210 53 13MB
Italian Pages 240 Year 1979
Che cos'è l'SC/IO
SC/10 non è soltanto una nuova collana, ma anche - e soprattutto - una nuova e moderna concezione editoriale: rhigh quali!) pa perback, come è stato chiamato in America e in Inghilterra, e cioè l'edizione economica, grazie a un'alta tiratura, di opere di alto li vello culturale e scientifico. In Italia il libro di cultura, sia esso l'opera storica, l'indagine sociologica, filosofica o scientifica, il saggio di estetica o di critica letteraria, ha quasi sempre un prezzo superiore alle possibilità del lettore medio. SC/10, in virtu di un prezzo accessibile, presenta ora a un vastis simo pubblico una serie di libri che si distinguono per rigore di selezione, praticità di formato ed eleganza grafica. SCflO offre ad ogni persona colta la possibilità di arricchire la pro pria biblioteca di testi classici, antichi e moderni, di saggi contem poranei, di strumenti di consultazione. SCflO intende offrire alla scuola e agli studenti i mezzi per uno studio piu vivo e aperto; è la proposta, rivolta a tutti, di una lettura che non sia soltanto evasione. Silvio Maracchia, nato a Cagliari il 3 novembre 1932, si è laureato a Roma in Scienze matematiche ed è professore di ruolo per matematica e fisica nei licei scientifici. Libero docente dal 1971 in Storia delle matematiche, insegna tale materia nell'Istituto matematico dell'Università di Roma dall'anno accademico 1973-74 dopo essere stato incaricato di Meccanica razionale nella facoltà di ingegneria di Roma. Dal 1970 fa parte del gruppo di ricerca n. 25 del CNR per la storia del la matematica. Per vari anni segretario di redazione della rivista d i matematica .. Archimede ne è diventato dal 1977 direttore assieme a Giuseppe Vaccarn, già rettore dell'Università di Roma. Silvio Maracchia ha pubblicato piu di ottanta articoli in varie riviste scien tifiche ed è autore anche di due libri di storia della matematica: Pùçola lIor;a del/a geometria solida pre-eudidea edita da Librerie universitarie di Roma e La matematùa tome sis/mla ipoletico deduttivo edita da Le Monnier di Firenze. Nel 1976 ha vinto il "Premio ministeriale per la matematica" assegnato dal l'Accademia Nazionale dei Lincei. ,
Silvio Maracchia
Da Cardano a Galois Momenti di storia dell'algebra
Feltrinelli
Prima edizione:
settembre 1979
Copyright by:
© Giangiacomo Fdtrinelli Editore
Design:
Bob Noorda
e
Massimo Vignelli/Unimark
Indice
Prefazione di Attilio Frajese
Pagina
11
Pagina
13
Pagina
1 7 Capitolo primo
Introduzione
Le equazioni di
terzo
e quarto grado e l'algebra
italiana del XVI �Io Premessa, 1 7.
-
Comparsa delle 'ljIIa�ioni di ler�o grado e 1liia
strana ipolesi, 1 7. - Cronistoria della stoperla della formula riso luti"a della equa�ione x, + px = q, 2 1 . - I "ersi di Tarlaglia. La formula risolutilla del/, ,qua�ioni di ler�o grado , lo sua dimo slra�ion"
24. - Rapporli tra glomelria ed algebra altrallerso i
seroli e Il cipillà, JI. - Dimostra�ione di Cardano della formula risolulilla dell'eljlla�iont x· + px = q, J6. - Dimostrazione di
Bombilli, 4 1 . - Equa�ioni di ljIIarlo grado, 44. Bibliografia, 55
Pagina
58
-
Conclusioni, 55.
-
Capitolo secondo
Cataldi e la nascita delle frazioni continue. Genesi
di un'invenzione
l. Gli slorici d,Ila nal&ila delle fra�ioni conlinuI, 58. - 2. PrelUJJi al/a nal&ila delle fra�ioni continI/e. Bombelli. Opinioni degli slo riti, 6 1 . - J. Le stoperle di Calaldi, 66. - 4. B"", ,some della parle finale dell'opera di Calaldi, 1 05. - 5. Capisaldi del/a stoperla,
107.
-
Bibliografia, 111
Pagina 113 Capitolo terzo Frazioni continue ed equazioni in Lagrange l. Introd�ion, all'opera di Lagrange, 11J. - 2. Primi risullati J. Dimostra�ion, di un'afferma�ione di La grange, 1 29. - 4. Consegutn�e d,lleorema, H7 di Lagrange, 1 14.
