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Italian Pages 322 [325] Year 1975
Meinecke Cosmopolitismo e Stato nazionale 1
Strumenti
• La Nuova Italia
Strumenti Ristampe anastatiche/28
Volume primo
La presente ristampa anastatica è tratta dall'edizione pubblicata nel 1930 nella collana « Storici antichi e moderni». Titolo originale: Weltburgertum und Nationalstaat Oldenbourg Verlag, Mi.inchen, 1922 6 • © Copyright 1975 by La Nuova Italia editrice, Firenze.
Friedrich Meinecke
Cosmopolitismo e Stato nazionale Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco Traduzione di A. Oberdorfer
La Nuova Italia editrice
VOLUME PRIMO
NAZIONE, STATO E COSMOPOLITISMO NELLO SVOLGIMENTO DELL'IDEA DI STATO NAZIONALE
AD
ERICH
MARCK
IN RICORDO DEGLI ANNI VISSUTI
NELL'ALTO O1-,FRO
CON
RENO AMICIZIA
INSIEME
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PREFAZIONE ALLA
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na EDIZIONE.
Il mio libro, la cui prima edizione è della fine del 1907, tenta di vedere a fondo nella genesi dello Stato nazionale tedesco, considerando alcuni grossi problemi e seguendone l'evoluzione nel corso dell'ultimo secolo. Nella ricerca andavano sempre fatte inte1'fe1·ire le considerazioni storicopolitiche e quelle fondate sulla storia del pensiero. Posso dire con g1·atitudine che il mio saggio ebbe riconoscimento e accoglienze quasi tutte cm·diali e che esso ha già dato impulso all'indagine in vari sensi. Cusi, dalle osservazioni dei miei recensori, p1'imi tra -i quali G. Kuntzel, R. M. Meyer e H. Oncken, oltre che da alcune monog1·afie di questi ultimi anni, ho fratto materia per una serie di cor1·ezioni e di aggiunte introdotte in questa seconda edizione. La pubblicazione dell'epistolario del Gentz m'ha convinto a delineare brevemente l,a posizione di lui entro lo sviluppo storico delineato nel 1° libro. Spero d'aver giustificato sufficientemente la mia concezione della politica germanica ed europea dello Stein, di fronte ai dubbi sollevati da H. Ulniann. La biografia di J. (}. Droysen, scritta da G. Droysen, m'ha porto la grata opportunità di chiarire, nel 11° libro, i p1'ecedenti del suo programma della primavera 1848. Ho potuto mettere me!JliO in luce la posizione del re Federico Guglielmo IV rispetto ai problemi trattati nel 11° libro, in grazia d'una minuta, scoperta ,·ecentemente nell'archivio di famiglia. Ho frovato nuove testimonianze relative all'atteggiamento dei fautori della monarchia imperiale ed e1·editaria. Non ho mancato di tener conto delle obiezioni sollevate contro la mia esposizione della tat-
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PREFAZIONE
tica usata dal gruppo cattolico del 1848. Infine, la biografia del Bennigsen dovutq a H. Oncken mi ha offerto materiale d'importanza fondamentale per le aggiunte dagli ultimi capitoli. Il mio libro è fondato sull'opinione che l'indagine sto·rica tedesca, senza rinunciare alla preziosa tradizione delle .4:Ue ricerche metodiche, debba risollevarsi alla sensibilità e al contatto con le grandi forze della vita statale e culturale; che .çenza pre,qiudizio delle sue peculiarità e delle sue finalità debba immergersi più coraggiosamente nella filosofia e nella politica; che, anzi, soltanto a questo modo possa svilu,ppare la sua caratteristica più peculiare, d'essere al tempo stesso univertrale e nazionale.
PREFAZIONE ALLA IIP' EDIZIONE. Questa nuova edizione ha imparato molto dalla produzione degli ultimi anni e contiene una serie d'aggiunte e di nuove note: nel 1° libro, specialmente al 1° capitolo ~ al VI 0 , nel 11° libro in pres.ço che tutti i capitoli in misura quasi uguale. Sopra tutto le nuove fonti di.'ichiuse dal libro del Pastor su Max v. Gagern m'hanno dato modo di riempire qualche lacuna e, con mia soddisfazione, di sollevare al grado di certezza alcune mie precedenti supposizioni. La stampa della nuova edizione era già iniziata quando scoppiò la guerra mondiale. Questa guerra, che farà di noi definitivamente u,1 popolo universale, ha dato forme nu01:e al duplice ideale, di cosmopolitismo e di Stato nazionale, che ha sempre brillato innanzi alla J..Vazione tedesca, da quando fu assunta a nuova vita storica. Pa:~satu, presente e avvenire urgono oggi insieme nell'anima nostra. Mentre i nostri figli, alla guerra, ci di( endono da pericoli qual i la Germania non aveva più corso dopo la guerra dei Trent'anni e la dominazione napoleonica, noi solleviamo gli occhi alle altezze dalle quali ci viene aiuto, agli alti spiriti del passato che, invisibili, accompagnano e benedicono
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PREJ.o'AZIONt:
la nostra lotta. Possa il mio libro, nato un tempo nella quiete dello studio, offrire qualche cosa anche alle necessitd dei tempi presenti. In un poscritto al 11° libro ho tentato d'esaminare il problema prw1siano-germanico alla luce del momento attuale. Berlino-Dahlem,
19 marzo 1915.
PREFAZIONE ALLA IV 8 EDIZIONE.
La guerra ha mantenuto vivo l'interesse per i problemi t,·attati in questo libro. Questa nuova edizione reca un'altra serie di aggiunte, relative specialmente al 1° e al Vl 0 capitolo del 1° libro, ed a quei capitoli del II 0 libro che hanno attinenza con le recentissime pubblicazioni di Erich Rrandenberg dai documenti lasciati da Ludolf Camphausen. Berlino-Dahlem,
PREFAZIONE ALLA
26 gennaio
1917.
va EDIZIONE.
Questa volta l'indagine degli ultimi anni ha aggiunto solo materia di scm·sa importanza alle note e al testo. },fa i fatti spaventosi che hanno colpito la Germania in queste settimane toccano le radici dei due problemi dei quali tratta la presente opera. Il lettore attento disceniercl facilmente i fili che conducono, dalle mie indagini e considerazioni, alla grave situazione attuale e ai compiti eh 'essa impone. I problemi dell'egoismo nazionale, della Lega delle }./azioni, dei rapporti tra Prussia e Germania e dell'evoluzione della costituzione germanica sotto la pressione della politica estera, problemi ch'io ho trattato dai punti di vista possi-
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PREFAZIONE
bili e raggiungibili avanti l'agosto '14, esigono ora soluzioni pratiche imprevedute. Il mio libro deve conservare l'impronta che gli ha dato l'etd in cui è sorto. I concetti fondamentali di esso, credo conserveranno la loro validità anche nei tempi nuovi: ma questi getteranno nuova luce anche sul passato. Come, politicamente, ci troviamo ora dinanzi al compito di trarre con animo deciso e invitto le conseguenze della guerra mondiale per la nostra vita avveni-re, senza venir meno alla fede al nostro passato nazionale, così ci conviene anche nei riguardi spirituali esaminare le nostre antiche considerazioni storiche alla luce delle nuove esperienze. Berlino-Dahlem,
8 novembre 1918.
PREFAZIONE ALLA VIa EDIZIONE. Questa volta i cambiamenti si limitano quasi esclusivamente ad aggiunte, in nota, suggerite dall'indagine critica degli ultimi anni. Al 11° libro, rimasto immutato, ~ aggiunto un Saggio, del 1921, sui nuovi sviluppi del problema prussiano-germanico. Berlino-Dahlem,
24 aprile 1922.
CAPITOLO
I.
DELLA NAZIONE, DELLO STATO NAZIONALE E DEL COS11OPOLITISMO IN GENERALE.
Chi voglia ragionare intorno all'origine e allo sviluppo del concetto di Stato nazionale in Germania, deve prima farsi una chiara idea di quel che sieno NazioJ?.e e Stato nazionale e delle relazioni che corrono tra questi due concetti. Che cosa divide l'una dall'altra le Nazioni, entro la cornice universale della storia dell'umanità Y L'unica risposta possibile è che non ci sono formule le quali riassumano le caratteristiche con valore generale. Si vede alla prima che le Nazioni sono grandi e possenti comunità di vita sorte attraverso un lungo processo storico e sottoposte a movimenti e mutamenti injnterrotti; e perciò appunto c'è nella natura della Nazione qualche cosa di fluido. Sedi comuni, comune discendenza o, più esattamente - dato che non ci sono nazioni di razza pura nel significato antropologico della parola - uguale o simile mescolanza di sangue, lingua comune, vita spirituale comune, lega o federazione di parecchi Stati d 'ugual natura: tutte queste possono essere caratteristiche importanti, essenziali, d'una Nazione; ma con ciò non è detto che una Nazione, per esser tale, debba possederle tutte
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insieme. Quel eh 'essa deve possedere incondizionatamente (; un intimo nocciolo naturale, nato dalla consanguineità. Su di esso possono fondarsi e crescere quella peculiare, profonda comunanza spirituale, quella più o meno chiara coscienza di essa, che elevano le varie stirpi riunite a dignità di Nazione e le autorizzano ad assimilarsi anche stirpi ed elementi eterogenei. Se non che nessuna legge generale de11'esperienza e 'insegna in che modo sorga questa comunità superiore e di che natura sieno i suoi contenuti; lo impariamo solo dal1'analisi dei singoli casi concreti. Se, invece, leggi generali ci sono, esse non sono accessibili alla no~tra esperienza. Qua e là si ha l'impressione d'afferrare un lembo di legge generale o per lo meno d'una tendenza generale. r di scoprire caratteristiche e sviluppi analoghi in tutte, o almeno in molte Nazioni; ma, a riguardar le cose più da vicino, ogni Nazione presenta sempre dei lati completamente individuali e suoi propri. La sociologia generale potrà tentar di determinare, entro i limiti del possibile, quel che v 'ha di tipico e di generale nella natura delle Nazioni; ma lo storico tenderà invece ad osservare con tutta la fedeltà e la finezza possibili quel che e 'è di caratteristico in ognuna di esse. A questo scopo tendono anche i nostri studi: ma, per poterlo raggiungere, essi debbono prima procurarsi un orientamento, sia pur sommario, intorno ai tipi e alle tendenze generali che si possono determinare nella natura e nel divenire delle Nazioni. Qui non consideriamo le Nazioni nelle loro prime origini che, come abbiamo accennato, possono ricercarsi in una concrescenza di stirpi e di leghe minori, ma le studiamo in uno stadio più avanzato del loro sviluppo. Prima 1,remessa per lo sviluppo d'una Nazione è eh 'essa abbia un saldo fondamento territoriale, una « patria ». Ci sono anche popoli nomadi, territorialmente dispersi, ma l 'esperienza insegna che hanno saputo conquistarsi e conservarsi maggior consistenza e più ricco contenuto soltanto
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E STATO NAZIONALE
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quelli che hanno avuto per lungo tempo una sede fissa, una patria. Se ora ci si chiede da quali radici cresca questo contenuto pilì ricco, bisognerà distinguere subito due grandi gruppi, dividendo le Nazioni - pur con tutte le riserve da farsi fin da principio - in Nazioni culturali e Nazioni territoriali, 1 ) cioè Nazioni fondate prevalentemente sopra un qualche possesso culturale conquistato con comune sforzo e Nazioni che si fondano innanzi tutto sulla virtù unificatrice d'una storia politica e d'una legislazione comuni. Lingua, letteratura, religione comuni sono i più importanti cd efficaci possessi culturali, dai quali una Nazione culturale possa sorgere e venir cementata. Uno dei migliori conoscitori delle antiche lingue comuni della Grecia, dice: « esse non hanno nulla a ehe vedere coi nessi statali ed hanno valore soltanto nei riguardi della letteratura» 2 ). Altro esempio analogo ci porge la lingua comune irlandese, creata anch ·essa e diffusa per vie non politiche, dalla categoria dei poeti e dei narratori 3 ). Ma più frequente è il caso di lingue e letterature comuni che sieno state, se non proprio originate, almeno favorite nel loro sviluppo da influenze e interessi di natura politica ·1 ). Anche il nesso fra religione, Stato e nazionalità è ~pesso assai stretto; specialmente nel caso di antiche Nazioni territoriali, che già ; ma non desidera che lo Stato si proponga come compito· immediato l'educazione della Nazione alla guerra 2 ). Non nega che ci vuole un mézzo per unire fra loro Stato e Nazione ossia, come dice con certa condiscendenza, la parte dominante e la parte dominata della Nazione. Uno di questi mezzi, che nell 'antichità diede origine a nobili formazioni statali, sarebbe la « diffusione fra la Nazione d'uno spirito favorevole alla costituzione »: per il presente non lo ritiene però consigliabile, in quanto esso riesce facilmente di danno allo sviluppo dei cittadini nella loro individualità 3 ). A guardar la cosa più da vicino, egli non combatte l'amore della Nazione per la sua costituzione, ma soltanto i mezzi artificiosi usati per farlo nascere. E la costituzione deve farsi sentire il meno possibile, mentre l'influenza dello Stato dcv 'essere sostituita, fin dov'è possibile, dagli interessi privati dei cittadini, resi più forti e più complessi. Lo Stato dev'essere non quanto più forte, ma quanto pi1ì debole è possibile. Da buon conoscitore dcll 'animo umano egli sapeva già allora che l'uomo è più incline al com~mdo differenza fra istituzione nazionale e istituto statale. Quella ha soltanto forza mediata, questo l'ha immediata. In quella c'è, perciò, maggior libertà d' iniziativa, di divisione, di modificazione. :t molto probabile che tutte le entità statali composte fossero da principio nu1l 'altro che unioni nazionali di questo ti po ». :t una concezione che porta a una caratteristica modificazione, a un rilassamento della teoria del contratto. 1 I, 162. ) 2 I, 140. ) 1 1, 234. )
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COSMOPOLITISMO
E STATO
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ehe alla ~ertà e da-buon suddito prussiano sapeva anche ehe il com8"}dodà gioia non solo a chi comanda ma anche a coloro eh~ \servono, per la coscienza eh 'essi ne ricevono d'essere parti d'un tutto che vivrà oltre la durata d'una generazione 1 ). Ma non era questo il suo ideale; il grado più alto di civiltà stava per lui nell'attività libera, non nella dispotica. Risulta da tutto ciò che non solo l'antico Stato assolutistico era lontano dai suoi desideri, ma ~nche lo Stato nazionale moderno, fondato sulla partecipazione alla vita statale della Nazione, · che comanda e obbedisce insieme, e sopra una vita costituzionale che lega l'uno all'altro chi comanda e chi obbedisce. Dappertutto egli sente i vincoli posti all'individuo autonomo, agente solo per la spinta dei suoi bisogni interiori, nè al suo occhio sensibile sfugge il più lieve fumo che possa adombrare la libertà della Yita interiore. A quel eh 'egli intende per « Nazione » e per « spirito e carattere della Nazione» va attribuita natura quanto più è possibile lieve e incorporea; non è una « forza » vitale, che guidi o riempia di sè i singoli, ma uno «spirito» vitale che si sviluppa dal confluire delle emanazioni delle molte anime individuali. Che se poi esso potrà far sentire a suo beneplacito il proprio effetto sui singoli, non cesserà perciò di essere in prima linea una cosa generata, non una generante. Potremo forse farci un 'idea più chiara delle caratteristiche del suo concetto di Nazione, confrontandolo con quello prodotto dalla teoria della sovranità popolare e dalle idte della Rivoluzione francese e poi ancora con quello bandito più tardi dai romantici e dalla Scuola storica del diritto. Esso ricorda il primo di questi due concetti per la sua ignoranza dei fattori storici che agiscono
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)
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MEINECKE
nelle origini delle Nazioni 1 ) e per la concezione, colorita con le tinte del diritto naturale, dell '« unione nazionale», come d'una pluralità ~ 'individui ehe per il mo~ mento vivono l' uno accanto all'altro; però ignora affatto una volonté générale della Nazione, che si esprime attraverso la maggioranza o i rappresentanti di essa. Anzi, non la ammette nemmeno. « Anche se, egli dice 2 ), l'unione statale, strettissimamente intesa, fosse un'unione nazionale, la volontà dei singoli individui non potrebbe esprimersi che per mezzo del regime rappresentativo, e no!1 è possibile che un rappresentante di molti sia espressione fedele dell'opinione dei singoli rappresentati ». Anche il Rousseau, com 'è noto, non amava il regime rappresenta tivo; ma il Humboldt va. più oltre di lui, quando non ammette una decisione per maggioranza e dichiara necessario il consenso dei singoli. Qui egli pensa sopratutto al problema, se lo Stato possa dar vita ad istituti il cui scopo vada al di là della sicurezza esterna ed· interna; ma è chiaro che a questo modo viene a negare in genere la possibilità d'una volontà nazionale unitaria, tale da dominare le volontà individuali, che in qualche modo vi si oppongono. Altrove 3 ) egli dice: « Il compito più vasto rimane sempre da espletare all'attività libera e concorde dei cittadini ». Il Rousseau e la Rivoluzione francese avevano attribuito alla volontà della Nazione un certo ascendente sulla vita individuale, che il Humboldt non voleva riconoscerle; il romanticismo storicizzante volle invece, più tardi, la vita individuale determinata con inconscia azione dal genio nazionale. La vita individuale era considerata subordinata, qui come là: ma lo spirito nazionale che la sot-
1
Perciò il concetto nazionale presenta un passo indietro rispetto 2 2, 131. ) 1 ) 1, 157. )
del suo « Versuch ecc. » rapalle sue idee del 1791.
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tometteva era diverso per gli uni e per gli altri. Per il H umboldt, però, non c'è uno spirito nazionale che la subordini, nè quello costituito democraticamente secondo il diritto naturale, nè quello inteso da un punto di vista storico-conservatore, nè quello che governa consciamente e intenzionalmente, nè quello che crea senza averne coscienza. Egli pronunciò sempre, è vero, la parola Nazione con più calda espressione che la parola Stato, ma lo fece perchè essa significava per lui maggior libertà accordata all'individuo 1 ). Ne&suno aveva dato così forte, anzi così esclusivo rilievo - tra i vari fattori che costituiscono la natura della Nazione moderna - alla spontaneità degli individui che la formano. Tuttavia era già molto che quest'ardente e puro individualista ne sapesse qualche cosa della Nazione, che non si accontentasse del puro e semplice auto-godimento della personalità, che ]a libera scambievole attività degli individui diventasse subito per lui « libera attività scambievole della Nazione». Il suo concetto nazionale ne divenne, però, così generico da confonderglisi tra mano con un concetto di «società» 2 ), altrettanto ampio ed indeterminato, di modo che per lui Nazione e Società minacciarono di finir per essere nulla più che espressioni determiuanti la naturale convivenza degli uomini. In compenso, però, egli aveva un 'idea oltremodo vasta e ricca di questa naturale convivenza, di questa reciproca azione esercitata dagli uomini l'uno sull'altro; idea varia, ricca di contenuto, salda quanto può esserlo un' idea. La sua intuizione della convivenza naturale e dell'azione reciproca
1
)
« Come la Nazione lo interessava più dello Stato, così l'uomo
più della Nazione»: HAYM, Humboldt, p. 51. z) Cfr. specialmente quello che dice I, 113. Haym, p. 55 dice con molto garbo: « Nel quadro· d'una nobile società gli si dipinge l'intera Nazione vivente entro uno Stato».
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degli uomini era talmente viva e profonda, che gli ci Yoleva non meno dell'altra esperienza pratica, perchè, entro i moti armonici delle forze umane, sentisse mormorare anche le voci del vero « spirito nazionale». Se gli si volesse rimproverare d'essere stato sordo, allora, a queste voci, si potrebbe rispondere con le sue stesse parole : « Sparge semi che si svilupperanno da sè, più che non costruisca edifici in cui appaia traccia diretta della sua mano ». E coloro che considerano l'incorporeo concetto di Nazione del Humboldt più interessante di parecchi tra i molti bene intenzionati sfoghi tedesco-patriottici di quei decenni, si contortino con le parole che seguono immediatamente alle già citate: « Occorre un maggior grado di eultura per rallegrarsi dell'attività che crea soltanto energie e lascia ad esse di produrre i risultati, che non per rallegrarsi di quella che dà, essa stessa, risultati immediati 1 ) ». E veramente bastava che lo spirito del H umboldt fosse lasciato a se stesso, perchè trovasse la via che conduceva alla Nazione. Chi aveva tentato di penetrare nel segreto dell'individualità con la purezza e la passione, la tenerezza e l'energia con cui l'aveva tentato il Humboldt, doveva ben accorgersi un giorno che anche entro l 'individuo vive cd opera lo spirito nazionale, il vero spirito nazionale che non fiorisce soltanto dalla libera attività sociale dei singoli, ma si stende dinanzi e al disopra di essi come una forza viva, salda, storicamente operante. Lo studio dei Greci, modello, secondo lui, di grandi individualità, gli aveva reso chiaro che cosa fosse per essi « carattere nazionale >: sopra ogni altra cosa, una preziosa e necessaria premessa per lo sviluppo dei caratteri individuali.« Però, dovette confessare guardando a quelli,
i) Pare che allora non facesse ancora distinzione fra coltura e istruzione, come fece poi nei suoi scritti di linguistica.
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la cultura dell'uomo in masse precede sempre quella degli individui » 1 ). Anche un 'altra riflessione, condotta pure questa seeondo il primitivo indirizzo del suo pensiero, ]o portò a meglio intendere e ad apprezzare più altamente la Nazione. Il suo individualismo non portava all'uniformità, ma alla varietà e peculiarità della vita umana. L'ideale d'umanità si presenta, secondo lui, 2 ) non in una forma sola, ma in tante forme quante possono sussistere l'una accanto all'altra, nè mai si rivela altrimenti che nella totalità degli individui. Ma come può aumentare la ricchezza dell'individualità, se questa è propria non solo dei singoli, bensì anche delle grandi masse d'individui, cioè delle Nazioni? E allora egli rispondeva !i) : « L'umanità ha bisogno, di riunire molti individui, sopratutto per poter dimostrare, attraverso la massima varietà delle attitudini, la propria essenza nella sua piena ricchezza e in tutta la ~ua estensione ». E si chiedeva a questo proposito se non sarebbe stata una perdita di qualcosa di preziosamente earatteristico già il fatto che anche la sola piccola Nazione svizzera fosse stata cancellata dalla serie delle Nazioni europee. Si può dire senz'altro che negli anni dopo il 1793 il problema di Nazione stette per lui in cima a quelli che si proponeva di risolvere. Si poteva arguirlo già dalle sue lettere, specialmente da quelle al Goethe e al Jacobi; ma la profondità del suo interessamento si rivela appena dagli abbozzi di storia e di filosofia della storia stesi in questi anni e messi in luce per la maggior parte soltanto nell'edizione accademica dei suoi scritti, abbozzi che hanno
1
Ueber das Studium des A.ltertums und des Griechischen ) insbesondere, 1793. Ges. Schriften 1, 276. 1 ) Plan einer 11ergleichenàen A.nthropologie, 1795. Ges. Schriften 1, 379. ') Loc. cit.
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mirabilmente esteso la nostra conoscenza delle idee del Humboldt 1 ). « Lo studio d'una Nazione, è detto in quegli scritti 2 ), offre per lo meno tutti .i vantaggi che offre lo studio della storia in generale». A dir vero questi vantaggi della storia sembra egli li veda, con un razionalismo un po' utilitario, soltanto nell'aumento della conoscenza degli uomini, di acume nel giudizio, di carattere; in tal modo, però, dava la massima ampiezza e la massima profondità al concetto di conoscenza dell'uomo, considerandola come « conoscenza dell'uomo in genere» e di tutte le 'forze e di tutte le leggi che esercitano un 'influenza sulla vita umana, dal di fuori o dall'interno. Specialmente lo studio della Nazione, in quanto spinge ·ad esaminarne la condizione sotto tutti gli aspetti, ne deve fornire quasi una biografia, che, analizzando il suo carattere sotto ogni riguardo e in tutti i suoi rapporti, analizzi nello stesso tempo le reciproche relazioni fra le singole caratteristiche e col mondo esterno, in quanto sieno causa o conseguenza di quelle. Postulando una rappresentazione della vita della Nazione, che andasse il più a fondo possibile nella ricerca delle cause, il Humboldt precorreva già uno dei compiti principali imposti poi alla scienza storica del secolo XIX. Per poter valutare meglio il suo interessamento per la natura della Nazione, sentiamone ancora qualche principio·: « Lo studio dell' uomo, dice egli nello stesso scritto del 1793, 3 ) guadagna moltssimo 1
L'opera del Kittel sulla concezione storica del Humboldt,. ) 1901, buona ma schematica, non se ne potè sen-ire. Su di essi invece, non meno che sulle lettere del Humboldt alla sua fidanzata e, poi, moglie, di recente pubblicate, si fonda il bel libro di ED. SPRANGER: W. 11. Humboldt und die Humanitiitsidee, 1909, libro che, con mio vivo piacere, concorda con le mie idee intorno alla coscienza. nazionale del Humboldt . 2 • ) Ueber das Studium des Altertums, 1793. Ges. Schriften,. p. 256 seg. 1 ) 1, 264.
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dallo studio e dal confronto fra tutte le Nazioni di tutti i paesi e di tutti i tempi ». Così, negli anni seguenti, gli nacque l'idea d' iniziare una scienza affatto nuova, l'antropologia comparata, il cui compito era « di cercare il carattere di classi intere d'uomini, meglio ancora il carattere di Nazioni e d 'epoche intere» 1 ). Il concetto fondamentale da cui partiva il suo grandioso progetto era questo : « l'uomo preso a sè è debole e può ben poco con le sue sole forze, troppo limitate; egli abbisogna d'un 'altezza sulla quale ergersi, d' una massa su cui farsi valere, d ' una serie nella quale introdursi; vantaggi, questi, che infallibilmente ottiene, quanto meglio egli coltiva e sviluppa in sè lo spirito della sua Nazione, della sua schiatta, della sua epoca» 2 ). Questo progetto d'una antropologia comparata perdette d' importanza ai suoi occhi nel 1796, quand'egli ne formulò un altro, ancora più grandioso, d'un' opera a fondamento storico sullo spirito dcll 'umanità in generale, opera le cui singole parti dovevano essere elaborate, secondo un'unica direttiva, da mani diverse 3 ). Per sè, egli si riserbava l'argomento: « Spil'ito e carattere del secolo XVIII ». Il primo abbozzo di questo lavoro, steso nel 1796 e nel 1797 4 ), in sostanza non va più in là dell'enunciazione dei principi metodici, quasi egli volesse arrotare a filo di rasoio il coltello che doveva servire per il suo lavoro. Così, forse, egli rivela i limiti delle sue possibilità. Troppo spesso le sue concezioni restavano campate in aria, senza prender concretezza corporea; tuttavia esse ci parlano come se vivessero, e alle nostre domande rispondono con chiarezza e prontezza. Ri-
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) Plan einer 1Jergleichenden Antliropologie, 1795. Ges. Schriften I, 384. 2 1, 385. ) 3 Cfr. le osservazioni del LEITZMANN in Gt's. Scltr·iftcn, 2,401. ) 4 ) Op. cit. 2, 1-112.
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sulta, quindi, nettamente che, nonostante il carattere razionale e universale proprio del secolo XVIII, egli voleva studiarne lo spirito partendo dal solido fondamento d'una concezione storico-nazionale. In contrapposto ai francesi di Luigi XIV, che avevano conosciuto un 'unica forma e una regola sola per tutto, egli dichiara 1 ) : « Noi, invece, ci abituiamo ora a studiare le caratteristiche d'ogni età e d'ogni Nazione, a penetrarle per quanto è possibile e a fare di queste conoscenze il nocciolo del nostro giudizio». Quest'esempio dimostra come un individualismo onesto e severo verso se stesso potesse arrivare, con le sue proprie forze e con l'auto-riflessione, alla conoscenza di quelle forze superindividuali della vita, dalle quali le singole vite sono, si, circuite e limitate, ma anche sostenute e fecondate. Per quanta parte potesse avere in questo processo il piacere estetico di scoprire queste nuove grandi cose, sappiamo che nel H umboldt esso non aveva parte preponderante; non foss 'altro si fondeva in lui inscindibilmente con quell'atteggiamento del suo spirito, che sempre voleva abbracciare insieme se stesso e il mondo. In lui l'individuo, forte e assetato di libertà, acquistò coscienza della propria debolezza, del proprio stato di dipendenza dalla Nazione materna, e imparò a guardare ad essa con gratitudine. È commovente il modo come egli ]o confessava a Goethe il 18 marzo 1799, da .Parigi 2 ) : « Ella che conosce persino le limitatezze della mia natura, deve sentire come tutto ciò che mi circonda fuori di Germania rimanga per me sempre eterogeneo .... Chi s'occupa di filosofia e d'arte appartiene alla sua patria più stret1
)
2, 72.
