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Italian Pages 160 [161] Year 2024
Leopoldo Benacchio
Corsa alla Luna Gli interessi in gioco fra scienza, geopolitica e space economy
Leopoldo Benacchio
Corsa alla Luna
Il Sole 24 ORE Progetto grafico copertina: Francesco Narracci Illustrazione di copertina: Lucio Lazzara
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ISSN 977-1824876-027-40001 O vai alla url Il Sole 24 Ore – Le scoperte areautente.ilsole24ore.com/ Registrazione in Tribunale n. 332 - 19.05.03 libro-digitale Direttore responsabile: Fabio Tamburini Proprietario ed Editore: Il Sole 24 ORE S.p.A. Sede legale, redazione e direzione: Viale Sarca, 223 – 20126 Milano Mensile n. 1/2024 ,6%1
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Le nubi di tanto in tanto ci danno riposo mentre guardiamo la Luna — Matsuo Bashō 1644-1694
Indice
Capitolo 1 Perché tornare sulla Luna
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Capitolo 2
L’Occidente vuole la Luna
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Capitolo 3 Abitare e lavorare sulla Luna
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Capitolo 4 The Others (I contendenti)
91
Capitolo 5 La Luna mette l’elmetto
101
Capitolo 6 La Luna fra noi
107
Capitolo 7 Oltre la Luna
123
Appendice
133
Per finire
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Bibliografia essenziale
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Capitolo 1 Perché tornare sulla Luna
Perché lo Spazio Questo libro tratta del ritorno alla Luna. Vogliamo infatti andarci di nuovo e non solo con robot, ma con astronauti e questa volta per rimanerci stabilmente, strutturare abitazioni e laboratori e sviluppare un’economia lunare basata su ogni tipo di attività: dal turismo spaziale alla ricerca scientifica, dall’estrazione mineraria di elementi importanti per la tecnologia a tutto quanto potrà venire in mente una volta che saremo arrivati. Un nuovo capitolo dell’economia dello Spazio, che parte già oggi nella progettazione e realizzazione di tutto quel che serve, ed è tanto, per questo ambizioso obiettivo. Sulla Luna, quindi, ma con obiettivi e tempi completamente diversi da quelli della missione Apollo del secolo scorso e anche per utilizzare il nostro satellite naturale come un laboratorio in funzione del salto verso Marte. Le condizioni sono infatti lì eccezionalmente favorevoli rispetto alla Terra, a cominciare dalla molto minore attrazione gravitazionale. La Luna ci permette di capire, in modo realistico, come andrà la vita umana su Marte, rimanendo comunque molto, molto vicini: 400mila chilometri rispetto ai 50 milioni al minimo della distanza fra noi e il Pianeta 1
Corsa alla Luna
Rosso. Vedremo nei prossimi capitoli cosa serve per raggiungere lo scopo: arrivare al nostro satellite, sbarcare in sicurezza, abitarci, muoversi, lavorare e comunicare. In poche parole: viverci e prosperare. Alla base c’è il progetto Artemis, sviluppato dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration), che vuole portare sul nostro satellite naturale un’astronauta, donna, a toccarne il suolo entro il 2027, ma le date sono ancora approssimative. È anche una specie di risarcimento dovuto all’altra metà del cielo rispetto al progetto Apollo, che fu effettivamente tutto maschile. Artemide d’altronde è la sorella del dio dell’antica Grecia, Apollo e quindi andiamo a pari anche con gli sponsor “celesti”. Il progetto Artemis è piuttosto complesso e prevede una serie di lanci prima verso la Luna, con equipaggio umano, e poi finalmente la discesa al suolo. Questa è però solo la fase iniziale, anche se comunque complessa. Si prevede poi la costruzione in orbita e la strutturazione di una stazione orbitante attorno alla Luna da cui gli astronauti possano scendere sul nostro satellite e risalire a fine turno, che si presume di vari giorni o settimane. Parliamo di una stazione spaziale evoluta e allo stato dell’arte, comunque concettualmente simile a quella internazionale, la ISS (International Space Station), che per decenni è stata abitata da russi, americani ed europei. Questa volta il ritorno alla Luna avviene con l’opinione pubblica che, come atteggiamento, è sostanzialmente cambiata dagli anni Sessanta del secolo scorso: pare che siamo tutti, o se non altro molti, abbastanza 2
Perché tornare sulla Luna
convinti che lo spazio sia indispensabile al giorno d’oggi e sia utile. Certo non ci sono critiche come quelle di allora, frasi come «sistemiamo prima i problemi sulla Terra e poi parliamo di andare nello spazio», frequentissime negli anni Sessanta e Settanta, non si sentono più. È molto probabile, per esempio, che decenni di satelliti come gli osservatori astronomici spaziali Hubble o Webb, che hanno mostrato a un pubblico meravigliato le bellezze del sistema solare e dell’universo, abbiano creato una mentalità favorevole allo spazio. Ma anche l’uso continuo, giornaliero, di servizi utili per la nostra vita, realizzati grazie ai satelliti orbitanti attorno alla Terra, ha fatto probabilmente la sua parte: c’è chi ha calcolato, e pare realistico, che sfruttiamo, anche senza saperlo, il servizio fornito da un satellite in bassa orbita ogni 15 minuti. Quando prendiamo il tram controllato dallo spazio, o chiediamo al nostro smartphone che strada seguire, quando voliamo con l’aereo, la cui rotta è indicata e monitorata dallo spazio, ma anche quando mangiamo un frutto o una verdura, magari provenienti da colture monitorate e innaffiate secondo le osservazioni dei satelliti di rilevamento. La lista sarebbe infinita. Sentiamo oggi lo spazio come qualcosa di molto più “vicino” e utile, con i suoi satelliti che ci aiutano nella vita, probabilmente lo consideriamo anche “easy”. È un bel risultato perché, ovviamente, la situazione è molto complessa: abbiamo migliaia di satelliti operativi, anche difficile definirne il numero, diamo un provvisorio cinquemila, destinato a salire quasi ogni settimana, anche perché si parla ormai di nuovi progetti di costellazioni di satelliti, per esempio per le comunicazioni e la 3
Corsa alla Luna
diffusione di Internet. Basta pensare alla rete di Starlink, un progetto dell’americana SpaceX di Elon Musk, che avvolge ormai come una tela di ragno la Terra, ma altre ne sono previste come OneWeb, del Regno Unito e India, o Kuiper di Jeff Bezos, il patron di Amazon. L’Italia sta sviluppando una costellazione nuova, Iride, composta da satelliti che osserveranno la Terra in molte bande di frequenza, dall’ottico al radar, permettendoci di avere informazioni dettagliate sullo stato di salute delle regioni osservate: informazioni geometriche, ma anche di temperatura, nuvolosità, regime del vento e così via. Assieme a quella esistente, la costellazione COSMO-SkyMed, il nostro Paese avrà un asset di grandissimo valore e prestigio internazionale per l’osservazione della Terra. Non è da sottostimare poi che lo spazio abbia importanza anche per le implicazioni di tipo geopolitico e militare. Per dirla con le parole di Everett Dolman, professore allo US Air Force War College, che, con un gioco di parole, scrive: «Chi controlla la bassa orbita terrestre controlla lo spazio vicino alla Terra e chi controlla lo spazio vicino alla Terra domina la terra e infine chi domina la Terra determina il destino dell’umanità» [ECD]. Quel che ci dice questo autore è provato, per esempio, dalle guerre in Ucraina o Palestina. L’osservazione dallo spazio dei teatri di guerra e la possibilità di distribuire la rete Internet dal cielo ci ha dimostrato bene quanto lo spazio vicino sia importante, anche in questi casi una espansione del suolo terrestre. L’intelligence geospaziale è diventata oggi parte integrante della difesa e della sicurezza nazionale. 4
Perché tornare sulla Luna
Oggi il ritorno alla Luna avviene in un mondo completamente diverso da quello dell’epoca del programma Apollo, allora c’era il monopolio delle Agenzie spaziali nazionali, con la tecnologia di base limitata solo a poche nazioni. Oggi, sia la liberalizzazione senza precedenti del settore partita negli USA, che l’Europa stenta molto a seguire, sia l’avanzare delle tecnologie di microelettronica e il crollo dei costi dell’elettronica hanno cambiato completamente le carte in tavola. Attualmente le grandi Agenzie spaziali, come l’americana NASA o l’europea ESA (European Space Agency), si pongono sempre più come enti che commissionano e comprano servizi da privati, basta pensare al caso di SpaceX, praticamente monopolista a livello globale in tema di lanci, realizzandone un centinaio nel 2023 e in previsione di farne almeno 130 nel 2024. Molto, in sostanza viene devoluto ai privati, che ricevono dalle grandi Agenzie spaziali soldi per i servizi richiesti loro ma anche drenano know how acquisendo personale con grande esperienza delle Agenzie stesse. Paradigmatico, oltre al caso di SpaceX, è quello della stazione spaziale privata Axiom, in costruzione, che si appoggia alla Stazione spaziale internazionale, ISS. Il manager NASA che ha validamente gestito la Stazione spaziale internazionale, con contributi russi, americani, canadesi, europei e giapponesi, è uscito dall’Agenzia e ha messo in piedi la Axiom, società sul libero mercato, che però, di fatto, vive in gran parte di finanziamenti pubblici, e ha assunto anche molti dipendenti del prezioso JPL, Jet Propulsion Laboratory, della NASA a Pasadena; qualcuno dice che li abbia “strappati”. Cambiati anche i metodi di finanziamento non statale: Axiom conta molto sulla comunicazione e marke5
Corsa alla Luna
ting, ad esempio facendo firmare le tute spaziali da un notissimo designer di moda o portando in orbita questa o quella marca di cibo. Questo, va capito, sarà il futuro anche per la Luna: collaborazione fra gli Stati e larghissimo spazio al privato, all’inventiva e innovazione, al fiorire di nuove iniziative e industrie dedicate. Questo sforzo, che possiamo definire immane, produrrà le sue ricadute. Anche per questo andiamo nello spazio, perché è l’unico modo per avere importanti benefici. Per esempio sembra esserci poca comunanza tra i depuratori d’acqua portatili e le maschere dei vigili del fuoco, tranne che entrambi mirano a prevenire l’inquinamento. Eppure fanno risalire la loro genesi al programma Apollo. Secondo Tim Marshall [FOG], gli indumenti resistenti al calore, i computer portatili, le cuffie wireless, le luci a LED o i materassi in memory foam possono tutti far risalire le loro origini alla corsa allo spazio. Ogni anno la NASA pubblica un corposo volume, oggi anche un sito web, sui benefici ottenuti negli ultimi 12 mesi dallo sviluppo delle tecnologie spaziali, anche in termini di spin-off industriali [SPN]. Ma c’è di più, andiamo nello spazio per capire come possiamo salvare il pianeta, che è come dire: noi stessi, dal terribile riscaldamento globale. È dallo spazio che possiamo vedere con precisione come sta andando, quanta CO2 immettiamo nell’atmosfera che ne è già fin troppo piena, quanto si riscaldano gli oceani, quanto si sciolgono i ghiacci. Oggi le ragioni per andare nello spazio sono quindi molto diverse da quelle che 50 anni fa fecero partire la 6
Perché tornare sulla Luna
gara fra Unione Sovietica e USA per la supremazia. Accanto alla speranza di avere la ricaduta di benefici pratici importanti, come sempre quando ci si pone un obiettivo che è più che ambizioso, abbiamo comunque anche delle ragioni che potremmo quasi dire sentimentali: per l’umanità esplorare sembra essere un bisogno ineludibile, anche se fosse inutile probabilmente vorremmo farlo lo stesso. Le parole di Konstantin Tsiolkovsky (1857-1935), il geniale padre della missilistica e della cosmonautica, risuonano mentre ci prepariamo per una nuova epocale sfida: «La Terra è la culla dell’umanità, ma non possiamo rimanere nella culla per sempre». Perché la Luna Si torna sulla Luna, abbiamo detto, ma questa volta non per una toccata e fuga ma perché vogliamo rimanerci, formare degli insediamenti stabili e sfruttarne anche le risorse naturali. Da lì poi vedremo come fare un ulteriore salto verso Marte, ispirando una nuova generazione all’esplorazione dello spazio. Per fare tutto questo occorre, già da ora, far partire un’economia legata strettamente al nuovo programma lunare. Non ci andiamo da più di 50 anni, l’ultimo a lasciare il suolo lunare fu Eugene Cernan, comandante della missione Apollo 17, nel dicembre del 1972. Wernher von Braun, il geniale e discusso scienziato spaziale ex nazista che aveva disegnato e realizzato il programma lunare statunitense, aveva nel cassetto già il proseguimento di quelle splendide e fortunate missioni: una stazione spaziale, uno shuttle per il trasporto di astronauti e materiali, lo stabilimento di una colonia lunare, propositi si7
Corsa alla Luna
mili a quelli di oggi se consideriamo gli aspetti generali. La continuazione del gigantesco sforzo per arrivare sulla Luna, costato la favolosa cifra di 100 miliardi di dollari in pochi anni, non destava ormai più tanta meraviglia né interesse nell’opinione pubblica americana, presa invece dalla guerra nel Vietnam che mieteva migliaia di vittime. Vediamo con un minimo di dettaglio le principali ragioni per intraprendere questa nuova impresa. In primo luogo in questi 50 anni la tecnologia è avanzata in modo notevole e questo ci permette di pensare realisticamente che saremo in grado di superare i formidabili ostacoli che si incontreranno. La Luna di cui parliamo oggi, inoltre, è molto diversa da quella degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando vi sbarcarono i primi astronauti americani. Non che sia cambiato il nostro satellite, ovviamente, ma è cambiata di molto la conoscenza che ne abbiamo noi. La “vecchia” Luna del programma Apollo era un mondo, polveroso e arido, quella che invece conosciamo oggi è piena di materiali che potrebbero esserci anche molto utili e, soprattutto, con tanta acqua, elemento fondamentale per ogni esplorazione e soggiorno stabile e prolungato. L’acqua di cui parliamo è sotto forma di ghiaccio, confinato nel fondo dei crateri più bui del Polo Sud, dove sono già state selezionate varie zone per il primo allunaggio sia degli USA che della Cina. Ammonterebbero almeno a 600 miliardi di tonnellate le riserve di ghiaccio d’acqua contenute nei Poli lunari, abbastanza da riempire 240mila piscine olimpioniche, ma probabilmente, una volta in loco si potrebbero trovare altri giacimenti inaspettati del prezioso liquido. Le 8
Perché tornare sulla Luna
ottimistiche stime sono della Planetary Society, l’associazione no profit fondata, fra gli altri, dal famoso astrofisico e divulgatore Carl Sagan nel 1980 per ispirare l’umanità intera all’esplorazione dello spazio [WOG]. Studiare e sfruttare l’acqua lunare sono i principali motivi per tornare sulla Luna stabilmente, ma non sono certamente gli unici, e comunque sono un passaggio obbligatorio se si vuole poi abitare sul nostro satellite. Lo stesso ghiaccio lunare, che è acqua, H2O, una volta che si riescano a separare Idrogeno e Ossigeno, potrebbe servire per procurarsi del carburante per vari scopi, in primo luogo per il lancio di razzi dal suolo lunare. Non potremo certamente portare sulla Luna tutto il carburante che ci servirà, e quindi questa opportunità è molto importante. Questo ci permette di mettere in chiaro un punto fondamentale dell’esplorazione lunare: sul nostro satellite si potrà portare solo il minimo indispensabile, la gran parte dei materiali con cui, ad esempio, costruire laboratori e installazioni dovrà essere trovata sulla Luna. Un’importante motivazione scientifica per questa nuova impresa è che la Luna è anche una vera e propria enciclopedia del nostro sistema solare: nelle sue rocce è racchiusa la sua storia, che è anche, in gran parte, la nostra. Potendo restarci a lungo e disponendo di laboratori locali certamente lo studio ci fornirà risultati sorprendenti, per confermare la parentela stretta fra Terra e Luna. Per quanto riguarda la ricerca scientifica i progetti più immediati sono quelli che si avvantaggiano della assenza di atmosfera, e quindi telescopi ottici o anche radio e rivelatori di particelle cosmiche, che lì arrivano 9
Corsa alla Luna
indisturbate al suolo, peraltro creando grossi problemi per l’incolumità degli astronauti. La minore gravità rispetto a quella terrestre permetterà probabilmente anche lavorazioni in laboratorio praticamente impossibili qui da noi, specie sui materiali e sui farmaci. Il più propagandato dei motivi, e vantaggi, per tornare sulla Luna è comunque lo sfruttamento delle risorse minerarie, soprattutto le terre rare. Si tratta di un gruppo di diciassette elementi chimici, dal Cerio (Ce), all’Ittrio (Y), che sono essenziali per l’industria elettronica: televisori, memorie, batterie, smartphone, pannelli fotovoltaici e, soprattutto, auto elettriche ne fanno largo uso. In buona sostanza sono elementi chiave per il progresso e la tecnologia cosiddetta “verde”, e la cura dell’ambiente, dato che queste lavorazioni producono scorie, anche tossiche, da trattare. C’è poi da considerare la ripercussione geopolitica, dato che il principale produttore al momento è la Cina col 37% del mercato. Nel futuro, anche immediato, la domanda per le terre rare aumenterà per decenni, la previsione è della Banca mondiale [MMR]. All’epoca della corsa alla Luna, nel secolo scorso, Stati Uniti e Unione Sovietica si giocavano soprattutto il ruolo di supremazia. Oggi la dimensione economica, che comunque cambierà l’assetto geopolitico è molto rilevante anche se, come vedremo, l’aspetto militare resta in primo piano. L’entrata in scena della Cina, che ha un programma spaziale in piena efficienza e vuole arrivare nelle stesse zone del Polo Sud lunare su cui ha messo gli occhi la NASA, ha impensierito gli ame10
Perché tornare sulla Luna
ricani che, anche ufficialmente, hanno espresso preoccupazione. Gli USA d’altronde considerano da sempre Luna e Marte, “moralmente”, appannaggio dell’America e questo creerà un problema, e non solo con la Cina, dato che l’India ha manifestato propositi simili per il 2040, e di capacità ne ha dimostrate parecchie con le sue missioni lunari. Proprio una missione cinese recente, Chang’e 5, ha riportato alla ribalta l’Elio 3, da tempo discusso come possibile fonte per la fusione nucleare. Elio 3 è formato da due protoni e un solo neutrone ed è l’unico isotopo stabile che abbia più protoni che neutroni. Questo lo rende candidato a essere il miglior combustibile per la fusione nucleare, in grado di liberare grandi quantità di energia con il vantaggio di non produrre residui radioattivi. Nonostante sulla carta sia una situazione molto favorevole, ci sono notevolissime difficoltà da superare, tanto che gran parte degli specialisti, ma non tutti, ritiene irrealizzabile la costruzione di un reattore a fusione di Elio 3, che dovrebbe oltretutto funzionare a temperature molto elevate. Dall’altra parte questo isotopo, rarissimo sulla Terra e quindi costosissimo, decine di migliaia di dollari al grammo, sarebbe contenuto in quantità nella polvere che ricopre la superficie del nostro satellite. I costi per estrarlo comunque sono al momento improponibili: si parla di processare 150 tonnellate di regolite lunare per avere un solo grammo di Elio 3. Terre rare ed Elio 3: capire come estrarre questi elementi sulla Luna e come usarli ha un’importanza che certamente non è solo legata all’acquisizione del know 11
Corsa alla Luna
how tecnologico, ma entra nella sfera dello sfruttamento minerario di corpi celesti diversi dalla Terra, anche questo è un tema molto dibattuto. Comunque se si riuscirà nell’intento e se diventerà economicamente sostenibile, potrà rivoluzionare l’economia terrestre e cambiare le carte in tavola per il settore energetico e per gli equilibri futuri della Space Economy. Sull’uso militare della Luna ci sono opinioni molto diverse. Da una parte abbiamo il Trattato del 1967, l’Outer Space Treaty (OST), che in pratica impedisce a chiunque di appropriarsi del nostro satellite, come fecero spagnoli e portoghesi col Centro e Sud America nel sedicesimo secolo, dall’altra aleggiano sospetti che il Trattato, stilato in un momento in cui non si poteva neanche lontanamente pensare a un progetto di colonizzazione del nostro satellite, verrà ignorato. I segnali odierni indirizzano verso un uso pacifico, possiamo ricordare ad esempio che la potente DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) americana, l’Agenzia governativa incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare, ha avviato uno studio su base decennale per lo sviluppo di una futura infrastruttura lunare integrata per “uso pacifico negli Stati Uniti e a livello internazionale”, che esamineremo più avanti. Anche se si tratta di un’Agenzia per lo sviluppo militare, val la pena di ricordare che, DARPA ha introdotto diversi progetti che hanno cambiato per sempre la nostra vita grazie a tecnologie rivoluzionarie, basta pensare alle interfacce grafiche, al GPS e allo sviluppo di ARPANET, il prototipo di quello che sarebbe diventato l’odierno Internet. 12
Perché tornare sulla Luna
Ma di chi è la Luna? Gli USA, con l’Europa e un’altra trentina di Stati, vogliono andare sulla Luna, la Cina lo stesso, ma con i suoi alleati e forse anche l’India, come vedremo. Si pone però un problema, anche perché tutti vogliono andare al Polo Sud: di chi è la Luna, degli Stati, dei privati? E ancora, chi può scavare sulla Luna e, nel caso, di chi è il materiale ricavato? Non sono problemi da poco, visti i piani di cui parleremo più avanti e che derivano dal fatto che questa volta non si tratta di stare poche ore e riportare, al massimo, qualche chilogrammo di campioni, ma invece si vuole andare, stabilirsi e far partire un’economia lunare. Chi potrà dare il “permesso” di occupare permanentemente il suolo lunare con edifici, potrebbe essere il primo dei quesiti dato che il suolo stesso non è di nessuno. Il riferimento principale è sempre il vecchio Trattato del 1967 sull’uso dello spazio [SPL] che all’articolo IV recita espressamente: «La Luna e gli altri corpi celesti saranno utilizzati da tutti gli Stati parti del Trattato esclusivamente per scopi pacifici», mentre l’articolo V stabilisce che gli Stati saranno responsabili per le attività nello spazio esterno, compresa la Luna e altri corpi celesti. Tutta la legislazione, nonostante vari successivi tentativi, si è fermata a questo Trattato che, se vogliamo essere ottimisti, dà solo un’inquadratura generale corretta e ci dice che la Luna è di tutti, ma anche di nessuno in particolare, e non può essere usata per scopi militari, qualunque essi siano. Gli obblighi che derivano dal Trattato ne rivelano la somiglianza con quelli 13
Corsa alla Luna
che hanno a che fare con il mare, specie nell’obbligo di prestare soccorso ad astronauti in difficoltà di qualunque provenienza essi siano. Un’analisi della situazione post-1967 dimostra proprio come le grandi potenze spaziali non abbiano mai voluto andare oltre il Trattato iniziale [WOM]. In compenso non appena lo sfruttamento minerario è uscito dal mondo dei sogni per entrare in quello delle imprese prima o dopo fattibili, gli Stati Uniti, nel 2015, hanno approvato lo Space Act, una legge che permette alle società private di sfruttare le risorse spaziali. Per non violare il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, nel testo gli Stati Uniti dicono di non reclamare nessun tipo di proprietà sui corpi celesti ma che le eventuali aziende del settore possono portarsi a casa i minerali: «Un cittadino statunitense impegnato nel recupero commerciale di una risorsa di asteroidi o di una risorsa spaziale avrà diritto a qualsiasi risorsa di asteroidi o risorsa spaziale ottenuta, incluso possedere, trasportare, utilizzare e vendere la risorsa di asteroidi o la risorsa spaziale ottenute in conformità con la legge applicabile, compresi gli obblighi internazionali degli Stati Uniti». Fuori dal burocratese si può leggere come “se ci riesci è roba tu”. Anche a voler esser positivi, se tutto quello che è previsto per la Luna nei prossimi due decenni si avvererà, una legislazione assai più completa e circostanziata è davvero necessaria.
