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Italian Pages 336 [334] Year 2015
STUDI E TESTI 489
CIRCOLAZIONE DI TESTI E SCAMBI CULTURALI IN TERRA D’OTRANTO TRA TARDOANTICO E MEDIOEVO a cura di Alessandro Capone con la collaborazione di Francesco G. Giannachi e Sever J. Voicu
CITTÀ DEL VATICANO
B IBLIOTECA A POSTOLICA VATICANA 2015
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Pubblicazione curata dalla Commissione per l'editoria della Biblioteca Apostolica Vaticana: Marco Buonocore (Segretario) Eleonora Giampiccolo Timothy Janz Antonio Manfredi Claudia Montuschi Cesare Pasini Ambrogio M. Piazzoni (Presidente) Delio V. Proverbio Adalbert Roth Paolo Vian
Descrizione bibliografica in www.vaticanlibrary.va
Proprietà letteraria riservata © Biblioteca Apostolica Vaticana, 2015 ISBN 987-88-210-0926-6
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SOMMARIO
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
Sever J. VOICU, Giovanni Crisostomo nei manoscritti di Terra d’Otranto .
9
Véronique SOMERS, Grégoire de Nazianze en Terre d’Otrante . . . . .
17
Alessandro CAPONE, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa in Terra d’Otranto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
41
Daniele ARNESANO, Giorgio Laurezio di Ruffano, copista ed intellettuale del secolo XV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
59
Onofrio VOX, Sulla retorica nella poesia otrantina di XIII secolo . . . .
95
Francesco G. GIANNACHI, Una nota sull’istruzione grammaticale bizantina in Terra d’Otranto: lo schedografo Nicola da Soleto . . . . . .
107
Luigi SILVANO, Schedografia bizantina in Terra d’Otranto: appunti su testi e contesti didattici . . . . . . . . . . . . . . . . . .
121
Saulo DELLE DONNE, Un nuovo testimone e una nuova redazione dell’Epistola a Paolo vescovo di Gallipoli: il cod. greco Corpus Christi College nr. 486 . . . . . . . . . . . . . . . . . .
169
David SPERANZI, Appunti su Alessio Celadeno: anelli, stemmi e mani . .
199
Claudio SCHIANO, Tradizione e produzione di dialoghi antigiudaici greci nella Puglia basso medievale . . . . . . . . . . . . . . .
215
Marienza BENEDETTO, Una famiglia di mistici, medici, astrologi e filosofi ebrei di origine salentina: i Qalonymos . . . . . . . . . . .
241
Fabrizio LELLI, L’influenza lessicale greca sulla produzione letteraria degli ebrei salentini . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
259
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
271
Indicie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
303
Indice biblico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
305
Indice dei nomi e delle opere . . . . . . . . . . . . . . . . . .
307
Indice dei manoscritti, dei documenti di archivio e degli stampati . . .
329
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PREMESSA
I contributi pubblicati in questo volume intendono presentare un quadro articolato della circolazione dei testi e degli scambi culturali che hanno interessato la Terra d’Otranto principalmente nei secoli XI-XV, analizzandoli, grazie a una pluralità di approcci, sempre di carattere filologico, da angolature differenziate dal punto di vista sia diacronico sia sincronico. Le indagini relative alla storia della tradizione dei testi e alla loro effettiva presenza in Terra d’Otranto, alle tecniche retoriche utilizzate dai poeti salentini, alle modalità e agli strumenti dell’istruzione, alle polemiche religiose che hanno coinvolto i dotti locali e infine ai rapporti tra i gruppi sociali presenti in una società composita, concorrono a ricostruire i contorni di una società e di una cultura che ha conosciuto momenti di intensa attività. Il volume, che si pone in qualche modo in ideale continuità con quello di R. Devreesse sui manoscritti greci dell’Italia meridionale, intende mettere in luce una serie di questioni finora trascurate o affrontate solo in maniera puntuale e richiamare l’attenzione della comunità scientifica internazionale sulla ricchezza del patrimonio culturale custodito nei manoscritti salentini, oggi sparsi nelle biblioteche di tutto il mondo, e presente nella tradizione intellettuale fiorita in Terra d’Otranto. Sia lecito qui ringraziare tutti coloro che hanno offerto un prezioso contributo alla realizzazione del presente volume e in particolare la Biblioteca Apostolica Vaticana che lo ha accolto nella sua prestigiosa collana. Lecce, 8 maggio 2014 AC
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SEVER J. VOICU GIOVANNI CRISOSTOMO NEI MANOSCRITTI DI TERRA D’OTRANTO*
Il repertorio patristico attestato dai manoscritti greci prodotti nel Salento non è molto diversificato, ma, rispetto ad altri autori, come i tre cappadoci1, o persino Massimo Confessore, lo Pseudo-Dionigi e Giovanni Damasceno, Giovanni Crisostomo vi occupa una posizione per lui insolita: quella del fanalino di coda2. Il suo nome infatti è assente dal volume antesignano di Robert Devreesse3 e dalle note liste di André Jacob4. Assordante è il silenzio del catalogo della mostra Codici greci dell’Italia meridionale5. Nel volume dedicato da Daniele Arnesano alla minuscola barocca appare associato esclusivamente alla liturgia6. Soltanto in due articoli di Santo Lucà pubblicati nel 2012 compaiono menzioni di opere di Crisostomo7. *
Questa nota deve molto ai suggerimenti di Alessandro Capone, che ringrazio. Si veda D. ARNESANO, La minuscola barocca: scritture e libri in Terra d’Otranto nei secoli XIII e XIV (Fonti medievali e moderne, 12), Galatina 2008: per Basilio di Cesarea (oltre all’Anafora), p. 92, n° 64 (Firenze, S. Marco 692) e n° 104, pp. 101-102 (Ambr. F 10 sup., con la spuria Historia mystagogica); per Gregorio Nisseno, p. 92. n° 64 (Firenze, S. Marco 692); p. 107, n° 127 (Bodl. Auct. T.2.16) e p. 109, n° 133 (Paris. gr. 1002); per Gregorio Nazianzeno, p. 77, n° 13 (Ott. gr. 312); p. 80, n° 24 (Vat. gr. 1273) + p. 82, n° 31 (Vat. gr. 1912) + p. 117, n° 160, (Vallic. C 31 III); p. 83, n° 35 (Vat. gr. 2252); p. 121, n° 174 (Vindob. Suppl. gr. 37). Si vedano anche gli articoli di Alessandro Capone e di Véronique Somers in questo stesso volume, rispettivamente pp. 41 e 17. 2 In Terra d’Otranto, Crisostomo viene superato addirittura da Esichio di Gerusalemme, il cui commento ai salmi sopravvive quasi per metà in un unico testimone salentino. Vedi A. CATALDI PALAU, Un nuovo manoscritto del «Grande commento» ai Salmi di Esichio di Gerusalemme, Oxford Auct. T. II. 3, in EAD., Studies in Greek manuscripts. I-II (Testi, studi, strumenti 24), Spoleto 2008, pp. 157-181; EAD., A Catalogue of Greek Manuscripts from the Meerman Collection in the Bodleian Library, Oxford 2011, pp. 197-204. 3 R. DEVREESSE, Les manuscrits grecs de l’Italie méridionale (histoire, classement, paléographie), Città del Vaticano 1955 (Studi e Testi, 183). 4 A. JACOB, Les écritures de Terre d’Otrante, in La paléographie grecque et byzantine, Paris, 21-25 octobre 1974, Paris 1977 (Colloques internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique, 559), pp. 269-281; A. JACOB, Culture grecque et manuscrits en Terre d’Otrante, in Atti del III° Congresso internazionale di studi salentini e del I° Congresso storico di Terra d’Otranto (Lecce, 22-25 ottobre 1976), Lecce 1980, pp. 51-77. 5 Codici greci dell’Italia meridionale, a cura di P. CANART – S. LUCÀ, Roma 2000. 6 Cfr. ARNESANO, La minuscola barocca cit., nr 90, p. 98 (Karlsruhe, E M 6); nr 95, pp. 99100 (Ambr. C 7 sup.); nr 102, p. 101 (Ambr. E 20 sup.); nr 132, p. 108 (Paris. gr. 323). 7 S. LUCÀ, Scritture e libri in Terra d’Otranto fra XI e XII secolo, in Bizantini, Longobardi e Arabi in Puglia nell’alto medioevo. Atti del XX Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo, Savelletri di Fasano (BR), 3-6 novembre 2011, Spoleto 2012, pp. 487-548; S. 1
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SEVER J. VOICU
Tutto ciò indica che ci troviamo di fronte a una tradizione relativamente marginale e problematica. A complicare le cose contribuisce la circostanza che l’opera più spesso posta sotto il nome di Crisostomo è la cosiddetta Anafora, che ha una tradizione di tutto rispetto in Terra d’Otranto, anche se caratterizzata da parecchi testimoni tardivi, del XV-XVI secolo. Ma abitualmente l’Anafora viene trattata separatamente da altri scritti circolanti sotto il nome di Crisostomo, con il quale ha un legame del tutto estrinseco. Certamente, più volte e anche in tempi recenti, sono stati pubblicati lavori, talvolta ponderosi, tendenti a dimostrare che l’arcivescovo di Costantinopoli è intervenuto in maniera più o meno massiccia sul formulario liturgico che poi avrebbe portato il suo nome8. Ma, se debbo essere franco, mi sembra che si tratti di un miraggio, perché tutti questi tentativi trascurano un particolare inquietante: certamente sono stati evidenziati piccoli paralleli con le opere autentiche di Crisostomo, ma questi si inseriscono in contesti nei quali non è possibile rintracciare nemmeno remote analogie con il suo lessico. Di fronte a un simile ostacolo dovrebbe affacciarsi con prepotenza la possibilità che tali paralleli siano interpolazioni relativamente tardive, inserite nel corso di una trasmissione le cui fasi più antiche rimangono avvolte nell’oscurità. Comunque sia, almeno a giudicare da alcuni articoli di André Jacob, l’Anafora di Crisostomo ha una tradizione particolare in Terra d’Otranto9. Rimane da vedere se si tratta di una tradizione unitaria oppure di un caso di convivenza fra recensioni di origini diverse. Passando alle opere letterarie attribuite a Crisostomo, una considerazione da premettere è che, contrariamente alle esigenze filologiche attuali, nella loro trasmissione non si deve operare una distinzione tra scritti genuini e spuri. La tradizione bizantina vede il corpus crisostomico come un tutto unitario; né potrebbe fare altrimenti. Rari sono i casi in cui prima dell’età moderna il problema dell’autenticità viene sollevato, e in genere ciò avviene con risultati sconcertanti. Valga per tutti l’esempio di Fozio, il LUCÀ, Frammenti dell’Ad Theodorum lapsum di Giovanni Crisostomo in un palinsesto di Grottaferrata: Crypt. ̆ǯȱ Άǯȱ XX, ora gr. 145, in Storie di cultura scritta. Studi per Francesco Magistrale, a cura di P. FIORETTI, con la collaborazione di A. GERMANO e M. A. SICILIANI, Spoleto 2012, pp. 519-536. 8 R. F. TAFT, The Authenticity of the Chrysostom Anaphora Revisited. Determining the Authorship of Liturgical Texts by Computer, in Orientalia Christiana Periodica 56 (1990), pp. 5-51; ID., St. John Chrysostom and the Byzantine Anaphora that Bears His Name, in Essays on Early Eastern Eucharistic Prayers, ed. by P. F. BRADSHAW, Collegeville 1997, pp. 195-226. 9 Si vedano A. JACOB, La traduction de la Liturgie de saint Jean Chrysostome par Léon Toscan. Édition critique, in Orientalia christiana periodica 32 (1966), pp. 111-162; A. JACOB, Deux formules d’immixtion syro-palestiniennes et leur utilisation dans le rite byzantin de l’Italie méridionale, in Vetera christianorum 13 (1976), pp. 29-64.
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GIOVANNI CRISOSTOMO NEI MANOSCRITTI DI TERRA D’OTRANTO
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quale nella sua Biblioteca se ne occupa occasionalmente, ma in maniera molto superficiale, e cita come autentiche varie omelie spurie, di cui alcune di Severiano di Gabala, limitandosi in qualche caso a esprimere delle esitazioni sullo stile di qualche testo10. Il concetto di autenticità è infatti moderno e fa la sua comparsa con la prima grande edizione greca, quella di Savile (1613). Va ricordato inoltre che fin dagli inizi (forse quando Crisostomo era ancora vivo, ma in esilio) il corpus delle opere circolanti sotto il suo nome è stato inquinato da almeno una cinquantina abbondante di spuri di varia natura11 e che, in questo senso, la situazione è andata semmai peggiorando e complicandosi a misura che vi si aggiungevano testi più tardivi12. Una considerazione ovvia è che, accanto alla produzione propriamente otrantina, si dovranno menzionare anche manufatti di origine orientale o calabro-sicula che hanno soggiornato in Terra d’Otranto. Gli esempi sono pochi, per un motivo abbastanza semplice: nella quasi totalità dei casi noti si tratta di scritture inferiori di palinsesti. E come dimostra eloquentemente la lista pubblicata da Arnesano nel 2008, nella quale Crisostomo non viene ricordato, l’analisi di tali manufatti è appena ai suoi inizi13. Comunque, degno di menzione è il caso del Rehd. 26, insigne testimone salentino dell’Iliade, confezionato impiegando i resti di un omeliario orientale, probabilmente del X secolo14. Nella vecchia descrizione di Johann Stanjek15 sono stati trascritti, sia pure senza pretese di completezza, numerosi brani non identificati della scrittura inferiore. Dal riesame di 10 P. HENRY, Photius, Bibliothèque. VIII. («Codices» 257-280), Paris 1977, pp. 131-157 (cod. 277). 11 S. J. VOICU, «Furono chiamati giovanniti...». Un’ipotesi sulla nascita del corpus pseudocrisostomico, in Philomathestatos. Studies in Greek and Byzantine Texts Presented to Jacques Noret for His Sixty-Fifth Birthday, ed. by B. JANSSENS – B. ROOSEN – P. VAN DEUN, Leuven 2004 (Orientalia Lovaniensia Analecta, 137), pp. 701-711. 12 Un’omelia che è apparentemente di età moderna viene studiata in S. J. VOICU, Fonti dell’omelia pseudocrisostomica «In adorationem uenerandae crucis» (PG 62, 747-754; BHG 415; CPG 4672), in Orientalia Christiana Periodica 58 (1992), pp. 279-283. Altri spuri risalgono probabilmente agli inizi del secondo millennio. 13 D. ARNESANO, Libri inutiles in Terra d’Otranto. Modalità di piegatura di bifogli nella realizzazione del Laur. 87.21, in Libri palinsesti greci: conservazione, restauro digitale, studio. Atti del Convegno internazionale, Villa Mondragone – Monte Porzio Catone – Università di Roma «Tor Vergata» – Biblioteca del Monumento Nazionale di Grottaferrata, 21-24 aprile 2004, a cura di S. LUCÀ. Indici a cura di A. A. ALETTA e M. T. RODRIQUEZ, Roma 2008, pp. 191-200. 14 R. DURANTE, L’Iliade in Terra d’Otranto: il teatro omerico nell’inedito ciclo illustrativo del Breslaviense Rehdiger 26, in Aevum 86 (2012), pp. 493-517, qui p. 497. Si veda anche, a proposito del manoscritto superiore, E. SCIARRA, La tradizione degli scholia iliadici in Terra d’Otranto, Roma: Accademia nazionale dei Lincei, 2005 (Bollettino dei classici, Suppl. 23). 15 In Catalogus codicum graecorum qui in Bibliotheca urbica Vratislaviensi adservantur, a philologis Vratislaviensibus compositus, civitatis Vratislaviensis sumptibus impressus. Accedit appendix qua Gymnasii regii Fridericiani codices graeci describuntur, Vratislaviae: prostat apud G. Koebnerum, 1889, pp. 18-28.
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SEVER J. VOICU
questi passi con l’aiuto del TLG è emerso un bilancio provvisorio estremamente interessante: i fogli riutilizzati tramandano almeno tredici omelie generalmente attribuite a Crisostomo. Inoltre, sono stati identificati alcuni frammenti di manoscritti non salentini utilizzati come fogli di guardia16. Crisostomo è inoltre presente sotto un’altra forma: citazioni nelle catene esegetiche, di cui un frammento è stato descritto da Lucà a Grottaferrata17. Probabilmente è presente anche nei pochi florilegi patristici che finora sono stati identificati, ma non descritti in maniera soddisfacente18. È ovvio che non tutte le caselle di uno scacchiere tanto complesso saranno riempite nella stessa misura. Anzi, è da temere che alcune rimarranno vuote. Cominciamo dai grandi assenti. Nella tarda antichità Crisostomo deve la sua fama, nel mondo greco, ma anche altrove, soprattutto a un insieme di scritti autentici che, a giudicare dai volumi finora pubblicati dei Codices Chrysostomici Graeci19 e dal sito Pinakes20, hanno avuto, in genere, una diffusione straordinaria, con decine o addirittura centinaia di testimoni. Primi fra tutti i commentari esegetici, che abbracciano buona parte del Nuovo Testamento antiocheno, vale a dire l’intero corpus paolino, gli Atti degli Apostoli e i vangeli di Matteo e di Giovanni. Dell’Antico Testamento Crisostomo ha commentato almeno la Genesi, i Salmi e Isaia. Ebbene, di tutte queste opere rimangono scarse tracce in Terra d’Otranto. Mancano all’appello anche i trattati e altre serie molto diffuse nel mondo bizantino, come quella trasmessa sotto il nome convenzionale di ȝĮȡȖĮȡIJĮȚ « perle », costituita dalle omelie contro gli Anomei e contro i Giudei e da altre opere. Non vi compare nemmeno quello che viene considerato il fiore all’occhiello della sua predicazione: le omelie Ad populum Antiochenum, note anche come Omelie sulle statue21. Cfr. Crypt. ̇ǯȱ΅. XVII (gr. 377), f. 245. Crypt. ̄ǯȱΈ. XI, nr. V (gr. 14), ff. 73-74, descritto da S. LUCÀ, Scritture e libri in Terra d’Otranto fra XI e XII secolo, in Bizantini, Longobardi e Arabi in Puglia nell’alto medioevo. Atti del XX Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo, Savelletri di Fasano (BR), 3-6 novembre 2011, Spoleto 2012, pp. 487-548, p. 538. 18 Cfr. la lista in calce all’articolo. 19 Cfr. M. AUBINEAU, Codices Chrysostomici Graeci (d’ora in poi CCG). I: Codices Britanniae et Hiberniae, Paris 1968 (Documents, études et répertoires, 13); R. E. CARTER, CCG. II: Codices Germaniae, Paris 1968; R. E. CARTER, CCG. III: Codices Americae et Europae Occidentalis, Paris 1970; W. LACKNER, CCG. IV: Codices Austriae, Paris 1981; R. E. CARTER, CCG. V: Codicum Italiae partem priorem, Paris 1983; S. J. VOICU, CCG. VI: Codicum Ciuitatis Vaticanae partem priorem, Paris 1999; P. AUGUSTIN, CCG. VII: Codicum Parisinorum partem priorem, Paris 2011. 20 pinakes.irht.cnrs.fr/rech_oeuvre. 21 Dimostrativa della importanza attribuita a questa raccolta di omelie è l’indagine di M. SOFFRAY, Recherches sur la syntaxe de Saint Jean Chrysostome d’après les « Homélies sur les Statues », Paris 1939 (Collection d’études anciennes). 16 17
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GIOVANNI CRISOSTOMO NEI MANOSCRITTI DI TERRA D’OTRANTO
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Non sono stati individuati nemmeno grandi omeliari esclusivamente crisostomici, simili all’Ottob. gr. 13 e ai suoi confratelli22, oppure al Mosq. sin. gr. 159 e ad altre raccolte affini. Tranne i frammenti dell’Ad Theodorum, prodotti in Terra d’Otranto, non sono state rilevate altre tracce del corpus ascetico23. Praticamente, l’unico caso di resti di un commento continuo si trovano nella parte finale del Barb. gr. 456, codice otrantino che tramanda, con anomalie, alcune omelie su Matteo, 82, 87 + 29 e 89, cioè un’antologia, che si interrompe mutila alla fine del codice. Ci si potrà chiedere anche (ma la domanda non può ricevere per ora una risposta) se questi testi presentano affinità con i resti palinsesti dell’omelia 23 del commento a Matteo, tratti da un codice italogreco dell’XI secolo, che sono stati individuati a Vienna, sotto l’Etymologicum Gudianum, da Jana Grusková nel 201024. Soltanto l’omelia 82 gode di un’attestazione più ampia, poiché la si ritrova, assieme ad altre tre opere (spurie) attribuite a Crisostomo, nell’omeliario Ambr. B 12 inf., del XII-XIII secolo25. Quest’ultimo caso costituisce l’occasione per passare a un altro tipo di manufatti, dai quali, in ultima analisi, trae la sua ragione di essere questo intervento: gli omeliari, siano essi per annum o agiografici. La prima osservazione che balza agli occhi (e che si applica anche a raccolte omiletiche prodotte in altre parti del mondo bizantino) è la prevalenza delle opere spurie, in questo caso, assoluta. Ciò non deve sorprendere: Crisostomo è morto nel 407, in un’epoca cioè in cui l’ordinamento liturgico, ancora in formazione, era profondamente diverso da quello bizantino medievale, la cui organizzazione risale probabilmente all’età giustinianea, vale a dire al pieno VI secolo. Le sue opere male si adattano alla lettura pubblica talvolta per motivi di lunghezza e di pertinenza, per la loro commistione di temi esegetici e morali, ma anche per un’altra ragione: Crisostomo è un rappresentante della scuola letteralista di matrice antiochena, la quale, dopo la prima metà del V secolo, va scomparendo a beneficio della tradizionale esegesi allegorica. Cf. S. J. VOICU, L’omelia Quod filii debeant honorare parentes (CPG 5092) di uno pseudocrisostomo cappadoce, in Studi in onore del Cardinale Raffaele Farina, a cura di A. M. PIAZZONI, II, Città del Vaticano 2013 (Studi e testi, 478), pp. 1197-1221, qui pp. 1202-1204. 23 LUCÀ, Frammenti dell’Ad Theodorum lapsus cit. 24 J. GRUSKOVÁ, Untersuchungen zu den griechischen Palimpsesten der Österreichischen Nationalbibliothek: Codices historici, Codices philosophici et philologici, Codices iuridici, Wien 2010 (Österreichische Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-Historische Klasse. Denkschriften, 401; Veröffentlichungen zur Byzanzforschung, 20) pp. 54-102 e Abb. 10-38 (scrittura inferiore 4). Per lo stesso codice superiore è stato riutilizzato anche un testimone dello spurio Sermo 3 in Genesim (ibid., pp. 96-98 e Abb. 36a-b: scrittura inferiore 9). 25 Cf. CCG V, p. 108, nr 140. 22
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SEVER J. VOICU
Il Vat. gr. 1652, omeliario otrantino per tutto l’anno dell’XI-XII secolo, presenta precisamente questo tipo di repertorio: quattordici omelie attribuite a Crisostomo, di cui due soltanto autentiche26, e qualche indizio di legami con il mondo calabro-siculo, come la presenza del De tribus pueris sermo (PG, 56, 593-600), un’omelia di Severiano di Gabala sopravvissuta sotto il nome di Crisostomo27, la cui tradizione manoscritta sembra prevalentemente, o forse esclusivamente, italogreca. Considerazioni analoghe valgono riguardo al Barb. gr. 517, metafraste contaminato prodotto, con una pergamena molto povera, agli inizi del XII secolo. Il manoscritto presenta 22 opere attribuite a Crisostomo, di cui quattro sono autentiche e una, De paenitentia homilia 2 (PG, 49, 283-292), si trova anche nel Vat. gr. 1652. I testi presentano generiche affinità con il mondo calabro, che però andranno verificate da un’analisi più puntuale. Il manoscritto contiene tuttavia anche una perla di cui è testimone unico: un’omelia su Giovanni evangelista, tramandata tutto sommato correttamente, che dai criteri interni sembra pronunciata in età preefesina e, almeno in senso lato, in ambito antiocheno28. Poiché le due raccolte hanno una struttura abbastanza diversa, vale la pena di esaminare le coincidenze nel loro repertorio crisostomico: cinque omelie, di cui una autentica. Un esame più approfondito rivela però alcune differenze macroscopiche. L’omelia In annuntiationem B. Virginis (PG, 50, 791-796), nel Barb. gr. 517 si chiude con la formula ਲ IJોȢ ȠੁțȠȣȝȞȘȢ İੁȡȒȞȘǜ ĮIJઁȢ Ȗȡ ਥıIJȚȞ ਲ İੁȡȒȞȘ ਲμȞǜ ਸȢ ȖȞȠȚIJȠ…, ma nel Vat. gr. 1652 si riscontra ਲİੁȡȒȞȘਲȝȞǜĮIJંȢਥıIJȚȞıȦIJȡʌȞIJȦȞțĮȗȦਲĮੁઆȞȚȠȢǜਸȢ… Analogo risultato si ottiene dalla comparazione fra gli incipit di In parabolam de filio prodigo (PG, 59, 515-522): là dove il Barb. ha ਝİȝȞțĮįȚʌĮȞIJઁȢ IJȞIJȠ૨șİȠ૨ijȚȜĮȞșȡȦʌĮȞ, il Vat. presenta ਝİ ȝȞ IJȞ IJȠ૨ șİȠ૨ ijȚȜĮȞșȡȦʌĮȞ. La situazione si ripete con De paenitentia homilia 2 (PG, 49, 283-292): la finale lunga del Vat. (ਥțIJȒıĮIJȠ țĮ IJȞ ȠȡȞȚȠȞ ȕĮıȚȜİĮȞ ਕʌȜĮȕİȞ įȚ IJોȢ IJĮʌİȚȞȠijȡȠıȞȘȢțĮIJોȢਥȟȠȝȠȜȠȖȒıİȦȢțĮȝİIJĮȞȠĮȢǜਸȢ…) si contrappone a quella, più breve, del Barb. (įȚțĮȚȠıȞȘȢਥțIJȒıĮIJȠǜਸȢ…). L’unica conclusione che si può trarre da queste comparazioni è che, almeno per i testi attribuiti a Crisostomo, le due raccolte provengono da trafile profondamente diverse29. Cfr. CCG VI, pp. 187-188, nr 205. Per l’attribuzione a Severiano, cf. S. J. VOICU, Nuove restituzioni a Severiano di Gabala, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici 30-31, n.s. 20-21 (1983-84), pp. 3-24, qui pp. 16-17. 28 Cfr. S. J. VOICU, La pseudocrisostomica Oratio in Iohannem theologum (CPG 4987; BHG 925g) tramandata dal Barb. gr. 517, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae. XVII, Città del Vaticano 2010 (Studi e testi, 462), pp. 165-186. 29 Non è possibile stabilire se anche nel caso dell’Ambr. B 12 inf., che ha due omelie spurie in comune con il Barb. gr. 517, si tratti di mere coincidenze. 26 27
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GIOVANNI CRISOSTOMO NEI MANOSCRITTI DI TERRA D’OTRANTO
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Un quarto omeliario viene ricordato da Santo Lucà, il Vindob. Hist. gr. 114 (XI/2 secolo)30, la cui parte finale presenta analogie abbastanza chiare con la struttura del Barb. gr. 517, senza che però sia possibile precisarne la portata. Si noti che i quattro omeliari che sono stati menzionati risalgono al periodo antico, fino al XII secolo31. Tutto sembra indicare che a partire da quel momento la lettura di omelie in refettorio o in chiesa abbia subito un brusco calo, come se presso gli ambienti monastici, loro destinatari naturali, la conoscenza del greco scritto si fosse largamente deteriorata. È forse tempo di volgere lo sguardo ai fogli di guardia, di cui abbiamo scarsi esempi: un frammento delle omelie sulla Genesi è stato individuato a Grottaferrata, ma si tratta dei resti di un manufatto orientale32. Un caso molto interessante è costituito dai fogli di guardia di due manoscritti ambrosiani, i quali tramandano frammenti di un’omelia di Severiano di Gabala33, di cui si conosce un unico manoscritto completo, probabilmente orientale, conservato a Parigi, il Paris. gr. 758, ff. 45r-52r. I due codici principali sono stati prodotti in Terra d’Otranto34 e, sulla base di ricordi che risalgono a molti anni fa, mi chiedo se i fogli di guardia non siano anch’essi otrantini. Per chiudere, ritornerei sull’omelia su Giovanni evangelista di cui il Barb. gr. 517 è unico latore. Questo testo solleva anche un problema al quale non è possibile dare risposta. Dato (e, per ora, non concesso) che il codice presenta affinità con la produzione calabra, come si spiega questa solitaria comparsa in un manoscritto salentino? L’unica risposta possibile è una sensazione che ritorna costantemente di fronte ai numerosi testi attribuiti a Crisostomo da testimoni unici o rari, in tutte le tradizioni, occidentali e orientali, quella di una perdita: ci troviamo qui di fronte ai resti di quel naufragio immane che ha interessato l’omiletica greca. Nel caso di Crisostomo, la tradizione salentina presenta attualmente una situazione tuttora in fieri, per mancanza di indagini sistematiche adeCfr. LUCÀ, Scritture e libri cit., pp. 547-548; CCG IV, pp. 80-81, nr 105. Il Paris. gr. 1505 (XII s.) e il Barb. gr. 517 sono associati, per il loro contenuto, da Albert Ehrhard; cfr. A. EHRHARD, Überlieferung und Bestand der hagiographischen und homiletischen Literatur der griechischen Kirche. I. Teil: Die Überlieferung. III, Leipzig - Berlin 1952 (Texte und Untersuchungen, 52), pp. 96-98. Ma, almeno per quanto riguarda il repertorio crisostomico, le somiglianze non appaiono particolarmente significative. 32 Crypt. ̇ǯȱ΅. XVII (gr. 377); cfr. Lucà, Scritture e libri cit., p. 543. 33 Come avviene quasi sempre nella tradizione diretta greca delle omelie di Severiano di Gabala, In illud: Secundum imaginem et similitudinem (cf. CPG 4234) è posta sotto il nome di Crisostomo; cf. S. J. VOICU, Il nome cancellato: la trasmissione delle omelie di Severiano di Gabala, in Revue d’histoire des textes n.s. 1 (2006), pp. 317-333. 34 Ambr. D 62 sup. (gr. 241) e Ambr. S 23 sup. (gr. 732). Cfr. rispettivamente ARNESANO, La minuscola barocca cit., nr 99, p. 100 e nr 117, p. 104. 30 31
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SEVER J. VOICU
guate, ma lascia intravedere un panorama complesso, caratterizzato dai resti di influssi che risalgono sia a modelli orientali, sia a manufatti della tradizione calabro-sicula (e forse lucana). Insomma, un campo aperto a ulteriori ricerche.
PRESENZE DI CRISOSTOMO NEI MANOSCRITTI PRODOTTI O CIRCOLANTI IN TERRA D’OTRANTO Manoscritti (almeno parzialmente) salentini: Barb. gr. 456; Barb. gr. 517; Vat. gr. 1652; Ambr. B 12 inf.; Vindob. Hist. gr. 114 (Lucà, p. 547). Manoscritti circolanti in Terra d’Otranto, ma prodotti altrove: Ott. gr. 1; Vat. gr. 2115. Palinsesti prodotti nel Salento: Crypt. īȕ. XX (gr. 145); Vindob. Phil. gr. 158; Wrocáaw, Rehd. 26. Fogli di guardia orientali associati a manoscritti salentini: Crypt.¨Į. XVII (gr. 377), f. 245 (In Genesim hom. 46: PG, 54, 427). Fogli di guardia salentini: Ott. gr. 1, ff. 1r-2v e 356r-365v (Arnesano, nr 11, pp. 76-77); Ambr. S 23 sup. (gr. 732) + Ambr. B 12 inf. (gr. 839) (Arnesano, nr 99, p. 100 + nr 117, p. 104). Catene esegetiche: Crypt. ǹį. XI, nr V = īȕ. XXXVII (gr. 14), ff. 73-74 (Arnesano, nr 68, p. 93). Florilegi patristici: Athos, Ivir. 190 + Paris. Suppl. gr. 681, ff. 2, 4, 6-7, 9 (Arnesano, nr 1, pp. 73-74 = nr 152, p. 115); Vat. gr. 1277 (Arnesano, nr 27, p. 81; CCG VI, p. 152, nr 162); Barocc. 86, ff. 3r-12v (Arnesano, nr 128, p. 107); Paris. gr. 1304 (Arnesano, nr 138, p. 110); Marc. II. 58 (Arnesano, nr 163, p. 118).
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VÉRONIQUE SOMERS GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
Grégoire de Nazianze est l’un des trois célèbres Pères Cappadociens qui ont marqué d’une empreinte indélébile l’Église du IVe siècle et son devenir. Avant d’examiner la circulation de ses textes en Terre d’Otrante, il convient de rappeler brièvement quelques données relatives à la tradition manuscrite de son œuvre. Grégoire a laissé une œuvre qui se décline pour l’essentiel en corpus fermés : des poèmes, des lettres, des Logoi. Accessoirement, nous avons aussi conservé son testament; et le « Christus Patiens », tragédie chrétienne composée comme un centon, est également transmis sous son nom. Laissons de côté le testament, la tragédie, les poèmes, et la correspondance, et concentrons-nous sur les Logoi. Ces Discours, Homélies, ou Sermons (les traductions reçues sont multiples), connaissent une tradition manuscrite très riche : près de 1400 manuscrits antérieurs à la moitié du XVIe s. en transmettent au moins un1. En plus d’être vaste, cette tradition est diversifiée, puisqu’on y trouve : des pièces isolées dans divers recueils hagiographico-homilétiques ; une sélection de seize Discours dits « liturgiques » ou « lus » à dates fixes dans le cadre de la liturgie ; une collection dite « non lue », par opposition à la précédente ; des collections dites complètes, mais qui présentent en réalité un nombre variable de pièces, agencées dans un ordre variable (les pièces qui font la différence ne sont pas des Homélies à proprement parler, mais circulent dans la tradition sous le nom de Logoi, et dans les mêmes collections)2. Ces différentes collections existent aussi accompagnées, voire truffées, de commentaires. Les commentateurs ont rédigé leurs explications à des époques variées, mais il semble qu’ils soient tous un peu dépendants de ceux qui les ont précédés ; il est, toutefois, un peu prématuré de s’avancer sur ce sujet, car la plupart Pour des chiffres plus précis, consulter la base de données du site Nazianzos (http:// nazianzos.fltr.ucl.ac.be/). L’ensemble de la tradition manuscrite des Discours a été répertoriée par J. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum (6 vol.), Paderborn-München-Wien-Zürich 19811998 (Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums. N.F., 2. Reihe. Forschungen zu Gregor von Nazianz, 1, 5, 10, 11, 12, 14), à corriger et compléter par J. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum. Corrigenda et addenda, in J. MOSSAY, Gregoriana, Bruxelles 2007 (Bibliothèque de Byzantion, 10. Série des Réimpressions, 4), pp. 341-357. 2 Voir V. SOMERS, Histoire des collections complètes des Discours de Grégoire de Nazianze, Louvain-la-Neuve 1997 (Publications de l’Institut orientaliste de Louvain, 48), à compléter par V. SOMERS, Description des collections complètes des Orationes de Grégoire de Nazianze : quelques compléments, in Byzantion 71 (2001), pp. 462-504. 1
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VÉRONIQUE SOMERS
de ces commentaires n’ont pas encore fait l’objet d’une édition critique, ni même complète3. Ces préliminaires étant posés, nous pouvons aborder le sujet qui nous occupe plus précisément : la circulation des textes du Nazianzène en Terre d’Otrante. Il ne s’agit ici que d’un début d’enquête, qui part dans différentes directions en raison des pistes ouvertes. Il y a quelques années, une recherche sur les manuscrits grecs d’Italie du sud commençait par la consultation de l’ouvrage que R. Devreesse a consacré à ce sujet4 ; de nombreuses publications ont suivi, de plus en plus précises, de détail ou d’ensemble. L’objet de cet article n’est pas de proposer, en nous fondant sur toutes ces publications, une synthèse complète, ni même une liste exhaustive des Grégoire de Nazianze qui ont circulé en Terre d’Otrante5. Plus La situation n’a guère évolué depuis la publication de J. SAJDAK, Historia critica scholiastarum et commentatorum Gregorii Nazianzeni, Pars prima, Cracovie 1914 (Meletemata patristica, I). On trouvera une belle présentation d’ensemble dans F. TRISOGLIO, Mentalità ed atteggiamenti degli scoliasti di fronte agli scritti di S. Gregorio di Nazianzo, in J. MOSSAY (ed.), II. Symposium Nazianzenum. Louvain-la-Neuve 25-28 août 1981. Actes du colloque international organisé avec le soutien du Fonds National belge de la Recherche Scientifique et de la Görres-Gesellschaft zur Pflege der Wissenschaft, Paderborn-MünchenWien-Zürich 1983 (Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums, Neue Folge, 2. Reihe : Forschungen zu Gregor von Nazianz, 2), pp. 187-251. Il faut néanmoins signaler l’édition des scholies du Pseudo-Nonnos par J. NIMMO SMITH (ed.), Pseudo-Nonniani in IV orationes Gregorii Nazianzeni commentarii, Turnhout 1992 (Corpus christianorum. Series Graeca, 27. Corpus Nazianzenum, 2). Les travaux plus récents les plus significatifs, bien que partiels, sur les « scholies anciennes » sont ceux de J. NIMMO SMITH, Sidelights on the Sermons. The Scholia Oxoniensia on Gregory Nazianzen’s Orations 4 and 5, in A. SCHMIDT (ed.), Studia Nazianzenica II, Turnhout 2010 (Corpus christianorum. Series Graeca, 73. Corpus Nazianzenum, 24), pp. 135-201 (avec renvoi aux publications antérieures). Sur Basile le Minime, voir en dernier Th. SCHMIDT, À propos des scholies de Basile le Minime dans le Thesaurus Linguae Graecae, in Schmidt, Studia Nazianzenica II cit., pp. 121-133, avec référence à la bibliographie antérieure. Quant aux travaux sur les commentaires de Nicétas de Serrès ou d’Héraclée, ils ont connu ces dernières années une impulsion déterminante grâce au travail préparatoire à l’édition de la version slavonne entreprise par une équipe de chercheurs de Moscou : sous la direction d’A. M. Moldovan (directeur du Russian Language Institute), A. Pichkhadze, B. Maslov et M. Mushinsky cherchent le modèle grec qui a servi à la traduction slavonne. Les publications issues de ce projet se limitent pour l’instant à celles d’A. M. Moldovan, entièrement consacrées à la version slavonne, sans référence à l’original grec. 4 R. DEVREESSE, Les manuscrits grecs de l’Italie méridionale (histoire, classement, paléographie), Città del Vaticano, 1955. 5 On se propose d’en donner en annexe, une liste provisoire, et sans doute non exhaustive, réalisée à partir des répertoires de : O. MAZZOTTA, Monaci e libri greci nel Salento medievale, Novoli (Lecce) 1989, particulièrement pp. 63-101 (Descrizione sommaria dei codici) ; D. ARNESANO, Il repertorio dei codici greci salentini di Oronzo Mazzotta. Aggiornamenti e integrazioni, in M. SPEDICATO (a cura di), Tracce di storia. Studi in onore di mons. Oronzo Mazzotta, Galatina 2005 (Quaderni de L’Idomeneo, 1), pp. 25-80 ; D. ARNESANO, Manoscritti greci di Terra d’Otranto. Recenti scoperte e attribuzioni (2005-2008), in TOXOTES. Studies for Stefano Parenti, edited by D. GALADZA – N. GLIBETIû – G. RADLE, Grottaferrata 2010 (Analekta Kryptoferres, 9), pp. 63-101. 3
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
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modestement, nous voudrions partir de l’ouvrage de R. Devreesse, en commenter les informations, et les croiser avec celles de quelques travaux plus récents consacrés à un type d’écriture bien identifié : la minuscule baroque otrantaise6. Cette confrontation nous amènera à examiner certains manuscrits de plus près, et à observer leur comportement sur quelques points précis. Dans l’index de l’ouvrage de R. Devreesse, sous l’entrée « Grégoire de Nazianze », sont répertoriés les sept manuscrits suivants, au sujet desquels sont données dans le corps de l’ouvrage des précisions géographiques et chronologiques : Laur. Plut. VII.8
Fin du Xe s., Campanie
Lond. Add. 18231
AD 971-972, Calabre
Matrit. 4649 Matrit. 93 (olim N. 93)
Novembre 1496, Sicile (Saint-Sauveur du Phare à Messine)
Messan. San 32 Salv. 32 Messan.
AD 1150-1151, Sicile (sans doute au Saint-Sauveur de Bordonaro)
Patm. 33
AD 941, Reggio di Calabria
Vat. Gr. 1992
AD 1104, Rossano
Vat. Gr. 2061
Xe s., « tyrrhénien » (côte occidentale d’Italie méridionale)
Quelques informations supplémentaires sont également apportées : – au Laur. VII.8, il faut probablement joindre le Conv. Soppr. 177 (p. 32, nr. 11), lequel n’est pourtant pas mentionné ailleurs dans l’ouvrage : il est marqué d’un point d’interrogation dans l’index des manuscrits, et ignoré sous l’entrée « Grégoire de Nazianze ». – Le Lond. Add. 18231 présente un système d’abréviations particulier à quelques manuscrits de même origine et de même époque (p. 28). – Le Matrit. 93 (Christus Patiens) a été copié par Joachim de Casole, qui avait fui le monastère de Saint-Nicolas devant l’invasion turque (avril 1481) (p. 49). – Le Messan. 32 est de la main de Barthélemy (p. 40). – La partie concernée du Vat. Gr. 1992 (p. 39) contient les ff. 118 à 219, qui présentent des Discours de Grégoire copiés de la main d’un Barthélemy. Ce manuscrit est aussi mentionné plus loin dans l’ouvrage, en rapport avec un lapsus et une théorie qui semble douteuse de P. Batiffol7 6 A. JACOB, Les écritures de Terre d’Otrante, in La paléographie grecque et byzantine. Paris, 21-25 octobre 1974, Paris 1977 (Colloques internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique, 559), pp. 269-281 ; D. ARNESANO, La minuscola « barocca ». Scritture e libri in Terra d’Otranto nei secoli XIII e XIV, Galatina 2008 (Fonti medievali e moderne, 12). 7 DEVREESSE, Italie méridionale cit., p. 24 : lapsus pour Vat. Gr. 1592 ; p. 25 : les bases sur
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VÉRONIQUE SOMERS
– Le Vat. Gr. 2061, enfin, fait partie des manuscrits sauvés par Pierre Menniti, élu abbé général des Basiliens à la fin du XVIIe s.8 ; en partie récrit (p. 29), il appartient au groupe qui illustre l’écriture en « as de pique » (p. 34). – Curieusement, il n’est pas indiqué que les copistes du Patm. 33 sont Nicolas et Daniel. En note dans l’index, R. Devreesse signalait encore parmi les témoins grégoriens italiotes le Paris. Coisl. 55, dont il n’est cependant pas question ailleurs dans l’ouvrage. On remarquera que le seul manuscrit de Grégoire attribué ici à la Terre d’Otrante (et encore, par le biais des origines de son copiste) est celui de Madrid, qui contient le Christus Patiens. Cette pièce se présente comme une tragédie chrétienne, dont le sujet est la Passion du Christ, et est constituée pour l’essentiel de citations de tragédies classiques (d’Euripide, pour la plupart), plus ou moins adaptées au sujet chrétien. Il convient de noter que son attribution au Cappadocien est fortement mise en doute : la tradition manuscrite la lui attribue, mais les témoins sont en général tardifs ou mutilés au début, et les arguments invoqués par les Modernes pour prouver son inauthenticité relèvent de la critique interne, dont la manipulation est souvent à double tranchant9. Les autres témoins sont des collections de Discours : – le Laur. VII.8, le Conv. Soppr. 177, le Lond. Add. 18231, le Vat. Gr. 2061 et le Patm. 33 sont des collections complètes de classe M10 ; les quatre premiers témoins constituent un groupe caractérisé par la présence d’éléments communs qui permettent de remonter à une édition particulière des Discours, commanditée par un certain Eustratios dont le nom apparaît plusieurs fois formé en acrostiche dans quelques pièces versifiées du recueil11. Un autre élément caractéristique est la présence, dans les marges lesquelles s’appuie cette théorie ne sont pas bien établies. 8 En mai 1696 (DEVREESSE, Italie méridionale cit., p. 21 et nt. 5). 9 Voir un état de la question dans V. SOMERS, Eschyle dans le Christus Patiens, in Lexis. Poetica, retorica e comunicazione nella tradizione classica 28 (2010), pp. 173-184. 10 Voir SOMERS, Collections complètes cit., respectivement pp. 522-529, 542-549, 328-337, 667-677, 490-497 et passim. L’article récent d’I. HUTTER, Patmos 33 im Kontext, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 46 (2009), pp. 73-126 donne une synthèse (avec bibliographie) sur divers aspects du Patm. 33, et notamment ses rapports avec d’autres témoins 11 Édition dans V. SOMERS, Quelques poèmes en l’honneur de S. Grégoire de Nazianze : édition critique, traduction et commentaire, in Byzantion 69 (1999), pp. 528-564. C. M. MAZZUCCHI, Per la storia medievale dei codici B e Q, del Demostene Par. Gr. 2934, del Dione Cassio Vat. Gr. 1288 e dell’Ilias Picta Ambrosiana, in A. BRAVO GARCÍA – I. PÉREZ MARTÍN, with the assistance of J. SIGNES CODOÑER (ed.), The Legacy of Bernard de Montfaucon : Three Hundred Years of Studies on Greek Handwriting. Proceedings of the Seventh International Colloquium of Greek Palaeography (Madrid-Salamanca, 15-20 September 2008), Turnhout 2010 (Bibliologia, 31A-B), pp. 133-141 (745-749 pour les illustrations) propose d’identifier cet Eustratios avec
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
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des Discours des cinq témoins12, de signes héliaques numérotés (ces signes figurent dans bon nombre d’autres témoins, mais sans numéro) ; la mise en ordre de leur séquence permet de reconstituer une acolouthie des Discours, incomplète, mais différente de celles conservées dans les manuscrits13. – Le Messan. San Salv. 32 est un exemplaire de la collection liturgique des seize Discours lus à dates fixes. – Quant aux ff. 118-219 du Vat. Gr. 1992, ils contiennent huit des Discours liturgiques, accompagnés des commentaires de Basile le Minime14. R. Devreesse précisait qu’il préférait se montrer peut-être trop prudent plutôt que de tomber dans les mêmes erreurs que P. Batiffol ; et il est clair que, depuis la publication de son ouvrage, du chemin a été parcouru en matière d’attribution de manuscrits grecs à l’Italie méridionale. Limitons-nous à mentionner, par exemple, les travaux de S. Lucà sur l’école nilienne, car ils se sont révélés d’une grande utilité dans l’étude des collections complètes des Discours. Il y en aurait beaucoup d’autres à relever, mais tel n’est pas notre propos. Recentrons-nous à présent sur les manuscrits de Terre d’Otrante. Le chercheur peut désormais s’appuyer sur le remarquable ouvrage que D. Arnesano a consacré à la minuscule « baroque » de cette région15. Ici, la « récolte nazianzène » s’avère un peu plus riche que le seul « Christus Patiens » de R. Devreesse, puisqu’on y dénombre quatre témoins :
Vat. Ottob. Gr. 312
– Psellos – Carmina moralia
Vat. Gr. 2252
Carmina moralia
Vienne, ÖNB, Suppl. Gr. 37
XVI + Commentaires
Rome, Vallic. C 34 III + Vat. Gr. 1273 + Vat. Gr. 1912, ff. 10a-30, 31a
XVI + Commentaires
un scriniarius dont la mémoire était célébrée dans un lieu de culte près de Reggio di Calabria, d’après la Vita d’Élie le Spéléote (pp. 139-140, surtout notes 24-26). 12 Et de quelques autres : voir SOMERS, Collections complètes cit., pp. 114-120. 13 Cfr. SOMERS, Collections complètes cit., pp. 114-120. 14 Voir MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, pp. 124-125, et la correction dans Mossay, Corrigenda cit., p. 352. 15 D. ARNESANO, Barocca cit.
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VÉRONIQUE SOMERS
– La copie de l’Ottob. Gr. 312 se situe au début du XIVe s. 16 (Arnesano, Barocca cit., [13]). – Le Vat. Gr. 2252 a été également copié au début du XIVe s.17 (Arnesano, Barocca cit., [35]). – Le manuscrit de Vienne, ÖNB, Suppl. Gr. 37 contient une collection des seize Discours liturgiques, accompagnés des commentaires de Nicétas d’Héraclée (ou de Serrès)18 ; ce manuscrit a été copié en 1264/5, par Nicolas de Gallipoli (Arnesano, Barocca cit., [174]). – Un autre témoin de collection liturgique avec les commentaires de Nicétas, copié dans la deuxième moitié du XIIIe s. sur palimpseste, est reconstitué (en partie) par le regroupement de trois manuscrits : Rome, Vallic. C 34 III19 + Vat. Gr. 1273 + Vat. Gr. 1912, ff. 10a-30, 31a. La couche supérieure du manuscrit a été reconstruite par P. Canart et J. Mossay, mais le rapport avec le Vallicellianus a été établi plus tard20 ; nous reviendrons plus loin sur cette reconstitution. À ces témoins, il convient d’en ajouter quelques-uns, qui ne sont pas répertoriés comme Grégoire de Nazianze dans l’ouvrage de D. Arnesano, mais qui contiennent un peu de texte grégorien, d’une façon ou d’une autre : 16 Le catalogue de E. FERON – F. BATTAGLINI (rec.), Codices manuscripti graeci ottoboniani Bibliothecae Vaticanae, Romae 1903, p. 167, situe la copie de ce témoin au XVe s., et précise qu’on y trouve, aux ff. 42-70, les commentaires de Nicétas David aux tétrastiques du Théologien. 17 D’après le catalogue de S. LILLA (rec.), Codices Vaticani Graeci. Codices 21622254 (Codices Columnenses), Vatican 1985, pp. 427-428, les « sententiae tetrastichae » du Théologien y sont accompagnées d’un commentaire non identifié, mais qui ne serait pas celui de Nicétas de Thessalonique (ou David). Il est difficile de confirmer, à la seule lecture des catalogues, s’il s’agit bien de commentaires différents. 18 MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 2, pp. 135-136. La souscription est éditée (diplomatiquement) par E. Sciarra, dans D. ARNESANO – E. SCIARRA, L’attività del copista Nicola di Gallipoli e la tradizione manoscritta dell’Iliade in Terra d’Otranto, in Segno e Testo 1 (2003), pp. 257-307 (p. 258). 19 Le Vallicell. C 34, conglomérat de feuillets de provenances diverses, est actuellement divisé en quatre unités, qui ne correspondent pas à l’ancienne description de E. MARTINI, Catalogo di manoscritti greci esistenti nelle biblioteche italiane, Milan, 1893-1902 (réimpr. 1967), vol. II, pp. 61-66 (sub n° 36) ; l’actuelle section III (ff. 1-8v) répond à l’ancienne section VIII (ff. 466-473v) : cfr. S. LUCÀ, dans P. CANART – S. LUCÀ (a cura di), Codici greci dell’Italia meridionale (Grottaferrata, Biblioteca del Monumento Nazionale, 31 marzo-21 maggio 2000), Roma 2000, p. 40. La datation ne fait pas l’unanimité (cfr. Annexe ci-dessous, p. 39). 20 Aussi m’a-t-il échappé dans le relevé des palimpsestes des Discours grégoriens : V. SOMERS, Les palimpsestes de Grégoire de Nazianze. Heuristique, in V. SOMERS (ed.), Palimpsestes et éditions de textes : les textes littéraires. Actes du colloque tenu à Louvain-la-Neuve (septembre 2003), Louvain-la-Neuve 2009 (Publications de l’Institut orientaliste de Louvain, 56), pp. 5369 (n° 12, p. 61).
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
Laur. Plut. V.10
- Or. 25 (ff. 129v-137, § 13-19) - In Ezech. (ff. 229v-230v)
Laur. Plut. V.36
- Or. 29 (ff. 134-135, § 19-20)
Wroclaw, Rehdig. Gr. 26
– sup. : Iliade – inf. : Or. 38 et 39
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– Le Laur. Plut. V.10 contient un miscellanée de textes poétiques, copiés au début du XIVe s., sur palimpseste, par divers copistes (Arnesano, Barocca cit., [46]). J. Mossay21 y a déterminé plusieurs parties, et repéré quelques fragments d’Orationes de Grégoire ; ils sont dûs à des mains différentes22. – Le Laur. Plut. V.36 contient les Tria syntagmata de Nicolas d’Otrante, copiés au début du XIVe s. par le copiste « anonimo 9 » de D. Arnesano23 (Arnesano, Barocca cit., [47]). J. Mossay y a repéré un fragment de l’un des cinq Discours théologiques grégoriens24. – Le Wroclaw, Rehdig. Gr. 26 est un exemplaire de l’Iliade copié dans la deuxième moitié du XIIIe s., palimpseste, avec quelques opuscules relatifs à la métrique ou à d’autres aspects de cette œuvre (Arnesano, Barocca cit., [177]). Cette couche du manuscrit a été magistralement décrite par E. Sciarra25. Mais, ce qui nous intéresse ici, c’est la couche inférieure : le parchemin a, en effet, été récupéré de plusieurs recueils hagiographico-homilétiques, semble-t-il, où l’on repère des fragments de deux pièces grégoriennes : les Or. 38 (Nativité) et 39 (Épiphanie)26. Et, enfin, deux manuscrits ne sont pas repris dans le répertoire de D. Arnesano, mais figurent dans l’article sur l’écriture otrantaise d’A. Jacob, qui en était un précurseur, en quelque sorte27. Madrid, BN, 4649 (olim N 93)
Christus Patiens
Paris. Gr. 549
XVI + Commentaires
Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 113. Selon la répartition des mains figurant dans ARNESANO, Barocca cit., (p. 87), l’Or. 25 a été copiée par le Copiste A, et la Significatio in Ezechielem par le Copiste B. 23 On doit encore à ce copiste le Laur. Plut. 32.20, ff. 3-82 (Alexandra, de Lycophron) (ARNESANO, Barocca cit., [50]) et le manuscrit E M 6 de Karlsruhe (Liturgies de Jean Chrysostome et de Basile) (ARNESANO, Barocca cit., [90]). 24 Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 114. 25 E. SCIARRA, La tradizione degli scholia iliadici in Terra d’Otranto, Roma, 2005 (Bollettino dei classici. Supplementi, 23), pp. 44-50. 26 Cfr. SOMERS, Palimpsestes cit., n° 17 ; MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 3, pp. 207-208. 27 A. JACOB, Les écritures de Terre d’Otrante, in La paléographie grecque et byzantine, Paris, 1977, p. 269-281 (= JACOB, Terre d’Otrante). 21 22
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24
VÉRONIQUE SOMERS
– Le Madrid, BN, 4649 (olim N 93) est plus tardif que la période considérée dans la « Minuscola Barocca », et n’est autre que le « Christus Patiens » repéré plus haut, copié en 1496 par Joachim de Casole à Messine sur la demande de Constantin Lascaris28. – Le Paris. Gr. 549, en revanche, serait davantage susceptible d’entrer dans la tranche chronologique considérée : A. Jacob indique la date de 1279/80, d’après une souscription qui se trouve au f. 169r29 ; J. Mossay considère que cette souscription ne correspond pas à l’écriture du corps du codex, qu’il date du XIIIe-XIVe s.30 ; et, dans un article postérieur à la première mention qu’il en faisait, A. Jacob parle de deux mains « qui peuvent être datées de la première moitié du XIIIe siècle »31. Le XIIIe siècle semble bien correspondre à la copie de la collection liturgique grégorienne mutilée, avec les commentaires de Nicétas, que contient le témoin ; mais des notes diverses semblent nous mener jusque dans la première moitié du XIVe siècle. D. Arnesano ne cite le manuscrit que dans une note, pour indiquer qu’il présente certaines gloses en langue dialectale, mais écrites en alphabet grec32. Quoi qu’il en soit, nous pouvons considérer qu’il s’agit au moins d’un Grégoire de Nazianze qui a circulé en Terre d’Otrante, ne fût-ce qu’en raison des notes et de l’inventaire de bibliothèque figurant au f. 169v ; j’y reviendrai plus loin. En résumé, donc, qu’avons-nous récolté ? – deux recueils de Carmina, avec commentaires (Ottob. Gr. 312 ; Vat. Gr. 2252) – le « Christus patiens » (Madrid, BN, 4649 – olim N 93) – des fragments de Discours au milieu de « florilèges » au sens large (Laur. V.10 ; Laur. V.36) – un recueil hagiographico-homilétique (Wroclaw, Rehdig., gr. 26, en couche inférieure) – mais surtout : trois collections liturgiques (au moins partielles), munies des commentaires de Nicétas de Serrès (Vienne, Suppl. Gr. 37 ; Paris. Gr. 549 ; Rome, Vallicell. C 34 III + Vat. Gr. 1273 + Vat. Gr. 1912). Nous nous contenterons de prendre acte des recueils de Carmina, des « florilèges », et du « Christus Patiens », et nous concentrerons sur les témoins des Discours. Auparavant, il faut nous arrêter sur une catégorie particulière de manuscrits. Le recueil hagiographico-homilétique de Wroclaw 28 JACOB, Terre d’Otrante cit., p. 280 et nt. 82 (cfr. J. IRIARTE, Regiae Bibliothecae Matritensis codices graeci mss., I, Madrid, 1769, p. 368). 29 JACOB, Terre d’Otrante cit., p. 281. 30 Mossay, Repertorium Nazianzenum cit., I, pp. 59-60. 31 A. JACOB, Une bibliothèque médiévale de Terre d’Otrante (Parisinus Gr. 549), dans Rivista di studi bizantini e neoellenici 22-23 (1985-1986), pp. 285-315. 32 ARNESANO, Barocca cit., p. 70 nt. 643.
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
25
nous introduit, en effet, dans le monde des palimpsestes. Le recensement des manuscrits grecs regrattés, auquel a donné lieu le projet « Rinascimento Virtuale », il y a une dizaine d’années, a mis en évidence une tendance des XIIIe et XIVe s. à réutiliser des codex « périmés » pour diverses raisons, afin de copier de nouveaux livres. Cette tendance n’est pas propre à la Terre d’Otrante, puisque le scriptorium d’un monastère constantinopolitain, Saint-Jean Prodrome, de Petra, a été particulièrement épinglé à cette occasion, en raison de l’activité de recycleur qu’y déploya Georges Baïophoros dans la première moitié du XVe siècle33. L’écriture récente du cod. 26 de Wroclaw montre qu’il a bien été réutilisé en Terre d’Otrante ; mais que peut-on dire de l’origine des feuillets récupérés ? L’écriture ne semble pas particulièrement révélatrice d’une région spécifique ; A. Ehrhard la date du Xe siècle34. Quant au contenu, le même A. Ehrhard35 estime que, à première vue, le fragment de recueil sur lequel se trouvent les deux Discours grégoriens constitue un des témoins les plus anciens du « type C des panégyriques annuels » ; le fragment débute par l’Or. 38, mais il n’y a pas d’indication codicologique que ce texte était en tête du manuscrit récupéré ; les deux pièces grégoriennes sont séparées par des fragments d’autres auteurs36. 33 Cfr. J. GRUSKOVÁ, Untersuchungen zu den griechischen Palimpsesten der Österreichischen Nationalbibliothek. Codices historici, Codices philosophici et philologici, Codices iuridici, Wien 2010 (Österreichische Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse. Denkschriften, 401. Veröffentlichungen zur Byzanzforschung, 20), pp. 18-19 nt. 17, et les pages relatives au Phil. gr. 286 (pp. 103-129, avec bibliographie). 34 A. EHRHARD, Überlieferung und Bestand der hagiographischen und homiletischen Literatur der griechischen Kirche, von den Anfängen bis zum Ende des 16. Jahrhunderts, Erste Teil. Die Überlieferung (3 vol.), Leipzig 1937-1952, II, p. 65 nt. 1. 35 Cfr. EHRHARD, Überlieferung und Bestand cit., II, p. 65 nt. 1. 36 L’examen sur pièce a permis de relever la présence (fragmentaire) des pièces suivantes dans la couche ancienne: Jean Chrysostome, In principium ieiunii (CPG 4562); Éphrem le Syrien, In pulcherrimum Ioseph (CPG 3938); Joseph et Aséneth; Grégoire de Nazianze, Or. 38; Basile, In Christi generationem (CPG 2913); Jean Chrysostome (dub.), De occursu Domini de Deiparae et Symeone (CPG 4523); Jean Chrysostome, In parabolam de filio prodigo (CPG 5477); Ephrem le Syrien, De communi resurrectione (CPG 3945); Jean Chrysostome, De Lazaro (CPG 4329); Grégoire de Nazianze, Or. 39; Basile, In sanctum baptisma (CPG 2857); André de Crète, In Lazarum quatriduum (CPG 8177); Jean Chrysostome, In quadriduanum Lazarum (CPG 4322); Jean Chrysostome, In ramos palmarum (CPG 4602); Sévérien de Gabala, De serpente (CPG 4196?); Jean Chrysostome, In Petrum apostolum et in Heliam prophetam (CPG 4513); Jean Chrysostome, In Genesim (CPG 4410); Jean Chrysostome, In titulum psalmi quinquagesimi (CPG 4544); Jean Chrysostome, In Epistulam ad Hebraeos (CPG 4440); Jean Chrysostome, In baptisma et tentationem; Martyre de Théodore; Jean Chrysostome, homélie non reconnue; Jean Chrysostome (spur.), In lacum Genesareth (CPG 4704). Sur la disposition des feuillets, voir la notice de Stanjek dans Catalogus codicum graecorum qui in Bibliotheca Vrbica Vratislaviensi adservantur, Vratislava (Wroclaw), 1889, pp. 22-28.
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26
VÉRONIQUE SOMERS
Des autres manuscrits de Grégoire répertoriés comme palimpsestes, à savoir le Paris. Gr. 549 et ce que j’appellerai, par facilité, la « collection romaine » (Vallicell. C 34 III + Vat. Gr. 1273 + Vat. Gr. 1912), le premier ne semble avoir au mieux que quelques feuillets palimpsestes ; ou alors, le regrattage a été si minutieusement effectué qu’il en est devenu indétectable à l’œil nu37. Quant au second témoin, P. Canart a reconnu au sommet du f. 21 du Vat. Gr. 1912, en couche inférieure, un fragment de l’Or. 39 ; selon lui, le matériau remployé pour les ff. 18-23 et 31a du Vat. Gr. 1912 a été récupéré d’un codex d’Italie méridionale du Xe-XIe s. Quel type de codex ? Une collection grégorienne ou un recueil hagiographico-homilétique ? Les autres feuillets récupérés proviennent de deux manuscrits : on ne peut rien dire de l’un, tant ses feuillets ont été soigneusement effacés ; quant à l’autre, il s’agit d’un euchologe, dont l’écriture incite P. Canart à l’attribuer à la Terre d’Otrante, au XIIe-XIIIe ou bien au XIIIe s.38 Passons à présent aux collections de Discours. Il n’y a pas de collections complètes, comme celles qui figuraient dans l’inventaire de R. Devreesse39. Mais, à dire vrai, après le XIIe siècle, il est devenu rare d’en trouver ; parmi le matériel conservé, on les compte sur les doigts d’une main40 : Paris. Gr. 524
XIIIe s. ; 51 pièces N + Vita
Athos, Vatopédi 105
AD 1326 ; 52 pièces N + Vita + Histoires
Laur. VII.12
XVe s. ; 53 pièces N + Vita + Histoires
Messine, Bibl. Univ., F.V. 20
XVIe s. ; 22 pièces X
Munich, Bayer. Gr. 154
XVIe s. ; 9 pièces X
D’une façon générale, au niveau de la tradition manuscrite des Discours du Théologien, la charnière des XIe-XIIe siècles marque un renversement dans les habitudes : la copie des collections complètes se voit progressivement supplantée par celle des collections partielles, et essentiellement des collections liturgiques de « seize Discours lus-à-dates fixes ». Comme 37 C’est ce qui ressort d’un examen sur pièce. Par contre, quelques feuillets sont de si médiocre qualité qu’une seule des deux faces a reçu les Discours grégoriens : l’écriture est tellement visible au revers que le copiste a manifestement préféré s’abstenir d’écrire dessus. 38 P. CANART (rec.), Codices Vaticani Graeci. Codices 1745-1962, Città del Vaticano 1970, pp. 651-664. 39 Cfr. ci-dessus, p. 19. 40 Voir SOMERS, Collections complètes cit., respectivement pp. 410-414, 473-477, 531541, 554-556, 322-323. Malgré le nombre limité de pièces qu’elle transmet, la collection munichoise a été classée parmi les collections complètes parce qu’elle atteste des pièces lues et des pièces non lues, sans rapport avec la collection liturgique.
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
27
leur nom l’indique, ces collections avaient une utilité pratique : il s’agit d’une sélection de seize Logoi du Théologien qu’on lisait à des occasions liturgiques précises dans les monastères, généralement lors de l’office de l’orthros ; on trouve des témoignages de ces lectures dans deux Typica : celui du Saint-Sauveur à Messine, rédigé en 1131, et celui de la Théotokos Évergétis à Constantinople, qui remonte à 1055. D’après ces deux témoins, il est possible de se faire une idée des occasions auxquelles ces Discours étaient lus41 : Discours
Sujet
Jours de lecture
Or. 1
Pâques I
Pâques
Or. 38
Nativité
25 décembre
Or. 39
Épiphanie
6 janvier
Or. 41
Pentecôte
Pentecôte
Or. 44
Nouveau Dimanche
– Dimanche après Pâques – Dimanche et lundi après Pâques
Or. 45
Pâques II
– Dimanche de Pâques – Lundi de Pâques
Or. 11
Grégoire de Nysse
10 janvier
Or. 15
Maccabées
1er août
Or. 21
Athanase
18 janvier (ou 2 mai)
Or. 24
Cyprien
– 2 octobre – absent
Or. 43
Basile
1er janvier
Or. 14
Amour des pauvres
– 2 février – Lundi et mardi suivant l’Apokréôs
Or. 16
Fléau de la grêle
– Dimanche du Tyrophagou – absent
Or. 19
Julien et les comptes
24 décembre
Or. 40
Baptême
– 7 janvier – 7 et 8 janvier
Or. 42
Adieu
25 janvier
41 Voir V. SOMERS-AUWERS, Les collections byzantines de XVI Discours de Grégoire de Nazianze, dans Byzantinische Zeitschrift 95 (2002), pp. 102-135, où les deux Typica sont présentés.
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28
VÉRONIQUE SOMERS
Pour certains de ces Logoi, c’est évident : l’occasion commandait le sujet. Ainsi, des Or. 1, 38, 39, 41. Pour d’autres, par contre, la situation est un peu plus complexe. Par exemple, l’Or. 44, « pour le Nouveau Dimanche », c’est-à-dire le dimanche suivant Pâques, se lisait bien ce dimanche-là à l’Évergétis, mais était partagée entre ce jour et le lendemain au Saint-Sauveur. De même, l’Or. 45, deuxième Discours sur Pâques, était lue le jour de Pâques au Saint-Sauveur, mais le lundi de Pâques à l’Évergétis. D’autres Discours étaient lus à l’occasion de la fête des saints en l’honneur de qui ils ont été rédigés : l’Or. 11, « en l’honneur de Grégoire de Nysse, frère de Basile le Grand », était lue le 10 janvier, jour de sa fête ; l’Or. 15, « en l’honneur des Maccabées », était lue le 1er août, jour où l’on célébrait ces martyrs de l’Ancien Testament ; l’Or. 21, « en l’honneur d’Athanase », était lue le jour de la fête de ce saint, le 18 janvier (il faut toutefois noter que cette fête, et donc cette lecture, sont aussi souvent attestées le 2 mai) ; l’Or. 24, « en l’honneur de Cyprien », était lue le jour de sa fête, le 2 octobre (Évergétis), mais elle n’est pas mentionnée dans le Typicon du Saint-Sauveur de Messine ; l’Or. 43, « en l’honneur de Basile le Grand », était lue le 1er janvier, jour de la fête de ce saint ; mais, dans le Typicon de l’Évergétis, il est précisé que la lecture doit se faire si ce jour est un dimanche. Enfin, il reste quelques Discours, pour lesquels l’occasion s’explique, mais ne se commandait pas nécessairement : l’Or. 14, « pour l’amour des pauvres », était lue soit le 2 février (Évergétis), soit en deux parties, le lundi et le mardi suivant l’Apokréos (Saint-Sauveur) ; l’Or. 16, qui a trait aux troubles provoqués dans la communauté de Nazianze à l’occasion de l’anéantissement des récoltes suite à une chute de grêlons, était lue le mercredi suivant le dimanche du Tyrophagou à l’Évergétis, mais n’est pas mentionnée dans le Typicon du Saint-Sauveur. L’Or. 19 a été adressée à un ancien condisciple de Grégoire devenu haut-fonctionnaire des finances, et ce lors de son passage à Nazianze dans l’exercice de ses fonctions ; pour cette raison, à cause du recensement impliqué, elle était lue la veille de Noël. L’Or. 40, sur le Baptême, était lue le 7 janvier au Saint-Sauveur, mais répartie sur les 7 et 8 janvier à l’Évergétis. L’Or. 42, enfin, qui traduit les adieux de Grégoire à la Capitale après le Concile de 381, était lue le 25 janvier, jour de la fête du Théologien. Les usages, donc, étaient parfois quelque peu différents ; de ce point de vue, il est intéressant qu’un des deux Typica conservés reflète les usages de la Capitale, tandis que l’autre est sicilien ; les dates de lecture qu’ils donnent sont en gros confirmées par les indications qui figurent (de première main ou non, suivant les cas) dans les marges de certaines collections liturgiques.
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
29
Les pièces viennent d’être examinées dans un ordre pratique pour mon exposé, mais elles se présentent dans les témoins selon l’ordre de l’année liturgique. La version la plus courante donne d’abord les fêtes liées au cycle pascal, puis les fêtes fixes : Or. 1-45-44-41-15-24-19-38-43-39-40-11-21-4214-16, avec de temps en temps une variante ; on trouve aussi une version qui commence par la fête de Noël, mais dont l’ordre ne diffère guère quant au reste : Or. 38-43-39-40-11-21-42-14-16-1-45-44-41-15-24-19 ; cette deuxième version est beaucoup plus rarement attestée, et présente davantage de variété dans l’ordre des pièces qui sont « hors-cycle »42. Cette variété est sans doute liée à des questions de calendrier suivi, mais cela importe peu pour notre propos. Ce qui est intéressant, c’est d’examiner les collections liturgiques présentées comme otrantaises dans la documentation rassemblée, afin de voir où elles se situent dans ce réseau. Analysons, donc, leurs acolouthies respectives. 1. Vienne, ÖNB, Suppl. Gr. 3743 I + 260 ff. L’actuel feuillet 1 du Vienne, Suppl. Gr. 37 a été mal replacé, sans doute lors d’une opération de reliure : il devrait occuper la dernière place ; la souscription qui s’y trouve indique que le manuscrit a été copié à Gallipoli en 1264/544 Ce manuscrit est aujourd’hui acéphale. Les pièces se présentent dans l’ordre : Or. 1 (acéph.)-45-44-41-15-24-19-38-43-39-40-11-21-42-14-16 ; les seize pièces y figurent donc, et dans l’acolouthie la plus fréquente. Je n’ai pas remarqué d’indication de lecture. 2. Paris. Gr. 54945 Le Paris. Gr. 549 (169 ff.) est également acéphale, et la première page est très difficilement lisible. Les particularités de ce témoin invitent à commenter un tableau résumant la manière dont les pièces s’y présentent : Voir SOMERS-AUWERS, Collections byzantines cit. Les éléments de description qui sont ici donnés sont le fruit d’un examen sur microfilm, et ont été sélectionnés en fonction des besoins de l’exposé. Pour d’autres données (mesures, nombre de folios, pages occupées par chaque Discours, etc.), se reporter aux catalogues et à la bibliographie renseignée dans MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 2, pp. 135-136 et dans ARNESANO, Barocca cit., p. 121. 44 Le catalogue de H. HUNGER – C. HANNICK, Katalog der griechischen Handschriften der Österreichischen Nationalbibliothek. Teil 4. Supplementum graecum, Wien 1994, pp. 69-73 ne donne pas l’édition de ce colophon, mais en décrit l’aspect et le contenu (p. 72). Le colophon est édité par E. Sciarra, dans ARNESANO – SCIARRA, L’attività del copista cit., pp. 257-307 (258-261). 45 Les éléments de description qui sont ici donnés sont le fruit d’un examen sur pièce, et ont été sélectionnés en fonction des besoins de l’exposé. Pour d’autres données (mesures, nombre de folios, pages occupées par chaque Discours, etc.), se reporter aux catalogues et à la bibliographie renseignée dans MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 1, pp. 59-60 et JACOB, Bibliothèque cit. 42 43
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30
VÉRONIQUE SOMERS
Place
n° d’ordre
Discours
ff. occupés
cahiers signés
1
Or. 1 (perdue)
-
-
-
2
Or. 45 (acéph.)
-
1r-25v
-
3
Or. 44
ȜંȖȠȢ Ȗ´
25v-34v
-
4
Or. 41
ȜંȖȠȢį
34v-50r
-
5
Or. 15
-
50v-61v
-
6
Or. 19
ȜંȖȠȢȗ
62r-73r
f. 70r : Țȕ
7
Or. 38
ȜંȖȠȢȘ
73r-87v
f. 78r : ȚȖ f. 86r : Țį
8
Or. 39
ȜંȖȠȢȚ
88r-90v46
f. 88r : țĮ
9
Or. 43
-
92r-135r
f. 92r : Țİ f. 100r : ȚȢ f. 108r : Țȗ f. 116r : ȚȘ f. 122r : Țș f. 129r : ț
10
Or. 39
ȜંȖȠȢȚ
135v-148r
f. 137r : ț f. 145r : țȖ´
11
Or. 40
-
148v-166v
-
12
Or. 11
-
166v-169r
-
46
La série est clairement perturbée : l’Or. 1 peut être restituée au début de la série grâce au numéro d’ordre du premier Discours conservé entier (Or. 44). Par contre, l’absence de titre conservé, et de numéro d’ordre, à l’Or. 15, empêche d’affirmer avec certitude si une pièce (l’Or. 24) est perdue avant ou après elle ; toutefois, l’hypothèse d’une perte de feuillets entre la fin de l’Or. 15 et le début de l’Or. 19 paraît cadrer codicologiquement, et la présence de l’Or. 24 entre les deux correspond à l’acolouthie la plus fréquente de la collection. La plus grande curiosité a trait à l’Or. 39 : le début est présent une première fois après l’Or. 38, mais les numéros d’ordre des pièces montrent bien qu’il manque un Discours entre les deux (l’Or. 43). Cet état de choses est confirmé par la numérotation des cahiers : si l’on retire ce cahier ǣǚ´, composé de quatre feuillets, on s’aperçoit que la série se poursuit normalement. L’aspect de ces feuillets n’est pas vraiment différent des autres : l’encre et l’écriture me semblent très proches, ainsi que l’initiale fleuronnée et les décorations qui se répondent de chaque côté du titre. À la diffé46
Le f. 91r-v ne présente que quelques dessins et vers.
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31
GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
rence, toutefois, de ce qu’on observe pour les autres Discours, il n’y a ici pas une once de couleur ; ailleurs, les initiales (majeures et mineures) sont soit surlignées, soit repassées, soit tracées à l’encre rouge. Le même Logos est, en revanche, présent une seconde fois, en entier. La formulation du titre est rigoureusement identique aux ff. 88r et 135v (ȜંȖȠȢįİțĮIJઁȢİੁȢIJ ਚȖȚĮijIJĮ). L’écriture est, dans la seconde occurrence, plus petite que dans les feuillets précédents, et moins facile à déchiffrer ; peut-être en raison d’une médiocrité plus grande du parchemin. Le commentaire commence, en tout cas, dans les deux cas, par le même argument. La suite semble suivre l’acolouthie habituelle, jusqu’à l’Or. 11 incluse, indépendamment du changement de main (à partir du f. 148v)47. L’absence des quatre dernières pièces que l’on retrouve habituellement dans la collection peut être intentionnelle, ou accidentelle. Je ne vois pour ma part pas de raison spécifique expliquant une telle intention, en dehors de l’hypothèse d’un modèle tronqué ; mais, par ailleurs, le dernier Discours conservé se termine au recto d’un feuillet ; le verso de ce feuillet est resté vierge, à l’exception de quelques notes postérieures et d’un inventaire de bibliothèque, sur lequel nous reviendrons. Dans ce témoin non plus, je n’ai pas remarqué d’indications de jours de lecture. 3. Rome, Vallicell. C 34 III + Vat. Gr. 1273 + Vat. Gr. 191248 Le « conglomérat romain » de fragments (91 ff. ?) présente, dans l’écriture la plus récente, une acolouthie qui peut se reconstituer comme suit, d’après P. Canart et J. Mossay: Mss
feuillets
Discours
état
Vallicell. C 34 III
ff. 1-8v
45 + comm. (§ 1-7)
partim lacune (§8-10)
Vat. Gr. 1273
ff. 18-25v, 2-17v, 26-32
45 + comm. (§ 11-fin)
partim
Cfr. JACOB, Bibliothèque cit., p. 286. Mon examen personnel de ce témoin a malheureusement dû se limiter aux feuillets du Vat. Gr. 1912, le Centre d’Etudes Grégoire de Nazianze, à l’Université catholique de Louvain (Louvain-la-Neuve, Belgique), ne possédant pas de microfilm des deux autres parties. J’ai donc dû m’appuyer sur les indications de CANART, Codices Vaticani cit., pp. 651-664 et de MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, pp. 92, 120-121 (pour les Vaticani) et 6, p. 217 (pour le Vallicellianus), auxquels je renvoie pour les détails non pris en compte ici. Voir aussi ARNESANO, Barocca cit., pp. 80, 82, 117. 47 48
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32
VÉRONIQUE SOMERS
Vat. Gr. 1273
ff. 32-33v
41 + comm. (§ 1-2)
Vat. Gr. 1912
ff. 10bis-17v
44 + comm.
entier ?
Vat. Gr. 1273
ff. 50-57v
39 + comm. (acéph.)
entier ?
Vat. Gr. 1273
ff. 48-49v, 58-63v
40 + comm.
partim
Vat. Gr. 1912
ff. 31bisr-v, 18-23v
40 + comm.
partim
partim
lacune (§ 17-25) Vat. Gr. 1273
ff. 34-47v
40 + comm.
partim
Vat. Gr. 1912
ff. 27-30, 24r-v
40 + comm.
partim
Vat. Gr. 1912
ff. 25-26v
14 (jusq. § 5)
partim
La reconstruction de l’acolouthie est rendue plus complexe du fait de l’état très fragmentaire de conservation de l’ensemble. Il n’est sans doute pas exclu (il est en tout cas à espérer) que d’autres feuillets du même témoin puissent être identifiés ; mais, pour l’instant, force est de constater une anomalie dans la séquence 41-44 ; d’habitude, c’est l’Or. 44 qui se présente en premier lieu, quel que soit le type de collection liturgique49. Ensuite, dans l’hypothèse où il s’agit bien d’une collection liturgique, nous devons postuler des feuillets perdus après l’Or. 44, en assez grand nombre pour contenir les Or. 15-24-19-38-43 ; il faut supposer une autre lacune importante après l’Or. 40, pour les Or. 11-21-42, et une troisième avec la majeure partie de l’Or. 14 et l’Or. 16. Dans l’hypothèse, bien sûr, où la collection était prévue complète, et conforme à sa version la plus répandue. Cela fait beaucoup de suppositions, et il serait sans doute plus sage de ne pas trop compter sur ce témoin pour établir une quelconque théorie. Il serait peut-être temps de nous tourner vers ce Coisl. 55, que R. Devreesse mentionnait en note dans son répertoire de manuscrits italiotes, sans aucune précision. Il s’agit, ici aussi, d’une collection liturgique truffée des commentaires de Nicétas (424 ff.). Dans son catalogue du Fonds Coislin, R. Devreesse l’attribue au XIIIe s. et à l’Italie Méridionale, sans autre précision50. S’agit-il ou non d’un manuscrit salentin ? Les rares décorations semblent cadrer assez bien avec celles de manuscrits Otrantais (Vienne, Suppl. Gr. 37, par ex.) ; l’écriture demanderait un examen plus détaillé ; on peut dire que certaines des caractéristiques signalées par D. Arnesano semblent rencontrées, mais ce n’est pas suffisant pour conclure à une origine salentine51. Voir SOMERS-AUWERS, Collections byzantines cit. R. DEVREESSE, Italie méridionale cit., p. 57 nt. 2; ID., Catalogue des manuscrits grecs. II. Le Fonds Coislin (Bibliothèque Nationale, Département des manuscrits), Paris 1945, p. 51. 51 Cfr. courrier de D. Arnesano, du 6 juin 2013 : « Per quanto riguarda il ms Coislin, ti confermo che per me la scrittura non è salentina, forse nemmeno italo-greca (ciò, 49 50
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
33
Contentons-nous, donc, pour l’instant, d’examiner le contenu52. Place
Discours
n° d’ordre
ff. occupés
1
1 (peu lisible)
(?)
1-10
2
45
įİIJİȡȠȢ
10-68v
3
44
IJȡIJȠȢ
69-86
4
41
IJIJĮȡIJȠȢ
86-114
5
15
ʌȝʌIJȠȢ
114-132
6
24
ਪțIJȠȢ
132-148
7
19
ਪȕįȠȝȠȢ
148v-165
8
38
ȖįȠȠȢ
165-188
9
43 (atél.)
Ȟ>Ȟ@ĮIJȠȢ
188-249v
10
39 (acéph.)
(perdu)
250-272
11
40
ਦȞįțĮIJȠȢ
272-316v
12
11
įȦįțĮIJȠȢ
316v-324
13
21
ȚȖ
324-350 350-375
14
42
Țį
15
14
ʌȞIJİțĮįțĮIJȠȢ
375-403
16
16
ਨȟțĮįțĮIJȠȢ
403-424v
Les seize pièces sont présentes, et selon l’acolouthie la plus répandue. Curieusement, toutefois, les cahiers sont numérotés par deux. Par exemple, la fin du premier cahier est signée dans le coin inférieur intérieur du f. 8v [Į], et le début du deuxième cahier est signé dans le coin correspondant du f. 9r [ȕ] ; la fin du troisième cahier est signée dans le coin inf. intérieur du f. 24v [Ȗ], et dans le coin correspondant du f. 25r, est signé le début du quatrième cahier [į], etc. ; il y a 54 cahiers ainsi numérotés. Des deux indications de lecture observées (d’une main postérieure), celle de l’Or. 19 atteste un usage différent de celui des deux typica mentionnés ci-dessus : – Pour l’Or. 19 (f. 148v, mg sup.) : IJોțȣȡȚĮțો ʌȡઁIJોȢȋȡȚıIJȠ ૨ȖİȞȞıİȦȢ. – Pour l’Or. 43 (f. 188, mg inf.) : IJોʌȡંIJੁĮȞȞȠȣĮȡȠȣ [sic !]. naturalmente, non impedisce che il manoscritto sia stato scritto da una mano di educazione grafica orientale in Italia meridionale). Non so se nel manoscritto ci sono altre mani, ma questa sicuramente non è salentina ». 52 Les éléments de description donnés ici sont le fruit d’un examen sur pièce du témoin, et ont été sélectionnés en fonction des besoins de l’exposé. Pour d’autres détails, voir MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 1, p. 101 et bibliographie.
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34
VÉRONIQUE SOMERS
En cela, le Coisl. 55 se distingue des autres témoins de la collection liturgique examinés ici ; nous avons, en effet, remarqué qu’ils étaient dépourvus d’indications de lecture. Et c’est assez normal, dans la mesure où, manifestement, ils n’étaient pas destinés à l’usage liturgique : le texte grégorien y est divisé en sections de longueur variable, et chaque section est suivie du commentaire de Nicétas de Serrès53 s’y rapportant. La finalité première de ces livres était l’étude. Sans entrer dans la collation détaillée des textes, nous pouvons comparer les arguments qui introduisent les Discours et les commentaires dans ces collections. Il existe deux séries d’arguments qui circulent dans les manuscrits de Nicétas. La première de ces séries a été éditée par J. Sajdak d’après le Paris. Gr. 543 (XIIIe s. ; ff. 1-9v)54 ; elle est désignée ici comme série A, l’autre série comme B. Les deux séries sont éditées par A. Bruni (pp. 209-230)55. En fait, les deux séries sont souvent mélangées dans un même témoin, les arguments aux Or. 1, 19 et 42 relevant alors de la série concurrente56. Sans vouloir tenter d’expliquer ici ce phénomène, je donne le résultat de mes observations à ce sujet dans le tableau suivant (la mention « perdu » désignant l’argument, soit que le Discours est perdu, soit qu’il est acéphale) : Or.
Vienne, Suppl. Gr. 37
Paris. Gr. 549
« Agrégat romain »
Coisl. 55
1
(perdu)
(perdu)
(perdu ?)
BA
45
-
(perdu)
(perdu ?)
A
44
B
B
B
AB
41
nouveau ?
B
?
AB
15
B
B
?
AB
24
B
(perdu)
?
AB
19
A
A
?
BA
38
B
B
?
BA
43
B
-
?
AB
53 Deuxième moitié du XIe s. : les indications sur la biographie de Nicétas ont été rassemblées par B. ROOSEN, The Works of Nicetas Heracleensis (ho) tou Serrôn, dans Byzantion 69 (1999), pp. 119-144. 54 Voir J. SAJDAK, Historia critica cit., pp. 166-174. Le problème des doubles séries n’y est pas clairement posé, mais se laisse entendre des pages qui précèdent. 55 Les textes sont présentés comparativement à leur version slavonne dans A. M. BRUNI, ĬİȠȜંȖȠȢ. I codici slavi antichi delle Orazioni di Gregorio di Nazianzo ed i loro prototipi bizantini, Moscou-Saint Pétersbourg 2004, pp. 192-230 (en russe). Malgré les listes de manuscrits fournies, il n’y a pas d’apparat critique. 56 La question est assez complexe, et fait actuellement l’objet d’un article en préparation.
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35
GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
39
B
B (x 2)
(perdu ?)
AB
40
B
B
?
AB
11
-
-
?
A
21
B
?
?
A
42
A
?
?
BA
14
B
?
B
AB
16
B
?
?
AB
Pour ce qui est comparable (à savoir, les pièces dont le début est conservé), il est clair que, sans correspondre parfaitement, les arguments du Suppl. Gr. 37 viennois et du Paris. Gr. 549 ont été choisis dans la même série. Le Coisl. 55, par contre, présente le plus souvent les deux séries conjointement, ou bien l’argument qui ne figure pas dans les deux autres témoins57. Quelle conclusion peut-on en tirer ? Rien de définitif pour l’instant : l’étude de la circulation des arguments n’est pas encore suffisamment développée. Mais force est de constater que le Coisl. 55 se distingue par plus d’un trait des autres collections examinées (indications de lecture, arguments). Il n’en reste pas moins que ces collections liturgiques, toutes commentées, constituent la catégorie la plus représentée de témoins grégoriens repérés en Terre d’Otrante aux XIIIe-XIVe siècles. Leur usage liturgique est manifestement passé au second plan, au profit d’un développement de l’utilité « scolaire », ou en tout cas d’étude de ces mêmes collections. Cet aspect-là renvoie à l’inventaire de bibliothèque otrantaise qui figure au verso du f. 169 du Paris. Gr. 549, analysé par A. Jacob ; comme il le souligne, cette liste met en relief l’importance, dans cette bibliothèque, des ouvrages à caractère scolaire (grammaire, logique, littérature), particulièrement orientés vers l’apprentissage de la langue58. Le remploi d’un recueil hagiographico-homilétique au profit d’un exemplaire de l’Iliade (Wroclaw, Rehd. gr. 26) ne montre pas autre chose : à cette époque, en Terre d’Otrante, Grégoire intéresse pour le caractère formatif de sa langue, et son étude requiert des explications. On pourrait considérer que la localisation de l’Italie méridionale, éloignée du centre de l’Empire, et le caractère progressivement marginal de l’utilisation de la langue grecque dans cette région, y ont rendu cette situation inéluctable. Toutefois, le nombre de manuscrits de commentaires des Discours59 dans 57 R. DEVREESSE, Le Fonds Coislin, p. 51: « Tous les discours, à l’exception de 11 et 21, sont précédés d’un double “argument” ». L’Or. 45 aussi n’en présente qu’un. 58 JACOB, Bibliothèque cit. 59 Une liste de ces manuscrits est actuellement en préparation.
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36
VÉRONIQUE SOMERS
les derniers siècles de Byzance, s’il ne dépasse pas celui des ouvrages à usage liturgique, donne à penser ; peut-être n’est-ce là que la partie visible d’une tendance dont on retrouve trace plus tard, dans les mathémataires, où Grégoire se taille une part imposante.
ANNEXE : LISTE PROVISOIRE DES GRÉGOIRE DE NAZIANZE OTRANTAIS, D’APRÈS LES RÉPERTOIRES D’O. MAZZOTTA ET DE D. ARNESANO Le « répertoire » des manuscrits grecs de Terre d’Otrante d’O. MAZZOTTA, Monaci e libri greci nel Salento medievale, Novoli (Lecce) 1989 (pp. 63-101 : descrizione sommaria dei codici) a reçu des compléments dus à l’attention constante de D. ARNESANO, Il repertorio dei codici greci salentini di Oronzo Mazotta. Aggiornamenti e integrazioni, dans M. Spedicato (a cura di), Tracce di storia. Studi in onore di mons. Oronzo Mazzotta, (Quaderni de L’Idomeneo, 1), Galatina 2005, p. 25-80 ; D. ARNESANO, Manoscritti greci di Terra d’Otranto. Recenti scoperte e attribuzioni (20052008), in D. Galadza – N. Glibetíc – G. Radle (ed.), TOXOTES. Studies for Stefano Parenti, Grottaferrata 2010 (ਝȞȜİțIJĮȀȡȣʌIJȠijȑȡȡȘȢ, 9), pp. 63-101. Ce second article n’offre rien de neuf concernant Grégoire de Nazianze. Les compléments de D. Arnesano n’ont pas été présentés de façon à former un nouveau répertoire, qui se substituerait à celui d’O. Mazzotta : comme ils sont cumulatifs, il nous a paru utile de présenter ici une liste synthétique des Grégoire de Nazianze otrantais, établie sur les informations données par les deux auteurs, qui seront ici désignés par leur seul nom. Le lecteur trouvera de brèves indications de date et de contenu reprises à leurs travaux (mais transposées ou résumées en français, pour davantage d’homogénéité), ainsi que des précisions relatives au contenu, tirées du Repertorium Nazianzenum de J. Mossay ou de mes recherches personnelles. On ne vise en aucun cas ici à l’exhaustivité, que ce soit dans les manuscrits répertoriés ou dans la bibliographie. Il ne s’agit que d’une première approche, qui rassemble les éléments présentés, et ne demande qu’à être affinée. NB : les manuscrits sont ici listés en respectant l’ordre adopté dans les répertoires d’O. Mazzotta et de D. Arnesano. 1. Athos, Koutloumousiou, 2 XIIe s., parchemin. Collection hagiographique. ARNESANO, p. 29. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 4, p. 103 : les ff. 1-75 contiennent les Or. 39 (partim), 40 (partim), 1, 45, 44, 41. Le reste du manuscrit (ff. 75-226) ne concerne pas Grégoire. 2. Vat. Barb. Gr. 456 XIIe s., parchemin. Miscellanée hagiographique et patristique. ARNESANO, p. 31. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit.,
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
37
5, p. 143 : Le manuscrit contient les Or. 38 (ff. 88-92), 39 (ff. 104-108v), 40 (ff. 108v120), 43 partim (ff. 125-134); la Vita BHG 723 de Grégoire occupe les ff. 135-145. 3. Vat. Barb. Gr. 517 XIIe s., parchemin. Ménologe. ARNESANO, p. 31. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, p. 145 : saec. XIII; «collectio homiletica in diuersos festos Ecclesiae»; le manuscrit contient trois textes grégoriens : Or. 38 (ff. 95-99), 1 (ff. 173-174), 41 (ff. 188-192v). 4. Vat. Ottob. Gr. 312 XIVe s., papier. Grégoire de Nysse, fragments ; Psellos MAZZOTTA, p. 67. ARNESANO, p. 32. Le manuscrit contient aussi des Carmina moralia grégoriens (voir ci-dessus, pp. 19-20). 5. Vat. Ottob. Gr. 384 AD 1581, papier. Liturgie de saint Pierre. MAZZOTTA, p. 68. ARNESANO, p. 33 ajoute de la bibliographie. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, p. 164 : « Saec. XVI (...) Liber e uariis partibus nunc in unum glutinatis constat ». Les ff. 249-263v contiennent des explications des Histoires mythologiques des Or. 15, 24, 43 (« et aliae »). 6. Vat. Gr. 1246 XIIe s., parchemin. Collection hagiographique. ARNESANO, p. 34. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, p. 87 : « Saec. XII/XIII (...) Orationum collectionis maioris fragmentum est manu una perscriptus » ; toutefois, les deux premiers Discours grégoriens (Or. 38 [ff. 47-51], 39 [ff. 68v-73]) sont séparés des autres (Or. 1 [ff. 151v-152], 45 partim [ff. 152-152v], 44 [ff. 152v-155v], 41 partim [ff. 155-157v]). 7. Vat. Gr. 1272 XIIIe s., papier. Homélies du Nazianzène. MAZZOTTA, p. 69. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, p. 91-92 : « Saec. XVI (...) Codex Iohannis Mavromatae manu de Cod. Vat. Gr. 1273 transcriptus ». On y trouve les Or. 45 et 41 avec les commentaires de Nicétas. RGK III, 283 confirme l’attribution de la copie à Jean Mavromatis. 8. Vat. Gr. 1273 XIIIe-XIVe s., parchemin; palimpseste. Homélies du Nazianzène et d’autres Pères. MAZZOTTA, p. 70. ARNESANO, p. 34. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, p. 92 : « Gregorii orationum XVI collectionis liturgicae fragmentum est cum commentariis Nicetae Heracliensis (supersunt orationes VI) » (cfr. ci-dessus, pp. 29-30). 9. Vat. Gr. 1912 Xe-XIVe s., parchemin. Homélies du Nazianzène (et d’autres). MAZZOTTA, p. 72. ARNESANO, p. 36. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 5, p. 92 (textus recentior : cfr. ci-dessus, pp. 29-30) et p. 120 (textus uetustior in f. 21r-v : Or. 39 [partim], saec. IX/X). 10. Vat. Gr. 2252 XIVe s., papier. Tétrastiques de Grégoire de Nazianze, avec commentaire et traduction en langue vulgaire.
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38
VÉRONIQUE SOMERS
ARNESANO, p. 36. 11. Florence, Laur. 5.10 XIIIe-XIVe s., papier. Miscellanée théologique. MAZZOTTA, p. 73. ARNESANO, p. 39. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, pp. 112-113 : fragments des Or. 25 et In Ezech. 12. Florence, Laur. 5.36 XIIIe s., papier. Opuscules divers sur les dogmes, controverses, ... MAZZOTTA, p. 73. ARNESANO, p. 39. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 114 : fragment de l’Or. 29. 13. Grottaferrata, Crypt. B.a.XXIII (Gr. 98), ff. 1-2 [+ Crypt. B.b.X (Gr. 3), ff. 43-119] XIIe-XIIIe s., parchemin ; palimpseste. Textes hagiographiques. ARNESANO, p. 42. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 107 (pour le premier) : fragments des Or. 24 et 21 (textus recentior). 14. Londres, B.L., Arundel. 529 AD 1111, parchemin ; palimpseste. Collection conciliaire. MAZZOTTA, p. 78. ARNESANO, p. 46. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 2, p. 59 : fragments des Or. 38 et 30 ; le fragment du f. 5, attribué au Logos de Grégoire sur l’Esprit Saint (Or. 31), ne figure pas dans le texte actuellement reçu. 15. Madrid, BN, 4649 (olim N 93) AD 1496, papier. « Christus Patiens », attribué au Nazianzène. MAZZOTTA, p. 79. Cfr. ci-dessus, pp. 18,21,22. 16. Milan, Ambros. A 60 sup. XIIIe s., parchemin. Homélies du Nazianzène (et d’autres). MAZZOTTA, p. 80. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 150 : « Menologium, sed inscriptio legitur in f. II : Si Gregorii Nazianzeni in Nativitate Christi » ; la seule pièce grégorienne est l’Or. 38 (ff. 1-8v). Il s’agit d’un recueil hagiographico-homilétique (SOMERS, Ambrosienne60, p. 262), un représentant de la forme la plus courte de « panégyrique annuel » (EHRHARD, Überlieferung und Bestand cit., II, pp. 172-173). 17. Milan, Ambr. B 12 inf. XIIe-XIIIe s., parchemin. Vies de saints, homélies. MAZZOTTA, p. 80. ARNESANO, p. 47. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, pp. 172-173 : Contient deux pièces grégoriennes, avec commentaires : les Or. 38 (ff. 106-121v) et 1 (ff. 144v-145). Il s’agit d’un recueil hagiographico-homilétique 60 V. SOMERS, Les Grégoire de Nazianze de l’Ambrosienne, in C. M. MAZZUCCHI – C. PASINI (ed.), Nuove ricerche sui manoscritti greci dell’Ambrosiana. Atti del Convegno. Milano, 5-6 giugno 2003, Milano 2004 (Bibliotheca erudita. Studi e documenti di storia e filologia, 24), pp. 243-264.
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GRÉGOIRE DE NAZIANZE EN TERRE D’OTRANTE
39
(SOMERS, Ambrosienne cit., p. 262). Description complète du contenu dans EHRÜberlieferung und Bestand cit., III, pp. 101-103.
HARD,
18. Milan, Ambr. G 63 sup. XIIIe-XIVe s., parchemin. Vies des saints, sermons du Nazianzène et de Chrysostome. MAZZOTTA, p. 85. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 162 : «Saec. XII (...) Homiliarium patristicum»; l’Or. 38 occupe les ff. 83v-90v. Il s’agit d’un recueil hagiographico-homilétique (SOMERS, Ambrosienne cit., p. 262). 19. Paris, Gr. 549 XIIIe s., parchemin ; palimpseste. Commentaire de Nicétas d’Héraclée aux Discours de Grégoire de Nazianze. MAZZOTTA, p. 91. ARNESANO, p. 55. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 1, pp. 59-60 : « Saec. XIII/XIV (...) Rescriptus » ; Discours grégoriens et commentaires de Nicétas. Cfr. ci-dessus, notamment pour ce qu’il faut penser du « palimpseste » (pp. 27-29). RGK II, 500 attribue la copie de ce témoin, ca. 1279/80, à l’Étienne (ȈIJijĮȞȠȢ) dont le nom apparaît dans la marge du f. 86r et du f. 108v61. 20. Paris, B.N., Gr. 1087 XIVe s., papier. Miscellanée. ARNESANO, p. 55. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 1, p. 82 : Explications des Histoires du Pseudo-Nonnos aux Or. 4 (ff. 56-74) et 5 (ff. 74-81v). 21. Rome, Vallicell. B 34 AD 1162/3, parchemin. Miscellanée hagiographique et patristique. ARNESANO, p. 60. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 214 : « Saec. XII fortasse XIII (...) Legitur haec inscriptio in f. II : Vitae sanctorum et alia opuscula quorum index (...) » ; les textes grégoriens occupent peu de place : f. 109v (fragment de l’Or. 40) et ff. 124-129v (Or. 39). 22. Rome, Vallicell. C 7 AD 1292 ca., parchemin. Commentaire de Théophylacte aux Evangiles. MAZZOTTA, p. 97. ARNESANO, p. 60. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 216 : « Saec. XII-XIII » ; fragments de la Vita BHG 723 de Grégoire de Nazianze (ff. 130-134v). 23. Rome, Vallicell. C 34 III XIIe s., parchemin. Synaxaire. ARNESANO, p. 61 ; mais ARNESANO, Barocca : « sec. XIII2 » (p. 117). Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, p. 217 : les ff. 466-473v du Vallicell. C 34 (maintenant ff. 1-8v du Vallicell. C 34 III) contiennent une partie de l’Or. 45 (XIVe s.). Voir aussi S. LUCÀ, Su due sinassari della famiglia C* : il Crypt. ¨Į.XIV (ff. 291-292) et il Roman. Vallic. C 34 III (ff. 9-16), in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 66 (1999), pp. 51-85 (en particulier pp. 63-65 pour la répartition du Vallicell. C 34 en quatre parties ; XIVe s.). 61
Lecture dans JACOB, Bibliothèque cit., p. 288.
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40
VÉRONIQUE SOMERS
= « conglomérat romain », avec Vat. Gr. 1273 et 1912 (cfr. ci-dessus, pp. 29-3). 24. Rome, Vallicell. C 97² AD 1424, parchemin; palimpseste. Ecrits des Pères. MAZZOTTA, p. 97. ARNESANO, p. 61. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, pp. 217-218 : Histoires du Pseudo-Nonnos aux Or. 24 et 39, présentant des divergences par rapport aux éditions (ff. 1-9, textus recentior vid.). 25. Venise, Marc., Gr. II. 85 XIIIe-XIVe s., parchemin ; palimpseste. Miscellanée de textes sacrés et patristiques. ARNESANO, p. 61. Ajouter à la bibliographie MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 6, pp. 265-266 : « f. 189v-190v tantum continent antiquiorem scripturam » ; les ff. 110v-117v contiennent une partie de l’Or. 14 avec les commentaires de Nicétas. 26. Vienne, Ö.N.B., Suppl. gr. 37 AD 1265, papier. Homélies du Nazianzène. MAZZOTTA, p. 101. ARNESANO, p. 64. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 2, pp. 135-136 : Commentaires de Nicétas à la collection liturgique. Voir ci-dessus, p. 27. 27. Wroclaw, Rehd. Gr. 26 XIIIe-XIVe s. (sup.), parchemin ; palimpseste. Homère. ARNESANO, p. 64. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 3, pp. 207-208 : Les textes grégoriens occupent la couche inférieure : Or. 38 (ff. 28r-v, 5r-v, 24r-v, 29 r-v, 22r-v) et 39 (ff. 54r-v, 49r-v, 68r-v, 57-58v, 63vA). SOMERS, Palimpsestes cit., pp. 63-64. Voir ci-dessus, pp. 21 et 23, n. 36. NB : Paris, BN, Gr. 2062 XIVe s., papier. Commentaires aux Analytiques premiers et seconds d’Aristote (auteurs variés). MAZZOTTA, p. 93. Arnesano, p. 57. MOSSAY, Repertorium Nazianzenum cit., 1, p. 96 : « varia philosophica », mais n’indique pas de pièce grégorienne.
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ALESSANDRO CAPONE BASILIO DI CESAREA E GREGORIO DI NISSA IN TERRA D’OTRANTO
1. Premessa L’indagine che si rivolga alla tradizione degli autori antichi presenti nei manoscritti salentini e che voglia avere carattere di sistematicità è destinata a cozzare con varie difficoltà, vuoi per il carattere ancora magmatico della materia vuoi per la mancanza di strumenti che offrano uno sguardo complessivo. Benché, relativamente ai codici di Terra d’Otranto, molti e notevoli siano stati gli approfondimenti e i progressi nel campo della filologia1, della paleografia2 e della tradizione dei testi3, tuttavia molto rimane ancora da fare. In questa cornice si colloca il presente studio, che non ha pretesa alcuna di fornire un panorama completo ed esauriente delle opere dei due fratelli cappadoci trasmessi dai manoscritti di Terra d’Otranto, ma intende aprire in questo senso solo un piccolo pertugio, un lavoro semplicemente introduttivo, che potrà servire come punto di partenza per altri studi di più ampia portata. Un’impresa simile, relativa a uno o, come in questo caso, a due autori, ancorché ardua, appare utile sia per la ricostruzione del contesto storico-culturale, nel quale i codici sono stati allestiti, sia per lo studio della tradizione manoscritta degli autori esaminati. L’indagine, limitata solo ad alcune delle opere dei due scrittori4, si articolerà in tre momenti: il primo prenderà le mosse da due antiche liste di 1 Cfr. e. g. Poeti bizantini di Terra d’Otranto nel secolo XIII, a cura di M. GIGANTE, Napoli 1979 (rist. Galatina 1985: Storia e cultura, 4); La tradizione degli scholia iliadici in Terra d’Otranto, a cura di E. SCIARRA, Roma 2005 (Bollettino dei classici. Supplementi, 23). 2 Per una sintesi sugli studi sui manoscritti greci salentini cfr. D. ARNESANO, La minuscola « barocca ». Scritture e libri in Terra d’Otranto nei secoli XIII e XIV, Galatina 2008 (Fonti medievali e moderne, 12), p. 7. 3 Cfr. e. g. J. IRIGOIN, L’Italie méridionale et la tradition des textes antiques, in Jahrbuch der österreichischen Byzantinistik 18 (1969), pp. 37-55 (= ID., La Tradition des textes grecs. Pour une critique historique, Paris 2003 [L’âne d’or, 19], pp. 439-465); ID., La tradition manuscrite des tragiques grecs dans l’Italie méridionale au XIIIe siècle et dans les premières années du XIVe siècle, in Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in onore di Agostino Pertusi, Milano 1982 (Scienze filologiche e letteratura, 22), pp. 132-143 (= ID., La Tradition cit., pp. 537-552). 4 Per la Liturgia di Basilio cfr. A. JACOB, La traduction de la Liturgie de saint Basile par Nicolas d’Otrante, in Bulletin de l’Institut historique belge de Rome 38 (1967), pp. 49-107; ID., Le cahier préliminaire du codex Ettenheim-Münster 6 de la Badische Landesbibliothek de Karlsruhe, in Synaxis Katholike. Beiträge zu Gottesdienst und Geschichte der fünf altkirchlichen Patriarchate für Heinzgerd Brakmann zum 70. Gerburtstag, Teilb. I, herausgegeben von D. ATANASSOVA, T. CHRONZ, Münster 2014 (Orientalia – Patristica – Oecumenica, 6.1), pp. 301-316.
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manoscritti presenti in Terra d’Otranto; il secondo entrerà nello specifico della tradizione manoscritta di alcune opere5; il terzo, infine, proporrà qualche conclusione di carattere del tutto provvisorio. 2. Un primo riscontro Dal taccuino in cui Giano Lascari (1445-1535) stilò una lista di libri6, trovati nel 1491 durante la tappa salentina del viaggio compiuto in Grecia7, allo scopo di acquistare manoscritti per la biblioteca di Lorenzo de’ Medici, apprendiamo che a Montesardo, attuale frazione di Alessano, in provincia di Lecce, presso un abate era presente un manoscritto con le Homiliae in Canticum canticorum di Gregorio di Nissa. Il Lascari non si limita a registrare la presenza dell’opera nel manoscritto, ma ne offre anche le parole iniziali: īȡȘȖȠȡȠȣ ȃııȘȢ İੁȢ IJઁ ਛıȝĮ IJȞ ਕıȝIJȦȞȠ ਲ ਕȡȤ: ਫ਼ʌİįİȟȐȝȘȞ ੪Ȣ ʌȡȑʌȠȣıĮȞ8 Il dettaglio è rilevante, giacché ਫ਼ʌİįİȟȐȝȘȞ è variante attestata solo dal Par. gr. 1002 e dal Laur. S. Marco 692, entrambi manoscritti salentini della metà del XIV secolo, mentre tutti gli altri testimoni hanno ਕʌİįİȟȐȝȘȞ, accolto nel testo dall’editore9. 5 È bene notare fin da ora che la situazione delle edizioni critiche è molto differente per Basilio e Gregorio: per il primo, infatti, tranne che in qualche caso, sono ancora poche le edizioni critiche moderne, sicché studi, come quello presente, si scontrano con notevoli difficoltà. 6 Il taccuino è rappresentato dal Vat. gr. 1412, per la bibliografia sul quale cfr. in sintesi K. K. MÜLLER, Neue Mitteilungen über Janos Laskaris und die Mediceische Bibliothek, in Centralblatt for Bibliothekswesen 1 /9-10 (1884), pp. 333-412; S. GENTILE, Lorenzo e Giano Lascaris. Il fondo greco della biblioteca medicea privata, in Lorenzo il Magnifico e il suo mondo. Convegno internazionale di studi (Firenze, 9-13 giugno 1992), a cura di G. C. GARFAGNINI, Firenze 1994, (Atti di convegni, 19) pp. 177-194; D. SPERANZI, Codici greci appartenuti a Francesco Filelfo nella biblioteca di Ianos Laskaris, in Segno e testo 3 (2005), pp. 466-496; ID., Per la storia della libreria medicea privata. Giano Lascaris, Sergio Stiso di Zollino e il copista Gabriele, in Italia medievale e umanistica 48 (2007), pp. 77-111; ID., Per la storia della libreria medicea privata. Il Laur. Plut. 58.2, Giano Lascaris e Giovanni Mosco, in Medioevo e Rinascimento 18 (2007), pp. 181-216; ID., Il Filopono ritrovato. Un codice mediceo riscoperto a San Lorenzo dell’Escorial, in Italia medievale e umanistica 49 (2008), pp. 199-231; ID., La biblioteca dei Medici. Appunti sulla storia della formazione del fondo greco della libreria medicea privata, in Principi e signori. Le biblioteche nella seconda metà del Quattrocento, a cura di G. ARBIZZONI, C. BIANCA, M. PERUZZI, Urbino 2010 (Collana di studi e testi, 25), pp. 217-261, qui 221-222 e 252-263. Sul Lascari si veda anche A. PONTANI, Per la biografia, le lettere, i codici, le versioni di Giano Lascaris, in Dotti bizantini e libri greci nell’Italia del secolo XV, a cura di M. CORTESI, E. MALTESE, Napoli 1992 (Collettanea, 6), pp. 363-433. 7 Il viaggio alla volta della Grecia si svolse tra il 1491 e il 1492, ma Lascari si fermò nel Salento nel 1491, come ha precisato A. JACOB, Sergio Stiso de Zollino et Nicola Petreo de Curzola. À propos d’une lettre du Vaticanus gr. 1019, in Bisanzio e l’Italia cit., p. 166 (trad. it. in Sergio Stiso. Tra Umanesimo e Rinascimento in Terra d’Otranto, a cura di P. PELLEGRINO, Galatina 2012 [Collana di scrittori pugliesi, 6], pp. 129-148). 8 Vat. gr. 1412 f. 81r: cfr. MÜLLER, Neue Mitteilungen cit., p. 404. 9 Cfr. Gregorius Nyssenus, In Canticum canticorum, ed. H. LANGERBECK, Leiden 1960
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I due testimoni danno un primo saggio della circolazione dei testi di Basilio e Gregorio in Terra d’Otranto: il Par. gr. 1002, infatti, oltre alle Homiliae in Canticum (ff. 1-120), contiene, sempre di Gregorio di Nissa, le Homiliae in Ecclesiasten (ff. 120-162); il Laur. S. Marco 692, oltre alle Homiliae in Canticum di Gregorio (ff. 1-87v), contiene tre opere di Basilio: l’omelia In illud: Attende tibi ipsi (ff. 95-101v), le omelie Super psalmos 1 (ff. 89-95), 14 (Hom. I: ff. 102-107; Hom. II: ff. 107-112v), 59 (112v-115v), 61 (ff. 115v-121); De ieiunio (Hom. II: ff. 126-134; Hom. I: ff. 121-126); In principium proverbiorum (ff. 134-150); Quod Deus non est auctor malorum (ff. 150-158v: des. imperf.)10. Sebbene presentino degli elementi in comune, quali il luogo di origine e la filigrana11, tuttavia il parigino e il laurenziano sembrano indipendenti l’uno dall’altro12. Non sfugga ora che il Par. gr. 1002, presente all’interno della biblioteca del cardinale Ridolfi, giunse in Francia presso Caterina de’ Medici tra la primavera del 1560 e l’inverno a cavallo tra il 1561 e il 1562, dopo essere appartenuto a Piero Strozzi e prima ancora appunto al cardinale Ridolfi (1501-1550)13, nipote di Lorenzo il Magnifico e di Leone X (Giovanni, secondogenito di Lorenzo de’ Medici)14. Che sia il parigino dunque il manoscritto di Montesardo, giunto nella biblioteca del cardinale tramite il Lascari? Si tratta di un’ipotesi verosimile, che potrebbe trovare riscontro nell’identificazione proposta da Jackson15, sulla scorta dell’inventario del(rist. 1986: GNO, 6), p. 3: l’editore ha collazionato sistematicamente solo il Par. (siglato con P), mentre per il Laur. ha limitato la collazione solo ad alcune sezioni: « Cum autem Laurentianus neque aetate neque fide praestet P, gemellum in mantissa laudare nolui tota stirpe iam satis nota. specimina duo (fol. 1-6 = p. 3-32, 4 et fol. 9 r - 14 r = p. 42, 10 - 71, 7) contulit Erica Rupprecht-Hauke, iterum examinavi » (p. XLVI). 10 Cfr. il catalogo ottocentesco curato dal Del Furia (ff. 49-52) e D. ARNESANO, San Nicola di Casole e la cultura greca in Terra d’Otranto nel Quattrocento, in La conquista turca di Otranto (1480) tra storia e mito, a cura di H. HOUBEN, vol. I, Galatina 2008 (Saggi e testi, 41), p. 116; ID., La minuscola « barocca » cit., p. 92. 11 Cfr. D. ARNESANO, Il « Copista del Digenis Akritas ». Appunti su mani anonime salentine dei secoli XIII e XIV, in Bizantinistica 7 (2005), p. 152s. 12 LANGERBECK, In Canticum cit., p. XLVI: « Cum P plerumque congruit codex Laurentianus Marcianus 692 saec. XIV. at certe neque de P est descriptus neque P de illo, quod infra utroque collato cum V probabitur ». 13 Cfr. D. MURATORE, La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, t. I, Alessandria 2009 (Hellenica, 32), pp. 315-336; t. II, pp. 265-266. 14 È noto che la collezione medicea arrivò a Roma nel 1508, dopo essere stata acquistata dal cardinale Galeotto Franciotto della Rovere per conto del cardinale Giovanni (dal 1513 Leone X) e trovò posto nel palazzo Medici, poi Madama, dove il cardinale viveva; quindi alla morte di Leone X, la collezione tornò a Firenze. Sulle vicende della biblioteca medicea cfr. L’inventario di Fabio Vigili della Medicea privata (Vat. lat. 7134), a cura di I. G. RAO, Città del Vaticano 2012 (Studi e testi, 473), pp. XI-XII e XXVI-XXVII. 15 Cfr. D. F. JACKSON, An Old Book List Revisited: Greek Manuscripts of Janus Lascaris from the Library of Cardinal Niccolò Ridolfi, in Manuscripta 43-44 (1999/2000), p. 100; ID., Janus Lascaris on the island of Corfu in A.D. 1491, in Scriptorium 57 (2003), p. 138. In realtà l’identificazione proposta da Jackson appare problematica per almeno due motivi. Egli
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la libreria medicea del 149516. Se tale ricostruzione fosse corretta, si potrebbe ipotizzare che il Par. gr. 1002 giunse con il Lascari di ritorno dalla Grecia a Firenze (1492), da qui passò a Roma nel palazzo di Giovanni de’ Medici, donde infine transitò nella biblioteca del cardinale Ridolfi e quindi in Francia17. Inoltre è forse possibile rintracciare anche il nome di un possessore del manoscritto, quando esso si trovava ancora in Terra d’Otranto, sulla scorta di due annotazioni (« manu litterarum Graecarum vix perita »18) che si leggono con qualche incertezza sul margine inferiore del f. 155vțȠȜĮįİ įȠȞȞĮȖȗİȜȠȣȡİıIJĮĮįįĮȡİȚıIJĮȡİ įİ ȠȜȜȚȠ…)19 e del f. 156v (țȠȜĮįİ)20 Oltre ai due manoscritti testé ricordati, un’altra traccia della presenza delle Omelie sul Cantico del Nisseno in Terra d’Otranto affiora probabilmente anche nella lista di libri scoperta nel Par. gr. 549 e pubblicata da Jaregistra l’indicazione del catalogo di P. de Nolhac (« No. 47: IJ ʌȘ īȡȘȖȠȡȠȣ IJȠ૨ ĬİȠȜંȖȠȣ... n.° 115 ») in maniera imprecisa, giacché non si tratta del nr. 115 ma del nr. 118 del catalogo ridolfino; il che, unito al fatto che la menzione dei versi di Gregorio il Teologo si attaglia meglio a Gregorio di Nazianzo che a Gregorio di Nissa, consentirebbe forse di identificare più agevolmente il manoscritto 118 della biblioteca del cardinale Ridolfi con il Par. gr. 39, che contiene appunto i Carmi di Gregorio di Nazianzo (ringrazio D. Muratore per le osservazioni su questo punto). Rimane invece calzante la descrizione che si legge nel catalogo di Caterina de’ Medici: « Gregorii Nisseni exp°. in Cantica & in Ecclesiasten, exp°. in Proverbia Salomonis diverso rum Magistrorum. Andreae Archiepiscopi Caesareae exp°. in Apocalypsin Joannis, in. 4. senza coverta. n° 115.19ae. vel xxae. ». 16 Cfr. E. PICCOLOMINI, Inventario della libreria medicea privata compilato nel 1495, in Archivio storico italiano 20/3 (1874), p. 80: « Gregorii orationes, in greco, in membranis, in parvo volumine, ligatus, in carminibus, opertis corio paonazo. Qui codex est domini Ioannis Lascharis greci, et illum habuit dicta die ». Si noti però che sia il Par. gr. 1002 sia il Laur. S. Marco 692 sono cartacei, il che non è un ostacolo di poco rilievo. 17 A sostegno di questa ipotesi tornerebbe il fatto che, mentre il Par. gr. 1002 si trovava nella biblioteca del cardinale Ridolfi (cfr. MURATORE, La biblioteca cit., t. I, p. 199), il Laur. S. Marco 692 è attestato nell’inventario di Milano, composto intorno al 1545, dei manoscritti della Biblioteca del Convento di San Marco: cfr. The public library of Renaissance Florence. Niccolò Nuccoli, Cosimo de’ Medici and the library of San Marco, by B. L. ULLMAN, P. A. STADTER, Padova 1972 (Medioevo e umanesimo, 10), p. 274; P. PETITMENGIN, L. CICCOLINI, Jean Matal et la bibliothèque de Saint-Marc de Florence (1545), in Italia medioevale e umanistica 46 (2005), p. 274. 18 Gregorius Nyssenus, In Ecclesiasten homiliae, ed. P. ALEXANDER, Leiden 1962 (rist. 1986: GNO, 5), p. 241. 19 Seguono alcune parole che non mi è stato possibile intendere: in ogni caso sembra trattarsi della nota di debito di chi scrive, cui restano da dare alcune stare di olio. 20 Cola de Donna è un nome che rimanda alla Terra d’Otranto; se ne ha per esempio attestazione a Castellaneta sul finire del XVI secolo: cfr. G. POLI, Massari, contadini e pastori in una comunità di Terra d’Otranto: Castellaneta all’inizio del XVII secolo, in Società, congiunture demografiche, e religiosità in Terra d’Otranto nel XVII secolo, a cura di B. PELLEGRINO, M. SPEDICATO, Galatina 1990 (Pubblicazioni del Dipartimento di Studi storici dal Medioevo all’età contemporanea, 14), pp. 93-94.