) BRATRANEK, Goethes Briefwechsel mit den Gebrudem H umboldt, p. 58. Il 26 ottobre 1798 seri veva all ' J acobi: e:Vivendo in Francia sono diventato molto più tedesco di prima ». LEITZMANN, Briefe Humboldts an Jacobi, p. 60; vedi anche p. 120. 2
11.
Nello stesso senso scriveva anche a F. A. Wolf, il 22 ottobre 1798 (Ges. Werke, 5, 208).
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tamente che altri.. .. La filosofia e l'arte hanno più bisogno della loro propria lingua, che il sentimento e il pensiero si sono formata e da cui a loro volta sono stati formati ». E aggiungeva anche l'importantissima e giusta osservazione, che proprio in grazia del raffinarsi della lingua, della filosofia, dell'arte, si sarebbero accresciute l 'individualità e la diversità delle singole Nazioni, sicchè più difficile sarebbe diventata l'intima intelligenza fra Nazioni diverse ma, insieme, più generale il bisogno di essa. Nelle più alte attività umane egli vedeva dunque la radice della vita della Nazione; la tendenza caratteristica d'una cultura in via di perfezionamento stava per lui non in una mescolanza cosmopolitica, ma nella differenziazione nazionale, la quale però a sua volta spinge a un nuovo sforzo per l'intesa reciproca. I suoi Diari parigini dimostrano com 'egli facesse subito suo questo compito, per proprio conto 1 ). Proprio allora, in mezzo alla movimentata vita francese, egli sentiva con tranquillo orgoglio le caratteristiche della cultura tedesca e la sua superiorità sulla francese. In quegli anni il H umboldt pare s'accosti al pensiero storico e nazionale del secolo XIX; ma qui bisogna tracciare nettamente il limite fino al quale poteva giungere un figlio del secolo XVIII, individualista e cosmopolita, e al di là del quale non voleva passare. Vedremo ora da un primo grande esemp_io,come la nuova idea nazionale fosse ancora impregnata, proprio nei suoi migliori rappresentati, degli ideali universali, umanitari, propri della cultura stata prevalente fino allora. Si noti come egli torna a limitare subito l'esigenza d'uno studio comparativo delle Nazioni, da lui posta nel 1793: a prescindere dal1'immensità d'un simile studio, dice, importa più il grado d'intensità con cui viene studiata una sola Nazione che
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non l'estensione con cui se ne studiano parecchie; e ritiene il più degno d'essere studiato, quel carattere nazio-: nale che più s'accosta all'essenza dell'umanità 1 ). Tale er-a per lui il carattere dei greci, che tendevano « a sviluppare1'uomo nella massima unilateralità ed unità >; in essi si palesa per gran parte « il carattere originario dell 'umanità > 2 ). Per lui, dunque, lo studio della Nazione è un mezzo al fine di ottenere dalla storia la conferma del, proprio ideale d'umanità. Anche l'indagine moderna intomo alla vita particolare delle Nazioni vuole, in fondo, cavare dalla storia i più alti valori umani, ma essa considera il cammino dalla Nazione all'umanità e dall 'esperienza. ali 'ideale, più lungo e più difficile che non lo credesse il Humboldt. Essa cerca di accoppiare l'estensionenello studio delle Nazioni, di cui il Humboldt riteneva di poter fare a meno, con l'intensità eh 'egli esigeva, e nel compiere questo lavoro allontana dalle proprie officine l'ideale d'umanità che il Humboldt credeva di poter· raggiungere rapidamente a volo, perchè lo splendore di esso non le renda l'occhio meno valido a riconoscere la verità. Non perciò essa vi rinuncia; soltanto, lo relega altrove, più in alto, mentre per proprio conto cerca di determinare con la massima esattezza, ampiezza e spregiudicatezza, quanto diverso è, nella realtà, l'individuo storico. l\fa qual 'era per il Humboldt il compito dell'antropologia comparata? Essa doveva, si capisce, cercare i caratteri immanenti delle Nazioni con la cura del naturalista, ma, « sebbene ad essa importi, in verità, soltanto di sapere quanto può essere diverso l'uomo ideale, deve tuttavia far credere che le importi di determinare quantodiverso sia nel fatto l'uomo individuale >. Considerata da un punto di vista puramente logico, la sfumatura in con-
1 2
) )
1, 264. 1, 270 e 175.
l'OSMOPOI,ITISMO
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fronto della scienza moderna non è molto sensibile; ma dal punto di vista psicologico essa è notevolissima. L'uomo moderno è convinto che bisogna tracciare il limite fra le varie attività e i vari bisogni dello spirito umano, più rigidamente che non lo credesse il Humboldt e ritiene che, per riuscire perfettamente nel campo del1'esperienza, bisogna proporsela come fine a se stessa, e non solo all'apparenza ma in realtà e ben decisamente. Ciò importa per lui, insieme, un guadagno e una perdita: perde molto della sua felicità interiore, dell' impeto d'ala col quale il Humboldt poteva, sempre che volesse, sollevarsi da uomo reale a uomo ideale; in compenso, guadagna ciò che si può guadagnare da una razionale divisione del lavoro. Anche questa nostra indagine ha in prima linea lo scopo di dimostrare come, pure nello sviluppo dell'idea nazionale nel secolo XIX, ci sia stata una specie di divisione del lavoro, in quanto la si è andata a poco a poco appartando dalle idee universalistiche ed eticouniversali in origine concresciute con quella, e soltanto così essa ha assunto forme pratiche per le finalità dello Stato. Ma qui dobbiamo por mente anche ad un 'altra divisione del lavoro, avvenuta entro la sfera d'azione del1' idea nazionale, che si è suddivisa in una sfera teoretica e una pratica. La comprensione del fatto nazionale, per un lato è fecondissimo mezzo scientifico di conoscenza, per 1·altro una grande forza morale per lo Stato e per la società. Interiormente le due correnti sono ancora una s~ cosa, nè possono mai venire completamente divise senza che ne sia minacciata la stessa loro scaturigine; ma nella pratica procedono divise e un forte egoismo politiconazionale può accoppiarsi, entro la stessa individualità, con un 'amorosa intelligenza di tutte le caratteristiche nazionali straniere, pur essendo assolutamente distinto da quelle. Il Humboldt, però, è una totalità indivisa, una stretta concrescenza di contemplazione e di volontà, in. quanto, come abbiamo visto, concepiva lo studio delle Na-
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zioni sotto un punto di vista etico e contemplativo al tempo stesso : che cos'era, infatti, quel suo cercare l'uomo ideale, se non etica altissima e insieme altissima intuizione spirituale? Indagando il fatto nazionale egli cercava il supernazionale, il sommo .bene spirituale e morale che gli fosse dato di raggiungere. Ma si potrebbe chiedersi che ne era di quell'efficacia etica del suo studio delle Nazioni, che è la più accessibile all'uomo moderno e gli sembra la più logica; e che influenza essa ebbe sui suoi sentimenti tedeschi. Abbiamo visto come a Parigi s'accendesse in lui la grata coscienza di ciò che aveva ricevuto dalla sua patria, sicchè in mezzo a quella nazione straniera ed estranea si sentiva più tedesco che mai. Se non che quella Nazione tedesca cui si sentiva legato, non era tutta intera la Nazione fino alle sue più intime profondità, ma solo una minuscola, minima parte scelta di essa. « In Germania, scrive all 'Jacobi 1 ), si dimentica volentieri la massa per fermarsi al singolo individuo ». E, più chiaramente, a Goethe 2 ) : « Che altro è ciò che mi lega alla Germania, se non quel che ho attinto dalla vita in comune con Lei e con quella cerchia d'uomini, dalla quale da quasi due anni sono tenuto lontano per forza? ». Goethe è il suo mondo: quella era per lui la Germania. Certo egli sentiva che anche la Germania di Goethe non era soltanto un circolo d'uomini liberi, ricchi d 'energie creative, e che in essa si faceva altamente sentire la « spinta interiore>, la « forza viva, sempre operante», indispensabile, secondo lui, non ad ogni uomo soltanto ma ad ogni Nazione 3 ). Non gli mancava il senso per il fattore nazionale; ma si può dire che avesse già anche un sentimento nazionale? 1
)
1
1
LEITZMANN, BRA TRANEK,
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LEITZMANN,
p. 64. p. 58. p. 61.
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Nel carattere nazionale tedesco gli pareva bello e grande appunto quel suo ignorare le barriere naturali d'altri caratteri nazionali, che gli consenté di sollevarsi più puro e più libero verso il fatto umano in generale. Nel suo Saggio sul secolo XVIII dice 1 ) : « Ai tedeschi si fa generalmente il rimprovero di rinnegare la loro propria originalità interiore e d'imitare troppo pedissequamente altre Nazioni, cui danno facile vittoria accettando di portare la lotta sopra un terreno eh 'è loro estraneo. Alla prima, non c'è nulla da obiettare al rimprovero; ma a guardar le cose più dall'alto si vede che quest'imitazione è soltanto un fenomeno transitorio, I 'esagerazione d'una qualità che di solito suscita ammirazione ed emulazione e - non nascendo essa da mancanza di forza, ma ~olo da mancanza d'una precisa determinante naturale, mancanza che lascia utilmente prevalere le facoltà discriminative dell'intelletto e le energie della volontà appare come un nobile sforzo diretto a raggiungere un 'ideale multilateralità>. Questa concezione era ancora ben lungi dal poter essere trasformata in un 'etica politico-nazionale e non era nemmeno sufficente a conoscere che cosa significassero Nazione e Stato l'uno rispetto all'altra, a soddisfare un interessamento per questo problema di natura puramente scientifica, privo d'ogni passionalità. In mezzo al grande fenomeno offerto dallo Stato francese, non solo rivoluzionato ma anche nazionalizzato, e proprio mentre si dava più da fare per intendere il carattere nazionale francese nei suoi tratti più squisiti, il Humboldt. scriveva al Goethe: « Ella sa che del fattore politico non mi curo» 2 ). Il fattore politico era per lui una di quelle « contingenze >, di quei « fatti estrinseci », che bisogna trascurare se si vuole arrivarP, a conoscere la natura immanente di 1
Op. cit. 2, 43. Cfr. anche la sua lettera 20 agosto li97, A. Wolf, in Ges. Werke, 5, 194. 2 BRATHA NEK, p. 49; primavera del 1798. ) )
ad
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una Nazione; « non parlo, scriveva da Parigi all 'J acobi il 26 ottobre 1798, degli umori politici; mi limito a ciò eh 'è veramente e propriamente nazionale, all'andamento delle opinioni e degli spiriti, alla formazione del carattere, ai costumi e eosì via » 1 ) • Lo teneva, dunque, lontano dal fatto politico l'ambizioso concetto che i tedeschi fossero chiamati a diventare il vero popolo rappresentativo dell'umanità, lo specchio più puro dell'umanità stessa, come una volta gij pareva fossero stati i Greci. :t noto che quest'idea, nelle sue varie espressioni, dalle più banali alle più sublimi, dominava allora tutta la cultura germanica. Nessuno l'espresse con maggiore nobiltà dello Schiller, in quel frammento preparatorio d'una lirica, scritto probabilmene dopo la pace di Lunéville, al quale l'editore potè poi dare con buona ragione il titolo: « Grandezza tedesca» 2 ). Nella tracda 1
Briefe Humboldts an F. H. Jacobi, p. 61. tedesca, poesia incompleta dello Schiller, 1801 »t ) « Grandezza edita prima dal Goedeke, poi da B. Suphan, Weimar 1902 (fra le pubblic. della Goethegesellschaft); nell 'ediz. del Centenario, del Cotta, 2, 386 ; dal LIENHARD, BchiUers Geàichtentwurf Devtsche Grosse, 1916. - Il Leitzmann (Euphorion, voll. XII e XVII) clata la poesia dal 1797; ma i suoi argomenti non mi convincono. Lo Schiller salutò la pace di Leoben con un sospiro di sollievo; quella di Lu.néville l ' accolsa in tutt' altro modo, con amarezza. Anche la situazione generale, quale si rispecchia nell'abbozzo, specialmente l'aumento della potenza inglese, corrisponde più al 1801 che al 1797. - Recentemente si è creduto di riferire alla « Deutsche Grosse» due brani di lettere del Humboldt allo Schiller, del 1797 e '98 (EBRARD, Neue Briefe W. "· Humboldts an Schwler, p. 161 e 235) ; ma, comunque, non se ne cava nulla riguardo l 'argomento della poesia che lo Schiller aveva in mente allora. - Il KUBERKA, Der I deali.smus Scmllers als Erlebnis u. Lehre, 1913, p. 35, tenta di dimostrare in ba.se ad alcuni notissimi passi di tragedie schilleriane, posteriori, che il poeta < aveva legato l' idea politica di Stato all' ideale dello Stato liberale moderno ». Ma egli fa torto a tutta la libertà di poeta e d'uomo con cui lo Schiller concepì e trattò tutti i problemi e gli argomenti politici. Ne tiene maggior conto il TOENNIES, Schiller als Zeitburger und Politiker, 1905. 2
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LEITZM.ANN,
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-della lineazione delle idee, stessa in prosa, è detto: « In , 2• ed., p. 27 seg. ·
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restar suscettibile di ringiovanire, ha bisogno d'una vena di vita universale e d'una sistematica giustificazione dinanzi al tribunale del supremo ideale umano. Questa linea di sviluppo, che dall'umanità conduce alla Nazione e allo Stato, sta ora dinanzi a noi in larghi e semplici tratti; prima, nello Stato, l'Universale diventò nazionale e il nazionale universale; quindi lo Stato fu nazionalizzato e la Nazione politicizzata, ma non senza che l'idea universale seguitasse a persistervi ancora per lungo tempo. Ma la semplicità di questo processo lineare, quando sia vista all'ingrosso, considerata più da vicino diventa una via mirabilmente complicata e tortuosa, ricca d'apparenti errori e di deviazioni. Il vero senso storico non deve dimenticare questi per quella, deve ora salire sulle vette ora scendere là, dove il singolo viandante perrorre faticosamente la sua strada. Solo dividendo lo spettro solare otteniamo i colori della vita reale, che dobbiamo arrivare a conoscere. E chi va in cerca di nessi generali, se cerca di assodarli alla stregua dei fenomeni singoli, dovrà confessare modestamente a se stesso che l 'individualità obbedisce sempre anche ad altre misteriose leggi, le quali hanno la loro parte nel semplice risultato finale, probabilmente anche in quei casi in cui sembrano ostacolarlo. ~{olti penseranno che anche lo Schiller, se fosse vissuto negli anni dopo il 1806, avrebbe parlato alla Nazione tedesca: e si richiamano alla personalità di lui, allo spirito del suo ultimo dramma, infine a ciò .che si legge fra le righe del suo abbozzo « Grandezza tedesca>. Infatti, pure attraverso la sua negazione d'ogni pensiero politico, si sente la sua dolorosa inquietudine per la reale condizione politica della Germania, e quasi uno sprone che lo pungesse: è quindi possibile eh 'egli avrebbe seguito effettivamente l'esempio del Fichte; ma è concezione volgare quella, eh 'egli non avrebbe potuto fare diversamente e che avrebbe biasimato il quietismo goethiano, perchè
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non era una sola la via che dal mondo universale del XVIII secolo conduceva al mondo nazionale e politico del XIX e le grandi personalità di quel periodo erano troppo individualistiche e troppo indipendenti per lasciarsi indirizzare tutte su una strada sola. La ricchezza e la forza dell'idea universale d'umanità, dalla quale tutti erano mossi in origine, si palesa anche nel fatto che essa potè seguire vie tanto diverse: il loro universalismo era, insieme, individualismo dei più accentuati.
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CAPITOLO IV.
NOVALIS E FEDERICO SCHLEGEL ~EL PRIMO PERIODO DEL ROMANTICISl\'1O.
La fine del capitolo precedente voleva richiamare una frase del Novalis. Dal Humboldt e dallo Schiller passiamo, con lui, alla schiera dei romantici, per chiederci èlnche qui come essi concepirono la natura della Nazione e i rapporti di questa con la vita dello Stato, negli anni più fecondi della loro produzione intellettuale, alla fine dell'ultimo decennio del '700. Dai ragionamenti del Humboldt, sottili ma chiusi in se stessi, passiamo ora al mondo degli aforismi e dei frammenti, un mondo d' istinti e d 'intuizioni, da far perdere la testa. Nel Humboldt, la ,·ia dalla quale erano considerati Stato e Nazione condu~eva sempre chiara e diritta alla. mèta dell '« uomo ideale >, ehe le splendeva innanzi; nei romantici, invece, c'è tutto un intrico di strade e di sentieri e appena se n'è imboccato rmo si vede la guida, sulle cui tr-c1ccieci s'è messi, andarsene con piè leggero in altra direzione; e si finirebbe per parere pedanti a noi stessi se si volesse seguire fino in fondo la via iniziata e cercare severità sistematica là, dove evidentemente non sono che gli effetti d'una Yibrante fantasia. Bisogna tuttavia tentare di determinare quanti più punti fissi è possibile, chè specialmente tra i
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romantici del primo periodo si possono trovare le prime traccie del romanticismo politico fiorito più tardi : quello, appunto, cui sono volte le nostre indagini. Nell'animosa confusione di quell'alba del romanticismo, a dir vero, non si troveranno ancora quella serietà amara, quella severità dottrinaria che le loro idee dovevano assumere nella cerchia di Federico Guglielmo IV; ma forse si potrà vedere ugualmente in qual nesso, insieme con quali idee concominanti esse apparvero qui sul principio; e qualche elemento atto a chiarire le cose si potrà togliere forse dallo studio dell'influenza che i grandi avvenimenti storici di quest'epoca,' Rivoluzione francese e periodo Napoleonico, ebbero sulla vita spirituale tedesca. L' indagine si limitérà a quei rappresentanti del primo romanticismo, le cui idee intorno alla Nazione e allo Stato assunsero largo sviluppo: in prima linea il Novalis, in seconda Federico Schlegel. Per quanto malcerto e proteiforme possa parere alla prima il balenìo delle loro idee, c'è tuttavia un 'idea centrale che le lega insieme tutte e che col suo contenuto spiega, appunto, perchè quel giuoco sembri così vario e molteplice. Intendo parlare dell'idea che l'universo racchiude in sè una serie infinita d'individualità, ma che questo non ne diminuisce o fraziona l'umanità, anzi, al contrario, la rafforza, di modo ehe a sua volta esso è un ~individualità e una personalità 1 ). L' individualità· nella na1
Accenniamo a quest'idea centrale solo quanto è necessario all'intelligenza del nostro problema, non trattiamo perciò degli altri suoi rapporti :filosofi.ci, delle relazioni con i sistemi di :filosofi.a allora di moda, sopratutto con quello dello Schelling. All 'intelligenza della concezione :filosofica dei. romantici portano largo contributo i nuovi noti scritti di Riccarda Huch, Maria Joachimi, Kircher; POETZSCH, Studien zur fruhromantischen Politik u. Geschichtsauff as8Ung 1907; WALZEL, Deutsche Bomantik, 4• ed., 1918; ELKuss, Zur Beurteilung der Bomantik u. Kritik ihrer Erforschung, 1918; ScHMITT-DOROTIC ', Politische Bomantik, 1919; NADLn:, Bf,rliner Bomantik~ 1800-1814 (1921). Molte interessanti manifestazioni di romantici, raccolte dai loro scritti, offre anche )
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tura è infinita. Quest' idea, come ravviva le nostre speranze nella personalità dell'Universo! 1 ). E anche per Federico Schlegel Dio è, per un verso un « abisso d 'individualità » 2 ), per l'altro «l'individuo stesso, nella sua più alta potenzialità > 3 ). In queste concezioni si fondevano antiche tendenze panteistiche e mistiche, con tendenze nuove, individualistiche, strettamente affini a quelle di Goethe e del Humboldt. Tutto il movimento filosofico di quell'età, da Kant in giù, vi si faceva sentire; l'influenza più forte fu quella dello Schelling. Sorse così un nuovo sentimento della vita, pieno di seduzione in quanto accoppiava una dedizione quietistica e nostalgica a tutto l'insieme dell'Universo, con un godimento intenso dell'individualità altrui e della propria. Ma qui non ci dobbiamo occupare dell'origine storica e spirituale di queste idee, nè dell'efficacia da esse esercitata sulla vita personale, bensì della loro applicazione alla vita nazionale e statale. Si vede subito che le idee dei primi romantici furono, nel loro insieme, così mobili e fluide da renderli ebri di Dio e d'Universo quando sprofondavano lo sguardo nell'abisso dell 'individualità. Con tutta serietà essi consideravano individualità ogni manifestazione d'attività di vita. « Si può dire, scrive A. WEISE, Die Entwicklung dea Fii,hlena 'lfflà Denkena der Rodel Lamprecht lo induce a trascumantik, 1912. L'influenza rare, per la ricerca della « psiche> romantica, le personalità. e i gruppi concreti, che stavano dietro ai singoli giornali. E cosl gli succede di far passare il saggio del Fichte sul Machiavelli, stampato nel 1807 e ristampato nel 1813, per una testimonianza del romanticismo prussiano-nordgermanico del 1813. - Delle opinioni politiche del Novalis e di Fr. Schlegel ha trattato ancora il METZOER, Geaellachaft, Recht u. Staat in der Ethik dea àeutschen ldealismus (1917) p. 224 segg., ma proprio questa parte del suo buon lavoro ha ancora carattere di compilazione. 1 Scritti di Novalis, ed. Heilbom, 2, 371 e 653. ) i) MINOR, Proaaische Jugenàschnften Fr. Scluegela, 2, 289. ') ~RIE JoACHllfi: Weltanachmwng der Bomantik, p. 39.
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il Novalis, che ogni idea, ogni fenomeno del nostro animo sia parte - dotata della più alta individualità - d'un tutto assolutamente particolare > 1 ). Dato che tutto, assolutamente tutto doveva risolv~rsi in individualità, tutti i fenomeni singoli anche nella vita storica e statale appari vano ben chiari e c'era la tendenza a riconoscerli giustificati nel loro particolare diritto; se non che, chi vuole giustificare ogni cosa corre il rischio di non affermarne alcuna in forma netta e precisa. Quanti elementi della loro intelligente indagine sfuggono ad essi, perchè manca loro la forza d'afferrarli e di trattenerli! D'altra parte, però, data la loro smania d' espandersi, invasero e occuparono in modo rapido e sommario dei territori ancora indifferenti all'idealismo classico. Il Novalis parla spesso commosso, profondo, dello Stato e dei rapporti dei singoli eon esso. « Quanto più ne sono vivaci e intelligenti i membri, tanto più vivace e personale è lo Stato >. In ogni autentico cittadino d' uno Stato si vede il genio dello Stato, come in una società religiosa un Dio personale si rivela in mille forme diverse. Lo Stato e Dio, al pari d' ogni Essenza spirituale, non si manifestano in una forma sola, ma in mille forme diverse > 2 ). Già s' intravvede come gli elementi che qui. si uniscono a formare il quadro magico d'una personalità statale vivente, possano tornare subito a sgretolarsi, in un giuoco d 'illusioni che non ha fine. l\:1a lo Stato restava sempre, per lui, una personalità chiusa: « lo Stato fu sempre un macroanthropos » 3 ), e più precisamente un 'individualità in senso storico, non nel senso razionalistico di coloro che volevano il perfetto Stato normale; « perchè, diceva, gli Stati rimarranno diversi finchè gli uomini seguiteranno ad essere diversi > '), e dava dei Filistei poveri di spirito a 1 2
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) )
) )
Scritti, Scritti, Opere, Op. 2,
2, 343. 2, 543. 2, 217; efr. anche 2, 291. 291 ; 2, 526.
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coloro che non vedevano salute all'infuori dalla nuova forma francese 1 ). Lo attirava specialmente la Prussia di quel periodo, in cui i giovani Sovrani, Federico Guglielmo III e Luisa, sembravano instaurarvi una nuova era, ricca di prom~ di felicità. La sua osservazione si soffermava sulla virtù animatrice che poteva avere una simile coppia di sovrani e int~va intorno ad essi le fronde d' una concezione simbolizzante, che preannuncia·;ra già lo stato d'animo degli anni del Risorgimento prussiano, ma insieme anche quello della seguente età della Restaurazione 2 ). Il realismo semplicemente patriarcale degli uni e quello patriarcale e mistico insieme degli altri è già sensibile qui, ma in forma ancora tutta libera, fluida, poetica, che, se anche non si rivolta nettamente contro l 'idta della sovranità popolare, lascia però trasparire da per tutto le sue simpatie per la sovranità del1'individuo 3 ). 1
2, 42. La sua posizione di fronte alla Rivoluzione francese, per la quale in gioventù aveva delirato, (llEILBORN, Novalis, p. 45; FRlEDRICH VON HARDENBERG LNovalis] Eine Nachlese, p. 45) non divenne nemmeno più tardi assolutamente negativa. In que.sto egli si differenzia dal Burke e dagli altri romantici posteriori. Del Burke dice con finezza (2, 31) che < ha scritto un libro rivoluzionario contro la Rivoluzione:> e probabilmente lo mette tra quei « geniali avversari della Rivoluzione> che tendevano « a camalattia non era strarla>. ~ Essi vedevano bene che quest'apparente altro che la crisi della pubertà> (op. cit.; efr. anche 2, 660 ed il suo Saggio 811,llaCri.~twn-ità, 2, 418, dove dimostra ima notevole intelligenza e accessibilità al pathos rivoluzionario) .Il che non toglie eh 'egli possa avere imparato qualche cosa anche dal Burke, in quella sua accessibilità al fascino suasivo ed estetico dell 'antica Monarchia. 2 ) HAYM, Bomantische Schvle, p. 344 dà troppo rilievo a quest'ultima soltanto, quando dice: ~ In questi Aforismi sono già contenuti tutti i concetti principali della teoria rom~tica dello Stato, dell'età della Restaurazione >. 1 p. es. Opere 2, 40: « Si ha torto di chiamare il Re, ) Cfr. il primo impiegato del suo State,. Il Re non è un cittadino e )
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Era dunque possibile sognare una Monarchia che fosse al tempo stesso una vera Repubblica, perchè per lui « vero repubblicanesimo> non era che « partecipazione generale allo Stato intero, intimo contatto e armonia fra tutti i membri dello Stato > 1 ). Poteva esigere perciò che lo Stato concrescesse con la vita dei singoli, assai più che non fosse avvenuto fino allora: « Tra noi lo Stato è troppo poco propagandato; ci dovrebbero essere dei banditori dello Stato, dei predicatori di patriottismo; attualmente la maggior parte dei membri della Comunità statale ha con essa rapporti assai simili all'ostilità» 2 ). Dato questo modo di considerare le cose, lo Stato andava assumendo per lui sempre maggior valore e energia generatrice di vita. « Ogni civiltà, osava già dire, nasce dai rapporti dell'uomo con lo Stato » 3 ). La sua convinzione che nello Stato ci fosse una fonte d 'energie fino allora- spregiata e trascurata, ma preziosa per il rafforzarsi e il sublimarsi delle esistenze individuali, andava facendosi sempre più radicata: « L'uomo ha cercato di farsi dello Stato come un cuscino per la pigrizia, mentre lo Stato dev'essere, tutt 'all'opposto, come un 'armatura che ne sorregga tutta l'attività, come il fine stesso di essa; e deve rendere l'uomo assolutamente forte, non assolutamrnte perciò non è nemmeno un impiegato dello Stato. Carattere fondamentale della Monarchia è, appunto, questo credere, alla 9Uperiorità della nascita, questa libera accettazione d'un uomo ideale .... Il Re è un individuo elevato a un destino più che terreno. La finzione poetica s'impone all'uomo come una necessità. Essa sola è in grado di soddisfare ad una delle aspirazioni più alte della sua natura. Tutti gli uomini debbono diventar capaci di salire al t:r:ono e il mezzo per educarli a questo fine così alto è, appunto, il Re. Egli assimila a sè, a poco a poco, la massa dei suoi sudditi. Ogni uomo deriva da un qnalche antichissima stirpe regale. Ma quanti recano ancora traccia della loro originef >. Cfr. anche 2,659. 1 ) 2, 49; cfr. 2, 35 segg. 1 2, 393. ) ') 2, 543.