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Perché tornare sulla Luna
La Luna
Fonte: NOAA, National Oceanic & Atmospheric Administration
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Capitolo 2 L’Occidente vuole la Luna
Artemis Andare sulla Luna, arrivare al suolo, ripartire e tornare sulla Terra non è facile, ma possiamo pensare di farlo. Comunque non si basa un progetto come questo sul fatto che sia facile o meno: altri avamposti umani, come l’Antartide, all’inizio sembravano impossibili da gestire e ora sono una realtà che dura da anni. Il nostro unico satellite naturale è abbastanza vicino, 384.400 chilometri la distanza media, e il tempo di viaggio è sui tre giorni, condizioni quindi favorevoli per poter pensare a viaggi frequenti di andata e anche ritorno. I primi a partire con un progetto strutturato per il ritorno alla Luna sono stati gli USA, con la NASA assieme alle Agenzie spaziali occidentali, quella europea, ESA, in testa, che hanno firmato un accordo importante di cooperazione sul programma Artemis. La NASA comunque, e anche questa è una relativa novità, sta facendo accordi anche diretti con gli Stati, Italia compresa: al momento sono oltre 30 gli aderenti. Sui dettagli dei progetti di Cina e India poco si sa, hanno comunque dichiarato apertamente la volontà di sviluppare un programma lunare, la Cina vuole arrivarci con dei suoi taikonauti addirittura per il 2030, l’India per il 2040. 17
Corsa alla Luna
Il programma Artemis della NASA è molto articolato, vuole in primis portare astronauti sulla superficie lunare entro il decennio, anche se le date precise non sono ancora del tutto definitive, probabilmente sarà verso la fine di questo decennio, costruire una stazione spaziale cislunare, il Lunar Gateway che permetta in futuro agli astronauti di scendere e salire sulla Luna e, infine, costruire un primo accampamento lunare. Quello che verrà dopo è tuttora materia di studio. Vale la pena di riportare le prime righe del documento di overview del programma lunare Artemis della NASA [NPO]: Il programma Artemis della NASA porterà l’umanità verso la Luna e ci preparerà per il prossimo passo da gigante: l’esplorazione di Marte. Sono passati quasi 50 anni dall’ultima volta che gli astronauti hanno camminato sulla superficie lunare durante il programma Apollo, e da allora l’esplorazione robotica dello spazio profondo ha visto decenni di progresso tecnologico e scoperte scientifiche. Negli ultimi 20 anni, gli esseri umani hanno vissuto e lavorato continuamente a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, a 400 chilometri dal suolo terrestre, preparandosi per il giorno in cui ci sposteremo più lontano nel sistema solare.
Il nome, dato al programma ufficialmente il 14 maggio 2019, come abbiamo già ricordato, vuol fare da contrappunto a quello di Apollo, dato a suo tempo al programma spaziale che portò gli USA sulla Luna. E in effetti Artemide è proprio il nome giusto, dato che si riferisce alla divinità della mitologia greca che protegge la caccia, le giovani fanciulle ed è anche dea della Luna. Oltretutto 18
L’Occidente vuole la Luna
è sorella di Apollo e quindi perfetta per rimediare all’eccesso di mascolinità del primo programma lunare, solo astronauti maschi, tanto che nella terza delle missioni previste sarà una astronauta a posare per prima il piede sul polveroso suolo selenico, un gesto simbolico che pareggia il conto con la storia. Il programma Artemis, che vuole riportare l’umanità sulla Luna, favorire una presenza sul nostro satellite e da lì, in prospettiva, spiccare il volo verso Marte è arrivato con grande difficoltà alla sua odierna definizione: la NASA, negli ultimi 10 anni e passa, si è trovata a dover fronteggiare atteggiamenti completamente diversi da parte del presidente USA di volta in volta in carica. Barack Obama ha imposto di lasciar perdere la Luna e puntare su Marte seguito poi da Trump che, con determinazione presidenziale, ha incaricato l’Agenzia di concentrarsi sulle missioni sulla Luna, con corollario della scadenza, del tutto irrealistica, nel 2025 per l’allunaggio dei primi esseri umani, oggi portata al 2026, ma molti pensano slitterà al 2027-28. Questi continui cambiamenti di direzione hanno provocato anche un aumento notevole dei costi e ritardi misurati oramai in anni. Anche lo scenario complessivo della Space Economy è cambiato in modo radicale, come abbiamo visto, per l’entrata in forze dell’iniziativa privata, il crollo dei costi e la crescente miniaturizzazione. Oggi comunque Artemis è un progetto sostanzialmente statale, almeno al suo inizio, ma la vera scommessa è che intende coinvolgere, man mano che avanza, quante più imprese private possibile, per dare il via a una economia lunare che si autosostenga e si sviluppi. E questo fin da ora. 19
Corsa alla Luna
Artemis è un programma articolato in step successivi, tutti egualmente importanti. I mezzi su cui si basa per la prima fase sono il razzo vettore Space Launch System, SLS, e la navicella Orion, entrambi della NASA. Space Launch System SLS è attualmente il razzo più potente esistente e anche il più alto, dato che può andare dai 98 metri ai 111, a seconda della configurazione scelta di volta in volta, in funzione del compito che avrà nelle varie missioni: portare umani o carichi importanti, o entrambi. Non si tratta però di un razzo completamente nuovo, né tanto meno innovativo, ma di un vettore basato sulla tecnologia usata per lo Space Shuttle che, anche se affidabile e continuamente perfezionata, risale comunque agli anni Ottanta del secolo scorso. Alcune parti del razzo sono nuove, mentre altre sono state aggiornate con caratteristiche moderne che soddisfano le esigenze delle missioni nello spazio profondo, che richiedono livelli di prestazioni più elevati. La motivazione della NASA è che deve costruire quasi simultaneamente i razzi necessari per molte missioni future. Per questo, e per ridurre i costi e i tempi di sviluppo, la NASA sta utilizzando hardware e progetti già usati con successo ai tempi dello Space Shuttle. Certamente è giustificabile, ma sullo sfondo si intravede molto chiaramente la presenza del nuovissimo e ancora più potente Starship di SpaceX, che costituisce invece una novità assoluta e non un miglioramento: un sistema di trasporto riutilizzabile progettato per trasportare sia l’equipaggio che il carico nell’orbita terre20
L’Occidente vuole la Luna
stre, sulla Luna, ma anche, secondo quanto affermato dalla descrizione ufficiale, su Marte e oltre. Starship sarà il veicolo di lancio più potente al mondo mai sviluppato, più di SLS, alto 121 metri, potrà trasportare fino a 150 tonnellate di carico. Nonostante abbia portato a termine positivamente la sua prima missione, Artemis I nel 2022, SLS è fortemente criticato per i suoi costi, per la tecnologia sorpassata, e anche per la convinzione di molti osservatori che difficilmente si potranno fare con questo vettore le decine di lanci verso la Luna previsti per i prossimi anni per portarvi uomini e mezzi. Secondo l’Office of Inspector General (OIG) della NASA, ad esempio, il solo lancio di Artemis I che, è opportuno ricordarlo, non ha trasportato persone ma doveva collaudare tutti i sistemi di bordo, è costato 2,2 miliardi di dollari. Se consideriamo l’intera missione il costo si aggira attorno ai quattro miliardi, compresi i 300 milioni per il contributo europeo; alla fine quindi rischiamo di avere per Artemis una spesa oggi insostenibile. Anche il problema costi troppo elevati è comunque sotto studio e c’è una continua trattativa con le ditte per ridurli mantenendo qualità e sicurezza. Inoltre, confrontandoli con quelli del programma Apollo secondo la NASA alla fine, nel 1973, il budget del programma era di 23,6 miliardi di dollari, equivalenti a circa 136 miliardi di dollari attuali. Ogni sbarco sulla Luna del programma Apollo è costato quindi una cifra attorno ai 22,6 miliardi di dollari. Le prestazioni di SLS, nel primo volo nel 2022, hanno superato le aspettative e definitivamente omologato 21
Corsa alla Luna
il razzo per le future missioni anche con equipaggio. SLS è progettato per missioni nello spazio profondo e per il momento è l’unico in grado di inviare la capsula Orion (vedi prossimo paragrafo), o carichi pesanti fin sulla Luna, 400mila chilometri di distanza dalla Terra. Almeno fino al collaudo definitivo dello Starship di SpaceX. Il primo SLS che ha volato nel 2022 ha utilizzato la configurazione base, che nonostante il nome, è alta 98 metri e pesa 2,6 milioni di chili, con lo stadio centrale che contiene circa tre milioni di litri di Idrogeno e Ossigeno liquido raffreddati, che servono come carburante per i quattro potenti motori RS-25 che, assieme ai due booster con carburante a stato solido, portano in otto minuti in orbita il gigantesco razzo. Confronto fra i razzi vettori del programma Artemis SLS di Nasa, Starship di SpaceX e il Saturn V del programma Apollo
Fonte: NASA
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Orion La vera novità del programma Artemis è la navicella Orion, che la NASA ha lungamente studiato e provato, i primi progetti risalgono infatti al 2005. Anche questa comunque è in grande ritardo rispetto ai piani originali, a causa dei continui cambiamenti della politica spaziale americana detti prima. Come scrive con orgoglio la NASA «Orion è costruita per portare gli esseri umani più lontano di quanto non siano mai andati prima». Orion, che prende il nome dall’omonima costellazione, una delle più belle e note dell’emisfero Nord, nasce con una filosofia molto vicina a quella dei moduli Apollo, ovviamente aggiornata grazie a cinquant’anni di esperienza e sperimentazione della NASA. Porta tipicamente quattro astronauti per missioni che possono durare fino a 21 giorni e ha, oltre al modulo di servizio, anche un adattatore per collegarla al razzo che la porta in orbita. Come novità Orion è provvista anche di un sistema che permette all’equipaggio di fuggire in caso di emergenza sulla rampa di lancio, un’innovazione non da poco. Il sistema di interruzione del lancio, posizionato su una torre in cima al modulo equipaggio, può attivarsi in pochi millisecondi per spingere il veicolo in sicurezza e portare il modulo equipaggio fino a un atterraggio sicuro. Il modulo per gli astronauti è in grado di trasportarne quattro fin oltre la Luna, fornendo un ambiente sicuro in tutte le fasi del volo. Il modulo di Orion, dove sta l’equipaggio, ha un sistema di propulsione formato da 12 motori che sono fondamentali per il rientro. Infatti, al momento di tornare sulla Terra, Orion si separa dal modulo di servizio e i piccoli motori sono fondamentali per aggiustare in modo fine 23
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la direzione di entrata in atmosfera, in modo tale che lo scudo termico possa fare il suo dovere in modo ottimale, ossia proteggere la capsula dal terribile surriscaldamento. La capsula Orion, nel suo interno, è equipaggiata con sedili anatomici regolabili e armadietti dove gli astronauti pongono tutto quello che può loro servire per il viaggio, che, ricordiamo, può essere anche parecchio lungo. La regolazione dei sedili non è solo una comodità, ma permette, secondo i calcoli degli ingegneri, di ospitare in modo acconcio il 99% degli astronauti, con stature e pesi diversi. Altra novità è che Orion ha una zona toilette molto compatta e adatta sia a uomini che a donne, c’è anche una micropalestra. Nel caso sfortunato in cui durante il viaggio dovessero imbattersi in una potente tempesta solare, gli astronauti possono ritirarsi in due grandi armadi sul pavimento della capsula che possono servire da schermatura. Interessanti le migliorie anche sul sistema di controllo, gli astronauti guideranno, diciamo così, Orion utilizzando un sofisticato sistema di visualizzazione e controllo che usa tre schermi, circa 60 interruttori, quattro controller manuali. Finalmente poi, grazie anche alle procedure software e alla AI, non ci sono più i giganteschi manuali cartacei dell’epoca Apollo. Il paracadute è di concezione del tutto nuova anche lui. Dovremmo dire per la verità il sistema di paracadute, sono 11 in effetti, e devono aprirsi uno dopo l’altro e con sincronismo perfetto. La navicella entra in atmosfera a 40mila chilometri all’ora e la potente azione frenante dell’aria la porta a 800 chilometri orari. È qui che il paracadute si deve aprire per rallentare la navicella fino ai 24
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30 chilometri all’ora previsti per l’impatto con l’Oceano Pacifico. Un compito non da poco. La capsula Orion è accoppiata anche all’essenziale modulo di servizio, realizzato in collaborazione con l’ESA, l’Agenzia spaziale europea, che fornisce potenza elettrica, propulsione nello spazio per il trasferimento di orbita della capsula, controllo termico, controllo dell’assetto, tutte funzioni fondamentali. Il modulo di servizio fornisce alla capsula propriamente detta anche acqua e aria per gli astronauti. Il modulo con l’equipaggio di Orion si separerà dal modulo di servizio poco prima di rientrare nell’atmosfera terrestre, ed è l’unica parte che ritornerà sulla Terra alla fine di ogni missione. Struttura della capsula Orion e modulo di servizio europeo
Fonte: NASA
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Per la prima volta, la NASA utilizza un sistema costruito in Europa come elemento critico per il volo. Fornito dall’ESA il fondamentale modulo di servizio conferma anche gli ottimi rapporti di cooperazione fra Europa e USA, sviluppati in oltre 20 anni di collaborazione nella ISS, la Stazione spaziale internazionale. Artemis I Lanciata il 16 novembre 2022, dopo una serie di rinvii dovuti a motivi sia tecnici che meteo, durata 25 giorni, 10 ore e 53 minuti, la prima missione del programma Artemis è stata un successo completo, ha dimostrato soprattutto che il potente SLS funziona a dovere. Anche Orion ovviamente, dato che la navicella spaziale ha raggiunto la distanza massima dalla Terra di 432.355 chilometri, superando così il record di distanza che apparteneva all’Apollo 13, la missione famosa per il difficile e pericoloso ritorno a Terra: fu evitata una catastrofe grazie all’eccezionale bravura e al sangue freddo dell’equipaggio. Orion è anche arrivata, nella sua orbita attorno alla Luna, fino a soli 130 chilometri dalla superficie del nostro satellite. Il buon funzionamento della capsula e del modulo di servizio europeo era uno degli obiettivi principali della missione Artemis e ha dimostrato che il salto alla Luna si può fare con questi mezzi, una prova sul campo che mancava. A bordo di Orion, in questa missione, non c’erano esseri umani ma manichini, utilissimi per registrare le sollecitazioni sulle diverse parti del corpo, dovute al decollo, al volo e al successivo rientro, con relativo splash down in mare al largo del Messico. Altra novità è che la missione ha trasportato, e rilasciato, una decina di cubesat, piccoli 26
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satelliti della grandezza di una scatola da scarpe, che avevano compiti molto diversi, anche di analisi e studio del suolo lunare. Particolarmente interessante l’unico cubesat europeo, l’italiano Argomoon, di Argotec, di dimensione 6u, ossia 20x30x10, che ha ripreso, come un cineoperatore spaziale, dall’esterno il comportamento del vettore SLS e della capsula Orion, un modo molto innovativo di documentare la traiettoria del razzo anche in assenza di trasmissioni con la Terra. Importante anche il piccolo Lunar Ice Cube, per lo studio della distribuzione del ghiaccio al Polo Sud lunare, e il LunaH-MAP, per lo studio della distribuzione di Idrogeno. Artemis II Artemis II è la seconda missione del programma Artemis e, soprattutto, è la prima con equipaggio umano che, dopo tanti decenni, porterà degli astronauti oltre la bassa orbita, quei 400 chilometri dal suolo che sono tipici della Stazione spaziale internazionale. La data del lancio era fissata al novembre 2024, ma è stata spostata al 2025 per i ritardi nella costruzione del vettore SLS della NASA. Il piano di volo è simile, ma non eguale, a quello di Apollo 8 o, se si vuole piacevolmente sconfinare nella letteratura, a quello del profetico romanzo Intorno alla Luna di Jules Verne. La navicella Orion di Artemis II, con il suo modulo di servizio, eseguirà un passaggio sulla Luna, ma non ci orbiterà attorno, semplicemente ritornerà sulla Terra. L’avventura di Artemis II durerà 10 giorni. Nelle prime orbite attorno alla Terra, dopo il decollo, verranno 27
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controllati tutti i sistemi di bordo per verificare il perfetto funzionamento. La capsula riceverà a quel punto la spinta per andare nella traiettoria che la porterà sulla Luna. Una parte importante nella missione di Artemis II è il test che verrà effettuato utilizzando comunicazioni ottiche da e verso la Terra, con un sistema, Orion Artemis II Optical Communications System (O2O), dedicato proprio a questo. L’importanza di questa missione, che dovrebbe essere ovvia, è stata comunque ribadita nell’aprile del 2023 in una conferenza stampa di presentazione, a Houston, dei quattro astronauti che voleranno con Artemis II. Uno show, più che una conferenza stampa tecnico-scientifica: notevole scenografia, anche su Web, e telefonata del presidente Biden che parla dell’importanza epocale della missione messa in piedi dagli USA e dai suoi alleati nello spazio: Canada, Europa, Giappone. Sono stati selezionati per questa missione tre uomini e una donna, tre bianchi e un nero, tre americani e un canadese. Effettivamente è un’ottima ricetta trovata dalla NASA per non scontentare nessuno e mantenere le promesse fatte ai vari gruppi. Christina Koch diventerà la prima donna astronauta mai assegnata a una missione lunare, mentre Victor Glover sarà il primo astronauta nero a vedere il nostro bel satellite da vicino. I due faranno squadra con Reid Wiseman e Jeremy Hansen per la missione che porterà degli esseri umani di nuovo fino alla Luna, dopo più di 50 anni. Sono tutti sopra i 40 anni e tre hanno una notevole esperienza di volo nello spazio: Christina Koch per esem28
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pio ha un record di 328 giorni in missione, Reid Wiseman è stato addirittura capo ufficio astronauti della NASA, Victor Glover è stato il primo afroamericano a rimanere sulla Stazione spaziale internazionale per un periodo prolungato di sei mesi. Resta il canadese Jeremy Hanson, pilota di caccia, che comunque non è una qualifica da poco, alla sua prima esperienza di volo nello spazio. Importanti, anche se un poco enfatiche, le parole di Bill Nelson, amministratore della NASA: «Questi astronauti hanno ognuno la loro storia, e rappresentano il nostro credo: E pluribus unum. Insieme, stiamo inaugurando una nuova era di esplorazione per una nuova generazione di navigatori stellari e sognatori: la Generazione Artemis». A parte l’enfasi, che quasi prelude a una nuova epopea spaziale, quel che è importante è che si sottolinea in modo deciso uno degli obiettivi importanti per gli USA: trovare entusiasti adepti nelle nuove generazioni, che saranno anche i contribuenti e gli elettori di domani. Missione delicata Artemis II, che segue quella di Artemis I senza astronauti, che portò la capsula Orion per la prima volta in un volo realmente complesso: 25 giorni dalla Terra alla Luna e viceversa. Il razzo che l’ha lanciata, lo Space Launch System, oltre 90 metri di altezza nella configurazione base, ha ricevuto forti critiche anche dal Congresso USA per i costi e i ritardi, e le missioni Artemis II e III le stanno confermando. Il volo di Artemis II sarà un po’ particolare rispetto alle missioni precedenti. La capsula Orion con i quattro astronauti a bordo non solo non atterrerà sulla Luna, ma come detto, non entrerà stabilmente in orbita, seguirà invece su29
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bito una traiettoria ibrida di ritorno. In pratica Orion utilizzerà il suo modulo di servizio, costruito in Europa, per eseguire le manovre che gli permetteranno di orbitare prima attorno alla Terra e poi lanciarsi verso la Luna, da cui ritornerà per effetto del richiamo della gravità terrestre, con una specie di effetto fionda, ci girerà attorno in parole povere. In questo modo i quattro astronauti sorpassano, vanno oltre, il nostro satellite fino a 10.300 chilometri dal lato a noi non visibile. Per loro la consolazione di un record comunque: è il punto più lontano dalla Terra raggiunto da esseri umani. Inizia con Artemis II anche nello spazio una nuova era, come ricordato da Bill Nelson, per nuove generazioni di audaci esploratori. Comunque sia Artemis II è considerata un passo cruciale del programma e farà da prova definitiva prima dello sbarco sul nostro satellite con Artemis III che, se tutto andrà bene, non potrà avvenire prima di un anno dalla conclusione di Artemis II, quindi, a oggi, nel 2026. A quel punto la strada sarà sgombra e inizierà la vera e propria fase di colonizzazione della Luna, prima con robot che opereranno al suolo per costruire gli edifici necessari agli astronauti e i laboratori previsti e poi con un via vai continuo da e per il suolo lunare, con tappa intermedia nella stazione spaziale orbitante attorno al nostro satellite, tutta da costruire e in cui le imprese italiane, che hanno partecipato in prima fila alla costruzione della Stazione spaziale internazionale, specialmente Thales Alenia Space, avranno una parte fondamentale. Artemis III Artemis III è il terzo e ultimo gradino, il più complesso 30
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e impegnativo, con cui la NASA e i suoi partner riporteranno l’umanità sulla Luna. Come abbiamo già detto, le prime due persone che metteranno piede, dopo più di 50 anni, sul nostro satellite saranno questa volta una donna e una persona di colore, una scelta fortemente marcata per sottolineare l’eguaglianza fra i generi e le persone, e un poco, perché no, per rimediare all’eccesso di mascolinità che abbiamo già citato della missione Apollo, dove gli uomini facevano gli astronauti spericolati, e fortunati a tornare indietro, e le donne stavano a casa a fare torte per ingannare il tempo in vista del ritorno degli eroici mariti, con le famose gonne a palloncino che si usavano in quegli anni. Di questa situazione se ne fece un fortunato libro e anche un film [AWC]. Una volta che la missione Artemis II sarà archiviata partirà la corsa finale per Artemis III, la data ufficiale aggiornata è il 2026. Se tutto andrà bene, la NASA per la seconda volta passerà alla storia per aver portato umani sulla Luna, ma questa volta sarà molto differente perché il traguardo sarà merito anche di parecchie altre nazioni, e non solo degli USA come nel 1969. Soprattutto ci saranno anche giocatori privati nella partita, Elon Musk in prima fila: a differenza delle missioni Apollo, Artemis III sarà infatti costituita da due diverse missioni, una della NASA e una di SpaceX. L’equipaggio partirà con la navicella spaziale Orion, che utilizza l’indispensabile modulo di servizio europeo per gli impianti fondamentali. Orion ha già dimostrato le sue capacità di viaggio e soprattutto rientro nella missione Artemis I, in particolare in quella occa31
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sione si è verificato il funzionamento dello scudo termico, di nuova concezione, che deve proteggere navicella e astronauti dal terribile surriscaldamento dovuto al rientro in atmosfera. La capsula Orion è infatti rientrata nell’atmosfera terrestre a una velocità di circa 40mila chilometri all’ora, elevatissima ma necessaria per i veicoli spaziali che rientrano da missioni lunari: devono entrare nell’atmosfera a quella velocità e con una precisa angolazione per poter atterrare ed evitare di bruciare, letteralmente, o rimbalzare ed essere rimandati nello spazio. I quattro astronauti selezionati per la missione partiranno dalla rampa di lancio 39B, resa famosa proprio dalle missioni Apollo visto che da lì partiva il potente Saturn V che portò fino alla Luna gli astronauti più volte. Questa volta il razzo vettore utilizzato sarà lo Space Launch System, abbastanza potente da inviare Orion, il suo equipaggio e i rifornimenti sulla Luna in un unico lancio. La missione è molto complessa, tra quelle più difficili mai tentate, dopo il lancio Orion resterà in orbita terrestre per i controlli di tutti i sistemi, operazione preliminare per il seguente balzo verso la Luna. Durante il viaggio agli astronauti non mancherà certo il lavoro, dato che dovranno sorvegliare accuratamente tutti i sistemi di bordo, il loro funzionamento e, se necessario, operare qualche correzione di rotta, oltre a quelle già previste, per entrare in un’orbita attorno alla Luna piuttosto particolare e complessa, NRHO, Near-Rectilinear Halo Orbit. Il punto importante di questa orbita è che la forza di attrazione gravitazionale che la Terra e la Luna esercita32
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no su un veicolo spaziale è molto bilanciata. L’attrazione gravitazionale esercitata da un corpo, infatti, dipende dalla massa e ancor di più dalla distanza, la Terra ha molta più massa della Luna, 80 volte, ma quando Orion sarà in questa orbita sarà molto più distante della più “leggera” Luna e le due forze si compenseranno. Questo farà sì che il consumo di carburante, preziosissima risorsa, sarà il minore possibile, dato che in quell’orbita non ci sono importanti forze avverse da contrastare. Per inciso questa vantaggiosa orbita sarà anche quella in cui verrà assemblata la stazione spaziale lunare Gateway, di cui parliamo più avanti. L’allunaggio, e la successiva ripartenza dal suolo lunare, comunque sarà affidato a SpaceX e al suo sistema HLS, Starship Human Landing System. Gli astronauti, due, infatti trasborderanno da Orion a Starship, che si sarà portata sulla stessa orbita, mentre altri due rimarranno nella capsula attorno alla Luna. La missione affidata a SpaceX è altrettanto complessa e prevede, prima di tutto, il lancio di serbatoi di carburante in orbita terrestre, anche prima del lancio di Orion con SLS. Poi sarà il turno del modulo di allunaggio HLS, entrambi con il potente vettore Super Heavy. Questa parte è complessa e SpaceX effettuerà parecchi test completi, che dovranno soddisfare gli stringenti requisiti di sicurezza imposti dalla NASA, prima di arrivare al momento della missione con umani. Il sistema di SpaceX a questo punto “farà il pieno” non appena partito dalla terra attaccandosi ai serbatoi precedentemente messi in orbita prima di accendere i motori che lo faranno andare verso la Luna, viaggio che 33
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durerà sei giorni. Giunto in NRHO aspetterà la navetta Orion con l’equipaggio di Artemis III. Effettuato il trasbordo dei due fortunati che scenderanno sulla Luna, la Orion si staccherà ed entrerà in orbita per 6,5 giorni, l’intervallo di tempo esatto in cui si effettuerà e concluderà la missione sulla Luna. Il mezzo di SpaceX, HLS, a quel punto decollerà dalla Luna per raggiungere la capsula Orion. Il rendez vous dopo il compimento della missione vedrà l’operazione inversa: i due astronauti reduci dal suolo lunare torneranno in Orion. Come detto, il luogo dell’allunaggio sarà scelto fra quelli già studiati dalla NASA al Polo Sud, regione con condizioni particolari rispetto al resto della Luna, ma potenzialmente la più favorevole per scendere e poi dare corso al progetto di abitazione umana continua. Una volta che HLS sarà arrivato al suolo gli astronauti non dovranno scendere, ma controllare nuovamente tutti i sistemi di bordo che permetteranno loro di rimanere al sicuro e anche ripartire. Il primo giorno andrà via con questo, oltre a un riposo dal viaggio e una pausa per l’alimentazione. Nelle ore successive inizieranno le passeggiate lunari, che saranno diverse, per esplorare la superficie. Sarà un momento storico, possiamo dire che sarà l’inizio di una nuova era. Come diciamo più avanti, gli astronauti indosseranno delle tute di nuova concezione, AxEMU della compagnia privata Axiom, che garantiscono una maggiore libertà di movimento e flessibilità, qualità importanti dato che è previsto un notevole insieme di attività per le esplorazioni lunari dei due astronauti. 34
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Quel che vedranno dal punto di allunaggio sarà parecchio diverso da quello che hanno visto gli astronauti dell’Apollo, infatti al Polo Sud il Sole rimane molto basso all’orizzonte e proietta lunghe ombre scure, tanto che gli astronauti avranno sistemi per illuminare il cammino e il suolo quando necessario. È un lavoro importante quello che faranno, perché la ricognizione e lo studio in loco saranno fondamentali per migliorare la conoscenza della regione in cui tutti i programmi di USA, Europa, Cina, India vogliono allunare. Il contatto continuo con la Terra, con la trasmissione di immagini di alta qualità, permetterà l’ottimizzazione delle ricerche e analisi e la raccolta di campioni di minerale da riportare sulla Terra. Al termine delle esplorazioni l’equipaggio tornerà, grazie ad HLS, nell’orbita in cui ritroverà Orion con i due compagni per una nuova fase di lavoro che potrà durare fino a cinque giorni in cui, principalmente, si effettuerà il trasbordo del prezioso materiale raccolto. Finita questa fase Orion verrà lanciata verso la Terra dove arriverà, protetta dallo scudo termico come abbiamo detto, ammarando nell’Oceano Pacifico, frenata da ben 11 paracadute. La porta per il Polo Sud lunare sarà a quel punto aperta.
