Cultura e rivoluzione. Funzionalismo storico e umanismo operativo


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MARIO ROSSI

CULTURA E RIVOLUZIONE

EDITORI RIUNITI

Mario Rossi

Cultura e rivoluzione Funzionalismo storico e umanìsmo operativo

Editori Riuniti

I e&zione: gennaio 1974

© Copycight by Editori Riunitn, 1974 - Viale Regina Morgherita 290 - 00198 Rom,i Copertina' di Bruno Munari CL 63-0579-2

a Salvador A/tende Gossens

· Indice

Introduzione

9

Parte prima

Fondamenti d'un'etica umanistica

I. L'affermazione deontologica II. La negazione deontologica III. L'operazione deontologica Parte seconda

43 61

Sul plusvalore

I. La« teoria del valore » come categoria storico~fUQJjionale 1. La teoria del valore-lavoro in Smith, Ricardo e Marx 2. Il problema dell'astrazione. Introduzione ai « Grundrisse » 3. L'astrazione del lavoro e del valore 4. La concretezza del pluslavoro e del plusvalore II. Valori e prezzi 1. Il problema della « trasformazione » 2. Il capitolo X Parte terza

31

137

139 15 6 192 232 273 275 326

Unificazione. del sapere ed enciclopedia delle scienze

Introduzione: l'eredità hegeliana del problema 1. Il neoempirismo e l'unificazione enciclopedica del sapere 2. K. Popper e il principio di falsificazione 3. Hegel e il neoempirismo 4. « La crisi delle sdenze europee » di E. Husserl

367 370 382 399

414

· 5, Lo strutturalismo:. struttura e funzione in Louis Hjelms lev. 6. Struttur-a e storia 7. Base e sovrastruttura nel materialis-mo storico

8. Conclusione Parte quarta

436. 495 502 520

Per la poetica di un realismo operativo

Modernità della categoria funzionrule di « ,systasis » nella « Poetica » di Aristotele Il concetto di finalità trascendentale nella terza « Critica » Per la poetica d'un realismo operativo. Majakovskij e Brecht I. La sovrastruttura artistica II. Majakovskij e Brecht

Indice dei nomi

525 543 563 565 603 667

Introduzione

Questo libro presenta ,il risultato d'un decennio di riflessione sulla problematica odierna del marxlsmo, Il suo argomento si esprime in due binomi, ,dei quali quelle, che fa da titolo significa H problema, quello che fa da sottotitolo l'ipotesi di soluzione. Ma il binomio non è fatto di due « termini » di cui si debba « esaminare ,il rnpporto ». È questo il modo usuale d'intendere la questione

  • . Non è questa fa maniera in

    cui ho l'intenzione di affrontare il problema, perché non credo alla possibilità d'un •simile distacco, né d'un simile disinteresse, né - con~ seguentemente _:_ d'una simile « scienza »: per ila semplice ragione che oggi, per me e per il mio lettore, vale anzitutto che ,la « culw tura » ·siamo noi 1 e la « rivoluzione » ( a meno che non abbiamo va~

    glia di scherzare, su questo e su tutto il resto) anche. E per cia scuno di noi, pur che sfa riuscito a connettere 11ecess·ariamente. sé stesso agli a:I-rri e .viceversa, ,sul tema « sé stesso e gli -altri » non è . possibile distacco, né disinteresse; e, se intendiamo l'atteggiamento scienti-fico appunto come necessariamente distaccato e disinteressato, allora, almeno immediatamente, di sé stesso e degli altri non c'è neppure scienza. La scienza resta in questio_ne, ma dovrà esser -recuperata per via diversa. In questo modo di ragionare - si dirà - si rivela un'ostilità, o almeno una pesante diffidenza, verso l'ambito, la possibilità e i compiti delle « scienze umane ». Ebbene, -se queste s'intendono come inizialmeÙte e conclusivamente aut,rmome e autosufficienti, sf che il ,loro fondamento, i loro metodi, le loro operazioni e le loro conclusioni inon debbano aver bisogno di riferimenti diversi, e soprattutto di presupposti diversi, non ho alcuna difficoltà a confermare questa mia diffidenza. La -ragione è sempre la stess,a: autonomia e 0

