento giuridico. Si insegna comunemente che lo Stato opera, agisce e si esprime, attraverso i suoi organi, siano questi ministri del Governo, magistrati o bidelli di un pub­ blico ufficio, e con tale immagine si sfiora già la teoria organica: il soggetto è lo Stato e gli organi sono i suoi strumenti. La teoria organica in Italia piace molto di più della teoria della rappresentanza, secondo la quale i soggetti, quando e se agiscono per conto dello Stato lo rappresentano. Alcuni sostengono che con la concezione dello Stato persona giuridica unitaria che agisce attraverso i suoi organi (uffici e persone fisiche) si ottiene il vantaggio di rendere lo Stato XXXIV

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stesso direttamente responsabile per gli atti dei suoi organi. Altri preferiscono, secondo la ricordata concezióne anglosassone la maggiore responsabilizzazio­ ne dei singoli, delle persone fìsiche, ministri o autisti delle regie poste che sia­ no, ovvero di coloro che agiscono “in rappresentanza”; i diversi enti e soggetti rispondono personalmente della propria attività (e dei propri sbagli), lo scudo della maestà statuale sembra più allontanato, il rapporto con la gente più di­ retto, più comprensibile. Sul punto centrale, quelloidella responsabilità, ed a parte quindi i consueti rilievi che si possono fare sulle distinzioni dei giuristi, va detto che essa non dipende dal fatto che l’una o l’altra tesi si proclami vincente e imperante. La responsabilità dello Stato dipende dal costume, dalla reattività media della gente e naturalmente dalle leggi che la prevedono e la disciplinano, non certo dalla considerazione, che rimane pur sempre opinabile, se lo Stato sia persona giuridica o un insieme di persone giuridiche e fisiche associate tra di loro e coordinate (si spera) nella loro attività. Leggi cioè che regolano il formarsi del­ la volontà statuale, che prescrivono i procedimenti da seguire per concretizza­ re tale volontà e che nelle ipotesi previste individuano di chi sia la responsabi­ lità o la colpa e, all’occorrenza, chi debba pagare i danni.

9. Stato di diritto Anche un accenno estremamente sommario come quello precedente all’ar­ gomento della responsabilità dello Stato significa che non sono soltanto i sog­ getti privati, cittadini o meno che siano, che devono stare alle regole; anche gli organi dello Stato devono rispettare la legge e conformarsi ad essa, alla legge che regola la loro attività, delinea le competenze ;di ciascun organo, disciplina in una parola non solo ciò che devono o possono fare, ma anche come devono artico­ larsi i rapporti che gli organi hanno con i privati e i cittadini. È questo in sostan­ za il significato dello “Stato di diritto” ovyéro del tipo di Stato che si contrap­ pone allo “Stato assoluto”. Si tratta della grande conquista dell’epoca moderna, quella, si potrebbe dire, che ha segnato il passaggio dalla condizione di sudditi a quella di cittadini. Anche nello Stato monocratico e nello Stato assoluto sussi­ stevano alcune regole ed alcuni principi che vincolavano il sovrano, ma in misu­ ra e sostanza cosi limitate e ridotte all’essenziale da lasciare un vastissimo campo di discrezionalità agli organi dello Stato. Si può dire così che nella previsione vincolante, completa e resa nota a tutti di ciò che gli organi dello Stato possono e di ciò che devono fare è giusto ravvisare la grande evoluzione verso lo Stato de­ mocratico e, rispetto al passato con tale evoluzione, la vera origine del costitu­ zionalismo contemporaneo (cfr. infra, Parte I, Cap. I). La “conquista” o la “svol­ ta” alle quali si è ora accennato sono espresse in sintesi nel potere dato ai sog­ getti privati di chiedere e di ottenere giustizia in quei casi nei quali gli organi dello Stato non si siano comportati secondo la legge.

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10. Diritto pubblico e diritto privato Gli organi dello Stato svolgono le loro funzioni nella sfera del diritto pub­ blico, quella nella quale si perseguono gli interessi della collettività ovvero gli interessi genérali distinti dagli interessi dei privati la tutela e la disciplina dei quali sono regolate dal diritto privato. Diritto pubblico e diritto privato sono stati a lungo due rami distinti del­ l’ordinamento giuridico dello Stato e rispondono ad una ripartizione storica e già ben conosciuta nel diritto romano fondata sulla natura generale o invece particolare degli interessi che si vogliono o possono in base alla legge sodisfare. Peraltro capita talora di vedere che lo Stato assume la posizione di un privato ed è soggetto di rapporti bilaterali o plurilaterali come quelli che caratterizzano e descrivono la vita dei cittadini. Troviamo così lo Stato locatario di un immobi­ le privato, lo Stato appaltatore di lavori, lo Stato socio di ima società per azioni (di maggioranza o di minoranza qui poco importa). Lo Stato in questi casi si spoglia quasi della sua sovranità e si muove ed agisce come un soggetto qualun­ que nell’ambito del diritto privato invece che in quello di diritto pubblico. I suoi organi quindi si muovono nell’ambito del diritto privato poiché stanno per­ seguendo in molti casi interessi che non sono collegati “troppo” all’interesse ge­ nerale, gli scopi possono essere raggiunti nel quadro del diritto comune, quello di tutti i cittadini e senza dover ricorrere al potere di comando, in sostanza al­ l’esercizio della sovranità statuale. E bene tuttavia tener presente che l’immagine della parità tra privato e Stato come ad es. nel caso di un immobile affittato agli uffici dell’IVA, è una immagine nobile e bella, ma può talora essere anche fanta­ siosa; ad esempio avere un credito nei confronti dello Stato ed averne uno con un privato possono in concreto dimostrarsi rapporti giuridicamente eguali ma in concreto diversi e l’immagine stessa della parità fa pensare all’affermazione che l’elefante e il gatto sono entrambi dei mammiferi. Nel diritto privato che di massima ha per presupposto i rapporti tra persone fi­ siche o giuridiche diverse dallo Stato l’accento è tutto spostato sulla volontà del privato (basti pensare al matrimonio o alla successione mortis causa), gli interventi dello Stato si limitano a fissare i presupposti, i requisiti, le forme e gli effetti degli atti tra i privati; il compimento di tali atti dipende in generale dalla volontà indivi­ duale o dal concorso di volontà individuali. Nessuno e tanto meno lo Stato ci co­ stringe a sposarci, a donare, a creare una fondazione o a comprare una automobile.

11. La tendenziale invasione dello Stato nella sfera del privato Sulla distinzione tra diritto pubblico e diritto privato si è svolta in grandis­ sima parte la storia dei rapporti tra Stato e soggetto privato. La distinzione ha retto abbastanza bene fino a quando i compiti dello Stato con finalità ritenute di interesse generale sono stati relativamente pochi. Via via lo Stato da essen­ XXXVI

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zialmente poliziotto e da essenzialmente esattore di imposte è divenuto datore di lavoro di grandi masse di impiegati e poi ancora, oltre che industriale e pa­ drone si è fatto mamma, assicuratore, medico e negli Stati fascisti e comunisti anche padre spirituale e consulente famigliare. La compenetrazione tra diritto pubblico e diritto privato si è fatta così sempre più frequente ed estesa. Compiti ed attività che un tempo non erano di nessuno o soltanto frutto di inclinazioni personali e private sono divenuti, come tutti sanno, compiti ed attività dello Sta­ to, come ad es. la salute, la scuola, la beneficenza, o quasi statuali come la fab­ bricazione delle armi o l’organizzazione del turismo. Di pari passo nell’ambito del diritto pubblico o in parte di diritto pubblico e in parte di diritto privato so­ no cresciute e si sviluppate molte specializzazioni o “sottomaterie” che a loro volta crescendo hanno preso a configurarsi come “materie a sé stanti” di natura essenzialmente pubblicistica, basti pensare ai trasporti, al diritto del lavoro, alla sanità. La crescita dei compiti ritenuti di “interesse generale” e quindi di diritto pubblico ha determinato una contrazione della sfera privata e ne ha ibridato il contenuto; la volontà del privato è rimasta sì una componente essenziale nel di­ ritto privato (e non a caso si continua a parlare di diritti soggettivi), ma gli ambi­ ti nei quali lo Stato non arriva dettando le regole ed i comportamenti obbligatori o anche soltanto le direttive si sono fatti sempre più rari. Non si salvano più ad es. la famiglia, né i circoli privati, né le associazioni sportive. Talora inoltre lo Stato moderno, regolando rapporti privati ed utilizzando forme privatistiche, persegue finalità politiche e sociali (e quindi di natura pubblica) facendo vende­ re ad es. biglietti ferroviari a un prezzo basso e antieconomico o facendo pagare energia elettrica o gas a prezzo maggiorato quando si tratta di una “seconda ca­ sa” (sintomo quest’ultima di un esecrabile benessere). Nonostante la compenetrazione alla quale si è accennato la distinzione tra i due settori permane e si dimostra molto efficace particolarmente ogni volta che vi sia un rapporto tra lo Stato e il privato; si scopre così che concetti come “danno”, “responsabilità patrimoniale”, ‘Restituzione dell’indebito” o “pre­ sunzione di colpa” o anche il semplice configurarsi di una colpa hanno un si­ gnificato diverso se sono riferiti al soggetto Stato (e quindi di diritto pubblico) o al soggetto privato. Capita, come sopra implicitamente si è accennato, che allo Stato vengano di massima riservati dalla legge trattamenti assai più bene­ voli, tolleranti e favorevoli. Lo Stato inoltre si impone, a differenza del privato, talora anche quando viola la legge e - nonostante quanto si è detto a proposito dello Stato di diritto - non tollera resistenze; bisognerà dimostrare, magari dopo una lunga azione giudiziaria, che il suo ordine o il suo atto erano illegit­ timi per riuscire in qualche modo a correggere la situazione. Di questa commistione e compenetrazione tra diritto pubblico e diritto privato e quindi di questa espansione caratteristica del tempo nel quale vivia­ mo dei compiti e degli interventi statali vi è chiara evidenza nel nostro testo costituzionale. Lo Stato è intervenuto in settori che prima riguardavano sol­ tanto gli interessi privati ed a un tempo ha anche tuttavia esaltato le autono­ mie dei privati facendone una qualità fondamentale della nostra democrazia.

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Tutta la prima parte della nostra Costituzione ha enunciato principi direttamente vincolanti in alcune materie che un tempo venivano riguardate quasi esclusivamente di diritto privato (v. ad es. la famiglia, la proprietà, i contratti) e “costituzionalizzandole” ha ulteriormente avvicinato i due tipi di norme di diritto pubblico e di diritto privato, quando addirittura non ha reso la loro di­ stinzione insignificante nel quadro complessivo di quello che oggi viene defi­ nito “Stato sociale” (v. infra, Parte IV, Capp. I, II e IH).

12. Stato e autonomia dei privati La realtà concreta del rapporto tra Stato persona e autonomia dei privati co­ stituisce il filo conduttore di ogni trattato di diritto costituzionale: un filo che si avverte nel nostro sistema italiano tra la prima e la seconda parte della nostra Costituzione. E evidente infatti che tutte le norme che disciplinano il modo di formazione e l’attività degli organi dello Stato rivelano in ogni aspetto questo senso costante del rapporto tra Stato e soggetto privato. Si tratta di un rapporto che non di rado rischia di rivelare una contrapposizione avvalorata dalle finzioni antropomorfiche di uno Stato che anche nelle conversazioni e nelle esternazioni della gente comune viene descritto volta a volta come oppressivo, tiranno, be­ nevolo, nemico e prepotente con gli umili e i deboli, quasi che non si trattasse di una sintesi della società - Santi Romano aveva usato il termine di “corporazio­ ne” - e che quelli che possono apparire i suoi pregi e i suoi difetti non fossero propri, nella media, dei singoli e quindi della società stessa che lo compone. Quel filo conduttore lega fermamente la prima parte della Costituzione alla seconda; quést’ultima infatti anche se sembra lontana dai soggetti privati e in­ centrata nella organizzazione dei diversi poteri e dei vertici costituzionali ci riporta ài rilievo di J. Stuart Mill per il quale il principio fondamentale del di­ ritto costituzionale fa sì che sempre le sue disposizioni e le sue regole abbiano presente il pericolo che da parte di chi esercita il potere si persegua il proprio interesse personale invece di quello dello Stato, “non perché questo avvenga sempre”, ma perché si tratta di una tendenza naturale. Giovanni Grottanelli de’ Santi

1910 Romano S_, Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano; 1965 Aron R., Démocratie et totalitarisme, Gallimard; 1970 Crisafulli V., Introduzione al diritto costituzionale italiano, 2a ed., Padova; 1971 Marshall G., Constitutional Theory, Oxford; 1975 Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova; 1988 Romano S., Il diritto pubblico italiano, Milano; 1995 Cassese S.-Perez R., Manuale di diritto pubblico, Roma; 2000 Ascheri M., Siena nella storia, Cinisello Balsamo; 2013 Romano S., Frammenti di un dizionario giuridico, 1947, ora in L'Ultimo Romano 2013, Milano.

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Parte I

LA COSTITUZIONE

Capitolo! COSTITUZIONE E POTERE COSTITUENTE SOMMARIO: 1. La Costituzione: prime definizioni. - 2. L’origine della Costituzione come limite al potere: potere costituente e poteri costituiti. - 3. La Costituzione nelle monarchie dualiste e nel primo dopoguerra. - 4. Le Costituzioni contempo­ ranee e la rigidità come tratto caratterizzante. - 5. Prime distinzioni di sintesi: Co­ stituzioni flessibili e rigide, Costituzioni lunghe e brevi, formali e materiali. - 6. Sintesi del capitolo.

1. La Costituzione: prime definizioni Definire cosa si intende per Costituzione non è semplice. La Costitu­ zione, infatti, si colloca all’intersezione di fenomeni giuridici, storici, e so­ ciologici, cosicché per qualificare un atto normativo come una Costitu­ zione occorre utilizzare strumenti definitori non solo giuridici. Se vogliamo dare una definizione solo giuridica e in astratto, ad esem­ pio, una Costituzione può essere qualificata come quell’insieme di norme che costituiscono il fondamento di un ordinamento statale. Tuttavia que­ sta definizione è così generica da non essere affatto soddisfacente. All’in­ terno di questo generalissimo contenitore 'potrebbero stare infatti feno­ meni giuridici così diversi da non essere tra loro comparabili: la Magna Charta, documento redatto in Inghilterra nel 1215, insieme alle Costitu­ zioni dell’ottocento e alle Costituzioni del dopoguerra. Tutti questi atti normativi, infatti, possono essere qualificati come Costituzioni sulla base della definizione iniziale, ma in realtà non sono tra loro assimilabili né per forza, né per contenuto, né per fini. Seppure il punto di partenza è vero (la Costituzione è qualificabile come un insieme di norme che costituiscono il fondamento di un ordina­ mento statale), occorre anche che questo insieme di norme sia dotato di determinate caratteristiche di contenuto e di forma per essere qualificato come Costituzione, e per distinguersi di conseguenza da altri atti normati­ vi che invece Costituzioni non sono. È a questo punto però che la defini­ zione di Costituzione in senso meramente giuridico si incrocia con la sto­ ria e con la evoluzione della società: è infatti la evoluzione storica che at­ tribuisce a quell’insieme di norme, in senso lato costituzionali, le caratte­

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Costituzione insieme di norme che costituiscono il fondamento di un ordinamento statale

La Costituzione

Gli elementi fondamentali della Costituzione

ristiche che differenziano le Costituzioni da altri atti normativi che non possiamo definire come tali. Quali sono dunque queste caratteristiche e quando si manifestano? Quando oggi, in via di prima approssimazione, vogliamo definire una Costituzione, normalmente facciamo riferimento a quattro elementi prin­ cipali. Due di questi elementi la caratterizzano da un punto di vista della “forza” (utilizzando per ora questa espressione in senso atecnico), ed altri due invece da un punto di vista della sostanza o del contenuto. Si ritiene infatti che una Costituzione moderna sia caratterizzata da quell’insieme di norme che costituiscono il fondamento dello Stato, stabi­ li nel tempo, superiori rispetto alle altre norme giuridiche (forza), che contengono principi e valori generalmente condivisi in tema di diritti fondamentali, nonché un modello organizzativo nella distribuzione dei poteri dello Stato (sostanza). Elementi formali (forza) ed elementi sostan­ ziali (contenuto) contribuiscono dunque ad identificare la Costituzione.

Gli elementi sostanziali ricordano quanto era stabilito nell’art. 16 della Di­ chiarazione dei diritti dell’uomo del 1789, secondo la quale “ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti, né determinata la separazione dei po­

In quella norma veniva identificato il concetto di Co­ stituzione in relazione al suo contenuto - garanzia dei diritti e separazione dei poteri - in contrapposizione all’assolutismo del Re. Questa concezione, definibile come garantista, è dunque una concezione anche storica della Costituzione, poi­ ché fa riferimento ad un modello costituzionale riferibile ad un determinato mo­ mento storico. Si contrappongono a questa concezione garantista, la concezione tradizionali­ sta e sociologica della Costituzione. Secondo la concezione tradizionalista la Costituzione è formata semplicemen­ te da una sene di atti normativi e consuetudini legate allo sviluppo storico di una determinata società. La validità della Costituzione deriva semplicemente dal suo consolidarsi nel tempo, che è ciò che le attribuisce forza e legittimazione. Secondo la concezione sociologica, invece, la Costituzione è data dal modo di essere reale di una determinata società, indipendentemente dalle regole imposte nel testo normativo costituzionale. Se la Costituzione coincide con l’insieme dei rapporti reali - e prevalentemente economici - all’interno di una società, la Costi­ tuzione come documento ha una funzione eminentemente descrittiva più che precettiva, poiché deve limitarsi a codificare ciò che è già esistente nella società. Sia la concezione tradizionalista che quella sociologica non sembrano tuttavia accoglibili. La prima considera come Costituzione anche documenti che costitu­ zionali non sono, come ad esempio la Magna Carta o il Bill of Rights del 1689 in Inghilterra. La seconda è eccessivamente condizionata dall’ideologia marxista, secondo la quale il diritto costituisce una sovrastruttura dei rapporti economici e sociali. Essa non spiega, ad esempio, le Costituzioni sociali del post-dopoguerra che non si limitano affatto alla descrizione di una determinata società, ma si pon­ gono al contrario l’obbiettivo di modificare o ridelineare l’assetto sociale sotto­ stante. teri, non ha Costituzione”.

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Costituzione e potere costituente

La teoria sociologica tuttavia ha una sua validità nella misura in cui mette in luce come la evoluzione della società condizioni l’interpretazione della Costitu­ zione, e come quindi la Costituzione come documento formale non possa essere interpretata prescindendo dalla struttura sociale, economica, e dei partiti politici ad essa sottostante. Analizziamo più in dettaglio gli elementi caratterizzanti sopra indivi­ duati: Stabilità significa capacità della Costituzione di durare nel tempo. Una Costituzione può dirsi tale quando non è fatta per disciplinare equilibri transitori e fisiologicamente instabili, ma per “guardare lontano”. Essa non contiene scelte di politica contingente, ma al contrario stabilisce la cornice all’interno della quale le scelte politiche contingenti possono col­ locarsi. Da qui già derivano alcune prime conseguenze definitorie, sulle quali torneremo più approfonditamente, ma che in sede di prima appros­ simazione possono così sintetizzarsi: la Costituzione differisce dalle norme di indirizzo politico perché essa non è espressione dalle scelte politiche di un Governo, mentre al contrario le seconde sono l’espressione immediata e diretta di tali scelte. Superiorità significa maggiore forza rispetto alle altre norme che com­ pongono un ordinamento giuridico. Ancora in via di prima approssima­ zione una Costituzione è superiore perché tutte le altre norme debbono rispettarla in quanto norma fondamentale dello Stato. Valori e principi generalmente condivisi significa che, da un punto di vista contenutistico, le norme costituzionali esprimono principi che la gran parte dei cittadini, ovvero delle forze politiche, considerano come propri. Normalmente si fa riferimento al sistema dei diritti fondamentali che prevedono garanzie a beneficio dei cittadini, e dai quali sono estrapolabili valori generali che informano la Costituzione. Anche questo elemen­ to contribuisce a distinguere la Costituzione da tutti gli altri atti normati­ vi, poiché questi ultimi sono normalmente espressione di una maggioran­ za (la maggioranza di Governo), mentre i diritti fondamentali e i valori che da questi derivano costituiscono patrimonio di tutti e non solo della maggioranza politica. Modello organizzativo nella distribuzione dei poteri dello Stato signifi­ ca infine che la Costituzione contiene necessariamente, per essere definibile come tale, un modello di organizzazione del potere pubblico di vertice. Nel momento in cui. la Costituzione disciplina il potere allo stesso tempo lo li­ mita. Come vedremo, infatti, le Costituzioni nascono proprio come stru­ menti di limitazione del potere del Sovrano, per poi evolvere in strumenti finalizzati alla organizzazione e al bilanciamento dei poteri dello Stato. Tra questi requisiti non è stata inserito la questione della scrittura, se cioè la Costituzione in senso moderno debba necessariamente essere scritta. Da un pun-

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La Costituzione

to di vista strettamente teorico nulla esclude che una Costituzione non scritta ab­ bia i requisiti di stabilità e di superiorità che si sono sopra evidenziati. Tuttavia, nel momento in cui la Costituzione diviene espressione del potere costituente, cioè della volontà consapevole di un popolo, essa è espressione di un atto (una manifestazione di volontà) e non di un fatto (un mero comportamento). Normal­ mente agli atti, in quanto espressione di una manifestazione di volontà e non di un mero comportamento, è spesso collegata la forma scritta. Inoltre il costituzio­ nalismo liberale considerava la scrittura come strumento in qualche misura raf­ forzativo della stabilità della Costituzione, cosicché può dirsi che da un punto di vista storico le Costituzioni moderne tendono ad assumere la forma scritta. Questi quattro elementi sono tra loro intimamente legati. La stabilità nel tempo della Costituzione è conseguenza sia della sua superiorità, ma anche del fatto che essa contiene principi e valori generalmente condivisi: se infatti non contenesse valori e principi generalmente condivisi, presu­ mibilmente non sarebbe né stabile né superiore. La superiorità della Co­ stituzione è data sia dall’essere quésta la norma fondamentale dello Stato, ma anche dal suo contenuto, che determina la organizzazione di base del­ lo Stato. I principi e i valori generalmente condivisi non sarebbero stabili, se a presidio di essi non vi fosse una organizzazione del potere in grado di renderli stabili ed attuabili. In definitiva, i requisiti relativi alla “forza” della Costituzione e i requisiti relativi alla “sostanza” della Costituzione, requisiti che concettualmente debbono essere tenuti distinti, sono però tra loro legati. Da queste considerazioni deriva una prima conseguenza che influisce sulle caratteristiche delle norme costituzionali. Le norme costituzionali differiscono da tutte le altre norme anche per Costituzione contiene il loro contenuto. Mentre le altre norme, in genere ricollegabili all’indi­ principi rizzo politico, servono a disciplinare e regolare fatti concreti della vita, la generali Costituzione deve contenere principi sufficientemente generali da essere ampiamente condivisi e da poter durare a lungo nel tempo. Le norme co­ stituzionali hanno dunque caratteristiche di generalità sconosciute alle al­ tre norme, e sono dotate, inoltre, di un elevato livello di flessibilità, per potersi adattare a situazioni storiche, sociali o politiche diverse rispetto al momento nel quale la Costituzione è stata approvata. La definizione di Costituzione secondo questi quattro requisiti è tutta­ via una definizione relativamente moderna. Gli ordinamenti giuridici prerivoluzionari non conoscevano Costitu­ zioni nel senso ora determinato. I documenti definiti “costituzionali” pri­ ma della rivoluzione francese erano perlopiù accordi transitori tra monar­ chia, nobiltà e clero, accordi che riconoscevano alcuni diritti degli uni nei confronti degli altri. L’inglese Magna Charta Libertatum del 1215, consi­ derato il primo documento costituzionale in senso proprio, è principal­ mente un accordo che disciplina alcune libertà dei nobili nei confronti del

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Costituzione e potere costituente

sovrano. Analogamente il Bill of Rights del 1689 costituisce una mera re­ golamentazione di interessi tra due parti contrapposte. In questi accordi mancano in verità tutti e quattro i presupposti che abbiamo detto essere gli elementi caratterizzanti la Costituzione in senso moderno. Manca la stabilità nel tempo, perché questi erano necessariamente transitori e legati al permanére dei rapporti di forza tra le parti dell’ac­ cordo. Manca la superiorità, perché nessuno delle due parti intendeva de­ legare ad un terzo (la Costituzione) la regolamentazione di un rapporto che si presupponeva potess'e modificarsi rapidamente. Questi accordi inoltre non contenevano valóri e principi generalmente condivisi, trattan­ dosi al massimo del riconoscimento di alcune libertà ad una sola classe sociale (i nobili), né disciplinavano la organizzazione dei poteri dello Stato. I presupposti per la esistenza di una Costituzione in senso moderno mancano alla fine per una ragione di fondo: quando la sovranità è conte­ stata tra due o più parti, gli eventuali accordi “costituzionali” tra questi parti sono necessariamente transitori, perché quel documento è privo di un autore in grado di determinare quali sono i principi e i valori general­ mente condivisi. Se è la stessa sovranità ad essere contestata, il documento che regola i rapporti di forza tra i contendenti non potrà essere definita come Costituzione in senso proprio, perché questo non sarà mai stabile, duraturo e superiore. In definitiva, allorquando vi sia una situazione di dualismo costituzionale, inteso come conflitto tra due o più parti per la sovranità, non può aversi Costituzione in senso moderno.

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Sovranità contestata e accordi transitori

La Costituzione

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2. L’origine della Costituzione come limite al potere: potere costi­ tuente e poteri costituiti

Potere costituente come capacità di darsi una Costituzione

Le condizioni per la nascita di una Costituzione in senso moderno si verificarono per la prima volta nella storia con la rivoluzione francese e la rivoluzione americana, che portarono sulla scena costituzionale il popolo, vero autore delle Costituzioni post-rivoluzione di fine settecento. Nella Francia della rivoluzione francese, dopo la caduta del Sovrano assoluto, fu la borghesia a conquistare il potere e ad assumersi il compito di dettare una Costituzione che ponesse le nuova fondamenta dello Stato. Nella rivoluzione americana, furono gli esiti della rivoluzione contro l’In­ ghilterra a legittimare il popolo americano ad elaborare una Costituzione che fondasse il nuovo Stato. Le Costituzioni di questo periodo furono elaborate da organismi rap­ presentativi (le convenzioni o le Assemblee Costituenti), ritenute titolari, in autonomia e senza negoziazioni con altri organi, del potere costituente, cioè del potere di darsi una nuova Costituzione. L’esercizio di questo po­ tere è ciò che attribuisce ad un documento, in senso generale definibile come costituzionale per il suo contenuto, la natura di Costituzione in sen­ so proprio. Attraverso l’esercizio del potere costituente, incardinato in un unico organo (Assemblea Costituente), viene infatti superato il dualismo preri­ voluzionario, cosicché la Costituzione che ne scaturisce non è finalizzata a garantire rapporti di forza transitori, ma al contrario a dettare principi condivisi, che in ragione della generale condivisione, a loro volta sono considerati stabili. Inoltre, l’esercizio del potere costituente fornisce la giustificazione della superiorità' della Costituzione rispetto alle altre nor7 me. Con l’approvazione della Costituzione il potere costituente si estingue (tanto è vero che le convenzioni o le Assemblee Costituenti si sciolgono a seguito della approvazione della Costituzione), mentre i poteri che deri­ vano dalla Costituzione sono poteri definibili come costituiti, nel senso 8

Costituzione e potere costituente

che trovano fondamento e legittimazione nella Costituzione. Questo com­ Poteri costituti porta che dopo la approvazione della Costituzione, che costituisce eserci­ derivano dalla zio di un potere per certi versi assoluto e libero, tutti i poteri che la Co­ Costituzione stituzione prevede sono invece limitati, perché non originari ma derivati dalla stessa norma costituzionale. Rispetto ad essi la Costituzione è su­ periore, così come è superiore rispetto alle norme che questi ultimi pro­ ducono. La teoria del potere costituente e dei poteri costituti tenta di dare risposta alla domanda filosofica di come possa il potere politico essere assoggettato ad un atto posto da sé stesso. È un domanda, quella della limitazione del potere politico, che si sono posti moltissimi pensatori. T. Hobbes, per sostenere l’illimitatezza del potere politico così ragionava: “alle leggi che il sovrano ha posto egli non è sogget­ to, perché essere soggetto alle leggi significa essere soggetto allo Stato, cioè al rap­

Il tema, che è ovviamente di grande complessità e che ha avuto nella storia del pen­ siero risposte diverse, può essere risolto nell’ambito del diritto costituzionale at­ traverso la tesi della straordinarietà e irripetibilità del potere costituente. Una vol­ ta approvata la Costituzione, il potere costituente ha esaurito il suo compito, e quindi cessa di esistere. Gli altri poteri quindi non sono più originari ma derivati, perché conseguono dalla Costituzione.

presentante sovrano, cioè a sé stesso; la qual cosa non è soggezione ma libertà".

La ragione della superiorità della Costituzione e le conseguenze che ne derivano sono scritte in maniera chiarissima in una famosa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 1803, c.d. Marbury v. Madison, i cui passi centrali vale la pena di riportare. H giudice di quella sentenza doveva applicare una legge, ma tale legge era in contrasto con la Costituzione. Il giudice ragionò allora nel seguente modo: . "è affermazione troppo ovvia per essere contestata che o la Costituzione im­ pedisce che le leggi contrastino con le sue prescrizioni, oppure il legislatore può modificare la Costituzione con una legge comune. Tra queste proposizioni alter­ native non c’è via di mezzo: o la Costituzione è la legge suprema immodificabile con i mezzi ordinari, oppure è allo stesso livello delle leggi ordinarie e, come que­ ste, è modificabile ogniqualvolta piaccia al legislatore. Se è vera la prima parte dell’alternativa, allora, la legge contraria alla Costituzione non è una legge; se è vera la seconda, allora le Costituzioni scritte sono un assurdo tentativo per limita­ re un potere a sua volta illimitàbile. Ma certamente tutti gli artefici della Costitu­ zione hanno ritenuto di aver elaborato la legge fondamentale e suprema della Nazione: di conseguenza, il principio valido in questo caso come in ogni altro re­ gime a Costituzione scritta deve essere che un atto del potere legislativo contra­ stante con la Costituzione è nullo. In conclusione se una legge contrasta con la Costituzione, il giudice si trova a dover scegliere tra l’applicazione della legge con conseguente disapplicazione della Costituzione e l’applicazione della Costituzio­ ne con conseguènte disapplicazione della legge: evidentemente, solo la seconda strada è compatibile con i principi enunciati”.

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Ragione della superiorità della Costituzione

La Costituzione

In questa decisione sono contenuti molti principi del costituzionalismo moderno. In particolare si afferma che: a) la Costituzione è la legge fondamentali e suprema della Nazione. Questo implica che essa non è modificabile con i mezzi ordinari (o la Costituzione è la legge suprema immodificabile con i mezzi ordinari, di­ ce la sentenza). Vi è in questo ragionamento l’idea della superiorità del­ la Costituzione in quanto conseguenza dell’esercizio del potere costi­ tuente. b) Da ciò consegue che una legge che si pone in contrasto con la Costi­ tuzione è invalida (la legge contraria alla Costituzione non è una legge). Vi è in questo ragionamento l’idea che la legge, potere costituito, è inferiore alla Costituzione. c) Da ciò consegue ancora che qualora il giudice debba applicare una legge contrastante con la Costituzione, la legge non può essere applicata. Vi è in questo ragionamento l’idea della giustizia costituzionale, nel senso che, quando vi è una Costituzione superiore, necessariamente l’ordina­ mento deve prevedere un organo che abbia il potere di giudicare se una legge è contrastante con la Costituzione. Superiorità della Costituzione, invalidità della legge contrastante con la Costituzione, giustizia costituzionale come strumento per giudicare del­ la legge contrastante con la Costituzione, sono tutti principi connaturati con il costituzionalismo moderno. Tuttavia essi, per potersi compiutamente realizzare, necessitano di precondizioni storiche e sociali che con­ sentano l’esercizio del potere costituente. Quando vi è lotta per la conqui­ sta della sovranità, quando vi sono conflitti sociali radicali, il potere costi­ tuente non può correttamente esercitarsi perché manca il fondamento primo della Costituzione: l’idea che essa è espressione di tutti e non di una parte sociale o di un sovrano. Come si vedrà tra breve, infatti, mentre gli Stati Uniti continueranno nella strada tracciata da Marbury v. Madison, la restaurazione nell’Europa continentale porterà ad un ritorno indietro dei modelli costituzionali.

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Costituzione e potere costituente

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3. La Costituzione nelle monarchie dualiste e nel primo dopoguerra Con la restaurazione, infatti, in Europa mutano i presupposti delle Co­ stituzioni, perché i Sovrani ritornano sulla scena con ampi poteri. Non­ dimeno essi non sono più i Sovrani assoluti del periodo pre-rivoluzione francese: “concedono” infatti le Costituzioni alla borghesia, classe sociale emergente, cosicché le Costituzioni divengono strumenti di limitazione dello stesso potere sovrano. Le Costituzioni di questo periodo sono definibili come dualiste, per­ ché la sovranità è contrastata tra il Re e una determinata classe sociale. Non siamo ad un completo ritorno al passato, poiché queste Costituzioni non sono accordi particolari tra il Sovrano e singoli componenti della so­ cietà, ma pretendono di disciplinare, con una certa compiutezza, l’ordina­ mento dello Stato, l’organizzazione dei poteri, alcuni diritti di libertà. Tuttavia, esse sono carenti dei presupposti per poter essere considerate Costituzioni nel senso moderno del termine. In primo luogo tali Costituzioni non sono il frutto dell’esercizio del potere costituente. In un modello dualistico nel iquale la sovranità è con­ trastata tra due parti non può esservi esercizio del potere costituente, poi­ ché ognuna delle due parti ritiene di poter essere la vera titolare della so­ vranità. • In secondo luogo non è dalla Costituzione che deriva il potere, ma al contrario è dato per implicito che il potere preesiste nel Re e quest’ul­ timo si limita semplicemente a sottoporlo ad alcune limitazioni attraverso lo strumento costituzionale. Ciò implica, tuttavia, che il potere incardina­ to nel Sovrano, esterno e preesistente alla Costituzione, è superiore rispet­ to alla Costituzione stessa. Donde la conseguenza che il potere del Sovra­ no, a sua volta, non è un potere costituito, perché non deriva dalla Costi­ tuzione ma preesiste ad essa. Del resto le controversie storiche circa la possibilità per il Sovrano di revocare le Costituzioni costituiscono le con­ seguenze giuridiche di questo presupposto. Se il potere del Sovrano pree­ siste alla Costituzione, infatti, la Costituzione deriva dal Sovrano, che come la concede la può allo stesso tempo revocare. 11

Costituzioni dualiste non espressione del potere costituente

Il potere non deriva dalla Costituzione

La Costituzione

La Costituzione non è superiore

Non può esservi un sistema di giustizia costituzionale

Costituzioni primo dopoguerra sovranità indecisa

In terzo luogo, e come conseguenza, le Costituzioni ottocentesche non hanno quel carattere di superiorità tipico delle Costituzioni moderne. È logico che così fosse: in un modello fortemente dualistico e contrapposto le due parti preferiscono avere la possibilità di modificare liberamente i contenuti dell’accordo a seconda del crescere della propria forza politica. La Costituzione superiore avrebbe alla fine costituito un ostacolo allo svi­ luppo della vita politica e all’evolversi di quei rapporti di forza. L’evolu­ zione storica di quelle forme di governo dimostra questo postulato. Nate come modelli costituzionali ad assoluta predominanza del Sovrano si evolveranno verso un predominio (più o meno accentuato) del Parlamen­ to. Da un sistema dualistico si passerà quindi, senza alcuna modifica for­ male della Costituzione, ad un sistema monistico, e quindi in definitiva alla vittoria della classe borghese sul Sovrano. In quarto luogo, se la Costituzione non è superiore, non può esistere un sistema di giustizia costituzionale. H presupposto della giustizia costi­ tuzionale, come abbiamo visto in Marbury v. Madison, sta proprio nel­ l’idea che “la Costituzione è la legge suprema immodificabile con i mezzi or­ dinari” e che quindi “la legge contraria alla Costituzione non è una legge". Nelle Costituzioni ottocentesche, dominate dal dualismo e dalla sovranità indecisa, la difesa della Costituzione non poteva essere delegata ad un ter­ zo (giudice). Al contrario, ciascuna parte dell’accordo era in qualche mi­ sura custode della Costituzione per gli aspetti di proprio interesse. In definitiva, queste Costituzioni avevano solo il contenuto definibile come costituzionale, ma non la forza o la forma, né gli strumenti di ga­ ranzia. Per ragioni diverse anche le Costituzioni del primo dopoguerra pre­ sentano caratteri di dualismo e di sovranità indecisa, che non consentono quella stabilità necessaria all’affermarsi di una Costituzione nel senso mo­ derno. Il suffragio universale aveva portato sulla scena politica le masse popo­ lari e con le masse popolari le organizzazioni sindacali e i grandi partiti. La stabilità dello Stato la si ricercava attraverso il compromesso tra queste nuove forze sociali e le forze conservatrici, cosicché la Costituzione, in quel contesto, aveva lo scopo di cercare il difficile equilibrio tra queste forze tra loro antagoniste. Si trattava dunque, anche in questo caso, di Costituzioni a sovranità indecisa, che lasciavano aperta allo scontro poli­ tico proprio la questione fondamentale della spettanza della sovranità. La Costituzione della Repubblica di Weimar del 1919 rappresenta per­ fettamente questo modello. Era una Costituzione che riconosceva moltis­ simi diritti (specialmente diritti sociali e riforme economiche), ma allo stesso, tempo rinviava la loro attuazione a politiche legislative successive. Era una Costituzione fortemente bilanciata da un punto di vista della di­ stribuzione dei poteri, ma lasciava aperta la possibilità di un “supremo reggitore dello Stato” in una eventuale crisi. 12

Costituzione e potere costituente

La stabilità della Costituzione si basava, in sostanza, sul permanere di un equilibrio complesso tra clue forze opposte. E questo equilibrio era necessariamente transitorio, cbn la conseguenza che la Costituzione era a sua volta fisiologicamente instabile, potendo pendere da una parte o dal­ l’altra a seconda della forza politica dei contendenti. 11 1946 Mortati C., Introduzione alla Costituzione di Weimar, ora in Scritti, IV, Milano, 1972; 1950 BURDEAU G., // regime parlamentare nelle costituzioni eu­ ropee del dopoguerra, con prefazione di M. S. Giannini, Milano; 1962 Ghisalberti C., Costituzione (premessa storica), ad vocem, ED, XI; 1970 Elia-L., Go­ verno (forme di), ad vocem, ED, XIX; 1973 Mortati C., Lezioni sulle forme di governo, Padova; 1988 Biscaretti di Ruffia P., Introduzione al diritto costitu­ zionale comparato. Le forme di Stato e le forme di governo. Le costituzioni moderne, Milano; 1988 Zagrebelsky G„ La giustizia costituzionale, Bologna; 1995 Merlimi S., // governo costituzionale, in Romanelli R. (a cura di), Storia dello Stato italiano, Roma; 2004 De Vergottini G., Diritto costituzionale com­ parato, Padova.

4. Le Costituzioni contemporanee e la rigidità come tratto caratte­ rizzante Le Costituzioni che si affermano dopo la seconda guerra mondiale e dopo le dittature fascista e nazista presentano un carattere nuovo. Le for­ ze politiche che sono uscite dalla guerra e dalla dittatura si ispirano certo ad ideologie diverse ed a diversi modelli di Stato, ma per la prima volta vi è la consapevolezza, comune a tutte queste forze, della necessità di dover ricostituire una società dove tutte le componenti possano trovare una loto articolata collocazione. Questo dato di fatto costituisce un elemento nuo­ vo, poiché in tutte le epoche precedenti il fenomeno sociale (o la esistenza di un determinato modello sociale) era un fatto presupposto e preesisten­ te alla Costituzione, al quale quest’ultima tentava di adattarsi. La guerra mondiale e la inesistenza di un ordine giuridico pregresso al quale fare ri­ ferimento, aveva invece condotto ad una situazione nella quale era la stes­ sa società che doveva essere ricostituita, con la conseguenza che la Costi­ tuzione doveva allora svolgere il compito sia di rifondare l’ordinamento giuridico dello Stato, sia di indirizzare, in qualche misura, anche la rico­ struzione della società. Le Costituzioni, per conseguenza, si allungano molto, ricomprendendo valori e principi comuni a tutte le forze politiche, e soprattutto divengono anche programmi sociali, all’interno dei quali ciascuna forza politica eser­ cita un ruolo e fa propria una parte del programma. Questi modelli costi­ 13

Necessità di ricostruire la società

Costituzioni contengono anche programmi sociali

La Costituzione

Scompare la lotta perla sovranità

Costituzione garanzia del nuovo sistema sociale

Superiorità della Costituzione garantita con rigidità

tuzionali sono normalmente detti dello Stato pluralista, perché sono ca­ ratterizzati da una pluralità di forze politiche, da una pluralità di valori e interessi, che convivono tutti con eguale dignità all’interno della Costitu­ zione. Il cambiamento rispetto alle Costituzioni dell’ottocento e del primo dopoguerra è tuttavia evidente. Mentre quelle, per ragioni diverse, erano caratterizzate da un accentuato dualismo finalizzato alla lotta per la so­ vranità, nelle Costituzioni contemporanee la lotta per la sovranità scom­ pare all’interno di una società pluralista ma egualmente legittimata. Anzi, in queste Costituzioni l’esistenza di un accentuato pluralismo fa sì che sia proprio la categoria concettuale della sovranità a modificare i suoi fon­ damenti. La evoluzione storica dei modelli costituzionali, dalle monarchie assolute, alle monarchie costituzionali, sino alle Costituzioni del primo dopoguerra, si fondava sulla esistenza di un potere “ultimo”, che la Costi­ tuzione poteva servire a limitare, regolare, confinare, ma che non poteva comunque essere eliminato perché esistente nei fatti (il potere del Re), o nella società (il dualismo della repubblica di Weimar). Nelle Costituzioni contemporanee questo potere non c’è più: tutte le componenti politiche e sociali hanno accettato il compromesso costitu­ zionale e sono dunque parti di quell’accordo. Ciò non significa, tuttavia, che in queste Costituzioni non vi sia conflitto tra parti sociali o forze poli­ tiche. Significa invece che il conflitto non è distruttivo come lo era un tempo, perché è ricondotto all’interno di una Costituzione che è accettata da tutte le forze politiche. Questa situazione, che è storica e sociale ma non ancora giuridica, produce conseguenze giuridiche importanti sulle caratteristiche della Co­ stituzione. In primo luogo le Costituzioni divengono il luogo nel quale custodire il compromesso sul quale si fonda, ad un tempo, il nuovo sistema sociale e il nuovo ordinamento giuridico. In altre parole, posto che nessuna delle forze politiche e sociali si ritiene detentrice del potere ultimo, o lotta per avere tale potere ultimo, come accadeva in passato, la Costituzione può svolgere il ruolo di garantire quel nuovo sistema sociale e quel nuovo or­ dinamento giuridico. Ma se la Costituzione deve poter svolgere questa funzione, essa deve anche essere necessariamente superiore ai poteri che essa stessa disciplina (poteri costituiti). Inoltre, la “superiorità” della Costituzione diviene un elemento così importante da non poter essere affidata a soli elementi sostanziali e mate­ riali impliciti in questo atto (come in Marbury v. Madison). Occorre inve­ ce garantire la superiorità della Costituzione attraverso regole giuridiche, che prevedano la possibilità di una sua modificazione attraverso un pro­ cedimento particolare, aggravato e complesso. Le Costituzioni divengono pertanto rigide, intendendo con questo aggettivo la possibilità di essere modificate solo con un procedimento speciale aggravato.

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Costituzione e potere costituente

La rigidità costituisce dunque una garanzia che possiamo definire for­ male e procedimentale della (^ostituzione. Per. conservare il patto sociale non ci si affida solo alla “naturale” e intrinseca superiorità della Costitu­ zione, ma si vuole garantire quel patto sociale con strumenti giuridici che ne rendano difficile la modificazione. Superiorità e rigidità sono dunque due concetti simili, ma non completamente coincidenti; maturano stori­ camente nello stesso periodo e sono tra loro complementari, ma derivano da ragioni diverse e perseguono fini non speculari. La superiorità della Costituzione è in effetti conseguenza dell’esercizio del potere costituente. Quando si verificano le condizioni, storiche e so­ ciali, per l’esercizio del potere costituente, la Costituzione è necessaria­ mente un atto superiore. Tutti gli atti che vengono dopo la Costituzione sono costituiti e quindi inferiori, perché nella Costituzione trovano la loro fonte di legittimazione: la superiorità è dunque un concetto collegato alla natura dell’atto e non alla sua forma. La rigidità della Costituzione afferisce invece alle regole procedimentali per modificare la Costituzione al fine di renderne più complessa la eventuale modifica: è dunque una garanzia sia della superiorità che della stabilità nel tempo della Costituzione. Poiché poi le Costituzioni contemporanee sono superiori e rigide, un’altra caratteristica tipica è la previsione, in questi modelli, di sistemi di giustizia costituzionale. La giustizia costituzionale deriva logicamente dalla superiorità e dalla rigidità della Costituzione. Se la legge deriva dalla Costituzione ne deve rispettare il contenuto. Se non ne rispetta il contenuto significa che essa modifica la Costituzione. Ma la Costituzione, che è superiore perché espressione del potere costituente, non può essere modificata da un pote­ re costituito (ragione sostanziale). Inoltre, come si è detto sopra, la Costi­ tuzione è rigida, cioè può essere modificata solo con un procedimento ag­ gravato diverso da quello per approvare le1 leggi. Dunque ima legge, ap­ provata con un procedimento ordinario/non può modificare la Costitu­ zione (ragione formale). Occorre quindi, in questi modelli costituzionali, un sistema che con­ senta di giudicare sulla legittimità di una legge nei confronti della Costitu­ zione.

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Rigidità garanzia formale e procedimentale

Rigidità garanzia della superiorità e della stabilità

Giustizia costituzionale conseguenza della superiorità e della rigidità

La Costituzione di costituzionalità in Italia (1848-1956), Milano; 1997 Viviani SCHLEIN M.P., Rigidi­ tà costituzionale. Limiti e graduazioni, Torino; 2000 Volpe G„ Il costituzionalismo del Novecento, Roma; 2001 Fioravanti M„ La scienza dei diritto pubblico: dottri­ ne dello Stato e della Costituzione tra Otto e Novecento, Milano; 2004 Di Giovine A., Le tecniche del costituzionalismo del Novecento per limitare la tirannide della maggioranza, In Bravo G.M, (a cura di), La democrazia tra libertà e tirannide del­ la maggioranza nell'ottocento, Firenze; 20Ó4 Gambino S., Il costituzionalismo del Novecento, In Scritti Pensovecchio Li Bassi, Torino.

5. Prime distinzioni di sintesi: Costituzioni flessibili e rigide, Co­ stituzioni lunghe e brevi, formali e materiali

Passaggio da

^essibii^a rigide

Costituzioni

dualistico

Dalla rapida descrizione di questa evoluzione possiamo trarre alcune definizioni giuridiche che caratterizzano le Costituzioni. Le Costituzioni possono essere innanzitutto flessibili o rigide. Sono Costituzioni flessibili quelle Costituzioni che sono modificabili attraverso la legge ordinaria e che, per converso, non prevedono un pro­ cedimento aggravato per la loro modifica. Al contrario sono Costituzioni rigide quelle Costituzioni che prevedono un procedimento aggravato per la loro modifica, e che quindi non possono essere modificate da leggi or­ dinarie. Come è stato descritto, il passaggio dalle Costituzioni flessibili alle Cost*tuz^on^ rigide è conseguenza della evoluzione storica e sociale. Nei periodi di accentuato dualismo e di lotta per la sovranità le Costituzioni erano flessibili, poiché le parti non intendevano delegare ad uno strumento nor­ mativo superiore le modalità di composizione di quei conflitti. Viceversa nel dopoguerra, venuta meno la lotta per la sovranità, le Costituzioni di­ vengono lo strumento per garantire il “nuovo patto sociale”, e dunque ven­ gono rese rigide per conservare nel tempo quello stesso patto sociale. Le Costituzioni poi possono essere brevi e lunghe. La distinzione è, in sé banale. Sono Costituzioni brevi quelle Costituzioni composte da un numero limitato di articoli; sono Costituzioni lunghe quelle Costituzioni composte da un numero elevato di articoli. Anche questa distinzione tuttavia è da un lato collegata ai fatti della storia, e dall’altro lato è indice di un “modello” di Costituzione. Le Costituzioni brevi sono infatti tipiche di un modello ancora dualis^co' parti decidono reciprocamente di disciplinare alcuni rapporti di potere ed alcuni diritti ritenuti fondamentali attraverso lo strumento co­ stituzionale. Le Costituzioni brevi sono allora caratteristiche del periodo liberale ottocentesco, quando i rapporti tra Sovrano e borghesia sono “fluidi” e non si intendeva delineare, attraverso lo strumento costituziona­ le, un assetto complessivo della struttura sociale.

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Costituzione e potere costituente

Le Costituzioni lunghe sono invece tipiche della società contempora­ nea e sono collegate anche al modificarsi della forma di Stato. In primo luogo queste Costituzioni intendono determinare un assetto organico della società. Esse séno infatti Costituzioni nate da un accordo complessivo tra tutte le forze ipolitiche e sociali e dunque disegnano un modello di organizzazione del potere e del sistema dei diritti nel quale tutti possano riconoscersi. In secondo luogo esse sono collegate al nascere dello Stato sociale con­ temporaneo. Quando lo Stato assume su di sé il compito di rimuovere e di perequare, per quanto possibile, le differenze materiali tra i cittadini (come ad esempio avviene nella Costituzione italiana con l’art. 3 2° com­ ma conosciuto come “principio di eguaglianza sostanziale”) per raggiun­ gere questo obiettivo devono essere svolti nuovi compiti e funzioni. Le Costituzioni si allungano quindi al sociale e alla determinazione di “valo­ ri” che lo Stato stesso deve perseguire. In terzo luogo le Costituzioni contemporanee non si limitano normal­ mente a dettare norme di tipo “verticale”, cioè relative al solo rapporto Stato-cittadino, ma dettano anche norme di tipo “orizzontale”, cioè rela­ tive ai rapporti tra cittadini. Anche questa evoluzione, che provoca un ul­ teriore allungamento della Costituzione, è conseguenza del modello di Stato sociale, del principio di eguaglianza materiale, dei fini perequativi che lo Stato si prefigge. Per contro bisogna avere attenzione alle Costituzioni troppo lunghe. Le Costituzioni troppo lunghe sono la “spia” di un modello costituzionale spesso non generalmente condiviso. La mancata condivisione di valori di fondo, di una visione complessiva della società, tende infatti a produrre una normazione di dettaglio articolata e pervasiva. Le Costituzioni non devono disciplinare fattispecie concrete come il codice civile, ma devono bensì stabilire la cornice di principi e di valori all’interno della quale si collocheranno le altre norme. Se la Costitpzione sembra un codice civile probabilmente non è una Costituzione/ esempi di Costituzioni troppo lunghe le abbiamo infatti in presenza di società fortemente disomogenee (ad esempio la Costituzione indiana è composta da oltre 900 articoli) o quando manchi ancora una visione comune condivisa. Si distingue poi normalmente tra Costituzione formale e Costituzione materiale (quest’ultima a sua volta distinguibile in materiale in senso stretto o in senso largo). La Costituzióne formale è data dall’intero sistema delle norme costitu­ zionali. E la Costituzione scritta in tutti gli articoli che la compongono, e che può essere modificata solo attraverso il procedimento di revisione co­ stituzionale. La scrittura della Costituzione, senza essere indispensabile per la definizione di una normativa come costituzionale, contribuisce tuttavia a rafforzare l’idea del

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Costituzioni lunghe tipiche deila società contemporanea

Costituzioni contemporanee norme orizzontali

Costituzione formale

La Costituzione

suo rispetto e la sua conoscenza. Come sottolineò Schmitt, la scrittura della Co­ stituzione mette in risalto la sua dimostrabilità e la sua stabilità. Attraverso la Co­ stituzione scritta, inoltre, aumenta la possibilità di controllo e di limitazione del potere da parte di tutti gli interessati. Inoltre, nella storia delle Costituzioni, la scrittura serviva anche a manifestare in maniera più netta e visibile la rottura con l’ordinamento precedente. La scrittura ha svolto questa funzione nella Costitu­ zione americana, quando la rivoluzione contro l’Inghilterra rese in qualche misu­ ra necessaria anche la stesura di un documento che fosse in contrapposizione con la storia giuridica inglese. Anche nella rivoluzione francese la scrittura della Co­ stituzione costituì, tra l’altro, un momento per sancire la rottura con [’ancient re­ gime.