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Le principali fasi della missione Artemis III
Fonte: NASA
Starship La Starship di SpaceX è un veicolo di lancio completamente riutilizzabile sviluppato da SpaceX, l’azienda di tecnologia aerospaziale fondata da Elon Musk, ed è il mezzo, vettore più navetta di trasporto persone o cose, che giocherà un ruolo fondamentale nel programma di ritorno alla Luna. Infatti, dopo che avrà affiancato lo Space Launch System della NASA nella missione Artemis III, vedi sopra, nel portare gli astronauti sul nostro satellite, e li avrà riportati a casa, Starship avrà il compito di affiancare, se non sostituire, l’SLS anche nei tanti viaggi per la Luna, che dovranno essere necessariamente diverse decine entro il 2030, per portare astronauti alla stazione spaziale cislunare, riportarli a casa, e trasportare materiali. A differenza dell’SLS della NASA, che riutilizza par36
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ti provenienti dalle missioni Spacelab del secolo scorso, Starship è un complesso, vettore più navetta, completamente nuovo progettato da zero e con criteri molto innovativi. Lo Starship è infatti pensato e realizzato per trasportare sia carico che persone verso una varietà di destinazioni, non solo la Luna. Per la verità, anzi, la prima idea di Elon Musk nel 2016 fu quella di un cargo vero e proprio per portare decine e decine di persone su Marte, cosa che rappresenta, da sempre, il suo vero obiettivo, o sogno se si preferisce. È un veicolo a due stadi, costituito dal potente booster, il Super Heavy, e dalla navicella Starship. Ci si riferisce a Starship sia come complesso che come solamente navicella, i suoi punti di forza, fra gli altri, sono soprattutto la riusabilità di entrambi i componenti e la economicità, che deriva principalmente dalla prima e dall’uso attento dei materiali. Starship è il più potente razzo vettore mai costruito, alto, nel suo complesso, 121 metri e con una larghezza massima di nove, può trasportare, in versione cargo, fino a 150 tonnellate di carico, la sola navicella è lunga 50 metri. La prima parte del razzo, Super Heavy, è spinta da 33 motori Raptor, che utilizzano come carburante Metano e Ossigeno liquidi, con un bel guadagno in termini di inquinamento. Attenzione però che per SpaceX il vero plusvalore non è, o non è solo, il minor inquinamento atmosferico in fase di decollo, ma il fatto che si spera, un domani, di poter ricavare entrambi i componenti dal suolo marziano, facilitando i viaggi di ritorno alla Terra. Il motore Raptor è imponente: 3,1 metri in altezza e 1,3 in larghezza con una 37
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potenza doppia rispetto ai già notevoli Merlin del Falcon 9. La navetta di Starship sarà alimentata da sei motori, tre motori Raptor e tre motori Raptor Vacuum, progettati per l’uso nel vuoto dello spazio. La navicella è molto flessibile come utilizzo ed è progettata per svolgere una varietà di missioni, dal rifornimento di satelliti in orbita terrestre bassa fino a missioni interplanetarie. Se ne prevede l’uso in tre modalità differenti: crew, per il trasporto astronauti, cargo, per il trasporto materiali, e tanker, per il trasporto di carburante. Il rifornimento in orbita è un punto di forza della strategia di SpaceX per il futuro, cambia le regole del gioco, è come se si allestissero delle stazioni di rifornimento nello spazio, ed è supportato economicamente da due contratti vinti nell’ambito del programma della NASA “Tipping Point”. Per quanto riguarda i test, alla fine del 2023 Starship ne aveva effettuati vari statici e due di decollo vero e proprio. Il primo è finito molto male, pochi minuti dopo il decollo con la distruzione del razzo e il danneggiamento dell’importante struttura di lancio, stiamo sempre parlando del razzo più alto mai costruito, mentre il secondo lancio ha visto il decollo e, questa volta, l’iniezione di tutti i 33 motori Raptor del booster, un passaggio molto importante. Il gigantesco razzo è partito regolarmente con la navetta Starship dalla base di Boca Chica della SpaceX, sulla costa del Golfo del Texas. A tre minuti dal lancio la navetta Starship si è separata dal primo stadio, come doveva, ma il razzo ha iniziato a manifestare anomalie e la navetta a quel punto è stata fatta esplodere per evitare danni. Come per il primo tentativo le autorità competenti 38
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americane hanno aperto un’inchiesta, anche di tipo ambientale, Boca Chica è un’area molto particolare dal punto di vista ecologico. I test continueranno nel 2024 sia perché al momento Starship non funziona e sia perché la NASA, giustamente, esige un certo numero di test e voli perfettamente riusciti per omologarne l’uso per la missione Artemis III. Si è discusso parecchio, al termine del secondo tentativo nel novembre 2023, se si sia trattato o meno di un completo fallimento. La questione va inquadrata nel particolare modo di lavorare di SpaceX, che, non dimentichiamolo, ha raggiunto traguardi impensabili per altri, NASA compresa, come la riusabilità dei propri booster. La scena del ritorno del primo stadio del Falcon 9 a Cape Canaveral, che arriva perfettamente e si ferma a terra, dicembre 2015, ha lasciato a bocca aperta anche i più esperti ingegneri aerospaziali, compreso, confesso, l’autore di questo libro. Anche Starship, entrambe le componenti, rientrerà nel pad di lancio a Boca Chica, è previsto anche un aggancio “al volo” da parte della rampa di lancio, che a questo punto, è anche “di atterraggio”, un particolare molto scenico tipico di Musk, ma comunque pensato fin dall’inizio, dato che i due veicoli non hanno gambe per l’atterraggio. SpaceX lavora per tentativi ed errori, da cui impara, un metodo più tipico della ricerca che dell’ingegneria aeronautica. Da questo punto di vista il secondo lancio è stato positivo, anche se certamente non perfetto, anzi, dall’esperienza e dai dati sul fallimento si apprenderanno indicazioni precise per il prossimo test. Nel 2024 coi prossimi test si capirà se il metodo funzionerà anche in 39
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questo caso. Comunque il progetto è in ritardo e la partenza di Artemis III si allontana spostandosi, secondo le previsioni, al 2026-2027. Tabella 1 – Un confronto fra Space Launch System della NASA, Starship di SpaceX e il Saturn V del programma Apollo SLS 1 – NASA
Starship SpaceX
Saturn V NASA
95 t
100-150 t
140 t
Capacità di iniezione 27 t translunare
n/a
45 t
Altezza
98 m
120 m
110,6 m
Diametro massimo
8,4 m
9m
10,1 m
Peso lordo al decollo
2.603 t (alimentato)
5.000 t
2.900 t
Spinta massima
39,1 milioni
89,2 milioni
34,5 milioni
Riutilizzabile
No
Completamente
No
Costo per lancio
> 2 miliardi $
40 milioni $
185 milioni $
Volo inaugurale
16 novembre 2022 20 aprile 2023
Capacità LEO
9 novembre 1967
Fonte: NASA
Le tute AxEMU Per uscire dal mezzo che li ha portati fino al suolo lunare, al Polo Sud, e per camminare e operare sulla Luna le astronaute e gli astronauti utilizzeranno una tuta rivoluzionaria, AxEMU, acronimo di Axiom Extravehicular Mobility Unit. È rivoluzionaria per due motivi, molto diversi fra loro: è concettualmente nuova, fatta con materiali innovativi che permettono, anche grazie al nuovo disegno, una maggior e più facile mobilità e flessibilità, e questo non è certo poco. Una seconda importante caratteristica delle nuove tute è che sono prodotte non dalla NASA ma da una ditta privata, Axiom. Certo, le stringenti specifiche 40
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per la loro costruzione sono date dagli uffici NASA, ma anche questo è uno degli esempi, e iniziano a essere tanti, con cui la NASA cerca di sollecitare una economia lunare basata il più possibile sul contributo dei privati, sperando che con questo anche aumenti il numero di imprese e startup come fornitori di beni e servizi. In effetti Axiom si è aggiudicata la commessa e sta facendo del suo meglio, ma ha alle spalle le specifiche di realizzazione date dalla NASA che vengono da anni e anni di ricerca, sperimentazione e uso da parte dei suoi astronauti. Oltre a questo Axiom si è aggiudicata anche un contratto, che può arrivare, a tranche successive, fino a 3,5 miliardi di dollari. AxEMU permetterà di muoversi agevolmente sul territorio lunare, con maggiore flessibilità rispetto alle tute finora usate, inoltre la loro forma è tale per cui, dichiara Axiom, si adatterà a un maggior numero di astronauti, in termini di statura e dimensioni, si parla del 90% dei maschi e femmine americane. Dal punto di vista della vestibilità che pare migliore, queste tute, sono formate da due pezzi, si entra “da dietro”, da un’apertura nella parte posteriore. Questo rende anche più semplice e veloce indossare la tuta. Una tuta per attività extraveicolari è qualcosa di molto complesso, non è solo un indumento, tutt’altro. Deve permettere all’astronauta di sopravvivere in un ambiente alieno molto ostile, con temperature che possono essere sia alte, nel caso della Luna, che molto basse, devono proteggere dalle radiazioni nocive, che, fortunatamente, sulla Terra vengono assorbite dall’atmosfera, devono poi assicurare al loro interno un ambiente respirabile, avere un impianto elettrico vero e proprio per distribuire la corrente a varie 41
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attrezzature, interne ed esterne alla tuta, e infine avere una riserva di acqua che l’astronauta potrà facilmente bere. Le tute presentate finora da Axiom sono nere, ma è solo un modo per camuffarle, le tute finali, che dovranno essere testate in un ambiente opportuno sulla Terra prima di essere usate nello spazio, dovranno essere certamente bianche, per respingere il calore della radiazione solare diretta. Il marketing spaziale ha i suoi diritti. Il Lunar Gateway Lunar Gateway è uno dei programmi chiave della NASA per il ritorno alla Luna. Si tratta di costruire una stazione spaziale cislunare con diverse sezioni, come quella cui siamo abituati da anni, la Stazione spaziale internazionale, ISS, ma più piccola, che resterà in orbita lunare fungendo, come dice il nome stesso, da portale verso e dalla Luna e, un domani, potrà servire anche per il balzo verso Marte. Si è iniziata a realizzata nel quadro di una estesa collaborazione internazionale e, se la schedula verrà mantenuta, la sua costruzione in orbita inizierà nel 2028, anno in cui saranno spediti in orbita lunare i primi due elementi della stazione stessa. L’Europa partecipa in modo molto importante al Lunar Gateway e l’Italia porta anche qui un contributo importante, grazie all’esperienza sviluppata in più di un decennio, con l’ISS, in cui Thales Alenia Space ha realizzato una buona metà della superficie abitabile. Il Lunar Gateway, progetto che ha sede al Johnson Space Center della NSA a Houston, è una collaborazione con molti partner importanti, già collaudata, per così dire, proprio sull’ISS, come Canada e Giappone, e altri 42
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invece del tutto nuovi, che si sono da poco affacciati al mondo dello spazio. Al momento gli Emirati Arabi Uniti, UAE, sono gli ultimi che hanno aderito, nel gennaio 2024. Il Lunar Gateway, assieme ai sistemi di lancio, la navetta Orion e il modulo di allunaggio, è una parte fondamentale e irrinunciabile del progetto Artemis. Il ruolo delle collaborazioni internazionali, che in Lunar Gateway è di primaria importanza, mette in luce anche un aspetto fondamentale del nuovo programma di ritorno alla Luna in modo continuo e sostenibile, cui abbiamo già accennato: nella pratica nessun Paese, neppure gli USA, può pensare di riuscire da solo in questa impresa, la collaborazione internazionale non è solo una questione di convenienza politica, ma un modo di affrontare il problema e risolverlo mettendo in comune denaro ma anche e soprattutto know how e forza lavoro. Ecco quindi che l’Agenzia spaziale europea, ESA, si è presa l’impegno di fornire l’International Habitat, I-HAB, uno dei due elementi, in cui l’equipaggio di Artemis potrà vivere e prepararsi per le attività da svolgere sulla Luna e il sistema HALO-Lunar Communication System (HLCS) che garantirà le comunicazioni tra la superficie lunare e il Gateway. Del contributo europeo, comunque diciamo più diffusamente sotto. L’Agenzia spaziale canadese fornirà, fra l’altro, il potente braccio robotico Canadarm-3, da montare all’esterno del Gateway, che sarà una versione aggiornata e migliorata del già eccezionale braccio della Stazione spaziale internazionale, che si è dimostrato fondamentale per movimentare i carichi utili all’esterno del Gateway. Il Giappone, con la sua Agenzia JAXA, fornisce il sup43
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porto vitale per la parte abitabile del Gateway, oltre a batterie elettriche per lo stesso e per molti componenti forniti dall’Europa. Una vera novità che verrà dal Giappone è il veicolo spaziale HTV-XG, per le missioni di rifornimento logistico per il Gateway. Attualmente è in sviluppo e verrà provato con la Stazione spaziale internazionale. Dopo aver trasportato carichi e lasciato l’ISS, l’HTV-X può essere utilizzato come piattaforma per dimostrazioni tecniche. Gli utenti dell’HTV-X potranno essere coinvolti in esperimenti dimostrativi di tecnologie avanzate in orbita per un massimo di 18 mesi, come si legge nelle specifiche diffuse dall’Agenzia del Sol Levante. La matricola dello spazio, il Centro Mohammed Bin Rashid degli Emirati Arabi Uniti, fornirà lo Science Airlock, una camera di decompressione che consentirà all’equipaggio di affrontare il vuoto dello spazio. Ovviamente servirà anche per introdurre nel Gateway strumenti o altro, ma quel che va sottolineato, e che forse non risalta dalla fredda definizione tecnica, è che in questo modo e per la prima volta in assoluto gli astronauti potranno uscire direttamente nel cosiddetto deep space, lo spazio profondo. Un risultato anche questo epocale. Il Lunar Gateway è quindi una piattaforma fondamentale per il supporto alle attività lunari e anche per il loro sviluppo. Di fatto rappresenterà un piccolo ma fornitissimo laboratorio di ricerca nello spazio aperto, fuori dall’influenza terrestre, oltre a configurare una specie di stazione di servizio, in cui l’equipaggio potrà vivere, lavorare e prepararsi per le missioni sulla superficie lunare. L’andare e venire, sulla e dalla Luna, verrà garantito 44
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dal sistema di allunaggio, che non fa parte del progetto Gateway, come abbiamo visto. Il Lunar Gateway permetterà anche, per la prima volta, una misura delle radiazioni solari in un ambiente di spazio profondo, sia all’esterno che all’interno. Come sappiamo la quantità di radiazioni che colpisce gli astronauti nello spazio rappresenta una difficoltà, probabilmente, più importante per la sopravvivenza umana in quell’ambiente e la protezione a sua volta rappresenta un problema difficile da risolvere, perché implica una schermatura pesante. Sapere quindi quante radiazioni possono arrivare agli astronauti è di fondamentale importanza per realizzare i sistemi protettivi. Come sarà la stazione spaziale lunare Gateway, infografica
Fonte: NASA-ESA
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Come verrà assemblato il Lunar Gateway Come abbiamo detto il Lunar Gateway è parte fondamentale del programma Artemis, che verrà realizzato dopo la fase III, quella che vedrà i primi due astronauti scendere sul suolo lunare. I tempi e i modi sono ancora in via di definizione e quindi qui di seguito seguiamo pedissequamente le indicazioni dei documenti NASA. Al momento i primi “pezzi” del Lunar Gateway che verranno lanciati sono il PPE e HALO, partiranno con un vettore Falcon Heavy di SpaceX, probabilmente nel 2028. Il PPE, Power and Propulsion Module, è ovviamente fondamentale dato che, con le sue celle solari, fornisce potenza elettrica in quantità, preliminare a qualsiasi altra operazione. La parte HALO, che è collegata al PPE, è, come abbiamo accennato sopra, la parte pressurizzata per la vita degli astronauti, dal lavoro al tavolino al mangiare, all’osservare fuori dalla stazione. Una volta arrivati nell’orbita lunare i due elementi resteranno per un anno, finché le missioni Artemis IV, V, VI non procederanno ad assemblare tutto il Lunar Gateway. Artemis IV Gli astronauti di Artemis IV entreranno nel Gateway che contribuiranno a ingrandire, ma, soprattutto, eseguiranno la seconda missione sulla Luna del programma, e parliamo al momento del 2028-2030. Seguiamo anche qui la tabella di marcia ufficiale: • Arriva Orion con i quattro astronauti di Artemis, as46
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sieme al modulo I-HAB. Arriveranno su un vettore NASA SLS. I-HAB verrà attaccato al Gateway esistente, in pratica ad HALO. Comprende ulteriore spazio per gli astronauti, per la ricerca scientifica e il lavoro. A quel punto la capsula Orion, il modulo I-HAB, il modulo HALO e il modulo di potenza PPE saranno uniti in una sequenza rettilinea e il Lunar Gateway prenderà forma. A questo punto avremo l’attracco di una navetta per l’allunaggio in cui gli astronauti trasborderanno. Dopo l’allunaggio e l’attività al suolo lunare gli astronauti, con lo stesso mezzo usato per arrivare, torneranno sul Gateway. L’equipaggio di Artemis IV, dopo il trasbordo, ritornerà sulla Terra su Orion.
Artemis V La schedula sarà simile alla precedente. L’ESPRIT Refueling Module (ERM), che viene fornito dall’Europa, si collega ad HALO, il modulo di abitazione e logistica, e fornisce ulteriore spazio abitativo, per lo stoccaggio e i serbatoi di propellente. Artemis VI Gli obiettivi primari della missione, che completerà il Lunar Gateway, sono di integrare l’importante modulo per lo Science Airlock nel Gateway lunare, che permetterà agli astronauti di uscire dalla stazione nello spazio profondo, e sarà la prima volta, ed effettuare la quarta spedizione sulla superficie lunare con equipaggio delle missioni Artemis. 47
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Il contributo europeo al Lunar Gateway: ESPRIT L’Europa partecipa in prima persona al Lunar Gateway, che abbiamo visto essere un pezzo fondamentale del programma di ritorno alla Luna e non solo. ESPRIT è l’acronimo che designa la strumentazione europea che viene sviluppata e fornita per il Gateway, per il rifornimento di carburante e le telecomunicazioni, e sta per European System Providing Refuelling Infrastructure and Telecommunication, designa quindi due funzioni fondamentali per la stazione spaziale lunare: rifornimento e telecomunicazioni. Come abbiamo visto il Lunar Gateway ha un insieme di compiti, anche contemporanei, fondamentali per la vita e il lavoro degli astronauti. Sarà infatti al tempo stesso un’abitazione, un centro per il rifornimento e un avamposto per lo sviluppo di ricerche, sempre sotto l’ombrello Artemis. Rifornimento e telecomunicazioni sono assicurate da ESPRIT con due elementi del Gateway stesso: HALO-Lunar è il sistema di comunicazione che andrà sul modulo abitazione e logistica, HALO, e permetterà i contatti tra con gli astronauti e i rover sulla superficie della Luna e anche quando saranno in orbita vicini al Gateway; il secondo è il modulo di rifornimento europeo, uno spazio abitabile per gli astronauti con anche spazio di carico e serbatoi di carburante per immagazzinare il propellente per il Gateway. HALO-Sistema di comunicazione lunare L’HALO-Lunar Communication System (HLCS) è un elemento di telecomunicazioni autonomo con i propri 48
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computer, apparecchiature radio e antenne. Fornisce collegamenti radio con satelliti, rover e lander umani diretti da e verso la superficie della Luna, nonché con veicoli spaziali attorno al Gateway. Due antenne, da 1,25 metri di apertura ciascuna, saranno in grado di seguire e mantenere le comunicazioni con più obiettivi contemporaneamente. Il sistema è molto performante, Gateway infatti ha un’orbita particolare, molto ellittica fra i tremila chilometri dal suolo lunare di minima distanza e i 70mila di massima, ma nonostante questo il sistema di due antenne consente comunque elevate velocità di dati, fino a 25 Mbps, Megabyte al secondo, per trasmissione voce e video HD. Le due antenne paraboliche possono lavorare insieme, sullo stesso obiettivo, o indipendentemente, per seguirne più di uno. Per chi si interessa di trasmissioni le bande di frequenza radio utilizzate sono: S/S, S/K e K/K. L’attrezzatura nel suo complesso pesa 270 chili a terra. Modulo di rifornimento Il modulo di rifornimento del Gateway lunare sta nel centro della stazione spaziale stessa e assolve a più di un compito, anche per questo è formato da due elementi molto diversi. Ha un diametro di 4,6 metri e una lunghezza di 6,4 metri e, sulla Terra, pesa circa 10 tonnellate, una volta che si sia fatto “il pieno”, di carburante. La funzione di serbatoio per il sistema di propulsione del Gateway è però solo una parte del tutto. Altra funzione è di fornire una zona per lo stoccaggio, una specie di magazzino del Gateway che può contenere fino a 1,5 49
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tonnellate di materiale, ma soprattutto fornire una zona living agli astronauti, anche se un po’ stretta, con una postazione di lavoro. Inoltre l’ampia finestratura permette una visione a 360 gradi del paesaggio lunare, utilissima per sé e per seguire veicoli in avvicinamento. In questo ricorda la famosa “cupola” della Stazione spaziale internazionale, che abbiamo tutti visto in fotografia, con gli astronauti, o le astronaute, che ammirano e fotografano la Terra. È di costruzione italiana, Thales Alenia Space, un gioiello di ingegneria. Il sistema di propulsione Gateway utilizza anche lo Xeno. Si tratta di un gas nobile, utilizzato nei sistemi di propulsione elettrica che, in generale, richiedono meno del 10% del propellente richiesto da un sistema di propulsione chimica. La possibilità di rifornimento nello spazio è la vera novità di questo programma, che permetterà di valutarne l’importanza anche per destinazioni diverse dalla Luna. Questo modulo permette anche l’attracco, a sua volta, di una missione con serbatoio da Terra per rifornimento. ESPRIT ha come appaltatore principale Thales Alenia Space – Cannes, che gestisce il consorzio, che comprende anche la parte di Torino di TAS e OHB a Brema.
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Capitolo 3 Abitare e lavorare sulla Luna
Ma che ora è? Chiedere a qualcuno che ci sta vicino che ora è per noi è cosa normalissima, certo non pensiamo ogni volta che dietro a questa domanda ci stanno due secoli di lotta culturale e politica per stabilire un sistema di tempo di riferimento non ambiguo, praticabile e comune su tutto il globo. Si fece per stare dietro agli orari dei treni che iniziavano a viaggiare, al telegrafo, al commercio, al progresso in parole povere [LNG]. Ora la situazione si ripresenta, pari pari, con i programmi spaziali per il nostro satellite: che ora è sulla Luna? E poi, che cosa è il tempo sul nostro satellite? Ora come ora ogni missione che arriva sulla Luna si porta dietro il suo tempo locale terrestre, americano o cinese o indiano o altro. Fin qui niente di grave, sono pochissime e comunque fanno riferimento alle stazioni di controllo che stanno nel territorio che ha spedito la missione, male che vada possono riferirsi al tempo universale, Universal Time Coordinated (UTC). Ma oggi, molte missioni diverse sono previste ogni anno, dato che oltre a USA ed Europa, Giappone e Canada principalmente, anche la Cina con la Russia e forse l’India vogliono installarsi stabilmente sul nostro satel51
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lite per la fine del decennio. Un astronauta sulla Luna, poniamo americano, che collabora con un suo collega europeo che tempo userà? Si capisce facilmente che si rischia il caos. Già nel 2022 Patrizia Tavella, torinese che vive e lavora a Parigi, ha avvertito ingegneri spaziali e affini in una riunione tecnica dell’Agenzia spaziale europea: «Siamo siamo già in ritardo nel definire un tempo e un secondo “lunare”». Lei è la persona giusta per dirlo, dato che è la “signora” del tempo terrestre, direttrice del dipartimento Tempo del Bureau International des Poids et Mesures à Sèvres, dove si conserva dal 1875 il secondo di tempo, una volta con orologi diciamo convenzionali, ora con strumenti atomici che sgarrano di meno di un miliardesimo di secondo all’anno, e per gli esperti è anche troppo… Il motivo di questa affermazione, che forse pare eccessiva, è semplice, per la definizione e accettazione da parte di più Paesi delle nuove regole ci vuole tempo. Si pensi solo alla resistenza strenua, e un tantino sciovinista, degli inglesi ad abbandonare il tempo di Greenwich, storico e benemerito, ma legato ai fenomeni astronomici e quindi oggi inadatto per la precisione quasi parossistica di cui abbiamo bisogno. Ci si mette di mezzo anche la fisica, con la relatività generale. La definizione del secondo è sempre la stessa ovviamente, ma Einstein si mette di traverso e ci dice che gli orologi ticchettano più lentamente in campi gravitazionali più forti, e quello terrestre è sei volte quello lunare. Per la sala controllo terrestre un orologio lunare funzionerebbe assai più velocemente di uno terrestre, si 52
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stima 56 microsecondi in 24 ore, non solo, ma il fenomeno dipende anche dalla posizione sulla Luna dell’orologio in questione. Praticamente un paradiso per gli esperti di relatività, ma un inferno per gli altri. Per la nostra esperienza quotidiana sono valori irrilevanti, ma definire un tempo “lunare” universale, come il nostro terrestre UTC, è oggi indifferibile, va fatto. Con quello ci si dovrà infatti costruire il sistema satellitare di navigazione lunare, e anche a questo l’Agenzia spaziale europea sta pensando. Intermezzo, misurare il tempo è una sfida Misurare il tempo è una sfida inesauribile e appassionante, che accompagna l’umanità dagli albori della civiltà. Inizia forse nel quarto millennio avanti Cristo, nell’attuale Iraq, dove fioriva la civiltà Sumera, e non è certo finita oggi, dato che anche se sfruttiamo l’atomo di Cesio per costruire gli orologi atomici più perfezionati, abbiamo ancora bisogno di spingerci oltre. Per capire quanto il nuovo usi l’antico basta guardarci il polso, se abbiamo uno smartwatch, o il cellulare: l’ora esatta è costantemente aggiornata dalla rete e il tempo che riporta è l’UTC, il tempo universale, ricavato da una serie di orologi atomici in giro per il mondo che si confrontano costantemente per darci l’ora “esatta”, a cui viene aggiunto il tempo di fuso, che ci dice dove siamo sul globo, in Italia un’ora. Praticamente durante tutta la nostra vita usiamo il sistema decimale, ma per il tempo non è così: usiamo per l’ora un sistema di numerazione antichissimo, sessagesimale, da 0 a 60, introdotto proprio dai Sumeri per 53
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contare il tempo col nascere e tramontare del sole. L’unità è il secondo, in un minuto ce ne sono 60 e in un’ora ci sono 60 minuti. La Terra, come orologio, è però troppo irregolare per la modernità e il Sole e le stelle sono state abbandonate. Il progresso, la necessità di portare un tempo preciso con sé fa apparire gli orologi che sfruttano altri fenomeni periodici, facilmente replicabili: arrivano i pendoli degli orologi a muro, i bilancieri, negli orologi meccanici, poi gli orologi al quarzo, che sfruttano le vibrazioni di un piccolo cristallo e fanno impallidire gli orologi meccanici, ma si sono usate anche le oscillazioni di un diapason elettromagnetico. Il concetto è sempre quello: con centinaia e migliaia di oscillazioni che si replicano identiche riusciamo a definire con maggiore esattezza il secondo. Non è bastato però, oggi il mondo è assetato di precisione nella misura del tempo, in un secondo passano milioni di transazioni in Borsa, è importante capire se è arrivato prima, di una piccola frazione di secondo, l’ordine di vendita o quello di acquisto, se è prima quello di Caio che quello di Tizio, e tanti potrebbero essere gli esempi di questo bisogno spasmodico di precisione nella definizione del tempo. Ecco apparire gli orologi atomici, piuttosto brutti e ingombranti, che, come fenomeno periodico, usano oggi i tanti milioni di oscillazioni che si possono osservare nella radiazione di un atomo di Cesio. Senza entrare in dettagli di fisica atomica possiamo capire che a questo punto il secondo è ben definito. La teoria della relatività poi ha dato una grossa spallata alle fondamenta della costruzione della misura del 54
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tempo: nella nostra esperienza comune, spazio e tempo esistono per sé, e noi vi siamo calati dentro. Questo non è vero per la relatività: spazio e tempo sono legati come ordito e trama di un invisibile tessuto, deformato dalla presenza delle masse che popolano l’universo. Anche il tempo, quindi dipende dalla massa, e maggiore è questa più “lentamente” scorre, senza massa niente tempo, come era al momento del Big Bang: il tempo iniziò allora, non ha neppure senso chiedersi cosa c’era prima, “prima non c’era il tempo”. Fa friggere la testa anche ai fisici più illustri. In un atomo di Cesio, in tutti ma fermiamoci al Cesio, le particelle possono occupare solo degli stati di energia predefiniti, come una pista di atletica divisa in corsie, e quando si passa da uno stato a un altro, per quanto vicini, viene emessa, o assorbita, una certa quantità di radiazione. È questo l’ultrasofisticato, ma sempre fisicamente definibile e osservabile, “pendolo” che usiamo ai giorni nostri. Il secondo, oggi è definito come l’intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di Cesio 133. La misura del tempo progredisce continuamente e ha ancora tanto da raccontarci. Ti telefono dove mi trovo Capire come definire il tempo nelle varie zone lunari è operazione prioritaria per un secondo passaggio fondamentale per pensare alle future operazioni sulla Luna e allo sviluppo di un’economia: avere un sistema di comunicazione e posizionamento affidabile locale sul nostro satellite naturale. 55
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Per un astronauta lunare determinare la propria posizione istantanea e comunicarla a chi sta alla base o a un altro astronauta può essere inutilmente complicato, può infatti farlo passando dalla Terra, con tempi di ritardo per l’andata e ritorno del messaggio e, nel caso della posizione, con imprecisione di decine di metri, se non di più, contro una precisione dei sistemi terrestri che va oggi sui 30 centimetri per un qualunque ricevitore di uno dei sistemi di posizionamento esistenti, dall’americano GPS all’europeo Galileo, dal cinese BeiDou al russo GLONASS. Inoltre per fare questi passaggi deve portarsi dietro, presumibilmente su un rover lunare, una cinquantina di chili di attrezzatura, contro i pochi grammi di un orologio digitale terrestre con GPS incorporato, come abbiamo nei nostri comuni smartphone, anche i meno sofisticati. Disporre di un sistema che permetta una comunicazione semplice, diretta e immediata e un posizionamento preciso è fondamentale, soprattutto se pensiamo che nella prima fase di lavori di costruzione di edifici e strade sulla Luna saranno utilizzati praticamente solo robot, non si può pensare all’utilizzo di astronauti in una situazione non riparata da radiazioni e raggi cosmici se non per brevi periodi, non certo per giorni e giorni. I robot, anche se dotati di capacità autonome evolute, hanno bisogno comunque di essere continuamente in contatto con la base operativa e poter calcolare da soli, soprattutto, dove si trovano e in quale direzione muoversi. Due strutture fondamentali quindi, comunicazione e geoposizionamento, se vogliamo far partire una economia lunare. 56
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Per risolvere questo problema, l’Agenzia spaziale europea ha messo in campo nel 2021 un’iniziativa, Moonlight, proprio per la creazione delle infrastrutture che permettano di disporre servizi di comunicazione e navigazione sulla Luna, e tutto questo come passo indispensabile per supportare le missioni sia commerciali che istituzionali che, nel prossimo decennio, esploreranno il nostro satellite. Sono stati selezionati due consorzi europei per ragionare, indipendentemente, sugli aspetti tecnici necessari per garantire questi due servizi in modo sostenibile anche finanziariamente, studiando fin da subito l’attiva partecipazione di industrie e privati. Il nostro Paese ha un ruolo di primo piano in uno dei due consorzi, composto da operatori satellitari, come Inmarsat e Hispasat, aziende manifatturiere, Thales Alenia Space, OHB e MDA UK, oltre a piccole medie imprese e startup come Argotec, ALTEC e Nanoracks Europe, Università e Centri di ricerca, quali SEE LAB SDA Bocconi e il Politecnico di Milano. L’idea di questa proposta a guida Telespazio è di creare un vero e proprio ecosistema economico sulla Luna, con servizi innovativi e un collegamento costante con la Terra. Si baserà su stazioni lunari e terrestri, con una rete di satelliti attorno alla Luna come asset fondamentale e in costante collegamento fra di loro e con la Terra. Rover, lander, basi lunari e anche astronauti in missione sul suolo lunare potranno usufruire di un servizio completo, end to end, che fornirà loro comunicazione, Internet e geoposizionamento. Telespazio, con le sue antenne al Fucino, d’altra parte ha una lunga storia con la Luna, dato che fu proprio 57
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grazie a questo nostro importante operatore che potemmo vedere in Italia lo storico sbarco di Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Si spera con questo anche che succeda, in prospettiva, qualcosa di simile a quello che è avvenuto qui sulla Terra e questo sistema sarà solo il primo di numerosi altri servizi di comunicazione e forse anche navigazione che daranno luogo a tante altre applicazioni e innovazioni, nella cornice di una economia lunare sempre in crescita. La rete di satelliti intorno alla Luna consentirà comunicazioni più semplici per le missioni che si susseguiranno, soprattutto per quelle dirette nelle regioni del satellite non visibili dalla Terra. Moonlight ha degli aspetti di sistema importanti, permetterà infatti a tutti gli operatori, agenzie, industrie, di dividere la parte di comunicazione con la Terra, altrettanto indispensabile, con quella che, a questo punto, possiamo chiamare locale, riducendo i costi di comunicazione. Anche la rete di satelliti prevista, che fornirà servizi utili per la navigazione, grazie anche ai radiofari locali, permetterà ovviamente un risparmio sui costi. In parole semplici la possibilità di avere, in ogni punto e in ogni momento, il tempo lunare esatto, la comunicazione da punto a punto, e il posizionamento permetterà di disegnare missioni lunari più semplici ed economiche ad esempio per la guida di mezzi robotici, lander o rover anche nelle missioni di esplorazione della superficie umana e robotica. L’aspetto tecnico operativo è certamente fondamentale, ma è da tener conto anche della psicologia di chi 58
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passerà lunghi periodi sulla Luna: grazie a questi sistemi si potrà avere un senso di sicurezza in ogni momento dato che ogni astronauta potrà segnalare la propria posizione sulla Luna stessa. Quando si mettono in opera strutture di questo tipo, comunque, il resto vien da sé, non è strano pensare per esempio a un uso didattico con studenti o classi intere che dalla Terra utilizzano o guidano rover lunari, o applicazioni per il turismo spaziale, di cui il nostro unico satellite naturale comunque sarà una delle mete privilegiate in un, magari non tanto prossimo, futuro. Il cellulare sulla Luna Per la comunicazione sulla Luna, sia tra robot che fra umani, si stanno tentando molte strade diverse. La NASA, oltre ad altri programmi più impegnativi che comprendono costellazioni di satelliti in orbita lunare per la comunicazione e altro, ha affidato a Nokia, famosissima impresa europea pioniera della telefonia cellulare, la missione di installare la prima rete cellulare lunare, sfruttando la missione privata senza passeggeri IM-2, di Intuitive Machine, che andrà al Polo Sud lunare nel 2024. Porterà con sé una versione a basso consumo della microcella 4G/Lte, capace di funzionare nelle condizioni lunari, estreme quindi, di temperatura e radiazioni. L’Agenzia americana vuole capire se la tecnologia del mobile 4G a basso costo e collaudata da miliardi di utenti, che tutti noi usiamo, può stare alla base delle comunicazioni e connessioni lunari, in modo affidabile ed efficiente, come succede per la Terra. 59
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Nokia ha sviluppato quindi una versione particolarmente robusta e a basso consumo, che si stima sia anche in grado di poter resistere durante il viaggio verso la Luna. Detto questo la stazione base, integrata nel veicolo spaziale di Intuitive Machine, colloquierà con un lander e un rover mobile. Questa piccola rete permetterà la sperimentazione voluta con la comunicazione fra i veicoli e il lander, che a sua volta colloquierà con la Terra, permettendo così il controllo di tutto l’insieme. Costruire strade sulla Luna Muoversi sulla Luna non è per nulla semplice, né per gli astronauti, che devono muoversi in un campo gravitazionale tanto più debole di quello terrestre, né per i mezzi, e questo lo abbiamo visto con i rover del programma Apollo. Le riprese di mezzi a quattro ruote che scorrazzano allegramente sulla Luna, girate soprattutto nelle ultime missioni Apollo, 15 e 17, ci hanno mostrato veicoli lunari che spesso sprofondavano nella spessa coltre di polvere e comunque ne sollevavano in grande quantità con le ruote. Muoversi sulla Luna è difficile e pericoloso anche per i rover, la polvere lunare infatti è onnipresente, si attacca dappertutto, basta ricordare scarpe e tuta degli astronauti di quelle missioni, tutte inzaccherate di pulviscolo nero che non voleva andarsene. La polvere lunare ha anche creato seri problemi e danni ai veicoli, dato che è fortemente abrasiva, un bel problema da risolvere, quindi, se si vuole assicurare ai futuri abitanti del compound lunare di non finire impol60
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verati costantemente, ma soprattutto di potersi muovere e spostare in maniera agevole. Pensiamo poi quanta ne può venire sollevata da un mezzo che arrivi sulla Luna, o da essa decolli. L’idea che circola nella comunità spaziale attualmente è quella di costruire strade e piazzole sulla Luna, nel senso di zone pavimentate su cui persone e mezzi potranno muoversi senza che la polvere rovini i mezzi o addirittura la strumentazione che si trova sugli stessi. Ci sta lavorando l’Agenzia spaziale europea, ESA, col suo progetto PAVER, Paving the road for large area sintering of regolite, nome che ci rivela immediatamente come si intende provare a risolvere il problema: usando la pavimentazione con mattonelle, se vogliamo un parallelo terrestre pensiamo a qualcosa di simile alle betonelle. Ci si può chiedere, come fare però a costruire i singoli elementi di pavimentazione in un ambiente così povero come quello lunare. Ancora una volta il problema si può risolvere mutando la causa del problema nella sua soluzione: usare la regolite come materiale da costruzione. Sappiamo che è un insieme composto di polveri e piccolissimi sassi, che abbonda sul suolo lunare, che ne è completamente ricoperto, a causa dei continui urti di micrometeoriti un processo incessante che perdura praticamente da sempre, quindi da molte centinaia di milioni di anni, dato che, se la Luna in passato ha avuto un’atmosfera l’ha persa quasi subito per la sua bassa gravità che non è riuscita a trattenere le molecole del gas che la formava. Un esempio classico è quel che è successo con l’Apollo 17 e che Eugene Cernan, l’ultimo umano a lasciare la Luna più di 50 anni fa, descrive bene nel suo libro 61
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[LMM]: il rover da lui guidato sulla Luna ebbe un parafango ammaccato e questo fece sì che la terribile polvere di regolite fosse libera di sollevarsi, espandersi e penetrare nella strumentazione del rover rischiando anche di ostruire il sistema di raffreddamento del mezzo. Cernan, e il suo collega Schmitt, rimediarono con un rappezzamento tanto incredibile quanto efficiente, costruendo una specie di protezione al posto del parafango fatta con mappe cartacee della Luna che avevano con sé. Oltretutto, a pensarci, oggi come oggi, sarebbe impossibile dato che gli astronauti avranno sistemi di guida e mappatura completamente digitali. L’astronauta Harrison H. Schmitt con la tuta sporca di polvere lunare, missione Apollo 17, 1972
Fonte: NASA
Il progetto PAVER, il nome evocativo proprio dell’azione di pavimentare, ha come obiettivo studiare, e realizzare, un sistema per costruire sulle direttrici principali strade e piazzole o piattaforme per i mezzi lunari e coinvolge Università e industrie in Germania e Austria. 62
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Il processo per passare dalla regolite alle piastrelle per pavimentare la Luna ha un nome molto tecnico, ignoto a chi non è del mestiere: sinterizzazione. L’enciclopedia dell’elettrochimica la definisce come «un processo termico in cui le particelle sciolte di nichel vengono trasformate in un corpo coerente a una temperatura appena inferiore al punto di fusione del nichel in un’atmosfera riducente». Detto in parole più semplici si tratta di scaldare la polvere lunare, fatta di granelli di vario tipo, ognuno per conto suo, finché si fonda e formi un materiale unico e solido. È una tecnica usata nella microelettronica per esempio. Per provare a fondere il materiale, simile alla regolite, è stato usato un laser a CO2 e i risultati preliminari che questa tecnica, scelta dal progetto PAVER, ha dato sono molto promettenti. Nel caso pratico, sulla Luna, non si può pensare di portare un’attrezzatura del genere e si pensa di usare invece una tecnica che, concettualmente, è vecchia tanto quanto Archimede: una lente di Fresnel di grande diametro concentrerà i raggi solari per sciogliere la regolite. Si tratta di una lente molto più compatta di quelle consuete e con meno materiale e quindi peso, fu sviluppata nel XVIII secolo per essere usata nei fari, per questo si dice che il fisico Augustin-Jean Fresnel e la sua lente hanno salvato migliaia di navi dal naufragio. Altro problema è come fare le mattonelle, nel senso di capire quale sia la forma migliore e più facilmente utilizzabile. Ovviamente sulla Luna fare una pavimentazione con mattonelle della forma convenzionale, ad esempio rettangolare, comporterebbe troppo lavoro per la messa in opera sul nostro satellite, ed è stata quindi studiata e 63
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realizzata una forma particolare, trilobata, con una dimensione di 20 centimetri per lato. Lo spessore sarà di 2 centimetri e, se le usassimo sulla Terra, andrebbero in frantumi al passaggio del primo mezzo, anche non particolarmente pesante. Ma qui entra in gioco, questa volta in modo positivo, la gravità che riduce a un sesto il peso di qualunque oggetto portato sulla Luna. Le varie mattonelle poi si potranno mettere insieme per formare la strada voluta, come sulla Terra si usano quelle autobloccanti. Anche questo caso porta quindi, grazie a programmi come quello messo in piedi dall’ESA, allo sviluppo di nuovi modi di affrontare i problemi in un ambiente completamente diverso dal nostro e a gravità ridotta.
Una piazzola di atterraggio realizzata con piastrelle di regolite lunare
Fonte: ESA
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Coltivare e mangiare sulla Luna «Siamo ciò che mangiamo» è una famosa e citatissima frase di Ludwig Feuerbach, importante filosofo tedesco di fine Ottocento, che ci insegna a usare massima attenzione al cibo e alla nostra alimentazione. Se questo è importante, sia per il fisico che per la mente, per noi comuni mortali, figuriamoci quanto maggiormente lo è per astronauti e astronaute che debbono trascorrere nello spazio o, nel nostro caso, sulla Luna, lunghi periodi di attività al massimo della concentrazione e, a volte, anche dello sforzo fisico. Quando parliamo di alimentazione, di cosa e come mangiamo, ci vengono subito in mente lo stomaco e l’intestino, come organi principalmente interessati, ma è solo una parte del discorso complessivo che dobbiamo considerare. Il cibo infatti influisce anche sul metabolismo in generale, sull’umore e può determinare la qualità del sonno e anche il cervello può pagare le conseguenze di una cattiva alimentazione. Carboidrati, semplici e complessi, proteine, grassi, oltre a vitamine e sali minerali devono essere presenti nelle quantità giuste nella dieta degli astronauti e i cibi devono anche presentarsi ed essere gradevoli e consoni alle abitudini culturali di chi li assume. All’inizio dei voli nello spazio, fino alla fine del secolo scorso, l’alimentazione degli astronauti, che, ricordiamolo, vivono e mangiano in un ambiente a gravità ridotta, era costituita da cibi e prodotti molto simili alle razioni militari di emergenza, forniti in imballaggi di plastica o lattine che potevano essere fissate alle superfici del mezzo spaziale. Il fatto è che i voli 65
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avvenivano in mezzi con uno spazio interno disponibile molto sacrificato e anche per periodi di tempo relativamente brevi, il problema quindi era assicurare all’astronauta una alimentazione sufficiente per 24 o 48 ore o poco più. Con lo Space Shuttle prima, e la Stazione spaziale internazionale poi, lo spazio disponibile aumenta, il tempo di permanenza in orbita si dilata enormemente, arrivando in molti casi anche a sei mesi nella ISS, e si rendono disponibili ausili efficienti per scaldare i cibi. L’approccio all’alimentazione cambia quindi in modo radicale, dato che per periodi di tempo così importanti impongono una dieta ovviamente corretta ma varia e ben accetta a chi la deve seguire. Negli ultimi tre-quattro anni poi, nel caso della Stazione spaziale internazionale, abbiamo assistito all’uso del cibo anche come mezzo di propaganda di questa o quella cucina nazionale, generalmente quella del/la comandante del periodo preso in considerazione. Particolare successo ha sempre avuto la cucina italiana portata a bordo, con i piatti tradizionali preparati da grandi cuochi e, ahimè, imbustati per l’uso dello spazio, ma pare sempre gradevoli. Un notevole successo lo ha avuto un breve video in cui l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, durante la missione “Futura” mostra come farcisce una tortilla preconfezionata, con pollo alla curcuma e riso integrale, scaldati col fornello elettrico della particolarissima cucina della ISS, apparentemente molto buona a detta dell’astronauta amatissima dal pubblico [RPC]. Con l’ingresso nel business dei privati le regole del gioco sono cambiate ancora, il marketing si è fatto più 66
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aggressivo ed ecco che, per esempio, nella missione privata Axiom 3 alla ISS, gennaio 2024, ritroviamo cibi di note ditte italiane, Barilla e Rana rispettivamente, con pasta di ottimo livello, fusilli, risotto alla milanese e addirittura un caposaldo della cucina veneta: polenta e baccalà alla vicentina! Tutto bene insomma, ma sulla Luna il discorso non può essere questo se non in piccola parte: non è pensabile portare tutto il cibo necessario dalla Terra e quindi si tratta di capire se si potrà coltivare verdura e frutta sul nostro satellite, mentre per le proteine si pensa di sperimentare la carne sintetica, che già sulla Terra è disponibile in vari Paesi. Le sfide da superare sono parecchie e importanti proprio a causa dell’ambiente in cui ci si troverà a operare, la Luna ha infatti, come abbiamo visto più volte, condizioni ambientali estreme per la vita animale e anche vegetale. Non c’è atmosfera, la radiazione solare e le particelle che arrivano al suolo sono una minaccia per qualunque tipo di vita, l’escursione termica è notevolissima e infine la gravità ridotta a un sesto di quella terrestre può essere un problema per la crescita di piante abituate alla nostra. Piantagioni per alimentazione, di verdure per esempio, dovrebbe in primo luogo venire ospitate in serre schermate in modo opportuno per proteggere le piante dalla radiazione solare estrema e dalle variazioni di temperatura, mantenendo allo stesso tempo la giusta luce, il calore e l’umidità. Un altro vantaggio di una serra dedicata, è quello che renderebbe possibile mantenere abbastanza facilmente 67
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un’atmosfera “terrestre” con Ossigeno e Anidride carbonica in proporzioni ottimali. L’alternanza di giorno e notte lunare, 14 giorni terrestri, dovrà poi essere compensata da un’adeguata illuminazione artificiale nelle due settimane di buio, esiziali per la fotosintesi delle piante. Teniamo per ultimo un punto fondamentale: terra e acqua. La regolite è il suolo lunare con cui far crescere le piante, ma non è ricca di nutrienti e dovrebbe comunque essere integrata, mentre l’acqua, che pure è presente sulla Luna, è una risorsa preziosa e limitata, l’irrigazione dovrebbe quindi essere pensata in modo da rendere massima l’efficienza e minimo lo spreco. Un aspetto interessante è che la ricerca per la coltivazione di verdure sulla Luna, che deve comunque continuare con un apporto interdisciplinare, tra agricoltura, biotecnologia e ingegneria ambientale, può rivelarsi anche fonte di miglioramenti importanti per le coltivazioni sulla Terra. Comunque le piante possono quasi certamente crescere sulla Luna, questa è ormai la convinzione sia degli occidentali, USA ed Europa, in testa con diversi esperimenti, sia della Cina, con un’esperienza di coltivazione addirittura in loco. La missione Chang’e-4 ha realizzato un vero e proprio mini-orto sulla Luna, ospitato nella sonda che porta quel nome e che nel 2019 è stata per prima sul lato a noi oscuro della Luna e i risultati sono stati convalidati e pubblicati su una rivista scientifica specializzata: Acta Astronautica. Ventotto Università cinesi hanno dato vita all’importante esperimento BEP, Biological Experiment Payload, 68
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che ha permesso di far germogliare una piantina per la prima volta in un corpo celeste, nello specifico una piantina di cotone. Chang’e-4 ha portato sulla Luna una mini-serra in cui si era tentato di ricreare una biosfera con semi di cotone, patata, colza, una pianta da fiore, lieviti e uova di moscerino della frutta; i tre chili di materiale, serra compresa, erano di fatto un piccolo ecosistema in cui, la luce naturale del Sole permetteva alle piantine di svolgere la fotosintesi con la conseguente produzione di Ossigeno, mentre i lieviti potevano utilizzare i rifiuti e i moscerini per produrre nutrienti per l’ecosistema. Il gelo ha però danneggiato l’esperimento dopo nove giorni, se ne erano programmati 100: le patate non sono germogliate e le uova di moscerino sono rimaste chiuse. Il cotone invece aveva fatto il suo dovere e convinto gli scienziati cinesi che, con i dovuti accorgimenti e cautele, sia possibile coltivare piante sulla Luna. Quello cinese, anche se riuscito solo in parte, è senz’altro l’esperimento più interessante, ma sulla Terra, e anche sulla Stazione spaziale internazionale, sono molti i test importanti che hanno dato indicazioni utili per risolvere il problema. L’Agenzia spaziale europea, per esempio, sta studiando quali sono le possibilità e i limiti dell’uso del suolo lunare, regolite, per consentire la coltivazione in loco. Come abbiamo detto così come lo troviamo il suolo lunare è inadatto, mancano dei nutrimenti fondamentali per la coltivazione, ma si può trattare per renderlo fertile? Questa la domanda cui gli europei tentano di rispondere grazie anche all’azienda norvegese Solsys Mining, 69
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che sta esaminando come creare fertilizzanti per le future piante lunari. Basandosi sull’analisi di campioni riportati dalle missioni passate, sono stati fatti parecchi tentativi, in parte con esito positivo, ma è stata messa in luce una difficoltà che ha a che fare con la consistenza del suolo lunare: in presenza di acqua diventa eccessivamente compatto, ostacolando di fatto la germinazione e crescita delle radici. Come idea alternativa è stata utilizzata l’agricoltura idroponica, in cui le radici delle piante vengono alimentate direttamente con acqua ricca di sostanze nutritive, consentendo la crescita senza l’uso del suolo. Il progetto, sempre di Solsys Mining con i suoi partner, prevede di estrarre i nutrienti minerali dalla regolite e immetterli nella coltivazione idroponica. Si è avuto particolare successo nel caso dei fagioli, che pare crescano molto bene in questo modo, e sono, come noto, una fonte preziosa di proteine vegetali. Positivi anche gli esperimenti della NASA, tramite i ricercatori dell’Università della California, che hanno coltivato in ambiente con regolite, la Arabidopsis thaliana, che conosciamo probabilmente di più come Arabetta, suo nome comune più diffuso. Non che si mangi, ma è considerata una pianta il cui genoma, completamente sequenziato, è un modello e comunque è un lontano parente del comune cavolo che spesso arriva d’inverno sulle nostre tavole. Ottimi e recentissimi, 2024, risultati comunque anche in Italia, grazie a ENEA, che ha realizzato un pomodoro nano arricchito di molecole antiossidanti, ironicamente 70
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battezzato “San Marziano”, utili per la dieta degli astronauti nelle missioni di lunga durata e soprattutto in grado di resistere alle radiazioni dell’ambiente spaziale. Le attività sono state condotte nell’ambito dei progetti HORTSPACE e BIOxTREME, finanziati dall’Agenzia spaziale italiana, e i risultati sono stati pubblicati su riviste scientifiche [POM]. E come si legge in un comunicato riportato nel sito dello stesso Ente: Sin dal 2014 nell’ambito del progetto BIOxTREME, ENEA ha studiato come le piante alimentari possano crescere in modo adeguato in un ambiente extraterrestre, arrivando a sviluppare un vero e proprio modello. In seguito, nell’ambito del progetto HORTSPACE, i ricercatori hanno valutato i requisiti di produttività e di qualità anche nello spazio, studiando come le radiazioni influenzino la fisiologia di queste piante, sottoposte alla simulazione di un ambiente spaziale. Rispetto alle piante non ingegnerizzate, il pomodoro sviluppato da ENEA ha dimensioni più compatte e un maggior contenuto di antocianine, con trascurabili variazioni di crescita e fotosintesi.
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Pomodori MicroTom biofortificati
Fonte: ENEA
Costruire case sulla Luna Pensare, progettare e costruire edifici sulla Luna, siano abitazioni o laboratori, rappresenta una vera e propria sfida per i pochi architetti che hanno iniziato a interessarsi a questo argomento, fondamentale nel progetto di ritorno alla Luna. In prima battuta si potrebbe pensare a una modifica o estensione dei modi e delle tecnologie usate per costruire sulla Terra, ma non è proprio così. Costruire un edificio sulla Luna presenta infatti aspetti veramente unici, cui corrispondono altrettante importanti sfide, che non possono essere affrontate con i metodi e gli strumenti “terrestri”, ma richiedono, invece, un approccio interdisciplinare molto creativo, innovativo e al tempo stesso pratico. Tanti sono i problemi di base che dovremo risolvere prima di poter pensare di costruire un qualsiasi edifi72
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cio sul suolo lunare, o meglio farlo costruire ai robot. La differenza principale rispetto all’esperienza terrestre è la ridotta gravità, un sesto rispetto alla Terra, e la pressione praticamente inesistente, che costringe a vivere sempre in ambienti pressurizzati, siano abitazioni, laboratori o anche tute per attività all’esterno sul suolo lunare. In buona sostanza il fattore dominante sulla Luna, per la nostra sopravvivenza e per la progettazione, non è la gravità ma la pressurizzazione. Con cosa costruiremo sulla Luna, che materiali useremo? Il trasporto già sulla Terra è costoso, pensare di trasportare materiali sul nostro satellite naturale è assolutamente proibitivo. Piuttosto sembra promettente utilizzare come componente di base la regolite lunare, materiale incoerente più che abbondante il loco, dato che è composto da pietre e polveri presenti nel suolo lunare. Si sta sperimentando da tempo l’utilizzo di tecnologie di stampa 3D che usano come materiale di base proprio la regolite. Una soluzione intermedia interessante che è stata presa in considerazione è trasferire sulla Luna delle strutture gonfiabili, poco pesanti e quindi, tutto sommato, trasportabili. Potrebbero poi essere portate in loco, gonfiate e poi ricoperte con uno strato protettivo di regolite, sempre grazie al lavoro dei robot costruttori. L’ambiente lunare è poi altamente ostile per una ragione molto semplice: non esiste atmosfera e quindi non abbiamo protezione da raggi cosmici, micidiali per la vita, che arrivano indisturbati fino al suolo. Oggi sappiamo quanti ne arrIvano e quanto sono pericolosi per gli astronauti sulla Luna: saranno esposti a quantità 2,6 73
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volte rispetto a quelle, già elevate, che debbono subire gli abitanti della Stazione spaziale internazionale e addirittura a 200 volte in più di quelle che riceviamo sulla Terra, protetti come siamo dall’atmosfera che ne assorbe la grande maggioranza. Fino a poco tempo fa le stime erano dedotte da perfezionati modelli matematici, ma ora abbiamo misure vere e proprie, effettuate dal lander cinese Chang’e 4 nel 2019. Il misuratore contenuto nel lander cinese ha tenuto conto, per la prima volta, della radiazione ricevuta in una situazione simile a quella in cui si troverà un astronauta dotato di un’ottima tuta da attività extraveicolare. I numeri sono elevatissimi, al limite del pericolo e quindi il problema della protezione di persone e attrezzature è di primaria importanza. Dobbiamo pensare ad abitazioni e laboratori che siano fortemente schermati rispetto a radiazioni solari e raggi cosmici, comunque li si realizzino questo comporta una notevole complicazione e appesantimento degli edifici. La schermatura costa molto, in termini di peso e di lavoro, se parlassimo della Terra potremmo pensare a strati di pesantissimo piombo o cemento, possiamo chiederci, sulla Luna come si potrà fare. Una soluzione efficiente e studiata può essere uno strato spesso di materiale lunare, regolite, ma anche una intercapedine di qualche decimetro di spessore riempita di acqua può assorbire sia le particelle dei raggi cosmici che le radiazioni nocive. Certo l’acqua pesa anch’essa tanto, come abbiamo imparato alle scuole medie: un litro pesa un chilo. Come si vede comunque non sono soluzioni semplici e in ogni caso c’è ancora molto da lavorarci su. 74
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Sempre a causa della mancanza di un’atmosfera, avremo poi problemi importanti di regolazione della temperatura. Sulla Luna sono state registrate temperature fra i 127 gradi di giorno e i -173 di notte. Sul nostro pianeta l’atmosfera fortunatamente svolge anche il compito di accumulare calore durante il giorno e rilasciarlo nel corso della notte, così che la temperatura rimane sempre entro valori che permettono la vita senza particolari problemi. Sempre la mancanza di atmosfera peggiora il problema dell’impatto di micrometeoriti che arrivano senza incontrare alcuna resistenza al suolo con una velocità di migliaia di chilometri al secondo e che sono in grado di perforare senza problemi pareti anche spesse. Anzi il motivo per cui la Luna è sostanzialmente ricoperta di uno spesso strato di polvere è proprio la pioggia continua di micrometeoriti che, impattando al suolo, sollevano la polvere stessa che, in mancanza di atmosfera e vegetazione, resta al suolo, vicino a dove è caduto il piccolo sasso spaziale. Bisognerà quindi usare anche per questo materiali che siano sia robusti che facilmente riparabili o rimpiazzabili. Anche se pensiamo agli impianti fondamentali i problemi non mancano. Acqua e aria sono i due elementi essenziali per la sopravvivenza, un impianto che li distribuisca all’interno degli edifici e li ricicli in modo sicuro, dato che sulla Luna sono risorse preziosissime tanto quanto in una stazione spaziale, è il primo requisito indispensabile. Su questo abbiamo una notevole esperienza accumulata nell’esercizio della Stazione spaziale internazionale, la ISS che funziona dal 1998. 75
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Un qualunque edificio per abitazione o lavoro consuma poi energia elettrica, e questa va prodotta in loco. Si può pensare a piccole centrali nucleari, la Rolls-Royce ne sta sperimentando una [TPR], ma possiamo prevedere l’utilizzo di pannelli solari. Questa soluzione, oltre che più semplice è facilmente sostenibile, dato che i pannelli si possono importare dalla Terra e pesano relativamente poco, ma ha un suo limite implicito nel moto della Luna che, per 14 giorni, farà vivere gli astronauti nella notte lunare. Fondamentale quindi prevedere dispositivi per immagazzinare l’energia elettrica che viene prodotta durante il giorno lunare. Anche questo aspetto è critico, dato che impianti di stoccaggio dell’elettricità in ambiente lunare sono tutti da studiare, tipicamente pesano e sembra difficile poterli produrre sulla Luna stessa. Un ultimo aspetto, che forse può sembrare strano, ma che preoccupa molto i progettisti è che occorre tener conto del fatto che il comfort, fisico e psicologico, degli astronauti è fondamentale. Anche se siamo abituati a pensare a questi uomini e donne come persone superiori e/o eroiche, bisogna pensare che faranno un lavoro esaltante ma molto duro, lontano da ogni affetto e ambiente conosciuto. Uno spazio per abitare e anche rilassarsi, uno spazio uso palestra e uno per svagarsi sono fondamentali per la salute mentale degli astronauti e per evitare problemi di accumulo dell’aggressività. D’altra parte, anche se sulla Luna si lavorerà a turni, probabilmente non troppo lunghi, gli astronauti avranno a che fare con un paesaggio desolato rispetto a quello terrestre, senza flora e senza fauna e, anche se viviamo in città più o meno caotiche negli ultimi 100 anni, la nostra 76
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specie è abituata a una natura lussureggiante e a una fauna onnipresente con cui condivide il pianeta. Quanto meno nella parte istintuale della specie questi scenari sono presenti. Gli astronauti poi non avranno praticamente privacy, tutti gli spazi saranno condivisi e l’unico spazio personale sarà il proprio giaciglio lunare, un po’ come è stato per la Stazione spaziale internazionale. Anche solamente prendendo in considerazione questi requisiti, delineati per sommi capi, si capisce come la costruzione di edifici lunari rappresenti un esempio che necessita di collaborazione fra Agenzie spaziali, Università e aziende private dato che richiede un approccio multidisciplinare che affronti i vari aspetti del problema, dall’ingegneria spaziale al trattamento dei materiali, dalla psicologia umana alle scienze ambientali e infatti i gruppi che se ne occupano sono fortemente interdisciplinari [MMR][MVR][MCL]. Illustrazione del progetto di “Villaggio Lunare”
Fonte: ESA
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Un’alternativa: abitare nel sottosuolo Abitare e lavorare sulla Luna non è semplice, come abbiamo visto. Per questo le Agenzie spaziali cercano alternative, e sperimentano soluzioni diverse per assicurare un soggiorno sicuro agli astronauti. L’ESA, ma anche la NASA e L’Agenzia spaziale canadese stanno infatti studiando dei modi per fare speleologia in modo del tutto innovativo, e soprattutto non sulla Terra. A prima vista può sembrare, giustamente, un controsenso, ma il fatto è che il sottosuolo e lo spazio, campi di esplorazione e ricerca fondamentali ma finora molto distanti fra loro, da qualche anno convergono inaspettatamente, grazie al progetto internazionale Artemis di ritorno stabile alla Luna. Si è infatti aperto un campo di ricerca del tutto nuovo e in vantaggio sembra proprio l’ESA, che ha finanziato la fattibilità del progetto Daedalus, Descent and exploration in deep autonomy of lunar underground structures, nato per esplorare i grandi pozzi lunari, ben visibili sulle mappe prodotte dai satelliti, e le caverne che, come sulla Terra, si trovano probabilmente alla fine dei pozzi stessi. Il punto è semplice: se vogliamo portare sulla Luna, oltre ai robot e alle strumentazione, anche gli astronauti che ci lavorino per lunghi periodi, come abbiamo detto, bisogna pensare alla loro protezione dai raggi cosmici e dai micrometeoriti, i due pericoli maggiori per chi sta sul suolo lunare. Le caverne lunari potrebbero essere abitabili e ovviamente tutelare da questi due pericoli letali gli astronauti, grazie allo strato di roccia sopra alle cavità, che, ov78
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viamente, protegge dai meteoriti e assorbe radiazioni e particelle pericolose; basta un metro di suolo lunare per creare uno scudo perfetto. Sembra un controsenso ma “tornare alle caverne” è una soluzione che viene considerata almeno interessante. Gli studi e le sperimentazioni “in grotta” si svolgono sulla Terra per accumulare esperienza e capire quali potrebbero essere i problemi che si incontreranno eventualmente sulla Luna. Per quanto riguarda l’abitabilità dati positivi ci sono: sotto il suolo lunare, la temperatura sembra essere gradevole e soprattutto costante, secondo gli attuali modelli, possiamo pensare tra i 25 e i 30 gradi costanti, un valore ideale. Di base quindi, il sottosuolo lunare viene visto oggi come un habitat naturale possibile e certo migliore della superficie del nostro satellite naturale, potrebbe poi essere facilmente accessibile, dato che si contano almeno 300 voragini sulla Luna, che possono avere una profondità di decine di metri, superando anche i 100. Dal fondo di queste molto probabilmente partono caverne e grotte, anche alquanto vaste. I requisiti di base ci sarebbero quindi, certo c’è tanto da fare e da studiare. Daedalus è, fra i vari progetti in studio anche dalla NASA, il più evoluto e valutato: si presenta come una sfera di 46 centimetri di diametro che trasporta una telecamera stereoscopica immersiva molto innovativa, sviluppata in Italia dall’Istituto Nazionale di Astrofisica, che permette una visione costante a 360 gradi. A bordo sono previsti un sistema Lidar, una sorta di radar che è 79
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però basato su laser e non sulle onde elettromagnetiche, per mappare in 3D l’interno dei pozzi e delle caverne, e poi sensori di temperatura e un dosimetro di radiazioni, oltre a bracci estensibili per superare ostacoli e saggiare le proprietà della roccia. Un’attrezzatura completa quindi per capire tutto del pozzo lunare in cui viene fatto scendere e trasmettere dati e immagini. Daedalus viene portato all’imboccatura di uno dei pozzi lunari conosciuti, larghi varie decine di metri, da un rover che è anche una vera e propria gru con cui la sfera super tecnologica viene calata appesa a un filo, che ne guida la discesa e da cui si disconnette una volta toccato il fondo. Attualmente ci sono due voragini in studio, nella zona equatoriale, in cui poter effettuare la prima spedizione speleologica lunare automatica. Arrivato al fondo della voragine, se non si trova ghiaccio, che potrebbe essere un ostacolo all’esplorazione ulteriore, Daedalus può continuare rotolando all’interno della caverna, mentre il cavo resta sospeso come antenna per la trasmissione dati. Sviluppo e lancio dovrebbero avvenire nei prossimi anni, entro il 2033. La Luna comunque è solo il primo obiettivo di questo progetto che è pensato anche per esplorare i pozzi di Marte, con gli stessi obiettivi e modalità. Sul Pianeta Rosso peraltro il numero di pozzi è più del triplo, se ne contano infatti un migliaio e, nel caso marziano, la ricerca va ben oltre la geologia, dato che nel sottosuolo potrebbe ancora trovarsi vita microbica, rifugiatasi, diciamo così, sotto la crosta del pianeta, man mano che la desertificazione della superficie marziana procedeva, nei millenni passati. 80
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Daedalus serve per capire cosa ci aspetta, cosa ci serve per esplorare al meglio anche la Luna, ma non solo: scendere in questi pozzi ci rivelerà dati fondamentali su quanti e quali strati geologici si possono vedere, potremmo trovare tracce dell’evoluzione, forse anche minerali nuovi e infine verificare la probabile presenza di acqua o ghiaccio. È un approccio nuovo e fortemente interdisciplinare, a cui lavorano geologi ma anche ingegneri, astrofisici e biologi. Il messaggio generale che ci consegnano queste ricerche innovative è veramente forte: dobbiamo uscire dallo schema mentale che abbiamo. Vivere sulla superficie di un pianeta o satellite non è necessariamente il luogo migliore dappertutto nel sistema solare. La prima casa lunare sarà italiana! Proprio come dice il titolo di questo paragrafo, possiamo dire con orgoglio che la prima abitazione multiuso sulla Luna, una specie di sofisticatissimo bivacco metallico lunare, sarà italiana, pensata e costruita da Thales Alenia Space a capo di un Consorzio, che al momento si sta formando grazie all’ASI, l’Agenzia spaziale italiana, che ci sta lavorando dal 2021 e ha formulato la proposta direttamente alla NASA, nell’ambito di un accordo diretto fra le due Agenzie. Il progetto del modulo pressurizzato abitativo lunare di superficie italiano, MPH la sigla che sta per Multi-Purpose Habitat, ha superato la prima valutazione e ha avuto il benestare per proseguire lo studio e il progetto vero e proprio nell’ambito del programma Arte81
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mis. La prossima tappa, inizio 2024, è la fase di Mission Concept Review, molto impegnativa e al tempo stesso fondamentale, è qui infatti che si deciderà, dopo altro lavoro e indagini, se si andrà avanti, perché la cosa è fattibile. Le speranze comunque sembrano molto ben fondate. Il modulo lunare avrà dimensioni abbastanza ridotte, sui cinque metri di lunghezza per tre o quattro di larghezza, dipendentemente dal peso complessivo tutto compreso ammesso per il lancio, 12-15 tonnellate. Sembrano tante, ma in realtà ogni grammo in più o in meno dovrà essere attentamente valutato, MPH infatti dovrà essere portato sulla Luna già montato e completo. Per farlo il modulo verrà posto sopra un lander per l’atterraggio e da lì scenderà nella posizione voluta. Gli astronauti si presume lo utilizzeranno per un tempo tipico di sette giorni a turno. La distribuzione degli spazi all’interno di MPH dovrà essere calcolata al millimetro: ci sarà un’entrata con spazio pressurizzato per gli astronauti che devono uscire e soprattutto rientrare dopo le operazioni, col problema di togliersi la fastidiosa e onnipresente polvere lunare dalla tuta, poi una mini-toilette, una stanza da lavoro e poi facilities tipiche, come uno strumento per riscaldare i cibi, pensiamo come ingombro a un forno a microonde. Bisogna pensare che un modulo del genere deve risolvere comunque tutti i problemi di sicurezza ambientale, radiazioni e meteoriti in testa, trasmissioni, poi quelli di impiantistica: pannelli per l’energia, batterie per stoccare l’energia per le notti lunari di 14 giorni, cre82
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azione e manutenzione impianti di aria, e acqua, condizionamento per temperature che variano di 200 gradi dal giorno alla notte e altro. Non stiamo certo parlando di un tubo di metallo passivo quindi, al di là dell’apparenza dei primi rendering, Thales Alenia Space ha il compito di coordinare il Consorzio industriale per la realizzazione e l’intenzione è quella di coinvolgere anche, il più possibile, piccole e medie imprese italiane del settore che sono molto qualificate in campo spaziale. Il primo approccio vede il modulo appoggiato su gambe regolabili, il suolo lunare è pur sempre sconnesso, ma si sta pensando alla mobilità e vengono prese in considerazione soluzioni diverse, dal montaggio su piattaforma a un sistema di ruote che permetta di muoversi, ovviamente molto lentamente. Il modulo MPH potrà essere anche l’elemento base che, moltiplicato, formerà una sorta di villaggio lunare. Questo paragrafo si basa su informazioni avute nel corso di un’intervista a Franco Fenoglio, responsabile dei Programmi di esplorazione umana planetaria di Thales Alenia Space [FFI].
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Multi-Purpose Habitat Lunare
Fonte: Thales Alenia Space
Miniere lunari Provare a estrarre acqua e minerali dalla superficie e immediata profondità della Luna è un progetto studiato da almeno una quindicina di anni. Gli autori dei vari studi apparsi oscillano fra un cauto ottimismo e un altrettanto cauto pessimismo. Estrarre minerali dalla Luna, un domani da Marte e forse prima da qualche asteroide, sembra essere al tempo stesso un ottimo affare e un compito maledettamente complesso dal punto di vista della tecnologia. Ci sono da superare infatti mille ostacoli, dall’ingente quantità di finanziamenti richiesta alle tecnologie che ancora non ci sono, alla legislazione inesistente o che presenta colossali buchi. 84
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C’è poi da capire la situazione geopolitica, si pensa subito al confronto tra Cina e USA, ma che dire delle imprese private? Di sicuro, se c’è un campo in cui l’impresa vorrà entrare, se sarà possibile, questo è proprio il mining lunare per gli enormi profitti che si intravedono. Acqua, terre rare, il mitico Elio 3 sono i principali candidati. L’acqua è necessaria per vivere, ma anche e soprattutto perché è un serbatoio di Idrogeno e Ossigeno, da cui ottenere carburante in abbondanza, sia sulla Luna che, lo diciamo per inciso, su Marte. Pensiamo spesso all’acqua per bere, per la sopravvivenza degli astronauti, ma non ne è necessaria molta per gli esseri umani, poiché i rifiuti umani, urina e sudore, possono essere riciclati e resi nuovamente potabili: nella Stazione spaziale internazionale, per esempio, si recupera fino al 98%, altra acqua potabile sarà invece necessaria per le coltivazioni di verdura. Le terre rare sono a tutt’oggi indispensabili per la tecnologia elettronica: dagli smartphone ai PC alla strumentazione più sofisticata. Sulla nostra Terra, per esempio, di Litio ce n’è abbastanza per il momento, ma ci sono due problemi con questo elemento, e anche con altri suoi fratelli: gran parte dei giacimenti sono concentrati in Cina, lo sviluppo è abbastanza imprevedibile. Fino a quando basterà, ci si può chiedere, pensando, per esempio, alle auto elettriche, che divorano letteralmente il Litio. E l’interrogativo che subito ci si presenta è: «Esiste poi un diritto a perforare la Luna per estrarre minerali?». Gli Stati in linea di principio devono seguire la legislazione del 1967 che abbiamo già citato, e basta ricordare 85
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che nel 1979 si provò a scrivere una estensione riguardante la Luna, ma l’operazione si frenò quasi subito. Negli accordi Artemis, in appendice, firmati dagli USA e dai loro partner, possiamo ritrovare un nuovo tentativo di venire a capo della questione formulando principi che trattano un po’ di tutto, dalla conservazione dei siti storici nello spazio all’evitare conflitti, al garantire la trasparenza delle operazioni. Per quanto riguarda la Cina e altri, Russia per esempio, è tutto da vedere quel che faranno. Il vero punto, però, sono i privati: gli Stati costruiranno le infrastrutture, dalla stazione cislunare alle strade per circolare nelle zone interessate, ma tutto il resto lo dovranno fare i privati, e i costi saranno altissimi. Di chi è il minerale estratto, ci saranno da pagare diritti di estrazione, se sì a chi vanno pagati e come vanno trattati i rifiuti di lavorazione? Vedendo il bicchiere mezzo vuoto, bisogna ammettere che il panorama legale, tecnologico e finanziario relativo alle risorse lunari è ancora all’inizio. La ricerca è una cosa, ma la produzione potrebbe rivelarsi tutta diversa e non si capisce ancora bene se quella dei minerali lunari sarà una nuova “corsa all’oro” o meno. D’altra parte il momento è delicato: il presidente Barack Obama nel 2015 ha firmato una legge che garantisce agli americani il diritto di possedere le risorse estratte nello spazio, poi nel 2020 il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per permettere la collaborazione con società private per esplorare la Luna, Marte e altri corpi celesti alla ricerca di minerali e acqua. Se veramente il commercio nello spazio sta partendo i 86
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precedenti che vengono stabiliti oggi potrebbero avere conseguenze di vasta portata. Quel che comunque è certo è che presto ci sarà bisogno di avvocati lunari! 2024: segreti privati Il caso di AstroForge, la società americana che nel 2024 pensa di spedire un suo satellite per studiare un asteroide non molto distante dalla Terra, ci permette di ragionare sul complesso problema dello sfruttamento minerario dei corpi celesti. AstroForge non si interessa della Luna, ma le problematiche sollevate dal suo proposito di sfruttare un asteroide mette a nudo una serie di mancanze nella legislazione internazionale che dovrebbe regolare lo spazio. Il satellite sarà lanciato nel 2024, almeno questo è il piano, a bordo del solito Falcon 9 di SpaceX e si dirigerà verso il suo obiettivo per studiarlo, capire se c’è metallo, nel senso fisico e chimico, e quanto ce ne potrebbe essere. Fin qui niente di strano, anzi è interessante: se l’impresa riuscirà questo sarà anche il primo mezzo spaziale privato ad andare oltre la Luna. Allora dove è il problema, ci si chiederà, dato che è tutto dichiarato e trasparente? È molto semplice, AstroForge non vuole dichiarare quale sia l’asteroide e questo è il primo caso da quando è iniziata, nel 1957, la corsa allo spazio. Siamo stati abituati da sempre a sapere dove le missioni spaziali andavano e quel che avrebbero fatto, a parte ovviamente le missioni militari. 87
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Il progetto di questa startup ci mette davanti chiaramente a quel che potrebbe succedere, e probabilmente succederà, sulla Luna: il cercatore d’oro non vuol far sapere dove lo cerca, se vogliamo usare una metafora del passato. Negli USA questa situazione ha innescato una discussione tra scienziati, tecnici e imprenditori, che può essere molto istruttiva per il futuro. È una tendenza in crescita, quella dei privati, a lavorare nelle pieghe molto larghe delle poche leggi e normative internazionali che riguardano lo spazio e fare un po’ quel che vogliono. Jonathan McDowell, un astronomo presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrofisica nel Massachusetts, lo ha detto molto chiaramente in un’intervista al New York Times nel 2023: «Non sono assolutamente favorevole al fatto che qualcosa orbiti nel sistema solare senza che nessuno sappia dove si trova, sembra un brutto precedente da stabilire». D’altra parte l’esperienza di AstroForge è interessante perché riporta alla ribalta l’estrazione di minerali dalle rocce dei corpi celesti, attività che è uno dei principali obiettivi, nel futuro, per la Luna [OAA]. Fino a qui niente da dire, ma resta il problema che i privati possono non dichiarare tutto delle loro missioni e questo sembra proprio non andare bene. I casi sono pochissimi per il momento e già ci sono situazioni che i governi hanno meticolosamente evitato per anni: nel 2019, il lander commerciale Beresheet, israeliano, ha tentato di atterrare sulla Luna ma non ci è riuscito, si è schiantato. Il problema è che dopo un certo tempo si è saputo che nel lander c’era una piccola popolazione di 88
Abitare e lavorare sulla Luna
tardigradi, animali microscopici abbastanza famosi per il loro aspetto particolare, e questo è in aperta contraddizione con la prescrizione sempre seguita dai governi di non rischiare di contaminare i pianeti o i satelliti naturali [SPL]. La vita quotidiana sulla Luna Possiamo immaginarci, a questo punto e per sommi capi, la vita di un astronauta sulla Luna, diciamo nel 2040. Si sveglia e si scalda la prima colazione, aprendo le varie buste in cui c’è quanto gli serve: fiocchi d’avena, fette biscottate, marmellata, prosciutto, formaggio, a seconda dei gusti e delle abitudini. La macchina del caffè è italiana, ma gli astronauti americani non riescono ad abituarsi alla poca quantità di una classica “tazzina” e si fanno un lungo caffè americano. La corrente proviene dall’impianto di pannelli fotovoltaici, ma si parla di sostituirli con una piccola centrale nucleare, già agli inizi del decennio si era pensato a un piccolo e prodigioso reattore nucleare della Rolls-Royce, niente meno che la famosa fabbrica delle auto dei re e delle regine. Mentre controlla la situazione da uno degli oblò di costruzione italiana, il nostro astronauta conta i veicoli fermi per vedere se qualcuno è già uscito in perlustrazione, magari per controllare le pompe che portano in superficie l’acqua dal fondo dei crateri del Polo Sud. Sono le ultime ore di luce solare, poi, a causa della rotazione della Luna, ci saranno due settimane di buio pesto e anche temperature che possono andare fino a -170 gradi. Bisognerà fare economia di elettricità, anche 89
Corsa alla Luna
per questo si spera che arrivi presto un reattore nucleare. Poi per fortuna tornerà la luce per 14 giorni, ma si avrà la croce di temperature da ebollizione, anche 100 gradi e più, fortuna che le nuove tute permettono di raffreddare l’interno e riflettere quanto più possibile i raggi solari, ma comunque la cosa migliore è sfruttare i momenti dell’alba lunare, con temperature accettabili, per le uscite all’aperto per le attività importanti. Comunque con le nuove tute “di sartoria”, sono infatti su misura, la vita sulla Luna è un’altra cosa, niente più astronauti goffi che si muovono impacciati anche a causa delle tute di misura unica. Si telefona a casa ogni sera, quella terrestre, la Luna è vicina e quasi non ci si accorge del lieve ritardo nella trasmissione, un secondo ad andare e uno a tornare per il segnale radio, c’è qualche problema a volte con la realtà immersiva, ma in generale sembra proprio di starsene a casa coi propri cari. Hanno annunciato che fra due giorni terrestri arriverà una piccola astronave di turisti spaziali, speriamo che non ostacolino il lavoro come al solito. Dal nostro PC comunque possiamo farci già ora un giretto sulla Luna, anche senza tuta, usando il programma “moon” di Google: www.google.it/moon.
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Capitolo 4 The Others (I contendenti)
La Cina vuole la Luna La Cina vuole la Luna, ci manderà degli astronauti suoi, conosciuti come taikonauti, probabilmente nel 2030. Agli USA la cosa non va affatto bene, dato che la Cina ha scelto come zona di allunaggio la parte attorno al Polo Sud lunare, il che è ovvio dato che è la più appetibile per un successivo impianto di stazioni permanenti per astronauti e robot. Si rischia insomma una collisione, dovuta anche al fatto che gli USA, da sempre, considerano la Luna, ma anche Marte, “cosa loro”. I cinesi hanno avuto negli ultimi anni notevoli successi, per la verità un po’ inattesi, con l’allunaggio del loro rover Chang’e-4 sulla parte oscura della Luna, sono gli unici a esserci riusciti, e con l’arrivo al suolo marziano al primo tentativo. Questo ha fatto parecchio drizzare le antenne agli USA anche a livello governativo. L’annuncio non è un gossip dei media, ma è stato dato durante una conferenza stampa ufficiale nel maggio del 2023 da Lin Xiqiang, vicedirettore dell’Agenzia nazionale cinese per il volo umano. I piani del Paese per lo sbarco sulla Luna includono un «breve soggiorno sulla superficie lunare e un’esplorazione congiunta 91
Corsa alla Luna
uomo-robot» e successivamente una installazione permanente per soggiorni più lunghi. Sembra insomma proprio una fotocopia di Artemis, con qualche modifica, e infatti subito dopo quella conferenza stampa l’amministratore della NASA, Bill Nelson, si è detto, in varie interviste, molto preoccupato per i propositi cinesi e teme, in modo onestamente assai poco realistico, che arrivino per primi al Polo Sud lunare e dichiarino che quel territorio è “loro”, in barba ai trattati internazionali, che per la verità sono vaghi come le stelle dell’Orsa del grande Leopardi. Nelson, in parole povere, teme che la situazione cambi da competizione a conflitto, ma la questione forse è più complicata e riguarda lo scontro fra i due “Imperi” qui sulla Terra, situazione molto simile a quella che c’era, negli anni Sessanta della prima corsa alla Luna durante la guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica. D’altronde Artemis, il grande progetto proposto dalla NASA è aperto a tutti ma non alla Cina e ai suoi soci, che al momento potrebbero essere Russia, Sudafrica, Pakistan e Venezuela e questo spinge senz’altro il Paese del Dragone a fare da solo, e ci può riuscire secondo l’opinione della stragrande maggioranza degli osservatori. La Cina infatti è partita in ritardo rispetto a USA e Unione Sovietica, nonostante il presidente Mao Tse-Tung, già nel 1959 poco dopo i primi lanci sovietici degli Sputnik, avesse parlato della necessità di entrare nella corsa allo spazio, ma soldi e tecnologia non c’erano e la devastante tempesta della Rivoluzione culturale stesse per abbattersi sul Paese. Il suo primo satellite, Dong Fang Hong 1, è stato lan92
The Others (I contendenti)
ciato il 24 aprile 1970, quando oramai la Luna era conquistata e l’Unione Sovietica aveva perso terreno. Il suo programma spaziale è stato visto, fin da allora, come una copia di quello occidentale, ma bisogna pur dire che i passi per acquisire competenze e sviluppare tecnologie in questo campo sono praticamente obbligati. Senza ripercorrere tutti i passaggi del piano spaziale cinese, possiamo ricordare che oggi quel Paese ha ottenuto successi notevolissimi, come ricordato sopra, a cui possiamo aggiungere la notevole capacità di lancio coi suoi razzi vettori Lunga Marcia, l’operazione di una stazione spaziale, di seconda generazione, dal nome suggestivo di “Palazzo Celeste” di quattro segmenti, un sistema di geoposizionamento, BeiDou, molto efficiente e infine taikonauti con esperienza che si alternano sulla stazione spaziale, anche in uscite extraveicolari. Insomma ha tutte le carte in regola per poter aspirare all’ambizioso obiettivo di arrivare sulla Luna con astronauti entro il 2030 e gli americani, visti i ritardi di Artemis, hanno ragione a essere preoccupati, anche perché dei progetti cinesi non si sa molto più di così. Per la Luna stanno lavorando a un vettore Lunga Marcia 10, partendo dal potente e affidabile Lunga Marcia 5 e si sa che i lanci verso il nostro satellite saranno due, praticamente contemporanei, uno porterà materiale per muoversi al suolo e l’altro porterà gli astronauti, non si sa bene quanti, probabilmente due, e se uomini o donne, ma per i cinesi è meno importante, non hanno da farsi “perdonare” il programma Apollo dal proprio pubblico, meno sensibile alle questioni di genere. 93
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Il Lunga Marcia 10 sarà un razzo a tre stadi, con tre nuclei di cinque metri di diametro per il primo stadio e potrà portare 27 tonnellate di carico utile fino all’orbita lunare. Ci sarà un lancio di prova nel 2027 di una versione ridotta a due stadi nel 2027, Lunga Marcia 10A, l’obiettivo è di fargli raggiungere l’orbita bassa, fra 400 e mille chilometri. I due lanci praticamente sincroni daranno luogo a un rendez vous in orbita lunare in cui si uniranno il modulo con astronauti con il lander, prima di procedere all’allunaggio. Probabilmente questo modo di procedere deriva dall’esperienza maturata dai cinesi con la costruzione e l’attività delle loro stazioni spaziali. Il lander sarà dotato di quattro motori a spinta variabile da 7.500 Newton, mentre il rover lunare avrà una massa di 200 chilogrammi, lo potranno usare due astronauti contemporaneamente, e avrà un’autonomia di 10 chilometri. Inoltre anche la Cina sta lavorando su una nuova tuta spaziale per le operazioni sulla superficie lunare con un tempo di lavoro non inferiore a otto ore. Fino a qui nulla di strano, sembra una lista di cose da fare, impegnativa ovviamente ma non particolarmente strana. Quel che è più importante è che la Cina vuole costruire al Polo Sud lunare l’International Lunar Research Station (ILRS), Stazione internazionale di ricerca lunare, nel prossimo decennio, subito dopo aver fatto sbarcare i primi due taikonauti. Da qui al fatidico 2030 i cinesi hanno in programma varie missioni robotiche sulla Luna che, in sostanza, testeranno le varie 94
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fasi dell’allunaggio e dello sfruttamento delle risorse in situ. Nei primi mesi del 2024 la Cina spedirà in orbita lunare, grazie a un vettore Lunga Marcia 8, un’importante satellite col compito di fare da relay per le comunicazioni fra le missioni lunari Chang’e-6 e 8 previste e la Terra. Il satellite, Qiqiao-2, letteralmente in italiano “ponte di gazze”, ha una massa di 1.200 chilogrammi e porta un’antenna da 4,2 metri. Il veicolo spaziale compirà attorno alla Luna un’orbita tale che gli permetterà di allontanarsi dal nostro satellite abbastanza da poter vedere contemporaneamente i mezzi robotici cinesi, come Chang’e-6, durante la loro missione nella faccia a noi nascosta della Luna e anche le stazioni riceventi sulla Terra. Per le missioni preparatorie allo sbarco umano al Polo Sud, Chang’e-7 e Chang’e-8, il satellite passerà a un’orbita inversa, con un periodo di 12 ore. Anche la Cina sta pensando a una costellazione di satelliti, per le trasmissioni e la navigazione sulla Luna. Anche l’India sulla Luna Anche l’India vuole andare sulla Luna, entro il 2040, e lo fa tenendo il piede in due staffe: partecipa al progetto Artemis della NASA e lavora anche per un accesso indipendente. Il primo ministro Narendra Modi in persona ha dichiarato nell’ottobre del 2023 che l’India vuol portare i propri astronauti sul nostro satellite entro una ventina di anni o poco meno. La nota ufficiale del governo recita: «Il Primo Ministro ha ordinato che l’India ora punti a nuovi e ambiziosi obiettivi, tra cui la creazione della 95
Corsa alla Luna
“Bharatiya Antariksha Station” (Stazione spaziale indiana) entro il 2035 e l’invio del primo indiano sulla luna entro il 2040». La dichiarazione arriva mentre l’India lavora per sviluppare capacità di volo spaziale umano indipendenti e un primo volo con equipaggio nel 2025. La situazione ricorda ancora una volta il quesito del bicchiere riempito a metà, è mezzo pieno o mezzo vuoto? L’India ha infatti ottenuto notevoli successi negli ultimi anni, con un impegno finanziario molto contenuto: in parole povere lancia i suoi razzi con cifre relativamente basse, tanto che vari Paesi, fra cui anche l’Italia per il lancio del satellite “Agile”, hanno usufruito dei bassi prezzi indiani, che comunque si accompagnano a una ottima qualità del servizio. Come si vede dal piano spaziale abbozzato dalle dichiarazioni ministeriali l’India ricalca la trama tipica del mondo occidentale ma anche della Cina: nuovi lanciatori, più potenti, stazione spaziale, allunaggio al Polo Sud. I successi recenti ci sono: l’India è il quarto Paese al mondo che è riuscito ad allunare e il primo in assoluto che lo ha fatto nella tanto desiderata regione del Polo Sud con la missione Chandrayaan-3, mentre su Marte ci è stata per otto anni, dal 2014 al 2022, con la sonda Mangaldan che ha orbitato attorno al Pianeta Rosso fino all’esaurimento del carburante. Non sono imprese da poco e, per avere una riprova di quanto detto sui costi, consideriamo che la missione marziana è costata al Paese 78 milioni di dollari, una cifra irrisoria rispetto ai quattro-cinque miliardi impiegati in missioni simili dalla NASA. 96
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Recentemente, primavera del 2023, l’India ha approvato una serie di importanti riforme per permettere al capitale privato di accedere e lavorare nel fiorente settore spaziale, che fino ad allora era praticamente chiuso a chiunque non facesse capo all’Indian Space Research Organisation (ISRO), l’Agenzia spaziale indiana. L’ISRO continuerà come Agenzia spaziale civile, concentrandosi sulla ricerca e lo sviluppo di tecnologie spaziali tra cui il volo spaziale umano, mentre IN-SPACe, l’altra Agenzia nazionale per lo sviluppo del settore spaziale, regolerà e autorizzerà le attività spaziali in India, favorirà le startup e faciliterà la cooperazione con l’ISRO. Sembra parecchio la fotocopia di quanto è successo negli USA anni fa, a iniziare con l’amministrazione Obama, strada che anche l’Europa sta cercando di percorrere. Il Giappone entra nel club Il Giappone è entrato nel ristretto club delle nazioni che sono riuscite a far allunare un proprio mezzo spaziale. Alle 16:23 italiane del 19 gennaio 2024, il lander SLIM, Smart Lander for Investigating Moon, dell’Agenzia spaziale nipponica JAXA, ha toccato il suolo, ma non proprio tutto è andato bene. La lunga discesa verso il suolo, 20 minuti, che è anche la parte più difficile e pericolosa del viaggio, si è conclusa con l’allunaggio, ma ci sono stati problemi gravi al sistema dei pannelli solari, che a causa della posizione storta del lander non riescono a caricare a dovere di energia il veicolo al suolo, in parole povere i pannelli non puntano verso il Sole e quindi sono inefficienti. Dopo qualche giorno, il 25 gennaio, mentre questo libro veniva prati97
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camente chiuso e inviato all’editore, uno dei due piccoli robot scaricati dalla sonda al suolo del nostro satellite ha spedito una foto di SLIM e il tutto è stato chiarissimo: è allunato bene ma si è rovesciato, è insomma a testa in giù e quindi probabilmente non andrà avanti molto con i problemi di energia che ha, ricordiamo che la notte lunare dura 14 giorni. L’Agenzia JAXA ha già fatto atterrare due volte dei robot su asteroidi, questo allunaggio morbido è un ulteriore importante traguardo, anche se non è riuscito alla perfezione il “dopo” allunaggio. L’anno scorso, una società sempre giapponese, ma privata la iSpace, ha tentato di far allunare il velivolo Hakuto-R, che però si è schiantato al suolo dato che il sistema di bordo ha sbagliato: la telemetria “pensava” che il suolo fosse a una distanza diversa da quella reale. Capita. Pochi giorni prima del successo di SLIM la società privata americana Astrobotic ha fallito, il suo lander Peregrine non è mai entrato nell’orbita giusta per la Luna ed è rientrato nell’atmosfera terrestre, bruciandosi, ma nel 2019 aveva fallito anche la sonda israeliana Beresheet. Comunque il Giappone ci è arrivato con JAXA utilizzando anche una tecnica innovativa di alta precisione: man mano che si avvicinava al suolo la sonda scattava immagini in HD e le confrontava con la zona target da raggiungere. Atterraggi precisi vuol dire anche dover fare meno strada una volta arrivati comunque bene al suolo. Dopo USA, Unione Sovietica, India e Cina anche il Giappone ha quindi il suo posto nel club. La Russia, erede dell’Unione Sovietica, ha recentemente fallito con il 98
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suo Luna-25 lo stesso tentativo, dimostrando, se mai ce ne fosse bisogno, che allunare in modo “morbido” non è uno scherzo, dal 1957, anno dello Sputnik con cui si fa iniziare la moderna epoca astronautica, metà dei tentativi di allunaggio sono andati a finire male.
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Capitolo 5 La Luna mette l’elmetto
Militari e Luna Con la partenza di una economia lunare, chi proteggerà gli interessi di quelli che investono? E ancora: visto che almeno USA e Cina, i due grandi attuali contendenti, vogliono sbarcare nello stesso pezzo di Luna e costruirci infrastrutture e miniere, come si farà a decidere chi dei due ha diritto a fare cosa? E non dimentichiamo che potrebbe esserci, un domani, anche un terzo giocatore, come l’India per esempio, ognuno di questi tre con la sua coorte di alleati e amici. I rischi ci sono ovviamente e tutti speriamo, operando nei limiti del possibile, che la Luna diventi, al contrario delle previsioni pessimistiche, un luogo di pace grazie a una diplomazia virtuosa che faciliti la coesistenza, se non la collaborazione. Meglio di ogni altro saggio questo concetto è espresso in modo chiaro e autorevole nel testo di Simonetta Di Pippo, che per anni è stata direttrice di UNOOSA, United Nations Office for Outer Space Affairs [SDP]. Lo spazio, d’altra parte, è ormai da qualche anno considerato il nuovo dominio anche militare, lo dimostra la costituzione negli USA, nel 2019 sotto la presidenza Trump, della Space Force, distinta dall’Aeronautica, cosa 101
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che all’inizio creò parecchi malumori fra gli alti gradi del Pentagono. Per inciso il motto, in latino, della Space Force è piuttosto curioso: «Semper Supra». Praticamente tutti i grandi Stati occidentali, Italia compresa, hanno seguito l’esempio e oggi hanno una nuova divisione dell’Esercito, chiamata con diversi nomi, che si occupa di difesa dello e dallo Spazio, purtroppo l’Europa come sempre si è frantumata in molte strutture nazionali, di dimensioni necessariamente limitate, perché non ha una Difesa comune. D’altronde dallo spazio, in orbita bassa, si osservano perfettamente i campi di intervento sulla Terra, sia di giorno che di notte e con qualunque tempo, basta cambiare la tecnologia del satellite: da ottico a infrarosso o radar. È quindi chiaro che una presenza militare in orbita bassa è ormai un obbligo, mentre le tante paure, manifestate negli anni scorsi, di satelliti che possano eventualmente trasportare armi terribili sono tramontate: distruggere un satellite altrui è una vittoria di Pirro, dato che le molte migliaia di pezzi metallici piccoli e grandi che vengono prodotti in un evento del genere, se ne conoscono almeno un paio provocati per test uno dalla Cina e uno dalla Russia, diventano altrettanti proiettili micidiali che viaggiano sui 25mila chilometri all’ora, in grado quindi di perforare qualunque superficie, figuriamoci un satellite. Eventualmente, la difesa, e anche l’offesa, si basa semplicemente nel rendere inoffensivo il satellite altrui con laser o disturbi di diverso tipo. Ma come possiamo immaginare si articolerà la questione militare sulla Luna? 102
La Luna mette l’elmetto
La US Space Force sta già studiando misure per proteggere le future basi sulla Luna, ci si può chiedere cosa faranno gli altri giocatori della partita, Cina in testa, che vogliono grosso modo la stessa fetta di suolo lunare. Con la Luna torniamo alla domanda iniziale: se, come speriamo, partisse una robusta economia lunare, chi la difenderà? C’è poco da fare gli americani ripropongono sempre il modello della nuova frontiera: i coloni sono arrivati coi carri, hanno costruito un paesello in mezzo al deserto dell’Arizona, adesso ci vuole lo sceriffo. Non è una novità che la missilistica e l’astronautica siano iniziate per scopi militari, senza farne la storia e risalire ai missili V2 utilizzati dalla Germania durante le ultime fasi della Seconda guerra mondiale, ricordiamo che lo Sputnik, il primo satellite artificiale, fu portato in quota, nel 1957, da un potente missile balistico modificato. Gli Stati Uniti, a quell’epoca, erano in netto ritardo sull’Unione Sovietica, ma questo non impedì di pensare e in parte sviluppare il progetto Horizon, che poneva proprio un avamposto militare sulla Luna. Non ebbe seguito, ma la cosa dimostra come l’idea di un uso militare del nostro satellite naturale fosse già ben chiara. Oggi come oggi, se è veramente improbabile che molto presto ci saranno insediamenti militari di qualunque colore, comunque fra il 2030 e il 2040, è molto realistico pensare che astronauti statunitensi e cinesi opereranno contemporaneamente vicino al Polo Sud lunare, con le loro attrezzature, e, nel caso partano bene le miniere lunari, potranno esserci anche tanti imprenditori privati. 103
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Meglio prevenire è l’idea generale, ma non è chiarissimo come, ci saranno alleanze, si svilupperanno tecnologie particolari e nuove, e questo cambierà la geopolitica lunare, e non solo. Tutto questo può essere fatto ovviamente dai civili, ma sia gli USA che la Cina hanno una tradizione nello sviluppare tecnologie con le agenzie militari per poi passarle al civile, anche se i due casi sono profondamente diversi, dato che i primi sono una democrazia e la Cina un’autocrazia. Le tecnologie militari da sempre vengono sviluppate e poi passate alla società civile, se pensiamo al CCD, il sensore ad accoppiamento di carica che cattura le immagini nelle nostre macchine fotografiche o negli smartphone, a Internet o al sistema GPS, parliamo di innovazioni fondamentali per la nostra vita quotidiana dovute alla ricerca tecnologica militare. L’orbita cislunare insomma diventerà la prossima frontiera anche dei militari. Per quanto riguarda gli USA, con il National Defense Authorization Act, firmato nel 2019, la Space Force ha avuto un preciso mandato a «proteggere gli interessi degli Stati Uniti nello spazio» e, visto che gli interessi americani si espandono oltre l’orbita bassa, il resto viene da sé. DARPA e LunA-10 DARPA, Defense Advanced Research Projects Agency, è la potentissima Agenzia del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, focalizzata principalmente sulla ricerca e sviluppo di tecnologie avanzate per uso militare. Il budget di DARPA varia di anno in anno, ma general104
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mente si concentra su progetti specifici e innovativi nell’ambito della difesa. Anche se può sembrare strano, specie ai lettori più giovani, la rete Internet, che esploderà letteralmente negli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso, è derivata proprio da un progetto DARPA del 1969, la rete ARPANET, in grado di continuare a funzionare anche se, in caso di guerra, parte della rete fosse stata messa fuori uso. Nel 2023 ha aperto un’iniziativa, LunA-10 per favorire un rapido sviluppo di tecnologie per supportare le basi per un’infrastruttura lunare integrata. Il punto che fa DARPA è che si rischia di avere tanti importanti sforzi di industrie, Università, enti, ma comunque isolati, con grande dispendio di energia e susseguenti problemi di interoperabilità. LunA-10, che presenterà i primi risultati a inizio estate 2024, vuole un quadro tecnologico diversificato per facilitare le attività nello spazio intorno e sulla superficie della Luna nei prossimi decenni. Da una parte sono stati individuati i campi di operazione da esaminare e sono: Costruzione, Estrazione mineraria, Mobilità, Energia, Agricoltura, Medicina, Robotica, Sostegno alla vita, Comunicazioni, Posizione, navigazione e misura dei tempi. Praticamente tutti i principali temi che abbiamo trattato anche noi qui, come peraltro è ovvio [YLA]. Con LunA-10, come si legge nel documento appena citato, verranno identificate le aziende con «piani aziendali tecnicamente rigorosi» e verrà promossa l’interazione e la collaborazione per creare servizi commercialmente validi sulla Luna entro il 2035, in pratica con 105
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l’inizio della presenza umana stabile sulla Luna, come prevede la NASA. La trasmissione di potenza e la comunicazione saranno i primi temi principali affrontati e si parla dell’utilizzo di laser complessi in grado di irradiare elettricità in modalità wireless trasportando contemporaneamente un flusso di dati.
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Capitolo 6 La Luna fra noi
La Luna come modella La Luna è il secondo oggetto più luminoso in cielo, dopo il Sole che comunque non si può fissare, pena gravi danni agli occhi. Il suo aspetto cambia continuamente, passa da sottile falce a trionfante tondo di luce, per tornare a essere invisibile per un quarto del suo tempo. La luce della Luna piena ci permette di vedere la natura e muoverci, era la dannazione dei contrabbandieri del XIX secolo, una settimana di fermo attività per non rischiare di essere visti e arrestati dalla polizia di frontiera. Il suo periodo è abbastanza corto da permetterci di usarlo come orologio per le coltivazioni. La Luna ci affascina, è una compagna di vita dal giorno in cui nasciamo [PCA] e la sua immagine ha ispirato infiniti romanzi, canzoni, quadri. Qui facciamo una breve appendice per vedere alcune, pochissime, immagini fotografiche iconiche che hanno cambiato il volto della Luna come la conosciamo. Quale sia la prima foto della Luna è materia ancora aperta, dato che, non appena l’incredibile, quasi magica, invenzione della fotografia fu resa pubblica, moltissimi si precipitarono a tentare di fotografarla, cosa che dimostra come sia importante il nostro satellite 107
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nell’immaginario collettivo, come abbiamo appena accennato. Non bisogna comunque pensare che all’epoca fosse facile, anzi. Per poter pensare di fare una foto alla Luna ci voleva una macchina fotografica con la messa a fuoco, e parliamo di chassis in legno, e buone conoscenze, quanto meno pratiche, di chimica e anche un po’ di fisica. Di “scattare” come si usa dire oggi per le foto, non se ne parlava proprio: erano pose da tanti minuti. Louis Daguerre ci si cimentò, ma purtroppo non è rimasto nulla e quindi non sappiamo neppure se ci riuscì, gli storici della fotografia sono divisi. La prima foto della Luna, quindi è considerata quella di John W. Draper, un chimico, professore universitario, che realizzò il dagherrotipo nel marzo 1840. L’immagine era larga circa un pollice e l’esposizione necessaria fu di 20 minuti, anche questa però finì distrutta in un incendio che devastò l’Università di Draper nel 1865, la New York University. Quella che viene considerata, appunto, la prima foto della Luna non esiste fisicamente più, ma fu presentata pubblicamente a quella che oggi è l’Accademia delle scienze di New York. Draper ne fece altre, compresa quella che è in queste pagine, piuttosto rovinata, in cui si vede la Luna all’ultimo quarto, capovolta. Il Polo Sud, verso cui si dirigono oggi tutti i progetti di cui abbiamo parlato, è quindi in alto. A Draper è intitolato un cratere lunare proprio per questa sua prima impresa.
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La Luna fra noi
John W. Draper, la prima foto conosciuta della Luna, 1840
Fonte: Pubblico dominio
Il 7 ottobre del 1959 l’umanità poté vedere per la prima volta la faccia nascosta della nostra Luna. A scattarla fu la sonda sovietica Luna 3, progettata e realizzata proprio con questo scopo, oltre a quello di dimostrare l’assoluta, quanto temporanea, superiorità del regime comunista sul mondo occidentale, Stati Uniti in testa. L’immagine fece un’impressione enorme, i giornali di tutto il mondo misero la fotografia in prima pagina e non si parlò d’altro in quei giorni. Abituati come siamo oggi a ricevere dallo spazio immagini meravigliose di galassie, nebulose e pianeti facciamo molta fatica a capire come questa brutta fotografia abbia scosso l’opinione pubblica mondiale, anche se in modo diverso: orgoglio nei Paesi comunisti e meraviglia, e timore, in quelli occidentali. I sovietici avevano già raggiunto la Luna due volte fra il 1957 e il ’59 anno dello Sputnik, con i satelliti Luna 1 e 109
Corsa alla Luna
Luna 2, mentre gli USA avevano messo in orbita un satellite, Explorer 1, in evidente ritardo il 31 gennaio 1958. Luna 3 è importante per la storia dell’astronautica, anche perché fu voluto e realizzato da Sergej Pavlovič Korolëv, ingegnere ucraino che è, con Wernher von Braun, il protagonista della corsa allo spazio del secolo scorso. Luna 3 segna una svolta nel disegno di satelliti artificiali, si pensi per esempio che è il primo, in assoluto, che utilizza transistor, allora molto semplici rispetto a quelli degli anni Sessanta-Settanta appena entrati nel mercato. La TASS (Telegrafnoe Agenstvo Sovetskogo Sojuza), agenzia stampa sovietica, operò un notevole battage pre e post lancio, dato che Korolëv stesso capiva che quella conquista era di tutta l’umanità, e così fu vissuta. Korolëv stesso, prese le redini della missione quando sembrò che la sonda potesse fallire l’obiettivo, un atteggiamento che oggi sarebbe impossibile. Comunque sia il 7 ottobre 1959 la luce riflessa dal lato nascosto della Luna fece scattare il meccanismo e inaugurò la serie di 29 foto da una distanza di poco meno di 70mila chilometri dalla Luna stessa. Un particolare divertente: la pellicola usata era americana! I sovietici infatti non disponevano di pellicole resistenti ai raggi cosmici, che oltre l’atmosfera rovinano le emulsioni normali, e quindi ne usarono una ottenuta da un pallone sonda americano, strumenti spia allora molto usati, che il vento aveva portato e fatto atterrare in territorio russo. La foto, che a noi appare oggi, fu realizzata grazie a un miracolo tecnologico di allora: all’interno della sonda c’era un piccolo laboratorio fotografico, di fat110
La Luna fra noi
to, le 29 foto furono sviluppate da pellicola, le migliori furono scansionate e inviate a terra, teletrasmesse e la migliore risulta quella qui mostrata. Difficile da capire oggi specie per chi non ha vissuto l’epoca della pellicola fotografica.
La prima immagine della faccia nascosta della Luna
Fonte: Archivio Luna 3 – URSS
Altra immagine iconica della Luna, anche questa decisamente brutta, è quella che mostrò per la prima volta il suolo lunare, ma fotografato dalla Luna stessa. 111
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Anche questa fece una grande impressione nel pubblico e anche questa è di un mezzo dell’Unione Sovietica. Parliamo del Luna 9 che il 3 febbraio 1966 riuscì a compiere il primo allunaggio morbido, cioè senza sfasciarsi al suolo, della storia. Fu al tempo stesso un grandissimo risultato e anche l’apice della parabola sovietica: la NASA era alla riscossa e tre anni più tardi farà sbarcare i primi astronauti, mettendo la parola fine alla corsa alla Luna. In sostanza i sovietici arrivarono per primi, e i tanti allunaggi falliti, anche del 2023-2024 ci fanno capire che non è cosa così facile, ma l’arrivo degli astronauti del 1969 fece scordare questo record. Il programma Luna peraltro continua ancora, l’ultimo mezzo, Luna 25, purtroppo si è schiantato al suolo nell’agosto 2023, mostrando ancora una volta come l’astronautica russa non si sia risollevata ancora ai livelli di una volta. Eppure il programma Luna si era fermato nell’ormai lontano 1976 con un successo notevole: Luna 24 riporta sulla Terra campioni di suolo lunare per ricerche, poi più nulla. Lo stesso in realtà faranno gli Stati Uniti, una volta lasciato il nostro satellite con Apollo 17 bisognerà aspettare il 1994 per vedere di nuovo ravvivarsi l’interesse americano per la Luna, e sarà proprio per iniziare una operazione di cartografia accuratissima.
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La Luna fra noi
La prima foto del suolo lunare scattata in situ dalla sonda sovietica Luna 9, il 3 febbraio 1966
Fonte: Archivio Luna 9 – URSS
Luna 9 fu una missione molto interessante anche per la particolare tecnica di allunaggio sviluppata, che ebbe ovviamente successo. Le immagini spedite a terra in effetti non furono distribuite dai sovietici ma dai ricercatori dell’Osservatorio di Jodrell Bank dell’Università di Manchester, UK, che con le loro antenne per l’astrofisica avevano anche seguito le imprese dei russi. Per chiudere questa breve carrellata, consideriamo una delle immagini passate alla storia nel luglio 1969, mettendo una volta tanto non la famosa impronta del primo uomo sceso sulla Luna ma una foto di Buzz Aldrin, il secondo uomo che ha calpestato la polvere lunare, che infatti si può vedere qui aver già sporcato la tuta spaziale. 113
Corsa alla Luna
Buzz Aldrin sulla Luna, 21 luglio 1969
Fonte: NASA
Personaggio complesso, quattro matrimoni, ardente massone con il più alto grado che si può raggiungere, problemi importanti coi figli, è l’ultimo dei tre astronauti dell’Apollo 11 in vita nel gennaio 2024, dopo la morte Neil Armstrong, avvenuta il 25 agosto 2012, e quella di Michael Collins, morto il 28 aprile 2021. 114
La Luna fra noi
Urania e Gerda, le prime donne che andarono sulla Luna Samantha Cristoforetti non è stata la prima donna italiana astronauta, come l’americana che calcherà il suolo lunare per prima nella missione Artemis III, fra qualche anno, non sarà la prima donna ad andare sulla Luna. Urania infatti fu la prima donna italiana, e la prima in assoluto, a partire per la Luna, nel lontano 1857, mentre Gerda, eroina di un film del genio del cinema Fritz Lang, nel 1929 ci arrivò e addirittura lì ci restò col suo grande amore Willy, primo pilota spaziale che come tuta selenitica indossava un normale cardigan. Potenza della fantasia. Urania è figlia della fervida fantasia di uno scienziato di buon calibro, il nobile Ernesto Capocci, principe di Belmonte, che fin da giovanissimo aveva frequentato il bell’Osservatorio di Napoli, a Capodimonte applicandosi all’astronomia, allora ristretta al calcolo dei moti dei pianeti e pianetini. Nel 1833 fu nominato direttore succedendo allo zio, Federico Zuccari, anche lui scienziato di buon livello; comunque bisogna dire che, in quei tempi, il personale tutto, compreso il direttore, si contava sulle dita d’una mano. Capocci era uomo di scienza ma anche di belle lettere, tipico dei nobili di quel periodo, basta ricordare la descrizione del principe di Salina, personaggio formidabile del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa che era, fra l’altro, amante del cielo, realizzò un osservatorio personale nella sua villa ai Colli alla periferia di Palermo. La scienza allora era appannaggio di chi non doveva lavorare per vivere e, come ci ricorda lo stesso Galilei sempre all’affannosa ricerca di denaro per i suoi studi, non c’erano finanziamen115
Corsa alla Luna
ti di alcun tipo per sperimentare, se non quel che veniva dalle proprie tasche. Comunque sia, qui incomincia la strana storia di un libretto del Capocci, frutto della sua fantasia e del clima filosofico che dominava la scena allora, il positivismo di Auguste Comte che alternativamente imponeva un approccio razionale alla realtà, che si presumeva esistere sic et simpliciter, ma che apriva anche la valvola di sfogo dei viaggi fantastici nella letteratura. Capocci nel 1857 scrisse quindi un bel libricino, figlio di quei tempi: Relazione del Primo viaggio alla Luna fatto da una donna l’anno di grazia 2057. Da notare subito, per i nostri scopi, che, da bravo scienziato, era ben conscio delle tante difficoltà e problemi da risolvere, esattamente come oggi vediamo con Artemis, e quindi promosse l’eguaglianza fra i sessi (allora si diceva così) ma si premunì con un centinaio di anni di intervallo per compiere altri studi, ricerche ed esperienze per poter pensare di andare sulla Luna. Il libro fu edito localmente, ma poi scomparve, capita a quelli stampati in poche copie, ma qui comincia la sua seconda vita. Rimane infatti disperso finché, per caso, viene ritrovato, pochi anni fa, alla Biblioteca nazionale di Bari, e probabilmente è l’unica copia esistente [CAP]. Una storia curiosa di ritrovamento, quello che invece è veramente interessante è la somiglianza del racconto, con il libro di Jules Verne Dalla Terra alla Luna che però è di otto anni successivo. Il racconto si snoda lungo il viaggio, che inizia come per Verne, con un cannone che spara un proiettile cui è, letteralmente, legata con una lunga corda la capsula vera 116
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e propria. A bordo c’è l’equipaggio composto da sei uomini più Arturo definito “astronomo-artigliere” perché esperto di astronomia e balistica, e Urania la protagonista della storia che racconta la sua esperienza fantastica a un’amica. La cosa interessante è che i sei uomini sono “eterizzati”, ovvero addormentati con l’etere, allora molto usato in medicina. È il racconto del viaggio, otto giorni, con le meraviglie che si vedono attraverso i grandi oblò, della discesa sulla Luna con un paracadute, e poi la descrizione del suolo lunare, quest’ultima parte un po’ troppo didascalica. La navicella sparata, gli uomini “eterizzati”, quasi ibernati, il paracadute sono elementi interessanti, molto moderni, d’altra parte Capocci era uno scienziato di valore per l’epoca e quindi molti particolari riconducibili alla fisica di base sono corretti. Urania e gli altri sette, compresi i sei risvegliati dal sonno indotto, si ritrovano in un ambiente amico, li accolgono infatti una quarantina di altri audaci esploratori lunari che erano arrivati prima di quell’equipaggio. Urania resta però l’unica donna. Questo libretto di protofantascienza, forse servì da base a Jules Verne. Le coincidenze ci sono, dal cannone alla Compagnia della Luna, il club che organizza il viaggio, molto simile a quello ipotizzato da Verne. Inoltre Capocci era amico di Francois Arago, astronomo di valore a Parigi, tanto che tradusse le sue lezioni di Astronomia. Arago a sua volta era amico di Verne. Insomma non possiamo dire che 2+2 fa 4, ma il sospetto è lecito. Un altro viaggio, molto diverso e molto più tecnologico, è quello portato sugli schermi da Fritz Lang, grandis117
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simo regista di film come Metropolis o Il dottor Mabuse. Nel 1929 esce Frau im Mond, Una donna sulla Luna, l’ultimo film muto del regista. È una storia parecchio melodrammatica, sulla base di un romanzo scritto proprio dalla moglie di Lang, Thea von Harbou. Il viaggio sulla Luna viene effettuato da quattro uomini, una donna e un bambino. Il motivo è la previsione, del professor Manfeldt, stereotipo del professore tedesco d’antan, che sulla Luna esistessero miniere d’oro. Come nella sceneggiata più classica, i cattivi, una società privata che controlla il commercio del prezioso metallo, prenderà la guida della spedizione e lascerà il personaggio buono sulla Luna. Finale a sorpresa che vale tutto il film [FLG]. Le scene centrali, della partenza del razzo, che esce dall’hangar e decolla perfettamente sono piuttosto impressionanti per il realismo e la somiglianza con i vettori della seconda metà del secolo scorso, ma la cosa si capisce se si pensa che, con grande intelligenza e precorrendo i tempi attuali, Lang prese come consulente Hermann Oberth, uno dei padri dell’astronautica. Anche la miniera d’oro trovata sulla Luna, è una buona anticipazione di quello che speriamo di rinvenire sul nostro satellite, ovvero il Litio, il vero “oro” della società ipertecnologica. I furfanti poi che si erano imbarcati con la nostra eroina e il prode pilota, che si impossessano dell’oro e tornano sulla Terra da soli, speriamo non siano anch’essi una anticipazione di quel che succederà con le miniere lunari… La Luna che parliamo Pallida, argentea, luminosa, solitaria, pensosa. Mille 118
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sono gli aggettivi che si affiancano alla Luna nelle poesie, prose, pensieri di uomini e donne che spesso si sono rivolti, quasi confidandosi, a questa muta e fidata compagna della nostra vita. Orologio naturale da sempre, con il suo ciclo misura il tempo del lavoro dell’uomo e della fertilità della donna. Il greco ƫпƬ sta infatti per Luna (ƫпƬƦ) e anche per mese (ƫƦƬфư), pari al ciclo lunare di 29 giorni. È la Luna che regola e influisce sui lavori dei campi, sul tempo atmosferico, sulla maturazione del vino, e così via verso sempre più improbabili effetti, come sul momento opportuno per tagliare i capelli. Temuta raramente, amata quasi sempre, desiderata allo spasimo da quelli che vogliono la luna o vorrebbero toccarla con un dito è anche meta di infiniti viaggi fantastici: da Luciano di Samosata con la sua Storia Vera al Barone di Münchhausen che la raggiunge su una scomodissima palla di cannone fino a Pulcinella, che ci arriva addirittura con una nave attaccata a una cremagliera, che partirà ovviamente dal più napoletano dei moli della sua città: il Beverello. Non possiamo poi dimenticare, fra i tanti film, quello di Méliès Viaggio nella Luna, capolavoro del cinema muto e dell’ironia, con i suoi impavidi quanto improbabili astronomi che battagliano con gli ancora più ridicoli e improbabili abitanti della Luna. Luna, che si insinua sorniona nella nostra lingua, è parola che deriva da lux (luce) e prima ancora da una radice indoeuropea leuk, (splendere), è la “luminosa” dunque, e chi si sia trovato al buio della notte nera, in campagna o montagna, sa quanta salvifica luce poteva fare per il viandante e il pellegrino una bella Luna piena, 119
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che permetteva di vedere il sentiero, la via e forse anche i pericoli e gli agguati. Il Sole che splende di giorno e la Luna di notte sono i due luminari del mondo, parola usata per indicare un erudito nella materia che con il suo sapere indica la via, illumina un problema oscuro o esegue la miglior diagnosi per una malattia. Quando la Terra si frappone fra lei e il Sole provocandone l’eclissi la Luna si colora quasi di rosa o rosso tenue e desta forse pensieri ancora più romantici, ma quando improvvisamente eclissa il sole, che viene così oscurato diventando nero e mostrando fiamme sui bordi, allora la dolce, bianca, mansueta Luna cambia natura ed evoca disperazione e panico quasi un senso di morte. La Luna, che si insinua nella nostra mente, specie quella dei lunatici, e fa venire il tremendo mal di Luna, la leggendaria licantropia, oppure che ospita pietosamente i cervelli impazziti come quello di Orlando, nel “furioso” dell’Ariosto. Pazzi, malati, moribondi, svenuti, stupiti, tutti lì a stralunare gli occhi roteandoli verso l’alto e mostrandone il bianco, a forma di mezzaluna. Luogo fantastico delle nostre paure, della nostra fatica di vivere. Ma la Luna sa anche essere di miele, il periodo più dolce e armonioso del matrimonio, ma anche l’inizio di un rapporto fra amministrazioni nuove e cittadini, e poi ci sono la Luna rossa dell’estate polverose e dell’eclissi e la Luna blu degli inverni dalle notti freddissime. La Luna, muta e fedele compagna della nostra vita. Questo paragrafo è mutuato da Le Parole del Cielo [PDC]. I dati fondamentali La Luna ha un diametro di circa 3.474 km contro i 12.742 120
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della Terra. La sua massa è 7,35 × 1022 kg, cioè circa 1/81 di quella terrestre. Da questo segue che la gravità superficiale è: 1,62 m/s2, circa 1/6 di quella terrestre, in pratica un corpo che pesa 60 chilogrammi sulla Terra, sulla Luna ne pesa 10, mantenendo la stessa massa ovviamente. Per quanto riguarda la sua orbita: la distanza dalla Terra varia da 363.300 km a 405.500 km. La Luna gira attorno alla Terra in circa 27,3 giorni, periodo orbitale siderale. Come molti altri sistemi legati dalla reciproca attrazione gravitazionale da molto tempo, parliamo di miliardi di anni, il periodo orbitale della Luna corrisponde alla sua rotazione, in parole semplici la Luna gira attorno alla Terra nello stesso tempo in cui gira attorno a sé stessa. Il fenomeno, frequente nel sistema solare, in Meccanica si chiama accoppiamento spin-orbita. La Luna è rocciosa, non emette luce propria, e riflette quella che riceve dal Sole. A causa delle posizioni reciproche di Sole, Luna e Terra durante il mese lunare vediamo il disco del nostro satellite cambiare continuamente l’apparenza: è il fenomeno delle fasi. I diametri apparenti di Sole e Luna, come li vediamo dalla Terra, sono praticamente uguali: il Sole è circa 400 volte più lontano della Luna e il suo diametro effettivo è circa 400 volte più grande e con questo in cielo sembrano occupare lo stesso spazio, le loro dimensioni visibili sono pressoché identiche. Questa particolare coincidenza, peraltro temporanea dato che la Luna si sta allontanando da noi, rende possibile il fenomeno delle eclissi totali di Sole. Ci sono varie teorie sull’origine della Luna, la più accreditata è quella “dell’Impatto gigante”. La Luna si sarebbe formata 4,5 miliardi di anni fa in seguito a un 121
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gigantesco impatto fra la Terra, allora ancora in formazione e un corpo delle dimensioni di Marte, chiamato Theia. Questo evento avrebbe scagliato materiale nello spazio da cui si sarebbe formata la Luna. Come già si intuisce guardandola a occhio nudo, e comunque si può senz’altro vedere perfettamente con un normale binocolo, la Luna presenta una morfologia molto varia: ci sono i cosiddetti “Maria” lunari, che sono grandi pianure basaltiche accanto ad altopiani più chiari pieni di crateri presenti un po’ dappertutto con dimensioni da piccolissimi a enormi, dai 10 ai 200 chilometri. Presenti anche catene montuose, come gli Appennini lunari, con altezze che arrivano ai cinquemila metri. Per inciso notiamo che l’osservazione delle ombre delle montagne lunari, permise a Galilei di stimare per primo la loro altezza. Sulla Luna sono presenti tracce di acqua nella regolite, che ricopre il suolo come polvere, e depositi di ghiaccio di acqua al fondo di crateri perennemente in ombra soprattutto al Polo Sud lunare. La Luna non ha un’atmosfera importante, per questo al suolo la sopravvivenza è impossibile senza adeguata attrezzatura anche per via delle radiazioni, che arrivano tranquillamente al suolo così come meteoriti piccole e grandi.
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Capitolo 7 Oltre la Luna
Il prossimo salto: Marte Come abbiamo detto già in precedenza, la Luna, la sua riconquista, deve servire anche come base per il salto verso Marte, per molti versi la vera meta di questo secolo di esplorazione dello Spazio. Non è un mistero, ad esempio, che Elon Musk veda da sempre il fatto di popolare Marte con ardimentosi umani come il suo vero scopo finale, anzi abbia fatto intendere che tutte le sue imprese di successo, come può essere l’ambizioso e riuscitissimo progetto Starlink, siano per lui un mezzo per fare cassa per il suo dispendiosissimo programma marziano. Marte però è un traguardo molto più complicato della Luna, è un mondo arido, molto più lontano e ostile. Vediamo di cosa si tratta analizzando le sue caratteristiche. Marte è un pianeta di tipo terrestre, ha un’atmosfera molto tenue ma irrespirabile per noi, praticamente solo Anidride carbonica, con poco Argon e Azoto, meno del 5%, temperature molto basse alla superficie, la media è -65 gradi con valori tra +20 e -140, il suo anno marziano è lungo 687 giorni terrestri e il giorno marziano è di 24 ore e 40 minuti, molto simile al nostro insomma. Il fatto poi che il pianeta sia inclinato per 25 gradi, con123
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tro i 23,5 della Terra, significa che comunque su Marte ci sono delle stagioni, come qui da noi. Come diametro Marte è circa la metà della Terra e il doppio della Luna, la sua massa però è solo 1/10 di quella della Terra, perché è molto meno denso del nostro pianeta, circa il 70 per cento. Di conseguenza il valore della forza di gravità su Marte è circa il 62% in meno di quella cui siamo abituati qui sulla Terra, una persona di 60 chili su Marte peserebbe poco meno di 23. La composizione del pianeta, con un nucleo denso e vari strati, è molto simile a quella del nostro pianeta. È quindi un “posto” che possiamo guardare con un qualche interesse, abbastanza simile alla Terra per molti aspetti, ma certamente anche diverso su dati fondamentali come l’atmosfera. Per andare su Marte comunque ci vogliono mesi, dato che il Pianeta Rosso è esterno alla Terra, ossia è più distante dal Sole, la sua distanza da noi varia fra i 55,7 milioni di chilometri e i 401, a seconda della posizione reciproca dei due pianeti. Nei casi più favorevoli, ogni due anni, per andare dalla Terra a Marte ci possono volere dai sei ai nove mesi. Arrivarci comunque non è facile, è vero che attualmente ci sono almeno una decina di satelliti di varie nazioni attorno a Marte, ma è anche vero che se partiamo dagli anni Sessanta del secolo scorso una buona metà dei tentativi, e sono molte decine, è andata male, specie per quel che riguarda arrivare al suolo marziano, solo americani e cinesi in questo momento possiedono il know how per il landing su Marte. Abbiamo visto le difficoltà, ma comunque l’esplorazione umana di Marte è un argomento affascinante che 124
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cattura l’immaginazione da più di un secolo. Anche la comunità scientifica è molto interessata all’esplorazione di Marte con umani, già molto avanzata coi robot. Vogliamo andare su Marte per la ricerca scientifica, in particolare per capire meglio come si sono formati i pianeti, Marte poi è simile alla Terra ed è importante per capire se ci sia stata in passato una qualche forma di vita, al presente è esclusa almeno in superficie, per via delle radiazioni che non vengono fermate dalla tenue atmosfera. Marte, in superficie, è in sostanza un mondo sterile, per questo le sonde che sono in programma, sia europee che americane, porteranno sul Pianeta Rosso un sofisticato trapano, che sarà italiano nel caso della sonda europea, capace di andare fino a due metri sotto alla superficie. A quella profondità i batteri potrebbero in teoria anche vivere, o essere vissuti, grazie alla potente schermatura effettuata dai due metri di suolo marziano. Infine capire come Marte si sia ridotto a non avere praticamente atmosfera potrebbe esserci di grande aiuto anche per capire cosa sta succedendo qui sul nostro pianeta e cosa potrebbe accadere. Per quanto riguarda il problema della vita su Marte, che peraltro ha acceso l’immaginazione di decine di scrittori e registi con storie sui “marziani”, da La guerra dei Mondi, 1953, all’esilarante Mars Attack, 1996. Vale la pena di meditare un attimo: qui sulla Terra non pare che abbiamo spesso una grande considerazione della vita umana, senza tirare in ballo questioni morali si contano a decine di migliaia i morti per guerre ogni anno, eppure trovare anche solo un batterio, fosse anche fossilizzato, su Marte farebbe gridare a tutto il mondo alla scoperta eccezionale. La frase precedente è un’osservazione che 125
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spesso viene fatta a conferenze, esposizioni e convegni, e ha il valore che ognuno di noi può attribuirgli, quello che invece non viene mai detto è che il vero valore della scoperta di una qualche forma di vita su Marte, probabilmente un batterio fossilizzato nel sottosuolo o altra cosa similmente elementare, sarebbe una scoperta esplosiva non solo per sé ma, molto di più, perché dimostrerebbe che la vita non è un’esclusiva del pianeta Terra! Fatta questa importante osservazione, diciamo che andare su Marte significa affrontare e risolvere problemi che richiedono tecnologie innovative anche diverse da quelle, pur importanti, che avremo sviluppato per la Luna col programma Artemis. Elon Musk asserisce poi apertamente la necessità di espandere l’umanità nel cosmo, per garantire un reale futuro al genere umano oltre la Terra. Ha senz’altro ragione, poi, quando parla di suggestione e ispirazione, specie per i giovani, infatti mentre sono ormai decenni che inviamo robot su Marte, sempre più perfezionati e che collezionano risultati sempre più sorprendenti, le missioni con equipaggio umano avrebbero senz’altro l’effetto di ispirare e interessare specie i giovani in maniera nuova e potente. I problemi per portare l’umanità su Marte sono simili a quelli affrontati per la Luna, ma sono resi ancora più complessi dalla distanza, per esempio, dalla esposizione prolungata alle radiazioni, dal fatto che arrivo e ripartenza sono più complessi su Marte che sulla Luna. Il viaggio potrebbe durare sei mesi, quindi la quantità di radiazioni assorbita dal veicolo spaziale sarebbe notevolissima: occorre una schermatura adeguata per 126
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proteggere gli astronauti. Schermatura a radiazioni e particelle vuol dire però metallo e quindi peso. Difficile ottimizzare. Certo le ricerche in corso su differenti tipi di propulsione, che potrebbero accorciare di parecchio i tempi del viaggio sarebbero in grado di dare una buona mano a questi problemi. Bisognerebbe comunque prevedere durante il viaggio sistemi di supporto vitale per fornire cibo, acqua, Ossigeno e smaltire i rifiuti. Una volta arrivati su Marte gli astronauti dovrebbero ricavare il combustibile per ripartire dal pianeta stesso, e su questo si discute da tempo per la probabile presenza di metano nel sottosuolo marziano. Ogni fase del viaggio insomma è più complicata di quelle per andare sulla Luna che abbiamo affrontato con maggior dettaglio. Attualmente Marte è popolato di robot terrestri, Perseverance della NASA è quello attualmente da più tempo in operazione. Marte è piuttosto lontano e i segnali radio impiegano diversi minuti per percorrere il tragitto, fra gli oltre otto e i 22 a seconda della distanza tra i due pianeti. Questo cambia completamente la situazione per i robot, che devono avere un alto grado di autonomia, dato che rischiano, aspettando gli ordini dalla Terra per decine di minuti, di fermarsi continuamente. Anche per Marte comunque, è impensabile che una colonizzazione effettiva possa essere realizzata da un solo Stato o Agenzia. Missioni così complesse e costose richiedono collaborazione internazionale fra Agenzie spaziali e aziende private, come SpaceX, Blue Origin o altre. Come si legge nel sito Web della NASA, comunque: 127
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In conclusione, sebbene ci siano molte sfide da superare, il progresso costante nella tecnologia spaziale e l’interesse crescente da parte sia del settore pubblico che privato indicano che la missione di mandare esseri umani su Marte potrebbe diventare una realtà entro i prossimi decenni. Questa avventura rappresenta un passo significativo per l’esplorazione spaziale umana e potrebbe portare a scoperte rivoluzionarie sulla nostra capacità di vivere e lavorare nello spazio. Marte ripreso da Hubble Space Telescope
Fonte: NASA
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Il vero punto, se vogliamo essere un po’ cinici, è che Mercurio è un luogo impossibile per la vicinanza al Sole, Venere è sempre coperto di nubi velenose che provocano effetto serra con centinaia di gradi al suolo, sui 400 almeno, e a volte sembra che Marte sia l’unico pianeta del sistema solare su cui potrebbe aver senso andare a stare. Dal nostro PC comunque possiamo farci un giretto su Marte, anche senza tuta, usando il programma “mars” di Google: www.google.it/mars. Caldi oceani ghiacciati Molte sono le missioni di esplorazione del nostro sistema solare previste, e le Agenzie spaziali come NASA ed ESA periodicamente aprono delle call, richieste pubbliche, per nuove idee per nuove missioni. Le proposte dal mondo scientifico certo non mancano, anzi sono di gran lunga in eccesso, come giusto e bene che sia. Una linea di ricerca veramente entusiasmante è quella che vuole esplorare i mondi ghiacciati del sistema solare esterno. Cercare la vita nel nostro sistema solare, non si ferma a Marte infatti, dove peraltro non abbiamo evidenze di vita al momento, ma attualmente va oltre, nei mondi ghiacciati attorno a Giove e Saturno che nascondono però, sotto una tormentata e spessa coltre di ghiaccio, oceani di acqua salata e calda, che ogni tanto fuoriesce formando piccoli pennacchi di vapore. È proprio analizzando quei geyser spaziali che sappiamo che sotto la spessa crosta di ghiaccio abbiamo un caldo oceano dove troviamo anche tante molecole organiche, i mattoncini della vita; il primo e più vicino, relativamente, è Europa, satellite del grande Giove scoperto da Gali129
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leo nel gennaio del 1610 assieme agli altri tre: Io, Ganimede, Callisto. Europa, che prende il nome dalla mitologia greca e non dal nostro continente, è di notevoli dimensioni, 1.560 chilometri di raggio, praticamente come la Luna, un poco più piccola. Europa mostra evidenze schiaccianti per l’esistenza di un oceano di acqua liquida sotto la crosta ghiacciata che potrebbe contenere tutti i mattoni fondamentali per costruire la vita. Dobbiamo fermarci un attimo per specificare che avere delle molecole organiche non significa avere la vita, su questo i media fanno da sempre una tremenda confusione, pensiamo però che sia vero il contrario, ossia se non ci sono queste molecole, ad esempio il “banale metano”, non ci può essere la vita. Il punto fondamentale, al momento, è che non sappiamo come dalle molecole organiche, magari molto complesse, si passi alla vita vera e propria, per quanto semplice. Europa, potrebbe contenere tutti gli ingredienti necessari per la vita come la conosciamo. Su Europa è prevista una missione della NASA, Clipper, che partirà a breve, ottobre 2024, arriverà a Giove nel 2030 e inizierà a studiare il grande satellite per capire se ci possono essere luoghi, sotto la superficie, atti a ospitare la vita. Per fare questo sorvolerà decine di volte il grande satellite. Per raggiungere questo obiettivo, una serie di perfezionati strumenti lavorerà insieme per raccogliere misurazioni dell’oceano interno, mappare la composizione della superficie e la geologia e cercare pennacchi di 130
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vapore acqueo che potrebbero fuoriuscire dalla crosta ghiacciata. Certo è del tutto controintuitivo per noi terrestri che sotto una crosta ghiacciata, pure molto spessa, possa esserci un oceano caldo. Il modello di Europa che gli scienziati fanno è quello di un mondo di ragguardevoli dimensioni, come abbiamo detto, costituito da un nucleo molto denso sopra cui è steso uno strato roccioso. Fra lo strato di roccia e il mantello ghiacciato c’è l’oceano che si presume abbia uno spessore tra i 50 e i 150 chilometri. Una prima considerazione, anche questa controintuitiva dato che Europa ha un diametro quattro volte circa quello della Terra, è che ha più acqua della nostra Terra: circa il doppio. L’altro elemento di studio è come mai l’acqua sia calda, come si nota dagli sbuffi che escono dalla superficie. Il riscaldamento sarebbe dovuto all’azione gravitazionale di Giove, il gigante del sistema solare, che “stira” il satellite, verso di sé, in modo diverso, più o meno forte, a seconda della posizione di Europa nell’orbita attorno a Giove, un fenomeno molto simile alle maree che la Luna provoca sulla Terra. La stessa deformazione dovuta alle potentissime maree gravitazionali indotte da Giove, che agiscono anche sulla parte solida di Europa, si pensa che permetta a parte dell’acqua di questo grande oceano di penetrare attraverso lo strato roccioso, venire a contatto col nucleo e riscaldarsi. Questo sarebbe il meccanismo che riscalda l’oceano e provoca, dove possibile perché magari c’è una frattura nella crosta ghiacciata, l’emissione di sbuffi di acqua salata calda che noi possiamo analizzare con gli spettrografi. 131
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Sotto il guscio di ghiaccio, spesso pare almeno 15 chilometri, che sono parecchi, potrebbero esserci delle risorgive calde che provengono dallo strato roccioso interno, simili alle sorgenti idrotermali che si trovano a grande profondità nel Pacifico, attorno a cui fiorisce flora e fauna. È prevista una missione che faccia scendere sulla crosta ghiacciata di Europa una piattaforma per studiare in loco il promettente satellite, negli anni Trenta di questo secolo. Situazione simile in Encelado, grande satellite di Saturno, che vediamo nell’immagine qui sotto.
Encelado coi pennacchi di acqua calda. Rappresentazione artistica
Fonte: NASA/JPL
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Gli accordi Artemis per la Luna L’Italia, come tanti altri Paesi, più di 30, ha firmato con la NASA gli accordi per il programma Artemis di ritorno alla Luna, nell’ottobre del 2020. Come si vede dalla declaratoria degli impegni, che riportiamo qui sotto dal sito dell’Agenzia spaziale italiana, si tratta di principi guida per l’esplorazione della Luna, che implementano quelli stabiliti nel Trattato delle Nazioni Unite sullo spazio extra-atmosferico (OST) del 1967, di cui abbiamo parlato. Nello specifico: • Scopi pacifici: la cooperazione internazionale di Artemis è intesa non solo a rafforzare l’esplorazione spaziale ma anche la cooperazione pacifica tra i Paesi. Pertanto, il primo requisito da rispettare è che tutte le attività siano condotte per scopi pacifici in conformità con il Trattato OST. • Trasparenza: i firmatari degli accordi condurranno le attività in modo trasparente per evitare confusione e conflitti. • Interoperabilità: le Nazioni che partecipano al programma Artemis si adopereranno per supportare si133
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stemi interoperabili, per migliorare sicurezza e sostenibilità. Assistenza di emergenza: fornire assistenza a chi ne ha bisogno è la pietra focale di qualsiasi programma spaziale civile e responsabile. Pertanto, gli accordi di Artemis rafforzano l’impegno di ciascun partner per quanto concerne l’assistenza agli astronauti in difficoltà. Registrazione di oggetti spaziali: tutti i Paesi firmatari dell’Accordo avranno o dovranno al più presto aderire alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla registrazione degli oggetti lanciata nello spazio extra-atmosferico. Rilascio di dati scientifici: questo principio enfatizza un impegno volto alla condivisione tempestiva, completa e aperta dei dati scientifici acquisiti, per garantire che il mondo intero possa trarre vantaggio dal viaggio di esplorazione e scoperta di Artemis. Proteggere il patrimonio: i firmatari degli Accordi si impegnano a preservare il patrimonio dello spazio extra-atmosferico, tutelare i siti storici e i manufatti sarà altrettanto importante nello spazio quanto lo è sulla Terra. Risorse spaziali: l’estrazione e l’utilizzo delle risorse spaziali è fondamentale per un’esplorazione sicura e sostenibile; queste attività dovranno essere condotte in conformità con il Trattato OST. Prevenire conflitti: i partner degli Accordi si impegnano a evitare interferenze nocive tenendo debitamente conto dei corrispondenti interessi degli altri Paesi, come previsto dal Trattato OST. Detriti orbitali: preservare un ambiente sicuro e so-
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stenibile nello spazio è fondamentale per le attività sia pubbliche che private. Pertanto, i partner di Artemis si impegneranno a pianificare lo smaltimento sicuro dei detriti spaziali.
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Per finire
Questo libro parla del futuro in campo spaziale, in particolare dell’ambizioso ed eccitante programma per il ritorno sulla Luna che impegna, in tempi e modi diversi, buona parte dell’umanità. Difficile, ma ci riusciremo. L’approccio vuole essere giornalistico e non tecnico, il contenuto è aggiornato al gennaio 2024, quando il testo è stato chiuso. Come noto, se c’è un modo sicuro per venire presto smentiti, questo è fare previsioni, specie se tecnologiche e specie in questo momento di impetuoso progresso e di burrasca geopolitica, ma mi è sembrato che il gioco valesse la candela. Spero possa interessare qualcuno e anche, perchè no, ispirare verso una delle più belle e sfidanti avventure di tutti i tempi in cui l’Italia sta mettendo le migliori energie intellettuali e industriali. Grazie a Pierangelo Soldavini e Silvia Bencivelli per i consigli. Grazie a ChatGPT 4 per avermi aiutato a controllare le informazioni che avevo e per avermene suggerite altre, che mi erano ignote. Dedicato con affetto a Emma e Mario, e a tutti gli altri bambini e bambine degli anni Venti di questo secolo che, se lo vorranno, potranno andare sulla Luna da grandi. 137
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Bibliografia essenziale
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Corsa alla Luna
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Bibliografia essenziale
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Il Sole 24 Ore
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Il Sole 24 Ore
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Il Sole 24 Ore
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Il Sole 24 Ore
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‘‘ La Terra è la culla dell’umanità, ma non possiamo rimanere nella culla per sempre. —Konstantin Tsiolkovsky