    9

    autosufficienza di quèste « scienze » -significano distaccò e disii1i:;tesse, cosl come distacco, disinteress_e e ·« obiettività » vengono ricercati e pretesi in -sociologia, in• antropologia, in ,semiologia ecc. « Cultura», ad ·esempio, ,significa qui 'Pinsieme dei comport:amenti mentali e volontari, delle scelte e delle gr,aduatorie di valori d'un gruppo, storicamente determinato (ne:! migliore dei casi, cioè quàndo Ia storia non la si elimini subito come una preoccupazione ingombrante), di fronte al quale Il ricercatore deve sforzarsi di rimanere il piu possibile estra, neo, indifferente, neutralè, per poterlo assumere come un oggetto scientificamente inteso, cioè senza predeterminazioni di sorta. E invece è proprio la dimensione storica a dirci a chiare lettere (e non dico certo cose nuove) che, se la «cultura» 1a ·s'intende in ,senso globale, allora del « gruppo » in questione fa parte anzitut;o il ricercatore stesso (sociologo o antropologo o semiologo o altro che sia) il quale, prima di affidarsi, ,ad esempio, alla testimonianza obiettiva del risultato d'un questionario, dovrà chiedersi perché lui ,stesso, o chi per lui, abbia redatto il questionario in quel modo e non in un altro; e •aHora vedrà che la redazione conseguiva_ a scelte, comportamenti e valori che stavano neHa sua testa, e dei quali egli ,si era assicurato ben indipendentemente dalle tecniche di cui si serviva, Come prima: questo non significherà certo escludere la possibilità di usare procedimenti scientifici nei riguardi dell'oggetto « uomini ». Essi restano in questione (perché intanto fanno parte cli quella cultura che noi siamo), ma devono esser recuperati per vfa diversa. L'esdusione d'un modo di considerare il problema di cultura e rivoluzione che tratti questi elementi come termini d ,zm rapporto da istituire dipende,, dunque, dal rifiuto d'una loro estraneità reciproca, e d'una estraneità del ricercatore ad essi, tale da poterli in qualche modo .« trattare » collegandoli, separandoli ,sovrapponendoli, o anche identificandoli - essi soltanto - sf che chi opera l'identificazione ne resti comunque ,al di fuori. Questo rifiuto dipende invece proprio dal ,riconoscimento che i due elementi sono già coincidenti in partenza in chi li considera, nell'esser lui, ad un tempo, cultura e ist,anza -rivoluzionaria: e fra le operazioni sugJi insiemi non ce n'è una che sia definita dal fatto che negli insiemi da porre in relazione di esclusione, inclusione, o intersezione, si,a incluso a ·sua volta i,1 matematico che fa e in quanto fa l'operazione, Coincidenza non significa, d'altra parte, identità, perché « cultura ~> e h subito questo libro, perché non l'ho assolutatnente scritto per lui, e su questo tema non c'è « dialogo » che tenga. Mi si potrà obiet,tare che, al contrario, ci può anche essere un modo d'intendere la scienza tale che sia essa a impormi il rifiuto di quello stato di cos·e. in pa,rte ciò può anche essere vero, specialmente se ..alfarghiamo :h scienza a cuJ.tura in generale. Ma, a guardare con sattenzione, questo è vero proprio nelrla misura in cui la scienza è cOnsiderat,a positivamente, anche solo, ad esempio, come fattore di progresso, di C(?nsapevolezza o di accertamento. ·M.a il progresso è ,sempre progresso di qualcuno, e la cons·apevolezza e l'accertamento, o che si voglia, lo sono sempre di qualcosa da parte di qualcuno, il che riconduce il fondamento della positività della •scienza e della cultura al carattere di autoproduzione umana che le muove come attività e di cui l'istanza rivoluzionaria pretende un'attuazione non contraddittoda.. Altl'imenti bisognerebbe ~ccettar>, « _fo chiaroscuro »·,·riconoscendo la n'ecessità razionale dell\wVenuto sto:i;ico. Ch_e la filosofia - intesa come comprensione razionale dehl'unità della verità - dovesse attenersi al riconoscimento- di « ciò che è » come d'un risultato necessario del divenire dello spiTito, non poteva non implicare la giustificazione del!' esistentÌ/in quanto « speculativamente » trasfigurato a valore ideale, e quindi il rifiuto di qualsiasi intervento d'iniziativa trasformatrice, la cui legittimità veniva trasferita dalle « opinioni soggettive »- dei singoli e dal loro naturale intreccio e contrasto, alla « •soggettività » superindividuale dello spirito storico, che ha sempre ragione perché ha già consumato nel proprio movimento interno tutte

    le energie della negazione e del contrasto, esse stess·e mistificate come qualcosa di simHe a scatt i automatici nel movimento d'un congegno meccanico di cui resta misteriosamente nascosto l'inventore. Liberare la dialettica, cioè l'idea generale del movimento storico, 1

    da quest'ltrb-itrado meccanicismo che la conduceva, paradossalmente, alla conclusione del1a definitiva immobilità, e peggio ancora alla giu-

    stificazione sofistica dello stato di cose sussistente (dalla religione evangelica allo Stato restaurazionistico e alla suprema autorità del filosofo idealista come funzionario dell'assoluto) fu ,la mira dei giovani discepoli hegeliani di -sinistra, e a tal fine essi non poterono far a meno di riprendere, -sfa pure all'interno delle consuetudini mentali ed espressive della cultura sostanzialmente romantica che li avvolgeva da tutte Ie parti e alla quale spesso cercavano di resistere con acute a.paIisi critiche, polemiche interne ecc., quella prospettiva di dover essere che Hegel sembrava aver eliminato d'un colpo, e che invece appetiv,a l'unica capace di :restituire alfa dialettica un dinamismo con-creta e verificabile. Certo, il deontologi,smo dei giovani_ hegelia~i restava una pura affermazione,_ perché, pur avendo essi compreso che 1

    ciò che urgeva era un agganciamento della sovrana, ma astratta indi-

    ,scutibilità del Sollen kantiano alla concretezza delle condizioni esistenziali e storiche della vita degl'individui e dei popoli, il modo e la giustificazione di quest'agganci-amento restavano pur sempre delle -incognite, che ,ritornavano a risolversi secondo il richiamo ai gratuiti motivi dell'«-impulso », della «tendenza», dell'« azione», già pre-

    senti nel deontologismo attivistico dell'idealismo soggettivo di Fichte. A questo punto è mia antica convinzione - che ho svifoppato in altra sede attraverso l'analisi dei testi - che la concezione materialistica della storia, che Marx propone dall'Ideologia tedesca fino 17

