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Italian Pages 63/66 [66] Year 2009
LE MADONNE MIRACOLOSE DI RIMINI
Testi di: Marzia Ceccaglia (M.C.) Stefano De Carolis (S.D.C.) Learco Guerra (L.G.) Rosanna Menghi (R.M.) Fotografie di: Biblioteca Gambalunga, Rimini (Nadia Bizzocchi) Stefano De Carolis Massimo Giordano Gilberto Urbinati Si ringraziano: Curia Vescovile, Rimini Biblioteca Gambalunga, Rimini Museo della Città, Rimini Associazione Riminese per la Ricerca Storica e Archeologica (ARRSA) Michela Cesarini Renzo Cipriani Famiglia Clementoni Katja Del Baldo Marco Ferrini Carlo Rufo Spina Giancarlo Tentoni
© 2009 by Guaraldi Editore s.r.l. Sede legale e redazione: Via Grassi, 13, Rimini Tel. 0541 790194 - Fax 0541 791316 www.guaraldi.it e-mail: [email protected] ISBN: 978-88-8049-393-8
Marzia Ceccaglia, Stefano De Carolis, Learco Guerra, Rosanna Menghi
CON GLI OCCHI DEL CIELO LE MADONNE MIRACOLOSE DI RIMINI
Con un saggio introduttivo di Pier Giorgio Pasini
Indice
«Vergine Madre figlia del tuo Figlio»
pag. 7
Le Madonne di Rimini
pag. 9
Beata Vergine della Pietà, detta dell’Acqua
pag. 19
Beata Vergine delle Grazie
pag. 23
Madonna del Giglio
pag. 27
Madonna della Colonnella
pag. 31
Madonna della Scala
pag. 35
Madonna Auxilium Christianorum
pag. 39
Madonna della Polverara
pag. 43
Maria Mater Salvatoris
pag. 47
Mater Misericordiae
pag. 53
Madonna del Monte
pag. 59
Bibliografia essenziale
pag. 63
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«VERGINE MADRE FIGLIA DEL TUO FIGLIO»
«Vergine Madre figlia del tuo Figlio». Il potente paradosso della poesia di Dante sta davanti a un fatto incredibile, a un bene nuovo e senza fine che dalle origini dell’avvenimento cristiano arriva fino a noi e ci porta un nome: Maria. Dalle più alte espressioni dell’arte alle semplici manifestazioni popolari di fede, dal grande santuario alla piccola celletta di campagna, le testimonianze della devozione alla Madre di Dio nel tempo e nel mondo sono incalcolabili. Anche la nostra città le ha visto dedicare chiese, oratori, altari e cappelle che sono stati e sono meta per implorare l’intercessione in un tempo di bisogno o per ringraziare nell’ora della gioia. Purtroppo alcuni di questi edifici non esistono più: la Madonna della Polverara, del Paradiso, del Rosario, dello Spasimo; Santa Maria in Turre muro, degli Angeli, in Acumine, in Corte, in Trivio. Ma è agli altri ancora esistenti che il presente volume (preceduto dall’omonima mostra realizzata in occasione della festa parrocchiale di Cristo Re nel settembre 2009) è dedicato, con lo scopo di ricordare e mettere in luce i fatti prodigiosi legati a un particolare quadro o a una scultura. Sono le cosiddette “Madonne miracolose” per usare un’espressione certamente impropria, ma efficace, che fa riferimento agli occhi che si muovono, al giglio che fiorisce in inverno, a una vita salvata. Certi di ottenere quanto si andava a domandare, a questi luoghi, come verso quelli più conosciuti di Loreto, Montefiore e Saiano, i fedeli di qualche generazione fa si recavano in pellegrinaggio periodicamente. E sia che il cammino fosse solitario o rappresentasse il corale gesto di un popolo, immancabilmente era accompagnato dai canti e dal Rosario, la preghiera mariana per eccellenza, che nella sua ripetitiva e sempre nuova bellezza scandiva e incalzava i passi concludendosi con le invocazioni delle litanie (soprattutto lauretane), così sagge nelle evocazioni bibliche e così semplici nel regalare attributi a colei che si andava ad implorare. Anche nelle nostre vicine campagne esistono pievi e cappelle in cui si segnalano avvenimenti speciali legati al culto mariano; alcune si conoscono bene, altre sono quasi sconosciute come l’oratorio Legni-Spina a San Giovanni in Marignano, che presentiamo quale esempio del ricco patrimonio che ci circonda. Concludiamo ricordando che i padri della Chiesa e tutti i santi più o meno conosciuti, teologi e papi, hanno sottolineato con sensibilità diverse le grandezze della Madonna. Fra tutti a noi piace citare sant’Agostino, «È fatto in te colui che fece te», perché ci permette di tornare al punto da cui siamo partiti, all’unico, inimmaginabile punto da cui sempre, ogni giorno si può ripartire: Dio ha bisogno di noi, della nostra amicizia, della nostra umanità, della nostra libertà per poter trovare una dimora nel mondo: è lui che per primo ha domandato a Maria qualcosa e lei, già quella volta, puntualmente ha risposto.
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LE MADONNE DI RIMINI di Pier Giorgio Pasini
I primi importanti volumi sulla storia di Rimini risalgono – come è ben noto – all’inizio del Seicento e sono dovuti a Raffaele Adimari e a Cesare Clementini. Il libro del primo ha un taglio popolare e devoto; quello del secondo è di maggiori ambizioni e talmente ponderoso che dovette essere realizzato in due tomi, dedicati rispettivamente ai cardinali Scipione Borghese (1617) e Giulio Sacchetti (1627). Ma l’intera opera è dedicata prima di tutto ai santi protettori della citta, dei quali viene fornito un elenco preciso e, com’era nello spirito del tempo, “gerarchicamente” ordinato. Infatti subito dopo il frontespizio del primo volume troviamo: «A’ gloriosi protettori della citta di Rimino: La Regina de’ Cieli. S. Godenzo Vescovo e Martire. S. Giuliano Martire. S. Antonio Confessore. S. Colomba, e S. Innocenzia Vergini, e Martiri. Cesare Clementini dedica la presente fatica». Come si vede la squadra dei protettori ufficiali della città (che nei secoli seguenti avrà modo di arricchirsi di diversi altri santi) è capeggiata dalla Madonna. Il fatto è confermato anche dalla non ricca iconografia che raccoglie, come in un ritratto di famiglia, tutti questi santi: a cominciare dalla stampa allegata al testo dell’Adimari , che rappresenta il territorio diocesano su cui è raffigurato, in una nuvoletta sospesa al centro della veduta, il gruppo dei protettori raccolto proprio attorno alla Madonna. A conferma di questo “primato” di Maria possiamo ricordare anche la
grande pala che fra Cosimo Piazza ha dipinto nel 1611 per l’altare maggiore dei Cappuccini, e che ora è nella chiesa di San Giovanni Battista. Chi poi avrà la pazienza di sfogliare gli antichi statuti manoscritti della città, scoprirà nel quarto libro che ai bestemmiatori veniva comminata una multa doppia se la bestemmia riguardava Dio e la Madonna (e il taglio della lingua se la multa non veniva pagata: altri tempi). Ma non basta: sulla facciata del palazzo comunale di Rimini c’è, come in molti altri palazzi pubblici italiani, l’immagine del principale protettore della comunità cittadina. A Rimini non c’è, come si potrebbe pensare, quella di San Gaudenzo o di San Giuliano, ma quella della Madonna. Incredibilmente sopravvissuta anche ai bombardamenti dell’ultima guerra, domina ancora la piazza e il corso: si tratta di una bella statua in bronzo raffigurante la Beata Vergine della Concezione (cioè l’Immacolata), collocata nella sua nicchia il 24 marzo 1696 dopo la ricostruzione del palazzo (che era stato distrutto dal terremoto del 1672), e tre anni dopo ornata oltre che da un baldacchino, da un fanale che i donzelli del Comune, in livrea, dovevano accendere tutte le sere all’Ave Maria (e in alcune occasioni particolari al suono delle trombe: altri tempi, ancora una volta). Rimini «città mariana», dunque? In effetti a Rimini le immagini della Madonna sono molte, e molte sono le chiese in cui se ne celebra il culto, diffuso e sostenuto principalmente
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dagli ordini monastici fin dall’alto Medioevo. Va sottolineato che già nel XII secolo uno degli altari principali dell’antica cattedrale (Santa Colomba) era dedicato alla Vergine; e che nella scomparsa chiesa di San Tommaso Raffaele Adimari all’inizio del Seicento segnalava una Madonna «di Cimabue», e quindi presumibilmente duecentesca; e che, ancor oggi, la chiesa degli Agostiniani è dominata da una grande Madonna con il Bambino «in maestà» dei primi anni del Trecento; inoltre sappiamo che numerosi polittici della “scuola riminese” dello stesso secolo hanno o avevano al centro l’immagine della Madonna: per ricordarne un solo esempio si veda il meraviglioso polittico di Giuliano da Rimini ora depositato nel Museo della Città, che al centro ha la scena dell’Incoronazione delle Vergine. Oggi i santuari mariani più celebri e frequentati della diocesi sono quelli della Madonna di Bonora a Montefiore e della Madonna della Misericordia (cioè Santa Chiara) a Rimini. Hanno storie
diverse e immagini molto diverse. Ma a Rimini, come ovunque, tutte le immagini della Madonna sono diverse. Del resto su quali documenti potevano informarsi gli artisti per restituire ai fedeli una immagine verosimile della Madonna? I sacri testi non sprecano una parola sulle sue fattezze: era bionda o bruna, alta o bassa, magra o grassa, dolce o severa? La tradizione devota ci assicura che era bella: splendente come il sole, bianca come la luna, lucente come le stelle (giusto per chiosare un canto molto popolare, che offre metafore suggestive ma assolutamente inutili a pittori e scultori alle prese con forme concrete); e inoltre senza l’aiuto di una credibile tradizione figurativa, perché i «ritratti» più antichi della Madonna, tutti “inesorabilmente” attribuiti a San Luca e provenienti dall’Oriente, sono schematici e generici e in sostanza inutilizzabili in Occidente, come del resto quasi tutte le immagini bizantine lontane dalla nostra mentalità. Gli artisti dunque dovevano basarsi sulla loro fantasia e su ciò che il loro tempo e la loro cultura proponevano come «bellezza muliebre», trattenendosi appena dal caratterizzare troppo le immagini per non configurarle come ritratti di una specifica persona, e cercando piuttosto di esprimere un’idea, un concetto di perfezione spirituale più che di bellezza fisica. È naturale dunque che ne siano venute fuori Madonne molto diverse l’una dall’altra, e tutte un po’ generiche, caratterizzate da lineamenti regolari e possibilmente gentili, di una “normalità” rassicurante, e ispirate ai modelli proposti dal tempo in cui furono eseguite: quelle del Medioevo infatti sembrano signore feudali, quelle del Rinascimento colte cortigiane, quelle del Cinquecento volitive principesse, quelle del Seicento raffinate regine, quelle del Settecento gentili donzelle, quelle dell’Ottocento dame della