7
l'agilla t 44
Pagina 159
Capitolo qHarto
Il primo lavoro matematico di Evariste Galois
Appendice prima
Le equazioni di terzo grado
Pr,mlSl', 159. - EI,mPi, 165
Pagina 168
Appendice seconda Cenni sulle frazioni continue
Pagina 173
Appendice terza Profili biografici G,rolamo Cardano (1501-1576), 173. - Piltro Anlonio Cataldi (1552-1626), 176. - Giul'pp, Luigi Lagrang, (1736-1813), 179. E"arist, Ga/oÌl (181'-'8J2), 184
Pagina 189
Note
Pagina 236
Indice 'dei nomi
8
A mia moglie e ai miei figli
Prefazione
Il mio grande maestro, Federigo Enriques, mi esortava a non fermarmi alla matematica greca nelle mie ricerche storiche. Non seguii il suo consiglio, almeno in misura apprezzabile. Un mio consiglio analogo ha seguito invece (e assai bene!) Silvio Maracchia che da vari anni è divenuto mio successore nell'insegnamento della storia della matematica nell'Università di Roma. Il Maracchia ha speso pre ziose energie nella storia della matematica greca, ed altre ne spenderà nella sua ancor giovine età (sta preparando uno studio sistematico sui passi matematici di Aristotele). Ma dalla matematica greca è uscito raggiungendo risultati notevolissimi nel campo della storia della matema tica in epoca moderna: questo libro ne costituisce una prova luminosa. E confer'l1Ja ne è la bellissima introduzione premessa dal Maracchia al suo libro: introduzione di carattere, per dir cosi, genetico, la quale sPiega come rautore sia passato dall 'uno all'altro argomento nel succedersi dei capitoli. In sostanza il Maracchia ci offre, in questa introduzione, la storia della compilazione del SIlO libro: egli è uno storico nato, e non ha quindi (per fortuna dei lettori) potuto rinunziarvi. La lettura dell'opera è assai attraente: lo stile è sco"evole e piano pur nella sua estrema precisione. Nessuna concessione alla pura erudizione, come si vede anche dal fatto che molte precisazioni sono state relegate nelle note. La lettura di questo libro richiamerà senza dubbio rattenzione di molti lettori sull'importanza e sul significato che si vanno comPiendo nella storia della matematica; storia che è destinata ad esercitare una sempre pi'; profonda influenza negli svilupPi stessi del pensiero matematico.
Attilio Frajese
11
Introduzione
Questo libro è nato da una poesia e si è sviluppato grazie ad una coincidenza del tutto fortuita: la poesia è quella con la quale Tar taglia comunicò a Cardano la regola per risolvere alcuni tipi di equazioni di terzo grado (v. cap. I, pp. 24-25). La coincidenza fu la casuale vicinanza di due opere nella biblioteca dell'Istituto ma tematico dell'Università di Roma. Per veder chiaro su una strana circostanza che mi apparve allor ché cominciai a riflettere sui venticinque versi di Tartaglia, mi vidi costretto, dopo aver letto il libro nel quale egli raccontava come e perché si fosse deciso a rivelare un simile segreto, a sentire, per dir cosi, anche l'altra campana. Da qui la necessità di leggere l'Ars Magna di Cardano che aveva suscitato il risentimento di Tartaglia e, conseguentemente, i sei cartelli di sfida che quest'ul timo scambiò con altrettanti di Ferrari il quale a sua volta lo aveva accusato per difendere appunto Cardano di cui era il "creato" cioè l'allievo. Devo dire che per la lettura dei famosi cartelli sono stato agevo lato dalla loro ristampa in fac-simile curata recentemente da Ar naldo Masotti. Riguardo a Cardano, invece, ho potuto sfruttare la ben fornita biblioteca dell'Istituto matematico di Roma nel quale da vari anni insegno "storia delle matematiche". In tale biblioteca il reparto delle opere antiche è posto, per quanto è possibile, in ordine alfabetico, ecco perché, consultando Cardano, ebbi occasione di vedere e sfogliare anche due volumi che con tengono le opere di Cataldi, il matematico bolognese che si era occupato del 50 postulato di Euclide e delle cosiddette frazioni continue. Conoscevo attraverso gli scritti di Bortolotti la "questione" relativa alla priorità di tale scoperta e, piu per curiosità che per altro, volli rendermi conto personalmente di questa "questione", iniziando una ricerca durata poi vari mesi. Via via che questa ricerca procedeva, infatti, mi accorsi che, a pre1)
scindere da una sempre sterile questione di priorità, con il lavoro di Cataldi potevo assistere ad una straordinaria circostanza. Per la prima volta attraverso le grandi pagine in quarto vedevo dipanarsi, prendere forma, una scoperta. Come questo sia stato possibile, dato che i libri si scrivono dopo che l'argomento trat tato è stato affrontato e risolto e in essi non vi è traccia dei tenta tivi e degli errori commessi e che pure lo hanno determinato, si potrà vedere leggendo il secondo capitolo del mio libro e in p�r ticolare la lettera Alli Lettori dello stesso Cataldi (cap. II, p. 106). La cosa piu strana, data la casualità dell'attenzione da me posta a Cataldi, fu la circostanza che lo stesso Cataldi veniva ad inserirsi senza forzature nella tesi da me sostenuta riguardo al distacco dalla geometria avvenuto nel XVI secolo. Questo apparirà chiaramente dalle ultime pagine del primo capitolo, tenuto anche conto che egli stesso appartiene per la massima parte allo stesso secolo e che aveva terminato l'opera nella quale tratta delle frazioni continue nel 1597 pur essendo questa uscita in stampa nel 1613. Come si vedrà in questo secondo capitolo, uno degli storici delle frazioni continue è stato Antonio Fàvaro, il grande studioso di Galileo ; ebbene