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cob21. Si tratta di libri che dovevano costituire la biblioteca di una scuola, situata nella zona di Galatina o Aradeo, tra i quali sono presenti opere di grammatica, logica, letteratura e, per la sezione religiosa, commentari ai testi biblici22. Al secondo posto di questa lista si legge: IJઁ ਛıȝĮ IJȞ ਕıȝIJȦȞ. L’indicazione è piuttosto generica, ma potrebbe trattarsi con buona probabilità delle Omelie sul Cantico del Nisseno23. D’altro canto, subito dopo, nella stessa lista si legge: Ƞੂ ȝĮțĮȡȚıȝȠ ȝİIJ IJોȢ ਥȟȘȖıİȦȢ IJȠ૨ ਖȖȠȣ īȡȘȖȠȡȠȣ IJોȢ ȃııȘȢ țĮ ਦIJȡȦȞ ȜંȖȦȞ. Il riferimento alle Omelie sulle beatitudini del Nisseno appare in questo caso certo. Si tratta di un testo che, come aveva già sottolineato Jacob24, in Terra d’Otranto ebbe una certa diffusione, come testimoniano il Brix. A IV 3 (ff. 149-150), copiato nel 1448/9 da Giorgio di Ruffano25, l’Ambr. B 39 sup. della seconda metà del XV secolo26, che riporta le prime quattro omelie (ff. 76-94v; bianchi i ff. 95-113v); il Vat. Ottob. gr. 312 degli inizi del XIV secolo27, che ai ff. 39-41v contiene dei frammenti della terza omelia con un 21 Cfr. A. JACOB, Une bibliothèque médiévale de Terre d’Otrante (Parisinus gr. 549), in Rivista di studi bizantini e neoellenici 22-23 (1985-1986), p. 300. 22 Per un panorama generale sul sistema scolastico salentino cfr. M. MUCI, L’insegnamento della grammatica nella Terra d’Otranto ellenofona: lo stato degli studi e gli strumenti per la ricerca, in Tradizioni grammaticali e linguistiche dell’Umanesimo meridionale. Convegno internazionale di studi, Lecce – Maglie, 26-28 ottobre 2005, a cura di P. VITI, Lecce 2006 (Attraverso la Storia, 10), pp. 344-355. Si vedano inoltre nel presente volume i contributi di F. Giannachi e L. Silvano. 23 È plausibile ritenere che l’indicazione dell’autore relativa alle Omelie sulle beatitudini, che è immediatamente successiva, si possa allargare senza grossi problemi alle Omelie sul Cantico. 24 Cfr. JACOB, Une bibliothèque cit., p. 300. 25 Cfr. O. MAZZOTTA, Monaci e libri greci nel Salento medievale, Novoli 1989 (Scriptorium, 2), p. 63; D. ARNESANO, Il repertorio dei codici greci salentini di Oronzo Mazzotta. Aggiornamenti e integrazioni, in Tracce di storia. Studi in onore di mons. Oronzo Mazzotta, a cura di M. SPEDICATO, Galatina 2005 (Quaderni de L’Idomeneo, 1), p. 29; A. JACOB, La réception de la littérature byzantine dans l’Italie méridionale après la conquête normande. Les exemples de Théophylacte de Bulgarie et de Michel Psellos, in Histoire et culture dans l’Italie byzantine. Acquis et nouvelles recherches, dir. de A. J., J.-M. MARTIN, G. NOYÉ, Roma 2006 (Collection de l’Ecole française de Rome, 363), pp. 24-25; ARNESANO, San Nicola di Casole cit., p. 124. Il Brix. contiene anche un’ampia sezione del primo libro del Contra Eunomium (f. 156: C. Eun. capitulatio nr. 25; ff. 156-162: C. Eun. 1,341-415; ff. 163-179: C. Eun. 498-691) e la Refutatio confessionis Eunomii (ff. 179-202) di Gregorio di Nissa. Su Giorgio di Ruffano si veda nel presente volume il contributo di D. Arnesano. 26 Cfr. MAZZOTTA, Monaci e libri cit., pp. 80-81; A. JACOB, Deux copies salentines de l’inscription byzantine de la cathédrale de Bari (Ambrosianus B 39 sup. et Laurentianus 59,45), in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 73 (1993), pp. 6-9; ARNESANO, Il repertorio cit., p. 47; C. PASINI, Bibliografia dei manoscritti greci dell’Ambrosiana (1857-2006), Milano 2007 (Bibliotheca erudita, 30), p. 204. 27 Cfr. JACOB, Une bibliothèque cit., pp. 300-301; D. ARNESANO, D. BALDI, Il palinsesto Laur. Plut. 57.36. Una nota storica sull’assedio di Gallipoli e nuove testimonianza dialettali italomeridionali, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 41 (2004), p. 130; Jacob, La réception cit.,
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commento inedito forse di origine locale28; il palinsesto Oxon. Bodl. Auct. T.2.16 della seconda metà del XIV secolo29, che contiene solo le prime tre omelie (ff. 111-124), l’ultima delle quali è incompleta (des. ȕȓȠȞ ਕʌȠȜȠijȪȡȘIJĮȚ)30. Come si vede, tutti i manoscritti riportano solo estratti più o meno estesi delle Omelie sulle beatitudini, che, eccetto l’Ambr., non sono stati utilizzati dall’editore dei GNO e di cui pertanto sarebbe interessante studiare i rapporti con il resto della tradizione manoscritta dell’opera. La lista del Par. gr. 549 fornisce infine un altro flebile indizio utile alla nostra indagine. Al settimo posto si legge: IJઁȞ ȜંȖȠȞ IJȠ૨ ਖȖȠȣ ǺĮıȚȜȠȣ. Il riferimento è troppo generico per poter avanzare qualsiasi ipotesi di identificazione; se ne deduce solo la circolazione di una delle omelie di Basilio. 2. Basilio e Gregorio: qualche saggio Come s’è visto, l’omelia di Basilio In illud: Attende tibi ipsi è trasmessa, all’interno di una tradizione piuttosto complessa e ramificata, dal Laur. S. Marco 692. L’editore del testo nota la presenza di quattro varianti comuni solo al Laur. e al Panorm. B.N. XIII.H.2 (ff. 32-40v), che contiene varie omelie di Basilio e ipotizza che quest’ultimo possa essere stato uno dei modelli del Laur. S. Marco 69231. Della storia del manoscritto palermitano si sa poco: datato al X secolo, con una scrittura che si inserisce nell’ambito delle minuscole corsiveggianti come quella del “tipo Efrem”, e appartenuto al Collegio Massimo, ha sul terzo foglio di guardia iniziale una nota che attribuisce il codice al XIII secolo32. Difficile dire dunque se e in che modo pp. 57-58 e 61; Arnesano, La minuscola « barocca » cit., p. 77. 28 Cfr. JACOB, Une bibliothèque cit., pp. 300-301. Il manoscritto (f. 34r-v) contiene anche mutilo all’inizio il dubbio Sermo de ascetica disciplina attribuito a Basilio (devo questa identificazione a Sever Voicu); cfr. P. CANART, rec. P. Moore, Iter psellianum, Toronto 2005, in Scriptorium 62/2 (2008), pp. 352-353. 29 Cfr. ARNESANO, Il repertorio cit., p. 54; ID., La minuscola « barocca » cit., p. 107; cfr. anche A. JACOB, Tra Basilicata e Salento. Precisazioni necessarie sui menei del monastero di Carbone, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 68 (2001), pp. 26-27; S. PARENTI, Un eucologio poco noto del Salento. El Escorial X.IV.13, in Studi sull’Oriente cristiano 15 (2011), p. 158. 30 L’Oxon. contiene altre due opere del Nisseno: De opificio hominis (ff. 1-66), Dialogus de anima et resurrectione (ff. 67-110). 31 Cfr. L’Homélie de Basile de Césarée sur le mot “observe-toi toi-même”, éd. par S. Y. RUDBERG, Stockholm-Göteborg-Uppsala 1962 (Acta universitatis Stockholmiensis. Studia Graeca Stockholmiensia, 2), p. 74. E. MARTINI, Catalogo di manoscritti greci esistenti nelle biblioteche italiane, Milano 1893, pp. 121-128. 32 Cfr. M. RE, Manoscritti membranacei di Palermo, Tesi di laurea. Università degli studi di Palermo, a.a. 1983-84, pp. 193-197.
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il codice siciliano sia stato un modello per il Laur. S. Marco 692; non è da escludere tuttavia che tale ipotesi si possa inserire all’interno degli scambi attestati tra la Sicilia e la Terra d’Otranto33. Si noti ancora che l’omelia In illud: Attende tibi ipsi è trasmessa anche da un altro manoscritto di Terra d’Otranto: l’Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190 (ff. 95v olim 128 91v olim 132), copiato da Calo di Galatina, figlio del prete Pantaleone, nel 1297/8. Questo manoscritto contiene inoltre, sempre di Basilio, l’omelia De invidia (ff. 89v olim 135 98v olim 138), estratti dell’Epist. 260 Ad Episcopum Optimum (ff. 91v olim 132 89v olim 135) e dell’Adversus Eunomium (f. 139r-v)34. Ma l’Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190 conteneva originariamente anche due testi di Gregorio di Nissa: un estratto dell’Epistula canonica (ff. 129v-130v) e un frammento del De oratione dominica, che attualmente fa parte del Par. Suppl. gr. 681 (f. 9r)35. Si tratta di un testimone che perlopiù non è stato studiato all’interno della tradizione delle opere di Basilio e di Gregorio e che potrebbe pertanto riservare informazioni interessanti sulla circolazione dei testi in Terra d’Otranto. In questo senso, per esempio, è interessante notare come per l’Epistula canonica di Gregorio siano noti almeno due manoscritti copiati all’incirca nello stesso anno36: il già citato Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190 (a. 1297/8) e il Par. gr. 1370 (a. 1297; ff. 51-54v), che all’esame testuale non presentano elementi di convergenza, giacché il primo sembra rimontare al Vind. Theol. gr. 3537, un manoscritto del XIII che contiene varie opere di Gregorio di 33 Sotto questo aspetto si ricordi per esempio che lo Judex Tarentinus, noto con il nome di Clemente dopo aver indossato l’abito monastico nell’abbazia messinese di S. Salvatore, ordinò che fosse restituita all’arcivescovo di Brindisi, che gliela aveva prestata, la įȠȖȝĮIJȚț ʌĮȞȠʌȜĮ di Eutimio Zigabeno, come attesta il suo lascito testamentario, redatto a Messina nel 1173 dallo ieromonaco Onofrio: cfr. S. LUCÀ, I Normanni e la « rinascita » nel sec. XII, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 60 (1993), p. 34. 34 Cfr. S. P. LAMBROS, Catalogue of the Greek manuscripts on Mount Athos, vol. II, Amsterdam 1996, p. 54: « 37 (ij 89 ȕ). ǺĮıȚȜİȠȣ IJȠ૨ ȝİȖȜȠȣ Įǯ. “ǼੁȢ IJઁ ʌȡંıİȤİ ıİĮȣIJ” – ȕǯ (ij 95 ȕ). “ǼੁȢ IJઁ Ȇ઼Ȣ ਕʌȠțIJİȞĮȢ ȀȚȞ”. – Ȗǯ. (ij 90 Į) “įȠઃ ȠIJȠȢ țİIJĮȚ İੁȢ ʌIJıȚȞ țĮ ਕȞıIJĮıȚȞ ʌȠȜȜȞ ਥȞ ıȡĮȜ” – įǯ (ij 89 ȕ). « ȆİȡijșંȞȠȣ. » ȉ ijİੁıȞ ਥıIJĮȤȦȝȞĮ ਕȞIJȚıIJȡંijȦȢ, įȚઁ ʌİȡȚİȖȡijȘıĮȞ țĮIJǯ ਕȞIJıIJȡȠijȠȞ IJȟȚȞ ». Ai ff. 11-13, 55-57v, 139r-v: ਕʌȠıʌıȝĮIJĮʌĮIJȡȦȞ, tra cui Basilio. 35 Cfr. P. HOFFMANN, Un recueil de fragments provenant de Minoïde Mynas: le Parisinus Suppl. gr. 681, in Scriptorium 41 (1987), pp. 115-127. 36 L’Epistula è trasmessa anche da un altro manoscritto di origine salentina: l’Ambr. E 94 sup., della fine del XIII secolo (ff. 153-159), proveniente da Soleto ed entrato in Ambrosiana nel 1606. Su questo manoscritto, che contiene una collezione di canoni, tra cui lettere di Basilio e lo spurio Sermo ob sacerdotum instructionem (ff. 151v-152: cfr. Discipline générale antique (IV-IX s.), par P. P. JOANNOU, vol. II, Grottaferrata >Fonti, 9@ SS ), cfr. PASINI, Inventario cit., p. 69s; S. LUCÀ, L’apporto dell’Italia meridionale alla costituzione del fondo greco dell’Ambrosiana, in Nuove ricerche sui manoscritti greci dell’Ambrosiana, a cura di C. M. MAZZUCCHI, C. PASINI, Milano 2004 (Bibliotheca erudita, 24), p. 201. 37 Cfr. Gregorius Nyssenus, Epistula canonica, ed. E. MÜHLENBERG, Leiden, Boston 2008 (GNO, 3/5), pp. X e CXXV.
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Nissa, mentre il secondo appartiene al B-Gruppe38. Per quanto non rientri nei limiti del presente lavoro scendere nel dettaglio della tradizione manoscritta delle singole opere e sebbene purtroppo non sia possibile definire con più precisione il luogo in cui fu allestito il Paris. gr. 1370, tuttavia è agevole osservare come intorno al 1297 circolassero nel Salento almeno due copie dell’Epistula canonica di Gregorio di Nissa con buona probabilità risalenti a tradizioni testuali differenti. Un caso di notevole interesse è rappresentato dal primo Encomium in sanctum Stephanum del Nisseno. All’interno di una tradizione manoscritta piuttosto complessa l’editore ricostruisce vari ipoarchetipi tra cui İ, al quale riconduce un gruppo di manoscritti le cui relazioni sono illustrate secondo il seguente stemma39:
38 Cfr. MÜHLENBERG, Epistula cit., pp. XVIII, LXXI e CXXXI. Allo stesso gruppo appartiene anche l’Ambr. E 94 sup.: cfr. MÜHLENBERG, Epistula cit., pp. XV e LXXI. 39 Si riproduce lo stemma di Lendle pubblicato in Gregorius Nyssenus, Sermones, ed. G. HEIL, J. P. CAVARNOS, O. LENDLE, Leiden, New York, København, Köln 1990 (GNO, 10/1), p. CXCVIII.
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La maggior parte dei manoscritti, se non tutti, che compongono la famiglia İ1 sono stati trascritti in Terra d’Otranto. Ma si consideri in prima istanza la sottofamiglia İ3, composta dai seguenti codici: Ambr. C 11 inf. del XII secolo, salentino, acquistato a Cosenza nel 1606 (In Steph. ff. 39-50)40 – Ambr. F 103 sup. del XIII secolo, presente nel fondo originario dell’Ambrosiana (In Steph. ff. 248-256)41 – Vat. gr. 1246 del XII secolo, salentino, lasciato in eredità alla Biblioteca vaticana dal cardinale Antonio Carafa (In Steph. ff. 56-59v)42 – Vat. Barb. gr. 456 del XII secolo, salentino, donato al cardinale Barberini da F. Arcudi di Soleto (In Steph. ff. 96-100v)43 – Messan. San. Salv. 30 copiato da Daniele, monaco del monastero messinese, nel 1307 (In Steph. ff. 205-209v)44. A proposito di quest’ultimo manoscritto, la cui posizione nello stemma non è sicura a causa della contaminazione, è interessante notare che fu esemplato in un contesto di rinnovamento culturale in cui i contatti con la Terra d’Otranto non dovevano essere radi, come dimostra, per esempio, la presenza pochi anni prima presso il monastero messinese del copista Nicola di Oria45. Se si eccettua dunque l’Ambr. F 103 sup., la cui origine salentina pare probabile, pur non essendo possibile al momento precisare 40 Cfr. C. PASINI, Inventario agiografico dei manoscritti greci dell’Ambrosiana, Bruxelles 2003 (Subsidia hagiographica, 84), pp. 180-182; S. LUCÀ, L’apporto dell’Italia meridionale cit., pp. 203 e 224; ARNESANO, Il repertorio cit., p. 48. 41 Cfr. PASINI, Inventario cit., pp. 81-82; ID., Il progetto biblioteconomico di Federico, in Studia Borromaica 19 (2005), p. 252; C. PASINI, G. TURCO, Ambrosianus L 43 inf. (10): integrazioni a un antico elenco di manoscritti greci ambrosiani (Ambr. X 289 inf., ff. 110141), in Aevum 83/3 (2009), pp. 859-874. 42 Cfr. M.-A. MONÉGIER DU SORBIER, Le Vat. gr. 1246, témoin d’une version perdue de la « Chronique » de Georges le Moine, in Revue d’histoire des textes 19 (1989), pp. 370-371. 43 Cfr. A. JACOB, Les écritures de Terre d’Otrante, in La paléographie grecque et byzantine, Paris 1977 (Colloques internationaux du Centre national de la recherche scientifique, 559), p. 270; G. CAVALLO, Manoscritti italo-greci e cultura benedettina (secoli X-XII), in L’esperienza monastica benedettina e la Puglia, a cura di C. D. FONSECA, vol. I, Galatina 1983, p. 182ss. 44 Cfr. M. B. FOTI, Daniele scriba di SS. Salvatore in lingua phari: un epigono dei traslitteratori, in Codices manuscripti 9/3 (1983), p. 128; S. LUCÀ, Dalle collezioni manoscritte di Spagna: Libri originari o provenienti dall’Italia greca medievale, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 44 (2007), p. 82; ID. Ars renovandi. Modalità di riscrittura nell’Italia greca medievale, in Libri palinsesti greci: conservazione, restauro digitale, studio, a cura di S. L., Roma 2008, pp. 131-154. 45 Cfr. A. JACOB, Nicolas d’Oria. Un copiste de Pouille au Saint-Sauveur de Messine, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 65 (1985), pp. 133-158; ID., De Messine à Rossano. Les déplacements du copiste salentin Nicolas d’Oria en Italie méridionale à la fin du XIIIe siècle, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata 44 (1990), pp. 25-31; M. RE, Copisti salentini in Calabria e in Sicilia, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 41 (2004), pp. 95-112; S. LUCÀ, Sul monastero di S. Maria di Polsi, in Monaci e monasteri italo-greci nel territorio di San Luca, Reggio Calabria 2011 (L’Aspromonte tra storia e fede, 1), pp. 124-126.
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la provenienza46, tutti gli elementi fin qui raccolti conducono concordemente alla Terra d’Otranto. Tale parziale risultato è viepiù confermato dagli altri manoscritti che sono di sicura origine salentina: – Crypt. B b X.2 (gr. 3) del XII/XIII secolo (In Steph. ff. 26-34)47 – Ambr. B 12 inf. del XII secolo, acquistato a Otranto nel 1606 per conto di Federico Borromeo (In Steph. 86-92v)48 – Vall. B 34 dell’a. 1162/3 (In Steph. ff. 150-177)49 – Laur. Plut. 10.27 del XII secolo (In Steph. ff. 165v-168v; des. imperf.)50 Ora, sebbene al momento non ci siano dati certi relativamente alla provenienza del Lesb. Ioan. 7 (In Steph. ff. 18v-23v)51, tuttavia si impone già a prima vista la considerazione che tutti i manoscritti che compongono la famiglia İ1 si possono ricondurre a uno o più testimoni prodotti o comunque presenti in Terra d’Otranto52, tanto che appare ragionevole definire İ1 come “una famiglia otrantina”. Ma c’è un altro dato che è opportuno sottolineare. Alcuni manoscritti di questa famiglia, infatti, sono palinsesti del 46 Vari elementi sembrano avvalorare la possibilità che il manoscritto provenga dalla Terra d’Otranto e che la datazione debba essere anticipata (devo queste informazioni a D. Arnesano e S. Lucà). 47 Cfr. ARNESANO, Il repertorio cit., p. 42. 48 Cfr. A. JACOB, Une date precise pour I’Euchologe de Carbone: 1194-1195, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 62 (1995), pp. 105-106; PASINI, Inventario cit., pp. 173-176; ARNESANO, Il repertorio cit., p. 47. 49 Cfr. ARNESANO, Il repertorio cit., p. 60. 50 Cfr. S. LUCÀ, Il libro bizantino e postbizantino nell’Italia meridionale, in Territori della cultura 10 (2012), p. 44 (rist. in Scrittura e libro nel mondo greco-bizantino, a cura di C. CASETTI BRACH, Ravello 2012 (Il futuro del Passato, 4), p. 44. 51 Si noti che l’editore colloca il Lesb. nella famiglia İ1 non sine dubitatione (p. CXCIX). A una prima e parziale analisi paleografica (limitata ai ff. 18v-23v) sembra che l’educazione grafica dell’amanuense sia salentina (devo questa informazione a D. Arnesano). Sul manoscritto (XIII secolo) cfr. E. M. TONIOLO, Alcune omelie mariane dei sec. X-XIV: Pietro d’Argo, Niceta Paflagone, Michele Psellos e Ninfo Ieromonaco, in Marianum 33 (1971), p. 331; ID., L’omelia di Pietro d’Argo († c. 922) sull’Annunciazione, in Marianum 35 (1973), pp. 3-4; E. FOLLIERI, Passione di sant’Ippolito secondo il cod. « Lesb. S. Ioannis Theologi 7 » (BHG 2178), in Analecta bollandiana 100 (1982), p. 44; A. ACCONCIA LONGO, Note sul dossier agiografico di Leone di Catania: La trasmissione della leggenda e la figura del mago Eliodoro, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 44 (2007), p. 15; The Greek life of St. Leo bishop of Catania (BHG 981b), text & notes by A. G. ALEXAKIS, transl. by S. WESSEL, Bruxelles 2011 (Subsidia hagiographica, 91), p. 271-272 Si noti ancora che il Lesb. Ioan. 7 contiene alcune opere presenti anche nel Vat. Barb. gr. 456, come e. g.: (ff. 13v-18v) Procop. Diac., Encomium in angelos Michael et Gabriel; (18-23v) Greg. Nyss., Encomium in sanctum Stephanum I; (ff. 23v-30v) Nic. D. Paphl., Laudatio sancti Theodori; (ff. 173v-181v) Encomium sanctae Barbarae; (227-243) Greg. Naz., Funebris oratio in laudem Basilii Magni. 52 Anche il Vall. B 34, che l’editore non colloca direttamente nella famiglia İ1, ma di cui sottolinea elementi di contaminazione, è di origine salentina e può dunque essere agevolmente accomunato alla famiglia otrantina.
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XII secolo: l’Ambr. B 12 inf., l’Ambr. C 11 inf., il Laur. Plut. 10.2753 e il Vall. B 3454, il che attesta in Terra d’Otranto senz’altro la penuria di pergamena ma soprattutto un rinnovato interesse per l’opera del Nisseno relativa al protomartire e più in particolare per la figura del santo. Ora, è noto che in epoca normanna, quando la produzione libraria in Terra d’Otranto divenne più consistente e si enucleò una scrittura tipica, nonché una decorazione del tutto caratteristica, il centro di gravitazione politica e culturale fu rappresentato dall’asse Calabria-Sicilia55. In questo contesto deve essere dunque collocata anche l’attenzione per santo Stefano di cui non può sfuggire la seppur successiva testimonianza della chiesa di Santo Stefano a Soleto56, nei cui affreschi relativi al santo è stata rintracciata, tra l’altro, l’influenza di una Passio leggendaria, del cui testo greco esistono varie recensioni57. Quella più vicina all’originale è trasmessa dallo Scorial. Y.II.6 del XII secolo esemplato nella zona dello stretto di Messina58, che può dunque aver fornito una sorta di « canovaccio iconografico all’autore del ciclo soletano »59. Torniamo ora ai manoscritti di quella che abbiamo definito famiglia otrantina all’interno della tradizione dell’Encomio del Nisseno. Tali codici sono latori anche di opere di Basilio: – l’omelia In sanctam Christi generationem è trasmessa dal Vall. B 34 (ff. 110-115), dall’Ambr. B 12 inf. (ff. 121-127) e dal Vat. Barb. gr. 456 (ff. 92-95)60 53 Cfr. S. MAGRINI, I palinsesti greci della Biblioteca Medicea Laurenziana: una introduzione, in Lucà, Libri palinsesti greci cit., p. 164. 54 Per un elenco dei palinsesti salentini cfr. D. ARNESANO, Libri inutiles in Terra d’Otranto. Modalità di piegatura dei bifogli nella realizzazione del Laur. 87.21, in LUCÀ, Libri palinsesti greci cit., pp. 199-200. 55 Cfr. G. CAVALLO, Libri greci e resistenza etnica in Terra d’Otranto, in Libri e lettori nel mondo bizantino. Guida storia e critica, a cura di G. C., Roma, Bari 1990 (Biblioteca universale Laterza, 325), p. 161. 56 Cfr. in sintesi M. BERGER, A. JACOB, La chiesa di Santo Stefano a Soleto, Lecce 2007 (Terra d’Otranto Bizantina, 1); A. JACOB, Un graffito sui generis nella chiesa di S. Stefano a Soleto e un suo interprete ardimentoso, in Studi salentini 85 (2009-2010), pp. 7-29. 57 Cfr. M. BERGER, Un inédit italo-grec de la passion légendaire de Saint-Étienne: les peintures murales de l’église Santo Stefano a Spoleto, en Terre d’Otrante, in La chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo, vol. III, Padova 1973 (Italia sacra, 22), pp. 1377-1388. 58 Cfr. A. STRUS, La passione di santo Stefano in due manoscritti greci, in Salesianum 58 (1996), pp. 21-61. 59 BERGER, JACOB, La chiesa cit., p. 61. 60 L’omelia è attestata anche nella scrittura inferiore del Vrat. Rehd. gr. 26. Si tratta di un manoscritto salentino, che riporta il testo dell’Iliade, databile alla fine del XIII secolo, rescriptus per i fogli 4r-119v. La scriptio inferior risale al X secolo, non appartiene a mani italogreche e riporta opere agiografiche e omiletiche, tra le quali di Basilio le omelie In sanctam Christi generationem (ff. 22. 27. 4. 23) e In sanctum baptisma (63. 50. 61. 52. 55. 46. 65): cfr. Catalogus codicum graecorum qui in bibliotheca urbica Vratislaviensi adservantur, a philologis Vratislaviensibus compositus, civitatis Vratislaviensis sumptibus impressus, accedit appendix qua Gymnasii regii Fridericiani codices graeci describuntur, Vratislaviae 1889, pp.
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– l’omelia In quadraginta martyres Sebastenses è tràdita dall’Ambr. F 103 sup. (ff. 120-126), Vall. B 34 (154-160v) e dal Vat. gr. 1246 (ff. 79-81v) – l’Homilia exhortatoria ad sanctum baptisma è presente nell’Ambr. F 103 sup. (ff. 266v-275) e Vat. Barb. gr. 456 (ff. 120-125), che contiene anche il secondo Encomium in quadraginta martyres di Gregorio di Nissa (ff. 151-155)61 Questi manoscritti salentini dunque testimoniano non solo l’interesse per il primo Encomium in sanctum Stephanum, ma anche per altri discorsi di Basilio, che al momento non sono attestati in altri codici provenienti dalla Terra d’Otranto. Tale dato può essere significativo almeno nel caso del Vall. B 34 e dell’Ambr. B 12 inf., per i quali, diversamente dallo stemma riportato in precedenza, si può forse supporre un modello comune62. A questo punto, fatta eccezione per le Epistole e le Regole di Basilio, che non sono oggetto della presente indagine, appare agevole notare come i manoscritti salentini esaminati trasmettano per intero un numero più ridotto di opere basiliane, a differenza di quel che si nota per i testi del Nisseno, per i quali nei manoscritti di Terra d’Otranto sembra attestata una diffusione più ampia e consistente. In ultima analisi, ai fini della presente indagine è interessate segnalare il caso di un manoscritto non esemplato in Terra d’Otranto, ma di cui è nota la circolazione nel territorio salentino. Si tratta del Vat. gr. 200163, che trasmette il De vita Gregorii Thaumaturgi, copiato in Calabria, probabilmente a Rossano, alla fine del secolo XI64, appartenuto a Paolo igumeno di s. Maria di Cerrate65 e poi forse passato di nuovo al monastero del Patir di Rossano66. 18-28; SCIARRA, La tradizione cit., pp. 44-50; R. DURANTE, L’Iliade in Terra d’Otranto: il teatro omerico nell’inedito ciclo illustrativo del Breslaviense Rhediger 26, in Aevum 86/2 (2012), pp. 493-517. Per le opere di Giovanni Crisostomo e di Gregorio di Nazianzo trascritte in questo manoscritto si vedano nel presente volume i contributi di S. Voicu e V. Somers. 61 Il testo del Nisseno è trasmesso anche dal Par. gr. 1505 (sec. XII, ff. 31-35), che, secondo Lendle, deriverebbe insieme al Vat. Barb. gr. 456 da un codex italograecus deperditus: cfr. Lendle, Sermones cit., pp. CCLIX-CCLXI. 62 In questo senso si potrebbe interpretare anche la presenza dell’omelia In quadraginta martyres Sebastenses sia nel Vall. B 34 (154-160v) sia nel Vat. gr. 1246. 63 Anche il Lesb. Ioan. 7, cui si è fatto cenno in precedenza, ai ff. 151-173 contiene lacunoso il De vita Gregorii Thaumaturgi: cfr. Heil, Sermones cit., p. CIV. 64 N. PERICOLI RIDOLFINI, Paolo di Grottaferrata, in Studi e ricerche sull’oriente cristiano 4 (1981), pp. 214-219 e 221-222; S. LUCÀ, Rossano, il Patir e lo stile rossanese. Note per uno studio codicologico-paleografico e storico-culturale, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 22-23 (198586), p. 156; M. B. FOTI, Cultura e scrittura nelle chiese e nei monasteri italo-greci, in Civiltà del Mezzogiorno d’Italia. Libro, scrittura, documento in età normanno-sveva, a cura di F. D’ORIA, Salerno 1994 (Cultura scritta e memoria storica, 1), pp. 52 e 70-71; JACOB, La réception cit., p. 33. 65 Si tratta dello stesso Paolo per cui nel 1154 è stato allestito il Vat. gr. 1221 (a. 1154), che contiene il commentario di Teofilatto di Bulgaria ai Vangeli: cfr. G. CAVALLO, La cultura italogreca nella produzione libraria, in I Bizantini in Italia, Milano 1982, p. 554; ID., Manoscritti italo-greci cit., p. 189; JACOB, La réception cit., p. 30. 66 Cfr. MAZZOTTA, Monaci e libri greci cit., p. 72.
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3. Conclusioni provvisorie Sottolineare l’assoluta provvisorietà delle conclusioni che seguono questa cursoria rassegna dei testi dei due Cappadoci trasmessi dai manoscritti di Terra d’Otranto è cosa quanto mai necessaria. D’altra parte il presente lavoro, come dichiarato sin dall’inizio, ha carattere introduttivo e in nessun modo esaustivo, ma tale in ogni caso da dare un’idea della diffusione delle opere dei due fratelli nel territorio salentino e da consentire alcune considerazioni. Un primo dato che balza subito agli occhi è l’assenza in Terra d’Otranto di corpora di Basilio e di Gregorio di Nissa, a differenza di quanto emerge per l’altro Cappadoce67. Tale considerazione è valida solo limitatamente alle testimonianze giunte sino a oggi e non impedisce in alcun modo che circolassero manoscritti con gruppi di testi dell’uno e dell’altro Cappadoce. Anzi in questo senso sembrerebbero andare alcuni indizi: 1) Il Laur. S. Marco 692 contiene, come s’è visto, varie omelie basiliane: In illud: Attende tibi ipsi, De ieiuno (II-I), Super psalmos (1; 14, I-II; 59; 61), In principium proverbiorum e Quod Deus non est auctor malorum. Se il modello, almeno per ciò che concerne la prima di queste omelie, fu forse il Panorm. B.N. XIII.H.2 (una raccolta di opere di Basilio del X secolo), si può allo stesso modo notare come anche gli altri testi del Laurenziano siano contenuti nel manoscritto di Palermo: De ieiuno (II, ff. 6-12; I, ff. 12-22)68, In illud: Attende tibi ipsi (ff. 32-40v), Quod Deus non est auctor malorum (ff. 41-51v), Homiliae super psalmos (1, ff. 1-6; 14, II, ff. 52-59; 14, I, ff. 80-86; 59, ff. 147-150v69; 61, ff. 150v-157); In principium proverbiorum (ff. 97v-115)70. 2) In due manoscritti (Vall. B 34 e Vat. Barb. gr. 456) si riscontra un gruppo constante di opere di Basilio e di Gregorio: In sanctam Christi generationem; Homilia exhortatoria ad sanctum baptisma71; Encomium in Sulla diffusione delle opere di Gregorio di Nazianzo in Terra d’Otranto si rinvia nel presente volume allo studio di V. Somers. 68 Da notare il significativo ordine inverso delle due omelie e il fatto che tra il f. 9v e il seguente manca una carta. 69 Mutila all’inizio. 70 In assenza di edizioni critiche moderne e di adeguati studi sulla tradizione manoscritta delle opere di Basilio l’ipotesi qui presentata appare verosimile, ma non dimostrabile. Appurare se il Laur. S. Marco 692 dipenda realmente per i testi segnalati dal manoscritto palermitano sarà oggetto di altra indagine. 71 Questi due testi, come s’è visto, si trovano già nella scriptio inferior (X sec.) del Vrat. Rehd. gr. 26. Si aggiunga ancora che il Laur. Plut. 9.16 contiene due testi del Nisseno che finora non erano stati identificati e di conseguenza non utilizzati nelle edizioni critiche: (ff. 1v-24r) Oratio catechetica a partire da p. 6,14 [ed. E. MÜHLENBERG, Leiden, New York, Köln 1996, GNO 3,4] e (ff. 24r-44r) De vita Moysis II,87-320 [ed. J. DANIÉLOU, Paris 1968 (Sources Chrétiennes 1ter)]. Devo questa segnalazione a D. Arnesano, al cui contributo nel presente volume rimando per maggiori informazioni sul manoscritto. 67
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sanctum Stephanum protomartyrem I; il che lascia supporre la probabile circolazione di una raccolta con questi testi. 3) L’Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, come s’è detto, contiene le omelie In illud: Attende tibi ipsi e De invidia e inoltre estratti dell’Epist. 260 Ad Episcopum Optimum e dell’Adversus Eunomium. L’accostamento di due testi omiletici, di un’epistola e di un testo dottrinale, in un abbinamento che non si ritrova in altri manoscritti salentini, lascia supporre la circolazione di raccolte di testi basiliani da cui per esigenze concrete poteva essere ricopiata una selezione di alcune opere. Ora proprio l’Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190 getta in questo senso qualche lume sulla questione. Infatti al f. 9v, attualmente contenuto nel Par. Suppl. gr. 681, ma che originariamente faceva parte dell’Athon., contiene un Poema sui sette peccati di Caino (cfr. Gn 4,15), composto in dodecasillabi divisi in due colonne72 Si tratta di un esercizio scolastico, come dimostra tra l’altro la menzione del įȚįıțĮȜȠȢ al v. 7, che potrebbe essere stato ispirato dalla lettura dell’Epist. 260 di Basilio contenuta, come s’è visto, proprio nell’Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, in cui peraltro, al f. 91, ll. 1-10, si legge la stessa lista di peccati che si ritrova anche in un altro testo trasmesso dall’Athon. ȕȡȦȞ 190 (f. 81, l. 10ss)73. Era dunque il contesto scolastico uno dei luoghi in cui si leggeva Basilio in Terra d’Otranto, come d’altra parte è confermato dall’indicazione generica, relativa a un discorso di Basilio, del Par. gr. 549, anch’esso, s’è già detto, testimonianza della pratica scolastica. Non dissimile doveva essere la circolazione dei testi del Nisseno, come è attestato per esempio dalle Omelie sul Cantico o sull’Ecclesiaste. Sennonché la diffusione del primo Encomium in sanctum Stephanum lascia supporre anche una circolazione differente, più legata ai fermenti locali di carattere culturale e/o religioso, come dimostra la significativa convergenza dell’ampio numero di manoscritti dell’Encomio di Santo Stefano e delle pur successive testimonianze artistiche. In questo senso un esempio molto interessante è rappresentato dal Vat. Barb. gr. 456 che contiene una raccolta agiografica di testi dei tre Cappadoci74, che è stato definito come Cfr. J. IRIGOIN, Livre et texte dans les manuscrits byzantins de poètes. Continuité et innovation, in Il libro e il testo, a cura di C. QUESTA, R. RAFFAELLI, Urbino 1984 (Pubblicazioni dell’Università di Urbino. Scienze umane. Atti di congressi, 1), pp. 91 e 98-99. 73 Cfr. HOFFMANN, Un recueil cit., pp. 119-120. 74 Cfr. ff. 92-95, Bas. Caes., In sanctam Christi generationem; ff. 96-100v, Greg. Nyss., Encomium in sanctum Stephanum protomartyrem I; ff. 104-108v, Greg. Naz., In sancta lumina (Or. 39); ff. 108v-120, Greg. Naz., In sanctum baptisma (Or. 40); ff. 120-125, Bas. Caes., Homilia exhortatoria ad sanctum baptisma; ff. 125-134, Greg. Naz., Funebris oratio in laudem Basilii Magni; ff. 151-155, Greg. Nyss., Encomium in quadraginta martyres II; ff. 155v-156v, Pseudo-Greg. Nyss., In annunciationem (si tratta di un testo inedito, che oggetto di studio in altra sede). Per la descrizione delle opere agiografiche riportate dal manoscritto 72
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BASILIO DI CESAREA E GREGORIO DI NISSA IN TERRA D’OTRANTO
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« un vero e proprio archivio di scritture otrantine dei secoli XI-XII »75 e che consente di attirare l’attenzione sul rapporto che legò in particolare la Terra d’Otranto con la Calabria. In particolare il typikon (tràdito dal manoscritto Jenens. Bibl. Univ. G.B.q.6a del XIII secolo76) di Bartolomeo da Simeri, fondatore del monastero del Patir, è vergato da un copista anonimo che adopera una minuscola salentina affine a quella con cui sono trascritti il Barb. gr. 456 (mano A), il Laur. 10.16 (mano A, ff. 3-12), contenente testi giuridici e proveniente da S. Pietro di Galatina, il menologio Ambr. C 11 inf., l’eucologio Barb. gr. 443 e il sinassario Par. gr. 1624 (mano C), che fu eseguito probabilmente nel monastero tarantino di S. Vito del Pizzo. Santo Lucà ha inoltre messo in evidenza come la scrittura di questi manoscritti sia un’evoluzione corsiveggiante, attestata anche dal Vall. B 34 (mano A, ff. 1-16v; 33-131v; 142-153v; 160-161v), dello stile salentino “rettangolare appiattito”, le cui prime testimonianze risalgono all’incirca alla metà del XII secolo77. Ai fini della nostra indagine è interessante notare come tra i manoscritti appena citati due (il Vat. Barb. gr. 456 e il Vall. B 34) contengano proprio testi di Basilio e di Gregorio di Nissa. Questo dato può apparire di poco rilievo, se rimane confuso all’interno della definizione generica di raccolte agiografiche e patristiche. Se invece si punta l’attenzione sulla circolazione dei singoli testi, si potranno ottenere dei risultati, altrimenti inattesi, interessanti sia per la ricostruzione della tradizione manoscritta delle singole opere sia per i legami che esse in qualche modo ebbero con il territorio in cui circolarono. Ora si è spesso sottolineata la divaricazione culturale della Terra d’Otranto rispetto alla Calabria e alla Sicilia, il che rimane senz’altro vero in termini generali. Tuttavia gli esempi fin qui riportati, ancorché limitati ad alcuni testi, peraltro soltanto di due autori, mi sembra consentano di ricostruire un quadro un po’ più composito. In questo senso giova sottolineare come la diffusione delle omelie di Basilio e di Gregorio in Terra d’Otranto sia in linea con il più generale interesse per l’omiletica, sviluppatosi in Sicilia e Calabria a partire dalla fine del secolo XI78: si tratta di un’omiletica di monaci, rivolta perlopiù alle popolazioni italo-greche, per i quali i testi dei Cappadoci potevano rappresentare un importante modello di cfr. il Catalogus codicum hagiographicorum graecorum Bibliothecae Barberinianae de Urbe, in Analecta Bollandiana 19 (1900), pp. 85-87. 75 CAVALLO, La cultura italo-greca cit., p. 554. 76 Cfr. ARNESANO, Il repertorio cit., p. 45. 77 Su tutto cfr. LUCÀ, I Normanni cit., p. 11. 78 Cfr. A. PERTUSI, Aspetti letterari: continuità e sviluppi della tradizione letteraria greca, in Il passaggio dal dominio bizantino allo stato normanno nell’Italia meridionale, a cura di C. D. FONSECA, Taranto 1977, p. 82.
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ALESSANDRO CAPONE
riferimento; il che, con le debite proporzioni e il necessario adeguamento alla situazione storica e sociale, sembra trovare riscontro anche in Terra d’Otranto79. APPENDICE Primo censimento provvisorio delle opere di Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa, trasmesse dai manoscritti di Terra d’Otranto esaminati nel presente studio80 Basilio
Epist. 260 Ad Episcopum Optimum
– Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, a. 1297/8, ff. 91v olim 132 - 89v olim 135
In illud: Attende tibi ipsi
– Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, a. 1297/8, ff. 95v olim 128 - 91v olim 132 – Laur. S. Marco 692, sec. XIV, ff. 95-101v
Homiliae super psalmos 1, 14, 59, 61
– Laur. S. Marco 692, sec. XIV, ff. 89-95; 102-121
Adversus Eunomium
– Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, a. 1297/8, f. 139r-v
De ieiunio homiliae
– Laur. S. Marco 692, sec. XIV, ff. 121-126
Quod Deus non est auctor malorum
– Laur. S. Marco 692, sec. XIV, ff. 150-158v (des. imperf.)
Homilia de invidia
– Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, a. 1297/8, ff. 89v olim 135 - 98v olim 138
Homilia in principium proverbiorum
– Laur. S. Marco 692, sec. XIV, ff. 134-150
79 Cfr. e.g. O. PARLANGELI, La predica salentina in caratteri greci, in Romanica. Festschrift für Gerhard Rohlfs, im Einvernehmen mit K. WAIS, W. Th. ELWERT, R. BAEHR, herausgegeben von H. LAUSBERG und H. WEINRICH, Halle (Saale) 1959, pp. 336-361. 80 Le opere sono riportate secondo l’ordine del TLG.
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BASILIO DI CESAREA E GREGORIO DI NISSA IN TERRA D’OTRANTO
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Homilia exhortatoria ad sanctum baptisma
– Ambr. F 103 sup., sec. XIII, ff. 266v-27581 – Vat. Barb. gr. 456, sec. XII, ff. 120-125
In quadraginta martyres Sebastenses
– Vall. B 34, a. 1162/3, ff. 154-160v – Vat. gr. 1246, sec. XII,ff. 79-81v
Sermo de ascetica disciplina
– Vat. Ottob. gr. 312 sec. XIV in., f. 34r-v (inc. mut.)
In sanctam Christi generationem
– Ambr. B 12 inf., sec. XII, ff. 121-127 – Vall. B 34, a. 1162/3, ff. 110-115 – Vat. Barb. gr. 456, sec. XII, ff. 92-95
Gregorio
81
Homiliae in Ecclesiasten
– Par. gr. 1002, sec. XIV, ff. 120162
Contra Eunomium I
– Brix. A IV 3, a. 1448/9, ff. 156179
Refutatio confessionis Eunomii
– Brix. A IV 3, a. 1448/9, ff. 179202
Homiliae in Canticum canticorum
– Laur. S. Marco 692, sec. XIV, ff. 1-87v – Par. gr. 1002, sec. XIV, ff. 1-120
Encomium in sanctum Stephanum protomartyrem I
– Ambr. B 12 inf., sec. XII, ff. 86-92v – Ambr. C 11 inf., sec. XII, ff. 39-50 – Ambr. F 103 sup., sec. XIII, ff. 248-256 – Crypt. B b X.2 (gr. 3), sec. XII/ XIII, ff. 26-34 – Laur. Plut. 10.27, sec. XII, ff. 165v-168v (des. imperf.) – Lesb. Ioan. 7, sec. XIII, ff. 18v-23v – Vall. B 34, a. 1162/3, ff. 150-177 – Vat. gr. 1246, sec. XII, ff. 56-59v – Vat. Barb. gr. 456, sec. XII, ff. 96-100v
81 Del manoscritto, di cui sono stati analizzati solo alcuni campioni, esige un studio più approfondito per stabilire se tutto o solo parte si può ricondurre alla Terra d’Otranto.
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ALESSANDRO CAPONE
De vita Moysis II
– Laur. Plut. 9.16, prima metà del sec. XIII, ff. 24r-44r
De oratione dominica
– Par. Suppl. gr. 681 ex Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, a. 1297/8, f. 9r
Orationes de beatitudinibus
– Ambr. B 39 sup., seconda metà del sec. XV, ff. 76-94v – Brix. A IV 3, a. 1448/9, ff. 149150 – Oxon. Auct. T.2.16, seconda metà del sec. XIV, ff. 111-124 – Vat. Ottob. gr. 312 sec. XIV in., ff. 39-41v
Dialogus de anima et resurrectione
– Oxon. Auct. T.2.16, seconda metà del XIV secolo, ff. 67-110
Encomium in quadraginta martyres II
– Vat. Barb. gr. 456, sec. XII, ff. 151-155
De vita Gregorii Thaumaturgi
– Lesb. Ioan. 7, sec. XIII, ff. 15117382
Epistula canonica
– Ambr. E 94 sup., sec. XIII ex., ff. 153-159 – Par. gr. 1370, a. 1297, ff. 51-54v – Par. Suppl. gr. 681 ex Athon. ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190, a. 1297/8, ff. 129v-130v
De opificio hominis
– Oxon. Auct. T. 2. 16, seconda metà del sec. XIV, ff. 1-66 – Scor. ȍIV. 7 83
Oratio catechetica
– Laur. Plut. 9.16, prima metà del sec. XIII, ff. 1v-24r 8283
82 L’analisi paleografica del manoscritto, che sembrerebbe appartenere a una mano salentina, come s’è detto in precedenza, è stata limitata solo ai fogli che contengono l’Encomium in sanctum Stephanum protomartyrem I. Uno studio di più ampio respiro potrebbe appurare se anche i fogli che trasmettono in maniera lacunosa il De vita Gregorii Thaumaturgi siano da attribuire alla stessa o ad altra mano. Con tali premesse e consapevole delle necessità di altre indagini, mi limito solo a registrare la presenza di quest’opera nel Lesb. Ioan. 7. 83 Vd. LUCÀ, Dalle collezioni manoscritte di Spagna cit., p. 84.
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DANIELE ARNESANO GIORGIO LAUREZIO, COPISTA ED INTELLETTUALE DEL SECOLO XV*
Il periodo più intenso della trasmissione del sapere nel Salento medievale coincise certamente con il secolo che va dall’inizio del Duecento all’inizio del Trecento. Dopo la fioritura del massimo rappresentante della cultura greco-otrantina – Nicola-Nettario (1155/1160 – 1235), abate di S. Nicola di Casole1 – la produzione libraria raggiunse l’apice fra la seconda metà del secolo XIII e i primi decenni del successivo2. Il tenore culturale che connotò il Quattrocento, sebbene inferiore rispetto al passato e in linea con la più generale decadenza della grecità in Italia meridionale (segnatamente in ambito monastico), non fu privo di qualche picco né fu del tutto compromesso dalle tragiche vicende del 14803. Prima di questa data, infatti, risultano attivi alcuni copisti (talvolta su commissione), originari per lo più di Soleto4, e uomini di lettere quali Giorgio di Corigliano5 e Nicola Schinzari di Galatina6. Dopo l’eccidio turco – quasi a smentire una prevedibile débâcle della cultura greco-otrantina – ecco la fioritura del
Esprimo sincera gratitudine ad Alessandro Capone, Matthieu Cassin, Guglielmo Cavallo, Antonio Rigo e David Speranzi per aver contribuito in vario modo a migliorare questo mio lavoro. 1 Su cui si veda J. M. HOECK – R. J. LOENERTZ, Nikolaos-Nektarios von Otranto Abt von Casole. Beiträge zur Geschichte der Ost-westlichen Beziehungen unter Innocenz III und Friedrich II, Ettal 1965 (Studia patristica et byzantina, 11); più di recente cfr. K. HAJDÚ – P. SCHREINER, Nikolaos von Otranto und ein angeblicher Plagiator im Cod. graec. 262 der Bayerischen Staatsbibliothek. Mit einem Anhang zur Provenienz der griechischen Handschriften aus der Sammlung Johann Albrecht Widmannstetters, in Codices Manuscripti 87-88 (2013), pp. 25-52. 2 D. ARNESANO, La minuscola « barocca ». Scritture e libri in Terra d’Otranto nei secoli XIII e XIV, Galatina 2008 (Fonti medievali e moderne, 12). 3 Per un panorama della produzione libraria salentina di questo periodo – con riferimento agli amanuensi più noti, ai manoscritti datati, ai maggiori centri di copia e alla precedente bibliografia – mi sia consentito rinviare al mio San Nicola di Casole e la cultura greca in Terra d’Otranto nel Quattrocento, in La conquista turca di Otranto (1480) tra storia e mito. Atti del Convegno internazionale di studio (Otranto - Muro Leccese, 28-31 marzo 2007), a cura di H. HOUBEN, I, Galatina 2008 (Saggi e testi, 41), pp. 107-140. 4 Cfr. M. BERGER – A. JACOB, La chiesa di S. Stefano a Soleto, Lecce 2007, pp. 10-11. 5 F. G. GIANNACHI, Giorgio da Corigliano traduttore dal latino, in Medioevo greco 11 (2011), pp. 49-61. 6 A. JACOB, Les annales d’une famille sacerdotale grecque de Galatina dans l’Ambrosianus C 7 sup. et la peste en Terre d’Otrante à la fin du moyen âge, in Bollettino Storico di Terra d’Otranto 1 (1991), pp. 23-51: 28-31.
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DANIELE ARNESANO
cenacolo gravitante intorno a Sergio Stiso di Zollino7, una cerchia erudita animata da figure di prim’ordine, i cui nuovi interessi culturali si riflettono in una produzione e uno scambio di libri di grande interesse, tuttora oggetto d’indagine8. Nelle pagine che seguono vorrei soffermarmi sull’operato di uno tra i più prolifici amanuensi di Terra d’Otranto durante il secolo XV: Giorgio Laurezio. Passando in rassegna i cinque codici da lui vergati e pervenuti sino a noi (due sottoscritti, tre assegnati alla sua mano dagli studiosi), spero infatti non solo di fare il punto sul lavoro dell’amanuense ma, attraverso la disamina degli autori e delle opere ai quali si interessò, anche di ricostruire il profilo culturale di un erudito tipico della sua epoca ma non privo di elementi distintivi. 1. I manoscritti 1.a. Brescia, Biblioteca Civica Queriniana, A IV 3 Il manoscritto bresciano è un codice di mm 290×214, costituito da 242 fogli di carta filigranata. Fu sottoscritto dal nostro copista al f. 148v: ǼȜȘijİ IJȡȝĮ ȕȕȜȠȢ ਸ਼įİ IJȠ૨ ijȜȠȣ ȤİȚȡ īİȦȡȖȠȣ IJİ IJȠ૨ ȁĮȣȡİȗȠȣ ૧ȠȣijȚĮȞIJȠȣ į´ਕȝĮșİıIJIJȠȣ ȞȠȣ IJȠȣȢ ࢞ࢫȊȞİ (o ȗ Apprendiamo dunque che egli si chiamava Giorgio Laurezio ed era originario di Ruffano (diocesi di Ugento)9; si definisce ਕȝĮșıIJĮIJȠȢ ȞȠȢ, cioè “giovane inespertissimo”, “ignorantissimo”, secondo il IJંʌȠȢ della IJĮʌİȚȞંIJȘȢ, comune tra i copisti bizantini10 7 A. JACOB, Sergio Stiso de Zollino et Nicola Petreo de Curzola. À propos d’une lettre du Vaticanus gr. 1019, in Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in onore di Agostino Pertusi, Milano 1982, pp. 154-168. 8 Cfr. D. SPERANZI, Per la storia della libreria medicea privata. Giano Lascaris, Sergio Stiso di Zollino e il copista Gabriele, in Italia medioevale e umanistica 48 (2007), pp. 77-111. 9 La presenza a Ruffano (e a Supersano, su cui cfr. infra, p. 72) di edifici sacri e di sacerdoti che vi avevano officiato more graeco è documentata dalla visita pastorale del vicario capitolare Tommaso De Rossi (1711): Archivio Diocesano di Ugento, Visite e Sinodi 1, ff. 30r-70r (Ruffano), 70v-82r (Supersano). Cfr. S. PALESE, Per la storia religiosa della diocesi di Ugento agli inizi del Settecento, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, a cura di M. PAONE, IV, Galatina 1976, pp. 275-334: 332-333 e nt. 162-165. 10 C. WENDEL, Die IJĮʌİȚȞިIJȘȢ des griechischen Schreibermönches, in Byzantinische Zeitschrift 43 (1950), pp. 259-266: 261 (ਕȝĮșıIJĮIJȠȢ). Se si considera che il codice, come si vedrà fra poco, è di contenuto aristotelico, non è forse inopportuno osservare come questo aggettivo riecheggi il concetto filosofico di ਕȝĮșĮ, sul quale aveva scritto, oltre a Platone, proprio Aristotele. Come ha notato il Martini (E. MARTINI, Catalogo di manoscritti greci esistenti nelle biblioteche italiane, Milano 1893-1902, I.2, p. 245), l’espressione utilizzata dal Laurezio è identica a quella impiegata da Ciriaco Prasiano di Gallipoli nel colofone del Laur. Plut. 71.35, latore, come il bresciano, delle Categoriae e ultimato nel 1290 (cfr. D. HARLFINGER in Aristoteles Graecus. Die griechischen Manuskripte des Aristoteles, untersucht und beschrieben
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GIORGIO LAUREZIO, COPISTA ED INTELLETTUALE DEL SECOLO XV
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Considerato tradizionalmente un codice unitario, il manoscritto di Brescia − come dimostra l’incrocio dei dati relativi al contenuto con la struttura dei fascicoli − è in realtà ciò che si definisce codice “pluritestuale pluriblocco”, cioè un insieme di unità codicologiche scandite dalla coincidenza di cesura testuale e cesura materiale (“snodi”)11. La segnatura dei fascicoli, che il Laurezio appose di proprio pugno nel margine superiore del recto del primo foglio, conferma la natura composita del codice attuale e consente di precisare che il manoscritto è il risultato dell’accorpamento di quattro booklets12 principali, dotati di numerazione autonoma, che per comodità del lettore ho schematizzato nella tabella posta alla fine del presente contributo13. La data riportata nella sottoscrizione, cioè l’anno 1448/9 o 1446/714, si riferisce con certezza al solo booklet B. L’analisi delle filigrane15 consente di affermare che il booklet A, il bifoglio 149-150 ed il binione 151-154 sono ad esso coevi. La filigrana dei booklets C e D è diversa ma priva di riscontro, perciò è difficile affermare se essi siano stati vergati nello stesso periodo o meno16. Il booklet A17 contiene il Corpus Dionysiacum18 con il commento di Massimo il Confessore19. Il testo è a piena pagina; il commento è disposto intorno ad esso. von P. MORAUX – D. HARLFINGER – D. REINSCH – J. WIESNER, Berlin-New York 1976 [Peripatoi, 8], pp. 234-237). Le due sottoscrizioni sono pressoché identiche e non è azzardato supporre che il copista di Ruffano abbia avuto fra le mani il manoscritto di Firenze. 11 Su cui cfr. M. MANIACI, Il codice greco ‘non unitario’. Tipologie e terminologia, in Segno e testo 2 (2004) (= Il codice miscellaneo. Tipologie e funzioni. Atti del Convegno internazionale [Cassino, 14-17 maggio 2003], a cura di E. CRISCI O. PECERE), pp. 75-107: 88. 12 Su questa nozione codicologica si veda P. M. ROBINSON, The ‘Booklet’: A Self-Contained Unit in Composite Manuscripts, in Codicologica, 3, Essais typologiques, ed. by A. GRUYS – J. P. GUMBERT, Leiden 1980, pp. 46-69. Per altre opzioni circa la nomenclatura ed il relativo significato cfr. MANIACI, Il codice greco ‘non unitario’ cit., pp. 77-78 nt. 5. 13 Cfr. infra, pp. 88-89. 14 L’ultima cifra è stata modificata (dallo stesso copista) ma non è chiaro se epsilon sia stata corretta in zeta o viceversa. Nel primo caso la data è 1448/9, nel secondo 1446/7. 15 Cfr. HARLFINGER in Aristoteles graecus cit., p. 71. 16 Questa filigrana è riprodotta in D. & J. HARLFINGER, Wasserzeichen aus griechischen Handschriften, I, Berlin 1974 (Boeuf 21). 17 Ff. 1-105. Fascicolazione: 1x12 - 1 (11; il primo foglio è caduto ed è andato perduto), 2x12 (35), 1x8 (43), 2x12 (67), 1x14 (81), 2x12 (105). La numerazione inizia dal secondo fascicolo (ȕ, f. 12r). 18 Ed. Corpus Dionysiacum, I, De divinis nominibus, hrsg. von B. R. SUCHLA, Berlin 1990 (Patristische Texte und Studien, 33) (sul manoscritto pp. XXVIII, 16 nr. 18, sigla Ta); Corpus Dionysiacum, II, De coelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia, De mystica Theologia, Epistulae, hrsg. von G. HEIL A. M. RITTER, Berlin 1991 (Patristische Texte und Studien, 36); 2a ed. Berlin 2012 (Patristische Texte und Studien, 67). 19 PG 4, coll. 13-576. A causa della caduta di un foglio all’inizio del booklet A (cfr. supra, nt. 17), il testo del De coelesti hierarchia (e del commento di Massimo il Confessore) è mutilo all’inizio.
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Il f. 155, isolato, contiene parte del prologo di Massimo il Confessore al Corpus Dionysiacum; sul piano codicologico esso non sembra appartenere ad A20 ma su quello del contenuto può a ragione essere a ricondotto a questo. Il booklet B21 contiene le Categoriae di Aristotele con il commento di Ammonio. Seguono un brano del commento di Elia e due testi anonimi; il primo è ancora un commento alle Categoriae, il secondo è costituito da prolegomeni alla Isagoge di Porfirio22. Testo e commento sono disposti a pericopi alternate23; la mise en page è a due colonne. Il binione 151-154, sul piano codicologico non riconducibile con certezza ad alcuno dei quattro booklets che oggi formano il codice bresciano, può essere associato a B per via del testo che tramanda: contiene infatti, oltre ad un breve scritto non ancora identificato, un brano del De interpretatione. Nel booklet C24 il Laurezio ricopiò il primo libro del trattato Contra Eunomium (mutilo all’inizio) di Gregorio di Nissa25, seguito dalla Refutatio confessionis Eunomii dello stesso autore26. Il testo è dapprima disposto su due colonne, poi (dal f. 157v) a piena pagina. La condanna delle posizioni antitrinitarie degli eunomiani da parte del Nisseno spiega la presenza nella stessa unità codicologica del cosiddetto Symbolum Athanasianum o Symbolum quicumque, antiariano e fortemente trinitario, vergato dal Laurezio su due colonne (a sinistra il greco, a destra la versione latina, incompleta)27. Di questa professione di fede sono state pubblicate quattro 20 Esso infatti non è identificabile (per ragioni di contenuto) con il foglio caduto dal primo fascicolo (cfr. supra, ntt. 17, 19). 21 Ff. 156, 106-148. Fascicolazione: 1x14 - 1 (106-118; il primo foglio è caduto ma è identificabile con il f. 156, oggi isolato), 1x14 (132), 1x16 (148). 22 Questi ultimi due testi sono trasmessi da altri due codici otrantini, più antichi: il Laur. Plut. 71.35 (ff. 182v-186v) ed il Laur. Plut. 71.11 (ff. 8r-11v); sul primo cfr. supra, nt. 10; sul secondo cfr. HARLFINGER in Aristoteles graecus cit., pp. 228-230, 472. 23 Su questa modalità di gestione del testo e del commento nel manoscritto bizantino cfr. J. IRIGOIN, Livre et texte dans les manuscrits byzantins de poètes: continuité et innovations, in Il libro e il testo. Atti del convegno internazionale (Urbino, 20-23 settembre 1982), a cura di C. QUESTA – R. RAFFAELLI, Urbino 1984 (Università di Urbino. Scienze Umane. Atti di Congressi, 1), pp. 85-102: 99. 24 Ff. 156a-203. Fascicolazione: 1x12 + 1 (168; il f. 163 è attaccato al f. 162), 2x16 (200), 1x3 (203). 25 Gregorius Nyssenus, Contra Eunomium libri, ed. W. JAEGER, Leiden 19602 (GNO, 1). Sull’opera si veda ora M. CASSIN, L’Écriture de la controverse chez Grégoire de Nysse. Polémique littéraire et exégèse dans le Contre Eunome, Turnhout 2012 (Études augustiniennes. Série antiquité, 193); sul manoscritto cfr. ID., Les kephalaia du livre I, in Grégoire de Nysse. Contre Eunome I, 147-691, trad. R. WINLING, Paris 2010 (Sources chrétiennes, 524), pp. 359-364. 26 Gregorius Nyssenus, Contra Eunomium libri cit. (GNO, 2), pp. 312-410. 27 Si veda V. LAURENT, Le Symbole « Quicumque » et l’Église byzantine. Notes et documents, in Échos d’orient 35 (1936), pp. 385-404: 387 nr. 18 (la segnatura del codice è erroneamente indicata come A VII 3).
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versioni28; quella presente nel nostro manoscritto è diversa da tutte e quattro ma si avvicina maggiormente ad una delle due che accolgono il Filioque29. Questa professione di fede era assai discussa, in quanto contenente un riferimento alla processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, non a caso soggetta a manipolazioni in Oriente e in Occidente30 ed utilizzata in chiave antiortodossa da occidentali come Ugo Eteriano31 e gli apocrisiarii papali a Nicea nel 123432, oltre che da teologi filounionisti come il patriarca Giovanni Bekkos33. Il bifoglio 149-150 del codice bresciano, pur apparendo slegato sul piano codicologico da C e dagli altri booklets, può essere ad esso affiancato per ragioni contenutistiche; vi si legge infatti l’inizio della prima delle omelie De beatitudinibus del Nisseno34. Il booklet D35 è miscellaneo, ma di una coerenza stringente sul piano contenutistico, giacchè i testi concernono tutti la querelle sulla processione dello Spirito Santo. Il testo è disposto su due colonne. Esso si apre con la Historia ecclesiastica et mystica contemplatio36, il noto commentario liturgico attribuito dalla tradizione ora a Germano I, patriarca di Costantinopoli, ora a Basilio37; nel codice di Brescia l’opera è attribuita a quest’ultimo, come accade sempre nei testimoni otrantini38. PG 28, coll. 1581-1592. Si tratta della terza formula stampata da Migne (PG 28, coll. 1585-1588); ed anzi in questo punto le parole sono pressoché identiche: ȉઁ ȆȞİ૨ȝĮ IJઁ ਚȖȚȠȞ ਕʌઁ IJȠ૨ ȆĮIJȡઁȢ țĮ IJȠ૨ ȊੂȠ૨ Ƞ ʌȠȚȘIJંȞ, Ƞ țIJȚıIJંȞ, Ƞį ȖİȞȞȘIJંȞ, ਕȜȜ´ਥțʌȠȡİȣIJંȞ » (PG); « ȉઁ ȆȞİ૨ȝĮ IJઁ ਚȖȚȠȞ ਕʌઁ IJȠ૨ ȆĮIJȡઁȢ țĮ IJȠ૨ ȊੂȠ૨ Ƞ ʌȠȚȘIJંȞ, Ƞį țIJȚıIJંȞ, ȠIJİ ȝȞ ȖİȞȞȘIJંȞ, ਕȜȜ´ਥțʌȠȡİȣIJંȞ (ms. di Brescia). L’altra formula cui si avvicina la versione del codice bresciano è la seconda (PG 28, coll. 1585-1586), che però, nel punto cruciale del Filioque, così recita: ȉઁ ȆȞİ૨ȝĮ IJઁ ਚȖȚȠȞ ʌĮȡ ȆĮIJȡઁȢ țĮ ȊੂȠ૨ Ƞ ʌȠȚȘșȞ, Ƞ țIJȚıșȞ, Ƞ ȖİȞȞȘșȞ, ਕȜȜ´ਥțʌȠȡİȣંȝİȞȠȞ 30 Cfr. G. DE GREGORIO, Tardo Medioevo grecolatino: manoscritti bilingui d’Oriente e d’Occidente, in Libri, documenti, epigrafi medievali: possibilità di studi comparativi. Atti del convegno internazionale di studio dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti (Bari, 2-5 ottobre 2000), a cura di F. MAGISTRALE – C. DRAGO – P. FIORETTI, Spoleto 2002 (Studi e ricerche, 2), pp. 17-135: 36-37, 76, 122 (con bibliografia). 31 Cfr. infra, p. 65 e nt. 52. 32 Cfr. infra, p. 66 e nt. 69. 33 Cfr. infra, p. 79 e nt. 160. 34 PG 44, coll. 1193-1201 A. 35 Ff. 204-242. Fascicolazione: 2x16 (236), 1x6 (242). 36 PG 98, coll. 384-454; St. Germanus of Constantinople, On the Divine Liturgy, ed. by P. MEYENDORFF, Crestwood (N.Y.) 1984. 37 R. BORNERT, Les commentaires byzantins de la Divine Liturgie du VIIe au XVe siècle, Paris 1906 (Archives de l’orient chrétien, 9), pp. 142-149; R. TAFT, The Liturgy of the Great Church: an Initial Synthesis of Structure and Interpretation on the Eve of Iconoclasm, in Dumbarton Oaks Papers 34-35 (1980-1981), pp. 45-75. 38 A. JACOB, Un opuscule didactique otrantais sur la Liturgie eucharistique. L’adaptation en vers, faussement attribuée à Psellos, de la Protheoria de Nicolas d’Andida, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 14-16 (1977-1979), pp. 161-178: 165 e nt. 3. 28 29
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Segue lo scritto anonimo Sugli errori dei Franchi (cioè dei latini), composto nel secolo XII39 e riconducibile alla lettera di Michele Cerulario a Pietro di Antiochia40. È poi la volta di Niceta Stetato, il monaco studita del secolo XI che attaccò i latini sugli azzimi, sul digiuno del sabato e sulla proibizione del matrimonio dei preti: Giorgio Laurezio copiò l’Adversus Iudaeos (limitatamente alle prime e alle ultime righe)41 e il De vitae terminis42. Dopo un altro trattato anonimo, avente per oggetto gli azzimi e il digiuno del sabato43, si legge una parte della lettera che Leone di Acrida – altra figura di rilievo nella temperie scismatica del 1054 scrisse a Giovanni, vescovo di Trani, contro le tradizioni dei latini (in particolare sull’uso del pane azzimo)44. I medesimi argomenti vengono affrontati nello scritto successivo, attribuito nel codice a Teofilatto di Bulgaria45. La raccolta di auctoritates continua grosso modo in ordine cronologico, con autori di età comnena, alcuni dei quali attivi durante il regno di Alessio I. Pietro Crisolano o Grosolano46 polemizzò a Costantinopoli con Giovanni Phurnes47 sulla questione del Filioque: a questa circostanza fanno riferimento l’opera del vescovo di Milano contenuta nel codice bresciano48 e la risposta del monaco ortodosso49. Al regno di Manuele risalgono invece gli scritti polemici di Nicola di Metone50, di cui il Laurezio ricopiò i Sillo39 Su questo testo cfr. P. ELEUTERI – A. RIGO, Eretici, dissidenti, musulmani ed ebrei a Bisanzio. Una raccolta eresiologica del XII secolo, Venezia 1993, p. 72 e nt. 4. 40 Cfr. f. 209r A, rr. 62-66: ਕʌઁ IJોȢ ıIJĮȜİıȘȢ ਥʌȚıIJȠȜોȢ ʌĮȡ ȂȚȤĮȜ ʌĮIJȡȚȡȤȠȣ ȀȦȞıIJĮȞIJȚȞȠȣʌંȜİȦȢ ȞĮȢ ૮આȝȘȢ IJȠ૨ ȝĮțĮȡȚȦIJIJȠȣ ʌȡઁȢ ȆIJȡȠȞ ʌĮIJȡȚȡȤȘȞ ĬİȠʌંȜİȦȢ ȝİȖȜȘȢ IJઁȞ ਖȖȚઆIJĮIJȠȞ (cfr. PG 120, coll. 781-796). 41 Nicétas Stéthatos, Opuscules et lettres, éd. par J. DARROUZÈS, Paris 1961 (Sources chrétiennes, 81), pp. 412-443. 42 Nicétas Stéthatos, Opuscules et lettres cit., pp. 366-411. 43 Nel manoscritto: Ȇİȡ ਕȗȝȦȞ țĮ ʌİȡ ıĮȕȕIJȠȣ 44 PG 120, coll. 836-844. Nel codice bresciano se ne conserva solo una parte: PG, 120, coll. 841B - 844A. 45 Inedito. Dubbi su questa attribuzione sono stati avanzati da P. GAUTIER, L’épiscopat de Théophylacte Héphaistos, archevêque de Bulgarie, in Revue des études byzantines 21 (1963), pp. 159-178: 166. Sull’attività polemica di Teofilatto di Bulgaria si veda G. PODSKALSKY, Theologische Literatur des Mittelalters in Bulgarien und Serbien (865-1459), München 2000, pp. 246-247 (con bibliografia). 46 G. ARCHETTI, Grosolano (Grossolano), in Dizionario biografico degli italiani, 59, Roma 2002, pp. 793-795. 47 A. KAZHDAN, Phournes, John, in The Oxford Dictionary of Byzantium, Oxford 1991, III, p. 1671. 48 Ed. L. ALLATIUS, Graeciae orthodoxae tomus primus in quo continentur scriptores..., Romae 1652, pp. 379-389. 49 Ed. A. DEMETRAKOPOULOS, ݑțțȜȘıȚĮıIJȚț ޣȕȚȕȜȚȠׇȒțȘ, Leipzig 1866 (rist. Hildesheim 1965), I, pp. 36-47. 50 A. KAZHDAN, Nicholas of Methone, in The Oxford Dictionary of Byzantium cit., II, p. 1469.
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gismi51, e di Ugo Eteriano52. Celebre come il fratello Leone Toscano53, Ugo è noto anzitutto per un trattato contro il bogomilismo54, ma il manoscritto della Queriniana custodisce una reliquia del suo De Sancto et immortali Deo, pubblicato fra il 1176 ed il 1177 in edizione bilingue, ancora una volta sulla processione dello Spirito Santo. Il testo latino è pervenuto per intero55 mentre della versione greca (perduta, allo stato attuale della ricerca) si conservano i soli due estratti bresciani56. Fra questi due estratti Giorgio copiò un libellus intitolato Contra veteris Romae asseclas (organico ai precedenti sul piano del contenuto)57, che la tradizione attribuisce addirittura a Fozio ma sulla cui falsa paternità gli studiosi si sono già espressi58. Avulso (ma solo cronologicamente) da questa galleria di illustri polemisti è Niceta Byzantios (fl. 860-885)59, i cui Capitoletti sulla processione dello Spirito Santo pare siano tràditi solo dal codice della Biblioteca Queriniana60. Un’aspra disputa sugli stessi argomenti fu quella avvenuta a Tessalonica 51 Ed. DEMETRAKOPOULOS, ݑțțȜȘıȚĮıIJȚț ޣȕȚȕȜȚȠׇȒțȘ cit., I, pp. 359-380 (ȉȠ૨ ĮIJȠ૨ ȃȚțȠȜȠȣ ਥʌȚıțંʌȠȣ ȂİșઆȞȘȢ țİijĮȜĮȚઆįİȚȢ ȜİȖȤȠȚ IJȠ૨ ʌĮȡ ȁĮIJȞȠȚȢ țĮȚȞȠijĮȞȠ૨Ȣ įંȖȝĮIJȠȢ, IJȠ૨ IJȚ IJઁ ȆȞİ૨ȝĮ IJઁ ਚȖȚȠȞ ਥț IJȠ૨ ȆĮIJȡઁȢ țĮ IJȠ૨ ȊੂȠ૨ ਥțʌȠȡİİIJĮȚ). 52 V. LAURENT, Éthérien Hugues, in Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques, XV, Paris 1963, coll. 1172-1176; A. DONDAINE, Hugues Ethérien et Léon Toscan, in Archives d’histoire doctrinale et littéraire du moyen âge 19 (1952), pp. 67-134; A. GARZYA, Traduzioni di testi religiosi latini a Bisanzio, in La traduzione dei testi religiosi, a cura di G. MORESCHINI G. MENESTRINA, Brescia 1994 (Religione e cultura, 6), pp. 171-184: 173-174. 53 Su cui si veda, oltre all’articolo di Dondaine citato alla nt. 52, A. RIGO, Leone Toscano, in Dizionario biografico degli italiani, 64, Roma 2005, pp. 557-560. Fra il 1177 ed il 1178 Leone Toscano tradusse in latino la Liturgia di Giovanni Crisostomo: A. JACOB, La traduction de la Liturgie de saint Jean Chrysostome par Léon Toscan. Édition critique, in Orientalia christiana periodica 32 (1966), pp. 111-162. Il vescovo di Otranto Guglielmo portò in Italia una copia di questa versione; oggi si conservano due manoscritti bilingui e digrafici prodotti in Terra d’Otranto: il primo è il codice di Karlsruhe, Badische Landesbibliothek, Ettenheim-Münster 6 (sec. XIVin.), su cui si veda DE GREGORIO, Tardo Medioevo grecolatino cit., p. 98 e nt. 171, 104-106, tavv. XVIII-XIX; ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., p. 98 nr. 90; il secondo è il Par. gr. 323, su cui cfr. ibid., p. 108 nr. 132. 54 Hugh Eteriano, Contra Patarenos. Edited an translated with a commentary by J. HAMILTON, Leiden-Boston 2004 (The Medieval Mediterranean. Peoples, Economies and Cultures, 400-1500, 55). 55 PL 202, coll. 277-396. 56 Cfr. A. RIGO, rec. a Hugh Eteriano, Contra Patarenos cit., in Byzantinische Zeitschrift 99 (2007), pp. 662-668: 663-664. 57 Photii Constantinopolitani Liber de Spiritus Sancti mystagogia, ed. J. HERGENRÖTHER, Ratisbonae 1857, pp. 111-120. 58 Cfr. J. DARROUZÈS, Le mémoire de Constantin Stilbès contre les Latins, in Revue des études byzantines 21 (1963), pp. 50-100: 55. 59 Sul quale si veda A. RIGO, Niceta Byzantios, la sua opera e il monaco Evodio, in « In partibus Clius ». Scritti in onore di Giovanni Pugliese Carratelli, a cura di G. FIACCADORI, con la collaborazione di A. GATTI e S. MAROTTA, Napoli 2006, pp. 147-187. 60 Inediti. Cfr. RIGO, Niceta Byzantios cit., pp. 155, 161.
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nel 1154 fra Anselmo, vescovo di Havelberg (ca. 1099-1158)61 e Basilio, arcivescovo di Acrida, del quale il codice di Brescia conserva il resoconto in forma di dialogo62. Lo stesso Basilio fu il destinatario di una lettera di papa Adriano IV63, al quale il teologo greco rispose adeguatamente64; tale scambio epistolare fu parimenti trascritto dal copista salentino. Il booklet D si conclude con una serie di documenti riferibili al regno di Giovanni III Duca Vatatze. Si tratta anzitutto di un botta e risposta fra Germano II e Gregorio IX, costituito da una prima missiva del patriarca65, una risposta del papa66 ed una seconda di Germano67. C’è poi una definitio (ȡȠȢ) sul Filioque sottoscritta dai frati minori Rodolfo di Reims, Aimone di Faversham (francescani), Ugo e Pietro (domenicani)68, inviati dallo stesso pontefice al patriarca in occasione dell’incontro unionistico avvenuto a Ninfeo nell’anno 123469. Seguono estratti da atti di concili e sentenze di padri70. 1.b. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 72.16 Il Laur. Plut. 72.1671 è un codice cartaceo costituito da sessantaquattro fogli, vergati da un’unica mano, che Jürgen Wiesner e Ulrich Victor hanno identificato con quella di Giorgio Laurezio72. 61 Questi già nel 1136 si era confrontato a Costantinopoli con Niceta di Nicomedia attraverso la sua opera Anticimenon; dell’ampia bibliografia mi limito a ricordare il recente contributo di B. DUNKLE, Anselm of Havelberg’s Use of Authorities in his Account of the Filioque, in Byzantinische Zeitschrift 105 (2012), pp. 695-721. 62 Des Basilius aus Achrida, Erzbischof von Thessalonich bisher unedierte Dialoge, ed. J. SCHMIDT, München 1901, pp. 34-51. 63 PG 119, coll. 925-930. 64 PG 119, coll. 929-934. 65 J. HARDOUIN, Acta conciliorum et epistolae decretales, ac constitutiones summorum pontificum, VII, Ab anno MCCXIII ad annum MCCCCIX, Paris 1714, coll. 1961-1964. 66 L. WADDING, Annales Minorum, II, Romae 1732, pp. 320, 322. 67 F. K. ALTER, ȋȡȠȞȚțާȞ īİȦȡȖަȠȣ ĭȡĮȞIJȗ߱ IJȠࠎ ʌȡȦIJȠȕİıIJȚĮȡަȠȣ, Vienna 1796, pp. 140-143 (col. A, r. 7). 68 Ed. WADDING, Annales Minorum, cit., II, pp. 330, 332, 334; HARDOUIN, Acta conciliorum cit., VII, coll. 157-162; ALTER, ȋȡȠȞȚțާȞ īİȦȡȖަȠȣ ĭȡĮȞIJȗ߱ cit., pp. 139-140. 69 Sulla vicenda cfr. J. DORAN, Rites and Wrongs: The Latin mission to Nicaea, 1234, in Unity and Diversity in the Church: Papers Read at the 1994 Summer Meeting and the 1995 Winter Meeting of the Ecclesiastical History Society, ed. by R. N. SWANSON, Oxford 1996 (Studies in Church History, 32), pp. 131-144. 70 ALTER, ȋȡȠȞȚțާȞ īİȦȡȖަȠȣ ĭȡĮȞIJȗ߱ cit., pp. 143 (col. A, r. 8) - 149 (col. A). 71 A. M. BANDINI, Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae, Florentiae 1764, III, col. 35. 72 J. WIESNER U. VICTOR, Griechische Schreiber der Renaissance. Nachträge zu den Repertorien von Vogel-Gardthausen, Patrinelis, Canart, de Meyier, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 8-9 (1971-1972), pp. 51-66: 59.
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I fascicoli sono numerati dal copista ma questa volta egli aggiunge il richiamo nel margine inferiore dell’ultimo foglio del fascicolo. Come il codice di Brescia (booklet B), anche quello di Firenze contiene le Categoriae con il commento di Ammonio73. Testo e commento sono vergati a pericopi alternate e a piena pagina (nell’altro testimone su due colonne). Un’altra differenza fra i due codici aristotelici del Laurezio è nelle dimensioni, più ridotte nel manoscritto in oggetto (mm 197×141). L’analisi delle filigrane74 permette solo una datazione generica alla seconda metà del secolo XV e tuttavia consente di stabilire che il testimone della Laurenziana è (forse di poco ma sicuramente) successivo a quello della Queriniana. 1.c. Olim Cheltenham, Thirlestaine House, coll. Phillipps, 23007 I Si tratta di un codice cartaceo di mm 220×147, costituito da quarantadue fogli, distribuiti in cinque fascicoli provvisti di richiamo. L’analisi delle filigrane75 orienta la datazione agli anni Sessanta del secolo XV. Appartenuto negli ultimi decenni a diverse biblioteche, fra cui quella di Frederick North (1766-1827) e quella di Thomas Phillipps (1792-1872)76, oggi il manoscritto è in vendita presso una casa d’aste online (cat. 540)77. Nella descrizione fornita sul sito web il codice è attribuito, su base paleografica, ad una sola mano, identificata giustamente con quella del prete Giorgio Laurezio78. Siamo dunque in presenza di un nuovo codice otrantino79. Il manoscritto contiene il Carmen aureum (con il commento di Ierocle di Alessandria)80, attribuito dalla tradizioCfr. HARLFINGER in Aristoteles graecus cit., pp. 248-249. Sulle quali si veda HARLFINGER in Aristoteles graecus cit., p. 248. 75 Identificate nella descrizione del codice (cfr. infra, nt. 78). 76 Nella biblioteca di Phillipps il codice aveva la segnatura 23007 I: Catalogus librorum manuscriptorum in bibliotheca D. Thomae Phillipps, Bart. A.D. 1837 impressus typis MedioMontanis (rist. London 1968), p. 425. 77 Il sito web è www.textmanuscripts.com (ultimo controllo ottobre 2014). 78 Si veda la descrizione del codice (anonima), corredata da alcune immagini a colori, presso il citato sito web della casa d’aste. 79 Esso va ad aggiungersi al lungo inventario dei codici ascrivibili a mani di educazione grafica salentina, oggetto di continua implementazione. Si veda O. MAZZOTTA, Monaci e libri greci nel Salento medievale, Novoli 1989 (Scriptorium, 2), pp. 63-101, da integrare con D. ARNESANO, Il repertorio dei codici greci salentini di Oronzo Mazzotta. Aggiornamenti e integrazioni, in Tracce di storia. Studi in onore di monsignor Oronzo Mazzotta, a cura di M. SPEDICATO, Galatina 2005 (Società di Storia Patria. Sezione di Lecce. Quaderni de « L’Idomeneo », 1), pp. 25-80 e ID., Manoscritti greci di Terra d’Otranto. Recenti scoperte e attribuzioni (2005-2008), in ȉȅȄɈȉǾȈ. Studies for Stefano Parenti, ed. by D. GALADZA N. GLIBETIû G. RADLE, Grottaferrata 2010 (ਝȞȜİțIJĮ ȀȡȣʌIJȠijȡȡȘȢ, 9), pp. 63-101. 80 The Pythagorean Golden Verses, ed. J. THOM, Leiden-New York-Köln 1995 (Religions in the Graeco-Roman World, 123). 73 74
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ne a Pitagora, opera molto nota a Bisanzio81. Il testo è disposto a piena pagina. Il manoscritto copiato da Giorgio faceva parte di un codice composito, cui appartenevano altre due unità, sulle quali non è privo di interesse soffermarsi. Questi due manoscritti, infatti, pur essendo forse slegati dall’attività del Laurezio e quindi non pertinenti al nostro argomento, costituiscono un nuovo contributo alla conoscenza della produzione libraria e della circolazione dei testi greci nel Salento. Il primo è oggi conservato a Provo, Brigham Young University, H. B. Lee Library, con la segnatura L.T. Perry Special Collections, Vault 091 G13 147582. Fu vergato da un amanuense salentino coevo o di poco successivo al Laurezio83. Contiene il trattato De historia philosophica attribuito a Galeno84 ed è il secondo testimone salentino di quest’opera. Sergio Stiso, infatti, il già citato erudito di Zollino85, era in possesso del trattato pseudogalenico, come sappiamo grazie agli appunti di Giano Lascari, che visitò la sua biblioteca nel 149186. Il Lascari chiese a Sergio una copia di alcune opere da lui possedute per la Biblioteca Medicea di Firenze ed una di queste era proprio il trattato in questione: la copia richiesta da Lascari è stata identificata con i ff. 80r-94r dell’odierno Laur. Plut. 58.2, vergati da uno dei copisti di Stiso, Gabriele87. Il codice di Provo potrebbe invece essere identificato con la copia posseduta da Stiso e che Lascari vide nella sua biblioteca88; potrebbe quindi anche essere l’antigrafo utilizzato da Gabriele: un’analisi critico-testuale dei due testimoni potrà chiarire la questione. Il secondo manoscritto un tempo accorpato a quello del Laurezio contiene il trattato Iatromathematica attribuito ad Ermete Trismegisto89. Il codice è oggi disperso90; non ne abbiamo una descrizione né riproduzioni H. S. SCHIBLI, Hierocles of Alexandria, Oxford 2002, pp. 14-21. Olim Cheltenham, Thirlestaine House, coll. Phillipps, 23007 II. 83 Il codice è interamente riprodotto presso http://archive.org. 84 Cfr. A. TOUWAIDE, Byzantine Medical Manuscripts. Towards a New Catalogue, in Byzantion 79 (2009), pp. 453-595: 535 nr. 23. 85 Cfr. supra, p. 60. 86 K. K. MÜLLER, Neue Mittheilungen über Janos Laskaris und die mediceische Bibliothek, in Zentralblatt für Bibliothekswesen 1 (1884), pp. 333-412: 403-404. 87 Cfr. SPERANZI, Per la storia della libreria cit., pp. 96-101, 109-110. 88 Il titolo riportato nel codice di Provo non presenta differenze con l’appunto del Lascari: īĮȜȘȞȠ૨ Ȇİȡ ijȚȜȠıંijȦȞ ੂıIJȠȡĮȢ (f. 2r). 89 Ed. J. L. IDELER, Physici et medici graeci minores, I, Berlin 1841, pp. 387-396. Cfr. Marsilio Ficino e il ritorno di Ermete Trismegisto, a cura di S. GENTILE C. GILLY, Firenze 20012, p. 136. Sulla iatromatematica cfr. M. PAPATHANASSIOU, Iatromathematica (Medical Astrology) in Late Antiquity and the Byzantine Period, in Medicina nei secoli, arte e scienza 11 (1999), pp. 357-376. 90 Olim Cheltenham, Thirlestaine House, coll. Phillipps, 23007 III. 81
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GIORGIO LAUREZIO, COPISTA ED INTELLETTUALE DEL SECOLO XV
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fotografiche, perciò non sappiamo se esso sia salentino, se sia di mano del Laurezio e, se no, se gli sia appartenuto o meno. Anche quest’opera era presente nella biblioteca di Sergio Stiso, in una copia priva della parte finale91. Da un prezioso appunto di Hermann Diels apprendiamo che il codice disperso, datato dallo studioso al secolo XV, aveva lo stesso incipit registrato dal Lascari ed era per l’appunto mutilo in fine92. Esso dunque potrebbe essere quello appartenuto all’umanista di Zollino (ma anche questa è un’ipotesi che attende delle conferme). Abbiamo in ogni caso un elemento in più per stabilire la presenza di una tradizione ermetica nel Salento, la quale insieme a quella orfico-pitagorica (si ricordi a questo proposito che il trattato ermetico fu accorpato al Carmen Aureum vergato dal Laurezio) avrebbe di lì a poco permeato il pensiero dei filosofi neoplatonici fioriti in questa regione93 come d’altra parte nel resto d’Italia e a Bisanzio94. 1.d. Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 66 sup. (ff. 1-88) Il manoscritto Ambros. A 66 sup.95 è un composito costituito da tre unità codicologiche. La prima, pertinente all’argomento affrontato nel presente lavoro, è costituita dai ff. 1-88, cartacei, di mm 212×147. L’analisi delle filigrane96 ne suggerisce una datazione grosso modo agli anni Settanta del secolo XV. I ff. 1r-32r sono stati attribuiti alla mano di Giorgio Laurezio da André 91 Negli appunti di Giano Lascari relativi alla biblioteca dell’umanista salentino, infatti, leggiamo: ਬȡȝȠ૨ ȉȡȚıȝİȖıIJȠȣ, ੁĮIJȡȠȝĮșȘȝĮIJȚț, Ƞ ਲ ਕȡȤǜ ȉઁȞ ਙȞșȡȦʌȠȞ ੯ ਡȝȝȦȞ, ijİȡțȠıȝȠȞ ȞIJĮ țĮ ਕijȠȝȠȚȠ૨IJĮȚ IJૌ IJȠ૨ țંıȝȠȣ ijıİȚ ਕIJİȜȢ; cfr. MÜLLER, Neue Mittheilungen über Janos Laskaris cit., p. 403. 92 H. DIELS, Die Handschriften der antiken Ärzte, II. Teil., Die übrigen griechischen Ärzte ausser Hippokrates und Galenos im Auftrage der akademischen Kommission, Berlin 1906, p. 44. 93 Si pensi ad una figura come quella del mago Matteo Tafuri di Soleto, su cui si veda L. RIZZO, Umanesimo e Rinascimento in Terra d’Otranto. Il platonismo di Matteo Tafuri, Nardò 2000 (Sallentinae res, 2), con riferimenti all’ermetismo alle pp. 62-68, 122; EAD., Il pensiero di Matteo Tafuri nella tradizione del Rinascimento meridionale, Roma 2014 (Renascentia, 2), in particolare pp. 145-246. 94 Sulla diffusione degli scritti ermetici a Bisanzio cfr. A. RIGO, Da Costantinopoli alla biblioteca di Venezia: i libri ermetici di medici, astrologi e maghi dell’ultima Bisanzio, in Magia, alchimia, scienza dal ’400 al ’700. L’influsso di Ermete Trismegisto, a cura di C. GILLY, C. VAN HEERTUM, Firenze 2002, I, pp. 69-75. 95 Ae. MARTINI D. BASSI, Catalogus codicum graecorum Bibliothecae Ambrosianae, Milano 1906 (rist. Hildesheim-New York 1978), p. 14; C. PASINI, Bibliografia dei manoscritti greci dell’Ambrosiana: 1857-2006, Milano 2007 (Bibliotheca erudita, 30), p. 191. 96 Ff. 1-16, 25-32: simile a Briquet 2491 (a. 1468); ff. 17-24: molto simile a Briquet 2494 (a. 1475); ff. 33-88: simile a Briquet 2490 (a. 1467).
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Jacob97. I ff. 32v-88r98 sono di altra mano99. Il testo è a piena pagina; i fascicoli sono forniti sia di segnatura sia di richiamo. Il codice contiene la versione greca del De articulis fidei di Tommaso d’Aquino100, opera ben nota nel mondo occidentale101, scritta dal doctor angelicus su richiesta di Leonardo, arcivescovo di Palermo (1261-1270). Nella prima parte l’autore spiega il Credo; nella seconda offre delucidazioni sui sacramenti, citando gli errori più comuni che su questi argomenti possono essere commessi e devono essere confutati. La traduzione greca del trattatello, attribuita ora ad anonimo ora a Demetrio Cidone102, è tuttora inedita103 e contribuisce a documentare l’introduzione della scolastica occidentale a Bisanzio104. Alcuni ragguagli, per completezza, sul resto del codice ambrosiano. La seconda unità corrisponde ai ff. 89-184; è cartacea e coeva alla prima, 97 A. JACOB, La réception de la littérature byzantine dans l’Italie méridionale après la conquête normande. Les exemples de Théophylacte de Bulgarie et de Michel Psellos, in Histoire et culture dans l’Italie byzantine. Acquis et nouvelles recherches, éd. par A. JACOB J.-M. MARTIN G. NOYÉ, Roma 2006 (Collection de l’École Française de Rome, 363), pp. 21-67: 24 nt. 20. 98 Il f. 88v è bianco. 99 Su questa grafia cfr. infra, p. 76. 100 Ed. lat. De articulis fidei et ecclesiae sacramentis, ad Archiepiscopum panormitanum, Roma 1979, pp. 207-257; D. MONGILLO, L’opuscolo di Tommaso d’Aquino per l’arcivescovo di Palermo, in O theologos 2 (1975), pp. 111-125; C. MILITELLO, De articulis fidei et ecclesiae sacramentis ad Archiepiscopum panormitanum, ibid., pp. 127-206. 101 Anche s. Tommaso si era naturalmente occupato della questione del Filioque, da lui affrontata però in altre opere (per quanto mi consta non documentate nel Salento). Si veda in proposito V. GRUMEL, Saint Thomas et la doctrine des Grecs sur la procession du Saint-Esprit, in Échos d’orient 25 (1926), pp. 257-280. 102 Cfr. S. G. PAPADOPOULOS, ݒȜȜȘȞȚțĮ ޥȝİIJĮijȡޠıİȚȢ șȦȝȚıIJȚțࠛȞ ݏȡȖȦȞ. ĭȚȜȠșȦȝȚıIJĮ ޥțĮޥ ܻȞIJȚșȦȝȚıIJĮ ޥȞ ǺȣȗĮȞIJަ࠙, ਥȞ ਝșȞĮȚȢ 1967, p. 61; A. GLYKOFRYDI-LEONTSINI, Demetrius Cydones as a Translator of Latin Texts, in Porphyrogenita. Essays on the History and Literature of Byzantium and the Latin East in Honour of Julian Chrysostomides, ed. by Ch. DENDRINOS J. HARRIS E. HARVALIA-CROOK J. HERRIN, Haldershot 2003, pp. 175-185 (con ulteriore bibliografia su questo intellettuale a p. 176 nt. 8); EAD., La traduzione in greco delle opere di Tommaso d’Aquino, in Nicolaus 3 (1975), pp. 423-428; C. DELACROIX-BESNIER, Les dominicains et la chrétienté grecque aux XIVe et XVe siècles, Rome 1997 (Collection de l’École Française de Rome, 237), pp. 189-192. 103 Un’edizione, curata da Vasos Pasiourtides, è prevista nell’ambito del progetto scientifico ed editoriale Thomas de Aquino Byzantinus, su cui cfr. J. A. DEMETRACOPOULOS, The Influence of Thomas Aquinas on Late Byzantine Philosophical and Theological Thought: À propos of the Thomas de Aquino Byzantinus Project, in Bulletin de philosophie médiévale 54 (2012), pp. 101-124. Il lavoro ecdotico degli studiosi sulle traduzioni greche delle opere dell’Aquinate è stato avviato da tempo; si veda più di recente A. FYRIGOS, Il cardinale Bessarione “traduttore” della Summa contra gentiles di Tommaso d’Aquino, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 48 (2011), pp. 137-266. 104 La bibliografia sull’argomento è vasta; si veda Tommaso d’Aquino († 1274) e il mondo bizantino, a cura di A. MOLLE, Venafro 2004 (San Germano, 6).
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per ragioni paleografiche105 e codicologiche106. Contiene la Expositio fidei di Giovanni Damasceno107, la terza e più importante sezione della ȆȘȖ ȖȞઆıİȦȢ108, opera molto diffusa in Terra d’Otranto109. Non è possibile stabilire con certezza se questa parte del manoscritto sia stata in possesso di Giorgio Laurezio e da lui stesso accorpata alla prima o se tale operazione sia stata svolta da altri e successivamente. La terza unità codicologica, costituita dai ff. 185-189, IV’-V’, è sempre cartacea110: si tratta di un restauro della parte finale (evidentemente andata nel frattempo perduta) dell’opera del Damasceno, dovuto ad una mano otrantina della fine del secolo XV o dell’inizio del XVI111.
105 Si tratta di un amanuense coevo o di non molto successivo al nostro, il quale esibisce una minuscola schiacciata, ad asse diritto, con qualche pretesa calligrafica e non priva di orpelli ornamentali (come le boules all’attacco di alcuni tratti e i prolungamenti a svolazzo nei margini); tra i termini di confronto datati si potrebbe citare, quale scrittura appartenente al medesimo alveo grafico della mano in questione, quella di Giacomo Rizzo di Soleto (nella variante più sciolta e corsiveggiante), su cui cfr. D. HARLFINGER, Zu griechischen Kopisten und Schriftstilen des 15. und 16. Jahrhunderts, in La paléographie grecque et byzantine, Paris 1977 (Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique, 559), pp. 327362: 331, 345 fig. 3. 106 Filigrana simile a Briquet 2490 (a. 1467). 107 B. KOTTER, Die Schriften des Johannes von Damaskos, 2, Expositio fidei, Berlin 1973 (Patristische Texte und Studien, 12), p. XXXV. 108 B. KOTTER, Die Überlieferung der « Pege gnoseos » des hl. Johannes von Damaskos, Ettal 1959 (Studia patristica et byzantina, 5), p. 34 nr. 291. 109 Esistono tredici manoscritti contenenti in tutto o in parte la Expositio fidei prodotti o annotati in questa regione, fra i secoli X e XVI. Furono vergati da mani salentine il Marc. gr. 139, ff. 106-245v (sec. XIex.-XIIin.), l’Ambros. E 18 sup., ff. 2v-86r (sec. XII), il Par. Suppl. gr. 8, ff. 1-4, 170-280v, 319-322 (sec. XII), il Par. Suppl. gr. 1232, ff. 102v-106r (sec. XIII, vergato da Nettario di Casole), il Vat. gr. 2120 (sec. XIIIex.-XIVin.), il Vat. Barb. gr. 347 (sec. XIVin.), il Vat. gr. 2109, ff. 19v-79v (sec. XIVin.), il Par. gr. 1165 (sec. XIV2), l’Ambros. B 39 sup., ff. 48v-49v (sec. XV), il Casin. 231, ff. 161-269 (sec. XV), il Vat. Barb. gr. 360 (sec. XV). Furono annotati da mani salentine l’Ambros. Q 2 sup., ff. 3r-196v (sec. X-XI, calabro, annotato fra il XIII ed il XVI secolo) e l’Ambros. Q 74 sup., ff. 177r-179r, 195r-196v, 232r-246v (sec. X, orientale, annotato alla fine del sec. XIII). Nel Vat. gr. 2120 al testo greco è affiancata la traduzione latina di Burgundione da Pisa, su cui cfr. L. CALLARI, Contributo allo studio della versione di Burgundio Pisano del “De orthodoxa Fide” di Giovanni Damasceno, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti 100 (1941), pp. 197-246 e F. LIOTTA, Burgundione (Burgundio, Burgundi, Burdicensis, Bergonzone, Burgundo, Berguntio) da Pisa, in Dizionario biografico degli italiani, 15, Roma 1972, pp. 423-428; sul manoscritto vaticano cfr. DE GREGORIO, Tardo Medioevo grecolatino cit., pp. 106-110, 113, tavv. XX-XXII. Anche Giovanni Damasceno, come Dionigi Areopagita (cfr. infra, p. 78 nt. 153), è rappresentato in un affresco del sec. XIII-XIV presso l’abbazia di Cerrate: M. FALLA CASTELFRANCHI, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Milano 1991, p. 135. 110 Filigrana simile a Piccard, Anker, IV, 25 (a. 1502). 111 Esibisce una grafia piuttosto rozza, irregolare (si direbbe di livello elementare), che presenta qualche analogia con quella di Nicola Schinzari di Galatina (su cui cfr. supra, p. 59 e nt. 6).
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1.e. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. gr. 226 Il Vat. Barb. gr. 226112 è un codice di mm 300 × 200, costituito da settanta fogli cartacei. Al f. 70v si legge la seguente sottoscrizione: ȉȜȠȢ ਸ਼įİ ijȡİȚ Ȗİ IJોȢ ȕȕȜȠȣ ijȜȠȚ ȟȣıȝ ʌĮȡȠ૨ıĮ, ȤİȚȡંȢ IJİ īİȦȡȖȠȣ ਕȞĮȟȠȣ ૧IJȠȡȠȢ țȠȚંȜȠȣ ȈİʌȜİıȗȞȦȞ IJȠȢ ਥȟĮțȚıȤȜȚȠȞ IJંIJİ IJȡȤȠȞ țĮ ıȣȞİȞȞĮțંıȚȠȞ ȞĮ ȝ ıijȜȘ țĮ ੑȖįȠțȠıIJȠȞ ਕʌઁ IJોȢ IJȠ૨ țંıȝȠȣ țIJıİȦȢ ȤȠȞ IJİ țĮ ȞįȚțIJȠȢ ਪțIJȘ113 Il codice è dunque datato all’anno 1471/2114 e fu copiato da un amanuense di nome Giorgio115 che, su base paleografica, è stato identificato con il Laurezio da André Jacob116. Il copista si definisce ਕȞȟȚȠȢ117 ed afferma di essere retore (૧IJȦȡ) e prete (țȠȚંȜȘȢ)118 di Supersano (un centro vicinissimo a Ruffano)119. Sono dunque trascorsi ventitré anni dalla copia del manoscritto bresciano e quel “giovane ignorantissimo” è nel frattempo diventato docente di retorica120 o forse più semplicemente di letteratura greca nonché sacerdote in un centro vicino alla sua Ruffano. Il manoscritto contiene la ǼੁıĮȖȦȖȚț ਥʌȚIJȠȝ di Niceforo Blemmida, più precisamente la parte relativa alla fisica121. Il testo è disposto su due colonne. Questo trattato è un compendio di scienze naturali basato su interpre112 J. MOGENET, Codices Barberiniani Graeci. Codices 164-281, Città del Vaticano 1989, pp. 70-71. 113 Come osservato dal Mogenet (Codices Barberiniani Graeci cit., p. 71), nell’anno del mondo 6980 l’indizione non era la sesta ma la quinta. 114 Concorda con questa data la datazione delle filigrane (su cui cfr. MOGENET, Codices Barberiniani Graeci cit., p. 71). 115 Repertorium der griechischen Kopisten, 800-1600, III, Handschriften aus Bibliotheken Roms mit dem Vatikan, erstellt von E. GAMILLSCHEG, unter Mitarbeit von D. HARLFINGER P. ELEUTERI, Wien 1997 (Österreichische Akademie der Wissenschaft. Veröffentlichungen der Kommission für Bizantinistik, III), nr. 141, tav. 77. 116 JACOB, La réception de la littérature cit., p. 24 nt. 20. 117 Anche in questa sottoscrizione quindi è rispettato il IJંʌȠȢ della IJĮʌİȚȞંIJȘȢ (su ਕȞȟȚȠȢ cfr. WENDEL, Die IJĮʌİȚȞંIJȘȢ cit., p. 260). 118 Questa rara parola greca è citata dal grammatico Teognosto nel suo trattato De orthographia. L’opera è edita in J.-A. CRAMER, Anecdota graeca e codd. manuscriptis bibliothecarum Oxoniensium, II, Oxonii 1835 (rist. Amsterdam 1963), pp. 1-165; il passo in questione è a p. 21 (r. 25: ǣȠȠȜȚȢ ੂİȡİȢ). Bisogna rilevare che quest’opera è attestata in Terra d’Otranto, grazie ad un manoscritto del secolo XIII, il Laur. Plut. 57.36: D. ARNESANO D. BALDI, Il palinsesto Laur. Plut. 57.36. Una nota storica sull’assedio di Gallipoli e nuove testimonianze dialettali italo-meridionali, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 41 (2004), pp. 113-139: 116 (nel manoscritto il passo si legge al f. 56v r. 19). Il Laurezio potrebbe averla trovata proprio qui e dunque anche questo codice (come il Laur. Plut. 71.35, su cui cfr. supra, nt. 10), per diverse ragioni riferibile a Gallipoli, potrebbe essere stato fra le sue mani. 119 Si tratta di un insediamento molto antico: P. ARTHUR, Supersano: un paesaggio antico del basso Salento, Galatina 2004. 120 Cfr. R. BROWNING, L’insegnante, in L’uomo bizantino, a cura di G. CAVALLO, Roma-Bari 2005 (Economica Laterza, 350), pp. 129-164 (in particolare La figura e la funzione del retore, pp. 135-142). 121 PG 142, coll. 1023-1320.
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tazioni neoplatoniche dei trattati aristotelici122 ed ebbe anch’esso (insieme alla parte sulla logica) grande fortuna nel mondo bizantino123. 2. La scrittura e il copista La scrittura “giovanile” del copista di Ruffano, inserita da Dieter Harlfinger nel filone tradizionale delle minuscole greche del secolo XV124, è documentata dal manoscritto di Brescia, parte del quale è certamente datata all’anno 1446/7 o 1448/9. Pur dimostrando già una certa consuetudine con il lavoro di copia, Giorgio scrive in questi anni non senza qualche incertezza: allineamento imperfetto sul rigo, lettere e legature malriuscite, accumuli d’inchiostro, ripensamenti maldestri (fig. 1). Almeno in questa fase egli non riesce ad andare aldilà di una minuscola un po’ sgraziata che nel testo presenta modulo maggiore, andamento tendenzialmente posato, tracciato per quanto possibile arrotondato, un minor numero di abbreviature, mentre nel commento ha un aspetto più minuto, una maggiore tendenza alla corsività, un tasso di abbreviazioni superiore (tav. 1)125. In questa limitata oscillazione fra țĮȜȜȚȖȡĮijİȞ e IJĮȤȣȖȡĮijİȞ sembra esaurirsi la preparazione tecnica del copista126. Qualora egli tenti di azzardare qualcosa di più, infatti, tradisce i propri limiti, come ad esempio nel goffo Su cui si veda W. LACKNER, Zum Lehrbuch der Physik des Nikephoros Blemmydes, in Byzantinische Forschungen 4 (1972), pp. 157-169; ID., Die erste AuÀage des Physiklehrbuches des Nikephoros Blemmydes, in Überlieferungsgeschichtliche Untersuchungen, hrsg. von F. PASCHKE, Berlin 1981 (Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, 125), pp. 351-364. 123 P. GOLITSIS, Nicéphore Blemmyde lecteur du commentaire de Simplicius à la Physique d’Aristote, in The Libraries of the Neoplatonists, ed. by C. D’ANCONA, Leiden-Boston 2007 (Philosophia antiqua, 107), pp. 243-256: 243-244. Lo studioso ha annunciato un’edizione critica dell’opera. 124 HARLFINGER, Zu griechischen Kopisten cit., pp. 331, 344 fig. 1. Per una sintesi del complesso panorama grafico bizantino del Quattrocento e oltre cfr. D. BIANCONI, La seconda età dei Paleologi (1341-1453), in La scrittura greca dall’antichità all’epoca della stampa. Una introduzione, a cura di E. CRISCI P. DEGNI, Roma 2011 (Beni Culturali, 35), pp. 201-210: 208-210 e D. ARNESANO D. BIANCONI, “Bisanzio dopo Bisanzio”. Un panorama della produzione libraria nel Cinquecento, ibid., pp. 226-234, con rinvii bibliografici alle pp. 235-238. 125 Sul diverso trattamento riservato alla scrittura del testo e a quella del commento da parte dei copisti bizantini si veda G. CAVALLO, Una mano e due pratiche. Scrittura del testo e scrittura del commento nel libro greco, in Le commentaire entre tradition et innovation. Actes du Colloque International de l’Institut des Traditions Textuelles (Paris et Villejuif, 22-25 septembre 1999), éd. par M.-O. GOULET-CAZÉ, Paris 2000, pp. 55-64. 126 Sull’argomento si veda più in generale G. DE GREGORIO, ȀĮȜȜȚȖȡĮijİ߿Ȟ / IJĮȤȣȖȡĮijİ߿Ȟ. Qualche riflessione sull’educazione grafica degli scribi bizantini, in Scribi e colofoni. Le sottoscrizioni dei copisti dalle origini all’avvento della stampa. Atti del seminario di Erice. X Colloquio del Comité international de paléographie latine (23-28 ottobre 1993), a cura di E. CONDELLO G. DE GREGORIO, Spoleto 1995 (Biblioteca del Centro di Collegamento degli Studi Medievali e Umanistici dell’Umbria, 14), pp. 423-448. 122
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tentativo di inserire forme ingrandite, di origine cancelleresca, nell’explicit del Corpus Dionysiacum (fig. 2). Sin dai primi tempi, però, la scrittura del Laurezio presenta gli elementi che ne caratterizzeranno l’aspetto d’insieme: asse di inclinazione variabile, tracciato generalmente angoloso e moderato contrasto modulare. Più in particolare appaiono degni di nota: epsilon maiuscolo di piccolo modulo, non di rado privo del tratto orizzontale superiore (fig. 3), lambda maiuscolo di ridotte dimensioni e poggiato sul rigo (fig. 4), ny minuscolo esile e sollevato rispetto al rigo di base (fig. 5), csi piuttosto appariscente ed inclinato verso sinistra (fig. 4), le legature epsilon-iota a forma di qoppa minuscolo (Ȉ, figg. 4-5), alpha-sigma talvolta assai vistosa (fig. 6), la legatura di epsilon dall’alto con la lettera successiva (fig. 7), quella di tau corsivo con il segno abbreviativo di -ȦȞ (fig. 4) e ypsilon-iota molto corsiva (fig. 8). Tra le abbreviazioni si noti quella di -ઁȞ a forma di “=”127 e quella di -Ȟ a forma di “ ^^ ” (fig. 9). Va infine registrata la tendenza da parte del Laurezio a segnare l’accento circonflesso delle parole ossitone o perispomene terminanti per consonante su quest’ultima invece che sulla vocale (fig. 10). La monotonia del tessuto grafico è rotta da alcuni elementi un po’ più appariscenti, retaggio di quella fase “barocca” che caratterizzò la scrittura salentina fra la metà del secolo XIII ed i primi decenni del XIV128: oltre a quelli appena citati si notino alpha maiuscolo e phi “a chiave di violino” con ampio occhiello e talune inclusioni monocondiliari che nella scrittura in questione appaiono come un’artificiosa sopravvivenza (figg. 5-6). Tali elementi a volte sono ulteriormente enfatizzati da ritocchi di colore rosso (noti come red blobs)129. Alla penna del nostro copista si deve probabilmente la sobria decorazione che talvolta ingentilisce le sue pagine: pylai e iniziali ornate, quelle tipiche dei codici otrantini, eseguite a intreccio e in negativo, su fondo carminio130. Queste ultime, previste dal copista, talvolta non sono più state eseguite131 oppure sono state aggiunte da mano seriore132. 127 Cfr. A. JACOB, Les écritures de Terre d’Otrante, in La paléographie grecque cit., pp. 269281: 276 nr. 1. 128 ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., pp. 19-29. 129 Su questa caratteristica dei codici otrantini cfr. JACOB, Les écritures de Terre d’Otrante cit., p. 276 nr. 11. 130 I. SPATHARAKIS, Corpus of Dated Illuminated Greek Manuscripts to the Year 1453, Leiden 1981, I, p. 71 nr. 294, II, figg. 518-519 (cfr. ad es. f. 22r); su questo tipo di decorazione cfr. PH. HOFFMANN, La décoration du Parisinus graecus 2572, schédographie otrantaise de la fin du XIIIe siècle (a. 1295-1296), in Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen âge-temps modernes 96 (1984), pp. 617-645. 131 Ad es. Brescia, Querin., A IV 3, f. 156r. 132 Ad es. Brescia, Querin., A IV 3, ff. 52v, 92v.
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Dopo ventitré anni, nel 1471/2, anno in cui finisce di copiare il Vat. Barb. gr. 226, la grafia di Giorgio non è in realtà molto cambiata. Certamente, essa ha perso le giovanili inesattezze ed esitazioni e procede più serrata e spedita133; il retore appare ora più sicuro di sé ed esibisce, accanto alle precedenti, nuove legature, come alpha-rho in cui la prima lettera è minuscola e la seconda presenta un tratto discendente fortemente inclinato verso destra134. Non si può dunque parlare di una vera e propria evoluzione, di un mutamento diacronicamente tracciabile, ma in generale di una crescente padronanza dello scrivere. Anche l’analisi delle filigrane, strumento da utilizzare con cautela ai fini della datazione135, consente solo una distribuzione indicativa dei tre codici privi di colofone rispetto alle due date sicure riportate nelle sottoscrizioni. La grafia del professore di Supersano, nelle sue manifestazioni più sciolte e consapevoli, si inserisce nell’alveo delle minuscole informali salentine del secolo XV, cui appartengono ad esempio anche la scrittura di Stefano Colimba di Corigliano136 e quella di Sergio Stiso di Zollino137. Si tratta di corsive d’erudito nettamente contrapposte a quelle tradizionali, che sono posate, con pretese calligrafiche, ora dal tracciato arrotondato, come quella di Battista Rizzo di Soleto138, ora dalla forma più geometrica e squadrata, come nelle mani che adottarono il cosiddetto “nuovo stile quadrato”139. Giorgio Laurezio, attivo nell’arco di oltre un ventennio140, è fra i più attivi amanuensi salentini, secondo solo al cosiddetto “Copista di Sergio Stiso” e al monaco Gioacchino di Casole (fuggito però da Otranto dopo i fatti del 1480 ed attivo a Messina)141. Egli, tuttavia, non copiò mai testi molto estesi né codici voluminosi, prediligendo dei booklets142. A giudicare Cfr. Repertorium der griechischen Kopisten cit., III, nr. 141, tav. 77. Cfr. ad es. ibid., A r. 4 dal basso, B rr. 11, 20, 21 e penultimo. 135 Si veda in proposito quanto osservato da M. MANIACI, Archeologia del manoscritto. Metodi, problemi, bibliografia recente, Roma 2002 (I libri di Viella, 34), pp. 57-58. 136 Repertorium der griechischen Kopisten cit., III, nr. 578, tav. 308 (Rom. Vallic. C 972, a. 1424). 137 Codici greci dell’Italia meridionale (Grottaferrata, Biblioteca del Monumento Nazionale, 31 marzo-31 maggio 2000), a cura di P. CANART S. LUCÀ, Roma 2000, p. 150 nr. 73, con uno specimen (Rom. Casanat. 264, sec. XVex.). 138 Repertorium der griechischen Kopisten cit., III, nr. 55, tav. 29 (Vat. Pal. gr. 265, a. 1476). 139 Sul quale cfr. JACOB, Les écritures de Terre d’Otrante cit., p. 276. Ottimo rappresentante di questa tendenza grafica mi sembra il manoscritto di Montecassino, Archivio dell’Abbazia, 231 (ff. 161-278: Giovanni Damasceno, Expositio fidei), su cui cfr. P. DANELLA, I codici greci conservati nell’Archivio di Montecassino, Montecassino 1999 (Biblioteca Cassinese, 1), pp. 31-38, tav. III. 140 Egli è superato in questo senso dal copista Augustio, responsabile nel 1282 del Laur. Conv. Soppr. 152, nel 1307 dell’Ambros. M 87 sup. (cfr. infra, risp. p. 82 e p. 78 nt. 153). 141 Cfr. ARNESANO, San Nicola di Casole cit., risp. pp. 135-137, 119-122. 142 Brescia, Querin. A IV 3, A: 106 fogli; B: 44 fogli; C: 47 fogli; D: 39 fogli; Laur. Plut. 133 134
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dai manoscritti pervenuti, il nostro copista lavorò sempre da solo, al contrario di quanti avevano operato ed operavano a stretto contatto, talvolta all’interno di circoli di scrittura143. In un solo caso Giorgio è in sinergia con un altro amanuense, nel portare a termine il manoscritto Ambros. A 66 sup.144. Si tratta di una mano salentina che impiega una minuscola di livello modesto, meno sciolta ed esperta di quella esibita da Giorgio; presenta asse diritto, scarso contrasto modulare, aspetto rigido ed è connotata da pseudocorsività: legature e svolazzi sono tracciati con ductus lento, a tratti stentato, dal quale scaturisce una certa artificiosità. Almeno per ora non mi è stato possibile rintracciare questa mano in altri codici salentini e, sebbene nel manoscritto ambrosiano essa abbia scritto più dello stesso Laurezio, sono propenso a ritenere l’anonimo un collaboratore del nostro (magari un suo scolaro), non il contrario. Da quanto sin qui detto circa la scrittura di Giorgio ma soprattutto dalla disamina dei testi da lui ricopiati, fra loro fortemente connessi, sembra emergere la figura di un copista erudito più che quella di un amanuense di professione. In contrasto con questa ipotesi sembra porsi il fatto che egli vergò due copie di una stessa opera, le Categoriae con il commento di Ammonio (è infatti improbabile che egli le avesse confezionate entrambe per se stesso). Tale aporia può essere superata prendendo in considerazione l’eventualità che il Laurezio sia stato l’uno e l’altro tipo di copista. Egli cioè potrebbe aver approntato una copia del trattato aristotelico per se stesso, l’altra per un committente (questa parte dell’Organon come ho già rilevato ebbe una grande fortuna nel Salento e le copie dovevano essere molto richieste). La prima delle due è a mio avviso da identificare con il booklet B del codice bresciano, poiché qui il trattato aristotelico è organico ad un preciso iter culturale; la seconda con il codice laurenziano. In definitiva, Giorgio fu copista sin da giovane, per ragioni di studio; negli anni mise la propria competenza al servizio di altri ma continuò a scrivere anche per se stesso, fino a diventare sacerdote e retore. Un’ultima considerazione, circa il possibile digrafismo del Laurezio. Nel codice di Brescia il testo del Symbolum quicumque è accompagnato da una versione latina (tav. 2)145, prevista ab origine (come dimostra la 72.16: 64 fogli; olim Cheltenham, Thirlestaine House, coll. Phillipps, 23007 I: 42 fogli; Ambros. A 66 sup.: 88 fogli; Vat. Barb. gr. 226: 68 fogli. 143 Si pensi a una cerchia erudita fiorita agli inizi del secolo XIV in cui, oltre alla logica aristotelica, si studiavano i manuali di Aftonio e di Ermogene. Si veda in proposito D. ARNESANO, Ermogene e la cerchia erudita. Manoscritti di contenuto retorico in Terra d’Otranto, in La tradizione dei testi greci in Italia meridionale. Filagato da Cerami philosophos e didaskalos. Copisti, lettori, eruditi in Puglia tra XII e XVI secolo, a cura di N. BIANCHI, Bari 2011 (Biblioteca tardoantica, 5), pp. 95-111. 144 Cfr. supra, pp. 69-70. 145 Cfr. supra, p. 62.