    ai suoi ultimi scritti, sia la sola ad aprire Ia via a una soluzione del problema. Se gli uomini ~i costituis_cono _nella_ loro_ « essen~a specifica » cioè differenziale ner confronti degli altri enti natural!, per 11 fatto 'di produrre a sé stessi le proprie cond:zioni di vitJ) J comir:ciare dalla trasformazione della natura in funzione della soddisfazione dei loro bisogni; e, se essi fan questo entro la dimensione storica delle loro condizioni di vita e di associazione, ,allora non può non derivarne quanto segue. 1. Che es,si non sono sernplù;emente ciò che imme~ diatamente sono, non si esauriscono nel loro es-setoi immediato, perché dello stesso loro essere attuale è costitutiva la proiezione all'essere futuro, la produzion~ di sé stessi come progettualmente diversi dalla loro struttura iniziale e immediata, l'attualizzazione delle energie potenw ziali, la saturazione delle aperture e valenze funzionali. 2. Che quest'aspetto di dover essere. non si libra nell'astratta dimensione d'una compiutezza ideale e conclusa, come nell'autocoincidenza puntuale, e dunque inattingibile del « tu devi » kantiano, bensi si radica neJil'esserci condizionato dell'ente umano, si articofa nella costitutiva interind-ividualità temporale o socialità storica del suo produrre e si satura, o · adempie determinatamente, in ogni atto produttivo, 3. Che, di conseguenza, la dimensione deontdlogica dell'uomo inteso come « un dover essere· che è », ,restando fondata su nient'altro che sulla sua attività autoproduttiva e non concludendosi in un ri>, ciò si chiarisce per l'ispirazione carnapiana dell'articolo di Bar-Hillel, al quale Chomsky rimprovera d'aver citato come pezze d'appoggio per una nuova concezione della semantic~· i lavori di Tarsky e di Quine., i quali invece, dice Chomsky, si occupano solo della teoria del riferimento, cioè della significazione in senso estensionale, che >: sul che non' si può non essere del tutto d'accordo; mentre riguardo a una ·semantica « intènsionale » Chomsky (a parte l\:ssenza d'una concezione funzionalistica) ha ragione di non parlarne in quanto per suo conto può · vederla rappresentata, molto pili che da Carnap, dai portorealisttl ai quahl fa nisalire anche le pdme suggestioni per un metodo trasformazionale. Nello stesso articolo, alle pp. 51~53, sono avanzati molti_ dubbi sulla legittimità « di trarre conclusioni sui linguaggi nr:turali a partire da sistemi. costruiti per lo studio dei fondamenttl delle mate• matiche ». Molto interessanti osservazioni- critiche sul metodo trasformazionale, di carattere almeno implicitamente funzionalistico, e chiaramente strutturale, si trovano nell'articolo del linguista e cibernetista sovietico SEBASTIAN K. SAUMJAN, La cybernétique et la langue nel dt. Langages, pp. 137 sgg., e vedi spec. le pp. 144-146: « Per la sua struttura logica la grammàtica trasformazionale appartiene a sistemi detti concatenati, fondati sul p11incipio della disposizione lineare degli elementi. In realtà1 le relazioni sintattiche interne della lingua sono totalmente indipendenti dal principio lineare esteriore che ha il suo .posto al livello della parole; perciò è pOco probabile che i modelli appa-rtenend per la 'loro struttura logica ai sistemi concatenati possano esser considerati come strnmenti equivalenti per scoprire le profondità. della struttura della lingua». Di Saumjan si veda, inoltre, Linguistica dinamiça, Bari, 1970.

    119

    nell'oggetto se non ve lo abbiamo posto noi stessi. A prima vista sembra essere il procedimento sperimentale il piu idoneo ad assmnere le eredità della gnoseplogia; ma una considerazione appena piu attenta porta subito a non escludere alcuna diversa e differenziata utilizzazione dei risultati gnoseologici da parte della logica matematica (si pensi ai concetti di non-contraddizione, di relazione e di mediazione) e di quella linguistica (unificazione delle esperienze, materia e forma ecc.) e, infine, a non escludere neppure che i piu importanti risultati della gnoseologia mantengano una propria autonoma e generale validità. Ma il vero territorio cui questi apparenti « residui » della gnoseologia :finiscono col rinviare, anche se non posseggono criteri che possano istituirvi una legislazione tale da trasformarlo in « dominio », nel senso

    kantiano, è quello della stessa filosofia che, in quanto sia concepita come ergologia storico-deontologica, dovrà pur condursi secondo un complesso di criteri specifici. Certo, nella misura in cui fra le « logiche separate » sembra spesso accendersi una contesa, essa riguarda preci-

    samente questo territorio a prima vista adespoto ( Kant aveva detto qualcosa di simile, riferendolo però alla legislazione teoretica del « sovrasensibile », cioè rivelando pur sempre residue preoccupazioni meta-

    fisiche) cui la logica delle scienze naturali vuol imporre il criterio del procedimento sperimentale, la logica matematica quello ,:\ella non-contraddittorietà, mentre la logica linguistica può tranquillamente star sicura sul fatto incontrovertibile che la filosofia, comunque intesa, non giunge ad alcun prodotto senza formulazioni significative. Tuttavia, queste pretese, anche se implicano ciascuna qualche aspetto di plausibilità, non possono esser riconosciute in ciò che hanno di pili essenziale, e doè nella loro stessa unilateralità, per la quale non si tratta di generici apporti - che nessuno potrebbe contestare - ma della specifica differenza dei diversi metodi, ciascuno dei quali non può non proporsi in maniera esclusiva. Ma è proprio questa unilateralità ciò che 'un'ergologia storicodeontologica non può non respingere, in quanto, per definizione, è lei stessa a pretendere di non farsi momento interno di nessuna delle attività che è suo compito di studiare, bensf, al contrario, di considerarle tutte interne a lei stessa, che è la sola a poter loro conferire il carattere di deontologia storica, ohe ne fa, a loro volta, aspetti dell'unica attività di autoproduzione umana, Onde i due metodi, della continua commisurazione deltessere\al dover essere e -viceversa) e della operativa istitu◄ zione di totalità .storiche entro le quali soltanto si può assistere ,µla nascita delle scienze determinate e alla trasformazione dei loro metodi, appaiono come dimensioni sufficienti a costituire quella specificità che

    120

    è necessaria a dar vita ad una « quarta logica », da aggiungersi alle tre precedenti - che ancora consideriamo nel momento della loro « separazione » - per la quale potrà esser riguadagnata la qualificazione di « logica filosofica » che ci era apparsa cosi problematica nelle sue determinazioni tradizionali. Mentre il suo riferirsi storicamente, deontologicamente ed e:igologicamente all'attività umana di autoproduzione si

    rivela anche come la piii potente sollecitazione a non fermarsi alla « separazione » delle logiche specifiche, e a tentare, invece, una loro

    organica riunificazione. 110

    A questo punto si ripropone dunque come esigenza suprema la prospettiva d'una riunificazione delle logiche separate. Ma, poiché essa è strettamente connessa con il problema dell'unità della filosofia, la sua realizzazione non potrà attuarsi fuori dell'orientamento filosofico generale che deve comprenderla come suo elemento organico. Nel nostro caso, essa non potrà realizzarsi al di fuori della concezione materialistica della storia. Ancora una volta soccorre il Marx critico dell'economia politica, nel suo rimprovero agli economisti classici di trattare le categorie economiche come ide{; eterne e metastoriche, per cui « valore », « pro-

