Archeologia dell'acqua: La cultura idraulica nel mondo classico 8830411655, 9788830411654

Il libro rappresenta un vero e proprio piccolo manuale di idraulica antica: il lettore interessato al mondo classico, af

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Archeologia dell'acqua: La cultura idraulica nel mondo classico
 8830411655, 9788830411654

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ARCHEOLOGIA DELL'ACQUA LA CULTURA IDRAULICA NEL MONDO CLASSICO

di

RENATE

TOLLE-KASTENBEIN

PREFAZIONE MARIO

DI

TORELLI

CENTOVENTIDUE

ILLUSTRAZIONI

L O N G A N E SI MILANO

&

C.

PROPRIETÀ

Longanesi & C.,

LETTERARIA

RISERVATA

© 1993 - 20122 Milano, corso Italia, 13 ISBN 88-304-1165-S

Traduzione dall'originale tedesco Antike Wasserkultur di Lydia Salerno Revisione e consulenza di Lelia di Loreto

Copyright© 1990 by C .H. Beck' sche Ver/agsbuchhandlung (Oscar Beck), Miinchen

Archeologia dell'acqua

Seguono adesso i benefici terapeutici derivati dalle acque, poiché la Natura creatrice non si ferma mai e sprigiona le sue potenti energie nelle onde e nei flutti, nelle alterne maree, nel rapido scorrere dei fiumi, e, se vogliamo dire la verità, lo fa con un'immane potenza che non ha mai esercitato altrove, perché questo elemento si impone su tutti gli altri. te acque divorano la terra, estinguono il fuoco, si alzano e conquistano anche il cielo e, con un velo di nuvole, soffocano il soffio vitale che provoca Io scoppio dei fulmini quando il mondo è in conflitto con se stesso. Esiste forse qualcosa di più stupefacente delle acque che sono nel cielo? E come se fosse poco riuscire a tanto, trascinano con sé branchi di pesci, spesso anche pietre, e ascendono cariche di pesi a loro estranei. Quando tornano di nuovo, permettono di nascere a tutti i prodotti della terra - è un meraviglioso potere della Natura, se ci si sofferma a pensare che le acque salgono in cielo affinché il grano possa crescere e vivano gli alberi e le piante,. e che di lì donino alle erbe il soffio vitale: dobbiamo dunque ammettere che tutte le energie della terra non sono altro che un dono dell'acqua. Perciò, pnma di qualsiasi altra cosa, forniremo degli esempi del loro potere. Chi dei mortali potrebbe enumerarli tutti? PLINIO,

Naturalis historia XXXI l

Prefazione alt'edizione italiana NoN è frequente che un libro

« serio >> si legga con facilità e con piacere. Un grandissimo archeologo e storico dell'arte antica, Ranuccio Bianchi Bandinelli, ricordava divertito che la migliore recensione al suo bellissimo libro L 'arte romana al centro del potere, pubblicato nella collezione diretta da André Malraux « L'univers des formes »,era stata quella di un suo mediocre avversario, il quale, pensando di stroncare l'opera, aveva affermato che il libro di Bianchi Bandinelli non era da studiare, ma da leggere. Forse lo stesso, anche se in una chiave diversa, come diverso è l'argomento dei due libri, si può dire di questo elegante, quanto raro prodotto della divulgazione archeologica, Antike Wasserkultur dì Renate Tolle-Kastenbein, che ora esce in traduzione italiana. Il lavoro rappresenta un vero e proprio piccolo manuale di idraulica antica: il lettore interessato al mondo classico, affascinato da grandiosi manufatti monumentali romani come gli acquedotti che popolano il suburbio di Roma o da gioielli architettonici come la Peirene di Corinto, troverà ampia soddisfazione alle proprie curiosità nelle pagine che seguono. Tutti gli aspetti del pensiero, della pratica idraulica, della riflessione scientifica, del diritto, dell'architettura, in qualche modo collegati con l'acqua, hanno trovato nel libro della Tolle-Kastenbein una trattazione o quanto meno un cenno, con precisi rinvii ad altra documentazione specialistica per quanti avessero desiderio di maggiori informazioni. Se lavori del genere esistono nella letteratura anglosassone e tedesca, nella nostra tradizione di ricerca e di alta divulgazione finora non è apparsa un'opera da mettere accanto adAntike Wasserkultur, ciò che rende particolarmente utile questa traduzione anche alle molte centinaia di archeologi che si occupano della ricerca sul terreno. Ma questo libro suscita senz'altro molte altre riflessioni, che, apparentemente marginali, sono in realtà di notevole interesse per le ragioni stesse di questa collana e per l'occasione di questa traduzione. Come è ben noto, la divulgazione scientifica in generale, e quella relativa al mondo classico in particolare, sono state e continuano a essere gloria e vanto della cultura anglosassone, che, come grande civiltà di dilettanti (come si chiamò con tipico understatement britannico una gloriosa society di archeologi del Settecento), ha sviluppato per il diletto della lettura da parte del commoner un linguaggio, una letteratura e un'editoria che sin dalla prima metà del secolo scorso sono stati capaci di far penetrare in

2 un pubblico vasto e civile gli orientamenti più moderni del sapere. La tradizione ovviamente non è frutto di una curiosità di matrice tutta etnica, ma del ruolo stesso della cultura in una società borghese ancorata a una robustissima gentry; questa società ha saputo trapiantare in un contesto democratico nato da una rivoluzione l'ideale rinascimentale dell'uomo come microcosmo. Questo ideale, cosa notissima a tutti, era nato all'interno di un'altra società, anch'essa dominata da un'antica borghesia, quella italiana del primo Rinascimento. Qui tuttavia, per il precoce emergere dei governi autoritari dei signori e per la generale rifeudalizzazione del paese, all'intellettuale sono stati riservati soltanto due ruoli: quello di intellettuale aristocratico autoreferenziato, oppure quello di intellettuale di corte. A costoro la diffusione del sapere coltivato non solo era vietata dal medesimo contesto autoritario in cui essi operavano, ma addirittura non interessava, dal momento che questi intellettuali dovevano il proprio sostentamento alla corte oppure a un sistema produttivo, quello dell'aristocrazia terriera, il cui sistema di potere si basava, fra le altre cose, anche sul modello ideologico della teologica distanza tra profanum vulgus e dominus, tra masse non alfabetizzate .del contado e nobiltà depositaria esclusiva del sapere. I due modelli di intellettuale - quello aristocratico autoreferenziato e soprattutto quello dell'intellettuale di corte -, per le ben note vicende della storia politica e culturale tra xv e xvm secolo, hanno finito per prevalere nel continente europeo e hanno costituito fino a pochi anni fa le forme dominanti cui consciamente o inconsciamente gli uomini di cultura si sono ispirati nel loro agire sia come scienziati e organizzatori della cultura sia come politici. Se vogliamo restare nel campo dell'archeologia, basterà che chi desideri verificare questa realtà ancor oggi entri in un museo, per scoprire che gli oggetti sono pensati come >, che nei casi di maggior loquacità si colora di un'audace nota cronologica, « Prima metà del vn secolo a.C. >>,dove risulta evidente l'intenzione dell'allestitore di rivolgersi ai suoi ideali interlocutori, il cui numero, come è ovvio, è inteso essere e restare infinitamente più piccolo dei venticinque lettori di manzoniana memoria. Ricordo anzi che una quindicina di anni or sono, presentando un audiovisivo sulle origini di Roma, approntato per l 'Enciclopedia Italiana a cura di un valente storico antico, di uno psicolinguista e di chi scrive, fui aggredito da un collega, che ora illu-

3 stra una cattedra di discipline archeologiche in una prestigiosa università del nostro paese, perché a suo dire i concetti dell'audiovisivo sarebbero stati « troppo difficili >>; risposi allora alla sorprendente obiezione che la banalizzazione della sostanza storica era nella forma mera condiscendenza e di fatto un'operazione reazionaria, e cercai perciò di dimostrare che, se il tono dell'audiovisivo era'' alto », il lessico e i concetti da questo sostanziali erano piani e accessibili. Poco persuaso che il collega capisse, volli chiarire il mio pensiero e perciò aggiunsi ai miei argomenti un aneddoto. Raccontai infatti che qualche tempo prima, nelle sale di una grande e costosa mostra (quella intitolata Civiltà del Lazio primitivo, tenuta a Roma nel 1976), alla quale il mio interlocutore aveva partecipato con qualche responsabilità scientifica, avevo incontrato una mia conoscente, apprezzata insegnante nelle scuole medie, la quale, smarrita, mi aveva richiesto cosa fossero mai le « fusarole >> di cui si discettava nelle didascalie e nel catalogo: rivelando di colpo i propri fondamenti di politica culturale, il mio dotto avversario sbottò gridando che la mostra « era stata fatta per i colleghi ». Ecco, dunque: le mostre, i musei, i libri si fanno « per i colleghi>>, l'entropia è la norma, il pubblico un accidente imbarazzante. Di qui il sincero fastidio di una parte cospicua dell'accademia per la divulgazione di qualità, un fastidio che si perpetua talora anche nelle giovani generazioni. Anche qui un aneddoto potrà meglio illustrare questa perversa trasmissione dei valori vetero-accademici persino in coloro, i giovani, che dovrebbero esserne per natura esenti. A una mia laureata molto intelligente avevo tempo addietro proposto di pubblicare, opportunamente emendata, la sua tesi e avevo lasciato a lei la scelta se farlo sotto forma di un lungo saggio per una rivista o di uno snello libretto; trascorso qualche mese, la fanciulla tornò a colloquio~ me dicendosi ancora indecisa sul formato da dare alla riscrittura della sua dissertazione. Per spiegarmi la sua incertezza mi dichiarò di aver preferito istintivamente la forma del libretto, ma che il colloquio con un giovane dottore di ricerca di materia affine l'aveva fatta piombare di nuovo nel dubbio: evidentemente echeggiando giudizi circolanti in ambienti accademici, quel giovane le aveva infatti consigliato di pubblicare un articolo in una rivista scientifica, perché un libro (e aveva fatto esplicita allusione a libri della presente collana) '' non avrebbe avuto valore ai fini della carriera >>. A furia di seguire questa medesima logica diventa inevitabile scambiare la forma con il contenuto: per la cultura '' togata >> pubblicare nelle sedi non accademiche appare si-

4

nonimo di divulgazione tout court e dunque motivo di automatica e pregiudiziale censura, non importa se l'opera costituisca o no (come recita la formula del linguaggio curiale dei giudizi concorsuali) un « contributo originale al progresso della disciplina >>. Si è visto così che in un recente concorso per professore universitario associato la commissione ha escluso dalle prove orali alcuni giovani autori di lavori assai pregevoli pubblicati sempre in questa stessa collana, chiaramente perché ha considerato tali lavori « divulgativi » e perciò stesso non meritevoli di attenzione. Penso che cosa succederebbe se un nuovo Luigi Bemabò Brea presentasse a un concorso universitario un'altra Sicilia prima dei Greci: per coloro che non lo sapessero ricordiamo che questo libro, che ha cambiato un'intera prospettiva di studio sulla preistoria e protostoria della Sicilia, è stato pubblicato in una sede non accademica, bensì in una collana di « alta divulgazione » come la presente, la celebre « Uomo e Mito » del Saggiatore, non a caso omologa italiana di una fortunata collana inglese edita da Thames and Hudson. E gli esempi potrebbero continuare. Il libro della Tolle-Kastenbein giunge a confermarci che la Germania, afflitta non meno dell'Italia dal grave distacco tra accademia e consumo di cultura, si sta liberando da questo grave pregiudizio della cultura europea continentale e mostra di essere in grado, con la collana pubblicata dalla gloriosa casa editrice monacense Beck (la stessa, tra l'altro, del celeberrimo e autorevole Handbuch der Archiiologie), di produrre libri gradevoli e nuovi di>. Questa espressione

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Fig. Il. Atene, agorà, pozzi della tarda età arcaica e dell'epoca classica

sta a indicare che l'acqua da attingere posta in profondità era raggiungibile mediante una scala: in tal modo si aveva accesso ad acqua sorgiva e di infiltrazione. Raramente sono state costruite scale per raggiungere il fondo o la parte inferiore di un pozzo vero e proprio. 14 Anticamente, il pozzo v~niva scavato a mano, senza utilizzare macchine: 15 l'unico strumento che poteva es~re d'aiuto era l'arg~mo (cfr. fig. 22). A prescindere dai pochissimi pozzi a sezfone

35 quadrata, di solito il pozzo era cilindrico con un diametro tra i 90 i 100 cm, o di tre piedi: 16 lo spazio sufficiente per i lavori c;fi costruzione. Poiché i pozzi meglio conservati sono quelli che furono rivestiti, si potrebbe essere indotti a pensare che la maggior parte dei poziì venisse rivestita. N()ll bisogna invece sottovalutare il numero dei pozzi incompiuti, non consolidati nel terreno: soltanto sul terrapieno settentrionale dello stadio di Olimpia c'erano oltre centocinquanta pozzi non murati, scavati anche in età classica avanzata. SeJI_~oz~9 _dove_y~_~sse_~;e sf~~ato perJungo tempo, per manten~do ~ene_doyevano. rinfm:zarele_pareti:. tal v · tilizzava il legno, ma più comunemente si ricorreva tetre grezz )e, con il-passare del tempo, a Ri_etr~ _accuratamertte sgrossate (tlg. 12), nelle quali spesso venivano scavati scalini o pedaiole che consentissero di salire e scendere. Nella'--seconda metà del v secolo a. C -si cominciò a rivestire le pareti -~eip_o~zLoonan~llidi_!errl!_C5Jtta; ciascun a_nello era formato da tre o quattro segmenti, uniti tra loro da grappe o da strisce di piombo. Questa innovazione era destinata ad avere un lungo futuro: specialmente in età ellenistica ebbe un'ampia diffusione, non da ultimo, forse, in base a considerazioni di carattere economico; il\ confronto alla pietra, gli anelli di terracotta, t!_t_ano molto

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Fig. 12. Olimpia, pozzi con rivestimento in pietra a ovest del Bouleuterion, nel Theokoleon e presso una porta romana

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.~~.~Il 1>: il primo sbarramento ad arco del Vallon-de-Baume (cfr. infra). Anche in Italia troviamo una conferma del legame tra dighe di

143 sbarramento e zone semiaride. Frontino (93) riferisce dell'obiettivo del governo di Traiano di eliminare gli inconvenienti insiti nell'acquedotto Anio Novus convogliando, al posto dell'acqua fluviale poco sana, 9 l'acqua accumulata a Subiaco con la diga di sbarramento, ed ottenere quindi un'acqua di qualità paragonabile a quella dell'Aqua Marcia, perfino in quantità maggiore. Frontino e Plinio (Naturalis historia m 12) concordano sul fatto che le tre dighe di sbarramento 10 e i tre laghi famosi per la loro amenità nella valle dell' Anio, sopra Subiaco (Sublaqueum), non erano stati progettati con il fine precipuo di approvvigionarsi d'acqua, ma furono sfruttati solo secondariamente per il rifornimento idrico. Questo sarebbe accaduto, però, più di cinquant'anni dopo, con l'allacciamento diretto dell'Aqua Anio Novus al fiume (52 d.C.), in virtù del fatto che l'acqua fluviale si depurava spontaneamente nei laghi, come nei bacini di sedimentazione. Secondo Plinio questi laghi vennero arginati prima dell'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., sotto Nerone (54-68 d.C.), ed erano simili a un lago artificiale sull'affluente di destra del Tevere a Roma, che Augusto faceva riempire per le naumachie con l'acqua dell'Aqua Alsietina (Frontino 11, 22, fig. 96). Tra le dighe romane, la maggior parte degli sbarramenti della Tripolitania non serviva al rifornimento d'acqua. Come la diga nel deserto del Negev, questi sbarramenti venivano eretti infatti per controllare e contenere le rare ma violente alluvioni, per ridurre l'erosione del suolo, per impedire le inondazioni, per mantenere il naturale suolo uadi, in breve per poter dominare talune manifestazioni della natura. Il Nella zona uadi Caam a sud di Leptis Magna, alla funzione difensiva di una diga di sbarramento si associava un altro effetto positivo: una diga lunga circa 900 m proteggeva dalle inondazioni il terreno uadi in cui sgorgavano alcune sorgenti; grazie a un altro muro di sbarramento quest'acqua veniva raccolta e serviva a rifornire Leptis Magna. 12 Per approvvigionare in misura sufficiente la città spagnola di Mérida (Augusta Emerita), vennero erette ben tre dighe. Lo sbarramento di Proserpina (fig. 74), il più antico, probabilmente di età adrianea, e quello di Cornalvo (fig. 75), non molto più recente, entrambi ancor oggi funzionanti, sono tra loro simili sia perché il muro di sbarramento è collegato a un terrapieno massiccio, garantendo quindi una notevole stabilità, sia per un'altra caratteristica comune: nel progetto di entrambi, lo sbarramento non era diritto, ma descriveva una linea spezzata, in modo che

144 l'acqua battesse contro un ostacolo angolare-convesso. Nei particolari, però, specialmente nella costruzione del versante che fronteggia l'acqua, presentano notevoli differenze cui in questa sede possiamo soltanto accennare. La terza diga di Mérida, il muro di Esparragalejo, appartiene, come lo sbarramento di ltturanduz, al tipo di muri rinforzati da pilastri. Questa nuova struttura aveva avuto, in un certo senso, un precedente con l'installazione di nove pilastri nel muro di Proserpina (fig. 74), che, eretti sul versante dell'acqua, avevano la funzione di moderare la pressione contro il terrapieno. I muri con pilastri veri e propri sono costituiti invece, come lo sbarramento di Megenin a sud di Tripoli in Libia, da muri verticali che presentano pilastri applicati contro il versante esposto all'aria: tali pilastri assumono la funzione statica del terrapieno e, di conseguenza, le dighe cui appartengono non devono essere ascritte alla categoria degli (( sbarramenti a peso », la cui efficacia si fonda sulla massa. A Megenin e nella diga di Esparragalejo, i tratti di muro tra i pilastri sul lato verso terra, in alcuni casi, si sono inarcati, riducendo in tal modo la robustezza della barriera. Questi muri rinforzati da pilastri devono quindi essere considerati un tentativo concreto di perfezionamento di quelli che sarebbero poi diventati i successivi muri di sbarramento con pilastri coperti da una volta.

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Fig. 74. Diga di sbarramento di Proserpina per Mérida

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5,0

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10 m 20

30

Fig. 75. Costruzioni di dighe di sbarramento romane

I muri di sbarramento senza il rinforzo di pilastri o di terrapieni sono caratteristici delle dighe anatoliche di età imperiale, ma sono presenti anche in Tunisia a Kasserine (Cillium, la più imponente muraglia rinforzata romana in Africa settentrionale, fig. 75) e in Siria a Homs (fig. 75) e ad Harbaqa. In tutti questi casi troviamo un muro doppio di pietre squadrate più o meno cubiche con un riempimento di opus caementicium; grazie a tale rivestimento, questi muri resistettero per secoli alla pressione dell'acqua. Nei muri di sbarramento anatolici di Aizonai, Boget e Òriikaya (fig. 75), il rapporto tra l'altezza del muro e la sua resistenza alla base è molto più ridotto; inoltre questi muri doppi presentano soltanto un riempimento di argilla e pietre compresse, talvolta legate da malta. Anche questi sbarramenti, tuttavia, potevano risultare duraturi, perché avevano dimensioni limitate. t3 Nei muri di sbarramento rettilinei insorgono, a causa della pressione dell'acqua, tensioni per trazione sul versante esposto all'aria che possono provocare spaccature. I muri ad arco, meno soggetti a tensioni per trazione e più a tensioni per spinta, si contraddistinguono invece per una maggiore stabilità. Poiché i van-

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Fig. 76. Diga di sbarramento ad arco nel Vallon-de-Baume per Glanum

taggi della stabilità di un muro ad arco prevalgono sugli svantaggi (tratti più lunghi e quindi costi maggiori), nell'età moderna vengono installati quasi esclusivamente muri di sbarramento curvi. Nell'antichità, però, non si sarebbe quasi neanche sospettata la realizzazione di sbarramenti ad arco se Procopio (Pers. n 3) non avesse descritto un muro curvo presso Dras (vicino al confine romano con la Siria persiano-sassanide), sottolineando che la diga

147 non era stata costruita seguendo una linea retta, ma a mezzaluna, in modo che il suo arco, rivolto verso la corrente dell'acqua, riuscisse meglio a far fronte all' energia da essa sprigionata.