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mise en page) e vergata con lo stesso inchiostro impiegato da Giorgio (si direbbe anche col medesimo strumento scrittorio, ma la grafia latina presenta un più accentuato chiaroscuro). Non si può escludere che responsabile del testo latino sia proprio il Laurezio146: è vero, le due scritture non presentano analogie stringenti (ad esempio prestiti e forme comuni ai due alfabeti)147, ma ciò non costituisce un ostacolo insormontabile nel dimostrare un caso di digrafismo148. Piuttosto è molto probabile che il nostro, in una regione di frontiera come la Terra d’Otranto e in un’epoca in cui il contatto ed il confronto con la cultura occidentale erano ormai ineludibili, avesse appreso anche la scrittura latina. A questo proposito non è forse un caso che, ad un certo punto della propria carriera, il copista di Ruffano avesse deciso di dotare i fascicoli dei propri manoscritti non più solo della segnatura, personalizzata talvolta con motivi cruciformi (fig. 11), ma anche del richiamo, una prassi di tradizione latina149. 3. Il profilo individuale nel contesto culturale Non possediamo notizie storiche, lettere o altra documentazione che fornisca elementi utili alla conoscenza della personalità di Giorgio Laurezio: quello che sappiamo di lui lo dobbiamo unicamente ai suoi manoscritti. La sottoscrizione del codice bresciano e quella del barberiniano, in particolare, costituiscono due punti fermi di grande importanza, poiché ci informano sulla parabola esistenziale e professionale di quest’uomo. Giovane ed “ignorantissimo”, egli si dedica anzitutto allo studio di Aristotele, in particolare a due trattati dell’Organon che avevano avuto un’ampia diffusione in Terra d’Otranto150. La base della preparazione culturale
146 Il fatto che nell’Ambros. A 66 sup. egli abbia copiato il trattato di s. Tommaso nella traduzione greca e non nell’originale latino non mi sembra in questo senso un ostacolo; per un otrantino di cultura greca come il Laurezio, infatti, era probabilmente più semplice reperirne la traduzione nella lingua a lui più familiare. 147 Ad eccezione del modo in cui il Laurezio lega ypsilon con l’accento circonflesso nella parola ȣੂȠ૨ (f. 203r, A, r. 10), ottenendo una forma molto simile a s finale (cfr. ad es. ibid., B, r. 9: patres). 148 Su questo problema e i materiali pugliesi superstiti cfr. D. ARNESANO, On Multigraphism in Mediaeval Apulia, in Multilingual and Multigraphic Manuscripts and Documents of East and West (Madrid, 27-28 September 2012), ed. by I. PÉREZ MARTÍN G. MANDALÀ, Piscataway (NJ) 2015, in corso di stampa. 149 Su cui cfr. M. MANIACI, Il libro manoscritto greco. Materiali e tecniche di confezione, in La scrittura greca cit., pp. 239-280: 272. 150 Numerosissimi sono i testimoni pervenuti, in entrambi i casi. Per le Categoriae, oltre ai due manoscritti vergati da Giorgio, si conoscono ben dieci testimoni, tutti vergati in poco più di un secolo (fra la metà del XIII e il XIV, sei dei quali riportano anche il commento di Ammonio), di cui mi limito a ricordare le segnature: Vat. gr. 1019, Laur. Plut. 71.11, Laur. Plut. 71.35, Laur. Plut. 72.3, Laur. Plut. 72.14, Laur. Plut. 72.16, Laur. Plut. 72.22, Ambros. C 97 sup., Ambros. D 47 sup., Yalensis 256. Quest’opera è inoltre presente nell’inventario di
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del giovane di Ruffano era dunque lo studio della logica aristotelica e dei commentatori neoplatonici. Nel suo caso, tuttavia, questa non gli forniva tanto lo strumento per accedere poi agli altri trattati aristotelici o addirittura a Platone (che peraltro nel Salento rimase pressoché sconosciuto)151; piuttosto gli giovava quale modello indiscusso per l’argomentazione teologica e la pratica omiletica, confermando l’egemonia del pensiero dello Stagirita, che da oltre due secoli gli scolari (futuri sacerdoti, magari a loro volta docenti) si tramandavano nella regione152. Non a caso, nel codice della Queriniana, il booklet aristotelico si trova accorpato ad un caposaldo della teologia bizantina, i trattati dello pseudo-Dionigi Areopagita153 con gli scolii di Massimo il Confessore154. Studiando poi il commento alla liturgia intitolato Historia ecclesiastica et mystica contemplatio, l’aspirante sacerdote rispettava perfettamente la tradizione locale, che educava i giovani preti anzitutto alla difesa dell’ortodossia della messa155. Ma è da qui in poi che l’itinerario culturale del Laurezio comincia a distinguersi, non certamente in termini di contrapposizione bensì di precisazione degli interessi che il giovane teologo veniva maturando. Il contenuto dei booklets C e D, infatti, riflette senza ombra di dubbio la forte esigenza nata in Giorgio di documentarsi su alcune fasi salienti della polemica fra teologi d’Oriente e d’Occidente, con particolare riferimento alla controversia per eccellenza, quella riguardante la processione dello Spirito Santo156, una biblioteca salentina, su cui cfr. A. JACOB, Une bibliothèque médiévale de Terre d’Otrante (Parisinus gr. 549), in Rivista di studi bizantini e neoellenici 22-23 (1985-1986), pp. 285-315: 307 nr. 20. Del De interpretatione si contano otto copie, anch’esse concentrate in questi decenni e in parte coincidenti con i codici appena elencati: Laur. Plut. 71.35, Laur. Plut. 72.3, Ambros. C 97 sup., Ambros. D 47 sup., Ambros. D 48 sup., Oxon. Magd. Coll. gr. 15, Par. Suppl. gr. 599, Yalensis 256. 151 Sulla funzione dello studio dell’Organon a Bisanzio si veda M. CACOUROS, Survie culturelle et rémanence textuelle du Néoplatonisme à Byzance. Éléments généraux – éléments portant sur la logique, in The Libraries of the Neoplatonists cit., pp. 177-210: 182-188. 152 Rinvio sull’argomento al mio Aristotele in Terra d’Otranto. I manoscritti fra XIII e XIV secolo, in Segno e testo 4 (2006), pp. 149-190. 153 Dal Salento provengono altri due testimoni del Corpus, il Par. Suppl. gr. 8, ff. 5-132 (sec. XII) e il già citato Ambros. M 87 sup., ultimato nel 1307 dallo ੂİȡİઃȢ Augustio (cfr. supra, nt. 140). Cfr. Corpus Dionysiacum, I, De divinis nominibus cit., rispettivamente pp. XXVII, 23 nr. 73 (sigla Py), pp. XXVIII, 18 nr. 36 (sigla Xd). L’Areopagita doveva in qualche modo essere venerato nella regione, poiché è raffigurato in un affresco del secolo XIV conservato presso l’abbazia di Cerrate: FALLA CASTELFRANCHI, Pittura monumentale cit., p. 222. 154 Si veda S. LILLA, Dionigi l’Areopagita e il platonismo cristiano, Brescia 2005 (Letteratura cristiana antica. Nuova serie, 4); C. M. MAZZUCCHI, Damascio, autore del Corpus Dionysiacum, e il dialogo ȆİȡޥʌȠȜȚIJȚț߱ȢʌȚıIJȒȝȘȢ, in Aevum 80 (2006), pp. 299-334. 155 Sul commentario liturgico cfr. A. JACOB, La formazione del clero greco nel Salento medievale, in Ricerche e Studi in Terra d’Otranto, a cura di P. A. VETRUGNO, II, Campi Salentina 1987, pp. 221-236: 232-236. 156 Per una sintesi si veda A. E. SIECIENSKI, The Filioque. History of a Doctrinal Controversy, Oxford 2010.
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e ai tentativi di unione fra Chiesa greca e Chiesa latina. Particolare rilievo, nella selezione dei testi, è dato agli scrittori attivi durante il regno di Manuele Comneno (epoca del resto cruciale per le dispute dogmatiche), fra i quali spicca Ugo Eteriano, che nelle proprie argomentazioni si era avvalso dei sillogismi aristotelici157. Il manoscritto bresciano va dunque considerato come un dossier nelle mani di un giovane studente di teologia, allestito progressivamente per costituire una sorta di armatura sulle questioni dottrinali. Giorgio Laurezio non era naturalmente il primo ad interessarsi di tali argomenti in Terra d’Otranto. Chi maggiormente si era speso nella difesa dell’ortodossia era stato Nettario di Casole, scrivendo i celebri Tria Syntagmata158; egli doveva aver letto parte degli stessi testi polemici ricopiati dal Laurezio, forse procurandoseli durante le proprie missioni diplomatiche in Oriente. Oltre ai testimoni (autografi e copie) degli scritti di Nettario, ci sono pervenute altre testimonianze dirette di un certo interesse. È il caso del Laur. Plut. 4.22, da Paul Canart localizzato in area salentina e datato al secolo XIII159: contiene (ai ff. 2r-62v) una raccolta di excerpta patristici sulla processione dello Spirito Santo, organizzati in dieci capitoli ed estremamente affini alle ਫʌȚȖȡĮijĮ del patriarca filounionista Giovanni Bekkos160, oltre a cinque brevi scritti su argomenti analoghi. Si ricordi che in quegli anni il Sinodo di Melfi (1284)161, imponendo agli italo-greci l’aggiunta del Filioque nel Credo ora con minore162 ora 157 Cfr. A. BUCOSSI, Dibattiti teologici alla corte di Manuele Comneno, in Vie per Bisanzio. VIII Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Studi Bizantini (Venezia, 25-28 novembre 2009), a cura di A. RIGO A. BABUIN M. TRIZIO, Bari 2013 (Duepunti, 25), pp. 311-321. 158 Il primo tratta della processione dello Spirito Santo, il secondo degli azzimi, il terzo di altre questioni che contrapponevano la Chiesa greca e quella latina (come il digiuno del sabato ed il matrimonio dei preti): cfr. HOECK LOENERTZ, Nikolaos-Nektarios von Otranto cit., pp. 88-105; inoltre sul primo si veda F. CEZZI, Il metodo teologico nel dialogo ecumenico. Uno studio su Nicola d’Otranto abate italo-greco del sec. XIII, Roma 1975, pp. 63-170; sul terzo cfr. M. MUCI, Il terzo Syntagma di Nicola Nettario di Otranto, in Rivista di storia della Chiesa in Italia 62 (2008), pp. 449-505. 159 Cfr. P. CANART et alii, Une enquête sur le papier de type « arabe occidental » ou « espagnol non filigrané », in Ancient and Medieval Book Material and Techniques (Erice, 18-25 september 1992), a cura di M. MANIACI – P. MUNAFÒ, Città del Vaticano 1993, I (Studi e testi, 357), pp. 313-393: 319. 160 PG 141, coll. 613-724. Si veda la scheda sul manoscritto firmata da M. C. VICARIO in Umanesimo e Padri della Chiesa. Manoscritti e incunaboli di testi patristici da Francesco Petrarca al Primo Cinquecento (Biblioteca Medicea Laurenziana, 5 febbraio - 9 agosto 1997), a cura di S. GENTILE, s.l. [1997], pp. 240-243 nr. 45, tavv. a pp. 240, 241. 161 Cfr. P. HERDE, Die Legation des Kardinalbischofs Gerhard von Sabina während des Krieges der Sizilischen Vesper und die Synode von Melfi (28. März 1284), in Rivista di storia della Chiesa in Italia 21 (1967), pp. 1-53: 46-47. 162 Ad esempio il già citato manoscritto di Karlsruhe, Badische Landesbibliothek, Ettenheim-Münster 6 (cfr. supra, nt. 53) tramanda il Simbolo apostolico (e non un altro) secondo André Jacob forse proprio per aggirare l’imposizione melfitana: A. JACOB, Le cahier
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con maggiore successo163 ʊ aveva certamente rinfocolato le polemiche e suscitato forti resistenze fra i salentini; non a caso anche per il secolo XIV abbiamo prova di uno strenua difesa dell’ortodossia da parte loro. Ricorderò l’opuscolo attribuito al patriarca Nicola III (in realtà composto in loco)164, riguardante il Filioque ed altre questioni controverse, conservato nel Vat. gr. 1276 (sec. XIVin.)165, oppure i trattati polemici antilatini166 tràditi dal Par. gr. 1304 (sec. XIIIex.)167; assai rappresentativo è poi il Laur. Plut. 5.36 (sec. XIVin.)168 che, oltre ai Tria Syntagmata, contiene scritti di polemica antilatina169 ed il resoconto di una discussione sul Purgatorio avvenuta a Casole fra Giorgio Bardane, vescovo di Corfù, e il frate francescano Bartolomeo170. Anche la querelle sul pane azzimo, toccata in alcuni dei testi copiati dal Laurezio171, aveva già avuto un’eco rilevante nel Salento: lo dimostra la circolazione di un dialogo anonimo sull’argomento172, tràdito solo da due testimoni locali, uno del 1297/8173, l’altro del 1424174. préliminaire du codex Ettenheim-Münster 6 de la Badische Landesbibliothek de Karlsruhe, in Synaxis Katholike. Beiträge zu Gottesdienst und Geschichte der fünf altkirchlichen Patriarchate für Heinzgerd Brakmann zum 70. Geburtstag, hrsg. von D. ATANASSOVA T. CHRONZ, Münster 2014 (Orientalia patristica oecumenica, 6, 1-2), pp. 301-316: 313. 163 Ad esempio nell’੪ȡȠȜંȖȚȠȞ Monac. gr. 320 (sec. XIV), recentemente assegnato ad area salentina: D. ARNESANO, Nota sui manoscritti di Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Graeci 272 e 320, in Sit liber gratus quem servulus est operatus. Studi in onore di Alessandro Pratesi per il suo 90° compleanno, a cura di P. CHERUBINI G. NICOLAJ, Città del Vaticano 2012 (Littera antiqua, 19), I, pp. 387-400: 390-393. 164 Ed. J. DARROUZÈS, Un faux acte attribué au patriarche Nicolas (III), in Revue des études byzantines 28 (1970), pp. 221-237: 227-237. 165 Ff. 138r-144r. Cfr. A. ACCONCIA LONGO A. JACOB, Une anthologie salentine du XIVe siècle: le Vaticanus gr. 1276, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 17-19 (1980-1982), pp. 149-228: 219220 nr. 46. Sul manoscritto cfr. anche ARNESANO, La minuscola «barocca» cit., pp. 80-81 nr. 26. 166 Ff. 1-28. Cfr. V. KONTOUMA, Baptême et communion des jeunes enfants: la lettre de Jean d’Antioche à Théodore d’Éphèse (998/999), in Revue des études byzantines 69 (2011), pp. 185204: 194. 167 ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., p. 110 nr. 138. 168 ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., p. 87 nr. 47. 169 Uno di questi (ff. 1r-3v) concerne in particolare il rito matrimoniale greco: si veda F. QUARANTA, In difesa dei matrimoni greci e del mattutino pasquale: un testo pugliese inedito del XIII secolo, in Studi sull’oriente cristiano 5-2 (2001), pp. 91-117. 170 M. RONCAGLIA, Georges Bardanès métropolite de Corfou et Barthélemy de l’Ordre Franciscain, Roma 1953. 171 Cioè la lettera di Leone di Acrida a Giovanni di Trani, gli scritti di Niceta Stetato e il trattato anonimo Sugli azzimi e sul sabato. 172 PH. HOFFMANN, Une lettre de Drosos d’Aradeo sur la fraction du pain (Athous Iviron 190, A.D. 1297/1298), in Rivista di studi bizantini e neoellenici 22-23 (1985-1986), pp. 245-284: 277-281. 173 Athos, ȂȠȞ ȕȡȦȞ, 190: S. LAMBROS, Catalogue of Greek Manuscripts on Mount Athos, Cambridge 1900 (rist. Amsterdam 1966), II, pp. 53-54; ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., pp. 73-74 nr. 1. 174 Rom. Vallic. C 972, ultimato da Stefano Colimba di Corigliano (cfr. supra, nt. 136).
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Il Laurezio, quindi, affrontò temi da sempre in primo piano, discussi nel Salento da due secoli, senza soluzione di continuità. Eppure cercò e copiò opere che, almeno in parte, non risultano altrimenti documentate in questa regione. Solo per tre di esse è possibile rintracciare un precedente. L’Adversus Latinos di Niceta Stetato175 e la Disputatio cum Petro Grossolano di Giovanni Phurnes si trovano anche nel Laur. Plut. 9.16176. Il manoscritto ʊ latore anche dei XXIV Capitoli sillogistici sulla processione del Santo Spirito di Niceta Byzantios (ff. 98v-111v)177 ʊ va localizzato in Terra d’Otranto per motivi sia materiali sia testuali: si tratta di un codice membranaceo, palinsesto, la cui scriptio superior è una minuscola salentina attribuibile al secolo XIII178; contiene una lettera di Giorgio Bardane, vescovo di Corfù, a Nettario di Casole, scritta intorno al 1225179. Degna di nota è infine la presenza nel codice laurenziano di due opere sinora non identificate: si tratta della Oratio Catechetica di Gregorio di Nissa (ff. 1v-24r)180 e di parte del De vita Mosis del medesimo autore (ff. 24r-44r)181. 175 Questo autore è attestato nella regione grazie ad un solo altro manoscritto, l’Ambros. F 10 sup., che ai ff. 72-76 tramanda un brano della Dialexis nel quale il monaco studita condanna il digiuno nei sabati di quaresima. Il testo è edito in DEMETRAKOPOULOS, ݑțțȜȘıȚĮıIJȚț ޣȕȚȕȜȚȠׇȒțȘ cit., pp. 18-36 ed in A. MICHEL, Humbert und Kerullarios, II, Paderborn 1930 (Quellen und Forschungen aus dem Gebiete der Geschichte, 23), pp. 322-342. Sul manoscritto cfr. MARTINI - BASSI, Catalogus codicum graecorum cit., pp. 369-371 (in part. p. 371). Esso è attribuibile su base paleografica al secolo XIIIex.-XIVin.: ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., pp. 101-102 nr. 104. Ulteriore bibliografia in PASINI, Bibliografia dei manoscritti cit., p. 246. 176 BANDINI, Catalogus codicum manuscriptorum cit., I, pp. 413-416. Si tratta più esattamente dei ff. 1-61, 73-123. I ff. 62-72 sono un restauro umanistico. 177 Ed. J. HERGENRÖTHER, Monumenta graeca ad Photium ejusque historiam pertinentia, Regensburg 1869, pp. 84-138; cfr. RIGO, Niceta Byzantios cit., p. 154 (cfr. anche pp. 160-161, 162). 178 La scrittura, tutta della stessa mano, presenta forti analogie con quella di un altro cimelio otrantino, il Laur. Plut. 74.17 (sul quale si veda G. CAVALLO, I libri di medicina: gli usi di un sapere, in Maladie et société à Byzance, a cura di E. PATLAGEAN, Spoleto 1993 [Collectanea, 3], pp. 43-56: 45, 53). In entrambi i manoscritti la grafia passa (a volte gradualmente, senza che quindi si possa ipotizzare una diversità di mano) da un aspetto più serrato, minuto, ad uno più sciolto e a maggiore contrasto modulare (cfr. Laur. Plut. 9.16, ad es. ff. 21rv, 36r, 38r; Laur. Plut. 74.17, f. 2rv). Più in particolare cfr. alpha maiuscolo con il corpo centrale a forma di goccia e staccato dall’asta obliqua, beta maiuscolo tozzo, di dimensioni assai ridotte, l’iniziale omicron colorata di rosso o giallo ocra e con “bottoncino” al centro (Laur. Plut. 9.16, ad es. f. 14r, terzo rigo dal basso; Laur. Plut. 74.17, ad es. f. 7v, r. 2). Nel Laur. Plut. 9.16 compare talvolta l’abbreviazione di -ઁȞa forma di “=” (ad es. f. 120r), sulla quale cfr. supra, p. 74 e nt. 127. Sono inoltre presenti sporadici red blobs (cfr. supra, p. 74 e nt. 129) e righe messe in evidenza con il colore giallo ocra (per entrambi si veda Laur. Plut. 9.16, ad es. f. 13v). 179 Ed. in HOECK LOENERTZ, Nikolaos-Nektarios von Otranto cit., pp. 179-180 nr. 4. Naturalmente tale data costituisce il terminus post quem per la trascrizione della lettera nel codice laurenziano. 180 Acefalo. Gregorii Nysseni Oratio catechetica, ed. E. MÜHLENBERG, Leiden-New York 1996 (GNO, 3,4). 181 Gregorii Nysseni De vita Moysis, ed. H. MUSURILLO, Leiden-New York 1964 (GNO, 7,1), rist. 1991.
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Per il trattatello pseudo-foziano Contra veteris Romae asseclas copiato da Laurezio è possibile rintracciare un doppio precedente: l’opera, infatti, già circolava in Terra d’Otranto grazie al Par. Suppl. gr. 1232 (ff. 64r-67v)182, vergato, con traduzione latina, proprio da Nettario di Casole, e al manoscritto del Monte Athos, ȂȠȞ ȕȡȦȞ 190 (ff. 46r-47v), ultimato nel 1298/9 dal copista Calo di Galatina183. Dove potrebbe aver reperito il Laurezio gli antigrafi necessari al suo lavoro? Visto l’impegno precedentemente profuso da Nettario nella polemica antilatina, la biblioteca del monastero di S. Nicola di Casole potrebbe essere stata per Giorgio la prima meta da raggiungere e il luogo più indicato nel quale cercare. Questa, tuttavia, è solo una delle ipotesi possibili. Come si è appena visto, infatti, nel Salento circolavano diverse opere sulle controversie dottrinali, la cui disponibilità nella regione non necessariamente si deve ricondurre ad un’unica figura né l’importazione ad un solo frangente o luogo di provenienza. Il nostro fu in grado di accedere non solo ad una trattatistica di prim’ordine ma anche alle copie di importanti documenti di cancelleria, come il carteggio fra Germano II e Gregorio IX; tuttavia non vi è ragione di credere che egli dovesse andare molto lontano per trovare quanto cercava; testi di questo genere e di quest’epoca dovevano infatti essere a portata di mano nella regione, come dimostra la circolazione di alcune lettere di Federico II a Giovanni III Vatatze, tràdite unicamente dagli ultimi fogli del Laur. Conv. Soppr. 152184, noto testimone sofocleo ultimato nel 1282 dal copista Augustio185. Una “svolta” nell’iter culturale di Giorgio di Ruffano potrebbe essere rappresentata dal manoscritto Ambros. A 66 sup., con cui il teologo salentino, copiando un’opera di s. Tommaso, dimostrò un’attenzione per il grande pensatore ed un interesse (se non una timida apertura) verso la teologia occidentale. Il dato è rilevante anche in termini generali, poiché si tratta dell’unica testimonianza diretta della conoscenza dell’Aquinate in ambiente greco-otrantino186. Ai tempi del Laurezio non mancavano in 182 CH. ASTRUC M.-L. CONCASTY, Catalogue des manuscrits grecs. Troisième partie. Le Supplément grec, III, Nos 901-1371, Paris 1960, pp. 403-407. Il codice contiene anche una synopsis di estratti sulla processione dello Spirito Santo. 183 Cfr. supra, p. 80 e nt. 173. 184 Cfr. N. FESTA, Le lettere greche di Federigo II, in Archivio storico italiano 13 (1894), pp. 1-34; E. MERENDINO, Quattro lettere greche di Federico II, in Atti dell’Accademia di scienze lettere e arti di Palermo 34 (1974-1975), pp. 293-344. 185 Cfr. supra, nt. 140. Sul manoscritto cfr. ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., p. 86 nr. 44. 186 Nell’ampia bibliografia sui rapporti tra il mondo bizantino e il pensiero di s. Tommaso segnalo (oltre agli studi citati alle ntt. 102, 104), il volume di M. PLESTED, Orthodox Readings of Aquinas, Oxford 2012 (in particolare il cap. 1, Thomas Aquinas and the Greek East, pp. 9-28).
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GIORGIO LAUREZIO, COPISTA ED INTELLETTUALE DEL SECOLO XV
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Terra d’Otranto comunità di domenicani e milieux culturali di impronta tomistica. A Parabita c’è uno dei più antichi conventi del Salento, con la chiesa di Santa Maria dell’Umiltà, dove i frati officiavano dal 1405187. I domenicani, da parte loro, erano attivamente interessati alla conoscenza della cultura greca, allo studio della teologia orientale e non mancarono di giovarsi del patrimonio manoscritto disponibile nella regione. Frati grecisti furono ad esempio Francesco Securo da Nardò († 1489)188 e Bartolomeo Picerno da Montesardo (sec. XV-XVI)189; un altro illustre cultore di lettere greche, coevo del Laurezio, fu Alessandro di Otranto, vicario generale dell’ordine e professore di teologia. Sappiamo che questi tradusse e commentò Aristofane190, che ebbe tra le mani gli odierni Par. lat. 6306 (Ethica Nicomachea)191 e Par. gr. 1165 (Expositio fidei di Giovanni Damasceno)192 e che per procurarsi un Gregorio di Nazianzo si rivolse ad un sacerdote di Tricase193. Non è forse azzardato dedurre che nel Salento del G. CIOFFARI, Il convento di Parabita nella storia dei Domenicani del Salento: 1405-2005, Galatina 2005, pp. 9-36. 188 Dal 1464 fu lettore di metafisica tomistica presso lo studium di Padova e maestro del Pomponazzi. Cfr. G. BROTTO G. ZONTA, La facoltà teologica dell’Università di Padova, Padova 1922, pp. 195-197. 189 Formatosi in Terra d’Otranto e trasferitosi a Roma, curò la traduzione dal greco in latino di due opere. La prima è il Contra legem Saracenorum (o Confutatio Alcorani), scritta da un altro domenicano, il fiorentino Ricoldo Pennini da Monte Croce (1243-1320) e tradotta in greco da Demetrio Cidone (PG 154, coll. 1077-1543; è dalla versione di Cidone che il Picerno tradusse nuovamente in latino l’opera). La seconda opera è la Donatio Constantini. Si vedano rispettivamente Ricoldus De Monte Crucis, Confutatio Alcorani (1300), ed. J. EHMANN, Wurzburg 1999 (Corpus islamo-christianum. Series latina, 6) e C. VECCE, Antonio Galateo e la difesa della Donazione di Costantino, in Aevum 59 (1985), pp. 353-360: 358-360. 190 Nel 1458 fece trascrivere le commedie Plutus e Nubes nell’odierno Vindob. Phil. gr. 204. Cfr. M. L. CHIRICO, Aristofane in Terra d’Otranto, Napoli 1991 (Pubblicazioni del Dipartimento di filologia classica dell’Università degli Studi di Napoli « Federico II », 5), sigla Vind. Il copista greco non è salentino; egli è stato identificato con Demetrio Sguropulo da Ernst Gamillscheg; cfr. A. JACOB, Deux copies salentines de l’inscription bizantine de la cathédrale de Bari (Ambrosianus B 39 sup. et Laurentianus 59, 45), in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken 73 (1993), pp. 1-18: 12 e nt. 21. Su Demetrio Sguropulo si veda Repertorium der griechischen Kopisten cit., III, nr. 168. 191 Sec. XIV. Cfr. G. MAZZATINTI, La biblioteca dei re d’Aragona in Napoli, Rocca San Casciano 1897, pp. 95-96. 192 Il manoscritto è stato attribuito da André Jacob alla mano che ha vergato l’Oxon. Auct. T.2.16 (Gregorio di Nissa) e il Par. gr. 1094 (Massimo Confessore). Cfr. JACOB, Une bibliothèque médiévale cit., p. 301 nt. 72; ID., Tra Basilicata e Salento. Precisazioni necessarie sui Menei del monastero di Carbone, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 68 (2001), pp. 21-52: 27 nt. 25. Ulteriore bibliografia sui manoscritti in ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., p. 107 nr. 127 (Oxon. Auct. T.2.16), p. 109 nrr. 135 (Par. gr. 1094), 136 (Par. gr. 1165). 193 Al f. 101v del Par. gr. 1165 il domenicano appose una nota nella quale afferma di aver ricevuto dal sacerdote Luigi di Tricase, cui il manoscritto parigino apparteneva, un Gregorio di Nazianzo di piccolo formato. Cfr. A. JACOB, Culture grecque et manuscrits en Terre d’Otrante, in Atti del IIIº Congresso internazionale di studi salentini e del Iº Congresso storico di Terra d’Otranto (Lecce 22-25 ottobre 1976), a cura di P. F. PALUMBO, Lecce 1980, pp. 51-77: 67 e nt. 62. 187
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DANIELE ARNESANO
secolo XV clero greco e ordine domenicano, vivendo a stretto contatto, nutrissero un interesse reciproco, studiassero talvolta le medesime auctoritates e trovassero in Aristotele un solido punto di incontro. Più strettamente legati all’attività di docenza del retore e sacerdote di Supersano sono il Vat. Barb. gr. 226 e il manoscritto un tempo conservato a Cheltenham. Il compendio di scienze naturali composto dal Blemmida, infatti, è un manuale per l’insegnamento della fisica sostitutivo dei trattati precedenti e non a caso fu sottoscritto dal Laurezio in qualità di retore e cioè docente (l’assenza dell’Epitome logica può essere dovuta al fatto che il Laurezio la copiò in un booklet a parte, non pervenuto o non ancora individuato, oppure che i trattati dell’Organon di Aristotele non dovessero essere in alcun modo sostituiti). Il codice barberiniano è inoltre l’unico testimone dell’opera sicuramente scritto in Terra d’Otranto194 e il solo che tramandi un’opera del Blemmida e che sia stato prodotto in questa regione195 il che contribuisce a fare del prete di Supersano un personaggio distinto dal contesto locale. Niceforo Blemmida aveva preso parte alle controversie con i latini durante il regno di Giovanni III Vatatze196, partecipando alla disputa del 1234 avvenuta a Ninfeo fra il patriarca Germano e i legati papali e stendendone una memoria197. Per questa ragione la circolazione in Terra d’Otranto dell’Epitome physica e quella dei documenti relativi all’incontro unionistico potrebbero essere tra loro legate: i testi copiati dal Laurezio, 194 L’Epitome physica è conservata anche nei ff. 1-150 del composito Laur. Plut. 86.15, vergati da Alessio Celadeno, intellettuale nato in Grecia nel 1450, poi fuggito in Italia, a Roma, dove fu in contatto con il cardinale Bessarione e con Teodoro Gaza; nel 1480 egli divenne vescovo di Gallipoli e nel 1508 di Molfetta, alternando soggiorni pugliesi a soggiorni romani. Una localizzazione pugliese di questi fogli è ipotizzabile anche sulla base della seconda e più antica parte del codice laurenziano (ff. 151-185), in cui il copista Nicola Sillavì di Gallipoli vergò nel 1347 il De omnifaria doctrina di Psello ed altri testi. Non è dato sapere, tuttavia, dove le due unità siano state assemblate ed anche per questo l’origine della parte più tarda del codice è da ritenersi incerta. Sul manoscritto cfr. ARNESANO, La minuscola « barocca » cit., pp. 91-92 nr. 62; D. SPERANZI, Il ritratto dell’anonimo. Ancora sui manoscritti di Alessio Celadeno, vescovo di Gallipoli e Molfetta, in La tradizione dei testi greci cit., pp. 113-124: 123. 195 L’Ambros. O 154 sup. contiene l’Epitome logica e fu acquistato nel 1606 a Corigliano d’Otranto; esso tuttavia non può essere considerato salentino, perché era stato copiato a Napoli nel 1577 da Giovanni Santamaura. Il trasferimento nel Salento non sorprende, perché anche il Giorgio Sfranze Ambros. P 123 sup., acquistato a Nardò e vergato dal copista cipriota, è probabilmente di origine partenopea; inoltre un testimone dell’Ethica Nicomachea, vergato dal Santamaura a Roma (ante 1592) si conserva tuttora a Galatina: cfr. M. D’AGOSTINO, Giovanni Santamaura. Gli ultimi bagliori dell’attività scrittoria dei Greci in Occidente, Cremona 2013, pp. 67-68, 79 (Ambros. O 154 sup.), 126-127, 129-130 (Ambros. P 123 sup.), 114-115 (Galatin. 25). 196 Cfr. M. STAVROU, Le premier traité sur la procession du Saint-Esprit de Nicéphore Blemmydès, in Orientalia christiana periodica 67 (2001), pp. 39-141. 197 Ed. P. CANART, Nicéphore Blemmyde et le mémoire adressé aux envoyés de Grégoire IX (Nicée, 1234), in Orientalia christiana periodica 25 (1959), pp. 310-325.
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GIORGIO LAUREZIO, COPISTA ED INTELLETTUALE DEL SECOLO XV
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cioè, potrebbero essere stati introdotti nella regione contestualmente, da un medesimo personaggio (per ora questa rimane un’ipotesi, cui uno studio critico-testuale accurato potrebbe conferire qualche fondatezza). Il Carmen aureum, copiato dal Laurezio nel codice oggi all’asta, contiene, come si sa, dei precetti pitagorici per i giovani e gli studenti di filosofia; era anche un testo adatto all’apprendimento del greco e tale pregio fu sfruttato dai primi stampatori198. Esso dunque è perfettamente funzionale agli interessi del nostro professore. L’opera è ben documentata in Terra d’Otranto, grazie ad altri quattro codici; rispetto a questi, tuttavia, la copia del Laurezio è l’unica ad essere corredata del commento di Ierocle e ciò conferma la preminenza del nostro personaggio. Il testo pitagorico, inoltre, aggiunge un elemento importante al suo profilo culturale. Infatti a parte il Vat. Barb. gr. 70 (sec. XI), Etymologicum gudianum che al f. 87v contiene le ȁȟİȚȢ IJȞ ȤȡȣıȞ ਥʌȞ ȆȣșĮȖંȡĮ199 i testimoni otrantini del poemetto sono tutti tardi (dalla metà del secolo XV) e documentano il rinato interesse per il pitagorismo che connotò la cultura otrantina della fine del Quattrocento, comune ad altre aree dell’Italia meridionale200 ed oltre (seppur all’interno di milieux ristretti e con differenze specifiche fra regione e regione)201. Tirando le fila di quanto sin qui detto, si può affermare che quella del Laurezio appare una figura sfumata: non possiamo definirlo un umanista (quale fu, ad esempio, Sergio Stiso), poiché i classici e la poesia non furono oggetto della sua predilezione (o almeno non ne abbiamo prova) né possediamo testimonianze di una rete di rapporti da lui intrattenuti con Cfr. F. CICCOLELLA, Donati Graeci. Learning Greek in the Renaissance, Leiden-Boston 2008 (Columbia Studies in the classical Tradition, 32), p. 127. 199 Ed. K. TSANTSANOGLOU, ȉ ޟȥİȣįȠ–ʌȣșĮȖިȡİȚĮ ȋȡȣıߢ ݏʌȘ ıIJާȞ țެįȚțĮ 95 IJ߱Ȣ ǽޠȕȠȡįĮȢ, in ǼʌȚıIJȘȝȠȞȚț ޤİʌİIJȘȡަįĮ IJȘȢ ĭȚȜȠıȠijȚțޤȢ ȈȤȠȜޤȢ IJȠȣ ǹȡȚıIJȠIJİȜİަȠȣ ȆĮȞİʌȚıIJȘȝަȠȣ ĬİııĮȜȠȞަțȘȢ 13 (1974), pp. 11-18: 15-18; cfr. D. ARNESANO E. SCIARRA, Libri e testi di scuola in Terra d’Otranto, in Libri di scuola e pratiche didattiche dall’antichità al Rinascimento. Convegno internazionale di studi (Cassino, 7-10 maggio 2008), a cura di L. DEL CORSO – O. PECERE, Cassino 2010 (Studi archeologici, artistici, filologici, filosofici, letterari e storici, 26), II, pp. 425-473: 431-433. 200 Lo ieromonaco del S. Salvatore di Messina Angelo Filleti (o Calabrò), allievo di Costantino Lascari, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo aggiunse parte del commento di Ierocle al Carmen Aureum nei ff. 287r-330v del manoscritto di Londra, British Library, Addit. 36749 (sec. X): cfr. G. CAVALLO, La trasmissione scritta della cultura greca antica in Calabria e in Sicilia tra i secoli X-XV, consistenza, tipologia, fruizione, in Scrittura e civiltà 4 (1980), pp. 157-245: 239-240; T. MARTÍNEZ MANZANO, Constantino Láscaris. Semblanza de un humanista bizantino, Madrid 1998 (Nueva Roma, 7), pp. 72-73 e nt. 23. 201 La decadenza della cultura greca in Italia meridionale nel corso del Quattrocento fu più evidente in Calabria, dove la produzione libraria fu destinata quasi esclusivamente alle esigenze liturgiche: cfr. S. LUCÀ, Il libro greco nella Calabria del sec. XV, in I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca agli albori dell’età moderna. Atti del Convegno internazionale di studio dell’Associazione italiana dei Paleografi e Diplomatisti (Arezzo, 8-11 ottobre 2003), a cura di C. TRISTANO M. CALLERI L. MAGIONAMI, Spoleto 2006 (Studi e ricerche, 3), pp. 331-373. 198
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DANIELE ARNESANO
altri eruditi; d’altra parte, non si può dire che fosse solo un copista, poiché la sua produzione libraria è attraversata da un fil rouge che ripete le tappe della sua carriera e del suo affinamento culturale. Direi che Giorgio di Ruffano, oltre che copista, fu un sacerdote colto, un docente e teologo ben attrezzato, alacre cercatore di testi, vissuto nel pieno Quattrocento e nelle tensioni di questo secolo pienamente calato. L’eco del concilio di Ferrara-Firenze (1438-1439)202 potrebbe aver avuto un’influenza sul suo interesse per le questioni dottrinali: quelli del giovane copista del codice bresciano sono gli anni in cui i greci si dividevano sull’accettazione o meno di un ricongiungimento fra le due Chiese troppo ottimisticamente proclamato203, la cui notizia suscitò imbarazzo se non ostilità in una parte del mondo bizantino204. Non conosciamo l’opinione del Laurezio in merito, ma certamente egli volle o dovette documentarsi sulle controversie, studiare le ragioni delle parti (magari colpito, forse affascinato, dalla recente posizione unionista di una celebrità come Basilio Bessarione)205: il ricorso alle fonti e alle auctoritates era del resto indispensabile ad una consapevole difesa dell’ortodossia, come era avvenuto sia per i greci sia per i latini in occasione della sinodo fiorentina206. Il Laurezio fu infine una figura di transizione: nella copia del poemetto pitagorico si potrebbe intravedere il cambiamento dei tempi, l’inizio di un’apertura verso l’imminente neoplatonismo207. Il professore di Supersano era però or202 La bibliografia sul famosissimo evento è assai vasta; resta fondamentale J. GILL, Il Concilio di Firenze, Firenze 1967 (Biblioteca storica Sansoni, 45). 203 Si veda M.-H. BLANCHET, L’Église byzantine à la suite de l’Union de Florence (14391445): de la contestation à la scission, in Byzantinische Forschungen 29 (2007), pp. 79-123. 204 CH. DENDRINOS, Reflections on the Failure of the Union of Florence, in Annuarium historiae conciliorum 39 (2007), pp. 131-148 (con ulteriore bibliografia a p. 145 nt. 57); M.H. CONGOURDEAU, Pourquoi les Grecs ont rejeté l’Union de Florence (1438-1439), in Identités religieuses. Dialogues et confrontations, construction et déconstruction. Actes de la XVIIe Université d’été du Carrefour d’histoire religieuse (Belley, 10-13 juillet 2008), éd. B. BÉTHOUART M. FOURCADE C. SORREL, Boulogne 2008 (Les cahiers du Littoral, 2.9), pp. 35-46. 205 Sul mutamento della posizione di Bessarione prima e durante il concilio si veda il saggio di A. RIGO, Bessarione tra Costantinopoli e Roma, in Bessarione di Nicea. Orazione dogmatica sull’unione dei Greci e dei Latini, a cura di G. LUSINI, Napoli 2001 (Biblioteca europea, 28), pp. 19-68. Il cardinale ebbe certamente rapporti con la Terra d’Otranto. Aldilà dei codici greci di origine salentina a lui appartenuti, si ricordi che a Roma nel 1446 insieme a Giovanni de’ Ponti, cardinale di Taranto, egli aveva presieduto il capitolo generale dell’ordine di S. Basilio, cui probabilmente partecipò Zaccaria, egumeno di Casole dal 1438 al 1469 (su cui cfr. HOECK LOENERTZ, Nikolaos-Nektarios von Otranto cit., p. 16). 206 Si veda A. ALEXAKIS, The Greek Patristic Testimonia Presented at the Council of Florence (1439) in Support of the Filioque Reconsidered, in Revue des études byzantines 58 (2000), pp. 149-165. 207 Non a caso il codice che lo contiene fu poi accorpato alla Iatromathematica di Ermete Trismegisto; cfr. supra, p. 68.
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mai avanti negli anni e non toccò a lui scrivere quest’ultima pagina della storia della cultura greca in Terra d’Otranto. Forse non vide, il Laurezio, i Turchi profanare Otranto e forse non conobbe chi quella nuova pagina cominciava a scrivere, dando vita, a Zollino, ad un sodalizio erudito di impronta ormai umanistica.
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Brescia Biblioteca Queriniana A IV 3
MANOSCRITTO
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Inc. ȉȠIJȦȞȠȞȠIJȦȢਕȜȘșȢ Des. ਥȤંȞIJȦȞਥȞIJ ਥʌĮȖȠȡİȣșȞIJȚȜંȖ Adversus latinos De Spiritu sancto Disputatio cum Petro Grossolano Adversus latinos de Spiritu sancto
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In Pascha sermo 7
212r-217r
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Historia ecclesiastica et mystica contemplatio Sugli errori dei Franchi Adversus iudaeos De vitae terminis
Basilius Anonymus Niceta Stethatus Anonymus Leo Achridensis Iohannes Chrysostomus Theodoretus Theophylactus Bulgariae Petrus Chrysolanus Iohannes Phurnes Nicolaus Methonensis
151r-152r Y-154r
Epistula ad Ioannem episcopum tranensem
Symbolum quicumque
In Aristotelis Categorias commentarius Contra Eunomium Refutatio confessionis Eunomii
Prologus in opera Pseudo-Dionysii
De interpretatione
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De beatitudinibus oratio I
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Categoriae In Aristotelis Categorias commentarius In Aristotelis Categorias commentarius In Aristotelis Categorias commentarius In Porphyrii Isagogen prolegomena
3V-Athanasius
Gregorius Nyssenus
Aristoteles Maximus Confessor Ammonius
Anonymus
Aristoteles Ammonius Elias Anonymus Anonymus Gregorius Nyssenus
SV-Dionysius Areopagita
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De coelesti hierarchia De ecclesiastica hierarchia De divinis nominibus De mystica theologia 22r-52r
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Scholia in Corpus Dionysiacum
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OPERA
AUTORE
Maximus Confessor
Manoscritti copiati da Giorgio Laurezio 88 DANIELE ARNESANO
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Olim Cheltenham, 7KLUOHVWDLQH+RXVHFROO Phillipps, 23007 I
Milano, Biblioteca Ambrosiana$VXS
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut.
Città del Vaticano Barb. gr. 226 D) IY
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23-30 31-38 39-42
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Epistula ad Basilium Achridenum Responsio ad Hadrianum IV papam Epistula ad Gregorium IX papam
Pythagoras Hierocles Gregorius Nazianzenus Iohannes Chrysostomus
Thomas Aquinas
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fr. Hom. XXXIII
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Carmen aureum In Aureum carmen
fr. In Paulum apostolum
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De articulis fidei
In Aristotelis Categorias commentarius
Categoriae
Aristoteles
Ammonius
Epitome physica
Definitio apocrisiariorum Gregorii papae IX Quod Spiritus Sanctus a Patre Filioque procedat Responsio ad Gregorium IX papam Excerpta
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Disputatio cum Anselmo Havelbergensi
Epistula ad Germanum II
226r-231r
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Contra latinos de processione Sancti spiritus
Contra veteris Romae asseclas
De sancto et immortali deo
Nicephorus Blemmydes
Germanus II
Hugo Etherianus 3V-Photius Nicetas Byzantinus Basilius Achridenus Hadrianus papa IV Basilius Achridenus Germanus II Gregorius IX papa
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Fig. 1 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 105v (part.)
Fig. 2 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 105v (part.)
Fig. 3 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 157v (part.)
Fig. 4 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 52v (part.)
Fig. 5 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 52v (part.)
Fig. 6 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 22r (part.)
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Fig. 7 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 149r (part.)
Fig. 8 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 95r (part.)
Fig. 9 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 156r (part.)
Fig. 10 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 21v (part.)
Fig. 11 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 169r (part.)
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DANIELE ARNESANO
Tav. 1 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 112v
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GIORGIO LAUREZIO, COPISTA ED INTELLETTUALE DEL SECOLO XV
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Tav. 2 - Brescia, Querin., A IV 3, f. 202v
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ONOFRIO VOX SULLA RETORICA NELLA POESIA OTRANTINA DI XIII SECOLO Il corpus poetico di XIII sec. a cui mi riferisco è costituito anzitutto dai componimenti dei quattro maggiori editi da Marcello Gigante1, Nicola-Nettario, Giovanni Grasso, Nicola di Otranto e Giorgio di Gallipoli; ad essi si aggiungono i componimenti riscoperti negli anni ’80 ad opera di Augusta Acconcia Longo ed André Jacob2, come lo stesso Gigante ebbe modo di ricordare nel 1995: Ai quattro poeti (Nicola) Nettario, Giovanni Grasso, Nicola di Otranto e Giorgio di Gallipoli, da me rivelati, si sono aggiunti altri poeti scoperti in altri manoscritti, che testimoniano la continuità della poesia in lingua greca per l’età successiva, come il prete aristotelico e liturgista Drosos di Aradeo e il sacerdote monaco Teodoto di Gallipoli, autore di epitaffi per Teodoro Cursiota, esule dopo la distruzione della sua città da parte di Carlo I d’Angiò nel 12693.
Ed i codici che tramandano le composizioni salentine sono dunque i seguenti: • Par. gr. 1371, autografo di Nicola-Nettario secondo Hoeck-Loenertz4; • Laur. Plut. 5.10 e Vat. gr. 1276, testimoni complementari; • Laur. Plut. 58.2, contenente poesie di Nicola d’Otranto; • Laur. Plut. 58.25, contenente poesie di Teodoto di Gallipoli; • Vindob. Phil. gr. 310, contenente, oltre a due epigrammi di Nicola d’Otranto, un epigramma di Palagano, allievo di Nicola-Nettario5. 1 Poeti bizantini di Terra d’Otranto nel secolo XIII, testo critico, introduzione, traduzione, commentario e lessico a cura di M. GIGANTE, Galatina 1985 (2. ed. riv. e aum., rist. fotomeccanica; Napoli 19791), dal cui testo cito. 2 A. ACCONCIA LONGO – A. JACOB, Une anthologie salentine du XIVe siècle: le Vaticanus gr. 1276, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 17-19 (1980-82), pp. 149-228; A. ACCONCIA LONGO, Un nuovo codice con poesie salentine (Laur. 58,25) e l’assedio di Gallipoli del 1268-69, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 20-21 (1983-84), pp. 123-170. A. ACCONCIA LONGO –A. JACOB, Poesie di Nicola d’Otranto nel Laur. gr. 58, 2, in Byzantion 54 (1984), pp. 371-379. 3 M. GIGANTE, Roma a Federico imperatore secondo Giorgio di Gallipoli, [Roma] 1995, p. 11. Fuori dall’elenco però continua a restare Roberto di Otranto, di poco anteriore; e si rimane in attesa di una nuova edizione, definitiva, dell’intero corpus, da tempo promessa a cura di Acconcia Longo e Jacob. 4 J. M. HOECK – R. J. LOENERTZ, Nikolaos-Nektarios von Otranto Abt von Casole. Beiträge zur Geschichte der ost-westlichen Beziehungen unter Innozenz III. und Friedrich II., Ettal 1965. 5 Manoscritti secondari, frammentari per i quattro poeti maggiori: Barb. gr. 74; Pal. gr. 237; Paris. Suppl. gr. 1232; Messan. San. Salv. 49.
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ONOFRIO VOX
Nella poesia otrantina indicherò l’uso di procedimenti retorici, in particolare dei progymnasmata, gli esercizi di base attraverso i quali non solo veniva condotta la preparazione scolastica ma veniva anche svolta la prassi, oratoria o poetica che fosse6. Del resto un censimento sia dei testi di dottrina retorica circolanti in area salentina sia dei testi otrantini classificabili come retorici, di applicazione della teoria, è stato condotto di recente da Daniele Arnesano, e seguirò da vicino le sue indicazioni7, ricordando pochissimi casi che mostrano anzitutto la conoscenza dell’opera sui progymnasmata di Aftonio (e dello pseudo-Ermogene), in particolare per ekphrasis ed ethopoiia8. Per l’ekphrasis vanno ricordate anzitutto le annotazioni di Nicola-Nettario nel Laur. 5.10, che offrono la descrizione in prosa di una fontana coperta da cupola collocata nel monastero della Theotokos Evergetis a Costantinopoli9, cui fa seguito una composizione poetica (Nettario X Gigante): 6 Per i 12 o 14 progymnasmata della serie canonica, di guida nella produzione di testi originali (ȝ૨șȠȢ įȚȖȘȝĮ ȤȡİĮ ȖȞઆȝȘ ਕȞĮıțİȣ țĮIJĮıțİȣ țȠȚȞઁȢ IJંʌȠȢ ਥȖțઆȝȚȠȞ ȥંȖȠȢ ıȖțȡȚıȚȢșȠʌȠȚĮRʌȡȠıȦʌȠʌȠȚĮțijȡĮıȚȢਫ਼ʌંșİıȚȢȞંȝȠȣİੁıijȠȡ), cfr. L. CALBOLI MONTEFUSCO, Progymnasmata, in Der Neue Pauly 10 (2001), pp. 375-376; inoltre almeno H. HUNGER, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, I: Philosophie, Rhetorik, Epistolographie, Geschichtsschreibung, Geographie, München 1978, pp. 92-120; H. CICHOCKA, Progymnasma as a literary form, in Studi Italiani di Filologia Classica N. S. 10 (1992), pp. 991-1000; R. H. WEBB, The Progymnasmata as Practice, in Education in Greek and Roman Antiquity, ed. by Y. L. TOO, Leiden-Boston-Köln 2001, pp. 289-316; J. A. FERNÁNDEZ DELGADO, Influencia literaria de los “progymnasmata”, in Escuela y literatura en Grecia antigua: actas del simposio internacional: Universidad de Salamanca, 17-19 noviembre de 2004, J. A. FERNÁNDEZ DELGADO, F. PORDOMINGO, A. STRAMAGLIA (eds.), Cassino 2007, pp. 273-306. Le più antiche ed autorevoli raccolte superstiti di progymnasmata sono pubblicate con commento da G. A. KENNEDY, Progymnasmata. Greek textbooks of prose composition and rhetoric, translated with introductions and notes, Atlanta 2003. 7 D. ARNESANO, Ermogene e la cerchia erudita. Manoscritti di contenuto retorico in Terra d’Otranto, in La tradizione dei testi greci in Italia meridionale. Filagato da Cerami philosophos e didaskalos. Copisti, lettori, eruditi in Puglia tra XII e XVI secolo, a cura di N. BIANCHI, Bari 2011, pp. 95-111 (tengo presenti soprattutto le pp. 103-106). Cfr. anche Id., Aristotele in Terra d’Otranto: i manoscritti fra XIII e XIV secolo, in Segno e testo 4 (2006), pp. 149-190. 8 Per l’ekphrasis cfr. R. WEBB, Ekphrasis, Imagination and Persuasion in Ancient Rhetorical Theory and Practice, Ashgate 2009; per l’ethopoiia E. AMATO – J. SCHAMP (curr.), ǼĬȅȆȅǿǿǹ. La représentation de caractères entre fiction scolaire et réalité vivante à l’époque impériale et tardive, Salerno 2005, in particolare i contributi di Ch. HEUSCH, Die Ethopoiie in der griechischen und lateinischen Antike: von der rhetorischen Progymnasmata-Theorie zur literarischen Form, pp. 11-33, e E. AMATO – G. VENTRELLA, L’éthopée dans la pratique scolaire et littéraire. Répertoire complet, pp. 213–231. Quanto al manuale di Aftonio cfr. Corpus Rhetoricum. Anonyme, Préambule à la rhétorique. Aphthonios, Progymnasmata. En annexe: Pseudo-Hermogène, Progymnasmata, textes établis et traduits par M. PATILLON, Paris 2008. Per la circolazione di quest’opera e dello Pseudo-Ermogene in area salentina cfr. ARNESANO, Ermogene e la cerchia erudita cit., pp. 101-102. 9 Il testo di queste annotazioni nel Laur. 5.10 era stato edito da G. N. SOLA, Paolo d’Otranto, Pittore (sec. XII), in Roma e l’Oriente 13 (1917), pp. 57-65, 130-146. P. MAGDALINO (with L.
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SULLA RETORICA NELLA POESIA OTRANTINA DI XIII SECOLO
ȆĮ૨ȜȠȢȝȞİੈȢȞIJȞਝʌȠıIJȩȜȦȞȝȩȞȠȢ țĮȆĮ૨ȜȠȢİੈȢʌȑijȣțİȞਥȞIJȠȢȗȦȖȡȐijȠȚȢ ȁĮȜİį¶ਥțİȞȠȢȝȑȤȡȚIJȠ૨Ȟ૨ȞਥȞȜȩȖȠȚȢ ȜĮȜİʌȓȞĮȟȚȞȠIJȠȢਥȞȗȦȖȡĮijȓ ȁĮȝʌIJȡਥțİȞȠȢਖʌȐıȘȢȠੁțȠȣȝȑȞȘȢ ȠIJȠȢįțȩıȝȠȢਖʌȐıĮȚȢਥțțȜȘıȓĮȚȢ ǼੁțĮșȑȜİȚȢȖȓȞȦıțİIJȠȪIJȦȞʌĮIJȡȓįĮȢā ȉĮȡıİઃȢਥțİȞȠȢȠIJȠȢਥȟįȡȠȣȞIJȓȦȞ
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Com’è evidente, gli otto dodecasillabi non svolgono più la descrizione del manufatto artistico, bensì un elogio del suo autore, Paolo di Otranto; dunque i versi presuppongono sì l’ekphrasis prosastica della fontana ma formano a loro volta un enkomion dell’artista otrantino, tutto giocato sull’omonimia con l’Apostolo, e perciò in fondo offrono anche una synkrisis fra i due Paoli: per le rispettive abilità, nei discorsi e nella pittura (vv. 3-4), per i rispettivi ambiti di efficacia, tutta la terra e tutte le chiese (vv. 5-6), per le rispettive patrie, Tarso e Otranto (vv. 7-8)10. Già da questo esempio si può rilevare una caratteristica peculiare dei dotti otrantini, ché la giustapposizione di prosa e poesia mostra la stretta complementarità da loro avvertita nell’attività magistrale fra le due forme espressive, entrambe piegate a declinare esercizi retorici11. RODLEY), The Evergetis fountain in the early thirteenth century: an ekphrasis of the paintings in the cupola, in Work and Worship at the Theotokos Evergetis, ed. by M. MULLETT and A. KIRBY, Belfast 1998, pp. 432-446, poi in MAGDALINO, Studies on the History and Topography of Byzantine Constantinople, Aldershot 2007, nr. VII, p. 442. 10 Segue ancora la trascrizione di un’ulteriore composizione poetica, ma opera di un monaco costantinopolitano, Marco, che in realtà presenta un enkomion poetico di Nicola stesso, elogiandone le rare competenze linguistiche, latine e greche, come dono divino: ȞȠઁȢ ‹ʌȩȞȘȝĮ› IJȠ૨IJȠ IJȠ૨ ȃȚțȠȜȐȠȣ>ȃİțIJĮȡȓȠȣ Vat. gr. 1276] / ȝİIJĮIJȡʌȠȞIJȠȢ ૧ĮįȦȢ ȖȜȦııȞ ȖȑȞȘਥț ૧ȦȝĮȚțોȢ İȢ IJİ IJȞ ਦȜȜȘȞįĮ½ਦ›ȜȜȘȞįȠȢ į ʌȐȜȚȞ İੁȢ ૧ȦȝĮįĮ/ (5) ȞIJȦȢ Ȗȡ Įਫ਼IJ IJȠ૨IJȠ, ȆĮ૨ȜȠȢ ੪Ȣ ȖȡȐijİȚȋ‹ȡȚıIJઁ›Ȣ ʌĮȡıȤİ ȤȐȡȚȞ ੪Ȣ įȡȠȞ ȝȑȖĮțĮIJ IJઁ ȝIJȡȠȞ, ੪Ȣ ਦțıIJ ʌĮȡȑȤ‹İȚ›. – Affine a questa sequenza di Nicola-Nettario, che combina ekphrasis (in prosa) ed enkomion dell’artista (in poesia), si può considerare la composizione tetrastica di Droso di Aradeo segnalata nel Vat. gr. 1276 (nr. 14.2 in ACCONCIA LONGO – JACOB, Une anthologie salentine cit., p. 191) e nel Par. gr. 2062 (nr. 1 Reinsch: D. R. REINSCH, Einige Verse aus dem Kreis des Drosos aus Aradeo (Salento) im Parisinus Gr. 2062, in Alethes philia: studi in onore di Giancarlo Prato, a cura di M. D’AGOSTINO e P. DEGNI, Spoleto 2010, 2, pp. 575-586; a p. 577), che arieggia l’ekphrasis di un dipinto dei santi Pietro e Paolo ma costituisce in realtà l’enkomion del pittore o restauratore Teoriano. 11 Sull’attività magistrale degli otrantini, oltre ad ARNESANO, Ermogene e la cerchia erudita cit., cfr. A. JACOB, Culture grecque et manuscrits en Terre d’Otrante, in Atti del III Congresso internazionale di studi salentini e del I Congresso storico di Terra d’Otranto, Lecce 1980, pp. 53-77, e ID., Une bibliothèque médiévale de Terre d’Otrante (Parisinus Gr. 549), in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 22-23 (1985-1986), pp. 285-315.
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ONOFRIO VOX
Il carme di Giorgio di Gallipoli per salutare Giovanni Vatatzes venuto ad incontrare Federico II (Giorgio I Gigante) presenta una diversa realizzazione di enkomion: ੲȢਲȜȚĮțȩȞ੪Ȣਫ਼ʌȑȡȜĮȝʌȡȠȞijȐȠȢ ੪ȢਕıIJȡĮʌોȢijĮıȚȞਙʌȜİIJȠȞIJȐȤȠȢ ਲȝȞਥʌȑıIJȘȢIJȡȚıȐȡȚıIJȠȢȝȑȡȠȥ ȋȡȣıȠ૨ȖȑȞȠȣȢȕȜȐıIJȘȝĮțȩıȝİȋĮȡȓIJȦȞ ıIJȡĮIJȘȖȚțȤİȓȡʌȪȡȖİ૮ȦȝĮȓȦȞțȡȐIJȠȢ ȀȠȝȞȘȞȠʌĮȞıȑȕĮıIJİțĮȜȜȠȞોȢıIJȑijȠȢ țĮțȠıȝȠIJȡȚʌȩșȘIJȠȞİțȜİȓĮȢ૧ȩįȠȞ ȘijȡĮȞĮȢਲȝ઼ȢıȠȢȜȩȖȠȚȢਲįȣʌȞȩȠȚȢ șİȜȟĮȢĮșȚȢijȦıijȠȡȓȗȦȞIJૌșȑ țĮȞİ૨ȝĮțĮȕȐįȚıȝĮțĮȕȜȑȝȝĮijȑȡȦȞ ਚʌĮȞIJĮȝİıIJțȠıȝȚȦIJȐIJȠȣIJȡȩʌȠȣ ȉȞįȑȜIJȠȞȡȓșȝȘıĮȢȠȜȑȜȘșȑıİ! IJઁȝȣȡȚȠıIJȡȐIJİȣIJȠȞਬȜȜȒȞȦȞıIJȓijȠȢ ਾȡȦȢȤĮȡȚIJȫȞȣȝİȕȡȚĮȡઁȞıșȑȞȠȢ ȝĮȓİȣȝĮȂȠȣıȞਦȡȝȠțȓȞȘIJİȜȪȡĮ ijȡȩȞȘıȚȢȝʌȞȠȣȢȝȥȣȤİıIJĮșȘȡȩIJȘȢ ĮIJȞਥțİȓȞȦȞıȣȜȜĮȕઅȞIJȕİȜIJȓȦ țĮıȣȝijȣȡȐıĮȢıȠȢIJȡȩʌȠȚȢਫ਼ʌİȡıȩijȠȚȢ ੭ijșȘȢțĮIJĮȖȫȖȚȠȞਕȡİIJોȢʌȐıȘȢ țĮıȦȡઁȢਕȝİȓȦIJȠȢਕȡȚıIJİȣȝȐIJȦȞ IJȞਥȟਪȦįʌȡઁȢįȪıȚȞਕȞĮțȜȓȞĮȢ IJʌ઼ıĮȞਥȟȐȖȠȞIJȚIJȞȠੁțȠȣȝȑȞȘȞ țĮȕĮıȚȜȚțȢੁșȪȞȠȞIJȚIJțȡȐIJİȚ ǻȡȠȞIJȚȝĮȜijȢșİȠȞਕȞȐșȘȝȐIJİ ʌȡȠıĮȞİijȐȞȘȢȤȡȣıȠ૨ȢȝĮȡȖĮȡȓIJȘȢ ȅȝȠȚIJȓʌȐșȦȉઁıIJİȞઁȞIJોȢਲȝȑȡĮȢ șȡȠİȝİȝıșȑȞȠȞIJĮāIJȓʌȜİȓȦȜȑȖİȚȞ ȉઁȞıIJĮIJȩȞıȠȚIJȠȚȖĮȡȠ૨ȞʌȜȑțȦȜȩȖȦȞā ਙʌȚșȚȤĮȓȡȦȞਕȡȩȠȣIJʌȡઁȢįȡȩȝȠȞ țĮIJȠઃȢȤĮȜȚȞȠઃȢਪȜțİʌȡઁȢIJȞʌĮIJȡȓįĮ Ĭİ ʌİʌȠȚșઅȢਕȡȡĮȖİʌȠįȘȖȑIJૉ
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Giustamente Arnesano nota che l’encomio segue i precetti di Aftonio, Ermogene, Menandro retore per l’oratoria epidittica12; inoltre si osserverà che qui Giorgio riesce a combinare il ‘discorso di benvenuto’ (vv. 1-25), che esprime la gioia per l’arrivo del personaggio apostrofato (il ʌȡȠıijȦȞȘIJȚțઁȢ
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ARNESANO, Ermogene e la cerchia erudita cit., pp. 104-105.
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SULLA RETORICA NELLA POESIA OTRANTINA DI XIII SECOLO
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ȜંȖȠȢdi Menandro Retore, pp. 414.31-418.4 Sp.13), con il brevissimo ‘discorso di commiato’ (vv. 26-31), che, oltre al rammarico per il suo allontanarsi, gli augura buon viaggio (laʌȡȠʌİȝʌIJȚțȜĮȜȚ di Menandro Retore, pp. 395.1-399.10 Sp.)14. Invece un esempio vistoso di ethopoiia fornisce il carme di Giovanni Grasso che presenta Ecabe che piange la fine di Troia (Giovanni IX Gigante): ȅੈĮȝȞȠੈĮįȣıIJȣȤȢਥȖઅʌȐșȠȞ ȠȠȚȢįIJĮȞ૨ȞİੁıȑțȣȡıĮIJȠȢʌȩȞȠȚȢā įȠȣȜȠȢȝİȉȪȤȘțĮįȠȞİȢʌĮȡ¶ਥȜʌȓįĮ țĮIJʌȡĮȞȠ૨Ȣ૧ȓȥĮıĮįȣıȕȐIJȠȚȢIJȩʌȠȚȢ ĮIJIJĮIJĮȚȐȟāਲșȣȖȐIJȘȡȀȚııȑȦȢ ੑȜȕȚȠįȫȡȠȣʌĮȞıșİȞȠ૨ȢਕȖĮțȜȑȠȣȢ ਲȤȡȣıȠIJİȪțIJȠȚȢਥȞIJȡĮijİıĮșĮȜȐȝȠȚȢ țĮIJȞȖȣȞĮȚțȞij૨ȜȠȞਚʌĮȞʌȡȠijȡȩȞȦȢ țȠıȝȠ૨ıĮțȐȜȜİȚıȦijȡȠıȪȞૉțĮȜȩȖ ਙȧıIJȠȢȠȝȠȚįȣıțȜİȒȢʌĮȡȠʌIJȑĮ țİȝĮȚʌĮȡ¶ȤșĮȚȢĮੁȤȝȐȜȦIJȠȢਕșȜȓĮ țĮȤȡોȝĮȞȣțIJઁȢĮșȡȚȠȢʌȐȜȚȞijȑȡȦ ʌȡȞıȪȞİȣȞȠȢȆȡȚȐȝȠȣȕĮıȚȜȑȦȢ ȢਥȞȕȡȠIJȠȢਙijșȚIJȠȞıȤİIJઁțȜȑȠȢ ȢȜȕȚȠȢʌȡȓȞȢʌİȡȓȕȜİʌIJȠȢʌ઼ıȚȞ ȢțİȪșİIJĮȚȞ૨ȞਕțȜİȢਥȞȞİȡIJȑȡȠȚȢ ਙʌĮȚȢȡȝĮȚʌȡȞʌȠȜȪʌĮȚȢțĮȜȜȓʌĮȚȢā ਕȞIJșĮȜȐȝȦȞIJȢʌĮȡĮȜȓȠȣȢʌȑIJȡĮȢ įȠȪȜİȚȠȞȝĮȡਕȞIJIJોȢțȠȚȡĮȞȓįȠȢ țIJȝĮȚįțĮıțȓʌȦȞĮIJȞıțȒʌIJȡȦȞȤȐȡȚȞ ਡıIJȣʌİȡȚȫȞȣȝȠȞਲȡȫȦȞʌȐȜĮȚ ʌİȡșİȠįİȓȝĮȞIJȠIJȑȤȞĮȚȢੁįȓĮȚȢ ʌȩȜȚȢੑȤȣȡȐȝĮțȐȡȦȞȉȡȠȓȘȢਪįȠȢ
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13 Cfr. Menander Rhetor, ed. with transl. and comm. by D. A. RUSSELL and N. G. WILSON, Oxford 1981, pp. 327-330. 14 Cfr. Menander Rhetor cit., pp. 303-308. Invece M. B. WELLAS, Griechisches aus dem Umkreis Kaiser Friedrichs II., München 1983, pp. 130-141, interpretava il carme solo come « Verabschiedungsgedicht » (ʌȡȠʌİȝʌIJȚțંȞ). Il breve ‘discorso di commiato’ è avviato dall’interiezione patetica ȅȝȠȚ IJȓ ʌȐșȦ; al v. 26, cui segue il gioco omofonico fra ıIJİȞઁȞ e ıșȑȞȠȞIJĮ (vv. 26-7), ed il segnale della chiusura del discorso (vv. 27-8 IJȓʌȜİȓȦȜȑȖİȚȞȉઁȞıIJĮIJȩȞ ıȠȚIJȠȚȖĮȡȠ૨ȞʌȜȑțȦȜȩȖȦȞ); la successiva apostrofe al destinatario comincia in stile dimesso e piuttosto comune (ਙʌȚșȚ ȤĮȓȡȦȞ), ma probabilmente riprendendo un nesso frequente in Aristofane (Eq. 1250, Pax 719, Plut. 1079), le cui commedie circolavano, com’è noto, in area salentina: cfr. M. L. CHIRICO, Aristofane in Terra d’Otranto, Napoli 1991; C. SCHIANO, Letture classiche e cristiane di Nicola-Nettario di Otranto, in BIANCHI, La tradizione dei testi greci cit., pp. 73-94, alle pp. 77-79.
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ONOFRIO VOX
IJȞ੮ȡĮȞਕʌȑȕĮȜİȢȠȝȠȚIJȠȚȤȑȦȞā IJİijȡȠȣȝȑȞȘȞȕȜȑʌȦıİțĮIJİıțĮȝȝȑȞȘȞ İੁȢਕijĮȞȚıȝઁȞʌĮȞIJİȜોțİȤȦıȝȑȞȘȞ ਡȜıȠȢȆȠıİȚįȞȩȢIJİʌȢțĮIJİıțȐijȘ ǺȦȝઁȢį¶ਝșȒȞȘȢİੁȢțȩȞȚȞʌȢਥIJȡȐʌȘ ȆȢțȘȜȑįʌȣȡIJȞȜȣȝʌȓȦȞ țĮIJȘijȐȞȚıIJĮȚȞȘઁȢ੪ȡĮȧıȝȑȞȠȢ ਝȜȜ¶੯ȀȡȠȞȓįȘʌȢIJȐį¶ȞȑıȤȠȣȜȑȖİā ʌȢਫ਼ȜȚțઁȞʌ૨ȡįȡȠȞਥțȝȠ૨IJȣȖȤȐȞȠȞ ਣȡĮȞ૨ȞਕȜȜȠȦıȢਥıIJȚıIJȠȚȤİȦȞ ıİȚıȝઁȢįIJĮȞ૨ȞȠȡĮȞȠ૨țĮȖોȢʌȜİȚ țĮIJȞʌȜĮȞȘIJȞįȣıțȞȘıȚȢਥȞʌંȜ ਾȜȚİıઃʌȢ੪ȢȖȖĮȢȠʌȡȠıIJȡȤİȚȢ ȀȡʌIJİȚȢįȝ઼ȜȜȠȞıȢijİȡĮȣȖİȢਕțIJȞĮȢ ȉȓIJĮ૨șૅȡǽİ૨țĮșİȠȝĮțȡIJĮIJȠȚ ਜ਼ȞİȚȡȠȢıȦȢȞ૨ȞਕʌĮIJઽȝȠȣijȡȞĮȢ ਲ਼ȗı¶ਥȢਢȚįȘȞȤĮIJȕȘȞ੮ıʌİȡȞțȣȢ ਡȜȜૅȠȤȡǻıʌĮȡȚȞਰțIJȠȡĮʌȐȜȚȞ ȠȢțĮIJȑȤİȚțȡȤĮȡȠȢਢȚįȠȣijİ૨țȦȞ Ƞį¶ĮȆȡȓĮȝȠȞȀĮıȞįȡĮȞਲ਼ȉȡȦǸȜȠȞ ȠțĮșȚȢਙȜȜȠȣȢȠȢIJțȠȞIJȡȚıĮșȜĮ ǹੁıșȘıȚȢİʌİȡ੪ȢįȠțİIJİȤȞȠȖȡijȠȚȢ ȞİıIJȚȞਫ਼ȝȞIJȠȢʌȐȜĮȚIJİșȞȘțંıȚȞ ਥțȞİȡIJȡȦȞʌȡȠોIJİȞİȡIJȡĮȞʌĮ ੪ȢਥțįંȞĮțȠȢȥȚșȣȡȗȠȞIJȠȢIJȐȤĮā ȠIJȦȖȡਕȞʌĮȣȜĮȞਪȟȦIJȞʌંȞȦȞ ıȦȢșİȡĮʌİıȦįșȣȝĮȜȖોijȡȑȞĮ ਫ਼ʌȡȖȣȞĮȚțઁȢȠੁȤİIJĮȚțȜȣIJʌȩȜȚȢ ਫ਼ʌȡȖȣȞĮȚțઁȢijȡȠ૨įĮʌȐȞIJĮIJȣȖȤȐȞİȚ ʌĮIJȡȢਕȞȡʌĮȓįİȢIJİįȩȟĮțĮȕȠȢā țĮȟȓijȠȢİੁȡȖıĮIJȠIJȞʌȐȞIJȦȞȝંȡȠȞ ਝȜȜ¶ȞȆȡȚȢĮIJȚȠȢȠįİıĮȢșȝȚȞ ȠȤਕȖȞIJȘȞıȞįȠȡʌȠȞĮੁįİıșİȢʌȖȠȞ ȉȜȝİȞį¶ਕțȠȞIJIJȞșİȞIJĮIJȘȞįțȘȞ
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Questa composizione, definita nello stesso codice șȠʌȠȚǸĮ ȝİȜȑIJȘ ʌĮșȘIJȚțȒ15, dipenderà da Aftonio16. Giustamente Arnesano la considera un 15 Il titulus – naturalmente da considerarsi opera d’autore o del suo stretto entourage, come tutti i tituli nei codici che presentano la produzione otrantina – mostra una chiara terminologia classificatoria retorica. 16 Cfr. AMATO-VENTRELLA, L’éthopée cit., pp. 220 e 227, che rinviano all’esempio citato in Aphthon. Progymn. 2, p. 35,3-4 Rabe. Cfr. anche Doxapatres, comm. ad Aphth. 498, 32-3 Walz
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SULLA RETORICA NELLA POESIA OTRANTINA DI XIII SECOLO
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esercizio scolastico di età giovanile, diverso dalle composizioni, pure di argomento profano, di età matura17; un esercizio che mostra conoscenza di stilemi euripidei, per quanto sterile e dagli esiti scialbi. E fra tutti i topoi patetici spicca il motivo della aisthesis presente fra i defunti (vv. 4651), che viene espressamente dichiarato desunto dalla “tecnografia” (46 ੪Ȣ įȠțİIJİȤȞȠȖȡijȠȚȢ)18: una conferma della provenienza scolastica dell’informazione e dunque della lettura di prontuari anche retorici19. Mi limito ora ad aggiungere qualche altro esempio di applicazione poetica di ekphrasis e di ethopoiia. Per l’ekphrasis ricordo la descrizione, opera di Giovanni Grasso, delle quattro colonne, con figure dei quattro evangelisti, su cui poggiava il ciborio o un altare di una chiesa otrantina (Giovanni Grasso II Gigante)20: ȉȪʌȠȞIJȣʌȠȝȠȚIJોȢıțȚ઼ȢʌȐȜĮȚIJȪʌȠȢ ıțȘȞIJȣʌȠȝȠȚIJȒȞįİIJȞਥțțȜȘıȓĮȞ IJૌIJİIJȡĮțIJȪȧțȚȩȞȦȞİIJĮȟȓ ǼĮȖȖİȜȚıIJȞİșȑIJȦȢʌİʌȘȖȝȑȞȘȞ ıȤȠȚȞȓıȝĮıȚȞȠੈĮįIJȞਝʌȠıIJȩȜȦȞ șİȘȖȠȡȓĮȚȢȝોțȠȢİੁıIJİIJĮȝȑȞȘȞ ʌȡઁȢȞਚʌĮȢIJȚȢİੁıȚઅȞșİȓʌȩș IJȪȤȠȚİıȘțȞȠȡĮȞȓȦȞșĮȜȐȝȦȞ ʌȡઁȢȠȢIJȣʌȚțȢਕijȠȡઽʌȐȞIJĮIJȐįİ
Qui l’evidenza della natura ecfrastica della composizione è affidata da un lato ai semplici deittici (v. 2 IJȒȞįİIJȞਥțțȜȘıȓĮȞ, v. 9 ʌȐȞIJĮIJȐįİ) dall’altro
(AMATO-VENTRELLA, L’éthopée cit., p. 228). – All’interno dell’ethopoiia è inoltre riservato ampio spazio al motivo della synkrisis (anch’esso in realtà da un progymnasma), con il confronto delle condizioni passata ed attuale sia della parlante (vv. 1-20) sia di Troia (vv. 21-26). 17 Le etopee di argomento mitologico classico di cui Giovanni Grasso si mostra specialista: le etopee dialogiche di Cipride e uno straniero/passante (X Gigante); di Apollo e uno straniero/passante (XII Gigante); addirittura l’etopea a tre voci di uno straniero/passante che dialoga con Leandro ed Ero (XI Gigante). 18 M. GIGANTE, Un motivo dell’Aldilà in un poeta italo-bizantino di terra d’Otranto, in Byzantino-Sicula II. Miscellanea di scritti in memoria di Giuseppe Rossi Taibbi, Palermo 1975, pp. 273-6, ipotizzava che il topos fosse sorto nella tradizione biografica relativa ad Euripide, e che si fosse poi diffuso con la ripresa di Philemon fr. 118 K.-A.; ma, com’è annotato al frammento di Filemone in Poetae Comici Graeci, vol. VII: Menecrates—Xenophon, edd. R. KASSEL, C. AUSTIN, Berlin–New York 1989, il motivo si rintraccia oltre che in Isocr. 19.42, anche in Lycurg. In Leocr. 136, cfr. K. J. DOVER, Greek Popular Morality in the Time of Plato and Aristotle, Berkeley – Los Angeles 1974, p. 243: ipotizzabile dunque che il topos derivi alla technographia retorica direttamente da Isocrate. 19 Non si può non pensare alla schedografia, sulla cui circolazione in area salentina cfr. ACCONCIA LONGO – JACOB, Une anthologie salentine cit., p. 167; A. JACOB, Une bibliothèque médiévale cit., pp. 303-304; Arnesano, Ermogene e la cerchia erudita cit., p. 102. 20 Cfr. L. SAFRAN, A Medieval Ekphrasis from Otranto, in Byzantinische Zeitschrift 83 (1990), pp. 425-427.
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alla semantica della parola IJȪʌȠȢ, sottolineata dalle insistite figure etimologiche ai vv. 1-2 (ȉȪʌȠȞIJȣʌȠIJȪʌȠȢIJȣʌȠ) e richiamata in una sorta di chiusa anulare dall’avverbio IJȣʌȚțȢ al v. 9. Una diversa ekphrasis è realizzata nella didascalia tetrastica per una immagine della dormizione della Vergine di Nicola-Nettario (XI Gigante): ȂȘįİȢʌIJȠİȓıșȦ21țȠıȝȠıȫIJİȚȡĮȞțȩȡȘȞ ਫ਼ʌȘȡİIJȠ૨ıĮȞijȣıȚțȠȢȞȩȝȠȚȢȕȜȑʌȦȞā IJȑșȞȘțİțĮȖȡıĮȡțȚțȢĬİȠ૨ȁȩȖȠȢ țȠıȝȠʌȜȐıIJȘȢȝijȣȖİȞȝȩȡȠȞșȑȜȦȞ Il segnale ecfrastico qui sta solo nell’aggettivo verbale ȕȜȑʌȦȞ al v. 2 riferito allo spettatore-lettore della didascalia poetica, che vuol trasmettere contemporaneamente un precetto dottrinario. Come caso particolare di ethopoiia ricordo ancora la prosopopea della porta della sede arcivescovile di Gallipoli in Giorgio di Gallipoli (XI Gigante); qui il personaggio inanimato parlante rivolge addirittura apostrofi ad altri soggetti inanimati, dunque personificati, la terra (vv. 15-6) e la giustizia divina (17-9): ȉઁȜૉıIJȡȚțઁȞıȪıIJȘȝĮIJȞਕȜĮıIJȩȡȦȞ IJઁIJĮȣȡȚțઁȞȝȪțȘșȝĮIJȞȠੁȞȠijȜȪȖȦȞ ȠੈȢਝȤĮȕȟĮȡȤȠȢİੁȢțĮțȠȣȡȖȓĮȞ ȠੂIJȞȕįİȜȜȣȡȞșȣȝȐIJȦȞਥʌȚıIJȐIJĮȚ țĮijȚȜĮȜȒșȦȢੂİȡİȢIJોȢĮੁıȤȪȞȘȢ ੪ȢțȪȞİȢȠȝȠȚIJȠȢȞĮȠȢIJȞਖȖȓȦȞ ਥʌોȜșȠȞਫ਼ȜĮțIJȠ૨ȞIJİȢਥȟਕʌȜȘıIJȓĮȢ țĮȜȟʌȡȠıĮȡȡȐȟĮȞIJİȢĮIJȞIJĮȢʌȪȜĮȚȢ IJȞਕįȪIJȦȞāȤȦȡȠ૨ıȚȞȞįȠȞਕijȡȩȞȦȢ țĮȜȦʌȠįȣIJȒıĮȞIJİȢਥıșોIJĮȢȜĮȢ IJȢȜİȣȧIJȚțȐȢ੮ıʌİȡਲʌĮȡȠȚȝȓĮ ʌȚȝʌȜıȚIJȢıijȞȠੁțȓĮȢʌȠȜȜȞıțȪȜȦȞ țĮIJȞțȚȕȦIJઁȞIJȞșİȠ૨țİȚȝȘȜȓȦȞ ĮȡȠȣıȚȞĮੁȤȝȐȜȦIJȠȞİੁȢਕȜȜȠijȪȜȠȣȢ ȖĮĮȝોIJİȡIJȓȞİIJȠઃȢਕIJĮıșȐȜȠȣȢā țİȡĮȣȞȠȕȜȒIJȠȣȢIJȠȪıįİIJȓșİȚȞĮȓʌȩȜİā IJઁIJȩȟȠȞĮIJȠȢIJİȞȠȞ੯șİȓĮįȓțȘā IJʌIJȫȝĮIJĮıijȞਥȟİIJȐıİȚĮȞȖȪʌİȢ ȠੂIJĮȖȝĮIJȐȡȤĮȚIJȞıțȠIJİȚȞȞįĮȚȝȩȞȦȞ
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21 È questa la lezione del Laur. Plut. 58.2, adottata da ACCONCIA LONGO JACOB, Poesie di Nicola d’Otranto cit., a p. 374, contro ȞȠİȓıșȦ del Laur. Plut. 5.10 stampata da Gigante.
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SULLA RETORICA NELLA POESIA OTRANTINA DI XIII SECOLO
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A questa si può certo affiancare l’analoga prosopopea del palazzo di Nicola d’Otranto nel Vindob. Phil. gr. 310 (= Nettario XXV Gigante). Ma anche più interessante risulta la prosopopea della porta dell’episcopio di Gallipoli, opera di Giorgio (X Gigante), che si svolge come ekphrasis delle decorazioni, dalle antefisse agli stipiti, dall’aquila con i leoni (vv. 3-7), fino agli emblemi di Federico e di Pantoleon (vv. 8-12), e contiene così cenni encomiastici nei confronti dell’imperatore e del vescovo22: ȂțȜİșȡĮįȒȝȠȚȝȝȠȤȜȠઃȢਥʌȚȞȩİȚ ʌȡઁȢਕıijȐȜİȚĮȞIJોȢʌȪȜȘȢIJİȤȞȓIJȘȢ ਡȖȡȣʌȞȠȞĮȤIJȞijȣȜĮțȞțĮȟȑȞȘȞ IJȡȚıʌȣȜȦȡȠȢਕȖȡȪʌȞȠȚȢʌİijȡĮȖȝȑȞȘȞā ȡઽȢIJઁȞਫ਼ʌȑȡIJĮIJȠȞਥȞIJȠȢੑȡȞȑȠȚȢ ĮșȚȢįIJȠઃȢʌȡȠȤȠȞIJĮȢਥȞșȘȡıȞȜȠȚȢā ijȩȕȘIJȡĮIJȣȖȤȐȞȠȣıȚIJȠȢʌȣȜȦȡȪȤȠȚȢ ȜȣȝʌȚȢțȠıȝİȝİʌĮȖțȡĮIJİıIJȐIJȘ țĮș¶ȞijĮȚįȡઁȢİȡȠİĭȡȣțIJȦȡȓĮȢ ȠțȩıȝȠȢਚʌĮȢįİȖȝĮIJોȢȝȠȞĮȡȤȓĮȢ ǹȡİȚįȜȓșȠȞİijȣȢਲȡȝȠıȝȑȞȠȞ ȆĮȞIJȠȜȑȦȞʌȡȩİįȡȠȢIJȠ૨įİIJȠ૨șȡȩȞȠȣ
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Naturalmente non sto a chiosare la notissima prosopopea di Roma contenuta nella composizione di Giorgio di Gallipoli per Federico (XIII Gigante): dove il discorso affidato alla personificazione dell’impero stesso serve a svolgere un alto, ampio, articolato encomio dell’imperatore. Se infine estendessimo l’osservazione anche all’opera di Ruggero di Otranto, nel suo Contrasto tra Taranto e Otranto riconosceremmo l’applicazione simultanea della prosopopoiia e della synkrisis nei versi attribuiti alle due città per il loro confronto23. *** Molte composizioni di questi poeti non sono altro che rifacimenti – parafrasi per lo più con espansione – di componimenti di autori ben noti. Per questo Ciro Giannelli poté definire impietosamente Giovanni Grasso 22 L’« attenzione al fasto edilizio e architettonico » è notata da P. CESARETTI, Da Marco d’Otranto a Demetrio. Alcune note di lettura su poeti bizantini del Salento, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 37 (2000), pp. 183-208, a p. 198. 23 Cfr. il testo in O. ZURETTI, IJĮȜȠİȜȜȘȞȚțȐ. II. Contrasto fra Taranto ed Otranto, in Centenario della nascita di Michele Amari, Palermo 1910, I, pp. 173-183; inoltre S. G. MERCATI, Note critiche al “Contrasto fra Taranto e Otranto” di Ruggero d’Otranto, in Rivista di Studi Orientali 9 (1921), pp. 38-47 (poi in ID., Collectanea Byzantina, con introd. e a cura di A. ACCONCIA LONGO, pref. di G. SCHIRÒ, Bari 1970, II, pp. 347-357).
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« un mediocrissimo plagiario » di Cristoforo di Mitilene, indicandone con rigore debiti vistosi24. Ma tali componimenti in realtà sono anch’essi l’applicazione di altri progymnasmata – ossia la paraphrasis e l’exergasia –, che facevano parte di una ulteriore serie di esercizi ‘complementari’, miranti anzitutto alla manipolazione dei testi altrui. Questa serie di cinque esercizi (composta daਕȞȖȞȦıȚȢਕțȡઆĮıȚȢʌĮȡijȡĮıȚȢਥȟİȡȖĮıĮਕȞIJȡȡȘıȚȢ) sembra che sia stata teorizzata dal solo Elio Teone, perché è nota nella redazione ampia del trattato che sopravvive nella sola versione armena (la versione nella tradizione greca sarà stata scorciata forse per adeguarla agli altri trattati circolanti, che saranno stati ritenuti sufficienti)25. Allo stesso modo, cioè frutto di paraphrasis ed exergasia, si dovrebbe valutare l’epigramma di Palagano, allievo di Nicola-Nettario, che versificava, sia pure con stento, la prosa della lettera di Aristeneto 1.22 nel Vindob. Phil. gr. 310, codex unicus dell’epistolografo26: īȜȣțȡ¶ਥijȜİȚIJઁȞșȡĮıIJĮIJȠȞȞȠȞ IJઁȞȋĮȡıȚȠȞȞIJĮį¶੪ȡĮȠȞʌȞȣǜ ʌȡઁȢȝıȠȢĮIJઁȞਥȝȕĮȜİȞਥʌİșȝİȚǜ ਕȜȜIJઁijȚȜİȞਕʌȦșİIJȠIJȝıİȚǜ ਕȜȜ¶ȠțਥȝıİȚǜʌȢijȚȜıİȚIJİȤȞ઼IJĮȚ țĮȜİȝȞİșઃȢǻȦȡįĮIJȞȖȡĮįĮǜ ĮੁIJİʌĮȡ¶ĮIJોȢʌȢIJȠ૨IJȠȞIJ¶ਕʌĮIJıİȚ ਸ਼IJȚȢʌĮȡ¶İșઃȢਕʌȚȠ૨ıĮIJȞ ijȘʌȚșĮȞȢǜ©įIJĮIJંȞȝȠȚIJțȠȢ IJઁȞȆȠȜȝȦȞĮīȜȣțȡĮʌȠșİȜĮȞ ıį¶ਲIJȜĮȚȞĮȝıȠȢਥțȝȚıİȝȖĮª į¶ਕțȡĮįૉțȞIJȡȠȞİੁıįİȟȝİȞȠȢ
24 C. GIANNELLI, Ramenta byzantina, in Classica et Mediaevalia 17 (1956), pp. 35-46, a p. 40; cfr. poi I calendari in metro innografico di Cristoforo Mitileneo, a cura di E. FOLLIERI, Bruxelles 1980, I, pp. 235-236, 309, II, pp. 46, 100-101, 396-397, 412-413. Altri casi di ‘riscrittura’ sono indicati in Nicola d’Otranto: cfr. ACCONCIA LONGO – JACOB, Une anthologie salentine cit., pp. 177, 179-80; Acconcia Longo – Jacob, Poesie di Nicola d’Otranto cit., p. 373. Per le ‘riscritture’ operate dai poeti otrantini, talune interne allo stesso circolo, si vedano gli esempi istruttivi discussi da CESARETTI, Da Marco d’Otranto a Demetrio cit., pp. 197-202. 25 Per questi cinque progymnasmata supplementari cfr. M. PATILLON in Aelius Théon, Progymnasmata, Texte établi et traduit par M. P., avec l’assistance, pour l’Arménien, de G. BOLOGNESI, Paris 1997, pp. XCVIII-CXIV e 102-112; cfr. L. PERNOT, Aspects méconnus de l’enseignement de la rhétorique dans le monde gréco-romain à l’époque impériale, in L’enseignement supérieur dans les mondes antiques et médiévaux: aspects institutionnels, juridiques et pédagogiques: colloque international de l’Institut des Traditions Textuelles, Fédération de Recherche 33 du CNRS, Paris, 7 - 8 octobre 2005, actes publiés sous la direction de H. HUGONNARD-ROCHE, Paris 2008, pp. 283-306. 26 Nella trascrizione tengo conto del testo presentato da A. JACOB, Un épigramme de Palaganus d’Otrante dans l’Aristénète de Vienne et le problème de l’Odyssée de Heidelberg, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 25 (1988), pp. 185-203, a p. 188.
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SULLA RETORICA NELLA POESIA OTRANTINA DI XIII SECOLO
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ਥȡઽIJİȜİȦȢIJોȢʌȡȞਕʌȦșȠȣȝȞȘȢ ਥțijĮȞİIJĮȚįįȠ૨ȜȠȢਕijȡȠįȚıȦȞ Infine si noterà che allitterazioni e figure etimologiche sono costantemente frequenti in tutta la poesia otrantina, non solo nella poesia civile di Giorgio, a proposito del quale sono state ascritte all’influenza dello stile aulico, cancelleresco di Pier delle Vigne27. La retorica però sembra studiata ed applicata in funzione del tutto strumentale nello studio otrantino: il maestro, anche quando si dedicava alla poesia, svolgeva anzitutto il ruolo di maestro di grammatica, con evidenti interessi per la schedografia. Non sarà dunque un caso che fra i tetrastici di Droso di Aradeo e della sua cerchia nel ms. aristotelico Par. gr. 200228 – anche qui con uso insistito della figura etimologica – troviamo non solo componimenti enigmistici, forse ritenuti utili a riflessione e apprendimento grammaticale (nrr. 7 e 8 Reinsch)29, ma anche due composizioni che riflettono il ruolo del ‘maestro di scuola’30, con possibili manifestazioni di autoironia, perché una composizione tematizza la flessione degli aoristi ʌȚȠȞijĮȖȠȞ (nr. 4 Reinsch): ĭĮȖİȞǜijĮȖȠȞǜijȖİǜijȖȠȚȝȚǜijȖૉȢ ਗȞțĮȞȠȞıૉȢਕțȡȚȕȢțĮʌȡઁȢIJȤȞȘȞ İȡૉȢIJઁʌȚİȞıȣȖțȜȚȞંȝİȞȠȞȜȠȚȢǜ ʌȚİȞǜʌȚȠȞǜʌİǜʌȠȚȝȚǜʌૉȢ ed un’altra avverte i malintenzionati che la scholé è guardata da cani aggressivi (nr. 2 Reinsch): IJૌʌĮȡȠıૉʌȡȠıȕĮȜİȞıȤȠȜૌșȜȦȞ IJȠઃȢȜĮșȡȠįțȞĮȢIJȠıįİijȡȚȟIJȦțȞĮȢ įțȞȠȣıȚțĮȖȡıijȞੑįȠ૨ıȚțĮȚȡȦȢ IJȠઃȢİੁıȚંȞIJĮȢਕįİȢȝİIJșȡıȠȣȢ Quest’ultimo potrebbe essere un semplice, scherzoso ‘attenti al cane’, se l’ekphrasis abbozzata si riferisse non ad animali viventi ma a decorazioni degli stipiti, come suggerisce Reinsch: « Es verweist auf zwei Hunde, die wahrscheinlich beiderseits des Eingangs, möglicherweise als Vollplastik oder Relief, standen ». Lo scherzo, originale variazione di un’ekphrasis
27 A. LANZA, Il carattere etico-politico della poesia italobizantina della Magna Grecia, in Rassegna della letteratura italiana s. 8, 93 (1989), pp. 59-77, a p. 69. 28 Pubblicati da REINSCH, Einige Verse cit. Epigrammi di Droso erano segnalati nel Vat. gr. 1276 da ACCONCIA LONGO JACOB, Une anthologie salentine cit., pp. 161-162, 165-168, 189-191. 29 Cfr. l’epigramma enigmistico segnalato nel Vat. gr. 2176 in ACCONCIA LONGO - JACOB, Une anthologie salentine cit., p. 210 (nr. 19.61). 30 Per gli interessi schedografici di Droso visibili in 14 dei 18 epigrammi nel Vat. gr. 1276 cfr. ACCONCIA LONGO JACOB, Une anthologie salentine cit., p. 167.
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che si risolve in un caveat, adopera tuttavia lessico piuttosto comune: in particolare l’aggettivo ȜĮșȡȠįțȞȘȢ riferito ai cani da guardia al v. 2 non va sopravvalutato come una rarità che mostrerebbe la conoscenza di epigrammi scoptici sui grammatici (ricorrendo in Antifane A. P. 11.322, della Corona di Filippo, dov’è attribuito però alle cimici)31, perché si trova riferito a cani già in fonti lessicografiche e numerosi testi tardo-antichi che certo rientravano nella cultura condivisa dagli otrantini32.
Così REINSCH, Einige Verse cit., p. 578. Dalla consultazione dei lessici (A Patristic Greek Lexicon, edited by G. W. H. LAMPE, Oxford 1961; Lexikon der byzantinischen Gräzität, hrsg. v. E. TRAPP, 7. Faszikel, Wien 2011) e del Thesaurus Linguae Graecae (Irvine, Cal.) annoto le seguenti forme concorrenti dell’aggettivo: ȜĮșȡȠįȐțȞȘȢ (oltre che in Antifane, in Nil. Epp. 1.309); ȜĮșȡȠįȐțIJȘȢȜĮșȡȠįȒțIJȘȢ ȜĮșȡȩįȘțIJȠȢȜĮșȡĮȚȩįȘțIJȠȢ (Phrynich. PS, p. 87,9-11, cf. Suet. ȆİȡȕȜĮıijȘȝȚȞ 4, 52; inoltre ad es. Ign. Eph. 7.1; Eus. Ps. 23.1244.28 M.; Pall. V. Chrys. 36,6; Chrys. Hom. 15.4 in Eph.; Io. D. Parall. 96.508.14 M.). 31 32
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FRANCESCO G. GIANNACHI UNA NOTA SULL’ISTRUZIONE GRAMMATICALE BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO: LO SCHEDOGRAFO NICOLA DA SOLETO
Il codice Barb. gr. 102 è un manoscritto pergamenaceo vergato in Terra d’Otranto alla fine del XIII secolo1. Esso fu un libro di scuola e ciò è testimoniato non solo dalla tipologia di testi che tramanda, alcuni dei quali saranno oggetto di questo contributo, ma anche dalle numerose note di possesso che ricordano nomi di maestri ed alunni. Particolarmente significativa a questo proposito risulta la carta 152, ultimo foglio del manoscritto. Dalla complessa stratificazione di scritture greche e latine in essa presenti deduciamo, almeno in parte, la storia del manufatto librario e dei suoi ripetuti passaggi di mano. Si tratta di figure lontane, sbiadite dal tempo al pari delle grafie che tramandano la loro memoria, ma che furono protagoniste, insieme al libro stesso, della trasmissione della lingua e del sapere greco nel Salento medievale. Per due motivi il Barb. gr. 102 attira l’attenzione all’interno dell’ampio numero di codici greci originari della Terra d’Otranto. Innanzitutto esso è testimone, insieme ad altri manoscritti, dell’utilizzo di una particolare tecnica didattica nelle scuole salentine: la schedografia. In secondo luogo conserva memoria di un altrimenti ignoto maestro otrantino, Nicola da Soleto, e ne trasmette quelli che sino ad ora possiamo considerare gli unici scritti superstiti. Si tratta di due componimenti schedografici, realizzati ad uso dei propri allievi e poi verosimilmente diffusi, attraverso le migrazioni dei libri, anche in altre scuole della stessa area. Prima di analizzare gli scritti di Nicola contenuti nel codice, è bene indagare, almeno a grandi linee, il panorama culturale ed educativo dal quale essi hanno avuto origine. E di certo non si può comporre un quadro almeno sufficiente della storia dell’istruzione greca in Terra d’Otranto senza riferirsi costantemente al coevo milieu culturale costantinopolitano del quale il Salento medievale rappresentò senza dubbio un riflesso2.
1 Cfr. Codices Barberiniani Graeci, t. I, rec. V. CAPOCCI, Città del Vaticano 1958, pp. 139143 ed in part. p. 141; Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600. 3. Rom mit dem Vatikan. A. Verzeichnis der Kopisten, Wien 1997, p. 190. 2 Si dovrebbe approfondire in maniera più ampia il concetto di “riflesso” costantinopolitano in relazione alla cultura greca della Terra d’Otranto medievale. Finita la dominazione bizantina su questa terra sin dalla seconda metà dell’XI s., la permanenza così radicale ed a più livelli (dal parlato allo scritto, dal popolo ai dotti) della cultura greca in quest’area può
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FRANCESCO G. GIANNACHI
1. L’istruzione grammaticale a Bisanzio ed i suoi riflessi in Terra d’Otranto Dalle testimonianze in nostro possesso riusciamo a capire che i Bizantini si posero spesso il problema dell’istruzione delle nuove generazioni e possiamo anche affermare che essi si interrogavano sulla qualità dell’insegnamento e sugli strumenti adatti a trasmettere il sapere. Non mancò al Medioevo greco l’idea che lo studio fosse un elemento importante per la formazione e l’avanzamento personale dell’individuo. Ptochoprodromo, poeta in lingua demotica dell’XI s., ricorda in un componimento dedicato all’imperatore Manuele Comneno (III, 56-57 Eideneier) le parole che il padre continuamente gli ripeteva nell’età della fanciullezza: « ȉȑțȞȠȞ ȝȠȣ, ȝȐșİ ȖȡȐȝȝĮIJĮ, țĮ ੪ıĮȞȞૅ ਥıȑȞĮȞ ȤİȚ » (trad.: “figlio mio, impara le lettere e ‘gloria a te’ ”). Il genitore esibiva come paradigma al figlio le vicende di alcuni uomini che grazie agli studi fatti erano riusciti a cambiare radicalmente la propria condizione sociale. Diceva, infatti: « Guarda quello lì, da piccolo non conosceva neanche la soglia del bagno/ ed ora va a lavarsi tre volte a settimana » (III, 62-63 Eideneier)3. Non fu estranea neanche al Salento medievale l’idea dell’importanza dell’insegnamento e dell’apprendimento. spiegarsi solo con una deliberata volontà di conservazione nel tempo, realizzatasi attraverso la ricerca di testi, la trasmissione del sapere e la continuità dei rapporti con l’Oriente prima e con i dotti della diaspora greca in Italia poi. Nicola-Nettario di Otranto, abate di Casole, al ritorno dei suoi viaggi nel 1205 e 1214 con buona probabilità portò in Salento dalla Grecia e da Costantinopoli testi greci sino ad allora sconosciuti (forse anche le tragedie sofoclee, cfr. J. IRIGOIN, La tradition manuscrite des tragiques grecs dans l’Italie méridionale au XIIIe siècle et dans les premières années du XIVe siècle, in Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in memoria di A. Pertusi, Milano 1982, pp. 132–143 [rist. in J. IRIGOIN, La tradition des textes grecs. Pour une critique historique, Paris 2003 (L’âne d’or, 19), pp. 537–552]. Su Nettario si veda l’ancora utile J. M. HOECK R. J. LOENERTZ, Nikolaos-Nektarios von Otranto Abt von Casole, Ettal 1965 [Studia Patristica et Byzantina 11]). Sergio Stiso da Zollino (XIV-XV) ebbe la possibilità di stare in contatto con Costantino e Giano Lascaris e chiedere a quest’ultimo l’invio di codici che non riusciva a trovare in loco (cfr. A. PONTANI, Per la biografia, le lettere, i codici, le versioni di Giano Lascaris, in Dotti bizantini e libri greci nell’Italia del sec. XV a cura di M. CORTESI E. V. MALTESE, Napoli 1992, pp. 425-433 ed infra nt. 29). La diffusione nel Salento di pratiche didattiche (coma la schedografia) venute in auge nella Nuova Roma dopo la fine del controllo politico bizantino sulla Puglia, va visto tenendo presente la continua osmosi che non cessò di esistere sino almeno al XVI-XVII s. tra la Terra d’Otranto, la Grecia ed il Bosforo e più tardi tra il Salento e le biblioteche di Roma e Firenze. La persistenza del rito greco-bizantino nella Puglia meridionale e la diffusa classe sacerdotale furono elemento indispensabile di questa duratura e preziosa conservazione (sull’argomento cfr. A. JACOB, La formazione del clero greco nel Salento medievale, in Studi e ricerche in Terra d’Otranto II, a cura del Centro studi “Albino Guerrieri-Magi”, Campi Salentina 1987, pp. 221-236). 3 Per l’edizione di riferimento si veda Ptochoprodromos. Einführung, kritische Ausgabe, deutsche Übersetzung, Glossar, besorgt von H. EIDENEIER, Köln 1991, p. 119. Cfr. anche il più recente Versos del gramático señor Teodoro Pródromo el Pobre o Poemas Ptochoprodrómicos. Estudio preliminar, texto griego, traducción, notas y comentarios, a cura di J. M. EGEA, Granada 2001, pp. 156-157.
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UNA NOTA SULL’ISTRUZIONE GRAMMATICALE BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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Alcune quartine di alessandrini in volgare ma scritte con alfabeto greco in quest’area culturale intorno al XIII s. ci danno testimonianza reale e tangibile di tutto ciò. Esse sono contenute nel f. 51 del codice Vat. gr. 1276 e sono opera di un maestro medievale, evidentemente bilingue ma con la tendenza, o la sola capacità, di scrivere in lettere greche. Egli è ben consapevole del suo ruolo ed oltre ad elencare gli strumenti utili all’alunno per la scrittura (la penna, la pergamena, ecc.), nella chiusa del componimento sancisce in maniera inequivocabile la propria funzione. Scrive, infatti, a v. 12 queste parole: « ȖİȠȣıȠĮIJIJȠȣĮȞıİȖȖȚĮȡİIJȚ » (traslitterazione: ieu so attu a nsegnareti; trad. “il mio compito è insegnare a te”)4. La fioritura e lo sviluppo delle scuole di grammatica a Costantinopoli sono stati ben delineati da R. Browning5, ma anche nelle provincie i luoghi deputati all’educazione costituivano una diffusa rete del sapere e si distinguevano gli uni dagli altri per il livello dell’istruzione impartita e per le personalità, più o meno elevate, dei maestri che le guidavano. In esse si continuarono ad utilizzare i sussidi didattici ereditati dalla Tarda Antichità come i trattati ortografici e grammaticali, i lessici, le erotapokriseis, ovvero manuali impostati secondo la tecnica della domanda e della risposta6, financo qualche compendio di dottrina metrica7, ma non mancò la volontà di sperimentare nuovi strumenti che fossero in grado di facilitare sia il compito del maestro sia l’apprendimento dell’alunno. Tra i più noti ed interessanti ricordiamo almeno i canoni grammaticali di Niceta di Eraclea (XI s.), componimenti in versi, modellati sulla forma della poesia sacra, che contengono precetti ortografici e grammaticali8. I due canoni 4 Cfr. R. DISTILO, Scripta letteraria greco-romanza. Appunti per i nuovi testi in quartine di alessandrini, in Cultura Neolatina 46 (1986), pp. 79-99 (ristampato in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena, 1989, pp. 515-535) e la nostra breve scheda nella banca dati on line ADAMaP (Archivio degli antichi manoscritti di Puglia) al seguente indirizzo: http://www.adamap.it/BANCA%20DATI/CONSULTAZIONE/ OPERE/ConsultazioneDettaglioOpera.aspx?ID=26. 5 Cfr. R. BROWNING, The Patriarchal School at Constantinople in the Twelfth Century, in Byzantion 32 (1962), pp. 167-202 e 33 (1963), pp. 11-40. 6 Sull’argomento si veda Y. PAPADOYANNAKIS, Instruction by Question and Answer: the Case of Late Antique and Byzantine Erotapokriseis, in Greek Literature in Late Antiquity. Dynamism, Didacticism, Classicism ed. by S. F. JOHNSON, Burlington 2006, pp. 91-105. 7 Cfr. L. VOLTZ, De Helia Monacho, Isaaco Monacho, Pseudo-Dracone scriptoribus metricis byzantinis, Argentorati 1886, 13-14. Per un breve elenco di compendi metrici bizantini si veda F. G. GIANNACHI, Una nuova edizione degli scoli metrici di Demetrio Triclinio a Sofocle, in Quaderni Urbinati di Cultura Classica 91 (2008), pp. 147-159 e la bibliografia citata. 8 Sull’argomento si vedano almeno B. ROOSEN, The works of Nicetas Heracleensis () IJȠ૨ ȈİȡȡȞ, in Byzantion 69 (1999), pp. 119-144; J. SCHNEIDER, La poésie didactique à Byzance: Nicétas d’Héraclée, in Bulletin de l’association Guillame Budé 58/4 (1999), pp. 388423 e T. ANTONOPOULOU, The orthographical kanons of Nicetas of Heraclea, in Jahrbuch der österreichischen Byzantinistik 53 (2003), pp. 171-185.
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sopravvissuti, purtroppo in buona parte ancora inediti, sono dedicati alla trattazione degli ਕȞIJȓıIJȠȚȤĮ ovvero le vocali, le consonanti e le parole omofone ma di significato differente. L’utilizzo della poesia per la veicolazione di concetti tecnici poteva facilitare la memorizzazione degli stessi9. A Bisanzio gli studenti dall’età di sei-otto anni sino ai dieci-dodici anni venivano guidati da un ȖȡĮȝȝĮIJȚıIJȒȢ che insegnava loro i rudimenti della scrittura e della lettura. Il secondo e più impegnativo livello di educazione, sino intorno ai sedici anni, era curato dal ȖȡĮȝȝĮIJȚțȩȢ che forniva conoscenze più dettagliate di grammatica, retorica e filosofia ma anche di geometria, aritmetica, musica ed astronomia10. Ciascuna scuola poteva avere una struttura interna differente in base anche alla sua grandezza. Il ȝĮıIJȦȡ poteva essere, infatti, affiancato da studenti di corso già avanzato che si occupavano dei compagni più piccoli. Le classi, inoltre, erano divise per fasce di livello ed a ciascuna di esse venivano somministrati esercizi adeguati al grado di apprendimento degli studenti che le componevano11. Ciò avveniva d’altronde, a Bisanzio e nelle provincie, anche in altri campi del sapere sia religioso che profano. Per fare alcuni esempi tratti da ambiti culturali e da aree geografiche differenti, si possono citare il trattato in pentedecasillabi attribuito dai manoscritti al monaco Arsenio nel quale si espone dettagliatamente la prassi divinatoria geomantica (si tratta in effetti di una traduzione/trasposizione in versi di un testo arabo. Sull’argomento cfr. P. TANNERY, Astrampsychos, in Revue des études grecques 11 (1898), pp. 96-106 ed in part. p. 97; T. CHARMASSON, Recherches sur une technique divinatoire: la géomancie dans l’occident médiéval, Genève-Paris 1980, pp. 86-88) e quanto è accaduto nel Salento medievale con l’adattamento in versi politici della Protheoria di Nicola d’Andida, opera mistagogica utile a quanti intraprendevano la carriera sacerdotale (cfr. A. JACOB, Un opuscule didactique otrantais sur la Liturgie eucharistique. L’adaptation en vers, faussement attribuée à Psellos, de la Protheoria de Nicolas d’Andida, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 14-16 [1977-1979], pp. 161-178.) 10 Oltre ai testi ormai canonici sull’argomento come F. FUCHS, Die höheren Schulen von Konstantinopel im Mittelalter, Amsterdam 1964; P. LEMERLE, Cinq études sur le XIe siècle byzantin, Paris 1977 (di cui si vedano in particolare, poiché strettamente relative al nostro studio, le pp. 235-241 sulla schedografia) e C. N. CONSTANTINIDES, Higher Education in Byzantium in the Thirteenth and early Fourteenth Centuries, 1204-ca.1310, Nicosia 1982, si devono considerare almeno i seguenti contributi: A. MOFFATT, Early Byzantine School Curricula and a liberal Education, in Byzance et les slaves. Études de civilisation. Mélanges Ivan Dujþev, Paris 1979, pp. 275-288; S. EFTHYMIADIS, L’enseignement secondaire à Constantinople pendant les XIe et XIIe siècles: modèle éducatif pour la Terre d’Otrante au XIIIe siècle, in ȃȑĮ ࠔȫȝȘ 2 (2005), pp. 259-275; A. MARKOPOULOS, De la structure de l’école byzantine. Le maître, les livres et le processus éducatif, in Lire et écrire à Byzance, éd. par B. MONDRAIN, Paris 2006, pp. 85-96; ID., ǺȣȗĮȞIJȚȞȒ İțʌĮȓįİȣıȘ țĮȚ ȠȚțȠȣȝİȞȚțȩIJȘIJĮ, in ȉȠ ǺȣȗȐȞIJȚȠ ȦȢ ȠȚțȠȣȝȑȞȘ, ǹșȒȞĮ 2005, pp. 183-200; ID., Education, in The Oxford Handbook of Byzantine Studies, ed. by W. JEFFREYS J. HALDON R. CORMACK, Oxford 2008, pp. 785-795. 11 In questa breve trattazione relativa all’educazione scolastico grammaticale a Bisanzio e nel tentativo di operare dei confronti con la cultura greca del Salento medievale, si farà riferimento e si trarrà spunto da quanto abbiamo già presentato in un recente lavoro espressamente dedicato all’argomento: si veda F. G. GIANNACHI, Per la storia dell’istruzione 9
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Non mancava, forse nei casi dei ragazzi più discoli e meno dotati, l’intrusione della magia e della superstizione nel contesto educativo. Negli Anecdota curati da A. Vassiliev è pubblicato un esorcismo in lingua demotica dal titolo « ǼੁȢ ʌĮȚįȓȠȞ ʌȠȣ ȞĮ ȝȐșૉ ȖȡȐȝȝĮIJĮ » (trad.: “per un ragazzo affinché apprenda le lettere”), che sarebbe dovuto servire per infondere magicamente al discente la voglia di dedicarsi allo studio12. Tra i secoli XI e XII a Bisanzio si diffuse una nuova tecnica didattica a carattere deduttivo che permetteva ai maestri di fornire ai propri discepoli il maggior numero di informazioni lessicali, morfologiche e sintattiche attraverso l’utilizzo di alcuni brani tratti da noti autori della classicità, dai testi sacri o addirittura composti per l’occasione dai singoli docenti. La ıȤİįȠȖȡĮijȓĮ, questo il nome che gli stessi Bizantini usavano per indicare il nuovo sussidio didattico usato dai ȖȡĮȝȝĮIJȚțȠȓ, poteva, in verità, assumere una duplice forma. Esistevano dei commenti lessicali, sintattici e contenutistici che si riferivano ad un testo in particolare. Esso, come già detto, poteva essere un’opera molto nota e sedimentata nella memoria degli studenti come i Salmi o uno dei poemi omerici. Lo schedografo, dunque, sistemava sulla pagina una pericope del testo analizzato, sia che fosse in prosa o versi, e poi faceva seguire il suo lavoro di commento. Continuava, dunque, in questo modo con le porzioni successive dell’opera. L’esempio più noto di questo genere è la cosiddetta schedografia di Manuele Moscopulo13 che fu molto utilizzata nelle scuole medievali di greco ed ebbe una bizantina in Terra d’Otranto: la schedografia di Stefano di Nardò, in Medioevo Greco 13 (2013), pp. 85-107 ed in part. 85-96. 12 Cfr. A. VASSILIEV, Anecdota Graeco-Byzantina, Mosquae 1893, p. 342. 13 Su di essa si veda: J. J. KEANEY, Moschopulea, in Byzantinische Zeitschrift 63 (1971), pp. 303-321 e C. GALLAVOTTI, Nota sulla schedografia di Moscopulo e i suoi precedenti fino a Teodoro Prodromo, in Bollettino dei Classici s. III 4 (1983), pp. 3-35. Sotto questo nome, in effetti, i manoscritti tramandano una congerie di materiale schedografico che ha subito variazioni e rimaneggiamenti nel corso del tempo. Oltre alla schedografia di Moscopulo, i manoscritti ci tramandano anche molti altri lavori anonimi dello stesso tipo. Si veda, ad esempio, A. DEBIASI GONZATO, Osservazioni ad alcuni esercizi schedografici del cd. Marc. gr. XI, 16, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 8-9 (1971-1972), pp. 110-125 e nella stessa sede, alle pp. 241-260, L. MARCHESELLI-LOUKAS, Note schedografiche inedite del Marc. gr. Z 487=883; I. VASSIS, Graeca sunt, non leguntur. Zu den schedographischen Spielereien des Theodoros Prodromos, in Byzantinische Zeitschrift 86-87 (1993-1994), pp. 1-19; dello stesso tipo sono anche ȉ ޟıȤȑįȘ IJȠࠎ ȝȣȩȢ che alcuni manoscritti attribuiscono a Teodoro Prodromo e sui quali si veda almeno S. G. MERCATI, Intorno agli ıȤȑįȘ IJȠࠎ ȝȣȩȢ, in Studi Bizantini 2 (1927), pp. 13-17; J. T. PAPADEMETRIOU, ȉ ޟıȤȑįȘ IJȠࠎ ȝȣȩȢ: new Sources and Text, in Classical Studies presented to B. E. Perry, Urbana-Chicago-London 1969, pp. 210-222 e Ȃ. PAPATHOMOPOULOS, ȉȠࠎıȠijȦIJȐIJȠȣ țȣȡȠࠎ ĬİȠįȫȡȠȣ IJȠࠎ ȆȡȠįȡȩȝȠȣ IJ ޟıȤȑįȘ IJȠࠎ ȝȣȩȢ, in ȆĮȡȞĮııȩȢ 2 (1979), pp. 377-399. Di soli versi sono composte le schedografie pubblicate in G. SCHIRÒ, La schedografia a Bisanzio nei sec. XI-XII e la scuola dei SS. XL Martiri, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata n.s. 3 (1949), pp. 11-29 su cui si veda anche F. BERNARD, The Beats of the Pen. Social Contexts of Reading and Writing Poetry in Eleventh-Century Constantinople, tesi di dottorato Universiteit Gent, a.a. 2009-2010, pp. 209-211 (consultabile online all’indirizzo https://biblio.unigent.be/
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buona diffusione anche in Terra d’Otranto, come dimostrano le copie manoscritte superstiti14. Esistevano, però, anche dei testi che potremmo definire ‘di natura schedografica’. Si tratta, cioè, di composizioni autonome, quasi sempre miste di prosa e versi, che contenevano al proprio interno una ampia varietà lessicale e l’applicazione di molte regole grammaticali e sintattiche. La maggior parte di questi testi, infatti, non è accompagnata da un commento espressamente dedicato. Possiamo pensare che l’analisi degli stessi avvenisse a voce per bocca del maestro o fosse demandata da quest’ultimo alla deduzione degli allievi sotto la sua supervisione. È molto probabile che in questo secondo tipo di schedografia il ȖȡĮȝȝĮIJȚțȩȢ fornisse agli studenti un brano con problemi di tipo ortografico, soprattutto legati all’omofonia, e lessicale e che i ragazzi dovessero riflettere su ciò che avevano davanti ed intervenire laddove riscontravano problemi di carattere grafico o grammaticale15. Questa ipotesi si basa sull’elevato stato di corruzione del testo di buona parte delle schedografie giunte sino a noi. Sembra, infatti, poco probabile che opere dedicate allo studio grammaticale venissero trasmesse con tanto poca accuratezza, come risulta dai testimoni manoscritti in nostro possesso. Come è noto, questo nuovo metodo didattico non mancò di suscitare forti polemiche, in particolar modo tra le più illustri intelligenze dell’XI secolo che vedevano in esso un puro esercizio meccanico ispirato solo da mero formalismo ed utile unicamente alla memorizzazione di parole. Le tortuose evoluzioni schedografiche, sia lessicali che sintattiche, allontanavano dal contatto con i classici e facevano perdere la bellezza della composizione in prosa o poesia, permettendo di focalizzare unicamente singoli fenomeni grafici o determinati aspetti publication/915696). Esse sono, perlopiù, componimenti scritti da un maestro in occasione di gare schedografiche tra le varie scuole. Una in versi ed una in prosa sono le schedografie di Leone di Rodi pubblicate in T. S. MILLER, Two teaching Texts from the twelfth-century Orphanotropheion, in Byzantine Authors: literary Activities and Preoccupations. Texts and Translations dedicated to the Memory of Nicolas Oikonomides, ed. by J. W. NESBITT, LeidenBoston 2003, pp. 9-20. 14 Si veda, ad esempio, il Barb. gr. 102 su cui cfr. infra. Un altro testimone otrantino è il Paris. gr. 2572 su cui si veda P. HOFFMANN, La décoration du Parisinus Graecus 2572, schédographie otrantaise de la fin du XIIIe siècle (a. 1295-1296), in Mélanges de l’École française de Rome Moyen Age 96 (1984), pp. 617-645. 15 Cfr. BERNARD, The Beats cit. p. 207: « It (scil. schedography) is an exercise composed by a teacher, containing various grammatical problems and difficulties. This exercise would be dictated to the students, who were required to reconstruct correctly the original text ». Già due edizioni (VASSIS, Graeca cit., pp. 14-19 e I. D. POLEMIS, ȆȡȠȕȜȒȝĮIJĮ IJ߱Ȣ ȕȣȗĮȞIJȚȞ߱Ȣ ıȤİįȠȖȡĮijȓĮȢ, in ݒȜȜȘȞȚț ޠ45 [1995], pp. 277-302) propongono i brani schedografici in trascrizione diplomatica e poi fanno seguire l’edizione del testo (Vassis) oppure collocano le correzioni al testo nell’apparato critico (Polemis). Le edizioni più datate fornisco direttamente l’edizione dei brani (si veda, ad esempio, PAPADEMETRIOU, ȉ ޟıȤȑįȘ, cit., pp. 219-222). Sull’argomento si veda anche l’accenno in MILLER, Two teaching Texts cit., p. 11.