nell'ultima pagina del suo lavoro sulle frazioni continue egli accenna, senza affrontarlo, ad uno "spedito ed ele gantissimo" metodo di Lagrange per approssimare le soluzioni delle equazioni numeriche con le frazioni continue e ad altri ri sultati sempre inerenti allo stesso argomento. La mia ricerca prosegui quindi spontaneamente attraverso l'esame del famoso Trattato .rulla risoluzione delle equazioni di ogni grado di Lagrange nel quale la traccia delle frazioni continue, nata con Cataldi e già consolidata ai tempi del matematico torinese, si svi luppa dalle approssimazioni cui aveva fatto cenno Fàvaro sino alle notevoli proprietà dei cosiddetti radicali quadratici. Per inciso penso, anche se la mia ricerca si è limitata all'aspetto sostanziale e storico delle idee di Lagrange, che il suo metodo op portunamente sveltito e semplificato come lui stesso mostra nel Trattato, può ancora oggi, con l'ausilio dei moderni calcolatori, fornire un valido algoritmo per il calcolo di soluzioni di equazioni con approssimazione spinta a piacere. Il frutto di questa mia ulteriore ricerca costituisce il terzo capitolo del presente libro. Una cosa però tira l'altra: sapevo infatti che il primo lavoro ma tematico di Galois trattava delle frazioni continue e fu una facile previsione immaginare l'influenza di Lagrange sul giovane mate matico francese, tanto piu che, come aveva scritto Paul Dupuy nella sua Vita di Evari.rte Calois, era stato proprio Lagrange uno 14
dei principali autori ad aprirgli il mondo dell'algebra e dell'analisi . Da qui la presenza dell'ultimo capitolo del presente libro non appena mi accorsi che il lavoro di Galois, forse perché oscurato dai suoi successivi di gran lunga piu importanti, era pressoché sconosciuto in Italia, non era privo di valore e, cosa piu importante per una analisi storica, consentiva (almeno a mio parere) di far intravedere qualche legame con gli altri suoi lavori. A questo punto si esauriva la mia ricerca anche se essa qua e là aveva toccato fatti e personaggi che avrebbero potuto essere ul teriormente studiati. Gli argomenti trattati mi sono sembrati però sufficientemente im portanti per giustificarne la stampa, ma di questo dovrà giudicare il lettore : l'alternarsi di una mentalità algebrica e di una geometrica ; la maturazione che nella matematica operarono le equazioni di terzo e quarto grado ; l'osservazione dietro le quinte di una notevole sco perta qual è quella delle frazioni continue e il loro successivo sviluppo nelle approssimazioni delle radici delle equazioni, sono questi, come ho già detto, i temi toccati e di cui ho narrato la storia. Si può dire, parafrasando il titolo di un famoso libro di storia della matematica del mio maestro Attilio Frajese, che si è trattato di un exçurslIs "attraverso la storia dell'algebra". S. M.
Capitolo primo
Le equazioni di terzo e quarto grado e l'algebra italiana del XVI secolo
Premessa
Questo capitolo è nato da un'osservazione apparentemente strana, e cioè dal constatare come una certa dimostrazione che alcuni grandi matematici avevano cercato e trovato con grande fatica era stata in realtà per lungo tempo a portata di mano, anzi, addi rittura sotto i loro occhi. Sembrava che si potesse ripetere col Manzoni : "Forse se ne sa rebbe potuto sapere di piu, se, invece di cercar lontano, si fosse scavato vicino" (I promessi sposi, cap. X). Come questo sia potuto accadere e la giustificazione paradossale che vedeva lo stesso autore di alcuni versi matematici non accor gersi di quello che in essi si celasse, hanno richiesto un esame tal volta minuzioso delle circostanze che permisero ciò. È stato cioè necessario esaminare l'ambiente matematico in cui questi studiosi operavano, respirarne, per cosi dire, l'atmosfera attraverso le loro parole, le loro azioni, in modo che ci si potesse spiegare il perché di talune ingenuità e i motivi del progresso ma tematico che essi stessi operavano. Si è trattato, insomma, di tracciare un panorama del livello alge brico del XVI secolo e di come i matematici in questione ne de terminarono la crescita. Comparsa delle equazioni di terzo grado e una strana ipotesi
Le formule risolutive dei vari tipi di equazioni di terzo grado appaiono per la prima volta in stampa nell'Ars Magna (1 545) di Gerolamo Cardano (1 501 -1 576). L'Autore ne anticipa la presenza sin dalla premessa posta nel primo capitolo ma affronta l'argomento nell'undicesimo. In entrambi i capitoli egli ricorda, però, di aver avuto le formule da Tartaglia (1 506 circa-1 557) ed afferma che quest'ultimo le aveva 17
trovate indipendentemente da Scipione dal Ferro (1465-1526( che per primo aveva ottenuto gli stessi risultati. Ecco infatti cosa scrive nel primo capitolo dopo aver riassunto brevemente i primi risultati di algebra, disciplina che, a quanto afferma, sarebbe iniziata con "Mahometo" figlio di Mosè l: Verum temporibus nostris, Scipio Ferreus Bononiensis, capitulum cubi
&
rerum numero aequalium invenit, rem sanè pulchram & admirabilem. Cum
omnem humanam subtilitatem, omnis ingenij mortalis claritatem ars haec superet, donum profecto coeleste, experimentum autem virtutis animorum, atque adeo iIIistre, ut qui haec attigerit, nihil non intelligere posse se: credat. Huius aemulatione Nicolaus Tartalea Brixellensis, amicus noster, cum in cer tamen cum illius discipulo Antonio Maria Florido venisset, capitulum idem, ne vinceretur, invenit, qui mihi ipsum multis precibus exoratus tradidit.