Sulla base di questa testimonianza si può prestar fede anche allo schizzo di E. Calvet (fig. 76) risalente al 1765, 14 che tramanda l'immagine dei resti di un muro doppio ad arco nel Vallon-deBaume (Provenza): un altro breve sbarramento curvo, oggi perduto, per il rifornimento della Glanum romana. Con la realizzazione di dighe ad arco l'età imperiale romana possiede tutte le possibili realizzazioni per un efficiente sbarramento e accumulo dell'acqua, che vengono impiegate anche in epoca moderna. Ancor oggi, infatti, non si dispone di strutture fondamentalmente diverse. La tabella 4 può fornire soltanto un quadro approssimativo degli ordini di grandezza e delle particolarità delle dighe di sbarramento imperiali; i fatti consentono, però, di riconoscere i notevoli risultati raggiunti dagli ingegneri romani nel campo dell'edilizia idraulica.

Serbatoi L'origine delle riserve idriche può essere di diversa natura: acqua sorgiva raccolta direttamente in appositi impianti (v. p. 24 sgg.), acqua freatica in gallerie di drenaggio con bacini di presa antistanti (v. p. 28 sgg.), acqua piovana in cisterne (v. p. 129 sgg.) e acqua fluviale in sbarramenti (v. p. 138 sgg.). Inoltre, anche l'acqua che scorreva regolarmente nelle condotte veniva accumulata a scopi di pulizia, di equa ripartizione e di provvista. Sebbene si continui a definire come cisterne anche alcuni serbatoi e le stazioni terminali delle condutture - come ad esempio le cosiddette cisterne delle terme di Traiano o di Caracalla a Roma (fig. 78), le presunte cisterne di Costantinopoli (fig. 81) o la supposta cisterna navale di Bacoli (fig. 79) -, in realtà c'è una differenza sostanziale tra l'acqua piovana stagnante che si attinge da una cisterna e l'acqua fresca che raggiunge la propria destinazione scorrendo nelle condotte. Per distinguere i serbatoi adibiti alla distribuzione dell'acqua nelle condutture dalle cisterne evitiamo di proposito di esaminare, in questa sede, dall'inizio alla fine un intero impianto di condotte. La suddivisione in condutture con tratti di diverso tipo fino alla periferia della città (cfr. cap. 111), in serbatoi locali e in si-

Tabella 4. Età imperiale: dighe di sbarramento per la riserva idrica Nome

Consuegra

Benejiciarlo

Toledo

1ipo

muro con pilastri

Tecnica ediliilastri

lato esposto all'acqua della diga con muri longitudioali e trasversali

80

3

Ampieua dello. base in m

58

76

Largheu.a dell'arco in m

Proporzione abeua : base

1,3

-

17,20

1:4,14

3,75 {muro)

-

due torri all'interno della diga, presso il muro {m6,57x7,04 e m5,55x5,60)

nove pilastri di sostegno sul lato esposto all'acqua a una dis!Bnza media di 16m

8

1:4,22

torre antislante il lato esposto all'acqua {m 4,5 x4,5); ponte di collegamento con la diga, tubo al piede della diga

isolamento del lato esposto all'acqua con uno strato di calcestruzzo rivestito di pietre

Modalità di prelievo idrico

Particolarità

pilastri a dis!Bnza di 5-fOm torre

dis!Bnza tra i pilastri 6-10 m. Lato esposto all'aria: muro concavo tra i pilastri

Kasscrinc

muro doppio con

Cillium

!52

10,05

7,32

4,88

1:0,73

anima di malta, rnuratura in pietre da taglio

città delmuro l'oasi di Palmira, B

muro doppio con anima di calcestruzzo, muratura in pietre da taglio

365

21

Homs

Emesa+B

muro

muro doppio con anima di calcestruzzo, basalto/ pietre da taglio

2010

max. 6,10

Cavdarhisari

Aizooai

muro

muro doppio con anima di terra, muratura in pietre da taglio

80

12

BOget

Mustilla

muro

muro doppio con anima d'argilla, ca!cinacci, malta, muratura in pietre da taglio

300

4

2,40

ònikaya

irrigazione muro

muro doppio con anima compressa, muratura in pietre da taglio, senza malta

40

16

5

Vallon-deBaume

Glanum

muro doppio con anima molle

18

min.6 max. 12

arco

lato esposto alr acqua

ghezza circa l,98 m

verticale, lato esposto all'aria a gradoni; muro non diritto, lievemente incurvato, ma non piegato ad arco

tubatura in terracotta per tubatura in terracotta atprelievo diretto e due tigua al muro, installascarichi nel terreno zione sottelTllnea, sbocco nel serbatoio

Harbaqa

muro ad

scarico nel terreno, \ar-

14opiù

max. 7,01

1:2,3 o maggiore

la conduzione prosegue con scarichi in canali

lato esposto ali' acqua:

filtro (senza chiusura) costruzione di protezione nella zona centrale, aldalle inondazioni o di ritezza >2m, larghezza 6 serva idrica? m

6

1:0,6

5

1:0,31

3,90

-

doccioni lungo la corona muraria

scarico nel terreno, sezione circa 3 m2

giunti chiusi con piombo; funzione: solo irrigazione?

quattro pìlastri?

150 sterni di distribuzione interni alla città (cfr. cap. v) ha infatti una ragione funzionale e permette un confronto con altri sistemi di rifornimento e di riserva dell'acqua. Diversamente dalle cisterne, che sono opere idrauliche indipendenti, una conduttura può - anche se non deve necessariamente - essere dotata di un serbatoio terminale. Anzi proprio questa particolarità costituisce una differenza sostanziale tra acquedotti greci e romani, che sotto altri aspetti non presentano vere e proprie contrapposizioni dal punto di vista tecnico antico e si pongono piuttosto gli uni come evoluzione degli altri. Quasi tutti gli acquedotti greci si immettono, infatti, in un punto di raccolta, in una krene (v. p. 159 sgg.), e dopo il punto di distribuzione o il bacino di presa non esiste nessun serbatoio. Ben più di cento krenai ritrovate e semplici punti di erogazione idrica (le cosiddette fontane a schizzo) del mondo greco, oltre a numerose fonti scritte, 15 documentano che in ambito greco in generale non si prendevano precauzioni per le continue oscillazioni nell'afflusso e nello scarico dell'acqua. Soltanto alcune eccezioni isolate si allontanano dalla norma dei ritrovamenti. Per le diverse condutture di Agrigento/ Akragas si può soltanto supporre l'esistenza di un serbatoio comune; ad Agrigento, infatti, e così al termine della condotta Paradiso di Siracusa, le tracce di lavori in cave di pietra inducono a pensare a un possibile serbatoio risalente all'età classica. 16 Dall'età greca, in realtà, ci è pervenuto finora un unico esempio di serbatoio nell'acquedotto tardoarcaico di Megara (fig. 77): dalla forma dei capitelli può essere fatto risalire al 490 a.C. circa e tale ipotesi dimostra che quello di Megara è uno dei tre acquedotti più antichi della Grecia. L'acquedotto di Atene della tarda età arcaica venne costruito, invece, senza serbatoio finale, e a Samo non si sa come terminasse la condotta. Il serbatoio di Megara (fig. 77), la cui copertura era sorretta da trentacinque colonne ottagonali, era suddiviso in due navate da una barriera che congiungeva le colonne della fila centrale; di conseguenza, anche il bacino di presa antistante aveva una parete divisoria. Una funzione fondamentale di questo serbatoio era quella di depurazione: ciascuna camera del serbatoio presenta un proprio bocchettone di afflusso (A, A) da cui si dipartono delle condutture che si biforcano, e un proprio scarico nei due bacini di presa (B, B) che a loro volta hanno uno scarico (C c· D = sfioratore applicato successivamente); inoltre è conserv~ta'in situ

151

Fig. 77. Megara, serbatoio a due navate al termine di un acquedotto tardoarcaico

una serratura in bronzo tra il serbatoio e il bacino di presa (fig. 64). Entrambi i bacini potevano funzionare indipendentemente uno dall'altro ed essere puliti separatamente; perciò il rifornimento idrico era garantito anche durante i controlli. La capacità di questo grande serbatoio con un'apertura di m 13,69x 17,88 si aggira, con uno specchio d'acqua di circa 232 m2 e un'altezza massima di 1,20 m, intorno ai 278m3 complessivi nei due bacini. Rispetto agli impianti greci, si tratta di un volume considerevole e, in confronto ai serbatoi romani, di un ordine di grandezza modesto, anche se in età romana non sono stati realizzati soltanto serbatoi giganteschi. Ciò che va ancora sottolineato è che il serbatoio di Megara non va considerato un bacino di raccolta stagionale, bensì un serbatoio per la notte: la grande quantità di acqua utilizzata di giorno poteva essere reintegrata e recuperata di notte con un dispositivo di chiusura tra il serbatoio e il bacino di presa. A questo serbatoio allacciato a un acquedotto tardoantico fa seguito, soltanto secoli dopo, 17 quello di Laodicea al Lico, purtroppo in cattivo stato di conservazione, con almeno quattro ca-

152

Fig. 78. Roma, serbatoio delle terme di Traiano. Incisione di G.B. Piranesi (1748)

mere disposte secondo uno schema irregolare. L'intera condotta con tratti di acquedotto su arcate, condotte forzate, bacini di sedimentazione e di compensazione della pressione non è datata: 1s si può però ipotizzare che i lavori siano iniziati in età ellenistica poco dopo la fondazione della città da parte di Antioco n (261246 a.C.), come pure in un momento della prima età imperiale. Per Pergamo, non sono tanto rappresentativi i serbatoi alla fine di ciascuno dei sette acquedotti ellenistici e romani, quanto invece un serbatoio particolare: la « cisterna rotonda >> ellenistica in cima alla rocca, che venne installata probabilmente come bacino di raccolta dell'acqua in esubero erogata dall'acquedotto ellenistico Madradag. I9 Sulla base degli attuali risultati delle ricerche, non si può ancora affermare se i serbatoi terminali facessero parte. della dotazione standard delle condotte romane. Erano invece certamente peculiari dei grandi acquedotti della capitale: sono documentati in-

153 fatti serbatoi terminali e castella di distribuzione per nove delle sue undici condutture; 2o solamente le due più antiche, l'A qua Appia e l'Anio Vetus (312 e 272 a.C.), ne erano sprovviste, analogamente alle condutture greche. I grandi serbatoi documentano, più delle tubazioni, il notevole impiego d'acqua delle terme romane. A Roma, ad esempio, l'Aqua Antoniniana (derivazione dell'Aqua Marcia) si immette in un enorme serbatoio sull'area di oltre 100.000 m2 delle terme di Caracalla: le numerose camere, situate lungo due navate parallele e su due piani sovrapposti, potevano contenere più di 80.000 m3 d'acqua. Con tali dimensioni, questo serbatoio supera in grandezza tutti gli altri, anche quelli tardoantichi di Costantinopoli. Le terme di Traiano a Roma (fig. 78), più antiche e non meno dispendiose, disponevano di un serbatoio di circa 10.000 m3 di capienza, e questo è l'ordine di grandezza più comune dei grandi serbatoi imperiali (per es. ad Albano Laziale, Aosta, Dougga). 21 Le tre sorgenti della condotta del Serino 22 dovevano essere molto abbondanti, perché questo Fontis Augustei Aquaeductus

Fig. 79. Bacoli, serbatoio al termine dell'acquedotto del Serino. Pianta

--=--

> - - - - . 2 7 m _ ____,

= - _----::- -

_ _ _ _ _...,.

154

Fig. 80. Cartagine, serbatoio terminale del Bordj el-Djedid. Modellino

non riforniva lungo il suo percorso soltanto Napoli e altre città della Campania, ma riusciva a riempire anche un serbatoio terminale di 12.600 m3 (fig. 79). Tale serbatoio è alla periferia meridionale dell'odierna Bacoli, più vicino a Miseno che a Baia, ed è citato col nome di tutte e tre queste località o con l'appellativo di piscina mirabilis. L'altro suo appellativo di>. Il serbatoio Yerbatan fu costruito in età costantiniana (325-337 d.C.) per l'acqua della conduttura adrianea, fu ampliato più tardi sotto Giustiniano (527-565) e fu riempito con l 'acqua proveniente dal ponte dell'acquedotto di Valente. Quest'ultima fase di costruzione (m 73 x 141) si distingue per le 336 colonne in dodici file, per i capitelli corinzi e le volte a bacino in mattoni. Il serbatoio, cosiddetto di Aezio, dal nome del prefetto di Costantinopoli (421 d.C.), è di superficie quasi doppia (m 85 X224) e un tempo era dotato di colonne in marmo e in granito. Solo una generazione più tardi seguì il serbatoio Aspar, che deve il suo nome a un generale in servizio presso l'imperatore romano d'Oriente e i cui muri esterni vennero eretti in modo da descrivere un quadrato perfetto con il lato di m 152. ll serbatoio Aspar, oggi un giardino pubblico, e il serbatoio Aezio, oggi un impianto sportivo, sono stati ritrovati senza rivestimento superiore: quello che si può osservare dagli scavi è tuttavia in contrasto con tutte le antiche pratiche nella costruzione di serbatoi e non è coerente neanche con i serbatoi successivi di Costantinopoli, cui qui abbiamo soltanto accennato. -L'ordine di grandezza di questi due bacini di raccolta, entrambi con una superficie di oltre 20.000 m2 , rende evidente che furono progettate anche le colonne per le volte a bacino, ma non furono mai realizzate.

156

Fig. 81. Istanbul, Binbirdirek, serbatoio dell'acquedotto

Il serbatoio più famoso di Costantinopoli, il Binbirdirek (fig. 81), costruito a partire dal 528 sotto Giustiniano, è attribuito a uno degli architetti di Haghia Sophia, Antemio di Tralle. Veniva alimentato anch'esso dali' acquedotto adrianeo e, rispetto ai precedenti, grandi e pronti a entrare in esercizio, poteva sembrare piccolo. Con una superficie di m 56,40x64 e sedici file di quattordici colonne in marmo del Proconneso, può essere annoverato tra i grandi serbatoi terminali di età imperiale e, con 14,30 m di altezza, è pari quasi al serbatoio del Serino (fig. 79). Con questi grandiosi serbatoi e con queste architetture a colonne negli edifici a destinazione idraulica, gli imperatori e gli architetti dell'Impero romano d'Oriente segnarono un notevole progresso neli' ingegneria idraulica de li' età imperiale e fondarono una tradizione che proseguì durante il regno bizantino.

157

2

3 4 5 6 7 8 9 IO

Il

12 13

Per esempio VITRUVIO VIII 2, l, che evidentemente utilizza l'opera di IPPOCRATE, De aere, aquis, locis, e che ne segue la rappresentazione, in parte inesatta, del ciclo naturale; cfr. ORAZIO, Epist. 1 15, 14 sg.; PLINIO, Naturalis historia XXXI 31; ULPIANO, Dig. 43, 22. Sulle cisterne ricordate prima: Africa settentrionale: P. GAUCKLER, lnstallations hydrauliques en Tunisie I, 1897, pp. 9 sg., 14, 19 sgg. e altrove; Olinto: D.M. RoBINSON, Olynthos VIII (1938), p. 307 sgg.; Pompei: descrizione generale in H. EscHEBACH, Antike Welt 10(2) 1979, p. 3 sgg.; Roma, cisterna arcaica sul Palatino: E. NASH, Pictorial Dictionary of Ancient Rome 11, 1981, p. 166, fig. 889; Atene: F. GRADER, AM 30 (1905), p. 16 sgg., tav. 3; Pireo: W. HOEPFNER-E.L. SCHWANDNER, Haus und Stadt im klassischen Griechenland, 1986, p. 20; Alessandria: F. NoACK, AM25 (1900), p. 254 sgg., fig. 9. sgg.; Pergamo: G. GARBRECHT, in Geschichteder Wasserversorgung, Bd. 2, Mainz 1987, p. 18 sgg.; W. RADT, Pergamon 1988, p. 167 sgg.; Samo: R. ToLLE-KASTENBEIN, Samos XIV (1974), p. 114 sgg., fig. 185 sgg., riga 115 sgg.; Olbia: B. BoTTGER, WissZ/ena 14 (1965), p. 68 sg., fig 3; Perachora: H. PAYNE E ALTRI, Perachora 1940, tav. 137 (situazione, non studiata); Creta, Dictinna: U. JANTZEN, in ForschungenaufKreta, 1951, a cura di F. Matz, p. 113, tav. 80; Delo: R. V ALLOIS, L 'architecture hellénique et hellénistique à Délos 1 1944, p. 265 sg.; Cherchel: DAREMBERG-SAGLIO I 2 (1887), p. 1210, fig. 1554 sgg.; Leptis Magna: P. RoMANELLI, Leptis Magna, s.d., p. 137 sgg.; Silifke: MAMA III (1931), p. 4 sg., fig. 8 (superficie compresa tra i pilastri del muro m 45,85 x23,30, profondità intorno ai 12m). J. SCHMIDT E ALTRI, Archiiologische Berichte aus dem Yemen I-IV (19821988). H. FAHLBUSCH, Vergleich antiker griechischer und rlJmischer Wasserversorgungsanlagen, in Mitt. des Leichtweiss-lnstitut, Heft 73 (1982), fig. 6. J.M. BALCER,AJA 78 (1974), p. 141 sgg., fig. l sgg. Numerosi studi di B. Heinrich, H. Kalcyk e soprattutto J. Knauss, e infine AM 103 (1988), p. 25 sgg.; cfr. G. GARBRECHT, Gnomon 60 (1988), p. 754 sgg. STRADONE IX 2, 16 sgg.; PAUSANIA IX 24, 2. Così G. GARBRECHT, Antiker Wasserbau, n. speciale sul mondo antico (1986), p. 51 sgg., soprattutto p. 64; idem, Wasser, 1985, pp. 44, 79 sgg. e altrove. ERODOTO III 60; R. ToLLE-KASTENBEIN, Herodot und Samos, 1976, p. 72 sgg., fig. 8 sg., tav. 6 sg. Cfr. tra l'altro lo scarico dell'acqua nel corso superiore del Ruwer; A. NEYSES, Die Ruwerwasserleitung des rlJmischen Trier, s.d. Sul dibattito sulla collocazione e la tecnica edilizia delle tre dighe di sbarramento, distrutte nel 1305, cfr. N.A.P. SMITH, Technology and Culture Il (1970), p. 58 sgg. Tripolitania: C. VITA-FINZI, Antiquity 35 (1961), p. 14 sgg. Negev: Y. KEDAR, Geographical Journal, 1957, p. 179 sgg.; N. GLUECK, Rivers in the Desert, 1960; si deve richiamare l'attenzione specialmente sulla diga di deviazione all'uadi M usa a Petra. N. SMITH,A History ofDams, 1971, p. 37. Cfr. Termesso, K.G. LANCKORONSKI, Stiidte Pamphyliens und Pisidiens 11 (1982), p. 22. Tutte le altre dighe di sbarramento sono citate nella bibliografia della letteratura addotta.