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grammaticali. Con queste motivazioni si scagliarono contro la schedografia intellettuali del calibro di Giovanni Tzetzes, Anna Comnena, Eustazio di Tessalonica e Giovanni Mauropode di Euchaita16. Su un piano meno intellettuale non mancavano, però, nella scuola bizantina di quest’epoca schermaglie, polemiche di livello più basso e piccoli scandali in parte anche connessi con questa nuova tecnica scolastica. Cristoforo Mitileneo denunciava con toni forti un maestro che vendeva a caro prezzo le sue schedografie agli alunni17. Giovanni Tzetzes scriveva dei giambi contro una donna schedografa volendo colpire con la veemenza delle sue parole la nuova tecnica grammaticale ma anche, e senza fingere troppo, la donna che ne esercitava il magistero18. E va almeno ricordato che le varie scuole presenti a Costantinopoli erano spesso in rivalità tra di loro, contendendosi il prestigio e la bravura degli alunni. Per questo motivo venivano organizzati dei veri e propri agoni schedografici in cui gli allievi, « IJȠઃȢ ਥȞ ਖȝȓȜȜૉ ȞȑȠȣȢ » (trad.: “i giovani in competizione”) come li chiama lo schedografo Leone di Rodi19, provenienti da classi e istituzioni scolastiche diverse, si misuravano e mettevano in gioco anche la reputazione dei propri maestri. Per il Salento medievale non abbiamo notizie di gare grammaticali tra scuole diverse, ma di certo non mancarono i maestri ed i testi schedografici, sia quelli provenienti da Costantinopoli, sia altri prodotti da ȝĮıIJȦȡİȢ locali. Il dato è di per sé importante e testimonia ancora una volta la migrazione di testi e con essi il continuo legame della Terra d’Otranto con la civiltà bizantina e le innovazioni culturali che essa produceva. Rimane da approfondire se questo contatto con Bisanzio si realizzava direttamente con le sponde del Bosforo o avveniva attraverso la mediazione più diretta dei centri culturali in Grecia, geograficamente più vicini20. Già in altra sede abbiamo passato in rassegna le testimonianze otrantine sulla schedografia e sul suo utilizzo nelle classi medievali della Terra d’Otranto21. I contributi di Vassis22 e Polemis23 hanno fatto luce su alcune Oltre la bibliografia citata supra alla nt. 10, cfr. GIANNACHI, Per la storia cit., pp. 93-94. E. KURTZ, Die Gedichte des Christophoros Mitylenaios, Leipzig 1903, p. 7 (ǼੁȢ IJઁȞ ȝĮıIJȦȡĮ IJોȢ ıȤȠȜોȢ IJȞ ȋĮȜțȠʌȡĮIJİȓȦȞ). 18 Cfr. S. G. MERCATI, Giambi di Giovanni Tzetzes contro una donna schedografa, in Byzantinische Zeitschrift 44 (1951), pp. 416-418. 19 Cfr. MILLER, Two teaching Texts cit., pp. 9-20 ed in part. p. 12. Componimenti scritti da un maestro in occasione di gare schedografiche tra le varie scuole sono anche quelli pubblicati in SCHIRÒ, La schedografia cit., pp. 11-29 su cui si veda anche BERNARD, The Beats cit. pp. 207-208 e 211. 20 Nessuna delle due ipotesi esclude l’altra. 21 Cfr. GIANNACHI, Per la storia cit. 22 Cfr. I. VASSIS, ȉࠛȞ ȞȑȦȞ ijȚȜȠȜȩȖȦȞ ʌĮȜĮȓıȝĮIJĮ ݠıȣȜȜȠȖ ޣıȤİįࠛȞ IJȠࠎ țȫįȚțĮ Vaticanus Palatinus Gr. 92, in ݒȜȜȘȞȚț ޠ52 (2002), pp. 37-68. 23 I. POLEMIS, Philologische und historische Probleme in der schedographischen Sammlung des Codex Marcianus Gr. XI, 31, in Byzantion 67 (1997), pp. 253-255. 16 17
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collezioni di testi schedografici prodotte nel Salento meridionale tra i secoli XIII e XIV24. Per ricapitolare in breve, si è potuto appurare che questa tecnica didattica fu diffusa e praticata nel basso Salento di cultura bizantina in un arco temporale che va almeno dalla seconda metà del XIII s. sino alla prima metà del XVI. Un nome di spicco in questo campo è quello del maestro Droso di Aradeo che oltre ad interessarsi di filosofia aristotelica ed a dedicarsi alla composizione di dodecasillabi, fu ȖȡĮȝȝĮIJȚțȩȢ e schedografo. Alcuni epigrammi provenienti dalla cerchia dei suoi studenti testimoniano l’uso di questo metodo didattico che in alcuni versi è definito metaforicamente come « ȕȩIJȡȣȢ IJȞ ȜȩȖȦȞ »25, “il grappolo delle parole” ed in un’altra occorrenza “il dolce fiume delle parole” (« IJȞȐȝĮIJȚʌȩIJȚȗİȖȜȣțİIJȞȜȩȖȦȞ »26), con allusione diretta al susseguirsi ed intrecciarsi dei vocaboli nei testi proposti agli alunni, al fine di sfoderare un lessico quanto più vario ed articolato possibile e di fornire esempi di costrutti sintattici e forme verbali diversi. Sono proprio le stesse caratteristiche che ritroviamo nell’opera di un altro schedografo otrantino, forse collocabile cronologicamente intorno al XIII-XIV s., Stefano di Nardò la cui schedografia a tema agiografico è conservata in alcune carte del manoscritto Laur. conv. soppr. 2. Di quest’ultima abbiamo fornito l’edizione, avanzando l’ipotesi che il maestro di Nardò avesse operato in quel ginnasio greco fiorito nella sua cittadina, tanto lodato da Antonio De Ferrariis detto il Galateo nel De situ Japigiae, ma del quale, purtroppo, non rimane altra traccia documentaria27. 2. Nicola da Soleto A parte il nome ed il luogo d’origine, altro non ci è dato sapere dello schedografo Nicola da Soleto del quale il codice Barb. gr. 102 conserva nei ff. 149-151v, purtroppo in maniera molto lacunosa, due componimenti ad uso scolastico misti di prosa e versi. Il manufatto librario contiene ai ff. 3-148v una raccolta schedografica che va sotto il nome di Manuele Moscopulo. Lo scriba del testo, Nicola Hagiopetrites, dunque della città di Galatina (o San Pietro in Galatina), indica nella sottoscrizione l’anno in cui realizzò questo codice, il 1288128928. Anche la scrittura dei ff. 149-151v contenenti gli scritti di Nicola da Soleto può essere ricondotta allo stesso milieu temporale. Perciò si può
Si veda anche il contributo di L. Silvano nel presente volume. Cfr. A. JACOB, Une bibliothèque médiévale de Terre d’Otrante, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 22-23 (1985-1986), pp. 287-288 e GIANNACHI, Per la storia cit., pp. 89-92. 26 Cfr. ibidem. 27 Cfr. GIANNACHI, Per la storia cit., pp. 97-107. 28 Cfr. supra nt. 1. 24 25
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assumere la seconda metà del XIII s. come terminus ante quem per collocare l’attività del nostro maestro. Egli sarà probabilmente vissuto tra XII e XIII s. L’analisi del codice barberiniano tradisce, come già detto all’inizio, un suo lungo utilizzo nelle scuole otrantine, soprattutto a causa delle numerose note di possesso e disegni che si trovano nel foglio di guardia terminale. Un’annotazione su tutte attrae particolarmente l’attenzione al f. 152 e cioè: « ਥȖઅȈȑȡȖȚȠȢ ਕʌઁ ȤȦȡȓȠȣ ȉȗȠȜȪȞȠȣ » (trad.: “Io Sergio dal paese di Zollino”). La nota di possesso ci informa dell’utilizzo di un testo schedografico scritto nel Salento all’interno di una scuola della stessa area, quella di Sergio Stiso da Zollino, collocabile tra la fine del XV s. e la prima metà del XVI29. L’opera di Nicola da Soleto veniva utilizzata dal maestro di Zollino congiuntamente, come si è visto, ad una raccolta di testi dello stesso tipo, la cosiddetta schedografia di Manuele Moscopulo presente nello stesso manoscritto. Vediamo ora nel dettaglio come si compongono e quali sono le caratteristiche dei due brevi testi attribuiti dal codice barberiniano a Nicola da Soleto. Ben poco, purtroppo, si può dire del primo di essi, presente nei ff. 149-150v. Come titolo esso riporta le seguenti parole: « IJોȢ ȈȠȜİȞIJȠ૨Ȣ İIJİȜȠ૨Ȣ ȃȚțȠȜȐȠȣ » (trad.: “Dell’umile Nicola da Soleto”). Almeno nella prima parte, dal f. 149 sino ai primi cinque righi del f. 149v, la lettura del suo contenuto non è agevole. La scrittura è fortemente deteriorata a causa dell’inchiostro molto scolorito, tanto che anche l’utilizzo della lampada di Wood permette di ottenere scarsi risultati nella decifrazione del testo. Si intuisce, comunque, che in un discorso misto di elementi religiosi e moraleggianti, il maestro cerca di fornire degli specimina sintattici ed ortografici al suo lettore. Interessante a questo proposito è l’incipit del brano in cui lo schedografo propone tre diverse grafie per la stessa parola, ovvero la terza persona singolare dell’indicativo presente di ਙȖȦ, e lascia probabilmente al lettore/studente la scelta della forma corretta. Scrive infatti ਕȖİ 29 Attribuiamo con buona probabilità la nota di possesso a Sergio Stiso da Zollino (sul quale si veda almeno F. LO PARCO, Sergio Stiso grecista italiota e accademico pontaniano del secolo XVI, in Atti dell’Accademia Pontaniana 49 [1919], pp. 217-236; A. JACOB, Sergio Stiso de Zollino et Nicola Petreo de Curzola. À propos d’une lettre du Vaticanus gr. 1019, in Bisanzio e l’Italia. Raccolta di studi in onore di Agostino Pertusi, Milano 1982, pp. 154-168; D. SPERANZI, Per la storia della libreria medicea privata. Giano Lascaris, Sergio Stiso di Zollino e il copista Gabriele, in Italia Medievale e Umanistica 48 [2007], pp. 87-88 ed il nostro Learning Greek in the Land of Otranto: the School of Sergio Stiso from Zollino, in corso di stampa in Teachers, Students and Schools of Greek in Renaissance Europe, edd. F. CICCOLELLA L. SILVANO, Leiden 2015), maestro di lettere greche di Aulo Giano Parrasio, Gabriele Altilio ed altri. Si spera che quanto prima possa apparire uno studio approfondito sulla grafia greca di Stiso a cura di Daniele Arnesano.
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con accento grave sull’ultima sillaba, ਙȖȘ con eta finale e per ultimo ਙȖİȚ parossitono e con il dittongo epsilon-iota in fine di parola. Proprio in questa parte del testo maggiormente deteriorata sono presenti numerose scritture interlineari. A nostro avviso si potrebbe trattare, per quanto si riesce ad intuire, di indicazioni numeriche poste su alcune parole al fine di creare probabilmente una specie di costruzione della frase nell’interlinea e rendere più comprensibile la facies sintattica dei vari periodi30. La grafia di queste indicazioni interlineari è la stessa di quella che ha vergato tutto il testo. La porzione meglio conservata del primo brano, dalla metà del f. 149v sino al f. 150v, si configura come un discorso abbastanza articolato sul peccato di dissolutezza e non mancano i riferimenti all’origine diabolica di tale vizio ed alle conseguenze negative che esso comporta. Esse sono sintetizzate nella chiusa finale in dodecasillabi. In essa si sancisce la definitiva condanna di questo peccato con immagini vive ed un lessico il più possibile vario. Dice Nicola: ĮIJȘ țĮIJĮıʌ઼ ૧ȚȗȩșİȞ ʌȜİȓıIJĮȢ ʌȩȜİȚȢ, ĮIJȘ IJĮȡȐııİȚ țĮ țȜȠȞİ ʌȠȜȜȢ įȩȝȠȣȢ, ĮIJȘįȚȚıIJઽIJȑțȞĮIJȞȖİȞȞȘIJȩȡȦȞ ĮIJȘıȣȞȠȚțȑıȚĮȞȠıijȓȗİȚijȓȜĮ ĮIJȘıIJİȡȓıțİȚIJȠઃȢȞȑȠȣȢİ!ȤȠȢțȜȑȠȣȢ ĮIJȘʌȡȠijĮȢȕȡıȚȢȠıȓĮȢʌȐıȘȢ ĮIJȘijȜȑȖȠȞʌ૨ȡțĮȕȑȜȠȢįȚĮȕȩȜȠȣ IJĮȪIJȘȢਕʌȠȡȡȐȖȘșȚIJȠȚȖĮȡȠ૨ȞIJȑțȞȠȞ İʌİȡIJȣȤİȞȕȠȪȜȠȚȠįȩȟȘȢIJોȢਙȞȦǜ ਸıʌİȡȜȚIJĮȢIJȪȤȠȚȝȚIJȞਕʌȠıIJȩȜȦȞ IJોȢȈȠȜİȞIJȠ૨ȢİIJİȜȢȜȠȖȠʌȜȩțȠȢ31 (trad.: “Essa distrugge dalle fondamenta moltissime città,/ essa turba ed agita molte case,/ essa separa i figli dai padri,/ essa divide i buoni matrimoni,/ essa priva di vanto le giovani glorie,/ essa è la corruzione evidente di ogni cosa,/ essa è fuoco ardente ed arma del demonio./ Stanne lontano dunque, figlio,/ se vuoi aver parte della gloria celeste/ che io, l’umile schedografo di Soleto,/ cerco di ottenere con preghiere agli apostoli”). 30 Questa ipotesi è scaturita dopo una lunga discussione sulla schedografia come strumento didattico avuta in anni universitari con Pietro Luigi M. Leone che in questa sede ringrazio per lo stimolo alla riflessione sull’argomento. 31 Questi versi sono stati già editi in GALLAVOTTI, Nota cit., p. 19. In questa sede li riportiamo, dopo un controllo sull’originale, aggiungendo la traduzione italiana. Un accenno alla schedografia di Nicola si trova in M. BERGER A. JACOB, La chiesa di S. Stefano a Soleto, Lecce 2007, p. 10 e p. 12 nt. 9.
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UNA NOTA SULL’ISTRUZIONE GRAMMATICALE BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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L’autore insiste oltre che sullo stesso concetto in più versi, anche su un certo numero di verbi dal significato affine. Da notare che, a parte un errore di omissione al verso 5, la porzione in dodecasillabi non presenta altri problemi testuali che possano ricondursi alla volontà dell’autore di inserirli nel testo o a corruttele sopraggiunte nel corso della trasmissione. Nell’ultimo verso Nicola appone la sua ıijȡĮȖȓȢ nella quale si legge il luogo d’origine, Soleto, e l’altisonante epiteto ȜȠȖȠʌȜȩțȠȢ. A prima vista questo aggettivo sembrerebbe un vezzo barocco dello schedografo salentino, il cui effetto retorico dovrebbe essere smorzato da İIJİȜȢ, forma molto comune nelle sottoscrizioni dei copisti. Come abbiamo già provato a dimostrare, ȜȠȖȠʌȜȩțȠȢ in questo contesto rimanda proprio all’attività schedografica32. In altra sede si è visto, infatti, che autori come Anna Comnena, Gregorio di Corinto e Teodoro Balsamone utilizzano vocaboli come ʌȜȩțȠȢ, ʌȜȠțȒ e ʌȜİțIJȐȞȘ in riferimento a questa tecnica grammaticale33. Essa, in effetti, consisteva proprio nell’intrecciare un gran numero di parole in un discorso unitario al fine di fornire un esempio pratico del loro uso. Alle testimonianze già citate, aggiungiamo ora un passo di Niceforo Basilace, retore del XII che, senza troppa finzione, parla con evidente risentimento degli ıȤİįȠʌȜȩțȠȚ, ovvero gli autori/intrecciatori di ıȤȑįȘ che avevano usato con toni poco lusinghieri il verbo ȕĮıȚȜĮțȓȗİȚȞ in riferimento al suo stile letterario34. L’aggettivo ȜȠȖȠʌȜȩțȠȢ va, dunque, inteso come “autore di testi ad uso grammaticale”, ovvero “schedografo”, anche se c’è da notare che mentre Nicola utilizza questo epiteto per autoproclamarsi, non senza con una certa enfasi retorica, “autore di schedografie / intrecciatore di discorsi”, negli altri testi appena citati i riferimenti a ıȤİįȠʌȜȩțȠȢ o a ıȤİįȚțʌȜİțIJȐȞȘ vanno nella direzione di una esplicita condanna della tecnica schedografica. Il secondo brano è di dimensioni più contenute e viene introdotto dal semplice titulus IJȠ૨ ĮIJȠ૨ che, riferendosi a quanto detto nella inscriptio del testo precedente, attribuisce al maestro soletano la paternità anche del secondo esercizio schedografico. La sezione in prosa è composta da sedici righi di scrittura divisi tra il f. 151 ed il f. 151v, mentre quella in versi è costituita da cinque dodecasillabi. Esso presenta le caratteristiche tipiche 32 Cfr. GIANNACHI, Per la storia cit., pp. 95-96. Il termine è registrato nella forma ȜȠȖȩʌȜȠțȠȢ in E. TRAPP et all., Lexikon zur byzantinischen Gräzität besonders des 9.-12. Jahrhunderts, Wien 1994-2011, s.v. La forma ȜȠȖȠʌȜȩțȠȢ è rintracciabile in S. A. KOUMANOUDIS, ȈȣȞĮȖȦȖޣȞȑȦȞ ȜȑȟİȦȞބʌާIJࠛȞȜȠȖȓȦȞʌȜĮıșİȚıࠛȞ.ܻʌާIJ߱ȢܻȜȫıİȦȢȝȑȤȡȚIJࠛȞțĮșǯݘȝޟȢȤȡȩȞȦȞ, ǹșȒȞĮ 1900, s.v. Il verbo ȜȠȖȠʌȜȠțȑȦ è presente, per quanto è possibile appurare, solo in Ioannes Tzetzes, Sch. in Hermogenem, 144, 28 Cramer. 33 Cfr. GIANNACHI, Per la storia cit., p. 96. 34 Cfr. Nicephorus Basilacae, Orationes et epistulae p. 3, 29-34 Garzya (țĮ Ȟ ਵįȘ ȜİȖȩȝİȞȠȞ IJઁ ȕĮıȚȜĮțȓȗİȚȞ ਥȞ ıȤİįȠʌȜȩțȠȚȢ, ੪Ȣ ʌȐȜĮȚ IJઁ ȖȠȡȖȚȐȗİȚȞ ਥȞ ıȠijȚıIJĮȢ țĮ ijșȩȞȠȢ ʌȠȜઃȢ ਫ਼ʌİțȐİIJȠ IJȠȪIJȠȚȢ țIJȜ.)
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FRANCESCO G. GIANNACHI
dei testi di natura schedografica che si concentrano su un racconto agiografico. Il contenuto è basato sulla vita ed il martirio di San Lorenzo ed il nome del Santo è citato sin dal primo rigo del brano. La commistione di prosa e versi è un elemento caratterizzante di questo genere. L’argomento agiografico, o comunque sacro, è uno dei preferiti dagli schedografi, come testimoniano le altre raccolte di esercizi grammaticali dello stesso tipo, tra cui il Laur. conv. soppr. 2 già menzionato a proposito di Stefano di Nardò, ed il Vat. Pal. gr. 92. Riportiamo qui i primi righi della schedografia in trascrizione diplomatica35: ȉȞ ʌIJȦȤȚȞ ȁĮȣȡȑȞIJȚȠȞ IJઁȞ IJȡȠijȑĮ țĮ ʌȡȠ|ıIJȐIJȘȞ ਲȝȞ İijȘȝȒıȦȝİȞ ıȒȝİȡȠȞRIJȠȢ | Ȗȡ İĮȡȠȢ IJ¶੪Ȣ įȚĮțȠȞȒıĮȢ ȤȡȘıIJ¶Ȣ ıȦIJİȓȡૉ | șİ, ʌȡȠȞȠȓ IJİ ȤȡȘıȐȝİȞȠȢ Ƞ ਥțȦȜȪșȘ ਛıȝĮ | ਛıĮȚ țĮȚȞȩȞਥʌ IJȞ ਙȞȦ ıțȘȞȞ ਘıȘ | ʌȡȫIJȘ >@IJ ȖȑȞİȚ ਲȝȞ ʌȡȠİȟȑȞȘıİ | țĮ ıȦıİȞ ਲȝȐȢ | Se analizziamo il testo di Nicola nella prospettiva che ci suggeriscono i più recenti studi sulla schedografia, alcuni errori che rintracciamo sin dai primi righi del discorso potrebbero essere considerati come voluti, ovvero messi a posta nel brano per testare la conoscenza grammaticale dello studente cui erano destinati. Il discente avrebbe dovuto rintracciarli e correggerli. Leggendo il testo in quest’ottica, dunque, potremmo considerare come inseriti appositamente alcuni errori macroscopici che troviamo nei righi appena trascritti. Tali potrebbero essere la forma IJȞ ʌIJȦȤȚȞ dell’incipit, da correggere in IJȞʌIJȦȤȞ o IJȞʌIJȦȤȚțȞ, oppure la frase che segue: ੪ȢįȚĮțȠȞȒıĮȢȤȡȘıIJ¶ȢıȦIJİȓȡૉșİ. Essa sarebbe potuta servire per far riconoscere all’allievo l’errata grafia e divisione delle parole in ȤȡȘıIJ’ Ȣ (da restituire in ȤȡȘıIJȩȢ) e gli errori di iotacismo in ıȦIJİȓȡૉ (da correggere in ıȦIJોȡȚ). In questo modo si potrebbe procedere con tutto il resto del brano. Qualsiasi ragionamento di questo tipo, comunque, rimane solo nel campo delle ipotesi, non essendo materialmente possibile discernere tra i potenziali errori volutamente inseriti dal maestro schedografo nel testo per scopi didattici, qualora questo fosse il suo reale intento, e le corruttele che sono sopraggiunte nel processo di copia. La seconda parte del brano (f. 151v) si concentra sulle opere del Santo. Nicola da Soleto si sofferma sulla figura di Lorenzo, pronto a sacrificare i beni della sua chiesa per venire incontro a quanti erano in condizioni disagiate e sottolinea proprio come questa sua liberalità lo abbia condotto al martirio. Questa sezione non presenta errori, come si evince dalla trascrizione che segue36: 35 Si tratta dei righi 8-14 di f. 150v. Come consueto inseriamo una barra verticale per indicare il cambio di rigo di scrittura. 36 Si tratta dei righi 2-6 di foglio 151. Cfr. supra nt. 35.
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UNA NOTA SULL’ISTRUZIONE GRAMMATICALE BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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ȃȠıȠȪȞIJȦȞ ijȓȜȦȞ ȋȡȚıIJȠ૨, ਥȞȑ|ȕĮȜİ ʌȐȞIJĮ IJોȢ ਦțțȜİıȓĮȢ IJ țIJȒȝĮIJĮ | ʌĮȜȐȝĮȚȢ IJȣijȜȞ țĮ ȤȦȜȞ țĮ ȟȘȡȞ |șİȞ țĮ>@IJİȚıȝĮȚ ਥȞIJİ૨șİȞ ʌȡઁȢ IJȢ ȕĮ|ıȐȞȠȣȢ ਕȤșȒȞĮȚ Nicola chiude anche questo secondo brano con una sezione in versi dodecasillabi nella quale continua a dare prova di un lessico vario e di forme linguistiche barocche. Egli utilizza una vasta gamma di aggettivi e participi per qualificare le pene che San Lorenzo patì durante il martirio e che lo resero luminoso agli occhi di Dio. Continuando di seguito al testo trascritto sopra e connettendo sintatticamente i versi alla prosa, Nicola parte dai supplizi sofferti, ĮੂȕĮıȐȞȠȚ, per elevare la figura del Santo e farne un luminoso esempio di fede. Egli scrive: ਘȢ ਫ਼ʌİȞȑȖțȦȞ ıIJİȡȡઁȢ ੮ıʌİȡ ਕįȐȝĮȢ IJĮȚȞȓĮȢ ਕʌȒȜİȚijİȞ ਕȝĮȡĮȞIJȓȞȠȣȢ ijĮȓįȡĮȢ IJȚȝĮȜijİȢ țĮ țĮșȦȡĮȧıȝȑȞĮȢ șİȓĮȢਕȜȘșİȢțĮįȚİȟȘȞșİıȝȑȞĮȢ ȤȐȡȚıȚȞ੪ȢਙıIJȡĮıȚȞįȚțİțȠıȝȑȞĮȢ >@IJȠ૨șİȠ૨țĮįİıʌȩIJȠȣ મįȩȟĮțȡȐIJȠȢțĮIJȚȝ>@ (trad.: “Sopportatili (scil. i supplizi), resistente come il diamante,/ ha ricevuto in premio imperiture corone di vittoria,/ splendenti, preziose e ricche di bellezza giovanile,/ divine, vere e ricolme di fiori,/ ornate di grazie come stelle/ […] del Signore Dio/ cui va la gloria, la potenza e l’onore.”). Il taglio netto della pergamena nella parte inferiore del f. 151 non permette di leggere i versi nella loro interezza né di sapere quanto oltre continuassero i dodecasillabi. La dossologia finale spinge, comunque, a pensare che non proseguissero molto oltre e che la sezione in versi terminasse con la formula di lode a Dio. Nicola ci presenta S. Lorenzo come un antico vincitore olimpico che, superata la prova del martirio, poteva fregiarsi di ghirlande floreali. Lo schedografo si attiene alla consueta tendenza agiografica di presentare i martiri come atleti della fede. La varietà lessicale contribuisce ad impreziosire il ritratto ed è utile allo studente per memorizzare aggettivi e forme verbali. Al secondo verso la ripresa di un passo della I lettera di Pietro (5, 4): «IJઁȞ ਕȝĮȡȐȞIJȚȞȠȞ IJોȢ įȩȟȘȢ ıIJȑijĮȞȠȞ» con la variante IJĮȚȞȓĮ può essere indizio della formazione di chi scrive. Nicola era con buona probabilità un sacerdote che educava nella propria casa giovani allievi. I versi 3 e 4 mettono in mostra una vasta gamma di attributi e sono costruiti in modo speculare con la successione di due aggettivi ed un participio in chiusura.
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3. Riflessioni conclusive Sulla corrente di questo “fiume di parole”, secondo la metafora usata da Droso da Aradeo37 o nelle spire dell’intreccio lessicale (ȜȠȖȠʌȜȩțȠȢ), come forse avrebbe preferito Nicola da Soleto, si trasmettevano a Bisanzio e nel Salento medievale la lingua e la cultura greca, in un periodo in cui l’uso linguistico orale era ormai molto distante da quello scritto. La schedografia che ai dotti bizantini dell’XI e XII secolo sembrava un puro esercizio formale, lontano dal contatto diretto con i testi, utile solo a privilegiare la forma esteriore e distante dallo studio dell’armonioso eloquio classico, fu, invece, uno degli ultimi sforzi necessari per tramandare la lingua antica. Il Salento medievale, per quanto sappiamo dalle testimonianze pervenuteci, non ricevette neppure l’eco delle polemiche costantinopolitane sulla schedografia accennate sopra, ma recepì questa tecnica didattica e ne fece largo uso nelle scuole. Non possiamo affermare, però, che essa fu lo strumento pedagogico esclusivo dei maestri otrantini. Il prezioso catalogo dei libri di una scuola del basso Salento presente nel f. 169v del codice Paris. gr. 549, vergato con una grafia che A. Jacob ha datato al XIII-XIV s., dimostra in maniera eloquente che, oltre alla schedografia, il maestro faceva uso diretto dei classici per impartire le proprie lezioni. Non mancavano, infatti, i testi di Omero, Esiodo, Sofocle, Eschilo, Licofrone, opere di filosofia (Porfirio) e naturalmente i testi sacri ed i Padri della chiesa38. In tempi di cambiamento linguistico e culturale i maestri bizantini furono in grado di inventare una nuova strategia didattica; il Salento di cultura greca la fece propria e la inserì a pieno titolo nel curricolo dell’istruzione.
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Cfr. supra nt. 27. Cfr. JACOB, Une bibliothèque cit., pp. 285-319.
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LUIGI SILVANO SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO: APPUNTI SU TESTI E CONTESTI DIDATTICI
Al Maestro Luigi Zavattaro con affetto e gratitudine per le tante schede che ci fece compilare
Il metodo che prevede di insegnare l’ortografia, la grammatica e il lessico della lingua greca attraverso la minuziosa analisi di brevi testi in prosa o in versi, composti ad hoc ovvero adattando all’uopo brani d’autore, comunemente noto come schedografia, s’impose a Bisanzio all’incirca a partire dall’XI secolo e rimase in voga a lungo, sia a Costantinopoli che nelle aree periferiche dell’impero: ne è prova il numero cospicuo di manoscritti schedografici conservati, molti dei quali prodotti ancora nei secoli XV e XVI, ad uso delle scuole occidentali di greco1. A dispetto dell’impor-
1 Una panoramica degli studi di riferimento include K. KRUMBACHER, Geschichte der byzantinischen Litteratur von Justinian bis zum Ende des oströmischen Reiches (527-1453), München 18972 (Handbuch der klassischen Altertums-Wissenschaft IX, 1), pp. 590-592; H. HUNGER, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzantiner, II, München 1978 (Byzantinisches Handbuch V/2 = Handbuch der Altertumswissenschaft XII/5, 2), pp. 24-29; J. J. KEANEY, Moschopulea, in Byzantinische Zeitschrift 63 (1971), pp. 303-321; ID., A New Fragment of Sophocles and Its Schedographic Context, in American Journal of Philology 122/2 (2001), pp. 173-177 (due studi fondamentali per la classificazione delle sillogi schedografiche); C. GALLAVOTTI, Nota sulla schedografia di Moscopulo e i suoi precedenti fino a Teodoro Prodromo, in Bollettino dei Classici s. 3, 4 (1983), pp. 3-35 (importante messa a punto sulla classificazione di Keaney 1971). Tra i lavori su singole raccolte e testi si vedano almeno R. ANASTASI, Giovanni d’Euchaita e gli schedikoi, in Siculorum Gymnasium 24 (1971), pp. 61-69; ID., Ancora su Anna Comnena e la schedografia, in Studi di filologia bizantina, III, Catania 1985, pp. 77-95; R. BROWNING, Il codice Marciano gr. XI.31 e la schedografia bizantina, in Miscellanea marciana di studi bessarionei, Padova 1976, pp. 21-34 (ora in ID., Studies on Byzantine History, Literature and Education, London 1977, XVI [Variorum Collected Studies Series 59]); I. D. POLEMIS, ȆȡȠȕȜȒȝĮIJĮIJ߱ȢǺȣȗĮȞIJȚȞ߱ȢıȤİįȠȖȡĮijȓĮȢ, in ݒȜȜȘȞȚțȐ 45 (1995), pp. 277-302; I. VASSIS, Graeca sunt, non leguntur. Zu den schedographischen Spielereien des Theodoros Prodromos, in Byzantinische Zeitschrift 86-87 (1993-1994), pp. 1-19; ID., ȉࠛȞ ȞȑȦȞ ijȚȜȠȜȩȖȦȞ ʌĮȜĮȓıȝĮIJĮ. ݠ ıȣȜȜȠȖ ޣıȤİįࠛȞ IJȠࠎ țȫįȚțĮ Vaticanus Palatinus Gr. 92, in ݒȜȜȘȞȚțȐ 52 (2002), pp. 37-68; N. GAUL, ݇ȞĮııĮ ݇ȞȞĮ, ıțȩʌİȚ – Fürstin Anna, bedenke! Beobachtungen zur Schedound Lexikographie in der spätbyzantinischen Provinz, in L. M. HOFFMANN - A. MONCHIZADEH Hrsgg., Zwischen Polis, Provinz und Peripherie. Beiträge zur byzantinischen Geschichte und Kultur, Wiesbaden 2005, pp. 663-703; F. G. GIANNACHI, Per la storia dell’istruzione bizantina in Terra d’Otranto: la schedografia di Stefano di Nardò, in Medioevo greco 13 (2013), pp. 103-125 (ivi, alle pp. 103-114, una preziosa sintesi sul genere schedografico e ulteriori indicazioni bibliografiche). Ometto di citare studi generali sull’insegnamento e in particolare sull’istruzione grammaticale
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LUIGI SILVANO
tanza che la schedografia rivestì all’interno del sistema educativo bizantino, questa branca della letteratura manualistica costituisce un terreno di ricerca poco frequentato dagli studiosi. Mancano quadri sinottici di riferimento sufficientemente ampi, e così pure edizioni moderne di corpora schedografici di una qualche significativa estensione. Anche la silloge più nota, quella che si suole attribuire a Manuele Moscopulo (ca. 1265-1315), è consultabile soltanto in edizioni obsolete2. L’ostacolo maggiore che si para dinnanzi a chi voglia intraprendere uno studio di questi manuali di scuola è la difficoltà di districarsi in una tradizione assai vasta e fortemente contaminata, o per meglio dire mobile: interrogando la banca dati di Pinakes3 sui testimoni della schedografia di Moscopulo si ottengono poco meno di 120 entrate, al netto dei doppioni; non tutti questi items contengono in realtà quella che si è soliti definire schedografia moscopulea; alcuni recano singole schede di tradizione moscopulea frammiste ad altre4. Un primo tentativo di individuare raggruppamenti e famiglie di codici fu esperito da John J. Keaney, il quale propose una ripartizione delle sillogi in tre classi distinte, ciascuna delle quali comprendente manoscritti che tramandano grossomodo le stesse schede a Bisanzio; un’ottima introduzione al tema, con aggiornata e completa bibliografia, si può leggere in F. RONCONI, Quelle grammaire à Byzance? La circulation des textes grammaticaux et son reflet dans les manuscrits, in La produzione tecnica e scientifica nel medioevo: libro e documento tra scuole e professioni. Atti del Convegno internazionale di studio dell’Associazione italiana dei Paleografi e Diplomatisti, Fisciano – Salerno (28-30 settembre 2009). A cura di G. DE GREGORIO M. GALANTE, Spoleto 2012, pp. 63-110 (in particolare, sulla schedografia, pp. 90-91, 95-96 e passim). 2 La schedografia ‘moscopulea’ si legge ancora nelle stampe di R. STEPHANUS, ed., Manuelis Moschopuli De ratione examinandae orationis libellus, Lutetiae 1545; e di J. KÜRZBOCK, ed., M. Moschopulos, Ȇİȡ ޥıȤİįࠛȞ, Wien 1773 (lo schedos « ǻİȚțȞઃȢ ȋȡȚıIJȩȢ » – infra, appendice II, nr. 8 – è pubblicato anche in J. FR. BOISSONADE, ed., Anecdota graeca e codicibus regiis, III, Paris 1831, pp. 330-338). Questa redazione vulgata (che corrisponde alla classe III della classificazione di KEANEY, Moschopulea cit.; si vedano in proposito le puntualizzazioni di GALLAVOTTI, Nota cit.) consta di 22 schede; nei testimoni manoscritti che la conservano l’ordine e il numero dei componimenti è spesso differente, e vi si riscontrano spesso, come di norma in queste sillogi, spostamenti e aggiunte di nuovi brani; in alcuni codici, poi, come il Vaticanus graecus 18, di XIV secolo, le 22 schede moscopulee costituiscono il primo tomo o libro (i manoscritti usano indifferentemente i termini kontakion o schedos) di una silloge più vasta. È da credersi che la silloge moscopulea (che può datare ai primi anni del XIV secolo) abbia assunto un valore canonico all’interno dei circoli eruditi costantinopolitani che si riunivano intorno a Moscopulo medesimo e Massimo Planude (GAUL, ݇ȞĮııĮ ݇ȞȞĮ cit., pp. 670-671 e nt. 27). La notorietà dell’autore ha fatto sì che a Moscopulo siano state spesso attribuite nei manoscritti (e di conseguenza nei cataloghi moderni) raccolte schedografiche che in realtà non possono ricondursi alla sua opera. 3 http://pinakes.irht.cnrs.fr (da un riscontro effettuato il 10 aprile 2014). Non è escluso che almeno alcuni dei manoscritti ivi repertoriati genericamente come latori di opera moscopulei, senza ulteriori indicazioni, possano contenere materiali schedografici. 4 Cfr. supra, nt. 2.
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SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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ordinate nella medesima sequenza5. Questo preliminare lavoro di riordino fu in seguito integrato da alcuni pregevoli apporti dedicati a singoli manoscritti o a gruppi di manoscritti6; tuttavia siamo ancora ben lontani dal poter disporre di un censimento completo e di una classificazione affidabile di tutti i testimoni manoscritti contenenti sillogi schedografiche o schede sciolte. Ciò si deve anche, è bene ricordarlo, al fatto che queste opere, alla stessa stregua di altre tipologie di manuali concepiti per l’insegnamento e in uso nelle scuole, sono testi fluidi, suscettibili di evoluzioni e trasformazioni anche sostanziali pressoché a ogni copia, in relazione con le necessità di copisti e committenti (eruditi, maestri, discenti). Del resto la natura stessa di queste raccolte, strutturate come sequenze di unità testuali autonome (lo schedos con il relativo commento ortografico-linguistico-grammaticale-lessicografico), se da una parte ne consente una fruizione selettiva, dall’altra facilita la proliferazione di nuove redazioni, che possono comportare modifiche tanto rispetto alla selezione e alle modalità di assemblaggio dei brani (con conseguente alterazione della sequenza originaria dei vari items), quanto alla facies testuale di ciascuno di essi (più che gli schede in sé, sono le sezioni di commento quelle maggiormente soggette a rimaneggiamenti di vario tipo – omissioni, integrazioni, interpolazioni). Si capisce dunque come, per la ricostruzione della storia del testo di queste sillogi, risulti poco fruttuoso applicare criteri stemmatici, e si prospetti invece la necessità di un approccio diverso: ciascun manoscritto contiene potenzialmente una versione originale e unica, frutto degli interventi autoriali più o meno consistenti di chi ne curò l’allestimento (talora contaminando più antigrafi) 7. Il presente lavoro è incentrato su alcune sillogi schedografiche allestite in Terra d’Otranto tra gli ultimi decenni del XIII e la prima metà del XIV secolo, e si propone di indagare se e in quale misura sia possibile individuare, se non una via salentina alla schedografia, almeno alcune peculiarità relative alla scelta dei materiali e alla loro organizzazione. Tra questi codici, prodotti in relazione con contesti di insegnamento e apprendimento che riusciamo soltanto in parte a ricostruire, figurano alcuni dei più antichi testimoni schedografici in assoluto8. I manoscritti a oggi conosciuti KEANEY, Moschopulea cit. Cfr. la bibliografia elencata supra, nt. 1. 7 Considerazioni analoghe si possono fare per la trasmissione di grammatiche e lessici bizantini tra tardo medioevo ed età umanistica; tra i tanti possibili raffronti, si vedano e. g., due recenti messe a punto sulla tradizione dell’Ecloga vocum Atticarum di Tommaso Magistro e della grammatica del Crisolora: E. NUTI, Il Lessico di Tomaso Magistro nel Taur. C.VI.9. Conferme, nuove acquisizioni e riflessioni per la storia del testo, in Medioevo greco 13 (2013), pp. 149-175; A. ROLLO, Gli Erotemata tra Crisolora e Guarino, Messina 2012. 8 Per il Salento dei secoli XIII-XV sono due i contesti di apprendimento ricostruibili: quello dell’insegnamento elementare impartito dai preti secolari ai propri figli o anche ad 5 6
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LUIGI SILVANO
di sicura provenienza otrantina contenenti sillogi schedografiche, gruppi di schede o singoli componimenti schedografici sono i seguenti9: A = Modena, Archivio di Stato, Frammenti B(usta) 12, nn. 17-2010 (vd. tav. 1) B = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberinus gr. 10211 (vd. tavv. 2-3)
allievi esterni al nucleo familiare, comunque sempre in numero assai ristretto, all’interno di vere e proprie scuole domestiche (in proposito si veda A. JACOB, La formazione del clero greco nel Salento medievale, in Ricerche e studi in Terra d’Otranto, II, Campi Salentina 1987, pp. 221236); e quello dell’istruzione secondaria all’interno di cerchie di allievi riunite intorno a un intellettuale di spicco – quali ad esempio furono, in epoche diverse, il celebre Nicola-Nettario di Casole (XII-XIII sec.; un profilo con bibliografia di riferimento in A. KAZHDAN et al. (eds.), The Oxford Dictionary of Byzantium, New York 1991, II, cols. 1470-1471) e Sergio Stiso di Zollino (XV sec.), di recente oggetto di un revival di studi (mi limito a rimandare a F. G. GIANNACHI, Learning Greek in the Land of Otranto: the School of Sergio Stiso from Zollino, di prossima uscita in F. CICCOLELLA L. SILVANO [eds.], Teachers, Students and Schools of Greek in Renaissance Europe, Leiden-Boston 2015). Per quanto qui accennato, e più in generale per un panorama su scuola e istruzione nel Salento medievale si ricorra a D. ARNESANO E. SCIARRA, Libri e testi di scuola in Terra d’Otranto, in L. DEL CORSO – O. PECERE, a cura di, Libri di scuola e pratiche didattiche dall’Antichità al Rinascimento. Atti del Convegno Internazionale di Studi Cassino, 7-10 maggio 2008 (Edizioni Università di Cassino. Collana Scientifica, 26 – Studi archeologici, artistici, filologici, filosofici, letterari e storici), I-II, Cassino 2010, II, pp. 425-473, in particolare pp. 454 e 471-473 (con aggiornata bibliografia); si veda inoltre S. EFTHYMIADIS, L’enseignement secondaire à Constantinople pendant les XIe et XIIe siècles: modèle éducatif pour la Terre d’Otrante au XIIIe siècle, in ȃȑĮࠔȫȝȘ 2 (2005), pp. 259-275, in particolare p. 274. 9 Ho adottato i sigla impiegati da KEANEY, A New Fragment cit., p. 174, introducendone di nuovi per i codici non menzionati dallo studioso (A, E). Nelle note che seguono riduco al minimo indispensabile l’informazione bibliografica sui singoli testimoni. 10 Il testimone (che ho consultato in situ) è descritto in P. HOFFMANN, La décoration du Parisinus graecus 2572, schédographie otrantaise de la fin du XIIIe siècle (a. 1295-1296), in Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Âge – Temps Modernes, 96/2 (1984), pp. 617645: pp. 639-645. Esso consta di due bifoli pergamenacei sciolti, non palinsesti, mutili della parte inferiore, che alcuni indizi di natura materiale indicano essere stati reimpiegati come fogli di guardia nella legatura di documenti amministrativi della Camera ducale di Modena. Ambedue i fogli sono vergati in una grafia otrantina da un’unica mano e con il medesimo inchiostro, e provengono sicuramente dallo stesso codice, che per catatteristiche formali e di mise en page doveva essere assai simile ai mss. della famiglia BMNP. 11 Per una descrizione del manufatto (che ho esaminato in situ) si vedano V. CAPOCCI, Codices Barberiniani Graeci, I, Codices 1-163, Città del Vaticano 1958, pp. 139-143; GALLAVOTTI, Nota cit., pp. 18-21. Il codice consta di 156 fogli, di cui i ff. 3-152 pergamenacei; i ff. dal 3 al 74 sono palinsesti (la scrittura sottostante, così come in altri manoscritti schedografici salentini, contiene testi liturgici). I primi 148 fogli, che contengono la versione probabilmente più antica della schedografia della classe Ia di Keaney, furono vergati nel 1290/1 (o 1295/6) da Nicola Hagiopetrites, vale a dire di Galatina (San Pietro di Galatina nel medioevo), la cui sottoscrizione autografa si legge al f. 148v. Il medesimo amanuense trascrisse questa stessa silloge anche nell’attuale Par. gr. 2574 (P: infra e nt. 16): cfr. E. GAMILLSCHEG D. HARLFINGER, Repertorium der Griechischen Kopisten 800 - 1600, 2, Frankreich, Wien 1989 (Veröffentlichungen der Kommission für Byzantinistik III/2), Wien 1989, nr. 446; 3, Rom mit der Vati-
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C = Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Conventi soppressi 212 E = Paris, Bibliothèque Nationale de France, Parisinus gr. 255613 kan, Wien 1997 (Veröffentlichungen der Kommission für Byzantinistik III/3), nr. 526. I ff. 149r-151r conservano invece una schedografia in versi di Nicola di Soleto (per cui rimando al contributo di F. G. Giannachi in questo stesso volume). Come si evince dalle note apposte sui fogli di guardia, il codice fu utilizzato da vari eruditi e insegnanti, tra cui spicca Sergio Stiso di Zollino (supra, nt. 8). La silloge dei ff. 1-148 comprende 126 schede seguite da un commento la cui estensione varia da diverse pagine a poche righe; in taluni casi le schede sono prive di commento. La mise en page è la stessa che si riscontra negli altri manoscritti schedografici d’area salentina: il testo degli esercizi è vergato con una grafia leggibile e posata, con un ridotto ricorso ad abbreviazioni, e con un’interlinea ampia, tale da poter ospitare alcune note interlineari (vergate dalla stessa mano e con il medesimo inchiostro, ma con calamo più fine, esse constano perlopiù di domande sulla funzione sintattica e interpretamenta); il commento grammaticale che segue ciascun componimento è vergato in una grafia più minuta, fortemente compendiaria, con interlinea ridotta, tanto che il medesimo specchio di scrittura (circa 160 mm x 100 mm) può ospitare circa 17-18 linee del testo degli schede, contro circa 32-42 linee di commento. Le schede sono divise in due kontakia: il primo inizia al f. 3r preceduto dal titolo in monocondilo ȀȠȞIJȐțȚȠȞ ıઃȞ Ĭİ IJȞ İੁıĮȖȦȖȚțȞ ʌȡIJȠȞ ȖȡĮȝȝĮIJȚțોȢ įțĮIJĮ țį e contiene le prime 8 schede della silloge vulgata di Moscopulo stampata dallo Stephanus, pressoché nella medesima sequenza (si consulti l’appendice II, infra; rispetto alla stampa risulta anticipata la scheda ȆȩȞȠȚ ȖİȞȞıȚ, e aggiunta quella che inizia con le parole ȈȒȝİȡȠȞ ੯ ʌĮįİȢ), seguite da ampio commento; il secondo inizia a f. 58v con il titolo ਝȡȤ IJȠ૨ įİȣIJȑȡȠȣ țȠȞIJĮțȓȠȣ IJȞ İੁıĮȖȦȖȚțȞ ıȤİįȞ e occupa i ff. 58v-139v e 141r-148v (il f. 140, vergato nel XII sec. e contenente un frammento di testo omiletico, è stato rilegato in questo codice per sbaglio); il primo componimento del secondo kontakion è ȉȠ૨ ıȤİįȠȖȡĮijİȞ ਕȡȤȩȝİȞȠȚ, cui seguono brani della vulgata moscopulea (tutti i rimanenti, tranne il nr. 9, ਝʌȩıIJȠȜȠȚ ਚȖȚȠȚ ʌȡİıȕİȪıĮIJİ e il nr. 11 ǹȜȠȣȡȠȢ İıȦ ȤİȚ઼Ȣ) frammisti a brani di classe II, III e ad altri propri della classe I. Al f. 148v si legge ਥIJİȜİȚȫșȘ IJઁ ʌĮȡઁȞ IJȞ İੁıĮȖȦȖȚțȞ ıȤİįȞ ȕIJ. 12 Per la descrizione del testimone (che ho consultato in situ) si vedano E. ROSTAGNO - N. FESTA, Indice dei Codici greci Laurenziani non compresi nel Catalogo del Bandini, in Studi Italiani di Filologia Classica 1 (1893), pp. 131-132; BROWNING, Il codice Marciano cit., pp. 2324; POLEMIS, ȆȡȠȕȜȒȝĮIJĮ cit., pp. 279-282; GIANNACHI, Per la storia dell’istruzione cit., p. 49. Il manoscritto, cartaceo, fu scritto nel XIV secolo da un Barlaam (« possibly to be identified with the friend of Petrarch, Barlaam of Calabria » a detta di KEANEY, A New Fragment cit., p. 174 nt. 9). Le carte misurano circa 145 x 225 mm, lo specchio di scrittura circa 115 x 170 mm. Non si riscontrano apprezzabili differenze di modulo nella grafia delle sezioni deputate ad accogliere le schede e in quelle contenenti il commento grammaticale (in queste ultime, però, l’interlinea è più fitta, e si contano fino a 30-32 linee di scrittura per pagina). Il foglio 1 è mutilo nella parte inferiore (con il commento al primo schedos). I notabilia marginali sono in parte di mano del copista che ha vergato il testo con inchiostro di colore marrone-grigio, in parte di altra mano (che usò un inchiostro nero). 13 Il manoscritto (che ho ispezionato in situ e su riproduzioni digitali consultabili sulla banca dati http://gallica.bnf.fr – ultimo accesso gennaio 2014), di piccolo formato, risale al XIV sec. Consta di 88 fogli cartacei di circa 210 x140 mm. Contiene il trattato sintattico di Michele Sincello, spiegazioni allegoriche dell’Iliade, versi di Niceta Eugeniano, Niceta Scutariota, Teodoro Prodromo e altro ancora. Negli ultimi fogli (79-88) sono copiati, spesso in forma di escerti, con una grafia minuta e fittissima, 14 brani schedografici che non ricorrono negli altri manoscritti salentini di classe Ia e Ib. Per una descrizione del cimelio si vedano H. OMONT, Inventaire sommaire des manucrits grecs de la Bibliothèque Nationale, III, Paris 1888, pp. 4-5; BROWNING, Il codice Marciano cit., p. 24; POLEMIS, ȆȡȠȕȜȒȝĮIJĮ cit., pp. 278-279 (con elenco degli incipit delle schede).
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M = München, Bayerische Staatsbibliothek, Monacensis gr. 27214 N = Paris, Bibliothèque Nationale de France, Parisinus gr. 257215 P = Paris, Bibliothèque Nationale de France, Parisinus gr. 257416
14 Codice pergamenaceo (che ho collazionato sulle riproduzioni digitali disponibili sul sito http://bsb-muenchen.de – ultima consultazione: gennaio 2014) di II + 123 fogli di mm 220 x 150, di cui i ff. da 59 a 121 rescripti (su fogli tratti da almeno due libri liturgici differenti, vergati nel secolo XI). L’attribuzione alla Terra d’Otranto del manufatto, su basi paleografiche e codicologiche, si deve a D. ARNESANO, Nota sui manoscritti di Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Graeci 272 e 320, in Sit liber gratus, quem servulus est operatus. Studi in onore di Alessandro Pratesi per il suo 90° compleanno, a cura di P. CHERUBINI – G. NICOLAJ, Città del Vaticano 2012, I, pp. 387-400; ivi, alle pp. 388-390, una dettagliata descrizione del codice, e alle pp. 393-394 un incipitario degli schede in esso contenuti (riproduzioni del ms. alle tavv. 1 p. 395 e 3 p. 397). La scrittura superiore (opera di un anonimo copista cui si devono anche altri manoscritti: ivi p. 389) è una « minuscola barocca » tipica delle scritture librarie otrantine (su cui cfr. D. ARNESANO, La minuscola « barocca ». Scritture e libri in Terra d’Otranto nei secoli XIII e XIV, Galatina 2008 [Università degli Studi di Lecce. Dipartimento dei Beni delle arti e della Storia. Fonti medievali e moderne, 12]), più posata per il testo dei componimenti schedografici, di modulo più ridotto e di andamento corsiveggiante per le note di commento e le glosse interlineari. Le lettere iniziali dei componimenti sono sovente ornate secondo lo stile salentino (ibid., p. 390). 15 Il manoscritto (che ho consultato in situ) è pergamenaceo, palinsesto, e consta di III + 120 fogli. È descritto in OMONT, Inventaire cit., III, p. 7 (« Manuelis Moschopuli schedographiae libri IV »); HOFFMANN, La décoration cit. Secondo la sottoscrizione del f. 120v, fu vergato da Giorgio di Aradeo, figlio del protopapas Leone, nel 1295-1296; su questo copista cfr. ARNESANO SCIARRA, Libri e testi di scuola cit., pp. 452-453; ARNESANO, La minuscola barocca cit., pp. 112-114 e 127. La silloge schedografica è divisa in tre sezioni (țȠȞIJȐțȚĮ), che iniziano rispetttivamente ai ff. 49v, 68r, 100v. I fogli misurano ca. 225 mm x 175 mm, lo specchio di scrittura ca. 160/170 mm x 120/130 mm. I margini ospitano rare annotazioni, perlopiù notabilia (anche di una mano diversa da quella del copista). Le lettere iniziali delle schede (con l’eccezione di quelle copiate al f. 117r-v) sono in ekthesis, di modulo esorbitante, decorate con elementi animali e vegetali, di colore rosso e nero. La scrittura è minuta, ma con interlinea spaziata per i componimenti schedografici; ancor più minuta e fitta per il commento (che può occupare fino a 40 linee per pagina). Le glosse interlineari, molto frequenti nelle prime schede, tendono a diradarsi progressivamente, senza scomparire del tutto: si alternano cioè schede con e senza glosse, mentre l’interlinea rimane ugualmente spaziata per tutti gli schede. La silloge è quella tràdita da BMP, ma depauperata da una considerevole lacuna (dovuta alla caduta di fogli) che comporta la mancanza qui degli items dal nr. 74 (ਜ਼ȞȠȞ ʌȠIJ IJȞ țĮȚȡȞ) al nr. 94 (੶ıʌİȡȠੂIJȞȖોȞਥȡȖĮȗȩȝİȞȠȚ) compresi della sequenza di B; mancano inoltre gli items nr. 68 e 116 (cfr. infra, nt. 19 e appendice ǿI). 16 Il manoscritto (che ho esaminato in situ) è descritto in OMONT, Inventaire cit., III, p. 7 (« Manuelis Moschopuli schedographia »). Confezionato nel 1290/91 (o 1295/6) dal medesimo Nicola Agiopetrita che copiò il Barb. gr. 102 (cfr. supra, nt. 11), anche questo codice è un membranaceo palinsesto (la scriptio inferior conteneva testi liturgici). I fogli misurano 220 x 135-140 mm circa; lo specchio di scrittura circa 170/180 x 100/105 mm. La pergamena dell’ultimo fascicolo (ff. 144-150) è scura, e la scrittura inferiore (in caratteri latini, trasversale rispetto a quella superiore) vi affiora ancora in molti punti, sì da ostacolare la lettura della scriptio superior. I primi due fogli contenenti il testo sono stati restaurati e rifilati, come pure alcuni altri. Il primo risulta tuttora molto danneggiato; al f. 115v la scrittura è completamente sbiadita. Il testo della schedografia è disposto secondo la mise en page già osservata negli altri testimoni salentini (testo delle schede in corpo maggiore e con interlinea più ampia ri-
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SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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Pal = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Palatinus gr. 9217 (vd. tavv. 4-5-6) V = Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Marcianus gr. 257 (coll. 622)18 spetto al testo del commento, che può occupare fino a 32 linee per pagina), anche se con una minore cura formale. Di norma le iniziali delle schede sono in rosso, e così pure talora anche quelle delle sezioni di commento (e occasionalmente quelle di ciascun lemma o sublemma del commento). Si riscontrano rare note marginali, perlopiù notabilia (una mano diversa da quella di Nicola ha scritto, in inchiostro nero, ijȡĮȞțȓıțȠȣ al f. 1r; al f. 21r un’altra mano ha vergato due notabilia di modulo maggiore, con inchiostro nero più spesso e circondati da un tratto di penna rettangolare) o saltuarie indicazioni sulla paternità di un componimento (come al f. 102v e 103v, dove si legge ȂȠıȤȠʌȠȪȜȠȣ accanto agli schede nr. 31 e 33 del regesto che pubblico infra – in effetti comuni alla collezione moscopulea). Le noticine interlineari degli schede esibiscono una scrittura meno formale, compendiaria, dal ductus più sottile, ma che sembra comunque potersi ricondurre al medesimo Nicola Agiopetrita (come suggerisce anche l’identità dell’inchiostro impiegato); esse ricorrono numerose nei primi dieci componimenti della sequenza canonica, per poi scomparire quasi del tutto a partire dallo schedos successivo (nr. 11, ਯȤİ ਥʌ ȜȠȖȚıȝȞ, f. 66v; sporadiche glosse interlineari ricorrono nelle schede dei ff. 104r-106, 123r, 125r e 125v ecc.). Ai ff. 148v-150v si legge un indice degli incipit delle schede, in grafia minutissima, inquadrati in una sorta di griglia (vergata in rosso e nero). 17 All’ultimo ventennio o quarto del XIII secolo si data anche la silloge del Pal. gr. 92 (che ho collazionato in situ), per la cui descrizione si ricorra a H. STEVENSON, Codices manuscripti Palatini graeci Bibliothecae Vaticanae, Romae 1885, p. 46; GALLAVOTTI, Nota cit., pp. 21-30; VASSIS, ȉࠛȞ ȞȑȦȞ ijȚȜȠȜȩȖȦȞ ʌĮȜĮȓıȝĮIJĮ cit., pp. 38-68. Il codice, cartaceo, comprende 239 fogli ed è mutilo della fine. Questa foltissima antologia contiene 425 schede divise in due parti: la prima comprende una versione rielaborata della silloge della classe Ia, la stessa di BMNP; la seconda, più corposa sezione, che occupa i ff. 122v-239v, reca un’altra ampia silloge di componimenti, che coprono quasi tutti i generi di esercizio possibili (‘antistoici’, differentiae verborum, mythoi, ekphraseis, meletai ed esercizi di altro genere opportunamente ricavati da autori profani, oltre che dai Vangeli, dai Padri, dagli Apophthegmata Patrum e testi liturgici ecc.); grazie al fatto che dei componimenti viene perlopiù registrato il nome dell’autore, questa antologia costituisce una delle fonti più preziose per lo studio della schedografia bizantina (VASSIS, ȉࠛȞ ȞȑȦȞ ijȚȜȠȜȩȖȦȞ ʌĮȜĮȓıȝĮIJĮ cit., pp. 45-63 ha fornito un dettagliato regesto degli schede di questa seconda sezione del codice). Chi promosse la compilazione di questa ponderosa opera di consultazione – al cui allestimento parteciparono più copisti (per quanto riguarda la prima sezione del codice, un cambio di mano si riscontra all’altezza del f. 183r, dove la scrittura si fa più squadrata e di modulo più piccolo, la mise en page meno ariosa e l’interlinea più fitta) – probabilmente la intese come una summa della manualistica schedografica disponibile al tempo in Terra d’Otranto. Le schede di classe Ia confluite nella prima parte del volume figurano in un ordine mutato rispetto a quello degli altri codici d’area salentina, e furono probabilmente attinte a più antigrafi, come fa supporre il caso del medesimo schedos ȆȠIJIJȞțĮȚȡȞȝ૨ȢIJȚȢ copiato dalla stessa mano ai f. 62v e 119v (peraltro senza significative differenze testuali per quanto riguarda il componimento propriamente detto; tuttavia alla prima occorrenza il testo reca note interlineari e un commento grammaticale molto dettagliato, che occupa i ff. 63r-65r; nel secondo caso, invece, mancano le glosse interlineari e il commento si riduce a una decina di righe). Molte schede sono prive di glosse interlineari. 18 Il manufatto (che ho esaminato in situ) è descritto da E. MIONI, Codices Graeci manuscripti Bibliothecae divi Marci Venetiarum, I. Thesaurus antiquus. Codices 1-299, Roma 1981, pp. 371-373; cfr. inoltre ARNESANO SCIARRA, Libri e testi di scuola cit., p. 465 nt. 213. Il volume, miscellaneo fattizio, cartaceo, di inizio XIV secolo, versa in un precario stato di conser-
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BMNP tramandano la schedografia di classe Ia, il ramo più antico della tradizione schedografica secondo la classificazione di Keaney. I quattro testimoni costituiscono una famiglia caratterizzata da una notevole stabilità di contenuti (riportano sostanzialmente la medesima serie di componimenti nello stesso ordine, come risulta dalla mia collazione)19 e da affinità di tipo paratestuale (mise en page, ornamentazione)20 e codicologico (sono tutti palinsesti realizzati reimpiegando libri liturgici) 21. Essi furono prodotti, probabilmente in serie, all’interno del medesimo milieu scolastico-erudito salentino di fine Duecento. Pal è invece un rappresentante della classe Ib per quanto concerne la prima sezione del manoscritto (ff. 1-122r), che comprende 65 schede presenti anche nei summenzionati manoscritti di classe Ia con l’aggiunta di numerose altre schede (registrate nel secondo incipitario che pubblico in calce a questo contributo); la seconda sezione del manoscritto, invece, contiene una ricca raccolta di schede non attestata dagli altri testimoni vazione (nonostante un restauro effettuato presso l’abbazia di Grottaferrata). Contiene opere di Alessandro di Afrodisia, Cassio Iatrosofista, brani di scritti aristotelici e di commentatori aristotelici (Damascio, Eustrazio di Nicea, ecc.) e altro. La sezione di provenienza salentina corrisponde ai ff. 256-283 (ARNESANO, ibid., con indicazione degli altri codici riconducibili alla medesima mano, da lui indicata come quella di un “Anonimo 8” attivo nella seconda parte del XIII secolo) e contiene un commento al De interpretatione aristotelico, due vite di Aristotele e un frammento di schedografia. Ai ff. 280-283v si legge il primo schedos della serie attestata negli altri testimoni salentini (inc. ȀȪȡȚİ ૅǿȘıȠ૨ ȋȡȚıIJȑ) con commento a seguire. I fogli che contengono lo schedion misurano circa 275 x 180 mm. La mise en page è quella riscontrata anche negli altri testimoni schedografici qui esaminati: la scrittura del componimento schedografico è distesa e con interlinea ampia, quella del commento grammaticale, che inizia al medesimo f. 280r, minuta e fitta (anche 43 linee di scrittura per pagina). Nei fogli del commento lo specchio di scrittura tende ad allargarsi nei margini esterni. Il commento finisce al f. 283v e lo spazio seguente (corrispondente a circa tre quarti della pagina) è bianco: quindi con buona probabilità il copista trascrisse soltanto il primo schedos della raccolta. 19 P, che sembra essere il testimone più completo di questa silloge, reca 128 componimenti; di questi, 126 ricorrono nel medesimo ordine in B (che omette il nr. 98 di P, inc. ǻİ૨ȡȠįIJȞǺȘșȜİμ țĮIJĮȜȚʌȩȞIJİȢ – condiviso dal solo N – e l’ultimo della serie, il nr. 128 di P, inc. ȈȒȝİȡȠȞਕȞʌȜȐIJȘIJȞȕȡȠIJȞ, presente sia in M che in N), in M (dove mancano i nr. 1 – verosimilmente a causa della caduta del primo foglio –, 68, 98, 99 e 100 della serie di P = 68, [vacat], 99 e 100 della serie di B), e con omissioni più significative in N (dove mancano gli items nr. 68, 74-94 di BP, e il nr. 117 di P [116 B]). 20 Come abbiamo già osservato, sia in BMNP che negli altri testimoni salentini il testo del componimento schedografico è di norma vergato con una grafia dal ductus relativamente posato, con un moderato impiego di segni tachigrafici, con un’interlinea ampia, tale da poter accogliere interpretamenta (perlopiù sinonimi) e domande inerenti il valore grammaticale o la funzione sintattica delle parole sottostanti. La presenza di queste ultime potrebbe indicare che l’insegnamento era impartito, almeno in parte, in forma erotematica. 21 Secondo una tendenza ben attestata ancora nel XV secolo, cui datano molti codici rescripti contenenti schedografia ed erotemata moscopulei: cfr. E. GAMILLSCHEG, Zur handschriftlichen Überlieferung byzantinischer Schulbücher, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 26 (1977), pp. 211-230: 213-216.
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SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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salentini22. C contiene 28 schede di classe Ia, in larga parte comuni alla sezione iniziale della raccolta di BMNP, con l’aggiunta di numerose altre. A, E e V sono testimoni troppo parziali perché li si possa attribuire all’una o all’altra classe. Nel Salento medievale circolavano, dunque, diverse tipologie di raccolte sched ografiche, tra cui quella di maggiore diffusione pare essere stata – stando all’evidenza manoscritta – quella di classe Ia. La collazione di un campione – invero assai ristretto – di schede comuni ai vari testimoni (i cui risultati si possono verificare negli apparati degli specimina qui di seguito riportati) mi ha permesso di constatare che il testo dei componimenti schedografici veri e propri, cioè dei brani che venivano fatti oggetto di analisi, è decisamente stabile, al contrario di quello delle sezioni dedicate al commento linguistico-grammaticale: nel ricopiare queste parti, evidentemente, i compilatori si sono sentiti meno vincolati al testo di partenza, e lo hanno spesso integrato, sintetizzato e riformulato secondo le proprie esigenze23. Questi interventi devono almeno in parte ricondursi a maestri/copisti che dovettero servirsi di questi libri « per approntare esercizi e lezioni »; tuttavia, benché sia chiaro il legame tra questi libri e un’attività di insegnamento e apprendimento, essi non recano « indizi di uno studio intenso, di una fruizione sincronica da parte di più lettori »24. Non vi si rinvengono, infatti, annotazioni di mani altre rispetto a quelle che hanno vergato il corpo del testo e del commento, se non nella forma di rari notabilia25: in altre parole, non vi si trovano note riconducibili a scolari a maestri. Del resto è noto come, nella maggioranza dei casi, i discenti non disponessero di libri propri26; quanto ai professori, probabilmente essi si servivano di 22 KEANEY, A New Fragment cit., p. 174. Per i contenuti della seconda sezione rimando alla bibliografia citata supra, nt. 17. 23 Si può quindi convenire che « ciò che conosciamo sono […] dei libri di scuola, ma non il libro di scuola, che nel Salento, come anche altrove, forse non ebbe mai una propria, stabile fisionomia » (ARNESANO SCIARRA, Libri e testi di scuola cit., p. 429; corsivi nell’originale). 24 ARNESANO SCIARRA, Libri e testi di scuola cit., p. 426. Si può supporre che di volta in volta i maestri che utilizzavano queste sillogi abbiano riproposto le schede così come le trovavano nelle sillogi, le abbiano rimaneggiate, o abbiano improvvisato variazioni sul tema; è comunque certo che alcuni di essi composero schede originali (sono diversi i casi attestati, da Droso di Aradeo a Stefano di Soleto, a Stefano di Nardò: in proposito mi limito a rinviare a GIANNACHI, Per la storia dell’istruzione cit.; e al contributo del medesimo studioso contenuto in questo stesso volume). 25 Se in alcuni manoscritti si riscontrano aggiunte, esse costituiscono nuove unità codicologiche e testuali, come nel caso del componimento schedografico di Nicola di Soleto accorpato alla silloge del ms. Vat. Barb. gr. 102. 26 Come ricorda RONCONI, Quelle grammaire cit., pp. 70-71 (si veda anche la bibliografia citata ivi alle nt. 30-33), molti indizi suggeriscono che gli studenti non possedessero libri; l’insegnamento, sia durante l’epoca tardoantica che durante quella propriamente medievale, aveva carattere prevalentemente orale, e i giovani prendevano i loro appunti su supporti
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queste sillogi come di testi di riferimento, opere-contenitori da cui potevano attingere uno o più esercizi da dettare in classe, così come li avevano a loro volta trascritti (e all’occorrenza rimaneggiati) su taccuini o fogli volanti. Non siamo dunque in presenza di libri inutilizzati, ma, con ogni verosimiglianza, di copie di consultazione che di prassi non venivano annotate27. Come osservava Robert Browning in un passo molto citato di un seminale studio sull’istruzione nel mondo bizantino, per fare una scuola servono un maestro e degli studenti, mentre si può anche fare a meno dei libri28; noi però siamo nella condizione di poter interrogare solo questi ultimi, i quali purtroppo, nel caso in esame, non ci aiutano a ricostruire un quadro completo dell’insegnamento e della vita di classe nella Terra d’Otranto di XIII-XIV secolo. In mancanza di note estemporanee lasciate da docenti e discenti sui margini di questi volumi, numerosi interrogativi sono destinati a restare senza risposta. Ad esempio, sarebbe interessante sapere se e come venissero interpretati quei brani schedografici che evocano realtà lontane – nello spazio e nel tempo – e prive di agganci con la vita quotidiana del Salento medievale, quali ad esempio le competizioni di schedografia che si svolgevano nelle scuole costantinopolitane dei secoli XI-XII o le corse dei carri e cavalli o altre gare sportive29. deperibili (fogli volanti e altro). Del resto, fin dal suo primo apparire nel secolo XI l’insegnamento della schedografia « non necessitava di libri […]. Per l’esercizio schedografico bastavano tavolette, o cascami di pergamena, magari talora di riutilizzo »; anche i maestri trascrivevano su fogli e quaderni « gli esercizi destinati agli scolari » (così G. CAVALLO, Oralità scrittura libro lettura. Appunti su usi e contesti didattici tra antichità e Bisanzio, in DEL CORSO PECERE, a cura di, Libri di scuola, cit., I, pp. 11-36: 19, che si riferisce alla testimonianza fornita dall’anonimo autore del componimento giambico concernente la Scuola dei Santi Quaranta Martiri di Costantinopoli studiato da G. SCHIRÒ, La schedografia a Bisanzio nei sec. XI-XII e la scuola dei SS. XL martiri, in Bollettino della Badia greca di Grottaferrata 3 (1949), pp. 11-29; nel passo in questione, ivi, p. 28, si legge appunto del įİȜIJȐȡȚȠȞ del docente, da cui proviene il nutrimento intellettuale del discepolo). 27 Si veda il caso analogo dei manoscritti contenenti la schedografia e gli Erotemata moscopulei esaminati da GAMILLSCHEG, Zur handschriftlichen Überlieferung cit., e D. BIANCONI, Erudizione e didattica nella tarda Bisanzio, in DEL CORSO PECERE, a cura di, Libri di scuola, cit., II, pp. 475-512: 481-484. 28 R. BROWNING, Literacy in the Byzantine World, in Byzantine and Modern Greek Studies 4 [Essays Presented to Sir Steven Runciman] (1978), pp. 39-54: 46 (ora in ID., History, Language and Literacy in the Byzantine World, Northhampton 1989, VII [Variorum Collected Studies series 299]). 29 Un interessante schedos in proposito si legge in Pal al f. 186r: l’insegnante rimprovera gli studenti per i loro frequenti ritardi, dovuti al fatto che essi antepongono al bene dello studio l’interesse per le gare di cavalli e per le palestre. Per le gare schedografiche che si sarebbero tenute nella scuola dei santi Quaranta martiri di Sebaste si veda SCHIRÒ, La schedografia a Bisanzio cit., pp. 18-23 (ivi, p. 23, lo studioso osserva che quando le fonti menzionano la partecipazione alle competizioni di soli due studenti, si riferiscono probabilmente ai due migliori allievi della scolaresca); GALLAVOTTI, Nota cit., p. 20 sembra ritenere che simili
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Pubblico in questa sede un regesto degli incipit dei componimenti della silloge del Vat. Barb. gr. 102 (B), che ho riscontrato sugli altri testimoni di provenienza otrantina (sia quelli riconducibili allo stesso ramo di tradizione, ovvero MNP, sia gli altri; di Pal ho preso in considerazione soltanto la prima sezione, quella non contemplata nello studio sopra menzionato di Vassis) 30; ad esso faccio seguire un secondo incipitario, alfabetico, che contempla anche tutte le schede non contenute nella silloge attestata da BMNP, ma soltanto dalla prima parte di Pal. Questi strumenti potranno forse essere di qualche utilità a chi voglia intraprendere uno studio approfondito della trasmissione di questa silloge in particolare, e più in generale della tradizione schedografica. Aggiungo anche, a titolo esemplificativo, l’edizione di cinque componimenti. APPENDICI Sigla A = ASMo, Frammenti B(usta) 12, nn. 17-20 B = BAV, Barb. gr. 102 C = BML, Conv. soppr. 2 E = BNF, gr. 2556 M = BSB, gr. 272 N = BNF, gr. 2572 P = BNF, gr. 2574 Pal = BAV, Pal. gr. 92 V = BNVe, Marc. gr. 257 (coll. 622) St = ed. Stephanus 1545
I. Specimina di schede collazionate sui testimoni salentini Dei cinque brani qui allegati, i primi quattro sono propri della silloge di classe Ia e ricorrono singolarmente anche in testimoni salentini non riconducibili a questo ramo di tradizione (alcuni fanno parte della vulgata moscopulea); l’ultimo è tratto da C e Pal (classe Ib). Ho trascritto il testo delle schede e degli scoli interlineari. Ho omesso il commento grammaticale, che costituisce la parte meno stabile del testo, quella cioè maggiormente soggetta a rielaborazioni e rimaneggiamenti da parte dei vari redattori/copisti. Nella trascrizione ho normalizzato l’ortografia31 gare potessero svolgersi ancora nel Salento di XIII-XIV secolo: ma questo non mi pare conciliabile con quanto sappiamo sui numeri probabilmente ridottissimi di allievi delle scuole domestiche, di cui si è detto supra, nt. 8. 30 VASSIS, ȉࠛȞȞȑȦȞijȚȜȠȜȩȖȦȞʌĮȜĮȓıȝĮIJĮ cit. 31 Ho sempre segnalato in apparato, tra le varianti, le grafie scorrette recate da alcuni testimoni. È opinione condivisa (cfr. POLEMIS ȆȡȠȕȜȒȝĮIJĮ cit. e VASSIS, ȉࠛȞ ȞȑȦȞ ijȚȜȠȜȩȖȦȞ ʌĮȜĮȓıȝĮIJĮ cit.; la questione è ripresa da GIANNACHI, Per la storia dell’istruzione cit., p. 112 e nt.
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e l’interpunzione (ad. es. integrando dopo le domande che in alcuni testimoni introducono gli scoli interlineari il segno « ; » di norma omesso nei codici). 1. 7Ƞ૨ıȤİįȠȖȡĮijİȞਕȡȤȩȝİȞȠȚȠੂȠȞİȓ IJȚȕȐșȡȠȞțĮșİȝȑȜȚȠȞțȐȜȜȚıIJȩȞIJİțĮੂıȤȣȡȩIJĮIJȠȞ IJȞ ਫ਼ȝİIJȑȡĮȞ ȕȠȒșİȚĮȞ IJȠ૨ ıȦIJોȡȠȢ șİȚȩIJĮIJȠȚ țȒȡȣțİȢ ʌȡȠȕĮȜȜȩȝİșĮ ਥʌȚțİțȜȘȝȑȞȠȚ IJȞ ਫ਼ȝȞ IJȞ țȠȡȣijĮȓȦȞ IJȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ ȝĮșȘIJȞ țĮ ਕȡȤȘȖȞ IJોȢ ʌȓıIJİȦȢ ਕȡȦȖȞ Ƞ țĮ ਲȝȞ ਕȡȒȖȠȚIJİ ijȢ ʌĮȡȑȤȠȞIJİȢ ȖȞȫıİȦȢ țĮ ʌ઼ıĮȞ ıIJȡȠijȞ İੁȜȚȖȝĮIJȫįȘ IJȠ૨ ıȤȑįȠȣȢ șİȓȘIJȘ İȝĮȡોāਫ਼ȝȞȖȡ ਕȞĮșȑȝİȞȠȚIJȞਥȜʌȓįĮਥȖȤİȚȡȠ૨ȝİȞIJIJȠȚȠȪIJਥȖȤİȚȡȒȝĮIJȚ Testimonia: B f. 58v, C f. 38r, M ff. 40v-41r, N ff. 49v-50r, P f. 59r, Pal f. 21v, St p. 108 Variae lectiones IJȠ૨ıȦIJોȡȠȢ@੯ IJı6W_ʌȡȠȕĮȜȜȩȝİșĮ B Pal PSFSt: ʌȡȠȕȐȜȜȠȝİȞ CMN, PDF| IJȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ ȝĮșȘIJȞRP3DO_İੂȜȚȖȝĮIJȫįȘ Pal St: ੂȜȚȖȝĮIJȫįȘ B: ਦȜȚȖȝĮIJȫįȘ CMNP Scholia >OLWWHULVHYDQLGLV0@ıȤİįȠȖȡĮijİȞ@IJȠ૨ IJȓ ʌȠȚİȞ; CN : țĮIJ Ȗȡ ıȤȑįȘ Ǻ : țĮ IJȠ૨ ȖȡȐijİȚȞ IJȠ૨ ıȤȑįȠȣȢ C : țĮ ıȤȑįȘ ȖȡȐijİȚȞ N | ਕȡȤȩȝİȞȠȚ@IJȓ ʌȠȚȠȪȝİȞȠȚ; N : IJȓ ʌȠȚȠ૨ȞIJİȢ; C; țĮ ਕȡȤȞ ʌȠȚȠȪȝİȞȠȚ ਵȖȠȣȞ ਲȝİȢ C : țĮ ਕȡȤȞ ȜĮȝȕȐȞȠȞIJİȢ N | ȠੂȠȞİ@țĮșઅȢ BCNP (ıȘȝİȓȦıĮȚ țĮ ț C) | ȕȐșȡȠȞ@șİȝȑȜȚȠȞ P | șİȝȑȜȚȠȞ@ıIJİȡȑȦȝĮ B | țȐȜȜȚıIJȠȞ@ʌȠIJĮʌȩȞ; N : țĮ İȤȡȘıIJȩIJĮIJȠȞ C | țĮ ੂıȤȣȡȩIJĮIJȠȞ@ țĮ ਙȜȜȠȞ ʌȠIJĮʌȩȞ; N : țĮ ıIJİȡİȫIJĮIJȠȞ C : țĮ ੩ȤȣȡȩIJĮIJȠȞ & VFLO ੑȤȣȡȫIJĮIJȠȞ): (țĮ B) ȜȓĮȞ ੂıȤȣȡઁȞ BP | IJȞ ਫ਼ȝİIJȑȡĮȞ@ʌȠȓĮȞ; CN | ȕȠȒșİȚĮȞ@IJȓȞĮ; C(M)N : țĮ ਕȡȠȖȞ C | IJȠ૨ ıȦIJોȡȠȢ@IJȓȞȠȢ; C(M)N | șİȚȩIJĮIJȠȚ@ʌȠIJĮʌȠȓ; (?) N : (țĮ N) șĮȣȝĮıIJȩIJĮIJȠȚ MNP : șĮȣȝĮıIJRIJȐIJ%_țȒȡȣțİȢ@੯CNM : țĮįȠȖȝĮIJȚıIJĮ C | ʌȡȠȕĮȜȜȩȝİșĮ@IJȓʌȠȚȠ૨ȝİȞ; CN : țĮʌȡȠIJȓșİȝİȞ C(M)N (ĮੁIJȚDGGC) : țĮʌȡȠȕĮȜȜȩȝİșĮ C : ਥʌȚțİțȜȘȝȑȞȠȚ@IJȓʌȠȚȠȪȝİȞȠȚ; N : IJȓʌİʌȠȚȘțȩIJİȢ; C : țĮțĮȜȠ૨ȞIJİȢĮੁIJȚāC : ਥʌȚțĮȜȠȪȝİȞȠȚ CMNP (țĮ CN) : ਥʌȚțĮȜȠ૨ȞIJİȢ B | IJȞ@IJȓȞĮ; N | ਫ਼ȝȞ@IJȓȞȦȞ NC | IJȞțȠȡȣijĮȓȦȞ@ʌȠȓȦȞ; N : țĮʌȡȠțȡȓIJȦȞ NC : țĮIJȞ ਥțȜȒțIJȦȞLHਥțȜİțIJȞ B | IJȠ૨ȋȡȚıIJઁȢ@IJȓȞȠȢ CMN | ȝĮșȘIJȞ@ʌȠȓȦȞ; N : țĮਲȖİȝȩȞȦȞ BCNP (țĮ omP) : țĮȝȪıIJȦȞ (?) C | țĮਕȡȤȘȖȞ@ਙȜȜȦȞ N : țĮਙȜȜȦȞʌȠȓȦȞ; CM | IJોȢ ʌȓıIJİȦȢ@IJȓȞȠȢ; CMN | ਕȡȦȖȞ@IJȓȞĮ; CN : ȕȠȒșİȚĮȞ BCMNP (țĮȕB : țĮIJȞȕ MN) | Ƞ@ ȠIJȚȞİȢ BCMNP (țĮȠC); ਫ਼ȝİȢਵȖȠȣȞȠੂਕʌȩıIJȠȜȠȚ N ਫ਼ȝİȢ੯ਚȖȚȠȚਕʌȩıIJȠȜȠȚ C(M) | ਲȝȞ@ IJȓıȚȞ; MNC (țĮIJC) | ਕȡȒȖȠȚIJİ@țĮਗȞ>«@C : ȕȠȘșİIJİ BCMNP (țĮȕC İșİȕ MN) | ijȢ@ IJȓ; C : țĮȜȜĮȝȥȚȞ (M)N | ʌĮȡȑȤȠȞIJİȢ@IJȓʌȠȚȠ૨ȞIJİȢ; CN : įȓįȠȞIJİȢ BCNP (țĮį BC) : įȠIJ C | ȖȞȫıİȦȢ@IJȓȞȠȢ; CN : ȞȠȒıİȦȢ CNP (țĮȞNC) : țĮȝĮșȒıİȦȢ B | ʌ઼ıĮȞ@țĮȜȘȞ CMN | ıIJȡȠijȞ@țĮ ıȪıIJİȜȥȚȞ (?) C : ʌȜȠțȞ MNP (țĮ ʌ MN) | İੂȜȚȖȝĮIJȫįȘ@ʌȠIJĮʌȒȞ (M)N : ıȣȞİıIJȡĮȝȝȑȞȘȞ P : țĮįȚİıIJȡĮȝȝȑȞȘȞ C : țĮįȪıțȠȜȠȞ BCN | IJȠ૨ıȤȑįȠȣȢ@IJȓȞȠȢ; CMN : țĮ 41) che, in alcuni casi almeno, gli autori o i copisti di componimenti schedografici abbiano potuto inserirvi a bella posta errori di ortografia e grammatica, lasciando poi agli scolari il compito di ricostruire la forma originale e corretta del testo (una prassi che si spiegherebbe più facilmente supponendo che i testi venissero fatti copiare, piuttosto che dettati ai discenti); di conseguenza, nel pubblicare questi testi, sarebbe opportuno affiancare all’edizione vera e propria una trascrizione diplomatica, che permetta di apprezzarne la facies originaria, quella cioè volutamente scorretta.
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IJોȢıȤİįȠȖȡĮijȓĮȢțĮIJોȢȖȡĮijોȢ C | șİȓȘIJȘ@ʌȠȚȒıĮȚIJİ B : ʌȠȚȒıȠȚIJİ P : țĮİșİțĮʌȠȚȒıȠȚIJİ (M)N : țĮĮ>«@țĮʌȠȚȒıİIJİ C | İȝĮȡો@ʌȠįĮʌȒȞ; CN : ʌȠIJĮʌN : İțȠȜȠȞ BC(M)NP (țĮ İ CN) | ਫ਼ȝȞ@IJȓıȚȞ; CMN | Ȗȡ@IJȚ C | ਕȞĮșȑȝİȞȠȚ@IJȓʌȠȚȘıȐȝİȞȠȚ; C : IJȓʌȠȚȠ૨ȞIJİȢ; nisi fallor M : ਵȖȠȣȞਲȝİȢĮੁIJ C : ਕȞĮȕĮȜȩȞIJİȢ P | IJȞਥȜʌȓįĮ@IJȓȞĮ; CN | ਥȖȤİȚȡȠ૨ȝİȞ@IJȓʌȠȚȠ૨ȝİȞ; CN : țĮਥʌȚȤİȚȡȠ૨ȝİȞ CN țਥ (įȠIJC) : țĮਥʌȚȕȐȜȜȠȝİȞB : țĮਥʌȚȕĮȜȜȩȝİȞȠȚ P | IJIJȠȚȠȪIJ ਥȖȤİȚȡȒȝĮIJȚ@ʌȠȓ; MN : IJȓȞȚ; N : ਵȖȠȣȞIJıȤİįȠȖȡĮijİȞMNP | ਥȖȤİȚȡȒȝĮIJȚ@țĮIJȡȖ N : țĮਥʌȚȤİȚȡȒȝĮIJȚ C Traduzione Iniziando a comporre queste schede, imploriamo il vostro aiuto, o divinissimi araldi del Salvatore, come fondamento e base ottima e saldissima, e invochiamo soccorso da voi, che siete i primi discepoli di Cristo e gli iniziatori della fede: venite in nostro aiuto, fornendoci la luce della conoscenza, e vogliate rendere scorrevole ogni periodo involuto delle nostre schede. È riponendo in voi ogni speranza che intraprendiamo cotanta impresa. Note KEANEY, A New Fragment cit., p. 174 fornisce una trascrizione del componimento che non collima in diversi punti con questa mia edizione (a partire dall’incipit: ਕȡȤȩȝİȞȠȚ IJȠ૨ ıȤİįȠȖȡĮijİȞ). La scheda ha evidente funzione proemiale (caratteristica, in questo senso, è l’invocazione agli apostoli, o agli evangelisti, cui si addice l’appellativo di țȒȡȣțİȢaltrove vengono invocati santi protettori e patroni, talora in associazione con ricorrenze particolari, come nel caso della poesia di Giovanni Eucaita scritta in occasione dell’inaugurazione di competizioni schedografiche: in proposito SCHIRÒ, La schedografia a Bisanzio cit., pp. 17-20), ed è infatti preceduta in alcuni manoscritti (BNP) dall’indicazione di incipit del secondo contacio della raccolta, mentre in C occupa il secondo posto del secondo contacio. A quanto mi consta İੂȜȚȖȝĮIJȫįȘȢ è un hapax (sono attestate le forme ਦȜȚȖȝĮIJȫįȘȢ, İȜȚȖȝĮ e İੂȜȚȖȝȩȢ): non di rado i testi schedografici contengono nuovi conii o parole non attestate: la ricerca lessicografica e linguistica che sta alla base di questa produzione tende a esplorare tutte le pieghe teoricamente possibili del linguaggio. Le parole ȠੂȠȞİIJȚȕȐșȡȠȞțĮșİȝȑȜȚȠȞțȐȜȜȚıIJȠȞIJİțĮੂıȤȣȡȩIJĮIJȠȞ dovevano costituire una frase fatta, che ricorre, e. g., in un trattatello dogmatico risalente al XIII o XIV secolo (ed. L. SILVANO, Un inedito opuscolo « De fide » d’autore incerto già attribuito a Massimo Planude, in Medioevo greco 10 [2010], pp. 227-261: 251, ll. 7-8). 2. ਝIJȡİȓįȘȢ ਝȖĮȝȑȝȞȦȞ IJઁȞ IJોȢ ȋȡȣıȘǸįȠȢ ȡȦIJĮ IJȞ ıIJİȝȝȐIJȦȞ IJȠ૨ ਝʌȩȜȜȦȞȠȢ ʌȡȠIJȚȝȩIJİȡȠȞਲȖȘıȐȝİȞȠȢțĮIJʌĮIJȡȋȡȪıૉIJȞİੁȡȘȝȑȞȘȞʌĮįĮȝਕʌȠįȠȪȢȜȠȚȝȫįȠȣȢ ਕȡȡȦıIJȓĮȢIJȠȢਝȤĮȚȠȢțĮșȓıIJĮIJĮȚĮIJȚȠȢȞੑȡȖȚıșİȢȁȘIJȠǸįȘȢਥʌȒȞİȖțİțĮIJોȢıIJȡĮIJȚ઼Ȣ IJઁʌȜİıIJȠȞįȚȑijșİȚȡİ Testimonia: B f. 98r, C f. 76v, M f. 75v, N ff. 86r-87r, P f. 98r, Pal f. 55v, St p. 197 Variae lectiones ਕȡȡȦıIJȓĮȢ CMNP: ਕȡȡȠıIJȓĮȢ BPal | įȚȑijșİȚȡİ BMNP: įȚȑijșİȚȡİȞ CPal | ਝʌȩȜȜȦȞȠȢ CM: ਝʌȩȜȜȠȞȠȢUHOO Scholia ਝIJȡİȓįȘȢ@ʌȠȠȢ; ȣੂઁȢ IJȠ૨ ਝIJȡȑȦȢ CMN | ਝȖĮȝȑȝȞȦȞ@IJȓȢ; CMN | IJોȢ ȋȡȣıȘǸįȠȢ@ IJȓȞȠȢ; CMN : IJોȢ ʌĮȚįઁȢ IJȠ૨ ȋȡȪıȠȣ B : IJોȢ șȣȖĮIJȡઁȢ IJȠ૨ ȋȡȪıȠȣ C | ȡȦIJĮ@IJȓȞĮ; CMN : IJȞ
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ਕȖȐʌȘȞ MN : țĮ IJȞ ਥʌȚșȣȝȓĮȞ C : ʌȩșȠȞ Pal | IJȞ ıIJİȝȝȐIJȦȞ@IJȓȞȦȞ; MN : ਫ਼ʌȡ IJȓȞȦȞ; C : țĮ IJȞ ıIJİijȐȞȦȞ C | IJȠ૨ ਝʌȩȜȜȦȞȠȢ@IJȓȞȠȢ; CMN | ʌȡȠIJȚȝȩIJİȡȠȞ@IJȚȝȚȫIJĮIJȠȞ B : țĮțȡİȓIJIJȠȞĮ C : țĮțĮȜȜȚȫIJİȡȠȞMN | ਲȖȘıȐȝİȞȠȢ@IJȓʌȠȚȒıĮȢ; C : ȜȠȖȚıȐȝİȞȠȢ BPal : țĮȞȠȝȓıĮȢ CMN (ț ȞĮȚIJ C) | țĮIJʌĮIJȡ@IJȓıȚ; N : IJȓȞȚ; țĮIJȖİȞȞȒIJȠȡȚ C | ȋȡȪıૉ@ʌȠȓ; ਵȖȠȣȞIJੂİȡİ C | IJȞ İੁȡȘȝȑȞȘȞ@țĮȜİȜİȖȝȑȞȘȞ CMN (țIJȞȜ MN) | ʌĮįĮ@țĮșȣȖĮIJȑȡĮ C : IJȞȋȡȣıȘǸįĮ MN (ਵȖȠȣȞIJȋN) | ȝਕʌȠįȠȪȢ@țĮਕʌȠıIJȡȑȥĮȢįȦIJĮȚIJ C : țĮȝਕʌȠįȫıĮȢ N | ȜȠȚȝȫįȠȣȢ@ ʌȠįĮʌોȢ; C : ȜȠȚȝȠȪȢ B : ȜȠȚȝȚțȠȪȢ Pal : țĮȜȠȚȝȚțોȢ CMN | ਕȡȡȦıIJȓĮȢ@IJȓȞȠȢ; țĮȞȠıȒȝĮIJȠȢ C : țĮȞȩıȠȣ MN | IJȠȢਝȤĮȚȠȢ@IJȓıȚ; CM : țĮIJȠȢ ਰȜȜȘıȚ CMN | țĮșȓıIJĮIJĮȚ@IJȓʌȠȚİIJĮȚ; C : țĮਫ਼ʌȐȡȤİȚ MN : ȖȓȞİIJĮȚ PPal : țĮȖȓȞİIJĮȚıȘ>«@C | ĮIJȚȠȢ@ʌȡȩȟİȞȠȢ BMP (țĮʌ M) | Ȟ@ ȞȩıȠȞ B : țĮIJȞਕȡȡȦıIJȓĮȞ M | ੑȡȖȚıșİȢ@țĮșȣȝȠșİȢ C : țĮȤȠȜȦșİȢ M | ȁȘIJȠǸįȘȢ@ਲ਼ ਝʌȩȜȜȦȞ B : țĮIJોȢȁȘIJȠ૨Ȣ MPal | ਥʌȒȞİȖțİ@țĮਥʌȑijİȡİ CMN | țĮIJોȢıIJȡĮIJȚ઼Ȣ@IJȓȞȠȢ; C : țĮIJȠ૨ıIJȡĮIJȠ૨ MȃIJȠ૨IJȐȖȝĮIJȠȢ BCPal (țĮIJIJ C) | IJઁʌȜİıIJȠȞ@IJઁIJȓ; C : țĮIJઁʌȠȜઃ MN : țĮʌİȡȚııȩIJİȡȠȞ C | įȚȑijșİȚȡİ@țĮਕʌȫȜİıİȞCMN Traduzione L’Atride Agamennone, poiché antepose l’amore per Criseide al rispetto dovuto alle insegne di Apollo e non restituì la suddetta fanciulla al padre Crise, fu causa per gli Achei di una esiziale epidemia, che il figlio di Latona, adirato, inviò, facendo perire la stragrande maggioranza dell’esercito. Note Uno studio sistematico dei fontes di queste schede potrà metterne in luce i debiti nei confronti di altri testi grammaticali. Mi limito qui a osservare la rispondenza quasi ad litteram della parte finale con Moschop. schol. Il. ǹ 1: ਲ ȂȠ૨ıĮā IJોȢ ȁȘIJȠ૨Ȣ țĮ IJȠ૨ ǻȚઁȢ ȣੂઁȢ ਝʌȩȜȜȦȞ IJȠȪIJȠȣȢ țĮIJૅ ਕȜȜȒȜȦȞ ਥȟİʌȠȜȑȝȦıİȞāȠIJȠȢ Ȗȡ țĮIJ IJȠ૨ ȕĮıȚȜȑȦȢ IJȠ૨ ਝȖĮȝȑȝȞȠȞȠȢ ੑȡȖȚıșİȢ ȞȩıȠȞ ȕĮȡİĮȞ ਥʌȒȞİȖțİȞ ਥʌ IJઁ ıIJȡȐIJİȣȝĮ IJȞ ਬȜȜȒȞȦȞ, ਥijșİȓȡȠȞIJȠ į IJ ʌȜȒșȘ (S. GRANDOLINI, La parafrasi al primo libro dell’Iliade di Manuel Moschopulos, in Studi di onore di Aristide Colonna, Perugia 1982, pp. 134-149: 134, ll. 12-14). 3. ĭȓȜİȚ੯ʌĮIJઁȝİȜİIJ઼ȞāțĮijȓȜȘਵIJȦıȠȚਲਕȞȐȖȞȦıȚȢāțĮijȓȜȦȢȤİIJઁțȠʌȚ઼ȞțĮੁįȓİȚȞ ਥʌIJȠȢੑijİȜȓȝȠȚȢȝĮșȒȝĮıȚȞāİੁȝȖȡȠIJȦʌȠȚȒıİȚȢȠįȑʌȠIJİ ਕʌĮȜȜĮȖȒıૉIJȞĮੁțȚıȝȞ țĮIJȞ ਕȞȘțȑıIJȦȞ੩IJİȚȜȞਕȜȜȝ઼ȜȜȠȞʌȜİȚȩȞȦȢȝĮıIJȚȤșȒıૉțĮIJȚȝȦȡȘșȒıૉ੪ȢİੁțȩȢ Testimonia: B f. 133v, C f. 98v, M f. 110r, P f. 135v, Pal f. 68v Variae lectiones IJઁ (1): IJ BPal | ਕȞȘțȑıIJȦȞ: ਕȞȘțȑıIJȠȞ Pal | ȝ઼ȜȜȠȞRP3DO Scholia ĭȓȜİȚ@țĮਕȖȐʌĮĮੁIJ C | ੯ʌĮ@țĮ੯Ȟȑİ C | IJઁȝİȜİIJ઼Ȟ@IJઁIJȓʌȠȚİȞ; țĮIJȞȝİȜȑIJȘȞ C | ijȓȜȘ@ʌȠįĮʌȒ; țĮʌȡȠıijȚȜȢįȠIJ C | ਵIJȦ@țĮਫ਼ʌĮȡȤȑIJȦıȠȚ C : ਫ਼ʌĮȡȤȑIJȦ P | ıȠȚ@IJȓȞȚ; C | ਲਕȞȐȖȞȦıȚȢ@țĮIJȓȢ; țĮਲȝİȜȑIJȘ C | ijȓȜȦȢȤİ@ʌĮȡĮijȚȜȢ Pal : țĮʌȡȠıijȚȜȢʌĮȡĮ- P : țĮțȑțIJȘıȦįȠIJC | IJઁțȠʌȚ઼Ȟ@IJઁIJȓʌȠȚİȞ; țĮIJઁțȩʌȦ C | ੁįȓİȚȞ@țȠʌȚ઼Ȟ PalC (țĮț) | ਥʌ IJȠȢੑijİȜȓȝȠȚȢȝĮșȒȝĮıȚȞ@ਥʌIJȓıȚ; ʌȠȓȠȚȢ; țĮ ਕȞĮȖțȐȚȠȚȢ C | İੁȝ@țĮਥȞ C | Ȗȡ@IJȚ C | ȠIJȦ@țĮțĮIJIJȠ૨IJȠȞIJઁȞIJȡȩʌȠȞ C | ʌȠȚȒıİȚȢ@IJȓʌȠȚȘșȒıૉ; țĮʌȡȐIJIJૉȢ C | ȠįȑʌȠIJİ@țĮ ʌȠIJȑ C | ਕʌĮȜȜĮȖȒıૉ@țĮਕʌĮȜȜȠIJȡȚȦșȒıૉ C | IJȞĮੁțȚıȝȞ@țĮ૧ĮȕįȚıȝȐIJȦȞțĮȝĮıIJȓȟİȦȞ C | IJȞਕȞȘțȑıIJȦȞ@ʌȠȓȦȞ; C : ਕșİȡĮʌİȪIJȦȞ BC (țĮਕ C) : ਕșİȡĮʌİȣIJȓȦȞ Pal : ʌȐȞIJȦȞ B | ੩IJİȚȜȞ@țĮIJȓȞȦȞ;IJȡĮȣȝȐIJȦȞ C | ȝ઼ȜȜȠȞ@țĮʌȜȑȠȞțĮʌİȡȚııȩIJİȡȠȞ C | ʌȜİȚȩȞȦȢ@ʌȩıȦȢ; țĮʌİȡȚııȠIJȑȡȦȢ| ȝĮıIJȚȤșȒıૉ@IJȓʌȠȚȘșȒıૉ; țĮĮੁțȚıșȒıૉ C | țĮIJȚȝȦȡȘșȒıૉ@țĮįĮȡȒıૉ C | ੪Ȣ@țĮșઅȢ Pal : țĮțĮșȫȢઁȢPV ਥıIJȚ C | İੁțȩȢ@ʌȡȑʌȠȞ BCPal (țĮʌC)
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SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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Traduzione Ama lo studio, ragazzo, e ti sia cara la lettura, e così pure la fatica e il sudore che lo studio delle materie utili comporta. Se non farai come ti dico, non ti libererai mai dalle (mie) ingiurie e inesorabili percosse, anzi, sarai frustato e punito com’è giusto che sia. Note Sono piuttosto frequenti gli schede di taglio parenetico che insistono sui doveri dei discenti, sovente alludendo, in maniera più o meno scherzosa, alle punizioni che attendono gli studenti svogliati e poco diligenti. 4. įȠ૨ ੪Ȣ ȡ઼IJİ ੯ ʌĮįİȢ țĮ ਪIJİȡȠȢ ıȣȝijȠȚIJȘIJȢ ਫ਼ȝȞ ਥʌİįȩșȘ ȝȚțȡઁȢ ȝȞ IJઁ įȑȝĮȢ ਕȜȜȝĮȤȘIJȒȢāıʌİȪıĮIJİȠȞțĮȜȢıȣȞĮȝȚȜȜȘșોȞĮȚĮIJȞĮȝIJʌĮȡૅĮIJȠ૨ਲIJIJȘșોȞĮȚ ȖȑȜȦȞțĮੑȞİȚįȚıȝઁȞʌĮȡૅ ȜȦȞਥijȡİȞȠȝȑȞȦȞȕȡȠIJȞȜȐȕȘIJİțĮʌĮȡૅ ਥȝȠ૨IJȠ૨ਫ਼ȝİIJȑȡȠȣ ȝȣıIJĮȖȦȖȠ૨ȝȦȜȫʌȦȞIJȪȤȘIJİ Testimonia: B f. 134r, C f. 101r, M f. 110r, P f. 136r, Pal f. 102v Scholia ੪Ȣȡ઼IJİ@IJȓʌȠȚİIJİ; țĮ੪ȢȕȜȑʌİIJİ C | ੯ʌĮįİȢ@țĮ੯ȞȑȠȚ C | țĮਪIJİȡȠȢ@țĮਙȜȜȠȢ C | ıȣȝijȠȚIJȘIJȢ@ıȣȝȝĮșȒIJȘȢ (ıȣȝȝĮșȘIJȒȢVFLO B : țĮıȣȝȝĮșȘIJȢ C | ਫ਼ȝȞ@IJȓıȚȞ; C | ਥʌİįȩșȘ@ IJȓਥʌȠȚȒșȘ; įȠIJțĮĮੁIJ C | ȝȚțȡઁȢ@țĮIJȣIJșઁȢ C | IJઁįȑȝĮȢ@IJઁıȝĮ BC (țĮIJı C) | ȝĮȤȘIJȒȢ@ ਕȖȦȞȚıIJȒȢ BC (țĮ Į C) | ıʌİȪıĮIJİ@ IJȓ ʌȠȚȒıĮIJİ; țĮ ıʌȠȣįȐıȘIJİ C | ȠȞ@ țĮ ȜȠȚʌઁȞ C | țĮȜȢ@ʌȢ; țĮਕȖĮșȢ C | ıȣȞĮȝȚȜȜȘșોȞĮȚ@ıȣȞĮȖȦȞȚıșોȞĮȚ BC (țĮ ıįȠIJ C) | ȞĮȝ@ ਥȞ (pro ਥȞ?) C | ʌĮȡ¶ĮIJȠ૨@ʌĮȡIJȓȞȠȢ; C | ਲIJIJȘșોȞĮȚ@țĮȞȚțȘșોȞĮȚ C | ȖȑȜȦȞ@IJȓȞĮ; C | țĮੑȞİȚįȚıȝȩȞ@țĮਙȜȜȠȞIJȓȞĮ; țĮȕȡȚȞ C : ਫ਼ȕȡȚıȝȩȞ B | ʌĮȡ¶ȜȦȞ@ʌĮȡIJȓȞȦȞ; țĮʌĮȡ ʌȐȞIJȦȞ C | ਥijȡİȞȠȝȑȞȦȞ@ ijȡȠȞȓȝȦȞ BC (țĮ ij C) | ȕȡȠIJȞ@ țĮ ਕȞșȡȩʌȦȞ C | ȜȐȕȘIJİ@ IJȓ ʌȠȚȒıİIJİ; țĮ ਥʌȐȡȘIJİ ĮੁIJ C | ʌĮȡ¶ ਥȝȠ૨@ ʌĮȡ IJȓȞȠȢ; C | ȝȣıIJĮȖȦȖȠ૨@ ਲ਼ ʌĮȚįȠIJȡȓȕȠȣ țĮ įȚįĮıțȐȜȠȣ C | ȝȦȜȫʌȦȞ@IJȓȞȦȞ; țĮʌȜȘȖȞ C | IJȪȤȘIJİ@țĮਙȜȜȠIJȓʌȠȚȒıȘIJİ; țĮਥʌȚIJȪȤȘIJİ C Traduzione Ecco, come vedete, ragazzi, vi è stato assegnato un altro condiscepolo, piccolo di corporatura, ma di indole combattiva. Datevi da fare, dunque, per competere fieramente con lui, affinché non accada che, venendo da lui sconfitti, siate fatti oggetto di derisione e biasimo da parte di tutti gli uomini di giudizio, e che non veniate percossi dal vostro qui presente maestro. 5. 0ȑȖĮțĮȜઁȞਲıȠijȓĮ੪ȢʌȠȜȜȞȤȡȘıIJȞĮੁIJȓĮāIJȠȓȞȣȞțĮıȪ੯ʌĮIJĮȪIJȘȢʌȠșȒıĮȢ İȡȠȒıİȚȢਥȞȕȓ Testimonia: Pal f. 42r, C f. 71v Variae lectiones IJĮȪIJȘȢ Pal: IJĮȪIJȘȞ C Scholia ȝȑȖĮ@țĮʌȠȜઃ C | țĮȜઁȞ@ਥıIJ Pal : ਥıIJțĮਫ਼ʌȐȡȤİȚāțĮਕȖĮșઁȞțĮȤȡȘıIJઁȞ C | ਲıȠijȓĮ@ IJȓȢ; țĮ ਲ ȖȞıȚȢ C | ੪Ȣ@ țĮ țĮșઁȢ (pro -અȢ) C | ʌȠȜȜȞ@ țĮ ʌİȡȚııȞ țĮ ʌȜİȓıIJȦȞ C | ȤȡȘıIJȞ@țĮਕȖĮșȞC | ĮੁIJȓĮ@ʌȡȩȟİȞȠȢ CPal (țĮʌ C) | IJȠȓȞȣȞ@ȜȠȚʌઁȞ Pal : țĮȜȠȚʌઁȞțĮ įȚIJȠ૨IJȠ C | ıȪ@IJȓȢ; C | ੯ʌĮ@੯Ȟȑİ C | IJĮȪIJȘȢȘȞ& @IJȓȞĮ; ਵȖȠȣȞIJȞıȠijȓĮȞ C | ʌȠșȒıĮȢ@ IJȓʌȠȚȒıĮȢ; țĮਕȖĮʌȒıĮȢĮȚIJ C | İȡȠȒıİȚȢ@IJȓʌȠȚȒıİȚȢ; İIJȣȤȒıİȚȢ CPal | ਥȞȕȓ@ਥȞIJȓȞȚ; țĮ ਥȞIJૌȗȦૌıȠȣ C
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LUIGI SILVANO
Traduzione La sapienza è un grande bene, in quanto produce molte cose buone: e se anche tu la perseguirai, ragazzo, avrai una vita felice. II. Elenco degli incipit delle schede del ms. Barb. gr. 102 (B) con rimandi alle altre sillogi schedografiche otrantine 1. ȀȪȡȚİૅǿȘıȠ૨ȋȡȚıIJĬİઁȢਲȝȞ B 3r, C 1r, N 1r, P 1r, Pal 1r, V 280r 2. İıȤȒȝȦȞȦıȒij B 16r, C 11r, M 3v, N 11v, P 15r, Pal 10r, St 49 3. īİȦȡȖȘșİȢ ਫ਼ʌઁ ĬİȠ૨ B 25v, C 16v, M 12r, N 20r, P 25v, Pal 13v, St 66 4. ȂİıȠȪıȘȢ IJોȢ ਦȠȡIJોȢ B 36v, C 25r, M 19r, N 27r, P 34v, Pal 19v, St 77 5. ȈȒȝİȡȠȞ ੯ ʌĮįİȢ B 39r, C 52v, M 24v, N 31v, P 39v, Pal 34r 6. ਝȞોȜșİȞ ȘıȠ૨Ȣ B 48v, C 30v, M 32v, N 40v, P 49r, Pal 17r, St 88 7. NJȩȞȠȚ ȖİȞȞıȚ įȩȟĮȞ B 54v, M 37v, N 45v, P 55r, St 118 8. ǻİȚțȞઃȢ ȋȡȚıIJȩȢ B 57r, C 46v, M 39v, N 48r, P 57v, Pal 43r, St 102 9. ȉȠ૨ ıȤİįȠȖȡĮijİȞ ਕȡȤȩȝİȞȠȚ B 58v, C 38r, M 40v, N 49v, P 59r, Pal 21v, St 108 10. ʌȡȠijȒIJȘȢ ǻĮȞȚȒȜ B 63v, C 55v, M 45v, N 54v, P 64r, Pal 36r 11. ਯȤİ ਥʌ ȜȠȖȚıȝȞ B 67r, C 41r, M 48v, N 57v, P 66v, Pal 23v, St 133 12. DŽȪȡȚİ ȘıȠ૨ ȋȡȚıIJ Ĭİ ʌȐȞIJȦȞ B 70v, C 50v, M 51v, N 61r, P 70r, Pal 40r 13. ਯȡȠȞ Ȥİ ȜȩȖȦȞ B 72r, C 65r, M 52v, N 62r, P 71r, Pal 46v 14. ȜȩȖȦȞ ȡȠȞ ȤȦȞ B 75v, M 55r, N 65r, P 74v, Pal 47v
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15. Ǽੁ ȕȠȪȜİȚ țĮ ਲ਼Ȟ ȕȠȪȜૉ B 77v, C 70r, M 57r, N 66v, P 76v, Pal 48v 16. ੲȢ įİȟȚ ਲ ਲȝȑȡĮ B 79v, C 36r, M 59r, N 68v, P 78v, Pal 31v 17. ǻİ૨ȡȠ ʌĮȚįȓȠȞ ʌȡઁȢ IJȞ B 82r, C 44v, M 61v, N 71r, P 81r, Pal 41r [įİ૨ȡȠ į Pal] 18. IJોȢ įĮȚȝȠȞȚțોȢ ਥʌȘȡİȓĮȢ B 84r, C 48v, M 62r, N 73v, P 84r, Pal 37v 19. ȋȡȘıIJઁȢ ਕȞȡ ȠੁțIJİȓȡȦȞ B 66r, C 60v, M 63v, N 74v, P 85r 20. ȉઁ IJȞ ȜȩȖȦȞ ȤȡોȝĮ B 87v, M 64v, N 76r, P 86v, Pal 58r 21. ǻȑȟĮȚ ੯ ʌĮȚįȓȠȞ IJઁȞ ʌȡȠIJİșİȚȝȑȞȠȞ B 89r, M 66r, N 77r, P 88r 22. IJȠ૨ ȆȡȚȐȝȠȣ ʌĮȢ ਝȜȑȟĮȞįȡȠȢ B 90r, M 67r, N 78r, P 89r, Pal 55r, St 160 23. ਝȜȑȟĮȞįȡȠȢ ȆȡȚĮȝȓįȘȢ B 92r, M 69r, N 80r, P 91r, Pal 53v, St 182 24. ਝȤȚȜİઃȢ ȆȘȜİȓįȘȢ B 93r, M 70r, N 81r, P 92r, Pal 50v, St 170 25. ǼੁʌȩȞIJȠȢ țĮ İੁȡȘțȩIJȠȢ B 94r, M 71v, N 82r, P 93v, Pal 49v, St 194 26. ĬȑIJȚȢ IJȠ૨ ȣੂȠ૨ įİȘșȑȞIJȠȢ B 95v, M 73r, N 84r, P 95v, Pal 52r 27. ਝIJȡİȓįȘȢ ਝȖĮȝȑȝȞȦȞ B 98r, C 76v, M 75v, N 86r, P 98r, Pal 55v, St 197 28. ȝȞ ȋȡȪıȘȢ ȝİșૅਫ਼ȕȡȚıȝȞ B 99r, M 76v, N 87r, P 99r, Pal 56r, St 191
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LUIGI SILVANO
29. ȋȡȪıȘȢ įȚȦȤșİȢ ਫ਼ʌઁ IJȠ૨ ਝIJȡİȓįȠȣ B 100r, M 78r, N 88v, P 100v, Pal 57r , St 101 30. ǼੇȤİ ȝȞ ȆȡȚĮȝȓįȘȢ B 101r, M 79r, N 89r, P 101v, Pal 54v, St 185 31. ਫȞȞȑĮ ਲȝȑȡĮȢ ਲ ȜȠȚȝȫįȘȢ B 102r, M 80r, N 90r, P 102v, Pal 56v, St 207 [ਥȞȞȑĮȚ vel ਥȞȞȑĮȢ P] 32. ǹĮȢ țĮ ǹੁȞİȓĮȢ ਙȞįȡİȢ B 102v, M 80v, N 90v, P 103r, Pal 57v 33. ਫıIJȡȐIJİȣıİȞ ਥʌ IJઁȞ IJોȢ ȜȓȠȣ IJȩʌȠȞ B 103r, M 81r, N 91r, P 103v, Pal 57v, St 211 34. ȉȞ ȠȡĮȞȓȦȞ șİȞ B 103v, M 81v, N 91v, P 104r [ȠȡĮȞȚȫȞȦȞ ut videtur NP] 35. ǻȚȠȝȒįȘȢ ȉȣįİȓįȘȢ B 104r, M 82r, N 92r, P 104v 36. ȡĮțȜોȢ ਝȝijȚIJȡȪȦȞȠȢ B 104v, M 82v, N 93r, P 105r, Pal 121r 37. ȀȡȠȞȓįȘȢ ǽİઃȢ ਥȡĮıIJȒȢ B 105v, M 83v, N 94r, P 106r, Pal 121v 38. ȃȚȩȕȘȉĮȞIJȐȜȠȣșȣȖȐIJȘȡ B 106v, M 84r, N 94v, P 107r, St 213 39. ǻȘȝȒIJȡȚȩȢ IJȚȢ ਕȞȒȡ B 107v, M 85r, N 95v, P 108r 40. ȆȠıİȚįȞ ijȠȚIJȐȜȝȚȠȢ B 108v, M 86r, N 96v, P 109r, Pal 116v 41. ĭĮȑșȦȞ IJȠ૨ ȜȓȠȣ ʌĮȢ B 109r, M 86v, N 97r, P 109v 42. ȋȡȪıȘȢ ੂİȡİઃȢ IJȠ૨ ਝʌȩȜȜȦȞȠȢ B 109v, M 87r, N 97r, P 110r 43 ȉȑIJIJȚȟȝȠȣıȚțȩȢ B 110r, M 87v, N 97v, P 110v 44. ȉȑIJIJȚȟȝȠȣıȚțȫIJĮIJȠȢ B 111v, M 88r, N 98v, P 111r, Pal 74r [(1) om. P]
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45.ȞĮੂȡોıșİ੯ʌĮįİȢ B 111r, M 88v, N 99r, P 111v [ĮੂȡȒșİ BN] 46. ǼੁıȞਙȞșȡȦʌȠȚੁıȞਥʌIJઁ B 111v, C 66v, M 89r, N 99v, P 112r, Pal 44r 47. ਝȡȤıȠijȓĮȢįİȝȠȢȀȣȡȓȠȣ B 112r, C 28v, M 89v, N 100r, P 113r, Pal 38v 48. ǼȤĮȡȢIJૌıȒȝİȡȠȞʌȡȠįȡȠȝȚțૌ B 113r, M 90v, N 101r, P 113v 49. ਫȜȣʌȒıĮIJȑȝİ੯ʌĮįİȢ B 114r, M 91r, N 101v, P 114v, Pal 70v 50. ਝİȝȞਥȖઅਕȜȚIJĮȓȞȦ B 115r, M 92r, N 102v, P 116r, Pal 45r 51. ੍ıșȚ੯ʌĮIJȚIJઁੑȡșȠȖȡĮijİȞ B 115v, C 86v, M 92v, N 103r, P 117r 52. ȉઁıȤİįȠȖȡĮijİȞ੯Ȟȑİ B 116, C 85v, M 93r, N 103v, P 117r 53.șȑȜȦȞਥȞȖȞȫıİȚ B 116r, C 68v, M 93r, N 103v, P 117v, Pal 61r 54. ȀȪȦȞșȘȡĮIJȚțȩȢ B 116v, M 93v, N 104r, P 118r, Pal 116r 55. ȅįȞIJȞਥȞȕȓ B 117r, M 94r, N 104v, P 119r 56. ǼੁIJȞȜȩȖȦȞĮੂȡૌ B 117v, M 94v, N 105r, P 119r 57. ȀȐȧȞțĮਡȕİȜ B 118r, M 95r, N 105v, P 119v, Pal 113v, A 20a 58. ȞĮIJȓ੯ʌȜȠȪıȚİ B 118v, M 95v, N 106r, P 120r, Pal 109v 59. IJૌțȜȠʌૌਥijȘįȩȝİȞȠȢ B 119v, M 96v, N 107r, P 121r 60. ਫʌİȚįȒʌİȡIJȠ૨ȖȡȐijİȚȞ B 120r, M 97r, N 107v, P 121v, Pal 71v, A 17a
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LUIGI SILVANO
61. ȖİȞȞĮȠȢIJȠ૨ȋȡȚıIJȠ૨ B 120v, M 97v, N 108r, P 122v 62. ȉȞਥʌȚȖİȓȦȞ੯ਙȞșȡȦʌİ B 121r, M 98r, N 108v, P 123r, Pal 66v 63. ȂțĮIJĮijȡȩȞİȚIJȑțȞȠȞ B 121v, M 98v, N 109r, P 123v, Pal 70v 64. ਝȖȐʌĮIJઁȝİȜİIJ઼Ȟ B 122r, M 99r, N 109v, P 124r 65. ȉȞਝijȡȠįȓIJȘȞIJȚȝıȚȞ B 122v, M 99v, N 110r, P 124v, Pal 113r 66. ȉȤȡİȚȫįȘțĮਕȞĮȖțĮĮ B 123r, M 100r, N 110v, P 125r, Pal 60r 67. ȉઁȥȣȤİȚȞઁȞIJȠ૨țĮȚȡȠ૨ B 123v, C 62v, M 100v, N 110v, P 125v, Pal 65r, A 18b 68. ȜȓȖȦȞȜȩȖȦȞ੯ʌĮįİȢ B 123v, C 69r, P 126r, Pal 59r [ȤȡȩȞȦȞ Pal] 69.ǼțĮIJĮijȡȠȞȘIJȩIJİȡĮıțȣȕȐȜȦȞ B 124r, M 101r, N 111r, P 126r 70. ȂȓıİȚIJȞਫ਼ʌİȡȘijĮȞȓĮȞ B 124v, M 101r, N 111v, P 126v 71. ȀĮȡțȓȞȠȢਥȟȚȫȞʌȠIJİ B 124v, M 101v, N 111v, P 127r [ਥȟȚȫȞ P : ਥȟȚȩȞ rell.] 72. NJȠIJIJȞțĮȚȡȞȝ૨ȢIJȚȢ B 125r, M 102r, N 112r, P 127v, Pal 62v et 119r 73. ȂȓįĮȢ IJȞ ĭȡȣȖȞ ȕĮıȚȜİઃȢ B 125v, M 102v, N 112v, P 128r 74. ਜ਼ȞȠȞ ʌȠIJ IJȞ țĮȚȡȞ B 126r, M 102v, P 128r, A 19a 75. ਝİIJઁȢ ਕȡȞİȚઁȞ ਖȡʌȐıĮȢ B 126v, M 103v, P 128v
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76. ਫȞ ਕȝʌȑȜȠȚȢ ȖȑȡȠȞIJȠȢ B 127r, M 103v, P 129r 77. ȀȩȡĮȟ ਕȠȚįĮȢ ȖĮȣȡȚȞ B 127v, M 104r, P 129v, Pal 103r 78. ĭȑȡİ įȒ ıȠȚ IJ İੁțȩIJĮ B 128r, M 104v, P 130r, Pal 68v 79. ȀĮȡȘȕĮȡȚıȚȞ ਥȠȓțĮIJİ B 128v, M 105r, P 130v 80. ȆȡઁȢ ਲȝȢ ਲțȩIJĮ ıİ B 129r, M 105v, P 131r, Pal 73r 81. ȆȩȞȠȢȜȩȖȦȞȖİıȠȞ B 129v, M 106r, P 131v, Pal 112r 82. ȁȠȣț઼ȢșİȠȢਕʌȩıIJȠȜȠȢ B 131r, M 107v, P 133v 83. ੂȝİȚȡȩȝİȞȠȢțĮੑȡȚȖȞȫȝİȞȠȢ B 131v, M 108r, P 133v, Pal 101r 84. ȡȞਫ਼ȝȢਕȝİȜȘIJȐȢ B 131v, M 108v, P 134r, Pal 72v 85. ȂIJȞ૧İȩȞIJȦȞਕȞIJȑȤȠȣ B 132v, M 109r, P 134v, Pal 108v 86. ǹIJઁȢȝȩȞȠȢਕșȐȞĮIJȠȢ B 132v, M 109r, P 134v 87. ȝȑȖĮȢਝȞIJȫȞȚȠȢ B 133r, M 109v, P 135r 88. ਡȞȞĮਲijȚȜȠıȫijȡȦȞ B 133v, M 110r, P 135v 89. ĭȓȜİȚ੯ʌĮIJઁȝİȜİIJ઼Ȟ B 133v, C 98v, M 110r, P 135v, Pal 68v 90. įȠઃ੪Ȣȡ઼IJİ੯ʌĮįİȢ B 134r, M 110r, P 136r, Pal 102v 91. ਫȖȖȓȗİȚțĮȚȡઁȢIJȞਕȖȩȞȦȞ B 134r, M 110v P 136r, Pal 117v
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LUIGI SILVANO
92. țIJȞȠȢijȚȞįȚĮʌȡĮȖȝઁȞ B 134v, M 111r, P 136v 93. ਯȖȞȦȞ੯ʌĮįİȢ੪ȢȠ B 135v, M 112r, P 137v 94. ੶ıʌİȡȠੂIJȞȖોȞਥȡȖĮȗȩȝİȞȠȚ B 136r, M 112r, P 137v 95. ȂİIJȐįȠȢIJȡȠijોȢIJʌİȚȞȞIJȚ B 136r, M 112v, N 113r, P 138r, Pal 76r 96. ȂȗȘȜȫıȘȢ੯ȠIJȠȢ B 136v, M 113r, N 113r, P 138v 97. įઅȞțIJȓıIJȘȢțĮįȘȝȚȠȣȡȖȩȢ B 137r, M 113r, N 113r, P 138v 98. ȊੂઁȢıȠijȓțĮȜȩȖȠȚȢ B 137v, M 113v, N 113v, P 139r, Pal 103r 99. ȀȡİIJIJȠȞȤİȚȝȞıȣȞįȚȐȖİȚȞ B 138r, N 114r, P 139v 100. ǻȐȡİȚȠȢIJȞȆİȡıȞ B 138v, N 114v, P 140r, Pal 72r 101. ǼȜȩȖȘIJȠȞțĮıĮijો B 139r, M 114r, N 115r, P 140v [İȜȘʌIJȠȞ MN] 102. ǼੁʌĮıȠijȖȑȞȘIJĮȚ B 139v, M 114v, N 115r, P 141r 103. ਫʌİįȒȝȘıİȞਲȤĮȡȝȩıȣȞȠȢ B 139v, M 114v, N 115v, P 141r, Pal 98r 104. ȈʌȠȣįȞਕȞĮȜȐȕȘIJİʌĮįİȢ B 141r, M 115r, N 115v, P 141v 105. ਡȖİȝȠȚIJȞȝોȞȚȞ੯șİ B 141v, M 115v, N 116r, P 141v 106. ȃȪııİȚȝȞਕİȝȣıIJĮȖȦȖȩȞ B 141v, M 116r, N 116r, P 142r 107. ȀȐȝȘȜȠȢİੁȢIJĮ૨ȡȠȞੁįȠ૨ıĮ B 142v, M 116v, N 116v, P 142v
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108. șİȜȠȞȜȚȕȐıȚįĮțȡȪȦȞ B 142v, M 116v, N 116v, P 142v, Pal 119v 109. ʌȠȞȞਥʌIJૌਕȞĮȖȞȫıİȚ B 143r, M 116v, N 116v, P 143r, Pal 60v 110. ȅįȞȤİȡȠȞਕȝİȜȠ૨Ȣ B 143r, M 117r, N 117r, P 143r, Pal 96v 111. ਕȞIJȚȜȑȖȦȞIJʌĮȡĮȚȞȠ૨ȞIJȚ B 143v, M 117v, N 117r, P 143v, Pal 75v 112. ȈȣȞİȓȤİIJȠȝȞਲıȫijȡȦȞਡȞȞĮ B 143v, M 117v, N 117r, P 143v 113. ĬȑIJȚȢȆȘȜİȖĮȝȘșİıĮ B 144r, M 117v, N 117v, P 143v 114. ਝȜİȟȐȞįȡȠȣIJȠ૨ȆȐȡȚįȠȢ B 144r, M 118r, N 117v, P 144r 115. ȜȩȖȦȞȡȠȞȤȦȞıȠijȞ B 144v, C 67v, M 118r, N 117v, P 144r, Pal 67r 116. ĭĮȑșȦȞIJȠ૨ȜȓȠȣʌĮȢ [cf. supra, nr. 41] B 144v, P 144v, Pal 118v 117. ਝȞȡ ȖİȦȡȖઁȢ ਕʌȚȑȞĮȚ B 145r, M 118v, N 118r, P 144v 118. ਝȞȒȡIJȚȢȠʌȐȞIJૉȖİȞȑȠȢ B 145v, M 119r, N 118r, P 145r 119. ȈȫıȦȞȀȪȡȚİIJઁȞȜĮȩȞıȠȣ B 146r, M 119r, N 118v, P 145v, Pal 114v [ııȠȞlegendum: cfr. Psalm. 27, 9] 120. ȆȑʌĮȣIJĮȚȝĮȖİȓȡȦȞıʌȠȣįૌ B 146r, M 119v, N 118v, P 145v 121. ਯȤȦıȠȚȝ૨șȠȞİੁʌİȞਕįİȜijȑ B 146v, M 120r, N 119r, P 146r 122. ǺȠȣțȩȜȠȢȞȑȝȦȞIJĮȪȡȦȞ B 147r, M 120r, N 119r, P 146r 123. ȉȞਕȞȠȝȚȞȝȠȣIJȞਕʌİȓȡİȚIJȠȞ B 147v, M 120v, N 119v, P 146v [ȝȠȣ om. N; ਕʌİȓȡȚIJȠȞ NP]
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LUIGI SILVANO
124. ਫȞȠੁțȓIJȚȞȝ૨İȢ B 147v, M 121r, N 119v, P 147r 125. ȃȘıIJİȪıȦȝİȞȞȘıIJİȓĮȞ B 148r, M 121r, N 120r, P 147v 126. ȞȘıIJİȓĮIJȞțĮȜȜȓıIJȦȞ B 148v, M 121v, N 120r, P 147v
III. Lista alfabetica degli incipit delle schede contenute nei mss. A B C32 M N P Pal V ਝȖĮȝȑȝȞȦȞ ȂȣțȘȞĮȠȢ ıIJȡĮIJઁȞ ਕȟȚȩȤȡİȦȞ Pal 114r ਝȖȐʌĮ IJઁ ȝİȜİIJ઼Ȟ B 122r, M 99r, N 109v, P 124r ਡȖİ ȝȠȚ IJȞ ȝોȞȚȞ ੯ șİ B 141v, M 115v, N 116r. P 141v ਝİ ȝȞ ਥȖઅ ਕȜȚIJĮȓȞȦ B 115r, M 92r, N 102v, P 116r, Pal 45r ਝİIJઁȢ ਕȡȞİȚઁȞ ਖȡʌȐıĮȢ B 126v, M 103v, P 128v ǹĮȢ țĮ ǹੁȞİȓĮȢ ਙȞįȡİȢ B 102v, M 80v, N 90v, P 103r, Pal 57v ǹੁțȚıȝȞ ȝȦȜȫʌȦȞ țĮ ੩IJİȚȜȞ Pal 67r ǹȜȠȣȡȠȢ ȕȡȦIJȞ ਕʌȠȡȒıĮȢ Pal 110r [differt a St 148 ǹȜȠȣȡȠȢ İıȦ ȤİȚ઼Ȣ țĮIJȠȚțȚįȓȦȞ ੑȡȞȓșȦȞ] ǹıȦʌȠȢ ȝȣșȠʌȠȚઁȢ IJȞ IJȞ ʌȠȜȜȞ ਕʌȜİıIJȓĮȞ Pal 86r ਡțȠȣİȣੂȜȩȖȦȞʌĮIJȡઁȢıȠȣ Pal 115v ਝȜȑȟĮȞįȡȠȢȆȡȚĮȝȓįȘȢ B 92r, M 69r, N 80r, P 91r, Pal 53v, St 182 32
Lo spoglio di C è stato limitato alle schede di classe Ia e Ib contenute in BMNP e Pal.
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ਝȜİȟȐȞįȡȠȣIJȠ૨ȆȐȡȚįȠȢ B 144r, M 118r, N 117v, P 144r ਝȞĮıIJ઼ıĮȚ੪ȢਲȝȑȡĮȖȖȚțİȞĮੂȖȣȞĮțİȢਥʌIJઁȝȞȘȝİȠȞਥȕȐįȚıĮȞ Pal 105v ਝȞોȜșİȞȘıȠ૨Ȣ B 48v, C 30v, M 32v, N 40v, P 49r, Pal 17r, St 88 ਝȞȡȖİȦȡȖઁȢਕʌȚȑȞĮȚ B 145r, M 118v, N 118r, P 144v ਝȞȒȡIJȚȢȠʌȐȞIJૉȖİȞȑȠȢ B 145v, M 119r, N 118r, P 145r ਡȞȞĮਲijȚȜȠıȫijȡȦȞ B 133v, M 110r, P 135v ਝʌİȓȡȘțĮ੯ʌĮȚįȓȠȞਥʌȓıȠȚ Pal 74r ਝʌȩșȠȣIJઁȞțȞȠȞ੯Ȟȑİ Pal 110v ਝʌȩıIJȠȜRȚਚȖȚȠȚʌȡİıȕİȪıĮIJİIJਥȜİȒȝȠȞȚ Pal 80r, St 125 ਝȡȤıȠijȓĮȢįİȝȠȢȀȣȡȓȠȣ B 112r, C 28v, M 89v, N 100r, P 113r, Pal 38v ਝȡȤıȠijȓĮȢijȩȕȠȢȀȣȡȓȠȣ Pal 59v ਡıIJȣIJİਙȜȜȠʌİȡȚijĮȞȢ Pal 86r ਝȤȚȜİઃȢȆȘȜİȓįȘȢțĮǹੁĮțȓįȘȢĬȑIJȚįȠȢ B 93r, M 70r, N 81r, P 92r, Pal 50v, St 170 ਝȤȚȜİઃȢ ȆȘȜİȓįȘȢ țĮ ǹੁĮțȓįȘȢ İੁȜȘijઅȢ ʌĮȡ ĬȑIJȚįȠȢ Pal 104r ǹIJઁȢ ȝȩȞȠȢ ਕșȐȞĮIJȠȢ B 132v, M 109r, P 134v ǺȠȣțȩȜȠȢ ȞȑȝȦȞ IJĮȪȡȦȞ B 147r, M 120r, N 119r, P 146r
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LUIGI SILVANO
īİȦȡȖȘșİȢ ਫ਼ʌઁ ĬİȠ૨ B 25v, C 16v, M 12r, N 20r, P 25v, Pal 13v, St 66 īȓȞİıșİ ijȡȩȞȚȝȠȚ ੪Ȣ Ƞੂ ijİȚȢ Pal 96r ǻȐȡİȚȠȢ IJȞ ȆİȡıȞ B 138v, N 114v, P 140r, Pal 72r ǻİ į IJઁȞ Ȣ ĮੂȡİIJĮȚ țĮIJȠȡșıĮȚ IJઁ ੑȡșȠȖȡĮijİȞ Pal 107r ǻİ į IJઁ ੑȡșȠȖȡĮijİȞ țĮIJȠȡșıĮȚ Pal 102v ǻİȚțȞઃȢ ȋȡȚıIJȩȢ B 57r, C 46v, M 39v, N 48r, P 57v, Pal 43r, St 102 ǻİȚȞઁȞ țĮ ȕĮȡઃ ʌȡȐȖȝĮ ਥıIJ IJઁ ȞȠıİȞ Pal 81r ǻȑȟĮȚ੯ʌĮȚįȓȠȞIJઁȞʌȡȠIJİșİȚȝȑȞȠȞ B 89r, M 66r, N 77r, P 88r ǻİ૨ȡȠįIJȞǺȘșȜİȝțĮIJĮȜȚʌȩȞIJİȢ N 115r, P 139r ǻİ૨ȡȠʌĮȚįȓȠȞʌȡઁȢIJȞ B 82r, C 44v, M 61v, N 71r, P 81r, Pal 41r ǻȘȝȒIJȡȚȩȢIJȚȢਕȞȒȡ B 107v, M 85r, N 95v, P 108r ǻȘȝȠıșȑȞȘȢ૧ȒIJȦȡ Pal 69v ǻȚʌȩȞȦȞʌȜİȓıIJȦȞ Pal 69v ǻȚȠȝȒįȘȢȉȣįİȓįȘȢ B 104r, M 82r, N 92r, P 104v ਫȖȖȓȗİȚțĮȚȡઁȢIJȞਕȖȩȞȦȞ B 134r, M 110v P 136r, Pal 117v ਯȖȞȦȞ੯ʌĮįİȢ੪ȢȠ B 135v, M 112r, P 137v
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ਫȖઅȝȞȜĮȕȞʌ઼ıĮȞਥʌȓȞȠȚĮȞ Pal 96r ਯįİȚȝȞਲȝ઼ȢıȣȞȠȡ઼ȞțĮșૅਲȝȑȡĮȞ Pal 85r ਯįİȚIJઁȞįȚįȐıțȠȞIJȐıİȜȓșȚȞȠȞ Pal 77r ǼੁĮੂȡૌ੯ȞȑİʌĮȡૅȜȦȞĮȞȦȞ Pal 102r ǼੁȕȠȪȜİȚțĮਲ਼ȞȕȠȪȜૉ B 77v, C 70r, M 57r, N 66v, P 76v, Pal 48v ǼੁșȑȜİȚȢțȜİȚıȝȞ੯ʌĮȚįȓȠȞ Pal 74v ǼੁȝਥȞȑıțȘȥȑȝȠȚਙȜȖȠȢıʌȠȣįȞ Pal 118r ǼੁʌĮıȠijȖȑȞȘIJĮȚ B 139v, M 114v, N 115r, P 141r ǼੁIJȞțĮIJıțȠʌઁȞਥʌȚIJȣȤİȞ Pal 108r ǼੁIJȞȜȩȖȦȞĮੂȡૌ B 117v, M 94v, N 105r, P 119r ǼʌİȡਥțȘțȩȘIJİ੯ʌĮįİȢ੪ȢįİȚIJțĮȜ Pal 120v [lege forsan ੪ȢਵįȘ@ ǼʌİȡȤૉȢ੯ȠIJȠȢİįȘțĮȤİȚȢʌȜȠȪIJȦȞਚȜȚȢ Pal 94r ǼੁʌȩȞIJȠȢțĮİੁȡȘțȩIJȠȢ B 94r, M 71v, N 82r, P 93v, Pal 49v, St 194 ǼੁıȞਙȞșȡȦʌȠȚੁıȞਥʌIJઁ B 111v, C 66v, M 89r, N 99v, P 112r, Pal 44r ǼੇȤİȝȞȆȡȚĮȝȓįȘȢ B 101r, M 79r, N 89r, P 101v, Pal 54v, St 185 ਫțIJȞʌȩȞȦȞʌȐȞIJİȢȠੂȜȠȖİȝʌȩȡȠȚțȜİǸȗȠȞIJĮȚ C 20r Pal 28r
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LUIGI SILVANO
ਫțȐșİIJȠʌȠIJțȩȡĮȟਥʌțȜȦȞઁȢ Pal 89r ਫȜȣʌȒıĮIJȑȝİ੯ʌĮįİȢ B 114r, M 91r, N 101v, P 114v, Pal 70v ਫȞਕȝʌȑȜȠȚȢȖȑȡȠȞIJȠȢ B 127r, M 103v, P 129r ਫȞȠੁțȓIJȚȞȝ૨İȢ B 147v, M 121r, N 119v, P 147r ਫȞȞȑĮਲȝȑȡĮȢਲȜȠȚȝȫįȘȢ B 102r, M 80r, N 90r, P 102v, Pal 56v, St 207 [ਥȞȞȑĮȚ vel ਥȞȞȑĮȢ P] ਫȞIJȑȜȜȠȝĮȚ ੯ ʌĮįİȢ ʌ઼ıȚȞ ਫ਼ȝȞ Pal 95v ਫʌİįȒȝȘıİȞ ਲ ȤĮȡȝȩıȣȞȠȢ B 139v, M 114v, N 115v, P 141r, Pal 98r ਫʌİȚįȒʌİȡ IJȠ૨ ȖȡȐijİȚȞ B 120r, M 97r, N 107v, P 121v, Pal 71v, A 17a ਫʌİȚįȒʌİȡ IJૌ (?) ıૌ (?) įȚĮȞȠȓ IJ ʌȡȠȖİȖȡĮȝȝȑȞĮ Ƞț ਥȝİȝĮșȒțİȚȢ țĮȜȢ Pal 104v ਯȡȖȠȚȢ ੯ ਙȞșȡȦʌİ ȤĮȡİ Pal 73v ਯȡȠȞ Ȥİ ȜȩȖȦȞ B 72r, C 65r, M 52v, N 62r, P 71r, Pal 46v ਯıșȘ (?) IJȚȞȓ IJȞ ıȠijȞ ੯ ijȓȜIJĮIJİ ʌĮ Pal 118v ਯıȠIJȞȖȡĮijȠȝȑȞȦȞțĮȝİȜİIJȠȝȑȞȦȞ Pal 114r ਯıȠIJȞȖȡĮijȠȝȑȞȦȞıȠȚȜȩȖȠȞ੯Ȟȑİ Pal 102r ਫıIJȡȐIJİȣıİȞਥʌIJઁȞIJોȢȜȓȠȣIJȩʌȠȞ B 103r, M 81r, N 91r, P 103v, Pal 57v, St 211 ਯıIJȦıȠȚįȚȝİȜȘıȝȞ੯Ȟȑİ Pal 95r
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ਯıIJȦıȠȚ੯ȠIJȠȢIJઁIJȚȝ઼Ȟ Pal 112r ǼțĮIJĮijȡȠȞȘIJȩIJİȡĮıțȣȕȐȜȦȞ B 124r, M 101r, N 111r, P 126r ǼȜȩȖȘIJȠȞțĮıĮijો B 139r, M 114r, N 115r, P 140v [İȜȘʌIJȠȞ MN] ǼȤĮȡોȢIJૌıȒȝİȡȠȞʌȡȠįȡȠȝȚțૌ B 113r, M 90v, N 101r, P 113v ਯȤİਥʌȜȠȖȚıȝȞ B 67r, C 41r, M 48v, N 57v, P 66v, Pal 23v, St 133 ਯȤȦ ıȠȚ ȝ૨șȠȞ İੁʌİȞ ਕįİȜijȑ B 146v, M 120r, N 119r, P 146r ਰȦȢ ʌȩIJİ ੯ ੑțȞȘȡ țĮIJȐțİȚıĮȚ țĮ ૧ĮıIJȫȞૉ Pal 75v ਥʌȚıȣȝȕ઼ıĮ ıȣȝijȠȡ Pal 108r ȗȦ ȠįȞ ਕȖĮșઁȞ ʌȡȠȟİȞİ Pal 120r ȞȘıIJİȓĮIJȞțĮȜȜȓıIJȦȞ B 148v, M 121v, N 120r, P 147v șİȜȠȞȜȚȕȐıȚįĮțȡȪȦȞ B 142v, M 116v, N 116v, P 142v, Pal 119v ȞĮੂȡોıșİ੯ʌĮįİȢ B 111r, M 88v, N 99r, P 111v ȡĮțȜોȢਝȝijȚIJȡȪȦȞȠȢțĮਝȜțȝȒȞȘȢȣੂઁȢ B 104v, M 82v, N 93r, P 105r, Pal 121r ĬİȡȚȞȞțĮȚȡȞȞIJઁȝİıĮȓIJĮIJȠȞ Pal 98r ĬȑIJȚȢȆȘȜİȖĮȝȘșİıĮ B 144r, M 117v, N 117v, P 143v ĬȑIJȚȢIJȠ૨ȣੂȠ૨įİȘșȑȞIJȠȢ B 95v, N 84r, M 73r, P 95v, Pal 52r
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LUIGI SILVANO
ĬȘıĮȪȡȚȗȠȞıİĮȣIJਕįİȜij Pal 97v ੍įİȚįȑįİȚȤĮȢਥȟȡȖȦȞĮਫ਼IJઁȞ Pal 110v įȠઃįਥʌૅਕȖȠȞȚıȝȞțĮȜİıșİ Pal 99v įȠઃȞȣȝijȓȠȢਸ਼țİȚ Pal 77r įȠઃ੪Ȣȡ઼IJİ੯ʌĮįİȢ B 134r, M 110r, P 136r, Pal 102v įઅȞțIJȓıIJȘȢțĮįȘȝȚȠȣȡȖȩȢ B 137r, M 113r, N 113r, P 138v İȡİ੯ȠIJȠȢʌĮȞIJʌȡȩıİȤİ A 17b, Pal 65v țIJȞȠȢijȚȞįȚĮʌȡĮȖȝઁȞ B 134v, M 111r, P 136v ȞĮIJȓ੯ʌȜȠȪıȚİ B 118v, M 95v, N 106r, P 120r, Pal 109v ੍ıșȚIJȚıȒȝİȡȠȞĮੂIJȠ૨ȁĮȗȐȡȠȣੑįȪȞĮȚȢ Pal 104r ੍ıșȚ੯ʌĮIJȚIJઁੑȡșȠȖȡĮijİȞ B 115v, C 86v, M 92v, N 103r, P 117r ੍ıșȚ੯ʌĮ੪ȢİੁȝįȚȜȩȖȦȞ Pal 94r ıȠțȡȐIJȘȢ૧ȒIJȦȡIJોȢʌĮȚįİȓĮȢIJȞ૧ȓȗĮȞʌȚțȡȞ Pal 111v ȀĮĮșȚȢਥȞਥȝȝȪșȠȚȢȚĮȜȩȖȦȞıȣȜȜĮȕĮȢ Pal 91r ȀĮʌȐȜȚȞਕȖȦȞȓıĮıșİ੯ʌĮįİȢ Pal 109v ȀĮʌȐȜȚȞʌİȡĮȚȞȩıİȚ (?)ȤȡȝĮȚʌȡȩȢıİ Pal 99v
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ȀȐȧȞțĮਡȕİȜ B 118r, M 95r, N 105v, P 119v, Pal 113v, A 20a ȀĮȚȡઁȢȞșİȡİȓIJĮIJȠȢ Pal 98v ȀĮȜઁȞIJઁțȠʌȚ઼ȞțĮੁįȓİȚȞʌİȡȜȩȖȦ½Ȟ¾ Pal 106v ȀĮȜઁȞ੯ʌĮįİȢIJઁțĮșૅȜȠȞȞȠȞ Pal 101v ȀȐȝȘȜȠȢİੁȢIJĮ૨ȡȠȞੁįȠ૨ıĮ B 142v, M 116v, N 116v, P 142v ȀĮȡȘȕĮȡȚıȚȞਥȠȓțĮIJİ B 128v, M 105r, P 130v ȀĮȡțȓȞȠȢਥȟȚȫȞʌȠIJİ B 124v, M 101v, N 111v, P 127r ȀĮIJĮıIJĮȜİȞȠੂȕȚĮȚȩIJĮIJȠȚIJȞʌȩȞȦȞȝȠȣ Pal 86r ȀȩȡĮȟਕȠȚįĮȢȖĮȣȡȚȞ B 127v, M 104r, P 129v, Pal 103r ȀȡİIJIJȠȞȤİȚȝȞıȣȞįȚȐȖİȚȞ B 138r, N 114r, P 139v ȀȪȡȚİȘıȠ૨ȋȡȚıIJĬİʌȐȞIJȦȞ B 70v, C 50v, M 51v, N 61r, P 70r, Pal 40r ȀȪȡȚİૅǿȘıȠ૨ȋȡȚıIJĬİઁȢਲȝȞ B 3r, C 1r, N 1r, P 1r, Pal 1r , V 280r, vacat in M ob lacuna codicis ȀȪȦȞșȘȡĮIJȚțȩȢ B 116v, M 93v, N 104r, P 118r, Pal 116r ȁĮȖȦઁȢțĮȤİȜȫȞȘʌİȡįȡȩȝȦȞ Pal 95v ȁȑȟȠȞʌȐIJİȡੜȝȘȡİ Pal 85v [੯ʌȐIJİȡlegendum] ȁȠȣț઼ȢșİȠȢਕʌȩıIJȠȜȠȢ B 131r, M 107v, P 133v
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LUIGI SILVANO
ȂȐȡșĮțĮȂĮȡȓĮȖૅĮੂਕįİȜijĮIJȠ૨ȁĮȗȐȡȠȣ Pal 103v ȂȑȖĮțĮȜઁȞਲıȠijȓĮ C. 71v, Pal 42v [ਥıIJ addito i.l. post țĮȜંȞ] ȂİȖȐȜĮțĮʌĮȡĮįȠȟȩIJĮIJĮțĮșĮȣȝĮıȚȫIJĮIJĮ Pal 85r ȂİıȠȪıȘȢIJોȢਦȠȡIJોȢ B 36v, C 25r, M 19r, N 27r, P 34v, Pal 19v, St 77 ȂİIJȐįȠȢIJȡȠijોȢIJʌİȚȞȞIJȚ B 136r, M 112v, N 113r, P 138r, Pal 76r ȂĮੁıȤȣȞșૌȢ੯ȠIJȠȢIJਖȝĮȡIJȘțȑȞĮȚȝȠȜȠȖોıĮȚ Pal 96v ȂਕȝȑȜİȚIJȞȜȩȖȦȞ Pal 100r ȂȗȘȜȫıȘȢ੯ȠIJȠȢ B 136v, M 113r, N 113r, P 138v ȂțĮțȠȜȩȖİȚIJઁȞʌȜȒıȚȠȞ Pal 99r ȂțĮIJĮijȡȩȞİȚIJȑțȞȠȞ B 121v, M 98v, N 109r, P 123v, Pal 70v ȂȞȦșİȢȡ઼ıșİʌĮįİȢਥʌįȚįĮıțĮȜȓȦȞțĮIJȐȜȘȥȚȞ Pal 103v Ȃ૧ĮșȣȝȓĮȢijĮȓȞİıșİıȣȞİȚȜȘȝȝȑȞȠȚ Pal 115v ȂıțȫʌȦȝİȞ੯ਕįİȜijȠIJȞʌİȞȓĮȞਕȡİIJોȢȠıĮȞȝȘIJȑȡĮ Pal 116r [ıțȠʌȝİȞlegendum@ ȂIJȞ૧İȩȞIJȦȞਕȞIJȑȤȠȣ B 132v, M 109r, P 134v, Pal 108v Ȃਫ਼ʌİȡİijĮȞȓıIJȠȓȤİȚ੯ȠIJȠȢ Pal 99v ȂijİȓįȠȣIJȞʌȜȠȪIJȦȞ੯ਙȞșȡȦʌİ Pal 73v
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ȂȘįȑʌȠIJİਥȡĮıIJઁȞੁȞ ਕȝȑȜİȚĮȞʌȠșȒıૉȢ Pal 76r ȂȓįĮȢIJȞĭȡȣȖȞȕĮıȚȜİઃȢ B 125v, M 102v, N 112v, P 128r ȂȚțȡIJȠȢȝȚțȡȠȢ Pal 68r ȂȚțȡȞਫ਼ȝȞʌĮįİȢȜȩȖȦȞȝİIJĮįȫıȦ Pal 110v ȂȚȝİIJĮȚIJȞijȪıȚȞȜȩȖȠȢ Pal 76v ȂȓıİȚIJȞਫ਼ʌİȡȘijĮȞȓĮȞ B 124v, M 101r, N 111v, P 126v ȂȓıȘıȠȞ੯ਙȞșȡȦʌİIJઁIJૌȖૌ੮ıʌİȡ ȤİȢ Pal 99r ȃȘıIJİȪıȦȝİȞȞȘıIJİȓĮȞ B 148r, M 121r, N 120r, P 147v ȃȚȩȕȘȉĮȞIJȐȜȠȣșȣȖȐIJȘȡ B 106v, M 84r, N 94v, P 107r, St 213 ȃȪııİȚȝȞਕİȝȣıIJĮȖȦȖȩȞ B 141v, M 116r, N 116r, P 142r ਕȞIJȚȜȑȖȦȞIJʌĮȡĮȚȞȠ૨ȞIJȚ B 143v, M 117v, N 117r, P 143v, Pal 75v ਝIJȡİȓįȘȢਝȖĮȝȑȝȞȦȞ B 98r, C 76v, M 75v, N 86r, P 98r, Pal 55v, St 197 ȕȠȣȜȩȝİȞȠȢșİȞĮȚĮੁȞȑıİȚ Pal 67v ȖİȞȞĮȠȢIJȠ૨ȋȡȚıIJȠ૨ B 120v, M 97v, N 108r, P 122v ਥȞਖȖȓȠȚȢȕĮıȚȜİ૨ıȚȞਕȠȓįȚȝȠȢȀȦȞıIJĮȞIJȞȠȢ Pal 82v ਥʌȚȝİȜȢȞȑȠȢ੯ʌĮ Pal 61r
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LUIGI SILVANO
ਥʌȦȡİȖȝȑȞȠȢİੁįȒȝȦȞਕȞĮįİȚȤșોȞĮȚ Pal 71r İıȤȒȝȦȞȦıȒij B 16r, C 11r, M 3v, N 11v, P 15r, Pal 10r, St 49 șȑȜȦȞĮੇȞȠȞȜĮȕİȞ Pal 61v șȑȜȦȞਥȝijȠȡȘșોȞĮȚIJોȢțȡȞȘȢIJȞȜȩȖȦȞ Pal 106r șȑȜȦȞਥȞȖȞȫıİȚ B 116r, C 68v, M 93r, N 103v, P 117v, Pal 61r șȡȚʌȘįİıIJȐIJȦȞijȡȠȞIJȓȗȦȞ Pal 100v ੂȝİȚȡȩȝİȞȠȢțĮੑȡȚȖȞȫȝİȞȠȢ B 131v, M 108r, P 133v, Pal 101r [ੑȡİȖȩȝİȞȠȢ Pal] ȀȡȠȞȓįȘȢǽİઃȢਥȡĮıIJȒȢȁȘIJȠ૨Ȣ B 105v, M 83v, N 94r, P 106r, Pal 121v ȜȩȖȦȞȡȠȞȤȦȞĮȡȦȞ B 75v, C 67v, M 55r, N 65r, P 74v, Pal 47v ȜȩȖȦȞȡȠȞȤȦȞıȠijȞ B 144v, M 118r, N 117v, P 144r, Pal 67r ȝȑȖĮȢਝȞIJȫȞȚȠȢ B 133r, M 109v, P 135r ȝȞĮIJȠțȡȐIJȦȡIJોȢȕĮıȚȜȓįȠȢșૅĮȘȢ Pal 86r ȝȞȁȐȗĮȡȠȢIJİIJĮȡIJĮȠȢ Pal 104r ȝȞıȠijઁȢijȣIJȠıʌȩȡȠȢ੯ijȓȜİȞȑİ Pal 101v ȝȞȋȡȪıȘȢȝİșૅਫ਼ȕȡȚıȝȞ B 99r, M 76v, N 87r, P 99r, Pal 56r, St 191 ȝ ıIJȠȚȤȞ IJ ʌȠȞİȞ Pal 69r
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ȠੁțIJİȓȡȦȞʌİȞȒIJĮ Pal 89v ʌĮȚįİȓıIJȠȚȤȞ੯ʌĮȚįȓĮijȓȜIJĮIJĮ Pal 97r ʌȩȞıIJȠȚȤȞțĮįİȚijȚȜȘįȞ Pal 94v ʌȠȞȞįȚȩȜȠȣįૉ Pal 100r ʌȠȞȞਥʌIJૌਕȞĮȖȞȫıİȚ B 143r, M 116v, N 116v, P 143r, Pal 60v ȆȠıİȚįȞijȠȚIJȐȜȝȚȠȢ B 108v, M 86r, N 96v, P 109r, Pal 116v ʌȡȠijȒIJȘȢǻĮȞȚȒȜ B 63v, C 55v, M 45v, N 54v, P 64r, Pal 36r ȉȑIJIJȚȟȝȠȣıȚțȩȢ B 110r, M 87v, N 97v, P 110v ȉȑIJIJȚȟȝȠȣıȚțȫIJĮIJȠȢ B 111v, M 88r, N 98v, P 111r, Pal 74r IJૌțȜȠʌૌਥijȘįȩȝİȞȠȢ B 119v, M 96v, N 107r, P 121r, IJોȢįĮȚȝȠȞȚțોȢਥʌȘȡİȓĮȢ B 84r, C 48v, M 62r, N 73v, P 84r, Pal 37v IJઁȞਦĮȣIJȠ૨ʌȜȠ૨IJȠȞʌȜȘșȪȞȦȞȝİIJʌȜİȠȞĮıȝȞțĮIJȩțȦȞ Pal 106r IJȠ૨ȆȡȚȐȝȠȣʌĮȢਝȜȑȟĮȞįȡȠȢ B 90r, M 67r, N 78r, P 89r, Pal 55r, St 160 IJȞ ਕȚįȓȦȞ țĮ ਕİȚȗȫȦȞ țĮ ȝȠȞȓȝȦȞ Pal 75r ĭȚȜȚʌʌȓįȘȢ ਝȜȑȤĮȞįȡȠȢ țĮ IJȞ ਲįȦȞȞ ȕĮıȚȜİઃȢ Pal 87r ijȡİȞȩȜȘʌIJȠȢ ȡįȘȢ ੁįઅȞ Pal 80r
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LUIGI SILVANO
ȋȡȪıȘȢ ੂİȡİઃȢ Ȟ IJȠ૨ ȁȘIJȠǸįȠȣ ਝʌȩȜȜȦȞȠȢ Pal 116r ȅੂ ȖİȦȡȖȠ IJȞ ȜȚʌĮȡȩȖİȦȞ ਙȡȠȣȡĮȞ ਕȡȩıĮȞIJİȢ Pal 107r ȅੂ ȜĮȖȦȠ IJȞ ਦĮȣIJȞ ਕıșȑȞİȚĮȞ ੩įȪȡȠȞIJȠ Pal 75r ȅੂʌİȡȜȩȖȠȞıʌȠȣįȐȗȠȞIJİȢȠįȑʌȠIJİıȤȠȜȐȗİȚȞ Pal 107v ȜȓȖȦȞȜȩȖȦȞ੯ʌĮįİȢ B 123v, C 69r, P 126r, Pal 59r [ȤȡȩȞȦȞ Pal] ਜ਼ȞȠȞʌȠIJIJȞțĮȚȡȞ B 126r, M 102v, P 128r, A 19a ਜ਼ȞIJȦȢȠੇȝĮȚıİȝਕȞȒțȠȠȞʌĮȡĮȚȞȑıİȦȞ Pal 120v ȡȑȟȦȝİȞ૧ȒȖȘIJȡȓȖİȚ Pal 68r ȡȞıİ੯ȞİĮȞȓĮIJȞȜȩȖȦȞȜȩȖȠȞʌȠȚȠ૨ȞIJĮ Pal 111r ȡȞਫ਼ȝȢਕȝİȜȘIJȐȢ B 131v, M 108v, P 134r, Pal 72v ੜıȠȞਫ਼ȝȞ੯ʌĮįİȢʌĮȡĮȚȞȠ૨ȝİȞ Pal 96v ȅįȢȞȠȢİੁȢIJઁȞĮIJઁȞȕȩșȡȠȞʌȓʌIJİȚʌȠIJȑ Pal 118r ȅʌȡઁȢțĮȜȞਥıIJȚȞ੯ȞİĮȞȓĮIJઁțĮIJĮijȡȠȞİȞIJȞȜȩȖȦȞ Pal 75r ȅIJઁʌȜİıIJĮȖȡȐijİȚȞIJઁȞıȤİįȠȖȡȐijȠȞ Pal 109r ȅįȞIJȞਥȞȕȓ B 117r, M 94r, N 104v, P 119r ȅįȞȤİȡȠȞਕȝİȜȠ૨Ȣ B 143r, M 117r, N 117r, P 143r, Pal 96v
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ȅțĮੁıȤȪȞİıșİ੯ȞȦșȡİȓțĮȞȦșİȓțĮȞȦȤİȜȓțİțȡĮIJİȝȑȞȠȚʌĮįİȢ Pal 111r ȅIJȦȝȞĮੂʌİȡȂĮȡȓĮȞȝȣȡȠijȩȡȠȚȖȣȞĮțİȢ Pal 106r ȅIJȦȝȞȠੂਚȖȚȠȚȂĮțțĮȕĮȠȚ Pal 121v ȆȐȞȣȝİȜİȜȣʌȒțĮIJİ੯ʌĮįİȢ Pal 107v ȆȑʌĮȣIJĮȚȝĮȖİȓȡȦȞıʌȠȣįૌ B 146r, M 119v, N 118v, P 145v ȆİȡʌȜİȓıIJȦȞਵIJȦıȠȚIJȞȜȩȖȦȞȝİȡȠȢ Pal 76v ȆȜİȓıIJȦȞʌȩȞȦȞȤİȡĮIJȠȢઘȡȘȝȑȞȠȚȢțĮIJȠȡșıĮȚ Pal 121v ȆȠȓĮȚȢıİijȦȞĮȢਫ਼ȝȞȒıȦȋȡȚıIJȠ૨IJઁʌȜȠȞ Pal 87v ȆȠȜȜIJોȢȞȘıIJİȓĮȢIJțĮIJȠȡșȫȝĮIJĮ Pal 70r ȆȩȞȠȚȖİȞȞıȚįȩȟĮȞ B 54v, M 37v, N 45v, P 55r, St 118 ȆȩȞȠȢȜȩȖȦȞȖİıȠȞ B 129v, M 106r, P 131v, Pal 112r ȆȠIJIJȞțĮȚȡȞȝ૨ȢIJȚȢ B 125r, M 102r, N 112r, P 127v, Pal 62v et 119r ȆȡઁȢ ਲȝȢ ਲțȩIJĮ ıİ ıȒȝİȡȠȞ B 129r, M 105v, P 131r, Pal 73r ૮ȒIJȦȡʌĮȓțIJȘȢਕʌઁȝȚțȡȠ૨ʌĮȚȖȞȓȠȣ Pal 93r ȈIJȞਥʌਫ਼įȐIJȦȞțȪȡȚૅĮੁȦȡȒıĮȞIJĮʌ઼ıĮȞIJȞȖોȞ Pal 105r ȈȒȝİȡȠȞਕȞʌȜȐIJȘIJȞȕȡȠIJȞ M 121v, N 120v, P 147v [forsan legendum ਕȞĮʌȜIJIJİȚ@
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ȈȒȝİȡȠȞİੁȢȜİȖȤȠȞțĮȞİȚįȠȢIJȞʌĮȡȞȩȝȠȞ Pal 89v ȈȒȝİȡȠȞțȡȚIJȢįȓțĮȚȠȢਫ਼ʌȠțȡȚIJȞ Pal 105r ȈȒȝİȡȠȞ੯ʌĮįİȢ B 39r, C 52v, M 24v, N 31v, P 39v, Pal 34r ȈʌȠȣįȞਕȞĮȜȐȕȘIJİʌĮįİȢ B 141r, M 115r, N 115v, P 141v ȈઃȝȞਕʌȡȩıİțIJȠȢİįૉ Pal 100v ȈઃȝȞ੯ȞİĮȞȓĮIJਲȝİȜȘȝȑȞȦȢįȚĮȕȚȫıțİȚȞ Pal 104v ȈȪȝʌĮȢਥȞșȠȣıȚȐIJȦțĮȕĮțȤİȣȑıșȦ Pal 86r ȈȣȞİȓȤİIJȠȝȞਲıȫijȡȦȞਡȞȞĮ B 143v, M 117v, N 117r, P 143v ȈȗİȀȪȡȚİIJȞȜĮȞıȠȣțĮijȡȠȪȡİȚ Pal 78v ȈȦțȡȐIJȘȢșİĮıȐȝİȞȠȢIJȚȞIJȞਦĮȣIJȠ૨ijȠȚIJȘIJȞ Pal 111v ȈȫıȦȞȀȪȡȚİIJઁȞȜĮȩȞıȠȣ B 146r, M 119r, N 118v, P 145v, Pal 114v [ııȠȞ legendum] ȉȤȡİȚȫįȘțĮਕȞĮȖțĮĮ B 123r, M 100r, N 110v, P 125r, Pal 60r ȉȞਕȜĮȗȩȞİȚĮȞȝȓıİȚ੯ਪIJĮȚȡİ Pal 97r [-ȠȞİĮȞPV@ ȉȞਕȝȑȜİȚĮȞțĮIJȞ૧ĮșȣȝȓĮȞ Pal 106v ȉȞਝijȡȠįȓIJȘȞIJȚȝıȚȞ B 122v, M 99v, N 110r, P 124v, Pal 113r ȉોȢĮIJĮȡțİȓĮȢțĮੑȜȚȖĮȡțȓĮȢਕȞIJȚʌȠȚȠ૨੯ȠIJȠȢ Pal 106v
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ȉȞȖોȞʌȚĮȓȞȦțĮțȚȞIJȢੑȜțȐįĮȢ Pal 89v ȉȓįİʌİȡIJȠ૨ıȠijȦIJȐIJȠȣੑȡijĮȞȠIJȡȩijȠȣijĮIJȑ Pal 86r ȉȓȝĮ੯ȠIJȠȢIJȠઃȢȖȠȞİȢ Pal 75v ȉઁįȚįȐıțİȚȞIJȤȠȜ઼ȞțȑțȡĮIJĮȚ Pal 79r ȉઁıȤİįȠȖȡĮijİȞ੯Ȟȑİ B 116, C 85v, M 93r, N 103v, P 117r ȉઁIJȠ૨țĮȚȡȠ૨Ƞțਥ઼ਲȝ઼ȢıIJİȚȞઁȞȜȩȖȦȞȝİIJĮįȠ૨ȞĮȚ Pal 107v ȉઁIJȞȜȩȖȦȞțIJોȝĮ Pal 71v ȉઁIJȞȜȩȖȦȞȤȡોȝĮ B 87v, M 64v, N 76r, P 86v, Pal 58r ȉઁȥȣȤİȚȞઁȞIJȠ૨țĮȚȡȠ૨ B 123v, C 62v, M 100v, N 110v, P 125v, Pal 65r, A 18b ȉઁȞਙȕȣııȠȞțȜİȓıĮȢ੯ʌĮįİȢİįİIJĮȚıȦȝĮIJȚțȢ ȞȑțȣȢ Pal 90r ȉઁȞȝȪȡȝȘțĮȝȓȝȘıĮȚ੯ʌĮ Pal 66r ȉȠ૨ȘıȠ૨ȖȚȞȠȝȑȞȠȣਥȞǺȘșĮȞȓ Pal 105r ȉȠ૨ȆȡȚȐȝȠȣʌĮȢਝȜȑȟĮȞįȡȠȢ St 160 ȉȠ૨ıȤİįȠȖȡĮijİȞਕȡȤȩȝİȞȠȚ B 58v, C 38r, M 40v, N 49v, P 59r, Pal 21v, St 108 ȉșİȓȗȒȜȋȡȚıIJȠ૨ʌȣȡʌȠȜȠȪȝİȞȠȢ C 34v ȉȞȠıȘȜİȓĮȢıȣȞȚıȤİıșĮȚȝİȞȦșȡȩIJĮIJȠȚ" ȞȑȠȚțĮਕʌȡȠıİțIJȩIJĮIJȠȚ Pal 108r
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LUIGI SILVANO
ȉȞਕȞȠȝȚȞȝȠȣIJȞਕʌİȓȡİȚIJȠȞ B 147v, M 120v, N 119v, P 146v ȉȞਥʌȚȖİȓȦȞ੯ਙȞșȡȦʌİ B 121r, M 98r, N 108v, P 123r, Pal 66v ȉȞȠੁțİȓȦȞ੯ʌĮȤȠȣȝĮșȘȝȐIJȦȞ Pal 90v ȉȞȠȡĮȞȓȦȞșİȞ B 103v, M 81v, N 91v, P 104r ȊੂȑIJȒȡİȚIJઁįȓțĮȚȠȞ Pal 97v ȊੂઁȢıȠijȓțĮȜȩȖȠȚȢ B 137v, M 113v, N 113v, P 139r, Pal 103r ʌૅ੭ȞȦȞ ੁįȞʌȦȜȞ(?) Pal 121r [forsan legendum ʌૅȞȦȞੁįઅȞʌȠȜȜȞ@ ĭĮȑșȦȞȜȓȠȣʌĮȢ B 144v, Pal 118v, P 144v ĭĮȑșȦȞIJȠ૨ȜȓȠȣʌĮȢ B 109r, M 86v, N 97r, P 109v ĭȑȡİįȒıȠȚIJİੁțȩIJĮ B 128r, M 104v, P 130r, Pal 68v ĭȓȜİȚ੯ʌĮIJઁȝİȜİIJ઼Ȟ B 133v, C 98v, M 110r, P 135v, Pal 68v ĭȓȜİȚ੯ʌĮȚįȓȠȞIJઁȝİȜİIJ઼Ȟ Pal 108v ĭȚȜİIJİʌĮįİȢIJઁȖȡȐijİȚȞțĮșૅਲȝȑȡĮȞ Pal 102r ĭȚȜİIJİIJઁȝĮȞșȐȞİȚȞ੯ijȓȜȠȚʌĮįİȢ Pal 61v ĭȡȩȞIJȚȗİ੯ȠIJȠȢIJȞȜȩȖȦȞ Pal 72v ǐĮȓȡİȚȞİੁʌઅȞțĮȡȡİȚȞİੁʌઅȞ Pal 97r
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ǐȡIJઁȞਕȜȘșȢȋȡȚıIJȚĮȞઁȞ Pal 74v ǐȡȘıIJઁȢਕȞȡȠੁțIJİȓȡȦȞ B 66r, C 60v, M 63v, N 74v, P 85r ǐȡȪıȘȢįȚȦȤșİȢਫ਼ʌઁIJȠ૨ਝIJȡİȓįȠȣ B 100r, M 78r, N 88v, P 100v, Pal 57r, St 101 ǐȡȪıȘȢ ੂİȡİઃȢ IJȠ૨ ਝʌȩȜȜȦȞȠȢ B 109v, M 87r, N 97r, P 110r ੳıȣȝʌȠıȓȦȞȡȫįȠȣȠੈȢʌȡȠijȘIJȚțઁȞĮੈȝĮıȣȞĮȞĮțȚȡȞ઼IJĮȚ Pal 115r ȡȠȢȡȠȞIJȑșİȚțİ Pal 85v ੲȢਙȡĮțĮțȠȞȑȦȞਕȝȣįȡȩIJİȡĮ Pal 86r ੲȢįİȟȚਲਲȝȑȡĮ B 79v, C 36r, M 59r, N 68v, P 78v, Pal 31v ੶ıʌİȡȝʌȠȜȜȞĮੇĮȞਵIJȠȚȖોȞȤȦȞ Pal 77v ੶ıʌİȡȠੂIJȞȖોȞਥȡȖĮȗȩȝİȞȠȚ B 136r, M 112r, P 137v ૠȍıʌİȡIJઁijȚȜİȡȖઁȞȗȠȞਲȝȑȜȚııĮ Pal 76v ੶ıʌİȡIJઁȞਥȟİȞȦȝȑȞȠȞțĮਥȟȘIJȠȞȘȝȑȞȠȞ Pal 99v
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LUIGI SILVANO
Tav. 1 - ASMo Framm. B 12, nn. 17a-b (riproduzione autorizzata con prot. nr. 2132/28.01.02/12.1)
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SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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Tav. 2 - Barb. gr. 102, f. 3r
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164
LUIGI SILVANO
Tav. 3 - Barb. gr. 102, f. 58v
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SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
165
Tav. 4 - Pal. gr. 92, f. 1r
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166
LUIGI SILVANO
Tav. 5 - Pal. gr. 92, f. 62v
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SCHEDOGRAFIA BIZANTINA IN TERRA D’OTRANTO
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Tav. 6 - Pal. gr. 92, f. 119v
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SAULO DELLE DONNE UN NUOVO TESTIMONE E UNA NUOVA REDAZIONE DELL’EPISTOLA A PAOLO VESCOVO DI GALLIPOLI: IL CODICE GRECO CORPUS CHRISTI COLLEGE NR. 486*
1.1. L’Epistola di un patriarca di Costantinopoli a Paolo vescovo di Gallipoli L’Epistola a Paolo vescovo di Gallipoli è la lettera che un patriarca di Costantinopoli, nella tradizione manoscritta mai menzionato per nome, inviò ad un Paolo già eletto vescovo di Gallipoli in Terra d’Otranto, per rispondere a questioni dallo stesso Paolo sollevate in precedenza, sempre tramite lettera. Queste informazioni si traggono dal titolo con cui l’Epistola si apre nel codice Vat. Barb. gr. 350, che tenuto conto delle precisazioni di A. Jacob recita appunto ǻȚȐIJĮȟȚȢ IJોȢ ʌȡȠıțȠȝȚįોȢ ıIJĮȜșİıĮ ʌĮȡ IJȠ૨ ʌĮIJȡȚȐȡȤȠȣ ȀȦȞıIJĮȞIJȚȞȠȣʌȩȜİȦȢ IJ țȣȡ NJĮȪȜ ਫ਼ʌȠȥȘijȓ DŽĮȜȜȚʌȩȜİȦȢ1. Ed esse trovano conferma nel testo stesso, considerati gli appellativi diretti al destinatario (1.1 ĬİȠijȚȜȑıIJĮIJİ țĮ ਲȖȚĮıȝȑȞİ ȝȠȚ įȑıʌȠIJĮ; ijȚȜȠȝĮșȑıIJĮIJİ; įȑıʌȠIJĮ), il “tu” che si contrappone ad un “io” e talora ad un “essi” (1.1-2 ਲȖȚĮıȝȑȞİ ȝȠȚ e ਲȝ઼Ȣ ਥȡȫIJȘıĮȢ; 1.2-4 ʌĮȡĮıIJોıĮȓ ıȠȚ e Ƞț ਥȖઅ e ıȠȚ ȖȡȐijȠȣıȚȞ; 2.1-2 ȤİȚȢ e ʌȡȠıșȒıȦ įȑ ıȠȚ; 3.1 IJȠȚȐįİ ıȠȚ ਕʌĮȖȖȑȜȜȠȣıȚ; 4.1-2 ਫ਼ʌİȜȒijșȘ ıȠȚįȚ IJȞ ıȞ ȖȡĮȝȝȐIJȦȞ ਲȝ઼Ȣ ਥȡȫIJȘıĮȢ; 4.10 ਥʌȚȜİȓijșȘ ıȠȚ), i verbi all’imperativo di secon* Ringrazio il Prof. P. Giannini e il Prof. S. Parenti per la consulenza sul testo greco. Ringrazio anche Suzanne Paul, già Sublibrarian della Parker Library del Corpus Christi College, per l’accoglienza in quel di Cambridge. In questo contributo si menzionerà il codice Corpus Christi College, nr. 486 nella forma abbreviata CCC 486. Per rimandare ai passi dell’Epistola, si adotterà la divisione in paragrafi ed il numero di rigo dei paragrafi come si leggono nell’edizione di V. POLIDORI, La lettera patriarcale a Paolo di Gallipoli, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata s. III 9 (2012), pp. 212-215, perché è l’edizione più recente e la prima con uno sforzo di constitutio textus. La divisione in paragrafi di Polidori non è adottata qui solo nell’ultimo capoverso del paragrafo 2.1 e nell’intero paragrafo 2.2, perché vi si dà conto delle innovazioni introdotte dal CCC 486. 1 Cfr. A. JACOB, La lettre patriarcale du Typikon de Casole et l’évêque Paul de Gallipoli, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 24 (1987), p. 144 e nt. 6. Lo stesso titolo è oggi accolto nell’edizione di POLIDORI, La lettera patriarcale cit., p. 212. Il titolo era tràdito anche nel codice Taur. gr. C III 17. Esso, infatti, compare nel ms. Lupiensis 201, che è una copia manoscritta moderna del codice. Esso, inoltre, compare nell’edizione di Cozza-Luzi (Novae Patrum Bibliothecae ab Ang. Card. Maio collectae, tomus X editus a Iosepho COZZA-LUZI, Romae 1905, p. 167), che impiegava sia il codice barberiniano sia quello torinese. Sulla base di queste due fonti il titolo nel Taur. gr. C III 17 sarebbe stato ǻȚȐIJĮȟȚȢ IJોȢ ʌȡȠıțȠȝȚįોȢ ʌĮȡ IJȠ૨ ʌĮIJȡȚȐȡȤȠȣ DŽȦȞıIJĮȞIJȚȞȠȣʌȩȜİȦȢ ıIJĮȜİıĮ IJ țઃȡ NJĮȪȜ ਫ਼ʌȠȥȘijȓ DŽĮȜȜȚʌȩȜİȦȢ
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SAULO DELLE DONNE
da persona (2.8 ਙʌĮȖİ; 4.2 įȑȟĮȚ țĮ IJȠ૨IJȠ), nonché i riferimenti a domande già poste o a missive precedenti (1.2 ਲȝ઼Ȣ ਥȡȫIJȘıĮȢ; 1.3 ʌĮȡĮıIJોıĮȓ ıȠȚ ȜȩȖȠȣȢ; 1.4 IJȠȚȐįİʌİȡIJȞਥȡȦIJȘȝȐIJȦȞ; 4.1-2 ʌȡઁȢ IJȢ ਥȡȦIJıİȚȢ ਘȢ įȚ IJȞ ıȞ ȖȡĮȝȝȐIJȦȞ ਲȝ઼Ȣ ਥȡȫIJȘıĮȢ). Le questioni che Paolo ebbe a sollevare furono di argomento liturgico e a giudicare dal modo in cui il Patriarca vi si riferisce riguardarono in ordine: (prima domanda) il significato di due elementi dell’area del ȕોȝĮ, cioè la sacra mensa e l’ambone (1.5-9), e del rito ad essi connesso (1.9-12); (seconda domanda o aggiunta voluta dal Patriarca?) il significato di un terzo elemento dell’area del ȕોȝĮ, la prothesis intesa come il tavolo su cui si svolge il momento della preparazione (2.1-5), e del rito stesso appunto della preparazione del pane sacro corpo di Cristo (2.5-29); (terza domanda) l’esigenza di disporre di una ਫ਼ʌȠIJȪʌȦıȚȢ, una sorta di sintesi (3.1-2) riguardo la liturgia dei “doni presantificati” ed anche le modalità di conservazione dei “presantificati” in genere, nei diversi tempi liturgici (3,2-29); (quarta domanda) il modo in cui procedere alla frazione del sacro pane (4.2-9) e l’uso del calice da parte del sacerdote e del diacono, quando sono ormai già sulla sacra mensa (4.9-10)2. 1.2. Autore, destinatario e datazione dell’Epistola L’identità del patriarca autore della Epistola è legata a quella del destinatario, Paolo vescovo di Gallipoli, e da ciò dipende anche la datazione. Il primo ad avanzare una proposta al riguardo è stato Cozza-Luzi, l’editor princeps dell’Epistola. Egli mise a frutto un documento un tempo conservato nell’Archivio Vescovile di Nardò, dove era stato trasferito da San Mauro di Gallipoli assieme agli altri documenti di questo monastero3. Per quanto riguarda, infatti, la prima domanda, il Patriarca conclude la sua risposta con l’esplicita affermazione ȤİȚȢ IJ ʌİȡ IJોȢ IJȡĮʌȑȗȘȢ ਵIJȠȚ IJȠ૨ IJȐijȠȣ. Per quanto riguarda la seconda domanda, il Patriarca in apertura di risposta precisa ʌȡȠıșȒıȦįȑıȠȚțĮIJʌİȡIJોȢʌȡȠșȑıİȦȢ e queste parole o sono una formula di passaggio al nuovo argomento e per l’appunto alla seconda domanda di Paolo di Gallipoli oppure con esse il Patriarca viene a precisare che coglie l’occasione per aggiungere un argomento non a forza richiestogli dall’interlocutore. Per quanto riguarda la terza domanda, il Patriarca definisce l’argomento subito in apertura nei termini di un NJİȡ į IJોȢ IJȞ ʌȡȠȘȖȚĮıȝȑȞȦȞ ਫ਼ʌȠIJȣʌȫıİȦȢ. Per quanto riguarda, infine, la quarta domanda si è anche sicuri che fosse l’ultima perché il Patriarca introduce la sua risposta, affermando ਪȞ ਫ਼ʌİȜȒijșȘ ıȠȚ ʌȡઁȢ IJȢ ਥȡȦIJȒıİȚȢ e aggiungendo anche un įȑȟĮȚ țĮ IJȠ૨IJȠ. 3 Che questo documento facesse parte del gruppo di documenti in lingua greca di San Mauro trasferiti a Nardò (venendo poi pubblicati nel Syllabus graecarum membranarum quae partim Neapoli in maiori Tabulario et primaria bibliotheca, partim in Casinensi coenobio ac Cavensi et in episcopali tabulario Neritino iamdiu delitescentes et a doctis frustra expetitae, nunc tandem adnitente impensius Francisco Trinchera in luce prodeunt, Neapoli 1865, pp. 514-527) ha dato dimostrazione, molto tempo dopo Cozza-Luzi, JACOB, La lettre patriarcale cit., p. 149-151. 2
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Si tratta dell’atto di donazione di un Teodoro protopapas di Gallipoli apud Cirillo praefectus/igumeno di una sancta mantione identificabile col detto monastero di San Mauro. Ed in questo atto si afferma che presso questa mantione era stato un tempo praesbiter per l’appunto un Paulus episcopus Callipolis. Quindi, Cozza-Luzi propose di identificare il Paolo di questo documento con il Paolo dell’Epistola. Inoltre, poiché il documento gli era noto dalla seconda edizione dell’Italia Sacra di Ughelli curata da Coleti, che lo datava al 10814, e poiché l’informazione su Paolo era da lui intesa in riferimento a un Paolo non ancora vescovo, propose anche di identificare il patriarca con Nicola III Grammatico (1084-1111), identificazione corroborata secondo Cozza-Luzi anche dal fatto che questo patriarca sarebbe anche autore di un De ratione qua sacerdos facere debeat oblationem molto vicino, per argomento, all’Epistola5. Questa è stata a lungo la ricostruzione di riferimento per i pochi che hanno avuto modo di occuparsi dell’Epistola6. Solo Grumel propose di identificare il patriarca con Cosma I (1075-1081) o con Eustrazio Garida Italia Sacra sive de episcopis italiae, tomus nonus, auctore D. F. UGHELLO, editio secunda aucta et emendata cura et studio N. COLETI, Venetis 1721, coll.100-101. Sulla scorta di questa pubblicazione, le informazioni su Paolo vescovo di Gallipoli e la datazione al 1081 sono divenute una vulgata. Cfr. P. P. RODOTÀ, Dell’origine, progresso e stato presente del rito greco in Italia osservato dai greci, monaci basiliani, e albanesi, vol. I, in Roma 1758, p. 387; B. RAVENNA, Memorie istoriche della città di Gallipoli, Napoli 1836 (rist. Bologna 1972, con introduzione di G. Uggeri, da cui si cita), p. 440; N. M. CATALDI, Gallipoli (chiesa vescovile), in Enciclopedia dell’ecclesiastico ovvero Dizionario della teologia dommatica, vol. IV, Napoli 1845, pp. 605, 620; Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, quotquot innotuerunt a beato Petro Apostolo, ed. P. B. GAMS, Regensburg 1873 (rist. Graz 1957), p. 882; G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalle origini ai nostri giorni, vol. XXI, Venezia 1870, p. 328; F. CASOTTI L. DE SIMONE S. CASTROMEDIANO L. MAGGIULLI, Dizionario biografico degli uomini illustri di Terra d’Otranto, a cura di G. DONNO, A. ANTONUCCI e L. PELLÈ, introduzioni di G. DONNO, D. VALLI, E. BONEA e A. LAPORTA, Manduria-Bari-Roma 1999 (il dizionario però era pronto per la stampa già nel 1879), p. 413; G. GABRIELI, Bibliografia di Puglia. Apulia Sacra Bibliographica. Parte II.2, in Japigia 4, (1933), p. 292. La fortuna di queste notizie giunge almeno fino a C. D. POSO, Il Salento normanno. Territorio, istituzioni, società, Galatina 1988, p. 130. 5 Cfr. G. COZZA-LUZI, Lettere casulane, Reggio Calabria 1900 [= rist. in M. MUCI, Guida al carteggio di L. G. De Simone (Con le Lettere casulane di G. Cozza-Luzi), Lecce 2006], pp. 7 (lettera II del 20 luglio 1888), 11 (lettera III, del 27 luglio 1888), 42-44 (lettera XIII, del 27 agosto 1888); COZZA-LUZI, Novae Patrum Bibliothecae cit., pp. 152-154. 6 Per la fortuna di questa posizione, cfr. M. MANDALÀ, La protesi della liturgia nel rito bizantinogreco, con prefazione del Ch. P. NILO BORGIA, Grottaferrata 1935, pp. 25-26, 71, 77, 109-113, 158, 172; A. JACOB, Un opuscule didactique otrantais sur la Liturgie eucharistique. L’adaptation en vers, faussement attribuée a Psellos, de la Protheoria de Nicolas d’Andida, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 14-16 (1977-1979), pp. 165-166, 177; A. APOSTOLIDIS, Il Typikon di S. Nicola di Casole secondo il codice Taur. gr. C III 17 (Introduzione, testo critico, indici), Bari 1984 (Tesi di dottorato, Pontificia Università S. Tommaso D’Aquino in Roma, Sezione Ecumenicopatristica greco-bizantina “S. Nicola”, Bari), pp. XXXII-XXXIII; P. HOFFMANN, Une lettre de Drosos d’Aradeo sur la fraction du pain (Athous Iviron 190, A.D. 1297/1298), in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 22-23 (1985-1986), pp. 262-263 e nt. 69. 4
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(1081-1084), perché il documento – ad attenersi al suo dettato testuale – indicava chiaramente che al momento della donazione lì attestata, quindi nel 1081, Paolo era già vescovo7. Grumel non metteva certo in discussione il quadro complessivo ricostruito da Cozza-Luzi, ma solo correggeva un’interpretazione della data del 1081 rispetto al vescovato di Paolo. Nel 1987, però, A. Jacob, che pure aveva già accolto la datazione all’XI sec. e la correzione di Grumel8, ha completamente cambiato i termini della questione. Mentre Cozza-Luzi, infatti, conosceva il documento dell’Archivio Vescovile di Nardò solo tramite la notizia che egli leggeva nella citata edizione dell’Italia Sacra, Jacob ha avuto in mano la trascrizione e traduzione latina del documento, da lui scoperta in un manoscritto della Biblioteca Provinciale di Lecce (cod. 85), riuscendo così ad aprire un filone di indagine nuovo e a giungere ad una ricostruzione ben diversa. Innanzitutto, infatti, egli ha potuto segnalare che la traduzione latina del documento presentava in testa l’indicazione di anno 1481. Il che significava che la datazione al 1081 era frutto di una falsificazione di quel Pietro Polidori cui il Coletus doveva le aggiunte all’Italia Sacra. In particolare, Pietro Polidori, decideva di correggere l’anno, senza fare menzione di ciò, sia perché doveva essere consapevole che nel 1481 a Gallipoli era vescovo Ludovico Spinelli e che a Gallipoli dal XV sec. in poi i vescovi erano stati solo latini, sia perché dovendo nell’originale greco la data essere espressa secondo il sistema mondiale costantinopolitano il traduttore latino ne avrebbe potuto più facilmente confondere la cifra delle centinaia, cioè un originale ǰ (= 600) con un ȉ (= 900)9. In secondo luogo, Jacob ha individuato come più probabile data per il documento l’anno 1181. In sede più generale, infatti, occorre constatare che tanto i documenti più antichi tanto le notizie storiche sulla serie di praefectus/igumeni del monastero di San Mauro riportano sempre al XII e non all’XI sec. Nello specifico, poi, dello stesso gruppo di documenti provenienti da San Mauro, cui appartiene quello di Paolo vescovo, fa parte anche un ulteriore documento datato al 1203 in cui si parla di nuovo di un Teodoro protopapas di Gallipoli. E questo secondo Teodoro è da iden7 Cfr. V. GRUMEL, Les regestes des actes du Patriarcat de Constantinople. Vol. 1. Les actes des Patriarches. Fasc. 3. Les regestes de 1043 à 1206, Paris 1947, p. 31 nt. 918; ID., Les regestes des actes du Patriarcat de Constantinople. Vol. 1. Les actes des Patriarches. Fasc. 3. Les regestes de 1043 à 1206, deuxième édition revue et corrigée par J. DARROUZÈS, Paris 1989, pp. 395-396, in cui viene segnalata la datazione proposta da Jacob, ma il documento viene comunque lasciato all’anno 1081. 8 Cfr. supra, nota 7. 9 Cfr. JACOB, La lettre patriarcale cit., pp. 146-152 (con edizione del documento), 153 e nt. 41, 155 nt. 53. Il documento è ristampato da ultimo anche in POLIDORI, La lettera patriarcale cit., pp. 193-196.
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tificare con sicurezza con quello dell’atto di Paolo di Gallipoli, perché nel documento del 1203 si menziona un ੑıʌȓIJȚȠȞ IJોȢ ȝȠȞોȢ ਕijȚİȡȠșȑȞIJĮ ʌĮȡ ĬİȠįȫȡȠȣ ੁİȡȑȦȢ țĮ ʌȡȦIJȠʌȐʌĮ e se ne descrive la posizione in modo tale che deve essere la domus che faceva parte dei beni donati dal primo Teodoro. Poiché, quindi, i due Teodoro devono essere la stessa persona e nel secondo dei due documenti si sente ancora la necessità di specificare il bene donato e il donante, allora non doveva esser passato molto tempo l’uno dall’altro, come dire che per il primo Teodoro occorre pensare ad una data più vicina al 1203, che dovrebbe essere appunto il 118110. In terzo luogo, Jacob ha indicato Paolo di Gallipoli come il vescovo successore di Teodosio e ha, di pari passo, ricondotto la datazione dell’Epistola al luglio-novembre 1174, donde la necessaria individuazione del patriarca in Michele III d’Anchialo (1170-1177). Da una parte, infatti, Teodosio è il vescovo che i già citati documenti di San Mauro trasferiti a Nardò (e poi a Napoli) indicano come vescovo di Gallipoli ancora nell’agosto 1172, mentre i documenti relativi alla controversia tra lo stesso Teodosio e l’abate latino Paganus per la chiesa di S. Maria di Nardò, permettono di dirlo ancora vivo al luglio 1174, ma ormai morto di certo al maggio del 1176. Dall’altra, poi, in uno dei suoi più importanti testimoni, nonché il più antico (il ms. Taur. gr. C III 17), l’Epistola compare solo alla fine e dopo che il codice era già stato confezionato e sottoscritto, il 1° settembre 1173, essendovi stato aggiunto da una mano da identificare con quella dell’igumeno Nicola di Casole. Il che implica, appunto, che Nicola poté copiarvi l’Epistola in un arco di tempo ristretto tra il settembre 1173 (data della sottoscrizione) ed il 27 novembre 1174 (data della morte di Nicola stesso), ma con più esattezza, essendo al luglio 1174 probabilmente ancora in carica a Gallipoli Teodosio, tra il luglio (data presunta della morte di Teodosio) e il 27 novembre 117411. Questa di Jacob è una ricostruzione complessa ed articolata, che per la prima volta è riuscita a dare una visione d’insieme degli elementi che entrano in gioco riguardo all’identificazione dei protagonisti dell’Epistola. Non è un caso, quindi, che essa abbia ormai rimpiazzato quella di Cozza-Luzi quale ricostruzione di riferimento12. Cfr. JACOB, La lettre patriarcale cit., p. 154. Ibid., pp. 155-159. 12 Tale datazione è stato riproposta da Jacob stesso in più occasioni, cfr. A. JACOB, Gallipoli bizantina, in Paesi e figure del vecchio Salento, a cura di A. DE BERNART, vol. III, Galatina 1989, pp. 283-287; A. JACOB, La signification su verbe ıʌȐȦ dans l’épigramme eucharistique de Georges de Gallipoli, in Rivista di studi bizantini e neoellenici n. s. 28 (1991), pp. 129130; A. JACOB, Tra Basilicata e Salento. Precisazioni necessarie sui Menei del monastero di Carbone, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania 68 (2001), p. 25. Ed essa è stata rapidamente accolta dagli studiosi, cfr. ad es. O. MAZZOTTA, Monaci e libri greci nel Salento Medievale, Novoli 1989, p. 26; S. PARENTI, La frazione in tre parti del pane eucaristico nella 10 11
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Solo di recente Valerio Polidori13 ha avuto modo di esprimere forti riserve, preferendo tornare ad accogliere la data del 1081 per il documento con la menzione di Paolo di Gallipoli ed identificare il patriarca autore della Epistola, sulla scia di Grumel, con Cosma I o Eustrazio Garida. Purtroppo, però, Polidori non porta argomenti pro anno 1081, a parte il fatto che il traduttore del documento greco, nel leggere la data sull’originale, avrebbe potuto confondere più facilmente con un ȉ (= 900), che comportava l’anno 1481, non un ǰ (= 600), donde l’anno 1181, ma un ǯ (= 500), donde appunto l’anno 1081. Di contro, egli dedica molto spazio a confutare la ricostruzione di Jacob con quattro argomenti che non sembrano del tutto convincenti14. Il primo argomento è che, con la datazione al 1174, l’Epistola risulterebbe aggiunta troppo rapidamente in calce al Taur. gr. C III 17 e troppo rapidamente essa risulterebbe mutata, anzi “degenerata” o “decomposta”15, per venire inserita all’interno del celebre eucologio otrantino Ottob. gr. 344 del 1177. E però proprio la rapidità per Jacob è un tratto distintivo della tradizione di questo testo, dettata dall’urgenza delle indicazioni liturgiche in essa presenti16. Il secondo argomento è che i Teodosio dei due documenti greci utilizzati dallo studioso belga potrebbero essere solo omonimi e quindi non identificabili l’uno con l’altro. E però Jacob segnalava che in essi vi è coincidenza non solo nel nome, ma anche nella descrizione e nella posizione del bene alienato a favore di San Mauro. Il terzo è che i ventidue anni tra il primo documento (1181) e il secondo (1203) renderebbero difficile che il Teodoro del secondo fosse lo stesso del primo. E però nel secondo il donante non è Teodoro, anzi quest’ultimo vi compare solo come riferimento per identificare i confini della casa che una donna di nome Donata alienò a favore di Giacomo igumeno di San Mauro. Il quarto ed ultimo argomento è che le liste episcopali della diocesi di Gallipoli non attestano alcun Paolo vescovo di Gallipoli tra il 1150 ed il 1180. Ma questo accade perché le liste in questione accolgono come autentica la data del 1081, che è invece frutto come ricordato di una correzione dal liturgia italo-bizantina, in Ecclesia orans 17 (2000), pp. 207-210, 215-216; S. PARENTI, Vino e olio nelle liturgie bizantine, in Olio e vino nell’Alto Medioevo. Atti delle settimane di studio della Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo. Spoleto, 20-26 aprile 2006, vol. II, Spoleto 2007, pp. 1271-1272; D. ARNESANO, Gli Epitimia di Teodoro Studita. Due fogli ritrovati del dossier di Casole, in Byzantion 80 (2010), pp. 12, 14 nt. 35; D. ARNESANO, Manoscritti greci di Terra d’Otranto. Recenti scoperte e attribuzioni (2005-2008), in Toxotes. Studies for Stefano Parenti, ed. by D. GALADZA, N. GLIBETIû e G. RADLE, Grottaferrata 2010, p. 87; S. PARENTI, Un eucologio bizantino poco noto del Salento El Escorial X.IV.13, in Studi sull’Oriente Cristiano 15 (2011), pp. 159-160. 13 POLIDORI, La lettera patriarcale cit., pp. 192-199. 14 Ibid., pp. 193, 197, 199. 15 Ibid., pp. 193, 197. 16 JACOB, La lettre patriarcale cit., pp. 148, 159-161.
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Coletus passata sotto silenzio. Nel caso in cui, poi, Polidori intenda dire che queste liste non lascerebbero comunque spazio per collocare un Paolo vescovo nel XII sec., si dovrebbe tener conto di due altri dati. Da una parte, Jacob si limita a dire che Paolo può venire solo dopo Teodosio, senza indicare una possibile estensione temporale del suo vescovato. Dall’altro, Polidori si affida alla lista di vescovi di un’opera compilativa come quella di Barbino, e non spiega, ad es., come mai Gams o Cappelletti o Gabrieli siano più incerti nell’indicare le date di inizio e fine dei vari vescovi e come mai essi al contrario di Barbino non introducano, proprio negli anni in questione per Paolo, due vescovi consecutivi di nome Teodosio il primo dal 1158 al 1173 e il secondo dal 1174 al 1179, ma lascino come ignoto il nome proprio del successore del primo17. 1.3. Edizioni e manoscritti dell’Epistola Come segnalava già Jacob nel 198718, il primo a rendere nota l’Epistola è stato Leone Allacci. Questi, infatti, nei prolegomena della sua De missa Praesanctificatorum apud Graecos dissertatio del 1643, pubblicò l’intero paragrafo 3 dell’Epistola riguardante il rito dei presantificati (pp. 169,13170,33 Cozza-Luzi = §3, pp. 214,3-215,9 Polidori), accompagnandolo anche con la traduzione latina19. In particolare, Allacci motivò questa sua scelta quia (i verba dell’Epistola) rara sunt nec omnibus ita obvia esse pos17 Cfr. A. BARBINO, L’antichissima sede episcopale di Gallipoli, Taviano 1987, p. 30: questi per Paolo di Gallipoli parrebbe conoscere solo quanto legge in RODOTÀ, Dell’origine cit., p. 387 ed è l’unico a indicare come successore di Teodosio un secondo Teodosio, entrambi i quali egli indica con il nome variante di Teodoro. Cfr. GAMS, Series episcoporum cit., p. 882, CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia cit., p. 329 e GABRIELI, Bibliografia di Puglia cit., p. 292, che per altro compilarono la loro lista sulle stesse fonti impiegate da Barbino. La stessa prudenza nell’indicare le date già in COLETUS, Italia Sacra cit., col. 101 e in RAVENNA, Memorie istoriche cit., pp. 435-442 ed anche essi non conoscono due vescovi consecutivi di nome Teodosio\ Teodoro. Non conosce due Teodoro\Teodosio consecutivi nemmeno l’Italia pontificia sive repertorium privilegiorum et litterarum a romanis pontificibus ante annum MCLXXXVII Italiae ecclesiis monasteriis civitatibus singulisque personis concessorum, congessit P. F. KEHR, vol. IX Samnium-Apulia-Lucania, ed. W. HOLTZMANN, Berolini 1962, pp. 417-419, 430-431 (su di essa si è basato JACOB, La lettre patriarcale cit., pp. 155-156), anzi esplicitamente scrive nescitur quando Theodosius ep. Gallipolitanus obierit et quis ei successerit e questo riguardo ad un documento databile 1175-1176 (p. 418, *11). 18 JACOB, La lettre patriarcale cit., p. 144 nota 7 e 8. 19 L. ALLACCI, De Missa Praesanctificatorum apud Graecos Dissertatio, a. 1643, in ID., De ecclesiae occidentalis atque orientalis perpetua consensione libri tres. Eiusdem Dissertationes De dominicis et hebdomadibus Graecorum, et De missa praesanctificatorum, cum Bartoldi Nihusii ad hanc Annotationibus, De communione Orientalium sub specie unica, Coloniae Agrippinae 1648, coll. 1536-1538. Il testo del capitolo sui presantificati e la traduzione sono riproposti tali e quali in ID., De libris ecclesiasticis graecorum dissertatio prima, qua divinorum Officiorum potiores et usitatiores libri percensentur, Parisiis 1645, in ID., De libris ecclesiasticis Graecorum dissertationes duae, Parisiis 1646, p. 29-32.
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sunt 20. E ne riportò il paragrafo 3 al momento di trattare della prassi di conservare le particole presantificate nel sangue di Cristo. Tale prassi infatti, scriveva, non era unitariamente accolta nella chiesa orientale. Essa, anzi, era stata contestata, ad es., dal Patriarca Michele III d’Anchialo, ed ebbe anche ad evolversi come è chiaro, appunto, ex praescriptis Patriarchae Constantinopolitano ad Paulum hypopsephium missis, con i quali il Patriarca ribadisce la prassi bizantina di non ricorrere al sangue di Cristo, prassi evidentemente oggetto di discussione presso la comunità del vescovo di Gallipoli. Allacci non dice su quale codice ebbe a basarsi. Considerato, però, il suo ruolo presso la biblioteca del card. Barberini prima e la Biblioteca Vaticana poi, e considerate le varianti testuali presenti nella sua trascrizione, è molto probabile che egli sia ricorso proprio al già ricordato Vat. Barb. gr. 35021. Lo stesso Leone Allacci fu il primo a pubblicare nel 1646, nella Mantissa de duobus Armenorum calicibus, anche una porzione del paragrafo 2 dell’Epistola dedicato al tema della prothesis del pane sacro (p. 169, 3-11 Cozza-Luzi = §2, pp. 213,18-214,2 Polidori). In particolare, Allacci la introdusse come una testimonianza che ritum Graecorum plane nobis ostendit…de ordine oblationis, e ne citò le righe che attestano in modo contrario all’uso dei latini la possibilità di consacrare più di un calice con il sangue di Cristo22. Se Allacci è stato l’editor princeps dell’Epistola in forma di excerpta tematici, l’editor princeps dell’Epistola come testo intero è stato G. Cozza-Luzi, che la pubblicò però solo nel 1905. Dapprima, Cozza-Luzi, nelle sue Lettere casulane del 1888, ebbe a segnalare la presenza dell’Epistola oltre che nel Vat. Barb. gr. 350 anche nel Taur. gr. C III 17, fino ad allora celebre 20 ALLACCI, De Missa Praesanctificatorum cit., col. 1537 = ALLACCI, De libris ecclesiasticis cit., p. 29. 21 Due sono le varianti significative, in base all’apparato critico di Polidori, La lettera patriarcale cit., pp. 214-215: 3.9 įȚȩIJȚʌİȡ Ambr. G 8 sup., fortasse Taur. gr. C III 17 et Polidori: įȚȩʌİȡ Vat. Barb. gr. 350 et Allacci; 3.25 ਥȞ ȝȑȡ Taur. gr. C III 17, Ambr. G 8 sup., Vat. gr. 1277 et Polidori: ਵ ਥȞ ȝȑȡ Vat. Barb. gr. 350 et Allacci. Nel ristampare i prolegomena del 1643, Allacci - quando ad es. esamina i typika - rimanda ai quae in Bibliotheca Barberiniana manuscripta habentur (Allacci, De libris ecclesiasticis cit., p. 11). 22 L. ALLACCI, Mantissa de duobus Armenorum calicibus (Epistola del 1646), in L. ALLACCI, De ecclesiae occidentalis atque orientalis perpetua consensione libri tres. Eiusdem Dissertationes De dominicis et hebdomadibus Graecorum, et De missa praesanctificatorum, cum Bartoldi Nihusii ad hanc Annotationibus, De communione Orientalium sub specie unica, Coloniae Agrippinae 1648, Coloniae Agrippinae 1648, col. 1670. Neppure in questo caso Allacci indica a quale manoscritto sia ricorso. Dovrebbe aver messo a frutto il Vat. Barb. gr. 350. Purtroppo, la porzione di testo da lui pubblicata è molto breve e vi compare una sola variante (2.25 IJઁ ȝİIJĮȜȘȥȩȝİȞȠȞ), che però è nel Vat. Barb. gr. 350, ma anche nell’Ambr. G 8 sup. e nel Taur. gr. C III 17.
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solo come testimone del Typikon di Casole23, tenendo anche a richiamare l’attenzione sia sull’Epistola come documentum liturgicum sia sulla figura di Paolo di Gallipoli24. Poi, nel 1905, propose finalmente la sua edizione con traduzione latina a fronte e procedette per usare le sue parole coniunctis partibus, sulla base cioè sia del codice di Torino, che era mutilo dell’inizio, sia del codice barberiniano, che invece conservava quasi tutta l’Epistola e quindi completava il codice precedente25. Dopo Cozza-Luzi, l’Epistola ha conosciuto una seconda edizione completa nel 1984 per le cure di Apostolidis, che come tesi di dottorato pubblicò il Typicon del monastero di Casole secondo il Taur. gr. C III 17 ed incluse anche i materiali presenti in calce al manoscritto, tra cui appunto l’Epistola a Paolo di Gallipoli26. Di fatto, Apostolidis ripropone il testo del manoscritto di Torino, presentando in calce le varianti solo di quest’ultimo e del Vat. Barb. gr. 350. Nell’introduzione aveva dato conto di altri testimoni dell’Epistola, cioè il Vat. gr. 1277, l’Ambros. E 18 sup. (gr. 274), l’Ambros. F 10 sup. (gr. 324) e l’Ambros. G 8 sup. (gr. 380) del 1286. Egli, però, si è limitato a informare su questi codici, senza utilizzarli. Questo sicuramente perché la sua tesi si occupava di un codice in specifico, ma molto probabilmente anche perché egli dei nuovi testimoni viene informato solo tramite gli studi di Jacob. Lo studioso belga, infatti, aveva riferito sui tre codici ambrosiani e sull’ulteriore codice vaticano già in un suo lavoro del 1977-1979, dove aveva segnalato anche la presenza di formule estratte dall’Epistola e inserite nel famoso Eucologio otrantino del codice Ottob. gr. 344 vergato nel 117727. Quando poi nel 1987 ebbe a dedicare lo studio specifico su Paolo di Gallipoli, cui qui si è più volte fatto riferimento, Jacob non dovette far altro che ribadire il rinvio a questi manoscritti, aggiungendo riguardo alla fortuna Prima delle lettere di Cozza-Luzi, infatti, la parte finale del codice di Torino interessò poco, al punto che non vi venne mai segnalata la missiva a Paolo di Gallipoli. Al riguardo cfr. Codices manuscripti Bibliothecae Regii Taurinensis Athenaei, recensuerunt et animadversionibus illustarunt J. PASINI, A. RIVAUTELLA et F. BERTA, Taurini 1749, p. 309; Ch. DIEHL, Le monastère de S. Nicolas di Casole près d’Otrante, d’après un manuscrit inédit, in Mélanges d’archéologie et d’histoire 6 (1886), p. 177; H. OMONT, Le Typikon de Saint Nicolas di Casole près d’Otrante. Notice du ms. C III 17 de Turin, in Revue des études grecques 3 (1890), p. 383; P. BATIFFOL, L’Abbaye de Rossano. Contribution à l’histoire de la Vaticane, Paris 1891, pp. 95 e 125, che pure fece in tempo a conoscere le Lettere casulane di Cozza-Luzi. 24 Cfr. la bibliografia alla nota 6. Cozza-Luzi sembrerebbe non sapere che il cod. Vat. Barb. gr. 385 era già stato scoperto da Allacci. Al riguardo, cfr. COZZA-LUZI, Novae Patrum Bibliothecae cit., p. 150, dove scrive sottolineando l’idea della scoperta: « sorte datum invenisse in bibliotheca Barberiniana Urbis aliud exemplar membranaceum Typici nostri… ». 25 COZZA-LUZI, Novae Patrum Bibliothecae cit., p. 152. 26 APOSTOLIDIS, Il Typikon cit., pp. 289-291. 27 JACOB, Un opuscule didactique cit., pp. 164-166 con relative note. 23
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dell’Epistola le sue ripercussioni su codici di aree anche al di fuori della Terra d’Otranto28. Come evidente, la storia editoriale dell’Epistola è stata particolarmente lenta e, a rigore, né Cozza-Luzi né Apostolidis hanno mai messo a frutto tutti i manoscritti fin qui indicati, senza dimenticare che Cozza-Luzi non fornisce apparato critico, a motivare le sue scelte testuali od anche solo a segnalare il manoscritto per le cui lezioni opti, e che Apostolidis offre un apparato, ma stringato e improntato di fatto alla sola raccolta di variae lectiones. Solo nel 2012 cioè a più di 100 anni dall’edizione di Cozza-Luzi e a quasi 30 da quella di Apostolidis è stato fatto un importante passo avanti grazie all’edizione curata da Valerio Polidori nello stesso contributo già citato a proposito delle riserve che egli esprime circa la datazione e l’identificazione dell’autore dell’Epistola proposte da Jacob. Per quanto non la si possa di certo considerare definitiva, questa edizione è la prima ad impiegare tutti i sei manoscritti ad oggi noti che si è venuti fin qui segnalando; e ad essi aggiunge meritoriamente anche il ricordato Ottob. gr. 344 [Ot.], segnalato per la prima volta da Jacob, ed il ms. Lupiensis 201 [L] presso la Biblioteca Provinciale di Lecce, che è la copia del codice di Torino realizzata da Cozza-Luzi per G. De Simone nel 1884 prima dell’incendio che colpì la Bibliotheca Regia Taurinensis nel 1904. Questa edizione, infine, è per la prima volta impostata come edizione critica, fornisce un apparato ragionato, propone uno stemma codicum, solleva l’importante questione di quale dovesse essere la forma originaria dell’Epistola, e correda il testo greco di una traduzione italiana. 2.1. Un nuovo testimone dell’Epistola: il manoscritto Cambridge, Corpus Christi College nr. 486, ff. 173r-175v+178r-v. Se la storia editoriale dell’Epistola è stata lenta, la storia della scoperta dei suoi manoscritti non è stata da meno e di fatto, dopo i contributi di Jacob, non c’è stata alcuna ulteriore ricerca di testimoni, e questo nonostante che come segnala da ultimo anche Polidori i manoscritti trasmettano l’Epistola in una redazione rimaneggiata in forma di trattato autonomo, di įȚȐIJĮȟȚȢ appunto secondo il titolo tràdito, e non in quella originaria di epistola patriarcale.
28 JACOB, La lettre patriarcale cit., pp. 143-144, 146-148. Per la fortuna dell’Epistola nella tradizione manoscritta, incluso l’Eucologio otrantino, cfr. HOFFMANN, Une lettre cit., pp. 262263; JACOB, La lettre patriarcale cit., pp. 157-159, 160-163; JACOB, Tra Basilicata e Salento cit., p. 25. Di recente, vedi anche POLIDORI, La lettera patriarcale cit., p. 203.
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Qui però si può richiamare l’attenzione su un nuovo testimone, il codice conservato presso la Parker Library del Corpus Christi College di Cambridge in Inghilterra, al nr. 486. Il codice è sfuggito all’attenzione degli studiosi perché di esso si è occupato per quanto noto solo il catalogo della Parker Library curato ad inizio ‘900 da M. R. James. E James dovette limitarsi a riportare titolo (ove presente), incipit e desinit per ben dieci dei diciassette testi contenuti nel CCC 486 e tra questi anche l’Epistola29. Al momento in cui, infatti, egli redigeva il suo Catalogue, di questi dieci testi solo due erano già stati pubblicati, mentre altri sette erano ancora inediti. Inoltre l’Epistola stessa veniva edita per la prima volta da Cozza-Luzi proprio negli anni in cui James lavorava30. Del CCC 486 si è già preparata l’analisi codicologica e paleografica. In attesa della sua pubblicazione, però, si è avuto modo di anticipare almeno 29 M. R. JAMES, A descriptive catalogue of the manuscripts in the library of Corpus Christi College Cambridge, vol. II, Cambridge 1911, pp. 441-443. James individuava 14 unità bibliografiche per altrettanti testi e di questi non identificava quelli che egli riportava ai nr. 2, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 della sua scheda catalografica. In realtà, il manoscritto è organizzato su 15 unità bibliografiche per 17 testi, sicché il totale di quelli da James non identificati sale a 10. Per una descrizione dettagliata del contenuto del codice e una sua discussione, cfr. S. DELLE DONNE, Sedici giambi sul giambo (per un imperatore?) e un trattatello sul giambo dal ms. Corpus Christi College 486 di Cambridge, in Medioevo greco 13 (2013), pp. 37-39 e ID., Il codice greco Corpus Christi College 486 di Cambridge: contenuto, organizzazione testuale e legami con l’Italia Meridionale, in Revue d’Histoire des Textes 9 (2014), pp. 375-393. In specifico, James non identificava: i testi 2a e 2b (2 James), rispettivamente i versi De iambi pedibus e il trattatello De iambi pedibus et prosodia (DELLE DONNE, Sedici giambi cit., p. 55-56); il testo 3 (2 James), cioè i versi di un componimento di Eustazio di Iconio (cfr. App. Anth. IV 116 Cougny); il testo 9 (8 James) ovvero il De Paschate ad Tricentium di Pietro I di Alessandria (Les canons des pères Grecs. Lettres canoniques, éd. par P.-P. JOANNOU, Grottaferrata 1963, pp. 57-58); il testo 10 (9 James), cioè la Expositio de ieiunio Deiparae di Nicone della Montagna Nera (Taktikon Nikona ýernogorca: greþeskij tekst po rukopisi No 441 Sinajskago monastyrja sv. Ekateriny, ed. V. BENEŠEVIÐ, Petrograd 1917, pp. 59-61); il testo 11 (10 James), cioè l’Epistula de ieiunio Deiparae sempre di Nicone della Montagna Nera (inedito); il testo 12 (11 James) ovvero l’anonimo De Paphnutio episcopo (inedito); i testi 13a e 13b (12 James), cioè un’anonima Expositio brevis de ieiunio sanctae quadragesimae (inedito) e un anonimo De praesanctificatis (inedito); il testo 14 (13 James), per l’appunto l’Epistula ad Paulum qui in esame. 30 Il testo 3 era già stato pubblicato nel Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae varia continens Opera Graecorum Patrum, recensuit, illustravit edidit A. M. BANDINIUS, vol. II, Florentiae 1768, col. 679, venendo ristampato nella Epigrammatum Anthologia Palatina cum Planudeis et Appendice Nova epigrammatum veterum ex libris et marmoribus, ed. E. COUGNY, vol. III, Parisiis 1890, pp. 421-422 e p. 440 (commento). Il testo 9 (8 James) era già stato pubblicato almeno nel 1857 nella Patrologia graeca (vol. 18, col. 508), ma come capitolo finale e canone nr. 15 (non come testo autonomo) della Epistula canonica di Pietro di Alessandria. Erano, invece, ancora inediti, oltre all’Epistola (testo 14), i testi 2a, 2b, 10, 11, 12, 13a, 13b. E vale al pena segnalare che sono a tutt’oggi inediti i testi 11, 12, 13a, 13b e che solo da poco sono stati stampati i testi 2a+2b, cfr. DELLE DONNE, Sedici giambi cit., pp. 37-56.
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i dati più importanti riguardo il contenuto, la fascicolazione, la datazione e localizzazione, nonché di discutere la selezione testuale offerta e di pubblicare due degli inediti31. Del manoscritto di Cambridge in generale, quindi, basterà qui ricordare soltanto che esso: a) è stato quasi per intero vergato da una sola mano; b) è databile agli inizi del XIII sec., comunque dopo il 1174 (quando l’Epistola fu vergata nel Taur. gr. C III 17) e in un anno più vicino al 1200 (su basi paleografiche); c) pur in assenza di aspetti codicologici o paleografici evidenti, probabilmente ha avuto contatti con codici dell’Italia Meridionale ed in specifico della Terra d’Otranto, in considerazione del tipo di testi selezionati e delle sequenze che essi vi costituiscono. Dei quindici testi del CCC 486 l’Epistola è il penultimo (testo 14) ed è preceduta da due testi anonimi, cioè l’Expositio brevis de ieiunio sanctae quadragesimae, hebdomadis quadragesimae praecedentis atque in hebdomade passionis Domini et de quaestionibus variis (ff. 168r-171v: testo 13a) ed il De praesanctificatis per interrogationes et responsiones (ff. 171v+ 176r-177v+172r-173r: testo 13b), mentre è seguita dalla Epistula ad Dominicum Gradensem di Pietro III patriarca di Antiochia, che però è mutila (ff. 178v-182v: testo 15). L’Epistola è vergata sui ff. 173r-175v e 178r-v (ved. Tavv. 1-8), mentre i ff. 176r-v e 177r-v, che cadono lungo l’Epistola stessa, sono fuori posto, come evidente per il fatto che: 1) i ff. 176-177 costituiscono un bifolium solidale, benché collocati nella prima metà del fascicolo di appartenenza (fasc. 23: ff. 175r-182v), e sono legati agli altri fogli con una ulteriore corda rispetto a quella che lega il centro del loro attuale fascicolo; 2) vi è discontinuità testuale tra il f. 175v e il f. 176r come tra il f. 177v ed il f. 178r; 3) i ff. 176-177 vanno a restituire, se li si ricolloca tra il f. 171v e il 172r, la lacuna altrimenti presente lungo il testo 13b, trasformando per altro il fascicolo in cui devono essere ricollocati da ternione (l’unico del CCC 486 a parte l’ultimo che però è mutilo) in un più comune quaternione (fasc. 22: f. 169r-171v+176r-v/177r-v+172r-174v). In specifico, poi, l’Epistola è impaginata in ragione di 19 righi per foglio e almeno una volta è presente una lettera ingrandita e rubricata in colore rosso, corrispondente ad inizio di paragrafo nuovo (f. 173v, ved. Tav. 2). L’Epistola è tràdita con un’ampia lacuna centrale, mancando la porzione testuale di p. 168, 23 169, 27 Cozza-Luzi = p. 290, 3-27 Apostolidis = p. 213, 11 - 214,12 Polidori (İੇIJĮȝİIJĮȕĮȓȞȠȣıȚțĮʌȡઁȢĮੈȝĮʌȡȠİȝȝȚȖોȞĮȚ ਚȖȚȠȞ). È importante, però, far notare che questa lacuna non cade tra il 31
Cfr. Ibid.; ID., Il codice greco cit.
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f. 175v e il f. 178r, cioè nel punto in cui erano stati inseriti per errore i citati ff. 176-177, ma tra il f. 174v e il successivo f. 175r. Occorre, quindi, ipotizzare la caduta almeno di un foglio (f. 174bis), quello che appunto conteneva la parte oggi mancante dell’Epistola, e del suo corrispondente nel bifolium solidale (f. 182bis), quello che continuava (senza completarlo) il testo di Pietro III di Antiochia. E di conseguenza, il fascicolo 23 cui l’Epistola appartiene dovrà essere ricostruito con la seguente consistenza: ff. [174bis r-v]+175r-v+178r-179v/180r-182v+[182bis r-v]. L’Epistola non presenta titolo. Tuttavia, essa è separata in modo netto dal De praesanctificatis (testo 13b) grazie ad una fascetta decorativa semplice, dello stesso colore del testo ma più sbiadito e fatta di lineette ondulate e puntini, aperta da un motivo a foglioline stilizzato e chiusa da due piccoli svolazzi verso il basso (f.173r, ved. Tav. 1). Inoltre subito dopo questa fascetta compare un ampio spazio, di estensione pari in altezza almeno a due righe di testo, evidentemente lasciato apposta per accogliere il titolo. Il titolo però alla fine non vi è stato più vergato, forse per dimenticanza in fase di rubricazione. A questo si aggiunga che l’inizio del testo dell’Epistola è indicato chiaramente dalla lettera iniziale della prima parola (șİȠijȚȜȑıIJĮIJİ), lettera che è messa in esponente sul margine interno, è di grosse dimensioni e rubricata (f. 173r, ved. Tav. 1). Infine, lungo l’Epistola, è possibile individuare almeno tre interventi: 4,12 IJઁȞ corretto in IJȩȞ (f. 175r, rigo 17, ved. Tav. 5); 5,12 țĮ saltato e restituito supra lineam; 6,2 țĮcorretto sovrascrivendo il ț iniziale sulla lettera errata (f. 178r, righi 8 e 19, ved. Tav. 7). Questi interventi sembrano dovuti alla prima mano, ma un numero così ridotto non permette di esserne certi. 2.2. Il codice di Cambridge come nuova redazione dell’Epistola Il codice di Cambridge come testimone dell’Epistola merita un’attenzione particolare. Esso, infatti, conserva un testo più ampio, a parte la lacuna dovuta a caduta di un foglio, ed in più punti anche ben diverso rispetto a quello delle edizioni di Cozza-Luzi, di Apostolidis come pure di Polidori. Ed è proprio per questa ragione che si è qui reso necessario curarne un’edizione completa, invece di riportarne solo le divergenze in forma di lista di varianti. In particolare, colpiscono subito l’attenzione due ampie porzioni di testo, rispettivamente paragrafo 1,3-11 e paragrafo 5,7-17, la prima delle quali negli altri manoscritti è ridotta ad una sola frase, mentre la seconda vi manca del tutto. Nella prima si riscontrano espressioni e toni più propri dell’originaria epistola, le cui tracce Polidori tiene a cercare negli altri
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manoscritti32, ed inoltre, con le parole ਫ਼ȝȞIJȠȢਥȞIJૌਦıʌȑȡ(1,10-11) si fa esplicito riferimento all’Occidente come luogo del destinatario dell’epistola, intendendo evidentemente l’Italia Meridionale. Nella seconda, invece, si descrive in dettaglio il tabernacolo, cioè il luogo nato appositamente per accogliere i presantificati di un tipo che si potrebbe definire “ordinario”, perché si tratta di quelli messi da parte nel sacro calice lungo tutto l’anno e non solo nel tempo della quaresima. E questa descrizione completa quanto sarebbe stato necessario riferire riguardo al trattamento dei presantificati in genere, i quali – in assenza nel tabernacolo – devono essere consumati ʌȡȦĮȢʌĮȡʌĮȚįઁȢțĮșĮȡȠ૨țĮȞȘıIJȓȝȠȣ. Essa, però, apre il problema se debba essere considerata un’espansione intenzionale, un’ulteriore informazione voluta dal Patriarca, oppure più semplicemente una glossa scivolata nel testo.Un problema questo complicato dal fatto che il testo dell’Epistola ad oggi conservato per più frasi fa nascere il dubbio se si abbia o meno a che fare con aggiunte od interpolazioni33. Notevoli sono, poi, le omissioni od i tagli ora lunghi ora brevi, che per altro restituiscono comunque un testo di senso compiuto. Si tratta per lo più di semplificazioni di un testo più lungo o di un testo con dettagli forse ritenuti non strettamente necessari. Si vedano, quindi, ad es.: 1) il paragrafo 3,13-14, per il quale il CCC 486 taglia corto sul caso particolare di come preparare il pane sacro qualora l’altare sia pieno di celebranti; 2) il paragrafo 3,17, in cui la citazione della formula liturgica è accorciata con un esplicito țĮIJਦȟોȢ; 3) il paragrafo 4,2-4, nel quale il codice taglia via la specificazione che nel periodo quaresimale il rito dei presantificati si svolge nei primi cinque giorni della settimana, essendo già stato precisato a inizio periodo che al sabato si compie la liturgia di Crisostomo e alla domenica quella di Basilio; 4) il paragrafo 4,5, per il quale il codice preferisce omettere l’informazione supplementare che al mercoledì santo termina la liturgia dei presantificati; 5) il paragrafo 4,19, in cui viene omessa la precisazione che ciò che viene messo nel calice sacro e bagnato con qualcosa liquido viene santificato…dal pane sacro; 6) il paragrafo 6,1-2, dove vengono omessi l’aggettivo possessivo e il pronome personale di prima persona, probabilmente perché sentiti come una precisazione superflua. 32 Cfr. POLIDORI, La lettera patriarcale cit., p. 204 (a proposito del codice Vat. gr. 1277) e p. 207 (a proposito della prima delle tre fasi di un’ipotetica trasmissione dell’epistola). Tra gli altri elementi del CCC 486 significativi in questo senso, cfr. anche la formula di saluto finale, che qui è ȠįȞਫ਼ʌİȜİȓijșȘıȠȚțĮਫ਼ȖȓĮȚȞİ (6,13). 33 Cfr. POLIDORI, La lettera patriarcale cit., p. 214 al suo paragrafo 3,18-21 (= 4, 6-10 del CCC 486) individua un’ampia glossa, ma evidentemente con qualche esitazione, visto che invece di espungerla, l’accoglie nel testo sia pure tra parentesi tonde. Su questa linea, però, si avrebbe ragione a dubitare almeno di tutti i casi in cui il CCC 486 può scegliere di omettere o semplificare, come ad es. ai paragrafi 3,13-14 o 4,2-4 o 4,5.
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Degno di nota, infine, il fatto che tra le varianti testuali non manchino quelle concentrate all’interno di uno stesso periodo, come se quest’ultimo fosse stato riadeguato. Significativo il caso del paragrafo 4,6-11. In esso i verbi sono alla terza plurale e non alla terza singolare (țĮIJĮțȡȪʌIJȠȞIJĮȚ« ʌĮȡĮȕȐȜȜȠȣıȚ«șȑȜȠȣıȚ), il sostantivo ਥțțȜȘıȓĮ è da correggere al nominativo plurale ed alla coppia IJોȢȥȣȤોȢțĮIJȠ૨ıȫȝĮIJȠȢ viene aggiunto anche IJȠ૨ȞȠઁȢ. Non meno significativo il caso di 4,16-17, in cui alla formulazione chiara ਲ਼ਥȞਲȝȑȡਲ਼ਥȞȞȣțIJȓIJȚȞȠȢșȞȒıțȠȞIJȠȢ delle edizioni corrisponde un più generico ʌȠȜȜȐțȚȢਥȞȞȣțIJȓIJȚȞȠȢșȞȒıțȠȞIJȠȢਲ਼ıȦȢʌĮȡțĮȚȡઁȞIJોȢਲȝȑȡĮȢ. Il CCC 486, insomma, trasmette l’Epistola a Paolo in una veste o più probabilmente in una redazione nuova. Come ovvio, questo costringerà a una rivalutazione della tradizione manoscritta, dei rapporti stemmatici e con essi anche del testo critico proposti dal solo Polidori. Ma in modo ancora più urgente solleverà la questione se e fino a che punto la versione tràdita dal CCC 486 sia dovuta ad un intervento di rimaneggiamento sull’Epistula già come įȚȐIJĮȟȚȢ o sull’Epistula ancora come epistola patriarcale, il che equivale anche alla questione se e fino a che punto la testimonianza del CCC 486 contribuisca a risalire al testo se non originale, almeno di partenza dell’Epistola. 2.3. Edizione e traduzione dell’Epistola nella versione del CCC 486 Come anticipato, di fronte ad un codice così sui generis rispetto agli altri manoscritti dell’Epistola, si è ritenuto prioritario procedere all’edizione completa del suo testo. L’edizione che qui si propone, però, è l’edizione critica dell’Epistola nella versione del codice di Cambridge, ma non per questo è anche l’edizione dell’Epistola in sé. Per questa stessa ragione non si è proceduto alla verifica e collazione di tutti gli altri manoscritti, le cui varianti oggi si leggono o si deducono dall’apparato di Polidori, per quanto non sempre del tutto perspicuo, ma ci si è limitati alla collazione sulle edizioni moderne disponibili. Qui interessava, infatti, restituire un testo criticamente valutato, per quanto di un solo testimone, e far risaltare le differenze rispetto alla versione ad oggi vulgata. In specifico, si è adottata la divisione in paragrafi proposta da Polidori, ma si è dovuto procedere a modificarne la numerazione, adottando un’articolazione non in quattro ma in sei paragrafi. Il CCC 486, infatti, ha una versione dell’incipit molto più lunga e tecnicamente configurata come l’esordio dell’Epistola, sicché occorreva attribuirle un numero di paragrafo autonomo e distinguerlo dalla successiva parte del paragrafo 1 di Polidori, che è invece entra già in medias res, essendo dedicata alla esegesi tipologica della sacra mensa e dell’ambone e all’attività liturgica che sull’ambone
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stesso può compiere il diacono. Inoltre, il CCC 486 ammesso che nella porzione iniziale in lacuna conservasse esattamente quanto si legge nelle edizioni - presenta il paragrafo 3 di Polidori in una versione più ampia, in cui sono soprattutto le parole dedicate alla descrizione del tabernacolo a suggerire di leggerlo come articolato in due parti, la prima dedicata alla liturgia dei presantificati in senso stretto e l’altra al ricorso ai presantificati per situazioni eccezionali ed anche al di fuori del periodo di quaresima. Il testo viene qui corredato di un apparato critico. In esso con “cod.” si intende il CCC 486, con i nomi dei loro curatori si intendono le tre edizioni di Cozza-Luzi, Apostolidis e Polidori, con “edd.” si rimanda al consenso tra queste stesse edizioni. Esso non tiene conto di errori di itacismo, accentazione o divisione in parole e nemmeno dell’omissione dello iota sottoscritto, a meno che questi errori non possano comportare una variante di qualche senso. Inoltre, l’apparato è per lo più redatto in forma negativa, ma è di tipo positivo sia quando si è dovuto intervenire a correggere il manoscritto sia quando il manoscritto ha porzioni di testo non presenti nelle edizioni, sia quando tra il manoscritto e le edizioni vi sono differenze tali da rendere più efficace il riporto per esteso della versione vulgata, facilitando in questo modo il confronto tra i testimoni. Completa l’edizione la traduzione italiana. Questo perché come già segnalato il testo del CCC 486 non corrisponde sempre a quello vulgato e quindi nemmeno alla traduzione offerta da Polidori. Per altro, quella di Polidori è una traduzione libera34, mentre qui era prioritario restituire il dettato testuale tràdito, in modo da rendere chiaro anche in italiano le differenze rispetto al testo vulgato.
34 Al riguardo, POLIDORI, La lettera patriarcale cit., p. 211 prima afferma di voler tradurre « in maniera letterale ma non servile », ma subito dopo precisa di dare « preferenza alle equivalenze formali rispetto a quelle dinamiche ».
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EPISTULA AD PAULUM URBIS CALLIPOLIS EPISCOPUM ELECTUM A CONSTANTINOPOLITANO PATRIARCHA MISSA EX CORPUS CHRISTI COLLEGE NR. 486 CODICE EDITA
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1 ĬİȠijȚȜȑıIJĮIJİ țĮ ਲȖȚĮıȝȑȞİ ȝȠȚ įȑıʌȠIJĮ ʌİȡ ੰȞ ਲȝ઼Ȣ ਥȡȫIJȘıĮȢ f.173r ਥțțȜȘıȚĮıIJȚțȞȗȘIJȘȝȐIJȦȞįȠ૨ȞĮȚȜȪıİȚȢਥʌૃĮIJȠȢțĮIJȠઃȢʌȡȠıȒțȠȞIJĮȢ ʌĮȡĮıIJોıĮȓıȠȚȜȩȖȠȣȢįİȚȝȘįૃਕʌȠțȡȚșોȞĮȓıȠȚʌȡIJĮȝȞIJȚʌİȡ_੪Ȣ f.173v ȠțਕȞİʌȚIJȘįİȓȦȢਪȟİȚਲıșİȠijȚȜȓĮIJȢȜȪıİȚȢIJȞʌȠȜȣʌȡĮȖȝȠȞİȣȝȑȞȦȞ İਫ਼ȡİȞāİੇIJĮįțĮ੮ȢIJȚțȜȠȞįȠȟİȞਲȖȡĮijȒıȠȣIJૌȕĮıȚȜİȣȠȪıૉIJĮȪIJૉ ȜȠȖȚȫIJĮIJİIJઁȤȦȡȓȠȞIJȞȕĮıȚȜİȪȠȣıĮȞੑȞȠȝ઼ıĮȚIJȞʌȩȜİȦȞȠȝȩȞȠȞਥȞ ȜĮȝʌȡȩIJȘIJȚIJોȢʌȠȡijȪȡĮȢਕȜȜțĮʌ઼ıȚȝĮșȒȝĮıȚțĮȝİȖȓıIJૉʌĮȚįİȓțĮ IJȐȟİȚțİțȠıȝȘȝȑȞȘȞȝȦȢ੪ȢਗȞțĮȠੂIJȡȩijȚȝȠȚIJĮȪIJȘȢțĮਫ਼ȝȞIJȠȢਥȞIJૌ ਦıʌȑȡIJઁȞIJȠ૨ȜȩȖȠȣįİȓȟȦıȚȞਸ਼ȜȚȠȞʌȩıȠȢțĮȠੈȠȢਥıIJȓȞIJȠȚȐįİʌİȡIJȞ ਥȡȦIJȘȝȐIJȦȞıȠȚȖȡȐijȠȣıȚ 2ਥȞIJșİȓȕȒȝĮIJȚੁįȡȣȝȑȞȘਖȖȓĮIJȡȐʌİȗĮIJȪʌȠȞʌȜȘȡȠIJȠ૨IJȐijȠȣ IJȠ૨įİıʌȩIJȠȣȋȡȚıIJȠ૨੮ıʌİȡțĮʌȡઁਥțİȓȞȘȢਙȝȕȦȞIJȪʌȠȞijȣȜȐIJIJİȚIJȠ૨ ਕʌȠțȣȜȚıșȑȞIJȠȢȜȓșȠȣțĮਕȞĮijȡȐȟĮȞIJȠȢIJȞੑ_ʌȞIJȠ૨ıʌȘȜĮȓȠȣਥȞમʌİȡ f.174r țȪȡȚȠȢțĮIJĮIJȑșĮʌIJĮȚਥijૃȞਕʌȠțȣȜȚıșȑȞIJĮȜȓșȠȞțĮਙȖȖİȜȠȢਥʌİțȐșȘıİȞ țĮ IJȞ ਕȞȐıIJĮıȚȞ ਕȞİțȒȡȣȟİ įȚ IJȠ૨IJȠ Ȗȡ țĮ ਥȞ IJ ਙȝȕȦȞȚ įȚȐțȠȞȠȢ ਕȖȖȑȜȠȣIJȪʌȠȞijȣȜȐIJIJȦȞਥʌȐȞİȚıȚțĮIJIJોȢਕȞĮıIJȐıİȦȢțĮIJȜȠȚʌ੪Ȣ ȝĮșȘIJȡȓĮȚȢIJĮȢțĮșĮȡĮȢIJȞʌȚıIJİȣȩȞIJȦȞȥȣȤĮȢįȚĮțȘȡȣțİȪİIJĮȚ 3ȤİȚȢIJʌİȡIJોȢIJȡĮʌȑȗȘȢਵIJȠȚIJȠ૨IJȐijȠȣʌȡઁȢįțĮIJȠ૨ȜȓșȠȣਵIJȠȚ IJȠ૨ਙȝȕȦȞȠȢʌȡȠıșȒıȦįȑıȠȚțĮIJʌİȡIJોȢʌȡȠșȑıİȦȢਲʌȡȩșİıȚȢIJઁȞ IJȪʌȠȞਥʌȑȤİȚIJȠ૨īȠȜȖȠș઼ਥȞમʌİȡțȪȡȚȠȢਕȞĮȡIJȘșİȢıijȐȖȚȠȞਥțİȞȠIJઁ ıȦIJȒȡȚȠȞțĮșȣʌȑȝİȚȞİȞਥijૃȠțĮIJઁĮੈȝĮțİțȑȞȦțİțĮIJઁįȦȡਥȟȑȕȜȣıİȞ
___________________ Tit.:7LWXOXPQRQH[KLEHWFRGVHGOLQHDVGXDVDGHXPLQVFULEHQGXPUHOLTXLW 1.1. ĬİȠijȚȜȑıIJĮIJݲįȑıʌȠIJĮĬİȠijȚȜȑıIJĮIJİįȑıʌȠIJĮțĮਲȖȚĮıȝȑȞİȝȠȚedd3–9. įİȚ²ਥıIJȓȞ: Ƞț ਥȖઅ, ਕȜȜૃȠੂ IJોȢ ਥțțȜȘıȓĮȢ IJȡȩijȚȝȠȚHGG 4. ਗȞ ਥʌȚIJȘįİȓȦȢFRG5. ੮ıIJȚȢ FRG10. ȖȡȐijȠȣıȚ(Ȟ HGG ȖȡȐijȦıȚFRG 2.1. IJȪʌȠȞFRG&R]]D/X]LHW$SRVWROLGLVIJȩʌȠȞ Polidori 2. ijȣȜȐIJIJȦȞHGG4. ਙȖȖİȜȠȢ Cozza-Luzi | ਥʌİțȐșȘıİHGG5. ਥțȒȡȣȟİHGG_Ȗȡ țĮ: țĮ Apostolidis | ਙȝȕȠȞȚ Cozza-Luzi 6. IJ ʌİȡ ਕȞĮıIJȐıİȦȢ Cozza-Luzi 7. įȚĮțĮȡȣțİȪİIJĮȚ$SRVWROLGLV3ROLGRUL 3.1. ȤİȚȢ ȠȞ Apostolidis 1-2. ʌȡઁȢ²ਙȝȕȦȞȠȢ: ʌȡઁȢ į țĮ IJȠ૨ ਙȝȕȠȞȠȢ Apostolidis 3. IJȪʌȠȞHGG IJȩʌȠȞFRG| ਕʌĮȞĮȡșȘșİȢ&R]]D/X]L| ਥțȑȞȦıİ Cozza-Luzi 4. ਥȟȑȕȜȘıİȞ$SRVWROLGLV3ROLGRUL
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ȖȠ૨Ȟਲ਼ੂİȡİઃȢਲ਼įȚȐțȦȞįİțIJĮȠȚȖȐȡİੁıȚțĮਕȝijȩIJİȡȠȚ_ʌĮȡȚıIJȐȝİȞȠȢ f.174v IJૌșİȓʌȡȠșȑıİȚțĮIJઁȞșİȠȞਥʌȤİȓȡĮȢȜĮȝȕȐȞȦȞਙȡIJȠȞʌȡઁȢįțĮIJૌ șĮIJȑȡ IJȞ șİȓĮȞ ȜȩȖȤȘȞ ȠȤ ੪Ȣ Ƞੂ ıIJĮȣȡȦIJĮ ȝİIJ ȕȡİȦȢ ਙʌĮȖİ ਕȜȜૃ ੪Ȣ Ƞੂ ȝĮșȘIJĮ ʌĮȡĮįİįȫțĮıȚ ȝİIJૃİȜĮȕİȓĮȢ țĮ ʌȓıIJİȦȢ, IJȡȚıȐțȚȢ ȝȞ IJૌ ȜȩȖȤૉ ıIJĮȣȡȠ૨ıȚ IJઁȞ ਙȡIJȠȞ, ਥʌȚijȦȞȠ૨ȞIJİȢ IJઁā©İੁȢ IJઁ ȞȠȝĮ IJȠ૨ țȣȡȓȠȣ țĮ șİȠ૨ țĮ ıȦIJોȡȠȢ ਲȝȞ ȘıȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ IJȠ૨ IJȣșȑȞIJȠȢ ਫ਼ʌȡ IJોȢ IJȠ૨ țȩıȝȠȣ ıȦIJȘȡȓĮȢªāİੇIJĮ IJİIJȡĮȖȠȞȠİȚįȢ IJȞ ıijȡĮȖȓįĮ ਕʌȠįȚĮȚȡȠ૨ıȚȞȝİIJ į IJૌ ȤİȚȡ IJȞ ਕijĮȓȡİıȚȞ țĮIJĮIJȚșȑĮıȚȞ IJȠ૨ ıĮȡțȫįȠȣȢ ਙȞȦșİȞ ਥʌȚijĮȚȞȠȝȑȞȠȣ, țĮ IJૌ IJȚȝȓ ȜȩȖȤૉ ıIJĮȣȡȠİȚįȢ ȤĮȡȐIJIJȠȣıȚ, ȜȑȖȠȞIJİȢā ©șȪİIJĮȚ ਕȝȞઁȢ IJȠ૨ șİȠ૨ª țĮ IJ ਦȟોȢā İੇIJĮ țĮIJĮIJȚșȑĮıȚ IJઁȞ ਙȡIJȠȞ ਥʌ IJȠ૨ įȓıțȠȣ, ʌȜȞ ਕȞIJȚıIJȡȩijȦȢ, țȐIJȦșİȞ ȝȞ IJઁ ıĮȡțįİȢ, ਙȞȦșİȞ į IJȞ ıijȡĮȖȓįĮ
4_ IJ șİȓ ਙȡIJ ਲ Ȗȡ ʌȡȠȘȖȚĮıȝȑȞȘ ਫ਼ʌȡ IJોȢ IJİȜİȚȫıİȦȢ f.175r ȝȩȞȠȞ ਖȖȓȠȣ ȖȓȞİIJĮȚ ʌȠIJȘȡȓȠȣ țĮ ȠIJȦ į ıĮȕȕȐIJ IJİȜİȓĮ ਥıIJ ȜİȚIJȠȣȡȖȓĮ IJȠ૨ ȋȡȣıȠıIJȩȝȠȣ IJૌ į țȣȡȚĮțૌ IJȠ૨ ਖȖȓȠȣ ǺĮıȚȜİȓȠȣ IJİ țĮ ਙȡIJȠȢ ʌȐȜȚȞ ijȣȜȐIJIJİIJĮȚ țĮ IJȠ૨IJȠ țĮșȓıIJĮIJĮȚ ȝȑȤȡȚ țĮ ĮIJોȢ IJોȢ ȝİȖȐȜȘȢ IJİIJȡȐįȠȢ IJȩIJİ į ȕȐʌIJİIJĮȚ șİȠȢ ਙȡIJȠȢ ਥȞ ĮȝĮIJȚ IJĮȞ IJȚȢ ਕȞĮȤȦȡȘIJȞ ਥȞ ȡİıȚ țĮIJĮțȡȪʌIJȠȞIJĮȚ țĮ ਥțțȜȘıȓĮȚ Ƞ ʌĮȡĮȕȐȜȜȠȣıȚįȚIJઁİੁȢਕȡİIJȞıʌȠȣįĮȠȞĮIJȞșȑȜȠȣıȚįıȣȞİȤȑıIJİȡȠȞ IJȞਖȖȚĮıȝȐIJȦȞȝİIJȑȤİȚȞįȚIJઁȞਥțİșİȞਖȖȚĮıȝઁȞIJોȢȥȣȤોȢțĮIJȠ૨
___________________ 5. ² įȚȐțȦȞ: ȠȞ ੂİȡİઃȢ ਲ਼ įȚȐțȠȞȠȢ Cozza-Luzi, Apostolidis ȖȠ૨Ȟ ੂİȡİઃȢ ਲ਼ įȚȐțȠȞȠȢ Polidori ਕȝijȩIJİȡȠȚHGGਕȝijȩIJİȡİȢFRG7. IJȞ ȜȩȖȤȘȞ Cozza-Luzi 9-11. İੁȢ²ıȦIJȘȡȓĮȢāIJȠ૨țȣȡȓȠȣțĮșİȠ૨ țĮıȦIJોȡȠȢਲȝȞȘıȠ૨ȋȡȚıIJȠ૨ȞȠȝĮIJȠ૨IJȣșȑȞIJȠȢਫ਼ʌȡIJોȢIJȠ૨țȩıȝȠȣıȦIJȘȡȓĮȢedd11. İੇIJĮ² ਕʌȠįȚĮȚȡȠ૨ıȚȞ: İੇIJĮ IJİIJȡĮȖȠȞȠİȚįȢ IJȞ ıijȡĮȖȓįĮ ਕʌȠįȚĮȚȡȠ૨ıȚȞ (ਕʌȠįȚĮȚȡȠ૨ıȚ &R]]D/X]L İʌİȡ IJઁ ȕોȝĮ ȝȞ ȝ ʌİȡȚijȑȡૉ ʌȜોșȠȢ ੂİȡȠȣȡȖȠȪȞIJȦȞ ਥȞIJȩȢİੁ įૃİૉ ʌȜોșȠȢ ıIJȡȠȖȖȣȜȠİȚįȢ IJોȞ ȜȘȞ ȥȚȞ IJોȢ ਕȞĮijȠȡ઼Ȣ ਕijĮȚȡȠ૨ıȚHGG12. țĮIJĮIJȚșȑĮıȚHGG_ਙȞȦșİȞQRQH[KLEHQWHGG14. țĮ²ਦȟોȢā ĮȡȦȞ IJȞ ਖȝĮȡIJȓĮȞ IJȠ૨ țȩıȝȠȣHGG15. ȝȞFXPGXREXVJUDYLEXVDFFHQWLEXVH[KLEHWFRG
IRUWDVVHGHSHUGLWXP est folium unum, desunt lineae İੈIJĮ ȝİIJĮȕĮȓȞȠȣıȚ țĮ ʌȡઁȢ IJȞ IJȠ૨ șİȓȠȣ ʌȠIJȘȡȓȠȣ ਕʌȠʌȜȒȡȦıȚȞIJȓȢ ਲ ȤȡİȓĮ ĮੇȝĮ ʌȡȠİȝȝȚȖોȞĮȚ ਚȖȚȠȞSS&R]]D/X]L SS$SRVWROLGLV S 3ROLGRUL 4.2. IJȠ૨ ਖȖȓȠȣHGG2–3. țĮ²ǺĮıȚȜİȓȠȣ: țĮ ȠIJȦ (ȠIJȦȢ Apostolidis) țĮș¶ਦȟોȢ (țĮșİȟોȢ Apostolidis) ਥȞ IJĮȢ ʌȑȞIJİ (İǯ Apostolidis) IJોȢ ਦȕįȠȝȐįȠȢ IJİȜİIJĮȚ ਲȝȑȡĮȚȢIJ į ıĮȕȕȐIJ IJİȜİȓĮ IJȠ૨ ȋȡȣıIJȠıIJȩȝȠȣ IJİȜİIJĮȚ ȜİȚIJȠȣȡȖȓĮIJૌ į țȣȡȚĮțૌ IJȠ૨ ȝİȖȐȜȠȣ ǺĮıȚȜİȓȠȣHGG4–5. ȝȑȤȡȚ²IJİIJȡȐįȠȢ: ȝȑȤȡȚ țĮ ĮIJોȢ IJોȢ ȝİȖȐȜȘȢ IJİIJȡȐįȠȢ (IJİııĮȡĮțȠıIJોȢ Cozza-Luzi, ǻǯ Apostolidis), ਕij¶ਸȢ țĮ IJ ʌȡȠȘȖȚĮıȝȑȞĮ ȜȒȖȠȣıȚȞ HGG5. ȕȑȕĮʌIJĮȚ$SRVWROLGLV6–10. IJĮȞ²ĮȝĮIJȚ: IJĮȞ IJȚȢ IJȞ ਕȞĮȤȦȡȘIJȞ ਥȞ ȡİıȚ țĮIJĮțȡȪʌIJİIJĮȚ țĮ ਥțțȜȘıȓĮ Ƞ ʌĮȡĮȕȐȜȜİȚ įȚ IJઁ İੁȢ ਕȡİIJȞ ıʌȠȣįĮȠȞ ĮIJȠ૨, ਥșȑȜİȚ (șȑȜİȚ Cozza-Luzi) į ıȣȞİȤȑıIJİȡȠȞ IJȞ ਖȖȚĮıȝȐIJȦȞ ȝİIJĮıȤİȞ, įȚ IJઁȞ ਥțİșİȞ ਖȖȚĮıȝઁȞ IJોȢ ȥȣȤોȢ țĮ IJȠ૨ ıȫȝĮIJȠȢIJȠ૨IJȠ (ȠIJȦȢ CozzaLuzi) ਥȞ ʌȣȟȓ IJȚȞ țĮșĮȡ șİȠȢ țȠȝȚȗȩȝİȞȠȢ ਙȡIJȠȢ ਥȝȕİȕĮȝȝȑȞȠȢ ਥıIJ țĮ IJ șİȓ ĮȝĮIJȚHGG6. ਥțțȜȘıȓĮȚȢFRG
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EPISTOLA A PAOLO VESCOVO DI GALLIPOLI
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ȞȠઁȢ țĮ IJȠ૨ ıȫȝĮIJȠȢ IJȠȪIJȠȚȢ ਥȞ ʌȣȟȓ IJȚȞ țĮșĮȡ șİȠȢ țȠȝȚȗȩȝİȞȠȢ ਙȡIJȠȢ ਥȝȕİȕĮȝȝȑȞȠȢ ਥıIJ țĮ IJ șİȓ ĮȝĮIJȚ ਲ਼ ʌȐȜȚȞ ıȦȢ įȚ IJȩȞ IJȚıȚȞ ਥʌȚıȣȝȕĮȓȞȠȞIJĮșȐȞĮIJȠȞਥȞIJઁȢȜȠȣIJȠ૨IJોȢਖȖȓĮȢIJİııĮȡĮțȠıIJોȢțĮȚȡȠ૨_ f.175v ijȣȜȐIJIJİIJĮȚ ʌȠȜȜȐțȚȢ ਙȡIJȠȢ ȕİȕĮȝȝȑȞȠȢ ਥȞ ਖȖȓ ĮȝĮIJȚ țĮ İੁ ȤȡİȓĮ ȝİIJĮȜȒȥİȦȢ ȖȑȞȘIJĮȚ ʌȠȜȜȐțȚȢ ਥȞ ȞȣțIJȓ IJȚȞȠȢ șȞȒıțȠȞIJȠȢ ਲ਼ ıȦȢ țĮȚȡઁȞ IJોȢਲȝȑȡĮȢIJĮȞȝIJİȜોIJĮȚȝȣıIJĮȖȦȖȓĮਥȞIJȓșİIJĮȚȝȞȝİȡȢਙȡIJȦȞਥʌIJȠ૨ ʌȠIJȘȡȓȠȣțĮIJĮıIJĮȜȐȗİIJĮȚįțĮȓIJȚਫ਼ȖȡઁȞȞĮțਗȞįȣȞȘșૌșȞȒıțȦȞĮIJȠ૨ ȝİIJĮıȤİȞਖȖȚȐȗİIJĮȚȖȡIJઁਥȝȕĮȜȜȩȝİȞȠȞ 5 ਥȞ ਙȜȜ į IJ IJȠ૨ ȤȡȩȞȠȣ țĮȚȡ IJ ʌĮȡ IJȞ ਖȖȓĮȞ ȞȒıIJȚȝȠȞ IJİııĮȡȠıIJȒȞ IJİȜİȓĮȢ ȜİȚIJȠȣȡȖȓĮȢ ȖȚȞȠȝȑȞȘȢ ijȣȜȐIJIJȠȞIJĮȚ ਥȞ IJ ʌȠIJȘȡȓ țĮșİțȐıIJȘȞȝİȡȓįİȢਖȖȚĮıȝȐIJȦȞįȚIJȠઃȢıȦȢਖȡʌĮȗȠȝȑȞȠȣȢਥʌȚșĮȞĮIJȓȦȢā IJİ Ƞț ȠįĮȝİȞ İੁ įૃȠ ȤȡİȓĮ ȝİIJĮijșȐıૉ IJȞ ijȣȜĮIJIJȠȝȑȞȦȞ įȚ IJઁ ıȦȢ ȝ IJİșȞ઼ȞĮȚ IJȚȞȐ IJĮ૨IJĮ ȝȞ ʌȡȦĮȢ ʌĮȡ ʌĮȚįઁȢ țĮșĮȡȠ૨ țĮ ȞȘıIJȓȝȠȣ _ țĮIJĮıʌ઼IJĮȚ ਲ਼ țĮ ਥȞ IJȩʌ ਖȖȓ țĮ ıȣȞȒșİȚ ਥȞșȐʌIJİIJĮȚ ȠIJȦ f.178r ȖȐȡ ਥıIJȚȞ ਥȞ IJĮȢ țĮșૃਲȝ઼Ȣ ਖȖȚȦIJȐIJĮȚȢ țĮ ȜĮȝʌȡĮȢ ਥțțȜȘıȓĮȚȢā IJȩʌȠȚ ਕijȠȡȚıȝȑȞȠȚਫ਼ʌȩȖĮȚȠȚIJĮȢȝİȖȓıIJĮȚȢțĮȕĮıȚȜȚțĮȢਥțțȜȘıȓĮȚȢȞĮȝȞțĮ IJĮȢʌİȡȚijĮȞȑıȚIJȞȝȠȞĮıIJȘȡȓȦȞਥȞIJıțİȣȠijȣȜĮțȓIJȠȚȝĮıȝȑȞȠȚțĮ țİțȠıȝȘȝȑȞȠȚțȪțȜțĮțȐIJȦșİȞįȚૃੑȡșȠȝĮȡȝȐȡİȦȢİੇIJĮțĮIJઁਥʌȓʌȦȝĮਲ਼ ȝȠȓȦȢਲ਼ਥȟਕȡȖȪȡȠȣțĮȤȡȣıȠ૨țĮȜȓșȦȞțĮȝĮȡȖĮȡȚIJȞਦʌȓțİȚIJĮȚāਥȞį IJĮȢİIJİȜİIJȑȡĮȚȢIJȞਥțțȜȘıȚȞਫ਼ʌȠțȐIJȦșİȞIJોȢਖȖȓĮȢIJȡĮʌȑȗȘȢIJȐijȠȢ ȠIJȠȢ țĮșİIJȠȚȝȐȗİIJĮȚ țĮ IJ ʌȦȢ įȒʌȠIJİ ʌİȡȚIJIJİȪȠȞIJĮ IJȞ ਖȖȚĮıȝȐIJȦȞ ਥțİțĮIJĮșȐʌIJİIJĮȚ
___________________ 10. IJȩȞFRGSFIJઁȞFRGDF 12. ਥȞ ĮȝĮIJȚHGG12–14. țĮ İੁ²ਲȝȑȡĮȢ: țĮ İੁ ȤȡİȓĮ ȝİIJĮȜȒȥİȦȢ ਲ਼ ਥȞ ਲȝȑȡ ਲ਼ ਥȞ ȞȣțIJȓ IJȚȞȠȢșȞȒıțȠȞIJȠȢHGG14–15. IJĮȞ²ʌȠIJȘȡȓȠȣ: IJİ ȝ IJİȜİIJĮȝȣıIJĮȖȦȖȓĮ, ਥȞIJȓșİIJĮȚ ȝİȡȢ ਙȡIJȠȣ ਥʌ IJȠ૨ ʌȠIJȘȡȓȠȣHGG14. ȝİȡȓįĮȢFRG15-16ȞĮ²ȝİIJĮıȤİȞ: ȞĮ įȣȞȘșİȓૉ șȞȒıțȦȞ ȝİIJĮıȤİȞHGG16. ਖȖȚȐȗİIJĮȚ²ਥȝȕĮȜȜȩȝİȞȠȞ: ਖȖȚȐȗİIJĮȚ Ȗȡ țĮ IJઁ ਥȝȕĮȜȜȩȝİȞȠȞ ਫ਼ȖȡઁȞ ਥț IJȠ૨ ਖȖȓȠȣ ਙȡIJȠȣHGG 5.1-2.ਥȞਙȜȜ²IJİııĮȡȠıIJȒȞਥȞਙȜȜį&R]]D/X]L țĮȚȡIJİ&R]]D/X]L$SRVWROLGLV3ROLGRUL 2.ȖİȞȠȝȑȞȘȢFRG_ਥȞIJਖȖȓʌȠIJȘȡȓHGG3. țĮș¶ਦțȐıIJȘȞ3ROLGRULਥʌȚșĮȞĮIJȓȠȣȢHGG4.IJȚ&R]]D /X]L_ĮįĮȝİȞ$SRVWROLGLV_IJȞHGGਘFRG4–6.İੁįૃȠ²țĮIJĮıʌ઼IJĮȚİੁįૃȠȤȡİȓĮțĮIJĮijșȐıૉIJȞ ijȣȜĮIJIJȠȝȑȞȦȞįȚIJઁȝIJİșȞ઼ȞĮȚIJİșȐȞĮȚ$SRVWROLGLV IJȚȞȐʌȡȦĮȢʌĮȡʌĮȚįઁȢțĮșĮȡȠ૨țĮȞȘıIJȓȝȠȣ țĮIJĮıʌĮIJĮȜ઼IJĮȚHGG6–14.ਲ਼țĮ²țĮIJĮșȐʌIJİIJĮȚQRQH[KLEHQWHGG9.țĮDGGFRGVO 10.țİțȠıȝȑȞȠȚ FRG14. țĮIJȐʌIJİIJĮȚFRG
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6ਨȞ ਫ਼ʌİȜİȓijșȘ ıȠȚ ʌȡઁȢ IJȢ ਥȡȦIJȒıİȚȢ, ਘȢ įȚ IJȞ ȖȡĮȝȝȐIJȦȞ ȡȫIJȘıĮȢ țĮ įȑȟĮȚ țĮ IJȠ૨IJȠ, ੪Ȣ IJȚ| ʌİȡ ȝİIJ IJઁ ਫ਼ȥıĮȚ IJઁȞ ਚȖȚȠȞ ਙȡIJȠȞ țĮ IJઁā f.178v ©IJ ਚȖȚĮ IJȠȢ ਖȖȓȠȚȢªਥʌȚijȦȞȘșોȞĮȚ, țĮIJĮțȜઽ IJȠ૨IJȠȞ ਫ਼ȥȞ İੁȢ IJȑııĮȡĮ țĮșȫȢ ਥıIJȚ țİȤĮȡĮȖȝȑȞȠȢțĮ ਕʌઁ IJȞ ਕȞȦIJȑȡȦȞ įȪȠ IJİIJȐȡIJȦȞ †IJİȜȣȞ݆ ȝİȡȓįĮȢ įȪȠ țĮ IJȓșȘıȚȞ ੂįȓ, ȞĮ IJĮȪIJĮȢ țĮIJĮıʌȐıȦıȚȞ IJİ ȝİȜȓȗȦȞ ĮIJȩȢ țĮ ıȣȝȝİIJȑȤȦȞ ĮIJȓțĮ ȝİIJૃਥțİȞȠȞ, IJȞ įȪȠ ȝȠ૨ ੂıIJĮȝȑȞȦȞ IJોȢ ਖȖȓĮȢ IJȡĮʌȑȗȘȢ ȝʌȡȠıșİȞ țĮ IJȡİȢ ʌȡȠıțȣȞȒıİȚȢ ʌȠȚȠȪȞIJȦȞāİੇIJĮ ਥijĮʌȜȠ IJȞ ȤİȡĮ ʌȡIJȠȞ ȝİȜȓıĮȢ țĮ țĮIJĮIJȓșȘıȚ IJઁȞ ਙȡIJȠȞ įİȪIJİȡȠȢā İੇIJĮ ʌȐȜȚȞ ਥțİȞȠȢ IJȠȪIJ țĮ ʌİȡ IJȠ૨ ʌȠIJȘȡȓȠȣ ȝȠȓȦȢ, ʌȡIJȠȢ ȜĮȕઅȞ, ਥțİȞȠȢ ʌȡIJȠȞ ਕʌઁ IJȠ૨ ʌȠIJȘȡȓȠȣ ȝİIJȑȤİȚȠįȞ ਫ਼ʌİȜİȓijșȘ ıȠȚ țĮ ਫ਼ȖȓĮȚȞİ
___________________ 6.1. ਫ਼ʌİȜȒijșȘHGG_ਘȢHGGਘFRG_ ਘȢ²ȡȫIJȘıĮȢਘȢįȚIJȞıȞȖȡĮȝȝȐIJȦȞਲȝ઼ȢȡȫIJȘıĮȢįȑıʌȠIJĮ HGG2. țĮįȑȟĮȚįȑȟĮȚHGG_țĮ2FRGSFIRUWDVVHIJĮFRGDF_IJȚHGGIJઁȞșİȠȞਙȡIJȠȞHGG3.țĮIJઁIJ ਚȖȚĮțĮIJਚȖȚĮ&R]]D/X]L$SRVWROLGLV4.ਥıIJȚQRQH[KLEHQW&R]]D/X]L$SRVWROLGLVIJİȜȣȞİ IJȑȝȞİIJĮȚ HGG 5. ੂįȓ SDHQH OHJLWXU FRG 6. ĮIJȓțĮ ȝİIJૃਥțİȞȠȞ ȝİIJૃਥțİȞȠȞ HGG 7-8. İੇIJĮ ² įİȪIJİȡȠȢā İੇIJĮ ਫ਼ijĮʌȜȠ IJȞ ȤİȡĮ ʌȡȩIJİȡȠȞ ȝİȜȓıĮȢ țĮ țĮIJĮIJȓșȘıȚ (țĮșĮIJȓșȘıȚȞ Cozza-Luzi, Apostolidis) IJઁȞ ਙȡIJȠȞ įİȪIJİȡȠȢHGG 9-10.țĮ²ȝİIJȑȤİȚȝȠȓȦȢțĮਥțIJȠ૨ਖȖȓȠȣʌȠIJȘȡȓȠȣ ʌȡIJȠȢȝİIJȑȤİȚʌȡȩIJİȡȠȞįįİȪIJİȡȠȢʌİȚIJĮedd10.ȠįȞ²ਫ਼ȖȓĮȚȞİțĮȠįȞਫ਼ʌİȜȒijșȘıȠȚCozzaLuzi, ApostolidisțĮȠįȞਥʌȚȜİȓijșȘıȠȚ3ROLGRUL
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EPISTOLA A PAOLO VESCOVO DI GALLIPOLI
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LETTERA A PAOLO VESCOVO ELETTO DI GALLIPOLI INVIATA DAL PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI, SECONDO IL CODICE CORPUS CHRISTI COLLEGE NR. 486
1. Signore da dio amatissimo e da me venerato, riguardo alle questioni ecclesiastiche su cui ci hai interrogato, per dare soluzioni ad esse e offrirti parole adeguate, non bisognava nemmeno risponderti, innanzitutto perché la tua devozione non sarà incapace di trovare le soluzioni di questioni assai dibattute, e poi anche perché, o dottissimo, la tua lettera a questa sede imperiale, una frase (di essa), ritenne di chiamare luogo colei che tra le città è la sede imperiale, la quale è adornata non solo dello splendore della porpora, ma anche di ogni sapere, della più grande cultura e del più grande rango. Tuttavia i maestri di quest’ultima, per indicare anche a voi di Occidente il sole della ragione, quanto e quale sia, riguardo alle domande ti scrivono quanto segue. 2. La santa mensa che è eretta nel divino bema (presbiterio) realizza il simbolo della tomba di Cristo Signore, come pure l’ambone posto davanti ad essa conserva il simbolo della pietra rotolata via e che ostruiva l’apertura della grotta in cui il Signore è stato seppellito, pietra sulla quale, dopo che fu rotolata, sedette anche l’angelo e annunciò pubblicamente la resurrezione. Per questo motivo, infatti, il diacono, che conserva il simbolo dell’angelo, sale anche sull’ambone e alle anime pure dei fedeli come alle discepole, proclama ciò che riguarda la resurrezione ed il resto. 3. Ecco ciò che riguarda la mensa ovvero la tomba, inoltre anche ciò che riguarda la pietra ovvero l’ambone. Ti aggiungerò anche quanto riguarda la prothesis (il tavolo della preparazione eucaristica). La prothesis offre il simbolo del Golgota, sul quale il Signore, appeso (alla croce), sopportò quel noto sacrifico salvifico, sul quale ha versato il sangue e uscì anche acqua. Dunque, o il sacerdote o il diacono - sono infatti entrambi accettabili - stando presso la divina prothesis e prendendo in mano il pane divino ed inoltre con l’altra (mano) la divina lancia, non come i crocefissori con violenza - ben lungi! - ma come i discepoli hanno tramandato, con devozione e fede, tre volte con la lancia fanno il segno della croce sul pane, dicendo « nel nome del Signore, Dio e salvatore nostro Gesù Cristo che venne sacrificato per la salvezza del mondo »; poi separano via il sigillo in forma quadrata. Dopo depongono con la mano ciò che hanno estratto dalla parte carnosa (la mollica), rivolta verso l’alto, e con la veneranda lancia lo incidono a forma di croce, dicendo « Viene sacrificato l’agnello di Dio » ecc., e poi depongono il pane sul disco, ma capovolto, la parte carnosa sotto e il sigillo sopra. ***
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4. ...al divino pane ? Il rito dei presantificati, infatti, avviene per la consacrazione solo del santo calice. E così al sabato si compie la liturgia di Crisostomo completa, mentre alla domenica (quella) di San Basilio, quando anche il pane viene di nuovo conservato. E questo (scil. la conservazione del pane) è stabilito che avvenga fino allo stesso Grande mercoledì (scil. della Settimana santa). Proprio allora (scil. lungo questo periodo) il divino pane viene immerso nel sangue. Allorché alcuni anacoreti si nascondono sui monti e le chiese non li allontanano a causa del loro zelo per la virtù, ma vogliono partecipare più di frequente ai santificati per via dell’opera santificatrice dell’anima, della mente e del corpo che ne proviene, il pane divino è portato a costoro in una pisside pura immerso nel sangue divino. Od ancora parimenti il pane (divino) viene spesso conservato immerso nel santo sangue entro tutto il periodo della santa quaresima, per via della morte che può capitare a qualcuno. E se c’è necessità della comunione, spesso quando uno muore di notte o parimenti nel momento (inopportuno) del giorno, allorquando non si compie la Mistagogia (la messa), una particola dei pani (divini) viene collocata nel calice e vi viene fatto pure stillare qualcosa di liquido, affinché il morente possa partecipare di essa, infatti ciò che vi viene immesso è reso santo. 5. Nel restante periodo di tempo, quello al di fuori della santa quaresima di digiuno, quando la liturgia si compie completa, nel calice vengono conservate quotidianamente particole di santificati per via di coloro che sono imprigionati con condanna a morte; non sappiamo quando (moriranno). Ma se non si ha la necessità delle particole conservate, per il fatto che forse nessuno è (più) morto, allora queste al mattino vengono consumate da un fanciullo puro e digiuno oppure seppellite nel consueto sacrario. Così infatti avviene nelle nostre santissime e illustri chiese: le più grandi e eccellenti chiese, appunto, e quelle insigni dei monasteri hanno dei luoghi ben definiti, approntati nello skeuophylakion e allestiti in forma circolare e sotto rivestiti di marmo e inoltre vi sta posata sopra una copertura dello stesso tipo oppure di argento, di oro, di pietre (preziose) e di perle; nelle chiese più modeste, invece, codesta sorta di tomba viene approntata sotto la santa mensa e ciò che dei santificati in qualche modo avanza viene seppellito lì. 6. Una sola cosa è stata tralasciata rispetto alle questioni su cui ci hai interrogato tramite lettere. E ricevi anche questa. Dopo che ha elevato il santo pane e che è stato proclamato « Le cose sante ai santi », colui che lo eleva lo spezza in quattro secondo come è stato inciso. E dai due quarti superiori † † due particole e le pone da parte, affinché ne mangino sia quello stesso che divide in parti sia chi compartecipa subito dopo di lui, stando entrambi assieme davanti alla santa mensa e facendo tre prosternazioni; poi stende la mano dapprima chi ha diviso e il secondo depone (in essa) il pane; poi di nuovo quello a questo e per quanto riguarda il calice allo stesso modo, chi lo ha preso per primo questi dapprima partecipa del calice. Non ti è stato tralasciato nulla e sta(mmi) bene.
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DAVID SPERANZI APPUNTI SU ALESSIO CELADENO: ANELLI, STEMMI E MANI
1. In due contributi recenti è stata argomentata l’identificazione tra lo scriba convenzionalmente indicato da Dieter Harlfinger come Anonymus įțĮȓ e lo spartano Alessio Celadeno (1450-1517), familiaris del cardinale Bessarione, poi vescovo di Gallipoli (dal 1480) e Molfetta (dal 1508); egli fu tutore di Alfonso, figlio naturale di Ferrante I d’Aragona, e quindi a Roma, dal 1499 fino alla morte, con incarichi minori nell’ambito della curia1. Benché vari indizi ne indicassero in maniera univoca la fondatezza, si è sempre tenuto a specificare il carattere ipotetico della proposta, dal momento che le diverse prove sin qui raccolte erano tutte di carattere esterno alla scrittura2: mancava ancora, in altre parole, un autografo sottoscritto * Per indispensabili soccorsi bibliografici sono debitore a Franco Bacchelli, Idalgo Baldi, Christian Förstel, Stefano Martinelli Tempesta e Maddalena Sparagna; e grazie a Carmen Pettenà e Laura Regnicoli, che ci sono sempre. 1 D. SPERANZI, L’Anonymus įțĮȓ copista del Corpus aristotelicum. Un’ipotesi di identificazione, in Quaderni di storia 69 (2009), pp. 105-123; ID., Il ritratto dell’anonimo. Ancora sui manoscritti di Alessio Celadeno, vescovo di Gallipoli e Molfetta, in La tradizione dei testi greci in Italia meridionale. Filagato da Cerami philosophos e didaskalos. Copisti, lettori, eruditi in Puglia tra XII e XVI secolo, a cura di N. BIANCHI, con la collaborazione di C. SCHIANO, Bari 2011 (Biblioteca tardoantica, 5), pp. 113-124; alla bibliografia su Celadeno ivi raccolta si aggiungano almeno C. BIANCA, Gli epigrammi e la stampa a Roma nella seconda metà del Quattrocento, in Dalla bibliografia alla storia. Studi in onore di Ugo Rozzo, a cura di R. GORIAN, Udine 2010, pp. 33-46, in part. p. 39, e P. SCAPECCHI, Tre esemplari di incunaboli appartenuti ad Alessio Celadeni, familiare del cardinal Bessarione e poi vescovo di Gallipoli e Molfetta, in Roma e il papato nel Medioevo. Studi in onore di Massimo Miglio, II. Primi e tardi umanesimi: uomini, immagini, testi, a cura di A. MODIGLIANI, Roma 2012 (Storia e letteratura, 276), pp. 167-170. Questi gli studi nei quali la figura dell’Anonymus įțĮȓ (o Anonymus 12) è stata isolata per la prima volta: D. HARLFINGER, Die Textgeschichte der pseudo-aristotelischen Schrift NJİȡਕIJȩȝȦȞȖȡĮȝȝȞ. Ein kodikologisch-kulturgeschichtlicher Beitrag zur Klärung der Überlieferungsverhältnisse im Corpus Aristotelicum, Amsterdam 1971, p. 418; ID., Specimina griechischer Kopisten der Renaissance, I. Griechen des 15. Jahrhunderts, Berlin 1974, nrr. 6263; D. e J. HARLFINGER, Wasserzeichen aus griechischen Handschriften, I-II, Berlin 1974-1980, s. vv. Aigle 45, Ciseaux 68, Lettre 54. 2 SPERANZI, L’Anonymus cit., pp. 118-119; ID., Il ritratto cit., p. 122. La sovrapposizione tra l’AnonymusįțĮȓ e Celadeno è stata nel frattempo accolta in vari contributi: T. DORANDI, Laertiana. Capitoli sulla tradizione manoscritta e sulla storia del testo delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, Berlin-New York 2009 (Beiträge zur Altertumskunde, 264), p. 13, nt. 33 (con la recensione di R. STEFEC in Byzantinische Zeitschrift 104 [2011], pp. 757-764 in part. p. 760, nt. 48); G. UCCIARDELLO, I ‘lessici retorici’ dall’antichità all’umanesimo: nuove acquisizioni
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di Celadeno da porre a confronto con l’ampio corpus di manoscritti di Anonymus įțĮȓ3. Né, in effetti, in questa sede si illustrerà un codice greco con una sottoscrizione di Celadeno, non ancora reperito né, forse, reperibile; si intende piuttosto attirare l’attenzione su una testimonianza grafica sinora mai valorizzata a questo scopo, affidata al secondo registro dei prestiti della Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3966, f. 9v, (tav. Ia)4: Die VIIII februarii 1503. Ego Alexius episcopus Gallipolitanus fidem facio habuisse a venerando domino Ioanne et domino Demetrio custodibus bi-
e prospettive di ricerca, in Glossaires et lexiques médiévaux inédits. Bilan et perspectives, éd. par J. HAMESSE J. MEIRINHOS, Porto 2011 (Fédération Internationale des Instituts d’Études Médiévales. Textes et Études du Moyen Âge, 59), pp. 227-270, in part. p. 248, nt. 63; SCAPECCHI, Tre esemplari cit.; S. MARTINELLI TEMPESTA, Per un repertorio dei copisti greci in Ambrosiana, in Miscellanea Graecolatina I, a cura di F. GALLO, Milano-Roma 2013 (Ambrosiana Graecolatina, 1), pp. 101-153, in part. p. 126. 3 Per un elenco dei mss. in cui si riconosce la sua mano si vedano i contributi citati alla nt. 1; a quelli ivi segnalati si aggiungano i seguenti codici, resi qui noti per la prima volta: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 57.47, marg. ai ff. 2r, 3v-4r, 5v-6r, 40r-67r; Plut. 80.27, ff. 34v-36r, titoli, rubriche e correzioni ai ff. 4r-5r, 6r-9v, 10v-12v, 17r, 18v, 19v, 21v-22r, 23v, 26r-v; Plut. 87.10, marg. ai ff. 90r-96v; Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Corsinian. 55.K.30 (Rossi 357), ff. 183r-204v. Per quanto riguarda quest’ultimo ms., in mancanza dell’autopsia, l’identificazione è proposta sulla base dello specimen fornito da M. L. AGATI, Catalogo dei manoscritti greci della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Roma 2007 (Supplemento al « Bollettino dei Classici », 24), pp. 113-115 e tav. 22. Il ms. Corsiniano, recante nella sua parte greca un estratto da Senofonte, offre tra l’altro un’ulteriore prova di carattere extragrafico per l’identificazione tra Anonymus įțĮȓ e Celadeno: nel descriverne la miniatura la Agati segnala infatti alcuni medaglioni posti all’interno delle cornici di vari fogli (e. g. ff. 5r, 40r) e recanti un nome scritto in oro; non riuscendo a decifrarlo con sicurezza, la studiosa ne fornisce un’incerta trascrizione diplomatica (« ȁǹǼȄȅȈ », p. 114), per poi avanzare un ipotetico scioglimento in ਝȜȑȟĮȞįȡȠȢ e una altrettanto ipotetica identificazione del possessore con Alessandro de’ Medici. Una volta riconosciuta nel ms. la mano di Celadeno, è immediato correggere la trascrizione della Agati in ਝȜȑȟȚȠȢ e riconoscere in Celadeno stesso il possessore; un analogo medaglione tracciato a penna si trova peraltro sul marg. inf. del f. a2r dell’incunabolo C.3.15 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze a lui appartenuto, recentemente scoperto e illustrato da SCAPECCHI, Tre esemplari cit., p. 167 e fig. 1. 4 I due primi registri di prestito della Biblioteca Apostolica Vaticana. Codici Vaticani latini 3964, 3966, pubblicati in fototipia e in trascrizione con note e indici a cura di M. BERTÒLA, Città del Vaticano 1942 (Codices e Vaticanis selecti quam simillime expressi iussu Pii pp. XII consilio et opera curatorum Bybliothecae Apostolicae Vaticanae, 27), p. 52 e tav. 18*. L’indicazione « in girbo » è aggiunta nel margine esterno, dove si trova anche quella della restituzione, « Restituit die XXVIII iulii », ovviamente d’altra mano. L’importanza dei registri di prestito della Vaticana – e di quelli di altre biblioteche, come per esempio la libreria privata dei Medici – per lo studio degli autografi di letterati ed eruditi quattrocenteschi e cinquecenteschi è stata ribadita in almeno due contributi recenti: S. GENTILE, Questioni di autografia nel Quattrocento fiorentino, in « Di mano propria ». Gli autografi dei letterati italiani. Atti del Convegno internazionale di Forlì (24-27 novembre 2008), a cura di G. BALDASSARRI M. MOTOLESE P. PROCACCIOLI E. RUSSO, Roma 2010, pp. 185-210, in part. p. 186 e A. MANFREDI, Autografi in Vaticana. Un excursus fra tipologie, ibid., pp. 705-711, in part. p. 707.
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APPUNTI SU ALESSIO CELADENO: ANELLI, STEMMI E MANI
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bliothece apostolice librum unum grecum in papiro in girbo, in quo sunt Elianus, Atheneus et Stobeus et alia quedam, et eum habuisse commodo et ad mensem unum, et pro eo reliquisse duos parvos anulos aureos cum lapidibus turchina et rubino. Et ad fidem hic manu propria me scripsi. Restituit die XXVIII iulii.
Certificata nella sua autografia dall’utilizzo della prima persona e da quello della formula manu propria, la scrittura latina di Celadeno può essere accostata a quella di un lessico greco-latino che già Harlfinger riconosceva come interamente di mano di Anonymus įțĮȓ, il Plut. 57.16 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (tav. Ib)5. La penna utilizzata nei due specimina è diversa; la scrittura del Plut. 57.16, tracciata con lo stesso calamo a punta fine utilizzato per il greco, risulta decisamente più sottile di quella testimoniata dal registro vaticano, ma il confronto di vari elementi di dettaglio (tav. I.c) non lascia dubbi sull’identità di mano: in primo luogo la legatura et dall’aspetto decisamente poco elegante (tav. I.c, nr. 1); la legatura st (nr. 2); la g maiuscola (nr. 3); la s tonda finale di parola (nr. 4); il tau alto utilizzato come variante adiafora per t (nr. 5). In tal modo, per la via parallela della scrittura latina, l’identificazione della scrittura greca di AnonymusįțĮȓ con quella di Celadeno supera il terzo grado di giudizio e assurge così definitivamente dal rango di ipotesi a quello di certezza. 2. Ma qual era il libro preso in prestito da Celadeno? E a quale scopo il vescovo di Gallipoli l’aveva ottenuto dalla biblioteca dei pontefici lasciando in pegno due anelli? La risposta si ricava a partire da un magistrale articolo di Paul Canart, che ha ricostruito la storia di questo manoscritto – « un manuscrit d’érudit du XIIIe-XIVe siècle », nell’opinione dello studioso, indicato con la sigla x –, contenente le Vitae X oratorum di Plutarco, il De mirabilibus auscultationibus e i Physiognomonica pseudo-aristotelici, la Varia historia di Eliano, gli Excerpta Politiarum di Eraclide, i Deipnosophistae di Ateneo nella forma dell’Epitome ed estratti da Stobeo, attestato negli inventari e nei registri di prestito della Vaticana dal 1475 al 1522 e andato smarrito forse all’epoca del Sacco di Roma6. Tra le varie copie del
5 A. M. BANDINI, Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Laurentianae (…), II, Florentiae 1768, col. 357; HARLFINGER, Specimina cit., p. 30. 6 P. CANART, Démétrius Damilas, alias le « librarius Florentinus », in Rivista di studi bizantini e neoellenici, n. s. 14-16 (1977-1979), pp. 281-347, rist. in ID., Études de paléographie et de codicologie, reproduites avec la collaboration de M. L. AGATI et M. D’AGOSTINO, I, Città del Vaticano 2008 (Studi e testi, 450), pp. 451-522, in part. pp. 287-307 (pp. 457-477 della ristampa); lo studioso fornisce inoltre tutto il dossier documentario relativo al ms. (pp. 318-
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Vaticano perduto segnalate e studiate da Canart si trova infatti il Laur. Plut. 60.19 contenente il Tractatus de duodecim Herculis laboribus di Giovanni Pediasimo (ff. 1r-7v), il De natura deorum di Cornuto (ff. 7v-41v), il De incredibilibus di Palefato (ff. 41v-65r; bianco f. 65v), la Varia historia di Eliano, priva del libro VI (ff. 66r-130v, 138r-209v; bianchi i ff. 131r-137v), gli Excerpta Politiarum di Eraclide (ff. 209v-220r), il De Nili incremento (ff. 220r-222r) e i Mirabilia aristotelici (ff. 222v-253v; bianchi i ff. 254r-255v)7: com’è evidente, a partire dal f. 66r il Laur. Plut. 60.19 riproduce esatta320 [pp. 488-490 della ristampa]), a partire dalla notizia dell’inventario del 1475 (su questo inventario cfr. ora anche A. MANFREDI, La nascita della Vaticana in età umanistica da Niccolò V a Sisto IV, in Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534), a cura di A. MANFREDI, Città del Vaticano 2010 [Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 1], pp. 147-236, in part. pp. 209-214; A. DI SANTE, La biblioteca rinascimentale attraverso i suoi inventari, ibid., pp. 309-326, in part. pp. 312-313) fino alla ricevuta di prestito di Girolamo Aleandro, del 30 settembre 1522 (cfr. anche BERTÒLA, Due primi registri cit., p. 77 e tav. 62*; su Aleandro e la Vaticana, A. RITA, Per la storia della Vaticana nel primo Rinascimento, in Le origini della Vaticana cit., pp. 239-307, in part. pp. 292-298). Sul ms. perduto, che si trovava almeno in parte ancora a Roma alla metà del sec. XVI, ma non più in Vaticana, cfr. anche A. L. DI LELLOFINUOLI, Ateneo e Stobeo alla Biblioteca Vaticana. Tracce di codici perduti, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, 53 (1999) (= ʌȫȡĮ. Studi in onore di mgr. Paul Canart per il LXX compleanno, a cura di S. LUCÀ L. PERRIA), pp. 13-55, in part. pp. 13, 35, 39-55. 7 Oltre alla descrizione di BANDINI, Catalogus cit., coll. 609-610 si vedano quelle di P. KRAFFT, Die handschriftliche Überlieferung von Cornutus’ Theologia Graeca, Heidelberg 1975 (Bibliothek der klassischen Altertumswissenschaften, N. F., Reihe 2, 57), pp. 60-65, con la tav. 8 (nella didascalia il ms. è erroneam. ascritto a Demetrio Damila), e di J. WIESNER in Aristoteles Graecus. Die griechischen Manuskripte des Aristoteles, untersucht und beschrieben von P. MORAUX D. HARLFINGER D. REINSCH J. WIESNER, Berlin-New York 1976 (Peripatoi, 8), pp. 220-222. Alle notizie ivi reperibili si può aggiungere che la rigatura del ms. è a inchiostro ed eseguita con un pettine; nel fasc. 1, inoltre, pur in assenza di anomalie testuali, non è rispettata la regola di Gregory, secondo un’abitudine che si ritrova in vari fasc. di altri due mss. di mano di Celadeno, il Laur. Plut. 7.14 e il Laur. Plut. 56.15, scritti sulla stessa pergamena di bassa qualità servita per il Laur. Plut. 60.19. È forse questa l’occasione più opportuna per segnalare un terminus ante quem per la presenza nella libreria medicea privata dei mss. in cui compare la mano dell’ex Anonymus įțĮȓ, sinora inosservato: mentre nessuno di questi si ritrova negli inventari tardoquattrocenteschi e protocinquecenteschi della collezione, alcuni (e. g. il Laur. Plut. 55.9, su cui SPERANZI, L’Anonymus cit.) sono identificabili in un inventario parziale della medesima redatto in San Lorenzo tra il 1527 e il 1534, conservato in copia presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze, A 175/5bis (Index Bibliothecae Mediceae, [a cura di E. ALVISI], Firenze 1882); considerata l’assoluta unitarietà di conservazione di un gruppo di codici che si configura come una vera e propria piccola biblioteca allestita e raccolta per uso personale, si fa sempre più concreta la possibilità che alla morte di Celadeno Leone X abbia acquisito in blocco per la propria libreria privata i suoi mss. (oltre ai suoi incunaboli, trasmessi dalla Laurenziana alla Magliabechiana il 16 giugno 1783; cfr. SCAPECCHI, Tre esemplari cit. e A. M. BANDINI, Dei princìpi e progressi della Real Biblioteca Mediceo Laurenziana (Ms. laur. Acquisti e Doni 142), a cura di R. PINTAUDI M. TESI A. R. FANTONI, con i contributi di A. DILLON BUSSI M. P. GONNELLI MANETTI, Firenze 1990 [Documenti inediti di cultura toscana, n. s., 3], pp. 215-244, in part. pp. 220 nr. 93, 226 nrr. 163, 178-179, 240 nr. 93, 242 nrr. 163, 178-179).
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APPUNTI SU ALESSIO CELADENO: ANELLI, STEMMI E MANI
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mente alcuni contenuti di x8 e, sia per Eliano, sia per Eraclide, sia per Aristotele, gli studi di Mervin R. Dilts, Dieter Harlfinger e Jürgen Wiesner ne hanno indicato la discendenza diretta da questo codice9. Nel Laurenziano già Harlfinger riconosceva la mano di Anonymus įțĮȓ10 e, una volta dimostrata la sovrapposizione tra quest’ultimo e Celadeno, è immediato connettere il manoscritto alla ricevuta di prestito, ottenendo in tal modo per il codice un preciso termine di datazione tra il 9 febbraio e il 28 luglio 1503 e una precisa localizzazione a Roma.
8 Per quanto sappiamo, Pediasimo, Cornuto e Palefato, contenuti ai ff. 1r-65r del Laur. Plut. 60.19, erano estranei al Vaticano perduto, eppure anche per questa parte del codice le parentele testuali puntano decisamente verso lo stesso ambiente entro cui circolava quest’ultimo ms.: sia G. VITELLI, I manoscritti di Palefato, in Studi italiani di filologia classica, 1 (1893), pp. 241-379, in part. pp. 245-246, 330-340, sia KRAFFT, Die handschriftliche cit., pp. 221-222 mettono per esempio in evidenza le affinità testuali del Laur. Plut. 60.19 con il ms. di Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. IX.6 (coll. 1006), opera di Demetrio Damila (per Cornuto i due mss. sarebbero gemelli, secondo KRAFFT, Die handschriftliche cit., pp. 221222, discendenti di un perduto codice ș); il Marciano è appartenuto al convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, cui pervenne attraverso il lascito del generale dell’ordine Gioacchino Turriano (S. MARCON, I libri del generale domenicano Gioacchino Torriano († 1500) nel convento veneziano di San Zanipolo, in Miscellanea Marciana, 2-4 [1987-1989], pp. 81-116, in part. p. 98 nr. 137; D. F. JACKSON, The Greek Library of Saints John and Paul (San Zanipolo) at Venice, Tempe 2011 [Medieval and Renaissance Texts and Studies, 391], pp. 32 nr. 137, 36 nr. 159, 54 nr. 78, 58 nr. 4, 59 nr. 14, 68 nr. 5; D. SPERANZI, Marco Musuro. Libri e scrittura, Roma 2013 [Supplemento al « Bollettino dei classici », 27], pp. 17 nt. 22, 374 e scheda nr. 106); è ben noto che Damila copiò alcuni mss. per Turriano proprio a Roma tra il 1492 e il 1494, talvolta servendosi di antigrafi presi in prestito dalla biblioteca dei pontefici: Bertòla, Due primi registri cit., pp. 84, 102; CANART, Démétrius Damilas cit., pp. 307-314, 317 (pp. 477484, 487 della ristampa); M. SICHERL, Handschriftenforschung und Philologie, in Paleografia e codicologia greca. Atti del II Colloquio internazionale (Berlino-Wolfenbüttel, 17-21 ottobre 1983), a cura di D. HARLFINGER - G. PRATO, con la collaborazione di M. D’AGOSTINO e A. DODA, Alessandria 1991 (Biblioteca di « Scrittura e civiltà », 3), pp. 485-508, in part. pp. 502-507. 9 M. R. DILTS, The Manuscript Tradition of Aelian’s Varia Historia and Heraclides’ Politiae, in Transactions and Proceedings of the American Philological Association, 96 (1965), pp. 5772, in part. pp. 64-65 (il Laur. Plut. 60.19 è indicato come discendente diretto del Vaticano perduto); Claudii Aeliani Varia historia, ed. M. R. DILTS, Leipzig 1974, pp. VI, IX (stemma); Heraclidis Lembi Excerpta Politiarum, edited and translated by M. R. DILTS, Durham 1971 (Greek, Roman and Byzantine Monograph, 5), pp. 11-12. Per l’elenco degli studi di Harlfinger e Wiesner e la sintesi delle loro conclusioni si rimanda per brevità ad Aristoteles Graecus cit., pp. 221-222 (scheda di J. WIESNER) e a CANART, Damilas cit., pp. 295, 297-299 (i diversi stemmi riprodotti a p. 295 forniscono tre possibili diverse ricostruzioni; tutte e tre lasciano aperta la scelta tra la presenza di un interpositus tra il Vaticano perduto x e il Laur. Plut. 60.19 o, invece, la contaminazione di quest’ultimo con lezioni provenienti da altra fonte: il legame qui istituito tra l’apografo laurenziano e la notizia del registro dei prestiti consente di ritenere decisamente più probabile la seconda opzione). 10 HARLFINGER, Die Textgeschichte cit., p. 418; CANART, Damilas cit., p. 292 (p. 462 della ristampa) ha confermato l’identificazione sulla base di DILTS, Heraclidis Lembi cit., tav. 2 (ripr. del f. 210v).
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3. Tanto sarebbe sufficiente a evidenziare l’interesse del Laur. Plut. 60.19 nel quadro della ricostruzione dell’attività di copista di Celadeno, di cui si conosce un solo altro manoscritto datato, il Laur. Plut. 5.7, del 1473/147411: deve per esempio essere rivista una considerazione di Canart secondo cui era « peu probable » che l’Anonymus įțĮȓ avesse proseguito « son activité jusque dans les premières années du XVIe siècle »12. Al dato cronologico si può tuttavia aggiungere forse anche quello culturale. È già stato sottolineato più volte che molti manoscritti di Celadeno rimandano alla cerchia del cardinale Bessarione e, in particolare, alla figura di Teodoro Gaza, di cui possedette tra l’altro vari autografi13. Altri codici mostrano legami ora più, ora meno stretti con l’ambito salentino e con le terre di cui fu vescovo, con le loro tradizioni testuali e grafiche: oltre al Laur. Plut. 86.15, un composito formato da due unità, l’una di mano di Celadeno, l’altra datata 1347 e scritta da Nicola Sillavì di Gallipoli, e ad altri casi su cui ci si è soffermati altrove14, si può per esempio ricordare il Laur. Plut. 59.37 che per i ff. 55r-94r, recanti le Declamationes di Polemone Sofista, Esichio Milesio e Filostrato, di mano di Celadeno, ha come apografo diretto il manoscritto II.E.21 della Biblioteca Nazionale « Vittorio Emanuele III » di Napoli15: questo codice fu allestito dallo stesso scriba di educazione otrantina cui si deve anche la seconda unità del Neap. II.F.48, recante l’opuscolo De saltatione di Luciano16, e appartenne all’umanista Aulo Giano Parrasio (1470-1521), la cui vicenda biografica, è noto, dopo gli studi in Puglia, 11 A. M. BANDINI, Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae (…), I, Florentiae 1764, pp. 16-17; HARLFINGER, Specimina cit., p. 30. 12 CANART, Damilas cit., p. 292 e nt. 3; superfluo sottolineare che le conclusioni dello studioso potevano apparire del tutto plausibili in rapporto alle conoscenze dell’epoca. 13 Su questo punto mi permetto di rimandare a quanto osservato da ultimo in D. SPERANZI, « De’ libri che furono di Teodoro ». Una mano, due pratiche e una biblioteca scomparsa, in Medioevo e rinascimento, 26 (2012), pp. 319-354, in part. pp. 352-354. 14 SPERANZI, Il ritratto cit., p. 123. 15 Devo questa informazione all’amicizia di Rudolf Stefec e al suo studio Die Überlieferungsgeschichte der Deklamationen Polemons, in Römische Historische Mitteilungen, 55 (2013), pp. 99-154, in part. pp. 101-102, 104, 109. Alla descrizione del Laur. Plut. 59.37 fornita da BANDINI, Catalogus II cit., coll. 568-569, si devono aggiungere almeno HARLFINGER, Specimina cit., p. 30 (per l’identificazione dell’Anonymus įțĮȓ) e M. MENCHELLI, Gli scritti di apertura del ‘corpus’ isocrateo tra tarda antichità e medievo, in Studi sulla tradizione del testo di Isocrate, Firenze 2003 (Studi e testi per il corpus dei papiri filosofici greci e latini, 12), pp. 249-317, in part. pp. 260 266; una descrizione del Neap. II.E.21 in Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Nationalis Neapolitanae, II, recensuit M. R. FORMENTIN, Roma 1995 (Indici e cataloghi, n. s., 8), pp. 94-95 e tav. 10. 16 FORMENTIN, Catalogus cit., pp. 94, 179; altra bibliografia in D. ARNESANO, Il repertorio dei codici greci salentini di Oronzo Mazzotta. Aggiornamenti e integrazioni, in Tracce di storia. Studi in onore di mons. Oronzo Mazzotta, a cura di M. SPEDICATO, Galatina 2005 (Quaderni de L’Idomeneo, 1), pp. 22-80, in part. p. 53.
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presso Sergio Stiso di Zollino, si svolse tra la Napoli aragonese, Roma e l’Italia settentrionale, sovrapponendosi almeno in parte per tempi e luoghi a quella di Celadeno17. Aver dimostrato adesso con il Laur. Plut. 60.19 che almeno uno dei codici trascritti – e, con ogni probabilità, posseduti – da quest’ultimo rinvia alle letture erudite della Roma del primo decennio del sec. XVI significa, per così dire, aver individuato un’anima curiale della sua biblioteca, che per il momento non era ancora emersa. 4. A questo proposito, può forse essere utile attirare l’attenzione su due manoscritti attraverso i quali si osserva come le diverse ‘anime’ dei codici di Celadeno appena evocate – quella ‘bessarionea’, quella ‘salentina’ e, infine, quella ‘curiale’ – si rivelino essere in rapporto tra loro, secondo modalità ora più elusive, ora più evidenti. In primo luogo si può gettare uno sguardo sul Laur. Plut. 31.27, già assegnato da Harlfinger all’Anonymus įțĮȓ18, contenente opere per le quali è ben nota una tradizione salentina, come il De raptu Helenae di Colluto19,
17 Sul Parrasio, oltre al fondante volume di F. LO PARCO, Aulo Giano Parrasio: studio biografico-critico, Vasto 1899, ci si limita a ricordare il recentissimo Aulo Giano Parrasio, De rebus per epistolam quaesitis (Vat. lat. 5233, ff. 1r-53r), introduzione, testo critico e commento filologico a cura di L. FERRERI, Roma 2012 (Libri, carte, immagini, 7); su Sergio Stiso, dotto otrantino tra i meglio conosciuti della sua epoca, D. ARNESANO, San Nicola di Casole e la cultura greca in Terra d’Otranto nel Quattrocento, in La conquista turca di Otranto (1480) tra storia e mito. Atti del Convegno internazionale di studio (Otranto-Muro Leccese, 28-31 marzo 2007), a cura di H. HOUBEN, Galatina 2008, I, pp. 107-140, in part. pp. 133138, con la bibliografia precedente, cui si può forse aggiungere G. FIACCADORI, Umanesimo e grecità d’Occidente, in I Greci in Occidente. La tradizione filosofica, scientifica e letteraria dalle collezioni della Biblioteca Marciana. Catalogo della mostra (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, 16 ottobre 15 novembre 1996), a cura di G. FIACCADORI P. ELEUTERI, con la collaborazione di A. CUNA, Venezia 1996, pp. XVII-LXXV, in part. pp. LXIV-LXV. 18 BANDINI, Catalogus II cit., coll. 98-99; HARLFINGER, Specimina cit., p. 30. 19 Colluto, Il ratto di Elena. Introduzione, testo critico, traduzione e commentario a cura di E. LIVREA, Bologna 1968 (Edizioni e saggi universitari di filologia classica, 9), p. XXXV; Collouthos, L’enlèvement d’Hélène, texte établi et traduit par P. ORSINI, Paris 1972, p. XXXV. Oltre ai mss. dai caratteri grafici senz’altro salentini citati di seguito nel testo, si possono ricordare in proposito varie testimonianze. Il 2 agosto 1498 Costantino Lascari sottoscriveva a Messina la copia del De raptu Helenae Vat. gr. 1351, confezionata a partire da un antigrafo che Sergio Stiso di Zollino (cfr. nt. 17) gli aveva inviato dalla Puglia (sul ms. cfr. T. MARTÍNEZ MANZANO, Konstantinos Laskaris. Humanist, Philologe, Lehrer, Kopist, Hamburg 1994 (Meletemata, 8), pp. 324-325); da un passo della Vita di Colluto composta da Lascari e anteposta alla trascrizione, testimoniata anche dall’Ambr. Q 5 sup. di mano di Michele Suliardo e dall’edizione aldina del 1504-1505, si è comunemente desunta la notizia che il Ratto di Elena fosse conservato nel monastero di San Nicola di Casole (cfr. e. g. Colluto, Il ratto cit., pp. XXX, 6-7; Collouthos, L’enlèvement cit., p. XXXV); mi sembra tuttavia che la
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l’Ilii excidium di Trifiodoro20, la Descriptio Orbis di Dionigi il Periegeta21 e i Cynegetica di Oppiano22. Per la Descriptio Orbis il Laurenziano sembra risalire allo stesso codice perduto da cui discese l’Ambr. D 516 inf., che al
frase in questione (ʌȠȣțĮਲʌȠȓȘıȚȢIJȠ૨ȝȘȡȚțȠ૨ȀȠǸȞIJȠȣʌȡIJȠȞİȡȘIJĮȚਥȞIJȞĮIJȠ૨șİȓȠȣ ȃȚțȠȜȐȠȣIJȞȀĮııȠȪȜȦȞȟȦIJȠ૨įȡȩȞIJȠȣ) si debba riferire alle sole Postomeriche di Quinto Smirneo, citate dal bizantino nel suo ȕȓȠȢ come ulteriore esempio di testo per molto tempo ben noto in Terra d’Otranto, sconosciuto in altri luoghi; quanto a Colluto, egli si limita a testimoniarne la circolazione in Puglia e la riscoperta a opera del cardinal Bessarione: la seconda indicazione è priva di riscontri, sia tra le fonti documentarie, sia nell’ambito della tradizione manoscritta, mentre la prima è ben attestata anche per altre vie. All’inizio del sec. XIV un testimone del Ratto di Elena e della Presa di Ilio di Trifiodoro era per esempio conservato nella biblioteca della scuola di Aradeo indagata da A. JACOB, Une bibliothèque mediévale de Terre d’Otrante (Parisinus gr. 549), in Rivista di studi bizantini e neoellenici, 2223 (1985-1986), pp. 285-315, in part. pp. 297, 308; molto più tardi, Giano Lascari, nel corso dei celebri viaggi condotti tra il 1490 e il 1492 per conto di Lorenzo de’ Medici alla ricerca di codici per la libreria medicea privata, avrebbe segnalato la presenza di entrambi gli autori presso il prete Giorgio a Corigliano d’Otranto (Vat. Gr. 1412, f. 80v, ll. 10-11; K. K. MÜLLER, Neue Mittheilungen über Janos Laskaris und die Mediceische Bibliothek, in Centralblatt für Bibliothekswesen, 1 [1884], pp. 333-412, in part. p. 403) e ne avrebbe portato una copia a Firenze (D. F. JACKSON, A New Look at an Old Book List, in Studi italiani di filologia classica, s. III, 16 [1998], pp. 83-108, in part. pp. 84, 95; in relazione a quanto scritto alla nt. 7 a proposito della storia dei mss. di Celadeno, non convince l’identificazione proposta dallo studioso tra il Laur. Plut. 31.27 e il codice acquistato in quell’occasione da Lascari, che deve considerarsi al momento non reperito; tra l’altro, la segnatura 291 visibile al f. IIv del ms., indicata da Jackson come quattrocentesca, risale in realtà senz’altro al sec. XVI). 20 Triphiodore, La prise d’Ilion, texte établi et traduit par B. GERLAUD, Paris 1982, p. 59; Triphiodorus, Ilii excidium, ed. H. LIVREA, Leipzig 1982, pp. IX-X. Per le testimonianze relative alla circolazione di Trifiodoro in Terra d’Otranto si veda quanto osservato alla nt. precedente; non è improbabile che anche l’antigrafo inviato da Stiso a Lascari nel 1498 contenesse oltre a Colluto l’Ilii excidium; se è vero infatti che i due testimoni trifiodorei di mano di Lascari, Madrid, Biblioteca Nacional, 4691 e Vat. gr. 1406, discendono dal Laur. Plut. 32.16, celebre codice planudeo posseduto da Francesco Filelfo, cui il bizantino poteva aver avuto accesso durante i suoi anni milanesi (per i rapporti stemmatici cfr. Trifiodorus, Ilii cit., pp. X-XII; Triphiodore, La prise cit., pp. 60-61; sui due mss., MARTÍNEZ MANZANO, Konstantinos Laskaris cit., pp. 106, 176-177, 286, 318, 329-330), è altrettanto vero che il Vat. gr. 1406 parrebbe essere contaminato con lezioni provenienti dalla seconda famiglia, di origine salentina, cui certo apparteneva anche il codice di Stiso (per questa ricostruzione stemmatica cfr. Triphiodore, La prise cit., p. 61; per alcuni testimoni della seconda famiglia cfr. subito infra). 21 I. TSAVARI, Histoire du texte de la Description de la terre de Denys le Periegete, Jannina 1990, p. 328 (sigla Ȝ3). 22 Per questo testo, Oppianus Apameensis, Cynegetica, Eutecnius Sophistes, Paraphrasis metro soluta, rec. M. PAPATHOMOPOULOS, Monachii et Lipsiae 2003, pp. IX-X; a proposito della circolazione salentina dei Cynegetica si dispone della testimonianza del duca di Nardò, Belisario Acquaviva, che afferma di aver avuto in mano l’opera poco dopo il suo ritrovamento « in Yapigiae finibus », cfr. ARNESANO, San Nicola cit., p. 138, con riferimenti e bibliografia.
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f. 1r ha la nota Callipoli emptus Iapigia 160623, e nel medesimo ramo dello stemma si colloca il ms. 255 di New Haven (CT), Yale University Beinecke Rare Book and Ms. Library, scritto da un copista otrantino la cui attività è documentata da vari altri codici24, legato alla figura del già citato Sergio Stiso25. Allo stesso modo, per Colluto, Trifiodoro e Oppiano, sono scritti da mani salentine tutti i testimoni stemmaticamente più vicini al Laur. Plut. 31.2726, ovvero il Par. Suppl. gr. 10927, il codice di Yale appena menzionato e il Neap. II.F.17, gli ultimi due opera della stessa mano28. Come il Neap. II.E.21 di Polemone cui si è accennato nel paragrafo precedente, anche il Neap. II.F.17 appartenne ad Aulo Giano Parrasio e proprio dal codice parrasiano o da un perduto antigrafo comune, l’umanista tedesco Jakob 23 TSAVARI, Histoire cit., p. 328; sull’Ambr. D 516 inf., scritto da un’unica mano otrantina, si può rimandare ai riferimenti raccolti da C. PASINI, Bibliografia dei manoscritti greci dell’Ambrosiana (1857-2006), Milano 2007 (Bibliotheca erudita, 30), p. 352. 24 TSAVARI, Histoire cit., p. 328. Lo scriba di questo ms. è stato isolato per la prima volta in Codici greci dell’Italia meridionale. Catalogo della mostra (Grottaferrata, Biblioteca del Monumento Nazionale, 31 marzo 31 maggio 2000), a cura di P. CANART S. LUCÀ, Roma 2000, p. 149 nr. 72 (scheda di A. JACOB) ed è stato in seguito oggetto delle riflessioni di ARNESANO, San Nicola cit., pp. 135-137, cui si deve tra l’altro la denominazione convenzionale di « copista di Sergio Stiso »; la sua produzione meriterebbe uno studio più approfondito, anche allo scopo di definirne meglio caratteristiche e confini, per esempio in relazione a quella di altri scribi coevi come il Gabriele identificato in D. SPERANZI, Per la storia della libreria medicea privata. Giano Lascari, Sergio Stiso di Zollino e il copista Gabriele, in Italia medioevale e umanistica, 48 (2007), pp. 77-111. Alcune indicazioni bibliografiche sullo Yal. 255, senza pretesa di completezza: E. LIVREA, Un nuovo codice di Trifiodoro, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, V: Scritti vari, Milano 1978, pp. 499-508 tav., rist. in ID., Studia hellenistica, II, Firenze 1991, pp. 393-399 e tav. 9 (ripr. di due fogli non indicati); B. A. SHAILOR, Catalogue of Medieval and Renaissance Manuscripts in the Beinecke Rare Book and Manuscript Library. Yale University, II: Mss 251-500, Binghamton 1987 (Medieval and Renaissance Texts and Studies, 48), pp. 13-14 e tav. 59 (ripr. del f. 1v); ARNESANO, Il repertorio cit., p. 54 (con ulteriore bibliografia); T. SILVA SÁNCHEZ, The Codex Phillippicus 4211 and the Manuscript Tradition of Oppian of Apamea’s Cynegetica, in Scriptorium 53 (2009), pp. 350-356. 25 Cfr. supra, nt. 17. 26 Si fa riferimento alle ricostruzioni stemmatiche presenti in Colluto, Il ratto cit., p. XLIIi; Triphiodorus, Ilii cit., p. XVII; Triphiodore, La prise cit., p. 65; Oppianus, Cynegetica cit., p. XIX che, pur divergendo leggermente l’una dall’altra, lasciano intravedere un quadro omogeneo. 27 Sul Par. Suppl. gr. 109 e i suoi caratteri grafici otrantini cfr. Ch. ASTRUC M. - L. CONCASTY C. BELLON Ch. FÖRSTEL, Catalogue des manuscrits grecs. Supplément grec, numéros 1 à 150, [Paris] 2003, pp. 240-242; ARNESANO, Il repertorio cit., p. 58, con bibliografia precedente; ID., San Nicola cit., p. 138 nt. 141. La stessa mano cui si deve Trifiodoro nel Par. Suppl. gr. 109 è stata ipoteticamente riconosciuta nel ms. gr. 264 di München, Bayerische Staatsbibliothek, di Quinto Smirneo (Triphiodore, La prise cit., p. 59) ma non ho potuto verificare questa ipotesi, né sull’originale, né su riproduzioni. 28 FORMENTIN, Catalogus cit., pp. 137-139; ARNESANO, Il repertorio cit., p. 53 (con bibliografia precedente); Id., San Nicola cit., pp. 135, 137, 138; mentre lo Yal. 255 sembra tutto di mano del « copista di Sergio Stiso » (cfr. supra nt. 24), nel Neap. II.F.17 quest’ultimo si alternerebbe con un altro anonimo di eguale origine salentina.
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Aurel Questenberg, cubiculario di papa Leone X e calligrafo greco-latino di buona eleganza, attivo a Roma per gran parte della propria esistenza, dal 1485 all’anno drammatico del Sacco29, ha trascritto Colluto e Trifiodoro nel manoscritto di København, Det Kongelige Bibliothek, Fabr. 60,4°, un composito omogenetico che, sempre di sua mano, contiene anche i Mirabilia e i Physiognomonica30. Per uno degli incroci inattesi in cui ci si imbatte talvolta percorrendo le strade della tradizione manoscritta con l’occhio rivolto alle scritture e ai copisti, il medesimo codice di København pare derivare i testi aristotelici proprio dal Vaticano perduto preso in prestito da Celadeno a Roma il 9 febbraio 1503, col ricordo del quale si sono aperti questi appunti31.
29 Dell’ampia bibliografia su questo interessante personaggio, di cui si parla anche nel paragrafo seguente, si ricordano qui soltanto Graecogermania. Griechischstudien deutscher Humanisten. Die editionstätigkeit der Griechen in der italienischen Renaissance (1469-1523). Ausstellung im Zeughaus der Herzog August Bibliothek Wolfenbüttel von 22. April bis 9. Juli 1989, unter Leitung von D. HARLFINGER, Weinheim-New York, NY 1989 (Ausstellungskataloge der Herzog August Bibliothek, 59), pp. 218-223, nrr. 116-117 (schede di G. DE GREGORIO); E. CALDELLI, Copisti a Roma nel Quattrocento, Roma 2006 (Scritture e libri del Medioevo, 4), pp. 69-70, 146-147; D. GIONTA, Un Apuleio postillato da Giacomo Aurelio Questenberg, in I classici e l’università umanistica. Atti del Convegno (Pavia, 22-24 novembre 2001), a cura di L. GARGAN e M. P. MUSSINI SACCHI, Messina 2006 (Percorsi dei classici, 10), pp. 261-304; non mi risulta sia mai stato attribuito alla sua mano il Plutarco di Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, 51-5, miniato agli emblemi di un papa Medici, riprodotto da I. PÉREZ MARTÍN, Los manuscritos griegos del cardenal Zelada: una biblioteca romana en la catedral de Toledo, in The Legacy of Bernard de Montfaucon: Three Hundred Years of Studies on Greek Handwriting. Proceedings of the Seventh International Colloquium of Greek Palaeography (Madrid Salamanca, 15-20 September 2008), ed. by A. BRAVO GARCÍA and I. PÉREZ MARTÍN, with the Assistance of J. SIGNES CODOÑER, Turnhout 2010 (Bibliologia, 31A-B), I, pp. 567-582, in part. p. 581 e tav. 7. 30 Per una descrizione del ms., B. SCHARTAU, Codices Graeci Haunienses. Ein deskriptiver Katalog des griechischen Handschriftenbestandes der Königlichen Bibliothek Kopenhagen, Copenhagen 1994 (Danish Humanist Texts and Studies, 9), pp. 389-390, in cui l’autore indugia tuttavia nella suddivisione delle mani proposta da HARLFINGER, Textgeschichte cit., pp. 410, 417 e accolta in Aristoteles Graecus cit., pp. 390-391 (scheda di P. MORAUX), senza tener conto della rettifica dello stesso HARLFINGER ap. CANART, Damilas cit., p. 298 (p. 468 della ristampa), secondo cui la responsabilità delle tre unità strutturalmente indipendenti che costituiscono il ms. va così ripartita: I. ff. 1r-49v (Mirabilia e Physiognomonica), Jakob Aurel Questenberg; II. ff. 50r-139v (Filostrato, Vitae Sophistarum), Demetrio Damila; III. ff. 140r-165v (Colluto, Trifiodoro), Jakob Aurel Questenberg. Il Fabr. 60,4° è indicato come apografo diretto del Neap. II.F.17 sia in Triphiodore, La prise cit., p. 65, sia in Triphiodorus, Ilii cit., p. XVII; in Colluto, Il ratto cit., p. XLII i due codici sono considerati gemelli, discendenti da un perduto ms. DZ. 31 Questenberg ebbe in prestito il Vaticano perduto l’8 luglio 1494 e lo restituì il 17 aprile dell’anno seguente: BERTÒLA, I due primi registri cit., p. 83 e tav. 69*; CANART, Damilas cit., pp. 289, 298-299, 302, 304-305, 318-319 (pp. 459, 468-469, 472, 474-475, 489-490 della ristampa).
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5. Incroci inattesi, ma non certo sorprendenti, qualora si volga l’attenzione a un composito allestito e in parte trascritto da Celadeno come il Laur. Plut. 10.22, attribuito per molto tempo al sec. XIV sulla scorta di Angelo Maria Bandini32: la terza unità del manoscritto (ff. 48-70), contenente la Comparatio veteris et novae Romae di Manuele Crisolora (ff. 48r-68v) e una sua epistola a Giovanni Crisolora (ff. 68v-70v), è stata copiata proprio da Questenberg33, con i titoli, le rubriche e alcune correzioni aggiunte da Celadeno34. Se a ciò si aggiunge che la seconda unità (ff. 32-47), con le Menandri sententiae (ff. 33r-44v), si deve a Giorgio Ermonimo35, un altro 32 BANDINI, Catalogus I cit., pp. 489-490 (con datazione al sec. XIV frequentemente ripresa dalla bibliografia recente, cfr. e. g. ntt. 37, 38). Il ms. si compone di quattro unità: I. f. 4-31 (Homerocentones, ps. Focilide); II. ff. 32-47 (Menandri sententiae, Versi aurei); III ff. 48-70 (Manuele Crisolora); IV. ff. 71-74 (Diodoro Siculo, estratti); la certezza che Celadeno sia stato l’organizzatore del composito è data dal fatto che, oltre a essere stato il responsabile delle unità I e IV (identificazione in SPERANZI, Il ritratto cit., p. 116 nt. 17) e ad aver apposto vari interventi nelle unità II e III in un momento successivo alla copia, per completare il testo dell’unità I egli si è servito del primo foglio dell’unità II (f. 32r) lasciato in origine bianco dal suo scriba a guisa di custodia (cfr. anche infra). 33 Per verificare l’identificazione della mano, già anticipata in SPERANZI, Il ritratto cit., p. 116 nt. 17, si potrà porre a confronto la riproduzione del Laur. Plut. 10.22 accessibile all’indirizzo http://teca.bmlonline.it con i numerosi specimina editi della mano di Questenberg: e. g. HARLFINGER, Graecogermania cit., nrr. 116, 117; PÉREZ MARTÍN, Los manuscritos cit., tav. 7. 34 Sono di sua mano i titoli e le iniziali ai ff. 48r, 68v, le rubriche ff. 68v, 70v e vari marginali; alcune osservazioni sui titoli del ms. sono formulate da A. ROLLO, Sul destinatario della ȈȪȖțȡȚıȚȢIJોȢʌĮȜĮȚ઼ȢțĮȞȑĮȢ૮ȫȝȘȢ di Manuele Crisolora, in Vetustatis indagator. Scritti offerti a Filippo Di Benedetto, a cura di V. FERA e A. GUIDA, Messina 1999 (Percorsi dei classici, 1), pp. 61-80, in part. pp. 74 nt. 49, 77-78. 35 Su Ermonimo si vedano ora M. KALATZI, Hermonymos. A Study in Scribal, Literary and Teaching Activities in the Fifteenth and Early Sixteenth Centuries, Athens 2009 (con la recensione di R. STEFEC in Jarbuch der Österreichischen Byzantinistik 61 [2011], pp. 266268) e la voce Georges Hermonyme de Sparte, in La France des humanistes. Hellénistes, II, par J.-F. MAILLARD et J.-M. FLAMAND, avec la collaboration de M.-É. BOUTROUE et L. A. SANCHI, Turnhout 2010 (Europa humanistica, 8), pp. 1-214 (sul ms. pp. 132-133 nr. 76bis). L’identificazione della sua mano nel Laur. Plut. 10.22 si deve a C. PERNIGOTTI, La tradizione manoscritta delle « Menandri sententiae »: linee generali, in Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico, a cura di M. S. FUNGHI, I, Firenze 2003 (Accademia toscana di scienze e lettere « La Colombaria ». Studi, 218), pp. 121-137, in part. p. 130 nt. 12; a questo studio e a ID., Menandri sententiae, Firenze 2008 (Studi e testi per il corpus dei papiri filosofici greci e latini, 15), pp. 155-156, si rimanda anche per le caratteristiche testuali del ms., che, assieme ad altri esemplari di sua mano, testimonia una redazione delle Menandri sententiae di cui Giorgio fu con ogni probabilità l’ideatore e il redattore. Celadeno ha utilizzato il f. 32r, primo dell’unità di Ermonimo, per trascrivere il finale delle Sentenze ps. focilidee contenute ai ff. 25v-31v dell’unità I (cfr. anche supra, nt. 32); al f. 33r ha completato il titolo ȂİȞȐȞįȡȠȣȖȞȝĮȚ ȝȠȞȩıIJȚȤȠȚ con le parole IJȠ૨ʌȠȚȘIJȠ૨țĮIJıIJȠȚȤİȠȞ; ha inoltre aggiunto le rubriche ai ff. 33r (ਕȡȤIJȠ૨ਙȜijĮ), 44v (IJȑȜȠȢIJȠ૨ȂİȞȐȞįȡȠȣ e copiato i Versi aurei pseudo-pitagorici utilizzando i ff. 45r-47v, lasciati bianchi da Ermonimo.
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DAVID SPERANZI
spartano in contatto con l’ultima cerchia bessarionea al pari di Alessio36, e che quest’ultimo ha copiato nella prima unità (ff. 4-31) gli Homerocentones (ff. 4r-25v) in una redazione attestata da un solo altro testimone di origine salentina, l’Ambr. B 39 sup.37, aggiungendo nell’ultima unità (ff. 71-74) un estratto da Dionigi di Alicarnasso di tradizione pletoniana (ff. 71r-72v)38, ce n’è abbastanza per veder riassunti in un unico manoscritto contatti istituiti dal suo concepteur in ambienti e in cerchie diverse. *** Giunti alla fine di questi appunti nei quali ci si è aggirati tra prestiti di libri, anelli lasciati in pegno, scrittura latina e scrittura greca, tra i rami Sulla base delle filigrane (motivo di sicura provenienza transalpina, Soleil sormontato da una corona, sim. a Briquet 13911 [Chaussin 1485, Châlons-sur-Marne 1484-89, Sens 1485-90, Nantes 1486 etc.]) e delle caratteristiche grafiche, la copia delle Menandri sententiae è databile agli anni francesi di Ermonimo; si deve quindi pensare che dalla Francia essa sia giunta in qualche modo nelle mani di Celadeno, forse – ma non ci sono testimonianze in proposito – perché i due mantennero per molto tempo un rapporto istituitosi all’epoca delle comuni frequentazioni bessarionee. 37 Per la fisionomia testuale della redazione degli Homerocentones tràdita nel Laur. Plut. 10.22 cfr. Homerocentones, editi a R. SCHEMBRA, Turnhout-Leuven 2009 (Corpus Christianorum. Series Graeca, 62), pp. LXII-LXIII, dove il ms. è però datato al sec. XIV, ancora seguendo Bandini (cfr. supra nt. 32); per l’Ambr. B 39 sup. si può rimandare ai numerosi riferimenti forniti da ARNESANO, Il repertorio cit., p. 47 e da PASINI, Bibliografia cit., p. 204. 38 Si tratta dell’epistola di Pirro al console Publio Valerio, ovvero dei capp. 9-10 del XIX libro delle Antiquitates Romanae (cfr. Denys d’Halicarnasse, Rome et la conquête de l’Italie aux IVe et IIIe s. avant J.-C., textes traduits et commentés sous la direction de S. PITTIA, Paris 2002, pp. 47-48, 49, 284-287, dove il ms. è tuttavia datato alla seconda metà del sec. XIV e definito « probablement le plus ancien de ceux qui nous donnent à connaître ce passage »). L’estratto è contenuto anche nel Vat. gr. 2236, di mano di Demetrio Raul Cabace, uno degli ultimi allievi di Pletone rifugiatosi a Roma (dove è attestato dal 1466 fino alla morte, successiva al 1487) a seguito della caduta di Mistrà, e nella più ampia raccolta dell’Ambr. Q 13 sup., ff. 75v-91r, considerata discendente di un’antologia messa insieme da Pletone (sul ms. cfr. PASINI, Bibliografia cit., pp. 303-304 e, in seguito, MARTINELLI TEMPESTA, Per un repertorio cit., pp. 126-129, 136, 137 e tav. 8b [ripr. del f. 303r]). Su Cabace e il Vat. gr. 2236 si può rimandare alle notizie e alla bibliografia raccolta in SPERANZI, Il ritratto cit., pp. 116-118, con l’aggiunta indispensabile di F. BACCHELLI, Di Demetrio Raoul Kavàkis e di alcuni suoi scritti (con due lettere inedite di Gemisto Pletone), in UnoMolti, 1 (2007), pp. 129-187. Si ricorda che Celadeno ha postillato il Laur. Plut. 69.28 (Diogene Laerzio), di mano di Cabace, e che sembra aver copiato dal Vat. gr. 2236 due suoi mss., il Laur. Plut. 28.29 e il Laur. Plut. 56.18 (così A. DILLER, The Autographs of Georgius Gemistus Pletho, in Scriptorium, 10 [1956], pp. 27-41 in part. p. 40, rist. in ID., Studies in Greek Manuscript Tradition, Amsterdam 1983, pp. 389-403, in part. p. 402); non è forse superfluo aggiungere che la relazione Cabace-Celadeno è evidente anche sotto l’aspetto grafico: le scritture di Demetrio e Alessio sono molto vicine e a loro volta si lasciano accostare a quella del figlio di Cabace, Manilio Raoul (Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600, III: Handschriften aus Bibliotheken Roms mit dem Vatikan, A: Verzeichnis der Kopisten, erst. von E. GAMILLSCHEG, unter Mitarbeit von D. HARLFINGER und P. ELEUTERI, Wien 1997, nr. 412). 36
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di uno stemma o tra le carte di un composito, è possibile osservare come gli esempi qui sommariamente illustrati, pur restituendo un quadro non certo esaustivo, lascino intravedere una rete di parentele stemmatiche, di identità di letture, contatti librari e filiazioni che muove dalle terre del Salento fino ai palazzi Vaticani, sfiorando la biblioteca del Parrasio e personaggi come Stiso, Ermonimo e Questenberg. Una rete di legami grafici e testuali della quale sfuggono senz’altro ancora alcune maglie; ma che riflette indubbiamente ambienti, momenti e relazioni dell’esistenza di Celadeno, un moreota fuggito dalla rovina della propria patria, accolto dal cardinale Bessarione, ammesso alla corte degli Aragonesi, divenuto quindi vescovo di città in cui un’antica tradizione greca combatteva in quegli anni una battaglia di retroguardia, e, infine, assiduo frequentatore della Roma dei pontefici.
Addendum La produzione del copista del manoscritto di New Haven (CT), Yale University Beinecke Rare Book and Manuscript Library, 255 e di altri codici citati in questo studio (cfr. p. 189 nt. 24) è ora al centro del contributo di A. ROLLO, Chrysolorina III, in corso di stampa in Studi medievali e umanistici, 10 (2012); Rollo, che ringrazio di cuore per avermi fatto conoscere in anteprima i risultati della sua indagine, dimostra finalmente la pertinenza di questi manoscritti alla figura del Gabriele da me isolato in D. SPERANZI, Per la storia della libreria medicea privata. Giano Lascari, Sergio Stiso di Zollino e il copista Gabriele, in Italia medioevale e umanistica, 48 (2007), pp. 77-111.
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Tav. 1a - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3966, f. 9v, particolare.
Tav. 1b - Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo 57.16, f. 74v, particolare.
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Tav. 1c - Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3966, f. 9v e Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pluteo 57.16, f. 74v. Particolari di lettere isolate e legature.
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CLAUDIO SCHIANO TRADIZIONE E PRODUZIONE DI DIALOGHI ANTIGIUDAICI GRECI NELLA PUGLIA BASSO MEDIEVALE
1. Il problema delle fonti Sebbene l’interesse per la cultura classica in Terra d’Otranto sia stato uno degli aspetti che maggiormente hanno attratto la curiosità degli studiosi – soprattutto per la rarità di alcuni dei testi che vi circolavano, come la produzione epica tardoantica –, è evidente che un fattore molto caratterizzante delle comunità grecofone in Puglia è l’esperienza religiosa, indiscutibile punto di forza e anzi vero e proprio elemento identitario, utile a rimarcare una distinzione sociale ed etnica1. A ben vedere, è questo l’esito di un paradosso: la fase storica in cui quelle comunità compaiono alla nostra osservazione, essenzialmente perché producono libri che si sono poi conservati, lasciandoci così traccia dei loro interessi, è anche quella in cui esse hanno ormai perduto l’egemonia politica. Perciò, esse furono costrette a definirsi in modo più compiuto di fronte all’invasore riaffermando la propria identità culturale e religiosa. La caduta del potere bizantino e la sua sostituzione con il dominio normanno instillarono nei resistenti Greci d’Italia un sentimento di alterità, che poté tradursi, a seconda dei casi, in isolamento o in orgogliosa rivendicazione della propria specificità a fronte delle comunità latinofone. Una delle personalità più in vista in questo panorama, Nicola-Nettario di Otranto abate di San Nicola di Casole, è emblematica proprio in questo senso: fiero polemista antilatino – compose tre ıȣȞIJȖȝĮIJĮ, in forma sillogistica, sui temi più controversi nel dibattito tra Costantinopoli e Roma (la processione dello Spirito Santo, l’eucaristia con pane azzimo, il digiuno del sabato, il celibato presbiterale) – egli però servì da interprete culturale al seguito di Benedetto cardinale di Santa Susanna, quando questi fu messo pontificio presso l’imperatore Baldovino; poi al seguito del rigido Pelagio Galvani, inviato a Costantinopoli per riconciliare Chiesa bizantina e Chiesa romana; infine, come legato di Federico II presso il patriarca 1 Sulla « resistenza etnica » della tenace cultura greca in Terra d’Otranto, cfr. soprattutto G. CAVALLO, La cultura italo-greca nella produzione libraria, in I Bizantini in Italia, a cura di G. PUGLIESE CARRATELLI, Milano 1982, pp. 495-612 e G. CAVALLO, Libri e resistenza etnica in Terra d’Otranto, in Libri e lettori nel mondo bizantino. Guida storica e critica, a cura di G. CAVALLO, Roma - Bari 1982, pp. 155-178.
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CLAUDIO SCHIANO
Germano II a Nicea2. Il ruolo giocato in ciascuna occasione da Nicola gli fu garantito certamente dalle sue riconosciute qualità intellettuali, ma anche dal ruolo che quella comunità greca otrantina svolgeva (o poteva svolgere) come ponte culturale tra Oriente e Occidente. In una lettera del 1223 Giorgio Bardanes scriveva a Nicola esaltando il fatto che « Reges venerantur mentis tuae firmitatem et soliditatem et res suas per te libenter invicem tractant »; inoltre, le capacità retoriche e diplomatiche di Nicola sono celebrate sulla base dei modelli classici (« Nosti Diones illos et Themistios non ignoras, qui multa et magna iis qui tunc rerum potiebantur principibus sapientiae et commoditatis ediderunt argumenta »)3. Peraltro, è significativo che in quella circostanza Bardanes da Corfù chiedesse a Nicola di verificare lo stato della conservazione del sapere presso il patriarcato niceno sotto la dominazione latina (« mihi narra de patriarcha […] si qui racemi scientiae et litterarum adhuc restant Graecis »): segno che la grecità d’Occidente si percepiva, in quel momento, come baluardo della conservazione del passato a fronte del disastro in Oriente. Se i re normanni, soprattutto in una prima fase, spinsero fortemente l’acceleratore sul processo di assimilazione dei riluttanti Italogreci, su questa già difficile coabitazione si inserisce ulteriormente l’elemento ebraico, sempre percepito come corpo estraneo ancorché ben radicato da molti secoli in Puglia. Le ricerche di Hubert Houben hanno portato a ridimensionare la visione, per lungo tempo invalsa, secondo cui il periodo normanno fu caratterizzato da una recrudescenza dell’attività antiebraica, come effetto di una dilagante « atmosfera da crociata »4. Houben, anzi, ha visto in questa fase storica una sostanziale stabilizzazione della presenza giudaica in Italia meridionale, sebbene siano documentati episodî, circoscritti nel tempo e nello spazio, in cui gli Ebrei furono fatti oggetto di vessazioni (soprattutto dal punto di vista fiscale, come si evince dall’assoggettamento delle giudecche al controllo ecclesiastico). Non affronteremo la vexata quaestio sull’effettiva natura e portata di questa tolleranza normanna: ciò 2 Cfr. J. M. HOECK R. J. LOENERTZ, Nikolaos-Nektarios von Otranto Abt von Casole. Beiträge zur Geschichte der ost-westlichen Beziehungen unter Innozenz III. und Friedrich II., Ettal 1965 (in particolare pp. 30-67 per le missioni diplomatiche di Nicola). 3 Cfr. ibidem, pp. 178-179. La lettera di Bardanes si conserva nella sola traduzione latina realizzata da Federico Mezio. 4 H. HOUBEN, Gli ebrei nell’Italia meridionale tra la metà dell’XI e l’inizio del XIII secolo, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541. Società, economia, cultura, a cura di C. D. FONSECA M. LUZZATI G. TAMANI C. COLAFEMMINA, Galatina 1996, pp. 47-63: Houben è principalmente proteso a confutare l’opposta opinione di S. PALMIERI, Le componenti etniche: contrasti e fusioni, in Storia del Mezzogiorno, dir. da G. GALASSO R. ROMEO, III: Alto Medioevo, Napoli 1990, pp. 43-72, il quale parlava di « un generale clima persecutorio » antiebraico. Sull’argomento si veda anche Sh. SIMONSOHN, Il Mezzogiorno normanno-svevo visto dal mondo ebraico, in Il Mezzogiorno normanno-svevo visto dall’Europa e dal mondo mediterraneo, a cura di G. MUSCA, Bari 1999, pp. 327-340.
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TRADIZIONE E PRODUZIONE DI DIALOGHI ANTIGIUDAICI GRECI
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su cui focalizzeremo invece l’attenzione è la percezione che i Greci cristiani ebbero degli Ebrei loro conterranei, ed è evidente a ciascuno che le percezioni culturali non sono il fedele rispecchiamento della realtà storica. È però un dato di cui tenere conto il fatto che, alla fine del XII secolo, cioè dopo un secolo di dominazione normanna, il viaggiatore Beniamino da Tudela registrasse la presenza in Puglia di comunità floride5. Il progresso della cultura giudaica anche sul piano dell’attività esegetica e dottrinale è ben leggibile nelle parole del tossafista francese Yakov ben Meir Tam (XII secolo) il quale enfaticamente disse: « Da Bari uscirà la Legge e la parola di Dio da Otranto ». Su un piano intellettuale, come vissero le comunità greche cristiane la loro nuova condizione di marginalità a fronte dell’apparente prosperare della civiltà giudaica? Non è facile dirlo, per la scarsità della documentazione. L’esigenza di approfondimento fu ben avvertita da Vera von Falkenhausen, la quale però percepì anche la difficoltà di indagine: ella invitò a « una ricerca a tappeto nei manoscritti italo-greci sulla presenza di dialoghi tra cristiani ed ebrei o di scritti contro gli ebrei »6. Ciò col dichiarato fine, per l’appunto, di rintracciare testimonianze, dall’interno della comunità italo-greca, di controversie e pubbliche discussioni intraprese con lo scopo di convertire i giudei. La studiosa non si nascondeva, a questo proposito, un ben noto e dibattuto problema di metodo: il fatto cioè che il racconto di una disputa teologica non è sempre registrazione fedele di un evento storicamente verificatosi, potendo invece essere espressione di una tradizione letteraria7. Ella però doveva frenare la curiosità di Cfr. C. COLAFEMMINA, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, in Archivio storico pugliese 28 (1975), pp. 81-100. 6 V. VON FALKENHAUSEN, L’ebraismo dell’Italia meridionale nell’età bizantina (secoli VI-XI), in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare cit., pp. 25-46 (in part. pp. 43-44). 7 Su questo problema, che attiene più in generale alla legittimità dell’interpretazione storica di un prodotto letterario, cfr. tra gli altri B. BLUMENKRANZ, Juifs et chrétiens dans le monde occidental (430-1096), Paris 1960, pp. 75-84; G. DAGRON, Judaïser, in Travaux et Mémoires 11 (1991), pp. 359-380 (spec. p. 370) [ristampato in G. DAGRON V. DÉROCHE, Juifs et chrétiens en Orient byzantin, Paris 2010, pp. 359-380]; V. DÉROCHE, Forms and Functions of Anti-Jewish Polemics: Polymorphy, Polysemy, in Jews in Byzantium. Dialectics of Minority and Majority Cultures, ed. by R. BONFIL O. IRSHAI G. G. STROUMSA R. TALGAM, Leiden-Boston 2012, pp. 535-548. Punto di partenza del dibattito è la tesi che Adolf von Harnack formulò a partire dall’analisi della Altercatio Simonis et Theophili: poiché in testi siffatti il dialogo è chiaramente artificiale, ciò vorrebbe dire che la polemica antigiudaica era un mero pretesto di catechizzazione dei cristiani (soprattutto se neoconvertiti dal paganesimo). Inteso in quest’ottica il dilemma “reale”/“fittizio” è da dismettere come un falso problema: il ricorso a motivi letterarî più o meno topici non inficia l’esistenza di un’urgenza comunicativa da parte dell’autore, storicamente determinata, che assume le forme di volta in volta consentite o efficaci per un dato pubblico. Nessuno revocherebbe in dubbio l’attendibilità storica dei dialoghi ciceroniani (ad esempio, il De re publica per quanto attiene al modello di Stato che Cicerone intende proporre o all’analisi che esso presuppone del contesto socio-politico 5
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CLAUDIO SCHIANO
fronte all’assenza di documentazione: « Per quanto ho potuto appurare non sono testi copiati frequentemente nell’Italia meridionale durante il periodo bizantino […] dobbiamo aspettare il periodo svevo ». Occorre cioè arrivare fino a Nicola-Nettario e alla sua Disputa contro gli Ebrei8. Nessun manoscritto di contenuto antigiudaico e databile entro il XII secolo le risultava ascrivibile ad area pugliese, mentre le erano noti, grazie alla segnalazione di André Jacob, alcuni codici vaticani del Dialogo di Timoteo e Aquila, riconducibili ad area siculo-calabra: il Vat. Reg. gr. Pii II 47 (XI secolo, di ambiente niliano); nonché il più antico palinsesto Vat. gr. 770 + Crypt. A.ǝ.VI (gr. 389) (VIII/IX secolo, in ogivale inclinata)9. E comunque da entrambi i testimoni è arduo ricavare informazioni sul modo in cui i loro lettori ne utilizzarono i testi. Una precisazione di metodo è opportuna. I criterî paleografici, nei casi più fortunati, consentono di riconoscere un codice vergato in una determinata area geografica, ma non consentono di dire se un dato codice, vergato in un’area, sia stato poi trasferito in un’altra area e lì letto e messo a frutto; a meno che qualcuno dei lettori non vi abbia lasciato traccia della sua lettura, cosa che non accade necessariamente. Molti sono i codici che non recano significativi segni di lettura, il che non vuol dire che non abbiano avuto lettori. Un esempio può essere eloquente: la Doctrina Jacobi nuper baptizati è tramandata da un ristretto numero di codici nessuno dei quali ha un riconoscibile aspetto italo-greco e quindi se ne dovrebbe dedurre che esso ha avuto circolazione esclusivamente orientale10; tuttavia, nel suo scritto antigiudaico Nicola-Nettario espone una ricostruzione della genealogia di Maria e Giuseppe che tra i dialoghi antigiudaici troviamo attestata solo, per quanto a noi noto, nella Doctrina Jacobi e, con una piccola variante, nel Contro i giudei di Andronico Duca Comneno (databile al XIV secolo)11. E ancora, del Dialogo di Timoteo e Aquila è documentata contingente) e quindi la loro fruibilità come fonti storiche, sebbene la loro messa in scena drammatica sia dichiaratamente fittizia e popolata da personaggi morti da tempo all’epoca di Cicerone. 8 Di cui si dirà infra. 9 Sui manoscritti di argomento antigiudaico conservati presso la Biblioteca Vaticana è atteso lo studio di P. ANDRIST, Les livres manuscrits grecs thématiques. L’exemple des codex adversus iudaeos conservés à la Bibliothèque vaticane (Studi e testi). Un’anticipazione di alcuni risultati di quella ricerca è in P. ANDRIST, The Physiognomy of Greek Contra Iudaeos Manuscript Books in the Byzantine Era: a Preliminary Survey, in Jews in Byzantium cit., pp. 549-585. Cfr. anche C. SCHIANO, Libri nel conflitto: gli scritti di polemica antigiudaica nelle comunità italogreche medievali, in Ketav, Sefer, Miktav. La cultura ebraica scritta tra Basilicata e Puglia, a cura di M. MASCOLO, Bari 2014, pp. 135-147 (spec. pp. 136-141). 10 Cfr. V. DÉROCHE, Doctrina Jacobi nuper baptizati, in Travaux et Mémoires 11 (1991), pp. 47-273 (la tradizione manoscritta greca è descritta alle pp. 47-50). 11 Nicolaus Hydruntinus, Contra Iudaeos [ȃİțIJĮȡަȠȣ, ݘȖȠȣȝޢȞȠȣ ȝȠȞ߱Ȣ ȀĮıȠުȜȦȞ (ȃȚțȠȜޠȠȣ ދįȡȠȣȞIJȚȞȠࠎ) ǻȚޠȜİȟȚȢ țĮIJݯ ޟȠȣįĮަȦȞ, țȡȚIJ. ݏțį. ބʌާ M. CHRONZ, Athina 2009, pp. 188-191]. La
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la circolazione in Calabria ma non in Puglia, come si è detto: eppure, le citazioni di questo scritto in Nicola di Otranto sono cospicue e indiscutibili12. Due spiegazioni si possono prospettare: o quegli scritti erano stati copiati in area salentina ma dette copie sono poi andate perdute; oppure Nicola li aveva trovati nei suoi viaggi in Oriente e li aveva portati con sé, senza però apporvi alcuna annotazione e dunque non ne è riconoscibile il transito in Italia meridionale. Del resto, anche del Vat. gr. 1903 (Giorgio Cedreno) o del pregiato Marc. gr. 226 (commento di Simplicio alla Fisica di Aristotele, codice della “collezione filosofica”)13 non si sarebbe potuta sospettare la presenza nel Salento se Nicola non vi avesse occasionalmente apposto alcune note di lettura. Di ciò va tenuto conto allorché si dichiari che un testo non abbia avuto, localmente, circolazione: ciò che è legittimo dire è che non ha avuto una circolazione identificabile e statisticamente significativa. 2. Il caso del Paris. gr. 1111 Una discreta circolazione salentina di dialoghi antigiudaici entro la fine del XII secolo e i primi decennî del XIII, non più visibile, può dunque essere congetturata. Nondimeno, rispetto al desolante panorama descritto da Vera von Falkenhausen è possibile fare un concreto passo in avanti: si può infatti ricondurre ad area pugliese (o tutt’al più lucana) un altro pregevole manoscritto contenente un testo antigiudaico: si tratta del Paris. gr. 1111. Omont datava il codice all’XI secolo14. genealogia di Maria e Giuseppe nei dialoghi antigiudaici di età bizantina è stata oggetto di esame da parte di Marie-Hélène Congourdeau, Dialogues byzantins du XIVe s. entre des chrétiens et des juifs, in Les dialogues “adversus Iudaeos” . Permanences et mutations d’une tradition polémique (Paris – Sorbonne, 7-8 décembre 2011), éd. par S. MORLET – O. MUNNICH – B. POUDERON, Paris 2013, pp. 369-381 (spec. p. 377). 12 CHRONZ, ȃİțIJĮȡަȠȣ cit., pp. 31*-32*; cfr. anche C. SCHIANO, Il Dialogo contro i giudei di Nicola di Otranto tra fonti storiche e teologiche, in Les dialogues “adversus Iudaeos” cit., pp. 295-317 (spec. pp. 308-310). 13 Su questo esemplare, cfr. M. RASHED, Nicolas d’Otrante, Guillaume de Moerbeke et la « Collection philosophique », in Studi medievali 43/2 (2002), pp. 693-717. 14 H. OMONT, Inventaire sommaire des manuscrits grecs de la Bibliothèque Nationale, I, Paris 1886, pp. 222-223. Medesima datazione in F. NAU, La didascalie de Jacob. Texte grec original du Sargis d’Aberga, in Patrologia orientalis, VIII, Paris 1912, p. 740; B. KOTTER, Die Schriften des Johannes von Damaskos, I, Berlin 1969, p. 7; P. MAGDALINO, Une prophétie inédite des environs de l’an 965 attribuée à Léon le Philosophe (ms Karakallou 14, f. 253r-254r), in Travaux et Mémoires 14 (2002), pp. 391-402 (p. 392); I. ŠEVýENKO, Unpublished Byzantine Texts on the End of the World about the Year 1000 AD, in Travaux et Mémoires 14 (2002), pp. 561-578 (p. 570); B. BENNETT, The Conversation of John the Orthodox with a Manichaean: an Analysis of Its Sources and Its Significance for Manichaean Studies, in New Light on Manichaeism, ed. by J. D. BEDUHN, Leiden 2009, p. 29.
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Il codice – acquisito dalla Bibliothèque Royale nel dicembre 1737, dalla vendita all’asta dei beni dell’abbé Louis de Targny, già « commis à la garde » della medesima biblioteca15 – è realizzato in una pergamena di mediocre qualità. Esso si compone di due ben distinte unità codicologiche: la prima, costituita di 12 fogli segnati da A a M, contiene un sinassario (ff. A-G) e un ordo tropariorum (ff. H-L) seguiti, al f. Mv, da una miniatura a piena pagina, in rosso vermiglio, giallo ocra e grigio/verde, raffigurante un evangelista che scrive (il recto è vuoto); la seconda unità, sulla quale concentreremo la nostra attenzione, si compone di 31 quaternioni regolari (numerati da Į a ȜĮ nell’angolo superiore esterno del primo recto di ciascun fascicolo)16, contenenti varî scritti di argomento teologico e polemico, ma vergati da una stessa mano. Sui margini vi sono molteplici annotazioni, nella stessa mano e nello stesso inchiostro del testo, prova di una certa cura editoriale del manufatto; in età successiva qualcuno è intervenuto, con un inchiostro ben più scuro, a ripassare la scrittura precedente evanida (sia nel testo sia nei margini); in almeno un paio di casi quella mano seriore scrive per conto proprio, in una grafia all’apparenza umanistica (e.g. ff. 117v, 124v). L’ornamentazione, nel complesso sobria, denuncia nondimeno l’origine italogreca del manufatto: i colori impiegati sono il bruno e il rosso vermiglio; tra le forme troviamo una fascia ornata con motivi geometrici e floreali (f. 1r) e lettere iniziali a doppio tratto, caratterizzate da forme ben diffuse nei codici italogreci17, ovvero a tratto semplice, in ekthesis di modulo regolare o lievemente ingrandito, le une e le altre riempite di colore18. Colpisce, in particolare, la tendenza ad alIl codice è il nr. 101 del Catalogue de la bibliothèque de feu l’Abbé de Targny, Paris 1737. Il 16° e il 29° fascicolo mancano di un foglio; il 7° fascicolo, quaternione regolare, presenta un foglio numerato 49bis. L’unità codicologica è complessivamente costituita da 245 fogli. Né il sistema di rigatura (1), né il tipo (00D1 Leroy), tra i più diffusi nel mondo bizantino, sono significativi ai fini della localizzazione del manoscritto. Inoltre, i fascicoli si aprono, com’è consueto per i manoscritti greci, con il lato carne; la legge di Gregory è rispettata. 17 Tra le iniziali, in generale ispirate ai modelli dell’ogivale diritta, sono comunque degne di menzione: Į “à potence” (f. 195r), IJ con nodo sull’asta verticale (f. 19v) oppure con un tratto ornamentale obliquo, talora piuttosto esteso, sull’estremità inferiore (ff. 122r, 209v), omicron circolare con letterina inscritta nell’iniziale (passim) oppure ogivale appuntito in basso (f. 146r), į, ș e IJ maiuscoli con terminazioni “a incudine” sulla traversa (ff. 66v, 78v, 82r). Nella prima unità codicologica si nota anche un Į “en pic” (f. Hr). Tra i codici italogreci raffrontabili al Paris. gr. 1111 per la forma delle iniziali ricordiamo il Vat. gr. 1553 o il Vat. Chis. gr. R.IV.18 (ambedue testimoni di Giovanni Damasceno). Sulle lettere iniziali nei manoscritti italogreci, cfr. J. LEROY, Le Parisinus Gr. 1477 et la détermination de l’origine des manuscrits italo-grecs d’après la forme des initiales, in Scriptorium 32 (1978), pp. 191-212; a proposito della presenza nel Paris. gr. 1111 dell’« O avec un point central » (che « me paraît être italiote »), cfr. anche J. LEROY, Études sur les Grandes Catéchèses de S. Théodore Studite, Città del Vaticano 2008, p. 132 nt. 45. 18 La riempitura di colore riguarda soprattutto i nuclei rotondi, ma non solo: oltre a omicron, anche Į, sia a pancia rotonda che triangolare, ǯ minuscolo, į maiuscolo, i legamenti 15 16
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ternare lettere iniziali riempite in rosso e in bruno/nero19, come accade soprattutto in codici latini. Infine, molto frequenti sono le spalmature di giallo ocra, soprattutto in corrispondenza di lettere iniziali e titoli, ma anche all’interno del testo per identificare numerali o didascalie (ad esempio, il cambio di persona loquens nei dialoghi di Teodoro Abnj Qurra)20. L’origine italogreca del manoscritto è ulteriormente confermata dall’uso di abbreviazioni di origine brachigrafica, che diventano frequenti nella parte conclusiva del codice21. Per una più precisa delimitazione geografica soccorre l’analisi della scrittura principale: si tratta di una minuscola caratterizzata, nel complesso, da una certa posata rigidità, che presenta asse verticale, per lo più un ridotto sviluppo delle aste e, soprattutto, una spiccata tendenza a schiacciare le lettere, spesso iscrivibili in un modulo rettangolare (ǩ e Dz, talora anche μ e Į non legato). Richiama alla mente quello che nel 1977 Jacob definì « style rectangulaire aplati ou écrasé »22; in verità, più di recente Lucà ha condotto un’analisi paleografica rintracciando la genesi di quello stile scrittorio in un corpus di manoscritti dotati di « stringenti analogie di carattere grafico », per i quali egli ha coniato la definizione di « minuscola apulo-lucana »23. Tra le caratteristiche individuate dallo studioso quelle che meglio si riconoscono nel Paris. gr. 1111 sono: ȗ a forma di 3 inclinato, Ș minuscolo angoloso, Ȝ con aste divaricate, ȟ con coda espansa a forma di İȚ, İȖ, l’abbreviazione per ȠȞȕ maiuscolo. Spesso accade, invece, che la lettera sia prima vergata nell’inchiostro del testo e poi ripassata in rosso (ad esempio, ǰ). 19 Il fenomeno, non del tutto regolare, si nota per esempio con una certa costanza ai ff. 97-118. In altri casi, le lettere sono bipartite e così riempite di entrambi i colori. Non è agevole dire se tali riempiture cromatiche siano coeve alla scrittura del codice. 20 Le spalmature, com’è noto, non caratterizzano univocamente i codici greci dell’Italia meridionale (non mancano, per esempio, in codici in bouletée: cfr. M. L. AGATI, La minuscola “bouletée”, Città del Vaticano 1992, p. 47 nt. 10), ma, dopo l’XI secolo, sono piuttosto rare fuori di essa. 21 Per esempio, dal f. 173r in avanti. Sull’argomento, cfr. N. P. CHIONIDES S. LILLA, La brachigrafia italo-bizantina, Città del Vaticano 2001. L’origine italogreca si può infine supporre anche per via filologica: KOTTER, Die Schriften cit., p. 13, ha mostrato che il Paris. gr. 1111 è antigrafo dell’italogreco Paris. gr. 1106. 22 A. JACOB, Les écritures en Terre d’Otrante, in La paléographie grecque et byzantine, Paris 1977, pp. 269-281 (spec. p. 270). 23 S. LUCÀ, Scritture e libri in Terra d’Otranto fra XI e XII secolo, in Bizantini, Longobardi e Arabi in Puglia nell’Alto Medioevo. Atti del XX Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo (Savelletri di Fasano, 3-6 novembre 2011), Spoleto 2012, pp. 487-548. Cfr. anche S. LUCÀ, Su origine e datazione del Crypt. Ǻȕ.VI (ff. 1-9). Appunti sulla collezione manoscritta di Grottaferrata, in Tra Oriente e Occidente. Scritture e libri greci fra le regioni orientali di Bisanzio e l’Italia, a cura di L. PERRIA, Roma 2003, pp. 145-224 (pp. 194-195); S. LUCÀ, Dalle collezioni manoscritte di Spagna: libri originari o provenienti dall’Italia greca medievale, in Rivista di studi bizantini e neoellenici 44 (2007), pp. 39-96; D. ARNESANO, Manoscritti greci di Terra d’Otranto. Recenti scoperte e attribuzioni (2005-2008), in Toxotes. Studies for Stefano Parenti, ed. by D. GALADZA N. GLIBETIû G. RADLE, Grottaferrata 2010, pp. 63-101 (pp. 69-70).
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esse; İȚ triangolare; İȟ in “asso di picche”; l’accostamento tra į maiuscolo e Ț ad asta allungata. In una visione d’insieme, si nota una sapiente fusione tra forme arcaiche (per esempio, negli spiriti angolosi) e moderne, e tra rotondità e spigolosità, che mitiga la rigidità del tracciato. Se, come ritengo opportuno, il Paris. gr. 1111 va accostato a questi codici, ciò avrà impatto sulla sua datazione e localizzazione: Lucà riconosce infatti per lo sviluppo di questa stilizzazione un arco cronologico compreso tra il 1057/1060 e il 1112 (dunque, qualche decennio prima dello stile rettangolare propriamente detto il cui primo testimone datato è il Paris. gr. 3 del 1095). Quanto alla localizzazione, Lucà individua coordinate spaziali « ambigue e sfumate » e perciò rammenta che, sebbene si possa postulare per questa scrittura « un’origine salentina »24, essa fu adoperata anche in Basilicata (ad esempio, nel monastero dei santi Anastasio ed Elia di Carbone). Di questa necessariamente ampia accezione della nozione di “grecità salentina” dovremo serbar memoria nella nostra indagine. Prima di procedere alla valutazione del contenuto del Paris. gr. 1111, occorre precisare che l’unità codicologica di nostro interesse (che è anche unità di circolazione) si può forse ulteriormente suddividere in due unità di produzione: la prima corrispondente ai ff. 1-55, la seconda ai ff. 5624525. Soprattutto sulla prima concentreremo la nostra attenzione. Ai ff. 29r-49bisv è presente una ਝȞIJȚȕȠȜ NJĮʌıțȠȣ țĮ ĭȜȦȞȠȢ ȠȣįĮȦȞ IJȞ ʌĮȡૅ ਬȕȡĮȠȚȢ ıȠijȞ ʌȡઁȢ ȝȠȞĮȤઁȞ IJȚȞ ʌİȡ ʌıIJİȦȢ ȋȡȚıIJȚĮȞȞ țĮ ȞંȝȠȣ ਬȕȡĮȦȞ țȡȠIJȘșİıĮ ਥʌȚįȝȠȣ ȋȡȚıIJȚĮȞȞ ਝȡȡȕȦȞ IJ țĮ ȠȣįĮȦȞ: si tratta di una delle molteplici forme in cui si manifesta, nella tradizione manoscritta, ciò che un tempo veniva chiamato Dialogo di Papisco e Filone e che, da ultimo, si è proposto di ridenominare Dialogica polymorpha antiiudaica26. È un testo 24 Pur ricordando che « il periodo che stiamo trattando non ha ancora segnato un netto spartiacque tra il libro salentino e quello calabro e calabro-siculo » (p. 512), Lucà nega, nondimeno, che lo stile rettangolare tragga origine da precedenti esperienze grafiche di scuola niliana (p. 524), tesi che era stata sostenuta da A. JACOB, Une date précise pour l’euchologe de Carbone : 1194-1195, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania 62 (1995), pp. 97-114 (p. 105); ID., I più antichi codici greci di Puglia: ovvero un viaggio della paleografia nel paese che non c’è, in Studi medievali e moderni 2 (2002), pp. 5-42 (p. 20). Lucà, infatti, ritiene che le stilizzazioni grafiche otrantine, sia documentarie che librarie, anche in periodo così alto, guardino a modelli costantinopolitani. 25 Al f. 56r, infatti, il cambio di fascicolo corrisponde anche a cambio di testo, contrassegnato all’inizio – caso assai raro in questo codice – da una semplice linea ornata. 26 Cfr. D. AFINOGENOV P. ANDRIST V. DÉROCHE C. SCHIANO, Dialogica polymorpha antiiudaica (CPG 7796, olim Dialogus Papisci et Philonis Iudaeorum cum monacho), in Travaux et Mémoires, 17 (2013), pp. 5-169 (spec. pp. 10-11). Sui Dialogica nel Paris. gr. 1111, cfr. anche I. AULISA C. SCHIANO, Dialogo di Papisco e Filone giudei con un monaco, Bari 2005, pp. 145-148; P. ANDRIST, Besprechung, in Byzantinische Zeitschrift 101 (2008), pp. 787-202 (p. 796). In AULISA – SCHIANO, Dialogo cit., pp. 181-210, si può leggere un testo dei Dialogica più completo di quello dell’unica edizione esistente: A. C. MCGIFFERT, Dialogue between a Christian and a Jew, Marburg 1889.
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di polemica antigiudaica in forma di dialogo che ebbe grande diffusione in tutto il mondo bizantino e che, proprio perché per lo più non attribuito ad alcun autore27, fu soggetto a profondi rimaneggiamenti pressoché in ogni testimone. È questo anche il caso del Paris. gr. 1111, che riformula il testo in modo vistoso: oltre a varie alterazioni rispetto a ciò che tramandano gli altri testimoni, la peculiarità più cospicua è data dall’inserzione di due ampie aggiunte, in corrispondenza dei capp. 12 e 16. Entrambe sono largamente debitrici verso la Quaestio 137, un testo antigiudaico che ebbe circolazione sia autonoma, sia in coda alle Quaestiones ad Antiochum ducem dello pseudo-Atanasio (donde la sua denominazione convenzionale). La ratio delle modifiche testuali si lascia intravvedere. Il cap. 12, nella formulazione usuale, consta di poche citazioni veterotestamentarie che la tradizione cristiana interpretava come annunci messianici (Sal 17, 10; Is 7, 4; Sal 21, 17; 68, 22; 21, 19), seguite dalla domanda retorica « Forse mentirono i nostri evangelisti quando raccontarono che Cristo patì queste sofferenze? Se mentirono, mentì anche David che le aveva preannunciate ». Nel Paris. gr. 1111 il capitolo si dilata enormemente accogliendo, per il tramite della Quaestio 137, molte altre profezie messianiche, al culmine delle quali si legge: « Che vi è di più lungimirante di queste parole profetiche? E sebbene i profeti abbiano predetto la venuta di Cristo in modo così chiaro, Satana accecò gli occhi dei giudei, pietrificò le orecchie della loro anima, affinché respingessero siffatte testimonianze di verità »28. Ancor più interessante è la seconda inserzione, la cui fonte, oltre ancora alla Quaestio 137, sono le omelie antigiudaiche di Giovanni Crisostomo (un testo nel quale l’invettiva e altri colori retorici hanno, nella polemica, ben maggior spazio che l’esegesi biblica). Quest’ampia pagina inizia con una dichiarazione programmatica: « Per serrare ancor più la bocca svergognata e blasfema dei giudei e proclamare ancor più palese la vittoria per noi che abbiamo ricevuto la salvezza da Cristo, è necessario che proseguiamo la riflessione a partire dalle parole di Daniele, ovvero dalle parole di Dio trasmessegli dall’angelo, per mostrare che, poiché Dio ha rivoltato tutta l’esistenza dei giudei fino in fondo, essi non avranno più il sacerdozio, né 27 Varî codici menzionano, come autore, un Anastasio, non meglio precisato, ma ricorre anche il nome di Sofronio di Gerusalemme in un ramo della tradizione: attribuzioni prive di fondamento (su ciò, si veda P. ANDRIST, Questions ouvertes autour des Dialogica polymorpha antiiudaica, in Travaux et Mémoires, 17 (2013), pp. 9-26, spec. pp. 20-24). 28 Paris. gr. 1111, f. 38r (cfr. MCGIFFERT, Dialogue cit., p. 68): ȉ IJȠȞȣȞ IJȞ ʌȡȠijȘIJȚțȞ IJȠIJȦȞ ijȦȞȞ IJȘȜĮȣȖıIJİȡȠȞ ਝȜȜૅ ȝȦȢ țĮʌİȡ ȠIJȦȢ IJȡĮȞȢ ʌİȡ IJȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ IJȞ ʌȡȠijȘIJȞ ʌȡȠijȘIJİȣıȞ IJȦȞ, ਕʌİIJijȜȦıİȞ ȈĮIJĮȞȢ IJ IJȞ ੁȠȣįĮȦȞ ȝȝĮIJĮ, țĮ ਥʌઆȡȦıİȞ IJȢ IJોȢ ȥȣȤોȢ ĮIJȞ ਕțȠȢ, ȞĮ IJȢ IJȠȚĮIJĮȢ ਕȜȘșİȢ ȝĮȡIJȣȡĮȢ ʌĮȡĮȖȡijȠȞIJĮȚ (cfr. Gv 12, 40). La fonte è ps. Athanasius, Quaestiones ad Antiochum ducem, 137, 7 [Patrologiae cursus completus. Series Graeca, accurante J.-P. MIGNE (d’ora in poi PG), 28, Lutetiae Parisiorum 1887, coll. 689-692].
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il tempio, né ritorneranno i costumi e la vita politica della città »29. Segue la profezia delle settanta settimane, dopo le quali verranno guerra e desolazione e « cesseranno il sacrificio e l’offerta » (Dan 9, 27). Prosegue così: « E se ancora, per accesso di follia, continui ad attenderne il ripristino, non vedi che l’angelo dice: Fino al compimento dei tempi si darà compimento alla devastazione? cioè fino alla fine dei secoli e di tutto il creato si darà compimento alla devastazione della città e del tempio dei giudei; cioè fino alla fine dei tempi e dei secoli la distruzione di tutto ciò che è giudaico andrà fino in fondo. Quando odi la parola compimento (ıȣȞIJȜİȚĮȞ), giudeo, che attendi ancora? »30. L’uso antigiudaico della profezia di Daniele è consueto e perciò non desta in sé alcuna sorpresa. Ma la medesima profezia è il fulcro tematico del successivo capitolo 18, che pure il manoscritto conserva al f. 49bis sotto l’inscriptio țĮ ʌȜȚȞ ਥȞ ਦIJȡ ਥȡȦIJıİȚ. È dunque significativo che il copista/redattore abbia avvertito l’esigenza di arricchire il testo del cap. 16 ricorrendo a una diversa fonte (Giovanni Crisostomo) per tornare sulla profezia di Daniele la cui valenza escatologica è particolarmente esaltata dall’insistenza sul concetto di ıȣȞIJȜİȚĮ. L’idea che questa insistenza comunica è che il compimento dei tempi è vicino e che dunque la condizione di angustia e di soggezione che gli ebrei patiscono è non solo meritata e irresolubile punizione per le loro colpe, ma anche fievole annuncio della ben più gravosa punizione eterna. 3. Una chiave di lettura escatologica Se prendiamo in esame altri testi contenuti nel Paris. gr. 1111, possiamo cogliere ulteriori indizî che vanno nella stessa direzione. Ai ff. 52v-55v si trova un dossier di sei brevi testi sulla fine del mondo31: (a) ਝʌĮȡșȝȘıȚȢ Paris. gr. 1111, f. 47r (cfr. MCGIFFERT, Dialogue cit., pp. 80-81): ȞĮ į ਥț ʌȠȜȜોȢ ʌİȡȚȠȣıĮȢ țĮ IJ IJȞ ੁȠȣįĮȦȞ ਕȞĮıȤȣȞIJĮ ıIJંȝĮIJĮ țĮ ȕȜıijȘȝĮ ਥȝijȡȟȦȝİȞ, țĮ ਲȝȞ IJȠȢ ਫ਼ʌઁ ȋȡȚıIJȠ૨ ıİıȦıȝȞȠȚȢ ʌȜİȠȞĮ IJ ȞȚțȘIJȡȚĮ ਫ਼ʌȡȟૉਕȞĮȖțĮȦȢ ĮIJ țĮ ਕʌઁ IJȞ IJȠ૨ ǻĮȞȚȜ ȜંȖȦȞ – ȝ઼ȜȜȠȞ į IJȞ IJȠ૨ șİȠ૨ IJȞ ਫ਼ʌઁ IJȠ૨ ਕȖȖȜȠȣ ʌȡઁȢ ĮIJઁȞ ૧ȘșȞIJȦȞ – ʌȠȚȘıઆȝİșĮ IJȞ ਥȟIJĮıȚȞ, ਕʌȠįİȚțȞȞIJİȢ IJȚ ȜȠȚʌઁȞ IJȠ૨ șİȠ૨ IJȜİȠȞ ਕʌȠıIJȡĮijȞIJȠȢ IJ IJȞ ੁȠȣįĮȦȞ, ȠțIJȚ ȜȠȚʌઁȞ ʌĮȡૅ ĮIJȠȢ ȠIJİ ੂİȡȦıȞȘ, ȠIJİ ȞĮંȢ, ȠIJİ ĮIJ IJ IJોȢ ʌંȜİȦȢ ਵșȘ țĮ ȡȖȝĮIJĮ ਥʌĮȞȟİȚ. È una rielaborazione di Ioannes Chrysostomus, Adversus Iudaeos, VI, 4 (PG 48, coll. 909-910). 30 Paris. gr. 1111, f. 48r (cfr. MCGIFFERT, Dialogue cit., p. 82): Ǽੁ țĮ ਥȟ ਙțȡĮȢ ਕȞȠĮȢ IJĮ૨IJĮ ʌȡȠıįȠțıȚȞ, ਙțȠȣıȠȞ ȠȞ IJ ਙȖȖİȜȠȢ İȡȘțİȞ, IJȚ ijȘıȞǜ ਪȦȢ ıȣȞIJİȜİĮȢ țĮȚȡȞ, ıȣȞIJȜİȚĮ įȠșıİIJĮȚ ਥʌ IJȞ ਥȡȝȦıȚȞ (Dan 9, 27), IJȠȣIJıIJȚȞ ਪȦȢ ıȣȞIJİȜİĮȢ IJȞ ĮੁઆȞȦȞ țĮ IJȠ૨ țંıȝȠȣ ʌĮȞIJંȢ, ıȣȞIJȜİȚĮ įȠșıİIJĮȚ ਥʌ IJȞ ਥȡȝȦıȚȞ IJોȢ IJİ ʌંȜİȦȢ țĮ IJȠ૨ ȞĮȠ૨ IJȠ૨ ੁȠȣįĮȧțȠ૨ǜ ਪȦȢ, ijȘı, ıȣȞIJİȜİĮȢ țĮȚȡȞ țĮ ĮੁઆȞȦȞ, ਥȡȝȦıȚȢ IJİȜİȦȢ țĮșȟİȚ IJ IJȞ ੁȠȣįĮȦȞੜIJĮȞ į ਕțȠıૉȢ, ੯ ੁȠȣįĮİ, ıȣȞIJȜİȚĮȞ, IJ ȜȠȚʌઁȞ ʌȡȠıįȠțઽȢ Il testo citato è una dilatazione retorica a partire da quest’ultima domanda che, da sola, si trova in Ioannes Chrysostomus, Adversus Iudaeos, V, 10 (PG 48, col. 899). 31 Il dossier è descritto, e confrontato con l’omologo del ms. Karakallou 14, da MAGDALINO, Une prophétie inédite cit., pp. 392-393. 29
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IJȞ ȤȡંȞȦȞ IJોȢ ıȣȞIJİȜİĮȢ (ff. 52v-54r)32; (b) ȉȠ૨ȋȡȣıȠıIJંȝȠȣਦIJȡĮਦȡȝȘȞİĮ șĮȣȝĮıIJ (f. 54r-v)33; (c) ʌʌȠȜIJȠȣ ਥʌȚıțંʌȠȣ ૮આȝȘȢ ʌİȡ ıȣȞIJİȜİĮȢ IJȠ૨ țંıȝȠȣțĮʌİȡIJȠ૨ਝȞIJȚȤȡıIJȠȣ (f. 54v)34; (d) senza vera e propria inscriptio e in continuità col precedente, questo testo inizia con le parole: ȆȡȠıIJșȘȝȚ į țĮ ਦIJȡĮȞ ȝĮȡIJȣȡĮȞ ਥț IJોȢ ȕȕȜȠȣ IJોȢ ਕʌȠțĮȜȥİȦȢ ȦȞȞȠȣ IJȠ૨ șİȠȜંȖȠȣ (ff. 54v-55r)35; (e) ਬIJȡĮ ʌȜȚȞ ਕʌંįİȚȟȚȢ ʌİȡ IJȠIJȦȞ țĮ IJȚ İਫ਼ȡșȘ ਥȞ ȥĮȜIJȘȡ ʌĮȜĮȚȞ (f. 55r-v); (f) ȌોijȠȢ įȚĮȖȞȦıIJȚțઁȢ ਪIJİȡȠȢ ʌİȡ IJȞ ĮIJȞ (f. 55v)36. Di particolare interesse è il primo, che si ritrova anche nello Scorial. Ǒ.III.7: Edita da ŠEVýENKO, Unpublished Byzantine Texts cit., pp. 564-566. Inedita. Eccone il testo (normalizzo la grafia): ੜIJȚ IJȡĮ ȝȞ ਸ਼ȝȚıȣ IJȘ țȡĮIJıİȚ țĮIJ IJȞ IJȠ૨ ǻĮȞȚȜ ʌȡȠijȘIJİĮȞ ਝȞIJȤȡȚıIJȠȢǜ ਥȞ IJİııĮȡțȠȞIJĮ į ਲȝȡĮȚȢ ıȣȖȤȦȡȘșıİIJĮȚ ʌȠȚોıĮȚ ıȘȝİĮ țĮ IJȡĮIJĮ ੮ıIJİ ıțĮȞįĮȜȚıșોȞĮȚ ʌȠȜȜȠઃȢ țĮIJ IJઁȞ IJȠ૨ țȣȡȠȣ ȜંȖȠȞǜ IJઁȞ Ȗȡ ȜȠȚʌઁȞ ȜȠȞ ȤȡંȞȠȞ IJોȢ țĮIJ IJȞ ਥșȞȞ ʌĮȡĮIJȟİȦȢ ਕıȤȠȜİȚıșıİIJĮȚ, ਪȦȢ IJİ țĮșıİȚ ਥȞ IJ ȞĮ IJȠ૨ șİȠ૨ ੪Ȣ șİંȢǜ ȝİIJ į IJȢ IJİııĮȡțȠȞ IJĮ ਲȝȡĮȢ ਕʌઁ IJોȢ IJȠ૨ ʌıȤĮ IJȠ૨ ȞȠȝȚțȠ૨ ਦȠȡIJોȢ ਵȖȠȣȞ IJોȢ ʌİȞIJȘțȠıIJોȢ, ʌĮıİIJĮȚ įȚȦȖȝઁȢ ĮIJȠ૨ IJȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ ਥʌȚijĮȞȞIJȠȢ, ȝ ijșȞȠȞIJȠȢ ĮIJȠ૨ IJȞ ʌİȞIJȘțȠıIJȞSotto il nome di Giovanni Crisostomo circolava anche una variante di un testo apocalittico bizantino noto come Visioni di Daniele (che a sua volta era una rielaborazione delle Rivelazioni dello pseudo-Metodio), senza alcuna relazione col nostro testo: cfr. A. VASSILIEV, Anecdota Graeco-byzantina, I, Mosquae 1893, pp. 33-38; P. ALEXANDER, The Byzantine Apocalyptic Tradition, Berkeley-Los Angeles-London 1985, pp. 72-77. 34 Questo testo – del tutto distinto dal De consummatione mundi et de Antichristo ugualmente tràdito come opera di Ippolito di Roma, col quale condivide l’intitolazione – è stato edito da ŠEVýENKO, Unpublished Byzantine Texts cit., pp. 570-571 nt. 20; esso data al 1025 la distruzione di Costantinopoli da parte dell’Anticristo, a partire dalla profezia di Valente astronomo (a noi nota anche attraverso le cronache di XI-XII secolo, quali quelle di Giorgio Cedreno o di Michele Glica). Si tratta dunque di un testo di inizio XI secolo. Sull’oroscopo di Valente, databile al X secolo, cfr. D. PINGREE, The Horoscope of Constantinople, in NJȡıȝĮIJĮ. Naturwissenschaftsgeschichtliche Studien. Festschrift für Willy Hartner, hrsg. von Y. MAEYAMA und W. G. SALTZER, Wiesbaden 1977, pp. 305-315 e A. PERTUSI, Fine di Bisanzio e fine del mondo: significato e ruolo storico delle profezie sulla caduta di Costantinopoli in Oriente e in Occidente, Roma 1988, p. 70; sulla connessione tra destino di Costantinopoli e fine del mondo, cfr. M.-H. CONGOURDEAU, Jérusalem et Constantinople dans la littérature apocalyptique, in Le sacré et son inscription dans l’espace à Byzance et en Occident, éd. par M. KAPLAN, Paris 2001, pp. 125-136 (pp. 131-134). 35 Edito da ŠEVýENKO, Unpublished Byzantine Texts cit., p. 571 nt. 21; il passo neotestamentario preso a base per il computo è Ap 20, 1-3. 36 Questi due ultimi testi costituiscono un unico scritto nel salterio Vat. gr. 341 donde è stato edito da G. MERCATI, Anthimi de proximi saeculi fine, in Opere minori, II: 1897-1906, Città del Vaticano 1937, pp. 298-304 (già stampato a sé il 16 febbraio 1901 per le nozze Colombo-Olivari). In realtà, per contenuto è probabile che si tratti effettivamente di due testi distinti (ma l’incipit del secondo è metricamente corrotto nel Parigino); nel Karakallou 14 il testo, unitario, reca il titolo ਝʌંįİȚȟȚȢ ਝȞșȝȠȣ ȤĮȡIJȠijȜĮțȠȢ IJોȢ ȂİȖȜȘȢ ਫțțȜȘıĮȢ IJȠ૨ ıȣȖȖȡĮȥĮȝȞȠȣ IJȠઃȢ țțȜȠȣȢ ʌİȡ IJોȢ ıȣȞIJİȜİĮȢ. Il Paris. gr. 1111 formula l’incipit del testo in tre dodecasillabi assenti dall’edizione di Mercati (in realtà il primo di essi è presente, ma espresso in forma non metrica): ੁȞįȚțIJȠȞȚ ੑȖįંૉ șȡોȞȠȢ ȝȖĮǜ | ੪Ȣ ȋȡȚıIJઁȢ İੇʌİȞ țȡȚȠȢ IJȠIJ IJ ȤȡંȞ | İੇȞĮȚ IJȜȠȢ țંıȝȠȣ IJİ ıȣȝʌȜȘȡȠȣȝȞȠȣ. Inoltre, un dodecasillabo assente nell’edizione di Mercati, ıĮĮȢ ȝȜȜȠȞIJȠȢ ĮੁȞȠȢ ʌĮIJȡ (Is 9, 5), ricollocato tra i vv. 17 e 18, opportunamente restituisce a Isaia il contenuto del v. 18 (șİઁȢ ȝİșૅ ਲȝȞ ੁıȤȣȡઁȢ țĮ ʌĮȚįȠȞ). Cfr. anche ŠEVýENKO, Unpublished Byzantine Texts cit., p. 571 nt. 22. 32 33
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come ha mostrato Ihor Ševþenko, esso adotta come punto di partenza il Commento a Daniele di Ippolito, ma sposta la data della fine del mondo dall’anno 6000 (secondo il computo bizantino, cioè il 492) all’anno 6500 (il 992)37. Rispetto allo Scorialense, però, il Parigino innova alterando il punto di inizio del calcolo: dalla nascita di Cristo alla sua resurrezione38. In tal modo la fine del mondo viene a coincidere con l’anno 1025 (992+33), comune anche ai testi (c) e (f) della silloge; il testo (d), invece, aggiunge i 3 anni e mezzo di regno dell’Anticristo39 e giunge così al 1028. Ragionando a partire da questi dati, e dalla generica datazione del codice all’XI secolo segnalata da Omont, Ševþenko giungeva a postulare una data « well after 6536 ½ (=1028 AD) for the confection of the Parisinus »40. Orbene, anche a voler prescindere dal fatto che i dati paleografici rendono poco probabile una datazione troppo alta, vi è un altro indizio che spinge verso una datazione più tarda: dove lo Scorialense si effonde nell’elenco dei quattro Imperi profetizzati da Daniele (ਥʌİ ȠȞ ਥȕĮıȜİȣıĮȞ ʌȡIJȠȞ ȝȞ ǺĮȕȣȜઆȞȚȠȚ, ʌİȚIJĮ ȆȡıĮȚ, İੇIJĮ ਰȜȜȘȞİȢ, ȝİIJ į IJȠIJȠȣȢ Ƞੂ Ȟ૨Ȟ ૮ȦȝĮȠȚ) e definisce gli ultimi dominatori Ƞੂ Ȟ૨Ȟ ૮ȦȝĮȠȚ (Ȟ૨Ȟ perché il potere bizantino è la legittima prosecuzione dell’impero romano), il Parigino omette il Ȟ૨Ȟ. Non si tratta di un’omissione casuale, anche perché il passo è ulteriormente rimaneggiato e “normalizzato” ai fini della datazione: ScorialǑ,,,IY ੰȞ țĮȚȡȞ ıȣȝʌȜȘȡȠȣȝȞȦȞǜ țĮ IJȞ ȤȚȜȦȞ ਥIJȞ ਕʌઁ IJોȢ ਥȞıȡțȠȣ ȋȡȚıIJȠ૨ ʌĮȡȠȣıĮȢ IJİȜİıșȞIJȦȞ țĮIJ IJȞ ȦȞȞȠȣ ਝʌȠțȜȣȥȚȞ, țĮ IJȞ įțĮ țİȡIJȦȞ ਥʌૅ ਥı!ȤIJȦȞ IJĮIJȘȢ IJોȢ ȕĮıȚȜİĮȢ ਥȖİȚȡȠȝȞȦȞ, ਕȞĮijĮȞıİIJĮȚ ਝȞIJȤȡȚıIJȠȢ
Paris.JUIU Ȟ țĮȚȡઁȞ ȜİȚʌંȝİȞȠȞ İੁȢ IJȞ IJȞ ȤȚȜȦȞ ਥIJȞ ਕʌĮȡȚșȝıİȦȢ>VLF@ ਕʌઁ IJોȢ ਥț ȞİțȡȞ ਕȞĮıIJıİȦȢ IJȠ૨ ȀȣȡȠȣ țĮIJ IJȞ ȦȞȞȠȣ ਝʌȠțȜȣȥȚȞ, țĮ IJȞ įțĮ țİȡIJȦȞ ਥʌૅ ਥıȤIJȦȞ ĮIJોȢ IJોȢ ȕĮıȚȜİĮȢ ਥȖİȚȡȠȝȞȦȞ, ijĮȞıİIJĮȚ ਝȞIJȤȡȚıIJȠȢ
37 ŠEVýENKO, Unpublished Byzantine Texts cit., p. 568. Su Hippolytus, Commentarium in Danielem, IV, 23, 2-4 [ed. M. LEFÈVRE, Hippolyte. Commentaire sur Daniel, Paris 1947 (Sources chrétiennes: d’ora in poi SCh, 14), p. 306], cfr. N. BONWETSCH, Die Datierung der Geburt Christi in dem Danielcommentar Hippolyts, in Nachrichten von der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen. Philologisch-historische Klasse (1895), pp. 515-527. 38 Paris. gr. 1111, f. 52v: IJȞ ȝİIJ ȤȜȚĮ IJȘ ȖİȞȘıȠȝȞȘȞ ıȣȞIJȜİȚĮȞ ਕʌઁ IJોȢ ʌȡઆIJȘȢ ĮIJȠ૨ ʌĮȡȠȣıĮȢ ȝߢȜȜȠȞ įܻ ޡʌާ IJ߱Ȣ ܻȞĮıIJޠıİȦȢ ȝȤȡȚ IJોȢ įİȣIJȡĮȢ 39 Paris. gr. 1111, f. 55r: İੁȢ IJઁȞ ੑȡȚıșȞIJĮ ĮIJ ȤȡંȞȠȞ IJȞ IJȡȚȞ țĮ ਲȝıİȦȢ ਥIJȞ, țĮ İੁșૅ ȠIJȦȢ ıIJĮȚ IJઁ IJȜȠȢ. I tre anni e mezzo di regno dell’Anticristo rimontano a Dan 7, 25-26, secondo l’interpretazione corrente per cui cfr. Hippolytus, Commentarium in Danielem, IV, 57, 8 [ed. M. LEFÈVRE, cit., p. 380]. 40 ŠEVýENKO, Unpublished Byzantine Texts cit., p. 570 nt. 17.
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La ratio è chiara: dal punto di vista del copista del Parigino, l’Impero dei Romani non è più vigente (Ȟ૨Ȟ), perché il potere bizantino è crollato e a esso sono subentrati i Normanni. Che però non sono un quinto impero, giacché nello schema apocalittico mutuato da Daniele dopo il quarto Impero c’è il regno dell’Anticristo. Con ogni probabilità, siamo nella necessità di postulare un duplice aggiornamento testuale, verificatosi in tempi differenti: il primo sposta la ıȣȞIJȜİȚĮ dal 992 al 1025 e lo si dovrà collocare entro quest’ultima data; l’altro ci conduce a un momento successivo al 1056 (conquista normanna di Otranto), forse anche successivo al 1071 (caduta di Brindisi e di Bari). Che ciò sia plausibile si ricava da un’ulteriore valutazione. Nel dialogo antigiudaico di cui si è detto, sono presenti alcuni riferimenti cronologici che, in altri manoscritti, riconducono in modo non coerente al VII-VIII secolo: nel Paris. gr. 1111 questi riferimenti cronologici risultano aggiornati. In particolare, là dove il cristiano rivolge al giudeo una tradizionale ingiuria ricordandogli la diaspora seguita alla distruzione del Tempio sotto Vespasiano, in altri manoscritti si legge ੁįȠઃ ਦȟĮțંıȚĮ IJȘ ਥȞ ʌıૉ IJૌ Ȗૌ ਥıțંȡʌȚıİȞ ਫ਼ȝ઼Ȣ, nel Parigino ੁįȠઃIJȘȤȜȚĮ (§ 16, f. 46r): dunque al 70 d.C. occorre aggiungere 1000 anni e si giunge così al 107041. Va peraltro tenuto presente che, rispetto alla datazione del codice, parliamo di terminus post quem, giacché non si può escludere che tali adattamenti siano stati realizzati già nell’antigrafo del nostro esemplare. E comunque resta vero che chi ha operato l’aggiornamento che porta almeno al 1070, non ha avvertito l’esigenza di escogitare un espediente di calcolo per spingere l’indicazione della fine dei tempi ancora più in là del 1025. Inoltre, nel caso in cui il copista del Paris. gr. 1111 sia individuo diverso da chi ha corretto quei calcoli, egli ha ritenuto di copiare questo raro dossier, così intimamente coerente con i circostanti scritti, senza dubitare della veridicità e inevitabilità degli eventi escatologici lì profetizzati. Ciò impone una riflessione. Paul Magdalino ricostruisce la « collective eschatological psychology » in età bizantina notando, tra l’altro, che in genere si tendeva a collocare la fine del mondo in un tempo prossimo (entro i 300 anni dal momento della profezia), ma comunque al di là dell’aspettativa di vita della generazione corrente, e che segni apocalittici e metodi 41 Il calcolo è confermato poco oltre: ੁįȠઃ ȜȠȚʌઁȞ ȤȜȚĮ IJȘ >ਦȟĮțંıȚĮ ਦȕįȠȝțȠȞIJĮ IJȘ rell. mss.] Ƞ șȣıȚĮıIJȡȚȠȞ, Ƞ țȚȕȦIJંȢ etc. Altri aggiustamenti cronologici portano a date meno avanzate: § 9, ੁįȠઃ ȜȠȚʌઁȞ ȤȚȜȠȣȢ ȤȡંȞȠȣȢ ਕʌઁ IJȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ (dunque, circa 1025); § 18, ȤȜȚĮ ʌİȞIJĮțંıȚĮ ਲ਼ țĮ ʌȜİȠȞ anni dalla prigionia sotto Nabucodonosor (premesso che il testo dice che da Daniele a Cristo trascorrono 490 anni, ciò porta a una data « di parecchio successiva » al 1010). Anche in questo caso supporremo correzioni molteplici e indipendenti? Sui calcoli della fine del mondo collegati alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, cfr. O. IRSHAI, Dating the Eschaton: Jewish and Christian Apocalyptic Calculations in Late Antiquity, in Apocalyptic Time, ed. by A. I. BAUMGARTEN, Leiden-Boston-Köln 2000, pp. 113-153 (pp. 134-135).
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di calcolo venivano progressivamente aggiustati e poi anche tacitamente abbandonati quando il tempo profetizzato risultasse ormai trascorso senza che gli eventi annunciati si fossero prodotti42; tuttavia, tra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI vi fu una accelerazione43 se lo scriba del Vat. gr. 341 (che, come detto, conserva i testi e-f della nostra silloge) data la fine del mondo a un tempo per lui molto prossimo, o addirittura appena trascorso (a seconda di come si voglia intendere il riferimento cronologico che si legge al f. 8v)44. D’altro canto, la circolazione di letteratura apocalittica, con implicazioni antigiudaiche, ancora nel pieno XI secolo è ben documentata. Basti pensare alla Sibilla tiburtina, il cui testo latino amplia la fonte greca, forse attingendo alle Rivelazioni dello pseudo-Metodio, proprio per il racconto delle vicende dell’ultimo sovrano che precede l’Anticristo, colui che « verrà dalla tribù di Dan » e « siederà nella Casa del Signore a Gerusalemme »: il testimone manoscritto più antico della versione latina è un codice dell’Escorial (&.I.3) datato 1047; si è anche ipotizzato che tali aggiunte al testo greco siano state realizzate in Italia meridionale45. È logico dunque constatare che non necessariamente il superamento della data contrassegnata come ıȣȞIJȜİȚĮ dovesse comportare, nella sensibilità cristiana, un sospetto sulla veridicità della predizione: la data, infatti, poteva ancora essere avvertita come l’inizio degli ultimi, terribili, tempi, la cui durata richiedeva un’ulteriore esegesi dei testi o dei segni apocalittici. Per uomini che ritenessero di vivere in tempi spaventosi – per ragioni 42 P. MAGDALINO, The End of Time in Byzantium, in Endzeiten: Eschatologie in den monotheistischen Weltreligionen, hrsg. von W. Brandes F. Schmieder, Berlin-New York 2008, pp. 119-133 (pp. 125-126). 43 Sulle ragioni di questo sentimento dell’imminenza della fine del mondo intorno all’anno Mille molto si è scritto. Segnalo, per il caso di Bisanzio, le riflessioni – forse condivisibili solo in parte – di P. MAGDALINO, The Year 1000 in Byzantium, in Byzantium in the Year 1000, ed. by P. MAGDALINO, Leiden-Boston 2003, pp. 233-270 (spec. pp. 254-257): Basilio II, in virtù della sua politica di potenza e culturale, avrebbe incarnato nell’immaginario collettivo la figura dell’Ultimo Imperatore, intorno al quale l’apocalittica bizantina, a partire dalle Rivelazioni dello pseudo-Metodio, ruotava, sebbene egli non avesse poi realizzato la missione che a questo era affidata (marciare su Gerusalemme e distruggere l’Islam, secondo l’interpretazione prevalente). 44 Il dato, infatti, è lievemente contraddittorio: țĮ ਕʌઁ ȘıȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ ਪȦȢ ıȝİȡȠȞ ࢞Įțșૼ [1029], ȝȠ૨ ਕʌઁ țIJıİȦȢ țંıȝȠȣ IJȘ ࢞ࢫijțșૼ [6529 = 1021]. Cfr. MERCATI, Anthimi cit., p. 301 nt. 1. 45 Cfr. E. SACKUR, Sibyllinische Texte und Forschungen, Halle 1898; S. G. MERCATI, È stato trovato il testo greco della Sibilla Tiburtina, in ȆǹȃȀǹȇȆǼǿǹ. Mélanges Henri Grégoire, éd. par J. MOREAU, Brussels 1949, pp. 473-481; P. J. ALEXANDER, The Oracle of Baalbek: The Tiburtine Sibyl in Greek Dress, Washington D.C. 1967; B. MCGINN, Visions of the End. Apocalyptic Traditions in the Middle Ages, New York 1979, pp. 43-50; A. HOLDENRIED, The Sibyl and Her Scribes. Manuscripts and Interpretation of the Latin Sibylla Tiburtina c. 1050-1500, Aldershot 2006 (spec. pp. 10-17). H. MÖHRING, Der Weltkaiser der Endzeit. Entstehung, Wandel und Wirkung einer tausendjährigen Weissagung, Stuttgart 2000, pp. 37-39, ha avanzato l’ipotesi che il più antico testo a noi giunto della Sibilla tiburtina latina abbia avuto origine non in area lombarda come ritenuto da Sackur, bensì in Italia meridionale, sotto dominio bizantino.
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storiche contingenti, ma comunque dal punto di vista di una soggettiva coscienza individuale – ciò poteva risultare ancora più vero. Se proseguiamo nell’analisi del contenuto del Paris. gr. 1111, osserviamo che il dialogo antigiudaico e i testi escatologici sono preceduti e seguiti da una ricca rassegna di scritti teologici, principalmente di Giovanni Damasceno e di Teodoro Abnj Qurra, soprattutto in forma di controversia: contro i monofisiti, contro i musulmani, contro i severiani, contro i manichei, contro i nestoriani. Nell’esaminare la tradizione testuale delle opere del vescovo calcedoniano di Harran, Teodoro Abnj Qurra, di cui il Parigino è uno dei due manoscritti più importanti (e il più antico dei due), Glei e Khoury notano che esso tramanda « einen stark verwilderten Text » a seguito di « eine frühe willkürliche Bearbeitertätigkeit »46: segnalano, cioè, un interventismo testuale per nulla dissimile da quello che abbiamo documentato tanto nel dialogo antigiudaico quanto nei testi escatologici. In particolare, il Paris. gr. 1111 tramanda ai ff. 19v-21r la prefazione di Giovanni diacono agli scritti di Teodoro Abnj Qurra contro i Saraceni47; anzi, di questo scritto il Paris. gr. 1111 è quasi testis unicus: a esso si possono accostare solo il Vatop. 236 (un codice molto interessante di XIIXIII sec., su cui qualcosa si dirà più avanti) e una traduzione georgiana inclusa nel Dogmaticon di Arsen Iq’altoeli (X-XI secolo). In questa praefatio Giovanni si effonde in una rappresentazione drammatica della lotta cosmica tra Dio e Satana (definito, in modo quasi manicheo, ਝȞIJșİȠȢ), che ha, come riflesso in terra, il dilagare di eresie che dilaniano la Chiesa; il diavolo accusa Dio di mentire quando afferma che la Chiesa rimarrà inviolata: « Da quando il Signore promise al principe degli apostoli, Pietro, che avrebbe fondato la Chiesa sulla pietra inamovibile della sua intesa e assicurò che essa avrebbe vinto le porte dell’Ade (Mt 16, 18), allo stesso modo l’Antidio ha continuato fino a oggi a combatterla e si è affannato a squassarla: costui si ingegna e si sforza di dimostrare che la verità intrinseca a Dio Padre è in realtà menzogna e, come è scritto, continuamente arma ciarlatani e orditori di inganni contro di essa con eresie sterminatrici (2Cor 11, 13; 2Tim 3, 13) »48. Ma per ogni eresia suscitata dal diavolo Dio R. GLEI – A. TH. KHOURY, Johannes Damaskenos und Theodor Abnj Qurra: Schriften zum Islam, Würzburg 1995, p. 68. A commento di quest’edizione, però, va letto J. C. LAMOREAUX, Theodore Abnj Qurrah and John the Deacon, in Greek, Roman and Byzantine Studies 42 (2001), pp. 361-386 (soprattutto pp. 365-372 sulla tradizione manoscritta). 47 La praefatio è seguita, nel Paris. gr. 1111, ff. 21r-29r (fino cioè all’inizio dei Dialogica polymorpha antiiudaica), dagli opuscoli 18, 19, 20, 22, 32, 25, 23, 24, ovvero da otto dei nove testi che, secondo Lamoreaux, Theodore Abnj Qurrah cit., p. 375, costituiscono un corpuscolo autonomo e sono in realtà opera di Giovanni diacono, non di Teodoro Abnj Qurra. 48 Paris. gr. 1111, f. 20r: țĮ į țĮ IJ țȠȡȣijĮ IJȠ૨ ȤȠȡȠ૨ IJȞ ਕʌȠıIJંȜȦȞ ȆIJȡȠȣ IJȞ ȠੁțȠįȠȝȞ IJોȢ ਥțțȜȘıĮȢ ਥʌ IJȞ ਙıİȚıIJȠȞ ʌIJȡĮȞ IJોȢ Įਫ਼IJȠ૨ ȝȠȜȠȖĮȢ șİȝİȜȚȠ૨Ȟ IJȠ૨ įİıʌંIJȠȣ ਥʌȘȖȖİȜȝȞȠȣ țĮ IJȢ IJȠ૨ ਡįȠȣ ʌȜĮȢ ਫ਼ʌİȡijȡİıșĮȚ ĮIJȞ țĮIJĮȞİıĮȞIJȠȢ, ੪ıĮIJȦȢ ਝȞIJșİȠȢ ਙȤȡȚ IJોȢ įİ૨ȡȠ ʌȡઁȢ ĮIJȞ 46
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predispone un difensore a protezione della Chiesa, appunto Teodoro Abnj Qurra, alle cui dispute contro i musulmani Giovanni dichiara di aver assistito. 4. Ebrei e altri eretici Traspare, al di là dei singoli testi di cui il Paris. gr. 1111 è latore, una chiara unità di intenti, quasi a voler offrire al lettore una panoplia antieretica per affrontare l’estrema battaglia contro il male a partire dalla sua prima incarnazione, appunto i giudei. La connessione con il testo antigiudaico – che fa la sua apparizione dopo questa breve sezione dedicata a Giovanni diacono ed è seguito da un tuttora inedito49 scritto polemico di Teodoro Abnj Qurra contro i monofisiti seguaci di Severo di Antiochia – acquista perciò senso. La costruzione di una siffatta panoplia non è, evidentemente, una novità, né lo è la presenza di scritti antigiudaici in manoscritti miscellanei di questo genere: per citare forse l’esempio più eclatante, che ci conduce nel cuore dell’Impero bizantino, non più in Italia meridionale, ma entro lo stesso arco cronologico, il Paris. Coislin 299 (XI secolo) contiene prima un repertorio di testi antigiudaici (la Doctrina Jacobi, il Dialogo di Timoteo e Aquila, i Trofei di Damasco), poi, immediatamente dopo, una ricca messe di testi relativi al monofisismo, in particolar modo alla controversia sull’aftartodocetismo50. Di particolare interesse risultano le brevi righe redazionali che fungono da sutura fra i Trofei di Damasco (un rarissimo testo antigiudaico, dialetticamente assai ricco) e il successivo dialogo antimonofisita: « Giacché non ogni battezzato, ma solo chi sia stato illuminato nella retta fede ortodossa mostra di essere figlio di Dio, allora suvvia, dopo la controversia contro i giudei affrontiamo la lotta contro gli eretici, poiché siamo chiamati dalle circostanze a batterci da ਕȞIJĮȖȦȞȗİIJĮȚ țĮ țĮIJĮıİİȚȞ ĮIJȞ ıʌȠȣįȗİȚ, ਥʌȚȕȠȣȜİİȚ IJİ țĮ ȥİȣįȠİʌȠ૨ıĮȞ IJȞ ਥȞȣʌંıIJĮIJȠȞ IJȠ૨ șİȠ૨ țĮ ʌĮIJȡઁȢ ਕȜșİȚĮȞ įİȚțȞȞĮȚ IJİȤȞȗİIJĮȚ, ȖંȘIJĮȢ țĮ įȠȜȠȣȢ ਥȡȖIJĮȢ țĮșʌȠȣ ȖȖȡĮʌIJĮȚ ਕİȞȞȦȢ ਥʌૅ ĮIJȞ ijșȠȡȠʌȠȚȠȢ įંȖȝĮıȚȞ țĮșȠʌȜȗȦȞ 49 Cfr. LAMOREAUX, Theodore Abnj Qurrah cit., p. 379 e nt. 25. 50 Sul ms. Paris. Coislin 299, cfr. ANDRIST, The Physiognomy cit., pp. 564-566 e B. CAMPOS, « Quand Dieu dit une chose et fait ensuite une autre » : la compilation des textes antijuifs et antihérétiques du Par. Coisl. 299, in Segno e testo 10 (2012), pp. 279-304, i quali distinguono due unità codicologiche vergate dalla stessa mano (ff. 1-189; 190-295): indizio probabile del fatto che il copista mise insieme due corpora da distinti antigrafi e perseguiva perciò un chiaro progetto di costruzione del codice. Si noti che gli stessi testi antigiudaici del Paris. Coislin 299 si trovano nella scriptio inferior di alcuni fogli palinsesti del Vindob. Phil. gr. 286 (XI sec.; la scriptio superior è attribuibile a Giorgio Baiophoros, attivo a Costantinopoli nella prima metà del XV sec.), su cui cfr. J. GRUSKOVÁ, Untersuchungen zu den griechischen Palimpsesten der österreichischen Nationalbibliothek, Wien 2010, pp. 115-116.
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una guerra all’altra »51. E tanto Bardy quanto Bonwetsch, editori dei due dialoghi, ne notarono l’identica impostazione e ipotizzarono, anche per significative convergenze di lessico, che fossero opera dello stesso autore52. D’altro canto, siffatti slittamenti concettuali fra polemica antigiudaica e antimonofisita sono attestati da ben prima: nell’Hodegos di Anastasio Sinaita, per esempio, il monofisita Severo di Antiochia è definito « un buon allievo dei maestri dei giudei, dei pagani e degli Arabi, in parte proteso ad accettare le Sacre Scritture, in parte a rigettarle come fanno anche gli allievi dei Manichei »53. Si potrebbe ancora citare il Vindob. Theol. gr. 306-307 (e il gemello, Taur. B.IV.22), nel quale oggetto di polemica, oltre agli ebrei (bersagliati in tre scritti: la Disputa contro i giudei attribuita a un Anastasio, la Disputa di Gregenzio e il Dialogo di Atanasio e Zaccheo)54, sono nestoriani, teopaschiti, ariani, anomei, monofisiti, aftartodoceti, musulmani, pauliciani, massaliani, bogomili, giacobiti, cattolici latini e ancora altri, in una evidente confusione dogmatica per cui religioni non cristiane, eresie cristiane o ortodossie scismatiche si sovrappongono a dare l’impressione di un accerchiamento. E ancora il Vatop. 236, citato poc’anzi, contiene un anonimo e assai articolato dialogo contro i giudei noto come Anonymus G. BARDY, Les Trophées de Damas. Controverse judéo-chrétienne du VIIe siècle, in Patrologia orientalis, XV, Paris 1920, pp. 169-292 (p. 277): ਥʌİȚį Ƞ ʌ઼Ȣ ȕĮʌIJȚȗંȝİȞȠȢ, ਕȜȜ ʌ઼Ȣ ੑȡșȠįંȟȦȢ ijȦIJȚȗંȝİȞȠȢ șİȠ૨ ȣੂઁȢ ਕȞĮįİțȞȣIJĮȚ, ijȡİ į, ijȡİ ȜȠȚʌઁȞ ȝİIJ IJઁȞ ੁȠȣįĮȚțઁȞ ʌȡઁȢ ĮੂȡİIJȚțઁȞ ੮ıʌİȡ ਥț įȣȞȝİȦȢ İੁȢ įȞĮȝȚȞ (Sal 83, 8) țĮȚȡȠ૨ țĮȜȠ૨ȞIJȠȢ İੁıʌȘįıȦȝİȞ ʌંȜİȝȠȞ (Paris. Coislin 299, f. 164r). La stretta pertinenza di queste righe con i testi circostanti spinge a chiedersi se l’autore di esse è il copista del codice (il chierico Nicola) o l’autore dei testi medesimi. È bene precisare che i Trofei e il dialogo sul monofisismo sono racchiusi nella medesima unità di produzione codicologica. 52 Cfr. BARDY, Les Trophées de Damas cit., p. 177; N. BONWETSCH, Ein antimonophysitischer Dialog, in Nachrichten von der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen. Philologischhistorische Klasse (1909), pp. 123-159 (p. 154). 53 Anastasius Sinaita, Viae dux, 7, 2 [Anastasii Sinaitae Viae Dux, cuius editionem curavit K.-H. UTHEMANN, Turnhout Leuven 1981 (Corpus Christianorum Series Graeca: d’ora in poi CChSG, 8), p. 113]; cfr. anche 6, 1 [ed. K.-H. UTHEMANN, pp. 95-96] (Severo apprese come manipolare le citazioni dei Padri dalla traduzione che Aquila aveva allestito della Scrittura a fini giudaizzanti); 13, 2 [ed. K.-H. UTHEMANN, p. 216] (contro Timoteo Ailuros, che non riconoscendo la natura umana e materiale di Cristo, nega la presenza, nella celebrazione eucaristica, del suo corpo e del suo sangue, proprio come fanno i giudei). Più in generale, l’assimilazione tra ebrei ed eretici è un fenomeno che rimonta allo stesso inizio della costruzione di un’identità cristiana (basti pensare, sul versante letterario, al Panarion di Epifanio che elenca lo ੁȠȣįĮȧıȝંȢ come quarto tra « eresie e scismi »); particolarmente forte fu, ovviamente, l’accostamento tra ebrei e ariani. Sul tema, cfr. da ultimo, I. AULISA, La concezione dei giudei come eretici tra tarda antichità e alto medioevo, in Vetera Christianorum 49 (2012), pp. 41-65. 54 Cfr. P. ANDRIST, Pour un répertoire des manuscrits de polémique antijudaïque, in Byzantion 70 (2000), pp. 270-306 (pp. 297-299). 51
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Declerck55, ma anche gli scritti antimanichei di Tito di Bostra, di Zaccaria di Mitilene, di Serapione di Thmuis, di Paolo il Persiano e di Giovanni di Cesarea, i dialoghi antinestoriani di Teodoro Abnj Qurra e di Gennadio I di Costantinopoli, le solutiones di Massimo Confessore sul monotelismo e alcuni preziosi e rari florilegi antiorigenisti sulla corruttibilità e sulla preesistenza dell’anima56, per citare solo alcuni tra i molti scritti antieretici di questa ricca silloge. Si tratta, com’è evidente, di una tipologia di libro assai ben attestata: certo, piacerebbe sapere di più sulla genesi e sulla diffusione di siffatte panoplie volte al consolidamento (e fors’anche alla definizione) dell’ortodossia cristiana attraverso la lotta contro fedi ed eresie diverse. Ciò che nondimeno caratterizza in modo peculiare il Paris. gr. 1111 rispetto agli altri prodotti citati è una sorta di ansia escatologica che lo attraversa in più testi, anche estranei al genere della polemica religiosa. Ed è evidente che è proprio quest’ansia escatologica a dare una specifica espressività a testi altrimenti più o meno ampiamente diffusi nel mondo bizantino. 5. Il caso di Nicola di Otranto È la stessa ansia escatologica che ritroviamo sin dalla prima pagina del Dialogo contro i giudei di Nicola di Otranto, autore la cui formazione culturale e intellettuale sarà stata fortemente condizionata da quel clima nel quale, circa un secolo prima, era stato confezionato il Paris. gr. 1111. Il Dialogo si apre con un prologo nel quale Nicola si presenta come uno spigolatore giunto sul campo dopo la trebbiatura; ovvero, fuor di metafora, come uno studioso che ha alle proprie spalle una ricca tradizione teologica e apologetica che ha già approfondito tutti gli aspetti dottrinarî utili alla controversia. A lui, dunque, rimangono da svolgere pochi temi utili a rinsaldare nella fede quei cristiani – anche i μȚțȡȠ, i meno titolati – che si trovino a dibattere con giudei, giacché questi, « sonnecchianti per loro colpa nell’oscurità dell’ignoranza, scelgono di continuare a esser zoppi su entrambi i piedi (1Re 18, 21), e non riescono a volgere lo sguardo verso i 55 J. H. DECLERCK, Anonymus dialogus cum Iudaeis saeculi ut videtur sexti, Turnhout-Leuven 1994 (CChSG 30). 56 Cfr. W. BIENERT, Neue Fragmente des Dionysius und des Petrus von Alexandrien aus Cod. Vatop. 236, in Kleronomia 5 (1973), pp. 308-314; M. RICHARD, Nouveaux fragments de Théophile d’Alexandrie, in Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Göttingen. Philologischhistorische Klasse (1975), pp. 57-65; M. HEIMGARTNER, Pseudojustin. Über die Auferstehung. Text und Studie, Berlin-New York 2001, pp. 233-285. In generale sul codice Vatop. 236, cfr. anche A. DE SANTOS OTERO, Der Codex Vatopedi 236, in Kleronomia 5 (1973), pp. 320-326; E. LAMBERZ, Kodikologisches zur Handschrift Vatopedi 236, in ibidem, pp. 327-329.
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raggi della verità, come se il velo dell’empietà offuscasse loro la vista »57. L’immagine dello spigolatore è di ascendenza biblica (Mi 7, 1-2): nella fonte, però, l’immagine ha un’intonazione patetica, in quanto descrive la desolazione dell’uomo giusto nel mondo iniquo, cui non rimane che confidare in Dio. Il passo del profeta Michea è ben lontano dall’ottimistica fede di Nicola nella ricchezza dei doni sapienziali che Dio ha elargito in passato e che a lui, epigono di grandi dotti, tocca solo di rivitalizzare. A ben vedere, però, l’immagine biblica si arricchisce di qualche dettaglio ulteriore: Nicola infatti aggiunge alle parole del profeta (« noi eravamo come chi spigola stoppie nel campo già mietuto, o raccoglie scampoli d’uva dopo la vendemmia quando non rimangono più grappoli ») l’espressione IJȞ ĮੁઆȞȦȞ ਥȞ IJȜİȚ ijșıĮȞIJİȢ ਵįȘ, « giacché siamo oramai alla fine dei tempi ». Lo stesso concetto è replicato poco più avanti: i doni spirituali di Dio, con tanta generosità elargiti, possono ancora essere goduti anche da chi non ne è degno, « perfino da noi che viviamo in questi tempi ultimi » (ਥȞਥıȤIJȠȚȢțĮȚȡȠȢ)58. Quanto siano poco usuali l’intonazione e lo scopo per cui Nicola si serve del passo di Michea emerge chiaro a chiunque ne passi in rassegna le occorrenze nella letteratura patristica. Origene ne dà, per esempio, una lettura in chiave figurale: come lo spigolatore sul campo già mietuto, così Cristo giunge a raccogliere il frutto della vita tra gli uomini, ma trova solo peccato59. Asterio sofista usa il passo per dimostrare che, prima dell’arrivo di Cristo, « la vigna dei giudei era ormai disseccata » e « mancavano le foglie sui fichi, la parola di Dio nelle sinagoghe, i grappoli sulle viti, il frutto della giustizia tra gli uomini »60. Un’accezione in qualche modo comparabile a quella di Nicola si può forse trovare in Gregorio di Nazianzo: congedandosi dal suo interlocutore, il filosofo cinico Massimo, Gregorio descriNicolaus Hydruntinus, Contra Iudaeos (ed. M. CHRONZ, cit., p. 2.7-10). Nicolaus Hydruntinus, Contra Iudaeos (ed. M. CHRONZ, cit., pp. 1-2): İʌİȡ ސȢ ݸıȣȞޠȖȦȞ, ȠੈĮ IJȚȢ ijȘ șİȠȢ ਕȞȡ, țĮȜޠȝȘȞ Ȟ ܻȝȘIJࠜ țĮސ ޥȢ ʌȚijȣȜȜަįĮ Ȟ IJȡȣȖޤIJ࠙, ȠރȤ ބʌޠȡȤȠȞIJȠȢ ȕިIJȡȣȠȢ, ȖİȞިȝİșĮ IJȞ ĮੁઆȞȦȞ ਥȞ IJȜİȚ ijșıĮȞIJİȢ ਵįȘ țĮ ޥijĮȖİ߿Ȟ ʌȡȦIJȠȖިȞȚĮ (Mi 7, 1), ਵȖȠȣȞ ਕijૅ ਲȝȞ, Ƞ įȣȞȝİșĮ İੁʌİȞ IJȚ țĮȚȞંIJİȡȠȞ, Ƞįૅ ਗȞ ਥȞȞȠોıĮȚ, ʌİȡ Ƞੂ ʌȡઁ ਲȝȞ șİȠȚ ਙȞįȡİȢ įȚોȜșȠȞ ijȚȜȠIJȝȦȢ įȡİʌંȝİȞȠȚ ȝȜĮ țĮ ਫ਼ȥȘȜȢ, ȝȜȚıIJĮ įૅ ੪Ȣ ȆȞİȝĮIJȠȢ ȝIJȠȤȠȚ ȖİȖȠȞંIJİȢ ਖȖȠȣ, ȠįȞ įȣıȞંȘIJȠȞ ਲȝȞ ਥȞ IJĮȢ șİĮȚȢ īȡĮijĮȢ IJȠȢ ȝİIJʌİȚIJĮ țĮIJĮȜȚʌİȞ ਲ਼ ʌĮȤȣȜઁȞ ਕʌȠȝİȞĮȚ șȜȘıĮȞ>«@ਕȜȜ¶ȠȞ țĮ IJȠȢ ਥȞ ਥıȤȐIJȠȚȢ ਲȝȞ ʌİijșĮțȩıȚ țĮȚȡȠȢ, ıIJȚ IJȚ țĮIJ IJઁ ȝȑIJȡȠȞ IJોȢ ਕijșȠȞȠʌĮȡȩȤȠȣ įȦȡİ઼Ȣ IJȠ૨ ȋȡȚıIJȠ૨ įİįȠȝȑȞȠȞ, țਗȞ țĮ IJȠ૨ ȗોȞ ਕȞĮȟȓȠȚȢ ਫ਼ʌȐȡȤȠȣıȚȞ, ੮ıIJİ țĮ ıIJĮȤȠȜȠȖોıĮȚ ȝȚțȡઁȞ țĮȓ IJȚ įȡȑȥĮȚ ȝİIJ¶ਥțİȓȞȠȣȢ ȜȠȚʌઁȞ ਲȝȞ Ƞ țİțȫȜȣIJĮȚ 59 Origenes, In Ieremiam, 14, 6 (ed. P. NAUTIN, Origène. Homélies sur Jérémie, II, Paris 1977 [SCh 238], pp. 76-78). Per il contesto esegetico origeniano inerente al lamento di Cristo su Gerusalemme, cfr. M. MARIN, Gerusalemme e la casa deserta (Mt 23, 37-39; Lc 13, 34-35) nell’esegesi origeniana, in Origeniana secunda. Second Colloque International des études origeniennes, textes rassemblés par H. CROUZEL et A. QUACQUARELLI, Roma 1980, pp. 215-227 (p. 221). 60 Asterius, In Psalmos, 16 (In Psalmum VIII Homilia III), 4 (Asterii Sophistae commentariorum in Psalmos quae supersunt, edidit M. RICHARD, Osloae 1956, p. 118). 57 58
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ve i proprî insegnamenti e le proprie esortazioni a combattere paganesimo ed eresie come ancor poca cosa sebbene fondati su non piccoli « semi di fede », ma parte di una più grande e più antica dottrina che Massimo è invitato a diffondere61. Ma anche qui non vi è nulla che alluda alla compiutezza della dottrina cristiana oramai consolidatasi, né tanto meno alla percezione dell’imminenza della fine dei tempi. Teodoro Studita, tutt’al più, scrivendo a papa Pasquale I, adopera quel passo di Michea per denunciare, con accenti di grave desolazione, lo sconvolgimento portato nella chiesa dalla furia iconoclasta62: ma appunto egli confidava che l’intervento del pontefice – poi rivelatosi in realtà assai più blando di quanto Teodoro sperasse – potesse ristabilire la Chiesa per i secoli a venire. Per converso, il passo di Michea è adoperato, in un senso molto affine a quello per cui lo impiega Nicola, in ambito ebraico, e in particolar modo in trattati, soprattutto di argomento cabalistico, dell’Italia medievale e rinascimentale63. Un esempio significativo, ancorché alquanto più tardo del tempo di Nicola, è all’inizio dell’Iggeret ۊamudot (Lettera preziosa) di Eliyyah ণayyim ben Binyamin da Genazzano (fine XV secolo): all’interlocutore, bramoso di entrare « nel Paradiso cabalistico », Eliyyah spiega di esser pronto a rivelare « quel pochissimo di cui Dio mi ha gratificato, per quanto non si tratti che di una piccola parte di una goccia nel grande mare »; quel sapere si è disperso nei secoli ed egli si trova ormai « come uno spigolatore d’estate, come un racimolatore, finita la vendemmia » e deve perciò compiere un grande sforzo per ricomporre in piccola parte l’antico sapere, divenuto « inaccessibile ed estremamente pericoloso » se non mediato dalla « rivelazione orale di uomini saggi »; proprio il timore dell’impresa da compiere lo aveva frenato, costringendolo per anni a rimanere « zoppicante da entrambi i piedi (1Re 18, 21) »64. I riecheggiamenti fra questo testo e il proemio di Nicola sono molteplici e significativi, al punto tale da imporre il quesito se quello di Nicola non sia un vero e proprio esercizio di arte allusiva, non ovviamente al posteriore scritto di Eliyyah ণayyim, ma a formule di modestia diffuse nella retorica ebraica (peculiarmente in Italia?) in incipit di trattazione e che Nicola capovolge, riservando a sé l’immagine dello spigolatore della sapienza divina e rigettando sui giudei la claudicazione da loro stessi lamentata. Il che ulteriormente comprova quanto lo scritto di Nicola di Otranto sia il frutto di reali 61 Gregorius Nazianzenus, Orationes, XXV (In laudem Heronis philosophi), 19 [ed. J. MOSSAY, Grégoire de Nazianze. Discours 24-26, Paris 1981 (SCh 284), p. 202]. 62 Theodorus Studites, Epistulae, 271. 63 Sono particolarmente grato a Fabrizio Lelli che mi ha segnalato l’uso di Mi 7, 1-2 in questi testi. 64 Eliyyah ۉayyim ben Binyamin da Genazzano. La lettera preziosa. ʺʥʣʥʭʧʺʸʢʠ, introduzione, edizione e traduzione a cura di F. LELLI, Firenze Nîmes 2002, pp. 127-128.
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colloqui con dotti giudei di varie parti del mondo mediterraneo, sebbene filtrati attraverso l’erudizione teologica dell’autore. Ad ogni modo, anche dal testo di Eliyyah ণayyim manca la sfumatura escatologica che ritroviamo invece nello scritto di Nicola. Dunque, il senso che emerge dalle parole di Nicola è questo: è ormai prossimo il tempo in cui le promesse di Dio giungeranno a compimento, in cui l’empietà dei malvagi sarà sconfitta; ma ciò non avverrà prima dell’estrema battaglia, nella quale il male tenterà di tutto per prevalere. Non appare perciò strano che la sintesi dottrinale degli argomenti antigiudaici che leggiamo in conclusione del proemio sia questa: « Che Cristo è Dio e Signore di tutte le cose, e che verrà nella sua seconda discesa per giudicare i vivi e i morti ». Una professione di fede che ha il suo centro in una verità escatologica: scopo dei cristiani, infatti, è dimostrare « che quel che i giudei ancora aspettano sarà in realtà l’Anticristo, che verrà dalla tribù di Dan »65. Nel corso del dibattito, più volte la riflessione di Nicola torna sul libro di Daniele. Una prima volta per l’esegesi della profezia delle settanta settimane (Dan 9), una seconda volta per la profezia dei quattro imperi (Dan 7). Soffermiamoci su questo secondo passaggio. Quando il cristiano evoca, ancora una volta, che il messia atteso dagli ebrei è « colui che discende dalla tribù di Dan, l’Anticristo, quello che il patriarca [Giacobbe] ha prefigurato come il serpente », il giudeo interviene citando Daniele: « Verrà colui che getterà voi nello scompiglio e innalzerà noi; lo afferma misticamente anche Daniele il quale dice “beato colui che attenderà 1335 giorni” (Dan 12, 12) »; e poco oltre: « Non dice forse “in quel tempo sorgerà Michele il grande principe, colui che difende i figli del tuo popolo”, “in 65 Nicolaus Hydruntinus, Contra Iudaeos (ed. M. CHRONZ, cit., p. 2.14-16). L’idea che l’Anticristo verrà dalla tribù di Dan scaturisce, in qualche modo, dal fatto che questa è l’unica tribù a non essere menzionata nell’elenco delle dodici tribù esenti dai flagelli in Ap 7, 5-8; inoltre, in Gn 49, 16-17 Giacobbe, profetizzando sui tempi futuri, dice che « Dan giudicherà il suo popolo come ciascuna tribù di Israele; sia Dan un serpente sulla strada che morde lo zoccolo del cavallo ». I primi ad aver associato esplicitamente l’Anticristo alla tribù di Dan sono Irenaeus, Adversus haereses, V, 30, 2 [ed. A. ROUSSEAU, Irénée de Lyon. Contres les hérésies. Livre V, II, Paris 1969 (SCh 153), p. 378] e Hippolytus, De Antichristo, 14 (ed. H. ACHELIS, Hippolyt’s kleinere exegetische und homiletische Schriften, Helsingfors 1897, p. 11), donde ps. Hippolytus, De consummatione mundi, 19 (ed. H. ACHELIS, p. 296); questa associazione entra poi a pieno titolo nella apocalittica bizantina grazie a ps. Methodius, Revelationes, 14, 10 (A. LOLOS, Die Apokalypse des Ps.-Methodios, Meisenheim am Glan 1976, pp. 136-139), ove peraltro si rammenta che anche Giuda Iscariota discendeva dalla tribù di Dan; si vedano inoltre Hieronymus, In Danielem, 9; Ambrosius, De benedictionibus patriarcharum, 7, 32; Photius, Amphilochia, 260 e molti altri. Cfr. M. W. BARTUSCH, Understanding Dan. An Exegetical Study of a Biblical City, Tribe and Ancestor, London 2003. Ovviamente questo argomento si prestava particolarmente bene ad accuse antigiudaiche, tanto più che la tribù di Dan godeva di pessima fama persino nel Midrash.
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quel tempo sarà salvo il tuo popolo, tutti quelli che saranno trovati scritti nel libro” (Dan 12, 1) ». Il cristiano interrompe il suo avversario rimproverandogli di aver omesso, nella citazione scritturistica, la frase « sarà quello [della sua venuta] un tempo di angoscia, quale non c’è mai stata da quando esiste l’umanità sulla terra » (Dan 12, 1)66, che si interpone appunto fra le due che il giudeo ha citato. Occorre attendere – dice il cristiano – la fine di quel tempo nefasto, perché ciascuno possa ricevere il giudizio. Segue poi il commento alla profezia dei quattro regni (Dan 7), per il quale Nicola attinge a piene mani al commento di Teodoreto al Libro di Daniele67. L’esemplificazione potrebbe ancora moltiplicarsi, ma basteranno gli esempi qui addotti. Certo, l’esegesi di Daniele non è né assente né rara nella tradizione antigiudaica, ma essa acquista, nella polemica sostenuta da Nicola, una forza addirittura pari al tema principe di questo tipo di dibattimenti, cioè la realizzazione delle profezie veterotestamentarie in Cristo. Tra i testi antigiudaici di età tardoantica e bizantina uno in particolare appare segnato dalla medesima ansia escatologica: la Doctrina Jacobi nuper baptizati, la cui quinta sezione è interamente dedicata alla seconda ʌĮȡȠȣıĮ68. A tanto maggior ragione piacerebbe sapere se Nicola ebbe modo di leggere la Doctrina Jacobi. Di questa insistenza sulla fine del mondo ebbe percezione anche Évelyne Patlagean, la quale mise il nostro scritto in relazione con l’Adversus Iudaeos di Gioacchino da Fiore, caratterizzato dalla medesima percezione dell’imminente fine del tempo69. Anche Gioacchino riflette sui quattro regni, l’ultimo dei quali è però per lui il « regnum Sarracenorum, per quod domata sunt et domantur cotidie multa regna »70: rispetto all’usuale schema interpretativo Babilonesi-Persiani-Greci-Romani, cui pure Nicola (per il tramite di Teodoreto) si attiene, Gioacchino Nicolaus Hydruntinus, Contra Iudaeos (ed. M. CHRONZ, cit., pp. 202.1-4; 203.3-19). Nicolaus Hydruntinus, Contra Iudaeos (ed. M. CHRONZ, cit., pp. 207-210), per cui si può vedere Theodoretus, In Danielem, 7, 2-7 (PG 81, coll. 1412-1421). 68 Cfr. DÉROCHE, Doctrina Jacobi cit., pp. 263-268: « L’originalité de la Doctrina réside principalement dans le rôle qu’elle accorde à l’eschatologie ». Anche in questo caso la sconfitta di Bisanzio, in particolare dell’imperatore Eraclio, nei territorî ove la Doctrina ebbe origine, diventa il segno della fine del « quarto impero », e dunque l’inizio della fine della storia. 69 E. PATLAGEAN, La « Dispute avec les Juifs » de Nicolas d’Otrante (vers 1220) et la question du Messie, in La storia degli ebrei nell’Italia medievale. Tra filologia e metodologia, a cura di M. G. MUZZARELLI e G. TODESCHINI, Bologna 1989, pp. 19-27 (p. 25): « Les chrétiens pensaient depuis des siècles que le Retour du Christ devait être précédé par l’épisode de l’Antéchrist, fils de la tribu de Dan et faux Messie des juifs, puis par la conversion de ces derniers. Mais cette pensée pouvait être plus ou moins intense. La Dialexis grecque de Nicolas d’Otrante vers 1220 évoque naturellement l’Adversus Judaeos de Joachim de Fiore, mort en 1202 en Calabre, autre région à la marge italienne du monde grec. Joachim lui-même aurait dit en 1195 qu’il s’attendait à voir de ses yeux l’arrivée de l’Antéchrist, et qu’il croyait alors déjà au monde ». 70 Ioachim Florensis, Adversus Iudaeos (A. FRUGONI, Adversus Iudaeos di Gioacchino da Fiore, Roma 1957, p. 44). Cfr. G. L. POTESTÀ, Apocalittica e politica in Gioacchino da Fiore, in Endzeiten cit., pp. 231-248. 66 67
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fonde Babilonesi e Persiani e aggiorna lo schema alla luce dello “spirito di crociata” diffuso al suo tempo. Non mi pare si possa documentare un evidente e stringente nesso tra i testi di Nicola di Otranto e del calabrese Gioacchino da Fiore, ma non sarà da trascurare il fatto che essi, pressoché contemporanei, erano nati e si erano formati entrambi in terre che erano state bizantine fino ad alcuni decennî prima ed erano ora sottomesse ai Normanni. Come la quinta sezione della Doctrina Jacobi si apriva nel segno della percezione di una imminente fine del mondo per il fatto che l’Impero (la ૮ȦȝĮȞĮ) « è travagliato e dilaniato dalle genti e suddiviso in dieci toparchie »71 e non si poteva non dedurne che « Ermolao l’ingannatore arriva e guai a chi lo accoglie », analogamente la fine della dominazione bizantina in Italia meridionale – la fine cioè della coincidenza tra identità culturale e potere politico – lasciava spazio ad ansie escatologiche. Per altro verso, la relativa quiete instauratasi nelle relazioni giudeo-cristiane sotto i Normanni dovette spingere quegli spiriti greci, conservatori e isolati, a riconoscere, nell’indebolimento della lotta a tutte le eresie delle quali il giudaismo appariva loro radice e madre, l’inizio di quel tempo di « grande tribolazione » che il profeta Daniele e l’Apocalissi giovannea avevano annunziato. 6. Un rapido sguardo verso il XV secolo Nei decennî e secoli successivi la modalità di fruizione dei testi antigiudaici circolanti in Italia meridionale, così come si desume dai manoscritti greci, cambia sensibilmente e non sembra possa riscontrarsi il medesimo sfondo escatologico, e nemmeno, a ben vedere, la medesima urgenza comunicativa. Il fatto stesso che alla fine del XIII secolo le antiche pergamene contenenti il Dialogo di Timoteo e di Aquila siano state riutilizzate a Grottaferrata da Macario di Reggio per copiarvi dei lezionarî (Crypt. A.į.VI e Vat. gr. 770) mostra un certo reflusso della polemica antigiudaica; e lo stesso può dirsi della scarsa circolazione dello scritto di Nicola di Otranto, a noi noto grazie a un solo testimone certamente salentino (Paris. gr. 1255). Quando presenti nei manoscritti, i testi antigiudaici danno talora l’idea di svolgere una funzione didattica, catechetica, più che polemica. A titolo di esempio, si può citare il manoscritto Ambr. B 39 sup. (gr. 89), che sulla base di una subscriptio al f. 61r è da attribuire alla mano di un Nettario monaco del monastero otrantino di Casole (circa alla metà del 71 Doctrina Jacobi nuper baptizati, V, 1 (ed. V. DÉROCHE, cit., p. 183): le parole di Giusto (ıȣȞIJȡȚȕȠȝȞȘȢ IJોȢ ૮ȦȝĮȞĮȢ țĮ įȚĮȚȡȠȣȝȞȘȢ ਫ਼ʌઁ IJȞ ਥșȞȞ) conducono immediatamente a Dan 11, 4 (ਲ ȕĮıȚȜİĮ ĮIJȠ૨ ıȣȞIJȡȚȕıİIJĮȚ țĮ įȚĮȚȡİșıİIJĮȚ).
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XV secolo)72. All’interno di una distinta unità codicologica isolabile nei ff. 54-75 si trova una variante dei Dialogica polymorpha antiiudaica (ff. 54v-61r): essa è preceduta da un testo catechetico ʌİȡ șİȠȜȠȖĮȢ (sui concetti di divinità, sostanza, natura, volontà, energia, ipostasi e così via), la cui fonte è principalmente il Contra Iacobitas di Giovanni Damasceno (f. 54r-v); è seguita altresì da un nuovo testo in cui simili e altri concetti (ȡȠȢ, șİંȢ, ʌĮIJȡ, ȣੂંȢ, ʌȞİ૨ȝĮ, ੁįȦȝĮ, ijıȚȢ, ਫ਼ʌંıIJĮıȚȢ, ʌȡંıȦʌȠȞ, șȜȘȝĮ, ıȣȝȕİȕȜȘțંȢ, ਥȞȡȖİȚĮ, ȥȣȤ, ਪȞȦıȚȢ, ȝȠȠıȚȠȞ, țĮȚȞȠIJȠȝĮ, ȞȠ૨Ȣ, ıȝĮ, ıȡȟ, ĮıșȘıȚȢ, ijșȠȡ, ʌȠȚંIJȘȢ, ȠıĮ) sono analizzati applicando uno schema tripartito (IJ ਥıIJȚ, țĮIJ IJ İȡȘIJĮȚ, ੑıĮȤȢ ȞȠİIJĮȚ) e la cui fonte è ancora Giovanni Damasceno73. La vocazione enciclopedica di questi fascicoli si manifesta ancora oltre, in una successione di appunti tra cui troviamo un lemma sull’etimologia di Brindisi (ǺȡİȞįıȚȠȞ) e di varî nomina sacra (ȘıȠ૨ȢȋȡȚıIJંȢșİંȢ), nonché un elenco degli appellativi di Dio (ff. 74v-75r). Se rammentiamo che i Dialogica polymorpha antiiudaica, nella forma in cui sono trascritti in questo codice, si aprono con un breve e anomalo capitolo sulle etimologie di ਦȕȡĮȠȢ, ੁȠȣįĮȠȢ e ੁıȡĮȘȜIJȘȢ e di alcuni altri etnonimi e antroponimi, ancor più comprendiamo come per Nettario quel dialogo tra cristiani e giudei era soprattutto uno strumento, didatticamente efficace, per chiarire alcuni punti fondanti della dottrina cristiana, per differentiam rispetto a quella ebraica. Il che non vuol dir negare la presenza di giudei a Otranto o l’esistenza di tensioni tra le comunità, ma tentar di intuire la scala di priorità nella coscienza ideologica di Nettario. Se è vero che gli ebrei di Puglia godettero alla metà del XV secolo, sotto la dominazione aragonese, di una relativa prosperità pur tra atteggiamenti oscillanti e ambigui dell’autorità politica mossa prevalentemente da ragioni di opportunità economica74, è anche vero che, per altro verso, le
72 Il codice contiene, tra l’altro, alcune note in dialetto salentino vergate in caratteri greci (si veda la scheda curata da F. Giannachi per l’Archivio Digitale degli Antichi Manoscritti di Puglia, anche per la bibliografia relativa: consulto la versione datata 12 novembre 2012 su http://www.adamap.it): si tratta di testi catechetici e una confessione ritmica, nonché di varie glosse disseminate per l’intero manoscritto. Il copista Nettario morì il 15 aprile 1493, poco più di un decennio dopo la distruzione saracena del monastero di Casole; la copiatura di questo codice, però, sarà stata di alcuni decennî precedente. 73 Si tratta in questo caso dei Fragmenta philosophica che Bonifaz Kotter ha edito sulla base del Bodl. Auct. T.1.6. Alcuni lemmi di questa sorta di enciclopedia teologica che leggiamo nell’Ambrosiano si ritrovano nel Lessico dello pseudo-Zonara. Giovanni Damasceno è autore di testi copiati anche in altre unità del manoscritto (e. g. Expositio fidei, 11, al f. 48v). 74 G. PETRALIA, L’età aragonese. ‘Fideles servi’ vs. ‘regii subditi’: la crisi della presenza ebraica in Italia meridionale, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare cit., pp. 79-114, descrive un equilibrio estremamente precario nei rapporti tra cristiani e giudei alla metà del Quattrocento in Puglia: lo dimostrano il notevole afflusso di ebrei nel Regno di Napoli, in ragione delle migliori condizioni di vita rispetto ai repressivi Regni europei garantite dai privilegi concessi da Alfonso V e da sovrani successivi, e per converso un regime giuridico e fiscale
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TRADIZIONE E PRODUZIONE DI DIALOGHI ANTIGIUDAICI GRECI
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antiche glorie della comunità greca erano oramai trascorse da assai lungo tempo e difficilmente queste avrebbero saputo porsi in posizione di forte antagonismo. La scelta del ripiegamento nell’erudizione75 e nella speculazione teologica ne è il segno. Il tramonto di quella civiltà e del monastero che ne era stato il faro – esito postremo di un logoramento per lungo tempo protratto – trovò per mano di un altro tradizionale avversario, l’Islam saraceno, il suo definitivo suggello.
che manteneva una forte discriminazione tra cristiani e giudei e nel complesso oppressivo. In generale, però, non va dimenticato che – prima della catastrofe segnata, per le comunità giudaiche, dalla discesa di Carlo VIII e poi dall’arrivo degli Spagnoli all’inizio del XVI secolo – si contavano in Puglia numerose giudecche. 75 Proprio il ms. Ambr. B 39 sup. è tra i prodotti salentini più interessanti per la trasmissione della cultura greca classica: basterebbero a documentarlo la Batracomiomachia o l’Alessandra di Licofrone ivi contenute.
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MARIENZA BENEDETTO UNA FAMIGLIA DI MISTICI, MEDICI, ASTROLOGI E FILOSOFI EBREI DI ORIGINE SALENTINA: I QALONYMOS
Quella della translatio studiorum da Atene alla Persia e a Baghdad, da Baghdad a Cordoba, e infine da Cordoba a Parigi e al mondo delle università occidentali è una delle immagini ormai ampiamente acquisite della storia del Medioevo: il massiccio lavoro di traduzione (e di rielaborazione) del patrimonio filosofico-scientifico greco, promosso dai califfi ‘abb¦sidi a partire dall’VIII secolo, e gli effetti che questo evento produsse sull’analogo processo di riacculturazione avvenuto nel Medioevo latino fra il XII e il XIII secolo, sono stati già da tempo esaustivamente ricostruiti dal punto di vista tanto storico-filologico quanto ideologico1 Meno nota, e più circoscritta per dimensioni della precedente, ma non per questo meno affascinante, è invece un’altra translatio studiorum – quella che, a partire dal IX secolo, vede la Puglia, e più in particolare il Salento, nel mezzo di un crocevia decisivo per la storia intellettuale ebraica. Furono infatti proprio gli ebrei della Puglia bizantina a permettere la trasmissione della tradizione culturale ebraica dalla Terra d’Israele e da Babilonia fino all’Europa e al Nord Africa2. 1 Cfr. soprattutto F. ROSENTHAL, Das Fortleben der Antike in Islam, Zürich 1965 (trad. ingl. The Classical Heritage in Islam, London-Berkeley 1975); G. ENDRESS, Die wissenschaftliche Literatur, in Grundriß der Arabischen Philologie. II. Literaturwissenschaft, hrsg. H. GÄTJE, Wiesbaden 1987, pp. 400-506; D. GUTAS, Greek Thought, Arabic Culture: The Graeco-Arabic Translation Movement in Baghdad and Early ‘Abbasid Society (2nd-4th/8th-10th c.), London-New York 1998 (trad. it. Pensiero greco e cultura araba, a cura di C. D’ANCONA, Torino 2002). 2 Per una ricostruzione storica dell’ebraismo in età bizantina, cfr. J. STARR, The Jews in the Byzantine Empire (641-1204), Athens 1939; V. VON FALKENHAUSEN, L’ebraismo dell’Italia meridionale nell’età bizantina (secoli VI-XI), in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541. Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza-Venosa, 20-24 settembre 1992), a cura di C. D. FONSECA, M. LUZZATI, G. TAMANI, C. COLAFEMMINA, Galatina 1996, pp. 25-46; R. BONFIL, Cultura ebraica e cultura cristiana in Italia Meridionale, in ID., Tra due mondi. Cultura ebraica e cultura cristiana nel Medioevo, Napoli 1996, pp. 3-63 (in cui si insiste sulla funzione dell’Italia meridionale come « centro di irradiazione, trait d’union per la translatio scientiae tra Oriente e Occidente » [p. 10]); e ora anche F. LELLI, Rapporti letterari tra comunità ebraiche dell’Impero Bizantino e dell’Italia meridionale: studi e ricerche, in Materia Giudaica 9/1-2 (2004), pp. 217-230.
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La presenza di comunità ebraiche in Puglia, che secondo la tradizione avrebbe radici assai antiche (risalirebbe addirittura alla distruzione del Tempio di Gerusalemme per opera di Tito, avvenuta nel 70 d.C., e alla conseguente deportazione di circa cinquemila ebrei come schiavi in alcune delle principali città pugliesi)3, è attestata fin dagli inizi del IV secolo da una serie di epigrafi in cui l’ebraico, quando non è usato da solo, si trova associato al greco e al latino4: sembra che gli insediamenti e lo sviluppo di questi nuclei ebraici fossero stati determinati dagli scambi (commerciali e culturali) attraverso il Mediterraneo che le città portuali della Puglia favorivano. Rimasto a lungo anonimo (tanto da risultare interessante dal solo punto di vista archeologico, per le fonti che ne documentavano la presenza, sia pur importante, sul campo), l’ebraismo pugliese – e soprattutto salentino – conosce, come accennato, nel IX secolo una stagione diacronicamente senza precedenti e sincronicamente senza eguali5: risalgono, infatti, esattamente a questo periodo, un importante sviluppo della poesia liturgica in lingua ebraica, ad opera di figure come Šefatiah e ’Amittay II di Oria, ণasadyah ben ণanan’el, e Silano di Venosa6; una rielaborazione del tutto eccezionale dei testi della cultura classica nella produzione medico-scientifica di Šabbetai Donnolo7; un’intensa attività esegetica, accompagnata da un particolare interesse per la mistica e i suoi risvolti in ambito magico8; e per finire un’attenzione tutta nuova per il genere storiografico-genea3 Cfr. H. M. ADLER, The Jews in Southern Italy, in The Jewish Quarterly Review 14 (1902), pp. 111-115. 4 C. COLAFEMMINA, Insediamenti e condizione degli ebrei nell’Italia meridionale e insulare, in Gli Ebrei nell’Alto Medioevo. Atti della XXIV Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto, 30 marzo-5 aprile 1978), I, Spoleto 1980, pp. 197-239. 5 Giusta a tal riguardo la considerazione di Putzu, secondo cui lo sviluppo culturale che la Puglia ebraica conosce tra i secoli IX e X è talmente eccezionale da invitare a chiedersi come mai le comunità ebraiche al di fuori di quest’area vi abbiano partecipato in misura irrilevante: cfr. V. PUTZU, Shabbetai Donnolo. Un sapiente ebreo nella Puglia Bizantina altomedievale, Cassano delle Murge 2004 (Iudaica, 3), p. 32. 6 Sulla poesia ebraica medievale nell’Italia meridionale, cfr. soprattutto J. SCHIRMANN, Gli albori della poesia ebraica in Italia, in La Rassegna mensile di Israel 35 (1969), pp. 187-210; e E. HOLLENDER, Il Piyyut italiano: tradizione e innovazione, in La Rassegna mensile di Israel 60 (1994), pp. 23-41. 7 Esiste un’ampia bibliografia su Donnolo. Per un’agile introduzione all’autore, cfr. PUTZU, Shabbetai Donnolo cit.; G. SERMONETA, Il neo-platonismo nel pensiero dei nuclei ebraici stanziati nell’Occidente latino. Riflessioni sul « Commento al Libro della Creazione » di Rabbi Sabbetai Donnolo, in Gli Ebrei nell’Alto Medioevo (Spoleto, 30 marzo-5 aprile 1978), Spoleto 1980 (Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 26), pp. 867-925; e la miscellanea su Donnolo: Šabbeܒay Donnolo. Scienza e cultura ebraica nell’Italia del secolo X, a cura di G. LACERENZA, Napoli 2004 (Series Minor, 64). 8 Vale forse la pena ricordare a tal proposito che la mistica aveva sì un naturale sbocco pratico, costituito dall’uso magico del Tetragramma; ma quest’uso non poteva in alcun modo essere improprio, pena l’esilio, se non addirittura la morte.
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I QALONYMOS
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logico, o la cronaca di carattere familiare, da cui ora partiremo per avere immediatamente un’idea di quale fosse l’immagine che a quell’epoca la Puglia trasmetteva di sé9. Nel Sefer Yuۊasin, o Libro delle discendenze, noto anche come Megillat Aۊima‘a܈, o Rotolo di Aۊima‘a܈, Aতima‘aৢ ben Palti’el (Capua, 1017-dopo il 1054) ricostruisce in prosa rimata il suo albero genealogico, individuando nel nobile maestro ’Abu ’Aharon le origini ultime della famiglia Amittay dalla quale egli discende10: da Baghdad, agli inizi del IX secolo, ’Abu ’Aharon si sarebbe poi spostato ad Oria Messapica, dove avrebbe trovato – secondo le immagini bibliche adoperate (Num. 24, 5-6) per rendere la singolare fecondità culturale della Puglia – « accampamenti di tende come fiumi, come alberi piantati presso acque abbondanti; scuole affermate pari a cedri dalle profonde radici, posti vicino alle acque, lungo ruscelli di fonte »11. Ciò che del quadro appena tracciato merita però di essere sottolineato è, al di là del suo valore intrinseco (che qui si è cercato di esaltare attraverso il richiamo al Libro delle discendenze), soprattutto il fatto che le tradizioni culturali e spirituali elaborate dall’ebraismo pugliese siano filtrate in altre aree, influenzandone in maniera decisiva la vita intellettuale: ancora nel Libro delle discendenze il cronista Aতima‘aৢ scrive, quasi con vanto, che proprio il suo antenato babilonese ’Abu ’Aharon avrebbe introdotto nel Salento, e più specificamente a Oria – presentata ora nelle vesti di una nuova Gerusalemme – motivi mistici orientali, che sarebbero stati poi rielaborati localmente, e diffusi, a partire di lì, nel resto dell’Europa12. Confermano la funzione di mediazione svolta dalla Puglia anche altre testimonianze di ebrei attivi al di fuori di quest’area, prima fra tutte la celebre formula con cui nel suo Sefer ha-yašar (Il libro del giusto) Rabbi Ya‘aqov ben Me’ir di Troyes, noto come Rabbenu Tam (1100-1170), parafrasando il verso del profeta Isaia (2, 3), e poi anche del profeta Michea 9 Sull’effettiva possibilità di parlare di un genere storiografico-genealogico in ambito ebraico, cfr. R. BONFIL, Una storiografia ebraica medievale, in ID., Tra due mondi cit., pp. 205225. 10 Sulla figura di ’Abu ’Aharon, cfr. soprattutto A. NEUBAUER, Abu Ahron, in Revue des études juives 18 (1891), pp. 230-237. Sul Sefer Yuۊasin (forma e contenuto dell’opera, e attendibilità degli eventi narrati), cfr. invece R. BONFIL, Mito, retorica, storia: saggio sul « Rotolo di Ahima‘az », in Id., Tra due mondi cit., pp. 93-133; e ancora R. BONFIL, History and Folklore in a Medieval Jewish Chronicle: the Family Chronicle of Ahima‘az ben Paltiel, Leiden 2009 (Studies in Jewish History and Culture, 22). 11 Ahima’az ben Paltiel, Sefer Yuۊasin. Libro delle discendenze. Vicende di una famiglia ebraica di Oria nei secoli IX-XI, a cura di C. COLAFEMMINA, Cassano delle Murge 2001, pp. 78-80. 12 Per un’analisi dettagliata dei motivi che dall’Italia giunsero nella valle del Reno (e le loro ricadute sulla mistica del Medioevo ebraico), cfr. M. IDEL, Dall’Italia a ’Askenaz e ritorno: la circolazione di alcuni temi ebraici in età medievale, in Gli ebrei nel Salento. Secoli IX-XVI, a cura di F. LELLI, Galatina (LE) 2013, pp. 105-144.
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(4, 2) – « Perché da Sion uscirà la Legge, e la parola del Signore da Gerusalemme » – significativamente celebra la grandezza delle scuole rabbiniche pugliesi (e la loro centralità per lo sviluppo della cultura ebraica): « Da Bari uscirà la Legge, e la parola del Signore da Otranto »13; e ancora la storia (o più semplicemente la leggenda?) narrata da Abraham ibn Daud nel suo Sefer ha-Qabbalah (Il libro della tradizione), della cattura, avvenuta nel 972, per mano musulmana, di quattro rabbini provenienti da Bari, e della loro vendita come schiavi in Spagna e nel Nord Africa: riscattati dalle comunità ebraiche locali, questi rabbini sarebbero poi stati a capo delle accademie di Cordoba, Fustat e al-Qairawan (nell’odierna Tunisia)14. Sebbene i toni di queste testimonianze siano al limite del mito o della leggenda, ciò che emerge in modo assolutamente inequivocabile è che le città di Oria, Bari e Otranto rappresentano, in virtù della funzione di snodo fondamentale che esse svolsero nella trasmissione del sapere ebraico dall’Oriente all’Occidente, una prospettiva senza dubbio privilegiata dalla quale studiare la storia della cultura ebraica. È questo, nei suoi tratti essenziali, lo sfondo entro cui si colloca l’interessante, e forse ancora sfuggente storia di un nucleo ebraico di origine salentina – la famiglia dei Qalonymos (anche Kalonymos, o Calonimos, a seconda delle trascrizioni) – a cui si deve la promozione, e la continuazione fino al XVI secolo, di un importante processo di trasmissione e di circolazione del sapere (non soltanto ebraico, come vedremo; o forse più correttamente, ebraico solo in prima istanza). Il tentativo sarà allora proprio quello di ricostruirne, per quanto possibile, le vicende: ciò che risulterà sarà che intorno all’anno 1000 i Qalonymos esportarono dal Salento un sapere, quello mistico-esoterico di origine orientale, e poi, tornati in Puglia, a distanza di secoli, vi importarono nuove forme di conoscenza15. Uno studio analitico del detto si trova in C. COLAFEMMINA, Da Bari uscirà la Legge e la parola del Signore da Otranto. La cultura ebraica in Puglia nei secoli IX-XI, in Dagli dei a Dio. Parole sacre e parole profetiche sulle sponde del Mediterrano. Atti del Convegno internazionale di studi promosso dall’Associazione Biblia (Bari, 13-15 settempre 1991), a cura di C. COLAFEMMINA, Cassano delle Murge 1997, pp. 131-151. 14 Abraham Ibn Daud, The Book of Tradition (Sefer ha-Qabbalah), by G. D. COHEN, Philadelphia 1967, pp. 46-48 (ebr.), 63-64 (ing.). Sul racconto, cfr. anche G. D. COHEN, The Story of the Four Captives, in Proceedings of the American Academy for Jewish Research 29 (1960-1961), pp. 55-131. 15 Tra gli studi già esistenti sulla famiglia dei Qalonymos, i più esaustivi restano quelli di A. GROSSMAN, The migration of the Kalonimos family from Italy to Germany, in Zion 40 (1975), pp. 154-185 (in ebraico); ID., The Early Sages of Ashkenaz. Their Lives, Leaderships and Works, 900-1096, Jerusalem 1981, pp. 29-48 (in ebraico). Sull’argomento cfr. inoltre K. R. STOW, By Land or by Sea: the Passage of the Kalonymides to the Rhineland in the Tenth Century, in Communication in the Jewish Diaspora: the Pre-Modern World, ed. by S. MENACHE, Leiden 1996 (Brill’s Series in Jewish Studies, 16), pp. 59-72, che traccia una vera e propria 13
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Partiamo allora dalle testimonianze relative ai Qalonymos a nostra disposizione: nonostante alcune varianti, esse concordano tutte su un dato, e cioè il passaggio dei Qalonymos dall’Italia alla valle del Reno (l’ebraica ’Aškenaz), dove avrebbero introdotto un intero patrimonio culturale ed esoterico-spirituale (o magico-mistico), da cui, nell’XI secolo, si sarebbe poi originato il movimento pietistico dei ۉaside ’Aškenaz. Secondo quanto riportato nel commento ai Segreti delle preghiere da uno dei principali maestri তassidici tedeschi del XIII secolo, ’El‘azar ben Yehudah da Worms (noto anche come Rokeaۊ, o Profumiere, dal titolo di una sua opera a contenuto halakhico), il già citato ’Abu ’Aharon avrebbe trasmesso « i segreti della preghiera » all’esponente di un’importante famiglia lucchese, Rabbi Moshè bar Qalonymos, che intorno alla metà del X secolo avrebbe poi abbandonato la Lombardia per stabilirsi nella Germania meridionale; qui, Rabbi Qalonymos avrebbe iniziato a insegnare il sapere precedentemente appreso ai pii delle generazioni successive, in una catena ininterrotta fino a ’El‘azar, per l’appunto: « Essi [= i Qalonymos] ricevettero le tradizioni esoteriche relative all’ordine delle preghiere e le altre tradizioni esoteriche di rabbino in rabbino, risalendo fino a ’Abu ’Aharon, figlio di Rav Shem’el il principe, che aveva lasciato Babilonia a causa di un certo avvenimento16 e che pertanto era stato costretto a vagare per tutto il mondo [per punizione]. Era giunto in Lombardia, in una città chiamata Lucca. Lì aveva trovato il nostro Rav Moshè, autore della poesia liturgica che comincia con le parole “emat nora’otekha” (“suscitano sgomento i tuoi prodigi”), e gli aveva trasmesso tutte le sue tradizioni esoteriche. Intendo Rav Moshè bar Qalonymos, figlio di Meshullam bar Rav Qalonymos bar Yehudà. Fu il primo ad emigrare dalla Lombardia con i suoi figli, Qalonymos e Yequ৬i’el, con il loro parente ’Iti’el e con altre persone importanti, che il re Carlo portò con sé dalla Lombardia a Magonza: qui “essi prolificarono e crebbero” [Esodo 1, 7], fino a quando la collera divina non si abbattè su tutta la comunità santa nell’anno 109617. Allora tutti morirono, ad eccezione di qualcuno della nostra famiglia: Rabbi Kalonymus il Vecchio trasmise le tradizioni esoteriche – come mappa del viaggio compiuto dai Qalonymos. Conviene tuttavia precisare a tal proposito che la letteratura secondaria si è essenzialmente soffermata sul ruolo giocato dei Qalonymos nell’ambito della speculazione mistica ebraica, senza considerare, oltre al loro passaggio dall’Italia alla Germania, anche il contributo che essi hanno apportato su altri fronti al ritorno, dopo anni, in Italia. 16 Stando a quel che riporta il Libro delle discendenze, ’Abu ’Aharon sarebbe stato mandato in esilio per avere umiliato un leone, che egli avrebbe posto a girare la macina al posto di un asino. Come spiega accuratamente Colafemmina, la storia starebbe ad indicare allegoricamente l’arroganza dimostrata da ’Aharon nei confronti di una autorità o di una personalità di riguardo: cfr. Ahima’az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze cit., p. 63; p. 65 nt. 44. Sulle possibili letture di questo racconto, cfr. anche BONFIL, Mito, retorica, storia: saggio sul « Rotolo di Ahima‘az » cit., pp. 101-109. 17 Il riferimento è qui evidentemente alla Prima Crociata.
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abbiamo scritto – a ’El‘azar ণazan di Spira. Quest’ultimo le trasmise a Rav Samu’el il Pio e questi a Rav Yehudah il Pio. Da lui, io, nella mia modestia, ho ricevuto le tradizioni esoteriche sulla preghiera e altre tradizioni »18.
Lasciando momentaneamente da parte il riferimento all’imperatore Carlo (che per ragioni cronologiche non sembra essere identificabile con Carlo Magno, come si è spesso ritenuto19, quanto piuttosto con Carlo il Calvo, vissuto nella seconda metà del IX secolo), nel passo appena riportato – che è anche quello più noto relativamente alla saga dei Qalonymos – la fortuna dell’esoterismo ebraico viene esplicitamente associata a Lucca: l’arrivo di ’Abu ’Aharon in questa città, con la conseguente trasmissione del suo sapere ad un membro della famiglia dei Qalonymos, ne avrebbe permesso la circolazione a Magonza, e di qui nell’intera valle del Reno, che ben presto sarebbe diventata centro della speculazione mistica ebraica. Si tratta però di una testimonianza che, nonostante la sua accuratezza e celebrità, non trova conferma nelle pagine dedicate a ’Abu ’Aharon nel Libro delle discendenze, in cui non si fa menzione alcuna né dei Qalonymos, né tanto meno della città di Lucca20. Come conciliare allora questi 18 Il passo è tratto da M. IDEL, La Cabbalà in Italia (1280-1510), a cura di F. LELLI, Firenze 2007, p. 21, pp. 188-189, con qualche modifica, apportata anche sulla base dello stesso passo in NEUBAUER, Abu Ahron, le Babylonien cit., pp. 231-232. Occorre tuttavia precisare che della trasmissione del sapere esoterico fino alla Germania esistono anche altre versioni (cfr. ad esempio I. G. MARCUS, Piety and Society: The Jewish Pietists of Medieval Germany, Leiden 1981, pp. 67-68). Di particolare interesse è una versione, comune ad alcuni circoli renani, in cui non si fa menzione alcuna dei Qalonymos né, ancora più a monte, di ’Abu ’Aharon: le tradizioni esoteriche sarebbero piuttosto arrivate in Italia dalla Palestina, al tempo di Tito: « [Il misticismo askenazita] deriva dalla tradizione trasmessa dal grande Rabbi, R. Eleazar Roqeaত [di Worms], che l’ha ricevuta da R. Judah he-ণasid, e quest’ultimo da suo padre, e il figlio dal padre, risalendo fino a [colui che era noto come] Mor Deror, che l’ha ricevuta da Joseph Ma’on, che fu esiliato da Gerusalemme a Roma dal malvagio imperatore Tito ». Il passo (in traduzione nostra), si trova in J. DAN, The Beginnings of Jewish Mysticism in Europe, in The World History of the Jewish People, II, ed. by C. ROTH, Tel Aviv 1966, pp. 282-290. 19 Sullo sfondo di questa convinzione sembra esserci un’altra testimonianza, risalente a Joseph Ha-Cohen (1496-1575), secondo la quale « Carlo Magno portò con sé rabbi Calonimos da Lucca, romano, e costui ricondusse in Germania gli ebrei superstiti, e radunò i dispersi di Giudea. E Carlo Magno strinse un’alleanza con loro. Allora essi fondarono in Germania delle scuole della Legge di Dio, come in passato, e rabbi Calonimos fu il loro capo » (cfr. R. CALIMANI, Storia degli Ebrei italiani, vol. 1, Milano 2013, cap. IX, § Da Lucca alla Valle del Reno). Stando a quest’ultima testimonianza, il primo a stabilirsi in Germania non sarebbe stato Mosè bar Qalonymos – come riportato da ’El‘azar ben Yehudah da Worms –, ma Qalonymos detto il romano, che avrebbe seguito per l’appunto Carlo Magno, qui esplicitamente citato. Ad aggiungere ulteriore confusione alla vicenda c’è la testimonianza di Salomon Luria (1510-1575), secondo cui la migrazione sarebbe avvenuta nel 917, quando Corrado salì al trono (cfr. S. HURWITZ, The Responsa of Solomon Luria [Maharshall]. The legal Decisions of the Famous 16th Century Sage, New York 1968, r. XXIX). 20 Risulta da questo punto di vista poco comprensibile il commento di J. DAN, La cultura ebraica nell’Italia medievale: filosofia, etica, misticismo, in Storia d’Italia. Annali II: Gli ebrei in Italia. Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, a cura di C. VIVANTI, Torino 1996, p. 342: « Uno
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testi? Ad opera di chi si è effettivamente realizzato il passaggio in Occidente di tradizioni mistiche orientali? E in quale città esso è avvenuto (Lucca, come si legge nel passo appena richiamato, oppure Oria, come vorrebbe Aতima‘aৢ Ben Palti’el)? Provando a ipotizzare, l’assenza dei Qalonymos dalla scena del Libro delle discendenze potrebbe essere giustificata, come nota efficacemente Lelli, sulla base di una contesa di « competenze e priorità nell’acquisizione di dati culturali tra i discendenti della famiglia oritana [degli Amittay] e quelli della famiglia Qalonymos, che la tradizione askenazita sostiene di essere migrata in Germania da Lucca, ma che probabilmente era di origine bizantino-pugliese »21. Ora, è proprio sulla probabilità qui suggerita che vorremmo insistere, sostenendo, assieme a Lelli, che l’origine bizantino-pugliese dei Qalonymos si potrebbe ricavare con una certa facilità dal loro nome greco o, per essere più precisi, nome di origine ebraica che, nel passaggio dalla Terra d’Israele alla Puglia, è stato poi grecizzato22: ‘Qalonymos’, alla lettera ‘bel nome’ – attestato nel giudaismo bizantino – non sarebbe in questa prospettiva altro che la traduzione in greco dell’originario ebraico Shem Tov, ossia ‘bel/buon nome’, l’appellativo con cui gli ebrei erano soliti nominare Dio. Introdotto dunque in Terra d’Otranto ai tempi dell’impero bizantino, il nome Qalonymos avrebbe viaggiato verso il nord della Puglia, a Lucca, e di lì in Germania, arrivando fino in Spagna e in Francia, per tornare nel Sud Italia e stanziarsi infine a Venezia, dove lo ritroviamo abbreviato nella forma Calo (fino a stabilizzarsi nell’attuale Calimani). Ma sulle tappe di questo viaggio – di cui abbiamo forse già anticipato troppo – avremo modo di soffermarci tra breve. Basti al momento sapere che, assieme alla famiglia degli Amittay, quella dei Qalonymos sembra essere stata la principale responsabile della trasmissione del sapere da Oriente ad Occidente: fuggite entrambe da Oria nel IX secolo, la famiglia degli Amittay, dopo essersi rifugiata in Maghreb al tempo delle incursioni saracene, si sarebbe poi divisa tra l’Egitto fatimida e i principati longobardi della Campania; quella dei Qalonymos, trasferitasi a Lucca, sadei lavori letterari più antichi che documenta questa posizione dell’ebraismo italiano è la Cronaca di ’Aতyma‘az, che espone in forma di leggenda, composta in prosa rimata, le realizzazioni di una importante famiglia – i Kalinymides (!!) – dal secolo VIII all’XI ». 21 F. LELLI, Gli ebrei nel Salento: primi risultati delle ricerche in corso, in Gli ebrei nel Salento. Secoli IX-XVI cit., pp. 9-41, in part. p. 20. 22 Cfr. a tal proposito C. ROTH, The Dark Ages. Jews in Christian Europe, 711-1096, London 1966, p. 63; e soprattutto F. LELLI, Apulia’s Judaism as a Metaphor for Mediterranean Judaism, http://www.primolevicenter.org/Essays%26Interviews/Entries/2011/9/4_Apulias_ Judaism_as_a_Metaphor_for_Mediterranean_Judaism.html. Lelli osserva efficacemente qui che ad avvalorare quest’ipotesi ci sarebbe anche un dato linguistico: nel Salento, rimasto a lungo sotto l’impero bizantino, le comunità ebraiche continuarono a usare il greco come lingua di comunicazione ordinaria, quotidiana (utilizzando invece l’ebraico come lingua di comunicazione straordinaria, colta), fino alla conquista normanna.
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rebbe invece giunta a Magonza e a Spira, inaugurando così il movimento pietistico tedesco23. Il cerchio di questa ricostruzione – che si sforza di tenere insieme elementi (almeno apparentemente) non omogenei fra loro, ossia la testimonianza di ’El‘azar da Worms, che fa risalire il suo sapere ai Qalonymos di Lucca e quindi, in definitiva, a ’Abu ’Aharon, da una parte, e il merito attribuito nel Libro delle discendenze a ’Abu ’Aharon di aver portato da Baghdad ad Oria la conoscenza mistica, dall’altra – sembra così chiudersi definitivamente: ad Oria i Qalonymos avrebbero acquisito un patrimonio culturale e spirituale di origine orientale, che sarebbe poi arrivato fino al Nord, via Lucca, e, attraversando le Alpi, avrebbe raggiunto la valle del Reno. Qui, i discendenti dei Qalonymos avrebbero continuato almeno fino al XIII secolo a distinguersi negli ambiti della poesia liturgica e della speculazione mistico-esoterica: si pensi, ad esempio, a Qalonymos ben Mešullam ha-Parnas, che fu a capo della comunità ebraica di Magonza durante le persecuzioni del 1096; a Qalonymos ben Judah ha-Baতur, celebre paytan di Magonza (che nei suoi poemi liturgici racconta le persecuzioni del 1096 di cui egli stesso era stato testimone); e ai vari Qalonymos menzionati (senza tuttavia precisarne il grado di parentela) nella catena di trasmissione del sapere che ’El‘azar ben Yehudah da Worms ripercorre nel passo precedentemente riportato, e cioè Samuel ben Qalonymos he-ণasid (il Pio), fondatore del movimento pietistico tedesco e autore, assieme al figlio Yehudah ben Samuel he-ণasid (il Pio) del Sefer ۉasidim (Libro dei pii), vero e proprio manifesto etico-estatico degli ۉasidei Ashkenaz; o ancora il paytan e cabbalista Yehudah b. Qalonymos ben Moses di Magonza, padre di ’El‘azar ben Yehudah da Worms, per l’appunto, che contribuì alla composizione di una sezione del Sefer ۉasidim. A chiarire, almeno in parte, le (complicate) ramificazioni della famiglia Qalonymos, che per generazioni si trasmette soltanto oralmente un’importante tradizione esoterica, viene in soccorso ancora una volta ’El‘azar ben Yehudah da Worms, che introduce le sue Norme di espiazione come segue: « Queste norme di espiazione per ogni singolo peccato sono l’opera del maestro Rabbi ’El‘azar, figlio del nostro maestro Rabbi Yehudah, come quest’ultimo le Cfr. V. PUTZU, La sapienza nel Sefer hakmǀnƯ di Šabbeܒay Donnolo e la mistica ebraica nella Puglia del Sefer ynjতasƯn, in Šabbeܒay Donnolo. Scienza e cultura ebraica nell’Italia del secolo X cit., pp. 105-139, in part. p. 106. Più in generale, su questo viaggio dall’Italia meridionale alla valle del Reno (e le sue implicazioni a livello culturale), cfr. BONFIL, Cultura ebraica e cultura cristiana in Italia Meridionale cit., p. 11: «[...] I centri ebraici dell’Italia meridionale erano divenuti vie del transito che dall’Oriente conduceva a Roma (via Taranto o Otranto, Venosa, Benevento, Capua) e poi proseguiva per il Nord, via Lucca, Pavia, attraversava le Alpi e raggiungeva la valle del Reno. Se, infatti, si potrà dubitare che tutta la cultura ebraica dell’Europa transalpina sia da attribuire all’emigrazione oltralpe nell’Alto Medioevo di ebrei dell’Italia, non v’è dubbio alcuno che a tale emigrazione sia da attribuire una congrua parte dei centri culturali della regione renana, che dal secolo XI in poi faranno la gloria della cultura ebraica europea». 23
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ha ricevute dal nostro maestro Rabbi Yehudah il Pio [...], figlio del nostro maestro Samuel il Santo, il Pio, il Profeta, figlio del nostro maestro Qalonymos il Vecchio di Spira, figlio del nostro maestro Isacco, figlio del nostro ultimo maestro ’El‘azar. Essi hanno ricevuto [queste tradizioni] maestro dopo maestro, saggio dopo saggio, andando indietro fino al Sinai »24
Proveremo a questo punto ad andare avanti, perché, come in parte già anticipato, si potrebbe continuare a seguire le vicende dei Qalonymos fino al loro ritorno, nel XV secolo, nell’Italia meridionale25, dove questa volta si fanno portatori di tutt’altro genere di sapere – il sapere dei gentili. Una premessa di carattere generale è però necessaria. Dopo la massiccia migrazione iniziata nella seconda metà del X secolo, che aveva portato molti degli ebrei salentini verso luoghi più protetti dagli attacchi islamici, la Puglia torna nella prima metà del XV secolo (e sarà così fino alla conquista spagnola) a ripopolarsi, grazie alla protezione e al favore dei sovrani aragonesi, con cui si chiude, almeno momentaneamente, la serie di persecuzioni anti-giudaiche e di politiche conversionistiche più o meno intense dei periodi precedenti26. L’arrivo di nuove comunità ebraiche, provenienti dall’Italia settentrionale, dalla Provenza e dalla penisola iberica, segna l’inizio di un’importante fase di rivitalizzazione del tessuto culturale, che passa, in un primo momento, essenzialmente attraverso la copiatura di numerosi manoscritti di contenuto medico, scientifico e filosofico, da poco pazientemente recensiti nella loro complessità27: 24 Il passo è tratto da MARCUS, Piety and Society: The Jewish Pietists of Medieval Germany cit., p. 122 (trad. nostra). 25 La comparsa di un Qalonymos nell’Italia meridionale è attestata, in realtà, già agli inizi del XIV secolo: Qalonymos ben Qalonymos di Arles – a cui si farà riferimento tra breve – lavora infatti come filosofo e traduttore presso la corte napoletana di Roberto d’Angiò; ma la sua appartenenza alla famiglia qui considerata è dubbia. 26 Non è ovviamente questa la sede per ripercorrere dal punto di vista storico la politica adottata verso gli ebrei nei periodi normanno-svevo, angioino e poi aragonese: ci limiteremo pertanto qui semplicemente a rinviare a C. COLAFEMMINA, Gli ebrei nel Mezzogiorno d’Italia, in Architettura judaica in Italia: ebraismo, sito, memoria dei luoghi, Palermo 1994, pp. 247255; ID., Gli Ebrei e la Puglia, in Lezioni dalle Scuole estive sul Processo di Pace in Medio Oriente, Bari 2000, pp. 173-180; e i saggi di H. HOUBEN, Gli Ebrei nell’Italia meridionale tra la metà dell’XI e l’inizio del XIII secolo, D. ABUFALIA, L’età sveva e angioina, e G. PETRALIA, L’età aragonese. ‘Fideles servi’ vs ‘regii subditi’: la crisi della presenza ebraica in Italia meridionale, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541 cit., risp. pp. 47-63, 65-78, pp. 79-114. 27 La rivitalizzazione a cui si sta facendo riferimento qui riguarda in modo specifico la Puglia ebraica. In altre zone del Mezzogiorno la situazione era diversa già dal XIII secolo: ebrei erano, infatti, alcuni dei dotti che, assieme ad intellettuali cristiani ed arabi, collaborarono presso la corte di Federico II di Svevia alla realizzazione di un vero e proprio progetto di divulgazione del sapere filosofico e scientifico di matrice greco-araba. Per una ricostruzione della questione, ci permettiamo di rinviare a M. BENEDETTO, Un enciclopedista ebreo alla corte di Federico II. Filosofia e astrologia nel Midrash ha-তokmah di Yehudah ha-Cohen, Bari 2010,
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collocandosi sul solco di un lavoro pionieristico compiuto da Giuliano Tamani attorno ai manoscritti ebraici dell’Italia meridionale28, Abraham David è infatti recentemente tornato a discutere dell’argomento, fornendo un elenco di ulteriori codici ebraici che durante il Quattrocento furono copiati nell’area salentina, e soprattutto a Lecce29. Ora, ciò che della ricostruzione di David più ci interessa è il fatto che uno dei principali copisti dell’epoca fu Crescas Qalonymos, che alla fine del 1437 copiò per il padre, il medico di origine iberica Crescas Me’ir Qalonymos, due opere del filosofo ebreo Abraham bar ণiyya – il trattato filosofico Yesode ha-tevunah u-migdal ha-emunah (Gli elementi della comprensione e la torre della fede), e l’opera matematica ۉibbur ha-mešiۊah we-tišboret (Opera sulla geometria piana e solida), di cui si legge nel colophon: « Ho completato questo libro intitolato Scienza della geometria, in italiano geometria, nell’anno 5198 dalla creazione del mondo, martedì 4 Ševaܒ, qui a Lecce e l’ho scritto per il mio signore e padre, il grande rabbino famoso e rinomato maestro Me’ir Qalonymos ’Eliš, figlio del grande rabbino famoso e rinomato, la sua anima sia avvinta al fascio dei viventi, maestro Me’ir Qalonymos, figlio del grande rabbino, il famoso e rinomato maestro Me’ir Qalonymos »30
Difficile dire a quale nome conduca (o si fermi) questo albero genealogico: seguendo però un’ipotesi posta da Steinschneider, si potrebbe tentare di procedere ulteriormente nella ricostruzione della storia dei Qalonymos, che è anche – com’è già parzialmente emerso, ma si avrà modo di provare ulteriormente – la storia di una significativa circolazione del sapere filosofico e scientifico (di matrice arabo-ebraica). Questa storia allora sembra riprendere con David ben Jacob Me’ir Qalonymos, che secondo l’ipotesi di Steinschneider, a cui si è appena accenin part. pp. 13-75; cfr. inoltre L. PEPI, Lettori e letture di Maimonide nell’Italia meridionale, in Materia Giudaica 11 (2006), pp. 159-168. 28 G. TAMANI, Manoscritti e libri, in L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541 cit., pp. 225-240. 29 Cfr. A. DAVID, I manoscritti ebraici come fonti storiche dell’ebraismo salentino quattrocentesco, in Gli ebrei nel Salento cit., pp. 257-271. Più in generale, sui documenti relativi agli ebrei di Lecce nel Quattrocento, si vedano almeno C. COLAFEMMINA, Documenti per la storia degli ebrei in Puglia nell’archivio di stato di Napoli, Bari 1990; ID., La giudecca di Lecce nei secoli XV e XVI, in Archivio Storico del Sannio 1 (1996), pp. 313-332. 30 Cfr. DAVID, I manoscritti ebraici come fonti storiche dell’ebraismo salentino quattrocentesco cit., p. 261. Non è forse superfluo ricordare, anche solo incidentalmente, che Crescas Me’ir Qalonymos fu noto non soltanto per aver commissionato al figlio la copiatura delle opere appena menzionate, ma anche per essere stato coinvolto (tra il 1420 e il 1422) in una disputa teologica con il dotto cristiano di Venezia Marco Lippomano, di cui resta la parziale corrispondenza in ebraico: cfr. David, I manoscritti ebraici come fonti storiche dell’ebraismo salentino quattrocentesco cit., p. 269; e, più in particolare, G. BUSI, S. CAMPANINI, Marco Lippomano and Crescas Meir. A Humanistic Dispute in Hebrew, in Una manna buona per Mantova. Studi in onore di Vittore Colorni, a cura di M. PERANI, Firenze 2004, pp. 169-202.
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nato, sarebbe figlio del copista Crescas Qalonymos. Il quadro a questo punto potrebbe essere completato ulteriormente (o complicato?) attraverso le parole con cui Juliana Hill Cotton introduce la figura di David ben Jacob Me’ir Qalonymos, e cioè che fu membro di quell’importante famiglia « che si tramandava di padre in figlio una ricca tradizione culturale: i Calonimo furono per secoli medici, astrologi, maestri di ebraico, traduttori di opere filosofiche arabe »31. Se le cose stessero effettivamente così, se cioè facessimo valere l’ipotesi di Steinschneider, e la leggessimo assieme alla presentazione di J. Hill Cotton, avremmo in qualche modo chiarito le vicende di una famiglia che, partita dall’Italia meridionale con un patrimonio mistico-esoterico, dopo il passaggio in Germania e in Spagna, vi fa ritorno e continua – sia pure in forme diverse – l’antico progetto di diffusione e trasmissione del sapere. Oltre che medico e astrologo presso la corte napoletana di Ferrante I di Aragona (cosa che gli valse l’esonero dalle tasse gravanti sul resto della comunità ebraica di Napoli)32, David ben Jacob Me’ir Qalonymos fu infatti autore di due trattati astrologici in ebraico – uno sulla congiunzione di Giove e Saturno, e l’altro sugli effetti astrologici dei pianeti33 –, e di un’epistola « in dicta Gazzali quoad sententiam Platonis de animae unitate »34 (l’ebraica Iggeret ‘al Ibn Rušd, o Epistola su Averroè, risalente al 1484), forse un commento alla Destructio destructionum, composto per uno dei suoi sei figli, ণayyim, egli stesso astrologo. L’epistola, che non è stata ancora oggetto di alcuno studio, meriterebbe di essere analizzata, anche per ricostruire nel modo più completo possibile le vicende della ricezione di Averroè e della sua Destructio destructionum in ambito ebraico (e quindi latino)35. 31 J. HILL COTTON, Calonimo (Calomymos, Kalonymos), Davide, in Dizionario Biografico degli Italiani 16 (1973), http://www.treccani.it/enciclopedia/davide-calonimo_(Dizionario_ Biografico)/. E anticipando, potremmo già dire che troviamo poi una conferma di questo nelle parole con cui Steinschneider introduce il figlio di David Qalonymos, e cioè Qalonymos ben David: « ex familia Kalonymorum »; e qualche riga dopo, « Ex Italia familiae antiquae stirps Saec. IX [...] transplantata est in Germaniam, ad cuius ramos ibi et in Gallia boreali potissimum diffusos pertinent plurimi saec. XI-XIII » (M. STEINSCHNEIDER, Catalogus librorum Hebraeorum in Bibliotheca Bodleiana, Berolini 1852-60, coll. 1574-1575, in part. 1574). 32 Sulla questione cfr. almeno C. COLAFEMMINA, La tutela dei Giudei nel Regno di Napoli nei ‘Capitoli’ dei sovrani aragonesi, in Studi storici meridionali 7 (1987), pp. 297-310; e ancora, C. COLAFEMMINA, I Capitoli concessi nel 1465 da Ferrante I ai giudei del Regno, in Studi storici meridionali 12 (1992), pp. 279-303. 33 Cfr. R. LEICHT, Toward a History of Hebrew Astrological Literature, in Science in Medieval Jewish Cultures, ed. by G. FREUDENTHAL, New York 2011, pp. 255-291, in part. p. 280. 34 Cfr. STEINSCHNEIDER, Catalogus librorum Hebraeorum in Bibliotheca Bodleiana cit., col. 1575. 35 Come osserva Zonta, approfondire la “lettura ebraica” di Averroè significherebbe ricostruire la storia della filosofia ebraica tardomedievale: cfr. M. ZONTA, Linee del pensiero islamico nella storia della filosofia ebraica medievale, in Annali dell’Università degli Studi di
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Ciò che di certo si può dire è che la circolazione di quest’opera averroista (nonché di altre opere filosofico-scientifiche arabe) continua con Qalonymos ben David, noto anche con il nome di Maestro Calo Calonimo, figlio dell’appena menzionato David ben Jacob Me’ir Qalonymos. Assieme ad Abraham de Balmes ed Elia Del Medigo, Qalonymos ben David si colloca a pieno titolo nel novero degli intellettuali ebrei che permisero agli umanisti cristiani di conoscere le opere i cui originali arabi erano all’epoca irreperibili oppure, in alternativa, di rileggerle in una versione più chiara e soddisfacente rispetto a quella già disponibile. In genere – è forse bene ricordare a tal proposito assieme a Tamani – « le versioni latine di opere islamiche erano così ricercate che a commissionare agli ebrei nuove versioni furono non solo filosofi e medici cristiani, ma anche editori che, a causa della grande diffusione di tali opere, erano ben disposti a pubblicarle »36. Cercheremo allora di capire che cosa effettivamente avesse spinto Qalonymos ben David alla rielaborazione, o alla traduzione, di opere filosofiche e scientifiche arabe. Addottoratosi in medicina a Napoli, Qalonymos ben David soggiornò a Bari per un breve periodo durante il quale copiò, nel 1494, una raccolta di opuscoli astronomici che egli stesso aveva tradotto dal latino (si tratta di fatto dei capitoli di un non meglio precisato trattato astronomico di J. M. Regiomontano)37. A seguito della prima espulsione degli ebrei dal Regno di Napoli, nel 1510, Qalonymos ben David si trasferì a Venezia, che era all’epoca il centro in assoluto più importante dell’editoria filosofica e scientifica; e lì, oltre a comporre opere originali (il Liber de mundi creatione physicis rationibus probata, completato nel 1523, e poi pubblicato a Venezia nel 152738; e la Porta accentuum, un supplemento in ebraico e latino alla grammatica, essa stessa in ebraico e latino, dal titolo Miqneh ’Avram / Peculium Abrahami, di Abraham de Balmes), tradusse, e in un caso, come vedremo, ri-tradusse, in latino opere di origine araba: a lui si deve infatti la traduzione del trattato Theorica planetarum di al-Bi৬rnjۜƯ Napoli ‘L’Orientale’ 57 (1997), pp. 450-483, in part. p. 463. 36 Cfr. G. TAMANI, Traduzioni ebraico-latine di opere filosofiche e scientifiche, in L’hébreu au temps de la Renaissance. Ouvrage collectif recueilli et édité, éd. I. ZINGUER, Leiden-New YorkKöln 1992 (Brill’s Series in Jewish Studies, 4), pp. 105-114, in part. p. 105. 37 La scoperta degli opuscoli astronomici copiati da Qalonymos ben David si deve a TAMANI, Manoscritti e libri cit., p. 226. Niente di più viene detto su questa raccolta, se non che è documentata nel ms. 2637/9 (De Rossi 336) conservato nella Biblioteca Palatina di Parma (TAMANI, Traduzioni ebraico-latine di opere filosofiche e scientifiche cit., p. 106). 38 Cfr. quello che sembra essere al momento l’unico studio specifico sull’opera: S. DI DONATO, Il Kašf ‘an ManƝhig di Averroè: confronto fra la versione latina di Abraham de Balmes e le citazioni di Calo Calonimo nel De mundi creatione, in Materia Giudaica 9/1-2 (2004), pp. 241-248.
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(l’Alpetragius dei latini)39; la traduzione del Libellus seu Epistola Averrois de connexione intellectus abstracti cum homine; e la traduzione della Destructio destructionum, completata nel 1526 e pubblicata a Venezia nel 152740, a pochi decenni di distanza dalla pubblicazione di una precedente traduzione in latino della stessa opera. Sempre a Venezia, infatti, era stata data alle stampe, già nel 1497, la traduzione arabo-latina dell’Incoerenza dell’incoerenza (TahƗfut al-tahƗfut) di Averroè: a realizzarla era stato Qalonymos ben Qalonymos ben Meir (1286-1328), filosofo e traduttore provenzano (originario, per la precisione, di Arles), attivo presso la corte di Roberto d’Angiò, ad Avignone prima e a Napoli poi. Adottando una politica di promozione del sapere, inaugurata da Federico II, e condivisa successivamente da Manfredi, Roberto d’Angiò aveva commissionato a Qalonymos ben Qalonymos, che già durante il suo soggiorno in Provenza (e cioè tra il 1306 e il 1317) aveva tradotto in ebraico almeno trenta testi filosofico-scientifici arabi41, la traduzione dell’Incoerenza dell’incoerenza: la versione arabo-latina che Qalonymos L’opera fu pubblicata a Venezia nel 1531 con il titolo di Alpetragii Arabi Theorica Planetarum nuperrime latinis mandata literis a Calo Calonymos hebreo neapolitano, ubi nititur salvare apparentias in motibus planetarum absque eccentricis et epicyclis. 40 La prima edizione – quella del 1527 – racchiudeva in un unico volume la Destructio destructionum, l’Epistola e il Liber de mundi creatione sotto il titolo, già di per sé significativo, Subtilissimus liber Averois qui dicitur destructio destructionum philosophie Algazelis nuperrime traductus et sue integritati restitutus. Adiunctis multis disputationibus Algazelis nusquam penes Latinos repertis: cui additus est libellus seu epistola Aver. De connexione intellectus abstracti cum homine ab eximio Artium et Medicine Doctor Calo Calonymos hebreo neapolitano atque preclarum eiusdem volumen De mundi creatione physicis probata rationibus. Non è forse fuori luogo ricordare a tal proposito che la traduzione di Qalonymos ben David della Destructio destructionum fu poi inclusa (nel 1550-1552) nell’editio princeps dell’Opera omnia di Averroè. 41 Conviene a questo punto precisare che Qalonymos ben Qalonymos – oltre a tradurre alcune opere filosofiche di al-FƗrƗbƯ – tradusse in ebraico prevalentemente i Commenti medi (ai Meteorologici, alla Fisica, alla Metafisica) e i Commenti grandi (alla Metafisica, agli Analitici Posteriori, alla Fisica) di Averroè, che all’epoca rappresentavano l’unico accesso possibile alla lettura integrale degli scritti di Aristotele. Il fine ultimo era quello di creare un vero e proprio Corpus aristotelicum ebraico: cfr. M. ZONTA, La filosofia antica nel Medioevo ebraico. Le traduzioni ebraiche medievali dei testi filosofici antichi, Brescia 1996, pp. 239-245, in part. pp. 240-241. Cfr. inoltre a tal proposito, A. I. SHINEDLING, Kalonymos ben Kalonymos ben Meir, in Universal Jewish Encyclopedia, vol. VI, New York 1942, pp. 300-301. Più in generale, sul contributo dei dotti ebrei alla riscoperta di Averroè, si vedano P. FENTON, Le rôle des juifs dans la transmission de l’héritage d’Averroès, in L’actualité d’Averroès. Le huitième centenaire de la naissance d’Averroès (1198-1998), ed. by M. H. SAMRAKANDI, Toulouse 1999 (Horizons Maghrebins, 40), pp. 33-42; M.-R. HAYOUN, L’averroïsme dans les milieux intellectuels du judaïsme: Moïse de Narbonne (1300-1362) et Eliya Delmédigo (v. 1460-1493), in Averroès et l’averroïsme (XIIe-XVe siècle). Un itinéraire historique du Haut Atlas à Paris et à Padoue, éd. A. BAZZANA, N. BÉRIOU, P. GUICHARD, Lyon 2005 (Collection d’Histoire et d’Archéologie Médiévales, 16), pp. 275-306; e H. DAIBER, Ibn Rushd in the Latin Middle Ages, in ID., Islamic Thought in the Dialogue of Cultures. A Historical and Bibliographical Survey, Leiden-Boston 2012 (Themes in Islamic Studies, 7), pp. 138-142. 39
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realizzò nel 1328 per il « novello Salomone » – come viene definito Roberto d’Angiò nella dedica di Qalonymos stesso – includeva, oltre al prologo di Averroè, quattordici delle sedici disputationes in metafisica, mentre ometteva le quattro disputationes in fisica42. Occorre a questo punto ulteriormente precisare. Nei primi decenni del Trecento erano state realizzate nella Provenza ebraica anche altre traduzioni dell’opera averroista, questa volta dall’arabo in ebraico: una, anonima, era stata composta per difendere, assieme ad Averroè, l’aristotelismo dalle accuse di al-ƤazƗlƯ; l’altra, di Qalonymos ben David ben Todros, che potrebbe essere stato spinto al lavoro dalla notizia dell’iniziativa già presa in ambito latino43, era stata invece realizzata allo scopo simmetricamente opposto di mostrare, in linea con al-ƤazƗlƯ, le contraddizioni interne all’aristotelismo, e difendere così i fondamenti della religione44. Dell’Incoerenza dell’incoerenza abbiamo, in sintesi, per lo più nello stesso periodo, la traduzione arabo-ebraica di un autore anonimo e di Qalonymos ben David ben Todros, e la traduzione arabo-latina di Qalonymos ben Qalonymos, pubblicata, come si accennava precedentemente, nel 1497, con un lungo commento di Agostino Nifo (e una dedica dello stesso Nifo al cardinale Domenico Grimani). Come spiegare, allora, la versione latina realizzata da Qalonymos ben David di un’opera che era già accessibile in latino (e che per giunta era stata pubblicata relativamente da poco)? Forse che Qalonymos ben David non fosse a conoscenza della traduzione esistente? In effetti, sono due le ipotesi avanzabili a tal riguardo: 1. seguendo la premessa iniziale, si potrebbe ammettere che la realizzazione di una nuova versione della De42 Cfr. B. H. ZEDLER, Introduction, in EAD., Averroes’ Destructio Destructionum Philosophiae Algazelis in the Latin Version of Calo Calonymos, Milwaukee 1961, pp. 1-62: l’autrice, nella sua introduzione alla traduzione della Destructio, ricostruisce accuratamente la storia dell’opera averroista. 43 Sulla questione, cfr. ZONTA, Linee del pensiero islamico nella storia della filosofia ebraica medievale cit., pp. 464-465. 44 In realtà, Qalonymos ben David ben Todros appone alla sua traduzione una premessa, in cui elenca, oltre a quelle appena menzionate (che del resto sembrano essere le ragioni più rilevanti), anche altre ragioni della sua traduzione: (1.) rispondere con questo lavoro alla richiesta da parte dei dotti ebrei di conoscere l’opera di al-ƤazƗlƯ; (2.) impegnarsi nel difendere la propria religione, seguendo in questo il modello offerto da al-ƤazƗlƯ che, pur appartenendo ad una religione falsa, si è comunque preoccupato di sostenerla; (3.) essersi trovato nella necessità di tradurre Averroè, perché qualora fosse stato in possesso della sola opera di al-ƤazƗlƯ, o qualora l’opera di al-ƤazƗlƯ fosse stata inclusa nella sua interezza nel libro di Averroè, non si sarebbe preoccupato di tradurre obiezioni di Averroè; (4.) mostrare come Averroè, nel tentativo di provare l’infondatezza delle tesi di al-ƤazƗlƯ, abbia di fatto utilizzato argomentazioni talmente deboli da rendere quelle più accettabili, e le sue invece estremamente inefficaci (cfr. M. STEINSCHNEIDER, Die Hebräischen Übersetzungen des Mittelalters und die Juden als Dolmetscher, Berlin 1893, I, pp. 332-333).
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structio destructionum fosse stata motivata dall’esigenza di migliorare la versione disponibile in latino; 2. è probabile, per quanto assai poco plausibile, che la traduzione della Destructio destructionum di Qalonymos ben Qalonymos non avesse avuto una circolazione talmente ampia da raggiungere Qalonymos ben David. La soluzione, in realtà, giunge direttamente, e inequivocabilmente, da ciò che lo stesso Qalonymos ben David premette alla sua traduzione dell’opera averroista, che qui ora riportiamo per intero (viene esclusa da questa citazione solamente la dedica finale ad Ercole Gonzaga): « Quoniam scientia divina que methaphysica nuncupatur [...] cunctas scientias superat subiectum enim eius est supremum et ipsa est ultimus finis ad quem omnes diriguntur ideo libri de ea pertractantes pre ceteris aliarum scientiarum principatum obtinet. Attamen perquirentes ea que scripta sunt in hac scientia et notabilia quidem non nisi duodecimum metaphysice principis philosophorum reperimus. Et si idem princeps libellos multos in metaphysicis ediderit prout Averoes in hoc opere recitavit non reperiuntur tamen in Italia nec apud latinos nec apud hebreos. Licet etiam parce locutus fuerit idem Aristo. in 12. de scientia divina et forte quoniam vires eius in naturalibus tanquam sensibilibus vigebant in quibus quidem se dilatare poterat non autem sic in divinis sunt enim supranaturalia et nisi a superioribus recipiantur prout leges docent vi ingenii tam ample amplecti non possunt. Ego autem videns librum destructionum philosophie Algazelis ac destructionis distructionum Averois concludere tot et tanta quesita metaphysicalia pre ceteris presertim eundem Averoim afferre mirabilia licet non sponte ad hoc enim excitatus ab Algazeli quasi coacte ad occulta patefaciendum devenit hunc librum quidem in methaphysicis die noctuque amplexus sum. Et cum viderim eundem librum ambarum destructionum repertum apud Latinos fragmentatum et diminutum immo involutum precipue deficientibus quattuor ultimis disputationis naturalibus et principalibus quidem magni momenti repertum vero apud Hebreos in omnibus completum prout infra clare videbitur ideo hoc opus ab hebraico in latino transferre decrevi. Et si aliquando in traductione asper visus fuerim (salvis impressoris erroribus parcat) tamen mihi lector quia verba auctorum et precipue Algazelis sic posita ne a tramite verborum eorum deviem ad hoc coacte me inducunt »45
La premessa alla traduzione, che di fatto non compare nell’editio princeps dell’Opera omnia di Averroè, in cui la Destructio di Qalonymos ben David è inclusa, offre più di un motivo di interesse. Prima di tutto, essa ci informa circa il metodo adottato da Qalonymos nel rendere l’opera in latino: l’intento – per ammissione dell’autore stesso – è quello di non deviare dal percorso tracciato dalle parole degli autori, et precipue Algazelis, con il risultato di una traduzione talmente fedele all’originale da essere in alcuni punti persino ostica. Ancora più a monte, 45
ZEDLER, Introduction cit., pp. 57-58.
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MARIENZA BENEDETTO
tuttavia, la premessa fornisce dati importanti sulla geografia intellettuale dell’Italia degli inizi del Cinquecento (quali fossero i testi che circolavano all’epoca), da una parte, e sulle ragioni ultime di questa traduzione, dall’altra: sembra che proprio la scarsa conoscenza in Italia, tanto presso i latini quanto presso gli ebrei, di scritti di metafisica diversi dal XII libro della Metafisica di Aristotele, avesse spinto Qalonymos ad occuparsi die noctuque dell’opera averroista, e a farlo sulla base della versione più completa che egli aveva a sua disposizione – la versione realizzata dall’arabo in ebraico. Rispetto a quest’ultima, la traduzione latina già esistente non era solo, secondo le parole dello stesso Qalonymos ben David, oscura, ma anche (e soprattutto) manchevole delle ultime quattro disputationes; di qui la decisione di rimettere mano all’opera averroista, fornendone una versione latina integrale (composta cioè delle venti disputationes originarie – sedici in metaphysicis e quattro in physicis), sulla scorta della versione arabo-ebraica, che era, per l’appunto, l’unica a presentare il testo nella sua completezza. Che poi, in generale, le traduzioni ebraiche delle opere di Averroè fossero secondo Qalonymos ben David superiori per completezza e affidabilità a quelle latine (e, esattamente per questo motivo, dovessero essere rese disponibili in latino), si evince anche dalla premessa della traduzione all’Epistola de connexione intellectus abstracti cum homine, in cui si legge espressamente: « Nec destitit in senectute multos et multos edere libellos et epistolas quibus quidem se castigavit in multis quesitis de eis que in predictis commentariis dixerat ac se clarius elucidat si diminute in eis se gesserat. Que omnia fere volumina apud hebreos reperiuntur et correcta quidem non autem corrupta ut plurima que apud latinos, ex quibus perfecte mens Averrois ad mentem Aristotelis in omnibus suis operibus iam dictis elicitur. Et si mihi exercitio medendi in hac Inclyta Venetiarum urbe impedito non sit falcultas libellos illos omnes excedentes quidem et quantitate et qualitate vires meas in latinum transferendi »46
In un caso, come nell’altro, la traduzione è pertanto esplicitamente finalizzata a restituire alla sua integrità e alla sua correttezza l’opera di Averroè. Ciò che però è interessante rilevare a questo punto – ed era forse in qualche modo già intuibile dal precipue Algazelis riportato nella premessa alla Destructio destructionum – è che, dietro questo desiderio di ricostruire nella maniera più precisa possibile il pensiero di Averroè, sembra nascondersi l’intento di mostrare l’infondatezza, o la debolezza, delle sue argomentazioni. Ed è ancora volta una premessa – quella che ora introduce all’opera originale di Qalonymos, il Liber de mundi creatione physicis rationibus probata precedentemente menzionato – a provare concretamente questa lettura “diffidente” delle tesi averroiste. Spiegando infatti le motivazioni ultime della stesura della sua opera, Qalonymos chiaramente scrive: 46
ZEDLER, Introduction cit., p. 27 nt. 58.
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I QALONYMOS
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« Ego veritate ductus erronee opinioni obviare cupiens dicentium philosophiam ipsam veras demonstrationes de antiquitate universi adhibere contra creationem fundamentum quidem omnium legum hoc opus destructio antiquitatis nuncupatum edere decrevi in quo nitor particulares vias ex quibus recentiores antiquitatem colligunt narrare ac rationis vi ex philosophia ipsa assumpta esse fallacias non autem demonstrationes patefacere. Et si aliqui fidei sapientes in hoc scripserint quia tamen brevitate quadam parci fuerunt non devenientes quidem ad particularia obiicienda Aristotelis verba ac etiam Averrois pessimi fidei adversarii in suis diversis philosophie operibus ad hoc opusculum devenimus in quo quidem ordine quodam premissis antiquorum opinionibus ad omnes particulares vias dirigentes ad creationem affirmandam et vicissim antiquitatem destruendam veniemus »47
Non mancano, del resto, all’interno del Liber de mundi creatione, luoghi – passati in rassegna dalla Zedler48 – nei quali Qalonymos prende apertamente posizione contro la malignità o la perfidia di Averroè, nemico della religione, e l’estrema debolezza delle sue argomentazioni filosofiche. Un dato rimane comunque incontrovertibile: richiamandosi, sia pure in negativo, ad Averroè nell’ambito della sua opera, e traducendone la Destructio destructionum e l’epistola De connexione intellectus abstracti cum homine, Qalonymos ben David porta evidentemente avanti un progetto – familiare, potremmo a questo punto dire – che, iniziato nella prima metà del Quattrocento sotto forma di copiatura per un membro della propria famiglia di opere filosofico-scientifiche ebraiche, diventa via via di più ampio respiro, proponendosi la rielaborazione (talvolta assolutamente originale) e la divulgazione presso un pubblico latino del patrimonio filosofico e scientifico arabo. Il filo che abbiamo seguito finora attraverso testimonianze che si intrecciano (forse troppo spesso) a semplici congetture ci permette di concludere che, attraverso i Qalonymos, prende corpo un duplice processo di circolazione del sapere, che pone la Puglia, e più in particolare l’area salentina, nel mezzo di un crocevia decisivo, o meglio ancora di un chiasmo – quello che si dà fra est e ovest nella trasmissione della conoscenza mistico-esoterica di origine orientale, che i Qalonymos portano dalla Terra d’Otranto fino alla valle del Reno, e poi di qui in altre zone d’Europa; e fra queste stesse zone e il nord Italia nella trasmissione del sapere filosofico-scientifico di origine araba ed ebraica di cui i Qalonymos, tornati in Puglia, si fanno promotori a Venezia.
47 48
ZEDLER, Introduction cit., p. 47 nt. 122. ZEDLER, Introduction cit., p. 49 nt. 126.
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FABRIZIO LELLI L’INFLUENZA LESSICALE GRECA SULLA PRODUZIONE LETTERARIA DEGLI EBREI SALENTINI
Una questione basilare degli studi ebraistici riguarda la possibilità di definire una comunità ebraica (o un gruppo di comunità all’interno di una stessa regione) in funzione dell’area geografica e culturale in cui è insediata. Ad esempio, ci si chiede, spesso erroneamente, a che cultura appartenga un ebreo italiano o, in altri termini, che cosa significhi essere ebreo italiano dal punto di vista dell’appartenenza culturale. L’italiano di religione ebraica segue la cultura del suo tempo, quella in cui si è formato e che in genere è analoga, se non identica, alla cultura della maggioranza presso cui è cresciuto. Tuttavia, data la mobilità della società ebraica, dovuta a infinite ragioni, perlopiù economiche e politiche, la questione talora è molto più complessa, perché ovviamente la definizione di appartenenza culturale varia con il variare delle circostanze storiche e sociali in cui un singolo o un insieme di individui si sono stabiliti in una determinata area. Ho ritenuta necessaria questa premessa perché tale è la questione che ci poniamo quando si tenta di definire l’appartenenza culturale degli ebrei stanziati in Puglia in età medievale: dato il costante mutamento delle condizioni di tolleranza offerte dai governi che si succedettero nella regione, date dunque le frequenti modifiche dell’assetto socio-economico – non solo a livello locale –, le comunità pugliesi furono costantemente soggette a cambiamenti che ne condizionarono la cultura – o meglio le culture – nel corso dei secoli. Arricchiti da un costante flusso migratorio da altre regioni, ma indeboliti da ricorrenti campagne discriminatorie e da provvedimenti di conversione forzata al cristianesimo, i nuclei giudaici dei centri pugliesi “appartennero” a varie identità, locali ed esterne, e la loro definizione in termini di “appartenenza” è pertanto complessa. Il caso specifico degli ebrei salentini dei secoli IX-XII è particolarmente illuminante per chiarire alcune di tali dinamiche. I principali centri della regione estremo-meridionale della Puglia conobbero insediamenti ebraici fin da epoca romana. È possibile dunque che una parte della popolazione giudaica medievale discendesse da tali stanziamenti. La documentazione in nostro possesso – non particolarmente ricca, ma sufficiente a fornire un quadro generale della stratificazione sociale e culturale dell’ebraismo salentino di età alto-medievale – ci consente di sviluppare in varie direzioni la ricerca dell’appartenenza, soprattutto per quanto riguarda la lingua o le lingue parlate da tali comunità.
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FABRIZIO LELLI
Dal materiale archeologico – soprattutto iscrizioni tombali – si osserva l’uso di indicare sulle lapidi il nome del defunto in greco, oltre che in ebraico (talora anche in latino)1. A un certo momento però l’uso del greco scompare, il che ha permesso di ipotizzare che in Salento non ci si servisse più di quella che era stata per secoli la lingua principale di comunicazione e di cultura dell’ebraismo del Mediterraneo orientale. Eppure gli ebrei pugliesi continuarono a mantenere stretti contatti con le comunità dell’impero bizantino e certamente continuarono a servirsi del greco come lingua franca per i commerci. Per spiegare il fenomeno pugliese è opportuno considerare alcune delle caratteristiche principali dell’ebraismo bizantino. Gli ebrei rappresentavano una delle tante minoranze etniche felicemente integrate nella compagine sociale dell’impero, anche se dopo la diffusione del cristianesimo e la sua elevazione a religione di stato iniziarono a divenire sempre più spesso oggetto di discriminazione. Proprio per questo essi continuarono a spostarsi, anche in funzione del mutare delle esigenze commerciali. L’attestazione degli stessi personaggi sulle due sponde dell’Adriatico lascia comprendere, ad esempio, la mobilità di individui e gruppi ebraici tra Puglia e area balcanico-bizantina: un caso interessante è quello del fondatore della sinagoga di Saranda, recentemente scavata da una missione israeliana nell’attuale Albania meridionale. L’edificio fu costruito tra il V e il VI secolo da un ebreo leccese, della cui figlia si conserva ancora la lapide sepolcrale nelle catacombe ebraiche di Venosa2. Si pensi inoltre alle ben più note e studiate vicende degli antenati di Aতimaǥaৢ ben Palti’el da Oria, contenute nel suo Sefer yuۊasin (Libro delle discendenze), che provano i rapporti intellettuali tra IX e XI secolo degli ebrei salentini con i Balcani, la Palestina, l’Africa settentrionale e addirittura la Mesopotamia, verificati dalla documentazione epistolare conservata nella Genizà del Cairo3. Come è noto, numerosi furono gli autori ebrei che, a contatto con la cultura greco-ellenistica, decisero di servirsi del greco come lingua per la redazione delle loro opere, sia che esse fossero indirizzate ad un pubblico ebraico cosmopolita sia che fossero destinate ai non ebrei. Si pensi, ad esempio, ai testi biblici del canone alessandrino, ma anche alle traduzioni greche della Bibbia, alle opere di Filone e di Giuseppe Flavio, ai libri del Nuovo Testamento, tutte composte da ebrei che aderivano ad una religio1 Si veda D. NOY, The Jews in Italy in the First to Sixth Centuries C.E., in The Jews of Italy. Memory and Identity, a cura di B. D. COOPERMAN e B. GARVIN, Bethesda, Md. 2001, pp. 47-64. 2 G. FOERSTER, The Israeli-Albanian Excavation Project of a 5th-6th Century Synagogue at Saranda, Southern Albania, comunicazione presentata il 17 ottobre 2012 nell’ambito del convegno The Jews in South Italy (Bari-Trani, 15-18 ottobre 2013, in pubblicazione). 3 Si veda R. BONFIL, History and Folklore in a Medieval Jewish Chronicle: The Family Chronicle of Aima‘az ben Paltiel, Leiden 2009.
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sità variamente rinnovata ma che comunque continuavano a rivolgersi ai depositari dell’antica tradizione di fede. Possiamo immaginare che siano esistite infinite altre opere scritte in greco da autori ebrei e oggi perdute. Gli ultimi scritti di tale produzione a noi pervenuti risalgono alla prima metà del II secolo. Di epoche successive, a Bisanzio come in Salento, restano solo le epigrafi tombali. L’idea che traspare da quanto è sopravvissuto dell’antichità è che lo scopo degli autori fosse quello di tradurre non solo semanticamente ma anche ideologicamente termini e costrutti ebraici in greco: questo, ad esempio, è ciò che si osserva nella traduzione del Pentateuco, mentre nelle versioni di altri libri biblici, soprattutto quelli più tardi, il Cantico o l’Ecclesiaste, si procede al contrario a forzare la lingua greca all’interno di uno stampo di ascendenza decisamente ebraica4. Probabilmente quest’ultima tendenza si associa alla rinascita dell’ebraico nelle comunità siro-palestinesi di età tardo-imperiale, il che spiegherebbe l’uso di questa lingua in una forma più moderna rispetto a quella degli ultimi testi compresi nel canone biblico: il modello diviene l’ebraico della Mišnà, dei midrašim più antichi e forse anche del Sefer ye܈irà (Libro della formazione), tutte opere composte nei primi secoli dell’era volgare, che vennero ampiamente apprezzate e studiate nell’ambito salentino5. Tali opere, composte in aree in cui il greco era la lingua culturale per eccellenza, rivelano la presenza di vocaboli e interferenze linguistico-concettuali con questa lingua6. Tuttavia nel Salento, così come a Bisanzio, nonostante la volontà di appartenere all’ambito culturale greco, la coscienza ebraica si manifestò principalmente nei termini di un’adesione alla lingua ebraica biblica, mentre si continuò ad operare una trasfusione di contenuti concettuali derivati dall’ambito intellettuale dominante nella diaspora in cui gli ebrei risiedevano. A questa situazione contribuirono forse anche le frequenti persecuzioni antigiudaiche nel mondo bizantino. Per indurre alla conversione, almeno a partire dall’epoca di Giustiniano, si obbligarono le minoranze a servirsi del greco nella liturgia. Fu quanto probabilmente provocò la reazione degli ebrei, che recuperarono la lingua biblica anche nella produzione letteraria. È stato sostenuto che la lettura della Bibbia ebraica sia stata a lungo accompagnata da una traduzione ufficiale in greco7, 4 Sull’uso del greco nella Palestina bizantina si veda J. YAHALOM, Piyyut in Byzantium: A Few Remarks, in The Jews in Byzantium. Dialectics of Minority and Majority Cultures, a cura di R. BONFIL, O. IRSHAI, G. G. STROUMSA e R. TALGAM, Leiden 2013, pp. 317-335: 320. 5 Si veda A. GEULA, Midrašim composti nell’Italia meridionale, in Gli ebrei nel Salento (secoli IX-XVI), a cura di F. LELLI, Galatina 2013, pp. 43-74. 6 La questione era già stata affrontata da J. FÜRST, Glossarium Graeco-Hebraicum oder der griechische Wörterschatz der jüdischen Midrasch-Werke. Ein Beitrag zur Kultur- und Altertumskunde, Strassburg 1890-91. 7 Si veda N. DE LANGE, The Jews of Byzantium and the Greek Bible: Outline of the Problems
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una specie di targum, e che alcune preghiere siano state recitate in greco fino a epoca relativamente tarda. Ci sono pervenuti vari libri di preghiera (siddurim) manoscritti, databili dal XIV al XVI secolo, che contengono versioni greche del libro di Giona da leggere per la ricorrenza del Kippur. Altri siddurim del minhag romaniota riportano la versione greca della formula sinagogale che annuncia la luna nuova8; esistono numerose trenodie (qinot) per il 9 di Av e aggiunte al servizio dei “giorni terribili”, di Šavuǥot, di Purim e di Mo܈a’e Šabbat9. Dunque, benché perfettamente in grado di comporre materiali liturgici in greco, gli ebrei bizantini avrebbero deciso di preferire l’ebraico biblico rivitalizzato (come è evidente nel caso delle iscrizioni funerarie), per sconfiggere il problema dell’assimilazione e della perdita di identità religiosa. Tutti i manoscritti superstiti contenenti il rito di preghiera bizantino sono infatti redatti in ebraico10. Non sarà casuale che la prima metà del IX secolo, epoca di ripresa economica e politica a Bisanzio, corrisponda a un periodo di rinascita dell’ebraismo bizantino in generale e delle comunità salentine in particolare, come ci informa il Sefer yuۊasin di Aতimaǥaৢ da Oria. Da quest’opera ci giungono importanti dettagli della vita quotidiana e culturale delle comunità locali, sempre più convinte della necessità di assicurare la continuità della propria identità attraverso il culto (modificato in chiave babilonese – e a questo slittamento, descritto nel Sefer yuۊasin, verso l’orbita culturale mesopotamica potrebbe essere dovuta l’ulteriore riduzione dell’influenza linguistica greca11). Tuttavia si mantenne il contatto con le tendenze scientifiche e le concezioni dottrinali contemporanee, espresse in greco. Si tratterebbe dunque di un’ “appartenenza mista”, della quale abbiamo testimonianza nella ricca produzione innografica del Salento bizantino del IX-XI secolo. Accanto ad una feconda produzione “oritana”, che vede il suo culmine tra il IX e il X secolo, si sviluppa quella del centro “otrantino”, di poco più tarda: le preghiere degli autori salentini risentono stilisticamente dei materiali palestinesi precedenti ma veicolano contenuti che si fondano su dibattiti dottrinali in corso a Bisanzio: si avverte l’eco, a distanza di tempo, del tentativo di normalizzare nei termini di legge le pratiche liturgiche e le credenze di fede ebraica, attestato fin dall’epoca di Giustiniano. La Novella 146, datata 8 febbraio 553, oltre a stabilire che la and Suggestions for Future Research, in Rashi 1040-1990: Hommage à Ephraim E. Urbach, éd. par G. SED-RAJNA, Paris 1993, pp. 203-210. 8 Cioè il nuovo mese; si veda N. DE LANGE, Hebrew/Greek Manuscripts: Some Notes, in Journal of Jewish Studies 46 (1995), pp. 262-270. 9 L. J. WEINBERGER, Jewish Hymnography. A Literary History, London e Portland, Or., 1998, p. 194. 10 N. DE LANGE, Hebraism and Hellenism: The Case of Byzantine Jewry, in Poetics Today 19/1 (1998), pp. 129-145: 134-135. 11 Si veda BONFIL, History and Folklore cit., p. 96.
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lettura pubblica delle Scritture non doveva essere condotta solo in ebraico ma anche in greco (come si è detto) o un’altra lingua comprensibile dal pubblico, proibiva la įİȣIJȑȡȦıȚȢ (cioè gli insegnamenti rabbinici: il termine greco è la traduzione esatta del vocabolo ebraico Mišnà ed è interessante rilevare qui una delle prime tracce dell’interdizione cristiana della letteratura giuridica rabbinica, divenuta in seguito una costante della polemica tra chiesa e ebraismo fino all’età moderna); la stessa Novella ordinava l’espulsione dalle comunità di quanti negassero la resurrezione, il giudizio divino o la fede negli angeli come entità create12. È interessante osservare che proprio questi furono alcuni degli elementi centrali della speculazione degli innografi salentini e balcanici coevi: in particolare, è rilevante il ruolo degli angeli nella creazione (immaginati dai poeti di Oria nell’atto di assolvere complessi compiti cosmogonici, alla stregua di divinità o semidei del mondo classico, come ha ben evidenziato Moshe Idel13). Ecco, dunque, un’ulteriore prova del fenomeno della appartenenza culturale complessa degli ebrei pugliesi: elementi del dibattito intellettuale della maggioranza vengono assorbiti anche all’interno di testi destinati all’uso quotidiano. Torniamo all’analisi linguistica. I testi della Genizà del Cairo, che, come si è detto, in mancanza di altri documenti letterari ci forniscono esempi del greco usato nel periodo che qui ci interessa, presentano una lingua risultante dalla fusione di ebraico e greco, scritto in caratteri ebraici14. Le didascalie dell’Aggadà di Pesaۊ, che forniscono le istruzioni per l’esecuzione del rituale della cena della Pasqua ebraica, erano espresse nella lingua locale delle varie comunità, sempre in caratteri ebraici, per essere comprensibili anche a donne e bambini: se a Bisanzio erano in greco15, in Salento, a partire da una certa epoca (non sappiamo quando), furono redatte in una koinè di dialetti romanzi usati dagli ebrei locali (come ci confermano le versioni conservate nei più tardi manoscritti corfioti16). Autori di commenti biblici o rabbinici usarono termini presi in prestito dalle lingue locali (e anche dal greco) per spiegare parole poco chiare o per riportare affermazioni che non potevano essere espresse nella lingua biblica17. Del resto l’influenza di Bisanzio sulla poesia ebraica in Palestina DE LANGE, Hebraism and Hellenism cit., p. 134. M. IDEL, Dall’Italia a Aškenaz e ritorno: la circolazione di alcuni temi ebraici in età medievale, in Gli ebrei nel Salento cit. pp. 105-144. 14 Si veda N. DE LANGE, Greek Jewish Texts from the Cairo Genizah, Tübingen 1996, pp. 11-27. 15 Ibid., pp. 29-64. 16 Si veda M. RYZHIK, Le didascalie per la cena pasquale nella tradizione degli ebrei nell’Italia meridionale, in Gli ebrei nel Salento cit., pp. 379-406. 17 Si veda L. CUOMO, Antichissime glosse salentine nel codice ebraico di Parma, De Rossi, 138, in Medioevo romanzo 4 (1977), pp. 185-271. Sulla produzione midrašica composta nell’Italia del Sud si veda GEULA, Midrašim composti nell’Italia meridionale cit. 12 13
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del IV-VII secolo fu evidente anche dal punto di vista linguistico: se l’ebraico era la lingua liturgica per eccellenza, nelle composizioni poetiche si utilizzava anche l’aramaico per le occasioni festose, insieme a un discreto lessico greco, costituito soprattutto da tecnicismi18. Un antico payyetan, forse vissuto nell’Italia Meridionale, Yehudà, usa la locuzione ebraica yofi-dibbur (lett.: “bellezza di discorso”) per riferirsi al giuramento prestato da una donna all’atto del matrimonio. La formula sembra il calco del greco İȜȠȖȓĮ19. Analogamente sono numerosi i payyetanim bizantini che si servirono in età medievale del greco (in caratteri ebraici) per comporre i loro versi. Weinberger cita, tra gli altri, Anatoli ben Dawid Cazani, Avraham ben Yaǥaqov da Castoria, Šemaryà da Rabiyoanno e altri innografi anonimi, vissuti tra il XII e il XIII secolo20. Spesso si fece uso di termini greci intercalati agli ebraici. Ad esempio, si poteva utilizzare la parola İȤĮȡȚıIJȓĮ come equivalente dell’ebraico berakà, “benedizione”, o espressioni quali İੁȢ IJઁȞ ĮੁȞĮ (“per sempre”) o ʌĮȞIJȠțȡȐIJȦȡ (“onnipotente”)21. Tale uso si riscontra particolarmente in autori del XIII-XIV secolo, uno dei quali in contatto con l’Italia e in particolare con l’area meridionale, Šemaryà ben Eliyyà ha-Iqriti, in un rešut per il ۊatan ha-Torà, scrive distici in rima baciata in ebraico e aramaico con numerosi termini greci. Leggiamo, ad esempio22: aqalles le-malka ton pandon, ay ha-‘olamim... loderò il re di tutto, che vive in eterno... Il ritornello è usato con minime variazioni da un poeta balcanico contemporaneo, Yose ben Avraham (e anche da Avraham ben Yaǥaqov23), che si serve della stessa soluzione metrica del distico a rima baciata in cui sono compresi termini in ebraico, aramaico e greco24. Per tornare al Salento, che qui ci interessa, esaminiamo l’unica composizione superstite del dotto Menaতem ben Mordekay da Otranto. Si tratta 18 Si veda O. IRSHAI, Confronting a Christian Empire: Jewish Life and Culture in the World of Early Byzantium, in Jews in Byzantium. Dialectics of Minority and Majority Cultures cit., pp. 17-64: 48; O. MÜNZ-MANOR, Carnivalesque Ambivalence and the Christian Other in Aramaic Poems from Byzantine Palestine, ibid., pp. 829-843. 19 J. VAN BEKKUM (ed.), Hebrew Poetry from Late Antiquity. Liturgical Poems of Yehuda, Leiden 1998, nt. 75, citato da YAHALOM, Piyyut in Byzantium cit., p. 319. 20 L. J. WEINBERGER, Anthology of Hebrew Poetry in Greece, Anatolia and the Balkans, Cincinnati 1975, pp. 11-12 (in ebraico). 21 DE LANGE, Hebraism and Hellenism cit., pp. 137-138. 22 Nel carme “Nodè u-nešabba ۊle-’atiq yomin/ Saggi le-šezavà yitbarak le-’olmin” (Rendiamo grazie e lode all’Antico dei Giorni/ Ha in suo potere la salvezza, sia benedetto in eterno). 23 WEINBERGER, Anthology of Hebrew Poetry in Greece cit., p. 49. 24 Ibid., pp. 358-360.
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di un inno, definito in ebraico yo܈er (lett. “Creatore”, riferimento all’attività creatrice di Dio: è una preghiera del rito del mattino, che va ad integrare la benedizione di grazia per la creazione dell’universo). Il lungo poema richiama nello stile e nel lessico la produzione precedente della scuola “oritana”, fondata su tradizioni espressive di importazione orientale, associabili sia all’ambito palestinese sia a quello balcanico-bizantino25. Di Menaতem ben Mordekay (che dall’acrostico nel poema scopriamo essere stato parnas, cioè esponente di riguardo della comunità) non abbiamo altri dati tranne quelli ricavabili dal suo inno. Visse probabilmente tra il X e l’XI secolo26. Lo yo܈er di Menaতem doveva essere recitato nelle preghiere del mattino del secondo giorno di Pesaۊ, come si legge nell’intestazione del più antico testimone che lo conserva, il Ms. ex Schocken 22: yo܈er de-yom šeni27. Il carme, secondo la tradizione palestinese, si divide in guf ha-yo܈er, silluq, ofan, zulat28. Trattandosi di un componimento per Pesaۊ, Menaতem incentra l’inno sul tema dell’attraversamento del Mar Rosso, fondandosi sui versetti del Cantico del Mare (Es 15, 1-18), che vengono citati alla fine di ogni strofa del guf ha-yo܈er. I passi della Scrittura sono integrati da allusioni midrašiche, che attribuiscono all’opera un senso di ricercatezza formale, offrendo una dimensione aggadica ad affermazioni bibliche che vengono così rapportate a situazioni diverse da quelle attestate nel testo dell’Esodo. In generale, sia i piyyutim dell’Italia meridionale sia quelli di area balcanica sottolineano il ruolo della produzione rabbinica influenzata dalla cultura letteraria greca. Lo stesso doveva valere per le melodie che accompagnavano i testi; come in genere accade nella tradizione ebraica, esse dovevano accordarsi alle contemporanee tendenze della musica liturgica e profana dei popoli presso i quali erano insediate le comunità29. Il rapporto tra storia dell’Esodo e celebrazione festiva nel Tempio di Gerusalemme è indicato dal riferimento all’attività sacrificale che si svolgeva nel santuario, sostituita dall’attività liturgica dopo la sua distruzione. 25 Il carme è attestato dal ricchissimo maazor (innario) della tradizione liturgica degli ebrei di Corfù e compare nel più antico testimone di questo rito, il ms. ex Gerusalemme, Schocken 22 (ora appartenente ad una collezione privata londinese). Per una descrizione del codice si veda F. LELLI, Innografia ebraica salentina e poesia liturgica balcanica: il maazor di Corfù, in Gli ebrei nel Salento cit., pp. 75-104: 77-79. 26 SCHIRMANN, Zur Geschichte der Hebräischen Poesie in Apulien und Sizilien cit., p. 105, nt. 1. Si veda anche LELLI, Innografia ebraica salentina cit., p. 85; ID., Southern Italian Piyyutim: Apulian or Balkan Compositions? (in pubblicazione). 27 Ms. ex Schocken 22, f. 119r. 28 Per la struttura del poema si veda LELLI, Innografia ebraica salentina cit., pp. 84-86. 29 Si vedano, in proposito, E. FLEISCHER, Hebrew Liturgical Poetry in the Middle Ages, Jerusalem 2007, p. 424 (in ebraico); WEINBERGER, Jewish Hymnography cit., pp. 153-154.
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Si osservi, prima di tutto, la complessa serie di riferimenti sovrapposti al testo biblico e alla sua interpretazione midrašica: ad esempio, già nel primo verso dell’inno il termine šemanim, che significa “oli”, ma anche “grassi dell’offerta sacrificale”, allude alle orazioni di lode dei fedeli: il tutto sullo sfondo dell’esodo, rievocato appunto per la festività di Pesa, che ricorda la liberazione degli ebrei dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso, inteso come momento iniziale della liturgia comunitaria del popolo d’Israele; si pensi all’interpretazione in tal senso già fornita dal Salmo 114, “Quando Israele uscì dall’Egitto”. Per dare una minima idea di tale polisemia riporto le prime tre strofe del carme in traduzione italiana30: Mischierò mille dei miei oli Con la scorta di fior di farina delle mie lodi31. Farò risuonare la melodia dei miei inni di gioia32, Canterò al Signore33. Con il Suo braccio ha suscitato l’ardore34, Ha operato meraviglie nel Suo creato35.
30 Una versione italiana completa del guf ha-yo܈er si trova in LELLI, Innografia ebraica salentina cit., pp. 87-91. Per la traduzione mi sono fondato sul testo fornito da SCHIRMANN, Zur Geschichte der Hebräischen Poesie in Apulien und Sizilien cit., p. 109 (confrontato con l’originale del Ms. ex Schocken 22, f. 119r, e la sua copia del Ms. Copenhagen, hebr. 8° Add. 2, I, f. 110r). 31 Metafora costruita sulla base di Lv 2, 1-2: « Se qualcuno presenterà al Signore un’oblazione, la sua offerta sarà fior di farina, sulla quale verserà olio e porrà incenso. La porterà ai figli di Aronne, i sacerdoti; il sacerdote prenderà da essa una manciata di fior di farina e d’olio... ». Olio e fior di farina fanno parte dell’offerta sacrificale al Tempio e, come le parole di canto gioioso di Menaতem, sono oblazione al Signore. La tradizione ebraica postbiblica intende la preghiera come sostituto del rito sacrificale che si svolgeva nel Tempio di Gerusalemme. 32 Termine aramaico targumico. 33 Cfr. Es 15, 1. La forma avlil del v. 1 è causativa, come anche ašmia‘ del v. 3; in senso causativo si potrebbe intendere pertanto anche ašir, che nel testo biblico di Es 15, 1 è normalmente considerato forma qal: invece di “canterò”, il verbo potrebbe essere reso “farò cantare”. L’interpretazione è diffusamente accettata con una forte connotazione mistica teurgica (si veda, ad esempio, l’interpretazione del termine fornita in Esodo rabbà 23, 7). Il canto della comunità d’Israele terrena (e in particolare quello nel Tempio, referente primario di questa quartina introduttiva, come si osserva dalle scelte lessicali (šemanay, kemas solet, renanay, niggun, ۊedwanay, aširà l-Adonay) ha la funzione di provocare un canto nell’alto presso il Signore. Ancor più in assenza del Tempio, il canto-preghiera diviene un sostituto perfetto dell’offerta sacrificale con una forte valenza teurgica. 34 Cfr. Is 42, 13, dove si trova un’analoga immagine di Dio guerriero: « Il Signore avanza come un prode, come un guerriero eccita il suo ardore; grida, lancia urla di guerra, si mostra forte contro i suoi nemici ». 35 Su questo termine si veda infra.
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Perciò trarrò vanto nel lodarLo, Perché ha mirabilmente trionfato36. Orgoglioso37, i sette sono la Sua cavalcatura38, Ha schiacciato il cavaliere col suo carro39. Ha aggiogato al Suo carro40 Cavallo e cavaliere41.
Ecco la trascrizione fonetica dell’originale ebraico: Avlìl èlef šemanày Mi-kmàs solàt renanày Ašmìa ލniggùn ۊedwanày Aširà l-Adonày. Bi-zroލò heލìr qinތà Nissàw hiflì le-usiތà Bikkèn le-halelò etgaތà Ki gaތò gaތà. Gaތè šivލà rekuvò Hiyyèl parùz bi-merkavò Garàr li-qràt rikvò Sus we-rokvò.
Nel secondo verso della seconda strofa, cioè al verso 6, si legge nissaw hifli le-usi’à, che si può rendere “ha operato meraviglie nel [Suo] creato”, anche se letteralmente significa “[con] i Suoi portenti ha stupito la [Sua] schiera/possesso”. Il riferimento immediato è all’immagine del Dio vittorioso e trionfante dei Salmi, al Creatore descritto nelle vesti del comandante di un esercito, al Dio salvatore (si confronti, ad esempio, con Sal 86, 10: « Grande Tu sei e compi meraviglie », la stessa lode che si canta nel prefazio eucaristico della Messa cristiana; il verbo hifli dell’inno di Menaem rimanda al termine nifla’ot, “meraviglie”, così come il primo termine nissaw, da nes, “prodigio, miracolo”). Del resto l’immagine segue immediatamente quella precedente del Dio vincitore, tratta da Isaia, e il rapporto stabilito tra il Cantico del Mare (il sottotesto dell’intero componimento di Menaem, esplicitamente e implicitamente citato) e il Salmo 86 Es 15, 1. Epiteto di Dio. 38 Si riferisce ai sette cieli, secondo un’espressione di grande diffusione nella letteratura mistica. Si pensi, ad esempio, al Sefer ha-bahir, par. 49. 39 Cfr. Es 15, 28 e sgg. 40 Cfr. Tanuma a Es par. 13. 41 Es 15, 1. Tutta la strofa è giocata su figure etimologiche fondate sulla radice rkb, “cavalcare”, la stessa di merkavà, “carro” (in particolare, “carro/trono divino”). 36 37
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potrebbe essere allusivo all’interpretazione midrašica del passo in Esodo rabbà 23,7 (che verrà ribadita nell’ofan dell’inno42 L’ultimo termine del verso, le-usi’à, composto con la preposizione le prefissa, è un prestito dal greco ȠıȓĮ. Il vocabolo può essere considerato “assorbito” dal lessico ebraico postbiblico43. Dal dizionario di Jastrow si rileva la sua attestazione nella letteratura midrašica con il valore di “sostanza”, inteso materialmente nel senso di “proprietà, possessi, tenute”44. Quindi, la resa letterale sarebbe “ha sorpreso i [Suoi] possessi con le Sue meraviglie”, anche se dal contesto dell’inno è evidente che la “proprietà” di Dio è la sua creazione. Ora, è vero che all’autore serviva un sostantivo che facesse rima con gli altri ultimi termini di ogni strofa e quindi la scelta può essere stata motivata anche in quest’ottica. Tuttavia, dobbiamo ricordare che il termine ha una valenza dottrinale molto specifica, soprattutto nell’ambito teologico bizantino. Ancor oggi, per la tradizione cristiana ortodossa, la questione dell’ȠıȓĮ divina, in riferimento alla creazione, è molto dibattuta. Come nell’ebraismo, l’attività creatrice è dovuta all’ਥȞȑȡȖİȚĮ di Dio. Negando una distinzione netta tra essenza, ȠıȓĮ, ed energia, non possiamo neppure stabilire la netta demarcazione esistente tra la processione delle persone divine e la creazione, che diverrebbe così atto della natura divina (come se fosse un creato procedente da un creato) ed essenza e azione di Dio sarebbero in pratica la stessa cosa, alludendo a un’interpretazione chiaramente panteistica. La questione è anche al centro della disputa tra i teologi bizantini e quelli latini: i primi attribuiscono ai secondi l’affermazione che l’ȠıȓĮ divina sarebbe da intendere come ਥȞȑȡȖİȚĮ e įȪȞĮȝȚȢ (cioè come atto e potenza aristotelici), all’interno della teologia scolastica, il che permetterebbe a Dio, incomprensibile, di divenire comprensibile, dato che non esiste più distinzione tra la natura divina e le sue manifestazioni nel creato45. Se l’ȠıȓĮ di Dio diviene oggetto di indagine, così come un qualsiasi prodotto della creazione, come è possibile considerare Dio infinito e incomprensibile ad ogni mente umana, finita? Usando il sostantivo greco, l’autore non combina dunque solo l’idea di creato e di possedimento divino ma richiama, attraverso il termine tecnico, questioni discusse dai teologi bizantini della sua epoca. Ricordiamo che l’inno è uno yo܈er, una preghiera rivolta al Dio creatore dell’universo: il Dio vittorioso dei libri biblici è anche il Dio creatore che dà origine e moLELLI, Southern Italian Piyyutim cit. Si veda M. JASTROW, A Dictionary of the Targumim, the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature, Leipzig, London e New York 1903, p. 30, s.v. 44 Ibid. 45 Si veda, ad esempio, A. NICHOLS, O.P., Light From the East. Authors and Themes in Orthodox Theology, London 1995, p. 50. 42 43
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tivazione al carme. Ma in questa creazione Dio si staglia come trionfatore unico, come comandante supremo alla testa dei suoi eserciti. Non si deve assolutamente pensare a Lui in termini panteisti. Un altro tecnicismo greco ricorre al verso 33 dell’inno, dove si legge taksis malke adamà, “l’ordine di battaglia46 dei re della terra”; taksis (in trascrizione ebraica con taw invece che con tet, come accade in genere per i prestiti da lingue indoeuropee) è forma attestata (seppur più raramente di quella con tet47) già in alcuni midrašim dei primi secoli dell’era volgare48. In questo caso l’uso del vocabolo non desta alcuna sorpresa, vista l’antichità del suo uso, sempre in riferimento alle schiere divine. Analoga spiegazione per un altro grecismo, attestato al verso 47, dove si legge le-limen hinۊam be-ǥadyam, “sulla costa49 ci si consola delle loro spoglie”50. Anche questo prestito è attestato già nel Talmud Palestinese e in vari midrašim nell’accezione originale di “baia, porto”51. Ancora una volta, dunque, la scelta lessicale non sorprende, in quanto si tratta di un vocabolo greco, ormai pienamente assorbito e integrato dalla lingua ebraica post-biblica, canonizzata dalla tradizione rabbinica. Si osserva dunque che l’uso di termini di evidente matrice greca permise ad autori ebrei di dimostrare la propria fedeltà a tradizioni lessicali ormai accreditate dalla produzione letteraria dei principali testi alla base della loro cultura religiosa, lasciando al contempo intuire il costante interesse per gli sviluppi semantici di una lingua usata comunemente per motivazioni culturali e sociali. La situazione che si rileva nel Salento medievale non è diversa da quella di altre aree italiane nei secoli successivi: rari sono i prestiti nell’ebraico da altre lingue, ma costanti i richiami morfologici o sintattici alla lingua più usata nella quotidianità52. Dalle testimonianze letterarie a noi pervenute è dunque possibile congetturare che, all’interno del mondo bizantino, anche gli ebrei salentini si servissero di più componenti linguistiche per definire consciamente o inconsciamente la loro appartenenza culturale: certamente l’uso prioritario dell’ebraico, per sottolineare con fermezza l’identità d’Israele nella L’autore usa il prestito taksis, dal greco IJȐȟȚȢ. Si veda JASTROW, A Dictionary of the Targumim cit., p. 1669, s.v. 48 Si veda ibid., p. 535, s.v.: il termine, con tet iniziale, è attestato nel Talmud Palestinese e in numerosi midrašim nel senso di “ordine”, soprattutto militare, “schieramento in battaglia” (e perciò anche celeste). 49 Il termine è prestito dal greco ǤǢǥǗǦ, “porto”. 50 Cioè dei tesori che gli egiziani avevano raccolto mentre inseguivano il popolo d’Israele in fuga, sulla base di Mekilta a Es. ad loc. 51 Si veda JASTROW, A Dictionary of the Targumim cit., pp. 712-713, s.v. 52 Si vedano al riguardo le varie voci sull’uso dell’ebraico in Italia, s.v. “Italy”, in Encyclopedia of Hebrew Language and Linguistics, ed. by G. KHAN, Leiden 2013. 46 47
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diaspora, tese a limitare l’abuso dei prestiti da altre lingue, almeno per la produzione “ufficiale”, anche se continuarono ad essere espresse concezioni importate dalle culture dominanti contemporanee.
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INDICI a cura di Sever J. Voicu
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I. INDICE BIBLICO ANTICO TESTAMENTO NOTA. L’indice segue la nomenclatura e la numerazione della Vulgata. I rinvii al testo masoretico sono accompagnati dall’indicazione TM. – – –
Genesis (Gn) – –
4,15: 54 49, 16-17: 235
85 (86 TM): 267 85 (86 TM), 10: 267 113 (114 TM): 266
Exodus (Es)
Ecclesiastes (Qoelet): 261
– – – – –
Canticum canticorum: 261
1, 7: 245 15, 1-18: 265 15, 1: 266-267 15, 3: 266 15, 28 e sgg.: 267
Isaias (Is)
Leviticus (Lv)
– – – –
–
Daniel (Dan): 237
2, 1-2: 266
– – – – – – –
Numeri (Num) –
24, 5-6: 243
Regnorum III (1Re TM) –
18, 21: 232, 234
Psalmi (Sal) – – – – – –
17, 10: 223 21, 17: 223 21, 19: 223 27, 9: 143 68, 22: 223 83, 8: 231
2, 3: 243 7, 4: 223 9, 5: 225 42, 13: 266 7: 235-236 7, 25-26: 226-227 9: 235 9, 27: 224 11, 4: 237 12, 1: 236 12, 12: 235
Ionas (Giona): 262 Michaeas (Mi) – – –
4, 2: 243-244 7, 1-2: 233-234 7, 1: 233-234
NUOVO TESTAMENTO Evangelium Matthaei (Mt) –
16, 18: 229
Evangelium Iohannis (Gv) –
12, 40: 223
Ad Corinthios II (2Cor) –
11, 13: 229
Ad Timotheum II (2Tim) – 3, 13: 229 Ep. Petri I – 5, 4: 119 Apocalypsis: 237 – 7, 5-8: 235 – 20, 1-3: 225
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II. INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
NOTA. Le opere anonime sono elencate sotto il loro titolo.
Abraham bar ۉiyya, ۉibbur ha-mešiۊah we-tišboret (Opera sulla geometria piana e solida): 250
Aimone da Faversham, frate minore: 66
– Yesode ha-tevunah u-migdal ha-emunah (Gli elementi della comprensione e la torre della fede): 250
Alessandro di Afrodisia: 128
Abraham ibn Daud, Sefer ha-Qabbalah (Il libro della tradizione): 244 Abramo di Balmes (Abraham de Balmes): 252 – Miqneh ‘Avram (Peculium Abrahami): 252 ’Abu ‘Aharon (Aronne di Bagdad): 243, 245-246, 248 Abufalia, D.: 249 Acconcia Longo, A.: 50, 80, 95, 97, 101105
Aleandro, Girolamo, «il Vecchio», cardinale: 202 Alessandro di Otranto, domenicano: 83 Alessio I (Comneno), imperatore bizantino: 64 Aletta, A. A.: 11 Alexakis, A. G.: 50, 86 Alexander, P. J.: 44, 225, 228 Alfonso V, re di Napoli: 238 Alfonso, figlio naturale di Ferrante I d’Aragona: 199 Allacci, Leone (Allatius): 64, 175-177 Alpetragio (al-Bi৬rnjۜƯ), Theorica planetarum: 252-253
Achelis, H.: 235
Alter, F. K.: 66
Acquaviva, Belisario, duca di Nardò: 206
Altilio, Gabriele: 115
Adler, H. M.: 242
Alvisi, E.: 202
Adriano IV, papa (Hadrianus): 66 – Epistula ad Basilium Achridenum: 89
Amato, E.: 96, 100-101
Altercatio Simonis et Theophili: 217
Afinogenov, D.: 222
Ambrogio, De benedictionibus patriarcharum: 235
Aftonio, Progymnasmata: 76, 96, 98, 100
Amittay (famiglia): 247 ‘Amittay II di Oria: 242
Agati, M. L.: 200-201, 221
Ammonio, In Aristotelis Categorias commentarius: 62, 67, 76-77, 88-89
Aggadà di Pesaۊ: 263 Agostino Nifo: 254 Aতima’aৢ ben Palti’el, Libro delle discendenze (Sefer Yuۊasin; Rotolo di Aۊima’a ;܈Megillat Aۊima’a)܈: 243, 245-248, 260, 262
Anastasi, R.: 121 Anastasio – presunto autore dei Dialogica polymorpha antiiudaica: 223 Anastasio, abba, Aduersus Iudaeos: 231 Anastasio Sinaita, Viae dux (Hodegos): 231
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Anatoli ben Dawid Cazani: 264 Andrea di Creta, In Lazarum quatriduum (CPG 8177): 25 Andrist, P.: 218, 222-223, 230-231 Angelo Filleti (o Calabrò), ieromonaco del S. Salvatore di Messina: 85 Anna Comnena: 113, 117 Anonymus įțĮȓ, copista: vedi Celadeno, Alessio, vescovo di Gallipoli e Molfetta, copista
– – – –
Organon: 84 Physiognomonica (spurio): 201, 208 Vita: 128 Anonimo, Commentaria in Analytica priora et posteriora: 40 Arnesano, Daniele: 9, 11, 15-16, 18-19, 21-24, 29, 31-32, 36-41, 43, 45-46, 49-51, 53, 55, 59-93, 96-98, 100-101, 115, 124, 126-129, 174, 204-207, 210, 221 Arsen Iq’altoeli, Dogmaticon: 229
Anonymus dialogus cum Iudaeis (Anonymus Declerck; CPG 7803): 231
Arsenio, monaco (s. XIII): 110
Anselmo, vescovo di Havelberg, Anticimenon: 66
Asterio Sofista, In Psalmos: 233
Anthologia Palatina: 106
Arthur, P.: 72 Astruc, Ch.: 82, 207
Antonucci, A.: 171
Atanasio, Quaestiones ad Antiochum ducem (spurio): 223 – Symbolum quicumque (Symbolum Athanasianum; spurio): 62, 76, 88 Atanassova, D.: 41, 80
Apollo, dio: 101
Ateneo, Deipnosophistae: 201
Apophthegmata Patrum: 127
Aubineau, M.: 12
Apostolidis, A.: 171, 177-178, 180-181, 184-188
Augustin, P.: 12
Aquila, traduttore dell’Antico Testamento: 231
Aulisa, I.: 222, 231
Antifane di Macedonia, epigrammista: 106 Antonopoulou, T.: 109
Arbizzoni, G.: 42 Archetti, G.: 64 Arcudi, Francesco: 49 Aristeneto, epistolografo: 104 Aristofane: 83 – Equites: 99 – Nubes: 83 – Pax: 99 – Plutus: 83, 99 Aristotele: 60, 78, 84, 128, 253-254 – Categoriae: 60, 62, 76-77, 88-89 – De interpretatione: 62, 77-78, 88 – commento: 128 – De mirabilibus auscultationibus (Mirabilia; spurio): 201-203, 208 – Ethica Nicomachea: 83-84 – Metaphysica: 256
Augustio, copista: 75, 78, 82 Austin, C.: 101 Averroè: 251-257 – Commenti grandi (alla Metafisica, agli Analitici Posteriori, alla Fisica): 253-254 – Commenti medi (ai Meteorologici, alla Fisica, alla Metafisica): 253 – De connexione intellectus abstracti cum homine: 257 – Destructio destructionis philosophorum (Incoerenza dell’incoerenza; TahƗfut al-tahƗfut): 253-257 – Epistola de connexione intellectus abstracti cum homine: 256 Avraham ben Ya’aqov da Castoria: 264 Babuin, A.: 79 Bacchelli, Franco: 199, 210
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Baehr, R.: 56
309
–
Barberini, Maffeo Vincenzo, cardinale (Urbano VIII): vedi Urbano VIII, papa
In quadraginta martyres Sebastenses: 52, 57 – In sanctam Christi generationem: 51, 53-54, 57 – In sanctum baptisma: 25, 51 – Liturgia (Anafora): 9, 23, 41, 182 – Quod Deus non est auctor malorum: 43, 53, 56 – Regulae: 52 – Sermo de ascetica disciplina: 46, 57 – Sermo ob sacerdotum instructionem: 47 – autore presunto: vedi Germano I, patriarca di Costantinopoli, Historia ecclesiastica et mystica contemplatio Basilio II, imperatore: 228
Barbino, A.: 175
Basilio minimo: 18, 21
Bardane, Giorgio, vescovo di Corfù: vedi Giorgio Bardane, vescovo di Corfù
Basilio, arcivescovo di Acrida: 66
Baldassarri, G.: 200 Baldi, D.: 45, 72 Baldi, Idalgo: 199 Baldovino I, imperatore latino di Costantinopoli: 215 Bandini, Angelo Maria: 66, 81, 179, 201-202, 204-205, 209-210 Barbara, s. – Encomium sanctae Barbarae: 50 Barberini, Francesco, cardinale (15971679): 176
Bardy, G.: 231 Barlaam di Calabria: 125 Bartolomeo da Simeri: vedi Typicon di Jena Bartolomeo, copista del Messan. 32: 19 Bartolomeo, frate francescano: 80 Bartusch, M. W.: 235 Basilio di Cesarea: 9, 41-58 Basilio di Cesarea, Adversus Eunomium: 47, 54, 56 – De ieiunio homiliae: 43, 53, 56 – Epistulae: 47, 52 – Epistula 260. Ad Episcopum Optimum: 47, 54, 56 – Homilia de invidia: 47, 54, 56 – Homilia exhortatoria ad sanctum baptisma: 52-54, 57 – Homilia in principium proverbiorum: 56 – Homiliae super psalmos: 43, 53, 56 – In Christi generationem: 25 – In illud, Attende tibi ipsi: 43, 46-47, 53-54, 56 – In principium proverbiorum: 43, 53
–
Disputatio cum Anselmo Havelbergensi: 89 – Responsio ad Hadrianum IV papam: 89 Bassi, D.: 69, 81 Batiffol, P.: 19, 21, 177 Batracomiomachia: 239 Battaglini, F.: 22 Baumgarten, A. I.: 227 Bazzana, A.: 253 BeDuhn, J. D.: 219 Bekkum, J. van: 264 Bellon, C.: 207 Benedetto, cardinale di Santa Susanna (1201-1212): 215 Benedetto, Marienza: 241-257 Beneševiþ, V.: 179 Beniamino da Tudela, rabbino: 217 Bennett, B.: 219 Berger, M.: 51, 59, 116 Bériou, N.: 253 Bernard, F.: 111-113 Berta, F.: 177
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310
INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Bertòla, M.: 200, 202-203, 208 Bessarione, Basilio, cardinale (Giovanni Bessarione): 84, 86, 199, 204, 206, 210-211 Béthouart, B.: 86 Bianca, C.: 42, 199 Bianchi, N.: 76, 96, 99, 199 Bianconi, D.: 73, 130 Bienert, W.: 232 Blanchet, M.-H.: 86 Blemmida, Niceforo: 84 – Epitome (̈ϢΗ΅·Ν·ΎχȱπΔΘΓΐφ): 72 – Epitome logica: 84 – Epitome physica: 84, 89 Blumenkranz, B.: 217 Boissonade, J. Fr.: 122 Bolognesi, G.: 104 Bonea, E.: 171 Bonfil, R.: 217, 241, 243, 245, 248, 260-262 Bonwetsch, N.: 226, 231 Borgia, Nilo: 171 Bornert, R.: 63 Borromeo, Federico, cardinale, arcivescovo di Milano: 50 Boutroue, M.-É.: 209 Bradshaw, P. F.: 10 Brandes, W.: 228 Bravo García, A.: 20, 208 Brotto, G.: 83 Browning, Robert: 72, 109, 121, 125, 130 Bruni, A. M.: 34 Bucossi, A.: 79 Burgundione da Pisa: 71 Busi, G.: 250 Cabace, Demetrio Raul: 210 Cabace, Manilio Raoul, copista: 210 Cacouros, M.: 78 Caino, personaggio veterotestamenta-
rio – De septem peccatis Caini (poema): 54 Calboli Montefusco, L.: 96 Caldelli, E.: 208 Calimani (famiglia): vedi Qalonymos (famiglia) Calimani, R.: 246 Callari, L.: 71 Calleri, M.: 85 Calo (famiglia): vedi Qalonymos (famiglia) Calo di Galatina, copista: 47, 82 Calonimo, Calo: vedi Qalonymos ben David (Maestro Calo Calonimo) Calonimos da Lucca, rabbino: 246 Campanini, S.: 250 Campos, B.: 230 Canart, Paul: 9, 22, 26, 31, 46, 75, 79, 84, 201-204, 207-208 Capocci, V.: 107, 124 Capone, Alessandro: 9, 41-59 Cappelletti, G.: 171, 175 Carafa, Antonio, cardinale: 49 Carlo I, d’Angiò: 95 Carlo il Calvo, imperatore (re Carlo): 245-246 Carlo Magno, imperatore: 246 Carlo VIII, re di Francia: 239 Carter, R. E.: 12 Casetti Brach, C.: 50 Casotti, F.: 171 Cassin, Matthieu: 59, 62 Cassio Iatrosofista: 128 Castromediano, S.: 171 Cataldi Palau, A.: 9 Cataldi, N. M.: 171 Caterina de’ Medici, regina di Francia: 43-44 Cavallo, Guglielmo: 49, 51-52, 55, 59, 72-73, 81, 85, 130, 215
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
311
Cavarnos, J. P.: 48
Constantinides, C. N.: 110
Celadeno, Alessio, vescovo di Gallipoli e Molfetta, copista (Anonymus įțĮȓ): 84, 199-213
Cooperman, B. D.: 260
Cesaretti, P.: 103-104
Copista anonimo 8 (XIII s.): 128
Cezzi, F.: 79 Charmasson, T.: 110
Copista anonimo 9 del Laur. Plut. V.36 (XIV s.): 23
Cherubini, P: 80, 126
Copista B del Laur. Plut. V.10 (XIV s.): 23
Chionides, N. P.: 221
Copista di Sergio Stiso: 75, 207
Chirico, M. L.: 83, 99
Cormack, R.: 110
Chronz, M.: 218-219, 233, 235-236
Cornuto, Lucio Anneo, De natura deorum gentilium: 202-203
Chronz, T.: 41, 80 Ciccolella, F.: 85, 115, 124 Ciccolini, L.: 44
Copista A del Laur. Plut. V.10 (XIV s.): 23
Corrado I, re di Franconia: 246 Cortesi, M.: 42, 108
Cipride, dea: 101
Cosma I, patriarca di Costantinopoli: 171, 174 – autore presunto: vedi Epistola a Paolo vescovo di Gallipoli Cougny, E.: 179
Ciriaco Prasiano di Gallipoli, copista: 60
Cozza-Luzi, G.: 169-173, 175-181, 184188
Cirillo, praefectus (igumeno) del monastero di San Mauro (Gallipoli): 171
Cramer, J. A.: 72, 117
Cicerone, De re publica: 217-218 Cichocka, H.: 96 Cioffari, G.: 83
Claudio Eliano: vedi Eliano
Crescas Me’ir Qalonymos, rabbino (Qalonymos ‘Eliš): 250
Clemente, monaco del S. Salvatore di Messina (Iudex Tarentinus): 47
Crescas Qalonymos, copista: 250-251 Crisci, E.: 61, 73
Cohen, G. D.: 244
Crisolora, Manuele, Comparatio veteris et novae Romae: 209 – Epistula ad Iohannem Chrysoloram: 209 – Erotemata sive Quaestiones: 123 Cristoforo di Mitilene: 104, 113
Cola de Donna, possessore di ms.: 44 Colafemmina, C.: 216-217, 241-245, 249-251 Coleti, Nicola (Coletus): 171-172, 175 Colimba, Stefano, di Corigliano, copista: 75, 80
Crouzel, H.: 233
Colluto, Raptio Helenae: 205-208
Cuomo, L.: 263
Comneno, Andronico Duca, Contro i giudei: 218
Cursiota, Teodoro: 95
Concasty, M.-L.: 82, 207
D’Agostino, M.: 84, 97, 201, 203
Condello, E.: 73
D’Ancona, C.: 73, 241
Congourdeau, Marie-Hélène: 86, 219, 225
D’Oria, F.: 52
Cuna, A.: 205
Dagron, G.: 217
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312
INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Daiber, H.: 253 Damascio, filosofo: 128 Damila, Demetrio, copista: 202-203, 208 Dan, J.: 246 Dan, patriarca veterotestamentario: 235 Dan, tribù: 235 Danella, P.: 75 Daniele, copista del Patm. 33: 20 Daniele, monaco, copista del S. Salvatore di Messina: 49 Daniélou, J.: 53 Darrouzès, J.: 64-65, 80, 172 David ben Jacob Me’ir Qalonymos: 250252 – Iggeret ‘al Ibn Rušd (Epistola su Averroè): 251 David, A.: 250 De azymis et de sabato (̓ΉΕϠȱ ΦΊϾΐΝΑȱ Ύ΅ϠȱΔΉΕϠȱΗ΅ΆΆΣΘΓΙ): 64, 80, 88 De Bernart, A.: 173 De erroribus Francorum (Sugli errori dei Franchi): 64, 88 De Ferrariis, Antonio, «Galateo», De situ Japigiae: 114 De Gregorio, G.: 63, 65, 71, 73, 122, 208 De iambi pedibus: 179 De iambi pedibus et prosodia: 179 De Lange, N.: 261-264 De Nili incremento: 202 De praesanctificatis per interrogationes et responsiones: 179-181 De Rossi, Tommaso, vicario capitolare di Ugento: 60 De Simone, G.: 178 De Simone, L.: 171 Debiasi Gonzato, A.: 111 Declerck, J. H.: 232 Definitio Apocrisiariorum Gregorii Papae IX. Quod Spiritus sanctus a Patre Filioque procedat: 66, 89
Degni, P.: 73, 97 Del Corso, L.: 85, 124, 130 Del Furia, Francesco: 43 Delacroix-Besnier, C.: 70 Della Rovere, Galeotto Franciotto, cardinale: 43 Delle Donne, Saulo: 169-198 Delmedigo, Elia: 252 Demetracopoulos, J. A.: 70 Demetrakopoulos, A.: 64-65, 81 Demetrio Cidone: 70, 83 Dendrinos, Ch.: 70, 86 Déroche, V.: 217-218, 222, 236-237 Devreesse, Robert: 9, 18-21, 26, 32, 35 Di Donato, S.: 252 Di Lello-Finuoli, A. L.: 202 Di Sante, A.: 202 Dialogica polymorpha antiiudaica (Dialogus Papisci et Philonis): 222-223. 227, 229, 238 Dialogus Athanasii et Zacchaei (CPG 2301): 231 Dialogus Papisci et Philonis: vedi Dialogica polymorpha antiiudaica Dialogus Timothei et Aquilae: 218, 230231, 237 Diehl, Ch.: 177 Diels, Hermann: 69 Diller, A.: 210 Dillon Bussi, A.: 202 Dilts, Mervin R.: 203 Diodoro Siculo: 209 Diogene Laerzio: 210 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae: 210 Dionigi, il Periegeta, Descriptio Orbis: 206 Distilo, R.: 109 Doctrina Iacobi nuper baptizati: 218, 230, 236-237 Doda, A.: 203
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Donata, proprietaria di un terreno a Gallipoli: 174 Donatio Constantini: 83 Dondaine, A.: 65 Donno, G.: 171 Doran, J.: 66 Dorandi, T.: 199 Dover, K. J.: 101 Doxapatres, Giovanni, Commentaria in Aphthonium: 100 Drago, C.: 63 Droso di Aradeo, poeta: 95, 97, 105, 114, 120, 129 Dunkle, B.: 66 Durante, R.: 11, 52 Efrem Siro, De communi resurrectione (CPG 3945): 25 – In pulcherrimum Ioseph (CPG 3938): 25 Efrem, monaco, copista (X s.): 46 Efthymiadis, S.: 110, 124 Egea, J. M.: 108 Ehmann, J.: 83 Ehrhard, Albert: 15, 25, 38-39 Eideneier, H.: 108 ’El’azar ben Yehudah da Worms (Rokeaত; il Profumiere): 246, 248 – commento ai Segreti delle preghiere: 245 – Norme di espiazione: 248 ’El’azar ণazan di Spira: 246 Eleuteri, P.: 64, 72, 205, 210 Elia lo Speleota, s. – Vita: 21 Elia, In Aristotelis Categorias commentarius: 62, 88 Eliano, Varia historia: 201-203 Elio Teone: 104 Eliyyah ণayyim ben Binyamin da Genazzano, Iggeret ۊamudot (Lettera preziosa): 234-235
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Elwert, W. Th.: 56 Endress, G.: 241 Epifanio, vescovo di Salamina, Panarion: 231 Epistola a Paolo vescovo di Gallipoli: 169-198 Eraclide, Excerpta Politiarum: 201-203 Eraclio, imperatore: 236 Ermete Trismegisto, Iatromathematica: 68, 86 Ermogene di Tarso: vedi Pseudo-Ermogene Ermonimo, Giorgio: 209-211 Ero, personaggio mitologico: 101 Eschilo: 120 Esichio di Gerusalemme: 9 Esichio di Mileto, Declamationes: 204 Esiodo: 120 Esodo rabbà: 266, 268 Estienne, Robert (Stephanus): 122, 125, 131-161 Eteriano, Ugo (Hugo Etherianus), De sancto et immortali deo: 89 Etymologicum Gudianum: 13, 85 Eudocia, imperatrice, Homerocentones: 209-210 Euripide: 20, 101 Eusebio di Cesarea, Commentaria in Psalmos: 106 Eustazio di Iconio: 179 Eustazio, arcivescovo di Tessalonica: 113 Eustrazio Garida, patriarca di Costantinopoli: 171-172, 174 – autore presunto: vedi Epistola a Paolo vescovo di Gallipoli Eustrazio, metropolita di Nicea: 128 Eustrazio, scriniario: 20-21 Eutimio Zigabeno, Panoplia dogmatica: 47 Expositio brevis de ieiunio sanctae quadragesimae, hebdomadis qua-
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
dragesimae praecedentis atque in hebdomade passionis Domini et de quaestionibus variis: 179-180 Falkenhausen, Vera von: 217, 219, 241
Bibliotheca: 11 Contra veteris Romae asseclas (spurio): 65, 82, 89 Francesco da Nardò, domenicano (Francesco Securo): 83
Falla Castelfranchi, M.: 71, 78
Freudenthal, G.: 251
Fantoni, A. R.: 202
Frinico di Bitinia, Praeparatio sophistica: 106
al-FƗrƗbƯ: 253
– –
Federico II di Svevia, imperatore: 82, 98, 103, 215, 249, 253
Frugoni, A.: 236
Fenton, P.: 253
Funghi, M. S.: 209
Fera, V.: 209
Fürst, J.: 261
Fernández Delgado, J. A.: 96
Fyrigos, A.: 70
Feron, E.: 22 Ferrante I di Aragona, re di Napoli: 251 Ferreri, L.: 205 Festa, N.: 82, 125 Fiaccadori, G.: 65, 205 Filelfo, Francesco: 206 Filemone di Siracusa, commediografo: 101 Filippo di Tessalonica, Corona: 106
Fuchs, F.: 110
Gabriele, copista per Sergio Stiso: 68, 207, 211 Gabrieli, G.: 171, 175 Galadza, D.: 18, 36, 67, 174, 221 Galante, M.: 122 Galasso, G.: 216 Galeno, De historia philosophica (spurio): 68
Filone di Alessandria: 260
Gallavotti, C.: 111, 116, 121-122, 124, 127, 130
Filostrato, Declamationes: 204 – Vitae Sophistarum: 208
Gallo, F.: 200
Fioretti, P.: 10, 63
Gamillscheg, Ernst: 72, 83, 124, 128, 130, 210
Flamand, J.-M.: 209
Gams, P. B.: 171, 175
Flavio Giuseppe: 260
Garfagnini, G. C.: 42
Fleischer, E.: 265
Gargan, L.: 208
Focilide, Sententiae (spurio): 209
Garvin, B.: 260
Foerster, G.: 260
Garzya, A.: 65, 117
Follieri, E.: 50, 104
Gätje, H.: 241
Fonseca, C. D.: 49, 55, 216, 241
Gatti, A.: 65
Formentin, M. R.: 204, 207
Gaul, N.: 121-122
Förstel, Christian: 199, 207
Gautier, P.: 64
Foti, M. B.: 49, 52
Gennadio I, patriarca di Costantinopoli: 232
Fourcade, M.: 86 Fozio, patriarca di Costantinopoli: 10 – Amphilochia: 235
Gentile, S.: 42, 68, 79, 200 Gerlaud, B.: 206
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Germano I, patriarca di Costantinopoli, Historia ecclesiastica et mystica contemplatio (Historia mystagogica): 9, 63, 78, 88 Germano II, patriarca di Costantinopoli: 66, 82, 84, 215-216 –
Epistula ad Gregorium IX papam: 89
– Responsio ad Gregorium IX papam: 89 Germano, A.: 10 Geronimo (Hieronymus), In Danielem: 235 Geula, A.: 261, 263 al-Ghazali (al-ƤazƗlƯ): 254-256 Giacobbe, patriarca veterotestamentario: 235 Giacomo, igumeno di San Mauro: 174 Giannachi, Francesco G.: 45, 59, 107121, 124-125, 129, 131, 238 Giannelli, Ciro: 103-104 Giannini, P.: 169 Gigante, Marcello: 41, 95-96, 98-99, 101-103 Gill, J.: 86 Gilly, C.: 68-69 Gioacchino da Fiore (Ioachim Florensis): 237 –
Adversus Iudaeos: 236-237
Gioacchino, monaco di Casole (Joachim), copista: 19, 24, 75 Gionta, D.: 208 Giorgio Baioforo, copista: 25, 230 Giorgio Bardane, vescovo di Corfù: 8081, 216 Giorgio Cedreno: 219 – Historiarum compendium: 225 Giorgio di Aradeo, copista: 126 Giorgio di Corigliano: 59 Giorgio di Gallipoli, poeta: 95, 98, 102103, 105 Giorgio di Ruffano, sacerdote, copista: 45, 86
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Giorgio Laurezio, copista: 59-93 Giorgio, prete a Corigliano d’Otranto: 206 Giovanni Bekkos, patriarca di Costantinopoli: 63 – Epigraphae: 79 Giovanni Crisostomo: 9-16, 52 – Ad populum Antiochenum: 12 – Ad Theodorum: 13 – Adversus Iudaeos: 223-224 – De Lazaro (CPG 4329): 25 – De occursu Domini de Deiparae et Symeone (spurio; CPG 4523): 25 – De paenitentia homilia 2 (CPG 4333): 14 – excerpta In Paulum apostolum: 89 – Homiliae in Matthaeum: 13 – In annuntiationem B. Virginis (spurio; CPG 4519): 14 – In baptisma et tentationem (spurio; CPG 4735?): 25 – In Epistulam ad Ephesios: 106 – In Epistulam ad Hebraeos (CPG 4440): 25 – In Genesim homiliae: 15-16 – In Genesim sermo 3 (spurio; CPG 4562): 13 – In Genesim sermones (CPG 4410): 25 – In parabolam de filio prodigo (spurio; CPG 4577): 14, 25 – In Pascha sermo 7 (spurio; CPG 4612): 88 – In Petrum apostolum et in Heliam prophetam (CPG 4513): 25 – In principium ieiunii (spurio; CPG 4562): 25 – In quadriduanum Lazarum (CPG 4322): 25 – In ramos palmarum (spurio; CPG 4602): 25 – In titulum psalmi quinquagesimi (spurio; CPG 4544): 25 – Liturgia (Anafora): 10, 23, 65, 182 – Oratio in Iohannem theologum (spurio; CPG 4987): 14 – Visio Danielis (spurio; CPG 4727): 225
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–
INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
vedi Leonzio di Costantinopoli, In lacum Genesareth (CPG 4704) Giovanni Damasceno: 9, 71, 220, 229 – Contra Iacobitas: 238 – Expositio fidei: 71, 75, 83, 238 – Fragmenta philosophica: 238 – Sacra parallela: 106 Giovanni Grammatico (Giovanni di Cesarea): 232 Giovanni III Duca Vatatze, imperatore di Nicea: 66, 82, 84, 98 Giovanni Mauropode, metropolita di Euchaita: 113, 133 Giovanni Mavromatis, copista: 37 Giovanni Phurnes, Disputatio cum Petro Grossolano: 81 Giovanni Santamaura, copista: 84 Giovanni Stobeo: vedi Stobeo Giovanni Tzetzes: 113 – Scholia in Hermogenem: 117 Giovanni Zonara, Lessico (spurio): 238 Giovanni, apostolo ed evangelista: 15 Giovanni, diacono, discepolo di Teodoro Abnj Qurra: 229-230 Giovanni, vescovo di Trani: 64, 80 Giuda Iscariota, apostolo: 235 Giuseppe Flavio: vedi Flavio Giuseppe Giuseppe, marito di Maria: 218-219 Giustiniano, imperatore: 261 – Novelle: 262-263 Glei, R.: 229 Glibetiü, N.: 18, 36, 67, 174, 221 Glykofrydi-Leontsini, A.: 70 Golitsis, P.: 73 Gonnelli, M. P.: 202 Gonzaga, Ercole, cardinale: 255 Gorian, R.: 199 Goulet-Cazé, M.-O.: 73 Grandolini, S.: 134 Grasso, Giovanni, poeta: 95, 99, 101, 103
Gregenzio di Tafar, Disputatio cum Herbano Iudaeo (spuria): 231 Gregorio IX, papa: 66, 82 – –
Epistula ad Germanum II: 89 vedi anche: Definitio Apocrisiariorum Gregorii Papae IX. Quod Spiritus sanctus a Patre Filioque procedat Gregorio Nazianzeno: 9, 17-40, 52, 83, 233 – Carmina: 24, 37, 44 – Carmina moralia: 21, 37 – Christus Patiens (spurio; CPG 3059): 17, 19-21, 23-24, 38 – Orationes: 20 – Or. 1. In sanctum pascha: 27-30, 3334, 36-38 – Or. 4. Contra Iulianum I: 39 – Or. 5. Contra Iulianum II: 39 – Or. 11. In Gregorium Nyssenum: 2733, 35 – Or. 14. De pauperum amore: 27-29, 32-33, 35, 40 – Or. 15. In Maccabaeos: 27-30, 32-34, 37 – Or. 16. In plagam grandinis: 27-29, 32-33, 35 – Or. 19. Ad Iulianum exaequatorem: 27-30, 32-34 – Or. 21. In Athanasium: 27-29, 32-33, 35, 38 – Or. 24. In Cyprianum: 27-30, 32-34, 37-38, 40 – Or. 25. In laudem Heronis philosophi: 23, 38, 234 – Or. 29. Theologica III: 23, 38 – Or. 30. Theologica IV: 38 – Or. 31. Theologica V: 38 – Or. 33. Aduersus Arianos: 89 – Or. 38. In Natiuitatem: 23, 25, 27-30, 32-34, 37-40 – Or. 39. In sancta lumina: 23, 25-30, 32-33, 35-37, 39-40, 54 – Or. 40. In sanctum baptisma: 27-30, 32-33, 35-37, 39, 54 – Or. 41. In pentecosten: 27-30, 32-34, 36-37 – Or. 42. Supremum uale: 27-29, 32-35 – Or. 43. In Basilium: 27-34, 37, 50, 54
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
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Or. 44. In nouam dominicam: 27-30, 32-34, 36-37 – Or. 45. In sanctum Pascha II: 27-31, 33-37, 39 – Significatio in Ezechielem: 23, 38 – Testamentum: 17-18 – Vita (BHG 723): 26, 37, 39 Gregorio Nisseno: 9, 41-58, 63 – Contra Eunomium: 45, 57, 62, 88 – De beatitudinibus: 45-46, 58, 63, 88 – De opificio hominis: 46, 58 – De oratione dominica: 47, 58 – De vita Gregorii Thaumaturgi: 52, 58 – De vita Moysis: 53, 58, 81 – Dialogus de anima et resurrectione: 46, 58 – Encomium in quadraginta martyres II: 52, 54, 58 – Encomium in sanctum Stephanum protomartyrem I: 48-51, 53-54, 5758 – Epistula canonica: 47-48, 58 – Homiliae in Canticum canticorum: 42-45, 54, 57 – Homiliae in Ecclesiasten: 43, 54, 57 – In annunciationem (spurio): 54 – Oratio catechetica: 53, 58, 81 – Refutatio confessionis Eunomii: 45, 57, 62, 88 Gregorio, metropolita di Corinto: 117
Hajdú, K.: 59
Grimani, Domenico, cardinale: 254
Hippolytus: vedi Ippolito
Grosolano, Pietro, arcivescovo di Milano (Crisolano, Grossolano): 64
Hoeck, J. M.: 59, 79, 81, 86, 95, 108, 216
– De Spiritu sancto: 88 Grossman, A.: 244
Hoffmann, P.: 47, 54, 74, 80, 112, 124, 126, 171, 178
Grumel, V.: 70, 171-172, 174
Holdenried, A.: 228
Grusková, Jana: 13, 25, 230
Hollender, E.: 242
Gruys, A.: 61
Holtzmann, W.: 175
Guglielmo, vescovo di Otranto: 65
Homerocentones: 210
Guichard, P.: 253
Houben, Hubert: 43, 59, 205, 216, 249
Guida, A.: 209
Hugonnard-Roche, H.: 104
Gumbert, J. P.: 61
Hunger, H.: 29, 96, 121
Gutas, D.: 241
Hurwitz, S.: 246
–
Haldon, J.: 110 Hamesse, J.: 200 Hamilton, J.: 65 Hannick, C.: 29 Hardouin, J.: 66 Harlfinger, Dieter: 60-62, 67, 71-73, 124, 199-210 Harlfinger, J.: 61, 199 Harnack, Adolf von: 217 Harris, J.: 70 Harvalia-Crook, E.: 70 ণasadyah ben ণanan’el: 242 Hayoun, M.-R.: 253 ণayyim, figlio di David ben Jacob Me’ir Qalonymos: 251 Heertum, C. van: 68 Heil, G.: 48, 52, 61 Heimgartner, M.: 232 Henry, P.: 11 Herde, P.: 79 Hergenröther, J.: 65, 81 Herrin, J.: 70 Heusch, Ch.: 96 Hieronymus: vedi Geronimo
Hoffmann, L. M.: 121
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Hutter, I.: 20 Idel, Moshe: 243, 246, 263 Ideler, J. L.: 68 Ierocle di Alessandria (Hierocles), In Aureum carmen: 67, 85, 89
Joseph Ma’on: 246 R. Judah he-ণasid: 246 Judex Tarentinus: vedi Clemente, monaco del S. Salvatore di Messina Kalatzi, M.: 209
Ignazio, vescovo di Antiochia, Ad Ephesios: 106 In Aristotelis Categorias commentarius (anonimo): 88 In Porphyrii Isagogen prolegomena (anonimo): 88 Ioseph et Aseneth: 25
Kalinymides (famiglia): vedi Qalonymos (famiglia)
Ippolito (Hippolytus), Commentarium in Danielem: 226 – De Antichristo: 235 – De consummatione mundi et de Antichristo (spurio): 225, 235 Ireneo, Adversus haereses: 235
Keaney, J. J.: 111, 121-125, 128-129, 133
Iriarte, J.: 24 Irigoin, J.: 41, 54, 62, 108 Irshai, O.: 217, 227, 261, 264 Isocrate, Aegineticus (orat. 19): 101 Iti’el (Ithiel): 245
Kalonymus il Vecchio, Rabbi: 245 Kaplan, M.: 225 Kassel, R.: 101 Kazhdan, A.: 64, 124
Kehr, P. F.: 175 Kennedy, G. A.: 96 Khan, G.: 269 Khoury, A. Th.: 229 Kirby, A.: 97 Kontouma, V.: 80 Kotter, Bonifaz: 71, 219, 221, 238 Koumanoudis, S. A.: 117 Krafft, P.: 202-203
Jackson, D. F.: 43, 203, 206
Krumbacher, K.: 121
Jacob, André: 9-10, 19, 23-24, 29, 31, 35, 39, 41-42, 44-46, 49-52, 59-60, 63, 65, 69-70, 72, 74-75, 78-80, 83, 95, 97, 101-102, 104-105, 108, 110, 114-116, 120, 124, 169-175, 177-178, 206-207, 218, 221-222
Kurtz, E.: 113
Jaeger, W.: 62 James, M. R.: 179 Janssens, B.: 11 Jastrow, M.: 268-269 Jean Chrysostome: vedi Giovannni Crisostomo Jeffreys, W.: 110
Kürzbock, J.: 122 Lacerenza, G.: 242 Lackner, W.: 12, 73 Lamberz, E.: 232 Lambros, S. P.: 47, 80 Lamoreaux, J. C.: 229-230 Lampe, G. W. H.: 106 Langerbeck, H.: 42-43 Lanza, A.: 105 Laporta, A.: 171
Johnson, S. F.: 109
Lascari, Costantino: 24, 85, 108, 205206 – Vita Colluthi: 205
Joseph Ha-Cohen, di Avignone: 246
Lascari, Giano: 42-44, 68-69, 108, 206
Joannou, P.-P.: 47, 179
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
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Laurent, V.: 62, 65
–
Lausberg, H.: 56 Leandro, personaggio mitologico: 101
Lucà, Santo: 9-13, 15-16, 21-22, 39, 47, 4952, 55, 58, 75, 85, 202, 207, 221-222
Lefèvre, M.: 226
Luciano, De saltatione: 204
Leicht, R.: 251
Luigi di Tricase, sacerdote: 83
Lelli, Fabrizio: 234, 241, 243, 246-247, 259-270
Luria, Salomon: 246
Lemerle, P.: 110
Luzzati, M.: 216, 241
Lendle, O.: 48, 52 Leonardo, arcivescovo di Palermo: 70 Leone di Rodi, schedografo: 112-113 Leone Toscano: 65 Leone X, papa (Giovanni de’ Medici, cardinale): 43-44, 202, 208 Leone, arcivescovo di Acrida: 80 – Epistula ad Iohannem Tranensem: 64, 88 Leone, Pietro Luigi M.: 116
Martirio: 118
Lusini, G.: 86
Macario di Reggio, copista: 237 Maeyama, Y.: 225 Magdalino, Paul: 96-97, 219, 224, 227228 Maggiulli, L.: 171 Magionami, L.: 85 Magistrale, F.: 63 Magrini, S.: 51 Maillard, J.-F.: 209
Leone, protopapas, padre di Giorgio di Aradeo: 126
Maltese, E. V.: 42, 108
Leonzio di Costantinopoli, In lacum Genesareth (CPG 4704): 25
Mandalà, M.: 171
Leroy, Julien: 220 Libellus seu Epistola Averrois de connexione intellectus abstracti cum homine: 253 Licofrone: 120 – Alexandra: 23, 239 Licurgo di Atene, In Leocratem: 101 Lilla, S.: 22, 78, 221
Mandalà, G.: 77 Manfredi, A.: 200, 202 Manfredi, re di Sicilia: 253 Maniaci, M.: 61, 75, 77, 79 Manuele I (Comneno), imperatore bizantino: 64, 79, 108 Manuele Moscopulo: 111, 114-115, 122, 125, 127 – Erotemata grammaticalia: 130
Liotta, F.: 71
–
Lippomano, Marco: 250
Marcheselli-Loukas, L.: 111
Liturgia dei presantificati: 182, 184
Marco, monaco costantinopolitano, poeta: 97
Liturgia di san Pietro: 37
Scholia in Iliadem: 134
Livrea, E. (H.): 205-207
Marcon, S.: 203
Lo Parco, F.: 115, 205
Marcus, I. G.: 246, 249
Loenertz, R. J.: 59, 79, 81, 86, 95, 108, 216
Maria, madre di Gesù: 218-219
Lolos, A.: 235
Markopoulos, A.: 110
Lorenzo, martire: 119
Marotta, S.: 65
Marin, M.: 233
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Martin, J.-M.: 45, 70 Martinelli Tempesta, Stefano: 199-200, 210
Meshullam bar Rav Qalonymos bar Yehudà: 245
Martínez Manzano, T.: 85, 205-206
Metodio di Olimpo, Rivelazioni (spurio): 225, 228, 235
Martini, E.: 22, 46, 60, 69, 81
Meyendorff, P.: 63
Mascolo, M.: 218
Mezio, Federico: 216
Maslov, B.: 18
Michel, A.: 81
Massimo Confessore: 9, 83, 232 – Prologus in opera Pseudo-Dionysii: 88 – Scholia in Corpus Areopagiticum: 61-62, 78, 88 Massimo, filosofo cinico: 233-234
Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli: 64
Mazzatinti, G.: 83 Mazzotta, Oronzo: 18, 36-40, 45, 52, 67, 173 Mazzucchi, C. M.: 20, 38, 47, 78 McGiffert, A. C.: 222-224 McGinn, B.: 228 Medici, Alessandro de’, duca di Firenze: 200 Medici, Giovanni de’, cardinale (Leone X): vedi Leone X, papa Medici, Lorenzo de’, «il Magnifico»: 4243, 206 Me’ir Qalonymos, rabbino: 250 Meirinhos, J.: 200 Mekilta a Esodo: 269 Menache, S.: 244 Menaতem ben Mordekay da Otranto, parnas: 264-265, 267 Menandro, commediografo – Menandri sententiae: 209-210 Menandro, retore: 98-99 Menchelli, M.: 204 Menestrina, G.: 65 Menniti, Pietro, basiliano: 20 Mercati, G.: 225, 228 Mercati, S. G.: 103, 111, 113, 228 Merendino, E.: 82
Michele Glica, Annales: 225 Michele III d’Anchialo, patriarca di Costantinopoli: 173, 176 Michele Sincello, Tractatus de orationis constructione: 125 Michele, arcangelo: 235 Midrash: 235 Militello, C.: 70 Miller, T. S.: 112-113 Mioni, E.: 127 Mišnà: 261, 263 Modigliani, A.: 199 Moffatt, A.: 110 Mogenet, J.: 72 Möhring, H.: 228 Moldovan, A. M.: 18 Molle, A.: 70 Monchizadeh, A.: 121 Mondrain, B.: 110 Monégier du Sorbier, M.-A.: 49 Mongillo, D.: 70 Moore, P.: 46 Mor Deror: 246 Moraux, P.: 61, 202, 208 Moreau, J.: 228 Moreschini, G.: 65 Morlet, S.: 219 Moshè bar Qalonymos, Rabbi: 245-246 Mossay, J.: 17-18, 21-24, 29, 31, 33, 3640, 234 Motolese, M.: 200
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Muci, M.: 45, 79, 171 Mühlenberg, E.: 47-48, 53, 81 Müller, K. K.: 42, 68-69, 206 Mullett, M.: 97 Munafò, P.: 79 Munnich, O.: 219 Münz-Manor, O.: 264 Muratore, D.: 43-44 Musca, G.: 216 Mushinsky, M.: 18 Mussini Sacchi, M. P.: 208 Musurillo, H.: 81 Muzzarelli, M. G.: 236 Nau, F.: 219 Nautin, P.: 233
321
Nichols, A.: 268 Nicola da Soleto, schedografo: 107-120, 125, 129 Nicola di Casole: 173 Nicola di Gallipoli, copista: 22 Nicola di Oria, copista: 49 Nicola di Otranto, abate: vedi Nicola-Nettario, abate di S. Nicola di Casole Nicola di Otranto, poeta: 95, 103-104 Nicola III, Grammatico, patriarca di Costantinopoli: 80, 171 – De ratione qua sacerdos facere debeat oblationem: 171 – autore presunto: vedi Epistola a Paolo vescovo di Gallipoli Nicola, chierico, copista: 231
Nesbitt, J. W.: 112
Nicola, copista del Patm. 33: 20
Nettario, monaco, copista (s. XV): 238
Nicola, Hagiopetrites, copista: 114, 124, 126-127
Neubauer, A.: 243, 246 Niceforo Basilace: 117 Niceta di Bisanzio, Capita syllogistica (Capitoletti sulla processione dello Spirito Santo; XXIV Capitoli sillogistici sulla processione del Santo Spirito; Contra latinos de processione Sancti spiritus): 65, 81, 89 Niceta di Eraclea (di Serre), Canoni grammaticali: 109 –
Scholia in orationes Gregorii Nazianzeni: 18, 22, 24, 31-32, 34, 37, 39-40 Niceta Eugeniano: 125 Niceta Paflagone (Niceta Davide), Laudatio sancti Theodori: 50 – Scholia in carmina Gregorii Nazianzeni (CPG 3046): 22 Niceta Scutariota: 125 Niceta Stetato: 64, 80 – Adversus Iudaeos: 64, 88 – Adversus Latinos: 81 – De vitae terminis: 64, 88 – Dialexis: 81 Niceta, arcivescovo di Nicomedia: 66
Nicola, vescovo di Andida, Protheoria: 110 Nicola, metropolita di Metone, Adversus latinos de Spiritu sancto: 88 – Sillogismi: 64-65 Nicola-Nettario, abate di S. Nicola di Casole (Nicola di Otranto): 59, 71, 81-82, 95-97, 102-104, 108, 124, 215216, 218-219, 232-238 – Contra Iudaeos: 218, 232-237 – Tria syntagmata: 23, 79-80 Nicolaj, G: 80, 126 Nicone della Montagna Nera, Epistula de ieiunio Deiparae: 179 – Expositio de ieiunio Deiparae: 179 Nilo, Epistulae: 106 Nimmo Smith, J.: 18 Nolhac, P. de: 44 North, Frederick: 67 Noy, D.: 260 Noyé, G.: 45, 70 Nnjr al-DƯn al-Bi৬rnjۜƯ: vedi Alpetragio Nuti, E.: 123
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322
INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Omero: 40, 120 – Iliade: 11, 23, 35, 51, 125 Omont, H.: 125-126, 177, 219, 226
Pasini, C.: 38, 45, 47, 49-50, 69, 81, 207, 210 Pasini, J.: 177
Onofrio, ieromonaco del S. Salvatore di Messina: 47
Pasiourtides, Vasos: 70
Oppiano, Cynegetica: 206-207
Patillon, M.: 96, 104
Origene: 233
Patlagean, Évelyne: 81, 236
– In Ieremiam: 233
Paul, Suzanne: 169
Orsini, P.: 205
Pecere, O.: 61, 85, 124, 130
Pafnuzio, vescovo di Tebe – De Paphnutio episcopo: 179
Pediasimo, Giovanni, Tractatus de duodecim Herculis laboribus: 202-203
Pagano, abate latino: 173
Pelagio Galvani, cardinale: 215
Palagano d’Otranto, allievo di Nicola-Nettario: 95, 104
Pellè, L.: 171
Pasquale I, papa: 234
Pellegrino, B.: 44
Palefato, De incredibilibus: 202-203
Pellegrino, P.: 42
Palese, S.: 60
Pepi, L.: 250
Palladio, Dialogus de vita Ioannis Chrysostomi: 106
Perani, M.: 250
Palmieri, S.: 216
Pericoli Ridolfini, N.: 52
Palumbo, P. F.: 83
Pernigotti, C.: 209
Pantaleone, prete di Galatina: 47
Pernot, L.: 104
Pantoleon, vescovo di Gallipoli: 103
Perria, L.: 202, 221
Paolo, vescovo di Gallipoli: 169-198
Pertusi, A.: 55, 225
Paolo, vescovo di Nisibi (Paolo il Persiano): 232
Peruzzi, M.: 42
Paolo di Otranto, pittore: 96-97 Paolo, igumeno di Santa Maria di Cerrate: 52 Paone, M.: 60 Papademetriou, J. T.: 111-112 Papadopoulos, S. G.: 70
Pérez Martín, I.: 20, 77, 208-209
Petitmengin, P.: 44 Petralia, G.: 238, 249 Pettenà, Carmen: 199 Phillipps, Thomas: 67 Photius: vedi Fozio Phrynichus: vedi Frinico
Papathomopoulos, M.: 111, 206
Phurnes, Giovanni, egumeno di Monte Ganos: 64 – Disputatio cum Petro Grossolano: 88 Piazzoni, A. M.: 13
Parenti, S.: 46, 169, 173-174
Piccard: 71
Parlangeli, O.: 56
Piccolomini, E.: 44
Parrasio, Aulo Giano: 115, 204-205, 207, 211
Picerno, Bartolomeo, da Montesardo, domenicano: 83
Paschke, F.: 73
Pichkhadze, A.: 18
Papadoyannakis, Y.: 109 Papathanassiou, M.: 68
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
323
Pier delle Vigne: 105
Procaccioli, P.: 200
Pietro, domenicano: 66
Procopio, diacono, Encomium in angelos Michael et Gabriel: 50
Pietro I, patriarca di Alessandria, De Paschate ad Tricentium: 179 – Epistula canonica: 179 Pietro II, patriarca di Antiochia: 64 Pietro III, patriarca di Antiochia, Epistula ad Dominicum Gradensem: 180-181 Pingree, D.: 225 Pintaudi, R.: 202 Pitagora, Carmen aureum (spurio): 6769, 86, 89, 209 Pittia, S.: 210
Psello, Michele: 21, 37 – De omnifaria doctrina: 84 Pseudo Dionigi Areopagita: 9, 61-62, 71, 74, 78 – De coelesti hierarchia: 88 – De divinis nominibus: 88 – De ecclesiastica hierarchia: 88 – De mystica theologia: 88 – Epistulae: 88 Pseudo-Ermogene, Progymnasmata: 76, 96, 98
Platone: 60, 78
Pseudo-Nonno, Scholia mythologica in orationes Gregorii Nazianzeni (CPG 3011): 18, 39-40
Plested, M.: 82
Ptochoprodromo, poeta: 108
Pletone, Giorgio Gemisto: 210
Pugliese Carratelli, G.: 215
Plutarco: 208 – Vitae X oratorum: 201 Podskalsky, G.: 64
Putzu, V.: 242, 248
Planude, Massimo: 122
Polemis, I. D.: 112-113, 121, 125, 131 Polemone, Antonio, sofista, Declamationes: 204, 207 Poli, G.: 44 Polidori, Pietro: 172 Polidori, Valerio: 169, 172, 174-176, 178, 180-188 Pomponazzi: 83 Pontani, A.: 42, 108 Ponti, Giovanni de’, cardinale, arcivescovo di Taranto: 86 Pordomingo, F.: 96 Porfirio: 120 – Isagoge: 62
Qalonymos (famiglia; Kalonymos, Calonimos): 241-257 Qalonymos ben David (Maestro Calo Calonimo): 251-257 – Liber de mundi creatione physicis rationibus probata: 252, 256-257 – Porta accentuum: 252 Qalonymos ben David ben Todros: 254 Qalonymos ben Judah ha-Baতur, paytan di Magonza: 248 Qalonymos ben Mešullam ha-Parnas, di Magonza: 248 Qalonymos ben Qalonymos ben Me’ir (Qalonymos ben Qalonymos di Arles): 249, 253-255 Qalonymos, detto il romano: 246
Poso, C. D.: 171
Qalonymos, figlio di Moshè bar Qalonymos: 245
Potestà, G. L.: 236
Quacquarelli, A.: 233
Pouderon, B.: 219
Quaranta, F.: 80
Prato, G.: 203
Questa, C.: 54, 62
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324
INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Questenberg, Jakob Aurel: 207-209, 211 Quinto Smirneo, Posthomerica: 206207 Rabe, H.: 100 Radle, G.: 18, 36, 67, 174, 221 Raffaelli, R.: 54, 62 Rao, I. G.: 43 Rashed, M.: 219 Ravenna, B.: 171, 175 Re, M.: 46, 49 Regiomontano, J. M.: 252 Regnicoli, Laura: 199 Reinsch, Diether: 61, 97, 105-106, 202 Richard, M.: 232-233 Ricoldo da Monte Croce, domenicano (Ricoldo Pennini), Contra legem Saracenorum (Confutatio Alcorani): 83 Ridolfi, Niccolò, cardinale: 43-44 Rigo, Antonio: 59, 64-65, 69, 79, 81, 86 Rita, A.: 202 Ritter, A. M.: 61 Rivautella, A.: 177 Rizzo, Battista, di Soleto, copista: 75 Rizzo, Giacomo, di Soleto, copista: 71 Rizzo, L.: 69 Roberto d’Angiò, re di Napoli e di Sicilia (Roberto il Saggio): 249, 253-254 Roberto di Otranto: 95 Robinson, P. M.: 61 Rodley, L.: 96-97 Rodolfo di Reims, frate minore: 66 Rodotà, P. P.: 171, 175 Rodriquez, M. T.: 11 Rollo, A.: 123, 209, 211 Romeo, R.: 216 Roncaglia, M.: 80 Ronconi, F.: 122, 129 Roosen, B.: 11, 34, 109
Rosenthal, F.: 241 Rostagno, E.: 125 Roth, C.: 246-247 Rousseau, A.: 235 Rudberg, S. Y.: 46 Ruggero di Otranto, Contrasto tra Taranto e Otranto: 103 Russell, D. A.: 99 Russo, E.: 200 Ryzhik, M.: 263 Šabbetai Donnolo (Shabbetai): 242 Sackur, E.: 228 Safran, L.: 101 Sajdak, J.: 18, 34 Saltzer, W. G.: 225 Samrakandi, M. H.: 253 Samuel ben Qalonymos he-ণasid (il Pio), rabbino: 246, 248 Sanchi, L. A.: 209 Santos Otero, A. de: 232 Savile, Henry: 11 Scapecchi, P.: 199-200, 202 Schamp, J.: 96 Schartau, B.: 208 Schembra, R.: 210 Schiano, Claudio: 99, 199, 215-239 Schibli, H. S.: 68 Schinzari, Nicola, di Galatina, copista: 59, 71 Schirmann, J.: 242, 265-266 Schirò, G.: 103, 111, 113, 130, 133 Schmidt, A.: 18 Schmidt, J.: 66 Schmidt, Th.: 18 Schmieder, F.: 228 Schneider, J.: 109 Schreiner, P.: 59 Sciarra, E.: 11, 22-23, 29, 41, 52, 85, 124, 126-127, 129
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Sed-Rajna, G.: 262 Šefatiah di Oria: 242 Sefer ha-bahir: 49: 267 Sefer ۊasidim (Libro dei pii): 248 Sefer ye܈irà (Libro della formazione): 261 Šemaryà ben Eliyyà ha-Iqriti: 264 Šemaryà da Rabiyoanno: 264 Senofonte: 200 Serapione, vescovo di Thmuis: 232 Sermoneta, G.: 242 Ševþenko, Ihor: 219, 225-226 Severiano di Gabala: 11, 14-15 – De serpente (CPG 4196): 25 – De tribus pueris sermo (CPG 4568): 14 – In illud, Secundum imaginem et similitudinem (CPG 4234): 15 Severo, arcivescovo di Antiochia: 230-231 Sfranze, Giorgio: 84 Sguropulo, Demetrio, copista: 83 Shailor, B. A.: 207 Shinedling, A. I.: 253 Sibilla tiburtina: 228 Sicherl, M.: 203 Siciliani, M. A.: 10 Siecienski, A. E.: 78 Signes Codoñer, J.: 20, 208 Silano di Venosa: 242 Sillavì, Nicola, di Gallipoli, copista: 84, 204 Silva Sánchez, T.: 207 Silvano, Luigi: 45, 114-115, 121-167 Simonsohn, Sh.: 216 Simplicio, In Aristotelis Physicorum: 219 Soffray, M.: 12 Sofocle: 82, 108, 120 Sofronio di Gerusalemme – presunto autore dei Dialogica polymorpha antiiudaica: 223
325
Sola, G. N.: 96 Somers, Véronique: 9, 17-40, 52-54 Sorrel, C.: 86 Sparagna, Maddalena: 199 Spatharakis, I.: 74 Spedicato, M.: 18, 36, 44-45, 67, 204 Speranzi, David: 42, 59-60, 68, 84, 115, 199-213 Spinelli, Ludovico, vescovo di Gallipoli: 172 Stadter, P. A.: 44 Stanjek, Johann: 11, 25 Starr, J.: 241 Stavrou, M.: 84 Stefano di Nardò, schedografo: 114, 118, 129 Stefano di Soleto, schedografo: 129 Stefano, copista (̕ΘνΚ΅ΑΓΖ; Étienne; fl. 1279-1280): 39 Stefano, s., protomartire – Passio s. Stephani: 51 Stefec, Rudolf: 199, 204, 209 Steinschneider, M.: 250-251, 254 Stephanus, Robertus: vedi Estienne, Robert Stevenson, H.: 127 Stiso, Sergio, di Zollino: 60, 68-69, 85, 108, 115, 124-125, 205-207, 211 – vedi anche: Copista di Sergio Stiso Stobeo: 201 Stow, K. R.: 244 Stramaglia, A.: 96 Stroumsa, G. G.: 217, 261 Strozzi, Piero: 43 Strus, A.: 51 Suchla, B. R.: 61 Suliardo, Michele, copista: 205 Svetonio, ̓ΉΕϠȱΆΏ΅ΗΚΐЗΑ: 106 Swanson, R. N.: 66 Symbolum apostolicum: 79
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326
INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Taft, R. F.: 10, 63 Tafuri, Matteo: 69 Talgam, R.: 217, 261 Talmud Palestinese: 269 Tamani, Giuliano: 216, 241, 250, 252 Tanۊuma a Esodo: 267 Tannery, P.: 110 Targny, Louis de, custode della Bibliothèque royale (Parigi): 220 Teodoreto: 88 Teodoreto, Interpretatio in Danielem: 236 Teodoro Abnj Qurra, vescovo di Harran: 221, 229-230, 232 Teodoro Balsamone, patriarca di Antiochia: 117 Teodoro Gaza: 84, 204 Teodoro Prodromo: 111, 125 – vedi anche Ptochoprodromo Teodoro Studita: 234 – Epistulae: 234 Teodoro, martire – Martyrium: 25 Teodosio, protopapas di Gallipoli (Teodoro): 171-174 Teodosio, vescovo di Gallipoli: 173, 175 Teodosio/Teodoro: 175 Teodoto di Gallipoli, ieromonaco: 95 Teofilatto di Bulgaria: 64 – Adversus latinos: 88 – Enarratio in Evangelia: 39, 52 Teognosto, grammatico, De orthographia: 72 Teoriano, pittore o restauratore: 97 Tesi, M.: 202 Thom, J.: 67 Timoteo Eluro (Ailuros), patriarca di Alessandria: 231 Tito, imperatore: 242, 246 Tito, vescovo di Bostra: 232 Todeschini, G.: 236
Tommaso d’Aquino: 70, 82 – De articulis fidei: 70, 77, 89 Tommaso Magistro, Ecloga vocum Atticarum: 123 Toniolo, E. M.: 50 Too, Y. L.: 96 Touwaide, A.: 68 Trapp, E.: 106, 117 Trifiodoro, Ilii excidium: 206-208 Trinchera, Francesco: 170 Trisoglio, F.: 18 Tristano, C.: 85 Trizio, M.: 79 Trophaea Damasci (Trophées de Damas): 230-231 Tsantsanoglou, K.: 85 Tsavari, I.: 206-207 Turco, G.: 49 Turriano, Gioacchino, domenicano (Torriano): 203 Typicon di Casole: 177 Typicon di Jena: 55 Typicon del S.mo Salvatore di Messina: 27-28 Typicon della Theotokos Evergetis: 27-28 Ucciardello, G.: 199 Uggeri, G.: 171 Ughelli: 171 Ugo, domenicano: 66 Ugo Eteriano (Hugo Etherianus): 63, 79 – De Sancto et immortali Deo: 65 Ullman, B. L.: 44 Urbano VIII, papa (Maffeo Vincenzo Barberini): 49 Valente, astronomo: 225 Valli, D.: 171 Van Deun, P.: 11 Vassiliev, A.: 111, 225 Vassis, I.: 111-113, 121, 127, 131
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INDICE DEI NOMI E DELLE OPERE
Vecce, C.: 83
Wilson, N. G.: 99
Ventrella, G.: 96, 100-101
Winling, R.: 62
Vespasiano, imperatore: 227 Vetrugno, P. A.: 78 Vicario, M. C.: 79 Victor, Ulrich: 66 Vitelli, G.: 203 Viti, P.: 45 Vivanti, C.: 246 Voicu, Sever J.: 9-16, 46, 52 Voltz, L.: 109
327
Ya’aqov ben Me’ir di Troyes, rabbino (Rabbenu Tam): 217 – Sefer ha-yašar (Il libro del giusto): 243 Yahalom, J.: 261, 264 Yehudà, payyetan: 264 Yehudah il Pio, Rav: 246 Yehudah b. Qalonymos ben Moses di Magonza: 248
Vox, Onofrio: 95-106
Yehudah ben Samuel he-ণasid (il Pio): 248
Wadding, L.: 66
Yequ৬i’el, figlio di Moshè bar Qalonymos: 245
Wais, K.: 56 Walz, Christian: 100
Yose ben Avraham: 264
Webb, R. H.: 96
Zaccaria, egumeno di Casole: 86
Weinberger, L. J.: 262, 264-265
Zaccaria, vescovo di Mitilene: 232
Weinrich, H.: 56
Zedler, B. H.: 254-257
Wellas, M. B.: 99
Zinguer, I.: 252
Wendel, C.: 60, 72
Zonta, G.: 83
Wessel, S.: 50
Zonta, M.: 251, 253-254
Wiesner, Jürgen: 61, 66, 202-203
Zuretti, O.: 103
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III. INDICE DEI MANOSCRITTI, DEI DOCUMENTI DI ARCHIVIO E DEGLI STAMPATI ATHOS, ȂȠȞȒǺĮIJȠʌİįȠȣ – –
105: 26 236: 229, 231-232
ATHOS, ȂȠȞȒǿȕȒȡȦȞ –
190: 16, 47, 54, 56, 58, 80, 82
ATHOS, ȂȠȞȒȀĮȡĮțȜȜȠȣ –
14: 224-225
ATHOS, ȂȠȞȒȀȠȣIJȜȠȣȝȠȣıȠȣ –
2: 36
BRESCIA, Biblioteca Civica Queriniana –
A. IV. 3: 45, 57-58, 60-67, 74-79, 8893
CAMBRIDGE, Corpus Christi College –
ms. 486: 178
CHELTENHAM, Thirlestaine House Phillipps mss. – –
–
23007 I (olim): 67, 76, 84, 89 23007 II: vedi Provo, Brigham Young University, H. B. Lee Library, L.T. Perry Special Collections, Vault 91 G13 1475: 68 23007 III: 68
CITTA DEL VATICANO, Biblioteca Apostolica Vaticana Barberiniani greci – – – – – – – – – –
70: 85 74: 95 102: 107, 112, 114-115, 124, 126, 129, 131-161, 163-164 226: 72-73, 75-77, 84, 89 347: 71 350: 169, 176-177 360: 71 385: 177 443: 55 456: 13, 16, 36, 49-55, 57-58
– 517: 14-16, 37 Chigiani – R. IV. 18 (gr. 18): 220 Ottoboniani greci – 1: 16 – 13: 13 – 312: 9, 21-22, 24, 37, 45, 57-58 – 344: 174, 177-178 – 384: 37 Palatini greci – 92: 118, 127, 131-161, 165-167 – 237: 95 – 265: 75 Reginensi greci di Pio II – 47: 218 Vaticani greci – 18: 122 – 341: 225, 228 – 770: 218, 237 – 1019: 77 – 1221: 52 – 1246: 37, 49, 52, 57 – 1272: 37 – 1273: 9, 21-22, 24, 26, 31-32, 34, 37, 40 – 1276: 80, 95, 97, 105, 109 – 1277: 16, 176-177, 182 – 1351: 205 – 1406: 206 – 1412: 42, 206 – 1553: 220 – 1592: 19 – 1652: 14, 16 – 1903: 219 – 1912: 9, 21-22, 24, 26, 31-32, 34, 37, 40 – 1992: 19, 21 – 2001: 52 – 2061: 19-20 – 2109: 71 – 2115: 16 – 2120: 71
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INDICE DEI MANOSCRITTI
– 2236: 210 – 2252: 9, 21-22, 24, 37 Vaticani latini – 3966: 200, 212-213 EL ESCORIAL, Real Biblioteca – &. I. 3: 228 – Y. II. 6 (gr. 261): 51 –ȳ̚. III. 7 (gr. 462): 225-226 – ȍ. IV. 7: 58 FIRENZE, Biblioteca Marucelliana –
A 175/5bis: 202
FIRENZE, Biblioteca Medicea Laurenziana Conventi soppressi – 2: 114, 118, 125, 131-161 – 152: 75, 82 – 177: 19-20 Plutei – 4.22: 79 – 5.7: 204 – 5.10: 23-24, 38, 95-96, 102 – 5.36: 23-24, 38, 80 – 7.8: 19-20 – 7.12: 26 – 7.14: 202 – 9.16: 53, 58, 81 – 10.16: 55 – 10.22: 209-210 – 10.27: 50-51, 57 – 28.29: 210 – 31.27: 205-207 – 32.16: 206 – 32.20: 23 – 55.9: 202 – 56.15: 202 – 56.18: 210 – 57.16: 201, 212-213 – 57.36: 72 – 57.47: 200 – 58.2: 68, 95, 102 – 58.25: 95 – 59.37: 204 – 60.19: 202-205 – 69.28: 210 – 71.11: 62, 77 – 71.35: 60, 62, 77-78 – 72.3: 77-78
– 72.14: 77 – 72.16: 66-67, 75-77, 89 – 72.22: 77 – 74.17: 81 – 80.27: 200 – 86.15: 84, 204 – 87.10: 200 San Marco – 692: 9, 42-44, 46-47, 53, 56-57 FIRENZE, Biblioteca Nazionale Centrale – incunabolo C.3.15: 200 GALATINA, Biblioteca Comunale Pietro Siciliani – ms. 25: 84 GERUSALEMME, Schocken collection – 22 (olim): 265-266 GROTTAFERRATA, Biblioteca del Monumento Nazionale –ȳ̄ǯȱΈ. VI (gr. 389): 218, 237 –ȳ̄ǯȱΈ. XI, nr. V = ̆ǯȱΆ. XXXVII (gr. 14): 12, 16 –ȳ̅ǯȱ΅. XXIII (gr. 98): 38 –ȳ̅ǯȱΆ. X (gr. 3): 38 –ȳ̅ǯȱΆ. X.2 (gr. 3): 50, 57 –ȳ̆ǯȱΆ. XX (gr. 145): 16 –ȳ̇ǯȱ΅. XVII (gr. 377): 12, 15-16 JENA, Universitätsbibliothek – G.B.q.6a: 55 KARLSRUHE, Badische Landesbibliothek Ettenheim-Münster – 6: 9, 23, 65, 79 KØBENHAVN, Det Kongelige Bibliothek – Fabr. 60,4°: 208 – Hebr. 8° Add. 2, I: 266 LECCE, Biblioteca Provinciale – 85: 172 – 201: 169, 178 Lesbos, ȂȠȞȒĮȖȠȣǿȦȞȞȠȣIJȠȣĬİȠȜȩȖȠȣ ȂȠȞȒȊȥȘȜȠ – 7: 50, 52, 57-58 LONDON, British Library Additional mss. – 18231: 19-20 – 36749: 85
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INDICE DEI MANOSCRITTI
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Arundel – 529: 38
MONTECASSINO, Archivio dell’Abbazia – ms. 231: 71, 75
MADRID, Biblioteca Nacional – 4649 (olim N 93): 19, 23-24, 38 – 4691: 206
MOSKVA, Gosudarstvennyj Istoriþeskij Muzej
MESSINA, Biblioteca Regionale Universitaria Fondo vecchio – F.V. 20: 26 San Salvatore – 30: 49 – 32: 19, 21 – 49: 95 MILANO, Biblioteca Ambrosiana – A 60 sup. (gr. 8): 38 – A 66 sup. (gr. 14): 69-71, 76-77, 82, 89 – B 39 sup. (gr. 89): 45-46, 58, 71, 210, 237-239 – C 7 sup. (gr. 167): 9 – C 97 sup. (gr. 194): 77-78 – D 47 sup. (gr. 232): 77-78 – D 48 sup. (gr. 233): 78 – D 62 sup. (gr. 241): 15 – E 18 sup. (gr. 274): 71, 177 – E 20 sup. (gr. 276): 9 – E 94 sup. (gr. 303): 47-48, 58 – F 10 sup. (gr. 324): 9, 81, 177 – F 103 sup. (gr. 356): 49, 52, 57 – G 8 sup. (gr. 380): 176-177 – G 63 sup. (gr. 405): 39 – M 87 sup. (gr. 533): 75, 78 – O 154 sup. (gr. 603): 84 – P 123 sup. (gr. 641): 84 – Q 2 sup. (gr. 658): 71 – Q 5 sup. (gr. 661): 205-206 – Q 13 sup. (gr. 667): 210 – Q 74 sup. (gr. 681): 71 – S 23 sup. (gr. 732): 15-16 – B 12 inf. (gr. 839): 13-14, 16, 38, 5052, 57 – C 11 inf. (gr. 846): 49, 51, 55, 57 – D 516 inf. (gr. 994): 206-207 MODENA, Archivio di Stato di Modena – Frammenti Busta 12, nn. 17-20: 124, 131-162
Sinodal´naja Biblioteka – gr. 159: 13 MÜNCHEN, Bayerische Staatsbibliothek Codices graeci – 154: 26 – 264: 207 – 272: 126, 131-161 – 320: 80 NAPOLI, Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III» – II. E. 21: 204, 207 – II. F. 17: 207-208 – II. F. 48: 204 NARDÒ, Archivio Vescovile – s.n.: 170-172 NEW HAVEN, Yale University Beinecke Rare Book and Manuscript Library – 255: 207, 211 – 256: 77-78 OXFORD, Bodleian Library Auctarium – T. 1. 6: 238 – T. 2. 16: 9, 46, 58, 83 Barocci – 86: 16 OXFORD, Christ Church College – ms. 486: 169-198 OXFORD, Magdalen College –
gr. 15: 78
PALERMO, Biblioteca Nazionale – XIII. H. 2: 46-47, 53 PARIS, Bibliothèque nationale de France Ancien fonds grec – 3: 222 – 39: 44 – 323: 9, 65
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INDICE DEI MANOSCRITTI
– – –
524: 26 543: 34 549: 23-24, 26, 29, 34-35, 39, 44, 46, 54, 120 – 758: 15 – 1002: 9, 42-44, 57 – 1087: 39 – 1094: 83 – 1106: 221 – 1111: 219-230, 232 – 1165: 71, 83 – 1255: 237 – 1304: 16, 80 – 1370: 47-48, 58 – 1371: 95 – 1505: 15, 52 – 1624: 55 – 2002: 105 – 2062: 40, 97 – 2556: 125, 131-161 – 2572: 112, 126, 131-161 – 2574: 124, 126, 131-161 Coislin – 55: 20, 32-35 – 299: 230-231 Fonds latin – 6306: 83 Supplément grec – 8: 71, 78 – 109: 207 – 599: 78 – 681: 16, 47, 54, 58 – 1232: 71, 82, 95 PARMA, Biblioteca Palatina – ms. 2637/9 (De Rossi 336): 252 PATMOS, ȂȠȞȒ IJȠȣ ĮȖȠȣ ǿȦȞȞȠȣ IJȠȣ ĬİȠȜȩȖȠȣ – ms. 33: 19-20 PROVO, Brigham Young University, H. B. Lee Library L.T. Perry Special Collections – Vault 91 G13 1475 (olim Cheltenham, Thirlestaine House, Phillipps, 23007 II): 68 ROMA, Biblioteca Casanatense – 264: 75
ROMA, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana – Corsinian. 55. K. 30 (Rossi 357): 200 ROMA, Biblioteca Vallicelliana – B 34: 39, 50-53, 55, 57 – C 7: 39 – C 31 III: 9 – C 34: 22 – C 34 III: 21-22, 24, 26, 31, 34, 39-40 – C 97²: 40, 75, 80 TOLEDO, Archivo y Biblioteca Capitulares – 51-5: 208 TORINO, Biblioteca Nazionale Universitaria – B IV 22: 231 – C III 17: 169, 173-174, 176-177, 180 UGENTO, Archivio Diocesano Visite e Sinodi – 1: 60 VENEZIA, Biblioteca Nazionale Marciana Fondo Antico – gr. 139: 71 – gr. 226: 219 – gr. 257 (coll. 622): 127, 131-161 Classi – II. 58: 16 – II. 85: 40 – IX. 6 (coll. 1006): 203 WIEN, Österreichische Nationalbibliothek Historici graeci – 114: 15-16 Phil. graeci – 158: 16 – 204: 83 – 286: 230 – 310: 95, 103-104 Supplementum graecum – 37: 9, 21-22, 24, 29, 32, 34-35, 40 Theologici graeci – 35: 47 – 306-307: 231 WROCàAW (Breslavia), Biblioteka Uniwersytecka Rehdigeriani graeci – 26: 11, 16, 23-25, 35, 40, 51, 53
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TIPOGRAFIA VATICANA
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