I
Cardano prosegue narrando che, per quanto lo riguardava, chi gli aveva impedito di applicarsi a tali sviluppi era stato il parere di impossibilità di formule risolutive per equazioni generiche di grado superiore al secondo espresso da Luca Pacioli (14451 5 1 4). Ecco infatti cosa scrive: Deceptus enim ego verbis Lucae Paccioli, qui ultra sua capitula, generale ullum aliud esse posse negat (quamquam tot iam antea rebus à me inventis. sub manibus esset) desperabam tamen invenire, quod quaerere non aude bam.3
Questa affermazione, ad esser chiari, ci appare poco delicata nei confronti di Tartaglia che, come abbiamo visto, gli aveva fornito la regola "multis precibus exoratus". Accenneremo in seguito alla famosa polemica che scoppiò tra questi e Ludovico Ferrari (15221565), allievo di Cardano, appunto sulla scoperta della formula risolutiva delle equazioni di terzo grado. Affermare però che lui, Cardano, era stato messo fuori strada dai giudizi fuorvianti di Luca Pacioli quasi a voler far credere che altrimenti, forse, ci sa rebbe riuscito tanto piò che, scrive, era vicino alla scoperta, affermare ciò poco dopo aver scritto che in sostanza Tartaglia aveva invece risolto il problema perché sollecitato dalla sfida di Anton Maria Fiore dalla quale appariva l'esistenza di tale risolu zione, ci sembra un voler in parte sminuire la scoperta stessa. Lo stesso Tartaglia ha buon gioco a lamentarsi della giustificazione di Cardano "quasi volendo dire", scrive, "che se voi vi fusse mes so à ricercarlo, che l'avresti ritrovato, della qual cosa al presente me ne rido". ' Forse l'accostamento di Cardano è soltanto infelice e non volon tario, dobbiamo notare però, come apparirà anche da quanto 18
scriverà successivamente Tartaglia e che non sarà smentito nella successiva polemica, che le lunghe preghiere di Cardano si svilup pano per non meno di tre mesi 5 durante i quali egli pur conosce l'esistenza della risoluzione raggiunta da Tartaglia e non è piu messo fuori strada da Luca Pacioli. Tornando allo scritto di Cardano osserviamo il proseguimento della sua introduzione : Inde autem, illo habito, demonstrationem venatus, intellexi complura alia posse haberi. Ac eo studio, auctaque iam confidentia, per me partim, ac etiam aliqua per Ludovicum Ferrarium, olim alumnum nostrum, inveni. Porrò quae ab his inventa sunt, iIIorum nominibus decorabuntur, caetera, quae nomine carent, nostra sunto At etiam demonstrationes, preter tres Maho metis,
& duas Ludovici, omnes nostrae sunt, singulaeque capitibus suis
praeponentur, inde regula addita, subijcietur experimentum. •
Facciamo osservare che esplicitamente Cardano afferma di aver trovato personalmente la dimostrazione della regola che Tar taglia gli aveva dato. La stessa cosa ripeterà ancora piu chiara mente nella breve premessa posta nel capitolo XI in cui Cardano comincia a trattare le equazioni di terzo grado : De Cubo el rebus aequa/ibus Numero. Scipio Ferreus Bononiensis ab hinc triginta fermè capitulum hoc invenit, tradidit verò Anthonio Mariae Florido Veneto, qui cum in certamen cum Nicolao Tartalea Brixellense aliquando venisset,
occasionem dedit, ut Nicolaus invenerit & ipse, qui cum nobis rogantibus
tradidisset,
suppressa demonstratione,
freti hoc auxiIio, demonstrationem
quaesivimus, eamque in modos, quod difficiIlimum fuit, redactam sic subii ciemus.7
Dunque, a quanto scrive Cardano, cosa che Tartaglia non smen tirà né l'anno dopo della pubblicazione dell'Ars Magna nei suoi Quesiti et Inventioni diverse, né nei sei cartelli di sfida the scambiò due anni dopo con altrettanti di Ferrari una volta scoppiata la polemica, egli ebbe da Tartaglia soltanto la regola di risoluzione e non la dimostrazione. Vedremo poi che ebbe questa regola sotto forma di venticinque versi di cui i primi nove soltanto si riferi scono al "capitolo di cubo e cose uguali a numero" cioè all'equa zione x' + px q. La cosa che però appare veramente sconcertante è che nei detti versi non solo è possibile individuare la regola risolutiva dell'equa zione x' + px = q (e delle altre due : x' px + q e x' + q px) ma anche la dimostrazione! Quando ci accorgemmo di questa circostanza che tra poco giusti=
=
=
19
=