158 14 F. BENOIT, REA 37 (1935), p. 332 sgg. 15 F. GLASER, Antike Brunnenbauten (KPHNAI) in Griechenland, Wien 1983; anche al n. 46 non si tratta di un serbatoio di riserva, n. 57: piccolo serbatoio della fase edilizia imperiale. 16 Agrigento: A. BuRNS, Technology and Culture 15 (1974), p. 399 sgg.; J. ARNONE, Gli ipogei dell'Agrigentino (1952, a me non accessibile). Siracusa: F.S. CAVALLARI-A. HoLM, Topografia archeologica di Siracusa, 1883, p. 408, tavv. 4, 9. 17 Il serbatoio dietro la krene di Olinto (D.M. RoBINSON, Olyntos vm 1938, nota 2, p. 101 sg., tav. 88.2) venne riempito come quello di Megara. 18 G. WEBER, Jdl 13 (1898), pp. 3 sg., 12, fig. 3 sg., tav. 3 (rif. A). Cfr. Hierapolis, G. WEBER, Jd/ 19 (1904), p. 93 sg. 19 Così W. RADT, Pergamon, 1988, p. 174, fig. 65. 20 E.B. VAN DEMAN, The Buildings of the Roman Aqueducts, Washington 1934, pp. IO, 122, 148, 153, 168, 177, 188,332, 338; cfr. qui p. 174. 21 H. MANDERSCHEID, Ausfohrliche Bibliographìe zum antiken Badewesen unter besonderer Beriicksichtigung der romischen Thermen, 1988. 22 I. SGOBBO, NSc 1938, p. 75 sgg. 23 K. GREWE, Planung und Trassierung romischer Wasserleitungen, 1985, p. 95. 24 F. RAKOB, RM 81 (1974), p. 43. 25 A. AUDIN, in Joumées d'études sur /es aqueducs romains, Lyon 1977, a cura di J.-P. Boucher, Paris 1983, p. 13 sgg.; A. GRENIER, Manuel d'archéologie gallo-romaine IV 1-2. Les monuments des eau.x, Paris 1960, p. 125, fig. 40. 26 P. FORCHHEIMER-R. STRYGOWSKI, Die Wasserbehii/ter von Konstantinope/, 1893; S. E vicE, Mitt. Leichtweiss-Jnst., Heft 64, 1979, p. l sgg.

V. Distribuzione dell'acqua «

Krenai

»

e

«

salientes

»

pozzi, cisterne, condutture: tutti questi sistemi di rifornimento idrico richiedono un sistema di distribuzione. A tale scopo, in età greca, non si conoscevano mezzi meccanici o idraulici: l'acqua prelevata in qualsiasi punto veniva trasportata a braccia, entro recipienti, a destinazione. Anche in età romana questo tipo di distribuzione prevalse su quello delle condotte dirette nelle case private o negli edifici pubblici, che in genere nell'antichità riguardò soltanto un numero molto limitato di casi. Per tutti i secoli e in tutte le regioni del mondo antico, la maggior parte dell'acqua necessaria venne quindi portata a mano dai più vicini punti di raccolta. Ogni punto di prelievo dell'acqua, di qualsiasi sorta fosse, era detto, in greco, krene (KpiJVTJ), un'espressione intraducibile, perché in questo termine generico confluiscono fattori e forme diversi. Condizione e caratteristica fondamentale per definire krene il luogo dove attingere l'acqua è che esso sia in qualsiasi modo circoscritto, rivestito, protetto dalla mano dell'uomo, arte jactus est. Questo significato originario del concetto di krene non muta nel corso della storia antica, ma la collocazione topografica delle krenai cambia conformemente ali' evoluzione delle tecniche per il rifornimento idrico. Se era possibile trasportare acqua sorgiva in una città da distanze brevi o anche lunghe, e costruire grandi acquedotti o impianti di raccolta dell'acqua, come nella Corinto tardoantica, ad Atene o a Samo, la krene veniva logicamente spostata dalla zona sorgiva al luogo in cui l'acqua, attraverso le condotte, diventava accessibile agli abitanti. Questo significato di krene emerge dà numerose fonti scritte, tra le quali nella tabella 5 vengono citate quelle che fanno riferimento a krenai ritrovate. Bisogna poi distinguere tra krenai di sorgente, come la Clessidra (fig. 4) e l'Enneakrounos di Atene (fig. 82), e krenai di acquedotto, come quella di Megara (figg. 77, 87). Tra le krenai di acquedotto si distinguono ancora due tipi fondamentali: le krenai a edificio con un tetto di protezione e le piccole krenai aperte di forme diverse, che in genere presentano soltanto uno scolo e che, anche se non molto propriamente, sono abitualmente definite fontane (salientes). FoNTI,

Tabella 5. N.

Luogo

Delfi

Nome

Castalia

Testimonimlze antiche: KP1\V11

Pindaro, Piriche 139

«

Krenai

Ubicazione e sorgente

gola Fedriade, afflusso

2

Aulide

3

Corinto

Glaukè

documentate e ritrovate

TI{JO di «

dalla gola

»

krene »

krenedi distribuzione

Collocazionedel/a • krene » (L-S=livello suolo)

L-S

Acqua (L-S=livello suolo)

Struttura architettonica

condotta incli- cortile scoperto, chiuso da un muro su tre lati nata

HOPOI: KPENEI: da non identificare con queUa citata da Omero, Il. n, 305, Paus. IX 19,7

al centro del tempio di Artemide,direttamente sopra la sorgente

krenedi prelievo

sotto L-S, scala allo scoperto

sotto L-S, presa di sorgente

Paus. n 3, 6

tempio di ApoDo. Galleria per l'acqua del versante settentrionale deU 'Acrocorinto

krenedi prelievo

sopra L-S

sotto L-S, gal- facciata leria di raccolta

edificio chiuso (ricostr.)

4

Atene

HOPOI: KPENEI: IG 12 874, 785 e Camp 318 sgg.

versante meridionale dell'Acropoli, vicino al Ninfea, direttamente sopra la sorgente

krenedi prelievo

L-S

sotto L-S, presa di sorgente

prostilo (ricostr.)

5

Tegea

Paus. vm 47,4

al centro del tempio di Atena Alea, direttamente sopra la sorgente

krenedi prelievo

sotto L-S, scala allo scoperto

sotto L-S, presa di sorgente

bacino aperto, pareti laterali e longarine murate nella parte alta con funzione di scale

Datazione

VI

sec.

N. di Glaser

68

seconda metà VI sec.

9

terzo quarto

52

VI Sec.

intorno al 500

v sec.

7

6

7

Corinto

Megara

8

Atene

9

Delo

10

ll

Peirene

Corinto

Trezene

12

Micene

13

Epidauro

Paus. 113, 2·3

Paus.J40,1

Clessidra cfr. Camp 311 sgg.

iscrizione Délos v (1912) 113 sg.

zona orientale dell'agorà, galleria di raccolta, acqua da Peirene superiore

krene di prelievo

sotto L-S

sotto L-S. gal- a facciata leria di rac· colta

agorà, condotta lunga molti km dal mollle Gerania

krenedi

L-s

condotta indi- serbatoio: retto retto da colonne ottagonali; nata krene: cinque colonne in antis (ricostr.)

prelievo+ serbatoio

versante settentrionale delk.renedi l'Acropoli, con afflussi diret- prelievo tamente nella zona sorgiva tempio di ApoDo, diretta· mente sulla sorgente

krenedi

Peirene Strabone vm 6, 21; superiore da non identificare con Paus. D5, l

Acrocorinto, sorgente diretta e gaUeria di raccolta

krenedi

Heraldeion Paus. D32, 4

Asklepieion, sorgente sul versante orientale della montagna

krene di

Miooe

Perseia

prelievo

prelievo

a nord deUa cd. tomba di Cii- krene di tennestra; lunghezza deU' ac- prelievo+ quedotto e zona sorgiva sco- gru a ponte nosciuti

Paus. D27, 7

tempio di ApoDo Maleatas, bacino di raccolta dietro la nicchia

krenedi distribuzione

primo quarto v sec.

51

sotto L-S, sotto L-s, scala allo sco- presa di sorperto gente

bacino scoperto, protetto metà v sec. dalle rocce sovrastanti, pareti laterali in muratura

2

sotto L-S, scala coperta

prostilo

intorno al 400

8

sottoL-S, sotto L-S, scala a longarine, punto scala allo sco- presa di sordi prelievo dell'acqua coperto gente+ galleria perto a volta di raccolta

inizio IV sec.

10

L-S

condotta incli- colonne in antis (ricostr.) nata

intorno al 300

42

L-S

condona incli- prostilo o colonne in nata antis

inizio m sec.

45

L-s

serbatoio per nicchia acqua piovana

Dsec. d.C.

94

prelievo+ gru a ponte

Paus. D16,6

5~

sotto L-S, presa di sorgente

162 Per tutte, si rende necessaria una classificazione secondo quattro parametri, documentata da fonti scritte o dai ritrovamenti archeologici di krenai, che vengono citate qui di seguito attenendosi alla numerazione della tabella 5.

l. Collocazione della « krene » rispetto al punto di erogazione dell'acqua: a) presa diretta della sorgente nn. 2, 4, 5, 8, 9, 10, figg. 4, 7 b) breve condotta nn. l, 11, 12, fig. 5 c) lunga condotta inclinata n. 7, fig. 87 d) afflusso da gallerie di raccolta nn. 3, 6, 10, figg. 8, 7 e) afflusso da cisterne n. 13 2. Altezza della « krene »: a) sotto il livello del terreno nn. 2, 5, 6, 8, 9, 10, figg. 4, 7 b) a livello del suolo nn. l, 4, 7, 11, 12, 13, figg. 5, 87 c) sopra il livello usuale n. 3, fig. 3 3. Funzione della : a) krene di prelievo nn. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, figg. 8, 88, 4, 7 b) krene di distribuzione (gru) nn. l, 13, fig. 5 c) combinazione di krene di prelievo e di distribuzione nn. 11, 12 d) combinazione di krene di prelievo e di serbatoio nn. 3, 6, 7, 10, figg. 8, 87, 7 4. Forma architettonica della, la determinazione di un intervallo di tempo con l'ausilio di una quantità d'acqua relativa ad esso - o viceversa -, non dimostra, tuttavia, che si misurassero le fasi della giornata. Rispetto a oggi, l'indicazione delle ore era molto più difficile, perché anticamente il giorno non era scandito in ventiquattro ore della stessa durata. Infatti, poiché i lassi di tempo che intercorrevano tra l 'alba e il tramonto e dal calare della sera fino al successivo sorgere del sole venivano divisi in dodici parti, la durata di un'ora cambiava ogni giorno. Per determinare le diverse fasi della giornata legate al moto del sole ci si basava sui calcoli già fatti per gli orologi solari e si realizzava un analemma per stabilire l'orientamento e la lunghezza dello gnomone in singole località e in intere regioni a seconda delle diverse posizioni del sole. Senza un analemma fondamentale, nessun tipo di orologio ad acqua avrebbe potuto funzionare. Negli orologi a deflusso si presentano due possibili strutture: nel primo tipo, in cui sono necessarie delle valvole di regolazione, il deflusso dell'acqua viene stabilito a seconda della posizione del giorno nel corso dell'anno; nel secondo, invece, dato un deflusso costante, le diverse durate delle ore vengono segnate su una scala graduata basata su un analemma regolato in base alle caratteristiche locali, e il livello dell'acqua viene letto direttamente o rilevato per mezzo di un indicatore su una scala apposita. Quest'ultimo modello, mutuato dall'Egitto, conobbe una va-

192

d SEZIONEGH



SUDDIVISIONE DELLE ORE DELLA GIORNATA

w 1w 2w3--

[ :::J SEZIONE

w 4-

-

ws

w 6-

ORIZZONTALE JK

6

w 7-'

1m

r·~_-·•

W11W12--

rr(_

ltk~-·J /

a. calcolo della suddivisione delleoredellagiornala

SEZIONELM

b. ricostruzione della sezione orizzontale JK c. ricostruzione della sezione orizzonlale LM

:/

D D

c

superficie0,16mç e0,435 mdietro / il piano di sezione_ -~-~ l

pezzo

conservato CJ muratura conservata ~-c=- dm d. ricoolruzione della sezione GH lungo I'IIS58 mediano

Fig. 100. Anfiareo presso Oropo, orologio ad acqua. Ricostruzione di F. Glaser

sta diffusione: in conformità con precedenti più antichi, un orologio ad acqua, regolato intorno al 280 a.C. per tutta l'estensione del medio Egitto, ma installato a Efeso, presenta nella parte interna del recipiente conico dodici scale orarie per i dodici mesi. 2 Anche i greci prediligevano questo secondo tipo e già alla fine del IV secolo a.C. progettavano orologi ad acqua con recipienti molto capaci, come nel caso dei due più antichi orologi a deflusso ricostruibili, che sono stati ritrovati sull'agorà di Atene3 (per la collocazione precisa cfr. fig. 11 al punto K) e nell' Anfiareo di Oropo (fig. 100). Per struttura e modalità di funzionamento, questi due orologi sono molto affini, come risulta chiaro dalla ricostruzione nella figura 100. Negli orologi a deflusso a forma di vaso e di bacino, si parti-

l F.GLAS

193 va anzitutto dal presupposto che la velocità di scorrimento dell'acqua rimanesse in ogni caso costante. In realtà, un deflusso costante in un tratto del recipiente è possibile soltanto se viene continuamente compensata la diseguaglianza causata dal progressivo decrescere del livello dell'acqua. Non ci è stato tramandato se Ctesibio nella prima metà del 111 secolo a.C. fosse a conoscenza di questo difetto dell'orologio a deflusso. Si può affermare invece che è stato certamente lui a costruire per primo un orologio ad afflusso, anche se è necessario tener conto che spesso gli autori antichi adulavano personalità note, attribuendo loro delle invenzioni (Vitruvio IX 8, 2). All'orologio ad afflusso, comunque, si riconobbero dei vantaggi, se il già citato orologio ad acqua sull'agorà di Atene fu trasformato successivamente in orologio ad afflusso. D'altra parte, resta tuttora aperta la questione se l'orologio ad afflusso abbia avuto successo: infatti molto tempo dopo Ctesibio e Vitruvio, Erone illustrava ancora l'orologio a deflusso 4 e, in un altro punto della sua opera, indicava un sistema per ottenere un deflusso costante. Inoltre, gli orologi ad acqua raramente si sono conservati, oppure se ne è salvata soltanto la base, 5 che non sempre permette di capire quale fosse il loro funzionamento. Anche nelle iscrizioni ritrovate degli orologi ad acqua, manca qualsiasi indizio sulle modalità del loro funzionamento. 6 L'orologio ad afflusso presuppone un'alimentazione idrica permanente e costante e l'allacciamento con condutture adatte; allo stesso tempo, rallenta il suo moto quando sale il livello dell'acqua, proprio come l'orologio a deflusso lo accelera: L'acqua infatti [ ... ] solleva un galleggiante [... ] al quale sono collegate una stanga e una ruota dentata. [ ... ] In questi congegni, o su un pilastro o su una colonna, si segnano le ore che vengono poi indicate per tutta la giornata da una statuina munita di una verga che sale dal basso (Vitruvio IX 8, 5-6).

Oltre alle scale graduate con l'indicazione di ore di durata diversa le une dalle altre, Vitruvio descrive, in quel passo, la regolazione del deflusso con l'aiuto di coni, adeguati alle singole durate orarie. Ma poiché spesso questi coni non sono precisi, consiglia il metodo dell'analemma. L'indicatore della crescita o della diminuzione del livello dell' acqua diventava anche motivo per aggiungere qualche accessorio ornamentale, che veniva guidato e mosso da un meccanismo a ruota dentata, come nell'artistico orologio di Gaza de-

194 scritto da Procopio. L'evoluzione di questi studi doveva portare fino al teatro degli automi di Erone, un filone che qui deve essere tralasciato. Poiché tutti gli orologi ad acqua erano legati alla diversa durata oraria, gli antichi dovevano necessariamente porsi il problema di stabilire quale scala utilizzare, in quali momenti leggere le ore o quando impiegare i diversi sistemi di calcolo orario. Per facilitare la soluzione di questi problemi si installavano, come strumenti sussidiari, orologi solari che, grazie al loro quadrante suddiviso generalmente soltanto in mesi, erano facilmente leggibili. Questo spiega la presenza di orologi solari collocati all'interno di edifici in marmo, che facevano parte di un orologio ad acqua, come nei casi della cosiddetta Torre dei Venti di Atene e dell'orologio di Andronico. Per gli stessi motivi, vengono attribuiti all'orologio a deflusso dell' Anfiareo di Oropo i frammenti di orologio solare trovati in quella zona di scavo (fig. 100). Dal momento che la diversa durata oraria comportava una misurazione del tempo basata sul corso delle stagioni, negli antichi orologi era contemporaneamente compreso il passaggio dali' indicazione oraria a quella dei giorni deli' anno con funzione di calendario. Esistevano poi orologi annuali, i cosiddetti anaphorika, ossia orologi dell'alba, caratterizzati dalla prerogativa di indicare il sorgere delle costellazioni (Vitruvio IX 8). Essendo orologi astronomici, si basavano su un astrolabio manuale trasformato in una struttura meccanica e possono essere considerati i precursori dei grandi orologi astronomici rinascimentali come quelli di Praga (1490) o di Strasburgo (1574). In un anaphorikon, il galleggiante posto sull'acqua che affluiva costantemente era collegato mediante un filo avvolto su un rullo a una lastra rotonda di bronzo, che ogni giorno descriveva un intero giro. « Sulla lastra è raffigurata una proiezione stereografica del cielo stellato dal polo artico per lo meno fino al tropico del Capricorno. L'eclittica è rappresentata con un cerchio eccentrico. In essa, il sole è rappresentato come una bulla (bottone): questa bulla non viene girata da un meccanismo, ma a mano. Nel cerchio dell'eclittica vengono praticati (se possibile) tanti fori quanti sono i giorni dell'anno, e quindi ogni giorno si inserisce la bulla in un buco diverso ... Per rendere leggibili le ore viene tirato dalla lastra un intreccio di fili, che, nuovamente in proiezione stereografica, riproduce i cerchi

195 paralleli principali, ossia l'orizzonte di quel luogo e le linee delle ore » (Rehm). A Salisburgo è stata rinvenuta una lastra di questo genere, priva però del meccanismo. Ad Atene, invece, l'orologio di Andronico in quanto tale è andato perduto, ma ci sono indizi che fosse un anaphorikon. 7 L'unico meccanismo di orologio astronomico ritrovato appartiene al relitto di una nave di Anticitera (1 secolo a.C.) 8 e, per il suo differenziale, presenta un tipo speciale di anaphorica non ancora chiarito in tutti i particolari. Anche il suo funzionamento ci è oscuro: d'altra parte, siccome non erano mai stati realizzati né azionamenti a manovella né motori, l'acqua sembra il più probabile principio di azionamento, tanto più che Archimede non aveva ancora costruito l' anaphorikon funzionante a pressione idraulica. La precisione del meccanismo di Anticitera, costruito in modo tecnicamente perfetto, doveva essere molto elevata. L'esattezza di altri orologi ad afflusso, deflusso e sollevamento non dipendeva solamente dalla loro precisione strutturale e da quella delle relative scale, ma anche dalla temperatura dell'acqua. È stupefacente che già neli' antichità fossero conosciuti e considerati la densità e il coefficiente di dilatazione dell'acqua (Ateneo Il 42b). L'antica sveglia appartiene solo con qualche riserva agli orologi, perché come i due orologi sopra citati descriveva soltanto un intervallo di tempo determinato, ma non misurava il passare del tempo né il tempo assoluto. A un bacino d'acqua veniva applicato un elevatore della capsula, che si apriva quando l'acqua raggiungeva un particolare livello, in modo che l'acqua iniziasse a scorrere a una velocità relativamente elevata e, con la sua pressione, producesse un fischio o un segnale acustico passando attraverso un pezzo intermedio. Con una sveglia di questo genere, che funzionava durante la notte, Platone deve aver svegliato gli studenti dell'Accademia. Sfruttando flussi variabili si potevano aggiungere e combinare dispositivi di segnalazione e giochi come trombe tonali, trombe per templi, bottiglie a fischio, cinguettii artificiali di uccelli e il verso delle anatre, il thyrsos fischiettante o canti interrotti. 9 L'evoluzione degli strumenti di questo genere condusse infine ali' organo idraulico,. che in greco era detto hydraulis perché la pressione dell'aria nelle canne dell'organo era generata dali' energia idraulica (cfr. infra). I greci utilizzavano 1'hydraulis non