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Croce Rossa e via dicendo. Le migliori vengono “riscattatate” dalla loro genericità e rese umane e accostanti dall’atteggiamento verso il Figlio, che le trasforma da semplici donne in mamme affettuose, attente ai bisogni del Figlio e quindi dei fedeli (figli anch’essi) che La invocano. Ovviamente non tutte le immagini della Madonna sono miracolose; quelle miracolose comunque hanno tutte una caratteristica comune: non sono mai dei capolavori. In effetti solo grazie alla loro mediocrità formale possono essere guardate e venerate con fiducia, perché si limitano ad offrire un’idea, una suggestione che non si ferma all’aspetto materiale dell’opera, rimandando così alla Madonna vera, quella che non sta nell’icona ma in Cielo, e dunque aprono la mente e il cuore alla contemplazione della divinità e del suo mistero; i capolavori si fanno ammirare per le forme perfette che ha saputo creare l’artista, in effetti insignificanti, quando non addirittura fuorvianti, per aprire un dialogo spirituale (chi ha notizia di qualche Madonna miracolosa di Raffaello?). Per quanto riguarda Rimini si potrà precisare che le sue Madonne miracolose, oltre a non essere opere d’arte, non sono mai state né lacrimose né sanguinanti (e questo è già confortante); e che solo tre di esse hanno portato il titolo di «Madonna di Rimini»: sono quella di Venezia proveniente dal colle di Covignano (dalle Grazie), quella dei Cappuccini ora a Santa Rita, e quella di Santa Chiara, la più famosa e venerata. Il primo miracolo mariano riminese di cui abbiamo notizia è attribuito al Duecento, e ha dato origine alla chiesa di Santa Maria delle Grazie sul Covignano. Che però non conserva più l’immagine miracolosa originale, che ha voluto andarsene da Rimini (emigrata o fuggita da una città abita-
ta da uomini di «dura cervice»?) per fermarsi a Venezia, vicino alla chiesa di San Marziale, dove ancor oggi è nota e venerata come «la Madonna di Rimini». Una scuola veneziana – cioè una confraternita – formatasi all’inizio del Cinquecento ne ha tenuto vivo il culto ed ha provveduto a diffonderne la leggenda con uno scritto che a Rimini era sicuramente noto nel Seicento, dato che è riassunto dagli storici locali Raffaele Adimari e Cesare Clementini. Ma è solo con il Rinascimento che a Rimini e nel suo territorio cominciano a sorgere i primi grandi santuari espressamente dedicati alla Madonna, attorno ad immagini miracolose o a luoghi in cui si è manifestata la sua presenza. La prima chiesa eretta esclusivamente in onore della Madonna all’inizio nel Cinquecento sorge fuori dalla città, lungo la via Flaminia: è quella della «Madonna della Colonnella», che da poco tempo ha acquisito il titolo di Santa Maria Annunziata (il decreto canonico è del 1 novembre 1961). Deve la sua origine ad un fatto miracoloso avvenuto nel 1506, che ebbe a testimoni una folla notevole e gli stessi magistrati cittadini; naturalmente fu importante per rilanciare la devozione mariana in tutta la città, che decise di erigere alla Vergine in quel preciso punto una chiesa, realizzata infatti nel giro di una decina d’anni a cura dello stesso municipio e grazie a indulgenze concesse dal pontefice Giulio II. L’edificio incluse l’immagine miracolosa (che allora non si volle spostare, per non correre il rischio di danneggiarla, anche se ciò comportò la deviazione dell’antica via Flaminia), che è un’opera molto modesta di un pittore itinerante, forse toscano, e che reca la data del 1483. Invece la chiesa è un vero capolavoro del Rinascimento, per le sue proporzioni armoniose caratterizzate da una ge-
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ometria elegante e per la composta ricchezza delle lesene rabescate che scandiscono lo spazio dilatato dalle cappelle laterali a nicchia. A questa chiesa, di proprietà del Comune, tutti gli anni, nel giorno dell’Annunciazione, si recava processionalmente la magistratura cittadina in segno di omaggio alla Vergine. Ma la Madonna che dal XVI secolo ha goduto la più costante e forte devozione da parte di tutta la città e di tutta la diocesi, e dei riconoscimenti pubblici più alti, tanto da poter essere definita davvero la «Madonna dei riminesi», è quella detta dell’acqua, venerata nel Tempio Malatestiano. Si tratta di un piccolo gruppo plastico di ottima fattura databile al quarto decennio del Quattrocento che raffigura La Pietà, cioè la Vergine che tiene sulle ginocchia Gesù morto. Pare sia stato san Carlo Borromeo ad esortare i riminesi a rivolgersi con fiducia a questa immagine, che nel 1584 cominciò ad operare miracoli, tanto copiosi che appena due anni dopo la sua cappella dovette essere chiusa da una cancellata per proteggere gli ex voto che conteneva. Ci si rivolgeva a questa Madonna particolarmente nei casi di siccità, di eccessiva piovosità e di inondazioni. Le grazie che Le venivano richieste e che Ella elargiva erano naturalmente di interesse generale e pubblico, per il bene di tutta la comunità; e non potevano lasciare indifferenti la magistratura cittadina, infatti sempre presente in veste ufficiale alle periodiche suppliche ed ai periodici «rendimenti di grazie». Soprattutto i contadini si rivolgevano a Lei, e partecipavano in gran numero alle sempre affollatissime processioni con cui veniva onorata, frequenti soprattutto nel XVIII secolo; ma anche i cittadini, sempre minacciati dalle piene del Marecchia. A pensarci bene il suo primo e forse maggior miracolo è stato quello di far convivere
pacificamente, almeno nei momenti in cui veniva festeggiata, cittadini e contadini, sempre in lite fra di loro in quel secolo agitato. Nel 1814, di ritorno a Roma dopo la prigionia francese, Pio VII si fermò a Rimini e incoronò solennemente l’immagine fra l’entusiasmo dei riminesi. Per celebrare degnamente il cinquantenario di questo avvenimento la cappella della Madonna fu abbellita a spese del capitolo della cattedrale, con il concorso della municipalità e di tutti i fedeli; i lavori, progettati dall’architetto papale Luigi Poletti, trasformarono la cappella con ridipinture, dorature, vetrate istoriate, rivestimenti marmorei, un nuovo pavimento, un nuovo altare, una nuova nicchia e nuove sculture, caratterizzate da un eclettismo solenne di stampo classicista. Nelle lunette tre dipinti ad encausto di Alessandro Guardassoni (distrutti durante la guerra, come le vetrate), rappresentavano l’incoronazione della Madonna per mano di Pio VII e «la serenità» e «la pioggia». Nell’iscrizione marmorea che commemorava i lavori (compiuti nel 1868) la Madonna dell’Acqua viene definita imbripotens; l’aveva dettata il devotissimo storico Luigi Tonini, tuttavia assai critico sull’opportunità di tali pesanti “abbellimenti”. Quello del 1506 alla Colonnella è stato il primo di una lunga serie di eventi miracolosi attribuiti alla Madonna che nel XVI e XVII secolo hanno favorito la costituzione di confraternite e di compagnie laicali dedicate alla Vergine (venerata con i titoli più vari: della Concezione, del Santissimo Nome, del Soccorso, della Consolazione, dello Spasimo, dell’Aspettazione, dell’Abito, della Cintura, ecc.) in tutte le principali chiese della diocesi. Queste confraternite certamente sorsero grazie alle sollecitudini del clero in opposizione
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alle diffuse deviazioni ereticali e al protestantesimo (del 1521 è la formale scomunica di Lutero) e in obbedienza ai dettami e ai consigli del Concilio tridentino, ma la loro diffusione e la loro “fortuna” si devono a un bisogno vero della gente; un bisogno di protezione, di speranza che si ancorava alla Madre di Dio, come la figura più dolce e umana, e insieme potente, dell’empireo cristiano. I Francescani e i Domenicani, i Serviti e i Carmelitani furono, a Rimini come altrove, tra i principali propugnatori della devozione alla Vergine, e ad essa dedicarono cappelle e altari nelle loro chiese (i Francescani nella loro ne avevano addirittura quattro, intitolati all’Annunciata, all’Addolorata, all’Immacolata e alla Madonna della neve), spesso sovrastati da immagini plastiche che in particolari ricorrenze venivano variamente abbellite e rivestite di abiti ricamati. Anche in cattedrale, peraltro, all’inizio del Seicento fu costruita una grande cappella mariana (dedicata all’Incoronata), forse in sostituzione di uno dei principali altari dell’abside, che era consacrato alla Madonna fin dal 1154. Inoltre va ricordato che, specialmente dopo la battaglia di Lepanto (1571), ebbe un particolare impulso anche da noi la devozione, peraltro già radicata, alla Madonna del Rosario. Le confraternite del Rosario, insieme a quelle più antiche del Corpo di Cristo o del Santissimo Sacramento, alla fine del XVII secolo erano in assoluto le più diffuse, ed erano presenti in quasi tutte le chiese parrocchiali della diocesi. Purtroppo i loro oratori (e con essi quasi tutte le loro immagini) sono stati distrutti e la loro organizzazione smantellata durante il periodo giacobino. Per quanto riguarda le molte chiese dedicate alla