    prietà », « profitto » ecc. avrebbero un senso in sé indipendente dalle condizioni storiche della produzione. Come gli storici cristiani dehle religioni ammettono la relatività storica delle religioni precristiane, ma considerano la rivelazione cristiana come l'approdo definitivo di tutta la •storia ideale deH'umanità, anche per gli economisùi classici le categorie preborghesi sono soltanto tappe relative della conquista dellla verità definitiva raggiunta dalle categorie borghesi: per loro « finora c'è stata storia, ora non piii » (Miseria della filo~ofia). Al contrario, tutte le catego.vie economi.ohe e sovrastrutturali in genere debbono esser considerate « come prodotti storici e transitori». Ebbene, lo •studioso materialista di [ogica - anche se è un logico matematico! - deve fare esattamente Jo stesso disconso riguardo alle caregorie •logiche. Anch'esse non ,sono che « prodotti ,storici e transitori ». E poiché sia la scienza ,speritnentale che la matematica, :la linguistica e la filosofia sono nella storia e hanno avuto uno sviluppo storico, il carattere della storicità sovrastrutturale e pertanto probleinatico-deontologica è il primo elemento su cui possa esser fondato un tentativo di riunificazione delle logiche separate. Ma la storia potrebbe anche ridmsi ad un piano comune su cui 121

    le diverse linee dei procedimenti logici continuino a procedere · parallelamente. In connessione col carattere storico - e ,soltanto in connessione con esso - c'è un secondo carattere che può far giustificare una connessione piu sostanziale, ed è quello della funzionalità. La determinazione piu rigorosa del concetto di funzione appartiene alla scienza matematica, la quale però ammette che esso abbia una portata molto · piU generale 16 • Mi sembra petciò legittimo partire da esso per tentarne una interptetazione analogica che possa valere a chiarire il carattere cli funzionalità (storica) delle categorie logiche in generale. La definizione elementare d'una funzione dice che una variabile y si dice funzione (o « variabile dipendente») d'una variabile x (arg.omento, o « variabile indipendente ») nell'insieme I (campo d'esistenza della funzione o insieme dei valori che debbono esser attribuiti alla x perché esista il valore della y) se esiste una legge di natùra qualsiasi che faccia corrispondere a ogni valore dato alla x nell'insieme I un valore ( uno solo se la funzione è univalente, piu d'uno se è polidroma) per la y (Dirichlet) 17 • Se esiste all'uopo un complesso di operazioni matematiche, la funzione si dice analitica, ma il campo di applicazione del concetto di funzione è illimitato. Comunque, il campo d'esistenza della funzione si determHÌa esaminando. per quali valori di x hanno senso le operazioni da eseguire per ottenere y. Fin qui l'analisi. Sono però convinto che una utilizzazione del concetto di funzione,· pur assumendolo O".Viamente in senso anàlogico, possa osservarne questi termini matematici evitando [e ambiguità insite nelle assunzioni puramente « etfìnologiche ». Il problema è quello di dimostrare la funzionalità storica delle categorie logiche, e quindi di determinare per quali argomenti una categoria logica è funzione, cioè quali problemi è destinata a risolvere. In questa veduta, dunque, il carattere del rapporto funzione-argomento è essenzialmente problematico, mentre la corrispondente soluzione del problema mi darà la generale concezione della verità in cui la categoria in questione s,inquadra. Rispetto alla « separazione delle logiche » è necessario che siano gli argomenti a qualificate la funzione secondo il suo campo d'esistenza (L-sperimentale, L-matematico, L-linguistico o L-filosofico). Il rapporto di struttura-sovrastruttura, che è ,al centro della concezione materialistica della storia, e che ins.ieme al principio della documentazione testuale è la legge di corrispondenza che qui ci interessa, 16 Cfr. A. N. WHITEHEAD, Introduzione alla matematica, Firenze, 1962, p, 123: « quando si dice ad esempio che "l'umore del tale è in funzione della sua digestione", si usa il termine proprio nel suo senso matematico », pur non trattandosi qui, ovviamente, d'una funzione analitica. 17 Cfr. G. ZwIRNER, Istituzioni di matematiche, I, Padova, 1963,. p. 203.

    122

    oriènta la Tostruzione del decorso funzionale nel senso d'un progressivo avvicinamento alfa struttura, onde H decorso stesso si presenterà dapprima come quello d'una funzione di funzioni successive, e soltanto alla fine troverà, come argomentO terminale, un elemento strutturale dal cui valore, in ultima istanza, dipenderà quello da assegnare alla categoria-funzione da cui siamo partiti. Ogni elemento è qui argomento per quello precedente, e in questo senso es,so si presenta come problematio.o, ossia contesto di diverse alternative 1S, ed è funzione per quello seguente, e in questo senso dev'esser ridotto a un valote unico, attraverso l'eliminazione delle alternative argomentali salvo una, oppu~e attraverso una loro _combinazione sintetica. A questo scopo, però, dopo aver compiuto il primo percorso, da sinistra a destra per la determinazione~ testualmente documentata, degli argomenti problematici, cioè per stabilire la relazione di dipendenza che susSiste fra la categoria-funzione e il suo argomento, si dovrà ripercorrere questo decorso a ritroso, da destra a sinistra, per la risoluzione delle alternative argomentali e la determinazione delle monovalenze funzionali. Questa seconda strada è piu complessa, ed esige una documentazione ancora piU rigorosa, perché l'importante è qui di lasciarsi condurre dai fatti e di non cercare di accomodarli alla teoria. Ora, dato un problema strutturale, le operazioni sovrastrutturali che cercano di mediarlo non sono certo e subito operazioni di logica, bensi di politica, diritto, ideologia non meglio precisabile ecc., e dovremo in un primo momento seguirle fino alla prima emergenza specifica d'un punto di vis.ta logico, cioè cateÌ,oriale {dove ad esempio, politica e diritto; critica storica e storico-estetica rie•ntrano nell'ambito della logica filosofica). Quindi, 1. Dato un complesso strutturale alternativo, dovremo seguire il processo obiettivo per cui esso è sotto~ posto a una serie di operazioni risolutive. A un certo punto emergerà un punto di vista teorico che a) chiarisce e determina esattamente la rn Non necessariamente di due alternative. L'estrapolazione del binarismo daUa linguistica a ogni struttura è la cavatteristica piU discutibile - e talvolta addirittura alquanto comica delle pill recenti espressioni dello strutturalismo in sede sia antropologica che estetica: dove la :pura contrapposizione logicr.di contrari come alto/basso, giovane/vecchio, dentro/fuori ecc, viene applicata estemporaneamente e acriticamente a problemi èlocumenti:ri ben pill complessi, con una palese contravvenzione alla regola di non precostituire, per es., schemi « culturali » della nostra civiltà a culture diverse, o generalità onnivalenti a univoci universi poetici di discorso ecc. Su questo vedi qui' anche, nella parte terza, il titol9 Struttura e storia, e la parte quarta: Per la poetica d'un realismo operativo. Sul concetto di funzione vedi inoJ;tre subito un esempio qui nella parte terza, a .p. 442. ·