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debole; può farne la creatura più attiva, non la più fiacca. Lo Stato non sottrae l'uomo ad alcun lavoro, ma ne moltiplica all'infinito l'attività; certo, però, moltiplicandone all 'in:finito anche le forze » 1 ). Così anche questo poeta e :filosofo sognatore che. non contento dell'idealismo puro dei suoi grandi contemporanei, cerca d'intensificarlo ancora portandolo nel campo della magìa, ci porge un 'eloquente testimonianza del silenzioso mutainento operatosi nello spirito tedesco, di quel germogliare di necessità politico-etiche sopra un suolo stato fino allora assolutamente apolitico, che in quegli anni assumeva forme tanto varie e caratteristiche. Si potrebbe obiettare che questa « predicazione dello Stato» egli non la spingeva poi tanto in là, che questo predicatore di patriottismo e di sentimento statale in realtà non era ancora un predicatore ma un poeta, un sensibilissimo spirito d'artista il quale aveva fatto la scoperta che anche lo Stato e la vita entro lo Stato hanno la loro bellezza. Riconosciamo giustificata l'obiezione, ma cerchiamo di trovare una ragione di forza anche in questa, che può parere una debolezza. NJn abbiamo forse dinanzi a noi una di quelle vie misteriose per le quali lo spirito tedesco giunse allo Stato tedesco, quasi per una geniale applicazione dei principi schilleriani del1' « educazione estetica»? La porta fatata del Bello doveva condurre non solo al paese della conoscenza, ma anche in quello dell'attività morale: ora, chi potrebbe dubitare della forza e del desiderio del poeta d'entrare veramente in questo paese che gli splendeva dinanzi agli occhi e di raggiungere veramente lo stato da lui esaltato 7 E già significa qualche cosa eh 'egli lo considerasse non nel suo splendore soltanto, ma anche nella forza e bt:Ìlezza delle sue armi. Il nuovo Stato vivo da lui postulato è, in fondo, per quanto il suo desiderio sia rivestito di colori 1
)
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estetici, quello Stato stesso che nature più etiche della sua, lo Schleiermacher, l 'Arndt, il Fichte, invocavano allora e dovevano invocare negli anni successivi. Nè mancano all'ideale statale del Novalis origini assai concrete, in quanto, come abbiamo notato, esso si ricollegava col sentimento del realismo patriarcale, ereditato dalla tradizione. Or ecco come, movendo da questo fondamento storico, seguendo la tendenza estetizzante e romanticizzante dell '€poca, si poteva pervenire ad uno Stato nazionale vivo e reale qual 'è lo Stato del Novalis, fondato sull'attiva partecipazione dei cittadini alle caratteristiche comuni e sopra una reciproca, cosciente compenetrazione della vita privata e della politica. Anche in quella sua posizione d' ostilità verso la troppo meccanica Monarchia federiciana si manifesta l' orientamento del suo pensiero, volto verso la Stato nazionale. « Nessuno Stato, egli dice, fu amministrato come una fabbrica, più che la Prussia dalla morte di Federico Guglielmo I in poi » 1 ). Era questo un rimprovero che, dopo il Mirabeau, era stato fatto alla Prussia da molti, amici delle idee francesi di libertà e amici degli antichi ordinamenti patriarcali e di casta; e questi e quelli possono avere fatto sentire la loro influenza sul Novalis, quando fece propria quest' idea. Il rimprovero non era., a dir vero, del tutto giustificato : era una di quelle ingiustizie storiche che bisogna commettere per progredire sulla via della storia. Gli rimane il grande e fecondo merito d'avere non soltanto criticato, ma anche idealizzato il più grande degli Stati individuali della Germania e d'aver riconosciuto in esso la missione e la capacità di diventare un vero Stato nazionale. Se avesse avuto maggiore unilateralità, il Novalis sarebb~ arrivato, sulla via del pensiero politico, più in là
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di quanto arrivò. ~l\la appunto perchè non l'ebbe, ]e sue rifl.èssioni intorno allo Stato non arrivarono oltre la pura esercitazione filosofica, l'enunciazione di principi, per quanto importanti. Egli guardava ormai alle idee rivoluzionarie della sua gioventù come a cosa ben superata: « Quegli anni passano per quasi tutti; dopo ci si sente attratti da un mondo più pacifico, nel quale un sole centrale guida il cerchio delle danze che gli si svolge attorno, e si preferisce diventare pianeti piuttosto che turbare quell'ordine lottando per_ il primo posto » 1 ). Prevaleva, così, in lui ]a tendenza veramente romantica a lasciarsi cullare dalle forze dell'universo in una beata contemplazione; diventava politicamente tollerante e disposto a riconoscere la relatività delle cose; lodava la « indipendenza dello spirito maturo, da qualsiasi forma individuale, che per esso è nulla più d'uno strumento necessario» 2 ). Ma per questa stessa ragione, per questa sua sublime indifferenza verso le forme individuali della vita statale, egli non diede seguito alle prime, feconde ricerche fatte per costituirsi una teoria dello Stato nazionale. Della personalità della Nazione sa dirci, nell'insieme, ben poco, egli che vede e sente personalità dappertutto; la sua esigenza del ravvivamento e dell'esaltazione dello Stato, muove più dal bisogno individualistico che da una necessità nazionale generale; e, sopra tutto, non ha sfruttato ancora in pro dello Stato l'elemento della nazionalità tedesca. Risulta chiaro dai suoi aforismi sulla Monarchia germanica che per lui «Nazione> in senso politico è la Nazione politica nel significato più ristretto della parola: in questo caso, dunque, il popolo prussiano 8 ). 1
2, 660. 2, 660. ) ') Cosi, 2, 49, parla del desiderio del Re di Prussia di diventare e fa risalire la responsabilità del frazionamento alla Riforma, che lasciò prevalere l'elemento mondano e terreno. La nuova politica « sorse in questo momento e singoli Stati potenti cercarono di far proprio il seggio vacante dell'universalità, trasformandolo in un trono» 1 ). Il sorgere dei grandi Stati politici dell' età moderna, il loro bisogno di sviluppo e di auto-determinazione, in una parola la secolarizzazione della politica, gli sembrano decadenza e usurpazione. Non vuol ammettere che lo Stato si pianti con una sua salda, midollosa ossatura, sul terreno dei suoi propri interessi. « Tutti i vostri puntelli son troppo deboli, se il vostro Stato conserva la tendenza ad aderire alla terra; ma dategli una superiore aspirazione alle alte sfere del cielo, mettetelo in relazione con I 'universo, e avrete posto in esso una molla che non si allenterà mai e i vostri sforzi ne saranno riccamente compensati» 2 ). Anche il fine storico delle lotte micidiali che combattono tra loro gli Stati e le Nazioni è inteso da lui dal punto di vista più alto, in quanto i contatti più stretti e più vari tra di essi non sono che un grado preparatorio per una nuova comunità dell'Europa, uno « Stato degli Stati »; il compito di fondarlo, però, non può spettare agli Stati stessi, ma soltanto a un Potere universale, che stia al di sopra di essi, che sia insieme terreno e sovraterreno: alla Gerarchia e alla Chiesa: perchè « è impossibile che forze terrene si equilibrino da sè.... solo la religione può ridestare l'Europa e riconciliare i popoli » 8 ) • Quest' è, a tratti rapidi ma chiari, l'abbozzo d'un pro1
2, 406. 2, 412. ') 2, 417 seg. 2
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gramma di cosmopolitismo chiesastico-religioso 1 ) e della supremazia di esso sul terreno politico. Riviveva in lui il concetto medioevale del corpus christianum che, nella nuova forma datagli da Lutero, aveva dominato_ anche il pensiero protestante nel primo periodo. Servì d'esempio e di puntello alle teorie del De Maistre, del Bonald e, come ha già dimostrato il Dilthey, della Santa Alleanza! 2 ). È vero, però, che la Chiesa, la Gerarchia e la loro missione d'indirizzare la vita degli Stati cristiani sono una cosa quando ne parlano i cattolici Bonald e De Maistre e un 'altra quando a parlarne è il cattolicizzante Novalis, eh 'è, in fondo, un protestante a tendenze panteistiche, perchè, nonostante la sua ostilità contro il protestantesimo e l'illuminismo, non volle rinunciare per nulla alla più alta conquista di quelli, all'interiore libertà individuale. Egli andava sognando un 'armonizzazione della libertà individuale con l' unità universale 3 ). Ma ideali indirizzati a così alte mète, così sottilmente spiritualizzati, possono mantenersi raramente ad altezze tanto pure; si tornano presto a desiderare cose più concrete e tangibili e anche il NoYalis, poco contento dell'invisibile Chiesa del futuro, desiderava che la cristianità « tornasse presto a costituirsi una Chiesa visibile, senza riguardo a confini politici», chiedeva un « venerabile Concilio europeo» per la realizzazione del suo sogno. Non s'era più, dunque, tanto lontani dalla via del ritorno a Roma ed era facile adescare qualche spirito che cominciasse a sentirsi stanco. Lo dimostrò l'esempio di Federico Schlegel. ) Una volta egli parla addirittura d '« interesse religioso cosmopolitico ». 2 « ì: questa la concezione antistorica che diede alla Santa ) Alleanza una veste cristiana ». Das Erlebnis und die Dichtung_ p. 232, 3 ed. pag. 298. ') : MINOR, 1, 143. 1 ) MINOR, 1, 94. 1
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MINOR,
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sempre dinanzi agli occhi il fenomeno della civiltà greca nella sua integrità, non potè arrestarsi alla Nazione come fatto culturale, ma dovette tenere il debito conto di essa anche come fatto politico e riconoscere i nessi tra la sua vita spirituale e la sua vita politica. La Grecia non gli Òffriva, a dir vero, lo spettacolo d'un grande Stato nazionale unitario, ma quello, per lui ancora più grandioso, d'una vita nazionale degli Stati, d ·una pluralità di Stati intimissimamente affini e legati fra loro, e tuttavia autonomi e liberi in se stessi. Non ogni Nazione, dice nella sua « Storia della poesia dei greci e dei romani», del 1798, ha uno stile o un carattere nel senso più alto della parola 1 ) : « Un popolo vi arriva - in grazia d'una certa felice concordanza di disposizioni morali e spirituali, di circostanze esteriori, d'uguaglianza fra gli elementi iniziali al principio del processo culturale - solo dopo che l'insieme è diventato suscettibile d'indipendenza; vi arriva in grazia d'un 'illimitata libertà nello sviluppo e nella determinazione di se stesso, nonchè di aspre lotte con popoli di natura opposta; vi arriva associando e accomunando i singoli, collegando e affratellando i liberi Stati .... »; e infine vi arriva « tendendo all'universalità e completezza dei propri svilup~, con senso cosmopolitico e senza rifiutarsi di ammettere elementi, estranei, suscettibili di trasformarla». Attraverso l'immagine ideale del popolo greco, eh 'egli veniva tracciando, balenano i desideri e gl 'ideali eh 'egli coltivava per la sua propria Nazione; qui può fondere senza preoccupazioni, con la sua sensibilità per il fattore specificamente nazionale, qualche reminiscenza del suo Op. cit. 1, 358; confronta anche 361: « Ma come perdurava, inestinguibilmente, il carattere, una volta che una tale mistione di stirpi autoctone e migranti, d'origine simile ma non eguale si fosse costituita in Nazione o addirittura in un sistema di repubbliche! ... ». 1
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sogno d'uno Stato dei popoli e d'una Repubblica universale; d'altra parte, l'autonomia dei singoli Stati liberi, non meno che quella della Nazione, vi è descritta con tratti molto più concreti e storici che nel suo Saggio del 1796. Venne, dunque, disegnando il quadro d'una grande Nazione culturale, indipendente, con precisi caratteri, sul cui suolo fiorisse una serie d 'organizzazioni statali indipendenti, ognuna con la sua caratteristica ma tutte fraternamente affini l'una all'altra. Vedremo poi l 'importanza che potè assumere questo concetto; allora si fermò a questa formulazione di esso. Ancora egli tendeva, al di là del fatto nazionale e del politico, verso lo spirito puro: « non sciupare fede ed amo~e nel mondo politico, scriveva nel 1799, offri invece ciò che hai di più intimo al divino Regno della scienza e dell'arte, sacrificandolo nel sacro fuoco della cultura eterna 1 ) • Quanto al suo germanesimo, era quello stesso del Novalis e del Humboldt: era la coscienza superba di servire con maggior purità che altre Nazioni ai fini supremi dell 'umanità; « soltanto per i tedeschi il tributare onori divini all'arte e alla scienza, per solo amore della scienza e del1'arte, è una questione nazionale ... ; non Arminio e W otan sono gli Dei nazionali dei tedeschi, sì l'arte e la scienza » 2 ). Eccoci, così, riaccostati di nuovo alla più ricca tra le fonti delle idee che ci hanno occupato fin qui. Nel Novalis e nello Schlegel abbiamo trovato elementi d'una più adeguata valutazione dello Stato individuale pervaso di ·dta nazionale e insieme d'un universalismo politico che doveva a sua volta limitare l'autonomia dello Stato singolo. Nel Novalis quest'universalismo si ricollega all'universalismo teocratico del Medio Evo, in Federico Schlegel alle idee cosmopolitiche della Rivoluzione. Vi si ricolle1
ldeen, (Athenaeum) MINOR, 2, 300. ) Op. cit. 2, 302; 2, 304. Cfr. anche nel un 'affermazione Rnaloga, di data posteriore. )
2
FINKE,
Op. cit. 57,
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gavano, senza però esserne decisamente influenzate. Qui si facevano sentire, più forti e profondi che il Medio Evo e il Rousseau, il carattere fondamentale della cultura tedesca d'allora, la sua accesa spiritualità, il suo apprezzamento esclusivistico dei beni, ideali della vita, la sua tendenza a subire soltanto quelle influenze esterne da cui la sua interiorità potesse essere meglio nutrita. In questo i primi romantici erano veramente ancora i figli della generazione che aveva creato l'ideale d'umanità, dei Herder, dei Goethe, degli Schiller, dei" Kant. Anche se avevano già in germe una concezione nuova e più ricca della vita dello Stato e se pensavano ad una più energica applicazione di questa alla realtà, la tendenza spirituale tornava sempre a farvi capolino: si poteva per un attimo accendersi d'entusiasmo per lo Stato, che fa dell'uomo un essere forte e attivo, e sentirsi respinti l'attimo appresso dallo spettacolo offerto dalla vita degli Stati in contatto l'uno con l'altro, dalla lotta selvaggia degli egoismi politici, nella quale non resta più traccia d'un valore interiore dell'umanità. lla, pensava il Novalis, mentre gli altri paesi pensano alla guerra, alla speculazione e allo spirito di parte, i tedeschi si forgiano con ogni diligenza per godere, in pacifica comunanza con gli altri, un periodo superiore di civiltà 1 ). Questa terra promessa spirituale, per la quale già si combatteva proprio in quelle guerre - oggi è facile riconoscerlo, ai posteri - era ancora celata dalla polvere del combattimento; ma il territorio politico della loro patria era troppo poca cosa per gl 'ideali ai quali essi servivano: ecco perchè il Novalis e lo Schlegel, quando ragionavano d'una condizione politica desiderabile per tutta l'umanità europea, trasformavano il loro universalismo spirituale in universalismo politico e sognavano di pace fra i popoli, di lega delle Nazioni, di Stato delle Nazioni e di Repubblica universale. 1
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DILTHEY,
op. cit. p. 224, 3• ed.-p. 291.
CAPITOLO V.
FEDERICO SCHLEGEL NEL TRAPASSO AL ROMANTICISMO POLITICO.
Vita, poesia e pensiero del Novalis sono come un mirabile sogno, che si conclude in se stesso; e la sua morte prematura n'è quasi il necessario compimento estetico. Federico Schlegel ebbe invece la sorte di sopravvivere di quasi tre decenni al periodo della sua più accesa genialità. Non è qui il caso di cercare le ragioni della decadenza del suo spirito, perchè a noi importa di conoscere soltanto come si sviluppassero le sue idee intorno alla Nazione e allo Stato nazionale in quel periodo nel quale, col suo passaggio alla Chiesa cattolica ( 1808) e la sua adesione all'Austria, dava egli stesso al romanticismo, stato già libero e individualistico, la spinta a trasformarsi in un romanticismo vincolato così nei riguardi politici come in quelli chiesastici. A questo cambiamento di rotta lo spinsero delle eause interiori, individuali; ma v'ebbe la sua parte anche la trasformazione politica dei tempi~ lo si vede dalla diversa posizione eh 'egli assume ora di fronte ai problemi nazionali e internazionali. L'abbondanza e la sfrenatezza del pre-romanticismo ebbero buon giuoco negli anni dopo la pace di Basilea, in cui la Germania settentrionale s'era appartata dalle tempeste; e il loro sogno
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di pace tra i popoli e di lega delle Nazioni non era che una conseguenza del loro ottimismo, ottimismo nato a sua volta da quel loro appartarsi dal mondo. Ma quando, al principio del secolo, crollò l'antico Impero, fu finita anche per quest'ottimismo; nel momento in cui l 'indipendenza politica degli Stati e delle Nazioni era minacciata sorgeva anche, trepidamente, la domanda che ne sarebbe stato di quella libertà spirituale, di quell 'indipendenza della propria Nazione, di cui s'era goduto con tanta serenità. La situazione politica degli anni dopo il 1801 fu perciò la spinta esteriore più forte per lo sviluppo del1'idea nazionale e Federico Schlegel la subì for~e tanto più volentieri, in quanto era avido di nuova materia della quale nutrire il suo spirito che s'andava affievolendo. Entrò, infatti, nella lotta per la causa della libera nazionalità contro la strapotenza francese, specialmente nelle sue Lezioni filosofiche e politiche del 1804 e 1806, e poi nelle Lezioni sulla storia moderna tenute a Vienna nel 1810 1 ). I suoi scritti dimostrano un cervello vivacemente interessato e talvolta. anche un notevole calore di sentimento, ma non l'ardore combattivo, non l'impeto che e 'è nel Fichte e nell 'Amdt: gli manca qualche cosa di quel1~eticità che ci dovrebbe convincere della necessità interiore delle cose nuove eh 'egli insegna ora. In queste novità riesce convincente e impressionante soltanto quel che deriva immediatamente dalle sue idee di prima, cioè il suo deciso riconoscimento dell'incomparabile valore spirituale d'un processo di sviluppo nazionale libero e caratteristico, e l'opinione che la ricchezza e la vitalità della cultura europea sono fondate su quello 2 ). Ma quando, procePhilosophische Yorlesungen aus den Jahren 1804 bis 1806, hggben von Windischmann, 1836-7, 2 voli. Vedi specialmente 2, 385. - Ueber die neuere Geschichte, Vorlesungen gehalten im Jahre 1810, Vienna 1811. 2 ) Cfr. le sue lezioni del 1810, pag. 11: e Se ai popoli germanici non fosse riuscito di scuotere il giogo romano, se anzi an1
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dendo, passa a considerare più da vicino anche il lato politico della vita nazionale, ci s'accorge subito che va a tentoni e che cerca d'appoggiarsi a quel tipo di costituzione politica che meglio concordava con la rigidezza ehiesastica del sistema cattolico. Parte dall'idea estremamente radicale che il principio più sicuro per la suddivisione degli Stati è la lingua, non solo perchè è il mezzo spirituale di collegamento, ma anche perchè dà la dimostrazione della comune origine; l'unità di lingua dimostra comunanza di ceppo e« quanto più antico e puro è il ceppo, tanto più lo sono i costumi; e quanto più lo sono i costumi, quanto maggiore e più vero è l'attaccamento ad essi, tanto più grande sarà la Nazione » 1 ). Questo concetto nazionale avrebbe dovuto essere altamente storico; se non che esso conteneva l'errore storico di credere che la Nazione si fondi sempre in prima linea sulla consanguineità e che l'unità della lingua nasca sempre da comunanza d'origine. E della libertà e della peculiarità della vita nazionale, da lui già esaltate. con tanto entusiasmo, che cos'era avvenuto? La libertà fu grossolanamente trasformata, in senso nativistico, in una esclusione d'ogni mistione col sangue straniero, la peculiarità divenne conservazione delle tradizioni, stagnazione e tradizionalismo del carattere nazionale. Per la prima volta incontriamo in Germania un 'interpretazione specificamente conservatrice del principio nazionale. Quanto che il resto del nord d'Europa fosse stato incorporato da Roma e anche qui fossero state cancellate la libertà e le caratteristiche delle Nazioni ..., non sarebbe avvenuta q,t,ella magnifica gara, non ci sarebbe stato quel ricco sviluppo dello spirito umano che, invece, avvenne nelle Nazioni moderne. Ed è proprio questa ricchezza, questa varietà a fare dell'Europa ciò eh 'essa è, a darle il vanto d'essere la sede più perfetta della vita e dell'educazione del genere umano>. Similmente a pag. 116; cfr. anche le Lezioni del 1804-6, 2, 358. 1 ) Lezioni del 1804-6, 2, 357, 259.
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più una Nazione è conservatrice, ci si dice, tanto più essa è Nazione; e in realtà allo Schlegel importa molto più di giustificare e d'esaltare l'antico ordinamento sociale e gli antichi costumi, che non di elevare a Stato nazionale le Comunità nazionali linguistiche. Il vero e proprio Stato nazionale è quindi per lui lo Stato diviso per caste, quale si trova, dice, presso le Nazioni più nobili 1 ) e la forza fondamentale dello Stato sta per lui nella nobiltà, eh 'è « il supremo fiore anche la casta nazionale XlX't~ lçox'>1v e la forza suprema» della Nazione 2 ). Aristocrazia è per lui quasi sinonimo di nazionatità: concetto espresso con estrema evidenza nel fatto che egli fa della nobiltà la casta militare, cui spetta in prima linea la difesa della Nazione 3 ). Come Stato nazionale in senso politico lo Stato dello Schlegcl ha dunque, ora, tutto il tipo dello Stato nazionale antico; di nuovo e 'è però in esso quello che abbiamo chiamato più su Stato nazionale in senso culturale, poichè egli esige che lo Stato sorga dal suolo della Nazione puro, originario, non falsato. Riconosceva però, come abbiamo visto, puro e originale in senso nazionale soltanto lo Stato che avesse conservato la distinzione tra le classi e in tal modo faceva subito violenza al concetto di peculiarità e originalità nazionale, in quanto prescriveva in che cosa esse dovessero consistere e ogni deviazione era per lui segno. di corruzione e di decadenza. Era questa la canonizzazione e dogmatizzazione d'un solo grado di svi-
« Dove la Nazione rimane fedele ai propri costumi e alla. costituzione non sarà facile la confusione nei rapporti fra le classi sociali; e se confusione c'è, è già un segno di corruzione e di decadenza>. O. BRANDT, À. W. Schlegel, pag. 48, suppone che qui Federico Schlegel sentisse l'influenza di suo fratello Augusto Guglielmo. 2 Lezioni del 1810, pag. 561, 563. ) 1 ) Lezioni del 1804-6, 2, 360 segg., ammette l'obbligo generale alle armi per tutta la Nazione solo in casi estremi, negandolo recisamente come principio generale. 1
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luppo della vita politica, che, per di più, era stato caratteristico non della sola Nazione tedesca ma di tutti i popoli romanico-germanici; anzi, si potrebbe forse osar d 'affermare in contrario che la caratteristica, il genio individuale delle Nazioni si palesò appunto nel modo come esse, quale prima quale poi, le une con la Rivoluzione, le altre con le riforme, superarono le originarie forme feudàli comuni a tutte, e le trasformarono; e chi della costituzione per caste voleva fare la costituzione normale delle Nazioni partiva dallo stesso principio da cui partivano coloro che ritenevano forma normale il costituzionalismo democratico. Ciò significa che, ne avesse o no coscienza, egli poneva una norma supernazionale e universale alla vita politica delle singole Nazioni. Vediamo ora un po' più da vicino questo fatto di straordinaria importanza, che rientra nel tema fondamentale delle nostre ricerche. Certo, questo porre degli ideali generali di costituzione per· le singole Nazioni romanico-germaniche non era semplice dottrinarismo, ma poteva essere giustificato da un punto di vista storico e nazionale, perchè queste Nazioni erano in sommo grado affini fra loro e omogenee; e certo il fatto che queste idee universalistiche potessero nascere e trovare espressione - sia che fossero d'origine democratica o aristocratica - era un sintomo, una prova di tale comunanza di cultura e affinità tra le singole Nazioni, una rinascita d 'antiche tradizioni. Ma dove stavano i limiti tra questo, diciamo, dominio europeo e il possesso individuale della Nazione, fra ciò che corrispondeva al carattere peculiare e al peculiare sviluppo d'ogni singola Nazione e quello che essa poteva condividere con altre o da esse poteva ricevere f Nè Federico Schlegel, nè la sua generazione o le generazioni seguenti erano disposti a un esame così meramente empirico delle forme costituzionali d'una Nazione, esame politico-storico nel vero significato della parola, poichè per essi la sfera universale e quella nazionale si confondevano insieme. E così avveniva che
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essi credessero in buona fede di servire l'idea nazionale, quando in realtà il loro pensiero era universalistico. E Federico Schlegel era pieno non solo d 'universalismo inconscio, ma anche di ben cosciente: lo dimostrò nel modo come volle determinare i rapporti reciproci tra i singoli Stati. Abbiamo visto che da principio, quando sognava d'uno Stato dei popoli e d'una Repubblica universale, aveva seguito un cosmopolitismo democratico, consono al diritto naturale; ora attinge anche a quel cosmopolitismo religioso e chiesastico. d'origine romantica, di cui era stato campione il Novalis. Tutti g]i universalismi più recenti, dell'illuminismo, dell'ideale umanitario, della Rivoluzione francese, derivavano dall'universalismo medioevale con vera continuità storica, come altrettanti universalismi secolarizzati 1 ). Ora i due romantici tornavano a volgersi dai figliuoli laici alla santa Madre, per trovarvi saldo appoggio nelle tempeste della loro età. Cercavano anche, è vero, il terreno su cui fondare lo Stato nazionale, ma non lo Stato secolare moderno, sibbene uno Stato dominato e limitato dall'universalismo cristiano. È vero che lo Schlcgel chiedeva innanzi tutto, con determinatezza che ~embrcrebbe escludere ogni dubbio, l'autonomia della personalità statale: « ogni Stato è un individuo indipendente, a sè stante e incondizionatamente padrone di se stesso, ha il suo carattere peculiare e si regge secondo leggi, costumi, usi propri e caratteristici» 2 ), e rigettava, ora, esplicitamente anche l'idea razionalistica d'una lega tra le Nazioni, della quale prima s'era fatto banditore. Ma lo faceva soltanto per poter raccomandare l'ideale romantico d'un impero universale: l'Impero, considerato come specificamente diverso dal regno, come un regno sopra i re. KAERST, Das geschichtliche Wesen u. Recht der deut) Cfr. schen nationalen I dee (1906) p. 8. La concezione cattolica attuale di « nazionalismo e universalismo cristiano > è stata abilmente svolta da J. MAUSBACH in Hochland, IX, 1912. 2 Lezioni del 1804-6, 2, 382. ) 1
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Il presupposto è che la Nazione, la quale per mezzo del! 'Impero esercita una determinata supremazia sui popoli vicini, sia una Nazione forte, se non la più forte, e che si presti a questa funzione per la sua costituzione politica e morale. A costituire un legame morale tra le Nazioni serve molto più l'idea dell'Impero che quella d'una lega tra i popoli; a dimostrarlo basta un confronto tra il Medio Evo e l'età moderna. Inoltre, il sistema corrisponde molto meglio al rapporto naturale in cui stanno le Nazioni, data la grande diversità del loro grado di cultura 1 ). Non è fuor di luogo il dubbio che queste idee rispecchino anche il grande avvenimento di quei tempi, la cos~ituzione del1'Impero napoleonico; ma, come dimostrano le Lezioni del 1810 2 ), al falso impero di Napoleone volevano appunto contrapporre l'Impero vero, al sistema universale di Napoleone, basato sopra un 'egoistica brama di dominio e sopra un meccanismo morto, volevano opporre un sistema universale fondato su idee morali e religiose 3 ). Le radici spirituali e i presupposti della Santa Alleanza e del1'epoca della Restaurazione cominciano ad apparirci sempre più chiari; era già tutto secondo lo spirito di quelle il concetto che la costituzione ecclesiastica fosse un legame fra tutte le Nazioni che se la fossero data; dopo di che riuscì facile allo scrittore romantico cattolicizzante, trovare un ulteriore legame universale tra le Nazioni, nella Gerarchia. Ed eccolo accordare nazionalismo e universalismo: «L'impero, con costituzione basata sopra la netta distindone delle caste, e la Gerarchia, rispondono alla duplice esi genza della divisione e del collegamento delle Nazioni » 4 ). Op. cit. 2, 383. P. 350. ) 1 una monarchia uni) « Lo Schlegel voleva dunque combattere versale, dominio di masse e dinastia, con un 'altra >, dice già il GERVINus, Geschichte des XIX Jhdts, 1, 358. 4 Lezioni del 1804-6, 2, 387. Non importa fermarci sugli altri ) sviluppi fantastici delle sue idee: unione della classe dotta con la Gerarchia, creazione d'una classe intermedia fra Gerarchia e no1
2
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Ma una simile soluzione era possibile soltanto a spese della vera autonomia politica degli Stati e delle Nazioni. Abbiamo già visto come il suo universalismo cristiano impedisse al Novalis di comprendere le grandi lotte degli ultimi secoli per la formazione degli Stati moderni; lo Schlegel ne giudicava con la medesima incomprensione: secondo lui era stata la smania di prPdominio dei singoli Stati a distruggere il legame tra le Nazioni e, dentro di esse, le costituzioni nazionali fondate sulla conservazione delle caste. Sapeva benissimo che gli inizi di questa politica moderna andavano cercati nell'Italia del Rinascimento 1 ); riconosceva perciò nella civiltà di quell'epoca un gran beneficio per l'Europa, ma riteneva che la sua politica avesse dato un pessimo esempio alle Corti europee, in quanto aveva portato alla guerra di tutti contro tutti 2 ). La concezione storica universalistica e romantica ignorava dunque tutto il lato politico della storia moderna e perfino l'aspirazione delle Nazioni a unità e libertà dovette subirne molte limitazioni; secondo lui i patrioti italiani del tempo di Dante, i quali non desideravano altro che un Imperatore forte e amante della gloria e della giustizia, erano « molto più nel vero che il falso patriottismo dei fiorentini d'età posteriore, che parlavano eternamente della liberazione d'Italia 3 ) ». Si disegnava così la lotta di questo romantico contro il dispositismo universale della Francia e in difesa della biltà per mezzo d'un ordine cavalleresco spirituale, dal cui seno si potesse poi eleggere il Papa-Imperatore, per riunire la più alta autorità spirituale con la temporale. 1 non conosce ancora la parola « renaissance >, ) Naturalmente venuta di moda in G~rmania nei decenni seguenti. 2 ) Lezioni del 1810, p. 235: « Carlo V e gl 'imperatori di Casa d'Austria erano invece stati guidati dal concetto, molto più alto, d'una Repubblica cristiana, d'una libera e pacifica lega di Stati e di popoli europei»; pag. 272 e 337. 1 ) Op. cit., p. 275 seg. Non occorre dire che qui il suo giudizio era specificamente colorito d 'austriacantismo.