196 tanto come strumento musicale quanto, secondo quel che riferisce un manoscritto arabo, come dispositivo di segnalazione, soprattutto in guerra, sfruttando la sua grande risonanza e l'intensità del suono. 10 Con il termine organum i romani intendevano in un primo tempo gli strumenti musicali in generale e soltanto successivamente, quando questo strumento venne realizzato con mantici, l'organo in particolare. Ancora all'inizio del 111 secolo d.C., Ateneo (Iv 174c, d) rispondeva alla domanda se l'organo idraulico fosse uno strumento a fiato o a percussione affermando che era una grande clessidra e insieme uno strumento a fiato. In base alle precisissime istruzioni di Erone, è possibile costruire sia un organo idraulico (Pneumatica I 42) sia un organo ad aria (Pneumatica I 43) con un motore ad aria a forma di mulino a vento. Le sue dettagliate indicazioni, degne di essere lette attentamente, sul meccanismo di un antico organo idraulico a registro unico sono molto più chiare di quelle di Vitruvio (x 8). Secondo quanto afferma, Vitruvio riteneva molto complessi il modo in cui veniva esercitato l'effetto meccanico dei compressori e l'impianto stesso di una tastiera. La descrizione del suo organo con quattro, sei od otto registri e lo straordinario ritrovamento ad Aquincum di un organo idraulico a quattro registri (fig. 101), che la sua iscrizione data al 228 d.C., 11 si completano a vicenda. Proprio in quest'epoca, Ateneo (cfr. supra) indicò forse in Ctesibio l'inventore dell'organo idraulico, perché questi aveva realizzato la pompa a pressione con doppio stantuffo, che è un elemento costitutivo fondamentale dell'organo idraulico. In confronto alla pompa a stantuffo e cilindri, alla pompa a batacchio azionata manualmente con una valvola premente sullo stantuffo e con una valvola aspirante nella cassa, mossa meccanicamente dall'acqua freatica (fig. 19), Ctesibio costruì una pompa a doppio stantuffo (fig. 102) che doveva sviluppare una pressione idraulica maggiore rispetto a quella generata nei tratti normali di condotte forzate e di colonne montanti. Questa pompa di Ctesibio, una pompa aspirante-premente, fabbricata in bronzo e allacciata a un acquedotto, funzionava esattamente come una pompa a cilindri in base alla legge che una pressione esercitata su un fluido produce un effetto uguale su tutti i suoi punti e può essere guidata in binari e lungo direzioni prestabilite. In questo caso, i due stantuffi, che si alzavano e si abbassa-

197 vano nei cilindri, scatenavano con l'aria compressa il seguente processo: nella corsa di aspirazione dello stantuffo, lo spazio di lavoro era maggiore e l'acqua veniva aspirata attraverso la valvola aspirante; nella corsa di pressione dello stantuffo, lo spazio di lavoro era minore, la valvola aspirante si chiudeva e l'acqua veniva trasferita dal cilindro nella condotta forzata attraverso la valvola premente. Rispetto a una pompa con un solo stantuffo, i due stantuffi a fasi alterne (pompe gemelle secondo Vitruvio x 7) riducevano la discontinuità nell'espulsione dell'acqua. L'invenzione di Ctesibio, destinata a conoscere un lungo futuro, consisteva infatti proprio nella pompa funzionante con due stantuffi, che generavano pressioni più o meno forti sia per sollevare l'acqua posta

Fig. 101. Organo idraulico. Modello nel Museo archeologico di Aquincum

198

Fig. 102. Dispositivo per il sollevamento dell'acqua ideato da Ctesibio. Ricostruzione di H. Diels

in basso sia per creare un getto d'acqua più intenso (fig. 102, ritrovamento di Bolsena). Questa spinta ascensionale dell'acqua, ottenuta meccanicamente e quasi uguale in ciascuno degli stantuffi gemelli, si contrapponeva al naturale movimento dell'acqua verso il basso. In base a questa innovazione, gli ingegneri romani sembrano aver migliorato la pompa a doppio stantuffo aggiungendovi una camera d'aria compressa (Erone, Pneumatica 1 28, fig. 102), con una camera d'aria nel tratto forzato che accrescesse la prestazione dell'impianto. Né Filone né Vitruvio né Erone tramandano come venissero

199 azionate le pompe a pressione a doppio stantuffo. Nell'antichità si fabbricarono infatti meccanismi, ma non motori né macchine a vapore (cfr. p. 190). Ne consegue che per la pompa di Ctesibio e per altre pompe l 'unico azionamento possibile era dato dalla forza dell'uomo e da quella dell'animale attraverso meccanismi di abbassamento o di elevazione. Oltre agli impieghi per fini ludici, e per attingere il vino, ci sono pervenute poche informazioni sulle applicazioni pratiche di queste pompe gemelle. Erone (Pneumatica 1 28) indicava la possibilità di spegnere il fuoco con un getto d'acqua che usciva da una pompa simile: fu dunque Ctesibio l'inventore ante litteram dell'idrante. In realtà, le possibilità di sfruttamento di una pompa a pressione a doppio stantuffo sono molto più numerose; lo provano i seguenti meccanismi - semplici al confronto - e i tentativi degli antichi di estrarre e di sollevare l'acqua. Vitruvio distingueva due tipi di ruote per attingere acqua: la ruota idraulica con pale simili a remi, che non sollevava l'acqua a grande altezza, ma in notevole quantità, per poi versarla in un

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Fig. 103. Ruota idraulica, ricostruzione dei ritrovamenti di Dolaucothi (Gran Bretagna)

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canale collegato (figg. 103, 104), azionata dall'uomo con un dispositivo a pedale ed utilizzata per l'irrigazione di giardini e per l'alimentazione di saline (Vitruvio x 4, 1-2). La ruota a schiaffo funzionava in teoria allo stesso modo, ma, per raggiungere altezze maggiori, doveva avere un diametro adeguato ed essere dotata di cassette che depositavano l'acqua attinta in basso in un bacino di raccolta (castellum) (Vitruvio x 4, 3-4). Una variante è rappresentata dalle catene di secchi fissate a ruote idrauliche, come quelle trovate a Noria e a Pompei (cfr. p. 41 sg., fig. 18) e quelle ancor oggi usate in Egitto. Una soluzione tecnicamente più ingegnosa ci è offerta dalla coclea realizzata da Archimede, che serviva a trasportare il materiale estratto (modalità di costruzione in Vitruvio x 6). Questa aveva il grande vantaggio di poter sollevare l'acqua, ad esempio, anche diagonalmente, ma lo svantaggio di dover essere azionata a manovella o a pedale. Un dipinto murale di Pompei ha tramandato l'immagine di un tamburo a pedale che è stata utile nella ricostruzione dell'elevatore idraulico locale (fig. 18d). Le ruote idrauliche 12 immerse nei fiumi o inserite in acquedotti potevano lavorare, grazie alla corrente, senza l'intervento dell'uomo e, allora come oggi, azionavano i mulini. L'albero della ruota e la mola che doveva girare erano collegati da un meccanismo, mentre il materiale da macinare veniva immesso nell'impianto mediante un imbuto (Vitruvio x 5, fig. 104). Il progresso tecnico - dalla macinatura manuale in mortai con la mola girata per mezzo di una manovella fino ai mulini azionati da ruote idrauliche - conobbe un notevole incremento nel campo della costruzione e in quello della produzione grazie alla possibilità di produrre energia idraulica mediante forti pendenze. II mulino di Arles (fig. 99) ricordato prima, 13 testimonianza unica di una grande impresa romana, era posto su una china con una pendenza del 30% circa (m 61 X20, dislivello di 18,20 m). Con una simile inclinazione, la pressione sulle ruote motrici è naturalmente molto elevata e l'energia così ottenuta è stata valutata da G. Garbrecht intorno ai 30-40 kW. Per questo motivo, su ciascun lato lungo del mulino erano state predisposte otto ruote idrauliche e otto canalette cosicché l'acqua scorresse giù da un bacino di raccolta deli' acquedotto su entrambi i Iati passal)do sopra otto gradini alti 2,60 m per confluire infine in due canali, che a loro volta alimentavano una tintoria con un elevato fabbisogno d'acqua.

Fig. 104. Mulino ad acqua raffigurato in un mosaico di Bisanzio (in alto) eriprodotto in base alle indicazioni di Vitruvio (in basso)

202 In questa sede non ci è possibile esaminare gli effetti che tutti questi meccanismi a energia idraulica inventati o perfezionati nell'antichità ebbero sulla vita privata e pubblica, sull'artigianato, sul commercio e sui mestieri, in tempo di pace e di guerra. Tuttavia possono essere sufficienti due esempi: uno tratto dal commercio e uno dalla vita pubblica. La possibilità introdotta in età ellenistica e repubblicana di macinare grandi quantità di grano con mulini azionati ad acqua fece nascere corporazioni di lavoratori sconosciute fino a quel momento: i mugnai e i panettieri. Prima del 170 a.C. circa, a Roma non c'erano panettieri. I cittadini stessi si preoccupavano di cuocere il pane e questo compito toccava soprattutto alle donne, come accade tuttora presso la maggior parte dei popoli (Plinio, Naturalis historia xvm 107 sg.).

Per quanto riguarda la vita cittadina, le fonti epigrafiche tramandano che gli orologi ad acqua vennero installati sia per iniziativa pubblica sia offerti da mecenati, e che nelle città ellenistiche possedere un orologio idraulico sempre funzionante era considerato un elemento di prestigio.

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7 8

9 IO

Atene, Museo dell'Agorà P 2084; S. YouNG, Hesperia 8 (1939), p. 274 sgg.; cfr. PLATONE, Teeteto l72d, 20lb. G. LANGMANN-M. FIRNEIS-G. H6BLE, OJh 55 (1984), suppl., p. l sgg. J.E. ARMSTRONG-J.M. CAMP, Hesperia 46 (1947), p. 147 sgg. Ricordato da ERONE, Pneumatica 1 proem.; citato letteralmente da PRoCLO, Hypotyposis astronomicarum positionum IV 73; Pappo ne riferisce il contenuto nei suoi frammenti; sul deflusso costante cfr. ERONE, Pneumatica 14. Per esempio, Priene, teatro, TH. WIEGAND-H. SCHRADER, Priene, 1904, p. 240; cfr. tre tavole di marmo con scale, /G n 1200-1202. Per esempio, iscrizioni di Pergamo, Pergamon 1 183 (AvP vm.l); di Samo, R. TOLLE, Opus nobile. Festschrift .filr U. Jantzen, 1969, p. 169 sgg.; ad Annecy, Dessau, ILS n l, 5624; cfr. PLINIO, Naturalis historia VII 215, XXXVII 14. J.V. NoBLE-D.J. DE SoLLA PRICE, AJA 72 (1968), p. 345 sgg., tav. 117 sg. Salisburgo: O. BENNDORF, E. WEISS, A. REHM, OJh 6 (1903), p. 32 sgg. Anticitera: D.J. DE SOLLA PRicE, An ancient Greek Computer, in Scientific Am. 200 (1959), p. 60 sgg. ATENEO IV l74c. Cfr. XI 497d; H. DIELS, Ober Platons Nachtuhr, in SBBerlin, 1915, p. 824 sgg. ERO NE, Pneumatica I, n passim. Muristus. Traduzione in F. RosENTHAL, Das Fortleben der Antike im lslam, 1965, p. 319 sgg.

203 Il L. NAGY, Az Aquincumi Organa, Budapest 1934; W.W. HYDE, Transact AmPhilAss 69 (1938), p. 392 sgg. 12 Cfr. per es. il mulino ad acqua romano nell'agorà di Atene, R.J. SPAIN, Hesperia 56 (1987), p. 335 sgg. A Roma un mulino ad acqua fu installato nelle terme di Caracalla e I'Aqua Traiana rifornì più tardi prevalentemente mulini ad acqua: R.J. FoRBES, Studies in Ancient Technology t, 1964, p. 185. 13 F. BENOIT, RA (6) 15 (1940), pp. l sgg., 49 sgg.

VII. Scarico dell'acqua NEL 480 a.C., dopo aver sconfitto a Imera la potenza minacciosa dei cartaginesi, gli agrigentini rinchiusero i prigionieri in alcune cave di pietra e li costrinsero a estrarre il materiale necessario per erigere i loro imponenti templi e per costruire dei canali di scarico sotterranei. Questi ultimi vennero realizzati di proporzioni talmente imponenti che Faiace, l'ingegnere idraulico che ne diresse i lavori, diventò famoso e da quel momento in poi i grandi impianti di scarico presero il nome di (( faiaci » (Diodoro XI 25, 3-4). Questa sola testimonianza, suffragata peraltro da molte altre, mostra chiaramente che presso i greci lo scarico idrico era considerato seriamente tanto quanto presso i romani, anche se Strahone (v 3, 8), Plinio (cfr. p. 243) e alcuni autori moderni considerano questi ultimi preminenti e più lungimiranti in questo campo. Per entrambe le civiltà sono documentati già nei decenni precedenti al 500 a.C., come nei successivi, impianti sistematici di scarico ad Agrigento, 1 ad Atene, a Samo e a Roma (cfr. infra). Inoltre le ricerche sul territorio greco sono assai più lacunose di quelle nello stato romano, che da parte sua poté contare su uno sviluppo durato secoli e su un livello di vita con elevate disponibilità finanziarie. In qualsiasi sistema di scarico, gli aspetti igienici avevano un ruolo sociale e sanitario che viene esaminato già in alcuni scritti del Corpus Hippocraticum. Gli effetti negativi dipendevano, tra l'altro, dal fatto che, nel corso di tutta l'antichità, le acque d'uso comune e quelle di scarico venivano immesse nuovamente nel circuito naturale dell'acqua senza prima essere depurate. Questa pratica non arrecava danni fino a quando non veniva superata la capacità di autodepurazione dei fiumi, dei laghi e dei mari, e ciò avvenne già in età imperiale in una città delle dimensioni di Roma, che scaricava le proprie_acque nere nel Tevere. Sembra che nell'antichità non si conoscesse o non fosse stato sperimentato un sistema di depurazione da attuare attraverso appositi impianti, canali di scolo o sifoni (nel senso moderno del termine) che riducessero il riflusso di odori sgradevoli e di gas nocivi alla salute. Tuttavia, non si può escludere che in futuro vengano ritrovati impianti meccanici e biologici di depurazione

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delle acque. Il bacino più piccolo nella condotta in terracotta di Iaso, ad esempio, assolveva forse a una funzione simile a quella di un sifone (fig. 59). Inoltre, se gli impianti di irrigazione sono documentati dai ritrovamenti e dagli esami di canali di distribuzione idrica, 2 ben difficilmente si può provare che i terreni agricoli produttivi venivano irrigati con acque di scarico cittadine depurate dei residui solidi. Ai ben organizzati impianti di scarico delle antiche civiltà del Vicino Oriente, dell'Egitto e della civiltà minoica fa seguito la mancanza di una canalizzazione regolata nei primi secoli di storia greca e romana, fasi povere della storia arcaica, che sono del tutto inaccessibili alla ricerca. All'età arcaica greca e alla fine romana dell'età dei re si possono far risalire tuttavia parecchi rami di canali di scarico e nuove tecniche edilizie. Nell'antichità, il problema anche attuale di deviare l'acqua non si poneva soltanto per l'acqua piovana e d'uso comune, ma anche per quella potabile. Tutte le krenai collegate a condutture e i salientes, tutte le diverse varianti di fontane erogavano una grande quantità d'acqua potabile, che in parte scorreva inutilizzata, in parte veniva incanalata per procedere verso una successiva destinazione finale, spesso sconosciuta: forse un abbeveratoio per animali come a Olinto, a Micene o a Figalia o forse anche lavatoi. Soltanto una volta, presso la grande krene di Megara (fig. 77; scarichi al punto C, C e sfioratore al punto D) si è potuto documentare un pozzo nero per l'acqua corrente. I più antichi scarichi di krenai sono contraddistinti da tubazioni in terracotta, come quelli della krene sul colle orientale di Olinto e, ad Atene, dell'antichissima krene del Dipylon e della krene sudorientale nell'agoràJ dotata di due scoli che per mezzo di un tubo a Y si riunivano in un unico tratto. Questi scarichi delle condutture delle età arcaica e classica derivavano dai tradizionali impianti di scarico orientali, come quelli che sono stati scoperti nei recenti scavi di Habuba Kabira sull'Eufrate. In età post-classica, per gli scarichi delle krenai si preferivano invece cunette aperte a forma di U. L'acqua in eccedenza che scorreva dalle fontane lungo la strada della porta occidentale di Priene (fig. 90) e da alcuni salientes romani veniva immessa in canali di scarico, che in tal modo venivano sciacquati (Frontino 111). Allo stesso scopo servivano i tre fori sul fondo del bacino di distribuzione di

206 Nimes (fig. 93), attraverso cui veniva scaricata nella canalizzazione l'acqua trasportata dali' acquedotto. Con o senza apposite canalizzazioni, in tutti i tempi l'acqua piovana ha posto il problema dello scarico, che all'inizio e per alcuni secoli è stato affrontato indipendentemente dall'eliminazione delle acque nere. Escludendo le condutture collegate a cisterne (cfr. p. 129 sgg.), l'acqua piovana veniva condotta, nelle città con sottosuolo roccioso, in semplici canali scavati nella roccia (per esempio, ad Atene sull'Acropoli e in molte altre zone della città). Quando le caratteristiche del suolo erano diverse, i canali venivano rivestiti in pietra; a quest'espediente si doveva ricorrere spesso davanti ai templi (ad esempio Olimpia) e davanti agli edifici pubblici (ad esempio Atene, stoà di Attalo). A Trezene, l 'unica testimonianza di un antico edificio perduto è un canale di scarico in pietra concavo che correva tutto intorno alla costruzione (fig. 105). A Olimpia ad alcuni di questi canali è stata attribuita una doppia funzione: in estate servivano come canali dell'acqua fresca e nei periodi di pioggia come scarichi. Alcuni antichi urbanisti studiarono la possibilità di un molteplice sfruttamento della medesima struttura nelle zone residenziali: i passaggi stretti, detti anche vicoli-canale, tra le singole case di Olinto, Cassope o Imera regolavano lo scarico dell'acqua piova-

Fig. 105. Trezene, canalette per l'acqua piovana

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Fig. 106. Aquincum (Pannonia), tombino

na, consentivano il transito ed evitavano le controversie che sarebbero sorte nel caso in cui i muri divisori fossero stati comuni (iscrizione di Del o). Oltre allo scarico separato dell'acqua piovana, fu realizzato, in età greca, un sistema misto per eliminare insieme acqua piovana e d'uso comune, raramente in forma di canali stradali aperti come quelli di Smirne (Strabone xrv l, 37), più frequentemente come canali sotterranei chiusi. Lo scarico dell'acqua piovana nella canalizzazione per l'acqua d'uso comune era economicamente conveniente, perché non presupponeva la costruzione di un impianto apposito, e allo stesso tempo era molto utile, perché l'acqua piovana favoriva la rimozione dei rifiuti nei canali di scarico. Questi correvano prevalentemente sotto le strade, lungo le quali sono stati scoperti dei pozzi di manutenzione facilmente accessibili. Considerato ciò, sembra logico (ma è stato documentato solo successivamente) che le lastre rotonde o quadrate di copertura dei pozzi fossero provviste di fori, in modo che l'acqua piovana potesse scorrere direttamente nella canalizzazione da più punti. I tombini semplici con la parte superiore concava e alcune fessure amigdaloidi, come quelli di Pompei, Palermo e Aquincum (fig. 106), sono più funzionali