Costituzione materiale

La Costituzione materiale in senso stretto è quella parte della Costitu­ zione cui le forze politiche dominanti danno attuazione e ritengono di do­ ver applicare in un determinato momento storico. Questa definizione fu coniata in Italia nel 1940 da Mortati, La Costituzione in senso materiale. Essa riprendeva le idee di Schmitt espresse nel 1928 nel volume Verfassungslere, e rispecchia una fase storica segnata da concezioni autoritarie della Costituzione. Mortati partiva dall’idea che le forze politiche dominanti, in un determinato momento storico, tendono a conformare la struttura dello Stato in funzione delle finalità che si prefiggono di raggiungere. Conseguentemente es­ se saranno portate ad attuare quella parte della Costituzione, definita materiale, che coincide con gli interessi delle forze politiche al potere. La obbligatorietà del­ la Costituzione è pertanto correlata solo a quella parte della Costituzione che in un determinato momento storico si ritiene di dover applicare, e cioè alla Costitu­ zione formale che coincide con la Costituzione materiale.

La Costituzione materiale in senso largo può essere definita come il substrato storico e sociale che, in qualche misura, “sta sotto” la Costitu­ zione, la rende legittima ed applicabile. Anche questa distinzione è in fondo implicita nella descrizione storica che abbiamo effettuato circa i vari modelli di Costituzione. Una Costituzio­ ne è infatti indissolubilmente collegata ad un determinato modello sociale e politico del quale è espressione. Quando questo modello sociale e politico dovesse rompersi, la Costituzione formale che ne è espressione rischierebbe di trasformarsi in un guscio vuoto, poiché quei valori generalmente condi­ visi che essa contiene non sarebbero più riconosciuti come tali. H concetto di Costituzione materiale, sia in senso stretto che in senso largo, deve tuttavia essere interpretato in maniera restrittiva ed in qualche misura “estrema”. Ovviamente non ogni modifica del sistema politico e sociale costituisce cambiamento della Costituzione materiale con conse­ guente svuotamento della Costituzione formale. Altrimenti le Costituzio­ ni, perdipiù rigide, sarebbero uno strumento inutile a fronte di tensioni e cambiamenti sociali che sono inevitabili - ed anche auspicabili - in un orizzonte temporale di lungo termine. 18

Costituzione e potere costituente

La rottura della Costituzione materiale indica invece una frattura così importante del modello sociale ed organizzativo, che la Costituzione for­ male non è più in grado di contenere. Una frattura di questo genere si ve­ rificò, ad esempio, durante il periodo fascista, che si impose di fatto e at­ traverso leggi ordinarie, ma senza abrogare il preesistente statuto albertino. In quel caso poteva ben dirsi che la Costituzione materiale aveva pre­ so il sopravvento e svuotato là Costituzione formale (lo statuto albertino appunto) che era di fatto disapplicato. Al di fuori di casi estremi di rottura il concetto di Costituzione mate­ riale ci ricorda come la Costituzione non vive di vita propria, staccata da un modello sociale e politico. Al contrario, il modello sociale e politico la Costituzione materiale - contribuisce alla evoluzione interpretativa del­ la Costituzione, la riempie di significati, consente che un testo redatto nel passato possa adattarsi a fenomeni nuovi e non prevedibili.

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6. Sintesi del capitolo In questo capitolo si è definita la Costituzione come superiore, stabile, contenente norme e valori ritenuti fondamentali e i principi sulla organiz­ zazione dello Stato. Le Costituzioni antiche non avevano queste caratteri­ stiche, trattandosi di documenti negoziati tra due parti contrapposte per regolare transitoriamente i reciproci rapporti di forza. Quando vi sono si­ tuazioni nelle quali la sovranità è contrastata è molto difficile che si pos­ sano avere Costituzioni stabili e superiori perché ciascuna parte ritiene di essere il titolare della sovranità (Par, 1). Le Costituzioni con le caratteristiche moderne le ritroviamo infatti do­ po le rivoluzioni francese ed americana, quando per la prima volta la so­ vranità si impernia sul popolo che si ritiene legittimato ad esercitare il po­ tere costituente (cioè il potere di darsi una Costituzione). Quando ciò ac­ cade la Costituzione non è più il frutto di ima negoziazione tra due parti entrambi titolari della sovranità (con effetti necessariamente transitori), ma diviene invece lo strumento ritenuto da tutti come la base dell’ordi­ namento giuridico. Il potere costituente si estingue alla approvazione del­ 19

La Costituzione

la Costituzione, dopodiché tutti i poteri sono definiti come costituiti, poi­ ché traggono forza e legittimazione dalla Costituzione. Se essi traggono forza e legittimazione dalla Costituzione, ne consegue che quest’ultima è necessariamente superiore alle altre norme, mentre le altre norme debbo­ no a loro volta rispettare la Costituzione, (Par. 2). Nel periodo della restaurazione si verificò un ritorno ad un modello di Costituzione transitorio, perché il ritomo al potere dei Sovrani fece sì che essi si ritenessero nuovamente i titolari della sovranità. Anche le Costitu­ zioni del primo dopoguerra non sono stabili, perché al dualismo tra so­ vrano e classe borghese si sostituì un dualismo, altrettanto distruttivo, al­ l’interno della società (Par. 3). Dopo la seconda guerra mondiale la distruzione dell’ordinamento giu­ ridico preesistente, unito alla pari legittimazione delle forze politiche che uscivano dalla guerra, creò le condizioni per un nuovo esercizio del pote­ re costituente. Le Costituzioni nate in questo periodo sono dette pluraliste, perché contengono pluralità di valori, tutela delle minoranze, stru­ menti di garanzia. Le Costituzioni del dopoguerra sono anche Costituzio­ ni rigide, con ciò intendendosi che occorre un procedimento speciale per modificarle, e sono Costituzioni lunghe, perché trattando non soltanto i rapporti tra Stato e individuo (come nelle Costituzioni liberali) ma anche i rapporti tra individui (c.d. orizzontali), contengono un numero più ampio di norme rispetto alle precedenti. Esse inoltre sono Costituzioni che deli­ neano il c.d. Stato sociale, e quindi disciplinano un numero molto più ele­ vato di diritti dell’individuo nei confronti dello Stato (Par. 4). Le Costituzioni poi si distinguono in formali e materiali. Sono formali le Costituzioni scritte che possono essere modificate solo con il procedi­ mento di revisione costituzionale. Costituisce invece la Costituzione mate­ riale l’insieme dei rapporti, sociali e politici, che stanno alla base di una Costituzione formale e che ad essa attribuiscono cogenza (Par. 5).

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Capitolo II ALLE ORIGINI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA SOMMARIO: 1. Lo Statuto albertino e la sua evoluzione. -2. Il periodo fascista. - 3. Il periodo transitorio. - 4. L’Assemblea Costituente. -5. Il congelamento della Co­ stituzione e il suo successivo disgelo. - 6. Sintesi del capitolo.

1. Lo Statuto albertino e la sua evoluzione La prima “Costituzione” italiana risale al 1848 quando, a seguito di moti rivoluzionari che sconvolsero tutta l’Europa, Carlo Alberto di Savoia fu costretto a promulgare una carta costituzionale nel Regno di Sardegna. Questa carta costituzionale, detta Statuto albertino, fu poi estesa al Regno di Italia dopo il 1861, e rimase formalmente in vigore sino al 1948, quan­ do fu approvata la Costituzione italiana. Essa, anche se di fatto non fu applicata nel periodo fascista ed anche nel c.d. periodo transitorio tra la fine della seconda guerra mondiale e la approvazione della Costituzione, ebbe dunque una vita assai lunga. In questo periodo si verificarono molti cambiamenti nel paese, sociali e poli­ tici, che nel tempo produssero interpretazioni diverse di quella prima car­ ta costituzionale. Da una prima fase nell^ quale lo Statuto delineava una classica monarchia costituzionale, si passò ad una fase finale nella quale, a seguito del cambiamento di prassi nella applicazione di molti istituti, essa parve avvicinarsi ad una monarchia parlamentare. Lo Statuto albertino era la tipica carta costituzionale concessa dal So­ vrano, così come ve ne furono molte in quel periodo in Europa. Non era quindi una carta espressione del potere costituente ma una classica Costi­ tuzione liberale dualistica, e dato che era una Costituzione dualistica, o a sovranità indecisa, aveva le caratteristiche tipiche di quelle carte: era infat­ ti flessibile e breve. Delineava inoltre un modello di monarchia costitu­ zionale, incentrato sui poteri del Sovrano, sia pure limitati in parte dal Parlamento. Sulla carta, infatti, il Sovrano era titolare della gran parte dei poteri, po­ tendo intervenire praticamente su tutti gli altri organi dello Stato. In pri21

Statuto albertino Costituzione dualistica, flessibile e breve

La Costituzione

mo luogo il Re nominava e revocava i ministri, ma il potere di nomina e revocava unito al potere di revoca determinava un rapporto fiduciario tra questi mmistn qualora i ministri si fossero discostati dall’indirizzo dettato dal Sovrano, quest’ultimo aveva la facoltà di rimuoverli dall’incarico, con la conseguenza che i ministri erano responsabili verso il Re e non verso il Parlamento, come accade invece normalmente nelle forme di Governo parlamentari. Senato di In secondo luogo il Parlamento era composto da due Camere, ma il nomina regia $enato del Regno non era elettivo bensì composto da membri nominati a vita dal Sovrano. Sia il potere di nomina in capo al Sovrano, sia la durata a vita dei membri nominati, avevano la funzione di condizionare l’esercizio del potere legislativo. In terzo luogo, anche se il potere di fare leggi era in capo al Parlamen­ ti potere di to, il Sovrano aveva nei confronti delle leggi un potere di “sanzione”, cioè sanzione blocco della legge, la quale non poteva entrare in vigore senza la sua firma. Il potere di sanzione, inteso come potere di “blocco”, derivava dal­ l’idea che la legge non era l’espressione della volontà popolare - come ac­ cade in tutte le democrazie - ma di un accordo contrattuale tra il Sovrano e il Parlamento. Anche questa idea, del resto, era connaturale ad una Co­ stituzione concessa che postulava la preesistenza del potere del Re rispet­ to alla Costituzione. In quarto luogo il Re convocava e scioglieva il Parlamento, che appari­ va quindi un organo ausiliario del Sovrano piuttosto che l’organo rappre­ sentativo della sovranità popolare. Pochi diritti di Da un punto di vista del sistema delle libertà la carta prevedeva poche libertà norme. Le libertà del cittadino, infatti, erano trattate in soli nove articoli, seguendo anche in questo caso il modello delle Costituzioni “brevi” tipi­ che dell’epoca. L’intero sistema delle libertà era inoltre disciplinato in ma­ niera molto generica e con costanti rinvìi al legislatore, che avrebbe dovu­ to precisarne il contenuto, e anche in questa scelta si coglie l’origine dua­ listica della Costituzione. Da una parte il rinvio alla legge consentiva po­ tenzialmente ai rappresentati eletti in Parlamento di poter legiferare sui propri diritti, mentre dall’altra parte il Sovrano, titolare del potere di san­ zione, si sentiva a sua volta garantito nel poter bloccare leggi che fossero eccessivamente vantaggiose per il Parlamento. In definitiva lo Statuto albertino, come abbiamo visto nel precedente capitolo, costituiva un classico esempio di una Costituzione caratterizzata dalla c.d. sovranità indecisa, nella quale le parti dell’accordo costituziona­ le lasciavano alla modificazione storica dei propri rapporti di forza l’evol­ versi del modello costituzionale. Questa evoluzione, del resto, iniziò sin dai primi anni di applicazione dello Statuto e ebbe un percorso favorevole al Parlamento. Come si è det­ to lo Statuto si basava sul principio di separazione tra Governo e Parla­ mento, dipendendo il Governo dalla fiducia del Re (che nominava e revo­ Re nominava

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Alle origini della Costituzione italiana

cava i ministri) e non dalla fiducia del Parlamento, come previsto invece nelle forme di Governo parlamentari. Nel tempo tuttavia il Governo com­ prese che, se voleva portare avanti la propria politica, doveva spiegarne le ragioni in Parlamento: quest’ultimo infatti poteva non approvare le leggi che il Governo proponeva. Si invalse così la prassi, per i Governi che venivano nominati dal So­ vrano e che dunque avevano la! fiducia del Re, di ottenere anche la fiducia del Parlamento: il Governo esponeva un proprio programma in Parla­ mento rispetto al quale riceveva la fiducia. Una prima grande trasformazione, relativa alla forma di Governo, era dunque avvenuta in via di prassi. La separazione tra Governo e Parlamen­ to, scritta nello Statuto, era venuta meno, e il rapporto di fiducia, origina­ riamente costruito tra Re e Governo, si era trasformato in un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento. Conseguentemente altri poteri del Sovrano si affievolirono. Se infatti inizialmente il Re poteva scegliere i ministri tra persone di sua propria ed esclusiva fiducia, dopo l’instaurazione del meccanismo relazionale tra Governo e Parlamento questa scelta non poteva più avvenire con la liber­ tà iniziale. Il Re doveva infatti scegliere come ministri persone che pote­ vano anche avere la fiducia del Parlamento, con la conseguenza che anche il potere di revoca dei ministri iniziò ad affievolirsi. Se il Governo aveva la fiducia del Parlamento, nonché del Sovrano all’atto della nomina, diveni­ va poi difficile revocare i ministri senza creare una contrapposizione ec­ cessiva tra i due organi. Il doppio appoggio del Re e del Parlamento che il Governo aveva con­ quistato, ebbe poi l’effetto di rafforzare i poteri di quest’ultimo nei con­ fronti del Sovrano. Il potere di scioglimento anticipato, che lo Statuto aveva disciplinato come un potere discrezionale del Sovrano, si trasformò ben presto in un potere governativo (come accade generalmente nelle forme di Governo parlamentari). Divenne di fatto il Governo a decidere se sciogliere o meno le Camere, poiché era divenuto il Governo il vero in­ terlocutore politico del Parlamento. Se le Camere erano contrarie ad ap­ provare gli atti proposti dall’esecutivo, il Governo poteva minacciare lo scioglimento, o addirittura sciogliere le Camere nel momento migliore per ottenere una Càmera la cui composizione fosse più in linea con la propria politica. Il Governo conquistò addirittura il potere “sostanziale” di nominare i membri del Senato. Questo potere era in verità allocato sul Sovrano, ma anche in questo caso si invalse la prassi che era il Governo a proporre le nomine dei senatori al Re, che di regola le ratificava. Anche la trasforma­ zione di questo potere era conseguenza del mutato equilibrio nei rapporti relazionali tra Governo e Parlamento. Se il Governo doveva avere la fiducia del Parlamento, se lo poteva sciogliere, evidentemente era anche interessato a che la sua composizione fosse in linea con la politica governativa. 23

Instaurazione in via di prassi della fiducia tra Governo e Parlamento

Aftievolimento del potere di revoca dei ministri Rafforzamento del Governo

La Costituzione

Siccome poi la composizione del Senato non prevedeva un numero fis­ so di senatori, il Governo ebbe gioco facile nel trasformare progressiva­ mente il Senato in una Camera favorevole attraverso la nomina di molti senatori (le c.d. infornate). In definitiva lo Statuto albertino, che delineava all’origine una classica monarchia costituzionale, si trasformò nel tempo, e senza alcuna modifica scritta, in una monarchia parlamentare, sancendo nella sostanza, nel dua­ lismo sovrano borghesia, la vittoria costituzionale di quest’ultima.

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2. H periodo fascista Lo Statuto albertino fu di fatto travolto dall’instaurarsi della dittatura fa­ scista. È evidente che il fascismo si impose per ragioni storiche, economiche e sociali e non per ragioni giuridiche dipendenti dalla flessibilità dello Sta­ tuto. Tuttavia l’ambiguità implicita in quella carta, nata per limitare soltan­ to alcuni poteri del Re, ed evolutasi poi in un sostanziale predominio delle istituzioni della borghesia, certamente favorì in alcuni passaggi l’instaurarsi del regime fascista. Del resto quella carta si basava e si reggeva su un duali­ smo instabile. Quando all’interno di una delle parti (la borghesia), comin­ ciarono ad instillarsi ideologie e modelli antitetici al modello liberale, era nelle cose che l’accordo preesistente non avrebbe tenuto. Il regime fascista si instaurò giuridicamente con un colpo di Stato le­ gittimato dal Sovrano. A seguito della marcia su Roma il 28 ottobre 1922, il Re affidò infatti a Mussolini, capo del fascismo, l’incarico di primo mi­ nistro. Si trattava tuttavia di una probabile violazione dello Statuto, per­ ché in primo luogo il Re si era rifiutato di firmare il decreto di stato di as­ sedio che il Governo legittimo gli aveva sottoposto, e in secondo luogo 24

Alle origini della Costituzione italiana

aveva nominato primo ministro il rappresentante di un partito, allora mi­ noritario nel Parlamento, a seguito di un atto di forza e di una vera e pro­ pria autodesignazione. Dopo la nomina di Mussolini a primo ministro progressivamente furo­ no smantellate le istituzioni della monarchia costituzionale. Nel 1924 fu­ rono effettuate le elezioni sulla base di una legge, la c.d. legge Acerbo, che consentiva al partito che avesse ottenuto il 25% dei voti di ottenere i 2/3 dei seggi della Camera (in realtà il partito fascista non ebbe poi bisogno della applicazione di questa legge poiché ottenne quasi il 65% dei voti). Nei due anni che vanno dal 1925 al 1926 furono distrutte le istituzioni parlamentari che faticosamente si erano create in via di prassi nel periodo liberale. Con la legge 24 dicembre 1925 n. 2263 sulle attribuzioni e prerogative del capo del Governo fu stabilito che quest’ultimo diveniva un superiore gerarchico rispetto agli altri ministri, che le Camere non potevano più porre la mozione di sfiducia per censurare l’operato del Governo, che nessun oggetto poteva essere messo all’ordine del giorno delle Camere, senza il consenso del capo del Governo. Con la successiva legge n. 100 del 1926, fu poi ampliato a dismisura il potere del Governo di emanare atti con forza di legge e regolamenti senza passare dal Parlamento, esautoran­ done pertanto l’attività anche dal punto di vista dell’esercizio della fun­ zione legislativa. Nel 1926, inoltre, furono cancellate le prerogative par­ lamentari, disponendosi la decadenza dei parlamentari che, a seguito del delitto Matteotti, si erano astenuti dai lavori delle Camere, e in quello stesso anno fu creato il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, con il compito di giudicare i delitti politici. L’autorità del Governo fu poi ulteriormente incrementata con la c.d. costituzionalizzazione del “Gran Consiglio del fascismo”, avvenuta con la legge 9 dicembre 1928 n. 2693. Attraverso questa legge il massimo organo del partito diventava un organo dello Stato,' direttamente dipendente dal capo del Governo, che ne sceglieva i corjiponenti, lo convocava e ne de­ terminava l’ordine del giorno. L’identificazione dello Stato con il partito proseguì poi con una legge del 1929, che prevedeva che lo Stato dovesse assumere il controllo del partito attraverso la imposizione di uno statuto, proposto dal capo del Governo. A questo punto le istituzioni parlamentari erano di fatto già cancellate, cosicché la soppressione della Camera dei Deputati e l’istituzione in sua vece della Camefa dei fasci e delle corporazioni, avvenuta nel 1939, non fece che sancire ciò che già era avvenuto nei fatti. L’inizio della caduta del fascismo può collocarsi nella famosa notte del 24 luglio del 1943, quando il Gran Consiglio del fascismo votò un ordine del giorno (c.d. ordine del giorno Grandi) che sostanzialmente esautorava Mussolini. Con tale ordine del giorno si dichiarò che era necessario il ri­ pristino delle funzioni statali, e si invitò il Re a riassumere i poteri che 25

Legge Acerbo

Legge sulle attribuzioni del capo del Governo

Costituzionaliz­ zazione Gran Consiglio del fascismo

La Costituzione

aveva in base allo Statuto. Il giorno dopo il Re revocò Mussolini da primo ministro, ne ordinò l’arresto e nominò il Maresciallo Badoglio primo mi­ nistro.

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3. H periodo transitorio Gli anni che andarono dall’otto settembre del 1943, data dell’armisti­ zio, sino all’entrata in vigore della Costituzione, furono caratterizzati da un ordinamento giuridico definibile come “transitorio”. L’Italia era spaccata in due parti, a nord occupata dalle forze tedesche e a sud dalle forze alleate. U regime fascista non vi era più né era tuttavia possibile un ritorno allo Statuto. Tornare indietro allo Statuto avrebbe in­ fatti significato legittimare nuovamente e pienamente le istituzioni monar­ chiche, mentre i partiti antifascisti erano caratterizzati, invece, da ideolo­ gie repubblicane. I sei partiti politici antifascisti (partito liberale, partito democratico del lavoro, partito della democrazia cristiana, partito di azione, partito sociali­ sta di unità proletaria, partito comunista italiano) riuniti nei Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), tentavano di tenere rapporti con gli alleati anche in funzione della gestione del dopoguerra, e posero sin da subito la questione istituzionale, cioè il passaggio da una monarchia fortemente compromessa con il regime fascista, alla forma repubblicana. Nella pri­ mavera del 1944, in applicazione di queste linee di indirizzo, fu stipulato Patto di il c.d. “patto di Salerno”, dal luogo dove aveva sede il Governo Badoglio. Saiemo Secondo questo accordo il Re si sarebbe ritirato a vita privata, nominando tuttavia il figlio luogotenente del Regno, mentre, finita la guerra, una As­ semblea Costituente avrebbe deciso sia sulla forma di Stato (Monarchia o Repubblica), sia sul nuovo assetto costituzionale. La prima parte del patto fu messa in atto subito dopo la liberazione di

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Alle origini della Costituzione italiana

Roma. Roma fu liberata dagli alleati il 4 di giugno e il 5 di quello stesso mese il Re si ritirò a vita privata, nominando il figlio Umberto luogotenen­ te del Regno.

Mentre avvenivano questi fatti l’Italia del nord continuava a vivere sotto l’occu­ pazione dei tedeschi. I Comitati di Liberazione Nazionale, formati dai partiti anti­ fascisti che si erano collegati in un Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Ita­ lia, fu investito di importanti funzioni di Governo. Con un decreto del 28 febbraio 1945 n. 73, al Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia fu infatti attribuita la rappresentanza del Governo italiano nella lotta contro gli occupanti. Anche da un punto di vista giuridico-istituzionale l’innovazione era di grande importanza: mentre il Comitato di Liberazione Nazionale costituiva l’organo po­ litico centrale, i Comitati di Liberazione dell’Italia del nord divenivano organi di Governo locale. Il 18 giugno 1944, questo assetto giuridico embrionale cominciò ad istituzionalizzarsi: il Comitato Centrale di Liberazione nazionale si attribuì l’incarico di designare il Governo alla Corona, fungendo dunque da organo rap­ presentativo della volontà popolare. Da un punto di vista della produzione normativa il Governo, già dal 25 luglio del 1943 emanava decreti legge. Occorreva adesso, per sancire la discontinuità con la fase precedente, attribuire anche l’esercizio della funzione legislativa. Essa fu assegnata, con un decreto legge 25 giugno 1944, allo stesso Governo, sia pure in via transitoria e sino a quando non fosse entrato in vigore il nuovo Parlamento. Il decreto legge 25 giugno 1944 conteneva poi altre decisioni aventi impatto costituzionale. Stabiliva il deferimento della scelta istituzionale Monarchia o Repubblica ad una Assemblea Costituente da eleggersi diret­ tamente alla fine della guerra, mentre il Comitato di Liberazione Naziona­ le, il Governo in carica e il luogotenente, si impegnavano a non compiere atti che potessero pregiudicare la questione; istituzionale (la c.d. “tregua istituzionale”). Con successivo decreto luogotenenziale J6 marzo 1946 queste scelte furono poi modificate: si sottrasse infatti/la scelta sulla forma di Stato (Monarchia o Repubblica) all’Assemblea' Costituente, per attribuirla di­ rettamente alla volontà popolare attraverso un referendum. Fu stabilito altresì che la funzione legislativa non sarebbe stata esercitata dalla stessa Assemblea Costituente, come prima determinato, ma bensì dal Governo.

L’art. 3 del d.lgs.Igt. 16 marzo 1946 n. 98 stabiliva in verità che il potere legi­ slativo restava delegato al Governo, che non era quindi il titolare diretto di quel potere: “durante il periodo della costituente e fino alla convocazione del Parlamen­ to a noma della nuova Costituzione, il potere legislativo resta delegato, salva la materia costituzionale, al Governo, ad eccezione delle leggi elettorali e delle leggi di approvazione dei trattati internazionali le quali saranno deliberate dall’assemblea. Il Governo potrà sottoporre all’esame dell’assemblea qualunque altro argomento per il quale ritenga opportuna la deliberazione di essa. Il Governo è responsabile verso l’assemblea costituente”.

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C.d. tregua istituzionale

La Costituzione

Referendum

istituzionale

La ragione di questa modifica, non di poco conto, era da una parte lega­ ta alla posizione degli alleati, che vedevano con favore, da un punto di vista della stabilità del paese, il permanere della monarchia, e che pensavano che una scelta su questo tema effettuata direttamente dall’Assemblea Costituen­ te avrebbe avuto minore possibilità di imporsi. Dall’altra patte essa era con­ seguenza anche di un atteggiamento più cauto del partito della Democrazia Cristiana, che annoverava tra i suoi elettori anche molti monarchici. II referendum istituzionale avrebbe dovuto tenersi il 2 di giugno del 1946. Nel maggio Vittorio Emanuele III, che sulla base del patto di Saler­ no si era ritirato in maniera definitiva dalla vita pubblica designando Um­ berto luogotenente del Regno, abdicò in favore del figlio Umberto. Pose così in essere un atto che non poteva compiere - se si era ritirato non ave­ va più poteri e quindi non poteva abdicare - violando altresì la tregua isti­ tuzionale sancita nel decreto del 1944. La ragione di questo atto era infatti ovvia: la monarchia sperava di avere una maggiore forza presentandosi al referendum istituzionale con un Re meno compromesso con il regime e soprattutto pienamente in carica. Nonostante questo atto fosse illegittimo Governo e partiti dei Comitati di Liberazione Nazionale non si opposero. Troppo grande era il rischio di un conflitto aperto con la corona e il rinvio del referendum istituzionale. Il referendum istituzionale si svolse regolarmente, e nonostante qualche ultimo colpo di coda della monarchia che tentò sino all’ultimo di discono­ scere il risultato, basandosi sulla interpretazione ai fini del quorum delle schede nulle e bianche, la Repubblica vinse sia pure con uno scarto non enorme (12.717.923 voti contro 10.719.284).

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I

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S

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Alle orìgini della Costituzione italiana

4. L’Assemblea Costituente Nelle vicende che portarono alla approvazione della Costituzione re­ pubblicana si tende a valutare principalmente il lavoro dell’Assemblea Costituente, mentre il periodo1 che abbiamo descritto come transitorio è perlopiù analizzato in ottica stòrica. In verità si tratta di un periodo assai lungo (quasi tre anni), nel quale la questione costituzionale maturò lenta­ mente tra CLN, Governo e alleati, e che condizionò non poco il lavoro successivo. Il decreto luogotenenziale del marzo del 1946, che attribuiva la que­ stione istituzionale ad un referendum popolare e sottraeva alla Assemblea Costituente il potere di fare le leggi, fu da molti interpretato come un col­ po di coda della monarchia. In particolare, l’attribuzione di questo potere alla Assemblea Costituente, era stato considerato da alcuni come un mez­ zo necessario per porre in essere immediatamente in Italia, insieme alla entrata in vigore della Costituzione, quelle riforme in senso sociale che la Costituzione stessa implicitamente prevedeva. La sottrazione di quel po­ tere fu allora considerato come limitante, perché avrebbe impedito di compiere quella “rivoluzione sociale” di cui si riteneva l’Italia avrebbe avuto necessità. Da un punto di rista strettamente giuridico, però, l’organo che esercita la funzione costituente non può essere il medesimo che esercita la funzione costitui­ ta (cioè la funzione legislativa). Diversamente si dovrebbe ritenere, come Rous­ seau, che il popolo, riunito in assemblea, non incontra limiti giuridici, poiché è ad un tempo potere costituente e potere costituito. Tuttavia questa tesi è contraria alla concezione che le Costituzioni sono, a loro volta, struménti di limitazione del potere. In realtà, e a posteriori, ciò ebbe effetti positivi sulla nascita della Costi­ tuzione, contribuendo a creare un clima di distacco all’interno dell’As­ semblea rispetto alle vicende politiche del paese. La sottrazione all’Assemblea Costituente della questione istituzionale servì a raffreddare il “vento del nord”, ovvero le istanze più rivoluzionarie che provenivano dai CLN del nord dell’Italia, che avevano vissuto una lunga esperienza di resistenza nell’Italia ancora occupata. Questa stessa scelta servì anche a tenere più lontana la stessa Assemblea dalle vicende politiche legate alla contingenza del tempo, consentendo quindi ai costi­ \ tuenti di poter lavorare senza un condizionamento eccessivo proveniente dalla politica. Staccata dalla politica e dalla questione istituzionale che di­ videva l’Italia, T Assemblea Costituente poteva concentrarsi su una Costi­ tuzione in grado di guardare lontano. Con la elezione dell’Assemblea Costituente, inoltre, si concludeva un periodo storico ed un modello politico e se ne apriva un altro. Finiva in-

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Sottrazione questione istituzionale all'Assembtea Costituente

La Costituzione

fatti il periodo dell’esarchia dei CLN, durante il quale tutti i partiti della resistenza erano egualmente legittimati dall’aver partecipato alla resisten­ za, e si apriva una fase politicamente bipolare. Se guardiamo la composi­ zione dell’Assemblea questo dato balza agli occhi: su 556 deputati 104 erano del partito comunista, 114 del partito socialista, 207 della democra­ zia cristiana, 10 del partito di azione, 25 del partito repubblicano, 9 della democrazia del lavoro, 78 delle destre e altri di colore indefinibile. Il blocco composto da comunisti e socialisti pesava intorno al 39%, la de­ mocrazia cristiana si collocava intorno al 35%, mentre gli altri partiti ave­ vano rappresentanze percentualmente molto inferiori. Il paese era fortemente diviso. La Repubblica aveva vinto, ma circa 10.000.000 di elettori avevano votato per la monarchia; il partito fascista non esisteva più come partito, il che non significava che non esistessero più i fascisti; il fronte popolare aveva una componente ideologica marxi­ sta molto forte; la guerra prima e la occupazione dopo, avevano distrutto l’economia ed il senso della identità nazionale. In questo contesto l’obbiettivo pregiudiziale della Costituzione era Gli obbiettivi della prima sociale che giuridico, perché occorreva prioritariamente contenere Costituzione le disomogeneità allo scopo di evitare conflitti sociali e derive autoritarie. La Costituzione doveva quindi prevedere un sistema articolato di dirit­ ti ed uno Stato che fosse in grado di intervenire per equilibrare le forti di­ seguaglianze sociali ed economiche. La “libertà dal bisogno”, come diceva Calamandrei, costituiva alla fine il presupposto per il godimento degli al­ tri diritti. Occorreva poi un sistema articolato di protezione dei diritti delle mi­ noranze, proprio a tutela di una società divisa, ed un sistema di garanzie per evitare che una maggioranza contingente potesse prendere il soprav­ vento sull’altra parte. Su questi obbiettivi si fondò il famoso “compromesso”, o “patto”, dal quale scaturisce la Costituzione.

Con elezione Assemblea Costituente finisce esarchia CLN

Di questo patto l’On. Togliatti, Leader del partito comunista, dette una eccel­ lente rappresentazione in una seduta dell’Assemblea: “che cosa è un compromes­ so? Gli onorevoli colleghi che si sono serviti di questa espressione, probabilmen­ te l’hanno fatto dando ad essa un senso deteriore. Questa parola non ha però in sé un senso deteriore, ma se voi attribuite ad essa questo senso, ebbene scartia­ mola pure. In realtà, noi non abbiamo cercato un compromesso con mezzi dete­ riori ... meglio sarebbe dire che abbiamo cercato di arrivare ad una unità, cioè di individuare quale poteva essere il terreno comune sul quale potevano confluire correnti ideologiche e politiche diverse, ma un terreno comune che fosse abba­ stanza solido perché si potesse costruire sopra di esso una Costituzione, cioè un regime nuovo, uno Stato nuovo e abbastanza ampio per andare al di là anche di quelli che possono essere gli accordi politici contingenti dei singoli partiti che co­ stituiscono o possono costituire una maggioranza parlamentare”. Inoltre, dopo aver accennato alla confluenza tra solidarismo marxista e solidarismo cristiano

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Alle origini della Costituzione italiana

aggiungeva: “se questa confluenza di due diverse concezioni su un terreno ad es­ se comune volete qualificarla come compromesso fatelo pure. Per me si tratta, invece, di qualcosa di molto più nobile ed elevato, della ricerca di quella unità che è necessaria per poter fare la costituzione non dell’uno o dell’altro partito, non dell’una o dell’altra ideologia, ma la costituzione di tutti i lavoratori italiani, di tutta la Nazione”.

L’Assemblea Costituente, nel giugno del 1946, non disponeva di un progetto, quantomeno iniziala, di Costituzione. Per redigere un progetto iniziale di discussione fu istituita una commissione, detta Commissione La dei 75, composta proporzionàlmente rispetto ai gruppi parlamentari. La Commissione dei 75 Commissione fu divisa in tre sottocommissioni: la prima per i diritti e i doveri dei cittadini, la seconda per l’organizzazione costituzionale dello Stato, la terza per i lineamenti economici e sociali. Per coordinare i lavori della prima con la terza commissione fu poi istituito un comitato di coor­ dinamento (composto da 18 membri), al quale fu affidato il compito di procedere alla redazione del progetto finale. Questo progetto, nelle sue linee generali, reggerà sino al voto. Ma quali erano le linee guida della Costituzione? Il punto di partenza è dato dal carattere democratico dello Stato re­ pubblicano, con la conseguenza che la sovranità è attribuita al popolo. Anche la sovranità popolare è tuttavia limitata poiché il popolo la esercita, come recita l’art. 1 “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Dunque, come nelle Costituzioni dell’età contemporanea, la sovranità non preesiste alla Costituzione, ma da essa deriva e da essa è limitata. La priorità del popolo rispetto allo Stato è ulteriormente declinata nel­ Il modello la prima parte della Costituzione, che è improntata ad un modello a socia­ della Costituzione a lità progressiva o a piramide invertita. La Costituzione doveva trattare dei socialità diritti della persona, che poi si allargavano all’interno delle associazioni, progressiva per poi trattare quelle particolari associazioni che hanno riflessi nella vita politica (partiti e sindacati), e solo dopo pattare della forma di Governo, per poi concludersi con le garanzie della Costituzione. Era in definitiva il modello cattolico, fortemente voluto da Aldo Moro, ma all’interno del quale si rinvengono anche forti matrici del pensiero libe­ rale. I diritti individuali predominano all’interno delle strutture associative, e i diritti di queste ultime non si sovrappongono mai ai diritti individuali. In questo contesto la componente di sinistra, che secondo la cultura marxista avrebbe dovuto compiere scelte già di modello diametralmente opposte muovendo dallo Stato per arrivare al singolo - si limitò invece a cercare di introdurre su specifiche norme alcuni correttivi che avrebbero potuto con­ sentire, un domani,1 una evoluzione diversa della forma di Stato. Del resto la sinistra era ben consapevole che non vi era alcun presupposto per una rivo­ luzione di tipo socialista, e che la Costituzione in fieri non poteva del pari rappresentare un manifesto ideologicamente caratterizzato.

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La Costituzione

È illuminante a questo proposito l’intervento del socialista Basso “Noi non abbiamo mai pensato che si potesse portare a questa assemblea una Costituzione socialista, non abbiamo mai pensato che si potesse portare a questa assemblea una Costituzione che fosse il frutto di punti di vista particolari... in questo senso noi voteremo in questa Costituzione degli articoli che certamente non corrispon­ dono alle tradizioni del partito socialista ed altri che contraddicono a quelle che sono le nostre aspirazioni lontane; ma voteremo degli articoli che siano l’espres­ sione della complessa realtà oggi in atto e li voteremo con perfetta lealtà”.

La scelta della forma di governo parlamentare

L'ordine del piano Perassi

Per quello che concerne la seconda parte della Costituzione, relativa alla forma di Governo, non vi furono alternative realistiche alla forma di Governo di tipo parlamentare. Le ragioni di questa scelta erano del resto numerose e incontrovertibi­ li. In primo luogo certamente la cultura di origine liberale di ima parte considerevole dei costituenti, ed anche la cultura francese, spingevano verso un modello in parte già sperimentato nel periodo statutario e razio­ nalizzato nella Costituzione francese della III Repubblica. Questo model­ lo necessitava di essere modernizzato, razionalizzato, reso più efficiente e garantito, ma poteva costituire un punto di partenza comune. In secondo luogo la scelta di questa forma di Governo era ampiamente giustificata dalle caratteristiche politiche e sociali dell’Italia del dopoguerra. Un paese che appariva disomogeneo, spaccato in due grandi blocchi con­ trapposti anche ideologicamente, e con molti altri partiti di dimensione mi­ nore, che però potevano costituire un domani gli eventuali “aghi della bilan­ cia”, non poteva che essere governato attraverso la forma di Governo par­ lamentare. U sistema presidenziale postula infatti la esistenza di una omoge­ neità sociale, di un bipartitismo politico non ideologico e di contrapposizio­ ne, di un sistema autonomistico di tipo federale, rispetto al quale il modello presidenziale funge da strumento di ricostruzione dell’unità dello Stato. Si aggiungeva a questo che, comunque, il sistema presidenziale evocava quello spettro del cesarismo sperimentato nel periodo fascista, dal quale, ovviamen­ te, l’Assemblea Costituente voleva distaccarsi il più possibile. Detto che la forma parlamentare costituiva una scelta quasi scontata, è anche vero che questa forma di Governo costituisce di fatto un contenito­ re molto ampio, all’interno del quale si possono realizzare forme di Go­ verno assai diverse (solo per esemplificare e rimandando al capitolo sulle forme di Governo, dalla forma di Governo a prevalenza del Governo a quella assembleare a prevalenza del Parlamento). Per definire il “tipo” di forma di Governo parlamentare il 3 settembre del 1946 fu votato un ordine del giorno, il c.d, ordine del giorno Perassi (dal nome del suo proponente). In questo ordine del giorno si partiva dal presupposto che la forma di Governo italiana sarebbe stata caratterizzata da un sistema partitico a multipartitismo estremo; che il sistema elettorale sarebbe stato certamente un sistema elettorale di tipo proporzionale; che

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Alle origini della Costituzione italiana

conseguentemente le crisi di Governo sarebbero state frequenti; che oc­ correva quindi un modello parlamentare con strumenti di stabilizzazione del Governo. Come vedremo, tuttavia, alcuni di questi , obbiettivi non furono com­ piutamente tradotti nel testo costituzionale, bloccati dalla “paura” che un eccessivo rafforzamento del Governo avrebbe potuto aprire a regimi au­ toritari e antidemocratici. Nella relazione allegata al progetto di Costituzione si legge infatti: “vi è un pun­ to che non si deve mai perdere di vista in nessun momento, in nessun articolo della Costituzione: il pericolo di aprire l’adito a regimi autoritari e antidemocratici”. Per contenere questo rischio “si sono evitati due opposti sistemi. Innanzitutto: il prima­ to dell’esecutivo, che ebbe nel fascismo l’espressione più spinta. Non si può dire che appartenga a questo tipo il sistema presidenziale, che fa buona prova negli Stati Uniti di America, con un Capo dello Stato che è anche capo del Governo ed ha ampi poteri, ma non sembra possa essere trasferito da noi, che non abbiamo la forma federale, né altri elementi - d’equilibrio con il Congresso, d’avvicendamento di due grandi partiti - che accompagnano quel sistema nella repubblica della ban­ diera stellata. Vi è in Europa una resistenza irriducibile al Governo presidenziale, per il temuto spettro del cesarismo, ed anche per il convincimento (e noi non dob­ biamo abbandonarlo ma valorizzarlo), che il Governo di gabinetto abbia dirette radici nella fiducia parlamentare. Ha l’apparenza di un sillogismo la tesi che, poiché la sorgente di sovranità è unica, nel popolo, ed unica deve esserne la delegazione, ogni potere si concentra nel Parlamento, e gli altri organi, il Governo, il Capo dello Stato, la magistratura ne sono il comitato o i commessi ed agenti di esecuzione. Si nega con ciò la possibilità di forme molteplici e diverse di espressione della sovrani­ tà popolare; e si lascia cadere quel tessuto costituzionale di ripartizione ed equili­ brio dei poteri, che, anche se la formula di Montesquieu è in parte superata - ha costituito una conquista ed un presidio di libertà”;.

Accanto alla forma di Governo parlamentare si ritenne poi necessario Il prevedere un sistema articolato di autonomie territoriali. Le autonomie decentramento territoriali erano viste in funzione di contrappeso rispetto al Governo cen­ politico trale, e come strumento per avvicinare la decisione politica ai cittadini. I Comuni e le Provincie, come meri enti di decentramento amministra­ tivo esistevano già. Ad essi si ritenne opportuno aggiungere un terzo livel­ lo che si collocasse tra i Comuni, le Provincie e lo Stato. Questo nuovo livello, le Regioni, che avrebbe dovuto essere non solo amministrativo ma anche politico (con la possibilità cioè di approvare leggi e non solo at­ ti amministrativi), era tuttavia sconosciuto alla tradizione costituzionale italiana, legata al contrario al modello napoleonico dello Stato centrale e al semplice decentramento amministrativo. In effetti, come meglio vedre­ mo, il titolo V della Costituzione, relativo appunto alla Regioni, è stato spesso considerato una “pagina bianca”, che necessitava di essere integra­ to dalla legislazione ordinaria e dalla giurisprudenza costituzionale, e tale da non poter costituire, di per sé, una scelta definita.

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La Costituzione

La giustizia costituzionale

Infine, posto che la Costituzione doveva essere rigida, a garanzia dei diritti fondamentali e del sistema pluralistico che la Costituzione aveva posto in essere, occorreva un sistema di giustizia costituzionale che tale rigidità potesse controllare. La scelta di un organo deputato allo svolgimento della giustizia costi­ tuzionale, cioè al controllo delle leggi rispetto alla Costituzione, non fu tuttavia una scelta indolore per una parte dell’Assemblea Costituente. In particolare la componente di sinistra, assai legata all’idea roussouiana del primato della sovranità popolare, faticava ad accettare concettualmente l’esistenza di un organo, non rappresentativo della volontà popolare, con il potere di dichiarare invalide le leggi, atti approvati dal Parlamento. Sul­ la Corte costituzionale, del resto, un ruolo fondamentale di mediazione fu svolto dai partiti minori che, attraverso grandi giuristi come Calamandrei, dimostrarono la imprescindibile necessità - logica e giuridica - di un or­ gano di giustizia costituzionale in presenza di una Costituzione rigida.

1945 Mortati C., La costituente: la teoria, la storia, il problema italiano, Roma; 1948 Falzone V.-Palermo F.-Cosentino F„ La Costituzione della Repubblica ita­ liana, Roma; 1950 Calamandrei P., Cenni introduttivi sulla Costituente e sui suoi lavori, in Commentario Calamandrei-Levi; 1950 Calamandrei P.-Levi A. (diretto da), Commentario sistematico alla Costituzione italiana, 2 voli., Firenze; 1950 CarulloA. La Costituzione della Repubblica italiana, Bologna; 1951 Orlando V.E., Studio intorno alla forma di governo vigente in Italia secondo la Costituzione del 1948, in RTDP, 5 ss.; 1955 Calamandrei P., La Costituzione e le leggi per attuar­ la, in AA.W., Dieci anni dopo: 1945-1955, Roma-Bari, 1955, ora in Opere giuridi­ che, Ili, Napoli, 1968; 1958 Falzone V.-Grossi P.r Assemblea costituente italiana, ad vocem, ED, Ili; 1968 Pierandrei F., Costituente (assemblea), ad vocem, NssDI, IV; 1969 AA.W., Studi perii ventesimo anniversario dellAssemblea costi­ tuente, 6 voli., Firenze; 1978 Cheli E., Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia, Bologna; 1980 De Siervo U. (a cura di), Verso la nuova Costituzione: indice analitico dei lavori della Assemblea costituente: spoglio sistematico delle riviste giuridiche dell'epoca, Bologna; 1980 R. Romboli R.-Fiumanù C. (a cura di), Il con­ tributo della Costituente alla legislazione ordinaria: verbali delle Commissioni legi­ slative della Assemblea costituente, 2 settembre 1946-1 aprile 1948, Bologna; 1981 Amato G.-Bruno F., La forma di governo italiana. Dalle idee dei partiti all'as­ semblea costituente, in QC, 33 ss.; 1981 Pinelli C., Costituzione rigida e costitu­ zione flessibile nel pensiero dei costituenti italiani, Milano; 2008 CHELI E., Il proble­ ma storico della Costituente, Napoli; 2012 Cheli E., Nati per unire, Bologna.

5.11 congelamento della Costituzione e il suo successivo disgelo La Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio del 1948, ma quel clima particolare che aveva reso possibile l’accordo costituzionale si era ormai dissolto. 34

Alle origini della Costituzione italiana

È opportuno ricordare che il decreto luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 prevedeva espressamente che l’Assemblea si sciogliesse di diritto il giorno della entrata in vigore della nuova Costituzione. Terminato il suo compito, l’Assem­ blea si sciolse per consentire alle Assemblee legislative di svolgere le funzioni co­ stituzionalmente previste. Questa norma testimonia la straordinarietà e irripetibi­ lità del potere costituente. Una Volta approvata la Costituzione il suo compito è esaurito e non può essere richiamata in vita.

La guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva contribuito, già nella primavera del 1947, alla uscita dal Governo dei partiti di sinistra simpatizzanti per l’Unione sovietica. Questa uscita non ebbe effetti parti­ colarmente significativi Sull’Assemblea Costituente e sulla Costituzione, ma certamente ne condizionò l’attuazione successiva. La prima legislatura dell’Italia repubblicana, infatti, non fu tesa all’at­ tuazione della Costituzione, ma al contrario fu caratterizzata da quello che Calamandrei chiamò “l’ostruzionismo della maggioranza”, cioè dalla vo­ lontà della maggioranza governativa di non rendere concretamente appli­ cabili alcune delle norme costituzionali. Molti degli istituti “nuovi” della Costituzione, segnatamente quelli di garanzia, necessitavano infatti di leg­ gi ordinarie per poter essere completati e resi operativi. La Corte costituzionale necessitava di leggi per essere attuata, così co­ me il referendum popolare, così come il Consiglio superiore delle magi­ stratura, così come il sistema regionale. Queste leggi furono approvate in anni molto posteriori alla entrata in vigore della Costituzione. La Corte costituzionale, istituto fondamentale di garanzia in una Costi­ tuzione rigida, fu concretamente istituita nel 1956, quasi dieci anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione; il Consiglio superiore della magistra­ tura nel 1958; le Regioni nel 1970; il referendum popolare ancora nel 1970. Inoltre, indipendentemente dalla concrèta istituzione di molti organi costituzionali, poiché la Costituzione era una Costituzione “lunga”, ricca di norme anche sociali che avrebbero dpvuto essere attuate attraverso leggi ordinarie, gran parte della attuazione dei valori costituzionali era ri­ messa alla volontà del Parlamento, che tuttavia nella prima legislatura non si occupò affatto di questo aspetto. Infine è vero che la Costituzione era entrata in vigore, ma nessuno ave­ va abrogato la legislazione fascista ancora vigente. Si era pertanto davanti ad una sorta di paradosso: da una parte la Costituzione, moderna e garan­ tista, e dall’altra parte una legislazione ordinaria di origine fascista (si pen­ si alla legislaziotie in tema di pubblica sicurezza), che era ancora in vita e dunque applicabile. Questo problema era aggravato dal fatto che in virtù della VH disposi­ zione transitoria e finale della Costituzione, sin tanto che non fosse entrata in vigore la Corte costituzionale, il controllo di legittimità costituzionale (con effetti limitati alla disapplicazione delle norme incostituzionali e non alla loro invalidità), era attribuito ai giudici comuni. In questo contesto la 35

il c.d. ostruzionismo delia maggioranza

La mancata abrogazione della legislazione previgente

La Costituzione

Il “disgelo" costituzlonaie

Corte di Cassazione rallentò notevolmente la applicazione della Costituzio­ ne. Essa elaborò infatti una distinzione tra le norme della Costituzione di­ stinguendo tra norme precettive (immediatamente applicabili) e nórme programmatiche, considerate non applicabili ma solo programmi che il le­ gislatore'avrebbe dovuto attuare. Poiché poi la gran parte delle norme sui diritti fondamentali era considerata programmatica, di fatto alla parte più innovativa e garantista della Costituzione veniva sottratto valore giuridico. Il c.d. “disgelo costituzionale” iniziò nel 1955, quando fu eletto Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, che, all’atto del suo insedia­ mento, con un discorso pronunciato 1’11 maggio 1955, indicò l’attuazione della Costituzione come obbiettivo principale da perseguirsi. Nel 1956 fu resa operativa la Corte costituzionale, la quale, con la sen­ tenza 14 giugno 1956 n. 1, sconfessò radicalmente l’indirizzo giurispru­ denziale tenuto sino ad allora dalla Corte di Cassazione, riconoscendo che tutte le norme costituzionali possono determinare l’illegittimità costitu­ zionale delle norme legislative contrastanti. Da allora, e progressivamente, furono posti in essere gli altri istituti di garanzia, abrogata la legislazione fascista, attuata, sia pure con tempi molto lunghi, quella parte sociale del­ la Costituzione che ne costituisce l’essenza.

1953 Calamandrei P., L’ostruzionismo di maggioranza, in II Ponte, 129 ss.; 1955 AA.W., Dieci anni dopo 1945-1955, Bari; 1956 Azzariti G., La mancata attua­ zione della Costituzione e l’opera della magistratura, in FI, 2 ss.; 1956 Einaudi L, Lo scrittoio del Presidente, Torino; 1958 Basso L, il principe senza scettro, Mila­ no; 1978 Cheli E., Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia, Bologna; 1985 Balssarre A.-Mezzanotte C., Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pettini, Roma-Bari; 1997 Chimenti C„ Addio prima Repubblica: lineamenti della forma di governo italiana nell'esperienza di dodici legislature, Torino; 1997 Pitrùzzella G.t Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma; 1997 Scoppola P., La repubblica dei partiti: evoluzione e crisi di un sistema politico: 1945-1996, Bo­ logna; 2000 Calamandrei P„ La Costituzione e le leggi per attuarla, Milano; 2004 Paladin L., Per una storia costituzionale dell'Italia repubblicana, Bologna; 2008 Martucci R., Storia costituzionale italiana. Dallo Statuto albertino alla Repubbli­ ca (1848-2001), Roma; 2008 Paladin L., Saggi di storia costituzionale, Bologna.