Vergine sorte intorno a immagini miracolose, nessuna ha pregi formali paragonabili a quella della Colonnella e nessuna ci è giunta nelle sue forme originarie. Una delle più antiche e frequentate era la chiesa della Madonna delle Grazie di Fiumicino, a Savignano, consacrata nel 1524, che ha avuto origine da una modesta immagine della Madonna con il Bambino dipinta presso un eremo camaldolese, rivelatasi miracolosa già all’inizio del Cinquecento. Rifatta nel 1729, è stata distrutta dall’ultima guerra e ricostruita in forme settecentesche: la veneratissima immagine, distrutta con l’edificio, è stata sostituita da una copia ottocentesca. Poi, cronologicamente, andrà ricordata la chiesa della Madonna di Trebbio di Montegridolfo, sorta all’estremo limite meridionale della diocesi nel luogo in cui la Madonna è apparsa a un giovane contadino, Lucantonio di Filippo, il 25 giugno del 1548, e ad una matura contadina, Antonia Ondidei, il 7 luglio dello stesso anno. Già pochi mesi dopo una bolla di Paolo III autorizzava la costruzione di una cappella, che in seguito fu ricostruita assai più grande grazie al concorso dei numerosi fedeli. Queste di Montegridolfo sono le uniche apparizioni della Vergine avvenute nella zona, e comunque le uniche che hanno ricevuto un riconoscimento canonico. In quanto all’immagine di Maria venerata all’altar maggiore è diversa da tutte le altre esistenti in diocesi e veramente rilevante, perchè descrive l’apparizione prodigiosa e raffigura la Madonna sulla base delle testimonianze dirette dei veggenti. Non sappiamo se il pennello del pittore (il fanese Pompeo Morganti) è stato capace di formare un “ritratto” soddisfacente della divina Signora: «la più bella donna che io abbia visto, et era di statura grande», come dichiarò al vescovo
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il giovane Lucantonio. Di origini cinquecentesche era anche il santuario della Madonna di Casale, nella parrocchia di San Vito, legato ai miracoli di una immagine mariana dipinta nel 1593 in una celletta di campagna da un oscuro pittore, Baldassarre Pasolini da Longiano. Ben presto rivelatasi miracolosa, ebbe un notevole concorso di fedeli, tanto da indurre la municipalità di Santarcangelo a cooperare alle spese per l’erigenda chiesa, che fu dedicata alla Visitazione: era una costruzione grandiosa, a croce latina, di notevoli dimensioni, iniziata nel 1596 e conclusa verso il 1605, ma che solo nel 1845 poté essere completata con la costruzione della cupola (prevista però fin dall’origine). È stata distrutta dalle mine dei tedeschi in ritirata il 23 settembre 1944 e riedificata nel 1962 in forme moderne che ci fanno rimpiangere molto quelle antiche (che avevano fatto evocare i nomi di Donato Bramante e di Michelangelo).
Nel Cinquecento era già conosciuta a Montefiore Conca la «cella» in cui l’eremita Bonora Ondidei aveva fatto dipingere una devota Madonna che allatta il Bambino; morendo l’Ondidei (1409) l’aveva lasciata ai Terziari Francescani, che non ne ebbero molta cura. Tuttavia attorno a quella immagine è lentamente cresciuto il santuario mariano oggi più frequentato della diocesi; ma nel XVI secolo la sua fama non aveva ancora varcato i confini del territorio di Montefiore, e anzi era di gran lunga minore di quella di tante altre piccole chiese mariane della zona, compresa quella del locale ospedale. Spesso anche gli ospedali erano dedicati alla Madonna; quello di Rimini, che nel 1486 aveva incorporato tutti i numerosi, piccoli ospedali della città, era dedicato alla Madonna della Misericordia. Tra gli oratori superstiti degli antichi ospedali non si può dimenticare quello di San Rocco a Montegridolfo, che offre più di un motivo di interesse per quanto riguarda il culto mariano. Nella seconda metà del Quattrocento (sembra nel 1487) un pittore marchigiano aveva affrescato nell’abside di questo oratorio una Madonna con il Bambino fra i santi Sebastiano e Rocco; mezzo secolo dopo i fedeli vollero rinnovare completamente l’immagine, che fu rifatta sempre ad affresco e senza mutarne l’iconografia (solo la collocazione dei due santi subì un’inversione), ma più grande e in forme aggiornate agli esiti del classicismo cinquecentesco; l’operazione si ripeté una terza volta un secolo dopo, verso il 1620; la nuova immagine, questa volta dipinta su tela, venne sovrapposta alle precedenti ed ebbe forme adeguate alla patetica devozionalità seicentesca ad opera di Guido Cagnacci, che modificò sensibilmente i rapporti fra le figure, ma non il loro significato. Con una delicata operazione re-
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centemente le tre opere sono state separate e gli affreschi sono stati recuperati; ora, esposte nella chiesetta una accanto all’altra, offrono più di uno spunto di riflessione sulla persistenza del culto, sulla funzione delle immagini, sul sottile variare dell’iconografia in rapporto alla devozione, sul mutare del gusto e degli stili. La valle del Conca era attraversata da una strada frequentata dai pellegrini che scendevano dal nord per recarsi al santuario di Loreto, una delle mete più celebri e care ai devoti della Madonna da quando Paolo III, nel 1468, aveva promosso grandi lavori nella basilica, ornata con particolari cure dai Della Rovere (il cardinale Girolamo Basso e il pontefice Giulio II); per questo forse la valle del Conca è la parte della diocesi riminese più ricca di chiese quattrocentesche e cinquecentesche dedicate alla Madonna, e quella in cui si trovano più facilmente le «madonne nere» lauretane nelle nicchie delle case e nelle cellette di campagna. Inoltre sempre in Valconca c’è l’unico paese della diocesi che ha eletto la Madonna di Loreto come sua principale patrona (si tratta di Montefiore). Però anche Rimini, dopo il terribile terremoto del 1672, volle che la sua principale protettrice fosse “decorata” del titolo di Madonna di Loreto; la sua immagine, del resto, compariva già sugli altari di ben quattro chiese cittadine (è superstite solo a San Bernardino), e di altrettante nel contado. Alla Madonna di Loreto è in qualche modo legato anche il miracolo riminese del 1506 che ha dato origine alla chiesa della Colonnella, perché il personaggio miracolato era un pellegrino lombardo che per sua devozione si stava recando appunto a Loreto. Come a Loreto si stavano recando, ma per mare, in un anno imprecisato del XV secolo, due pellegrini veneziani che furono costretti da
un fortunale a sbarcare a Rimini, dove lasciarono una immagine della Madonna che si rivelò miracolosa: era venerata nella distrutta chiesa di Santa Maria al Mare. Naturalmente qui non è possibile, né utile fare un censimento delle tante immagini mariane riminesi, tutte con una loro storia interessante: basterà appena ricordare ancora la Madonna della Polverara, miracolosa nel 1604; quella della Scala, nel 1608; quella del Giglio, assai più antica; e, nel territorio, quella del Tavollo di Mondaino, miracolosa nel 1583, quella della pace di Montepetrino di Saludecio, nel 1595, e quella di Villa Verucchio, incoronata nel 1637; e infine quella di Saiano, quattrocentesca. Né è certo possibile dar conto dell’intensità e dell’estensione del culto mariano (spesso testimoniato soprattutto da preziosi e ormai rari ex voto) che con varie sfumature, spesso appena adombrate nel titolo di cui le varie Madonne si fregiano, ha sempre accompagnato anche nella nostra diocesi il lungo cammino della Chiesa. Insomma a Rimini la devozione per la Vergine ha radici profonde e diffuse, ed ha saputo sempre rinnovarsi, in occasioni diverse e con forme diverse, e ci auguriamo che qualcuno voglia raccoglierne le numerose testimonianze e raccontarla puntualmente. Qui dobbiamo brevemente occuparci solo delle immagini: a proposito delle quali varrà la pena ribadire che le più venerate in genere non hanno pregi artistici particolari, che sono dovute ad artisti per lo più popolari o anonimi, e che hanno tutte qualcosa in comune: cioè non rappresentano quasi mai Maria da sola, ma con il Figlio, intenta ad allattarlo, o a vezzeggiarlo, o a piangerlo morto sulle sue ginocchia, cioè con gli atteggiamenti e i sentimenti di una vera madre; e
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inoltre che sono immagini molto semplici e poco caratterizzate, e per questo permettono a ciascun fedele di sovrapporre all’immagine materiale proposta alla venerazione quella più rispondente alla propria mentalità e spiritualità, e quindi di considerarla così intimamente familiare da poterle confidare i propri segreti e i propri affanni, e da poter sperare in una risposta personale amorevole e convincente. È soprattutto dall’avanzato Settecento che la Madonna comincia ad essere rappresentata senza il Figlio, per esaltarne alcune caratteristiche: abbiamo allora molte Immacolate, molte Addolorate, molte Incoronate, più o meno leziose, e – sarà un caso? – quasi mai miracolose. Sono solo apparentemente sole le Madonne miracolose di San Girolamo (Mater Salvatoris) e di Santa Chiara (Mater Misericordiae), celebratissime e diffusissime, specialmente la seconda, ed entrambe sospette di “interferenze” politiche. Si tratta in verità di immagini di Maria «nell’aspettazione del parto», cioè nell’umanissima condizione di una donna incinta: Gesù, per quanto invisibile perchè ancora custodito nel seno di Maria, è dunque presente anche in queste immagini, il cui miracoloso muover degli occhi nel 1796 e nel 1850 suscitò grande sorpresa ed enorme clamore, e soprattutto una devozione che è ancora viva in città e nel mondo dove l’immagine è molto diffusa con l’appellativo di «Madonna di Rimini». Può sembrare strano, ma la celebrità di queste immagini ha “oscurato” altre immagini miracolose un tempo celebri e venerate. Casi di Madonne miracolose cadute in disuso, cioè non più venerate, non mancano a Rimini; infatti anche in campo devozionale esistono le mode, con le loro regole irrazionali e imperscrutabili. Qualcuna se ne potrà trovare anche nelle dieci immagini riu-