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Fig. 107. Roma, chiusino di cloaca, la cosiddetta« Bocca del.la Verità"

della scultura artistica di Roma: la cosiddetta « Bocca della Verità •• in Santa Maria in CosmediQ, la maschera di una divinità fluviale, era originariamente un chiusino con lo scolo attraverso la bocca (fig. 107). Le tecniche edilizie per gli scarichi di piccole o grandi dimensioni sono simili a quelle per le altre condutture. La loro evoluzione storica è strettamente collegata, perché con l'aumento de Il' afflusso idrico e il moltiplicarsi del consumo d' acqua si ampliò anche la sezione trasversale dei canali stradali e principali. Poiché sotto questo punto di vista i vecchi sistemi di scarico, ossia tubi e canalizzazioni in terracotta, 4 ponevano dei limiti, nel corso dell'età ellenistica e repubblicana si imposero sempre più i canali di scolo in pietra. La loro semplice tecnica edilizia è stata illustrata con tale precisione in un bando per lo scarico di un bagno per uomini nell' Anfiareo di Oropo, s che sarebbe possibile riprodurla senza difficoltà: lastre di pietra sul fondo, sovrastate da due ortostati alla distanza di un piede l'uno dall'altro, con lastre di copertura orizzontali, il tutto cementato con una tecnica di muratura particolare (senza malta), e mante-

209 nendo la pendenza del terreno. È significativo che per gli scarichi non venga imposto, contrariamente ai canali di conduzione, l'uso di intonaco. In età romana seguirono poi i noti canali con copertura a volta in pietra o in mattoni (fig. 59). Le antiche canalizzazioni si articolavano in un massimo di quattro gradi e secondo una gerarchia valida ancor oggi: i canali iniziali, che uscivano da edifici di ogni genere (primo ordine), confluivano in canali stradali del secondo ordine, che proseguivano in canali principali con una sezione crescente (terzo ordine), e più canali principali potevano infine essere riuniti in un unico canale di raccolta (quarto ordine), che comunque si rendeva necessario soltanto in città molto grandi. Tutti questi ordini sono stati ritrovati per esempio ad Atene (soltanto nel Ceramico ci sono circa trentacinque scarichi), a Taso, a Pergamo, a Delo o a Pompei, dove tutte le case erano collegate a un canale stradale. Inoltre, dovevano essere presenti in numerose altre città che non sono state ancora studiate sotto questo aspetto (Strabone XIV l, 21). A causa del ripetuto sovrapporsi di nuove costruzioni, è difficile trovare oggi attestazioni - per lo meno complete - di scarichi del primo ordine. Ad esempio, oltre ai cosiddetti vicoli-canale si ricordano gli scarichi della villa ellenistica di Samo, nella quale alla metà del I secolo a.C. venne installato, durante importanti lavori di ristrutturazione, un grande canale di scarico per entrambi i peristili: quest'innovazione fu possibile perché nel frattempo la villa era stata collegata, mediante condotte forzate, all'acquedotto di Eupalino, e in questo modo era possibile pulire il nuovo canale che sfociava in mare. 6 Nella vallè fittamente popolata tra l'Acropoli di Atene e la collina della Pnice c'è un esempio particolarmente chiaro della confluenza di molti scarichi di case in un unico canale stradale. 7 Lì, i canali di scarico sotterranei del secondo ordine sono assai più fitti delle gallerie o dei canali di conduzione, che si sono conservati in profondità. Al di là della funzione loro propria, i canali stradali del secondo ordine si sono rivelati significativi dal punto di vista urbanistico perché, se conservati sotto terra, consentono di ricostruire sia la rete stradale perduta per modifiche dell'orientamento originarie o intervenute nel corso del tempo sia reti stradali irregolari o ippodamiche. Fino a oggi però la testimonianza fornita da una canalizzazione è stata utilizzata soltanto raramente per le ricerche sull'antica urbanistica

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Fig. 108. Samo, città, sbocco di un canale di scarico nel mare

e sulla crescita delle città. Diventa però degna di nota se si considera che nelle città di fondazione successiva, collie sotto i diadochi o gli imperatori romani, la rete viaria e quella delle canalizzazioni venivano progettate contemporaneamente e i canali di scarico venivano installati per primi. , Nelle città piccole e anche in altre di media grandezza, i canali principali (terzo ordine) con grande capacità rappresentano l 'ultimo grado e, come i canali in pietra da taglio o in mattoni, correvano per lo più al centro sotto le strade. Questi provvedevano allo scarico di intere città direttamente in mare aperto, come a Samo (fig. 108) o a Iaso (fig. 59) e in molte altre città costiere, oppure nei fiumi come nel Tevere o in aperta campagna come a Pergamo. 8 Tuttavia per numerose città non si conoscono né la destinazione dello scarico fuori dei confini cittadini né le modalità di superamento delle mura. Soltanto le città veramente grandi disponevano di una canalizzazione del terzo e del quarto ordine. Il great drain ad Atene (fig. 109) fu installato in primo luogo come scarico dell'acqua piovana di una vasta zona e, pur restaurato, negli ultimi decenni ha assolto a questa funzione in maniera soddisfacente. Nella fase principale della sua costruzione, nel primo quarto del v se-

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Fig. 109. Atene, great drain

colo a.C., accoglieva anche acqua d'uso comune e sfociava in un grande canale di raccolta (quarto ordine), che può essere considerato simile alla cloaca maxima di Roma. Il tratto meglio conservato nel Ceramico (cfr. nota 2) è largo 4,20 m; qui, oltre a parti più recenti, è visibile un tratto in cui la copertura a volta del canale venne realizzata ancora con la tecnica ad aggetto. Inoltre, ad Atene i canali principali del terzo e del quarto ordine non furono costruiti molto tempo dopo la rete di rifornimento idrico della tarda età arcaica. Le cloacae maximae di Roma e di Atene sono dunque quasi contemporanee.

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Fig. 110. Colonia, canale di scarico sotto la Budengasse

Ad Atene, la tirannide si concluse nel 510 a.C., proprio mentre a Roma terminava l'età dei re. Livio (1 38, 6) attribuì a uno degli ultimi re romani la posa della prima pietra del tempio di Giove sul Campidoglio e la realizzazione dei canali di drenaggio degli avvallamenti tra i colli di Roma. Questi furono gli antecedenti della cloaca ma.xima, che più tardi avrebbe deviato l'acqua di scarico, e il suo sbocco nel Tevere si vede ancor oggi poco sotto il ponte Palatino. In quasi tutti i secoli, la cloaca ma.xima romana è stata modificata, rinnovata e riparata, ma alcuni suoi tratti risalgono forse ancora all'età dei re. A parte la

213 sua larghezza massima di circa 4,30 m, che non differisce molto da quella di Atene e che è decantata da Cassio Dione (49, 43) e da Plinio (cfr. p. 243), altri dati si attendono da studi attualmente in corso. 9 La rete di canalizzazioni della città di Roma diventò - nonostante il non raccomandabile scarico nel Tevere (Strabone v 3, 8) - un modello di tecnica edilizia per non poche città delle province, dalla Gallia (Arles, Lione, Metz, Nimes, Périgueux e altre) fino all'Asia Minore (Nicomedia, Side, Perge). Un canale principale delPantica Colonia (fig. 110), IO che sfociava in un braccio del Reno utilizzato - con scarsa attenzione per l'igiene - come porto, ricorda molti tratti augustei della cloaca ma.xima di Roma. Così come nella nostra epoca ci si è preoccupati poco dello smaltimento dei rifiuti, altrettanto la ricerca storico-archeologica ha per lungo tempo tralasciato il problema dello smaltimento delle acque di scarico neli' antichità. Questa tendenza potrebbe invertirsi in futuro, ma ciò rimarrà connesso a notevoli costi, cattive condizioni di lavoro e rischi. Con minori difficoltà si possono esaminare invece le latrine, che venivano sciacquate con acqua corrente come i canali di scarico. Tali strutture esistevano in tempi antichi, perché secon~

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Fig. III. Atene, latrina pubblica all'ingresso dell'agorà romana

214 do la mitologia Eracle mise in pratica le sue conoscenze idrauliche sfruttando l'energia dell'acqua per pulire le stalle del re elio Augia da un'enorme quantità di sterco, deviandovi il fiume vicino. In realtà, nel palazzo di Cnosso come nelle case di Babilonia (VI secolo a.C.) vennero installate toilettes con risciacquo d'acqua corrente. Il Gli abitanti delle città greche e romane dovettero tuttavia attendere a lungo simili comodità. In tutti i secoli precedenti le età ellenistica e repubblicana, nelle case d'abitazione non c'era neanche uno spazio adatto a questo scopo. In casi isolati, nel IV e nel 111 secolo a.C. - soprattutto nelle case signorili - veniva predisposta proprio accanto all'ingresso una zona per la latrina, però senz'acqua corrente (cfr. Eubolo in Ateneo x 417d). Queste ritirate e i vasi da notte venivano svuotati nei pozzi neri vicino alle case, in tre scomparti. Questo significa, del resto, che si faceva fronte ai propri bisogni (( sul campo ». Un'iscrizione

Fig. 112. Filippi (Macedonia), latrina della palestra

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PROSPETTO VISTA LATERALE

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Fig. 113. Parigi, Louvre, seggio di latrina

d'età imperiale, formulata con grande senso dell'umorismo, ordinava ai passanti di rinunciare ad attraversare il campo: Cari amici, lo chiedono le ossa, non pisciate qui sulla collina; tu vuoi essere più gentile di questo qui - non cagare! · Qui vedi la fossa delle ortiche: spariscici dentro è svanisci, cagone! Non vorrei consigliarti di scoprire qui il culo.

Questo è dunque quanto accadeva prima dell'avvento delle latrine con acqua corrente. I primi impianti igienici, semipubblici, vennero costruiti in età ellenistica in ginnasi e palazzi e facevano parte, in età romana, della dotazione regolare delle,scuole più grandi (fig. 112) e delle terme. Poco prima e all'inizio dell'età imperiale, le latrine accessibili a tutti diventarono un bene generale delle città. Al-

216 cuni gabinetti particolarmente grandi, forniti di sciacquone, furono installati nelle zone centrali delle città e possibilmente vicino alle canalizzazioni. Degli impianti più piccoli a pianta absidata o quadrata, con 6 o 12 posti a sedere, sono rappresentate tutte le gradazioni fino a quello con la superficie di un grande bungalow. Nell'agorà romana di Atene (fig. 111) l'edificio delle latrine era simile a un peristilio e attraverso l'apertura centrale (con impluvium) entrava luce e aria. Qui, come a Mileto 12 e in molte altre città (ad esempio Roma, Ostia, Pompei, Timgad, Dougga, Sabratha, Coo, Side), i sessantotto sedili su un canale circolare con sciacquone collegato con la cloaca maxima erano accostati l'uno all'altro ai limiti del possibile. Nel corso di questa evoluzione, che raggiunse l'apice tra il 1 e il n secolo d.C., le latrine pubbliche entrarono anche nelle ville più grandi e quelle singole, comunque con risciacquo, in alcune case private. Lo sfarzo di questi impianti era sottolineato dalla dotazione esterna: gli edifici svilupparono una loro particolare forma architettonica come altri tipi di costruzioni; alcune comode in marmo (fig. 113) ricordano nella decorazione e nel costo le poltrone teatrali di prima fila.

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Non è chiaro se Diodoro fosse in grado di distinguere tra condotte di afflusso e di scarico; cfr. W. DEEKE, Zeitschrift der Deutschen Geologischen Gesellschaft 85 (1933), p. 83 sg. Cfr. E. ZtLLER, AM 2 (1877), p. 117 sgg., tav. 8 sulla zona esterna del Ceramico ad Atene. Nell'ordine del testo: F. GLASER, Antike Brunnenbauten (KPHNAI) in Griechenland, Wien 1983, nn. 87, 45, 44, 51, 47, 49. Per esempio M. LANG, Waterworks in the Athenian Agora, 1968, fig. 38. H. LATTERMANN, AM 35 (1910), p. 81 sgg.; G. Argoud, in Joumées d'études sur [es aqueducs romilins, Lyon 1977, a cura di J.-P. Boucher, Paris 1983, p. l sgg. Samo: R. TÒLLE-KASTENBEIN, Samos XIV (1974), pp. 50 sgg., 127, fig. 89. Pergamo: G. GARBRECHT, in Geschichte der Wasserversorgung, Bd. 2, Mainz 1987, p. 41, fig. 32. lmera: W. HOEPFNER-E.L. SCHWANDNER, Haus und Stadt im klassischen Griechenland, 1986, pp. 4, 7, fig. 3 sg. W. DoRPFELD, AD II 4 (1901), tav. 38. Samo: R. ToLLE-KASTENBEIN, AM 90 (1975), p. 209, fig. 14. Olimpia: F. GRADER, in ADLER-CURTIUS, Olympia II (1892), p. 176, tav. 102.4. Pergamo: G. GARBRECHT, in op. cit., p. 44, carta B.

217 9 Ricerche di H. Bauer; gli studi del secolo scorso sono contenuti in AD 1 4 (1889), tav. 37 (unica pianta fino a quel momento); cfr. G. Luau, I monumenti antichi di Roma e suburbio 11, 1938, p. 322 sgg. Dopo la conclusione del manoscritto è apparso H. BAUER, Frontinus-Heft 12 (1988), p. 45 sgg., fig. l sgg. IO H. HELLENKEMPER, Das Kanalnetz der CCAA. Fiihrer zu vor- und friihgeschichtlichen Denkmillem 37/1 (1980), p. 77. Il A. EvANS, The Palace of Minos 1, 1921, p. 226 sgg., fig. 171 sg.; W. HOEPFNER-E.L. SCHWANDNER, op.cit., p. 238, fig. 244. 12 A. V. GERKAN, Mi/et I 6 (1922), fig. 20.

VIli. L 'acqua nel diritto, nell'amministrazione e come arma comunità deve tutelare e proteggere i beni che appartengono alla propria cultura, e questo vale, non da ultimo, anche per l'acqua, indispensabile alla vita. Benché dalle misure preventive derivino leggi od ordinamenti giuridici, civiltà avanzate come quella greca e quella romana non elaborarono un vero e proprio diritto delle acque. Nelle fonti letterarie ed epigrafiche greche troviamo singole norme, che però non raggiungono mai il grado di princìpi o di leggi, ma piuttosto di esortazioni, consigli, direttive, prescrizioni. Tali norme non potevano che restare isolate le une dalle altre, poiché ciascuna città-stato era autonoma nel diritto, nella legislazione e nella costituzione, e non esisteva nessun ordinamento sovraregionale che unificasse le singole regolamentazioni. Inoltre, in Grecia non si sviluppò un linguaggio tecnico, giuridico o amministrativo. Di conseguenza, si deve rinunciare al tentativo di tradurre in termini moderni o di classificare secondo le attuali categorie giuridiche e legislative le ordinanze emanate in età greca relativamente ai problemi posti dal rifornimento idrico. Nelle pagine seguenti si eviteranno, perciò, di proposito i termini coniati dal diritto moderno, e i termini greci che designano uffici e funzioni saranno tradotti, per quanto possibile, in modo da evitare arcaismi, burocratismi o tecnicismi. 1 Le norme greche relative all'acqua si basavano su usanze e tradizioni ed erano considerate la formulazione scritta di un diritto consuetudinario. All'inizio, venne sottolineata con forza- da Platone (Leggi 760a sgg., 844a sgg.) e da Aristotele (cfr. p. 129 sg.) - l'importanza del rispetto dell'acqua, dell'oculatezza nel suo impiego, della giusta divisione e di un comportamento ragionevole reciproco di chi se ne serviva. Non appena si presentarono casi di spreco si resero necessarie misure di controllo e ordinanze per taluni casi che non potevano basarsi su una compilazione sistematica di tutti i criteri giuridici specifici per l'acqua. Poiché, diversamente dalla terra, dal sole o dal vento, l'acqua per sua stessa natura è esposta al rischio di inquinamenti, deviazioni o furti, secondo Platone (Leggi 845d-e) era necessario tutelarla con> significa molto genericamente « incaricato della sorveglianza >> e quindi le sue competenze dovevano essere di volta in volta specificate, come ad esempio sorvegliante delle strade. Ad Atene e in Attica, la formulazione più comune era quella di epimeleta per le krenai, s un ufficio risalente forse anche al 500 a.C. circa, quando l'epimeleta per le acque era Temistocle (cfr. injra), poco dopo la realizzazione della grande rete di condotte di Atene. Dal momento che le krenai sono le stazioni terminali dei singoli tratti di condotte, la carica di epimeleta per le krenai era probabilmente equiparata a quella di sorvegliante del rifornimento idrico. Ne è una conferma l'operato di Pitea, epimeleta per le krenai, eletto alla fine dell'età classica, che per decreto popolare fu premiato con una corona d'oro del valore di 1000 dracme per l'attaccamento al lavoro, la cura delle condotte d'acqua, anche quelle sotterranee, e la costruzione di due krenai, alla quale peraltro non era tenuto (/G n 2 338). Molto più tardi, anche a Side venne nominato un consigliere con l'incarico di epimeleta per le acque. 9 La sorveglianza specifica di un krenofilace, di un custode delle krenai, è documentata soltanto per Atene e per la sfera di influenza ateniese e, anche in questi casi, esclusivamente da fonti tarde. IO Altrove, agli svariati compiti di sorveglianza delle acque provvedevano gli agoranomi (sorveglianti dell'agorà), come ad Andania in Messenia (/G v 1, 1390) e nella città ideale immaginata da Platone a Creta (Leggi 764 b-e), o gli astinomi (sorveglianti della città), come a Pergamo; facevano eccezione a questa regola Sparta con le sue normative particolari e i sorveglianti delle acque nei luoghi di culto, che potevano avere proprie denominazioni con riferimenti locali. Tra le mansioni fondamentali degli amministratori e dei sorveglianti preposti alle acque si ricordano, oltre alla già citata cura dell'igiene: controllare la regolarità del flusso, prevenire eventuali difficoltà di rifornimento nei periodi di siccità (riserve), impedire l'inquinamento, specialmente nelle krenai più sfruttate, provvedere alla manutenzione dell'impianto nei suoi diversi tratti, mantenere la distribuzione dell'acqua p!iestabilita, segnalare deviazioni non autorizzate delle tubature e furti d'acqua, garantire il normale accesso alle krenai e, quindi,

224 il soddisfacimento del fabbisogno d'acqua di tutti i cittadini, applicare le pene e ritirare le multe. Dopo il suo arrivo a Sardi, per passare il tempo Temistocle visitò i templi e i numerosi doni votivi che si trovano alloro interno e trovò, tra l'altro, nel tempio della madre degli dei la cosiddetta kore idrofora, una raffigurazione di una giovane in bronzo, alta due cubiti [simile a quella a fig. 114], che egli in passato, quando era ancora sovrintendente alle acque ad Atene, aveva fatto fondere e aveva messo in un tempio eretto per l'occasione con il denaro ricavato dalle multe pagate da quelli che venivano scoperti a rubare o a derivare illegalmente l'acqua (Piutarco, Vita di Temistocle 31).

Molti dei decreti emanati implicavano il pagamento di multe in caso di violazione delle norme. Svariate pene consistevano, inoltre, nella riparazione materiale del danno arrecato o in un suo risarcimento (Platone, Leggi 844d, 845e). A Pergamo e in altre città, gli schiavi - ma non i liberi cittadini - venivano puniti con pene corporali come percosse o messa in ceppi, in base al testo dell'iscrizione degli astinomi, che conteneva provvedimenti drastici. Non soltanto i cittadini e gli schiavi, ma anche gli astinomi stessi venivano puniti in caso di violazione dei doveri: Da tutti gli astinomi, che non presentano all'archivio la lista delle cisterne di loro competenza o che non operano come la legge prescrive, i nomofilaci (tutori della legge) devono esigere il pagamento di 100 dracme e utilizzare tale somma per la manutenzione delle cisterne.