6. Sintesi del capitolo Lo Statuto Albertino del 1948, poi esteso a tutta l’Italia nel 1861, deli­ neava in origine una classica monarchia costituzionale basata su un rap­ porto dualistico (Re-classe sociale borghese). La gran parte dei poteri era­ no accentrati sul Sovrano e il Parlamento svolgeva funzioni di organo consultivo del Re. Nel tempo i poteri del Parlamento aumentarono, tanto che nel momento della instaurazione del fascismo la forma di Governo si 36

Alle orìgini della Costituzione italiana

era trasformata in una Monarchia parlamentare, attraverso l’instaurazio­ ne, in via di prassi, degli istituti tipici di questa forma di Governo (la no­ mina del Presidente del Consiglio in un persona che godesse della fiducia del Parlamento, la costruzione del rapporto di fiducia tra Governo e Par­ lamento, il potere di scioglimento come atto governativo) (Par. 1). Con l’instaurazione del fascismo lo Statuto albertino, che non fu mai formalmente abrogato, fu tuttavia superato dai fatti e da norme ordinarie. Il fascismo eliminò le fondamenta del sistema democratico, abolendo i partiti e consentendo solo l’esistenza del partito fascista. Partito fascista e Stato fu­ rono progressivamente collegati, trasformando organi del partito in organi dello Stato (come nel caso del Gran Consiglio del fascismo) e il capo del fascismo nel capo del Governo. Le istituzioni parlamentari furono smantel­ late e rafforzati oltre misura i poteri normativi del Governo (Par, 2), Alla caduta del fascismo si aprì una fase, detto periodo transitorio, nel­ la quale l’Italia, priva di un ordinamento giuridico, era divisa in due parti: al sud il Re e il Governo Badoglio, a nord l’occupazione tedesca e la lotta di liberazione partigiana. In questo periodo maturarono alcuni degli orientamenti che poi guidarono il processo di redazione della nuova Co­ stituzione. Fu deciso di attribuire il potere di approvare una nuova Costi­ tuzione ad una Assemblea Costituente eletta direttamente dal popolo, alla quale era attribuito anche il potere di scegliere tra Monarchia e Repubbli­ ca. Questo ultimo potere gli fu poi sottratto nel 1944 e la scelta sulla for­ ma di Stato fu attribuita ad un referendum popolare (Par. 3). Quando l’Assemblea Costituente fu eletta, nel 1946, il sistema politico italiano era sostanzialmente bipolare, diviso tra Democrazia Cristiana e blocco composto da partito comunista e socialisti (ritmiti nel fronte popo­ lare). Anche la classe sociale italiana era divisa, ed il rischio di conflitti so­ ciali e di conseguenti derive autoritarie assai elevato. La Costituzione do­ veva essere strumento di pacificazione sociale, prevedendo una ampia struttura di diritti, possibilità di interventi dello Stato per rimuovere le di­ seguaglianze, garanzie delle minoranze e organi di garanzia. La forma di Governo parlamentare sembrava la più adatta a contenere le istanze di un paese disomogeneo. Accanto alla forma di Governo parlamentare doveva essere costruito un sistema di autonomie, con la introduzione delle Re­ gioni, che non avevano precedenti nella storia italiana, e un organo di ga­ ranzia della Costituzione, quale la Corte costituzionale (Par. 4). Quando la Costituzione entrò in vigore, nel 1948, si era tuttavia dissol­ to quel clima di unità che aveva sorretto i lavori dell’Assemblea Costi­ tuente, e per molti anni la attuazione della Costituzione fu congelata. Il disgelo costituzionale, e l’attuazione di molti istituti previsti in Costitu­ zione, iniziò a partire dal 1956, quando fu istituita la Corte costituzionale e con essa il controllo sulle leggi contrastanti con la Costituzione. A segui­ re, nel tempo, anche le altre istituzioni costituzionali furono progressiva­ mente attuate (Par. 5).

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Capitolo III COSTITUZIONE E PROCEDIMENTO DI REVISIONE SOMMARIO: 1.1 caratteri essenziali della Costituzione italiana: una sintesi. -2.1 carat­ teri essenziali delle norme contenute nella Costituzione. - 3. Il procedimento di revisione costituzionale. -4.1 limiti logici alla revisione della Costituzione. - 5. Il contenuto essenziale della Costituzione ovvero i limiti impliciti alla revisione. 6. L’art. 139 della Costituzione tra limite esplicito e limite implicito. - 7. Le altre leggi costituzionali. - 8. La adattabilità delle Costituzioni rigide: le consuetùdini costituzionali, le convenzioni della Costituzione e la prassi. - 9. Sintesi del capi­ tolo.

1.1 caratteri essenziali della Costituzione italiana: una sintesi La Costituzione italiana presenta tutti i caratteri classici delle Costitu­ zioni contemporanee. È in primo luogo una Costituzione definibile come fonte superiore in quanto espressione del potere costituente. Essa infatti fu approvata da un Assemblea Costituente, eletta direttamente dal popolo, che si estinse non appena approvata la Costituzione. E una Costituzione rigida, poiché è previsto un procedimento aggravato per la sua modificazione, disciplinato nell’art. 138. È una Costituzione lunga, /perché non vi sono trattati sola­ mente i diritti classici di libertà e la organizzazione della forma di Gover­ no, ma, oltre a contenere un ampliamento dei diritti di libertà e i nuovi diritti c.d. “sociali”, vi si rinvengono norme di natura non solamente ver­ ticale - che disciplinano il rapporto tra lo Stato e il cittadino - ma anche di natura orizzontale, che disciplinano cioè il rapporto tra cittadini. E in­ fine una Costituzione sociale perché molte norme contenute all’interno della Costituzione determinano un programma di mutamento della socie­ tà, prevedendo anche interventi dello Stato allo scopo di attuare questo programma. Ricapitolati quésti aspetti è adesso opportuno vedere in dettaglio le ca­ ratteristiche delle norme costituzionali e le regole poste dalla stessa Costi­ tuzione a garanzia della sua rigidità. 39

/ caratteri della Costituzione italiana

La Costituzione

1959 Bobbio N.-Pierandrei F., Introduzione alla Costituzione, Bari; 1962 Mor­ C., Costituzione della Repubblica italiana, ad vocem, ED, XI; 1963 ESPOSITO C., Costituzione, leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali, in Scritti Jemolo, III; 1975 Crisafulli V., Costituzione, ad vocem, EN, I; 1975 Rescigno G.U., Costituzione italiana e stato borghese, Roma; 1975 Sandulli A.M., Costituzione italiana, ad vocem, EN, I; 1984 Crisafulli V, Lezioni di diritto costituzionale, Padova; 1989 Bartole S., Costituzione (Dottrine generali e diritto costituzionale), ad vocem, DDP, IV; 1989 Cocozza V, Costituzione italiana, ad vocem, EG, XI; 1989 Onida V, Costituzione italiana, ad vocem, DDP, IV; 2003 Sartori G., Costituzione, in Elementi di teoria politica, Bologna; 2004 Fioravan­ ti M., Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione Italiana nella storia del co­ stituzionalismo moderno, Bologna. tati

2.1 caratteri essenziali delle norme contenute nella Costituzione

Diretta applicabilità delle norme costituzionali

Ancorché le norme costituzionali siano qualificabili come norme giuri­ diche (per la definizione di norma giuridica vedi Parte II, Cap. I, Par. 2), esse non hanno tutte le stesse caratteristiche tipologiche, non svolgono tutte le stesse funzioni, e dunque non hanno tutte la medesima efficacia. Infatti, come si è detto più ampiamente nella prima parte, le Costituzioni contem­ poranee svolgono svariate funzioni: stabiliscono relazioni verticali tra Stato e cittadini, disciplinano rapporti orizzontali tra cittadini, stabiliscono pro­ grammi sociali da attuare, prevedono principi che debbono poi essere spe­ cificati attraverso leggi ordinarie, e via dicendo. Queste diverse funzioni si riflettono sulla struttura delle norme e quindi sulla loro efficacia. Le norme contenute nella Costituzione possono essere distinte preli­ minarmente in norme ad efficacia diretta e norme ad efficacia indiretta, Le norme ad efficacia diretta sono quelle disposizioni costituzionali la cui struttura è sufficientemente completa da poter essere applicata senza la necessità dell’interposizione del legislatore. Esse possono essere utiliz­ zate (e applicate) direttamente dai giudici, dalla Pubblica Amministrazio­ ne, dai privati. La diretta applicabilità delle norme costituzionali costituisce una carat­ teristica tipica delle Costituzioni contemporanee, ed è legata alle diverse funzioni svolte dalle Costituzioni approvate dopo la seconda guerra mon­ diale. Mentre le Costituzioni dell’ottocento avevano principalmente lo scopo di garantire i diritti della società borghese dall’intervento dello Sta­ to, le Costituzioni contemporanee svolgono anche il compito, più com­ plesso, di incidere sui rapporti sociali, stabilendo, per quanto possibile, valori e priorità, e rendendo, laddove possibile, direttamente obbligatori questi valori e queste priorità. Per queste ragioni, molte norme costitu­ zionali hanno una struttura precettiva completa che ne consente una di­ retta applicabilità. 40

Costituzione e procedimento di revisione

Si considerino ad esempio le norme sulla famiglia. Quando l’art. 30 1° comma della Costituzione statuisce che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio" lo scopo è di porre un precetto sufficientemente determinato, che non ne­ cessita di specificazioni ulteriori, e che quindi è direttamente applicabile. Del pari, quando l’art. 36 della Costituzione prevede che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo la­ voro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa”, lo scopo è di stabilire delle regole sufficientemente precise, dalle quali i giudici possono interpretativamente trarre l’esistenza del diritto ad una retribuzione “minima” del lavoratore. È opportuno riflettere sul fatto che queste norme, c.d. direttamente applicabili della Costituzione, svolgono una doppia funzione. Esse opera­ no come una norma di una fonte ordinaria, quando debbono essere ap­ plicate in un caso concreto, ma costituiscono anche parametri di legittimi­ tà costituzionale, nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi, quando vi sia una legge che preveda norme incompatibili con la disposi­ zione costituzionale. In relazione a questo ultimo profilo, si dice allora che esse svolgono anche ima funzione invalidante, poiché la legge che preve­ da norme contrarie alla Costituzione è illegittima. Le norme ad efficacia indiretta sono invece quelle norme costituzio­ nali che necessitano di essere attuate attraverso una ulteriore attività nor­ mativa. Esse costituiscono una ampia categoriale infatti possono distin­ guersi in norme ad efficacia differita, norme di principio, norme program­ matiche. Le norme ad efficacia differita sono costituite da quelle disposizioni costituzionali che rinviano, per la loro attuazione, ad un’altra fonte. Un esempio classico è dato dall’art. 75 che disciplina.l’istituto del referendum. Dopo aver delineato alcune regole sul referendum, all’ultimo comma tale articolo prevede che “la legge determina le modalità di attuazione del refe­ rendum” . Si tratta di una norma ad efficàcia differita, perché, in assenza della legge di attuazione, l’istituto non può essere utilizzato. Analogamen­ te la Costituzione prevede che le norme per la costituzione ed il funzio­ namento della Corte costituzionale siano previste con legge ordinaria (art. 136 2° comma), mentre per il giudizio di legittimità costituzionale occorre una legge costituzionale che ne stabilisca le condizioni, le forme e i termi­ ni di proponibilità (art. 136 1° comma). Ovviamente senza queste leggi l’istituto della Córte costituzionale e lo stesso giudizio di legittimità costi­ tuzionale non potrebbero essere operanti. Le norme di principio invece pongono regole molte generali che pos­ sono applicarsi ad un numero indefinito di casi. La generalità di queste regole è spesso così ampia che qualcuno le definisce addirittura come “va­ lori”. La funzione principale delle norme di principio è quindi quella di “guidare” il legislatore ad applicare il principio, per trasformare queste

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La funzione invalidante delie norme costituzionali

Le norme ad efficacia indiretta e le sottocategorie

La Costituzione

regole molto generali in una o più fattispecie normative astratte. La Costi­ tuzione contiene innumerevoli norme di principio: ad esempio il 1° com­ ma dell’alt. 13 dove si afferma il principio che la libertà personale è invio­ labile, oppure l’art. 24 ove si afferma che il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, o ancora l’art. 14 ove si afferma l’in­ violabilità del domicilio. L’esistenza in Costituzione di moltissime norme di principio non pone sola­ mente il problema di applicare il principio ad una fattispecie, ma pone altresì il problema di stabilire anche quale principio prevalga su di un altro, perché la Co­ stituzione contiene moltissimi principi che sono tra loro confìggenti. Solo per esemplificare: il principio di manifestare liberamente il proprio pen­ siero di cui all’art. 21 può contrastare con il principio del diritto alla riservatezza che si evince dall’alt. 2; il principio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 1° comma può «infliggere con il principio, posto nel 2° comma della stessa norma, che l’iniziativa economica non può svolgersi però in contrasto con l’utilità sociale. Il punto concreto di bilanciamento di questi principi non può che trovare un momento di equilibrio nella attività legislativa ordinaria. Spetterà poi, se del caso, alla Corte costituzionale stabilire se la legge ha effettuato o meno un corretto bilanciamento tra i principi costituzionali o se questo bilanciamento è costituzionalmente illegittimo, perché ad esempio è stato sacrificato troppo un principio rispetto ad un altro.

Le norme di principio svolgono quindi essenzialmente una funzione invalidante nei confronti di una legge che contenesse disposizioni contra­ rie al principio. Le norme programmatiche, infine, sono ancora più generali delle norme di principio. Mentre il principio individua ed enuclea un valore che è già esistente, il programma prevede un fine, peraltro molto generale, da raggiungere. Queste norme presentano quindi un livello di generalità molto elevato (alcuni giuristi all’Assemblea Costituente non ritenevano che queste pre­ visioni avessero caratteristiche normative, tanto da ritenere opportuno collocarle in un preambolo da porre al di fuori della Costituzione). Ad esempio il 1° comma dell’art. 4 nella misura in cui riconosce a tutti i cit­ tadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto, è una classica norma programmatica, perché stabilisce un fine, per raggiungere il quale occorre che lo Stato svolga varie attività. Un altro caso classico di norma programmatica è data dall’art. 3 2° comma, che prevede il principio di eguaglianza sostanziale. Quando l’art. 3 2° comma recita che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di or­ dine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva par­ tecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica e economica e so­ ciale del paese”, la norma stabilisce un programma assai generale (rimuo­ 42

Costituzione e procedimento di revisione

vere gli ostacoli di ordine economico), che lo Stato deve portare avanti per realizzare il fine previsto (l’eguaglianza dei cittadini). Queste norme hanno in primo luogo una efficacia invalidante, poiché possono costituire parametro per un giudizio di legittimità costituzionale di una legge quando questa contenga previsioni che siano evidentemente contrarie al programma enunciato. Una siffatta funzione fu sostenuta nel­ la prima sentenza della Corte costituzionale (Corte cost. n. 1 del 1956), che reagendo all’interpretazione data dalla Corte di Cassazione circa l’ef­ ficacia non normativa di molte norme costituzionali (vedi su questo aspet­ to Parte I, Cap. II, Par. 5), sostenne invece che la legge contrastante con tali norme dovesse considerarsi invalida (effetto invalidante delle norme programmatiche).

L'efficacia invalidante delle norme programmatiche

Vale la pena di riportare un passo di questa sentenza: “la nota distinzione tra norme precettive e norme programmatiche può essere bensì determinante per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non è decisiva nei giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità costituzionale di una legge deri­ vare, in determinati casi, anche dalla sua non conciliabilità con norme che si di­ cono programmatiche, tanto più che in questa categoria sogliono essere compre­ se norme costituzionali di contenuto diverso: da quelle che si limitano a tracciare programmi generici di futura ed incerta attuazione, perché subordinata al verifi­ carsi di situazioni che la consentano, a norme dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza che non può non vincolare immediatamente il legi­ slatore, ripercuotersi sulla interpretazione della legislazione precedente e sulla perdurante efficacia di alcune parti di questa: vi sono pure norme le quali fissano principi fondamentali, che anche essi si riverberano sull’intera legislazione”.

Se dalle norme programmatiche non è . possibile ricavare un obbligo Le funzioni di per lo Stato a compiere quegli atti che cohsentoiio l’attuazione del pro- stimol° delle gramma, certamente è possibile rinvenire in esse un vincolo negativo, nel ^grammatiche senso che una previsione opposta rispetto al programma è da considerarsi illegittima. Le norme programmatiche syóìgono inoltre anche una funzio­ ne che potrebbe essere definita come di “stimolo e moderazione politica”, poiché servono a collocare il dibattito tra maggioranza e opposizione al­ l’interno di obbiettivi già determinati da una norma costituzionale.

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3. Il procedimento di revisione costituzionale

li procedimento aggravato previsto nell’art. 138

La rigidità della Costituzione trova il suo punto di riferimento formale nell’art. 13 8, che stabilisce il procedimento per modificare la Costituzio­ ne. Tale procedimento è principalmente finalizzato ad evitare che la ri­ forma della Costituzione possa avvenire per volontà della sola maggioran­ za di Governo; posto che la Costituzione contiene principi condivisi da maggioranza e minoranza, e dunque costituisce garanzia per entrambi, non può essere modificata da una sola parte. L’art. 138 stabilisce quindi un procedimento aggravato (rispetto al procedimento ordinario per l’approvazione delle leggi) per modificare la Costituzione, con la previsione di tempi più lunghi, maggioranze più ele­ vate, eventuale intervento diretto del popolo. La norma infatti recita: “le leggi di revisione della costituzione e le altre leggi costituzionali sono adot­ tate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti". Per l’approvazione delle leggi di revisione occorrono dunque: a) due deliberazioni ad intervallo non minore di 3 mesi da parte di ciascuna Camera. L’intervallo di almeno tre mesi tra una deliberazione e l’altra costituisce il c.d. periodo di riflessione, periodo che allunga il pro­ cedimento, aggravandolo. Nella seconda deliberazione occorre almeno la maggioranza assoluta (la metà più uno dei componenti della Camera,

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Costituzione e procedimento di revisione

mentre la maggioranza semplice con la quale si approvano le leggi ordina­ rie è costituita dalla metà più uno dei presenti). Se tale maggioranza non viene raggiunta, il procedimento decade. b) Se nella seconda votazione la legge viene approvata a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti il procedimento è concluso. La legge viene promulgata e pubblicata nelle forme ordinarie e quindi entra in vigore. c) Se viceversa nella seconda votazione si raggiunge la maggioranza as­ soluta ma non la maggioranza dei due terzi, la legge viene pubblicata per­ ché può essere richiesto, entro tre mesi, un referendum da parte di un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La pubblicazione della legge costituisce una pubblica­ zione atipica, poiché mentre ordinariamente l’istituto della pubblicazione segue la fase della promulgazione da parte del Presidente della Repubbli­ ca e segna il momento della entrata in vigore della legge, in questo caso non vi è promulgazione, perché la pubblicazione è effettuata al solo fine della proposizione dell’eventuale referendum. Il referendum costituisce imo dei pochi casi di referendum approvativo nel nostro ordinamento. Altre ipotesi di referendum approvativo le ritro­ viamo nell’art. 123, non casualmente a proposito del procedimento di ap­ provazione degli statuti regionali, “piccole costituzioni” delle Regioni (e quindi con simile ratio), o nell’art. 132 a proposito del distacco di Provin­ cie e Comuni dalle Regioni di appartenenza. Il referendum è proposto allo scopo di approvare la legge di revisione costituzionale, e infatti se la maggioranza dei voti validi non si esprime fa­ vorevolmente, la legge non viene promulgata. Il referendum approvativo costituisce la garanzia più importante della rigidità costituzionale. La possibilità di richiedere il referendum costitui­ sce un potere che la Costituzione attribuisce alle minoranze, poiché un quinto dei membri di una Camera costituisce una minoranza, sia pure “non sporadica” o infinitesima, mentre cinquecentomila elettori costitui­ scono un numero molto basso che qualuhque partito è in grado di “radu­ nare” per la richiesta del referendum costituzionale (la richiesta di refe­ rendum da parte dei Consigli regionali risponde invece ad una logica di­ versa, quale la possibile partecipazione delle Regioni al processo di revi­ sione costituzionale quando si voglia modificare la forma di Stato). Il voto popolare nel referendum costituzionale costituisce, d’altronde, una evidente evocazione del potere costituente. Come la Costituzione era espressione del potere costituente del popolo, così nel procedimento di modifica della Costituzione tale potere costituente viene richiamato in gio­ co. E il popolo, infatti, che “approva” il progetto di riforma della Costitu­ zione attraverso il suo voto diretto, espresso con lo strumento referendario. La previsione di cui al 3° comma dell’art. 138 della Costituzione, che non si dà luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda

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li referendum approvativo

La Costituzione

votazione a maggioranza dei due terzi avvalora questa interpretazione. Se la maggioranza è così larga (i due terzi significa che la opposizione “orga­ nizzata” condivide la modifica costituzionale) ciò implica che il consenso popolare è implicito in questa ampia maggioranza.

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4.1 limiti logici alla revisione della Costituzione

La revisione

deiia

potere

costituifo

L’art. 138 dunque garantisce la rigidità della Costituzione. Ma cosa della Costituzione può essere modificato attraverso il procedimento di re­ visione costituzionale e cosa invece della Costituzione resiste anche al procedimento di revisione? La questione costituisce da sempre uno dei temi teoricamente più com­ plessi e dibattuti del diritto costituzionale, tanto che alla fine è praticamente impossibile dare una risposta chiara ed univoca. E però possibile impostare correttamente il problema da un punto di vista logico-metodologico, richia­ mando le distinzioni già effettuate tra potere costituente e poteri costituiti. II punto di partenza del ragionamento è dato dalla natura del proceCimento di cui all’art. 138 della Costituzione: il procedimento di revisione ® un procedimento costituito e non invece costituente. Non è un procedimento costituente perché presuppone la esistenza dèlia Costituzione. La 46

Costituzione e procedimento di revisione

norma del 138 è infatti una norma prevista dalla Costituzione, mentre il potere costituente è un potere extra ordinem, che si esercita quando non v’è un ordinamento costituzionale preesistente. Se tuttavia il potere di re­ visione della Costituzione è un potere costituito, attraverso l’esercizio di tale potere si può modificare la Costituzione, ma noti sostituirla integral­ mente con una nuova Costituzione. Se infatti attraverso la revisione costi­ tuzionale si modificasse la Costituzione sino al punto di sostituirla con un’altra, il potere in questione sarebbe contra costitutionem, cioè un pote­ re extra ordinem, e quindi un potere costituente invece che costituito. Detto più semplicemente la modifica della Costituzione attraverso la legge di revisione non può arrivare al punto che all’esito del processo di revisione vi sia una nuova Costituzione, perché per aversi una nuova Co­ stituzione e non una modifica di quella esistente occorre esercitare il po­ tere costituente. All’esito del processo di revisione, invece, deve esistere ancora la precedente Costituzione, sia pure modificata attraverso la legge di revisione (proprio perché il procedimento di revisione è appunto un potere costituito esercitato all’interno di una Costituzione esistente). Date queste premesse il problema si sposta allora nel determinare quan­ do è che la modifica della Costituzione porta ad una “nuova” Costituzione (cosa non consentita dall’art. 138), e quando invece la modifica della Costi­ tuzione produce un cambiamento ma all’interno della stessa Costituzione (cosa che invece l’art. 138 consente). In altre parole quale è il contenuto es­ senziale di una Costituzione, tanto che modificata quello la Costituzione è considerabile come nuova, e quale è invece quella, o quelle parti della Co­ stituzione, la cui modifica non determina una nuova Costituzione.

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La revisione non può produrre una nuova Costituzione

La Costituzione

5. H contenuto essenziale della Costituzione ovvero i limiti implici­ ti alla revisione

Il problema della definizione del contenuto essenziale della Costituzione

Principi fondamentali contenuto essenziale della Costituzione

Definire quale sia il contenuto essenziale della Costituzione è molto difficile. Vi sono alcuni che, muovendo dal carattere sancito come “inviolabile” di alcuni diritti collocati nella prima parte della Costituzione, ritengono che tale inviolabilità sottragga questi anche alla revisione della Costituzio­ ne (se sono inviolabili neppure la legge di revisione potrebbe modificarli). Esisterebbe cioè una sorta di “supercostituzione”, collocata nella prima parte del testo costituzionale, esclusa sempre dalla revisione costituziona­ le. Vi sono altri che estendono questo ragionamento a tutta la prima parte della Costituzione - la parte sui diritti - che ne costituirebbe comunque l’essenza. Vi sono altri ancora che estendono questo ragionamento ulte­ riormente, sostenendo che i diritti sono strettamente collegati agli stru­ menti di tutela e a certe parti della forma di Governo e della forma di Sta­ to, e che dunque anche alcune parti relative al modello organizzativo non sarebbero passibili di revisione costituzionale. Queste tesi, tuttavia, sembrano peccare di eccessiva rigidità. Solo per fare un esempio non può sostenersi che un diritto, ancorché definito co­ me inviolabile, debba essere integralmente sottratto ad una ipotesi di revi­ sione costituzionale. Cosa è infatti inviolabile, il principio o anche le even­ tuali regole di dettaglio che la norma contiene? La questione di distinguere ciò che caratterizza ima Costituzione da ciò che non la caratterizza non costituisce peraltro un problema nuovo. Già al­ l’epoca della rivoluzione francese si distingueva, all’interno dello Costitu­ zione, una parte “essenzialmente costituzionale” collegata ai diritti fonda­ mentali, da una parte cosiddetta strumentale, correlata cioè al momento attuativo di questi principi. E questa distinzione è stata poi ripresa anche in Germania da Schmitt, che distingueva tra la Costituzione in senso proprio, come insieme di principi fondamentali contenuti nella Costituzione, e le leggi costituzionali che alla fine di tali principi costituiscono l’esplicitazione. Questa distinzione può essere ripresa, anche sulla scorta della giuri­ sprudenza costituzionale, per distinguere i principi fondamentali della Costituzione dalla attuazione di questi principi. I primi costituiscono quella parte della Costituzione che non è suscettibile di revisione, in quanto contenuto essenziale e caratterizzante la Costituzione stessa, mentre i secondi non ne costituiscono il contenuto essenziale e quindi possono essere oggetto di revisione. Se però sono i principi a non poter essere modificati, mentre lo possono le loro declinazioni operative, ciò implica che nessuna parte della Costituzione possa essere considerata, a priori, sottratta al procedimento di revisione. Anche la prima parte della Costituzione, riferita ai diritti fondamentali può essere oggetto di revisio­ ne, purché vengano salvaguardati i principi fondamentali ivi espressi. 48

Costituzione e procedimento di revisione

In altre Costituzioni la identificazione dei principi costituzionali che si ritiene non possano essere sottoposti a revisione è meno difficile che nella nostra Costi­ tuzione. Ad esempio, in Germania, la loro identificazione è assai agevolata dalla esistenza di richiami testuali contenuti nella Legge fondamentale (art. 79 IH). A proposito dei diritti fondamentali la Legge fondamentale di Bonn stabilisce infat­ ti, all’art. 19, che "in nessun caso un diritto fondamentale può essere leso nel suo contenuto sostanziale”, legittimando quindi la interpretazione che il limite alla revisione costituzionale consiste nel contenuto essenziale dei diritti fondamentali e non invece nella loro disciplina particolare.

In questo senso del resto già si era espressa la Corte costituzionale con una importante sentenza (Corte cost. n. 1146 del 1988). In questa sentenza la Corte ha rilevato che: “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menziona­ ti fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appar­ tengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana. Questa Corte, del resto, ha già riconosciuto in numerose decisioni come i principi supremi dell’ordinamento abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare copertura costitu­ zionale fornita dall’art. 7 2° comma Cost, non si sottraggono all’accertamento della loro conformità ai ‘principi supremi dell’ordinamento costituzionale’ (v. sentenze nn. 30 del 1971,12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977,18 del 1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione^ del Trattato Cee può essere as­ soggettata al sindacato di questa Corte ‘in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana (sent. nn. 183 del 1973,170 del 1984)’”. ' /

/ In applicazione di questa sentenza, ad esempio, è stato poi riconosciuto come principio supremo il principio della laicità dello Stato, in applicazione degli artt. 2,3,7,8,19 e 20 della Costituzione (Corte cost. n. 203 del 1989). Da queste decisioni costituzionali deriva la conferma che il limite alla re­ visione della Costituzione, o altrimenti detto.il contenuto essenziale non modificabile della Costituzione, non lo si ritrova in parti della Costituzione che non sarebberó mai rivedibili a differenza di altre, o in specifiche norme costituzionali che non sarebbero mai toccabili dalla revisione, ma al contra­ rio nei principi fondamentali che la Costituzione esprime. Questi principi fondamentali conseguono ad interpretazioni di norme della Costituzione dall’insieme delle quali è ricavabile il principio fondamentale (come ad esempio nella sentènza sopra citata n. 203 del 1989 dove il principio di laici­ tà deriva dall’interpretazione congiunta di molte norme della Costituzione). 49

La Costituzione

Secondo alcuni, dalla esistenza di un contenuto essenziale della Costituzione non modificabile deriverebbe un prima conseguenza, teorica, in ordine al principio di gerarchia delle fonti. L’esistenza di “principi fondamentali” all’interno della Co­ stituzione aventi forza maggiore della Costituzione stessa, introdurrebbe una ecce­ zione al principio generale che la forza di una fonte è conseguenza della sua forma. Esisterebbero infatti principi costituzionali, contenuti nella stessa Costituzione, che a parità di forma (costituzionale) avrebbero però una forza superiore. A ben vede­ re, tuttavia, ad avere forza supercostituzionale, secondo la stessa Corte costituzio­ nale, non sono alcune disposizioni della Costituzione, ma i principi che si ricavano dalla interpretazione di alcune disposizioni. Cosicché, secondo tale prospettazione, le disposizioni costituzionali avrebbero tutte la stessa forza, essendo i principi rica­ vabili da tali disposizioni ad avere, casomai, forza diversa. Legge di revisione che modifica i principi fondamentali

Dalla esistenza di principi fondamentali non modificabili attraverso il procedimento di revisione consegue che, se una legge di revisione della Costituzione modificasse tale principi, essa sarebbe a sua volta incostitu­ zionale, e quindi soggetta al giudizio di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale. Così del resto ha affermato la stessa Corte costituzionale nella già citata sen­ tenza n. 1146 del 1988: “non si può, pertanto, negare che questa Corte sia com­ petente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei confronti dei principi supremi dell’ordina­ mento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difetto­ so o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore”.

Legge di revisione che modifica art. 138

Un problema specifico riguarda poi la questione se, attraverso una legge di revisione, approvata con il procedimento di cui all’art. 138, possa modi­ ficarsi l’art. 138 stesso. La prassi sembra avvalorare questa possibilità poi­ ché il Parlamento, nel 2013 ha approvato una legge di revisione costituzio­ nale che prevede, in via straordinaria e per una volta sola, un procedimento speciale per modificare la Costituzione. Questo procedimento è stato dai più ritenuto legittimo in considerazione del fatto che la rigidità della Costi­ tuzione (il principio fondamentale) sarebbe comunque rispettato. Dall’alt. 138, tuttavia, si potrebbe anche trarre una soluzione diversa. In primo luogo da un punto di vista della logica giuridica nessuna fonte può disporre del proprio “regime giuridico”. Così come la legge non può predisporre un procedimento diverso per la sua approvazione da quello previsto nella Costi­ tuzione e nei regolamenti parlamentari, così come i regolamenti del Governo non possono prevedere modalità diverse per la loro approvazione da quanto previsto nella fonte superiore, altrettanto la legge di revisione non può modificare il pro­ cedimento con la quale essa è approvata. Questo principio costituisce in effetti il riflesso procedimentale del principio che nessuna fonte può istituire fonti aventi forza maggiore di sé stessa. Se infatti la legge di revisione, che trova la sua legit-

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Costituzione e procedimento di revisione

umazione nell’art. 138, potesse modificare tale norma, ciò significherebbe che essa ha modificato la fonte dalla quale deriva.

1949 BtscARETTl DI Ruffia R, Sui limiti delia revisione costituzionale, in Annali del Seminario giuridico dell'università di Catania, III, Catania; 1950 Barile R, La revisione della costituzione italiana, in Commentario Calamandrei-Levi; 1952 Mortati C., Concetto, limiti, procedimento della revisione costituzionale, ora in Raccolta di scrìtti, II, Milano, 1972; 1972 Grossi R, Introduzione allo studio dei diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Milano; 1987 Silvestri G., Spunti di ri­ flessione sulla tipologia e sui limiti della revisione costituzionale, in Studi Biscaretti di Ruffia, II; 1997 Onida V., Le costituzioni. I principi fondamentali delia Co­ stituzione italiana, in Amato G.-Barbera A., Manuale di diritto pubblico; 1997 VlVIANI Schlein M.R, Rigidità costituzionale. Limiti e graduazioni, Torino.

6. L’art. 139 della Costituzione tra limite esplicito e limite implicito L’ultimo articolo della Costituzione, il 139, indica poi un ulteriore li­ mite alla revisione della Costituzione, che è definito normalmente come un limite esplicito. Secondo l’art. 139 della Costituzione, infatti, “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale" e la ragio­ ne di questa limitazione espressa è evidente: la forma di Stato repubblica­ na è contrapposta alla forma di Stato monarchica, in conseguenza dell’esito del referendum popolare del 1946, che aveva scelto la Repubbli­ ca invece della Monarchia. La previsione costituzionale della irrivedibilità della forma repubblicana, tutta­ via, costituisce anche una previsione giuridicamente logica oltre che storicamente necessitata. La scelta della forma repubblicana era avvenuta precedentemente alla approvazione della Costituzione, attraverso una vóto popolare diretto, cosicché tale scelta ha costituito il prius logico e istituzionale della stessa Carta costituzionale. Dunque non v’è dubbio che la forma di Stato repubblicana, scelta prima attraverso il voto popolare, e costituzionalizzata poi nel 1° comma dell’art. 1 della Costituzio­ ne (“l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”), costituisce una priorità costituzionale condizionante l’intero assetto della Costituzione.

Dall’art. 139 della Costituzione, tuttavia, non si deduce soltanto che l principi non si può rivedere la forma repubblicana per tornare ad un ordinamento coessenziali forma basato sulla monarchia. La Repubblica, come forma di Stato, si basa infat­ alla repubblicana ti a sua volta su una serie di principi che non possono essere modificati in quanto ad essa coessenziali. H primo di questi è il principio democratico rappresentativo (in questo caso in evidente contrapposizione con l’istituto monarchico che sì fonda invece sulla trascendenza del potere), ma ve ne sono anche molti altri che sono finalizzati a garantire l’esistenza di uno 51

La Costituzione

Stato democratico rappresentativo, e che pertanto non possono essere modificati perché strumentali rispetto a quello. Ad esempio il diritto ad associarsi in partiti, così come i diritti di espressione del pensiero o di li­ bertà della persona sono connessi ad una forma di Stato di tipo democra­ tico rappresentativo. La eliminazione di questi principi costituirebbero alla fine una modifica della forma repubblicana, cosicché può correttamente sostenersi che l’art. 139 della Costituzione contiene anche dei limiti impliciti alla revisione, limiti che si sostanziano nella non modificabilità di quegli istituti che sono connaturali ad una forma di Stato di tipo demo­ cratico rappresentativo.

1955 Lucatello G., SuH’immutabilità delia forma repubblicana, in RTDP, 745 ss,; 1972 Reposo A., La forma repubblicana secondo l’art. 139 della Costituzione, Padova; 1984 Volpe G., L'immutabilità della forma repubblicana, in Scritti Tosa­ to, III; 2006 Grosso E.-Marcenò V., Art. 139, in Commentario Bifulco-CelottoOlivetti, III.

7. Le altre leggi costituzionali

La differenza tra leggi di revisione e altre leggi costituzionali

La Costituzione non stabilisce che soltanto le leggi di revisione siano approvate con il procedimento di cui all’art. 138, ma che con quel proce­ dimento siano approvate anche le “altre leggi costituzionali”. L’art. 138 differenzia dunque, concettualmente, le leggi di revisione dalle leggi costi­ tuzionali che di revisione non sono, fermo restando che per entrambe le categorie di leggi il procedimento previsto per la loro approvazione è quello aggravato, disciplinato dallo stesso art. 138. Quale è dunque la differenza tra le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali? Le leggi di revisione sono quelle leggi che modificano la Costituzione, nei limiti delineati nei paragrafi precedenti, mentre le altre leggi costitu­ zionali non modificano la Costituzione, ma in qualche misura la comple­ tano, sia pure, si potrebbe dire “dal di fuori”, senza cioè entrare a far par­ te del testo della Costituzione formale. Vi sono molti casi infatti nei quali la Costituzione prevede che una de­ terminata materia sia disciplinata attraverso una legge costituzionale (ri­ serva costituzionale). Ad esempio l’art. 137 della Costituzione, a proposi­ to della Corte costituzionale, stabilisce che sia una legge costituzionale a stabilire le condizioni, le forme, i termini di proponibilità ed i giudizi di legittimità costituzionale e le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte. Si tratta chiaramente, da un punto di vista sostanziale, non di una legge di revisione, poiché la Costituzione non viene modificata, ma di una 52

Costituzione e procedimento di revisione

legge che integra la Costituzione, poiché senza di essa la Corte costituzio­ nale non potrebbe operare. La ragione del procedimento aggravato di cui all’art. 138 sta nel fatto che, trattandosi di una legge che integra e comple­ ta la Costituzione, essa non può essere assunta con le maggioranze che occorrono per approvare la legge ordinaria. Nella misura in cui la legge costituzionale completa, nelle sue linee fondamentali, un istituto delineato all’interno della Costituzione, per approvare tale legge occorre seguire il medesimo procedimento aggravato necessario per modificare la Costitu­ zione. Vi sono in verità anche dèi casi nei quali, pur in presenza di ima riser­ va costituzionale che rinvia la materia ad una legge costituzionale; l’effetto finale di quella legge non è quella di integrare la Costituzione, ma sostan­ zialmente di modificarla. L’àrt. 132 della Costituzione, ad esempio, pre­ vede un procedimento particolare per la fusione delle Regioni. Il 1° com­ ma recita: “Si può con legge costituzionale, sentiti i consigli regionali, di­ sporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popola­ zioni stesse". Posto che l’art. 131 indica quali sono le Regioni esistenti, è evidente che la legge costituzionale di cui all’art. 132 modifica la Costituzione nell’art. 131. La ragione per la quale essa è disciplinata in Costituzione come legge costituzionale (la materia non è lasciata ad una ipotetica legge di revisione), deriva dal procedi­ mento. Si tratta infatti di un procedimento ulteriormente rafforzato nel momento partecipativo rispetto alla stessa legge costituzionale. Occorre infatti una richiesta qualificata (tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle po­ polazioni interessate), e che la proposta sia approvata con referendum dalle popo­ lazioni interessate. L’iniziativa sulla materia dell’art. 132 è rafforzata allo scopo di coinvolgere le popolazioni interessate dalla eyéntuale fusione delle Regioni, e questo giustifica la previsione, all’interno della Costituzione, di una legge che è sostanzialmente una legge di revisione della Costituzione “tipica”, disciplinata cioè attraverso un procedimento speciale previsto solo per quella particolare si­ tuazione.

1963 Esposito C„ Costituzione, leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali, inscritti Jemolo, III; 1973 Cicconetti S.M., Legge costituzionale, ad vocem, ED, XXIII; 1995 Tarchi R., Leggi costituzionali e di revisione costitu­ zionale (1948-1993), in Commentario Branca-Pizzorusso; 2009 Chessa O., La specialità regionale tra leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costitu­ zionali, in Reg, 297 ss.

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Leggi costituzionali integrano la Costituzione

La Costituzione

8. La adattabilità delle Costituzioni rigide: le consuetudini costitu­ zionali, le convenzioni della Costituzione e la prassi

L'importanza delle fonti fatto nel diritto costituzionale

La distinzione tra consuetudini e convenzioni della Costituzione

Nel sistema costituzionale italiano non sono considerate normalmente di grandi rilievo le c.d. fonti fatto, cioè quelle fonti che derivano da com­ portamenti e non invece da manifestazioni di volontà. E abbastanza logico che sia così in un ordinamento, quale è il nostro, di derivazione romani­ stica, che si è formato sulla base di norme scritte e non invece, come nel mondo anglosassone, sulla base di comportamenti ripetuti nel tempo (consuetudini). Tuttavia la sottovalutazione, nel mondo del diritto costi­ tuzionale, del sistema dei comportamenti degli organi costituzionali e del momento in cui questi comportamenti divengono, per gli organi in que­ stione, giuridicamente vincolanti (cioè consuetudini e convenzioni della Costituzione), rischia di non cogliere compiutamente gli sviluppi e la ne­ cessaria adattabilità al cambiamento di una Costituzione rigida. La dottrina ha sempre distinto tra consuetudini costituzionali e con­ venzioni costituzionali. La consuetudine costituzionale è caratterizzata da comportamenti, ri­ petuti nel tempo, posti in essere da organi costituzionali, che quegli stessi organi costituzionali considerano come vincolanti. La consuetudine trae dunque origine da un comportamento spontaneo di un organo costitu­ zionale che diviene poi norma giuridica. La convenzione della Costituzione, invece, può essere definita come un comportamento ripetuto nel tempo, posto in essere da organi costitu­ zionali, applicativo di norme giuridiche, che diviene vincolante sin tanto che permangono i presupposti di fatto che hanno dato luogo a quei com­ portamenti. La distinzione tra consuetudini e convenzioni, assai sottile, starebbe in questo: la consuetudine costituzionale sorge dal comportamento di un or­ gano costituzionale, mentre la convenzione nascerebbe comunque da un accordo, sia pure implicito, tra più organi costituzionali. Inoltre la con­ suetudine creerebbe una norma da un mero comportamento, mentre nel caso della convenzione il comportamento, creativo della norma, consegui­ rebbe dalla applicazione di una norma costituzionale già esistente. Indipendentemente da questa distinzione, non da tutti accolta e alla fine anche di modesta utilità, consuetudini e convenzioni costituzionali hanno avuto ed hanno tuttora grande rilievo nel mondo anglosassone. Es­ se costituiscono quei comportamenti degli organi costituzionali ritenuti moralmente e giuridicamente vincolanti. Nel sistema inglese, volendo molto semplificare, in assenza di una vera e propria Costituzione scritta, è questo insieme di comportamenti giuridicamente vincolanti, a costituire la “vera” Costituzione. Nel nostro ordinamento si ritiene, in genere, che il ruolo delle consue­ tudini e delle convenzioni sia assai meno rilevante. Ih presenza di una Co­

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Costituzione e procedimento di revisione

stituzione scritta, di leggi costituzionali che completano gli istituti, di leggi ordinarie che ne attuano in gran parte il dettato, lo spazio per i compor­ tamenti che divengono a loro volta fonti è fisiologicamente più ristretto. Se tuttavia costituisce un dato oggettivo che il nostro modello è princi­ palmente basato su fonti scritte, e dunque lo spazio per i comportamenti e per i fatti è in genere piuttosto ridotto, questo stesso ragionamento non è integralmente trasferibile in ambito costituzionale. La Costituzione pre­ senta infatti spazi così ampi, specialmente nella parte dedicata agli organi costituzionali, che il comportamento fattuale degli organi stessi diviene necessario per la concreta applicazione delle norme. Quando ad esempio l’art. 92 della Costituzione recita, al 2° comma, che “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del consiglio dei ministri e su proposta di questo i ministri”, tale previsione determina sì i poteri del Presidente in ordine alla formazione del Governo, ma nulla dice sul modo nel quale questi poteri debbono essere esercitati. I comportamenti posti in essere in applicazione di quella norma dai vari Presidenti della Repubblica che si sono succeduti nel tempo, hanno riempito il vuoto, tanto che tali compor­ tamenti vengono normalmente ripetuti dai nuovi Presidenti, in quanto considerati giuridicamente vincolanti. Le convenzioni della Costituzione hanno tuttavia valore, come si dice, re­ bus sic stantibus e non sono più vincolanti allorquando vengono a mancare i presupposti (storici, politici, sociali) che hanno sostenuto e legittimato quel comportamento. Esse, inoltre, non possono mai essere contra costitutionem, cioè legittimare comportamenti contrastanti con le norme costituzionali. Dalle convenzioni della Costituzione si suole distinguere la c.d. prassi. La differenza è anche in questo caso assai sottile: mentre le convenzio­ ni della Costituzione costituiscono comportamenti ripetuti nel tempo che creano norme, la prassi costituisce l’applicazione concreta e ripetuta nel tempo di una norma costituzionale. La prassi cioè, a differenza delle con­ suetudini e delle convenzioni, non crea notine, perché si sostanzia in un comportamento interpretativo di norme esistenti. Le convenzioni della Costituzione, ed anche le prassi, svolgono la im­ portante funzione di rendere una Costituzione rigida adattabile al modifi­ carsi della Costituzione materiale, riempiendo di contenuti molte norme costituzionali che stabiliscono regole generali, senza tuttavia specificare le modalità di applicazione di quelle stesse regole. Esse stabilizzano anche la Costituzione, poiché il richiamo alle convenzioni o alla prassi è utile an­ che per indirizzare il dibattito politico sulla interpretazione delle norme costituzionali.

1953 Pierandrei F., La Corte costituzionale e te modificazioni tacite della Costi­ tuzione, in Scritti Scialoja, IV; 1959 Tosi S., Modificazioni tacite della Costituzione attraverso il diritto parlamentare, Milano; 1961 ESPOSITO C., Consuetudine (diritto

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La prassi non crea norme

Convenzioni e prassi adattano la Costituzione

La Costituzione

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costituzionale), ad vocem, ED, IX; 1962 Esposito C., La consuetudine costitu­ zionale, in Studi Betti, I; 1970 Zagrebelsky G., Sulla consuetudine costituzionale nella teoria delle fónti del diritto, Torino; 1972 RESCIGNO G.U., Le convenzioni costi­ tuzionali, Padova; 1982 DOGLIANI M., Interpretazioni della Costituzione, Milano; 1983 Bartole S., Le convenzioni della Costituzione tra storia e scienza politica, in Il Poi., 1983, 251 ss.; 1984 ZAGREBELSKY G„ Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, Torino; 1985 Stammati S., Punti di riflessione sulla consuetudine e le regole convenzionali, in Scritti Crisafulli, II; 1989 PiZZORUSSO A., Interpretazione della Costituzione e l'attuazione di essa attraverso la prassi, in RTDP., 3 ss.; 1992 ROSSA­

NO G., La consuetudine nel diritto costituzionale, Napoli; 1999 Mor G.-NlNATTl S.Camerlengo Q.-Vigevàni G.E. (a cura di), Norme di correttezza costituzionale, convenzioni ed indirizzo politico: atti del convegno organizzato in ricordo dei prof. P. Biscaretti di Ruffia, Milano; 2000 Midiri M„ La considerazione della prassi nella giu­ risprudenza costituzionale, in Pitruzzella G.-Teresi F.-Verde G. (a cura di), Il pa­ rametro nel giudizio di costituzionalità: atti del seminario di Palermo, 28-29 maggio 1998, Torino; 2002 Camerlengo Q., I fatti normativi e la certezza dei diritto costitu­ zionale, Milano; 2003 Demuro G., Regole costituzionali non scritte tra diritto ed al­ tre scienze, Torino; 2004 Bartole S., Interpretazioni e trasformazioni della Costitu­ zione repubblicana, Bologna; 2007 Midiri M., Prassi e consuetudine nella giuri­ sprudenza della Corte Costituzionale, in Scritti Grottanelli de' Santi, I.

9. Sintesi del capitolo La Costituzione italiana è una fonte superiore, rigida, lunga e sociale (Par. 1). Le norme costituzionali si distinguono in norme ad efficacia diretta e norme ad efficacia differita. Le prime hanno due effetti: sono direttamen­ te applicabili e inoltre producono un effetto invalidante nei confronti di leggi che prevedessero norme contrastanti. Le norme ad efficacia indiretta si distinguono in norme ad efficacia differita, norme di principio e norme programmatiche. Le norme ad efficacia differita prevedono ulteriori nor­ me per loro attuazione; le norme di principio contengono regole molto generali applicabili ad un numero determinato di casi, ed hanno un effet­ to invalidante nei confronti di leggi che prevedessero norme contrarie ai principi; le norme programmatiche prevedono dei fini da raggiungere ed hanno anche esse un effetto invalidante nei confronti di leggi che preve­ dano norme manifestamente contrarie rispetto al fine (Par. 2). H procedimento di revisione della Costituzione è previsto nell’art. 138. È un procedimento aggravato per la cui definizione occorrono due deli­ berazioni da parte di ciascuna Camera ad intervallo non minore di tre me­ si. Nella seconda deliberazione occorre almeno la maggioranza assoluta. Se nella seconda deliberazione la legge viene approvata con la maggioran­ za dei due terzi il procedimento è concluso. Se viceversa, nella seconda deliberazione si raggiunge la maggioranza assoluta ma non la maggioranza dei due terzi, la legge viene pubblicata e può essere richiesto entro tre me­ 56

Costituzione e procedimento di revisione

si un referendum da parte di un quinto dei membri di una Camera, cin­ quecentomila elettori o cinque consigli regionali (Par. 3). Il procedimento di revisione della Costituzione è un procedimento co­ stituito e non costituente e dunque esso non consente di approvare una Costituzione integralmente nuova. Il “contenuto essenziale” della Costi­ tuzione costituisce ciò che caratterizza una Costituzione e che non può essere modificato neppure con il procedimento di revisione (Par. 4). Il contenuto essenziale è stato individuato nei principi fondamentali posti dalla Costituzione stessa (Par. ,5). La Costituzione prevede, all’art. 139, la non modificabilità della forma repubblicana. Questa previsione non significa soltanto che non è -possibile un ritorno alla monarchia, ma anche che non possono essere oggetto di revisione quegli istituti che costituiscono i presupposti di una forma de­ mocratico-rappresentativa (Par. 6). Le altre leggi costituzionali si distinguono dalle leggi di revisione della Costituzione per la loro funzione, che in generale non è quella di modifi­ care la Costituzione ma di integrarla (Par. 7). Le convenzioni costituzionali e la prassi integrano la Costituzione, la rendono stabile, e in parte la adattano ai mutamenti del substrato sociale e politico. Le consuetudini e le convenzioni sono comportamenti ripetuti nel tempo, tenuti da organi costituzionali in assenza di una previsione normativa. Esse sono fonti del diritto e sono vincolanti rebus sic stantibus. La prassi costituisce invece un comportamento ripetuto nel tempo da par­ te di organi costituzionali, relativo alla interpretazione di una norma costi­ tuzionale. Le prassi dunque non sono fonti ma svolgono una funzione importante nella interpretazione della Costituzione (Par. 8).

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Parte II

FONTI DEL DIRITTO

Capitolo I

NORME GIURIDICHE E FONTI DEL DIRITTO SOMMARIO: 1. Ordinamento ed ordinamenti giuridici, - 2. Le norme giuridiche. - 3. Dalla disposizione alla norma: l’attività di interpretazione. - 3.1. Interpretazione giudiziale e interpretazione autentica. - 3.2. La volontà del legislatore: interpreta­ zione analogica, interpretazione adeguatrice. -3.3. Leggi penali, speciali ed ecce­ zionali. - 4. Fonti del diritto: distinzioni preliminari. - 5. H pluralismo delle fonti nello Stato contemporaneo. - 6. Come l’ordinamento ricompone ad unità un si­ stema pluralistico di fonti: il principio di gerarchia. - 7. Il principio di competen­ za. - 8. Sintesi di alcune categorie giuridiche emerse: validità, legittimità, annul­ lamento di una fonte. - 9. La successione delle fonti nel tempo. - 10. Il principio di irretroattività della legge. - 11. Il nucleo di resistenza alla retroattività: rapporti esauriti, diritti quesiti, principio dell’affidamento. - 12. Sintesi del capitolo.

1. Ordinamento ed ordinamenti giuridici Sino ad ora si è detto che la Costituzione pone norme che disciplinano i poteri dello Stato e i diritti fondamentali dei cittadini, costituendo le basi dell’ordinamento giuridico dello Stato. È ora necessario precisare il con­ cetto di ordinamento giuridico, di Stato e di norma giuridica. Un ordinamento giuridico è costituito da un gruppo sociale organizza­ to, ordinato secondo determinate regole^bJon ogni gruppo sociale costi­ tuisce tuttavia un ordinamento, poiché un ordinamento giuridico è dotato dei seguenti necessari requisiti: a) la stabilità del gruppo sociale, intesa come dimensione temporale durevole di quel gruppo; b) l’organizzazione, intesa come distribuzione di funzioni, competen­ ze, diritti e doveri, in sostanza esistenza di regole che disciplinano la vita del gruppo sociale e che sono considerate come vincolanti.

La stabilità nel tempo serve a distinguere l’esistenza di un gruppo so­ ciale da altri elementi episodici di aggregazione umana, che tuttavia non costituiscono un gruppo sociale (una riunione, un momento aggregativo transitorio, ecc.). L’elemento della stabilità, infatti, può realizzarsi solo quando in un gruppo sociale si radichino interessi generali che, in quanto 61

Definizione di ordinamento giuridico

Fonti del diritto

Ordinamento giuridico come gruppo sociale stabile

Teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici

Teoria della statalità del diritto

appartenenti all’intero gruppo, siano durevoli nel tempo. Il radicamento di interessi generali produce dunque la stabilità, che a sua volta costitui­ sce il presupposto per la produzione di regole. Quando infatti un gruppo sociale diviene stabile, occorrono strumenti organizzativi per proteggere giuridicamente gli interessi facenti capo al gruppo. Le regole stabiliscono gli obbiettivi, le procedure per il soddisfacimento degli interessi, i compiti degli associati, ecc., determinando quindi una organizzazione giuridica. In definitiva ogni gruppo sociale stabile può dettare regole che sono giuridicamente vincolanti per coloro i quali fanno parte di quel gruppo sociale, e dunque può costituire un ordinamento giuridico. Gli ordina­ menti giuridici, allora, possono essere tanti quanti sono i gruppi organiz­ zati che presentano i requisiti sopra indicati: secondo questa concezione, lo Stato costituisce l’ordinamento giuridico di livello più alto, più stabile, e le cui regole sono dotate di maggiore forza. La differenza tra ordinamento statale e altri ordinamenti è dunque pre­ valentemente qualitativa ma non ontologica. Lo Stato è infatti legittimato a produrre regole in quanto ordinamento giuridico, nato come gruppo sociale stabile, e non in virtù di una sovranità originaria che lo differenzia dagli altri ordinamenti giuridici. La ricostruzione teorica qui riportata, denominata “teoria della plura­ lità degli ordinamenti giuridici”, si basa sul principio della socialità del diritto, e cioè sull’idea che l’esistenza del diritto come sistema di regole è connaturale alla stessa esistenza di una società. Questa teoria è storica­ mente nata in contrapposizione ad alcune ricostruzioni dogmatiche tede­ sche di fine ottocento, che invece sostenevano la sola statalità del diritto e dunque la sola legittimazione dello Stato a porre norme giuridiche. La differenza tra le due concezioni è estremamente rilevante: la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici parte dal principio che il diritto è un fenomeno sociale prima che autoritario. E l’organizzazione sociale che crea le norme ed il diritto; lo Stato è un “tipo” di organizzazione sociale (la più stabile, persistente ed estesa ed in grado di dettare norme con maggior forza), ma ciò non implica che altre organizzazioni sociali non siano in gra­ do di dettare regole che valgano per il loro gruppo sociale. Al contrario la teoria della statalità del diritto parte dal principio opposto che il diritto sia un fenomeno autoritario. Solo lo Stato è legittimato a porre norme giuridi­ che, e ciò in conseguenza dell’autorità della quale è investito. I componenti della società sono sottoposti al comando e all’autorità dello Stato, nei con­ fronti del quale godono di diritti, pretese e garanzie, ma solo nella misura in cui tali diritti, pretese e garanzie, siano riconosciuti dallo Stato stesso. Que­ sta ultima ricostruzione era influenzata dal periodo storico bismarkiano, ed era collegata alla cultura tedesca dell’epoca, che propugnava l’idea dello “Stato forte”. Essa tuttavia appare legata a quel particolare momento stori­ co, ad una forma di Stato unitario privo di decentramento, ad un modello costituzionale ancora di tipo dualista. 62

Norme giurìdiche e fonti dei diritto

La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici anticipa invece le trasformazioni costituzionali del dopoguerra. Se infatti, come si è detto, le Costituzioni sono espressione del potere costituente che proviene dalla società, è la società - prima dello Stato - ad essere legittimata a porre le norme giuridiche fondamentali. Ed inoltre se la Costituzione ha lo scopo di disciplinare e garantire una società pluralista, l’ordinamento giuridico deve prevedere l’esistenza di strumenti di decentramento, strumenti di tutela di gruppi sociali, strumenti di tutela delle minoranze, che sono in­ compatibili con il modello dello Stato autoritario.

1945 Romano S., L'ordinamento giuridico, Firenze; 1950 Chiarelli G., Il proble­ ma dei caratteri differenziali dell'ordinamento giuridico, Napoli; 1958 Giannini M.S., Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in RTDP, 291 ss.; 1960 Bobbio N., Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino; 1964 Carnelutti F.. Appunti sull'ordi­ namento giuridico, in RDProc., 361 ss.; 1976 CataniaA., Argomenti per una teo­ ria dell'ordinamento giuridico, Napoli; 1980 Guastini R. (a cura di), Problemi di teoria del diritto, Bologna; 1980 Modugno E, Ordinamento giuridico (dottrine ge­ nerali), ad vocem, ED, XXX; 1985 Modugno E, Legge, ordinamento giuridico, pluralità degli ordinamenti: Saggi di teoria generale del diritto, Milano; 1985 Mo­ dugno E, Pluralità degli ordinamenti, ad vocem, ED, XXXIV; 1990 Tosato E., Sfato (teoria generale e dir. cost.), ad vocem, ED, XLIII; 1991 Fazzalari E., Ordi­ namento giuridico (teoria generale), ad vocem, EG, XXIV; 1994 Berti G., Ma­ nuale di interpretazione costituzionale, Padova; 1994 Bobbio N., Diritto, in Con­ tributi ad un dizionario giuridico, Torino; 1995 Guastini R., Ordinamento giuridico, ad vocem, DDP, X; 2013 Diciotti E., Ordinamento giuridico, in Pino G.Schiavello A.-Villa V. (a cura di), Filosofìa del diritto: introduzione critica al pen­ siero giuridico e al diritto positivo, Torino.

2. Le norme giuridiche La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici trova peraltro una ulteriore conferma allorquando si vada ad analizzare i caratteri delle nor­ me giuridiche. Dalla analisi delle caratteristiche delle norme, emerge in­ fatti che esse non necessariamente debbono essere poste dallo Stato, ma possono essere-poste in essere anche da altri ordinamenti. La norma giuridica costituisce la tipizzazione astratta di un comporta­ Caratteri della mento concreto, ed è caratterizzata dalla esteriorità, la generalità e l’astrat­ norma tezza, la coercibilità e la previsione di una sanzione. Se analizziamo singo­ giuridica larmente questi caratteri possiamo facilmente vedere come essi sono tipici non soltanto delle regole poste dallo Stato, ma anche di regole poste da altri ordinamenti.

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Fonti del diritto

a) L’esteriorità Esteriorità significa che la norma è prodotta da un soggetto esterno a colui il quale deve rispettarla, e da questo elemento deriva la distinzione Distinzione tra tra regole giuridiche e regole morali. Le regole morali, infatti, si distin­ regole guono da quelle giuridiche per essere autonome (cioè non imposte da al­ giuridiche e tri), nonché per la loro assolutezza ed universalità, mentre, come si è det­ regole morali to, la regola giuridica è esterna al soggetto e contrapposta alla sua volontà. Inoltre la norma giuridica ha per oggetto l’azione, e non il volere un fatto o una azione. Per il diritto, infatti, ciò che conta è la conformità dell’azio­ ne all’astratta previsione normativa, mentre sono irrilevanti le ragioni per le quali il soggetto intende conformarsi alla previsione in questione. Per la morale, al contrario, l’adesione interiore alla regola costituisce l’elemento qualificante del rispetto della medesima. H carattere della esteriorità non è esclusivamente tipico delle norme emanate dallo Stato. Anche altri enti possono emanare norme dotate di questo carattere.

Generalità ed astrattezza come garanzia di libertà

b) Generalità ed astrattezza Normalmente per generalità si intende la capacità della norma di rego­ lare fatti o comportamenti senza riferimento a situazioni o soggetti deter­ minati, mentre per astrattezza si intende la ripetibilità della regola per un tempo indeterminato. Questi caratteri svolgono una funzione di garanzia nei confronti dei destinatari della norma, garanzia colta anche dai pensa­ tori di fine settecento. Rousseau, nel contratto sociale, affermava che il popolo sovrano, deci­ dendo su sé stesso, non poteva che deliberare in astratto e in generale, mentre Montesquieu osservava che la generalità garantisce la sicurezza di cui il singolo deve godere di fronte all’autorità. Il pensiero di Rousseau tende a collegare la generalità alla tutela dell’eguaglianza, mentre per Montesquieu la generalità e la astrattezza della norma servono a garantire la libertà del singolo e la limitazione del potere. Se la norma è generale ed astratta, infatti, ciò limita la possibilità di “ingiustizie” e discriminazioni da parte dell’autorità nei confronti di singoli cittadini. Con sfumature diverse, connesse alle diverse impostazioni filosofiche dell’uno e dell’altro (fautore Rousseau del principio “assoluto” della so­ vranità popolare, dal quale discende l’indivisibilità del potere, propugna­ tore Montesquieu del principio opposto di separazione dei poteri, dal quale discende la garanzia di libertà del cittadino), le due tesi sono acco­ munate dal fatto che per entrambi la generalità e la astrattezza della nor­ ma giuridica costituisce un elemento di garanzia per il cittadino. Se la norma non è indirizzata ad una persona singola, ma ad una generalità di persone ed inoltre è astrattamente ripetibile, ciascuno è garantito di un trattamento eguale e prevedibile. Generalità ed astrattezza, con le limitazioni che si diranno successiva­ mente, costituiscono tuttora una categoria fondamentale per distinguere

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Norme giuridiche e fonti del diritto

ciò che è normativo da ciò che normativo non è (come ad esempio una sentenza di un giudice o un provvedimento amministrativo). Mentre in­ fatti la attività del disporre comporta il prevedere fattispecie generali ed astratte, l’attività del provvedére implica attuare quelle fattispecie generali ed astratte. La sentenza del giudice, nella misura in cui applica ad una fat­ tispecie concreta la fattispecie astratta prevista nella norma, compie una operazione di sussunzione della fattispecie concreta nella fattispecie astratta. In definitiva provvede alla soluzione di un singolo caso applican­ do ciò che è disposto nella norma. H provvedimento amministrativo (che non a caso si chiama appunto provvedimento, dal provvedere), con il qua­ le la Pubblica Amministrazione espropria una area di proprietà di un cit­ tadino, costituisce un atto con contenuto concreto, rivolto ad un destina­ tario determinato, sulla base di quanto disposto da una norma generale ed astratta. E opportuno sottolineare, tuttavia, che nel tempo i principi di genera­ lità ed astrattezza si sono fortemente relativizzati, e quindi non è sempre così facile distinguere la norma giuridica da un atto amministrativo. Sono moltissimi i casi nei quali le norme hanno carattere settoriale - si riferi­ scono cioè non a tutti ma solamente ad alcuni - e sono anche temporal­ mente circoscritte. Sono norme cioè a generalità ridotta o a basso grado di astrattezza, e rappresentano quindi una situazione intermedia tra il prov­ vedimento individuale e concreto e la norma generale intesa come univer­ sale. Sono del pari moltissimi gli atti amministrativi che hanno caratteri di generalità ed astrattezza, propedeutici alla emanazione di provvedimenti puntuali. Si pensi agli atti amministrativi c.d. generali, che si rivolgono in modo indiffe­ renziato a categorie più o meno ampie di destinatari e talora sono suscettibili di essere applicati a una ripetuta serie di casi e dunque hanno anche il carattere del­ l’astrattezza. La tipologia degli atti amministrativi generali è assai variegata, e una classificazione avrebbe fini solamente esemplificativi. Normalmente rientrano tra gli atti generali i piani, i programmi, le direttive, gli atti di indirizzo.

La perdita delle caratteristiche “tipiche” delle norme giuridiche, e l’esistenza di zone grigie di confine tra ciò che è normativo e ciò che non lo è, deriva dalle caratteristiche delle società attuale, frammentata in gruppi sociali e articolata, anche da un punto di vista produttivo, in sog­ getti economici con caratteristiche diverse, che necessitano di trattamenti normativi differenziati. Inoltre il processo di produzione del diritto è or­ mai fortemente contrattualizzato: vi intervengono soggetti portatori di in­ teressi particolari (dai sindacati, alle organizzazioni di categoria, ai c.d. gruppi di pressione, ecc.), con la conseguenza che il prodotto normativo risulta spesso caratterizzato più da elementi di occasionalità e particolarità che dalla generalità ed astrattezza.

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Distinzione tra norma e provvedimento

Relativizzazione dei principi di generalità e astrattezza

Fonti del diritto

Stato ottocento

Stato contemporaneo

c) Coercibilità e sanzione Secondo la teoria tradizionale le norme giuridiche sono poi dotate del carat­ tere della coattività, nel senso che sono suscettibili di attuazione forzata e sono garantite, nella ipotesi di trasgressione, da una sanzione. Questa teoria, tuttavia, è fortemente legata ad un determinato periodo storico nel quale la struttura della norma giuridica era assai più semplice di quanto possa essere adesso. Nel periodo dello Stato liberale dell’ottocento, la norma giuridica era principalmente caratterizzata da uno schema bilaterale: al diritto di un soggetto corrispondeva ùn obbligo da parte di un altro. Lo Stato infatti disciplinava con norme solo ciò che si doveva o non si doveva fare, sia nei rapporti tra privati sia nei rapporti tra potere pubblico e soggetto privato. La norma giuridica si sostanziava dunque in un comando di fare o non fare, mentre ciò che non era oggetto del comando (di fare o di non fare) rimaneva confinato nell’indifferente giuridico, e quindi lasciato alla libera disciplina dell’autonomia privata. Con l’avvento dello Stato contemporaneo, sociale e interventista, le carat­ teristiche e le funzioni delle norme giuridiche sono molto cambiate. Molte norme non esprimono un semplice comando - di fare o non fare - ma attri­ buiscono capacità, potestà, situazioni attive o passive variegate, fini da rag­ giungere, che non sempre costituiscono però comandi e che non sempre so­ no pertanto suscettibili di essere sanzionati. H fatto che non vi sia una san­ zione non implica tuttavia che questa tipologia di norme non sia cogente e che non debba essere rispettata. H mancato rispetto della norma, anziché l’irrogazione di una sanzione, provocherà tuttavia l’effetto negativo implicito nella norma stessa. Si pensi a misure di incentivazioni che prevedono possi­ bili benefici anche economici in presenza di determinati comportamenti. La norma non è assistita da una sanzione, ma il diritto ad ottenere il beneficio decade se il comportamento tenuto non è quello descritto dalla norma.

1935 Crisafulli V., Sulla teoria della norma giuridica, Roma; 1958 Bobbio N., Teoria della norma giuridica, Torino; 1960 ORECCHIAR, (a cura di), La norma giu­ ridica: diritto pubblico e diritto privato: atti del 4. Congresso nazionale di filosofia del diritto, Pavia, 10-13 ottobre 1959, Milano; 1964 Crisafulli V., Disposizione (e norma), ad vocem, ED, XIII; 1968 Bobbio N., Norma giuridica, ad vocem, NssDI, XI; 1970 Engisch K., Introduzione al pensiero giuridico, Milano; 1977 Bobbio N„ Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano; 1978 Modugno F., Norma giuridica (teoria generale), ad vocem, ED, XXVIII; 1990 Kelsen H.r La dottrina pura del diritto, Torino; 1990 Mazziotti di Celso M., Norma giuridica, ad vocem, EG, XXIII; 1994 Bobbio N., Norma giuridica, in Con­ tributi ad un dizionario giuridico, Torino; 1995 GUASTIMI R., Norma giuridica (tipi e classificazioni), ad vocem, DDC, XII; 1998 Rescigno G.U., L’atto normativo, Bo­ logna; 2013 Pino G., Norma giuridica, in Pino G.-Schiavello A.-Villa V. (a cura di), Filosofia del diritto: introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positi­ vo, Torino.

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Norme giurìdiche e fonti del diritto

5. Dalla disposizione alla norma: l’attività di interpretazione Si è sino ad ora parlato, in senso generale di norme, ma la definizione giuri­ dica corretta dell’enunciato che presenta le caratteristiche descritte nel paragra­ fo precedente è quella di disposizione. La disposizione, infatti, contiene l’enun­ ciato astratto, mentre la norma è costituita dalla disposizione nel momento in cui ad essa, attraverso Fattività di interpretazione, viene attribuito un preciso significato in funzione della sua applicazione ad una fattispecie concreta. L’interpretazione può essere quindi definita come quella attività intellet­ tiva attraverso la quale, partendo dagli enunciati contenuti in una disposi­ zione, si giunge poi alla determinazione del loro significato concreto, cioè alla norma. L’interpretazione dunque consiste in una attività, posta a valle della produzione normativa, che svolge la funzione di trasformare le dispo­ sizioni in norme. Nello svolgimento di questa attività l’interprete “aggiun­ ge” sempre un qualcosa alla disposizione, sia per renderla coerente con al­ tre disposizioni, sia per adeguarla alla fattispecie concreta, posto che quasi sempre quest’ultima non coincide con la fattispecie astratta delineata nella disposizione. Poiché questa attività viene principalmente svolta da organi che non hanno prodotto le norme (la interpretazione è normalmente effet­ tuata dai giudici), e come si diceva essa è esperita a valle del momento pro­ duttivo della disposizione, la ampiezza concessa dall’ordinamento alla in­ terpretazione produce riflessi anche nei rapporti tra i poteri, e quindi anche sull’assetto complessivo della forma di Governo. In genere, infatti, può rilevarsi che tanto più lo Stato è chiuso ed auto­ ritario, tanto meno l’ordinamento concede la possibilità di interpretare in maniera evolutiva le disposizioni prodotte dallo Stato medesimo. L’im­ peratore Giustiniano vietò l’interpretazione della sua codificazione per conservare i suoi voleri e la intangibilità dei suoi.precetti; lo Stato nazista ammetteva una interpretazione solo tecnico formale allo scopo di conser­ vare per quanto possibile il potere nelle autorità politiche direttamente controllate dal dittatore (salvo ammettere, per esempio, nella Germania nazista il potere del giudice di punire ogni fatto, che pur non essendo di­ chiarato punibile dalla legge, gli appaia però meritevole di punizione “se­ condo il sano sentimento del popolo”). Anche il razionalismo settecentesco post-rivoluzione francese, sia pure per ragioni diverse, escludeva di fatto la possibilità della interpretazione del giudice. La rivoluzione francese aveva sancito il principio della sovranità del popolo che si esprimeva attraverso la legge del Parlamento. Al fine di con­ centrare ogni decisione nella legge, al giudice era riservata solamente la fun­ zione di mero applicatore della volontà legislativa al caso concreto, ritenen­ do che questi.potesse operare attraverso un semplice ragionamento sillogi­ stico che escludeva ogni ipotesi di discrezionalità interpretativa: la legge po­ ne la premessa maggiore, il fatto costituisce la premessa minore, al giudice la conclusione (il giudice “boriche de la lo? come diceva Montesquieu). 67

Definizione di interpretazione

Interpretazione collegata alla forma di Stato

Fonti del diritto

Interpretazione momento di equilibrio tra produzione e applicazione della norma

All’opposto, e sempre per esemplificare, si affermò nei primi del nove­ cento in Germania, la scuola del c.d. “diritto libero” i cui fautori auspica­ vano l’attribuzione ai giudici di vari poteri creativi sino al punto di variare o correggere le norme secondo le esigenze del caso. Questa scuola, che ebbe vita breve in Germania e non ebbe quasi alcun seguito in Italia, ottenne in­ vece un certo successo nella Russia post-rivoluzionaria. Abolita la codifica­ zione zarista, eliminati giudici ed avvocati responsabili dell’applicazione di quei codici, espressione del nuovo corso furono i tribunali del popolo, composti non più da giuristi ma da “gente del popolo” appunto, che giudi­ cava non secondo le leggi ma secondo la loro “coscienza proletaria”. Questi esempi, certamente estremi e non a caso connessi a momenti di rottura degli ordinamenti, mostrano però come attraverso il tema dell’in­ terpretazione l’ordinamento ricerchi un difficile equilibrio tra la funzione della produzione normativa e la funzione applicativa della norma. Alla fi­ ne un difficile equilibrio anche tra organi (il Parlamento che produce le leggi) e il potere giudiziario che tali leggi è chiamato ad applicare, inter­ pretandole.

1947 Sacco R., Il concetto di interpretazione del diritto, Torino; 1949 BETTI E., In­ terpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano; 1955 Betti E., Teoria gene­ rale dell’interpretazione, Milano; 1959 Crisafulli V., Atto normativo, ad vocem, ED, IV; 1964 Crisafulli V., Disposizione (e norma), ad vocem, ED, XIII; 1970 Modugno F., L'invalidità della legge, Milano; 1974 Quadri R., Applicazione deila legge in generale, Bologna-Roma; 1980 Tarello G., L'interpretazione della leg­ ge, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano; 1988 Guastini R., Disposi­ zione vs. norma, in Scienza e tecnica deila legislazione, Trieste; 1988 Italia V., Appunti su disposizioni e norma, in Scritti Giannini, II; 1989 Guastini R., Disposi­ zioni vs. norma, in GC, 3 ss.; 1990 Guastini R., Interpretazione I) Interpretazione dei documenti normativi, ad vocem, EG, XIX; 1993 Guastini R., Le fonti del dirit­ to e l'interpretazione, Milano; 2000 Pitruzzella G.-Teresi F.-Verde G. (a cura di), // parametro nel giudizio di costituzionalità: atti del seminario di Palermo, 2829 maggio 1998, Torino; 2011 Guastini R„ Interpretare e argomentare, Milano; 2012 Modugno F., Interpretazione giuridica, Padova; 2013 Villa V., Le tre con­ cezioni dell'interpretazione giuridica, in Pino G.-Schiavello A.-VlLLA V. (a cura di), Filosofia del diritto: introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positi­ vo, Torino.

3.1. Interpretazione giudiziale e interpretazione autentica Chi sono i soggetti deputati all’interpretazione? Nel nostro ordinamento l’interpretazione è prevalentemente giudizia­ le, cioè esperita dai giudici durante l’applicazione di una norma ad una fattispecie concreta, o autentica, cioè esperita dallo stesso organo che ha 68

Norme giurìdiche e fonti dei diritto

approvato la disposizione normativa. Vi è poi la c.d. interpretazione dot­ trinale, cioè l’interpretazione effettuata dagli studiosi della materia, che tuttavia ha un rilievo giuridico-pratico nella misura in cui sia recepita dal­ la giurisprudenza, o nella misura in cui sia in grado di sollecitare la giuri­ sprudenza ad assumere determinate interpretazioni. Prima di parlare della interpretazione giudiziale occorre chiarire in quale sistema di produzione del diritto il nostro ordinamento si collochi. I modelli storici di produzione del diritto, infatti, sono essenzialmente due: il sistema della formulazione giudiziaria, tipico degli ordinamenti anglo­ sassoni, e il sistema della forniulazione legislativa, tipico degli ordinamenti di derivazione romanista come il nostro. Nel primo sistema gli interventi dello Stato nella produzione di norme sono alquanto limitati. Le “regole” provengono dalla soluzione giudiziale di casi concreti, poiché il giudice, nel risolvere una controversia, crea un “precedente”. Progressivamente il numero dei precedenti aumenta tanto che si crea un sistema nel quale il diritto deriva principalmente dalla stra­ tificazione delle decisioni dei giudici che risolvono casi. Nel secondo sistema invece il diritto non origina dalla soluzione del caso concreto, ma da manifestazioni di volontà attraverso le quali vengo­ no delineate ex ante le c.d. fattispecie astratte, all’interno delle quali do­ vranno essere collocati i casi della vita (le fattispecie concrete). Spetterà dunque al giudice applicare la disposizione alla fattispecie concreta, attra­ verso una attività di interpretazione che è sempre necessaria per adattare la previsione normativa al caso concreto. Nello svolgere questa attività i giudici sono sempre liberi di interpreta­ re la legge, non essendo vincolati ai precedenti, sia pure con il limite (non giuridico) del rispetto della giurisprudenza della Corte di Cassazione, e in particolare della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassa­ zione. Quando le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno interpre­ tato una disposizione attribuendole un determinato significato, di fatto, anche se non di diritto, i giudici ordinari'“si sentono” vincolati dalla sta­ tuizione della Suprema Corte. ' La interpretazione giudiziale è per sua stessa natura una interpretazio­ ne dinamica, perché collegata alla applicazione di una norma astratta ad uno e poi a molti casi della vita che non sono mai eguali a sé stessi. L’interpretazione autentica è invece la interpretazione del legislatore. E il legislatore stesso che attribuisce alla norma, normalmente a posteriori e attraverso l’approvazione di un’altra norma, un determinato significato. Questo tipo di interpretazione tende a cristallizzare il significato della di­ sposizione al momento della emanazione della norma di interpretazione autentica, poiché il giudice difficilmente potrà discostarsi da una norma che ne interpreta una precedente. L’interpretazione autentica avviene normalmente attraverso leggi dette di “interpretazione autentica”. Queste leggi, come si dirà, sono anche leggi “naturalmente retroattive” che cioè si

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I modelli di produzione del diritto

Interpretazione giudiziale

Interpretazione autentica

Fonti del diritto

applicano anche al passato (cfr. in questo stesso capitolo i successivi Part. 10 e 11).

1947 Lavagna C., L'interpretazione autentica delle leggi e degli atti giuridici, Ro­ ma; 1955 Betti E., Teoria generale dell’interpretazione, Milano; 1955 Marzano G., L'interpretazione della legge con particolare riguardo ai rapporti tra interpre­ tazione autentica e giurisprudenziale, Milano; 1962 Cesarini Sforza W., Suil’interpretazione giudiziale, in Studi Betti, I; 1965 Lazzaro G., L'interpretazione si­ stematica della legge, Torino; 1980 Tarello G., L'interpretazione della legge, Mi­ lano; 1993 Guastimi R„ Le fonti del diritto e l'interpretazione, Milano; 1995 Bin M., Il precedente giudiziario: valore e interpretazione, Padova; 1997 DiciOTTl E., Norme, validità e interpretazione giudiziale, Torino; 1997 Verde G., L’interpreta­ zione autentica della legge, Torino; 1999 Bessone M. (a cura di), Interpretazione e diritto giudiziale, Torino; 2001 Anzon A. (a cura di), Le leggi di interpretazione autentica tra Corte Costituzionale e legislatore: atti del seminario di Roma del 5 ottobre 2000, Torino; 2003 Mariani Marini A. (a cura di), Teoria e tecnica dell’ar­ gomentazione giuridica, Milano; 2003 Canale D., Forme del limite nell’interpre­ tazione giudiziale, Padova; 2003 Pugiotto A., La legge interpretativa e i suoi ' giudici: strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, Milano; 2005 Picardi N., La funzione del giudice nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto, in Studi Ferrara, I; 2006 Romboli R., In tema di legittimità delle leggi di interpretazione autentica, in FI, 2972 ss.; 2007 Dogliani M., Il ruolo del giudice nell’interpretazio­ ne della legge, in Seminario 2006, Associazione per gli studi e le ricerche parla­ mentari, Torino; 2012 Rescigno G.U., Leggi di interpretazione autentica, leggi re­ troattive e possibili ragioni della loro incostituzionalità, in GC, 1072 ss.

3.2. La volontà del legislatore: interpretazione analogica, interpre­ tazione adeguatrice Le regole sulla interpretazione, nel nostro ordinamento, sono dettate dagli artt. 12-14 delle “Disposizioni sulla legge in generale" del codice civile, altrimenti dette “Preleggi”, un testo normativo approvato nel 1942 (dunque ben prima della approvazione della Costituzione). Le Preleggi contengono varie norme che disciplinano le modalità di applicazione delle fonti, e a questo testo normativo si farà riferimento più volte nei paragrafi seguenti. L’art. 12, intitolato “interpretazione della legge", recita al 1° comma: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di es­ se, e dalla intenzione del legislatore". La disposizione individua dunque un primo momento nell’attività interpretativa: la valutazione della intenzione del legislatore e la valutazione dello scopo delle disposizioni (la c.d. ratio legis). Si tratta della interpretazione c.d. soggettiva, perché si fa riferimen­ to alla volontà del legislatore per interpretare le norme che egli stesso ha posto (la intenzione del legislatore); si tratta della interpretazione c.d. og­

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Norme giuridiche e fonti dei diritto

gettiva perché si fa riferimento al significato proprio delle parole, indi­ pendentemente, in questo caso, dalla volontà, del legislatore (non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato pro­ prio delle parole secondo la connessione di esse). Nel primo caso (interpretazione soggettiva), si guarda ad un legislatore concreto ed anche storicamente identificato (quel legislatore che ha prodot­ to la norma in quel determinato momento storico). Costituiscono infatti strumenti per la interpretazione soggettiva di un atto normativo i lavori pre­ paratori, il dibattito parlamentare, e in generale tutto quanto è idoneo a ri­ costruire la volontà del soggettò che ha approvato il testo normativo in quel determinato momento. Nel secondo caso (interpretazione oggettiva), si fa invece riferimento ad una sorta di legislatore astratto, come sarebbe colui il quale pone le norme nel momento in cui queste debbono essere interpretate. Queste due attività, interpretazione soggettiva ed interpretazione og­ gettiva, debbono essere svolte congiuntamente dall’interprete. La valuta­ zione della volontà soggettiva costituisce infatti il punto di partenza del­ l’attività interpretativa, ma se questa fosse limitata al solo momento sog­ gettivo non si potrebbe d’altra parte cogliere l’evoluzione storica dell’or­ dinamento. D’altronde l’interpretazione oggettiva, che cerca di cogliere lo scopo della legge, è storicamente adeguata, ma senza il punto di partenza dell’interpretazione soggettiva può allontanare eccessivamente la disposi­ zione dal suo scopo originario. Il 2° comma dell’art. 12 individua poi due ulteriori modi di interpreta­ zione che hanno lo scopo di colmare le c.d. lacune normative, quando cioè l’ordinamento non preveda una regola espressa per una determinata fattispecie. L’art. 12 recita infatti: “se una controversia non può essere deci­ sa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide se­ condo i principi generali dell’ordinamento dèlio Stato”. Si tratta nel primo caso della c.d. analogia legis e nel secondo caso del­ la c.d. analogia iuris. Quando in relazionò ad una fattispecie concreta non vi è una norma che disciplina espressamente e direttamente quella deter­ minata fattispecie, deve farsi ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe {analogia legis). Quando ancora non sia possibi­ le applicare alla fattispecie norme che regolano casi analoghi, si deve fare riferimento ai principi generali dell’ordinamento dello Stato {analogia iu­ ris). In entrambi i casi si tratta di ipotesi nelle quali l’interprete è dotato di strumenti discrezionali assai ampi per mettere in luce i tratti comuni della fattispecie concreta non regolata - che deve decidere - rispetto a quella dalla quale attingere la norma da applicare. La discrezionalità interpreta­ tiva aumenta ulteriormente nelle ipotesi della c.d. analogia iuris, dato che i principi generali dell’ordinamento costituiscono un concetto molto elasti­ co alla luce dei quali risolvere casi concreti per i quali una fattispecie astratta non è prevista.

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Interpretazione soggettiva e oggettiva

La analogia

Analogia legis e analogia iuris

Fonti del diritto

La difficoltà della interpretazione analogica negli Stati sociali

La interpretazione adeguatine

La interpretazione per analogia si fonda in verità su di una presunzio­ ne abbastanza irrealistica: che rordinamento sia un tutt’uno intimamente coerente, cosicché, come diceva Bobbio, il procedimento analogico “non fa che rendere esplicita la razionalità immanente al sistema". Attraverso la analogia, si diceva, si colma un vuoto, ma nel far questo il giudice non crea una norma, perché egli è comunque vincolato nell’applicazione di principi che si deducono da un sistema in sé razionale. Questa intima razionalità del sistema, tuttavia, la si poteva verificare più agevolmente nella fase storico-costituzionale dello Stato liberale, quando la base sociale ristretta ed omogenea consentiva una attività nor­ mativa quantitativamente modesta e qualitativamente coerente, ma è ben poco presente negli Stati sociali attuali, nei quali le norme sono numerose, frammentarie, e rispondono ad interessi diversi spesso in contrasto tra lo­ ro. In definitiva, mentre la formulazione dell’art. 12 sembra presupporre la coerenza dell’ordinamento, con le lacune del medesimo colmabili attra­ verso la previsione della analogia legis e analogia iuris, questo dato di coe­ renza ordinamentale appare oggi assai poco presente. Il riferimento ai principi generali dell’ordinamento, se consente con difficoltà la copertura di vuoti normativi, è tuttavia rilevante per interpre­ tare le norme legislative esistenti secondo i principi costituzionali, attra­ verso una ulteriore forma di interpretazione, avvalorata dalla Corte costi­ tuzionale, che viene definita interpretazione adeguatrice (cfr. più ampia­ mente Parte IV, Cap. VII, Par. 3.1). Questo tipo di interpretazione si basa sull’assunto che legge e Costitu­ zione non devono essere interpretate separatamente, ma al contrario che la legge deve essere interpretata alla luce della Costituzione. Tra due in­ terpretazioni di una norma legislativa, una conforme ai principi costitu­ zionali e l’altra non conforme, il giudice deve scegliere la prima, e non in­ vece sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge davanti alla Corte costituzionale perché non conforme a Costituzione. Questo ti­ po di interpretazione valorizza la Costituzione nelle sue potenzialità ap­ plicative, poiché essa può essere utilizzata, sia pure in via mediata rispetto ad una legge, per risolvere casi concreti.

1938 Bobbio N., L'analogia nella logica del diritto, Torino; 1968 Bobbio N., Lacu­ ne del diritto, ad vocem, NssDI, IX; 1976 Guastimi R„ Completezza e analogia, in Tarello G (raccolti da), Materiali per una storia della cultura giuridica, Bolo­ gna; 1987 GlANFORMAGGlO L, Analogia, ad vocem, DDC, I; 1987 SORRENTINO F., I principi generali dell'ordinamento giuridico nell'interpretazione del diritto, in DS, 181 ss.; 1988 Modugno F., Antinomie e lacune, ad vocem, EG, II; 1992 Zanon N., Giudici, legislatore e "volontà parlamentare" di fronte alla Corte costituzionale, in GC, 3286 ss.; 1993 Zanon N., Valore del titolo della legge perla determina­ zione deirintentio legislatoris" e controllo della razionalità, in GC, 2946 ss.; 1994 Bobbio N., Lacune del diritto, in Contributi ad un dizionario giuridico, Torino; 1994

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Norme giurìdiche e fonti del diritto Bobbio N., Principi generali del Diritto, in Contributi ad un dizionario giurìdico, Tori­ no; 1994 Cerri A., L'analogia nel sistema del diritto positivo, in Cassese S. (a cura di), L'unità del diritto: Massimo Severo Giannini e la teorìa giurìdica, Bologna; 1997 Modugno F., Fonti del diritto (gerarchia delle), ad vocem, ED, Agg. I; 2002 Malfat­ ti E.-Romboli R.-Rossi E. (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua diffusione: ver­ so un controllo di costituzionalità di tipo diffuso? Atti del Seminario di Pisa svoltosi il 25-26 maggio 2001 in ricordo di piustino D'Orazio, Torino; 2002 Velluzzi V., Inter­ pretazione sistematica e prassi giurisprudenziale, Torino; 2006 Borrenti G„ L'in­ terpretazione conforme a Costituzione, Milano; 2006 Velluzzi V., La distinzione tra analogia giuridica e interpretazione estensiva, in Manzin M.-Sommaggio P. (a cura di), Interpretazione giurìdica e retorica forense, Milano; 2009 Cavino M., L'inten­ zione del legislatore attuale come fondamento del diritto vivente, in Cavino M. (a cura di), Esperienze di diritto vivente: la giurisprudenza negli ordinamenti di diritto legislativo, Milano; 2011 Pizzorusso A., Delle fonti del diritto. Disposizioni sulla legge in generale. Art. 1-9, in Commentario Scialoja-Branca.

33. Leggi penali, speciali ed eccezionali Le modalità di interpretazione delle norme penali (cioè le norme che prevedono reati e le pene conseguenti), sono determinate attraverso pre­ visioni poste dalle preleggi, dalla Costituzione, e dal codice penale. L’art. 14 delle "Disposizioni sulla legge in generale" recita infatti: "Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. La norma introduce il c.d. principio di stretta interpretazione per le leggi penali, che comporta che in questa materia sia fatto divieto di interpretazione analogica. L’art. 25 della Costituzione (che ritroveremo trattando il problema della irretroattivi­ tà della legge penale), d’altra parte, stabilisce il principio della riserva di legge in materia penale: "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Solo la legge è abi­ litata a determinare fattispecie di reato, e nón invece fonti aventi grado infe­ riore alla legge. Infine l’art. 1 del codice penale prevede che "nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge come reato né con pene che non siano da essa stabilite”. Anche questa norma esprime il principio di stretta legalità al quale è sottoposto il diritto penale, poiché il fatto deve essere espressamente previsto dalla legge come reato. Il principio di stretta interpretazione in materia penale deriva dal combinato disposto di queste disposizioni. Poiché nella materia penale vige la regola che la legge deve espressamente indicare la fattispecie che costituisce il reato, nonché la determinazione della pena, è implicito che in questa materia non possa invece applicarsi il procedimento analogico. La interpretazione analogica infatti postula proprio l’assenza di una di­ sposizione che regola una fattispecie, e la possibilità di applicare, per col­ mare il vuoto, una disposizione che regola un caso simile. 73

Divieto interpretazione analogica per leggi penali

Riserva di legge in materia penale

Fonti del diritto

Esclusione interpretazione analogica per leggi speciali e eccezionali

Il principio della riserva di legge in materia penale ed il correlato prin­ cipio c.d. di stretta interpretazione, costituiscono strumenti di garanzia in una materia particolarmente delicata, perché incidente sulla libertà del cittadino. Queste previsioni sono finalizzate da una parte a garantire che sia il Parlamento a stabilire reati e pene, e dall’altra parte a limitare il po­ tere discrezionale del giudice di estendere - come avviene con l’analogia una previsione normativa ad altre fattispecie. Se noti vi è una espressa previsione normativa che regola una determinata condotta, ciò significa che quella condotta è lecita e non può applicarsi ad essa una norma pena­ le che si riferisce ad una condotta simile. Oltre che per le leggi penali la interpretazione analogica è esclusa, dall’art. 14 delle “disposizioni sulla legge in generale”, anche per quelle leggi che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi. Da questa norma si sono tratte implicitamente due categorie di leggi, per le quali è escluso il metodo analogico: le leggi speciali, che farebbero eccezioni a regole generali, e le leggi eccezionali che farebbero eccezione ad altre leggi. Va detto tuttavia che questa distinzione non sempre è chiara in pratica: in un ordinamento straordinariamente complesso da un punto di vista legi­ slativo come il nostro, sono molti frequenti deroghe a regole generali o ec­ cezioni ad altre leggi, ed è diffìcile capire se una regola posta da una legge debba intendersi come generale o meno, e se quindi la norma che vi deroga sia una norma speciale o eccezionale. Si può dire però che per legge specia­ le o eccezionale - dando ad esse il medesimo significato - si intende una legge che deroga, in modo significativo, a leggi i cui principi sono general­ mente considerati come generali (ad esempio, la legge che ha sospeso in se­ guito al terremoto dell’Abruzzo il pagamento delle tasse per i cittadini ter­ remotati, costituisce un caso classico di legge speciale o eccezionale, poiché essa deroga alla norma che impone a tutti i cittadini di pagare le tasse).. In presenza di ima legge speciale o eccezionale, nel senso sopra speci­ ficato, l’art. 14 prevede espressamente che essa non possa applicarsi oltre i casi e i tempi in essa specificati. Il che è logico, poiché la eventuale esten­ sione della regola speciale a casi e tempi ivi non considerati non fa altro che trasformare ciò che era speciale e derogatorio in una regola generale. Per rimanere all’esempio fatto, la sospensione del pagamento delle tasse può avvenire solo per l’anno stabilito dalla legge e per i cittadini abruzze­ si, non potendosi estendere né temporalmente, né ad altri casi simili non espressamente previsti dal legislatore.

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4. Fonti del diritto: distinzioni preliminari Negli ordinamenti giuridici, e quindi anche nel nostro ordinamento, le norme assumono forma diversa. La forma, come si dirà poi, è necessaria per determinare la forza della fonte e quindi la sua capacità di modificare altre fonti o di resistere alla modifica da parte di altre fonti. Si definiscono quindi fonti normative tutti quegli atti o fatti mediante i quali vengono poste norme giuridiche. Per esemplificare, una legge ap­ provata dal Parlamento contiene norme giuridiche, ma è un atto diverso e distinto dalle norme che contiene. La legge è a sua volta ima fonte del di­ ritto. Del pari un regolamento del Governo contiene norme giuridiche, e, pur avendo ima forma ed una forza diversa rispetto alla legge, è anche es­ so una fonte del diritto. Le fonti del diritto si distinguono, preliminarmente, in fonti atto e fon­ Fonti atto e fonti fatto ti fatto. ' Le fonti atto sono quelle fonti che provengono da un atto, cioè da una manifestazione di volontà espressa, come/la legge che esprime la volontà del Parlamento. / Le fonti fatto provengono da un fatto, cioè da un comportamento ma­ teriale, e sono definite consuetudini. La consuetudine è tradizionalmente caratterizzata da un comportamento ripetuto nel tempo (elemento ogget­ tivo), al quale si aggiunge la convinzione della sua forza vincolante (ele­ mento soggettivo, altrimenti detta opinio iuris). La consuetudine ebbe grande importanza nel momento della formazione e degli sviluppi degli ordinamenti, e svolge tuttora una funzione di rilievo negli ordinamenti c.d. di common law. Nel nostro sistema invece, come in quasi tutti gli or­ dinamenti che si ispirano alla codificazione, essa ha perso progressiva­ mente importanza anche in considerazione dell’elevata produzione di fon­ ti atto tipica degli ordinamenti contemporanei. Nonostante questo vi sono ancora alcune “tracce” di questo istituto nella nostra normativa: le “Di­ 75

Fonti del diritto

Fonti di produzione

Fonti sulla produzione

Fonti di cognizione

sposizioni preliminari al codice civile", delineando la gerarchia delle fonti, pongono infatti la consuetudine all’ultimo posto nel sistema delle fonti. Inoltre, tracce della consuetudine si trovano nel codice civile, dove è pre­ visto che in materia contrattuale gli usi possono anche integrare il conte­ nuto del contratto. Le fonti poi si distinguono ulteriormente in fonti di produzione, fonti sulla produzione, e fonti di cognizione. Sono fonti di produzione tutte le fonti che contengono diritto oggetti­ vo, cioè norme giuridiche destinate ad essere applicate nei confronti dei terzi. Esse, come si dirà, sono assai numerose e sono certamente cresciute di numero nello Stato contemporaneo pluralista. Sono invece fonti sulla produzione quelle fonti che contengono norme per produrre altre norme. Esse dunque non costituiscono diritto oggettivo in quanto non sono destinate a regolare o disciplinare il comportamento di ter­ zi, ma servono solamente a porre le regole per produrre fonti di produzione. Anche le fonti sulla produzione sono numerose. Molte norme della Costituzione costituiscono fonti sulla produzione: si pensi agli artt. 70 e ss. che disciplinano il procedimento legislativo, o altre norme costituzio­ nali che disciplinano il procedimento per produrre altre fonti, quali gli artt. 76 (decreto legislativo), 77 (decreto legge), ecc. Peraltro le fonti sulla produzione non sono solamente fonti costituzionali, ma possono essere sia fonti legislative ordinarie (ad esempio la legge n. 400 del 1988 e suc­ cessive modifiche che prevede il procedimento per la approvazione dei regolamenti governativi), sia fonti diverse da quelle legislative (molte nor­ me dei regolamenti parlamentari sono fonti sulla produzione perché pre­ vedono modalità per approvare leggi o altri atti normativi). Le fonti di cognizione costituiscono gli strumenti nei quali reperire le fonti del diritto: la Gazzetta ufficiale dello Stato Italiano, dove sono pub­ blicati tutti gli atti normativi dello Stato, piuttosto che i Bollettini Ufficiali della Regione, dove sono pubblicati gli atti normativi regionali costitui­ scono fonti di cognizione. Per quanto ovvio le fonti di cognizione in sé non contengono norme, ma costituiscono lo strumento operativo per in­ dividuare e conoscere le fonti.

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5. Il pluralismo delle fonti nello Stato contemporaneo Nello Stato contemporaneo il sistema delle fonti, sia di produzione che di cognizione, è molto numeroso e articolato. Tuttavia, onde non confon­ dere concetti diversi, è opportuno distinguere preliminarmente tra “quan­ tità” della produzione normativa e “quantità” delle fonti. Quando si parla di quantità di norme il problema è capire quando e perché un determinato comportamento deve essere regolato da norme giuridiche e non lasciato nel giuridicamente indifferente o nella Ubera de­ terminazione dell’autonomia privata. Quando si parla di quantità di fonti si fa invece riferiménto ad un momento successivo al primo, e cioè alla ra­ gione per la quale le norme debbono essere collocate in fonti diverse e perché queste fonti sono molte. Il primo problema è strettamente collegato alla forma di Stato, perché il numero delle norme aumenta inevitabilmente quanto più lo Stato divie­ ne Stato sociale (cioè assume compiti nuovi) e si fa carico di rimuovere le diseguaglianze esistenti all’interno della società. Per svolgere questi com­ piti occorrono sia norme che disciplinino le funzioni nuove dello Stato nei confronti dei cittadini (norme ad efficacia verticale) sia e soprattutto, norme che disciplinano i rapporti tra privati (di natura orizzontale) in funzione della tutela di interessi ritenuti rilevanti, per perequare situazioni soggettive di partenza non eguali. In questo secondo caso la norma giuri­ dica posta dallo Stato o da altro soggetto legittimato a porla, trasferisce aree lasciate all’autonomia privata o all’indifferente giuridico nell’ambito del regolato. Ad esempio molte norme che gli intermediari finanziari sono tenuti ad osser­ vare quando prestano servizi di investimento nei confronti dei propri clienti sono finalizzate ad assicurare la tutela della trasparenza nei confronti del cliente. Gli intermediari finanziari, cioè, non possono regolare il rapporto di investimento con il cliente (che pure è un rapporto privatistico) in maniera libera. Devono se­

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Quantità di norme collegate alla forma di Sfato

Fonti del diritto

guire delle regole che sono poste da norme giuridiche, e che sono finalizzate a perequare e quindi rendere più eguale la condizione del cliente (contraente debo­ le) nei confronti dell’intermediario (contraente forte). Così facendo, tuttavia, ciò che è autonomia privata - il rapporto contrattuale tra cliente e intermediario viene attratto nell’ambito del regolato normativo.

Pluralismo delie fonti conseguenza pluralismo sodale e istituzionale

In definitiva tanto più lo Stato si caratterizza come Stato sociale, tanto maggiormente ciò che fa parte dell’indifferente giuridico o dell’autonomia privata tende ad essere normato. Inoltre, tanto più l’organizzazione socia­ le ed economica di uno Stato è complessa ed articolata, tanto maggiore sarà la quantità delle norme che tendono a perequare, disciplinare situa­ zioni diverse, regolare i mercati. Da questo fenomeno della iperproduzione normativa, caratteristica della gran parte degli Stati contemporanei, deve poi distinguersi, come si diceva, il fenomeno ulteriore del pluralismo delle fonti. Non solo le nor­ me sono tante, ma sono moltissime anche le fonti, sia di produzione che sulla produzione. La ragione, anche in questo caso, è da rinvenirsi nella forma di Stato e nelle caratteristiche delle Costituzioni contemporanee. La numerosità del­ le fonti è infatti conseguenza del pluralismo sociale ed istituzionale, carat­ teristico delle Costituzioni contemporanee, all’interno delle quali la esi­ stenza di fonti diverse serve sia ad equilibrare e bilanciare l’organizzazio­ ne della forma di Governo, sia a tutelare specifici interessi. Il Parlamento, ad esempio, approva leggi ordinarie, leggi di revisione della Costituzione, ma anche leggi costituzionali che sono previste dalla stessa Costituzione; approva inoltre regolamenti parlamentari che garantiscono la sua auto­ nomia. Il Governo a sua volta produce moltissime fonti, come altre fonti sono prodotte dal sistema di decentramento autonomistico (Regioni, Pro­ vincie, Comuni). Le c.d. Autorità indipendenti o regolatrici dei mercati producono fonti che si applicano nei mercati regolati, e così via. Al contrario, nel modello costituzionale dualista del periodo liberale, le fonti erano assai poche: il Parlamento approvava le leggi, il Governo emanava alcuni atti con forza di legge ed i regolamenti, questi ultimi pe­ raltro non nella tipizzazione articolata che abbiamo oggi. Non esistevano le altre fonti che oggi il Parlamento è legittimato ad approvare, così come non esistevano le fonti del sistema autonomistico e non vi erano le fonti prodotte dalle Autorità indipendenti. Un sistema articolato di fonti, in definitiva, costituisce garanzia del pluralismo sociale, di un articolato sistema di autonomie, e alla fine di un corretto bilanciamento istituzionale. Per contro un sistema “troppo” arti-, colato di fonti rischia di generare incertezza del diritto, difficoltà di per­ seguire un indirizzo politico coerente, una frammentazione eccessiva dei centri decisionali. Nel nostro ordinamento non esiste una identificazione completa delle

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Norme giuridiche e fonti del diritto

fonti. Alcune sono previste in Costituzione, altre in leggi ordinarie, ma non vi è un testo dove si trovi una elencazione completa delle fonti. Esse pertanto devono essere ricavate interpretativamente dai vari testi norma­ tivi che le contengono. Una indicazione delle fonti del diritto - con mero valore storico - la si rintraccia infatti solamente nell’art. 1 delle “Disposizioni sulla legge in ge­ nerale”, che contiene alcune norme sulle fonti del diritto e sulla applica­ zione della legge. L’art. 1 recita che sono fonti del diritto le leggi, i regolamenti, le norme corporative, gli usi, ma è evidente come questa norma abbia oggi poca utilità. Essendo stata approvata prima del testo costituzionale non è indi­ cata tra le fonti la Costituzione né le altre fonti di livello costituzionale e neppure gli atti con forza di legge (decreti legge e decreti legislativi). Mancano tutte le fonti che derivano dal modello decentrato dello Stato, quali gli statuti regionali, le leggi regionali e i regolamenti regionali. Vi so­ no invece le norme corporative (norme introdotte nell’ordinamento cor­ porativo fascista per regolare i rapporti di lavoro) che ovviamente òggi non esistono più. D’altra parte questa norma offre però una prima indica­ zione circa l’esistenza di una “scala gerarchica” delle fonti, dove al primo grado sta la legge, al secondo i regolamenti del Governo e al terzo gli usi (o consuetudini). Per le ragioni che si diranno nel paragrafo seguente, questa “scala gerarchica” è ancora in una certa misura valida.

Indicazione fonti del diritto

1990 Italia V-, La fabbrica delle leggi, Milano; 1992 Zagrebelsky G., // diritto mi­ te: leggi diritti giustizia, Torino; 1998 PIZZORUSSOA., Pluralismo delle fonti interne e formazione di un sistema di fonti sovranazionali, in Violante L. (a cura di), Legge, diritto, giustizia, Torino; 2012 SlCLARl M. (à cura di), Il pluralismo delle fon­ tipreviste dalla Costituzione egli strumenti per lavoro ricomposizione, Napoli.

6. Come l’ordinamento ricompone ad unità un sistema pluralistico di fonti: il principio di gerarchia Se un sistema di fonti articolato è garanzia del pluralismo sociale ed Principio di istituzionale, d’altra parte un sistema troppo articolato può incidere sulla coerenza del certezza del diritto, nella misura in cui l’ordinamento non sia dotato di diritto regole che servano ad evitare conflitti tra norme. Lo Stato di diritto, tra l’altro, è caratterizzato dal diritto del cittadino di conoscere a quale norma il suo comportamento è sottoposto, se il suo comportamento è illecito o meno, e in generale a fare affidamento su di un sistema normativo che sia intimamente coerente. In sostanza un ordinamento giuridico non può contenere al suo interno norme tra loro contraddittorie senza prevedere 79

Fonti del diritto

come risolvere tali contraddittorietà, pena la stessa stabilità dell’ordina­ mento, la violazione del principio di certezza del diritto, la violazione del principio dell’affidamento del cittadino. Certezza del diritto e affidamento del cittadino costituiscono i cardini dello Stato di diritto e sono concetti tra loro collegati. La certezza del diritto può esse­ re definita come coerenza e chiarezza dell’ordinamento. Le norme poste dallo Stato e dagli altri enti che hanno il potere di emanare norme giuridiche debbono essere tra loro coerenti - principio di non contraddizione - e regolare fattispecie concrete in maniera sufficientemente chiara per poter orientare correttamente i comportamenti dei cittadini. Parallelamente il cittadino ha il diritto di conoscere le norme poste dallo Stato e dagli altri enti a ciò deputati e di poter contare su di una “ragionevole” coerenza dell’ordinamento.

Il primo principio per risolvere contrasti tra fonti diverse è un princi­ pio immanente alla struttura stessa degli ordinamenti giuridici (è dunque un principio logico prima che derivante da specifiche norme). Il principio è che nessuna fonte può istituire altre fonti aventi forza superiore o pari alla fonte di origine, intendendosi poi per forza la capacità di modificare altre fonti e di resistere alla modifica (da parte di altre fonti). Ogni fonte può infatti prevedere altre fonti - può essere cioè anche fonte sulla produzione oltre che di produzione - ma la fonte “seconda” non può avere la forza di modificare la prima. Proseguendo, la fonte “se­ conda” può istituire altre fonti che però non avendo la forza di modificare la fonte che la ha istituita saranno “terze” e così via. La fonte seconda non può avere la forza di modificare o abrogare quella che la ha istituita poi­ ché, se la abrogasse, verrebbe meno la sua stessa legittimazione ad esiste­ re, dato che essa trae forza dalla fonte che la ha istituita. Questo principio è stato varie volte confermato dalla Corte costituzionale che ha negato la possibilità per la legge di istituire altre fonti aventi efficacia legislati­ va, mentre ha ammesso la possibilità per la legge di prevedere altre fonti con for­ za inferiore alla legge: “se l’art. 70 della Costituzione configura come organo della funzione legislativa il Parlamento e se altri articoli della Costituzione indicano tassativamente i casi in cui è consentito ad organi dello Stato diversi dal Parla­ mento di porre in essere provvedimenti dello stesso valore delle leggi approvate da quest’ultimo, ciò non esclude la possibilità che la legge (o atti equipollenti) attribuisca il carattere di fonte all’ordinamento - quando ciò faccia senza conferi­ re ad essi valore di legge - a provvedimenti diversi da quelli contemplati dalle ri­ cordate disposizioni” (Corte cost. n. 26 del 1966). La forza di una fonte deriva dalla sua forma

Da questi principi, che come si diceva derivano da un ragionamento logico, si ricavano due conseguenze giuridiche, la prima delle quali è che la forza di una fonte deriva dalla sua forma. La forma di una fonte è a sua volta conseguenza del procedimento se80

Norme giurìdiche e fonti del diritto

guito per la sua approvazione: ad esempio la forza di una legge è conse­ guenza dell’approvazione di quell’atto da parte del Parlamento con il procedimento di cui agli artt. 70 e ss. della Costituzione, la forza di un de­ creto legge deriva dall’approvazione di quell’atto con le regole di cui all’art. 77 della Costituzione. La seconda conseguenza si sostanzia nella esi­ stenza di un principio c.d. di gerarchia delle fonti: le fonti sono collocate in una scala gerarchica al cui vertice si trova la Costituzione - fonte delle fonti - e quindi al di sopra della stessa scala, e poi al primo posto la legge e le fonti che hanno la forza della legge, al secondo posto le fonti che pos­ sono essere istituite dalla legge, cioè i regolamenti, al terzo posto le fonti istituite dai regolamenti, ed infine al quarto grado le fonti fatto. • Dal principio di gerarchia consegue ancora che la fonte di grado infe­ riore, non potendo modificare quella superiore, deve porre norme che non siano in contrasto con le prime. Se infatti la fonte inferiore ponesse norme contrastanti con quella superiore essa sarebbe non validamente posta e quindi illegittima. Vedremo poi che se è la legge a porre norme contrastanti con le norme superiori, cioè con la Costituzione, esiste un giudizio particolare, detto di legittimità costituzionale, davanti ad un or­ gano ad hoc quale la Corte costituzionale, finalizzato ad invalidare la legge illegittima. Se invece è una norma di secondo grado a porre norme con­ trastanti con la legge, i giudici della giurisdizione amministrativa (Tribu­ nali amministrativi Regionali e Consiglio di Stato in grado di appello) so­ no legittimati a dichiarare la illegittimità della norma. La dichiarazione di illegittimità della norma, conseguenza della sua in­ validità, comporta la perdita di efficacia della norma dichiarata invalida con effetto retroattivo (ex tunc). Anche questo effetto risponde ad una esigenza logica: poiché la norma non poteva essere pósta essa era invalida nel momento in cui è entrata in vigore. La retroattività della dichiarazione di illegittimità ha quindi la funzione di eliminare gli effetti che la norma invalida ha prodotto dal momento della suà entrata in vigore sino al mo­ mento della dichiarazione di illegittimità./ fl principio di gerarchia svolge la funzione di ricondurre ad unità, alme­ no da un punto di vista teorico-formale, l’ordinamento giuridico, orientan­ dolo verso la Costituzione, che costituisce la norma base, e che quindi, at­ traverso il meccanismo gerarchico gradualistico, condiziona a cascata tut­ to il sistema delle fonti. Un ordinamento gerarchicamente organizzato è certamente un ordinamento con elevato grado di coerenza interna, perché anche le norme òhe sono gerarchicamente più lontane dalla norma prima­ ria, attraverso il meccanismo della “scala”, sono ricondotte al rispetto del­ la fonte primaria (la legge) e della norma fondamentale (la Costituzione). Il principio di gerarchia quindi costituisce anche ima applicazione del principio di legalità e di costituzionalità, poiché esso conduce necessaria­ mente al rispetto della legge e della Costituzione. Se però passiamo dalla logica astratta implicita nel principio gerarchi­ 81

Prindpio di gerarchia delle fonti

Illegittimità fonte inferiore contrastante con superiore

Fonti del diritto

Gerarchia antitesi di autonomia

co, a valutare gli effetti di questo stesso principio sul piano istituzionale, si nota come un ordinamento basato solo sul criterio gerarchico rischia di indebolire le ragioni che giustificano il pluralismo delle fonti. La gerarchia, infatti, costituisce in ogni campo e non solo in quello del diritto costituzionale, l’antitesi dell’autonomia. Un ordinamento impron­ tato solo sulla gerarchia comporterebbe alla fine l’esclusivo primato dello Stato e della legge del Parlamento su tutte le altre fonti. Da un punto di vista istituzionale, quindi, il principio di gerarchia ben si adatta ad un modello di Stato centralizzato, con un sistema di fonti ridotto numericamente, e con un basso livello di pluralismo sociale. In definitiva ben si adattava alle forme di Stato dei primi del novecento, ancora prive di una Costituzione bilanciata da un punto di vista istituzionale, e pluralista da un punto di vista sociale.

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7. II principio di competenza Le Costituzioni del dopoguerra pongono, anche da un punto di vista dei modelli organizzativi delle fonti, problemi nuovi. Il processo di inte­ grazione politica che nelle Costituzioni liberali di fine ottocento si era rea­ lizzato attraverso il principio gerarchico, non è più sufficiente a fronte di ordinamenti giuridici plurimi, collegati all’ordinamento generale da criteri alle volte gerarchici, ma altre volte paritari. La esistenza di un modello co­ stituzionale articolato, che prevede spazi regolatori assegnati a soggetti au­ tonomi, non può essere compresso esclusivamente all’interno di un mo­ dello gerarchicamente strutturato. 82

Norme giuridiche e fonti del diritto

Accanto al criterio della gerarchia si afferma allora un altro criterio per ricomporre il sistema delle fonti in unità, il criterio della competenza, che risponde alla esigenza di garantire spazi normativi indipendenti a soggetti costituzionalmente autonomi. Il principio di competenza significa che allorquando la Costituzione Principio di attribuisce la normazione di una materia ad una determinata fonte, solo competenza quella fonte è competente a disciplinare la materia. Perché sia applicabile il principio di competenza occorre dunque una norma che attribuisca una sfera di competenza ad un soggetto, il quale diviene quindi titolare di un ambito di competenza riservato, all’interno del quale può emanare quella fonte che la Costituzione ha previsto. Un caso chiaro di applicazione del principio di competenza lo ritroviamo nel sistema regionale. Se le Regioni sono enti dotati di autonomia politica e non solo amministrativa, se cioè nell’ambito delle loro competenze costituzionalmente attribuite esse pos­ sono porre in essere fonti primarie, le fonti da esse prodotte non potrebbero es­ sere sottoposte al principio gerarchico poiché questo significherebbe negarne l’autonomia. Se sottoposti al principio gerarchico quegli atti non sarebbero fonti primarie, dovendo al contrario rispettare le fonti poste dallo Stato. Inoltre l’ente non sarebbe autonomo se la legge dello Stato potesse sempre disciplinare quelle stesse competenze che sono state attribuite alle Regioni. Un altro esempio “classico” dell’applicazione del principio di competenza ri­ guarda la fonte regolamento parlamentare. La Costituzione riserva, attraverso gli artt. 64 e 72, alla fonte regolamento parlamentare - che è un regolamento appro­ vato autonomamente da ogni singolo ramo del Parlamento - la disciplina della materia “organizzazione interna delle Camere” e “procedimento legislativo”. Su questa materia solo il regolamento parlamentare è legittimato ad intervenire, e se là legge disciplinasse l’organizzazione interna duella Camere, che la Costituzione riserva al regolamento, essa sarebbe una legge contraria alla Costituzione, perché emanata in una materia che la Costituzione avev^ attribuito ad altra fonte. La ragione di questa riserva di competenza sta nel garantire un elevato gra­ do di autonomia alle singole Camere. Il regolamento parlamentare infatti, a dif­ ferenza della legge del Parlamento, non è promulgato dal Presidente della Re­ pubblica (che dunque non esercita su di essò alcun controllo) né è sottoposto al controllo di legittimità della Corte costituzionale, come invece le leggi e gli atti con forza di legge.

H principio di competenza, a differenza del principio gerarchico che agisce verticalmente, agisce orizzontalmente, poiché il rapporto tra la fon­ te che disciplina la materia riservata e le altre fonti si pone non in termini di forza ma in termini di reciproca esclusione. Ne consegue che se una fonte andasse a disciplinare una materia riservata ad altra fonte essa sa­ rebbe invalida perché emanata in assenza di competenza. La previsione di molte materie attribuite sulla base del principio di com­ petenza produce effetti sul sistema complessivo delle fonti e di riflesso sugli

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Fonti del diritto

Principio di competenza riduce spazio alla legge del Parlamento

equilibri tra gli organi costituzionali. H criterio della competenza erode la competenza tendenzialmente generale della legge del Parlamento: la legge, che normalmente può disciplinare qualunque materia, non può infatti regolare quelle materie dove vi sia riserva di competenza attribuita a un’altra fonte, perché la Costituzione ha individuato, per regolare quegli interessi o quelle materie, una fonte ritenuta (per motivi svariati) più idonea della legge. La riduzione del potere della legge del Parlamento attraverso il princi­ pio di competenza risponde alla logica di un modello costituzionale nel quale il processo di sintesi degli interessi - che è un processo politico non è soltanto basato sulla fonte legge e sul Parlamento. Così era in defi­ nitiva nello Stato liberale, quando suffragio elettorale limitato, omogenei­ tà sociale della classe legittimata alla rappresentanza parlamentare, strut­ tura economica e sistema di diritti relativamente articolato, rendevano sufficiente la ricomposizione degli interessi attraverso il solo procedimen­ to legislativo parlamentare. Nello Stato contemporaneo invéce, fatto di elevato pluralismo sociale, di pluralità di ordinamenti giuridici e di ordi­ namenti economici complessi, il solo processo politico parlamentare non è sufficiente a dare conto della complessità istituzionale e sociale. Il prin­ cipio di competenza assicura allora quote di potere normativo autonomo ai soggetti dotati della competenza costituzionalmente attribuita, contri­ buendo così alla realizzazione di un sistema articolato di autonomie.

1963 Esposito C., Costituzione, leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali, in Scritti Jemolo, III; 1965 Crisafulli V., Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, in Studi Zanobini, I; 1977 Roggeri A., Ge­ rarchia, competenza e qualità nel sistema costituzionale delle fonti normative, Mi­ lano; 1978 Modugno F., Norma giuridica (teoria generale), ad vocem, ED, XXVIII; 1989 Cicconetti S.M., Revisione costituzionale, ad vocem, ED, XL; 1996 Roggeri A., Fonti, norme, criteri ordinatori, Torino; 1997 Modugno F., Fonti del diritto (gerarchia delie), ad vocem, ED, Agg. I; 2002 Moscarini A., Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti: contributo allo studio dei criteri ordinatori del sistema delle fonti, Padova.

8. Sintesi di alcune categorie giuridiche emerse: validità, legittimi­ tà, annullamento di una fonte Da quanto abbiamo descritto nei paragrafi relativi al principio di ge­ rarchia e al principio di competenza, emergono alcune categorie giuridi­ che che è opportuno richiamare e sintetizzare. Dal principio gerarchico, che consiste nella superiorità di una fonte rispetto ad un’altra, e dal prin­ cipio di competenza, che significa esclusione di una o più fonti in una de­ terminata materia, derivano le regole sulla validità delle fonti. 84

Norme giuridiche e fonti del diritto

La validità è un istituto generale del diritto che consiste nella confor­ Validità mità di un atto alle norme procedimentali che lo regolano. Nell’ambito del principio di gerarchia la fonte inferiore deve essere conforme alla fon­ te superiore, nel senso che deve rispettare le modalità procedimentali che la fonte superiore ha previsto per la sua approvazione. Del pari, nell’am­ bito del principio di competénza, una fonte che disciplini l’ambito di competenza riservato ad un’altra fonte è invalida perché non ha rispettato la norma procedimentale prevista. Ad esempio se la materia “organizza­ zione interna delle Camere” riservata alla fonte regolamento parlamentare vènisse disciplinata dalla legge, la legge sarebbe invalida perché non ha rispettato lo schema normativo previsto per il regolamento parlamentare. Il concetto di validità è dunque un concetto eminentemente formale: la fonte non ha rispettato lo schema normativo al quale doveva attenersi. Una fonte invalida è anche una fonte illegittima, ma il concetto di ille­ Illegittimità gittimità è più ampio di quello di invalidità: infatti vi possono essere fonti valide (che hanno rispettato le regole procedurali per la loro approvazio­ ne) che sono però illegittime. Legittimità significa infatti sia che la fonte inferiore deve rispettare le regole procedimentali per la sua approvazione (come si è visto), sia che deve rispettare le regole sostanziali contenute nella fonte superiore. Se la fonte superiore prevede, ad esempio, che una norma possa essere applicata ad A e B, ed attribuisce alla fonte inferiore il potere di stabilire le modalità di applicazione della norma ad A e B, la fonte inferiore non può applicarla a C. Se al contrario la fonte inferiore decidesse di applicare anche a C la norma, essa sarebbe sì valida (perché non ha violato le regole procedimentali per la sua emanazione) ma comunque illegittima perché non ha rispettato le regole sostanziali poste dalla fonte superiore. Una fonte illegittima può essere annullata, cioè può essere dichiarata Annullamento da parte di un giudice la sua perdita di efficacia. L’annullamento non è una categoria riferibile alla natura della fonie (come la invalidità o la ille­ gittimità) ma è conseguenza della pronuncia di un giudice, alla quale è collegato normalmente un effetto retroattivo. L’annullamento di una fonte illegittima infatti può essere pronunciata dal giudice amministrativo quando si tratti di atti aventi natura secondaria che violino le regole poste da una fonte primaria, o può essere pronuncia­ ta dalla Corte costituzionale quando si tratti di atti aventi forza di legge che violino la Costituzione. Tuttavia, sin tanto che non vi sia la pronuncia di annullamento^ la fonte illegittima continua ad esistere e a dover essere applicata all’interno dell’ordinamento.

1964 Esposito C., La validità delle leggi: studio sui limiti della potestà legislativa, i vizi degli atti legislativi e il controllo giurisdizionale, Milano; 1970 Modugno F„ L’invalidità della legge, Milano; 1973 Modugno F., Legge (vizi della), ad vocem,

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Fonti del diritto

ED, XXIII; 1987 Luzzati C. (a cura di), L'abrogazione delle leggi: un dibattito ana­ litico, Milano; 1994 KELSEN H., Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano; 1997ALEXY R., Concetto e validità del diritto, (tr. it. dall’ed. 1992), con introduzio­ ne di Gustavo Zagrebelsky, Torino; 1997 Diciotti E., Norme, validità e interpre­ tazione giudiziale, Torino.

9. La successione delle fonti nel tempo

Principio cronologico

Abrogazione

circoscrive temporalmente efficacia norma abrogata

Gerarchia e competenza svolgono quindi la funzione di ricondurre ad unità un sistema di fonti avente forza diversa. I principi di gerarchia e di competenza, come si è visto, producono effetti giuridici in termini di inva­ lidità della fonte inferiore o emanata in presenza di una riserva di compe­ tenza per un’altra fonte. Alle fonti che hanno la stessa forza, invece, non può applicarsi il principj0 di gerarchia o di competenza. Esse si rinnovano applicando il prin­ cipio cronologico: la fonte successiva abroga la fonte di pari grado ante­ riormente posta {lex posterior abrogai priori). Questo principio risponde alla esigenza di rinnovare l’ordinamento: dato che le norme contengono scelte politiche, al modificarsi delle maggioranze parlamentari e governa­ tive corrisponderanno indirizzi politici diversi che tenderanno a tradursi in nuove norme giuridiche. Così la legge posta successivamente abroga la legge anteriore, il regolamento governativo posto successivamente abroga il regolamento anteriore e così via. Il meccanismo abrogativo, tuttavia, non produce la invalidità della fonte abrogata, ma solo la sua perdita di efficacia dal momento della entrata in vigore della norma che produce l’abrogazione. Le ragioni di questo diverso trattamento giuridico sono logiche: la norma invalida non doveva essere posta e l’effetto retroattivo connesso alla dichiarazione di annullamento ha lo scopo di sanare, sia pure a posteriori, una antinomia che si è verificata al­ l’interno dell’ordinamento. La norma abrogata, invece, era una norma per­ fettamente valida sin tanto che l’ordinamento non ha compiuto una scelta diversa. Solo in quel momento essa perde efficacia, ma tale perdita di effi­ cacia non ha alcun effetto retroattivo e vale solo per il futuro. Da questa considerazione deriva un altro effetto importante connesso meccanismo abrogativo. L’abrogazione infatti non elimina la norma, ...

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ma ne circoscrive temporalmente 1 efficacia: essa continua ad essere applicata a tutti i rapporti sorti sotto la vigenza di quella norma. L’effetto non invalidante della abrogazione è stato ben chiarito dalla Corte costituzionale secondo la quale: “l’abrogazione non tanto estingue la norma, quanto piuttosto ne delimita la sfera materiale di efficacia e quindi l’applicabilità ai fatti verificatisi sino ad un certo momento del tempo che coincide, per solito e

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Norme giuridiche e fonti del diritto

salvo sia diversamente disposto dàlia nuova legge, con l’entrata in vigore di quest’ultima” (Corte cost. n. 49 del 1970). Con la conseguenza che “la legge abrogata, originariamente fonte di ima norma riferibile ad una serie indefinita di fatti futuri ... è ormai fonte di una norma riferibile solo ad una serie di fatti passati.” (Corte cost. n. 73 del 1970).

Il nostro ordinamento disciplina, all’art. 15 delle “Disposizioni sulla legge in generale”, tre tipi di abrogazione:

a) “Le leggi non sono abrogate che per dichiarazione espressa del legi­ slatore” abrogazione espressa; b) “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti” abro­ gazione tacita; c) “perché la nuova leggé regola l’intera materia già regolata dalla leg­ ge anteriore” abrogazione implicita. Il primo caso è il più semplice: vi è abrogazione espressa quando la fonte contiene in un articolo (di solito quello finale), una espressione nella quale si dice “sono abrogate le seguenti disposizioni”, con la successiva puntuale indicazione delle norme che si intendono espressamente abroga­ re. La abrogazione è dunque espressa perché la fonte espressamente indi­ ca le disposizioni abrogate al momento della entrata in vigore della nuova fonte. Questa modalità di abrogazione, tuttavia, per le ragioni che si di­ ranno tra breve, non è utilizzato spesso, mentre molto più frequente è il modello dell’abrogazione tacita e dell’abrogazione implicita. Nel caso dell’abrogazione tacita la fonte successiva non indica espres­ samente le disposizioni che si intendono abrogare, ma si limita semplicemente a porre delle norme il cui contenuto è incompatibile con norme precedenti. ! Con l’abrogazione implicita, l’abrogazione consegue invece al fatto che la nuova fonte regola, in maniera diversa, ^intera materia già regolata da una fonte precedente. //z Come si diceva i modelli più frequentemente utilizzati nel nostro ordi­ namento sono quelli della abrogazione tacita e della abrogazione implici­ ta. L’utilizzazione frequente di questi modelli, tuttavia, produce una mag­ giore incertezza del diritto rispetto alla utilizzazione della abrogazione espressa. Spetta infatti all’interprete (al giudice il più delle volte), deter­ minare se la fonte pone effettivamente norme incompatibili con altre nor­ me antecedenti e con quali, e quindi determinare quale fonte debba ap­ plicarsi al caso concreto. L’abrogazione tacita e l’abrogazione implicita spostano infatti a valle, cioè al momento applicativo, il problema di determinare quale è la norma esistente nell’ordinamento. L’ordinamento giuridico diviene dunque più complesso (perché le norme non sono espressamente ma solo tacitamente abrogate) e più incerto, poiché sino al momento in cui una disposizione

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Abrogazione espressa

Abrogazione tacita

Abrogazione implicita

Fonti del diritto

Abrogazione e forma di governo

deve essere applicata ad una fattispecie concreta non vi è sicurezza sulla vigenza o meno di una norma. L’elevata utilizzazione della abrogazione tacita e della abrogazione im­ plicita sono ormai frutto di una prassi cristallizzata conseguente a Gover­ ni e maggioranze parlamentari assai deboli. La abrogazione espressa, in­ fatti, incorpora una decisione politica chiara: la maggioranza ha deciso di regolare una determinata materia in un certo modo é conseguentemente ha abrogato chiaramente la precedente regolamentazione. In questo caso si verifica una trasparente presa di posizione di tipo politico sulle buone ragioni della nuova normativa rispetto alla precedente, che quindi deve essere espressamente abrogata. In sintesi nella abrogazione espressa vi è un giudizio di valore - di tipo politicò - sulla normativa precedente che risulta chiaramente espresso. Governi stabili e maggioranze forti possono permettersi modelli abrogativi espressi, perché normalmente sono porta­ tori di un indirizzo politico stabile, dove questi giudizi di valore non ri­ schiano di creare fratture all’interno delle forze di maggioranza. Nella abrogazione tacita o implicita, al contrario, si regola la materia ma non si dice quali disposizioni sono abrogate. Non vi è cioè un con­ fronto chiaro di politiche regolatone diverse, e non vi è un giudizio di va­ lore sulla normativa precedente. La nuova normativa semplicemente entra in vigore: spetterà poi agli organi che debbono applicarla decidere quali norme sono incompatibili con le nuove disposizioni. Questo modo di procedere è tipico di Governi deboli basati su maggioranze instabili, le cui linee di indirizzo politico sono maggiormente compromissorie. Quan­ do la situazione politica è incerta, vi è la tendenza a scaricare su organi di­ versi da quelli politici la maggior parte dei problemi interpretativi delle norme, e quindi anche quello di determinare quali sono le norme vigenti e quali non lo sono. La prassi più recente ha visto l’affermarsi di figure atipiche di abrogazione, che accentuano, se mai ve ne fosse bisogno, l’incertezza del diritto. Un primo caso è quello della c.d. abrogazione innominata. Con questo tipo di abrogazione il legislatore utilizza una frase di questo genere: sono abrogate tutte le disposizioni legislative incompatibili con la presente legge. Questo istituto de­ riva dalla difficoltà, per lo stesso legislatore, di individuare quali sono le norme da abrogare e, il più delle volte, dalla inconsapevolezza per il legislatore della si­ tuazione normativa preesistente. Un secondo caso di abrogazione atipica è la c.d. abrogazione differita. In que­ sto caso la abrogazione si verifica solo al momento della entrata in vigore di una fonte diversa. L’abrogazione differita è utilizzata nel procedimento di delegifica­ zione (cfr. Parte II, Cap. Ili, Par. 7.4). Un terzo caso di abrogazione atipica è la c.d. abrogazione generalizzata, utiliz­ zata da alcune leggi, c.d. “taglia leggi”, con la quale, con una semplice clausola, si abrogano tutte le leggi approvate anteriormente ad una certa data (cfr. sul taglia leggi Parte II, Cap. Ili, Par. 8). La abrogazione è appunto generalizzata perché la

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Norme giurìdiche e fonti del diritto

clausola di abrogazione non riguarda né singole leggi né categorie di leggi, ma tutte le leggi con un unico criterio temporale di individuazione.

1914 Donati D„ Abrogazione delia legge, Padova; 1942 Giannini M.S., Problemi relativi all’abrogazione delle leggi, Padova; 1956 Calamandrei P., La prima sen­ tenza della Corte costituzionale* I Liebman E.T., Invalidità e abrogazione delle

leggi anteriori alla Costituzione, In RDProc, 3 ss.; 1958 Mortati C., Abrogazione legislativa e instaurazione di un nuovo ordinamento costituzionale, ora In Scritti sulle fonti del diritto e sull’interpretazione, Milano, 1972; 1958 Pugliatti S., Abro­ gazione (teoria generale e abrogazione degli atti normativi), ad vocem, ED, I; 1971 LaValle F, Successione èli leggi, ad vocem, NssDI, XVIII; 1972 Sorrenti­

F., L'abrogazione nel quadro dell’unità dell’ordinamento giuridico, in RDP; 1972 Sorrentino F„ L'abrogazione nel quadro dell’unità dell’ordinamento giuri­ dico, in RTDP, 18 ss.; 1988 BARTOLE S. (a cura di), Lezioni di tecnica legislativa, Padova; 1988 Guastini R., Contributo ad una teoria dell'abrogazione, in Marti­ no A.A.-SOCCI Natali F. (a cura di), Analisi automatica dei testi giuridici: contributi al 2. Convegno intemazionale di logica, informatica, diritto: Firenze, 3-6 settem­ bre 1985, Milano; 1988 MODUGNO F., Abrogazione, ad vocem, EG, I; 2006 CARr lassare L, Abrogazione o incostituzionalità?: le risposte della Corte, in PACE A. (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale: nell'esperienza della rivista Giurisprudenza costituzionale per il cinquantesimo anniversario, Milano; 2011 Carnevale R, Dialogando con Franco Modugno sul fondamento dell’abro­ gazione e ... dintorni, in Studi Modugno, I; Corte cost, decisioni 1/1956; 49 e 73 del 1970; 13/2012. no

10. H principio di irretroattività della legge Le fonti, tutte le fonti, normalmente acquistano efficacia dopo la pub­ blicazione ed hanno effetto per tutte le fattispecie che si realizzeranno dal momento della entrata in vigore della fonte in avanti. Come si dice esse hanno efficacia ex nunc (cioè da ora), e non ex fune (cioè da allora, re­ troattivamente). La retroattività di una fonte, al contrario, significa che quella fonte può disciplinare fattispecie-comportamenti posti in essere an­ teriormente alla entrata in vigore della norma. Il principio di irretroattività costituisce un principio consolidato dello Stato di diritto. Esso è infatti collegato al principio della certezza del dirit­ to (poiché il cittadino deve poter porre in essere comportamenti in un quadro normativo conosciuto e non modificato a posteriori), al principio dell’affidamento del cittadino nei confronti dello Stato (che viene meno se un comportamento viene regolato in un certo modo e poi a posteriori in maniera diversa), in definitiva al principio che il cittadino nello Stato di diritto non è sottoposto al libero arbitrio dello Stato, ma alle regole che lo Stato stesso pohe, regole che debbono essere conosciute o quantomeno conoscibili (cosa che non si verifica per le norme retroattive). 89

Fonti dei diritto

Principio irretroattività posto da art. 11 preleggi

Costituzione pone principio irretroattività in materia penale

Retroattività legge favorevole

Nel nostro ordinamento, tuttavia, il principio di irretroattività della legge non è sancito a livello costituzionale (vedremo tra un momento cosa afferma la Costituzione al proposito) ma è disciplinato solamente nell’art. 11 delle “Disposizioni sulla legge in generale" dove si legge: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Da un punto di vista strettamente giuridico, quindi, questa norma non può imporre alla legge un divieto assoluto di retroattività. L’art. 11 delle preleggi, infatti, da un punto di vista formale, altro non è se non una legge ordinaria, che pertanto non può vincolare una altra legge ordinaria. Vice­ versa, poiché l’art. Ile contenuto in una legge ordinaria, le fonti inferiori alle leggi non possono essere retroattive poiché altrimenti sarebbero inva­ lide. Ad esempio, un regolamento del Governo non potrebbe essere re­ troattivo perché sarebbe contrario all’art. 11, che è una fonte superiore. La Costituzione, che potrebbe porre un vincolo insuperabile alla pos­ sibile retroattività della legge (se infatti vi fosse una esplicita previsione costituzionale al proposito la legge retroattiva sarebbe ovviamente incosti­ tuzionale) non prevede invece un generale principio di irretroattività. D 2° comma dell’art. 25 recita infatti: “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. La Costi­ tuzione, cioè, si limita a disciplinare il principio di irretroattività in rela­ zione alle leggi penali, stabilendo che la legge che prevede una sanzione penale deve essere necessariamente entrata in vigore prima del fatto com­ messo (e dunque non può essere retroattiva). Con la conseguenza che se vi fosse una legge penale retroattiva, essa sarebbe incostituzionale. Questo principio di irretroattività della legge penale deve poi essere in­ tegrato con il principio opposto della retroattività della legge penale più favorevole al reo. L’art. 2 del codice penale stabilisce infatti che “nessuno può essere pu­ nito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato”. Se cioè ima legge abroga una fattispecie di reato, questa legge si applica re­ troattivamente. Tale previsione è poi estesa dal 3° comma dello stesso ar­ ticolo alle ipotesi di mitigazione della pena, stabilendo che se la legge suc­ cessiva (che stabilisce la pena) è più favorevole al reo rispetto alla legge precedente, essa si applica retroattivamente. Le ragioni di queste previsioni sono da collegarsi alla funzione svolta nell’ordinamento dalla sanzione penale. Posto che l’ordinamento prevede che certi comportamenti costituiscano reato per il disvalore sociale che il comportamento stesso produce, se il disvalore sociale viene meno (poiché la legge ha abrogato il reato), o esso è considerato ridotto (poiché la legge ha diminuito la pena), chi è stato condannato non può continuare a subire gli effetti di un fatto che l’ordinamento non considera più illecito. Al di là di queste ipotesi relative alla irretroattività della legge penale e alla retroattività della legge penale favorevole al reo, tuttavia e come si è già rilevato, la Costituzione non pone limitazioni alla retroattività della 90

Norme giurìdiche e fonti del diritto

legge. Infatti, ancorché la retroattività di una legge possa essere considera­ ta un fenomeno contrario allo Stato di diritto, le leggi retroattive sono in qualche misura ineliminabili allorquando si tratti di tutelare obbiettivi in­ teressi generali. Per limitare gli effetti eccessivamente negativi delle leggi retroattive, tuttavia nel tempo si è formata una giurisprudenza della Corte costituzionale che ha sostenuto come tale principio costituisca un princi­ pio generale dell’ordinamento giuridico, derogabile dal legislatore stesso, ma sempre che esistano ragioni tali da rendere giustificata la deroga e purché la deroga sia “ragionevole”. Su questi aspetti ci soffenneremo nel paragrafo successivo.

1955 Azzariti G„ Il principio della irretroattività e i suoi riflessi di carattere costitu­ zionale, in RTDPCiv, 1955, 622 ss.; 1959 Paladin L, Appunti sul principio di irre­ troattività delle leggi, in FA, 946 ss.; 1970 Grottanelli de' Santi G„ Profili costitu­ zionali della irretroattività delle leggi, Milano; 1990 Caponi R.; La nozione di retroat­ tività della legge, in GC, 1332 ss.; 1990 Manetti M., Retroattività e interpretazione autentica: un brusco risveglio del legislatore, in GC, 963 ss.; 1990 Satta F., Irre­ troattività degli atti normativi, ad vocem, EG, XIX; 1990 Tarchi R., Le leggi di sana­ toria nella teoria dei diritto intertemporale, Milano; 1992 Crisci G., Irretroattività del­ la legge e legge interpretativa, in Studi Piga, II; 2006 Lorello L, La retroattività della legge nella giurisprudenza costituzionale, in Roggeri A. (a cura di), La ridefi­ nizione delia forma di governo attraverso la giurisprudenza costituzionale, Napoli; 2007 Luciani M., Il dissolvimento della retroattività. Una questione fondamentale del diritto intertemporale nella prospettiva delle vicende delle leggi di incentivazione economica, in G/, 2007, 1825 ss.; 2012 Caponi R., Retroattività delle leggi: limiti sostanziali v. limiti processuali nel dialogo tra le corti, in GC, 4232 ss.

11.11 nucleo di resistenza alla retroattività: rapporti esauriti, diritti quesiti, principio dell’affidamento / /

Se dunque la legge può essere retroattiva, quali sono i limiti alla sua re­ troattività? Altrimenti detto, vi sono situazioni che per il fatto di essersi de­ finite, concluse, o comunque divenute ormai appartenenti al patrimonio di un soggetto, sono divenute intangibili anche per una legge retroattiva? Anche se alcuni negano l’esistenza di limiti alla retroattività della legge, sulla base del fatto che una legge ordinaria, sin tanto che non viola la Co­ stituzione, ha sostanzialmente potere illimitato, deve ritenersi che i rap­ porti c.d. esauriti non siano modificabili dalla legge retroattiva. I rapporti esauriti, che ritroveremo anche a proposito dei limiti alla ef­ ficacia delle sentenze costituzionali di accoglimento (cfr. Parte III, Cap. 7, Par. 10), sono tùtte quelle situazioni divenute intangibili, perché non più azionabili in giudizio. I casi classici di rapporti esauriti sono il giudicato, quando cioè un giudizio ha esaurito tutti i gradi di giudizio o comunque è 91

Rapporti esauriti limite alla retroattività

Fonti del diritto

stata pronunciata una sentenza definitiva; oppure quando il diritto è pre­ scritto, sicché esso non può essere più esercitato; oppure quando ancora l’esercizio di un diritto è soggetto ad un termine di decadenza ed esso è spirato. In tutti questi casi la fattispecie giuridica è ormai definita e non può essere rimessa in gioco neppure attraverso ima legge retroattiva. Nel tentativo poi di individuare altri possibili limiti alla retroattività della leg­ ge, in ottica garantista per il cittadino, la dottrina specialmente lontana, ha cerca­ to di determinare ulteriori limiti dipendenti da rapporti non ancora esauriti ma semplicemente “quesiti”, cioè già “acquistati” al patrimonio del soggetto ma non ancora esercitati. Questi diritti “acquisiti” tuttavia non vengono menzionati in alcuna parte della Costituzione, né sono trattati nelle disposizioni preliminari al codice civile. Si può anche ricordare che in sede di assemblea costituente fu espressamente respinto un emendamento che vietava la retroattività nei confronti dei diritti quesiti e si rilevò anzi che si trattava di un limite superabile da parte del legislatore purché “con prudenza e col dovuto rispetto compatibile con il bene generale”. Il vero è che la teorizzazione di questi diritti si è sviluppata principal­ mente in ottica privatistica, e segnatamente in relazione al negozio giuridico. Il tentativo di trasferire questi concetti nell’ambito del diritto pubblico, operazione tentata dalla giuspubblicistica risalente nel tempo, si è di fatto scontrata con la legislazione di uno Stato interventista e con l’assenza giuridica di limiti alla re­ troattività della legge, che di fatto ha relegato le suggestioni del diritto quesito a mere aspettative non giuridicamente vincolanti. Il diritto quesito, che non ha trovato tra l’altro riferimenti espressi nella giuri­ sprudenza costituzionale, si è casomai trasformato nel “principio dell’affidamen­ to del cittadino” nella sicurezza giuridica (Corte cost. n. 446 del 2002). Retroattività e tutela dell'affidamento

Al di là dei rapporti esauriti, che costituiscono un limite certo alla re­ troattività della legge, si nota un tentativo da parte della Corte costituzio­ nale di collegare il divieto di retroattività al principio di tutela dell’affida­ mento del cittadino, che non può essere leso da disposizioni retroattive che trasmodino in una disciplina irrazionale di una situazione sostanziale fondata su leggi anteriori (Corte cost. n. 390 del 1995; n. 211 del 1997). La Corte costituzionale, cioè, ha legato il divieto di retroattività alla ra­ gionevolezza della legge (sul punto cfr. più ampiamente Parte III, Cap. VII, Par. 8.1), affermando ad esempio che il legislatore può ridurre trat­ tamenti pensionistici già in atto (che dunque non costituiscono diritti quesiti intoccabili) al fine di salvaguardare equilibri di bilancio e contene­ re la spesa previdenziale (Corte cost. n. 417 e 361 del 1996), purché il bi­ lanciamento degli interessi avvenga in maniera ragionevole tale da non comprimere sino ad eliminare il diritto in questione. I canoni della non arbitrarietà e della ragionevolezza svolgono dunque un ruolo di controllo sui limiti alla retroattività della legge. Se tuttavia questi canoni vengono rispettati la legge può incidere anche retroattiva­ mente su diritti di natura economica (Corte cost. n. 419 del 2000). 92

Norme giuridiche e fonti dei diritto

La giurisprudenza costituzionale sembra al proposito oramai consolidatasi. Con sentenza n. 160 del 2013 la Corte ha infatti affermato che: “l’eventuale por­ tata retroattiva della disposizione non è di per sé contraria a Costituzione purché non collida con l’art. 25, secondo comma Cost., non contrasti con altri valori co­ stituzionalmente protetti e trovi adeguata giustificazione sul piano della ragione­ volezza ... Quanto a tali limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali, è utile ricordare il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti interessa­ ti all’applicazione della norma; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridi­ co; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”.

1967 Fedele A., Rapporti pendenti e rapporti esauriti nell'applicazione retroattiva dell’imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, in Gl, 1967, 587 ss.; 1989 Grottanelli de' Santi G., Diritti quesiti (dir. cost.), ad vocem, EG, XII; 1997 Melis G., Interpretazione autentica, retroattività e affidamento del contri­ buente: brevi riflessioni su talune recenti pronunzie della Corte costituzionale, in RasT, 864 ss.; 1998 Caponi R., La sentenza della corte costituzionale sulle notifiche per posta: processi in corso e rapporti esauriti, in CG, 1430 ss.; 1998 Tor­ ricelli S., Le modifiche retroattive in peius della normativa pensionistica: il limite dell’affidamento, in DP, 777 ss.; 2001 Caianiello V., Il problema della retroattivi­ tà delle leggi e i principi della certezza e dell'affidamento, in Not, 345 ss.; 2002 Pugiotto A., Retroattività legislativa e affidamento delle parti processuali nella sicurezza giuridica, in Bin R. (a cura di), Rogatorie internazionali e dintorni: la legge n. 367 del 2001 tra giudici e Corte Costituzionale, Torino; 2006 Matucci G., Tutela dell'affidamento e retroattività ragionevole in un caso di interpretazione au­ tentica, in GC, 2543 ss.; 2008 BlNDl E., Diritti quesiti (dir. cost.), [postilla di ag­ giornamento], ad vocem, EG, XII; 2012 Carnevale R, / diritti, la legge e il princi­ pio di tutela del legittimo affidamento nell'ordinamento italiano: piccolo divertis­ sement su alcune questioni di natura definitoria, in Scritti Pace, II.

12. Sintesi del capitolo / Un ordinamento giuridico è costituito da un gruppo sociale organizza­ to ordinato secondo determinate regole. Gli ordinamenti giuridici posso­ no essere quindi numerosi. L’ordinamento statale è dotato di maggiore stabilità e quindi normalmente è anche dotato di regole più stabili e supe­ riori rispetto agli altri ordinamenti (Par. 1). Le norme giuridiche hanno le caratteristiche della esteriorità, generali­ tà e astrattezza, coattività e sanzionabilità (Par. 2). Le disposizioni sono costituite dagli enunciati normativi, mentre la norma giuridica è costituita dalla disposizione una volta che essa sia in­ terpretata (Par. 3). Le “Disposizioni sulla legge in generale" del 1942 prevedono norme

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Fonti del diritto

sulla interpretazione della legge e sulla applicazione della legge. Secondo tali norme la interpretazione può essere giudiziale, quando è svolta dal giudice nel corso di un giudizio, oppure può essere autentica, cioè effet­ tuata dallo stesso organo che ha emanato la disposizione (Par. 3.1). L’interpretazione giudiziale può essere soggettiva (si guarda alla volon­ tà dell’organo che ha emanato la norma) e oggettiva (si guarda allo scopo della norma). Quando non vi sia una norma che regola un caso concreto si ricorre all’interpretazione analogica, facendo riferimento a norme che regolano casi simili (analogia legis) o quando questo non sia possibile deve farsi riferimento ai principi generali del diritto (analogia iuris). Un caso particolare di interpretazione che fa riferimento ai principi generali del diritto è la interpretazione c.d. adeguatrice, che significa che il giudice, nell’interpretazione della legge, deve fare riferimento ai principi della Co­ stituzione, sollevando la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte costituzionale soltanto dopo aver tentato, senza successo, di inter­ pretare la norma in senso costituzionalmente conforme (Par. 3.2). La interpretazione analogica è esclusa per le leggi penali, le leggi spe­ ciali e eccezionali (Par.3.3). Le fonti del diritto contengono norme giuridiche e si distinguono pre­ liminarmente in fonti atto, espressioni di manifestazioni di volontà, e fonti fatto, espressione di comportamenti ripetuti nel tempo. Le fonti atto si distinguono in fonti di produzione (che producono effetti nei confronti di terzi), fonti sulla produzione (che pongono norme per la produzione di altre fonti), fonti di cognizione, che sono i documenti dove si rinvengono le fonti (Par. 4). Nelle Costituzioni contemporanee le fonti sono molte (c.d. pluralismo delle fonti) e debbono essere ordinate in maniera tale che tra di esse non vi siano contraddizioni (Par. 5). Il primo principio che regola il rapporto tra fonti diverse è il principio di gerarchia. Il sistema delle fonti è ordinato gerarchicamente sulla base della forza delle fonti. Superiore a tutte le fonti è la Costituzione; poi vi sono le fonti di primo grado (leggi ed atti con forza di legge); poi le fonti di secondo grado (i regolamenti governativi); quindi le fonti di terzo gra­ do (i regolamenti ministeriali); infine le fonti fatto (i comportamenti che danno vita a consuetudini) (Par. 6). Accanto al principio di gerarchia negli ordinamenti contemporanei si è sviluppato il c.d. principio di competenza. Si ha principio di competenza quando la Costituzione attribuisce una determinata materia alla competen­ za di una fonte. Ciò implica che quella fonte è sottratta al principio di ge­ rarchia perché è l’unica fonte che può disciplinare quella materia (Par. 7). Una fonte che non è conforme alle norme procedimentali che regolano la sua produzione è una fonte invalida. Una fonte è illegittima quando, pur essendo conforme alle norme procedimentali che regolano la sua produzione, è però contrastante, in relazione al contenuto, con una nor­ 94

Norme giuridiche e fonti del diritto

ma gerarchicamente superiore. Le fonti invalide e illegittime possono es­ sere annullate da un giudice diverso a seconda del tipo di fonte (la Corte costituzionale se si tratta di leggi, i giudici della giurisdizione amministra­ tiva se si tratta di fonti secondarie). L’annullamento normalmente ha ef­ fetto retroattivo (Par. 8). Quando due fonti hanno la stessa forza vale il principio secondo il quale la fonte posteriore abroga la fonte anteriore. L’abrogazione non eli­ mina la norma, ma ne circoscrive soltanto la sua efficacia sino al momento della entrata in vigore della norma abrogante. Ciò significa che i rapporti che temporalmente siano sorti in vigenza della norma poi abrogata, conti­ nuano ad essere regolati dalla norma abrogata e non dalla nuova.' La abro­ gazione si distingue in abrogazione espressa (quando la nuova legge affer­ ma espressamente quali sono le norme abrogate); abrogazione tacita (quan­ do la nuova legge pone norme incompatibili con quelle contenute in una legge precedente); abrogazione implicita (quando la nuova legge regola in maniera diversa l’intera materia) (Par. 9). Il principio di irretroattività della legge è disciplinato nell’art. 11 delle ‘'Disposizioni sulla legge in generale”. Trattandosi di una norma ordinaria questa non vincola le fonti di primo grado che pertanto possono essere retroattive, mentre vincola le fonti di secondo grado. La Costituzione prevede il divieto di retroattività solo per le norme penali. Essa stabilisce altresì la retroattività della norma penale più favorevole al reo (Par. 10). Le leggi retroattive incontrano il limite dei rapporti esauriti (sentenze passate in giudicato, prescrizione, decadenza). Se il rapporto non è esauri­ to la legge può disciplinare situazioni giuridiche già sorte, rispettando tut­ tavia il principio di ragionevolezza e di tutela dell’affidamento del cittadi­ no (Par. 11).

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Capitolo II LA CENTRALITÀ DELLA LEGGE NELLA COSTITUZIONE SOMMARIO: 1. La centralità della legge nella Costituzione: il principio della prefe­ renza della legge. - 2. Un primo effetto della centralità della legge: il principio di legalità nella sua generale accezione. - 2.1. Legalità formale e legalità sostanziale. 3. Le riserve di legge: garanzia dei diritti e limitazione del potere esecutivo. - 3.1. Ri­ serve di legge e atti con forza di legge. - 3.2. Riserve assolute, rinforzate, relative. 4. H procedimento legislativo: gli obbiettivi costituzionali. - 4.1. La fase della ini­ ziativa. - 4.2. La fase decisoria: il procedimento in sede referente o ordinario. -4.3. H procedimento in sede deliberante o in commissione. -4.4. Il procedimento in se­ de redigente. - 4.5. Un vincolo importante al potere decisionale del Parlamento: la copertura finanziaria delle leggi. - 4.6. La promulgazione. - 4.6.1.1 caratteri del rin­ vio presidenziale. - 4.7. La pubblicazione. - 5. La destrutturazione della forma della legge: le leggi rinforzate. - 5.1. Perché le leggi rinforzate? - 6. La destrutturazione della legge per contenuto: le leggi provvedimento e le leggi “a basso contenuto di generalità e astrattezza”. - 7. Sintesi del capitolo.

1. La centralità della legge nella Costituzione: il principio della preferenza della legge In ogni modello costituzionale la legge occupa la prima posizione nel sistema gerarchico delle fonti, perché espressione del Parlamento, organo direttamente rappresentativo della sovranità popolare. Sulla base del principio della separazione dei poteri spetta infatti all’organo legislativo disporre norme generali ed astratte, mentre spetta al Governo e alla Amministrazione provvedere in concreto per attuare quelle disposizioni. La distinzione tra disporre e provvedere è anche ciò che distingue la norma giuridica generale ed astratta - dal provvedimento amministra­ tivo - puntuale e concreto - e costituisce la prima ragione del primato della legge sulle altre fonti (cfr. Parte II, Cap. I, Par. 2). Generalità e astrattezza della legge, inoltre, costituiscono requisiti implicitamente col­ legati alla tutela del principio di eguaglianza. Se la legge contiene norme generali ed astratte ciò implica che le previsioni ivi contenute sono ten­ denzialmente eguali per tutti, cosicché la legge costituirebbe una garan­

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Generalità astrattezza e primato della legge

Fonti del diritto

Generalità e astrattezza della legge e principio di eguaglianza

... negli Stati liberali

... negli Stati costituzionalisociali

zia, sia pure meramente formale, di un eguale trattamento normativo. Questo collegamento tra generalità ed astrattezza della legge e tutela del principio di eguaglianza ha assunto tuttavia sfumature diverse nella storia, in correlazione con il mutare della composizione del Parlamenti e della loro base sociale. Nel pensiero rivoluzionario francese la legge era considerata la fonte più importante, perché da un lato si riteneva che il popolo, inteso come corpo unitario, attraverso la legge potesse assumere decisioni che riguardavano se stesso, mentre dall’altro lato la volontà del legislatore sarebbe stata in grado di superare gli interessi particolari e di sintetizzare nella norma legislativa la volontà generale. La generalità e la astrattezza della legge si abbinava dunque a questa visione unitaria del popolo, e costituiva strumento per garantire la parità di trattamento in ap­ plicazione del principio di eguaglianza. Negli Stati liberali dell’ottocento, invece, in presenza di un suffragio ristret­ to, la legge tendeva a rappresentare gli interessi di quella classe sociale rappre­ sentata in Parlamento, e svolgeva la funzione di tutelarne i diritti nei confronti del Sovrano e delle altre classi sociali che invece al Parlamento non avevano accesso. La legge era ancora la fonte più importante, ma in quel diverso con­ testo storico e sociale i principi della generalità e della astrattezza servivano a garantire gli interessi della borghesia, più che il principio di eguaglianza. Negli Stati costituzionali-sociali del dopoguerra, caratterizzati dal suf­ fragio universale e da Parlamenti frazionati in partiti politici diversi, espres­ sione di interessi sociali distinti, la legge è la espressione di una maggioran­ za politica, normalmente coincidente con la maggioranza di Governo. In questa fase storica gli interessi selezionati dalla legge non pretendono di es­ sere gli interessi di tutti, come nella concezione roussoiana, in virtù di una supposta unitarietà della volontà popolare, né sono gli interessi di una clas­ se sociale contrapposta ad altre, come nello Stato liberale ottocentesco. La legge vorrebbe perseguire gli interessi di tutti - perché i partiti so­ no oramai interclasse - ma secondo la visione politica della maggioranza che si è formata in quel determinato momento. Inoltre, dato che gli Stati sono definibili come Stati sociali, e perseguono anche il fine di rimuovere le diseguaglianze all’interno della società (c.d. eguaglianza sostanziale), la generalità e l’astrattezza della legge non è sufficiente per raggiungere tale obbiettivo. Generalità e astrattezza costituiscono infatti una garanzia for­ male dell’eguaglianza: trattare tutti in maniera eguale non comporta affat­ to la rimozione delle diseguaglianze esistenti, che invece, ed al contrario, possono essere rimosse proprio attraverso un trattamento normativo di­ versificato laddove le situazioni siano diverse. Per perseguire questo sco­ po lo Stato sociale tende dunque a produrre leggi che potremmo definire a generalità e astrattezza attenuata, perché spesso riferibili a situazioni particolari, o a determinate categorie di cittadini. Per questo insieme di ragioni, in senso generale storiche e collegate al­ la funzione garantistica della legge, la Costituzione del 1948 considera la

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La centralità della legge nella Costituzione

legge come la fonte più importante e condizionante le altre fonti. Questa collocazione ha svariate conseguenze giuridiche: al primato della legge sono collegati infatti il principio di preferenza della legge, il principio di legalità, le riserve di legge. Preferenza significa che la legge è ima fonte tendenzialmente a compe­ tenza generale, nel senso che non incontra limiti di materia, fatto salvo per quelle materie che la Costituzione attribuisce espressamente ad altra fonte. Nel nostro ordinamento, infatti, mentre vi sono moltissime materie che sono espressamente riservate alla disciplina della legge, dove sono escluse fonti di provenienza del potere esecutivo (vedi i paragrafi seguenti sulle riserve di legge), non esiste il parallelo e contrapposto principio della riserva di amministrazione. Non esiste cioè il principio che il potere ese­ cutivo e la Pubblica Amministrazione hanno una sfera di normazione ri­ servata dalla quale è escluso l’intervento del Parlamento.

Preferenza della legge

La Corte costituzionale ha al proposito più volte sostenuto la inesistenza di una riserva di atto amministrativo: “nessuna disposizione costituzionale ... com­ porta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto par­ ticolare e concreto” (Corte cost. n. 85 del 2013).

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2. Un primo effetto della centralità della legge: il principio di lega­ lità nella sua generale accezione n principio di legalità costituisce uno dei cardini fondamentali dello Stato di diritto. Nel suo significato fondamentale legalità significa che il potere amministrativo è sottoposto alle leggi, e che quindi queste ultime costituiscono un vincolo alle modalità di esercizio del potere amministra99

Principio legalità implica che atti...

Fonti del diritto

... Pubblica Amministra­ zione siano sottoposti alla legge

tivo. L’apparato pubblico dello Stato (Governo, Pubblica Amministra­ zione), non può dunque porre in essere atti se non in applicazione di norme giuridiche che, in qualche misura, vincolano l’esercizio del potere, rendendolo prevedibile, e, almeno in teoria, controllabile. Ogni atto della Pubblica Amministrazione deve quindi trovare fondamento in una norma di legge, cosicché non possano darsi atti dei pubblici poteri che allarghino o restringano situazioni soggettive dei privati senza uh fondamento legi­ slativo. fl principio di legalità affonda le sue radici nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato di diritto democratico. Nella monarchia assoluta gli intendenti del Re (la nostra Pubblica Amministrazione) erano al di sopra della legge, e ciò costitui­ va un diretto riflesso del Sovrano “legtbus solutus”, a sua volta conseguenza di una sovranità che non traeva origine da un altro potere ma che era considerata trascendente. Quando la rivoluzione francese distrusse l’Ancien Régime e lo Sta­ to assoluto, instaurando l’opposto principio della sovranità popolare, ne discese come conseguenza logica che tutti i poteri dello Stato dovevano essere sottoposti alle leggi, espressione diretta della sovranità popolare.

Principio legalità implicito in Costituzione

Gli atti della Pubblica Amministrazione debbono dunque trovare fon­ damento nella legge perché la legge è in qualche misura espressione degli interessi dei cittadini stessi, cosicché principio di legalità, stato democrati­ co, garanzia nei confronti del potere esecutivo, sono tra loro strettamente legati. Nella nostra Costituzione, tuttavia, non vi è alcuna norma che espressamente faccia riferimento al principio di legalità (una tale previ­ sione esiste invece nella Costituzione tedesca, dove una norma impone espressamente al legislatore di determinare il “contenuto”, lo “scopo” e la "misura” dei poteri conferiti all’esecutivo). Nondimeno il principio di legalità è da considerarsi implicito nella Co­ stituzione. Esso affonda le sue radici nel principio democratico, codificato nell’art. 1 della Costituzione, nel principio di supremazia della legge, deli­ neato negli artt. 70 e ss., nel principio che il Governo non ha una legitti­ mazione originaria, ma derivata e conseguente al rapporto di fiducia con il Parlamento come previsto nell’art. 92, nell’art. 101 che prevede che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

1961 Bachelet V., Legge, attività amministrativa e programmazione economica, in GC, 904 ss.; 1962 Amato G., Rapporti fra norme primarie e secondarie, Mila­ no; 1962 CrisafulliV., Principio di legalità e "giusto procedimento", in GC, 133 ss.; 1966 Carlassare L, Regolamenti dell'esecutivo e principio di legalità, Pa­ dova; 1969 Mortati C.r Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova; 1969 Satta F., Principio di legalità e pubblica amministrazione nello Stato democratico, Padova; 1970 Sandulli A.M., L'attività normativa della pubblica amministrazione, Napoli; 1971 Crisafulli V., Lezioni dì diritto costituzionale, Padova; 1973 Fois S., Lega­

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2.1. Legalità formale e legalità sostanziale Detto che l’essenza del principio di legalità consiste nella limitazione il problema del potere esecutivo attraverso la legge, e che dunque non può essere dell'estensione emanato alcun atto di questi senza un previo fondamento legislativo, did'

viene importante determinare “l’intensità” di questo principio, o in altre parole, “quanto” la legge debba vincolare la Pubblica Amministrazione. La risposta a questo interrogativo è importante, perché dalla latitudine del principio di legalità derivano implicazioni sia in ordine alle relazioni tra la fonte legge e le fonti che vengono prodotte dal Governo e dalla Pubblica Amministrazione, sia in ordine all’ampiezza del potere discre­ zionale di quest’ultima nell’esercizio del potere (tanto più ampio quanto più debole sarà l’interpretazione del principio di legalità), sia in ordine ai rapporti tra Parlamento e Governo, cop effetti, in definiva, sul modello della forma di Governo. In genere il principio di legalità può essere inteso: a) come non contrarietà alla legge degli atti emanati dalla Pubblica Amministrazione. In questo caso il significato del principio di legalità è inteso in senso molto debole, poiché la Pubblica Amministrazione potrà sempre emanare atti anche laddove manchi una legge, purché questi non contrastino con le norme legislative; b) come necessità di una norma legislativa che attribuisca alla Pubblica Amministrazione il potere di produrre norme. In questo caso la legalità è intesa in senso più forte, poiché occorre sempre una legge che deter­ mini e attribuisca il potere di emanare norme. Questo “tipo” di legalità è detta legalità formale, perché si sostanzia nella mera attribuzione del po-

101

... non

^trarietà

... attribuzione del potere

Fonti del diritto

tere, non richiedendosi infatti che la legge ponga alcun vincolo di conte­ nuto nei confronti degli atti emanati dal potere esecutivo; c) come necessità di una norma legislativa che, oltre ad attribuire alla ... vincolo di contenuto Pubblica Amministrazione il potere di produrre norme, ne vincoli il con­ tenuto. La legalità in questo caso è detta, sostanziale, poiché la legge non si limita ad attribuire il potere, ma, stabilendo vincoli di contenuto nei confronti degli atti secondari, limita l’esercizio del potere discrezionale della Pubblica Amministrazione.

H significato attribuito al principio di legalità ha un notevole impatto sul sistema delle garanzie per il cittadino. Se si accogliesse il significato espresso sub a) gli atti della Pubblica Amministrazione, emanati in assenza di una norma legislativa che attri­ buisca il potere, sarebbero sindacabili solo in presenza di un contrasto con le fonti superiori. Non vi sarebbe infatti alcuna norma legislativa a circoscrivere e delimitare il potere della Pubblica Amministrazione. Se si accogliesse il significato sub b), cioè del principio di legalità in senso formale, gli stessi atti della Pubblica Amministrazione sarebbero sindacabili, oltre che per contrasto con le norme costituzionali, nel solo caso in cui la Pubblica Amministrazione emanasse atti al di fuori della propria competenza, (vizio di incompetenza). Se si accogliesse il significato sub c), cioè del principio di legalità in senso sostanziale, gli atti della Pubblica Amministrazione sarebbero sin­ dacabili, oltre che per il vizio di incompetenza, anche per altri vizi di le­ gittimità relativi al contrasto di contenuto tra la norma emanata dalla Pubblica Amministrazione e la norma legislativa. Dal punto di vista delle garanzie giurisdizionali del cittadino quest’ultimo significato appare cer­ tamente il più garantista, poiché la legge dispiegherebbe compiutamente le sue funzioni di vincolare l’esercizio del potere amministrativo. La questione della accezione del principio di legalità si intreccia con la forma di Governo. Molti ritengono infatti che il principio di legalità in senso sostanziale avesse la sua ragion d’essere principalmente nella fase storica delle monarchie dualiste, dove la diversa legittimazione del Governo da un lato e la mancanza di meccanismi di razionalizzazione tra Parlamento e Governo dall’altra, rendevano necessario un controllo sull’operato dell’esecutivo attraverso la legge del Parla­ mento. In una fase storica nella quale il dualismo dell’età liberale è stato supera­ to, ed in presenza di meccanismi di controllo del Parlamento sul Governo, questi ulteriori vincoli agli atti della Pubblica Amministrazione attraverso la norme legi­ slative che ne indirizzano il contenuto non sarebbero più necessari. Al contrario la eccessiva pervasività della legge rischierebbe di spostare eccessivamente gli equilibri della forma di Governo sul Parlamento, a discapito della coerenza e del­ l’efficacia dell’indirizzo politico del Governo.

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La centralità della legge nella Costituzione

In relazione al nostro ordinamento, escluso il significato debolissimo di cui sub a) si è a lungo discusso se la legalità, dovesse intendersi in senso formale o sostanziale. La Corte costituzionale ha ritenuto che il principio di legalità debba in­ tendersi in entrambi i sensi (formale e sostanziale). La Corte ha al proposito sottolineato che non possono essere attribuiti poteri agli organi dell’ese­ cutivo senza che la legge abbia provveduto a circoscrivere sufficientemente la discrezionalità, poiché altrimenti vi sarebbe una sottrazione “al sindacato del giudice della legittimità degli atti amministrativi” (Corte cost. n. 12 del 1963). Tale principio è stato ribadito con una successiva sentenza nella qua­ le si precisa che, perché sia salvaguardato il principio di legalità, è necessa­ ria una disposizione legislativa che “in apposita considerazione della mate­ ria vincoli e diriga la scelta del Governo” (Corte cost. n. 150 del 1982). La norma legislativa, cioè, deve contenere principi o indirizzi generali, la cui apposizione sia in grado di limitare la discrezionalità del Governo in manie­ ra da poter consentire l’esercizio di un sindacato giurisdizionale sull’eser­ cizio della discrezionalità amministrativa. Come è stato detto più recentemente “non è sufficiente che il potere sia fina­ lizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mante­ nere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione ammini­ strativa” (Corte cost. n. 115 del 2011).

1910 Donati D„ La forza formale della legge, ora in Scritti di diritto pubblico, II, Padova, 1966; 1982 MARZUOLl C., Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano; 2000 PlNELLl C. (a cura di), Amministra­ zione e legalità: fonti normative e ordinamenti: atti del Convegno, Macerata, 21 e 22 maggio 1999, Milano; 2001 Bassi N., Principio di legalità e poteri amministra­ tivi impliciti, Milano; 2009 Merlisi E, Sentieri interrotti della legalità: La decostru­ zione del diritto amministrativo, Bologna. /

3. Le riserve .di legge: garanzia dei diritti e limitazione del potere esecutivo Se il principio di legalità costituisce un vincolo all’esercizio dell’attività discrezionale del Governo e della Pubblica Amministrazione, con la riser­ va di legge la Costituzione esclude invece che certe materie siano regolate da una fonte diversa dalla fonte legislativa. Con la riserva di legge, si dice usualmente, la Costituzione attribuisce la competenza a disciplinare una certa materia alla fonte legge. In verità questa definizione non è del tutto precisa: la legge nella no103

Legalità formale o sostanziale

La legge deve limitare la discrezionalità del Governo

Fonti del diritto

Definizione di riserva di legge

stra Costituzione ha già la competenza a disciplinare qualunque materia principio di preferenza della legge - salvo che la Costituzione gli imponga dei limiti (come accade per le leggi costituzionali o i regolamenti parla­ mentari ed anche le leggi regionali). Dunque la riserva di legge non svolge la sola funzione di attribuire alla legge una competenza che essa non avrebbe (perché la competenza esiste già) ma ha bensì lo scopo ulteriore di attribuire alla legge l’obbligo di disciplinare quella materia - qualora essa debba essere normata - e di escludere da quella stessa materia l’in­ tervento da parte di altre fonti. Questa impostazione tradizionale è stata messa in crisi dalla modifica del siste­ ma regionale che ha previsto per la legge regionale una competenza tendenzialmen­ te generale e per la legge del Parlamento ima competenza solamente su determinate materie. Tuttavia, come si dirà più approfonditamente nella parte dedicata alle Re­ gioni (Parte II, Cap. V, Par. 10) la Corte costituzionale ha rigettato questa tesi, por­ tando nuovamente ad ampliare la competenza del legislatore statale.

Riserva di legge e garanzia di diritti

Quando la Costituzione pone una riserva di legge, ciò significa dunque che quella materia non può essere disciplinata da nessuna altra fonte se non dalla legge. Dall’obbligo posto in capo alla legge di disciplinare la materia riservata consegue di riflesso, per le fonti secondarie, un obbligo negativo di non intervento. La ratio della riserva di legge consiste infatti nell’escliidere che nelle materie riservate possa intervenire una fonte se­ condaria come il regolamento governativo. La Costituzione è ricca di riserve di legge collocate specialmente nella prima parte relativa ai diritti fondamentali. Attraverso la riserva di legge la Costituzione riconosce e quindi costituzionalizza un determinato diritto, attribuendo contemporaneamente alla fonte legge la disciplina di detta­ glio della materia e il potere di porre limitazioni al suo esercizio. Ad esem­ pio l’art. 13 della Costituzione recita: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Nei soli casi e modi previsti dalla legge costituisce la riserva di legge, con ciò in­ tendendosi che la materia della limitazione della libertà personale è riser­ vata alla legge. Formulazione analoga la ritroviamo nell’art. 14 relativo alla libertà di domicilio: “il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni e perquisizioni o sequestri se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”. Anche in questo caso nei soli casi e modi stabiliti dalla legge costituisce la riserva di legge, poiché la limitazione al diritto costituzionalmente ricono­ sciuto può avvenire solo attraverso la legge. La riserva di legge è pertanto collegata alla garanzia dei diritti. E que­ sto modello è completato dalla presenza di altre riserve di legge poste 104

La centralità della legge nella Costituzione

laddove si tratti di disciplinare organi e-o istituzioni che con quei diritti vengono necessariamente a contatto, come ad esempio la magistratura (artt. 101 e 108 della Costituzione) oppure la Pubblica Amministrazione (art. 97 della Costituzione). Ma perché la legge garantirebbe i diritti mentre le fonti secondarie non avrebbero la medesima efficacia? L’istituto della riserva di legge ha origini storiche molto lontane, ed è collegato alla progressiva crescita del potere del Parlamento nei confronti del Sovrano e del Governo, conseguenza della diversa legittimazione del­ l’uno (Parlamento) nei confronti degli altri (Governo e Sovrano). Il primo organo rappresentativo del popolo (sia pure, almeno sino al primo dopo­ guerra parzialmente rappresentativo, dato il suffragio limitato), i secondi non elettivi e quindi non rappresentativi. La riserva di legge costituiva al­ lora la garanzia che su certe materie deliberasse il Parlamento, e questo di per sé implicava, in conseguenza del meccanismo rappresentativo, una maggiore garanzia per i cittadini. Già la Magna Charta del 1215 imponeva il consenso del Parlamento per ogni limitazione alla libertà e ai beni degli “uomini liberi”. Nel Bill of Rights del 1689, frutto della gloriosa rivoluzione, è codificato il divieto di imporre tributi e presta­ zioni senza il consenso del Parlamento; nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, conseguenza della rivoluzione francese, i limiti alla libertà non possono essere stabiliti che dalla legge “espressione della volontà generale”, Nel periodo liberale, quando la legge era espressione di un Parlamento sostanzialmente monoclasse - in conseguenza del suffragio ristretto la sola borghesia costituiva la classe sociale rappresentata in Parlamento - la legge rappresentava una garanzia per la tutela di alcune classiche libertà che stavano a cuore a quella classe. Vi è da chiedersi tuttavia se questo argomento, che abbiamo visto risalire alla storia dei Parlamenti e che aveva una sua indiscutibile ragion d’essere nella mo­ narchia dualista, caratterizzata dalla contrapposizione tra Parlamento da una par­ te e Sovrano e Governo dall’altra, sia ancora valido nelle forme parlamentari mo­ derne. In altre parole quando le forme di Stajo da dualiste - cioè basate su organi contrapposti - si trasformano in moniste - cioè basate su di una medesima legit­ timazione fondata sulla sovranità popolare - è ancora valido il principio della ri­ serva come strumento necessario di garanzia? E vero infatti che mentre nel passa­ to vi era da una parte disomogeneità tra maggioranza parlamentare e. Governo (giusta la diversa legittimazione), e dall’altra parte una pressoché totale assenza di meccanismi formalizzati di controllo del Parlamento sull’esecutivo, nelle forme parlamentari moderne la maggioranza parlamentare è normalmente omogenea alla maggioranza governativa, e inoltre vi sono meccanismi formalizzati di con­ trollo del Parlamento nei confronti del Governo. Questo a maggior ragione quan­ do il sistema elettorale sia di tipo maggioritario, posto che in quel caso l’elettore vota già per una colazione di Governo. Dunque a prima vista l’esigenza della ri­ serva di legge come garanzia nei confronti del Governo parrebbe venire meno, poiché i due organi hanno la stessa legittimazione popolare - anche se la legitti­ mazione del Governo è indiretta attraverso la fiducia del Parlamento - e vi sono

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Riserva di legge garanzia dei Parlamento

Fonti del diritto

meccanismi articolati di controllo e se del caso di sfiducia che il Parlamento può attivare nei confronti del Governo. Questi argomenti hanno certamente un loro fondamento, tanto che le ragioni storiche della riserva di legge (la contrapposizione tra Governo e Parlamento) si sono progressivamente perse nelle forme di Stato contemporanee. Tuttavia, per le ragioni che si diranno, la riserva di legge nell’ambito dei diritti fondamentali e nelle istituzioni costituzionali rimane un presidio garantistico insostituibile.

Riserva di legge garanzia deile minoranze

Oggi, nelle forme parlamentari moderne, il Governo, espressione della maggioranza parlamentare, non è dualisticamente contrapposto al Parla­ mento, e dunque la ratio della riserva di legge non sta più nella difesa del Parlamento rispetto al Governo. In questo contesto la riserva di legge ten­ de invece a trasformarsi in strumento di garanzia delle minoranze parla­ mentari: esse possono dissentire dal contenuto di una legge sino a bloc­ carne l’approvazione, o comunque possono indurre la maggioranza ad una sua modifica. In ogni caso la pubblicità del procedimento legislativo ren­ de possibile un controllo sulla legge da parte dell’opinione pubblica, con­ trollo che non sarebbe possibile per atti adottati dal Consiglio dei ministri o addirittura da una Pubblica Amministrazione. In definitiva, il principio di preferenza della legge, il principio di lega­ lità, la previsione di riserve di legge, costituiscono un limite al potere del Governo e della Pubblica Amministrazione derivante dal carattere rap­ presentativo del Parlamento, ma con accezioni e finalità diverse. Il principio della preferenza della legge implica la competenza generale di questa fonte. Essa è finalizzata a disporre, cioè a porre norme generali ed astratte, ma nulla le vieta di poter anche provvedere, cioè di adottare con la forma della legge atti che sono invece determinati e concreti (cioè sostanzialmente atti amministrativi). Il principio di legalità svolge la funzione di limitare la discrezionalità del potere dell’esecutivo (Governo e Pubblica Amministrazione) dato che la legge deve sia attribuire il potere sia vincolarne l’esercizio. La riserva di legge invece svolge la funzione, diversa, di escludere da una determinata materia la normazione derivante da una fonte secondaria.

1957 Sandulli A.M., Legge, forza di legge e valore di legge, in RTDP, 299 ss.; 1963 Fois S., La riserva di legge, Milano; 1969 Di Giovine A., Introduzione allo studio della riserva di legge nell'ordinamento costituzionale italiano, Torino; 1975 Quadri G., La forza di legge, Milano; 1977 Sorrentino E, Lezioni sulla riserva di legge, Genova; 1989 Balduzzi R.-Sorrentino F., Riserva di legge, ad vocem, ED, XL; 1990 Carlassare L„ Legge (riserva di), ad vocem, EG, XVIII; 1994 Guastini R., Legge (riserva di), ad vocem, DDP, IX; 2010 Lupo N., Dalla legge al regolamento: Lo sviluppo della potestà normativa del Governo nella disciplina delle pubbliche amministrazioni, Bologna; 2011 FiandacaG., Crisi della riserva di legge e disagio della democrazia rappresentativa nell'età del protagonismo giuri­ sdizionale, in Criminalia, 79 ss.

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La centralità della legge nella Costituzione

3.1. Riserve di legge e atti con forza di legge Si è sino ad ora trattato della riserva di legge contrapponendo la legge del Parlamento alle foriti secondarie e segnatamente al regolamento del Governo. Ma poiché il nostro sistema costituzionale non prevede solo la legge a livello delle fonti primàrie, ma anche altri atti “aventi forza di leg­ ge” di natura governativa, quali i decreti legge (art. 77) e i decreti legisla­ tivi (art. 76), è lecito domandarsi se la riserva di legge escluda la possibili­ tà che tali fonti di provenienza governativa - ancorché con “forza di leg­ ge” - possano disciplinare la materia riservata. Se si guarda a quanto sin ora sostenuto, e cioè che la riserva di legge costituisce una garanzia che si fonda sulla rappresentanza del Parlamento, che essa costituisce altresì una garanzia del pluralismo (posto che le mino­ ranze sono presenti in Parlamento ma non nel Consiglio dei ministri), che tale garanzia è ulteriormente assicurata dal procedimento legislativo che è caratterizzato da un elevato grado di trasparenza e di dialettica, la risposta logica e conseguente dovrebbe essere negativa. Perché infatti dovrebbe esservi l’esclusione sulla materia riservata del solo regolamento del Go­ verno e non invece di altri atti, emanati anche essi dal Governo, che addi­ rittura hanno forza maggiore del regolamento? Nel modello costituziona­ le per riserva di legge dovrebbe intendersi, in effetti, riserva della sola fon­ te “legge formale” del Parlamento. È bene rilevare subito, tuttavia, che questa opinione, logica e conse­ guente nel modello della Costituzione del 1948, non ha avuto l’avallo del­ la opinione dominante e soprattutto della Corte costituzionale. L’argo­ mento prevalente a favore della possibilità per gli atti con forza di legge di intervenire nelle materie riservate, sta nel fàtto che vi è sempre un inter­ vento della legge, che nel decreto legislativo è a monte attraverso la legge di delegazione, mentre nel decreto legge èi a valle attraverso là legge di conversione. E tuttavia questi argomenti tjón sono pienamente convincen­ ti, posto che nel decreto legge la conversione dovrebbe avvenire entro 60 giorni ma la prassi della reiterazione consente di fatto un termine assai più lungo, mentre nel decreto legislativo i principi e i criteri direttivi delle de­ leghe sono, ancora nella prassi, di notevolissima ampiezza (cfr. Parte II, Cap. Ili, Par. 2.1). La prassi costante, che considera gli atti con forza di legge del Governo legittimati a disciplinare le materie riservate alla legge, ha comunque posto un punto fermo sulla questione.

1958 Sandulli A.M., Legge, forza di legge e valore di legge, in Scritti Calaman­ drei, V; 1975 Quadri G., La forza di legge, Milano; 1999 Malfatti E., Rapporti tra deleghe legislative e delegificazioni, Torino; 1999 Malfatti E., Riserva di leg­ ge e sindacabilità del vizio di eccesso di delega, in FI, 3623 ss.; 2004 CARLASSA-

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Fonti del diritto

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3.2. Riserve assolute, rinforzate, relative

Riserva assoluta

Riserva rinforzata

A seconda delle loro caratteristiche, e in particolare modo del loro rapporto con le fonti secondarie e con i vincoli costituzionali, le riserve di legge si distinguono in riserve di legge assolute, rinforzate, relative. Sono riserve di legge assolute quelle riserve che attribuiscono solo alla legge la disciplina puntuale della materia riservata. Esse escludono cate­ goricamente la possibilità di un intervento integrativo da parte del rego­ lamento governativo. Nel caso delle riserve assolute, infatti, siamo nel “cuore” delle libertà fondamentali, dove l’esigenza di garanzia è avvertita in maniera così forte dalla Costituzione da non consentire neppure un in­ tervento di integrazione che non sia effettuato con atto avente forza di legge. L’esempio classico è il già citato art. 13 della Costituzione dedicato alla libertà personale. “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Quando la Costitu­ zione afferma che l’intervento in materia di limitazione della libertà per­ sonale può avvenire nei soli casi e modi previsti dalla legge, questa statui­ zione vuol significare che nessuna altra fonte può intervenire a disciplinare la materia. La legge deve essere completamente pervasiva e la materia integralmente disciplinata da una fonte primaria. La riserva di legge rinforzata prevede non solo che una determinata materia sia disciplinata dalla legge, come nella riserva di legge assoluta, ma anche che la legge debba rispettare determinati vincoli costituzionali. La riserva di legge rinforzata è dunque possibile in presenza di ima Costi­ tuzione rigida, che essendo fonte superiore alla legge, può vincolare quest’ultima a perseguire fini o a rispettare obblighi. Un esempio classico del­ la riserva di legge rinforzata si rinviene nell’art. 16 della Costituzione, de­ dicato alla libertà di circolazione. Recita la norma: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio naziona­ le, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. Oltre a prevedere una riserva di legge in ordine alla limitazione alla libertà di circolazione, la Costituzione pone in questa norma anche un rinforzo: le limitazioni debbono avvenire in via generale e per i motivi indicati nella stessa Costituzione, cioè per ragioni di sanità o di sicurezza. 108

La centralità della legge nella Costituzione

La riserva di legge relativa si ha, al contrario, quando la Costituzione Riserva riserva alla legge la disciplina (di una determinata materia, ma consente al­ relativa tresì che quella disciplina sia integrata da una fonte secondaria. La Corte costituzionale ha in varie decisioni ammesso la esistenza di questa forma di riserva, anche se la demarcazione tra ciò che deve essere contenuto nel­ la legge e ciò che può essere lasciato al regolamento rimane un dato incer­ to. In linea generale può comunque dirsi che nei casi di riserva relativa spetta alla legge stabilire le linee fondamentali della materia da regolarsi, mentre spetta al regolamento integrare quelle linee. Le riserve di legge relative' si rinvengono in quella parte della Costitu­ zione che non tratta propriamente dei diritti fondamentali, e dunque dove le esigenze di garanzia sono considerate in qualche misura inferiori. Un esempio classico di riserva di legge relativa la si ritrova nell’art. 23 della Costituzione che stabilisce che; “nessuna prestazione patrimoniale può es­ sere imposta se non in base alla legge”. La riserva sarebbe relativa perché la Costituzione, in questo caso, effettua un riferimento alla legge in termi­ ni generali. L’espressione “in base alla legge”, dalla quale si ricava la esi­ stenza di una riserva relativa, non ha infatti lo stesso significato di “nei so­ li casi e modi previsti dalla legge”, che costituisce invece il classico esem­ pio della apposizione di una riserva di legge assoluta. La seconda dizione è palesemente preclusiva di interventi diversi rispetto alla legge, mentre la prima consente alla legge di limitarsi a dettare le linee generali della mate­ ria e quindi a fonti secondarie di intervenire per integrare quella discipli­ na. Altro esempio di riserva di legge relativa si rinviene nell’art. 97 della Costituzione dedicato alla Pubblica Amministrazione, dove si afferma che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”. Anche in questo caso la espressione “secondo disposizioni di legge” consente un in­ tervento integrativo della fonte secondaria. D’altra parte con l’art. 97 della Costituzione siamo nell’ambito della organizzazione degli uffici della Pubblica Amministrazione, non nel cuorezdei diritti fondamentali trattati nella prima parte. E anche logico, tra l’altro, che le stesse pubbliche am­ ministrazioni, sia pure nell’ambito di linee guida dettate dalla legge, pos­ sano organizzare autonomamente i propri uffici attraverso disposizioni regolamentari al fine di garantire l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazio­ ne amministrativa. La riserva di legge relativa è principalmente una creazione della giurispruden­ za costituzionale. In particolare in relazione all’art. 23 della Costituzione la Corte costituzionale ha sostenuto, con una prima fondamentale sentenza, che “l’espres­ sione in base alla legge contenuta nell’art. 23 della Costituzione, dovendosi inter­ pretare in relazione con il fine della protezione della libertà e della proprietà in­ dividuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale, implica che la legge, che attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione, non lasci all’arbitrio dell’ente impostore la determinazione della prestazione. Il principio

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Fonti del diritto

posto nell’art. 23 della Costituzione esige non soltanto che il potere di imporre una prestazione abbia base in una legge, ma anche die la legge, che attribuisce tale potere, indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente impositore nell’esercizio del potere attribuitogli” (Corte cost. n. 4 del 1957).

4. Il procedimento legislativo: gli obbiettivi costituzionali

Procedimento legislativo funzioni

La centralità della legge nel sistema costituzionale delle fonti è ben rappresentata anche dal trattamento costituzionale del procedimento legislativo. Gli articoli della Costituzione che vanno dal 70 al 74 si occu­ pano infatti del procedimento legislativo, delineando, sia pure nelle li­ nee generali, i momenti fondamentali del procedimento e le sue possibili varianti. Mentre la Costituzione determina le linee generali del procedimento e le sue fasi, le regole di dettaglio sono stabilite nei regolamenti parlamenta­ ri, che sono fonti espressione dell’autonomia del Parlamento, approvate da ciascuna Camera a maggioranza assoluta (cfr. Parte III, Cap. II, Par. 6). Come recita infatti l’art. 72 della Costituzione “ogni disegno di legge presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esami­ nato da una Commissione e poi dalla Camera stessa che l’approva articolo per articolo e con votazione finale”. Il procedimento legislativo è dunque costituzionalizzato nelle linee ge­ nerali, a testimonianza del fatto che la posizione di primato della legge è garantita anche attraverso la determinazione costituzionale delle fasi che conducono alla approvazione della legge. Il procedimento legislativo serve a selezionare interessi, a bilanciare le posizioni tra maggioranza e minoranza, a garantire, per quanto possibile, che il prodotto finale sia espressione di una corretta sintesi degli interessi in gioco all’interno del quadro costituzionale. Può dunque dirsi che, attra­ verso la determinazione delle linee fondamentali del procedimento, la Co­ stituzione effettui una prima selezione degli interessi ai quali dare voce nella sequenza degli atti, determinando allo stesso tempo la cornice nor­ mativa all’interno della quale il regolamento parlamentare dovrà porre le norme procedurali. Le scelte di fondo che la Costituzione ha effettuato in tema di proce­ dimento legislativo possono essere così riassunte: la scelta del bicameralismo perfetto. L’art. 70 recita che “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Ciò significa che legge deve essere approvata da entrambe le Camere nello stesso testo; la scelta di non privilegiare i poteri del Governo all’interno del proce­ dimento; la scelta della tutela delle minoranze nel corso del procedimento. 110

La centralità della legge nella Costituzione

La prima scelta è conseguenza del modello bicamerale paritario che in­ forma la forma di Governo parlamentare italiana della Costituzione del 1948 e che si rispecchia principalmente - ma non esclusivamente - nel­ l’eguale competenza delle due Camere nella approvazione di una legge (su questo aspetto cfr. più ampiamente Parte III, Cap. II, Par. 2). Le ragioni dell’intervento di una seconda Camera nel procedimento legislativo, astrattamente possono essere diverse. La seconda Camera può servire per portare nel procedimento legislati­ vo competenze ed interessi particolari rispetto a determinate categorie di leggi. In questo caso la rappresentanza politica della seconda Camera de­ ve essere collegata alla rappresentanza di quegli interessi, e quindi la composizione della seconda Camera deve essere differenziata, e in un cer­ to qual modo “specializzata”, rispetto alla rappresentanza generale della Camera dei Deputati. Quando questo si verifica, tuttavia, non siamo in presenza di un bicameralismo perfetto, perché la seconda Camera inter­ viene solamente per determinate categorie di leggi. Questo modello peral­ tro può presentare numerosissime varianti, in relazione alla rappresentan­ za della seconda Camera, alle leggi che gli sono sottoposte, ai poteri even­ tualmente di controllo e di richiesta di riesame che la seconda Camera può esercitare nei confronti della prima. Quando invece la Costituzione non attribuisce alcuna competenza diversa alla seconda Camera né le attribuisce una diversa rappresentati­ vità, la funzione della seconda Camera è normalmente quella di allarga­ re la rappresentanza in funzione di stabilizzazione del sistema politico. In particolare, in presenza di sistemi sociali fortemente eterogenei e tendenzialmente pluripartitici, la funzione della secónda Camera all’in­ terno del procedimento legislativo è proprio quella di aumentare la dia­ lettica parlamentare, allo scopo di giungere ad un prodotto finale che sia frutto della stabilizzazione e della ponderazione di tutti gli interessi in gioco. / Nella Costituzione del 1948 la seconda Camera non ha riserve di com­ petenza (come invece nelle forme di Stato federali); non rappresenta inte­ ressi diversi rispetto agli interessi rappresentati nella Camera dei Deputati che possano in qualche modo specializzarla (vi sono invero solo alcune differenze in ordine all’elettorato passivo e al sistema elettorale, differenze tuttavia non sufficienti a caratterizzare il Senato in maniera diversa rispet­ to alla Camera quanto a rappresentanza). Cosicché la previsione della doppia lettura ha principalmente la funzione di produrre una ulteriore “riflessione” sul testo legislativo, allo scopo di ingenerare una maggiore ponderazione della legge ed una più articolata dialettica parlamentare. Il bicameralismo paritario è attualmente oggetto di una proposta di revisio­ ne costituzionale (cfr. il successivo Par. 5).

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La scelta dei bicameralismo perfetto

Fonti del diritto

La scelta della parità delle armi tra Governo e Parlamento

La scelta della tutela della minoranza

Il secondo principio al quale si ispira il procedimento legislativo nella Costituzione del 1948, è certamente quello della “parità delle armi” tra Governo e Parlamento. In generale, nelle forme di Governo parlamentari, è riconosciuta una qualche preminenza del Governo nel procedimento legislativo. Spetta infatti al Governo portare avanti, attraverso l’approvazione di leggi, l’in­ dirizzo politico così come è stato definito nel programma sul quale il Parlamento ha espresso la fiducia. Questa posizione di “priorità politi­ ca” si riflette spesso in norme procedimentali che attribuiscono maggior valore ai progetti di legge proposti e sostenuti dal Governo, attraverso “corsie preferenziali” o comunque attraverso strumenti per garantire tempi certi, o limitata emendabilità del progetto governativo. La Costi­ tuzione non ha fatto invece scelte di questo tipo: i progetti di legge di iniziativa governativa sono nella sostanza parificati agli altri progetti di legge che di iniziativa governativa non sono. Anche questo aspetto è at­ tualmente oggetto di una proposta di revisione costituzionale (cfr. il successivo Par. 6). La terza grande scelta effettuata in Costituzione concerne la previsione di norme a tutela delle minoranze all’interno del procedimento. Come ve­ dremo, infatti, spetta alla minoranza eventualmente chiedere di trasfor­ mare il procedimento legislativo decentrato in procedimento ordinario, e questo potere, come si dirà, è molto rilevante, perché attribuisce alle mi­ noranze anche un certa possibilità di determinare i tempi del procedimen­ to legislativo. La trasformazione del procedimento da decentrato a ordi­ nario allunga infatti significativamente i tempi per l’approvazione di un progetto di legge, cosicché l’utilizzazione di questa facoltà può costituire anche uno strumento di “ostruzionismo” parlamentare per le forze di mi­ noranza. In conclusione, da queste scelte costituzionali di fondo emerge una vi­ sione della legge come “atto supremo di garanzia”. All’interno della strut­ tura costituzionale questo modello ha una sua oggettiva coerenza, poiché si lega con il principio della riserva di legge, con il principio di preferenza della legge, con il principio di legalità, dove la legge svolge questa funzio­ ne di garanzia connessa al suo carattere largamente rappresentativo. Il tempo tuttavia ha dimostrato che l’eccessiva accentuazione del momento garantistico rispetto a quello dell’efficienza e della speditezza del proce­ dimento ha creato progressivamente una notevole “fuga” dalla legge, per­ ché spesso il Governo per raggiungere un determinato risultato normativo in tempi brevi è costretto ad utilizzare strumenti diversi dalla legge forma­ le (decreti legge, decreti legislativi). H procedimento legislativo è tradizionalmente scomposto in varie fasi che sono: la fase dell’iniziativa; la fase decisoria; la fase integrativa del­ l’efficacia; la fase conoscitiva.

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La centralità della legge nella Costituzione

1955 Glieli V., Il procedimento legislativo, Catania; 1,957 Galeotti S., Contributo alla teoria del procedimento legislativo, Milano; 1973 PATRONO M., Legge (vicen­ de della), ad vocem, ED, XXIII, filano; 1983 Patrono M., Procedimento legisla­ tivo, ad vocem, NssDI, App., V;'1984 Di ClOLO V., Procedimento legislativo, ad vocem, ED, XXXV; 1984 Olivetti Rason N.r Processo legislativo, ad vocem, in Bobbio N,-Matteucci N.-Pasquino G. (a cura di), Dizionario di politica, Torino; 1984 Paladin L., Tipologia e fondamenti giustificativi del bicameralismo. Il caso italiano, in QC, 219 ss.; 1997 Dickmann R., Procedimento legislativo e coordina­ mento delle fonti, Padova; 2002 DICKMANN R.-RecchiaG., istruttoria parlamenta­

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4.1. La fase della iniziativa La fase della iniziativa costituisce il momento iniziale del procedimen­ to e si sostanzia nella presentazione, a una delle due Camere, di un dise­ gno di legge redatto in articoli. L’attribuzione della titolarità dell’iniziativa legislativa (chi cioè può presentare un disegno di legge) ad un organo piuttosto che ad un altro, costituisce una scelta di rilievo, poiché attraver­ so questa scelta avviene la prima selezione degli interessi che saranno rap­ presentati nel progetto di legge. La Costituzione ha attribuito il potere di iniziativa al Governo; ai sin­ goli parlamentari; a 50.000 elettori; a ciascun Consiglio regionale; al Con­ siglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). Può essere altresì conferita, attraverso una legge costituzionali, ad altri organi od enti, pre­ figurando così ipotesi di evoluzioni ulteriori della forma di Governo. In generale può dirsi che si tratta di una scélta “classica”, che non presenta particolari caratteri di atipicità o di difformità rispetto al suo inserimento all’interno della forma di Governo parlamentare. a) L’iniziativa governativa L’iniziativa del Governo, in una forma di Governo parlamentare, co­ stituisce l’iniziativa più importante, qualitativamente ed anche quantitati­ vamente. E il Góverno infatti che deve attuare il programma attraverso la proposta di progetti di legge al Parlamento. La proposta di un progetto di legge governativo è a sua volta conse­ guenza di un procedimento che si articola in vari momenti: l’iniziativa del ministro competente o del Presidente del Consiglio, la delibera del Consi­ glio dei ministri che approva il disegno di legge, l’autorizzazione del Pre­ sidente della Repubblica alla presentazione del disegno di legge alle Ca­

li?

Fonti del diritto

mere. Nel corso di questo procedimento il disegno di legge viene accom­ pagnato da varie relazioni (una relazione illustrativa che ne spiega le ra­ gioni, in senso lato, politiche, una relazione tecnico finanziaria che ne spiega la sostenibilità finanziaria, una relazione tecnico normativa ed una relazione detta AIR che costituisce una valutazione dell’impatto anche economico della nuova legge). La Costituzione non attribuisce alcuna priorità all’iniziativa governati­ va rispetto ad iniziative derivanti da altri organi, anche se qualche elemen­ to correttivo a questa impostazione è stata poi introdotta dai regolamenti parlamentari. In particolare, sulla base dei regolamenti parlamentari, il Governo ha la possibilità di incidere sulla programmazione dei lavori in Parlamento, indicando le priorità e dando indicazioni sui progetti ai quali assegnare priorità. Si tratta di un potere di un certo rilievo, poiché con­ sente al Governo, se non di poter contare su tempi certi per l’appro­ vazione di una legge, quantomeno di poter incidere sulla programmazione dei lavori parlamentari in maniera da inserire il disegno di legge nella programmazione dei lavori. Inoltre, quando il Governo annuncia di voler presentare un proprio disegno di legge su di una materia già oggetto di esame in commissione, questa può differire o sospendere la discussione fino alla presentazione del progetto governativo. Il Governo è poi titolare di alcune iniziative c.d. “obbligatorie” in riferimento à disegni di legge che solo il Governo può presentare e che deve necessariamente pre­ sentare (il bilancio e il rendiconto che debbono essere presentati dal Governo ogni anno e approvati annualmente dal Parlamento) e di iniziative invece c.d. “riservate”, cioè che spettano solo al Governo. Rientrano tra queste ultime, ad esempio, i disegni di legge di conversione dei decreti legge o anche i disegni di legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati intemazionali. Per le iniziative obbligatorie e riservate del Go­ verno i regolamenti parlamentari prevedono una elevata priorità nella organizzazione dei lavori parlamentari, come ad esempio la sessione di bilancio (cfr. Parte I, Cap. Vin, Par. 9.3) o la nuova normativa sulle leggi di conversione dei decreti legge deli­ neata dall’art. 96 bis del regolamento della Camera (cfr. Parte I, Cap. VI, Par. 2.2).

b) L’iniziativa parlamentare La Costituzione attribuisce poi l’iniziativa a “ciascun membro della Camere”. Si tratta di un tipo di iniziativa presente in quasi tutte le Costituzioni contemporanee e tuttavia molto spesso filtrata attraverso regole che ten­ dono a far sì che l’iniziativa parlamentare, per poter andare avanti, sia fat­ ta propria dalla Camera di appartenenza. In altri modelli costituzionali l’iniziativa del singolo parlamentare è scoraggiata in vari modi (in Inghil­ terra, ad esempio, patria della forma di Governo parlamentare, alla di­ scussione sui progetti di iniziativa parlamentare è concesso il venerdì po­ meriggio). L’iniziativa del singolo parlamentare, infatti, è spesso slegata dal programma di Governo, è sporadica e frequenteniente connessa con

114

La centralità della legge nella Costituzione

gli interessi particolari del deputato o del senatore in relazione al proprio collegio di appartenenza. Se questo è vero, deve anche ricordarsi però che alcune leggi importanti, slegate dall’indirizzo politico ma connesse ai di­ ritti civili (il divorzio, l’obieziojie di coscienza, la riforma del diritto di fa­ miglia), sono state frutto di iniziativa parlamentare, ancorché poi condivi­ se da più gruppi parlamentari. I disegni di legge di iniziativa parlamentare non godono di alcuna priorità, salvo che il progetto di legge sia “fatto proprio” dal gruppo di appartenenza. In ogni caso anche l’iniziativa parlamentare soggiace alla verifica tecnica della copertura della spesa. c) L’iniziativa popolare H popolo costituisce una “cenerentola” tra i soggetti titolari dell’iniziativa legislativa. In un sistema democratico rappresentativo, infatti, l’iniziativa legi­ slativa diretta da parte del popolo ha ben poche possibilità di andare avanti nel percorso parlamentare. Se infatti l’iniziativa in questione è condivisa dalla maggioranza, essa sarà fatta propria dal Governo, se è condivisa da alcuni partiti dell’opposizione è assai più agevole che essa venga presentata attraver­ so una iniziativa parlamentare fatta propria da un gruppo parlamentare. La norma costituzionale, che prevede l’iniziativa popolare attraverso la sottoscrizione da parte di 50.000 elettori di un progetto redatto in articoli, costituisce un “omaggio” alla democrazia diretta. Nondimeno però l’ini­ ziativa legislativa popolare, se non fatta propria dal Governo né trasferita in progetti di legge di origine parlamentare, ha ben poche possibilità di concludersi con la approvazione di una legge.

d) L’iniziativa regionale Come recita l’art. 121 della Costituzione il Consiglio regionale può fare proposte di legge alle Camere. L’iniziativa regionale costituisce uno dei tan­ ti riferimenti alle Regioni che la Costituzione; ha collocato in parti del testo relativi allo Stato apparato (si pensi alla elezione del Presidente della Re­ pubblica dove il Parlamento in seduta comune è integrato da rappresentan­ ti delle Regioni o alla elezione del Senato “a base regionale” come dice la Costituzione), in omaggio al principio dello Stato regionalista e dunque del­ la partecipazione delle Regioni anche alla “vita” dello Stato centrale. Si tratta in verità di riferimenti posti in maniera alquanto disorganica e senza un chiaro disegno complessivo, e anche l’iniziativa legislativa delle Regioni si colloca in questo quadro di generale partecipazione dell’ente Regione alla attività svolta dallo Stato centrale. Essa ha avuto un certo successo nella prima fase di attuazione delle Regioni, attraverso la presen­ tazione contemporanea da parte di più Regioni di progetti di legge identi­ ci, anche allo scopo di influenzare progetti concorrenti di iniziativa par­ lamentare e governativa. Dopo questa fase iniziale, tuttavia, l’iniziativa re­ gionale si è progressivamente spenta. 115

Fonti del diritto

L’iniziativa Regionale, seppur non necessariamente da esercitarsi nelle materie di competenza delle Regioni, necessita tuttavia almeno di un “in­ teresse regionale” per poter essere presentata. e) L’iniziativa del CNEL Tra i vari rami secchi dell’iniziativa legislativa il CNEL costituisce proba­ bilmente il ramo più secco di tutti. L’iniziativa del CNEL rappresenta una idea, oggi un po’ antiquata, soprattutto per lo scarso rilievo dell’organo nella vita istituzionale, di far. partecipare al procedimento legislativo un organo consultivo in materia di economia e lavoro. Ben altri oggi sono gli organi che potrebbero dare un contributo importante in tema di progetti di legge in materia economica. Basti pensare all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il cui intervento all’interno del procedimento legislativo po­ trebbe avere una sua utilità per portare aventi progetti di legge pro concor­ renza. Ma l’Antitrust non esisteva nel 1948 (è stata in effetti costituita nel 1990) e la Costituzione rispecchia, in questo, il sistema degli organi di allora e gli interessi che all’epoca si ritenevano predominanti. H progetto di revi­ sione costituzionale in caso di approvazione prevede l’abolizione del CNEL.

1 I

1903 Miceli V., Iniziativa parlamentare, Milano; 1957 Galeotti S„ Contributo alla teoria del procedimento legislativo, Milano; 1958 Predieri A., Appunti sul potere del Presidente della Repubblica di autorizzare la presentazione dei disegni di legge governativi, in Studi senesi, 279 ss.; 1956 Spagna Musso E.. L'iniziativa nella for­ mazione delle leggi italiane, Napoli; 1968 Lucifredi P.G., L'iniziativa legislativa par­ lamentare, Milano; 1971, Cuocolo E, Iniziativa legislativa, ad vocem, ED, XXI; 1971, Cuocolo F„ Saggio sull’iniziativa legislativa, Milano; 1983 Bartoli M.A., La formazione del progetto di legge. Processi e procedimenti parlamentari, Milano; 1983 Salerno G., La programmazione di bilancio in Italia, Padova; 1989 Cervati A.A., Iniziativa legislativa, ad vocem, EG, XXII; 1989 Cocozza F„ Il Governo nel procedimento legislativo, Milano; 1990 Bezzi D„ Iniziativa legislativa popolare e forma di governo parlamentare, Milano; 1991 GuigliaG., L'autorizzazione alla pre­ sentazione dei disegni di legge governativi, Torino; 1995 Dickmann R„ L'esercizio dell’iniziativa legislativa, in RTDP, 3 ss.; 2001 Pasquale C., L'iniziativa legislativa regionale: un tema ormai “retro'', In QR, 31 ss.; 2008 Della Morte M., Iniziativa le­ gislativa popolare e democrazia partecipativa, in NA, 33.

4.2. La fase decisoria: il procedimento in sede referente o ordinario Per approvare una legge la Costituzione prevede tre tipi di procedi­ menti: il procedimento in sede referente o ordinario, il procedimento in sede deliberante e il procedimento in sede redigente. Questi procedimen­ ti si collocano nella fase decisoria, perché, al termine di questa fase, la leg­ ge è approvata anche se non è ancora perfetta.

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La centralità delta legge nella Costituzione

Ogni tipo di procedimento decisorio è a sua volta diviso in quattro fa­ si, come indicato dall’art. 72 della Costituzione: la fase istruttoria; la fase dell’esame delle linee generalizia fase dell’esame e dell’approvazione degli articoli; la fase dell’approvazione finale. Il procedimento in sede referente è caratterizzato dal fatto che le quat­ tro fasi sopra delineate si svolgono prima all’interno di una commissione parlamentare, e poi davanti alla Camera e al Senato. Il procedimento segue dunque il seguente percorso. Una volta che il progetto di legge è pervenuto al Presidente di una del­ le Camere questi lo deve assegnare ad una commissione competente per materia. Le commissioni sono composte in modo da rispecchiare la pre­ senza dei gruppi parlamentari e conseguentemente la proporzione delle forze politiche in Parlamento. Esse sono anche suddivise per competenze, in modo da rispecchiare l’organizzazione dei ministeri (cfr. Parte II, Cap. II, Par. 9). Anche la scelta del procedimento da seguire spetta al Presiden­ te della Camera, che è dunque titolare di poteri di rilievo e non meramen­ te organizzatori. Dopo che il progetto di legge è stato assegnato alla commissione com­ petente per materia inizia la fase istruttoria del procedimento legislativo. La fase istruttoria ha la funzione di predisporre un testo da sottoporre alla Camera nel quale siano palesi le ragioni della normativa, dare la possibili­ tà eventualmente di unificare in un unico testo altri progetti di legge che hanno medesimo od analogo oggetto, se occorre raccogliere pareri da par­ te di altre commissioni. Nella commissione si svolge prima una discussione sulle linee generali del progetto di legge, alla quale segue poi un voto. Quindi seguono la di­ scussione e la votazione articolo per articolo, con il voto anche sugli even­ tuali emendamenti che siano stati proposti: agli articoli, infine viene poi votato il testo nel suo complesso insieme ad:una relazione finale che verrà presentata dal relatore in aula. In aula il procedimento ripete sostanzialmente le fasi già seguite in commissione. Alla Camera viene presentata la relazione generale sul proget­ to di legge, che serve ad introdurre una discussione sulle linee generali. Questa discussione può anche concludersi con un voto di “non passaggio agli articoli”, il che significherebbe una chiusura immediata del procedi­ mento con “bocciatura” del progetto di legge prima del voto sugli articoli. Se viceversa, come di solito avviene, non vi è un voto preclusivo, il proce­ dimento prevede la discussione articolo per articolo con voto anche sugli emendamenti presentati e con voto finale su ogni articolo. Si tratta di una fase importante ed anche delicata, perché è nella possibilità di emendare gli articoli che si esercita il potere legislativo del Parlamento, e d’altro canto il potere di emendamento costituisce anche un diritto importante dell’op­ posizione, attraverso il quale verificare la “tenuta” della maggioranza. È evidente infatti che quando vi sono maggioranze forti e coese il potere

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Procedimento in sede referente

... fase istruttoria in Commissione

... decisione sulle linee generali e articolo per artìcolo e votazioni

... ripetizione deila fase in Aula

Fonti del diritto

... invio all'altra Camera

di emendamento ha poche possibilità di produrre risultati concreti sul testo legislativo. La maggioranza di Governo che ha proposto il testo, compatte­ rà la propria maggioranza per far sì che il testo possa essere approvato nella versione voluta dal Governo. Viceversa, quando la maggioranza parlamen­ tare è debole e poco coesa, il potere di emendamento può costituire imo strumento di negoziazione con il Governo per ottenere un testo legislativo anche significativamente diverso rispetto a quello proposto. Dopo la votazione articolo per articolo si passa quindi alla votazione finale del testo legislativo, così come esso risulta a seguito dell’approva­ zione degli articoli. Quando un testo è approvato nella sua versione definitiva da una Ca­ mera deve essere inviata all’altra Camera, in virtù del principio del bica­ meralismo paritario. La seconda Camera, che è sovrana nello scegliere il tipo di procedimento - esso dunque può essere anche diverso rispetto a quello seguito dalla prima Camera - deve comunque approvare nuova­ mente il testo. Se il testo finale approvato è identico al primo la fase del­ l’approvazione è conclusa. Se viceversa il testo si discosta anche di un solo articolo questo viene rinviato nuovamente all’altra Camera, che, sia pure limitatamente alla parte modificata, procede ad un nuovo esame ed ap­ provazione per poi rinviarlo all’altra Camera sino al momento in cui non vi sia un testo eguale da parte di entrambe le Camere (la cosiddétta “na­ vette" parlamentare).

1961 Elia L, Le commissioni parlamentari italiane nel procedimento legislativo, in 4G, 42 ss.; 1965 FERRARA G., Il Presidente di assemblea parlamentare, Mila­ no; 1978 Martines T., Note sui procedimenti di formazione delle fonti del diritto, in Scritti Mortati, II; 1984 Zagrebelsky G., Procedimento legislativo e regola­ menti parlamentari, in Reg, 765 ss.; 1988 Giaurro G.F., Commissioni parlamen­ tari (diritto costituzionale), ad vocem, EG, VII; 1991 Bertolini G., L'attività "refe­ rente" delle commissioni parlamentari, QSP, 1991; 2000 DlCKMANN R., L'istrut­ toria legislativa nelle Commissioni. Profili formali e garanzie sostanziali per un giusto procedimento legislativo, in RasP, 207 ss.; 2000 Lippolis V., L'esame dei progetti di legge in sede referente nella riforma del regolamento della Camera dei Deputati del 1997, in RDPSP, 99 ss.; 2003 Catelani E.-Rossi E. (a cura di), L'analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e l'analisi tecnico-normativa (ATN) nell'attività normativa del Governo: atti del Seminario di studi su L'attività normativa del governo: profili procedurali e organizzativi, svoltosi a Pisa il 10 giu­ gno 2002, Milano; 2007 Salerno G.M., Commissioni in sede referente, istruttoria legislativa e comitato per la legislazione: le riforme del regolamento della camera in tema di qualità della legislazione, in II Filangieri, Quaderno 2007. Il parlamento del bipolarismo: un decennio di riforme dei regolamenti delle camere, 97 ss.; 2007 Traversa S., Commissioni parlamentari, in RasP, 227 ss.; 2007 Traversa S., Commissioni parlamentari, in RasP, 809 ss.; 2008 ViCENZl V., Esame prelimi­ nare e sommario, in RasP, 1041 ss.

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La centralità della legge nella Costituzione

4.3. Il procedimento in sede deliberante o in commissione La Costituzione all’art. 72 ha poi stabilito che i regolamenti parlamen­ tari possono determinare i cari e le forme nei quali un progetto di legge può essere assegnato ad ima 'commissione perché lò approvi definitiva­ mente. La Costituzione prevede cioè la possibilità di un procedimento molto più rapido per l’approvazione di un progetto di legge, procedimen­ de/ to che si basa sulla semplice attribuzione del progetto ad una commissio­ procedimento ne (competente per materia), òhe non ha solo il compito di istruire il pro­ in sede deliberante la getto, ma anche quello di approvarlo definitivamente senza passare dalla commissione Camera. Se tuttavia il procedimento è più rapido del procedimento ordi­ approva il progetto nario, esso per contro è assai meno garantistico. Le commissioni infatti non sono dotate di quelle forme di pubblicità che sono tipiche del plenum delle Camere. In commissione si possono realizzare accordi tra maggioranza e opposizione di natura compromissoria, privi di “visibilità politica” e che quindi tendono a “nascondere” la responsabilità relativa alla approvazione di un atto legislativo. Per queste stesse ragioni, in commissione vengono spesso approvate leggi di poco rilievo politico, leggi microsezionali, leggi provvedimento (che non hanno carattere di generalità ed astrattezza), definite normalmente come “leggine”. La scelta del procedimento in sede deliberante è effettuata dal Presi­ Scelta del dente dell’Assemblea, ed è possibile quando un progetto di legge "riguar­ procedimento effettuato dal di questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine generale” o "qualora Presidente rivestano particolare urgenza" (art. 92 reg. camera). Tuttavia la Costituzio­ ne considera il procedimento legislativo in sede decentrata come una ec­ cezione al procedimento ordinario, ed infatti prevede sia ipotesi nelle quali esso è escluso, sia possibili garanzie per il suo abbandono e la sua conseguente remissione al procedimento ordinaria. Le ipotesi di esclusione di questo procedimento sono previste dall’art. Le materie 72 4° comma, che pone una riserva di procedimento ordinario, denomi­ escluse dal nata “riserva di legge di assemblea” per alcunc categorie di leggi. Queste procedimento deliberante leggi sono le leggi in materia costituziohale (semplificando un lungo ed articolato dibattito potremmo dire che queste sono le leggi costituzionali di cui all’art. 138 della Costituzione), le leggi in materia elettorale, le leggi di delegazione legislativa, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, le leggi di approvazione dei bilanci. Si può dire che queste leggi sono escluse dal procedimento decentrato in conseguenza della loro natura di leggi di particolare importanza per l’indirizzo politico (come le leggi di approvazione dei bilanci e le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali), o di controllo sul Governo (come le leggi di delegazione legislativa), o di garanzia per l’ordinamento (come nel caso delle leggi elettorali). Oltre a queste leggi, riservate dalla Costituzione al procedimento ordi­ nario, vi sono altre tipologie di leggi che i regolamenti parlamentari esclu­ 119

Fonti del diritto

dono dal procedimento in sede deliberante. Queste leggi sono le leggi di conversione dei decreti legge, i disegni di legge finanziaria, le leggi rinvia­ te alle Càmere dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 74 della Costituzione. Inoltre, sotto il profilo delle garanzie, la Costituzione prevede che un progetto di legge attribuito alla sede deliberante possa essere “rimesso” all’assemblea quando lo chiedano un quinto dei cothponenti la commis­ sione o un decimo dei componenti della Camera (cioè sostanzialmente una minoranza parlamentare) oppure il Governo. Una analisi effettuata sul numero delle leggi approvate in commissione rispet­ to alle leggi approvate con il procedimento ordinario, dimostra che più che le ga­ ranzie costituzionali contano le caratteristiche delle maggioranze parlamentari. Nelle prime dieci legislature repubblicane la grande maggioranza delle leggi sono state approvate con il procedimento in sede deliberante (ad esempio 78% nella V e 52% nella VH). In questo periodo furono approvate in commissione anche leg­ gi di “sistema” e di notevole rilevo (ad esempio la legge n. 241 del 1990, legge sul procedimento amministrativo e vera pietra miliare di un “nuovo corso” del dirit­ to amministrativo fu approvata in commissione). Viceversa a partire proprio dagli anni ’90 il corso si inverte (nella XIII, XIV e XV legislatura la percentuale delle leggi approvate in commissione diviene rispettivamente del 31%, 21% e 11%). Il passaggio ad un sistema di tipo maggioritario (con una maggiore coesione della maggioranza) ha certamente favorito una maggiore utilizzazione del procedimen­ to ordinario. Va anche detto però che in questo periodo aumentano notevolmen­ te le leggi di delegazione e le leggi di conversione di decreti legge che sono attri­ buiti alla riserva di legge di assemblea.

1961 Elia L, Le commissioni parlamentari italiane nel procedimento legislativo, in AG, 42 ss.; 1970 Traversa S., La riserva di legge di assemblea, in RTDP, 271 ss.; 1975 PredieriA., Parlamento 1975, in PredieriA. (a cura di), IIparlamento nel sistema politico italiano. Atti del seminario sul tema il parlamento oggi, tenuto a Firenze nel 1975, Milano; 1984 Traversa S„ La votazione in linea di principio degli emendamenti nel procedimento per commissione deliberante, in GC, 2298 ss.; 1992 Ravenna D., Sulle commissioni in sede deliberante, QSP, 1992; 2008 TraversaS., Commissioni in sede legislativa o deliberante, in RasP, 305 ss.

4.4. Il procedimento in sede redigente Il procedimento in sede redigente è previsto dai regolamenti parla­ mentari e non dalla Costituzione. E detto anche “misto”, perché in qual­ che modo mette insieme le caratteristiche del procedimento in sede deli­ berante con quelle in sede referente, ed è delineato dai regolamenti di Camera e Senato in maniera significativamente diversa. 120

La centralità della legge nella Costituzione

AI Senato costituisce un vero e proprio terzo procedimento intermedio tra la sede deliberante e quella referente. In pratica all’aula è riservata sol­ tanto la votazione finale del progetto di legge, mentre discussione e ap­ provazione degli emendamenti è concentrata in commissione. Alla Came­ ra invece il procedimento redigente è delineato come un sub-procedi­ mento della sede referente: è infatti la Camera, una volta chiusa la discus­ sione generale, a decidere di affidare la decisione sugli articoli alla Com­ missione, riservandosi poi il vóto sui medesimi e il voto finale. E poiché la decisione sulla variante procedimentale spetta alla Camera, è assai difficile che essa si spogli della propria competenza. Di fatto il procedimento re­ digente, che nella versione proposta dal regolamento del Senato ha una sua logica e razionalità, è assai poco usato ed è praticamente scomparso nelle ultime legislature.

1961 Elia L., Le commissioni parlamentari italiane nel procedimento legislativo, in AG, 42 ss.; 1986 DE LEO G., Il procedimento legislativo redigente nel Parla­ mento italiano, in SPPC, 63 ss.; 1994 Cecchetti M., Parlamento. La sede redi­ gente nel “modello Camera1': un nuovo futuro?, in QC, 467 ss.; 1996 MurgiaS., Profili dell’attività parlamentare nella XII Legislatura. Il "modello redigente" nella recente esperienza delia Camera dei deputati, in RasP, 167 ss.; 2008 Traversa S., Commissioni in sede redigente, in RasP, 535 ss.

4.5. Un vincolo importante al potere decisionale del Parlamento: la copertura finanziaria delle leggi Come abbiamo detto più volte la legge’ non incontra limiti che non siano riferibili alle norme costituzionali, e tali limiti hanno normalmente contenuto negativo. La Costituzione, tuttavia, pone un vincolo positivo espresso alla legge del Parlamento: secohdo l’art. 81 della Costituzione, infatti, “ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve individuare i mezzi finanziari per farvi fronte”. La norma, proposta da Luigi Einaudi in assemblea costituente, mirava ad assicurare il pareggio del bilancio e il so­ stanziale equilibrio tra entrate ed uscite. Se una legge che prevede nuove spese è costretta ad indicare le modalità di copertura di quelle spese, ne dovrebbe derivare un maggior rigore nel rispetto dei vincoli economici posti dal bilancio dello Stato. Nondimeno questa previsione costituzionale è apparsa nel tempo non sufficiente a rispettare i vincoli di bilancio. La possibilità di coprire nuove spese ricorrendo all’indebitamento, ed il fatto che le nuove spese previste dalle leggi venivano di fatto costantemente sottostimate, hanno nel tempo determinato un elevato disavanzo strutturale del bilancio dello Stato, cor­ 121

Possibilità di coprire nuove spese attraverso indebitamento

Fonti del diritto

relato ad una spesa pubblica costantemente in crescita. Con il tempo il vincolo è stato reso più stringente: prima con la legge n. 468 del 1971, e poi con la legge n. 196 del 2009, sono stati posti, in attuazione della previ­ sione costituzionale dell’art. 81, ulteriori vincoli per le leggi che prevedo­ no nuove spese. Successivamente è stato modificato lo stesso art. 81 della Costituzione (cfr. più ampiamente Parte II, Cap. V, Par. 9). Su questa base la copertura finanziaria delle leggi deve essere determi­ nata o mediante modifiche legislative a norme che comportino maggiori entrate, o mediante riduzioni di autorizzazioni precedenti di spesa, o me­ diante quegli accantonamenti indicati nei fondi speciali previsti dalla leg­ ge di stabilità e che sono destinati ai progetti di legge che si prevede siano approvati nel corso dell’esercizio del bilancio. Ancora, sempre nell’ottica di un accentuato contenimento della spesa pubblica e soprattutto di una corretta previsione di questa, è stato previsto che qualsiasi legge che pre­ veda nuove spese debba indicare la spesa autorizzata. In caso di sforamento, un decreto del Ministero dell’economia accerta l’esaurimento del­ lo stanziamento in bilancio, blocca la spesa, e quindi nella sostanza la stes­ sa efficacia della legge. Il tema della copertura finanziaria della legge, in correlazione con la necessità di contenere l’elevato disavanzo dello Stato è con gli obblighi provenienti dall’Unione Europea, è divenuto nel tempo così importante da condizionare anche la normativa dei regolamenti parlamentari relativa al procedimento di approvazione della legge. Tutti i disegni di legge di iniziativa governativa, infatti, debbono essere dotati di una relazione tec­ nica verificata dal Ministero dell’economia in ordine alla quantificazione degli oneri e delle coperture.

1969 Onida V., Le leggi di spesa nella Costituzione, Milano; 1989 DONATI F., Sen­ tenze della Corte costituzionale e vincolo di copertura finanziaria ex art. 81 Cost., in GC, 1502 ss.; 2007 SCAGLIARCI S„ La clausola di copertura finanziaria delle leggi. Problemi chiusi e problemi aperti nella giurisprudenza della Corte costitu­ zionale, in RasP, 109 ss.; 2010 D’Auria G., / controlli e la copertura finanziaria delle leggi, in GDA, 688 ss.; 2012 Brancasi A., L'obbligo della copertura finan­ ziaria tra la vecchia e la nuova versione dell'art. 81 Cost., in GC, 1685 ss.; 2012 Buzzacchi C., Copertura finanziaria e pareggio di bilancio: un binomio a rime obbligate?, in RivAIC; 2012 D'Auria G., Sui principi dell'equilibrio del bilancio e della copertura finanziaria delle leggi di spesa, in FI, 1301 ss.; 2012 Morgante D., Il principio di copertura finanziaria nella recente giurisprudenza costituzionale, in federalismi.it.

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La centralità della legge nella Costituzione

4.6. La promulgazione Una volta che la legge è stata approvata nella stessa identica versione da parte delle due Camere, essa è giuridicamente perfetta ma non ancora efficace, poiché deve essere promulgata dal Presidente della Repubblica. La promulgazione deve avvenire entro un mese dall’approvazione, sal­ vo che in caso di urgenza le Camere stabiliscano un termine inferiore, ed avviene mediate decreto del Presidente della Repubblica. Con tale decre­ to il Presidente attesta che la legge è stata approvata dalle due Camere, dichiara la propria volontà di promulgarla, e ordina che sia pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. La promulgazione da parte del Presidente della Repubblica costituisce uno strumento di controllo sulla legge e non di integrazione della volontà parlamentate, e in questo differisce dall’istituto - apparentemente simile della “sanzione” del Re previsto nello Statuto albertino (cfr. Parte I, Cap. II, Par. 1). Nelle monarchie dualiste dell’ottocento la legge era infatti espressione ad un tempo della volontà del Parlamento e della volontà del Sovrano, cosicché in tale contesto la sanzione del Re era finalizzata al per­ fezionamento dell’atto, mentre la diversa funzione della promulgazione nella Costituzione è chiaramente evidenziata nell’art. 74 che recita: “Il Presidente della Repubblica prima di promulgare la legge può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere ap­ provano nuovamente la legge questa deve essere promulgata”. Il rinvio presidenziale alle Camere può essere esercitato infatti una sola volta - esso non è dunque un veto - ed è destinato a cedere a fronte della riapprovazione della legge da parte del Parlamento. La promulgazione ha dunque lo scopo di consentire al Presidente un controllo sulla legge (si vedrà tra breve la natura di questo controllo!) ma non di sostituire la pro­ pria volontà a quella del Parlamento.

1911 Criscuoli A., La promulgazione nel diritto pubblico moderno, Napoli; 1946 Foderarci S., Considerazioni sull’istituto della promulgazione della legge, in RasDP, 199 ss.; 1947 Sandulli A.M., In tema di promulgazione del Capo dello Sta­ to, in RasDP, 9 ss.; 1948 Giocoli Nacci P., Appunti sulla promulgazione della legge, in Annali dell’università di Bari, 169 ss.; 1949 Salemi S., In tema di pro­ mulgazione e pubblicazione delle leggi, in FI, 1949, Ili, 244 ss.; 1955 Bartholini S,. La promulgazione, Milano; 1956 Tesauro A., La promulgazione, in RasDP, 156 ss.; 1985 Grottanelli de’ Santi G., Commento agli artt. 73-74, in Commen­ tario Branca-Pizzorusso; 1988 Cicconetti S.M., Promulgazione e pubblicazione delle leggi, ad vocem, ED, XXXVII; 1991 Giocoli NACCI P„ Promulgazione, ad vocem, EG, XXIV; 1992 GrisoliaM.C., Il rinvio presidenziale delle leggi, in QC, 215 ss.; 2010 Pellizzone I., Il potere di rinvio come istanza di riflessione, in QR, 589 ss.; 201TGalliani D., Il capo dello Stato e le leggi. Voi. 1.: Aspetti storici, profili comparatistici, ordinamento italiano, Milano.

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Rinvio una sola volta

Fonti del diritto

4.6.1.1 caratteri del rinvio presidenziale

Correlazione tra poteri di rinvio e funzioni svolte dal Presidente

Controllo sulla legittimità in senso ampio

L’istituto del rinvio della legge alle Camere è collegato alla funzione svolta dal Presidente della Repubblica nella forma di Governo parlamen­ tare. Nell’ambito di questa forma di Governo il Presidente svolge infatti una funzione di equilibrio e di garanzia rispetto agli altri poteri dello Sta­ to, mentre, si dice normalmente, non è portatore di un proprio indirizzo politico, anche perché la Costituzione in altra parte ne sancisce la irre­ sponsabilità (art. 90), e normalmente all’esercizio di una attività di indi­ rizzo politico è sempre legata una ipotesi di responsabilità (cfr. Parte I, Cap. IV, Par. 1). U potere di rinvio della legge si inscrive dunque nell’ambito di quei poteri che la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica nella sua funzione di garante della Costituzione. Per delineare le caratteristiche del potere di rinvio occorre dunque collegare questo istituto con le funzioni complessive svolte dal Presidente secondo la Costituzione, che si sostan­ ziano nell’assicurare la regolarità costituzionale con poteri di stimolo, di intervento, di bilanciamento, allorquando gli altri poteri fuoriescono dal­ l’esercizio delle funzioni costituzionali loro assegnate. Da questa premessa, comunque, consegue che l’esercizio di tale potere non potrà dipendere dalla non condivisione da parte del Presidente delle scelte politiche implicite nella legge, che altrimenti il Presidente diver­ rebbe portatore di un suo autonomo indirizzo politico, ipoteticamente contrapponibile all’indirizzo politico della maggioranza (questa tesi peral­ tro non è da tutti condivisa. Per ulteriori approfondimenti cfr. Parte III, Cap. IV, Parr. 1 e 10). D’altra parte non si tratta neppure di un controllo di legittimità costituzionale in senso stretto esercitato ex ante. Lo svolgi­ mento di una tale funzione, oltre a non essere in linea con la natura non giurisdizionale dell’organo, sarebbe anche rischiosa, in quanto potrebbe creare contrasti con la stessa Corte costituzionale destinati a ripercuotersi sulla legittimazione e sull’autorevolezza della stessa funzione presidenziale. Il potere di rinvio si inscriverebbe dunque nell’ambito di un modello di controllo atipico, perché non sarebbe un controllo di legittimità in sen­ so stretto né un controllo di merito in relazione alle scelte legislative, ma bensì un controllo sulla legittimità costituzionale in senso ampio della leg­ ge, finalizzato al mantenimento della coerenza dell’ordinamento. Taluni hanno parlato al proposito anche di “merito costituzionale”, volendo con questa espressione coniugare la natura di un controllo non politico ma re­ lativo alle norme costituzionali, con l’esistenza d’altra parte di principi, molto ampi, contenuti in Costituzione, alla cui stregua esercitare il rinvio. Quando le norme costituzionali sono così aperte a letture diverse, come nel caso del rinvio delle leggi, un ruolo importante per comprendere la portata della norma è sempre offerta dalla prassi applicativa della medesima. La prassi applica­

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La centralità della legge nella Costituzione

tiva dell’art. 74 - sia pure con qualche eccezione dettata dalle caratteristiche sog­ gettive dei singoli Presidenti - conferma nella sostanza la tesi di un controllo di legittimità in senso ampio. Le prime presidenze (Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone e Pertini) furono caratterizzate da un modesto numero di rinvìi preva­ lentemente incentrati sulla violazione dell’art. 81 della Costituzione (in relazione alla mancata copertura finanziaria delle leggi). La prassi della presidenza Cossiga è stata generalmente considerata anomala. Il potere di rinvio fu esercitato ben 22 volte e quindici volte nei due anni finali del mandato (1990-1992). La gran parte dei rinvìi non erano collegati all’art. 81 ma spesso a valutazioni di tipo soggettivo del Presidente, legate anche alla sensi­ bilità politica del medesimo. Per i suoi caratteri di forte anomalia questa prassi non è generalmente considerata come precedente costituzionale al quale fare rife­ rimento. Nel settennato successivo di Scalfaro quattro casi su cinque erano ancora ba­ sati sull’art. 81. La Presidenza di Ciampi (1999-2006) è spesso considerata come un punto di svolta del potere di rinvio. In primo luogo quella presidenza si inscrive in un mutato contesto politico e istituzionale. La riforma elettorale del 1993, modificando il sistema elettorale da proporzionale a maggioritario (sia pure con numerose correzioni) aveva creato un sistema politico di tipo bipolare, con conseguente modifica del ruolo del Presi­ dente della Repubblica. In un sistema bipolare il rinvio di una legge alle Camere può avere una connotazione fortemente oppositiva rispetto alla maggioranza di Governo, mentre in presenza di un sistema proporzionale il momento oppositivo è più sfumato, essendo più articolata la stessa maggioranza. Degli otto rinvii della presidenza Ciampi i rinvii motivati dall’assenza di copertura finanziaria furono solamente due, mentre gli altri si richiamavano ai grandi principi costituzionali, quali il principio di eguaglianza o il principio del pluralismo informativo (nel ca­ so del rinvio della legge sulle radiotelevisioni) oppure alla “logica dell’ordina­ mento” o alla “funzionalità del sistema costituzionale”, Per la prima volta, inol­ tre, la questione della tecnica legislativa diviene un possibile caso di rinvio (nel rinvio sulla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario si evidenzia che la legge è composta di due soli articoli con moltissimi qómmi, in violazione del principio di cui all’art. 72 della Costituzione secondo Cui le leggi sono approvate articolo per articolo e con votazione finale). Anche la presidenza Napolitano si è mossa in linea di continuità con il prede­ cessore. Dopo cinque anni di presidenza tuttavia si è registrato un sólo messaggio di rinvio (anche questo, in analogia con Ciampi, per ragioni di logica ordinamentale). Accanto a questo rinvio si registra però un accentuato ricorso a comunicati e note per spiegare le ragioni di un mancato rinvio. Tali note, laddove siano mo­ tivate con riferimenti alla giurisprudenza costituzionale (come nel caso del man­ cato rinvio della legge in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato) rischiano tuttavia da un lato di far apparire il Presi­ dente come il garante della legittimità costituzionale della legge in senso stretto, e dall’altro di produrre la delegittimazione del ruolo allorquando la Corte costitu­ zionale assuma in ipòtesi una posizione diversa.

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Fonti del diritto

1950 Galeotti S., il rinvio presidenziale di una legge (art. 74 della Costituzione), in RasDP, I, 48 ss.; 1955 Cuocolo F., // rinvio presidenziale nella formazione delle leggi, Milano; 1958 Biscaretti di Ruffia R, Sanzione, assenso e veto del Capo dello Stato nella formazione della legge negli ordinamenti costituzionali moderni, in RTDP, 241 ss.; 1958 Bozzi A., Note sui rinvio presidenziale della legge, in RTDP, 739 ss.; 1976 Gueli V., Il procedimento legislativo, In Scritti vari, II, Milano; 1982 Paladin L, La funzione presidenziale di controllo, in QC, 318 ss.; 1985 Grottanelli de’ Santi G„ Commento agli arti 73-74, in Commentario Branca-Pizzorusso-, 1992 Grisolia M.C., Il rinvio presidenziale, in QC, 222 ss.; 1992 Manzella A., Parlamento. Camere sciolte e rinvio presidenziale delle leggi, in QC, 313 ss.; 2001 LUPO N., Verso una motivazione delle leggi? A proposito del primo rinvio di Ciampi, in QC, 362 ss.; 2002 CICCONETTI S.M., Un caso d'inam­ missibilità del potere presidenziale di rinvio della legge alle Camere, in GC, 3097 ss.; 2002 D’Amico G., Ripensando al controllo presidenziale sulle leggi in sede di promulgazione (a proposito di una nota del Quirinale), in RasP, 265 ss.; 2002 De Fiores C., Il rinvio delle leggi tra princìpio maggioritario e unità nazionale, in RDC, 171 ss.; 2003 Carnevale R, Mancata promulgazione di legge di conver­ sione e rinvio alle Camere: il caso dei messaggio presidenziale del 29 marzo 2002, in RasP, 385 ss.; 2006 Calzolaio S., // rinvio delle leggi nella prassi, in QC, 853 ss.; 2009 DiCKMANN R., Interventi del Presidente della Repubblica tra promulgazione ed emanazione di atti legislativi, in RasP, 1101 ss.; 2010 Calzo­ laio S., Il rinvio del Presidente Napolitano sull’arbitrato nelle controversie di lavo­ ro, in QC, 414 ss.; 2010 Maccabiani N., Il Presidente della Repubblica rinvia alle Camere il ddl collegato alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 in materia di lavoro, in RivAIC; 2010 Pellizzone I., Il potere di rinvio come istan­ za di riflessione, in QR, 589 ss.; 2010 Piccione D., Il primo messaggio di rinvio di legge alle Camere da parte del Presidente Napolitano. L’art. 74, comma 1, Cost., tra tutela del favor praestatoris e le garanzie del diritto parlamentare, in GC, 2010, 975 ss.; 2010 Romboli R., La legge sugli incentivi (I. n. 73 del 2010): una promulgazione con monito, in FI, 190 ss.; 2011 Galliani D., Il capo dello Stato e le leggi. Voi. 2.: Il concreto svolgimento costituzionale, Milano.

4.7. La pubblicazione

15 giorni vacatio legis

A seguito della promulgazione la legge viene pubblicata, sotto la re­ sponsabilità del Ministro di Grazia e Giustizia, nella raccolta ufficiale de­ gli atti normativi della Repubblica italiana e nella Gazzetta ufficiale della Repubblica. Alla pubblicazione si deve provvedere “subito dopo la pro­ mulgazione” e comunque non oltre trenta giorni da essa. La legge diviene applicabile dopo un termine, c.d. di vacatio legis, di 15 giorni. Tale termi­ ne, che serve a rendere la legge non solo conoscibile, ma, almeno in teo­ ria, conosciuta, è tuttavia abbreviabile da parte della stessa legge. Pubblicata la legge e decorso il termine per la vacatio, sorge la presunzio­ ne assoluta che tutti la conoscano, non potendosi invocare per la non appli­ cazione della legge la sua mancata conoscenza (ignorantia legis non excusat). U rigore di questo principio è stato tuttavia attenuato (sia pure con ima

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La centralità della legge nella Costituzione

certa difficoltà di attuazione pratica), per quanto concerne la materia pe­ nale, da parte della Corte cqstituzionale. Con una sentenza del 1988 la Corte costituzionale ha dichiarato infatti l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del codice penale, a norma del quale nessuno poteva invocare a propria scusante l’ignoranza della legge penale, “ nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile”. A seguito di questa sentenza, il principio che la legge penale si applica sempre indipendentemente dalla non conoscenza di una norma che considera quel comportamento come reato, è temperato dal fatto che quando vi è oggettiva impossibilità alla conoscenza della legge, la norma penale non deve essere applicata.

1917 Zanobini G., La pubblicazione delle leggi, Torino; 1950 Romano S., Osser­ vazioni sulla efficacia della legge, in Scritti Minori, I, Milano; 1958 Ferrari G., Quesiti vecchi e nuovi in tema di pubblicazione, in RTDP, 435 ss.; 1963 Pizzorusso A., La pubblicazione degli atti normativi, Milano; 1974 D'AtenaA., La pub­ blicazione delle fonti normative: introduzione storica e premesse generali, Pado­ va; 1983 Di Rago D., La pubblicazione nel diritto pubblico. I. Profili generali, Na­ poli; 1986 Ainis M., L’entrata in vigore delle leggi: erosione e crisi d'una garanzia costituzionale: la vacato legis, Padova; 1986 Lupo E., La nuova disciplina della pubblicazione degli atti normativi statali, in GC, 1167 ss.; 1988 GICCONETTI S.M., Promulgazione e pubblicazione delle leggi, ad vocem, ED, XXXVII; 1988 MELONCELLl A., Pubblicazione, ad vocem, ED, XXXVII; 1991 D'AtenaA., Pubblica­ zione degli atti normativi, ad vocem, EG, XXV; 1994 Italia V, La pubblicazione delle leggi, Milano.

5. La destrutturazione della forma della legge: le leggi rinforzate j Come si è detto in premessa, la legge'è quella fonte caratterizzata da un punto di vista formale dall’essere “prodotta” attraverso il procedimen­ to di cui agli artt. 70 e ss. (che abbiamo ora descritto), e da un punto di vista sostanziale dal contenere norme generali ed astratte. Entrambe que­ ste caratteristiche tendono tuttavia ad avere rilevanti eccezioni: vi sono casi infatti nei quali, per espressa previsione costituzionale, la legge pre­ senta elementi di difformità rispetto al procedimento che abbiamo de­ scritto, e vi sono casi nei quali la legge non contiene norme generali ed astratte. Nel primo caso le leggi sono dette rinforzate, nel secondo caso sono dette leggi provvedimento. La legge rinforzata costituisce quella legge per approvare la quale la Leggi Costituzione prevede una procedura aggravata, senza tuttavia modificare rinforzate il “tipo” di fonte. La legge rinforzata infatti non è una legge costituzionale o una legge di revisione della Costituzione, ma è a tutti gli effetti una leg­ 127

Fonti del diritto

Rinforzo per

procedimento

ge ordinaria, con la sola caratteristica che il procedimento aggravato pre­ visto nella Costituzione per la sua approvazione le attribuisce una resi­ stenza passiva (capacità di resistere all’abrogazione) maggiore rispetto alle leggi ordinarie. Da ciò consegue che per abrogare una legge rinforzata oc­ correrà un’altra legge avente un pari rinforzo. La Costituzione prevede modelli diversi di leggi rinforzate. In alcuni casi il rinforzo è procedimentale, poiché la Costituzione prevede una “fa­ se” ulteriore del procedimento, che costituisce il rinforzo. Questa fase si sostanzia principalmente nella previsione di "intese”, pareri da parte di altri organi, momenti di consultazione popolare espressi in varie forme ecc. che si inseriscono a monte del procedimento legislativo. Costituisce un esempio di rinforzo per procedimento la legge che rego\a j rappOrti tra lo Stato e le confessioni diverse dalla confessione cattoli­ ca. L’art. 8 della Costituzione afferma che tutte le confessioni religiose so­ no libere davanti alla legge; che le confessioni religiose diverse dalla catto­ lica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti nella misura in cui questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; che i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le re­ lative rappresentanze. La legge che regola i rapporti con lo Stato e le con­ fessioni diverse dalla confessione cattolica è una legge rinforzata, perché prima dell’inizio del procedimento legislativo occorre acquisire un accor­ do tra lo Stato e le rappresentanze di quelle confessioni in ordine alle mo­ dalità della regolazione dei reciproci rapporti (l’intesa). Il rinforzo sta proprio nella necessità di raggiungere una intesa anteriormente all’inizio del procedimento legislativo, senza la quale la legge che pretendesse di regolare i rapporti tra lo Stato e le confessioni acattoliche sarebbe costitu­ zionalmente illegittima per violazione dell’art. 8 della Costituzione. La Corte costituzionale, tuttavia, con la sentenza n. 52 del 2016, ha precisato che dalla costituzione non deriva una pretesa giustiziabile all’ovvio delle trattative per una intesa. Questo perché la valutazione di una confessione religiosa come tale è conseguenza di una valutazione politica del Governo.

Per certi versi analogo è il meccanismo previsto daU’art. 7 della Costi­ tuzione che disciplina i rapporti tra lo Stato e la Chiesa. I rapporti tra lo Stato e la Chiesa sono regolati da un accordo internazio­ nale, recepito con legge dello Stato e denominato “patti Lateranensi”. Tut­ tavia, dice la Costituzione, le modificazioni dei patti accettate dalle due par­ tì, non richiedono procedimento di revisione costituzionale, cosicché in co­ stanza di un accordo tra le parti è sufficiente una legge ordinaria per modifi­ care i patti: l’accordo tra le parti costituisce il rinforzo previsto dalla Costitu­ zione (sui Patti Lateranensi, cfr. più ampiamente Parte IV, Cap. I, Par. 8). Un altro caso di legge rinforzata per procedimento si rinviene nell’art. 132, in

128

La centralità detta legge nella Costituzione

ambito regionale. Si tratta della norma che regola il distacco di Province e o Co­ muni da una Regione di appartenenza. La Costituzione recita: “si può con l’appro­ vazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interes­ sate e del Comune o dei Comuni interessati espressa, mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni che ne facciano richiesta siano staccati da Una Regione ed aggregati ad un ’altra”. Oltre alla legge della Repubblica quindi, per staccare Comuni e Province da una Regione ed aggregarli ad un’altra, occorre un referendum popolare tra la popo­ lazione dei Comuni interessati oltre al parere dei Consigli regionali. Il referendum e il parere dei Consigli regionali costituiscono il momento di rinforzo della legge.

In altri casi il rinforzo riguarda non il procedimento ma bensì la mag­ gioranza necessaria per approvare la legge. Costituisce un caso di rinforzo per maggioranza la legge che prevede l’amnistia e l’indulto nella attuale disciplina introdotta con modifica costituzionale nell’anno 1992. Si tratta di due classici atti di clemenza generale (il terzo, la grazia, è un provvedi­ mento individuale del Presidente della Repubblica). L’amnistia estingue il reato mentre l’indulto estingue o riduce la pena. L’art. 79 della Costituzione disciplina l’amnistia e l’indulto preveden­ do che tali provvedimenti sono concessi con legge deliberata a maggio­ ranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo artico­ lo e nella votazione finale. La maggioranza molto ampia dei due terzi dei componenti, rispetto alla maggioranza semplice per approvare la legge (metà più uno dei presenti), costituisce il rinforzo necessario per l’appro­ vazione di questa lègge. In altri casi ancora si riscontra vuoi un rinforzo procedimentale vuoi un rinforzo relativo alla maggioranza per approvare la legge. Costituisce un esempio di legge rinforzata sia per procedimento che per maggioranza la legge prevista dall’art. 116 della Costituzione a proposito della attribuzione di altre competenze alle Regioni. La norma prevede che: “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ... possono essere attribuite ad altre regio­ ni, con legge dello Stato, su iniziativa dellafregione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intese tra lo Stato e la regione interessata”. In questo caso siamo in presenza di vari tipi di rin­ forzo: vi è in primo luogo un rinforzo in fase di iniziativa, poiché l’iniziativa per questo tipo di leggi è possibile solo per la Regione interessata, dopo aver sentito tuttavia gli enti locali. Vi è poi un’ulteriore intesa tra lo Stato e la Re­ gione (rinforzo procedimentale) ed infine la legge deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti (rinforzo di maggioranza).

r

1958 Ferrari 2003 Spadaccini L, Regole eletto­ rali e integrità numerica delle Camere: la mancata assegnazione dì alcuni seggi alla Camera nella XIVlegislatura, Brescia; 2004 D'AndreaA., Autonomia costitu­ zionale delle Camere e principio di legalità, Milano; 2006 Cerase M., Art. 66, in Commentario Bifuico-Celotto-Olivetti, II; 2012 TORRETTA R, Verifica dei poteri e Stato costituzionale: saggio sull'alt 66 Cost, Roma; 2014 Manetti M„ La Corte costituzionale ridefinisce l'autonomia delle Camere (ben oltre i regolamenti parla­ mentari e l'autodichia), in Osservatorio AIC, 2014.

I

8. L’autonomia e l’indipendenza delle Camere: la insindacabilità La Costituzione, all’art. 68, disciplina quelle fattispecie che comune­ mente vengono definite come immunità dei parlamentari. Si tratta tuttavia 301

L’organizzazione delio Stato

di una definizione assai generica, sia perché la norma individua non una ma due distinte fattispecie, la insindacabilità e la inviolabilità, sia perché, pur trattandosi di prerogative attribuite ai parlamentari, esse dovrebbero essere finalizzate a garantire non un privilegio del parlamentare, quanto invece l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento. Il 1° comma dell’art. 68 disciplina la c.d. insindacabilità e recita: “I La insindacabilità membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opi­ nioni date e dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni”. Secondo la previsione costituzionale, dunque, i parlamentari non sono responsabili giuridicamente per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. La insindacabilità nacque in Inghilterra in parallelo alla crescita della auto­ nomia del Parlamento rispetto al potere del Sovrano ed è perfettamente descritta nella sua ratio e nelle sue ragioni concettuali in una antica risoluzione della Ca­ mera dei Comuni del 1667, che collegava la libertà del parlamentare all’esercizio della funzione tipica del Parlamento: “se una legge non può far torto a nessuno, egualmente deve dirsi di chi l’abbia all’inizio proposta. I membri della Camera de­ vono essere liberi esattamente come la Camera: un atto del Parlamento non può ar­ recare danno allo Stato e in conseguenza nemmeno lo potrà la discussione che a tale atto prelude, giacché non si ha legge senza una precedente proposta e discussione” (citazione tratta da Zagrebelsky). Questa risoluzione fu poi codificata dal Bill of Rigts del 1689 che stabilì che la libertà di parola, di discussione, e di azione in Parlamento, non può essere ostacolata o contestata né in sede giudiziaria né in alcuna altra sede diversa da quella parlamentare.

Scriminante assoluta

... nesso funzionale

La insindacabilità “dei voti e delle opinioni espresse”, come recita il testo costituzionale, è dunque collegata alle funzioni svolte dalle Camere, per garantire che il Parlamentare possa esprimere le sue opinioni Ubera­ mente ai fini dell’esercizio della attività parlamentare. La insindacabilità costituisce una scriminante assoluta, sia da un pun­ to di vista temporale che in relazione alle diverse tipologie di responsabihtà. La insindacabilità infatti esclude ogni forma di responsabiEtà giuridica dei parlamentari, civile, penale, amministrativa o contabile. Per i voti e le opinioni espresse durante il corso del mandato, inoltre, il parlamentare non risponde neppure una volta cessato dalla carica. Se tuttavia è agevole determinare il contenuto della insindacabilità, non è altrettanto facile individuarne il grado di estensione, ed in partico­ lare se essa possa coprire anche l’attività pohtica svolta dai parlamentari al di fuori del Parlamento, come ad esempio interviste, dibattiti, comizi. Dopo una prima fase nella quale la interpretazione del Parlamento tende­ va ad estendere l’insindacabilità anche ad attività extraparlamentari quali quelle sopra citate, la Corte costituzionale ha stabilito che per l’appUcazione della insindacabilità deve esistere comunque un nesso funzionale tra le opinioni espresse in sedi diverse da quella parlamentare e l’attività tipica del parlamentare e, inoltre, deve esservi una sostanziale identità di

302

Il Parlamento

contenuto tra l’opinione espressa in sede parlamentare e quella espressa in sede extraparlamentare. La ragione dell’insindacabilità starebbe infatti nella garanzia della funzione parlamentare e non nel sottrarre al diritto comune il singolo deputato o senatore. In questo senso si era espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 2000, poi sostanzialmente confermata anche dalla giurisprudenza successiva (cfr. recentemente Corte cost. n. 115 del 2014). Secondo la Corte: “è pacifico che costituiscono opinioni espresse nell’esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrin­ secazione delle facoltà proprie del parlamentare in quanto membro dell’assemblea. Invece l’attività politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non può dirsi di per sé esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l’art. 68, primo comma, della Costituzione. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le Qpinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attività propri delle as­ semblee rappresentano piuttosto esercizio della libertà di espressione comune a tut­ ti i consociati: ad esse dunque non può estendersi, senza snaturarla, una immunità che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalità e di giustiziabilità dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni. La linea di confine fra la tutela dell’autonomia e della libertà delle Camere, e, a tal fine, della libertà di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dal­ l’espressione di opinioni, dall’altro lato, è fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazio­ ne, l’applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all’ambito e ai'limiti della loro libertà di mani­ festazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglian­ za e di parità di opportunità fra cittadini nella dialettica politica ... In questo senso deve essere precisato il significato del “nesso funzionale” che de­ ve riscontrarsi, per poter ritenere l’insindacabilità, tra la dichiarazione e l’attività par­ lamentare. Non cioè come semplice collegamento di argomento o di contesto fra atti­ vità parlamentare e dichiarazione, ma come identifìcabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare” (cfr. sentenza, in pari data, n. 11 del 2000).

In attuazione dell’art. 68 della Costituzione la legge n. 140 del 2003 ha poi dettato una normativa che mira a disciplinare i rapporti tra autorità giudiziaria e Parlamento per risolvere possibili conflitti sulla sussistenza di una situazione riconducibile alla inviolabilità. Si è così introdotto per leg­ ge la c.d. “pregiudiziale parlamentare”. La c.d. Sulla base di questa normativa, se l’autorità giudiziaria si trova a dover pregiudiziale decidere una controversia relativa ad un caso nel quale può essere invoca­ parlamentare to l’art. 68 1° comma, si possono dare le seguenti diverse soluzioni: 303

L’organizzazione delio Stato

a) se il giudice ritiene sussistente la insindacabilità definisce autono­ mamente la causa senza procedere; b) se il giudice non ritiene sussistente la insindacabilità - e quindi con­ sidera di poter giudicare - deve sospendere il processo ed investire la Ca­ mera ,di appartenenza del parlamentare, che dovrà decidere sulla sussi­ stenza o meno della insindacabilità; c) se investita dal giudice, la Camera ritiene che non vi sia insindacabi­ lità, il giudice può proseguire nel giudizio; d) se al contrario la Camera ritiene che vi sia insindacabilità il giudice può conformarsi e definire il processo, oppure può non conformarsi e sol­ levare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale nei confronti della Camera. Sarà allora la Corte costituzio­ nale a stabilire la sussistenza o meno del “nesso funzionale”.

1979 Zagrebelsky G„ Le immunità parlamentari: natura e limiti di una garanzia costituzionale, Torino; 2000 GrisoLia M.C., Immunità parlamentari e Costituzione: la riforma del primo comma deH’art. 68 della Costituzione, Padova; 2001 Corte costituzionale (a cura di), Immunità e giurisdizione nei conflitti costituzionali: atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della consulta, nel giorni 31 marzo e 1. aprile 2000, Milano; 2002 Martinelli C., L’insindacabilità parlamentare: teoria e prassi di una prerogativa costituzionale, Milano; 2005 Giupponi T.F., Le immunità della politica: contributo allo studio delle prerogative costituzionali, Torino.

8.1. La inviolabilità Il 2° comma dell’art. 68 prevede la diversa e ulteriore prerogativa della inviolabilità: “senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà persona­ le, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevo­ cabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il Contenuto quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza”. La inviolabilità implica della dunque che il parlamentare non può subire limitazioni alla propria libertà inviolabilità personale senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. La limita­ zione alla libertà personale del parlamentare - senza autorizzazione - è pos­ sibile solamente in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna, o se in flagranza di reato quando la legge prevede l’arresto obbligatorio. La norma è stata modificata con legge costituzionale 29 ottobre 1993 n. 3, poiché la precedente versione dell’art. 68, assai più ampia dell’attuale, prevedeva la necessità dell’autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenen­ za per sottoporre il parlamentare a procedimento penale.

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Il Parlamento

Mentre la insindacabilità è legata all’attività tipica del parlamentare, tanto è vero che occorre un nesso funzionale tra le opinioni espresse e l’at­ tività del Parlamento, la inviolabilità invece riguarda reati compiuti al di fuori della attività di parlamentare. Anche le radici storiche delle due pre­ rogative sono diverse: se la insindacabilità dei parlamentari trova i suoi ri­ ferimenti nella storia del Parlaipento inglese, la inviolabilità nacque invece nel corso delle vicende storiche della rivoluzione francese, ed è legata alle esigenze, anche teoriche, del tempo. Quando l’assemblea nazionale entrò esplicitamente in conflitto con l’autorità del Re nel 1788, si pose infatti ad un tempo il problema di proteggere-i compo­ nenti dell’Assemblea dalle ritorsioni del Re e dei suoi consiglieri, e la necessità teorica di dimostrare che l’Assemblea nazionale e non il Re era il vero detentore della sovranità. Un celebre discorso di Robespierre di quello stesso anno collega la inviolabili­ tà alla sovranità, quindi alla rappresentanza popolare ed infine, ma solo come conseguenza, all’indipendenza del Parlamento. Disse Robespierre: “Cosa è l’in­ violabilità? Non è affatto un privilegio e tuttavia qualcosa che si distingue dal di­ ritto comune che vale per gli altri cittadini. Discende dai principi che nessun cen­ tro di potere possa ergersi al di sopra del corpo rappresentativo della nazione ... Può esistere un tribunale che possa dichiarare colpevoli i rappresentanti della na­ zione? Se si risponde affermativamente è evidente che questo tribunale sarà l’ar­ bitro del loro destino. Distrutta l’inviolabilità, l’indipendenza dei rappresentanti della nazione non esiste più ... La mia conclusione è che occorre dichiarare che nessun rappresentante della nazione può essere portato in giudizio davanti a un tribunale, a meno che non sia intervenuto un atto dell’organo legislativo che di­ chiari che vi è luogo a procedere” (la citazione è tratta da Zagrebelsky). È evidente ed anche logico che nella rivoluzione francése nasca il tema della inviolabilità dei parlamentari in relazione ad una idea di supremazia dell’isti­ tuzione parlamentare rispetto agli altri poteri dello Stato. Si trattava di affermare che nessun potere poteva essere superiore ai rappresentanti della Nazione. Nelle Costituzioni contemporanee, invece, la supremazia del Parlamento è sottoordina­ ta alla Costituzione, non vi è un problema di Spettanza della sovranità perché essa è esercitata secondo le forme previste dalla Costituzione, e infine il sistema dei poteri è equilibrato e bilanciato. Dunque la ragione dell’inviolabilità non è colle­ gata all’idea rivoluzionaria della superiorità assoluta dell’organo rappresentativo della sovranità popolare, idea che non fa parte del patrimonio della Costituzione. Essa risiede invece nella esigenza di garantire ancora una volta l’autonomia e l’in­ dipendenza della funzione parlamentare contro atti che possono essere compiuti allo scopo di sottrarre il parlamentare dalle sue attività, oppure che possano in­ fluenzarne il comportamento. La prerogativa, infatti, è posta a tutela del Parla­ mento e non del singolo parlamentare, come ha da sempre rilevato la Corte costi­ tuzionale: “soltanto la Camera può disporre perché è prevista a favore di essa o per lo svolgimento regolare e libero della sua funzione, nell’interesse dell’ordina­ mento e soltanto strumentalmente a favore di coloro che sono investiti dell’eser­ cizio di quella funzione” (Corte cost. n. 9 del 1970).

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L’organizzazione dello Stato

La ratio delle immunità

... il fumus persecutionis

L’autorizzazione delle Camere è necessaria per sottoporre il parlamen­ tare a perquisizione personale o domiciliare, per sottoporlo ad arresti o altrimenti privarlo della libertà personale o mantenerlo in detenzione. L’autorizzazione è altresì richiesta per sottoporre i membri del Parlamen­ to ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni, e a sequestro di corrispondenza. La ratio di questa forma di immunità è quella di proteggere il parla­ mentare da interventi dell’autorità giudiziaria con intento di tipo persecu­ torio (il c.d. fumus persecutionis). Oggetto della valutazione della Camera, in sede di autorizzazione a procedere, non è pertanto la esistenza o non esistenza del reato (che altrimenti il giudizio della Camera si sostituirebbe a quello del giudice), ma solamente l’accertamento della esistenza o meno di un fumus persecutionis da parte dell’autorità giudiziaria. Solamente in presenza di questo intento persecutorio la Camera dovrà negare l’autoriz­ zazione a procedere. Il procedimento di autorizzazione a procedere viene istruito da una apposita Giunta, denominata Giunta per le autorizzazioni a procedere. La Giunta per le autorizzazioni a procedere ha la funzione di istruire il giudizio valutando la richiesta da parte del giudice e le controdeduzioni del parlamentare. Al termine della istruttoria la Giunta formula una ri­ chiesta alla Camera di appartenenza o nel senso di concedere o nel senso di non concedere l’autorizzazione, sulla quale proposta dovrà votare la Camera di appartenenza.

1979 ZagrebelskY; Le immunità parlamentari, Torino; 1984 Grossi P., Prospet­ tive attuali della inviolabilità dei parlamentari, in DS, 277 ss.; 1985 D'AndreaA., Note sull’autorizzazione all’arresto dei membri del Parlamento, Milano; 1991 D'Aniello M.-Sclafani F., Autorizzazioni a procedere: analisi del fenomeno nei Parlamento italiano (1948-1991), Napoli; 1994 Orlandi R., Aspetti processuali dell'autorizzazione a procedere, Torino; 1999 Bartole S., La Corte costituzionale delimita l’inviolabilità parlamentare, in DPenP, 53 ss.; 2008 Martinelli C., Le immunità costituzionali nell’ordinamento italiano e nel diritto comparato: recenti sviluppi e nuove prospettive, Milano; 2012 Cerase M., Anatomia critica delle im­ munità parlamentari italiane, Soveria Mannelli.

9. L’organizzazione interna delle Camere: Gruppi parlamentari, Commissioni, Giunte e Presidente L’attività delle Camere è organizzata attraverso i Gruppi parlamentari e attraverso le Commissioni (le commissioni parlamentari). Un ruolo tec­ nico è svolto dalle Giunte ed un ruolo di garanzia e di controllo dell’an­ damento dei lavori è svolto dal Presidente dell’Assemblea. 306

Il Parlamento

1 Gruppi parlamentari altro non sono se non delle unioni di deputati o I Gruppi senatori costituiti sulla base della appartenenza ad un medesimo partito parlamentari politico ó ad una medesima coalizione. Ogni parlamentare deve apparte­ nere ad un gruppo, e se il parlamentare non aderisce ad alcun gruppo è assegnato di ufficio ad un gruppo definito come “gruppo misto”, nel qua­ le confluiscono anche quei parlamentari appartenenti a formazioni politi­ che che non riescono ad ottenere il numero minimo di parlamentari per la formazione del gruppo. Ogni 'gruppo infatti deve essere composto da al­ meno 20 deputati alla Camera e da 10 senatori al Senato. I gruppi costituiscono quindi la proiezione, all’interno del Parlamento, della rappresentanza dei partiti scaturita dal voto elettorale, e rappresenta­ no l’anello di congiunzione tra il partito - o la coalizione - e il Parlamento. È assai discussa la natura giuridica del gruppo parlamentare. Secondo alcuni i gruppi sarebbero organi delle Camere, in conseguenza delle funzioni di tipo isti­ tuzionale che essi svolgono e della partecipazione del gruppo alla formazione del­ la volontà del Parlamento. Secondo altri, invece, in considerazione del loro livello di autonomia organizzativa, sarebbero da qualificarsi come associazioni private tra parlamentari. È vero che i gruppi hanno organi propri, un proprio bilancio, uffici e impiegati, e in relazione a tali profili essi hanno le caratteristiche dell’asso­ ciazione non riconosciuta. Allo stesso tempo però, come si è visto, partecipano alla formazione degli organi parlamentari, alla programmazione dei lavori, alle consultazioni effettuate dal Presidente della Repubblica nelle crisi di governo. Su queste basi la Cassazione, con ordinanza n. 3335 del 19 febbraio 2004, ha rilevato che per definire la natura giuridica dei gruppi bisogna considerare sia che essi, da un punto di vista funzionale costituiscono lo strumento per lo svolgimento delle funzioni proprie del Parlamento, mentre da un punto di vista strutturale sono da assimilare ai partiti politici, ai quali va riconosciuta la qualità di soggetti privati. In definitiva i gruppi parlamentari possono essere definiti come soggetti privati che esercitano pubbliche funzioni.

i Le Commissioni parlamentari infatti sono costituite rispecchiando la proporzione dei gruppi parlamentari, e ai gruppi e ai loro Presidenti spet­ tano funzioni rilevanti nella programmazione dei lavori (la conferenza dei capigruppo definisce il programma e il calendario dei lavori della Came­ ra). Inoltre i Presidenti dei gruppi vengono consultati dal Presidente della Repubblica nelle crisi di Governo, quando il Presidente deve attribuire l’incarico per la formazione di un nuovo Governo che possa avere la fidu­ cia delle Camere. Le Commissioni parlamentari costituiscono gli organi dove si svolge la gran parte del lavoro delle Camere. Esse si distinguono in Commissioni permanenti e Commissioni speciali. Le prime sono organi necessari e du­ rano in carica tutta la legislatura, le seconde vengono costituite in presen­ za di situazioni particolari e sono previste dalla Costituzione (come le Commissioni di inchiesta), o dai regolamenti parlamentari. 307

Le Commissioni parlamentari

L’organizzazione dello Stato

Le funzioni delle Commissioni

Le Commissioni permanenti sono suddivise per materia, rispecchiando a grandi linee la struttura del Governo. Ad esempio, così come nel Go­ verno esiste un Ministero della Giustizia, vi è alla Camera la Commissione parlamentare Giustizia, così come nel Governo esiste il Ministero dell’Economia e delle Finanze, parallelamente alla Camera esiste una Commissio­ ne parlamentare Bilancio, tesoro e programmazione. Esse svolgono funzioni nell’ambito del procedimento legislativo, nell’am­ bito dell’attività di indirizzo e controllo sul Governo, in ambito consul­ tivo. Nell’ambito del procedimento legislativo svolgono attività istruttoria (in sede referente), ma anche attività decisoria (in sede deliberante), men­ tre nell’ambito dell’attività di indirizzo e controllo sul Governo possono approvare risoluzioni attraverso le quali manifestano indirizzi su temi specifici, potendo poi far valere la responsabilità politica del Governo. Nell’ambito dell’attività consultiva esse possono esprimere pareri - ad esempio quando su di una questione devoluta per competenza ad una Commissione questa chieda il parere, su di un punto specifico, ad altra Commissione dotata di competenza specifica sul punto - oppure possono svolgere indagini conoscitive su determinate materie per acquisire notizie, informazioni, o documenti utili all’esercizio della attività della Camera di appartenenza. Le Commissioni speciali possono essere monocamerali, cioè costituite all’interno di una sola Camera, o bicamerali, cioè costituite da entrambe le Camere e alle quali quindi partecipano in egual misura Deputati e Se­ natori. Ad esempio, a parte le Commissioni di inchiesta previste dall’art. 82 della Co­ stituzione - che possono essere bicamerali ma anche monocamerali - può essere segnalata tra le Commissioni bicamerali la Commissione per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (istituita dalla legge n. 103 del 1975), che è appunto una Commissione bicamerale con funzioni di indirizzo e controllo sul­ l’attività informativa svolta dal servizio pubblico.

Le Giunte

Diverse e distinte dalle Commissioni, per organizzazione e funzioni, sono poi le Giunte. Le Giunte sono ancora organi interni delle Camere, organi necessari, ma composti diversamente rispetto alle Commissioni. La composizione delle Giunte avviene infatti non attraverso la designazione dai presidenti dei Gruppi parlamentari, ma bensì attraverso la nomina da parte del Presidente della Camera. Questa diversa modalità di composi­ zione riflette il nome - Giunta - e le diverse funzioni che a questi organi sono attribuite. Mentre infatti le Commissioni svolgono principalmente fun­ zioni di natura politica, alle Giunte sono attribuite funzioni di natura tec­ nico-giuridica.

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Il Parlamento

Alla Camera le Giunte attualmente sono tre: la Giunta per il regola­ mento, la Giunta per le elezioni, la Giunta per le autorizzazioni a proce­ dere. La Giunta per il regolamento svolge principalmente la funzione di proporre alla Camera le modifiche da apportare ai regolamenti parlamen­ tari. Essa inoltre esprime il pròprio parere su questioni interpretative del regolamento su richiesta del Presidente. La Giunta per le elezioni, c,bme si è visto, si occupa del procedimento di convalida delle elezioni. La Giunta per le autorizzazioni a procedere è titolare del compito, come si è visto nel paragrafo precedente, di istruire il procedimento rela­ tivo a richieste di autorizzazione a procedere inoltrate dall’autorità giudi­ ziaria ex art. 68 della Costituzione. Tra gli organi delle Camere notevole è il ruolo svolto dal Presidente dell’Assemblea: egli, si dice abitualmente, è il garante del corretto anda­ mento dei lavori parlamentari, ma i suoi compiti sono assai vari e diversi­ ficati, cosicché in realtà gran parte della attività della Camera è condizio­ nata dalle sue decisioni. Il Presidente infatti convoca le Camere, incide sulla programmazione dei lavori elaborando la proposta di programma e di calendario, mediando ovviamente con il Governo e le forze politiche; risolve le questioni interpretative del regolamento; assegna i progetti di legge alle Commissioni parlamentari; viene consultato, per disposizione costituzionale, dal Presidente della Repubblica in caso di scioglimento delle Camere. Per la elezione del Presidente, in ragione dei compiti di garanzia attribuiti, il regolamento fìssa, almeno nelle prime votazioni, dei quorum elevati. Al primo scrutinio alla Camera occorre la maggioranza dei due terzi dei componenti; al se­ condo la maggioranza dei due terzi dei voti; dal terzo la maggioranza assoluta dei voti. In applicazione di una sorta di regola convenzionale, connessa con le fun­ zioni di garanzia svolte da questo organo, dal 1976 sino al 1994 i Presidenti delle Camere venivano eletti al primo scrutinio ed erano espressione del maggior parti­ to di opposizione. Dal 1994 sono stati eletti esponenti del partito di maggioranza. V’è da dire che questa prassi non appare oggi conforme al ruolo e alle funzioni svolte dai Presidenti delle Camere, anche in relazione ai compiti ulteriori che al­ cune leggi hanno loro attribuito, ad esempio per la nomina di membri di autorità c.d. indipendenti come Antitrust. Se l’autorità deve essere indipendente, è infat­ ti opportuno che i loro membri non siano nominati da persone che rappresenta­ no la maggioranza del Governo.

In conseguenza dell’esercizio di tutte queste funzioni, il Presidente dell’Assemblea in Italia non è completamente assimilabile alla figura dello Speaker inglese, che non ha compiti direttamente decisori, e tuttavia non è neppure assimilabile al Presidente della Camera negli Stati Uniti, che è invece strettamente collegato alla maggioranza allo scopo di agevolare l’at­ 309

Giunta per il regolamento

Giunta per le elezioni Giunta perle autorizzazioni a procedere

Il Presidente

L’organizzazione dello Stato

tuazione del programma. Egli è un garante ad un tempo della maggioran­ za e dell’opposizione, ma poiché è dotato di poteri, non solo di ordine e garanzia ma anche decisori, questi poteri debbono essere gestiti con note­ vole equilibrio.

1953 Longi V.-Stramacci IVI., Le commissioni parlamentari e la Costituzione, Mi­ lano; 1962 Mohrhoff F„ I vicepresidenti delle assemblee legislative, Roma; 1962 Mohrhoff F., Politicità e discrezionalità di taluni atti di Presidenti di as­ semblee legislative, Roma; 1965 Ferrara G., Il Presidente di assemblea parla­ mentare, Milano; 1965 SavignanoA., I gruppi parlamentari, Napoli; 1969 Giaur­ ro G.F., Sulla natura giuridica dei gruppi parlamentari, inAA.W, Studi per il ven­ tesimo anniversario dell'Assemblea Costituente, IV, Firenze; 1969 Pizzorusso A., / gruppi parlamentari come soggetti di diritto: pagine di un saggio giuridico, Pisa; 1970 Rescigno G.U., Gruppi parlamentari, ad vocem, ED, XIX; 1972 Bru­ no E, Le commissioni parlamentari in sede politica, Milano; 1974 La Loggia E., Le Commissioni nell'ordinamento parlamentare italiano, Palermo; 1979 Chimenti C., Gli organi bicamerali nel Parlamento italiano, Milano; 1983 Resta D., Saggi sui gruppi parlamentari: i gruppi parlamentari nella Costituzione, nei regolamenti parlamentari, negli statuti dei partiti politici. Città di Castello; 1988 Furlani S.Salotti G.-Arpino A.M., / Presidenti della Camera, Roma; 1989 Giaurro G.F.Negri G., Gruppi parlamentari, ad vocem, EG, XV; 1993 Califano Placo L., Le Commissioni bicamerali italiane nella crisi del bicameralismo italiano, Milano; 1998 Cuccodoro E., La presidenza d'assemblea politica, Firenze; 2000 Torre A., Il magistrato dell'Assemblea: saggio sui presidenti parlamentari, Torino; 2001 Colarullo E. , Rappresentanza politica e gruppi delle assemblee elettive, Torino; 2001 Iacometti M., / Presidenti di Assemblea parlamentare, Milano; 2002 CozZOLl V, I gruppi parlamentari nella transizione del sistema politico-istituzionale. Le riforme regolamentari della Camera dei deputati nella XIII legislatura, Milano; 2002 Sciortino A., Il Presidente di Assemblea parlamentare, Torino; 2004 Merlini S. (a cura di), Rappresentanza politica, gruppi parlamentari, partiti, Volume II: Il contesto italiano, Torino; 2007 Traversa S., Commissioni parlamentari. Gene­ ralità. Composizione e costituzione delle commissioni permanenti, in RasP, 227 ss.; 2008 Ciancio A., I gruppi parlamentari: studio intorno a una manifestazione del pluralismo politico, Acireale-Roma; 2009 Lupo N., Il ruolo del Governo nelle commissioni parlamentari, in Rossi E. (a cura di), Studi pisani sul Parlamento, III, Pisa; 2009 Tabacchi S., Giurì d’onore, in RasP, 675 ss.; 2010 Iacometti M., L'organizzazione interna dei Parlamenti, Roma; 2010 Traversa S., Le commis­ sioni parlamentari, in CERRI A.-HÀBERLE P.-Jarvad I.M.-Ridola P.-Schefold D. (a cura di), // diritto fra interpretazione e storia: liber amìcorum in onore di Angel Antonio Cervati, V, Roma; 2012 Fasone C., Sistemi di commissioni parlamentari e forme di governo, Padova.

10. L’attività delle Camere: i principi costituzionali fl Parlamento svolge una attività normativa attraverso l’approvazione di leggi, ed una attività di indirizzo e controllo nei confronti del Governo.

310

Il Parlamento

Dell’attività legislativa del Parlamento si è già trattato nei capitoli dedicati alla legge in generale (Parte IJ, Cap. II, Par. 4), mentre dell’attività di in­ dirizzo e controllo si tratterà nèi paragrafi successivi. In relazione alla attività delle Camere la Costituzione pone alcuni prin­ cipi, di natura procedimentale; che sono pregiudiziali sia rispetto alla atti­ vità normativa che alla attività idi indirizzo e controllo, e che sono posti in Costituzione per il loro rilievo e il loro impatto sulla forma di Governo. Questi principi sono determinàti dall’art. 64 2° e 3° comma e riguardano i quorum per la validità delle sedute, le maggioranze necessarie per la vali­ dità delle deliberazioni, le regole per la trasparenza delle deliberazioni. A tale proposito l’art. 64 al 3° comma prevede che: “le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la mag­ gioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei pre­ senti, salvo che la Costituzione stabilisca una maggioranza speciale”. Questa norma introduce un quorum strutturale, o come si dice comunemente, il numero legale per la validità delle sedute, ed un quorum funzionale, cioè la maggioranza necessaria per approvare le deliberazioni della Camera. U numero legale è fissato nella metà più uno dei componenti il collegio (i regolamenti parlamentari accolgono il principio che il numero legale è presunto - e cioè non deve essere verificato - salvo che la verifica del nu­ mero legale sia chiesta da un determinato numero di deputati). Per quan­ to concerne il quorum deliberativo la Costituzione prevede la regola della maggioranza semplice, e cioè che la deliberazione debba essere normal­ mente assunta con la maggioranza pari alla metà più uno dei presenti.

/ quorum

Gli astenuti dovrebbero essere computati tra i presenti, poiché anche se ri­ tengono di non votare, presenti certamente lo sono. Tuttavia mentre il regola­ mento del Senato computa tra i presenti gli astenuti prevedendo espressamente che “ogni deliberazione del Senato è presa a maggioranza dei senatori che parte­ cipano al voto”, alla Camera non vengono compiutati. La norma infatti interpreta presenti come votanti, stabilendo quindi chezsono qualificati come presenti “co­ loro che esprimono voto favorevole o contrario”.

La maggioranza semplice costituisce la regola generale per la validità delle deliberazioni, e viene normalmente utilizzata per tutte quelle delibe­ razioni che riguardano l’attività di indirizzo politico delle Camere. Questa previsione è logica, perché nella contrapposizione tra maggioranza e op­ posizione la maggioranza semplice costituisce normalmente la maggioran­ za politica corrispondente alla maggioranza di governo. Se questo è il principio generale, tuttavia, norme costituzionali e rego­ lamentari possono prevedere anche maggioranza diverse dalla maggioran­ za semplice, dette maggioranze assolute e maggioranze qualificate. Con la maggioranza assoluta si indica la metà più uno dei componenti, mentre con la maggioranza qualificata si indicano tutte quelle maggioranze supe311

La maggioranza semplice regola generale

L’organizzazione dello Stato

La maggioranza assoluta e qualificata

Il voto palese

riori a quella assoluta, come ad esempio la maggioranza dei due terzi. La maggioranza assoluta, ma soprattutto le maggioranze qualificate, sono uti­ lizzate invece per tutte quelle deliberazioni che non sono riconducibili in senso stretto all’esercizio dell’indirizzo politico, e quindi alla semplice mag­ gioranza di Governo, ma ad attività di garanzia che come tali necessitano anche del concorso di parte della opposizione. L’esempio più evidente è presente nell’art. 138 (leggi di revisione della Costituzione e leggi costituzionali) dove la previsione di maggioranze qua­ lificate svolge la funzione di “staccare” la revisione della Costituzione dal­ la attività di indirizzo politico, ma anche la previsione della maggioranza dei due terzi (nei primi tre scrutini) per la elezione del Presidente della Repubblica risponde alla logica di non collegare il Presidente, organo di garanzia, alla maggioranza di Governo. Oltre alla previsione sulle maggioranze di cui si è detto, la Costituzione prevede una regola generale sulla trasparenza delle sedute, che sono nor­ malmente pubbliche salvo che le Camere decidano di riunirsi in seduta segreta. Questa norma, che segna il principio della trasparenza delle sedu­ te parlamentari, principio connesso alla natura direttamente rappresenta­ tiva dell’organo, non influenza tuttavia le modalità di votazione, rispetto alle quali la Costituzione non pone alcun vincolo. La disciplina delle mo­ dalità di votazione è dunque lasciata ai regolamenti parlamentari e la di­ stinzione più importante è tra votazioni a scrutinio segreto e votazioni a scrutinio palese. Il voto palese comporta una assunzione di responsabilità politica per il deputato che vota, mentre il voto segreto favorisce certamente la libertà di cosciènza dei parlamentari - che possono votare contrariamente alle di­ rettive di partito senza conseguenze - ma, d’altro canto, favorisce il feno­ meno dei c.d. “franchi tiratori” (deputati della maggioranza che votano contro la propria maggioranza) ed in generale una maggior possibile commistione tra maggioranza e opposizione. La Costituzione prevede l’obbligatorietà del voto palese solamente per il voto di fiducia al Governo, considerato il momento della massima as­ sunzione della responsabilità politica da parte del Parlamento ed il mo­ mento nel quale massima deve essere la trasparenza verso l’esterno. A par­ te questa previsione, le norme attuali dei regolamenti parlamentari preve­ dono normalmente il voto palese (secondo le norme dei regolamenti par­ lamentari il voto segreto è obbligatorio solo per il voto sulle persone). Come si è ricordato, invece, i regolamenti frutto della riforma del 1971, adottati nell’ottica di valorizzare un modello consociativo tra maggioranza e opposizione, prevedevano come regola il voto segreto (cfr. Parte III, Cap. Il, Par. 6.2).

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Il Parlamento

1980 Armargli P., Ostruzionismo^ e questione di fiducia, in DS, 571 ss.; 1992 MoG., La riforma del voto segreto, Torino; 2000 Curreri S., Il voto segreto: questioni applicative e prospettive di riforma, in RasP, 141 ss.; 2002 Frosini T.E., Le votazioni, Bari; 2006 Gianniti'l.-Di Andrea C., Art. 64, Commentario Bifulco-

schella

Celotto-Olivetti, II; 2006 Traversa'S., Numero legale, in RasP, 653 ss.; 2007 GianE.-Lupo N. (a cura di)! Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, Roma; 2008 Curreri S.-Fusaro C., Voto palese, voto segreto e forma di governo in trasformazione, in II Parlamento del bipolarismo: un decennio di riforme dei regolamenti delle Camere, Napoli; 2008 Traversa I., La disciplina parlamentare dell'estensione, in Camera dei Deputati. (Ufficio pubblica­ zioni e relazioni con il pubblico), II Parlamento delia Repubblica: organi, procedure, apparati, I, Roma; 2009 Guelfi F., Dispositivo elettronico di votazione, 'm RasP, 651 ss.; 2011 Moretti R., Numero legale e modi di votazione, in Martines T.-De Caro C.-Lippolis V.-Moretti R.-Silvestri G„ Diritto parlamentare, Milano; 2012 Traversa S., La “governabilità craxiana": riforma dei regolamenti parlamentari e abolizione del voto segreto, in Studi Grossi. francesco

11. Le funzioni di indirizzo e controllo del Parlamento nei con­ fronti del Governo: mozioni, risoluzioni, ordini del giorno, in­ terrogazioni, interpellanze Oltre all’esercizio della funzione legislativa il Parlamento è titolare di funzioni di indirizzo e controllo nei confronti del Governo. Il Governo è infatti legato al Parlamento da un rapporto di fiducia che si estrinseca at­ traverso una mozione di fiducia sul programma di Governo (sulla mozio­ ne di fiducia e la mozione di sfiducia cfr. Parte III, Cap. Ili, Par. 6). Que­ sto rapporto fiduciario di consonanza politica tra Parlamento e Governo deve permanere durante la legislatura (altrimenti si apre la crisi di Gover­ no), cosicché il Parlamento ha vari strumenti per indirizzare il Governo verso il mantenimento degli impegni assumiti e per controllare che questi stessi impegni vengano mantenuti. Attraverso gli atti di indirizzo il Parlamento svolge una attività di dire­ zione e correzione dell’attività di indirizzo politico del Governo, mentre utilizzando gli atti di controllo verifica l’operato del Governo ai fini di fame valere la responsabilità politica. Gli atti di indirizzo sono le mozioni, le risoluzioni e gli ordini del gior­ no e sono disciplinati dai regolamenti parlamentari. La mozione (a parte la mozione di fiducia e sfiducia che hanno, come si vedrà, caratteristiche particolari) è un atto destinato a produrre un di­ battito ed un voto da parte dell’Assemblea. Attraverso la mozione si invita il Governo ad assumere, su di un determinato argomento, una precisa po­ sizione. Se la mozione è approvata il Governo è quindi politicamente vin­ colato a comportarsi come approvato dalla maggioranza dell’Assemblea.

313

Gli strumenti di indirizzo e controllo

La mozione

L’organizzazione dello Stato

La risoluzione

L'ordine del

giorno

Le interrogazioni

v

//question

time

La mozione deve essere presentata da un determinato gruppo di parla­ mentari (dieci alla Camera) o da un Presidente di gruppo parlamentare. La risoluzione è strumento assai simile alla mozione negli scopi. Essa serve, come recita il regolamento della Camera, “a manifestare orienta­ menti e,definire indirizzi”. La risoluzione, a differenza della mozione, può anche essere votata in Commissione, salvo che il Governo chieda che la discussione venga portata in Assemblea. La risoluziorie è uno strumento se si vuole meno impegnativo della mozione, perché mentre l’obbiettivo di quest’ultima è quello di impegnare il Governo ad un determinato com­ portamento su di una questione, la risoluzione esplicita un indirizzo o un orientamento parlamentare, normalmente di massima e quindi ampiamen­ te interpretabile dal Governo. L’ordine del giorno - che non deve essere confuso con il documento che ìndica l’elenco delle materie da trattare che pure si chiama in egual maniera - costituisce uno strumento assai flessibile di indirizzo. Attraver­ so un ordine del giorno il Parlamento conferisce una direttiva politica al Governo, ma in relazione ad un altro atto del quale si sta discutendo (ad esempio sulla interpretazione di una legge o sulla interpretazione di una mozione). Esso è dunque uno strumento accessorio rispetto ad un oggetto principale. L’ordine del giorno, inoltre, deve essere accolto dal Governo per essere impegnativo. Il Governo infatti potrà dichiarare di accogliere l’ordine del giorno - ed in questo caso ne è vincolato - oppure potrà di­ chiarare di recepire l’ordine del giorno come una mera raccomandazione, ed in questo caso il vincolo è assai minore. Gli atti di controllo del Parlamento sono le interrogazioni e le inter­ pellanze e anche questi sono disciplinati dai regolamenti parlamentari. Le interrogazioni sono domande - in forma orale o scritta - poste da mi Parlamentare o da un gruppo di parlamentari al Governo, o ad un sin­ golo ministro, circa un determinato fatto, chiedendo informazioni parti­ colari, documenti o notizie. Se tuttavia lo scopo “apparente” dell’interro­ gazione è quello di conoscere se ed in che termini il Governo è a cono­ scenza di un determinato fatto, l’obbiettivo reale è piuttosto quello di se­ gnalare all’attenzione del Governo verso determinati problemi, che nella prassi parlamentare riguardano spesso i singoli collegi di appartenenza dei parlamentari. La riposta all’interrogazione può avvenire sia alla Camera che in Commissione, può essere scritta o orale, può essere immediata o differita, e alla fine può anche mancare perché non vi è un obbligo speci­ fico di risposta, salvo motivare le ragioni per le quali non si è risposto. Un particolare tipo di interrogazione è la c.d. interrogazione a risposta immediata, mutuata dall’esperienza inglese e per questo definita question time. Una volta alla settimana viene riservato, all’interno di una seduta, un periodo ristretto di tempo nel quale possono essere presentate interroga­ zioni, alle quali risponde in maniera immediata il Presidente del Consi­ glio. 314

Il Parlamento

In certi casi le interrogazioni possono riguardare problemi di particolare rilie­ vo e di interesse generale, ma è da segnalare che la gran parte delle interrogazioni riguardano invece questioni e fatti'di rilievo locale. Questo spiega anche l’elevato numero di interrogazioni inevase (almeno un terzo).

Mentre lo scopo delle interrogazioni è la conoscenza di un fatto, lo scopo delle interpellanze è di conoscere i motivi della condotta del Go­ verno su questioni che riguardino aspetti della sua politica. L’obbiettivo dell’interpellanza è quindi quello di far emergere la linea politica del Go­ verno su di una determinata questione, anche allo scopo di aprire un di­ battito che possa poi sfociare ih un atto di indirizzo al Governo attraverso lo strumento della mozione. Per queste ragioni le regole procedimentali che riguardano le interpellanze sono più stringenti di quelle relative alle interrogazioni. Le interpellanze possono essere presentate in forma scritta, devono esse­ re illustrate dal suo presentatore, e ciò deve avvenire necessariamente in as­ semblea (e non anche in commissione come nel caso delle interrogazioni).

1969 Buccisano I., Le interrogazioni e le interpellanze parlamentari, Milano; 1973 Pace A., L'inchiesta parlamentare come strumento di Governo della mag­ gioranza, in Id., Il potere d'inchiesta delle assemblee legislative: saggi, Milano; 1989 Giaurro G.F., Risoluzione (diritto costituzionale), ad vocem, ED, XL; 1999 Fenucci F., / limiti dell’inchiesta parlamentare, Milano; 1999 MlDlRl M„ Autonomia costituzionale delle Camere e potere giudiziario, Padova; 2008 Dickmann R., Atti e attività parlamentari con funzione conoscitiva, in Dickmann R.-Staiano S. (a cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo: l'esperienza dell'Italia, Milano; 2009 Mandillo R, Interrogazione parlamentare, in RasP, 659 ss.; 2009 OsbatA., Question Time, in RasP, 66 s$.; 2009 Renna G., L'inchiesta parlamentare in Italia, in Dickmann R. (a cura di), L'inchiesta parlamentare nel di­ ritto comparato, Napoli; 2010 Gigliello V., Interpellanza, in RasP, 817 ss.

T

12. Le funzioni di indirizzo e controllo delle Camere: le commis­ sioni di inchiesta Le Commissioni di inchiesta costituiscono l’unico strumento di indi­ rizzo e controllo del Parlamento sul Governo disciplinato nella Costitu­ zione. La ragione della disciplina costituzionale di questo istituto è da rin­ venirsi nei particolari poteri attribuiti alle Commissioni di inchiesta (come vedremo la Commissione di inchiesta gode degli stessi poteri e incontra le stesse limitazioni dell’Autorità Giudiziaria), e conseguentemente nel rilie­ vo costituzionale di questo istituto all’interno del sistema di bilanciamento dei poteri previsto in Costituzione. 315

Le interpellanze

L’organizzazione dello Stato

I poteri deila Commissione di inchiesta

Inchieste politiche e legislative

Poteri e limiti deH'autorità giudiziaria

L’art. 82 della Costituzione prevede che ciascuna Camera possa disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Per disporre una inchiesta deve essere nominata una Commissione formata in modo da rispecchiare la pro­ porzione dei gruppi parlamentari, dopodiché la Commissione di inchiesta può procedere alle indagini con gli stessi poteri e le stesse limitazioni del­ l’autorità giudiziària. L’oggetto, delimitato dalla Costituzione in “materie di pubblico interesse”, è molto ampio e consente alla Camera che vuole isti­ tuire un’inchiesta di non essere rigidamente vincolata da limiti di materia (inchieste importanti sono state quelle sulla mafia, sul delitto Moro, sulla loggia massonica P2, sul servizio sanitario nazionale). Le inchieste tradizionalmente si distinguono in inchieste politiche, cioè finalizzate al controllo sul Governo, e inchieste legislative, finalizzate all’ottenimento di conoscenze, informazioni, dati, per lo svolgimento del­ l’attività legislativa del Parlamento. Tuttavia spesso le inchieste politiche sono funzionali anche ad ottenere conoscenze e dati per prendere cono­ scenza, in maniera approfondita, di un fenomeno e conseguentemente esercitare interventi legislativi. La Commissione di inchiesta può essere, a norma della Costituzione, monocamerale o bicamerale, ma la prassi segnala una notevole prevalenza di commissioni bicamerali, composte da Deputati e Senatori in maniera eguale. Può essere istituita con legge o con deliberazione non legislativa, e l’atto istitutivo della Commissione chiarisce l’oggetto della inchiesta, il termine entro il quale l’inchiesta deve essere conclusa, gli obblighi in capo ai componenti, ecc. Lina volta istituita, o con atto legislativo o con deliberazione non legisla­ tiva, la Commissione di inchiesta procede alle indagini con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. La previsione costituzionale di questi poteri costituisce il tratto maggiormente distintivo delle Commissioni di inchiesta rispetto ad altri strumenti del sindacato ispettivo del Parlamen­ to. Come si è detto più volte, infatti, la Commissione di inchiesta gode di tutti i poteri - ma è sottoposta agli stessi limiti - dell’autorità giudiziaria nella fase istruttoria, non avendo questa alcun potere decisorio. Ciò signifi­ ca che essa potrà interrogare testimoni, ordinare perquisizioni, anche effet­ tuare sequestri, purché con le stesse garanzie che sono previste allorquando tali atti sono posti in essere da una autorità giudiziaria. Il parallelismo tra i poteri delle Commissioni di inchiesta e i poteri del­ l’autorità giudiziaria in fase istruttoria può portare a sovrapposizioni tra Commis­ sioni di inchiesta e giudici quando le indagini dell’uno e dell’altro abbiano Io stesso oggetto. Questi contrasti sono stati sciolti in sede di conflitto di attribuzio­ ne tra i poteri dello Stato. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 231 del 1975 ha chiarito che la Commissione di inchiesta può opporre al giudice che vo­ lesse ottenere atti in possesso della Commissione, il c.d. segreto funzionale per quegli atti che sono strettamente funzionali all’assolvimento del proprio compito.

316

Il Parlamento

Si tratta di una violazione del principio della separazione dei poteri che tuttavia è solo apparente. La attribuzione dei potéri dell’autorità giu­ diziaria ad un organo facente parte del potere legislativo è infatti finalizza­ ta non al giudicare ma al conoscere, e sulla base delle conoscenze ad eser­ citare il controllo sul Governo. ; La inchiesta si conclude con una o più relazioni (vi può essere an­ che una relazione di minoranza) all’Assemblea. È quest’ultima infatti che discuterà della relazione presentata assumendo le determinazioni del caso.

1954 Furiami S., Le Commissioni parlamentari di inchiesta, Milano; 1973 Pace A., Il potere d'inchiesta delle Assemblee legislative, Milano; 1979 RECCHIA G., L'informazione delle assemblee rappresentative. Le inchieste, Napoli; 1905 De Vergottini G. (a cura di), Le inchieste delle assemblee parlamentari, Rimini; 1999 Fenucci F., I limiti dell'inchiesta parlamentare, Milano; 2003 Borrello R., Segreti pubblici e poteri giudiziari delle Commissioni d’inchiesta: profili costituzio-, nati, Milano; 2009 Pansolli L, Le inchieste parlamentari nell'Italia liberale: teoria e prassi nella vicenda di un istituto, Napoli.

13. Il Parlamento in seduta comune Composto dai parlamentari di Camera e Senato, il Parlamento in sedu­ ta comune costituisce un organo distinto dalle due Camere, che, come previsto dall’art. 55 2° comma, “si riunisce nei soli casi previsti dalla Costi­ tuzione” . Questi casi sono la elezione del Presidente della Repubblica, la elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratu­ ra, la elezione di cinque giudici della Corte costituzionale. Il Parlamento in seduta comune decide inoltre sulla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica pe/i reati di alto tradimento e at­ tentato alla Costituzione. Quando il Parlamento si riunisce, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Càmera dei Deputati. Si discute se il Parlamento in seduta comune possa essere definito come un collegio perfetto o imperfetto, intendendosi con ciò se ad esso vada riconosciuta la possibilità di discutere prima di deliberare. Se è vero che in ordine alla compe­ tenza a votare per la elezione del Presidente il collegio è da ritenersi imperfetto, in quanto mero collegio elettorale, vi sono altre funzioni, come nel caso della messa in stato di accusa del Presidente dove al contrario non può che trattarsi di collegio perfetto, poiché è evidente che, in tal caso, la discussione costituisce il necessario presupposto per ogni deliberazione.

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La messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica

L’organizzazione dello Stato

1960 Paladin L, Sulla natura del Parlamento in seduta comune, in RTDP, 388 ss.; 1979 Mannino A., Struttura intèrna e potestà regolamentare del Parlamento in seduta comune, in AA.W., Il Parlamento nella Costituzione e nella realtà: atti, regolamenti e prassi della Camera nella VII legislatura, Roma 20-21-22 ottobre 1978, Milano; 1983 D’Alessio R., Il Parlamento in seduta comune, Roma; 1991 D'Alessio R., Parlamento in seduta comune, ad vocem, EG, XXV-, 2004 Giocoli Nacci P., Alcune riflessioni sul Parlamento in seduta comune, ih Scritti Paladin, II.

14. Sintesi del capitolo La forma di Governo italiana è una forma di Governo parlamentare. Essa si basa sulla interrelazione tra Parlamento e Governo, con un Presi­ dente della Repubblica che svolge funzioni di garanzia e una Corte costi­ tuzionale che svolge la funzione di controllare la legittimità costituzionale delle leggi rispetto alla Costituzione. Questa forma di Governo doveva essere resa più stabile attraverso meccanismi di rafforzamento dell’ese­ cutivo che invece non sono stati introdotti in Costituzione (Par. 1). Il Parlamento è articolato in due Camere con competenze paritarie (bicameralismo paritario). H Senato, nel modello bicamerale paritario, svol­ ge la funzione di Camera di riflessione (Par. 2). La composizione del Senato è parzialmente diversa rispetto alla Came­ ra, posto che in Senato siedono di diritto gli ex Presidenti della Repubbli­ ca e i Senatori nominati a vita dal Presidente della Repubblica. Anche l’elettorato attivo e passivo presenta alcune diversità rispetto all’elettorato attivo e passivo della Camera. Il sistema elettorale disciplinato dalla legge 21 dicembre 2005 n. 270 è qualificabile come un sistema proporzionale con correzioni in senso maggioritario, e presenta differenze tra Camera e Senato. La Corte costituzionale, con sentenza n. 1 del 2014, ha dichiarato illegittima la legge elettorale in relazione al premio di maggioranza e alle liste bloccate, facendo riespandere, sino ad una nuova legge elettorale, il sistema proporzionale con preferenza unica (Par. 3). La ineleggibilità è quella condizione soggettiva che incide sulla capa­ cità elettorale passiva, la cui presenza causa la invalidità della elezione. La incompatibilità invece è quella situazione soggettiva in cui versa un soggetto in ragione di una altra funzione da lui svolta, in presenza della quale - funzione - la legge prevede la incompatibilità con l’esercizio del mandato parlamentare. A differenza della ineleggibilità, l’esistenza di una causa di incompatibilità non rende invalida la elezione, ma impone alla persona che si trova in quella situazione la scelta tra l’una o l’altra delle funzioni. Il parlamentare esercita le sue funzioni senza vincolo di manda­ to. Egli non è dunque mero portatore degli interessi che hanno condotto alla sua elezione, ma diviene portatore di un interesse più ampio e genera­ 318

Il Parlamento

le, rappresentando la Nazione e non il partito dal quale proviene (Par. 4). Le elezioni delle nuove Camere debbono avvenire entro 70 giorni dalla fine delle precedenti. Nel periodo che va dalla fine della legislatura sino alla prima riunione delle nuove Camere sono prorogati i poteri delle pre­ cedenti (la c.d. prorogatio). I poteri delle Camere prorogate sono normal­ mente classificati come di ordinaria amministrazione (Par. 5). La organizzazione interna della Camera, il procedimento legislativo, e in genere le funzioni del Parlamento, sono disciplinate anche attraverso i regolamenti parlamentari che sono atti approvati da ciascuna delle Came­ re a maggioranza assoluta (Par. 6). I regolamenti parlamentari sono fonti del diritto, sono qualificabili co­ me fonti primarie, ma sono escluse dal controllo di costituzionalità da parte della Corte costituzionale perché espressione della autonomia e in­ dipendenza del Parlamento (Par. 6.1). I regolamenti parlamentari producono riflessi sulla forma di Governo. I regolamenti parlamentari, frutto della riforma del 1971, accentuavano il ruolo del Parlamento. La successiva riforma del 1981 ha invece recupera­ to in parte il ruolo del Governo (Par. 6.2). L’indipendenza del Parlamento è rafforzata da ulteriori condizioni di autonomia interna: l’insindacabilità degli interna corporis (gli atti interni delle Camere), il potere di controllare la validità della elezione dei parla­ mentari, il potere di decidere sui ricorsi dei propri dipendenti (c.d. auto­ dichia) (Par. 7). Un’ulteriore garanzia per la indipendenza del Parlamento è data dalla c.d. insindacabilità dei voti e delle opinioni espresse dal singolo parlamen­ tare prevista dall’art. 68 della Costituzione. Questa norma prevede una scriminante assoluta per i voti e le opinioni del parlamentare (irresponsabi­ lità sia civile, penale e amministrativa). La légge ha disciplinato i rapporti tra organi giudiziari e Parlamento nel caso in cui in un procedimento sia coinvolto un parlamentare in relazione alle opinioni espresse (Par. 8). La inviolabilità del parlamentare costituisce un’ulteriore garanzia per l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento posta dall’art. 68 della Costi­ tuzione. Il parlamentare non può essere attestato o altrimenti essere limita­ ta la sua libertà personale, salvo che in attuazione di sentenza definitiva o in flagranza di reato, se non previa autorizzazione della Camera di apparte­ nenza. In sede di rilascio della autorizzazione a procedere la Camera di ap­ partenenza deve valutare la sussistenza del c.d. fumus persecutionis, in as­ senza del quale la autorizzazione dovrà essere concessa (Par. 8.1). L’attività delle Camere e principalmente l’attività istruttoria, viene svolta attraverso le Commissioni parlamentari. Le Commissioni sono composte in proporzione ai gruppi parlamentari che a loro volta costituiscono la proiezione all’iniefno delle Camere dei partiti politici. Le Giunte sono la Giunta per il regolamento, la Giunta per le autorizzazioni a procedere, la Giunta per le elezioni. La prima svolge principalmente una attività tecnica 319

L’organizzazione dello Stato

di consulenza sulla interpretazione dei regolamenti parlamentari, la se­ conda svolge attività istruttoria sulle richieste di autorizzazione a procede­ re, la terza svolge la attività di convalida delle elezioni. Il Presidente della Assemblea svolge una funzione di garanzia e controllo del corretto anda­ mento dei lavori parlamentari (Par. 9). La Costituzione pone alcune regole in ordine alle modalità di assun­ zione delle deliberazioni del Parlamento. Per la validità delle deliberazio­ ni occorre un quorum strutturale, fissato nella presenza della metà più uno dei componenti l’organo, e un quorum deliberativo, fissato nella mag­ gioranza c.d. semplice. In Costituzione o nei regolamenti parlamentari so­ no previsti in certe ipotesi maggioranze anche superiori rispetto alla mag­ gioranza semplice, c.d. maggioranze qualificate, quando si tratta di atti che non sono espressione dell’indirizzo politico. La Costituzione ha deter­ minato solamente per il voto di fiducia la regola del voto palese. I regola­ menti tuttavia prevedono il voto segreto solamente per il voto sulle perso­ ne (Par. 10). La attività di indirizzo e controllo del Parlamento nei confronti del Go­ verno si estrinseca in mozioni, risoluzioni, ordini del giorno, interrogazioni e interpellanze. Le mozioni sono atti destinati a produrre un dibattito e un voto da parte dell’assemblea. Con le risoluzioni vengono manifestati orien­ tamenti e indirizzi. Con gli ordini del giorno vengono attribuite direttive politiche al Governo. Con le interrogazioni viene chiesto che il Governo risponda su di un fatto. Con le interpellanze viene chiesta una valutazione del Governo su questioni relative alla sua attività politica (Par. 11). Le Commissioni di inchiesta costituiscono un altro strumento del sin­ dacato ispettivo del Parlamento rispetto al Governo. Le Commissioni di inchiesta hanno gli stessi poteri e gli stessi limiti dell’autorità giudiziaria. Le inchieste si distinguono in inchieste politiche, cioè finalizzate al con­ trollo sul Governo, e inchieste legislative, finalizzate all’ottenimento di conoscenze, informazioni, dati, per lo svolgimento dell’attività legislativa del Parlamento (Par. 12). H Parlamento in seduta comune costituisce un organo distinto dalle due Camere che, come previsto dall’art. 55 2° comma, “si riunisce nei soli casi previsti dalla Costituzione”. Questi casi sono la elezione del Presiden­ te della Repubblica, la elezione di un terzo dei membri del Consiglio Su­ periore della Magistratura, la elezione di cinque giudici della Corte costi­ tuzionale. Il Parlamento in seduta comune decide inoltre sulla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradi­ mento e attentato alla Costituzione (Par. 13).

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Càpitolo IH GOVERNO E PRÌNCIPI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE SOMMARIO: 1. Il Governo organo non solo esecutivo: la funzione di indirizzo politico. 2. La composizione del Governo: il quadro generale. - 3. L’ambiguità dell’art. 95 e le interrelazioni tra gli organi. - 4. Gli organi governativi non necessari. - 5. La formazione del Governo: la prassi prima e dopo il sistema maggioritario. - 6. Mo­ zione di fiducia, mozione di sfiducia, questione di fiducia. - 7. La crisi di Gover­ no. - 8. La responsabilità dei ministri. - 9. Le funzioni del Governo: i principali settori nei quali si svolge l’indirizzo politico. - 10. Il Governo come “organo ese­ cutivo”: il problema della continuità o della separazione con l’amministrazione. 11.1 principi costituzionali: imparzialità e buon andamento della Amministrazio­ ne. - 12. Sintesi del capitolo.

1. H Governo organo non solo esecutivo: la funzione di indirizzo politico Nella classificazione tradizionale risalente a Montesquieu, il Governo era definito come “organo esecutivo”, definizione che è utilizzata usualmente an­ che ora. Si voleva con questo indicare da un lato che la Pubblica Amministra­ zione dello Stato dipendeva gerarchicamente dal Governo, e dall’altro lato che il Governo era subordinato rispetto alla legge del Parlamento, dovendo svol­ gere principalmente una funzione di attuazione della volontà di quest’ultimo. Lo svolgimento di una attività, definita come di mera natura esecutiva, a sua volta derivava dalla non diretta rappresentatività del Governo. Tuttavia, con l’aumentare dei compiti dello Stato e a seguito del pro­ cesso di razionalizzazione delle forme di governo parlamentari, sostenere che il Governo è1 un mero organo esecutivo della volontà del Parlamento non corrisponde né alle funzioni che questo deve svolgere, né al modello della forma di Governo parlamentare. In primo luogo nelle forme di governo parlamentari è il Governo a presentare il proprio programma in Parlamento ed è il Governo che deve attuare il programma, proponendo progetti di legge al Parlamento. I po­ teri del Governo per attuare il programma sono più o meno forti a secon321

L’organizzazione dello Stato

L'attività di indirizzo politico

La doppia funzione del Governo

da del tipo di forma di Governo parlamentare (cfr. sul punto Parte III, Cap. I, Par. 11), ma normalmente è sempre il Governo a delineare l’indi­ rizzo e il Parlamento a controllare che il programma sia rispettato. In secondo luogo i fini dello Stato vengono a realizzarsi non solo attra­ verso la mera approvazione di una legge e con la sua esecuzione, ma at­ traverso una molteplicità di interventi e di atti politici tra loro intercon­ nessi. Essi sono sia leggi del Parlamento, ma anche atti secondari del Go­ verno, relazioni internazionali e così via. Accanto alle tre funzioni tradi­ zionali dello Stato - legislativo esecutivo e giudiziario - ormai da tempo si è così individuata una quarta funzione, definita come “funzione di indi­ rizzo politico”, intendendosi con questa definizione la capacità di deter­ minare le linee fondamentali di sviluppo della politica interna e esterna dello Stato, nonché la cura della sua attuazione. L’attività di indirizzo politico è per sua natura definibile come una at­ tività libera nel fine. È il titolare dell’indirizzo che sceglie infatti, libera­ mente, i fini da perseguire sia pure nel rispetto delle norme costituzionali. Gli atti politici, attraverso i quali si estrinseca la funzione di indirizzo poli­ tico, sono anche essi liberi nel fine, poiché è attraverso questi atti che il titolare dell’indirizzo determina - senza vincoli che non siano quelli posti dalle norme costituzionali - gli obbiettivi da perseguire. L’indirizzo poli­ tico costituisce quindi una sorta di funzione unitaria che indirizza e guida le altre funzioni dello Stato e che, nella maggior parte degli Stati contem­ poranei, si è progressivamente venuta concentrando sul Governo, in quanto organo snello ed istituzionalmente deputato a svolgere le proprie funzioni anche a livello internazionale. È il Governo, del resto, l’organo che intrattiene direttamente le rela­ zioni internazionali e le relazioni comunitarie nelle sedi dove si formano gli indirizzi generali che poi debbono essere tradotti in manovre di politi­ ca economica. È il Governo che prende impegni ad attuare questi indiriz­ zi, e sono queste relazioni dirette a conferire al Governo quel surplus di legittimazione politica che sopperisce al deficit di rappresentanza diretta. Può dunque constatarsi che il Governo oggi svolge una doppia fun­ zione: da una parte ha la capacità di determinare (nell’ambito della Costi­ tuzione) i fini che intende perseguire, essendo dotato altresì degli stru­ menti necessari per raggiungerli (funzione di indirizzo politico), mentre dal­ l’altra parte è anche organo esecutivo e vertice dell’apparato amministra­ tivo statale, dotato quindi degli strumenti per attuare l’indirizzo politico in maniera conforme alle direttive del Parlamento. Se la funzione di indirizzo è normalmente considerata la “vera essen­ za” della politica del Governo, la capacità di eseguire e rendere concre­ tamente attuabili i fini generali non è tuttavia da sottovalutare. L’effi­ cienza di un Governo la si vede spesso più nella capacità di dirigere la Pubblica Amministrazione per attuare la politica generale che nella capa­ cità di delineare i fini generali degli obbiettivi politici. 322

Governo e principi sulla Pubblica Amministrazione

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2. La composizione del Governo: il quadro generale La discussione in Assemblea costituente sull’assetto della forma di Governo italiana, come si è detto, partiva dall’idea di un modello parla­ mentare in cui il Governo godesse di meccanismi di rafforzamento e di stabilizzazione (cfr. ordine del giorno Perassi, Parte I, Cap. II, Par. 4). Questi meccanismi apparivano necessari in presenza di un sistema eletto­ rale di tipo proporzionale a multipartitismo.estremo, che avrebbe prodot­ to Governi di coalizione presumibilmente instabili, che avrebbero necessi­ tato di norme costituzionali per stabilizzatela coalizione e rafforzarne l’in­ dirizzo. / Questi meccanismi di razionalizzazione non furono poi posti in essere, in parte anche per i veti incrociati delle fòrze politiche più importanti che sostenevano modelli opposti. Secondo le forze di sinistra, infatti, occorre­ va rafforzare la collegialità del Governo per tutelare l’unità dell’indirizzo politico, mentre secondo la Democrazia Cristiana era invece necessario rafforzare la figura del Presidente del Consiglio, allo scopo di attribuire ad un organo monocratico il potere di elaborare l’indirizzo politico. Nella mediazione tra queste due diverse impostazioni il modello che ne è fuoriuscito è assai ambiguo ed abbastanza sommario. Vi sono descrit­ ti gli organi (il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Governo ed i mini­ stri) ma non sorto ben chiare le relazioni che intercorrono tra di loro. Ad una prima lettura1 emerge la figura del Presidente del Consiglio come una sorta di “primus inter pares” che “dirige la politica del Governo” ma allo 323

Carenza di norme per rafforzare l'indirizzo

L’organizzazione dello Stato

Le incertezze stesso tempo mantiene "l’unità dell’indirizzo politico ed amministrativo, sul ruolo del promuovendo e coordinando l’attività dei ministri". Dunque non è chiaro de/’conslgfo se è il Presidente del Consiglio dei Ministri ad essere il titolare dell’indi­ rizzo politico, o se invece questi deve svolgere una funzione di semplice mediazióne coordinando l’attività dei ministri, cosicché l’indirizzo politi­ co è invece il frutto di un accordo collegiale all’intemp del Consiglio dei Ministri. Le incertezze Del pari i ministri sono responsabili individualmente per gli atti dei Io­ sa/ ruolo dei fo dicasteri ma anche collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, con la conseguenza che anche in questo caso non risulta immediatamente chiaro se ciascun ministro è a sua volta portatore di un proprio indirizzo politico, o se questo si esprime solo collegialmente attraverso gli atti del Consiglio dei Ministri. A completare questo quadro di sostanziale incertezza, l’art. 95 rinvia alla legge per la determinazione dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e per la determinazione del numero, delle attribu­ zioni, e dell’organizzazione dei ministeri. Le oscillazioni Questo modello, che nasce incerto principalmente a causa della paura del modello costituente di delineare un Governo forte intorno alla figura del Pre­ mier, avrà in effetti oscillazioni nel corso degli anni. In queste oscillazioni predomineranno gli elementi della collegialità, specialmente nei momenti di maggiore frammentazione politica e in presenza di una legge elettorale di tipo proporzionale che tale frammentazione accentuava. Predominerà invece la funzione di indirizzo politico del Premier nei momenti storici rari - nei quali la legge elettorale di tipo maggioritario sarà in grado di produrre una coalizione sufficientemente stabile intorno al Presidente del Consiglio, oppure in situazioni di netta prevalenza di un partito sugli altri (come nel primo periodo della presidenza De Gasperi intorno agli anni ’50 del secolo scorso).

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3. L’ambiguità dell’art. 95 e le interrelazioni tra gli organi Il Governo è normalmente definito come un organo complesso, costi­ tuito da più organi individuali, quali il Presidente del Consiglio e i singoli ministri, e da un organo collegiale, il Consiglio dei Ministri, composto a sua volta dal Presidente del Consiglio e dai singoli ministri. Il problema storico di tutti i Governi è legato al mantenimento, nel­ l’ambito di questo organo complesso, dell’unitarietà dell’indirizzo politi­ co: i singoli organi che compongono il Governo dovrebbero agire in ma­ niera unitaria per portare avanti il programma, evitando prese di posizioni differenziate che rendano incerto il cammino dell’esecutivo. Il grado di unitarietà dell’indirizzo del Governo, tuttavia, non dipende solo dalle regole costituzionali. La coesione di un Governo dipende in primo luogo dalla coesione dei partiti che formano la coalizióne di Governo (o nel caso di si­ stema bipartitico dal grado di compattezza interna del partito vincitore). Le rego­ le costituzionali possono cercare di correggere queste tendenze rafforzando i po­ teri di alcuni organi rispetto ad altri, ma se k/coalizione di Governo è fortemente disomogenea per le diverse tendenze politiche dei partiti che ne fanno parte, le regole saranno probabilmente rese inefficaci'dalle situazioni di fatto.

In generale, per rafforzare l’unitarietà dell’indirizzo politico si tende nei modelli costituzionali a rafforzare i poteri di indirizzo del Premier, at­ tribuendo a questo organo la forza politica e gli strumenti giuridici per mantenere coerente l’indirizzo politico e per bloccare eventuali iniziative di singoli ministri divergenti con la linea politica approvata. Nella Costituzione italiana, tuttavia, non è stata effettuata una scelta in questa direzione. Le relazioni tra gli organi che compongono il Governo sono basate infatti essenzialmente su tre principi: il principio collegiale, che postula necessariamente che l’indirizzo politico si formi all’interno del Consiglio dei Ministri; il principio monocratico, sulla base del quale i po­

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Governo organo complesso

L’organizzazione dello Stato

teri di direzione e coordinamento sono attribuiti al Premier; il principio della responsabilità ministeriale rispetto agli atti dei propri dicasteri, che indica la esistenza di una autonomia e di una conseguente responsabilità del singolo ministro per gli atti che da questi vengono posti in essere. indirizzo La scelta di fondo che emerge dalla relazione tra questi tre organi è duncollegiaie que l’indirizzo politico dovrebbe formarsi collegialmente all’interno del Consiglio dei Ministri, poiché il Presidente del Consiglio dovrebbe limitarsi a dirigere e mantenere quell’indirizzo che si è determinato in sede collegiale. In effetti al Presidente del Consiglio la Costituzione non attribuisce ad esempio il potere di revoca nei confronti dei ministri eventualmente dis­ senzienti (come invece accade in Francia e in Germania) il che non con­ duce ad un suo rafforzamento. La Costituzione infatti prevede che i mini­ stri siano nominati dal Presidente della Repubblica, su proposta del Pre­ sidente del Consiglio, e ciò esclude già la possibilità che il Presidente del Consiglio possa revocare autonomamente un ministro. Una volta che il Governo abbia ottenuta la fiducia dal Parlamento, dovrà essere quest’ul­ timo a valutare la congruenza della posizione del singolo ministro rispetto alla linea programmatica approvata dal Parlamento, e nell’ipotesi in cui vi sia contrasto, il singolo ministro dissenziente potrà essere rimosso dal Par­ lamento attraverso una mozione di sfiducia individuale. Sulla base delle norme costituzionali anche la Corte costituzionale ha quindi rilevato come il disegno costituzionale sia quello di attribuire al­ l’organo costituzionale nel suo complesso (Governo) e non al suo Presi­ dente, il potere esecutivo (Corte cost. n. 262 del 2009 nella pronuncia sul c.d. “lodo Alfano”). Nella sentenza n. 262 del 2009 la Corte costituzionale ha affermato che: “non è, infatti, configurabile una preminenza del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto ai ministri, perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l’unità, promuovendo e coordinando l’atti­ vità dei ministri e ricopre, perciò, una posizione tradizionalmente definita di pri­ mus inter pares."’ Già in una precedente decisione, la n. 7 del 2006, la Corte aveva affermato che “l’indirizzo politico che si colloca al centro di una siffatta articola­ zione di rapporti è assicurato, dunque, nella sua attuazione, dalla responsabilità collegiale e dalla responsabilità individuale contemplate dall’art. 95 della Costitu­ zione; responsabilità che fanno capo ai soggetti specificamente indicati dall’art. 92 della Costituzione, vale a dire il Presidente del Consiglio dei ministri ed i mi­ nistri, nella duplice veste di componenti del Governo e di vertici dei dicasteri”.

Questo modello è stato in parte precisato dalla legge n. 400 del 1988 “Disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consi400