ficheremo, formulammo alcune ipotesi che la potessero respin gere o spiegare: a) Non è vero che nei versi di Tartaglia si celi la dimostrazione di come si giunge alla regola risolvente l'equazione .xa + + px q. 8 b) Non è con quei versi che Tartaglia rivelò a Cardano la sua scoperta. c ) Nei versi si cela la dimostrazione detta, questo è noto a Tar taglia, ma né Cardano né Ferrari se ne accorsero. d) Nei versi si cela la dimostrazione detta ma non se ne accorsero né Cardano, né Ferrari e nemmeno Tartaglia che pure era giun to alla formula risolutiva. =
Ebbene, a nostro parere, si possono scartare le prime tre ipo tesi: la a ) perché si vedrà effettivamente, una volta riportati i versi, come in essi si celi appunto la dimostrazione che Cardano ottenne, ma con altra via, con grande fatica. Possiamo eliminare l'ipotesi b) poiché altrimenti, attraverso i dodici cartelli di sfida scambiati tra Ferrari e Tartaglia,· questa circostanza sarebbe emersa. Ferrari, invece, che contesta a Tartaglia non solo gli er rori matematici apparsi nei Quesiti e le appropriazioni che ivi ven gono indebitamente compiute da Tartaglia, ma anche i disinvolti giudizi espressi su Cardano, certamente non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di dare del bugiardo al suo rivale, tanto piu che, come emerge da tali cartelli, lO lo stesso Ferrari ricorda a Tar taglia di essere stato presente quando quest'ultimo rivelò la formula a Cardano nella casa di questi. Analogamente si può eliminare l'ipotesi c) in quanto, essendosi sbilanciato Cardano a dichiarare ben due volte di aver ricevuto la formula risolutiva senza dimostrazione, a Tartaglia non Sa rebbe parso vero, visti gli insulti che si scambiava con Ferrari sceso in campo proprio per difendere la correttezza e il valore di Cardano, poter accusare i due e ridicolizzarli mostrando al mondo matematico che ciò che essi avevano ricercato con grande fatica era già in loro possesso. È naturale che per poter escludere le ipotesi b) e f) è necessario leg gere tutti i cartelli di sfida tra Ferrari e Tartaglia ed è proprio quel lo che abbiamo fatto ma niente abbiamo trovato che consentisse di accogliere una delle due ipotesi. Resta dunque, per quanto possa sembrare poco credibile, l'ipo tesi ultima, la d), e cioè che, pur celandosi nei versi di Tartaglia la dimostrazione della formula risolutiva dell'equazione .xa + 20
+ px = q (e del1e altre) non se ne accorsero né l'autore né il de stinario e neppure Ferrari, matematico, probabilmente superiore ad entrambi. Confessiamo di essere rimasti a lungo incerti !>ull'accettare una con clusione apparentemente paradossale, poiché paradossale sembra pensare che lo stesso autore dei versi, a conoscenza probabilmente non soltanto della regola che vi cela, ma anche di una sua dimo strazione, non si fosse accorto che negli stessi versi si celasse una dimostrazione della regola. Come si vede, però, scartando l'ipotesi a) e cioè ammettendo che nei versi si celi anche la dimostrazione oltre la regola, e non vo lendo accettare la d) si entra in un circolo chiuso privo di uscita . Né si può pensare che Tartaglia abbia tenuto celata la circostanza sfuggita a Cardano e Ferrari per servirsene in altra occasione: questa occasione, infatti, che in tal caso sarebbe prima o poi so pravvenuta, non verrà mai, neppure nella grande opera GeneraI trattato (1556) con la quale Tartaglia termina la sua vasta e ammirt: vole produzione scientifica. 11 I n questo lavoro, anzi, Tartaglia accenna al metodo che lo condusse alla risoluzione delle equazioni di terzo grado prive del termine quadrato ma soltanto per dire che si era aiutato con una costruzione geometrica relativa al cubo della somma di due segmenti, 12 un metodo, pertanto, lontano da quello che può trarsi dai suoi versi anche se, come vedremo, basato sullo sviluppo di un cubo di un binomio. In conclusione, scartate le ipotesi b) e c), dobbiamo concludere che le a) e d) sono tra loro incompatibili e che cioè, dimostrata la falsità della a ) facendo vedere che nei versi di Tartaglia si cela anche la dimostrazione della regola oltreché la regola pura e sem plice, è automaticamente dimostrata la verità della d) e cioè la strana circostanza che né Cardano, né Ferrari e neppure Tartaglia si accorsero della presenza di tale dimostrazione. Dopo aver ottenuto questo ci preoccuperemo di fornire una spie gazione di tutto ciò e. sarà da tale spiegazione che, a nostro parere, sarà possibile penetrare un poco piu profondamente non solo nel livello dell'algebra e della geometria nel XVI secolo ma anche nel significato che a tali scienze veniva attribuito.