Le testimonianze sulla tutela dell'acqua nel mondo romano sono molto numerose. In questa sede si deve quindi scegliere tra due possibilità: da un lato dedicare pari spazio ai testi di carattere giuridico e alle pratiche amministrative greche e romane, che in entrambi i casi possono essere illustrate soltanto molto brevemente; dall'altro trattare in maniera-esauriente le notizie eterogenee che ci provengono dal mondo greco e fare brevi rimandi alle norme giuridiche romane. Si è costretti a scartare la seconda ipotesi per due motivi. Il materiale letterario e soprattutto epigrafico romano è troppo vasto per una trattazione limitata a poche pagine. Inoltre, per gli aspetti giuridici e amministrativi del rifornimento idrico repubblicano e imperiale rimandiamo a due testi, pubblicati di recente e facilmente accessibili, che forniscono un buon quadro dettagliato della situazione. II Accanto alle epigrafi con valore legale, l'opera di Frontino è e resta la nostra fonte principale, dalla quale si può riconoscere l'autonomia raggiunta nella prima età imperiale dall'idraulica dal punto di vista giuridico e amministrativo. L'età repubblicana

Fig. 114. Idrofora. Roma, Museo Nazionale

226 presenta alcuni elementi in comune con il diritto consuetudinario del mondo greco, che Frontino in una retrospettiva (94-96) distingue nettamente dalla situazione dell'età imperiale: Ora segue, come preannunciato, la mia trattazione sulle leggi per la derivazione dell'acqua e su quelle per la manutenzione degli impianti idraulici. Quanto alle prime, esse hanno il fine di tenere sotto controllo i privati cittadini relativamente alla quantità di acqua a cui hanno diritto, mentre le seconde servono per la tutela delle condotte stesse. Se posso risalire a prima delle leggi sui singoli acquedotti, ho scoperto che i nostri antenati si amministravano in maniera un po' diversa. In tempi antichi, tutta l'acqua veniva usata soltanto per finalità pubbliche, e questo era stabilito per legge come segue: « Nessun privato cittadino può derivare altra acqua oltre a quella che scorre per terra dai bacini dei pozzi ». Questo è, alla lettera, il testo della legge. In tali parole bisogna interpretare che cosa si intenda con acqua che scorre per terra dai bacini dei pozzi. Noi la definiamo« acqua che trabocca». E anche questa stessa acqua non poteva essere utilizzata per altri scopi che per i bagni e per la follatura dei tessuti, per i quali peraltro era stato stabilito il pagamento di una tassa da liquidare al tesoro pubblico. Da questa legge risulta evidente che i nostri antenati ritenevano molto più importanti le esigenze pubbliche che i piaceri privati, perché anche l'acqua che veniva derivata dai privati cittadini serviva al bene pubblico. Se gli altri cittadini Io consentivano, l'acqua veniva convogliata anche nelle case degli uomini che erano alla guida dello stato. In queste leggi è anche stabilito a quale funzionario spettasse il diritto di derivare l'acqua e di venderla. Io ho trovato che era appannaggio ora degli edili, ora dei censori. Tuttavia è chiaro che, finché nello stato venivano nominati dei censori, essi si arrogavano quasi sempre questo diritto, che invece spettava agli edili se non c'erano i censori. Ho trovato poi che ci si preoccupava di affidare la manutenzione delle singole condutture a imprenditori privati, i quali avevano l'obbligo di tenere un certo numero di schiavi addetti a lavori di muratura per gli acquedotti all'interno e all'esterno della città e di affiggere pubblicamente la lista dei nomi di quelli che erano in servizio per ogni zona; il compito di sorvegliare i lavori spettò talvolta ai censori e agli edili e talvolta venne demandato ai questori, come risulta dal decreto del Senato nell'anno del consolato di Gaio Licinio e Quinto Fabio [116 a.C.].

Sono state ritrovate misure prevective in notevole quantità e di diverso genere per non restare sell'l'acqua in caso di guerra: dai passaggi segreti delle rocche micenee verso i punti di prelievo dell'acqua esterni alla città, alle condutture sotterranee dei greci e dei romani e alla manutenzione delle cisterne diventate superflue, fino alla protezione delle costruzioni idrauliche superficiali per mezzo delle mura urbane. Della pratica, adottata ripetutamente nel Medioevo, di cingere d'assedio una rocca o le mura di una città per costringere gli abi-

227 tanti alla resa per sete, ci sono giunte dall'antichità poche testimonianze, tra cui una di Eschilo che ne fece una rappresentazione drammatica (Sette a Tebe 307) e un'altra di Senofonte che la dipinse come un'impresa inutile (Elleniche m l, 7). D'altra parte, non è ammesso dedurre e silentio che questa palese tattica bellica possa essere stata ritenuta talmente scontata da non sembrare degna di nota. L'inquinamento mirato dell'acqua era invece considerato un'arma efficace. È sufficiente infatti del fango (o degli escrementi) per rendere imbevibile l 'acqua potabile (Eschilo, Eumenidi 694). Misture con prodotti che alterano le acque, farmaci velenosi e no potevano infatti scatenare malattie ed epidemie che, come nella guerra del Peloponneso, venivano in ogni caso attribuite- a torto o a ragione- a un intervento nemico. Su Atene [la pestilenza] piombò all'improvviso. Primo focolaio di infezione fu il Pireo. Per cui ad Atene corse voce che i Peloponnesi avessero avvelenato le cisterne; al Pireo ancora non si disponeva di acqua sorgiva (Tucidide 11 48, 2).

A quanto è stato tramandato, durante la guerra contro Aristonico, che non riconosceva a Roma il lascito testamentario del regno di Pergamo, Manio Aquilio soggiogò nel 130-129 a.C. molte città dell'Asia Minore avvelenandone i pozzi (Floro n 26). Secondo Filone (90, 29), nell'antichità si presero anche misure per difendersi dall'arma dell'inquinamento delle acque, ma non se ne trovarono mai di abbastanza efficaci per indurre ad abbandonarne l'uso. Nel 510 a.C., Crotone, città della Magna Grecia, impiegò l'acqua a scopo offensivo, deviando il fiume Crati per sommergere e distruggere Sibari (Strabone VI l, 13). Come l'incendio, la distruzione degli impianti idraulici eraritenuta un misfatto particolarmente temuto e riprovevole e, allo stesso tempo, un sistema di attacco abituale. Quando gli ateniesi, durante la spedizione in Sicilia del414 a.C., assediarono Siracusa e, soprattutto, le Epipole, « distrussero le condotte dell'acqua potabile che correvano sotto La città )) (Tucidide, VI 100, l). Con queste parole, lo storico grecu non poteva che alludere all'acquedotto di Gal ermi, perché era l 'unico degli acquedotti siracusani ad avere derivazioni fuori città e attraversava le mura cittadine a sud delle Epipole. Se ne deduce quindi che l'installazione sotterranea delle tubature assicurava una protezione relativa, ma non assoluta; dai pozzi si possono infatti distruggere le condutture nei canali e nei cunicoli sotterranei e i pozzi anche ben mimetizzati possono essere scoperti o indicati dai traditori.

228 Le distruzioni di condotte superficiali e sotterranee ebbero un ruolo non trascurabile nella caduta delle antiche civiltà. Di questa tattica si avvalsero gli eruli in Grecia, i vandali nell'Africa settentrionale, e in Italia i goti, che nel 537 d.C. bloccarono una parte della rete idrica di Roma. D'altra parte però le truppe avevano bisogno di un costante rifornimento d'acqua potabile, che talvolta era problematico. Quando l'esercito del re Perseo si trovò senz'acqua lungo la costa della Tessaglia (168 a.C.), corse ai ripari scavando dei pozzi che erogarono una quantità sufficiente d'acqua potabile, prima torbida, ma in seguito pulita (Livio xuv 33, 1). Allo stesso modo, Cesare pose rimedio alla mancanza d'acqua durante la guerra alessandrina (De bello alexandrino 5 sgg.). Con difficoltà ancora maggiori di quelle incontrate da Cesare in Egitto si dovette confrontare invece un generale, quando giunse, come Antioco 111 durante la sua celebre anabasi (212-205 a.C.), nelle regioni alimentate dagli impianti di qanate (cfr. p. 42 sgg.), in quanto le popolazioni locali decisero abilmente di nascondere i punti di erogazione (cfr. Polibio x 28).

l R. KoERNER, ArchPF22 (1973), p. 155 sgg. 2 M. WèiRRLE, Mitt. Leichtweifl-lnstitut Heft 71 (1981), p. 71 sgg.; anche nel capitolo « Leggi sull'acqua » quasi tutte le iscrizioni si riferiscono all'agricoltura. Ne fanno parte anche la cosiddetta legge idraulica di Gortina (lnscr. Cret. IV 43), che probabilmente si riferisce allo sbarramento di una valle, e i decreti per i terreni del santuario di Bendis al Pireo, la cui acqua può essere venduta soltanto per scopi specifici (/G n 2 1361); cfr. /G n 2 2655, 2657, 2759 e altrove. 3 Per esempio TucmiDE n 49; IG 12 54, x n 5, 569 e altre iscrizioni citate più avanti. 4 E. VANDERPOOL, CharisterionA.K. Orlandos 1, 1965, p. 166 sgg. 5 IsocRATE xv 287; 1 Delos v 113. Delfi, terrazza di Apollo: R. GINOUVES, Balaneutike, 1962, p. 327, nota 6. Atene: /G 12 54, 6. Kleitor in Arcadia: riferito da VITRUVIO VIII 3, 21. Coo: /G xn5, 569, sg. 6 OG/483 IV; W. KOLBE, AM 27 (1902), p. 47 sgg., n. 71; G. KLAFFENBACH, AbhBerlin (1953), 6 (1954); SEG 20 (1964), 16; W. BRINKER, Mitt. Leichtweifl-lnstitut, Heft 89, 1986, p. l sgg. (sulle cisterne). 7 /G n 2 2494; G. KLAFFENBACH, AbhBerlin 1936, p. 381 sg., n. l B. 8 Per esempio, PLATONE, Leggi 758e e altrove; ARISTOTELE, Politica l32lb; /G n 2 338, Il. 9 G.E. BEAN-T.B. MITFORD, DAWW 102 (1970), p. 38 sgg., n. 19. IO Per esempio /G XI 159 (Delo); POLLUCE VIli 113; FOZIO s. v. X.PTJVO(j)UÀ.o.ç.

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W. EcK, Organisation und Administration der Wasserversorgung Roms, in Geschichte der Wasserversorgung, Bd. l, Mfinchen 19863, pp. 63-77; IDEM, Die Wasserversorgung in romischen Reich. Sozio-politische Bedingungen, Recht und Administration, in Geschichte der Wasserversorgung, Bd. 2, Mainz 1987, pp. 49-101; cfr. IDEM, Gnomon 50 (1978), p. 383 sgg. su M. HAINZMANN, Untersuchungen zur Geschichte und Verwaltung der stadtromischen Wasserleitungen, 1975.

IX. L 'acqua come elemento decorativo e la simbologia degli edifici idraulici CoME scultore, Policleto studiò la rappresentazione del bello mediante le proporzioni. Socrate e Platone riconobbero nella bellezza, in contrapposizione all'opportunità e all'utilità, un valore autonomo e Aristotele ampliò questi ragionamenti a riflessioni tecnico-artistiche. Nei loro progetti, gli architetti greci unirono la funzionalità con il gusto estetico, che era caratterizzato da simmetrie e proporzioni, dando prova del loro progresso artistico anche negli edifici idraulici e soprattutto nelle krenai. Tuttavia, nonostante colonnati dorici, ionici e corinzi (figg. 85, 88, 89), nonostante le decorazioni puramente esornative o con valenza mitica, le krenai greche continuarono a essere, per tutti i secoli dell'antichità, delle costruzioni funzionali, inserite nei progetti e di fatto nell'impianto urbanistico. Ma comunque non erano diventate rappresentazioni della bellezza dell'acqua. L'acqua sorgiva, chiara e spumeggiante, cantata dai poeti fin dai tempi di Omero, era considerata, nel suo ambiente naturale, " bella >> in senso estetico. Però l'acqua che sgorga, riflette e scorre non venne inserita in ambienti diversi dal suo naturale né messa intenzionalmente in evidenza per farne percepire l'amenità. I romani, invece, che non erano soltanto uomini concreti, freddi e razionali come si credeva in passato, che non pensavano solamente in termini pratici e politici come si è sottolineato fino a oggi, i romani dell'età imperiale avevano tra l'altro una sensibilità estetica differente da quella greca. Questa loro visione si manifesta nella cultura dell'acqua sotto diversi aspetti, tra i quali qui si vuole anzitutto illustrare la rappresentazione dell'elemento acqua, il renderla visibile per la sua tutela, cose che rimasero vive per lungo tempo nella cultura occidentale. La sensibilità alla bellezza dell'acqua, indipendente da qualsiasi riflessione utilitaristica, viene espressa ripetutamente nei testi greci tanto da rimanere nell'etimologia linguistica. Poco prima dell'inizio dell'età imperiale romana si ravvisa invece il proposito di esprimere in maniera più chiara il riconoscimento da parte dell'uomo del valore e della bellezza dell'acqua e di documentarlo con l'acqua stessa. Impianti idraulici di diversa natura, che conobbero uno sviluppo discontinuo e che infine vennero denominati indiscriminata-

231 mente munera, consentivano di godere del piacere dell'acqua corrente e scrosciante e soddisfacevano il desiderio di refrigerio. Tutti i munera in case private, ville e giardini, sulle pubbliche piazze e ai crocevia, nei palazzi imperiali e nelle residenze di campagna, tutte queste concrete raffigurazioni dell'acqua, chiamate anche giochi d'acqua e definite da Frontino (3) cultiores, rappresentano di fatto una componente della cultura dell'acqua specificamente romana. Esse erano ritenute talmente importanti che nell'Urbe i munera occupavano il terzo posto nel consuntivo del consumo idrico (cfr. p. 182 sg.. ). Tra i munera vanno annoverate le fontane ornamentali che, non essendo adibite all'erogazione d'acqua, avevano soltanto una funzione decorativa o ristoratrice e si diffusero immediatamente nel mondo romano, senza rifarsi a precedenti degni di nota; dai reperti archeologici di cui disponiamo, possiamo dedurre che tali fontane adornassero soprattutto le città romane. Le fontane, soprattutto quelle cittadine, nelle piazze e lungo le strade, hanno influenzato a lungo la struttura urbanistica occidentale: si pensi alle numerose fontane di Roma e di città italiane come Perugia o Siena, alle fontane divenute famose di Goslar o di Norimberga, alla continuazione di questa tradizione romana nel mondo bizantino e nella civiltà moresca, culminata nella fontana dei leoni nell' Alhambra di Granada. Nel corso della loro storia molte fontane ornamentali di età imperiale sono andate perdute, perché sostituite con nuove strutture rispondenti al gusto dei tempi o per la trasformazione delle città. Dai ritrovamenti di Pompei, Roma, Avenches e Aquisgrana (fig. 115), sembra che tra i modelli romani ve ne fosse uno particolarmente apprezzato: la fontana con diverse bocche, coronata da una pigna di bronzo, da cui l'acqua scorreva in un bacino circolare a livello del terreno. L'esemplare nei pressi del Pantheon a Roma ci fornisce un'indicazione delle dimensioni (altezza 3,56 m, compreso il capitello figurato) che questi giochi d'acqua potevano raggiungere.1 Secondo le fonti letterarie, l'antica fontana vicino al Colosseo, la più famosa di Roma, i cui ultimi resti sono stati asportati nel 1936,2 si chiamava meta sudans, ''il cono che trasuda». La fontana stradale di Djemila (fig. 116) ci tramanda un esempio di fontana conica: la colonna montante correva in una fenditura del cono in modo che l'acqua potesse fluire dalla cima nel bacino rotondo. Oltre a queste fontane decorative all'aperto, più o meno ricca-

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Fig. 115. Aquisgrana (Duomo), coronamento a pigna di una fontana ornamentale

mente ornate, specie nelle province orientali si sviluppò la struttura delle krenai chiuse e, ad esempio ad Argo, Tessalonica o Baalbek (cfr. fig. 119), ci si avvalse, tra l'altro, del monoptero, una forma architettonica nata in età ellenistica simile alla tholos. Il bacino centrale rotondo o il pozzo della fontana veniva circondato da un colonnato circolare e coperto da una tettoia a baldac~ chino, che originariamente riparava gli edifici e i luoghi di culto. Nella nascita della fontana a monoptero e nella sua struttura architettonica vanno ritrovate le origini dei battisteri della prima età cristiana, che dal Mediterraneo orientale si diffusero in tutto il mondo cristiano. In età imperiale, la fontana a monoptero si distingueva dagli altri munera per la particolare struttura. 3 Le forme più significative di giochi d'acqua, definite nelle iscrizioni « ninfei » (Side, Lambesi), con il loro nome non conservano altro che il ricordo delle ninfe delle acque. In realtà i

233 ninfei a facciata non erano altro che pareti panoramiche sui corsi d'acqua la cui conformazione ricorda palchi a più piani, facciate di biblioteche o pareti di interni ricche e complesse. I ninfei a facciata rispettavano spesso uno schema progettuale a più piani, seguito per lungo tempo, che consentiva variazioni negli scoli dell'acqua e nei bacini, nelle edicole e nei piedistalli delle statue, nelle decorazioni architettoniche e nelle proporzioni. Perciò ciascun muro di ninfeo aveva un aspetto peculiare, come a Mileto, Efeso, Aspendo (fig. 117), Perge, Side o Antiochia. Il particolare risalto dato alla facciata deriva dalle krenai che fornivano acqua nei secoli precedenti: i colonnati davanti ai bacini (figg. 88, 89) divennero via via superflui e l'acqua potabile non fu più protetta. Il muro posteriore delle krenai diventò autonomo, la parete anteriore si trasformò in facciata e, in tal modo, tutto ciò assurse a simbolo dell'acqua, appagando la vista e l'udito, senza però creare intralcio al passaggio. Proprio perché questo e altri tipi di ninfei non sono certamente funzionali, si può ritenere che il gusto ornamentale si sia trasformato in un'ostentazione di sfarzo e in una tendenza alla monumentalità. Un'origine e uno sviluppo analoghi sono alla base dei ninfei a esedra. Sull'isola di Tino ne è stato portato alla luce un primo

Fig. 116. Djemila (Mauretania), fontana stradale e ornamentale a forma conica

234 stadio, una struttura di passaggio tra un'architettura idraulica funzionale e un'altra puramente decorativa, le cui fasi di costruzione e la cui datazione dovrebbero essere studiate più a fondo (fig. 118). 4 Qui l'esedra costituisce la parte centrale di una krene, fiancheggiata da due ali laterali a forma di piccole stoà, che però non sono percorribili; i due porticati racchiudono un bacino per l'acqua situato sul davanti. Anche il bacino idrico più grande, che è collocato davanti alla krene e aperto, e il cui lato occidentale è allineato al centro dell'esedra, dimostra che nel tempio di Posidone e Anfitrite venne realizzata una combinazione di krene e ninfeo, e che il carattere ornamentale era prioritario. I ninfei a esedra con colonnati o con serie di nicchie continuarono ad esistere anche nelle lussuose costruzioni della media età imperiale. Come esempio si ricorda l'esedra di Erode Attico a Olimpia (fig. 119), perché il suo fondatore (101-177 d.C.) si dedicò molto alla cultura dell'acqua, perché i suoi due piccoli mo-