    123

    struttura problematica dell'argomento, b) risolve il problema· cancela lando le alternative argomentali salvo una, o conciliandole in un medio, elemento unico. Questo punto di vista, monovalente, si è costituito a funzione dell'argomento, ovviamente non perdendo la relazione· di dipendenza da esso, ne sia o no consapevole il ricercatore.· 2. Ma questo stesso punto di vista è destinato a esser messo in questione dalle forze contrastant-i sia struttural;i che sovrastruttu11ali, ivi compresi quei

    punti di vista che avevano scelto un altro termine dell'alternativa. A questo punto, dunque, accanto al valore unico della funzione emergono valori risolutivi diversi. L'alternativa non riproduce piu quella di prima, perché è già sovrastrutturalizzata nei suoi confronti a un livello piu generalJe. Di fronte ad essa, e quindi di fronte a un elemento che da funzione è ridiventato argomento perché com)?lessivamente alternativo e problematico, deve nascere un nuovo punto di vista risolutivo che, assumendola appunto come argomento, ne can~ celli-i termini alternativi salvo uno, o lo sintetizzi, e cosi via a ritroso,

    fino alla categoria da cui siamo partiti. 3. Per riconoscere gli elementi da eliminare o da mediare è ovvio che si debba tener d'occhio il percorso precedente, da sinistra a destra, perché è alla categoria iniziale che dobbiamo ritornare. Ma se lo storico studia l'epoca nella sua totalità egli potrà, partendo dagli elementi e dalle contraddizioni della struttura, seguirne le molte risoluzioni funzionali e quindi costruire lo stemma del rapporto funzionale fra le categorie d'un'epoca storica. A questo punto risulteranno chiari i termini dell'analogia istituita con la definizione matematica del concetto di funzione. 1. La legge di corrispondenza fra argomento e funzione è il principio materialisticostorico del rapporto di struttura-sovrastruttura nel suo carattere problematico-dialettico ( a!ternatività degli argomenti e monovalenza della funzione). 2. Anche qui, per lo schema, gli elementi sono variabili perché la ricerca è aperta di fronte alla propria documentazione, e il rapporto è quello d'una variabile dipendente (funzione) alla variabile indipendente (argomento). 3. Il complesso delle operazioni storicocritiche atte all'individuazione del decorso funzionale e, nella via inversa, del processo risolutivo, farà determinare la qualificazione della funzione primaria, cioè il campo d'esistenza della funzione, o l'insieme che è l'universo di discorso del processo funzionale. 4. Il valore di ciascuna funzione è dato dai procedimenti di scelta e di mediazione che hanno risolto l'alternativa argomentale, e quindi dall'emergenza del punto di vista funzionale che lo ha permesso. L'insieme di questi valori funzionali, subordinati e condizionati dalla loro genesi argomentale, è il valore della y o funzione originaria da cui siamo partiti.

    Se il procedimento del primo percorso ha potuto esser compiuto fino alla struttura, ne risulterà che il campo argomentale di ultima istanza, o campo terminale del rapporto funzionale ( a quel livello in cui un argomento non diviene pili, a -sua volta, :funzione d'un argomento \Seguente), è il campo della produzione dei rapporti economico-sociali. L'insieme dei valori argomentali nella loro alternatività è invece, naturalmente, piu indeterminato, in quanto si apre alle diverse possibilità di risoluzione: ma proprio questo fatto serve a documentare la relatività storica delle soluzioni funzionali. Alla difficoltà per cui l'insieme dei valori funzionali si presenta dapprima come eterogeneo rispetto alla logica è da rispondete: a) che qui ci si presenta un insieme non statico, ma in divenite; b) che l'omogeneità vien raggiunta dal momento in cui emerge il primo punto di vista teoretico-logico; e infine c) che questa misura di eterogeneità genetica delrinsieme serve, ancora una volta, a mostrare la eteronomicità sovrastrutturale della logica come di tutte le produzioni della sovrastruttura. 5. L'insieme dei valori funzionali risolutivi ha però un doppio significato. Dal punto di vista formale, esso dipende dalle operazioni necessarie alla soluzione delle alternative, e serve a qualificare la funzione originaria secondo la specificazione delle logiche storiche (piu decisamente se la categoria riguarda un momento successivo alla separazione metodologica delle logiche, piu indeterminatamente, prima). Dal punto di vista del contenuto; rappresentando il valore della funzione ne rappresenta anche la sua risoluzione, e quindi la concezione della verità che vi corrisponde (da non confondersi con l'elemento « vero» che può presentarsi nel corso del processo e che ha un suo contrapposto specifico, che non è necessariamente il « falso » - in Platone, infatti, è l'« opinione» - e che è esso a inquadrarsi nella genernle concezione della verità attestata dahl'insieme di tutti 1 valori risolutivi). Il senso di questa concezione della verità si ottiene ponendolo come funzione dell'insieme dei valori, cioè mostrando come esso dipenda da quest'insieme. A suo luogo 19 mostrerò come il procedimento funzionale sopra descritto interpreti e sviluppi - spero fedelmente - la proposta contenuta nella marxiana Introduzione ai Grundrisse rispetto al modo di trattare le categorie economiche (partenza dal « presente concreto e problematko » perché « inanalizzato », come un ·« risultato » fatto « di

    molte determinazioni », e processo a ritroso della ricerca degli antecedenti categoriali di quelle determinazioni; ritorno al concreto per ricon19 Nella parte seconda, numero 2, sull'Introduzione ai Grundrisse; ma specialmente, piU oltre, nete ultime pagine dell'intero scnitto Sul plusvalore (pp. 359 sgg).