Cronistoria della scoperta della formula risolutiva della equazione x3 + px q =
Ci sia consentito, prima di esaminare i versi di Tartaglia, riassu mere brevemente quanto emerge dal confronto tra le opere di 21
questi con quelle di Cardano e dai cartelli di sfida intercorsi tra Ferrari e Tartaglia.
1) Verso il 1505 o 1515 Scipione Dal Ferro trova la formula ri solutiva delle equazioni di terzo grado del tipo XS + px = q. 13 Per confrontare questa regola con quella che si trova nei versi di Tartaglia notiamo che, secondo quanto sappiamo, 14 data un'equa zione del tipo aXS + bx = ç Scipione Dal Ferro prima divideva per a in modo da ottenere XS + px q e poi applicava la formula =
formula che veniva espressa con sole parole come vedremo nel seguito, cioè nell'ambito di quel simbolismo algebrico detto da Nesselmann "algebra retorica". Notiamo inoltre che nessuna indicazione ci è pervenuta sul metodo seguito da Scipione Dal Ferro per il conseguimento della formula risolutiva. 15
2) Il 12 febbraio 1535 Niccolò Tartaglia trova la soluzione del "capitolo" xa + px q (e il giorno dopo quella dell'equazione XS px + q) dopo la sfida di Anton Maria Fiore che si era vanta to di averla ricevuta trent'anni prima da un grande matematico (Scipione Dal Ferro evidentemente). 1. In verità Tartaglia af ferma anche 17 di aver risolte in generale le equazioni xa + ax· = b e xa + a bxl già nel 1530 ma questo appare poco attendibile, scrive il Libri, 18 per l'intervallo di tempo che in tal caso ci sarebbe stato tra queste scoperte e quelle del 1535 . 18 =
=
=
3) Il 25 marzo 1539 Tartaglia, in versi, confida a Cardano le sue tre regole per la risoluzione delle equazioni : xa + px q; xa px + q ; xa + q px. IO =
=
=
4) Il 4 agosto 1539 Tartaglia riceve una lettera di Cardano (che già gli aveva scritto altre due volte con la stessa richiesta) nella quale quest'ultimo chiede spiegazioni sulla circostanza nota oggi come "caso irriducibile". Il Tartaglia però non risponde a tono. 5) Nel 1542 Cardano e Ferrari trovano a Bologna, presso Annibale Della Nave, la soluzione del suocero di questi Scipione Dal Ferro.n 6) Nel 1545 Cardano pubblica a Norimberga la sua Ars Magna la con la risoluzione delle equazioni di terzo (e quarto) grado. 22
7) Nel 1 546 Tartaglia pubblica i Quesiti et Inventioni diverse in Ve nezia a sue spese a dimostrazione dell'urgenza dell' Autore che vuoI chiarire la parte avuta nella scoperta e denunciare Cardano di spergiuro e di scarsa conoscenza matematica. 8) 10 febbraio 1 547, Ludovico Ferrari lancia il suo primo cartello di sfida. U 9) Nel 1 572 Rafael Bombelli pubblica a Bologna l'A�ebra nella quale si supera definitivamente il "caso irriducibile" con un siste matico uso dei numeri complessi 15 (Bombelli amplia inoltre lo studio delle equazioni di quarto grado). A questo punto bisognerebbe, forse, presentare in tutti i dettagli la polemica tra Tartaglia da una parte, Ferrari e Cardano dall'al tra anche se quest'ultimo rimarrà sempre tra le quinte. Ci sembra però ozioso ritornare su cose ormai note specialmente dopo la recente polemica, scaturita in seguito alla piu antica, tra due illustri storici della matematica : Gino Loria e Ettore Bor tolotti. 21 Noi siamo sostanzialmente d'accordo con Bortolotti, studioso accuratissimo, nel rivalutare la figura di Cardano che, persa la memoria diretta dei fatti, troppo veniva svalutata dai racconti di Tartaglia, assai disinvolto sia nello stabilirsi in svariati punti prio rità inesistenti e sia nell'accusare e presentare i suoi oppositori sotto falsa luce. Dalla lettura poi dei cartelli di sfida, non possiamo non concordare col Bortolotti nell'assegnare a Ferrari, pur eccessivamente vio lento nelle espressioni ma lucidissimo nelle argomentazioni, la vittoria per cosi dire logica e matematica della contesa; né pos siamo dissentire dalla sua analisi sulla conclusione della sfida che gli permette di considerare Ferrari vincitore della contesa. 17 Ciò premesso, vogliamo però, questa volta a favore di Tartaglia, notare che, per quanto l' Ars Magtlo di Cardano contenga numerosi risultati algebrici di gran valore 28 tra cui la soluzione dell'equazione di quarto grado dovuta a Ferrari, non può sviIirsi la scoperta delle formule risolutive delle equazioni xa + px q; xa = px + q; xa + q = px avute da Tartaglia come cerca di fare Ferrari nel suo secondo cartello 18: =