Fig. 117. Aspendo (Panfilia), ninfeo a facciata

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Fig. 118. Tino, santuario di Posidone, krene come primo stadio di un ninfeo

napteri ali' estremità della lunga vasca formavano originariamente un bacino idrico, perché questo ninfea custodiva probabilmente la tradizione di una krene più antica posta nello stesso punto e infine perché le statue offrono una visione interessante delle concezioni dell'epoca (cfr. p. 241 sgg.). s L'acqua non era considerata un elemento specifico della struttura negli impianti dei giardini greci, né nei boschi, I:té nei parchi dei templi (Atene, Efesteion), né p.ei giardini, o nelle piazze, né nei giardini privati (Teofrasto). E significativo che nel Leonidaion di Olimpia sia stata installata nel IV secolo a.C. una krene necessaria a una locanda nel mezzo di un cortile interno e che i bacini idrici, che circondano il pozzo centrale situato su un'isola, siano stati però aggiunti soltanto nel corso dei lavori di ampliamento d'età imperiale. 6 Sotto l'influenza della cultura dei giardini del Vicino Oriente nacque in alcune città orientali della koiné ellenistica, come Antiochia sull'Oronte, Dafne o Alessandria, un'architettura per

236

giardini sconosciuta fino ad allora nel mondo greco e latino: fra l'altro con fontane ornamentali, con i primi giochi d'acqua e con acqua che sgorgava da grotte o che scorreva su gradini. Il passaggio dai giardini più antichi, costituiti semplicemente da elementi della flora, agli impianti con strutture connesse alla natura, ma tuttavia artificiose, non è documentato in Grecia;si C'orri~ pie invece molto rapidamente in Italia nel corso della· tarda età repubblicana (cfr. Orazio, Carm. 2, 15). I diversi aspetti di questi giardini romani che fondono natura e arte sono talmente numerosi che in questa sede soltanto le strutture legate all'acqua possono essere esaminate puntualmente. Tuttavia, benché in alcuni grandi giardini gli antichi osservatori prestassero più attenzione all'acqua che agli altri elementi naturali, proprio sull'acqua in questo ambito mancano ancor oggi indagini strutturali. Come si può osservare in particolare a Pompei e a Ercolano, sepolte dall'eruzione del Vesuvio, i giardini interni delle case

237 private romane erano dotati solitamente di una fontana ornamentale gorgogliante, di un'edicola con getto d'acqua o di una fontana a zampillo. A seconda delle dimensioni delle case e dei mezzi a disposizione, si aggiungevano vasche d'acqua (fig. 120) o canalette scoperte. Le fontane a zampillo erano particolarmente apprezzate per il gioco alterno dell'acqua che saliva e scendeva. Nelle ville di lusso, 7 diffuse in tutte le province romane fino a Conimbriga in Portogallo (fig. 121), i bacini per l'acqua, adeguatamente più grandi, erano caratterizzati da note musicali e anche da effetti di riflessione sulla superficie dell'acqua che facevano apparire raddoppiati i colonnati, le statue, i pergolati, gli alberi e così via. Nella domus Flavia a Roma, per i giardini imperiali di Domiziano sul Palatino vennero installati almeno quattordici vasche grandi quanto !aghetti, svariate fontane a zampillo, un getto d'acqua e un ninfea per ristorarsi e rinfrescarsi. Anche Conimbriga, città romana di ville e di bagni, si contraddistingueva per un'architettura di giardini di simili proporzioni (fig. 121). Alcune ville particolarmente sfarzose erano invece caratterizzate da uno o due bacini per l'acqua inseriti all'interno di un giardino a peristilio, come nella Villa di Diomede a Pompei o nella Villa dei Papiri a Ercolano, che è stata ricostruita a

Fig. 120. Pompei, casa di Meleagro, vasca da giardino con fontana a zampillo

238

Fig. 121. Conimbriga (Portogallo), villa romana con giochi d'acqua

Los Angeles per il Paul Getty Museum, o nella villa tardoantica di Piazza Armerina in Sicilia. " Haec utilitas, haec amoenitas deficitur aqua salienti. ,, Con queste parole Plinio il Giovane (Epist. n 17, 25) descriveva intorno al 100 d.C. il suo podere laurentino: agi, amenità, ma mancanza d'acqua corrente, l'unica grave carenza. Ciò rendeva impossibile avere un ninfeo, che in numerose altre ville veniva integrato nell'architettura del giardino sia chiuso in una sala ap-

239 posita, come nella cosiddetta villa di Cicerone a Formia, sia aperto, disposto a parete con gradini per la caduta dell'acqua e cascate più grandi. Il gusto romano della prima e media età imperiale apprezzava soprattutto i ninfei da giardino collegati a un triclinio. Queste sale riservate al pranzo nel periodo estivo conservano ancor oggi al centro una vasca d'acqua per rinfrescarsi e per godere dell'amenità del posto, e. delle canalette per l'acqua lungo i tre lati del triclinio. Se questa dotazione sembrava insufficiente, lungo il lato breve del triclinio a forma di ferro di cavallo veniva installato un altro particolare impianto idraulico: l'acqua sgorgava artificialmente da alcuni ninfei a esedra o a grotta e scorreva su alcuni gradini e nella vasca del triclinio (Tivoli, Villa Adriana, o Piazza Armerina). Nella loro inesauribile passione per l'acqua i romani raggiungevano la massima soddisfazione nei triclini che permettevano la vista sul mare aperto, raggiungibili soltanto con imbarcazioni (Baia) o situati su isole artificiali (Sperlonga). Queste due ultime soluzioni, che permettevano di abitare in mezzo all'acqua, con la vista su grandi distese d'acqua, sono strettamente legate alla concezione tipicamente romana della villa marina (Sperlonga, Sorrento, Capri). Infine, la villa dell'isola (il cosiddetto teatro marittimo) nella Villa Adriana di Tivoli si sottrae completamente alla visione della natura legata alla terra e combina una vita isolata dall'ambiente esterno, chiusa tra muri di pietra, con l'edificante contemplazione dell'acqua calma e trasparente. Dal punto di vista dell'architettura dei giardini e degli specchi d'acqua decorativi, questo è da considerarsi tuttavia un caso-limite. Per i lussuosi giardini riservati ali' ozio sono più caratteristici panorami liberi, come ad esempio quelli su cascate d'acqua naturali o artificiali, l'inclusione visuale del paesaggio, oppure posizioni su pendii che permettono di vedere in lontananza sia sul mare aperto sia sulla campagna. Accanto al lato estetico dell'acqua emerge frequentemente l'aspetto simbolico di questo elemento e insieme affluiscono molte associazioni di idee, come si può vedere ad esempio nel bacino lungo 119m, circondato da statue, davanti al triclinio delle grotte nella Villa Adriana, che è stata messa in relazione con la città egiziana di Canopo e con il suo canale, entrambi quintessenza di lusso e di abbondanza (Strabone xvii l, 17). Univoco è il carattere simbolico in tutti quei santuari in cui i sontuosi edifici espri-

240 morro la venerazione per una fonte. Se nella cultura greca alle sorgenti vennero sempre dedicate strutture simili a templi (Peirene superiore a Corinto o fonte di Apollo a Cirene), in età romana per le fonti si eressero templi autonomi o edifici di culto a esedra. Il santuario celtico originariamente eretto presso una fonte e dedicato al dio Nemauso, da cui prese nome la città di Nimes, fu dotato nel I secolo d.C. di un altare e di un tempio (il cosiddetto tempio di Diana), di una sala con volta a botte al cui interno, come in un ninfeo, scorreva l'acqua. s Il jardin de la fontaine di quel luogo ricorda ancor oggi l'antichissima tradizione legata a quella sorgente e al suo culto. Segni distintivi della struttura architettonica monumentale dei santuari dedicati alle sorgenti e alle acque sono le piante circolari. Un edificio ipostilo a pianta quasi semicircolare (diametro 82 m) fu eretto sorprendentemente presto (prima metà del 1 secolo a.C.) per venerare le acque nella regione ricca di sorgenti a sud del lago di Mortignano e del lago di Bracciano, ossia non lontano dall'Aqua Alsietina di Roma (v. p. 143). 9 Lungo il lato arcuato, quarantaquattro semicolonne includevano delle nicchie semicircolari e vasche d'acqua, mentre le estremità dell'arco, a forma di ninfei, avevano un fine formale e un accento simbolico. Poiché neli' antichità determinate piante si ricollegano a particolarità cultuali, e gli elementi curvi nell'architettura sono specifici soprattutto di costruzioni connesse con l'acqua (Tivoli, Piazza Armerina), anche il santuario di Zaghouan (fig. 122), all'inizio dell'acquedotto di Cartagine, 10 eredita circa duecento anni più tardi la forma ad arco: un'architettura a porticato con una pianta a ferro di cavallo. Dell'età romana non ci sono rimaste realizzazioni architettoniche tanto grandiose che rivelino la profonda venerazione per l'acqua. L'associazione ai miti per quanto riguarda l'impianto e la decorazione di santuari, ninfei, giardini acquatici, fontane funzionali e ornamentali è stata discussa più volte. 11 Le statue e i rilievi in bronzo e in marmo simboleggiano anzitutto, come si è già detto all'inizio, divinità ed eroi (fig. l) legati all'acqua, ma anche altri dei più o meno importanti. I due bacini idrici di Samotracia venivano visti come simboli del mare e di una vittoria navale, l 'inferiore con scogli quale immagine della natura, il superiore con la prua di una nave, su cui la celebre Nike rappresenta la vittoria e il predominio sul mare. Questo, che è forse il più antico monumento connesso all'acqua di grande valore simbolico (n se-

241

Fig. 122. Zaghouan (Numidia), santuario di sorgente all'inizio dell'acquedotto di Cartagine. Modellino

colo a.C.), deve la sua origine a un avvenimento reale: nei tempi successivi non si ritroveranno più riferimenti concreti di questo genere. Altrettanto importante quanto il mitico spettro legato all'acqua è il significato di quelle statue collocate sulle costruzioni idrauliche, che non devono proporre un collegamento con l'acqua bensì con l'immaginario dell'osservatore. Con queste statue, l'architettura idraulica diventa un mezzo per esprimere tre temi principali, tutti presenti ad esempio nella struttura dei ninfei di Olimpia (fig. 119), Efeso e Mileto: 12 la religione, rappresentata da tutte le divinità olimpiche e dagli dei locali; la storia

242 contemporanea, rappresentata dagli imperatori e dai membri della casa imperiale; la storia cittadina, rappresentata dal fondatore della città (Efeso), dai donatori e dalle donatrici e dai membri delle loro famiglie. Su questi presupposti, sorge un'altra questione: in che misura, nel tributo reso alle case imperiali che finanziarono la costruzione di acquedotti in ampie zone e che si guadagnarono onori in qualità di dispensatrici d'acqua, si dovevano raggiungere, per plauso e gratitudine, effetti programmatici o propagandistici. La risposta è più una questione di valutazione soggettiva che di interpretazione storica, in quanto per una definizione politica fondata mancano informazioni sostanzialmemte indicative. L'onore tributato agli imperatori romani con i monumenti dedicati all'acqua è radicato nella tradizione ellenistica. O .::\HMOI: O MIAHI:IQN BAI:IAII:I:HI AAO.::\IKHI: con questa attestazione, i milesi dedicarono alla regina Laodice, moglie di Antioco n, la krene di Corinto prima ricordata (fig. 89). Anche i cittadini di Teo dedicarono una krene a questa regina e la chiamarono con il suo nome: t3 due manifestazioni di rispetto e di simpatia. Quando i cittadini benestanti devolvevano una parte dei loro beni, in vita o con un testamento (ninfeo di Filippi), per il rifornimento idrico o per costruzioni ornamentali legate all'acqua, la memoria di questi lasciti veniva fissata in iscrizioni e in statue. Erode Attico, il mecenate più famoso del suo tempo nel campo idraulico, fece completare a sue spese l'acquedotto di Alessandria nella Troade, fece ristrutturare la Peirene a Corinto con una facciata a ninfeo e fece installare una condotta d'acqua nell' Altis di Olimpia, che tra l'altro alimentava il vicino ninfeo (fig. 119). La condotta, citata or ora, che attraversava la valle del Caistro verso Efeso, e il ninfeo annesso furono finanziati in età traiana dall'efesino Claudio Aristione, un contributo analogo a quello di un'abitante di Priene che poco dopo il 100 a.C. donò alla propria città un acquedotto con un serbatoio (1 Priene 208). Queste e altre donazioni sono accomunate da un fattore: si richiama l'attenzione sul donatore, sul benefattore, ma non sull'ingegnere o sull'architetto, che in nessuno di questi casi viene nominato. Un carattere simbolico completamente diverso si attribuiva anticamente alle realizzazioni di ingegneria idraulica, che, per quanto evidenti, come gli acquedotti su arcate, venivano considerate quali creazioni architettoniche al servizio della tecnica.

243 Anche gli impianti sotterranei erano considerati opere magistrali. L'imponenza e la solidità della cloaca maxima di Roma indussero Plinio (Naturalis historia xxxvi 103 sgg.) a un apprezzamento estetico e simbolico che qui si riporta. Ma a quel tempo gli anziani si stupivano ancora[ ... ] delle cloache, l'opera più notevole che si possa ricordare, dato che egli impose di scavare gallerie nei colli e Roma diventò una città pensile e, durante l 'edilità di Marco Agrippa che seguì il suo consolato, si poteva navigare sotto terra. La percorrono, incanalati, sette corsi d'acqua che, impetuosi come torrenti, necessariamente trascinano e portano via tutto; quando poi l'apporto della pioggia ne rende ancor più veloce il corso, battono sul fondo e sui bordi dei canali, e talvolta ricevono il flusso del Tevere, così che all'interno dei canali si scontrano correnti forti ed opposte: eppure la stabilità dell'edificio rimane incrollabile. Al di sopra di esso vengono trascinati pesi ingenti, ma le gallerie non crollano; [ ... ]tuttavia i canali sopravvivono pressoché inattaccabili fin dai tempi di Tarquinio Prisco, ossia da settecento anni. [... ] Si dice che Tarquinio Prisco ordinò delle gallerie di altezza tale che vi passasse un carro carico di fieno.

È affascinante riconoscere in questa valutazione un simbolo della sottomissione della natura alla volontà dell'uomo: 14 la forza della natura è piegata dal potere umano. Gli acquedotti su arcate, i ponti comuni e le sostruzioni delle canalizzazioni possono racchiudere un significato simbolico analogo. Se si pensa alla pratica ripetutamente collaudata di superare valli con tratti di condotte forzate, si pone un interrogativo sul perché si preferissero gli acquedotti su arcate, che in alcune località comportavano lo svantaggio di lunghe deviazioni; la risposta è che i tunnel, le condotte forzate e gli acquedotti su arcate testimoniano concordemente la realizzazione di un obiettivo nonostante tutti gli ostacoli, il successo dell'uomo, anche quando la natura si oppone. Gli acquedotti su arcate, in particolare (fig. 42 sgg.), documentano in maniera chiara il successo nel superare, direi quasi nel livellare, la superficie terrestre e consentono in tal modo un perfetto controllo del territorio. Per questa loro importanza venivano dotati -come anche uno sbarramento (Subiaco) -di rivestimenti in marmo o di altre strutture architettoniche che non rispondevano certamente alle esigenze di una costruzione di pura utilità. Gli acquedotti su arcate e gli archi posti sulle strade a mo' di porta urbica assumevano quindi un significato simbolico.

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7 8 9 10

11 12 13 14

Roma, Vaticano, Cortile della Pigna 5118; E. SIMON, in Helbig 4 1 (1963), n. 478. A.M. CoLINI, RendPontAcc 13 (1937), p. 15 sgg.; E. NASH, Pictorial Dictionary ofAncient Rome n, 1981, p. 61 sgg., fig. 747 sgg. F. GLASER, Antike Brunnenbauten (KPHNAI) in Griechenland, Wien 1983, n. 76 sg.; F. SEILER, Die griechische Tholos, 1986, pp. 135, 155; A. KHATCHATRIAN, Origine et typologie des baptistères paléochrétiens, 1982. La ricostruzione grafica di A. ORLANDOS, AEphem (1937), 11, p. 619, fig. 11, ripresa da H. LAUTER, Die Architektur des Hellenismus, 1986, pp. 129, 210, 249, fig. 39, tramanda una raffigurazione incompleta e distorta di quest'impianto. R. BoL, Das Statuenprogramm des Herodes-Atticus-Nymphllums, in OlForsch xv (1984), specialmente p. 91 sgg. A. MALLWITZ, Olympia undseine Bauten, 198J2, p. 252 sgg., fig. 201. Informazioni sulle ville citate in questo capitolo sono in H. MIELSCH, Die romische Villa, 1987 (in quest'ordine). R. NAUMANN, Der Quellbezirk von Nimes, 1937. R. VIGHI, NSc, 1940, p. 398 sgg.; IDEM, Palladio 5 (1941), p. 145 sgg., figg. 4, 5, 10. F. RAKOB, AA 1969, p. 284 sgg.; IDEM, RM 81 (1974), p. 41 sgg., fig. 40, con indicazioni di altri santuari delle sorgenti e ninfei neli' Africa settentrionale. Cfr. tra l'altro H. MANDERSCHEID,.Die Skulpturenausstattung der kaiserzeitlichen Thermenanlagen, 1981. Olimpia: cfr. nota 5. Efesò: F. MILTNER, OJH 44 (1959), suppl., p. 326 sgg. Mileto: J. HOLSEN, Das Nymphaeum, in Milet 15 (1919). P. HERRMANN, Anadolu9 (1965), p. 29 sgg. (1170 sgg.). Così H. DRERUP, Gymnasium 73 (1966), p .. 181 sgg., tav. l sgg.

X. Quadro storico UNA sintesi storica del percorso evolutivo dell'idraulica antica corre il rischio, considerati i lunghi archi temporali, i diversi ambiti e la pluralità dei dettagli, di diventare troppo particolareggiata e di contenere delle ripetizioni. D'altra parte, una schematizzazione grafica dello sviluppo storico, come quella alle pagine 246-247, può essere causa di interpretazioni errate, perché deve essere semplificata, per cui non può riportare singoli esempi né questioni dibattute. Di conseguenza, per completare il lavoro, si riassumono alcuni punti fondamentali e alcune peculiarità pur in termini molto sintetici. Le grandi civiltà antiche del Vicino Oriente e dell'Egitto hanno realizzato un notevole progresso nella tecnica idraulica, tanto che le conoscenze da essi raggiunte sembrano aver influenzato la sfera culturale cretese-micenea. Al declino dei palazzi, delle rocche e delle città minoiche e micenee seguì un periodo, destinato a durare secoli e secoli, di vita agricola e autarchica, senza organizzazioni urbanistiche complesse; di conseguenza per molti settori della vita quotidiana, della cultura in generale, e quindi anche per l'idraulica, ci sono giunte- ma possono anche mancare - notizie. Qui non si tratta di una lacuna della ricerca che varrebbe la pena di colmare, bensì delle strutture, che non avevano una solida tecnica idraulica. La svolta nell'ingegneria idraulica, verificatasi con grande rapidità nella seconda metà del VI secolo a.C. contemporaneamente al progresso in altri settori della civilizzazione e della cultura, non può essere ricondotta esclusivamente a precedenti greci. Le testimonianze scritte e il materiale di scavo non sono tuttavia sufficienti a dimostrare lungo quali vie e in quali ambiti le esperienze più antiche di idraulica furono introdotte nella Grecia tardoarcaica. In quell'epoca, nell'Oriente ionico, a Samo, si costruirono repentinamente grandi impianti di conduzione idrica, difficili da realizzare, proprio mentre nasceva la filosofia della natura, nella madrepatria greca a Megara e ad Atene, poco più tardi nell 'Occidente greco ad Agrigento e a Siracusa. Tra tutte queste città, solo Atene fu sede di alcuni laboratori di pittura vascolare che con la straordinaria quantità di vasi prodotti diffusero la notizia di questa innovazione utile per tutti i cittadini; raffigurazioni di questo genere, relative all'acqua, sono infat-

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Acquedotti tubazioni canalizzazioni gallerie in roccia çloppie gallerie in roccia tunnel acquedotti su arcate condotte forzate Impianti di riserva idrica cisterne l. dighe di sbarramento serbatoi Distribuzione dell'acqua manuale l allacciamenti alle condotte Sfruttamento dell'energia idraulica l l orologi ad acqua organ1 idraulici ruote idrauliche, mulini pompe meccaniche ad acqua Scarico idrico ·l- · - · -l impianti di scarico Opere d'arte idraulica fontane ornamentali, a zampillo ninfei giochi d'acqua/giardini L......_ triclini 1

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Tabella 6. Quadro storico sinottico delle realizzazioni idrauliche e dei loro rapporti

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Scienziati e ingegneri

Autori

Politici

l l l

1200 vmsec.

l

Omero

l

700

l

624-547

Talete di Mileto

intorno al 600 fino al522

sec.

filosofi ionici della natura

560-510 n metà VI sec.

l mtomo al 530 Eupalinodi Megara

VI

Solone, Atene Policrate, Samo Pisistratidi Tarquinio

Prisco 500

l dopo il480

l

1 metà

tv sec.

Faiace (Agrigento) Archita

485-425 460-370 427-347 384-322

Erodoto lppocrate Platone Aristotele

478-467 404-367

lerone di Siracusa Dionisio I 300

1287-212 285-246 11 metà

m sec.

Archimede di Siracusa Ctesìbiodi Alessandria Filone di Bisanzio

370-287 94-55 63-19d.C. 28

Teofrasto Lucrezio Strabone Vitruvio

241-133 187-181

re di Pergamo Antiocom

33

Agrippa, eurator

a:. c. d.C.

l Il metà 1 sec. RR

151·152

Erone di Alessandria L.P. Festo Nonio Dato

4-65 23-79 62-114 97 m sec.

Seneca

Plinio il V. Plinio il G. Frontino Ateneo

30-14d.C. 41-54 98-117 117-138 138-161

Augusto Claudio Traiano Adriano Antonino Pio 300

'

361-363 364-375

Giuliano Valentiniano 500

248 ti molto rare nell'arte greca e romana. Ciò non significa che all'epoca tutte le città greche possedessero una condotta d'acqua. Questi casi restano isolati; di città importanti dal punto di vista storico, come Sparta, non abbiamo avuto né trovato nessuna notizia in questo senso; città grandi ed economicamente importanti, come Corinto, conobbero soltanto molto più tardi, anche oltre cinquecento anni dopo, impianti permanenti per l'approvvigionamento idrico. Rispetto alle stupefacenti realizzazioni dei secoli precedente e successivo al 500 a.C., si apre una lacuna nella prima e nella tarda età classica, proprio nel periodo in cui la cultura greca raggiungeva l'apogeo nella poesia e nella filosofia, nell'arte figurativa e nell'architettura, nella medicina e nella matematica. I periodi seguiti alla liberazione dal pericolo persiano e da quello cartaginese, centocinquant'anni prima dell'inizio dell'ellenismo, non sono anni particolarmente significativi - con l'eccezione di Olinto - per un effettivo impegno in campo idraulico, benché Platone e Aristotele sottolineino ripetutamente la grande importanza dell'acqua e Aristotele, forse a ragione, misuri il grado di civiltà di un cittadino del suo tempo in base al suo atteggiamento nei confronti dell'acqua. I naturalisti del 111 secolo a.C. diedero un nuovo impulso all'idraulica, che i fisici moderni studiarono poi teoricamente e sperimentalmente. Questi posero come obiettivo dei loro studi l' acqua come elemento e come effetto meccanico piuttosto che come soddisfacimento di una serie di necessità. D'altra parte, questi studi fornirono le conoscenze basilari per i tratti di condotte forzate, realizzati di fatto poco dopo. Un tale patrimonio tecnico, il più avanzato dell'epoca, sfruttato fino a oggi negli allacciamenti idraulici delle case, venne impiegato nelle città ellenistiche e della tarda età repubblicana, ma non tanto negli acquedotti imperiali quanto ci si potrebbe aspettare. In generale, i reperti archeologici e i testi offrono una documentazione concorde: i greci dell'età ellenistica e i romani della tarda età repubblicana erano già a conoscenza di tutti i princìpi e i metodi fondamentali dell'ingegneria idraulica, e l'età imperiale romana poteva avvalersi di un'eredità sperimentata. Per questo, si dedicò maggiore attenzione ai perfezionamenti dei dettagli e agli aspetti architettonici; le volte e gli archi richiedevano nuovi materiali edili; le opere d'arte idraulica con un contenuto estetico e simbolico fanno parte della cultura romana. Le comodità e i

249 piaceri offerti dall'acqua, maggiori in ambito romano, non possono tuttavia non trarre in inganno sul fatto che le costruzioni idrauliche greche e romane siano strettamente legate in un'evoluzione continua sulla base di un'esperienza progressiva. Dal punto di vista idraulico, non è possibile una valutazione dualistica delle testimonianze. Il rapporto con l'acqua e la considerazione dell'acqua sono, invece, rivelatori di importanti differenze. Con la necessità di soddisfare esigenze maggiori si spiegano le preoccupazioni per le riserve d'acqua in ordini di grandezza sconosciuti fino a quel momento, che trovano un'ultima attestazione a Costantinopoli, e la congiuntura favorevole all'ingegneria idraulica, che si realizzò specialmente sotto gli imperatori Augusto, Claudio, Traiano e Adriano. Le testimonianze tardoantiche lasciano aperto il quesito se e in quale misura lo standard raggiunto in età imperiale sia progredito o si sia cercato di mantenerlo stabile. Il lento tramonto che è seguito può essere interpretato retrospettivamente: il primo Medioevo occidentale fece cadere nell'oblio le conoscenze raggiunte fino a quel momento in quasi tutti i campi e quindi anche in idraulica: proprio al contrario del discontinuo passaggio dalla cultura dell'acqua greca a quella romana.

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Indici

Indice delle illustrazioni 1. Testa di Oceano, Weissenburg. Foto Bayrisches Landesarnt fiir Denkmalpflege 2. Erone di Alessandria, scavo di un tunnel attraverso una montagna. Disegno di W. Kastenbein da ed. Schone III, p. 238, fig. 95 3. Rappresentazione schematica di sorgenti e pozzi artesiani. Disegno dell'autore 4. Atene, Clessidra. Da J. Travlos, Bildlexikon Athen, 1971, fig. 430 5. Delfi, gola Castalia, krene. Da A. Orlandos, BCH 84 (1960), p. 159, fig. Il 6. Pizzica Pantanello, presa di sorgente. Da J. Carter, The Territory ofMetaponto, 1981-1982, p. 25 7. Corinto, Peirene superiore. Da R. Stillwell, Corinth III l, 1930, p.3lsgg.,tav.5 8. Corinto, Glaukè. DAI Atene, Hege 1651 9. Perachora, gallerie di drenaggio. Da R.A. Tomlinson, BSA 64 (1969), p. 204, fig. 19 IO. Sillio, presa di sorgente. Disegno dell'autore da K.G. Lanckoronski, Stèidte Pamphyliens und Pisìdiens I, 1890, p. 75, fig. 54 Il. Atena, agorà, pozzi. Da M. Lang, Waterworks in the Athenian Agora, 1968, fig. 4 12. Olimpia, pozzi. Da F. Griiber, in Adler-Curtius, Olympia n, 1892, tav. 104 13. Atene, pozzo del Dipylon. Da G. Gruben, AM 85 (1970), p. 122,fig.6 14. Eleusi, pozzo Kallichoros. DAI Atene, Eleusis 569 15. Coppa, Parigi, Louvre G 291. Da R. Ginouvès, Balaneutike, 1962, tav. 13 16. Skyphos, Zurigo, coli. Hirschmann. Foto Arch. Inst. Ziirich 17. Verricello di un pozzo. Da M. Lang, op. cit., fig. Il 18. Pompei, impianto di sollevamento dell'acqua. Da H. Eschebach, Die Stabianer Thermen in Pompeji, 1979, p. 28, fig. l 19. Pompa manuale. Da Geschichte der Wasserversorgung, Bd. l, 19863, p. 212, fig. 96 20. Schema di un impianto di qanate. Disegno dell'autore 21. Densità delle qanate nell'Afghanistan. Da Ch. Jentsch, Erdkunde 24 (1970), p. 115, fig. l 22. Impianto di un pozzo di un sistema di qanate. Foto B. Grunewald, Berlino

13 21 25 26 27 28 29 30 30 31 34 35 36 38 39 39 40 41 43 45 46 47

260 23. Samo, presa di sorgente. Da D. Werner, Wiss. Zeitschrift der Hochschule for Architektur und Bauwesen Weimar 32 (1986), p. 53, fig.4 24. Presa di sorgente presso Kallmuth. Da W. Haberey, BJB 155156 (1955-1956), p. 166, fig. 9 25. Aquincum, zona sorgiva. Da K. P6czy, Kozmiivek a romai kori magyarorszagon, 1980, p. 106, fig. 101 26. Efeso, Artemision, conduttura in piombo. Grabungs-Photo 27. Atene, tubatura in terracotta presso il Dipylon. DAl Atene, Kerameikos2640 28. Megara, canale di conduzione d'età arcaica. DAl Atene, Megara 19 29. Atene e Savaria, canali di conduzione. Disegni dell'autore da F. Griiber, AM 30 (1905), p. 27, fig. 9, e K. P6czy, op. cit., p. 65, fig. 54a 30. Roma, Anio Vetus. Da R. Lanciani, Le acque e gli acquedotti di Roma, 1881, tav. 4 31. Atene e Olinto, sezioni di gallerie in roccia. Disegni dell'autore da F. Griiber, op. cit., fig. 10, e D.M. Robinson, Olynthos xn, 1946, tav. 96.2 32. Bologna, condotta in roccia romana. Da Geschichte der Wasserversorgung, Bd. 3, 1988, p. 182 sg., figg. Il, 4 33. Samo, acquedotto di Eupalino, pozzo. Foto dell'autore, in DAl Atene, Samos-Archiv 860, 14 34. Atene, rete di condotte, pozzo. Disegno dell'autore da E. Ziller, AM2 (1877), tav. 8.7 35. Siracusa, doppia galleria in roccia. Disegno dell'autore da Cavallari-Holm, tav. A 5 36. Samo, tunnel. DAl Atene 74/2004 37. Samo, tunnel, determinazione dell'asse mediano. Da D. Werner, op.cit., p. 57, fig. l 38. Acquedotto di Saldae. Da Geschichte der Wasserversorgung, .Bd. 3, 1988, p. 215, fig. I 39. Nicopoli, tunnel del Louros .. Foto dell'autore 261, 1 40. Tunnel di Claudio. Foto dell'autore 411, 17 41. Patara, sostruzione per un acquedotto. Foto di provenienza ignota 42. Lesbo, acquedotto su arcate. Da R. Koldewey, Die antiken Baureste der lnsel Lesbos, 1890, tav. 29.1 43. Olbia Diocesarea, acquedotto su arcate. Foto F.R. Herrmann 44. A qua Anio Novus a Roma. Foto dell'autore 411, 5 45. Roma, Porta Maggiore, modellino. Foto Arch. Inst. Bochum

55 56 57 58 59 60

61 63

64 66 67 69 69 71 74 75 76 77 80 80-81 82 83 85

261 46. Pont du Gard. Foto dell'autore 62, 19 47. Segovia, acquedotto su arcate. Da C. F. Casado, Acueductos romanos en Espana, 1912, s. v. Segovia 48. Efeso, acquedotto su arcate. Foto U. Jantzen 49. Condotta forzata, schema. Da P. Grewe, Planung und Trassierung romischer Wasserleitungen, 1985, p. 77

86 87 89 91

50. Pergamo, tratto nord-sud. Da G. Garbrecht, in Geschichte der Wasserversorgung, Bd. 2, 1987, p. 23, fig. 7 DAI Istanbul, Kb 7221, foto H. Piegeler 52. Aspendo, torre idraulica. Da K.G. Lanckoronski, op. cit. I, 1890, p. 123, fig. 97 53. Acquedotto del Gier a Lione. Da W. Haberey, Die romischen Wesserleitungen nach Koln, 1971, p. 151, fig. 117 54. Samo, gomito in pietra. DAI Atene, Samos-Archiv 562, 12, foto A. Hubert 55. Almufiécar, grande acquedotto. Da C.F. Casado, op.cit., s. v. Almunecar 56. Terminologia relativa alle tubazioni. Disegno dell'autore 57. Tubi di terracotta. Da A. Evans, The P aiace of Minos I, 1921, p. 143, fig. 104, e disegni dell'autore 58. Tubi romani di piombo e di terracotta. Da R. Lanciani, op. cit., tav. 9 59. Iaso, installazioni idrauliche. Foto Scuola Italiana di Atene 9360 60. Siracusa, bacino di sedimentazione. Disegno dell'autore da P. Orsi, NSc 1926, p. 195, fig. 24 61. Metz, bacini di sedimentazione e di deviazione. Da K. Grewe, op. cit., p. 91 62. Samo, bacino di sedimentazione e di deviazione. Disegno di W. Hoepfner, inAA 1973, p. 82, fig. 12 63. Priene, bacini di sedimentazione e di compensazione. Da Th. Wiegand-H. Schrader, Priene, 1904, p. 71, fig. 39 64. Megara, chiusura in bronzo. Da G. Gruben, ADeltion 19 (1964) A, p. 37 sgg., tav. 23.1 65. Valvola di svuotamento. Da W. Piepers, Antike Welt 3 (1979), p. 58 sg., fig. l 66. Olinto, cortile di un'abitazione. Da W. Hoepfner-E.L. Schwandner, Haus und Stadt im klassischen Griechenland, 1986, P· 58,fig.43 67. Epidauro, cisterna. DAI Atene, Epidauros 83 68. Samo, cisterna piriforme. Disegno dell'autore 69. Perachora, cisterna. Foto dell'autore 385, 33 70. Delo, cisterna. Foto Ecole française d' Athènes 51. Aspendo, tratti forzati.

91 92 93 95 97 98 101

102 105 115 116 119 120 122 123 124

131 133

134 135 137

262 71. Silifke, cisterna. Foto F.R. Herrmann 72. Delo, cisterna in opus signinum. Foto dell'autore 275, 3 73. Tirinto, diga di sbarramento. Da U. Jantzen e coli., Fuhrer durch Tiryns, 1975, fig. 95 74. Diga di sbarramento di Proserpina per Mérida. Da N. Smith, A History ofDams, 1971, p. 45, fig. 5 75. Costruzioni di dighe di sbarramento romane. Da N. Schnitter, in Joumées d'études sur les aqueducs romains, Lyon 1977, a cura di J.-P. Boucher, 1983, p. 342, fig. 3 76. Vallon-de-Baume, diga ad arco. Da N. Schnitter, Antike Welt 9 (2) (1978), p. 31, fig. 12 77. Megara, serbatoio. Foto dell'autore 379, 2 78. Roma, serbatoio delle terme di Traiano. Da G.B. Piranesi 79. Bacoli, serbatoio al termine dell'acquedotto del Serino. Da J. Durm, Baukunst der Etrusker und Romer, 1905, p. 459, fig. 528 80. Cartagine, serbatoio del Bordj ei-Djedid, modellino. DAI Roma 71/2794 81. lstanbul, serbatoio Binbirdirek. DAI lstanbul, Neg. 9399 82. Frammento di idria, Atene, Museo Nazionale dell'Acropoli 732. Da Graef-Langlotz, Die antiken Vasen von der Akropolis I, n. 732, tav. 47 83. Idria, Boston, Museum ofFine Arts 61.195. Foto del Museo 84. Idria, Madrid, Museo Arqueo16gico 10924. Da CVA Madrid l, tav. 12 85. Idria, Monaco, Museum antiker Kleinkunst 1715. Foto del Museo 86. Corinto, fonte sacra, doccione in bronzo. DAI Atene, Korinth 53 87. Megara, krene, bacino di presa. Foto dell'autore 240, 46 88. Perachora, krene. Da R.A. Tomlinson, op. cit., fig. 22 89. Mileto, krene di Laodice. Da H. Knackfuss, Milet 11 (1924), p. 277,fig.278 90. Priene, fontana. Da F. Krischen, Die griechische Stadt, 1938, tav. 11 91. Coo, Asklepieion, fontana. Da P. Schazmann, Kos 1, 1932, tav. 29, 15 92. Pompei, impianto di distribuzione principale e torri idrauliche. Da J. Dybkjaer Larsen, AnalRom 11 (1982), p. 43, fig. 2 93. Nimes, impianto di distribuzione. Da Geschichte der Wasserversorgung, Bd. 3, 1988, p. 212, fig. 8 94. Pompei, torre idraulica. Foto Arch. Inst. Bochum

137 139 140 144

145 146 151 152 153 154 156

164 165 166 167 168 169 170 170 171 172 175 176 178

263 95. Roma, Aqua lulia, castellum del secondo ordine. Da E.B. van Deman, TheBuildingsoftheRomanAqueducts, 1934, tav. 27 96. Roma, rete urbana di condotte. Da Geschichte der Wasserversorgung, Bd. l, 19863 , p. 35, fig. 18 97. Rubinetti. Da E. Samesreuther, BerRGK26 (1936), p. 150, fig. 68 98. Turmanin, tintoria. Foto dell'autore 132, 24 99. Arles, due condotte e grande mulino. Da A. Grenier, Manuel d 'archéologie gallo-romaine IV l-2. Les monuments des eaux, 1960, p. 78 sg., fig. 27 sg. 100. Anfiareo presso Oropo, orologio ad acqua. Da F. Glaser, Festschriftfor H. Kenner, 1982, p. 130 sg., tav. 35, fig. 4 101. Aquincum, organo idraulico, modello. Foto del Museo 102. Dispositivo di Ctesibio per il sollevamento dell'acqua. Da Der kleine Pauly 3, 1979, p. 367 sg. 103. Dolaucothi, ruota idraulica. Da G.C. Brown-J. Williams, JRS 56 (1966), p. 122 104. Mosaico bizantino. Da H. Hodges, Technology in Ancient World, 1970, p. 195, fig. 224 sg. 105. Trezene, canalette per l'acqua. Foto dell'autore 389, 6 106. Aquincum, tombino. Foto dell'autore 107. Roma, chiusino detto « Bocca della Verità ». Cartolina 108. Samo, canale di scarico. Foto dell'autore, in DAI Atene, SamosArchiv 376, 6 109. Atene, great drain. Foto Agora Excavation LXXIv-56 IlO. Colonia, canale di scarico. Rheinisches Bildarchiv Koln 124177 III. Atene, latrina. Da J. Travlos, Bildlexikon Athen, 1971, p. 342, fig.444 112. Filippi, latrina. Foto dell'autore, in DAI Atene 69/341 113. Parigi, Louvre, seggio di latrina. Da Geschichte der Wasserversorgung, Bd. l, 19863, p. 200, fig. 76 114. Roma, Museo Nazionale, idrofora. DAI Roma 64/604 115. Aquisgrana, coronamento a pigna di una fontana ornamentale. Foto A. Miinchow 116. Djemila, fontana stradale e ornamentale. Foto di provenienza ignota 117. Aspendo, ninfeo. Da K.G. Lanckoronski, op. cit., p. 99,

~.n

118. Tino, krene come primo stadio di un ninfeo. DAI Atene, Tinos 6 119. Olimpia, ninfeo di Erode Attico. Da R. Bol, 0/Forsch xv, 1984, suppl. 5

179 180 181 185

186 192 197 198 199 201 206 207 208 210 211 212 213 214 215 225 232 233 2~

235 236

264 120. lnst. 121. 68-8 122.

Pompei, casa di Meleagro, fontana a zampillo. Foto Arch. Bochum Conimbriga, villa romana, giochi d'acqua. DAI Madrid R 210Zaghouan, santuario presso una sorgente.

DAI

Roma 69/11

237 238 241

Indice delle tabelle l. Pompe manuali romane, misure e prestazioni. Da B. Gockel, Geschichte der Wasserversorgung, Bd. l, 19863 , p. 212 2. Acquedotti di Roma secondo Frontino e Th. Ashby 3.