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    siderarlo non pm come un ms1eme « caotico », bensf come ·un Com~ plesso analizzato di cui conosciamo tutti i precedenti), solo che i due procedimenti di Marx introducano e concludano rispettivamente i due procedimenti funzionali da me proposti. Col che abbiamo quattro percorsi: 1. il procedimento marxiano che parte dal concreto presente, cioè dall'argomento strutturale· problematicamente presente al ricercatore per individuarne, a ritroso, gli antecedenti funzionali; 2. il percorso funzioneffargomento da me su descritto, che mostri in sede specifica questa relazione come un rapporto di dipendenza della funzione dall'argomento; 3. il percorso inverso, a ritroso, che dalla risoluzione delle alternative argomentali costituisca le monovalenze funzionali; 4. il ritorno verificante al concreto presente (Marx) col quale tutto il procedimento funzionale può concludersi criticamente. Questo per specificare esattamente il carattere delle operazioni. Perché, ove le condizioni problematico-documentarie lo permettessero, i quattro decorsi potrebbero essere ridotti ai due di Marx interpretati funzionalisticamente} cioè attraverso l'esibizione chiara dei rapporti funzionali contratti dagli elementi in questione, unificando, da un lato, il primo e il terzo decorso e, dall'altro, il secondo e il quarto. Ma d'altra parte è ovvio che anche per Marx ciascuno dei due processi non poteva esser esaurito in una sola ricerca, e ogni « percorso » doveva esser compiuto non una o due, ma tutte le volte che fosse necessario. Dopo la storicità deontologica e la funzionalità il terzo fattore di unificazione delle « logiche separate » è quello della comunicazione, per ·il quale si costituisce e si adempie l'intersoggettività o socialità della stessa attività razionale, che in nessuna delle sue specificazioni può chiudersi nel solipsismo, ove appena voglia giungere a un prodotto obiettivamente esistente, che è quanto dire esistente per gli altri, e quindi comunicato attraverso i mezzi idonei la cui determinazione spetta alla dimensione semiologica prima considerata. Ultimo fattore dell'unificazione è quello della operatività, che abbiamo visto esser costitutivo del processo di produzione in generale, e contemporaneamente distintivo delle diverse sue determinazioni sia strutturali che sovrastrutturali ( § 23 ). Questa individuazione dei fattori di unificazione dei diversi campi funzionali d'esistenza delle categorie logiche mostra, però, contemporaneamente, l'apporto di ciascuno cli essi alla stessa unificazione, in quanto il carattere di storicità deontologica è conferito alla logica unificata dal campo L-filosofico, il fattore funzionalistico dal campo L-matematico, il fattore comunicativo dal campo L-linguistico, il fattore operazionale dal campo L-sperimentale. Di questo movimento centripeto,

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    cui è affidato l'aspetto ·unificatore, è reciproco un movimento centrifugo, che costituisce invece la specificità distintiva delle operazioni da cui dipende la differenza dei diversi campi d'esistenza delle categorie 'logiche, e che mi pare di poter individuare nella determinazione ergologica per il campo L-filosofico, nel calcolo per il campo L-matematico, nella significazione per il campo L-Hnguistico e ne] momento dell'intervento per il campo L-sperimentale. Consideriamo ora il problema dell'unificazione partitamente, secondo il rapporto fra i fattori unificatori e distintivi. Ciò che dobbiamo mostrare è che la funzione unificatrice dei fattori d'apporto si amplia dal campo d'origine a valere anche per gli altri campi; mentre al contrario, i fattori di distinzionè restano esclusivi di ciascun campo. La quadripartizione formale dei campi, costituita dalla diversità delle operazioni che son proprie di ciascuno, è unificata 1. nella totalità storica, ovvero nell'unificazione di tutti gli elementi del decorso funzion~le d'una categoria e di tutte le determinazioni comunicative e, operative di ciascun campo categoriale, entro l'ambito operativamente ritagliato entro il continuum della storia, del rapporto di struttura-sovrastruttura d'un'epoca. Al contempo, rl fatto che la storicità delle categorie si applichi ad argomenti in ultima istanza strutturali, e comunque orientati nel senso della disposizione problematico-risolutiva degli ambiti di produzione (perché trovano la massima misura d'indipendenza d'una variabile nella sua collocazione entro un ambito di base, cioè strutturale), rende le categorie •Stesse funzioni rivelatrici dei rapporti e dei problemi di quella disposizione, e dunque di quella deontologicità che è connessa con l'attività umana di autoproduzione. Da questa storicità e da questa deontologicità non è esente alcuno dei campi d'esistenza categoriali nella sua specificità, sia perché calcolo, significazione e intervento sperimentale son tutti procèdimenti che hanno una storia e s'inquadrano nelle totalità storiche, contribuendo a determinarne la configuÌ-azione; sia perché, come attività intenzionate a una realtà da misurare, da esprimere o da trasformare, son tutti aspetti formali dell'attività di autoproduzione dell'uomo in quanto dover essere che è. Dunque la storicità deontologica, contributo della specificazione filosofica, è contributo unificatore, perché da essa si estende a investire tutte le altre specificazioni. Per converso, che la ergologia sia carattere distintivo del campo filosofico è mostrato dal fatto che nessuno degli alt.ti ha il compito di assumere a proprio oggetto le altre attività specificate secondo la disposizione di struttura-sovrastruttura. 2. A, cioè di articolare e ptecisare l' « immediatezza » del quantum di lavoro non ancora oggettivato, ossia presente, « vivo », ma in via di oggettivazione, nel suo prodotto, di contro al quantum di lavoro oggettivato, cioè, in ultima analisi, al salario. Noi troviamo quest'avvio anche in questo gruppo di testi, sotto il titolo di Valore della forza-lavoro e valore del lavoro. Non si tratta che di accenni, che ci permetteranno di concludere questa prima raccolta di materiale, per seguire la vera articolazione del problema là dove essa si trova, cioè nel I Libro del Capitale. « Per determinare il valore di mercato, Ricardo deve, al pari dei fisiocratici, di Adam Smith ecc., determinare anzitutto iJ valore della forza-lavoro o, come egli dice con un termine usato da Smith e dai suoi predecessori, il valore del lavoro. In che modo viene determinato il valore o il prezzo naturale del lavoro? Secondo Ricardo il prezzo natura1e non è altro che fa espressione monetaria del valore. » 10 E, dopo una citazione dà Ricardo, riprende: « TI valore del lavoro è dunque determinato dai mezzi di sussistenza tradizionalmente necessari, in una " Ivi, pp. 106-110. 10 I vi, p. 112.