Cardanus ergo ex te accepit inventiunculam illam cubi et laterum aequalium numero, quam ut ab interitu, cui vicina erat revocaret, in subtilissimo atque eru d itissimo suo volumine, ve1ut languentem et semimortua arbusculam in amplissimo, feracissimo et amoenissimo horto inseruit. te inventorem ce1e bravit, te exoratum sibi tradi d isse commemoravit. Qui d vis amplius? 30
23
Ha ragione Tartaglia, a nostro parere, quando nel cartello di ri sposta, dopo aver riassunto quanto abbiamo sopra riportato, reagisce scrivendo 8l: ... Ben mi meraviglio di voi & di lui (perche so che voi parlati per bocca sua) che habbiati ardire di humiliare tanto la detta mia inventione, con la quale vi haveti pensato di farve immortali. Non vedeti voi che eglie cosa nota a ca dauno intelligente, & lui medesimo Cardano lo confessa in detta opera che tale mia inventione è l'anima di tutto il detto suo volume. Non vedeti voi che cavando la detta mia pianta del detto vostro giardino, tal vostro giardino restaria una oscura selva, perche tutte le altre cose sostantiale derivano da detta mia pianta, Et tamen cl non se vergogna de dire nella detta sua opera, che tutti li altri capitoli che in quella si trovano oltra il mio esser tutte sue & vostre inventioni le quali erano state da me invente, & ritrovate gia.5.anni avanti che gli insegnasse a lui tal mia particolarita. SI
Cosi, a nostro parere, Tartaglia non ha torto ad affermare che molti altri "capitoli" derivano da quelli da lui risolti anche se ripete que sto piu e piu volte sino alla noia. 88 È chiaro che in lui vi è il desi derio di sminuire i risultati posti nell'Ars Magna, dobbiamo però notare che effettivamente dalla Practica Arithmeticae (1539) all'Ars Magno (1545), entrambi di Cardano, vi è una notevole differenza tra i due livelli algebrici a favore della seconda opera e questa dif ferenza fu in buona parte determinata da quanto egli aveva appreso da Tartaglia. I versi di Tortaglia. Lo formula risolutiva delle equazioni di terzo grado e la sua dimostrazione
Veniamo finalmente ai famosi versi con i quali Tartaglia confida a Cardano le sue formule risolutive. 8& Li riporteremo tutti ma li miteremo la nostra analisi, come abbiamo già detto, solo a quelli relativi all'equazione XS + px q e cioè ai primi nove: =
Quando che 'I cubo con le cose appresso se agguaglia a qualche numero discreto trovan dui altri differenti in esso. Da poi terrai questo per consueto che il lor produtto sempre sia eguale al terzo cubo delle cose neto, El residuo poi suo generale delli lor lati cubi ben sottratti varrà la tua cosa principale. In eI secondo de codesti atti 24
quando che 'l cubo restasse lui solo tu osserverai quast'altri contratti, Del numero farai due tal part'à volo che l'una in l'altra si produca schietto el terzo cubo delle cose in stolo Dalla qual poi, per commun precetto torrai li lati cubi insieme gionti et co tal somma sarà il tuo concetto. El terzo poi de questi nostri conti se solve col secondo se ben guardi che per natura son quasi congionti. Questi trovai, et non con passi tardi nel mille cinquecente, quatro e trenta con fondamenti ben saldi e gagliardi Nella città dal mare intorno centa.
Prima di tutto traduciamo i versi in forma piu comprensibile : se x" + px [ "cubo con cose"] è uguale a q [ "numero discreto" cioè intero] 86 allora bisognerà trovare due altri numeri [indichi a moli con Il e v] la cui differenza sia uguale al primo [II - V q] e
P . pro d otto Sia . (""3)8 .
l'1 CUi
=
88
Ebbene la radice cercata ["la tua cosa principale"] sarà la differenza tra le radici cubiche ["lati cubi"] di questi due numeri "ben sottratti" [in modo cioè che il risultato ("residuo") sia positivo]. In altre parole, per risolvere l'equazione x" + px = q si cercano due numeri Il e v tali che
Si ha allora, conclude Tartaglia: x = {I-;; - {I-;. Si tratta quindi di determinare Il e v, ma questo non presenta dif ficoltà con i noti metodi di risoluzione di equazioni di secondo grado. 87 Si ha dunque, successivamente:
cioè
25
da cui V=
1 P)3 -v(-q2 ) + (3
la soluzione è quindi:
3 -{I x=ru
a
3 -
-
V
=
,
li' r
1 )8 q V ("2q) + (3"P +-2
__________________
·
'
V v m (� ) � -
+
Dai versi sembra dunque, a prima vista, apparire solo la formula risolutiva; cosi dicono (oltre Cardano, come sappiamo, e lo stesso Tartaglia che, quando dà a Cardano la sua poesia la definisce 8B: "modo operativo") Cossali, 3t Libri, 40 Bortolotti U e da loro molti altri storici della matematica. Trasmessa però la regola, si può osservare che da essa risulti che, q è dunque, la soluzione di un'equazione del tipo xl px data dalla differenza delle radici cubiche di due numeri, cioè :
x=V; - {l';
+
=
.
Se pertanto si sostituisce tale espressione nell'incognita dell'equa zione, come dire che si pone
x
=
V;
- {I-;, si ha:
cioè ,.
(*)
3.3r-- .3� .3;-' .3 /lI-v-3v uv Cv Il -v V ) + P Cv Il --\I V ) 11- V
_a� .3 r--(3v IIV -P) (v Il
- -) = q
=
q
.3/ V V
Ebbene, notando che si ha a disposizione per Il e V una relazione (avendo sostituito ad una incognita due altre) essi si possono concllzionare, ad esempio, in modo che il coefficiente di (V; sia zero, cioè 3 V;; -P
=
O,
26
da cui :
IIV
=
(; r
- {I-;)
Per questo artificio l'aiuto può anche venire dal fatto che nella regola stessa vien detto che il prodotto dei due numeri deve essere uguale a
(� r 48 In tal modo con la condizione detta l'espressione
(*) diventa :
Ii
-v
=
q.
()ppure (inversamente) dalla ( *) , perché possa essere li - V q, come vuole la regola di Tartaglia, potrebbe seguire la necessità =
di porre uguale a zero il coefficiente di l'V
=
(�r.
(-v; - {I--;-) da cui
Come sappiamo, dalle due condizioni trovate, comunque ci si sia giunti, è possibile determinare u e v e quindi la formula riso lutiva dell'equazione data. Si è ottenuta cosi la dimostrazione della formula risolutiva come ancora oggi si trova nei libri di testo, anche se talvolta all'inco gnita x si preferisce sostituire li - V oppure li + v. '4 Si potrebbe obiettare che questa ricostruzione della dimostrazione della formula risolutiva è frutto del "senno del poi", cioè frutto della conoscenza già acquisita di tale dimostrazione, inoltre è basata su un simbolismo ancora non raggiunto a quei tempi. Riguardo a quest'ultima obiezione facciamo notare che se è vero che l'algebra di Cardano è "algebra retorica" con qualche pic colo passo verso quella cosiddetta "sincopata" 45 è però altret tanto vero che i matematici del tempo riuscivano ad esprimere passaggi algebrici e formule piuttosto complesse come, ad esempio, quella relativa alle equazioni di terzo grado. Ecco, ad esempio, la formula risolutiva espressa da Pompeo Bo lognetti, di cui già parlammo: Il capitolo di cose e cubo eguale a numero. Quando le cose e li cubi si eguagliano al numero ridurai la equatione a 1 cubo partendo per la quantità deIli cubi, poi cuba la terza parte delle cose, poi quadra la metà diI numero e questo suma con il detto cubato et la radice di deta summa piu la metà del numero fa un binomio et la raciice cuba di tal binomio, men la radice cuba del suo residuo val la cosa.
Riguardo poi all'obiezione del "senno del poi" possiamo anche convenire che essa è abbastanza fondata ma non dimentichiamo, però, che nella formula risolutiva data dal Tartaglia non ci si li mita, come in quella di Scipione Dal Ferro che abbiamo ora visto, alla semplice sua descrizione, ma si dice molto di pili e cioè che vi devono essere due numeri li e v la cui differenza è uguale al ter27
mine noto dell'equazione data e il cui prodotto è legato come sap piamo al coefficiente della x lineare e che inoltre l'incognita è la differenza tra {/-;; e {I-;. Ma allora, si potrebbe ulteriormente obiettare, come mai i due grandi matematici Cardano e Ferrari (anche ammettendo che Tartaglia, fuorviato magari da una dimostrazione di tipo diverso, non si sia reso conto che nella regola che trasmetteva si celasse in realtà anche la dimostrazione), che pure si affaticarono lunga mente a trovare la giustificazione della regola, non raggiunsero un risultato cosi a portata di mano? È qui che deve soccorrerci l'analisi storica, altrimenti tutto quanto è stato detto finora rischierebbe di diventare incomprensibile. .Ebb�tJ.e, se osserviamo la dimostrazione che Cardano pone nelh). sua Ars Magna, quella cui accenna Tartaglia e quella infine che s.i trova·ndl'A{�ebra di Bombelli, notiamo che esse S01l0 tutte geome triche Questo non può essere casuale; il fatto è che, ancor� nel.X,VI s� �olo, per dimostrazione, per �era dimostrazione, si intende quella geometrica, evidente per sé. E qu(!sta la "via regia'� .Pf:r. l� dimQ strazione come indicherà Cardano in un passo che .yedr:C;IJlo.tra poco. Do.PQ_�m;r..J!ltt.Q_y�d�!"�. q1:l.(!§tQ,.flo. .sorg.c;à.pç.L i lI1a!ema*i di quel secolo: le equazioni di quarto g!:...a..4Q�'p�!q':l.e��e c:q���j.().�i,. i�J:l:t!iL.I1