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libertà nazionale. Il concetto di nazione e d 'autodeterminazione di questa era inviluppato da idee che minacciavano di soffocarlo. Questa generazione aveva talmente nel sangue le idee universali, cosmopolitiche, che esse facevano capolino anche là dove pareva che l'illuminismo cosmopolitico fosse sopraffatto dall'esaltazione romantica del fattore nazionale. Chiamiamo cosmopolitiche e universali delle idee che alla stregua del loro contenuto ('rano nello stesso tempo etiche e religiose. Già ] 'illuminismo cosmopolitico aveva avuto contenuto etico e, cum grano salis, religioso; etico e per eccellenza religioso era anche l'universalismo romantico. Era un 'eticità profondamente diversa; ma illuministi e romantici avevano un comune nemico nello Stato dell 'ancien régime, secondo loro immorale, anzi in genere nello Stato autonomo e imperialistico. Per gli uni come per gli altri era cieca smania di potere ciò che invece stava nella natura stessa di queg-li Stati, f:ra un 'espressione della loro autoconservazione e autodeterminazione. Invece di tentar di capire la natura dello Stato studiandolo dal di dentro, essi moralizzavano dal di fuori; non riuscivano a comprendere che l'eticità ha, accanto ad un suo lato universale, un lato individuale ben determinato e che per questo riguardo anche l 'apparcnte immoralità dello Stato conquistatore può avere la sua giustificazione morale: in quanto non può darsi che sia immorale ciò che nasce dalla più intima natura individuale d'un essere. Questa concezione non è lontana dal nostro argomento quanto potrebbe parerlo. Si poteva conquistare l'idea del vero Stato nazionale nella sua interezza, solo dopo aver riconquistata l'autonomia dello Stato in genere e avere strappato tutta quella vegetazione parassitaria delle idee etiche universali che gli si avviticchiavano attorno e cercavano di soffocarlo, di modo che l'energia propria dello Stato tornasse a rivelarsi ai pensatori politici in tutta la tenacia delle sue radici.
CAPITOLO
FICHTE
E L'IDEA TEDESCO
VI.
DELLO STATO NAZIONALE TRA IL 1806 E IL 1813
L'esempio di Federico Schlegel dimostra che alle idee universali e nazionali insorte contro il sistema di Napoleone s'aggiunsero ben presto anche dei piccoli interessi particolaristici, quali erano quelli degli Stati feudali fonda ti sulla diversità delle classi. Per intendere meglio il corso di questo processo, che porta a Federico Guglielmo IV, dovremo però tornare ancora più volte alle principali correnti del nuovo pensiero nazionale tedesco, immuni da quegli interessi particolari, ma miste anch'esse di concetti universali e nazionali. Delle diverse vie che dal mondo cosmopolitico del secolo XVIII portarono in quello del XIX, in cui si affermò lo Stato nazionale, esamineremo non le più brevi ma le più sinuose e complicate. Chi voglia conosce:re le più brevi non ha che da studiare un patriota quale fu Ernesto l\{aurizio Arndt, il quale già nel 1802, nel suo scritto « Germania ed Europa», aveva sollevato l'esigenza della « unità del popolo e dello Stato» almeno da un punto di vista ideale, quantunque lo facesse soltanto per potersi dire subito, dolorosamente, che la Germania non sarebbe potuta arrivare a « unità di popolo ~> se
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non attraverso una serie di paurosi eventi 1 ). Il suo istinto naturale di contadino e quel suo caldo cuore pieno d'entusiasmo, lo spingevano per questa via, pure in mezzo ai vari influssi culturali che s'erano esercitati sulla sua giovinezza; quantunque intimamente commosso anch'egli dall'ideale individualistico d'umanità, sorto sulla fine del XVIII secolo, protestava tuttavia con forza contro la tendenza dei suoi contemporanei a togliergli il suo peso terreno: non nell :etere del pensiero puro, ma sulla terra, nella poliedrica realtà della vita dei popoli e degli uomini egli cercava il campo d'esercizio per le forze umane; e finì per trovare, anche se la sua intuizione del futuro rimase ancora poco determinata, uno Stato nazionale fondato sull'intima compenetrazione dello Stato, non solo con la Nazione come fatto politico, ma anche con essa come fatto culturale 2 ). Sentiva perciò anch'egli il gelido utilitarismo della macchina statale di Federico II, ma a questa non contrapponeva l'idea vuota, astratta, cerebrale d'un libero Stato popolare. Bisogna riconoscergli un eerto senso dell'aspra realtà della vita statale, per quanto ancora oscuro e generico; lo Stato, diceva, è fatto di necessità terrene, di elementi terreni e da questi soltanto può egsere conservato; vigono in esso leggi semplici, 1
Pag. 420, 426. Le sue idee intorno al rapporto tra confini linguistici e confini geografici degli Stati nazionali da lui postulati, dimostrano come in lui l'elemento dottrinale si confondesse con l'elemento pratico. « Il primo confine naturale è costituito dal fatto che ogni paese abbia il suo mare; il secondo è la lingua », pag. 385. Da questo però trae la conseguenza che se, per esempio, la Polonia fosse ancora uno Stato, essa dovrebbe dominare i tedeschi di Prussia e di Curlandia, « perchè lì dovrebbe avere il suo confine marittimo ,>, pag. 355. D'altra parte, però, dice: « Il paese che ora si chiama Germania deve essere l 'unico a possedere il Reno e i suoi confini naturali sono il mare ai due lati del Reno». Intorno alle idee giovanili dell 'Arndt, confronta ora specialmente il MuESEBECK, Àrndt, 1, 50, 54, 61 seg., 102 seg. 2
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terrene. « E se queste leggi terrene fossero anche le f·terne, se bastassero esse a forma re e conservare il mondo e gli Stati f ». L'idea, aggiungeva, gli era balenata come un lampo nell'oscurità notturna! Era questa la via che doveva t-)ssere seguita più tardi dal Ranke: la ricerca dell'eterno nei fatti terreni ed _empirici, delle forze che reggono la storia e gli Stati non al di sopra di essi, ma in essi; sono le prime luci del realismo politico-storico sviluppatosi nel XIX secolo; e non le vediamo apparire senza una certa commozione. Certo, l 'Arndt non aveva sufficiente concentrazione spirituale, e sopratutto non era abbastanza pensatore, pexsegu.ire quest'intuizione fin nelle sue feconde conseguenze. L'eterna benemerenza ch'egli s'è acquistato nella storia dell'idea d'uno Stato nazionale in Germania sta perciò più sul terreno pratico che sul teorico. In ambedue i campi doveva, invece, fare grandi cose il Fichte, e doveva farle prima per via teorica, sebbene o anzi proprio perchè, per arrivarvi, doveva percorrere un cammino molto più difficile che quello dell 'Arndt. Son~ proprio il maggiore e più profondo lavorìo di pensiero che dovette compiere, le più numerose e forti difficoltà che dovette superare per accostarsi al concetto di Stato nazionale, a rendere così interessanti le sue idee in argomento. L 'Arndt potè arrivare con tanta rapidità e sicurezza ali 'idea dello Stato nazionale, perchè aveva in misura molto larga ciò che il Fichte non aveva o, più esattamente, non voleva avere; il patriottismo fatto d'attaccamento al suolo, « alla zolla, al fiume, al monte ». A questo patriottismo della zolla aveva guardato il Fichte anche nei suoi « Caratteri fondamentali dell'epoca presente», del 1804, e· aveva assegnato allo « spirito solare » il compito di volgersi via dal proprio Stato, se questo fosse caduto, per indirizzarsi là dove sono « luce e diritto» 1 ). Il cosmo1
)
Opere 1, 212.
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polita del 1804 divenne nel 1807 lo scrittore dei « Discorsi alla Nazione germanica». Ci s'è meravigliati spesso del gran mutamento operatosi in ]ui e s'è attribuito alla pressione della necessità e alla scuola dell'esperienza 1 ). J\1a fino dal 1800, quando spiegava ai framassoni lo scopo del loro ordine e quello della sua :filosofia2 ), il Fichte non voleva sentir discorrere d'un pigro e vacuo cosmopolitismo e aveva considerato e dichiarato l'amor d1 patria e il sentimento cosmopolitico « intimamente connessi l'uno con l'altro » nell'uomo giunto a perfetta cultura; amore di patria è la sua azione, coi-;mopolitismo il suo pensiero; quello il fenomeno, questo l'intimo spirito che anima il fenomeno stesso, « l'invisibile entro il visibile:.. Bastano queste parole, quantunque, o anzi proprio perchè intese più in senso cosmopolitico che nazionale, per render palese l'intimo legame; e i migliori conoscitori del Fichte, pur non avendone conosciuto queste poco note affermaz10n1, hanno tuttavia veduto chiaramente che il trapasso 1
Vortriige u. Abhandlungen, I, 184; LASSON, Fichte im Verhiiltnis zu Kirche u. Staat (1883), p. 200. 2 ) Briefe an Constant, pubblicate negli Eleusinien des XIX Jhdts, vol. 2, 1803, p. 37. Su questo scritto, che gli studi fichtiani da poco tempo hanno preso in considerazione, richiamò la mia attenzione E. Schwarz, nei Beiblatter al « Korrespondenzblatt filr den akademisch gebildeten Lehrerstand », 1911, n. 10. Le conferenze del Fichte, che servirono al compilatore degli « Eleusinien ~ di base per le sue Briefe an Constant, furono tenute a Berlino nel 1800; allora il Fichte aveva stretti rapporti col massone Fessler. Che ne sia autore il Fichte è accennato già nelle allusioni contenute nelle Prefazione dell'editore (Eleusinien 1, IV seg. e 2, IX seg.), ma specialmente in quel~e contenute nelle lettere scritte dal Fessler al Fichte nel 1800 (pubbl. in Allg. Handbuch der Freimaurerei, 2 Aufl., 1863, vol. I, 344, col. 2, dov'è citata alla lettera una frase delle conferenze del Fichte, che torna negli « Eleusinien ~ 2, 53). Il Medicus, che mi ci rese attento, tratta delle lettere a Costante nell'Introduzione alle Opere di Fichte, I, CXLI seg. e CLV seg. Cfr. ora L. KELLER, Fichte u. die Grossloge Boyal York in Berli11,, in Schriften des Ver. fiir die Gesch. Berlins, fasc.ic. 50 )
ZELLER,
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non era poi tanto ardito, che il cosmopolitismo del 1804 e il nazionalismo del 1807 sono strettissimamente connessi tra loro. « Il cosmopolitismo della « Dottrina della scienza '> e il patriottismo dei « Discorsi » sono rmo stesso e medesimo concetto » dice Krmo Fischer 1 ) ; • e il Windelband: « Questo patriottismo ( dei Discorsi alla Nazione tedesca) e il cosmopolitismo si assomigliano come due gemelli'> 2 ). I gradi intermedi- che collegano l'ideale del 1804 con quello del 1807-8, si possono trovare nel « Progetto per l'Università di Erlangen », dell'estate 1806 3 ), e nei « Dialoghi sul patriottismo'>, il primo dei quali è pure dell'estate 1806 4 ). Nel « Progetto per l'Università di Erlangen '> contrappose al patriottismo ottuso e inetto, che si potrebbe chiamare spartanismo, il patriottismo ben conscio di sè, che potrebbe dirsi atticismo; questo si potrebbe facilmente accoppiare col cosmopolitismo e col sentimento nazionale tedesco, con essi anzi s'accoppia in ogni uomo veramente forte. Esprimeva anche il suo rammarico per il fatto che « dopo gli ultimi avvenimenti rma Nazione tedesca fosse possibile soltanto nella repubblica dei dotti'>, ma l'abisso spirituale tra la Nazione tedesca e i suoi vicini d'Occidente non gli pareva ancora così profondo come dovette parergli più tardi, quando scriveva i « Discorsi alla Nazione tedesca». Allora infatti potè formulare questa proporzione: lo spirito particolare delle singole stirpi tedesche sta, rispetto al carattere nazionale dei tedeschi in generale, nel rapporto medesimo in cui quest'ultimo sta a sua volta col nuovo spirito europeo; in ambedue i casi il particolare esce dal generale. Questo il suo stato 1 2
1
) )
Fichte, 3• ed., 1900, pag. 627. Fichtes I dee des deutschen Staates, p. 11.
Op. postume, 3, 275 seg., e W. ERBEN, 8itiitspliine, 1914, p. 50. 4 ) Opere postume, 3, 223 seg. )
Fichtes Univer-
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d'animo alla vigilia della catastrofe di Jena: dolorosa rassegnazione, sentimento nazionale crescente, ma non ancora la protesta contro là comunanza spirituale col più pericoloso nemico della Nazione; e il generale gli pareva ancora più alto del particolare, dal quale, pure, derivava. La sua concezione ci risulta anche più evidente dai «Dialoghi:.. Qui esprime l'opinione che « non ci può essere vero cosmopolitismo e che nella realtà il vero ~osmopolitismo deve di necessità diventare patriottismo ». l\ia ciò significa appunto che quei modi di sentire gli si confondevano in uno; e se si guarda agli elementi costitutivi di quello eh 'egli chiama ora vero patriottismo, la cosa rimane perfettamente chiara. È, di fatti, un patriottismo universale; il suo fine è l'umanità in genere, secondo era in tesa nella « Dottrina della scienza :. ; ma, insegna il Fichte, una volontà indirizzata a questo fine deve e può esercitarsi immediatamente soltanto sopra ciò che la circonda più da vicino: la sua sfera d'azione è, dunque, la Nazione. Così egli diventa patriota, pur restando cosmopolita, « in quanto fine ultimo d'ogni educazione nazionale è d'estendersi a tutta l'umanità :. 1 ). Quest'educazione nazionale non è dunque nulla d 'individuale, non è educazione nazionale in senso storico, ma è nè più nè meno che il più alto grado d'educazione umana in generale. La Nazione tedesca è quella eh 'ebbe energia 5ufficiente per dar vita ad una tale forma d 'educazione, ma in questo - così va interpretata l'opinione del Fichte - essa è quasi il Popolo Eletto e il figlio suo è il Figliuol dell'Uomo. Partendo da questa concezione i singoli Stati tedeschi erano, con piena conseguenza, null'altro che sfere d ;azione entro le quali i singoli tedeschi dovevano lavorare per lo sviluppo dell'educazione nazionale, cioè del1 )
Op., p. 229 e 233.
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I 'educazione dell'umanità 1 ). In questo senso voleva essere un patriota tedesco e prussiano, ma nè allo Stato prussiano, nè, in genere, al singolo Stato tedesco concedeva radici più profonde di queste: la separazione dei prussiani dagli altri tedeschi è artificiosa, fondata sopra ordinamenti arbitrari e casuali; la distinzione tra i tedeschi e le altre Nazioni europee ha la sua ragion d'essere nella natura 2 ), cioè nella lingua comune e nel carattere nazionale. Movendo da queste idee gli sarebbe stato facile arrivare al concetto dello Stato nazionale tedesco unitario, ma sembra che non ne sentisse il bisogno. È contento quando la nuova educazione ha il sopravvento nei singoli Stati, e quanto al resto ammette - ma sempre come interesse di natura secondaria - che il prussiano agisca anche per l'integrità, la considerazione, il benessere dello Stato prussiano 3 ). Comunque, egli dice, il tedesco diventa prussiano soltanto dopo che il prussiano è diventato tedesco « e solo il vero tedesco è un vero prussiano». È quasi l'inversione delle ·gelide parole di Bismarck : « Di regola il patriottismo tedesco, per diventare attivo ed efficente, esige la. mediazione dell 'attaccamento alla Dinastia '> 4 ). Dinanzi a questa forma di patriotti-.;mo il Fichte avrebbe inorridito e perciò apprmto, dice il Windelband 5 ), ciò eh 'egli chiama vero patriottismo non ha sapore alcuno di realtà terrena e il suo germanesimo sta nel regno dell'utopia>. 1
) Il tedesco che vive ed agisce entro l'unità statale prussiana non potrà volere altro nè lavorare per altro che per affermare nel modo più perfetto e al più presto entro quest'unità statale il carattere nazionale tedesco, perchè questo carattere, di qui, si estenda alle stirpi tedesche più affini e da queste ..., a poco a poco, al resto dell 'umanità. Op. cit., p. 233. 2 ) Opere, p. 232. ') Op., p. 233. ') Gedanken wnd Erinnerungen, I, 290. ') Op. cit., p. 12.
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A Yoler interpretare
grettamente lo spirito nazionale che trllVa espressione in questi due Dialoghi, si potrebbe dire eh 'esso voleva essere in prima linea un veicolo per la diffusione della filosofia fichtiana e che l'immagine della Nazione da esso evocata non era, in fondo, che l 'immagine ingrandita del filosofo Fichte in persona. In forma più nobile si potrebbe dire eh 'egli porge la sua carne e il suo sangue pe1~costituirne l'immagine della Nazione, nè poteva fare diver~amente se voleva tener fede alle idee più profonde della sua filosofia. Anche qui l'Io creatore si poneva da sè il non Io. L'unica vera realtà, diceva egli allora, è la vita immediata, quella che vive al presente; perciò dell'essenza della Nazione tedesca era a lui accesf-ibile soltanto ciò che Yiveva in lui stesso. L'idea dell 'edurazione dell'umanità, ch'egli considerava come l'essenza stessa della Nazione, non ne abbracciava però tutta quanta la natura, ma era soltanto il figlio vero e primogenito della Nazione tedesca d'allora. E infine: come avrebbe potuto pensarla diversamente dal Humboldt e dallo Schiller, se sotto il pensiero nazionale cosmopolitico s'agitava anche in lui molto più vero e terreno amor patrio di quanto egli stesso non volesse ammettere? 1 ). Grande forza, di cui egli stesso non aveva coscienza, qucst 'amore ne nutriva nel profondo le nuove idee; ma erano idee troppo imperiose e riottose per volerlo ammettere. « Poche volte, forse, la teoria è rimasta tanto addietro alla realtà istintiva» 2 ). Eppure, non molto dopo egli s'accostò alla realtà della vita politica, anzi addirittura della vita politico-nazio1
Già W. ERBEN, op. cit., 18 seg. additava nel Piano per l 'U1;1iversità di Erlangen traccia d'un tale amore e suggeriva. che il sentimento nazionale del Fichte potesse essere nato da.Ile impressioni del periodo di J ena, dove vide giovani di tutte le stirpi tedesche « convivere robustamente>, perdendo nel reciproco contatto le cattive qualità proprie della. loro stirpe. Sul con tutta l'energia e la spregiudicatezza del suo spirito. « La sicurezza dello Stato, dice-:a, si fonda non solo sul suo territorio, ma anche su tutto ciò che, in genere, puoi sottomettere alla tua influenza e che in seguito può farti grande» 3 ). Così d'un tratto la vita degli Stati d'Europa, quel1 ·agitarsi di Stati e di Nazioni ed estendersi in ogni senso, gli apparve nella sua vera luce; e allora dimenticò le premesse pessimistiche da cui era partito e seguì l 'im1
)
2
3
)
)
Ueber naire u. sentimentalische Op. cit., 420. Op. cit., p. 423.
Dichtu,ng.
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pulso, più forte, di cercare un senso e una ragione di quest'agitarsi di forze all'apparenza soltanto egoistiche, per tentar d'accordarle con i suoi sublimi ideali d 'umanità; « inoltre ogni Nazione vuol estendere quanto può ciò che di buono è in lei, incorporarsi tutto l 'uman genere, grazie ad un istinto che Dio ha posto nell'uomo e sul quale si fondano le comunità dei popoli, i loro reciproci contatti e il loro progresso». Sono parole tra le più significative e profonde che sieno state dette in quel tempo; è in esse l'armonizzazione delle antiche lotte fra Stati per la supremazia e dei nuovi movimenti nazionali di popolo, con gli ideali cosmopolitici e universalistici dello spirito tedesco. Anche le caratteristiche individuali della Nazione sono valutate qui in modo molto più chiaro e preciso che negli scritti precedenti. La Nazione non è più soltanto quella che porta alla luce e modifica gli elementi d'un qualche cosa di più alto e generale: ora, invece, gli istinti originari e individuali delle Nazioni diventano la forza che genera i fatti generali e supernazionali 1 ). Di qui ci s'apre una prospettiva che conduce immediatamcn te alla concezione storica del Ranke : il passo decisivo era fatto, la tendenza dello Stato a conquistare potenza era riconosciuta come un naturale é salutare istinto di vita e collocata entro il sistema d'una concezione morale. Ciò che un tempo il :Machiavelli aveva insegnato e ciò che l 'Antimachiavelli aveva obiettato, in parte era qui superato, in parte esasperato, in parte conciliato. La cosa era possibile perchè ora al concetto di Stato e d'umanità s'era aggiunto il nuovo concetto di Nazione, che illuminava di nuova luce anche lo Stato.
1
In questo la giustificazione accennata della. politica di dispotismo e d'espansione si distingue, da quella data. nei « Lineamenti dell 'etd presente~- In questi ultimi, infatti, la cultura che lo Stato conquistatore può e deve diffondere nell'Europa cristiana è pensata ancora come universale, non come individuale-nazionale. )
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Dal momento che lo Stato non era più spinto soltanto dalla volontà del principe nè dal solo freddo interesse del suo istinto d'auto-conservazione, ma da una viva comunità di popolo, e dal momento che questa comunità assumeva importanza per l'umanità proprio in grazia dei suoi caratteri peculiari, anche la pleonexia dello Stàto ne risultava nobilitata e moralizzata. Lasciamo la parola al Fichte stesso 1 ) : « I popoli non sono una proprietà dei principi, i quali ne possano considerare il benessere, l 'indipendenza, la dignità, fa posizione nel quadro dell 'umanità, come cosa privata .... Il principe appartiene alla sua Nazione così completamente, come questa appartiene a lui; il suo destino, nell'eterno consiglio della Divinità, sta nelle mani di lui, che n'è responsabile». Nella sua vita privata egli è legato alle leggi generali della morale, nei rapporti col suo popolo alla legge e al diritto, ma nl·He relazioni con altri t,tati non c'è nè legge nè diritto che non sia il diritto del più forte: di queste relazioni la divina maestà del destino lascia responsabile il principe, ponendole nelle sue mani e inalzando lui al di sopra delle leggi della morale individuale, in un ordine morale superiore, il cui contenuto si esprime nelle parole « salus et àecus populi suprema lex esto ». Non era ancora tutto quanto si poteva dire intorno alla natura del nuovo Stato nazionale che stava sorgendo, ma n'era già determinato uno dei caratteri principali: il diritto e il dovere del1'auto-conservazione più energica e spregiudicata e del1'auto-determinazione di ciò che a questa conservazione è necessar10. Con questa « più seria ed energica concezione del1;arte di governare» lo spirito del Fichte s'accostò allora alla realtà terrena, fino al massimo delle sue possibilità. Chi, dopo questo « Saggio sul Machiavelli », legga i « Discorsi alla Nazione tedesca», si sente guidato per qualche 1
)
Op. eit., p. 426.
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riguardo ancora nella stessa direzione, ma finisce per trovarsi d 'nn tratto in tutt'altro mondo. Osserviamo prima di tutto quelle idee dei «Discorsi» che stanno sulla stessa linea del« Saggio sul Machiavelli» e che quindi rappresentano un progresso del suo pensiero politico nazionale rispetto ai « Dialoghi ». Lo si sente già in quel suo stringere maggiormente i legami fra Nazione e Stato, cioè fra Nazione tedesca e singolo Stato tedesco. Nei «Dialoghi» egli aveva distinto duè gradi d 'attivita dello Stato te.desco singolo, cioè della Prussia: l'attività in senso tedesco-prussiano, cioè in ultima analisi umano, e l'attività in senso puramente prussiano, intesa cioè a un fine di natura inferiore. Di questa gradazione di valori dell'attività entro lo Stato e quindi anche dei fini dello Stato non rimangono più che poche tracce nei «Discorsi» 1 ). Qui i due cerchi, dello Stato singolo e della Nazione, sono diventati concentrici. Lo Stato, dic 'egli ora 2 ), possiede la sua forza armata « nnicamente e con nessun 'altra intenzione » all'infuori dagli scopi postigli dall'amor di patria. Sembra quindi eh 'egli conservi l'idea di Stato Nazionale enunciata nel « Saggio sul Machiavelli», idea la cui forza è posta esclusivamente in servizio della Nazione; e l'ideale statale dell 'illuminismo, razionale e antistorico, pare superato quand'egli scrive queste parole 3 ) : « Lo Stato secondo ragione non può essere costruito artificiosamente da un materiale qualsiasi, ma bisogna. che la Nazione si sia prima formata ed educata ». « Lo Stato dell'avvenire - secondo il concetto fondamentale dei« Discorsi» nella formulazione del Win-
1
Forse nella distinzione - Opere I, 384 e 386 - fra lo ) « scopo più prossimo e comune > dello Stato, conservazione della pace interna, della proprietà, della libertà personale, e del benessere comuni, e il suo scopo superiore. 2 ) 7, 386. 1 7, 353. )
della vita
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delband 1 ) può essere soltanto lo Stato nazionale e particolarmente lo Stato nazionale tedesco». Quest' è, nella sua formulazione filosofica, il programma della storia politica del secolo XIX, in cui il consolidamento dei nessi statali nazionali rappresentò l'interesse supremo e la fondazione dell'Impero germanico fu senza dubbio l 'avvenimento dominante. Diciamo, più esattamente, che quest'era il programma più preciso che la filosofia fichtiana potesse formulare in materia e cerchiamovi i resti del programma antico, che ancora permangono in questa concezione dello Stato nazionale. A guardar più da vicino le parole citate or ora, si vede eh 'egli non aveva ancora rinunciato allo« Stato perfetto», allo Stato « secondo ragione »; soltanto, rimproverava gli illuministi d'aver tentato una costruzione senza aver la base necessaria per essa, in una Nazione che vi si prestasse. Questa introduzione del mezzo nuovo della Nazione costituiva già un enorme progresso del suo pensiero, ma, non avendo egli rinnnciato all'antica finalità dello Stato secondo ·ragione, anche questo mezzo nuovo della Nazione non poteva essere la Nazione reale, bensì era pur esso una specie di « nazione secondo ragione»: soltanto la Nazione che avrà assolto nel modo migliore il compito di educare l'uomo perfetto, assolverà in seguito anche quello di costituire il perfetto Stato» 2 ). Il nuovo concetto era dunque riportato ancora verso le vecchie formule. La stessa cosa si osserva nel modo com 'egli sviluppa nei « Discorsi » il principio dell'autonomia di Stato e Nazione, posto nel « Saggio sul Machiavelli». Come Stato reale, è detto lì in forma rigida e superba, lo Stato deve « potersi muovere e decidere con indipendenza» 3 ). E altrove dice 4 ) : Da per tutto dove 1 2
)
Op. cit., pag. 8.
7, 354. ) 7, 432. ') 7, 453 2
)
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lOS
c'è una lingua particolare c'è anche una particolare Nazione« la quale ha il diritto di risolvere con indipendenza i propri problemi e di reggersi da sè ». Lingua e letteratura d'un popolo, è detto allo stesso proposito, degenererebbero in seguito alla perdita dell'indipendenza politica. Si può dunque constatare con piacere che egli riconosceva il nesso fra cultura nazionale e indipendenza politica. Ma si guardi, ora, alla caratteristica ragione di questo riconoscimento: « Che specie di letteratura può essere la letteratura d'un popolo privo d'indipendenza politica Y Che vuole e che può volere lo scrittore intelligente? Non altro che inserirsi nella vita pubblica e formarla e trasformarla a propria immagine »; egli vuole pensare per conto di coloro che governano, « può quindi scrivere soltanto nella lingua in cui si governa, nella lingua d'un popolo che costituisce uno Stato indipendente ». ~ anche questo un pensiero che si connette con lo Stato nazionale moderno, chè non sapremmo pensare un vero e moderno Stato nazionale senza una gran~e e libera letteratura politico-nazionale; ma quello a cui pensa il Fichte non è ciò che noi intendiamo per letteratura politico-nazionale; sono, invece, le produzioni dei filosofi del secolo XVIII quando s'occupavano dello Stato: norme per i governanti, governo dei governanti per opera dei filosofi, per dare assetto lasciamo la parola al Fichte - « alla vita in genere e all'insieme delle cose umane » 1 ). Ecco dunque la ragione per cui l'indipendenza politica della Nazione gli è necessaria e la postula; essa è per lui la premessa necessaria per il predominio della Scienza· nello Stato: ci si dirà forse « della Scienza nazionale», ma questo significherebbe aver inteso ben poco il contenuto che il Fichte dava al concetto di scienza. Era un concetto che superava la sfera dei fatti nazionali non meno che quella, più ristretta, della scienza in genere; significava per lui « tra1 )
Cfr. 7, 492.
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sformazione del sapere, della ragione, della saggezza, nella vita stessa, nella sua più alta fonte e nel suo stimolo più alto» 1 ). Egli vuole dunque l'indipendenza politica da un punto di vista elevatissimo si, ma assolutamente apolitico e supernazionale. Il lato politico di essa, eh 'egli aveva colto nel « Saggio sul Machiavelli», non ebbe ulteriore sviluppo, perchè egli non poteva interessarsi a lungo d'uno Stato imperialistico. Ora, come abbiamo già detto, è proprio della natura d'un tale Stato il vivace movimento d 'espansione, il contatto, amichevole o ostile, coi vicini ed una certa pleonexia; per i suoi scopi esso ha bisogno in prima linea della propria indipendenza e auto-determinazione. Secondo il Fichte deve usarne, invece, proprio per lo scopo opposto: per difendersi dai tentativi di sopraffazione degli altri Stati 2 ). Il suo « Stato commerciale chiuso » gli è ancora presente: perehè occorre ai tedeschi la libertà dei mari? « Volesse il cielo che la sorte benigna avesse preservato i tedeschi dalla partecipazione mediata alle prede degli altri mondi, come li ha preservati dall'immediata» 3 ). E quando, alla fine, enuncia il suo grande postulato, ogni possibilità di politica reale resta troncata alle radici : « Al vario e confuso insieme d 'istinti sensuali e spirituali dev'essere nettamente negato il dominio sul mondo; lo spirito solo, puro e spoglio
Discorso del 19 febbraio 1913. Opere 4, 604. ~) Non occorre che ci fermiamo sulla distinzione tra conquista secondo natura e conquista contro natura, eh 'egli fa nel Tredicesimo Discorso, distinzione troppo sottile per avere qualche importanza per la politica reale. Diciamo soltanto come un 'ipotesi che il suo cambiamento d'umore in confronto al Saggio sul Machia11elli, nel quale chiedeva ancora una politica energica basata sulla forza, può forse essere ricondotto al mutamento della situazione politica: allora la fresca impressione della guerra, ora la rassegn.azione della sconfitta. 1 ) 7, 466. 1
)
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di qualsiasi istinto dei sensi, deve stare al timone degli eventi umani» 1 ). Par quasi che tutti gli altri fuochi del mondo debbano essere spenti, perchè rimanga soltanto la fiamma del suo ideale etico, custodita dalla Nazione tedesca, in quanto essa era il popolo originario, il popolo eletto. Per esso egli desidera indipendenza politica e potenza, che serviranno per la realizzazione del suo ideale. Come la sua filosofia aveva sempre desiderato la trasformazione degli individui in esseri spirituali, così ora egli esige una radicale trasformazione .e spiritualizzazione della vita degli Stati e dei popoli. Questa la funzione eh 'egli assegnava allo Stato tedesco. Ora, quando ci si sia resi ben conto di questa sua idea fondamentale, che investe tutte le altre, non si penserà più a considerare lo Stato nazionale dei suoi « Discorsi» come un ente politico e forse si finirà per considerare superfluo continuare l'analisi delle sue idee politiche. Se non che gl 'ideali e le illusioni del Fichte restano, in qualunque modo, degni d'essere ripensati e analizzati anche nelle loro derivazioni e conseguenze; nè, per lo scopo che ci siamo posto - dimostrare come le idee apolitiche invadessero la vita politica della Germania - e 'è fra i pensatori puri esempio più significativo che quello del Fichte. Seguitiamo quindi a cercare che cosa egli pensasse intorno alla forma e alla costituzione dello Stato tedesco. E, innanzi tutto, che atteggiamento assumeva egli di fronte al problema: Stato unitario, Stato federale o federazione di Stati? Nel IX Discorso considera la possibilità che un singolo Stato tedesco riesca ad unire tutta la Nazione tedesca sotto il proprio reggimento e ad instaurare, in luogo della tradizionale Repubblica dei popoli, un Goverilo assoluto. « Ogni uomo ben nato, su tutta l'estensione del suolo co-
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mune della patria, vi si sarebbe dovuto opporre » 1 ), non per scrupolo dinastico e particolaristico, ma per il fatto che in quello che noi chiamiamo frazionamento degli Stati ed egli chiamava « costituzione repubblicana» stava per lui la miglior fonte dell'educazione tedesca e il mezzo più certo per garantirne le caratteristiche; e anche perchè temeva che l'assoluto predominio d'uno Stato dispotico potesse stroncare, fin che fosse durato, qualche germoglio di cultura originale in Germania. Non che tale predominio gli sembri del tutto insopportabile e senza luce di speranza, dato che sarebbero sempre dei Tedeschi a governare i Tedeschi e che la Nazione tedesca seguiterebbe a sussistere; ma uno Stato unitario monarchico non gli sembra affatto desiderabile per la Germania. A quanto chiaramente risulta dalle sue parole, ammetterebbe invece volentieri uno Stato unitario in forma repubblicana 2 ); ma va tenuto ben presente eh 'egli non annetteva importanza decisiva alla forma unitaria dello Stato. Anzi, dello« Stato tedesco» dice addirittura: « Che esso sia esteriormente uno Stato solo o parecchi Stati, non vuol dir nulla: in realtà esso è, tuttavia, uno». È chiara la distinzione fondamentale eh 'egli fa qui tra forma esteriore della vita statale e intima essenza di essa. Lo Stato tedesco, che è uno, può avere la forma dello Stato unitario, ma anche quella dei molti piccoli Stati; ma è essenziale invece, lo dicono le sue parole stesse, « che l'amore nazionale dei Tedeschi, o regga esso stesso il timone dello Stato tedesco, o possa su di esso esercitare la sua influenza» 3 ). Come si vede, nem!'I) 7, 397.
7, 397: « .... Certamente, se la presupposta unità di governo avesse avuto, non la forma repubblicana, ma la monarchica .... sarebbe stata una grave disavventura». 3) 7, 397, cfr. anche 7, 384, 396, 428. A dir vero si potrebbe "biettare che nel I (( Discorso » 7, 266 e nel riassunto del condegli tenuto del XIII 7, 464 egli deplora il frazionamento Stati in Germania e dice che la loro esistenza separata « cozta 2)
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meno il singolo Stato tedesco se la cava troppo bene, quanto alle condizioni per la sua esistenza; è vero eh 'egli tien conto favorevole del frazionamento degli Stati tedeschi come d 'nna fonte di cultura tedesca, ma non ammette neppur qui l'attaccamento allo Stato singolo, il patriottismo dinastico e territoriale; ammette l'esistenza degli Stati singoli, ma non consente eh 'essi abbiano troppo profonde radici nel sentimento dei loro sudditi. Del resto, a giudicare dalle sue stesse premesse, non era neppur necessario che fra i singoli Stati ci fosse un legame federativo esterno - Stato federale o Federazione di Stati - purchè si avverasse l 'nnica condizione veramente necessaria : che lo spirito nazionale dominasse o potesse arrivare a dominare la vita statale in Germania. Perciò, anche, poteva parergli tollerabilissima la condizione della Germania avanti il 1806, quando Stato e Nazione erano bensì divisi l'uno dall'altra esteriormente, « come nella Grecia dei tempi antichi », ma, egli credeva, vivevano fra loro in accordo ed armonia. Secondo lui ogni persona assennata avrebbe dovuto augurarsi la continuazione di quello stato di cose 1 ). Si può obiettare eh 'egli pensasse non a una cosa desiderabile, ma soltanto a qualche cosa di sopportabile, in contrapposto all'insopportabilità della situazione di quel momento e che qui ponesse soltanto un programma minimo per la vita statale in Germania. Forse si dirà anche che sarebbe stato scabroso, al-
contro la natura e la ragione ». Però, dopo quanto è detto nel IX Discorso, possiamo supporre eh 'egli non cercasse l'unità nella forma esteriore e che quindi con quelle parole condannasse non la forma ma lo spirito del frazionamento degli Stati, di quella loro « esistenza separata». Cfr. anche l 'Xl Discorso 7, 437: (( Buon per noi che ci sono ancora diversi Stati tedeschi, divisi l'uno dall'altro: il fatto, tante volte ridondato a nostro vantag~o, può forse diventarci utile in questa importante questione nazionale (dell'educazione) ». ') 7, 392, 396 seg.
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lora, domandare di più; ma il Fichte era un pensatore troppo rigido per non aver lasciato trasparire, comnnque, qualche cosa almeno dei suoi principi fondamentali, e resta sempre un fatto caratteristico eh 'egli sia sceso a un tale minimo. Potè farlo perchè per lui la forma esterna politica era relativamente indifferente, mentre aveva la massima importanza l'unità dello spirito entro la vita statale. Quest'unità ideale di Stato e Nazione stava però anch'essa nel regno dell'utopia e solo un 'armonia prestabilita avrebbe potuto far sì eh 'essa diventasse realtà e che i singoli Stati fossero tutti d'un unico spirito. Il suo Stato tedesco, come il suo Stato in genere, non obbedisce alle proprie particolari condizioni di vita, ma riceve la sua legge - così egli vuole ora - dallo spirito nazionale; il quale spirito nazionale, però, è e dev'essere, anche secondo la concezione dei ma che si debba riconoscere 1
)
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spirito nazionale tedesco da lui esaltato non era un frutto della vita storica, ma un postulato della ragione. Vediamo la cosa più da vicino. Egli constata che finora i Tedeschi non hanno carattere nazionale, nè orgoglio nazionale; altri popoli hanno questo e quello in grazia della loro stori~, ma i Tedeschi, come tali, negli ultimi secoli non hanno avuto una storia. « Quale legame c'è stato fra noi, quale storia comune? » 1 ). Qua e là sembra di sentire una deplorazione per questo stato di cose, ma subito dopo balena anche come una certa soddisfazione per esso: questo contrasto di sentimenti era, insieme, un contrasto fra il modo di pensare del secolo XVIII e quello del XIX. Quale dei due prevalesse in lui non può apparir dubbio: al grande idealista, che attraverso i fenomeni temporali perseguiva sempre la sua aspirazione verso l'Eterno, rideva il cuore per la scoperta d'uno spirito nazionale che non aveva ancora una storia dietro di sè e per il compito di collaborare alla formazione d'uno spirito nazionale che fosse soltanto opera della ragione cosciente e della libertà. La sua stessa mancanza d'una storia gli par facili tare il compito e, comunque, è per lui una prova del fatto che in ciò che s'è conservatq del carattere tedesco c'è qualche cosa li « veramente primitivo», di più che storico 2 ). Questa « primitività» appunto egli aveva postulato fino dai «Discorsi», per la lingua tedesca e per la Nazione tedesca, unico « popolo originario», il «popolo» senz'altro attributo. Come si vede, il suo concetto di « primitivo » in essa la profonda comprensione del fatto « che ogni Stato nel quale organizzazione politica e spirito popolare non sono assolutamente la. stessa cosa, è profondamente malato». Giusta osservazione, alla quale però bisogna soggiungere subito che lo spirito popolare com 'egli l'intendeva non era lo spirito popolare tedesco storicamente concreto. t) 7, 565, 568. 2) ~ I tedeschi.. .. sono cresciuti senza storia» 7,565, cfr. 7,571.
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significa tutt'altra cosa da quella che noi intendiamo quando diciamo d'una Nazione eh 'essa è particolarmente primitiva. Così dicendo pensiamo a un 'intima, naturale freschezza, derivante dalla semplicità delle condizioni di civiltà e conservatasi intatta, ma pensiamo tuttavia sempre a qualche cosa di storicamente condizionato. Il Fichte pensava, invece, proprio a cosa non determinata storicamente 1 ). Per necessaria coll.6eguenza i caratteri nazionali, divenuti storici, hanno minor valore, appartenendo essi a quel mondo dove e 'è mancanza di libertà. Anche questa conseguenza fu tirata dal Fichte, secondo il quale i Francesi « non hanno un Io formatosi da sè, ma, per generale consenso, un Io di natura puramente storica, mentre i Tedeschi ne hanno uno metafisico» 2 ). In questi «Appunti» del 1813 ci sono però altre parole da cui parrebbe che il Fichte volesse affidare alla corrente della storia almeno i futuri sviluppi della Nazione tedesca; il carattere dei Tedeschi, dic 'egli 3 ), « sta nel fu-
Lo dimostrano assai chiaramente i « Discorsi '.:I) 7,374: « ci~ che propriamente consente di distinguerne la natura (dei tedeschi) è il credere a qualche cosa di assolutamente primitivo e originale nell'uomo, alla libertà, alla infinita perfettibilità.... oppure il non credere a nulla di tutto questo .... Ora, :finalmente, in grazia d'una filosofia. chiaritasi in se steflsa, questa Naziono ha innanzi a sè quasi lo specchio nel quale poter chiaramente riconoscere che cosa essa è diventata fino a questo momento, senza averne chiara coscienza, per opera della natura'>. Cfr. KUNO FISCHER, op. cit. 718: « Il Fichte ha fondato l'origine e il principio della storia della civiltà sull'ipotesi, contraria alle leggi dell'evoluzione, d'un popolo primitivo e normale, mette cioè al posto dell'evoluzione la rivelazione e in tal modo fa, della storia, un indovinello». Intorno alla dipendenza dell'idea d'un popolo normale dalle idee del Rousseau cfr. FESTER., op. cit. 133 seg., 146, 153. Il LASK, op. cit. 257, ignora la contraddizione fondamentale posta dal Fichte stesso fra « primitivo » e « storico >. 2 ) 7,566. 3) 7,571. 1
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turo: per ora, esso sta nella speranza d'una storia nuova e gloriosa. Principio di questa: eh 'essi si facciano da sè e ne abbiano coscienza. Sarebbe per loro la sorte più gloriosa. Caratteri fondamentali dei Tedeschi sono : 1° Iniziare una nuova storia; 2° Attuare se stessi con libertà; ... 3° I Tedeschi non debbono perciò essere la continuazione della storia del passato, la quale per loro non ha dato alcun risultato». l\'Ia questa « nuova storia» che sta innanzi alla Nazione tedesca, è « storia » nel senso nostro ? Secondo noi vi contraddice quel primo taglio profondo, eh 'egli fa tra la storia antica della Nazione e la nuova; non possiamo ammettere simili salti in un processo di sviluppo, nè è possibile per un popolo avere una storia antica ed una moderna talmente divise l'una dall'altra, che quella sia passata senza aver lasciato alcuna traccia e questa non stia in alcun nesso con la precedente. Il Fichte poteva credere a un simile salto oltre l'abisso, soltanto perchè la sua nuova storia non era la vera storia. La sua storia incomincia dall'atto per cui i Tedeschi « si fanno da se stessi eà hanno coscienza di farsi», « si attuano con libertà». ::Manca in essa un fattore essenziale della vera storia: la mancanza di libertà e l'irrazionale. Qui, dunque, egli ha dinanzi a sè due concetti storici profondamente diversi, l'uno dei quali, rintracciab~le nella storia « antica» dei Tedeschi e degli altri popoli, si avvicina al nostro, ma è spregiato e messo da parte dal Fichte per gli elementi per così dire impuri, ignobili di cui è costituito, mentre l'altro, fondato esclusivamente sul fattore della libera creazione cosciente, sta fuori della sfera dei fatti veramente storici 1 ).
Non possiamo accettare l'opinione del LASK, pag. 269, il quale nelle parole del Fichte or ora citate vede la prova sicura che quegli avesse un concetto della storia che comprendeva passato e avvenire e che al secolo XVIII sarebbe rimasto del tutto incompren'sibile. 1)
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La sua « nuova storia » è dunque una storia razionale e ideale, come razionale è il suo Stato, razionale la sua Nazione. È ancora il linguaggio dei diritti dell'uomo e dei primi anni della Rivoluzione, quello che parla nella sua grande profezia : « Così, i Tedeschi saranno i primi a costituire il vero regno del diritto, quale mai ancora è esistito, con lo stesso amore per la libertà dei cittadini che vediamo nel mondo antico, ma non esigendo quel sagrificio della maggior parte degli uomini, condannati alla schiavitù, senza del quale gli antichi Stati non potevano sussistere : per la libertà fondata sull'uguaglianza di tutto quanto ha faccia umana» 1 ). Parole ben più ricche di contenuto che non l'analoga fraseologia dei girondini e dei giacobini; ma tali ci appaiono perchè in bocca al Fichte esse hanno un significato più profondo, perchè tutte le sue idee di libertà e di diritto, per quanto suonino astratte, erano ardentemente vissute dalla sua grande anima di uomo fuor del comune, perchè la sua esigenza di libertà non è che esigenza d'autonomia morale, la radice più salda d'ogni grande civiltà. Il maggior contenuto di vita personale, la maggiore forza di propulsione storica ci fanno parere le idee del Fichte intorno alla Nazione e allo Stato nazionale più moderne e più storiche di quanto veramente sono. Riteniamo che le nostre limitazioni e le nostre riserve nulla toglieranno al grandissimo apporto del Fichte allo sviluppo dell'idea di Nazione e di Stato nazionale in Germania. Avverrà forse il contrario. La visione integrale dello sviluppo di questa nuova idea non fa che ingigantire, quando si veda quant'era forte e vitale il vecchio mondo d'idee da cui essa usciva. È falso quel modo tradizionale e troppo comodo d'immaginare il cosmopolitismo, che, vuoto e senz'anima cade prostrato a terra, mentre il giovane pensiero nazionale sorge leggero e vittorioso 1
)
Staatslehre 4,423; 7,573.
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al suo posto: cosmopolitismo e nazionalità seguitarono per molto tempo a vivere in stretta consanguineità e comunanza. E anche se l'idea del vero Stato nazionale non potè affermarsi allora interamente, quel periodo non rimase tuttavia senza frutto per l'idea nazionale. Occorreva che vi fosse introdotto un contenuto ben determinato, forte ed energico, che non ci si limitasse a studiarla con interesse sotto questo o quell'aspetto, ma la si affermasse esplicitamente ed energicamente, con la commozione d'un grande entusiasmo. Entusiasmarsi partendo dalla frammentarietà della realtà nazionale d'allora era troppo difficile per spiriti come il Fichte: perciò egli vi giunse movendo dalle altezze d'un ideale etico universale.
CAPITOLO VII.
ADAMO MOLLER NEGLI ANNI FRA IL 1808 E IL 1813.
Il Fichte aveva lasciato cadere il concetto che s'era fatto intorno alla natura dello Stato come espressione di forza, essendo la potenza dell 'idea morale troppo preva, lente in lui perchè egli potesse ammettere durevolmente, accanto a quella, l'autonomia d'un 'altra forza. La sua volontà morale, che l'aveva introdotto nel mondo dello Stato e della Nazione, eresse essa stessa le barriere che gl 'impedirono di conoscerne per intero la natura. Ad uno spirito assai meno forte, ma dotato di maggior sensibilità, doveva invece riuscire d'addentrarsi molto più di lui nella conoscenza dello Stato nazionale. Fu costui Adamo lliiller, il quale tenne delle lezioni sugli « Elementi dell'arte politica» nell'inverno 1808-1809, un anno dopo i « Discorsi» del Fichte 1 ). Questi aveva parlato alla Nazione tedesca e il pubblico che casualmente l'ascoltava, la rappresentava ai suoi occhi; il 1\1:iiller,allora Consigliere alla Corte di Weimar, parlava dinanzi ad un'accolta d'uomini di Stato e di diplomatici, in presenza d'un Principe, e a questo pubblico aristocratico diceva cose che non gli po1
)
Le lezioni furono pubblicate
in 3 volumi, nel 1809.
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tessero dispiacere; se avesse seguìto l'opinione e il consiglio del suo amico Gentz, si sarebbe potuto anche procurare una comodissima vita, scrivendo un libro in difesa della nobiltà della nascita 1 ). Qui non importa molto sapere se il Miiller fosse o no accessibile a ragioni pratiche della natura accennata; certo è che, passando dal Fichte a lui, passiamo, dalla pura atmosfera della finalità etica incondizionata, in una sfera di carattere sociale ben determinato, nella quale l'autore si sente a suo agio e che non si smentisce nelle teorie di lui. I suoi scritti non consentono d'affermare con sicurezza eh 'egli abbia fatto studi storici profondi; nè, d 'altra parte, il suo senso storico era di natura tale, che non ci potesse arrivare uno scrittore politico che viveva in mezzo alla vita. S'era occupato saltuariamente di politica e come giornalista aveva anche avuto contatto con uomini di Stato 2 ); ma non gli riuscì mai di aderire spiritualmente ai moti politici del suo tempo, come riuscì invece al Gentz nei suoi momenti migliori. Aveva un indirizzo straordinariamente realistico, ma anche una tendenza speculativa, sognatrice; e questa e quella andavano così strettamente unite, che anche nelle sue concezioni più realistiche c'era sempre qualche elemento d'intuizione fantastica. Si capisce che una natura come questa fosse entusiasta di Heinrich von Kleist, della cui poesia si può dire altrettanto, con la differenza che il Kleist non soltanto era incomparabilmente più forte e più originale, ma si controllava ben più rigidamente che non facesse l'altro. Comunque, il periodo migliore del Miillcr fu quello della sua amicizia col Kleist, negli anni penosi dopo la pace di Tilsit 3 ). 1)
1808; Epistolario Gentz-Miiller, p. 140. ) Cosl nel 1803. Epist. Gentz-Miiller, p. 18 t WITTICHEN, Briefe von und an Gentz 2, 410. ') Cfr. STEIG, H. v. Kleists Berlilner Kiimpfe; KAYKA, Kleist u. die Romantik p. 120 seg.; RAHMER,Kleist p. 17 4 seg. Il Rahmer non valuta adeguatamente l'importanza del Miiller, del quale mette 2
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l\la per quanto il pensiero del Miiller se ne sia giovato, certo è che sul terreno politico vero e proprio era lui fin da principio il più interessato dei due, cosicchè non è da escludersi che sia stato lui a finir d'attirare entro la sfera della patria il poeta, il quale delle necessità della patria poteva avere già cominciato a rendersi conto 1 ); forse, persino la concezione statale del « Prinz von Homburg » fu ispirata a concetti del Miiller 3 ). La natura sensitiva del l\iiiller non era certamente suscettibile della grande passione patriottica che divampò nel Kleist, ma aveva ricchezza e finezza sufficienti per rispecchiare in sè gli impulsi nazionali che le si andavano destando tutt'intorno e per tentare una teoria della vita nazionale entro lo Stato, la quale costituisse un primo passo verso una nuova vita: un primo passo e perciò un passo non esauriente nè definitivo. La fusione degli interessi d'ordine estetico-artistico e filosofico con quelli d'ordine politico non fu in lui nè casuale nè arbitraria. « Non ho mai voluto ammettere una divisione tra la cosiddetta arte gioconda » scriveva il 6 febbraio 1808 al Gentz 3 ) . Il Rehberg, però, a sua volta non era in grado d'intendere il valore della concezione ideale del Miiller, come del resto non riusciva a render giustizia al Herder col quale accoppiava il Miiller. 2 ) Cfr. le sue parole, in Elementi 1,9: « Cosl, il tempo in cui viviamo è una grande scuola di sapienza politica '>. Le parole di Guglielmo Grimm, 1811, caratterizzano la dubbia impressione fatta « :t strano, ma quel che c'è di dal Miiller sui suoi contemporanei: buono nei suoi scritti mi dà noia, perchè ho il senso che l'abbia tolto a prestito ». STEIG, pag. 526 e il giudizio del Humboldt sul Miiller ivi citato a pag. 296. BRATRANEKpag. 236. ') Per i fondamenti filosofici del Miiller si dovrebbe parlare anche dell'influenza dello Schelling, cfr. WITTICHEN, Briefe 1Jon u. an Gentz 2,347 n. 2; STAHL, Gesch. der Rechtsphilosophie 3• ed., pag. 596; METZGER, op. cit., pag. 260 e 267; FRIEDRICHS, Klaspag. 164 seg. sische Philosophie u. Wirtschaftswissenschaft, L'ipotesi del HELLER, H egel und der nationale Machtstaatsge-
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Se si parla del Burke, prima di lui bisogna ricordare quegli che fu insieme il primo interprete del Burke in Germania e il più grande amico politico e maestro di Adamo Miiller: Federico Gentz. Il Miiller stesso dice 1 ) di andar debitore a lui dell'interessamento per i fenomeni della vita reale, corporea, sociale, per i rapporti mondiali e per lo Stato: in una parola, del superamento della speculazione pura. Il pensiero politico del Gentz è dominato dagli stessi problemi che qui ci affaticano; con sensibilità :finissima egli colse i nessi fra cultura nazionale e Stato nazionale e seppe rappresentarli in maniera palpitante di vita quando, in Inghilterra, li vide realmente dinanzi a sè. Combattè per la vita individuale e per il diritto individuale delle Nazioni e degli Stati, e studiò seriamente il modo come questo diritto particolare dovesse essere limitato a sua volta dal diritto generale della società degli Stati d'Europa. Nei suoi giorni migliori vide nella lotta generale contro la Francia il mezzo per raggiungere
danke in Deutschland, 1921, pag. 139, che il Miiller avesse ~entito già allora l 'in:fluenza del Hegel, attraverso lo Schelling e il Gentz, e che specialmente la sua teoria della nazionalità costituita in Stato considerato come potenza, risalga al Hegel, dovrebbe essere esaminata a fondo. L'influenza del Burke sul Miiller, invece, è stata dimostrata anche più a fondo che non occorresse da FRIEDA BRAUNE, Edmund Burke in, Deutschland, 1917, pag. 182 seg. Non ho creduto opportuno di ricercare - il problema è ancora insoluto - :fino a che punto egli risenta degli autori francesi della contro-rivoluzione, perchè in questi il problema della nazionalità non ha parte importante. Nelle sue lezioni su Federico II, pag. 109, egli loda il Traité sur le ditJorce del Bonald. Negli Scritti Vari 1,312 seg. tratta del Bonald più a lungo, ma dice espressamente d'aver conosciuto la Législation primititJe del Bonald appena nella primavera del 1810. Cfr. anche ScHMITT·DOROTiè, Politische Ro· mantik, pag. 50 seg. 1 Romant. ) WITTICHENop. cit. 2,348. Il lavoro di A. GERHARDT, Elemente in d. Politik u. Staatsanschawu,ng Fr. Gentz', Lipsia, Dissert. 1907, non raggiunge completamente il suo intento.
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la futura grandezza nazionale della Germania 1 ) e, come colui che aveva concepito « progetti atti a liberare il mondo e ad assumere importanza storica», intimamente si -considerava piuttosto cittadino d'una patria universale, in lotta per una sua causa, che servitore d'uno Stato determinato 2 ). Le idee da lui enunciate con tanta intelligenza -ed efficacia rientrano dunque interamente nella linea di cui stiamo tracciando lo sviluppo; ma non vi rientra l'uomo -che stava dietro ad esse. Giustamente è stato osservato -che la sua evoluzione fino a diventare un politico realistico avvenne « con processo ben distinto da quello percorso dalla vita politica tedesca :fino a Bismarck» 3 ). Si può anche aggiungere eh 'era uomo troppo attaccato al .godimento, sicchè anche il contenuto più intimo della sua vita, anche la sua stessa passione politica, egli li godeva più che non li vivesse. Per ripetere, variandola, un 'os.servazione fatta intorno ai suoi rapporti con la religione: aveva più il senso del valore delle idee, che non avesse idee. Perciò a quelle da lui sostenute mancava qualche -cosa che le rendesse omogenee con le idee dei suoi contemporanei; perciò, anche, alla sua lotta per la libertà delle Nazioni mancarono il vero fermento nazionale e la -commozione intima 4 ) • Il Miiller e il Gentz si completavano felicemente l'un 1
1804; WITTICHEN, Briefe 2,251. Ivi, 2,244 (1804). ) 3 F. C. WITTICIIEN, Gentz' Stellung zum deutschen Geistes) leben vor 1806. Histor. Vierteljahrsschrift 14, 35. ") Una strana lettera ad Adamo Miiller, forse della fine del 1809, nella quale lingua e nazionalità son dette « veri ed unici limiti dei vari territori statali » ha suscitato qualche dubbio di natura critica, perchè non c'è rimasta nell'originale. Cfr. WITTICHEN, Lettere 2, 418. A lui si oppone il DOMBROWSKY, ÀUS einer Biographie A. Mullers, Gottingen, Dissertaz., 1911, pag. 58 seg., adducendo interessanti ragioni per sostenerne l'autenticità. Ma, anche se la lettera è autentica, non può trattarsi d'opinione profondamente radicata nel Gentz. )
2
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1~altro, in quanto l'uno aveva sempre ciò che all'altro, pure apprezzandolo, mancava. L'uno era spinto dalla sua natura a un 'intuizione ideale della realtà, l'altro a un 'intuizione reale. Ma le idee che il Miiller avrebbe potuto togliere dal Gentz non erano che il riflesso della più splendida luce eh 'emanava dal Burke; e a lui il l\liiller arrivò subito direttamente. Le considerazioni del Burke intorno alla Rivoluzione francese furono per lui una rivelazione. Lo chiamò l 'ultimo dei profeti disceso in questo nostro mondo senza fede 1 ). In lui, esclamò trionfalmente 2 ), e 'è vita pratica, e' è spirito e teoria, in lui l' uomo di Stato e il teorico della politica appaiono riuniti in una persona sola. « Non è possibile distillare le sue opere; non è possihile ricavarne dei concetti da conservare in ampolle sigillate .... E nemmeno è possibile impararne delle abilità pratiche. l\[a quando si sia compreso il caso storico reale di cui parla, se n'è inteso anche lo spirito; quando si sia compresa l'idea che lo muove, la si vede espressa anche nella vita reale, ed espressa con forza e con precisione». L'influenza del Burke non fu così profonda soltanto su Adamo Miiller; non solo egli porse le armi spirituali più potenti agli avversari della Rivoluzione, ma, ciò che più importa, diede il primo colpo decisivo alle concezioni dello Stato basate sul diritto naturale, state care al secolo XVIII, men tre all'insieme delle idee intorno allo Stato aggiunse elementi che non se ne sarebbero potuti scindere mai più. Fu lui ad insegnare una valutazione più profonda, una migliore intelligenza degli elementi irrazionali nella vita degli Stati: la forza
Ueber Konig Friedrich II, 1810, p. 52. ) Elemente 1, 26; altri passi sul Burke nella « Teoria dei contrari », 1804, p. XII seg., nelle « Lezioni di scienza e letteratura tedesca> 2• ed. 1807, p. 27 e 149, negli e Elementi> 1,86 e negli « Scritti vari > 1812, 1,120 e 252. 1
2
)
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della tradizione, del costume, dell' istinto, dei sentimenti, degli stimoli. Non si può dire senz' altro eh' egli abbia scoperto tutto ciò, perchè ogni politico realistico degli ultimi secoli, dal l\.Iachiavelli in poi, ne ha avuto conoscenza e ne ha fatto uso; ma per il pratico quegli elementi non erano se non la constatata debolezza degli uomini, che, a seconda dei casi, si poteva sfruttare o compatire, per il teorico raziocinante erano stati fino allora poco più che un pudendum. Quando un pensatore era costretto ad ammetterli, li attribuiva con rassegnazione al vero e proprio ideale della ragione: così il Montesquieu, così, secondo abbiamo veduto, Guglielmo von Humboldt. Se non che a questa concezione storica puramente negativa 1 ) alla quale erano giunti già i più acuti, quasi vorremmo dire i più illuminati fra gli Illuministi del secolo XVIII, mancava la vera e propria gioia della storia, un 'intima relazione sentimentale che li legasse a quella. Solo chi ha saputo godere di questa gioia, di quest'intima relazione, ha scoperto i veri valori della storia. Nel campo delle istituzioni statali e sociali fu forse il Moser a scoprire la nuova fonte di gioia; ma quanto a profondità d'intelligenza politica e a vastità d 'effetti lo superò il Burke, che potè giovarsi degli insegnamenti della storia contemporanea, del crollo della ragion pura in Francia. Egli imparò così a riconoscere la superiore finalità di molte cose che fino allora gli erano apparse indice di debolezza o di antirazionalità e a discoprire il nocciolo della saggezza entro la scorza del pregiudizio; imparò a rispettare e persino ad amare tutto il complesso groviglio delle menti cresciute allo stato naturale e semiselvaggio, che appare, visibile ed invisibile, non meno nell'esistenza privata dei singoli che in quella La felice espressione « tendenza negativamente storica> è REros, Zur Staatslehre der historischen Schule in Hist. Ztschr. 107, 500. 1
di
)
GUNNAR
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13]
della società e dello Stato e costituisce per tutti ugualmente un gradito riparo e un sostegno occulto. Purchè l 'occhio sapesse coglierlo, si poteva scorgere dappertutto, nel mondo grande come nel piccolo, tutto il corteo « delle preziose idee secondarie, comprese dal cuore e approvate persino dalla ragione, che ne ha bisogno per riempire con ~sse le lacune della nostra natura debole e nuda > 1 ). Così, in grazia del Burke, una nuova, calda luce veniva a cadere su tutto un mondo di fatti fino allora sfuggiti all'attenzione o spregiati. La vita sociale e politica appariva molto più complicata, ma anche molto più ricca e, per la sua ricchezza, più bella di prima, quando s'era abituati a riassumerla in alcuni pochi concetti. « La natura dell'uomo è complicata », dice il Burke, « gli oggetti della vita sociale sono infinitamente complessi »2 ). Il primo effetto di questa nuova verità acquisita fu, per il Burke come per il suo discepolo Adamo Miiller, un rispetto profondo per la riposta saviezza di ciò che le generazioni viventi avevano raccolto come eredità del passato e quindi una profonda sfiducia verso la saggezza di coloro che volevano tagliare i legami col passato. Di fronte al nuovo diritto positivo, il diritto naturale e razionale passava nel1'ombra, mentre quello era elevato al rango d'un vero diritto di natura. « Senza timore possiamo negare 3 ) qualunque forma di diritto naturale esistita al di fuori o al di sopra o prima del diritto positivo; e possiamo riconoscere come naturale qualunque diritto positivo, poichè tutte le innumerevoli fonti del diritto positivo, esistono in natura». Un secondo effetto del nuovo modo d'intendere la natura complessa e variamente radicata dello Stato fu il nuovo modo di considerare i rapporti tra sfera pubblica 1)
BURKE,
Betrachtungen
l, 108.
') I vi, 1, 84. 3 ) Elemente 1.,75.
trad. dal Gentz, nuova ed. 1794,
132
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e sfera privata. Non importava più eh 'esse fossero nettamente, rigidamente distinte a norma del loro diverso concetto e della diversa finalità: si sentiva in ambedue la ripercussione d'uno stesso spirito, che non era soltanto del1'oggi, che collegava i vivi tra loro e con quelli eh 'erano vissuti prima di loro, che si esprimeva nei minimi come nei massimi beni della vita. In tal modo il Burke insegnava a concepire lo Stato non come un 'unione finalistica, nè, in genere, come un 'istituzione puramente razionale, ma come una comunità di vita che supera di molto la misura d'una singola generazione. « Sarebbe delittuoso considerare l'aggregato statale come una qualsiasi società commerciale, che si tiene in vita finchè se ne ha piacere e si fa cessare quando non se ne vede più l'utilità: uno Stato è un 'unione di tutt'altra natura e tutt'altra importanza .... È una comunanza in tutto ciò che è degno d'essere saputo, in tutto ciò che è bello, in tutto ciò che v 'ha nell'uomo di stimabile, di buono, di divino > 1 ). Quanto il Mi.iller debba al Burke risulta dalla definizione che quegli dà dello Stato 2 ) : « Lo Stato non è una fabbrica, una latteria, una società commerciale o un istituto d'assicurazioni; esso è l'insieme - grande, energico, infinitamente mosso e vivo - di tutti i bisogni, di tutte le ricchezze fisiche e spirituali, di tutta la vita intima ed esteriore d'una nazione». « Lo Stato è un 'alleanza delle generazioni precedenti con le seguenti e viceversa» 3 ). Con coscienza anche più chiara del Burke egli eliminò pure la divisione tra vita privata e vita pubblica: fino a quando lo Stato ed i cittadini seguiteranno ad essere servi di due diversi padroni, egli dice, anche i cuori saranno intimamente divisi 4 ). Bisogna arrivare al punto che « la vita 1 2
) )
Betrachtungen, 1, 139 seg. Elemente 1, 51; definizione consimile in Vermischte Bchrif-
ten, 1, 221. ') Elemente 1,84. 4 ) Ueber Friedrich II, p. 37.
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privata non sia altro che vita nazionale considerata dal basso all'alto e la vita pubblica sia a sua volta nient 'al .. tro che la stessa vita nazionale guardata dall'alto al basso» 1 ). Come siamo già lontani dalle idee del Humboldt intorno al 1790 ! Allora, supremazia dell'individuo di fronte allo Stato e alla Nazione o, secondo un più recente punto di vista, la Nazione considerata come mezzo d'educazione per l'individuo e interessante in grazia dei suoi rapporti con quello; ora invece, nel l\Hiller, l'esistenza individuale non è più che una parte, un elemento d'un tutto grande e possente, composto di passato e di presente, dentro il quale l'esistenza individuale e il presente trovano il loro limite nel sovraindividuale e nel passato. Secondo questa definizione l'uomo è « un essere dalle molte braccia, per mille lati concresciuto con la natura, legato al passato e all'avvenire da mille fili fisici e morali » 2 ). Quanto al popolo, esso è « la superiore comunità d'una lunga serie di generazioni passate, viventi e future, riunite tutte in una grande, intima lega per la vita e per la morte » 3 ). Egli si sente incatenato ed esaltato dallo spettacolo di queste secolari unità di vita, del lungo alternarsi dei rapporti tra varie generazioni, i quali fan sì che secondo lui ogni uomo debba agire col presupposto di non essere egli solo ad agire, ma d'aver compagna nell'azione tutta la natura che lo circonda. Oltre all'influenza del Burke si sente sempre più chiara quella delle idee del primo Romanticismo. Il Burke gli insegnò soprattutto la comprensione dei legami che durano attraverso i secoli, delle catene ehe uniscono genera~ione a generazione; il primo Romanticismo gli insegnò l'infinita mobilità di tutte le cose, l'esistenza di forze 1
)
2
)
1)
Op. cit. p. 45. Vermischte Bchriften 1, 145. Elemente 1, 204.
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coagenti entro di esse, l'individualità d'ognuna di queste forze. Non è possibile scindere esattamente le due influenze, tanto più che forse lo stesso Romanticismo, nella sua prima fase, aveva risentito in qualche modo l 'influenza del Burke. Anche il Novalis, come abbiamo visto, aveva voluto ricostituire la perduta continuità col ì\iledioevo e aveva già esaltato lo Stato come « armatura dell'intera attività del1 'uomo». Ora si poteva imparare anche dal Burke quello eh 'era stato il pensiero dominante del primo Romanticismo : che -l'individualità, nella sua essenza, non è limitata all'individuo umano, ma che la si trova dappertutto, nella storia e nella natura. « Furono il Burke ed alcuni Tedeschi, dice il Miiller 1 ), ad intuire il segreto della personalità dei possessori, delle leggi degli uomini, degli Stati, di tutta la natura. l\Ia qui si nota già~ nel l\lliller, una notevole divergenza dalle idee del primo Romanticismo. Nel Novalis, nonostante tutta la sua devozione per i nessi che collegano il Tutto, si vede ancora balenare la sovranità dell'individuo, che fu l'idea per la quale il primo Romanticismo si riconnettè all' idealismo cìassico; nel Miiller, invece, lo splendore di quella sovranità va impallidendo e l'individualità delle forze sovraindividuali - ci si passi l'espressione - ha già avuto vittoria sull'individuo, il quale ha perduto la propria sovranità in causa delle forze storiche della vita, dalle quali è circondato. Perciò la distanza fra il Miiller e il Fichte è maggiore di quella che separava il Fichte dal primo Romanticismo, e perciò anche l 'infl.uenza che secondo noi il Fichte esercitò sul Miiller non può essere stata fondamentale. Si può, tuttavia, riconoscerla in alcuni tratti caratteristici.
Vermischte Schriften, 1, 20. Cfr. anche, per il Novalis, la ) < Teoria del contrapposto> p. 27 e 77 e le « Lezioni di Scienza e Letteratura tedesca:,, p. 73. 1
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In fondo, in tutto questo periodo e 'è un urgere di spiriti diversi che muovevano da diversi punti d'origine e tutti si affollavano verso un punto, in cui le varie vie dovevano finire per incontrarsi in un groviglio, in parte inestricabile; e tutti questi spiriti erano animati dal bisogno uno dei loro bisogni fondamentali - d'unire sfere di vita diverse, fino allora state divise. Secondo il Miiller si trattava in prima linea delle scienze, che non dovevano più rimanere appartate dalla comunità della vita statale e nazionale : egli voleva dimostrare che « non appena esse escono dalla comunanza con lo Stato e vogliono significare qualcosa e dominare per se stesse, 1~ scienze intristiscono e periscono, perdendo tutta la vitalità eh 'è loro necessaria, l'intimità, la forza». Nessuna scienza può sussistere, secondo lui, se non ha ;radici nella vita sociale 1 ). Questa concezione del rapporto tra scienza, Stato e società, era ancora abbastanza nuovo nella Germania d 'allora. Già nel secolo XVIII la vita statale aveva avuto l 'assistenza scientifica di dotti giuristi e Cameralisti, ma si trattava sempre d'una specie di squadra di soccorso staccata dal Centro delle scienze. Quanto alle scienze nuove, sorte in seguito al risveglio della vita spirituale, nel loro progresso esse s'erano staccate dallo Stato più che non gli si fossero avvicinate. Le cose cambiarono al principio del secolo XIX, un po' per effetto dei grandi avvenimenti di quell' epoca, un po' per necessità immanenti nelle scienze stesse o, per essere più esatti, negli uomini che per esse vivevano. Perciò, poco avanti Adamo Miiller, il Fichte aveva potuto dire: « Il fatto che si viva nelle sfere più alte del pensiero non esime dall'obbligo generale di capire il proprio tempo. Ogni cosa più alta deve cercare, a suo modo, un addentellato con la realtà immediata, e chi veramente vive in quella, vive in questa». Quando il Gentz lesse questo passo nei « Discorsi a1la Nazione te1
)
Elemente 1, 63 seg.
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desca » 1 ), notò la concordanza del pensiero del Fichte con quello del suo amico Adam0 Miiller: « Convien proprio che, nelle più intime profondità dell'umanità, ogni cosa finisca per portare ad un unico risultato; altrimenti, come sarebbe possibile che due mentalità tanto diverse come la Sua e quella del Fichte si trovassero d'accordo perfino in singole asserzioni ed espressioni di valore definitivo 1 » 2 ). l\Ia, a guardar più addentro in questa concordanza, si finisce per scoprirci pure una caratteristica differenza tra i due. Il Fichte voleva strappare anche la scienza dal suo isolamento e condurla alla più stretta comunità con la Nazione e lo Stato. « A che tendono, in ultima analisi, tutti gli sforzi che facciamo occupandoci di scienza, anche della più astrusa 1 »: evidentemente, scopo ultimo della scienza è quello di segnare al momento opportuno l 'indirizzo alla vita generale e a tutto l'ordinamento umano delle cose 3 ); Adamo Miiller, invece, non le poteva accordare una funzione di dominio così incondizionata; nel Fichte scienza e Stato erano, l'una rispetto all'altro, nel rapporto di chi dà rispetto a chi prende; nel Miiller il dare e il prendere stanno così da una parte come dall'altra e formano, in fondo, un 'unità inscindibile. « Scienza e Stato sieno ciò che vogliono essere, purchè sieno tutt'e due una cosa sola, come l'anima e il corpo sono una sola cosa nella medesima vita » 4 ). Anche il Fichte avrebbe potuto
1)
7, 447. ::) 27 giugno 1808. Epistolario, p. 148. Questa concordanza non può riferirsi naturalmente alla citazione riferita più sopra e tolta dagli « Elementi d'arte politica », poichè queste lezioni furono tenute appena nell'inverno 1809. Si riferiscono invece a certe precedenti affermazioni del Mi.iller nelle « Lezioni di scienza e letteratura tedes~a ~, 1807, p. 116 e 136. Intorno ai rapporti del Milller Polit. Romantik, p. 124:. col Fichte cfr. anche Scm,llTT-DOROTIC. 3 ) 7, 453. ") Elemente 1,64.
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dire la stessa cosa, ma in altro significato: in quello, cioè, d'una supremazia incondizionata della scienza 1 ). D'altra parte, la lotta del 1'fiiller contro il « concetto » morto e in favore della ~idea» viva dello Stato, ricorda gli sforzi fatti dal Fichte fin da principio per superare il formalismo dei concetti e additare un legame che unisse l'insieme dello Stato « al di fuori del concetto» 2 ). Anche qui, a dir vero, le vie tornano immediatamente a divergere, a proposito di quel che dovrebbero essere questo legame e quest'anima dello Stato. Nel F'ichte si tratta sempre ancora della pura volontà etica della sua « Dottrina della Scienza» e il fine supremo rimane per lui la libertà, cioè la legge morale che diventa viva, cessando in tal modo d'essere legge. Sarebbe vano cercare nel Miiller un 'idea di libertà che sorgesse con tanta purezza dalle sue più intime profondità: egli riconosce, è vero, anche un 'idea di libertà che deve agire come una grande, inesauribile forza della società 3 ) ma la definisce soltanto come un « desiderio di affermare la propria individualità, di far valere di fronte agli altri le proprie opinioni, il proprio modo d'agire, il proprio indirizzo di vita». Contro quest'idea di libertà, centrifuga, è sempre viva ed attiva la forza centripeta dell'idea del diritto; e per quanto egli dia rilievo alla vivacità e mobilità di quest'idea del diritto, non e 'è dubbio eh 'essa ha in prima linea la funzione di difendere, contro le aspirazioni libertarie degl 'individui, il diritto storico e le forme di vita consacrate dalle generazioni precedenti. Infatti egli è tutto pervaso dal-
1
S' è fondata l' ipotesi del Koepke e del Rahmer (RAIIMER, Kleist, p. 189 e 429) che lo scritto pubblicato anonimo nei Berliner Abendbla.tter sulle Deputazioni scientifiche sia del Miiller, questi avrebbe preteso addirittura una supremazia dello Stato sulla scienza. ::) LASK, p. 250 e 256. Discorsi 7,386. 3) Elemente I, 209. )
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l'idea che in questo lavorìo dei secoli abbia operato fin da principio una ragione occulta, quasi un oscuro istinto del diritto. Nelle sue Lezioni del 1804 « Intorno all'epoca presente», il Fichte aveva divi, il processo di sviluppo dell'umanità in un periodo nel quale l'istinto razionale agisce inconsciamente, un periodo di colpevolezza ed uno di razionalità cosciente. Il romantico Miiller dà importanza soltanto al primo di questi tre periodi, a quello del1'istinto razionale che crea inconsciamente, ma entro di esso s'agita e vive intensamente. L'idea fichtiana dello Stato nazionale era tutta protesa verso l'avvenire, si fondava sulla concezione d'una forma affatto nuova del divenire storico e disprezzava la semplice conservazione delle tradizioni 1 ). Non meno fiducioso del suo ottimismo rivolto al futuro è l'ottimismo del Milller, rivolto al passato; negli anni della Restaurazione esso diventò sempre più forte e finì per condurre al riconoscimento pietistico del fatto avvenuto e alla subordinazione della ragione alla fede 2 ). In quel momento egli intese nettamente quale profondo abisso lo divideva dal Fichte; ma allora, negli anni dopo il 1~07, il suo conservatorismo e il suo storicismo non erano tanto chiusi in sè, eh 'egli non potesse imparare qualche cosa anche da quello e, forse, da farsene pure trasfondere qualche goccia di sangue. Le sue lettere al Gentz 3 ) dimostrano quale impressione gli fecero i « Di1
« Nella conservazione
della costituzione tradizionale, delle leggi, del benessere sociale non c'è vera e propria vita nè energia di deliberazioni originali:, 7,386. 2 al Gentz, 2 maggio 1819 (Epistolario, p. 279), ) Cfr. la lettera in cui polemizza col razionalismo e l'intellettualismo del Fichte: « Chi ha la fede nell'obbedienza, chi crede alle leggi di Dio e ai suoi positivi ordinamenti terreni, non perchè sono ragionevoli ma perchè tutti i secoli gli dicono che vengono da Dio.... quegli è un ortodosso; è un cristiano >. 3) Op. cit. p. 148. )
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scorsi ». « Qual 'è la ragione» dice il Miiller nelle Lezioni su Federico II, tenute a Berlino 1 ) « dell'irresistibile at-~ trazione esercitata dal Fichte sui suoi discepoli 1 Non certamente l'omogeneità della materia o il valore oggettivo delle sue teorie: è, invece, quel suo stato d'animo militare che non l'abbandona mai, quell'autodifesa che lo spinge fin là dove nessuno lo può raggiungere ed anche più oltre>. Ciò che impressionava il Miiller e rendeva possibile lo strano contatto fra due mondi spirituali sotto ogni altro riguardo ostili l'uno all'altro 2 ), era il fatto che nel Fichte ogni cosa eh 'egli avesse pensata si trasformava in vita, energia e movimento. Il grande merito del Fichte era stato d'aver potenziato il razionalismo trasformandolo in dinamismo e d'aver calato il dinamismo della ragione e della libera volontà morale entro lo Stato, non per trasformarlo e conquistarlo, ma per riempirlo d'un 'intima vitalità che fino allora non aveva mai avuto. Di tutt'altra natura, ma pieno anch'esso d'intima vitalità, è il dinamismo della vita statale e sociale che vuole insegnarci il Miiller; la vita crea vita: ecco perchè osiamo supporre che nel quadro di vita statale e nazionale, pieno d'energia e di movimento, che il Miiller aveva dinanzi agli occhi, qualche tratto energico derivasse dall'ideale statale clel Fichte. Quel suo ideale ci è parso già fuori della storia e al di sopra dell'esperienza; lo Stato del Miiller, al contrario, storicamente concreto. Ma il contrapposto non è così semplice. Il Pichte, insegnando la possibilità dello sviluppo e dell'ascensione dello Stato per opera della ragione e della forza morale, appartiene alla schiera di coloro che, movendo da un punto di partenza etico-razionalistico, ave-
P. 317. Già nel 1801 (Berliner Monatsschrift, dicembre 1801; cfr. Vermischte Schriften, 1, 324) il Miiller aveva polemizzato contro lo Stato commerciale chiuso del Fichte. 1
)
2)
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vano aperto la via all'idea moderna del progresso. Adamo Mi.iller, invece, non conosce nella vita statale nè idee etiche nè idee moderne e storiche di progresso; in sostanza, a prescindere da alcuni giudizi liberi e arieggianti a certa modernità, non conosce altro che il rigido contrapposto, il dualismo tra vita statale pura e vita degenerata, organica e naturale o meccanica e artificiale: la quale ultima non è più per lui vita reale, ma solo apparenza di vita, mentre, nonostante la violenza contraria dell'arte statale, la natura delle cose seguita ad operare nel fondo. Ma questa contrapposizione dualistica della vita statale vera alla vita falsa, non ci ricorda di nuovo il Fichte, con tutte le sue aspre contrapposizioni fra cose originarie e cose degenerate, fra storia antica e storia nuova, tra esistenza vera ed esistenza apparente 1 Tanto il romantico ~Ifiller quanto il Fichte scolaro dell'illuminismo stanno sulla soglia fra il secolo XVIII e il XIX, tra il pensiero storico e l'assoluto, ambedue seguitano a fare una netta divisione dualistica dei fenomeni della vita statale, ambedue seguitano a non poter penetrare con intelligenza storica nello spirito di quei fenomeni storici che riescono loro antipatici. Quanto al :Miiller, mettendo, in genere, le energie storiche in contrapposto al razionalismo antistorico, egli misconosce la forza storica che c'era anche in questo: così il suo pensiero storico incomincia con un atto altamente antistorico. Abbiamo visto che nemmeno il Novalis e lo Schlegel avevano proceduto diversamente. Per essi la vita storica, che s'era loro appena dischiusa, era una musica piena d'energia e d'armonia, cui s'abbandonavano ma della quale volevano godere soltanto le armonie, non le dissonanze. Era già un atteggiamento fecondo; e la concezione romantica dell'infinita ricchezza d'individualità che c'è nel mondo doveva aprire col tempo la via al realismo storico-politico del secolo XIX e finir per superare il concetto di Stato normale e Stato ideale, vivo ancora in teste romantiche e non romantiche. Infatti il principio dell 'in-
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dividualità, trasferito allo Stato, portava appunto a vedere in ogni Stato singolo una personalità che bisognava intendere studiando il suolo da cui era sorta e le intime leggi da cui era retta; e il primo passo per arrivarvi portava a considerare lo Stato come un 'individualità, come un 'unità chiusa, viva, caratteristica. Abbiamo visto che il primo a mettersi per questa via fu il Novalis; dobbiamo esaminare ora le imp~rtanti idee del Miiller sullo stesso argomento. Egli affronta l'argomento fin dal principio del suo libro sull'arte dello Stato 1 ) e rimprovera alla teoria di Adamo Smith di tenere troppo poco conto « della personalità chiusa degli Stati, del loro carattere ben definito ». « Se si considera lo Stato» continua poi 2 ) « come un grande individuo che comprenda gl 'individui minori, si vede che la società umana, nel suo insieme, non può essere immaginata altrimenti che come un uomo completo: -così no~ si penserà mai di sottoporre ad una speculazione arbitraria le intime caratteristiche essenziali dello Stato, la forma della sua costituzione». E altrove dice 3 ) : « lo Stato non è un giocattolo od uno strumento in mano d'una persona - d'un Federico -, ma è esso stesso una persona, un Tutto libero, che vive e cresce in forza dell 'in:fluenza reciproca eh 'esercitano l'una sull'altra idee ora cozzanti ora accordantisi». Questa specie di personalità dello Stato è ben diversa da quella cui avevano già pensato alcuni singoli pensatori seguaci del diritto nazionale, quando si costruivano una personalità giuridica o morale dello Stato o del Popolo f) : essa è una cosa viva, traboc-cante di vitalità e di spirito in tutte le sue membra e nelle Elemente 1,18. ) 1,256. ') Vermischte Schriften 1,221. 4 Cfr. GIERKE, Althusws, 2• ed., p. 158 seg. e 189 seg.; ) E. KAUFMANN, Ueber den Begriff dea Organiamus in der Sta11,ta.lehre dea XIX Jhdta, 1908, p. 5. 1
2
)
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sue funzioni, una cosa che si collega con l'universo intero, tutto compenetrato di personalità. Per essa tutto acquista vita entro lo Stato: leggi, istituzioni, cose: ecco il grande « segreto della personalità dei possessori, delle leggi, degli uomini, degli Stati, della natura tutta > 1 ). Il }Iiiller trasse le più importanti conseguenze da quest'animazione, da questa vera personificazione della vita politica, da questa trasformazione di tutti i concetti e le categorie politiche in energie concrete. Prima di tutto ne dedusse un concetto nuovo e più profondo delle relazioni :fra gli Stati e delle loro lotte: le idee di diritto dei popoli e d'equilibrio, come erano usate comunemente, erano per lui troppo formali ed estrinseche, troppo « concetti morti >, per dare il giusto senso della realtà. La parola equilibrio poteva essere ammessa soltanto se per esso s 'intendeva « un crescere parallelo degli Stati, un 'azione esercitata dall'uno sull'altro per accrescersi ed innalzarsi» 2 ). Se gli Stati vengono a cozzo fra loro, « la loro contesa giuridica è troppo grande perchè un singolo uomo ne possa giudicare: come' potrebbe, infatti, un uomo singolo penetrare con piena comprensione la vita di queste possenti individualità? ». Ma, appunto perchè individui, essi cozzano l'uno contro l'altro. « Tutti questi Stati che noi abbiamo immaginato come grandi uomini, umani nella struttura del corpo, nei sentimenti, nel pensiero, nei movimenti, nella vita, debbono essere indipendenti e liberi come l'individuo entro il singolo Stato .... debbono crescere e vivere ed entrare in contatto ed imporsi a vicenda, conservando le loro caratteristiche forme e maniere nazionali» 3 ). E, scontrandosi fra loro, a loro volta si sviluppano anche essi stessi.
Vermischte Schriften, 2) Elemente I, 283. 3 J Elemente 283 e 285. 1)
1,120.
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H3
Anche la guerra s'illumina, così, d'una luce speciale. Essa rientra nella natura dello Stato, è la grande scuola di carattere, la grande forgiatrice delle particolarità dello Stato. È la guerra che « dà agli Stati i loro confini, la saldezza, l'individualità, la personalità> 1 ). E anche le lotte politiche fra gli Stati andavano giudicate con unità di misura diversa da quella che s'era ormai abituato ad applicarvi il pubblico moralizzante: « non era più la volontà dei Gabinetti a determinare lo scoppio delle guerre, non era l'ambizione dei regnanti, secondo poteva credere il popolino fiacco e degenere; erano ragioni sempre più profonde, determinate dall'insieme non arbitrario dei rapporti fra i vari Stati. Il vero movente delle guerre intraprese negli ultimi secoli dai singoli Stati per l 'ingrandimento dei loro confini era stato un intimo bisogno di vita e d'accrescimento, trasmesso dalle generazioni precedenti e ignoto ancora all'attuale> 2 ). Lo Stato come individualità storicamente divenuta, la costanza e continuità della sua essenza e della sua vita, superiori alla breve durata d'un' esistenza individuale, le lotte fra gli Stati per ragioni d'interesse o di potenza, considerate, con nuova valutazione, come funzioni vitali nate da necessità interiori, in una parola una motivazione e valutazione della grande politica, più profonda della precedente: tutto ciò ha già il sentore delle idee del Ranke. Nel Ranke sono più chiare e trasparenti, meglio fondate nell'esperienza, più propriamente scientifiche nella forma; ma l'origine romantica di alcuni tra i capisaldi del suo pensiero risulta chiara fin d'ora e non è impossibile eh 'egli abbia
1)
3, 6; cfr. anche 1, 15 e 107. ') Elemente l, 287 seg., I, 107. Erroneo è dunque il giudizio del Dombrowsky: « Alla politica dei gabinetti. ... egli contrapponeva la concezione filosofica ecc. Ad. MiUler, die historische Weltanscholutungu. die polit. Romantik in Ztschr. f. d. ~esamte Staatswis• senschaft 1909, p. 389.
1H:
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sentito l'influenza d'Adamo Miiller più fortemente che finora non si sia creduto 1 ). Ma tutte queste feconde idee del l\liiller culminano in quella, che il vero principio vitale degli Stati è la « nazionalità>. Allora la parola era giovane 2 ) e non aveva ancora quel significato costante ed univoco eh 'ebbe più tardi, di modo che, se si voleva darle un significato particolare, occorreva prima fissarlo bene. Il Miiller lo fissò.
1
che una volta nell 'Episto) Il nome del Miiller non torna lario scelto del Ranke: Zur eigenen Lebensgeschichte, p. 173, 1827, in questione affatto personale. 2 Cfr. F. I. NEUMANN, Volk u. Nation, 1888, p .. 152 seg. e ) KIRCIIHOFF, Zur Verstandigung ·ii.berdie Eegriffe Natio'n, u. Nationalitiit, 1905, p. 59 seg. Questi scrive giustamente che « la parola 11.azionalitd non pare risalga più addietro del principio del se-eolo XIX ». Nelle ricerche fatte per questi miei Studi l' ho tro-vata adoperata la prima volta dal Novalis nel 1798 (Athenaum I, 1, 87; Opere ed. Heilborn 2, 15): ecc. ecc. 2 ) Memoriale dell'agosto 1813, t 27, ScHMIDT, p. 65. 1)
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e celebrava, in suo confronto, il divenire storico o, per essere più esatti, il divenuto, come base della vita statale. Qui lo Stein è razionalista e romantico, propugnatore insieme dell'intervento attivo e del già divenuto. La terza e più profonda radice del suo pensiero è stata già felicemente messa in rilievo dal Lehmann 1 ). « Qui tocchiamo » egli scrive « il più grande errore della sua argomentazione, eh 'è però anche il più umano e perdonabile: egli credeva che ogni Tedesco portasse nel cuore un po' di quell'amor di patria che animava lui e i suoi collaboratori. Qui l'idea nazionale appare quindi nella sua forma più intima, come forza morale e come fede nella sua forza anche per tutta la vita del popolo; ma è inviluppata e concresciuta con altre idee che le impediscono di diventare veramente politica, di congiungersi con il fatto e di tradursi quindi nella realtà dello Stato nazionale autonomo ». Si potrebbe continuare l'analisi; e in special modo si potrebbe dimostrare come anche le sue strane idee dell'estate 1814, che contemplavano uno smembramento della lega degli Stati prussiani e di quella degli Stati austriaci, mediante l' assegnazione alla Confederazione germanica delle provincie prussiane a sinistra dell'Elba e delle provincie austriache gravitanti verso la Germania meridionale, erano basate sopra un concetto di Stato che non aveva ancora afferrato completamente la natura dell'individualità statale. Se nei casi esaminati prima ne trascurava l'autonomia, ora ne trascurava l'unità interiore e la integrità. Egli non volle ammettere che lo Stato è in prima linea potenza, ed una potenza che si muove secondo i suoi propri istinti. Egli voleva anche potenza per lo Stato, e sopratutto per il sognato Stato nazionale tedesco, ma compito principale di questa potenza era per lui la difesa contro il nemico ereditario, la Francia, e la tutela della libertà interna. 1)
3, 44}.
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Per quanto vediamo, non. adopera, parlando della Francia, il termine « nemico ereditario », ma la chiama «l'eterno, instancabile, fiero nemico » 1 ). Nella parola « nemico ereditario» si esprime un sentimento nazionale più nativistico. Anche lo Stein aveva in sè non poco di un sentimento di tal fatta e lo nutriva con i ricordi storici dell'ultimo secolo; ma il suo concetto di « nemico eterno » passa anche nel campo morale e fa assurgere l'antagonismo nazionale ad antagonismo universale, a quel dualismo fra il principio del bene e quello del male, che già conosciamo. Per opera della Francia anche il male è penetrato, secondo lui, in Germania: « Si segua la storia dell'amministrazione dello Stato in Baviera, nel Wiirttemberg, in Vestfalia, e ci si accorgerà come la smania del nuovo, il pazzo orgoglio, la prodigalità senza limiti e la sensualità bestiale, sieno riuscite a distruggere ogni forma di felicità dei miseri abitanti di questi paesi, una volta così fiorenti» 2 ). La costituzione tedesca, egli pensa, deve riedificare la muraglia che un tempo difendeva la Germania. Così i compiti esterni ed interni della Germania stanno in stretto nesso fra loro. Per lui la costituzione tedesca è, verso l' esterno, una muraglia atta a proteggere l'indipendenza esterna, non soltanto nazionale ma anche universale, e verso l'interno è un muro di protezione contro il despotismo dei Principi, destato dalla Francia; e la Germania è, nel contempo, una Marca di confine per l'Europa ed una provincia nell'impero della libertà morale. Questa supremazia del pensiero etico su quello politico e realistico è stata rilevata dal suo biografo Max Lehmann con intima simpatia, talvolta con un pathos un po' eccessivo, ma non senza la necessaria critica. « L' insieme gli pareva» così egli scrive, ad esempio, par1
)
2
)
Memoria dell'agosto loc. cit.
1813, ScHMIDT, p. 59.
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lando della concezione che lo Stein ebbe del Congresso di Vienna « non una gara per la conquista del predominio, ma una lotta tra il bene ed il male » 1 ). Nè gli è sfuggito quel che e 'è di cosmopolitico nello Stein. Lo chiama « figlio d'un 'epoca che' viveva nelle idee d 'umanità », « combattente di un 'età che aveva insegnato ai popoli a tenersi uniti» 2 ). L'opposizione dello Stein ai progetti polacchi dello Zar, la fa derivare giustamente meno da un sentimento specifico prussiano-germanico che da « considerazioni di carattere universale». « Le Potenze occidentali dovevano trovarsi unite nella lotta contro qualsiasi Monarchia universale, l' esigenza di tener fermo ai principi dell' equilibrio fu da lui posta anche alla Prussia» 8 ). In realtà, l'antico concetto del1'equilibrio europeo, diventato troppo spesso un luogo comune, rinasceva nello Stein, sviluppando in tutta la sua purezza il seme etico-cosmopolitico che vi si nascondeva. E la nostra asserzione, che l'elemento etico ed il cosmopolitico si fondevano nello Stein con I 'elemento nazionale, è convalidata anche dal Lehmann, dove ne caratterizza le idee come « etico-religiose, di tendenza mezzo nazionale e mezzo universale » 4 ) • Così nel nostro tentativo riteniamo di percorrere una via eh 'egli stesso ha segnato, ma su cui non ha saputo spingersi abbastanza lontano. Infatti, nella sua concezione e 'è ancora una lacuna, per non dire una contraddizione, tra lo Stein precursore dell'idea di Stato nazionale e lo Stein precursore dell'equilibrio universale: egli fu l'uno e l'altro, ma non in modo che le due funzioni aderissero perfettamente, bensì in modo che la sua idea di Nazione, di Stato nazio-:nale, fu spesso indirizzata e quasi inavvertitamente limitata dal pensiero cosmopolitico. 1
3, 3, ') 3, 4 ) 3,
2
)
)
447. 484. 423, seg. 374; cfr. 2, 81.
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••• Chi dallo Stein e dal Gneisenau passi a Guglielmo von H umboldt, e ripeta anche a questo le domande fatte a quelli, si aspetterà forse di ritrovare in lui, ancora più sviluppato, l'elemento cosmopolitico. Lo Stein e il Gneisenau erano cresciuti al servizio dello Stato e dell'esercito prussiano, il H umboldt nel mondo della poesia e dP-lla :filosofia classiche e nella protesta contro la smania d 'espansione dello Stato, egli che, come abbiamo veduto, concepiva anche il fatto nazionale in senso puramente umano. Si dovrebbe credere che sua prima cura, come uomo di Stato, dovesse essere quella di imporre alla Prussia, nazionalmente rigenerata, e alla Germania, dei comandamenti universali e di limitare il diritto d 'autodeterminazione dello Stato e della Nazione politicamente unita. Per contro, esaminando le sue idee degli anni 1813-1816 sulla Costituzione tedesca, veniamo al sorprendente risultato che in questi anni egli si è avvicinato molto più dello Stein all'idea dello Stato nazionale autonomo. Abbiamo veduto che lo Stein istintivamente limitava il compito della politica estera dello Stato germanico alla difesa contro « l'eterno nemico », la Francia, e che questo compito della Germania gli pareva al tempo stesso una funzione universale, dividendo egli l'Europa in una zona della libertà e in una della non libertà. Ed appunto perchè il suo pensiero, involontariamente, era universale, si potrebbe anzi dire lungiveggente, esso vedeva poco lontano nelle questioni di politica dello Stato germanico; questa miopia è riconosciuta dal Humboldt. Senza dirlo espressamente, egli polemizza con lo Stein, quando scrive nella sua Memoria del dicembre 1813, a lui diretta 1 ) : «Quandosi parla della condizione avvenire 1
)
Gesammelte Schriften
XI, 96; Scm,noT, p. 104.
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della Germania, non si deve limitarsi al ristretto punto di vista che vuole assicurare la Germania contro la Fran-cia. Se anche l'autonomia della Germania è minacciata .effettivamente soltanto da questo lato, un concetto così unilaterale non può mai servire di norma per porre le basi d'una condizione benefica e duratura per una grande Nazione. La Germania dev'essere libera e forte, non .soltanto per potersi difendere contro questo o quel vicino, .e addirittura contro qualsiasi nemico, ma perchè soltanto una Nazione forte anche all'esterno conserva in sè lo spirito dal quale affluiscono anche all'interno tutte le benedizioni; dev'essere libera e forte per potere, anche se non sarà mai sottoposta a dure prove, nutrire quella -coscienza di sè che le è necessaria per seguire tranquilla € indisturbata il proprio sviluppo nazionale e conservare -durevolmente il posto assunto in mezzo alle Nazioni euro.pee, con beneficio di_ esse ». È questo uno dei più elevati concetti politici che sieno stati espressi, non soltanto dal Humboldt, ma da tutta quell' età; uno di quei concetti che, stando al limite fra due epoche, lasciano ancora visibile il cammino che ha condotto dal passato fino a quell'altezza, ma nel tempo stesso fanno spaziare lo sguardo sul1' aperta ed ampia veduta dell' avvenire. Il compito universale della Germania in mezzo alle Nazioni europee non è dimenticato, ma non ne impedisce più, come avveniva nello Stein, la libertà dei movimenti politici; e questa libertà di movimenti e questa autodeterminazione non servono - soltanto, come nella politica a.utonoma dell'assolutismo, ad un accrescimento di potenza, ma la potenza è posta - più in ~lto - al servizio -dello spirito; e lo spirito, come qui è inteso, non è più puramente individualistico, ma è connesso con tutta la vita della Nazione. Potenza e spirito, individuo, Nazione ·e umanità, politica e coltura: gli elementi che in quegli anni si agitavano così fortemente nelle teste degli uomini
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e per conseguenza erano esposti a cos.ì forti squilibri, stanno qui sui due piatti della bilancia in un equilibrio ideale. Non si può dire senz'altro che il Humboldt vedesse già lo Stato e lo Stato nazionale nella loro figura esatta, in quella loro pura autarchia ed autonomia, in quell 'incondizionata estrinsecazione dei loro immanenti istinti di potenza, in cui li videro più tardi il Ranke e, più ancora,. Bismarck. Intorno ad essi c'è ancora un velo leggero, ma resistente, fatto di postulati etico.sp!rituali, il quale però, in questa formulazione del concetto, non fa violenza alla natura dello Stato e della potenza; la nobilita, non la vincola. Per tal modo il Humboldt penetrò più profondamente dello Stein nell'essenza dello Stato nazionale come potenza, quantunque lo Stato come tale gli stesse meno a cuore che all'altro, anzi forse appunto per questo. Chi sta a guardare vede sovente, in uno stesso oggetto, più lontano che non veda chi desidera e agisce. Ma il Humboldt guardava ora al destino politico della Nazione tedesca anche con una forte partecipazione sentimentale,. ed anche questa simpatia intima, esente però da passione, contribuiva ad acuire la sua comprensione della cosa. Il suo primo e durevole amore era rivolto all'individuo; ma poi, già nell'ultimo decennio del secolo XVIII, vide la Nazione elevarsi al disopra dell'individuo e sempre meglio imparò a sentire il nesso originario e naturale fra l'una e l'altro. « Nel modo come la natura» egli scrive nella 1\1:emoriagià citata « unisce gli individui e divide l'umanità in nazioni, c'è un mezzo profondo e misterioso per mantenere sulla giusta via d'uno sviluppo proporzionale e progressivo della forza, il singolo, il quale per sè non è nulla, e la razza, che ha valore soltanto nei singoli ». Ed ora azzardiamo l'ipotesi che il Humboldt abbia potuto ammettere e propugnare la spontaneità e l'autonomia della nazione politicamente unita, anche per il fatto che un tempo aveva sentito e chiesto tali prerogative per
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l 'individu9. Donde provengono, del resto, la nostra mentalità storico-politica, il nostro senso per l'individualità anche delle associazioni umane superiori all'individuo f Essenzialmente da un individualismo che, nel corso d'un lavoro secolare, ha approfondito sempre più il suo concetto, originariamente superficiale, della natura dell 'individuo, fino ad arrivare alle radici di esso e quindi ai rapporti che corrono fra la vita del singolo e la vita delle associazioni superiori in cui è ordinata l'umanità. Individualità, spontaneità, istintivo bisogno dell 'autodeterminazione, estensione del potere in ogni senso e quindi anche nello Stato e nella Nazione. « Le nazioni», dice ancora il Humboldt, « hanno, come gli individui, le loro direttive, che nessuna politica può mutare ». Quest'era, anche, una protesta contro il razionalismo che, a quanto abbiamo veduto, sopravvivtva ancora nello Stcin e perfino nel Gneisenau, e che, con la sua attività artificiosa, gravava troppo ancora su questa vita autonoma. Qui trascuriamo del tutto la questione trascendentale, come la vita autonoma dai diversi gradi di individui fino su allo Stato possa ammettere le relative interdipendenze. Qui si trattava soltanto d'intendere come proprio il Humboldt, senza lasciarsi fuorviare dall'idealismo universalistico dei suoi contemporanei, potesse dare allo Stato nazionale ciò che è dello Stato nazionale, e come in questo problema eglì potesse passare innanzi al barone Stein sulla via che conduce dalle idee alla realtà. Ma neppure lui toccò ancora definitivamente la meta, nè gli furono risparmiate ricadute e incoerenze. Abbiamo veduto come la fiducia ottimistica dello Stein nell'armonica convivenza della Prussia e dell'Austria in Germania scaturisse da quel medesimo idealismo etico che nutriva anche il suo universalismo politico. Anche i disegni di costituzione germanica del Humboldt presupponevano sempre la collaborazione delle due grandi Potenze tedesche. « Il saldo, profondo, ininterrotto accordo
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e l'amicizia tra l 'Austria e la Prussia sono la chiave di volta di tutto l'edificio», scriveva nella sua Memoria del dicembre 1813. « Vero e giusto sarebbe » dice anche nella sua grande 1\1:emoriasulla Federazione germanica, del 30 settembre 1816 1 ) « che la Prussia e l'Austria dirigessero insieme là Confederazione »; e dichiara la Confederazione « uno dei mezzi più sicuri per conservare il buon accordo fra le due Potenze ». Ma sembra che neppure da principio fosse pienamente soddisfatto di questo progetto. Leggendo le sue parole del dicembre 1813, che il caposaldo dell'accordo tra Austria e Prussia dev 'essere posto come premessa per poter stringere la Confederazione, la quale è veramente politica e si fonda sopra un principio puramente politico, si vede ancora una volta chiaramente che egli, a differenza dallo Stein, voleva escludere da questo rapporto ogni elemento non politico o supcrpolitico, e che ammoniva se stesso ad essere sereno. Ma credeva egli veramente che la pura politica si sarebbe data cura di conservare l'amicizia tra l'Austria e la Prussia ? Le ragioni con le quali cercava di convincere se stesso, appaiono tormentate 2 ). S'egli avesse veramente creduto alla possibilità di un 'armonia durevole d 'interessi dell'Austria con la Germania e la Prussia, fondata su base puramente politica, non avrebbe, per lo meno, sollevato nel 1815 contro l'Impero· germanico dell'Austria
t) Gesammelte Scriften XII, 82; Zeitschrift fur preuss. Gesch. 9, 109. 2 ) « Ma appunto nel non mettere nei rapporti tra Austria e Prussia assolutamente nulla cli più vincolativo cli quanto contiene quell'alleanza, e nel fare dell'accordo austro-prussiano il fondamento del benessere della Germania intera, che comprende quindi anche quello dei due Stati, si rafforza tale accordo, mediante il sentimento della libertà e della necessità, cui s'aggiunge l'assenza di qualsiasi interesse esclusivo, non essendo ammessa fra le due Potenze nè subordinazione, nè divisione del potere». ScHMIDT, pag. 108.
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I 'obiezione che con esso non si creava ancora una garanzia -contro una politica antigermanica dell'Austria. « Si l 'on eroit que l 'Autriche ne se décidera pas à des transactions nuisibles à l 'Allemagne précisement à cause de la dignité Imperiale, on oublie qu' une puissance doit toujou!S agir ainsi que son intéret réel l 'ex.ige impérieusement » 1 ). Egli comprendeva anche nel 1816, in base alle ultime esperienze, che la Prussia non avrebbe potuto contare ·sull'Austria « in caso di progetti miranti a qualche cosa di contrario alla maggioranza dell'altra» 2 ). Egli era dunque molto più scettico dello Stein intorno allo spirito della politica austriaca in Germania €d alla possibilità d'una collaborazione austro-prussiana, senza tuttavia avere il coraggio della coerenza e senza negare la vitalità della Confederazione fondata sopra una base così fragile 3 ) • D'altra parte, allo stato delle cose non rimaneva altra via che tentare, almeno, la Confederazione e la collaborazione austro-prussiana in seno a quella; e si comprende come appunto un uomo di Stato d'idee realistiche come il Humboldt procurasse di cogliere dal lato migliore ciò che la necessità imponeva e di far buon viso
t) Memoria del 23 febbraio 1815, Gesammelte Schriften XI, 300; ScHMIDT, pag. 420. 2 ) Gesammelte Schriften XII, 65. 3 ) Il TREITSCIIKE,D. G. 2, 144, va troppo avanti e vede troppo nel Humboldt il rappresentante del suo proprio concetto, quando chiama « senza speranza» l'opinione del Humboldt sulla Confederazione germanica, svolta nella sua Memoria del 30 settembre 1816. In realtà vi si trovano, accanto ad espressioni pessimistiche, alle quali si richiama il Treitschke, anche giudizi cli notevole ottimismo; a pag. 65: La situazione poco lieta « non impedirà mai alla Prussia cli ottenere, mediante la Confederazione, ciò che può pretendere con buon diritto »; ed a pag. 67: « Tutte le misure per la difesa comune, se la Prussia saprà tenere la sua i,vsizione, potranno venire attuate con successo ».
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al giuoco assai poco promettente. Ma non per questo il Humboldt è del tutto esente dal sospetto che in lui c 'entrasse ancora una certa dose d'idealismo impolitico; non lo è, perchè in altri punti troviamo in lui tracce evidenti di un tale idealismo. Abbiamo già rilevato in precedenza che, nel progetto di Costituzione del dicembre 1813, fu lui a fare la disgraziata proposta di affidare la garanzia della Confederazione germanica alle grandi Potenze europee, specialmente all'Inghilterra e alla Russia. Egli cercò bensì, subito dopo, di limitare e rendere innocua tale garanzia, col voler escludere ogni intromissione delle Potenze straniere nelle faccende interne della Germania 1 ) ; ma nei grandi problemi dell'esistenza e dell'affermazione della sua politica all'estero, la Germania avrebbe dovuto nutrire - così almeno pare vada interpretato il suo pensiero - una speranza nell'assistenza fraterna delle due grandi Potenze estere, conformemente alla costituzione. Il H umboldt condivideva con lo Stein non questa sola idea errata, ma anche quella, già rilevata, che a norma della Costituzione si dovesse concedere al Governo inglese, attraverso il Hannover, un'influenza nella direzione della Confederazione germanica. Diremo di più, che l'idea dello Stein, del marzo 1814, di nominare un
t) Perciò non dovevano avere nemmeno parte diretta nella della Costituzione, « qui ne peut etre q 'un ouvrage national ». Memoria dell'aprile 1814, Ges. Schriften XI, 207. ScHMIDT, pag. 146. In seguito gli parve preoccupante anche una limitata garanzia delle Potenze straniere; infatti, mentre nell'aprile 1814 parlava ancora cli puissarices garantes de la constitution, nella Memoria del 30 settembre 1816 cercò di dimostrare che il far entrare gli atti della Confederazione negli atti del Congresso non significava una vera garanzia. « Nel vero e genuino senso della parola non vi è pertanto attualmente nessun garante della Confederazione germanica e della sua costituzione, all'infuori della Confederazione stessa» (op. cit. pag. 97), concetto giuridico, come rileva già il Treitschke, 2, 140,' tutt'altro che inoppugnabile. 1edazione
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Direttorio di quattro membri, formato dall'Austria, dalla Prussia, dal Hannover e dalla Ba vi era, non era che uno sviluppo della proposta fatta dal Humboldt nel 1814 1 ). Se - egli diceva al Gentz - si avevano scrupoli ad affidare il diritto di dichiarare la guerra soltanto all 'Austria e alla Prussia, escludendone la Baviera e il Hannover, « si poteva superare la difficoltà, estendendo questo diritto anche agli altri due Stati; per quanto, io non l'approverei completamente». Questa disapprovazione però non colpiva l 1Inghilterra-Hannover. Al contrario, dato eh 'egli continua: « pochi inconvenienti potrebbero derivarne, visto che l'Inghilterra, che coincide con il Hannover, vi avrebbe sempre il suo voto, e la Baviera, pur avendovi formalmente la sua voce, dovrebbe tuttavia piegarsi alle grandi Potenze» 2 ). Avendo egli dichiarato poco prima che la Germania doveva essere armata non soltanto contro questo o quel vicino, ma contro qualsiasi nemico, è evidente che non pensò mai alla possibilità che l 'Inghilterra divenisse nemica della Germania. Nemmeno lui, dunque, mantenne con coerenza la grande idea dell'autonomia nazionale per la Germania, idea eh 'egli fu tra i primi a formulare in modo preciso e comprensibile. Nemmeno lui potè liberarsi del tutto dall'idea che nella vita degli Stati vi sono delle comunità supernazionali, sulle quali si possono basare degli edifici politici e fondare anche l'esistenza della propria Nazione. Per comprenderlo interamente dobbiamo completare, ma in certi punti anche limitare quanto abbiamo detto di lui in precedenza. Abbiamo detto che i postulati etico-spirituali, da lui posti per l'esistenza politica e nazionale della Germania, non dovevano esercitare costrizione alcuna sulla natura dello Stato e della sua potenza. Ma anche in ciò 1
Giustamente lo riconobbe il GEBHARDT,Humboldt als Staats. -mann, 2, 114. :a) Ges. Schriften Xl, 113; Humboldt a Gentz, 4 gennaio 1814. )
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non s'è conservato coerente: lo dimostrano le sue idee sulla forma costitutiva della Germania e sul grado d'unità politica eh 'egli voleva darle. Nella stessa Memoria del dicembre 1813, nella quale poneva l'ideale della Nazione autonoma, parlava anche del frazionamento della Germania come d'una premessa necessaria per la varietà della sua cultura spirituale, e perciò non desiderava che avesse a cessare del tutto. È vero che questo desiderio è sostenuto anche dal suo senso della realtà, che talvolta si manifesta in modo così imponente; egli aggiunge, infatti : « Il tedesco sa d'essere tedesco, solo in quanto si senta abitante d'un particolare paese entro la patria comune». Sono parole che ricordano assai da vicino il celebre Capitolo bismarckiano sulle dinastie e sulle stirpi, sicchè la sua opinione, che la Germania non sia fatta per essere uno Stato unitario chiuso, può sussistere anche dinanzi al foro della più rigida critica realistica. Tuttavia è notevole che, a questo proposito, egli limiti la tendenza naturale della Germania alla modesta funzione « di essereuna federazione di Stati», in contrasto con la Francia e con la Spagna « fuse in un 'unica massa». Egli non conosce, dunque, una via di mezzo tra l'unione di vari Stati e lo Stato unitario; non conosce o non mira alla Confederazione, che congiunge la varietà ali 'interno con l'unità e la forza esterne. Dobbiamo tuttavia ammettere che, per rinunciare alla: Confederazione, egli aveva una ragione, la quale dà prova di vedute altamente realistiche. Pag. 22.
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Traendo le conse_guenze di quanto egli dice sulla natura dello Stato in sè e sulla natura dei diritti della Nazione, vale a dire della nazione culturale tedesca, è facile intravvedere qui un dualismo, una tensione di due principi diversi, eh 'egli non avvertì, pervaso tutto com 'era dall'idea che si fondessero necessariamente ed armonicamente. E quest'idea lo portò a vedere anche la storia dello Stato prussiano diversa da com 'era in realtà. Era la storia d'uno Stato conquistatore, ambizioso, mirante al1'autonomia; ma egli riteneva che, almeno fino al 1740, nessuna dinastia avesse dimostrato « maggior fedeltà alla causa generale della Germania» che quella regnante nel Brandeburgo-Prussia 1 ). Così, egli è il primo notevole rappresentante di quella che è stata chiamata la « concezione borussica della storia», il precursore del Droysen e del Treitschke. Il postulato nazionale oscurò la sua visione politica; la oscurò specialmente in quel momento, in cui si trattava di giustificare le pretese della Prussia sulla Sassonia, pretese non dettate dall'idea tedesca e dalla missione germanica dello Stato prussiano, ma dagli interessi realistici ed egoistici di esso. Il Niebuhr non lo comprese, ma questo suo errore fu l'esatta espressione della situazione che regnava allora e delle tendenze che si agitavano. Si ambiva ad uscire dalla semplice nazione culturale apolitica, per salire ad un grande Stato territoriale. Ma la meta che splendeva in fondo alla via presa,_ lo Stato nazionale tedesco autonomo, era celata, e celata poteva rimanere anche a coloro che avevano la maggior confidenza con le questioni di Stato e per conseguenza sentivano che la soluzione più semplice del problema era anche la più difficile 2 ). Ma, poichè non potevano a meno di desiderare di risolverlo, si davano da fare per unire 1)
Pag. 68. Cfr. DELBRtlcx, Die ldeen Steins ii,ber deutsche Verfasswng, in Er,i,nncrungen Aufsiitze 11,ndReden, pag. 93 segg. 2)
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Stato e Nazione, due cose che in quel momento non si potevano ancora unire. Così avvenne che anche il Niebuhr, grande storico e politico, qui vacillò; col porre la Nazione al disopra dello Stato, e lo Stato prussiano al servizio del1'idea tedesca, egli indicò bensì la via che conduceva al1~avvenire, ma fece, per il passato e per il presente, violenza alla natura della personalità statale autonoma della Prussia. Egli vedeva dinanzi a sè due linee che dovevano congiungersi soltanto a grande distanza e eh 'egli voleva invece veder convergere subito, mentre le potè congiungere soltanto piegando l'una di esse. Ed eccoci a toccare già il tema di cui ci occuperemo nel secondo libro. Abbiamo dovuto accennarvi qui per dimostrare quanto strettamente il sorgere dell'idea di Stato nazionale in Germania fosse congiunta con l 'invadenza delle idee non politiche nello Stato. Fra gli esempi di quest'invadenza, il tentativo del Niebuhr di fissare i rapporti tra Stato e Nazione è già importante per il suo spirito animatore, per la sua profondità e per la sua, potrebbe dirsi, congenialità tanto con la sfera vitale dello Stato quanto con la non-statale; esso appartiene alla sfera statale assai più profondamente del H umboldt, ad ambedue le sfere in modo più uniforme che quello. Infine, anche nelle idee del Niebuhr intorno a Stato e Nazione non manca quell'elemento di postulati ideali e universali, che egli considera superiori agli Stati. Infatti, anch'egli è dell'idea che gli Stati cristiani d'Europa formano un'unità eh' è sacrilegio intaccare, com 'è sacrilegio il tradimento che lo Stato singolo esercita ai danni della propria nazione. « Unirsi coi maomettani per aggredire i cristiani è sempre stato considerato un delitto imperd9nabile, tanto secondo il giudizio dei cattolici, quanto secondo i protestanti ». Egli arrivava perfino ad approvare in massima la crociata legittimistica contro la Rivoluzione francese. « Se la coalizione contro la Rivoluzione francese non fosse stata così fiacca e senza
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nerbo di pensiero da non presentare alcuna prospettiva di successo, non ci sarebbe nulla da obiettare seriamente contro la dottrina posta a base della prima coalizione, cioè che una collettività degli Stati europei, per quanto non faccia capo ad una federazione di fatto, pur tuttavia esiste, e che ogni Stato ha il dovere d'interessarsi alle questioni dell'Europa » 1 ). Anch'egli, dunque, al pari dei romantici e dello Stein, considerava la causa generale dell'Europa e quella delle nazioni europee indissolubilmente legate fra di loro 2 ). Si toccavano in lui gli spiriti di due epoche: quello della Rivoluzione e quello della Restaurazione; poichè la sua ardita formula, che la nazionalità sta al di sopra d'ogni Stato, non sarebbe stata immaginabile avanti il 1789, e sarebbe stata comunque considerata ultra-rivoluzionaria dopo il 1815, dagli uomini di Stato della Restaurazione. Eppure il Niebuhr non voleva essere un uomo di Stato rivoluzionario, ma conservatore, e, se anche fu accessibile alle energie nazionali scatenate dalla rivoluzione, credeva di poter combattere proprio la rivoluzione con l'idea di nazionalità come l'intendeva lui. Questa idea di nazionalità del Niebuhr, che si richiamava alla stirpe comune ed alla comune cultura, era il frutto comune del romanticismo 3 ) e del Risorgimento, e, poichè si attaccava così forte al passato storico delle
1) Pag. 20 seg. ~
altamente caratteristico il fatto eh 'egli considera la caduta della Repubblica di Genova come una punizione per l'aiuto dato al « nemico generale », aiuto eh 'era stato al tempo stesso « un delitto contro la nazionalità d'Italia », pag. 21. 3) L'influenza speciale del romanticismo sul Niebuhr è caratterizzata dal rimprovero da lui mosso al Governo sassone, per il divieto di ristampare i libri popolari come « I :figli di Emone », ecc. pag. 81, come per una prova dei suoi sentil]lenti limitati e antitedeschi. Non manca nemmeno l'elogio « del profondo Burke >, p. 96. 2)
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nazioni, poteva essere sviluppata anche in senso molto conservatore. In tal caso però si doveva togliere quella punta, così pericolosa per le dinastie legittime, che conservava ancora nel Niebuhr. Non si doveva dunque servirsene per porre determinate esigenze alla politica degli Stati singoli; non doveva essere applicata come principio dominante, ma come il principio basilare della vita statale: basilare nel senso che la vita statale d'una nazione, non meno della sua vita culturale, venisse concepita come fiore e frutto del genio di un popolo. Ed allora, nulla di più facile che giustificare e sanzionare tutti gli istituti e le forme tradizionali di vita, richiamandosi al genio del popolo, che crea involontari amen te; e condannare ogni arbitraria ingerenza nella vita degli Stati, in quanto è violazione d'un ordine di cose creatosi naturalmente, dal fatto genuinamente ed originariamente nazionale. Questo passaggio, preparato dal romanticismo e dalla dottrina dello Schelling sullo sviluppo inconscio dello spirito assoluto, fu reso possibile dalla scuola storica del diritto, eh 'ebbe a capo il Savigny. « Ogni diritt~ - dice il suo scritto contro il Thibaut - nasce per opera del costume e della fede popolare, cioè per opera di forze interiori, che agiscono in silenzio, non per l'arbitrio d'un legislatore » 1 ). Oppure, secondo la formulazione da lui data nel programma della sua « Rivista di diritto storico»: « La scuola storica suppone che la materia del diritto sia data da tutto il passato della Nazione, non già dall'arbitrio, sicchè non avrebbe potuto essere questa o quella indifferentemente, ma dev'essere uscita dall'intima essenza della Nazione stessa e della sua storia» 2 ).
Vom Berof unserer Zeit fur Gesetzgebung und Reclitswissenschaft, 1814, pag. 14 della 2• ed., invariata, del 1828. 2 > Voi. I, 6, 185. 1)
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Lo stesso Savigny limitava allora la sua dottrina al suo campo speciale, il diritto, ma anche lo Stato era diritto in senso più lato, e ben presto egli doveva trarre anche per esso le conseguenze delle sue dottrine 1 ) • 1 )
n Savigny stesso lo disse, più tardi (intorno al 1840).
V. BRIE, Der Volksge·ist bei Hegel und in der histor. Bechtsschule, Archiv fiir Rechts-und Wirtschaftsphilosophie, 2, 199. L' origine della dottrina e dell'espressione < spirito popolare » è stata notevolmente chiarita, benchè sussistano ancora delle diversità d 'opinioni, dopo la pubblicazione della prima edizione, in grazia del1 'opera or ora nominata del Brie, degli scritti del v. Moeller nelle Mitt. des Institutcs fiir osterr. Geschichtsforschung, 30 e di quelli di Edg. Loening nell 'Internat. Wochenschrift, 1910, nonchè della Geschichte der deutschen Bechtswissenschaft, parte 3•, 2° tomo. La dottrina del Savigny, per la quale il maestro prese soltanto più tardi l 'espressionc « Volksgeist » (genio nazionale) dal suo allievo Puchta, si riattacca intimamente, come dimostrarono all'evidenza il Loening e il Landsberg, meno al Hegel che allo Schelling ed ai romantici. Fra questi, anzitutto a Giac. Grimm e ad Achim v. Arnim; cfr. Kantorowicz, Histor. Zeitschr. 108, 311 seg. e HERMA BECKER: À. ti. A rnim in den wissenschaft. und polit. Stromungen seiner Zeit, pag. 30 segg. e 36 segg. L 'Arnim usa già nel 1805 l'espressione < genio nazionale », ma poi sostiene, come dimostra Herma Becker, la teoria romantica dello spirito popolare, secondo un concetto più moderno e meno dottrinario. Cfr. inoltre FEDERICO Scm..EGEL, Ueber die neuere Geschichte (1811), pag. 213. ERNESTO MAURIZIOARNDT, nel 1806, nella prima parte del suo « Spirito del tempo > (6• ed., pag. 192) concepisce lo « spirito segreto del popolo, eterno come la sua natura ed il suo clima », piuttosto come una forza primigenia immutabile, che in condizioni di civiltà appare ancora soltanto in uomini eccezionali e in circostanze straordinarie. - Per contro troviamo una testimonianza di spirito romantico e di non artificiosa sensibilità per la mutabilità delle forze storiche, nell'interessante squarcio della « Storia Bo-mana~ del NIEBUHR 2, 42 (1818), sul quale ha richiamato la mia attenzione J. Partsch: « Lo spirito nazionale, sebbene, in quanto è inconscio, aia la più forte e più pura garanzia della continuità delle caratteristiche originarie, tuttavia muta inavvertitamente e si trasforma spesso, :fino alla completa rivoluzione dei sentimenti>. Ma contemporaneamente, già :fin da allora il ,e genio nazionale> veniva sfruttato nel senso quietistico del più tardo romanticismo politico, dal·
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In seguito l'idea nazionale venne pressochè respinta dalla sfera della libera azione politica, dalla luce del mondo politico, nel quale poteva fare del male, e ricacciata nel terreno buio della Nazione. E lì essa potè raccogliere nuove forze, per riapparire ancora una volta nel mondo, fatta più ricca e più forte. I 'opposizione contraria al r si trova in senso non romantico già verso la fine del secolo XVIII ; l 'use. nel 1787 F. H. v. MosER, Ueber die Regierung der geistlichen Stoaten in Deutschland, pag. 167 (indicazione datami dal dr. B. Wachsmuth). Inoltre Fr. Kluge mi ha additato, in CAMPE, Reinigung und Bereicherung II, I, introduzione, 1749, la frase « Veredelung des Volksgeistes und des Volkssinnes ». Il Kantorowicz, Hist. Zeitschrift 108, 300, aggiunge la prova che il Hegel la conosceva già nel 1793. Cfr. anche RosENZWEIG, Hegel und der Staat I, 21 segg.; HELLER, Ilegel und der nationale Machtstaatsgedanke in De-utschland, pag. 31; e METZGER,Gesellschaft, Recht und Staat, ecc. pag. 317 seg. L 'Arndt lo adoperò al principio del nuovo secolo. MUESEBECK 1 Arndt I, 61, 121.
CAPITOLO X.
HALLER E IL CIRCOLO DI FEDERICO
GUGLIELMO IV.
Delle due correnti principali dell'idea di Nazione e di Stato nazionale - la liberale e la romanticoconservatrice - seguiremo da ora in poi soltanto quest'ultima 1 ) , cercando di determinare la via che dalle idee del Novalis, dello Schlegel, di Adamo 1\1iiller e del Savigny, e dalla politica germanica dello Stein, condusse alla politica di Federico Guglielmo IV e di coloro che lo circondarono. E qui troviamo anzitutto, quasi a tagliarci la strada, il sistema d'un uomo che, negli anni di pace successivi al 1815, esercitò una potente influenza sugli spiriti romantici ad un tempo e politici, e specialmente sulla giovane generazione di coloro che volevano giunL 'opere. del DocK, Revoluti-On und Restaurati-On iiber die Souveriinitiit (1900) che tratte. esaurientemente delle dottrine della scuola controrivoluzionaria, non offre nulla per i nostri problemi. Contiene quasi unicamente degli estratti e, nelle sue conclusioni all'apparenza indipendenti (pag. 260), segue le idee dello Sta.hl ( Geschichte der Rechtsphilosophie VI, I; 3• ed., pag. 548 seg.). Con maggior profondità. ed indipendenza, H. O. MEISNER ha esaminato recentemente La teoria del principio monarchico nel periodo della Restaurazione e della Confederazione germanica (1913), ma senza toccare molto le questioni che ci occupano. 1)
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gere a governare, sebbene non riuscisse a dir loro quasi nulla intorno alla Nazione: dico, Carlo Lodovico v. Haller. Per la sua grandissima influenza, appunto, non possiamo trascurarlo e dobbiamo occuparci di quei lati della sua individualità e della sua dottrina politica che tocca no, sebbene in parte solo indirettamente, il problema della Nazione e dello Stato nazionale. In quello stesso anno 1808 nel quale Adamo Mfiller iniziò le sue conferenze sugli elementi dell'arte di governare, il Haller pubblicò il suo « 1\1:an uale di scienza politica generale» che contiene già i capisaldi della sua dottrina. l\la impressione maggiore egli fece sul pubblico appena negli anni più tranquilli della pace, allorchè, a cominciare dal 1816, uscironc..,1 sei volumi del suo « Rinnovamento della scienza politica». Egli non era ancora compenetrato di quel sentimento che aveva preparato e sostenuto la lotta per la libertà nazionale. Non e 'è traccia in lui dell'alto convincimento che la Nazione tedesca avesse da difendere dei valori morali speciali, insostituibili, non e 'è nulla di quel bisogno di nazionalizzazione interiore dei singoli Stati, che si sente nei romantici, dal Novalis ad Adamo l\Hillcr. Quando costoro si entusiasmavano per gli antichi ordinamenti feudali, lo facevano con uno spirito nuovo, che trasformava quegli ordinamenti e li faceva apparir diversi da quelli eh 'erano stati in realtà, circondandoli d'ideali e d' illusioni d'origine poetica e filosofica. Anche il Haller si idealizzò lo Stato medievale, quando creò per i propri scopi la parola ed il concetto di Stato patrimoniale 1 ); ma questi scopi erano tutt'altro che ideali. Ruvidamente, senza veli egli vantava la fortuna degli antichi principi, di aver posseduto potere e ricchezze proprie, e di averne goduto liberamente. C'è in tutta la sua dottrina un 'aria di materialismo e d'egoismo 1J
Lo dimostra il telalters I, 6.
VoN
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Der deutsche Staat des Mit-
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ed anche quando essa chiama in aiuto Dio e le cose divine, lo fa senza alcun misticismo e senza intima religiosità, anzi con quel senso di soddisfazione per il proprio stato, che vede ben chiara la mano e la benedizione di Dio in ciò che possiede e nell'ordinamento sociale che glielo garantisce. Potenza e dominio sono diritto naturale ad un temp'-l e diritto divino: ecco il nocciolo del suo sistema. In realtà, dice ad un certo punto 1 ), non è l'uomo che regna sopra di voi, ma il potere che gli è dato, e se considerate la cosa esattamente e filosoficamente, l'unico Signore è e rimane Iddio, sia in quanto creatore, sia in quanto legislatore e regolatore di tutta la potenza distribuita tra gli uomini. Con ciò egli apriva porte e finestre al culto della forza, all'adorazione del successo come tale; e di qua alla teoria della lotta per l'esistenza, della incessante selezione dei migliori, non c'è che un passo. A chi è precluso per sempre - dice come consolazione ai deboli e ai dominati 2 ) - il raggiungimento del più alto grado della fortuna 1 Non vediamo in tutto il mondo, per tutto il corso della storia, un continuo avvicendarsi di tutte le cose Y I ricchi diventar poveri e i poveri ricchi, i possenti diventar deboli e i deboli possenti, stirpi oscure salire alla gloria cd altre già famose cadere nell'oscurità 1 Le sue premesse lo conducono molto più in là di quanto egli stesso volesse, poichè il suo intento pratico era semplicemente di combattere le forze rivoluzionarie e di giustificare e ristabilire quella dell'antico Stato patrimoniale. Perciò gli occorreva il buon Dio, non soltanto per sanzionare il potere in sè, ma anche per mettere il necessario freno alla corsa di esso, per farlo fermare là dove s'era arrestato il Medio Evo. Inutile soffermarci su queste argomentazioni e su questi tentativi ingenui e puramente 1 ì Restauration
der Staatswissenschaft ') Op. cit., pag. 387
I, (2• ed.) pag. 386.
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sentimentali, di segnare i confini tra il potere legittimo e l'illegittimo, tra l'uso giusto e l'ingiusto di esso: si sarà già osservato che in tutto questo sistema non parla il pensiero, ma la volontà, una volontà strettissimamente determinata da ideali di vita tradizionali. Ciò che egli voleva, non era il vero 1\1:edioEvo, ma la continuità di forme di vita medievali. Il passato risollevava il capo in uno dei più genuini suoi figli. Costui non aveva bisogno, come i romantici, di ravvivarlo in sè con la fantasia storica e la riflessione: esso era naturalmente vivo in quel superbo e ostinato patrizio bernese 1 ) ed anche quel poco d 'illuminismo e di razionalismo, proprio della sua coltura giovanile 2 ) e perfino delle sue teorie degli anni più tardi 8 ), le sue caratteristiche parole in Restaur. 6, 571 seg.: « Semòra che alcuni credano eh' io abbia attinto il sistema. finora sviluppato soltanto dalle. storie. del Medio Evo .... Confesso aperte.mente che non ho mai letto un solo libro sul cosiddetto Medio Evo .... Non dall'antico e dall'ignoto, ma da cib che ci sta. di· nanzi agli occhi, dai quotidiani rapporti sociali, abbiamo rilevato quelle leggi eterne > ecc. ecc. 2) V. LO0SER,Entwicklung und Syste1n der polit. Anschauungen K. L. 11. Hallers, Berner Dissert., 1896, pag. 2 segg. Sulle. vita e l'eredità politica del Haller vedi, del resto, EWALD REINHARD, K. L. v. Haller, Vereinsschrift der Gorresgesellschaft, 1915. 3)La sue. teoria è estremam~nte conforme al diritto di ne.tura, in quanto, come i seguaci di quel diritto, egli parte dallo stato di natura, ma vi si ferma, senza fare il passo avanti che quelli fanno, verso il contratto sociale. Da ricordare i suoi punti di con• tatto con le. tendenza antistatale e puramente individualistica dell'illuminismo, con Rousseau, di cui vanta. i « lucidi intervalli>, col Siéyès e gli illuministi. Con molta finezza il Savigny sentl subito (1817) l'elemento razionalistico che e' ere. nel He.ller, « krasser Aufklarer in Geschichte und Politik ~. V. VARRENTRAPP, Rankes Histor. - polit. Zeitschr., und das Berli-ner Poli-t. Woche-nblatt, in Histor. Zeitschr. 99,40. Cfr. anche SIN0ER: Zur ErinnertVll,g an. Gusta11 H""go, Zeitschr. fiir Privat und oft'entl. Recht, 16," pag. 285 e 311. Non male dice anche lo STA.HL,Gesch. de, Rechtsphilosophie, 3• ed., pag. 560, parlando di lui: « :t il razionalista tra gli scrittori controrivoluzionari; non segue, come gli 1 J Vedi
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non disdiceva completamente alle ultime generazioni codine di questo antico tempo, poichè ne toccava soltanto i costumi, non la natura. La nobiltà bernese di razza, del secolo XVIII, era stata un 'aristocrazia robusta, ben pa• sciuta e rubizza, che si nutriva d'un paese ricco e non aveva bisogno di tormentare i sudditi col fiscalismo, nè voleva tormentarli eccessivamente con pressioni politiche, e trattava specialmente i contadini in modo mite e patriarcale 1 ). Una tale esistenza poteva richiamarsi al gradito ricordo d'essere stata a suo tempo conquistata mercè la grande· abilità e potenza degli avi; importava di non esserne indegni, di avere quindi il diritto di goderne indisturbati. E non ci si sentiva resi anche moralmente migliori dal godimento del potere Y «Dappertutto», dice il Haller, « troverete che il più forte per natura è anche più nobile, più generoso, più utile » 2 ). « Che cosa nobilita l'animo più che il sentimento della propria superiorità, l'assenza di paura e la mancanza di bisogni Y» '). altri, vedute vive e varie, ma persegue con logica coerenza, in tutti i casi, come fa il diritto nature.le, un principio superiore >. Vero è tuttavia che questo principio superiore, come abbiamo esposto più sopra, si base. su di un' intuizione vive.. - Inoltre abbiamo già notato che il Haller stesso non si sottrae e.Ila teoria del Rousseau sul Contratto sociale, da lui cosl appassionatamente combattuta. Col mettere in luogo del grande Contratto sociale generale un grande numero di piccoli contratti privati, non he. fatto, come osserva contro di lui l 'Ancillon, che convertire la grande barra di metallo in moneta spicciola (Cfr. F. v. RAUMER: Ueber die geschichtl. Entwicklung der Begriffe t1on. Recht, Staal und Po1-itik, 2• ed., 1832, pag. 190. Similmente anche R. v. Mom,, Geschichte und Literatur der Staatswisaenschaf ten, 2, 550. Sulla critica del Hcgel al Haller cfr. RosENZWEio, Hegel und der Staat, 2, 190 seg. Vedi inoltre ScHMITT·D0R0TIC', Polit. Romantik, pe.g. 16, e METZGER,Gesellschaft, Recht und Staat, pag. 272 seg. 1) V. OECHSLI, Geschichte der 8chweiz im 19. Jahrhunderl, 1, 51 segg. 2 ) Restauration, l', 382. ( 1 Op oit., 386.
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Dato questo concetto del buon diritto e dei buoni effetti del potere, è logico che lo Stato e tutta la vita si risolvano per lui in un numero infinito di rapporti di potenza e di dominio_, ordinati in misura ascendente, dal mendicante, che ha il dominio per lo meno sul proprio cane, fino al principe, che gode « la preziosa, nobilitante felicità» d'essere affatto indipendente e che costituisP-~ per tal modo il vertice della piramide. Ma questa può e dev'essere, secondo lui, soltanto potenza propria, non trasmessa da altri. Il potere che un principe detiene per diritto innato, rimane circoscritto dal comandamento del dovere e della morale scritto nel cuore di ciascun uomo; obbedirvi, egli c'insegna, deve riuscire specialmente facile al potente. Quanto al potere, che un principe od un Governo esercita apparentemente per incarico dello Stato o del popolo, veduto alla luce della realtà non è nemmeno esso un potere delegato, bensl un potere proprio e di fatto; se non che, con la finzione e l'illusione della delega, conduce ad un orribile dispotismo ed alla distruzione di qualsiasi rapporto di potere e di dominio, anche se fondato sul diritto. Non si può disconoscere che qui c' è realmente una sana e reale comprensione degli effettivi rapporti di potenza. Quando mai, egli chiede non del tutto a torto, anche nel1a Francia rivoluzionaria ha prevalso la volontà generale della Nazione 1 ~ vero invece che tutte le fazioni si conquistano il potere con la loro propria audacia e lo mantengono anche contro la volontà del popolo; e i soldati francesi, che facevano la guerra contro i cosiddetti privilegi, erano i primi privilegiati in tutti i paesi dove arrivavano. Egli esclama trionfante: « O natura insopprimibile! » 1 ). Ma il suo infallibile senso autocratico diventa ostinazione che si nega al riconoscimento della verità che ogni reale potere politico si basa anche su rapporti spirituali, i quali diventano sempre più vasti e più grandiosi, 1)
Restauration, l', 260, 265.
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via via che il potere supera i limiti dell'angusta sfera dell'esistenza feudale e patrizia, via via che l'autocrazia dei dinasti medievali diventa potenza statale nel significato moderno della parola. Egli rimase chiuso entro quella stretta sfera, pcrchè tutta la sua sensibilità per i fatti politici gli derivava da quella; e così negò e combattè tutto quanto stava fuori di essa. Il più bello è vedere com 'egli dovette ammettere contro voglia, entro il suo tanto lodato Stato patrimoniale, quelle forze che lo sollevarono più alto di sè e lo condussero verso lo Stato moderno. Gli ordinamenti del basso l\ledio Evo, fondati sull' indivisibilità e i diritti di primogenitura, nacquero bensì, com 'è noto, da puri interessi dinastici, ma, una volta applicati, seppellirono il concetto famigliare della Signoria, prepararono quello che vede nello Stato una unità chiusa, la quale segue leggi più alte che non l 'arbitrio dei dinasti, e crearono le salde basi delle più vaste comunità politiche. Il Haller non era cieco a questi effetti, e perciò accusava le cause. Se, egli diceva, non si fossero introdotte a poco per volta la primogenitura e l' indivisibilità dei beni, l'occhio non avrebbe veduto dappertutto altro che il semplice rapporto naturale d'un signore feudale verso i propri vassalli, e non sarebbero mai nati i falsi sistemi, le idee vuote d'un potere del governante che si estende su tutto. Nell'indivisibilità e nel diritto di primogenitura egli vide, con chiarissimo intuito, un 1tpG:rcov~Eùòoç delle moderne forme statali. Eppure, dal1'altro lato dovette ammettere che un principe « patrimoniale>> secondo il cuor suo non poteva far nulla di più saggio che assicurare le proprie conquiste mediante il diritto di primogenitura e l' indivisibilità. Per tal modo tutto il suo sistema soffriva dell'intima contraddizione che la pleonexia naturale del potente, sul quale esso è costruito, crea nel tempo stesso gli elementi che lo distruggono 1 ). 1
)
Rest. 2, 534. Inutile e.e.e.enne.real suo tentativo di nascon-
dere questa contraddizione, eh 'egli ben sentiva.
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Forza e stimolo al potere e al dominio devono, secondo lui, cessare nel punto in cui minacciano di sopraffare l'esistenza patrimoniale. Per conseguenza egli fu, in genere, avversario dei grandi Stati. Le monarchie estese, dice, fanno venir la vertigine al cervello dei dotti. « Che bisogno c'è di queste spaventose masse compatte, terrore di tutto il resto del mondo 1 » 1 ). « Gli Stati piccoli sono il vero, semplice ordinamento naturale, al quale per diverse vie alla fine vengono sempre ricondotti» 2 ). Quanti più Stati, e tanta più bellezza e varietà, tanto maggior numero d'uomini che godono il sublimante bene dell' indipendenza. Come fu splendida l'Asia :Minore dopo la distruzione della ~Ionarchia macedone, come grandiosa l'Italia, quando, a cominciare dal XII secolo, vi sorsero i molti principati indipendenti e le molte repubbliche indipendenti. Si sente quasi la segreta simpatia di Giacomo Burckhardt per quegli uomini violenti, sulla soglia tra il :l\ledio Evo e il Rinascimento, che fecero dello Stato il mezzo di piacere dell'individuo forte 3 ), ma contribuirono nello stesso tempo - cosa che il Haller non si confessava - anche a creare lo Stato moderno, col far sorgere lo spirito della fredda, razionale politica realistica e dell'esatto calcolo delle forze: lo spirito appunto di cui era piena quell 'èra dell'assolutismo tanto spregiata dal Haller e dai romantici, e che non soltanto ingrandì gli Stati all 'estcrno, ma Ii rafforzò anche internamente, dando loro unità, personalità ed autonomia. Abbiamo veduto come Adamo l\Hiller era stato capace di seguire fino ad un certo punto questo grandioso sviluppo delle individualità statali europee; il Haller, invece, non ') Op. cit., 3, 179. Op. cit., 2, 535.
2) 3
J Le molte guerricciole dell 'Italio. nel '300 e '400, dice in un altro punto il Haller (2, 103), « servirono ad esercitare le forze e e. rinvigorire negli italiani la cosrien:za di se stessi fonte ' , di tutte le grandi cose >.
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potè farlo. « A che giova », domandò egli 1 ), la teoria altrettanto innaturale quanto anticristiana dell'unità incondizionata, dell'assoluto isolamento ed arrotondamento d'ogni singolo Stato, se non a mettere tutte le cose ostilmente l'una contro l'altra 1 Altrettanto poco piacere egli poteva provare della form-azione interna dello Stato, che, a vantaggio della sua propria potenza, lo eleva sempre più verso una vera comunità, verso una collettività di grandi bisogni comuni, spirituali e materiali. Gli riusciva insopportabile l'idea d'una societas civilis, parlava con disprezzo delle « coside·~te ragioni di Stato» e perfino . la parola « generale » gli era odiosa 2 ). Negando l'unità spirituale dello Stato, come avrebbe potuto riconoscere l'unità spirituale del popolo Y Non parla del popolo d'un principe, ma « dei singoli uomini, il cui insicmr si chiama popolo » 3 ). Egli li vede soltanto fluttuare di qua e