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    data società, al mantenimento e alla riproduzione degli operai ». « Ma perché? In virtu di quale legge il valore del lavoro è determinato in questo modo? Ricardo non ha in realtà altra risposta che questa: la legge della domanda e dell'offerta riduce il prezzo medio del lavoro ai mezzi di sussisten_za che, in una determinata società, sono fisica~ mente e socialmente necessari al mantenimento dell'operaio. Qui, in uno dei fondamenti di tutto il sistema, egli determina il valore mediante la domanda e l'offerta, come nota malignamente Say [ ... ]. Invece che di lavoro, egli avrebbe dovuto parlare di forza-lavoro. Ma allora anche il capitale sarebbe apparso come una delle condizioni oggettive di lavoro contrapposte, in quanto potenza divenuta indipendente, all'operaio. E il capitale sarebbe subito apparso come un rapporto sociale determinato. Cosi per Ricardo esso .si differenzia dal "lavoro immediato" solo in quanto "lavoro accumulato ", Ed è qualcosa di semplicemente oggettivo, è un semplice elemento del processo lavorativo, da cui non può essere sviluppato il rapporto fra lavoro e capitale, fra salario e profitto. » In conclusione, « Adam Smith, dal fatto che un determinato quantum di lavoro può essere scambiato con un determinato quantum di valori d'uso, erroneamente conclude che questo determinato quantum di lavoro è la misura del valore, che ha •sempre Io stesso valore, mentre lo stesso quantum di valori d'uso può rappresentare un valore di scambio molto differente. Ma Ricardo sbaglia due volte, in primo luogo perché non comprende il problema che dà origine all'errore di Smith; in secondo luogo perché, trascurando la legge dei valori delle merci e facendo ricorso alla legge della domanda e dell'offerta, determina il valore del lavoro non con la quantità di lavoro spesa nehla produzione delila forza-lavoro, ma con la quantità di lavoro spesa nel:la produzione del salario che tocca all'operaio. Quindi dice in realtà: il valore del lavoro è determinato dal valore del denaro con cui è pagato! E questo in che modo è determinato? E in che modo la massa d'oro pagata? Col quantum di valori d'uso, che una determinata quantità di lavoro comanda o da cui è comandata. E in questo modo cade letteralmente nell'inconseguenza che ha biasimato in Smith. » « Tuttavia, [. .. ] ciò non gli impedisce di comprendere la differenza specifica fra merce e capitale, fra scambio di merce contro merce e di capitale contro merce, conformemente alla legge dello scambio di merci. » 11 Non chiedo stusa al lettore per avergli imposto, con un metodo che conserverò spesso anche nel seguito, questa lunga scelta di testi. 11 Ivi, pp. 112-116. Cfr. J. A. ScHUMPETER, Storia dell'analisi economica, Torino, 1959, I, pp, 366 e 377s78; II, pp, 717-728; e inoltre M. BIANCHI, La teoria del Valore dai classici a Marx, Bari, 1970.

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    Egli comprende da sé che ciò risponde a diverse esigenze: anzitutto a quella di ricostruire senza digressioni l'ossatura dell'argomentazione marxiana; inoltre, a quella di non vanificare il rigore e la chiarezza di queSti testi nell'inevitabile incertezza dei riassunti e delle parafrasi; e,

    conseguentemente, a quella di non fargli perder tempo. A questo punto, però, devo ovviamente aggiungere, alle sporadiche annotazioni

    di carattere ermeneutico-materiale già inserite, le riflessioni interpretative e di fondo che _i testi sollecitano, non senza avvertire subito che i testi che stiamo leggendo, pur nella loro chiarezza e nella necessità metodologica d'una loro considerazione preliminare, implicano e presuppongono sviluppi dei quali potremo renderci pienamente conto soltanto in seguito.

    Cominciamo dalla questione piu generale che sembra sollecitata da tutto il complesso di testi che abbiamo letti: fra le due « teorie » smithiane del valore-lavoro la prima, quella del « lavoro contenuto » o « incorporato » nel prodotto, riguarda un'esigenza di misura, di quantificazione: di una misura originariamente (nella formulazione ricardiana) inalterabile, cioè astratta nel senso piu rigoroso dell'astrazione, il senso matematico. Questa astrazione Marx dovrà poi lavorare a concretizzarla> e, come vedremo, ci riuscirà, per quanto ciò possa sembrare paradossale. La seconda « teoria », quella del « lavoro comandato», si con-

    nette invece addirittura alla scoperta del plusvalore. Ma allora perché Marx non si accontenta di quest'ultima -