nite nella presente breve «antologia», che rispecchia una buona parte della storia, oltre che della storia della devozione di Rimini per la sua primaria protettrice ufficiale, la «Regina de’ Cieli», «impareggiabile avvocata di grazia e modello di santità» (come nella liturgia del giorno dell’Immacolata viene definita la Madonna). Le due ultime immagini della Madonna qui citate, quelle di San Girolamo e di Santa Chiara, permettono di fare altre considerazioni. È ben noto che la seconda è copia della prima (che a sua volta è ben poco originale, derivando da altre opere), e che entrambe si sono manifestate miracolose per aver compiuto prodigi analoghi. Tuttavia sono diversissime. La prima è di un pittore mediocre, ma molto attivo a Rimini nel Settecento, Giovan Battista Costa; non è molto bella e non ostenta la sua gravidanza, che tuttavia è ben percepibile. La seconda è di un pittore devoto e nobile, attivo mezzo secolo dopo, Giuseppe Soleri Brancaleoni, che l’ha dipinta per una sorella suora di clausura. La sua sensibilità raffinata lo portò a rendere più snella, aggraziata e dolce la figura, ma anche a minimizzarne la gravidanza, certamente per non turbare la sorella. Un vero e proprio tradimento dell’originale, dunque, dovuto al mutare dei tempi, alla sensibilità personale, allo scrupoloso amore per la giovane suora; ma pare che la Madonna non se ne sia crucciata più di tanto, se cinquant’anni dopo si servì proprio di quell’immagine per scuotere i riminesi dalla loro indifferenza religiosa, per ricordare loro, con il movimento degli occhi, che la Grazia viene dall’alto e infine per assicurare un’efficace intercessione presso l’Altissimo. In conclusione mi si permetta di ritornare idealmente nella chiesa di Santa Maria delle Grazie
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sul Covignano, che è carissima al cuore dei riminesi devoti a Maria; non solo per la dolce Annunciazione che ne costituisce l’immagine principale e che viene venerata come miracolosa (lo dimostrano bene gli ex voto superstiti), ma perchè vi esiste ancora, per quanto dimezzato, l’unico ciclo di affreschi mariani del tardo manierismo sopravvissuto a Rimini e in tutto il suo territorio. È stato dipinto intorno al 1630 da artisti marchigiani (forse scolari del Visacci) sulle pareti laterali della nuova chiesa, ed oggi è costituito da appena tre scene, dotate di chiare didascalie che ci informano anche sulla fonte dei soggetti raffigurati, cioè un libro intitolato: Miracoli della gloriosa Vergine Maria nostra Signora «tratti da diversi Catholici, e approvati Auttori dal R.P. Don Silvano Razzi monaco camaldolese e nuovamente con aggiunte ristampati, e ricorretti, in Venetia MDCVI, appresso Domenico Imberti». Le pitture raffigurano tre miracoli della Madonna; sono state eseguite seguendo con molta fedeltà i racconti del Razzi e rispondono perfettamente alle esigenze di una didattica popolare basata sulla suggestione e sull’emozione, come volevano i più avvertiti teorici dell’arte sacra della Controriforma. Vogliono far capire che Maria è concretamente vicina agli uomini in ogni momento della loro vita e della loro morte, che è presente nelle immagini che la raffigurano, che ha un potere di intercessione così forte da superare anche la “giustizia” di Dio stesso, che ha una bellezza inconcepibile da menti umane e insostenibile ad occhi mortali. Dunque la polemica con alcune delle proposizioni della riforma protestante è chiara. Le scene sono ricche di elementi che colpiscono la fantasia: nel primo (racconta di un giovane che prega Maria di rendersi visibile: viene acconten-
tato, ma subito ucciso dall’insostenibile bellezza dell’apparizione; va però direttamente in Paradiso) un alone di luce circonda la figura della Madonna, e il suo volto è nascosto perché di una bellezza non riproducibile; nel secondo (un peccatore che la giustizia di Dio ha condannato all’Inferno viene graziato da Maria perchè una volta Le si era raccomandato) e nel terzo (i diavoli portano direttamente all’Inferno due figuri che hanno oltraggiato una statua della Madonna) compaiono diavoli dall’aspetto terrificante, mostruoso. Non si tratta di affreschi molto pregevoli dal punto di vista artistico, e inoltre narrano episodi a noi quasi incomprensibili e inaccettabili; ma ci danno la misura della mentalità e della sensibilità degli uomini del Seicento e della didattica della Chiesa barocca, e inoltre di quanta importanza fosse conferita allora alla «bellezza» di Maria e quanto valore venisse attribuito alle sue immagini.
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BEATA VERGINE DELLA PIETÀ, DETTA DELL’ACQUA
Nella grande Basilica Cattedrale, in cui riposano le spoglie del potente Sigismondo, c’è una piccola scultura in alabastro che rappresenta la Beata Vergine della Pietà. Posta nella prima cappella a sinistra, uscita dalle mani di un ignoto esponente della cosiddetta “scuola tedesca”, altrimenti chiamato “Maestro di Rimini”, è un’opera di piccole dimensioni, molto espressiva e ricchissima di particolari, che si distingue dalle altre raffigurazioni mariane che troviamo abitualmente nelle nostre chiese: la madre regge il figlio non più bambino felice, ma abbracciato nel momento estremo del suo essere uomo. È forse questa potente tenerezza che ha incoraggiato la semplice gente dei campi a chiederle aiuto, così che «con larga mano cominciò a far grazie innumerabili l’anno 1584 a’ divoti suoi, et io ne posso far ampla fede», come scrisse lo storico Clementini. Solo nel 1627 cominciò ad essere soprannominata “Madonna dell’Acqua” e non tanto perché era posta sopra l’acquasantiera accanto all’ingresso, come un tempo si pensava, ma perché i ripetuti miracoli compiuti e rigorosamente registrati erano legati alle piogge eccessive o alla siccità. A rafforzare autorevolmente questa devozione contribuirono le visite di personaggi importanti, uno fra tutti san Carlo Borromeo una prima volta nel 1563 e ancora vent’anni dopo nel 1583. Alla prima pubblica processione del 1764, voluta da agricoltori e ortolani e alla quale parteciparono numerosissimi anche gli abitanti del centro storico, ne seguirono altre ogni volta che le condizioni climatiche mettevano in pericolo il raccolto. Ed era talmente tanta la fiducia nel miracolo che quando si implorava la pioggia la gente usciva di casa con l’ombrello perché era sicura che la Madonna avrebbe esaudito le preghiere. Poi arrivò Napoleone che nel 1798 cercò di cancellare ogni forma di devozione popolare impedendo la processione. Non riuscì
Basilica Cattedrale (Tempio Malatestiano, via IV Novembre)
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Nella pagina a fianco:
Luigi Povelato, Vera e miracolosa Immagine di Maria SS. della Pietà detta dell’Acqua venerata nella Chiesa Cattedrale di Rimino (1782-1813 circa). Bulino, 226 x 175 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
GLI ARTISTI DELLE MADONNE Il Maestro di Rimini Non molto si conosce dello scultore comunemente chiamato “Maestro di Rimini” se non che, di origini probabilmente tedesche o fiamminghe, visse e operò intorno ai primi anni del ’400 e manifestò la propria abilità lavorando quasi esclusivamente alabastro. Privilegiò cicli di soggetti religiosi, come il cosiddetto Altare di Rimini, una rappresentazione molto
pienamente nel suo intento, ma limitò drasticamente il percorso al solo chiostro con tanto di guardie per bloccare eventuali atti di disubbidienza. L’anno dopo, però, a furor di popolo, al grido di «Viva Maria!» e nonostante il divieto, la processione si snodò decisa lungo le vie della città seguendo il percorso consueto, assumendo così anche una significativa valenza civile e politica di fronte all’anticristiano potere napoleonico. Nel 1814 papa Pio VII incoronò le due figure e nel 1873 Pio IX, che già era devoto alla Vergine della Pietà, donò sei candelieri di bronzo dorato per l’altare. Durante la Seconda Guerra Mondiale il Tempio Malatestiano venne pesantemente danneggiato, ma la scultura rimase intatta, perché il 30 aprile 1944 fu portata nella chiesa di Corpolò dove rimase fino alla fine del conflitto. (R.M.)
ricca del Calvario con apostoli, donne e ladroni, in una struttura plastica piena di simbologia ed espressività. Ora conservata alla Liebieghaus di Francoforte sul Meno, l’opera fu venduta nel 1910 dal Santuario delle Grazie di Covignano dopo essere rimasta per duecento anni sull’altare maggiore. Un altro altare del Maestro appartiene alle collezioni Borromeo sull’Isola Bella e viene detto “dell’Umiltà” mentre una Pietà, simile alla nostra Madonna dell’Acqua, è esposta al Victoria and Albert Museum di Londra. (R.M.)
Maestro di Rimini, Crocifissione e statue di Apostoli (particolare). Alabastro. Francoforte sul Meno, Liebieghaus.
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BEATA VERGINE DELLE GRAZIE
In un giorno d’estate del 1286, un pastore di nome Rustico, che accudiva i suoi animali in una radura sul colle di Covignano (allora colle di Mezzo, o dei Palazzi) cercò riparo dalla calura estiva sotto l’ombra di alcuni alberi. Là vide un tronco che gli ricordava la sagoma di una donna e pensò di scolpire la statua di una Madonna. Gli riuscì bene il corpo ma al momento di modellarne il viso non aveva più idee, non sapeva bene come e cosa fare. Lo aiutarono due giovanetti, arrivati all’improvviso. La statua fu terminata ed era veramente bellissima. I due giovani gli confessarono di essere due angeli, mandati dalla Madre Celeste che aveva un compito da affidargli: avrebbe dovuto portare la statua al porto, metterla su una nave senza equipaggio, togliere gli ormeggi e lasciare che il vento la portasse via. Rustico corse dal vescovo di Rimini che credette alle sue parole e lo aiutò. La statua fu portata in processione fra due ali di folla fino al porto e sistemata su una nave. Tolti gli ormeggi, il vento gonfiò le vele e la nave prese il largo. Il riminese si sa è un po’ ficcanaso e la tentazione era troppo forte. Alcuni salirono su una seconda nave e presero a seguire la prima. Navigarono fino alla laguna di Venezia, la nave con la statua si fermò presso la Sacca della Misericordia, vicino al porto di Malamocco, e subito furono guariti un vecchio cieco e un giovane muto, poi si mosse ancora e si fermò vicino alla chiesa di San Marziale. I riminesi scesero a terra e raccontarono dei prodigi. Accorse il vescovo di Venezia che volle trasportare la sacra immagine in cattedrale. Non si riuscì a spostarla, fu possibile muoverla solo per trasportarla nella vicina chiesa di San Marziale. Ancora oggi nella chiesa di San Marziale a Venezia è venerata la statua lignea della “Madonna delle Grazie di Rimini” su uno splendido altare; nel soffitto è dipinta la storia di Rustico e del miracoloso viaggio. Per ricordare il prodigio fu costruita sul Covignano una prima piccola cappella, ad opera del cavaliere Nicolò Belmonte delle Caminate, con un’immagine della Beata Vergine delle Grazie sicuramente diversa
Santuario della Madonna delle Grazie (Via delle Grazie, 10)
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da quella che oggi veneriamo e di cui non è rimasto ricordo alcuno. Nel 1395 un suo discendente iniziò i lavori per la costruzione di una piccola chiesa con annesso convento, poi offerto ai frati Minori di san Francesco di Rimini. Nel corso dei secoli gli ampliamenti e gli abbellimenti sono continuati praticamente senza interruzione. I Francescani ingrandirono più volte la chiesa fino a costruirne una nuova appaiata alla vecchia (sul lato sinistro), costruirono cappelle laterali, acquistarono o commissionarono opere notevoli come il Calvario con i dodici apostoli, ora presso il museo di Francoforte (il cui ignoto autore è conosciuto come “Maestro di Rimini”) o il crocifisso quattrocentesco, anche questo di autore anonimo, attualmente su un altare laterale. Sull’altar maggiore della chiesa di sinistra (la più recente come costruzione, la più “antica” come aspetto) è l’Annunciazione di Ottaviano Nelli da Gubbio (1370 circa-1444), databile al 1425, la nostra Madonna delle Grazie. L’opera non nasce come pala d’altare ma probabilmente come stendardo processionale (e infatti è dipinta su stoffa); sull’altro lato dello stendardo era una Crocifissione con san Francesco che riceve le stigmate, anch’essa conservata nel santuario, ma molto rovinata. La devozione alla Beata Vergine delle Grazie è testimoniata da un gran numero di ex voto appesi alle pareti. I più recenti sono cuori d’argento, fotografie un po’ sbiadite dal tempo; i più antichi piccoli
GLI ARTISTI DELLE MADONNE Ottaviano Nelli (1370 circa-1444)
Nato a Gubbio verso il 1370, viene quasi esclusivamente ricordato nei documenti per la sua attività civile e politica a sostegno dei conti di Montefeltro. E proprio fra Umbria e Marche – nei territori controllati da questa nobile famiglia e aperti alle diverse correnti del gotico internazionale – egli dipinse le sue opere migliori. Nel san-
tuario riminese delle Grazie, oltre all’Annunciazione e alla Crocifissione con san Francesco che riceve le stigmate, gli sono stati attribuiti gli affreschi della facciata, anch’essi caratterizzati da quegli stilemi – «accentuazioni fisionomiche, espressivismo gestuale, sovraccarico scenico e decorativo» – che sono tipici della sua arte. (S.D.C.)
Ottaviano Nelli, Polittico di Pietralunga (1403). Tempera su tavola, cm. 143 x 211. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.
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Preghiera alla Madonna delle Grazie O Maria, Mediatrice di tutte le grazie, che dal tuo Santuario soccorri tutti coloro che ti invocano con fede ed amore. Io, da questa terra di esilio, circondato come sono da tanti mali e dolori, mi rivolgo a te, o Madre del Salvatore, per aver aiuto e protezione. O consolatrice degli afflitti, salute degli infermi, Madre del buon consiglio, vita, dolcezza e speranza mia, ascolta benigna le mie preghiere, infondi il tuo amore nel mio cuore, consolami nelle afflizioni presenti e concedi a me, che in te confido, la Grazia… Te la chiedo umilmente, o Madre delle grazie, affinché aiutato dall’amore misericordioso del tuo Divin Figlio, possa perseverare nel tuo Santo Amore, servirti in questa vita per lodarti amarti per tutta l’eternità. Amen.
dipinti che raffigurano una nave in un mare in tempesta, un uomo sul letto di morte, un altro caduto da un cavallo o da un calesse. Molti purtroppo sono stati trafugati nel corso dei secoli oppure andati distrutti sotto i bombardamenti dell’ultima guerra, che colpirono in modo massiccio il santuario. La devozione alla Madonna delle Grazie ha avuto anche momenti “corali”, quando tutta la città ha invocato il suo aiuto. La santa immagine è stata portata in processione per le vie della città dopo i disastrosi terremoti del 1672 e del 1786; nel marzo 1916 fu organizzato un triduo di preghiera, mentre il 18 aprile 1943 fu fatto un pellegrinaggio per invocare la pace. “Sfrattata” dalla guerra la Beata Vergine delle Grazie è tornata al suo Santuario il 10 maggio 1945, giorno della festa dell’Ascensione, con una processione preceduta da grandi festeggiamenti nella chiesa di San Bernardino. (L.G.)
G. Frassinetti, Vera effigie della miracolosa Vergine Annunciata delle Grazie fuori di Rimini (1820-1830 circa). Acquaforte, 178 x 130 mm. Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
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MADONNA DEL GIGLIO
La cappella della Madonna del Giglio si trova lungo il Corso d’Augusto quasi incastonata, e quindi poco appariscente, nello stesso palazzo Battaglini che oggi ospita la Questura e che un tempo era uno dei torrioni di origine medievale che svettavano sulla città. Siamo intorno al 1467 e in quel piccolo spazio è attiva una bottega artigiana in cui è esposto un quadro raffigurante una Madonna in trono con Bambino. Il falegname o il maniscalco che la occupa ha una madre gravemente malata che nonostante le cure non riesce a migliorare, anzi peggiora di giorno in giorno. Come estremo, disperato tentativo, il figlio prega fervidamente proprio la Madonna esposta nella sua bottega e sotto di essa, come offerta, pone un acerbo giglio in boccio. Non solo la donna comincia a migliorare fino a guarire, ma il giglio fiorisce e profuma in maniera esagerata nonostante la stagione ancora fredda. Questo fatto semplice, ma doppiamente prodigioso per la guarigione e la fioritura precoce (da cui l’intitolazione), comincia ad attirare sempre più fedeli e fa sì che la bottega venga trasformata in cappella nella quale per molti anni si celebra quotidianamente la messa. La felice posizione, proprio lungo una delle vie principali che collega il centro con il borgo di San Giuliano e la zona del porto, favorisce la devozione soprattutto dei commercianti che vi passano davanti per andare al mercato. Distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale, viene ricostruita, come si legge sulla facciata di marmo, nel 1950. Il dipinto, un ovale più volte rimaneggiato secondo i gusti delle diverse epoche, è originale. Non se ne conosce l’autore che viene fatto comunque risalire al XV secolo e che ha voluto mettere in braccio a una Vergine sorridente e serena il Bambino Gesù proteso nell’atto di benedire o di afferrare qualcosa, quasi impazien-
Celletta della Madonna del Giglio (Corso d’Augusto, 190)
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Nella pagina a fianco:
Effigie miracolosa della Beata Vergine Maria detta del Giglio posta nella Parrocchia di S. Martino della Città di Rimino (1700-1750 circa). Bulino, 275 x 200 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
Preghiera Sotto la tua protezione ci rifugiamo, santa Madre di Dio; non respingere le preghiere che ti rivolgiamo nelle nostre necessità; ma liberaci sempre da tutti i pericoli. Vergine gloriosa e benedetta. Ricordati, o Beata Vergine del Giglio, che non si è mai udito che alcuno sia ricorso al tuo patrocinio, abbia implorato il tuo aiuto, chiesta la tua protezione, e sia stato abbandonato. Sorretto da tale confidenza ricorro a te, Vergine del Giglio, e mi umilio davanti a te, peccatore pentito. Santa Madre di Dio, accetta le mie preghiere e propizia esaudiscimi.
te di lasciare le ginocchia della madre che regge nelle mani un drappo. I due personaggi sono stati incoronati con decorazioni posticce e il quadro presenta un’evidente fenditura verticale che comunque non ne offusca la semplice bellezza. (R.M.)
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MADONNA DELLA COLONNELLA
Lungo la via Flaminia, a un miglio di distanza dalla città, esisteva nel 1506 una celletta in muratura, poco distante da un’antica pietra miliare romana a forma di colonna (da cui derivava e deriva tuttora il toponimo di Colonnella): nella celletta era dipinta un’immagine della Madonna che il Clementini definisce «antichissima». Nella primavera di quello stesso anno un pellegrino lombardo di passaggio per Loreto s’imbatté in un uomo gravemente ferito disteso ai piedi di quella celletta: fermatosi a soccorrerlo e consolarlo, fece solo in tempo a raccoglierne l’ultimo respiro. Ritenuto ingiustamente l’autore del delitto, il povero pellegrino fu imprigionato, costretto sotto tortura a dichiarasi colpevole e condannato a morte per impiccagione. Nuovamente condotto al luogo dell’omicidio, in cui era stato preparato il patibolo, egli s’inginocchiò davanti all’immagine della Madonna «con fervor tale, e tanto di cuore la supplicò, a degnarsi di far apparire l’innocenza sua». Per quanti sforzi facessero il boia e i soldati, nessuno fu in grado di sollevarlo dal suolo: e solo l’arrivo delle autorità cittadine, che chiesero perdono alla Madonna del loro errore, fece nuovamente alzare in piedi il povero pellegrino, il quale, «come da profondo sonno destato», rivelò tra le lacrime di «haver sempre veduto la Madre di Dio sopra di una Colonna, che stava in sua difesa, e confortandolo». A ricordo dell’avvenimento la municipalità riminese decise di costruire una chiesa, che fu eretta negli anni immediatamente seguenti forse su progetto dell’architetto ravennate Bernardino Guiritti. Il Comune di Rimini – che ne rimase proprietario – affidò la chiesa nel 1517 ai frati della Congregazione di san Girolamo di Fiesole, che la tennero fino al 1668; l’edificio e l’annesso convento passarono quindi ai frati del Terz’ordine di san Francesco (1680-1797) e ai Cappuccini (18171876). L’immagine miracolosa, inizialmente collocata nella terza cappella di sinistra della nuova chiesa, fu solennemente trasferita sull’altar mag-
Parrocchia di Santa Maria Annunziata alla Colonnella (Via Flaminia, 96)
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Luigi Paradisi, Madonna della Colonnella (1854). Bulino, 182 x 138 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe. Nella pagina a fianco:
Pietro Tosi, Vera effigie dell’Antica, e miracolosa Immagine di Maria Vergine detta della Colonella posta fuori di Porta Romana della Città di Rimini (1720-1736 circa). Bulino, 212 x 152 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
giore (dove ancora si trova) solo nel 1775. Raffigura una Madonna col Bambino: è attribuita a un anonimo pittore itinerante, forse toscano, e reca a chiare lettere la data del 1483 (quindi non così antica come riteneva il Clementini poco più di un secolo dopo). Più volte “rinfrescato” e ridipinto nel corso dei secoli, l’affresco è rimasto sul frammento di muro originale – staccato in blocco nel 1507 – fino all’ultimo restauro del 1993, allorché è stato trasportato su tela e restituito alle condizioni originarie (S.D.C.)
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MADONNA DELLA SCALA
Chiesa della Madonna della Scala (Via Madonna della Scala, 2)
Pandolfo Malatesta e dopo di lui suo figlio Galeotto, signori di Rimini, tra il 1352 e il 1358 fecero ampliare la cerchia delle mura che cingeva Rimini costruendo il tratto che chiudeva il borgo di San Giuliano, dalla parte del mare. Sotto la scala del torrione d’angolo di questo tratto di mura, ove ai tempi dei Malatesta era infissa la catena che chiudeva il porto, nel giugno del 1608 Alessandro Codrini dipinse l’immagine della Madonna della Scala. La sua posizione aveva uno scopo preciso: era all’entrata del porto, estrema difesa da invocare contro le invasioni che potevano arrivare dal mare, era sulla sponda di un fiume che provocava frequentemente piene disastrose. La Madonna della Scala subito mostrò di apprezzare la fiducia in lei riposta. Un giovane, di cui non conosciamo il nome, fu travolto dal fiume in piena insieme al suo cavallo. Trasportato dalla corrente di fronte al torrione su cui era dipinta la Madonna della Scala, volse il suo sguardo e si raccomandò a lei. Come per incanto si trovò immediatamente sano e salvo sulla riva insieme al suo cavallo. Riconoscente alla Madonna di questo prodigio si inginocchiò ai piedi dell’immagine per ringraziarla. La notizia si sparse in città e i cittadini accorsero in massa a pregare ai piedi del miracoloso dipinto. Nel 1610 il muro ove era dipinta l’immagine fu tagliato e posto in una piccola cappella, costruita con le elemosine dei borghigiani. In tempi successivi la municipalità diede il permesso di appoggiare le mura della chiesa alle mura del borgo per poter ampliare la piccola
GLI ARTISTI DELLE MADONNE Alessandro Codrini La Madonna della Scala (1608) è l’unica opera superstite di questo pit-
tore manierista e arcaizzante, attivo a Rimini nella prima metà del Seicento. Le principali notizie sul Codrini si devono a Carlo Tonini, che ricorda altre quattro opere riminesi (un’Annunciazione e un’Assunzione nel soffitto della chiesa di San Marino e due
Storie bibliche già nell’oratorio della Gomma, tutte distrutte nel 1944) e il figlio Girolamo, anch’egli pittore e vivente nel 1670. (S.D.C.)
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Nella pagina a fianco:
Anonimo, Imago Mater Iesus detta Scala Cœli (inizi secolo XIX). Bulino. Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
Preghiera Vergine SS., che ti compiaci di essere onorata in questo Santuario, sotto il titolo di “Madonna della Scala”, dove da secoli ricevi l’omaggio fiducioso di tanti figli che vengono a visitarti per invocare la tua protezione, ascolta, benigna, la nostra preghiera: Tu, vergine potente, Madre di grazia e misericordia, volgi su di noi il tuo sguardo. Dì al tuo Figlio Gesù una parola per noi; perché la sua luce rischiari il nostro cammino, perché la sua forza sostenga la nostra debolezza, perché il suo amore ci renda veramente fratelli, perché la sua Grazia rallegri le nostre anime, ed anche perché la sua provvidenza tolga la fame, guarisca le malattie, sollevi le miserie, lenisca ogni dolore. Sii per tutti, dopo il duro esilio di questa terra, la Scala che ci conduce al cielo dove grati, con Te, canteremo l’inno di gloria e amore al Signore Gesù. Amen. Rimini, 28 maggio 1972; Emilio Biancheri, Vescovo
cappella e costruire una canonica fino ad arrivare alle dimensioni odierne. Fu istituita la festa della Beta Vergine della Scala che si celebra la prima domenica di luglio, il miracoloso salvataggio del giovane si fa infatti risalire al 2 luglio 1608. Il grande fervore con cui i Riminesi pregarono la Madonna della Scala è sempre stato testimoniato da un gran numero di ex voto che incorniciavano la sacra immagine. Erano soprattutto grazie ricevute da pescatori salvati dal mare in burrasca dopo avere chiesto aiuto alla Madonna della Scala. Purtroppo le continue piene del Marecchia, dovute anche al fatto che negli anni l’alveo del fiume si era alzato e di conseguenza anche il piano stradale, rovinarono periodicamente la piccola chiesetta, portandosi via di volta in volta gli ex voto appesi ai muri. La chiesa rimase di proprietà dei Monaci dell’Abbazia di San Giuliano fino alle soppressioni napoleoniche. La proprietà passò alla nobile famiglia riminese Martinelli e in seguito all’estinzione di questa alla famiglia Soleri che si fecero carico delle spese di manutenzione del piccolo fabbricato. Persone del borgo si presero cura della Chiesa, provvedendo che potesse sempre mantenersi il culto. La devozione alla Madonna della Scala si riaccese agli inizi del 1900 quando venne fondata la “Pia unione della Madonna della Scala”. Dal 1914 prese ad occuparsene un gruppo di giovani formatosi in seno al circolo operaio “Lodovico Contessi”, che raccogliendo fondi riuscì a dotarla di un organo e di tutte le suppellettili andate perdute in seguito all’ennesima inondazione, nel 1910. Alcuni di questi stessi giovani, partiti per la grande guerra e ritornati alle proprie case, indirono nel 1919 grandi festeggiamenti che culminarono con il “taglio” del muro con il dipinto e il trasporto della santa immagine in processione fino alla chiesa di San Giuliano. Qui l’immagine rimase per sette giorni di grandi festeggiamenti in cui, ci dicono le cronache, non venne mai meno l’affluenza dei fedeli. Festeggiamenti che culminarono nella processione del 5 maggio, data in cui la Madonna della Scala tornò alla “sua” chiesa. (L.G.)
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MADONNA AUXILIUM CHRISTIANORUM
Chiesa dei Santi Bartolomeo e Marino (Santa Rita) (Piazzetta Castelfidardo, 1)
Nella zona dell’Anfiteatro esisteva già dal X secolo la chiesa di Santa Maria in Turre muro, così denominata per la sua vicinanza a una torre che apparteneva alla cinta muraria della città. Ricordata come parrocchia nel 1262, fu monastero femminile dal 1265 al 1453; l’area circostante fu quindi adibita a lazzaretto (1492) e concessa nel 1604 ai padri Cappuccini, che vi fabbricarono un convento e una nuova chiesa e vi rimasero fino al 1797. Passati a proprietà privata, chiesa e convento furono demoliti nell’agosto del 1807: nel bel mezzo dei lavori un crollo improvviso portò alla luce uno sconosciuto affresco raffigurante una Madonna con il Bambino e san Giovannino. La venerazione di cui fu subito oggetto il dipinto culminò in alcuni fatti miracolosi fra cui «l’istantanea guarigione nella sinistra mano […] inetta conseguentemente ai quotidiani propri lavori» di un certo Giuseppe Pistoia, capitano di barca nel porto riminese, ricordata dalle fonti più antiche e riportata nel 1936 dal parroco don Mariano Galavotti. Luigi Tonini, nella sua Guida del 1879, scrisse invece che «la S. Imagine si rese prodigiosa col muovere le pupille»: forse uno di quegli altri miracoli contemporanei alla guarigione del marinaio
GLI ARTISTI DELLE MADONNE Antonio Cimatori detto il Visacci (1550-1623) Allievo e seguace del celebre pittore urbinate Federico Barocci, nel 1582 frequentò a Roma la bottega del Cavalier d’Arpino, studiando le opere romane di Raffaello e Michelangelo. Fu quindi attivo a Pesaro (15871589) e nuovamente a Urbino, sia in
Palazzo Ducale che in Duomo (da cui provengono il San Filippo Neri che distribuisce l’elemosina e la Nascita del Battista, ora nella Galleria Nazionale delle Marche). Negli ultimi quindici anni della sua vita lavorò a Rimini per diversi ordini religiosi e per alcune famiglie illustri: fra le sue opere migliori sono l’Adorazione dei Magi (1620 circa) e la Crocifissione, dipinte per i Carmelitani nella chiesa di San Giovanni Battista. (S.D.C.)
Antonio Cimatori detto il Visacci, Cristo crocifisso con i santi Francesco, Antonio di Padova e i martiri carmelitani Dionigi della Natività e Redento della Croce. Olio su tela. Rimini, chiesa di San Giovanni Battista.
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Nella pagina a fianco:
Luigi Carlini, Vera effigie della B.V. venerata sotto il titolo Auxilium Christianorum nella Chiesa di S. Marino (1807). Acquaforte, 165 x 113 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
che lo stesso don Galavotti pone «sotto silenzio […] per mancanza di documenti». L’affresco (con tutto il muro su cui era dipinto) fu tagliato e trasferito nella prima cappella di destra della vicina chiesa di San Marino (che nel 1809 divenne parrocchia assumendo il titolo di San Bartolomeo apostolo). Venerata con l’appellativo di Auxilium Christianorum, l’immagine fu considerata la più miracolosa della città almeno fino al 1850, allorché mosse prodigiosamente gli occhi la Madonna della chiesa di Santa Chiara. Nel 1923, distaccata e trasportata su un supporto di fibrocemento dal restauratore Giovanni Nave, venne definitivamente collocata su una parete laterale della stessa chiesa. L’ultimo restauro, effettuato nel 1998 da Adele Pompili, ha reso possibile il corretto riconoscimento del soggetto (una “Madonna della pappa”) e la sua attribuzione al pittore urbinate Antonio Cimatori, detto il Visacci (1550-1623). (S.D.C.)
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MADONNA DELLA POLVERARA
Un primo oratorio dedicato alla Madonna della Polverara, così chiamata per il nome della strada (oggi via Covignano) e dell’appezzamento di terreno in cui sorgeva, viene eretto intorno alla metà del 1400, ma il miracolo, e il conseguente incremento della devozione, vanno fatti risalire al 1604, quando il frate cappuccino Simpliciano da Como guarisce «da grave infermità» per intercessione della Madonna pregata in quel luogo. Prima di tale chiesetta pare che la sacra immagine – ma qui va detto che le fonti non sono del tutto chiare – fosse addirittura esposta nella stessa posizione direttamente sulla strada, senza una vera e propria celletta, bensì affissa ad un palo; si immagina però che abbia avuto almeno una minima copertura per la pioggia altrimenti nulla ci sarebbe rimasto. Un anno dopo il suddetto miracolo, accanto alla cappella si costruisce un edificio più grande e sull’altar maggiore è posto il quadro miracoloso dipinto dal riminese Annibale Fada: Maria tiene in braccio Gesù Bambino benedicente e nella mano sinistra stringe un piccolo libro. Conosciuta anche come la “Madonna del Borgo di sant’Andrea”, intorno all’immagine la devozione si incrementa e con lasciti e donazioni la chiesa gode di una manutenzione continua; viene inoltre ampliata la struttura con la costruzione di un’abitazione per il cappellano. Non mancano le indulgenze concesse per chi sosta in preghiera e la testimonianza di miracoli e grazie è ampiamente documentata dagli atti e dagli ex voto. Nel 1693 il quadro lascia la sua originale dimora: viene spostato nel centro storico, esposto nella Cattedrale e sostituito con un’altra immagine mariana venerata poco lontano. In una nicchia sul ponte della fossa detta “del Molinaccio” (ora via Monte Titano) c’è infatti un’immagine abbastanza simile, dipinta da un autore sconosciuto, dove la Madre di Dio, vestita di rosso e avvolta in ampio mantello, siede sulle nubi con Gesù che sorride e benedice.
Oratorio della Polverara
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Nella pagina a fianco: Anonimo, Immagine di Maria Santissima detta della Polverara (1800-1815). Bulino; 137 x 93 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
Cambia l’immagine, ma l’affezione dei fedeli non diminuisce. Il terremoto del 1786 distrugge quasi interamente la chiesa, ma risparmia il dipinto e anche l’oratorio il quale viene ristrutturato in anni recenti dalla famiglia Clementoni che ne è la proprietaria. Fra le periodiche manifestazioni popolari si ricorda la festa del 1860, particolarmente solenne e molto partecipata con finale a suon di fuochi d’artificio. Dunque mentre la Madonna del Molinaccio si è salvata, nulla è rimasto della prima Madonna della Polverara dipinta dal Fada, certamente andata distrutta con i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. (R.M.)
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MADONNA MATER SALVATORIS
Oratorio di San Giovannino (Via Dante, 18)
Correva l’anno 1796 quando, il 17 luglio, un’immagine di Maria Vergine – dipinta su tela nel 1730 da Giovan Battista Costa (1697-1767) e contenuta in uno stanzino vicino alla sagrestia dell’oratorio di San Girolamo – fu vista alzare gli occhi al cielo, «particolarmente il sinistro». Del fatto, tenuto dapprima segreto, venne informato il Vescovo che ordinò ai Confratelli di esporre la tela sull’altare dell’oratorio e permetterne la pubblica venerazione. Da quel momento iniziò l’accorrere dei fedeli che aumentò dopo la visita del Vescovo stesso; in quell’occasione infatti l’immagine venne intitolata “Mater Salvatoris” e si accordarono quaranta giorni d’indulgenza in perpetuo a coloro che si fossero recati in visita e avessero pregato di fronte alla Vergine. Al fine poi di «tramandare alla posterità una stabile memoria di sì bel prodigio, e per facilitare anche ai lontani i mezzi della devozione di Maria», gli stessi Confratelli a spese proprie ordinarono al celebre Francesco Rosaspina (1762-1841) l’incisione su rame della raffigurazione, dalla quale ricavare copie da
GLI ARTISTI DELLE MADONNE Giovan Battista Costa (1697-1767) La maggior parte dei critici concorda nel ritenere il Costa un apprezzabile filologo ed erudito (fu infatti scrittore di utili opere di carattere storico-artistico), ma pittore piuttosto modesto, vincolato a pesanti schemi accademici. Nato da famiglia riminese, studiò dapprima a Bologna per più di quattro anni per poi proseguire la sua formazione a Roma. Nel 1725 tornò a Rimini, dove fondò l’Accademia del Nudo, aiutato dal suo protettore e mecenate, il nobile
riminese Carlo Francesco Marcheselli, e dove risiedette stabilmente allontanandosene solo in occasione di alcuni viaggi di studio (a Venezia, in Toscana e nelle Marche). Dipinse un gran numero di opere, tra Romagna e Marche, di carattere sia sacro che profano; si è conservata fino a noi solo parte dei dipinti e degli affreschi a tema religioso, tra i quali i dipinti dell’oratorio della Crocina (di proprietà dello stesso Marcheselli) e la Madonna col Bambino, san Giovanni fanciullo e san Girolamo, considerata la sua opera migliore e attualmente conservata, così come la Mater Salvatoris, nell’Oratorio di San Giovannino. (M.C.)
Giovan Battista Costa, Allegoria della Prudenza (1740/1753). Olio su tela sagomata, cm. 178 x 258. Rimini, Museo della Città (già nella chiesa di Santa Croce).
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Arcangelo Magini (Luigi Bianchi dis.), Mater Misericordiae. Vera prodigiosa Immagine della B.ma Vergine Maria che si venera nella Cattedrale di Rimini (1796-1813). Bulino, 360 x 230 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe. Raffigura la Beata Vergine nell’aspettazione del parto che mosse gli occhi a casa Parri il 27 luglio 1796. Nella pagina a fianco:
A.C., Mater Misericordiae. Vera prodigiosa immagine della B.ma Verg. Maria che si venera nella chiesa Cattedrale di Rimini (1796-1803). Acquaforte, 170 x 132 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe. Anche questa rappresenta la Madonna di casa Parri. A pagina 50:
Francesco Rosaspina (attr.), Madre del Salvatore (1796). Acquaforte, 309 x 209 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe. A pagina 51:
Luigi Valesi (Gaetano Arcari dis.), Mater Salvatoris (1782-1813 circa). Bulino, 216 x 160 mm. Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe.
distribuire ai devoti. Il fatto curioso è che anche una Madonna presente in casa Parri (Beata Vergine nell’aspettazione del parto), alla quale si era ispirato il Costa, e a sua volta derivata da un’incisione di Domenico Bonavera tratta da un dipinto di Lorenzo Pasinelli (attualmente conservato allo Schloss Liechtenstein di Vaduz), mosse gli occhi il 27 luglio dello stesso 1796, esattamente dieci giorni dopo l’analogo prodigio avvenuto a San Girolamo. La Mater Salvatoris è ora conservata sull’altare dell’oratorio di San Giovannino, costruito dopo la seconda guerra mondiale in sostituzione del precedente, dedicato a San Giovanni Battista e sempre legato alla Confraternita di San Girolamo. Alla devozione verso questa raffigurazione di Maria, ritratta nell’aspettazione del parto, si deve anche la «delicatissima rielaborazione» dipinta da Giuseppe Soleri Brancaleoni in quello stesso anno (la “Mater Misericordiae” di Santa Chiara), anch’essa protagonista di un analogo fatto miracoloso cinquant’anni più tardi. (M.C.)
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Alla Madonna “Mater Salvatoris” Maria, Madre di Dio, eleviamo il pensiero a Te, affinché la nostra preghiera sia posta nel Cuore di Cristo. Come un giorno elevasti gli occhi al cielo, espressione di materno prodigio, piegati oggi sui nostri affanni, sorreggi la vita e le opere di ciascuno di noi, rendici forti nella fede, costanti nell’amore. Maria, Madre di Gesù, Tu sai quanto siamo fragili ed amareggiati. Il tempo presente ci angoscia, i timori del futuro ci tormentano, la certezza dell’eternità non ci sostiene. Che per la Tua intercessione il Dio della giustizia ci perdoni, comprendendo l’umana debolezza. Maria, Madre del Salvatore, Ti affidiamo gioie ed amarezze, le cose buone che riusciamo a fare e il fallimento dei nostri tentativi. Fa che le famiglie siano unite, che i loro componenti si amino, che la benedizione del cielo scenda su tutti. Abbia prosperità la nostra patria, il mondo viva in pace, la Chiesa sappia dolcemente sospingerci verso quei traguardi di vita che il Figlio di dio, morendo in croce, ha tracciato per ogni uomo vivente quaggiù. E così sia.
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MATER MISERICORDIAE
La cosiddetta “Mater Misericordiae” venne dipinta nel 1796 da Giuseppe Soleri Brancaleoni (1750-1806) su richiesta della sorella suor Chiara Soleri che desiderava una copia dell’immagine prodigiosa venerata nell’oratorio di San Girolamo. Suor Chiara collocò nel coro della chiesa del Monastero degli Angeli l’immagine che lì rimase fino alla soppressione dello stesso, avvenuta il 14 aprile 1810. La tela fu allora portata nella casa paterna della stessa religiosa fino a che, per desiderio del sacerdote don Antonio Sampaoli, fu esposta alla venerazione dei fedeli sull’altar maggiore della chiesa di Santa Chiara. Nel 1824 venne spostata nella cappellina di sinistra in fondo alla chiesa, dove continuò ad essere pregata e venerata. La Mater Misericordiae si trovava ancora in quel luogo quando, il 12 maggio 1850, tre donne che si erano recate per pregare davanti alla sacra immagine assistettero a un fenomeno straordinario: videro che le pupille della Vergine «si alzavano e si abbassavano; alle volte avevano lo splendore di stelle lucenti, alle volte si mostravano velate di pianto». Dopo che si sparse la notizia del fatto miracoloso, non potendo la chiesa più accogliere l’immensa folla dei fedeli, il dipinto venne portato nella chiesa di Sant’Agostino dove il prodigio si rinnovò centinaia di volte di fronte agli occhi della cittadinanza. Anche la Chiesa di Roma intervenne, verificò i fatti prodigiosi sottoponendoli a regolare processo e riconobbe ufficialmente il miracolo; l’anno successivo, lo stesso pontefice Pio IX (15 agosto 1851) fece apporre alla tela, in qualità di dono e segno devozionale, la cornice e la corona d’oro, argento e pietre preziose che tutt’oggi la ornano. La Mater Misericordiae venne poi riportata in Santa Chiara nel settembre del 1850, luogo che abbandonò solo in occasione del primo giubileo del miracolo, nel 1875, per essere festeggiata con feste solenni nel Tempio Malatestiano. Alla venerata immagine sono stati nel tempo attribuiti vari miracoli e la chiesa di Santa Chiara conserva ex voto che ricordano numerose
Santuario “Madonna della Misericordia” in Santa Chiara (Via Santa Chiara, 28)
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A pagina 56:
Anonimo, Mater Misericordiae (1850). Bulino, 150 x 110 mm. Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gabinetto delle stampe. A pagina 57:
Agostino Boldrini (attr.), Madonna della Misericordia (seconda metà del XIX secolo). Olio su tela. Rimini, chiesa parrocchiale di Cristo Re.
GLI ARTISTI DELLE MADONNE Giuseppe Soleri Brancaleoni (17501806)
Nato dalla nobile famiglia dei Soleri, Giuseppe studiò dapprima nella città natale, quindi a Cortona, Pesaro e Roma, per poi tornare a Rimini dove sposò la cugina Anna Brancaleoni e aprì uno studio di pittura, rivolgendo la sua attività didattica in particolare verso giovani pittori bisognosi. La sua arte fu sempre all’insegna
guarigioni e scampati pericoli (per cadute da cavallo, incendi, allagamenti, aggressioni); tra questi si annovera anche un quadretto in memoria dell’uscita incolume della città di Rimini dalle incursioni aeree e navali della Prima Guerra Mondiale (primavera e inverno 1915). La Mater Misericordiae, proprio per la particolare devozione con cui da subito è stata venerata e che si è protratta nei decenni, è stata denominata “Madonna di Rimini” ed è stata oggetto, durante l’Ottocento, di numerose riproduzioni da parte di pittori più o meno conosciuti; alcune copie furono portate anche all’estero (si ha ad esempio notizia di una Mater Misericordiae conservata a New York), altre rimasero in Italia (fra Romagna, Marche, Umbria e Lazio). Tra queste è da considerare la tela attualmente conservata nella Chiesa di Cristo Re a Rimini, recentemente attribuita da Pier Giorgio Pasini ad Agostino Boldrini, pittore locale della seconda metà del XIX secolo. Attualmente la bella immagine, che la tradizione vuole sia stata dipinta in ginocchio dal Soleri, si trova sull’altar maggiore di Santa Chiara e conserva intatta quella «delicatezza e soavità» che non hanno mai smesso di commuovere chiunque si ritiri in preghiera a contemplarla. (M.C.)
della devozione e della sobrietà, col rifiuto di tutto ciò che non fosse finalizzato alla manifestazione di virtù e pii sentimenti. Tra le sue opere, la maggior parte di carattere sacro, si ricordano la Madonna del Rosario a Mondaino (1797), il Tobiolo e l’Angelo o l’Abramo scaccia Agar e Ismaele del Museo della Città di Rimini e la Mater Misericordiae oggetto del miracolo avvenuto, però, più di quarant’anni dopo la morte del pittore. (M.C.)
Giuseppe Soleri Brancaleoni, Abramo scaccia Agar e Ismaele (1800 circa). Olio su tela, cm. 184 x 125. Rimini, Museo della Città.
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A Maria Santissima Madre di Misericordia Salve, o Maria, regina gloriosa del cielo e della terra, sovrana signora degli Angeli e dei Santi, letizia de’ giusti, avvocata dei peccatori. Salve, o iride bella di pace, che sempre assisti al trono di Dio per mitigarne i severi giudizi contro noi miseri erranti. Salve, o Madre di Misericordia, Madre immacolata di Dio e Madre nostra, salute degli infermi, consolatrice degli afflitti, rifugio de’ traviati; salve regina Mater misericordiae. Deh! o regina, o madre, non discacciare dal tuo cospetto i miseri tuoi servi, i fiduciosi tuoi figli, che ricorrono alla tua indefettibile munificenza, ed al materno tuo cuore per implorare soccorso. Tu sei la vita, la dolcezza, la speranza nostra, o Maria. Tu dunque risana le nostre piaghe, ci ottieni il perdono de’ nostri peccati, ridonaci la pace perduta, consolaci nelle nostre afflizioni, aiutaci nel nostro abbandono, ed aprendo il seno della tua misericordia esaudisci le nostre preghiere, mentre noi non cessiamo di ripetere: Salve regina Mater misericordiae, vita, dulcedo, spes nostra Salve!
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MADONNA DEL MONTE
La sacra immagine della Madonna del Monte, così chiamata per la collocazione sul colle di Castelvecchio presso San Giovanni in Marignano, vanta origini antichissime. L’affresco era infatti già contenuto nella “Cella di Castelvecchio”, piccola chiesa preesistente a quella attuale, costruita nel 1669 e conosciuta con il nome di oratorio Legni-Spina, dal nome della nobile famiglia che alla fine del ’700 la acquistò e che nei secoli provvide ad ampliarla e restaurarla. La prima notizia della devozione verso questa Madonna, così come ricordato da una lapide ora in facciata, risale al 1625, anno in cui, trovandosi in paese il monaco don Alessandro da Piacenza e conducendo alla celletta una folla di «uomini e donne vessati da spiriti e afflitti da varie infermità», questi fedeli, dopo aver a lungo pregato, ritornarono alle loro case «salvi e consolati». Questa Madonnina d’altronde, ricorda ancora la lapide, è stata da sempre invocata dalla popolazione del luogo «nei morbi, nei pericoli, nelle sventure, nei terremoti e per ottenere la pioggia o la serenità». Un altro fatto prodigioso accadde nel 1668 quando, come ricorda un’altra lapide sempre in facciata, un tal Giambattista di Gregorio Beretta, che spesso si recava in visita alla sacra immagine, «vide per ben tre notti tra un mirabile splendore apparire l’ombra d’un monaco in cotta e stola e con una fiaccola in mano pregare genuflesso dinanzi alla stessa immagine». Al religioso, che nelle sue preghiere chiedeva alla Madonnina come preferisse essere onorata, la stessa Vergine suggerì di celebrare, la seconda domenica di maggio, due messe accompagnate da una solenne processione e dalle oblazioni dei credenti. La tradizione popolare riporta un ulteriore episodio legato al carattere miracoloso dell’immagine: si dice infatti che un giorno un soldato scagliò un sasso verso l’immagine e la colpì alla fronte, che si mise incessantemente a sanguinare; l’autore del sacrilego gesto
Chiesa di Santa Maria del Monte (oratorio Legni-Spina) Via Castelvecchio San Giovanni in Marignano (RN)
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Esterno della chiesa di Santa Maria del Monte (oratorio Legni-Spina). San Giovanni in Marignano (RN), località Montelupo. Nella pagina a fianco:
Interno della chiesa di Santa Maria del Monte (oratorio Legni-Spina). San Giovanni in Marignano (RN), località Montelupo.
avrebbe trovato poco dopo la morte, assalito da serpi in un campo vicino. In effetti sull’affresco raffigurante Maria con in braccio il Bambino, per quanto maldestramente ridipinto in tempi piuttosto recenti (probabilmente da quei monaci che per un periodo abitarono il convento un tempo adiacente alla chiesetta), pare ancora visibile l’ampia “ferita” sul volto della Vergine; ma l’immagine, per quanto falsata in parte nei colori e rovinata dall’incuria degli uomini e del tempo, conserva una forte suggestione, forse accentuata dalla carnagione di Maria, insolitamente scura. (M.C.)
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2009 per conto di Guaraldi Editore s.r.l.