    pur con le ovvie riserve -

    e non rinuncia alla definizione del valore secondo il tempo di lavoro incorporato nel prodotto? Tanto piu che nel X capitolo del Libro III gli capiterà, come vedremo, di avanzare un,« ipotesi » vicinissima alla teoria di Smith della successione di due leggi diverse, e di dire che soltanto nella condizione precapitalistica in cui il lavoratore è proprietario dei mezzi di produzione la « legge del valore » (contenuto) vale nella sua purezza perché solo allora « le merci si vendono realmente al loro valore » (Engels poi farà di piu, perché, tratta quest'idea dal tormentatissimo groviglio problematico che è quel capitolo X, ne farà disinvoltamente un'idea cardine, tanto da includerla e svilupparla nelle considerazioni supplementari aggiunte alla prefazione al III Libro). Eppure una risposta c'è, ed è essenziale per tutta la nostra ricerca. Marx, pur apprezzando l'interesse problematico della teoria del « lavoro comandato», mantiene quella del lavoro « contenuto » perché gli occorre. E gli occorre per due ragioni: anzitutto perché senza il punto di riferimento d'una uguaglianza (lo scambio di equivalenti) non si può neppure parlare d'una disequazione ( quella che dà origine al plusvalore). E nella formulazione smithiana, secondo cui il primo 149

    aspetto della legge non vale piu quando, col capitale, subentra il secondo, i due aspetti, o le due « leggi», si séparano .fìno a non aver pili niente a che fare l_'urio con l'altro, si che il primo non può pili servire neppure come punto di riferimento per il secondo. La seconda ragione è piu complessa e importante. Nella concezione materialistica della storia la struttui:a viene prima della sovrastruttura: e cioè la prassi produttiva d'uno storico modo di produzione precede le « categorie » e i procedimenti della scienza e della riflessione in genere che devono spiegare la prassi. Ora, la « teoria » del valore-tempo di lavoro incorporato nel prodotto opera nella produzione capitalistica ben prima di Smith e di Ricardo: opera anzitutto, in maniera giuridicamente legittimata (ovviamente dal diritto borghese), nel momento della compravendita di forza-lavoro, in cui gli agenti dello scambio sono formalmente « liberi » e proprietari ciascuno della sua merce, il capitalista del capitale (costante e variabile), e l'operaio della forza-lavoro, i cui costi di produzione (i mezzi di sussistenza) sono pagati dal salario, onde lo scambio avviene fra equivalenti/ ma subito dopo, in maniera ·ugualmente sanzionata dal « diritto » (perché se io compro una merce ho diritto di usarla), la stessa legge opera nel momento dell'uso della forzalavor~ o capacità lavorativa, cioè nella sua apPlicazione) o lavoro vivo, che ha la proprietà di incorporare nel prodot.to un valo.re maggiore di quello contenuto nei mezzi di sussistenza, dal che la produzione del plusvalore. Certo, dal punto di vista matematico la cosa è quantomeno discutibile, perché un'equazione non può immediatamente - cioè senza. che si cambi qualche termine del rapporto - trasformarsi in una disequazione, e si spiega solo col fatto che la capacità lavorativa è una grandezza incrementale, cioè capace di accrescere ciò a cui si applica, mentre. il salario, per sé, è dato, quindi non possiede alcuna inc-rementalità. Di tutto questo processo vedremo l'articolazione prècisa a suo ,luogo, -nel « processo di valorizzazione ». Ma ciò che -è da dirsi fìn du ora è che senza la quantificazione offerta dalla teoria del « valore = = tempo di lavoro contenuto » tutto quest'imbroglio resta inestricabile e misterioso come lo è per Smith. E che questa quantificazione debba esser data dal tempo è provato dal fatto che il lavoro vivo è appunto un procedere temporale, misurato in' giornate e in ore· di lavoro, e. misurato cosi non dall'invenzione scientifica, ma proprio dalla prassi produttiva. · Ne derivano due conseguenze teoriche il cui significato pervaderà gran parte della nostra ricerca, la quale dovrà documentarle: e le premetto qui proprio per potermici riferire sbrigativamente all'occorren. za. La prima è che la « teoria del valore» (e d'ora in poi quando la

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    nomineremo cos:f e senZ'altre aggiunte intenderemo sempre, come· è d'uso, la teoria del valore = tempo di lavoro contenuto) nelle sue div.erse accezioni è una categoria storico~funzionale, cioè un elemento sovrastrutturale variabile (infatti le sue accezioni sono diverse) dipendente da un argomento strutturale, la prassi produttiva e storica che regola la produzione secondo il tempo di lavoro nei momenti della compra-vendita della forza-lavoro, dell'uso del lavoro vivo e della produzione del plusvalore: un argomento che insieme è problematico, perché implica una contraddizione che la teoria ha il compito di tentar . di risiolvere. Precisamente, ancora una volta, « y f {x) » cioè, nelPacce~ zione piu compiuta che è quella di Marx, « teoria del valore funzione della produzione capitalistica di plusvalore » ( ed è ovvio che questo rapporto funzionale riguarda la teoria, come funzione, e la reale prassi sociale, come argomento, non il computo di valore delle merci e plusvalore, perché matematicamente « V f (pv) » sarebbe un nonsenso). La funzione, la « f », cioè la relazione specifica, in questo caso è quellà propria d una categoria sovrastrutturale, cioè una relazione esplicativa, chiarificatrice o, piU precisamente, problematico~risolutiva nei confronti dell'argomento, che è una variabile (i modi di produzione cambiano, nella storia) indipendente ( c'è per conto suo prima della teoria, e ha le sue ragioni storiche· che la teoria, nella sua compiutezza, dovrà saper individuare, ma non è stata certo essa a provocare) e problematica, cioè implicante un.a contraddizione 12 • La seconda conseguenza riguarda la specificità funzionale, cioè la differenza dell'accezione marxiana della teoria del valore da qudl:le sia di Smith che di Ricardo, che consiste nei punti seguenti: 1. nella consapevolezza della storicità funzionale della teoria; 2. nell'individuazione dell'argomento come una determinata prassi storica; 3. nel~ l'articòlazione del problema, della contraddizione che questa prassi manifesta (equivalenza/ disequazione); 4. nella risoluzion·e del problema che coincide con l'individuazione dello sfruttamento capitalistico nell'elemento del plusvalore. Il quale poi, anzitutto, come argomento reale è lo scopo della produzione capitalistica, ed è concretamente intascato dai capitalisti; e, secondariamente, se lo consideriamo 1

    1 ~ Non mi pare necessario dimostrB.re come la categorialità storico-funzionale delk: