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Italian Pages 1171 Year 1972
Mario Pazzaglia
Antologia della Letteratura Italiana Volume secondo
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Q
po em a di tutta una vit a. L’ Ariosto cominciò a la prima edizione in 40 ca nti, in ottave, nel 1516. Ma subito prese a rielaborarlo con attenta cura. Seguì, nel 1521, una secondi edizione, ma neppure questa lasciò soddisfatto il poeta, che riprese a correggere il suo capolavoro, cercando soprattutto di^^m^l^|-c alla lingua ogni elemento dialettale emiliano, tenendo a questo scopo come punto di rife rimento (a d ifierenz a"dì quello"^e aveva fatto il Boiardo) il L* Orlando Furioso fu
ihl^o^ c
scriverlo fra
il
1504 c ne pubblicò
il
’
toscano letterario,
il
linguaggio, cioè, della nostra migliore tradizione espres-
L’ultima e dehnitiVa eJmone, in 46 cantir uscì nel
siva.
1
532^,
un anno prima
•
morte del poeta.
della
riallaccia zWOrlando Innamorato del Boiardo; l’Ariosto, modestamente come un’aggiunta e una conclusione di esso, riprendendo il racconto nel punto in cui il suo predecessore l’aveva lasciato interrotto. Se là il p^ladii^^^ristiano era i nnamorato di Angelica, qui diviene furioso, cioè pazzo^^^f amorc;_js^-arolc, è fantasia ancora piò potente. 137. pianamente: a voce bassissima; metta)
col
giorno;
in relazione coi versi
tilo
145-46, col breve
cenno del capo del Silenzio. Le due azioni hanno una comicità vivacissìtna 139. con la gente: con l’esercito, radunato in
Inghilterra 140.
:
il
e
in
Irlanda.
che... sussidi:
che conduce per dare
aiuto, ecc.
143-44.
prima
presto che) di
che
si
che
piu
tosto,
ecc.
cosicché
:
Fama (piu tosto che = piu trovi modo (calle = via, mezzo) la
avvisare
i Saraceni dell’arrivo dell’eserquesto sia già alle loro spalle. 146. che faria: che l’avrebbe fatto.
cito,
147. se gli: 150. e fc’
mente
il
gli si.
lor breve:
loro
153. Discorreva:
155. in
abbreviò miracolosa-
cammino.
volta:
a
correva qua e
forma
di
là.
volta.
L’eser-
Ludovico Ariosto
c
99
non
lasciava questa nebbia folta,
che s’udisse di fuor tromba né corno: poi n’andò tra’ pagani, e
menò
un non so che, ch’ognun Mentre Rinaldo in tal
£e’
seco
sordo e cieco.
fretta venia,
che ben parea da l’angelo condotto, e con silenzio
tal
che non s’udia
campo saracin farsene motto; re Agramante avea la fanteria
nel il
messo ne’ borghi di Parigi, e le
minacciate
mura
sotto
in su la fossa,
per far quel di l’estremo di sua possa.
La
Rodomonte
battaglia di Parìgi:
grande eroe della battaglia di Parigi è Rodomonte, che irrompe da solo come un cataclisma devastatore, e solo tardi e a stento Carlo e i Paladini riescono a farlo battere in ritirata, quando, all’esterno, la sconfìtta dei Saraceni Il
nella città
è compiuta.
Per diversi canti,
sua
la
figura
gigantesca c feroce appare, a
tratti,
ora
in
disteso racconto, ora in scorci potenti, e accentra in sé tutta la guerra.
L’Ariosto lo rappresenta con una vasta gamma di toni, dall’eroico allo spaventoso al grottesco e rende la sua figura indimenticabile. Essere istintivo c impetuoso, primitivo nell’ anima e selvatico, a volte fino al ridicolo, ma dotato
d’un’audacia smisurata, Rodomonte è la personificazione dell’impeto e della violenza guerriera, del coraggio temerario proteso verso le riprese impossibili. La stessa dismisura dell’eroe dà alla vicenda un tono epico-fiabesco; ed è appunto i
sfuma d’un
quest’aspetto di favola che
sorriso
divertito dell’autore
l’«
enorme
»
avventura di Rodomonte.
Come o
le
assalire
o vasi pastorali,
dolci reliquie de’ convivi
soglion con rauco suon di stridule le
impronte mosche
come
li
storni
a’
a’
procede come dentro una cupola di neb-
bia silenziosa. i68. P estremo di sua possa per tentare con uno sforzo estremo e decisivo di conquistare Parigi. Ma nonostante le prodezze :
Rodomonte
di
do
e
dei
suoi
in Parigi,
l’assalto di
metterà in rotta
i
Rinal-
saraceni.
Canto XIV: ottave 109-134; XVII, 9-13;
XVra,
24.
^
rosseggiane pali
vanno de mature uve:
cito
ali
caldi giorni estivi;
cosi quivi.
Come le mosche 1-4, Come assalire, ecc. importune sogliono assalire o i vasi dove i pastori hanno messo il latte o i dolci rimasti da un banchetto nei vassoi, ecc. Osserva Vonomatopeia con rauco suon di stridule ali, che dà 1’ impressione del rumore prodotto dalle caterve di Mori all’atucco. 5-6. a’ rosseggiano... uve: vanno in frot:
ta verso filari
i
dell’
pali rosseggianti
uva matura.
che sostengono
Antologia della letteratura italiana
100
empiendo
il
fiero assalto
mura
e
spade e scure c pietre e fuoco
lancie,
difende
Mori.
i
L’esercito cristian sopra le
con
rumori,
di grida e di
ciel
il
veniano a dare
senza paura,
città
la
barbarico orgoglio estima poco;
il
dove Morte uno et un altro fura, non è chi per viltà ricusi il loco.
e
Tornano
Saracin giù ne
i
fosse
le
furia di ferite e di percosse.
a
Non
ma
ferro solamente vi s’adopra,
grossi massi, e merli integri e saldi,
muri
e
dispiccati
di
tetti
con molt’opra,
gran pezzi di spaldi.
e
torri,
L’acque bollenti che vengon portano
male
e
Mori
a’
di
sopra,
insuppor^tabil caldi;
a questa pioggia
resiste,
si
ch’entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.
E
questa più nocea che
or che doveano' far
con olio
calcine.'^
ardenti vasi
li
e zolfo e peci e trementine.?
munizion non son rimasi,
cerchi in
I
ferro quasi:
’l
or che de’ far la nebbia di
che d’ogn’intorno hanno di fiamma
crine:
il
questi, scagliati per diverse bande,
mettono
a’
Intanto
Saracini aspre ghirlande. re di
il
mura
sotto le
la
Sarza avea cacciato
schiera seconda,
da Buraldo, da Ormida accompagnato,
Marmonda.
quel Garamante, e questo di
Clarindo e Soridan
gli
né par ch’el re di Setta
segue
il
Marocco
re di
ciascun perché
Ne
la
I
cerchi,
munizion) non gettati)
di Sarza
il
negli
sono piu
scagliati,
dell’A.
si
accesi,
conosca.
si
leon spiega,
teste
le
ecc.:
arsenali
(tanti
(in
ne hanno
cerchi coperti di stoppa e pece che
venivano fantasia
ci
nasconda;
si
e quel di Cosca,
valor suo
fura; ruba.
29-32.
allato,
bandiera, ch’è tutta vermiglia.
Rodomonte
13.
il
sono
sui
nemici.
La
sofferma soprattutto sul-
dei
saracini
cerchi di fuoco, con
inghirlandate
armonia còn questa prima
io
descrizione fra
il
33.
della
comico il
re
e
il
battaglia,
parte
che
fiabesco.
di Sarza;
da quei
un puro gusto giocoso
Rodomonte,
è
della
sospesa
Ludovico Ariosto
101
che
la £crcx:e
che
gli
bocca ad una briglia
sua donna, aprir non medesimo assimiglia;donna che lo frena e lega,
pon
Al Icon
sé
e per la
Doralice ha figurata,
là bella
Granata:
di Stordilan re di
figlia
come
quella che tolto avea,
Mandricardo,
re
Era
niega.
la
io narrava,
dove e a
cui.
che Rodomonte amava
costei
piu che
e dissi
suo regno e più che gli occhi sui;
’l
e cortesia e valor per lei mostrava,
non
sapendo ch’era
già
forza altrui:
in
saputo l’avesse, allora allora
se
fatto avria quel che fe’ quel
giorno ancora.
Sono appoggiate a un tempo mille scale, che non han men di dua per ogni grado. Spinge che
il
secondo quel ch’inanzi
montar
terzo lui
’l
Chi per
sale;
mal grado.
per paura vale:*
chi
virtù,
fa suo
convien ch’ognun per forza entri nel guado; che qualunque s’adagia,
Rodomonte
Ognun dunque tra
fuoco e
il
Ma
tutti gli
le
le
mura.
guardano,
se
aprire
altri
Dove
la
47.
mentre
era
rapita
stata
dricardo e da strerà
meno
la via
jxxo prima della
recava da Rodomonte,
si
feroce
dal
guerriero
Man-
sposata a forza. Si dimo-
lui
piu tardi, con comico scorno di Ro-
domonte, ben
felice del
cambia»
55-56. allora... ancora: subito avrebbe fat-
corso alla
a
sua
glia,
infatti,
Doralice, ricerca,
né della
dell’ incidente
partirà
oc-
immediatamente
senza curarsi della batta-
difficile
situazione
dei
sara-
ceni sconfitti. Cosa che avrebbero fatto, del resto,
tutti
cristiani.
gli
eroi
è sicura.
ariostcschi.
58. grado: gradino. Continua il tono arioso e divertito, nella descrizione di questo salire
pecoresco.
amorfa
spicca,
selvaggia di
Sul
movimento
nell’ ultirno
Rodomonte. È
lui
massa
della
verso,
figura
la
che
muove
tutta la battaglia.
to ciò che fece poi in quella stessa giornata.
Avendo saputo,
:
venire,
di
fan voti, egli bestemmia Dio.
Doralice:
bella
poca cura
nel caso disperato e rio
altri
gli
battaglia,
sia
Rodomonte sprezza non dove
se
sforza di salire
si
ruine in su
veggiano passo ove sol
re d’Algiere,
il
crudele, uccide o.fere.
pagani
o
62.
nel
67-68.
guado:
se
aprire,
rischiosa
nella ecc.
:
cercano,
impresa. cioè,
di
quel punto delle mura che sia meno guarnito di difensori. 72. egli bestemmia Dio: Comincia a desalire in
lincarsi la figura titanica di
suo
aspetto
barbarico e
Rodomonte,
semi-bestiale;
col
e
si
accamperà sempre piu grandiosa e sinistra al centro del quadro nelle ottave seguenti
Antologia della letteratura italiana
102
Armato era d’un forte e duro usbergo, che fu di drago una scagliosa pelle. Di questo
già
cinse
si
petto e
il
tergo
’l
quello avol suo ch’edificò Babelle, e
pensò cacciar de l’aureo albergo,
si
e torre a
Dio
il
governo de
l’elmo e lo scudo e
le stelle:
fece far perfetto,
brando insieme; e solo a questo
il
Rodomonte non
men
già
effetto.
Nembrotte
di
indomito, superbo e furibondo, d’ire al del non tarderebbe a notte, quando la strada si trovasse al mondo, quivi non sta a mirar s’ intere o rotte sieno le mura, o s’abbia l’acqua fondo:
che
passa la fossa, anzi la corre e vola
ne l’acqua e nel pantan
Di fango brutto, tra
foco e
il
come andar de
i
e
fin alla gola.
molle d’acqua vanne
sassi e gli archi e le balestre,
nostra Mallea porco silvestre,
la
che col petto, col grifo e con
dovunque
fa,
Con
si
volge,
scudo alto
lo
il
ne vien sprezzando
Non 73. usbergo;
del,
si
non che quel muro. Rodomonte,
senti su le bertresche se
ecc.:
Nembrot, che
al
andar
edificò la torre di Babele, per rivolta contro
Ma
zanne
le
finestre.
Saracin sicuro il
corazza.
avol suo,
ampie
tosto aH’asciutto è
SI
che giunto
76. quello
canne
suol tra le palustri
mondo
trovasse
si
una
strada
per
su.
corre
87-88. la
vola,
e
ecc.
« la
:
taglia
Rodomonte, già presente nella sua genealogia, non va presa troppo sul serio: è uno dei tanti elementi, e non il più importante, del quadro fra
un’intenzione che rapportate alla resistenza dell’acqua possono sembrare davvero un che di mezzo tra un orribile volo c un guazzare di rinoceronte »
grandioso
(Binni).
Dio.
r empietà
e
di
grottesco!
Cosi
in
seguito
la
con una foga
sua ferocia non provoca alcun raccapriccio,
perché sfocia in un tono epico-favo’oso, in un raccontare stupito nel quale a tratti brilla
un
sorriso
divertito.
80. c solo... effetto: solo per vincere Dio. 82. alla
però dire
indomito, ecc. figura
un
i
tre
aggettivi
danno
potente, epico rilievo, subito
smorzato pedestre
:
comicamente dal
del
modo
verso seguente {non
di tar-
mondo:
che non aspetterebbe che venisse notte per salire su in cielo a battersi con Dio (modo popolaresco per dire che v’andrebbe immediatamente)
Di fango
89-94.
l’immagine
brutto, ecc.
bestiale
di
Si
:
sviluppa
Rodomonte assomi-
un cinghiale {porco silvestre)-, essa però non è tanto una caricatura deireroe,
gliato a
modo
quanto un barbarico in
una
e
sottolinearne
di
selvaggio,
Mallea
e
dagli
eroica
sfera
dell’ottava.
era
viene
1’
impeto
risollevata
ultimi due versi
una
località
palu-
dosa del Ferrarese.
derebbe a notte). 83-84. che...
e
95. sicuro:
audace, che non
pressionare da
98-100. bertresche: le
bertesche.
impalcature poste sulle
difensori,
si
im-
lascia
nulla.
francesche:
Qui
sono
mura ad uso
francesi.
dei
Ludovico Ariosto
103
che dentro
alla
capace e largo
Or
si
muraglia facean ponte squadre francesche.
alle
vede spezzar piu
far chieriche
una
d’
maggior de
fronte,
le fratesche,
braccia e capi volare; e ne la fossa
cader da’ muri una fiumana rossa.
Getta
pagan
il
la crudel spada, e
Costui venia di
là
Reno
l’acqua del
duo man prende duca Arnolfo.
lo scudo, e a
giunge
il
dove discende nel salato golfo.
Quel miser contra
lui non si difende meglio che faccia contra il fuoco il zolfo e cade in terra, e dà 1’ ultimo crollo,
dal capo^ fesso
un palmo
sotto
il
collo.
Uccise di rovescio in una volta
Anseimo, Oldrado, Spineloccio e Prando: il luogo stretto e la gran turba folta fecer girar si pienamente il brando. Fu la prima metade a Fiandra tolta, l’altra scemata al populo normando. Divise appresso da la fronte al petto, et indi al ventre, il maganzese Orghetto. Getta da’ merli Andropono e Moschino giu ne la fossa:. il primo è sacerdote; non adora il secondo altro che ’l vino, e le bigonce a un sorso n’ ha già vuote. Come veneno e sangue viperino l’acque fuggia quanto fuggir si puote; or quivi muore; e quel che piu l’annoia, è ’l sentir che ne l’acqua se ne muoia. Or
101-104.
si
vede, ecc,
L’ attacco di
:
una fantasia grandiosa e intimamente spassosa. Sembra di vedere in azione una immane macchina trita-tutto animata. L’eroismo del saracino,
Rodomonte
è
si
tutto in quei gesti cinti di favoloso stu-
quella
pore,
in
senza
cervello
dante,
(si
lasciando
grandiosità rivelerà
morire
di
tutti
i
suoi
quelle dei frati, sono
un
particolare gu-
stoso c divertito, e cosi quel volare di brac-
anonimi, affettati come salsicce, senza alcunché di macabro. La fiumana rossa conclude degnamente il quadro, fa-
cia
e capi
dove
il
Reno
sfo-
nello Zuidersec.
no. meglio... zolfo: meglio di quanto non si difenda dal fuoco lo zolfo, che è infiammabilissimo.
un palmo 116.
«
pieno 117.
quattro
tagliato
collo:
112. fesso...
a
senza
quasi accorgersene). Le « chieriche » tagliate sulle teste dalla sua spada, piu ampie di
cia
ironico.
golfo:
108. l’acqua...
cataclisma
pessimo coman-
piu che
voloso ancor
risolve in
sotto
il
collo.
in
due
fino
Bel colpo!
pienamente: con un risultato cosi
si
». la
prima metade: i primi due. Ma sono visti come una massa comi
patta^ tagliata a
mezzo
120. et indi: e di
127-28. e...
dalla terribile spada.
li.
annoia:
c
quel
che
gli
dà
piu angoscia, ecc. )
Antologia della letteratura italiana
104
Tagliò in due parti e passò
il
petto
provenzal Luigi,
il
tolosano Arnaldo.
al
Ugo
Di Torse Oberto, Claudio,
mandar
Dionigi
e
sangue caldo;
lo spirto fuor col
da Parigi,
e presso a questi, quattro
Odo
Ambaldo, come di tutti nominar la patria e il nome. La turba dietro a Rodomonte presta le scale appoggia, e monta in piu d’ un Quivi non fanno Parigin piu, testa; che la prima difesa lor vai pòco. San ben ch’agli nemici assai piu resta dentro da fare, e non l’avran da gioco; Gualtiero, Satallone,
molti
et altri
non
et io
:
et
saprei
loco.
i
perché tra discende
il
il
muro
secondo
e l’argine
fosso orribile e profondo.
Oltra che
facciano difesa
nostri
i
dal basso all’alto, e mostrino valore;
nuova gente succede
alla
contesa
sopra l’erta pendice interiore,
che fan con lancie e con saette offesa
gran moltitudine di fuore,
alla
che credo ben, che saria stato se
non
v’era
il
meno
fìgliuol del re Ulieno.
Egli questi conforta, e quei riprende,
mal grado inanzi se gli caccia petto, ad altri il capo fende, il
e lor
ad
:
altri
che per fuggir veggia voltar
la faccia.
Molti ne spinge et urta; alcuni prende pei capelli, pel collo e per le braccia; e sozzopra là giu tanti ne getta,
che quella fossa a capir
140. la di
prima
difesa;
la
prima
cerchia
mura.
Sanno bene che per
141-42. San... gioco;
nemici
sarà
assai
piu
fossato che corre fra la
cerchia
delle
mura,
e
diffìcile
superare
i
il
prima e la seconda non sarà certo un
145-52. Oltra che
le il
i
nostri, ecc.
:
Non
sol-
che hanno abbandonato prime mura contrastano valorosamente passo ai Saracini che stanno scendendo, i
ma
nuovi
tra
parte
saette
meno, tutti di
se
rinforzi
del
contro
sopraggi ungono
fossato di
e
che avrebbero loro,
non nuovo all’attacco,
cioè
costretti
il
figlio
di
dall’al-
scagUano
se
lance
sarebbero osato
spingersi
non ve
re Ulieno,
e
stgti
li
ossia
aves-
Ro-
domonte.
giuoco.
tanto
tutti è stretta.
Cristiani
155 56. ad altri... fende; a quelli che vede volgersi indietro per fuggire, taglia il petto
o
il
capo.
160. capir:
contenere.
Ludovico
/ir tosto
105
Mentre
lo stuol de’ barbari
anzi trabocca
al
et indi cerca
per diversa scala
cala,
si
periglioso fondo,
di salir sopra l’argine secondo; il
Sarza (come avesse un’ala
re di
membri)
per ciascun de’ suoi di
e netto
il
pondo
lanciò di là dal fosso.
si
Poco era men
di trenta piedi, o tanto,
come un
et egli passò destro
avesse avuto sotto
i
veltro,
quanto
e fece nel cader strepito,
piedi
il
feltro:
questo et a quello afFrappa
et a
come e
levò
gran corpo e con tant’arme indosso,
SI
il
manto
Sion l’arme di tenero peltro,
non
pur sien di scorza
di ferro, anzi
sua spada, e tanta è
tal la
In questo tempo
son ne
l’insidie
la
nostri,
i
:
sua forza!
la
da chi
tese
cava profonda,
che v’han scope e fascine in copia stese; intorno a quai di molta pece abonda si vede palese, ben che n’è piena l’una e l’altra sponda dal fondo cupo insino all’orlo quasi), e senza fin v’hanno appiattati vasi, qual con salnitro, qual con oglio, quale con zolfo, qual con altra simil esca; nostri in questo tempo, perché male i
(né però alcuna
ai
Saracini
il
folle ardir riesca,
ch’eran nel fosso, e per diverse scale
credean montar su l’ultima bertresca; udito
il
segno da oportuni
lochi,
qua e di là fenno avampare i fochi. Tornò la fiamma sparsa, tutta in una, che tra una ripa e l’altra ha ’l tutto pieno; di
166-67. levò...
un
essere
trasformi to e
corpo:
sembra veramente
gigantesco (pondo
magicamente
in
= peso),
uccello
che
si
smisura-
strano.
172.
feltro:
il
cade,
cioè,
senza rumore,
con un’agilità imprevedibile, 173-74. affrappa...
pe con le
fa
a
la
spada
pezzi)
peltro:
nella
come
se
loro
produce fraparmatura (cioè
questa fosse di pel-
tro,
lega
metallica ^xxro
resistente.
da chi: dai quali. 178. ne la cava: nella fossa. 184, c senza fin, ccc. : c vi hanno nascosto innumerevoli vasi pieni di materia infiammabile. 191. il segno: il segnale stabilito. 193. Tornò... una: Le fiamme accese qua e là si riuniscono in un’unica fiamma. 177.
Antologia della letteratura italiana
io6
c tanto ascende in alto, ch’alia luna
può d appresso asciugar Tumido seno. Sopra si volve oscura nebbia e bruna, che *1 sole adombra, e spegno ognV sereno.
un scoppio un grande Aspro concento,
Sentesi
simile a
un perpetuo suono,
in
e spaventoso tuono.
armonia
orribile
d’alte querele, d’ululi e di strida
de
misera gente che perla
la
fondo per cagion de la sua guida, istranamente concordar s’udia col fiero suon de la fiamma omicida. nel
Non
piu. Signor,
non piu
di questo canto;
ch’io son già rauco, e vo’ posarmi alquanto.
Senza neppure uno sguardo o un pensiero per il suo esercito diRodomonte entra in Parigi, e comincia a distruggere la città, non solo gli uomini. Carlo Magno lo vede fare strage davanti alla
strutto,
sua reggia.
Quivi gran parte era del populazzo, sperandovi trovare aiuto, ascesa;
perché forte di
mura
era
palazzo,
il
con munizion da far lunga
Rodomonte, d’orgoglio
difesa.
e d’ira pazzo,
solo s’avea tutta la piazza presa
c
Tuna man, che prezza
ruota la spada, e l’altra getta
E
de le
e merli e
196.
no,
può d’apprcsso,
tanto
s’è
luna, che
si
spinta
vici-
asciugare
la
credeva allora piena d’umidità.
Le urla disperati che muoiono a causa
201-206. racini
può, da
dei miseri del
sa-
loro capo
quale li ha spinti al macello, armonizzano stranamente (istranamente concordar studia) col rombo assordante del rogo che il
li
uccide.
207-208. Spesso canto,
nel
vivo
l’A.
interrompe cosi un
dell’azione.
209. populazzo : plebe. 212. munizion: fortificazioni.
213-16.
È
la
gran porte.
le eccelse
torri, e si
alto,
le
cime metton per morte.
turbe da
tee.’,
in
poco,
fuoco.
il
regai casa, alta e sublime,
la
percuote e risuonar fa
Gettan
:
mondo
il
rappresentazione piu poten-
Rodomonte. A quanto avviene nella prima parte della battaglia cogliamo qui anche l’animo d'orgoglio e d’ira pazzo che soe titanica della figura di
te
differenza
di
spinge quella scatenata furia
e,
soprattutto
si molquesto terrore che si staglia epicamente la sua figura gigantesca: solo s’avea tutta la piazza presa; non c’c piu solo il mulinello della spa-
nelle ottave seguenti, tiplica
da,
i
ma
ritorno
lui.
terrore che
È
su
anche l’audacia sfrenata dell’animo.
217. regai 220. e...
perdute.
a
il
Il
casa;
morte:
reggia. e. si
considerano morte,
terrore delle turbe,
la
loro di-
Ludovico Ariosto
107
Guastare
i
tetti
e legne e pietre
non è alcun che stime; vanno ad una sorte,
lastre e colonne,
e le dorate travi
che furo in prezzo agli lor padri e agli Sta su la porta di chiaro acciar,
il
che
’l
capo
arma
gli
come
uscito di tenebre serpente,
poi
c’
ha
del
nuovo
225
e
busto.
’l
ogni squalor vetusto,
lasciato
scoglio altiero, e che
ringiovenito e piu che tre
avi.
re d’Algier, lucente
si
sente 330
mai robusto
:
lingue vibra, et ha negli occhi foco;
dovunque
Non
animai dà loco.
passa, ogn’
sasso,
merlo, trave, arco o balestra,
né ciò che sopra
il
Saracin percuote,
ponno
allentar la sanguinosa destra
che
gran porta
la
spezza e scuote:
taglia,
ha tanta che ben vedere e veduto
e dentro fatto v’
finestra,
puote
esser
dai visi impressi di color di morte,
che tutta piena quivi hanno
Suonar per
gli
alti
s’odono gridi e feminil lamenti
donne, percotendo
l’afflitte
corte.
la
e spaziosi tetti :
petti,
i
corron per casa pallide e dolenti; e
abbraccian
gli
usci e
i
geniali
letti
che tosto hanno a lasciare a strane genti. Tratta
la cosa era in periglio tanto,
quando
fesa
senza
figura
re giunse, e suoi
’l
discernimento, ingigantiscono la Osserva ancora come, in
dell’eroe.
questa seconda parte,
i
tetti
che furono
alta-
quella che isola
227-30.
pente
di pallore di morte, questa massa terrorizzata costituiscono una pennellata ra-
come
uscito
avere deposto
uscito,
dal la
ecc.
letargo
:
(di
come un tenebre)
ser-
dopo
sua vecchia pelle rovinata
ma
indimenticabile.
245-46. abbraccian
forse l’ottava piu bella dell’epi-
potentemente la figura di Rodomonte in una solitudine eroica e terribile. La luminosità delle armi d’ acciaio accresce il suo splendore e il terrore che incute. sodio,
sente superbo della
si
ecc.
235. ponno: possono. 237. tanta finestra: un’apertura cosi ampia. 239. dai visi impressi, ecc.: questi visi
pidissima,
pregiate.
È
pelle,
impressi
224. che furo in prezzo:
225-32.
nuova
sen-
za farci caso.
mente
(squalor vetusto), che
del tutto sfumato
sia
Tclcmento comico-grottesco. 221. Guastare... stime: guastano
baroni accanto.
no si
le
porte e
i
peìisano nel
letti
gli usci, ecc.
:
abbraccia-
—
co-
debbono
la-
nuziali che presto
loro terrore
come preda Sembra che la città sciare
invasori
agli sia
—
stranieri.
in procinto di cap^i-
tolarc.
248.
il
re: è Carlo
multo con una (baroni).
Magno, accorso
schiera
di
valorosi
al
tu-
paladini
Antologia della letteratura italiana
io8
Carlo rincuora
i
Parigini atterriti e assale, con altri sette paladini,
Rodomonte, che sostiene impavido I assalto e prosegue la strage. Ma ormai è assalito da un intero esercito, e comprende che deve ritirarsi. Si apre sanguinosamente la via fino alla Senna, vi si getta armato ed esce a nuoto dalla città:
Con tutte l’arme andò per mezzo Tacque come s’ intorno avesse tante galle. Africa, in te pare a costui non nacque, ben che d’Anteo ti vanti e d’Annibaìlp. Poi che fu giunto a proda, gli dispiacque, che si vide restar dopo le spalle quella città ch’avea trascorsa tutta, e
La
non Tavea
sortita di
tutta arsa né distrutta.
Cloridano e Medoro
Sullo sfondo corrusco della battaglia, fra le epicHc imprese, si effonde la mesta elegia del giovinetto Medoro, il suo affettuoso lamento sul proprio signore caduto, che egli si propone di cercare sul campo, nella notte, c di seppellire, recandogli cosi un estremo tributo d’ amore. E accanto al suo c’ è l’ amore di Cloridano, più maturo d’anni, persuaso delTassurdità dclTimprcsa, c tuttavia preso anch’egli dalla dolce follia dell’affetto, pronto a rischiare la vita, pur di non lasciar solo nel pericolo l’amato Medoro, grandi e nobili affetti: la fedeltà, l’amicizia, Questo episodio ha come tema la generosità, sempre evocati dall’autore con intima commozione, con accenti inconfondibili. Il Furioso non è un poema di romanzesche avventure, ma il poema dell’uomo. Spesso, anzi, come qui, la favola dà un rilievo più potente ed esemplare ai sentimenti più elevati. i
Carlo non torna piu dentro
ma
si
250. galle: sugheri o zucche o vesciche che adoperavano per tenere a galla le reti dei
pescatori.
251. pare: pari per forza c valore. 252. Anteo, ecc. : Africani furono Anteo, il
alla terra,
contra gli nimici fuor s’accampa.
gigante ucciso dopo durissimo combattie Annibaie, il grande con-
avvenimenti terranno Rodomondalla guerra. Solo quand’essa sarà finita ritornerà a Parigi, durante la celebrazione delle nozze di Bradamante e Ruggiero, e sarà ucciso da quest’ ultimo
ferocia. Gli te
lontano
dopo un
terribile duello.
mento da Ercole,
Canto XVIII: ottave 163-176
dottiero cartaginese.
253-256. Ora finalmente Rodomonte sembra rientrare in se stesso, dopo essere stato a
lungo solo un’ implacabile macchina di morMa il sentimento che lo domina è il te. rimpianto di non avere devastato c distrutto completamente Parigi un sentimento :
proprio
della
sua
primordiale
e
istintiva
I.
alla
terra:
a
Parigi.
e
182-192.
È appena
termi-
nata la battaglia di cui abbiamo seguito le fasi salienti. I Saraceni hanno subito una pesante sconfitta; è morto, fra gli altri, abbattuto da Rinaldo, un giovane re africano, Dardinello d’Almonte. Carlo Magno, non
Ludovico Ariosto
109
et in assedio le lor tende serra,
intorno avampa.
et alti e spessi fuochi
Pagan
Il
si
provede, e cava terra,
f®ssi e ripari e bastioni
va rivedendo, e
tieri le
stampa: guardie deste,
né tutta notte mai l’arme
Tutta
mal
dei si
sveste.
si
notte per gli
la
alloggiamenti
sicuri Saracini oppressi
versan pianti, gemiti e lamenti,
ma
quanto piu
si
può, cheti e soppressi.
Altri, perché gli amici
morti, et
lasciati
che son
ma
feriti,
e
hanno per sé
altri
e
parenti
i
stessi,
con disagio stanno:
più è la tema del futuro danno.
Duo Mori
ivi fra
gli
altri
si
trovaro,
d’oscura stirpe nati in Tolomitta;
esempio raro amore, è degna esser descritta.
de’ quai l’istoria, per di vero
Cloridano e Medor
si
nominaro,
ch’alia fortuna prospera e alla afflitta
aveano sempre amato Dardinello, Francia il mar con quello.
et or passato in
Cloridan, cacciator tutta sua di robusta persona era et isnella
Medoro avea
la
vita, :
guancia colorita
e bianca e grata ne la età novella; piu assediato,
sua volta racc'am-
assedia a
pamento dei Saraceni. 4. avvampa: accende, 5-6.
vedono
fa
avvampare.
Pagan... stampa:
Il
saraceni prov-
I
scavano fossati e costruiscono rapidamente {stampa) fosse, alla
propria difesa,
ripari, bastioni.
L’ottava è pervasa 9. Tutta la notte, ecc. da uha musica mesta che ben rende l’avvi:
limento
dell’esercito
oppressi:
10.
e decimato. peso della di-
sconfitto
gravati
dal
sfatta.
12. soppressi:
16.
de c 18.
ma
pili...
ma
ancor piu gran-
timore dei mali futuri. d’ oscura stirpe: di umili natali. To-
il
lomitta è Tolemaide,
antica città della Ci-
Cloridano e Medor: I due personaggi notturna sortita in campo nemico richiamano, per molti aspetti, la vicenda di Eurialo e Niso nell’ Eneide di Virgilio. Ma 21.
è
una testimonianza 22.
eh’ alla
di
fedeltà e d’amore.
fortuna, ecc.: nella
-
buona
e
nella cattiva sorte.
25-26.
Cloridan, ecc.:
«La
Cloridano è semplice come
renaica.
e la loro
no è assediato da Turno e dai suoi: la loro impresa ha quindi una giustificazione pratica, anche se Eurialo è trascinato soprattutto da un eroico desiderio di gloria e di prodezza. Medoro, invece, mette a rischio la propria vita per seppellire il corpo del suo signore, caduto in battaglia. La sua impresa ha quindi un significato tutto ideale,
soffocati.
danno:
pur tenendo d’occhio il testo latino, l’A. ha creato una storia originalissima. Basti pensare al diverso movente delle due sortite. Eurialo e Niso tentano di andare da Enea per dirgli che l’accampamento troia-
tura
di
cacciatore:
una
la
fisionomia di sua forte na-
virilità
leale
e
di-
ritta » (Binni).
Medoro è una na27 sgg. Medoro, ecc. tura tenera e sensitiva, che si riflette nella :
no
Antologia della letteratura italiana
e fra la gente a quella impresa uscita,
non era
faccia piu
gioconda e bella:
occhi avea neri, e chioma crespa d’oro: angel parca di quei del
sommo
Erano questi duo sopra
i
coro.
ripari
con molti
altri
quando
Notte fra distanze pari cicl con gli occhi sonnolenti.
la
mirava
il
Medoro
a guardar gli alloggiamenti,
quivi in tutti
non può
far che
’l
i
suoi parlari
Signor suo non rammenti,
Dardinello d’Almonte, c che non piagna
che
resti
senza onor ne la campagna.
—
al compagno, disse: O Cloridano, non ti posso dir quanto m’incresca del mio Signor che sia rimaso al piano, per lupi e corbi, ohimè! troppo degna esca. Pensando come sempre mi fu umano, mi par che quando ancor questa anima esca in onor di sua fama, io non compensi
Volto
io
né sciolga verso
lui
gli
oblighi immensi.
Io voglio andar perché
non
sia
inscpulto
mezzo alla campagna, a ritrovarlo: e forse Dio vorrà ch’io vada occulto là dove tace il campo del Re Carlo. Tu rimarrai: ché quando in Ciel sia sculto in
eh’ io vi
debba morir, potrai narrarlo
grazia gentile della sua persona fisica. È giovanissimo {ne la età novella) e ha un viso dolce come quello di un angelo. 32. di quei... coro:
uno
degli angeli della
un
Fin da questa prima descrizione avvertiamo la tonalità caratteristica deU’cpisodio, che si fonda sul comporsi armonico dei temperamenti dei due amici: alla dedizione tenera ed eroica di Medoro, alla sua giovinezza gentile e sognante si mescola la virilità consapevole, generosa ma non ignara dei concreti limiti che la realtà ci impone, di Clopiù
alta
gerarchia,
cioè
serafino.
a
questa atmosfera torpida, addormentata, sulla quale si leva altissima la vigile ed eroica fedeltà di
Medoro.
40. senza
onor:
senza degna e riverente
sepoltura. 43-44.
campo
che...
piano:
che
di battaglia insepolto,
sia
rimasto sul
esca; cibo.
46-48. mi par, ecc. mi pare che quand’anche io perda questa mia vita (anima) per onorare la sua fama, io non contraccambi degnamente gli obblighi immensi che :
ho verso
di lui.
51-52. eh* io... Carlo: che io riesca ad an-
dare, senza essere scorto, là dove l’accampa-
ridano. 34.
:
guardar, ecc.:
a
guardia dell’ac-
campamento.
quando la 35-36. quando... sonnolenti: (qui personificata, secondo 1 ’ antica
Notte
mitologia), giunta a metà del suo
cammino,
contemplava il cielo con occhi sonnolenti. La prima parte dell’ episodio si svolge in
mento
di re
Carlo è immerso nel silenzio.
53-54. quando... narrario: se in cielo è stabilito (sculto scolpito) che io debba mori-
=
re, tu potrai
Ma non
raccontare questa mia impresa.
da un desiderio di fama, quanto dall’amore per il suo re. Come vedi nei due versi seguenti, vuole, se non è scinto tanto
Ludovico Ariosto
che
III
se
Fortuna
vieta
per fama almeno
si
belFopra,
mio buon cuor
il
scuopra.
si
Stupisce Cloridan, che tanto core,
tanto amor, tanta fede abbia
un
fanciullo:
e cerca assai, perché gli porta amore, di fargli quel pensiero irrito e nullo;
ma non non
perch’un
vai,
gli
si
gran dolore
riceve conforto né trastullo.
Medoro
era disposto o di morire,
o ne la tomba il suo Signor coprire. Veduto che noi piega e che noi muove, Cloridan
gli
risponde
anch’io ,vo’ pormi a
:
si
—
E
verrò anch’
io,
lodevol pruove,
anch’io famosa morte amo e disio. Qual cosa sarà mai che piu mi giove, s’io resto senza te, Medoro mio? Morir teco con l’arme è meglio molto,
che poi di duol,
avvien che
s’
mi
tolto.
sii
—
Così disposti, messelo in quel loco successive guardie, e se ne vanno.
le.
Lascian fosse e
steccati,
campo dorme,
Il
e
dopo poco
nostri son, che senza cura stanno.
tra’
e tutto è spento
il
fuoco,
perché dei Saracin poca tema hanno.
degna impresa, che la fama almenò il suo buon cuore, cioè il
nella
riuscirà
illumini
suo sentimento di
affetto
di
e
per
fedeltà
57-58. tanto... fede: tanta altezza d’animo,
amore
60. irrito
e
vano
nullo:
sintesi
Questi
pregnante
fedeltà eroica di
due la
c
senza
effetto.
versi
dolcezza
esprimono e,
con
insieme,
la
Medom
E verrò anch’ io, ecc.: «La risposta Cloridano freme tutta di amore per Medoro... non è eroismo quello che muove il giovane guerriero, ma rassegnazione di fronte alla dolce pazzia del compagno amato » (Binni). La vera ragione che lo spinge alr impresa è espressa con accento profonda66.
mente affettuoso nei vv. 69-72. 68. famosa .morte: una morte 69. mi giove: mi sia cara.
gloriosa.
che poi di duol, ecc.: che di dolore, sarai tolto dalla morte.
mi
messero:
misero.
80.
loro
:
il
cambio.
riversi.
nel vin, nel sonno, ecc.:
Si apre ora di bat-
avvolto anch’ esso dall’ oscurità della notte, immerso nel sonno. Ma non v’ è piu la quiete raccolta e meditativa che accomtaglia
pagnava i pensieri c le parole di Medoro, una nuova tonalità grottesca, un ri-
bensì
di
se tu
decisi,
un nuovo scenario, quello del campo
e tanta fedeltà.
62. trastullo: distrazione.
63-64.
dovevano dar 79. Toversi
Dardinello. 72. tanto
73. disposti:
74. le successive guardie: le sentinelle che
torno brusco
alla realtà brutale della guerra.
Non devo stuol, ecc. nessuno di questo esercito che ha causato la morte del mio Signore.? Cloridano sembra dire che questa è la vera mavendicarlo, niera di onorarne la memoria conta, non seppellirlo. Stanno a fronte la 83-84. Di
questo
:
uccidere
:
pura, generosa idealità del giovinetto e la saggezza piu scettica e disincantata dcll’uomo ormai maturo. ci 85. perché... venisse; affinché nessuno
sorprenda.
II2
Antologia della letteratura italiana
Tra Tarme
roversi,
carriaggi stan
c’
immersi. sonno Fermossi alquanto Cloridano, e disse: insino agli occhi
nel vin, nel
—
Non son mai da lasciar T occasioni. Di questo stuol che ’l mio Signor trafisse, non debbo far, Medoro, occisioni? Tu, perché sopra alcun non ci venisse, e T orecchi in ogni parte poni;
gli occhi
con
eh* io m’offerisco farti tra
spada
la
—
inimici spaziosa strada.
gl’
Cosi disse
egli, e tosto
dove
et entrò
parlar tenne,
il
dotto Alfeo dormia,
il
che Tanno inanzi in corte a Carlo venne,
medico e Mago e pien d’Astrologia ma poco a questa volta gli sovvenne; :
anzi gli disse in tutto la bugia.
Predetto egli s’avea che d’anni pieno
dovea morire la
punta de
Quattro
sua moglie in seno:
alla
ha messo
et or gli
la
cauto Saracino
il
spada ne
la gola.
uccide appresso all’indovino
altri
che non han tempo a dire una parola:
menzion e
nomi
dei
lungo andar
’l
dopo
essi
lor
le lor
non
Turpino,
fa
notizie invola
:
Palidon da Moncalieri,
che sicuro dormia fra duo destrieri. Poi se ne vien dove col capo giace
appoggiato
al
barile
il
miser Grillo;
avealo voto, e avea creduto in pace
un sonno placido
godersi
Troncògli
il
capo
esce col sangue
89.
il
parlar tenne:
92. Astrologia:
zione degli influssi
astri c dalla
prevedevano
97.
la
vita
la
mitiga comunque,
e di misura con cui
mutevole
e
Anche
il
gesto,
com-
una sua comicità. 101. Turpino: è l’arcivescovo Turpino, pre-
medio che è proprio poesia ariostesca, quel senso di equi-
librio
:
conoscenza dei loro
e ristabilisce quel tono
della
cauto Saracino
piuto con una sorta di cura meticolosa, ha
Tutta la strage ha questo tono allegro e spassoso; è come un intermezzo comico che, pur senza turbare l’atmosfera dell’episodio,
il
spillo.
dall’osserva-
94. anzi glt disse, ecc.: dei Cristiani addormentati
pietosa
uno
vin per
futuro.
il
e tranquillo.
Saracino audace:
tacque. astroLogi
gli
il
il
varia.
l’A.
contempla
sunto autore di uiia storia carolingia a cui fingono d’ ispirarsi gli autori di poemi cavallereschi.
102. e
scorrere
*1
del
lungo andar, ecc. il lungo tratempo ha gettato nell’oblio i :
loro nomi. 107. voto: vuotato.
per uno spillo: per un foro: la ferita beone c chiamata dall’ Ariosto col nome
Tio.
del
Ludot/ico Ariosto
”3
di che n*
ha in corpo piu d*una bigoncia; Cloridan
c di ber sogna, e
lo sconcia.
due continuano ancora per poco la loro smettono e si dirigono verso
/
essere scoperti,
Vengon
campo ove
nel
fra
ma
strage,
campo
il
poi, per
non
della battaglia.
spade et archi
un vermiglio stagno giaccion poveri e ricchi, e Re e vassalli; e sozzopra con gli uomini cavalli. e scudi e lance, in
i
Quivi dei corpi l’orrida mistura, che piena avea
gran campagna intorno,
la
potea far vaneggiar
la
fedel cura
duo compagni insino al far del giorno, se non traca fuor d’una nube oscura, a’ prieghi di Medor, la Luna il corno. Medoro in del divotamente fìsse
dei
verso
la
—O
Luna
gli
occhi, e cosi disse:
santa Dea, che dagli antiqui nostri
debitamente
detta triforme;
sei
ch’in cielo, in terra e ne l’inferno mostri l’alta
bellezza tua sotto piu forme,
e ne le selve, di fere e di mostri
seguitando Torme;
vai cacciatrice
mostrami ove
mio Re
’l
giaccia fra tanti,
che vivendo imitò tuoi studi santi.
La Luna
a quel
o fosse caso, oppur
foro dal quale esce
stesso del
il
la
vino conte-
nuto nella botte. 113-16.
po
di
La descrizione rapidissima
uno sfondo stagnante
cadaveri su coi cavalli,
matica,
di
cam-
armi e sangue
uomini confusi (sozzopra) ha una rara potenza non dram-
vermiglio, con
118.
del
battaglia, con quell’intrico di
ma
gli
visiva.
piena: riempita.
poteva 119-20. potea far vaneggiar, ecc. render vane le fedeli ricerche dei due compagni fino al nuovo giorno (era difficile ri:
trovare Dardinello fra quel
mucchio immane
di cadaveri). 122.
il
corno;
tanta fede.
125-32. O santa Dea: La preghiera di Medoro porta nell’episodio una nuova atmosfera tenera e rapita. Si direbbe che la voce soave del giovane, la sua bellezza, il suo sentimento di tenero affetto per il suo signore, si intonino al candore purissimo che si spande subito intorno, siano una cosa sola con esso. 126. debitamente... triforme: Secondo la mitologia antica, Diana, dea della caccia, era identificata con Proserpina, dea degl’ Inferi e con Cinzia, dea della luna. 132. imitò...
santi:
imitò
le
tue occupa-
zioni, fu cacciatore. 134.
una delle sue punte.
—
nube aperse,
parlar la
vuto
o fosse caso, ecc. al
caso,
oppure
:
alla
fosse, questo, do-
fede di
Medoro.
Antologia della letteratura italiana
114
come fu allor quando s’offerse nuda in braccio a Endimion si diede: con Parigi a quel lume si scoperse l’un campo e l’altro, e ’l monte e ’l pian Si videro i duo colli di lontano, Martire a destra e Leri all’altra mano. bella
e
vede.
si
Rifulse lo splendor molto piu chiaro,
ove d’Almonte giacea morto
il
Medoro andò, piangendo,
Signor caro;
che conobbe e tutto
bagnò d’amaro
pianto (che n’avea
un
in
si
SI
dolci atti, in
rio sotto ogni ciglio),
dolci lamenti,
che potea ad ascoltar fermare
ma
figlio.
quartier bianco e vermiglio:
il
viso gli
’l
al
venti;
i
con sommessa voce e a pena udita;
non che riguardi
a
non
far sentire,
si
perch’abbia alcun pensier de
sua vita
la
(piu tosto l’odia, e ne vorrebbe uscire);
ma
per timor che non gli
l’opera pia che quivi
Fu
morto Re
il
il
partendo
affrettando
E
i
soma che
sotto l’amata
a cui del petto
Secondo la mitologia innamorò di un bellissimo pastore, Endimione, condannato a un sonno perpetuo, c tutte le notti andava a bella,
ecc.:
Luna
s’
Ma
visitarlo e a baciarlo.
niscenza
mitologica,
piu che
la
remi-
qui
il
senso
interessa
che si diffonde su tutta la scena, soverchiando ogni orrore del campo di battaglia. Vedi poi, nei
di
luminosità
limpidissima
quattro versi seguenti, dersi
di
spazi
una solinga
vasti,
1’
e
dolce
improvviso schiu-
indefiniti
e
silenziosi:
e raccolta pace ove s’effonde
il
tenero pianto di Medoro. 140.
Martire, ecc.:
e
Mont-
figlio
ecc.
di
:
dove giaceva Almonte.
che conobbe, ecc.: poiché riconobbe scudo diviso in quattro parti {quartieri)
T44.
sonno
stemma bianco e vermiglio. un rio: un ruscello. 149. ma con sommessa voce, ecc.
146.
:
Me-
doro effonde sul morto re il suo affettuoso lamento, ma con voce sommessa, che s’udiva appena (osserva la dolcezza di questo singhiozzare
soffocato
nello
sterminato
si-
non perché abbia paura
lenzio della notte);
i nemici lo scoprono, ma perché teme, in questo caso, di non potere
di essere ucciso, se
portare
a
compimento
la
pietosa
opera
di
sepoltura.
158. gl’
tramendui: di ambedue. ingombra: impaccia i loro mo-
vimenti.
ove d’Almonte,
morto Dardinello, lo
il
dallo
156. di
Mont-Martre
Léry. 142.
donno
ove è bisogno, sgombra.
l’alta virtude,
la
gl’
a tòr del del, di terra l’ombra;
quando Zerbino,
135-36.
peso.
il
quanto ponno, ingombra.
passi
già venia chi de la luce è
le stelle
classica,
impedita
sia
venire.
omeri sospeso
sugli
di tramendui, tra lor
Vanno
fe’
159. chi... donno; chi è signore {donno viene dal latino dominus) della luce, cioè il sole.
161. Zerbino:
È
il
figlio del re di Scozia,
Ludovico Ariosto
115
avendo
cacciato
campo
al
tutta notte
Mori,
i
traea nei primi albori;
si
e seco alquanti cavallieri avea,
che videro da lunge
i
dui compagni.
Ciascuno a quella parte si traea, sperandovi trovar prede e guadagni.
—
Frate, bisogna (Cloridan dicea)
gittar la
soma, e dare opra
calcagni;
ai
che sarebbe pensier non troppo accorto, perder duo vivi per salvar un morto.
E che
gittò
’l
ma
carco, perché
il
Medoro
suo
quel meschin che
’l
pensava
si
far dovesse
simil
il
— :
suo Signor piu amava,
sopra le.spalle sue tutto lo resse. L’altro con molta fretta se n’andava,
come l’amico
a paro o dietro avesse:
sapea di lasciarlo
se
a
quella sorte,
non ch’una morte. con animo disposto
mille aspettate avria,
Quei
cavallier,
che questi a render s’abbino o a morire,
qua chi
chi
là
si
spargono^ et han tosto
preso ogni passo onde
Da
loro
piu degli
si
possa uscire.
capitan poco discosto,
il
seguire;
è sollecito a
altri
ch’in tal guisa vedendoli temere, le nemiche schiere. Era a quel tempo ivi una selva antica, d’ombrose piante spessa c di virgulti,
certo è che sian de
come
che, di
venuto
in
stretti
c
sol
Magno, è
aiuto di Carlo
gentile e leale fra
labirinto, calli
cavalieri cristiani.
i
il
entro s’intrica
da bestie
piu
Morrà
difendendo con fedeltà esemplare le armi abbandonate da Orlando impazzito contro il saraceno Mandricardo. 164.
si
traea, ecc.
r accampamento 169-72. gittar
:
ritornava all’alba nel-
soma,
ecc.
:
Il
scorso di Cloridano esprime tutta
rapido dila
sua sag-
gezza concreta e sbrigativa, lontana dalla sognante, ideale fedeltà di Medoro. A lui interessa ben poco quel cadavere: è una soma,
un peso via ai
buon senso perdere due vivi, cioè loro stesper salvare uno che è già morto. Eppure
si,
sono anche in lui una generosità e fedeltà ben meditate e consapevoli nei confronti delTamico. Egli non è venuto fin qui per il morto re, ma per Medoro, e per lui saci
prà eroicamente morire.
cristiano. la
culti.
e per di più inutile, cosa da gettar per fuggire a tutta velocità (dare opra
calcagni), e assurdo appare
al
suo solido
178.
come r amico,
r amico
(cioè
credendo
ecc.:
come
se avesse
di averlo) accanto
o
subito alle spalle. 180.
non
a
mille, ecc.:
una
181-82.
due
ma
sarebbe andato incontro
a mille morti.
disposto,
ecc.:
risoluti
a
far
si
arrendessero o a ucciderli. 191-92. che, come labirinto, ecc.: che ha.
che
i
si
Antologia della letteratura italiana
ii6
Speran d’averla
i
duo Pagan
ch’abbi a tenerli entro
Ma
mio
chi del canto
si
amica
suoi rami occulti.
a’
piglia
diletto,
un’altra volta ad ascoltarlo aspetto.
Morte
Cloridano
di
Angelica e Medoro
-
Alla morte di Cloridano, che conclude con un eroico e patetico olocausto
la
due Mori, segue una nuova, inattesa e mirabile vicenda: Timprovviso innamoramento di Angelica, la fanciulla orgogliosa c insensibile, il cui cuore si apre prima alla pietà, poi-^all’amore dinanzi a Medoro ferito. Mentre però il motivo dell’amicizia trova, nella morte di Cloridano, un’intensa risonanza sentimentale, l’ innamoramento di Angelica è descritto con tratti esteriori e convenzionali. Vale soprattutto come situazione nuova e imprevedibile d’avventura, come favola bella che termina, come tante favole, con le nozze dei
sortita
della
principessa.
L’Ariosto non approfondisce mai la psicologia di Angelica, non ne fa un personaggio spiritualmente originale e inconfondibile. Le sue reazioni, il suo carattere sono generici c comuni: è una donna bella, che sa d’essere bella, capriccriosa e altera quanto piu si sa desiderata e contesa, a volte birichina, dotata del
caratteristico
i
Ma
egoismo dei giovani.
d’avventure, è un’altra:
è
la
nodo
vera Angelica,
passioni
di
creatura bellissima che smonta e s’addormenta
la
e tra
primo canto, immagine pura di bellezza e felicità, vicina e pur sempre sogno luminoso che appare e dispare. Quand’ ella si arresta e con le sue nozze, nella vita di tutti, scompare per sempre dal vivo del-
fiori nel
irraggiungibile, rientra,
l’azione. Il
che
fatto
comuna
la
racchiudere in se pienamente
mono
sia mai approfondita racdove nessun personaggio emerge si da
sua vita spirituale e affettiva non
agli altri protagonisti del FurioìO, il
ma
significato, la sostanza dell’opera,
tutti
espri-
umana. All’Ariosto
attraverso l’azione aspetti generali e tipici della natura
interessa la coerenza del loro atteggiamento, la loro reazione al ritmo del caso e
dell’avventura, vero protagonista del racconto; le
situazioni
che nascono dal
narrative
loro
la
loro relazione e
i
continuo incontrarsi
loro rapporti,
per
le
strade
sterminate del poema.
Alcun non può saper da quando felice in su la ruota però
c’
ha
veri e
i
che mostran dentro di stretti
e
simile a
se,
un
intrico
frequentati
un
di
(culti)
tutti
sentieri
solo
da
i
finti
siede;
amici a lato
una medesma (calli)
quotidiana,
belve,
e
labirinto.
1-28.
in su la ruota:
na; quindi:
fortuna 1-14. I canti del Furioso hanno, quasi sempre, introduzioni di carattere sentenzioso, espressione di una moralità semplice e
fede.
lontana dall’ impeto fantastico avventuroso delle vicende narrate, e tuttavia ad esso intimamente congiunta. 2.
Canto XIX: ottave
chi sia amato,
4.
è
la
ruota della fortu-
«quando gode
il
che...
fede:
veri e falsi amici gli
sembrano essere) ugualmente stanno sempre vicini.
(o
favore della
».
sono
fedeli, e gli
Ludovico Ariosto
117
Se poi
si
cangia in
tristo
volta la turba adulatrice
ama
come
Se,
ne
tal
e
suo Signor dopo
il
forte,
morte.
la
mostrasse
si
grande e
poca grazia
è in
tal
viso,
il
la corte è
stato,
piede;
ama, riman
e quel che di cor et
lieto
il il
core,
il
gli altri
preme,
suo Signore,
al
muteriano insieme. Questo umil diverria tosto il maggiore: staria quel grande in fra le turbe estreme. Ma torniamo a Medor fedele e grato, che
la lor sorte
che ’n vita e in morte ha
Cercando già
giovine infelice di salvarsi;
il
ma
grave peso ch’avea su
il
facea uscir tutti
gli
Non
conosce
c torna fra
Lungi da l’altro
spine a invilupparsi.
lui tratto al sicuro s’era
ch’avea
la
spalla piu
ma quando
da Medor
leggiera.
non
ridutto ove
s’è
di chi segue lo strepito e
il
Deh, come
fui
come
deh,
fui
(dicea)
vede absente,
si
si
me
di
de
e
selva
l’intricata
ma
colui
che
ama
disposto a seguire
il
vera-
ravvia,
su la traccia.
in
in
morte: anche quando questi è
la
morto. 9-14.
come godono
cuore ora
estreme:
Se... si
la
mostra
Se il
si
viso,
mostrasse certuni,
il
suoi
i
progetti
(partiti).
sbaglia.
falle:
24.
eh’ avea...
27.
misconosciuti.
e
leggiera:
absente:
Cloridano
che
peso.
lontano e separato.
senza sapere. 32. né sappia 35-36. si ravvia... traccia:
grazia del loro signore e che
umiliano gli altri, cadrebbero in disgrazia, perché si vedrebbero animati solo dall’ambizionc c dal calcolo; al contrario salirebbero
vani, tutti 21.
non era gravato da!
che
fedeli
andava, calle: sentiero. facea... scarsi: rendeva insufficien-
gi'a:
20. gli ti,
dopo
pregio cortigiani 17.
suo signore anche nella
svcntur.n. 8.
lasciassi!
torta via
cuore, rimane fedele e forte, cioè
di
ritrassi, ti
ricaccia;
si
onde era venuto si torna di sua morte
e quel, ecc.;
7,
mente
la
core.
stesso fuore,
tc,
Cosi dicendo ne
il
negligente,
si
Medor, qui mi né sappia quando o dove io
che senza
sente
rumore;
pare aver lasciato a dietro
gli
spalle,
le
scarsi.
partiti
i
paese, e la. via falle;
il
le
Cloridan
et
suo Signore amato.
il
piu intricato calle
nel
:
nuovo la
e ritorna sulla strada
morte.
si
dove
avvia
di
lo attende
1
18
Antologia della letteratura italiana
Ode
cavalli
i
e
gridi tuttavia,
i
e la nimica voce che minaccia
all’ultimo ode
:
suo Medoro, e vede
il
che tra molti a cavallo è solo a piede.
Cento
a cavallo, e gli son tutti intorno;
Zerbin comanda
quanto può
e
com’un da
tien
si
che
e grida
L’infelice s’aggira
preso.
sia
torno,
lor difeso,
or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno;
né si discosta mai dal caro peso: r ha riposato alfìn su l’erba, quando regger noi puote, e
come
orsa,
ne
la
sta
sopra
pietrosa tana assalita abbia,
freme
e
va intorno errando,
gli
che l’alpestre cacciatore
i
con incerto core, suono di pietà e di rabbia:
figli
in
’nvita e naturai furore
ira la
a spiegar l’ugne e a insanguinar le labbia;
amor
’ntenerisce, e la ritira
la
riguardare
a
in
figli
ai
Cloridan, che non sa
'che via
prima
ch’in morte
non
il
nascoso con quel
senza vita
Volgonsi
il
ond’era uscito
il
Intanto un altro
perché
sella.
a quella banda,
altri
calamo omicida. il
Saracin ne manda,
secondo a lato
’l
acuti,
le cervella,
fa cader di
tutti gli
strali
ben lavora,
si
che fora ad uno Scotto e
viver muti,
d’un ne mora;
trovi ove più
mette su l’arco un de’ suoi e
l’ira.
l’aiuti,
morir seco ancora,
e ch’esser vuole a
ma non
mezzo come
primo uccida;
al
domanda
che mentre in fretta a questo e a quel chi tirato abbia l’arco, c forte grida.
37, tuttavia:
continuo,
di
per
tutta
la
corsa affannosa.
torno:
43.
46-48. né
mai al
55-56.
tornio. si
lotta c la
discosta, ccc.
:
non abbandona
corpo deH’amato signore, che resta
il
scena mossa e colorita, cocento cavalieri e animata dalle
centro della
stituita
dai
quando:
54. a
spiegar
dal 1’
momento ugne
:
coi e
la
morsi
cacciatori.
i
ritira,
spinge
ccc.
le
ritrae
la i
dalla
figli.
58-60. c... mora c che vuole morire anche lui con Medoro, ma non vuole morire (tramutare la sua vita in morte) prima di :
aver
trovato
63. Scotto:
che.
ad assalire con
:
riguardare
a
modo
di
nemico.
grida imperiose di Zerbino. 47.
unghie e
66.
calamo:
scozzese. freccia.
uccidere
più
d’
un
Ludovico Ariosto
119
lo strale arriva, e gli passa la gola,
mezzo
e gli taglia pel
Or
Zerbin, ch’era
la parola.
capitano loro,
il
non potè a questo aver più pazienza. Con ira e con furor venne a Medoro,
—
dicendo:
Ne
mano
Stese la
farai tu penitenza.
chioma d’oro, con violenza:
in quella
e trascinollo a sé
ma come
giovinetto
Il c.
occhi a quel bel volto mise,
gli
ne venne pietade, e non
gli
disse
non
—
:
esser
“
l’uccise.
rivolse a’ prieghi,
si
Cavallier, per lo tuo Dio,
mi
crudel che tu
si
ch’io sfpelisca
non
—
il
nieghi
corpo del Re mio;
me
vo’ ch’altra pietà per
“
pieghi,
ti
né pensi che di vita abbia disio:
ho tanta di mia vita, e non più, cura, quanta ch’ai mio Signor dia sepoltura. E se pur pascer vuoi fiere et augelli, che ’n
te
fa lor convito di
miei membri, e quelli
sepelir lascia del figliuol
d’Almonte.
Medor con modi
Cosi dicea
“
furor sia del teban Creonte,
il
e
con parole
e
SI
atte a voltare
commosso
—
belli,
un monte;
già Zerbino avea,
che d’amor tutto e di pietade ardea.
mezzo un
In questo
cavallier villano,
avendo al suo Signor poco rispetto, feri con una lancia sopra mano supplicante
al
delicato petto.
il
ma... uccise: Nella commozione Zerbino davanti al bel volto di Medoro esprime quel culto della bellezza che è
79-80. di $1
forse
supremo
il
ideale del Furioso.
come
lezza appare all’A.
il
La
bel-
simbolo dell’in-
monanimo a una pura e
tima, segreta armonia della vita e del do,
come qualcosa che dispone
una contemplazione
estatica,
a
1’
serena gioia. 81 sgg. Anche questa preghiera di Medoro ha una soavità limpida e toccante come il suo bel viso di fanciullo.
87-88. ho... sepoltura: solo quel tanto che '’al
mio
mi
desidero di vivere
basti a
dare sepoltura
dare cadaveri in pasto alle fiere e agli avvoltoi, con quel furore di vendetta che ebbe, un tempo, Creonte. Era costui, secondo la mitologia greca, re di Tebe, e vietò che fosse seppellito il nipote Polinice, reo di avere assalito, con
E
se...
96. che...
E
se
pure vuoi
ardea:
a
smuovere, a
Zerbino arde d’amore
Medoro. L’amore è quell’ incantata, entusiastica contemplazione della bellezza di cui abbiamo parlato nella nota e di pietà per
a:
vv, 79-80. 99.
Creonte:
esercito di re amici,
94. a -voltare un monte: commuovere un monte.
signore.
89-90.
un
la città.
il
sopra
colpo,
mano:
sopra
la
alzandola, spalla.
per
vibrare
Antologia della letteratura italiana
120
Spiacque a Zerbin Tatto crudele e strano; tanto più, che del colpo il giovinetto vide cader
che
E
giudicò che fosse morto.
ne sdegnò in guisa e se ne dolse, Invendicato già non fia!
se
—
che disse:
—
mal talento
e pien di al
sbigottito e smorto,
si
*n tutto
rivolse
si
cavallier che fe* l’impresa ria:
ma
quel prese vantaggio, e
se gli tolse
dinanzi in un momento, e fuggi via. Cloridan, che Medor vede per terra, salta
del bosco a discoperta guerra:
e getta l’arco e tutto pien di rabbia tra gli
inimici
il
ferro intorno gira,
più per morir, che per pensier ch’egli abbia di far vendetta che pareggi Tira.
Del proprio sangue rosseggiar
la
fra tante spade, e al fin venir
si
e tolto che si
Seguon per
si
sente ogni potere,
canto
lascia a
gli
al
suo
Scotti
Medor
ove
poi che lasciato
ha l’uno
cadere.
guida loro
la
selva alto disdegno
l’alta
sabbia
mira:
mena, Moro,
e l’altro
l’un morto in tutto, e l’altro vivo a pena. Giacque gran pezzo il giovine Medoro, spicciando il sangue da sf larga vena,
che di sua vita se
venuto,
al fin saria
non sopravenia
chi gli diè aiuto.
Gli sopravenne a caso una donzella, avvolta in pastorale ed umil veste.
sarà. La violenta reazione di io6. fia: Zerbino, crucciato (pien di mal talento) con-
tro
il
cavaliere villano,
mostra cavaliere
lo
veramente cortese, dotato, cioè, delle più genuine qualità proprie della gentilezza cavalleresca. 109. prese vantaggio:
si
avvantaggiò, fug-
gendo prontamente. IT2. a discoperta guerra: lascia l’agguato e
combatte
a
viso aperto.
Quest’impeto pate-
119-20. L’ ultimo, disperato scatto di Closi spegne in un lamento appassionaun supremo olocau.sto al suo Medoro. 121-22. Seguon gli Scotti, ecc.: Gli Scozzesi seguono Zerbino, loro capo, nella selva profonda, dove lo conducono un’ ira c un disdegno propri di un’anima generosa. Nota la fantasiosa dissolvenza dopo la tensione drammatica dell’ episodio. 129. Gli sopravenne a caso: Di nuovo il
ridano to, in
appassionato di Cloridano è uno dei momenti più veramente eroici del poema. IT7-18. Del proprio sangue, ecc.: Vede la
e
sabbia rossa del suo sangue, trafitto com’ è
è
da tante spade, e vede alla morte.
zie,
tico e
se
stesso
giungere
caso prende in all’episodio
mano eroico
uno nuovo pastorale
de
Angelica, dotata invisibili,
che,
deH’avventura, ne succede amoroso. La donzella
le
e e
fila
patetico
sfuggita
dell’anello
ha deciso
a
varie
peripe-
prodigioso che rendi
ritornare da sola
J
Ludovico Ariosto
ma
I2I
di reai presenza e in viso bella,
d’alte
maniere
Tanto
è ch’io
e
accortamente oneste.
non ne
piu novella,
dissi
ch’a pena riconoscer la dovreste:
non
questa, se
Can
gran
del
Poi che
Angelica
sapete,
era,
del Catai la figlia altiera.
suo annello Angelica riebbe,
’l
Brunel l’avea tenuta priva,
di che
in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,
ch’esser parea di tutto
Se ne va
sola,
compagno si
e
non
mondo
*1
schiva.
degnerebbe
si
aver qual piu famoso viva
:
sdegna a rimembrar che già suo amante
abbia Orlando nomato, o Sacripante.
E
sopra ogn’altro error via piu pentita
era del ben che già a Rinaldo volse,
troppo parendole ch’a riguardar
si
essersi
basso
avvilita,
gli
Tant’arroganzia avendo
occhi volse.
Amor
sentita,
lungamente comportar non volse. Dove giacea Medor, si pose al varco, piu
e
posto lo strale all’arco.
l’aspettò,
Quando Angelica
vide
giovinetto
il
languir ferito, assai vicino a morte,
Re che
che del suo
giacea senza tetto,
più che del proprio mal
nd suo regno del Catai e si è vestita, per meno appariscente, di rozze vesti.
essere
132. nati
e
d’ alte maniere, ecc. cortesi
e
tempo
al
:
di
modi
stesso
raffi-
riservati.
Non
è però la sua riservatezza istintiva, accorta, cioè sapiente e consapevole. 133.
Tanto
è,
ecc.
:
L’A. non parlava
ma
Ma
nel
poema
la
dolea forte;
care l’aiuto e
di
geografia è tutta
sono pressoché si-’ nomini. L’orgoglio di Angelica, donna bellissima che, per questo, ritiene ogni suo
ella
ricordato
è sta
p>oi
a
Melissa, poi a Ruggiero nelle
mani
di Angelica.
Fiduciosa nella virtù di esso, la fanciulla si a ritornare in patria sola, senza cer-
accinge
lei
e lo disde-
senza
140.
schiva: dispregia trice.
143.
amante: innamorato. Allude alla travolgente
145-46.
ragione;
passione
aveva concepito per Rinaldo dopo avere bevuto alla fonte dell’ amore, nella selva Ardenna. A Id sembrava ora di
suoi occhi e
nuovo
a
non
umile fante.
137-38. Brunello, barone africano, aveva rubato ad Angelica il miracoloso anello che rendeva vano ogni magico incanto e rendeva invisibili. E>a Brunello esso era passato a di
ora
per innamorarsi di Medoro,
infatti
che
Bradamante,
orgoglio:
innamorato troppo inferiore
favolosa.
e quindi
scorta di alcuno.
la
fasto...
139.
gna,
Angelica dal c. XII. 136. gran Can del Catai: è 1 ’ imperatore del Catai, corrispondente alla Cina settentrionale.
si
Angelica
essersi
149.
arco
e
avvilita, il
Amor,
rivolgendo cosi ecc.
frecce,
:
basso
i
Cupido si apposta con 1’ immagine tradi-
secondo
zionale. 155. senza
in
suo cuore.
tetto:
senza
tomba.
Antologia della letteratura italiana
122
mezzo
insolita pietadc in
che
le fe’
E
porte,
duro cor tenero
il
quando
e più,
petto
al
senti entrar per disusate
si
rivocando
e molle,
suo caso egli narrolle.
il
memoria
alla
l’arte
India imparò già di chirurgia
ch’in
(che par che questo studio in quella parte nobile e
degno
gran laude
e di
sia;
e senza molto rivoltar di carte,
che
patre
*1
ereditario
ai figli
il
dia),
dispose operar con succo d’erbe,
si
ch’a più matura vita lo riserbe.
E
ricordossi che passando avea
veduta un’erba in una piaggia amena; fosse dittamo, o fosse panacea,
o non so qual di che stagna
tal
effetto piena,
sangue, e de
il
piaga rea
la
spasmo e perigliosa pena. La trovò non lontana, e quella colta, dove lasciato avea Medor, diè volta. Nel ritornar s’incontra in un pastore,
leva ogni
ch’a cavallo pel bosco ne veniva
cercando una giovenca, che già fuore
duo
di di
Seco
Medor
mandra
col
e senza guardia giva.
ove perdea
trasse
lo
il
vigore
sangue che del petto usciva:
e già n’avea di tanto
il
terren tinto,
ch’era ornai presso a rimanere estinto.
Del palafreno Angelica giù c scendere
157. insolita pietade:
Nasce
nel suo cuore
non aveva mai provato dinanzi alle sofferenze di tanti suoi innamorati. L’innamoramento di Angelica conclude le vicende della fanciulla nel poema (el-
quella pietà che
la
vi
soltanto
farà
un’altra
parizione). Angelica interessa
splendido e intatto za,
per
cavalieri
i
affascinati.
Suo
l’apparire e lo
continuo
brevissima la
di
ap-
fantasia del-
appare gioventù e
finché
soltanto
l’Ariosto
un di
fiore
bellez-
che invano l’inseguono
fondamentale è sparire, una sorta, cioè, di
oscillare
carattere
fra
realtà
scese,
pastor seco fece anche.
il
e
sogno.
i6i. rivocando; richiamando.
165-66. e senza... dia: c pare che
trasmetta in eredità
mente, senza che gliare
i
167-68.
libri,
a
ai
figli
con un succo d’erba lunga vita (in modo,
padre
siano costretti a sfo
essi
studiare
dispose, ecc.:
si
il
quest’arte, oral-
sì
per
apprenderla.
decise di curarlo
da riserbarlo a piu da farlo soprav-
cioè,
vivere).
171.
il dittamo è una panacea è un’erba fadiceva guarisse ogni malattia.
dittamo... panacea:
pianta medicinale;
volosa che
si
176. diè volta:
la
ritornò.
Ludovico Ariosto
123
Pestò con sassi
ne
erba, indi
l’
ne cavò fra
e succo
le
prese,
la
man
bianche
Tanche;
e pel petto e pel ventre c fin a
fu di
e
virtù questo liquore,
tal
che stagnò sopra
tornò salire
cavallo che
il
’l
in terra
il
Cloridan col Re
dove
e poi
partire
suo Signor non fusse. sepelire;
fe’
piacque
a lei
vigore:
il
pastor condusse.
Medor
però volse indi
prima eh’
E
gli
che potè
sangue, e
il
e gli diè forza,
Non
;
piaga n’infuse, e ne distese
la
ridusse:
si
ne Tumil case
et ella per pietà
del cortese pastor seco rimase.
Né "fin
che noi tornasse in sanitade,
volea partir:
che n’ebbe,
come
Poi vistone
i
roder
in terra e
vide prima.
il
beltade,
la
cor d’ascosa lima;
core, e a poco a poco infiammato d’amoroso fuoco.
roder
senti
si
tutto
Stava stanza,
con
il
pietade
la
costumi
senti
si
stima:
cosi di lui fe’
tanto se inteneri de
la
il
pastore in
il
moglie e
rutta di
Quivi a
assai
buona
coi figli
avea quella
et
:
nuovo e poco inanzi fatta. Medoro fu per la Donzella
piaga in breve a sanità ritratta
la
ma
in
bella
e
bosco infra duo monti piatta,
nel
minor tempo
si
senti
:
maggiore
piaga di questa avere ella nel core. Assai piu larga piaga e piu profonda
da non veduto
nel cor senti
che da’ begli occhi e da di 188.
fra le
un tono medica. 202.
man
delicato
tanto
c
stima:
cosi...
tanza attribuì 203.
Medoro avventò TArcier bianche:
al
se
particolare dà
il
gentile
all’
operazione
tanto valore e impor-
giovinetto. intenerì,
ecc.
:
a
tal
punto
rimase intenerita dalla pietà che aveva concepito
A le
per
vedendolo
morente. poco a poco dalla pietà nasce l’amore, che rode lentamente e impercettibilmente il
cuore
lui
come una lima
a
terra
nascosta.
strale,
testa
la
c’
210.
bionda
ha Tale. infra...
piatta:
nascosta
nel
bosco
due colline. L’ambiente solitario e colto sembra contribuire allo sbocciare fra
racse-
reno di quell’amore. 213. per la Donzella: dalla fanciulla. 215. ma in minor tempo: prima ancora che Medoro fosse guarito. 218. da non veduto strale: te,
lo strale,
fuor
di
bionda
la
freccia
metafora, di
Medoro.
i
è,
naturalmenCupido;
scagliata da
begli
occhi
e
la
testa
Antologia della letteratura italiana
124
'4'ry ^ p V
Di
non cura;
se
Una
ma
lenta
lei
’l
fuoco abbonda,
il
proprio male.
ad altro intenta,
è
fere e tormenta.
Orlando
di
follia
non
e
ch’a risanar chi
^ La
sempre
sente, e
e più cura Taltrui che
implacabile progressione psicologica segna
amore
dal suo nobile e patetico
alla
follia
trapasso d’Orlando
il
sogno incubo che
il
;
lo
uscire
fa
di
dimentico deH’onore cavalleresco, il lungo, ansioso errare per sterminati cammini, simile al vagare senza fine e senza tempo della sua anima, l’evanescente castello d’Atlante, simbolo del suo chiuso dibattersi nel labirinto della passione, « tradimento » d’Angelica, la disperazione e la e, finalmente, la rivelazione del follia. Ma sempre l’Ariosto racconta, con un’ampia e mobilissima trama fantastica e fiabesca, la storia ddl’uomo e del suo cuore. Si legga questo episodio, e si vedrà quanto reali e veraci siano le reazioni psicologiche d’Orlando. La prima rivelazione, il pietoso tentativo di ingannare se stesso, quindi la disperazione, la furia devastatrice, la follia: ogni momento è graduato con arte sapiente e, al tempo stesso, con una profonda conoscenza del cuore umano, anche se la vicenda è proiettata all’esterno, in vaghi colori di favola. Rappresentando Orlando, ad esempio, che devasta, come un cataclisma naturale, il luogo sacro all’amore di Angelica e Medoro e sradica alberi, l’Ariosto non fa che trascrivere, nei termini d’azione fantasiosa propria del poema, lo sconvolgi mento totale, il crollo, la furia di devastazione e autodistruzione di un’anima. Ma se anche, talvolta, il poeta sembra insistere sulla nota lirica, patetica c introspettiva, in realtà l’episodio si muove tutto su un ritmo narrativo. Orlando pazzo diventa una selvaggia forza di natura, pretesto a nuovi c complessi nodi Parigi,
d’avventura, di movimento, d’azione.
Nei successivi episodi della fiabesco stupore di gesta
in
gamento che
lo
follia, la
smisurate.
ma
personaggio,
pietà,
che
Sempre
questo s’avverte,
in
prevale,
nel
trasforma
si
poema, non
il
ripie-
suo agire e il suo incontro con gli altri, riassorbono nel ritmo complesso e cangiante della vita, vero protagonista del
lirico
il
del Furioso.
Lo
strano corso che tenne
cavallo
il
del Saracin pel bosco senza via,
fece
né 222-24. di
c
cura, ccc.:
pili
Medoro, non
che,
senza
né potè averne
risana
ferisce
la
e
ferita
Mtdoro
risana
propria,
la
saperlo,
La descrizione,
Ch’Orlando andò duo giorni
lo trovò,
tormenta
tutta convenzionale,
lei.
dell’in-
namoramento di Angelica, segue da vicino e modi cari alla lirica d’imitazione
in
fallo,
spia.
intrecciati
della
su
capanna
tutti
alberi,
gli
fé sarà, qiiesta,
sulle
una
pareti
rivelazio-
ne fatale per il povero Orlando^. Poi essi partono per il favoloso regno del Catai, di cui
Medoro diventerà
signore.
immagini
petrarchesca.
tave dei la
a
la
vita
gioiosa
due giovani innamorati, felicità
ot-
Canto
serena
124-125;
L’A. continua per alcune
descrivere
che
li
spinge con
le
e
ottave
100-105:
tio-122;
loro nozze,
una
ingenuità fanciullesca a scrivere
XXIII: 128-136.
i
sorta
loro
di
nomi
I.
Lo
strano corso, ecc.
:
Orlando
si
è bat-
tuto con Mandricardo, figlio di Agricane. vr
Ludovico Ariosto
125
Giunse ad un rivo che parca cristallo. ne le cui sponde un bel pratcl fioria,
dr nativo color vago c
al SI
di
e dipinto,
molti e belli arbori distinto.
Il merigge facea grato l’orezzo duro armento et al pastore ignudo; che né Orlando sentia alcun ribrezzo,
la corazza avea, Telmo c lo scudo. Quivi egli entrò, per riposarvi, in mezzo; e v’ebbe travaglioso albergo e crudo,
che
c piu,
che dir
empio soggiorno,
possa,
si
quelTinfelicc e sfortunato giorno.
Volgendosi
vide
intorno,
ivi
scritti
molti arbuscelli in su l’ombrosa riva.
Tosto che fermi v’ebbe
man
fu certo esser di
gli
de
occhi e
fìtti,
sua Diva.
la
Questo era un di quei lochi già ove sovente con Medor veniva
descritti,
da casa del pastor indi vicina bella
la
donna
del Catai Regina.
Angelica e Medor con cen to nodi l
..
egati insieme, e in cento lochi vede.
Quante
lettere son, tanti
//
nuto in Occidente per vendicare
padre,
il
ucciso dal Paladino, c conquistare la spada
Durindana. Ma durante il duello, il cavallo saracmo, spaventato, è fuggito trasci-
del
nando
il
suo signore nel folto deirintricata
ormai remoto, che ora serve soltanto a isolare Orlando nella solitudine di un’atmosfera
boscaglia. Questo l’antefatto, dell’episodio,
serena e idillica fiori,
il
(il
ruscello limpidissimo,
i
prato), dove, per contrasto, piu vio-
lente esploderanno la sua angoscia
amorosa
son chiodi 15-16.
Con
due
questi
pronunciati
versi,
con tono intensamente patetico e melanconico (l’accento batte con particolare vigore sulla parola empio = disumano), l’A. preannuncia la sciagura dell’ eroe. È questo uno degli episodi nei quali il poeta, pur mantenendo il tono pacato del narratore e la sua saggezza serena, commenta a tratti la vicenda d’Orlando con tono accorato e compartecipe.
Dapprima che fermi, ecc. un semplice sguardo che si posa
19-28. Tosto
:
e la sua follia.
(v.
7-8. di nativo... distinto; grazioso perché dipinto con i semplici, freschi colori della natura e vàriamente ornato di molti e
svagato d’intorno: poi, riconosce la scrittura e su di essa repentinamente lo sguardo si ferma e si figge con ansi.n: sono pa-
begli alberi.
role della
l’ombra e la frescura leggera del venticello, ignudo; quasi svestito
di,
piana
per
che
« rallenta
rità
empia
tale
affermazione della
9-10.
il
orezzo:
caldo.
11-12. si che né Orlando, ecc.: tanto che neppure Orlando avvertiva alcuna sensazio-
ne spiacevole di freddo; avere indosso l’armatura più gradito il fresco. 14.
travaglioso...
dele dimora.
il
gli
crudo:
fatto,
anzi,
di
rendeva ancor
19),
per
sua dea {Diva), Angelica! Quinversi, la voce « afona e
quattro
della
c
cru-
come
dice
nomi
25-26)
e
1’
ghi,
dovunque.
Binni,
angosciosa,
temuta
immediato
strazio
cento nodi, ecc.:
intrecciati
il
trepido formarsi della veinfine, la trionfante e bru-
(27-28)-
25-26. con
dolorosa
il
»; e,
(vv.
verità
storico »,
...due vede 1
cento volte, in cento luo-
.
t/t--'
c+nt>fe.S
Antologia della letteratura italiana
126
Amore
coi quali
Va
col
non creder quel c h’altra
cor
punge
gli
e fìede.
modi
Poi dice
ho
di tal’io n’
tali
suo
il
nome io
sforza,
si
in quell a
scorza.
pur queste note
:
tante vedute e lette.
Medoro
Fi nger questo
me
fo rse ch’a
c reder
sia,
Conosco
:
30
ch’ai suo dispetto crede:
Angelica
ch’abbi a scritto
Con
il
pensier cercando in mille
ss
pu ote :
ella si
me tte
questo cognome
opinion dal ver remote
usando fraude a sé medesmo, stette ne la speranza il mal contento Orlando, che si seppe a sé stesso ir procacciando. Ma sempre piu raccende e piu rinuova, quanto spenger piu ^erca, il rio sospetto
40
:
come
l’incauto .Hngef, che (
si
ritrova
ragna o infvisco^ver dato di petto, quanto piu batt^Tale e piu si prova in
di disbrigar, piu vi
si
lega stretto.
Orlando viene ove s’incurva
Medoro aveva
Sulla soglia, la
erano
stati
sua
28.
fiede;
2^.
Va
cuore scia, ti
della
a
di
ancora,
inoppugnabile.
e
lungo di ingannare se a
il
il
suo
Prigio-
con espedien-
e
della
Eppure, in tal una speranza che
verità.
procacciato
è
per
quanto
precipitare
effimera,
nell’abisso
stretto: come 1’ incauto che è incappato nella rete (ragna)
o nel vischio, quanto piu
L’A.
berarsene
di
un’altra caratteri,
35-36. Altre
Medoro anzi,
piu
e
è
forse
Angelica. pietose
un personaggio immaginac un soprannome (cogno-
me) che Angelica ha messo sgg.
ingannando
usando se
sofisticherie:
fraude
stesso,
a lui. a
sé
Orlando!
medesmo:
ben consapevole, nel
tanto
piu
vi
si
resta
dibatte per
li-
impigliato.
Il
paragone è perfettamente calzante: quello di Orlando è anch’esso un dibattersi sterile e vano; egli è strettamente legato, ormai, al suo destino di dolore, e invano la sua mente
calligrafia.
trattiene
dispera-
43-46. come...
uccello
sfug-
stesso,
lo
della
zione.
di
tratti
38
dal
si
quella certezza insopportabile.
33. note:
no,
intimo,
trovare
questo motivo con grande finezza d) gradazioni psicologiche. 31. Dapprima si sforza di credere che
forse
corrisposto.
modo
sviluppa
si
luoghi che l'avevano ospitato ed
Cerca an-
sua passione e della sua ango-
Orlando cerca
pietosi
gire
pensiero
col
chiara
sa
niero
amore
infirmare quella verità che
di
i
suo
pensier cercando:
un'epigrafe nella quale espri-
scolpito
e ringraziava
testimoni del suo
gosciosamente
modo
felicità
ferisce.
col
monte
il
guisa d’arco in su la chiara fonte.
a
meva
48
si
affanna in
un’ultima,
dispe-
assurda difesa. 47-48. Orlando... fonte:
rata
dove
e
il
Orlando giunge monte s’incurva formando un arco
sopra la fonte chiara: dove c’c, quindi, una grotta, quella dove Angelica e Medoro hanno vissuto ore felici.
Ludovico Ariosto
127
E ra
scrit t o
Arabico
in
come
inten dea cosi ben,
che
,
Conte
’l
“
lati no.
Fra molte lingue e molte ch’avea pronte, Paladino;
prontissima avea quella
il
e gli schivò più volte e
danni
che
trovò tra
si
et onte,
popol Saracino.
il
“
Ma
non si vanti, se già n’ebbe frutto; ch’un danno or n’ ha, che può scontargli il Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto quello infelice, e pur cercando in vano che non vi fosse quel che v’era scritto; e sempre lo vedea più chiaro e piano
tutto.
®
:
mezzo
ogni volta in
et
stringersi
Rim ase
al
nel
fìssi
Fu
petto afflitto
il
cor sentia con fredda
il
fin
gli
aJ
sa sso
sasso,
m ente
la
\
indifferen te.
per uscir del sentimento:
afiora
tutto in preda del dolor
SI
mano.
occhi e con
con
lassa.
si
Credete a chi n’ ha fatto esperimento, che questo è
Caduto
’l
duol che
era sopra
gli
il
tutti gli
petto
passa.
altri
u
mento,
il
fronte priva di baldanza, e bassa;
la
né potè aver (che
’l
querele voce, o
alle
duol l’occupò tanto)
umore
al
pianto.
^
^
L’impetuosa doglia entro rimase, che^ volea tutta uscir con troppa fretta.
50.
come
latino:
51. ch’avca
come
pronte:
55-56. Ma...
tutto:
la propria lingua. che conosceva bene,
Non
si
vanti
se
al-
tre volte ha tratto giovamento da codesta conoscenza, perché ora ne ha un danno che può fargli ripagare tutto.
57-64.
nezza
È un’ottava con
.
cui
splendida,
sottolinea
la
per
la
fi-
drammatica
È, come è stato detto, il primo lampo, ancora umano, della pazzia. Orlando legge, rilegge lo scritprogressione
to,
spinto
psicologica.
dal
desiderio
assurdo,
dal
bi-
sogno di trovare che non è vero, che lo ha interpretato male. Poi, la rivelazione trionfante e implacabile (e sempre lo vedea più chiaro e piano) c il conseguente,
immediato agghiacciarsi del cuore.
Infine,
quell’abbandono inerte c smemorato, quel crollo totale dclTanima. È li con gli occhi
e
mente
la
(indifferente
quel sasso,
in
fissi
—
pietrificato
non differente
cioè
—
dal
sasso).
65. per
uscir
totalmente di
del
sentimento:
per
uscire
sé.
abbandona. Credete a me. che l’ho provato: non c’è dolore piu grande. L’ intervento dell’ A. riconduce nella vicenda tesa e dolente il suo tono caratteDietro la di moralità quotidiana. ristico 66.
si
las.sa:
si
lascia,
67-68. Credete...
favola
spunta
la
si
passa:
nostra
vita,
dominata non dalla ragione, stre
follie,
vitabili
il
spesso
dalle
umane anch’esse, giudicto uman come
peraltro
{ecco
cosi
ma
no-
e ine
spesso
errai).
71-72. né potè... pianto: né potè aver voce per lamentarsi, né lacrime per piangere, a tal punto rimase oppresso dal suo dolore.
Antologia della letteratura italiana
128
75
Cosi veggiàn restar Tacqua nel vase,
che largo
ventre e
il
che nel voltar che
l’umor che vorria
bocca abbia stretta;
la
su la base,
fa in
si
uscir, tanto s’affretta,
e ne l’angusta via tanto s’intrica, •0
ch’a goccia a goccia fuore esce a fatica.
Poi ritorna in
possa esser che non sia
cosa vera:
la
che voglia alcun cosi infamare
de
DonnsTecrede
sua
la
o g ravar ta nto di
molto
che
gelosia,
e spera,
ne pera;
se
sia chi si voglia stato,
man
la
nome
il
brama
e
d'insopportabil so me
lui
abbia quel,
et
come
alquanto, c pensa
se
bene imitato.
di lei
In COSI poca, in cosi deboi speme
indi
suo Brigliadoro
al
dando
Non dei
già
che da
va,
vede
uscir
languido smonta, e a
un
Altri gli
90. troppa con
disarma,
il
leva,
altri
gli
altri
fatica. Il dolore impetuoso, che valeva uscire fretta, rimase compresso nel-
Allo stesso
modo,
se
vaso {vasé) che abbia largo ta
bocca,
la
vediamo
il
capovolgiamo un il
ventre e stret-
liquido
uscire
a
come
81-82.
possa... vera;
speranza;
riprende
91.
me
un’ultima, dela vicenda, o
dorso
monta
e
assiste al
con
inteso
Per tutta faticoso formarsi, parti-
particolare,
della
zogna che Orlando vuol
pree
lascia
gli
spazi
luna
del
il
sole tra-
cielo
alla
erano,
so-
rella,
cioè
do
mitologia, Febo, dio del sole, e Dia-
la
alla
(fratelli
secon-
93-9^. da le vie supreme dei tetti... vapor del fuoco; dai camini... il fumo. 95. sente cani
remoto,
si
ma
abbandonato
cavallo,
anche fisicamente. 92. dando... loco: méntre già
ma, spera che qualcuno abbia quello scritto infamare Angelica. per
del
accasciato
ticolari
:
colare
dosso preme: non cavalca,
il il
meglio, l’intimo, faticoso labirinto d’illusioni. crede, bra83-8^. che voglia alcun, ecc.
l’ottava
100
na, dea della luna).
goccia a goccia e con fatica.
bolissima
sproni d’oro
a forbir va l’armatura.
l’animo, senza poter trovare sfogo aircstcrno.
Brigliadoro
lascia
discreto garzon che n’abbia cura.
73-80. L’ impetuosa...
violentissimo,
96
alloggiamento:
e piglia
villa,
supreme
le vie
vapor del fuoco,
il
muggiare armento:
sente cani abbaiar,
viene alla
dosso preme,
il
Sole alla sorella loco.
il
molto
tetti
90
un poco;
sveglia gli spirti, e gli rinfranca
far
nuova credere
mena
se
gli spirti: gli spiriti vitali,
l’animo suo.
abbaiar, e
ecc.
usuali
:
Questi
hanno un
abbandonato; c macchinalmente dai
languido
soggetti percepiti
ma
par-
tono
sono sensi,
l’anima è assente e lontana. languido smonta: un ultimo gesto senza vita, espressione deH’avvilimento in 97.
timo
stesso.
realistici
il
e totale.
100. a
forbir;
a
lustrare.
Ludovico Ariosto
129
Era qucsU.Ja^ar che quello al luogo suo ne gisse;
Turpin da indi in qua confesse lungo tempo saggio visse;
e che
eh’ Astolfo
ma
ch’uno error che fece
ch’un’altra volta gli levò
poi, fu quello il
cervello.
Ruggiero, Bradamantc, Marfisa di Ruggiero e Bradamantc, caposdpiti della casa Estense, poteva una insipida stòria cortigiana, ed è invece fra le più vive del poema. Soprattutto questo episodio che ne è uno dei più importanti, mostra, per il fatto
La
storia
riuscire
di essere trattato in
gran parte in chiave comica,
vena di narratore scanzonato
la
e giocondo deH’Ariosto.
giunta dall’Oriente, dopo mirabili avventure, Marfìsa, guerriera valorosa e una viva stima
È
bizzarra, impulsiva e irruente, e subito ha concepito per Ruggiero
ii3'20. Altri in
amar
lo
perde, ecc.
:
Ri-
tornano, in un canto spiegato, che sembra volersi prolungare indefinitamente, tutte le vaniti e follie
umane
già
passate in rasse-
gna. L'atteggiamento del poeta è tra il sorridente e il melanconico, proprio di chi sa dominare, dall'alto della rocca della ragione, lo spettacolo della nostra pazzia e pure ne è, al tempo stesso, partecipe. 115. ne le speranze, ecc.: nelle speranze riposte nei signori, è insieme un' accusa e
un mea 116.
culpa.
alle
magiche sciocchezze:
che pratiche di nugia,
assai
in
alle scioc-
uso in quel-
r epoca. 118. et altri, ecc.: e altri in altro che apprezza più d'ogni altra cosa. La ripetizione insistita del pronome, vuol dar 1' idea di un’enumerazione che potrebbe durare chissà
quanto.
Di
119-20.
to,
i
Tra
solisti, ecc.:
hlosolì, gli astrologi.
ma
i
più pazzi,
i
anche, e soprattut
poeti.
121. tolse: prese.
122. lo scrittor, ecc.
tore
deW Apocalisse,
:
S.
Giovanni è
oscura
profezia
l'ausulla
Hne del mondo. 123-24. Basta accostare l'ampolla al naso e
aspirare
con forza,
c
riecco
il
cervello
a
Orlando. Ma non ti sfugga quell'arguto par, che insinua sorridendo un dubbio suH’effettiva riuscita del1' operazione. 124. ne gisse: se ne andasse. posto.
Lo
stesso
125. confesse:
farà
confessi,
ammetta. Astolfo
prende poi l'ampolla col cervello d’Orlandc e, terminato il suo giro sulla luna, ritorna in terra.
Antologia della letteratura italiana
154
una forte simpatia, del tutto ricambiate. La gente, anzi, parla d’amore, c la voce giunge alle orecchie di Brada mante. Un’eroina come lei può piangere, gettata bocconi sul letto, ma poi cerca la battaglia. Bradamantc va al campo pagano, sfida i migliori a duello, ne abbatte piu d’uno con la sua lancia magica. Presto divampa una mischia generale. Ruggiero la raggiunge, si offre di darle ampie spiegazioni e i due s’appartano. Ma sopraggiunge Marfisa, già disarcionata da Bradamantc e offre, senza volerlo, nuova
c
esca ai sospetti e alla gelosia di questa.
Ne
situazione da opera buffa, una vera e
propria
nasce una rissa amena, fra
parodia
mondo
del
i
tre,
una
cavalleresco.
miracolo: una voce, quella d’Atlante, esce da un sepolcro fratelli. La bella famiglinola potrebbe vivere felice e contenta, ma sorgono nuove difficoltà. Ruggiero è stato armato cavaliere da Agramante, ha verso di lui debiti di riconoscenza, non può abbandonarlo ora, nel momento del pericolo, per farsi cristiano e sposare Bradamante. Bisognerà attendere la fine della guerra. Incomincia cosi una nuova serie di ricerche, avventure e peripezie per la coppia travagliata (solo Marfisa segue Bradamante nel campo Poi, sul più bello,
il
c rivela che Ruggiero e Marfisa sono
c
cristiano),
si
concluderanno solo
poema con
del
fine
alla
sospirate
le
nozze.
In poco spazio ne gittò per terra trecento e più con quella lancia d’oro. Ella sola quel di vinse la guerra,
messe ella sola in fuga il popul Moro. Ruggier di qua di là s’aggira et erra
—
tanto, che se le accosta e dice:
non
s’io
ti'
parlo: ohimè! che t’ho fatto
che mi debbi
Come
ai
e
nievi il
si
meridional tiepidi venti, caldo,
fiato
il
disciolveno e
i
torrenti,
ghiaccio che pur dianzi era
si
COSI a quei prieghi, a quei brevi il
io,
—
Odi, per Dio!
fuggire.?^
che spirano dal mare le
*
moro,
Io
saldo;
lamenti
cor de la sorella di Rinaldo
subito ritornò pietoso e molle,
che
Canto
XXXVI;
l’ira,
marmo
più che
ottave 39-58.
indurar volle.
4.
messe: mise.
6-8. Io 1.
che
In poco spazio: in breve tempo. Dopo Bradamante ha disarcionato numerosi
cavalieri,
fra
e
Marfisa,
loro
è
sorta
una
mischia sanguinosa fra cristiani e saraceni Bradamante fa per scagliarsi contro Ruggiero,
ma
sua ira
la
2.
lancia
le
manca
:
Il
breve
e patetico di
il
torrenti gelati, ecc. 16.
che...
volle:
il
relativo
va riferito
cuore: quel cuore che l’ira aveva reso dur
su altri. d’ oro;
ccc.
cozzare dell armi un languido tono di baruffa d’ inna morati, per Dio: in nome di Dio. II. si disciolveno: si sciolgono insieme cc
cuore, c allora sfoga
il
moro,
scorso di Ruggiero porta fra
è
la
lancia
d’ oro fata-
più del
marmo. L’ampia
che appartenne già ad Argalia, fratello d’Angclica, e che abbatte magicamente qua-
mata da un
lunque cavaliere tocchi.
commedia dell’amore.
ta,
le
l’A.
similitudine è sfu
lieve, divertito sorriso, col
osserva,
ironico
e
qua
indulgente,
1
Ludovico Ariosto
*55
Non
vuol dargli, o non puotc, altra da traverso sprona Rabicano, quanto può dagli altri si discosta,
risposta;
ma e
Ruggiero accenna con la mano. Fuor de la moltitudine in reposta valle si trasse, ov’era un piccol piano ch’in mezzo avea un boschetto di cipressi che parean d’una stampa tutti impressi. et a
marmi
In quel boschetto era di bianchi fatta di
nuovo
Chi dentro
un’alta sepoltura.
giaccia, era
con brevi carmi
notato a chi saperlo avesse cura.
Ma
quivi giunta Bradamante, parmi
che già non pose mente Ruggiéi- dietro
scrittura.
alla
cavallo affretta e
il
punge
tanto, ch’ai bosco e alla donzella giunge.
Ma
ritorniamo a Marfìsa che s’era
in questo
mezzo
in sul destrier rimessa,
e venia per trovar quella guerriera
che l’avea
al
primo scontro
e la vide partir fuor c
partir
de
in terra messa:
la schiera,
Ruggier vide e seguir
essa;
pensò che per amor seguisse, ma per finir con l’arme ingiuria e risse. Urta il cavallo, e vien dietro alla pésta
né
si
tanto, ch’a un tempo con lor quasi arriva. Quanto sua giunta ad ambi sia molesta, chi vive amando, il sa, senza ch’io ’l scriva. Ma Bradamante offesa piu ne resta, che colei vede, onde il suo mal deriva. Chi le può tor che non creda esser vero
che l’amor ve
la
sproni di Ruggiero?
o non puotc: Non vuole, dice il poepoi aggiunge maliziosamente; non può; Bradamante, intenerita dal carezzevoXJ-.
ta,
le
ma
accento di Ruggiero, è U H per piangere. 24. che parean... impressi: tutti uguali. I
due giovani
ma
linosa: aveva ben altro da fare, in quel
mento, tombali
mo-
fanciulla, che leggere le epigrafi
la 1
34. in questo 43. molesta:
mezzo: nel frattempo. po era Marfisa, animata
la
è
un
da purissimo furore guerriero, è ridotta
paesaggio magico. La tomba (cfr. ottava guente) è quella del mago Atlante.
se-
rar>go di
27. ta
vi
fanno appena caso,
con brevi carmi: con una breve
scrit-
in versi. 29.
parmi: mi pare. Altra sfumatura ma-
46.
incomodo ». onde... deriva: Il male m
al
terzo
di
Bradaman-
ed è gelosa proprio di Marfisa. Il suo arrivo colà sembra fatto appost.n per confermare i suoi sospetti. te è la gelosia,
Antologie^- della letteratura italiana
156
E
perfido Ruggicr di
— Non
ti
nuovo chiama.
bastava, perfido (disse ella),
che tua perfidia sapessi per fama,
non mi facevi anco veder quella.? Di cacciarmi da te veggo c’hai brama: se
c per sbramar tua voglia iniqua e
fella,
ma
sforzerommi ancora che muora meco chi è cagion ch’io mora. Sdegnosa piu che vipera, si spicca, 10 vo’ morir;
—
cosi dicendo, e va contra Marfisa;
scudo
et allo
che
l’asta si le appicca,
la fa a dietro riversare in guisa,
che quasi mezzo l’elmo in terra ficca; né si può dir che sia colta improvisa :
anzi fa incontra ciò che far
si
puote;
c pure in terra del capo percuote.
La
figliuola
d’Amon, che vuol morire
o dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia, che non ha mente di nuovo a ferire con l’asta, onde a gittar di nuovo l’abbia;
ma
le pensa dal busto dipartire capo mezzo fitto ne la sabbia: getta da sé la lancia d’or, e prende 11
la
spada, e del destrier subito scende.
Ma
tarda è la sua giunta; che
si
trova
Marfisa incontra, c di tanta ira piena (poi che s’ha vista alla seconda prova
cader
si
facilmente su l’arena),
che pregar nulla, e nulla gridar giova a Ruggier che di questo avea gran pena: si
l’odio e l’ira le guerriere abbaglia,
che fan da disperate
la battaglia.
perfido: traditore. 52. quella:
è Marfìsa,
ma
il
pronome
è
pronunciato con iroso disprezzo. 54. fdla: sleale e crudele. 55. io vo* morir, ccc.: Vuole morire (una delle tante esagerazioni degli innamorati) ma vuole che con lei muoia Marfìsa, cagione della sua morte. 57. |nd che vipera: l'appellativo è anch'esso in chiave comica e ci riporta a una sfera tutta quotidiana di rissa fra donne.
Altrettanto comico, subito dopo, il capitombolo di Marfìsa, con l'elmo, e la testa dentro, conficcati per metà in terra. 63. anzi... puote: si difende con. tutte le forze. 73.
tarda...
giunta: arriva tardi. Bastava
molto meno per far saltar la mosca al naso all’ impulsiva e impetuosa Marfisa! è balzata su come un gatto arrabbiato. 79. abbaglia: offuscano loro la mente. 80. Si battono, cioè, all' ultimo sangue
Ludovico Ariosto
157
A
mezza spada vengono
e per
gran superbia che
la
van pur inanzi, e
Le
si
son già
spade,
sotto,
si
non puon che venire
ch’altro
botto;
di
l’ha accese,
alle prese. 85
cui bisogno era interrotto,
il
nuove offese. Priega Ruggiero e supplica amendue, ma poco frutto han le parole sue. Quando pur vede che ’l pregar non
lascian cadere, e cercan
di partirle per forza
mano ad amendua
leva di
d’un cipresso
et al piè
vale, 90
dispone:
si
li
il
pugnale,
ripone.
Poi che ferro non han piu da far male,
con
priéfghi e
ma
tutto è invan: che la battaglia fanno
a
con minaccie s’interpone: 95
pugni e a calci, poi ch’altro non hanno. Ruggier non cessa: or Funa or l’altra prende
per
man, per
le
le braccia, e la ritira;
e tanto fa, che di Màrfìsa accende
contra di
sé,
quanto
Quella, che tutto
si
può
mondò
il
piu, l’ira.
vilipende,
amicizia di Ruggier non mira.
alla
Poi che da Bradamante
si
distacca,
corre alla spada, e con Ruggier s’attacca.
— Tu
fai
da discortese e da
105
villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;
ma
mano
farò pentir con questa
ti
che vo’ che basti a vincervi ambedui.
Cerca Ruggier con parlar molto Marfìsa mitigar; trova in
la
ma
modo
—
umano no
contra lui
disdegnosa e
fiera,
ch’un perder tempo ogni parlar seco
era.
All’ultimo Ruggier la spada trasse, poi che
81.
A mezza
l’ira
anco
lui fe’
spada; combattono n distan-
za ravvicinatissima, cercando di ferirsi,
non
mica
a corpo vede poi, di pupovero Ruggiero che
venire alle prese: combattere
a corpo a colpi,
come
gnale. Comicissimo
il
si
cerca invano di far da paciere. 90. per forza: 96. a
pugni e
giunge
guerriere se
culmine:
al le
danno
una amena baruffa
di difendersi.
84.
rubicondo.
con a
la
calci:
ira
e
le
santa
co-
cavallerescKc
ragione.
È
fra future cognate.
Marfisa è facile alsuperba della sua forza
vilipende:
altezzosa,
guerriera.
Non 108. che vo* che basti, ecc. uno, vuol vincerli tutti e due. 114. rubicondo: rosso in viso. :
violenza.
La situazione
xoi. che...
r
di
le basta
158
Antologia della letteratura italiana
Non
credo che spettacolo mirasse
Atene o
Roma
che COSI
a’
come
o luogo
giocondo
dilettò questo e fu
quando
gelosa Bradamante,
alla
questo
mondo,
altro del
riguardanti dilettasse,
pose ogni sospetto in bando.
le
La sua spada avea
tolta
di
ella
terra,
e tratta s’era a riguardar da parte;
e le parea veder che fosse
Ruggiero
Una
furia infernal
alla
’l
dio di guerra
possanza e
quando
all’arte.
sferra
si
sembra Marfìsa, se quel sembra Marte. Vero è ch’un pezzo il giovene gagliardo di non far il potere ebbe riguardo. Sapea ben la virtù de la sua spada; che tante esperienze n’ha già
Ove
fatto.
giunge, convien che se ne vada
l’incanto, o nulla giovi, e stia di piatto: SI
che ritien che
’l
di taglio o punta,
Ebbe
ma
colpo suo non cada
ma
sempre
di piatto.
questo Ruggier lunga avvertenza:
a
perde pure a un tratto
pazienza;
la
perché Marfisa una percossa orrenda
mena
gli
Leva
lo
per dividergli
scudo che
Ruggiero, e
’l
’l
la testa.
capo difenda
colpo in su l’aquila pesta.
Vieta lo ’ncanto che lo spezzi o fenda;
ma
di stordir
potea
gli
non però
il
braccio resta:
altr’arme che quelle d’ Ettorre,
s’avea
e
fiero
il
colpo
il
braccio tórre:
e saria sceso indi alla testa,
disegnò di
ferir l’aspra
Non credo che 115-18. Non credo, ccc. alcuno spettacolo, neppure in splendide città come Atene e Roma, ecc.,iosse cosi bello e dilettevole per gli spettatori, come questo :
per Bradamante, gelosa.
lo fu
quando,
ecc.
Può quindi mettersi la
;
in
un angolo
e godersi
scena. 128.
non
di
non
far,
ecc.
:
ebbe riguardo di
fare quello che avrebbe
cioè,
di difendersi
e di
non
male
a
La sua spada
è
far del
Marfisa. 131-32. tale, che,
Ove giunge,
ecc.:
dov’essa giunge, a nulla valgono
incantesimi o se ne stanno nascosti,
poiché le tolse ogni sospetto nei confronti di Ruggiero. Se si batte con Marfisa, è segno che non l’ama. 119.
dove
donzella.
potuto; cercò,
cienti.
Non
valgono contro
il
suo
ineffi-
terribile
armi fatate. sì che ritien, ecc.: trattiene il colpo, in modo da non colpire di taglio o di punta, ma di piatto, si da non ferire Marfisa. 140. pesta: si abbatte sull’aquila che portaglio
133.
tava quale
emblema
nello scudo.
.
Ludovico Ariosto
^59
Ruggiero il braccio manco a pena muove, pena più sostien l’aquila bella. Per questo ogni pietà da sé rimuove; par che negli occhi avampi una facella: e quanto può cacciar, caccia una punta Marfìsa, mal per te, se n’eri giunta! Io non vi so ben dir come si fosse: la spada andò a ferire in un cipresso, a
e in
un palmo
e più
**
ne l’arbore cacciosse:
modo era piantato il luogo momento il monte e il
In quel
un gran tremuoto; e
si
senti
spesso.
piano scosse con esso
da quell’avel ch’in mezzo il bosco siede, gran voce uscir, ch’ogni mortale eccede. Parla lo spirito d* Atlante, morto di dolore per non essere riuscito ad allontanare da Ruggiero quel destino che lo porterà in breve a
morire per tradimento dei Maganzesi, e rivela che questi e Marfisa fratelli, da lui allevati; se non che Marfisa venne un giorno ra-
sono
da predoni Arabi.
pita
di recarsi a Parigi con
Lo
I due fratelli Bradamante
si
abbracciano.
Marfisa decide
scontro di Lipadusa
luna, Astolfo mette a posto ogni cosa. Va dairimpcratore che gli fornisce un grande esercito per combattere i musulmani. Mancano, veramente, i cavalli, ma è un giochetto procurarseli per un protetto ili S. Giovanni. Getta dei sassi a terra, innalza una preghiera, c i sassi diventano cavalli. Con mezzi consimili (fronde gettate nel mare) si procura una flotta, poi devasta il regno d’Agramante, ritrova Orlando, lo risana facendogli annusare rampolla che contiene il suo cervello, e con lui assedia e prende Biserta. Frattanto r esercito di Agra mante è quasi distrutto in Francia, per opera soprattutto di Bradamante e Marfisa. Il re fugge con le truppe scampate, ma viene assalito e disfatto in mare dalla flotta miracolosa di Astolfo condotta da Dudone, e si salva
Ritornato dalla
d’ Etiopia,
a stento.
Però la guerra, nel Furioso, non è una faccenda strategica, bensì cavalleresca: non può concludersi con la rotta di un esercito, ma solo con una singoiar tenzone fra i capi. Manda dunque Agramante la sfida ad Orlando; insieme con Sobrino e Gradasso si batterà a Lipadusa contro tre cavalieri cristiani. Orlando accetta e sceglie come compagni il cognato Oliviero e l’amico Brandimartc.
una facella: una fiaccola, una fiamma. quanto può cacciar, ccc. c vibra, con tutta la sua forza, un colpo di punta. 150.
151. c
:
154. a ferire, ccc.: 160.
a colpire
eh’ ogni mortale eccede:
ogni voce mortale.
un
cipresso.
superiore a
Antologia della letteratura italiana
i6o
conclusione definitiva della guerra. Posto ormai alla fine XLII), segna l’inizio della smobilitazione generale di donac, cavalieri, armi, amori. Restano ancora due storie da concludere, e questo avviene negli ultimi quattro canti: Rinaldo rinsavisce, liberandosi dal suo folle
Questo scontro è
del
poema
(canti
la
XLl
e
amore per Angelica, c Ruggiero, assolto ogni suo dovere cavalleresco verso Agramante, può finalmente battezzarsi c sposare, dopo un ultimo sussulto di avvenBradamante. NelPultimo canto viene anche eliminato l’ultimo strascico della guerra, con una « finalissima » fra Ruggiero e Rodomonte. Questi, che si era rifugiato in una caverna per la vergogna di essere stato disarcionato da Bradamante e aveva fatto voto di non portare armi per un anno, riemerge all’improvviso durante le nozze di Bradamante e Ruggiero e viene ucciso da quest’ultimo dopo un fiero ture,
duello.
Lo scontro di Lipadusa non si svolge nell’atmosfera fantastica, mobile c avventurosa che domina nel poema. È una lotta aspra e mortale, sapientemente orchestrata dal poeta, rattristata dalla morte di Brandimarte, figura nobile e generosa, e dallo strazio di Fiordiligi,
squallida e mesta di quel col dolore d’
campo
sua tenera
di battaglia
Orlando per l’amico morto,
sposa.
Termina con
dove giacciono
col senso diffuso di
i
una
visione
la
morti e
i
feriti,
vittoria senza
È una pagina epica, più che romanzesca, la conclusione austera di quella guerra che è stata fin qui il pretesto c la cornice di tante fantasiose avventure.
gioia.
Pel di della battaglia ogni guerriero
nuovo
studia aver ricco e
Orlando riccamar l’alto
Un
fa
abito indosso.
nel quartiero
Babel dal fulmine percosso.
can d’argento aver vuole Oliviero,
che giaccia, e che
la
lassa abbia
dosso,
sul
con un motto che dica: Fin che vegna: e vuol d’oro la veste, e di sé degna.
Fece disegno Brandimarte, della battaglia,
per
e per suo onor, di se
non
di
giorno
il
amor del padre, non andare adorno
sopravveste oscure et adre.
Fiordiligi le fe’ con fregio intorno,
quanto piu seppe
far,
Canti XLI: ottave 30-34 c 99-102; XLII: 7-16.
Orlando fa 3-4. Orlando riccamar, ccc. ricamare nella fodera dello scudo {quartiero indicherebbe propriamente una delle quattro parti in cui poteva essere divisa la superficie di uno scudo) l’ alta torre di Babele percossa dal fulmine scagliato da Dio, volendo con questo significare che avrebbe :
abbattuto
la
6. la lassa: 7.
tracotante superbia saracena. il
Cioè: sarò pronto a gettarmi, al momento opportuno, sul nemico come il cane, libero dal guinzaglio, sulla preda. L’insistenza dell’A. su questi motti e stemmi s’addice alla solennità epica e cavalleresca propria di questo duello. IO.
la
preda.
amor
per
del padre: era
morto da po-
chi gior'ni. 12. di ste
sopravveste...
adre:
La sopravve-
nera e cupa {adra) sembra già un predi morte che lo atintimamente e misteriosa-
sentimento del destino tende
guinzaglio.
Fin che vegna-: Finche venga
e leggiadre.
belle
mente
c
si
all’
lega
ansia
di
Fiordiligi.
Ludovico Ariosto
l6i
gemme
Di ricche
il
fregio era contesto;
d’un schietto drappo, e tutto nero
Fece
donna
la
vesti a cui
di sua
man
l’arme converrian piu
de’ quai l’oshergo
groppa al Ma da quel di continuando a c dopo ancora, e la
il
cavallier
cavallo e
fine,
cuopra,
si
petto e
*1
resto.
il
sopra-
le
’l
crine.
che cominciò quest’opra, quel che
le
mai segno
die’
fine,
di riso
non potè, né d’allegrezza in viso. Sempre ha timor nel cor, sempre tormento, che Brandi marte suo non le sia tolto. far
Già
veduto in cento lochi e cento
l’ha
in gran^ battaglie e perigliose
avvolto;
né mai, come ora, simile spavento le
agghiacciò
sangue e impallidille
il
volto;
il
c questa novità d’aver timore le
fa
tremar di doppia tema
il
core.
Poi che son d’arme e d’ogni arnese in punto,
alzano
vento
al
cavallier le vele;
i
Astolfo e Sansonetto con l’assunto
riman del grande
esercito fedele:
Fiordiligi, col cor di timor punto,
empiendo
il
quanto con segue
le
cicl
di voti e di querele,
vista seguitar le puote,
vele in alto
mar remote.
i cavalieri saraceni e quelli cristiani giungono a Lipadusa accampano. All alba del giorno seguente comincia la battaglia. Oliviero e Sobrino sono disarcionati; Gradasso stordisce con un gran
Frattanto
e
si
15-16.
Di ricche gemme,
ccc.
:
Il
fregio
da Fiordiligi è composto di un drappo non ricamato (schietto) unito a un ricamo nel quale erano incastrate gemme. r8. a cui 1 ’ arme, ccc.: Brandimarte avrebbe dovuto possedere un’armatura di tempra piu salda; ma aveva perduto le sue armi combattendo con Rodomonte sul ponticello accanto al mausoleo di Issabella e aveva dovuto accontentarsi di un’armatura di minor pregio, per questo duello. 25-32. Il presentimento triste di Fiordili(atto
gi è
come un
taglia,
tutta
avventure,
cruenu.
patetico preludio a questa bat-
non variata da favolose avvolta da una luce triste e
scria,
ma
31-32. e questa novità, ccc.: Quella stessa paura che serpeggia in lei, inspiegabile, ma agghiacciante, le procura una pena c un ti-
more mai
provati.
33. in punto:
forniti
di tutto punto.
34. alzano
vento,
ccc.
al
:
i
cavalieri
si
trovano in Africa, dove stanno devastando regno di Agramantc; per lo scontro è il stata invece scelta 1 isola di Lipadusa. ’
al comando dcl35. con l* assunto, ccc. l’cscrcito fornitogli dal Senàpo, favoloso re :
d* Etiopia. 38. querele: lamenti, pianti. 40. segue le vele: il verso prolunga inde-
finitamente sulla distesa sterminata del mare l’angoscia presaga di Fiordiligi.
Antologia della letteratura italiana
IÓ2
colpo Orlando, che è portato in salvo dal cavallo; ma mentre lo in segue, s*avvede che Brandimarte sta per sopraffare Agramante.
Volta Gradasso, c piu non segue Orlando;
ma, dove vede
Agramante,
re
il
accorre.
L’incauto Brandimarte, non pensando
Orlando costui lasci da sé torre, non gli ha né gli occhi né ’l pensiero, instando il coltel nella gola al Pagan porre. Giunge Gradasso, e a tutto suo potere con la spada a due man l’elmo gli fere. eh’
Padre del del, dà fra gli eletti tuoi luogo al martir tuo fedele,
spiriti
che giunto
al
de’
fin
tempestosi suoi
ormai lega
viaggi, in porto
vele.
le
Ah
Durindana, dunque esser tu puoi al tuo signore Orlando si crudele, che la più grata compagnia e più fida
mondo, innanzi
ch’egli abbia al
Di
ferro
un
tu gli uccida?
duo
cerchio grosso era
dita
intorno all’elmo, e fu tagliato e rotto dal gravissimo colpo, e fu partita la cuffia
dell’acciar ch’era di
sotto.
Brandimarte con faccia sbigottita giù del destrier
fe’
correr di sangue Il
Conte
ed ha
il
si
riversò di botto;
si
e fuor del capo
con larga vena
un fiume
risente,
in su l’arena.
e gli occhi gira,
suo Brandimarte in terra scorto^
e sopra in atto
il
Serican gli mira,
che ben conoscer può che glie l’ha morto.
44. costui lasci, si
ecc.
:
lasd che Gradasso
52. in porto;
tolga dalle sue mani. 45. instando: sforzandosi di. 48. fere; colpisce. Gradasso
c
porto della morte. nei confronti del tuo Proprio essa, infatti, ha
il
54. al tuo signore:
signore,
ha
Orlando.
spada Durindana, che Orlando aveva perduto du-
ucciso l’amico più fedele del paladino.
rante la sua follia.
fu divisa in due parti. con faccia sbigottita: assai di rado l’A. ha espresso cosi realisticamente la fissità dello sguardo di un morente. 65. si risente: Orlando si riscuote, riprende i sensi.
la
Padre del ciel, ecc.: La preghiera mostra la commozione dell’ A. davanti alla morte di Brandimarte, figura nobile di guerriero valoroso e di amico leale e fedele di Orlando. Egli muore, come un autentico cavaliere antico, combattendo eroicamente per la fede, ed c per questo chiamato mar49.
tire.
56. innanzi:
proprio davanti agli occhi.
59. fu partita: 61.
66. il
il
suo:
il
possessivo indica
1’
affetto e
dolore di Orlando. 67-68.
il
Serican. Gradasso, re di Sericana,
Ludovico Ariosto
163
Non so se in lui potè piu ma da piangere il tempo che restò
duolo o Tira;
il
avea
si
corto,
duolo, e Tira usci più in fretta.
il
Qual nomade
pastor, che vedut’ abbia
fuggir strisciando Torrido serpente
che
il
stringe la
tal
che giocava nella sabbia,
figliuol,
ha
ucciso gli
col
spada, d’ogni altra più tagliente,
stringe con ira il
venenoso dente,
baston con collera e con rabbia;
il
primo che
il
cavallier d’Anglante:
trovò, fu
*1
re
Agramante,
che sanguinoso, e della spada privo,
con merzo scudo, e con Telmo e ferito in più parti s’era
di
man
di
ch’io
disciolto,
non
Brandimarte
scrivo,
tolto,
come di piè alTastor sparvier mal vivo, a cui lasciò alla coda invido o stolto. Orlando giunse, e messe il colpo giusto ove il capo si termina col busto. Sciolto era Telmo, e disarmato il collo, SI che lo tagliò netto come un giunco. Cadde, e die’ nel sabbion l’ultimo crollo
del regnator di Libia
grave trunco.
il
Corse lo spirto alTacque, onde
Caron nel legno suo col Orlando sopra lui non
ma
trova
corrispondente, grosso
il
modo,
alla
Cina. mor>
ma da piangere, ecc. ma aveva poco tempo di piangere (non era quello momento) che il dolore restò nel cuora (
70-71.
:
così
r
ira si riversò terribile all’ esterno.
72.
nomade:
della
Nutnidia,
nell* Africa
settentrionale.
venenoso: velenoso. primo che trovò, ecc.; Di solito il il periodo termina con 1’ ultimo verso delr ottava, ma questa si prolunga in quella seguente con un ampio e concitato movimento ritmico che ti dà il senso del pre75.
79.
cipitare te
fino
detta.
violento di al
terribile
si
ritarda,
Serican con Balisarda.
to: ucciso.
il
tirollo
graffio adunco.
Orlando su Agramancompimento della ven-
85. a cui... coda: Difficile è l’ interpretazione di queste parole. 11 significato
più probabile dei due versi è: Come si tosi strappa mezzo morto dagli artigli di un astore uno sparviero (sono ambedue uccelli di rapina, ma il primo è più forte) che per invidia della preda o per stoltezza (non comprendendo di essere più debole) glie,
di hnciarsi anch’esso, prima del rapace più forte, sulla preda stessa. 86. e messe, ecc.: e vibrò un colpo ben
ha cercato
assestato, perfetto.
91. grave: inanimato, trunco: tronco. 92. airacque: al fiume Acheronte, all’in-
gresso dell’Inferno, e Caronte con un adunco uncino lo trasse fuori per gettarlo fra i
dannati.
Antologia della letteratura italiana
164
Come cadere
vide Gradasso d’Agramante
busto dal capo diviso:
il
quel che accaduto mai non
tremò nel
core, e
si
gli
era innante,
smarrì nel viso;
e all’arrivar del cavallier d’Anglante,
presago del suo mal, parve conquiso. Per schermo suo partito alcun non prese,
quando
il
colpo mortai sopra
Orlando
Tultima costa; c
sotto
nel ventre,
gli scese.
nel destro fianco
lo feri
un palmo
ferro,
il
immerso manco,
usci dal lato
sangue sin all’elsa tutto asperso. Mostrò ben che di man fu del più franco di
e del miglior guerricr dell ’uni verso il
colpo ch’un Signor condusse a morte,
di cui
Di
non era
presto di sella
Pagania
in
Paladin
il
più forte.
il
non troppo
tal vittoria
gioioso,
getta;
si
e col viso turbato e lacrimoso a
Brandimartc suo corre a gran
Gli vede intorno
il
che par ch’aperto abbia un’accetta,
l’elmo,
se fosse stato fral
non
più che di scorza,
con minor forza. Orlando l’elmo gli levò dal viso, ritrovò che ’l capo sino al naso
difeso
c
fretta.
campo sanguinoso:
l’avria
fra l’uno e l’altro ciglio era diviso:
ma
pur
anco rimaso,
gli è tanto spirto
che de’ suoi
falli
al
Re
del
può domandar perdono anzi c confortare
il
Conte, che
101. conquiso: paralizzato dal terrore, senza piu volontà di lotta. 102. Per schermo: non prese alcuna de-
cisione
per
la
propria
difesa.
Lo
sbigotti-
suo restare immoto cingono la sua fine di un’aura di cupa fatalità. Anche il gran colpo di Orlando, la spada insanguinata fino all* elsa accrescono
mento
la
di
Gradasso,
il
cupozza della scena. 108. franco: 12^. falli:
dolore,
1’
nome domanda
invocazione, da parte del caduto,
donna amata) e religiosi (la perdono a Dio e quella finale melodia d’angeli che non attenua però la
del
della
di
del trapasso). L’atmosfera patetica perdura anche nelle ottave seguenti. ha ancora la 125. può domandar, ecc. forza di chiedere perdono a Dio prima dclla^ morte (occaso = tr^onto) e confortare Or-
tristezza triste
:
È
il
momento
conclu-
grande scena di battaglia, e ha un tono grave, composto, dolente. La morte dei due re pagani ha l’aspetto di un sivo di questa
l’occaso;
gote
crollo irreparabile e totale; quella di Brandimarte è sollevau in una luce di purissimi affetti umani (l’amicizki di Orlando e il suo
e
prode.
peccati.
le
Paradiso
lando che piange dirottamente, esortandolo alla rassegnazione (pazienza).
Ludovico Ariosto
165
sparge di pianto, a pazienzia puotc; c dirgli:
— Orlando,
me nell’orazion tue men ti raccomando
di
né
che
fa’
raccordi
ti
grate a Dio:
mia
la
—
Fiordi...,
Ma dir non potè ligi; e qui finio. E voci e suoni d’angeli concordi tosto in aria s’udir, che l’alma uscio;
qual, disciolta dal corporeo velo,
la
fra dolce
melodia
nel cielo.
sali
Orlando, ancor che di
devoto
SI
fine, e
che Brandimarte salito era,
che
’l
dovea allegrezza
far
sapea certo
alla
suprema altezza
ciel
gli
vide aperto;
pur dalla umana volontade, avvezza coi fragil
ch’un c
tal
sensi,
male era
piu che fratei
non aver
di pianto
sofferto
gli
fosse tolto,
umido
volto.
il
Sobrin, che molto sangue avea perduto,
che
gli
piovea sul fianco e sulle gote,
pezzo era caduto, le vene vote. Ancor giacca Olivier, né riavuto
riverso già gran e aver ne
il
dovea ormai
piede avea, né riaver lo puote
se gli
non ismosso, fece
il
c dallo star che tanto
dcstrier sopra,
128. raccordi; ricordi. 130. la
mia
Fiordi...:
la Il
nome amato
si
spezza come in un singhiozzo sulle labbra del morente. 13 1. finio: fini, mori. 133. tosto...
che:
non appena.
:
dominata dalla
fragilità dei sensi,
non
riusciva a sopportare senza sofferenza e pianto
infranto...
perdita di chi era stato pid che un fratello
per
lui.
130. ismosso,
dal
con
la
squallida i
pressione gioia. ligi,
ecc.:
slogato e quasi rotto
peso del cavallo. La battaglia
giacciono
136-37. ancor che: sebbene dovesse essere contento che l’amico fosse morto cosi santamente, guadagnandosi il Paradiso. pur dalla umana, ecc. Tuttavia la sua debole volontà umana, avvezza ad essere
mezzo
morti e
di
Grande
che
si
scena i
del
feriti,
sofferenza,
termina
campo,
in
cui
con questa im-
di
vittoria
senza
sarà poi lo strazio di Fiordi-
farà costruire
una
cella presso
il
sepolcro del marito e morrà dopo pochi mesi di passione, fra preghiere e penitenze. Oliviero sarà risanato da un eremita, Sobrino, visto il miracolo, si farà cristiano.
Niccolò Machiavelli
La
vita
Niccolò Machiavelli nacque a Firenze
il
3
maggio 1469 da una
nobile e
antica famiglia fiorentina. Sulla sua giovinezza, sui suoi studi e sulle sue
esperienze del
marzo
non sappiamo quasi
nulla fino al 1498; abbiamo una sua lettera, una critica serrata all’azione politica
di questo anno, che contiene
del Savonarola, ed è discutibile in
giudizio c di
sé,
ma
che già preannunciano
stile
condotta con una risolutezza di il
futuro scrittore. Nello stesso
anno fu nominato segretario della seconda cancelleria della Repubblica, un ufficio in sé non molto finportante, ma che gli permise di mettere in luce le
sue capacità c
attiva alla quale
specialmente
il
suo ingegno, di entrare, soprattutto, nella vita politica
il
si
sentiva irresistibilmente attratto.
Ben
presto
i
governanti.,
Soderini, gonfaloniere della Repubblica, che aveva fiducia
nel suo ingegno e nella sua lealtà, cominciarono a inviarlo fuori di Firenze,
come
ma
« osservatore », con impegni, cioè, c qualifica esteriormente limitati,
in realtà di
una
Nell’assolvere
le
certa importanza, ed egli corrispose alla loro aspettativa.
sue missioni
si
trovò nei punti nevralgici della politica
ed europea del tempo. Ricordiamo le due commissarie in Francia, presso la corte di Luigi XII, nel 1500 c nel 1504, quelle al campo deH’csercito fiorentino che assediava Pisa, c quella nel 1502, presso Cesare Borgia, detto il Valentino, figlio del papa Alessandro VI, che si stava costituendo, con azione spregiudicata e senza scrupoli, un vasto dominio nell’Italia centrale c minacciava ormai la stessa Firenze. Piu importanti incarichi esplicò dopo il 1506, quando la relativa tranquillità della situazione italiana c fiorentina degli anni precedenti fu improvvisamente fiorentina, italiana
sconvolta dal pontefice Giulio II c dal re di Francia, Luigi XII. In questi
anni fu inviato presso il papa (1506), poi in Germania, presso l’imperatore Massimiliano (1507), poi presso l’esercito fiorentino che nel 1509 riuscì ad avere finalmente ragione dell’ostinata difesa di Pisa, e ancora in Francia (1510), alla vigilia della
proclamazione della Santa Lega, dell’alleanza,
del papa, dei Veneziani e del re di
Spagna contro
i
cioè,
Francesi.
si limitava a osservare le astute e complesse mosse dava anche consigli al governo di Firenze, che si trovava pressoché disarmata, minata aU’interno dai fautori dei Medici e coin-
Il
Machiavelli non
della diplomazia,
ma
Niccolò Machiavelli
167
non si stancava una politica di dignità energia risoluta, di prudentia e armi, per usare una sua frase. Fu, il uno sforzo vano; ma questa esperienza drammatica della vita poligliela fece sentire come estremo e continuo rischio, da affrontare con
volta nella tragica crisi italiana di quegli anni. Per questo, di proporre, ansioso per la sorte della patria diletta,
c di suo, tica
energia consapevole e implacabile, per salvarsi dalla rovina continuamente
incombente (erano quelli gli anni in cui gli Stati italiani più potenti conoscevano crolli repentini e totali). Fu questa la lezione delle cose moderne che egli um, nella sua meditazione politica, allo studio degli antichi, e che spiega lo sfondo costantemente drammatico del suo pensiero, la sua tensione attiva, il suo incitamento all’azione energica e audace. I primi frutti delle sue speculazioni teoriche sono rappresentati da alcune relazioni rapide e concise di questi anni. Fra il 1502 e il 1503 compose le Parole da dirle sopra la provvisione del danaio (rivolte alla Signoria fiorentina),
il
modo di trattare i popoli della Vcddichiana ribelmodo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare
saggio Del
Descrizione del
la
lati,
Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, ecc. (il Machiavelli vedeva nel Valentino un pericolo incombente su Firenze). Seguirono il Ritratto delle cose della Francia e il Ritratto delle cose della Magna (= Germania) e, prima, il Discorso ddV ordinare lo stato di Firenze alle armi, scritto quando il
Machiavelli era riuscito a fare approvare
milizie mercenarie con alla loro
milizie
cittadine,
il
e
si
suo progetto di sostituire le dedicava entusiasticamente
organizzazione.
Frattanto
la
situazione volgeva al peggio per la Repubblica Fiorentina.
la L^ga Santa decideva dominio mediceo in Firenze. Un esercito spagnuolo marciò sulla città, devastò orrendamente Prato, donde le milizie cittadine fuggirono, e poco dopo i Medici rientravano a Firenze (1512). La carriera politica del Machiavelli fu per sempre spezzata: egli fu privato del suo ufficio e confinato per un anno nella sua villa all’Albcrgaccio, presso S. Casciano. Anzi, quando fu scoperta la congiura del Boscolo e del Capponi contro i I
Francesi, suoi alleati, erano espulsi dall’Italia e
di restaurare
il
Medici, sospettato di complicità, fu arrestato e torturato. vare
la
Durante questo forzato tica attiva,
scrisse,
fra
il
e
non mai rassegnato
’i2 e
il
'25,
quasi tutte
coi grandi storici dell’antichità i
riuscì a pro-
distacco dalla vita polile
sue opere più grandi,
un
frutto delle meditazioni appassionate sul presente e di
luogo
Ma
propria innocenza.
Discorsi sopra la
Prima Deca
è in gran parte affidata la sua gloria.
autonoma,
la politica,
gione, con la quale
i
ideale colloquio
romana, soprattutto con Tito Livio: in primo di Tito Livio c
Con
il
esse fondava
Principe, ai quali
una nuova scienza
distinguendola decisamente dalla morale c dalla relil’avevano inscindibilmente congiunta.
teorici precedenti
Essa partiva dallo studio dell’uomo e della realtà effettuale, cioè dal suo le leggi universali che regolano
concreto agire, cercando di trarre di qui
la vita degli stati e la storia, concepita come creazione puramente umana, senza alcun intervento provvidenzialistico. E poiché l’uomo era, secondo il Machiavelli, sempre uguale a se stesso, nonostante il variare dei tempi e
delle
circostanze, era
possibile,
nella
ricerca
di
queste leggi,
fondarsi
sia
Antologia della letteratura italiana
i68
sullo studio della realtà presente, sia su quello del passato e sul colloquio
che della natura umana avevano saputo cogliere ed esprimere alcuni caratteri universali. Comunque, la meditazione del Machiavelli non approdava a una contemplazione disinteressata, era piutcoi grandi classici antichi
tosto
una norma
a ritrovare
rivolta
comprendere
moto
il
sare e scrivere, per lui, erano pur 10
attuale
d’azione,
che
consentisse
di
alterno degli eventi e di incidere sul suo corso. Pen-
sempre un modo d’agire, che da un
confortavano della sua vita grama, dall’altro
gli
lato
consentivano di sperare
la sua città e per l’Italia. Nascono soprattutifo da tono appassionato e drammatico delle sue pagine, suo stile denso e potente di grande scrittore. Nel 1513, il Machiavelli imprendeva la composizione dei Discorsi, nei
un migliore avvenire per questa febbre d’azione 11
quali la storia
romana diveniva
guidano
leggi che
per scrivere
la
pretesto d’una profonda meditazione sulle
degli Stati.
la vita
sua opera più celebre,
che proponeva
tante,
fondazione, in
il
Italia,
Italiani
agli
un
di
Ma il
nello stesso
anno
li
interrompeva^
Principe, un’opera di politica mili-
una generosa e appassionata utopia: la monar-
forte Stato unitario, simile alle grandi
chie di Francia e di Spagna, che la liberasse dalle invasioni straniere, dallo strazio e daU’avvilimento presente. Il
Machiavelli dedicava l’opera a Giuliano de’ Medici (poi, più tardi, a
Lorenzo), sperando che lo
la
sua potente famiglia assumesse l’iniziativa e che
richiamasse alla vita politica attiva.
Ma
l’una e l’altra speranza riuscirono
vane, ed egli continuò a scrivere e a meditare in solitudine.
Compose
i
Dialoghi delVarte della guerra^ e, nel ’iq, richiesto del suo parere per una progettata riforma della costituzione fiorentina, il Discorso sopra il rifor,
mare
lo
Stato
di Firenze-,
infine,
nel
1520,
per
Giulio de* Medici, ebbe dallo Studio fiorentino storia della città.
iniziativa l’incarico
L’opera fu condotta a termine nel
del di
cardinale
scrivere
la
*25, col titolo di Istorie
i Medici cominciavano a servirsi di lui per incarichi modesta portata. In relazione a uno di essi, che lo portò a Lucca per un breve soggiorno, nacque una delle sue monografie più vivaci, la Vita
fiorentine. Frattanto
di
di Qastruccio Castracani.
In questi anni,
il
Machiavelli svolse anche un’attività più propriamente
letteraria. Scrisse alcuni Capitoli in versi sull’ingratitudine, la fortuna, l’am-
bizione, l’occasione, compose L'Asino d'oro, un poemetto satirico, e le commedie: prima una traduzione deWAndria di Plauto, poi la Clizia e infine un vero capolavoro, la Mandragola (1520) la più bella commedia del Cinquecento e una delle più belle del nostro teatro. La vicenda in essa
proprio di questo genere letterail gusto allora da una moralità sofferta, da uno studio acuto e insieme desolato dell’uomo. A queste opere della maturità ne vanno aggiunte altre giovanili, Decennali, un poemetto di scarso valore, contenente la storia versificata di due decenni della storia contemporanea^ canti carnascialeschi, narrata è oscena, secondo
rio,
ma
riscattata
i
sonetti e rime, e la gustosa novella Belfagor, che racconta le disavventure d’un diavolo che viene sulla terra e prende moglie. Gli ultimi due anni della vita del Machiavelli sono di nuovo occupati da vicende travagliose. Quando, nel *25, l’Italia era minacciata da Carlo V,
Niccolò Machiavelli
169
tentò di costituire un piano di difesa, appoggiandosi alle Giovanni dalle Bande Nere. Ma nd *27 avveniva il sacco di opera dei lanzichenecchi. 1 Medici erano di nuovo cacciati da il Machiavelli cercava invano di porsi al servizio della restaurata perche il suo contegno nel periodo della signoria medicea lo sospetto. Mori nello stesso anno. egli
Per
i
testi
abbiamo seguito: Tutte
cura di G. Mazzoni e
M.
le
truppe di
Roma, ad Firenze e repubblica,
aveva reso
opere storiche e letterarie di N. Machiavelli, a
Casella, Firenze, Barbera,
1929.
Parole da dirle sopra la provvisione del danaio Nel 1503, Tesperienza politica già quinquennale del Machiavelli approda a una prima sistemazione teorica in tre scritti: la Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, tl Signor Pagalo e il Duca di Gravina Orsini; Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati',
e le Parole, delle quali riportiamo
i
punti salienti.
composto su invito del Soderini, cancelliere della Repubblica Fiorentina, per persuadere i cittadini al pagamento di nuove imposte {provvisione del danaio), onde fronteggiare la grave crisi dello Statò. Il Machiavelli allude appena al problema finanziario; a lui interessa soprattutto tracciare un conciso c drammatico ritratto della situazione densa di pericoli in cui si trovava la sua città, inerme, c incapace quindi di una politica vigorosa, in balia di vicini avidi c potenti (i Veneziani, il papa) o di alleati malfidi (Luigi XII), c insidiata da un conquistatore senza scrupoli, il Valentino. L’urgenza del pericolo, avvertito con amara ma virile chiaroveggenza, c l’amore Il
discorso fu
.
per la patria spiegano
tono lucido c insieme appassionato di queste pagine, la incisiva c drammatica. In esse appaiono temi di pensiero che resteranno fondamentali ncH’ultcriorc meditazione del Machiavelli. C’ è, in primo luogo, la persuasione che il rapporto fra gli Stati c essenzialmente un rapporto di poten2:a, dominato dalla forza e dalla capacità di espanloro eloquenza scarna,
il
ma
sione, non dalla lealtà o, comunque, da una legge morale. Di conseguenza, il Machiavelli vede svolgersi là vita politica, in un mondo denso di pericoli o di minacce, insidioso e senza pietà, che può essere dominato solo da. una chiara consapevolezza e da un’energia spietata: da una sintesi, cioè, di prudentia e armi.
Tutte
le città le quali
principe soluto,
mai per alcun tempo
per ottimati o per popolo,^
si
come
sono governate per si
governa questa,
hanno avuto per defensione loro le forze mescolate con la prudenzia; perché questa non basta sola * e quelle o non conducono le cose o condotte non le mantengano. Sono dunque queste due cose el nervo di 1. ti sono... populo: 4ono state governate o da un principe assoluto, o dagli aristocratici {ottimati), o da un governo di popolo,
come Firenze 2.
a quei
tempi.
questa non basta sola, ecc.
:
la
prudenza,
cioè
il
senno
e
1’
intelligenza
politica,
basta a conservare lo stato se non
sia
non con-
giunta alla forza, e d’altra parte, quest’ultima ha bisogno della prudenza per divenire azione politica valida e consapevole.
Antologia della letteratura italiana
170
tutte le signorie’ che
fumo o
che saranno mai
osservato le mutazioni dei regni,
non
le
mine
mondo:
al
e chi ha
delle provinole e delle città,
ha vedute causare da altro che dal mancamento delle armi o Dato che le Prestanze vostre* mi concedine questo esser®
le
del senno.
come egli è, séguita di necessità che voi vogliate che nella vostra Puna e l’altra di queste due cose, e che voi ricerchiate bene ci sono per mantenerle è se le non ci sono per provederle.
vero,
città sia
se le
E
veramente io da due mesi indrieto sono stato in buona speranza fine, ma veduto poi tanta durezza® vostra
che voi tendiate a questo resto tutto
E
sbigottito.
vedendo che voi potete intendere e vedere,
perche voi non intendete né vedete quello di che non che altro
maravigliano e nimici
vostri,
mi persuado che Iddio non
ci
si
abbia an-
modo e che ci riserbi a maggior fragello.’ nuovo vi replico che sanza forze® le città non si mantenvengono al fine loro. E1 fine è o per desolazione o per
cora gastigati a suo ...E di
ma
gono
servitù
:
*
voi siete
stati
«E’ non mi fu
detto ».
quest’anno, a l’uno e a
presso,
non mutate
ritornerete se
E
sentenzia.^® Io ve lo protesto; se voi rispondessi: «
noi siamo in protezione del
e nimici
re,^^
“
Che
ci
c vi
l’altro,
non
dite poi:
bisognono forze? Va-
nostri sono spenti, el
lentino “ non ha cagione d’offenderci » vi si risponde tale opinione non potere esser più temeraria, perché ogni città, ogni stato, debbe
reputare inimici tutti coloro che possono sperare di poterle occupare
3. d nervo: il nerbo, il fondamento; signoria qui vale: forma di governo, organizzazione statale. Nota, sin da questi pe-
riodi
iniziali,
varsi
dalla
politica
tendenza del
la
considerazione
M. a
della
titolo onorifico dei
componenti del consiglio supremo. mi concedano 5. mi concedino... esser: ebe sia. 6. ma... durezza: ma avendovi veduti coinerti,
incapaci
di
un’ azione
decisa
e
consapevole.
E
7.
che
i
comprendere fatto
do
che
essi
le
necessità
non
le
del
momento;
comprendano, cosa
il
di
di procedere.
11. in protezione del re:
no
alleati col re di
fra
il
1499 e
il
i
Fiorentini era-
Francia, Luigi XII, che,
1500, aveva conquistato, con
l’aiuto dei Veneziani,
e nimici:
ducato di Milano.
il
nemici; e al posto di i era proprio dell’ uso fiorentino. 13. el Valentino: Cesare Borgia, duca di 12.
Valentinois, si
vedendo... fragello: il M. sa oene governanti fiorentini sono capaci di
opinione e conseguente mo-
10. sentenzia:
Solle-
situazione
immediata, a norme di azione uni-
versalmente valide. 4. le Prestanze vostre:
si
porta la sua distruzione o il suo totale asservimento al vincitore. È una delle frequenti, drammatiche antitesi machiavelliane.
di
figlio
stava costituendo
sonale
r
i
nei
Italia
tica
territori
papa Alessandro VI,
un vasto dominio della
Romagna
e
perdel-
centrale (la zona d’ influenza poli-
fiorentina)
nominalmente,
ma non
fatto, soggetti allo Stato della Chiesa.
di
La sua
cui
gli
fortuna subì un subitaneo e definitivo tra-
gli
fa
collo
stessi nemici loro si meravigliano, pensare che Dio abbia offuscato le loro menti per serbarli a maggior flagello
in questo
morte del padre
anno
1503, in seguito alla
e all’ascesa al trono ponti-
dell’energico Giulio IL
{fragello).
ficio
sanza forze: senza armi, senza una potenza organizzata c pronta alla lotta. 9. o per desolazione o per servitù: la fine di una città o di uno Stato sconfitto com-
inviato in missione presso
8.
l’ottobre del
1502
Firenze, che
si
tente signore.
al
il
II
M.
era stato
Valentino, dal-
gennaio del 1503, da
sentiva
minacciata dal
po-
Niccolò Machiavelli
suo e da chi
el
171
non
lei
si
Né
può difendere.”
fu mai né signoria né
republica savia che volessi tenere lo stato suo a discrezione d’altri o
che tenendolo gliene paressi aver securo.”
Non
inganniamo a partito,” esaminiamo un poco bene e casi cominciamo a guardarci in seno: voi vi troverrete disarmati,
ci
nostri, e
vederete e sudditi vostri sanza fede,” e ne avete, pochi mesi sono, fatto
ed ò ragionevole che
la esperienza:
sia
cosi,
perché
uomini non
gli
possono e non debbono essere fedeli servi di quello signore da el quale e’ non possono essere né difesi né corretti.” Come voi gli avete possuti
o possete correggere lo sa Pistoia, Romagna, Barga: e quali luoghi
sono diventati nidi e ricettacoli d’ogni qualità di latrocinii.”
Né
Come
defendere, lo sanno tutti quegli luoghi che sono
gli avete possuti
voi stati
veggendo ora piu ad ordine che vi siate stati per lo non hanno mutato né opinione né animo.*^ possete chiamare vostri sudditi, ma di coloro che sieno e primi
assaltati.*
vi
addrieto, dovete credere che
Né
gli
ad
assaltarli.
Uscitevi ora di casa e considerate chi voi
mezzo
troverrete in
morte che
la loro
tutta Italia; voi la
e Valentino. Cominciate a considerare el Re.
ed
Costui o
io lo vo’ fare.
14.
difendere:
ogni...
rapporti fra gli
stati,
secondo
il
M.,
i
é da chi: e dai quali,
è riferito, grammaticalmente, z ogni cit-
ma, logicamente, anche
tà,
non arà
e’
è la spietata legge
del più forte, che regge,
lei:
a ogni stato.
o che... securo: o che ritenesse di possicuramente qualora si appoggiasse forza e potenza di un altro stato.
15.
16. a
partito:
una
non
si
solida
organizzazione politica c militare, non possono ne vogliono essale loro «fedeli servi», 22. e già
si
dispongono a divenire sudditi
sicurezza.
Il
M. non comprende
la
quasi
ricettacolo, al
rifugio.
brigantaggio e alle vio-
faccia sentir'e
situazione di tutti gli
di
un
difetto
il
un saldo potere
centrale.
non
cit-
stati italiani, e risa-
liva alla politica espansionistica dei
lenze proprie delle regioni assoggettate nel-
Comuni,
che avevano assoggettato prima il contado e poi le terre vicine. Per questo il pxjpolo rimase inerte davanti alle invasioni straniere nel Cinquecento.
La linea del altro impedimento, ecc. ragionamento è la seguente se il re di Francia troverà in voi soltanto un ostacolo o una :
20. che... assaltati:
i
soldati del Valentino
avevano più volte fatto scorrerie in territorio fiorentino. Tutta la frase è amaramente sarcastica. I Fiorentini non avevano un forte esercito
di
privi
rispetto
tadini di pieno diritto. Del resto, questa era
governati energicamente.
ricettacoli:
quali
(per lo addrieto),
sato
el vero,
che non nutrono senti-
lealtà verso di vói.
Latrocini allude
le
Qui bisogna dire impedimento* o
sere sudditi, e cioè « servi fedeli » e
18. corretti: 19.
altro
per partito preso, volonta-
sanza fede:
menti di
vi
dell’ordinamento politico e sociale del dominio fiorentino: non ci possono essere, infatti, sudditi di fede provata ove' essi debbano es-
riamente. 17.
voi
signore più forte, capace di garantire la lóro
sederlo alla
avete intorno:
dua o di tre città che desiderano più la vostra vita. Andate più là, uscite di Toscana e considerate vedrete girare sotto el re di Francia, Viniziani, Papa di
proprio
:
screzione » degli 21. Né...
:
•agione di timore (rispetto), tro di voi, che
non potrete
preferivano vivere « a di-
sproporzione delle forze.
altri.
ha,
animo:
I
dominatori fiorentini
sudditi,
sono,
nel
ostacoli,
volgerà con-
Ma
se avrà,
come
voi potrete mantenere la
i
vostra indipendenza, purché però vi armiate
pas-
e siate tanto forti che egli sia costretto a ri-
vedendo che
come
altri
si
salvarvi, data la
Antologia^ della letteratura italiana
172
*1 vostro in Italia, c qui non è rimedio, perché tutte le forze, tutti provvedimenti non vi salverieno; o egli ara degli altri impedimenti, come si vede che egli ha, e qui fia rimedio o non rimedio, secondo
che
i
che voi 'vorrete o non vorrete. dine di forze che a voi
gli
Ed
el
rimedio è fare d’esser in
tale or-
abbi in ogni sua deliberazione ad avere rispetto
come agli altri di Italia, e non dare animo, con lo stare disaruno potente di chiedervi ad el Re in preda,® né dare occaad el Re che vi abbia a lasciare fra e perduti, ma fare in modo
mati, ad sione
che
abbi a stimare, né
vi
abbi opinione di subiugarvi.® Consi-
altri
affaticarsi molto: ogni uomo ambizione loro e che debbono avere da voi cento ottantamila ducati, e che gli aspettono tempo,® e che gli è meglio spendergli per fare loro guerra che dargli loro perché vi offendino con essi. Passiamo al Papa e al Duca suo. Questa parte non ha bisogno di comento: ogni
derate ora e Viniziani. sa
Qui non bisogna
la
uomo
sa la natura e Tappeti to loro quale e’ sia, e al procedere loro
come gli è fatto e che fede si può dare o ricevere. Dirò sol questo: che non si è concluso con loro ancora appuntamento' alcuno, e dirò piu là, che non è rimaso per noi.® Ma poniamo che si concludessi domani: io vi ho detto che quelli signori vi fieno amici che non vi potranno offendere, e di le scritte,
nuovo ve
*1
dico: perché fra gli uomini privati le leggi,
e patti fanno osservare la fede, e fra e signori la fanno solo
osservare Tarmi.
E
Noi ricorreremo a el Re », e’ mi el Re non sia in attitudine non sono quelli medesimi tempi, né
se voi dicessi
:
«
pare anche avervi detto questo, che tuttavia
perché
difendervi,
a
tuttavia
può metter mano in su la spada d’altri, e però è bene averla a lato e cignersela quando el nimico è discosto, ché altri non è poi a tempo e non truova rimedio.® E’ si debbe molti di voi ricordare quando Gonstantinopoli ® fu preso suoi dal Turco. Quello imperadore previde la sua ruina. Chiamò cittadini non potendo con le sue armate ordinarie ® provedersi, espose loro e periculi, monstrò loro e rimedii; e se ne feciono® beffe. La ossempre
si
i
sedione venne. Quelli cittadihi, che avéno prima poco stimato e del loro signore,
cordi
come
non possa darvi in preda ad altri, come merce di scambio nelle sue trat-
spettarvi, c
usarvi
non
chiavelli
dare... preda: Probabilmente
pensa
leato col re di
Valentino,
al
Francia, c
il
anch’egli
bramoso
Maal-
d’ insi-
24. subiugarvi:
soggiogarvi.
aspettono tempo:
li
:
non
v’ è rimedio. Gonstantinopoli: Costantinopoli.
28.
Turchi 29..
p>e,
aspergano da
tempo. 26. appuntamento: accordo, non è rimase, ecc.
quando viene una non giunge a
Tallcato
ne impossessarono nel 1453. con... ordinarie: per provvedere
1
se
alla
ha bisogno di assoldare nuove trupe per questo chiede danaro ai cittadini.
difesa
gnorirsi di Firenze.
25. gli
27. ché... rimedio: ché necessità improvvisa
tempo, e allora non
tative politiche. 23.
ri-
sentirno sonare le artiglierie nelle loro
è stato per colpa nostra.
30. fcciono: fecero. 31. c ricordi:
modo
di
incisivo,
gli
ammonimenti. Nota
il
raccontare del M., tutto denso e volto
a
mettere in
luce
la
strin-
Niccolò Machiavelli
mura
*73
lui
Annon avete voluto vivere
essi ».
...Gli altri sogliono diventare savi per
non
allo ’mpera-
cacciò via dicendo: «
date a morire con cotesti danari, poi che voi
sanza
piangendo
c fremer lo esercito de* nimici, corsono
dore con grembi pieni di danari; e quali
li
periculi” de* vicini: voi
né prestate fede a voi medesimi, né conoscete el tempo che voi perdete e che voi avete perduto. E 1 quale voi piangerete ancora e sanza frutto, se non vi mutate di opinione. Perché io vi dico che la fortuna non muta sentenzia dove non si muta ordine, né e cieli vogliono o possono sostenere una cosa che voglia mirinsavite per gli vostri,
nare a ogni modo.® Fiorentini
che io non posso credere che
Il
ed essere nelle mani vostre
liberi,
sia,
vostra
la
veggendovi libertà.
Alla
quale credo che voi arete quelli respetti® che ha auto sempre chi è nato libero e desidera vivere libero.
Il
« Princi()c » c
il
pensiero politico del Machiavelli
Stesura e struttura del « Principe
dicembre del 1513, durante
il
capitoli, e tratta,
ogni forma
di
stano, perché
forme
varie la
come
».
Il
di
l’esilio
Principe^
scritto
San Casciano,
dice l’autore, « che cosa c principato
organizzazione statale], di quali spezie sono, e’
si
perdono
fra
Tagosto c
composto
è
di
26
nome indica come c* s’acqui[il
In realtà, dopo una trattazione succinta delle
».
di costituzione politica, a partire dal cap.
sua attenzione sulla fondazione di un principato
principe nuovo, al quale suggerisce
i
mezzi
‘
VI, l’autore appunta nuovo’, e quindi sul
necessari per
il
conseguimento
prudentia (una visione lucida c chiara delle situazioni c delle leggi della politica) e le armi^ la forza, cioè, dato che la vita degli stati si regge su reciproci rapporti di potenza. Per del proprio
fine.
Essi sono,
in
sintesi,
questo nei capp. XII, XIII, XIV, servirsi di
truppe mercenarie,
ma
il
di
la 34.
Machiavelli esorta
il
principe a non
milizie cittadine di cui possa sempre
XV
pienamente disporre. Dal cap. al XXIII, l’autore consiglia gli accorgimenti necessari per mantenere e difendere lo stato, un fine da perseguire
e
gente concatenazione logica dei fatti, e portato a condensarsi nell’ imnìagine c nella
fermezza nelle proprie azioni; un uomo veramente virtuoso deve saper vincere la for-
massima intensamente drammatica. pericoli 32. per li periculi: vedendo
tuna.
i
quali
incorrono
i
nei
vicini.
fortuna... modo: Anche in questa sono temi fondamentali del pensiero M. Egli reputa assurdo (cfr. Principe,
33.
la
quel riguardo, quella concetto di li^rtà, aggiunge alla vigorosa conclusione attivistiquelli
cura.
frase vi
ca
del
Il
XXl^ attribuire alla fortuùa e alla dura necessità dei tempi una colpa che va invece imputata a chi non ha coraggio e cap.
del
M.
rcspctti:
L'insistenza
discorso
nutriva
sul
una nobile tensione ideale. un attaccamento sincero alle
antiche libertà popolari di Firenze, e lo dimostri» col suo insuncabile prodigarsi per la
Repubblica.
Antologia della letteratura italianU
»74
con energia
mente
neppure davanti ad azioni moral-
ferrea, senza indietreggiare
riprovevoli.
Ma
XXV, XXVI. Nel
il
fulcro vero dell’opera è costituito dai capp.
primo,
il
Machiavelli esamina
hanno perduto i loro stati, problema del rapporto drammatico fra virtù individuale e fortuna,
principi^taliani tuto
il
XXIV,
motivi per i quali i nel secondo, dopo aver dibati
esorta all’azione energica c consapevole, nel terzo, esorta
un
principe
ita-
liano (Lorenzo de’ Medici, al quale l’opera è dedicata) a liberare l’Italia dallo straniero,
fondando in essa un
Machiavelli compose
Il
il
forte stato unitario.
Principe di getto, interrompendo
la
stesura
prima Deca di Tito Livio, nei quali, meditando la storia di Roma, cercava di desumere da essa le norme universali e costanti dell’azione poUtica, inserendole in una visione organica e complessa dell’uomo e della storia. Il Principe è, invece, un libro di politica militante, che intende inserirsi dinamicamente in una situazione poUtica pressoché dei Discorsi sopra la
disperata
(il
presente avvilimento dell’Italia, preda di Francesi e Spagnuoli),
per trasformarla, esortando a un’azione risoluta. Il
Machiavelli afferma di voler andar dietro, nelle sue meditazioni, alla
verità effettuale:
ossia di voler partire dalla realtà e
dall’esperienza,
non
da concezioni morali e religiose, come avevano fatto i trattatisti medioevali. Egli ha una concezione del tutto naturalistica dell’uomo: lo vede, cioè, come un’entità naturale che non muta per variar di tempi e di situazioni, soggetto alle leggi inderogabili della propria natura, capace di razionalità
ma
e di vigore costruttivo,
dine e
viltà.
Di qui
piu spesso preda di passioni, egoismi, inettituun’azione energica e spregiudicata, da
la necessità di
parte di individui eccezionali, che stabiliscono nella società là
dal caos delle contrastanti passioni, vincendo, con
statale,
la
senta cosi
sfrenata violenza degli istinti
una continua
sempre
una
risorgenti.
un
ordine, di
solida
La
struttura
storia
pre-
alternativa di ferinità e civiltà, di sorgere e rovinare
di stati, e si svolge all’insegna del rischio e della violenza, ai quali va opposta una volontà consapevole c fermamente decisa. Si comprende, dunque, come la politica, la nuova scienza machiavelliana, da un lato tenda
ad assorbire in di
norme Il
sé la moralità,
universali,
una
da un
all’azione dell’uomo
si
la
come un
come
la realtà.
costruzione integralmente umana.
contrappone, per
e irrazionale, che egli, sulle
senta
come un complesso
dominare solidamente
Machiavelli prescinde da ogni concezione provvidenzialistica in senso
cristiano e tende a vedere la storia
Ma
lato sia presentata
tecnica che serve a
orme
destino insondabile, ora
come
situazione storica nella quale l’uomo
si
quella di una volontà cieca chiama fortuna. Ora la pre-
lui,
dei classici, il
complesso delle circostanze,
trova ad agire. In genere, essa
un ostacolo al libero svolgimento dell’azione individuale: è l’imponderabile della nostra vita, che coincide, in fondo, col limite stesso della
costituisce
natura umana, incapace di mutare, di aderire con piena efficienza alle situazioni sempre nuove, al complicato e cangiante succedersi degli eventi. Ma contro questa presenza indefinibile e misteriosa, che minaccia di distruggere la nostra stessa libertà,
problema e incapace di
il
Machiavelli, pur consapevole della gravità del
risolverlo filosoficamente, riafferma la sua fede nelle
capacità dell’uomo. Alla fortuna l’individuo
oppone
la
virtù che è lucida
Niccolò Machiavelli
175
intelligenza e capacità costruttiva energica, risoluta, intesa a dare alla realtà
un’impronta ragionale e umana. La virtù si esprime soprattutto nei rapporti della vita collettiva, cioè nella politica, che è l’azione umana per eccellenza, alla quale ogni altro interesse va subordinato, dalla religione alla morale e agli interessi immediati del singolo.
La
difesa della patria è infatti per
il
Machiavelli
la
legge suprema: e la patria coincide con lo stato, col suo ordinamento.
Anche quest’ultima concezione, della teoria machiavelliana.
Lo
tuttavia, rivela
stato, infatti,
non
volontà generale, con la vita e l’intima civiltà di
la
limite individualistico
il
s’identifica,
per
un popolo, ma
lui,
con
è crea-
zione di un individuo eccezionale, di un « principe », appunto, capace di radunare una massa informe e di fame un popolo, dandole un ordinamento statale. Anche quando il Machiavelli vagheggia (come fa nei Discorsi)
uno
stato repubblicano,
si
tratta
pur sempre di una repubblica
aristocratica,
fondata su leggi che sono imposte dai prudenti^ cioè da uomini intelligenti e « virtuosi ». Siamo dunque ben lontani dai concetti moderni di « nazione » e di democrazia.
Principe » e
Il « il
il
problema morale. Nel complesso dei rapporti
politici
Machiavelli ha scoperto e messo in luce, con analisi acuta e spregiudicata,
soprattutto gli
mando
le
momento
il
suggeriva
della forza, dello stato
la storia del
come potenza, secondo che
suo tempo, nel quale, in Europa,
si
stavano for-
grandi monarchie assolute che in sé accentravano ogni potere
politico. Anche nelle relazioni fra i vari stati la forza e non il diritto dominava sovrana. La realtà effettuale mostrava al Machiavelli che anche la violenza e il male potevano essere necessità, e che l’uomo politico doveva, in certi casi, usarli risolutamente; ed egli, con logica coerente e spregiudicata, ne teorizza nel Principe l’impiego, li accetta come mezzi per il con-
solidamento e la difesa dello stato. Per questo, il Principe è stato visto, per secoli, come un libro perverso, e il suo autore è stato accusato di cinismo, iniquità, immoralità (donde i termini spregiativi « machiavellismo » e « machiavellico »). Si è, infine, er-
roneamente sintetizzato il suo pensiero nella massima « il fine giustifica i mezzi », che costituirebbe la giustificazione e la esaltazione d’ogni violenza dittatoriale.
primo luogo il male non è visto dal Maimmutabile e fatale della natura umana, ma come la conseguenza della posizione estremamente rischiosa deH’uomo nella storia, continuamente in lotta contro forze che insidiano la sua sopravvivenza, dalla violenza degli altri alla fortuna cieca e ostile. In secondo luogo, la violenza e il male non devono essere, nell’uomo politico, sfogo di basse passioni, ma una dura e dolorosa necessità che egli assume per la difesa di quello stato che è, come abbiamo visto, indispensabile per una umana e civile convivenza. Comunque, il Machiavelli si rassegna al male con intima, drammatica sofferenza, si che il Croce ha sentito, anche nelle
La
verità è
chiavelli
come
affermazioni l’autore per
ben
diversa. In
caratteristica
apparentemente piu spietate del Principe, di uomini nobili e puri.
la
nostalgia
del-
un mondo
Si tenga poi presente che
il
libro nasce in
uno
dei
momenti più
tragici
Antologia della letteratura italiana
176
della storia d’Italia,
quando
essa era corsa c straziata
da
eserciti
stranieri,
preda della loro cupidigia. Quelle massime gelide e desolate non sono state inventate dal Machiavelli,
ma
dedotte dalla realtà di violenza, di tradimenti,
sangue .che vedeva intorno, in un momento in cui tutta una civiltà e i suoi ideali piu alti apparivano in una crisi spaventosa, e sole realtà inoppugnabili erano la guerra e il diritto del piu forte. Con l’animo straziato dalla rovina della patria, il Machiavelli sente il bisogno di fissare gli occhi nella realtà qual è, spogliandola d’ogni parvenza illusoria, per incitare a compiere un’azione estrema, che salvi Firenze e l’Italia dalla presente desolazione. di
Il
« Principe » e
sventura,
ma
VItalia. NcH’esortazionc
ad agire per
cato profondo e
la
non
lasciarsi abbattere dalla il
signifi-
ragione del Principe, esame critico sofferto e appassionato
della recente storia
al tempo comprende che la
italiana e,
riscossa. Il Machiavelli
ha reso
nel Quattrocento
a
liberare l’Italia dai « barbari », stanno
stesso,
generoso incitamento
alla
politica particolaristica perseguita
debole, disunita, preda delle forti monar-
l’Italia
chie di Francia e di Spagna. L’unico rimedio è quello di fondare anche in Italia un forte stato unitario, capace di opporsi alla violenza straniera.
un individuo forte e risoluto a compiere questo tempo i grandi fondatori e organizzatori di Romolo, Teseo, che stabilirono uno stato c una patria
Egli intende, quindi, incitare
miracolo,
come
fecero al loro
popoli, Mosè, Ciro,
dove prima era un volgo disperso e senza nome. È chiaramente consapevole dell’estrema difficoltà dell’impresa, e la propone come un’azione straordinaria,
una
sfida
lanciata alla
fortuna in
un momento
in cui ogni
minimo, come una speranza che nasce in margine alla disperazione. Era, però, una soluzione chiaramente utopistica. Mancavano inSfatti tutti i fondamenti necessari per la costituzione di possibilità di agire è
un di
ormai
ridotta al
forte stato italiano unitario:
un
nelle
interesse
comune e
dirigenti,
classi
deH’iitilità
questi presupposti l’azione di
non poteva
essere se
soprattutto
non
Lo
stile
si
la
coscienza diffusa
sentimento vivo, almeno
dell’indipendenza
dallo
straniero.
Senza
effìmera.
momento
italiana, resterà nei secoli del servaggio
speranza che
il
un individuo, per quanto capace ed energico,
Tuttavia, l’utopia del Principe, sorta nel
denza
coesione,
la
della dignità nazionale,
prolungherà fino
del Machiavelli.
Il
alle
del crollo deU’indipen-
come una voce
di
magnanima
toglie del Risorgimento.
Machiavelli
non
c soltanto teorico originale c
ma
anche un grande scrittore. Lo vediamo soprattutto nel Principe, proprio perche è opera di passione e di fantasia, nata dall’angoscia e da un’eroica speranza, e non mira, quindi, soltanto a una dimostrazione logica distaccata, ma anche e soprattutto a persuadere all’azione magnanima. Senza contare che l’entusiasmo per la scoperta di una nuova scienza dà anch’esso a tutto il trattato un intimo tono lirico, un sempre presente carattere di affermazione polemica. Un dialogo, sembra il Principe, con gli uomini e con la fortuna, pervaso dall’ansia e dall’ardore drammatico del-
profondo
l’azione. Il periodare rapido e conciso esprime la tensione lucida e implacabilmente consequenziaria di un ragionamento che vuol penetrare con decisione c coraggio nell’intima realtà. Il linguaggio, energico, colorito, sa fon-
dere,
come
il
pensiero, l’adesione piena alla realtà effettuale con l’esempio
Niccolò Machiavelli
*77
^ popolaresco, non rifugge dai modi del puzza questo barbaro dominio»), dalle sue espressioni vivaci e immaginose. Il discorso procede spesso per antitesi («i nemici bisogna o vezzeggiarli o spegnerli »), con una conseguente tensione che è insieme classico
degli antichi:
parlato (ad es.
«a
:
tutti
sembra di per se stessa esprimere quella continua lotta fra virtù e fortuna, quel sentimento drammatico della scelta e dell’azione umana che è caratteristica fondamentale della concezione machiavelliana della politica e della vita.
modo
In che
debbino governare le Città o Principati li quali, si vivevano con le loro leggi
si
innanzi lussino occupati,
Nei primi quattro capitoli del Principe, il Machiavelli, dopo aver definito !e forme di principato (ereditario, nuovo, misto, cioè composto di un dominio
varie
ereditario e di altri conquistati), si sofferma su quest’ultima forma, la piu attuale lui, che intende incitare un signore italiano, Lorenzo de’ Medici, a costruire un
per
forte stato in Italia,
ampliando
i
propri domini.
Anche l’argomento
del presente
Signore mediceo avrebbe dovuto annettere al proprio stato repubbliche come quelle di Venezia, Genova, Lucca, Siena, ecc. L’interesse maggiore del capitolo è però l’implicita esaltazione della repub-
capitolo rientra in questa problematica;
come
blica
la
forma migliore
di
il
gover-no, in
quanto garantisce
quale tutte le forze politiche espressione negli ordinamenti e nelle istituzioni. struttura,
Non
nei la
cioè,
assolutistico.
pensiero politico del Machiavelli,
il
un
stupisca codesta esaltazione della repubblica in
pugnare una forma di governo tutto
e ^sociali
ma
Il
Principe,
una
libertà',
la
trovano adeguata
trattato rivolto a proinfatti,
non esaurisce
considera essenzialmente
il
momento
fondazione dello stato, quello, cioè, in cui è necessaria la conquista violenta del potere da parte di un individuo energico c spregiudicato. I Discorsi, che trattano invece dello stato nella sua vita, nella sua continuità, come complesso cioè di leggi e ordinamenti che si radicano nella coscienza dei cittadini, insistono della
soprattutto sull’
I
Quando
.
sueti
della costituzione
quelli stati che
si
repubblicana.
acquistano,*
come
è ^ctto, sono con-
a vivere con le loro leggi e in libertà,^ a volerli tenere ci sono
modi:
tre
terzo,
el
esame
el
primo, minarle,^
lasciarle vivere
con
l’altro, le
andarvi ad abitare personalmente;
sue leggi, traendone una pensiona
creandovi drento uno stato di pochi che
te le
^
ché, sendo quello stato® creato jda quello principe, sa che
non può
stare
sanza l’amicizia e potenzia sua, c ha a fare tutto per mantenerlo;’
Gap. V.
tiche e civili.
1.
che
si
acquistano; che
quista e annette 2.
ai
principe con-
4.
propri domini originari.
5.
a vivere... in libertà:
il
hanno una
costi-
tuzione repubblicana. 3.
città
comunque,
le è
chi
riferito a
un
e
sottinte-
« città ».
pensione: tributo. stato... amiche: un governo di po-
uno
(oligarchia)
che siano fedeli
al
nuovo
principe.
le
loro
strutture
oligarchia.
le
6.
quello sUto:
poli-
7.
per mantenerlo: per mantenere
minarle: distruggere òomplctamente o,
Il
€ repubbliche » o
so
c
conservino amiche.® Per-
quella
il
nuo
178
Antologia della letteratura italiana
piu facilmente
una
il mezzo® de’ modo, volendola preservare.® 2. In exemplis^® ci sono li Spartani e li Romani. Li Spartani tennono Atene e Tebe, creandovi uno stato di pochi, tamen le riperderno.“ Li Romani, per tenere Capua, Cartagine e Numanzia, le disfeciono, e non le perderono.^^ Volsero tenere la Grecia quasi come tennono^® li Spartani, faccendola libera e lasciandoli le sue leggi, c non successe
si
tiene
usa a vivere libera con
città
suoi cittadini, che in alcuno altro
loro;
modo
in
che furono costretti disfare di molte
città
quella
di
provincia, per tenerla. 3. Perché, in verità, la ruina.^®
non
e
E
non
disfaccia, aspetti di
la
ci
è
modo
chi diviene patrone di
securo a possederle, altro che
una
consueta a vivere libera,
città
da quella; perché sempre
essere disfatto
ha per refugio,^® nella rebellione, el nome della libertà e gli ordini antiqui suoi; li quali né per la lunghezza dei tempi né per benefizi mai si dimenticano. E per cosa che si faccia o si provvegga,^® se non disuniscono o dissipano
si
nome né
vo principe gati
abitatori,
gli
al
quale sono intimamente
mina:
15. Perché...
le-
suoi interessi e la sua stessa soprav-
i
non sdimenticano quel come
e’
quegli ordini, e subito, in ogni accidente,* vi ricorrono,
no veramente
vivenza.
mezzo: per mezzo.
In
realtà,
tali;
8.
con
volendola preservare: qualora, cioè, non
rente
voglia ruinare.
consequenzialità logica implacabile
la
si
10. In exemplis: tra potrebbero addurre. 11. Li
tani,
Spartani...
gli
repubblica
esempi che
si
riperdemo:
Gli
Spar-
vinta Atene nella guerra del Pelopon-
trenta tiranni (404 a. C.); ma un andopo gli esuli Ateniesi, guidati da Trasi-
no
bulo,
i
liberarono
la
città.
Anche
a
Tebe,
occupata nel 382, imposero un’ oligarchia, ma questa fu poco dopo rovesciata da Pclopidà ed Epaminonda. Romani I 12. Li Romani... perderono: distrussero Capua nel 21 1, Cartagine nel 146, Numanzia nel 133 a. C. 13. come tennono: come la tennero sog-
avverti la commozione dello amore per la repubblica e
sua
la
(è
nuo-
il
glie
i
della 16.
duri insegnamenti e
furono vinti in battaglia dal console Memmio, che distrusse molte città greche, fra le quali Corinto (146 a. C.). La Grecia divenne allora provincia romana.
il
tono
il
M.
suo Per
acco-
norme
crudeli
con intima sofferenza. ha per refugio Soggetto è « la città
realtà
politica
:
popolo e costituiscono un ideale capace di azioni eroiche e generose.
ispirare
17. per benefizi: per
tivarsene la simpatia.
Greci tentarono, in seguito, di sovranità, ma la loro piena
le
il
libertà.
consueta a vivere libera ». La libertà e gli antichi ordinamenti sono, in una repubblica, saldamente radicati nella coscienza del
18.
I
riconquistare
la
è incisivo e drammatico. Spesso
non successe loro: e non riuscirono. Romani, nel 196, liberarono la Grecia dalla minaccia macedone lasciandole l’autonomia ma tenendola come una specie di pro14. e
scrittore,
questo, fino alla fine del paragrafo,
vo signore può fare
I
l’appa-
ragionamento,
vo metodo scientifico della realta effettuale, esame lucido e spregiudicato dei fatti),
getta.
tettorato.
Sotto
ruinarla.
del
dell’
neso, vi stabilirono un’oligarchia a loro fedele,
occorre
freddezza
era-
per tenere soggetta una
9.
il
alter-
le
non
native poste all’inizio del capitolo
provvegga:
al
Il
cittadini
come
garchia;
il
accat-
dissipano:
dividono...
disuniscono pare qui alludere
fomentare inimicizie
tadini,
nuo-
il
onde
provveda.
19. disuniscono...
disperdono.
benefizi che
i
ai
si
può
dissipano
piu radicale, cioè
al
e contrasti fra
i
cit-
fare stabilendo un’ oli-
allude
ruinare
20. in ogni accidente:
alla la
soluzione
città.
ogni qual volta
presenti un’ occasione propizia.
si
Niccolò Machiavelli
179
Pisa^ dopo cento anni che
fc*
suta posta in servitù da* Fio-
ella era
rentini.
4
.
Ma, quando
o
città
le
non avendo
dall’altro
accordano,
vivere
da uno canto
principe vecchio, farne
el
non sanno;
liberi
armi e con piu
uno
provincie sono use a vivere sotto
le
principe, e quel sangue sia spento,^ sendo
modo
di
uno
usi
ad obedire,
infra loro
che sono piu
non
si
tardi
a
può uno principe guadagnare e assicurarsi di loro. Ma nelle repubbliche è maggiore vita,^ maggiore odio, più desiderio di vendetta, né li lascia né può lasciare riposare^ la memoria della antiqua libertà: tale che la più sicura via è spegnerle pigliare le
facilità
se
li
o abitarvi.^
De’ Principati nuovi che s’acquistano con l’arme proprie e tuosamente Con questo
vir-
la parte più importante del Principe^ quella fondazione del principato ‘nuovo’, mediante la virtù e la forza di un principe nuovo. L’autore esamina soprattutto il momento secondo lui iniziale e costitutivo di una società politica: quando un individuo di virtù eccezionale (come Mosè, Ciro, Romolo, Teseo) dà a un volgo disperso la prima organizzazione statale.
che
sta
1
Non
.
capitolo
ha inizio
più a cuore all’autore:
si
maravigli alcuno
come
camminando
perché,
^
^
se,
nel parlare che io farò de’ prin-
principe e di stato, 10 addurrò grandissimi
cipati al tutto nuovi, e di
esempli;
la
gli
uomini
Pisa, ccc. La Repubblica di dominio dei Visconti di Milano, fu da questi venduta ai Fiorentini nel 21.
fc’
quasi sempre per
^
vie
le
Gap. VI.
:
Pisa, diventata
1405 c soggiogata effettivamente da questi l’anno dopo. Ma nel 1494 trasse profitto dalla crisi provocata dalla spedizione di Carlo
Vili
tini,
i
in
Italia
per
ribellarsi
guerra dispendiosissima fu tra 22.
ai
Fioren-
dopo una anni. Il M.
quali poterono riaverla solo
i
di 15 protagonisti della riconquista.
quel
sangue...
spento:
sia
del
tutto
spenta la famiglia regnante.
maggiore
Per questa più intensa e piena vita della repubblica, cfr., oltre all’introduzione al presente passo, quello preso dai Discorsi c da noi intitolato Repubbii23.
vita
:
ca e libertà (pag. 246). 24. riposare: star queti, rassegnati. 25. abitarvi:
Anche
abitarvi è, sostanzial-
mente, un modo di spegnere l’antica repubblica, in quanto implica un’organizzazione r.idicalmcnte nuova di essa.
Non
1.
si
maravigli alcuno, ccc.: Questo
primo periodo, ampio, solenne stesso,
pervaso di
un’intima
e,
al
energia
tempo c
di
un tono di virile esortazione, sembra quasi un nuovo proemio di tutta l’opera. In realtà, il M. affronta qui l’argomento che più gli sta a cuore: i principati del tutto nuovi e di principe e di stato y quelli, cioè, costituiti per la prima volta come autonoma uni-
statale
ti
c
retti
dal
principe
che
li
ha
fondati.
esempi di grandi grandissimi esempli stati (Mose, Ciro, Romolo, Tericordo dei grandi deH’antichità, Il seo). 2.
:
fondatori di
l’esortazione ad emularne la virtù costitui-
scono un alto c magnanimo incitamento alla diffìcile impresa. perche, camminando gli uomini, ccc.: 3.
M. enuncia qui il principio dell’ imitazione, fondamentale nel suo pensiero c nella
Il
Antologia della letteratura italiana
i8o
battute da
procedendo
e
altri,
potendo
si
le vie di
né
alla virtù di quelli
uno uomo prudente
aggiugnere,^ debbe
imiti
loro con le imitazioni,
nelle azioni
altri al tutto tenere,
sempre per
intrare
vie
battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi
non
né
che tu imi-
almeno ne renda qualche parendo el loco dove disegnano ferire ® troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco,"^ pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per tare acciò che, se la sua virtù
odore,® e fare
come
gli arcieri
potere, con lo aiuto di
si
Dico adunque che
2.
principe,
si
meno
più o
trova,
a
vi arriva,
prudenti,
a’ quali,
disegno
alta mira, pervenire al
nuovi, dove
®
ne’ principati tutti
meno
mantenerli, più o
uno nuovo
secondo che
difficultà,
E
è virtuoso colui che gli acquista,
loro.®
sia
perché questo evento,
presuppone o virtù o fortuna,^® pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighi in parte di molte difficultà, “ nondimanco, colui che è stato meno in sulla fortuna, si è di diventare di privato principe,
concezione rinascimentale della vita. Gli uomini del Rinascimento idealizzarono 1 ’ età classica, videro in essa un’ umanità eroica ed esemplare, che essi si sforzavano di emulare. Ma mentre 1 imitazione degli antichi era, ai suoi tempi, attuata quasi esclusivamente nel
la
campo
l’occasione
’
ferma
della cultura e della poesia, la
il
M.
af-
necessità di attuarla soprattutto nel
campo deH’azionc energica
c
vigorosa, cioè
imitazione si fonda sulla concezione naturalistica del mondo, secondo la quale la natura e l’uomo, che ad essa viene rigorosamente assimilato, sono retti da leggi costanti e immutabili: l’animo della
politica.
Il
concetto di
umano, le sue esigenze, passioni, virtù non mutano per variare di tempi; il passato, quinillumina
di,
il
maestra della
nostro presente,
vita,
i
la
storia
è
suoi esempi rappresen-
tano modelli, forme sempre attuali c normative di
non
si
si
può
del tutto seguire
cedere di colui che al
aggiugnere:
potendo...
si
il
imita,
modo
siccome di pro-
né pervenire
suo stesso grado di virtù. ne renda... odore: si avvicini ad essa
5.
(alla virtù
perfetta), le assomigli
almeno un
magnani-
di
sigillo
al
suo operare.
del tutto.
tutti:
La virtù comprendere
o virtù o fortuna:
10.
uomo
pacità dell’
di
è il
la
ca-
giuoco
vario e complesso delle circostanze (ovvero storica)
e,
tempo
al
stesso,
po-
tenza ed energia costruttiva, capacità di piegarle ai propri fini. Quanto alla fortuna,
rimane, concettualmente, un’idea ambigua e variamente definita dal Machiavelli. Talvolta (più raramente) si avvicina al-
essa
1’
idea del fato e del destino inesplicabile c
superiore alla volontà
—
come
turale
delle
cose,
nella quale
affermarsi basti le
—
la
virtù.
o si
la
nella
spesso è
forza na-
propizia
concreta situazione
trova a dover agire e Ritorneremo sull’ argoil
XXV
per ora osservare che
due forze
la
concorrenza
la
degli eventi (Russo) storica
umana; più
in questo capitolo
il
capitolo.
M. vede
Ci
agire
sempre concomi-
storia
concetti ci conducono che ambedue risolutamente lontano dalla concezione cristiana della vita, ma anche da quella di la virtù non ha molti scrittori umanistici tanti e
i
:
più nulla della moralità tradizionale classi-
poco. 6.
grandezza
di
mento commentando
comportamento.
né
4.
9.
dare un
per
storia,
mità e
disegnano
ferire:
si
propongono
di col-
pire. 7. fino...
arco: qual
sia la
potenza del loro
arco. 8. aggiugnere: giungere, pervenire... loro: giungere all’obiettivo designato. Allo stesso modo, il principe deve proporsi come modello le azioni degli uomini più grandi del-
ca (fondata su
un
grandezza c
ideale di
di
decoro spirituale), né di quella cristiana; la fortuna non è più il Caso degli antichi né la Provvidenza cristiana. 11.
mitighi...
difficultà:
sia
la
virtù
sia
sono un aiuto che consente di superare molte fra le difficoltà che si inconla
fortuna
trano
nel
divenire
principe.
Più
sicuro
è.
Niccolò Machiavelli
i8i
mantenuto piu. Genera ancora facilità essere non avere altri stati, venire personalmente ad
Ma
3.
principe costretto, per
el
abitarvi.
per venire a quelli che, per propria virtù c non per fortuna,
sonò diventati principi, dico che li piu eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. E benché di Moisè non si debba ragionare,
sendo suto uno mero esecutore delle cose che gli erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato solum per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio.** Ma consideriamo Ciro e gli altri che hanno acquistato o fondato regni: se
considerranno
si
da quelli di Moisè, che ebbe si gran precettore. Ed esanon si vede che quelli avessino altro
discrepanti
minando
azioni e vita loro,
le
fortuna che
dalla
occasione;
la
la
introdurvi dentro «quella forma
animo
virtù dello
la
loro
quale dette loro materia a potere
parse loro;
el
populo
d’ Isdrael, in Egitto,
che quelli, per uscire di servitù,
Romulo non
che
sanza quella occasione
e
sarebbe spenta, e sanza quella virtù
si
dunque
casione sarebbe venuta invano.*^ Era vare
mirabili; e
troverrete tutti
li
azioni e ordini loro particolari, parranno non
le
si
sbavo
oc-
la
necessario a Moisè tro-
e oppresso dagli Egizii, acciò
disponessino a seguirlo. Conveniva
capissi in Alba, fussi stato esposto al nascere, a volere
Roma e fondatore di quella patria. Bisognava che Ciro trovassi e Persi mal contenti dello imperio de’ Medi, e li Medi
che diventassi re di
molli ed effeminati per
meno
però, colui che sta cioè colui che
si
in
fortuna,
sulla
affida soprattutto alla pro-
pria virtù. 12.
Genera...
del principe
abitarvi: Altro vantaggio è 'quello di dovere risie-
nuovo
dere nello stato che gli
garantisce
un
si
è
formato, cosa che
migliore
controllo
della
situazione.
Moisè, Ciro, Romulo, Teseo: sono 13. grandi fondatori di regni o di repubbliche, di stati, insomma, che essi sono riusciti a costituire con la loro eccelsa virtù, sfruttan-
do {'occasione offerta loro dalla fortuna, e tramutando volghi dispersi e schiavi in forti
il M. sogna, ora, questo richiamerà ancora loro esempio nella perorazione finale del-
unità statali.
per il
I’
Italia;
l’opera.
ebraico,
È quello che
legislatore
il
è
il
del
popolo
Roma
fondatore di
e
Teseo quello dello stato ateniese. Ciro è il fondatore dell’ impero persiano (VM sec. a. C.). È stato notato che il Machiavelli mescola figure storiche e leggendarie.
che conta, lico esemplare lo
14.
per di
lui,
è
Ma
valore
quel-
simbo
esse.
E benché... Dio: È il
il
evidente, in quetono ironico del Machiavelli,
posseva Teseo dimostrare
che fu sostanzialmente scettico nei confronti della religione e volto a dare una spiega15. zione tutta laica e mondana, psicologica e
non
della
religiosa,
facile
ironia,
storia.
Ma
di
cogliamo chiaramente
zione dell’autore di spiegare
in
dalla
là I’
inten-
termini
ri-
gorosamente umani e politici anche la figura di Mose. Il suo « parlar con Dio » è sentito come un espediente politico, una persuasione che egli ispira nel popolo per assoggettarlo al
suo volere e
sua
alla
virtù,
suto:
stato;
tamen: tuttavia; solum: soltanto. Il M. inserisce frequentemente nel suo discorso locuzioni latine; qui però sembrano un riccheggiamento ironico del latino ecclesiastico. considerranno: considereranno.
p>er
Mose è Romolo
sto periodo,
Non
lunga pace.
la
rè.
non discrepanti
17.
la
:
non dissimili. La fortuna, qui,
quale... invano:
si
dare l'occasione, cioè la situazione storica favorevole al pieno dispiegarsi della virtù del principe. Essa cioè offre la materia (ad es. il popolo Ebreo schiavo e oppresso, limita
a
incapace,
duo
di
senza
I’
intervento
eccezionale virtù,
di
di
un
indivi-
riscattarsi,
ep-
pure anelante alla liberazione c quindi pronto a seguire Mosè) e il principe la riduce in forma, secondo
la
propria volontà c chiaro-
Antologia della letteratura italiana
i82
sua virtù, se non trovava gli Ateniesi dispersi.^® Queste occasioni
la
pertanto feciono questi uomini
e la eccellente virtù loro fece
felici;
quella occasione essere conosciuta;
“ donde
4. Quelli e quali per vie virtuose,
acquistano
cipi,
gono;
ne fu nobi-
la loro patria
diventò felicissima.
litata e
principato con
el
simili a costoro,
difficultà,
ma
con
diventano prinfacilità
lo
ten-
hanno nello acquistare el principato, in parte nascono da’ nuovi ordini e modi “ che sono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro securtà. E debbasi considerare come non è cosa piu difficile a trattare, né piu dubia a riuscire, né piu periche
diflìcultà
e le
gli
culosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini; perché
ha per nimici
10 introduttore
bene,“ e ha tepidi defensori
che degli ordini vecchi fanno
tutti quelli tutti
quelli che degli ordini nuovi fareb-
bono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura degli avversari, che hanno le leggi dal canto loro,^ parte dalla incredulità degli uomini, 11 quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggano nata una ferma esperienza; ^ donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamcnte, e quegli altri
modo
defendano tepidamente; in
che insieme con loro
periclita.^
si
veggenza (dà,
cioè,
al
volgo disperso ordi-
tessero rendersi conto di quello che {'occa-
namento politico e leggi, ne fa uno stato, unica forma possibile di convivenza civile fra gli uomini). Qui fortuna c virtfi non sono fra loro ostili come nel cap. XXV, nel quale jl M. sentirà il loro drammatico contrasto. La fortuna è definita come inti-
cipe,
ma
di
necessità delle cose, che la virtù ricono-
compimento. Solo due ultime proposizioni si avverte il senso drammatico deiroperare umano nel-
sce e dirige al suo logico
nelle
storia e
la
il
suo limite:
M.
il
osserva che
non sempre virtù e fortuna s’ incontrano; rimane dunque nella storia qualcosa di fluido e d’ inesplicabile. 18.
le
degli
Ebrei
(che,
secondo
Mosè non per ubbidire divino, tà);
il
ma
a
per riconquistare
fatto che
M.,
il
seguono
un comandamento
Romolo non
la
loro
liber-
capissi in Al-
ba Longa, cioè non avesse luogo sufficiente alla
sua grandezza in questa
città;
rio dei Persiani di liberarsi dal
Medi;
la
non si tratta qui della fondazione di uno stato, che sia dominio individuale ed egoistico del prin-
ma di una patria, cioè, diremmo noi, una nuova civiltà. Ci sembra che questo sia il supremo ideale politico del M. 22. nuovi ordini e modi nuove forme di governo e mezzi per attuarle. 23. fanno bene: si avvantaggiano, ne ricavano un qualche utile. :
il
deside-
dominio
dei
dispersione degli Ateniesi. nel senso latino di « fortunati ».
19.
felici:
20.
fece... conosciuta:
fece
si
che
essi
po-
leggi...
24. le
(ad
loro:
Sono queste
parte.
scono
la schiavitù
mezzi necessari per
la loro patria:
21.
civile
:
dei
semplice
Vengono rapidamente
virtù dei quattro eroi fondatori
e
piegarla alla loro intenzione.
occasioni che furono materia alla
Era... dispersi:
elencate
sione richiedeva
e penale;
es.
la
gli
struttura
le
le
ordini,
dalla
loro
invece, costitui-
istituzionale
dello
stato
repubblica, monarchia, ecc.).
25. se non... esperienza:
hanno
leggi
disposizioni di diritto
se
prima non ne
fatto sicura e concreta esperienza.
ne consegue che ogni nemici dei nuovi ordini riescono a trovare la forza di ribellarsi, lo fanno con violenza faziosa {partigianamcnte')-, coloro, invece, che se ne potrebbero avvantaggiare, li difendono con scarsa convinzione e quindi jl principe corre pericolo {periclita), aven26. donde... pen'clita:
volta che
i
do dei fautori
cosi
esitanti.
Niccolò Machiavelli
È
5.
necessario
esaminare
dano da
183
volendo discorrere bene questa parte, ^ stanno per loro medesimi o se depenper condurre l’opera loro bisogna che preghino,
pertanto,
se questi innovatori cioè, se
altri
ovvero possono forzare.^ Nel primo caso capitano sempre male e non
conducano cosa alcuna; ma quando dependono da loro propri! e possono forzare, allora è che rare volte periclitano. Di qui nacque che tutti e profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono.*^ Perché, oltre cose dette, la natura de’ populi è varia;
alle
loro
una
cosa,
ma
ed è
facile a
conviene essere ordinato in
modo
quando
che,
non credono
e’
arebbòno possuto fare osservare loro lungamente
come
più,
Romolo non
possa fare loro credere per forza. Moisè, Ciro, Teseo e
si
persuadere
è diffìcile fermarli^ in quella persuasione; e però
loro costituzioni
le
Gi rolamo Savonerola*; ^ il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, ^ come la moltitudine cominciò a non credergli; e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto, né a far credere e discredenti.^ Pere questi tali ^ hanno nel condursi gran difficultà, e tutti e’ loro periculi sono fra via,^ e conviene che con la virtù li superino; ma superati che gli hanno, e che cominciano ad essere in venerazione,^ avendo spenti quelli che di sua qualità li avevano invidia,^ rimangono potenti, se fussino stati disarmati;
ne’ nostri tempi intervenne a fra’
securi, onorati, felici...
discorrere...
27.
parte:
approfondire bene
altri:
se
questo argomento.
come predicatore e moralizzatore dei costumi. Fu ucciso nel '98 in un momento di
innovatori
predominio dei suoi avversari, dei Medici, sostenuti da papa
o
VI
e dai francescani.
di
lui
28.
se
questi...
questi
principi
hanno in se la forza per imporsi, devono appoggiarsi a qualcuno.
se
imporsi con la forza. 30. La frase, divenuta proverbiale, esprime un tema fondamentale del pensiero del 29. forzare:
M.
e,
in particolare,
del Principe:
la
poli-
è spiegamento della forza, sintesi di prudenza e armi; il principe, per essere veramente tale, deve avere i mezzi di imporre la propria volontà al popolo (che qui è visto come elemento passivo, non attivo nella vita tica
dello stato) e agli altri stati. 31. varia: incostante, mutevole.
32. fermarli 33.
:
Girolamo
farli restare
Il
Soderini, fiorentina.
la
costituzione
Venne
Savonarola
in
con Antonio Repubblica
della
fama
di
profeta
pei
venuta di Carlo Vili e dei Francesi in Italia ed ebbe altissimo prestigio
aver predetto
la
critiche,
M. e
piu volte parlò
sempre con
dato che
suoi
i
forti
ideali
erano opposti a quelli etico-religiosi del fraSoprattutto qui lo rimprovera di non aver
te.
saputo usare vale
il
la
forza,
jl
che, per lui, equi-
Savonarola non aveva principio fondamentale deU’azione
dire
a
capito
che
il
politica.
34. ruinò... nuovi: rovinò insieme con suoi nuovi ordinamenti. 35.
(1452-1498), frate domenicano, dopo la cacciata dei Medici nel 1494, acquistò tale ascen-
dente sulle folle che ordinò,
limitazioni
Il
scritti,
partigiani
Alessandro
e discredenti:
quelli che
non
gli
1
cre-
devano.
fermi.
Savonerola:
suoi
nei
i
36. questi tali: i profeti armati. solo 37. c tutti... via: incontrano pericoli durante la conquista del potere. 38. essere
in
venerazione: essere stimati,
obbediti e ammirati. 39. avendo... invidia: tolto ostili
comunque alla
loro
di
mezzo
potenza e
avendo
ucciso
o
coloro che erano alla
loro
ascesa
Antologia della letteratura italiana
184
De’ Principati nuovi che s’acquistano con
le
arme
e fortune degli
altri
È questo un
capitolo importantissimo del Principe, perché attraverso un’acuta
appassionata disamina critica di « esempi » cesco Sforza, ma soprattutto Cesare Borgia),
recenti
e
della
italiana
storia
intende mostrare
(Fran-
possibilità
la
di
mediante l’azione energica e virtuosa di un principe. In tal senso, il capitolo precedente, che considera i grandi fondatori di stati (Mosè, Ciro, Romolo, Teseo), ha il valore di una premessa ideale; questo, invece, è piu legato alla situazione italiana presente. Ricordiamo che nel Principe sono indissolubilmente fuse la coscienza lucidissima e drammatica della gravità della crisi italiana e la volontà di superamento di essa mediante l’azione .di una virtù « estraordinaria »; e vi è, inoltre, come avverte giustamente il De Caprariis, riprendendo l’ interpretazione dello Chabod, uno scatto passionale, fondato sulla speranza utopistica di una resurrezione dell’ Italia, che « è intervenuto a rompere l’ angoscia paralizzante che la tristezza dei tempi insinuava nell’ anima, a rovesciare, per un momento, una conclusione pessimistica sulle possibilità di concreta azione, che era stata dedotta da tutto il processo della più recente stòria fondare un solido stato in
’
‘
Italia,
italiana ».
.
1
Coloro e quali solamente per fortuna con poca
cipi,
hanno alcuna cultà
diventano,
fatica
difììcultà fra
nascono quando
cesso ad alcuno
uno
via,
sono
e*
stato
ma
con
perché
posti.^
E
diventano di privati prin-
‘
assai
mantengono;
si
volano;
vi
questi
tali
ma
^
tutte
sono quando
o per danari, o per grazia
®
e
le ^
non diffi-
è con-
concede
di chi lo
:
come intervenne®
a molti in Grecia, nelle città di Ionia e di Ellesponto,
dove furono
principi da Dario, acciò
gloria;
e
fatti
come erano
fatti
le
tenessino per sua securtà
ancora quegli imperatori® che, di privati,
per corruzione de’ soldati, pervenivano allo imperio.
Questi stanno semplicemente in sulla voluntà e fortuna di chi
2.
ha concesso
lo
loro,®
che sono dua cose volubilissime e instabili; e non
Gap. Vn.
o per grazia
ai
o per favore. intervenne: accadde. Subito dopo allude satrapi che Dario, re dei Persiani (521-486
a.
C.), pose nelle città della Ionia e deirEl-
5.
:
6. 1.
un complesso di fornon per virtù propria. non... volano: non incontrano difficolper fortuna:
tunate 2.
tà
per
circostanze,
alcuna nel loro
quista
del
cammino
verso
perche, anzi,
potere,
la
con-
procedono
con rapidità prodigiosa. 3. sono posti: si sono insignoriti di uno stato. Il verbo (come il precedente volare) allude chiaramente al carattere agevole e del tutto impersonale della conquista, la vera protagonista della quale non è l’uomo, ma la
quando: E questo caso si dà quando...; oppure: Sono da annoverare fra
£
questi...
gli
uomini giunti
ca
della
fortuna,
al
principato solo per ope-
coloro,
7.
acciò...
ecc.
gloria:
governassero
le
con
affinché le tenessero e
sicurezza
c
gloria
di
Dario; sicurezza, in quanto questi non aveva da temere ribellioni da parte di amici,
da
lui
beneficati, g’oria,
in
quanto mostra-
va di sapere splendidamente compensarli. 8.
Nei tempi di Impero Romano (so-
quegli imperatori, ecc.:
maggiore anarchia prattutto
fortuna capricciosa. 4.
lesponto.
nel
III
dell’ sec.
d.
C.)
gli
imperatori
venivano eletti dai soldati, corrotti con promesse ed elargizioni di danaro. 9. stanno.. loro- si fondano solamente sulla volontà e la fortuna di chi ha concesso
Niccolò Machiavelli
185
sanno e non possono tenere quel grado.^° Non sanno, perché, se non è uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole che, sendo sempre non possono, perché vissuto in privata fortuna, sappi comandare;
non hanno forze stati che vengano
possino essere amiche e fedeli. Di poi gli come tutte le altre cose della natura che nanon possono avere le barbe e correspondenzie primo tempo avverso le spenge; se già quelli
che
li
subito,’^
scono e crescono presto,
come
tali,
modo
in
loro;
che
el
è detto, che
de repente
si
sono diventati principi, non sono
ha messo loro in grembo,^® e’ fondamenti che gli
di tanta virtù, che quello che la fortuna
sappino subito prepararsi
hanno
altri
conservarlo, e quelli
a
avanti che diventino principi,
fatti
3. Io voglio all’uno e all’altro di
memoria
di della
nostra
Borgia. Francesco, *per
e questi
:
li
debiti
potere.
il
quel grado; la posizione raggiunta. non si può 11. non è ragionevole, ecc. ragionevolmente pensare che sappi coman:
che abbia le virtù proprie del principe, in primo luogo una chiara consapevolezza politica.
dare:
12.
non hanno
forze,
ecc.:
non hanno
sostenere
quando
sia
venuta
meno
li
la
volon-
fortuna del loro protettore. Questo armi è elemento fondamentale per il M. che concepisce lo stato come forza e potenza rigorosamente autonome, piuttosto che
che SI de repente; a meno improvvisamente. ha messo... grembo: ha concesso sengià...
se
15.
16.
alcuna
za
loro:
non possono avemanca-
c le loro ramificazioni;
no cioè di fondamenti, di istituzioni e leggi pienamente consolidate. L’ immagine è tratta dalla vita della natura; vi si vede l’amore per l’espressione incisiva
e
M.,
concreta, che
anche la sua concezione dello stato come organismo naturale, soggetto, come l’uomo, a leggi razionali e immutabili, simili a quelle che si
è propria dello stile del
credeva
allora
di
riscontrare
e
nella
natura.
Partendo da questo « naturalismo », il Machiavelli deduce le regole dell’agire politico indipendentemente da ogni altra concezione religiosa e morale. La crudeltà, la violenza del mondo politico gli appaiono come una legge, ineluttabile come quelle della
tempi
nei
Francesco Sforza: Figlio di un «condeir epoca, Muzio Attendolo, c
18.
condottiero egli stesso
signore della Marca
e
d’Ancona, sposò la figlia Visconti, duca di Milano,
lano col
non possono...
avvenuti
dottiero »
senza essere colpivate. ievole energia e possi-
ossia
una forza d’armi loro propria, che o
sono Francesco Sforza
mezzi “ e con una grande sua
10.
tà
circa el diven-
detti,
principe per virtù o per fortuna, addurre dua esempli
tare
loro
faccino poi.
li
modi
questi
tano generale
dell’esercito
di
Filippo Maria
e
divenne capirepubblica
della
Milanesi alla morte del duca.
dai
Accordatosi, però, coi Veneziani, occupò Misuo esercito e ne divenne signore
(1450).
che
M.
Il
episodi
nell’ Italia
ancora possano
conserv.i
del
genere
1
’
illusione
verificarsi
suo tempo (ma essa era or-
del
mai preda delle potenti monarchie francese e spagnola e inserita in un complesso giuoco europieo in situazione di netta e irrimediabile inferiorità), e per questo considera ed esalta
quasi
affascinato,
in questo
capitolo,
Cesare Borgia che gli sembra essere stato vicino ad attuare la fondazione la
di
figura
un 19.
di
forte stato italiano. per...
mezzi: con
le
forze e
i
mezzi
M. illustrerà piu avanti nel mezzi richiesti dalcorso deH’opera. Sono necessari, che
il
i
la
logica
ferrea
della
politica,
indipenden-
temente da ogni considerazione morale, atti bene ordinato a costituire uno stato solido c
Antologia della letteratura italiana
i86
privato diventò duca di Milano; e quello che con mille affanni aveva acquistato, con poca fatica mantenne. Dall’ altra parte Cesare Borgia, “ chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la di
fortuna del padre, e con quella lo perdé; nonostante che per lui^^
si
ogni opera e facessi tutte quelle cose che per uno prudente c virtuoso uomo si doveva fare, per mettere le barbe sua in quelli stati che l’arme e fortuna di altri gli aveva concessi.^ Perché, come di sopra usassi
non
disse, chi
si
farli poi,
fa e
ancora che^
adunque
dello edifizio. Se
vedrà lui aversi
fondamenti prima, li potrebbe con una gran virtù si faccino con disagio dello architettore e pericolo
fatti
si
considerrà tutti e progressi
gran fondamenti
non indico superfluo discorrere,^ perché
alla
del duca,
futura potenzia:
non
io
^
si
quali
li
saprei quali precetti
mi
dare migliori a uno principe nuovo, che lo esemplo delle azioni sua; e se gli ordini sua
non
li
non fu sua
profittorono,^
colpa, perché
nacque
da una estraordinaria ed estrema malignità di fortuna.^
Aveva Alessandro
4.
sesto,
grande el duca suo fiPrima, e’ non vedeva via di
nel volere fare
gliuolo, assai difficultà presenti e future.
20. Cesare Borgia: Figlio di papa Alessandro VI, fu dapprima insignito della dignità cardinalizia; depostala, ebbe dal re di Francia Luigi XII la contea di- Valence, innalzata a ducato e il titolo di duca di Valentinois e fu per questo chiamato comunemente il Valentino. Con V aiuto del padre e dei Francesi riuscì a costituire, negli anni fra
1499 e
il
1503 (l’anno in cui Alessannell’Italia cen-
il
dro VI mori), un vasto stato
nominalmente soggetti alla Chiesa, ma dominati, di fatto, da tirannclli locali. Con la morte del padre crollò la sua dominazione; il pontefice Giulio II, con ferrea energia, ristabilì insignorendosi
trale,
di
sa.
l’autorità e il dominio della ChieM., «oratore» della Repubblica Fio-
Il
rentina presso al
il
Borgia dal 5 ottobre 150?
gennaio 1503, studiò con interesse
21
e
acutezza la persona e le azioni di quell’avventuriero geniale e senza scrupoli, come possiamo vedere dalle lettere scritte da lui
certo
stati in
modo
donati dalla fortuna del
padre e dalle armi del re di Francia. 23. ancora che: sebbene. La «virtù » del Valentino consiste, dunque, nell’ avere saputo consolidare il proprio stato, cercando di vincere 1’ iniziale difetto di averlo avuto dalla fortuna. Cosa, aggiunge subito il M., difficilissima e che richiede virtù eccezionale.
territori
dovunque
sue radici in quei domini che gli erano
le
24.
si
considerrà
andrebbe però
:
si
considererà.
plurale; qui,
al
il
Il
verbo
singolare
rispecchia l’uso linguistico del tempo, e progressi:
i
modi
successivi
25. discorrere:
di procedere.
esaminare particolareggiata-
mente. 26.
se...
profittorono:
provvedimenti non
gli
se
i
suoi metodi e
diedero buon risul-
tato.
27. estraordinaria... fortuna: Allude alla coincidenza della morte di Alessandro VI c di una grave malattia del Valentino; am-
Valentino appare qui idealizzata: quell’uo-
casi avvennero quando egli non aveva ancora compiuto il consolidamento del suo dominio. Qui la parola fortuna ha il senso di Caso, di un insieme di circostanze che si svolgono di là da ogni previsione
mo
ti-
e
fi-
M.
quel periodo
in
l’opuscolo Del lentino ecc.
nell’
al
governo fiorentino e daltenuto dal duca Va-
modo
ammazzare
Rispetto a quegli
Vitellozzo
scritti,
la
Vitelli,
figura del
crudele, astuto e frodolento, tipico rannello rinascimentale, appare ora una
gura
di
politico esemplare.
Così piu avanti per uno prudente: da un prudente. 22. per mettere... concessi; per mettere 21. per lui:
da
lui.
bedue questi
volontà umana. Ma alla fine del cap. il cercherà di ridurre questo elemento ca-
suale.
Per ora
ci
interessa
rilevare
la
forte
suo personaggio », proponendolo come esempio ad ogni principe nuovo.
coloritura eroica ed esemplare che dà «
al
Niccolò Machiavelli
187
non
poterlo fare signore di alcuno stato che
stato di Chiesa;
fussi
volgendosi a torre quello della Chiesa, sapeva che e Viniziani
duca
el
non gnene consentirebbano; perché Faenza
di già sotto la protezione de’ Viniziani.^ di Italia, e quelle in spezie di chi
si
Vedeva,
e
Rimino erano
oltre di questo, l’arme
fussi possuto servire, essere in le
mani di coloro che dovevano temere la grandezza del papa; non se ne poteva fidare, scndo tutte negli Orsini e Colonnesi complici.® Era adunque necessario® che si turbassino quegli e disordinare
da
Il
che
altre cagioni, si
però
e
loro
e
ordini,
di coloro, per potersi insignorire securamente di
stati
li
parte di quelli.
e
Milano
di
li
fu facile; perché trovò e Viniziani che, mossi
erano
vólti a fare ripassare e
che non solamente non contradisse,
ma
Franzesi in
lo fe* più facile
Italia;
il
con da resolu-
zione del matrimonio antiquo del re Luigi. 5.
Passò adunque
il
prima fu
per la impresa di
Romagna;
zione ® del e
con lo aiuto de’ Viniziani e consenso Milano,® che il papa ebbe da lui gente
re in Italia
di Alessandro; né
in
la
quale
Acquistata adunque
re.
fu. consentita
gli
duca
el
28. Prima... Viniziani: In primo luogo vedeva che non poteva farlo signore se non di uno stato formato nell’ambito del dominio della Chiesa; ma anche in tal caso le difficoltà erano notevoli, perché nei possedimenti ecclesiastici si erano già formate signorie sostenute da altri stati italiani. Lodovico il Moro, duca di Milano, proteggeva
Caterina Riario Sforza, signora di Porli, e Giovanni Sforza, signore di Pesaro; Venezia
proteggeva Pandolfo Malatesta, signore Rimini, e Astorre Manfredi, signore di
Faenza. 29. Vedeva... complici: I principali capitani, e quindi le principali compagnie di ventura dell’epoca, erano legate alle famiglie degli Orsini e dei Colonna, baroni romani che da secoli erano i nemici naturali dei pontefici, di chi... servire:
di cui
si
sa-
Era adunque necessario, ecc. era dunque necessario che si turbasse l’ordinamento 30.
politico
:
e
militare
esistente
(quegli
ordini)
che venissero conseguentemente turbati anche gli staterelli sui quali Alessandro appuntava le sue mire. 31. trovò... Luigi: i Veneziani, deside-
e
rando
di
occupare parte della Lombardia,
allearono con Luigi XII,
che venne in
Italia
M.
e
re di Francia, conquistò Milano (il
parevano
gli
dice ripassare perché già
reputa-
e sbattuti
i
im-
lo
fedeli.
Francesi era-
no venuti in Italia col re Carlo Vili); Alessandro non solo non si oppose alla venuta del re, ma si alleò con lui, annullando il primo matrimonio di lui con Giovanna, figlia
Luigi XI, e consentendogli cosi di la vedova di Carlo Vili, Anna di
di
sposare
Bretagna, che gli portò in dote quella provincia e gli diede il diritto di vantarsi discendente dei Visconti, precedenti signori di
Milano. Diede inoltre a George d’Amboise, ministro del re, il titolo di cardinale di Roano (Rouen). Non 32. né prima fu in Milano, ecc. :
appena Luigi XII ebbe presa Milano (6 ottobre 1499), mandò al papa uomini d’arme f^ente): quattromila fanti svizzeri e trecento cavalieri,
con
novembre
del '99 e
Imola e Forlì
rebbe potuto servire.
si
la
Colonnesi,^ volendo mantenere quella e procedere più avanti,
pedivano dua cose: l’una, l’arme® sua che non
di
per
Romagna,
la
quali il
il
Valentino,
fra
gennaio del 1500,
il
tolse
a Caterina Sforza. Poi, fra
il
1503, occupò Pesaro, Rimini, FaenPiombino, Urbino, Camerino, "Senigal-
1500 e za,
i
il
Città di Castello e Perugia. 33. reputazione: autorità, prestigio. le 34. sbattuti e Colonnesi: battute
lia,
com-
pagnie di ventura che facevano capo ai Colonna. Il Valentino si era servito di mercenari francesi e di quelli che facevano capo agli Orsini.
35.
1’
arme:
i
soldati.
Antologia della letteratura italiana
i88
l’altra, la
volontà di Francia;
valuto, gli
ma
stare,
mancassino
sotto,
cioè che l’arme Orsine, delle quali s’era
^
e
non solamente che
gli togliessino lo acquistato, e
l’
impedissino
lo acqui-
non li facessi quando, dopo la espu-
re ancora
il
simile. Degli Orsini ne ebbe uno riscontro,^® gnazione di Faenza, assaltò Bologna, che li vidde andare freddi in quello assalto;^ e circa il re, conobbe l’animo suo, quando, preso il ducato di Urbino, assaltò la Toscana dalla quale impresa el re lo fece el
:
Onde
desistere.
fortuna di
E
6.
perché
che
duca deliberò non depcndere piu dalle arme
il
la
prima
tutti
secondo
e onorolli,
Orsine
cosa, indebolì le parti
e
Colonnese in Roma;
aderenti loro che fussino gentili uomini,^ se
gli
dagnò, faccendoli suoi gentili uomini
dando
e
loro qualità, di condotte e di governi,^^ in
le
volse nel duca."*^
si
e capi Orsini,
avendo
bene, e lui
usò
la
Dopo
questa, aspettò la occasione di spegnere
dispersi quelli di casa
e della
Chiesa era
36. la volontà di Francia:
cioè del re di
mancassino sotto:
37. gli
ma
gli venissero
l’espressione allude al timore di
meun
repentino e imprevisto tradimento. 38.
riscontro:
39. assaltò
prova.
Bologna:
Castelbolognese,
Bologna per
ma
occupò dovette
esplicito
divieto
di
sorpresa
rinunciare di
a
XII
Luigi
un accordo con Giovanni
e venire a
Benti-
voglio .signore della città. 40. lotta
andare... assalto:
li
vide condurre
la
senza vera decisione.
E
prima cosa: e per prima cosa, due partiti che facevano capo, a Roma, agli Orsini e ai Colonna. 42. gentili uomini: nobili. 41.
46. la quale... meglio:
quale occasione e il Valentino la seppe sfruttare con energia e astuzia incomparabili. È stato notato che qui nel Principe la rivolta dei capitani sembra quasi una superiore astuzia del Valentino per liberarsi definitivamente dei suoi nemici, mentre nell’opuscolo Del modo tenuto dal duca gli
le
loro
diede agli uni alti gradi militari, governatori civili. È soprat-
fece
da questo momento che comincia
come
l’occasione che la fortuna gli offre e a pie-
garla con la sua virtù sempre vigile e pron-
la
cioè, egli
soggezione sostituisce
al
la
si
riscatta dalia primitiva
favore della fortuna e ad esn sua virtù, fatta di una lucida
considerazione della situazione politica e di tin’ energia inflessibile. affezione... duca:
si
spense nel loro
La
stessa frase rapida e incisiva,
vago sapore proverbioso
e
con un
agghiacciante
di
(agghiacciante se si pensa all’ orrore tradimento freddamente perpetrato dal Valentino) rivela la partecipazione appassionata dell’autore alla vicenda che narra. ironia
del
parte del M., della sua figura esemplare; da
1’
la
presentò favorevolissima,
si
Valentino, tee. il M. aveva rappresentato il duca « pieno di paura » per questa rivolta. Ma come abbiamo già detto, qui il Valen-
ta.
secondo
esaltazione del Valentino, la costruzione, da
45.
al loro
volse tutto al Valentino.
l’eroe dell’azione politica, pronto a cogliere
altri
quando,
rebellione
animo l’amore che portavano prima si
la
una dieta di Urbino
tino è fortemente idealizzato, è visto
capacità,
tutto
la
venne che
i
43. provvisioni; stipendi. 44. c onorolli... governi: e,
gli
li
la
parti;
le
quale
la
loro ruina, feciono
la
partito e
Francia.
no;
Colonna;
Magione,*® nel Perugino: da quella nacque
alla
modo
spense, e
si
meglio.'*® Perché, avvedutisi gli Orsini, tardi,*"^
grandezza del duca
gua-
li
loro grandi provvisioni;
che in pochi mesi negli animi loro l’affezione delle parti tutta
e
altri.
47.
tardi
;
osserva
la
nuda
e
drammatica
eloquenza di questo avverbio. Il suo vero significato è « troppo tardi », con il senso di
qualcosa di irreparabile. 48.
qui,
una il
Giovan
dieta alla
Magione:
Si
riunirono
9 ottobre 1502, Vitellozzo Vitelli, Paolo Baglioni, Pandolfo Pctrucci,
Niccolò Machiavelli
e
tumulti di
li
189
Romagna
e infiniti
pcriculi del duca;
quali tutti su-
li
però con lo aiuto de’ Franzesi. 7.
E
E
reputazione,^ né
ritornatogli la
altre forze esterne, per
non
fidando di Francia né di
si
avere a cimentare,^
le
seppe tanto dissimulare l’animo suo, che
gnor Paulo, “
si
riconciliorono seco; con
volse agli inganni.®’
si
Orsini, mediante
gli
quale
il
el
si-
duca non mancò
el
d’ogni ragione di ofiìzio“ per assicurarlo, dandogli danari, veste e cavalli;
tanto che la simplicità loro
mani.®^ Spenti
aveva
sua,
avendo
il
“ adunque duca
tutta la
gittati
amica
Romagna
pcpuli, per avere cominciato a gustare 8.
E
guadagnatosi
e
bene essere
el
quelli
tutti
loro.®”^
perché questa parte è degna di notizia e da essere imitata da
non
altri,
potenzia sua,
alla
ducato di Urbino, parendogli, mas-
il
la
la
voglio lasciare indrieto. Preso che ebbe
duca
il
gna, e trovandola suta comandata®® da signori impotenti,®®
li
Roma-
la
quali piu
ma-
presto avevano spogliato e loro sudditi che corretti,®® e dato loro
disunione,
teria di
non
di unione, tanto che quella provincia era tutta
Paolo c Franciotto Orsini, Oliverotto da Fermo, c si confederarono contro il Valentino. In seguito a questo accordo, Urbino e Camerino si ribellarono al duca e ritornarono sotto
il
M.
il
governo dei precedenti signori. :
« virtuoso »
^9.
Ma
intelligenti
importa mostrare del suo personaggio.
a
lui
ritornatogli
la
reputazione:
’
1
agire
ritornato-
cosi il prestigio che per un momento aveva perdutoT. 50. per non... cimentare, per non doverle più sperimentare con proprio rischio. 51. si volse agli inganni: non c’è nella parola inganni alcun senso di riprovazione morale. Anche il tradimento può diventare un’ azione necessaria nel mondo selvaggio della politica, quale il M. lo concepisce. 52. mediante... Paulo: Paolo Orsini credette alle profferte del Valentino c si fece intermediario di pace fra lui c i capitani gli
ribelli.
53. d’ ogni... offìzio: d’
ogni sorta di cor-
tesia.
chiama, la loro, simplicità, un’ ingenuità che rasenta la stoltezza, perche, per lui, in politica non c’ è posto per
tanto che la simplicità loro, ccc.: Il dicembre T502 il Valentino riuscì ad atti-
Vitellozzo Vitelli, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo, con il pretesto di stabi-
con loro un accordo definitivo, a Senigallia [Sinigaglia) ma li fece imprigionare e strangolare. 11 M. non ha alcuna pietà per i traditi, che, del resto, erano meno
Spenti:
55.
Machiavelli pronuncia im-
Il
parola che ha qualche cosa
passibile questa
più
di
per
forte
radicale
e
di
a
« uccisi »
corrisponde.
senso,
il
Scrittore
cui.
intima-
colori intensi, la mente drammatico, ama come la virtù che vai
frase recisa e tagliente
gheggia. 56.
massime: soprattutto.
57.
e
loro:
guadagnatosi...
guadagnato
la
simpatia
Romagna,
genti di
suo governo
le
per
e il
la
ed
essendosi
fedeltà
delle
fatto che sotto
il
loro condizioni di vita erano
effettivamente migliorate. I signori precedenti erano tiranni crudeli e rapaci che stra-
ziavano
i
sudditi.
Il
Valentino ricondusse
in-
vece in quelle terre l’ordine e l’impero della legge, cioè la pace, assolvendo quello che,
per
M.,
il
principe,
la
è
dovere
il
stata
fondamentale del
giustificazione del suo agire.
58. trovandola...
era
rare
lire
lui;
gli sciocchi.
54. 31
non moralmente
Valentino,
del
migliori di
sorvola sugli in finiti periculi corsi dal
Valentino
sue
nelle
partigiani loro amici
li
buoni fondamenti
assai
Romagna con
sime,®® aversi acquistata
condusse a Sinigaglia
li
questi capi, e ridotti
comandata: trovando che
governata (suta
=
stata).
impotenti: violenti e sfrenati (secondo significato che la parola impotens ha in
59. il
latino).
60.
li
quali...
diti.
che avevano piutnon governato loro sud
corretti:
tosto derubato che
i
Antologia della letteratura italiana
190
piena di latrocinii, di brighe c di ogni altra ragione di insolenzia,®^ indicò fussi necessario, a volerla ridurre pacifica e obediente
buon “ governo. Però
regio,®* darli
uomo in
crudele ed espedito,
poco tempo
Di poi indicò non
dubitava
mezzo
braccio
al
prepose messer Remirro de Orco,
quale dette pienissima potestà.^ Costui
al
ridusse pacifica e unita, con grandissima reputazione.®^
la el
vi
duca non essere necessario odiosa;
divenissi
e
eccessiva autorità, perché
si
uno
preposevi
iudicio
nel
civile®®
con uno presidente eccellentissimo, dove ogni città vi aveva lo avvocato suo. E perché conosceva le rigorosità passate averli generato®^ qualche odio, per purgare®® gli animi di quelli populi e guadagnarseli in tutto, volle mostrare che, se crudeltà alcuna era seguirà, non era nata da lui, ma dalla acerba natura del ministro. E della provincia,
presa sopr’a questo occasione,®® lo fece a Cesena,
una mattina, mettere
con uno pezzo di legno e uno
in clua pezzi in sulla piazza,
coltello
sanguinoso a canto. La ferocità del quale spettaculo fece quelli populi in
un tempo rimanere
latrocinii...
61.
satisfatti
e stupidi.”^®
insolcnzia: rapine, risse e
^gai sorta di violenza e malcostume. 62. al
braccio regio:
all’autorità
del
po-
zialmente, nel secondo, il popolo passivamente l’iniziativa del principe
buon:
67. conosceva...
potestà:
Perciò vi inviò
come
suo luogotenente, nel 1501, Ramirro de Lorqua, uomo crudele e risoluto, al quale diede pieni poteri.
Ramirro era venuto
al
della
civile, cioè
civile,
ecc.
Romagna una
:
prepose al magistratura
un tribunale detto Rota,
:
alla
presie-
condotta con
conquista
violenta
dello
spietata
energia,
ma
68. per purgare:
tà,
Ramirro compiva spoliazioni a suo van-
stato,
giustifi-
mici del duca che
si
di lui nella Dieta alla
occasione:
69. presa...
colto
il
momento
favorevole. 70.
stupidi:
fece...
Sono due periodi
ra-
ma
delincano tragicamente la scena. Prima c’ è la determinazione precisa del tempo e del luogo, poi quel cadavere straziato descritto con un’espressione
pidi,
essenziali,
cruda e macabra, come quel coltello e quel pezzo di legno che attestano la feroce esecuzione. Il quadro è completato dal popolo
ma
soddisfatto, pidì)
per
soprattutto
stupefatto
{stu-
rapidità folgorante e l’estrema
la
crudeltà dell’esecuzione del ministro odiato.
dal fatto che riconduce l’ordine dove
Lo
prima erano disordine e anarchia, succede il secondo momento, quello della fondazione di ordinamenti e leggi efficienti che garantiscano allo stato una vita pacifica. Sia, però, nel primo momento, sia, almeno ini-
me
cata
per estirpare dall’animo
dei sudditi ogni sentimento di odio. In real-
erano coalizzati contro Magione. Uccidendolo, il Valentino mascherava la sua vendetta privata con un apparente atto di giustizia per il popolo.
duto da Antonio Del Monte, presso il quale ogni città aveva un proprio rappresentante. L’azione del Valentino segue qui uno schema ideale che il M. teorizzò anche nei Discorsi
gli
mag-
l’anarchia e le violenze precedenti. preposevi...
66.
sapeva che
taggio e pare che fosse d’ accordo coi ne-
giordomo. Fu imprigionato dal duca nel dicembre del 1502 e poco dopo ucciso. 65. con grandissima reputazione: acquistando (Ramirro) grande autorità e rispetto. I mezzi usati furono energici e anche crudeli; ma si trattava, per il M., di una crudeltà bene usata che riuscì a togliere di
governo
generato:
seguito
del Valentino dalla Francia, ed era suo
mezzo
com-
avevano generato.
efficiente.
64. Però...
è
posto di sudditi, non di cittadini.
tere sovrano.
63.
subisce :
stile del
disse,
osserva
il
il
che
De
Sanctis,
« di
marmo
».
Egli
fatto atroce senza alcuna apparente
emozione: diale
Machiavelli è qui veramente, co-
vi
egli
drammatica
vede
riflessa la ferocia
ha avvertito
alla
primor-
base della
e spesso tragica vita politica.
Niccolò Machiavelli
Ma
9.
191
torniamo donde noi partimmo. Dico che, trovandosi
duca
el
assai potente e in parte assicurato de’ presenti periculi, per essersi ar-
mato
buona parte spente quelle
a suo modo"^^ e avere in
potevano offendere,
quisto,
il
gli restava,
quale tardi s’era accorto dello errore suo, non
il
arme,"^ che,
volendo procedere con lo respetto del re di Francia;"” perché conosceva come dal
vicine, lo
acre,
sarebbe sopportato.
li
E
cominciò per questo a cercare di amicizie nuove, e vacillare con venuta che feciono gli Franzesi verso el regno di Napoli contro agli Spagnuoli che assediavono Gaeta. E l’animo suo era assicurarsi di loro: il che gli sarebbe presto riuscito, se Alessandro Francia,"'^ nella
viveva. 1
E
0.
quanto
questi furono e governi
cessore alla Chiesa
sandro
” sua quanto
alle cose presenti.
Qon
amico e
fussi
li
cercassi torli” quello che Ales-
aveva dato. Di che pensò assicurarsi in quattro modi
gli
Ma
aveva a dubitare, in prima, che uno nuovo suc-
alle future, lui
prima,
:
di spegnere tutti e sangui di quelli signori che lui aveva spogliati, per
papa quella occasione; ” secondo, di guadagnarsi tutti e genuomini di Roma, come è detto, per potere con quelli tenere el papa in freno;” terzo, ridurre el Collegio” piu suo che poteva; quarto, acquistare tanto imperio, avanti che il papa morissi, che potessi per se medesimo resistere a uno primo impeto.® Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro, ne aveva condotte" tre; la quarta aveva quasi tórre al tili
ammazzò
per condotta: perché de’ signori spogliati ne
aggiugnere, e pochissimi
71. per essersi... modo: milizie fedeli, rendendosi
si
leno.
indipendente dai
del padre.
73. gli restava... Francia:
costituito
dalla
le
gli restava, vo-
sue conquiste, l’ostacolo
volontà del
re
di
Francia,
che non gli avrebbe permesso un’ulteriore espansione, essendosi accorto di aver com-
messo un errore nel consentire un accrescimento di potenza del papa. 74. a vacillare con Francia; Cominciò a non essere più fedele all’alleanza con la Francia. Francesi e Spagnuoli erano in guerra per la spartizione del regno di Napoli. I Francesi furono ripetutamente sconfitti. Alessandro VI,
mandante di
allora,
delle
Cordova,
ispano-pontificia cacciare
l
poco dopo
avviò trattative col cospagnuole, Consalvo
forze
compiere una spedizione
per
nell’Italia
settentrionale
Francesi dalla Penisola.
Ma
l’inizio delle trattative di
stione cerebrale o,
come
si
sospettò,
Il
75. e governi: provvedimenti.
arme: quelle degli Orsini.
lendo continuare
Valentino seguiva
per essersi creato
Francesi. 72. quelle
quanti ne possé
salvorono; e gentili uomini romani
e
mori
congedi
ve-
modo
il
si
aveva
la
stessa
politica
di
procedere e
i
76. cercassi tórli: cercasse di togliergli.
occasione:
spegnere...
77. di tutti
di
uccidere
parenti e discendenti dei signori che
i
aveva
privato
del
loro
dominio,
per
to-
gliere al successore di Alessandro l’occasione di restituire loro lo stato.
guadagnarsi...
78. di
amici
tutti
i
nobili di
freno:
Roma,
di
rendersi
per poter col
loro aiuto limitare ogni possibilità di azione ostile del
79. el
papa. Collegio;
il
collegio
dei
cardinali
che doveva eleggere il nuovo papa. Il Valentino pensava di averlo ligio ai suoi voleri
sia
sfruttando
la
propria
numerosi cardinali spagnuoli,
amicizia sia
coi
incutendo
timore agli altri. 80. per se... impeto; resistere con
le
sue
forze a un primo assalto dei suoi nemici. 81. condotte; condotte a compimento.
Antologia della letteratura italiana
192
guadagnati, c nel Collegio aveva grandissima parte; e quanto al nuovo acquisto, aveva disegnato diventare signore di Toscana, e possedeva di già Perugia e Piombino, e di Pisa aveva presa la protezione. 1
1
.
E come non
avessi avuto
gliene aveva ad avere piu,
Regno
ad avere respetto
Francia (che non
a
per essere di già e Franzesi spogliati del
dagli Spagnoli, di qualità che ciascuno di loro era necessitato
comperare l’amicizia sua), e’ saltava in Pisa.® Dopo questo, Lucca e Siena cedeva subito, parte per invidia® de’ Fiorentini, parte per paura; e Fiorentini non avevano remedio.®* Il che se li fossi riuscito (che gli ®®
riusciva
medesimo che Alessandro
l’anno
forze e tanta reputazione, che per se stesso
mori),
rebbe piu dependuto dalla fortuna e forze di e virtù
Ma
sua.
minciato
a
ma
altri,
solamente assolidato, con eserciti inimici,®® e
con
Ed
malato a morte.®®
bene conosceva come
si
lo
Romagna
stato di
dua potentissimi
tutti gli altri in aria,®^ intra
era nel duca tanta ferocità gli
uomini
hanno
si
aveva
si
fatti,
che,
non
lui
se
avuto quegli
avessi
dosso, o lui fussi stato sano, arebbe retto a ogni difficoltà.
guada
a
gnare o perdere, e tanto erano validi e fondamenti che in
tempo
sa-
dalla potenzia
Alessandro mori dopo cinque anni ch’egli aveva co-
trarre fuora la spada.®® Lasciollo
e tanta virtù, e
acquistava tante
si
sarebbe retto, e non
si
poco
sì
eserciti
E
ad-
ch’e fon-
damenti sua fussino buoni si vidde: che la Romagna lo aspettò piu di uno mese; in Roma, ancora che mezzo vivo, stette sicuro; e benché Baglioni, Vitelli e Orsini venissino in Roma, non ebbono séguito contro di lui; posse fare, se non chi e’ volle, papa, almeno che non fussi chi non voleva.®^ Ma se nella morte di Alessandro lui fussi stato sano, ogni cosa
82.
era facile.®^
gli
E come...
E
lui
E quando non
Pisa;
mi
fosse
ad avere alcun riguardo per i Francesi (e ormai non lo era piu, perche erano stati sconfitti dagli Spagnuoli, si che gli uni e gli altri ora tenevano alla sua amicizia) avrebbe potuto agevolmente diventar tenuto
piu
signore di Pisa.
cedevano, invidia; odio. 84. non avevano rimedio; non avrebbero avuto scampo, sàrebbero stati anch’essi as83.
cedeva:
85.
che
gli
riusciva:
In
Bo'ogna
Firenze,
realtà, e
Siena
si
;
sta-
Chiesa nel 1498. La espressione a trarre fuora la spada lo rappresenta vivacemente nel suo carattere di conquistatore.
con
lo
Romagna
stato...
in
aria;
solo
lo
erano ancora
altri
infidi
c
mal-
gravemente insieme col padre. 90. ferocità; ardimento e forza d’animo. voleva:
possé...
91.
pa
se
non
chi
ritenesse
92.
Ma
volle
non
se...
era già guarito
potè far eleggere palui,
almeno uno che
ostile.
facile:
In realtà
quando Urbino,
il
Valentino
Città di Ca-
Piombino e Perugia gli si ribellarono tornarono in potere degli antichi signori. « La verità è che egli fu travolto non da un’imprevista malattia, ma dal crollo del solo pilastro su cui poggiava tutta la sua potenza », cioè dalla morte di Alessandro VI
stello.
stato
eletto gonfaloniere della
87.
gli
che fu creato lulio
inimici: gli Spagnuoli 88. intra dua... che assediavano Gaeta c i Francesi che si recavano a scxrcorrerc la città. 89. e malato a morte: si era ammalato
invece,
vano coalizzando contro il Valentino. Valentino era il 86. cinque anni
di
tino;
di
ne’
sicuri.
egli
soggettati.
Francia,
disse,
stato
era stato consolidato dal Valen-
c
(De Caprariis). Al tempo ne a
Roma
nel 1503,
il
della sua legazio-
Machiavelli conside-
Niccolò Machiavelli
193
secondo,” che aveva pensato a ciò che potessi nascere morendo
pa-
el
aveva trovato remedio, eccetto che non pensò mai, in sua morte, di stare ancora lui per morire.”
dre, c a tutto
su
la
12.
Raccolte” io adunque tutte
prenderlo;” anzi mi pare, coloro che per fortuna e
Perché
avendo l’animo grande
lui,
della vita di Alessandro e la
necessario
suo
nel
non
saprei re-
principato
non
e la sua intenzione alta,”
poteva governare” altrimenti; e solo vità
azioni del duca,
le
come ho fatto, di preporlo imitabile ” a tutti con Tarme d’altri sono ascesi allo imperio. si
oppose
malattia sua. Chi
nuovo
assicurarsi
si
sua disegni la bre-
alli
de’
adunque
indica
nimici,
guada-
gnarsi degli amici, vincere o per forza o per fraude,^” farsi amare e
temere da’ populi, seguire e reverire ti
da’ soldati, spegnere quelli che
possono o debbono offendere,^” innovare con nuovi modi
antiqui,^” essere severo e grato, lizia
magnanimo
infedele, creare della nuova,
principi, in
modo
con respetto,
Solamente
rava
del
Tagirc
mantenere
amicizie de’ re e de’
le
abbino o a beneficare con grazia o offendere non può trovare e più freschi^” esempli che le azioni che
di costui.
si
ti
può accusarlo
Borgia con sguardo deciqui è invece evidente i’idealizzazione del personaggio. 93. nc’ di... secondo; nei giorni deirasce-
samente
critico;
mico vinto, o anche colui che d trovi sul suo cammino come un ostacolo, deve necessariamente abbatterò. 103. innovare...
andqui; introdurre nuo-
94. non...
95. Raccolte;
bene volontieri e a offenderti, con riguardo e prudenza.
morire: non pensò mai che mentre il padre moriva, sarebbe stato anche lui per morire.
avendo
reprcnderlo;
io ricapitolato.
di
106.
al-
beneficare...
a
posto di quelle che a farti
respetto:
del
se necessitati,
Solamente
si
può accusarlo,
ecc.
:
qui alla fine del cap. un nuovo pensiero
98. avendo... alta:
Questo riconoscimento grandezza d’animo e di scopi {intenzione) del Valentino completa l’idealizzazione del personaggio. Gli aggettivi « grande » e « alto » non hanno però alcuna significazione morale, ma equivalgono a un riconoscidella
mento di virtù nel senso machiavelliano. Il M. vede nel Valentino una capacità politica eccezionale, e l’ammira come uno scienziato ammira un organismo perfetto, prescindendo dalla sua finalità. 99. non... governare: non
al
105. freschi: recenti.
proporlo
l’imitazione.
si
poteva com-
portare. 100. o per forza o per fraude; con qualunque mezzo: ciò che importa è vincere. 101. rcvcrire: rispettare e temere. 102.
104.
biasimarlo.
97. di preporlo imitabile:
pon-
nella creazione di lulio
ve leggi o istituzioni vi erano prima.
ta al pontificato di Giulio II.
96.
gli ordini
e liberale, spegnere la mi-
debbono offendere: secondo
la
inesorabile e feroce della vita politica,
logica il
ne-
vaglia la in
lignità
del di
mente
del
la
et
posto estrema ma-
fortuna », responsabile del crollo
di
Valentino; ora, lui
M. Aveva prima
« l’estraordinaria
rilievo
Da tra-
invece,
fa
ricadere
su
responsabilità della sua rovina, la
vede dipendere soprattutto dall’errore commesso dal Borgia nel lasciare eleggere papi Giulio II. La logica della dottrina si rivela qui piu forte del tentativo di idealizzazione. D’altra parte il M., pur ammettendo nella storia umana l’intervento inesplicabile e ineluttabile della fortuna, non si rassegna di fronte ad esso, soprattutto nel 'Principe,
che intende essere opera di stimolo e di speranza per l’Italia. 107. lulio pontefice; Dopo il brevissimo pontificato
di
un mese dopo
Pio
III.
che
mori
essere stato eletto,
nemmeno il
31
ot-
Antologia della letteratura italiana
194
nella
tefice,
fare
papa;
fussi
lui ebbe mala elezione; perché, come è detto, uno papa a suo modo, e’ poteva tenere che uno non non doveva mai consentire al papato di quelli cardi-
quale
non potendo
e
o che, diventati papi, avessino ad avere paura uomini offendono o per paura o per odio. Quelli che lui aveva offesi, erano infra gli altri. San Piero ad Vincola, Colonna, San Giorgio, Ascanio; tutti gli altri, divenuti papi aveano a che
nali
lui avessi offesi,
di lui. Perché gli
temerlo, eccetto
Roano
e
li
Spagnoli
questi per coniunzione e obligo,
:
quello per potenzia, avendo coniunto seco
regno di Francia. Pertanto
il
duca, innanzi a ogni cosa, doveva creare papa uno spagnolo; c non
el
potendo, doveva consentire che fussi Roano e non San Piero ad Vincula.
E
chi crede che ne’ personaggi grandi e benefìzi nuovi faccino
dimenticare
le
vecchie,
iniurie
s’inganna. Errò adunque
el
duca in
questa elezione; e fu cagione dell’ultima ruina sua.“^
Di
quelli che per scelleratezze sono pervenuti al Principato Questo capitolo
ci
appare come uno dei piu tormentati del Principe, per
il
contrasto in esso evidente, e cliiaramente sofferto dall’autore, fra politica e morale. Il
Machiavelli condanna coloro che sono giunti e infami,
scellerati
perio,
non
figura
del
quali
« e
modi
—
egli
—
dice
gloria ». L’affermazione appare strana,
Valentino,
e
le
spiegazioni
date
principato usando mezzi possono fare acquistare imal
dopo
dagli
l’esaltazione della sinistra
soprattutto
interpreti,
quella
quale non sono condannabili quelle crudeltà che arrecano vantaggio effettivo allo stato, e lo sono invece quelle che nascono da un’egoistica brama di potenza, convincono solo in parte.
secondo
la
tobre 1503 fu eletto papa Giulio della RoSan Pietro in Vincoli, che
vere, cardinale di
nome di Giulio II. Questi aveva il grandi promesse, che poi non mantenne, al Valentino, il quale lo aveva aiutato a ottenere il voto degli undici cardinali spagnuoli. Ma molto probabilmente (contrariamente a quello che pensa qui il M.) il Valentino, in questa circostanza, aveva ben
Amboise, arcivescovo di Rouen e i cardi113. nali spagnuoli non avevano ragione di te-
comune
prese
merlo, questi per
fatto
gia erano spagnuoli) e per
poco potere di modificare gli eventi. 108. ebbe mala elezione: compì una tiva
cat-
come
come ho
detto sopra.
no. e’ poteva... papa: egli (il Valentino) poteva almeno impedire che fosse fatto papa uno che gli fosse nemico. 111. San Piero... Ascanio: Giulio II, Giovanni Colonna, Raffaello Riario, Ascanio Sforza, offesi dal Valentino che, durante le sue conquiste, aveva combattuto contro
mem-
112. eccetto...
Spagnoli:
solo Giorgio
di
(i
Bor-
favori ricevuti
Alessandro VI, e quindi per interessi che avevano in comune col Valentino; quello perche poteva appoggiarsi alla potenza francese (in realtà Giorgio d’Amboise avrebbe fatto pagare al Valentino il tradimento che questi si apprestava a perpetrare nei confronti della Francia). ecc.
:
e questo errore
cagione della sua definitiva rovina. Il riconoscimento dell’errore fatale del Valenfu
M. di trovare una giustificazione di natura umana e non fantastica alla sua rovina; cosa questa importante per tino consente al
lui,
che considera
la politica
come una
scien-
za, soggetta quindi al controllo della razionalità,
mi
bri delle loro famiglie.
origine
politici
e fu cagione, è detto:
i
da
scelta.
109.
la
fondata su principi c su leggi confornatura umana e non sul caso, c
alla
dominata,
infine,
dalla
tdrtii.
Niccolò Machiavelli
195
il Machiavelli ha sentito quanto fosse arduo il conciliare le esigenze della con quelle della morale e ha vissuto con una autentica sofferenza questo problema, senza riuscire, però, a risolverlo. Soprattutto nel Principe si è fermato al lato tecnico e utilitaristico della politica, non ha sentito lo stato come effettivo mez2so di progresso e di civiltà dei cittadini. Mentre perseguiva la fondazione di una scienza politica distinta dalla morale, non riusciva a ristabilire un’intima relazione fra questi due momenti fondamentali dell’ agire umano. L’unica soluzione che sapeva proporre era quella delle crudeltà bene usate^ cioè dell’assunzione del male in una costruzione statale intellettualmente consapevole e perseguita con l’energia che era necessaria nel mondo drammatico e violento dei rapporti umani, quale egli lo concepiva.
Certo
politica
Ma, perché si può
1.
di privato
che non
il
mi pare
diventa principe ancora in dua modi,^
si
tutto o alla fortuna
al
o
alla virtù
di lasciarli Jndrieto, ancora che dell’uno
mente ragionare dove
trattassi delle repubbliche.^
si
do, o per qualche via scellerata e nefaria
quando uno privato
si
cittadino con
il
®
delli
principato, o
al
sua cittadini di-
altri
venta principe della sua patria. E, parlando del primo modo,
con dua esempli, uno antiquo,
strerrà
altrimenti ne’
meriti
l’altro
non
Questi sono^ quan-
ascende
si
favore
attribuire,^
possa più diffusa-
si
mo-
moderno, san^a intrare
questa parte, perché io iudico che basti,
di
a
chi fussi necessitato, imitargli.®
Agatocle
2.
non
siciliano,
abietta^ divenne re
et
di
6.
di
infima
nato d’uno figulo, tenne
Costui,
Gap. vili.
ma
fortuna,
privata
solo di
Siracusa.
sanza... imitargli:
Il
M. jfferma
di vo-
semplicemente definire mediante due esempi, uno tratto dalle storie antiche (Agàtocle), l’altro dalle moderne (Oliverotto da Fermo), questo modo di pervenire al principato. Non intende però discuterne approfonditamente o ricavarne una teoria, perche pensa che basti, a chi si trovasse nella nelere
dua modi: cioè per mezzo di scelleed è l’argomento di questo capi-
in
1.
—
ratezze tolo
—
o per il favore dei propri concittaargomento del capitolo Sarà questo ’
dini.
1
seguente. 2.
in
che... attribuire: chi diventa principe
il
due modi va considerato a non fonda completamente ne sulla virtù ne
uno
di questi
parte, si
nel
presente trattato, in quanto
sulla fortuna.
ancora... repubbliche: sebbene del prin-
3.
cipato civile (di quello cioè ottenuto per
favore dei concittadini)
diffusamente
più no.
un di
trattato
lunque
sia
di
per indicare la
fonte
cui
in
si
governo repubblica-
M. adopera però
Il
e principato
tratti
in
forma
parlasse della
il
potrebbe parlare
si
del
dominio assoluto
i
termini principe
la
sovranità, qua-
potere, sia
che
sia
che
si
si
tratti di
repubblica.
modi
4.
Questi sono:
5.
per qualche... nefaria: con mezzi scel-
lerati
vine e
e
sottintendi
«
».
nefandi, cioè contrari alle leggi di-
umane.
cessità di seguire questa via, imitare quegli
esempi. Può suonare strana la considerazione che uno possa essere necessitato a giungere al potere con scelleratezza; ma il M., che sente il mondo della politica fondato sulla violenza e sul rischio, pensa che la scelleratezza possa talvolta essere una dura
ma
ineluttabile
necessità.
Ne
ritrovava
esempi nel fratricidio di Romolo, in certe azioni spietate di Mosè, negli assassinii perp>etrati dal Valentino. Era dunque una legge insopprimibile dcH’azione politica, che egli accettava coraggiosamente come un dato scientifico, non senza però un’ intima sofferenza. capitolo,
Questa è evidente nel
soprattutto
Agatocle. 7. Agàtocle
:
nel
presente
giudizio finale su
Fu signore
di
Siracusa
dal
Antologia della letteratura italiana
196
sempre, per
compagnò che,
voltosi
non
gradi della sua età,® vita scellerata:
li
manco,
di
ac-
sua scelleratezze con tanta virtù® d’animo e di corpo,
le
per
milizia,
alla
li
gradi di quella,^® pervenne ad essere
Nel quale grado sendo
pretore di Siracusa.
avendo de-
constituito, et
liberato diventare principe e tenere con violenzia e sanza obligo d’altri
quello che d’accordo
li
era suto concesso,^^ et avuto di questo suo di-
con Amilcare cartaginese,
segno intelligenzia
una mattina
militava in Sicilia, raunò
come
racusa,
se
et
il
eserciti
li
senato di
avuto a deliberare cose pertinente
avessi
elli
quale con
il
populo
el
Si-
alla
re|
pubblica;
uno cenno ordinato^®
a
et
sua
da’
fece
uccidere
soldati
|
tutti
li
senatori e
occupò
più ricchi del populo. Li quali morti,
li
e |
tenne
el
principato di quella città sanza alcuna controversia
demum
E, benché da’ Cartaginesi fussi dua volte rotto e
non solum
posse defendere la sua
ma,
città,
gente alla difesa della obsidione,^ con
assediato,^®
lasciato parte delle sua
altre assaltò
le
civile.^"^
et in
l’Affrica,
breve tempo liberò Siracusa dallo assedio, e conduss’e Cartaginesi in
estrema necessità
|
accordarsi con quello, esser
c furono necessitati
:
i
i
1
1
contenti della possessione di Affrica et ad Agatocle lasciare la Sicilia.
Chi considerassi adunque
3.
cose, o poche,
come
di sopra è detto, che
della milizia,
le
^ non per favore
ma
d’alcuno,
quali con mille disagi e pericoli
li
non vedrà
azioni e virtù di costui,
quali possa attribuire alla fortuna; con ciò sia cosa,
le
si
per
gradi
li
aveva guadagnati,
pervenissi al principato, e quello di poi con tanti partiti animosi pericolosi mantenessi. “
Non
si
può ancora chiamare
322 al 289 a. C., e riuscì ad affermare la egemonia siracusana su tutta 1’ isola, combattendo con successo contro i Cartaginesi. I particolari della sua vita qui raccontati sono
13.
abietta:
come
infatti,
famiglia
di
dice
più
umilissima;
era
di
un
oltre,
figlio
15. a
per
li
gradi...
virtù:
9.
energia », 10.
alla
qui
voltosi...
16.
la
parola
ha
il
senso
quali morti: ed essendo
stati
uccisi
sanza... civile: senza avere alcun con-
17.
18. rotto e
di
demum
19.
assediato:
essendosi
quella:
non solum: non
20. obsidione:
dedicato
avendone percorso
i
senza da essi, era stato spontaneamen-
11. e tenere... concesso: e di tenere,
ad quel potere che
altri
gli
e dipendente
la
sconfitto e,
solo.
assedio.
A
difendere, cioè,
città assediata.
21.
in
estrema necessità:
a
mal
partito,
22. furono
avuto... intelligenzia: essendosi accor-
dato, per portare a
compimento
suo diseCartaginesi tentavano di il
gno. Amilcare e i imporre il proprio dominio diretto o indila
Sicilia.
necessitati:
il
soggetto
è
«
i
Cartaginesi ». 23.
ma
concesso.
tutta
li
vicini alla rovina.
essere legato
retto su
stato.
un segnale
costoro.
« efficienza ».
carriera militare e
12.
di
a
alla fine, assediato in Siracusa.
diversi gradi.
te
affari
convenuto.
nei diversi periodi
età:
della sua età.
«
repubblica:
uno cenno ordinato:
trasto interno.
vasaio (figulo). 8.
raunò: radunò.
14. cose...
desunti dallo storico latino Giustino, fortuna...
e
ammazzare
virtù
con ciò sia cosa... che: poiché. È forcongiunzione che deriva dal latino
di
medioevale. 24.
con
tanti...
animosi:
con tante deci-
sioni coraggiose.
25. mantenessi: qui, e lo stesso dicasi per congiuntivo è richiesto dalla il
pervenissi,
^
Niccolò Machiavelli
197
sua cittadini, tradire gli amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza
li
religione;
modi possono
quali
li
gloria.^ Perché,
se
nello uscire de’
e
fare
acquistare
e la
periculi,
imperio,
ma
non
Agatocle nello intrare grandezza dello animo suo nel sop-
considerassi la virtù
si
di
non si vede perché elli abbia ad qualunque eccellentissimo capitano. Non di
portare e superare le cose avverse, essere indicato inferiore a
manco, la sua efferata crudelità et inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra li eccellentissimi uomini celebrato. Non si può adunque attribuire alla fortuna o alla virtù quello che sanza l’una e l’altra fu da lui conseguito. 4. Ne’ tempi nostri, regnante Alessandro VI,^ Liverotto firmano,^ sendo più innanzi^ rimaso piccolo senza padre fu da uno suo zio ma26. terno, chiamato Giovanni Fogliani, allevato, e ne’ primi tempi della sua
gioventù dato a militare sotto Paulo Vitelli,^ acciò che, ripieno di quella
congiunzione causale. Sostituisci due passati
Non
può...
si
gloria:
neppure chiamare virtù,
E non
ecc.
può
si
successo di
Il
Agatocle non fu dunque opera della fortuna, ma fu sua personale conquista, né, d’altra parte, fu opera di virtù, perché la virtù non può coincidere con le scelleratezze che il
M. enumera;
queste, anzi, possono, al più,
procurare
il
st’ultimo
ideale
potere,
fu
nel Rinascimento:
cesso c unito
ma non
la gloria.
profondamente
Que-
sentito
in esso, all’ idea del suc-
un superiore
che non ebbe certo lealtà (fede),
tino,
né rispetto per
parte nel cap. il
Machiavelli
XL
del
la III
ribadisce:
religione.
né
D’altra
libro dei Discorsi, « ;o
non intendo ti fa rom-
virtuosi. Il principe, ‘cioè, può, secondo il M., usare anche mezzi ripugnanti,, purché lo scopo non sia la soddisfazione
della sua
la
questa, volta
mai
parola data ed
ancora
stato
che
la
e regno...
i
ti
la
perché acquisti qualche
patti fatti;
non
ti
Subito dopo, però, aggiunge che è gloriosa « quella fraude che si usa con quel nimico che non si fida di te » e
proclama,
nel
cap.
seguente,
che
è
lecito
mezzo, anche quelli moralmente più ripugnanti, pur di salvare la patria, E sempre nei Discorsi ( I, cap. IX) esalta come supremo ideale l’opera di colui che intenda « giovare non a sé, ma al bene comune, non alla sua propria successione usare qualsiasi
1 .
(al
proprio successo e tornaconto)
comune
patria
».
ma
alla
Per questo, molti dei più
di
ed efficiente, gnino la giustizia
e la pace.
uno
Invece, di recente
studioso,
osserva che, qualunque sia
il
rivolte, le crudeltà restano
sempre
il
Sasso,
fine a cui tali
sono e of-
fendono la coscienza morale; in questa pagina sarebbe quindi evidente il contrasto fra la viva coscienza morale del M, e la sua lucida amara consapevolezza delle leggi ferree e spietate che regolano il mondo della politica.
27. regnante Alessandro VI: sotto il pontidi Alessandro VI, padre del Valen-
ficato
tino.
acquisterà
gloria ».
brama di potere, ma la una comunità statale solida bene ordinata, nella quale re-
egoistica
costituzione
quella fraude essere gloriosa che
pere
Caprariis,
considerati
ideale di civiltà,
che possa rimanere esemplare nei secoli. Qui l’autore sembra in contraddizione con se stesso, se si pensa che nel cap. precedente ha additato cóme esempio il Valenpietà,
dallo Chabod, al Russo, al hanno affermato che dal concetto machiavelliano di virtù non è assente una genuina esigenza morale, la quale non consente che uomini come Agatocle siano acuti interpreti,
De
remoti.
28.
Liverotto firmano:
ducci da Fermo.
Il
Oliverotto Euffre-
avvenne nel dicemmaggiore vivacità dram-
fatto
bre 1501. Osserva la matica con la quale
il
M.
racconta questo
esempio contemporanco. Raccontando le vicende di Agatocle si limitava spesso a paratesto latino: qui, invece, vive la il tragica realtà dell’ Italia del suo tempo.
frasare
29. sendo...
innanzi:
essendo molti anni
prima. 30. dato... Vitelli:
inviato a militare nel-
compagnia di ventura di Paolo Vitelli, uno dei più celebri condottieri del tempo. la
Antologia della letteratura italiana
198
disciplina,”
a qualche
pervenissi
di poi Paulo,
grado di milizia. Morto
eccellente
militò sotto Vitellozzo suo fratello;
brevissimo
in
et
tempo, per essere ingegnoso^ e della persona e dello animo gagliardo,
primo uomo
diventò
el
10 stare
con
a*
della sua milizia.”
con
altri,^ pensò,
Ma, parendoli
cosa servile
Fermo,
lo aiuto di alcuni cittadini di
quali era più cara la servitù che la libertà della loro patria, e con
favore vitellesco,” di occupare Fermo. E scrisse a Giovanni Fogliani come, sendo stato più anni fuora di casa, voleva venire a vedere lui e la sua città, et in qualche parte riconoscere el suo patrimonio: ^ e, 11
perché non s*era affaticato per altro che per acquistare onore, acciò ch’e
come non aveva
sua cittadini vedessino
speso
el
tempo
in vano, voleva
venire onorevole et accompagnato da cento cavalli di sua amici e servitori
:
®
e pregavalo fussi
ricevuto onoratamente:
contento ordinare che da’ Firmiani
che non solamente tornava onore a
il
fussi
ma
lui,
a sé proprio, sendo suo allievo.® 5. el
per tanto, Giovanni di alcuno offìzio debito “ verso
Non mancò,
nipote;
da Firmiani onoratamente,
fattolo ricevere
e,
alloggiò nelle
si
dove, passato alcuno giorno, et atteso ad ordinare secre-
case sua;
tamente^ quello che alla sua futura scelleratezza era necessario, fece uno convito solennissimo, dove invitò Giovanni Fogliani e tutti li
E
primi uomini di Fermo. li
altri
arte,
consumate che furono
intrattenimenti che in simili conviti
mosse
si
le
vivande e
ragionamenti gravi, ^ parlando della grandezza di papa
certi
Alessandro e di Cesare suo figliuolo, e delle imprese ragionamenti respondendo Giovanni e li altri, lui ad un
A’ quali
loro. tratto
ripieno...
disciplina:
fattosi
esperto
Vitellozzo:
Vitellozzo Vitelli fu cat-
turato c fatto strangolare, insieme con Oli33. per essere ingegnoso:
per
il
fatto che
34. della sua milizia:
compagnia
della
di
Vitellozzo.
36.
r
lo stare
con
altri
:
essere alle dipenden-
il
favore vitellesco:
col
favore c
aiuto di Vitellozzo. 37. riconoscere el suo patrimonio: valuta-
re esattamente 38. voleva...
i
suoi beni. servitori:
voleva
entrare
in
Fermo come un personaggio ragguardevole, accompagnato da cento ci
cavalieri armati, ami-
39. ma...
allievo:
poiché
alcuno...
debito:
di
alcuna dove-
41.
si
alloggiò...
ma
sua:
Il
soggetto non è
Oliverotto (sua
invece riferito a Giovanni).
=
sue, è
La cagione
del
brusco c sintatticamente irregolare cambiamento di soggetto è che ormai nella mente
campeggia soltanto la figura con la sua energia violenta e nefanda ma dominatrice. Dal momento in cui entra in casa dello zio il tradimento è compiuto c si svolge con un suo ritmo fatale. 42. atteso... sccretamente: avendo provveduto a preparare in segreto. scrittore
di Oliverotto,
43. mosse... gravi: fece cadere
il
discorso
su argomenti importanti e delicati.
e servitori suoi.
Fogliani,
40. di
dello
altri.
con
del subdolo messaggio.
più Giovanni,
era abile e avveduto.
35.
come un suo figliuolo, essendo stato allevato lui. Il M. rende bene il tono suadente
rosa cortesia.
verotto, dal Valentino (cfr. cap. VII).
ze di
ritirossi
da
deir arte militare. 32.
rizzò,
si
dicendo quelle essere cose da parlarne in loco più secreto;^ e
31.
tutti
usano. Oliverotto, ad
ma
anche
Oliverotto
si
a
Giovanni
considerava
44. dicendo... secreto: dicendo che quelle erano cose delle quali non si doveva parlare
Niccolò Machiavelli
199
una camera, dove Giovanni e tutti li altri cittadini li andorono Né prima furono posti a sedere, che de’ luoghi segreti di quella uscirono soldati, che ammazzorono Giovanni e tutti li altri. in
drieto.
6.
Dopo
terra,*® et
il
quale omicidio, montò Oliverotto a cavallo, e corse
la
supremo magistrato; tanto che per obbedirlo e fermare*^ uno governo, del quale
assediò nel palazzo
paura furono constretti
el
fece principe. E, morti*® tutti quelli che, per essere malcontenti, lo
si
potevono offendere, in
modo
corroborò con -nuovi ordini
si
che, in spazio d’uno
solamente era sicuro nella a tutti
come
li
E
sua vicini.
città
sarebbe suta®^
quella di Agatocle, se
non
:
come
dove, preso ancora
sopra
di
si
disse,
uno anno dopo
in
lui,
diffìcile,
suto lasciare ingannare da
misso parricidio, fu, insieme col Vitellozzo, stro delle virtù
e militari;*®
sua espugnazione
la
fussi
si
Cesare Borgia, quando a Sinigallia, Orsini e Vitelli
civili
anno che tenne el principato, lui non di Fermo, ma era diventato pauroso®®
il
prese
li
comquale aveva avuto maeel
strangolato.®^
e scelleratezze sua,
7. Potrebbe alcuno dubitare donde nascessi®® che Agatocle et alcuno simile, dopo infiniti tradimenti e crudeltà posse vivere lungamente sicuro nella sua patria e defendersi dalli inimici esterni, e da’ sua cittadini non li fu mai conspirato contro: con ciò sia che molti altri, mediante la crudeltà, non abbino, anche ne’ tempi pacifici, possuto mantenere lo stato, non che ne’ tempi dubbiosi di guerra.®* Credo che questo avvenga®® dalle crudeltà male usate o bene usate.®® Bene usate si possono chiamare quelle (se del male è licito dire bene)®^ che
un pubblico banchetto, ma in luogo piu Nota quciratmosfcra di falsa intimità, creata ad rrte dal traditore, in dram-
52. strangolato:
in
appartato.
matico contrasto con quel
si
rizzò, che
ri-
La parola, posta
alla
fi-
ne del periodo e dopo 1’ accenno sdegntJso a Vitellozzo, ha un particolare, macabro rilievo, ed esprime la condanna morale e il
vela volontà energica e decisa, c che viene,
disprezzo del M. verso
per COSI dire, ripreso, dopo
non comprendebene da che cosa derivasse. 54. con ciò... guerra: dal momento, al contrario, che molti altri principi che si sono
e perciò più sinistra,
la
rapidissima,
notazione dell’eccidio,
da quel montò Uverotto a cavallo, e corse
U
terra,
del
cupamente
racconto
è
in
La bellezza immagini dense
trionfale.
queste
e vigorose.
cavalcò a furia per le
strade della città (la terra) in segno di vit-
47. fermare: 48. morti:
costituire.
uccisi.
militari: rafforzò la 49. si corroborò... sua signoria con nuovi ordinamenti civili e militari.
50.
pauroso: temibile.
51. suta:
mantenere
suta.
traditore nefando.
tempo 55.
lo stato
non soltanto nei pema neppure in
tempi della guerra,
ricolosi
di pace.
avvenga:
derivi.
56. dalle crudeltà... usate:
46. el
pubblicano).
il
nascessi:
macchiati di scelleratezze non hanno potu-
dominio.
supremo magistrato: le supreme magistrature (Fermo aveva un governo re-
dubitare...
re
to
45. corse la terra: toria e di
53.
dal
modo buo-
no o cattivo di usare le crudeltà come mento di dominio (De Caprariis). Dopo
stru-
l’ap-
passionato racconto del delitto di Oliverotto condanna di esso, il M. riprende
e la recisa
tono obiettivo e distaccato dello scienzi.iriconoscendo nelle crudeltà una possibile necessità della dura logica della poil
to,
litica.
57.
se
del
male...
bene:
Anche questo
Antologia della letteratura italiana
200
fanno ad un
si
Male
tratto,
ma
insiste dentro,
per necessità dello assicurarsi, “ e di poi non
convertiscono in piu
si
che
vi
si
può.“
si
usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche,
più tosto col tempo crescono che
le si
spenghino.® Coloro che osservano
primo modo, possono con Dio e con
el
utilità de’ sudditi
uomini avere
li
come ebbe Agatocle.
qualche remedio;
Quelli
altri
allo stato loro
è impossibile
si
mantenghino.®
Onde
8.
uno
è da notare che, nel pigliare
un
tutte farle a
non
tere,
per non
Chi
fa altrimenti,
sempre necessitato tenere
el
non
si
sopra
sua sudditi,
li
le
avere a rinnovare ogni di,® e po-
li uomini e guadagnarseli col beo per timidità o per mal consiglio,® è coltello in mano; ® né mai può fondarsi
potendo quelli per
iniurie assicurare di lui.® Perché le iniurie
sieme, si
fare a poco a poco, acciò che
M.,
inciso rivela la perplessità del
il
buona
osserva
acutamente che
potremmo come una tecnica
buona',
dire fra la politica intesa
che si propone un successo tangibile e immediato, e una concezione più ampia della politica che tenga conto di una sfera di interessi spirituali più complessa.
ad un...
58.
momento
assicurarsi: tutte insieme, nel
della conquista del
potere, spiati
dalla necessità di fondarlo stabilmente.
e di poi...
59.
compierle,
ma
maggior bene
si
può: e poi
cerca
si
di
possibile per
i
si
cessa di
convertirle
nel
Le
cru-
sudditi.
sono giustificate quando servono a togliere di mezzo coloro che potrebbero tole.
Il
la saldezza della compagine stapotere cosi rafforzato potrà garan-
ordine, sicurezza e pace ai sudditi senza più necessità di ricorrere al male. 60. che le si spenghino: che cessare. 61. possono... remedio: possono in qualche modo mantenere il potere e giustificarsi tire
di fronte alle leggi
62.
è impossibile
umane si
e divine.
mantenghino: è im-
possibile che riescano a mantenersi al potere.
63. nel pigliare
io cui
s’
uno
stato:
nel
momento
impadronisce del potere.
64. discorrere: passare in rassegna mental-
mente.
meno:
e’
benefizii
E
debbe
per non dovere conti-
di:
ripeterle.
66. assicurare: rassicurare.
67. o per timidità... consiglio: o per mancanza di coraggio e di fermezza (che gli impedisce di compiere tutte le crudeltà necessarie) o per deficienza di acume politico. 68. è sempre...
mano:
sere
sempre in sospetto
comcomunque, a esc pronto a com-
è costretto a
piere continue violenze o,
pierle.
69. né mai... di lui: né può mai avere piena fiducia dei suoi sudditi, perché questi non possono fidarsi di lui per le recenti e
continue offese patite. Perché...
70.
deltà, cioè,
incrinare
continue
fare tutte in-
assaporino meglio.'”*
si
nuamente
il
distinguere pienamente fra
e politica
politica
le fresche e
debbono
65. per non...
contra-
sto fra giudizio politico e giudizio morale. II De Caprariis M. non riesce a
si
assaporandosi meno, offendino
che,
acciò
debbono
è necessario fare, e
li
innovando, assicurare®
le
neficargli.
tratto,
debbe Toccupa-
stato,®
tore di esso discorrere®* tutte quelle offese che
meglio:
Offese e violenze
debbono fare tutte insieme, perché cosi i sudditi non le meditano a lungo {assaporano) ad una ad una e quindi minore è si
il
rancore che concepiscono nei confronti del Il contrario bisogna fare coi be-
principe. nefici.
È una
spietate
passato,
hanno
delle tante
che
hanno
la
coscienza
fatto
massime lucide
offeso,
apparire
soprattutto
morale dei il
e
nel
lettori
e
M. un mostro,
di
cinismo e di perfìdia. In realtà egli si limita a desumere dai fatti le leggi che li governano: non inventa, ma constata. Quanto al suo atteggiamento morale, ricorda quello che siamo venuti dicendo nel commento a questo e al precedente capitolo.
Niccolò Machiavelli
20J
uno principe vivere con li sua sudditi in modo, che veruno accidente o di male o di bene lo abbia a far variare: perché, venendo per li tempi avversi le necessità tu non se’ a tempo al male; et il bene che tu fai non ti giova, perché è indicato forzato, e non te n’è saputo grado alcuno.'^^ sopr’a tutto
Di quante ragioni
sia la milizia c de’ soldati
mercenari
La vera resurrezione dell’ Italia non poteva attuarsi, secondo il Machiavelli, che mediante una estraordinaria virtù^ dato che la situazione della Penisola appariva ormai irrimediabilmente compromessa. In questa prospettiva si giustifica pienamente l’importanza data da lui alle armi, alla forza, necessarie al principe nuovo per condurre a, termine, con energia inflessibile e senza essere condizionato da alcuno, l’impresa. È questo, dunque, un capitolo centrale, del Principe, e proprio per questo mette in luce certi limiti del pensiero machiavelliano, soprattutto quello di considerare la crisi italiana come una crisi di carattere militare, senza valutare adeguatamente i suoi aspetti morali, politici, economici, che erano poi quelli veramente fondamentali.
Quanto sia
alla critica
non si può dire che che combatterono valorosamente c più importanti battaglie del Cinquecento, esse costituirono appassionata alle milizie mercenarie,
storicamente obiettiva.
decisero alcune fra
le
A
parte
il
fatto
mezzo per rafforzare il potere centrale, sottraendo soggezione ai grandi feudatari, che gli fornivano le milizie per la guerra, vincolando, in tal modo, la sua libertà d’azione. Il Machiavelli ha l’intuizione di un esercito che sia espressione genuina della nazione e palestra di educazione civica. È un’intuizione generosa e modernissima, ma praticamente utopistica se la si considera nell’ ambito delle concezioni del anche, in altre nazioni, un re
il
dalla
Principe.
Un
presuppone dei cittadini, non dei sudditi; non un un volgo amorfo, ma un sovrano o un ordinamento repub-
esercito siffatto
principe che plasmi
blicano in cui
popolo trovi pienamente espressi
il
esigenze di vita. Insomma, non
1.
Avendo de’
cipati
modi con 71.
E
li
le
nel
proprie
principio proposi
alcuno:
principe deve seguire
di
ragionare, c considerato in
cagioni del bene e del male essere loro, e mostro e
quali molti
debbe...
le
stato-civiltà.
discorso particularmente tutte le qualità di quelli prin-
quali
qualche parte
propri ideali e
i
uno stato-dominio, ma uno
una
hanno cerco
Soprattutto politica
un
ben de-
terminata e coerente, sì che nessun evento {veruno accidente), buono o cattivo, debba
mutare il suo modo di procedere; perché venendo, nei tempi avversi, la necessità di mutarlo, cioè di modificare i propri
di acquistarli e tenerli,^
mi
resta
forzato dalle circostanze non gli giova politicamente, perche i sudditi non gliene sono grati,
in
spontaneo,
quanto comprendono che non è ma imposto dal bisogno.
far
non si fa più a tempo male (non si riescono, cioè, a compiere tempestivamente e con frutto quelle violenze che andavano compiute prudentemente) e il bene che il principe compie rapporti coi sudditi,
a
volgersi al
Gap. XII. I.
Avendo...
Fino
tenerli:
Machiavelli ha esaminato cui
principati
di
nare
cap.
nel
misto costituito,
I
si
era
(quello cioè,
le
al
cap.
XI
il
varie specie di
proposto di ragioereditario, quello
da una parte eredi-
Antologia della letteratura italiana
202
ora a discorrere generalmente
le offese e difese che in ciascuno de’ prenominati possono accadere.^ Noi abbiamo detto di sopra ^ come a uno principe, è necessario avere e sua fondamenti* buoni; altrimenti, di necessità conviene che mini.® E principali fondamenti che abbino li stati, COSI nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e buone arme ® e perché non può essere buone legge dove non sono buone arme,"^ c dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io
tutti
le
:
lascerò indrieto el ragionare delle legge e parlerò delle arme.®
Dico adunque che l’arme con le quali uno principe defende il o le sono proprie o le sono mercenarie, o ausiliarie, o miste.® Le mercenarie e ausiliarie sono inutile e periculose e se uno tiene lo stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo” 2.
suo
stato,
:
da province conquistate dai principe,
tata e
— ottenuto, concittadini — c quello
quello nuovo, quello civile
per
consenso dei ha considerato
ecclesiastico);
le
cagioni della
mo-
loro declino; ha
loro prosperità e del
con quali mezzi alcuni (ad
strato infìne
Mosè, Romolo, di
cioè,
il
es.
Valentino) hanno cercato
conquistarli o di mantenerli.
mi
2.
accadere:
resta...
mi
resta ora
da con-
siderare generalmente, senza, cioè, far più
fonda la critica serrata e aparmi mercenarie e il vagheggiamento delle milizie cittadine. Affinché lo stato sia pienamente autonomo e autosufficiente, deve fondare la propria difesa sul popolo armato. Quest’ idea è sostenuta anche nei Discorsi e, più ampiamente, neWArte della guerra. Ricordiamo inoltre che il M. si adoprò efficacemente per costituire, in difesa della Repubblica Fiorentina, intuizione
si
passionata
delle
distinzione fra
un
fese
prattutto
ci si
la
i vari tipi di stato, a quali ofpossano andare soggetti e in quale modo debba difendere da esse. Siamo giunti al-
parte centrale del trattato.
Il
M.
reclutato
esercito
fra
fra
arme:
lascerò...
8.
M.
primo luogo come forza, potenza, capacità
arme
di sopravvivere e imporsi.
realtà, a suo avviso, se a
c sua fondamenti
5.
di necessità...
i suoi fondamenti. mini: Tutto il pensiero del M. si fonda su antitesi drammatiche. L:- stessa insistenza con cui è usato il verbo
rumare della
ci
rivela
ti
o errori,
ma
le
efficaci,
tutto
il
mondo
richiede un’energia spietata
insomma, prudentia e armi. buone... arme: buone nel senso di idonee. Le leggi sono qui soprat-
ben calcolata 6.
che egli sente
come un mondo di violenza che non ammette tentennamen-
politica
e di rischio,
e
:
gli
:
ordinamenti
costituzionali
dello
stato. 7.
e perché...
arme: La scoperta più im-
portante del Machiavelli, in questo capitolo, è
quella
del
reciproco condizionamento
di
problema militare, cioè, non è da lui sentito come un problema tecnico a sé stante, ma come un problema leggi
di
e
armi.
Il
natura schiettamente politica. Su questa
nei
il
dia
confronti
dell’evoluzione di
no
4.
sofio-
ha qui 1 impresprimato alle buone
sione che
abbiamo... sopra: soprattutto nei capp.
e
contado
strettamerite
’
Si
ora l’essenza dello stato, da lui sentito in
3.
del
rentino.
considera
VI e VII.
cittadini,
i
abitanti
gli
il
delle
uno
stesse
un
certo
stato le
leggi.
due cose
interdipendenti e
In
momento si
so-
condi-
zionano a vicenda, nel momento della sua fondazione hanno maggiore importanza le armi. Inoltre, senza la forza il principe non potrebbe stabilire le buone leggi, che ser-
vono a
« raffrenare e correggere i sudditi ». o ausiliarie o miste: ausiliarie sono le truppe fornite da un principe alleato, miste quelle formate in parte da soldati propri in parte da mercenari. In 10. Le mercenarie e ausiliarie, ecc. pratica il M. lascia subito da parte le ausiliarie per concentrare la sua critica sulle mercenarie. Ed è critica polemica e appas9.
:
sionata,
do,
dai
come suoi
di emotività
vedi dalla vivacità del perio-
bruschi trapassi,
drammatica che
dalla
carica
lo pervade.
De-
idealmente collegarlo alle parole conclusive del capitolo: queste armi « hanno convi
dotta Italia stiava e vituperata ». 11.
fermo; ben saldo
al
potere.
Niccolò Machiavelli
né sicuro; perché
203
sono disunite,
le
non fede con differisce lo
nimici.^^
da’
e nella pace
assalto;
La cagione
cagione che
altra
tanto
e
uomirii,^^
gli
ambiziose, sanza disciplina, infe-
fra e nimici,
dele; gagliarde fra gli amici;
non timore
vile;
differisce
si
spogliato da loro,
se’
non hanno
di questo è che
di Dio,
mina, quanto
la
si
guerra
nella
amore né
altro
tenga in campo, che uno poco di stipendio;
le
quale non è sufficiente a fare che voglino morire per
bene essere tuoi soldati mentre che tu non
te.
come
guerra; ma,
fai
il
Vogliono la
guerra viene, o fuggirsi o andarsene. 3.
ora
La qual
cosa do verrei durare poca fatica a persuadere; perché
ruina di
Italia
la
non
è causata
di molti anni, riposatasi in su le
venne
el forestiero,^® le
che a Carlo re di francia fu
come
diceva
non erano già ché
erano peccati de’ principi,
elli
pitani
te
ma
hanno
comune
un
ideale.
alcuna
legge
come
il
non hanno
più
alla
rispetto di
umana
né
divina
Quanto
« lealtà »),
sente
religione,
M.
il
fondamento
sicuro
popolo. per qualcuno: per
il
vale
(fede
la
16.
nella
rimani prigioniero della loro violenza e delloro cupidigia.
17. infra
per molti anni
eserciti
questo giudizio dice
lo
Ma
sul fatto
che
Abbiamo sia
del
già visto co-
tutto
parziale
l’animo del Machiavelli, co-
Chabod,
« ricercava
una causa
ben chiara per riversarvi sopra tutto l’odio e la disperazione di cui era pieno » in seguito alla tragedia italiana, e
la trovò nelle atmi mercenarie, mentre anche queste e i loro difetti derivavano da una crisi politi-
ca
più
generale,
dalla
frattura
che
si
era
mezzo
di qualcJhc
quando combattevano
el forestiero:
fra
lo straniero.
La frasé fu attribuita uno storico francese al papa Alessandro VI. Vuol dire che Carlo Vili, quando invase r Italia, non ebbe bisogno di combatgesso:
de.
tere; bastò le
che
i
suoi furieri segnassero col
prescelte
case
per Talloggiamento
dei soldati.
è totalmente affidata
si
mercenari.
non
loro:
19. onde...
gesso
che... mercenarie: se
c limitato.
me
ca-
condottiero.
della
sua funzionalità politica. 14. e tanto... nimici: La battaglia condotta da milizie mercenarie ti porta sempre rovina, perché anche in caso di vittoria
me
E
prodotta fra un’esigua classe dirigente, avida
18.
mente
ad
ma
patrone, o con lo opprimere
se’
li
dello stato, anche se la considera esclusiva-
essa
chi
di queste arme.
infelicità
la
di loro.
15.
E
vero;
questi che io
moralità, c per questo essenziale nella vita
la
il
e gelosa conservatrice dei propri interessi, e
non... uomini:
13.
erano: onde
sono uomini nelle armi eccellenti o no; se ne puoi fidare, perché sempre aspireranno alla grandezza
non
disunite:
elle
col gesso.^*
e’
propria, o con lo opprimere te che
12.
feciono
ho narrati: e perne hanno patito la pena ancora loro.
dimostrare meglio
mercenarii,^^ o
non
sono,
mostrorono quelle che
licito pigliare la Italia
quelli che credeva,
4. Io voglio
le quali
erano cagione e peccati nostri, “ diceva
n’
e’
che per essere, in spazio
altro,
qualche progresso, e parevano gagliarde infra loro;
già per qualcuno
ma come
da
arme mercenarie; ^
20. te al le
E chi... nostri: Allude polemicamenSavonarola, che aveva denunciato, nel-
sue
Italiani,
prediche e
visionarie,
profetizzato
opera del re di Francia. dice
il
M., era quello
mercenarii, c
i
i
una
Ma
il
peccati
di essersi affidati
21.
E
ai
principi ne erano responsa-
bili, e anche loro ne hanno patito perdendo per questo il loro stato.
l’uso
degli
punizione ad vero peccato,
capitani:
al
solito,
fiorentino dell’epoca.
e per
i,
la
pena,
secondo
Antologia della letteratura italiana
204
fuora della tua intenzione
altri
rovina per l’ordinario.^
“ ma
:
E
se
non
è
il
capitano virtuoso,
responde che qualunque ara le arme in ,mano farà questo, o mercenario o no, replicherei come le arme hanno ad essere operate^ o da uno principe o da una republica. E1
e’
ti
se
si
principe debbe andare in persona, e fare lui Toflìzio del capitano; la
mandare sua cittadini; e quando ne manda uno che uomo, debbe cambiarlo; e quando sia, tenerlo con le leggi che non passi el segno.^ E per esperienzia si vede a’ principi soli e republiche armate fare progressi grandissimi, e alle arme mercenarie “ non fare mai se non danno; e con piu difficultà viene alla obedienza^ di uno suo cittadino una republica armata di arme proprie, che una armata di arme esterne... republica ha a
non
riesca valente
Seguono esempi,
storia antica e
tratti dalla
recente, che attestano
come
gli stati provvisti
da quella italiana più d*armi proprie
si
siano
mantenuti a lungo forti e liberi, e come, invece, dalle armi mercenarie siano sempre nati « i lenti, tardi e deboli acquisti, e le subite e miraculose perdite ». Quindi, il M. enuncia il proposito di esaminare sinteticamente
i
danni che
le milizie
mercenarie hanno provocato in
Italia.
8. Avete dunque ad intendere come, tosto che in questi ultimi tempi lo imperio cominciò ad essere ributtato di Italia, e che il papa nel temporale vi prese più reputazione, si divise la Italia in più stati; perché molte delle città grosse presono l’arme contro a’ loro nobili, li
quali,
prima
favoriti dallo imperatore, le
cittadini
ne diventorono principi.^
mani
quasi che nelle
e la Chiesa
Onde
c cercheranno di grandezza o opprimendo chi li assolda (come fece Francesco Sforza, che, assoldato dalla Repubblica Milanese, se ne impadronì) o opprimendo al-
22.
o con... intenzione:
conseguire
la
propria
senza curarsi dei tuoi piani. 1’ ordinario: naturalmente (per
23. per
la
sua stessa inefficienza). 24. operate:
adoperate.
quando... segno: e quando sia valente deve tenerlo a freno mediante le leggi, 25. c
affinché 26.
a’
non usurpi principi...
il
potere. alle
che, essendo venuta
l’
Italia
della Chiesa e di qualche republica, e essendo
quelli preti e quelli altri cittadini usi a
tri
tennono oppresse;
favorita per darsi reputazione nel temporale; di molte altre e loro
le
arme mercenarie:
da parte dei principi... da parte delle armi, ecc. 27. viene alla obedienza: cade in potere.
non conoscere arme,^ comin-
sotto la tirannia.
principi: Allude rapidamente vicende degli ultimi secoli, soprattutto al Trecento e al Quattrocento, al tramonto definitivo dell’autorità imperiale in Italia, alla maggior potenza {reputazione) acquistata dalla Chiesa nel campo temporale, all’origine dei Comuni, sorti in opposizione ai oppresse) e feudatari {molte delle citta aiutati dalla Chiesa che intendeva acquistare potenza politica, e, infine, al formarsi 28. tosto...
alle
delle Signorie. 29. quelli...
arme: ne
i
preti
ne
la
bor-
mercantile fondatrice del Comune erano usi alle armi, e si valsero quindi di milizie mercenarie. ghesia
Niccolò Machiavelli
205
ciorono a soldare* forestieri. E1 primo che dette reputazione a questa intra
discese,
arbitri di Italia.
Braccio e Sforza,® che ne* loro tempi furono
altri.
li
romagnolo. Dalla disciplina® di costui
da Conio,
milizia, fu Alberigo
Dopo
vennero
questi,
tutti
E
tempi hanno governato queste arme.
altri,
li
che fino
nostri
a*
fine della loro virtù è stato,
il
Italia è suta corsa da Carlo, predata da Luigi, sforzata da Ferrando e vituperata da* Svizzeri.®
che
9. L*
ordine che ellino hanno tenuto è stato, prima, per dare repu-
tazione a loro proprii, avere tolto reputazione alle fanterie.® Feciono questo, perché, sendo sanza stato e in sulla industria,® e pochi fanti li assai non potevono nutrire; e dove con numero sopportabile erono nutriti e onorati.® E erono ridotte le cose in termine che in uno esercito di ventimi!^ soldati non si trovava dumila fanti. Avevano, oltre a questo, usato ogni industria per levare a sé c a* soldati la
non davano
però
fatica
reputazione,® e
loro
ridussono
si
e
prigioni
e
non
paura,
la
cavalli,
a*
ammazzando
si
sanza taglia.®
Non
ma
zuffe,
nelle
traevano la
notte
pigliandosi quelli
terre;
alle
non traevano alle tende;" non facevano intorno al campo né steccato né fossa; non campeggiavano^ al verno. E tutte queste
delle terre
cose
erano permesse ne* loro ordini militari, e trovati da loro per
fuggire,
come
condotta
Italia stiava e vituperata."
30. soldare:
è
detto,
e
la
fatica e
assoldare.
da Conio: Alberigo da Barbiano, conte di Conio, fondò la Compagnia di S. Giorgio, la prima compagnia di ventura italiana. Mori nel 1409. Braccio da Monto-
ne c Muzio Attendolo Sforza. 34. corsa... Svizzeri: percorsa da dominatore da Carlo Vili, depredata da Luigi XII, violentemente assoggettata da Ferdi-
nando il
il
Cattolico, che, oltre a conquistare
Napoletano, estese su tutta
Italia
la
sua
influenza politica, vituperata dagli Svizzeri che mostrarono la loro superiorità schiacciante
sulle
milizie italiane.
carico di sarcasmo
L’ordine...
amaro
Tutto
il
periodo è
e dolente.
La
che hanno seguito è consistita nel togliere ogni importanza alle fanterie per darla alle milizie a cavallo (che richiedevano piu lungo addestramento e quindi soldati di mestiere). Il M. ha presente il fatto che le maggiori battaglie combattute da Francesi e Spagnuoli in Italia furono vinte dalle fanterie. 35.
politico,
fanterie:
tecnica
e
non avendo potere non potendo quindi reclutare e
mantenere vaste masse di fanterie, e vivendo della professione delle armi. 37. reputazione: potenza. 38. c però... onorati: e perciò
scuola.
33. Braccio e Sforza:
hanno
li
36. sendo... industria:
31. Alberigo
32. disciplina:
tanto che
pericoli:
li
si
limita-
rono a tenere solo la cavalleria, poiché in tal modo erano più facilmente nutriti da chi
assoldava e onorati
li
come truppe
spe-
cializzate.
39. e sanza taglia: e senza pretendere riscatto. In realtà le battaglie fra
truppe mer-
sanguinose di quanto non voglia far credere il M. preso dalla sua polemica. durante la 40. Non traevano... tende: cenarie
più
non davano
notte e
furono
coloro che
le
l’assalto
alle
città
{terre)
difendevano non facevano
contro 1’ accampamento degli assaliVi era, cioè, un’omertà reciproca. 41. non campeggiavano: non compivano imprese militari durante l’inverno. 42. tanto... vituperata: tanto che hanno
sortire tori.
reso
l’Italia
famata.
schiava
e
vituperata,
cioè
in-
2o6
Antologia della letteratura italiana
Di quelle cose per
quali
le
li
uomini, e specialmente
i
Principi,
sono laudati o vituperati Dal cap. XV il Machiavelli indica le qualità, le inrtù, gli accorgimenti che sono necessari a un principe perche egli possa svolgere la sua opera in maniera veramente efficiente. È questa la parte più originale del trattato, e anche quella che ha sollevato maggiore scalpore e persino scandalo c riprovazione morale, perche in essa l’autore, con logica tagliente c implacabile, non esita ad esortare il principe « ad entrare nel male, se necessitato », a non tenere conto alcuno della bontà, della lealtà, della giustizia, qualora la sopravvivenza dello stato lo richieda. Per questo il Machiavelli è stato accusato di cinismo, di amoralità, e in tal senso le parole machiavellismo e machiavellico sono state usate per indicare una politica cinica e spregiudicata, sostanzialmente disumana, volta solo aH’affermazione della tirannica volontà di potenza del singolo. La realtà è ben diversa. Per comprendere queste pagine dobbiamo rifarci alla situazione storica e spirituale nella quale furono scritte. Certo il Machiavelli ha una visione amara e dolente dell’uomo; ma questa amarezza, che, a tratti, assume toni decisamente pessimistici, nasce da un’esperienza di guerre, di rovine, di crollo di un sistema politico che sembrava perfetto e che appare ora sconvolto da una tempesta, di là dalla quale s’intrav vedono soltanto ignominia e servitù. È la situazione di Firenze e dell’Italia, che il Machiavelli ha dolorosamente e appassionatamente vissuto.
La realtà dell’uomo nella storia è, conseguentemente, vista dal Machiavelli come qualcosa di assolutamente precario, continuamente esposto al pericolo della rovina. La
vita politica diviene
volti
una
lotta incessante
per sopravvivere, per non essere
tra-
richiede una
co-
dal giuoco mutevole e spesso imprevedibile degli eventi;
scienza sempre vigile e pronta, un’energia spietata; richiede, soprattutto, di lasciar
cadere ogni distinzione di bene e di male, di sapere usare anche quest’ ultimo, appare necessario.
se
Questa lucida e amara coscienza non è affatto cinica, ma rivela, al fondo, un anelito, come ha notato il Croce, verso una diversa società di uomini buoni e puri. Inoltre il male, la scelleratezza non sono giustificati dal Machiavelli, in quanto scoppio di passionalità istintiva, ma come un mezzo scelto con chiara consapevolezza intellettuale, quando tutti gli altri risulun’autentica sofferenza,
tino
inefficienti,
per
garantire
che, sola, rende possibile
la
piena
sicurezza
una convivenza ordinata
di
quella
costruzione
statale
e civile.
Resta ora a vedere quali debbano essere e modi e governi di uno principe con sudditi o con gli amici.^ E perche io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non esser te1.
nuto prosuntuoso, partendomi massime, nel disputare questa materia, dagli ordini degli altri.^ Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a Cap. XV.
2.
E
I.
e modi... amici:
il
modo
di comportar-
gli uomini governo degli altri stati {amici, in quanto con essi intrattiene relazioni politiche c disi
di
un principe
di
plomatiche).
coi sudditi e
con
perche... altri:
Il
M. ha piena
e po-
consapevolezza della propria originalità in questa parte della trattazione, perche si allontana dai principi e dai metodi (ordini) degli altri trattatisti. Egli qui prende posizione contro la letteratura medioevaIc e umanistica, volte a rappresentare una lemica
E Niccolò Machiavelli
207
mi
è parso piu conveniente
andare drieto alla verità imaginazione di essa.^ E molti si sono imaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero;* perché egli è tanto discosto da come si vive a chi la intende,
che
effettuale della cosa,
come
alla
doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si doverrebbe fare, impara piu tosto la ruina che
si
vazione sua
uomo
perché uno
:
uno
è necessario a
non
essere
tanti
quando
parte pro-
le
che non sono buoni.®
buono,*^ e usarlo e
non
l’usare
secondo
la
uno
cose circa
le
discorrendo quelle che sono vere® dico che
e
Onde
necessità.®
imagi-
principe gli
tutti
uomini
ne parla, e massime e principi, per essere posti più
se
per
la preser-
principe, volendosi mantenere,® imparare a potere
Lasciando adunque indrieto
2.
nate,
che voglia fare in tutte
mini infra
fessione di buono, conviene
fa
si
quello che
alti
sono notati di alcune di queste qualità che arrecano loro o biasimo o questo
laude.
uno termine
alcuno è tenuto
4 che
alcuno misero (usando
liberale,
toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per
rapina desidera di avere; misero chiamiamo noi quello che immagine
idealizzata
principe
del
dello
c
fondata su esigenze morali, ma, a suo avviso, lontana dalla realtà politica e, quinstato,
di, illusoria. 3.
Ma
sendo...
Ma
essa:
essendo
il
mio
intento quello di scrivere cose veramente utili
te
nella vita reale,
ispirarmi
alla
fatto esistenti
filosofi
non
effettuale propria del pensatore, dello scienziato, e l’intimo travaglio, la sofferenza che
mondo
accompagnano
alle
alle
a è più di
che in
{veri-
immaginazioni vane Il
vocabolo effettuale
è creazione del Machiavelli, e, ‘
come
dice
il
cioè la ve-
reale
anche nei suoi effetti ». Allude ai filosofi che, come Platone, hanno vagheggiato nei loro scritti stati ideali, non conformi all’effettiva realtà dell’uomo e della storia. 5. perché... buoni: vi è una tale differenrità, oltre 4.
E
molti...
se,
in
vero:
zi fra come effettivamente si vive (il mondo concreto della politica, e, in genere, dell’azione umana rivolta alla conquista dell’utile e
—
ma anche sopravvivenza nel mondo) e come si dovrebbe vivere (il mondo della morale), che chi fonda la propria vita soltanto su ideali di bontà e giustizia va incontro alla propria della propria affermazione
—
rovina,
non
alla
blematicità
Infatti
spesso la scoperta della prodel
e
contrasto
natura umana. 6. volendosi mantenere: vare se stesso e il proprio
impliciti
nella
volendo preserstato.
7. imparare... non buono: Nota quell’/mparare e quel potere. Non si tratta di un invito alla malvagità, ma ad assumere con-
con fermezza qualsiasi mezconservazione dello stato. 8. e usarlo... necessità: e deve imparare, principe, a mettere in pratica questa cail pacità di fare il male e a non metterla in pratica, secondo che la necessità dello stato
sapevolmente zo necessario
e
alla
lo costringa. 9. le cose... vere: lasciando da parte le considerazioni su principati immaginari, già criticate all’inizio del capitolo, e attenendo-
mi strettamente
alla verità effettuale.
10. dico... laude: dico
propria salvezza (preserva-
un uomo che voglia essere sempre in tutto buono, di necessità rovina fra tanti che non sono tali. Troveremo in zione).
che nello stile teso c incisivo, sintetico e, insieme, drammatico. C’c in esse l’indubbio vigore morale dell’uomo che ha il coraggio di guardare in faccia la realtà per quanto, dolorosa possa essere e di denunciarla senza mezzi termini, la passione per la realtà
condizioni di
e mora’isti.
Tommaseo,
astiene
è parso più convenien-
realtà,
nella vita e nel
tà e^ettuale) e di
mi
si
ni, e soprattutto
i
che
uomi-
tutti gli
principi, che, per
il
fatto
questo e nei capitoli seguenti altre afferma-
sono maggiormente osservati, sono giudicati, da quelli che parlano di loro, secondo una delle qua-
zioni del genere. Noterai in tutte
lità
e
sofferta
chiaroveggenza che
si
un’amara
esprime an-
essere
dt
posti
più in
alto,
enunciate nel periodo seguente. questo è: cioè, è tenuto: è considerato
11.
2o8
Antologia della letteratura italiana
troppo di usare
suo); alcuno è tenuto donatore, alcuno rapace
il
Tuno
crudele, alcuno pietoso;
e pusillanime,
feroce e
l’altro
alcuno
fedifrago, l’altro fedele; l’uno effeminato
animoso;
l’uno umano,^^ l’altro su-
perbo; l’uno lascivo, l’altro casto; l’uno intero,^ l’altro astuto; l’uno duro, l’altro facile;^* l’uno grave, l’altro leggieri;^"^ l’uno religioso, l’altro incredulo, e simili.
E
io so che ciascuno confesserà che sarebbe lauda-
uno principe
bilissima cosa in
né interamente osservare, per
di tutte le soprascritte qua-
trovarsi,^®
quelle che sono tenute buone;
lità,
le
ma
perché
non
le
si
umane
condizioni
possono avere,
che non lo con-
sentono, gli è necessario essere tanto prudente, che sappia fuggire
l’in-
non gnene tolgano, guardarsi, se egli è possibile; ma non possendo, vi si può con meno respetto lasciare andare. “ Et etiam non si curi di infamia di quelli
vizii
che
li
torrebbano lo
stato,
correre nella infamia di quelli vizii, sanza quali salvare lo stato;
perché, se
cosa che parrà virtù
ne
seguendola,
e,
e’
la
riesce
possa diffìcilmente si
troverrà qualche
mina
sua; e qualcuna
considerrà bene tutto,
seguendola,^ sarebbe
e,
che parrà vizio,
altra
si
e da quelli che
la
securtà
e
il
bene
essere suo.
Della crudeltà e pietà; e
snelli è
meglio esser amato che temuto,
o più tosto temuto che amato I.
Scendendo appresso
alle
altre preallegate qualità,^
dico che cia-
scuno principe debbe desiderare di esser tenuto pietoso e non crudele: non di manco debbe avvertire di non usare male questa pietà.* Era te12. donatore... rapace; tore,
prodigo... rapina-
13. feroce e
umano:
14.
animoso:
fiero e coraggioso.
cortese, gentile.
.15. intero: sincero, franco, leale. 16. duro...
facile:
ostinato
nella
propria
condiscendente e indulgente. 17. grave... leggieri: ponderato e costante nelle sue decisioni... volubile. 18. in uno principe trovarsi: che in un
severità...
principe
si
trovassero.
umane: per il liminatura umana, che è un miscuglio di bene e di male. 20. gli è necessario... andare: bisogna che il principe sia tanto prudente da saper fuggire il biasimo che gli deriverebbe da quei per
19.
le
sibile, si
può abbandonare ad
essi
con minor
riguardo.
deir altrui.
condizioni
21. Et etiam... stato: £ inoltre non si preoccupi se sarà biasimato per quei vizi senza i quali non potrebbe salvare lo stato. 22. seguendola: qualora il principe la se-
gua.
Il
contrasto fra politica e morale
si
ri-
primato della politica e nella subordinazione ad essa della morale. Ai concetti di bene e di male sono sostituiti quelli di efficienza o inefficienza agli effetti della salvezza dello stato. solve
nell’affermazione
del
te stesso della
vizi
che,
se
fossero
conosciuti,
potrebbero
perdere lo stato, c guardarsi, se gli è possibile, da quelli che non lo danneggiano sul piano politico; ma se non gli è posfargli
Gap. XVII. 1.
Scendendo... qualità:
considerare
XV
(nel
le altre
XVI ha
passando poi
a
qualità elencate nel cap. parlato della
liberalità
e
delia parsimonia). 2.
stare
non
di manco... pietà: deve tuttavia bene attento a non usare in maniera
Niccolò Machiavelli
209
nuto Cesare Borgia crudele; non di manco, quella sua crudeltà aveva
Romagna,
racconcia la si
considerrà bene,
il
populo fiorentino,
unitola, ridottola in pace e in fede.® Il che se vedrà quello* essere stato molto più pietoso che
si
quale, per fuggire
il
nome
el
di crudele,
destruggere Pistoia.® Debbe, per tanto, uno principe non
si
lasciò
curare della
infamia di crudele per tenere e sudditi sua uniti e in fede ® perché con pochissimi esempli'^ sarà più pietoso che quelli, e quali, per troppa :
che ne nasca occisioni o rapine
pietà, lasciano seguire e disordini, di
® :
perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe offendono
uno
crudele, per essere
li
stati
nuovi pieni di
E
particolare.®
principe nuovo è impossibile fuggire
principi, al
e
tutti
pericoli.^®
E
infra
nome
el
di
Virgilio nella
bocca di Didone dice: m
Res dura,
me
et regni novitas
cogunt
talia
Moliri, et late fines custode tueri.^^
Non
manco, debbe
di
grave
esser
e umanità, che la troppa confidenzia
diffìdenzia
non
politicamente
controproducente
lo
modo
questa
sua
M. non
sia
La
un
cinico consigliere di
a riordinare (racconcia) la
fronti del essa
il
scelle-
crudeltà del Valentino è serviu
ficarla e pacificarla, a
Romagna,
a uni-
renderla leie nei con-
governo mentre prima regnava in
4.
quello: il
lo facci incauto e la troppa
perché... particulare:
Pistoia:
per essere... pericoli: poiché conquistati sono pieni di nati dal disordine che accompagna
lotta
fra le fa-
Virgilio
Didone,
re a
Africa
1501 gravi tumulti a Pistoia. I Fiorentini intervennero per sedarli, ma non
necessità
nel
avendo avuto fermezza,
come
il
coraggio di procedere con
ammazzando
consigliava
i
capi dei tumulti,
M., non riuscirono
il
ridare la pace alla città,
a
anzi la loro con-
che si compissero nuove violenze con conseguenze deleterie. 6. non... fede: non preoccuparsi di avedotta irresoluta fece
re la cattiva
fama
si
di crudele,
uniti e obbedienti alle leggi
i
lasciano...
pine.
rapine:
dai quali
muta-
il
neW Eneide la
nuovo
(I, 563-64) fa diregina che sta fondando In
stato cartaginese
politiche,
conseguenti
mio regno, mi costringono
«
:
Le dure
alla
novità
prendere questi provvedimenti e a vigilare con cura su tutto il mio territorio ». Ella risponde cosi agli esuli Troiani che si lamentavano del
a
del fatto che il loro approdo fosse stato contrastato violentemente dai Cartaginesi.
Non di manco... intollerabile: Tuttadeve essere prudente e ponderato nel
12.
via
pur di tenere
credere all’esistenza dei pericoli e nell’acre, e
con pochissimi esempli: con pochissimi esempi, o atti, di crudeltà. 8.
il
sudditi.
7.
disordini
stati
pericoli
violento di regime politico.
zioni dei Panciatichi e dei Cancellieri pro-
vocò
gli
10.
appena
11.
La
uccisioni e rapi-
singoli citudini.
Valentino.
il
quale...
si
ne offendono V intera cittadinanza, le esecuzioni ordinate dal principe offendono dei
mento
r anarchia.
5.
muoversi, né
represso con spietata fermezza. 9.
L’ esempio rivela chiaramente come
ratezze.
non
al
temperato con prudenzia
renda intollerabile.^
pietà (umanità e mitezza). 3.
credere e
al
fare paura da se stesso, e procedere in
lasciano
accadere
nascono uccisioni e ra-
Ogni tumulto deve, insomma,
essere
non deve crearsi pericoli immaginari, e deve saper conciliare la prudenza che può imporgli talvolta decisioni crudeli, con la umanità che gli vieta d’usare la crudeltà in modo eccessivo e non ben giustificato. Deve, insomma, far sj che l’eccessiva fidu-
Antologia della letteratura italiana
210
Nasce da questo una disputa:
2.
temuto, o e converso.
ma, perché
l’altro;
è
elli
che
vorrebbe essere l’uno e
si
insieme,
accozzarli
difficile
amato che
è meglio essere
s’elli
Respondesi,
molto piu
è
quando si abbia a mancare dell’uno uomini si può dire questo generalmente: che
sicuro essere temuto che amato, de’ dua.^^ Perché delli
sieno
ingrati,
simulatori
volubili,
cupidi di guadagno;
ricoli,
dissimulatori,
e
mentre
e
el
E
tano.^®
bisogno è discosto; ma, quando quel principe, che
nudo
trovandosi
che
di
altre
si
è
sono
come
òfferonti el sangue, la roba, la vita, e figliuoli,
quando
fuggitori
loro bene,
fai
di
sopra
appressa, e’
si
ti
de’
si
petua,
tutti
dissi,
rivol-
fondato in sulle parole loro,
tutto
perché
rovina;
preparazioni,^®
le
amicizie
acquistono col prezzo e non con grandezza e nobiltà di animo,
si
ma elle non si hanno, e a’ tempi non si possano spenuomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare che uno -che si facci temere; perché l’amore è tenuto da uno vincolo di obligo, il quale, per essere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai.^® 3. Debbe, non di manco, el principe farsi temere in modo che, se non acquista lo amore, che fugga l’odio; perché può molto bene stare meritano,
si
E
dere.^’
non
li
renda incauto e Tccccssiva diflo renda odioso. Ancora una volta osserviamo che, per il M., l’uso del male deve avere un’ intima razionalità. 13. o e converso: o al contrario. 14. che... dua: che sarebbe bene, per un eia
lo
non
fidenza
principe, essere al
tempo
amato
stesso
e te-
15.
Perche...
massime scritto
più
sulla
si
rivoltano:
sconsolate
che
umana. come fanno
natura
esagerato trarne,
È una M.
delle
alcuni
inter-
abbia Sembra però il
una conclusione rigorosamente filosofica, come se il M. vedesse nel male l’immutabile caratteristica dell’ animo umano. Ci sembra piuttosto che questo pensiero napreti,
simula, cioè
finge,
si
una cosa
falsa;
si
nasconde ad arte, la verità, fai loro bene: fai loro del bene, òfferonti: ti offrono. Nota il tono sempre più incalzante, lo stile popolaresco ed energico, l’amarezza sofferta di tutto il periodo. dissimula,
ma
perché è difficile conciliare le due cose, è molto piu giovevole alla sicurezza del suo dominio l’essere temuto che amato, qualora non si possano ottenere ambedue.
muto;
si
morale, simulatori e dissimulatori:
e
civile
cioè
si
trovandosi... preparazioni:
16.
privo, nel fese
e
momento
trovandosi
del pericolo, di altre di-
che avrebbe dovuto prudentemente pre-
disporre. 17. perche... spendere:
perché le amicizie acquistano con doni e benefici materiali (e tali sono le amicizie del sovrano machiavelliano, energico e solitario) e non
che
si
con
grandezza e nobiltà dell’ animo, si ma non sono un possesso effet-
la
comprano tivo,
che
mento
il
principe possa spendere nel
in cui ne
mo-
ha bisogno.
dall’amara esperienza politica dell’ ausi tenga inoltre presente che in un regime assolutistico, qual è quello qui delineato, fra principe c sudditi (non cittadini!) i rapporti hanno un carattere prevalen-
titubanza, riguardo. perché T amore... mai: perché l’amore si fonda su di un vincolo di riconoscenza, su di un obbligo puramente morale che, dal momento che gli uomini sono malvagi,
temente
utilitaristico;
è infranto alla
Principe,
propone di insegnare il portare un rimedio alla disastrosa
sca
tore;
modo
di
il
M.
e
infine,
che,
nel
si
situatone della società italiana senza però illudersi sul suo presente sfacelo politico.
18. respetto:
19.
ir
prima occasione in cui venga
contrasto col calcolo egoistico del proprio
tornaconto;
il
timore, invece, è tenuto ben
saldo dalla paura di incorrere in una pena, e questa
paura non
ti
abbandona mai.
Niccolò Machiavelli
2II
insieme esser temuto c non odiato; “
che farà sempre,*^ quando
il
si
astenga dalla roba de* sua cittadini e de’ sua sudditi, e dalle donne loro:
quando pure
e
cuno, farlo quando vi
li
sangue®
bisognassi procedere contra al
di
al-
conveniente e causa manifesta;
sia iustificazione
ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba d’altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio.® Di poi, le cagioni del tórre la roba non mancono mai; e sempre, colui che comincia a vivere con rapina, truova cagione di accupare quello d’altri; e per avverso, contro al sangue sono più rare, e mancono più presto.^
Ma, quando
4.
el
principe è con
di crudele; perché sanza questo
nome non
né disposto ad alcuna fazione.® Intra
connumera ®
si
questa,
di infinite generazioni di
non
vi sorgessi
non
si
curare del
nome
tenne mai esercito unito
mirabili azioni di Armibaie
le
grossissimo,
esercito
misto
uomini, condotto a militare in terre aliene,®
mai alcuna
cipe, COSI nella cattiva
si
avendo uno
che,
ha in governo mul-
eserciti e
li
titudini di soldati, allora al tutto è necessario
dissensione, né infra loro né contro al prin-
come
buona fortuna. inumana crudeltà,
nella sua
nascere da altro che da quella sua
Il
che* non possé
la
quale insieme
con infinite sua virtù lo fece sempre nel conspetto de’ sua soldati venerando e terribile; e sanza quella, a fare quello effetto, le altre sua virtù non li bastavano. E li scrittori poco considerati, dall’ una parte
ammirano questa sua
dannono
azione, dall’altra
la principale
cagione
di essa.®
Machiavelli sostiene
Il
tratto dalla storia
20. perché... conciliarsi
proprie argomentazioni con un esempio
le
romana: quello
odiato:
possono
Tessere temuto e
non
di Scipione, al quale
benissimo
abbia cominciato a vivere di rapina ne tro*
vera sempre delle
il
—
un frammento
In
del
—
1512,
l’autore
ma
stato,
e'
qui
uno
può bene
fratello
non può
risuscitare,
riavere el podere *.
Anche
considerazione psicologica e morale è ricondotta con rigore scientifico al ferreo dell’ interesse.
Di
24. i
poi...
presto:
pretesti) di
di
Inoltre
le
cagioni
saziare la
cagioni di uc-
qualcuno sono più rare e vengono non appena, cioè, lo suto sia saldamente costituito. 25. ad alcuna fazione: ad alcuna impresa
meno
più presto,
militale. 26.
si
connumera:
27. misto... di
diversa
si
aliene:
stirpe
annovera.
composto
(Africani,
di
Fenici,
uomini Galli,
Spagnuoli, ecc.) e condotto a combattere in terre straniere. 28. lo
E
li
storico
scrittori... essa:
latino
Tito
Qui
il
M.
pure
Livio,
critica
da
lui
condannano ammiratissimo. dannono, ecc. quella crudeltà che fu invece la causa prima del fatto che egli riuscisse a guidare c tenere unito il suo esercito composito. :
depredare i sudditi non mancano mai, e una volta che un principe
(cioè
le
cidere
la
mondo
nuove pur
propria cupidigia, mentre
dava
questa spiegazione: « La vagone e in pronto; perché ognuno sa che per la mutazione
d'uno
suoi eserciti in
odiato.
che farà sempre: soggetto è il principe. La roòa sono i beni materiali. sangue: uccidere qual22. procedere... cuno. patrimonio: È una delle 23. perché... massime più celebri e atroci del M. 21.
i
212
Antologia della letteratura italiana
Spagna
si ribellarono a
per
la
troppa sua pietà » e che venne per questo
chiamato « corruttore della romana milizia
».
Concludo adunque, tornando allo essere temuto e amato, ^ che, li uomini a posta loro, e temendo a posta del principe, debbe uno principe savio fondarsi in su quello che è suo, non in su quello 6.
amando
che è d*
altri
:
® debbe solamente
come
ingegnarsi di fuggire lo odio,
è detto.
In che
modo
c prìncipi abbino a mantenere la fede
1. Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia,' ciascuno lo intende:^ nondimanco si vede per esperienzia ne’ nostri tempi quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, ^ e che hanno saputo
con l’astuzia aggirare e cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. 2. Dovete adunque sapere come sono dua generazioni di combattere * l’uno con le leggi, l’altro con la forza quel primo è proprio :
:
tornando...
29.
questione
se
sia
amato: ritornando alla meglio essere temuto o
amato. che...
30.
d* altri:
amano seguendo
la
siccome
gli
loro volontà e
uomini temono
volontà del principe, questi deve fondarsi sul timore, che dipende da lui, dalla sua azione consapevole, non su quell’amorc che sfugge del tutto al suo con-
secondo
la
trollo.
suoi tempi, come si vede dal resto di questo periodo: tempi dominati da figure quali Alessandro VI, il Valentino, Luigi XII e
Ferdinando
il
Cattolico.
conto: che le imprese più grandi e fortunate sono state compiute da quei principi che hanno tenuto poco conto della lealtà, ecc. Dice gran cose, perche, come afferma anche nei Discorsi, lo stato è una potenza portata naturalmente ad espano è cosa veramente molto naturale dersi et ordinaria desiderare di acquistare; e sempre quando li uomini lo fanno che possano saranno laudati non biasimati; ma quando non possono e vogliono farlo in ogni modo, qui è l’errore, è il biasimo ». (Discorsi II, 19). Insistiamo su questa parte iniziale del capitolo perché da essa deriva logicamente il resto e anche la visione « centauresca » quelli...
3.
:
Gap.
XVm.
mantenere... astuzia: mantenere
1.
la pa-
data e vivere fondandosi sulla lealtà,
rola
non
sull’ astuzia.
2.
ciascuno lo intende:
È uno
infrequenti riconoscimenti di
dei non una superiore
legge morale, che troviamo nel Principe. È stato detto giustamente che lo stesso accen-
formule amare, ma asciutte e perentorie con le quali è definita la malvagità dell’ uomo « scaturisce proprio dal contrasto fra una nativa volontà di bene e la consapevolezza della naturalità e dunque dell’asprezza dell’azione politica » (De Caprariis). Aggiungiamo che il pessimismo to
del
tragico
M.
delle
sue
nasce dalla durissima esperienza dei
della
politica,
bile di
nalità
vista
umanità e e
come
sintesi
indissolu-
di ferinità, cioè di razio-
istintività,
entrambe proprie
della
natura umana. 4.
Dovete adunque sapere,
ecc.
:
Questo
paragrafo e quello seguente (ma si può dire lo stesso di tutto il capitolo) sono tra le pagine letterariamente più belle del Principe. Vi trovi quello stile conciso e drammatico,
Niccolò Machiavelli
213
uomo, quel secondo non basta, conviene
dello
volte
ma
è delle bestie;
perché
uno prinPuomo.® Questa parte
cipe è necessario sapere bene usare la bestia e è
insegnata
suta
copertamente dagli antichi
principi
a*
come Achille
quali scrivono
Il
che non vuole dire
mezzo uomo,
bestia e
Sendo dunque uno principe
3.
debbe di quelle pigliare
stia,^®
defende da’
si
altro, avere
lacci, la
la
li
si
li
mezzo
principe sapere usare è durabile.
necessitato sapere bene usare la be-
golpe e
golpe non
sua disciplina
la
per precettore uno
non che bisogna a uno Puna sanza l’altra non
se
l’una e Taltra natura; e
scrittori;'^
e molti altri di quelli principi antichi fu-
rono dati a nutrire® a Chirone centauro, che sotto custodissi.®
primo molte
el
ricorrere al secondo.® Pertanto a
lione
il
:
“ perché
non
lione
il
defende da’ lupi. Bisogna adunque
essere golpe a conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi.^ Coloro
che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano.'® pertanto
uno signore prudente né debbe
osservanzia
li
promettere.'^
stesso,
si
E
se
fervore
mina
gli
uomini fussino'®
e al
tempo
intellettuale:
il
stesso
tono
direbbe, della verità effettuale.
il
quale
la
eventi, fissandone le leggi universali con su-
prema,
anche
se
consapevolezza,
dolente,
combattere:
dua...
due
modi
di
combat-
E
guerra continua e senza quartiere è la vita politica, continua lotta fra virtù o energia consapevole, e fortuna. La parola leggi comprende la moralità e la giustizia. 5. ma perché... secondo; Non è il parlare, come si è a lungo creduto, di un consigliere di iniquità, ma quello proprio di
tere.
chi
accetta
lezione dei
virilmente la fatale e
La
le arti ferine e
della
sua na-
mediante la lucida consapevolezza dei fini e dei mezzi, riscatta la tura.
politica,
contraddizione implicita nella natura umana;
dal
caos
delle
passioni
vità ferina fa sorgere
e
dell’ istinti-
una costruzione
chia-
quedeve tener conto della duplice natura dcH’uomo, sapere opporre alla violenza istintiva una violenza consapevole e calcolata. 7. Questa... scrittori: Questo principio è
ra e ordinata; la legge, lo stato. Per far sto,
sotto...
arrunaestrasse,
li
la
9.
bestia »,
mo
morale c psicologica dei miti era già presente nei classici. 8.
a nutrire:
da allevare. Chirone, secon-
alla
e
li
inderogabile necessità,
precaria situazione dell’uo-
quale non è, per il M., svolgimento e progresso come l’intendiamo oggi, ma il continuo e drammatico ripetersi di una situazione fondamentale; la lotta fra nella storia,
la
l’esigenza costruttiva fissità
11.
dell’ intelligenza
e
la
della natura immutabile.
debbe.., lione;
deve, fra
prendere come modello
la
animali,
gli
volpe e
leone,
il
cioè le loro specifiche qualità, rispettivamenl’astuzia
e
la
forza,
« virtù »
essenziali
dell’ agire politico.
12. Bisogna... lupi: bisogna essere volpe per comprendere e sfuggire gli inganni che vengono tesi, leone per opporre alla violenza una violenza maggiore. 13. Coloro... intendano: Coloro che vogliono usare sempre c soltanto la forza non se
ne intendono 14.
osservare...
di
politica.
promettere:
mantenere
la
parola data e rispettare i patti quando questa sua lealtà sia politicamente controproducente e quando (che) non sono piu valide
L’ interpretazione
una dura
conseguente
mettere.
simbolica.
custodissi:
educasse alla sua scuola. 10. Sendo... bestia: è, quella di « usare
ma
e
questo precetto
leggenda, fu maestro di Achille, Te-
la
stato insegnato dagli antichi scrittori in for-
allusiva
buoni,
tutti
seo, Giasone.
te
l’uomo; usare
umanej ambedue proprie
le
dolorosa
fatti.
sapere...
6.
do
E
mente docomplesso e vorticoso moto degli
senti l’entusiasmo col
vi
tale
torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono
un chiaro
espressione di
appassionato
Non può
quando
osservare la fede,
le
ragioni
che
lo
costrinsero
a
pro-
se gli uomini fussino, ecc.: E se gli fossero, ecc. Riaffiora quella visione pessimistica degli uomini che abbiamo visto 15.
E
uomini
214
Antologia della letteratura italiana
non sarebbe buono; ma perché sono tristi e non la osservarebbono a te,^® tu etiam” non Thai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorire la inosservanzia.^® Di questo se
ne potrebbe dare
principi
:
esempli moderni, e mostrare quante paci,
infiniti
quante promesse sono
state
fàtte
e
irrite
vane per
la
infidelità
de*
e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio ca-
pitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore * e sono tanto semplici gli uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna tro:
verrà sempre chi
lascerà ingannare.^^
si
non voglio, degli esempli freschi,^ tacerne uno. Alessandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad altro che a ingannare uomini, e sempre trovò subietto da poterlo fare.^ E non fu mai uomo che 4. Io
maggiore
avessi
cederono
gli
mondo.^
A
e con maggiori giuramenti
efficacia in asseverare,^
fermassi una cosa, che la osservassi
meno; nondimeno sempre
li
af-
suc-
inganni ad votum, perché conosceva bene questa parte del
uno
adunque, non è necessario avere in fatto è bene necessario parere di averle.^ Anzi ardirò di dire questo che, avendole e osservandole sempre, sono dannose; e parendo di averle, sono utili; come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, ed essere; ma stare in modo edificato con l’animo che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario.^ E bassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, principe,
tutte le soprascritte qualità,
non può osservare già
nei
porre
Nei Discorsi
il
È
cattivi.
carattere difensivo della po-
quel suo dovere sempre presupporre
litica,
peggio, dati
i
il
deve presupsempre evidente,
chi fa le leggi
uomini
gli
nello scrittore,
tutte quelle cose per le
precedenti.
capitoli
M. afferma che
ma
limiti della
natura
conseguentemente, la condizione deir uomo nella storia. 16. non... a te:
umana
il
e,
rischiosa
non osserverebbero
la
pa-
rola data nei tuoi confronti. 17. tu
edam: anche
cagioni...
18.
malmente
tu.
inosscrvanzia
legittime
per
:
dare
ragioni for-
un
colorito,
un’apparenza di giustizia alla loro inosservanza della parola data. Anche qui, la massima spietata del M. nasce dalla triste esperienza della storia contemporanea. 19. irrite:
20. Ma...
saper
nulle,
dissimulatore:
colorire
una parvenza gere
il
21. cosi
senza alcun effetto. Il
natura
questa
il
con
vera.
e sono... ingannare: gli e
volpina
di sincerità e schiettezza, fin-
falso e celare
creduli
principe deve
cosi
uomini sono
trascinad dalle necessità
quali gli uomini sono
presenti che
si
te-
lasciano facilmente inganna-
credere ciò che intuiscono falso
re,
fino a
ma
che hanno bisogno in quel
momento
di
credere, vero. 22. freschi: recenti.
trovò uomini disposti a ingannare. asseverare; che aveva 24. che avessi... maggior forza e capacità persuasiva neirassicurare, nel promettere. 25. li succederono... mondo: gli inganni orditi riuscirono sempre secondo i suoi desideri (ad votum) perché conosceva bene que23. trovò... fare:
lasciarsi
sto lato della natura 26.
non
umana.
Non
è... averle:
un principe abbia
è necessario che
buone qualità enun-
le
ciate nel cap.
XV, ma
f impressione
di averle.
è necessario che dia
27. come... contrario, ecc. : cosi, è bene che sembri avere quelle qualità, e ie abbia anche, ma sia disposto nclTanimo in modo da saperle mutare, quando convenga, nei vizi
contrari,
fedele:
ed essere: ed esserlo.
leale,
intero:
sincero,
Niccolò Machiavelli
215
nuti buoni, scndo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione; c però bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi
secondo eh’ e venti della fortuna e dano,
come
e,
di sopra dissi,
non
variazioni delle cose
le
coman-
li
ma
potendo,
partirsi dal bene,
sa-
pere in trare nel male, necessitato.® 5. Debbe adunque avere uno principe gran cura che non gli esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità;
e paia, a vederlo e udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità,
tutto umanità, tutto religione.
E non è E gli
avere che questa ultima qualità.®
cosa più necessaria a parere di
uomini, in universali, indicano
più agli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire
Ognuno
a pochi.®
vede quello che tu pari, pochi sentono quello che non ardiscano opporsi alla opinione di molti, che
tu se’; e quelli pochi
abbino
la
maestà dello stato che
li
defenda; e nelle azioni di
tutti gli
uomini, e massime de’ principi, dove non è indizio a chi reclamare, Facci dunque uno principe di vincere c mantenere mezzi saranno sempre indicati onorevoli e da ciascuno laudati; ® perché il vulgo ne va sempre preso con quello che pare e con lo evento della cosa; ® e nel mondo non è se non vulgo; e li pochi non ci hanno luogo, quando li assai hanno dove appoggiarsi.^ Alcuno principe de’ presenti tempi,® quale non è bene nominare, non predica
guarda
si
al fine.^^
lo stato: e
che
cedente periodo è stata ricavata, c falsamen-
Tanimo capace
te attribuita al M., la massima (che egli non ha mai pronunciato) « il fine giustifica i mezzi». Ma' qui, in realtà, egli afferma, con evidente amarezza e disdegno (ne/ mondo non è se non vulgo), che gli uomini per viltà sono sempre disposti a dare ragione a chi vince, o a chi appare più forte. Comunque, il fine al quale guarda è la co;
28. e però... necessitato: perciò bisogna
un principe
«
nuovo
mutare secondo
di
abbia
»
le necessità
imposte dal-
fortuna e dalla variazione delle cose (il significato dei due termini è praticamente lo stesso); bisogna, se può, che si mantenga nel bene, che agisca cioè moralmente, la
Tna non deve necessità
la
29.
esitare
lo
a volgersi al
male
se
costringa.
religione è per il M. un essenziale di coesione dello stato, fonda-
La
:
stituzione e
la
32. strumento
precisamente,
mento
cap.
30.
della moralità e del vivere civile.
E
uomini... pochi: Gli uomini, in
gli
genere, giudicano piu secondo T apparenza
che secondo la sostanza, perché a tutti è concesso vedere T aspetto esteriore delle cose, pochi ne sanno comprendere 1* effettiva realtà. '31. e quelli... fine: e
prendono opporsi
la
al
quei pochi che comnon osano
sostanza delle cose
giudizio dei più,
quando
questi
abbiano dalla loro l’autorità dello stato; e nel considerare le azioni di tutti gli ni,
e
tro
i
soprattutto quelle dei
quali
non
quale appellarsi,
uomicon-
tribunale (iudizio)
c’
è
si
bada
Facci... laudati:
principi,
Da
al
al
risultato.
questo e dal pre-
XXVI,
saldezza dello stato, e più
come
la
vedremo
costruzione di
meglio
uno
nel
stato in
che ponga rimedio alle sciagure e ignominia della Penisola. 33. va... cosa: il volgo ignorante c privo di senso critico va trascinato con le appaItalia
all’
renze esteriori e col successo. 34. c... appoggiarsi: i pochi prudenti e avveduti non potranno affermare la verità da loro scoperta, quando i più potranno contrapporre ad essa il successo conseguito, bene o male, dal principe. Ferdinando il Cat35. Alcuno principe: tolico. L’allusione al più potente
tempo, la
oltre
a
concludere
sovrano del
irrefutabilmente
dimostrazione, ci rivela ancora una volta M. l’ha tratta dalla do’orosa espeil
che
Antologia della letteratura italiana
2i6
mai
altro che
l’una c Taltra,
o
la
pace c fede, c
quando
reputazione o lo
Per quale cagione
li
c’
dell’
c dell* altra c inimicissimo;
una
c
Tavessi osservata, gli arebbe piu volte tolto
stato.
hanno perso
principi di Italia
stati
li
loro
Gli ultimi tre capitoli del Principe rivelano chiaramente la genesi ideale delne sono, al tempo stesso, il punto di partenza e la conclusione. Il Ma-
l’opera,
non concepì il suo trattato come una esercitazione accademica o come una disinteressata ricerca filosofica, ma come una meditazione compartecipe e drammatica della crisi italiana, volta a ricercare la possibilità di nn'azione straordinaria che consentisse di superarla mediante la costituzione di uno stato forte
chiavelli
e unitario in Italia.
Nei capitoli precedenti ha accennato agli sconvolgimenti intervenuti nella compagine politica italiana, che avevano mutato il vecchio equilibrio e distrutto un mondo che appariva un tempo perfetto. Ora compie l’ultimo .sforzo per far scaturire da una società di cui vede chiaramente l’attuale disgregazione, una forza eccezionale capace di operare il miracolo della sua resurrezione. Egli è ben consapevole dell’estrema difficoltà dcH’imprcsa; non si illude sulla sua riuscita, ma esorta a compiere un ultimo tentativo per infrangere con una vigorosa virtù una situazione storica ch’egli sa ormai irrimediabilmente compromessa. L’esortazione finale è svolta in tre momenti: nel cap. XXIV il Machiavelli intende sgombrare il campo dal pretesto col quale i principi italiani cercavano una giustificazione alla loro ignavia e inefficienza. Egli afferma che i mali ita liani non nascono da un avverso destino, ma derivano necessariamente dagli errori commessi da loro. Nel XXV affronta il tema del rapporto fra fortuna e virtù, affermando che questa può riuscire a vincere la fortuna, ed esortando
comunque
all’anione decisa e forte.- L’ultimo capitolo c un’appassionata invocazione a un principe italiano affinché voglia liberare l’Italia dai «barbari». Sono tre capitoli strettamente concatenati, pervasi di energia appassionata e virile, di
una speranza magnanima. Alla luce a
quasi
volte
spietata,
brutale
della
realtà
che pervadono tutto
il
di essi
umana
giustificano
si
e
l’
appello
a
il
senso angosciato c
un’ energia
risoluta
e
trattato.
Le cose soprascritte, osservate prudentemente, fanno parere uno nuovo antico, e lo rendono subito piu sicuro e piu fermo nello stato che se vi fussi antiquato dentro.^ Perché uno principe nuovo è molto piu osservato nelle sua azioni che uno ereditario; e, quando le sono conosciute virtuose, pigliono molto più li uomini e molto più li obligano 1
principe
rienza contemporanca. rcsca »
non è
La
politica
a ccntau-
Cap. XXIV.
stata certo insegnata c scoperta
Le
cose... dentro:
con
I.
suo tempo e fissandola con occhio acuto c pene-
dati
trante.
tico, acquisti cioè la
da
lui;
egli
1’
ha riconosciuta
strenua sincerità meditando
c definita
la storia del
finora,
fanno
si
I
se osservati
consigli e
i
precetti
con discernimento,
che un principe nuovo appaia anforza e
la solidità di
un
Niccolò Machiavelli
che
217
sangue antico.* Perché
il
presenti che dalle passate, e
li
uomini sono molto piu
quando
presi dalle cose
truovono
nelle presenti
el
bene, vi
godono e non cercano altro; anzi piglieranno ogni difesa per lui,* quando non manchi nell* altre cose a se medesimo.* E cosi ara duplicata gloria,® di avere dato principio a uno principato nuovo, e ornatolo e corroboratolo di buone legge, di buone arme e di buoni esempli,® come quello ha duplicata vergogna, che, nato principe, lo’ ha per sua si
poca prudenzia perduto. 2. E, se si considerrà® quelli signori che in
Italia hanno perduto come il re di Napoli, duca di Milano® e altri, prima uno comune defetto quanto alle arme, per
lo stato a* nostri tempi, si
troverrà in loro,
le
cagioni che di sopra
non non
si
sono discorse;
o che ara avuto inimici e populi,
loro,
sarà saputo assicurare de’ grandi
si
di poi
o, se ara
vedrà alcuno di
si
avuto
populo amico,
el
perché, sanza questi defetti,
:
perdono li stati che abbino tanto nervo che possino trarre uno campagna.^ Filippo Macedone,^* non il padre di Alessandro, ma quello che fu vinto da Tito Quinto, aveva non molto stato, respetto alla grandezza de’ Romani e di Grecia che lo assaltò: non di manco, per esser uomo militare e che sapeva intrattenere el populo e si
esercito alla
assicurarsi de’ grandi,^* sostenne più anni la guerra contro a quelli; e, se alla fine
perdé
el
dominio
di qualche città,
rimase non di
li
manco
regno.
el
3.
Per tanto, quei nostri principi che erano
sovrano ereditario e quindi saldamente radicato (antiquato) nel proprio stato. 2. pigliono... antico: avvincono molto di piu i sudditi e li legano al principe molto di più di quanto non faccia TafiFetto per una famiglia da lungo tempo regnante (sangue
tanti:
il
deficienza,
comune
esse nel cap. XII).
11. non... grandi:
non
si
sarà saputo ga-
consorterie più potenti del proprio stato. 12. che... campagna: che abbiano tanta
il
E, se ecc.
placabile 9.
ar-
rafforzatolo, buone legbuone arme... buoni esempli: Un soordinamento politico e costituzionale,
7. lo:
no,
nelle forze
rantire la fedeltà dei nobili, delle famiglie e
un’adeguata forza militare, esempi di azioni magnanime, liberali e giuste, che gli procurino onore, stima, ammirazione. 8.
ad
M.
tutti,
arà duplicata gloria: avrà doppia gloria.
6. corroboratolo:
lido
volte
(il
a
si servirono di milizie merallude alle critiche da lui ri-
mate, in quanto cenarie
ge...
ma
re di Napoli Federico d’ Aragona,
per lui: per il principe. 4. quando... medesimo: quando non venga meno a se stesso e alla sua fama. 5.
la fortuna,
detronizzato dai Franco-Spagnuoli nel 1501, e il duca di Milano, Lodovico il Moro, 1etronizzato da Luigi XII re di Francia. 10. uno comune... discorse: una grave
antico). 3.
molti anni nel
stati
non accusino
principato loro, per averlo di poi perso,
il
:
principato. sì
considerrà: Se
comincia ai
la
principi
soltanto
i
considereranserrata e im-
italiani.
duca di Milano, ecc. due signori piu impor-
re di Napoli,
Nomina
si
critica
:
forza da potere armare e tenere un esercito in
campo. 13.
Filippo Macedone: Filippo
V
(non
il
padre di Alessandro Magno) vinto dal console romano Tito Quinzio Flaminino a Cinocefale nel 197 a. C.
era un abile 14. per esser... grandi: poiché condottiero d’ eserciti e sapeva mantenere il
favore
del
dei nobili.
popolo e assicurarsi
la
fedeltà
'
Antologia della letteratura italiana
2i8
ignavia loro
la
**
:
perché,
che possono mutarsi
(il
non avendo mai
comune
che è
ne* tempi quieti
pensato,
non
deferto delli uomini,
fare
conto nella bonaccia della tempesta),^"^ quando poi vennono tempi av-
pensorono^® a fuggirsi^* e non a defendersi; e sperorono eh’ e poli richiamassino* Il quale
versi
poli, infastiditi dalla insolenzia de’ vincitori,
quando mancano
partito, sciati
per credere di trovare chi
altri,
è
buono;
ma
ricolga
ti
Il
è bene male avere
non avviene,
che, o
o,
dependere da te.^ E quelle difese solamente sono buone, sono sono durabili, che dependono da te proprio** e dalla virtù tua.
Quanto possa
la
la-
vorrebbe mai cadere,
si
s’elli
è con tua sicurtà, “ per essere quella difesa suta vile e
non
avviene,
li
remedii per quello; perché non
altri
li
modo
fortuna nelle cose umane, et in che
non
certe,
se
li
abbia a resistere Più volte ricorre, nella meditazione del Machiavelli, ora considerata
come una
sorte
tema
il
della
fortuna,
che governa a suo l’occasione che l’uomo
di divinità imperscrutabile,
uomini e còse, ora come la congiuntura storica, non può determinare, ma che può volgere ai propri fini.
arbitrio
questo concetto a un’ interpretazione logica unitaria, e lo In questo stesso capitolo, nei paragrafi dall’ I. al 4., l’autore afferma che almeno la metà del nostro agire dipende dalla libera scelta della volontà; ma negli altri questa libertà viene affatto limitata. La ragione del sormontare della fortuna è vista nel variare dei tempi, Difficile è ridurre
stesso dicasi
del rapporto fra tàrtu e fortuna.
imporrebbero di cambiare la nostra indole per adeguarci al ritmo degli cosa, questa, che appare al Machiavelli impossibile. Per questo un moderno interprete, il Sasso, afferma che, in pratica, la fortuna machiavelliana coin-
che
ci
eventi;
non
15.
mala
accusino... loro:
sorte,
ma
la
non accusino
propria incapacità e
la
viltà.
tempi quieti: nei tempi di pace. fare... tempesta: Nella vicenda politica la « tempesta » è sempre latente, in agguato; di qui la necessità di una prudenza e di un’energia sempre tese e consapevoli. Evidentemente, il crollo improvviso di stati in apparenza ricchi e potenti aveva disposto l’animo degli Italiani (come sempre avviene nelle grandi catastrofi) a dare la colpa dei 16. nc’
non
17.
rassegna a quella storia di decadenza e corruzione, ma intende compiere, con fermez-
zi e senza
illusioni,
un
tentativo estremo di
riscatto.
pcnsorono: pensarono; cosi, più avansperorono: sperarono.
18. ti,
;
Cosi fecero il re di Napoli e il duca di Milano. Fu la po20. infastiditi... richiamassino 19. a fuggirsi:
'
:
j
litica
seguita da Lodovico
primo tempo
si
Moro,
il
e in
un j
rivelò efficace. j
mutamenti avvenuti bile
al
destino,
volu-
alla
ruota della fortuna; ed era poi questo
anche
il
mezzo più comodo
un rigoroso esame zione
delle
proprie
di
per sfuggire a
coscienza,
all’
responsabilità.
assunIl
invece, anche se dalla lezione dei fatti
M.,
mo-
ha ricavato un senso doloroso della precarietà di ogni azione politica, del suo carattere estremamente rischioso e drammatico, vuole soprattutto comprendere, non si derni
21.
non
non... ricolga:
fare affidamento sul fatto, che qualcuno ti raccolga. 22. sicurtà: 23.
dovrebbe mai qualora tu cada, si
|
|
sicurezza.
per essere...
te:
perché, in
tal
caso,
quella difesa è stata vile e non è dipesa da te.
Il
politico
j
non deve
lasciarsi
andare
i
in j
balia delle circostanze, della « fortuna » e del
caso,
ma
24.
da
cercare di dominarli. te
proprio:
da
te
stesso.
!
!
Niccolò Machiavelli
cidc con
219
limitatezza
della
con
nostra natura,
e * non immutabile che la virtù può secondare, indirizzare, ma non mai modificare completamente. Questo limite impedisce all’individuo di dominare pienamente la realtà, e rende spesso la
deboli
stessa
del nostro
virtuosa
essere,
con
cioè
la
parte oscura
la
psicologica
struttura
sue costruzioni politiche.
le
Ad
ogni modo, pur ammettendo il potere della fortuna^ il Machiavelli è ben lontano dal giungere a un fatalismo rassegnato e inerte. Egli, anzi, pur essendo ben consapevole della problematicità d’ogni azione umana, riafferma appassionatamente, superando le oscillazioni del pensiero, la propria fede nella virtù, la convinzione, cioè, che l’uomo non deve subire passivamente il destino e gli eventi, ma affrontarli con impeto, con audacia, con energia consapevole e inflessibile. Di qui nasce la sua esortazione a liberare l’ Italia dai barbari, quella speranza che brilla invincibile proprio sull’orlo della disperazione, di una tragedia che sembrerebbe ormai ineluttabilmente conclusa.
1
E’ non
.
che
le
mi
cose del
come molti hanno avuto
è incognito
mendo
sieno in
modo
e
hanno opinione
^
governate dalla fortuna e da
non possino
Dio,^ che gli uomini, con la prudenzia loro,
correggerle,
anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare
ma lasciarsi governare alla Questa opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi per le varia-
che non fussi da insudare molto nelle 'cose, sorte.^
zione grande delle cose che
umana
ogni
coniettura.
si
A
sono viste e veggonsi ogni
che pensando,
fuora di
di,^
qualche volta, mi sono
io,
in qualche parte inclinato nella opinione loro.®
Nondi manco, perché
2.
il
nostro libero arbitrio
non
sia spento,®
indico
potere essere vero’ che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre,
E
noi.
ma
che
edam
lei
ne
assomiglio quella a
s’adirano, allagano c piani,
Gap.
lasci
governare
l’altra
uno di questi fiumi minano gli alberi e
XXV.
5.
Anche
metà, o presso,® a
rovinosi, che,
M. ha
il
quando
lievono da
gli edilìzi,
inclinato,
talvolta,
questa opinione, sconvolto dalle sciagure
come
1.
prattutto
molti...
mente
in
Il M. ha so< contemporanei,
opinione: i
suoi
rassegnati e inerti.
Dio: siano in tal modo rette da Dio, doè da una forza trascendente, supcriore alla nostra comprensieno...
2.
prowisamente abbattutesi
a
iqo-
sull’ Italia.
6. perché... spento: affinahe
non venga
ne-
gata all’uomo ogni possibilità di volere e di agire liberamente (e sarebbe conseguenza lo-
una
ammessa
la pre-
dalla fortuna e
gica e necessaria,
sione c
senza del destino). 7. indico... vero: penso che possa anche
alla
nostra volontà.
che non ci si debba impegnare a fondo (insudare) per modificare la realtà, ma convenga abbandonarsi al deche...
3.
sorte:
stino. 4.
per
le variazione...
e inaspettati
mutamenti
di:
per
i
repentini
della situazione po-
che si sono visti c si vedono continuamente. Chi avrebbe potuto prevedere il crollo improvviso di stati apparentemente potentissimi, come, ad esempio, il ducato di Milano 0 il regno di Napoli? litica
volta
darsi, ecc. 8. etiam: anche, o presso: o quasi. La parola metà non va presa in senso letterale, la questa prima parte del capitolo iene
riaffermato rato
il
cioè la
il
concetto che
Principe fiducia
(cfr.
nella
ad
es.
ha finora il
cap.
ispi-
VI),
e
virtù e nella capacità
di questa di contrastare efficacemente la /orLa posizione dell’ uomo nella storia c
tuna. vista
con maggior ottinoismo che non dal pa-
ragrafo 4 in avanti.
“
Antologia della letteratura italiana
220
questa parte terreno, pongono da queU’altra; ciascuno fugge loro
ognuno cede
nanzi,
E
obstare.®
impeto
allo
benché sieno
quando sono tempi ripari e argini, in
cosi
modo
fatti,
non
quieti,
non sarebbe né
potenzia dove non è ordinata virtù
dove
impeti,^®
E
che non sono
la sa
andrebbano per uno né si dannoso.
licenzioso
si
Similmente interviene della fortuna;
3.
provvedimenti, e con
vi potessino fare
che, crescendo poi,“ o egli
canale, o l’impeto loro
se voi considerrete
l’
a
la
quale dimostra e quivi volta
resisterle;
argini e
fatti gli
che è
Italia,
di-
sanza potervi in alcuna parte non resta però che^° gli uomini,
loro,
li
la
sua
li
sua
ripari a tenerla.
sedia di queste variazioni c
la
moto,” vedrete essere una campagna -sanza argini e sanza alcuno riparo; ” ché, s’ella fussi riparata da conveniente virtù, come la Magna,” la Spagna e la Francia, o questa piena non quella che ha dato loro
arebbe fatte
E
le
il
non
variazioni grandi che ha, o la
sarebbe venuta.
ci
questo voglio basti avere detto quanto allo opporsi
alla fortuna,
in
universali.
Ma
4.
tare natura
9.
E
a* particulari, dico come si vede oggi domani minare, sanza averli veduto mu-
restringendomi piu
questo principe
felicitare,^^
e
o qualità alcuna.
assomiglio...
obstare:
che credo che nasca, prima,' dalle ca-
Il
M. ama
Il
esprimersi in queste forme immaginose, piuttosto poetiche che
r immagine rende bene
la
c selvaggia della fortuna, battersi sull’uomo,
do sono
in piena,
Qui, ad es., violenza sfrenata
filosofiche.
il
suo rovinoso ab-
quando s’adirano: quanpongono: sottintendi: ter-
chiaramente con-
14. ordinata virtù: forza
sapevole di se stessa c dei propri
fini.
sua impeti: rivolge il suo impeto violento. Osserva la personificazione drammatica della fortuna che viene cosi in 15. volta
li
qualche
modo umanizzata
gonista
dell’azione
eroica
e appare l’anta-
deU’uomo.
Qui
reno. in alcuna parte obstare: opporsi in alcun
più che la ragione parla
modo.
lo stesso ideale eroico e attivo del vivere
10.
non
resta però che:
tuttavia nulla im-
16. considerrate
crescendo poi: soggetto è «
12. licenzioso:
sfrenato.
concessione maggiore che virtù. Essa
non
solo
può
i
fiumi
».
Abbiamo qui la M. faccia alla
il
afferrare la favore-
ma anche opporsi ad essa, limitarne, almeno in parte, l’impeto devastatore. Diverse sono, vole occasione offerta dalla fortuna,
abbiamo
visto, le conclusioni che vengono dopo. Ma qui, e lo vedi nel paragrafo seguente, il M. ha in mente l’Italia, l’ignavia e la incapacità e imprevidenza politica dei principi che l’hanno condotta nella presente
miseria.
Nel Principe,
l’atteggiamento
munque
pacato
il
e
M. non ha mai comprensivo, o dello
distaccato, del filosofo
costo-
un politico, impegnato appassionatamente nell’azione. rico; è
13.
modo
Similmente... di
fortuna: identico è procedere della fortuna.
il
sentimento, quel-
che
ispirerà le ultime righe del capitolo.
pedisce che. 11.
il
:
considerate.
che è la sedia... moto: la sede dove si sono svolti e dalla quale hanno avuto inizio queste mutazioni. 18. una campagna... riparo: immagine potente che bene esprime la desolata inerzia 17.
dell’Italia 19. tre
abbandonata
come
la
Magna:
alla la
mercé della sorte. Germania. Queste
nazioni erano l’esempio ideale
guardava
il
M.
nello
scrivere
il
al
quale
trattato,
perche in esse vi era un principato unitario saldamente costituito, mentre la divisione
e
dell’Italia
in vari stati discordi era stata la
causa delle invasioni straniere. 20. in universali: in generale.
Ma
a questo
punto il M. si sente spinto ad approfondire problema del rapporto fortuna-virtù, avil vertendone tutta la complessità. 21. felicitare: riuscire felicemente nelle sue
imprese.
Niccolò Machiavelli
221
sono lungamente per lo adrieto discorse, cioè che quel si appoggia tutto in sulla fortuna, rovina, come quella varia. Credo, ancora, che sia felice quello che riscontra el modo del procedere suo con le qualità de* tempi, e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e tempi.”
gioni che
si
principe, che
Perché
5.
vede
si
gli
uomini, nelle cose che
li
conducono
al
fine
quale ciascuno ha innanzi, cioè glorie e ricchezze, procedervi varia-
mente: l*uno con respetto, l’altro con impeto; l’uno per violenzia, l’altro con arte; l’uno per pazienzia, l’altro con il suo contrario: ” e ciascuno con questi diversi modi vi può pervenire. Vedesi ancora dua respettivi,^ l’uno pervenire al suo disegno, l’altro no; e similmente dua equalmente felicitare con dua diversi studii, sendo l’uno respettivo e l’altro impetuoso: ij che non nasce da altro, se non dalla qualità de’ tempi, che si conformano o no col procedere loro.” Di qui nasce quello che ho detto, che dua, diversamente operando, sortiscono el medesimo effetto; e dua, equalmente operando, l’uno si conduce al suo fine, c l’altro
no.
Da
6.
uno che
questo ancora depende
la
”
variazione del bene;
perché, se
governa con respetti e pazienzia, e tempi e le cose girono in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando;” ma se li tempi e le cose si mutano, e’ rovina, perché non muta modo di proce” dere. Né si truova uomo si prudente che si sappi accomodare a questo; si
SI perché non si può deviare da quello a che la natura lo inclina,” si etiam perché,” avendo sempre uno prosperato camminando per una
22. Credo... tempi:
bia
buona fortuna
portarsi,
Credo
colui
derivante
il
dalla
inoltre che ab-
modo
compropria indole o
cui
di
« natura », vada d’accordo con la natura dei tempi, cioè con la situazione in cur si trova
modo, non abbia modo di operare non
ad operare e che,
allo stesso
successo colui
cui
il
va d’accordo coi tempi. Il successo dell’uomo qui sembra dipendere, più che da una virtù
sempre
e
comunque
valida, in
primo
luogo dal suo adattarsi ai tempi, al giuoco, imponderabile della fortuna.
cioè,
23.
nelle
cose...
conducono
contrario:
nelle
azioni
sono prefìssi, cioè la gloria e le ricchezze, procedono in due opposti modi: o con cautela (respetto), con calcolo ponderato o astuto (arte), con pazienza, oppure con impeto, violenza, auche
li
al fine
che
si
dua
respettivi:
due persone caute
e
circospette nell’agire. 25. e similmente... loro: e allo stesso
do te
mo-
vedono pervenire al successo ugualmendue persone che ispirano la loro azione si
alla
prudenza oculata,
l’altro all’impeto au-
dace. Questo nasce soltanto dal fatto che la situazione nella quale
meno modo di
si
trovano ad operare
temperamento
s’accorda o
col loro
col loro
procedere.
Da
26.
anche 27.
questo...
bene:
Da
c
questo nasce
la
variazione delle fortune umane.
se
uno...
ha successo, e prudenda andar d’ac-
felicitando:
quando procede con indole cauta te,
se la situazione sia tale
cordo con quel modo d’agire. L’espressione e tempi e le cose girono dà l’idea del continuo, inesplicabile e inarrestabile mutarsi delle situazioni
28. che
storiche.
sappi...
si
questo:
che
si
sappia
adattare a questi mutamenti. 29.
si
mo non
dacia irriflessiva. 24.
a principi opposti (dua diversi studii) l’uno
perché... inclina: sia perché un uopuò deviare dalla sua inclinazione
naturale, o indole. 30. si edam perché: ecc.
Ma
sia,
anche, perché,
un erdcH’uomo; nel primo, si tratuna necessità quasi fatale. Con
in questo secondo caso c’è
rore da parte ta invece di
222
Antologia della letteratura italiana
via, non si può persuadere partirsi da quella. E però Tuomo respettivo, quando egli è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare; donde rovina; ché, se si mutassi di natura con li tempi e con le cose, non si
muterebbe fortuna.’^ 7. Papa lulio II “ procede in ogni sua cosa impetuosamente; e trovò tanto e tempi e le cose conforme a quello suo modo di procedere, che sempre sorti felice fine. Considerate la prima impresa che fe’, di Bologna,“ vivendo ancora messer Giovanni Bentivogli. E Viniziani non se ne contentavano; ^ el re di Spagna, quel medesimo; con Francia aveva ragionamenti® di tale impresa; e nondimanco, con la sua ferocia e impeto,® si mosse personalmente a quella espedizione. La quale mossa fece stare sospesi e fermi Spagna e Viniziani; quelli per paura, e quell’altro^ per il desiderio aveva di recuperare tutto el regno di Napoli; e dall’altro canto re
si
tirò drieto el re di
Francia; perché, vedutolo quel
mosso, e desiderando farselo amico per abbassare e Viniziani, indicò
non poterli negare le sua gente sanza iniuriarlo manifestamente.® Condusse® adunque lulio, con la sua mossa impetuosa, quello che mai altro pontefice, con tutta la
umana
egli aspettava di partirsi
prudenzia, arebbe condotto; perché, se
Roma
da
maggior rigore c amarezza il M. scriveva in una lettera al Sederini, dopo aver detto che
un uomo conoscesse
con
le
conclusione ferme*® e tutte
successo ad Alessandro VI, con strenua energia e coraggio,
temerario
a volte,
ristabilì
tempi e gli ordini delle cose e si sapesse accomodare ad esse avrebbe sempre buona fortuna e potrebbe
dominio effettivo della Chiesa sui territori ad essa soggetti ormai solo nominal-
comandare
33. l’impresa... di Bologna: Nell’agosto del 1506, Giulio II mosse alla conquista di
se
i
« alle stelle e a’ fati », cioè alla
Perché di questi savi non si truova, avendo gli uomini prima (= in primo luogo) la vista corta, e non potendo poi comandare alla natura loro, ne segue che la fortuna varia e comanda agli uomini, e tiengli sotto il giogo suo. {Lettere familiari, fortuna
:
«
il
mente.
Bologna; lanciò ti voglio
ché se
clusione
si
mutassi... fortuna:
drammatico
del
dibattito
tuale è tale da limitare fortemente della virtù
come
La conintelletil
valore
libera scelta e capacità di
azione autonoma e consapevole dell’ uomo, in quanto il M. viene ad ammettere che la natura o indole è un fatto immodificabile, una sorta di destino. Da questa considerazione, che porterebbe a render vani i precetti dati
finora nel Principe e la sua fondamentale
esortazione ad agire,
il
M.
si
libera nell’ul-
timo paragrafo, col fremente invito all’azione energica e coraggiosa, con un concetto di virtù fondato piu sulla forza impetuosa che sulla prudenza. 32.
1503,
Papa dopo
II: Giulio II, eletto nel brevissimo pontificato di Pio III
lulio il
scomunica contro la
resa
di
trionfalmente nella città. 34. non se ne contentavano:
il
questi,
Benentrò
non approva-
vano l’impresa.
CXVI). 31.
la
dopo
e,
se
35. ragionamenti: trattative lente che forl’avrebbero fatta naufragare. 36.
ferocia
c impeto:
fierezza
e
audacia
impetuosa. 37. quelli.., quell’ altro: rispettivamente il re di Spagna.
i
Veneziani e
38. perché... manifestamente: il re di Franvedutolo avviato a compiere personal-
cia,
mente l’impresa,
e volendoselo fare amico Veneziani e infrangere la loro potenza (come in seguito avvenne), fu costretto a mandargli soldati, altrimenti gli avrebbe fatto un torto che avrebbe compromesso l’alleanza. 39. Condusse: raggiunse un risultato, ottenne un successo. 40. con le conclusioni ferme: con gli accordi perfettamente stabiliti.
per battere
i
Niccolò Machiavelli
cose ordinate,
le
223
come qualunque
riusciva;*^ perché
mai
altro pontefice arebbe fatto,
li
re di Francia arebbe avuto mille scuse, e gli altri
il
messo mille paure. Io voglio lasciare stare le altre sue azioni, che tutte sono state simili, e tutte li sono successe bene; e la brevità della vita non gli ha lasciato sentire il contrario; ^ perché se fussino venuti tempi che fussi bisognato procedere con respetti,^ ne seguiva la sua ruina; né mai arebbe deviato^ da quelli modi, a’ quali la natura lo inclinava. 8. Concludo adunque che, variando la fortuna e stando gli uomini ne’ loro modi ostinati,*® sono felici mentre concordano insieme, e, come discordano, infelici.*® Io indico bene questo: che sia meglio essere impetuoso che respetti vo;*^ perché la fortuna è donna,*® ed è necessario, volendola tenere
sotto,*® batterla
E
e urtarla.
vede che
si
la
si
lascia
piu vincere da questi, che da quelli che freddamente® procedano; e però®^ sempre,
come donna,
è
amica de’ giovani,®® perché sono meno
più feroci,®® e con più audacia la comandano.
respettivi,
Esortazione a pigliare la Italia e liberarla dalle mani dei barbari Questo capitolo, di alta e commossa eloquenza, è tutto un’invocazione appasnella quale cogliamo pienamente queirintima e intensa partecipazione affettiva dello scrittore che prima era stata a lungo contenuta nel rigore dell’argomentazione logica. Vi sentiamo ben viva l’angoscia per l’ Italia schiava e avvilita, la consapevolezza che essa è giunta ormai a un punto cosi estremo di desionata,
mai
41.
riusciva:
li
non sarebbe
affatto
riuscito nel suo intento.
e
42.
la
brevità
. . .
contrario
non
r
il
gli
suo fece
uomo
:
pontificato
durò
provare
contrario,
il
breve
la
politico
(in
anni)
dicci
c
doc
insuccesso c la sconfitta.
con rcspctti: con prudenza c cautela, non con audacia e impeto. La conclusio44. né mai... deviato, ccc. ne assegna gran parte dei meriti di Giulio II :
suo temperamento c le ad esso. Ma il M. ammira anche la virtù con la quale Giulio ha saputo usare le proprie qualità native. 45. variando... ostinati: poiché la fortuna (le circostanze) muta c gli uomini rimangono ostinatamente legati al proprio nariscontro
circostanze
turale 46.
il
temperamento. sono felid... infdid: incontrano suc-
cesso...
47.
fra
favorevoli
insuccesso.
afferma
la
il
Con un moto M. rovescia la
anzi,
questi
propria dignità e grandezza.
fortuna è donna:
Ai concetti subentrano le immagini, conformemente al tono ormai non piu logico, ma emotivo e la
passionale
discorso,
del
lirico,
potremmo
perché il freddo e implacabile ragionatore è divenuto il poeta entusiasta della virtù eroica. L’ immagine ha poi un tono dire,
di
vigore
popolaresco.
49. volendola cioè,
50.
alla
tenere
sotto:
sottomessa,
propria volontà.
freddamente:
doè con
rispetto,
con
mille cautele e con freddo calcolo. 51. e però: 52. è
e perciò.
amica de* giovani:
vecchi, gli
Io iudico... res pcttivo:
impetuoso del sentimento
alla
uomo, ma non vi si rassegna; vede nella virtù il mezzo col quale dell*
48.
43.
al
sfida
finora,
dell’azione
necessità
durata della sua vita di realtà
affermando la audace c forte, della fortuna. Riconosce la limitatezza
impostazione tenuta
disce sono 53. più
audad i
ai
respcttivi
sono
i
quali la fortuna ubbi-
giovani.
fcrod:
più
animosi
e gagliardi.
.
Antologia della letteratura italiana
224
di disgregazione, che le possibilità di una grande azione politica di presentano in una luce di miracolo. A questo miracolo vuol credere il Machiavelli, aggredire d’impeto la « fortuna », gettare ad essa la sua audace sfida. Tutto il capitolo è volto a suscitare una virtù straordinaria, che, come quella di Mose, Ciro, Teseo, possa riscattare l’Italia, dare inizio a una fase radicalmente nuova della sua storia, cancellando il recente, vergognoso passato. E per far questo, lo scrittore assume la voce c l’ impeto del profeta, cerca di convincere il principe nuovo che si è giunti alla pienezza
cadenza c riscatto
si
dei tempi, alla
grande occasione,
all’
invito
supremo
rivolto dalla « fortuna » alla
« virtù ».
Molti
hanno
critici
sentito
una discordanza
fra
i
capitoli
precedenti, fondati
su argomentazioni logiche e rigorose, e quest’ultimo. Si è detto che
dopo aver deriso tutto
i
Principe
il
il
Machiavelli
« profeti disarmati » è divenuto tale anch’egli. Ma, in realtà, è pervaso dall’appassionata meditazione della storia italiana,
sempre però animata da un’inquieta e patetica speranza. E bisogna inoltre ricordare che in tutta l’opera del Nostro c’è l’esortazione ad agire con impeto, energia, audacia; e tale modo di agire presuppone non solo il calcolo, ma anche l’entusiasmo e la speranza. Certo, la decadenza italiana era ormai irrimediabile, né all’orizzonte si mostrava alcun principe degno della fiducia del Machiavelli, ed egli lo sapeva; ma sapeva anche che per rovesciare radicalmente una situazione ormai fatalmente e tragicamente conclusa occorreva far leva sulla stessa disperazione degli Italiani, sulla loro ansia di riscatto, sulla virtù della stirpe (questa è, nuovo principe), su di un’azione coraggiosa la cui energia potesse efficacemente controbattere l’impeto devastatore della « fortuna ». Del resto, nello stesso anno in cui scriveva il Principe, scriveva, in fondo, la pienezza dei tempi che addita al
una
in
lettera
«Io credo, credetti c crederò sempre che sia vero Boccaccio: che egli è meglio fare e pentirsi, che non fare e
Vettori:
al
quello che dice
il
pentirsi ».
1
.
Considerato, adunque, tutte
meco medesimo se in uno nuovo principe,^ e
le
cose di sopra discorse,^ e pensando
al
presente, correvano tempi da onorare
se ci era
materia che dessi occasione a uno pru-
Italia,
dente e virtuoso di introdurvi forma, che facessi onore a lui e bene alla
uomini
università delli
di quella,^
benefizio^ d’uno principe nuovo, che io
E
come io dissi, era necessario, volendo vedere la populo d’ Isdrael fussi stiavo in Egitto, e a conograndezza dello animo di Ciro eh* e Persi fussino oppressati
piu atto a questo.
virtù di Moisè, che scere la
se,
il
Cap. XXVI.
sere preda degli stranieri. 3.
1.
di sopra discorse: esaminate e discusse
nei capitoli precedenti. 2.
no
se...
mi pare corrino tante cose in non so qual mai tempo fussi
principe:
in Italia
tempi
se tali
tiva, al
presente correva-
da onorare un prin-
e se... quella:
espresso.
la
la
la virtù del
principe devono
introdurvi, cioè Io stato nuovo, che arreche-
rebbe a
un principe volta alla fondazioun nuovo e forte stato che liberasse la
nomini
Penisola dalla condizione ignominiosa di es-
favore.
virtuosa di
.
prudenza e
cipe nuovo; se cioè la situazione, l’occasione storica erano tali da favorire 1’ azione
ne di
Insiste sul concetto già
La materia è la situazione oggetforma è il nuovo ordinamento che
lui gloria e pace, e tranquillità e be-
nessere a tutti gli Italiani (aUa università delli
4.
di
qudia, cioè
corrino:
dell’ lulia)
concorrano,
in
benefizio:
in
Niccolò Machiavelli
che
la cccellenzia di Teseo,
Medi, e
da’
225
volendo conoscere
COSI al presente,
necessario che la Italia
Ateniensi fussino dispersi;
li
d’uno
la virtù
spirito italiano, era
riducessi nel termine che ell’è di presente,
si
e che la lussi più stiava che
più serva eh’ e Persi, più
Ebrei,
li
di-
spersa che gli Ateniensi; sanza capo, sanza ordine; battuta, spogliata,
ed avessi sopportato d’ogni sorte ruina.® benché fino a qui si sia mostro qualche spiràculo in qualcuno da potere indicare che fussi ordinato da Dio per sua redenzione, tamen si è visto da poi come, nel più alto corso delle azioni sua, è stato dalla fortuna reprobato.® In modo, che, rimasa come sanza vita, espetta lacera, corsa;
E
2.
qual possa essere quello che sani
Lombardia,
di 5.
taglie
del
le
sue ferite, e
Reame
prega Dio che
mandi qualcuno, che
le
ponga
Toscana, e
di
e
piaghe ^ià per lungo tempo
sue
quelle
alle
infistolite.'^
fine a’ sacchi
guarisca di
la
Vedesi come
la
redima da queste crudeltà
la
ed insolenzie barbare; vedesi ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che la pigli.
Né
3.
vede
ci si
al
presente in quale®
illustre casa vostra,® quale,
E
con
Ricorda il cap. VI, nel ha esaltato i grandi condottieri di popoli e fondatori di stati, Mose, Ciro, Romolo, Teseo, che rimangono r ideale supremo proposto nel Principe, ruina:
se...
quale
Machiavelli
il
coloro al cui esempio il
nuovo principe
si
italiano.
dovrebbe ispirare Ivi, inoltre, ha
detto che ebbero dalla fortuna solo l’occasione e che
animo
sama
quella occasione la virtù
sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta indarno. Della virtù ha parlato a lungo nei dello
capitoli
loro
si
precedenti; ora, invece, insiste sul-
l’opportunità,
sulla
occasione
che,
quando
ormai ogni speranza sembrerebbe spenta,
la
fortuna presenta al nuovo principe. In
tal
modo
lo esorta
all’azione impetuosa e
non
respettiva,
ad
fortuna]
mostrarla favorevole deve, a suo
avviso,
il
servire
afferrare
energicamente
come supremo
incentivo.
la
A
questo ne aggiunge un altro, potentissimo sull’animo di un uomo del Rinascimento: la gloria (volendo conoscere la virtù di uno
possa più sperare che nella
lei
fortuna e virtù, favorita da Dio
la sua
te le
pagine del Principe, oppressati
nel termine:
si.
nello stato,
:
oppresdesolata
una
struttura
situazione, sanza ordine: senza
nella
predata da eserciti stranieri. d’ogni... mina: rovine d’ogni sorta. 6. E benché... reprobato: E sebbene fi-
statale, corsa: corsa c
nora
uno
sia
si
mostrato in qualche individuo
spiraglio (spiràculo) di virtuosa energia
da far pensare che fosse staio da Dio a redimere 1 Italia, tutè visto che nel punto culminante o
creatrice, tale
destinato tavia
si
’
decisivo (nel più alto corso) delle sue azioè
ni
stato
respinto dalla fortuna.
tutti gli interpreti,
il
M.
Secondo
allude qui soprat-
VII). È da il cap. anche come in questo e nel para-
tutto al Valentino (cfr.
notare
grafo seguente ricorra più volte il nome di Dio, cosa che avviene ben di rado negli scritdel M., quasi che egli voglia dare una ti
sanzione più alta alla sua esortazione, convinto come è dcU’cstrcma difficoltà della impresa. 7. e ponga...
infistolite:
ponga
fine ai sac-
Aggiunge
cheggi effettuati da Francesi e Spagnuoli in Lombardia, alle gravose esazioni imposte dai primi alla Toscana, dai secondi al Re-
senti
gno
quale è il riconoscimento di virtù dimostrate in magnanime imprese. spirito italiano) la
infine la rievocazione delle presciagure d’ Italia, vero e appassionato grido di dolore, come si vede nella conclu-
sione
do
e
de
la
drammatica
di questo mirabile perioparagrafo seguente, in cui esplorattenuta passione che ha animato tut-
nel
di Napoli, e guarisca l’Italia dalle sue piaghe che col passare del tempo sono or-
mai incancrenite. 8.
in quale: in chi.
9.
nella...
casa vostra:
la
casa dei Medi-
226
Antologia della letteratura italiana
e dalla Chiesa, della quale è ora principe, possa farsi capo di questa redenzione.^® Il che non fia molto difficile, se vi recherete innanzi le azioni e vita de’ sopranominati.^^ benché quegli uomini sieno rari e
E
nondimanco furono uomini, ed ebbe ciascuno di loro minore occasione che la presente ^ perché la impresa loro non fu pili iusta di questa, né più facile, né fu a loro Dio più amico che a voi. Qui è iustizia grande « iustum enim est bellum quibus necessarium et pia arma ubi nulla nisi in armis spes est Qui è disposizione grandissima; né può essere, dove è grande disposizione, grande difficultà, meravigliosi,
:
:
pur che quella
pigli
degli ordini
mira.'* Oltre di questo, qui
da Dio: ^
dotti
mino;
ho proposti per
coloro che io
di
veggano estraordinarii sanza esemplo conè aperto; una nube vi ha scorto el cam-
si
el mare si ha versato acqua; qui
è piovuto la manna; ogni cosa e concorsa nella vostra grandezza, E1 rimanente dovete fare voi. Dio la pietra
non vuole
non
fare ogni cosa, per
ci tórre cl libero arbitrio
e parte di
quella gloria che tocca a noi.'®
ci,
a
un componente
è dedicato 10.
della quale, Lorenzo,
Principe.
il
redenzione:
quale...
qual altra casa,
se
non
(Non
si
vede)
dotata di
la vostra,
purché
pierla,
la
vostra
casa
(quella)
ai
È
necessario che accompagni a una
1’
impeto
entusiastico
fortuna e virtù e favorita da Dio e dalla Chiesa, della quale ora è a capo (un mem-
calcolata.
bro della famiglia dei Medici, Leone X, era
iniziale, affronta, nei paragrafi seguenti,
allora papa), possa intraprendere l’opera di
argomento più specificamente
redenzione d’ Italia. 11. de* sopranominati: molo, Teseo. 12. minore... presente:
no favorevole
lo
un’occasione me-
dono
15. Oltre..
di quella presente.
Infatti
la
vuole.
un redentore; e Dio stesso M. comprende che un’ azione
Il
impetuosa e rispettiva richiede non solo audacia, ma convinzione profonda, entusiasmo, fede, e sente anche che la religione e la moralità che su essa si fonda, sono due leve potenti sull’animo del popolo. religione difesa
triottico
Machiavelli
del
della
dà
è
Ma
la
vera
l’esaltazione
e
questo sentimento pacapitolo il suo tono ardente
patria; al
e appassionato. 13. iustum... est: è giusta infatti la guerra per coloro a cui è assolutamente neces-
sono le armi quando non v’è alcuna speranza se non nelle armi. La citasaria, e sacre
zione è tratta dallo storico latino Tito Livio. 14. né può... mira: dove gli uomini tutti
sono disposti a un’ impresa non vi può essere per il principe grande difficoltà a com-
politica razionale
M., dopo
il
ordinamenti
compimento
tesi nell’attesa di
la
degli
Cosi
Mose, Ciro, Ro-
redenzione d’ Italia è opera giusta, facile, perche gli Italiani sono ansiosamente pro-
si
modi di operare di coloro che ho proposto come modelli (Mosè, Ciro ecc.). ispiri
dell’
si
ben
perorazione
la
militari
e
un
tecnico, quel-
necessari
al
impresa.
Dio: oltre a questo, qui
si
ve-
mai visti (sanza esemplo), suscitati da Dio stesso. Nei Discorsi (I, 56) il M. osserva come quasi sempre gli eventi più gravi di una città dei miracoli
(estraordinarii)
siano predetti da indovini, rivelazioni, prosimili a quelli che egli ricorda subito dopo, relativi al cammino di Mosè e del popolo Ebreo nel deserto verso la terra promessa, e tenta una spiegazione filosofica
digi,
(peraltro
assai
incerta
e dubitosa) del fat-
Comunque, sempre nei Discorsi, afferma che un uomo politico deve diffondere fra il
to.
popolo
la fede in questi fatti soprannaturali, creda egli o no, servendosene come potentissimo incentivo all’azione. In tutto questo capitolo il M. mostra di non concepire la
d
politica
un
come una pura
umano
tecnica,
ma come
complesso, di sentire il bisogno di una rispondenza fra r opera del principe e quella del popolo, 16. Dio... noi: È il concetto espresso nel cap. XXV, che Dio e la fortuna sono arbitri della metà solunto delle cose umane. fatto
assai
più
Niccolò Machiavelli
E non
4.
227
è maraviglia
possuto fare quello che
alcuno de’ prenominati Italiani non ha
se
può
si
sperare facci la illustre casa vostra; e se
in tante revoluzioni di Italia, e in tanti
sempre che in quella gli
maneggi
di guerra,
la
virtù militare sia
spenta.^®
ordini antiqui di essa
non erano buoni,
e
non
pare
e’
Questo nasce che
ci è
suto alcuno che
veruna cosa fa tanto onore a uno uomo che di nuovo surga,“ quanto fa le nuove legge e li nuovi ordini trovati da lui. Queste cose, quando sono bene fondate e abbino in loro grandezza, lo fanno reverendo e mirabile. E in Italia non manca materia abbi saputo trovare de’ nuovi
da introdurvi ogni forma
non mancassi
la
e
:
qui è virtù grande nelle membra, quando
:
Specchiatevi ne’ duelli e ne’ congressi de’
ne’ capi.
pochi, quanto gli Italiani sieno superiori con le forze, con la destrezza, [
i
j
I
con
ingegno; ma, come
lo
tutto procede
si
viene agli eserciti,
dalla «debolezza de’
capi;
sono obediti, e a ciascuno pare di sapere, non alcuno che
sendo infìno a qui
ci
saputo rilevare, e per virtù e per fortuna, che
sia
si
non compariscono.^ E
perché quelli che sanno non
gli
quando
ne’ passati venti anni,
egli è
uno
stato
esercito tutto italiano,
sempre ha fatto mala pruova. Di che è testimone prima cl Taro, poi Alessandria, Capua, Genova, Vaila, Bologna, Mestri.^
E non è maraviglia: Il M. riprende tono dimostrativo e concettuale. È da ricordare che egli, scrivendo il Principe, vuole esortare a compiere un tentativo estremo, di emergenza, per il quale si presentava fondamentale alla sua mente un’azione di forza, in primo luogo militare (cfr. il cap. XII). La sua coscienza piena della gravità dell’ora fa si che egli dia ora il primato 17.
il
armi
alle
leggi.
sulle
lenza degli stranieri
si
ma
terie
da truppe
veramente a
sé
e
il
tante...
in
non può da fan-
principe sappia legare
guidare
egli
stesso
alla
spenta:
in
tanti
rivolgi-
menti politici e in tante operazioni militari è sempre sembrato che il valore militare deItaliani
fosse spento.
19. Questo... de’
che
nuovi: Questo deriva dal
ordinamenti militari degli stati italiani non erano buoni e non c’ è stato (suto) nessuno che ne abbia saputo escogitare dei nuovi e più efficienti. fatto
20.
21.
gli
antichi
a uno... surga: a un principe nuovo. non manca... forma: non manca la
materia
(il
un’organizzazione mili-
ricevere
22.
qui
c
grande...
virtù
non compariscono:
coraggio e l’eroismo dei solda-
Specchiatevi...
In Italia vi sarebbe gran-
de valore negli individui, ma esso manca nei capi. Considerate infatti gli scontri di pochi armati, i duelli (come la disfida ‘di Barletta, vinta, nel 1503, da tredici mercenari italiani, al servizio della Spagna, contro altrettanti Francesi):
battaglia. 18.
a
lano chiaramente superiori,
soltanto
fedeli e leali, cioè
popolari che
atta
di
tare più efficiente.
può opporre
più essere costituita dalle milizie mercenarie,
ti)
Alla forza, alla vio-
un’altra forza piu grande; questa
gli
al-
cedino.^ Di qui nasce che, in tanto tempo, in tante guerre fatte
tri
gli Italiani
ma
rive-
si
negli
scon-
campali fra eserciti fanno cattiva figura (non compariscono). Tutto il ragionamento è fondato su considerazioni illusorie. Quello che mancava agli Italiani erano la coscienza e dignità nazionali, un sentimento e un interesse effettivo che li tenesse legati
tri
ai
loro
sovrani.
non era tanto da militare, politico.
I
La
responsabilità
capi
quanto, prima di tutto, su quello quadri degli eserciti sono l’espres-
sione della classe dirigente di 23.
dei
ricercare sul piano tecnico
non
ci
c’è stato finora
un popolo.
poiché non nessun condottiero che abbia
sendo...
cedine:
decisamente superato gli altri per virtù e fortuna, si da piegarli alla sua autorità. 24. cl Taro... Mestri: a Fornovo sul Taro, Carlo Vili riuscì ad aprirsi la strada fra le truppe dei collegati Italiani che volevano im-
228
Antologia della letteratura italiana
Volendo dunque la illustre casa vostra seguitare “ quegli ecceluomini che redimerno le provincie loro,^ è necessario, innanzi a tutte le altre cose, come vero fondamento d’ogni impresa, provvedersi d’arme proprie; perché non si può avere né piu fidi né piu 'veri ^né migliori soldati. E benché ciascuno di essi sia buono, tutti insieme diventeranno migliori, quando si vedranno comandare dal loro principe e da quello onorare ed intratenere. È necessario pertanto prepa-' 5.
lenti
queste arme, per potere, con
rarsi a
la
virtù italica, defendersi dagli
esterni.^
E
6.
benché
la fanteria svizzera e
spagnola
sia esistimata terribile»
nondimanco in ambedua è difetto, per il quale uno ordine terzo “ potrebbe non solamente opporsi loro, ma confidare di superarli. Perché li Spagnoli non possono sostenere e cavalli,^ e li Svizzeri hanno ad avere paura de’ fanti, quando li riscontrino nel combattere ostinati come loro. Donde si è veduto, e vedrassi per esperienzia, li Spagnoli non potere sostenere una cavalleria franzese, e li Svizzeri essere rovinati da una fanteria spagnola. E benché di questo ultimo non se ne sia visto intera esperienzia, tamen se ne è veduto uno saggio nella* giornata di Ravenna,* quando le fanterie spagnole si affrontorono con le battaglie tedesche, le quali servono el medesimo ordine che le svizzere
dove
chieri,
erano
Spagnoli, con
li
intrati, tra le
derli* sanza che cavalleria che
pcdirgli
dria
il
li
l’agilità
Tedeschi
vi
ritorno in Francia (1495); Alessanzi Francesi, Capua
consegnò nel 1499
si
fu da questi saccheggiata nel 1501, Genova si arrese ad essi nel 1507, a Vaila fu pro-
potenza veneziana (battaBologna si arrese ai Frannel 1511, Mestre fu incendiata nel 1513
strata, nel 1509, la
glia di Agnadello), cesi
dalle
soldatesche della lega anti-veneziana. seguire l’esempio.
25. seguitare:
redimerno loro operarono la redenzione dei loro connazionali (Mosè, Ciro, 26.
. .
.
:
Teseo). 27.
con
avessino remedio; e se
urtò, gli arebbano
li
la virtù...
esterni;
difendersi da-
gli stranieri col valore italiano.
La
del corpo e aiuti de’ loro broc-
picche loro, sotto, e stavano securi a offen-
virtù ita-
consumati*
29.
non possono...
non
fussi
la
Puossi adunque,
tutti.
cavalli;
non riescono
a
sostenere gli assalti di cavalleria. 30. nella giornata di taglia di
Ravenna
Ravenna:
nella bat-
(ii aprile 1512), vinta dai
Francesi, comandati da Gastone di Foix, col quale militavano mercenari tedeschi, contro le truppe della Lega Santa (papa. Spagnoli, Venezia). 31. con le battaglie... svizzere: con le fanterie tedesche che combattono con lo stesso
ordinamento
tattico
delle
fanterie
svizzere.
Svizzeri e Tedeschi erano armati di lunghe picche, con le quali riuscivano, schierandosi a falange, a sostenere gli assalti della caval-
grandi imprese dei Romani, di cui gli Italiani si sentivano discendenti e continuatori.
ma che li impacciavano nei combattimenti a corpo a corpo, mentre gli Spagnoli erano armati di spade e di scudi rotondi {brocchieri) muniti di punte che servivano
Cfr., alla fine,
come arma
lica era
un luogo comune
c un’illusione
li-
bresca: derivava dall’ammirato ricordo delle
28.
uno ordine
i
versi del Petrarca.
terzo:
militare, fondato su resca.
un
terzo ordinamento
una diversa
tattica
guer-
leria,
32.
di difesa e di offesa.
stavano...
offenderli:
senza essere feriti. 33. consumati: distrutti.
potevano
ferirli
^
Niccolò Machiavelli
conosciuto
229
difetto
cl
deH’una e deH’altra di queste
di nuovo, ^ la quale resista a’ cavalli e
una
generazione delle arme e
fanterie, ordinarne
non abbia paura variazione
de’ fanti
:
il
che farà
E
queste sono di quelle cose che, di nuovo ordinate, danno reputa-
la
la
delli
ordini
uno principe nuovo. debba adunque^ lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia, dopo tanto tempo, vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto^ in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne; “ con che sete di vendetta, con che ostinata fede,® con che pietà, con che lacrime. Quali porte se gli^ serrerebbano? quali populi gli negherebbano la obedienzia? quale invidia se gli opporrebbe? quale Italiano gli negherebbe zione e grandezza a
Non
7.
si
A
l’ossequio? illustre
la
ognuno puzza questo barbaro dominio.^^ Pigli adunque animo e con quella
casa vostfa questo assunto con quello
speranza che
si
pigliano
“
le
imprese iuste; acciò che,
segna, e questa patria ne sia nobilitata, rifichi
e,
sotto
sotto la sua in-
sua auspizi,
li
si
ve-
quel detto del Petrarca:
Vir^u contro a furore
Prenderà Parme, e
Ché V antico
3^^.
ordinarne una di nuovo: NcH’/fr/e delil Machiavelli prospetterà in con-
guerra
questo nuovo ordine.
creto 35.
il
un diverso genere armamento e un tipo di-
ordini:
che...
(generazione) di
schieramento (variazione dini), otterranno questo risultato. verso di
36.
ga
Non
si
parentesi
delli
debba adunque: Dopo tecnica,
riprende
la
or-
lun-
l’eloquente
esortazione. 37. e* fussi ricevuto: egli sarebbe accolto. 38. illuvioni esterne: invasioni straniere,
paragonate ad inondazioni che tutto sconvolgono. 39. ostinata alla
fede:
fedeltà
ostinata,
fino
morte.
Virtù... morto:
A
passo è tratto dalla :
rore) degli stranieri, e il combattere sarà breve (rapidamente, cioè, gT Italiani avranno ragione dei nemici), perché il valore antico (quello dimostrato dai Romani) non è
ancor spento nei cuori italici. Che il capitolo si concluda con le parole di un poeta è un fatto che non deve stupire, perché è conforme al calore di sentimenti che tutto lo pervade. Inoltre il Machiavelli e il Petrarca si
trovano concordi nel culto della romagrandi e gloriosi: queItalia ideale, dalle grandi memorie, è patria che essi amano. Non è ancora il
nità, dei propri avi
la
si.
Il
Canzone all' Italia del Petrarca. Intendi La virtù (il valore) italiana prenderà Tarmi contro la barbara violenza guerriera {fu-
st’
40. se gli: gli
corto;
non è ancor morto.
Neiritalici cor
la
43. combatter fia el
valore
ognuno... dominio: Il grido plebeo conferisce alla perorazione forza e vi-
concetto di nazione, sintesi di tutto il popolo, ma c’ è già il sentimento di una co-
vacità singolari.
mune
41.
42.
che
si
pigliano: con cui
si
intraprendono.
origine e di
una comune tradizione.
230
I
Antologia della letteratura italiana
prima deca
« Discorsi sopra la
di Tito Livio »
Il Machiavelli cominciò a scrivere i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio nel 1513; interruppe il primo libro per stendere, di getto, il Principe, poi lo riprese e ne aggiunse altri due fra il *14 e il ’2i. Come dice il titolo
(« discorso» viene dal
una
pido, senza
verbo latino discurrere, che dà
direttiva predeterminata),
si
l’idea di
movimento
ra-
tratta di divagazioni, di consi-
derazioni sparse, nate in margine alla lettura approfondita dei primi dieci di Roma dello storico romano Tito Livio. L’oggetto della meditazione dello scrittore è anche qui,
libri della storia
cipe,
il
problema dello
tuttavia
tono òtì\Discorsi è piu pacato:
il
febbrile d’azione dell’altra opera,
modo, Anche i
nel Prin-
ma un
non avvertiamo
in essi l’ansia
atteggiamento più meditativo
e,
in
più complesso.
certo
Discorsi nascono da
una situazione
zione lucida t appassionata delle zioni,
come
della sua forza c della sua piena efficienza;
stato,
La
debolezze, miserie.
umanisticamente, per
la
vicende
storia
grandiosità
dei
attuale, cioè dalla medita-
italiane,
delle
Romani, che
delle
loro
contraddi-
Machiavelli vede
il
sue conquiste,
come
popolo
il
grande c virtuoso per eccellenza, diviene una specie di storia ideale eterna, modello e insegnamento di solida costruzione politica, davanti alla quale la
italiana e
storia
quella fiorentina
loro intrinseca debolezza e
mediata prevalgono qui
mente
norme c
le
Inoltre, il
il
i
degli
ultimi
rivelano
secoli
Ma
loro irreparabili errori.
tutta
la
sulla passione im-
storico e l’esigenza di stabilire teoricafondamentali dell’azione politica.
l’interesse
le leggi
Principe riguarda immediatamente
la
costituzione dello stato,
momento, per usare un’immagine machiavelliana,
tando con energia disperso;
i
inflessibile l’occasione storica,
di Romolo, che, sfrutplasma in unità un volgo
Discorsi, invece, intendono rappresentare lo stato
come
istituzione,
osservato nella sua durata, nella continuità della sua vita e del suo sviluppo, lo stato, cioè,
in quanto complesso di ordinamenti c leggi, risultanti dal-
l’azione dinamica delle forze politiche che
ha
in sé
(il
momento
effigiato
simbolicamente dal Machiavelli nella figura di Numa Pompilio, il sovrano legislatore) c che si svolge, poi, non più nella forma del governo monarchico, ma in quella repubblicana, alla quale va l’intima simpatia dell’autore. Il tema centrale della meditazione dei Discorsi è la definizione del bene
comune, fine supremo della vita dello stato, inteso essenzialmente come il dinamico concorrere di tutte le forze politiche di esso al suo governo. Gli ordini {ordinamenti) c le leggi, che vengono esaltati come obbiettivazione della sua forza c funzionalità, divengono cosi realtà concrete, trasformate e *
modellate di continuo dalle
lotte dei vari partiti, attraverso le quali tutte le
forze sociali c politiche trovano un’espressione adeguata nella struttura tale.
Questo è
il
sta-
vivere libero, contrapposto dal Machiavelli al vivere servo,
in cui la sola volontà del capo è principio e fine di tutta la vita dello stato. In questa prospettiva complessa, sono considerati nei Discorsi molti pro-
blemi che invano ricercheremmo nel Principe: esempio, c del suo rapporto con legge, per
i
quali
rimandiamo
alle
la
politica,
quello della religione,
ad
quello della libertà e della
introduzioni ai passi della nostra
scelta.
Niccolò Machiavelli
Proemio
al
231
primo
libro dei « Discorsi »
In questo celebre proemio
non
Machiavelli esorta a compiere una lettura delle
il
una ricerca umanisticamente erudita o a un un dialogo effettivo coi grandi del passato, attraverso il quale l’uomo possa conoscere meglio se stesso, le direttive generali e immutabili della sua natura e del suo operare, e trarre da questo l’incentivo a un’azione magnanima, consapevole e virtuosa. L’imitazione degli antichi diviene COSI una libera emulazione della passata grandezza, lo studio dei classici si risolve in un atto di fede nell’uomo e nelle sue capacità creative. storie
antiche che
mero
diletto estetico,
ma
a
limiti
si
costituisca
Ancora che,^ per la invida natura de gli uomini, sia sempre suto non altrimenti periculoso trovare modi ed ordini nuovi, che si fusse cercare acque e terre incognite, per essere quelli ^iu pronti a biasimare che a laudare le azioni d’altri;^ nondimanco, spinto da quel naturale desiderio che fu sempre in me di operare, sanza alcuno respetto, quelle cose che io creda rechino comune benefìzio’ a ciascuno, ho deliberato entrare per una via, la quale, non essendo suta ancora da alcuno trita,* se la
mi
mi potrebbe ancora
arrecherà fastidio e difhcultà,
umanamente
premio, mediante quelli che
E
ingegno povero,
mie
di queste
arrecare
fatiche
il
fine
poca esperienzia delle cose presenti e la debole notizia® delle antique faranno questo mio conato difettivo e di non molta utilità;'^ daranno almeno la via ad alcuno che,*
considerassino.®
se lo
la
mia intenzione sanon mi arrecherà laude, non mi doverebbe partorire
con piu
virtù, più discorso e iudizio,® potrà a questa
tisfare:
il
che, se
biasimo.
Disc.
M.
I.
I.
è
consapevole dell’originalità delle sue
concezioni. 5. 1.
Ancora che: sebbene.
2.
per
invida...
la
via
altri:
Invida è
la
na-
tura degli uomini perché naturalmente por-
più a biasimare che lodare le azioni Per questo, afferma il M., il trovare modi e ordinamenti nuovi, relativi alla vita tata
altrui.
politica, coli,
3.
è
sempre
come
spinto...
ca, per
il
stata cosa piena di
lo scoprire
nuove
La
benefìzio:
M., non ha un
scienza
norma
politi-
all’azione; è
ma
non
di in-
solo
un
ma
anche un operare per il bene comune, sanza alcuno respetto: senza scrupoli o pregiudizi. pensare
4.
trare
ho
ho deciso di ennon essendo stata
deliberato... trita:
per
una via che,
ancora calcata (percorsa) da alcuno, ecc.
11
considerassino
:
Il
battere
una
all’autore fastidio e dif-
le ragioni che abbiamo visto più dovrebbe anche garantirgli onore e gloria, almeno presio coloro che considereranno umanamente, cioè con un senso intimo e profondo di umanità, il fine della sua fatica, che è quello di spingere gli uomini virtuosi ad agire coscientemente ed efficacemente per il bene comune.
ficoltà^
sopra;
carattere di pura
e solitaria speculazione fìiosofìca,
centivo e
peri-
terre.
se la...
nuova porterà
6.
la
per
ma
debole notizia:
la scarsa
conoscenza.
renderanno questo mio tentativo in parte manchevole e di scarsa uti7.
lità.
faranno... utilità
Sono
:
espressioni di modestia, solo in par-
però, rettoriche, poiché nascono anche dall’avvertita difficoltà del battere strade nuove. 8. con più... iudizio: con maggiore gusto
te,
e capacità dcll’agire e critica e speculativa.
con maggiore capacità
Antologia della letteratura italiana
232
Considerando adunque quanto onore si attribuisca all’antiquità,® c volte, lasciando andare infiniti altri esempli, un frammento d’una antiqua statua sia suto comperato gran prezzo, per averlo appresso di se, onorarne la sua casa e poterlo fare imitare a coloro che
come molte
di queU’arte
come
dilettono; e
si
sforzono in tutte
le
quegli di poi con ogni industria
loro opere rappresentarlo;
canto, le virtuosissime operazioni state operate
le storie ci
da regni e repubbliche antique, dai ed
latori di leggi, pili
che
che
altri
si
sono per
si
e veggiendo, da l’altro
mostrono, che sono
re, capitani, cittadini,
la loro patria affaticati, essere
presto ammirate che imitate; anzi, in tanto da ciascuno in ogni mi-
nima cosa “ fuggite, che di quella antiqua virtù non ci è rimasto alcun segno; non posso fare che insieme non me ne maravigli e dolga. E tanto piu, quanto io veggo nelle differenzie che intra cittadini
civil-
mente nascano,^* o nelle malattie nelle quali li uomini incorrono, essersi sempre ricorso a quelli iudizii o a quelli remedii che dagli antiqui sono stati indicati o ordinati perché le leggi civili non sono :
altro che sentenzio date dagli antiqui iureconsulti, le quali, ridutte in
ordine,^® a* presenti nostri iureconsulti indicare insegnano. la
medicina è
le
quali fondano e medici presenti e loro iudizii.
ordinare nello
le
che esperienzie
altro
repubbliche, nel mantenere .
che agli esempli la
debolezza nella quale
mo
Il
M. pensa
alla
ma
all’ umanesi-
puramente speculativo intende contrapporne uno pratico e attivo. Gli antichi non devono essere soltanto un modello estetico e
artistico e letterario,
E
ma
te
ripeterne
la
virtù di
lo
schema c
la
struttura,
di
ricavarne un’ispirazione c una norma. 11. virtuosissime operazioni: le imprese
da grandissima virtù
politica
e ci-
12. in tanto: a taljiunto. in
i^.
Il
ogni
minima
in tutto e per tutto.
che...
segno:
Si
rivela
si
truova principe né republica
che credo che nasca non tanto
qui l’animo
ha condotto
el
mondo,”
Principe) dal senso doloroso della presen-
corruzione e decadenza del 14. nelle differenzie...
troversie civili,
mondo
ita-
15. iudizii...
nascano: nelle con-
nelle azioni giudiziarie.
remedii:
rispettivamente:
sentenze dei giureconsulti... prescrizioni mediche. tive, si
Non, dunque,
ma
anche nel
solo nelle arti figura-
diritto e nella
medicina
ricorreva all’esempio degli antichi. 16. ridutte
in ordine:
organizzate in un
complesso di leggi. 17.
nel
indicare c sudditi:
strare la giustizia fra
i
nell’
ammini-
sudditi e nel gover-
narli.
da la debolezza... mondo: cfr. il pasche abbiamo intitolato « Repubblica e libertà ». II M. pensava che il cristianesimo, interpretato secondo l’ozio e non se18.
vile.
cosa:
nello
liano.
opere, di imitarlo, cioè di ispirarsi ad esso,
ispirate
sopra
polemico dei Discorsi, nati anch’essi (come il
di vita e di azione.
imitare significa qui emulare
quei popoli forti c generosi. 10. c come... rappresentarlo: e come poi quegli artisti si sforzino, in tutte le loro di
Nondimanco,
nel governare e regni,
stati,
li
la presente religione
esaltazione e idealizzazione dei classici che
fu propria del suo tempo;
non
antiqui ricorra.
delli
quanto... antiquità:
9.
ancora
ordinare la milizia ed amministrare la guerra, nel indicare e
sudditi,” nello accrescere l’imperio,
da
Né
dagli antiqui medici,
fatte
so
.
Niccolò Machiavelli
233
o da quel male che ha fatto a molte provincie e città cristiane uno ambizioso ozio,^® quanto dal non avere vera cognizione delle storie, per non trarne, leggendole, quel senso né gustare di loro quel sapore che le
hanno
in
sé.“
Donde
nasce che infiniti che
leggono,
le
piacere di udire quella varietà degli accidenti che in esse
sanza pensare altrimenti di imitark, indicando difficile
ma
come
impossibile;
se
il
cielo,
la
sole,
il
pigliono
contengono, imitazione non solo si
elementi,
li
li
uomini,
fussino variati di moto, di ordine e di potenza, da quello che gli erono
antiquamente.^ Volendo, pertanto, trarre li uomini di questo errore,^ ho giudicato necessario scrivere, sopra tutti, quelli libri di Tito Livio che dalla malignità de’ tempi non
secondo
io,
le
ci
sono
intercetti,^ quello che
stati
cognizione delle antique e moderne cose,^ indicherò
necessario per maggiore intelligenzia di
essere
a
essi,
che coloro
ciò
che leggeranno queste mia declarazioni,^ possino più facilmente trarne quella utilità per la quale
E
benché questa impresa
si
sia
debbe cercare la cognizione delle istorie. difficile, nondimanco, aiutato da coloro
che mi hanno, ad entrare sotto questo peso,^ confortato, credo por-
modo, che ad un
tarlo in
cammino a condurlo
altro resterà breve
a
loco destinato.^
condo
la
virtù,
avesse
distolto
gli
uomini
mondana
per rivolgerli a quella contemplativa. In seguito al disinteresse per la vita pratica era quasi scomdalla
vita
attiva
e
parso dall’animo dei moderni quell’ amore della 19.
libertà
che fu
proprio degli antichi.
uno ambizioso ozio: una
lontana dalla virtù politica
vita ignava,
op-
militare,
e
pure volta a soddisfare cupidigie e brama il M. pensa alla vita fastosa della borghesia arricchita, ormai inoperosa e volta alla ricerca del piacere, che aveva caratterizzato gli ultimi decenni della storia d’onori. Forse
fiorentina. 20.
quanto... in sé:
avere
una conoscenza
quanto dal solo
fatto
esteriore,
reale e approfondita delle storie, perché,
di
non pur
uomini non ne traggono un pratico insegnamento, non ne comprendono, leggendole,
gli
l’ intimo significato. antiquamente Come j 1 ciclo, il sole, gli elementi, l’uomo è immutabile; la sua vita, la sua psicologia sono rette da leggi costanti, come quelle della natura. Si è appunto chiapiati « naturalistica » questa concezione (efre il M. ebbe in comune con molti pensatori del suo tempo), che non tiene conto del modificarsi, del pro-
quindi, 21.
il
come
sapore, se...
:
gredire dell’uomo attraverso viltà.
Essa,
storia a
un monotono
pre uguali.
la
sua stessa
ci-
anzi, rischierebbe di ridurre la
Ma
il
ripetersi di eventi
M. ne
sem-
ricava invece
un
incitamento fiducioso all’azione, affermando che anche oggi è possibile compiere grandi
imprese come nel passato. 22. di questo errore: dalla falsa opinione che non sia più possibile emulare la grandezza antica. 23. sopra libri
tutti...
intercetti:
sopra tutti
i
dello storico latino Tito Livio che sono
pervenuti fino a noi. I libri delle storie di Livio erano centoquarantadue, dei quali ne restano solo trentacinque. Il M. ha tenuto presenti solo
i
primi
24. secondo...
dieci.
cose:
Il
M. intende com-
mentarli, o meglio, metterne in luce pore,
il
sa-
significato attuale, fondandosi sulla conoscenza delle cose antiche e sulla il
sua sua esperienza politica. 25. declarazioni illustrazioni, spiegazioni.. 26. ad entrare... peso: ad assumere questo :
difficile
compito.
27. credo...
assolvere prefisso,
destinato:
pienamente di aprire la
Spera,
se
non
di
compito che si è strada ad altri capaci il
di percorrerla fino in fondo.
234
Antologia della letteratura italiana
dell’organismo politico
Il ciclo vitale
Questo passo rivela il carattere della meditazione dei Discorsi^ meno immediatamente orientata verso l’agire politico e intesa al ritrovamento di leggi generali. Qui la vita dello stato è concepita, in analogia a quella d’un organismo naturale, secondo un processo di sviluppo che passa, per gradi successivi, dal Principato al governo aristocratico a quello popolare; il passaggio dall’uno all’altro è causato dal loro stesso corrompersi, rispettivamente, in tirannide, oligarchia, demagogia; e il processo, una volta compiuto, si ripete indefinitamente. Si è parlato, per questa visione ciclica, dell’influsso d’uno storico greco, Polibio; e certo la teoria delle tre forme di governo è di chiara ascendenza classica. Va però notato che su questa interpretazione naturalistica del mondo storico si fonda il tentativo del Machiavelli di stabilire una scienza politica con leggi rigorose e necessarie; e inoltre che l’organizzazione statale viene, per lui, a coincidere con la vicenda dell’umana civilizzazione. La costituzione dello stato appare, infatti, superamento dell’originaria ferinità dell’uomo, rende possibile la fondazione
stessa
come
il
della giustizia e degli altri valori morali.
Nacquono
queste variazioni de’ governi
perché nel principio del mondo, sendo
tempo
a caso intra gli uomini
^
abitatori
gli
radi,
:
vissono un
dispersi a similitudine delle bestie; dipoi moltiplicando la gene-
razione^
si
ragunarono insieme,
e per potersi
meglio difendere comin-
ciarono a riguardare infra loro quello che fusse piu robusto e di mag-
come capo
giore cuore, e fecionlo
e lo ubedivano.
Da
questo nacque
la
cognizione delle cose oneste e buone, differenti dalle perniziose e ree: perché, veggendo che se
uno noceva al suo benifìcatore ne veniva odio compassione intra gli uomini, biasimando gl’ingrati ed onorando quelli che fussero grati, e pensando ancora che quelle medesime ingiurie potevano essere fatte a loro, per fuggire simile male si riducevano a fare e
leggi, ordinare punizioni a chi contrafacessi
della giustizia.^
La quale
non andavano
principe,
*
e
donde venne
dietro al più gagliardo,
più prudente e più giusto. per successione
:
non per
la
cognizione
cosa faceva che avendo dipoi a eleggere
Ma
come
dipoi
si
ma
uno
a quello che fusse
cominciò a fare
elezione, subito cominciarono
li
il
principe
eredi a dege-
nerare dai loro antichi, e lasciando l’opere virtuose pensavano che principi
non avessero a
i
fare altro che superare gli altri di sontuosità e
di lascivia e d’ogni altra qualità di licenza
:
in
modo
che cominciando
il
principe a essere odiato e per tale odio a temere, e passando dal timore Disc.,
no
le
blica
I,
Titolo:
2.
Di quante spezie
so-
repubbliche e di quale fu la Repub-
Romana.
avuto un forte incremento demografico (che necessarie forme di organizzazione e
rese
di vita associata). 3.
queste...
1.
me
allude alle tre for-
(c alle loro rispettive
abbiamo a caso,
dono 2.
governi:
a
specificato.
come
dice
il
Il
degenerazioni) che
fatto che siano nate
M., mostra che rispon-
leggi costanti della natura
dipoi...
generazione:
poi,
umana. essendosi
donde... giustizia: La giustizia, la no-
zione del bene non hanno dunque, per ,U M., alcuna giustificazione trascendente, ma
derivano
dallo
sviluppo
dell’
esperienza
e
della vita associata. 4.
per successione:
stica, ereditaria.
per successione dina-
Niccolò Machiavelli
ne nasceva presto una tirannide.
alle offese,
presso
235
Da
questo nacquero ap-
principii delle rovine e delle conspirazioni e congiure contro
i
non
a’ principi,
ma
da coloro che fussono timidi o deboli,
fatte
da coloro
che per generosità, grandezza d’animo, ricchezza e nobiltà avanzavano gli altri
quali
i
:
La
cipe.
s’armava contro
E
;
al
principe,
la inonesta vita di quél prin-
seguendo
l’autorità
potenti
come
a suoi
quelli
perché infastidita da’ loro governi, la moltitudine, i
questi
di
quello spento, ubbidiva loro
e,
avendo in odio il nome d’uno solo capo, consti tuivano di loro medesimi uno governo,® e nel principio avendo rispetto® alla passata tirannide si governavono secondo le leggi ordinate da loro, posponendo ogni loro commodo alla comune utilità, e le cose ‘private e le pubbliche con somma diligenzia governavano e conservavano. Venuta dipoi questa amministrazione ai loro figliuoli, i quali non conoscendo la variazione^ della fortuna, non avendo mai provato il male, e non volendo stare contenti alla civile equalità,’' ma rivoltisi alla avarizia, alla ambizione, alla usurpazione delle donne, feciono che d’uno governo d’Ottimati diventassi uno governo di pochi, sanza avere rispetto ad alcuna civiltà; talché in breve tempo intervenne loro come al tiranno, liberatori.
j
non potevano sopportare
moltitudine adunque
qualunque disegnassi cosi
si
alcun
in
modo
si
fe’
ministra dì
offendere quelli governatori,
levò presto alcuno che con l’aiuto della moltitudine
li
e
spense,
j
j
Ed
essendo ancora fresca
la
memoria
del principe e delle ingiurie rice-
non volendo
vute da quello, avendo disfatto lo stato de’ pochi, e
quel del principe,
modo E
in
che né
cuna.
perché
i
si
pochi potenti né uno principe vi avesse autorità stato
al-
hanno qualche riverenzia,® popolare un poco ma non molto, massime
tutti gli stati
mantenne questo
si
rifare
volsero allo stato popolare,® e quello ordinarono
nel principio
spenta che fu quella generazione che l’aveva ordinato, perché subito si
venne
pubblici
alla licenza, :
di qualità
dove non
si
temevano né
che vivendo ciascuno a suo
gli
uomini
modo
si
privati
né
i
facevano ogni
dì mille ingiurie, talché costretti per necessità o per suggestione d’alcuno buono uomo, o per fuggire tale licenza, si ritornà di nuovo al principato; e da quello di grado in grado si riviene verso la licenza,
ne’
modi
E
e per le cagioni dette.
si sono le repubbliche rade volte ritornano ne’ governi medesimi, perché quasi nessuna repubblica può essere di tanta vita che possa passare molte volte per queste mutazioni e rimanere in piede.
questo è
governate e
5.
di...
si
cerchio nel quale girando tutte
il
governano:
governo: un governo
ma
di Ottimati,
6.
avendo
rispetto:
avendo riguardo,
sfor-
zandosi, cioè, di evitare, ecc. 7.
equalità:
vanti alla legge. 8. stato
scelti fra loro.
eguaglianza dei cittadini da-
no 9.
di
popolare
:
la
democrazia o gover-
popolo.
riverenzia:
prestigio
10. repubbliche:
e
qui vale
autorità. « stati ».
Antologia della letteratura italiana
236
Che
disunione della plebe e del Senato romano fece libera e
la
potente quella repubblica
È uno
Esaminando
dei capitoli più acuti e originali dei Discorsi.
Roma
della
litiche
repubblicana,
Machiavelli non riecheggia
il
nale e vieta condanna moralistica di esse,
ma
ne avverte
le
lotte po-
l’ormai tradizio-
l’effettiva
importanza
non portarono (come avvenne invece nell’ età medioevale a Firenze e nelle altre città italiane) al trionfo assoluto di una fazione e alla cacciata di quella rivale, ma a una partecipazione di tutte le forze sociali c politiche dello stato alla vita di esso. La repubblica ideale, il vivere libero c civile sono concepiti dal Machiavelli come un dinamico e armonico compcnctrarsi di politica. Esse, infatti,
queste forze (cioè di
tutti
i
cittadini),
che trovano negli ordini e nelle leggi
dello stato la loro espressione.
Qui
non considera
momento
della
sua fondazione, quando
è necessaria l’opera d’un principe che lo costituisca in
unità politica, c gli im-
egli
ponga, mediante
quando
nuovi ordini, una struttura,
i
ma
nel
suo ulteriore sviluppo,
esso coincide con la forza delle leggi e delle istituzioni, che regolano la
dei
vita
lo stato nel
cittadini
e,
nello
stesso
tempo,; esprimono
la
loro
coscienza
politica
comune.
non voglio mancare Roma dalla morte
Io
rono in
di discorrere sopra questi
tumulti che fu-
de’ Tarquinii alla creazione de’ Tribuni;
oppinione di molti che dicono
e di poi alcune cose contro la
^
Roma
una repubblica tumultuaria,^ e piena di tanta confusione che, se la buona fortuna e la virtù militare ^ non avesse supplito a’ loro difetti, sarebbe stata inferiore ad ogni altra repubblica. Io non posso negare che la fortuna e la milizia non fossero cagioni dell’imperio romano; ma e’ mi par bene che costoro non si avvegghino che, dove è buona milizia, conviene che sia buono ordine, e rade volte anco oc5. corre che non vi sia buona fortuna.^ Ma vegnamo alli altri particolari di quella città. Io dico che coloro che dannono® i tumulti tra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasimino quelle cose che furono prima ca-
essere ^stata
Disc.
I,
ordinamend
4.
Tribuni: sulle lotte politiche 1. sopra... che vi furono in Roma dalla cacciata dei re alla costituzione del Tribunato della plebe, cioè
su quei contrasti
fra
aristocrazia
{pa-
popolo {plebei) che, secondo il M., condussero la Repubblica Romana a una costituzione esemplare, espressione armonie
trizi)
ca di tutte le energie vive dello stato. tumultuaria: che quella 2. Roma...
Roma
all’
interno.
3.
la
virtù
4.
dove...
tica
di
fu una repubblica disordinata e caomilitare:
fortuna:
il
valore
guerriero.
dove esistono buoni
militari
devono necessariamen-
buoni ordinamenti civili, perché quelli si fondano su questi (cfr. il cap. XII del Principe, dove però, coerentemente al tono e agli scopi dell’opera, l’interesse si accentra sul problema tecnico militare); e uno stato bene ordinato politicamente e militarmente è quasi sempre « fortunato », poiché dalla sua efficienza nascono i suoi successi, n M. vagheggiò sempre un esercito che fosse, per dirla con termini moderni, espressione della nazione armata, e comprese l’interdipendenza fra ordinamento civile e
te
esistere
militare.
dannono: condannano.
Niccolò Machiavelli
237
gione di tenere libera Roma,® e che considerino piu grida che di
tumulti nascevano, che a’'bùoni
tali
torivano;’ e che non considerino,
umori
che
fanno in favore della
si
come facilmente
loro,®
si
può vedere
sono in ogni republica due
e’
come
Roma
rade volte partorivano
essere seguito
“ in Roma; perché
piu che otto o dieci
ancora condannò in
le
dove siano
le
buone
buona edu-
la
leggi da quelli tumulti che molti
inconsideratamente dannano;^® perché, chi esaminerà bene
non troverà
E
se
bene,
ma
di
Roma
sitivi effetti politici
8.
due umori
popolo e
che ne derivavano.
diversi:
due
diverse,
con
interessi
e finalità politiche diverse. 9. e
come... loro:
M.
Il
uno
modi erano
I
M. chiama della
intuisce che la vi-
non sono imparda una legge astratta, fissata una volta per sempre, ma da una dinamica c continua conquista. Esse nascono dallo scontrarsi e daH’armonico comporsi dei diversi interessi o umori delle classi sociali. La supcriore saggezza politica dei Romani è qui contrapposta polemicamente alla insipienza dei Fiorentini, che per secoli furono travagliati da lotte politiche faziose, nelle quali ciascun partito mirava alla distruzione totadeiravvcrsario c
stato
prio in
all’ imposizione
dominio incontrastato,
senza
del pro-
pensare
modo al supcriore interesse della a quel concorso politico di tutte le
alcun
patria,
forze di
uno
stato
al
suo governo che
straordinarii, e quasi
bene comune
«
avvenuto. Gracchi:
10. seguito:
rono rono
essenza prima
»,
« libertà ».
11. Tarquinii... gli
ultimi re di
tribuni
della
I
Roma,
plebe
e
i
Tarquini fuGracchi fu-
sostenitori
quando
dei
regime repubblicano volgeva ormai al tramonto. 12. rade... sangue: al contrario di quanto avvenne nella storia di Firenze, a cominciadel popolo, vissuti
diritti
il
differenze né né una republica può considerare) disunita e lacerata irreparabilmente dalle discordie una repubblica come quella dei Romani, che, in tanti 13.
il
.
. .
:
(si
per
secoli,
tite
le
di
re dalla lotta fra Guelfi e Ghibellini.
classi
.aristocrazia, ciascuna
ta e la libertà di
fine
leggi ed ordini in benefizio della pub-
alcuno dicesse:
tenere Ubera Roma: del fatto che rimanesse a lungo libera. Libertà, per il M. è, si potrebbe dire, la virtù di uno stato: coincide con la sua forza e intima solidità, cioè coi suoi buoni ordinamenti, che gli assicurano autonomia c sicurezza, piena efficienza e sovranità politica. 7. che considerino... partorivano: che facciano più attenzione al disordine apparente provocato da quelle contese che ai po6.
il
ch’egli abbiano partorito alcuno esilio o violenza in
comune
disfavore del blica libertà.^®
di-
esempli di virtù,
tanti
buoni esempli nascono dalla buona educazione,
cazione dalle buone leggi; e
essi,
pos-
sue differenze
ragione una republica inordinata, i
si
non mandò in esilio cittadini, e ne ammazzò pochissimi, e non molti danari. Né si può chiamare in alcun modo con
che in tanto tempo per
perché
tumulti
né una republica
sano pertanto giudicare questi tumulti nocivi, visa,
i
Né
radissime sangue.^
esilio, e
tutte
nascano dalla disunione
libertà,
da’ Tarquinii a’ Gracchi, “ che furono piu di trecento anni, di
alle
che quelli par-
quello del popolo e quello de’ grandi:' e
diversi,®
le leggi
come
romori ed
a’
effetti
sue lotte intestine, ecc. disordinata, priva cioè di
le
inordinata:
14.
buone menti
c di
leggi,
savi
ed
efficienti
ordina-
politici.
15. perche... dannano: dalle lotte politiche, cioè dall’ incontro e dallo scontro dei
vari
umori
ficienti, in
sociali, nascono leggi buone, efquanto tengono conto degli inte-
ressi e della Ic
popolo
stesso,
e
il
popolo; dal-
una buona educazione del cioè un suo sano orienta-
morale, da cui derivano la compattezza dello stato e quindi sue imprese virtuose {esempi^. 16. leggi... libertà: leggi e ordinamenti
mento
solidità le
volontà di tutto
deriva
leggi
politicc? e
e
in favore del bene
comune
e della pubblica
E
Antologia della letteratura italiana
238
vedere
efferati,
contro teghe,
partirsi
i
tutta
non che
tano,
popolo, insieme gridare contro
il
popolo, correre tumultuariamente per
il
modi, con
suoi
popolo
lere del
quali,
i
massime quelle
e
chi le legge;
come ogni
dico
popolo possa sfogare l’ambizione
il
Roma
intra le quali la città di
:
o
non voleva dare
e’
il
sua,^*
vogliono
si
va-
aveva questo modo,
che quando quel popolo voleva ottenere una legge, o delle predette cose,“
spaven-
debbe avere
città
che nelle cose importanti
cittadi
Senato
il
serrare le bot-
plebe di Roma,^® le quali cose tutte
la
altro,
Senato,
il
le strade,
nome
e’
faceva alcuna
per andare alla
guerra, tanto che a placarlo bisognava in qualche parte soddisfargli.
E
desideri! dei popoli liberi
i
perché
quando queste opinioni
essere oppressi
medio
rade volte sono perniciosi
alla
libertà,
nascono o da essere oppressi, o da suspizione di avere ad
ei
come
dimostri loro
e’
s’ingannano; “ e
fossero false,
uomo da
che sorga qualche
delle concioni,
li
popoli,
vi è
e’
il
ri-
bene, che orando
come
dice Tullio,^
benché siano ignoranti, sono capaci della verità,^ e facilmente cedono
quando da un uomo degno di fede è detto loro il vero. Debbesi adunque piu parcamente biasimare il governo romano,
e
considerare che tanti buoni effetti,^ quanti uscivano di quella repu-
non erano causati se non da ottime cagioni. rono cagione della creazione dei tribuni, meritano blica,
ché,
oltre
compagine
cioè della saldezza della
modi... vedere:
si
I
modi
(in
cui
si
e costruttiva dialettica
risolvevano in manifestazioni sfre-
nate e quasi contro ogni buona norma del vivere civile (efferati) , in quanto si vedeva, ecc. 18. partirsi... Roma: allude alle secessio-
come quella sul Monte SaMenenio Agrippa. 19. possa... sua: Altra profonda e moderna intuizione: è necessario, a uno stato della plebe,
ni
cro,
al
tempo
di
che intenda essere fondato sulla partecipazione veramente attiva dei cittadini alla sua garantire
vita,
ad
essi
ne della loro volontà e
la
il
sta
desiderii...
i
oppressi:
i
desideri
dei
il
modo
una forza
manifestazioni di
il
nome:
di venire oppressi.
Secondo
il
arruolarsi.
M.
«
i
concioni... ingannano: assemblee, nel-
un uomo probo e savio, arringando popolo con un discorso (orando), gli dimostri che si inganna. quali
24. Tullio:
Marco Tullio Cicerone,
il
piu
grande fra gli oratori romàni. 25. sono capaci della verità: sono capaci di comprendere la verità, quando qualcuno gliela riveli.
protesta o secessioni. 21. dare
23.
il
cieca disgregatrice.
20. delle predette cose:
punto
grandi », invece, sono quasi sempre spinti da egoistiche brame, di' affermazione e di potere. Tieni presente però che liberi significa qui eduead ad una sana vita politica da buone leggi e da buoni ordinamenti e soggetti a questi, non pienamente autonomi, in senso democratico attivo.
di esercita-
diritto
la
perché le loro ribellioni nascono o dalla volontà di scuotersi di dosso una qualche oppressione o da! sospetto di essere sul
libertà,
le
libertà
dursi in
22.
espressio-
libera
di critica. Naturalmente, quedeve avere nella legge la sua garanzia, ma anche il suo limite, non trare
laude; per-
popoli liberi rararnente sono rovinosi per
esprimeva questa libera politica)
tumulti fu-
guardia della libertà romana.
statale.
17. I
i
se
dare la parte sua all’amministrazione popolare, furono
al
constituiti per
libertà,
E
somma
26.
buoni
effetti:
virtuose imprese.
Niccolò Machiavelli 239
Come
egli c necessario essere solo a volere ordinare
una repubblica
di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini riformarla Questo capitolo mostra l’unità sostanziale che intercorre fra il pensiero del Prinape c quello dei Discorsi. Anche se in questi ultimi il Machiavelli sembra propendere decisamente per una forma di governo repubblicano, fondato sulla partecipazione
di
tutti
i
cittadini
alla
dello
vita
stato,
sulle
buone
leggi,
sui
buoni ordini, sui buoni costumi, il suo stato presuppone sempre un legislatore attento e virtuoso, un individuo che lo plasmi e lo controlli. Ordini e leggi, restano pur sempre imposti dall’ alto dai, « savi », dai « prudenti », pur tenendo conto degli umori dei cittadini sudditi; non sono mai espressione e creazione di un popolo. Per questo, qui come nel Principe, ì\ Machiavelli insiste sul fatto che la creazione di uno stato e dei suoi ordinamenti deve essere opera di un individuo dotato di prudenza e di virfu eccezionali. Egli non riesce, cioè, a superare
il limite individualistico dello stato signorile, quale si era venuto cos'dtuendo, ormai da due secoli, in Italia, né a risalire dalla concezione dello stato come potenza a quella dello stato come civiltà.
E
...
debbesi pigliare questo per una regola generale, che mai o rado
occorre^ che alcuna republica o regno
o
al
nuovo fuora
tutto di
sia
da principio ordinato bene,
dinato da uno;^ anzi è necessario che uno solo
modo
mente dependa qualunque
c dalla cui
non
degli ordini vecchi riformato, se
uno prudente ordinatore d’una non a sé ma
al
il
simile ordinazione. Però^
republica, e che abbia questo
di volere giovare
è or-
quello che dia
sia
bene comune, non
alla
animo
sua propria
6. ingegnarsi di avere l’automa alla comune patria,^ debba né mai uno ingegno savio riprenderà alcuno di alcuna azione straordinaria, che per ordinare un regno o constituire una republica usasse.® Conviene bene che accusandolo il fatto, lo effetto lo scusi;® e
successione
rità solo;
quando
Disc.
I,
buono come quello
sia
di
Romolo, sempre
lo scuserà,
perché
prima parte abbiamo omessa, il M. esamina due azioni di Romolo, l’uccisione del stato costretto a compiere. Nella
9.
del capitolo, che
1.
occorre;
2. che...
avviene.
da uno: che una repubblica o
un regno abbiano, nel momento in cui vengono fondati, un’ efficiente costituzione o vengano completamente e convenientemente riformati, ti,
3.
Però: perciò.
4.
che...
di giovare
doc 5.
«
rigettando
non
se l’ordinatore
vecchi ordinamen-
uno
sé,
abbia
ma
al
l’intenzione
bene di
tutti
e
savio
c
alla patria.
né...
prudente
comune
c
usasse; »
Mai un uomo
biasimerà
un’azione fuor del
magari contraria
moralità, che
il
sere lo
Remo
e
del re sabino Tito Tazio, dalla necessità di es-
vede
giustificate
solo
a
agire
lo
costituire
stesso principio di
necessitato »,
r
solo.
le
la
umano
stessa alla
stato
romano. È male se
« entrare nel
riduzione
politica,
di
tutto
che troviamo
nel Principe.
che
patria:
non a
i
sia
fratello
e
alle
leggi della
fondatore di uno stato
sia
accusandolo... scusi: anche se il fatto appare in sé mostruoso c tale da costituire un’accusa' di immoralità e disumanità, il fine conseguito mediante esso lo scusa c lo giustifica. Ma deve essere un fine buono, cioè il bene comune dei cittadini, la salvezza c il bene della patria.
Antologia della letteratura' italiana
240 colui che è violento per guastare,
debbe
riprendere.*^
Debbe bene®
non quello che è per racconciare, si in tanto essere prudente e virtuoso,
si ha presa non la lasci ereditaria a un altro; uomini piu proni al male che al bene,® potrebbe il suo successore usare ambiziosamente quello che virtuosamente da lui fosse stato usato. Oltre a di questo, se uno è atto a ordinare, non è la cosa ordinata per durare molto quando la rimanga sopra le spalle d’uno, ma si bene quando la rimane alla cura di molti, e che a molti stia il mantenerla. Perché cosi come molti non sono atti a ordinare una cosa, per non conoscere il bene di quella, causato dalle diverse opinioni che sono fra loro, cosi conosciuto che lo hanno non si accordano a lasciarlo.^ E che Romolo fusse di quelli che nella morte del
che quella autorità che perché sendo
gli
del compagno meritasse scusa, e che quello che fece fusse bene comune e non per ambizione propria, lo dimostra lo avere quello subito ordinato uno Senato con il quale si consigliasse e sefratello e
per
il
condo rità
opinione del quale deliberasse.
la
che
Romolo
si
riserbò,
E
chi considerrà bene l’auto-
vedrà non se ne essere riserbata
alcun’al-
quando si era deliberata la guerra, e di ragunare il Senato. Il che si vide poi quando Roma divenne libera per la cacciata de’ Tarquinii, dove da’ Romani non fu innovato alcun ordine dello antico, se non che in luogo d’uno Re perpetuo fossero che comandare agli
tra
due Consoli
annuali.^*^
perché... riprendere:
7.
si
eserciti
che
Il
testifica tutti
deve biasimare
colui che usa la violenza per guastare, ro-
vinare lo stato,
non
chi la usa per salvarlo
riformarlo (racconciare).
e
Debbe bene: soggetto
primi di quella
gli ordini
12. Perché... lasciarlo: ti
non sono
Perche come
adatti a ordinare
uno
i
stato,
mol-
non
riuscendo ad avere una visione chiara e piena del buon fine da conseguire (e questo è cau-
fondatore o
sato dalle loro diverse e discordanti opinio-
riformatore di uno stato. 9. perché... bene: Gli uomini sono per natura più inclini al male che al bene. Questa
una volta che hanno conosciuto, per merito del primo ordinatore, qual sia il vero bene dello suto, non Io lasciano più. Questo è il limite individualistico e rinascimentale del M. secondo il moderno concetto di democrazia sono proprio i « moki » che devono darsi la propria costituzione. 13. nella morte: per la morte. 14. lo dimostra... Senato: lo dimostra il fatto che costituì subito un Senato. La storia romana c interpretata molto liberamente dal M. Se mai, il Senato fu espressione della cast? patrizia che si eleggeva nel proprio am-
8.
è
il
visione sconsolata ricorre spesso nelle opere del
M. Non
si
tratta
però di pessimismo as-
soluto e radicale; questa tendenza
può
infatti
essere vittoriosamente combattuta dalla virtù, che è in primo luogo razionalità, prudenza, consapevolezza. In quest’ ultima soprattutto consiste la moralità per il M., ed è una moralità che si risolve completamente nella politica, cioè nella capacità di ordinare uno stabile e regolato consorzio civile. 10. usare ambiziosamente: usare per sazia-
re la propria cupidigia e 11. to.
non
è...
proprio egoismo. molto: non può durare molil
Gli ordini e lo stato creati dal singolo
devono diventare espressione viva
M. vorrebbe
di
una
far
succedere a
una prima e necessaria forma un regime repubblicano.
assolutistica
collettività.
Il
ni), cosi,
:
bito
un
re e ne controllava l’opera.
che non se ne riserbò. dove: il M. usa spesso questo tipo di congiunzione, disforme all’uso moderno. Puoi mettere un punto e virgola dopo Tarquinii e sostituire a dove: allora infatti. 15. non;., riserbata: 16.
17.
non... annuali:
I
Romani non
proce-
dettero a nessuna innovazione della costitu-
Niccolò Machiavelli
241
più conformi a
città essere stati
uno
uno
vivere civile c libero che ad
assoluto e tirannico.
Della religione de’
Romani
In questo c in altri capitoli dedicati alla religione appare particolarmente chiara Tesigenza del Machiavelli di ritrovare un fondamento alla vita dello stato non tanto nella volontà assoluta e imposta dall’ esterno di un principe, quanto nella
coscienza del popolo.
Per questo,
Numa
Pompilio,
il
sovrano legislatore, è considerato più degno
d’onore di Romolo, il fondatore dello stato romano, perche le buone leggi e i buoni ordini danno allo stato la sua continuità, gli conferiscono la forza più vera e duratura, lo rendono un mezzo di educazione e di civiltà.
Fondamentale elerpento produce
di
coesione
è,
per
il
Machiavelli,
la
che
religione,
rispetto della legge, la fedeltà allo stato e alla patria. Essa viene cosi
il
a coincidere con la vita intima e profonda del popolo, coi suoi buoni costumi,
con
sua educazione morale e politica.
la
come
È,
si
vede, una religione spogliata di ogni trascendenza e vista soltanto
nel suo valore etico politico. Sarebbe errato dire, però, che essa, per
puro strumento
il
Machiavelli,
dominio, di oppressione del volgo ignorante; essa è piuttosto un mezzo di positiva edificazione statale, mediante il quale uomini prudenti e accorti conducono il popolo all’ unità, alla coesione, all’ intuizione delle norme sia
di
essenziali del vivere civile.
Avvenga chc^ Roma avesse il primo suo ordinatore Romolo, e che da quello abbi a riconoscere, come figliuola, il nascimento e la educazione sua; ^ nondimeno, giudicando i cieli che gli ordini di Romolo non
bastassero a tanto imperio, inspirarono® nel petto del Senato ro-
mano
Numa
di eleggere
quelle cose che da lui ordinate.
quale,
Il
trovando uno popolo ferocissimo, e volendolo
durre nelle obedienze
come
cosa
al
Pompilio per successore a Romolo, acciocché fossero state lasciate indietro, fossero da Numa
civili
zionc data da Romolo, eccettuato
un
re
furono
eletti
il
secoli
fatto
che
due consoli an-
nuali. 18.
testifica.., stati:
attesu che tutti gli or-
dinamenti... furono. Disc.
I,
mantenere una civiltà;^ e non fu mai tanto timore
II.
Avvenga
che: sebbene.
educazione sua: Romolo non fu solfondatore materiale della città, ma anche 1’ insuuratore di ordinamenti e di leg2.
unto
la
il
la con-
Dio
di
gi, della sua struttura politica e civile.
3. giudicando... inspirarono:
Il
M.
inten-
de con quesu espressione cingere la figura e l’opera di Numa Pompilio di una supcriore grandezza, di una luce di provvidenzialiu. condurre 4. volendolo... civiltà: volendolo convia una forma armonica ed clevau di
venza 1.
ri-
le arti della pace, si volse alla religione,
tutto necessaria a volere
modo, che per più
stimi in
invece di
con
civile,
si
servi,
per ottenere questo,
necesdella religione, considerandola mezzo del posario per vincere la primitiva ferocia
polo e impartirgli una duratura educazione morale, una spirituale compattezza.
242
Antologia della letteratura italiana
quanto in quella rcpublica; il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare. E chi discorrerà® infinite azioni, e del popolo di Roma tutto insieme, c di molti
Romani
de’
rompere
la si
i
potenza
la
mente per
come
di per sé,* vedrà
giuramento che
il
gli
temevono più
quelli cittadini
come
leggi;
le
assai
coloro che’ stimavano più
Dio, che quella degli uomini:
come
si
vede manifesta-
esempli di Scipione e di Manlio Torquato. Perché, dopo
rotta che Annibaie aveva dato ai Romani a Canne, molti cittadini erano adunati insieme, e, sbigottiti della patria,® si erano convenuti
abbandonare la Italia, c girsene in Sicilia; il che sentendo Scipione, gli andò a trovare, e col ferro ignudo in mano li costrinse a giurare di non abbandonare la patria. Lucio Manlio, padre di Tito Manlio, che fu di poi chiamato Torquato, era stato accusato da Marco Pomponio, Tribuno della plebe; ed innanzi che venisse il di del giudizio, Tito andò a trovare Marco, e, minacciando di ammazzarlo se non giurava di levare l’accusa al padre, lo costrinse al giuramento; e quello, per timore avendo giurato, gli levò l’accusa. E cosi quelli cittadini i quali
amore
lo
della patria, le leggi di quella,
non ritenevano in
Italia,® vi
furono ritenuti da un giuramento che furono forzati a pigliare; e quel Tribuno pose da parte l’odio che egli aveva col padre, la ingiuria che gli avea fatta il figliuolo, e l’onore suo, per ubbidire al giuramento preso:
il
che non nacque da
aveva introdotta in quella
E
che da quella religione che
vedesi, chi considera bene le istorie
comandare
religione a gli
altro,
uomini buoni, a
gli
Numa
città.
fare vergognare
Roma
romane, quanto serviva la a mantenere
a animire la Plebe,
eserciti,^®
Talché, se
rei.
i
si
avesse a di-
o a Romolo o a Numa, credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado “ perché, dove è religione, facilmente si possono introdurre l’armi; e dov^ sono l’armi e non religione, con difficoltà si può introdurre quella.'® E si sputare a quale principe
fusse più obligata,
:
5. discorrerà
:
passerà in rassegna.
6. di molti... se:
di molti grandi
singolarmente presi. 7. come coloro che: dato che 8. sbigottiti
della patria:
Romani
sua vita politica, intesa come fondazione e conservazione di quella convivenza degli uomini che coincide con la civiltà, è, lo ab-
biamo già
essi.
avendo perduto
ristico del
visto,
motivo centrale
ogni speranza nelle sorti della patria. 9. non ritenevano in Italia: non avevano
animare, ispirare. 11. credo... grado:
forza di trattenere in Italia (la Sicilia era considerata territorio a sé stante). 7 quali è
fondatore
complemento oggetto. 10. a comandare gli
legislatore,
la
eserciti, tee.:
questi casi la religione è vista cipio sulla
in tutti
come un
prin-
una persuasione profonda quale è fondata la vita morale di un superiore,
popolo.
Che questa
poi
si
risolva tutta nella
cipe,
dello
la continuità
durre
stato,
A quella dellVeroc contenuta nel Prin-
succede qui l’esaltazione del principe che, con la sua opera, assicura e la durata dello stato stesso,
lo fa diventare 12.
e caratte-
pensiero machiavelliano, animirc:
perché... le
namento
costume c quella:
civiltà.
è più facile intro-
armi, cioè dare allo stato un ordipolitico c militare, che la religione.
Niccolò Machiavelli
243
vede che a Romolo, per ordinare
non
e militari,
Numa,
sario a la
il
Senato, e per fare
ordini
quale simulò di avere domestichezza con una Ninfa,
il
non
e dubitava che la sua autorità
città,
E
civili
fu bene neces-
quale lo consigliava di quello ch’egli avesse a consigliare
nuovi ed
e tutto nasceva perché voleva mettere ordini
popolo:
il
inusitati in quella
bastasse.^®
veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in
uno popolo che non
ricorresse a
accettate: perché sono molti
non hanno gli uomini
i
Dio; perché altrimenti non sarebbero
medesimo
uno prudente,
beni conosciuti da
i
quali
in sé ragioni evidenti dà poterli persuadere a altrui.^® Però
questa difficultà, ricorrono a Dio.
che vogliono torre
savii
1
Cosi fece Licurgo, così Solone,
la
altri
ma
fu necessario dell’autorità di Dio;
gli
fine
molti
che hanno avuto
altri
Maravigliando,^® adunque,
loro.
di
cosi
il
Popolo romano
il
bontà e prudenza sua, cedeva ad ogni sua diliberazione. Ben è vero
che l’essere quelli tempi pieni di religione e quelli uomini, con
i
quali
aveva a travagliare, grossi, “ gli dettono facilità grande a conseguire i disegni suoi potendo imprimere in loro facilmente qualunque egli
nuova forma.^^
E
senza dubbio chi volesse ne’ presenti tempi fare una dove non
più facilità troverebbe negli uomini montanari,
republica,
è alcuna civiltà, che in quelli che sono usi vivere nella città dove la
corrotta;^ ed uno scultore trarrà più facilmente una bella
civiltà
è
statua
da un
marmo
rozzo,^ che da uno male abbozzato d’altrui.
Considerato adunque
Numa
da
causò buoni ordini;
quella
i
buona fortuna nacquero
dalla
conchiudo che
tutto,
religione
la
fu intra le prime cagioni della felicità di quella
fondamento duraturo
sicuro
c
dell’
introdotta
perché
città,
buoni ordini fanno buona fortuna; i
successi delle imprese.^
felici
educa-
18. Licurgo...
Solone:
e
E come
rispettivamente,
il
legislatore di Atene.
zione dei cittadini e quindi del loro rispetto
legislatore di Sparta e
per
Maravigliando: Ammirando e, al temvenerando. La credenza nell’ispirazione della Ninfa Egeria faceva si che il popolo accettasse senza contrasto quelle leggi di cui poi in seguito compr.endeva la bontà.
le leggi
13.
sario
non
e per lo stato.
gli
imporre
19.
Dio: non gli fu necessuoi ordinamenti con la re-
fu... i
ligione.
con una Ninfa: quale
Numa
la
Ninfa Egeria, dalla
credere
faceva
d’ essere
finzione
bastasse:
era che
la
Numa
ragione di quevoleva immet-
ordinamenti nuovi e inupensava che la sua autorità non fosse sufficiente ad imporli. 16. E veramente... altrui: I grandi legitere nella sua città sitati e
fondatori della civiltà di
ricorsero
sempre
accettare
le
all’autorità di
leggi.
Infatti
essi
un popolo, Dio per far
riuscivano a
comprendere molte cose che il volgo ignorante non avrebbe potuto comprendere. 17. Però... torre:
nare.
stesso,
20.
e quelli...
gh uomini con
15. c tutto...
slatori,
po
ispi-
rato.
sta
il
perciò... togliere, elimi-
grossi:
e
rozzi,
ignoranti
cui aveva a che fare.
forma: davanti alla prudenil popolo appare, originariamente, come una materia da plasmare. 21. potendo...
za c virtù del principe
Il M. ritiene più adatto nuovi ordinamenti un popolo rozzo e semibarbaro, ma di costumi ancora schietti e lontano dallo scetticismo religioso, che un popolo civile ma corrotto, c privo, per questo, d’entusiasmo c di energia mo-
22. E... corrotta:
a
ricevere
rale.
grezzo.
23. da un marmo tozzo: ancora dalla religiosità dei 24. quella... imprese :
Romani nacquero buoni ordinamenti
politici
Antologia delia letteratura italiana
244
osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repu-
la
bliche, COSI
sia
dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché
il
dove manca
timore di Dio, conviene che o quel regno rovini, o che
il
sostenuto dal timore d’un principe che sopperisca .
religione.®
E
perché
i
della
difetti
a’
principi sono di corta vita, conviene che quel
regno manchi presto, secondo che manca la virtù d’esso. Donde nasce che i regni, i quali dipendono solo dalla virtù d’un uomo, sono poco durabili: perché quella virtù manca con la vita di quello, e rade volte ^ accade che la sia rinfrescata con la successione,® come prudentemente
Dante
dice:
Rade volte discende per li rami l’umana probitate e questo vuole quel che la dà, perché da lui si chiami.®
Non
d’una republica o d’un regno avere uno ma uno che l’ordini in modo, che morendo ancora la si mantenga.® E benché agli uomini rozzi più facilmente si persuada un ordine e una opinione nuova, non è
adunque
la salute
principe che prudentemente governi mentre vive,
uomini civili, e che Al popolo di Firenze non pare essere né ignorante né rozzo; nondimeno da frate Girolamo Savonarola fu persuaso che parlava con Dio.® Io non voglio giudicare s’egli era vero
è per questo impossibile persuaderla ancora agli
presumono non
essere rozzi.
ma se ne debbe parlare con riverenza; credevono sanza avere visto cosa nessuna straordinaria da farlo loro credere; perché la vita sua, la dottrina e
o no, perché d’un tanto
uomo
io dico bene, che infiniti lo
civili, dai quali nascono, a loro volta, buona fortuna c successo nelle imprese. Qui la fortuna non appare per nulla come una di-
c
vinità capricciosa,
con
la virtù di
ma
coincide, praticamente,
un popolo.
25. che sopperisca... religione: che supplimancanza di una religione, che dia egli, col
Il
passo è
Purgatorio (VII,
nel
121-23). 29.
« che sopravviva alla sua
30. che parlava
con Dio:
il
morte
».
soggetto è
il
Savonarola.
sca alla
quindi
ereditario.
timore che incute, un solido
31.
mente
d’un
parlasse
riverenza:
tanto...
M. non credeva che
il
con Dio, e
le
il
EvidenteSavonarola
sue lettere scritte al
fondamento alle leggi. In tal caso, però, abbiamo una tirannide, che non è piu una co-
tempo del trionfo del frate in Firenze rivelano un atteggiamento decisamente scettico
stituzione che esprima camente r insieme dei
nei suoi confronti e ostile alla sua politica. Non gli perdonava, fra 1 altro, di essere
e rappresenti autenti-
’
cittadini.
e rade... successione: c raramente successore rinnova quella stessa virtù. 27. prudentemente: saggiamente. 26.
28. Rade... chiami:
padri trapassa nei
voluto da Dio,
il
Raramente
figli
(li
il
la virtù dei
rami) e questo è
quale dà quesu virtù,
af-
finché gli uomini riconoscano che essa viene
data loro da
lui,
non è un
fatto
puramente
profeta disarmato. Questo elogio, quindi, ha un tono vagamente ambiguo: par di sentirvi un’ironia corrosiva. D’altra par-
un
te,
però,
vonarola
il
Machiavelli apprezzava nel Sail po-
la capacità di diffondere fra
polo una persuasione religiosa che avrebbe potuto, se egli fosse stato miglior politico, avere senz’altro effetti positivi
Niccolò Machiavelli
245
suggetto** che prese, erano sufficienti a fargli prestare fede.
il
Non
non potere conseguire quel che è stato conseguito da altri; perché gli uomini, come nella prefazione nostra si disse, nacquero, vissero e morirono, sempre, con uno medesimo ordine.^ sia,
pertanto, nessuno che
si
sbigottisca di
Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come r Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa Romana, è rovinata
In questo Discorso^ che riportiamo solo in parte, il Machiavelli accusa la Chiesa di avere impedito lo stabilirsi in Italia di uno stato unitario (interrompendo, ad esempio, il tentativo operato, in tal senso, dai Longobardi), e di non essere stata, nello stesso tempo, capace di fondarlo lei stessa. Storicamente la affermazione è imprecisa e non tiene ben conto della realtà effettiva del frftto, in primo luogo, che, proprio per il carattere universale della sua missione, la Chiesa non poteva essere interessata alla costituzione d’ uno stato jjazionale, e che il potere temporale era sorto soltanto per garantire la sua piena autonomia nei confronti del potere politico. D’ altra parte, sarebbe diffìcile negare che vi sia un fondo di verità nella teoria machiavelliana, anche se è giusto dire che la storia non si fa con i se e che una coscienza nazionale unitaria si è formata, da noi, solamente nell 'Ottocento. Tuttavia, ci sembra che l’interesse maggiore del passo consista nel tono polemico c appassionato (che ricorda il Principe) col quale fautore afferma, implicitamente, il suo ideale di una salda compagine statale in Italia, capace di assicurarle l’ indipendenza e la libertà dallo straniero. :
La quale
religione
^
se ne’ principi della republica cristiana
^
si
fusse
mantenuta, secondo che dal datore d’essa ne fu ordinato,^ sarebbero gli stati e le
Né
sono.*
si
republiche cristiane piu unite, più
quanto è vedere come
d’essa,
32. la vita sxia...
incorrotta
della
suo assunto. 33. ordine;
il
sua
suggetto: vita...
la
la
purezza
nobiltà
del
secondo una legge coIl collegamento logico fra i due ultimi periodi è: il fatto che persino in tempi come i nostri il Savonarola è riuscito a infondere in un |x>polo di civiltà raffinata un vivo sentimento religioso, conferma che r uomo non muta col mutare del tempo.
2.
n
I, 12.
Cattolicesimo.
ne’
principi... cristiana;
le
non
La gerarchia
papa, cardinali, vescovi. Repubblica cristiana è l’ insieme della cristianità.
ecclesiastica
3.
;
secondo... ordinato; conforme
ai
prin-
fondatore di essa, cioè Cristo. retta4. sarebbero... sono; La religione mente praticata e sentita diviene infatti, per cipi del
M., potente incentivo a un’autentica moe quindi mezzo di un ordinato vivere civile, che le non sono; di quel che non siano ora. il
ralità,
5.
I.
che
quelli populi che sono più propinqui"^
cioè
stante e immutabile.
Disc.
felici assai,
può fare altra maggiore coniettura® della declinazione®
coniettura; prova.
6. declinazione; 7.
propinqui;
decadenza.
vicini.
Antologia della letteratura italiana
246
E
chi considerasse
è diverso
da
rovina o
la
meno
Chiesa Romana, capo della religione nostra, hanno
alla
E
religione.
suoi, e vedesse l’uso presente
quanto
giudicherebbe essere propinquo, sanza dubbio, o
quelli,®
fragello.®
il
perché
d’ Italia
fondamenti
i
molti
sono d’opinione, che
nasca dalla Chiesa
Romana,
il
bene essere
delle
voglio, contro a essa,
città
discorrere
mi occorrono: “ e ne allegherò due potentissime rasecondo me, non hanno repugnanzia.^ La prima è, ha perduto esempli rei di quella corte,^® questa provincia
quelle ragioni che
gioni
le
quali,
che, per gli
ogni divozione e ogni religione:
il
che
nienti e infiniti disordini; perché, cosi
si
tira
dietro infiniti inconve-
come dove
è religione
si
presup-
pone ogni bene, cosi, dove quella manca, si presuppone il contrario. Abbiamo, adunque, con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obligo,^® di essere diventati sanza religione e cattivi; ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della rovina nostra. Questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa
E veramente, alcuna provincia non fu mai unita non viene tutta alla ubbidienza d’una republica o d’uno principe,^® come è avvenuto alla Francia ed alla Spagna. E la cagione che la Italia non sia in quel medesimo termine,^"^ né abbia anch’ella o una republica o uno principe che la governi, è solamente provincia
divisa.
o
felice,
la
Chiesa; perché, avendovi quella abitato e tenuto imperio temporale,^®
non
è stata
la
si
potente, né di tanta virtù che l’abbia potuto occupare
tirannide d’ Italia e farsene principe; c
la SI
se
debole che, per paura di non perdere
porali, la
il
non è stata dall’altra parte dominio delle sue cose tem-
non abbia potuto convocare uno potente che
a quello che in Italia fusse diventato troppo potente
8. la
vedesse...
c
vita
quelli:
c
vedesse
presente della Chiesa
si
quanto
discosta dai
principi spirituali del cristianesimo. 9.
fragello:
flagello.
Cioè un castigo di
Dio. 10. il bene essere: la prosperità. Molti riconoscevano nella S. Sede una fonte di prestigio e anche di prosperità economica per 1
’
Italia.
riti
cristiani del
la
suo tempo
lo stesso Savonarola),
difenda contra
come
:
i
(a
si
è ve-
cominciare dal-
quali tutti avvertiva-
no giustamente
lo scandalo e il disorientacondotta dissoluta degli ecclesiastici indegni provocava nelle coscienze. 14. questa provincia: l’Italia.
mento che
15.
la
questo primo obligo:
è
un sarcasmo
acre c doloroso. 16. se...
uno
principe:
se
non
si
unifìca
in
13. per gli esempli... corte: per gli esempi peccaminosi della Corte Romana, per il malcostume che vi regna. Non è questo del M. banale anticlericalismo, che anzi la sua voce
monarchico o repubblicano. 17. in quel... termine: non abbia un’organizzazione statale unitaria "come la Francia e la Spagna. 18. abitato... temporale: avendo la Chie* sa fondato c mantenuto in Italia un proprio dominio temporale. 19. c non... potente: non è stata, d’altra parte, cosi debole da non aver potuto chiamare in aiuto un signore straniero, che la
unisce a quella dei più seri e pensosi spi-
difendesse contro chi fosse divenuto in Ita-
11.
discorrere... occorrono:
esaminare orragioni contrarie che mi ven-
dinatamente le in mente. 12. ne allegherò... repugnanzia: esporrò due importantissimi argomenti che non possono essere confutati.
gono
si
stato,
“
Niccolò Machiavelli
247
duto anticamente per assai esperienze, quando, mediante Carlo Magno, ne cacciò i Longobardi, che erano già quasi re di tutta Italia; e
la
quando
ne’ tempi nostri ella tolse la potenza a* Viniziani con l’aiuto
ne cacciò
di Francia; dipoi
i
Franciosi con l’aiuto de’ Svizzeri
“
Non
essendo adunque stata la Chiesa potente da poterò occupare né avendo permesso che un altro la occupi, è stata cagione che ma è stata sotto più principi la non è potuta venire sotto uno capo; e signori, da’ quali è nata tanta disunione e tanta debolezza, che la si è condotta ad essere stata preda, non solamente de’ barbari potenti,
r
Italia,
ma
di
con
la Chiesa, e
qualunque
Di che
l’assalta.
non con
altri.
E
noi
altri
abbiamo obligo
Italiani
chi ne volesse per esperienza certa
vedere più pronta la verità,^ bisognerebbe che fusse di tanta potenza,
che mandasse ad abitare
la
romana, con
corte
Italia,^ in le terre de’ Svizzeri;^
i
che l’ha in
l’autorità
quali oggi sono, solo, popoli “ che
vivono, c quanto alla religione c quanto agli ordini militari, secondo antichi:
gli
c vedrebbe che in poco
in quella provincia
i
rei
tempo farebbero più disordine
costumi di quella corte che qualunque altro
accidente che in qualunque
tempo
vi potesse
surgere.
20.
troppo potente, ogni qual volta temesse perdere il proprio dominio temporale. quando... Svizzeri: Il M. ricorda i piu importanti interventi di signori stranieri, sollecitati dai Pontefici, nelle vicende italia
di
Dapprima
liane..
la
sconfitta
dei
Longo-
che avevano già unificato gran parte dell’Italia, ad opera di Carlo Magno, chiamato in Italia da papa- Adriano I : poi due atti di papa Giulio II, che nel 1508 promosse la lega di Cambrai per abbattere la potenza veneziana, minacciosa per il suo stato, e nel 1511 la Lega Santa (cui aderirono Venezia, la Spagna, gli Svizbardi,
per cacciare dall’ Italia i Francesi divenuti troppo potenti. Per quello che riguarda l’età longobardizeri
e
altri
stati)
allora del tutto inesistente. Infine la politica
della
Chiesa
doveva
un ambito
gersi in
necessariamente
svol-
internazionale. Essa co-
munque tivo,
rimase per secoli un ostacolo effetanche se non l’unico, all’unificazione
dell* Italia.
non
21. che... capo: che
sotto 22.
il
E
dominio
di
un
chi... verità:
è potuta riunire
si
solo.
E
se
uno
volesse fare
un’esperienza sicura, tale da mettere più chia-
ramente in luce la verità da me asserita. 23. con l’autorità... Italia: lasciandole l’autorità e la potenza che ha in Italia. Grande era l’ ammirazione 24. Svizzeri del M. per gli Svizzeri, considerati da lui :
nazione ben ordinata e militarmente
forte.
ca, gli storici recenti obiettano
Gli eserciti composti di mercenari svizzeri, al soldo del re di Francia, furono tra i prin-
luogo
cipali protagonisti delle guerre d’allora.
che in primo Longobardi si tennero, durante il loro dominio in Italia, ben separati dai Latini e rimasero un popolo dominatore che si fuse con quello assoggettato soltanto dopo la conquista franca; in secondo luogo che l’idea di una nazione unitaria italiana era i
25. sono, solo, popoli 26. farebbero
più
:
sono
disordine,
i
soli popoli.
tee.
:
Que-
st’ùltimo esempio è violentemente amaro e polemico, una battuta sarcastica, piattosto
che un ragionamento teorico.
Antologia della letteratura italiana
24H
Quanto sono
laudabili
i
fondatori d’una repubblica o d’uno
regno, tanto quelli d’una tirannide sono vituperabili Tipicamente rinascimentali sono, qui, l’ideale antitirannico c quello della ambedue avvivati, oltre che dallo studio dei grandi storici latini, il primo,
gloria,
dall’esperienza dell’autore c dalle sue idealità repubblicane,
il secondo, dalla sua concezione laica e immanentistica della vita. Nella polemica antitirannica è, inoltre, evidente l’influsso dei rapporti fra il Machiavelli e i giovani « repubblicani » che si radunavano intorno a Cosimo Rucellai nei suoi Orti Oricellari^ avversi sia al gonfalonierato a vita del Sodcrini sia alla dominazione medicea. La tirannide qui esecrata coincide con la violenta rottura dell’armonico c naturale svolgimento della compagine statale, provocata dal prevalere d’una egoistica brama ‘di potenza sul bene comune. Il potere, infatti, è, per il Machiavelli, cosa assolutamente fun-
zionale, e in questo, e solo in questo,
coincidendo con rintimà
giustifica,
si
può
gica del vivere associato, col suo organico sviluppo. In tal senso,
forma
nella
della repubblica
o in quella
del regno:
ma
del regno di
lo-
articolarsi
Romolo non
nella forma, cioè, di quell’assolutismo individuale che è, a suo avviso, necessario a fondare lo stato o a ricostituirlo quando è decaduto.
di quello di Cesare:
uomini
Intra tutti gli
I.
laudati,
sono laudatissimi quelli che sono
capi e ordinatori delle religioni; appresso dipoi, ^ quelli che
stati
hanno
fondato o repubbliche o regni; dopo costoro sono celebri quelli che, preposti patria.^
A
sono di
questi
si
ragioni,
pili
i
hanno ampliato o il regno loro, o quello della aggiungono gli uomini litterati; e perché questi
eserciti,
alli
sono celebrati ciascuno
d’essi
secondo
I
grado
il
(
suo.^
A
qualunque
uomo,
altro
il
numero
de’ quali è infinito,
si
attri-
!
buisce qualche parte di laude, la quale gli arreca l’arte e l’esercizio suo.
Sono per
lo contrario infami e detestabili gli
uomini
destruttori delle
regni e delle repubbliche, inimici delle virtù,
religioni, dissipatori de’
delle lettere e d’ogni altra arte che arrechi utilità e
onore
alla
^
umana j
come sono
generazione, oziosi e
i
vili.
E
gl’impii,
i
violenti, gl’ignoranti,
nessuno sarà mai,
buono, che, prepostagli
si
pazzo o
si
i
dappochi,^ gli
savio,
si
tristo
elezione delle due qualità d’uomini,®
la
laudi quella che è da laudare e biasmi quella che è da biasmare
dimeno dipoi quasi ria,
si
Disc.,
j.
I,
appresso dipoi:
subito dopo.
patria, se condottieri repubblicani. Si os-
servi
come
delle
religioni,
il
o regni
M.
dia
il
rispetto
primato a
ai
quelli
fondatori di
e ai grandi capitani, in
repub-
quan-
assegna alla religione un valore etico e formativo delle coscienze, e quindi anche to
niente-
falso
politico, nel senso più alto, come vedremo meglio nel passo Della religione dei Romani.
IO.
hanno... patria: hanno ampliato il dominio (regno) loro proprio, se principi, del-
bliche
:
si
non
bene e da una falsa glolasciano andare, o voluntariamente o ignorantemente, nei gradi ingannati da
tutti,
2.
la
un
o
3. gli
poiché
uomini...
suo:
gli
intellettuali,
e
sono di varie specie (ragioni), cioè filosofi, storici, poeti, ecc., ciascuno d’essi è celebrato secondo i propri meriti. 4. i dappochi: gli uomini dappoco (è avessi
verbio sostantivato).
uomini: due qualità d’uomini.
5. l’elezione... ste
la scelta fra
que-
Niccolò Machiavelli
249
meritano piu biasimo che laude; c potendo
di coloro® che
fare, con volgono alla tiranquanta fama, quanta gloria,
perpetuo loro onore, o una repubblica o un regno,
si
nide,"^ né si avveggono, per questo partito, quanto onore, sicurtà, quiete, con satisfazione d’animo, e’ fuggono, c in quanta infamia, vituperio, biasimo, pericolo e inquietudine incorrono. 2. Ed è impossibile che quelli che in stato privato vivono in una repubblica, o per fortuna o virtù ne diventano principi, se leggessero le
memorie
e delle
istorie,
non
delle antiche cose facessero capitale, che
volessero, quelli tali privati, vivere nella loro patria piuttosto Scipioni
che Cesari; e quelli che sono principi, piuttosto Agesilai, Timolconi e Dioni, che Nàbidi, Falari e Dionisi:® perché vedrebbono questi essere
sommamente vituperati, ancora come Timoleone autorità che
e
non ebbono
avessero Dionisio e
si
avervi avuto più sicurtà.
sentendolo,
Cesare,
quelli eccessivamente® laudati.
e gli altri
Né
sia
massime,
ma
Falari;
alcuno che
celebrare
si
dagli
Vedrebbono
nella patria loro
vedrebbono
inganni per scrittori,
meno lunga
di
la gloria di
perché
quelli
che lo laudano sono corrotti dalla fortuna sua e spauriti dalla lunghezza dello imperio, il quale reggendosi sotto quel nome,^° non permetteva che
gli
scrittori
parlassero liberamente di lui.
Ma
chi vuole conoscere
quello che gli scrittori liberi ne direbbono, vegga quello che dicono di Catilina: e tanto è più detestabile Cesare, quanto più è da biasimare quello che ha fatto, che quello che ha voluto fare un male. Vegga
ancora con quante laudi celebrano Bruto: talché, non potendo
mare quello per
coloro:
6. si...
la
sua potenza-,
e’
lasciano andare... nella
si
È qui nettamente
tirannide:
contrap-
posta alla repubblica o al regno, in quanto questi sono visti naturali
e
capace di
come formazioni
politiche
creazione d’uno stato efficiente, attuare
una coesistenza
civile
e
La tirannide è invece espressione d’una egoistica brama di potere del singolo, non .trova la propria giustificazione nell’interesse comune. armonica del
corpo
politico.
Agesilao (m. nel 361 a.C.) fu re di Sparta e contribuì a Tistabilire l’egemonia spartana sulla Grecia. Timoleone uccise il
il
biasi-
nimico suo.”
570 al 550 a.C.; tiranno di Siracusa, cacciato prima da Dione e quindi, definitivamente, da Timoleone. Anche qui, la fonte del M. sono tiranno d’Agrigento dal
Dionisio
categoria di coloro. 7.
celebrano
li,
appassionatamente meIl confronto, infine, fra Scipione Afiicano e Cesare era un luogo comune della pubblicistica pogli
storici
antichi,
ditati soprattutto in quest’epoca.
favorevole,
umanistico-rinascimentale,
litica
in prevalenza, a Scipione. 9.
8.
eccessivamente: in
10. il...
nome:
in
modo
quanto
straordinario. gli
imperatori
tiranno
conservarono il nome di Cesare e si considerarono suoi successori e continuatori. 11. Bruto, ecc.: M. Giunio Bruto, uno dei
della sua patria, Corinto, e liberò Siracusa
capi della congiura anticesariana, idealizzato
fratello
Timof a ne che voleva
dalla tirannide di Dionisio H.
farsi
Mori
nel 336
Dione governò Siracusa dal 459 al 454 a. C. Sono questi i « buoni principi »
a C.
che
il
M. trovava
ni
sono:
dal 205
al
opere di CorSenofonte. I tiran-
esaltati nelle
nelio Nepote, Plutarco,
Nabide, che signoreggiò Sparta 192 a.C.; Falaride, crudelissimo
ed esaltato nel Cinquecento, sulla scorta di Cicerone e, indirettamente, della storiografia romana da Livio a Tacito. Tralasciamo, qui,
pone
il
terzo paragrafo, dove
il
M.
contrap-
agli imperatori piu crudeli e tirannici
Roma, quelli piu « buoni », eletti adozione, da Nerva a Marco Aurelio. di
per
Antologia della letteratura italiana
250
4.
Pongasi adunque innanzi un principe
i tempi da Nerva a Marco, prima c che furono poi; c quali volesse essere nato, o a quali volesse essere pre-
“ con
e conferiscali
dipoi elegga in
quelli che erano stati
j
un
posto. Perché in quelli governati da’ buoni, vedrà
principe sicuro
j
mezzo
in
vedrà dersi
il
de* suoi sicuri cittadini; ripieno di pace e di giustizia
Senato con
sua autorità,
la
magistrati con
i
il
mondo;
suoi onori; go-
i
cittadini ricchi le loro ricchezze; la nobiltà e la virtù esaltata;
i
vedrà ogni quiete ed ogni bene; e dall’altra parte, ogni rancore, ogni licenza, corruzione e
.scuno
può tenere
trionfare
ambizione spenta; vedrà
mondo; pieno
il
e di sicurtà
popoli.
i
tempi aurei, dove
i
cia-
e difendere quella opinione che vuole; vedrà, in fine, di riverenza e di gloria
il
principe, d’amore
Se considererà dipoi tritamente
i
tempi degli |
altri
imperadori, gli vedrà atroci per
nella pace e nella guerra crudeli:
guerre
tante esterne;
civili,
le
guerre, discordi per le sedizioni,
morti col ferro, tante
tanti principi
Italia afflitta
l’
e piena di nuovi infortuni; j
Roma
rovinate e saccheggiate le città di quella; vedrà
arsa,
il
Cam-
|S
pidoglio da’ suoi cittadini disfatto, desolati gli antichi templi, corrotte
cerimonie, ripiene
le
le città
di adultera; vedrà
mare pieno
il
di
f
esili, |
gli scogli pieni di
sangue; vedrà in
Roma
seguire innumerabili crudel|
tadi, e la nobiltà, le ricchezze,
gli onori, e
imputata a peccato capitale; vedrà premiare servi contro al signore,
i
sero mancati
i
liberti
contro
Roma,
E
nato d’uomo,
sanza dubbio,
se e’ sarà
Italia
e
dei tempi cattivi, e accenderassi d’uno
buoni.
E
i
gli calunniatori, essere corrotti
al
padrone; e quelli a chi fus-
nemici, essere oppressi dagli amici.
i
bènissimo quanti obblighi
i
sopra tutto la virtù essere
il
si
mondo
E
i,
conóscerà allora
abbia con Cesare.^®
sbigottirà d’ogni imitazione
immenso
desiderio di seguire
veramente, cercando un principe la gloria del mondo, do-
verrebbe desiderare di possedere una
città corrotta; non per guastarla come Cesare, ma per riordinarla come Romolo. E veramente non possono dare agli uomini maggiore occasione di gloria, né
in tutto cieli
i
15.
uomini la possono maggiore desiderare. E se a volere ordinare bene una città si avesse di necessità a deporre il principato, meriterebbe, quello che non la ordinasse per non cadere di quel grado, qualche scusa;
gli
ma
potendosi tenere
12. conferiscali:
il
principato e ordinarla
paragoni
li
(è
un
lati-
nismo). 13. Perché... popoli: Il lungo periodo è pervaso da un vivido entusiasmo: è un inno commosso allo stato bene ordinato che rende possibile la libertà, la civiltà, l’umanità vera. 14. tritamente:
in
modo
particolareggia-
è. una traduzione di compiuta, però, con partecipazione appassionata. Si sente che il
to.
Il
passo che segue
Tacito, Histor.,
I,
2,
non
si
merita scusa alcuna.
ricordo della rovina di Roma si fonde spontaneamente, nell’animo del M., col sentimento angoscioso dcU’attualc rovina di Firenze c deU’Italia; cosi, alla fine, si sente die vagheggia un nuovo Romolo, che riscatti
la
patria
dall’avvilimento presente
e
renda possibile ùna nuova storia gloriosa. Si ripensi all’ ultimo cap. del Principe. La frase è pronunciata con amaro sarcasmo.
i
Niccolò Machiavelli
E
somma
in
251
considerino quelli a chi
sono loro preposte due vie:
morte
dopo
rende gloriosi;
li
la
morte
li
vivere
fa
nelle città corrotte
libero, essendovi, o,
non
È questo Tultimo di tre un popolo uso
a vivere sotto
difficilmente
si
sicuri,
e
come
dopo
la
continove angustie, e
in
potesse mantenere
vi essendo,
uno
stato
ordinarvelo
(il primo, il XVI, mostra come un principe può, riconquistata la liXVII, come un popolo corrotto riesca difficil-
discorsi consecutivi
bertà,
mantenerla;
mente
a mantenersi libero), incentrati sul
il
tale occasione,
vivere
fa
li
una sempiterna infamia.
lasciare di sé
modo
In che
l’altra
danno
cieli
i
l’una che
secondo,
il
tema
decadenza o « corruzione
della
»
dello stato e dell’estrema problematicità del suo riscatto. Dietro le considerazioni
romana
generali e lo studio della storia
l’animo
dello
certezza,
come pure propendono
si
intravede
dramma
comunque,
del Principe, di cui,
fondo, questo:
dominante presenza,
È
difficile
stabilire
nel-
con
a credere critici autorevoli, se effettivamente
c’è
qui
uno
per riformare
s’impadronisca del potere con
come potrà
la
dell’Italia.
dei Discorsi sia stata qui interrotta, nel
stesura
in
dell’attuale
scrittore,
la
tematica fondamentale.
stato corrotto è necessario
problema
Il
un
è,
principe che
violenza, sia pure usandola a fin di bene.
la
la
1513, per lasciar posto a quella
Ma
un’ulteriore
un popolo che ha perduto ogni senso del viLa crudeltà e violenza usate dal principe non diverranno causa di disgregazione morale e politica, non spingeranno verso la tirannide?
Sarà capace
il
vere
reagire positivamente
civile.?
«male»
principe di usare bene l’autorità che ha
acquistata?
Come
una rispondenza nell’animo
potrà aver successo la sua energia costruttiva senza dei piu?
Il rapporto sempre arduo e complesso fra politica ed etica è qui sentito drammaticamente, e, con esso, quanto sia difficile la rinascita d’un popolo giunto ormai all’estrema decadenza. Il Principe tenta una soluzione radicale della difficoltà col suo nuovo mito d’azione e di sfida alla fortuna, con l’appello a una virtù straordinaria capace di risolvere la situazione, ormai vicina al crollo defi-
nitivo, dell’Italia.
I.
Io credo che
scritto
non
fuora di proposito né disforme dal sopra-
sia
discorso considerare se in
lo stato libero, sendovi,^
o quando
una città non vi
e’
corrotta
si
fusse, se vi
può mantenere può ordinare.
si
Sopra la quale cosa dico come gli è molto diffìcile fare o l’uno o l’altro; benché sia quasi impossibile darne regola, perché sarebbe necessario
e
Disc.,
I,
sapevolmente
18.
Rispetto alla I.
lo...
sendovi:
lo
stato
Stato libero è, per denza di buoni « ordini » vi
sia.
e politici
libero,
il
M.,
(istituti
del corpo statale),
buone
buoni costumi, cioè un’ordinata
qualora
mocrazia,
coinci-
resta, per
la
giuridici leggi
vita
c
civile
dello gli
va il
stato
un fine di utilità comune. moderna concezione della deperò notato che
M., sostanzialmente (tale
città
s’aggrava
per
dominante), la cui efficienza, funzioha più valore dei diritti de-
nalità e potenza
monicamente
gli individui.
governo, perseguendo con-
cittadino
« suddito »
abitanti del contado nei confronti della
in cui tutte le forze politiche partecipino aral
condizione
il
Antologia della letteratura italiana
252
procedere secondo
nondimeno essendo bene
gradi della corruzione,^
i
ragionare di ogni cosa, non voglio lasciare questa indietro.
porrò una cultà
:
perché non
^
donde verrò ad accrescere piu
città corrottissima,
E
presup-
tale diffi-
truovano né leggi né ordini che bastino a frenare così come gli buoni costumi per man-
si
una universale corruzione. Perché
hanno bisogno
tenersi
delle leggi,
cosi
leggi per
le
bisogno de’ buoni costumi.'* Oltre di questo,
hanno
osservarsi
ordini® e
gli
le leggi fatte
una repubblica nel nascimento suo, quando erano gli uomini buoni, non sono di poi piu a proposito, divenuti che ei sono rei.® E se le leggi secondo gli accidenti in una città variano, non variano mai, o rade volte, gli ordini suoi il che fa che le nuove leggi non bastano, perché
in
:
ordini che stanno saldi
gli
le
vero dello stato, e
le
leggi dipoi che con
Tribuni, de’ Consoli,
modo
accidenti.^^
il
modo
Variarono
le
fissare
benché sia quasi imuna regola generale, per-
dovrebbe piuttosto discutere caso per maggiore o minore grado decadenza in cui si trovino i singoli stati.
di
in base al
tale difficultà:
3.
ma
assoluta,
La
prensiva.
presuppone
o,
città
riflette
timamente
sofferto
leggi...
quella di dare
una nor-
corrottissima
il
M.
situazione attuale di
la
di qui
:
che
il
queste
di
carattere in-
pagine.
proni alla corruzione, che consi-
6. rei:
nell’individualismo e nell’egoismo sfrenati, nel dispregio delle leggi, nell’indif-
ferenza per
un
significato politico
È
E... suoi:
7.
secondo vita
la
bene comune e
il
le
prima che
facile
che
concreta dello stato impone,
8.
il
che...
corrompono:
nell’onestà quell’eticità,
e
fedeltà
verso
la
insomma, che non
può andare disgiunta dalla vita politica, perché è fondamento d’ogni convivenza umana.
vengono non viene muesigenze dei tempi, anche
ordini:
forma costituzionale,
secondo
9. come... xittadini: in Roma i cittadini erano tenuti a freno, governati in primo luogo dalla costituzione dello stato, in secondo luogo dalle leggi, fatte applicare dalle varie magistrature (magistrati). 10. e... leggi: le norme che regolavano
proposte di candidature e l’elezione dei alle pubbliche cariche e lo svolgi-
le
singoli
fondamentale organizzazione politica, espressa da certe magistrature o da certi corpi
mento
politici
(ad
es.,
la
nell’antica
Roma, Popolo,
Senato, Consoli, Tribuni) e da certi istituti del diritto pubblico (ad es., l’elettività delle cariche,
i
modi
della
legislazione).
le
costituzione.
la
la
5. gli
è
le leggi
tata,
in
ma
che vengano mutati gli ordini istituzionali, che sono l’espressione della tradizione e della civiltà che esso rappresenta.
buoni costumi. Sono, questi ultimi, il complesso delle persuasioni morali e religiose che ispirano l’azione individuale e si traducono, sul piano politico, nella lealtà, nel rispetto della legge e degli ordinamenti stato,
varino,
esigenze che lo svolgimento del-
rese inefficienti dal fatto, che
patria:
etico.
le leggi
diffìcile
buoni costumi: Essenziale, nel
gi e
vita dello
la
Cosi, la parola buoni (vedi sopra) ha
stato.
pensiero del M., questa correlazione fra leg-
dello
citta-
ste
almeno, largamente com-
Firenze e dell’Italia
4.
i
i magistrati ed poco o nulla variarono negli leggi che frenavano i cittadini, come fu la suntuaria, quella della ambizione e molte
si
caso,
magistrati frenavano
di chiedere e del creare
corruzione:
e...
possibile
ché
i
per dare ad intendere
era l’ordine del governo o
di fare le leggi.^® Questi ordini
legge degli adulteri, la
2.
Roma
L’ordine dello stato era l’autorità del Popolo, del Senato, de’
dini.®
il
E
corrompono.®
meglio questa parte, dico come in
11.
dell’attività
negli
dini dello stato
il
durante
le
vicissitu-
romano.
12. suntuaria...
tro
legislativa.
accidenti:
ambizione:
le
leggi con-
lusso e le spese eccessive c quelle sui
brogli elettorali.
Niccolò Machiavelli
253
secondo che di mano in mano i cittadini diventavano corrotti. tenendo fermo gli ordini dello stato, che nella corruzione non erano piu buoni, quelle leggi che si rinnovavano non bastavano a mantenere gli uomini buoni, ma sarebbono bene giovate, se con la innovazione altre
Ma
delle leggi,
fossero rimutati
si
M.
2. Il
varsi
ordini.
ma
dei potenti, che sapessero subdolamente accatti-
favore popolare; allo stesso
il
le leggi,
«
non per
venisse corrompendo, e, con essa,
si
magistrature divennero appannaggio non più dei
gli antichi ordini: le
cittadini virtuosi,
gli-
come Roma
dimostra
comune
la
modo,
ma
libertà,
solo
i
potenti proponevano
per la potenza loro
».
Era necessario pertanto, a volere che Roma nella corruzione si mantenesse libera, che così come aveva nel processo del vivere suo fatte nuove leggi, l’aves^p fatti nuovi ordini; perché altri ordini e modi di vivere si debbe ordinare in uno soggetto cattivo che in uno buono, né può essere la forma simile in una materia al tutto contraria.^^ Ma perché 3.
questi ordini, o e*
hanno
si
a rinnovare tutti a
un
tratto,
sono non essere piu buoni, o a poco a poco in prima che
si
scoperti che
conoschino
per ciascuno, dico che l’una e l’altra di queste due cose è quasi impossibile. Perché a volergli rinnovare a poco a poco, conviene che ne sia
cagione uno prudente che vegga questo inconveniente assai discosto, e quando e’ nasce.^® Di questi tali è facilissima cosa che in una città non ne surga mai nessuno, e quando pure ve ne surgessi, non potrebbe persuadere mai a altrui quello che egli proprio intendesse; perché gli uomini usi a vivere in un modo non lo vogliono variare, e tanto piu non veggendo il male in viso, ma avendo a essere loro mostro per coniettura.^® Quanto all’innovare questi ordini a un tratto, quando ciascuno conosce che non son buoni, dico che questa inutilità che facilmente
conosce è
si
difficile
non basta usare termini
buoni:
efficienti.
dunque,
richiesto
13.
be,
a ricorreggerla;^"^ perché a fare questo
ordinari, essendo
La corruzione avrebriforme
istituzionali
La forma
la
materia è
plasmare civile.
della
Ma
è la costituzione dello stato,
il
si
che
popolo,
condurre
e
ad
lo
deve
stato
ordinato
vivere
tenga presente che alle origini
costituzione
statale
e
anche
alle
ori-
come abbiamo visto, non la volontà popolare, ma un « prudente », un individuo, cioè, che impone dall’alto un modo di vita al popolo.
gini
15.
della
uomo
legislazione
conviene...
assuma
si
modi
ordinari cattivi,^®
ma
corruzione o decadenza assai prima che quando le sue premesse sono
manifesti,
ancora pressoché impercettibili.
e costituzionali. 14.
la
i
c’è,
nasce:
l’iniziativa
del
necessario
che
rinnovamento
un
è
saggio e prudente, e in qualche
anche preveggente,
modo
che riesca a prevedere
coniettura:
16. tanto...
(come
in questo caso)
tanto piu
non vedono
quando il
male
concretamente presente), ma esso viene loro mostrato come una previ-
in faccia (cioè
sione. 17. che...
ricorreggerla:
che l’inefficienza
è giunta al punto di essere chiaramente evidente a tutti, è diffi-
d’uno cile
stato,
quando
a correggersi.
cattivi: non basta usare mezzi ordinari, perché l’ordinamento attuale dello ormai stato,' il solo che potrebbe fornirli, e 18. non...
inefficiente.
Antologia della letteratura italiana
254
è necessario venire allo straordinario,
come
è alla violenza ed alParmi, c
diventare innanzi a ogni cosa principe di quella città e poterne disporre a
suo modo.
E
perché
una
riordinare
il
uomo buono,
e
uomo
presuppone uno
città
al
vivere politico presuppone
uno
diventare per violenza principe di una repubblica
il
questo
cattivo, per
si
troverrà che radissime volte
che uno buono, per vie cattive, ancora che
accaggia
il fine suo fosse buono, voglia diventare principe; e che uno reo, divenuto principe,
voglia operare bene, e che gli caggia rità
bene che
Da
4.
è
nelle
gli
nello
animo usare
quella auto-
o impossibilità che mantenervi una repubblica o a crearvela di
tutte le soprascritte cose nasce la difficoltà
a
corrotte,
città
E quando
nuovo.
mai
ha male acquistata.
pure
la vi
si
avesse a creare o a mantenere, sarebbe
necessario ridurla piu verso lo stato regio che verso lo stato popolare,^ acciocché’ quegli
uomini
possono essere
corretti,
modo
E
frenati.
i
non
quali dalle leggi per la lor insolenzia
fossero da
una podestà quasi
regia in qualche
a volergli fare per altre vie diventare buoni, sarebbe
come io dissi di sopra Cleomene^ il quale, se per essere solo ammazzò gli Efori, e se Romolo per le medesime cagioni ammazzò il fratello e Tito Tazio Sabino, e dipoi usarono bene quella loro autorità, nondimeno si debbe
o crudelissima impresa o del tutto impossibile, che fece
avvertire che l’uno e l’altro di costoro
non avevano
corruzione macchiato della quale in
però poterono volere, e volendo, colorire
19. accaggia:
biamo cipe:
accada.
È
qui,
come
ab-
visto all’inizio, la dialettica del Prin-
come un
conquistatore violento dello
mutare la sua « natura » e repopolo la « libertà » politica, che
stato possa stituire al
è l’essenza vera del vivere civile.
un una repubblica.
20. ridurla... popolare: fondarvi
cipato piuttosto che 21. insolenzia:
prin-
refrattarietà a piegarsi al-
il
il
disegno loro.^
come cosa da scusare, perché fatta per bene comune e non per ambizione propria. 23. non... ragioniamo: non dovevano tratun popolo macchiato da una tare con corruzione cosi totale e radicata quale è quella di cui parliamo in questo capitolo. L’azione di Clcomene e di Romolo si svolge in una comunità politica ancor sana c capace quindi di reagire positivamente alla
zio, il
l’impero delle leggi e alle esigenze dell’or-
loro sollecitazione; è
dinato vivere
di
22.
civile.
Clcomene:
Il
re
che,
per
ridare
a
Sparta l’antica grandezza, volle restaurare le leggi di Licurgo e fece uccidere gli Efori per potere, rimasto solo al comando, attuare il proposito. Nel cap. IX questa sua azione violenta è ricordata, con quelle di Ro-
molo
nei confronti di
Remo
c di Tito
Ta-
soggetto di quella
questo capitolo ragioniamo,^ e
un momento,
una dolorosa
necessità
consegue la restaurazione piena d’una civile convivenza. In una società radicalmente corrotta (il M. pensa all’Italia attuale) la crudeltà dovrebbe dicui
venire sistema di governo, col facile peridegenerazioni tiranniche.
colo di
24. e...
loro:
e
poterono concepire
tuare con fermezza
il
loro
disegno.
c
at-
Niccolò Machiavelli
255
Repubblica e libertà
Non il bene particolare dell’individuo, ma quello comune di tutta la società, deve proporsi di attuare lo Stato; e questo avviene soltanto nelle repubbliche, perché sono fondate sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica, cioè sulla libertà. Questa è la tesi centrale del capitolo (il II del II libro, che è intitolato Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come ostinatamente quegli difendevano la loro libertà), e -di tutti i Discorsi. Va però osservato che la libertà non è vista dal Machiavelli come un valore spirituale a sé stante, ma come una funzione dello Stato, valida solo in quanto serve ad esso, « al processo mercé il quale questo cresce e si irrobustisce c si alimenta di tutte le linfe che il canale della libertà gli conduce » (De Caprariis). Essa si identifica con la vita, l’esaltazione c la difesa della patria, nella quale il popolo sente espressa la sua autonomia politica e civile, che per il Machiavelli c il valore supremo, al quale tutti gli altri,, anche la religione c la moralità, vanno commisurati, e, se necessario, sacrificati. L’ elogio, comunque, della libertà, come armonica pienezza di vita, che conclude il passo, rivela con quale entusiasmo l’autore vivesse l’ ideale repubblicano.
...
E
donde nasca
facil cosa è conoscere
del vivere libero;
mai ampliato né
perché
^
di
si
ne’ popoli questa affezione le cittadi non avere non mentre sono state
vede per esperienza
dominio né
di ricchezza se
E veramente maravigliosa cosa è considerare a quanta grandezza venne Atene per spazio^ di cento anni, poiché la si liberò dalla in libertà.
Ma
tirannide di Pisistrato. rare a quanta
sopra tutto maravigliosissima è a consideRoma poiché la si liberò da*^ suoi Re.
grandezza venne
La ragione è facile a intendere; perché non il bene particolare ma il bene comune è quello che fa grandi le città.^ E sanza dubbio questo bene comune non è osservato se non nelle republiche, perché tutto quello che fa a proposito suo
danno bene
di questo
fa,
o
si
esequisce
di quello privato, c’
:
sono
che lo possono tirare innanzi contro
e
quantunque
e’
torni in
tanti quegli per chi detto
disperazione di que-
alla
pochi che ne fussono oppressi.* Al contrario interviene® quando vi è uno principe, dove* il piu delle volte quello che fa per lui"^ offende
gli
Disc.
1.
Il,
piuto a vantaggio della repubblica; e anche se (quantunque) una di queste azioni dan-
2.
questa... libero: questo
amore
della
li-
bertà. 2.
per spazio:
nello
spazio.
non il bene... città: una città diventa grande quando si sforza di conseguire il bene comune di tutti i cittadini e non quello di un individua singolo, come avviene dove c’ è una tirannide. 3.
neggia un privato cittadino, sono tanti coloro che ne sono invece avvantaggiati (per chi detto bene fa), che i governanti pos-
sono
giustificare
il
loro
mostrando che è conforme dinanzi a quei
appunto bene comune,
operato, al
pochi che siano
stati
dan-
neggiati (oppressi). ». 5. « Il contrario accade
tutto quello che viene
6.
dove: perché
compiuto da un governo repubblicano, è com-
7.
quello... lui: quello che giova a lui.
4.
tutto... oppressi:
allora.
Antologia della letteratura italiana
256
la città, c
quello che fa per
la città
offende
lui.
uno vivere libero, non andare piu innanzi, né
nasce una tirannide sopra resulti a quelle città è
ma
tenza o in ricchezze;
piu delle volte
il
E
loro che le tornano indietro.^®
tiranno virtuoso,
dominio
ma
il
a lui proprio
crescere piu in po-
sempre interviene
anzi
che
se la sorte facesse
uno
vi surgesse
quale per animo e per virtù d’arme ampliasse
non ne
suo,
Dimodoché subito che " manco male® che nc il
risulterebbe
perché
:
a
utilità
non può onorare
e’
cittadini che siano valenti e
alcuna
buoni che
avere ad avere sospetto di loro.
Non può
nessuno
tiranneggia,
egli
ancora
le
quegli
di
non volendo che esso ac-
città
quista sottometterle o farle tributarie a quella città di che egli è
ranno, perché
farla potente
disgiunto,^^ e che
stato lui.
il
non
ma
fa per lui,
ti-
per lui fa tenere lo
ciascuna terra e ciascuna provincia riconosca
Talché de’ suoi acquisti solo egli ne profitta e non la sua patria. ... Pensando adunque donde possa nascere che in quegli tempi an-
tichi
i
popoli fussero più amatori della libertà che in questi, credo
nasca da quella medesima cagione che fa ora
quale credo
la
il
republica;
quella
sia
la
diversità
uomini manco
gli
educazione
della
nostra
forti,
dall’antica,
fondata nella diversità della religione nostra dalla antica. Perché avendoci la nostra religione mostro la verità e la vera via,
meno
l’onore
8.
subito che:
9.
il
10.
del
mondo
:
onde
non appena. il minor male.
15.
manco male: interviene...
indietro:
del
accade loro di
diversità
la
dunque
regredire, di diminuire la loro potenza e la
moralità,
loro prosperità.
rispetto ai
11.
ma
a lui proprio:
ma
a lui stesso.
perché e’ non può onorare, ecc. il tiranno non può onorare e accrescere in potenza (dando ad es. loro da governare le 12.
nuove
:
terre
conquistate)
i
cittadini
capaci
za
educazione;
dei
moderni per
ideali,
di
concezioni
« forti » popoli
e quella cristiana.
religione
Causa la
li-
differenza di costumi, di
rimandiamo
commento
di
vita,
antichi, differen-
fondata sulla diversità fra
pagana la
di
la
ed
assai,
della
minore amore
bertà è
stimare
fa
ci
stimandolo
Gentili
i
A
religione
la
proposito del-
a ciò che
abbiamo
passo Della religione de’ Romani. Basti qui ricordare che la reli-
detto nel
al
che egli tiranneggia, ma deve tenerli rigorosamente soggetti. In caso contrario dovrebbe stare in continuo sospetto e timore di fronte ad essi, che sono i naturali nemici di ogni tirannide. 13. ma... disgiunto: ma a lui conviene tenere i sudditi divisi e senza coesione fra loro per poterli meglio dominare, lì M. mette bene in luce la logica spietata di un governo urannico e assolutista, di cui le signorie italiane gli offrivano continui esempi. al tempo 14. in quegli tempi antichi: dei Romani, quando più numerose erano le repubbliche; mentre ai suoi tempi il M. vede quasi dovunque monarchie e principati assoluti (abbiamo omesso un passo dove trae esempi d’aniore per la libertà dalle
gione appare al M. 1 elemento costitutivo di un popolo, coincidente con la sua vita profonda, i suoi buoni costumi, la sua educazione politica e morale. È quindi il solido fondamento degli ordini dello stato. Tale
antiche storie).
punto fondamentale che
e valenti
’
visione tutta laica e
mondana
della religio-
M., nel paragonare paganesimo e cristianesimo, prescinda da ogni considerazione trascendente, non discuta il loro ne, fa
SI
che
il
contenuto fideistico e dogmatico, ma li giudichi secondo i loro effetti nella vita morale c civile dei popoli. 16. avendo...
mondo: La
religione cristiana
ha rivelato agli uomini la verità e la vera via da seguire per giungere alla vita eterna, ma in tal modo li ha indotti a tener in minore considerazione
le
cose terrene. il
È M.
questo l’aprivolge
al
Niccolò Machiavelli
avendo posto ferocid®
quello
in
che
Il
257
il
sommo
bene, erano nelle azioni loro piu
può considerare da molte
si
loro costituzioni,^* comin-
ciandosi dalla magnificenza de’ sacrifizi loro alla umiltà de’
nostri,^
dove è qualche pompa piu delicata che magnifica, ma nessuna azione feroce o gagliarda. Qui^^ non mancava la pompa né la magnificenza delle cerimonie, ma vi si aggiungeva l’azione del sacrificio^ pieno di sangue e di ferocità, ammazzandovisi moltitudine d’animali il quale :
sendo
aspetto,
rendeva
terribile,
non
antica, oltre a di questo,
dana
La tivi,
come erano
gloria,
gli
uomini
beatificava se
simili
a
non uomini
gli
Ha
attivi.
religione
mon-
pieni di
capitani di eserciti e principi di republiche.
nostra religione ha glorificato piu gli uomini
che
La
lui.
dipoi posto
sommo
il
umane
zione, e nel dispregio delle cose
umili e contempla-
bene nella umiltà,
abie-
poneva
nella
quell ’altra lo
grandezza dello animo, nella fortezza del corpo ed in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi in
te
una cosa
fortezza, vuole che tu sia atto a patire
Questo modo
piu che a
adunque pare che abbi renduto il mondo debole, e datolo in preda agli uomini scelerati, quali sicuramente lo possono maneggiare, veggendo come l’università degli uomini per andare in Paradiso pensa piu a sopportare le sue fare
forte.
vivere
di
i
battiture
mondo
che a vendicarle.^^
e disarmato
il
E
benché paia che
uomini, che hanno interpretato
non secondo
Perché
virtù
la
se
nostra
sua concezione
21.
Qui:
22.
l’
base
in
alla
Ma
spunto di pensiero piu originale e profondo si ha piu avanti, quando egli riconosce che una morale sua sostanziale incredulità.
io
ramente gio e 23.
comunque,
vece.
discutibile, di esso.
onde: qui ha ì
Gentili:
il
senso di mentre in-
pagani.
i
il
secondo l’ozio e
come
la
ci
permette
nelle cerimonie pagane.
azione
del
sacrificio,
ecc.
l’ideale machiavelliano di
civile e politica,
non coincide necessa-
17.
effeminato
sia
Questa
:
interpretazione del culto pagano rivela chia-
riamente con la vera essenza del Cristianesimo, ma con una interpretazione superficiale,
ascetica c rinunciataria
o,
religione
considerassono
terrena e attivistica del vivere e alla
Cristianesimo, tutta
la
si
Cielo,^ nasce piu sanza dubbio dalla viltà degli
e del
il
il
virtù
corag-
valore guerriero.
umane: nel disprezzo di sé mondo. Qui il M. polemizza contro
umiltà...
r interpretazione ascetica data Medioevo al Cristianesimo. 24.
una
fondata sull’energia,
e
datolo...
vendicarle,
spesso
ecc.:
nel
sembra
il
che abbia dato il mondo in preda agli uomini scellerati (intendi tali nell’agire politico, come i tiranni) che con piena sicurezza
magnificenza dei loro sacrifici e la umiltà dei nostri. Le cerimonie del culto pagano appaiono al M. piene di grandiosità, atte quindi a eccitare la fantasia del popolo ad azioni vigorose e gagliarde; quelle cristiane sono piuttosto delicate che magnifiche, richiamano cioè al culto dell’in-
possono compiere le loro azioni crudeli e nefande, e maneggiare a proprio arbitrio il mondo, contando sull’umiltà e la rassegnazione delle loro vittime. 25. e disarmato il Cielo: sembra, cioè, che il Cielo non punisca più in modo esemplare e terribile l’empietà dei malvagi.
18.
piu feroci: più animosi e gagliardi.
19. costituzioni:
istituzioni del loro culto.
20. cominciandosi...
confronto fra
teriorità,
a
nostri:
basta fare
la
una
spiritualità
meditativa,
al-
non
al-
l’eroismo silenzioso della rinuncia, l’azione nel
mondo
e
al
culto della gloria.
26.
nasce... virtù: questo fatto non nasce vera essenza del Cristianesimo,
tanto dalia
che anch’esso
ci
impone
di
amare, onorare.
Antologia della letteratura italiana
258
la difesa della patria, vedrebbono come la vuole che ramiamo ed onoriamo, e prepariamoci a essere tali che noi la possiamo difendere. Fanno adunque queste educazioni e si false interpretazioni che nel mondo non si vede tante republiche quante si ve-
la esaltazione e
noi
deva anticamente, né per consequente^ alla libertà quanto allora. ...E facil cosa è considerare
vede ne* popoli tanto amore
si
donde nasceva quell’ordine
donde
e
proceda questo disordine; “ perché tutto viene dal vivere libero
ed ora dal vivere servo. Perché tutte
lora,
le
al-
terre e le provincie che
vivono libere in ogni parte, come di sopra
dissi, fanno profitti^ vede maggiori popoli,** per essere e connubi! piu liberi, piu desiderabili dagli uomini; perché ciascuno procrea volontieri quegli figliuoli che crede potere nutrire, non dubitando che
dissimi. Perché quiyi
il
patrimonio
scono
liberi
e
gli
si
sia tolto,
non
schiavi,
e ch’ei
ma
diventare principi.^^ Veggonvisi le
numero, c quelle che vengono
conosce non solamente che napossono mediante la virtù loro ricchezze multiplicare in maggiore si
ch’ei
cultura e
dalla
quelle
che vengono
dalle arti.” Perché ciascuno volentieri moltiplica in quella cosa e cerca
di acquistare quei beni che crede acquistati potersi godere.”
nasce che gli uomini a gara pensono
privati e publici
a’
l’uno e l’altro^ viene maravigliosamente a crescere. tutte queste cose
scemono
segue”
religione secondo la loro ignavia,
Avverti
il
non secondo
tono passionale del perio-
do, queirihcitamento costante all’azione generpsa e magnanima che è motivo centrale delle pagine del M. Certo, avvertiamo che la
sua vera religione è la patria: tuttavia anche la considerazione della problematica ardua, spesso, e dolorosa dell’anima cristiana, della difficoltà di conciliare le contrastanti esigen*
zc della rinuncia e dell’impegno nel mondo c intuita qui con grande finezza. 27. per conscqu^ntc: di conseguenza. i8 quello... disordine: la superiore civiltà
sfatti
politica degli antichi, fondata' sul culto della
i
bisogni essenziali della vita pratica,
possibilità lità, le
di
affermare
piu volontieri
figliuoli,
31. alle
diventare principi: qui significa adire
impadronirsi del potere assoluto. 32. cultura... arti: agricoltura... arti, stieri,
me-
professioni.
33. multiplica... godere: ciascuno è porta-
corruzione presente, .fondata sul-
ad aumentare
acquistare beni
comprende, per lui, gli attributi spestato bene ordinato: sicurezza, ordine, pace, garanzia che vengano soddi
perche sa di po-
supreme magistrature repubblicane, non
guadagni, in prospefità e in potenza. Quello che segue è uno dei piu caldi elogi che il M. abbia formulato della libertà e dei suoi effetti sulla vita economica, politica e civile degli uomini. La parola dello
sia
quanto non c’ è un tiranno che possa togliergli da un momento all’altro il patrimònio con rapace violenza, sia perche sa che saranno liberi cittadini e non schiavi.
to
cifici
propria persona-
terli allevare, in
l’accettazione rassegnata del uivere servo. profitti:
la
proprie capacità.
30. maggiori popoli, ecc.: popolazioni piu numerose, perche i matrimoni sono piu liberi e desiderabili in quanto ciascuno procrea
.
libertà
e di
in quegli paesi che vivono servi: e tanto più
difendere c fare grande 'la patria^ ma gialla uomini ghe hanno interpretato la
libertà, e la
contrario
dal consueto bene,” quanto più è dura la servitù.
viltà degli
la virtù. 29.
Il
Onde ne
commodi,
il
proprio patrimonio e ad
quando
c
sicuro di
poterli
godere c che nessun tiranno glieli carpisca. pubblico e il bene 34. l’ uno e 1* altro quello privato, che in una libera repubblica sono interdipendenti. :
35. segue; accade.
36. scemono... bene: sono privi, dei beni cui erano avvezzi
mancano
quand’erano
liberi.
Niccolò Machiavelli
Come
259
conviene variare coi tempi volendo sempre aver buona
fortuna Questo discorso è forse lo sforzo maggiore di pensiero che il Machiavelli abcompiuto per definire razionalmente l’oscura e inesplicabile presenza della « fortuna » nella vicenda storica, assumendola nell’ambito dell’esperienza umana e psicologica. La fortuna, infatti, tende qui a coincidere col limite, invalicabile, bia
natura, dell’indole individuale, e di qui nasce la constatazione della
della
gior durata e solidità del regime repubblicano, rispetto
mag-
principato, in quanto
al
può contare, nel variare continuo delle circostanze, sulla varietà delle indoli dei Si potrebbe dire, ma sempre tendenzialmente, che la fortuna coincide in qualche modo con le volontà avverse, che il politico si trova di fronte non pili nella dinamica di libera scelta umana, ma come un dato di fatto, un complesso oggettivo di circostanze che ha assunto un carattere di ferrea necessità. Ma in fondo il Machiavelli non giunse ad una definizione filosoficamente chiara
cittadini.
del problema; la parola « fortuna » indica per lui
il senso dell’imponderabile che elemento essenziale d’ogni calcolo e d’ogni azione politica: un limite non tanto da chiarire concettualmente, quanto da superare con azione energica e coraggiosa.
è
I. Io ho considerato piu volte come la cagione buona fortuna degli uomini è riscontrare il modo
con
tempi.^ Perché
i
dono
e’
si
vede che
della trista e della
del
procedere suo
uomini, nell’opere
gli
lorp,
proce-
E
perché
alcuni con impeto, alcuni con rispetto e con cauzione.^
nell’uno e nell’altro di questi
modi
passano
si
termini convenienti,
i
potendo osservare la vera via, nell’uno e nell’altro si erra.^ Ma quello viene ad errar meno, e avere la fortuna prospera, che riscontra, come io ho detto, con il suo modo il tempo, e sempre mai si procede secondo ti sforza la natura.'* Ciascuno sa come Fabio Massimo procedeva con l’esercito suo respettivamente e cautamente, discosto da ogni impeto e da ogni audacia romana; e la buona fortuna fece che questo suo modo riscontrò bene coi tempi: perché, sendo venuto Annibaie in
non
si
Italia,
giovane e con una fortuna fresca, e avendo già rotto
romano due
il
popolo
ed essendo quella repubblica priva quasi della sua buona milizia, e sbigottita, non potette sortir miglior fortuna che avere un capitano il quale, con la sua tardità e cauzione, tenesse a bada il nimico.
modi
Disc.,
Né
suoi
:
Ili,
9.
volte,®
ancora Fabio potette riscontrare tempi piu convenienti ai nacque che fu glorioso. E che Fabio facesse questo
di che
questi
bi
essendo
tempi: è il ritrovare una piena 1. è... corrispondenza fra il loro modo di procedere e i tempi, le circostanze. riguardo e pon2. rispetto... cauzione: deratezza... prudente cautela. 3. E... erra: E perché, seguendo entram-
4.
modi,
si
cade
facile osservare
e...
il
nell’eccesso,
non
giusto mezzo, ecc.
natura: e sempre procede secondo
l’impulso naturale. 5. fitto
qui
e... i
il
volte:
e
avendo due
volte
scon-
Romani (al Ticino e alla Trebbia, che M. sembra considerare come un’unica
battaglia,
e
al
Trasimeno).
Antologia della letteratura italiana
2Ó0
non per
per natura c
elezione,
volendo Scipione passare in
®
vede, che
si
Africa con quegli eserciti per ultimare la guerra, Fabio la contradisse
come
assai,
quello che
non
consuetudine sua: talché, in Italia;
come
quello che
non
mutare modo
e che bisognava
poteva spiccare dai suoi modi e dalla
si
Annibaie sarebbe ancora erano mutati i tempi,
se fusse stato a lui,® si
avvedeva che
E
di guerra.
Roma, poteva facilmente perdere
gli
se
Fabio fusse
stato re di
perché non arebbe
quella guerra:
saputo variare col procedere suo, secondo che variavano
i
ma
tempi;
sendo nato in una repubblica, dove erano diversi cittadini e diversi ebbe Fabio, che fu ottimo ne’ tempi debiti a sostenere umori,® come la la
guerra, cosi ebbe poi Scipione ne’ tempi 2.
a vincerla.
atti
Quinci nasce che una repubblica ha maggiore
mente buona fortuna che un principato: perché darsi
alla
diversità
de’
temporali,^^ per
vita, e
diversità
la
de’
sono in quella, che non può un principe. Perché un consueto a procedere in un modo, non
conviene di necessità, quando
modo, che 3.
si
i
che
cittadini
uomo
muta mai, come
si
mutano
ha piu lunga-
può meglio accomo-
la
che
sia
è detto; e
tempi disformi a quel suo
rovini.
Piero Soderini, altre volte preallegato,^^ procedeva in tutte
le
cose
sue con umanità e pazienza. Prosperò egli e la sua patria mentre che
tempi furono conformi al modo del proceder suo; ma come vennero tempi dove bisognava rompere la pazienza e l’umanità, non lo seppe fare: talché insieme con la sua patria rovinò. Papa Giulio II procedette, in tutto il tempo del suo pontificato, con impeto e con i
dipoi
furia; e perché
imprese
tempi l’accompagnarono bene,
i
Ma
tutte.
se fussero venuti altri tempi,
riuscirono le sue
gli
che avessero ricerco altro
perché non arebbe mutato né modo né ordine nel maneggiarsi. E che noi non ci possiamo mutare, ne sono cagione due cose: l’una, che noi non ci possiamo opporre a quello a che c’inclina la natura; l’altra, che avendo uno con un modo di procedere prosperato assai, non è possibile persuadergli che possa far bene consiglio,^® di necessità rovinava:
a procedere altrimenti:
perché
ella varia
i
donde ne nasce che
un uomo
in
tempi, ed egli non varia
i
non si variar gli ordini tempi, come lungamente di sopra discorremmo:
rovina della
6. si
città,
per
si vede da questo, che. avversò assai quell’ impresa. se fosse dipeso da lui.
vede, che:
7. la... assai: 8. se...
lui:
12.
Piero...
luoghi.
capacità.
sto
10. la:
essa,
la
11. temporali:
Repubbica romana. circostanze.
fortuna varia; la
delle repubbliche co’
ma
sono piu tarde.
preallegato:
Pier Soderini
(il
gonfaloniere della Repubblica fiorentina), di cui il M. ha precedentemente parlato in piu
umori: diversi temperamenti; uomini, cioè, dotati di diverso carattere c 9. diversi
la
modi. Nàscene ancora
13. che...
un
14.
consiglio:
diverso
gli
modo
ordini:
che determinano
gli i
che avessero richiedi deliberare e agire.
ordinamenti
modi
dell’azione.
politici
Niccolò Machiavelli
perché
le
261
penano più
a variare, perché bisogna che vengano tempi a che un solo col variare il modo
commuovino tutta la repubblica procedere non basta... d®
che del
n
Che
:
debba difendere o con ignominia o con modo è ben difesa
la patria si
gloria,
ed in qualunque
L’interesse di questo passo è in quella sorta di « religione » della patria che
La
configura.
patria coincide con lo stato, e questo, a sua volta, e l’espressione
concreta e totale della civiltà d’un popolo,
meramente
in
e,
tal
senso,
un valore
etico,
non
Notevole inoltre è il realismo col quale il Machiavelli supera il. concetto cavalleresco e medievale dell’onore, in nome di un’azione spregiudicata ed efficace. I^a non si tratta del « fine che giustifica i mezzi », come gli si è spesso erroneamente fatto dire; il fine qui esaltato non è il soddisfacimento d’una volontà egoistica, ma la conservazione di quello stato che è bene comune, costruzione di valori e di humanitas. solo
politico.
Era il Console e l’esercito romano assediato dai Sanniti: ^ i quali avendo proposto ai Romani condizioni ignominiosissime (come era, volerli mettere sotto il giogo, e disarmati rimandarli a Roma), e per questo stando i Consoli come attoniti, e tutto l’esercito disperato, Lucio Lentolo, legato romano, disse che non gli pareva che fusse da fuggire qualunque partito per salvare la patria’; ^ perché, consistendo la vita di Roma nella vita di quello esercito, gli pareva da salvarlo in ogni modo; e che la patria è ben difesa in qualunque modo la si difende, o con ignominia o con gloria perché, salvandosi quello esercito, Roma 1.
:
era a
tempo
a cancellare l’ignominia;
riosamente morisse, era perduta tato
il
si
salvando, ancora che
e la libertà sua.
E
^
glo-
cosi fu segui-
suo consiglio.
La qual
2.
non
Roma
cittadino
si
cosa merita d’esser notata ed osservata da qualunque
trova a consigliare la patria sua:
non
perché dove
si
dilibera
debbe cadere alcuna considerazione né di giusto né di ingiusto, né di pietoso né di crudele, né di laudabile né di ignominioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tutto quel partito che le salvi la vita, e mantengale la libertà. [...] al tutto ^ della salute della patria,
15. le...
piu:
ic
repubbliche
impiegano
più tempo. 16. perche... basta:
perché devono venire
della
repubblica,
e
in
tal
caso
modo
un
anche variando il p>roprio di procedere e adeguandolo ai tempi,
individuo,
solo
non basta a salvare Disc.,
Ili,
1.
dai
Sanniti:
Allude all’episodio delle
Forche Caudine.
circostanze che sconvolgano tutto l’ordina-
mento
vi
41.
la
repubblica stessa.
2. che... patria: che gli sembrava che si dovesse accettare qualunque partito pur di salvare la patria (anche quindi il disonore
di
essere
mandati sotto
3.
ancora che: anche
4.
al tutto:
il
giogo).
se.
assolutamente. Quando, cioè, radicali dinanz:
occorre prendere decisioni a un pericolo estremo.
2Ó2
Antologia della letteratura italiana
L’« Arte della guerra
UArte
della guerra^
»
composta
fra
*19 c
il
il
c pubblicata con vivo
*20,
il Maimmagina tenuto nel ’i6, negli Orti Oricellari (il luogo dove si radunava, intorno a Cosimino Rucellai, un gruppo di giovani aristocratici fiorentini, esprimendo una silenziosa protesta contro la restaurata domina-
un
successo nel *21, è
trattato in sette libri in
forma
di dialogo, che
chiavelli
zione medicea), in occasione del passaggio da Firenze d’un celebre capitano, Fabrizio Colonna (che diviene qui
il
portavoce delle idee machiavelliane),
reduce dalle guerre di Lombardia.
Tema
armata veramente sicura ed
forza
perché «
del dialogo è la perniciosità delle milizie mercenarie e la neces-
dell’educazione militare del popolo,
sità
mina
domina
la
forza
».
L’opera, dunque,
sì
che
efficiente;
lo stato
cosa,
nei rapporti fra gli stati e ci
possa contare su una
questa, il
fondamentale,
debole, di necessità,
riconduce a un motivo centrale dell’appassio-
nata meditazione del Principe e dei Discorsi: l’angoscia e l’onta per
repentino degli cui
unisce
si
stati
italiani, e
per
il
sentirsi
il
crollo
preda inerme dello straniero,
speranza, sempre ricorrente, d’una resurrezione dell’antica
la
« virtù » italica.
Delle
.altre
opere, VArte della guerra riflette anche
i
limiti
ideologici,
a cominciare dalla visione delle cause della decadenza italiana troppo pre-
valentemente vista sotto
il
profilo militare,
con un’indagine inadeguata dei
suoi complessi motivi politici, economici e sociali.
Anche
qui sviluppatissimo, deU’ordinamento militare, della
sul
tattica,
piano tecnico, dello
schiera-
mento, della strategia, è facile muovere appunti al Machiavelli, pur avvertendo che egli ha giustamente riconosciuta l’importanza delle fanterie e della logoratrice ma annientatrice. È anacronistico il suo ordinamenti militari dei Romani (senza contare che egli ignora le successive modificazioni di essi nel tempo), e, in fondo, anche il mancato riconoscimento del fatto che le milizie mercenarie rap-
nuova
strategia
non più
prendere a modello
gli
presentarono, nel Cinquecento,
un mezzo
di rafforzamento del potere sta-
monarchie dalla soggezione militare ai grandi feudatari. Ma è anche vero che il Machiavelli ha davanti agli occhi l’esempio delle Compagnie di ventura italiane, ben diverse dagli eserciti professionistici tale,
liberando
le
d’oltralpe, pagati dallo stato, legati alla sua vita e inquadrati e spesso co-
mandati
dall’aristocrazia
guerriera fedele al re.
suo ideale di una milizia popolare è limitato dalla sua stessa concezione politica generale, d’uno stato, cioè, di cui i cittadini restano pur sempre sudditi, senza mai identificarsi totalmente con esso; donde D’altra parte,
il
soluzioni discutibili del reclutamento delle fanterie nel contado, fra le persone più timorate, e per questo incapaci di disubbidire all’ordine del governo, ma, per temperamento, poco portate alla vita militare, e di quello le
della cavalleria fra
cupa del
fatto
che
fazioni, e quindi
i
Il Machiavelli, insomma, si preocpossa diventare specchio delle attuali lotte di di perturbazione dell’ordine esistente, e per questo
cittadini, e così via. l’esercito
mezzo
Niccolò Machiavelli
vorrebbe far
sì
che
263
le
singole classi che lo
compongono
esercitassero
un
re-
ciproco controllo.
Tutto questo è ovviamente
la
negazione del vero cittadino soldato
e del-
Tideale della nazione armata, e rende utopistica la soluzione del Machiavelli. Resta tuttavia al Nostro il merito di avere intuito la rigorosa interdipendenza fra il problema politico e quello militare, di avere compreso che una milizia efficiente può nascere soltanto dai « buoni ordini », da un regolato vivere civile. Questo è evidente nelle pagine che presentiamo, tratte
dalla conclusione dell’opera.
Esortazione ai Principi d’Italia
Ma
agli Italiani, i quali per non avere avuti i loro prinnon hanno preso alcuno ordine buono, e per non avere avuto quella necessità che hanno avuta gli Spagnuoli, non gli hanno per loro medesimi presi; tale che rimangono il vituperio del mondo.^ Ma i popoli non ne hanno colpa, ma si bene i principi^ loro; i quali ne sono. stati gastigati, e della ignoranza loro ne hanno portate giuste pene, perdendo
torniamo
cipi savi,
ignominiosamente lo
stato, e
vedere se questo che io dico è
sanza alcuno esemplo virtuoso.^ Volete voi vero.'^
Considerate quante guerre sono
state
Carlo ^ ad oggi; e solendo le guerre fare uomini bellicosi e reputati, queste quanto più sono state grandi e fiere, tanto più hanno fatto perdere di reputazione alle membra ed a’ capi suoi.® Questo conviene che nasca che gli ordini® consueti non erano e non in Italia dalla passata del re
sono buoni, e degli ordini nuovi non
Né
pigliarne. se
crediate
non per quella
1.
torniamo:
Il
mai che
via che io
M. ha
ho
finora parlato del-
istituzioni militari di altri popoli antichi
e
moderni, fra
quali gli
Spagnoli e
non
avendo avuto
la necessità che hanno avuto Spagnuoli (la lotta nazionale contro i Musulmani, che sviluppò uno spirito militare spontaneo nelle popolazioni), non hanno sviluppato in se, anche indipendentemente dal-
gli
l’opera dei Principi, 2.
Ma...
i
dei Prìncipi, in teria » alla
il
principi:
valore militare.
La
responsabilità
«
italiane,
le
virtuoso:
3. sanza...
accora
M.
il
» dell’ordinato vivere concezioni generali del
forma
secondo è
ci-
M.
Ciò che soprattutto
crollo totale e ignominioso,
il
avvenuto quasi senza combattere, degli
stati
italiani.
4. dalla...
lo
Carlo:
dalla
Vili (1494). 5. c solendo: e meli tre
ecc.
suoi: 6.
reputazione: popoli
ai
che
tuzioni
:
le
autorità,
c- ai
venuta di Carguerre sogliono, prestigio,
alle...
Principi d’Italia.
dal fatto che. gli ordini : le istidel combatle tecniche
militari,
c la strategia. dimostra: nel modo che ho dimostrato, colla fondazione, cioè, di un
tere
è
quanto il popolo è la « maessi dovrebbero saper im-
quale
porre la vile,
gli
buono; non hanno assunto un buon ordinamento militare, c quindi una tecnica di combattimento efficiente, per virtù dei lóro Principi, che non hanno voSvizzeri, non...
luto istituire milizie cittadine, e... presi:
arme
alle
dimostra,’ c mediante coloro che tengono
le
i
è alcuno che abbia saputo
ci
renda reputazione
si
7. per...
esercito nazionale.
Antologia della letteratura italiana
264
forma si può imprimere negli uomini non ne’ maligni, male custoditi e forestieri.* mai alcuno buono scultore, che creda fare una bella
grossi in Italia, perché questa
stati
semplici, rozzi e propri,
Né
troverrà
si
marmo male
statua d’uno pezzo di
Credevano
ma
abbozzato,
prima
nostri principi italiani,
i
bene d’uno rozzo.^
si
ch’egli assaggiassero
pensare una acuta risposta,
scrittoi
una
scrivere
bella
strare ne’ detti e nelle parole arguzia e prontezza,
fraude, ornarsi di
gemme
splendore che
altri,
gli
della milizia per grazia,^^ disprezzare,
alcuna lodevole si
via, volere
accorgevano
qualunque
novantaquattro
i
grandi spaventi,
dare
si
preparavano ad essere preda di
le
poi nel mille quattrocento
subite fughe, e
che erano in
miracolose per-
le
sono
Italia,
stati
medesimo non considerano che quelli che^ anticamente volevano tenere
me
facevano e facevano fare tutte quelle cose che da loro studio era preparare
il
Onde
temere
i
uomini
e principi eccellenti,
pericoli.
armati a
piè, e se
pur
il
corpo
erano
i
primi intra
si
8.
perche...
rito e la
forestieri:
si
volevano perdere
lo stato, e’
e
rozzi,
{propri
spi-
nuova tecnica militare possono
sere ispirati soprattutto agli ci
=
ma
del
proprio
a gente malvagia,
es-
uomini, sempli-
campagne
delle
incorrotti,
stato),
che
piuttosto
indisciplinata
e
forestie-
alle capacità,
questa
stanze
segreterìe,
dissolutezza,
fremente
il
apostrofe,
M.
o in
governare, in primo luogo delle
a
contado fra i quali arruolare le fanterie. 9. ma... rozzo: ma piuttosto ne uscirà uno ancor greggio. alla
la vita;
in loro,
e di cultura), a scapito delle qualità più ne-
cessarie
capacità militari.
10. scrittoi:
se
natezza eccessiva dei Principi italiani, l’importanza data da loro agli aspetti esteriori della civiltà rinascimentale (un tenor di vita eletto ed elegante, la finezza di spirito
come le truppe mercenarie. Per questo il M. pensa che il nuovo esercito potrebbe essere formato da un prìncipe che abbia uno stato grande, con molti abitanti nel
ra,
Oltre
E
quegli
andavano
danni alcuna mollizie, o alcuna cosa che faccia
rinnovato
Il
tutti
troppa ambizione di regnare, mai non
poteva dannare
troverà che in loro
si
animo a non
combattitori,
i
lo stato,
sono ragionate,
disagi e lo
a’
talmente che vivevano e morivano virtuosamente. parte di loro
si
nasceva che Cesare, Alessandro e
perdevano
e’
piu
quello che è peggio, è che quelli che ci errore, e vivono nel medesimo disordine,
restano stanno nel
e che
gradi
i
Ma
volte saccheggiati e guasti.
e
nell’ozio,
parole loro fossero responsi di oracoli;
le
e COSI tre potentissimi stati
dite;
governarsi co’
intorno,^^
alcuno avesse loro dimostro
se
Di qui nacquero
assaltava.
gli
che
meschini che
i
mouna
lettera,
sapere tessere
dormire e mangiare con maggiore
e d’oro,
tenere assai lascivie
avaramente e superbamente, marcirsi
sudditi
né
colpi
i
oltremontane guerre, che ad uno principe bastasse sapere negli
delle
studio.
di
colpisce,
anche
la
in
raffi-
intorno:
11. tenere...
sorta 12.
di
per grazia: non in relazione
13. tre... 14. e...
d’ogni
circondarsi
raffinatezze.
ma
ai
meriti e
usando favoritismi.
Milano, Venezia, Napoli. Erano, cioè, disposti a non
stati:
vita:
sopravvivere alla rovina del loro stato. 15. si... dannare: si poteva riprovare
condannare
(allude
soprattutto
a
e
Cesare).
Niccolò Machiavelli
uomini
gli
265
ed imbelli. Le quali cose, se da questi principi
delicati
non mutassero forma
fussero lette e credute, sarebbe impossibile che loro
non mutassero
di vivere, e le provincie loro
E
fortuna...
io vi affermo,
che qualunque di quelli, che tengono oggi stati in Italia, prima entrerà per questa via, fia, prima che alcuno altro, signore di questa provincia; e interverrà allo stato suo
come
al
regno de’ Macedoni,
imparato
sotto a Filippo, che aveva
modo
il
venendo
quale,
il
dell’ordinare gli eserciti
da Epaminonda tebano, diventò, con questo ordine e con questi esermentre che l’altra Grecia stava in ozio ed attendeva a recitare commedie,^" tanto potente, che potette in pochi anni tutta occuparla, ed al figliuolo lasciare tale fondamento, che potèo farsi principe di tutto il
cizi,
mondo. Colui adunque che dispregia dispregia
il
della natura. La quale o ella
dolgo
questi pensieri, s’egli è principe,
principato suo; s’egli è cittadino, la sua
mi doveva dare
questo, o ella
non mi dovea
Ed
città.
mi
io
fare conoscitore di
Né
facoltà a poterlo eseguire.
penso oggi-
mai, essendo vecchio, potere averne alcuna occasione; e per questo io ne
sono stato con voi
quando
liberale,^® che,
le cose dette
da
me
essendo giovani e qualificati, potrete,
vi piacciano, ai debiti
Di che non
vostri principi, aiutarle e consigliarle.
perché questa provincia pare nata per risuscitare
diffidiate,
come
morte,
Ma, quanto
E
si
a
visto
è
me
veramente, se
stato
tempi, in favore dei
voglio vi sbigottiate o
poesia,
della
pittura e
me
le
cose
scultura.^
della
aspetta, per essere in là cogli anni,
si
la
della
ne
diffido.^^
fortuna mi avesse conceduto per lo addietro tanto
quanto basta a una simile impresa, io crederei in brevissimo tempo al mondo, quanto gli antichi vagliano; e senza dubbio
avere dimostro
io Farei accresciuto
con gloria o perduto senza vergogna.
16. fia... provincia: diventerà signore, pri-
ma
d’ogni altro, di tutta
17. a...
commedie: C’è ancora
zo per una e a
stica,
il
disprez-
civiltà volta allo sfarzo esteriore
una cultura
letteraria
puramente edoni-
incapace di trarre dagli antichi l’incie « virtuoso ».
tamento ail’operare energico Il
Filippo di cui parla è Filippo
II,
padre
Alessandro Magno. 18. E... dolgo: Qui, secondo la finzione del dialogo, parla Fabrizio Colonna; in di
rraltà,
parla
il
M-
stesso.
dato liberalgiovani che l’ascoltano: Battista della Palla, Luigi Alaha,
liberale:
19. io...
cioè,
mente questi insegnamenti
l’Italia.
ai
manni, Zanobi Buondelmonti
e
Cosimo Ru-
cellai.
20. Cfr.
dove
me
il
nelle arti la pia
proemio
al I libro dei Discorsi,
c’è la stessa speranza: che l’Italia, coha saputo far rifiorire nelle lettere e
emulare
21. me...
grande la
diffido:
cuna speranza.
civiltà classica, cosi sap-
Romani. non posso nutrire
gloria dei
al-
266
Antologia della letteratura italiana
Le
« Istorie
La
fiorentine »
continuamente presente nelle pagine del Principe e dei Disuoi quadri e le sue figure, presentati dall’autore con intenso vigore drammatico, Tesempio e il fondamento d’ogni teoria politica. storia è
scorsi e offre
coi
Alla storia in se e per il
lui
Machiavelli
ogni
si
speranza
Nacquero
cosi
come organico racconto di vicende passate, quando ormai del tutto inaridita era in
se,
rivolse piu tardi,
d’azione
e
di
una breve operetta,
trasformazione
della
realtà
esistente.
Vita di Castruccio Castracani (1520) e le Istorie fiorentine^ scritte, a partire dal 1520, per incarico ufficiale assegnatogli dai Medici, e completate e presentate solennemente al papa Clemente la
VII nel 1525. L’opera comprende otto libri: il primo è una sorta d’introduzione generale, che tratta non solo gli avvenimenti fiorentini, ma anche quelli italiani, dal Medioevo al 1434, successivi l’interesse si sposta decisamente sulla storia di Firenze fino alla morte di Lorenzo de’ Medici (1492). Le Istorie nacquero con un vizio d’origlpc: quello di essere una storia ufficiale, commissionata dalla famiglia che deteneva saldamente il potere, mentre, per il Machiavelli, i tempi peggiori per Firenze erano stati proprio quelli
del
lento
instaurarsi
della
signoria
medicea, che aveva fiaccato lo ‘
sostanzialmente sano e vigoroso della primitiva libertà fiorentina. Tuttavia neppure qui egli rinunciò ad esprimere il suo pensiero, sia pure spirito
con limitazioni e cautele, mettendolo in bocca
agli oppositori dei Medici,
dato
che, secondo l’uso dei classici latini, inseriva nella narrazione degli eventi gli
immaginari
La
discorsi pronunciati dai protagonisti.
storiografia del Machiavelli
confronti di quella passata.
È
ha un carattere decisamente originale nei
lontana sia dall’andamento cronachistico di
quella medioevalc e dalla sua concezione provvidenzialistica, sia dalla funzione celebrativa, esornativa e squisitamente letteraria di quella umanistica.
Anche se il Nostro non approfondisce l’esame critico delle fonti c delle tes^ monianze e limita il suo interesse solo ai grandi fatti politici e militari, ha tuttavia le qualità fondamentali dello storico, « lo sguardo ampio e il dono di riconoscere i grandi nessi storici, e di inquadrare fatti singoli in uno sviluppo generale » (Fueter). A lui interessa penetrare e comprendere la
logica concatenazione
degli eventi,
scrutare
nel cuore dell’uomo,
protagonista della storia, anche se spesso soccombente
nell’urto
vero
dramma-
tico contro la fortuna.
Soprattutto, però, ritrova nelle vicende della storia la continua conferma
e testimonianza di quelle leggi universali su cui ha fondato la sua scienza
È questo un limite, matismo ncU’intcrpretazione
politica.
se
di
vogliamo, perché fatti
lo
e personaggi,
porta a
un
certo sche-
a ridurre certe figure,
come, ad esempio, quella di Teodorico, nelle linee del principe da lui vaghegE tuttavia qui è anche la forza dell’opera, il suo calore, il suo intimo potere di persuasione. Nei momenti di maggior passione ideologica ritroviamo, in questo libro scritto in uno stile più classicheggiante e compassato, il grande scrittore del Principe, il poeta che sa raffigurare drammaticamente giato.
uomini e
fatti.
,
Niccolò Machiavelli
Ne
267
un chiaro esempio il passo che riportiamo. Siamo al tempo del un popolano pronuncia un discorso vigoroso, spietato, compagni a continuare fino in fondo la loro rivolta. Questo perincitando sonaggio non è mai esistito, questo discorso non è mai stato pronunciato: è
tumulto dei Ciompi
:
i
eppure tutto è qui vero, vivo, l’angoscia e la disperata
dramma
Il
attuale. Il Machiavelli interpreta
brama
eterno della violenza che presiede
i
mirabilmente
una plebe oppressa,
di rivolta di
rivive
il
rapporti fra gli uomini.
tumulto dei Ciompi: discorso d’un rivoltoso Gli uomini plebei adunque, cosi quegli sottoposti
come
aggiugnendosi nero
per
alle altre,^ la
le
cagioni dette
paura per
trovavano.®
si
maggiore esperienza, per inanimire
e di
tenza
« Se
:
al
quale
ruberie fatte da loro,^ conven-
le arsioni e
di notte piu volte insieme discorrendo
*
l’uno all’altro ne’ pericoli
all’arte della lana
erano pieni di sdegno;
^
i
casi seguiti, e
Dove alcuno
mostrando
de’ piu arditi
parlò in questa sen-
gli altri
noi avessimo a deliberare ora se
®
avessero a pigliare
si
l’armi, ardere e rubare le case de’ cittadini, spogliare le chiese, io sarei
uno
di quelli che lo giudicherei partito
e forse approverei
Ciompi temevano, quietate e compomaggiori differenze (discordie), di essere puniti dei falli commessi da loro, e, come gli accade sempre, di essere abbandonati da coloro che al mal fare gli avevano Ora
Fior., Ili, 13.
Ist.
da pensarlo,®
i
ste le
1.
Gli uomini... altre: Erano la plebe co-
stituita dai lavoratori
manuali piu umili, che
non avevano avuto
il
istituire un:,
privilegio
o Arte,
ma
erano
sottoposti, a
una
delle Arti
tiva
sindacali, strato
dai
stati
Quando nascevano,
nori.
di
potere
propria organizzazione corporaassegnati,
anzi
maggiori o mivertenze
quindi,
venivano rappresentati dal Magia cui erano soggetti, cioè
dell’Arte
loro
stessi
padroni,
dai
quali,
dice
il
istigati (osserva,
impietosa il
ma
in queste parole,
la
logica
rigorosa e realistica del M.,
suo costante bisogno di cogliere il sapore, il significato attuale e perenne della
cioè
storia).
A
questa esigenza di difesa
si
ag-
giungeva l’odio contro i cittadini ricchi che li opprimevano. Di qui nacque il tentativo
M., non pareva loro fusse fatta quella giustizia che giudicavano si convenisse come è fin troppo naturale. Fra costoro, il maggior numero era costituito dai ciompi o cardatori, sottoposti all’Arte della lana, la maggiore industria fiorentina del tempo. I Ciompi capeggiarono il tumulto del 1378 che da loro
cui
prese il nome, tentando di risollevare le loro misere condizioni di vita, ma furono sconfitti dalla borghesia coalizzata. per le cagioni 2. per le cagioni dette:
quale se^c l’uso degli storici latini, tornato in onore nella storiografia umanistica e rinascimentale, di inframezzare alla nar-
esposte nel capitolo precedente (cfr. nota 3.
la
i).
paura... loro: vi erano stati in Firen-
dei
Ciompi
di fare la loro rivoluzione.
convennero: si radunarono. 5. mostrando... trovavano: ragionando sieme in quale pericolo si trovavano. uno. 6. alcuno 4.
in-
:
7.
parlò... sentenza:
senso
scorso
era
non
razione dei cità,
questo.
è del
fatti,
tenne un discorso
Naturalmente
popolano,
ma
del
il
M.
il
diil
per darle maggiore viva-
discorsi che lo storico
immaginava
te-
ze dei
nuti dai protagonisti.
usata dalla borghesia
8. che... pensarlo: che la giudicherebbero decisione da soppesare (pensare), meditare a lungo.
moti, capeggiati dalle Arti, contro le famiglie nobiliari coalizzate nel partito Guelfo, durante i quali la plebe era stata
come truppa
d’assalto.
268
Antologia della letteratura italiana
che fosse da preporre® una quieta povertà a uno pericoloso guadagno.'® perché Tarmi sono prese, e molti mali sono fatti, e* mi pare che
Ma
come quelle non si abbiano a lasciare, e come de* possiamo assicurare." Io credo certamente, che quando non c’insegnasse, che la 'necessità c’insegni. Voi vedete tutta que-
abbia a ragionare
si
mali commessi altri
sta
ci
piena di rammarichi e di odio contro di noi;
città
i
cittadini
si
sempre con i magistrati.'^ Crediate che si ordiscono lacci per noi,'® e nuove forze contra le teste nostre si apparecchiano. Noi dobbiamo pertanto cercare due cose, e avere nelle diliberazioni nostre due fini: l’uno di non potere essere delle cose, fatte da noi ne’ prossimi giorni, gastigati; l’altro di potere con piu liristringono,'^ la Signoria è
bertà e piu sodisfazione nostra, che per
me
pertanto, secondo che a
passato, vivere. Convienci
il
pare, a voler che
errori vecchi, farne de’ nuovi,
raddoppiando
i
siano perdonati gli
ci
mali, e Tarsioni e ru-
ed ingegnarsi a questo avere dimoiti compagni. Perché dove molti errano,'® niuno si gastiga: ed i falli piccoli si puniscono, i grandi e i gravi si premiano; e quando molti patiscono,
berie moltiplicando,
pochi cercano di vendicarsi; perché Tingiurie universali con piu pazienza che mali
ci
particolari
le
si
sopportano.
adunque
moltiplicare
Il
farà piu facilmente trovar perdono, e
ci
quelle cose, che per la libertà nostra d’avere desideriamo.
noi
andiamo
un
a
pedire sono
disuniti
Né
proverano;
'®
e
ricchi;
la
disunione loro pertanto
quando
tutti gli
13. la Signoria... magistrati:
per
le
violenze
commes-
mi
provvedimenti gue un periodo composto ma tutte calate nel vivo pensiero che si fa azione,
al
caratterizzato dall’impeto
tempo
stesso
passiona-
da un lucido rigore
12. si ristringono:
e
si
coalizzano.
ne’ prossinli... gastigati: in questi ul-
15.
timi giorni, puniti. '
Perché dove molti errano,
energica fatti
e
si
radunano
e
drammatica
dei
ecc.
:
Alla
presentazione
dei
da prendersi, sedi sole massime, della
situazione:
con una sorta
di
violenza lùcida e tragica. 17. a un certo acquisto: a una conquista sicura,
logico.
capi supre-
con gli altri magistrati per stabilire i provvedimenti da prendersi contro di noi. 14. Crediate... noi: siate pure convinti che si ordiscono inganni per avere ragione di
pagine più intense del Principe. Nel discorso del popolano sono molte massime che starebbero bene in quell’opera; c’è soprattutto, di essa, lo stile acuminato, tadelle
i
riuniti
noi.
e
la
man-
del potere esecutivo sono continuamente
Fin dalle prime, vibranti battute, il discorso delinca un’atmosfera drammatica, uno stato di necessità che costringe l’uomo a una disperata energia per sopravvivere t z entrare, necessitato, nel male. È l’ atmosfera se
le
darà
del sangue ch’ei ci rim16. uomini avendo avuto un medesimo prin-
da preporre: da preferire. pericoloso guadagno: la riuscita delrimprcsa è assai incerta e piena di pericoli. 11. come... assicurare: suU’opportunità di non deporre le armi e sul modo di assicu-
gliente,
ci
sbigottisca quella antichità
vi
perché
10.
l’impunità
parmi che
sieno diventate nostre, ce la
9.
rarci
E
certo acquisto,'^ perché quelli che ci potrebbero im-
vittoria, e le loro ricchezze,
terranno.
ne’
darà la via ad aver
a un’indubbia vittoria.
rimproverano: quella nobilrimproverano a noi la mancanza;
18. quella...
a consiglio tà
di cui
Niccolò Machiavelli
269
sono ugualmente antichi, e dalla natura sono
cipio
modo.
un
a
fatti
ed eglino delle nostre, noi senza dubbio nobili, ed eglino ignola povertà e le ricchezze ci disagguagliano.^*
vesti loro
parranno; perché solo
bili
Duoimi bene* che conscienza è
egli
se
stati
Spogliateci tutti ignudi, voi ci vederete simili; rivestite noi delle
come molti
sento
io
pentono, e dalle nuove
si
non
voi
vero,
siete
quelli
voi delle cose fatte
di
vogliono astenere.
si
uomini che
E
per
certamente,
credeva che voi
io
perché né conscienza né infamia vi debbe sbigottire; * perché co-
foste,
qualunque modo vincano, mai non ne riportano non dobbiamo tener conto; perché noi, la paura della fame e delle carceri, non può
loro che vincono,, in
vergogna.*
E
della conscienza noi
dove è, come è in né debbe quella dell’inferno capere.^ Ma se voi noterete il modo del procedere degli uomini, vedrete tutti quelli, che a ricchezze grandi ed a gran potenza pervengono, o con frode o con forze esservi pervenuti :
e quelle cose dipoi, che eglino
hanno o con inganno o con violenza
usurpate, per celare la bruttezza dell’acquisto, quello sotto falso titolo
guadagno adonestano.*
di
E
quelli
quali o per poca prudenza o per
i
troppa sciocchezza fuggono questi modi, nella servitù sempre e nella povertà affogano; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; * né mai escono di servitù se non gl’infe-
ed audaci c di povertà se non
deli
fatto,
il
noi
cioè,
stessi
che
considerare perché siamo
facciano
ci
inferiori
loro
a
plebe. 19. perche...
disagguagliano: L’affermazio-
ha una potente carica rivoluzionaria; sembra di udire un agitatore politico di tempi ben piu recenti. Del resto, in altre pagine del M. si avverte questa sua posizione estremamente polemica contro la nobiltà feudale, che è naturalmente nemica, a suo avviso, di ogni ordinato vivere civile, in quanto fonda la ne,
recisa e perentoria,
sua
esistenza
sul
privilegio
e
sull’oppres-
rendono diversi. Di questo veramente
sione. ci disagguagliano: ci
20.
Duoimi bene:
mi dolgo
per conscienza:
21.
tere
ecc.
per rimorso di carat-
puramente moralistico. sbigottire;
sbigottire
tente, di intenso colorito tragico.
ve questo discorso,
penetra
psicologia di sofferenza,
disperazione
a
Il
M.
vi-
fondo nella
miseria, ribelliont.
ma
tico,
popolo:
quel
di
perché Dio
:
dclLanimo umano
fondono
indissolubilmente.
quelle
secoli,
e
A
hanno
parole
rivoluzionaria
carica
qui
l’indagatore
soprattutto
realistico
sociale,
poli-
il
acuto
l’artista,
distanza
e si
di
un’immutata che però non
trova riscontro nella linea del pensiero politico
ma
del
M.
resta
:
una
non
capere:
si
svolge in una teoria,
potente
gica, di moralista,
non
intuizione
psicolo-
non può...
di politico,
non può né deve aver luogo. quando
25. c quelle... adonestano:
si
so-
no impadroniti della ricchezza o del potere mediante la violenza o la frode chiamano la
loro conquista violenu,
c
abbellirla
essa «
non dovete lada scrupoli di carattere morale, né dal timore di attirare su di voi un giudizio infamante. 23. perché... vergogna; la massima sembra tratta delle pagine del Principe. Altra affermazione po24. E... capere; 22. perche...
sciarvi
rapaci e fraudolenti
i
ogni
guadagno
{adonestano),
infamia,
per legittimarla
per
togliere
da
nome
di
coll’indebito
».
i servi che si mantenrimangono sempre servi, gli uomini buoni sono sempre poveri. Affermazioni come queste non erano rigorosamente ne-
26.
gono
i
fedeli... poveri:
fedeli
cessarie per chiarire la vicenda.
Vi sentiamo
la qualcosa di intimamente autobiografico sofferenza morale del M. di fronte alla dura ;
e implacabile legge del vivere, un sentimento tragico della realtà effettuale, che discorda dalle aspirazioni intime del suo animo, an
Antologia della letteratura italiana
270
ha poste
c la natura
tutte le fortune degli
uomini loro
in
mezzo, ^ le buone
quali piu alle rapine che all’industria, “ ed alle cattive che alle arti
e
sono esposte. Di qui nasce che
vanne sempre
quando
forza offerta
gli
uomini mangiano l’uno la
i
cittadini
magistrati sbigottiti; talmente che
i
disuniti,
la
possono, avanti
si
uniscano, e fermino l’animo,^^ facilmente opprimere.
si
rimarremo al tutto che non solamente gli noi
la
quale non può a noi essere
fortuna maggiore,^ sendo ancora
dalla
l’altro,
peggio chi può rneno.^ Debbesi adunque usare
n’è data occasione;
ce
Signoria dubbia,
che
col
Donde o
avremo tanta parte,^ perdonati, ma avremo
principi della città, o ne errori
passati
ci
sieno
nuove ingiurie minacciare. Io confesso questo partito essere audace e pericoloso; ma dove la necessità strigne, è l’audacia giudicata prudenza, e del pericolo nelle cose grandi gli uomini animosi non tennono mai conto. Perché sempre quelle imprese, che con pericolo si cominciano, si finiscono con premio e di un pericolo mai si uscì senza pericolo ancora che io creda, dove si vegga apparecchiare le carceri, i tormenti e le morti, che sia da temere piu lo starsi che’ cercare d’assicurarsene; ^ perché nel primo i mali sono certi, e nell’altro dubbi. Quante volte ho io udito dolervi dell’avarizia de’ vostri superiori e della ingiustizia de’ vostri magistrati ^ Ora è tempo non autorità di potergli di
:
solamente di liberarsi da
loro,
ma
da diventare in tanto loro superiori,
che eglino abbiano piu a dolersi ed a temere di L’opportunità che dall’occasione ella è fuggita,
si
ci
cerca poi di ripigliarla.
che se egli l’accetta virilmente, con energia e dolente chiaroveggenza, come una necessità implacabile. 27. loro in
loro sta
r
mezzo:
in
mezzo
a loro; e a
afferrarle.
28. che
all’
industria
:
che
all’
operosità
onesta. 29. e vanne...
sempre
la
e chi è piu
debole ha
peggio.
30. la quale...
ne non potrebbe dalla fortuna di
È
meno:
maggiore:
la
quale occasio-
esserci offerta piu propizia
quanto non ce
la offra ora.
richiamo, cosi evidente nel Principe, a sapere cogliere l’occasione che la fortuna il
(che qui è
è pòrta, vola;
che voi di loro.
voi,
ed invano, quando
Voi vedete
le
preparazioni
che a prescindere dalle considerazioni esposte. 34. che... assicurarsene: che sia fonte di piu gravi pericoli lo starsene inerti che il cercare di difendersi, di salvarsi con ogni mezzo; nel primo caso, infatti, i mali che si temono sono certi, nel secondo dubbi (si può, cioè, sperare di evitarli). 35. Quante... magistrati: Quante volte vi ho sentito lamentarvi per 1’ avidità dei vostri datori di lavoro e per l’ingiustizia di quei magistrati che avrebbero dovuto proteggervi e non lo facevano! (cfr. nota i). È r unico, e rapidissimo, accenno ai motivi
concreti della rivolta.
tende cogliere
Ma
il
M.
storico in-
trama ideale dei
insieme delle circostanze) offre, a piegarla con la virtù alle proprie esigenze. Per il M., è meglio fare *e pentirsi che non fare e pentirsi. 31. e fermino l’animo: si rincuorino e
che abbiamo messi prima in rilievo, si può dire che in questo passo l’interesse dell’auto-
prendano provvedimenti decisi. 32. ne avremo... parte: acquisteremo una
re
forza politica cosi grande. 33. ancora che: sebbene; nel senso di: an-
ne contro
l’
la
fatti,
loro significato universale e perenne.
il
Nono-
stante certi acuti spunti psicologici e sociali,
re sia rivolto soprattutto al
umano,
al
dramma
dell’agi-
contrasto fra necessità e virtù.
36. le preparazioni di voi.
:
i
preparativi che fan-
Niccolò Machiavelli
271
vostri avversari. Preoccupiamo i pensieri loro,” e qual di noi ” prima ripiglierà Tarmi, sanza dubbio sarà vincitore con rovina del nemico e con esaltazione sua: donde a molti di noi ne risulterà onore, e sicurtà a tutti ». Queste persuasioni accesero forte i già per loro medesimi riscaldati animi al male;” tanto che diliberarono prendere le armi poiché eglino avessero tirati più compagni alla voglia loro.^ E con giuramento si obbligarono di soccorrersi, quando accadesse che alcuno
de’
di loro fusse dai magistrati oppresso.^^
Le
« Lettere »
L’epistolario del Machiavelli è forse
umano
più vario, colorito,
il
Cinquecento, e artisticamente uno dei più belli. Comprende 74 miliariy dirette agli amici (soprattutto numerose e interessanti
del
lettere fa-
quelle
a
Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini), che, unite a quelle dei corrispondenti, costituiscono un dialogo fresco e vivacissimo, illuminato da una limpida intelligenza. Gli argomenti sono svariati: politica, teorica e pratica, sioni.
racconti
scherzi,
Cosi
li
di
all’amico Vettori
:
«
Chi vedesse
desse la diversità di quelle,
ora che noi fossimo petti, nostri
avventure
indica l’autore, in
non
si
uomini
amorose,
una pagina
sfoghi
confes-
crucciosi,
una
briosa, nel corso di
lettera
nostre lettere, onorando compare, e ve-
le
maraviglierebbe
gravi,
volti
tutti
assai,
perché
a cose
potesse cascare alcun pensiero che
gli
parrebbe
grandi, e che
non avesse
nei
in sé onestà
e grandezza. Però di poi, voltando carta, gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, lascivi, volti a cose vane.
qualcuno pare
sia
vituperoso, a
me
Questo
modo
di
procedere, se a
par laudabile, perché noi imitiamo
natura che è varia, e chi imita quella non può essere ripreso
la
».
Soprattutto l’ultima proposizione ci dà il tono d’intimità cordiale, di serena accettazione della realtà della vita che è proprio di molte lettere machiavelliane, nelle quali, poi, sentiamo spesso la vis comica e Tumorismo 41.
che ritroviamo nell’autore della novella Belfagor o della Mandragola (sebbene, nella commedia, la comicità sfumi in una lucida, desolata amarezza). Ma anche in questi scherzi avvertiamo la grandezza dello scrittore, il suo gusto per l’espressione pregnante, pittoresca, incisiva, il suo bisogno di concretezza, la sua intelligenza alacre e desta.
37.
Preoccupiamo... loro:
preveniamo
le
loro deliberazioni. 38. qual di noi: chi, fra noi e loro.
male: pronti a ripren-
39. riscaldati... al
dere le violenze e 40. poiché...
i
saccheggi.
loro:
per avere,
tumulto, pid compagni e alleati mostra veramente deciso e si riesce a trarre maggior moltitudine
iniziato
il
(perché
chi
forte,
dalla sua parte). fusse...
una volta
dalla Signoria.
oppresso:
fosse
imprigionato
Antologia della letteratura italiana
2?2
La
lettera al Vettori del
io dicembre 1513
C’è tutto Machiavelli in questa lettera: 1’ uomo, il politico, l’artista, si che può ben costituire la migliore introduzione non solo alla lettura del Principe
essa
composizione del quale dà l’annuncio)
(della
ma
di tutta la sua opera. Eviden-
tissima è qui quell’alacrità di spirito che contraddistingue ogni scritto del Nostro, l’acutezza agile dello sguardo e della parola, la capacità di cogliere se stesso,
uno
immagini pregnanti, limpida di un intelletto aristocratico. Vi sentiamo soprattutto un’energia sempre mobile e pronta dell’anima, un impegno rotale davanti a ogni aspetto, dal più umile al più alto, della vita: quell’osservazione realistica di uomini e cose, che, insieme con la gli
le
altri,
cose
in
in rappresentazioni
scorcio
rapido e vivacissimo, in
in cui al vigore popolaresco è unita la forza
continua meditazione degli antichi, costituisce la linfa vitale del pensiero e della poesia del Machiavelli.
A
preme soffermarci soprattutto su di un’ immagine quella dell’ autore immerso nel suo colloquio con gli antichi, dimentico della povertà, degli affanni, della morte. Nel tessuto conversevole e arguto della lettera, queste parole si stagliano nette, altissime, pervase di una tonalità quasi religiosa, che le rende uno dei documenti più grandi dello spirito e della civiltà rinascinoi
:
nel suo studio,
mentali.
Il
Machiavelli esprime qui
come dialogo cora
ci
la
vera essenza degli studia humanitatis^ intesi
vivo, attuale con gli antichi, con quegli spiriti nobilissimi che an-
parlano dai loro
libri;
un dialogo
nel quale
l’
uomo
acquista consapevo-
lezza piena della sua umanità più autentica.
Magnifico ambasciadorc.^ Tarde non furon mai grazie divine.^ Dico mi pareva aver perduta no, ma smarrita la grazia vostra,^ sendo stato voi assai tempo senza scrivermi; ed ero dubbio donde
questo, perché
potessi
nascere la cagione.
E
di
di quella
mi venivono
che
quelle
tutte
mente tenevo poco conto, salvo che
quando
nella
io dubitavo
non
da scrivermi, perché vi fussi suto scritto che io non buono massaio delle vostre lettere; ^ et io sapevo che, da Filippo e
vi avessi ritirato
fussi
1.
tori
Magnifico ambasciadorc Francesco Vetera ambasciatore fiorentino a Roma, :
presso dici in
il
pontefice.
Dopo
Firenze (1512),
il
ritorno dei
Me-
aveva conserapparentemente re-
la città
qual
portante dorè ».
è
il
«
3. perduta... vostra:
magnifico
temevo
perduto irrevocabilmente,
ambascia-
di avere
ma almeno
non tem-
poraneamente
vato una costituzione pubblicana, ma, nel 1513, era in realtà sotto il dominio di Giuliano de’ Medici, fra-
smarrito il vostro favore e benevolenza. Continua anche in questo periodo il tono di solennità scher-
papa Leone X. Un ambasciatore Roma era quindi superfluo, ma veniva mantenuto per salvare le apparenze.
zosa.
tello
del
la
4. salvo... lettere:
fiorentino a
2.
Tarde... divine:
ricevuto
Il
M.
è lieto di avere
finalmente una lettera dall’amico,
dopo un lungo silenzio; e glielo dice con un tono di solennità scherzosa, adattando liberamente un verso dei Trionfi del Petrarca {Ma tarde non fur mai grazie divine). Il senso è: le grazie divine, in qualunque momento giungano, non giungono mai troppo tardi; come la lettera di una persona im-
vostra
una
sola, fra le cagioni
venivano in mente, gli sembrava di un certo peso: che il Vettori, cioè, possibili
si
fosse
che
gli
trattenuto (ritirato) dallo
scrivergli
perché gli fosse stato (suto = essuto è antico participio del verbo essere) riferito che il M. non era vigile custode e amministratore
(massaio) delle
sue
lettere.
In
esse
il
formulava giudizi sui Medici e sulla situazione politica con una certa libertà; perciò non dovevano capitare in mani indiV’ettori
Niccolò Macchiavelìi
Pagolo in fuora,
273
mio conto non
per
altri
Honne
l’aveva viste.®
riauto
per l’ultima vostra de’ 23 del passato,® dove"^ io resto contentissimo vedere quanto ordinatamente e quietamente voi esercitate cotesto o£fizio publico;
commodi
e io vi conforto a seguire cosi,
*
per
li
è saputo grado.®
pili fatica,
poiché
la
fortuna
sia
mia;
e se voi giudicate
uccellato
ad accozzarli
data
venti di a Firenze.
Ho
infino a qui
di mia mano.^® Levàvomi innanzi di, impaniavo, con un fascio di gabbie addosso, che parevo el Geta ”
oltre
1’
tutti,
tordi
a’
andàvone
non
e poi che seguirno quelli miei ultimi casi,^^
sto in villa;
stato,
scrcte,
sia la vita
a barattarla con la vostra, io sarò contento mutarla.
mi
Io
sono
perché chi lascia e sua
perde e sua, e di quelli non li vuol fare ogni cosa, ella si vuol
posso per tanto, volendovi rendere pari grazie, dirvi in
questa mia lettera altro che qual
che
sol
non le dare briga, e aspettar tempo che qualche cosa agli uomini; e allora starà bene a voi durare vegghiare più le cose, e a me partirmi di villa e dire: ec-
Non
comi.
E
d’altri,
stare quieto e
lasciarla fare, la lasci fare
commodi
atmosfera di sospetto e
11. ella...
diffi-
denza che circondava il nuovo governo. 5. da Filippo... viste; eccettuati Filippo Casavecchia, comune amico, e Paolo Vettori, fratello di Francesco, nessun altro le aveva viste, almeno per opera del M. Honne... passato: Ne ho finalmente 6. ricevuto una quella che mi avete scritto il 23 novembre. 7. dove; leggendo la quale. 8. resto... publico: sono contentissimo di :
e
essa t
eccomi:
si
aspettare che giunga
voi esercitare
starà a
fare,
lasciarla
momento
fare qualcosa anche agli
lasci
allora
deve il
in
cui
uomini
:
vostro uf-
il
ambasciatore con impegno maggiore, meglio sugli eventi, e starà a me
ficio di
e vegliare
venirmene via dalla campagna e dire: - eccomi - cioè offrire di nuovo la mia opera a Firenze. 12.
Il
Vettori ha raccontato al
fosse la sua vita a
Roma;
M. qual
questi, per ricam-
biarlo in modo adeguato, si appresta a raccontargli quella che lui trascorre nel ritiro -
vedere come voi esercitiate la vostra carica di ambasciatore senza darvi troppo da fare. L’allusione è scherzosa: il Vettori, nella sua lettera, aveva descritto il suo ufficio come un vero ozio (cfr. la nota i). 9. e io... grado: io vi esorto a seguitare ad agire cosi, perché chi rinuncia ai propri comodi per far quelli degli altri, perde i propri, e non riscuote alcuna riconoscenza per i servizi resi. Lo scherzo cede decisamente il posto all’amarezza, che erompe, subito dopo, in quell’accusa appassionata alla
connivente con la congiura di Agostino Capponi e Pier Paolo Boscolo contro i Medici, seguirne: accaddero. 15. ad accozzarli tutti; a unirli tutti in-
fortuna.
sieme.
10.
la
La fortuna
fortuna:
stantemente,
negli
come
l’antagonista
agire
dell’
cap.
XXV
del
significato di
del
identifica
con
con
la
il
a
16.
ciato
e
costruttivo
commento
al
ben guardare
stessa sconfitta del
M.
c
condizioni politiche dei tempi, nei quali trionfa chi non dovrebbe. le
tristi
14. quelli... casi: la prigionia e la tortura dal M. perché sospettato di essere
subita
Machiavelli,
Qui ha piuttosto
ma
13.
all’Albergaccio.
presenta co-
sorte contro la quale per
ora è vano combattere; s’
libero
(cfr.
Principe).
mala
del
scritti
individuo
si
San Casciano. Una vita, aggiunge ben più squallida e deprimente. in villa: in campagna, nella sua villa di
esilio
subito,
Ho i
uccellato...
mano: Finora ho
tordi senza aiuto di alcuno.
gnava intridere
le
mazze con
la
cac-
« Biso-
pania, una
sostanza appiccicaticela formata in gran parte di vischio;
bisognava accomodare
le
maz-
ze in modo tale che esse formassero una sorta di gabbie. Poi, col gran carico appiccicoso delle gabbie, portarsi sul luogo della caccia »
(Gianni). 17.
che parevo
cl
Geta: Allude a una no-
E
274
Antologia della letteratura italiana
quando
meno
tornava dal porto con e
c*
dua,
piu
el
E
sei tordi.
Anfitrione;
di
libri
cosi stetti tutto settembre.
pigliavo cl
Di
mia
e quale la vita
cere:
mi
Io
poi questo
mio
badalucco, ancora che dispettoso e strano, è mancato con
dispia-
vi dirò.^®
lievo la mattina con
vommene
sole, e
el
in
un mio bosco ®
che io fo tagliare, dove sto dua ore a rivedere l’opera del giorno pas-
tempo con quegli
sato e a passar
mane o
sciagura alle
fra loro
VI arei a dire mille belle cose
da Panzano spezie
con
e
mandò
o
che hanno sempre qualche
tagliatori,
cq’
circa questo bosco io
vicini.
che mi sono intervenute, e con Prosino
E
Prosino in
e al
pagamento,
che voleano di queste legne.
altri
per certe cataste senza dirmi nulla;
“
rattenere ^ dieci lire, che dice aveva avere da me quattro anni sono, che mi vinse a cricca in casa Antonio Guicciardini.^ Io co-
mi voleva
minciai a fare
diavolo: volevo accusare
el
per esse,^ per ladro. e
Tandem ^ Giovanni
vetturale, che vi era ito
il
Machiavelli v’entrò di mezzo,
Tommaso
pose d’accordo. Batista Guicciardini, Pilippo Ginori,
ci
Bene e
del
certi
altri
cittadini,
quando
quella
tramontana
soffiava,
ognuno me ne prese una catasta. Io promessi a tutti; e manda’ne una a Tommaso, la quale tornò in Pirenze per metà, perché a rizzarla vi era lui, la moglie, la fante, e figliuoli, che parèno el Gabburra quando el giovedì con quelli suoi garzoni bastona un bue.^ Di modo che, veduto in chi era guadagno,^ ho detto agli altri che io non ho più le-
vella in ottave, Geta e Birria, popolare ai suoi tempi; in una scena di questa, Anfitrione, reduce degli studi compiuti ad Atene, manda lo schiavo Geta, carico di un gran numero di libri, ad annunciare alla moglie il suo arriva imminente. Noterai, proseguendo nella
lettura di toni
mono vita virile
della lettera, un continuo alternarsi comici e autocaricaturali che esprilo sforzo del M. di guardare alla sua
—
grama,
con saggezza
superiore
—
con
altri
e serenamente amari e grotte-
schi e altri seri e appassionati.
da cui ricava legna da ardere. 21. qualche... vicini: qualche corso fra loro o coi vicini.
Di poi... dispiacere: Poi, questo passatempo mi è venuto meno, e con mio di-
Prosino...
mandò
il
26.
vetturale che era andato a prenderle.
Tandem:
finalmente.
bue:
27. tornò...
ché tutta
e
ve
lo
nervosa,
squallida,
segue
e qual sia ora la
All’espressione il
intessuta
racconto di
di
mia
scattante
una
occupazioni
vita
banali,
di vuoto e d’angustia, svolto in pagine ener-
giche e incisive. 20. in
un mio bosco:
tasta
in
a
Pirenze,
ri-
catasta per-
famiglia spilorcia rizzò la cache fosse stretta e pigiata e
modo
metà di quel che era. È la batda ogni parte, come il macellaio Gabburra quando uccide i buoi a bastonate, apparisse la
coll’aiuto dei garzoni, ogni giovedì.
un bosco ceduo
Osser-
va anche qu’ l’agile gusto comico-caricaturale del
M.
28. veduto...
tivamente in
la
giunta
una mezza
tevano
simili banalità.
dirò.
numero
25. volevo... esse: volevo accusare di fur-
tano dalle mie abitudini di occupazioni ben piu serie. Lo chiama dispettoso, perché congiunto al rovello di dovere trascor19. e quale... dirò:
particolare.
certo
Guicciardini.
sultò essere soltanto
vita,
un
legna senza avvertirmi. 23. al pagamento... rattcncrc: al momento di pagare mi voleva trattenere. 24. in casa... Guicciardini: in casa di A.
spiacere benché esso fosse strano, cioè lon-
rere la sua vita in
In
nulla:
a prendere
in
d» cataste di
to
18.
E
22.
Prosino
litigio
clienti!).
ci
guadagno: veduto chi guadagnava (non io,
effet-
ma
i
Niccolò Macchiaveìli
gnc; e
275
ne hanno fatto capo grosso, et in spezie Batista, che contra l’altre sciagure di Prato.^
tutti
numera questa
me ne vo a una fonte, e di quivi in un mio un libro sotto,^^ o Dante o Petrarca, o un di questi poeti minori,^ come Tibullo, Ovidio e simili leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori; ricordomi de’ mia; godomi un pezzo Partitomi del bosco, io
Ho
uccellare.^
:
in questo pensiero.^^ Transferiscomi poi
dimando
parlo con quelli che passono,
tendo varie cose, e noto
mangio
la
strada,
nuove
nell’osteria
Viene
mia brigata^ mi paululo patrimonio com-
dove con
di quelli cibi che questa povera villa e
porta.^ Mangiato che ho, ritorno nell’osteria
;
de’ paesi loro, in-
varii gusti e diverse fantasie d’uomini.^^
questo mentre l’ora del desinare,
in
in su
delle
:
la
quivi è
per
l’oste,
l’or-
un beccaio, un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m’ingaglioffo ^ per tuttf) di, giuocando a cricca, trecchetrac, e poi dove “ dinario,
nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; e il piu delle si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gri-
volte
dare da San Casciano. Cosi, il
cervello
rinvolto in
tra
traggo
pidocchi,
questi
muffa, e sfogo questa malignità di questa mia
di
sendo contento mi calpesti per questa
per vedere se
via,
la
sorta,
ne ver-
se
gognassi.^®
c tutti... Prato: tutti se ne sono avuti male, soprattutto Battista Guicciardini, che annovera questa fra le altre sciagure di Prato. Era costui podestà di questa città quand’essa, nel 1512, fu saccheggiata con ferocia inaudita delle truppe spagnuole, incaricate di stroncare la resistenza della Repubblica Fiorentina e di ricondurre i Me29.
a
in cui è condensata
boschetto
uccelliera,
da
caccia.
con
la
mia
fa-
mi mangio... comporta: mangio quei che questa mia povera campagna e il mio patrimonio assai modesto mi permettono. 36.
cibi
gica
m’ e
ingaglioffo;
vigorosa,
L’espressione è ener-
una
di
quelle
in
cui
più
amarezza del M. potentemente esplode Vuol dire che diventa un gaglioffo come loro, immergendosi del tutto nella banalità di quei giuochi {cricca è un giuoco di carte, tric-trac, uno di pedine o di dadi), come ’
1
31. sotto:
sotto
il
braccio.
minori: li considera tali ridue nominati prima. Sono poeti
32. un...
spetto
ai
latini.
pensiero: Finalmente la poedona un momento di dolce oblio: la lettura delle amorose passioni descritte da quei poeti gli fa ritornare alla mente le sue, lo immerge in un sereno fantasticare. 34. e noto... uomini: e noto le varie inleggo...
33.
sia gli
doli,
anche quella ap-
miglia.
37.
uccellare:
secolare saggezza,
parentemente piu umile. 35. con la mia brigata:
dici in Firenze.
30.
una
e la realtà viva e presente,
le
diverse
passioni
e
bizzarrie
degli
più degne. dove: e da quei giuochi poi. 39. Cosi... pidocchi, ecc.; Cosi, completamente immerso in queste volgarità e fra questi uomini volgari, impedisco al mio cervello d’ammuffire e lascio che si sfoghi del tutto questo mio destino malvagio, so-
non
se
esistessero occupazioni
38. e poi
mi calpesti cosi, per almeno vergognarAll’amarezza desolata si accompagna
uomini. In queste conversazioni casuali si rivela quel gusto dell’ indagine psicologica proprio del M., intimamente connesso col suo studio delle leggi che regolano l’agire politico. Osserva che egli, come ogni au-
za
tentico
studia. con-
Le ultime parole sono uno
piu
sta,
scienziato
temporaneamente
e
scopritore,
i
libri
(vedi
avanti)
no, anzi, contento che vedere se infine possa sene.
un senso violento di
di ribellione, testimonian-
una energia mai
avvilita
e
scatto di
di sfida contro la fortuna.
spenta. prote-
276
Antologia della letteratura italiana
Venula
sera,^ mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto,
la
in su l’uscio
c mi metto panni
e curiali;
reali
nelle antique corti delli antiqui
“
e rivestito
condccentemente, entro
dove, da loro ricevuto amo-
uomini,
revolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, c che io nacqui
^
non mi vergogno parlare con loro e domandargli E quelli per loro umanità^ mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.^”^ E, perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso,^ io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale,^® e composto uno opuscolo De principatibus', “ dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto,®^ disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e' si acquistono, come e* si mantengono perché e* si perdono. E se vi piacque mai alcuno mio ghiribizzo,^ questo non vi doverrebbe dispiacere; e a un principe, e massime a un principe nuovo,^ doverrebbe per lui,^ dove
io
della ragione delle loro azioni.
,
40. Venuta la sera, ecc.: È il passo piu meritamente famoso della lettera: di là dall’avvilente vita quotidiana, dall’ impeto im-
placabile
nobiltà
fortuna,
della e
attraverso
dignità il
dello
il
M,
riafferma la
spirito.
La
ritrova
colloquio coi classici, con quei
grandi che nelle loro opere hanno espresso l’essenza vera dell’ uomo. Questa pagina è la celebrazione piu elevata degli studi umanistici, che il nostro Rinascimento abbia saputo esprimere. Ed è tanto più bella, in quanto erompe, improvvisa e altissima, con un tono quasi religioso, dopo la descrizione dell’ umiliazione, dell’ ingaglioffarsi. Anche lo stile muta: alla vivacità rapida e incisiva del periodo precedente, succede un periodare dalle volute ampie e solenni, innalzato dai frequenti latinismi, e tuttavia anch’esso appassionato, vivido, intenso. 41.
nel
mio
42.
mi
spoglio...
ste
scrittoio:
nel
cariali:
mio si
forma più eletta indossa vesti degne di una corte. Libera, cioè,
neggiante) e indossate in spirito
vare
la
e lati-
essere il
suo
miserie quotidiane, per ritropropria integra e nobile essenza di
dalle
uomo. 43. entro...
tura della e
uomini: S’immerge nella
stori.!
commentava
Livio),
la
amorevolmente cono parole di
let-
gloriosa del passato (leggeva soprattutto la storia di Tito
E gli antichi lo ricevono nd senso che ancora gli di-
rivive.
vita.
il
tenso.
Il
cibo
è
lo
studio della
politica
e
delle sue leggi.
dove: nelle quali corti. loro umanità: per loro cortesia. 47. tutto... in loro: mi immergo completamente in loro. In quest’ ultima frase culmina il crescendo appassionato delle quattro precedenti: ogni angoscia dell’ esistenza è 45.
46. per
superata dal senso di una vita spirituale tissima, che vince la
non
48.
fa...
morte
inteso:
e
Non
il
al-
destino.
basta compren-
ma
bisogna assimilare, ritenere ciò che si è appreso, se si vuol giungere a una conoscenza vera. Il verso è nel Paradiso
dere,
(V, 42).
studio.
toglie la ve-
quotidiana, piena di fango {loto signifi-
ca la stessa cosa, in
che solum... per lui: che solo è mio quale io nacqui. La frase, nella quale all’espressione latina si mescola un’ improvvisa inversione sintattica di schietto sapore popolaresco, ha un tono energico e in44.
e per
49. io...
quello
che
capitale:
ho
ho annotato, ho
imparato
scritto
conversando
con
loro.
una 50. un opuscolo De principatibus breve opera, il Principe. Il titolo originario era quello latino (= Dei principati). 51. mi profondo... subietto: mi addentro quanto posso nella riflessione su questo argomento, cioè sui problemi dello stato. 52. ghiribizzo: fantasia, invenzione bizzarra. È espressione di modestia. 53. c massime... nuovo: e soprattutto a uno che abbia appena fondato il proprio dominio politico (è il contrario di sovrano :
Niccolò Macchiatjcìli
accetto;
essere
277
però io lo indirizzo
Magnificenzia di Giuliano.®^
alla
Filippo Casavecchia l’ha visto; vi potrà ragguagliare in parte e della cosa in sé e de’ ragionamenti ho auto seco, ancora che tutta volta io l’ingrasso e ripulisco.^
Voi
magnifico ambasciadore, che io
vorresti,
con voi
e venissi a godere®®
quello che
mi
quali
e
Dubiterei che
loro.
mie faccende, che
Quello che mi fa stare dubbio®®
l’arò fatte.
Soderini,®®
tenta ora®^ è certe
questa vita
modo; ma
è,
fra sei settimane
che sono
costi
quelli
venendo costi, visitarli e parlar tornata mia io non credessi scavalcare a casa, forzato,
sarei
io
lasciassi
Io lo farò in ogni
la vostra.
alla
e scavalcassi nel Bargiello;®® perché, ancora che questo stato abbia gran-
dissimi fondamenti e gran securtà, sospettoso;®^ né vi
manca
metterebbono
Bertini,
tamen
è nuovo, e per questo
che, per parere
saccenti,
de’
a scotto, e lascierebbono
altri
el
Pregovi mi solviaté questa paura, e poi verrò infra
come Bagolo
pensiero a me.®^
el
tempo
detto a
trovarvi a ogni modo.®®
mio
Io ho ragionato con Filippo di questo
darlo o non lo dare tassi
o che
io
da Giuliano
ve
e’
sendo ben darlo,
c,
lo mandassi.®*
non
non
fussi,
54.
uno
Medici,
perciò.
figlio
nel
di
Lorenzo
il
abbattuto
la
nuovo. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1516, il Principe fu dedicato a Lorenzo de’ Medici, duca d’ Urbino e nipote di Giuliano. ancora che... ripulisco; sebbene di 55. continuo io lo arricchisca e lo corregga. 56. e venissi voi,
a
a godere,
ecc.
:
cioè venissi
Roma.
polizia.
Non
vorrebbe,
ancora
61.
che...
sospettoso:
sebbene
il
dominio mediceo abbia gran fondamenti e sia ben saldo, è tuttavia (tamen) dominio nuovo e per questo pieno di sospetti. 62. né vi manca... me: La frase ha un tono volutamente oscuro e allusivo. Il significato più probabile è: Non mancano qui degli zelanti, come Paolo Bertini, che per farsi belli agli occhi dei nuovi padroni (per parere) metterebbero qualcuno a pensione
mi
,
trat-
a
me
pensiero di tirarmi fuori dai guai. modo: Liberatemi, vi prego,
il
63. Pregovi...
tiene.
che...
dubbio: che mi fa essere dub-
bioso ed esitante. 59. quelli
Sodcrini:
e io, entro il tempo che ho detto, cioè sci settimane, verrò sicuramente a trovarvi. 64. se... mandassi; se era bene offrirlo o non offrirlo a Giuliano, e, nel primo caso,
da questo timore,
vi
A Roma
Soderini, già gonfaloniere (noi
erano Pier
diremmo
pre-
sidente) della Repubblica Fiorentina e la sua
Erano naturalmente sorvegliatisMedici, i quali non vedevano di buon occhio i contatti fra loro e altri Fiorentini. Il M., che del Sodcrini era stato amico famiglia.
se era
simi
o
c
della
(mi farebbero incarcerare) e lascercbbero poi
57. quello... ora: quello che ora
58.
sba-
essere imprigionato.
cioè,
Magnifico, era
sere considerato principe
con
no a Firenze non vorrei smontare, per
glio, invece che a casa mia, nel palazzo del
comandante
Giuliano: Giuliano de’
1512 in Firenze dopo avere Repubblica, c poteva quindi es-
rientrato
io lo por-
ch’altro, letto, e che questo Ardinghelli
stato solido c forte.
però;
bene che
El non lo dare mi faceva dubitare che
ereditario). L’operrtta è infatti volta a incoraggiore un principe nuovo a costituire in Italia
opuscolo, se gli era bene
se gli era
dai
collaboratore fedele,
non avrebbe potuto
esimersi dall’andarli a visitare, c questo atto avrebbe certo causato molti sospetti.
60. alla tornata... Bargicllo: al
mio
ritor-
bene che
lo
portassi io direttamente
lo inviassi per interposta persona.
può
Suscita
interpretazione di quel ve che significare a voi o costi, a Roma. Forse
difficoltà
la
M. pensava di affidarlo al Vettori, che lo desse a Filippo Ardinghelli, segretario del papa, il quale avrebbe poi deciso se darlo il
o
meno
a Giuliano.
Antologia della letteratura italiana
278
onore di questa ultima mia fatica.®® E1 darlo mi faceva la mi caccia, perché io mi logoro, e lungo tempo non posso
facessi
si
necessità che star COSI
che io non diventi per povertà contennendo,®® appresso
de-
al
Medici mi cominciassino adoperare,
siderio arei che questi signori
dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso;
se
perché, se poi io
®^
non me gli guadagnassi, io mi dorrei di me; ®® e per questa cosa,®® quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni"^® che io sono stato a studio all’arte dello stato,*^^ non gli ho né dormiti né giuncati; e doverrebbe ciascheduno aver caro servirsi di uno che alle spese d’altri fussi pieno di esperienza."^ E della fede mia"” non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni, che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio
povertà
la
mia."^^
adunque che questa materia"^® vi paia. Et Die IO decembris
mi scrivessi quello che sopra mi raccomando. Sis jelix?^
voi ancora
Desidererei
a voi
/ 5 /J.
Niccolò Machiavelli in Firenze.
65. E 1 non dare... fatica: Mi induceva a non presentarlo il timore che da Giuliano non fosse neppure letto c che l’Ardinghelli si
appropriasse poi del frutto dei miei studi. 66. E 1 darlo... contennendo: mi spingeva
invece
mi
a
presentarlo
costringe, perché io
mi
logoro, consumo,
come sono senza
rimasto
cioè,
bisogno che ormai
il
1’
impiego,
68.
me:
perché...
dagnarmi
cità, la considererei
sione
se
non
significa:
mia
gua-
riuscissi a
loro fiducia con le
la
colpa.
mie capa-
Ma
l’espres-
sono certo che mi guada-
gnerei la loro fiducia. 69. per questa cosa:
allude
Principe.
al
70. quindici anni: Dal 1498 al 1512 il M. fu segretario della seconda cancelleria che
mie povere sostanze e non posso vivere ancora a lungo cosi senza diventare oggetto di spregio' (contennendo) per la mia
trattava le cose della guerra e la politica in-
povertà.
alla politica
le
Oltre
sasso:
appresso...
67.
al
(voltolare
l’espressione
un
sasso).
pittoresca
il
autentica vocazione,
e
Ne
ravigliare
ora
desideri
premeva
fatto
del
egli,
collaborare
servire
nuovi signori, tanto
che
come una
il
lo
cui
stato,
coi la
ci si
deve me-
repubblicano,
Medici; patria,
a
lui
non
dominio accettava
E
73.
fedeltà.
cruccio di dover-
il
sene restare cosi inattivo.
i
sol-
necessità storica ineluttabile.
si
trovava
servizio di altri.
nel-
derio vivissimo di poter ritornare alla vita politica attiva, che il M. sentiva come la sua
e
un’esperienza acquistata mentre a!
desi-
Si sente,
incisiva,
e
mi sono dedicato con zelo ne ho fatto vasta esperienza. 72. che... esperienza: che fosse pieno di
71. sono... stato:
desiderio
che avrei che questi signori Medici cominciassero a darmi un qualche incarico, anche
modesto
terna della Repubblica.
deltà
mia: della mia lealtà e Russo osserva che si tratta di fe-
della fede Il
non
persone,
alle
rispetto per
1’
ma
all’ ufficio,
impegno assunto
e per
i
di
do-
veri che esso comporta. 74. la povertà e disinteresse.
mia:
essa è
prova di onestà
75. sopra questa materia; sul modo migliore di far pervenire a Giuliano il manoscritto del Principe.
76.
Sis felix:
sii
fortunato, felice.
Niccolò Macchiavelli
La
279
17 maggio 1521
lettera al Guicciardini del
Nel 1521 i Medici si erano finalmente decisi a « far voltolare un sasso » al Machiavelli: lo avevano inviato al Capitolo generale dei frati Minori, che si teneva a Carpi, per ottenere che i conventi situati in territorio fiorentino fossero indipendenti dagli prossima quarjesima.
resi
altri della
la
Un
amara per
beffa
come
chi,
Toscana
e per trovare
un bravo predicatore per
incarico ben misero e che aveva quasi « segretario fiorentino »
il
sapore di una
il
era stato a contatto, nelle
sue legazioni, con personalità di ben altra importanza e ben piu delicate mansioni aveva svolto.
va a Carpi, e nota diverse indoli d'uomini e, come continua a sottoporre uomini e cose, anche le piu vaglio acuto della sua intelligenza, al suo vivace e inesauribile spirito
Eppure
il
Machiavelli
mostra in un’ umili, al
altra
lettera,
di osservazione.
Ma della
qui,
crisi
scrivendo all’amico Francesco Guicciardini,
italiana,
abbandona con gusto
sT
d’artista
futuro grande storico
il
rappresentazione della
alla
comicità della sua ambasceria nella repubblica de' Zoccoli, a uno spiritoso capriccio burlesco.
Riportiamo
parte finale della lettera.
la
non posso eseguire
Io sto qui ozioso perché io
...
mia insino che non
mando
fanno
si
modo
in che
generale et
il
commessione
la
dififinitori,^
i
l’aiuto
mi habbia
a riuscire;
Vostra Signoria gioverebbe
di
qua
insin
nome
sotto
vo rigru-
et
potessi mettere infra loro tanto scandolo che
io
non perdo
facessino o qui o in altri luoghi alle zoccolate;^ et se io cervello credo che
*
et
assa-i.
credo che Pertanto
se
il
consiglio et
il
voi
venisse^
andarvi a spasso,® non sarebbe male, o almeno
di
mi dessi qualche colpo da maestro; ® perché se voi ogni di mi manderete un fante apposta per questo conto,’' come voi havete fatto oggi, voi farete piu beni,® l’uno che voi mi alluminerete di qualche cosa a proposito,® l’altro che voi mi farete piu stimare da scrivendo
una
volta
commessione:
la
1.
commissione,
la
1’
in-
insino...
2.
pitolo
fino a che
:
i
il
e
Cadel-
me ruminando a zoccolate.
anticlericalismo,
ma
il
tico abile e sottile
Non al
come
un’allegra
beffa
venisse: veniste.
qualche... maestro: qualche bel colqualche astuzia, meglio qualche burla
si
M.,
gli faceva recapitare le sue allegre let-
tere
da dei
fatto il
6.
po,
che
fra
essi
burlesca.
Cosi
che un poli-
Guicciardini serrivolta
all’
i
amico
bravo e importante, governatore di Reggio e Modena per conto di Leone X. COSI
4.
una
è espressione di
sì
vado
virebbe assai bene a seminar scandalo tra è
col pretesto di fare
migliore di
modo
fantasia
più sotto, Tàllusione
frati,
sotto... spasso:
per spassarsela alle spalle dei frati. per questi consigli 7. per questo conto: che vi chiedo. Il Guicciardini, d’accordo col
suoi assistenti.
seminare fra loro discordia,
prendano
il
Gerterale
vo rignimando... zoccolate:
3.
me
diffinitori
non avrà nominato
l’ordine e
5.
passeggiata.
carico affidatomi.
balestrieri,
come
se
si
trattasse
comunicazioni ufficiali o di istruzioni segrete. Questo accresceva indedi importantissime
finitamente
buoni
frati,
il
prestigio del
con
i
comici
M.
effetti
agli occhi dei
che vengono
descritti più avanti. 8.
più beni: più cose buone in una volta.
9.
mi
alluminerete... proposito:
nerete sul da farsi,
dandomi
mi
illumi-
spassosi consigli.
28o
Antologia della letteratura italiana
veggendo spesseggiare gli avvisi. Et sovvi dire che* venuta di questo balestriere con la lettera et con un inchino infino in terra, et con il dire che era stato mandato apposta et in fretta, ognuquesti di casa,^°
alla
no
rizzò con tante riverenze et tanti romori, che gli andò sottosopra
si
ogni cosa,
et fui
domandato da parecchi
delle
riputazione crescesse, dissi che l’imperadore
che
li
Svizzeri avevano indette nuove diete,
voleva andare ad abboccarsi con quel glieri,
con
et
ne
la
che
Francia
re di
il
che questi suoi consi-
in modo che tutti stavano a bocca aperta mano,^® et mentre che io scrivo ne ho un cerchio
veggendomi
et
donmi per
ispiritato;
penna,
sulla
et
ma
re,^*
perché
et io,
aspettava a Trento, et
sconsigliano;
lo
la berretta in
d’intorno,
fermo
nuove; si
scrivere
a lungo
si
maravigliano, et guar-
et io, per fargli maravigliare piu, sto alle volte
che se
et gonfio,^"^ et allora egli sba vigliano;
sa-
pessino quel che io vi scrivo, se ne maraviglierebbono piu.
Vostra Signoria sa che questi
fermato in
grafia,^®
il
non ho paura, che
dicono, che
frati
quando uno
è con-
diavolo non ha piu potentia di tentarlo. Cosi io
questi frati
mi appicchino “
la
ippocrisia,
perché
ben confermato. Quanto alle bugie de’ Carpigiani 10 ne vorrò misura con tutti loro,^^ perché è un pezzo che io mi dottorai di qualità, che io non vorrei Francesco Martelli per ragazzo,^ perché da un tempo in qua io non dico mai quello che io credo, né credo mai quel che io dico, et se pure e’ mi vien detto ^ qualche volta 11 vero, io lo nascondo fra tante bugie, che è difficile a ritrovarlo. Aspetto domani da voi qualche consiglio sopra questi mia casi, et che voi mandiate uno di codesti balestrieri, ma che corra et arrivi qua io credo essere assai
tutto sudato,
10.
acciò che la brigata strabilii; et cosi facendo
dà questi di casa: dai carpigiani e dai
mi
farete
confermato in grada: gode piena-
19. è
frati.
mente
11. spesseggiare gli avvisi: giungere di frequente i messaggi. 12. domandato... nuove: interrogato qual
ciardini gli aveva scritto di stare bene attento,
perché, frequentando
nuove
contrarre
vi fossero.
13. diete:
20.
della grazia divina.
mi
appicchiiN):
Ma
gramente ben fornito malanno.
basciatore.
con
15.
per ispiritato:
come uno Tutti,
spiritato. sbigottiti,
La si
chiedono che cosa mai scriverà quell’ambasciatore cosi importante. 17. et
gonfio:
trattiene
il
respiro,
dando
a vedere di essere intensamente concentrato. 18. sbavigliano: sbadigliano; restano cioè sospesi, a bocca aperta.
frati,
i
un brutto male,
con quel re: con 1 Imperatore. con la berretta in mano: pieni di riverenza, non sai bene se di fronte a quei grandi nomi o a quell’ importantissimo am’
14.
16.
attacchino.
1’
pigiani: la bugia.
21. io...
loro:
il
M.
dell’
si
Guic-
Il
avrebbe potuto e
ipocrisia,
altro gliene avrebbero potuto attaccare
assemblee.
scenetta è comicissima.
mi
i
proclama
uno
un car-
alle-
e dell’ altro
sono pronto a gareggiare
tutti loro.
22. perche... ragazzo: perché è un pezzo che mi sono addottorato nell’arte di mentire, tanto che non vorrei Francesco Martelli (evidentemente il principe dei bugiardi fiorentini del tempo) neppure come garzone. 23. e’ mi vien detto: mi vien fatto di dire.
Avverti, sotto lo scherzo, un’allusione e amara,
non meglio
precisabile.
Ma
si
triste
può.
Niccolò Macchiavelli
281
honorc, et anche parte cizio,
che per
i
scriverrei ancora
ma
“
codesti balestrieri faranno
cavalli in questi
qualche altra cosa,
io la voglio riserbare a
domi
alla
mezzi tempi “
Signoria Vostra,
se io volessi
domani piu
è
un poco di: esermolto sano. Io vi
affaticare la fantasia,
fresca ch’io posso. Raccomaii-
quac setnper ut vult valeatP^ In Carpi,
addi 17 di Maggio 1521. Vester obser. Niccolò Machiavelli
Oratore
a’
Fra Minori^
25.
in generale, dire che dici a
dopo
il
ritorno dei
Firenze cominciarono per
il
M.
ni tristi.
anche parte; e inoltre. mezzi tempi: mezze stagioni.
2^. et
gli
Mean-
26. quae...
come
valeat;
che
stia
sempre bene
desidera.
27. Oratore a’ Fra Minori: Oratore vale ambasciatore »; ed è detto con amara ironia su se stesso e sul misero incarico. «
Francesco Guicciardini
La
vita e
Vita e 1483, latino,
il
pensiero
nacque da nobile famiglia dopo avere appreso gli elementi
Francesco Guicciardini
opere.
Firenze.
a
A
quindici
anni,
nel del
del greco, delle matematiche, intraprese lo studio del diritto cano-
nico e civile presso l’università di Firenze e in seguito in quelle di Ferrara
e di Padova, con tale profitto che nel 1505 era già lettore di istituzioni di diritto civile a Firenze, alcuni mesi prima di conseguire la laurea. Nel 1506 iniziò, con brillantissimo successo, la carriera forense e due anni dopo,
vincendo
del
l’ostilità
padre,
sposò
Maria
famiglia di antica nobiltà, ma, in quel
Salviati,
momento,
discendente
in disgrazia
da
una
presso
la
Repubblica Fiorentina; questo matrimonio coincideva con l’ormai decisa affermazione di una vocazione politica, che doveva ben presto concretarsi in
una rapida e fortunata
dini per
un reggimento
anno cominciò
a scrivere
critica politica militante,
carriera; e indicava la predilezione del Guicciar-
di tipo aristocratico nella le
sua
che non venne però da
Nello stesso
città.
Storie fiorentine, un’opera storica,
ma
lui pubblicata,
anche di
come
nes-
numerose opere. Nel 1511, Pier Soderini lo nominava ambasciatore della repubblica presso Ferdinando il Cattolico, in Spagna. Vi rimase tre anni, dato che i Medici, ritornati, nel frattempo, al potere a Firenze, lo confermarono in quelsun’altea delle sue
l’ufficio,
sapendolo loro amico.
mentale:
egli
Quest’ambasceria fu un’esperienza fonda-
potè studiare da vicino la personalità notevole di quel re
abilissimo, assistere allo sviluppo irresistibile di
una potenza che tanta im-
portanza doveva acquistare nella storia d’Italia e d’Europa, e soprattutto osservarne la politica formalmente corretta, ma intimamente spregiudicata, fondata su una diplomazia il
sottile
e astuta, di cui egli sarà nelle sue opere
teorizzatore.
Ritornato a Firenze, passò, poco dopo,
al servizio di
papa Leone X, che
nominò governatore di Modena e, successivamente, di Reggio e Parma. Nel 15121 fu commissario dell’esercito papale in Lombardia, e mostrò notevoli doti di coraggio e di fermezza, difendendo vittoriosamente Parma asselo
diata dai Francesi.
Il
Leone X, Clemente VII (anch’egli della della Romagna, una regione che dominio della Chiesa, ma in realtà era dominata
successore di
famiglia dei Medici), lo
nominò presidente
nominalmente era
il
sotto
dalle fazioni locali.
Anche
qui,
il
Guicciardini
pace, ispirando la sua azione a
si
rivelò
uomo
una concezione
di
governo energico e ca-
dello stato
come
entità effet-
Francesco Guicciardini
283
tivamentc sovrana cvristabilendo l’ordine sebbene dovesse combattere non solo contro signorotti violenti e senza scrupoli, ma contro la stessa curia
romana, nella quale essi riuscivano a trovare altolocate protezioni. Contemporaneamente continuava l’attività di pensatore e di scrittore, come per chiarire a se stesso le ragioni del proprio agire e condensare nelle sue pagine la lezione dei fatti. Già a Logrogno, in Spagna, aveva scritto un Discorso (1512), nel quale delineava quella che, a suo avviso, era la costituzione più adatta per Firenze; ora compone, sullo stesso argomento, il Dialogo del reggimento di Firenze, nel quale tenta di conciliare le tradizioni repubblicane della sua città, interpretate in senso aristocratico, con la preminenza dei Medici. Nel 1526 fu tra i principali fautori della lega di Cognac, cioè di un’alleanza degli stati italiani, timorosi dell’eccessiva potenza acquistata dalla Spagna, coi Francesi; fu anzi nominato dal papa luogotenente generale dell’esercito pontifìcio. Ma gli eventi precipitarono: il Guicciardini, anche perché impedito nella sua azione dal carattere irresoluto del pontefice, non riuscì ad attuare una politica decisa, né a impedire l’orrendo saccheggio di Roma, perpetrato nel ’zy dalle truppe tedesche e spagnuole. Questo fatto segnò il crollo della sua fortuna politica: fu sin troppo facile ai suoi avversari scaricare su di lui pesanti responsabilità. Frattanto i Medici erano di nuovo cacciati da Firenze, dove veniva restaurata la Repubblica, e il Guicciardini, inviso al nuovo governo, si ritirò nella sua villa di Finocchieto, ove rimase per circa tre anni. Fu questo un periodo di meditazioni intense, di acuto ripensamento della propria esperienza politica, mediante il quale s’allentò la tensione angosciosa della sconfitta e cominciò quel cammino dalla vita attiva alla contemplazione storica, che caratterizzerà gli ultimi anni della sua vita. In questi anni rielaborò in forma definitiva i suoi Ricordi e scrisse una
una Accusatoria, in cui formulava le acpotevano venir rivolte, e una Defensoria, in cui le confutava. Frattanto Clemente VII si stava riconciliando con Carlo V, pur di riavere Firenze per la propria famiglia. Il Guicciardini, timoroso per le sorti della sua città, si adoperò per ottenere dal papa miti condizioni di pace; ma la Repubblica respinse violentemente il suo tentativo, gli confiscò i beni Consolatoria, rivolta a se stesso,
cuse che
gli
si apprestò alla difesa eroica e disperata contro il pontefice e la Spagna che terminò con la disfatta del 1530. Il Guicciardini, rientrato a Firenze, ebbe nuovi incarichi dal papa, fu anche a fianco di Alessandro de’ Medici, proclamato duca di Firenze e si recò con lui, nel 1536, a Napoli, per difenderlo, davanti a Carlo V, dalle accuse dei fuorusciti fiorentini. Poco dopo, quando Alessandro fu ucciso, caldeggiò la elezione di Cosimo, del quale però non riuscì ad ottenere la fiducia. Si ritirò allora in una sua villa ad Arcetri, dove si dedicò completamente alla stesura della sua opera più grande,
e
la Storia d’Italia. Il
pensiero.
Il
Mori
nel 1540.
pensiero del Guicciardini
con
le
sue azioni e passioni, è
dei rapporti
umani va
il
si
fonda, inizialmente, su pre-
anche per lui l’uomo singolo, motore della storia, anche per lui lo studio
supposti analoghi a quelii del Machiavelli
:
rivolto esclusivamente al
campo
delle
vicende poli-
Antologia della letteratura italiana
284
tichc
c
rimangono decisamente
morali e religiosi
gl’interessi
secondo
in
piano. Anch’egli, infine, parte dall’amara constatazione che gli uomini
si
lasciano per lo piu traviare dalle passioni, e proprio questo sfrenarsi con-
tinuo di cupidigie e meschini egoismi nella trama complessa e spesso caodella
tica
associata,
vita
sulla
quale
si
per giunta, l’ombra greve
stende,
impone la ricerca spregiudicata e lucida di una norma d’azione, che sia tale da garantire all’individuo la sopravvivenza e l’affermazione nel mondo. Qui però si arrestano le somiglianze fra i due pensatori. Il Machiavelli, infaìiti, pur partendo da codesta visione amara dell’uomo e del limite invadella
Fortuna^
licabile
opposto
al
come
suo agire dalla Fortuna, crede tuttavia nello stato
costruzione razionale c umana, trova in esso una superiore moralità, si sforza, su cui fondare i progetti costruttivi degli eventi a norme generali e costanti, che
possano costituire
La meditazione
il
fondamento
del Guicciardini
parte,
una
di
invece,
virtù attiva
ed energica.
dal riconoscimento
amaro
da parte del singolo, di riuscire a modificare il corso degli eventi c di ridurli in schemi razionali. C’è in lui la coscienza di un’estrema complessità del reale, che non si lascia esaurire da nessuna formula. Vano è dunque pretendere di stabilire norme c leggi generali d’azione, dato che una realtà sempre imprevedibile sconvolge gli schemi in cui vorremmo dell’incapacità,
costringerla.
Alla virtù del Machiavelli, egli sostituisce pertanto la discrezione, che
comprendere e sviscerare i fatti singoli nelle loro infinite sfumature, per poter inserire la propria azione nel loro corso tumultuoso, senza venirne travolti, salvando il proprio particulare, cioè il proprio inè la capacità di
teresse, inteso nel senso piu ampio di decoro, di dignità, di realizzazione piena della propria intelligenza e capacità di agire in favore di se stessi
Manca comunque
e dello stato.
l’immediata
superi
della vita scettica e,
vago rimpianto per
sfera
al
Guicciardini la fede in
individualistica,
e questo
rende
a volte, amara e gelida, anche se gli
ideali
un la
ideale che
sua
visione
non priva
di
un
umanistici e cristiani, e tristemente consa-
pevole della vanità finale di ogni soddisfazione umana. Si può in certo
modo ciosa
affermare che, nel suo pensiero, la Fortuna vinca la virtù, e la fiduaffermazione rinascimentale della capacità costruttiva dell’uomo nel
mondo
appaia ormai in netto declino. Questo atteggiamento deriva dalla sua concreta esperienza. Egli rimase
l’ambasciatore,
il
diplomatico
fine, abituato a
svolgere e a tentar di inter-
con lucida intelligenza e un costante ritegno dei propri impulsi e sentimenti, la trama complessa della politica. La sua carriera di governo gli insegnò il realismo, ma anche il senso del compromesso c della forza inoppugnabile dei fatti, ai quali le teorie andavano applicate con una caupretare,
tela estrema, Il
non ignara
di rinunce.
Guicciardini, insomma,
non
è l’ideologo,
spirito lucido c intelligente, volto all’azione in era, cipi
l’uomo
di principi,
un momento
ma uno
in cui essa
non
né poteva essere, in Italia o nello stato pontificio, guidata da alti prinideali o da entusiasmi. Si tenga presente, infine, che egli scrive la
Francesco Guicciardini
285
Storia d'Italia, cioè la sua opera piu grande, italiana e
libertà
nisola:
quando
l’affermazione
decisa del
dopo il tramonto definitivo della predominio spagnolo sulla Pe-
cioè le sorti dell’Italia apparivano definitivamente concluse
e senza speranza di evoluzione.
Di questa situazione
Guicciardini fu lo storico lucido e accorato,
il
testimone consapevole della
crisi
di
una
civiltà.
il
Sulla tragedia della libertà
italiana innalzò
il funebre lamento della sua Storia, espressione altissima di intelligenza, di capacità critica e di giudizio realistico e spregiudicato, se-
ma anche ultimo monumento, piu maturo e profondo, di una storiografia umanisticamente concepita, scritta mentre ormai veniva meno la fiducia nell’uomo.
condo
migliore insegnamento rinascimentale;
il
e senz’altro
il
Per i testi, abbiamo seguito: Francesco Guicciardini, / Ricordi, a cura di R. Spongano, Firenze, Sansoni, 1951. F. Guicciardini, Storia d’ Italia, a cura di C. Panigada, Bari, La terza, 1929.
I
« Ricordi »
I
quasi
Ricordi sono pensieri nati in margine
un
alla carriera politica dell’autore,
decantarsi della sua esperienza in lucide
massime
di cauta e faticata
Guicciardini cominciò a scriverli nel 1512, ma poi li rivide e li rielaborò in due redazioni successive, nel 1528 e poi nel 1530, quando ne compì un’accurata scelta, riducendoli a 221. Il titolo, mentre allude alla
saggezza.
Il
radice autobiografica di queste meditazioni,
.
le
colloca
come
in
una
luce
esemplare di cose da ricordare, di ammonimenti o quintessenza di una vicenda politica e umana, senza pretendere però di caratterizzarli come norme assolute e universalmente valide.
Empirista come cludersi ogni
il
Machiavelli,
magoanima speranza
superiore razionalità della storia,
un sentimento pensoso
ben piu radicalmente, portato a
pre-
e non sorretto dalla concezione di una
Guicciardini esprime in questi pensieri
amaro della realtà, e soprattutto la convin fondare una scienza politica rigorosa che vada di
e spesso
zione dell’impossibilità di là
il
ma
dairesperienza quotidiarfa. Alla discrezione, cioè all’arte diffìcilissima di Ricordi portano l’aiuto di una considerazione i
sapersi adattare agli eventi,
minuta
di
vari
e
imponderabili casi della
estraendo norme d’azione,
vita,
dai
quali
l’autore
viene
ma
con la coscienza della loro relatività; perché se è vero che nell’agire degli uomini ricorrono certi temi naturali e costanti, è vero anche che essi si presentano in un contesto sempre nuovo di fatti concomitanti. Occorre dunque « fermare il punto », considerare sempre tutte le componenti anche minime di una situazione, servendosi, per comprenderla, dell’esperienza passata, pronti però ad affrontare con la discre-
zione quel tanto di nuovo e imprevedibile che' la realtà presenta. Per questa ragione, i Ricordi non intendono presentarsi come un codice di comportamento, e neppure come un libro organico che esprima una teoria dell’agire politico. In essi la realtà
si
rifrange in
una molteplicità
di
286
Antologia della letteratura italiana
casi, a volte contraddittori, ’e
contraddittori sono fra loro alcuni ricordi, per
sforzo dell’autore di seguire in tutti
lo
i
suoi aspetti
mutevole
la
vita.
migliori fra questi pensieri sono certe massime psicologiche e morali,
I
volte
a
definire
mondo,
posizione instabile e limitata dell’uomo nel
la
umana,
carattere precario di ogni soddisfazione
la
sua finale vanità,
il
l’ine-
splicabilità della legge che regola la nostra esistenza, sia essa chiamata Fortuna o Dio. Piuttosto che un politico, potremmo dire che qui il Guicciardini è un moralista, un uomo che guarda con sguardo lucido e fermo se stesso e gli altri, per comprendere la vita, per raggiungere una faticosa e rassegnata
saggezza. D’altra parte, per questa tendenza a comprendere
i
i
fatti nella loro
ma
con un pacato e lucido impegno Ricordi sono un’ideale premessa alla Storia d’Italia.
complessità, senza passione,
Lo
stile
tuale e
dei Ricordi è originalissimo.
minuta
tezza verbale,
La
disposizione aH’osservazione pun-
una estrema
della realtà, spinge l’autore alla ricerca di al
intellettuale,
esat-
gusto della parola precisa e pregnante, onde rendere
le
sfumature complesse della realtà. I periodi fluiscono calmi, limpidi, circostanziati, appena velati, a volte, da un senso di amarezza contenuta. Si tratta, insomma, di uno stile fondato su di una nitida trama razionale, composto, ma lontano dalle forme classicamente compiaciute come dalla pittoresca vivacità popolare, sempre pacato e incisivo, logico e serrato: lucido specchio di
un
lucido intelletto.
Dai « Ricordi » 1
Io
.
ho
come fanno
desiderato,
tutti
gli
uomini, onore
e n’ho conseguito molte volte sopra quello^ che rato; e
che io
nondimeno non v’ho mi ero immaginato;
poi
ho
^
e utile
:
desiderato o spe-
mai trovato drento quella
satisf azione
ragione, chi bene la considerassi,^ poten-
tissima a tagliare assai delle vane cupidità degli uomini.'* (15)
Le grandezze
2.
e gli ónori sono
tutto quello che vi è di bello e di
ma
pito nella superficie:
sono nascosti e non
si
le
communemente
buono apparisce
desiderati, perché
di fuora
^
e è scol-
molestie, le fatiche, e^ fastidi e e pericoli
veggono; c quali
se apparissino
lungo prodigarsi
I.
amara onore: c l’ideale più alto del G., come egli in più punti confessa. 2. sopra quello: più di quello.
gli
come
apparisce
apparivano nella luce
dell’ insuccesso e della
vanità.
1.
3. chi...
considerassi:
se
la
considerasse
bene. 4.
per
vane... uomini: la
maggior
prio fallimento e
parte,
quando,
il
I
Ricordi sono dal G.
dopo
scritti, il
pro-
ritiro dalla vita politica,
cioè, la sua esistenza e tutto
il
suo
2.
apparisce di fuora, ecc. 1 delle grandezze e degli onori si vede soltanto l’apparenza .
:
esterna, la luce trionfale del successo, sacrifìci 2.
e:
non
i
che questo è costato. i.
È
l’antica
forma toscana
dell’arti-
colo che ritrovi anche nei ricordi seguenti.
I
Francesco Guicctardint
non
bene,
el
una
sarebbe ragione nessuna da dovergli desiderare, eccetto
ci
che quanto piu
sola:
tanto più pare che
Non
gli
uomini sono onorati,
reveriti e adorati,
accostino e diventino quasi simili a Dio,^ al quale
si
non
chi è quello che 3.
287
volessi assomigliarsi?
(16)
crediate a coloro che fanno professione d’avere lasciato le
faccende e
grandezze
le
^
volontariamente e per amore della quiete,
perché quasi sempre ne è stata cagione o leggerezza o necessità
vede per esperienza che quasi
si
raglio
potere tornare alla
di
quiete, vi
si
come
tutti,
vita
se gli offerisce^
prima, lasciata
di
gettano con quella furia* che fa
el
la
fuoco
:
però
*
uno
spi-
tanto lodata
alle cose
bene
unte e secche. (17) I
Lo ingegno
4.
più che mediocre è dato agli uomini per loro in-
non serve loro a altro che a tenergli con molte più fatiche e ansietà che non hanno quegli che sono più poe tormento, q^erché
felicità
sitivi.^
(60)
Sono
5.
varie le nature degli
uomini:
tono per certo quello che non hanno,
rano a’
se
non hanno
primi; e chi è di
certi
altri
sperano tanto che met-
temono tanto che mai
spe-
mano. Io mi accosto più a questi secondi che questa natura si inganna manco, ma vive con più
in
tormento.^ (61)
Non
« Dio ha aiutato el tale perché era buono, el tale è dire male perché era cattivo » ; perché spesso si vede el contrario. per questo dobbiamo dire che manchi la giustizia di Dio, es-
6.
:
capitato
Né
3. quasi...
siero
il
Dio: Alla fine di questo pentono pessimistico passa
prevalente
in secondo piano:
il
desiderio dell’onore e
una necessità imprescindell’animo umano. Anche questo è
sere stato destituito, lodò la quiete,
nò a pena
gettarsi s’
apri
ma
tor-
con ansia nell’azione non ap-
uno
spiraglio.
della gloria appare dibile
un pensiero intimamente
me
il
primo
e gli altri tre
autobiografico, co-
che seguono.
3* 1. fanno... grandezze: che dichiarano pubblicamente di aver lasciato la vita politica e le onorevoli cariche pubbliche. 2. o leggerezza o necessità o i loro errori o una necessità che li ha costretti. 3. come... offerisce: non appena si offre :
4
-
Sembra una massima leopardiana. Il I. G. sente il travaglio e l’ansia propri di un ingegno elevato, che, piu di uno positivo (mediocre, cioè, e completamente calato nella ricerca immediata dell’utile), avverte l’estrema complessità del reale e l’impossi-
per l’uomo di dominarlo pienamente, imprimervi il suggello della propria ra-
bilità
di
zionalità; e avverte inoltre l’estrema precarietà del nostro vivere.
loro.
Nota la vivacon quella furia, ecc. delle immagini, le parole pregnanti: ]uria, cose bene unte e secche. Anche qui J 1 G., mentre enuncia una regola generale, pensa soprattutto a se stesso, che, dopo es4.
:
5-
cità
ma... tormento: è il tormento di chi preclude la gioia della speranza e una fiducia serena nella vita. I.
si
288
Antologia della letteratura italiana
sendo e consigli suoi
si
profondi che meritamente sono detti abyssus
multai (92) 7 E filosofi, e e teologi, e tutti gli altri che scrutano le cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie; ^ perché in effetto .
gli
uomini sono
buio delle cose, e questa indagazione^ ha servito e
al
serve più a esercitare gli ingegni che a trovare la verità.^ (^25)
8
.
Né
detta
non possono finalmente resistere a quello lessi mai cosa che mi paressi meglio « Ducunt volentes fata, nolentes colui
e pazzi né e savi
però io non
che ha a essere: che
che
quella
disse
:
trahunt».^ (^38)
9.
È
certo gran
viviamo come sia
la
se
sappiamo avere a morire,^ tutti sempre a vivere. Non credo
cosa^ che tutti
fussimo
avere
certi
ragione di questo perche
ci
muova
piu quello che e innanzi
non si vegpuò dire che per la esperienza Credo proceda^ perché la natura
agli occhi e apparisce al senso che le cose lontane e che
gono perché quotidiana
la
ci
morte
è propinqua^ e
apparisca a ogni ora.
si
ha voluto che noi viviamo secondo che ricerca el corso overo ordine di questa machina mondana ® la quale® non volendo resti come :
6
8.
.
abyssus multa: abisso profondo, e quindi insondabile. Questo e il ricordo seguente svolgono il tema dell’ impossibilità, per l’in-
I.
I.
telletto
umano,
di
una spiegazione Più che da una fede relitrovare
razionale alle cose. giosa serenatrice, queste parole nascono dal
senso sgomento del frequente trionfo dell’inmondo, da un’ intuizione scon-
Ducunt... trahunt:
l’uomo, se questi
lo
lo vuole, lo trascina
Il
destino guida
vuole seguire, se non
con
la
violenza.
L’ama-
rezza dei ricordi precedenti sfocia nel fatalismo di questo. La virtù umana appare qui sommersa dalla fortuna: è questo uno dei pensieri più desolatamente pessimistici.
giustizia nel
solata della precarietà del vivere.
9* 1.
2.
7-
gran cosa: cosa che stupisce. morire: sappiamo di do-
sappiamo...
ver morire. 1.
dicono... pazzie:
La
nettezza e
’
impe-
delusione profonda e la tristezza dello scritCfr. quello che abbiamo detto com-
propìnqua: perché la morte C’ è in questo pensiero una tristezza virilmente rassegnata e contenuta, ma profonda. Il fato, di cui il G. parlava nel pen-
mentando
siero precedente, diviene qui la morte, l’in-
1
to popolaresco dell’affermazione rivelano la tore.
Il Dio del comunque, infinitamente lontano dall’uomo, dalla sua capacità di comil
Guicciardini
ricordo precedente.
è,
prendere; gli uomini sono « al buio ». 2. indagazione: indagine.
completamente
3. più... verità: più a dar modo agli ingegni di esercitarsi in disquisizioni sottili (ma, in realtà sterili) che a trovare quella verità ultima che ci è negata.
3.
è
perché...
vicina.
sormontabile limite umano. Vedi
il
ricordo
seguente. 4.
Credo proceda: credo che questo av-
venga. 5.
che...
chiedono
il
mondana: secondo quel che
ri-
corso e l’essenza della vita del-
machìna mondana per la sua armonica e razionale complessità). 6. la quale: è complemento oggetto (ril’universo (detto
Francesco Guicciardini
morta
289
e sanza senso, ci
ha dato propietà
quale se pensassimo,
alla
torpore.®
10
(
el
mondo
alla
morte,
ignavia e
di
di
160 )
Quando
.
non pensare
di
pieno
sarebbe
io considero^ a
quanti accidenti e periculi di infermità,
modi
infiniti, è sottoposta la vita dell’uomo, quante cose bisogna concorrino® nello anno a volere che la ricolta sia buona, non è cosa di che io mi maravigli piu, che vedere uno uomo
di caso, di violenza,^ e in
uno anno
vecchio,
11
non so a
Io
.
fertile. (
avarizia^ e sé è odioso,
chi
mollizie
le SI
®
161
)
perché ciascuno e
me
che a
più
dispiaccia
de’ preti;
ambizione,
la
la
perché ognuno di questi vizi in
si
insieme
tutti
chi fa professione di vita dependente da Dio,
convengono poco a
si
e ancóra perché sono
®
SI contrari che non possono stare insieme se non in uno subietto molto strano.* Nondimeno el grado® che ho avuto con più pontefici, m’ha necessitato a amare per el particolare mio® la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto,"^ arei amato Martino Luther quanto
vizi
me medesimo: non nel
cristiana
modo
per liberarmi dalle legge indótte® dalla religione
che è interpretata e intesa communemente,
per vedere ridurre questa caterva di scelerati a restare o sanza vizi o sanza autorità. ferito a
machina mondana)-,
il
soggetto è la
(
28 )
II.
natura. 1.
la avarizia:
2.
le
proprietà, consuetudine e di-
propietà:
7.
ma
termini debiti,® cioè
a’
cupidigia di danaro.
la
mollizie:
mollezza,
la
il
desiderio
sposizione naturale. 8. di ignavia c di torpore: nel senso che ogni nostra azione sarebbe considerata effimera e vana.
sfrenato di lusso. 3.
a chi...
in
1.
Il
umana
un’espressione
però anche
prende
la
la
trova
in
questo
pensiero
profonda e definitiva. Vi è pacatezza del saggio che com-
professa di avere
chi
strano:
cosi
contrastanti
loro che possono stare insieme soltanto
una persona
smo
si
5.
el
senso sconsolato della morte e della
fragilità
a
propria vita.
la
contrari...
4. si
fra
IO.
Dio:
dedicato a Dio
fuori del
comune.
Il
sarca-
fa tagliente.
grado:
la
dignità, gli onori, le ca-
riche. 6.
per
el
particulare mio: per la
mia per-
sonale dignità e grandezza. 7. e se... rispetto:
fragile sostanza del nostro vivere
e se
non
fosse stato per
senza ribellione, ma con la tristezza di chi sa che non può né deve abbandonarsi alla gioia e al conforto della speranza. malattie, debo2. infermità... violenza:
questa ragione.
lezza, violenza del destino e degli uomini.
appunta
concorrine: concorrano. Il mondo deldiviene 1’ emblema del mondo umano: ambedue sono dominati dall’ insicurezza e dal caso, sentito come una forza
tempi, da cui prese le mosse la protesta di Martin Lutero. L’autorità della Chiesa che quella poil G. vorrebbe vedere sminuita è
e
l’accetta
3.
la
natura
ostile e
non
riducibile alla razionalità, alla
libera volontà
umana.
8.
indótte:
prescritte,
insegnate.
termini debiti: ai giusti limiti. La critica del G. non riguarda in alcun modo 9.
a’
contenuto della religione cattolica, ma si sulla corruzione morale delle gerarchie ecclesiastiche, assai evidente in quei il
litica,
con
gli
che egli avverte in ideali
veri
del
netto
contrasto
Cristianesimo.
Antologia della letteratura italiana
290
Non
12.
biasimo c digiuni,
le
orazione e simile opere pie che
sono ordinate dalla Chiesa o ricordate^ da*
—
è
e a
comparazione
Ma
frati.
—
sono leggieri
di questo tutti gli altri
ci
bene de* beni
el
non
nuocere a alcuno, giovare in quanto tu puoi a ciascuno.^
Non
13.
spaventi^
vi
beneficare
dal
uomini la ingratitudine medesimo, sanza altro
gli
di molti; perché, oltre che el beneficare per se obietto, è cosa generosa e quasi divina,^ 14.
degli
qualcuno
in
talvolta
altri.
Gli uomini
tutti
alcuno
non
el
tano
E
al
per natura sono inclinati piu
altro
®
savii legislatori
che con
la
si
mondo
spesse nel
ma
ingratitudine
le
bene che
al
lo
al
in con-
tiri
è tanto fragile^
occasione che invi-
le
lasciano facilmente deviare dal bene.
si
trovorono e premii e
pene: che non fu
le
speranza e col timore volere tenere fermi
nella inclinazione loro naturale.®
12.
gli
uomini
(134)
14.
1.
ricordate: e quindi raccomandate.
2.
non nuocere... ciascuno: C’
1.
né è: né
vi è.
qualora altre coninducano ad agire diver-
2. dove... in contrario:
G.
è nel
tesrimoniano altre sue opere giovanili
lo
(e
non
bene che male;
facessi piu volentieri
male, che gli uomini
però* e
riscontra^ pure beneficando
quale, dove altro rispetto
natura degli uomini e
la
si
grato che ricompensa tutte
(11)
male, né trario,^
si
siderazioni
non
lo
samente.
anche i suoi diligenti spogli delle prediche del Savonarola) un’ansia religiosa che nasce dal senso della precarietà del nostro
centrale di questo pensiero, nel quale ritro-
vivere e dal largo margine di imprevedibilità
viamo non
e
degli eventi;
ma
la
sua professione religiosa
tende a risolversi in termini
tutti
umani
di
razionalità e moralità.
Non
vi spaventi:
non
vi atterrisca,
non
bene
agli
vi distolga. 2. sanza... altri
ma
è tanto fragile,
ma
la
ecc.
;
È
il
punto
tensione eroica del Machia-
quotidiana saggezza dell’uomo che non sa più illudersi, la sofferta rinuncia a ideali che diano un significato alla triste e grave fatica del vivere. velli,
la
dolente,
E
13 * 1.
3.
in
divina:
il
far
del
forma del tutto pura e
disinteres-
questo senso della fragilità umana preannuncia ormai la crisi della civiltà rinascimentale. 4. E però: e perciò. 5. che non fu altro: e con questo non fecero altro che, ecc.
sata è cosa nobile e quasi divina.
6.
In
un
altro pensiero
qui non riportato
una nostalgìa vera e profonda per un mondo di uomini nobili e puri, limitata, però, dal ferreo senso della verità effettuale. Vedi
se un uomo è natura inclinato a fare più volentieri non è uomo, ma beil male che il bene, stia o monstro, ossia un essere contro na-
anche
tura.
3.
riscontra: ci
si
il
s’
imbatte. C’ è nel G.
pensiero seguente.
(il
135),
per
il
G. afferma che
Francesco Guicciardini
1
Non
5.
291
può tenere
si
—
—
secondo conscienza, ^ perché
stati
chi con-
da quelli delle republiche nella patria propria in fuora, e non altrove * e da questa regola non eccettuo lo imperadore e manco® e preti, la violenza de’ quali è doppia, perché ci sforzano® con le arme temporale e con le spirituale. (48) sidera^ la origine loro
sono
tutti
violenti,^ :
Dissemi
16.
marchese di Pescara, quando fu
el
mente, che forse non mai piu vedde universalmente.
non
La ragione
può essere che e pochi moto alle cose del mondo,
el
e fini di questi sono quasi sempre diversi da’ fini de’
partoriscono diversi
Chi
17.
disse
effetti
papa Cle-
fatto
riuscire cosa che fussi desiderata
di questo detto
danno communemente
^
e molti
^
e e
molti, e però
da quello che molti desiderano. (97)
uno popolo^
veramente- uno animale pazzo,
disse
pieno di mille errow, di mille confusione, sanza gusto, sanza deletto,
sanza
stabilità.^
(^40) vellava
15-17.
Dallé precedenti, amare considerazioni sulla natura e il destino dell’uomo, derivano anche questi gelidi aforismi, riguardanti la
che il G. non vede, come il Machiadominata da un nobile ideale di convivenza civile veramente e pienamente umapolitica, velli,
na,
ma come
prodotto di violenza e degli
tutti
dominio,
suo
del
territori
i
mentre i cittadini di una repubblica intendevano mantenere una posizione di assoluto privilegio nei confronti dei sudditi. 5.
c
manco:
neppure.
e
ecc. ci usano materialmente e spiritualmente. 6.
sforzano,
ci
:
violenza
16.
sfrenati egoismi degli uomini. 1.
che
forse...
vedde: che forse non vide
mai. 151.
2.
tenere... conscienza:
seguendo 2.
i
governare
gli stati
se
si
considera.
violenti: Anche per il Machiafondazione di uno stato è sempre violenta; ma nel G. manca il senso machia3. tutti...
velli
la
velliano di
un superiore valore
come affermazione piena
il
pochi e non
i
G. ha
i
molti.
della politica e
della storia è rigidamente aristocratica: grandi azioni storiche sono opera di un
precetti della moralità.
chi considera:
e pochi... molti:
La concezione che
dello stato,
uma-
della nostra
stretto
gruppo
telligenti
le ri-
di individualità superiori, in-
ed energiche. Per questo, nelle sue
opere storiche
la
sua maggiore attenzione è
volta alla definizione dei caratteri e della psi-
cologia di queste individualità.
nità contro la forza bruta della « fortuna ». 4.
da
altrove:
quelli...
eccettuate
re-
le
pubbliche (anche nel Machiavelli c’è questa ideale propensione per lo stato repubblicano, comune al popolo fiorentino che
appunto
in questi anni, dal 1529 al 1530, difenderà strenuamente contro le forze congiunte del Papa e degli Spagnuoli la libertà
repubblicana);
ma
considerate in patria, cioè
nel loro nucleo politico essenziale,
loro rapporti con
dominio
di
conquistate
come
dice
principe.
i
territori
non
Firenze sul contado e sulle era il
infatti
dispotico,
Machiavelli,
Questi,
infatti,
di
nei
assoggettati.
Il
città
peggiore,
quello di
uniformava e
un li-
171. Chi disse uno popolo: Chi disse popolo. Cioè dire « popolo » significa dire animale pazzo, ecc. Cfr. il pensiero precedente. 2. sanza... stabilità: senza capacità di giu-
dizio, di scelta (deletto),
di
coerenza.
Non
stupisca questo pensiero dopo l’affermazione repubblicana del precedente. La repubdel
blica
G. dovrebbe
un numero denti,
ristl-etto
potenti
essere governata
di
cittadini
savi,
da
pru-
politicamente ed economica-
mente: tende, insomma, a quella che
si
ma
privile-
oligarchia
giati).
(governo
di
j)ochi
chia-
292
Antologia della letteratura italiana
È
18.
grande errore parlare
assolutamente
e
mondo
delle cose del
indistintamente^
per dire così, per regola;^ perché quasi tutte
e,
distinzione ed eccezione per la varietà delle circunstanze,
possono fermare con una medesima misura
si
e eccezione non
truovano
si
scritte in su’
:
e queste
^
ma
libri,
hanno non
quali
le
distinzione
bisogna
le
insegni
la discrezione.* (6)
19. Quanto si ingannono coloro che a ogni parola allegano e Romani!^ Bisognerebbe avere una città condizionata^ come era la loro, e poi governarsi secondo quello essemplo: el quale a chi ha le qualità
disproporzionate ^ è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che
uno asino
facessi
il
uno
corso* di
cavallo. (1 10)
pena considerabili
^ sono spesso cagione grandissima prudenza avvertire è e pesare bene ogni cosa benché minima.* (82)
20. Piccoli
di grandi
principi
mine o
e
a
di felicità
però
^
:
venirne schiacciati, salvando
i8*22. questi
In
pensieri
si
manifesta un tema
fondamentale del pensiero del G.
:
un do-
riconosciuta impossibilità di
la vita, la
minio deH’uomo sugli eventi. Di conseguenza impossibile
norme d’azione univer-
dare
salmente valide, dettare principi generali e assoluti. Non resta che prender le cose per loro verso, giudicandole caso per caso, il nelle loro infinite sfumature. È evidente il contrasto
G.
la
ne, rica,
sto
radicale
meditazione è volta
non non i
Machiavelli,
col
all’azione; alla
Ricordi
alla
alla
ma
i8.
senza
indistintamente:
procedere
alle
opportune distinzioni, caso per caso. 2. per regola: cercando forzosamente di farle rientrare in 3.
sere fissa 4.
una regola
universale.
misura: che non possono esridotte a una misura, a una norma e immutabile.
le quali...
la
discrezione:
del « sistema » del
G.
È una :
parola-chiave
chiavelli
furono dal G. confutati nelle sue Considerazioni sopra i Discorsi del Machiavelli.
condizionata: ordinata come la loro. a chi... disproporzionate: per coloro
che sono in una situazione diversa e con qualità ben diverse.
emulasse un cavallo nelimitazione delle grandi gesta degli antichi, proprio del Machiavelli, è qui negato, sia per l’impossibilità più volte ribadita dal G., di stabilire una norma perfetta e assoluta d’azione, sia anche per il senso scorato della meschina umanità presente. Altrove il G. attaccherà ancor più decisamente il mito stesso della 4. il corso, ecc. Il
mito
:
dell’
eccellenza degli antichi.
20. 1.
Ma-
bili,
a
pena considerabili:
2.
felicità:
domi-
3.
però: perciò.
4.
La prudenza,
a
narla, egli sostituisce la discrezione, la pru-
denza, cioè, e r intelligenza che consentono di comprendere le cose, di inserirsi nel loro flusso alterno e complesso senza
quasi
trascura-
in apparenza.
che è capacità di conoscenza razio-
nale della realtà ed energia volta
i
prima deca di Tito
la
Livio
significa capacità di
discernere caso per caso. Alla tnrtù del
’
sopra
Discorsi
la corsa.
alla Storia d’ Italia.
1.
cui
3.
sto-
Romani: coloro che tutti i esempio dei Romani. È 1
citano
chiara l’allusione polemica al Machiavelli,
2.
ricostruzione
coloro...
1.
momenti
comprensio-
Per queun’introduzione ideale
sono
proprio par-
19.
nel
militante.
politica
il
ticulare, ossia se stessi e la propria dignità.
senso
il
dell’estrema e imprevedibile complessità del-
è
^
eventi fortunati.
no appunto, per pesare
minimi
gli
la
discrezione, consisto-
G., nella capacità di sopclementi anche, in apparenza,
della
il
trama dei
fatti.
Francesco Guicciardini
2
1
Sarebbe da desiderare
.
punto, ^ cioè in
Ma
polo.^
293
modo
el
potere fare o condurre
è difficile el fare questo:
ti
è in
che è errore
a punto;
non
accorgi spesso
mondo
natura delle cose del
modo
varne alcuna che in ogni parte non vi
cose sue a
lo occuparsi
e
anche quando credi
essere niente,® perché la
che è quasi impossibile troqualche disordine e incon-
sia’'
come sono® manco male. {126)
veniente. Bisogna resolversi a tórle
quello che ha in sé
le
disordine o scru-
occasione fuggono mentre che
le
tempo a condurre quello^
perdi
averlo trovato e fermo,®
modo
in
troppo in limbiccarle,^ perché spesso tu
minimo
che fussino sanza uno
e pigliare per
buono
^ fanno maggiore cose che e dove non è necessitato, ^ si rimette fortuna, el pazzo assai alla fortuna e
22. Accade che qualche volta e pazzi
Procede
savi.
poco
alla
ragione
E
dibili.®
savio,
el
ragione e poco alla
alla
assai
perché
:
e ie cose portate dalla fortuna
arebbono ceduto
savi di Firenze
alla
hanno
talvolta fini incre-
tempesta presente; e pazzi,
avendo contro ogni ragione voluto opporsi, hanno fatto insino a ora non si sarebbe creduto che la città nostra potessi in modo alcuno fare :* e questo è che diceel proverbio Audaces fortuna \uvat? (136) quello che
Non
23.
vi maravigliate
non quelle che
sate,
si
che non
21. 1.
lo
troppa punto. 4.
occuparsi...
cura
prendersi
limbiccarle:
elaborarle,
di
di
condurle
a
ciò
che
stai
facendo,
la"^
tua
come
trovato e fermo: trovata e fissata quel-
non
I.
che...
sia:
si
conseguenze che nes-
aspetterebbe.
e pazzi... fare: dell’
sa
incredibili:
fini
3.
suno
ultima
Allude
repubblica
all’eroica dife-
fiorentina,
che
1529 all’agosto del 1530, alle forze congiunte di Carlo V e di Clemente VII. Nessuno avrebbe potuto pre-
vedere una resistenza cosi strenua e dispe-
che non abbia almeno in
rata a potenze di gran lunga superiori. gli 5. Audaces... iuvat: la fortuna aiuta
:
audaci.
come sono:
a tórle
a prendere
cose
le
23 ' 24
sono.
e pazzi:
i
pazzi (cosi e savi
pensiero appare in contrasto con
sembra
in-
che quella perfezione
essere niente
22.
Il
quando non è
resistette, dall’ottobre del
qualche parte. 8.
spesso, contro l’im-
dove... necessitato:
4.
quello:
è irraggiungibile. 7.
cose delle età pas-
peto cicco della fortuna. 2.
l’assoluta precisione che ricerchi. 6.
le
calzato dalla necessità.
azione. 5.
'
savio a nulla valgono,
appuntino, con estrema con-
a punto:
sapevolezza e precisione. 2. scnipulo: scoglio, intoppo. 3.
sappino
si
fanno nelle provincie o luoghi lontani: perché,
=
i
savi).
altri;
ma,
G., in questo contrasto, in questa apparente contraddizione è appunto la vita, varia e indefinibile. D’altra parte, l’eccessivo indugio a valutare tutte le possibili conseguenze di un’azione rischia di impedire l’azione stessa, queU’efficacia che spesdirci
il
so è legata alla rapidità e alla decisione. to piu che
i
Tan-
più accorti provvedimenti del
-
Ci piace concludere questa nostra antologia dei Ricordi con due pensieri che ci mostrano la meditazione e la ricerca da parte dell’autore,
passaggio,
di cioè,
un canone
più vasta e sua opera di storico,
alla
inteso
un momento dell’umana
23 sappine: sappiano.
a
civiltà,
sua complessità e pienezza.
I.
storiografico,
il
da queste massime sparse organica concezione della far
rivivere
colto nella
Antologia della letteratura italiana
294
se considerate bene,
non
che giornalmente
fanno
non
s’ha vera notizia delle presenti,
una medesima
in
città; e
di quelle
spesso tra
pa-
’l
piazza^ è una nebbia si folta o uno muro sì grosso che, penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa el populo di quello
lazzo e
non
si
la
vi
che fa chi governa o della ragione perché
E
fanno in India.
però
quanto
lo fa,
empie facilmente
si
delle cose che
mondo
el
di
opinione
erronee e vane.^ (^^1)
24 Farmi che
tutti gli istorici
.
rato in questo
che hanno lasciato
:
loro erano note, presupponendole
Romani,
de’
istorie
tutti
gli
modi
degli ordini del governo, de’
gistrati,
note.
altri
si
delle città
scrisse
erano notissime e però pretermesse® da loro.
perdono
le
molte
di
considerato che con
la
memorie
a scriverle, in
delle
cose,
e
modo
si
come
una
fine della istoria."^ (^
el
età lontana
a’
tempi di chi
Ma
spengono
se
avessino e
città
le
che non per altro sono
che cosi avessi® tutte
chi nasce in
«
che
simili,
lunghezza del tempo
è proprio
Le
cose
altre
che per conservarle in perpetuo, sarebbono
istorie
la
della milizia,^ della gran-
dezza
e
desidera oggi
verbigrazia^ delle autorità e diversità de’ ma-
^
:
molte cose che a tempo Donde nasce che nelle
di scrivere
come
Greci e di
de’
notizia in molti capi
abbino, non eccettuando alcuno, er^
scritte
si
le
più diligenti
stati
cose innanzi agli occhi
le
coloro che sono
stati
presenti: che
43 )
Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli »
Le Considerazioni^
scritte
probabilmente nel 1528, durante
Finocchieto, costituiscono, insieme con
i
il
ritiro
di
più impor-
Ricordi^ l’espressione
tante delle teorie politiche del Guicciardini. In esse l’autore discute puntual-
mente i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio del Machiavelli, criticandone non solo le conclusioni e le soluzioni ma anche il fondamento generale, la visione, cioè, della storia romana come storia esemplare e ancora idealmente attuale.
Anche qui la meditazione del Guicciardini non si sviluppa in forma sistecome ha detto con felice immagine il Sapegno, « per mezzo di
matica, ma,
2.
cipi 3.
tra
e
La
vece,
la
palazzo c
’l
la
piazza:
fra
i
prin-
popolo.
il
3. verbigrazia:
ricerca della verità dei fatti è,
in-
fondamentale vocazione dello
sto-
rico.
24.
ordinamenti militari. 5.
pretermesse: tralasciate.
6.
avessi:
7.
Il
avesse.
hanno
2.
si
lasciato:
desidera...
mancanza
hanno capi:
si
tralasciato.
sente
oggi
to, la
di notizie precise su molti punti.
non
chi
nasce.
dunque, quelun esempio, un insegnamen-
come pensava
costruzione fatti
Soggetto è
fine della storia
lo di costituire 1.
cioè.
magistrati: magistrature, ordini del governo: forme di governo, modi della milizia: 4.
il
è,
Machiavelli,
circostanziata
e
ma
la
oggettiva
in tutte le loro sfumature.
ri-
dei
Francesco Guicciardini
295
osservazioni critiche spicciole in margine alle pagine di
un
libro
ovvero
ai
casi della vita ».
Dall’ideale dialogo col Machiavelli balzano evidenti le differenze di pen-
d’animo dei due grandi fiorentini. Le possiamo cogliere immediatamente confrontando il loro stile. Quanto il Machiavelli è reciso, appassionato, SI che sembra porsi davanti ai problemi con un tono agonistico, di drammatica alternativa, altrettanto il Guicciardini è pacato, calmo, circostanziato. Alla tensione dinamica del primo, si contrappone qui un periodare ampio, inteso al ragionamento e alle distinzioni sottili, tutto concretezza, che sembra ricavare con riluttanza una conclusione generale dal fatto consiero e
creto. Il Machiavelli è l’ideologo
un
sione attuale e vi cerca
che intende ricostruire lucida intelligenza
La Chiesa
A
il
i
che proietta
la storia
incentivo all’azione,
passata nella sua pas-
Guicciardini è lo storico
il
tutte le loro sfumature,
fatti in
comprendere con
passato.
e l’Italia
proposito della
discussione
presente sul
problema dell’unità
italiana,
ab-
biamo a suo luogo indicato quanto di utopistico fosse nell’ideale machiavelliano, c quanto fosse arbitrario ascrivere soltanto al potere temporale della Chiesa la causa della mancata unificazione dell’Italia. Tuttavia anche il Guicciardini riconosce la responsabilità della Chiesa; quel che non è disposto a riconoscere è che la disunione dell’ Italia sia un male; egli anzi vede il particolarismo come una tendenza naturale e sostanzialmente positiva dello spirito e della civiltà italiana. Il
Guicciardini ha ragione, se
si
considera la concreta situazione storica del
suo tempo, ma non comprende che il Machiavelli afferma l’ideale esigenza di trasformare radicalmente proprio quel sempre precario equilibrio particolaristico (tanto caro al Nostro) il cui sbocco fatale era stato il tramonto della libertà italiana.
Non si può dire tanto male della corte romana che non meriti se ne dica piu, perché è una infamia,^ uno scempio di tutti e vituperii e obbrobrii del mondo. E anche credo sia vero che la grandezza della Chiesa, cioè l’autorità che gli ha data la religione, sia stata la causa che Italia non sia caduta in una monarchia,^ perché da uno canto ha avuto tanto credito che ha potuto
farsi capo,
e convocare,
bisognato, principi esterni contro a chi era per opprimere
Il
Guicciardini
del libro
I
discute
qui
il
cap.
dei Discorsi del Machiavelli.
XII
Lo
riportiamo a pag. 243. I. perché... infamia; all’ inizio, il G. dà pienamente ragione al Machiavelli, partecipa alla sua indignazione morale contro la corruzione della corte Romana, si potrebbe anzi dire che rincari la dose, gonfio di amarezza e di sdegno.
2.
non
unificata
sia...
sotto
quando è Italia;
monarchia: non un unico dominio.
^
sia
Ma
da stata
già
caduta preannuncia l’argomentazione successiva, che è in netto contrasto col pensiero del Machiavelli. potuto diventare, 3. perche... Italia: ha almeno moralmente e politicamente, il piu la
parola
importante stato italiano e quindi chiamare principi stranieri in aiuto contro quegli
Antologia della letteratura italiana
296
essendosi spogliata di armi proprie,^ non ha avuto tante forze che abbia potuto stabilire dominio temporale altro che quello che volontariamente gli è stato dato da altri. Ma non so già se il non venire altro,
una monarchia® sia stata felicità o infelicità® di questa provincia,’ se sotto una repubblica questo poteva essere glorioso al nome
in
perché
d’ Italia e felicità a quella città che dominassi,® era all’altre tutte cala-
mità, perché, oppresse da quella
ombra
non avevano facultà® costume delle repubbliche non partecipare e frutti della sua libertà e imperio ad altri che a’ suoi cittadini proprii.^® E se bene la Italia divisa in molti dominii abbia in vari tempi patito molte calamità, che forse in uno dominio solo non arebbe patito (benché le inondazioni de’ Barbari furono piu a tempo dello imperio romano che altrimenti), “ nondimeno in tutti questi tempi ha avuto
il
che non arebbe avuto sotto una
rincontro tante città floride
al
di quella,
grandezza alcuna, essendo
di pervenire a
repubblica, che io reputo che una monarchia gli sarebbe stata piu infelice
che
Questa ragione non milita in uno regno il quale è veggiamo la Francia e molte
felice.
commune
piu
a tutti e sudditi; e però
un
altre provincie vivere felici sotto d’ Italia
o per
hanno ingegno della
stati
porre
la
che
tentassero
di
è
mai questa provincia
im-
non avendo un
eser-
una monarchia: sotto un unico dominio. La parola monarchia ha qui il senso etimologico di governo di un solo; sia che si tratti di un « principe » sia di una repubblica, come quella di Venezia, che imponga il proprio dominio sulle altre rein
gioni
italiane.
Come
vedrai
più
avanti,
il
G. considera soprattutto questo secondo caso,
quello cioè che sarebbe stato più possi-
bile,
gli
storicamente, nella politica italiana deultimi
secoli,
dalla
civiltà
comunale a
quella delle Signorie.
o
6.
felicità
7.
di questa provincia;
infelicità:
fortuna o sventura. dell’ Italia.
dominassi: perché se questa unificazione, qualora fosse avvenuta sotto il dominio di una repubblica, poteva rappresentare per questa una fortuna, ecc. 8.
9.
perché...
facultà:
modo
propri cittadini,
j
che
stata facile a riche tiene in
di assoluto privilegio,
e
gli
abitanti dei territori assoggettati. il G. non pensa, né suo tempo, pensare a una unità nazionale quale fu perseguita nel nostro Risorgimento, ma a una unificazione fondata sulla forza e il diritto di conquista.
Tieni presente che
cito proprio. 5.
fra
licabile
una situazione
propria egemonia.
essendo... proprie;
4.
non
e forze,^®
penisola
pure, o sia per qualche fato
re:
complessione degli uomini temperata in
la
possibilità,
modo.
10. essendo... proprii: Il G. è su questo punto d’ accordo col Machiavelli: è più gravoso essere soggetti a una repubblica
che a un principe, perché questi tende a un generale livellamento dei sudditi, ma anche a pareggiarne i diritti e le possibilità, quella, invece, mantiene
una barriera inva-
potrebbe,
nel
La storia d’ Italia, come egli osserva acutamente più avanti, era stata una storia di città,
di
piccoli
chiusi
stati
colarismo; mancava
nel
loro parti-
senso dell’ unità.
il
anche se le invaavvennero piuttosto al tempo dell’ impero romano che dopo. 12. Allude ai Comuni e alla loro storia 11. benché... altrimenti;
barbari
dei
sioni
gloriosa.
Questa...
13.
zioni cioè,
Queste
regno:
considera-
non valgono per un regno (in esso, non avviene che la potenza di una
città offuschi
anzi non
il
libero progresso delle altre;
è neppure
c’
una
città
che domini
politicamente sulle altre). 14.
è
più
commune:
garantisce
V ugua-
glianza politica dei sudditi, in quanto
dipendono
essi
direttamente dal re e sono sottoposti a un’ unica legge. 15. per la complessione... forze: a causa
dell’ indole
vivo
e
di
tutti
degli Italiani, dotati di ingegno
capacità
individuali
notevoli.
Il
Francesco Guicciardini
297
un imperio,
dursi sotto
quando non
eziandio^*
sempre naturalmente ha appetito” di
ria
altro
imperio che
ci
era la Chiesa; anzi
né credo
libertà;
la
sia
ci
memo-
abbia posseduta tutta che de’ Romani, e
l’
quali la soggiogorono con grande virtù e grande violenza;” e si
spense
cilmente lo imperio di
monarchie,
alle
mancò
repubblica e
la
la virtù degli
Però
Italia.
se la
Chiesa romana
non concordo facilmente
io
come
imperatori, perderono fa-
essere
questa provincia,” poiché l’ha conservata in quello
si
stata
modo
è opposta
infelicità
di
di vivere che
è più secondo** la antiquissima consuetudine e inclinazione sua.
La
»
« Storia d’ Italia
L’attività letteraria* del Guicciardini la Storia fiorentina
Ciompi
dei
si
apre, nel 1508, con un’opera storica,
(che raccontava gli eventi della sua patria dal tumulto
alla battaglia della
Ghiaradadda) e
conclude, nel 1540, con
si
un’altra opera storica, la Storia d’Italia.
Un non
rapido confronto fra
due opere può essere
le
soltanto lo sviluppo stilistico dello scrittore,
l’approfondirsi del suo orizzonte
cui
storiografico,
sufficiente per mostrarci
ma
anche, e soprattutto,
certo giovarono
esperienze politiche e l’assidua meditazione dei fatti. Possiamo quindi affermare che la Storia d’Italia costituisce
la
le
sue
sintesi,
l’espressione conclusiva del pensiero dell’autore.
Al 1535
risale l’inizio della stesura dell’opera,
XVI
libro
(venti sono
i
libri
che
la
incentrati sulla battaglia di Pavia (1525), che
mente
il
predominio spagnolo in
che cominciava con l’attuale cioè con gli avvenimenti
compongono),
aveva sancito inequivocabil-
Ma, come avverte giustamente il della Storia dovette ricevere un fon-
Italia.
De
Caprariis, la concezione definitiva damentale impulso quando il Guicciardini, nel 1536, si recò a Napoli col duca Alessandro per difenderlo di fronte a Carlo V dalle accuse dei fuorusciti fiorentini
:
« quel giudice straniero delle vicende interne della sua città
dovè ben apparirgli come la personificazione di un nuovo secolo che si ergeva sulle rovine d’un crollo totale, che abbracciava non solo Firenze, ma l’Italia intera ».
La Storia d'Italia è la storia di questo crollo: dalla morte di Lorenzo il Magnifico, cioè dalla fine della politica italiana d’equilibrio e dalle conse-
G.
ammira
lo
splendore
delle
libere
libertà.
16. eziandio: 17.
anche. naturalmente appetito: spontaneamen-
te desiderato.
18.
città
vede nel particolarismo politico un effetto deir ingegno c delle capacità degli Italiani, che non si rassegnano ad assoggettarsi a un re, gelosi come sono della loro
italiane,
con grande... violenza: cioè con
la vio-
lenza e la virtù guerriera. Roma riuscì ad affermare la propria egemonia sull’ Italia dopo guerre durissime e sanguinose. affatto 19. io non... provincia: non sono d’accordo che questo sia stato un male per
r
Italia.
20. che è piu secondo:
me
alla,
ecc.
che è piu confor-
Antologia della letteratura italiana
298
il loro dominio sulla Clemente VII, l’ultimo principe italiano che avesse tentato una grande politica, compromettendo, però, per secoli, a
gucnti contese tra Francesi c Spagnuoli per affermare Penisola, fino alla morte di papa
causa dei suoi errori e delle sue irresolutézze, italiano indipendente
la possibilità di
Ma
da potenze straniere.
la
un
equilibrio
italiana è vista dal
crisi
Guicciardini con acuto c originalissimo senso storico, nell’ambito della cerca di
un nuovo
assetto europeo,
i
ri-
cui fondamenti sono gettati proprio sulla
tragedia della libertà dell’Italia.
Per quel che riguarda la concezione storiografica dell’autore, è significail fatto che l’opera si apra e si concluda con la presentazione di due
tivo
individui,
Lorenzo e Clemente VII.
come opera
Guicciardini, infatti, vede
la
storia
delle loro capacità e delle loro
ambi-
Il
di singole individualità:
zioni, delle loro passioni, dei loro istinti, delle loro debolezze. la
Di qui nasce il primo
sua ricerca delle intime ragioni psicologiche da cui hanno ricevuto
impulso
i
eventi
fatti; la logica degli
singoli personaggi.
Ma
la
tata dalla fortuna, o, meglio, dalla
mitanti;
le
azioni singole
cioè, ricondotta alla psicologia dei
è,
libertà d’azione del singolo è, per l’autore, limi-
complessa rete di
vengono quindi
verità
osservazione
Guicciardini,
del
e concreta, ben
effettiva
e personalità conco-
Di qui nasce
plicazioni e nel loro reciproco condizionamento.
attentissima
fatti
studiate nelle loro reciproche im-
la
scrupolosa,
la
sua complessa ricerca
lontana dalle sintesi
ma
generose,
della
spesso
approssimative, del Machiavelli, che cercava nella storia una conferma di teorie esemplari.
Per tutta acutissima,
la Storia d* Italia avverti la
tensione di un’intelligenza vigile e
una visione minuziosamente
riflette nelle
articolata
ampi, pieni di
incisi e di
eppure unitaria, che
proposizioni secondarie, volti a rappresentare
fatto in tutte le sue sfumature,
eppure organici, limpidi,
chiaro e agevole ordine razionale.
gnante non risponde a un vezzo
Anche
letterario,
la ricerca della
ma
a
si
hai in esso, infatti, periodi
qualità corrispondenti dello stile:
un
costruiti
un
secondo un
parola eletta e pre-
costante bisogno di razio-
nalità e di chiarezza.
Tuttavia anche sue pagine pacate e
la
Storia
è
marmoree
opera intimamente autobiografica. avverti
una vena
di contenuta
ma
Sotto
intensa
le tri-
la desolazione che nasce dallo spettacolo della rovina d’Italia si fonde con quella piu immediatamente personale dell’autore, che rivive la sua vicenda, legata a quegli eventi e risultasi in uno scacco definitivo. A questo si aggiunge un piu universale sentimento della malvagità e incapacità generale degli uomini, dell’instabilità e malignità della Fortuna, della pre-
stezza:
carietà d’ogni
umano
operare.
E non
mancano,
infine,
momenti
di auten-
o per lo meno di triste perplessità davanti al costante trionfo della forza bruta su ogni moralità; è un’antitesi che il Guicciardini non affronta con la risolutezza spietata del Machiavelli, ma che soffre senza
tica sofferenza morale,
speranza.
Comunque, l’intelligenza predomina sul sentimento: una passione intelun bisogno soprattutto di comprendere animano la Storia. La discrezione non è piu, qui, la qualità, discutibile, del politico, ma coincide con la lettuale,
mentalità oggettiva e precisa dello storico che vuol far rivivere
nel
suo
Francesco Guicciardini
299
‘i fatti come effettivamente furono, mento per momento, imparzialmente, per
racconto
mo-
caso per caso,
sviscerarli,
nella
ricostruirli
loro
verità
e
nella loro organica completezza.
proemio
Il
La
alla
Storia d’ Italia
apre con una sorta di vasta e mesta sinfonia. L’ autore il passato splendore dell’ Italia e indica le ragioni del suo tragico crollo. Ma la desolazione dell’animo, che giunge a un senso sconStoria d’ Italia
si
rievoca con nostalgia accorata
umano,
solato dei limiti dell’operare
è continuamente combattuta dall’intelligenza
lucida del Guicciardini, dalla sua ferma volontà di comprendere, di chiarire a
Ne consegue uno stile severo e sostenuto, nel quale sentimento è represso e dominato dall’acutezza della visione intellettuale.
se stesso le cause della rovina. il
ho deliberato
Io
di scrivere le cose accadute alla
memoria
nostra
^
da poi che Tarmi de’ Franzesi, chiamate da’ nostri principi medesimi,^ cominciarono con grandissimo movimento a perturbarla: materia, per la varietà e grandezza loro,^ molto memorabile, e piena in Italia,
di atrocissimi accidenti
avendo
lamità, con le quali sogliono
patito tanti anni Italia tutte quelle ca-
miseri mortali, ora per Tira giusta d’iddio,
i
ora dalla empietà e sceleratezze degli
cognizione de’ quali
uomini, essere
altri
Dalla
vessati.^
tanto varii e tanto gravi, potrà ciascuno, e
casi,
per sé proprio e per bene pubblico, prendere molti salutiferi documenti ;
onde per innumerabili esempi evidentemente apparirà bilità
(né altrimenti che
umane; quanto siano
cose
le
uno mare concitato®
sempre
a’
popoli,
consigli
i
memoria nostra: r armi medesimi
nei nostri tempi.
quanta
di
occhi
agli
insta-
da’ vènti) siano sottoposte
quasi sempre a sé
perniciosi,
male misurati
quando (avendo solamente innanzi
a
®
ma
stessi
coloro che dominano;
o
errori
vani o
le
cu-
responsabilità dei principi) e, più
scopre
le
narrazione
avanti,
nel
umane
1494 di Carlo Vili re di Francia, incitato a compiere questa spedizione da fuorusciti
tuna».
senso dell’ instabilità delle cose soggette all’impeto cieco della « forvessati: travagliati, tormentati.
dei vari stati italiani, dai Baroni napoletani
concezione rinascimentale della storia come maestra di vita. Essa, però, per il G., non costituisce tanto, come per il Machiavelli, un incitamento all’azione magnanima e forte, ma un mezzo per affi-
alla
1.
2.
. . .
prende
ostili
mosse dalla calata
le
Moro, signore del Ducato
il
no,
che
intendeva
del potere
4.
llalia
il
privare
di
Mila-
definitivamente
nipote Gian Galeazzo,
legitti-
ora...
di
degli avvenimenti.
delle cose,
La
vessati:
uomini,
nel
storia del
senso
l’origine e la ragione dei fatti
logia degli individui;
ma
G. è
sto-
che egli ricerca nella psico-
l’atrocità dei casi
salutiferi
5.
la
rottura
d’ Italia
suscita
nel
salutari
ammae-
prudenza,
la
discrezione,
il
senso,
cieca e selvaggia della fortuna. Il G. individua con chiarezza le cause della crisi: la
italiani
sciagure
documenti: la
dell’estrema complessità dei fatti. 6. concitato: sconvolto. L’immagine esprime drammaticamente il senso della violenza
suo
delle
È
cioè,
animo accorato anche il senso di un flagello divino (pur mentre la sua lucida intelligenza
e
il
stramenti.
nare
erede del trono.
3. loro:
ria
in
Aragonesi e soprattutto da Lodo-
agli
vico
mo
La
:
ma
dell’equilibrio
politico
fra
gli
stati
conseguente vuoto di potenza; sente che una volta perduto il controllo e
il
Antologia della letteratura italiana
300
pidità presenti, non si ricordando delle spesse variazioni della fortuna, e convertendo in detrimento*^ altrui la potestà conceduta loro per la salute comune) si fanno, o per poca prudenza o per troppa ambizione, -autori di
Ma
nuove turbazioni. calamità d’ Italia (acciocché io faccia noto quale fusse allora
le
insieme le cagioni dalle quali ebbeno l’origine tanti mali) cominciorono con tanto maggiore dispiacere e spavento negli animi degli uomini, quanto le cose universali® erano allora piu liete e piu felici. Perché manifesto è che (dappoi che® lo Imperio Romano, indebolito prinlo stato suo, e
cipalmente per
mutazione degli antichi costumi, cominciò, già sono
la
più di mille anni, di quella grandezza a declinare, maravigliosa Italia tanta
virtù
fortuna era
e
riposava
si
sentito
quanto era
prosperità, né provato stato tanto desiderabile,
quello nel quale sicuramente
quale con
alla
non aveva giammai
salito)
l’anno della Salute cristiana
mille quattrocento novanta, e gli anni che a quello e
prima
e poi fu-
rono congiunti. Perché, ridotta tutta in somma pace e tranquillità, tivata non meno ne’ luoghi più montuosi e più sterili che nelle nure
né sottoposta ad altro imperio che de’
e regioni sue più fertili,
non
suoi medesimi, zie e
solo era abbondantissima d’abitatori, di mercatan-
ma
di ricchezze;
summamente
illustrata
dalla magnificenza di
molti principi, dallo splendore di molte nobilissime e bellissime dalla Sedia e maestà della Religione,
fioriva
amministrazione delle cose pubbliche, e
nella
in
tutte
le
dottrine
qualunque
in
e
priva, secondo l’uso di quella età,
arte
città,
d’uomini prestantissimi di ingegni molto nobili
preclara
e
industriosa;
né
di gloria militare; e ornatissima
meritamente appresso a
di tante doti,
col-
pia-
tutte
nome
nazioni
le
fama
e
chiarissima riteneva.
Nella quale
laude non piccola
della
situazione
7.
in detrimento:
8.
le
9.
trall’altre,
di
consentimento comune,
alla industria e virtù di
fatti
i
un ordine non più
rali
acquistata con varie occasioni, la conservavano
felicità,
ma
molte cagioni,
si
sono
svolti
con
prevedibile.
danno
a
cose universali:
le
dei popoli.
deir Italia, dappoi che: da quando.
10.
di quella...
declinare:
12. dalla il
centro
Sedia...
della
riposava:
godeva una
Religione:
a
Roma
cattolica,
la
era
sede
del Pontefice. 13. secondo...
l’autore che
età:
Le compagnie
di ven-
tura italiane, cioè le armi mercenarie, go-
ma
li
riteneva:
notevole
La
pre-
ricostru-
confronta con la decadenza non vede che proprio al-
egli
cominciava maggiori
lora
tica dei
religione
di
zione storica assume un colore quasi mitico. Indubbiamente furono anni di splendore per 1 Italia, e tanto più belli appaiono alpresente;
si
attribuiva
’
a decadere da
quella grandezza. 11. sicuramente pace serena,
meritamente...
si
de’ Medici,^® citta-
devano nel Quattrocento stigio anche all’ estero. 14,
condizioni gene-
Lorenzo
la
crisi
economica e
poli-
stati italiani.
15. Lorenzo de’ Medici: Il G. critica duramente il Magnifico nelle Storie fiorentine per aver stabilito un governo assoluto e di-
Qui, invece, gli riconomerito di essere stato il principale so-
spotico in Firenze. sce
il
Francesco Guicciardini
dino tanto eminente sopra
*1
grado privato^® nella
città
di
Firenze,
che per consiglio suo si reggevano le cose di quella Repubblica, potente piu per l’opportunità del sito, per gii ingegni degli uomini e per la
prontezza de’ danari, che per grandezza di dominio.
E
avendosi
con parentado nuovo,” e ridotto a prestare fede non consigli suoi, Innocenzo Vili pontefice romano, era per
egli congiunto,
mediocre
a’
suo nome, grande nelle deliberazioni delle cose conoscendo che alla Repubblica fiorentina e a sé proprio sarebbe molto pericoloso se alcuno de’ maggiori potentati ampliasse pili la sua potenza, procurava con ogni studio che le cose d’Italia in modo bilanciate si mantenessino, che piu in una che in un’altra senza la conservazione della pace, e il che, parte non pendessino; senza vegghiare ” con somma diligenza ogni accidente benché minimo, tutta Italia
comuni
grande
l’autorità.
il
E
non poteva. Concorreva nella medesima inclinazione comune Ferdinando di Aragona re di Napoli, principe
succedere quiete
mente prudentissimo, e
di
grandissima estimazione;
con
della certa-
tutto
che
molte volte per l’addietro avesse dimostrato pensieri ambiziosi e alieni da’ consigli della pace, e in questo tempo fusse molto stimolato da
Alfonso duca di Calabria, suo primogenito; il quale mal volentieri tollerava che Giovan Galeazzo Sforza, duca di Milano, suo genero, maggiore già di venti anni,® benché d’intelletto incapacissimo, ritenendo solamente il nome ducale,^ fusse depresso e soffocato da LodoIl quale, avendo piu di dieci anni prima, per la imprudenza e impudichi costumi della madre Madonna Bona, presa la tutela di lui, e con questa occasione ridotte a poco a poco in potestà proprie le fortezze, le genti d’arme, il tesoro, e tutti i fondamenti dello Stato, perseverava nel governo; né come tutore o governatore, ma, dal titolo di duca di Milano in fuora,® con tutte le dimostrazioni e azioni da principe. E nondimeno Ferdinando (avendo piu innanzi agli occhi l’utilità presente che l’antica inclinazione, o la indegnazione del figliuolo, benché giusta) desiderava che Italia non si alterasse; o p>erché.
vico Sforza, suo zio.
stegno della politica d’equilibrio fra
le for-
ze dei maggiori stati italiani, che garanti per alcuni decenni la pace. 16. tanto... privato; tanto al di sopra del-
condizione di privato cittadino. 17. congiunto... nuovo: Una figlia di Lorenzo aveva sposato un figlio di Innocenla
della piccola diplomazia, su un dosaggio sapiente delle forze; non aveva intime e ma il G. non se ne avvede
minuto
—
profonde ragioni
—
vitali.
genero di Ferdinando d’Aragona, di cui aveva sposato la figlia 20.
suo...
anni:
18. pili... pendessino: Lorenzo si studiava che non venisse minimamente alterato il fra-
e in età già di poter esercitare il potere al posto di Lodovico il Moro. 21. ritenendo... ducale: conservando solo il titolo di Duca di Milano, senza esercitare
gile equilibrio politico italiano.
alcun potere effettivo.
zo Vili.
19.
vegghiare;
mente.
vegliare,
L’equilibrio
si
studiare attenta-
fondava
sul
giuoco
Isabella,
22. dal
mente
il
titolo...
in
titolo ducale.
fnora:
escluso
sola-
Antologia della letteratura italiana
302
avendo provato pochi anni prima, con gravissimo pericolo, l’odio contro a sé de’ Baroni e de’ popoli suoi,^ e sapendo l’affezione che per la memoria delle cose passate molti de’ sudditi avevano al nome della Casa di Francia, dubitasse che le discordie italiane non dessino occasione a’ Franzesi di assaltare il reame di Napoli; o perché, per fare contrapeso alla potenza de’ Viniziani, formidabile “ allora a tutta conoscesse essere necessaria l’unione sua con gli
Italia,
mente con benché
di
Milano e
di
Stati
gli
che agli
altri,
e special-
altri,
a Lodovico Sforza,
inquieto e ambizioso, poteva piacere altra delibera-
spirito
soprastando non
zione;
Né
Firenze.
di
manco
a
quegli che dominavano a Milano,
pericolo del Senato Viniziano,^ e perché gli era più
il
conservare nella tranquillità della pace che nelle molestie della
facile
guerra l’autorità
usurpata.
E
se
bene
gli
fussino
sempre
sospetti
i
Alfonso d’Aragona; nondimeno, essendogli nota la disposizione di Lorenzo de’ Medici alla pace e insieme il timore che egli medesimamente avea della grandezza loro, e persuadendosi che, per la diversità degli animi e antichi odii tra Ferdinando e i Viniziani, fusse vano il temere che tra loro si facesse fondata pensieri di
Ferdinando e
congiunzione,^
si
di
riputava assai sicuro che gli Aragonesi non sareb-
bono accompagnati da
altri
a tentare contro a lui quello, che soli
non
erano bastanti a ottenere.
Guicciardini parla poi della Lega
Il
Milano, Firenze,
Italica, conclusa nel I4S5 Roma, Napoli, Venezia, per mantenere V equilibrio
in Italia, intesa, però, in realtà, a frenare la
brama
di espansione dei
Veneziani nella Penisola. Raffrenava facilmente questa confederazione Viniziano,
ma non
congiugneva già
i
fedele. Conciossiacosaché,^ pieni tra sé
non cessavano
losia,
l’altro,
sconciandosi ^ scambievolmente
casa regnante di Francia. 25.
formidabile:
temibile.
diffidenza e l’ostilità degli
Forti erano la stati
italiani
nei
confronti di Venezia, sospettata di voler esten-
dere
la
medesimi
di osservare assiduamente gli
23. pochi... suoi: Vi era stata nel 1485 la Congiura dei Baroni contro Ferdinando. 24. per la memoria... passate: prima degli Aragonesi, avevano regnato nell’ Italia meridionale gli Angioini, imparentati con la
la
propria egemonia su tutta
la penisola.
cupidità del Senato
Collegati in amicizia sincera e
tutti
i
di emulazione e geandamenti l’uno del-
disegni,
per
i
quali a
26. Senato Viniziano: la Repubblica di Venezia retta dal Senato. fondata congiunzione: un’ alleanza 27.
sincera
e
sicura.
Come
si
vede,
1
’
equili-
fondato soltanto sul reciproco timore e sulla reciproca diffidenza, e portava quindi a una fondamentale debolezza delbrio
1
’
era
Italia.
28. Conciossiacosaché
29.
:
poiché.
sconciandosi: guastandosi.
Francesco Guicciardini
303
qualunque di essi accrescere non rendeva manco stabile
potesse o imperio
si
o riputazione: il che tutti maggior
pace,^ anzi destava in
la
prontezza a procurare di spegnere sollecitamente tutte quelle che origine di nuovo incendio essere potessino.
Tale era lo stato delle cose, lità d’Italia,
presente
tali
erano
disposti e contrapesati in
non
temeva,
si
ma
né^^
si
i
faville,
fondamenti della tranquil-
modo, che non
solo di alterazione
poteva facilmente congetturare da
quali consigli o per quali casi, e con quali armi
si avesse a muovere mese di aprile dell’anno mille quattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lorenzo de’ Medici; morte acerba a lui per l’età (perché mori non finiti ancora quarantaquattro anni), acerba alla patria, la quale, per la reputazione e prudenza sua e per
Quando,
tanta quiete.
nel
l’ingegno attissimo a tutte
cose onorate e eccellenti, fioriva maravi-
le
gliosamente di ricchezze, e di suole essere nelle cose
incomodissima ancora
umane al
tutti
quegli beni e ornamenti da’ quali
lunga pace accompagnata.
la
resto d’Italia,^ cosi per
l’
Ma
fu morte
altre operazioni
le
comune, continuamente si facevano, come perché era mezzo a moderare e quasi uno freno ne’ dispareri e ne’ sospetti, i quali, per diverse cagioni, tra Ferdinando e Lodovico Sforza, quali da
per
lui,
la sicurtà
principi d’ambizione e di potenza quasi pari, spesse volte nascevano.
La
scoperta dell’America
Questa rapida digressione sulle scoperte geografiche compiute a partire dalla XV da Spagnuoli e Portoghesi, è introdotta dal Guicciardini per spiegare il declino del piti forte stato italiano, Venezia, che si vide soppiantata dal 30. commercio delle spezie, il più importante e redditizio del tempo, esercitato prima da essa quasi in condizione di monopolio. Lo spostamento del commercio dal Mediterraneo all’Atlantico colpi gravemente l’economia non solo di Venezia, ma dell’Italia intera e fu una delle ragioni fondamentali della sua decadenza nel fine del sec.
sec.
XVI. Ma, sia pur sinteticamente,
il Guicciardini accenna qui a un’ altra, importanconseguenza di quelle scoperte. L’improvviso dilatarsi dei confini del mondo poneva in crisi tutto un complesso di forme e strutture di pensiero. Ne risultava, fra l’altro, sminuita l’ autorità di quei classici che avevano costituito
tissima
supremo
l’ideale
modello
con
e,
di vita e di perfezione esso,
alle
il che... pace: Il G. ha riconosciuto acutamente limiti di quella politica, piena di diffidenze e malcelati rancori, eppure i
la
Permane in come arte
considera valida.
fallace
sapiente sulla
della
politica
di
dosatura
prudenza,
tarismo,
non
la
delle
umana.
grandi aspirazioni,
lui
’
1
idea
difficile
forze,
« discrezione »,
e
fondata 1’
utili-
su profonde ragioni ideali.
31. rivela litica
re,
Il
alla
ma lo
Guicciardini rinuncia a questo fiducia nel
trionfo della virtù
né: ma neppure. Tutto sgomento die prese la
il
periodo po-
classe
davanti alle invasioni straniecrollò quel sistema che sembra-
italiana
quando
va perfetto. 32. Ma...
Italia:
Ma
fu, questa morte,
danno irreparabile anche (ancora) per r Italia.
un
tutta
Antologia della letteratura italiana
304
la fortuna. Uno storico contemporaneo, lo Chabod, pagine Pimminente crepuscolo del Rinascimento.
contro
Ma
piu maravigliosa
cominciata
l’anno
^
mille
ancora è stata
la
quattrocento
ha visto in queste
navigazione degli Spagnuoli,
novanta,^
invenzione^
per
di
Colombo genovese. Il quale, avendo molte volte navigato mare Oceano, e congetturando per l’osservazione di certi venti
Cristoforo
per
il
quel che poi veramente certi legni,^ e
gli succedette, impetrati da i re navigando verso l’occidente, scoperse, in capo
di
Spagna
di trentatré
di nell’ ultime estremità del nostro emisperio,® alcune isole,® delle quali
prima niuna notizia s’aveva; felici per il sito del cielo,"^ per la fertilità della terra e perché, da certe popolazioni fierissime in fuora® che si cibano de’ corpi umani, quasi tutti gli abitatori, semplicissimi di costumi e contenti di quel che produce la benignità della natura, non sono tormentati né da avarizia,® né da ambizione; ma infelicissime perché non avendo gli uomini né certa religione né notizia di lettere, non perizia di
artificii,^®
non armi, non
non
arte di guerra,
non
scienza,
esperienza alcuna delle cose, sono, quasi non altrimenti che animali
mansueti, facilissima preda di chiunque
Spagnuoli dalla
facilità
dell'occuparle
gli
e
Onde
assalta.
dalla
allettati
gii
ricchezza della preda,
perché in esse sono state trovate vene abbondantissime d’oro, comin-
come in Colombo più
ciorno molti di loro,
fiorentino, e
domicilio proprio, ad abitarvi.
pene-
e
oltre,
grandissimi paesi di terra ferma; tutti
E
doppo lui Amerigo Vespucci successivamente molti altri, hanno scoperte altre isole,
trato Cristoforo
e in alcuni di essi
e
(benché in quasi
contrario e nell’edificare pubblicamente e privatamente, e nel
il
vestire
conversare) costumi
nel
e
imbelli e facili a essere predate
:
pulitezza civile,
e
ma
ma
tutte
genti
tanto spazio di paesi nuovi che
sono senza comparazione maggiore spazio che l’abitato che prima era a notizia nostra. Ne’ quali distendendosi con nuove genti e con nuove navigazioni gli Spagnuoli, e ora cavando oro e argento delle vene che
1.
pili
maravigliosa: dei viaggi di Vasco
de Gama e dei Portoghesi di cui ha parlato precedentemente. 2. mille quattrocento novanta: La data esatta è 3. ta, 4.
il
per invenzione: in seguito alla scoperalla giusta congettura. legni: navi;
mondo. alcune isole:
in
il
sito
certe...
per
del cielo:
fuora:
il
clima.
eccettuate certe po-
9.
avarizia:
avidità, di
cupidigia.
artificii:
conoscenza di
te-
cniche e di mestieri. 11. Amerigo Vespucci:
Il Vespucci si reconto che quelle terre non erano una parte dell’ India (Colombo pensava, circumnavigando il globo, di giungere in India), ma un nuovo e sconosciuto continente, che poi dal suo nome fu chiamato Ame-
se
emisperio: emisfero. Dice ultime estresi pensava che procedendo sempre a occidente si giungesse ai limiti estremi
contrò fu da
da
10. perizia
5.
6.
per
8.
polazioni selvagge.
1492.
mità, perché del
7.
le
Antille; la
prima che
in-
Colombo chiamata San Salvador
onore di Cristo.
rica.
12. paesi
nente.
di terra
ferma:
cioè
un
conti-
Francesco Guicciardini
305
sono in molti luoghi, c dcH’arenc de’ fiumi, ora comperandone per
prezzo di cose vilissime dagli
n’hanno condotto
rubando
abitatori, ora
Spagna
nella
già accumulato,
il
quantità; navigandovi priva-
infinita
tamente, benché con licenza del Re e a spese proprie, molti, ma c|andone ciascuno al Re la quinta parte di tutto quello che o cavava o altrimenti gli perveniva nelle mani. Anzi è proceduto tanto oltre l’ardire degli Spagnuoli che alcune navi,^^ essendosi distese verso il mezzodì cinquantatré gradi sempre lungo la costa di terra ferma, e dipoi entrati in uno stretto mare e da quello per amplissimo pelago navigando neHo oriente, e dipoi ritornando per la navigazione che fanno i Portogallesi, hanno (come apparisce manifestissimamente) circuito tutta la terra. Degni, e i Portogallesi e gli Spagnuoli e precipuamente Colombo, inventore di questa sua maravigliosa e piu pericolosa navigazione, che con eterne laudi sia celebrata la perizia, la industria, l’ardire,
vigilanza e
la
le
fatiche loro,
per
quali è venuta
le
nostro notizia di cose tanto grandi e tanto inopinate. essere
di
Ma
secolo
al
piu degno
celebrato
il
proposito loro, se a tanti pericoli e fatiche
non
la
sete
avesse indotti la cupidità
o di dare a
immoderata
dell’oro e
gli
ma
ricchezze,
delle
questa notizia, o di propa-
sé stessi e agli altri
gare la fede cristiana; benché questo sia in qualche parte proceduto per conseguenza, perché in molti luoghi sono
stati
convertiti alla no-
stra religione gli abitatori.
Per queste navigazioni
si
è manifestato essersi nella cognizione della
ingannati in molte cose
terra
equinoziale; abitarsi
gli
Passarsi
antichi.^®
sotto la torrida
zona
oltre
alla
come medesimamente
:
linea
con-
si è per navigazione di altri compreso, abitarsi zone propinque a’ poli, sotto le quali affermavano non potersi
Popinione loro,
tro
sotto le
abitare per
i
freddi immoderati rispetto al sito^® del cielo tanto remoto
dal corso del sole. Èssi manifestato^® quel che alcuni degli antichi credevano, altri
che alcune navi, ecc. Allude al viagportoghese Fernando Magellano, che raggiunse, risalendo dalla Terra del Fuoco nell’Oceano Pacifico, 1 India. L’ unica fra le tre navi della sua spedizione che sopravvisse a tutte le peripezie (nelle quali trovò 13.
gio
:
del
’
morte il Magellano stesso), ritornò in Spagna nel 1522, tre anni dopo esserne partita, circumnavigando cosi il globo. La spedizione fu fatta p>er conto del re di Spagna. 14. Ma pili degno: sottintendi « sarebbe ». Il G. ignora che Colombo aveva le intenzioni che egli loda. Tuttavia le nuove terre furono immediatamente preda della rapala
cità e
crudeltà dei conquistadores spagnuoli.
15. essersi... antichi
:
che
gli antichi si so-
ri-
no ingannati su molte cose, nella loro conoscenza del nostro emisfero. Il mito degli antichi, della loro sapienza armonica e caratteristico dell’
perfetta,
Umanesimo,
co-
mincia qui a vacillare. Del resto, anche nel
campo il
G.
della politica, essi
non hanno
piu, per
valore esemplare che avevano per
il
,
il
Machiavelli. 16. si
Passarsi... abitarsi: Si è
può
passare...
compreso che
ecc.
abitare,
17. per navigazione: per
mezzo
della navi-
gazione. 18.
rispetto
al
sito:
causa
a
della
posi-
zione. 19. Èssi festo.
manifestato:
è
divenuto
mani-
3o6
Antologia della letteratura italiana
prendevano,” che sotto i nostri piedi sono altri abitatori detti da loro antipodi. Nc solo ha questa navigazione confuso molte cose affermate dagli scrittori delle cose terrene, ma dato, oltre a ciò, qualche
gli
ansietà agli interpreti della Scrittura Sacra, soliti a interpretare che quel versicolo del salmo che contiene
mondo
loro e ne’ confini del
le
”
« che in tutta la terra usci
parole loro
», significasse
che
Cristo fusse per la bocca degli apostoli penetrata per tutto Interpretazione aliena dalla verità, perché,
cuna
non apparendo
suono
il
la il
fede di
mondo.
notizia al-
né trovandosi segno o reliquia alcuna della noindegno di essere creduto,” o che la fede di Cristo vi sia stata innanzi a questi tempi, o che questa parte si vasta del mondo sia mai piu stata scoperta o trovata da uomini del nostro emisperio. di queste terre,
stra fede, è
La
disfida di 'Barletta
La al
avvenne nel 1503,
disfida di Barletta
fra tredici Francesi e tredici Italiani
i Francesi dal regno di Napoli, congiunti agli Aragonesi. Oltre ad essere un episodio di militare, rappresentò, dunque, anche un momento deH’in-
soldo degli Spagnuoli che riuscirono a cacciare
due
dai
tolto
limitata
eserciti
importanza
Ma grande fu il suo ascendente sulla fansentimento dei contemporanei, a cominciare dal Machiavelli: agli Italiani avviliti e preda inerme degli eserciti stranieri, sembrò, fra l’universale vergogna, una riaffermazione àéiV antica virtù italica^ un richiamo alla tradizione gloriosa. Nelle pagine del Guicciardini sentiamo questa ispirazione patriottica, quest’orgoglio nazionale contraddetto però dall’amara constatazione della schiavitù presente dell’ Italia. Ne risulta un tono commosso ma non entusiastico, una narrazione fatta spesso con accento solenne, con uno stile oratorio, con periodi dalle ampie volute latineggianti, ma poveri di vigore. La parte migliore è il discorso di Consalvo, espressione, in realtà, del sentimento del Guicciardini e rievocazione nostalgica di un recente passato di dignità e grandezza, per sempre perduto. glorioso tramonto della libertà italiana.
tasia e
il
^ un non potendo
Seguitò appresso a questi l’ardire de’ Franzesi,
20. riprendevano: confutavano. 21. confuso: confutato. 22. versicolo:
che contiene: che
versetto,
dice.
23. è indegno... creduto: è assolutamente
impossibile
credere.
e con problema
l’America, sorse
il
Con
altre
scoperte
di conciliare
te espressioni della Bibbia,
tempo, erano scritte.
cardini
del-
posteriori,
con esse
dell’epoca
La Bibbia
e
i
in cui classici,
del pensiero umanistico,
non
erano i
diminuì
assai
messi in discussione, o si avvertiva, comunque, l’esigenza di una nuova e diversa lettura e interpretazione di essi. Ma questo significava anche porre in crisi certe strut-
forme del pensiero, ricercare faticosamente una nuova interpretazione della
ture e
realtà.
cer-
che, fino a quel
state credute alla lettera e
legate alla cultura state
scoperta
la
accidente che
altro
attribuire alla malignità della For-
due
erano cos:
dopo questiG. ha narrato come le truppe spagnole, comandate da Consalvo de Cordova, riuscissero ad effetI.
Seguitò...
Nelle
righe
tuar-i
alcuni
questi:
precedenti,
felici
colpi
Segui il
di
mano
contro
i
Francesco Guicciardini
307
tuna quello che era stato opera propria della sopra la recuperazione
^
campo
furono
riscuotergli,® italiani certe
parole
franzese, e da quegli fatto
sposta agl’ Italiani, acceseno tanto ciascuno di loro l’onore della propria nazione,®
Rubos,^
stati presi in
andato un trombetto® a Barletta per trattare di dette contro a’ Franzesi da alcuni uomini d’arme che, riportate dal trombetto nel
Perché essendo,
virtu.^
che erano
di certi soldati
ri-
che, per sostenere
convenneno che in campo sicuro, a uomini d’arme franzesi
si
battaglia finita,® combattessino insieme tredici
uomini d’arme italiani; e il luogo del combattere fu statuito^® una campagna tra Barletta, Andria e Quadrato,^^ dove si conducessino accompagnati da determinato numero di gente: nondimeno, per assicurarsi dalle insidie, ciascuno de’ capitani con la maggiore parte dell'esercito accompagnò i suoi insino a mezzo il cammino confor-
e tredici in
:
tandogli che,^^ essendo
con l’animo e
l’opere
cofi
.
corrispondessino
tutto l’esercito,
di
scelti
stati
espettazione conceputa,^® che era tale
alla
con comune consenti-
che nelle loro mani e nel loro valore
si
mento
nobili nazioni. Ricordava
di tutti collocato l’oiiore di
si
fusse
medesimi
ceré franzese a’ suoi, questi essere quegli
avendo ardire
di sostenere
il
nome
il
che,
de’ Franzesi, avevano, senza fare
dato loro sempre
esperienza della sua virtù,
Italiani
la via,
quante volte
vi-
non mai dal-
l’Alpi avevano corso insino aU’ultima. punta d’ Italia; né ora accender-
nuova generosità d’animo o nuovo vigore; ma; trovandosi agli stia’ loro comandamenti, non avere potuto contradire alla volontà d’essi, i quali, assueti a combattere non
gli
pendii degli Spagnuoli e sottoposti
con virtù
ma
con insidie e con fraudi,
riguardatori degli altrui pericoli
Franccsi, comandati da Luigi
duca di Nemours,
che
in
9. all’
non potendo... virtù: La sconfitta duello prostrò Tanimo dei Francesi piu 2.
piccoli scacchi militari subiti, perché di
nel
il
sopra
la
il
riscatto.
Rubos: è Ruvo, dove Consalvo aveva compiuto un fortunato colpo di mano, prendendo prigioniero anche il comandante del 4.
francese,
il
5.
un trombetto: un
6.
riscuotergli:
7.
ciascuno di loro:
mercenari
r
De La
signor
sia
che
sua virtù:
si
da
tutti.
era.
del
proprio
comandante francese allude
alle
valore. recenti
incontrastate spedizioni francesi in Italia, a cominciare da quella di Carlo Vili. 16.
e anche ora non erano da una nuova generosità e da
né... pericoli:
infiammati
soldo degli Spagnuoli, avevano dovuto ubbidire a un preciso ordine di questi, i quali, avvezzi a combattere facendo affidaal
i
Francesi
nazione: qui
sia
i
Spagna.
parola nazione va intesa non nel senso moderno, ma in quello di « razza » o a stirpe ». 8.
Il
fusse:
un nuovo vigore dell’animo, ma, essendo
trombettiere.
riscattarli.
italiani al soldo della
onore...
Palisse.
esortandoli dicen-
13. conceputa: concepita 14. che... 15. della
per
:
stabilito.
Quadrato: Corato.
do che.
la mala sorte, quella maggior valore degli av-
rccupcrazione
con-
Italiani lussino
12. confortandogli che:
dei
que-
versari rispetto a loro.
presidio
gli
in campo... finita: in campo chiuso e ultimo sangue.
11.
potevano accusare
invece dimostrò 3.
facevano volentieri oziosi
10. statuito:
Barletta,
sti
si
ma come
d’Armagnac,
assediavano
le
^® :
la
mento non
sul valore,
ma
sull’ insidia
e la
frode, ben volentieri facevano gli spettatori dei pericoli altrui standosene al sicuro.
Antologia della letteratura italiana
3o8
dotti in sul
campo, e
si
vcdcssino a fronte l’armi e la ferocia di coloro
sempre
da’ quali erano stati
battuti,
ritornati
consueto timore, o
al
non ardirebbono combattere, o combattendo timidamente, sarebbono facile preda loro, non essendo sufficiente scudo contro al ferro de’ vincitori il fondamento fatto in su le parole e braverie vane^"^ degli Spagnuoli.
Da moli
Consalvo
altra parte
zione e
deU’armi
la gloria
mato avevano;^®
infiammava con non meno pungenti
riducendo in memoria
gli Italiani,
loro,
con
le
sti-
onori di quella na-
gli antichi
quali già tutto
essere ora in potestà di questi pochi,
mondo
il
non
do-
inferiori alla
virtù de’ loro maggiori, fare manifesto a ciascuno che se Italia, vin-
da pochi anni in qua stata corsa da esernon altro che la imprudenza de’ per ambizione discordanti fra loro medesimi, per
citrice di tutti gli altri, era citi forestieri,
esserne stata” cagione
suoi Principi,
i
quali,
non avere
battere l’un l’altro, l’armi straniere chiamate avevano; zesi ottenuto in Italia vittoria alcuna per vera virtù,
consiglio e dall’armi degl’ Italiani
i
Fran-
ma
o aiutati dal o per essere stato ceduto alle loro
artigherie;^ con lo spavento delle quali (per essere stata cosa nuova in
Italia),
non per
il
timore delle loro armi, essergli stata data
la strada
:
avere ora occasione di combattere col ferro e con la virtù delle proprie persone, trovandosi presenti
a^ si
glorioso spettacolo le principali
nazioni de’ Cristiani, e tanta nobiltà de’ suoi medesimi,
d^l’una parte come loroV J^icordassinsi
d’ Italia,
nutriti
”
essere
stati
allievi
tutti
continuamente sotto
i
quali, cosi
estremo desiderio della vittoria
dall altra,” avere
l’
de’
piu famosi capitani
armi, e avere ciascuno d’ essi
fatto in varii luoghi onorevoli esperienze della sua virtù:
e però, o
palma ^ di rimettere il nome italiano in quella gloria nella quale era stato non solo a tempo de’ loro maggiori ma ve l’avevano veduto essi medesimi” o, non si conseguendo per essere destinata a questi la
17. braverìe vane: 18.
Da
altra parte
vuote smargiassate. Consalvo: Il discorso di
Consalvo rispecchia persuasioni proprie del G., soprattutto in quel richiamo alla antica pirtù italiana. Questo sentimento d’orgoglio questo culto di una tradizione gloriosa erano ancor vivi nel Cinquecento nonostante 1* angoscia e l’ umiliazione delle continue disfatte. Lo si ritrova nel Machiavelli, nell’ Ariosto, nel Tasso. 19. già... avevano: allude alle gesta dei padri antichi, i Romani. 20. esserne stata: che ne era stata. nazionale,
21. ceduto...
Francesi in Italia
— —
artiglierie:
le
artiglierie dei
un’arma pressoché sconosciuta avevano aperto loro la strada
nella penisola. In realtà alla fine del Quat-
trocento vi fu in Italia una crisi militare che ebbe un peso non indifEerente nei crollo del
sistema politico italiano. 22. e tanta... altra: e tanti nobili e valorosi
italiani,
nell’uno e nell’altro campo.
23. Ricordassinsi
:
Ricordassero.
palma: a loro la gloria. 25. ma... medesimi: ma anche in tempi recenti, che loro stessi potevano ricordare. Prima delle invasioni francesi, le milizie e i condottieri italiani godevano fama europea e non immeritata; la loro decadenza si ebbe con l’affermarsi di una nuova tattica, fondata sul massiccio impiego delle fanterie Z4. a questi
la
e delle artiglierie.
Francesco Guicciardini
309
mani tanto onore, ^
queste
aversi a disperare” che Italia potesse rima-
nere in altro grado, che di ignominiosa e perpetua servitù.
Né
erano minori
particolari
stimoli che dagli altri capitani e da’
gli
“ dell’uno
soldati
e dell’altro esercito erano dati a ciascuno di loro,
accendendogli a essere simili di
medesimi,” a
se
esaltare
con
la
propria
virtù lo splendore e la gloria della sua nazione.
Co’ quali conforti condotti
al
campo, pieni ciascuno d’animo e di una banda dello steccato
ardore, essendo l’una delle parti fermatasi da
opposita
luogo dove
al
s’
era fermata
l’
altra
parte,
come
fu dato
il
lande: nel quale scontro non essendo apparito vantaggio alcuno,” messo con grandissima segno, corsero ferocemente a scontrarsi con
animosità e impeto
egregiamente tatori
la
che di
mano
sua virtù
all’altre
le
armi, dimostrava ciascuno di loro
confessandosi tacitamente per tutti
:
tutti gli eserciti
non potevano
gli spet-
essere eletti soldati più va-
né più degni a fare si glorioso paragone.^^ Ma essendosi già combattuto per non piccolo spazio e coperta la terra di molti pezzi di armadure e di molto sangue di feriti da ogni parte, e ambiguo ancora l’evento” della battaglia, risguardati con grandissimo silenzio,” ma quasi con non minore ansietà e travaglio d’animo che avessino loro, lorosi,
Guglielmo Albimonte, uno degli Italiani, uno franzese; il quale mentre che ferocemente
da’ circostanti, accadde che
fu gittato da cavallo da
il
ammazzarlo, Francesco Salamene
corre col cavallo addosso per
gli
rendo
al
pericolo del
compagno ammazzò con un grandissimo
franzese, che, intento a opprimere l’Albimonte, da lui
dava; e di poi, insieme con
che era in terra tati
l’
ferito, presi in
ammazzorono
avevano,
Albimonte che
mano
I
si
guai-
s’era sollevato, e col Miale,
spiedi che a questo effetto^ por-
più cavalli degl’inimici
cominciati a restare inferiori, furono chi da Italiani fatti tutti prigioni.
non
cor-
colpo
uno
:
donde
chi da
un
i
Franzesi,
altro degli
quali, raccolti con grandissima letizia da’
suoi, e rincontrando poi Consalvo, che gli aspettava a mezzo il cammino, ricevuti con incredibile festa e onore, ringraziandogli ciascuno come restitutori della gloria italiana, entrorono come trionfanti, con-
ducendosi
26.
non...
i
prigionieri
onore:
conseguire con cosi grande. a
il
se
innanzi,
non fossero riusciti valore un onore
loro
si
doveva abban-
28. da’ soldati particolari:
dai singoli sol-
aversi
27.
donare
la
a disperare:
speranza.
dati.
Barletta;
31. fare...
30. non...
alcuno:
mangono bravamente
Tutti
i
guerrieri
in arcione.
ri-
rimbombando
l’aria
di
paragone: dar prova, far mo-
proprio valore. 1’ esito. 32. ambiguo... evento: incerto il 33. con grandissimo silenzio: è forse particolare più vivo della descrizione (ed è un particolare psicologico), condotta, per il stra del
resto,
medesimi: a mostrarsi vacome erano sempre stati.
29. a essere... lorosi
in
con una certa lentezza.
Il
vero centro
discorso di Consalvo, che prisi riflette anche nel tono solenne della ma parte della descrizione della battaglia. scopo. 34. a questo effetto: per questo dell’episodio è
il
.
Antologia della letteratura italiana
310
suono
trombe
di
grida militari
nomi
i
e
tamburi, di tuoni ^ d’artiglierie e di plauso e
di
trapassino
loro
sé,
“ che
mediante lo instrumento
delle
degni che ogni italiano procuri, quanto è in
:
alla
posterità
Furono adunque Ettore Fieramosca capuano, Giovanni Capoccio, Giovanni Bracalone e Ettore Giovenale romani. Marco Corellario da Napoli, Mariano da Sarni, Romanello da Furli, Lodovico Aminale da Terni, Francesco Salomone e Guglielmo Albimonte siciliani, lettere.^
Miale da Troia, e
Riccio e Fanfulla parmigiani; nutriti tutti nel-
il
Aragona o sotto i Colonnesi.^ Ed è cosa increquanto animo togliesse questo abbattimento^ all’esercito franzese, e quanto n’accrescesse allo esercito spagnuolo, facendo ciascheduno presagio, da questa esperienza di pochi, del fine universale di
l’armi’ o sotto
re di
i
dibile
tutta la guerra.'*®
La morte
di Alessandro
Una profonda
fremente indignazione morale unita al sentimento sconsolato dell’ingiustizia nel mondo pervadono queste pagine, fra
male e
del prevalere del
commosse
più intense e
le
e
VI
della Storia d’ Italia
L’ ansia di giustizia del Guicciardini sembra placarsi nell’ affermazione finale
un imperscrutabile giudizio divino, che distingue nell’altro mondo i giusti Ma è una fede che non redime e non consola quello che domina
di
dagli ingiusti.
:
desolazione che nasce dall’avvertita limitatezza dell’uomo,
è la
fallacia dei
dal
suoi giudizi, della sua incapacità di vincere la violenza e
senso della il
male
di
cui s’intesse continuamente la storia.
Ma
ecco che nel colmo piu alto delle maggiori speranze^ (come sono
vani e fallaci
i
pensieri degli uomini!)^
il
una vigna
Pontefice, da
ap-
presso a Vaticano, dove era andato a cenare per ricrearsi da’ caldi, è
repentinamente^ portato per morto ^ nel palazzo pontificale e incon35. di tuoni:
quanto
36.
di salve.
è in sé:
37. mediante... scritti,
delle
per quanto può.
lettere:
opere
mezzo
per
letterarie.
degli
La prodezza
da molti scrittempo. 38. i Colonnesi: Fabrizio e Prospero Colonna furono celebri capitani. 39. abbattimento: combattimento. 40. facendo... guerra: ciascuno traeva da quel combattimento l’auspicio dell’esito della guerra (la vittoria degli Spagnuoli). dei tredici italiani fu esaltata
tori
I.
del
nel colmo... speranze: Era
in cui Alessandro
maggior no, suo
utile
VI sperava
per sé e per
il
figlio, dalla lotta tra
il
momento
di ottenere
il
Duca ValendFrancesi e Spa-
gnuoli che si disputavano il regno di Napoli. 2. come... uomini: L’ inciso ha una scarna nudità drammatica, che è propria di tutta questa narrazione, tesa, concentrata, percorsa da un’austera meditazione morale che
s’ammanta, spesso, di una cupa desolazione, di un senso sgomento della precarietà della
vita
umana
e
della
imperscrutabilità
delle leggi che la governano.
Anche
1
’
uso
del presente, nei primi periodi, contribuisce alla tensione del
racconto e rivela la passione con cui lo scrittore lo rivive. 3. repentinamente: Nota la forza espressiva di questo avverbio e dell’altro che se-
gue
subito
sottolineano
dopo (incontanente):
ambedue
improvviso
l’abbattersi
prevedibile della sciagura. 4.
portato per morto
:
moribondo.
c
im-
Francesco Guicciardini
311
tancnte dietro è portato per morto decimo ottavo di d’agosto, il
fu
de’ pontefici,
segni
nella
chiesa di
manifestissimi
San
figliuolo,
portato
è
e
seguente, che secondo l’uso
di
il
morto,
nero enfiato e bruttissimo,® Valentino, col vigore del-
Piero,
ma
veleno;
di
il
il
r età e per avere usato subito medicine potenti e appropriate al veleno, salvò la vita, rimanendo oppresso da lunga e grave infermità.
Credettesi
da veleno;
e
si
costantemente che questo accidente fusse proceduto racconta, secondo la fama piu comune, l’ordine
modo:® che avendo
della cosa in questo
medesima
cena, deliberato di avvelenare
Valentino, destinato"^
il
Adriano cardinale
alla
di Corneto,
doveano cenare (perché è cosa manifesta essere consuetudine frequente del padre e sua non solo di usare il ve-
nella vigna del quale stata
leno per vendicarsi contro agl’inimici o per assicurarsi de’
ma
eziandio, per seelerata cupidità
persone ricche, in cardinali
le
che^ da
essi
non avessino mai
molto
dinale,
e altri cortigiani,
non avendo rispetto come fu il car-
ricevuta offesa alcuna,
ma
ne anche che come furono
amicissimi e congiuntissimi, e alcuni di loro,
Capua e di Modona, adunque che avendo
di
rasi
vino
utilissimi
stati
avendogli
infetti di veleno, e
e
fatti
gli
fussino
cardinali
i
fidatissimi ministri),
Valentino mandati innanzi
il
sospetti,®
di spogliare delle proprie facoltà
Santo Angelo,^®
di
ricco,
®
nar-
certi fiaschi di
consegnare a un ministro^® non gli desse ad alcuno,
consapevole della cosa, con commissione che non
sopravenne per sorte dalla sete e da’ bere,
ma
Pontefice innanzi a l’ora della cena,
il
caldi
smisurati ch’erano,
dimandò
perché non erano arrivate ancora di palazzo
^®
vinto
provisioni
le
per la cena, gli fu da quel ministro, che credeva riservarsi
come vino
dato da bere del vino che aveva mandato innanzi il padre beeva, si messe
piu prezioso,
Valentino;
e,
fusse dato da
gli
il
quale, sopragiungendo mentre
il
similmente a bere del medesimo vino. d’Alessandro in San Piero con incrediConcorse al corpo morto
5.
bruttissimo:
nero...
tre
aggettivi
sot-
cupo orrore di quel cadavere. Che Alessandro fosse morto di veleno sembra da escludere. Ma a quei tempi fu cotolineano
il
munemente
creduto.
6. l’ordine..,
dettero in questo 7.
modo: che modo.
le
cose proce-
8. de’ sospetti: delle persone che sospettavano fossero loro nemiche. anche cupi9. eziandio . . cupidità :
.
.
.
digia. 10. facoltà: 11. in
de da 12.
«
ricchezze.
contro cardinali. Dipenveleno ».
cardinali:
usare
il
non avendo
rispetto
che:
senza aver
al fatto che.
Santo Angelo: della chiesa di Sant’Angelo a Venezia. Fra i numerosi venefici attribuiti ai due Borgia, questo appare certo; gli altri sono messi in dubbio dagli 13. di
storici odierni.
14.
destinato: che doveva prender parte.
.
riguardo
Modona: Modena.,
stati
:
che fossero
stati.
15. a
un ministro:
a
un
servo.
palazzo: del palazzo. che 17. che... prezioso: il quale riteneva quel vino fosse riservato ai convitati più ragguardevoji. 18. si messe: si mise. a vedere 19. Concorse... morto: accorse 16. di
il
cadavere.
Antologia della letteratura italiana
312
bile allegrezza tutta
Roma, non potendo
vedere spento un serpente che con pestifera perfìdia, e
con
tutti
esempli di orribile crudeltà, di mo-
gli
struosa libidine e di inaudita avarizia,
cose sacre e
le
saziarsi gli occhi d’alcuno di
sua immoderata ambizione e
la
vendendo senza distinzione le il mondo; e nondimeno
profane, aveva attossicato” tutto
era stato esaltato, con rarissima e quasi perpetua prosperità, dalla
ma
gioventù insino
all’
Esempio potente
cose grandissime e ottenendo piu di quello desiderava. a la
pri-
ultimo di della vita sua, desiderando sempre
confondere l’arroganza di coloro debolezza degli occhi umani
la
i
presumendosi
quali,
con
di scorgere
profondità de* giudici divini, affer-
mano
ciò che di prospero o di avverso avviene agli uomini procedere o da’ meriti o da’ demeriti loro: come se tutto di^^ non apparisse
molti buoni essere vessati ingiustamente e molti di pravo” sere
esaltati
derogasse alla quale,
non
altro luogo,
conosce
i
distretta
“
a’
termini brevi e presenti, in altro tempo e in
con larga mano, con premii e con supplici sempiterni,
ri-
giusti dagli ingiusti.
20. attossicato: avvelenato. Si avverte nel-
venisse
narrazione la veemenza del disprezzo e deir indignazione morale dello scrittore. 21. tutto di: continuamente. 22. pravo: malvagio. 23. come se... Dio: come se, giudicando il contrario (che non vi sia relazione fra i
di Dio.
degli
es-
:
la
meriti
animo
o come se, altrimenti interpretando, si giustizia e alla potenza di Dio; ” la amplitudine della
indebitamente
uomini e
la
loro fortuna),
si
24. stizia
a
non di
limiti del
giusti
sminuire
la
distretta, ecc.
giustizia
:
non sono tempo presente,
Dio,
dagli
nell’ eternità,
ingiusti e
in
in altro
r Inferno e nel Paradiso,
e
potenza
La potenza ristrette
ma altro
brevi
distinguono
tempo,
luogo, ecc.
e giu-
ai
cioè
i
cioè nel-
La
trattatistica
Fiorentissima fu-ncl Cinquecento, la trattatistica. Essa esprimeva l’ideale
norme universalmente valide di comportamento, fondate sulla razionalità e su di un’elegante e aristocratica compostezza, sullo sviluppo armonico dell’individuo, inteso a conseguire un limpido equilibrio di natura c spirito e ad inserirsi in una società di spiriti eletti. Al perfetto principe machiavelliano fanno cosi riscontro il perfetto cortigiano (teorizzato da Baldesar Castiglione), il perfetto amore, o amor platonico (teorizzato da Pietro Bembo, dal Castiglione e da altri), la perfetta poesia e la perfetta bellezza, sintesi di natura e spirito ed espressione di quell’armonia umana e vitale che fu l’aspirazione più alta del secolo. Le pagine di questi moralisti (ché cosi possono essere chiamati i trattaclassico-rinascimentale di fissare
cinquecenteschi, per il loro costante e spesso acuto studio dell’uomo) sono tuttavia ben diverse da quelle d’un Machiavelli o d’un Guicciardini.
tisti
Non
c’ c,
in
loro,
studio
lo
della
verità
effettuale,
ma
un’idealizzazione
della realtà,
un bisogno
un
umana. Sono, se mai, più vicini all’ Ariosto, armonia vagheggiato nel Furioso. loro stile è lontano da quello incisivo e drammatico del Ma-
di evadere
da ciò che
è contingente, per affermare
ideale di decoro e di nobiltà
all’ideale di
Anche
il
ampio e pacato, modellato su cadenze classiche e tuttavia capace di rappresentazioni vivaci e concrete. Avverti in esso la chiavelli. Il loro periodare è
ricerca di
un
ricerca, cioè,
equilibrio che sappia contemperare dignità e grazia, la stessa
che questi
scrittori
perseguivano nella
vita.
Bembo, autore degli Asolani (esaltazione dell’amor platonico) e delle Prose della volgar lingua (uno dei più importanti scritti di poetica del secolo), su Baldesar Castiglione, autore del Corte giano, un libro di risonanza europea, e su due figure minori
Abbiamo
ma
insistito, nella scelta antologica,
significative,
Aggiungiamo qui
Giovanni Della Casa il
(il
su Pietro
Galateo) e Agnolo Firenzuola. che alternò
fiorentino Giambattista Gelli (1498-1563),
suo umile lavoro artigianale (fu un calzaiuolo) la lettura dei filosofi antichi le sue opere i Ragionamenti di Giusto bottaio e la Circe, nelle quali il culto della sapienza antica si mescola a un al
e dei poeti italiani. Ricordiamo fra
senso vivo e concreto della realtà quotidiana e a divulgativo.
un prevalente
interesse
Antologia della letteratura italiana
3M
Bembo
Pietro
La
vita. Pietro
Bembo
è
il
piu significativo rappresentante
dtW umanesimo
propugnatore di una letteratura italiana che, fiorita sul tronco di quelle classiche, ne continuasse, emulandoli, lo spirito e le forme. Nacque a Venezia nel 1470. Fin dalla fanciullezza il padre lo educò alle lettere; lo condusse con sé a Firenze, dove fu ambasciatore dal *78 all’So, poi, ritornato a Venezia, lo affidò ai miglicci maestri, infine, nel 1492, lo mandò a Messina a studiare il greco sotto la guida del dottissimo Costantino Lascaris. Decisivo, però, agli effetti della formazione del Bembo, fu il pevolgare^
il
riodo trascorso a Ferrara (1497-1505): alla corte estense egli affinò le sue native doti di gentilezza, la sua vocazione di letterato e di artista, visse la brillante vita di
corte e conobbe
numerosi
letterati,
fra
i
quali l’Ariosto.
Scriveva frattanto eleganti versi latini e cominciò anche a comporre in volgare, rinnovando l’imitazione petrarchesca:
occasione di questa fioritura
poetica fu l’amore per Lucrezia Borgia, che conobbe nel 1502.
Nel 1506, dopo una breve permanenza a Roma, si recò alla corte di Urbino, altra splendida corte rinascimentale, e vi rimase sino al 1511. Qui entrò in relazione col Castiglione e con Giovanni de’ Medici che nel 1512, divenuto papa (Leone X), lo chiamò a Roma, a far parte della Segreteria pontificia. Vi rimase fino al ’iq e compose in questi anni epistole e «brevi » in
nome Nel
del papa, in
un elegantissimo
latino ciceroniano.
1519, le tristi condizioni fisiche e di spirito c le ristrettezze finanziarie
gli fecero sentire
stanchezza della vita cortigiana e un desiderio vivissimo di
solitudine e di pace. Si ritirò quindi a Padova, dove soggiornò stabilmente
dal ’2i al ’30 in una sua villa, attendendo alla rielaborazione del suo libro più
importante,
le
Prose della volgar lingua,
alla
revisione dei suoi scritti in
latino e in volgare e allo studio del diletto Petrarca.
fama:
i
d’Italia
i
più importanti loro
letterati
del
componimenti perché
li
tempo
vedesse e
Grande era ormai
la
sua
inviavano da ogni parte
gli
correggesse. Per incarico
li
{Rerum venetarum histotradusse poi in volgare. Nel 1539, si trasferì di nuovo a Roma, dove
del governo veneziano scrisse la storia di Venezia riae libri
XII) nel suo elegante latino e
la
fu nominato cardinale da papa Paolo III e
mori nel
Le
1547. opere. Il
Bembo non ebbe
fantasia originale,
e critico. Per queste sue doti, divenne
una guida
ma un
vivo senso artistico
del gusto contemporaneo,
fissando alcuni principi fondamentali della poetica del Rinascimento maturo.
Cominciò
la
sua carriera letteraria
come poeta
e prosatore latino,
imponendo,
anche in questo campo, una norma che ebbe vastissima fortuna: l’imitazione di Cicerone nella prosa e di Virgilio nella poesia. Era un ideale rigorosamente classicistico, volto, secondo la tendenza del secolo, alla ricerca di una poesia « perfetta », che nell’armonia e compostezza dello stile esprimesse un’intima aristocrazia spirituale. Questo stesso ideale fu da lui applicato alla letteratura in volgare. La prima sua opera importante è il dialogo Gli Asolani (1505), in tre libri,
sul
tema particolarmente appassionante, per
i
cinquecentisti,
deWamor
La
trattatistica
315
immagina che
platonico. L’autore
Cornaro, ex-regina di Cipro,
nella villa di Asolo,
dell’amore, dei suoi pregi e dei suoi
lare
Lavinello, conclude
dimora
di Caterina
ritrovino tre giovani e tre gentildonne a par-
si
disputa riferendo
Uno
difetti.
degli
discorso d’un
interlocutori,
Romito,
il quale afferma che l’amore vero è quello che, superando i desideri dei sensi, diventa contemplazione, di là dalle cose terrene, della suprema bellezza, ed c
la
il
ascesa dell’anima a Dio. Concettualmente,
il
dialogo è un’esaltazione della
ragione, in virtù della quale l’uomo giunge alla perfezione morale, che consiste nel
dominio
delle passioni, e nella piena attuazione della propria natura
In questo senso
divina.
Vamor
platonico.,
uno
piu importanti temi di
dei
pensiero del Cinquecento, espressione della ricerca di una superiore armonia
con
spirituale, tenta di conciliarsi
L’opera piu importante del scritta i
gli ideali cristiani.
Bembo
è le Prose della volgar lingua (1525),
anch’essa in forma dialogica in tre
diritti e la
ed eccellenza espressiva. Passando poi volgari italiani sia
deve essere usato
ma
degno il
Nel primo vengono affermati
al
come
il
latino, di regolarità
problema di quale dei numerosi
di essere usato dagli scrittori,
toscano,
il
Bembo
sostiene che
mutevole favella comunemente parlata, dai grandi scrittori. Dante, Petrarca e Boc-
non
lingua letteraria fissata
la
libri.
dignità del volgare, capace anch’esso,
la
Veri modelli sono però gli ultimi due, il primo per la poesia, il secondo per la prosa. Il secondo libro illustra le ragioni della loro eccellenza, che consiste, per il Bembo, non tanto nel contenuto, quanto nei pregi dello caccio.
stile,
cioè ne\V elezione o scelta di parole e costrutti dotati di varietà, gravita,
piacevolezza^ nella sapiente disposizione delle parole, nella concordanza fra
argomento minuziosa
trattato e stile. Nella
seconda parte del
libro, l’autore svolge
precettistica intorno all’eccellenza dello stile,
una
parlando del suono
forme metriche, degli accenti, dell’arNel terzo libro è delineata una gramma-
delle vocali e delle consonanti, delle
monia
della parola e della frase.
tica della nostra lingua.
Le Prose furono per decenni
il
codice degli scrittori italiani. Ritroviamo
come
in esse, riferito allo stile letterario, quel culto della bellezza intesa
monia
ar-
e grazia, sintesi di sensibilità e di intelligenza, che fu aspirazione intima
come negli ideali civili e morali. Il come perfezione morale, che abbiamo visto
amore
del secolo, nell’arte
culto del « fino
sentito
negli Asolaniy e quello
della « perfetta poesia »,
Bembo,
scritte
contenuto nelle prose,
si
ritrovano nelle
a imitazione di quelle del Petrarca.
nella sezione dedicata ai
lirici
Ne
Rime
»,
del
trattiamo a parte,
del Cinquecento.
Per il testo abbiamo seguito: P. Bembo, Le Prose della volgar lingua, a cura di C. DioCasalone, Torino, UTET, 1931.
nisotti
n
linguaggio letterario La
fra linguaggio parlato c lingua volgar lingua (da cui prendiamo il classicismo dell’ autore, col suo ideale di una letteratura
nettissima distinzione fissata qui dal
letteraria
è fondamentale nelle Prose della
passo) e
coincide col
Bembo
Antologia della letteratura italiana
3i6
detta c aristocratica. Secondo tale concezione,
il
diviene un ideale modello di spiritualità e di
ma
secolo,
a tutta la storia.
Tacevasi, dette queste parole,
mente tro,
Magnifico,^ e gli
mio
le
favelle
si
alle vostre
mutano,
— Debole e arenoso^
si
altri
dee sempre a quel parlare che è in
si
mette a scrivere, appressare e
componimenti/ con ciò sia cosa che® d’esser letto uomini che vivono si debba cercare e procacciare per nare
medesima-
ragioni dato. Giuliano, dicendo che, per-
egli
bocca delle genti, quando
altri
fratello recasse allo ’ncon-
quale incontanente^ in questa guisa rispose:
il
fondamento avete ché
il
tacevano, aspettando quello che
si
grande scrittore, cioè il classico, che non appartiene al suo
stile,
i
avici-
e inteso dagli
ciascuno.® Per
ciò che se questo fosse vero, ne seguirebbe che a coloro che popolare-
scamente scrivono, maggior loda le scritture loro
Virgilio
meno
dettano e
si
convenisse dare che a quegli che
compongono più
figurate e più gentili;’' e
sarebbe stato pregiato, che molti dicitori di piazza e di
volgo per aventura non furono, con ciò
sia
cosa
che egli assai
so-
modi del dire in tutto lontani dall’ usanze del popolo, e costoro® non vi si discostano giamai. La lingua delle scritture,® Giuliano, non dee a quella del popolo accostarsi, se non in quanto, accostandovisi, non perde gravità, non perde grandezza; che altramente ella discostare se ne dee e dilungare, quanto le basta a manvente ne’ suoi poemi usa
tenersi in
vago e in gentile stato. Il che aviene per ciò, che appunto gli scrittori por cura^® di piacere alle genti solamente
non debbono
che sono in vita quando cora, e per aventura
1.
dei altri
il
essi scrivono,
Magnifico; Giuliano de’ Medici, uno
quattro
interlocutori
del
dialogo.
Gli
sono: Carlo Bembo, fratello dell’auto-
Ercole Strozzi e Federigo Fregoso. Giuliano ha appena finito di sostenere che lo re,
deve scrivere nella lingua usata dagli uomini del suo tempo, e non prendere a modello quella di autori dei secoli passati. È concezione del tutto opposta a quella del B., che egli esprime ora per bocca del scrittore
fratello Carlo.
incontanente: subito. 3. arenoso: sabbioso; cioè: avete fondato vostro ragionamento sulla sabbia. 4.
egli...
figure,
uno
componimenti:
costruisci;
si
de-
ve sempre avvicinare, quando ci si mette a scrivere, il proprio componimento alla lingua attualmente parlata dal popolo. 5. con ciò sia cosa che: poiché. da parte di ciascuno. 6. per ciascuno 7. dettano e compongono: sono praticamente sinonimi, figurate e gentili: ricche di :
ma
voi dite,
a quelle an-
di
stile
accorgimenti eletto
ed
retorici,
elaborato.
con
:
scritte
È
1’
in
ideale
cinquecentesco di una scrittura classicamente armonica, elegante e piena di grazia, sorvegliata da un’arte sapiente che par natura per la sua stessa limpida perfezione. 8. costoro: i poeti popolareschi. 9.
La lingua
delle scritture, ecc.
;
Comin-
cia a delinearsi la tesi centrale delle Prose: la
lingua letteraria è
la trascrizione artistica
B. parte da il concetto della lingua non grammaticale, della
2.
il
come
molto più, che sono a vivere dopo loro
lingua
dell’uso:
un
ma
artistico. A questo fondamentale interesse alludono le espressioni gravita, grandezza, vago e gentile stato, che intendono caratterizzare un linguaggio puramente letterario, gravità e piacefondato sul decoro, sulla volezza, su una classica e armonica eleganza, secondo il gusto rinascimentale. 10. por cura; curarsi. 11. che sono a vivere, ecc.: che vivranno. Il grande scrittore, il classico, è un modello
La
trattatistica
317
ciò sia cosa che ciascuno la eternità alle sue fatiche piu
ama, che un può per noi compiutamente sapere quale abbia ad essere l’usanza delle favelle di quegli uomini che nel secolo nasceranno che appresso il nostro verrà, e molto meno di quegli altri, i quali appresso noi alquanti secoli nasceranno, è da vedere che alle nostre composizioni tale forma e tale stato si dia, che elle piacer
E
brieve tempo.
per ciò che non
possano in ciascuna
come diedero
si
ad ogni secolo, ad ogni stagione
età, e
esser care;
componimenti Virgilio, Cicerone e degli altri, e nella greca Omero, Demostene e di molt’altri agli loro; i quali tutti, non mica secondo il parlare che era in uso SI
nella latina lingua a’ loro
ma
e in bocca *del volgo della loro età scriveano,
secondo che parea loro
che bene lor mettesse a poter piacer piu lungamente. se
Petrarca
il
avesse
popolani, che
elle
Male
COSI gentili?
mamente con
le
al
secondo
traponendo,
quali
il
Né alle
Che come che
verso.
nelle novelle,
ragionare
a
come
cosi vaghe, cosi belle fossero credete, se ciò credete.
bocca del popolo ragionò; quantunque disconvenga, che
Credete voi che
sue canzoni con la favella composte de’ suoi
le
le
sono, cosi care,
Boccaccio
il
con
la
meno
si
altresì
prose ella molto
alcuna volta, massi-
egli
proposte materie,^® persone di volgo
s’ingegnasse
di
volgo parlava, nondimeno
parlare
farle
egli
con
le
voci
vede che in tutto
si
’l
corpo delle composizioni sue esso è cosi di belle figure, di vaghi modi e dal popolo non usati, ripieno, che maraviglia non è se egli ancora vive, e lunghissimi secoli viverà.
lingue quegli
scrittori,
Il
somigliante hanno fatto nelle altre
quali è stato bisogno, per conto delle
a’
terie delle quali essi scriveano, le voci del
campo
popolo
alle volte
ma-
porre nel
delle loro scritture si come sono stati oratori e compositori se comedie o pure di cose che al popolo dirittamente si ragionano, essi tuttavia buoni maestri delle loro opere sono stati. Perché se volete dire. Giuliano, che agli scrittori stia bene ragionare in maniera che essi dal popolo siano intesi, io il vi potrò concedere non in tutti, ma ;
di
di umanità condo il B.
in lui
si
c di stile per tutti
attua
1’
i
tempi,
se-
uomini del Rinascimento;
e gli
ideale del bello artistico in
forma esemplare per tutti gli scrittori. 12. che... lungamente: che giovasse al loro fine di piacere non solo agli uomini del loro tempo, ma a tutta l’ umanità futura. 13. Petrarca:
Dante, Petrarca e Boccaccio
hanno, secondo il B., creato una nuova tradizione e una nuova lingua letteraria, sanzionando cosi il primato della parlata fiorentina
su tutti
i
dialetti
italiani
e
facen-
dola assurgere alla dignità di lingua d’arte. Ma soprattutto Boccaccio nella prosa e Petrarca nella poesia sono, a suo parere, i
modelli piu alti di stile. Nel Petrarca, poi, B. vedeva raccolte « tutte le grazie della volgar poesia », una perfezione ancora in-
il
superata. Era
il
classico p>er eccellenza della
letteratura italiana. 14.
quantunque... verso: Secondo l’ideale
rinascimentale,
guaggio piu 15. Che...
la
poesia
richiede
un
lin-
eletto e aristocratico della prosa. egli:
Sebbene il Boccaccio. secondo l’argomen-
16. secondo... materie:
to e
r ambientazione
17. trapofiendo
:
della novella.
introducendo a parlare.
scritti. 18. porre... scritture: porre nei loro
19. dirittamente
si
ragionano: si trattano al popolo.
rivolgendosi direttamente
_
,
^
^
K? rerv\ ewvl«*v^
•
della letteratura italiana
0>OC*A^f^'^^ WVt€,>-V^^
V
.
.
cA-a*^-zx«^ in alquanti scrittori^ tuttavia; ma che essi ragionar debbano come ragiona il popolo, questo in niuno vi si concederà giamai. -=r
—
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Baldcsar Castignonc
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dLawZP*-" cto>\CC.,
l4-72> K
sima, la qual
mi par
egli riflette su di
queU’ambiente
il
suo
ideale
zandolo con quello
sali:
stile:
oltre
che di argutissimi
31.
motteggiando e ridendo:
quand’
ella
scherzava e rideva. pareva che la 32. parea . . . temperasse modestia congiunta alla grandezza, propria questa il
nobile
di
e
gentile
signora,
ispi-
comportamento d’ognuno, armoniz-
si
si
pò.
lei.
spirituale
armonia,
la
grazia
della virtuosa signora, che diviene qui l’eml’eletta so-
cietà aspira.
I.
:
rasse
la
che
quanto piu
blema ideale della perfezione cui
motti di spirito.
di
e ciò è fuggir
:
signorile equilibrio. 30. oltre...
umane
valer circa questo in tutte le cose
facciano o dicano, piu che alcuna altra
te
nativo, astri.
hanno: lasciando da parpossiedono come un dono per influsso favorevole degli
lassando...'!*
coloro che cioè
la
tnacMa/«iiaw oe€KaArenzino de’ Medici (1514-48), per giustificare l’assassinio del duca Alessandro da lui compiuto. La lettera continuò ad essere, come già nell’età umanistica, un genere coltivato con notevoli ambizioni letterarie, anche 'se gli autori cercavano di nascondere la propria arte sotto un’apparenza di semplicità e immediatezza.
è
anche {'Apologià,
scritta
Significativo, in tal senso, e assai celebre ai suoi tempi, fu l’epistolario di
Annibai iono oggi
Caro, le
di
Civitanova
racconta con vivacità
La
(1507-66);
ma
piu
interessanti
lettere del fiorentino Filippo Sassetti (1540-88), i
Su
suoi viaggi dalla
Spagna
ci
appa-
in cui l’autore
all’India.
produzione di novelle del Cinquecento grava l’imitazione del Boccaccio, ispirata dal Bembo. C’è tuttavia nei migliori narratori del tempo, soprattutto in Matteo Bandello, la ricerca di una nuova forma narrativa, più realistica e meno letteraria, più vicina al novellistica.
tutta la vastissima
romanzo moderno, che si svilupperà nel Seicento. Degli altri novellieri ricordiamo: Antonfrancesco Grazzini, fiorentino (1503-84), autore delle Cene, Agnolo Firenzuola, che già abbiamo ricordato fra i trattatisti, Gianfrancesco Straparola da Caravaggio autore delle Piacevoli notti. Poligrafi e avventurieri delle lettere. Viene cosi indicato, generalmente, un gruppo di scrittori per i quali le lettere furono essenzialmente un mezzo di guadagno, spesso ottenuto con sistemi ricattatori o mediante la ricerca di una facile popolarità. Per questo la loro cultura è fra giornalistica ed enciclopedica e il loro stile vivace, dinamico, polemicamente efficace. Il più dotato di costoro fu Pietro Aretino, di cui proponiamo alcuni passi. Meno abile, letterariamente, ma più colto fu il fiorentino Antonfrancesco Doni (1513-74), che visse vita errabonda e avventurosa. Ricordiamo, fra le sue opere, i Marmi, la Zucca e il Terremoto, violento attacco contro l’Aretino.
La prosa minore
del Cinquecento
349
Giorgio Vasari Giorgio Vasari nacque ad Arezzo nel 15 ii e mori a Firenze nel 1574. pittore e architetto apprezzato e svolse tali attività in numerose città italiane, venendo a contatto con importanti artisti e letterati del tempo. In
Fu
quest’epoca, infatti, pittori, scultori e architetti, che nel Trecento e nel Quattrocento erano ancora rimasti legati a un’attività artigianale, considerata inferiore a quella del filosofo e del poeta, tendono sempre piu a costi-
insieme con
tuire,
umanisti e su
gii
crazia dell’ingegno.
Fu
legato da amicizia che
il
un piano
di parità,
una
anzi durante una riunione di
sorta di aristo-
letterati
a cui
era
Vasari ebbe l’incitamento a comporre un’opera che
raccogliesse le biografie e l’elogio dei maggiori artisti italiani.
Nacquero
cosi le Vite dei
più eccellenti
pittori, scultori e architetti^ di cui
Vasari pubblicò una prima edizione nel 1550, e una seconda, rielaborata e notevolmente ampliata, nel 1568, e comprendono oltre 200 biografie d’aril
dal
tisti,
Cimabue alHautore
con grande abbondanza di notizie sulla vengono spesso descritte particolareggiata-
stesso,
loro vita e sulle loro opere, che
mente, con adesione cordiale e talvolta entusiastica. Le singole biografie sono collegate fra loro come momenti di una storia. Il Vasari era infatti convinto che l’arte moderna, per opera soprattutto di Michelangelo, avesse raggiunto un livello altissimo e invalicabile di perfezione, e intendeva ripercorrere quello che, secondo lui, era stato un cammino progressivo e ascendente, dalla rinascita^ com’egli la chiama, delle arti, dopo l’oscura parentesi medioevale, per opera di Cimabue e di Giotto, fino, appunto, a Michelangelo, figura eccelsa e conclusiva di tutto il processo. Quest’idea di un progresso e di un perfezionamento dell’arte che il Vaintendeva
sari
anche
soprattutto,
non
se
e un’opera alla concreta situazione storica nel
loro
significato
individuale
e
soltanto,
in
senso
tecnico,
è
pur legando un artista in cui sono nati, li consideriamo
lontana dalle nostre concezioni. Noi,
assai
infatti,
irripetibile,
nel
loro
autonomo
valore
Conviene però avvertire che esso corrispondeva, nel nostro autore, sia pure in forma imperfetta, a un’intuizione giusta, che, cioè, con Michelangelo si stesse concludendo un ciclo spirituale e artistico che aveva avuto nel Trecento i suoi grandi iniziatori. Inoltre è evidente nelle pagine vasa-
estetico.
riane
il
senso vivo dell’arte
come opera individuale e, come personaggio
ricostruzione della figura dell’artista
per
la
sua virtù, in
nome
della quale
Vasari considera
il
i
»,
l’esaltazione dell’arte e e della storiografia rinascimentali culto della bellezza, l’elogio dell’ingegno e della cultura, la contempla-
dell’estetica il
la
ammirato maggiori « non
paragonandoli alla natura per loro capacità creatrice. In questo senso la sua opera esprime gli ideali
uomini semplicemente ...ma dèi mortali la
di conseguenza,
singolare,
:
zione ammirata delle meravigliose opere dcH’uomo.
Letterariamente
uno
stile
le
Vite sono
un
libro scritto in
a volte impacciato, soprattutto
quando
maniera diseguale, con
l’autore vuol essere solenne incisivo, lontano dai grevi
ed eloquente. Ma piu spesso esso è rapido e canoni accademici e improntato a un calore umano affettuoso. Questo av-
Antologia della letteratura italiana
550
quando
viene sempre descrive
Vasari o ritrae
il
personalità
la
un maestro o
di
opere che maggiormente ammira.
le
Soprattutto in questo ultimo caso egli riesce a riprodurre dell’opera che esamina e ad esprimere con
dinanzi Per
abbiamo seguito: G. Vasari,
testi
a cura di C.
Vite,
Ragghiami, Milano,
L.
1948.
Ritratto di Piero di
...
l’atmosfera
suo entusiasmo
il
miracolo perenne dell’arte.
al
i
Rizzoli,
schiettezza
Cosimo
Aveva questo giovane
^
da natura uno
molto elevato, ed
spirito
era molto stratto e vario di fantasia dagli altri giovani^ che stavono
con Cosimo per imparare
la
medesima
Costui era qualche volta
arte.
tanto intento a quello che faceva, che ragionando di qualche cosa,
come
suole avvenire, nel fine del ragionamento bisognava rifarsi da capo a
raccontargniene, essendo ito col cervello ad un’altra sua fantasia.^ era similmente tanto amico della solitudine, che
non quando pensoso da
Ed
non aveva piacere
se
poteva andarsene fantasticando e fare
se solo
suoi castelli in aria.
E
bene
lo
dimostrò meglio dopo
continuo stava rinchiuso, e non
una
vita
stanze
si
da
uomo si
morte
la
Cosimo, che
di
lasciava veder lavorare,
piuttosto bestiale^ che
spazzassino:
non voleva che
si
egli del
e teneva
umano. Non voleva che la fame veniva;
voleva mangiare allora che
zappasse o potasse
frutti
i
le
e
anzi lasciava
dell’orto,
i tralci per terra; ed i fichi non si potavono mai né gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa, come la sua natura; ® allegando che le cose d’essa natura bisogna las-
crescere le viti e andare
sarle custodire a lei,
senza farvi
altro.
mali o erbe o qualche cosa che caso dimolte volte, e ne aveva
la
Recavasi spesso a vedere o ani-
natura fa per
un contento
furava tutto a se stesso,® c replicavalo ne’
1.
questo giovane: Piero di Cosimo (1462-
1521) è uno dei pittori minori del Quattrocento toscano; fu discepolo di Cosimo Ros-
2.
molto... giovani:
astratto c diverso di
compagni. Le denotano uno spirito tutto assorto nei propri sogni, si da appa-
fantasia
dagli
espressioni qui
rire 3.
altri
giovani
usate,
bizzarro e strano nella vita quotidiana. nel
fine...
fantasia:
giunti
alla
fine,
bisognava rifargli il ragionamento da capo, essendo egli rimasto del tutto assorto in una sua improvvisa « fantasia ».
ed a
ragionamenti tante
suoi
da uomo.,
4.
istranezza
satisfazione che lo
bestiale:
da
domo
rozzo e
incivile.
natura: Voleva che intorno a lui, come la sua natura e la sua vita. Eppure intravvedi, dietro la stranezza, queU’animo che si travaglia nella ricerca di qualcosa si
5.
tutto
selli.
una
e
contentava...
fosse
grande
di
selvatico,
e
d’inafferrabile.
La
vita,
e
quest’uomo sono dominate dall’ansia di una ricerca che non giunge mai a compimento. soprattutto
6.
piva
che...
fuor
la
morte
stesso:
di
se
di
che stesso.
lo
rubava,
lo
ra-
La prosa minore
del Cinquecento
che veniva talvolta, ancor che
volte,
E, nel vero,
se n’avesse piacere, a fastidio.^
si
vede di suo
e con certa
altri,
uno
®
spirito
molto
nello investigare certe
sottilità
natura che penetrano,® senza guardare a tempo o il piacere dell’arte. E non poteva
della
sottigliezze
e*
conosce in quel che
si
vario ed astratto dagli
solo per suo diletto e per
fatiche,
innamorato di
già essere altrimenti perché,
comodi, e sparmiare
non curava
lei,
quando faceva
fuoco, le coceva
il
ma una
consumava a poco piagner de’ putti,
sci
cinquantina; e tenendole in una sporta,
a poco:
il
ri-
non
bollir la colla; e
le
nella quale vita cosi strattamente godeva,
Aveva a noia“
appetto alla sua, gli parevano servitù.^®
l’altre,
suoi
de’
riduceva a mangiar continuamente ove sode, che, per
si
o otto per volta, che
351
tossir degli
uomini,
suono
il
campane,
delle
il
il
can-
quando diluviava il cielo d’acqua, aveva piacere di vepiombo da’ tetti e stritolarsi per terra. Aveva paura grandissima delle saette, e quando e’ tonava straordinariamente si intar de’ frati:
e
der rovinarla a
viluppava nel mantello, e serrato
le finestre e
l’uscio della
camera,
si
recava in un cantone fin che passasse la furia. Nel suo ragionamento era tanto diverso e vario,^® che qualche volta diceva
Ma
faceva crepar dalle risa altrui. !
I
ottanta, era fatto
Non
voleva che
la
garzoni
non
si
poteva più
seco.^®
di maniera, che ogni
stessino intorno,
gli
belle cose, che
sì
vecchiezza, vicino già ad anni
strano e fantastico,^* che
si i
per
meno. Venivagli voglia di lavonon poteva, ed entrava in tanta collera, che mani che stessino ferme; e mentre che e’ borbot-
aiuto per la sua bestialità gli era venuto rare, e per
parietico
il
voleva sgarare
o
tava,
replicavaio...
7. c
volte
tante
le
cadeva
gli
queste
la
mazza da
fastidio:
sue
poggiare, o veramente
ripeteva
e
impressioni
e
que-
sua gioia, nei suoi discorsi, che, sebprovasse un certo piacere si ad
sta
bene
ascoltarlo,
ingenerava
alla
fine
sazietà
nelle
sue
opere
e
11.
suo:
quel...
La
moderna
critica
col giudizio del
dine
certi
cogliere
a
E
Piero
questa
crificata gli
sua
altri
rispetto
vita
in
dal V.,
si
La pioggia è
vista
direbbe, con gli occhi di Piero,
1’ impressione che suscita l’animo e nella fantasia di questo.
attraverso
13. diverso
e
vario:
originale
e
nel-
strano.
ma
dovuta in parte
non
e
usuali
il
le
affron-
piacere che
14.
il
gusto della
riche.
e
godeva tanto
« astratta »
(potremmo
quanto ogni cosa è saall’unico, dominante pensiero) che modi di vivere gli sembravano, al suo, forme di schiavitù.
artistica,
insof-
tativa.
l’attitusottili
si
delle fatiche che gnare in questa sua ricerca, tava per proprio diletto, per la sua arte gli procurava. 10. nella quale... servitù:
Sembrano
:
un
curava del doveva impe-
non
tempo e
dire
di
ad anni ottanta: Piero mori, in realtà, a cinquantanove anni. Simili inesattezze sono assai frequenti nell’opera del V. e rivelano una sua insufficiente documentazione,
particolari
penetranti, certi aspetti strani e
natura.
V.
con
penetrano:
ri-
sostanzial-
è
mente d’accordo 9. con certa...
di
proprie
12. vtler... stritolarsi:
8. in
della
a noia, ecc.
maniaco; eppure appaiono del tutto coerenti con quel bisogno di solitudine e di concentrazione mediferenze
fastidio.
maste.
Aveva
pennelli, che
i
al fatto
che mancava allora
critica accurata delle fonti sto-
strambo e biz-
strano e fantastico:
zarro. seco:
15. non...
non
poteva più fre-
si
quentarlo. 16. per
il
parietico: per
il
tremolare delle
membra. 17. sgarare:
tenerle ferme a forza.
Antologia della letteratura italiana
352
una compassione.^* Adiravasi con le mosche, e gli dava noia infino E cosi ammalatosi di vecchiaia, e visitato pure da qualche amico, era pregato che dovesse acconciarsi con Dio: ma non li pareva avere a morire, e tratteneva altrui d’oggi in domane ” non che e’ non fussi buono e non avessi fede che era zelantissimo, ancora che nella vita fusse bestiale. Ragionava qualche volta de’ tormenti che per i mali fanno distruggere i corpi, “ e quanto stento patisce chi consumando gli spiriti a poco a poco si muore: il che è una gran miseria. Diceva male de’ medici, degli speziali e di coloro che guardano gli ammalati e che gli fanno morire di fame;^ oltra i tormenti degli sciloppi, medicine, cristieri, e altri martori,^"* come il non essere lasciato dormire quando tu hai sonno, il fare testamento, il veder piagnere i parenti, e lo stare in camera al buio: e lodava la giustizia, che“ era era
a l’ombra.^®
:
:
cosa l’andare alla morte, e che
COSI bella
popolo, che tu eri confortato con
i
vedeva tant’aria e tanto e con le buone parole:
si
confetti
avevi il prete ed il popolo che pregava per te, e che andavi con gli Angeli in paradiso; che aveva una gran sorte chi n’usciva a un tratto.^ E faceva discorsi e tirava le cose a’ più strani sensi che si potesse udire.^ Laonde per sì strane sue fantasie vivendo stranamente, si condusse a tale, che una mattina fu trovato morto “ appiè d’una scala, l’anno 1521; ed in San Pier Maggiore gli fu dato sepoltura.
Il
raggio. Siamo nel momento piu importante rie risolutivo dell’operazione, e il C. lo 22. riducesi in
fondo della fomacic: dire nel fondo della fossa. calata
fossa,
terracotta.
15. nel
gli
le
il
21. sollevati:
una
accanto alla fornace, in cui sotterrerà
ma
e
23.
vive
drammaticamente.
Antologia della letteratura italiana
374
E
detta fornace.
alla
mettendo
di
quella untuosità della ragia che fa la
mia
quelle legne di pino,
^ tanto bene, che
fornacietta, ella lavorava
io
fui
una parte ed ora da un’altra con tanta
soccorrere ora da
le
quali per
pino, e per essere tanto ben fatta
’l
necessitato a fatica,
che
la
mi sforzavo.^ E di piu mi sopraggiunse ch’e’ s’appiccò fuoco nella bottega, ed avevamo paura che tetto non ci cadessi addosso; dall’altra parte di verso l’orto il cielo mi spingeva ^ tant’acqua e vento, che e’ mi freddava la fornace. Cosi m’era insopportabile
pure
e
:
io
’l
combattendo con questi perversi accidenti parecchie ore, sforzandomi la fatica tanto di piu che la mia forte valitudine di complessione ^ non potette resistere, di sorte che e’ mi saltò una febbre efimera addosso, la maggiore che immaginar si possa al mondo. Per la qual cosa io fui sforzato andarmi a gittare nel letto: e cosi molto mal contento, biso-
gnandomi per forza andare, mi
che mi aiutavano;
volsi a tutti quegli
^
bronzo e manovali e contadini e mia lavoranti particolari di bottega, infra e quali si era un Bernardino Mannellini di Mugello, che io m’avevo allevato parecchi anni; ed al detto dissi, dappoi che io mi ero raccomanVedi, Bernardino mio caro,^ osserva l’ordine che io dato a tutti ti ho mostro,^® e fa presto quanto tu puoi, perché il metallo sarà presto i
quali erano in circa a dieci o piu, infra maestri
—
:
in ordine sto
:
tu
non puoi
errare, e questi altri
uomdni dabbene faranno
pre-
sicuramente potrete con questi dua mandriani dare nelle
canali,^^ e
i
di fonder
due spine,^ ed io son certo che la mia forma si empirà benissimo; io mi sento ’l maggior male che io mi sentissi mai da poi che io venni al mondo, e credo certo che in poche ore questo gran male m’arà Cosi molto mal contento mi parti’ da loro, e me n’andai morto.
—
a letto.
Messo che
mi
io
sino in bottega da
24. le quali... lavorava:
nasce
tattica
discorso.
fui nel letto, comandai alle mie serve che portasio mangiare e da bere a tutti, e dicevo loro:
—
La spezzatura
dall’ animazione
L’ una e
1
altra
’
sin-
faranno sem-
si
pre più frequenti col procedere del racconto.
Dopo
« fornacietta » puoi aggiungere: « bruciavano benissimo ». 25. e... sforzavo: rivive in questa breve frase la tensione di allora (nota la forza di
quell’ io
sintatticamente
non
necessario),
26. di verso... spingeva: si
spingeva contro.
menti virtù
Il
il
cielo
mi
fuoco, l’acqua, gli ele-
sembrano accanirsi contro la del C., che impegna una lotta eroica
contro
tutti
la
fortuna.
27. valitudine
di
maestri fonditori,
Bernardino mio caro: Commovente il tono affettuoso col quale il C. si rivolge al discepolo e gli affida quell’opera che teme di non poter vedere compiuta. Crede di star per morire, eppure al Perseo vanno i 29.
suoi
pensieri,
non
la
mia
se
stesso.
ti
le
regole c
i
ho insegnato.
31. i canali: condotti per introdurre il metallo fuso nella forma. 32. potrete... spine: Le spine sono coni
di
ferro che chiudono
i
fori
delle
fornaci;
spingendoli nella fornace coi mandriani (ferri
complessione:
a
30. l’ordine... mostro: segui
procedimenti che
dalla parte della
apriva sull’orto,
28. maestri:
lo
sforzo violento e appassionato.
bottega che
robustezza.
del
concitata
torti
con lungo manico)
metallo fuso.
si
fa
uscire
il
La prosa minore
del Cinquecento
375
—
non sarò mai” vivo domattina. Loro mi davano pure animo, dicendomi che ’l mio gran male si passerebbe, e che e’ mi era venuto per la troppa fatica. Cosi soprastato ^ due ore con questo gran combattimento
di febbre (e di
cendo:
—
mi
io
che aveva
casa,
continuo io
—
sento morire,
nome mona
me la
la
sentivo crescere), e sempre di-
mia
serva, che
governava
tutta la
Fiore da Castel del Rio (questa donna
era la più valente che nascessi mai, ed aitanto” la più amorevole), e
mi
mi ero
sbigottito,” e dall’altra mi faceva ” che mai far si possa al mondo. cosi smisurato male e tanto sbigottito, con tutto il suo bravo cuore lei non si poteva tenere, che qualche quantità di lacrime non gli cadessi dagli occhi; e pure lei, quanto poteva, si riguardava che io non le vedessi. Stando in queste smisurate tribulazioni, 10 mi veggo entrare* in camera un certo uomo, il quale nella sua persona ei mostrava d’essere storto come una esse maiuscola; “ e cominciò di continuo
sgridava, che io
maggiore amorevolezze Imperò,” vedendomi con
le
un
a dire con
di servitù
—
O
un rimedio
al
come
certo suon di voce mesto, afflitto,
comandamento dell’anima
11
a
coloro che
quei che hanno andare
a
danno
giustizia,*^
Benvenuto! la vostra opera si è guasta, e non ci è più mondo. Subito che io senti’ le parole di quello sciagurato,^ messi un grido tanto smisurato, che si sarebbe sentito dal sollevatomi dal letto presi li mia panni e mi comincielo del fuoco, ciai a vestire; e le serve, e ’l mio ragazzo, ed ognuno che mi si accostava per aiutarmi, a tutti io davo o calci o pugna, e mi lamentavo dicendo: Ahi traditori, invidiosi! questo si è un tradimento fatto ad e disse:
—
—
arte
;
ma
io
giuro per Dio, che benissimo
che io muoia lascerò di
me un
resterà maravigliato.
Essendomi
33.
mai
34. Cosi
:
—
tal
al
finito di
delirio di
più.
soprastato:
i’
saggio
rimasto
grottesco
cosi.
lo conoscerò,^
ed innanzi
mondo, che più d’uno ne vestire, mi avviai con catBenvenuto: ha in e,
insieme,
qualcosa
sé
acquista,
davanti
di al-
35. ed altanto: c al tempo stesso. L’inciso, riguardante l’affetto della serva, rimane sintatticamente slegato. Il C. evoca fatti e persone di quel giorno come se fossero presenti,
un che di tragico. maiuscola: Cosi il C. vede questo profeta di sventura deforme e grot-
con un forte colorito sentimentale. Ne naun racconto drammatico e vissuto, con
come... giustizia; come coloro che a pensare alla propria anima condannati a morte che stanno per affron-
sce
moti di entusiasmo, angoscia, tenerezza che provò allora. 36. che... sbigottito: che mi ero lasciato abbattere troppo. 37. amorevolezze di servitù: atti che la rivelavano serva affezionata e fedele. gli
stessi
38.
Imperò: tuttavia. mi veggo entrare, ecc.: È
39. io
il
culmine
drammatico della pagina. L’apparizione dell’uomo, uno dei lavoranti del C., ha qualcosa di fantomatico e misterioso. reale,
ma
È persona
sconvolta daU’allucinazione e dal
l’anima 40.
dell’artista,
storto...
:
tesco.
41.
esortano
i
tare l’esecuzione. 42. sciagurato: anche questa parola sembra la traduzione del grido disperato che il C. senti allora nell’anima. urlo cosi 43. messi... fuoco: cacciai un
smisurato che si sarebbe sentito nella sfera del fuoco, posta dagli antichi fra 1 atmosfera terrestre c
il
ciclo della luna.
conoscerò: senza dubbio lo scodelirio, prirò. Benvenuto appare in preda al a una violenza primordiale. 44. lo
Antologia della letteratura italiana
376
animo inverso
bottega, dove io viddi tutte quelle gente, che con baldanza avevo lasciate, tutti stavano attoniti e sbigottiti. CoOrsù, intendetemi, e dappoi che voi non avete o minciai e dissi
tivo
tanta
:
—
saputo o voluto ubbidire
che io sono con voi
mi si e non
,
modo
al
che io v’insegnai, ubbiditemi ora
presenza dell’opera mia, e non
alla
contraponga,^® perché questi cotai casi
—
consiglio."*®
A
queste mie parole
—
e’
nessuno che
sia
hanno bisogno di aiuto mi rispose un certo mae-
i
|
Alessandro Lastricati e disse: Vedete, Benvenuto, voi vi volete mettere a fare una impresa, la quale mai nollo promette l’arte,*"^ né si stro
può
modo
fare in
furore e resoluto
—
sono:
—
nissuno.
A
mi
queste parole io
volsi
con tanto ,
una voce disaiuteremo tanto quanto voi ci
male,** che ei e tutti gli altri tutti a
al
Su, comandate, che tutti vi
—
E quequanto si potrà resistere con la vita. amorevol parole io mi penso che ei le dicessino pensando che io dovessi poco soprastare a cascar morto.** Subito andai a vedere la forpotrete comandare, in ste
nace, e viddi tutto rappreso
un
sersi fatto
il
metallo, la qual cosa
domanda
si
il
anno
quercioli giovani, che erano secchi di piu d’un
quali legne
(le
madonna Ginevra, moglie del detto Capretta, me Taveva venuto che fumo le prime bracciate, cominciai a empiere iuola.*^
E
Tes-
dua manovali, che andassino al Capretta beccaio, per una catasta di legne di
migliaccio.*® Io dissi a
dirimpetto, in casa
perché
la
quercia di quella sorte fa
tutte Taltre sorte di legne
(avenga che
e’
si
e
offerte);
bracia-
la
piu vigoroso fuoco che adopera legne di ontano
’l
o di pino per fondere, per Tartiglierie,*^ perché è fuoco dolce), oh
quando quel migliaccio cominciò cominciò a nali,**
ed
quel
sentire
a
avevo mandato
altri
maggior forza verso Torto avevo
la
fuoco,
terribil
banda
schiarire, e lampeggiava.** Dall’altra
si
ei
sollecitavo
sul tetto a riparare al fuoco,
di quel fuoco
il
si
ca-
i
quale per
maggiormente appiccato;
era
e
di
fatto rizzare certe tavole e altri tappeti e pannacci,**
che mi riparavano all’acqua.
Di
che io ebbi dato
poi
45. mi si contra ponga: discuta i miei ordini. 46. questi...
non
sto gli
:
c*
si
rimedio a
opponga,
come quemi consiubbidirmi. Nota l’elo-
consiglio: in casi
è bisogno che alcuno
dovete aiutarmi e
quenza vibrata 47.
mi
il
mai...
è del
del metallo
si
fosse
mata
ai
me rica
una furia scatenata. La violenza barbae primitiva di Benvenuto s’afferma piu
grandiosa dinanzi al coro dei lavoranti pallidi e sgomenti, del tutto dominati da lui. 49. poco...
cader morto.
morto:
non tardar molto a
un
la
mas-
diceva che
migliaccio (cosi era chia-
il
focolare della fornace.
avenga che: sebbene, per si
si
torta di farina di castagne).
1’
artiglierie
:
cannoni. cominciò... lampeggiava: cominciò
per fondere 53.
male: pronto a tutto, co-
fatto
furori,**
quando
rapprendeva
si
51. braciaiuola:
principi dell’arte. 48. rcsoluto al
la
52.
tutto contraria
gran
50. la qual... migliaccio: sa
e incisiva.
arte:
questi
tutti
i
ad acquistare lucentezza
a
e
mandar
ba-
gliori.
54.
sollecitavo
canali: facevo tener pron-
i
il metallo fuso nella forma. 55. pannacci: vecchi panni. avversità ma sembrava 56. gran furori
ti
i
tubi
per versare
:
|
:
La prosa minore
del Cinquecento
111
—
con vocie grandissima dicevo ora a questo ed ora a quello: qua, leva là di modo che veduto che il detto migliaccio
—
:
ciava a liquefare,
tutta
che ognuno faceva per stagno,
dentro
il
il
mi ubbidiva, un mezzo pane di
quella brigata con tanta voglia
Allora io feci pigliare
tre.
quale pesava in circa 6o libbre, e lo
alla fornace,
quale con
gittai in sul migliaccio
gli altri aiuti e di
legne e di stuzzicare
or con ferri ed or con stanghe, in poco spazio di
Or veduto
liquido.
Porta
comin-
si
di aver risuscitato
un
tempo
divenne
e’
morto,®”^ contro al credere di
e’ mi tornò tanto vigore, che io non mi avvedevo avevo più febbre o più paura di morte. In un tratto®® e’ si sente un romore con un lampo di fuoco grandissimo che parve propio che
quegli ignoranti,
tutti
se io
una
saetta
si
presenza nostra; per
fussi creata quivi alla
spaventosa paura
ognuno
s’era sbigottito,
che fu quel grande jomore e splendore, noi
veduto che
in viso l’un l’altro,®® e piato, e
modo
era sollevato di
si
E
veduto che
ci
quale insolita altri.
cominciammo
coperchio della fornace
che
mia forma,
aprire le bocche della
due spine.
il
la
ed io più degli
’l
e nel
bronzo
si
medesimo tempo
feci
che
la
e scodelle é tondi di stagno, io gli
mettevo dinanzi
modo
era scop-
dare
alle
causa forse era per essersi consumata
lega per virtù di quel terribil fuoco,®^ io feci pigliare tutti
uno
si
versava,®® subito feci
metallo non correva con quella prestezza
il
ch’ei soleva fare, conosciuto la
Passato
a rivedere
i
mia
quali erano in circa a dugento, e a
i
ai
mia
ne
canali, e parte
feci gittate
piatti
uno
a
drento
ognuno che ’l mio bronzo s’era bemia forma si empieva, tutti animosamente e lieti mi aiutavano ed ubbidivano, ed io or qua ed or là comandavo, aiutavo, e dicevo: O Dio, che con le tue immense virtù risuscitasti ®^ Di modo che in un tratto dai morti, e glorioso te ne salisti al cielo! ®® e con tutto e’ s’empié la mia forma; per la qual cosa io m’inginocchiai che il cuore ne ringraziai Iddio; di poi mi volsi a un piatto d’insalata e mangiai era quivi in su ’n un banchettaccio,®^ e con grande appetito nella fornace; in
che, veduto
nissimo fatto liquido e che
la
—
—
la sorte infuriasse spietata
che
57. di
tato » è
morto:
aver... il
il
«
contro di
morto
suo Perseo, che è per
il
lui.
resusci-
C. come
60.
che...
si
traboccava dall’or-
versava:
lo della fornace. si 61. conosciuto... fuoco La lega metallica era alterata per l’eccesso del calore e la colata :
una persona viva, una parte di se stesso. 58. In un tratto: ad un tratto. È l’ultimo momento drammatico (scoppia il coperchio
era troppo densa. Benvenuto rimedia con
fatto
che il C. descrive come un vagamente soprannaturale, tanto piu che dopo di esso si corhpleta il miracolo
ha un tono schietto e commosso,
della resurrezione del Perseo.
di istintivamente, ricordando la resurrezione Perseo. Cristo, a quella or ora avvenuta del
della fornace),
59. fatti
la
ci
cominciammo...
rimasti
per
descrizione
tirsi
suggerisce
di 1’
erano
in-
abbag'iati;
ma
altro:
un attimo
questo improvviso risenidea del tornare in se do-
po un evento portentoso.
62.
O
il
vasellame che ha in casa. Dio... cielo: La preghiera del C.
sacrifìcio di tutto
il
e
allude
un tratto di fer63. io m’inginocchiai: È arte è la vore religioso, ma si sente che 1 vera, intima religione dell’autore. mi volsi... banchettacelo: Nel banchet64.
to rusticano
si
placa la tensione drammatica.
.
Antologia della letteratura italiana
37 »
me
bevvi insieme con tutta quella brigata; dipoi e lieto, perché gli era avessi auto
buona
un male
al
serva, senza che io le dicessi nulla,
modo
capponcello; di
n\.r.dai nel letto sano
due ore innanzi giorno, c come se mai io non mondo, cosi dolcemente mi riposavo. Quella mia
mi aveva
provvisto di
che quando io mi levai dal
mi
all’ora del desinare, la
si
un
grasso
che era vicino
letto,
—
fece incontro lietamente dicendo:
Oh,
è questo uomo quello che si sentiva morire? io credo che® quelle pugna e calci che voi davi a noi stanotte passata, quando voi eri cosi infuriato,
che con quel diabolico furore che voi mostravi d’avere, quella vostra tanto smisurata febbre, forse spaventata che voi non dessi ancora a ciò a fuggire.
—E
cosi tutta la
spavento e da tante smisurate fatiche, in un tratto in
rare,
cambio
terra, e tutti
di
mia
Dopo tato,
vita
’l
i
di quei piatti e
lietamente desinammo, che
mi vennono
desinare
si
mandò
si
scodelle di stagno,
né desinare con maggior
quali lietamente
lei, si
cac-
mia povera famigliuola ® rimossa da tanto a ricompe-
tante stoviglie di
mai non mi ricordo
in
tempo
né con migliore appetito.
letizia
a trovare tutti quegli che
mi avevano
aiu-
rallegravano, ringraziando Iddio di tutto quel
che era occorso, e dicevano che avevano imparato e veduto fare cose quali eran dagli altri maestri tenute impossibili.®^
danzoso, parendomi d’essere
somi
mano
alla borsa, tutti
un poco
saccente,®
Ancora
me
le
io alquanto bal-
ne gloriavo; e mes-
pagai e contentai.
Matteo Bandelle Nato a Castelnuovo Scrivia, nel 1485, Matteo Randello raggiunse, appena dodicenne, uno zio priore nel convento domenicano delle Grazie a Milano, compì presso di lui i propri studi e lo segui in varie parti d’Italia, dopo
essere entrato anch’egli nell’Ordine.
Fu
al
servizio
Gonzaga
di
vari
signori:
Mantova e di Giovanni Fregoso, un capitano di ventura. Acquistò cosi una vasta esperienza di uomini e cose e visse una vita nel complesso varia e movimentata, di cui troviamo una traccia nella sua opera di narratore. Quando, di Alessandro Bentivoglio a Milano, di Isabella
in
un
realistico
quadro di
vitalità felice e se-
rena, che pervade, con toni sempre più pacati e sorridenti, le
65. io credo che
:
ultime
fasi del
sottintendi
:
«
racconto.
vedendo
»
L’arguta osservazione della fantesca segue il ritorno al semplice mondo di tutti i giorni. 66.
tutta...
famigliuola:
La
felicità
del
C. diventa tenerezza che si espande su tutti coloro che gli sono stati vicini nella terribile prova. Nota la costruzione liberissima essendosi rimessa la del jjeriodo. Intendi :
a
mia famigliuola... subito comperare,
si
mandarono a
ecc.
67. e dicevano... impossibili: È il solito coro osannante che il C. crea intorno alla sua figura di uomo che si ritiene eccezionale. eran... tenute: erano considerate. 68. un poco saccente: alquanto bravo, sapiente. Ma qui, nella consueta esaltazione,
balenano un allegria
lieve
tono autocaricaturale e una
schietta che
pagare e contentare
culmina nella gioia di tutti da gran signore.
La prosa minore nel 1541,' figli in
il
del Cinquecento
379
Frcgoso fu ucciso da
sicari
spagnuoli, ne segui
Francia, dove fu nominato dal re Enrico
Mori nel
1561.
La sua cultura umanistica appare
greco e nelle sue composizioni in latino. Egli
secondo
la
moda
nata letteratura
II,
pctrarcheggiantc del secolo. stacca
si
la
la vedova c Vescovo di Agen (1550).
nelle sue traduzioni
scrisse,
Ma
i
inoltre,
delle
da questo gusto
sua opera piu originale,
le
dal
Rime
di
raffi-
214 Novelle^ che
ebbero larga diffusione c vennero presto tradotte in francese e in inglese, e offrirono spunti e schemi a piu di un dramma di Shakespeare, a due com-
medie del drammaturgo spagnuolo Lope de Vega, a vari racconti del Cervantes. Tre libri ne pubblicò a Lucca nel 1554, il quarto usci postumo a Lione nel 1577.
La
novella
era
costume
stata,
fin
dalle
origini,
come
concepita
specchio della
avvenimenti e casi quotidiani ritenuti degni, per il loro carattere singolare, di passare, in qualche modo, alla storia, o tali, comunque, da dilettare il lettore e da mostrargli, al tempo stesso, un
vita e del
attuale, di
quadro vario e commesso della vita. A questo schema rimane fedele il Bandello, che intende appunto presentarsi come un cronista e un memorialista, anzi, proprio per questo, adotta uno stile prosastico non raffinatamente artistico,
ma
semplice e conversevole.
quecento, non accoglie
A
differenza di molti novellieri del Cin-
uso, divenuto ormai di prammatica,
dopo il grande modello del Boccaccio, di racchiudere le sue novelle in una cornice unitaria, ma premette ad ognuna una lettera di presentazione e di dedica a questo o quel personaggio da lui conosciuto, nella quale ricorda il luogo e l’occasione in cui ha sentito raccontare la vicenda che ne costituisce l’argomento. Si tratta, in realtà, per lo piu di una finzione letteraria, in quanto il Bandello è narratore di fatti contemporanei molto meno di quanto voglia far credere, e trae la sua materia da fonti svariatissime, antiche e moderne, italiane, francesi, latine mcdioevali. Le dediche servono quindi più che altro a dare
ai
1’
suoi racconti un’ illusione di realtà e di contemporaneità, e soprat-
ad essi un’ atmosfera di vita cortigiana, un pubblico che è poi quello al quale il Bandello si rivolge, non soltanto di letterati, ma anche di principi, cavalieri, dame, capitani, artisti, diplomatici. tutto a creare attorno ide'^le,
Ispirazione prima delle novelle è l’osservazione delle cose,
della
vita,
nel
suo complesso groviglio di passioni e peripezie. Il Bandello si presenta come un narratore puro, che ha come fine la realtà e coerenza delle vicende e intende soprattutto divertire il lettore, senza cercare di nobilitare la tradizione letteraria narrativa, con l’ambizione umanistica di un alto 5tile prosastico, come aveva fatto il Boccaccio. I suoi personaggi hanno spesso scarso rilievo psicologico e il suo stile è a volte piatto, uniforme, quasi sempre povero di vigore espressivo. Ma il suo pregio è là dove si
abbandona
al
suo gusto della peripezia romanzesca,
cato e avvincente dei
dell’ intreccio
compli-
fatti.
Evidente nelle novelle è l’ intenzione dello scrittore di essere quasi lo del suo tempo, di rappresentare la vita vissuta del Cinquecento,
storico
coi suoi le
problemi e
corti signorili, gli
i
suoi interessi culturali,
ambienti
politici,
le
religiosi,
(sia gli interni di case, sia le città e
notizie di paesi lontani udite attraverso le narrazioni di viaggi),
il
guerre,
magari
le
costume.
380
Antologia della letteratura italiana
le vesti, le grandi passioni e i delitti, le vendette e le beffe. L’attenzione e Tintima partecipazione dell’autore vanno soprattutto alle avventure in cui il costume si esprime in forme energiche e decise, cioè ai drammi passionali,
non infrequenti
nelle sue novelle. Questa prospettiva vasta e mossa di una d’un’epoca, anche se svolta in toni dimessi c a volte cronachistici, sembra disporre una nuova materia per il romanzo, che sarà una scoperta del secolo seguente.
società e
Per
i
abbiamo seguito: M. Bandello, Tutte
testi,
le opere,
a cura di F.
Flora, Mi-
lano, Mondadori,' 1934.
Tomasone È
e
San Bernardino
questa una delle non molte novelle del Bandello fondata sullo studio d’un quello dell’usuraio Tomasone. La caratterizzazione del personaggio è
carattere,
soprattutto ai suoi due discorsi col frate; ma essi bastano a definirlo, primo per quel suo aspetto untuoso c ipocrita, per la sua fermezza recisa c
affidata il
irrevocabile il secondo, dal quale la scelta della appare una vocazione meditata e irresistibile.
Quando
noi,
miei, _avcremo
signori
forza dire che questa cieca cupidigia,
modo,
è cagione di molti mali; e
l’uomo infame,
e fa che
caccia a casa di
da
tutti
nobile
detto
e
voler
di
professione
detto,
d’ usuraio
converrà
non solamente rende bene
ma
è mostrato a dito,
trenta para di diavoli in
per
aver danari fuor di
anima
spesso
sovente anco lo
e in corpo.^
ora io vo’ mostrarvi in una mia novelletta, che è vera
istoria,
Onde
come
gli
uomini oltra modo cupidi del guadagno diventano sfrontati, e quanto poco stimano Dio. Fu nella città nostra di Milano,^ non è gran tempo, uno, chiamato Tomasone Grasso, il quale a’ suoi tempi avanzò in prestar denari ad usura quanti usurai mai furono innanzi a lui.^ Onde ne divenne oltra misura ricchissimo. Nondimeno, per nascondere il suo vizio, egli ogni di era il primo ad entrare in chiesa, e di sua mano a quanti poveri ci erano dava un imperiale^ per elemosina: udiva due
modo
e tre messe, ed altre simili dimostrazioni faceva; di
non
nosciuto
tolico e santo
l’avesse,
uomo
si
di Milano.
perdeva nessun sermone, tendosi,
il
tutto con
ma
Quando
poi
novella rata da
caccia...
in balia del
narratore senza pretese. 2.
nella
nostra
città;
predicava, egli
sempre dirimpetto
coqio: lo mette del tutto
lo
si
al
il
piu ca-
mai non
predicatore
met-
sommissima attenzione® udiva.
demonio. Il 6. affida compiaciuto la « morale » a questa frase di uso quotidiano e popolaresco, con un tono di
1.
che chi co-
sarebbe creduto che egli fosse stato
3.
avanzò... lui:
fu
il
maggiore usuraio
che mai fosse stato in Milano. 4.
Nella dedica della
B. immagina che essa venga narun giovane milanese, Dionisio Elio.
il
5.
un imperiale: una moneta di valore. con sommissima attenzione: Quest’ul-
La prosa minore
Venne
del Cinquecento
381
Milano Fra Bernardino da
a predicar in
predicatore famosissimo, che poi fu dalla santa
mero
nel nu-
dei santi collocato; e perché era d’età già vecchio, ed appo"^ tutti
come
in opinione d’esser,
reva
Siena,® in quei tempi
Madre Chiesa
suoi sermoni; di
ai
santissimo, tutta
la
città
concor-
che in breve acquistò appo grandi e
Tomasone non
grandissimo.
piccioli credito
uomo
era,
modo
lasciava giorno, che
l’andasse a udire; ed avendolo sentito dodici
o piu sermoni,
non
deliberò,
veggendo che non predicava contra gli usurai, andarlo a visitare, e v’andò. Era Tomasone un uomo di venerabile presenza ed autorità e vestiva molto civilmente.^ Fra Bernardino, visitato da costui, lo raccolse® amorevolmente, e con lui entrò in onesti e santi ragionamenti, essendosi posti a sedere. Tomasone faceva da ser Ciappelletto,^® e si mostrava tutto religioso e zelante dell’onor di Dio e della salute dell’anime. Onde, dopo molti ragionamenti, egli al santo frate in questo
modo
parlò
obbligo
al
:
— Padrt riverendo,
noi milanesi abbiamo un infinito Gesù Cristo, che abbia ispirato la vomandarvi in questa nostra città a predicare; tutti
nostro Redentore messer
stra santissima religione
perciò che mediante
la
a
grazia del Salvatore io spero che
cazioni faranno buonissimo frutto,
mala
vita di molti,
ma
più che vizio alcuno che
maledetto peccato dell’abominevole usura, e molti
il
vostre predila
che vivono discorrettamente. Regnano in questa no-
stra città dei vizi e peccati assai;
è
le
saranno cagione d’emendare
e
ci
ci sia, vi
sono che
altro
mestiero non fanno. Io mosso da carità ve l’ho voluto dire, a ciò che nei vostri fruttuosi sermoni possiate talora riprendere questo scelerato vizio, e diradicarlo^® Il
da questa
—
città.
santo uomo, che altrimenti non conosceva chi fosse Tomasone, c
buono
lo giudicava, lo ringraziò assai,
gentiluomo
e leale
ed esorto
a
perseverare in buon proposito. Poi cominciò ferventissimamente a predicare contra il vizio dell'usura, di maniera che in tutte le prediche altro mai non faceva che biasimare e riprendere chi prestava ad usura; alcuni il che agli uditori non poco fastidio generava. Onde essendo da
uomini da bene gli
usurai,
ma
visitato, fu avvertito
seguitasse
il
suo
meravigliate di questo, disse
timo particolare completa pittura
di
quell’
uomo
il
efficacemente
ipocrita
e
solito
la
untuoso.
Fra Bernardino da Siena: Fu un predicatore di grandissima rinomanza nel Quat-
abbiamo riportato alcuni
passi delle
sue prediche nel primo volume. 7. 8.
coro.
modo
di predicare.
—
Non
vi
santo frate, perciò che io sono stato
6.
trocento;
s’affaticasse tanto contra
che non
appo: presso. molto civilmente: con eleganza e de-
9. raccolse:
10. faceva
accolse.
da Ser Ciappelletto:
si
compor-
Ciappelletto delia celebre novelewere la del Boccaccio, faceva cioè credere di
tava
come
uomo
il
integerrimo e profondamente religioso.
la... religione: il vostro santissimo ordine, che era quello francescano. 12. a ciò che: affinché^ 11.
13. diradicarlo:
sradicarlo.
Antologia della letteratura italiana
382
mi
spinto da quel gentiluomo vestito di pavonazzo, che ogni di
quando
a sedere per iscontro trassegni, fu
da
uno
:
di quelli
dite, è
il
tutti
conosciuto che egli era
— Oimè,
E
sta
dati alcuni altri con-
Tomasone
Grasso.
Onde
maggior usuraio che
non
in tutta Italia sia; ed in questa città
non
egli;
ed
io
per
me
più volte, astretto
—
da bisogni, ho preso con grandissimi interessi danari da lui. Udendo Fra Bernardino questa cosa, restò fuor di modo pieno di meraviglia; e volendo certificarsi, mandò per lui,^® il quale subito venne. Il santo frate entrò seco in ragionamento, e venne a dirgli che egli era un grande usuraio, e che essendo cosi, molto si meravigliava che egli l’avesse stimolato con tanta istanza Per a predicar contra l’usura. questo,^"^ rispose allora Tomasone, venni io a pregarvi ed esortarvi che
—
voi predicaste contra l’usura, perché vorrei esser solo
E
per guadagnare più danari. io,
mi
la
metà
a questo mestiero,
chi v’ha detto che altri
che presti a usura, s’inganna; ed io lo
qua non guadagno
so,
non
ci
che
sia
che da qualche giorno in
di quello che io soleva
come
fa conoscere che altri ci siano così savi
guadagnare; il che che anche essi
io,^®
attendono al denaro. E dicovi, padre mio, che chi non ha danari e pur assai,“ è una bestia. Voi sete, perdonatemi, poco pratico delle cose del mondo; ed il viver vostro è a un modo, ed il nostro a un altro.^^ E la somma del tutto è questa, che convien a chi vuol esser riputato e fra gli altri onorato, aver danari. Sia pur l’uomo nasciuto nobilissi-
mamente,^
e della casa dei Vesconti, che è la casa del nostro signor
duca, se non avrà danari,^ non sarà di lui tenuto conto alcuno. Io ho
qualche pochi danari, che non pensate eh’ io
14.
per iscontro: dirimpetto.
15. certificarsi:
dò per
lui:
16. istanza:
17.
mandò
lo
un
a chiamare.
ecc.
:
Il
discorso di
Toma-
piccolo capolavoro, condotto con
logica stringente. Vedi, fin dall’ inizio^ prontezza della risposta: davanti ai rim-
una la
proveri del frate
non
batte ciglio,
ma
elogia
suo peccato con un cinismo che rasenta 1 innocenza. Non solo, ma si sente e si proclama con fierezza un onesto trionfalmente
il
’
professionista « sociale »
dell’ usura,
mostra
il
valore
della sua attività, e termina alla
con un elogio veramente tenero della che dà il danaro. La comicità nasce soprattutto dalla perfetta e spontanea naturalezza con la quale enuncia e difende la sua morale alla rovescia; c anche da quel senso di benevola superiorità con cui osserva quel frate santo, ma cosi poco pratico delle fine
gioia
cose di
mondo.
frate
per
solo:
sbarazzarsi
Si
^
se
dunque
serve
concorrenti;
dei
e
del e
si
comprende che sarebbe pronto a pagare
il
disturbo.
insistenza.
Per questo,
sone è
man-
tutto oro;
fossi
perché...
18.
sincerarsi della cosa,
:
che è ciò che io sento! costui, padre, che
disse,
troverà chi presti a usura se
si
—
io predico.
19. COSI savi come io: V attendere al danaro è dunque la suprema saggezza. Non senti neppure il sogghigno di Ser Ciappelletto, il suo artistico gusto della beffa, ma una convinzione autentica, inoppugnabile. 20. e pur assai: e anche molti. 21. ed il viver... altro: Distinzione netta e categorica: a ciascuno il suo mestiere. Ma nota, sempre, quel tono pacato {voi sete, perdonatemi , poco pratico delle cose del mondo'), quell’ ipocrisia ormai divenuta natura, quel gusto della rispettabilità. di nobilis22. nasciuto nobilissimamente :
simi natali.
non avrà danari
23. se
:
implacabile, la saggezza di 24.
Io ho...
mulare
la
oro:
è
il
ritornello
Tomasone.
Anche quella
di
dissi-
propria ricchezza è divenuta abi-
'
,
|
La prosa minore vado in
del Cinquecento
castello per
3«3
parlar al duca, subito son fatto entrare,
ben
se
perché quando ha avuto bisogno di ducento e cento migliaia di ducati, io 1’ ho servito con quel profitto “ che tra egli fosse in letto,“
me
e
s’
o povero a
Non
è accordato.
questa
.in
mo
Direte
tutti.
onori, perché io faccio servigio
che io deverei prestar
i
miei danari tornino a casa con guadagno. Basta a
me
costuma, “ e
si
e voglio che
non
eh* io
avere danari è una cosa che senza fine allegra
quanto piu
se n’ ha, tanto piu cresce l’allegrezza; io
mi
il
i
sforzo
me:
nessuno, né astringo^ a venire a tórre danari in prestito da 1’
^
miei danari senza pre-
mio alcuno. Padre mio, cotesto modo di prestare non non sarebbe il fatto mio: io voglio il pegno in mano,
perché
lui
gentiluomo o cittadino o mercante
mi
che non
città,
voi,
è anco
ci
tre-
e
cuore,” c
mossi,
quando
a pregarvi che voi predicaste con tra gli usurai, a ciò eh’ io
vi parlai,
solo tutto
il
Si sforzò
guadagno
—
avessi.
santo frate con verissime e sante ragioni di voler levare
il
questa fantasia di capo a Tomasone, ed assai gli predicò, mostrandogli negli Evangeli che Cristo nostro Salvatore di bocca sua comanda, che
debba prestar danari
si
spilletto.
prossimo senza speranza di cavarne uno il Te-
al
Egli puoté allegare la ragione civile e la canonica,^ ed
stamento vecchio col nuovo;
Tomasone
niente profittò, perciò che Strinsesi
il
santo frate
nelle
Tomasone; e da pregò nostro Signore Iddio che gli occhi della mente E poiché di Tomasone tanto ve ne ho detto, vi dirò
spalle” di compassione, sé
ma
suo proposito.
perseverava ostinato nel
licenziatolo,
gli illuminasse.
udendo
cosi fatte risposte di
ancora un fioretto,” che poco innanzi a questo ragionamento che fece
come avete già inteso, Tomasone predicazione; ed avendo Fra Bernardino gagliardamente predicato contra gli usurai, un povero calzolaio, che era ito per pigliar santo frate, avvenne. Andava,
col
ogni di
tudinc,
alla
natura
pure di
(fa
parte
delle
attitudini
non s’accorge nepsmentire subito dopo la sue parole,
professionali),
tanto che
quando afferma
di
sensibili allo stesso
duca di Milano.
Ma
c’ è
—
—
27.
io
faccio
interesse.
servigio:
Non
usura,
servigio, e a tutti indistintamente.
quindi che
sia
:
delle cose.
aver fatto prestiti assai
anche, in fondo, della sincerità in ciò che dice: per quanto danaro possa avere, non sarà mai abbastanza per la sua insaziabile sete. 25. se... letto: anche se fosse a letto; questa sembra dire Torhasone è la vera intimità coi grandi. 26. profitto:
ma tanto inesperto. Non vale far polemiche bisogna fargli capire pacatamente la realtà
È
ma
29.
28. Padre... costuma: Gli parla dolcemente, come a un giovane pieno di ideali
Sono
« serviti »
!
gli
che chiedono
altri
astringo
:
di
costringo.
30. che... cuore: È la frase lirica, dopo tanto serrato ragionare, pronunciata con ario-
so e beato entusiasmo, ed quella seguente. 31. la ragione... canonica:
è
ribadita
da
le leggi civili e
quelle ecclesiastiche.
giusto
onorato.
il
a nessuno. essere
nessuno: Basta alla mia copensiero che non faccio violenza
Basta...
scienza
è
32.
Strinsesi... nelle spalle:
un
tratto di fine comicità.
un fioretto: un episodio, degno di messo in una raccolta antologica.
33. ser
Anche questo es-
Antologia della letteratura italiana
384
danari in prestito da
acerbamente gridar
sone a casa, non ardiva ricercarlo,
Veggendolo Tomasone
gli disse:
10 vorrei bene qualcosa, rispose
avendo
dervi,
sentito
dubito che voi non Disse allora
mone,
frate
il
Tomasone:
—
ma
—
sermone, sentendo cosi
il
si
smarrì; e tornando
vuoi nulla da
ma non
calzolaio,
e piu
gli usurai;
non vogliate
Dimmi, che mestiero
Sta bene, disse
è
prestare.
tuo?
il
Tomasone,
me?
—
ardisco a chie-
fieramente garrire contra
sì
Toma-
dietro passo passo lo seguitava.^
— Compagno, il
convertito;
siate
calzolaio, rispose egli.
—
e
—
Io sono
tu sei stato al ser-
—
che mestiero sarà ora il tuo ? Sarò calzolaio, pover uomo, perché non so far altro mestiero. Ed io, sog-
e vai a bottega
rispose
che fosse
finito
lui,
frate contra l’usura,
il
il
:
—
giunse Tomasone, sarò prestatore,^ perché altro essercizio non ho per le
mani.
—
E
sone, che poi
gli
si
diede quei danari che volle. Questo è quel
convertì, e restituì tutto
il
mal
e lasciò tante elemosine e cose pie, che tutto 11
Toma-
ed incerto,^ dì in Milano si fanno;
tolto, certo
il
quale, se visse male, almeno, per quello che
si
può
giudicare,
morì
bene e da cristiano.
Uno Il
scanno per San Francesco racconto è tutto fondato su un bel motto, secondo
la
piu antica tradizione
Randello caratterizza felicemente un certo tipo di predicazione rettorica, fondata su un lirismo falso e compiaciuto. La battuta dello studente è spiritosa (non è però invenzione del Randello, che ricava la novella da un originale latino), ma la parodia del goffo predicatore è artisticamente più interessante. novellistica.
Devete,
Il
miei,^
signori
sapere,
che essendo io ancora
secolare,^
e
leggi civili. Frate Bernardino
da Feltro, uomo nella religione ^ nostra di grandissima stima, predicò tutto un anno nella chiesa maggiore di Pavia, con tanto concorso,® che maggiore non fu mai in quella città veduto. Egli aveva l’anno innanzi predicato in Bre-
stando in Pavia ad udir^
le
34. lo seguitava: lo seguiva. 35. Ed io... prestatore: Il colloquio col calzolaio è più rapido e alla buona (Tomasone non ha ora a che fare con un santo e
con una persona
logica
colta):
ma
c’
è la stessa
stringente e trionfante che ha usato
con San Bernardino,
la
stessa
aria
di
pro-
fessionista coscienzioso e imperturbabile. 36. Il
certo ed incerto:
finale
non
è in
rimane aggiunta
capitale e interessi.
armonia con
la
novella,
estrinseca.
zano di mantenere un tono conversevole. Tutte sono, per questo, precedute da una dedica nella quale l’autore ricorda da chi esse furono raccontate e in quale compagnia. Qui il narratore è Filippo da San Colombano, frate minore, che si rivolge a una compagnia di gentiluomini. 2. essendo...
secolare:
quando ero ancora
laico. 3.
ad udir: a studiare
4.
nella
religione:
il
nell’
diritto civile.
ordine
dei frati minori francescani). I.
signori miei:
Le novelle
del B.
si
sfor-
5.
concorso: concorso di fedeli.
(è
quello
Lm prosa minore scia,
del Cinquecento
3»5
e fatto publicamente sulla piazza ardere quei capelli morti,® che
tutte le
donne avevano
in diverse fogge in capo, che per accrescer la
nativa loro beltà solevano portare, ed arso anco simili altre vanità don-
anco arder quanti libri degli epigrammi di Marziale"^ città, e molte altre cose degne di memoria fece. Ora essendo egli, il giorno del nostro serafico padre san Francesco in pergamo in Pavia, ove tutto il popolo era concorso, entrò a dire delle molte vertuti di san Francesco, ed avendone dette pur assai, e narrati molti miracoli che in vita e dopo la morte fatti aveva, gli diede tutte nesche. Fece
erano in quella
quelle lodi, eccellenze e dignità, che a tanta santità di così glorioso
Ed avendo
padre convenivano.
con efficacissime ragioni, autorità* ed
essempi provato, che egli era pieno di tutte
ed ardente di
le
grazie, e tutto serafico*
un grandissimo fervore, e cielo,^* padre mio santissimo
carità, entrò in
daremo oggi
disse:
—
Che
ove ti metteremo, o vaso pieno d^ogni grazia? che luogo troveremo noi conveniente seggio
ti
a tanta santità?
nel
— E cominciando
dalle vergini, ascese ai confessori, ai
a san Giovanni Battista ed
martiri,
agli
triarchi,
dimostrando tuttavia che piu onorato luogo san Francesco
E
meritava.
apostoli,
profeti
altri
in questo cominciò, la voce innalzando,^^ a dire
:
e
pa-
— O santo
veramente gloriosissimo, le cui santissime doti e singolarissimi meriti,^^ e la conformità della tua vita a Cristo, sovra tutti gli altri santi t’essaltano, qual luogo troveremo a tanta eccellenza convenevole? dimmi popolo mio, ove lo metteremo? ditemi voi, signori scolari,^* che d’eleIn questo,^^ vato ingegno sete, dove porremo questo santissimo santo? messer Paolo Taegio, allora scolaro nelle leggi, ed oggi dottore in Mi-
—
lano famosissimo, che sedeva suso
uno scanno dirimpetto
essendo fastidito dalle inutili ed indiscrete ciance del
al
pergamo,
frate, e forse
du-
bitando che non lo volesse mettere sopra, od almeno a paro della santissima Trinità, levandosi in piedi, preso lo scanno con due mani, ed
6.
«
quei capelli morti;
le
bruciamento delle vanità lusso e d’eleganza
di
ti
libri e
parrucche. »,
È un
cioè di ogget-
(talvolta
anche
di
di opere d’arte). Tali manifestazioni
pubbliche erano frequenti nel Quattrocento e venivano ispirate dalla parola ardente dei predicatori.
Marziale: è un poeta latino del
7.
I
se-
ripetono stucchevolmente la « trovata ». Quel che soprattutto disturba nel sermone del frate è la rcttorica compiaciuta. 11. la voce innalzando: avverti l’urlare importuno, il fingersi in preda a una commo-
zione travolgente. È un tipo d’oratoria sacra che trionferà soprattutto nel secolo se-
guente
e oltre. 12. gloriosissimo... santissime... singolaris-
colo d. C., molto apprezzato neU’età rina-
scimentale,
ma
simi
a volte licenzioso.
autorità: attestazioni, testimonianze au-
8.
torevoli.
serafico:
9.
me
i
ardente di amore per Dio cosomma gerarchia angelica.
Quale luogo del paradiso
diremo, in questa nostra predica {oggi), che è
degno
della tua santità?
Le
altre
due
frasi
Siamo
nel
momento culminante
della
:
mente.
Serafini, la
10. Che... cielo;
:
superlativi e domande rettoriperorazione che si accavallano sempre piu fastidiosa-
ti,
studen13. signori scolari; Si rivolge agli pensando ormai di avere conquistato an-
che loro. 14. In questo:
a questo punto.
Antologia della letteratura italiana
386
—
in alto levandolo, disse si forte, che fu da tutto il popolo udito: Padre mio, di grazia non vi affaticate piu in cercar seggio “ a san Francesco. Eccovi il mio scanno: mettetelo qui su; e potrà sedere, che io me ne vo. E partendosi, fu cagione che ciascuno si levò, ed il popolo di chiesa si parti. Onde fu mestieri che il Feltrino, senza trovar luogo al suo santo, se ne dismontasse dal pergamo, e tutto confuso
—
ne
a san Giacomo'"^ se
Onde
ritornasse.
che in pergamo l’uomo dice, a ciò che facciano venir in deriso
il
vuol ben considerare ciò
si
indiscrete predicazioni
le
non
verbo di Dio.
Pietro Aretino suo casato) nacque ad Arezzo nel 1492. Roma, dove divenne celebre per le sue pasquinate (brevi componimenti satirici e scandalistici, scritti in persona di « Pasquino », cioè di una statua mutila, situata in una piazza di Roma, alla quale essi venivano appesi). Dal 1527 all’anno Pietro Aretino
Si dedicò,
ignoto
(c* è
il
giovanissimo, alla pittura a Perugia, poi passò a
morte (1556) visse a Venezia, dove, allora, si poteva godere una maggiore libertà di parola. Prima ancora che la storia della letteratura, la sua figura interessa
della sua
costume. Egli fu
storia del
fece
della
Sovrani
sua penna
ed egli
I,
Carlo
una lode per
lui
V
come
ammirate
(l’
disgrazia d’
Questa di
altri
Ariosto
gli
’37 e
il
diede
un uomo. non fu propria
attività
letterati
libellisti
francesco Doni, per
ma mezzo
i
quali lo
Il
loro avversari,
i
il
titolo, di cui egli si
com’
egli
Le sue
Lettere,
pubblicamente e da
lette
vantava, di «
fla-
a fare spesso la fortuna
dice,
soltanto dell’Aretino, in quel tempo,
ma
Niccolò Franco e Antonscrivere non fu intima vocazione spirituale, quali
loro successo attesta l’onore in
ma
cui erano tenuti
allora
nello stesso tempo, in quell’età di inci-
svolgevano un’ opera di propaganda politica, alla stampa consentiva uno sviluppo ben più vasto e rapido di un
assolutismo, essi la
tempo, cosa questa che spiega
15. in cercar seggio; nel cercare
un
l’
interesse
posto.
senza trovar luogo: Il povero S. Francesco, o meglio, il Santo del predicatore importuno, commenta argutamente il B., è rimasto senza posto. 16.
infamanti per
erano
’56,
il
professione,
di
lo scrittore e la parola scritta;
quale
offerente.
di personale affermazione e sostegno principale della loro vita
di avventurieri.
piente
maggior
al
re d’Inghilterra, principi e cardinali
sé e biasimi
gello dei principi »), e bastavano, la
il
difesa della pubblica moralità e giustizia.
che egli stesso pubblicò fra
o
e
la
che
serviva con spregiudicato cinismo, che a volte giungeva persino
li
a presentare
tutti
scrittore libellista e ricattatore,
un’arma temuta, vendendola
come Francesco
compravano da
uno
infatti
di
dei
17. a
sovrani
nei
san Giacomo:
al
loro
confronti.
convento di San
Giacomo. 18.
venir in deriso:
derisione.
nale
(=
A
« affinché
diventare oggetto di
non è congiunzione non »).
ciò che
fi-
La prosa minore
La
del Cinquecento
professione di libellista
3»7 per cosi dire, di giornalista politico, in
e,
senso deteriore e di avventuriero della penna, ci spiega dell’opera dell’Aretino.
di cultura vasta,
anche
vivida e di sensibilità acuta, dotato di
d’ intelligenza scrittore,
Fu uomo
modo
capace di esprimersi in
i
pregi e
i
limiti
non profonda,
se
una vena nativa
concentrato e incisivo.
Il
di
carattere
stesso della sua produzione gl’ imponeva la ricerca non di classica e aulica compostezza, ma di uno stile « parlato », rapido, fondato sulla frase acuminata e intelligente, sulla violenza polemica, sul sarcasmo sottile. Continui, per questo, e quasi sempre sapidi ed efficaci sono i suoi attacchi contro i letterati verbosi e magniloquenti, contro i pedanti, di cui egli
schizza briose caricature.
Mancano, d’ altra parte, all’Aretino, la concentrazione spirituale e l’impegno artistico e umano che sono propri del grande scrittore. La sua opera resta così episodica e frammentaria, anche se comprende alcune fra le pagine piu vivaci del secolo. Oltre alle Lettere, • l’Aretino scrisse anche una tragedia, l’ Grazia e
commedie
delle
Marescalco,
(il
Cortigiana,
la
l’
Ipocrita,
la
Talanta,
il
Filosofo), che sono fra le più gustose e briose del tempo. Interessanti sono
anche
Ragionamenti, immaginari dialoghi di meretrici, nei quali, a parte compiaciuta insistenza sull’ osceno, si trovano pagine che
i
soverchia e
la
rivelano nell’ autore
autentiche capacità d’ artista.
Per i testi, abbiamo seguito; Scritti G. G. Ferrerò, Torino, UTET, 1951.
Lettera a Niccolò Franco La
^
Aretino e di A. F. Doni, a cura di
scelti di P.
(Arte e imitazione)
esprime compiutamente la concezione che l’Aretino ebbe dell’arte che egli vide in primo luogo come opera di natura, cioè, diremmo noi, nata da ispirazione viva e personale. In tal senso, egli accetta il
e
lettera
della
letteratura,
principio rinascimentale dell’ imitazione, in quanto serve a suscitare e a rafforzare nello
scrittore
le
è
dunque qui
vedere
la
la
vita
se
satira
non
Andate pur per che
lete
gli
scritti
1.
dei
pedanti
attraverso le pagine dei libri.
vostro studio mostra la natura,^ se vo-
le vie
che
vostri
faccino stupire le carte
ridetevi di coloro che
rubano
al
le
penna
»,
dapprima amico
dell’ A.,
^
dove son
poi
lui
soprattutto esprimere liberamente se
3.
faccino...
carte;
a queste immagini di
damentale precetto dell’A. è tipicamente
co, o
cui lo
ma
tutta sua è
1’
proclama (vedi anche
1’
della lettera).
Seguir
la
intensità
ri-
con
ultima parte natura significa per
Il
gusto
e
dif-
stessi.
dell’ espres-
sione energica e pittoresca porta a volte l’A. un vago gusto baroc-
a lui fieramente avverso. 2. Andate... natura: Questo primo e fonnascimentale,
notati,
paroline affamate,^ perché è gran
Niccolò Franco: Fu un « avventuriero
della
creative, non in quanto lo spinge alla Vivacissima e perfettamente conseguente e degli imitatori servili, che non sanno
sue originali capacità
copia pedissequa e alla contraffazione.
4.
comunque le
sforzate.
paroline affamate;
Anche questa
è
un’ immagine inconsueta, strana, non priva però di forza espressiva e di un’ intima
Antologia della letteratura italiana
388
ferenzia dagli imitatori ai rubatori, che io soglio dannare.® Gli ortolani
sgridano quegli che calpestano l’erbicine da far
che bellamente
le
colgono, e fanno
il
e non coloro
salsa^
la
viso arcigno a chi per volontà
dei frutti rompe i rami de l’arbore, e non a colui che ne spicca due o tre susine, a pena movendogli. Certo, io affermo, da pochi infuora, che tutti gli altri vanno dietro al furare ® e non a lo imitare. Dicamisi non ha piu ingegno il ladro che trasforma l’abito che ruba, in foggia :
che, portandolo,
non
padron conosciuto, che quello che, per non ne viene impiccato? Voi udiste l’altrieri, Grazia il dialogo grande del divino Sperone,"^ cader
saper pur ascondere
è dal
il
furto,
che ci ebbe il da la eloquente bocca del mio Fortunio, come pareva Platone,® in qualunque luogo l’avesse imitato; e ciò disse, perché egli fa suoi i passi, dei quali si è servito. Ecco: la balia imbocca il bambino che ella nutrica, gli piglia i piedi e, insegnandoli a trarre il passo, gli pone dei suoi risi negli occhi,® de le sue parole ne la lingua, de le sue mapiere letto
nei gesti; perfìn che la natura, nel moltiplicargli
Ed
giorni, l’empie de
i
poco a poco imparato a mangiare, a camidi nuovi costumi; e lasciando il nutrice, mette in opra i suoi con la nativa abitudine
l’attitudini sue.^°
egli, a
nare e a favellare, forma
un modo
vezzo de la di onde si fa tale quale è chi ci vive,^ ritenendo tanto de lo studio colei che l’ha alevato, quanto ritengono de la conoscenza de la madre e del padre gli uccelli che volano. Cosi doveria fare chi si vale di quel :
poeta e di questo,
e,
col tòrgli solamente
i
fiati
degli spiriti, uscir fuora
con una armonia formata da le voci degli organi propri. orecchie altrui sono oggimai sazie degli « uopi » e degli «
vena comico-caricaturale. Le parole saccheggiate dai poetastri, appaiono tolte dal ricco
contesto in cui erano, boccheggianti, come poveri affamati, prive dello spirito originale
che dava loro
vita.
condannare. Gli imitatori sono coloro che dall’esempio dei grandi scrittori traggono un incentivo ad apprendere l’arte e la capacità di esprimere se stessi; i rubatori sono i pedanti che saccheggiano parole, 5.
modi 6.
dannare
e
:
forme dei
tutti,
tranne pochi,
Niccolò Grazia aveva letto, in casa dell’A. il dialogo Dell’Amore di Sperone Speroni, letterato e filosofo rinomato. Erano presenti altri due dotti, Domenico Gritti e Gian Francesco Fortunio. 8. cader... Platone: udiste dire (cader da la bocca) dal Fortunio che lo Speroni semil
Grazia...
stessi e
Sperone:
brava veramente Platone (non un suo pedissequo imitatore).
gli
pone negli occhi
ad emularli.
10. perfin... sue:
plicando
plasma,
i
gli
suoi
finché la natura, molti-
giorni,
completa,
lo
lo
dà attitudini e indole sue pro-
prie. i
di fare
suoi:
i
suoi costumi,
un suo modo
conforme all’indole nativa.
12. si fa...
furare; rubare. 7.
dei suoi... occhi:
le
l’impronta del suo stesso sorriso. La balia simboleggia qui i classici, che c’insegnano fino a che, il senso e il gusto della poesia, da loro nutriti, riusciamo a divenire noi
11.
classici.
da pochi infuora:
9.
Perché
altresì »,^® e
vive:
acquista la propria per-
sonalità.
de
lo studio:
« zelo »,
operosità
gnificato
simile.
13.
14.
e col tórgli...
studium, in latino, vale Qui ha un si-
intensa.
propri:
Il
poeta nuovo
dovrebbe prendere dall’antico solo fiato, respiro, per modulare poi un proprio, originale canto. 15. uopi, altresì:
Prende in giro forme
di
^
La
prosa minore del Cinquecento
vedergli per
il
libri
i
comparendo
valiere,
d’oro e con
movono
3«9
a riso
Borso e di Bartolomeo
Colleoni.^’^
E, per dirvelo,
caccio sono imitati da chi esprime
esprimendo
il
loro, e
i
non da
sia
che
il
diavolo
ma
« snelli »,
Ma
perdonato.
moreggia “ de
dei « quinci »
dei versi interi.
aciechi a trafugarne qualcuno, sforzia-
ci
somigliarci a Vergilio,
di
Boc-
il
andarono
essi
non pur
chi gli saccheggia,
che svaligiò Omero, e
che l’accoccò a Vergilio, onde hanno avanzato de
belli,
Petrarca e
concetti suoi con la dolcezza e
quindi » e dei « soventi » e degli
((
E quando moci
i
leggiadra con cui dolcemente e leggiadramente
la
ca-
onde si crederebbe che egli fosse impure in altro tempo erano abito del duca
E
e dei
maniera che moveria un
la
la berretta a tagliere,
pazzito o mascarato.^®
con
ne
in piazza in giornea tutta tempestata di tremolanti
Sanazaro,
al
l’usura,^®
e
saracci
cacar sangue dei pedanti,^® che vogliono poetare,
il
ri-
mentre ne schiamazzano negli scartatrasfigurano *in locuzione, ricamandola con parole tisiche in
la
O
regola.^^
imitazione,
e,
turba errante, io
ti
l’
dico e ridico che la poesia è
un
ghiri-
bizzo de
la
prio,^
mancandone, il cantar poetico diventa un cimbalo^ senza un campanil senza campane. E chi noi crede, chiariscasi
e,
sonagli e
con questo
natura ne
le
sue allegrezze,
qual
il
si
sta
nel furor pro-
gli alchimisti, che, con quanta industria si puote immaginare l’arte de la lor paziente avarizia, non fecer mai oro, il fanno ben parere; ma la natura, non ci durando una fatica al mondo, il par:
linguaggio antiquate e pur continuate dagli pedanteschi. 16. comparendo... mascarato: se comparis-
21. e, mentre... regola: mentre i pedanti fanno risuonare schiamazzando nei loro libercoli (scartabelli) le frasi pedissequamen-
in piazza con abiti di un secolo fa. La giornea era una veste usata nel '400, e cosi
te
a tagliere, chiamata in perché rotonda e schiacciata, simile a un tagliere di cucina, mascarato: ma-
si
imitatori
se
pure
berretta
la
modo
tal
Borso d’ Este, duca Ferrara, e Bartolomeo Colleoni, celebre
17. Borso... Collconi:
condottiero, 18. il
E
vissuti
secolo
nel
quando... usura:
diavolo
ci
offuschi
la
precedente.
E quando
mente
e ci
anche spinga
a trafugare qualche verso dei grandi,
fac-
ciamo come Virgilio che saccheggiò Omero, e il Sannazaro che saccheggiò Virgilio, ma aggiungendo tante cose originali e belle. Ma... pedanti: L’ espressione volgare, e pittoresca, secondo il gusto proprio deir A. indica lo stento, la stitichezza con cui scrivono i pedanti, privi 19.
ma
incisiva
eppure ostinati nel poetare. 20. rimoreggia: rumoreggia; rende il suono
d’ ispirazione,
dell’
cercano di far apparire questa stile, eloquenza; laddove
imitazione
tratta in realtà di
posto
un
faticoso
inespressive
parolette
di
quanto nell’imitazione
la
ricamo com(tisiche,
imitazione,
la fa
apparire evidente.
in
vera vita della pa-
mec-
rola è spenta), disposte secondo regole
scherato.
di
imitate,
piatta
caniche. 22. la
poesia...
proprio:
La
nascere
da intima ispirazione.
cetto
arricchisce
si
gioioso della
poesia
poesia
deve
Ma
con-
il
un senso energico e come pienezza di vita
di
parola ghiribizzo, ti dà il senso di vivacità e, insieme, di qualcosa di imprevedibile e originale. Le allegrezze della natura, ti fanno pensare al gioioso espanspirituale.
La
dersi dell’animo del poeta.
è
la
personale
ispirazione,
Il
furor proprio
sottolineata
nel
suo carattere di trasporto emotivo, irrazionale e fantastico. 23. cimbalo:
tamburello a sonagli.
24. chiariscasi... questo: esempio che gli servirà a
consideri chiarire
questo le
idee.
Antologia della letteratura italiana
390 torisce e bello e puro. Si
dipintore tava,
una brigata d’uomini
vero toglieva
natura
raggroppa ne tevi
pure
cssempi
gli
de
istessa,
compongo,
io
che imparate ciò ch’io favello da quel savio
quale, nel mostrare, a colui che
il
patria
e la
come
gli
cui semplicità
la
mi
tolgo
le
io,
parlando e scrivendo. La
son secretario,^ mi detta ciò che
scioglie
superstizione de
la
dimandò chi egli imi“ che dal vivo e dal
il
col dito, vòlse inferire
nodi de
i
nervi e lasciate le pelli ai pelacani,^
ai
quando
lingua,
la
si
chiacchere forestiere.^ Voi attenequali
i
stanno
si
là
mendicando un soldo di fama con ingegno di malandrino, e non di dotto, come séte voi. Ed è certo ch’io imito me stesso, perché la natura è una compagnona badiale che ci si sbraca, e l’arte una piattola che bisogna che si apicchi.^® Si che attendete a esser scultor di sensi e non miniator di vocaboli.^”
Di Venezia,
A
di
25
il
Sebastiano del
giugno /5J7.
Piombo
(La nascita
^
della figlia)
C’è qui un Aretino più intimo e raccolto, che sa esprimere con calore discreto pur sempre intenso la gioia della paternità, fatta di tenerezza nativa e della non meno nativa felicità che nasce dal sentire perpetuarsi nel figlio la propria vita.
ma
Ancora, padre, che a la fratellanza nostra non bisognasse altre catene,^ ho voluto cingerla con quelle del comparatico,^ acioché la sua benigna e santa consuetudine ^ sia ornamento dell’amicizia che la virtù istessa ha stabilita fra noi eternamente. Piacque a Dio che fusse femmina la
25. volse inferire:
26. semplicità:
come
volle
affermare.
È
dire che scrive sotto la sua dettatura.
27. e la patria... forestiere;
gua dell’A.
si
raggroppa,
si
quando
che egli
si
imbroglia per
rifà alla schiettezza
fatto naturale e spontaneo.
a
un vuo-
formalismo, lasciate... pelacani: lasciate gli ornamenti esteriori ai mestieranti. 29. perché... apicchi: perché la natura è una buona, allegra compagnona, che sa doto
nare con generosità la
tecnica è
una
(ci
si
sbraca),
piattola che
si
può
mentre attac-
gno
paziente
un miniatu-
fraterno che
creare poesia intima e originale,
non
ci
lega
sebbene
non avesse
l’af-
biso-
d’esser ribadito con nuovi e più tenaci
vincoli.
comparatico:
3.
L’A.
aveva
voluto
che
Sebastiano fosse suo compare, padrino, cioè, di battesimo della sua figlioletta. Si scusa
qui di averla fatta battezzare senza aspettarlo, 4.
30. Si che... vocaboli: Preoccupatevi quindi
a la fratellanza., catene:
2.
care solo con fatica.
di
arte
1. Sebastiano... Piombo: È frate Sebastiano Luciani, detto del Piombo perché aveva l’incarico di impiombare le bolle pontificie.
fetto
non
28. ai nervi: alla sostanza,
l’
di
rista.
come
della parlata nativa, sentita anch’essa
un
ma
la lin-
l’uso di voci forestiere, la patria gliela scioglie, nel senso
combinare vocaboli con unicamente decorativa
di
secretano:
schiettezza,
la
gione in
temendo sua...
ch’ella
d’ intimità,
occasione
morisse.
consuetudine: del
detta
una nuova
santa
battesimo.
ra-
perché nata
|
La prosa minore
del Cinquecento
creatura ch’io, per
come non
maschio,
non
391
traviare dalla natura dei padri,® aspettava pur
le femmine, dal sospetto dell’oneguarda chi è ben buono,"^ ci siano di piu maschio nei dodici e nei tredici anni comincia
fusse
vero® che
il
in fuora, la quale ben
stà
consolazione. Ecco a rompere
il
freno paterno, e toltosi alla scuola ed all’obbedienza, è cagione che chi l’ha generato e partorito ne languisca,® e quel che piu il
importa® sono salgono
minacele con
le villanie, le
padri e
i
le
quali
le
madri, onde ne seguita
stighi della giustizia e di
Dio.
Ma
la
femmina
di e la notte as-
il
maledizioni e
le
è la sede ove
ca-
i
ada-
si
anni canuti di chi la creò; né passa mai ora che i suoi non godano dell’amorevolezza sua, la quale è una sollecita cura e una frequente sollecitudine inverso l’uso dei lor bisogni.^^ Tal che non vidi si tosto il mio seme con la mia somiglianza,^® che, sgom-
giano
gli
genitori
brato dal cuore
modo
il
dispiacere che altri
dolcezze del sangue.^®
Ma
piglia per ciò,^^ fui vinto in
si
natura, che in quel punto sentii tutte
dalla tenerezza della il
dei giorni della vita, fu cagione che le feci dare
per
costume
il
il
battesimo in casa,
qual cosa un gentiluomo, in cambio vostro,
la
ma
cristiano;
non ve ne ho
io
le
dubitare ch’ella morisse senza assaggiare
tenne secondo
la
fatto più tosto motto,^® per-
ché d’ora in ora abbiam creduto ch’ella volasse
Paradiso
al
:
ma
me
Cristo
mia vecchiezza, per testimonio lei ho dato,^^ onde Lo ringrazio
l’ha riserbata per trastullo dell’ultima
dell’essere, che altri a me, ed io a pregandolo che mi conceda il vivere fino al celebrar delle nozze sue. In questo mezzo ^® bisogna che io diventi il suo gioco, perché noi
buffoni dei nostri figliuoli; la lor semplicità tuttavia^®
siamo
i
pesta,
ci
tira
vendono
ci
i
barba,
la
5.
percuote
per non... padri: per non allontanarmi natura dei padri, che, generalmente,
la
loro
buono:
tranne le cure timore (sospetto) che onestà, che sta molto a
sospetto...
per custodirle, per
perdano
gli
svelle
ci
onde
abbracciamenti con che
13. Tal... somiglianza: ia
mia
per ciò
:
li
un
è diletto che agguagliasse
pena vidi 14.
cal-
ci
capegli,
Cosicché non ap-
me. una fem-
creatura, somigliante a
per
la
nascita
di
mina.
smgue: le dolcezze della pache gli fa sentire quella creaturina come sangue del suo sangue. parlato 16. non... motto: non ve ne ho 15. tutte...
ternità,
invece.
dal
volto,
li
desiderano un figlio maschio, come continuatore del nome e del casato. 6. come... vero: come se non fosse vero, 7.
il
suggiamo e moneta; “ ma non
leghiamo, per cotale
dalla
ci
baci con cui
i
il
cuore a chi è veramente buono. 8. ne languisca: si accori per codeste
ri-
9. ouel che più importa: quel che fa piu male. IO nc seguita: ne conseguono. 11, è la sede... canuti: è il riposo della
vecchiàia. 12. inverso...
monianza
della
continuità della
vita
miei genitori hanno tramandato in
bellioni.
loro bisogni.
prima. ho dato: come 17. per testimonio...
bisogni:
per provvedere
ai
in
testi-
che
me
i
e io
lei.
18. In questo
19. tuttavia:
20. onde...
mezzo:
frattanto.
continuamente.
moneta: tanto
ci
costano
i
baci
abche imprimiamo sul loro visino^ c gli Ma sugbracci con cui li stringiamo a noi. vergiamo e leghiamo, soprattutto il primo
Antologia della letteratura italiana
392
loro non ci tenesse ogni ora gli animi inquieti. Ogni lacrimuccia che essi versano, ogni voce, ogni sospiro che gli esce di bocca o del petto, ci scuotono l’anima. Non cade fronda, né si aggira pelo per l’aria che non paia piombo che gli caschi sopra il capo uccidendoli, né mai la natura gli rompe il
tanto piacere, se la paura de’ sinistri
temiamo per la loro salute, sicché ^ mescolato con l’amaro, e quanto piu vaghi sono, più acuta è ia gelosia di perderli. Iddio mi guardi la mia figliuola, ché certo, sendo ella di un’indole graziosissima, mancherei “ s’ella sonno, il
gli sazia
gusto,^ che non
il
dolce è stranamente
non pur morisse. Adria è
patisse,
nome ché ben doveva cosi onde^ per volontà divina è
suo
il
nominarla, poiché in grembo delle sue nata,
e
me
ne glorio perché questo
onde
io
che
ci
ho provato
vivo
è
sito
il
giardino della natura;
nei dieci anni che ci son visso^ più
Roma disperazioni.^ E quando ^ insieme con voi, mi terrei felice tengo un gran dono Tesservi amico,
contentezze che chi è stato costi in
mi
la sorte
avesse concesso lo starci
benché ancor stiamo
compare
assenti,
io
:
e fratello.
Di Venezia,
75 di giugno ISS 7
il
-
cortigiani innamorati
I
Il
passo è tratto dai Ragionamenti.
comicità popolaresca e
satireggia
suoi
i
le
sue avventure.
che
corteggiatori,
Una
Qui s’
la Nanna, racconta con suo primo soggiorno romano
meretrice,
rievoca
ispirano
il
al
goffo
galateo cortigiano del
tempo.
E
veduta una passera su
se tu hai
beccatone dieci granelli
con due
bo,
altre,
esprimono
e
bene
vola
via,
di
affettuosa,
l’intensità
un’ immediatezza
21. sinistri: 22. gli
sazia
disgrazie il
gusto:
e
popolaresca.
malanni. li rende svogliati
mangiare. 23. stranamente: straordinariamente.
nel
24. gelosia:
le
finestre
timore, ansietà;
ma
la
parola
rende più intensamente quell’amore appassionato ed esclusivo. 25. mancherei: morrei.
ad un granaio, che
alquanto ritorna a
stata
rivolata riviene con quattro,
quasi violenta delle espansioni paterne. Non sono infrequenti nell’A. queste espressioni incisive,
e
26. in grembo... tico, cioè a
27. visse:
onde
:
in
l’esca
^
poi con
poi con dieci,
grembo
all’Adria-
Venezia. vissuto.
28. che... disperazioni:
no dell’A. era
il
soggiorno roma-
stato tempestoso (fra l’altro era
stato pugnalato da un sicario). A Venezia aveva trovato la possibilità di vivere libero da legami e amarezze della vita cortigiana. 29. lo starci: intendi, a Venezia.
I.
ritorna
beccare
i
a
l’esca:
granelli.
ritorna
al
cibo,
a
La prosa minore
del Cinquecento
nuvolo^ tutto insieme, vedi
e poi col
trenta,
non mi potendo
casa mia; e io
gli occhi per gli fori
de
la gelosia,®
quei
sai di velluto e di raso,
tena
al collo,
con
la
co’ loro famigli a la staffa,
soavi
i
vagheggiando medaglia ne la
come
e in alcuni cavalli lucenti
ne
la
amanti intorno a perdeva
gli
^
saziare di vedere
cortigiani,^
la
politezza loro® in
con
berretta, e
la ca-
andando
gli specchi,
soavi
quale tenevano solamente
la
punta del piede, col Petrarchino in mano,® cantando con vezzi:
Se amor non
E
è,
che dunque è quel ch’io sento?
fermatosi questo e quello dinanzi a la finestra dove io faceva
baco baco,^® dicevano
:
« Signora,
morire tanti vostri servidori?
con un
».
sarete voi
Ed
un Bascio
le
nuvolo: con un nugolo, cioè, facevano i corteggiatori con la Nanna; prima uno vedeva la bella fanciulla, comunicava la sua scoperta a un amico, questo ad altri, finché uno stormo di aspiranti innamorati cominciava a passar su sotto le finestre. :
Mettilo in relazione con « se hai
veduta», all’inizio, passeri...
cosi
i
e
miei
intendi:
innamorati
«Come
i
giravano
attorno a casa mia ». 4. non... cortigiani:
Ma
subito dopo,
suo racconto, il ricordo della sua ingenua meraviglia d’allora è sostituito da una finissima e gustosa nel
descrizione caricaturale. 5.
per... gelosia:
traverso
i
quali
li
i
e
e incisive notazioni. Quel-
con rapidissime
spassosissima caricatura di quei raffinati bel-
completata poi
limbusti,
lare del piedino 8.
Petrarchino
col
dall’ altro
partico-
appena posato nella in
mano: È
la
staffa.
nota
culminante della caricatura, che investe, oltre ai cortigiani, il petrarchismo del secolo, considerato qui r soprattutto come costume stereotipato le
e
ridevole.
Il
recitare,
anzi,
poesie petrarchesche, e per giunta
con vezzi, è per
i
cortigiani
il
colmo
della
galanteria.
Se amor... sento:' È il primo verso del CXXXII del canzoniere petrarchesco. 10. dove... baco: dove la Nanna li guar-
9.
sonetto
dava di soppiatto, come il baco che, quando appare e non appare.
s’incrisalida,
fori delle persiane, at-
sogguardava affascinata.
vagheggiando... loro: La Nanna è ammaliata soprattutto dalla loro raffinatezza e pulizia nel vestire, dalla grazia del loro portamento. 7. andando soavi soavi: È propria dell’Aretino questa capacità di cogliere le sfumature comiche con un linguaggio sapido 6.
e
l’avverbio ripetuto costituisce di per sé una
cantare
Alla Nanna, appena giunta in città, quei giovani distinti, ben vestiti e adorni, appaiono veramente mirabili.
la gelosia,
partivano.
si
2. e poi col
vedi
che lasciate
un pocolino
rimandatola giuso, mi fuggivi dentro; et eglino con mano a la vostra signoria, e con un Giuro a Dio che
di passeri. Cosi
3.
micidiale
si
io alzato
risetto
sete crudele,^^
e giu,
®
11. micidiale:
in
prosa, ora,
loro
vieti
crudele,
formulari
12. Bascio...
assassina.
eppur seguitano
a
Parlano cantare
i
« cortesi ».
crudele:
Un
ultimo coretto
goffamente convenzionali, tanto pid ridicole quanto piu raffinate, e la spassosa caricatura è compiuta. Veramente i cortigiani si muovono come coristi c comparse di frasi
in
un’opera buffa.
minore del Cinquecento.
Poesia
Teatro
Il
Caratteri generali
I generi letterari.
r ideale
La
poesia minore del Cinquecento è dominata dal-
una
letteratura armonica e perfetta, specchio, piutche delle individualità singole, di un modulo tipico di umanità e civiltà letteraria. Questo ideale, originariamente inteso come spontanea adesione alle forme e allo spirito dei classici e libera rielaborazione di essi in forme personali e moderne, si svolse sempre più, nel corso del secolo, nella ricerca di forme auliche e decorose, accompagnata da una regolamenclassicistico di
tosto
tazione rigorosa dei singoli generi letterari (lirica, epica, tragedia, commedia, novella, ecc,), per ciascuno dei quali venne fissato un complesso di norme. In tal modo, il Cinquecento volle attuare nell’arte il senso dell’armonia, come ordine e unità, come eleganza, misura e grazia. Tuttavia dopo la riscoperta della Poetica d’ Aristotele, che diede luogo a impegnatissime discussioni e commenti, si giunge, nella seconda metà del secolo,
a
una
ispirazione.
precettistica
sempre più minuta e
Essa accompagna
il
progressivo
soflocatrice
inaridirsi
dello
della
libera
spirito
rina-
letterari
sono
scimentale.
La ancorati
lirica. all’
Il
« petrarchismo ».
imitazione
dei
classici
Mentre latini
gli
e
altri
greci,
generi la
lirica
ritrova,
per
merito del Bembo, il suo modello nel Petrarca. È questo il fenomeno del petrarchismo che investe tutta la produzione lirica, e in genere, tutta la poesia del secolo, almeno fino al Tasso. II Petrarca diventa non solo un modello di stile, ma anche un modello umano. Il suo canzoniere è infatti considerato come un diario, una vicenda d’ amore esemplare, che va dal fascino ingannevole dei sensi, alla crisi
derivante dallo sfiorire delle speranze terrene, al finale rivolgimento a Dio.
E
le i petrarchisti ripercorrono questo itinerario riecheggiandone i modi e forme, sforzandosi di accordare con esso la loro personale storia. Sugli schemi e sulle situazioni psicologiche del modello, in cui vedevano espressi tutti i possibili momenti della vicenda amorosa, innestano i temi della
meditazione neoplatonica sulla bellezza e sull’amore, inteso come infinito slancio spirituale oltre
i
confini del
mondo
dei sensi. L’ incontro dei
due
,
Poesia minore del Cinquecento.
Teatro
Il
395
motivi rispondeva all’esigenza, chiaramente avvertita dal Bembo Asolani, di orientare in senso cristiano l’esperienza umanistica.
petrarchismo esprime un concetto di
Il
Noi ricerchiamo originale di una
lirica
negli
ben lontano dal nostro.
questa forma di poesia l’espressione piena, intima e
in
Cinquecento vi scorgeva un genere letteil umanità esemplari e sempre valide, risolvendo r esperienza individuale in un’ espressione universale ed emblematica del perfetto amore. Anche la lingua e lo stile, rigorosamente modellati su personalità;
forme
rario volto a creare
quelli petrarcheschi,
forma concreta
di
dovevano, secondo questa poetica, distaccarsi da ogni una composta e ideale armonia.
e realistica, per conseguire
Oltre ai poeti accolti
nella
Della Casa, Gaspara Stampa,
nostra antologia (Pietro Bembo, Giovanni Michelangelo Buonarroti, Giovanni Guidic-
Isabella di Morra, Galeazzo di Tarsia, Luigi Tansillo) ricordiamo Veronica Gambara, Vittoria Colonna, Veronica Franco, Celio Magno, Angelo di Costanzo, avvertendo che in tutti il comune ideale petrarchesco si compone variamente con la loro personale sensibilità.
cioni.
Poesia
burlesca
(mettendola,
anzi,
e
Accanto
satirica.
spesso
in
tradizione
alla
della
lirica
aulica
continua nel Cinquecento anche
caricatura),
quella comico-realistica, che, da Cecco Angiolieri al Burchiello, aveva
fis-
temi e formule stereotipati. Ora questa maniera, che si esprime in sonetti, canzoni, capitoli, acquista forme piu definite e regolari, ma anche
sato
pili
corrive, e in
genere banali, senza l’impegno
e
stilistico
culturale
del
petrarchismo.
Accanto a Francesco Berni, il piu ammirato e imitato fra questi poeti, Antonfrancesco Grazzini, Pietro Nelli e Pietro Aretino. Le forme bernesche verranno imitate anche nei secoli seguenti, dando però origine a una « rimeria » sempre piu vuota e futile. ricordiamo
Poemetti sono ricordiamo
latini
epico-lirici i
la
1544) e quelli
diamo
le
Api.,
poemetti
e
didascalici.
epico-lirici
Ninfa Tiberina didascalici,
un genere,
un poemetto
tino (1475-1525), Della
del
sull’
Legati
ai
modelli
Coltivazione
del
di
eroici e
romanzeschi.
e
coltivato.
Ricorfioren-
Una
delle
cemente perseguite del secolo fu quella
assai
fiorentino Luigi
il
Poemi
greci
Giovanni Rucellai,
quest’ ultimo,
apicultura
Podere e la Balia di Luigi Tansillo (1510-68), Bernardino Baldi (1553-1617). 1556),
classici
argomento mitologico, fra i quali modenese Francesco Maria Molza (1489di
la
Alamanni
ambizioni maggiori
di ricreare
il
(1495-
Nautica dell’urbinate
poema
e
piu tena-
epico, secondo
modi
dei poemi omerici e virgiliano e seguendo rigorosamente le regole credeva di poter desumere dalla Poetica di Aristotele. Famoso per l’eccezionale serietà e rigore con cui fu elaborato e anche per essere riuscito i
che
un
si
grosso e pedantesco fallimento fu L’Italia liberata dai Goti,
un poema
in ventisette canti, in endecasillabi sciolti, del letterato vicentino Giangiorgio
Trissino (1478-1550). Non molto migliori furono
il
Girone
il
cortese e V Avarchide di Luigi
39^
Antologia della letteratura italiana
Alamanni, c VAmadigi, del bergamasco Bernardo Tasso, padre di Torquato che tentò di animare il suo poema mediando la tradizione epica antica con quella del moderno poema cavalleresco, rinnovato, nello
(1492-1569),
spirito e nella struttura, dall’Ariosto.
Una
considerazione a parte merita
la
traduzione òtWEneide di
bella
compiuta da Annibai Caro, in endecasillabi sciolti fluidi e musiche fanno pensare all’ottava ariostesca. Del poema latino, il Caro non
Virgilio, cali,
seppe rendere il
toni epici, drammatici, malinconici,
i
senso del meraviglioso,
ma
il
moto, l’armonia,
temi amorosi e quelli che potessero adeguarsi
i
alla
celebrazione rinascimentale della bellezza.
teatro
Il
r esigenza
tempo
:
La
a)
stesso,
strutture
di
Cinquecento
nel teatro del
ordinate
decorose,
e
riscontra
si
complesse,
e
al
solidamente unitarie, letterariamente raffinatissime. Le forme
del teatro popolaresco,
bandonate e ad
esse
modelli
sulla
classici,
Aristotele.
Anche
tragedia.
classicistica
Un
forte
come
la
degli
scorta
impegno
sono del tutto ab-
sacra rappresentazione.,
la
subentrano
tragedia e
commedia,
la
ricalcate
insegnamenti desunti dalla Poetica
sui
di
letterario è evidente soprattutto nella tragedia,
anche perché essa fu considerata il piu nobile e perfetto genere di poesia, quanto raccontava azioni grandi, compiute da illustri e magnanimi eroi, ed esprimeva, quindi, il tipo di un’ umanità ideale e perfetta, cui in
si
addiceva un linguaggio
grande fallimento
e
il
e
idealizzante,
mente giunse
conforme a
un
eletto.
La tragedia
letterario del secolo per al
reale
è, il
in fondo,
grande ideale
il
suo stesso carattere aulico
gusto del pubblico delle
sporadica-
solo
corti,
approfondimento drammatico.
Fra gli autori di tragedie ricordiamo il vicentino Giangiorgio Trissino, con la sua Sofonisba, Giovanni Rucellai, autore della Rosmunda e delr Oreste., Sperone Speroni, autore della Canace. Piu vivace, perché meno gravata da schemi letterari, è
metà
del secolo trionfa
un
\'
Grazia di Pietro Aretino.
tipo di tragedia che ricerca
immediati e violenti, seguendo non piu cupo e fortemente patetico del latino Seneca.
effetti
i
Nella
seconda
maggior potenza
modelli greci,
ma
di
lo stile
b) La commedia. Piu agili delle tragedie appaiono le commedie, perché meno rigorosamente delimitate da regole e perché scritte prevalentemente in prosa e in stile dimesso.
Prevalse,
lanza del vecchio col nuovo:
a imitazione dell’ Ariosto,
di strutture, cioè, di temi e
di
mesco-
la
tipi
desunti
dai classici, con ambienti e figure moderne, riprese a volte dal Boccaccio,
ma
della realtà quotidiana. Oltre al grande Mandragola, ricordiamo, fra le più belle commedie cinquecentesche, la Calandria del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, le commedie dell’Aretino, e quelle di Antonfrancesco Grazzini, Vecchio Amoroso di Donato Giannotti, il Ragazzo di Ludovico Dolce, il gli Straccioni di Annibai Caro, le commedie di Gianmaria Cecchi e, ormai
più spesso dall’ osservazione
capolavoro
del
Machiavelli,
la
vicine allo spirito del Seicento, quelle di Giambattista Della Porta (/ fratelli rivali, la Fantesca) e il Candelaio di Giordano Bruno. Fuori dagli schemi letterari
consueti e particolarmente belle sono due
commedie
di
cui
igno-
Poesia minore del Cinquecento.
riamo
l’
autore,
gli
Teatro
Il
Ingannati c
397
Veneziana.,
la
scritta
parte
in
italiano
e
parte in dialetto veneto, che racconta un’appassionata storia d’amore.
A
parte va considerato
teatro di intonazione popolareggiante,
il
il
cui
padovano Angelo Beolco, detto il Ruzzante (1502-42), autore e attore dei suoi drammi, vero poeta, di cui parliamo a parte. Piu sbiadite sono le commedie, simili come ispirazione, di Andrea maggior
Calmo
esponente
fu
il
(1510-71), veneziano, fra le quali ricordiamo la Saltuzza e la Rodiana.
Lm commedia dell’arte. Verso la metà del Cinquecento sorse la commedia dell’ arte, che doveva avere per circa due secoli grande fortuna e c)
diffusione in Italia e
In essa
l’attore
all’
estero.
decisamente all’autore, fondando
sostituiva
si
mentre
pria recitazione sulFimprovvisazione, plice canovaccio che conteneva
un sunto
il
della
testo era ridotto a
commedia,
la
pro-
un sem-
diviso in scene.
Questa recitazione improvvisata o a soggetto richiedeva attori professionisti e rigorosamente specializzati. In pratica, essi si ridussero a interpretare figure e tipi Brighella,
fissi,
cioè
ricercando
ecc.)
scenografia e da
una regia
varie maschere (Arlecchino,
le
facili
effetti
di
comicità,
Tirsi
il
ma
poiché
il
loro sviluppo
accenneremo ad
secolo,
La
una
si
essi
il
dramma
pastorale (celebre
1506) e il melodramma', svolse soprattutto negli ultimi decenni del
Baldessar Castiglione,
di
da
di notevole livello spettacolare.
Importanti nel Cinquecento furono anche fu
Pantalone,
sottolineati
scritto
nel
più avanti.
Notevole successo ebbe nel Cinquecento la Questo linguaggio comico, nel quale le norme morfologiche, sintattiche e metriche del latino vengono applicate al lessico italiano o al dialetto, con spassoso effetto caricaturale, rappremaccheronica.
poesia
poesia
in
maccheronico.
latino
una parodia dell’educazione umanistico-classicheggiante, risolta però bonariamente ironici. Il più insigne rappresentante di questa poesia fu il frate mantovano Teofilo Folengo (1491-1544), autore, sotto lo pseudonimo di Merlin Cocai, del Baldus, un poema in esametri che è tutto una parodia gustosa del poema cavalleresco. Cavalieri ed eroi senta
in termini allegri e
sono in esso riportati a un ambiente contadinesco, tracciato a volte con realismo notevole, e rappresentati nella loro vita bassamente istintiva. Questa ispirazione comica estrosa e realistica è presente anche nella
Moschaea amori
(la
delle mosche e delle formiche) due contadini, Zanino e Tonella).
guerra
(gli
di
Lirici del
Cinquecento
Per di L.
i
testi,
salvo indicazione contraria,
d
e
nella
Zanitonella
atteniamo a: Lirici del Cinquecento, a cura
Baldacci, Firenze, Salani, 1957.
Pietro
Bembo
Gli Asolani^
le
(cfr. a pag. 298) costituirono il cui vi furono tre edizioni, le prime
Prose della volgar lingua
codice del petrarchismo,
le
Rime
(di
39 »
Antologia della letteratura italiana
due curate dal Bembo
1530 e nel
nel
terza
la
1535,
uscita
postuma
nel
1548) l’esemplificazione pratica di esso, ed hanno, per questo, un notevole significato storico e culturale. Del tutto episodiche, in esse, e rare le voci di autentica poesia;
tuttavia
non
neppure
è
caso di parlare di fredda
il
il Bembo, modello di anche specchio di vero amore e di un perfetto itinerario di vita: rappresentò, cioè, l’ideale di elevatezza spirituale e di nobile poesia che il Bembo persegui con sincerità. La consonanza spirituale col modello circonfonde le imitazioni bem-
imitazione, stile,
perché
Petrarca
il
veramente,
fu
per
ma
biane di un alone di grazia affettuosa,
con cui rincantava a
Per
il
testo,
Casalone, Torino,
seguiamo:
UTET,
Giaceami stanco,
intravedere l’intima gioia
lascia
ci
se stesso, l’altissima poesia petrarchesca.
Bembo, Gli
P.
Asolarli
e
Rime, a cura
di
C. Dionisotti-
1932.
e
fin
’l
de
la
mia
vita
Fa parte d’ un gruppo di sonetti dedicati a un sogno in cui la sua donna era apparsa al poeta dolce e pietosa. C’è, dietro, una suggestione del Petrarca: le apparizioni di Laura morta al suo poeta in sogno. Ma la situazione petrarchesca si stempera in quella tonalità di un fantasticare gentile, vago e indefinito che è la nota più costante della poesia bembiana.
Giaceami stanco, e molto
venia, né potea
quando
pietosa,
fu
SI
de
fin
mia
la
vita
esser lontano,
in atto onesto e piano.
Madonna apparve
Non
’l
a l’alma, e diemmi
cara voce
né tocca, dicev’io,
si
unquanco
bella
aita.
udita,
mano umano
quant’or da me, Jié per sostegno tanta dolcezza in cor grave sentita.
Metro: sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
CD£, DCE).
dentissima 3.
poeta si vede, nel sogno, giacere stanco, abbattuto dalla sua ferita d’amore e ormai giunto vicino alla morte. Avvertiamo che nel commento a questo e al seguente sonetto non sottolineeremo le numerose imitazioni petrarche1-2.
sche
:
fatto,
Giaceami... lontano:
avvertire,
basti
che
la
nel
tono,
nel
lessico,
nelle
si-
tuazioni.
Il
abbiamo modello è evi-
come
presenza del
già
in atto... piano:
gnità e ad
« pieno di
un tempo umile
soave di-
» (Baldacci).
apparve a l’alma: apparve all’anima. il fatto che fu apparizione di sogno. aita: aiuto; lo risollevò, infatti, da 4.
Sottolinea
quella prostrazione. 5.
unquanco: mai.
7-8.
né...
sentita:
né mai un cuore op-
presso (grave) provò tanta dolcezza in se-
Poesia minore del CÀnquecento.
E
Teatro
Il
399
già negli occhi miei feriva
nemico degli amanti,
giorno
il
mia speme
e la
parea qual sol velarsi, che s’adombre.
Giasene appresso miei diletti e con
co*
il
quasi nebbia spari che
Quando,
sonno, ed
inscme
ella,
la notte intorno,
vento sgombre.
*1
forse per dar loco a le stelle
Questo sonetto fu inserito dal Bembo fra le rime in morte della Morosina, che fu compagna della sua vita, sebbene scritto prima del doloroso evento. La sua maggior suggestione, del resto, più che dal tema della morte e del rimpianto (una delle situazioni tipiche del petrarchismo) deriva dal dolcissimo paesaggio lunare della prima quartina, nella quale « un incanto tenero e musicale di fronte alle meraviglie della natura si contempera a un senso della tecnica ormai raffinato » (Bal^cci).
Quando, sol
il
dar loco a
forse per
parte, e
si
spargendosi di
le
stelle,
nostro cielo imbruna,
*1
ad una ad una,
eh’
lor,
a diece, a cento escon fuor chiare e belle,
penso
i’
meco: in qual
e parlo
di quelle
ora splende colei, cui par alcuna
non fu mai
sotto
benché di Laura un conforto il mio ora.
guito a
gentile qual
’l
il
è quella
feriva:
batteva.
Sono
che lo ridestano. 10. nemico... amanti:
raggi del sole
i
perché
dissipa
come in questo donna amata.
dolci sogni della notte,
mia speme: s’adombre:
so. la
ij.
la si
i
ca-
oscuri.
12. Giasene appresso:
se
14. quasi...
sgombre:
vento
disperda.
spari
come nebbia
È immagine
felice
(riprende quella del v. ii), che ben s’addisogno e di quella
ce al labile fuggire del delicata
fantasia
trasognato
valore evocativo dell’avver-
d’amore.
sonetto (schema:
.
errare
della
ABBA, ABBA,
CDE, DCE).
il
la
forse per dar loco, ecc.
:
forse per la-
il posto alle stelle. Non è ben chiara ragione di quel /orre; evidentemente il
sciare
su
quello
tevole
una... belle; Il B. riesce a senso di quell’ improvviso e incandi stelle luminose (chiare) spargono nell’ ampia distesa Le immagini di queste quartine
sbocciare
e belle che
del cielo.
si
sfumano in una dolcezza effusa cui cresce vaghezza il fatto che il periodo sia concluso da un interrogativo. in qual...
colei;
in
quale
stella
ri-
splende ora l’anima di madonna.? alcuna 8. cui... favelle; che non ebbe donna pari a sé per bellezza e virtù in quedelo mondo (il cerchio de la luna^ ìS.
sto
I.
fantasia
eh’ ad
3-4.
6.
Metro:
il
sfondo d’ombra e di stelle. 3. spargendosi di lor: cospargendosi di
dare
il
sentito
che porta un senso vago, indefinito, intimamente connesso sia al tremolare fra luce e sogno di quel paesaggio, sia al dolce,
stelle.
ne andava poco
dopo.
che
ha
B.
favelle?
assai
bio,
che prova 9.
cerchio de la luna, 5-
mondo 6-
nove cieli sferici che s’ incontrano, secondo la concezione terra). che fu anche di Dante, salendo dalla
della
luna,
il
primo
dei
4C0
Antologia della letteratura
mio
In questa piango, c poi ch’ai
italiani
riposi/
torno, piu largo fiume gli occhi mici,
c l’imagine sua l’alma riempie,
qual mirando
trista; la
fisa in lei
non oso:
le dice quel, ch’io poi ridir
o notti amare,; o Parche ingiuste
Crin d’oro crespo e d’ambra
empie.
et
pura
tersa e
Accanto ai sonetti di più personale assimilazione petrarchesca, ci è parso conveniente riportare questo, ispirato a un petrarchismo di maniera, che fece scuola, tanto è vero che il componimento è ricordato come esemplare da molti trattatisti del Cinquecento. In esso puoi vedere chiaramente i limiti del petrar chismo deteriore: la figura femminile stilizzata e irreale, l’abuso di giuochi di parole e di immagini consunte. Si giunge cosi a una letteratura raffinata, ma
povera di calore espressivo.
A
strali degli
ma
maniera reagirono
questa
molti, troppi furono
i
lirici migliori del i nostro Cinquecento, canzonieri ispirati ad essa. Contro di essi sono diretti
antipetrarchisti,
primo
fra tutti Francesco Berni, del
gli
quale puoi leg-
gere una gustosa parodia di questo sonetto a pag. 405.
Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura, ch’a l’aura su la neve ondeggi e volc,
occhi soavi e più chiari che
da far giorno seren
la
’l
sole,
notte oscura,
ch’acqueta ogni aspra pena e dura,
riso,
rubini e perle, ond’escono parole anche se celebradssima Laura petrarchesca. In questa:
9.
mio
sul
è
la
fama
della
frattanto,
al
mio
riposo:
letto.
10-12. più largo...
magine di addolorata.
lei
Un fiume più miei occhi e l’im-
trista:
largo di pianto riempie
riempie
La parola
i
la
mia anima
trista,
cosi
assume un più profondo carattere
di
triste,
l’ingiustizia e crudeltà del destino.
Parche:
le
Metro: sonetto (schema:
convenzionali.
ABBA, ABBA,
CDE, DEC).
cie
di
2.
inventario
a l’aura:
teristici
sperazioni
c ric-
felici
una
di
spe-
lessicale.
uno
bisticci
dei carat-
petrarcheschi
della
sua raffinata
perizia
stili-
neve: è, ovviamente, il candido viso. 4-6. da far: tali da fare, rubini c perle: i denti candidi come perle e le labbra rosse come rubini. Ce n’ è, purtroppo, una vera inflastica. la
zione nella
come oro
tematico e
Ripete anche
meno
e
Il
Q’aura - Laura). Il « petrarchismo » è del resto già presente nel Petrarca, in certe esa-
delle
Crìn..^ crespo; biondo
un centone
sonetto è
sparse testimonianze petrarchesche,
lei:
raffi-
nato ed esemplare), ambra: resina fossile c gialla. Sta a denotare la lucente morbidezza dei capelli. Avvertiamo subito che tutti gli elementi di questa rappresentazione (parole, immagini, aggettivi) sono assolutamente
dee che presiedevano alla durata delvita dell’uomo; in pratica, il destino.
I.
è parola più eletta, la sola,
melan-
l’immagine di madonna. 13-14. le dice... empie: dice a quell’immagine col pensiero, quello che poi il suo labbro non osa ridire: il lamento, cioè, sul-
la
(ma crespo
isolata,
conica suggestione, la qual: l’anima, in
erano
ciuto
quindi, accolta in questo vocabolario
man
lirica
italiana.
d* avorio del v. 8.
Lo
stesso
dicasi
I
'I
I
Poesia minore del Cinquecento.
dolci ch’altro
SI
man
Teatro
Il
ben l’alma non
d’avorio che
cantar, che
senno maturo a leggiadria I
sembra d’armonia divina, la
più verde etade,
non veduta unqua
giunta a fur l’esca del
vòle,
cor distringe e fura,
i
somma mio
grazie ch’a poche
beltà
fra noi,
somma
onestade,
foco, e sono in voi il
del largo destina.
Giovanni Della Casa Nelle
Rime
del
3 ella Casa (vedi, su questo autore,
l
altre
notizie
a
I
pag. 318) si avverte una ricerca di originalità, nell’ambito di un petrarchismo unito a una più evidente presenza dei classici latini. Viene quasi del tutto
abbandonato
tono elegiaco petrarchesco che fu proprio del Bembo, per
il
conseguire una gravità solenne e un’eloquenza che sembra ritrovare, nelle
un
frequenti spezzature del verso e nelle sue pause fortemente scandite,
poggio per I
toni meditativi e patetici prevalgono nelle ultime rime, dove
sforza
si
di
ap-
declamazione.
la
sostituire
« allo
spirituale
romanzo
dei
petrarchisti
il
poeta
il
senso
una propria vita reale, il frutto delle proprie meditazioni » (Baldacci), nate in margine alle delusioni della sua vita e a un accorato ripensamento
di i;
I
'
di essa.
Della Casa piacque molto
al Tasso e, più con cui compose il verso, usando frequentemente quelle spezzature o enjambements, per le quali la frase non conclude alla fine dell’ endecasillabo, ma a metà di quello seguente, si dando al verso una maggiore estensione e una musica nuova. Tale artificio è intimamente legato a quell’anelito al grande, al vigoroso, al robusto, II
ai
del Cinquecento,
lirici
tardi, al Foscolo, soprattutto per la tecnica
che
il
Croce
riconosce e che
gli
si
congiunge a una tendenza meditativa
e,
a volte, patetica.
Per
i
testi
ci
atteniamo a G. Della Casa, Rime, a cura di A. Sereni, Firenze, Le
Monnier, 1944.
8.
fura: ruba, rapisce
dopo
averli avvinti
(distringe). 9.
cantar; la fa anche cantare, estrema e
seducente raffinatezza.
madonna, sebbene giosaggezza d’ una persona
10. senno... etade:
vanissima,
ha
la
matura. 11-12.
13.
finalmente arriva
il
verbo.
Nei
donna amata. 14.
unqua: mai. giunta: congiunta.
fur;
primi dodici versi abbiamo solo dei sogget1’ esca del mio ti, con le loro sp>ecificazioni. foco: le cose che alimentarono la fiamm.T della sua passione amorosa, in voi: nella
donne
ch’a poche... destina: il
che a poche
cielo destina cosi largamente.
402
O
Antologia della letteratura italiana
Sonno, o de
la queta,
umida, ombrosa
Un’ansia, un presentimento di poesia elevata,
si
avverte nella musica grave,
nelle pause intense di questo sonetto, in quel verseggiare « sentire l’angoscia
Ma
dell’uomo... travagliato da’
dopo
è un’ansia che sfuma,
il
nuta, piuttosto che in un’originale invenzione
O
Sonno, o de
la
veglia »
ti
fa
(Foscolo).
un’eloquenza
attacco iniziale, in
felice
rotto » che «
si
pensieri e dalla
soste-
lirica.
queta, umida, ombrosa
notte placido figlio; o de’ mortali egri conforto, obblio dolce de’ mali SI
gravi, ond’è la vita aspra e noiosa; ®
soccorri al core ornai, che langue, e posa
non ave;
e queste
solleva: a
me
tue brune sovra
Ov’è e
i
’l
membra
me
silenzio,
lievi sogni,
stanche e
ten vola, o Sonno, e
frali
l’ali
distendi e posa.
che
il
fugge e
di
lume.»^
’l
che con non secure
vestigia di seguirti
han per costume.?
Lasso! che ’nvan te chiamo, e queste oscure e gelide
ombre invan
O
lusingo.
piume
d’asprezza colme! o notti acerbe e dure!
Metro: sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
CDC, DCD).
mortali
2-3.
linea
la
/ egri:
la
spezzatura
sotto-
dei mortali tormentati
tristezza
e
sofferenti {egri). 1-4. si
Osserva
diceva
nel
enjambements, o, come Cinquecento, marcature di
gli
le frasi non coincidono, come uso piu corrente, con la fine di ogni endecasillabo, ma si prolungano in quello seguente cosi: O Sonno... figlio - o de’ mortali... conforto - oblio... noiosa. Accade lo stesso anche in quasi tutti i versi seguenti. I. O Sonno: Il sonno è qui personificato, come, più avanti, il Silenzio, i Sogni, la Notte. Ma 1 immagine mitologica si risolve in un intimo desiderio di quiete, nel vagheggiamento nostalgico di pace che la notte sembra promettere di là dagli affannosi e ancor non sopiti travagli del giorno, queta, umida, ombrosa: Fra i tre aggettivi avverti le pause che li scandiscono fortemente e ne prolungano la suggestione. Dei tre, il primo è quello che meglio esprime il desiderio di pace del poeta, gli altri due danno il senso della notte che si distende morbida e arcana {ombrosa) sul mondo, come a pro-
questi versi: era
’
teggere r
uomo
stanco.
4. ond’ è... noiosa: per i quali la vita è dura a sopportare e dolorosa {noiosa). 5-6. e posa / non ave: e non ha pace. Ma non ne dice la cagione; e l’ invocazione ap-
passionata al sonno,
la ricerca di
pace e di
rimangono sospee indeterminate, proprio per la mancanza correlazione con un sentimento definito,
oblio che essa suggerisce, se
di
frali:
fragili.
è un verso pieno d’arcana e suggestiva dolcezza. Brune sono le 7-8. Tali... posa:
ali
del sonno
9.
che .
. .
come ombrosa è la notte. lume che fugge la luce :
del
giorno.
costume: i sogni leggeri che sogliono seguirti con passi (vestigia) incerti (appunto perché fuggevoli lo-ii.
i
lievi...
(alati e labili)
e inconsistenti). 13.
invan lusingo:
Invano cerca di renil sonno non giunge
dersele propizie, perché a lui.
13-14.
poeta
si
O
piume... colme:
il
letto,
ove
il
agita insonne, è pieno d’asprezza.
Poesia minore dei Cinquecento.
O
Teatro
Il
40^
dolce selva solitaria, amica Dal
di
ritiro
Nervesa, dove
rifugiato
era
si
in
un momento
di
suprema
poeta volge lo sguardo alle vicine selve del Monrello, chiuse nella morsa del gelo e istituisce un paragone fra il paesaggio invernale e la desolazione che gli regna nell’anima. C’è qui il senso di una vita spenta, il presentimento di una vecchiaia sconsolata, scanditi in un ritmo
delusione della sua vita,
il
aspro e dolente.
O
dolce selva solitaria, amica
de’ miei pensieri sbigottiti e stanchi;
mentre Borea, ne’
manchi
di torbidi e
d’orrido giel l’aere e la terra implica; e la tua verde
come
chioma, ombrosa, antica
mia, par d’ognintorno imbianchi,
la
or che ’n vece di fior vermigli e bianchi,
ha neve e ghiaccio ogni tua piaggia aprica; a questa breve nubilosa luce
vo ripensando che m’avanza; e ghiaccio gli spirti
Ma
anch’io sento e
le
membra
farsi.
piu di te dentro e d’intorno agghiaccio;
ché più crudo Euro a
me mio
verno adduce,
più lunga notte, e di più freddi e scarsi.
Metro:
sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
esposte, nelle altre stagioni, al sole.
CDE, DCE). 1.
9.
dolce: perché solitaria e quindi a ami-
ca » ai suoi pensieri. L’evocazione della sel-
va crea sin dall’ inizio
1’
tudine meditativa e di di tutto 2. e,
il
atmosfera di solipropria
interiorità,
sonetto.
sbigottiti e stanchi:
sgomenti e delusi,
mai
torbidi
e
manchi: tempestosi e brevi,
perché invernali. 4. d’ orrido giel
:
orrido perché rende ogni
cosa irta e dura (tale è
ha in
latino).
Ma
il
senso che la parol.n
come
nota
suoni costituisca essa stessa
la 1’
durezza dei
immagine
un mondo quasi impietrato, implica:
di
av-
volge. 5-6.
antica
invernale
si
/
come un
lega
chiezza del poeta. 8. piaggia aprica;
inaridita.
12. dentro e d’intorno:
insieme, affranti. 3.
brevi e torbidi gli anni
breve... luce:
che ancora gli restano, senza più luce di speranza o di gioia. E il pensiero s’ in^-upisce nei due versi seguenti. Osserva come in ogni quartina e in ogni terzina vi sia r immagine del ghiaccio, vero motivo conduttore del sonetto, simbolo di una vita or-
la
mia;
senso di
al
paesaggio
precoce vec-
13-14. ché... scarsi; perché il mia vecchiezza) porta a me
(la
radure della selva.
mio inverno un vento più
crudele, una notte più lunga (la morte) e giorni ancor più freddi e poveri di luce. I giorni freddi e scarsi riprendono il v. 3 e il v. 9. Per tutto il sonetto è un martellato, ossessionante ripetersi di temi: buio, ghiaccio,
za,
rara le
nell’animo c nel-
membra.
le
luce
torbida,
inverno dei perizia
sbigottimento, sensi
tecnica
si
stanchez-
anima. Una fonde qui con un
c
dell’
intimo sentimento di desolazione.
Antologia della letteratura italiana
404
Questa È
conclusivo del canzoniere dellacasiano. La sua originalità, consuetudine del petrarchismo, sta già nel fatto che non intende conclusione di un esemplare romanzo d’amore. Il tema amoroso è qui sonetto
il
rispetto
che ’n una o ’n due
vita mortai,
alla
essere la
v’è solo una pura meditazione spirituale e religiosa. Dal tono cupo con cui è rappresentata la vita mortale, il poeta si solleva innalzando un inno a Dio, alla luminosa e pura bellezza della creazione.
del tutto assente:
Questa
vita mortai,
che ’n una o ’n due
brevi e notturne ore trapassa, oscura
pura
e fredda, involto avea fin qui la
parte di
Or
me
ne
l’atre
SI
®
a mirar le grazie tante tue
prendo, che frutti e e
nubi sue. gielo ed arsura,
fior,
dolce del del legge e misura,
eterno Dio, tuo magisterio8. fue.
Anzi
’l
chiara, che traesti
dolce aer puro e questa luce ’l
mondo
a gli occhi nostri scopre,
tu d’abissi oscuri e misti:
e tutto quel che ’n terra o ’n del riluce, di tenebre era chiuso, e tu l’apristi;
c
’l
giorno e
Metro: sonetto (schema:
’l
sol
de
ABBA, ABBA,
CDE, CED). 1-3.
ma
la
che ’n una... fredda: Osserva dapprilentezza, intensificata dall’ enjambe-
ment, con cui sono rappresentate quelle ore,
fugad
e, al
tempo
so di gravezza, di
stesso, pervase di
un
sen-
monotonia grigia e sem-
pre uguale, È il tedio che nasce dalla vita oscura e fredda, priva, in sé, di luce e di calore per l’anima, pervasa dall’ombra cupa
morte
della
(v.
i
:
vita mortai).
me: l’anima, l’atre nunubi cupe e tempestose delle passioni, che impediscono all’ uomo la vista della verità, della luce vera. Tutta la quartina è pervasa da im senso cupo c dolente del 3-4, la pura... di
bi:
le
vivere terreno. tante: le meraviglie della che solo ora 1’ anima purificata può contemplare e godere. 6. frutti... arsura: autunno e primavera, inverno ed estate. 7. e SI dolce... misura: è Tarmonica vi5.
le
creazione
grazie
la
tua
man
son opre.
cenda dei tempi e delle stagioni. tuo... fue: fu opera della tua divina
mente creatrice. Libera dalla caligine del peccato, l’anima riscopre la divina innocenza,
la
bellezza e la bontà delle cose.
È
il
tema dominante di questa quartina, e anche delle due terzine, dove però le immagini belle del mondo si sublimano nel senso delluce, che le illumina e rivela, ed è il simbolo della grazia. 9-10. questa luce /chiara: l’aggettivo acquista, per via dtWenjambement, un’intensità nuova, un senso gioioso di luce diffusa la
e splendente. II. d’ abissi... misti: dagli abissi del caos;
e con spontaneo simbolo allude qui alla luce spirituale
dal
che
risplende,
cupo gorgo
13.
di
uscita
tenebre era chiuso:
dalle tenebre, e
vittoriosa
delle passioni.
da
imprigionato
esse offuscato e nascosto,
e tu l’apristi: l’espressione balza con
dopo
mag-
pausa a metà del verso. Avverti, nelle due terzine, una
gior evidenza
religiosità intima.
la forte
Poesia minore del Cinquecento.
Il
Teatro
405
Gaspara Stampa Gaspara Stampa nacque intorno al 1523 da famiglia nobile, d’origine Dopo la morte del padre si trasferì con la madre e i fratelli a Venezia, dove prese parte alla vita colta e mondana, come ricercata musica e cantatrice. Visse vita assai libera, ed ebbe più d’ una relazione amorosa. La più intensa fu quella che la legò al conte (dilatino di Collalto e terminò, dopo tre anni, con 1 abbandono da parte dell’ amato. Gaspara morì a Vemilanese.
’
nezia, giovane ancora, nel 1554. Le sue Rime (pubblicate nel 1554) narrano
insieme,
e,
appassionato,
le
con un tono fervido, dolce
vicende intime ed esterne del suo amore,
la
sua alternativa di speranze e delusioni, struggimenti, abbandoni, vagheggiamenti, e la tristezza, soprattutto, di una passione profonda, non adegua-
tamente corrisposta, e, alla fine, infelice. Colpisce soprattutto l’abbandono con cui la Stampa si confessa, l’erompere, fra i modi stilizzati del petrarchismo, dei suoi sentimenti, con una sincerità e immediatezza del tutto infrequenti nei
modi
di
lirici
del secolo, intesi a trasfigurare la loro esperienza nei
un comune
e idealizzato itinerario spirituale.
Le Rime^
amore, tanto che
invece,
Croce ha parlato, a proposito di esse, di « effusioni epistolari e note di diario », indicando, però, nel contempo, anche il loro carattere di sfogo sentimentale, che solo episodicamente giunge alla poesia.
raccontano un’ autentica e personale
storia
d’
il
Quasi vago e purpureo giacinto
Tema del sonetto è l’alternativa di speranza e disinganno, di amorosa dolcezza e gelosia e timore di essere abbandonata dall’amato (come poi avvenne) su cui si svolge il labile tessuto delle Rime della Stampa. Ma esso vive soprattutto per la gentile immagine del fiore, nella quale la poetessa vede e vagheggia, con la consueta grazia, l’ anima sua innamorata. Quasi vago
e
purpureo giacinto
che ’n verde prato, in piaggia aprica e
lieta,
crescendo ai raggi del più bel pianeta,
che lo mantien degli onor suoi dipinto, ®
subito torna languidetto e vinto, sì
Metro;
sonetto
che mai non
(schema:
si
vide tanta pièta.
ABBA, ABBA,
CDC, DCD) I.
Quasi... giacinto:
al fiore
un
3,
L’aggettivo vago dà
carattere di bellezza delicata e di
purpureo, cosi lentamente sillabato, aggiunge un tono di tenera dolcezza, ribadita poi dall’ immagine vaga di grazia;
e
quel
primavera che palpita
nel
secondo verso.
del più bel pianeta; del sole.
« onori » del fiore 4. gli onor: i colori, perché ragione prima della sua vaga bel-
lezza. 5-6. subito... pièta; subito diviene languido, avvizzisce, si che mai non si vide spettacolo cosi doloroso. Originale è questa tc-
^o6
Antologia della letteratura italiana
se di veder gli usati rai gli vieta
nube, che
dinanzi
a’
rai
de
onde ogni sua
Ma
abbia coperto e cinto,
sol
’l
mia speme, ch’ognor
la
tal
la beltà
virtute e vigor esce.
poi fiacca e smarrita
la ritorna
oscura tema, che con
che
sua luce
la
s’erge e cresce,
infinita,
fia
lei
si
mesce,
tosto sparita.
cor verrebbe teco
Il
Tradizionale c in sé manierato il contenuto della breve poesia: il cuore di Gaspara andrebbe col suo signore, che va lontano, se ancora fosse in potere di lei; ma è già, per sempre, con lui, ed ella non può quindi donargli, ora, altro che i suoi sospiri. Ma la grazia del madrigale è in quella musicalità melanconica e dolce, in quel tenero sospiro che lo conclude.
cor verrebbe teco
Il
nel tuo partir, signore, s’egli
meco,
fosse più
poi che con gli occhi tuoi
Dunque verranno che sol mi son restati fidi
compagni
e
teco
mi i
prese
Amore.
sospir
®
miei,
grati,
e le voci e gli omei;
e se vedi mancarti la lor scorta,
pensa ch’io sarò morta. nera (come vedi dal diminutivo) e struggente pietà per il fiore in cui la S. simboleggia la speranza d’amore che si riscalda ai raggi del sole (simbolo dell’amato), ma tosto avvizzisce. 8.
è
sol:
9. tal la
10.
complemento oggetto. mia speme: sottintendi
beltà
infinita:
è
quella
è.
dell’
amato.
inconsueto, è come un grido dell’anima e attesta la passionalità tenera e forte della poetessa. Spesso in lei l’ involucro petrarchesco si apre a queste confes-
L’ aggettivo,
sioni
immediate. ritorna:
12. la 13.
con
lei:
con
fa ritornare. la
speranza,
mesce:
si
mescola. Oscura chiama la tema (il timore) perché è un doloroso presentimento si
di
essere
abbandonata che rende
1’
anima
priva d’ ogni luce di gioia. 14. la
sua luce: l’amato.
Come
vedi, fino
Il
c’
Metro: madrigale (schema: a b a B,
d c, E e) di settenari ed endecasillabi ramente alternati. 2.
alla
C
d
libe-
nel tuo partir: allude probabilmente partenza di Collalto per la Francia.
3-4. la
non
è punto fermo, e questo anche essere tolto. Il sonetto è praticamente costituito da un solo, lungo periodo, con una capacità di ampia modulazione musicale che è uno dei caratteri salienti della poesia della Stampa. V.
al
stesso potrebbe
s’egli...
Amore:
s’egli fosse ancora
con me; ma non lo è piu da quando Amore mi ha avvinto con la bellezza dei tuoi occhi. 7-8. fidi... grati: compagni fedeli, perché mai l’abbandonano, e graditi, perché le parlano continuamente dell’amato, gli omei: gli amorosi lamenti. 9. scorta: compagnia.
Poesia minore del Cinquecento.
Teatro
Il
Mesta e pentita de’ miei gravi
t
407
errori
È un sonetto di chiara intonazione petrarchesca; ricorda Padre del del, dopo perduti giorni, ma anche una situazione esemplare che i petrarchisti ripren-
devano dal loro modello: l’ansia di redenzione, culminante nella trepida preil peccaminoso e dolente cammino della passione. E tuttavia avvertiamo il tono inconfondibile della Stampa, quella genuinità e sincerità di
ghiera a Dio, dopo
sentimento che senti qui soprattutto nel verso
finale, cosi dolce e struggente, cosi
espressivo della sua tenera e affettuosa femminilità.
Mesta e pentita
tanto e
te.
lieve,
fugace in vani amori,
la vita
a
si
tempo breve
e d’aver speso questo
de
miei gravi errori
de’
mio vaneggiar
e del
Signor, ch’intenerisci
i
®
cori,
e reridi calda la gelata neve,
e fai soave ogn’aspro peso e greve
a chiunque accendi di tuoi santi ardori,
tentassi
s’io
Tu
mi porghi mano onde uscire,
e prego che
ricorro;
a trarmi fuor del
pelago,
da me, sarebbe vano.
volesti
6.
per noi. Signor, morire,
tu ricomprasti tutto
seme umano;
il
9-
non mi
dolce Signor,
lasciar perire!
Morra
Isabella di
10-
Delle numerose rimatrici che fiorirono nel Cinquecento, dare, oltre a
Metro:
sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
CDC, DCD).
modi il
del frasario petrarchesco di cui tutto
sonetto è intessuto. e rendi... neve:
1.
vaneggiamenti amorosi, l’errare anima dietro le vane seduzioni dei
errori:
dell’
sensi. 2.
lieve:
e...
dermi fra re »,
presa
« le
come 1’
e
del
mio
cosi
vane speranze e
dice
il
’l
lungo pervan dolo-
Petrarca, dal quale è
immagine, che spesso
4. in
lido
come neve
Ripete
Dio
concetto del
il
scioglie
e vi ridesta
il
cuore ge-
fiamma
la
vero amore. 10. porghi: porgi, pelago:
il
mare
del
delle
passioni.
ri-
ii.
liberarsi
onde... vano: passioni
dalle
Si sente incapace di
senza
l’
aiuto
della
grazia divina.
vani amori: l’unico amore non vano
intenerisci
i
cori
intenerisci
:
i
cuori
induriti nel peccato e sordi alla grazia,
l’amore divino. Intenerire
fugace
vita,
13.
tu...
umano:
i
al-
cuori, vano, va-
tempo breve,
sono
in
latino,
tu hai riscattato col tuo
genere umano. {Redimere, significa appunto « ricomperare,
sangue tutto
quello rivolto a Dio. 5.
verso precedente:
ricorre nella
sua lirica.
è
piace ricor-
ci
Gaspara Stampa, Isabella di Morra. Nacque a Favole, in Basi-
il
riscattare »). 14.
perire:
dannata.
perire di
morte eterna,
essere
40S
Antologia della letteratura italiana 1520, da nobile famiglia e visse nel solitario castello,
nel
licata,
26 anni, fu ferocemente uccisa dai
fratelli,
finché,
a
che avevano scoperto una sua
corrispondenza col castellano e poeta spagnuolo Diego Sandoval de Castro.
un isolamento
senso di una giovinezza chiusa e infelice, di
Il
tetro è evi
dente nel suo breve canzoniere (io sonetti e 3 canzoni), nel quale spesso lamenta la lontananza del padre, esule in Francia, ed esprime il desiderio
con
d’ essere
lui.
La
poesia di Isabella è
una
delle piu risentite e forti della
nostra lirica cinquecentesca; vi s’avvertono un’intonazione altamente accorata,
una meditazione intima ed eloquente che già fanno presentire Tasso, quali la Canzone al Metauro.
certe
liriche del
Per
testo
il
seguiamo B. Croce, Isabella di Morra e Diego Sandoval De Castro, con della Morra c una scelta di quelle del Sandoval, Bari, 1929.
edizione delle
Rime
D’un
monte onde
alto
Belle
in
quel
in
si
scorge
ampia
e
mare
il
questo sonetto soprattutto
paesaggio di
la
desolata
la
prima quartina e la prima terzina: marina si staglia, intima e
solitudine
raccolta, la figura della protagonista, chiusa nell’agonia triste della sua giovinezza
senza sole e senza speranza.
D’un
alto
miro sovente
monte onde io,
si
scorge
il
mare
tua figlia Isabella,
s’alcun legno spalmato in quello appare,
me
che di
te,
padre, a
Ma
la
mia adversa
doni novella. e dispietata stella
®
non vuol ch’alcun conforto possa entrare nel tristo cor, ma, di pietà rubella, la salda speme in pianto fa mutare. Ch’io non veggio nel mar remo né vela deserto è l’infelice lito)
(cosi
che Fonde fenda o che
Metro:
sonetto (schema:
AB AB, AB AB,
D’un
aitò
monte:
il
monte^ con ogni
probabilità, sul quale sorgeva 2.
io,
tua figlia:
Il
il
castello.
sonetto è rivolto al
padre, esule in terra di Francia. L’espressione, io, tua figlia ha un valore tutto affettivo; è
un
invito affettuoso al padre per-
ché venga a liberarla dalla triste prigionia. 3. legno spalmato: nave. Spalmato è inopportuna reminiscenza letteraria petrarchesca.
gonfi
il
vento.
doni: Cosi dice, c non porti, esprimensua ansia di aver notizie del padre amato, unico conforto alla sua vita grama. 5. stella: destino. Meno felice questa seconda quartina, e tuttavia osserva la nettezza d’ accenti, 1’ energia dell’ espressione. 7. di pietà rubella: nemica d’ogni pietà. 4.
do
CDE, CDE). 1.
la
la
9-JI.
È
momento veramente
bello
la solitudine desolata del
mare
l’altro
del sonetto:
con quella dell’anima. che l’onda... vento: che l’onda fenda è riferito a remo, il resto a vela (cfr. v. 9). div^enta tutt’uno II.
Poesia minore del Cinquecento,
il
Teatro
Contra Fortuna ed ilo in odio
come
con
Scrissi
il
409
spargo querela,
allor
denigrato
sito,
mio tormento.
sola cagion del
amaro, aspro e dolente
stile
Questo rivolgersi a meditare l’esperienza passata, con pacata tristezza unita una sincera ansia religiosa, era situazione caratteristicamente petrarchesca, piu volte ripresa dai lirici del Cinquecento, Ma vedi come in Isabella essa assuma carattere e rilievo personali, divenga veramente una sua storia. Osserva giustamente il Trombature che in questo rivolgersi a Dio non v’è nessun senso di sconfitta né di debolezza, che non si tratta di rinunzia, ma di conquista. E vedi
a
nello stile quel
tono energico e saldo, quella capacità di
abbiamo notato anche
sintesi
meditativa che
sonetto precedente.
/lei
amaro, aspro e dolente, contro Fortuna, che niun’altro mai sotto la luna Scrissi
con
stile
un tempo, come SI
di lei
si
Or che in
sai,
dolse con voler piu ardente.
del suo cieco error l’alma tai
doti
non
si
®
pente,
scorge gloria alcuna,
e se dei beni suoi vive digiuna,
spera arricchirsi in Dio, chiara e lucente.
Né tempo o morte il bel tesoro eterno, né predatrice e violenta mano ce lo torrà davanti
al
Re
del
cielo.
non nuoce già state né verno, ché non si sente mai 14. caldo né gielo. Dunque, ogni altro sperar, fratello, è vano. Ivi
luogo mesto e abbordove è costretta a vivere. Osserva come denigrato sito;
13.
rito
sione è reminiscenza dantesca (anche Dante
querela; lamenti.
12.
il
è presente, anche se meno frequentemente del Petrarca, ai lirici cinquecenteschi).
per tutto
non
ma
si
il sonetto il dolore della fanciulla effonda mai violento e incontrollato,
condensi in espressioni intense, eppur segno indubbio, questo, di notevole maturità di stile.
Metro:
sonetto (schema:
con
dolente:
È
un’ottima definizione dello stile del suo breve canzoniere, validissima anche per questo sonetto. 3.
sotto
dal cielo
la
9. licità
stile...
luna;
primo o
nel
della
mondo, racchiuso
Luna. Questa espres-
in
tai
doti:
nei
doni che essa può
dare, suoi; della Fortuna. 8. spera... lucente: spera, cioè, di restare luminosa e chiara in eterno accanto a Dio.
ABBA, ABBA,
ODE, CED).
cieco error: quello di essersi lamentata
6-7.
si
sempre misurate:
I.
5.
della Fortuna.
bel tesoro eterno;
il
il
paradiso, la fe-
eterna.
Dunque... vano: L’ultima come tutto il sonetto, ha
spaglia
terzina, tuttavia
potere di suggestione, soprattutto in quest’ultima affermazione, ferma e recisa.
un suo Il
sonetto è dedicato probabilmente al fra-
tello Scipione.
Antologia della letteratura italiana
410
Giovanni Guidiccioni Nacque
a
Lucca nel
1500, da nobile famiglia e fu al servizio dei ponte-
fici,
dai quali ebbe onori e incarichi importanti. Mori a Macerata nel 1541.
Fra
le
sue
È
politico.
Rime abbiamo
un
scelto
sonetto,
suo piu famoso, di carattere
il
un’esortazione, solenne ed elegante,
all’ Italia
affinché scuota le
catene della servitù, legata a spunti petrarcheschi (ricorda la canzone Italia
mia) ma non priva di un sentimento di sincera afflizione. Risale molto probabi(mente agli anni fra il 1526 e il 1530, conclusivi della triste crisi italiana.
Per
testo
il
seguiamo: G. Guidiccioni, Rime, a cura
di
E. Chiorboli, Bari, Laterza,
1912.
Dal pigro
e grave sonno, ove sepolta
Dal pigro e grave sonno, ove sepolta già
sei
e
tanti
disdegnosa
Italia
passi erranti
se
respira;
e
serva che stolta. t’ha
ch’altri
tolta
oprar, cerca e sospira,
al
cammin dove
sentier,
risguardi
vedrai che quei che t’han posto
sorgi
piaghe mira,
men
non sano
da quel torto
Che
ornai
tue
bella libertà,
per tuo i
le
mia, non
La e
anni,
le
volta.
memorie tuoi
i
dritto gira sei
antiche,
trionfi ornaro,
giogo e di catene avvinta.
il
L’empie tue
voglie,
a te stessa
nemiche
con gloria d’altri e con tuo duolo amaro, misera! t’hanno a sì vii fine spinta. Metro;
sonetto
(schema:
ABBA, ABBA,
nità)
vedrai che
sei
Il
I.
è
primo verso rende con una il
neghittoso torpore in cui
certa
l’Italia
sommersa.
mira: guarda. Nel verso seguente apre con una suggestione petrarchesca {Italia mia), il G. afferma che le sventure d’ Italia derivano da stoltezza, un tema questo che si svolge nella quartina seguente, ma resta del tutto indeterminato. Al posto di una 3-4.
che
si
considerazione politica attuale abbiamo cosi un moralismo generico. 9-11. Che... avvinta: Se riconsideri le antiche
memorie
gloriose (quelle della
Roma-
un tempo
furono ornamento dei tuoi trionfi. Hai qui l’espressione di quel patriottismo sostanzialmente libresco, che fu per secoli quasi la sola espressione di un sentimento di dignità nazionale. Giustamente il Manzoni, agli albori del nostro Risorgimento parlava, pensando ad esso, di misero orgoglio d’un tempo che fu. 12. L’ empie tue voglie: Allude alle discordie, nate da cupidigia di dominio, degli stati italiani, che aprirono la via all’occupazione straniera. dei conquistatori 13. con gloria d’altri: vincesti e
efficacia
ora soggiogata e inca-
tenata proprio da quei popoli che
CDE, CDE).
francesi
e
spagnoli.
Poesia minore del Cinquecento.
Teatro
Il
411
Luigi Tansillo Luigi Tansillo nacque a Venosa nel 1510, e ancor bambino, rimasto orfano del padre, fu mandato a Napoli, dove compì gli studi. Nel 1535 entrò al servizio del viceré don Pietro di Toledo, e con lui e col figlio Garzia fu costretto a compiere lunghi e perigliosi viaggi per terra e per
mare
e a partecipare a varie imprese militari. Alla morte del Viceré,
fu riconfermato nel suo ufficio e
s’
impiegò presso
la
non
dogana. Morì a Teano
nel 1568.
Fu
autore di egloghe drammatiche, quali I due pellegrini (1528) e di
poemetti che ebbero un successo vivissimo:
Il vendemmiatore (1534), di due poemetti didascalici della maturità. Le sue cose piu belle sono le Stanze a Bern-^rdino Martirano e soprattutto la Clorida (1547), in cui descrive le bellezze di una villa di
argomento
Don
erotico,
La
balia
e
II
podere,
Garzia.
Nei suoi ultimi anni, seguendo il nuovo indirizzo del tempo (siamo nell’ età controriformistica) compose un poemetto religioso. Le lacrime di S. Pietro.
Nelle Rime, piuttosto che gli accenti petrarcheschi e la rappresentazione una vicenda spirituale, sono interessanti le rappresentazioni di paesaggi naturali, pervasi d’un’arcana suggestione musicale e sensuale. Nei sonetti migliori le emozioni del poeta sfumano in questa nuova sensibilità paesistica, preannunciando modi e temi che saranno propri della poesia secentesca. di
E
freddo è Il
il
sonetto è
fonte, e chiare e crespe
il
ha l’onde
un epigramma latino del poeta Andrea i due testi ci permette di considerarlo campagna assolata, colma dell’ardente pie-
libero rifacimento di
Un
Navagero (1483-1529)
confronto fra
come opera
originale. Il tema della nezza dell’estate, è uno dei più sentiti dal Tansillo. Scorre per tutto il sonetto il sentimento di un espandersi gioioso dei sensi, di un abbandono totale alla vita della natura. Questa comunione fra l’uomo e il passaggio si esprime nell’immagine mitica e favolosa delle ninfe, magicamente emerse da quello scenario voluttuoso.
E
freddo è
il
fonte, e chiare e crespe
ha Fonde,
c molli erbe verdeggian d’ogni intorno.
Metro; sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
CDE, DCE).
E
il fonte: La congiunzione dà l’impressione che il primo verso si stacchi come da una precedente lunga e obliosa contemplazione senza parole. Poi, nella quartina, si disegnano nitidi i parti-
I.
iniziale
freddo è
colari
del
morbido recesso ombroso, tanto
più dolce quanto più d’intorno
si
avverte
implacabile l’arsura estiva, chiare e crespe: limpide e appena increspate dalla brezza. 2. molli: tenere e fresche, perché irrigate dall’acqua della fonte. Ma l’aggettivo condensa in sé la nota fondamentale di questo
paesaggio,
la
sua tenera e vaga sensualità.
412
Antologia della letteratura italiana
e
platano coi rami e
’l
scaccian Febo, che
E
scuote,
ed è
rapido
fiamme
al bel
le
soggiorno:
mezzogiorno,
sul
sol
*
piu lievi fronde
le
dolce spira
SI
il
versan
e
appena
l’aura
Torno
salce e
’l
crin talor v’asconde.
’l
campagne bionde.
Fermate sovra Tumido smeraldo, vaghe ninfe, i bei piè, ch’oltra ir non ponno; SI
stanche ed arse
al
corso ed
e le vive
nemiche
Valli
al sol,
acque spegneran
probabilità
a
sete!.
il
sonno;
al
caldo;
la sete.
superbe rupi
Nel 1538, una violenta eruzione vulcanica dei zuoli e fece sorgere, in una notte, il Monte Nuovo. ogni
sol
al
Darà ristoro a la stanchezza verde ombra ed aura, refrigerio
questo cataclisma immane.
Campi Il
Flegrei devastò Poz-
sonetto è da riferirsi con
Nella natura sconvolta,
il
poeta
trova un’intima corrispondenza col suo cuore sconvolto dalTamore, con un’enfasi,
poco convincente. Meglio
peraltro,
descrizione del paesaggio, dove intravedi
la
quei gusto di quadri di natura selvaggia che preannuncia
Valli
nemiche
che minacciate
al
4.
scacciali...
dalla fonte
nasconde
il
Sole (Febo), che pure talvolta
fra quei
rami
suoi raggi (crini),
i
cerca cioè di penetrare fra 5-8.
I
essi.
primi due versi esprimono
dol-
la
cezza delicata di quel fresco recesso ombroso, gli altri la rendono per contrasto ancor piu gradita prospettandole attorno la campagna infuocata nel mezzogiorno estivo. Questa calda
tonalità
poeti deir e
di
colori
è
7.
rapido:
=
8.
caratteristica
giallo
dei
ardente, impetuoso (dal latino
camun
riarse, abbruciate dal sole (vi vedi
stoppie
o
di
spighe
mature)
e
sembrano riversarne intorno il calore. È il nuovo del componimento: dà il senso del dilagare di una luce
verso più originale e
che è segno di vitalità trionfante.
notte;
l’umido smeraldo: l’erba umida per la della fonte è verde come uno smeraldo. possono. La grazia gentile 10. ponno; delle ninfe dà alla scena una nuova nota voluttuosa e sognante. 11. si stanche, ecc.
tanto siete stanche e
:
arse per la corsa e per
verde... caldo:
13.
refrigerio,
a
daranno
«
14. vive;
il
sole.
sottintendi, accanto a ».
scorrenti, fresche.
un dolce
abbandono
un oblioso
L’ultima
ter-
invito al ristoro e al riposo, in
grembo
alla
natura.
trascino via con violenza).
di
e
9.
zina è
c versan... bionde: Bionde sono le
pagne
silenzio
vicinanza
umanesimo meridionale (Fontano
anche Sannazaro).
rapio
superbe rupi
sol,
pozzi orrendi e cupi;
aperti,
tengono lontano
v’asconde;
gusto secentesco.
del; profonde grotte,
il
onde non parton mai sepolcri
il
Metro;
sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
CDE, DCE). I.
nemiche
al sol;
suoi
raggi,
superbe
3.
notte:
le
perché mai accolgono rupi:
tenebre.
i
vulcani.
i
Poesia minore del Cinquecento.
precipitati
Teatro
Il
sassi,
ossa insepolte,
413 dirupi,
alti
mura
erbose
e
rotte,
d’uomini albergo, ed ora a tal condotte che temen d’ir tra voi serpenti e lupi, erme campagne, abbandonati lidi, ove mai voce d’uom
ombra son
non
l’aria
fiede
:
dannata a pianto eterno, ch’a pianger vengo la mia morta fede, e spero, al suon de’ disperati stridi,
non
se
io,
piega
si
del,
il
mover
l’inferno!
Michelangelo Buonarroti La
figura
Michelangelo
di
staglia
si
quelle
fra
solitaria
del Cinquecento, per la presenza, nella sua poesia, di
lirici
anzi d’un
dramma
chiarsi
contrasto
il
fra
suo genio
profondo e sofferto, in cui sembra rispecdue età del Rinascimento e della Contro-
le il
sebbene spesso abbiano in solto. Il
nostri
travaglio,
spirituale
Questo spiega
riforma.
dei
un
esercitato sui lettori dalle sue liriche, qualcosa di grezzo, di poeticamente non ri-
fascino sé
espresse, infatti,
si
pienamente in un
altro
campo, quello
delle arti figurative.
Michelangelo nacque nel 1475 a Caprese e mori a Roma nel 1564. la sua vita tra Firenze e Roma, e fu un’ esistenza solitaria e concentrata in un’ intensa e spesso travagliata meditazione spirituale. ParTrascorse
durante l’assedio di Firenze,
tecipò,
nel
Ma
sua vera storia è scritta nei suoi sublimi capolavori
la
1530,
Cappella Sistina,
alle
Tombe
Medicee,
al
alla
Davide
difesa
al
sua
città.
artistici,
dalla
della
Mose,
alla
cupola di
San Pietro in Roma. Le Rime, che appartengono quasi tutte al periodo della maturità e della vecchiaia, esprimono l’ intimo e travagliato colloquio del poeta con
6. erbose...
case
delle
rotte:
distrutte,
sulle
mura
cresce
ormai
crollate
l’erba,
denotando l’abbandono desolato della
città
morta.
d’uomini
7.
albergo;
un tempo dimora
erme:
9-1 1.
donna non
degli uomini.
solitarie,
deserte,
fiede:
col-
ombra... eterno: non più uomo, ma ombra spettrale, condannata a un pianto eterno per la crudeltà di madonna. 12. la mia morta fede; la fede che mapisce.
gli
ha serbato.
lupi temerebbero di aggirarsi fra quelle ro-
13-14. Evidentissima la forzatura di questi ultimi due versi. Il tono del sonetto è
È evidente nelle due quartine questo gusto dell’orrido, l’accumularsi di partico-
ormai lontano da quello petrarchesco. tende a uno stile aspro e tragico, con
che...
8.
lupi:
che persino
i
serpenti e
i
vine.
lari
cupi, di scenari desolati, sottolineati da
uno
stile
aspro, da suoni lugubri. Si avverte
però troppo scopertamente il compiacimento del letterato che prova una nuova tastiera. diminuisce drammaticità della rappresentazione. L’eccessiva ricerca di effetto,
la
Il
la
T. po-
vertà di risultati, sul piano poetico, che già
abbiamo che non
avvertito.
Ma
inaugura una
sarà senza seguito nei secoli
moda dopo
quale fonderà su sensibilità e concezioni più profonde questo sentimento angoscioso del vivere. di lui,
fino al
Romanticismo,
il
Antologia della letteratura italiana
414
la
sua anima,
una visione tutta rinascimentale dell’arte, amore e una profonda esigenza ascetica e religiosa che
contrasto fra
il
della bellezza, dell’
diverrà dominante nei suoi ultimi anni.
Numerose
orme
ma non
quelle dedicate
poesie,
Vittoria Colonna, costituiscono un’esaltazione dell’
a
amor
platonico,
sulle
un motivo estetizzante, come in molti scrittori del Cinquecento, bensì di un momento intensamente vissuto del sofferto itinerario spirituale dall’autore. Le rime degli del Ficino e della sua scuola;
ultimi anni cristiana
l’arte
stessa
tratta
di
svolgono sempre piu nel senso di un’accorata meditazione del peccato, della morte, della rinuncia al mondo e
si
temi
sui
dell’ anelito
si
Eterno,
all’
fino
quella
di
:
pieno
al
Bellezza
sacrificio
che era
ad esso
stata
l’
ideale
dell’
più
amore, grande
del-
del-
l'artista.
La lirica di Michelangelo è, tuttavia, intimamente frammentaria. Versi, immagini, concetti, si presentano spesso come lampi potenti, intuizioni profonde, ma stentano, spesso, a comporsi in un’architettura organica. Per questo le sue liriche appaiono un documento genuino di una sofferenza spirituale, non sempre, tuttavia, adeguatamente espressa. Per
il
testo
atteniamo
ci
all’
edizione critica a cura di E.
Noè
Girardi
(Bari,
La-
terza, i960).
O
tempo, benché nero
notte, o dolce
L’immagine
della
Michelangelo, simmeditazione appassionata sul tema morte sono sentite soprattutto come promessa di
notte è spesso presente nella lirica di
bolicamente legata a quella della morte, dell’eternità.
Qui
la
notte e la
alla
pace, a cui tende l'anima travagliata e stanca.
O
notte, o dolce tempo, benché nero, con pace ogn’opra sempr’al fin assalta. Ben ved’e ben intende chi t’esalta, e chi
t’
onor’ ha
Tu mozzi
l’
intellett’ intero. ®
e tronchi ogni stanco pensiero,
che l’umid’ombra et ogni quiet’appalta, e dall’infima parte alla più alta
in sogno spesso porti ov’ ire spero.
Metro; sonetto (schema;
ABBA, ABBA
CDE, CDE).
vagliato itinerario terreno. 6.
che... appalta; che l’umida
ombra
della
notte e la sua quiete profonda e totale pren2.
con pace...
assalta; L’espressione è oscu-
ogni probabilmente opera tende a conseguire, insieme con la propria conclusione, la propria pace. Cosi il giorno tende alla quiete notturna, la vita Mia morte, suo compimento e fine del trara.
Il
significato
è
;
dono
su di sé (appalta),
togliendo cosi
al-
l’uomo ogni affanno. 7-8. e... spero; e porti in
basso l’alto
mondo, infima cielo,
in
giorno di andare.
sogno da questo
parte dell’universo, nel-
paradiso,
dove
spero
un
Poesia minore del Cinquecento.
O
ombra
Il
Teatro
del morir, per cui
ogni miseria, a l’alma,
ultimo
delli
4'5
e
afflitti
ferma
si
cor nemica,
al
buon rimedio,
tu rendi sana nostra carn’inferma, rasciugh’i pianti e posi ogni fatica
ben vive ogn’ir’e
e furi a chi
La Notte che
tu vedi in
si
tedio.
dolci atti
La prima quartina è attribuita a Giovanni di Carlo Strozzi, ed è una esaltazione dalla mirabile statua della Notte, scolpita da Michelangelo nelle Cappelle Medicee a Firenze. Nella seconda Michelangelo, rispondendo in persona sua statua, esprime con versi potenti
il
della
proprio oscuro e dolente travaglio
spi-
Nelle parole dellci Notte palpita quel desiderio della morte, sentita come redenzione e liberazione dall’angoscia del vivere, che è uno dei temi piu intensi delle Rime michelangiolesche. rituale.
La Notte che
tu vedi in
si
dolci atti
dormir, fu da un Angelo scolpita in questo sasso, e perché dorme ha
vita.
Destala, se noi credi, e parler atti.
Caro m’è il sonno, e piu Tesser di sasso, mentre che ’l danno e la vergogna dura. Non veder, non sentir, m’è gran ventura; però non mi destar, deh! parla basso.
9.
O
ombra
del morir; parvenza,
imma-
gine della morte. Dopo lo stento delle due quartine l’ inno alla notte e alla morte si
qui
svolge
con
piu
stile
fluido
e
2.
un Angelo:
chelangelo
e
perché... vita:
3.
per questo suo dormire
è veramente viva. In esso sta la bellezza al-
r2. tu...
inferma: tu
liberi
il
nostro cor-
po, debole e affaticato, dalla stanchezza.
ogni fatica:
13. posi
fai si
che abbia posa,
Caro m’è
5.
porti via, cancelli, per i buoni, ogni tedio, in quanto essi possono trovar pace in un sonno tranquillo. Ma gli ultimi due versi possono essere anche riferiti simbolicamente alla morte, sentita come liberazione dalla infermità del peccato e porto di autentica pace per chi ha ben vissuto.
ca del poeta.
furi:
ira e
in
dolce.
si
La
dolci atti: con atteggiamento cosi
statua della Notte rappresenta
figura femminile addormentata.
una
vita della
sonno: Risponde
la statua,
statua.
ma
14.
immortale
tissima, che è la vera e
pace ogni travaglio.
I.
nome di Miammirazione grandissima
allusione al
dalla quale fu circondato.
armo-
nico.
ogni
all’
il
in realtà parla l’anima travagliata e stan-
elegante,
L’epigramma
quello di M.,
dello Strozzi era
profondo
e
dram-
matico. Vedi l’intensità scabra e potente dei suoni della seconda metà del verso, la loro
contenuta e pur forte passione. 6.
mentre che, tee.: Gli
interpreti
pen-
sano generalmente a un’allusione alla tirannia dei Medici in Firenze. Ma, come abbiamo premesso, il significato della quartina ci
sembra piu vasto. 7.
ventura
;
fortuna.
4i6
Antologia della letteratura italiana
Per qual mordace lima come, in genere, la miglior lirica michelanDalla scontentezza di sé, dal senso angosciato della propria miseria e impurità terrena il poeta innalza a Dio una preghiera stanca e accorata, pervasa
È
poesia, c, insieme, preghiera,
giolesca.
un supremo
di
anelito
di
purificazione,
di
mondo
fuga dal
fallace
nella
pace
della morte.
Per qual mordace lima
manca ognor tuo stanca spoglia, anima inferma? or quando fie ti scioglia discresce e
da quella
il
tempo, e
torni, ov’eri, in cielo,
prima
candida e
lieta,
deposto
periglioso e mortai velo?
il
Ch’ancor ch’io cangi
pelo
il
per gli ultim’anni e corti,
cangiar non posso
’l
Amór,
mio
vecchio
che, con più giorni, più
mi
antico uso,
sforza e preme.
a te noi celo,
ch’io port(j invidia a’ morti; sbigottito e confuso, SI
di sé
meco
l’alma trema e teme.
Signor, nell’ore streme, stendi ver
tom’ a
me
me
le
tuo pietose braccia,
stesso, e
Metro: madrigale di settenari e endeca(schema aBBCaCcdEFcGLFflI).
sillabi
:
fammi un che
piaccia!
ti
9. uso: la disposizione peccaminosa, divenuta ormai abitudine dell’anima. 10. con piu giorni col crescere degli anni. 11. Amor: si rivolge alla più intensa e dolce fra le suggestioni peccaminose. 12. ch’io... morti: C’è qui una suggestione petrarchesca (cfr. il son. Amor, Fortuna e la mia mente schioà) ma non è che un punto di partenza, intimamente e radicalmente rinnovato-. Michelangiolesca è 1 in:
1-3.
Il
poeta avverte l’inesorabile decadere
del corpo, stanca spoglia che racchiude l’ani-
ma bile
debole e malata. La lima che inesoralo rode (mordace) è il tempo, ma an-
che l’insieme delle ansie e delle impure passioni. ognor: continuamente. 3-4. or... tempo: or quando avverrà finalmente che il tempo ti sciolga da quella stanca spoglia. 4. 5.
tomi faccia ritornare. prima: congiungilo con ov’eri, del :
v. 4.
’
nuda
tensità
scabra
e
dell’espressione,
candida e lieta: pura, ancora, e gioiosa era l’anima accanto a Dio creatore prima di
cieco carcere terreno e dal peccato.
scendere nel corpo.
gottito e confuso.
dopo aver deposto, con corpo, involucro mortale dell’anima, periglioso, perché ne offusca con la miseria delle sue passioni, la nativa purezza. 6.
la
7.
il
ancor... pelo:
dei miei capelli,
sebbene cambi
il
corti:
colore
14. si...
e confuso:
teme:
a
essendo io
sbi-
punto l’anima mia sua sorte, paurosa di
tal
la
peccare e di dannarsi. 15. nell’ore streme: in queste estreme ore della 17.
ormai
sbigottito
teme e trema per
incanutisca.
perché sono un’ ultima, breve e fugace parentesi di vita. 8.
13.
deposto... velo:
morte,
e
anche questa patetica e drammatica meditazione della morte. L’invidia ai morti nasce dal fatto che essi sono ormai liberi dal
mia
vita.
tom’
a... piaccia:
umana si
strappami dalla mia
miseria peccaminosa e rendimi puro,
ch’io possa piacere a te.
.
Poesia minore del Cinquecento.
Non
non veder
posso or
Uno
Il
Teatro
4*7
dentr’a chi
muore
dei numerosi, sparsi frammenti della lirica michelangiolesca,
uno dei piu poeta ha visto, insieme col venir meno della luce terrena, il dischiudersi di una luce più vasta, eterna e infinita: quella di Dio. E ad essa l’anima sua anela. Nota Tintensità di quel semplice aggettivo gran, che esprime tutta la forza d’un desiderio supremo, incoerintensi,
essenziali.
Nello sguardo d’un
frammento, per Il una piena vita poetica.
di
Non Tua
Giunto è già È uno
’l
il
sua concentrazione
la
cibile.
morente
spirituale
posso or non veder dentr’ a chi
e
drammatica, vive
muore
luce eterna, senza gran desio.
cor^o della vita
mia
dei più intensi sonetti religiosi di Michelangelo, espressione conclusiva
del suo travaglio spirituale cristiano. ideale più alto,
dominatore di
Il
poeta comprende che
l’arte
stessa,
il
suo
tutta la sua vita, è insufficiente a saziare la sete d’infi-
il bisogno di Dio, ch’egli avverte sempre più profondo e travolgente nell’anima. Rinuncia quindi all’arte, per immergersi soltanto nella preghiera, in una mistica contemplazione dell’amor divino. Il sonetto, scritto forse nel 1552, nell’estrema vecchiezza, ha il tono di un nudo, solitario colloquio del poeta con se stesso, pervaso di religiosità profonda.
nito,
Giunto è già
’l
corso della vita mia,
con tempestoso mar, per al
comun
fragil barca,
porto, ov’a render
conto e ragion d’ogni opra
Onde che
l’affettuosa
l’arte
mi
si
varca,
trista e pia. ®
fantasia,
fece idolo e
monarca,
conosco or ben com’era: d’error carca, e quel ch’a
Metro:
sonetto (schema:
mal suo grado ogni
ABBA, ABBA,
CDE, CDE). 2. con... barca: Evidente è la suggestione petrarchesca (del sonetto Passa la nave mia,
colma
d'oblio),
ma
risolta
qui
in
accenti
personali e drammatici.
comun
porto: la morte, meta d’ogni conseguente giudizio di Dio. 3-4. ov’a... pia: dal quale porto si passa (si varca) a render conto, davanti al tribunale divino, d’ogni opera propria, buona e cattiva. 5-7. Onde... carca: per questo conosco ora 3. al
esistenza, c
il
uom
desia.
bene come era nell’errore
la
mia
fantasia,
piena d’affettuosi e seducenti pensieri, che tn’indusse a considerare l’arte come l’unica mia vera divinità e dominatrice assoluta
mia anima.
della 8.
e quel...
desia;
L’amore, che l’uomo
desidera anche se esso gli procurerà del male. Amore e arte, le due esperienze fondamentali e appassionate della sua vita, sono qui sentite da M,. come suprema idolatria terrena ed errore mondano, seduzione altissima dei sensi e del cuore che toglie la vista della
verità
4i8
Antologia della letteratura italiana
Gli amorosi pcnsier, già vani e
che fieno or,
D’una
Né
so
’l
lieti,
due morti m’avvicino?
s’a
certo, e l’altra
pinger né scolpir
fia
mi
minaccia.
più che quieti
l’anima, volta a quell’amor divino, ch’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia.
Galeazzo di Tarsia Nacque a Napoli, intorno al 1520, dalla nobile famiglia dei baroni di Belmonte, feudo della terra di Cosenza, e mori assassinato nel 1553 dopo aver partecipato con gli Spagnoli all’assedio di Siena. Scarse e contrastanti sono le notizie sulla sua biografia. La maggior parte delle sue rime amorose,
dedicate a
petrarchesca.
Vittoria Colonna, si distaccano dalla consueta tematica C’è nel suo breve canzoniere l’ impronta di una personalità
forte e appassionata, che tende a
uno
robusto e a un’originalità viva come avviene in questo moglie morta. Per questa tendenza a una espressione stile
di pensiero, ed accenti meditativi intimi e vissuti,
sonetto scritto per la diretta, cioè chisti, dei
senza schemi letterari precostituiti quali erano quelli dei petrar-
propri sentimenti, quella del Tarsia è una delle voci più intense
della nostra lirica cinquecentesca.
Per
testi
i
seguiamo: Galeazzo di Tarsia, Rime, a cura di D. Ponchiroli, Tallone,
Parigi, 1951.
Camilla, che ne’ lucidi e sereni 12.
È
moglie morta. Coltono intimo e appassionato, per la tendenza a un’idealizzazione altissima della persona amata, nella quale però palpita il ricordo deU’amore ardente d’un tempo. L’immagine di lei riappare al poeta nel luminoso incanto d’un cielo stellato, dolcissima, eppur inafferrabile. Al suo splendore etereo fa doloroso riscontro il sentimento desolato della separazione e della morte, l’amarezza del poeta che si sente ormai solo in un mondo dal quale sembra sparita per sempre il
primo di
tre sonetti, tutti assai notevoli, dedicati alla
pisce soprattutto per
il
ogni immagine di bellezza.
9.
vani c Ikti: L’amore appare gioia,
ma
10. che...
quella dell’anima, è un’oscura, tremenda minaccia.
gioia vana.
m’awicino:
quieti
che saranno per
me, ora che m’avvicino a due morti, quella
:
appaghi.
14. ch’aperse...
braccia:
È un
verso epi-
del corpo e quella eterna dell’anima, conseguenza del peccato e del mio smarrimento
graficamente intenso e profondo. Nelle braccia aperte di Cristo in croce, M. vede un’of-
dietro terrene seduzioni?
ferta
11.
morti,
D’ una... minaccia: l’una quella
del
delle
due
corpo, c sicura; l’altra.
d’
amore
e,
al
tempo
stesso,
quella
sofferenza e quella passione che l’uomo deve imitare nella sua ascesa spirituale.
Poesia minore del Cinquecento.
Teatro
Il
419
Camilla, che ne’ lucidi e sereni
campi
a
sia,
pietosa vieni,
splendor t’involvi e
SI
che a pena
il
cor di foco e gli occhi
scorgo e poi
ti
felice
in
fasci,
rilasci
d’umor
men
Era, s’ambi feriva, assai
morte, io
lasci
rassereni,
le
sommo
di
nasci,
stella
membrando,
vivo, te
mie notti me, quando che
ove piu
ma
nuova
del cielo
me mal
e
pieni. fella ^
questa nostra avvezza
etade a non serbar cosa più bella.
Ma
tu
il
Signor,
s’ella
mi sdegna
e sprezza,
prega, o santa, che ornai se di bellezza colsi fior, ch’io
ti
ti
vagheggi
stella.
Poesia burlesca
Francesco Ber ni Francesco Berni nacque a Lamporecchio, nel 1497, da famiglia nobile disagiata. Nel 1517 si recò a Roma, presso il Cardinal Bibbiena, suo
ma
parente, sperando di trovare
Fu prima
una sistemazione come segretario o cortigiano. poi, morto questi, del nipote di lui,
servizio del cardinale,
al
Angelo Dovizi, protonotario apostolico. Il suo brio, i suoi versi giocosi, cominciarono presto a creargli consensi e simpatie; ma quando fu eletto pontefice il severo Adriano VI, il poeta dovette lasciare Roma, sia, come pare, per certi suoi trascorsi
licenziosi, sia per essersi reso
prudentemeni t, del malumore dei cardinali Metro:
ABBA, ABBA,
sonetto (schema:
CDC, DDC).
di
1-2. che... nasci.
Vagheggia un’immagine
spiritualizzata
più alta bellezza della
moglie
morta,
e
e
in
sognare cerca
questo
conforto alla pena del cuore, pidi e luminosi, 3-4. e...
di
vita
a
lucidi:
lim-
campi: plaghe.
mi
rassereni:
e
pascermi
solo
lasci
del
tuo
ricordo,
quando tu più serena risplendi sulle mie notti. La trasfigurata bellezza di lei è, al tempo stesso, gioia e struggente pena, come il poeta spiega nella quartina seguente.
quando che
6. involvi:
sia:
talvolta.
avvolgi. Quel
supremo splen-
per
l’
interprete, im-
elezione di quel
dore la mostra a lui più bella e, insieme, ormai per sempre ultraterrena, irrevocabilmente lontana. È situazione poetica originale e
profonda.
8. il cor... pieni: il cuore pieno di amoroso desiderio, gli occhi pieni di pianto. 9. feriva: uccideva, fella: crudele.
lo-ii.
quasi privo
proprio
5.
italiani
felice
di
in
questa...
bella:
abbandonare questa
che lascia morire 12. s’ella:
se la
le
io
sarei
vita
stato
terrena
cose più belle.
morte.
13-14. che ornai... stella: che ormai,
come
in vita colsi il fiore della tua bellezza, possa ora contemplarti stella, cioè nella tua pura bellezza spirituale, senza più il tormento
appassionato a cui ha alluso nei versi precedenti.
,
Antologia della letteratura italiana
420
papa straniero, e rimase per alcuni anni negli Abruzzi in una sorta d’esilio. Tornato a Roma dopo l’elezione di Clemente VII, divenne segretario di Giovan Maria Giberti vescovo di Verona, col quale rimase fino al ’32, godendo di una decorosa sistemazione. Passò poi al servizio del cardinale Ippolito de' Medici, ma anziché seguirlo nei suoi viaggi, restò a Firenze, frequentando la corte di Alessandro de’ Medici, nuovo signore della città. Qui mori assassinato, vittima di loschi intrighi di corte, nel 1535. Il Berni fu poeta esclusivamente burlesco e giocoso, celebrato nel suo secolo,
ammirato
e imitato eccessivamente nei
due
successivi. Si rifece alla
tradizione giocosa, rappresentata, nei secoli precedenti, d^ Cecco Angiolieri, dal Burchiello, dal Pistoia, cioè a un genere letterario ché aveva ormai un contenuto rigidamente stilizzato, un proprio tono e un proprio stile, e la fuse con le forme e i modi della letteratura carnascialesca della Fi^eivze, Medicea. Fu, per questo, decisamente avverso al petrarchismo e soprattutto di cui parodiò la parte deteriore e astratta. Ma questo non che fosse veramente un realista. La vita di ogni giorno, con le sue banalità e le sue cure meschine, diventa per lui pretesto di mera letteratura, al
bembismo,
significa
bembismo, ma impegno morale, di ogni atteggiamento pensoso e meditativo. Il Berni vede la realtà come pretesto di parodia e di deformazione caricaturale, condotta con un tono brioso e divertito, con una lingua fami-
dissimulata priva di
ma
un
elaboratissima, opposta, nelle sue forme, al
serio
liare, viva, pittoresca,
La produzione
giuoco della primiera, le
anguille,
i
ma
senza vera profondità.
comprende numerosi capitoli in terzine (sul i debiti, una sua brutta avventura di viaggio, parecchi sonetti. Suo è anche il rifacimento del-
del Berni
la peste,
cardi, ecc.) e
r Orlando Innamorato del Boiardo, che egli pensò di migliorare, dandogli una veste linguistica toscana. Di quest’opera sono interessanti alcune ottave, nelle quali il poeta ha lasciato un suo gustoso e sorridente autoritratto. Per
il
testo,
abbiamo seguito:
Berni,
F.
Prose e poesie
a
cura
di
E.
Chiorboli,
Olschki, Firenze, 1934.
Chiome
d’argento fine,
irte
ed attorte
È
un’arguta caricatura del sonetto Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura e del petrarchismo in genere. Esprime l’insofferenza del Berni contro le astrazioni, e la monotonia di un linguaggio letterario eletto ma ormai convenzionale e risaputo, la sua polemica, insomma, contro un manierismo vuoto. Il Berni rifà qui il verso al Bembo; mantiene un ritmo ammirativo e apparentemente gentile, ma giucca sui doppi sensi, sulle immagini Grassamente materiali, anche se del
Bembo,
apparentemente « zioni del
Bembo.
serie »
e
stilizzate,
rovesciando, con un’allegra risata,
le
posi-
Poesia minore del Cinquecento.
Chiome senz’arte,
Il
Teatro
421
d’argento fine,
ed
irte
attorte
un bel viso d’oro; mirando io mi scoloro,
intorno ad
fronte crespa, u’
dove spunta
suoi strali
i
Amore
e Slorte;
occhi di perle vaghi, luci tòrte
da ogni obbietto disuguale a loro; ciglia di neve, e quelle, ond’ io m’accoro,
man
dita e
dolcemente grosse e corte;
labbra di
latte,
bocca ampia
celeste,
denti d’ebano, rari e pellegrini,
inaudita ineffabile armonia;
costumi son
alteri
d’Amor,
servi
bellezze della
le
a voi, divini
e gravi:
palese fo che queste
donna mia.
Dal capitolo a messer Jèronimo Fracastoro veronese È questo forse il più felice fra i capitoli burleschi del Berni. L’autore racconta a Gerolamo Fracastoro (1483-1533), veronese, medico famoso e celebratissimo poeta latino, una sgradevolissima avventura di viaggio. Mentre si trovava nel veronese,
il
Berni dovette subire l’importuna ospitalità di un prete, invadente, dopo lunghi e tediosi
sbruffone ed evidentemente amante della sporcizia, che, discorsi, volle portare
poeta e un amico di lui a casa sua ad ogni costo.
il
che riportiamo racconta capitolo rivela
Il
fonda
ma
il
il
momento culminante
della
gusto caricatura le del Berni, la sua ispirazione non proil suo amore per la trovata comica e bizzarra.
Metro: sonetto (schema;
ABBA, ABBA,
occhi che distolgono lo sguardo da
ogni oggetto
Chiome... d’oro: La fanciulla gentile e giovane dei petrarchisti è tramutata in una vecchia arruffata; le chiome sono d’argento fine, cioè canute, non più crespe ma irte ed
La comicità
7.
di neve:
soffro, 8.
immagini preziose possono dar r illusione di costituire un sonetto di lode. 3. crespa; non più crespi i crini, ma la
celeste:
mi
è pallore d’amore, ma spavento di fronte a quel « laido » volto, u’ sta per ubi dove. :
dove... Morte:
Non
è solo tale da rin-
le frecce d’Amore, ma anche quelle Morte, quella brutta vecchia immor-
tale. 5.
di perle vaghi:
crimosi.
luccicanti di perle, la-
mano
la
ma
10. denti...
tozza e sgraziata.
secondo
il
v.
Raro
fa
il
neri,
cioè guasti,
nel vocabolario petrare cosi pellegrini.
gran pregio»,
nobili e severi, secondo
12. alteri e gravi:
vocabolario del Bembo; ma per superbi e gravosi da sopportare. 12-13.
divini servi i
bocca
paio con
o tentennan-
il
mavano
la
8.
pellegrini:
significava,
chistico, «di
ampia
sbiancate,
e
radi, perché molti sono caduti ti.
disgusto.
primo aggettivo mostra
quel dolcemente del
tuzzare della
il
si
comica l’unione di quel
pallide
larga e sgraziata,
scoloro:
non
corte:
latte:
non
se stessi, cioè,
anch’esse canute, m’accoro:
dolcemente con 9. di
fronte; e cioè, piena di rughe,
strabici. Essi infatti
non pene amorose,
dita...
nasce soprattutto dal fatto che a una lettura distratta, le
ma
vile,
guardano altro oggetto che guardano l’un l’altro.
attorte senz’arte, cioè spettinate, disordinate, bel viso è d’oro, cioè giallo.
come potrebbe sem-
5-6. luci... loro: non,
brare,
1-2.
4.
passo
allegra e ridanciana,
CDE, DCE).
il
Il
comica avventura.
platonici
d’Amor:
cosi
il
Berni
si
amanti petrarchisti.
chia-
Antologia della letteratura italiana
422
Era discosto piu d’un grosso miglio Tabitazion contra
pazzo,
questo prete
di
qual non
il
Io credetti
valse
ci
o consiglio.
arte
qualche palazzo
trovar
murato di diamanti e di turchine, avendo udito far tanto schiamazzo quando Dio volse, vi giungemmo entrammo in una porta da soccorso, :
sepolta
nell’ortiche
Convenne e
una
su per
salir
ove aria rotto
nelle
spine.
scala,
ogni destr’orso.
trovammo
ci
che non era, Dio grazia,
in
sala,
amattonata,
fumo
di
stava
come l’uom che pensa
ond’il
Io
corso,
l’usato
certa
collo
il
quella,
Salita
e
lasciar
ivi
sotto
fine:
al
in essa
essala.
guata
e
quel ch’egli ha fatto, e quel che far conviene, poi che gli è stata data una incanata.
—
Noi non l’abbiam, Adamo,
questa è la casa
—
pazzi che noi siam
Mentre
mi
io
mi
diceva io
stati
gratto
di
certi
dottor
dir
non
15.
Ma
il
prete sbruf*
fone aveva affermato d’aver una magnifica
due
onde...
fumo
il
cosicché penetrava in
essala:
della
cucina,
posta al
piano
di sotto.
stava, ecc.
16-17.
:
altra
comica imita-
turchine: turchesi.
6.
schiamazzo:
prete aveva
consiglio:
contra...
echi della
là,
Si
Commedia
passi.
avvertono, qua dantesca,
natu-
ralmente con effetto comico parodistico. Dopo tutto, si tratta anche qui di una specie
ti
fusse
5.
3.
di
a fresco;
zione del linguaggio dantesco. 18. una incanata: un violento rabbuffo. Se ne sta, cioè, avvilito e come fuor di sé. 19. Noi... bene: Non abbiamo capito bene, Adamo. Adamo è un letterato veronese, il Fumani, compagno di sventura del B. Dice che non hanno capito bene perché il
casa, vicinissima, anzi a
e
un desco
ch’ella
essa
grosso: abbondante.
:
lana di porco:
Metro: terzine di endecasillabi. I.
—
capo e mi scontorco,
il
era dipinta ad olio, e
voglion
Orco
dell’
da catene!
vien veduto a traverso ad
una carpita
intesa bene:
—
discesa
all’
Inferno.
le
inopportune e insisten-
vanterie del prete per attrarre le vittime
dentro 8.
la
sua sudicia tana.
in una... soccorso:
quelle
che,
nei
castelli,
24.
una porta simile servono a
a
portar
soccorso agli assediati; piccola, quindi, e ta-
una
carpita:
tavola da pranzo,
ospitarli
signoril-
un tappeto
ma
steso
sulla
ruvido e irsuto, come
se fosse fatto di setole di porco.
25.
da poter rimanere facilmente nascosta. IO. l’usato corso: la normale andatura. 12. ove aria... orso: si sarebbe rotto il collo anche l’ orso piu bravo nell’ arram-
La
picarsi.
com’
le
promesso di
mente.
ma
fresco: È un giuoco non è come un quadro
era...
carpita
di parole.
affrescato,
dipinto ad olio, piena, cioè, di macchie
d’ unto.
Vecchia e sporca avrà certamente una storia; e il B.
26. voglion certi dottor: è,
.
Poesia minore del Cinquecento.
coperta
423
d’un qualche barbaresco;
già
fu mantello
fu
schiavina e
che tappeto
fin
Teatro
Il
poi poi
.
al
almanco di tre usse, anche spalliera, fin pur si ridusse... forse
— Dove abbiam noi, messer — — a dormire? — Venite meco signoria vostra — rispose sere — io vel farò sentire — dissi
la
il
Io gli vo drieto, e
’l
buon
i topi facevano una Vi sarebbe sudato un
dove
quivi e
mi
prete
tnostra
stanza ch’egli usava per granaio,
la
era
la
gennaio: semenza,
e la
ricolta,
grano e l’orzo e
’l
giostra.
di
la paglia e
pagliaio.
’l
Eravi un destro senza riverenza,
un camerotto da dove
cesso ordinario,
messer
il
faceva
credenza;
la
credenza facea nel necessario, intendetemi bene; e le scodelle la
teneva in ordinanza in su l’armario.
Stavano intorno pignatte e padelle, correggiati,
mazzi
tre
Quivi e
disse:
starete
rastrelli
e
pale,
pelle.
don
cotale,
duo da un capezzale Voi non mi ci
io a lui
piano
risposi
una
In questo letto dormirete;
tutti
Et
e
volea por quel
ci
—
forche
e
cipolle
di
:
—
—
—
còrrete
messere:
albanese
—
—
mi moio di sete. Ecco apparir di subito un bicchiere
datemi ber, eh’
io
che s’era cresimato allora allora
sudava immagina che portune c
i
tutto,
e
abbiano compiuto op-
dotti
solerti ricerche.
schiavina:
spalliera:
servi,
mantello cioè,
e tutto (è sottinteso
da
a ricoprire
ma
poltrone;
evidente) senza es-
mai lavata. Seguono altre « visioni » che mettono bene in luce la « cortesia sporca e ser
villana » del prete.
33. sentire:
era anche
vedere, dovrebbe dire,
ma
il
B. gli mette in bocca un altro verbo che preannuncia la dolorosa esperienza che il prete sta per far compiere agli ospiti. 37. di gennaio: la triste avventura ebbe luogo in agosto.
me
A
riverenza:
un
dirla
schietta,
cesso.
dove... credenza: credenza o dispensa.
42.
pellegrino,
:
40. Eravi... vi
27-28. barbaresco: turco, usse: streghe. 29.
:
non potea sedere
il
prete l’usava co-
43. necessario: cesso. Lo ripete, tanto la cosa appare mostruosamente lurida. 47. correggiati: arnesi per la battitura del
grano. - dispensa, promosso, 49. Quivi: nel cesso per l’occasione, a camera per gli ospiti. 52-53. Voi... messere: Evidentemente è un modo di dire, di cui ignoriamo però il si-
gnificato preciso. Dal contesto, si comprende che corrisponde a un reciso rifiuto. 56-57. che... sedere: vuol dire che era
Antologia della letteratura italiana
424
pareva
capo l’anno non vel trova ancora. deste voi bevanda mai molesta
in
s’
vino una minestra mora;
il
morir, chi lo mette in una cesta,
vo’
Non
ad un che avesse il morbo o le petecchie, quanto quell’era ladra e disonesta. In questo, adosso a due pancacce vecchie
un
vidi posto
—
e dissi: Il
le
lettuccio, anzi
Quivi appoggerò
prete grazioso,
almo
un
canile,
l’orecchie.
—
e gentile,
lenzuola fé tór dell’altro letto:
come fortuna va cangiando Era corto
il
stile!
misero e
canil,
stretto;
duo i famigli camiscie et un farsetto,
pure, a coprirlo, tutti
sudarno e le
tre
zanne
vi
posero e
gli artigli;
tanto tirar quei poveri lenzuoli
che pure a
mezzo
al fin
Egli eran bianchi
fecion venigli.
come duo
paiuoli;
marzocchi alla divisa; parevan cotti in broda di fagiuoli:
dipinti di
la lor
resta indicisa;
sottilità
tra loro e la descritta già carpita
cosa nessuna
Qual
non
era divisa.
è colui che a perder va la vita,
che s’intertiene e mette tempo in mezzo, e pensa e guarda pur s’altri l’aita, unto
e bisunto.
L’ immagine è pittoresca c
spassosa, forse la migliore del capitolo e ri-
vela
il
brio inventivo del B., la cui comi-
cità vive soprattutto di queste trovate.
una minestra mora: una minestra di razza negra (Cappuccio), Era un vino nerastro c pastoso, una pozione nauseante. 58.
59-60. Allude alla densità di quella sozza bevanda: non è vino, ma fondiglio di botte, quindi non può scorrere attraverso i fori di
una
cesta.
62. petecchie: pustole del vaiolo.
che
si
da
quello
trovava nel destro.
come
stile Il verso è preso dal . . . Trionfo della Morte del Petrarca. Allude al
69.
mutamento
:
di sorte dei
due
cosiddetti
let-
canile ora è provvisto di lenzuola e innalzato a dignità di letto, il letto del
tucci:
il
e spregiato.
mezzo: a metà
del letto. 76-77. Egli... divisa: I lenzuoli erano bianchi come paiuoli (nerissimi e sozzi, cioè), cosparsi
stemma
macchie multicolori che il B. marzocchi, cioè ai leoni dello
di
paragona
ai
(divisa) del
Comune
fiorentino.
79-81. la... divisa: la loro sottigliezza
può non
non
loro e la carpita
essere
precisata;
vi era
alcuna differenza. Sono dunque
fra
Ritorna di nuovo la parodia del dantesco. Si sta compiendo la discesa nella città di Dite abitata dalle cimici e dagli altri parassiti. viene condotto al 82. a perder... vita: 82-87.
dell’altro:
togliere,
nudo
71-75. famigli: servitori, a
grossi e ruvidi.
64. In questo: frattanto.
68. tór:
destro rimane
solenne
stile
supplizio. 83.
s’intertiene, ecc.:
quanto piu può.
cerca di indugiare
^
Poesia minore del Cinquecento.
425
“
io schifando queirorrendo lezzo:
tal
pur fu forza
mi
e cosi
O
Teatro
Il
gran
il
calice inghiottirsi,
trovai nel letto al rezzo.
Muse, o Febo, o Bacco, o Agatirsi,
correte qua, che cosa
si
crudele
senza l’aiuto vostro non può narrate voi
le
*
dirsi;
dure mie querele,
raccontate l’abisso che s’aperse
fumo
poi che
levate le candele.
Non menò
tanta gente in Grecia Serse né tanto il popol fu de’ Mirmidoni, quanta sopra di me se ne scoperse:
una turba crudel
di cimicioni,
dalla qual, poveretto, io
alternando a
Il
me
^
stesso
i
mi
schermia,
mostaccioni...
teatro
Angelo Beolco, detto Scarsissime
il
Ruzzante
abbiamo
notizie
sulla
del
vita
padovano Angelo Beolco
maggiori commediografi del nostro Cinquecento. Fu autore e attore delle sue opere, e venne chiamato Ruzzante dal nome del iuo personaggio piu celebre. Ebbe, a quanto sembra, una certa cultura let-
uno
(i502-’42),
teraria,
ma
dei
essa gli servi a ritrovare se stesso, la propria ispirazione originale
e genuina, lontano dai
modi
consueti del letteratissimo e raffinatissimo Cin-
quecento. Scrittore dotato di gusto spontaneo e nativo per
donò
la
minuziosa regolamentazione
il
abban-
teatro,
dei generi letteraria essa
classicistica
appare soltanto in alcune sue opere di minor valore, non nelle sue combelle, la Moschetta e la Fiorina e neppure nelle sue creazioni
medie piu
86.
il
gran calice: Tamaro
scesa sotto 87.
al
i
rezzo: forse «
vale propriamente 88.
O
calice è la di-
sudici Icnzuoli.
:
al
buio »
{al
rezzo
Invoca
le
Muse,
Apollo e Bacco come ispiratori del suo canto, e vi aggiunge gli Agatirsi, antica popolazione sarmadca che usava tatuarsi. Il tatuaggio gli sarà praticato, come dice nel resto del capitolo,
91. querele: 92. r abisso 94. Serse:
« al fresco »).
Mose... Agatirsi:
dell’ampio periodo.
lennità
dai vari parassiti.
I
vv.
88-93 hanno notevole efficacia comica, per quel loro richiamarsi alle invocazioni alla Musa proprie dei poemi epici e per la so-
lamenti. :
il
baratro doloroso.
re dei Persiani, invase con
uno
Grecia, nel 480 a. C. le genti sulle quali regna95. Mirmidoni va Achille. Il paragone è molto calzante,
smisurato esercito
la
:
perché,
secondo
la
mitologia,
dalle formiche, insetti,
erano
come sono
cimici che assaltano crudelmente
il
nati
insetti le
poeta.
mostaccioni: Dandomi gran colpi su tutta la persona ora con una mano ora con l’altra, mostaccioni: schiaffi. 99.
alternando...
Antologia della letteratura italiana
^^26
più originali,
i
Dialoghi^ composizioni drammatiche scritte in pavano, cioè
i quali sono i suoi capolavori, il Bilora e il Reduce {Parlamento de Ruzante che jera vegnù da campo). La scelta del dialetto rispondeva pienamente all’ispirazione del Ruzzante, intesa a rappresentare la figura del contadino, il suo mondo immediato,
padovano
in
istintivo,
la
rustico, fra
sua miseria squallida che lo riduce a una vita fatta di espe-
rienze psicologiche e di passioni elementari.
appare veramente modulata sulla segue
pause,
le
che è
siero, e
gli la
sbandamenti,
segreta
sintassi
i
mimica
La prosa dialettale dei Dialoghi un discorso intcriore, « che
di
grovigli di cervelli cauti
o
lenti al pen-
dei personaggi stessi, gente grossa c im-
o diffidente astuta e guardinga » (Grabher). Pur mettendo a nudo la miseria delle classi contadine, il Ruzzante non ha intenti di critica sociale, e neppure un sentimento doloroso della realtà. pacciata,
È
il
suo istinto d’artista che lo porta a evadere dalla letteratura accademica, un contatto più fresco e immediato, ma non problematico, con la La sua poetica accetta il canone rinascimentale dell’arte come imita-
a cercare vita.
zione della natura; però egli ricerca questa natura, a differenza di molti scrittori del
stocratica
contadini.
Cinquecento, non in una raffigurazione individualistica e
dell’uomo, Il
ma
suo realismo
diane, gli oscuri
drammi
nella si
limita a lasciar parlare
le
cose umili e quoti-
non più
degli umili, che appaiono, nei Dialoghi,
soltanto materia di caricatura e di riso per la loro grossolanità
genere, nella
commedia cinquecentesca
ari-
elementare e incoercibile dei suoi
vitalità
— ma
—
come, in
nella realtà grottesca e spesso
dolorosa della loro esistenza. Riportiamo il testo e la traduzione dal volume cura di G. A. Cibotto, Milano, Longanesi, 1958.
Dal
«
Parlamento de Ruzante che
jera
delle
Commedie
del
Ruzzante a
vegnù da campo »
Questo dialogo {Discorso di Ruzzante che era ritornato dalla guerra) racconta storia tristemente attuale nell’Italia sconvolta dalla guerra nel primo Cinquecento, c non solo in quell’età: quella del contadino, che la miseria ha spinto
una
a diventare soldato, a combattere e che lo interessa soltanto
una guerra di cui ignora
come un mezzo
le
cause e le ragioni, grama e
per evadere dalla sua vita
povero di prima, atterrito dagli spaventi passati, e sua donna, vivere in pace con lei. Ma ella, vedendo che non ha fatto fortuna, gli rinfaccia la sua miseria, rifiuta di ricongiungersi a lui, e lo fa bastonare da un suo innamorato, che non è amato da lei più di Ruzzante, ma è, a differenza di lui, in grado di nutrirla. Come nel Bilora, la miseria e far fortuna. Ritorna ora, più
vorrebbe ritrovare
la
fame dominano
e dura,
che non
si
la
le
reazioni psicologiche dei personaggi:
sono una realtà nuda
discute.
C’è, nel dialogo, l’elemento farsesco: le comiche smargiassate di Ruzzante, che presenta all’amico come una sorta d’eroismo la sua solenne vigliaccheria nella guerra, e più tardi, dopo la bastonatura subita pavidamente, il suo sognare, appena il rivale s’è allontanato, impossibili rivincite. Ma è lontano dall’autore ogni
Poesia minore del Cincjuecento
intento di facile comicità.
La
.
Il
Teatro
questo
di
storia
427
schernito e di miseria, è piena di umanità tristemente grottesca.
fallilo,
amara
di
fatta
e dolente,
amore
paura, di
comica
insieme,
e,
Dalla Scena prima: Ruzzante e Menato.
mè
Menato. Ruzante.
nenguna scalmaruza, caro compare^ an.? Poh, mo CUSSI no ghe fossio sto. No perché gh’abi habu paura, ne male, intendivu compare Mo perché i nuostri se laghé rompere; quigi che giera denanzo, ché mi giera de drio de cao de squara, de caporale; e igi muzé, e sconvigni muzare an mi da valent’omo. Un solo c^tra tanti, intendivu com a dighe, compare, chi ghe durerae.»^ A coursi d’un bel cèrere, e si, haea quela mia bela storta che a sai,
Menato.
Mo
Ruzante.
Oh
Sìu
e
SI
no
a la
^
in
sto
trié vie,
che
la scoerae per tri tron.^
perché, cancaro, la trièssivu via?
compare, esser
se foessé sto
menciuni, ve
on son
sé dire.
stato io mi;
A
trié
el
besogna
via la storta perché
no puossi pi muzare, a me smissié con igi; e no ha de quell’arme, azò che i no me cognosesse, a la trié via mi. E perché no se tira a dar cussi a uno che no ha arme... intendivu com a dighe, compare Gli uomini senza arme fa pecò e piaté, intendivu?
quando
perché
a
igi
.f-
A intendo per ^erto, ma de la erose, com fiéssivu? Mo compare, la mia erose giera, da un lò rossa, e da
Menato. Ruzante.
^
l’al-
Babao, no besogna esser menciuni, ve sé dire, a son fato scaltrio. Da quela volta indrio, co i nostri giera a le man, a stasea, ve sé tro bianca;
e
mi de
fato a la voltié.
dire in su l’ale, cussi... intendivu?
Menato. Ruzante.
Mo,
s’a
intendo, a pensavi da che lò muzare. tanto, com a fasea per salvarme,
no per muzare tendivu? Perché un
Si:
com a sai. Quando a
Menato.
no pò
solo
caro compare, disivu
«
:
Oh,
posta, pian? Disi pur caro
Oh
Ruzante.
I.
compare,
Menato vuol sapere
se
a
poi
l’amico s’è mai
la
sua partecipazione, fatta
spavento,
alla
battaglia
di
della
fòssio a cà ?
»
compare: agnò
dire
se a foessé stò
trovato in qualche battaglia. Ruzzante rie-
voca allora fuga e di
gnentc contra
qualche scalmaruza, disime a
gieri in
tendivu compare?
far
com
on son
la
in-
tanti,
reale,
Cussi a vuostra
muò
co mi;
m-
a voli. stato io mi, haesse fato
Ghiaradadda. tron: troni, moneta veneta. La croce era il segno impresso divisa dell’esercito veneziano. 2.
3.
sulla
428
Antologia della letteratura italiana
an
de quatro de g’invò. Cre cnu che supia a essere in
pi
quel paese? che no
cognossi negun, te no sé onde anare,
te
amaza, amaza, daghe!
e te vi tanta zente che dise «
»
Tre-
qualche to compagno muorto amazò, e quel’altro amazarte ape. E con te vuò muzare, ferze,
sciopiti,
lari,
te vé in
e
vi
te
uno che muza darghe un
gi anemisi, e
ti
A
ve dighe che
sciopeto
mete muzare. Quante fié criu che a m’ he fato da muorto, e si me he lago passare per adosso i cavagi? A no me sarae in la schina.
moesto, ch’i ve dighe dere
le
Mo Lè a
metu
haesse
verité mi, e
si
el
me
in gran cuore chi se
monte Venda
Gnua
A
e detti.
compare, che
vila
A
eia per ^erto.
ven.
la
La
veeri se la
è eia, a la fé.
me
farà careze. Olà, olà,
dighe mi... Oh, compagnessa...
chi
adosso.
pare che chi se sa defen-
so vita, quelli sea valcnt’omo.
la
Dalla Scena seconda:
Menato. Ruzante.
me
l’è
Tu no me
vi?
A
son pur vegnu.
Gnua.
Gnua.
Ruzante? situ ti? ti è vivo ampò? Ti è sbrendoloso, ti he SI mala giera. Te n’he guagnò gniente, n’è vero? Mo n’hegi guagnò cssé per ti sa t’he portò il corbame vivo? Poh, corbame, te m’he ben passu. A vorae che te i m’haissi
Ruzante.
Mo
Ruzante.
pigio qualche gonela per mi. n’è miegio ch’a supia tornò san de tutti
com Gnua.
A
i
miè Umbri
a son?
vorae che te
me
qualche consa.
haissi pigiò
Mo
a vuogio
anare, ch’a son spità.
Ruzante.
Gnua.
Mo Mo
aspita
Lagame Ruzante.
Oh
un può.
che vuotu che faghe chi,
cancaro a quanto amore
sto anare a
Gnua.
Mo te
Ruzante.
te
el
fa
t’he zà fato
ben com a
Gnua.
n’he gnente de far de mi?
mé. Te te vuò vegnu de campo per
te portié
a son
si
si
pre-
véerte.
A
no vorae, a dirte el vero, che deruinessi: ch’a he uno che me fa del bon ben mi. cata miga agno di de ste venture.
se
Poh,
no
imbusare, e
no m’hetu vezua?
me
No
s’te
anare.
te
de bel ben.
mè
Mo
Gnua.
Che me
SI,
che a no fa
a
te
l’è
te sé.
pur fato an El no
te
mi...
A
vuol zà tanto
vuogio mi.
Ruzante, setu chi
Ruzante.
A
com
male,
me
vuòl ben, chi m’el mostra.
te l’he
mi che
te
mostrò?
me
l’habi
mostrò, e che
te
no
Poesia minore del Cinquecento.
m’el
Il
Teatro
429
mostrare adesso,
puossi
No
che adesso a he anche de
magna? S’el me bastasse un pasto a l’ano, te porissi dire; mo al besogna ch’a magne agno di, e perzò besognerae che te me’l poissi mobesogno.
strare
Ruzante.
Poh,
Mo
anche adesso, che adesso a he de besogno. dé pur fare deferinzia da omo a omo. Mi, com a son omo da ben e omo compio...
al
gh’è an deferinzia da star ben a star male. Aldi,
Ruzante: che
me
ch’a te ch’a te
Gnua.
che
cognoscesse
s’a
A
mi?
fa a
te
me
mantegnire,
poissi
vorrae ben mi, intiénditu?
te
Mo
com
pover’omo, a no te puosso veere. No, vuogia male, mo a vuogio male a la to sagura, vorae veere rico mi, azò che a stassàm ben mi e ti.
a penso che
Ruzante.
di se
el se
te sé,
Gnua
agno
seta che
ti
è
Mo se a son pover’omo, a son almanco leale. Mo che mf fa mi sta to lealté, s’te no me la può
mostrare?
che vuotu darme? qualche piogio an?
Ruzante.
Mo
te sè
pure che
Vuòtu che vaghe gieristu
Gnua.
come
se haesse a te darae,
robare e farme
a
te
he za dò.
me
apicare?
conse-
mo?
Mo vuòtu ch’a viva de àgiere? e che a staghe a to speranza? e che a muora de fame? Te n’iè tropo bon compagno, a la fé, Ruzante.
Dalla Scena prima: Ruzzante e Menato.
Menato.
Siete
Ruzzante.
compare ? Oh non ci
mai entrato
forse
fossi
mai
in
stato.
tendetemi, compare,
ma
tere in rotta, e quelli
qualche combattimento,
Non
per la paura o
perché
i
nostri
si
che stavano davanti
il
caro
male, in
lasciarono met(io ero indietro
come caposquadra, caporale) fuggirono, sicché dovetti scappare anch’ io, nonostante il mio coraggio. Uno solo contro che dico, compare, come potrebbe regambe levate, e buttai via quella belconoscete. Ora la ricomprerei per tre troni.
tanti, intendete quello
sistere? Perciò corsi a la
Menato. Ruzzante.
spada che voi
Ma Oh
perché canchero la buttaste via? compare, se foste capitato dove sono finito io! Bisogna non essere minchioni, ve l’assicuro. Gettai via la spada perché vedendo di non poter più scappare, mi mescolai fra i nemici. Siccome non portano armi di quel tipo, per non
farmi riconoscere è disarmato,
mi
la
buttai
capite,
fanno solamente pena e
via.
Non
si
può
colpire
chi
compare? Gli uomini senza armi pietà,
capite?
Antologia della letteratura italiana
430
Menato. Ruzzante.
Comprendo
Oh
Ma
bene.
compare, siccome
della la
croce che ne avete fatto?
mia croce era
e bianca dall’altra, l’ho subito girata.
essere
Da
minchioni,
non
figuratevi se
Meìiato.
Ruzzante.
Perbacco,
Ruzzante.
ed
quando
sono diventato furbo. venivano alle mani,
io
nostri
i
mi
tagliavo la corda. Cosi...
capite...
Pensavate
da quale parte fuggire. Sicuro: ma non tanto per fuggire, quanto per mettermi in salvo, capite? Perché uno solo non può fare nulla contro
Menato.
ripeto,
vi
quella volta in poi,
rossa da una parte Babao, non bisogna
Ma
intendo.
se
come
tanti,
quando
sapete bene.
eravate
qualche
in
compare, non esclamavate mai
mia
»,
cosi,
via,
che in ogni
sottovoce?
voi
di
tra
modo con me
ditemi
scaramuccia,
verità,
:
«
Oh
fossi
Confessatelo,
la
casa
a
compare,
potete parlare liberamente.
Oh
compare, se foste stato dove sono stato io, avreste fatto che i voti... Cosa credete che sia il trovarsi in un luogo dove non conosci nessuno, non sai dove andare, e senti dappertutto la massa che urla « ammazza, ammazza, dagli addosso » ? E artiglierie, schioppi, frecce, mentre da una parte vedi un tuo compagno ucciso, e dall’altra uno altro
lo
ai piedi. E poi quando vuoi fuggire, cadi in nemici che sparano nella schiena ai fuggitivi. Te dico io, ci vuole un gran coraggio a decidersi a fuggire.
E
quante volte credete che non abbia finto di essere morto,
cadérti
morto
mezzo
ai
lasciandomi passare sul corpo persino
nemmeno
spostato
Venda. Vi dico
gamba
Cnua
proprio
parlo con
Gnua.
la verità
Ora
a
me
lei.
te...
Oh
sta
venendo.
pare che
sia
il
sarei
monte
un uomo
in
per
te
È
lei,
per davvero.
non mi abbraccerà. Olà, olà, compagnona, non mi vedi, non mi vedi?
Sono tornato finalmente. Ruzzante? Sei tu? Ma sei vivo
Ma
Non mi
cavalli?
vedrete se
ciato e di brutta cera.
Ruzzante.
:
i
messo sopra
avessero
e detti.
Guarda, compare,
È
mi
chi sa difendere la sua vita.
Dalla Scena seconda:
Menato. Ruzzante.
se
Non
allora?
Ma
come
sei
strac-
hai guadagnato niente, vero?
non ho guadagnato abbastanza
riportandoti
a
casa la pellaccia?
Mi
hai ben ingrassata. Vorrei che tu
Gnua.
Perdiana,
Ruzzante.
avessi portato qualche vestito. Ma non è forse meglio che io
membra
la
pelle...
a posto?
sia
tornato con tutte
le
mie
Poesia minore del Cinquecento.
Gnua.
mi
'Vorrei che tu
Teatro
Il
43
Ma
ora voglio
nulla
da darmi.
portato qualcosa.
avessi
andare, perché sono attesa.
Ruzzante.
Aspetta almeno
Gnua.
Ma
un momento. rimanga
cosa vuoi che
non hai
se
Lasciami andare.
Ruzzante.
Oh
canchero a tutto l’amore che
subito ad imbucarti, e
campo proprio
dal
Gnua.
Non mi
ho
ti
non pensi
portato.
affatto che
per vederti.
hai ancora
Non
vista.?
vorrei, a dirti
Non
fa del bene.
il
vero, che
ho trovato uno che
venissi a rovinarmi, giusto adesso che
mi
Vuoi andare
sono ritornato
s’incontrano tutti
i
giorni fortune del
genere...
Ruzzante.
Oh,
un gr^n
fa
ti
Te Tho
bene...
credere che
Gnua.
Ruzzante,
Ruzzante.
Ma
Gnua.
ti
ami come
sai chi
come, e non
Che
interessa a
pur fatto
come
credo d’averti mai fatto del male,
ho amata
ti
sai.
me
Non
io.
mi vuole bene? Chi me te l’ho
anch’io...
Anzi non posso
lo
dimostra.
dimostrato?
che tu l’abbia mostrato e non possa più
mostrarmelo adesso? Anche adesso ne ho bisogno. Non sai che bisogna mangiare ogni giorno? Se bastasse un pasto all’anno, potresti parlare, ma invece devo mettere qualcosa sotto
denti tutti
i
i
giorni. Perciò
tuo affetto dovresti
il
di-
mostrarmelo adesso, perché proprio in questo momento mi è necessario.
ma
Ruzzante. Perdiana,
come Gnua.
Ma
sai
c’è
si
deve fare differenza da uom.o a uomo. uomo dabbene e compito.
pure una bella differenza fra
male. Ascoltami, Ruzzante tenere, che
ti
lo star
se vedessi
:
m’importerebbe? Ti vorrei
quando vedo che che
Io,
bene, sono
voglia male
sei
ma
povero, non
odio
la
ti
bene e
lo star
che tu mi puoi manbene, mi capisci. Ma
posso sopportare.
Non
tua miseria, la tua condizione
disgraziata. Desidererei vederti ricco, in
modo da
vivere bene
entrambi.
Ruzzante.
Gnua.
Ma
se
E
che
sono povero, sono almeno
me
ne faccio della tua
leale.
lealtà, se
non puoi dimostrar-
mela? Che cosa vuoi darmi, qualche pidocchio forse? Ruzzante. Ma sai bene che se possedessi ti darei come in passato. Vuoi forse che vada a rubare per farmi impiccare? Mi consiglieresti in
Gnua.
E E
questo
modo?
tu vuoi che io viva d’aria?
che intanto muoia di gno generoso. Ruzzante.
E
che
stia
a sperare su di ter
fame? Davvero non
sei
un compa-
declino del Rinascimento:
Il
l’
età della
Controriforma
Caratteri generali
Rinascimento e Controriforma. La grande fioritura letteraria rinascimentale si svolge soprattutto nei primi decenni del Cinquecento c si può considerare sostanzialmente conclusa ai primordi del pontificato di Paolo IV (1555). Gli ultimi decenni del secolo sono caratterizzati da un processa di esaurimento delle forme rinascimentali, da una lenta trasformazione che conduce alle soglie della nuova civiltà barocca del secolo XVII. Questi decenni sono dominati dalla Controriforma cattolica, che^ informa di sé le attività pratiche e anche la cultura. Rappresentò essa innanzitutto r esigenza di un rinnovamento della Chiesa nello spirito e nella struttura, onde farla sopravvivere al poderoso assalto della Riforma protestante. Ma dopo il concilio di Trento, che portò a una sistemazione del suo contenuto dogmatico e della disciplina della sua gerarchia, la Chiesa passò al contrattacco, sia rivolgendosi con ardore missionario alla conquista spirituale dei territori extraeuropei, sia tolica
un rinnovato ardore morale
cercando di ridestare
nell’
Eùropa
cat-
e religioso.
Quest’opera di difesa e restaurazione ebbe carattere essenzialmente conservatore, di
fu soprattutto l’imposizione di una pratica disciplina di vita e
costume. Timorosa del pericolo sempre incombente della Riforma,
la
Chiesa cercò di frenare ogni manifestazione di libero pensiero, o per lo
meno
di ricondurlo entro
i
temiini di un’ortodossia rigorosa, ricorrendo
al
tribunale dell’ Inquisizione e all’aiuto del braccio secolare, cioè del potere politico,
come
testanti.
Un
del resto avveniva, in questo tempo, anche nei paesi prodoppio autoritarismo, religioso e politico, gravò per molti decenni sull’ Europa, segnando il temporaneo declino dello spirito di tolleranza, di libera e spregiudicata ricerca che era stata la manifestazione piu significativa della civiltà rinascimentale.
In del
uomini di cultura
Italia gli
nuovo clima
per convenienza,
si
piegarono, generalmente, alle esigenze
di austerità controriformistica,
ma non
molto spesso per calcolo e
soltanto per questo. Infatti in un’ Italia umiliata
e preda del predominio spagnuolo, la Chiesa rappresentava in qualche
una ragione d’orgoglio ciliarsi
con
la
cultura
visione religiosa,
modo
e dignità nazionale, e d’altra parte, essa cercò di con-
umanistica,
come aveva
sia
pure inquadrandola in una solida
cercato di fare anche nel passato.
Rinascimento: Veta della Controriforma
de^clino del
lì
In realtà,
rinascimentale italiana aveva ormai perduto ogni si stava adagiando in uno stanco ideale di
civiltà
la
433
virtù creatrice ed espansiva e
decoro formale, in una concezione della vita volta soprattutto
Ogni
piacere e dell’utile individuale.
alla ricerca del
autentico interesse ed entusiasmo
mo-
erano ormai tramontati, insieme col crollo della libertà italiana e delle idealità ad essa legate. Anche l’arte si distaccava sempre più dalla sorgente viva della coscienza, raggelandosi in un classicismo formale, fondato su una minuta e pedante precettistica. Era l’estrema parabola discendente del sogno di una vita perfetta e di un’arte perfetta, che avevano cercato di realizzarsi nell’aristocratico ambiente della corte, staccandosi, però, nel contempo, da ogni serio impegno con la realtà. La letteratura era ormai legata all’accademia, cioè a una ristretta minoranza intellettuale, che non era riuscita né lo aveva voluto a diffondere gli ideali rinascimentali fra il popolo, a far si che essi trovassero una concreta attuazione nella sostanza della vita collettiva. Si veniva cosi a sancire il trionfo della forma sul contenuto, rale
—
—
dell’eleganza raffinata sull’intima verità.
Su
di
anche
società
ormai scettica e stanca, la Chiesa potè esercitare quanto si sforzava di restaurare un senso di mo-
di religioso entusiasmo,
ralità e
Vero
di responsabilità nei confronti della vita.
però, che questo risveglio religioso
è,
attuò solo parzialmente,
si
e,
impedivano realizzasse un intimo rinnovamento, magari attraverso una crisi pro-
d’altra
che
una
influssi positivi, in
parte,
si
limitazioni
le
imposte
alla
libertà
di
pensiero
fonda e sconvolgente della coscienza. Anche qui l’azione della Controriforma fu troppo limitata a esigenze immediatamente pratico-organizzative. Peraltro,
la
rinnovata religiosità riportava nelle coscienze
peccato, del limite
umano, tanto più
sentito in
concreto di una disfatta e della conseguente
incrinavano gravemente
litica,
di insicurezza, di fragilità
soggetto
la fiducia
domina
la
un momento
si
il
senso
economica, po-
Un
rinascimentale nella vita.
nuova visione dell’uomo, che
flusso alterno e cieco della fortuna.
al
già apparso nel Guicciardini,
spirituale,
crisi
senso del
il
in cui
È un motivo
senso
è sentito
questo che,
approfondisce drammaticamente nel Tasso,
per trapassare nella civiltà barocca del Seicento.
La
letteratura
è caratterizzata in
dell’età
della
Controriforma. La letteratura di quest’età raffinata elaborazione for-
primo luogo da un’estrema e
male, che spesso diventa fine a se giustificare
stessa.
A
ciò s’aggiunge la tendenza a
propria opera mediante trattati di
arte
poetica,
nei
quali,
cerca di dimostrare la piena regolarità dell’opera stessa, secondo precetti arbitrariamente desunti dalla Poetica di Aristotele, si esprime an-
mentre i
la
si
che un senso di fastidio verso al dilettoso,
le
un bisogno, per quanto
regole,
l’irrequieta
nuovo, elemento proposito moraleg-
tendenza
al
esteriore, di originalità. Altro
(anch’esso intimamente contraddittorio) è il giante, in ossequio alla Controriforma, unito alla preoccupazione del parlare
essenziale
norme morali. Si tratta però quasi sempre di prevale, in realtà, un’ispirazione sensuale e lasciva, religioso, che esprime una civiltà decadente, frutto di
ortodosso e del rispetto delle
un ossequio sotto
il
esteriore:
conformismo
spiriti oziosi
e stanchi, generalmente inclini all’ipocrisia e al
compromesso.
Antologia della letteratura italiana
434
Autore rappresentativo dell’epoca
è
il
al
comporre de
poema scrisse
Giambattista
ferrarese
Cinzio, teorico di poetica e scrittore. Celebri furono
Giraldi
suo Discorso intorno
il
romanzi (1554) dove cercava
classico e
di conciliare le regole del tradizione cavalleresca (e in appoggio alla sua teoria
la
un poema, VErcole\
e
il
Discorso sulle Comedie e sulle Tragedie
(1543), dove sostenne che la tragedia deve ottenere sugli spettatori. Ispirate a questi principi, a un
un
effetto tragico intenso
gusto dell’orrido e dell’atroce sono le sue tragedie, fra le quali ricordiamo 1 Orbecche (1541), che ebbero peraltro notevole influenza sul teatro europeo. Il Giraldi fu anche scrittore di novelle, che raccolse negli Ecatommiti (1565) e che propendono, sull’esempio del Randello, a una narrazione ricca di elementi drammatici ’
e romanzeschi.
Meno estesa ma artisticamente piu viva è l’opera del Guarini, di cui parliamo a parte, che esprime la vena idillico-sensuale allora dominante. In Torquato Tasso il dissidio culturale e letterario di quest’età assumerà un più profondo e drammatico carattere interiore, e assurgerà a una nuova, altissima e personale poesia.
un
A
parte considereremo Giordano Bruno,
filosofo e poeta nel quale la crisi del pensiero rinascimentale
nell’esigenza di
una nuova sistemazione
filosofica e
umana,
a ogni conformismo, nello slancio eroico dell’animo verso
quale seppe sacrificare
La
trattatistica
in
si
risolse
una
rivolta
una
verità alla
la vita.
politica.
Continuò per tutto
il
secolo l’appassionata di-
sputa sulla nuova scienza scoperta dal Machiavelli, assolutismo rivelava l’esattezza e
la
la politica.
Il
trionfante
validità delle spietate diagnosi machia-
come potenza autonoma e accentratrice; ma d’altra parte Controriforma faceva sentire in tutta la sua gravità e urgenza il problema del necessario rapporto fra politica e morale. I politici dell’ultimo velliane sullo stato
la
Cinquecento e del Seicento ricercarono la possibilità di una conciliazione, partendo però da un’analisi spregiudicata dell’assolutismo. Non potendo rifarsi alle pagine del Machiavelli, esecrato e scomunicato, ricorsero all’espediente del tachismo ripeterono, cioè, le più ardite e spregiudicate analisi del fiorentino, affermando di desumerle dal testo di un grande storico latino. Tacito. Tacitismo ed esigenze controriformistiche ispirano le pagine dei migliori storici del tempo; ricordiamo fra essi i fiorentini Benedetto Varchi (1503-65) e Bernardo Segni (1504-58) e il veneziano Paolo Paruta (1540-98). Il più importante teorico della politica fu il piemontese Giovanni Boterò :
(1544-1617).
La sua opera più
celebre,
nella
quale è notevole
di conciliazione fra la sfera politica e quella etico-religiosa, fu
di stato (1589). In essa è implicito
il
il
il
tentativo
Della Ragion
concetto che lo stato, per
la
sua alta
funzione, ha una sua superiore « ragione », una legge e diritti superiori a quelli della moralità individuale. Su questa via, i teorici del tardo Cinquecento e del primo Seicento oscillarono fra una sofferta esigenza morale e
una spregiudicata
giustificazione dell’assolutismo.
Il
declino del Rinascimento: Vetà della Controriforma
435
Battista Guarini Battista Guarini nacque a Ferrara nel 1538, fu professore d’eloquenza Padova e poi cortigiano al servizio^ di Alfonso II d’ Este, del granduca di Toscana e di Francesco Maria della Rovere; morì a Venezia nel 1612. Fu apprezzato scrittore e letterato colto e raffinatissimo, compose trattati politici e letterari, una commedia, numerose rime. Il suo capolavoro è il Pastor fidoy un dramma pastorale pubblicato nel 1590 dopo un decennio
a
di intenso lavoro. Il
dramma
un genere
pastorale è
anche
se riprende
colica
e,
letterario tipicamente cinquecentesco,
forme e motivi dalla tradizione secolare della poesia bupiu direttamente, dall’ Orfeo del Poliziano. Esprime un mondo
di elegante e aggraziata fantasia, caro agli ambienti aristocratici della corte:
una vita semplice e serena e dominata dal-come sentimento elementare, tenero e struggente.
quello dei pastori, immersi in l’amore,
rappresentato
È un mondo comunque,
Ma
licati.
di
che ignora
in si
A
di
favola,
travagli veri della vita, o
i
vagheggiamento
nel
non
di società,
li
dissolve,
sentimenti de-
di un’effettiva nostalgia spirituale.
differenza dcìV Aminta del Tasso, nel quale sentiremo palpitare l’auten-
commozione
del poeta,
il
Pastor fido è del tutto immerso in questa
raffinata atmosfera cortigiana, e la riflette
in
di
troppo agghindati e compiaciuti,
tratta di favole e sentimenti
un divertimento
tica
contrasti e
i
un alone
una costante
anche nell’elaboratissima
struttura,
ricerca di eleganza e di grazia decorativa, nella sua stessa
complicata trama, che si distende in un prologo e in cinque atti. Mirtillo, il pastor fìdoj ama, riamato, Amarilli, che, però, è destinata come sposa al figlio del sacerdote
r amore.
Montano,
È un matrimonio
Silvio, dedito alla caccia e spregiatore del-
richiesto dalla « ragion di stato »
l’unione di due giovani di stirpe divina placare
l’ira
concepita da Diana contro
il
(tali
loro popolo.
cinica e sensuale, innamorata di Silvio, ordisce in
modo
le
infatti soltanto
Ma
Corisca,
un inganno contro
che essa viene accusata falsamente d’ infedeltà
condannata, secondo
:
sono Amarilli e Silvio) potrà
al
una ninfa Amarilli,
promesso sposo e
dure leggi d’ Arcadia, a morte. Mirtillo si offre allora quando giunge Carino,
di morire in sua vece, e sta per essere sacrificato
momento suo padre, e rivela che egli è figlio, in realtà, quindi, di stirpe divina. Mirtillo e Amarilli possono cosi
creduto fino a quel di
Montano,
sposarsi.
e,
Corisca
si
pente,
e,
perché nulla manchi
Silvio cede finalmente alla dolcezza d’
alla
festa
finale,
anche
amore e sposa Dorinda.
Il Pastor fido, nelle intenzioni e nella struttura esprime chiaramente preoccupazioni letterarie del tardo Rinascimento e gli scrupoli morali dell’ età della Controriforma. Da un lato è infatti evidente l’ intendimento
le
dell’ la
autore di fare opera letterariamente perfetta, mescolando la gravità e
serietà della
tragedia alla piacevolezza,
all’
allegria e al lieto fine della
commedia. Egli anzi scrisse il ponderoso Compendio della poesia tragicomica (1601) per difendere in ogni parte la sua opera e dimostrarne la perfetta regolarità secondo le poetiche. Nello stesso tempo si sforzò, anche se non molto felicemente, di dare alla vicenda un significato moraleggiante.
^
Antologia della letteratura italiana
^36 esaltando,
sì,
1’
amore,
ma
quello che
conclude nel matrimonio legittimo.
si
un coro òcWAmintay aveva
Tasso, in
Il
cantato
dell’oro
l’età
come
un’età
dominata dall’immediato c pieno soddisfacimento della gioia dei sensi, non turbato dai divieti della morale; il Guarini gli contrappone polemicamente un altro coro, in cui afferma come ideale un’ armonica e spontanea concordia di moralità c piacere sensibile.
In realtà
modo
assai
il
moralismo del Guarini
maldestro
la
volta a vagheggiare
un beato c
dai
coscienza,
contrasti
della
è del tutto convenzionale e vela in
sua vera ispirazione, che è sensuale e voluttuosa,
mondo
raffinato
da ogni
di sogno, del tutto lontano
impegno
serio
confronti della
nei
realtà. Il
Pastor fido preannuncia temi e forme della nostra poesia secentesca, la sensualità diffusa che lo pervade, sia per l’estrema raffinatezza
per
sia
e
critica
colori e
dello
artificiosità la
pompa
stile,
sia
immagini,
delle
molte sue parti, nelle quali
la
per
compiaciuta magnificenza dei
la
per
sia
gusto cantabile e canoro di
il
parola tende a risolversi in una carezzevole
e studiatissima sonorità.
Per
UTET,
il
testo,
Dimmi: Il
abbiamo seguito:
B.
Guarini,
Opere
cura
a
di
L.
Passò,
Torino,
1950.
se ’n questa
si
ridente e vaga
vecchio servo Lineo cerca di persuadere Silvio, cacciatore giovinetto che ad abbandonarsi anch’ egli alla dolcezza soave di questo l’ amore,
dispregia
sentimento. effusione
Il
discorso del servo comincia lento e grave,
lirica,
gente. Essa
si
ma
.
diviene ben presto
carica di sentimentale languore, di una sensualità tenera e strugdiffonde su tutta la natura, che appare intimamente pervasa da
un’ansia intensa di voluttà, da una suggestione erotica, appena velata dal poeta
con una grazia il
Puoi vedere nel passo anche
artificiosa.
valore logico e affettivo della parola in
una
fluidità
la tendenza a dissolvere canora che accarezzi gra-
devolmente l’orecchio.
Dimmi:
se *n questa si ridente e
stagion che ’nfìora e rinnovella
il
vaga
mondo,
vedessi, in vece di fiorite piagge,
1
di verdi prati e di vestite selve, starsi
il
pino e l’abete e
’l
faggio e Torno
senza l’usata lor frondosa chioma, senz’erbe
non
2.
i
prati e senza fiori
diresti tu, Silvio:
stagioni è la primavera, la cui evocar
zione, in questi primi versi, è forse la parte
—^
Il
i
poggi,
mondo
langue,
migliore del soliloquio di Lineo. Poi, idillico sfuma in uno sfatto languore.
il
tono
Il
declino del Rinascimento: l’età della Controriforma
la
—
meno
natura vien
437
Or, queU’orrore
?
e quella maraviglia che dovresti di novità
mostruosa avere,
SI
abbila di te stesso.
Il
del n’ha dato
anni conforme, ed a
vita agli
somiglianti costumi: e in canuti pensier
disconvene,
si
d’Amor nemica
gioventù
COSI la
l’etate
come amore
contrasta aL cielo e la natura offende.
Mira d’intorno, Silvio! quanto il mondo ha di vago opra è d’Amore. Amante è il la terra, amante il mare.
e di gentile, cielo,
amante
Quella" che là su miri innanzi a l’alba COSI leggiadra stella,
arde d’amore anch’ella e del suo
figlio
sente le fiamme, ed essa, che ’nnamora,
innamorata splende.
E
questa è forse l’ora
che
le furtive
sue dolcezze e
amante Vedila pur come del caro
Amano le i
per
’l
seno
lassa.
sfavilla e ride.
le selve
aman
mostruose fère;
per Tonde
veloci delfini e Torche gravi.
Quell’ augellin che canta SI
dolcemente e lascivetto vola
or dall’abate
faggio
al
ed or dal faggio s’avesse
direbbe:
umano
— Ardo d’amore, ardo d’amore. —
Mira d’intorno: Comincia di qui
i8.
mirto,
al
spirto
la
piu cantabile del discorso lo vedi dal prevalere dei settenari sugli endecasillabi, da quella grazia stilizzata e languida di madrigale che pervade i versi seguenti. parte
:
20-21.
Amante... mare:
queste ripetizioni più
intensa
di
Il
G. cerca con
parole di creare una
suggestione,
un’ansia
erotica
effusa.
23. stella: è l’astro di Venere. 24. del
cui
strali
suo
non
figlio:
Cupido o Amore,
risparmiavano
neppure
la
un erotismo accentuato dalla musica tenera e lan-
furtive dolcezze, pervase di
sottile,
guida del verso. L’ amante di Venere è Marte. 30. come... ride: per la gioia nata dal piacere soddisfatto. La luminosità chiara, aurorale della stella del mattino, non desta nel poeta un senso di purezza, ma s’ immerge, come ogni altro aspetto della natura, in
i
madre. 28-29.
le
un sensuale abbandono. 33.
r orche
gravi
35. lascivetto: lassa:
Nota soprattutto quel-
:
sono favolosi mostri
marini. Il
G. ha
il
gusto secentesco
di questi diminutivi teneri e svenevoli.
Antologia della letteratura italiana
438
Ma
ben arde nel core
c parla in sua favella SI
che l’intende
Ed il
suo dolce desio.
il
odi appunto, Silvio,
suo dolce desio
che
gli
Mugge
risponde: in
son amorosi
Rugge
il
— Ardo d’amore
mandra
anch’io.
—
l’armento, e que’ muggiti
inviti.
leone al bosco
né quel ruggito è d’ira; cosi'd’amor sospira. Alfine, se
non
ama
ogni cosa
tu, Silvio: e sarà Silvio solo
in ciclo, in terra, c in
anima senza amore.? Deh! lascia ornai le garzon;
folle
mare
selve,
lascia le fèrc,
ed ama.
Giordano Bruno L’ appassionata meditazione di Giordano Bruno
mento ed
si
svolge fra Rinasci-
un duello mortale con l’età controriformistica. C’ è in lui r esaltazione dell’ uomo, della sua capacità spirituale e creativa, di derivazione rinascimentale, e l’ intuizione di un universo infinito, non piu armonicamente concluso e accentrato intorno alla terra, età barocca, attraverso
com’ era
stato considerato dall’ antichità, al Medioevo, al Rinascimento; ed è, quest’ ultima, un’ intuizione che riceverà la propria verifica rigorosa da parte della scienza moderna che nasce, si può dire, proprio nel Seicento. Ma di là dal valore delle sue idee, la figura del Bruno acquista anche un alto significato umano, soprattutto in quella età di moralismo cauteloso, di facile gusto per il compromesso, di scarso slancio creativo del pensiero, per il fervore appassionato col quale egli ricercò la verità, da lui sentita
come
lo scopo
supremo
della vita
umana.
E
per questa verità seppe affron-
con incrollabile decisione le persecuzioni c la morte. Nacque a Nola, nel 1548 ed entrò ancor giovinetto nell’ordine domenicano, ma ben presto rivelò tendenze ribelli ed ereticali. Fuggi dal convento c cominciò un irrequieto pellegrinaggio, a Parigi, a Londra, in tare
42.
il
suo dolce desio
:
1*
amata.
45. Ardo... anch’io: Nuovo compiaciuto particolare di grazia leziosa. La sensualità
prende i colori di un idillio aggraziato, di un morbido sognare, cerca invano di imitare una freschezza vergine di impressioni.
50. cosi... sospira: Il ruggito diventa un sospiro d’anK)rc. È già presente quella ricerca d’ingegnosità, di piccole astuzie letterarie e
d’immagini
strane, inaspettate,
sarà in molti poeti del Seicento.
che
V.
declino del Rinascimento: l’età della Controriforma
439
Germania, venendo a contatto con gli ambienti protestanti luterani e calcombattendo continuamente, e osteggiato da tutti, per difendere
vinistici, le
Rientrato in
proprie originali concezioni filosofiche.
fu arrestato
Italia,
Venezia e consegnato al tribunale della Inquisizione di Roma. Dopo un lungo processo, accompagnato da una prigionia di otto anni, avendo rifiutato di sconfessare le proprie idee, fu condannato come eretico e mori
a :
anno 1600. Bruno fu in primo luogo un
sul rogo r
filosofo, e non è qui il luogo di delineare suo complesso, sistema di pensiero. A noi interessa come scrittore, in quanto espresse le sue concezioni in pagine immaginose e potenti, avvivate Il
il
un’eloquenza
da
appassionata,
fondata
su
di
un linguaggio
colorito
e
immagini e pervaso da un intimo calore poetico. È, la sua, una prosa contraria all’ armonia composta del periodare classicheggiante del Cinquecento, scossa da bagliori improvvisi, da impeti sentimentali e fantastici, da una costante tensione inquieta che sembra preannunciare i modi espressivi di certi scrittori del Seicento. Nel i 58-A
-ì-©mpo
Tasso e
il
suo tempo
La vita del Tasso, dolorosa e raminga, svoltasi quasi tutta sotto il triste segno della sventura e dominata dal fantasma ossessionante della follia, di-
lù
venne ben presto arbitrario pretesto
fili;
gio,
di analisi patologiche.
genio incompreso,
il
Nel
di trasfigurazioni
secolo scorso,
poeta « maledetto
», cioè
i
romanzesche
o,
romantici videro in
peglui
il
incapace di conipfendeirne la grandezza; i positivisti, invece, cercarono di interpretarne la personalità attraverso lo studio clinico della sua follia. Ora è chiaro che uno studio del genere non può certo cogliere quello
grande poesia, espressione anche la trasfigurazione romantica viene a falsare la perwnaKtà del Tasso che, come ogni poeta, va interpretato nel suo tempo, del quale egli visse, con drammatica proche veramente
ci interessa
fondità, gli ideali e Il
del Tasso, cioè la sua
superiore altezza spirituale.
il
Ma
travaglio spirituale.
Tasso partecipa intimamente
alla
ormai
la
propria deH’ctà della Contro-
piena sconfitta sul piano militare, economico e politico, del-
l’Italia, ineluttabile
il
tramonto della sua
(ICJ2
(y.:
C
|Sq
liODC
crisi
riforma. In quest’epoca la civiltà rinascimcntafe, libera, energica, espansiva, appariva irreparabilmente avviata lungo una parabola discendente. Scontata era
ÀKl!
perseguitato dalla società me-
schina,
di un’ autentica,
no
libertà; di
conseguenza
si
spegneva
Torquato Tasso la
447
fiducia rinascimentale nella virtù creatrice dell’uomo e ad essa subentrava
sentimento della precarietà di una vita dominata dalla potenza cieca Dinanzi a questo generale rilassamento degli spiriti, la Controriforma proponeva un rinnovato anelito religioso, come ricerca di una pili profonda giustificazione della vita; ma il tema cristiano della fragilità umana e del peccato si traduceva, almeno inizialmente, in un accorato e il
della fortuna.
in un nuovo motivo di disinganno. Tasso soffre questa crisi con profonda sincerità, ma al tempo stesso cerca' ansiosamente e con fermezza, almeno per un certo tempo, di superarla. Giustamente un critico, il Garetti, afferma che non bisogna conside-
problematico ripiegamento interiore, Il
soltanto l’atto ultimo della resa del poeta quando la sua voce « si confonde e veramente si annulla nei colori grigi del tempo, ma il lungo e generoso periodo della resistenza attiva al disgregarsi di un mondo che pur era sembrato tanto saldo e sicuro di sé ». In questo periodo, che giunge rare
almeno
compimento della Liberata^ moderna ansia religiosa, l’ideale
fino al
sicismo e
dei classici
con
poeta cerca di conciliare
di perfezione e
Questo
la spiritualità cristiana.
è,
dignità
storicamente,
il
clas-
umana
profondo
poema.
significato del suo Il
il
tentativo tassiano di sintesi cerca di attuarsi sullo sfondo delle due
tempo
istituzioni del suo
loro effettivo valore:
Ij^
nelle quali
il
poeta credette fino a illudersi sul
La prima
corte e l’accademia.
cratica accolta di spiriti eletti, di cui
si
era per lui un’aristo-
sentiva chiamato a celebrare le virtù
magnanime,
sollecitandola ad alti ideali e a nobili imprese; l’accademia gli l’insegnamento di un’arte eletta e rara, adatta ad esprimere quel
offriva
nobile ideale di vita. Nell’una e nell’altra bile e sicura,
il
poeta cercava una
norma
sta-
di vita e di arte, atta a rintuzzare le suggestioni dispersive
della sua sensibilità tormentata e a volgerla a
una
solida costruzione
umana
e poetica.
La
prigionia di Sant’Anna e
suo pc>cma segnano
il
malsicura, caratterizzata da italiana,
non era
sioni e
di eroiche
demia
si
Il
polemiche meschine accesesi intorno
una
La
virtù che
irrigidiva in
decisa involuzione,
il
Tasso
le
un complesso
tentativo del Tasso
si
come
tutta
mondo
di
la
soffocava
il
di regole esteriori, in
libero
uno
società
nobili pas-
proponeva. Parallelamente
un formalismo che
al
corte ferrarese, incerta e
certo disposta a fare proprio quel
creazione poetica in
mismo.
le
crollo di questi ideali.
l’acca-
slancio della sterile
confor-
infranse nell’urto contro una società spoglia per lui una sconfitta sul piano poetico (la
dignità e grandezza; e fu Conquistata) c su quello umano.
di
Giungiamo
gli il
cosi all’atmosfera greve e stremata della poesia tassiana deultimi anni. Rinunciando al vagheggiamento di un’ideale corte terrena, Tasso si volge ora a vagheggiare la corte celeste, si rifugia nella devo-
zione cattolica, mortificando l’animo e l’ingegno, dato che rappresentò per lui una interiore e serenatrice conquista,
la religione
ma uno
approdo dell’anima affranta. Dell’ideale eroico resta soltanto r« aspra tragedia dello stato umano», dell’estrema precarietà
il
non
stanco
senso del-
della vita:
il
sentimento che ispira i momenti più alti della poesia religiosa del Tasso. La sua vicenda umana si conclude in una nota di rassegnazione dolente.
Antologia della letteratura italiana
44^
5V in
' ;
un protendersi verso
tutto,
il
cielo
come
verso
un porto
di
pace ma, soprat-
d’oblio.
Per i testi, abbiamo seguito: T. Tasso, Aminta, a cura di B. T. Sozzi, Padova, 1957. T. Tasso, Poesie, a cura di F, Flora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952. T. Tasso, Prose, a cura di F. Flora e E. Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959. T. Tasso, Opere, a cura di B. T. Sozzi, Torino, UTET, 1956. T. Tasso, Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Firenze, 1958. T. Tasso, La Gerusalemme liberata, a cura di L. Garetti, Milano, Mondadori, 1957.
L’Aminta primo
Il
maturo
frutto
della poesia tassiana,
dopo
il
Rinaldo, che serba
ancora un carattere di presentimento e di vigilia poetica, è V Aminta, un
dramma
pastorale, composto nel 1573 e rappresentato quello stesso anno, durante una festa di corte, nell’isoletta di Belvedere sul Po. Il dramma pastorale aveva il suo lontano antecedente nella poesia bucolica dei classici, costantemente rinverdita da una secolare fortuna e svolta poi in forma di rappresentazione drammatica dal Poliziano col suo Orfeo. Nel Cinquecento,
era stato
dare
il
un genere particolarmente apprezzato e
Tirsi del Castiglione e la
Canace
coltivato: basti qui ricor-
dello Speroni, che
avevano avuto
un lusinghiero successo. Aminta è diviso in cinque atti, inframmezzati da cori e intermezzi, preceduti da un prologo e conclusi da un epilogo; è scritto in versi ende-
U
casillabi e settenari liberamente alternati,
con
la
prevalenza dei primi nelle
Nel prologo. madre Venere, manifesta il proposito per ferire il cuore di una Ninfa, ancora
parti narrative, dei secondi in quelle piu propriamente liriche.
Amore, sfuggito
alla
vigilanza della
di rifugiarsi fra gli ingenui pastori, ribelle alla
sua legge, Silvia, sorda dinanzi all’amore appassionato del pa-
store Arhinta.
primo
Il
atto ci presenta separatamente
due giovani, a
i
col-
loquio coi loro maturi confidenti, Dafne e Tirsi. Dafne esorta Silvia, invano, a cedere alle dolci gioie dell’amore.
Aminta
rivela
a Tirsi
il
ma suo
tormento, nato dall’amore non corrisposto per Silvia e
gli
racconta
come
esso sia germogliato nel suo animo. L’atto è concluso da
un coro che
esalta
l’amore e rimpiange al
l’età dell’oro,
quando nessun freno morale si opponeva Ne! secondo atto, assistiamo dap-
libero e gioioso espandersi dei sensi.
prima al monologo di un Satiro, anch’egli innamorato di Silvia, che si propone di soddisfare con la violenza la propria passione. Segue poi una maliziosa schermaglia fra Dafne e Tirsi, che, per favorire l’unione fra i loro giovani amici,
stabiliscono
bagnerà, sola, a una fonte.
che Aminta Il
raggiunga Silvia quando
ella
si
terzo atto è incentrato sulla disperazione di
A minta.
Si apre col racconto di Tirsi, il quale narra al coro come Aminta, giunto alla fonte, abbia trovato Silvia ignuda, legata a un albero dal Satiro. Egli l’ha liberata dal pericolo, ma la fanciulla è fuggita, senza degnarlo
di
una
parola, di
uno sguardo. Sopraggiunge Aminta
disperato,
ormai de-
suo proposito diviene irrevocabile quando la ninfa Nerina racconta che, durante la caccia. Silvia è stata sbranata dai lupi: ella stessa ha trovato il suo velo insanguinato. Nell’atto quarto Silvia ritorna
ciso di morire, e
il
Torquato Tasso
sfuggire al pericolo, perdendo, mentre fuggiva dai lupi,
;
dal pensiero che a quest’ora
è tormentata
rivela questa sua dolente certezza.
Aminta
1 1
poi
pietà,
alla
giunge
il
Aminta
si
riuscita
Ma
a
Dafne
forse ucciso c le apre allora prima disperata quando soprag-
che diventa angoscia
all’amore,
pastore Ergasto c narra che
sia
velo.
il
è
si
cuore di Silvia
Il
;
:
come
scena e racconta a Dafne
invece miracolosamente in
!
i
449
si
è ucciso gettandosi
da una
j
I
I
rupe. Nell’atto quinto
il
dramma
si
placa in
un epilogo
sereno:
pastore
il
Elpino racconta al coro che Aminta è salvo. Una folta siepe ha attutito violenza della caduta e il giovane è ora felice fra le braccia di Silvia.
la Il
f
un inno all’amore sereno
coro conclude la favola con
e senza turbamento.
I
Segue l’epilogo: Venere scende dal
'
I
I
II i|
Il
La
cielo a cercare
Amore
fuggitivo, chiede
Arcadia alla gaudente e maliziosa. Aminta ha una tonalità prevalentemente lirica, piuttosto che drammatica: i sapienti, dosatissimi parallelismi sui quali sono costruiti gli atti, l’abbondanza dei racconti che costituiscono i rnomenti decisivi della vicenda. rallentano lo svolgimento dell’azione. I dialoghi si riducono spesso a soliloqui sentimentali e patetici (tale è il racconto, bellissimo, che Aminta fa a Tirsi, nell’atto primo, delle sue pene d’amore), i personaggi sono piu se si trovi fra
'
il
pubblico.
bella fiaba ritorna dalla mitica
corte, alla sua vita raffinata,
che rappresentati nel vivo dell’azione. Fa eccezione Silvia, l’unico personaggio che abbia uno svolgimento psicologico e drammatico, in quanto passa gradualmente dalla sua sensibilità pudica e ritrosa all’abbandono al-
descritti
i
!
l’amore, inconsapevolmente sbocciato nella sua certo rilievo
ha anche Dafne,
la
anima
di adolescente.
E
un
ninfa non piu giovane, tutta immersa nella
;
nostalgia struggente della giovinezza perduta.
mondo l’oro,
pastorale,
vagheggiato come un
Del
mondo
resto,
mitico,
e cioè a una vita naturale, semplice, schietta e
da una secolare tradizione
e colori convenzionali
la
scelta stessa del
vicino all’età del-
felice,
letteraria,
fissato in lince
portava
il
poeta
j
I
non verso i
il
dramma, che
suoi problemi,
U A minta
(
ji
ma
seconda perché
mento
di
una
j
fantastica di
una
la
realtà e
può dire continuamente, alla civiltà dell’acprima si riallaccia per lo stile elaboratissimo, classici, la ricerca di forme composte e perfette;
il
si
mondo
vita semplice
I
contatto immediato con
alla
continui riferimenti ai
alla
un
verso una nostalgica favola.
richiama,
cademia e della corte: i
i
ci
richiede
idillico
ma
pastorale rappresentava
società raffinata, rivolta alla
il
vagheggia-
sogno di evasione ricerca suprema del piacere,
aggraziata e composta,
il
all’avventura amorosa permeata di sensualità delicatamente voluttuosa, If
!•
ma-
poeta, sereno c compartecipe interprete, in quel tempo, della gaia vita di corte, fa penetrare il mondo di essa in quello dei pastori,
liziosa e dolce.
E
il
con apertissimi riferimenti nel dialogo e mascherando, sotto quasi tutti i personaggi, persone reali della corte ferrarese, anche se stesso, che e facil1
^
mente
riconoscibile nella figura di Tirsi.
in queste forme composite e convenzionali ha anche calato una delle piu intense e autentiche della sua ispirazione, una vena di effettiva poesia. Entro quell’artefatta età dell’oro ne ha scoperto un’altra, espressa
Ma
voci
'
da Silvia e da Aminta: quella del sentimento d’amore, colto quando è ancora fremito e palpito indefinito dell’anima adolescente. Inoltre nella figura
Antologia della letteratura italiana corrisposto che si nutre espresso ramore-iormento, l’amore non dolorosamente su ripiegata di lacrime c di sospiri, nel chiuso dell’anima nelle grandi Liberata, Gerusalemme nella ritroveremo
di
Aminta ha
I
^
È
stessa.
tema che Erminia e di Tancredi.
il
figure di
Soprattutto,
delncìV Aminta una fondamentale aspirazione l’abbandono al piacere, a una voluttà obliosa,
vive
però,
l’anima e della poesia tassiana il
di
:
meglio vagheggiamento di un libero espandersi dell’anima e dei sensi, o vitale, gioia immediata pura, in dolcezza, in una sensualità trasfigurata
coscienza del limite c del peccato. È questa 1 aspirazione che anche dal grande coro dell’atto primo si riflette su tutta 1 opera. Eppure
senza più
la
questo sfrenato invito linconia
mentre
:
piacere
al
si
abbandona
si
al
L’amore
diventa
il
ma-
intensa, profonda
di
poeta l’avverte remoto, irrag-
giungibile; nell’illusione che affiora,
disinganno.
una
ammanta sogno,
s’intravvede
già
fiore
il
presentimento del
il
ma
splendido
fugace
del
destino
doloroso dell’uomo.
Silvia ritrosa
Dajne.
Vorrai dunque pur.
da
piaceri di
i
menarne
Né
il
tu questa tua giovanezza?
dolce
né intorno scherzare cangia,
i
nome ti
me
figli
Metro te
:
-
i
si
questa vita giova; e
Scena prima.
come in tutto il dramma. In può notare una prevalenza delnelle
parti
narrative
e
dei
settenari in quelle liriche.
Dafne: È la confidente di Silvia, come Aminta. Le due prime scene dell’opera, con studiato parallelismo, presentano i due protagonisti, ciascuno col proprio confidente e il loro diverso stato d’animo, I.
Tirsi lo è di
la
loro opposta posizione nei confronti del-
Ma anche i due confidenti hanno importanza fondamentale nella vicenda. Essi
l’amore.
cangia,
sei.
Endecasillabi e settenari liberamen-
r endecasillabo
Ah
diletti
alternati,
gènere
udirai,
pargoletti?
è la cura de l’arco e
Atto primo
madre
de l’amore, pur v’è ne l’amore alcun diletto:
Altri segua se
di
vedrai vezzosamente
prego, consiglio,
pazzerella che Silvia.
Silvia,
Venere lontana
mio
’l
de
gli
trastullo
strali,
guardano i due giovani col loro sguardo di gente ormai uscita dalla giovinezza, fin troppo esperta dell’amore, delle sue dolcissime, ma fugaci illusioni, commentandole con maliziosa chiaroveggenza, e al tempo con vaga nostalgia.
stesso 4-6.
Né
il
dolce...
pargoletti?
:
Anche
la
rappresentazione delle gioie materne si ammanta, nelle parole di Dafne, di una tenerezza voluttuosa. Si tratta, comunque, di un
accenno fugace: l’amore cantato ta è
immediato abbandono
natura e dei sensi,
al
neWAmin-
fascino della
un sentimento che
vive
nell’attimo e per l’attimo. Il sgg. me questa vita giova, ecc. : me piace questa vita, ecc. L’assorbente passione
A
]
Torquato Tasso 45
seguir le fere fugaci, e le forti atterrar
combattendo;
o
saette a la faretra,
Dafne.
me manchino
non tem’io ghe
a
Insipidi
veramente
diporti
ed insipida vita: è sol perché
non mancano
se
e,
e,
non
w
fere al bosco, diporti.
s’a te piace,
hai provata
l’altra.
Cosi la gente prima, che già visse nel mondo ancora semplice ed infante,
20
stimò dolce bevanda e dolce cibo l’acqua e le ghiande; ed or l’acqua e
le ghiande sono cibo e bevanda d’animali, poi che s’è posto in uso il grano e l’uva. Forse, se tu gustassi anco una volta la millesima parte de le gioie che gusta un core amato riamando,
diresti,
sospirando:
ripentita,
perduto è tutto
quanti
di'
“
tempo
il
che in amar non
o mia fuggita quante vedove
“
si
spende:
etate, notti,
solitari
^
ho consumati indarno, che impiegar
si
potevano in quest’uso
qual più replicato è più soave! Cangia, cangia consiglio, il
pazzerella che sei:
ché
’l
la caccia simboleggia una vita chiusa ancora in se stessa, in una primitiva innocenza, completamente estranea alle cure del-
per
d’
quella avvivata dalle dolcezze
amore.
i primi uomini che vissero nella mitica età dell’ oro, nella tenera infanzia del mondo. L’accenno a questa età sembra qui alludere all’ anima ancora ingenua e infantile di Silvia; altrove
20-31. la gente... infante:
recherà in sé la nostalgia di una spontaneità nativa di vita. Que23. ed or 1 ’ acqua c le ghiande, ecc. :
ste ripetizioni stile
tutto, stori
semplicità del linguaggio dei pa-
la
(a questo
del
analitico
immagini
Tamore. 19. Taltra:
"
da sezzo nulla giova.
pentirsi
o riprese sono frequenti nello che intenderebbe riprodur-
dell’opera,
re cosi la schiettezza del parlato e, soprat-
e
il procedimento suo risolversi in evidenti, quasi senza
mira anche
discorso,
quadri
il
peso di pensiero, accostati con sintassi elementare). In realtà è un linguaggio ricco di echi e
immagini
una tradizione
di tutta
let-
teraria secolare.
32. o
mia fuggita
Dafne:
di
il
dell’amore, riconosciuti
ma
dolcissima, e
36-37.
ecc.
etate,
:
È
il
tema
rimpianto della giovinezza e
come
come un
in quest’ uso...
d’amore che quanto piu
bel
illusione,
soave: si
si,
sogno perduto. nelle
gioie
provano tanto
piu appaiono soavi. quando è 40. da sezzo: alla fine; quindi troppo tardi per rimediare.
Antologia della letteratura italiana
452
Quando
Silvia.
pentita,
dirò,
io
sospirando,
queste parole ch’or tu fingi ed orni come a te piace, torneranno i fiumi a le lor fonti, e
da
agni e
gli
lupi fuggiranno
i
veltri
i
amerà l’orso il mare e ’l delfin Conosco la ritrosa fanciullezza
Dajne.
^
lepri,
da timide
alpe.
1
:
qual tu
sei,
vita e
la
’l
io fui; cosi
tal
volto, cosi
portava
biondo
crine,
il
e COSI vermigliuzza avea la bocca, e COSI mista col candor la rosa
ne
guance pienotte
le
Era
il
mio sommo
e delicate.
me
gusto (or
n’avveggio,
gusto di sciocca) sol tender le reti,
ed invescar le panie, ed aguzzare il dardo ad una cote, e spiar Torme e ’l covil de le fere; e se talora vedea guatarmi da cupido amante, gli occhi rustica e selvaggia,
chinava
piena di sdegno e di vergogna; e m’era
mal grata la mia grazia, e dispiacente quanto di me piaceva altrui: pur come fosse mia colpa e mia onta e mio scorno Tesser guardata, amata e desiata. Ma che non puote il tempo? e che non puote, servendo, meritando,
i
;
® j
supplicando, j
fare
un
fedele ed
Fui vinta, del
io te
’l
importuno amante? confesso; e furon Tarmi
vincitore umiltà, sospiri
pianti,
,
sofferenza,
dimandar mercede.
e
Mostrommi l’ombra d’una
breve notte 1
allora quel che
’l
lungo corso e
’l
lume j
41.
Quando
io dirò,
ecc.
:
Osserva
la
ri-
51. la rosa:
il
colorito roseo. j
presa delle parole di Dafne (v. 29). Le parlate di Silvia contrastano per la loro rigi-
dezza con la dolcezza abbandonata di quelle di Dafne, che però rimane la vera protagonista di questa prima scena. 46.
l’
alpe
:
nel
significato
generico
di
monte.
nella
qual... fui:
bellezza
tender... cote:
disporre le reti per j
catturare uccelli, e, sempre per lo stesso sco-
po, mettere
aguzzare
il
vischio nelle panie e, infine,
le frecce
sulla cote, pietra per af-
filare.
59. rustica e selvaggia; ritrosa.
sidera ora ritrosia e selvatichezza
Ha
qui inizio una dolce e abbandonata rievocazione, da parte di Dafne, dell’adolescenza; e sembra che essa, piu che rimpiangerla, la vagheggi presente 48.
54-56.
appena sbocciata di
Silvia.
Dafne conil
suo an-
pudore di fanciulla. 67. importuno; pressante, insistente. 71. Mostrommi l’ombra, ecc.: La voce di Dafne trema nel ricordo delle prime gioie d’ amore. tico
j
j
Torquato Tasso 453
non m’avea mostrato. stessa e la mia cieca
di mille giorni
me
Ripresi allor
simplicitate, e dissi sospirando:
Cinzia,
eccoti,
corno, eccoti l’arco,
il
eh’ io rinunzio
tuoi strali e la tua vita.
i
Cosi sperò veder ch’anco
tuo Aminta
il
pur un giorno dimestichi la tua rozza salvatichezza, ed ammollisca questo tuo cor di ferro e di macigno. Forse ch’ei non è bello? o ch’ei non t’ama? « O ch’altri lui non ama? o ch’ei si cambia per l’amor
ovver per l’odio tuo?
d’altri,
Forse eh’ in gentilezza egli Se tu
sei
fu padre
ed
il
Dio
cede?
ti
Cidippe, a cui
figlia di
di questo nobil fiume,
egli è figlio di Silvano, a cui
Pane fu padre,
Non
è
men
il
gran Dio de’
di te bella, se
ti
pastori.
guardi
dentro lo specchio mai d’alcuna fonte, la
candida Amarilli; e pur
le
sue dolci lusinghe, e segue
dispettosi fastidi.
Or
fingi (e
pur Dio che questo fingere ch’egli teco
sprezza
ei
79.
i
tuoi
voglia
sia
vano)
sdegnato, alfin procuri
ch’a lui piaccia colei cui tanto ei piace;
qual animo
fia
il
tuo? o con quali occhi
73. il lungo... lume: in contrasto con l’ombra c la brevità di quella notte. Anche qui un artificio di stile, un calcolato giuoco di rispondenze, ma, nello stesso tempo, la
lentezza
del
giorni ») ricordo.
riflette
discorso
(bastava
l’intenerito
dire
« mille
abbandono
al
75. simplicitate: ingenuità. 76. Cinzia: è Diana, la vergine dea della caccia; e le ninfe sue seguaci
rosamente osservare corno da caccia.
la
dovevano rigo-
castità,
il
corno:
il
dimestichi
:
addomestichi,
amman-
sisca.
83-84.
O
eh’ altri...
ama?
:
L’astuta Dafne
vorrebbe insinuare nel cuore di Silvia la gelosia, come se questo sentimento potesse rendere esplicito un amore serpeggiante, ancora ignoto e inconsapevole, nell’ anima
pudica di lei. o eh’ ei... tuo? cessa egli di amarti per il fatto di essere lusingato dall’amore di altre fanciulle o avvilito dal tuo odio che gli toglie ogni speranza? :
85-86.
gentilezza:
nobiltà
di
stirpe.
madre di Silvia. Pane: il Dio dei pastori, secondo
Ci-
77. ch’io... vita: rinuncio alle frecce (alla caccia) e alla vita che tu imponi (alla ca-
dippe: è
stità).
mitologia classica. Questi accenni mitici contribuiscono ad avvolgere tutta la vicenda in
tuo Aminta: dice tuo perché Aminper COSI dire, schiavo d’amore di Silvia. Ma il possessivo porta nel discorso una nota di carezzevole pietà verso il giovane, quella che Dafne, sacerdotessa d’ Amore, vorrebbe ispirare nell’animo di Silvia. 78.
ta è,
il
89.
la
la
un’atmosfera favolosa.
contegno su94. dispettosi fastidi: il tuo perbo e sprezzante verso di lui. alle lusin97. eh’ a lui... piace: che ceda
ghe
di Amarilli.
Antologia deUa letteratura italiana
454
il
vedrai fatto altrui? fatto felice
ne Taltrui braccia, e
Aminta
Faccia
Silvia.
me
pur che non
ma
Onde
nasce
il
nulla ne cale,
sia di chi
non può mio s’ s’anco egli mio fosse, esser
né,
Dafne.
mio,
sia
amori
suoi
di sé e de*
quel ch’a lui piace: a e,
100
schernir ridendo?
te
io lui
vuole:
non
voglio, 105
sua.
io sarei
tuo odio?
Dal suo amore.
Silvia.
Piacevol padre di figlio crudele.
Dafne.
Ma
quando mai da
nacquer
O me
tigri?
le
inganni, o
o
i
mansueti agnelli bei cigni da’ corvi?
i
te stessa.
Odio
Silvia.
mia
ch’odia la
onestate; ed
mentr’ei volse di
Tu
Dafne.
volevi
il
me
il
amai
110
suo amore, lui,
quel eh’ io voleva.
tuo peggio: egli a
te
brama
quel ch’a sé brama.
Dafne, o
Silvia.
d’altro, se
taci,
o parla
vuoi risposta. 115
Or guata modi! guata che dispettosa giovanctta! Or, rispondimi almen: s’altri t’amasse,
Dafne.
gradiresti
il
suo amore in questa guisa?
In questa guisa gradirei ciascuno
Silvia.
120
mia virginitate, che tu dimandi amante, ed io nimico. Stimi dunque nimico insidiator di
Dafne.
innamorato di un’ altra. 99. fatto altrui 102. nulla ne cale: non me ne importa :
nulla.
dunque il tuo odio è un padre così piacevole come l’amore! La cosa a Dafne appare im107. Piacevol padre:
il
figlio
crudele di
per se lo dell
brama anche per
amore. Già
r
atto
I.
^^5- guata
possibile.
O
te, cioè le gioie
annuncia l’ inno voluttuoso al piacere che eromperà fra poco dalle labbra di Dafne e che preannuncia, come tutto il suo discorso, il grande coro delsi
modi: guarda che modi!
me... stessa: Si nota in questa e nelle seguenti battute di Dafne la malizia della donna esperta, che ben conosce la psi-
questa guisa: in tal modo: come, cioè, apprezzi l’amore di Aminta? Prima di cominciare la sua perorazione in di-
cologia amorosa nelle sue pieghe più inti-
fesa
me,
esser
no.
c sa quindi che l’odio, la ritrosia pos-
sono celare un amore incipiente. 111. la
mia
onestate: la
mia
castità, la
mia
innocenza. 112. mentr’ ci... voleva: finché volle quel che io volevo: una semplice c onesta amicizia.
113-14. egli... brama: quel che egli
brama
118. in
ed esaltazione dcH’amore, Dafne vuol certa che il disdegno di Silvia per
Aminta non nasca dal fatto ch’ella è innadi un altro. 121. dimandi: chia mi 122. Stimi dunque nimico, ecc. Si espande ora r inno all’amore di Dafne, che è come una sorta di corona di madrigali che morata
,
:
si
snodano
agili
nel ritmo veloce dei sette-
Torquato Tasso 455 il
monton de
de
la
l’agnella?
giovenca
il
toro?
Stimi dunque nimico il
125
tortore a la fida tortorella?
Stimi dunque stagione di inimicizia e d’ ira
primavera,
la dolce
130
ch’or allegra e ridente
ad amare
riconsiglia il
mondo
e gli animali
uomini e
e gli
come
le
E non
donne?
t’accorgi
tutte le cose 135
or sono innamorate
d’un amor pien di gioia e Mira Jà quel colombo
di
salute?
che con dolce susurro lusingando
compagna;
bacia la sua
odi quel lusignuolo
che va di ramo in
ramo
cantando: Io amo,
io
la biscia
or lascia
cupida a
van
il
amo;
e,
se
no
sai,
’l
suo veleno e corre
suo amatore;
’l
le tigri
ama
il
in amore,
leon superbo; e tu
più che tutte
sol,
fera
le fere,
albergo gli denieghi ne
tuo petto.
’l
Ma
che dico leoni e tigri e serpi, che pur han sentimento? amano ancora gli
arbori.
Veder puoi con quanto
affetto
e con quanti iterati abbracciamenti la
vite
s’avviticchia a
un puro ritmo di canto dopo il precedente recitativo di endecasillabi. Concetto fondamentale è che l’amore è « anima » del mondo: domina tutta la natura, le imprime moto e pienezza di ritmo vitale. Si intravvedono, dietro a questi versi, temi propri del neoplatonismo e di altre forme della filosofia rinascimentale, portata a vedere un universo vivo, fatto di nascoste corrispondenze, di occulte simpatie simili a quelle che attraggono fra loro gli uomini. Ma le ragioni filosofiche sono dissolte in un tono nari,
di
persuasioni
sentimentali immediate.
’l
suo marito:
136. d’
un amor,
ecc.
:
1’
amore dà ad ogni
cosa gioia e salute cioè armonica pienezza; coincide, col fiorire ed espandersi del ritmo della vita universa.
140. lusignuolo: usignuolo. 148. denieghi: neghi. Rifiuti di accogliertuo petto, più selvaggia, in questo,
lo nel
delle fiere selvagge.
non solo 150. han sentimento: hanno vita vegetativa, come le piante, ma anche sensitiva.
ancora: anche.
152. iterati: ripetuti. 153. a
’l
suo marito: l’olmo.
Antologia della letteratura italiana
^56
l’abete
ama
l’abete,
pino
il
pino,
il
l’orno per l’orno c per la salce
il
salce
e l’un per l’altro faggio arde e sospira.
Quella quercia, che pare SI
ruvida e selvaggia, il potere
sente anch’ella
de l’amoroso foco; e se tu avessi spirto e senso d’amore, intenderesti i suoi muti sospiri. Or tu da meno
de
esser vuoi
non
per
le
essere
piante,
amante?
Cangia, cangia consiglio, pazzerella che
Aminta confida a Aminta.
Ho
Tirsi
sei...
suo amore
il
visto a
’l
pianto mio
risponder per pietate
ho
visto a
ma non ho
i
sassi e
Tonde,
fronde
e sospirar le ’l
pianto mio;
visto
mai
né spero di vedere compassion ne la crudele e bella, che non so s’io mi chiami o donna o fera; ma niega d’esser donna, poi che niega pietate a chi non la negare le cose
inanimate.
156. arde e sospira: La poesia tassiana pervade spesso la natura di un’onda di sen-
4.
La
ripetizione conclude la
del lamento con
prima parte
un melodioso accordo; ma
musica sembra proseguire di là dal verL’amoroso struggimento trabocca spesso wtW Aminta oltre le parole che lo esprila
sualità intensa.
so.
Atto primo
-
Scena seconda.
mono. Metro:
Come
nel precedente episodio.
7. la
crudele c bella: Silvia.
nega pietà a quale neppure le cose inanimate (l’onde, le fronde, le rupi) la negarono. Può sembrare (ed è, in sé e per sé) una rettorica I0-J2. poi che... inanimate:
1-12. Ho visto a ’l pianto mio, ecc.: Il lamento di Aminta si svolge secondo il ritmo melodioso di un madrigale. È interessante qui il motivo di una corrispondenza affettuosa della natura con la malinconia languida deH’amantc deluso e chiuso in una solitudine trasognata: alberi e acque sem-
brano
rifletterla
come un’eco
del suo cuore.
me,
al
un lambiccato «concetto», come chiamerà nel secolo seguente, ma lo stile AcW Aminta è un impasto di candore e di estrema elaborazione letteraria, cosi come nell’adesione del poeta a quel mondo di
arguzia, si
Torquato Tasso
457
Aminta. Quindi
Tirsi tenta, invano, di consolare sia rivolto il
Aminta.
suo doloroso amore e come
gli chiede a
chi
sia sorto.
Essendo io fanciulletto, si che a pena giunger potea con la man pargoletta a córre i frutti da i piegati rami de
gli arboscelli, intrinseco
de
la
che mai spiegasse
La
Montan, ricchissimo d’armenti,
Silvia,
onor de
Di questa
le selve,
tempo, che fra due
tortorei le più fida
non s^à mai né Congiunti eran
conforme era
compagnia
^
fue. gli alberghi,
più congiunti
’l
ardor de l’alme?
parlo, ahi lasso! Vissi a questa
COSI unito alcun
ma
vento chioma d’oro. Cidippe
al
figliuola conosci di
e di
ma
divenni
più vaga e cara verginella
i
cori:
l’età te,
pensier più conforme:
“
seco tendeva insidie con le reti a i
e
pesci
i
ed a
gli augelli, e seguitava
cervi seco e le veloci ’l
diletto e la
damme;
preda era comune.
Ma, mentre io fea rapina d’animali, fui, non so come, a me stesso rapito. libere, naturali effusioni, alla nostalgia strug-
consapevolezza disincantata di chi contempla un impossibile sogno. Que13-52. Essendo io fanciulletto, ecc. sto c il successivo racconto di Aminta sono i
gente
si
unisce
la
:
momenti Il
T.
vi
liricamente piu puri della favola. « dolce e nuova seducente realtà psico-
descrive l’amore
illusione dell’anima,
primo, inconsapevole sbocciare, nel suo nascosto radicarsi e ingenuo svilupparsi, nel suo fare timido e schivo» logica... colto nel
(Getto). 13. si sti
che a pena, ecc.: La fonte di que-
versi è Virgilio (Bucolica Vili):
presen-
tiamo il testo del poeta latino, tradotto da « Fra le nostre siepi ti vidi C. Marchesi giovinetta. V* insegnavo la strada e tu coglievi con la mamma le mele bagnate di rugiada. Ero un fanciullo di dodici anni allora, e arrivavo appena da terra a toccare i :
fragili
15.
rami.
Che amore come
córre: cogliere,
piegati:
ti
vidil ».
perché colmi
^
di frutti e gravati dal loro peso.
Dopo
17-18.
vezzeggiativi (t^aga e cara
i
verginella), quella luminosa
chioma d’oro che
si
immagine
spande,
della
sciolta,
nel-
sensuaè guardata con una rarefatta lità che sfuma in tenerezza. 21. ardor de l’alme: perché ispira nelle
l’aria
di chi la contempla un ardente anaore. 26. Congiunti... alberghi: stavano insieme
anime
(congiunti erano
i
luoghi dove passavamo
la
giornata).
vale 32. damme: daine. seguitava (v. 31), « inseguivo ». sulla beata in35. fui, non so come, ecc.:
nocenza
dell’ infanzia
mento ignoto
e
r*
accampa un
senti-
pur possente, dolcissimo, che
riempie l’anima ignara di un nuovo stupore. 1 amore Bello il paragone del v. 38, che vede germogli allora nato in lui come un’erba che e da se stessa. Il T. c poeta di queste ^ure zone dell’animo, di questo improvindistinte
/iso e ineffabile
germogliare del sentimem».
Antologia della letteratura italiana
458
A
poco a poco nacque ne so da qual radice,
’l
mio
petto,
non
com’erba suol che per
sé stessa
germini,
un incognito affetto che mi fea desiare d 'esser sempre presente
mia
a la
bella Silvia;
e bevea da’ suoi lumi
un’estranea dolcezza,
che lasciava nel fine
un non
so che d’amaro:
sospirava sovente, e la
non sapeva
cagion de’ sospiri.
Cosi fui prima amante ch’intendessi che cosa fosse amore.
Ben me
modo
n’accorsi al fine; ed in qual
ora m’ascolta, e nota.
È
Tirsi.
Aminta.
A
da notare.
l’ombra d’un bel faggio Silvia e
Filli
sedean un giorno, ed io con loro insieme,
quando un’ape ingegnosa, che cogliendo sen’ giva il mel per que’ prati fioriti, a le guance di Fillide volando,
a le
guance vermiglie come rosa, morse e le rimorse avidafhente;
le
ch’a la similitudine ingannata
un
forse
fior le credette.
Allora Filli
cominciò lamentarsi, impaziente de l’acuto dolor de
ma taci,
la
con parole d’ incanti il
43-46. c bevea...
occhi
una dolcezza
puntura:
—
mia bella Silvia disse: Taci, non ti lagnar. Filli; perch’ io
la
leverotti
dolor de la picciola ferita.
amaro:
e
bevevo dai suoi che nu
sogno.
insolita e strana,
lasciava alla fine nell’ animo qualcosa di
56. sen’ giva: se
ama-
ro (l’inappagato desiderio), di struggente. 53-152. È la « favola » più bella delV Aminta, avvolta ancora in uno stupore ingenuo di infanzia, in un primitivo can-
ne andava.
Nota la sensuamorso dell’ape e ancora quella sentita fra la bella donna e i fiori;
59-61. le morse... credette: lità
di quel
identità
dore colto nel
sentimento rinascimentale della natura asnel T. un’ intima carica voluttuosa, a la similitudine ingannata dalla somiglianza fra
non
quelle guance e
momento in cui s’incrina e più se stesso e non è ancora sensualità consapevole e prorompente. È ancora un desiderio sospeso fra realtà e è
il
sume
:
i
62. impaziente: 66. con...
fiori.
non sopportando.
incanti:
con formule magiche.
Torquato Tasso
459
A me
insegnò già questo secreto n’ebbe per mercede
la saggia Aresia, e
mio corno
quel
d’avolio ornato d’oro.
Cosi dicendo, avvicinò
de
la
—
labbra
le
sua bella e dolcissima bocca
a la guancia rimorsa, e con soave
mormorò non
sussurro
Oh
mirabil
effetti!
so che versi.
senti tosto
cessar la doglia: o fosse la virtute di que’ magici detti, o, com’io credo,
de
la virtù
la
bocca
che sana ciò che tocca. Io,
che
che sino a quel punto altro non volsi ’l
soave splendor de gli occhi
belli,
e le dolci parole, assai piu dolci
che
’l
mormorar d’un
che rompa
o che
lento fìumicello
corso fra minuti sassi
’l
garrir de l’aura in fra le frondi,
’l
allor sentii
ne
’l
cor
novo
desire
d’appressare a la sua questa mia bocca; e fatto,
non
so come, astuto e scaltro
piu che l’usato (guarda quanto
Amore
'aguzza r intelletto!), mi sovvenne d’un inganno gentile, co ’l qual io recar potessi a fine
il
mio
talento;
che, fingendo ch’un’ape avesse il
mio labbro
a
lamentarmi di
cotal maniera,
che quella medicina che
non richiedeva il volto La semplicetta Silvia, pietosa del mio male, s’offri di
morso
di sotto, incominciai
la
lingua
richiedeva.
dar aita
a la finta ferita, ahi lasso! e fece
piu cupa e piu mortale
mia piaga verace, quando le labbra sue la
giunse a
Né 70. avolio: 76.
b
le
labbra mie.
Tapi d’alcun fiore
avorio.
virtute:
la
potenza,
92. talento: desiderio.
l’efficacia.
98. semplicetta: ingenua. mia piaga verace: la ferita vera, 103.
b
quella d’ amore.
do
Antologia della letteratura italiana
460
coglion
come
dolce
SI
fu dolce
il il
succo
mel eh 'allora
io colsi
da quelle fresche rose;
ben
se
ardenti baci,
gli
che spingeva
desire a inumidirsi,
il
temenza
raffrenò la
e la vergogna, e fèlli pili lenti e
meno
Ma
al
mentre
audaci.
cor scendeva
quella dolcezza, mista
d’un secreto veleno, n’avea,
tal diletto
non mi passasse
che, fingendo ch’ancor il
dolor di quel morso,
fei SI ch’ella
più volte
vi replicò l’incanto.
Da il
indi in
qua andò crescendo
in guisa
desire e l’affanno impaziente,
che,
non potendo più
capir ne
petto,
’l
una
fu forza che n’uscisse: ed
volta
che in cerchio sedevam ninfe e pastori e facevamo alcuni nostri giuochi,
che ciascun ne l’orecchio del vicino
mormorando
—
diceva
un suo
secreto,
Silvia, le dissi, io per te ardo, e certo
morrò, chinò
se
ella
non il
m’aiti.
—A
quel parlare
bel volto, e fuor le
un improvviso
venne
insolito rossore
che diede segno di vergogna e d’ira:
né ebbi
un
altra risposta
un
che
silenzio,
silenzio turbato e pien di dure
minaccie. Indi
si
tolse, e
più non volle
né vedermi né udirmi. E già tre volte ha il nudo mietitor tronche le spighe,
108-9.
mcl: miele, rose:
le
cavaliere diceva
labbra.
110-14. se ben... audaci: sebbene il timore e il pudore raffrenassero l’ardore dei bad
che il mio desiderio mi spingeva a cogliere da quelle dold labbra, e li rendessero meno audad e più lievi. 121. fei: fed. 125. capir: restar chiuso nel mio petto. 129-30. Allude al giuoco del « segreto », proprio della sodetà di corte dell’epoca
:
un
una
frase all’orecchio di
una
rispondeva ad alta voce. Uno dei presenti veniva allora invitato a indovi-
dama, che nare,
gli
dalla risposta,
le
parole dette in
se-
greto. 132. aiti: aiuti. 138. Indi
E
si
tolse:
se
ne andò.
: In queste immagini di natura, in questi quadri immoti si esprime la lunga e sempre ricorrente pe-
139.
giò tre volte, ecc.
Torquato Tasso
461
ed altrettante il verno ha scosso i boschi de le lor verdi chiome: ed ogni cosa tentata ho per placarla, fuor che morte. Mi resta sol che per placarla io muoia:
morrò
e
ch’ella
o
né so di
Ben
fora
a la
mia mia
a la
pur ch’io sia certo ne compiaccia o se ne doglia; tai due cose qual piu brami. la pietà premio maggiore fede, e maggior ricompensa morte; ma bramar non deggio volentier, se
cosa che turbi
il
bel
lume sereno
e gli occhi cari e affanni quel bel petto.
Coro dell’Atto primo Coro deH’atto primo potrebbe esser chiamato il fondamento lirico delIl VAmitjta; in esso erompe sfrenato l’incitamento ad abbandonarsi all’amore, alla voluttà, alla gioia piena dei sensi. L’età dell’oro è qui vista e cantata come l’età dell’amore e del piacere senza confini, anteriore a ogni problematica morale, a ogni conflitto fra natura e spirito.
Eppure
in questo coro s’insinua
prattutto negli ultimi versi
pena
la
(ma che
superficie gioiosa del canto
una nota greve s’avverte
anche nei
di malinconia, evidente so-
come un tremito che increspa apprimi) quando la seducente, anar-
chica esaltazione del p’iicerc trascolora nell’immagine del sonno eterno della morte, della
vita
che rapida dilegua. Si coglie qui, come dice il Getto, il germe della lirica del Tasso: «quella poesia che si attua nel ritmo delche sboccia e subito sfiorisce in delusione, su uno sfondo di solitudine ».
maggiore intuizione l’illusione,
O
bella età
de Toro,
non
già perché di latte
sen
corse
fiume
il
non perché
i
e stillò
mèle
bosco;
il
frutti loro
na di Aminta. nudo: scarsamente vestito, a torso nudo, tronche > troncate, falciate, ha... chiome: ha fatto cadere dagli alberi
settenari e endecasillabi (schema: fronte-,
edee
DfF
-
abCabC
-
sirma) e congedo di tre
versi.
loro verdi fronde.
le
146.
non
L’importante
148. fora:
da no te,
non
è,
per Aminta, ch’ella
lato,
sarebbe.
che
perché in le
ella
tal
si
Aminta desidererebbe, dolesse della sua mor-
caso mostrerebbe che egli
è indifferente; d’altra parte
rebbe essere per
lei
non già perche, ecc. l’età dell’oro fu non per le ragioni tradizionalmente cantate dai poeti (che ponevano questa età all’inizio del mondo) e che il T. ripete nei vv. 2-13, ma perché (v. 14) non esisteva, 2.
:
bella
resti indifferente.
non vor-
cagione di turbamento.
Metro: canzone di cinque stanze miste di
falso idolo dell’ Onore. poeti antichi, ncU’cta delquerl’oro scorreva latte nei fìumi, c dalle
quel
a
2-3.
ele
tempo, Secondo
trasudava
il
il
i
miele.
Antologia della letteratura italiana
^Ó2
6
dier da l’aratro intatte le terre, e gli angui errar senz’ira
o
tòsco;
non perché nuvòl fosco non spiegò allor suo velo,
ma
in
primavera eterna, 10
ch’ora s’accende e verna, rise di luce e di
sereno
né portò peregrino, o merce o guerra a
ma nome
sol
il
cielo;
gli altrui lidi
il
pino;
perché quel vano 15
senza soggetto,
quell’idolo d’errori, idol d’inganno,
quel che dal volgo insano
Gnor
poscia fu detto,
che di nostra natura
non mischiava
il
feo tiranno,
il
20
suo affanno
fra le liete dolcezze
de l’amoroso gregge; né fu sua dura legge nota a quell’alme in iibertate avvezze;
ma
25
legge aurea e felice
che Natura scolpi: S'ei piace Allor tra
ei lice.
fiori e linfe
traean dolci caròle gli
Amoretti senz’archi e senza
faci;
sedean pastori e ninfe
5.
frutti 6.
intatte: le terre diedero i loro senza essere toccate dall’aratro (intatte). e gli angui... tòsco: e i serpi errarono dier...
senza ira c senza veleno. 7-8. Non v’crano allora nuvole fosche che spiegassero un velo di tenebre sulla terra. IO. ch’ora... verna: che ora (invece di essere continua come allora) si accende nell’ardore dell’estate e trapassa poi nel gelo invernale. 12-13. ne portò...
il pino: pini, cioè le i recavano presso lidi stranieri a portarvi merci o guerra. Non vi era ancora la brama di guadagno o di preda. 14-22. ma... gregge: felice, dunque, l’età dell’oro, soprattutto perché quel nome vano, cui non corrisponde nulla di concreto e di
navi,
reale,
non
si
quell’ idolo
apportatore
di
errori
e
di inganni che fu poi chiamato dal volgo insano degli uomini, i quali lo fecero (feo)
tiranno della nostra natura, «
Onore
»,
non
mescolava affanni alle liete dolcezze degli innamorati (l’amoroso gregge). 23-26. ne fu... lice: ne furono conosciute le sue dure leggi da quegli uomini, avvezzi a un libero espandersi della propria natura e dei propri affetti; essi conoscevano soltanto una legge aurea, cagione solo di felicità: Se una cosa piace è anche lecita. L’onore contro il quale polemizza il T. coincide con ogni legge che intenda limitare il libero espandersi della natura istintiva, e, in particolare, contro il moralismo convenzionale, fondato su estrinseche leggi di decoro, proprio degli ambienti cortigiani del tardo Cinquecento. 27-29. Allor...
senza l’arco e
la
faci:
Allora
gli
Amorini
fiaccola intrecciavano dolci
danze (carole) tra i fiori e i freschi ruscelli. L’amore, cioè, sorgeva spontaneo c libero.
Torquato Tasso 463
meschiando a
le
parole
vezzi e sussurri, ed a
i
sussurri
i
baci
strettamente tenaci;
ignude
la verginella
scopria le fresche rose ch’or tien ne
’l
velo ascose...
fiume o in lago scherzar si vide con l’amata Tu prima, Gnor, velasti la fonte de i diletti,
e spesso in
il
vago. 40
negando Tonde a l’amorosa
sete:
tu a’ begli occhi insegnasti di starne in sé ristretti, e tener lor bellezze altrui secrete: 45
tu raccogliesti in rete
chicane a l’aura sparte:
le
tu
dolci atti lascivi
i
a
detti
i
fren ponesti, a
il
opra è tua che furto
E le
sola,
sia
tu,
che
passi l’arte;
fatti
egregi
pianti nostri.
i
d’Amore
domator
tu
i
o Onore,
quel che fu don d’Amore.
son tuoi
pene e
Ma
schivi,
ritrosi e
festi
e di
Natura donno,
de’ regi,
questi chiostri
fai tra
grandezza tua capir non ponno? Vattene e turba il sonno che
la
a gl’illustri e potenti:
noi qui, negletta e bassa turba, senza te lassa
che ora nasconde col velo. 38. il vago: rinnamorato. 39-41. Tu... sete: Tu per primo, Onore, impedisti la visione della bellezza femminile,
un tempo Amore liberamente concedeva è divenuta per noi un furto, qualcosa che dobbiamo carpire quasi di frodo alle rigide convenzioni sociali. egre52. E son... egregi: sono tue opere
negando
gie (è detto con
35-36. le fresche...
velo:
il
viso dal
fre-
sco, roseo colore
cosi
soddisfazione
la
della
sete
d’amore.
54.
43. ristretti: raccolti e pudicamente schivi. 44. altrui secrete; nascoste agli altri. 47.
i
dolci
lascivi:
atti
menti mediante la
i
quali
i
la
dolci
donna
atteggiaesercita
propria seduzione.
49. a i detti... arte; ponesti un freno alle parole, insegnasti a incedere secondo un’arte.
50-51.
gioia che
È
colpa solo dell’ Onore se quella
amaro sarcasmo). donno: padrone; continua il sarcasmo.
È come
se dicesse
gnoreggiare
:
«
TAmorc
Tu
che pretendi di
e la
Natura
si-
».
viene dal la56. chiostri : le selve {chiostro « luogo chiuso » e quindi tino claustrum le selve solitario, lontano dal mondo, come
=
questo coro). abitate dai pastori che cantano 57. capir 61. lassa:
:
contenere. lascia.
Antologia della letteratura italiana
464
viver nc l’uso de Tantiche genti.
Amiam, con
gli
che non ha tregua
umana
anni
amiam; che
’l
dilegua:
vita, e si
Sol
muore
si
e poi rinasce;
a noi sua breve luce
s’asconde, e
’l
sonno eterna notte adduce.
innamorata
Silvia
Aminta
Diffusasi la falsa notizia della morte di Silvia,
tanato disperato, manifestando ritorna sana e salva a
Ohimè! non
forse ch’io viva
Mi
tu vivi;
già.
Silvia.
Dafne.
e allon-
e le racconta la sua avventura a lieto fine.
Dafne
Dafne. altri
si
proposito d'uccidersi. Silvia, frattanto,
il
Che
dici.?^
sia.»^
m’odii tu tanto?,
piace di tua vita,
Ti rincresce
ma mi
duole
de l’altrui morte.
E
Silvia.
Dafne.
De
la
morte d’Aminta. Ahi! com’è morto?
Silvia.
Dafne.
come non
Il
Ch’è
Silvia.
ciò che tu
ma
mi
per certo
dici?
62. ne V uso, ccc. secondo I’ uso degli uomini primitivi. 63-64. Amiam... si dilegua: Amiamo, perché la vita combatte senza aver mai tregua con gli anni (che la incalzano, come irri-
2.
:
dilegua rapida.
Amiam... adduce: Amiamo, perché sole muore, ma per rinascere, noi invece, quando sarà per noi nascosta la sua luce {breve, perché per troppo breve tempo l’avremo goduta) saremo in preda a un sonno che durerà per tutta l’eterna notte della morte. Gli ultimi cinque versi giungono improvvisi, con un’inattesa nota sgomenta e danno al canto, che prima aveva oscillato fra
il
sincera
nostalgia
credo.
a chi rechi
altri
non
e
4-5.
Mi
tu
sia
sia
morto.
6.
viva,
allude ad Aminta. morte: Sono contenta che mi dispiace che un altro
già:
piace...
ma
Ahi! com’ è morto?
arguzia raffinata
un
desolato
ganno. Atto quarto
-
scena prima.
di
È un primo
e
disin-
si
grido sforza
a se stessa, e che suo animo come qualcosa di oscuro e inconsapevole. Esso emergerà lentamente durante il dialogo fino a giungere, gradualmente, a uno scoppio didi
tener
quindi
si
celato
agita
persino
nel
sperato e irrefrenabile. 8.
se...
certezza
credo: se
sia
Non ti so dire con assoluta veramente morto, ma ne
sono tuttavia convinta.
C’è in quel chi un’im9. Ed a chi rechi provvisa illuminazione. Silvia non chiede come Aminta sia morto, ma chi sia stato la causa della sua morte. Istintivamente il suo :
madrigalesca,
senso
:
rivelatore del sentimento che Silvia
65-67.
mentre
il
Ed
cagion di sua morte?
la
avversari) e
anco
so dir, né so dir
se è ver l’effetto;
ducibili
®
morte intendi?
di qual
Torquato Tasso
465
A
Dafne. Io
Silvia.
non
La dura
Dafne.
de
avrà pòrto a
meschino
’l
laccio
il
o
ferro
’l
che l’avrà ucciso.
altra cosa tal
Vano
Silvia.
novella
tua morte, ch’egli udì e credette,
la
od
tua morte.
la
t’intendo.
sospetto in te de la sua morte
il
come
fu van de la mia morte; ch’ognuno a suo poter salva la vita. Oh Silvia, Silvia, tu non sai né credi quanto ’l foco d’amor possa in un petto, sarà,
Dafne.
che petto
sia di
®
carne e non di pietra,
com’è cotesto tuo: che se creduto avresti amato chi t’amava più che le care pupille de gli occhi, più che lo spirto de la vita sua.
l’avessi,
Il
credo io bene, anzi l’ho visto e sòllo:
il
vidi,
quando
“
tu fuggisti, o fèra
più che tigre crudel, ed in quel punto ch’abbracciar lo dovevi,
un dardo
vidi
il
rivolgere in se stesso, e quello a
’l
petto
^
premersi disperato, né pentirsi poscia ne la
pelle
10 tinse:
e
’l
fatto,
e
’l
ed anco
le vesti
ne
e
suo sangue
’l
ferro saria giunto a dentro,
passato quel cor che tu passasti
più duramente, se 11
ché
trapassossi,
non
braccio e gl’impedh ch’altro
Ahi
lassa!
solo
una proya fu de
^
ch’io gli tenni
non
fésse.
e forse quella breve piaga ’l
suo furore
de la disperata sua costanza; e mostrò quella stràda a ’l ferro audace, e
cuore comprende che re di 15.
egli è
morto per amo-
lei.
Vano
sospetto.
il
È un ultimo
scatto
pudore e della ritrosia di Silvia. Ella avverte il duro rimprovero nelle parole di Dafne, e tenta di sottrarsi al rimorso e alla conseguente pietà, in quanto essi sarebbero del
un
indizio
vuole 17.
di
quell’
amore che
non
accogliere.
ch’ognuno... vita:
ogni mezzo di sfuggire 25. sòllo: 26.
ella
lo
quando
ognuno alla
cerca con
morte.
so.
tu fuggisti:
dopo
essere stata
“
liberata da Aminta dal satiro che voleva usarle violenza. Silvia era fuggita senza rin-
graziarlo,
per
la
vergogna
essere ignuda, fèra:
e
il
pudore
di
feroce.
31. ne ’l fatto: nel tradurre in atto posito suicida.
il
pro-
stato trafitto. 34. passato: sarebbe 36. fésse: facesse. l’ostinazione di39. disperata... costanza:
sperata
con cui Aminta cercava
40-41. c
mostrò, ecc.
:
Allora
la
morte.
Aminta
si
strada (nel limitò a mostrare al dardo quella liberamente suo petto) eh’ esso doveva poi
Antologia della letteratura italiana
4(i(ì
che correr poi dovea liberamente.
Oh, che mi
Silvia.
narri?
Dafne.
vidi poscia, allora
Il
ch’intese l’amarissima novella
de
tua morte, tramortir d’afTanno,
la
c poi partirsi furioso in fretta
per uccider se stesso; e s’avrà ucciso
veracemente.
E
Silvia.
fermo
ciò per
tieni?
non v’ho dubbio.
Dafne.
Io
Silvia.
Ohimè! tu non ’l seguisti Ohimè, cerchiamlo, andiamo: che, poi ch’egli moria per la mia morte, de’ per la vita mia restar in vita. per impedirlo?
Dafne.
Io
*1
ma
seguii ben,
correa
si
veloce
che mi spari tosto dinanzi, e ’ndarno
mi
poi
girai per le sue
orme.
Or dove
vuoi tu cercar, se non n’hai traccia alcuna? Egli morrà, se no
Silvia.
E
’l
troviamo, ahi lassa!
sarà l’omicida ei di se stesso.
Crudel, forse t’incresce che a
Dafne.
la gloria di quest’atto?
l’omicida vorresti?
che
la
d’altri
E non
ti
dunque
pare
sua cruda morte esser de’ob’opra
che di tua
ché,
comunque
e tu
sei
mano? Or
egli
ti
muoia, per
consola, te
muore,
che l’uccidi.
Ohimè, che
Silvia.
te tolga
Esser tu
tu m’accòril e quel cordoglio,
percorrere, senza piu esserne impedito. 42. Oh, che mi narri Un’altra battuta che
Violenta esplode 1 * acre58 sgg. Crudel dine di Dafne, la consigliera non ascoltata,
mostra l’inquietudine sempre piu angosciosa
anzi, ascoltata solo ora che è troppo tardi.
di Silvia.
Ella
:
d’affanno:
44. tramortir
venir
meno
per
mostra di non credere alla pietà di di ritenere i suoi slanci una prova
Silvia,
dt più raffinata crudeltà. I suoi discorsi val-
l’angoscia. 45. furioso:
:
fuori di
sé.
andiamo: Le battute angosciate di Silvia sono già una rivelazione del suo sentimento, di un amore che, appena sorto, conosce il dolore, la dispera48-49. Ohimè...
gono però soprattutto a spingere Silvia a una confessione insieme pudica e appassionata,
che è
la
parte più
poetica
di
tutta
la scena.
58-60. forse...
vorresti:
ti
rincresce forse
50-51. Il bisticcio di questi due versi ralil calore dell’espressione del sentimento. Essi comunque costituiscono una confessione
che egli ti abbia tolto la gloria (è detto con sarcasmo crudele) di ucciderlo tu? Vorresti dunque ucciderlo tu in persona? La violenza delle parole di Dafne si giustifica, al-
piena di Silvia.
meno
zione. lenta
53-54. c ’ndamo... orme: aggirai sulle sue tracce.
c invano
mi
in parte, col fatto che Silvia
cato contro l’amore, per Dafne.
ha pec-
unica ragione di vita
Torquato Tasso
467
ch’io sento de
’l suo caso, inacerbisci con l’acerba memoria de la mia crudeltate, ch’io chiamava onestate: e ben fu tale,
ma
fu troppo severa e rigorosa.
Or me ne
accorgo e pento.
Oh
Dafne.
tu sei pietosa, tu? tu senti a
quel ch’io odo! core
’l
Oh, che vegg’io? oh maraviglia! Che pianto è questo tuo? pianto d’amore? Pianto d’amor non già, ma di pietate. spirto alcun di pietate?
tu piangi, tu superba?
Silvia.
La pietà messaggera è de l’amore, come ’l lampo de ’l tuono. Anzi sovente, * quando egli vuol ne’ petti virginelli
Dafne. Coro.
occulto entrare, onde fu prima escluso
da severa onestà, l’abito prende, prende l’aspetto de la sua ministra e sua nuncia, pietate; e con tai larve le semplici ingannando, è dentro accolto. Questo è pianto d’amor, che troppo abonda.
Dafne.
Tu Oh
taci?
Ami
tu. Silvia?
Ami, ma
in vano.
potenza d’Amor, giusto castigo
mandi sovra costei. Misero Aminta! Tu, in guisa d’ape che ferendo muore e ne le piaghe altrui lascia la vita,
67-70. con l’acerba... rigorosa:
cordo, che ora diviene per
mia crudeltà verso
me
di lui, che io
onestà e che tale fu veramente,
po rigorosa e
me
me
e severa, c ora
il
ri-
chiamavo
ma
fu trop-
ne accorgo
Pianto
sentimento. .
pietate
.
.
:
È
forse la battuta
piò bella di Silvia, cosi falsa e così vera, intima, ad
un tempo.
Ella cerca ancora di
suo sentimento, ma questo è solil pudore che accompagna i sentimenti piu profondi. 77-84. La battuta sentenziosa di Dafne e il discorso del Coro sono fuori dell’atmosfera celare
la forma. maschere. Così mascherato sotto
81. l’abito: 83. larve:
l’aspetto della pietà. 84. le semplici:
Ami, ma
86.
le
anime ancora ingenue. È un tema partico-
in vano:
larmente caro alla fantasia del T., questo dell’amore infelice, della dolce illusione su-
ne pento.
73. spirto: 76.
con
acerbo, della
il
tanto, ora,
drammatica: costituiscono piuttosto un commento lirico allo schiudersi del nuovo sentimento nel cuore di Silvia. 80. occulto: nascostamente.
bito seguita dalla delusione.
che ferendo muore: Com’c noto, l’ape pungiglione nella ferita e subito il dopo muore. Ma tutto questo discorso di Dafne è troppo melodrammaticamente compiaciuto; il T. è poeta degli intimi moti 89.
lascia
istintivi c ancora indefiniti del cuore, delle rivelazioni improvvise e tremanti; cade invece spesso nell’enfasi, viziato dal virtuosi-
smo
letterario
sonaggi fusióne.
si
quando
i
sentimenti dei per-
traducono in confessione ed
ef-
Antologia della letteratura italiana
^68
con
tua morte hai pur trafitto a
la
1
fine
quel duro cor, che non potesti mai punger vivendo. Or, se tu, spirto errante, ignudo, SI come io credo, e de le membra qui intorno
Amante
sei,
in vita,
mira
il
suo pianto, e godi!
amato
pur tuo destin che
morte: e sera in morte amato,
in
fossi
e se questa crudel volea l’amore
venderti sol con prezzo cosi caro, desti quel
prezzo tu
e l’amor suo co
Caro prezzo a
Coro,
’l
ch’ella richiese,
tuo morir comprasti.
chi
’l
diede; a chi
’l
riceve
prezzo inutile e infame.
Oh
Silvia.
potess’io
con l’amor mio comprar la vita sua, anzi pur con la mia la vita sua, s’egli è pur morto!
Le Rime Le Rime
Tasso comprendono oltre duemila liriche, fra canzoni, soIl poeta cominciò a comporne alla corte d’Urbino, al tempo della sua prima giovinezza, e per tutta la vita ne venne aggiungendo di nuove o correggendo instancabilmente quelle già composte, con incontentabile cura d’artista. Nel 1567 ne pubblicò un esiguo gruppo a Padova, fra le Rime degli Accademici Eterei; ma solo dopo il 1580 si diede a riordinarle per procedere alla loro completa pubblicazione. Ne affidò alle stampe una Prima parte a Mantova nel 1591, una Seconda parte a Brescia nel 1593; a queste raccolte pensava di, farne seguire una terza e una quarta, ma ridel
madrigali.
netti, stanze,
mase
soltanto un’intenzione.
vastissimo canzoniere tassiano
Il
non
ha,
come
altri,
a cominciare da
quello petrarchesco, alcuna pretesa, sia pure esteriore, di organicità.
hanno
il
Le Rime
componimenti d’occasione, nati sullo sfondo della vita fu sempre vista dal poeta come il convegno di un’uma-
carattere di
cortigiana (la corte
nità superiore e privilegiata, la sede vera e unica delle lettere c della poesia),
seguendo
La
lirica
un costume raffinato e come ornamento di una società aristocratica. presenta dunque al Tasso come un agile e sorridente giuoco, sollecitazioni
le
sfarzoso, di
una cultura
si
pressoché quotidiane di
sentita
fatto d’ingegno e di grazia.
99.
103. Silvia
con... caro: a prcz2:o della tua vita.
Oh, è
lamento di una piena e abbandonata
potess* io,
ormai
ecc.
:
Il
confessione d’amore. 105. anzi... sua:
per
la
potessi dare la
sua salvezza.
mia
vita
Torquato Tasso
469
contenuto possiamo dividere le Rime in tre rime d’amore, encomiacioè d’argomento religioso. Le prime sono tenere c per-
Per quel che riguarda
il
gruppi, secondo un’indicazione del poeta stesso: stiche c
sacre
‘
una
corse da
’,
sottile sensualità;- le
cenza, che scade però spesso in
un
un
seconde, ispirate a
turgore rettorico;
le
ideale di magnifiultime sono pervase
da una greve e magniloquente gravità, e quasi sempre il sentimento religioso che dovrebbe ispirarle si risolve in un esteriore sfarzo liturgico, in
una devozione scarsamente approfondita. Per quel che riguarda lo stile, si può tutta
la
dire che nelle
nostra tradizione della lirica aulica,
poeti del Quattrocento.
Su
tutti
Rime
confluisca
dagli stilnovisti a Dante, ai
però è evidente l’influsso del Petrarca,
ac-
forme del petrarchismo del Cinquecento, dai Bembo al Della Casa. Da quest’ultimo il Tasso riprese il gusto di una nuova modulazione del verso e di quegli enjambements o rompimenti, che consentono un parlare eloquente, con forti accentuazioni sentimentali. Ma il Tasso, mentre accoglie echi e suggestioni dei poeti precedenti, li rielabora con nuova, sensibilità e li trasforma, diventando, a sua volta, un modello per i poeti dei secoli seguenti, fino al Foscolo e al Leopardi che delle sue Rime furono convinti estimatori. Le Rime interessano i critici soprattutto come un lungo tirocinio stilistico, attraverso il quale il poeta venne affinando le sue capacità espressive e costituendo quel suo linguaggio elevato e classicamente composto e, al colto sia direttamente sia attraverso le
tempo
stesso,
capace di esprimere
il
fremito indefinito della sua sensibilità
Gravità e magnificenza si alternano, in esse, alla grazia delicata, al sottile languore, in un linguaggio che il Foscolo definiva « nuovo eppur corretto, pieno di dolcezza c maestà, di sublimità e d’evisottile
e
denza
».
7
melanconica.
madrigali del Tasso. L’originalità metrica e stilistica della lirica tassiana è evidentissima nei
madrigali.
Il
madrigale era anticamente un componimento di tono poponuova fortuna presso i poeti colti (rari comunque sono
lare; assurse poi a gli
esempi petrarcheschi) come poesia per musica; e a
sicali il
era
particolarmente adatto per
la
sua brevità,
rivestirsi di la
note
mu-
struttura semplice,
suo carattere di complimento galante, lontano da ogni approfondimento
meditativo. Il Tasso immette in questa forma ormai consunta una nuova vita. La sua sensibilità sottile e raffinata, portata ad effondersi in atmosfere obliose
e sognanti, in presentimenti suggestivi e teneri
nella
modulazione
di
abbandoni, si esprime libera fuori da ogni complessa
questo brevissimo canto,
Molti madrigali del Tasso furono musicati, ma già sono pervasi di una musicalità intensa. L’alternarsi di endecasillabi e settenari, le sapienti, dosatissime spezzature dei versi, il libero giuoco di rime e assonanze creano vaghissime atmosfere melodiche che già di per sé esprimono l’indefinito della voluttà c del sogno. Questo è sopratstruttura i
intellettuale.
versi del poeta
tutto evidente nei primi tre madrigali che riportiamo.
italiana Antologia della letteratura
470
malizioso c gaprestava al tenue scherzo a concctigenza, sensualità e iute lame, a un giuoco raffinato di corte, di nel Seicento trionferà che maniera tino elegante e spiritoso. Sarà questa la e sesto diamo un esempio nel quarto, quinto D’altra partc.il madrigale
si
.
e che
il
m
Ne
Tasso anticipa.
driealc della nostra scelta.
A
parte rimane
estrinseche di metro c
non
mostra come
ispirazione. Anch’esso
di
1
lirica
•
ispira-
fuggevole, risolta in vaghe
del Tasso, breve e intensa, ma meditative, mosfere d’animo piu che in complesse architetture
zione
•
.
agli a tri per ragioni
abbiamo accostato
settimo, che
il
at-
esprimesse
si
felicemente nel brevissimo carme.
Qual rugiada o qual piamo Qual rugiada o qual pianto, quai lagrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto c dal candido volto de le
E
perché seminò
la
di cristalline stelle
a l’erba fresca in
perché ne s’udian,
stelle.?
bianca luna
un puro nembo grembo?
bruna
l’aria
quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
fùr segni forse de la tua partita, vita
de
la
mia
vita?
Metro; madrigale, con settenari ed endecaliberamente (Schema; abAB,
pianto
del
cielo,
della
riflesso
malinconia
sillabi alternati
del poeta.
CDd,
5-7. La luna, candida, semina un nembo puro di stelle in grembo all’ erba verde. Sono le stille della rugiada, ogni goccia della quale, investita dal raggio bianco della luna, lo riflette si da suscitare l’impressione di un vago brillare di « stelle palpitanti e commosse di un ciclo arditamente capo-
cEc, Ff).
Rugiada I. Qual rugiada o qual pianto: o pianto vide il poeta nella notte? Che fu queir impressione vaga di pianti c sospiri dovunque diffusi, intorno, nella natura? Furono forse arcani presentimenti della partenza della donna amata? Questo il vaghissimo ordito intorno al quale si svolge il madrigale.
Ma
l’atmosfera
il
suo fascino vero è in quel-
trasognata,
estatica,
increspata
da un trasalir di sospiri, da un brivido sommesso c struggente. Poesia d’amore, forse cosi almeno ci dicono gli ultimi versi
—
—
ma in realtà ci pare la poesia di uno struggimento tenero dell’anima nel respiro profondo della notte dolcissima. 2-4. quai... stelle: lacrime, dunque, non rugiada, che si sparge dalla volta {manto) notturna del delo e dal candido volto delle stelle.
Meglio,
è
la
rugiada
e
insieme
il
volto » (Garetti). 8-10. perché...
giorno? Perché nell’aria bruna s’udiva la brezza scorrere quasi come una sommessa voce dolente, tutt’intorno, fino al sorgere
11-12. fur: partita:
un
:
dell’alba?
furono, segni:
partenza.
presentimenti,
madrigale termina con
Il
sospiro struggente.
Vita della
mia
vita,
chiama il poeta la donna amata, non bene se presrvid kc or^ss, (^Mnr^Lxcsa^ 5*3
TorquJto Tasso ycuCCOlC^^ OÌCcO-' ^?\^vC*‘'perSoO ^ìàrtto =
~ -h= wj. („.,^
0£X4^il*»c.^^pv-cUi‘
^O'jgcr'C.
HO :
scorg^^ toglie.
il
riman qual cacciator ch’a
i^^ire
il
sera
perda al fin l’orma di seguita fèra. Queste fur l’arti onde mill’alme e mille prender furtivamente ella poteo; anzi pur furon l’arme onde ed a forza d’Amor serve le ~v trvc-'WiS
Qual meraviglia or
^C?vAr6^c>-t/-
d’Amor
Lovì»
VHSVo/^ Canto
^
V
Contmua
il
motivo
cipe norvegese, che
delle
brama
indirette
insidie
di succedere a
diaboliche.
Dudone
per istigazione demoniaca offende timoroso che questi intralci le sue mire. Rinaldo
pubblicamente
Avventurieri,
poi costretto ad andarsene dal di Goffredo.
molti
Il
campo per
Gernando, prin-
nelTufficio di capo degli
Rinaldo,
lo sfida e Tuccide,
sottrarsi
alla
ma
è
giustizia punitrice
campo
altri cavalieri
cristiano resta cosi privo del suo più forte eroe e di che fuggono di nascosto sulle tracce di Armida di cui
sono follemente invaghiti.
Canto VI il mondo cavalleresco, romanzesco e avventuArgante, impaziente, vorrebbe risolvere la guerra con una singoiar tenzone, battendosi con un campione delTesercito cristiano. Aladino gli consente di lanciare la sfida, ma solo a titolo personale. Segue il gran duello, fra Argante e Tancredi, complicato dalTimprovviso smarrimento dell’eroe
Irrompe in questo canto
roso.
140-41. a ritoglie: glielo toglie, cosi... scorge: cosi per tutu la giornata lo guida c lo avvolge in un vano errore. 144-45. seguita: inseguita, onde: con le quali.
Teseo: 149-52. fia: sarà, s’ il fero Achille... dato che il fiero Achille, Ercole e Teseo, furono cioè i piu forti eroi dell’ antichità, vinti
da Amore.
1
’
empio
:
Amore.
^
516
Antologia della letteratura italiana
cristiano dinanzi all’apparizione di Clorinda c
interrotto
dall’oscurità:
i
da altri «pisodi. Il duello è due campioni promettono di ritrovarsi fra sei
giorni.
Nella seconda parte del canto domina
tema amoroso, incentrato
il
nella
figura di Erminia, che esce di Gerusalemme, per curare l’amato Tancredi,
dopo aver indossato
armi di Clorinda, ma, sorpresa dai guerrieri
le
cristiani,
fuggc.
Il
duello d’ Argante e Tancredi
Ed
a quel largo pian fatto vicino,
ove Argante l’attende, anco non era,
quando
in leggiadro aspetto e pellegrino
s’offerse a gli occhi suoi l’alta guerriera.
Bianche vie più che neve in giogo alpino avea
le sovravveste,
alta tenea
®
e la visiera
dal vólto, e sovra un’erta,
quant’ella è grande, era scoperta. il Circasso
tutta,
Già non mira Tancredi ove la
spaventosa fronte
ma move volgendo
il
cielo estolle;
al
suo destrier con lento passo,
gli occhi ov’è colei su
Poscia immobil
si
gelido tutto fuor,
’l
colle.
ferma, e pare un sasso;
ma
dentro bolle:
mirar s’appaga, e di battaglia sembiante fa che poco or più gli caglia.
sol di
Argante, che non vede alcun che in atto dia segno ancor d’apparecchiarsi in giostra:
— Da
desir di contesa io qui fui tratto,
grida; or chi viene innanzi, e
Ottave 26-49.
ta affidata
da 2.
anco non era:
Il
soggetto è Tancredi,
campo per ordine
Goffredo a rintuzzare l’audace sfida di Argante. uscito
dal
3-4. pellegrino;
singolare, di
di
una
leggia-
dria e grazia rare, l’alta guerriera: Clorinda. 5-8. Si
danza
d’accenti,
Clorinda nei
ma
canti
e I
Tancredi, quale già e apparso e IV. Simile è infatti lo sche-
narrativo
mota,
con consapevole concortema dell’incontro di il
ripete,
r
inaccessibile,
Clorinda, da
pimento
lirico:
e
un
lato,
estatico e
la
solitudine
re-
luminosa bellezza di e,
giostra
non all’ondeggiante chioma bion-
al virgineo,
abbagliante candore della
che accentua
il motivo della purezza inattingibile dell’eroina, vie più: più. 8. era scoperta: interamente visibile. La parola richiama il particolare dell’elmo ca-
veste,
duto nell’episodio del canto IV. Clorinda appare sempre a Tancredi come un’improvvisa visione.
9-10.
Argante
il
Circasso: Argante, estolle: innalza.
sempre rappresentato in pose imponenti e ^gantesefie, simbolo di una smisurata e selvaggia potenza guerriera. è
ra-
16-18. gli caglia: gli importi, in atto: nel-
di Tancredi.
l’atteggiamento. d’apparecchiarsi in giostra:
dall’ altro,
smemorato
ma
meco
il
L’impressione luminosa è però questa vol-
di disporsi al duello.
.
Torquato Tasso
5»7
L’altro,
quasi e stupefatto,
attonitx)
ben mostra. Ottone innanzi allor spinse il destriero, e ne l’arringo voto entrò primiero. pur
e nulla udir
là s’affisa,
un fu
Questi
di gir contra
di color, cui dianzi accese
Pagano
il
alto desio:
pur cedette a Tancredi, e in sella ascese fra gli altri che seguirlo, e seco uscio. Or veggendo sue voglie altrove intese, e starne lui quasi al pugnar restio, prende, giovane audace e impaziente, l’occasione offerta avidamente; e veloce cosi, che tigre o pardo va men ratto talor per la foresta, corre a ferire
il
Saracin gagliardo,
che d’altra parte la gran lancia arresta. Si scote allor Tancredi, e dal suo tardo
da un sonno, alfin si desta; ben La pugna è mia; rimanti troppo Ottone è già trascorso innanti.
pensier, quasi e grida ei
Ma
Onde avvampa
:
si
Ma
sia
si
—
ferma; c d’ira e di dispetto
dentro, c fuor qual
perché ad onta ch’altri
—
intanto a
si
fiamma
è rosso;
reca ed a difetto,
primiero in giostra mosso.
mezzo
dal giovin forte è
il
il
corso in su l’elmetto
Saracin percosso:
egli a l’incontro a lui co ’l ferro nudo fende l’usbergo, e pria rompe lo scudo.
22.
pur
continua a guardare
s’afHsa:
là
fissamente Clorinda. 23. Ottone:
per
È
Ottone Visconti.
gio del tutto secondario,
episodio
il
ma
personag-
è vivo in questo
magnanimo
suo eroismo
c
cavalleresco. 24. arringo:
strando,
il
lo spazio
campo
fissato
dove per
si
il
corre gio-
duello, pri-
miero: per primo, precedendo Tancredi. 25-26. cui: che; è oggetto di accese, il cui soggetto è alto desio, nel v. seguente, gir: andare. 29. altrove intese:
rinda, cioè,
e
rivolte altrove, a Clo-
non ad Argante.
31. prende: uniscilo
con avidamente. L’av-
verbio, distaccato con forte rilievo, e Tini-
zio dell’ottava seguente mettono felicemente in evidenza
Ottone.
il
36-37. arresta: pone in resta, disponendosi tardo: che paralizza, che rende
all’assalto,
giovanile impeto guerriero di
tardi e lenti. 39. La pugna... rimanti: La battaglia è mia, fermati In tutto il duello, che è condotto con varietà e vivacità di narrazione, le battute del dialogo rivelano con evidenza l’animo eroico dei personaggi, senza le intrusioni rettoriche e magniloquenti che cosi 1
spesso appesantiscono i dialoghi tassiani. Questo episoidio rappresenta una delle migliori
pagine epiche e cavalleresche del poema. 43.
ad onta...
difetto:
gogna e colpa Taver
considera sua ver-
lasciato subentrare
altro al suo posto; e tale
veramente
condo l’onore cavalleresco. 47. egli... nudo: Argante, con la spada sguainata spezza lo scudo di Ottone.
a la
è,
un se-
sua volta, corazza e
5i8
Ajitologia della letteratura italiana
Cade
il
Cristiano; e ben è
colpo acerbo,
il
poscia ch’avvien che da l’arcion lo svella.
Ma
il Pagan di più forza e di più nerbo non cade già, né pur si torce in sella :
indi con dispettoso atto superbo
sovra
—
caduto cavalier favella:
il
Renditi vinto, e per tua gloria basti
che dir potrai che contra
— No,
depor l’arme
COSI tosto
del
altri
me
pugnasti.
—
risponde Otton, fra noi non s’usa
gli
mio cader
e l'ardire;
farà la scusa;
io vo* far la vendetta,
—
o qui morire.
In sembianza d’Aletto e di Medusa freme il Circasso, e par che fiamma spire: Conosci or, dice, il mio valore a prova,
—
poi che la cortesia sprezzar
Spinge
il
—
giova.
ti
destrier in questo, e tutto oblia
quanto virtù cavalleresca chiede. il Franco l’incontro, e si desvia,
Fugge e
destro fianco nel passar gli fiede;
’l
ed è che
49. acerbo
grave
SI ’l
la percossa e ria,
ferro sanguinoso indi ne riede;
esprimono il tema di Argante, quello della forza indomita unita alla
Solimano, questo aspetto feroce c demoniaco, rappresentando anche nelle figure, per cosi dire « negative », un’ umanità d’ eccezione.
violenza superba e all’odio selvaggio, dispetsprezzante.
conoscere
51-53.
I
:
violento.
versi
toso;
55. Renditi vinto:
Argante
riflettono
arrenditi. Le parole di un orgoglio smisurato,
57-60. Nobilissime
parole di Ottone, e
le
cosi immediate, senza alcuna
non
Nota
la
forma conven-
schiettezza di quel fra noi
proposito fermo di vendetta o di morte. L’animo cavalleresco e gentile del T. aveva veramente il sentimens’usa,
to della
tee.
dignità
e quel
eroica,
e
sempre
rappresentare con poetica intensità alla
morte da parte
riesce la
dei suoi guerrieri.
a
sfida
Quan-
to incerti spesso e indecisi sono i suoi personaggi davanti all’ azione, altrettanto impavidi e decisi sono davanti alla morte. Nel’ dolore e nella sofferenza si misura la loro grandezza. 61. Alette... Medusa: Aletto era una delle Furie infernali, Medusa una delle Gorgoni mostruose, secondo la mitologia classica. Il T.
dà
spesso
agli
croi
«
pagani
»,
Argante c
mio
valore, la
esperienza diretta,
la
cortesia:
rappre-
era
sentata dall’offerta di resa, che avrebbe con-
Ottone d’aver salva
sentito ad
epico.
zionale.
il
Impara ora a mia potenza per
a prova:
Conosci...
63-64.
65-66. L’ oblio
virtù
della
la
vita.
cavalleresca
è
che Argante combatte a cavallo contro Ottone appiedato. I cavalieri pagani appaiono come forze di natura scatenate c selvagge, di una primitiva rappresentato
ferocia:
dal
quelli
fatto
cristiani
(c
il
prototipo
è
Tancredi, qui però degnamente sostituito da Ottone) uniscono alla forza la magnanimità e la cortesia cavalleresca, uno dei piu alti c
ideali
tassiani
suto,
nell’opera
mentre
cosi
67-68. fiede:
e
lui
nella
effettivamente vita,
in
vis-
questo:
parla.
desvia:
si
si
nel passar:
lo scontro, sa.
da
fa da parte, schiva mentre Argante pas-
colpisce.
70-72. nc riede;
ritorna di
là
(dal
fianco
che prò: che giova, al vincitore: ad Argante, giunge: aggiunge. d’ Argante),
Torquato Tasso
5>9
ma
che prò, se la piaga
non
forza
Argante e indietro
che
ira a furore?
corridor dal corso affrena,
il
volge; e cosi tosto è vólto
il
n’accorge
se
vincitore
al
giunge
toglie, e
suo nemico a pena,
il
e d’un grand’urto a Timprovviso è còlto.
Tremar
gambe, indebolir
le
gli
duro terren battere il fianco. Argante infellonisce, e strada
il
Ne sovra
l’ira
petto del vinto al destrier face;
il
—
Cosi, grida, ogni superbo vada,
come
Ma
vólto
il
l’aspra percossa, e frale e stanco
fe’
sovra
e:
lena,
la
sbigottir l’alma, e impallidire
costui che sotto
Tancredi
l*ln vitto
piè
i
allor
che l’atto crudelissimo e vuol che
copra
il
mi
giace.
—
non bada, spiace;
gli
suo valor con chiara emenda
’l
suo
fallo,
come
e,
Passi innanzi gridando:
che ancor ne
suol, risplenda.
—
Anima
infame
le vittorie
vile,
sei,
qual titolo di laude alto e gentile
da modi attendi sì scortesi e rei? Fra i ladroni d’Arabia, e fra simile barbara turba avvezzo esser tu dei.
Fuggi
Tacque;
morde
le
ne’ e
’l
73-74. dal corso affrena; frena la
corsa,
ma
cosi
tosto:
il
le
cavallo,
con
tale
79. frale: fiaccato. 81. infellonisce: incrudelisce barbaramente.
La
cavalcata sul petto del vinto e la fero-
cia
trionfante
quelle parole rivelano
la
violenza primordiale di Argante.
non bada: non indugia più. Nota il cavalleresco scatto dell’eroe magnanimo, che 85.
si
strappa del tutto daH’obliosa contemplaE il T. ora lo chiama invitto-, la pa-
zione. rola è
come uno
che preannuncia
squillo di il
al
—
poco uso,
sofferir si
strugge:
nuovo
tromba guerriera, duello.
’l
nubi, ond’egli è chiuso.
rapidità.
di
belve
tra le selve.
suono esce confuso, come strido d’animal che rugge;
o come apre
arrestandone
l’altre
labra, e di furor
risponder vuol; si
con monti e Pagano,
la luce, e va’
a incrudelir
87.
con chiara emenda: con una pubblica a tutti. È il tema eroi-
ammenda, manifesta co di Tancredi, quello patetico.
indissolubilmente
unito
a
il primo impeto del discorche però si prolunga troppo e perde il suo mordente, ancor: anche, infame: inde-
89-91. Bello è
so,
gno
di gloria,
97. al
laude:
sofferir:
a
gloria.
tollerare
insulti.
da 98-100. Cosi grande è l’ira di Argante mozzargli la parola, da fargli rispondere
con grida confuse. quali è rin^ loi. ond’egli è chiuso: fra le serrato.
Antologia della letteratura italiana
520
impetuoso il fulmine, e se ’n fugge, COSI pareva a forza ogni suo detto tonando uscir da rinfiammato petto. Ma, poi che in ambo il minacciar feroce a vicenda irritò Torgoglio e l’ira,
l’un
come
spazio
Òr
rapido e veloce,
l’altro
corso prendendo,
al
destrier gira.
il
me
Musa, rinforza in
qui.
la voce,
e furor pari a quel furor m’inspira
che non sian de l’opre indegni
SI
ed esprima
il
mio canto
carmi,
i
suon de l’armi.
il
Posero in resta e dirizzaro in alto
duo
guerrier le noderose antenne; né fu di corso mai, né fu di salto, né fu mai tal velocità di penne, né furia eguale a quella, ond’a l’assalto quinci Tancredi e quindi Argante venne. i
Rupper Paste su
gli
elmi e volar mille
tronconi e schegge e lucide faville. Sol dei colpi
rimbombo intorno mosse
il
monti:
l’immobil terra; e risonarne
i
ma
percosse
l’impeto e
furor de
’l
le
nulla piegò de le superbe fronti.
L’uno e l’altro cavallo in guisa urtosse, che non fur poi cadendo a sorger pronti Tratte
spade,
le
i
lasciar le staffe e
io8. spazio...
^’ra:
fa
prendere
vallo la rincorsa per l’assalto.
I
al
i
gran mastri di guerra piè fermaro in terra.
ca-
vv. 109-113
sono un’inopportuna formula rettorica. 113 sgg. È questo forse il migliore dei celebri duelli della Liberata, cosi diversi da quelli
tumultuosi,
contati con
un
fantasiosi
e
spesso
rac-
be preferito dire rapido e combattenti. dio
1
sta
il
calcio della
costruite stissime.
T. sono
costruiti
calcolata e sapiente, proprio della civiltà cor-
tigiana alla quale
mente.
Ma
intenditore
mento
il
l’abilità si
poeta aderisce intimadescrittiva,
accompagnano
al
gusto di vagheggia-
il
un’umanità energica e forte, sia fisicamente sia moralmente, o, come avrebdi
della
psicologia
dei
mettono in
re-
lancia e la punta in di-
rezione dell’elmo dell’avversario, noderose:
con « aperto ossequio alle leggi della scherma », esprimendo quello che il Getto definisce il « gusto della regola », dell’ azione ben dosata, duelli del
T., eroica, e a uno stu-
13-14. Posero... antenne:
fare sorridente dall’ Ariosto.
I
il
intenso
di
legno
nodoso e quindi robu-
né fu di corso: sottintendi « tal di penne; di ali. 120. lucide faville: frammenti di lancia 115-16.
velocità ».
accesi per l’attrito.
121. Sol...
rimbombo:
il
solo
rimbombo
tono è sforzato nei primi due versi, ma nel 123 e nel 124 avverti una ben piu consistente forza e grandezza eroica. dei colpi.
Il
126. a sorger:
a rialzarsi.
Torquato Tasso
521
Cautamente ciascuno a a
la destra,
reca in
si
move
colpi
i
guardi l’occhio, a
i
passi
i
piede;
il
in guardie nove;
atti vari,
or gira intorno, or cresce innanzi, or cede;
or qui ferire accenna, e poscia altrove,
dove non minacciò,
vede:
ferir si
or di sé discoprire alcuna parte,
con l’arte. spada Tancredi e de lo scudo mal guardato al Pagan dimostra il fianco. Corre egli per ferirlo, in tanto nudo a, tentar di schernir l’arte
De
la
di riparo si lascia il lato manco. Tancredi con un colpo il ferro crudo del nemico ribatte, e lui fère anco: né pof, ciò fatto, in ritirarsi tarda,
ma
raccoglie, e
si
Il
si
ristringe in guarda.
fero Argante, che se stesso mira
del proprio sangue suo macchiato e molle, con insolito orror freme e sospira, di cruccio e di dolor turbato e folle:
portato da l’impeto e da
e,
con
la
l’ira,
voce la spada insieme
estolle,
e torna per ferire: ed è di punta
piagato, ov’è la spalla al braccio giunta.
Qual ne le alpestri selve orsa, che senta duro spiedo nel fianco, in rabbia monta
129-36. in
re
È
«
l’ottava più abile nel tradur-
poesia
di
l’arte
ritmarne la cautela e (Momigliano). 129-30.
mano
per
questo
duello,
proditoria »
la rapidità
1’
colpire,
Grande è questa rappresentazione
145-52.
Argante, del suo orrore (non è timore,
di
ma uno
stupore incredulo
so, istintivamente
Cautamente ciascuno muove
«
nel
occhio
per
spiare
r
(nota
insistenza
la
rite
le
chiato e molle) che
con
co c di difesa, or cresce... cede: ora si allunga in avanti in un a fondo, ora si ritrae.
vaggia violenza.
136. e tentar... arte: deludere l’abiliti del-
l’avversario con
sempre e,
alla
potremmo
nell’ottava
una maggiore descritta
finta,
con gusto d’intenditore,
dire,
seguente.
138-42. dimostra: il
fianco sinistro,
143-144. « tira
Allude concretamente
abilità.
rapido e
E si
mostra,
fère:
lato
il
manco:
il
colpo
si
ri-
stringe nella sua guardia ».
stes-
alle fe-
mac-
proprio-suo,
:
non aveva mai
un
urlo
150-52. :
e,
un balzo
insieme, in
subito
leva
estolle:
in
alto
di
per
sel-
ferire,
congiunta.
153. Qual ne gante imprime
le al
Ora Arecc. un andamento di
alpestri,
duello
:
barbarica violenza, alla quale si piega, alla tre fine, anche Tancredi. Questa e le altre ottave rappresentano con un potente cre-
scendo
la
ferocia
154. spiedo: ciatori.
della
sempre più sfrenata
lotta.
ferisce.
appena inferto
tempo
tale
l’ira
giunta
133-34. Descrive la finta.
al
abbondanza. Al dolore si aggiunge che lo rende quasi folle, lo fa erompere
mosse deU’awersario, il piede per assumere una posizione vantaggiosa ». 131-32. atti... guardie: movimenti d’attac-
in
e,
sgomento) davanti
.
corta
lancia
usata
dai
cac-
5 ^^
Antologia della letteratura italiana
medesma
e centra l’arme sé
avventa,
morte audace affronta; tale il Circasso indomito diventa, giunta or piaga a la piaga, ed onta a e
i
perigli e la
l’onta;
e la vendetta far tanto desia,
che sprezza
160
rischi, e le difese oblia.
i
E congiungendo a temerario ardire estrema forza e infaticabil lena, vien che
impetuoso
si
ferro gire
il
che ne trema
la terra, e
né tempo ha
l’altro,
balena
ciel
il
onde un
sol
:
colpo
tire.
165
onde si copra, onde respiri a pena; né schermo v’è ch’assecurare il possa da la fretta d’ Argante e da la possa. Tancredi, in sé raccolto, attende in vano che de’ gran colpi la tempesta passi: or v’oppon le difese, ed or lontano se ’n
va co’ giri e con veloci passi;
ma, poi che non
s’allenta
fier
il
è forza alfin che trasportar
Pagano,
lassi,
si
e cruccioso egli ancor con quanta puote
violenza maggior la spada rote.
Vinta da e le forze
l’ira
è la ragione e l’arte,
furor ministra e cresce.
il
Sempre che scenda
il
ferro,
o fora o parte
o piastra o maglia; e colpo in van non esce. Sparsa è d’armi
la terra, e
l’armi sparte
sangue co ’l sudor si mesce. Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono, fulmini nel ferir le spade sono. Questo popolo e quello incerto pende da SI novo spettacolo ed atroce; e fra tema e speranza il fin n’attende, mirando or ciò che giova, or ciò che nuoce di sangue, e
la
il
158. giunta... onta: essendosi aggiunta alprima una seconda ferita; e l’essere col-
pito,
battuto, è un’onta per
guerra
il
«
mastro
di
una capacità
di
re-
sistenza illimitata. 163. vien:
non
176-79. l’arte
avviene,
s’allenta:
rote:
rotei,
gire:
non la
rotei.
rallenta l’assalto.
ragione e l’arte:
del combattere ordinato e razionale.
è
complemento oggetto,
parte:
spezza. 185-92. Attorno al selvaggio duello l’am-
pagani e dei che crea un’atmosfera d’ammirazione intorno ai due croi. 188. ciò che giova, ecc. ciò che giova al proprio campione e ciò che gli nuoce; seguono con partecipazione viva le fasi alterne pia
».
162. infaticabil lena:
173.
forze:
le
:
prospettiva
scenica
dei
cristiani, stupefatti e attoniti,
:
del
duello.
Torquato Tasso
523
‘I
li
non
vede pur, né pur s’intende cenno fra tanti, o bassa voce; ma se ne sta ciascun tacito e immoto, se non se in quanto ha il cuor tremante in moto. e
I
si
picciol I
j
I
Erminia esce da Gerusalemme j
Nel palagio regai sublime sorge mura, da la cui sommità tutta si scorge l’oste cristiana, e ’l monte e la pianura. Quivi, da che il suo lume il sol ne porge, antica torre assai presso a le
'
I
in sin .che poi la notte
mondo
il
s’asside, e gli occhi verso
oscura,
campo
il
gira,
e co’ pensieri suoi parla e sospira.
Quinci vide
la
pugna: e ’l cor nel petto punto si forte,
senti tremarsi in quel
che parea che dicesse:
—
Il
de
è quegli là ch’in rischio è
^
tuo diletto la
morte.
—
Gdsi d’angoscia piena e di sospetto
mirò i successi de la dubbia sorte, e, sempre che la spada il pagan mosse, j
ne l’alma
senti
!
Ma,
ferro e le percosse.
il
poi ch’il vero intese, e intese ancora
che dèe l’aspra tenzon rinovellarsi. non moto che
se:
I92. se
tro
il
eccetto che.
Non
v’c al-
palpito del loro cuore.
la
Ottave 62-65 e 102-1 ji.
sublime
1.
sorge:
sorge,
più
delle
alta
altre.
antico:
2.
getti,
come
solitaria
di
è
assai
epiteto
serve a sfumare di
gli
qui,
suggerisce
caro
al
lontananza
dove quella torre il
Tancredi, se non che si avverte in lei maggiore insistenza di questo smarrirsi nel sogno, anche perché, orfana, sola e privata del suo regno, non ha più altra vita se non sto, a
T., e gli
og-
alta
quella del proprio amore. Ma questo verso, bellissimo, non vale solo per lei; esprime quel senso deir interiorità colta nelle sue pieghe
più
9. la
e
senso della solitudine
4-5. l’oste;
amore struggente. l’esercito,
da che:
da quandetermina-
ma
zione temporale sfuma in
un senso di pena un tempo indefi-
continua,
incessante,
in
nito. 8.
la
grande novità
della
pugna
:
il
duello fra Argante e Tan-
14.
i
successi... sorte:
i
vari eventi del duel-
lo incerto.
do. Dall’alba alla notte,
la
che è
credi.
Erminia, tutta chiusa nel proprio sogno
e nel proprio
segrete
poesia tassiana.
e co’ pensieri... sospira: Erminia è
com-
pletamente isolata con le immagini della sua fantasia e del suo cuore. Assomiglia, in que-
15-16. Tutta l’ottava svolge
il
motivo della
Erminia, del sensibilità tenera e ansiosa di consuo dolce palpitare e smarrirsi, quel suo del cuore tinuo abbandono alle sollecitazioni e della fantasia innamorata. per rinovellarsi: Il duello, interrotto, 18.
il
sopraggiungere della notte, doveva essere
ripreso di
li
a sei giorni.
524
Antologia della letteratura italiana
timor cosi Taccora
insolito
che sente
il sangue suo di ghiaccio Tal or secrete lagrime, e talora sono occulti da lei gemiti sparsi:
essangue, e sbigottita in atto,
pallida,
spavento e
lo
farsi.
Con
dolor v’avea ritratto.
’l
imago il suo pensiero ad or ad or la turba e la sgomenta; e, via pili che la morte, il sonno è fero, SI strane larve il sogno le appresenta. orribile
Parie veder l’amato cavaliero lacero e sanguinoso, e par che senta ch’egli aita le chieda; e desta in tanto, si
trova gli occhi e
sen molle di pianto.
’l
Per molte ottave il T. esprime questo raccogliersi di tutta V anima Erminia intorno alle suggestioni della fantasia innamorata. Finalmente ella decide di recarsi da Tancredi per curarlo con le sue e la vita di
mani
esperte e stare poi per sempre con lui.
Fugge
dalla città,
dopo
avere indossato le armi di Clorinda, onde non essere impedita nel suo
cammino, con un
fedele scudiero. Giunta in prossimità del
frattanto
campo
cri-
Tancredi a dirgli che una donna lo attende. Ella
stiano, lo invia a
rimane ad aspettare
Ma
il
ritorno del messo.
tanto impaziente, a cui
ella in
troppo ogni indugio par noioso e greve,
numera e pensa:
E
fra sé stessa
i
“
passi altrui,
or giunge, or entra, or tornar deve.
già le sembra, e se ne duol, colui
men
del
Spingesi
solito assai al
spedito e leve.
fine manti, e ’n parte ascende
"
onde comincia a discoprir le tende. Era la notte, e ’l suo stellato velo 23. in atto:
di questa silenziosa notte lunare; fra
nell’ aspetto.
La malinconia
il
per-
nella pace del paesaggio notturno di quella
natura si determina una corrispondenza arcana, il sentimento di Erminia assume una vastità cosmica. Nell’ indefinito, sterminato orizzonte si placano l’ansia, il tumulto dei suoi contrastanti affetti, e le tende latine che affiorano candide nell’ombra im-
seguente.
mota assumono
25-32. si
e
i
timori del giorno
prolungano nella notte, nelle
visioni
del
sogno, fero: crudele. 35.
i
passi altrui: quelli dello scudiero.
trepidazione di questa ottava sfocia e
41-48.
È una
si
La
placa
delle ottave più belle del poe-
ma, la più alta della storia d’amore di Erminia. L’anima sognante della fanciulla si espande nell’ infinita dolcezza e nella pace
sonaggio c
la
l’aspetto di
una promessa
di
pace, di oblio degli affanni, di felicità senza confini. 41. stellato velo: la volta del cielo appare
come un
velo variegato di
stelle.
Torquato Tasso
525
chiaro spiegava e senza nube alcuna; e già spargea rai luminosi e gelo di vive perle la sorgente luna.
L’innamorata donna iva co *1 cielo le sue fiamme sfogando ad una ad una,
^
amore antico muti campi e quel silenzio amico. Poi, rimirando il campo, ella dicea:
e secretar! del suo fea
—
i
O
belle a gli occhi miei tende latine!
aura spira da voi che e
mi
mi
’
ricrea,
conforta pur che m’avicine:
mia
COSI a
combattuta e rea il del destine,
vita
qualche onesto riposo
come
'
in voi solo
che trovar pace Raccogliete
cerco, e solo
mezzo
io possa in
me dunque:
quella pietà che e
il
parmi a Tarmi.
e in voi
si
trove
mi promise Amore,
ch’io già vidi, prigioniera altrove,
nel
mansueto mio dolce signore:
'
né già desio di racquistar mi move co ’l favor vostro il mio regale onore:
quando ciò non avenga, assai felice io mi terrò, se ’n voi servir mi lice. Cosi parla costei; che non prevede
—
qual dolente fortuna 43-44. e già... luna: la luna sorgendo spani suoi raggi e illumina le gocce
de nel cielo
della rugiada, le avviva della sua luce,
apparire suscitano
come perle un senso di
le fa
che tremolano e
vive,
frescura. Senti nei versi
un’ onda musicale tenera e morbida, un’ impressione vaga dei sensi tutta trasfigurata in
impalpabile dolcezza. Qui è
la
piu grande e
nuova poesia tassiana. Anche 45-46. L’ innamorata donna, ecc. in questi versi avverti una musica tenera e :
carezzevole c la corrispondenza arcana fra l’anima di Erminia e la natura. 47. sccretari: confidenti dell’ intimo segreto del cuore. E antico chiama quel suo amore che avvince la sua anima da un tempo immemorabile, sconfinato. In esso tutta la sua vita si è risolta, fuori di esso non ha altre
memorie.
48. c quel silenzio, ecc.
ultimi versi, che prolungano,
atmosfera
:
Il
silenzio è ora
di gravità nei
due
lirica
come
qui, la
proiettandola nell’ottava se-
guente, in quel monologo familiare e insieme favoloso, sognante, carico di tutto il desiderio d’amore, di tutta la nostalgia di pa-
ce d’ Erminia.
pur che m’ avicine
52.
:
non appena mi
avvicino a voi. 53-55. cosi... cerco: cosi possa
il
cielo do-
nare alla mia vita travagliata e dolente quella pace onesta che io ricerco solo fra voi. si
57.
trove:
si
trovi,
possa
io
trovare.
prigioniera altrove: al campo cristiano, dopo la presa di Antiochia. La mansuetudine e la dolcezza rispettosa con cui Tan59’
l’aveva
credi ella
trattata
innamorasse
si
avevano fatto
si
che
di lui.
regale onore: il mio regno. Se anche ciò non avverrà mi servire terrò abbastanza felice se potrò 62.
il
63-64.
divenuto amico, perché secretarlo del suo amore. Osserva il Raimondi che l’ottava del
T. ha uno dei suoi centri
a-
^
s’appreste.
lei
mio «
mio signore 66. te le
il
».
qual... s’appreste: si
ri-
appresti.
qual dolente sor-
526
Antologia della letteratura italiana
Ella era in parte ove per dritto fìede
Tarmi sue terse SI che da lunge co
’l
il
bel raggio celeste;
il
lampo
lor
vede
si
bel candor che le circonda e veste,
e la gran tigre ne l’argento impressa
fiammeggia
Come
—È
ch’ognun direbbe:
si,
—
dessa.
sua sorte, assai vicini
volle
molti guerrier disposti avean gli aguati; e n’eran duci
Alcandro
duo
fratei latini,
mandati
e Poliferno, e fur
per impedir che dentro a
i
saracini
gregge non siano, e non sian buoi menati; ’l servo passò, fu perché torse piu lunge il passo, e rapido trascorse.
e se
Al giovin Poliferno,
a cui fu
il
padre
su gli occhi suoi già da Clorinda ucciso, viste le spoglie
fu di veder
candide e leggiadre, guerriera aviso:
l’alta
e contra le irritò le occulte squadre;
né frenando del cor moto improviso (come era in suo furor subito e folle), gridò Sei morta, e Tasta in van :
S{
—
come
—
cerva, ch’assetata
lanciolle.
passo
il
mova a cercar d’acque lucenti e vive, ove un bel fonte distillar d’un sasso, o vide un fiume se
incontra
i
tra frondose rive,
cani allor che
’l
corpo lasso
Tonde, a Tombre estive, volge in dietro fuggendo, e la paura
ristorar crede a
la
stanchezza obliar face e l’arsura; COSI costei, che
de Tamor
onde l’infermo core
67. fiedc: colpisce; soggetto è il bel raggio celeste, cioè la luce lunare. 71. la gran tigre: Clorinda, di cui Ermi-
ha indossato le armi, portava come miero una tigre scolpita neU’argento.
nia
ci-
72. È dessa: c proprio lei. 74-75. aguati : posti segreti di guardia che dovevano impedire, come spiega dopo, che alla città assediata
latini:
79.
giungessero rifornimenti,
servo:
lo
scudiero inviato da Er-
minia col messaggio per Tancredi.
la sete,
sempre ardente,
82. su gli
occhi suoi:
84. fu... aviso:
sotto
i
suoi occhi.
credette, l’alta guerriera:
Clorinda. 85. occulte:
nascoste in agguato.
87-88. subito e folle: impulsivo e folle in
quanto osava attaccare una guerriera cosi forte, in van: senza colpirla. 95-96. c la paura, ecc.: la paura le fa dimenticare {obliar face) la stanchezza e l’arL’ottava seguente cerca con minuzia le rispondenze fra la metafora e la situazione di Erminia.
sura.
italiani. ’l
è
Torquato Tasso 527
spegner ne l’accoglienze oneste e
liete
credeva, e riposar la stanca mente;
or che contra le vien chi e
suon del ferro e
’l
sé stessa e
e
gliel
100
diviete,
minacele sente,
le
suo desir prima abbandona,
’l
veloce destrier timida sprona.
’l
Fugge Erminia infelice; e ’l suo destriero can prontissimo piede il suol calpesta. Fugge ancor l’altra donna; e lor quel fèro con molti armati di seguir non resta. Ecco che da le tende il buon scudiero con
la tarda novella arriva in questa,
e l’altrui fuga ancor e gli sparge
Credendo che pone sulle tracce
il
di
si
tratti
d’
Erminia,
dubbio accompagna, la campagna.
timor per
Clorinda, Tancredi balza dal letto e
ma
senza raggiungerla; anzi cadrà
tima degli incanti di Armida e solo dopo molto tempo ritornerà, rato da Rinaldo, al
campo
si
vit-
libe-
cristiano.
Canto VII Anche questo canto ha una complessa struttura narrativa e si articola in Abbiamo dapprima il tema idillico, la fuga cioè di Erminia e il suo arrivo in un luogo sereno, fra i pastori, presso i tre episodi di diversa tonalità.
quali essa trova rifugio e riprende, dopo
la
parentesi avventurosa, a sognare
d’amore nella dolce pace della natura. Subentra il tema avventuroso e magico: Tancredi, uscito dal campo sulle tracce di Erminia (egli crede che si tratti di Clorinda), incappa nel magico castello di Armida e vi resta imprigionato. Ritorna infine l’austero tono epico. Argante, secondo si
riprescnta per continuare ih duello e nessuno fra
i
i
patti,
Crociati osa battersi
lui. Scende allora in campo per difendere l’onore dell’esercito il magnanimo conte Raimondo; ma è avanzato negli anni e certo soccomberebbe se il suo angelo custode non lo difendesse con uno scudo di diamante. I diavoli
con
allora insorgono in aiuto di
99. accoglienze oneste e liete:
Argante e spingono che atten-
deva da Tancredi. loj. di viete:
impedisce.
non pen-
sa piu a se stessa e al suo desiderio, timida: timorosa.
106.
con prontissimo piede: velocemente.
107.
1’
altra
donna Il
:
la
Saraceni a interrompere
109. da le tende: dalla tenda di Tancredi, che aveva detto al servo di esser pronto ad accogliere 1 ignota donzella (Erminia non aveva voluto che il servo dicesse a Tancredi ’
103-104. se stessa... abbandona;
l’aveva seguita.
i
fedele ancella che
fèro (feroce) è Poliferno.
il
suo nome). 111.
r
altrui...
accompagna: accompagna
fuga delle donne scMa rendersi pienamente conto della situazione. e a i servi. 112. gli: è riferito a Erminia
anche
lui
la
528
a
Antologia della letteratura italiana
tradimento
il
Ne
duello.
nasce una zuffa, nella quale
un’orribile tempesta che sferza in viso
Crociati e
i
e in disordine nell’accampamento. Solo la la sconfìtta
Erminia
non divenga una
fra
i
li
i
demoni scatenano
fa rientrare sconfìtti
prodezza di Goffredo fa
si
che
rotta.
pastori Intanto Erminia infra Tombrose piante d’antica selva dal cavallo è scòrta,
né piu governa e
mezza
man
fren la
il
tremante,
quasi par tra viva e morta.
Per tante strade
raggira e tante
si
corridor eh’ in sua balia la porta,
il
ch’ai fin da gli occhi altrui pur si dilegua, ed è soverchio ornai ch’altri la segua. Qual dopo lunga e faticosa caccia
tornansi mesti ed anelanti
che
la fèra
i
cani,
perduta abbian di traccia,
nascosa in selva da gli aperti piani, pieni d’ira e di vergogna in faccia"*
tal
riedono stanchi
cavalier cristiani.
i
Ella pur fugge, e timida e smarrita
non si volge a mirar s’anco è seguita. Fuggi tutta la notte, e tutto il giorno errò senza consiglio e senza guida,
non udendo o vedendo che
le
Ma
ne
altro d’intorno,
lagrime sue, che l’ora
scioglie
i
che
sol
’l
corsieri,
sue strida.
le
dal carro adorno
grembo
e in
giunse del bel Giordano a
e scese in riva al fiume, e qui
Ottave 1-22.
15.
da 2.
d’ antica
selva:
anche qui l’aggettivo
T., dà alla selva un aspetto di 'indistinta grandiosità e di indistinto orrore, è scòrta: è guidata, perché, come dice nel v. seguente, la sua mano treantico,
cosi
caro al
mante non regge piu 6.
il
corjidor:
3. soverchio: 10 nati
il
il
freno
(le
briglie).
cavallo.
superfluo,
per la vana e lunga corsa. che...
piani:
abbiano perdute
una fiera che dai luoghi piani ed aperti dove l’avevano scovata s’è andata a rifugiare in una selva. tracce di
si
s’annida,
acque,
giacque.
pur fugge: continua a fuggire, timi-
Sono i versi più belli di questa fuL’attenzione del poeta è tutta rivolta all’anima di Erminia, al suo dolore che nasce dalla desolazione del suo sogno infranto. 21-24. Nella seconda parte dell’ottava il ritmo affannoso si placa lentamente e il T. comincia a preparare il nuovo incontro fra 17-20.
ga.
e la natura.
21-22. dal carro adorno: secondo la mitologia classica
le
mar
spaventata.
Erminia
inutile.
mesti ed anelanti: mortificati e affan-
II-I2.
:
al
le chiare
il
sole percorreva la sua strada
un cocchio
da cavalli. acque limpide del fiume sembrano già suggerire un’atmosfera dolcemente serenatrice. nel cielo su di ^3.
a
le
chiare acque:
tirato
le
Torquato Tasso
529
Cibo non prende già; che solo
ma
sete;
sonno, che de’ miseri mortali
’l
è co
de’ suoi mali
ha
pasce, e sol di pianto
si
suo dolce oblio posa e quiete,
’l
sopì co* sensi
i
dispiegò sovra
né però cessa
suoi dolori, e lei
l’ali
placide e chete;
Amor
con varie forme ella dorme. che garrir gli augelli
sua pace turbar mentre
la
Non
destò sin
si
non senti lieti e salutar e mormorar il fiume e
gli albori,
gli
arboscelli,
con l’onda scherzar l’aura e co i fiori. Apre i languidi lumi, e guarda quelli e
alberghi solitari de’ pastori; e
park voce udir
ch’a
i
Ma rotti
tra l’acqua e
rami,
i
ed al pianto la richiami. son, mentr’eUa piange, i suoi lamenti
sospiri
da un chiaro suon ch’a
che sembra, ed
è,
lei
ne viene,
di pastorali accenti
misto e di boscareccie inculte avene. Risorge, e là s’indrizza a passi lenti.
27-28.
sonno è sempre visto dal T. come
Il
un oblio
della
vita
affannosa,
un
suo ritmo caotico e dolente.
dal
distacco
Qui
esso
dispiega le sue ali placide e chete su Erminia e
sembra una tenera carezza. 29. sopì... dolori:
il dolore di Erminia. con varie forme: con immagini di sogno. Ma oramai l’angoscia è placata. Essa si è espressa nel ritmo tumultuoso di quella
31.
non
drammatiche risonanze sentimentali. Erminia non è personaggio drammatico, ma trepido e sognante, e del attraverso
sogno conosce
È
33-40.
un’ altra
quale ritorna
biamo
gli slanci e la
il
malinconia.
grande ottava,
nella
tema del notturno che ab-
visto nel canto precedente:
un’arca-
na e dolce consonanza fra l’uomo e la naun tenero stemperarsi della tensione deH’anima in un limpido paesaggio di pace. tura,
e...
34.
albori:
c salutare la prima luce
Nota quel
lieti che preannuncia pace e la serenità alla quale lentamente ritorna Erminia. La stessa voce consolatrice
dell’alba. la
è nei
37
-
due
versi seguenti.
Apre...
lumi:
sono ancora lungo piangere e si su questo mondo di pace che i
stanchi, languidi per
aprono
lenti
gli occhi
il
di
prima-
vera.
37-38. c guarda quelli alberghi, ecc. V enjambement o rompimento rende bene la :
lentezza
sopì, insieme coi sensi,
anche
fuga,
giunge fresco come un mattino
trasognata
sguardo,
dello
il
suo
lento scorrere su quel paesaggio assorto in
una pace immota. 39-40. Il suono dell’acqua
rami mos-
e dei
dalla lieve brezza del mattino la richia-
si
ma
pianto e
al
ai sospiri;
ma
un
è
pianto,
sfuma lentamente in quel canto di pastori che su-
ora, piu dolce, che
bito
s’
dona conforto,
e
ode.
43. che lo ascolti
E
sicura.
sembra, ed è: pare che Erminia prima stupita e sorpresa, poi piu in realtà, dopo le scene cruente
della battaglia e della strage, che infuriano in quella terra desolata, il canto pastorale
sembra venir come da un altro mondo. Esso crea un’oasi dolce e serena fra il fragor di battaglia della Gerusalemme e i travagli spirituali dei suoi eroi.
43-44.
suono
»
di
pastorali...
è costituito
mescolati al suono (inculte avene). 45.
verso
Risorge, ecc.: il
avene:
delle
Si
schiaro
il
pastori
canto dei
dal
zampogne
rozze
alza e
si
luogo dal quale proviene
indirizza il
canto
Antologia della letteratura italiana
530
e vede
un uom canuto
amene
a l’ombre
tesser fiscelle a la sua greggia a canto,
ed ascoltar di
Vedendo
tre fanciulli
il
canto.
quivi comparir repente
Tinsolite arme, sbigottir costoro;
ma
gli
saluta Erminia, e
gli affida, e gli occhi
— al
dolcemente
scopre e
bei crin d’oro:
i
Seguite, dice, aventurosa gente
Ciel diletta,
bel vostro lavoro;
il
ché non portano già guerra quest’armi a l’opre vostre, a
vostri dolci carmi.
i
Soggiunse poscia:
—O
d’alto incendio di guerra arde
come qui
la
—
le militari offese?
d’ogni oltraggio e scorno
ei rispose,
mia famiglia
paese,
il
placido soggiorno
state in
senza temer
— Figlio,
—
padre, or che d’intorno
e la
sempre qui fur; né
mia greggia illese Marte
strepito di
ancor turbò questa remota parte.
O
sia
grazia del Ciel, che l’umiltadc
d’innocente pastor salvi e sublime;
o che,
SI
come
in basso pian COSI
il
il
de’
gran re
né
gli
avidi
l’altere
soldati
46-48.
c
un sogno. Il
T. presenta
se essa era spesso soverchiata
da un’al-
immagine ideale; quella della corte, vista da lui come dimora di un’umanità aritra
stocratica ed eletta.
Meglio e più coerente-
mente che non vitW Aminta vagheggia
in
questo episodio il mito della vita semplice, di una primitiva schiettezza e innocenza. Tali sono i motivi svolti, più avanti, nel discorso del pastore, che è, però, un po’ troppo compiaciuto e appesantito da remi-
nescenze libresche, mentre 1’ immagine dei versi presenti è assai più limpida, fiscelle; ceste
repente;
preda
opprime; alletta
che non erano mai apparse colà. gli
affida;
rassicura,
li
che
all’
improvviso,
insolite;
e gli occhi,
indovinavano dolci e sorridenti, i capelli d’oro disegnano una immagine soave di fanciulla. È per sempre finita l’avventura guerriera di Erminia. ecc.
:
gli occhi,
53. aventurosa;
s’
fortunata.
carmi; canti (v. 48). 57. O padre; Parla al pastore come se già fosse entrata nella sua famiglia, in quel56.
la vita serena.
60. le militari offese: le violenze dei soldati.
61. Figlio:
Non sembra
corto che parla con 66. sublime:
una
essersi
onori.
69. peregrine:
ricchezza.
ancora ac-
fanciulla.
straniere; di chi
viene per assalire e privare
di vimini.
49-50.
teste
52.
vede... canuto;
qui un’ immagine di pace, di vita semplice e patriarcale, a cui anelava il suo cuore,
anche
a
nostra povertà vile e negletta.
con un passo lento, come assorta c ancora in preda a
non cade
su l’eccelse cime,
furor di peregrine spade
sol
la
folgore
ma
i
da lungi
re della loro
Torquato Tasso
531
Altrui vile e negletta, a
me
cara,
si
che non bramo tesor né regai verga; né cura o voglia ambiziosa o avara
mai nel tranquillo del mio petto alberga. Spengo la sete mia ne l’acqua chiara, che non tem’io che di venen s’asperga; questa greggia e
e
non compri
cibi
Ché poco
è
l’orticel
il
Son
de
men
saltar
ed
la
mandra, e non ho
veggendo
i
capri snelli e
i
Tempo
già
fu,
piume.
di
pasturar
e fuggii dal paese a
la
me
greggia,
natio;
Menfi un tempo, e ne
e vissi in i
quando piu l’uom vaneggia
prima, ch’ebbi altro desio,
l’età
e disdegnai
fra
cervi,
guizzar di questo fiume,
e spiegar gli augelletti al del le
ne
servi.
vivo in solitario chiostro,
-pesci
i
nostro
il
conservi.
si
miei questi ch’addito e mostro,
figli
Cosi
poco è
desiderio, e
bisogno, onde la vita custodi
dispensa
mia parca mensa.
a la
reggia
la
ministri del re fui posto anch’io;
ben che fossi guardian de gli orti, conobbi pur l’inique corti. Pur lusingato da speranza ardita soffrii lunga stagion ciò che piu spiace; ma poi ch’insieme con l’età fiorita mancò la speme e la baldanza audace.
e,
vidi e
74.
rcgal verga:
scettro regale.
Povertà è
qui intesa come mancanza di fasto e di ricchezza, non come privazione di quanto serve a soddisfare gli elementari bisogni della esistenza; significa, insomma, vita semplice, non turbata da cupidigia o ambizione, È l’antico ideale classico,
nel
mito della
vita
espresso soprattutto
pastorale.
75. cura... avara: ambizione c cupidigia. 78. che... s’asperga: che venga avvele-
nata dai nemici, tenti,
80.
soggetti cibi
frutto
del
vertito,
il
come
all’
capita ai re e ai po-
invidia
e
tradimento.
al
non compri: non comperati, ma suo lavoro. Come abbiamo avT. canta qui
il
suo
idillio,
me una
espri-
sua personale nostalgia. e... conservi: e di poco abbiamo bisogno per vivere. 81-82.
85. chiostro:
luogo appartato.
esprime la nostalsemplice e schietta della natura, senza alcuna preoc-
86-88. In questi versi
gia
di
bellezza
un
cupazione
si
ritorno alla
moralistica.
Domina
in
essi
un
senso di vita fresca e gioiosa. giovinezza, 89. quando... vaneggia: nella quando ci si lascia piu facilmente attrarre da vane lusinghe e illusioni. In questo e nei seguenti il T. sembra ripercorrere la vicenda della sua vita, con la nostalgia che nasce dal ricordo di una felicità e purezza
versi
perdute. orti: giar93-95. Menfi: città dell’Egitto,
dini,
96.
.
r inique
corti
:
è
un lamento
sincero del
attirato dallo
T., che pur fu costantemente splendore del mondo della corte. perdita, soprattut98. ciò che pili spiace: la to, della libertà.
532
Antologia della letteratura italiana
piansi
e dissi
di qucst’umil vita
riposi
i
mia perduta pace;
e sospirai la «
:
O
corte, a
ho
boschi tornando,
Dio.» Cosi, a tratto
amici
—
Erminia pende
Mentr’ei cosi ragiona,
da
gli
di felici.
i
soave bocca intenta e cheta;
la
e quel saggio parlar, ch’ai cor le scende, de’
sensi in parte le procelle
Dopo molto
pensar,
acqueta.
prende
consiglio
in quella solitudine secreta
almen farne soggiorno,
in sino a tanto
ch’agevoli fortuna
Onde
al
il
suo ritorno.
buon vecchio
ch’un tempo conoscesti se
non
de
le
e
me
t’invidii
il
Ciel
O
fortunato,
male a prova, dolce stato,
ti
mova;
teco raccogli in cosi grato
albergo ch’abitar teco
Forse
si
miserie mie pietà
—
dice:
il
che
fia
mio
’l
mi
giova.
core in fra quest’ombre
del suo peso mortai parte disgombre.
SI
Che come
se di
gemme
e d’or, che
’l
vulgo adora
idoli suoi, tu fossi vago,
tante n’ho
potresti ben,
renderne
meco
ancora,
tuo desio contento e pago.
il
—
Quinci, versando da’ begli occhi fora
umor
di doglia cristallino e vago,
parte narrò di sue fortune; e in tanto il
pietoso
pastor
pianse
come 104.
ho
tratto:
ho
ha bisogno soprattutto
privarti del tuo felice stato. È formula d’augurio e accompagna la richiesta di ospitalità.
120.
la
tempesta
dei suoi sentimenti. L’espressione, applicata
ad Erminia, appare un po’ forte. In realtà ella ha bisogno di quella pace per immergersi nel soave fantasticare d’amore che è la vera vita della sua anima. 114. a prova: per esperienza diretta.
non
t’invidii, ecc.:
possa
il
ciclo
mi
giova:
118-19. avverrà.
« Si liberi,
mortale affanno
umor,
piace, desidero, fia:
almeno
in parte, dal suo
».
ecc. lacrime versa Erminia, perché escono dai suoi occhi limpidi e lucenti e vaghe, cioè dolci e gentili. Il suo dolore si stempera in una luce
126-27.
de’ sensi... le procelle:
115. se
l’accoglie,
non
vissuto.
di pace.
108.
si
tutt’arda di paterno zelo;
105 sgg. Erminia pende, ecc.: il fascino dolce della natura, la serenità della vita agreste, espressa in forma pacata e persuasiva dalle parole del pastore, rasserenano Erminia c le ispirano un desiderio vivissimo di restare; anch’ ella
suo pianto.
al
Poi dolce la consola, e
ma
:
cristalline
fortune: vicende. Proprio di questo ha bisogno la tenera Erminia, di una compassione paterna, di qualcuno che condivida teneramente la sua malinconia solitaria. di bellezza c di grazia,
128.
Torquato Tasso 533
e la conduce ov’è l’antica moglie,
che di conforme cor
La
ha dato
gli
s’ammanta, e cinge
al
ma
occhi e de
moto de
nel
non
Cielo.
gli
crin ruvido velo; le
membra
già di boschi abitatrice sembra.
Non e
il
fanciulla regai di rozze spoglie
copre abito
quanto
è in
nobil luce,
la
maestà regia traluce ancor de l’essercizio umfle.
e fuor la
per gli
vii
d’altero e di gentile:
lei
atti
Guida
greggia a
la
paschi e la riduce
i
con la povera verga al chiuso ovile; e da l’irsute mamme il latte preme, e ’n giro accolto poi lo stringe insieme.
Sovente,
giacean
ne
le
allor
che su
gli
estivi
ardori
pecorelle a l’ombra assise,
de
la scorza de’ faggi e
nome
segnò l’amato
gli allori
in mille guise:
e de’ suoi strani ed infelici amori aspri successi in mille piante incise;
gli
e in rileggendo poi le proprie note
rigò di belle lagrime
gote.
le
Indi dicea piangendo
questa dolente
—
:
In voi serbate
amiche piante;
istoria,
perché, se fìa ch’a le vostr’ombre grate giamai soggiorni alcun fedele amante, senta svegliarsi
de
131. c’
«
ma
una sfumatura
di
vecchia;
antica:
è anche
al
cor dolce pietate
sventure mie
le
neH’aggettivo venerazione »
137. la nobil luce; dalla sua purezza non
rozze
d’amore (citiamo
nobiltà che
la
può
spira
essere celata dal-
te nobile »
di
pastorella,
gesti
richiesti
comprime
148.
in
1*
l’amato nome: quello
150. gli aspri successi:
dalle
irsute, ecc.
mammelle
:
spreme
delle
forme rotonde
il
latte
formaggio. 145 sgg. Rinasce ora 1 idillio di Erminia, che riprende il suo lungo, tenero sognare ’
di
tristi
Tancredi. casi.
Anche questo commuoversi su se stesproprio della sua natura di fanciulla tenera e sentimentale. 152.
sa
pecore e lo per farne il
i
151. le proprie note: quel che aveva scritto.
anche attraver-
:
umili occupazioni
riduce: riconduce.
143-44. e da
pelose
altri espri-
146. assise: adagiate.
«aristocraticamen-
gentile:
140-41. per gli atti, ecc. i
verso che meglio degli
il
cezza di quel fantasticare.
(Garetti).
so
e coi pensieri suoi parla e sospira il
tema di Erminia). La natura bella e serena sembra disporla ancor più alla dol-
vesti.
138. altero...
dalle
varie e tante;
me
(Russo).
le
si
è
la sospi153. Indi dicea, ecc.: Comincia idillicarosa e sognante elegia di Erminia, mente legata alla natura, nella quale cerca
comprensione 155. se fia:
e conforto
l’anima
se avverrà.
solitària.
Antologia della letteratura italiana
5.M
Ah
c dica:
troppo ingiusta empia mercede
diè fortuna ed
amore
Forse avverrà, se
a ’l
si
gran fede!
Ciel benigno ascolta
affettuoso alcun prego mortale,
che venga in queste selve anco tal volta quegli a cui di me forse or nulla cale; e,
rivolgendo
ove sepolta
gli occhi
giacerà questa spoglia inferma c frale,
tardo premio conceda
miei martiri
a’
di poche lagrimette e di sospiri:
onde,
se in vita
il
cor misero fue,
morte almen felice, e ’l cener freddo de le fiamme sue goda quel ch’or godere a me non lice. Cosi ragiona a i sordi tronchi; e due sia lo spirito in
—
fonti di pianto da’ begli occhi elice.
Tancredi in tanto, ove fortuna il tira lunge da lei, per lei seguir, s’aggira.
Canto Vili Continuano, per celesti e infernali.
come un giovane
i
Un
Crociati, le sventure, e
ad esse
guerriero danese giunge al
eroe.
si
campo
mescolano interventi cristiano, c racconta
Sveno, che doveva raggiungere col suo valoroso
un agguato notturno, da Solimano, re di Nicea, vinto e spodestato dai Crociati. Il guerriero, unico superstite della gente di Sveno, descrive l’eroica morte del principe, assetato esercito Goffredo, sia stato assalito e disfatto, in
di gloria c di martirio; poi afferma di essere stato risanato per intervento
divino, e di portare ora la spada di Sveno all’eroe destinato a vendicarlo,
Rinaldo.
campo e vi semina discordia. rimpianto di Rinaldo, che podella guerra. Proprio allora si crede di averne trovato
Frattanto la Furia Aletto è penetrata nel
racconto del danese fa nascere in
Il
trebbe ristorare le sorti
cadavere e
il
159-60.
si
diffonde
163. tal volta:
:
ingiusta
c
174-75.
un giorno.
sono
165-66. Riecheggia la situazione della can-
vedi al v. j68. ’l cener freddo...
171-72. c
lice:
caduto vittima dell’invidia di
quale ora non mi è lecito trarre alcuna gioia.
fedeltà.
zone petrarchesca Chiare, fresche e dolci acque, ma con tono più tenero e morbido, co-
me
il
la diceria ch’egli sia
troppo ingiusta, ecc.
crudele ricompensa, fede:
tutti
e
il
mio
freddo cenere, cioè io morta, pxDssa godere, aver gioia da quella fiamma d’amore dalla
elice:
belli-,
fa
scaturire.
Ma
gli
occhi
assistiamo nell’ultima parte del-
un pieno rifiorire della bellezza Erminia, fortuna: la sorte. 176. per lei seguir: ma in realtà credendo di seguire Clorinda. Giungerà, come abbiamo accennato, al castello d’Armida e vi resterà prigioniero finché non sarà liberato da Rinaldo. l’episodio a di
Torquato Tasso
535
Goffredo e dei Francesi. L’impetuoso Argillano desta per questo una sedi zionc, che però il Buglione riesce a sedare, imprigionandolo.
Canto IX
È
questo
il
grande canto di Solimano,
lo
spodestato re di Nicea che
vive ora soltanto in funzione del suo odio contro sauribile
brama
i
Crociati e di
una
ine-
di vendetta. Spinto dalla Furia Aletto, assale improvviso coi
il campo cristiano, di notte, mentre, con azione combinata, Gerusalemme compiono una sortita in suo appoggio. La bat-
suoi predoni arabi i
difensori di
taglia si svolge in un paesaggio reso spaventoso e spettrale per opera dei demoni^ fino a che Dio manda l’arcangelo Michele a ricacciare i diavoli
La
un drappello
di
cinquanta cavalieri che sgominano lo schieramento nemico e consentono
ai
neU’inferno.
battaglia è risolta dall’improvviso assalto di
Crociati di riorganizzarsi e passare a
Solimano campeggia ancora pronto a riprendere però
di
un
solitaria
vinto,
la lotta
contrattacco vittorioso. alla
fine del canto; è
all' ultimo
La figura un grande
sangue.
Solimano
—
Grida
il
O
che furor tanto
(ned
tu,
uom
già, se
sei
mostrasti), ecco io
Verrò; farò
mano:
guerrier, levando al del la
ti
al cor m’irriti
ben sembiante umano seguo ove m’inviti.
monti, ov’ora è piano,
là
monti d’uomini
estinti e di feriti;
farò fiumi di sangue.
Or
mie per
e reggi l’armi
tu sia meco,
l’aer cieco.
Tace: e senza indugiar e rincora parlando il vile e
le ’l
—
turbe accoglie, lento;
e ne l’ardor de le sue stesse voglie
Ottave 12-16; 20-26; 62-66; 98-99.
;
1-2.
!
i
i
ì
Fuha preso sembianze umane e a Solimano T invito di assalire
guerrier: Solimano. Aletto, la
ha rivolto d’ improvviso nato
;
il
infernale,
ria
f
il
il
campo
discorso, gli
dei Crociati; termi-
ha ispirato nell’animo
un furore demoniaco di violenza e di distruzione. m’irriti: mi ecciti. 3. ned: ne. Solimano comprende di aver parlato con un essere sovrumano; tuttavia r invito della Furia coincide con
1
’
odio e
I
il
desiderio di vendetta che egli nutre con-
tro
i
Crociati, e quindi l’asseconda di
,
grado. I
buon
smisurata 5-7. Solimano è tutto in questa un e crudele violenza. Qui le parole hanno tono enfatico; altrove, espressioni simili a queste daranno vivo rilievo alla grandiosità cupa e sinistra del personaggio. Al verso 7 sia sta 8.
per
sii.
reggi...
cieco:
guida
il
mio
esercito
La notte per le tenebre cupe della notte. della figura tenebrosa è lo scenario naturale di Solimano. raduna; il T. dice turbe per9 accoglie: il crollo del ché l’esercito di Solimano, dopo un’accozzaglia di suo regno, è costituito da predoni arabi mercenari. i ne l’ardor... intento: e accende 11-12. e
Antologia della letteratura italiana
accende
Dà
campo
il
a seguitarlo intento.
segno Aletto de
il
man
di sua
Marcia che de
Va
il
la
propria
il
la tromba, e gran vessillo
scioglie al
vento.
campo veloce, anzi si corre, fama il volo anco precorre.
seco Aletto; e poscia
d’uom che
lascia, e veste
il
rechi novelle, abito e viso;
ne l’ora che par che il mondo reste la notte e fra ’l di dubbio e diviso, entra in Gierusalemme; e, tra le meste e
fra
al re dà l’alto aviso gran campo che giunge, e del disegno,
turbe passando, del
e del notturno assalto e l’ora e
Ma
segno.
’l
già distendon l’ombre orrido velo,
che di rossi vapor la terra in
si
sparge e tigne;
vece del notturno gelo
bagnan rugiade tepide e sanguigne; s’empie di mostri e di prodigi
cielo;
il
s’odon fremendo errar larve maligne;
votò Pluton gli
abissi, e la
sua notte
da le tartaree grotte. Per SI pròfondo orror verso le tende de gli inimici il fèr Soldan cammina; tutta versò
ma quando
suoi
(il
taglia
campo) e
mezzo
del suo stesso ardore di bat-
strage,
di
a
rendendolo
desideroso
che giunge prima che
i6. che... precorre:
sparsa la
18. 19.
fama
del suo avvicinarsi.
d’uom... novelle: di messaggero. nel crepuscolo, reste: e ne l’ora, ecc. :
resti.
21-22. meste turbe: la popolazione di Ge-
rusalemme
è mesta per
:
Crociati su
parte e dei
combinato,
due
fronti, di
difensori
pericolo che in-
il
combe su di lei. 23-24. campo esercito. deir attacco
su tutta la battaglia notturna. la
27.
terra:
è
complemento oggetto;
il
soggetto è rugiade, ecc.
(inter^to) di seguirlo.
sia
del suo corso ascende
disegno è quello che impegnerà i
Il
Solimano da una
della
città
dall’altra,
segno: segnale. 25-32. L’ottava descrive il paesaggio divenuto d’un tratto infernale, per la presen-
za effettiva dei demoni. Il colore cupo della notte si mescola al rosso sanguigno dei vapori e di una rugiada mostruosa, come a preannunciare la prossima strage. Questa tonalità spaventosa e demoniaca si espanderà
29.
s’
empie,
ecc.
:
Il
T. accettava
visione, fatta dai teologi, dei
demoni
la di-
in
due
schiere, delle quali l’una sta nell’inferno a
tormentare i dannati, l’altra nell’aria, dove provoca prodigi e tempeste, o, comunque, nel nostro mondo a tentare gli uomini. L’atmosfera di questa battaglia non è dunque puramente fantasiosa, ma ha in sé qualche cosa di pauroso e raccapricciante. lugubri c sinistri spettri. 30. larve maligne 31-32. votò Pluton, ecc.: Plutone (cioè Satana) votò gli abissi, riversò dall’ inferno (tartaree grotte) sulla terra, insieme all’orrido buio del suo regno, tutti i demoni. 33-34. il fcr Soldan: il fiero Solimano. La sua figura audace ed eroica è come ingi:
gantita
dalle
tenebre
paurose,
demoniache
e, d’altra parte, dall’impassibile, sinistro co-
raggio col quale passa per rendo.
il
paesaggio or-
Torquato Tasso
537
onde poi rapida dechina,
la notte,
a
men
il
d’un miglio ove riposo prende
securo Francese, ei s’avvicina.
Qui
cibar le genti; e poscia, d’alto
fe*
parlando, conformile
Dopo
avere acceso
di preda,
avanza
assalto.
suoi alla lotta, infiammandoli con la speranza
i
alla loro testa verso
Ecco
crudo
al
campo
il
crociato.
tra via le sentinelle ei vede,
per l’ombra mista d’una incerta luce;
né ritrovar, come secura fede avea, puote improviso
Volgbn
saggio duce.
il
quelle gridando in dietro
il
^
piede,
si gran turba egli conduce; prima guardia è da lor desta, che, com’ può meglio, a guerreggiar s’appresta.
scòrto che
SI
che
la
Dan Van co
fiato allora
a
barbari metalli
i
Arabi, certi ornai d’esser
gli
suon del calpestio misti i monti muggir,^ muggir
’l
Gli
sentiti.
gridi orrendi al cielo, e de’ cavalli
alti
e risposer gli abissi a
i
nitriti.
le valli,
lor muggiti;
“
e la face inalzò di Flegetonte ’l segno diede a quei del monte. Corre innanzi il Soldano, e giunge a quella confusa ancora e inordinata guarda
Aletto, e
rapido
si,
che torbida procella
da’ cavernosi
Fiume
monti esce piu
^
tarda.
ch’arbori insieme a case svella,
folgore che le torri abbatta ed arda.
onde: da dove. È dunque mezzanotte. men d’ un miglio, ecc. giunge a meno d’un miglio dal luogo in cui (ove), ecc. il securo Francese: i Crociati (in maggioran36.
37-39. a
:
za Francesi) riposavano senza alcun sospetto (securo) dell’
imminente
attacco,
d’alto:
da
il
saggio comandante, com’ era convinto di
poter fare. 45-47. quelle
:
le sentinelle, la
prima guar-
dia: gli avamposti. 49. metalli: trombe. Flegetonte: 55. la face... di
la
sua
fiac-
è rischiarato dai vapori rossastri suscitati dai
cola infernale, accesa sulle acque ardenti del Flegetonte, uno dei fiumi dell’ inferno. guerrieri asserra56. a quei del monte: ai
demoni.
gliati in
un luogo 42. per
elevato. 1’
ombra... luce:
il
buio della notte
43-44. né... duce: non riesce però a cogliere di sorpresa (ritrovar improviso) Goffredo,
58.
mente.
Gerusalemme. non
inordinata:
schierata
ordinata-
Antologia della letteratura italiana
538
terremoto che
mondo empia
il
son piccole sembianze
al
d’orrore,
suo furore.
Non cala il ferro mai, ch’a pien non colga, né coglie a pien, che piaga anco non faccia, né piaga fa, che l’alma altrui non tolga:
ma
e più direi;
E
ver di falso ha faccia.
il
par ch’egli o s’infìnga, o non se ’n dolga,
o non senta
il ferir de l’altrui braccia; ben l’elmo percosso in suon di squilla rimbomba, e orribilmente arde ,e sfavilla. Or, quando ei solo ha quasi in fuga volto quel primo stuol de le francesche genti, giungono in guisa d’un diluvio accolto di mille rivi gli Arabi correnti.
se
Fuggono e misto
Franchi allora a freno
i
sciolto;
vincitor va tra’ fuggenti;
il
e con loro entra ne’ ripari, e
’l
tutto
di ruine e d’orror s’empie e di lutto.
Porta
il
serpe che su le
si
Soldan su l’elmo orrido e grande dilunga e il collo snoda;
zampe
s’inalza, e l’ali spande,
e piega in arco la forcuta coda;
mande
par che tre lingue vibri, e che fuor
spuma, e che il suo fischio s’oda. Ed or ch’arde la pugna, anch’ci s’infiamma nel moto, e fumo versa insieme e fiamma. E si mostra in quel lume a i riguardanti livida
64. son... furore:
no
solo
una
sono paragoni che dan-
pallida idea della sua furia de-
vastatrice.
66-67. trui:
68.
anche.
aiico*
Palma:
la
vita,
al-
a chi colpisce. il
ver,
ccc.
:
la
ha, in questo
verità
apparenza di menzogna. 69. o s’infìnga: finga di non sentire
miero e che esprime tutto l’orrore della strage selvaggia. 81. orrido c grande: va con serpe, non con elmo. Uenjambement o rompimento, prolunga la figurazione in un senso di agghiacciante c indefinito orrore. .
in realtà,
caso,
i
(v.
un drago, con zampe
Il
serpe è,
e con
ali.
83).
87-88. « Forse intuiamo che è soltanto
colpi.
un
74-76. francesche: francesi, d’un diluvio... rivi: di un’inondazione provocata da mille
giuoco
ruscelli.
momen-
confonde coi nugoli di polvere intorno a chi combatte: ma
P
è impossibile insieme
81-88. Porta
il
Soldan, ccc.:
to più grandioso,
in
della notturna battaglia e la
È
il
cui culmina si
orrore
fa tutt’uno
con
figura di Solimano. Egli diventa la per-
sonificazione di
un furore cosmico,
di
una
potenza annientatrice oscura e informe, riassunta e condensata nella raffigurazione dell’elmo, di quel serpente che gli fa da ci-
di
prospettive illusorie c che quella
fiamma non è tallo COSI come
l’essere sinistro
limano c con (Raimondi).
la
89-92. Questi
un baglior
altro che il
fumo
con
di
me-
si
non
identificare quel-
volto nascosto di So-
il
sua energia annientatrice » versi
riprendono
d’orrore dei versi precedenti:
Solimano come oscura
c
la
il
motivo
visione di
travolgente forza
Torquato Tasso
539
formidabil cosi Tempio Soldano,
come veggion ne l’ombra lampi
fra mille
danno danno altri
al ferro
e la notte
tumulti ognor piu mesce,
Altri
i
a la fuga
ed occultando
Continua
naviganti
i
torbido oceano.
il
rischi,
i
piè tremanti,
i
mano;
intrepida la
rischi accresce.
i
Solimano compie prodigi di valore non si opponesse la prodezza di Goffredo. Dio, frattanto, invia l'arcangelo Michele a cacciare i demoni la selvaggia battaglia:
e irromperebbe nel
campo
cristiano se
dalla battaglia.
Venia sentendo con Teterne piume densa e
la caligine
i
s’indorava la notte
cupi orrori: divin lume,
al
che spargea scintillando
Tale
ne
sol
il
vólto fuori.
il
nubi ha per costume
le
dopo la pioggia i bei colori; fendendo il liquido sereno, stella cader de la gran madre in seno. Ma giunto ove la schiera empia infernale spiegar tal
suol,
furor de’ Pagani accende e sprona,
il
ferma in
si
aria in su
’l
vigor de Tale,
e vibra Tasta, e lor cosi ragiona:
—
Pur
voi dovreste ornai saper con quale
folgore orrendo o, nel
il
Re
mondo
del
tuona,
disprezzo e ne’ tormenti acerbi
de l’estrema miseria, anco superbi.
della natura di
si
dilata c nella visione confusa
una tempesta
sul
mare, che incombe
tenebre della notte sull’ angoscia impietrita degli uomini » (Raimondi).
le
90. formidabil
:
spaventoso.
95-96. I versi, con i quali parte praticamente piu viva
riprendono
il
dell’ orrore;
momenti
è
tema
della
si
conclude
la
dell’ episodio,
notte,
del
caos,
T atmosfera che riassume
i
L’ apparizione dell’ arcangelo Michele riconduce un senso di luce e di umanità in quella cupa e demoniaca battaglia, e palpita di una chiarità insieme dolce e forte. È forse la più bella fra le varie rappresentazioni d’angeli del poema.
agitando,
piume:
ali.
100. che... fuori: (lume) che
scintillando
l’angelo
rifletteva
il
volto del-
tutt’intorno.
103-104. liquido: limpido, la gran madre: la
progressivi della cupa vicenda.
97. Venia:
scotendo:
fra,
terra.
schiera,
105. la
segna
passaggio
il
tee.:
i
dalla
demoni. radiosa
Il
ma
dolcezza
della del volto dell’angelo aU’affermazione sua forza superiore e invitta.
107. in
su
’l
vigor,
tee.:
sulle
ali
vi-
gorose. voi 111-12. o nel disprezzo... superbi: o anche ora che siete, rimanete superbi affondati nel dispregio e nei
che
Dio
vi
ha
estrematormenti acerbi di una condizione
mente miserevole.
Antologia della letteratura italiana
540
Fisso è nel Ciel, ch’ai venerabil segno chini
A
le
mura, apra Sion
che pugnar co
dunque
de
irritar
le porte.
fato? a che lo sdegno
’l
celeste corte?
la
Itene, maledetti, al vostro regno,
regno di pene e di perpetua morte; e siano in quegli a voi dovuti chiostri le
vostre guerre ed
Là
pur
tutte adoprate
fra
i
trionfi vostri.
incrudelite, là sovra
i
nocenti
le vostre posse
gridi eterni, e lo stridor de* denti,
i
—
suon del ferro, e le catene scosse. Disse, e quei ch’egli vide al partir lenti, con la lancia fatai pinse e percosse: e
il
gemendo abbandonàr
essi
region de la luce e l’auree
le belle
stelle;
e dispiegàr verso gli abissi
ad inasprir ne’
Non
passa
quando
il
rei l’usate
mar d’augei
il
volo
doglie. si
grande
stuolo,
piu tepidi s’accoglie;
ai soli
né tante vede mai l’autunno al suolo cader co’ primi freddi aride foglie. Liberato da lor, quella si negra faccia depone il mondo, e si rallegra.
A lungo incerto è V esito della lotta, ma V assalto improvviso di cinquanta cavalieri crociati (sono, come si saprà, quelli imprigionati da Armida e
liberati
resta solo nel
campo, davanti
da Rinaldo) mette in fuga i Saraceni. Solimano al suo esercito distrutto.
Come
sentissi
d’uom che
fra
due
tal,
sia
113-15. Fisso; stabilito dalla volontà onni-
potente
di
Dio.
al
venerabil
segno
:
alla
Croce, emblema dei Crociati. Sion: Gerusalemme. fato: la volontà di Dio. 119-21. c... vostri: le vostre guerre e i vostri trionfi
si
compiano
soltanto in quelle
prigioni {chiostro è luogo chiuso) che avete meritato {a voi dovuti), i nocenti: i peccatori.
127-28. Viva è in questi versi
l’angoscia
demoni, espressa in quel gemendo e poi nella figurazione mesta e desolata delle foglie aride nell’ autunno. Al tono cupo e dei
ristette
in
atto
dubbio; e in sé discorre
spesso
reboante
con cui
T. dipinge le un tono di prodotta dalla vana nostalil
scene infernali è sostituito qui
densa tristezza,
gia per l’auree stelle.
ad inasprire i tor130. ad inasprir, tee. menti consueti dei dannati. 132. « quando si raccoglie al giungere della primavera ». 137-38. tal: tutto sangue e sudore, con la spada che piu non taglia, affranto dallo sforzo immane e ormai privo delle sue truppe, che sono state sbaragliate, fra due: incerto fra due decisioni. :
M
7
Torquato Tasso 543 se morir debba, e di si illustre fatto con le sue mani altrui la gloria tórre; o pur, sopravanzando al suo disfatto campo, la vita in securezza porre. Vinca (alfìn disse) il fato; e questa mia fuga il trofeo di sua vittoria sia. Veggia il nemico le mie spalle e schema di novo ancóra il nostro essilio indegno; purché di novo armato indi mi scerna
—
turbar sua pace e
Non
’l
non mai
regno.
stabil
con memoria eterna de le mie offese eterno anco il mio sdegno. Risorgerò nemico ognor più cmdo, cenere anco sepolto e spirto ignudo. cedo
io,
no:
145
fia
150
—
Canto
X
La prima parte del canto insiste ancora sulla figura di Solimano, indomito anche se abbattuto, che decide di riparare in Egitto per continuare di là la sua guerra. Ma gli si presenta improvviso il mago Ismeno che con arti magiche lo porta a Gerusalemme, dove è calorosamente accolto dal re. Frattanto, nel campo cristiano i cinquanta cavalieri che hanno deciso lo scontro precedente (fra di loro è anche Tancredi) raccontano come Rinaldo li abbia liberati dalla prigione di Armida. Grande è la gioia dell’esercito nel sapere Rinaldo vivo, e questi, d’altra parte, si è guadagnata la riconoscenza di Goffredo, liberando quei cavalieri.
È
suo ritorno, tanto più che Pier l’Eremita predice
cosi le
spianata la strada al
future glorie dell’eroe c
dei suoi discendenti, gli Estensi.
Canto XI
È un
canto tutto guerriero, che
si
apre con l’esaltazione delle « armi
Gerusalemme, ma prima compiere una pia processione di tutto l’esercito sul monte Oliveto. Poi lancia le truppe all’attacco, e s’accende una battaglia sanguinosa e furibonda, nella quale Goffredo combatte a piedi, come semplice soldato. A un certo pietose ». Goffredo, infatti, decide di dar l’assalto a
fa
139-42. se morir... togliere
ad
altri
porre:
la gloria di
se
ucxidersi
e
averlo vinto c
ucciso o mettere al sicuro la propria vita,
sopravvivendo 147. scerna:
148-50.
suo esercito distrutto. veda.
al
non mai
stabil
:
perché sempre mes-
so a rischio di rovina dall’indomita volontà di lotta di Solimano, fìa:
sarà.
suo odio durerà anche oltre la morte. Non son belle queste ottave, ma definiscono quella carica d’odio irridudbilc che 151-52.
Il
è in Solimano.
y
^
54^
^
A£L
Antologia della letteratura italiana
Só^\^ac^
à.^d-^tejOSo)c{
punto, ferito da una freccia, scagliata, forse, da Clorinda, deve abbandonare il campo, e l’esercito cristiano si sgomenta e vacilla. Risanato per intervento riesce a rinfrancare i suoi, ma deve sopraggiungere della notte. Ritira dunque le schiere e anche una gran torre mobile d’assalto, necessaria per espugnare la munitissima città.
divino,
il
comandante torna in campo e
interrompere l’azione per
il
Canto XII Clorinda decide audacemente di uscire dalla città e di andare a bruciare mobile che rappresenta per i difensori di Gerusalemme il pericolo più grande. Argante l’accompagna, e i due eroi riescono pienamente nella torre
ma
sono scoperti e inseguiti dai Crociati. Mentre Argante riesce a mura, Clorinda, per un fatale errore, ne resta esclusa ed è raggiunta da Tancredi che, non avendola riconosciuta, la sfida a battaglia. l’impresa,
rientrare entro le
Il
duello
si
conclude con
la sconfitta,
il
battesimo e
la
morte della fanciulla
"^et che riguarda il battesimo, prima della sortita ella aveva saputo da un vecchio servo fedele, che l’aveva allevata, di essere nata da genitori (per
'
cristiani Il
lamento disperato di Tancredi, alti pensieri, degni di un Frattanto Argante giura solennemente di vendicare la
resto del canto è quasi tutto occupato dal
che invano Pier l’Eremita tenta di rivolgere a più cavaliere cristiano.
morte
dell’eroina. 6-
La morte
di Clorinda
,
7-
Vuol ne Tarmi provarla: un uom degno a cui sua virtù si paragone. Va girando edd l’ab«tre.cima
la
stima
^
verso altra porrà, c)vc d entrar dispone.
Segue
egli
®
impetu^so|Tonde,. assai prima
che giunga, in guisa aVvien^che d’armi suone, ch’ella
si
che corri
— O che porte, — Risponde: — E guerra e morte. —
volge, e grida: si.'^
Ottave 52-70.
paragone: Tancredi vuole batcon Cloriada, stimando che sia un guerriero col quale egli possa degnamente misurare il suo valore (non la può riconoscere perche ella, durante la notturna sortita, ha indossato armi « rugginose e nere », senza le usate insegne); la segue dunque da solo. 3. l’alpestre cima: Clorinda, che non si crede seguita, gira attorno alla cima di uno 1-2. Vuol...
tersi
tu,
colli su cui è posta rientrare nella città.
dei
7. in
suonano
guisa... le
volge:
O
in
tal
modo
armi di Tancredi, che
volge per affrontare 8.
Gerusalemme per
il
ella
risi
pericolo.
tu che porte, ecc.
:
Che
1
'
cosa porti,
che cosa arrechi? Già questa ottava prepara l’atmosfera drammatica e cupa del duello mortale: spiccano, fra gli altri particolari, quel sin istro rumore di armi nel buio fondo della notte, la corsa impetuosa di Tancredi,
j
|
|
"p-»
vi2.'Z^'
grande,
^o
memoria.
l’alta
non
parar,
ritirarsi
ha
voglion costor, né qui
parte.
colpi or finti, or pieni, or scarsi;
toglie l’ombra e le
P aa
£ ’n bel sereno spieghi e%iande.
Non schi^^^ndn i
4.
,^3
loro; e tra lor gloria
splenda del fosco
Non danno
^
tragga,
’l
a le future età lo
Viva la fama
T
oscuro seno
chiudesti e ne Toblio fatto eh’ io
^
degne d’un pieno
memorande. m
A
^
E impugna Tuna
\U
rifiuto
—e
furor l’uso de
’l
l’arte.
spade orribilmente urtarsi
^
mezzo il ferro; il piè d’orma non parte: sempre è il piè fermo, e la man sempre in moto; né scende taglio in van, né punta a voto. L’onta irrita lo sdegno a la vendetta,
a
—^
vendetta poi l’onta rinova;
la
onde sempre al ferir, sempre a la fretta stimol novo s’aggiunge e cagion nova. D’or in or piu si mesce, e piu ristretta
28. toglie... l’arte: l’ombra della notte e
che appare spinto al duello da un fato ineluttabile, e il dialogo incalzante, spietato, incentrato su due parole tragiche guerra e morte. ;
9-10. eroica
I
di
due
scherma.
esprimono Ja fermezza Clorinda. I due guerrieri non si versi
30. a
15. vansi
a ritrovar: ’l
si
po a corpo, il piè d’orma non parte: il piede non si allontana dalla propria orma, due si battono con furore ostinato. subito, 33-34. L’onta... rinova: ogni colpo è sentito da loro come un’onta che suscita venlo sdegno e incita alla vendetta, e la i
assaltano.
tragga: consenti che io
la quale ravgrande impresa, e ’n bel... mande: e in piena luce b esponga e la tramandi.. resti la fa-A 23-24. Viva... ma dei due eroi, e insieme alla loro gloria risplenda anche l’alta memoria delle tue tenebre. /
tragga fuori dall’ombra con volgesti
SI
CaWiV-^;
^
compiuta dall’ uno rinnova nell alr onta e il desiderio di vendicarsi a sua
detta tro
volta.
Di momento in 37-38. D’or... non giova: battaglia si fa sempre piu la
)
ÌP
mezzo il ferro: nella parte mediana come avviene nei duelli a cor-
della lama,
avviene in tanti duelli cavallereschi, con vanti c minacce: ma si avverte nelle loro parole una tensione estrema. II. pedon: appiedato. Jisivujun'KM pròVóciflfl,'t:oilie
21-22. ch’io ne
il
furore dei due contendenti impediscono che essi usino gli accorgimenti dell’arte della
momento
VOydcji À
Antologia della letteratura italiana
544
puma: gomL
fa la
si
cozzan con
non giova;
e spada oprar
dansi co’
infelloniti
e,
e crudi,
elmi insieme e con
gli
gli scudi.
Tre volte il cavalier la donna stringe Xe on le robuste_j3raceia; ed altrettante da que’ nodi tenaci nodi di
Tornano
scinge,
ella si
nemico, e non d’amante.
fier
ferro,
al
e l’uno e l’altro
tinge
il
con molte piaghe; e stanco ed anelante e questi e quegli al fin pur si ritira, e dopo lungo faticar respira.
L’un
guarda, e del suo corpo essangue
l’altro
pomo
spadaXppoggia il peso. Già de Tultima stella il raggio langue al primo albor eh’ è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico, e sé non tanto offeso. Ne gode e superbisce. Oh nostra su.
’l
de
la
^
^
“
mente, ch’ogn’aura di fortuna estolle! isero, di che godi? oh quanto mesti
^M
fiano
1
ed
trionfi,
infelice
vanto!
il
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita
tumultuosa e serrata,
neppure
e
la
spada
deH’elsa.
infel-
serve piu. 39. co’ loniti
e
pomi: crudi:
col
barbarica e crudele. del cioè
pomo
da una violenza
trascinati
È
il
duello piu rapido
poema, il
descritto con pochi cenni, senza consueto indugio sulle tecniche guer-
Un’onda
riere dei contendenti.
fatale travolge inesorabile
i
passionale e
due
eroi:
un
fu-
rore cicco e selvaggio, una tempesta arcana di odio e di violenza.
È
questa
grande invenzione tassiana dio,
r
altra
41-44.
Tre
è
1’
elegia
volte
il
prima c
la
in questo episo-
finale
cavalier,
della
morte.
ecc.
Il
:
Mo-
migliano avverte qui un « vano, mordente soffio di sensualità appassionata » in quanto dietro le figure dei
due guerrieri avvinghiati
queir abbraccio mortale vede come un tragico capovolgimento dei sognati abbracci di Tancredi alia donna invano amata. L’ansia del suo lungo, inappagato amore si tramuta inconsapevolmente in un’ansia di ucin
abbiamo detto che personaggi appaiono travolti da una supcrior'^, impassibile fatalità; anzi che proprio Tancredi debba battersi a morte con Clorinda appare una beffa sinistra del destino, incidere. Per questo
i
resti)
timamente connessa a quel senso della vita pervasa da un’arcana legge di dolore e al senso dcll’« aspra tragedia dello stato uma-
no
»,
soggetto
della
c
ai
«gran giuochi
che
sorte »
è
della sensibilità c della poesia del 43.
si
scinge:
si
del
caso
tema fondamentale T.
discioglie.
45-47. Tornano al ferro: tornano a combattere con le spade, si ritira: si distacca dall’altro.
Finalmente una pausa, ed è poeticaaltissima i due guerrieri si guardano, appoggiando il corpo ormai sfinito sul pomo deU’elsa. Già si spegne l’ultima stella e sorge nel cielo il primo chiarore dell’alba. Ma sembra un’alba livida: quel languore riferito allo spegnersi lento dell.i 49.
mente
:
luce dell’ultima stella reca
come una
voce,
un
presentimento di morte. Per tutto il duello il paesaggio naturale, colto con accenni rapidi ma intensissimi, è inscindibil-
mente legato
alla
53-54. copia: altrettanto. 56. estolle:
vicenda.
abbondanza, non tanto: non
innalza,
57-60. Questi
r esclamazione
fa
insuperbire.
sono lo sviluppo delcontenuta nei vv. 55-56 e versi
Torquato Tasso
545
ogni stilli un mar di pianto. G3si tacendo e rimirandn, guf^ ^t-i di qucl_saflguc
gucrncr ccssaro ^quanto.
safiguinosi
Ruppe
li
silenzio al
perché
il
suo
—
hn
nome
^[ocAy wa+^-^bcrVTvix/X
\Oi,cÀ\t^
,
V)YTXVvOCU€
-\itcxX
animata,
stella
txj
come
\àp0^iy\
Soc(t Gian
Battista
Marino
NV**-
^ir€^ OE vien col dolce
^^
t
uo
tranquillo oblio
e col bel volto, in ch’io mirar a consolar
vedovo
il
Che se *n non m’è dato de
Invita la sua ninfa
mi appago,^
desio.
V,eie>r
sembianza, onde son vago.
te la
^
goder, godrò pur ioi
|
che bramo, almen l’imago.
la morte,]
699
.
w
airombra
a« Ct
iicA.a
uoerc.
)
-
ss
.
,, ,, Questo sonetto è felice soprattutto elle quartine, nelle quali e resa meridiana di ’invito alla ninja nasce da una paesaggio estivo urgenza di colloquio che permetta al poeta di riversare aU’esterno, e
prolungare, quella voluttuosa gioia contemplativa.
da quella
evocata
stessa «serena
e
Si
direbbe che
sorta di cosi
donna
la
ebbrezza di sensi che
delicata
immo-
I
bilità
di sia
paesaggio
il
suggerisce.
"
r
Or
che
l’aria e
s’ode euro che
la
fiammeggia,
terra arde e
soffi,
aura che
spiri,
/ed emulo del del, dovunque io miri, saettato dal sole,
il
mar lampeggia ;^spoL^MeO
qui dove alta in sul le
lido
elee
verdeggia,
braccia aprendo in spaziosi giri,
^
e del suo crin ne’ liquidi zaffiri
gh smeraldi vaghissimi vagheggia; qui,
qui.
Lilla,
ricovra,^ve
I
verdi rami
ombrosa
C{,
uU -Vu.
arena
fresca in ogni stagion copre e circonda folta di
y^W^fo
vda.H-T .
1
^
scena.
19CSÌformi all’animo del poeta,
d’amore
circonfuso
,
il
volto
d’ intima
d ella donna da anche dalla
tenerezza
^el
semplice aggettivo bel, e cullante dolcezza del v. 9. lo-ii. in ch’io... desio: che sono pago di contemplare in sogno, per trovar conforto al
mio
anche
desiderio inappagato. l’
Ma
vedovo dà
idea di u na mesta solitudine.
12-14. Che... imago: Se anche non potrò contemplare, abbandonandomi a te, la sembianza della mia donna (se,, cioè, non potrò vederla in sogno), godrò alnieno in te l’ immagine della morte che desidero (il sonno, col suo totale oblio, assomig lia alla morte).
Metro: sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
Or che
esprime estivo,
la
non
mare.
sottolineata
da quei lampi che la immota calma del
del sole trae dall’ I
sensi e, insieme, l’anima del poeta
sembrano
gioiosamente
cullarsi
vita intensa della natura, fondersi sta 3.
sua colma pienezza. emulo del ciel: perché
1’
aria, ecc:
La prima quartina
distesa immobilità rotta
da alcun
del meriggio
alito
di
vento,
il
in
questa
con que-
bagliore del-
l’onda sembra emulare la diffusa luce solare che s’espande nel cielo. L’albero che apre le sue 5. qui... elee: spaziose braccia anima il paesaggio immoto
con un senso di verde vitalità gioiosa, e 1’ absembra riflettere, umanizzato com’ è, braccio del poeta alla natura. 7-8. e...
vagheggia: vagheggia nello spec-
chio limpidissimo e azzurro (liquidi zaffiri) sua dell’ acqua il verde smeraldino della
chioma. 9. ricovra: rifugiati. 9-1 1. ove... scena: dove
CDC, DCD). I.
ma come vampa
e col bel volto:
IO.
ìmata
suo tormento
al
infelice.
una scena
folta di
il verdi rami e ombrosa copre e cirronda delsuolo, rendendolo fresco in ogni stagione si risoll’anno. Le immagini delle terzine
»
_
p\Rsdt
cAÌ-ff^
i, 701
—
^Donna che
ir’o^ aVori compressi nel grembo della terra. Il terremoto devastatore
è
È
« argutezza » l’immagine vuol dare il senso sgomento dell’abisso in cui crollano vertiginosamente le cose umane, precipitantra
1.
provocando un crollo
alato:
tale {precipizio) e rapidissimo {alato).
crediamo
L’ espressione
:
quelle conquiste che, a durare tremoto con-
destinate
breve
tfapposta a nostre eternità rivela tutta la tragica inconsistenza di queste.
Lirici Marinisti
709
Ciro di Pers
Orologio da rote Quella dell’orologio meccanico è un’immagine spesso ricorrente nei canzoDa un lato essa viene incontro al gusto descrittivo della poesia secentesca, illustrando una macchina complessa e ingegnosa, dall’altro offre lo spunto alla meditazione sulla miseria umana, sul fatale scorrere della nostra vita verso nieri barocchi.
un tema, questo, caro all’accorata e tetra religiosità barocca. uno dei migliori del genere, è costruito su questo
nulla:
il
Il
sonetto di Ciro di Pers,
tema, sentito logio diventa
come incalzante, ossessivo: il battito uguale e meccanico dell’oroun funebre rintocco che scandisce il nostro irrevocabile morire ora
per ora.
Mobile ordigno di dentate rote lacera-il giorno e lo divide in ore,
ed ha
scritto di
a chi legger
Mentre
le sa il
Sempre
:
risuona
®
non
core,
al
né del fato spiegar meglio che con voce di bronzo il Perch’io
more.
si
metallo concavo percuote,
mi
voce funesta
fuor con fosche note
puote
si
rio tenore.
mai riposo o
speri
pace,
questo che sembra in un timpano e tromba,
mi
ognor contro l’età vorace; con que’ colpi onde ’l metal rimbomba,
sfida
e
affretta
il
corso
al
secolo fugace,
e perché s’apra, ognor picchia alla tomba.
Metro:
ABBA, ABBA,
sonetto (schema:
CDC, DCD).
timpano e tromba un monotono rullo tamburo, che dà il senso del lento e ine-
10.
di
:
sorabile I.
di dentate rote:
precisione
di
Non
descrittiva:
tratta soltanto
si il
lacera
del
v.
seguente ti fa sentire nel moto di quelle ruote dentate l’implacabile fuggire del tempo che ci strappa di continuo qualcosa della nostra vita. 3. fosche note; lettere nere, cupe.
compiersi del destino,
uno
squillo
tromba, perché evoca Timmagine della
di
tromba angelica 11.
mente
ma
mi
sfida...
contro,
cioè
a
il
una
nel giudizio universale.
vorace: mi sfida continuatempo divoratore mi chia:
battaglia
già
in
partenza
perduta.
more: La morte è di continuo presente: quella che chiamiamo vita non è che un lento, ineluttabile morire. la campana, bat5. il metallo concavo:
12. onde: a causa dei quali, il metal: il bronzo della campana, rimbomba: La suggestione maggiore del sonetto è in questo ritmico, inesorabile, cupo battere del tempo e fae del destino, in questa voce monotona
tuta dal martello dell’orologio.
tale
4.
Sempre
tocchi sono
si
una voce funesta
Questi rin-
(v. 6) di
cuore del poeta. 7-8. né... tenore: né il tono, il carattere doloroso del nostro destino può essere meglio espresso che da questa voce di bronzo, dura e metallica. per
il
espressa dal rintocco dell’orologio.
13. affretta... fugace:
morte
sembra rendere an-
cor piu fugace lo scorrere della vita. Ogni rintocco è 14. e perché... tomba: bussare alla pietra tombale perché
come un si
L’ immagine, tetramente bauna sua grandiosità sgomenta.
spalanchi.
rocca, ha
Antologia della letteratura italiana
710
Federico Meninni
Condizione della Meno
umana
vita
di sfrenate e cupe fantasie barocche del sonetto del tetramente ossessivo di quello di Ciro di Pers, questo sonetto tema della morte con un’intimità nuova, misurata e forse più pro-
lussureggiante
Lubrano, ripropone
meno
fonda.
poeta legge le parole del nostro destino, fra gli oggetti consueti della
Il
il
vita d’ogni giorno:
il
letto, i
nostro svanire,
casa; le cose che continueranno
libri, la
quand’egli sarà morto. Di secentesco
anche l’attenzione
c’è
agli
nel sonetto, oltre
il
ad
essere
senso desolato del
quotidiani, cosi lontana da ogni
oggetti
stilizzazione petrarchistica.
Questi
libri,
da cui piu cose imparo,
e che divoro anco di Lete a scorno, altri,
per innalzar forte riparo
un
contra Toblio, divoreranno
giorno.
In questo albergo, in cui ricovro
mentre se
’l
altri
non
ciel
In questo
altri
fia di
letto, a’
sue vicende avaro,
ove fra l’ombre assonno
miei sensi alcun ristoro,
ancor chiuderà
Quindi rodemi
il
le
luci al sonno.
cor più d’un martoro,
solo in pensar che qui durar
non han
cose che
Metro:
(ABBA,
sonetto
vita,
ABBA, CDC,
6.
stica 2. c...
scorno:
che divoro per sottrarre, di scrittore, la
mia per-
sona airoblio (il Lete era il fiume infernale che dava l’oblio). 3-4. altri... divoreranno: Anche gli altri faranno ciò che fa il poeta: ma nella ripetizione del gesto avverti un sottinteso senso della vanità di esso. Quella gloria tro che
un breve prolungarsi
mera, unica realtà che dura è albergo:
grato rifugio.
la
sua casa,
non
è al-
della vita effìla
morte.
ricovro...
caro:
ben ponno
ed io mi moro. cure: gli affanni.
le
mente
DCD).
guadagnando gloria
®
caro,
faranno in altra età soggiorno.
perché rechi 5,
ho
le cure a riposar qui torno,
casa è sobria-
dome-
e cara intimità.
7. se...
gersi
La
nel suo carattere di
descritta
avaro:
Se continueranno a svolle vicende volute dal
sempre uguali
destino. 9-1 1. assonno:
mi addormento,
le
luci:
gli occhi.
12-13. Quindi... di
un martirio
(di
pensar:
per questo più
un pensiero doloroso) mi
rode il cuore, solo al pensare, ecc. ponno: possono. 14. ed io mi moro: Le ultime parole appaiono come una scoperta improvvisa e sgo-
menta.
Altri poeti del Seicento
i
La
Gli antimarinisti.
’
Marino e dei
quella del
piu originale e interessante del secolo è
poesia
Marinisti.
Ad
essa
zionalmente antibaroccai; che fece capo mantenersi fedele i
i
si
al
oppose però una corrente intenChiabrera e al Testi, e volle
alla tradizione classicistica cinquecentesca.
Marinisti mostravano disdegno per
i
poeti del passato e
Mentre, il
infatti,
classicismo in
genere, costoro cercarono di riprodurre l’ode pindarica e oraziana, o, sulle
orme
Ronsard
del
Plèiade,
e dei poeti francesi appartenenti al
Anacreonte, che cantò In realtà,
movimento
detto della
canzonetta anacreontica, cosi chiamata dall’antico poeta, greco
la
vino e l’amore in odi
il
gli antimarinisti
lineari
esili,
e aggraziate.
risentono anch’essi del gusto del secolo; se mai,
I
sono l’espressione di un barocco piu estenuato, rivolto, invece che alle metafore grandiose e sfavillanti, a una poesia cantabile e leziosa, a una semplicità artificiosa, oppure, nelle odi pindariche, a un’enfatica magniloquenza. !
Tuttavia col loro gusto classicheggiante di uno
stile
piu semplice e sobrio
piu deciso movimento antimarinistico, {'Arcadia^ che si svolgerà a partire dagli ultimi anni del secolo; ad essa aderirono alcuni di
preannunciano
Vincenzo da
questi poeti,
I ambedue
poema
dal
punto di
vista poetico. Basti
‘1(1566-1645), autore della ij
qui citare
'
del
letteraria
i
migliori,
dato fra
La del 1
X
XVII, con
risultati miseri,
pistoiese Francesco Bracciolini
il poema eroicomico, nato poema «serio», e dal gusto
dal desiderio di bizzarra parodia di rappresentare in forma bur-
lesca la vita provinciale e pettegola delle città italiane del tempo. Oltre alla Secchia rapita di Alessandro Tassoni, di cui parliamo a parte, ricordiamo fra lo
racquistato di :
sec.
Croce racquistata^ e Girolamo Graziani (1604-1675),
Piu vivace fu '
il
autore del Conquisto di Granata.
I
I
Menzini (1646-1704),
il
continuato stancamente anche nel
letterati, è
9
Delitto e purga Conte di Culagna s’è follemente invaghito di Renoppia, l’eroina guerriera i Modenesi. Ella, per burlarsi del goffo corteggiatore, fìnge di stare al giuoco, e questi decide di avvelenare la moglie per sposare l’amata. Ma un savio medico gli darà, al posto del veleno, un robusto purgante, che la moglie, resa edotta delle sue losche trame da Titta, un suo spasimante, gli farà ingoiare di nascosto con un abile scambio dei rispettivi piatti. Si ha cosi tutto un concatenarsi di situazioni burlesche che culminano nell’ improvviso e sconvolgente effetto della purga sul Conte, assalito da un tremendo flusso di ventre mentre si sta pavoneggiando tra la folla. Il racconto si snoda con un amplissimo e brioso ritmo novellistico, e ruota intorno a due scene indimenticabili: il Conte che medita l’uxoricidio col rosario in mano, l’affollarsi vivacissimo della folla Il
che combatte per
intorno
al
putido Conte.
Ma
conte di Culagna avendo intanto
il
Renoppia
vista
rassettato
uscir del padiglione,
barba e ’l manto un pennacchione, a incontrar da un altro canto, il
collar,
la
c tiratosi in fronte l’era gita
®
salutandola quasi in ginocchione. Ond’ella, istrutta di sue degne imprese, l’avea chiamato a sé tutta cortese.
E, avendo
suo valor molto
il
dispostezza e
la
giurato avea di
’l
fior
de
esaltato,
l’intelletto,
non aver trovato lei degno soggetto quand’ei non fosse stato
chi piu paresse a
de l’amor suo,
modo
in
onde posto
il
maritai congiunto e stretto:
burlar della donzella avia
il
meschino in strana
frenesia.
Trovollo Titta in un solingo piano, ch’ei passeggiava a l’ombra d’una noce.
Metro:
ottave-.
Canto
X
- st.
39-42 e 50-57.
sua prestanza,
la
il
suo intelletto eccezionale.
13-14. quand’ei... 2.
del padiglione:
3-4. rassettato...
dalla tenda.
pennacchione:
Il
pennac-
chio smisurato, calato sugli occhi alla brava,
completa 5.
la
comica
la
l’era... canto:
toeletta.
6.
li
È
l’ultimo e piu spas-
soso atto dei comici approcci del Conte. 7.
istrutta:
informata.
IO. dispostezza...
fosse
se
stato
il
burlar:
il
discorso
fanciulla
della
egli
se
ne accór-
gesse. 16. Il
straordinaria. strana frenesia: frenesia tutto fuori di sé e pienamente
Conte è del
accalappiato.
per caso.
in ginocchione:
15.
che lo burlava senM che
era andato a incontrar-
facendo un ampio giro, per farle credere
di trovarsi
stretto:
scapolo.
Per burlarsi di quel tronfio pavone, loda il suo valore. intelletto:
Titta di Cola, an17. Titta: il romano comicissimo sara ch’egli vanesio e vigliacco: il
suo duello col Conte, quando
questi,
da
lui.
dopo
il
la
tentato veneficio,
moglie di nfugera
si
Antologia della letteratura italiana
720
c già fra
con
sé,
la
corona in mano,
®
parlando, a passo or lento ora veloce.
Come gli
egli vide
il
cavalier
fece a l’orecchia, e
si
— Frate,
gli disse,
ma
mia moglie. mia
stella.
ha Renoppia Mostra di rimaner Titta stupito, e lo chiama felice in sua favella: Conte, tu
che no
Ma, ahimè!,
c’ è
—
narra quanto era seguito
gli
e quel che detto gli
—
®
certo ne spiace in infinito;
COSI porta la crudel
Quindi
voce,
per uscir di doglie,
io son forzato avvelenar
A me
romano a mezza
se’
chi te
nu papa, pozza
bella.
*
e t’aio detto
—
stare a petto.
innamorato della moglie dd Conte, le rivela medico Sigonio, al quale il Conte si rivolge per avere un potente veleno, gli dà, invece, una buona purga. TraspiTitta,
il
ogni cosa; per giunta
il
rante uxoricida torna a casa e febbrilmente riesce a mettere la polve-
ma non
rina nel piatto della moglie, le
mani,
ella
scambia
i
Conte
Il
s’accorge che, mentre egli
si
lava
piatti.
in fretta
che non vorria veder
mangia
e
si
diparte,
moglie morta.
la
Vassene in piazza ov’eran genti sparte chi qua, chi là, come ventura porta. Tutti,
come
fu visto, in quella parte
trassero per udir ciò ch’egli
17-20. in un... veloce:
È un
quadretto in-
Conte pensoso, che cammina a passi or lenti or agitati nel luogo solitario, meditando l’uxoricidio con in mano, da buon bacchettone ipocrita, la corona del rosario, è una delle più belle invenzioni comiche del T. dimenticabile:
il
22-26. e a mezza...
poema anche quel che esprime patetico al
(ma
stella:
È un
discorso appena sussurrato,
la decisione incrollabile,
con un
in realtà comicissimo) richiamo
suo destino ineluttabile e crudele.
rattere
piccolo
grottesco
della
scena
dal fatto che l’ignaro conte
si
è
Il
ca-
appesantito
confessa pro-
prio a un vigliacco della sua risma che, per giunta, sta insidiando sua moglie, di doglie: dai miei dolori, in infinito: infinitamente.
apporta.
27. seguito:
accaduto.
30. in sua favella: parlandogli nel proprio
dialetto romanesco.
31.
nu papa: un papa, un uomo veramente
fortunato, t’aio d^tto: io ti dico. 32. chi te pozza... petto: chi possa uguagliare la tua fortuna. 34. che
non
vorria...
morta: Vedi
la squi-
gentilezza dell’aspirante uxoricida. 35-36. sparte: sparse, come... porta: a caso.
sita*
38. trassero; folla
s’accalca
si
diressero verso di lui.
per
udir
novella
La
dal Conte
che è reduce dal campo. Proprio quel che ci vuole per il fanfarone borioso, che subito si mette a raccontare le sue mirabolanti imprese. La moglie, il veleno, ogni rimorso sono ormai lontani, inesistenti.
Altri poeti del Seicento
721
Egli cinto d’un largo e folto cerchio,
narra fandonie fuor d’ogni superchio: e tanto s’infervora e
dibatte
si
in quelle ciance sue piene di vento, ch’eccoti l’antimonio lo combatte, e gli rivolta
il
Rimangono
le
cibo in
un momento.
genti stupefatte;
ed egli vomitando, e mezzo spento
chiamando il confessore, ognun ch’avvelenato more. Coltra e ’l Galiano, ambi speziali,
di paura, e
dice ad Il
correan con mitridate e bollarmeno; e
medici correan con
i
gli orinali,
per ^^eder di che sorte era
Cento barbieri e '
erano intorno e
gli
esortandolo
Chi
o
messali
gli scioglieano
seno,
il
Miserere.
il
gli ficcava olio
e chi biturro
veleno.
i
non temere
tutti a
divotamente
e a dir
il
preti co
i
o triaca in gola,
liquefatto grasso.
Avea quasi perduta
la parola,
e per tanti rimedi era già lasso;
quand’ecco un’improvvisa cacarola che con tanto furor proruppe a basso, che l’ambra scoppiò fuor per e scorse per le
—
disse
40.
Oh
gambe
fuor d’ogni superchio: fuori d’ogni im-
41.
s’infervora e
si
sbraccia beato, elevando inni alla propria
ma
questo agitarsi favorisce il rapido deU’antimonio, il fortissimo purgante. 43. lo combatte: lo assale, e vince la sua disperata resistenza, provocandogli il vomito. 48. ch’avvelenato more: La consueta viltà e la cattiva coscienza gli fanno sorgere nell’anima il terribile sospetto. 49. Coltra e Galiano: due speziali, cioè
gloria;
e travolgente effetto
farmacisti, amici del Tassoni, 50. mitridate e
leno e
bollarmeno
:
un contravve-
un calmante.
53. Cento...
Questo
messali:
affollarsi
di
barbieri (che allora effettuavano interventi di
bassa chirurgia,
come
i
calzoni
taloni.
salassi)
e
di
preti
senti l’odore:
con voluminosi messali,
il
tumulto,
il
chias-
salmodiare ti danno l’impressione di una scena di opera buffa. il seno: gli aprivano le 54. gli scioglieano con vesti, sul petto; e facevano bene, perché, so,
s’infervora e
dibatte:
gli
i
possanza del del! che cosa è questa?
un barbier quando
maginazione per quanto sfrenata. si
in su
lento
il
tutta
quella ressa, gli
mancava certamente
l’aria.
triaca...
biturro:
La
triaca
e
un
contravveleno; l’olio, il biturro (un grasso devono servire simile al burro) e il grasso a provocare il vomito. lo quand’ecco... cacarola: finalmente 61.
scoppio
liberatore.
scurrile,
ma
è grassa e in questo sce-
La comicità
ha un suo vigore
nario di ressa scomposta. 63. l’ambra: V. 81) è
(cfr.
l’ambra grigia o ambracane una sostanza profumatissima
d’oriente. Evidente che galleggia sui mari qui la crassa allusione.'
Antologia della letteratura italiana
722
questo è un velen mortifero ch’appesta; 10
non
giammai puzza maggiore.
senti’
Portatei via; che, s’egli in piazza resta,
appesterà questa città in poche ore.
Cosi dicea:
ma
ch’ebbe a perirvi
Come
—
tanta era la calca, il
medico Cavalca.
a Montecavallo
Cardinali
i
vanno per la lumaca a concistoro, stretti da innumerabili mortali per forza d’urti e con poco decoro; così
i
medici quivi e
non trovando da urtati e spinti,
gli
speziali
uscir strada né foro,
senza legge e metro
facean due passi innanzi e quattro indietro.
Ma e
’l
poiché l’ambracane usci del vaso,
suo
tristo
cominciò in
vapor diffuse e sparse, ognun co’ guanti
fretta
al
naso
a scostarsi dal cerchio e a ritirarse: e se
abbandonato
non che un
il
Conte era rimaso:
prete allor quivi comparse,
ch’avea perduto il naso in un incendio, né sentia odore; e ’l confessò in compendio. Confessato che fu, sopra una scala
da pinoli
assai lunga’ egli fu posto;
e facendo a quel 11
puzzo
il
popol
ala,
portàr due facchini a casa tosto.
Quivi il posaro in mezzo de la sala; chiamaro i servi: e ognun s’era nascosto, fuor ch’una vecchia che v’accorse in fretta con un zoccolo in piede e una scarpetta.
Gabriello Chiabrera
Nato
a
Savona nel
educato a Roma, presso contatto col
mondo
1552, il
il
Chiabrera ebbe vita lunga e fortunata.
Fu
collegio dei Gesuiti, entrando presto in intimo
letterario di quella città.
Da
essa fu però cacciato nel
72, il medico Cavalca: Anche costui fu amico del Tassoni. 73-74. Come... concistoro: Papa Paolo V
goffa scena rappresentata.
teneva il concistoro sul Quirinale (detto anche Montecavallo). Alla sala delle riunioni si accedeva per una stretta scala a chiocciola detta lumaca. L’apertura dantesca dell’ottava rende, per contrasto, più comica la
se fosse
81. del vaso: 88. in
del corpo del Conte.
compendio: sommariamente come morente.
90. assai lunga
i
per salvare dal « vapore conducenti (Gianni). :
91. facendo... ala:
verente.
È
vedi la folla aprirsi questa l’epopea del Culagna!
»
ri-
Altri poeti del Seicento
un
1576 in seguito a
IH
duello, e per la stessa ragione fu bandito ncH’Si dalla
I
città
natale, ove
si
era rifugiato, per quattro anni.
Ebbe
però,
nella
sua
I
lunga
!
fama e ambiti riconoscimenti. Fu
a Firenze, dove
gran-
i
duchi di Toscana lo ebbero caro, a Mantova, presso i Gonzaga, a Torino, dove Carlo Emanuele I lo ricompensò generosamente per VAme àcide, un poema scritto in onore di casa Savoia, e ancora a Roma, dove il papa Urbano Vili, suo amico d’infanzia, lo colmò d’onori. Visse gli ultimi anni a Savona, serenamente, e ivi mori nel 1638.
Chiabrera volle essere un « antimarinista
II
i
,
vita, diffusa
contrapporre,
»,
cioè,
allo
pieno di « arguzie », di « concetti », di scoppiettanti e grandiose metaforc del Marino, una poesia piu semplice e piu legata ai modelli classici, fra stile
I
i
quali predilesse
il
latino Orazio e
greci Pindaro e Anacreonte. In realtà,
i
però, fu anch’egli affascinato dalla poetica della meraviglia, e proclamò I
|i
Famose furono,
Ì
j
(;
ai suoi
tempi,
e grandiose, lo spirito eroico,
architetture del suo modello.
i!
j |;
j
|l
I
d’intima confessione,
lirico,
Ne
usci
le
una poverissima
di le
audaci e complesse cosa, per la
modesta
godere
ma
poesia senza
pretese
di
profondità,
oggetti piacevoli dell’esistenza.
gli
Le
tutta
strofette
immediata c aggraziata, che fonde nel suo giro giocoso e allegro le singole immagini appena abbozzate e stempera le parole in una cantabile melodia, il sentimento della poesia non come esprese
I
», nelle
vena poetica del Chiabrera e soprattutto per la totale mancanza in lui di ispirazione eroica. Piu consone alla sua ispirazione leggera, al suo sentimento superficiale e gaudente della vita sono le odicine e canzonette amorose. Esse ci appaiono manierate e svenevoli, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di poesia per musica, rivolta allo scherzo galante, a un piacevole divertimento di società. Non è, questa, né vuole essere, poesia di ripiegamento rivolta all’esterno, a
I
sue odi cosiddette « pindariche
le
imitando Pindaro, cantava eroiche imprese (come la Vittoria Emanuele Filiberto a San Quintino) o gare sportive, cercando di emulare quali,
immagini arditissime
(
come
suo ideale quello di « cercar nuovo pelago o affogare ». In sostanza^ gli esemplari classici gli servirono soltanto per giustificare procedimenti rettorici e metrici che rispondessero all’esigenza secentesca di « novità » e « argutezza ».
i
versi brevi, la loro musicalità
sione di vita
ma come ornamento
trapasseranno dal Chiabrera
Per
il
testo,
ai
lirici
della vita,
come
seguiamo: G. Chiabrera, Canzonette, Rime
L. Negri, Torino,
UTET,
arte e perizia tecnica,
òe\V Arcadia. varie e Dialoghi, a cura di
1952.
Belle rose porporine Il
aspetti
suoi della natura, cioè ai il riso della sua donna a quello superiore a ques piu leggiadri e gentili e lo riconosce di gran lunga
poeta paragona
Antologia della letteratura italiana
724
Se bel
Belle rose porporine,
che tra spine sull’aurora
ma
non
Amori ®
Quando
preziose,
amorose, dite,
fa bello,
si
noi diciam:
denti custodite; rose
bagni
guardo vivo ardente,
sicché
un
bel
l’acqua
tutte liete,
move
me mirando
chiare,
sull’arena
^
o
far la cagion sia,
dire in nuovi lodi ;
modi
tuttavia.
Metro: canzonetta: Rispetto alla canzone, canzonetta è caratterizzata da strofi e versi brevissimi, da una ricerca di ritmi e
la
musicalità immediatamente orecchiabili.
Lo
composte
di ciascuna delle 8 strofe,
un aureo
velo,
^
in giro,
Ben
^
vostre
mare.
fior vermigli,
noi diciam che ride
feritate,
io vo’
il
e su rote di zaffiro
o pietate
schema
^
se tra gigli
in sul morire?
Belle rose,
ridete
onde
in
Se giammai tra
ciò forse per aita
veste l’alba
ma
—
avvien che un zefiretto
pie nell’
il
mia vita, che non regge alle vostr’ire? o pur è perché voi siete
SI
la terra.
noi diciam che ride
sorriso?
di
del
— Ride
scherzi appena,
voi repente disciogliete
È
praticello
per diletto
ond’è, che s’io m’affiso
nel bel
un
se di fiori
bei tesori
dite,
“
se bell’auretta
mattin mormorando erra;
sul
aprite,
ministre degli
di bei
rio,
tra l’erbetta
è ver:
il
quando
cielo.
è
giocondo
mondo, ride il del quando è gioioso; ben è ver; ma non san poi come voi fare un riso grazioso. ride
il
18.
me...
« morire »
vedendomi struggere,
morire: d’amore.
19-23. Belle...
Belle labbra, sia ca-
lodi:
gione del vostro riso crudeltà o pietà, voglio
comunque
cantare
le
vostre
lodi
in
modo
di sei versi ottonari e quaternari (che indi-
nuovo
chiamo, rispettivamente, con la maiuscola e la minuscola) è: A a B C c B.
31-35. Quando... appena: Se uno zeffiretto (nota l’uso costante, come nella strofa pre-
e peregrino.
cedente, di vezzeggiativi, che contribuiscono 1-6. Belle... custodite: Belle rose colore di
porpora, che non sbocciate, all’aurora, fra le spine, ma, ancelle d’ Amore, racchiudete tri voi
il
tesoro costituito dai bei denti.
Le
belle
le labbra della donna. ond’è: qual è la ragione per la quale. 10. nel bel guardo: della donna.
rose sono 9.
12. disciogliete:
è
la
parola-chiave
della
alla grazia
appena si
il
carezzevole della melodia) bagna
piede nell’onda limpida del mare,
che essa appena
si
U
aureo velo dell’alba è prima, ancor tenue luce solare che l’indora, fra il vivo colore candido e rosso {gi39. veste... velo:
gli e fior vermigli) del cielo.
40. su... zaffiro:
d’immagini in ritmi vagamente voluttuosi.
cielo color di zaffiro.
« tradurlo »
:
vi
schiudete
a
un
bel
15. che...
per
46-48. ma... grazioso:
le
curve distese del
non hanno
la gra-
zia del vostro sorriso. Gli ultimi versi con-
sorriso.
al
avanti e in-
la
canzonetta, che è una continua dissolvenza
Puoi
muova
dietro sulla riva.
ire:
che non potrebbe resistere
vostro disdegno.
cludono
mento
il
componimento con un compli-
galante.
Altri poeti del Seicento
La
725
violetta
Il tema è quello tradizionale della fugacità della bellezza, ma è lontano da questa poesia ogni sia pur lieve malinconia. « Uomo pensoso diceva il poeta stimo che sia acconcio a poetare; il melanconico non stimo acconcio né a ciò,
—
». La canzonetta si conclude con un malizioso e galante invito alsuo vero significato è però in quella ricerca musicale che abbiamo sottolineato parlando di quella precedente.
né ad altro l’amore;
La
il
Ahi, che in brev’ora,
violetta,
come
che in suH’erbetta s’apre
mattin novella
al
non è cosa
di’,
ecco languire,
odorosa,
tutta
l’aurora,
lunge da noi sen vola, ecco perire
tutta leggiadra e bella
la
misera
Tu,
Si certamente,
viola.
cui bellezza
che dolcemente
e giovinezza
ne spira odori; e n’empie il petto
oggi fan
di bel
dolce catena
ella
diletto
col bel
suoi
de’
Vaga
superba;
SI
soave pena,
di
colori.
mia prigione
vaga biancheggia
consiglia
il
tua fresca etate;
sulla
pregio d’aprile
ché tanto dura
più gentile;
ma
che diviene
l’alta
al fine?
di
fiore,
core
tra l’aure mattutine,
via
acerba;
deh, con quel
rosseggia,
ventura
questa tua beltate.
Fulvio Testi Nacque
a
Ferrara nel
1593,
e
condusse un’agitata e raminga esistenza di in cui lo aveva gettato il durosi.
freno e, in genere,
si
Allude a Cindnagresti quale fu annunciato che era stato arando il suo letto dittatore mentre stava piu forse questa la rievocazione 32.
n popolo
indurire, render forti.
immemori
1’
generosa.
irile e
•
dicavi con zelo e passione. 22. durar:
quartine, nelle quali e ai quali
ato,
guente.
i
tre
dei lussuosi piaceri
soggetto
40: la tirannide egli Spagnuoli. el
V.
è
il
barbaro
straniera,
e
rigo
quella
Antologia della letteratura italiana
728
te
barbaro rigor preme e calpesta.
Ronchi, se dal letargo in cui
non (cosi
si
scuote
l’Italia,
aspetti
menta mia lingua!)
accampato veder
il
42-44. aspetti... Trace: Non può aspettarsi che di vedere un giorno (possa la mia lingua non dire il vero!) accampati accanto al
al
Perso o
si
giace
un giorno Tebro intorno
’l
Trace.
Tevere Persi e Traci. Allude, probabilmente, ai Turchi, o, comunque, a popoli ancor più barbari degli oppressori presenti.
La prosa barocca
;
I
La
prosa d’arte. Per
prosa barocca valgono, in genere,
la
che abbiamo fatto a proposito della poesia marinistica. in essa la ricerca della xneravigìia,
:
metaforico e fastoso,
arguzie,
un’estrema raffinatezza
ingegnosità,
ma
volta all’effetto fu
i|
prosa del Bartoli, più elegante e misurata.
||
discorso
lignano
preferiamo rimandare
generico,
la
osservazioni
Assai
tecnica,
lo
stile
appariscente e
accanto ad essa troviamo anche
.!
l’oratoria sacra,
sonorità.
le
Ritroviamo anche
Ma alle
piuttosto che insistere in
considerazioni che
la
un
accompa-
nostra scelta antologica,
La novella e il romanzo. La tradizione novellistica continua, nel secolo XVII, fiaccamente, legata ai modelli cinquecenteschi. Più interessante è il ij romanzo, un «genere» tipicamente secentesco, caratterizzato dal gusto I
I
!
degli intrecci avventurosi e complicati, che ebbe larga fortuna e diffusione. Ricordiamo VEromena, e il Coralbo del dalmata Giovan Francesco Biondi, il
Il
,
Calloandro Fedele di Giovanni Ambrogio Marini; La gondola a tre remi, Carrozzino alla moda, La peota smarrita., di Girolamo Brusoni. I romanzi
sono soprattutto notevoli per le ricostruzioni ambientali e l’immagine concreta e realistica che ci danno della vita e dei costumi del
di quest’ultimo
I
jlper
secolo. I
Vivace e pittoresco è il racconto delle vicende di Bertoldo e Bertoldino, bolognese Giulio Cesare Croce, scrittore popolare e autodidatta in prosa e in versi, che riprendendo un antico testo medioevale, racconta le vicende di Bertoldo, il villano savio, astuto e arguto alla corte di re Alboino, con un
idei I
andamento
fra
il
comico e
il
riflessivo,
temperato da un gusto proverbioso
di popolare saggezza.
La
letteratura dialettale.
Notevole sviluppo ebbe nel corso del secolo la da letterati dotti con gusto parodistico e scher-
letteratura dialettale, coltivata
zoso.
Ma
nelle
opere
del
j
scherzo tante è
si
trasfigura in
Lo canto de
li
napoletano Giambattista
modi
di autentica poesia.
canti, ovvero
Lo
Basile
(i575'^^^3^)
La sua opera
piu inipor-
trattenimiento de peccerille (La fiaba
delle fiabe ovvero il trattenimento dei fanciulli), chiamata anche Pentamerone. perché è una raccolta di fiabe popolari in prosa, che l’autore immagina nar-
rate in
cinque giorni da dieci vecchiette. Le favole del Basile, ricche di al comprensiva saggezza, di un’adesione nativa
urna
nità, di sorridente e
viglioso del racconto fiabesco, attuano
rocca a cui pensava anche
il
come
apoetica per prodigio quella lano quoti fatto il convertire
Tesauro, intesa a
^
Antologia della letteratura italiana:
730
in
una perenne
sorpresa, mescolano al prodigio di
un mondo di favola la: un nativo stu-
l
j
variopinta vita del tempo, ritrovano nelle metafore barocche pore. Esse sono per questo considerate
uno
p
dei testi poetici più intensi di
tutta la letteratura secentesca. u
Per
testi,
i
salvo indicazione contraria, seguiamo:
E. Raimondi, Milano-Napoli, Ricciardi
a cura di
Trattatisti e narratori del Seicento
^
i960.
(]
C
Emanuele Tesauro
ì
c
Strettamente connessa alla poetica della meraviglia
’
è,
nel 6oo, quella del-
s
V argutezza o acutezza (o concettismo)^ che consiste nell’uso di metafore:
nuove c
inusitate,
un
colta in
in
modi
fra cose
Per
è,
dice
detto breve »
:
il
una
intellettualmente rigorose:
una « osservazione mirabile raccompiuta dall’intelletto ed espressa
Pallavicino, scoperta,
1 3
somiglianze e di intime relazioni
sensibili e fantasiosi, di occulte
:
apparentemente lontane. il
critico torinese
una pagina tezza
ma
apparentemente fantastiche,
e consapevoli. Essa
V
« gran
è
Emanuele Tesauro
del suo libro più importante,
il
madre d’ogni ingegnoso
l’oratoria e poetica
(1591-1675), di cui riportiamo
Cannocchiale concetto,
aristotelico,
chiarissimo
:
Yargu-
lume
ii
del-
elocuzione»; coincide col linguaggio della poesia, che è:
essenzialmente metaforico e simbolico. Nel ritmo dell’universale metamorfosi
d
j
delle apparenze sensibili, l’intelletto scopre una relazione, e un’intima verità: V argutezza « è una metafora significante un concetto per mezzo di alcuna figura apparente ». In questo, il poeta non fa che seguire la natura, che nelle varie sue forme, dai fiori alle costellazioni, manifesta in forme sensibili, « che solo chi sia dotato di acuto ingegno sa leggere, l’intelligenza divina che dà un significato alla creazione. Il Tesauro vedeva cosi l’universo sotto specie d' argutezza, come appare nel passo che segue. Da queste idee deriva una poesia nella quale l’impegno sentimentale è del tutto soverchiato dal gusto intellettualistico volto a combinare le immagini sensibili in rapporti inusitati e strani, ma ingegnosi, cosi da procurare ;
’tl
\ Si
:
ai
ti
•
d:
)
cl
D
S(
:
insieme diletto e meraviglia. fK
Fra
i
teorici del
concettismo ricordiamo
il
bolognese Matteo Peregrini P
(1595-1652) autore del trattato Delle acutezze e Sforza Pallavicino (1607-1667)
autore del trattato Del Bene.
Argutezze della natura
Vengo
alle
simboliche arguzie,^ della Natura, oltre oeni credenza a* filosofi. E certamente,
ingegnosissime, e degne di ammirazione anco
I.
simboliche arguzie:
ga più avanti l’autore, è
La Natura, l’intelletto
spie-
divino
in quanto si adatta alla materia creata. Ne consegue che essa è come un vasto reperto-
loi
La
prosa barocca
731
se la vivezza deU’umano ingegno ne’ motti arguti è dono della Natura più che dell’arte, com’esser può che cosi dotta insegnatrice^ non sappia ciò ch’ella insegna? Anzi, com’ella si mostra sapientissima nelle cose
necessariamente ordinate alla publica studia per
mera pompa d’ingegno
questa varietà de’
fiori, altri
Venere?^
E
si
che è
spinosi e irsuti, altri morbidi e dilicati; quasi
quegli sian nati per adornare di
utilità, cosi nelle cose piacevoli
di mostrarsi arguta e faceta.
cimier di Bellona, e questi
il
la treccierà
Altri neri e funebri, altri candidi e puri; quegli dedicati
sepolcri e questi agli altari. Altri infocati e fiammanti, altri cangianti
a’
e biscolori
:
*
Amor
trovando in quegli
le
sue facelle e Iride in questi
sua ghirlanda. Altri finalmente in varie vezzosissime guise volti, sparti, acuti, globosi,
scanalati,® piani, stellati;
nascente, per far della terra
un
la
raccolti,
parendo che
ri-
sol
il
cielo, scuota le stelle di cielo in terra.®
Tutte queste, oltra mill’altre, son pur figure eleganti e vivaci arguzie dell’ingegnosa Natura. Però che, si come le arguzie de’ poeti si chiaman i fiori della Natura si chiamano domandare perché l’Aurora sia tanto amica
fiori, COSI
delle
Muse, poiché
la
il
Natura
scherza e fraseggia con mille arguti e ingegnosi concetti.’
istessa allora
Ma
arguzie. Talch’è soperchio
principalmente parliamo ora qua delle argutezze simboliche,®
se
dove più campeggia
il
fior
dell’intelletto,
quelle notturne imagini di
fuoco che talora in cielo risplendono e spaventano, chiamate da’ meteoristi®
comete
barbate e codate, capre,
crinite,
travi,
scudi,
faci
e
non metafore naturali, concetti figurati, simboli arguti, ingegnose imprese ed emblemi di sdegnata o di benigna Natura, la quale di quelle imagini si serve e come d’armi a ferire e come saette,
che sono
se
ad accennare quai popoli ella voglia ferire? Anzi, affinché l’acume del suo ingegno in que’ simboli metaforici più mirabildi ieroglifici
mente
osservano
riluca,
sta spiritosa poetessa fa
rio di
immagini simboliche:
naturalisti che con misterioso artifizio quei corrispondere quelle imagini ignite alle stellate
dietro, cioè, le
parvenze delle cose lascia intravvedere profonde verità morali e spirituali. 2.
cosi...
insegnatricc
:
la
Bellona... Venere:
5.
globosi,
6.
parendo...
scanalati:
«arguta», una fiori
sono come
terra: tipica le
7.
la
rotondi, rigati.
ecco
un’immagine
metafora barocca:
i
Non
è
stelle della terra.
immagine puramente
fantastica,
ma
ha un
suo contenuto intellettuale (o acutezza o concetto), cioè è scoperta d’un intimo rapporto fra cose apparentemente lontane: nell’ im-
magine è implicito
il
del cielo in terra.
natura.
prima è divinità guerriera, la seconda, dea deU’amorc. biscolori: di due colori. 3.
zione terrena, si che veramente i fiori sono generazioni del sole e delle stelle, riflesso
riconoscimento
del-
l’infiusso del sole e degli astri sulla vegeta-
la
la
Natura... concetti: poeta è dunque
preNatura, grande vivente metafora, che
deve
Tale verità in luce di bellezza. umana. essere lo scopo della poesia in fondo, argu8. argutezze simboliche: senta
U
il T. fenomeni
tezza e simbolp coincidono per studiosi
9. metcoristi:
icroglifici:
Le comete
scritture
dei
ce-
sacre simboliche.
dello Zoe le altre costellazioni allude, erano interpretate
diaco, a cui
il
T.
preannuncio dagli astrologi come sugli che stessero per abbattersi sulla vita della natura.
di calamita
uomini o
Antologia della letteratura italiana
732
imagini del Zodiaco acciò che
subordinatamente congiunte abbiano
maggior forza al nuocere c maggiore argutezza al significare con geminata metafora'^ il suo segreto. Quinci, si come la saetta fra gli eruditi è ieroglifico di strage, di morte e di battaglia, cosi, se quelle meteoriche impressioni^ della Natura prendono figura di una infiammata saetta, e se questa dirittamente soggiace alla Testa del Toro,'^ drizzando la ignita punta ver l’occidente, significa mortalità di armenti agli occidentali agricoltori. Talché tu vedi che il cielo è un vasto ceruleo scudo, ove l’ingegnosa Natura disegna ciò che medita, formando eroiche imprese e simboli misteriosi e arguti de’ suoi segreti.
Emanuele Orchi
V eloquenza
Piu
sacra.
di altri generi letterari, la letteratura
devota (pre-
diche o trattati morali e religiosi) fu soggetta alla rettorica concettistica. Le prediche, soprattutto, in
mano
quenza
teatrale c caratterizzata
afferma
il
da una pirotecnica ricerca di effetto. Come immagini bizzarre, e insieme goffe ed assurde ... lo
Sapegno, «
le
ai « virtuosi » del pulpito, si ispirano
|
1
a un’elo-
sfoggio delie antitesi, delle esclamazioni e delle interrogazioni, l’artificiosa
manipolazione dei « concetti predicabili
»,
sono rimaste famose e passate in
proverbio accanto ai versi piu ridicoli e strambi di qualche
lirico
marinista
».
Cercò di reagire a questo andazzo il romano Paolo Segneri (1624-94), gesuita, uomo di nobile e austera vita religiosa. Ricordiamo di lui le due opere piu celebri, il Quaresimale (1679), raccolta di prediche, e il Cristiano istruito (1686), trattato morale e religioso. Anche se non è del tutto immune, nelle prediche, da un certo gusto teatrale ed enfatico, il Segneri tende a uno stile caratterizzato da una solida ossatura logica, avvivato spesso da un calore sincero e da rappresentazioni psicologiche fini e discrete. Ci è parso tuttavia pili opportuno riportare qui una pagina di un altro gesuita, Emanuele Orchi (1600-1649), autore anch’egli di un Quaresimale, proprio perché esprime in forma pili tipica i caratteri dell’oratoria sacra del secolo. Il
passo delinea
Tcsauro (deriva
un
infatti
« concetto predicabile
».
Secondo
la
definizione del
direttamente dal suo concetto di « argutezza
»), esso
un argomento ingegnosamente provante una proposizione materia sacra e persuasibile al popolo, il cui mezzo termine sia fondato
consiste in «
11.
con geminata metafora:
con doppia
metafora. 12.
meteoriche impressioni: fenomeni ce-
lesti.
13. soggiace... Toro: si trova in congiunzione col Toro, costellazione dello Zodiaco.
14. ignita: 15. scudo...
infuocata.
imprese:
Negli scudi erano
di
in
disegnati il motto e l’impresa araldica, cioè l’emblema assunto dal cavaliere, denotante il suo ideale eroico. Sono questi per il T. « il più nobile, il più generoso e il più arguto di tutti i simboli », superiori quindi anche all’arte. In tutta la teoria è implicito un eccessivo intellettualismo che rischia di soffocare
l’
ispirazione
poetica.
.
La prosa barocca
733
Non è dunque un concetto in senso filosofico, ma una metafora un paragone sviluppato nel corso dell’intera predica con dovizia minuziosa di particolari e un costante, ma solo implicito, riferimento al tema morale. Qui il concetto è: la confessione purifica l’anima come l’opera metafora
».
continuata,
della lavandaia purifica Per
il
seguiamo
testo,
una l’
sporca dal sudiciume.
tela
edizione
Quaresimale di E.
del
Orchi,
a
uscita
Venezia
nel 1650.
L’anima
e la lavandaia
Contemplate meco, o toglie
qualora dal
signori,
telaio
panno
il
lino
si
l’avrete visto, l’avrete tocco rozzo, oscuro di sostanza e colore;
:
indi fra poco, a forza* d’acqua e a vigor di sole, divenuto all’occhio e alla
mano candido
quando
e delicato:
mai sempre
nostra esalando
camiscia, che prima alle pelli
non
cedere !
voleva,^
si
che,^ dalle corrottele della carne
sozzi e vischiosi
i
fuliginosi vapori, quella
deH’armellino di delicatezza e candore
brutte macchie contrae di giorno in giorno, che
bigia pria, affumicata poi, caliginosa in fine, succida, lorda, schifosa
tanto ella appare, che di nausea ticcia alle carni, alle pelli del
gliare.^
Et ecco nudata
prende, e ginocchione
il
piu
all’
occhio, di puzza
immondo
gomito, succinta
pugni, con
le
alle nari, attacca-
potrebbe aggua-
si
fianco la lavandaia^ lo
il
mette presso d’ una fiumara; curva
si
su d’una pietra pendente, insciuppa® co’
animale
palme
lo batte,
lo
il
piega
si
nell’acqua, lo stropiccia
panno
sciacqua, l’aggira, l’avvolge, lo
scuote, l’aggroppa, lo torce; indi, postolo entro
un secchione
vore® del fuoco in un caldaio fatto nell’acqua con
le
fer-
al
e,
ceneri forti
un
mordente liscio,"^ bollente gli lo cola di sopra giuoca di nuovo di scherma, rinforza le braccia, rincalza la mano, liberale ® di sudore non meno :
che di sapone, e finalmente,
1.
quando
che, ecc.
:
stropicfattasi all’acqua chiara,® in quattro
Osservate quello
stes-
panno, quando, diventato camicia, contrae macchie sozze per la corruttela che esala di continuo dal nostro corpo. I vapori sozzi. Vischiosi e fuliginosi del corpo richiamano, per analogia, le sozzure c i peccati, nati dalla debolezza della carne, che sporcano l’aniso
ma, 2.
alle pelli...
voleva: non voleva cedere
per candore alla pelle dell’ ermellino. divenuta oggetto 3. che... agguagliare: di
nausea all’occhio,
ecc.
si
potrebbe ugua-
gliare alla pelle dell’animale più 4.
la
sione.
lavandaia:
La dovizia
dell’
)
:
anima,
la
e
torce
la
risciacqua
strofino a che, in quattro prima. Ma lascia più bianca di
un panno,
ate, la
d’immagini rende lo svolgimentobanale e go tema non arguto, bensì ia
:nte ridicolo,
coscienza.
la
intende mostrare come la confessioseruga instancabile ogni più rijwsto li,
La lavandaia
è
immondo. la
confes-
di verbi che ne indicano le
insciuppa: inzuppa, fervore: calore.
un mordente
Uscio:
S
a e cenere, per
:qua pulita.
il
il
ranno, fatto con
bucato.
risciacquando
il
panno
Antologia della letteratura italiana
734
date, tre scosse, due sciacquature, una torta, e delicato ne cava
il
panno
candido più che prima
lino.
Francesco Fulvio Frugoni Predicatore famoso fu anche Francesco Fulvio Frugoni, genovese (16201688 circa), frate dell’ordine dei Minimi di San Francesco da Paola, autore delle Sacre ringhiere. Ma fu anche autore fecondissimo di molte altre e disparate opere, quali la Guardinfanteide^ un poema giocoso, V Eroina intrepiday una storia romanzata, un romanzo. La vergine parigina^ drammi mu-
La sua opera più importante
sicali, ecc.
è
il
Cane
di Diogene^ pubblicato alla
fine della sua vita, che in sette latrati^ cioè in sette tomi, contiene dodici
umore bizzarro e grottesco, intesi a satireggiare non ultimi quelli letterari. Nel Cane di Diogene il Frugoni esprime pienamente
racconti di
i
vizi e le colpe
del secolo,
la
sua sbrigliata
inventiva fantastica, compiaciuta e quasi inebriata del proprio estro, della propria ingegnosità, continuamente pervasa da un trascolorante gusto di alla rappresentazione di scenari grotteschi. Lo stile è un complicato e ininterrotto di immagini, di bisticci di parole, di « argutezze », sostenuto continuamente da un’inesauribile dovizia linguistica, da un’inventiva verbale vertiginosa. Le immagini deformate del mondo si susseguono incalzanti, s’intrecciano in invenzioni sempre nuove e para-
parodia o rivolta tessuto
che rendono l’intento satirico un puro giuoco di virtuoso. Non c’ è Frugoni un senso di moralità sofferta: la sua parodia è tutta intellettualistica, frutto dell’ingegno, non del cuore, si che, a lungo andare, -il lettore dossali,
nel
avverte, nella sua galleria di ritratti comici, l’assenza del soffio della vita, e
osserva
mente
le
sue figure
come manichini
dalle vesti sgargianti
ma
fondamental-
inerti.
Ritratto di Parigi
Anche in questa descrizione di Parigi avvertiamo l’intento del Frugoni di comporre una grande allegoria satirica del proprio secolo. Come dice il Raimondi, « la sua lente deformatrice di moralista... esplora l’universo per scoprire un teatro grottesco, di fantasie e di scene assurde ». Ma la partecipazione dello scrittore resta qui limitata al compiacimento della metafora ingegnosa, della dovizia lessicale, del virtuosismo stilistico. Per questo non hai un’immagine sintetica che colga la vita intima della città, ma un brulichio disordinato di forme che
si
prestano
manzo
al
giuoco della rappresentazione arguta.
IO. torta:
torcitura.
Le ultime righe
in-
tendono suscitare nell’animo degli ascoltatori un senso e un desiderio di quella pulizia,
di
Il
passo è tratto dal ro-
L’eroina intrepida.
quella
freschezza,
che,
alla
fine.
sembra dire il Padre, è poi cosa tanto agevole. È una forma di « propaganda » che cerca di captare i sensi, non la ragione, simile alla moderna propaganda pubblicitaria.
La prosa barocca Quivi
735
Francia, com’al suo capo,
la
come
sostenerlo; e
subalterna,^ sviscerandosi per
si
suo cuore da tutte
al
come da
province,
le
tante
Mondo com-
vene, concorre a portargli alimento col proprio sangue.^
pendiato,^ contien l’Europa nella civiltà, l’Asia nella profusione,'* l’Afstravaganza e l’America nella ricchezza. Ha un popolo cosi
frica nella
come variabile, un territorio un commercio cosi dovizioso come frequente, ammirabile come sfoggiata.® La novità v’ha la sfera, la
misto come volubile, un clima cosi bello
ameno come
cosi
una Corte
cosi
culto,®
simulazione v’ha v’ha
la reggia,
lusso v’ha
il
centro,
il
bellezza v’ha l’epiciclo,® la pietà v’ha
steccato,'^ la
borsa v’ha
la culla, e la
la
tomba.® Egli è
porio delle pompe, l’aringo^® delle cortesie,
il
il
coraggio v’ha lo pascolo, la
il
campo
il
delle avventure,
giardino delle soddisfazioni, l’Euripo^^ delle traversie,
il
meandro
moda
paese delle sirene, l’em-
il
fonte delle
Nilo dei cortigiani e l’Oceano delle confusioni. Il divide la Senna, che con piena d’argento gli porta alle rive un tributo d’oro, con cui arricchito s’infastosisce.^® Anzi lo nutre con COSI provida scaturigine, che l’impingua opportuna di tal maniera risse,
che
il
mancasse
se
degli intrighi,
il
di quella l’alimentaria affluenza, egli misverrebbe fa-
uno scheletro agonizzante. Mangia perciò vorace un giorno piu che non inghiotte la Gallia tutta in un mese, ed avendo nel ventre l’isole divora nelle selvaggine le selve, nei montoni le monmelico
diverria
e
in
tagne,
maree, nelle biade
le
La Francia
subalterna;
Quivi...
1.
vaccine gli armenti, nelle volaglie^®
nelle
pescagioni
soggetta a Parigi, considerandola
la
si
concorre...
2.
ti
Vuol
sangue;
dire
che al portano
loro contributo tutte le provincie.
compendiato;
del
sintesi
di
tutti
pria orgia
coltivato.
stosa, elegante e superba.
gli
studiati
pa-
sfoggiata
Allude
;
al
suo lusso opulento.
campo di gara. È un termine astronomico,
7.
steccato;
8.
l’epiciclo;
qui usato metaforicamente nel senso di « centro d’attrazione ».
tomba; L’ arguta battuta acquista una maggiore comicità dalle
9. e la
borsa...
metafore elogiative precedenti.
(Parigi) piu fa-
Argento
è proba-
bilmente un’allusione alla parola francese argent (danaro) e, comunque, alle ricche merci che vengono portate a Parigi per via fluviale. 14.
Nota
del periodo, i vari « cosi... coche gli danno un ritmo di spinte e
finale
Di qui
Egitto, cosi Parigi con-
all’
13. s’ infastosisce; diviene
lusso.
controspinte. 6.
di gara.
«stretto».
qui vale
sente ai cortigiani di arricchire.
metaforica.
culto;
»
nelle
periodo hai metafore marine, di vastità progressivamente maggiore. 12. il Nilo dei cortigiani; Come il Nilo
misverrebbe
famelico;
morrebbe
di
fame.
rallelismi
me
Euripo;
assicura fertilità
gli aspet-
Vedi, in queste righe, un primo sfavillare di « argutezze » e di metafore ingegnose. Ma siamo appena all’ inizio; lentamente, con calcolata progressione, il F. giungerà a una vera e pro5.
11.
mondo.
profusione;
3.
campo
10. aringo; arena,
as-
incostanze,
le
nei vini le sconvol-
e
alla fine del
fasto e alla ricchezza della capitale
3.
campagne,
propria
testa.
il
le
15.
selvaggine
nelle
le
selve;
verbale diventa fine a se stesso. che Parigi, per nutrirsi, spoglia
ogni
il
le
giuoco senso è selve di
Frugoni interessa concetto, quanto l’arguta com-
selvaggina;
non tanto
ma
Il
Il
al
binazione delle parole. Lo stesso vale per
immagini immediatamente 16. il
volaglie;
doppio
« frasca,
to
le
seguenti.
dal francese volaille che ha
di « pollame » e di leggerezza »; donde l’accostamen-
significato
con incostanze.
Antologia della letteratura italiana
736
Mostro immenso, ha tante teste quanti borghi, e quanti borghi tante cittadi che ’l rendono portentoso per un’aggregazione sempre crescente. Cosi, non potendo più capire in se stesso,^® esce di se medesimo, e dilatandosi coll’ innondazione degli edifici, forma un mare, che ture.”
certe le rive, d’abitatori fluttuanti. Detto paradiso,
non ha
ma
terrestre,
“
quali) vi cinguettano volontier col serpente; * purgatorio dei litiganti, che vi son tormentati dalle fiamme cicane qual’ultimo abbiano ognor rinascenti; e non mai n’escono sin a che
per
le
dame, che
(tali e
drante*^ sborsato; inferno dei cavalli, che vi son dannati ad un faticoso strascico ** senza aver mai riposo, martorizzati dai diavoli dei cocchieri,**
che abborriscono
la
compassione; limbo degl’innocenti,** per-
giunga nei puri naturali *® e vi cammini colle tenebre interiori, vien, qual fanciullo che parlar non sappia, deriso, e dagli astuti filoni con rodimenti strani sfilato *® benché oggidì la giustizia ché chiunque
vi
:
di Luigi l’Invitto*^ abbia lor quasi colla sua spada rotante*® troncato filo.
il
Daniello Bartoli
Nacque a Ferrara nel 1608 ed entrò a 15 anni nella Compagnia di Gesù. Fu sino al 1650 predicatore acclamato in molte città italiane, poi venne chiamato a Roma, come storico dell’Ordine c resse, dal 1671 al Collegio Romano. Mori nel 1685. La sua opera di maggior impegno 1673, è la Storia della Compagnia di Gesù^ scritta, per ordine dei superiori, dal '50 al ’73, che comprende la Vita di S, Ignazio^ la biografia di altri santi gesuiti e
il
racconto delle loro missioni in tutto
quale è unita e
la
Missione al Gran Mogor,
il
il
mondo,
Giappone^
cioè VAsia, alla
Cina^ V Inghilterra
la
r Italia.
17.
sconvolture
:
nel duplice significato di
22. faticoso
strascico:
sconvolgimento e disordine (Raimondi), con « arguto » accostamento ai vini e al loro
samente e senza posa.
effetto.
voli dei cocchieri.
rimanere fermo entro i propri confini. Allude al continuo, dilagante estendersi della città; la metafora 18.
capire
culmina
in
se
stesso:
nell’ immagine degli « abitatori flut-
tuanti ». 19.
nel
vi cinguettano... serpente:
paradiso terrestre,
si
20.
cicane: Si
dal francese chicane,
21.
a cavil-
tratta dei processi celebrati nei tri-
bunali parigini.
quadrante: spicciolo.
Il
da quei dia-
F. vuol dare un’
imma-
gine del ritmo convulso della vita cittadina. 24. innocenti: persone semplici e ingenue. 25. nei puri naturali: ancora avvezzo a
ingenua schiettezza e semplicità e non minato dall’ ingegno e dall’ astuzia. 26. filoni:
beffe
furbi
dell’altrui
e
ladri,
pronti
dabbenaggine,
a
sfilato:
illu-
farsi
de-
rubato.
dalle suggestioni del diavolo.
lo ».
23. dai diavoli dei cocchieri:
Come Èva
lasciano incantare
a trascinarsi peno-
r Invitto Luigi XIV. spada rotante: è la spada della giustizia, cosi ben affilata che ha tolto il filo 27. Luigi
:
28.
ai
« filoni » (ha reso ottusa la loro spada).
La prosa barocca
111
Piu che una vera e propria storia, è questa un’opera apologetica, concepita con l’intento di celebrare l’ardore missionario dei Gesuiti e il nuovo martirologio cristiano. Le pagine migliori sono quelle dedicate alle missioni asiatiche; in esse la nuova epopea sacra dei combattenti per la fede di Cristo è come avvivata dallo sfondo grandioso di paesaggi sterminati e ignoti, ricchi di fascino e di meraviglia. delle relazioni inviategli
aperta alla bellezza della natura,
bilità
una
Bartoli
Il
vita
ricavava dalle linee schematiche
li
dai suoi confratelli, rivivendoli con
non senza una
che anch’egli avrebbe voluto vivere,
moderna
se
la
sua sensi-
segreta nostalgia per
superiori glielo avessero
i
maggiore interesse argomento scientifico, quali il Del suono, dei tremori armonici e dell'udito e Del ghiaccio e della coagulazione, sia a quelle d’argomento morale, quali La geografia trasportata al morale e / simboli trasportati al morale, sia a quelle d’argomento grammaticale e linguistico, quali 11 torto e il dritto del non si può e L’ortografia italiana. Più importanti sono L’uomo al punto^ un discorso ai peccatori per consentito. Tuttavia la critica
sue opere di minor mole,
alle
invitarli
a
meditare
sul
sia
momento
si
a quelle di
morte,
della
trattato intorno all’arte del dire, nel quale
a finalità morali
e,
di ringraziamento a
soprattutto,
Dio per
la
la
è rivolta con
il
VUomo
Bartoli
ampia dei
cieli
alla
acuto
lettere,
volta
Ricreazione del Savio, inno di lode
e
mirabile e armoniosa bellezza della natura,
vagheggiata dall’autore nell’infinita molteplicità dei suoi sione
di
propugna un’arte
perfezione
ch’essa
rivela
in
dalla
aspetti,
ogni più
vi-
piccola
forma.
La prosa
del Bartoli è fra le più vive e interessanti del secolo.
miratissima dal Monti, dal Giordani, dal Leopardi, che della prosa italiana »,
mettendo
stile,
che « non
intaglia e scolpisce dinanzi agli occhi del lettore
cetti,
immagini, sentimenti
».
Poi,
per
tipico prodotto dell’ingegnosità barocca,
gida.
La
raffinato
critica recente,
e
chiamò
il
Fu am«
Dante
in rilievo la sua prodigiosa conoscenza della
nostra lingua, la ricchezza espressiva del suo
ma
lo
un
le
solo, dipinge...
proprie idee, con-
certo tempo, fu svalutata
appariscente,
invece, vede nel Bartoli
non
ma
come
intimamente
soltanto
uno
fri-
stilista
ma uno scrittore vero, il quale visse intimamente commossa dinanzi alla bellezza grandiosa dell’universo,
ingegnoso,
quella meraviglia
che riuscì a esprimere con vivida sensibilità pittorica in molte sue pagine. Il cielo, l’universo che egli contempla affascinato, corrispondono, ha detto
giustamente il Raimondi, « allo spazio che le nuove scoperte hanno prodigiosamente dilatato, immenso e luminoso come può rivelarsi attraverso il telescopio di Galileo ». Ma mentre nello scienziato pisano prevalgono la
predomina la pura gioia conquale egli guarda rapito lo spettacolo infinito di meranatura presenta al suo sguardo, avvertendo nelle cose la pre-
logica e l’entusiasmo scientifico, nel Bartoli
templativa con viglie
che
la
la
senza della suprema Mente creatrice di Dio.
La
ricreazione del Savio
La ricreazione del savio consiste, per il Bartoli, neH’ammirazione della divina bellezza dell’universo "creato da Dio, nella gioia con cui egli contempla, con me-
Antologia della letteratura italiana
738
la vita armoniosa e complessa della natura. Il Bartoli non ritmo misterioso c intimo di essa, ma la ricchezza inesauribile delle sue forme sensibili, lo spettacolo che continuamente si rinnovella sulla scena grandiosa del mondo. Nel primo periodo, lunghissimo e tuttavia agevole, avverti ancora il senso di una solida struttura classica, nello stile; ma ad essa si congiunge il motivo, tipi-
sempre nuova,
raviglia coglie,
perù,
il
camente barocco, della sentimento moderno,
11
nuovo
complessa e dinamica delle forme, della descrizione di esprimere la varietà cangiante degli oggetti. potremmo dire, galileiano dello spazio crea uno stondo
vita
e pittoresca, che cerca
colorita
alla fantasia,
non
del Bartoli
il
e,
è scritto in linee geometriche,
egli dice, tconietriche
immensa e infinita- Ma l’universo come quello di Galileo, bensì, come
senso di una vita cosmica
l’interesse scientifico è in lui sostituito dalla esaltazione
:
mossa della poesia della Creazione.
j
com|
’ ^
Or
chi
anco
bili
ficio del
ha in capo occhi da non veder solamente le superficie visiil senso/ ma da intendere l’arti-
agli animali per dilettarsene
lavoro
^
così di tutto insieme
avvegnaché minima locazion delle parti,
il
mondo ^ come
vaghezza né con più aggiustata situazione per
la
monia
d’ogni particolare,
poco in apparenza pregevole sua fattura,^ e la col® non possibili a disporsi né con più bell’ordine per
e
delle superiori con le
mezzane
pre mobili e sempre quiete e
le
e di queste
l’utile
:
e in esse
con l’infime, e
®
le
l’ar-
sem-
or mobili or quiete, quelle per l’intrin-
seca proprietà delle lor forme, queste per l’estrinseca impression degli
agenti;
e le smisurate e le piccolissime, quelle più riguardevoli per la
gran mole, queste per cedersi le
une cose
lo
più
alle altre,
perpetue vicende del suc-
fin lavoro;® e le
dando luogo
cominciar
finir di quelle ai
il
continuando sempre il medesimo, ma il medesimo sempre nuovo; ^ e l’insolubile legamento e concordia fra rtature non solamente dissimili ma nemiche; e la concatenazione de’ fini, a eiascuna specie il suo proprio, ma tutti a un sol comune termine rispondi queste, e in tal guisa
denti;^^ e
1.
gli
’l
ripartimento de’ beni
sì
Or... senso: Chi non guarda solo con occhi del corpo le cose per trarne im-
mediato e superficiale diletto sensibile (cosa che possono fare ugualmente anche gli animali) ma le scruta anche con gli occhi della mente. 2.
r
artificio
del
lavoro
:
la
razionale
e
armonica costruzione. Il mondo è visto dal B. come una macchina meravigliosa, opera d’arte di
una mente sublime, quella
mondo:
di tutto l’universo.
3.
di tutto...
4.
avvegnaché... fattura:
nima
e
di Dio.
per quanto miapparentemente poco pregevole ope-
della natura (o del mondo stesso, visto però non staticamente, ma nel suo continuo e dinamico farsi, secondo una legge e un ra
movimento impressogli da
Dio).
ben inteso che
•
5.
per:
6.
in esse:
il
bisogno non è punto
per quel che riguarda. in queste parti.
per 1’ impulso di agenti causano il movimento. 8. per... lavoro: Piu che dal mondo rivelato dal telescopio si direbbe che il B. sia per...
7.
agenti:
esterni che ne
attratto
Nelle fin
da quello rivelato dal microscopio. creature ammira appunto il
piccole
lavoro,
l’artificio
mirabile
delle
loro
complesse strutture, unito alla grazia raffinata di un’opera sottile come di cesello. 9. il medesimo... nuovo: La loro vita sempre uguale e che pure si ricrea, sempre vergine e nuova, ad ogni istante. 10. insolubile legamento: indissolubile legame.
11.
a
ciascuna
. . .
rispondenti
:
ogni cosa
'
La
prosa barocca 739
men
che Tabbondanza,^^ facendosi necessaria
utile
la
communicazion
lontani per dar gli uni quel che loro soverchia e cercar dagli
che lor manca; e finalmente in tutto
consonanza, l’ordine,
l’efficacia,
la varietà, l’unione, la grazia, la
decoro, la maestà,
il
l’utile, la
mondo, chi cosi ne intende l’armonia del ah!, non può altrimenti che come in mezzo
chi COSI vede
de’
quel
altri
bellezza
:
tutto e l’ufficio
il
delle parti, a innumerabili maraviglie, anzi a dir meglio a tanti miracoli quanti individui,^^ non che nature, dovunque si volge, non senta rapirsi coll’animo in giubilo per diletto e in estasi per istupored®
mente
la
non
tente volere che
mamelo vedute
fuori
”
un
delle quali
il
E non può
essere che tutto insieme con
a riconoscervi
mondo
gran
sì
£e’ uscir
dominio
il
men
elle
di queU’onnipo-
dal nulla con solamente chia-
conservandolo, quasi di continuo
e,
opere di Dio,
le
Dio
salga in
riproduce... Cosi
il
son linee e figure, per cosi
dir, teometriche,^®
che abbiano di bello è quel che mostrano
agli occhi:
l’incomparabile è per la mente, cioè la forza del dimostrar ch’elle fanno Iddio e quell’infinito ammirabile ch’è in lui. Non ch’elle cel diano a
comprendere... neanco cel danno a vedere in lui
stesso,
ma come
chi di
punta d’uno scoglio mira l’oceano, ancorché non ne vegga né il termine né il fondo, ma solo una superficie di quanto è l’orizzonte della sua corta veduta, nondimeno e assai ne vede, e vede, in certo modo, sulla
anco quel che non vede, in quanto
il
conosce incomparabilmente mag-
la veduta. Per un simil modo anche noi in questa superficie delle creature, che sono cosa di Dio, veg giamo ancor l’invisibile di lui, e ne arriviamo al profondo non con l’intelligenza ma collo stupore, ch’è la sola giusta misura delle cose ch’ec-
può abbracciare con
giore di quel ch’egli
cedono ogni misura.^® tende a un proprio fine distinto,
ma
dispongono armonicamente nella
vita
tutte
si
comu-
ne deir universo. 12. essi,
il
bisogno... l’abbondanza:
come
spiega poi,
rapporto reciproco fra
cose.
le
13. a tanti... individui:
zo
a’
miracoli, ché
mondo avanti. È
il
ottimistico
»,
dice
evidente
non
Dio
senta:
«
Stiamo in mez-
un mondo B.
fin
di miracoli è
piu sentimento della natura, miranel minimo fram-
qui
cristiano
e
opera di mento. bile
14.
il
Mediante
viene a stabilire un
si
alcuni
capitoli
suo
il
uniscilo a
menti che (non può fare a
non può
meno
di
altri-
non
sentire). 15.
diletto...
esprimono templa la
il
istupore:
I
due
sentimento col quale
sostantivi il
B. con-
vita della natura.
16. tutto... mente: col cuore e con la mente, fusi in un unico sentimento di riconoscenza e di lode verso Dio.
chiamamelo fuori: Il verbo creatore Dio chiamò le cose dal nulla all’ essere, nel grande miracolo della creazione. 18. linee... teometriche: come a dire « mi17.
di
sure dell’essere divino » (Raimondi). Il vocabolo è ricalcato su « geometriche », con intenzione critica nei confronti della nuovj scienza galileiana. Galileo aveva detto che il libro dell’universo era stato scritto da Dio in caratteri matematici o geometrici, che lo scienziato
può
interpretare, ricavandone leg-
gi scientifiche universali;
il
B. propende qui
per una visione della natura fondata piuttosto sulla sensibilità e sul cuore, nella quale le cose sensibili siano un veicolo che porti immediatamente l’anima alla religiosa con-
templazione
dell’ Invisibile.
19. stupore... misura:
Lo
« meraviglia » secenteschi
un intimo
si
« stupore » e la
rivestono qui di
significato religioso:
sentimento sereno bellezza di Dio.
e
gioioso
sono
dell
il
pre-
ineffabile
e
•
Antologia della letteratura italiana
740
tulipano
Il
Nello stile del passo precedente, avvertivi soprattutto il gusto del periodare complesso e spazioso, avvivato dal calore discreto dell affetto. In questo e in quello seguente senti invece la gioia sensibile, visiva c descrittiva, che si esprime nella ricerca della parola eletta, pregnante e aggraziata. « Poeta del dizionario » è stato chiamato il Bartoli, e veramente egli gode la parola, sembra accarezzarla come una realtà viva e palpitante, avvertendo anche in essa un oggetto della mirabile Creazione, il mezzo datogli da Dio per testimoniarne la bellezza.
Quel gambo senonché nel
liscio, erto, sottile.^
salire assottiglia
Le
^
trafile
noi tirerebbon piu eguale,
con garbo, fin dove gli
annoda
si
1
in capo
:
come campato in aria, che gli dà un bellissimo un bel cesto di foglie, e alcuna su per lo stelo, e l’adorna. Io mi perdo e mi diletto nel cercar che
fiore, ritto, svelto, e
il
comparire.^ Al pie’ poi
che pur
gli
dà grazia^
i
come di quelle invisibili giunture, colà dove il fiore si commette ® col gambo, e aggroppa ® le sue ordinariamente sei foglie nategli in giro l’una da presso all’altra; né so come vi s’innestino, né so come da un verde si vivo, com’è quello del gambo, si passi immediatamente a un SI diverso altro colore delle foglie; ed è il medesimo dal passar d’una in altra si differente figura.^ Io per me godo® di non comprendere quel che per ciò mi diletta, come un sempre nuovo miracolo, e mi par di vedere le invisibili mani di Dio in opera di lavorarlo: perché dirmi Natura è come dirmi (se fosse tanto, ma veramente non l’è) un uni£o
il
,
!
j
|
i
ji
!!
forme pezzo d’acciaio, il quale se, fatto punzone, o conio che vogliam dire, stampa in qualunque sia metallo una immagine di bellissimo volto, tutta è mercé ® dell’ artefice che vi incavò quel che egli sol battuto, o premuto, impronta. Ma proseguiamo a cercarvi piu dentro. Quei nerche tutto
bolini, quelle venette,
il
corrono; altre
al disteso,
I
|
^
,
altre a traj
verso reticolate,^® e succiano l’umor dalla madre,
1.
Quel gambo...
mosso; esprime B.
l’
esultante e
« stupore »
lo
col
com-
il
quale
trafile;
con
fori attra-
j
è... figura;
e
ugualmente ignoro co-
dalla figura dello stelo
cosi
;
allo stelo.
ed
7.
me
piastre d’acciaio
alla
curvarsi dei petali del fiore che spunta in
cima
il
accosta alle cose.
s’
2.
brevissimo pe-
sottile; Il
riodo ha un tono fra
portano fino
’l
diversa,
della
si
passi a quella,
,
corolla. |
verso
quali
i
ridurlo in
come
nell’aria
passare
metallo
il
per
8.
godo,
Io...
impossibilità
comparire;
campato...
3.
fa
si
fili.
sul
fiore
Il
fondo di un
risalta
dipinto o di
il
di
ecc.
;
Gode perché questa
comprendere
fa
gli
sentire
costante, meraviglioso miracolo della crea-
,
|
zione. I
un
bassorilievo (tale è
pare);
comparire è
il
il
il
significato di
cam-
suo. apparire, la sua
bellezza. 4.
fiore
è
10.
dà grazia;
gli
9.
la
grazia
gentile
del
tema piu vivo della descrizione. commette; si unisce. il
5.
si
6.
aggroppa;
mercé; ciò avviene per merito
è
e per
grazia. al
tudinali
disteso... e
isolate,
con le venature dei nuta reticella.
reticolate; altre
petali
che
alcune longisi
come
intrecciano in
>
:
una mij
j
Il
verbo dà
il
senso dell’in-
11.
rumor dalla madre;
l’
umore
del bulbo.
La
prosa barocca 74
cima, e lo spartono, per digerirsi, e formarsene
rito, e
tramezzo un
dirmi a che
sa
come
eguali.'^
come dà ove
quelle
ha a formare
si
altezza,
spartite
colo-
di
lanugginoso, che in certi
misurate
medesima non so che
alla
tenenti in capo quel
e
in tutte
levano su dal gruppo,^’
si
dritte,
sottili,
a spazi uguali,
conveniente lor luogo.?
il
bel garbo, e quell’andare
si
che dentro
fila,
seme,
il
misura, che tutte riescano
le
che tutte abbiano
loro quel torcimento
E
E come
stende.
si
sparte,^^
simile e diverso.?
membra. Poi
sottilissimo velo bianco, che fra l’uno e l’altro (chi
fare.^^)
le
tutte le
d’un doppio drappo in molti variamente
la tessitura delle foglie,^^
fiori è spenzolato; ed è segreto della pur serve, ché nulla v’ha di soverchio.^® Cosi dicendo, raccòrdovi^ che considero un sol fiore: che se il diverso e sempre maraviglioso lavoro di tutti gli altri s’avesse a considerare in ogni lor parte, chi, che sia men d’un angiolo, basta a intenderne
natura l’uso a che serve
l’artificio,
a divisarne
altri
:
le
e
parti, a definire
perché delle figure, e
il
origine de’ colori e degli odori, l’invenzion delle forme, attitudini, convenienti a ciascuno la sua, e la natura
che
sia
il
lor bello e
mirabile in
Le
essi,
buono, a che vagliono,^ e
il
cioè tutto
^ quel
ch’è in
il
la
disegno delle
deH’anime,“ e in
ciò che altro è d’am-
essi.?
chiocciole
questa la parte finale di un lungo « elogio » delle chiocciole, volto a dimomassimo anche nelle minime sue fatture ». Ciò che soprattutto colpisce nel brano è la prodigiosa e quasi magica dovizia e inventività linguistica, ammiratissima dal Leopardi, che nella prosa del Bartoli vedeva fulgidamente esem-
È
strare « Iddio
plata « la forza e la infinita varietà delle
liana
può assumere
»,
eppure italianissime e
e
una
forme
« molteplicità
di
e
stili
sembianze che
la
lingua
12. per...
formarsene: perché venga dige-
da esso
si
formino
18. spenzolato
la
tessitura delle foglie;
ogni petalo,
formato da due
il
strati
d’uguale grandezza... li distribuisce. il fiore, o, secondo altri, l’arte-
Soggetto è fice
23. a che vagliono: a che servono. d’un fio24. cioè tutto: ogni minima parte
re desta meraviglia, ticella
come ogni minima
par-
del creato.
divino.
15.
16.
t’
spenzola fuori della corolla.
anime: semi.
22.
sottili,
i
petali
in
20. raccòrdovi: vi ricordo. 21. divisarne: distinguerne ed esaminarne
tessuto di
quali è posto un sottilissimo velo bianco. 14. le misura... sparte: come rende tutti i
fra
:
va-
19. di soverchio: di superfluo.
tutte le parti del
fiore.
13.
»,
belle.
Or finiamo con solamente accennare la varietà de’ colori^ e la ghezza degli ornamenti, onde le chiocciole son si belle. Eccovene
rito e
ita-
quasi di lingue diverse
e
torcimento: piegatura ricurva. andare: forma e orientamento.
17. fila... gruppo: gli stami che come fili innalzano dalia comune base dei petali.
I.
Or... colori:
con dovizia di
chiocciole
clude
la
Il
B. ha a lungo parlato
di particolari delle varie specie
e
del
loro
guscio.
Ora con-
vasua descrizione parlando della
742
Antologia della letteratura italiana
prima
le vestite
gie, nericanti,
d’uno schietto drappo;^ argentine, bianche,
morate, purpuree,
gialle,
miglie. Poi, le addogate con lunghe strisce e visa
:
^
lattate, gri-
bronzine, dorate, scarlattine, verliste
di piu colori a di-
e quali se ne vergano per lo lungo, quali per lo traverso; alcune
Ma
piu vagamente a onda.
diritto, altre
vorate a
modo
vero maravigliose,
certe, in
la-
d'intarsiatura con minuzzoli di più colori bizzarramente
ordinati; o d’un musaico di scacchi,^ l’un bianco e l’altro nero, quanto alla figura
formatissimi e
una division
tagliente,
giunture® non isfumati punto,
alle
come appunto
ma
con
fossero alabastro e paragone stret-
tamente commessi.® Le più sono dipinte a capriccio, o granite, gocciomoscate; altre qua e là tocche con certe leggerissime leccature
late,
di minio, di cinabro,® d’oro, di verdazzurro, di lacca; altre pezzate con
macchie più risentite® e grandi; altre o grandinate di piastrelli^® o o minutissimo punteggiate; altre corse di vene come i marmi, con un artificio senz’arte; o spruzzate di sangue in mezzo ad altri colori, che le fan parere diaspri. Ma la varietà e la bellezza sparse di rotelle
non si può divisar^® tutta in non abbiam tanti vocaboli quanti
degli ornamenti e le mirabili lor partiture brieve, né dirsene a lungo, perché noi
hanno abbigliamenti per
esse
arredarsi e
ben
parere.^^ Lascio le
Che direm
a scavature e risalti, scanalate, grinzute, rugose.
una cornice
a cui su le giunture delle volute spiana
intaglio?
Di
creste che alzano
un
una che sembra
po’ poco,
o a luogo a luogo
entusiastica
sinfonia di
Ne
ornamenti.
risulta
colori,
di
espressa
estrema raffinatezza
in pit-
torica.
un
schietto drappo: di
2.
la fascia
come una
addogate:
solo colore, che
con
di
colori
bande,
come 4.
dipinte
liste
in uno stemma. musaico di scacchi: mosaico con figura
quanto... formatissimi:
Vuol
dire che
sono esattamente uguali, disegnati con geometrica esattezza, alle giunture: nel punto d’incontro e di confine fra quadro bianco e quello nero. il gl;
6.
scacchi
una
di colore
division...
commessi:
riquadri
I
opposto sono fra loro nettarnente
uno con progressive sfumature; come distinti,
ma
quelle
l’una presso all’altra e in loro
di alabastro (marmo bianco) o pietra paragone (una pietra nera che serviva
tasse
di
per saggiare l’oro), incastrati insieme. 7. a capriccio... moscate: con liberi arabeschi, a grani, a gocce, a puntini. 8.
leccature:
striature
sfumate,
cinabro:
9. risentite:
intense.
grandinate di piastrelli: con piccole macchie rotonde, come se fossero state colpite da una grandinata di minuscoli sasso10.
lini.
di scacchiera. 5.
.si,
Di
terra di colore rosso chiaro.
veste.
diyersi. a divisa: distribuiti in fasce e
3.
fregio di strane
tempestate a gocciole di cotali smalti
un’abbandonata ed
vasto arazzo,
un
intrecciatura di più catene?
gemme,
filze di perle e di
stesse rivolte,
rietà dei loro colori e
distende
si
che tutte son
un linguaggio
di maraviglioso
quelle a cui fra due corsi di spine dilicatissime o fra due
graziose figure, o
come un
messe
di quelle
non trascolorano
l’
nell’ altro
se
si
trat-
minutissimo: minutissimamente.
11.
12. diaspri:
colori,
il
13. partiture:
buiti
diaspro, pietra dura di vari
spesso rosso e fiorito.
gli
i
modi
in
cui sono distri-
ornamenti, divisar:
spiegare par-
titamente. 14. per...
ben parere: per apparire
messe: quelle lavorate. 16. a luogo a luogo: qua e là. 15. le
belle.
La prosa barocca
743
che sembrano gioielletti? Di quelle che per tutto
il
corpo sono seminate
con in mezzo, a
di scudetti, rosette, borchie, bisantini,^"^
un botton-
chi
che sopravanza, a chi un pennacchietto che ne spunta con grazia? ve ne ha, indiana, tutta intessuta di sottilissimi cordoncini, non
cello
Una
solamente di più colori
schietti,
a ogni
di
insieme
gliate
questi,
tanti di
l’uno immediato
due
e miracolo che
:
diverse,
fila
mai una
ma
di certi
violato e bianco,
attorci-
all’altro,
volta fallisse
il
tornar sopra
quel che dà volta sotto,^^ alternandosi fedelmente l’un colore e l’altro, come lavoro di mani che aveano^ sopra una mente direttrice al muo-
con disegno e con
versi
Il
cammino
arte.
del Santo
La vastissima
Compagnia
Storia della
sionario che spinse
i
Gesù
di
celebra l’ardente slancio mis-
Gesuiti alla conquista di nuove terre alla fede cristiana.
Il
Battoli rivive la tensione eroica che palpitava nelle relazioni dei suoi confratelli
deirOriente: più che una storia,
la
sua è un’esaltazione della nuova epopea mis-
sionaria.
passo che riportiamo è particolarmente significativo. Il cammino di S. FranSaverio fra solitudini sterminate e selvagge, l’eroica tensione dell’anima
Il
cesco
che trionfa sui limiti e sulla debolezza della carne, quel viaggio vissuto in un’atmosfera d’estasi e di desiderato martirio fanno rivivire al Battoli l’entusiasmo di una rinnovata vita cristiana, simile a quella dei primi tempi della Chiesa, quando Tertulliano, di fronte alle persecuzioni, proclamava che il sangue dei cristiani è
seme
di
una messe
Era il
se
paese
la il
rigogliosa e santa (cfr. la chiusa del passo).
stagione la più incomportabile e disacconcia a viaggiare, e più aspro e pericoloso a passarsi che sia nel Giappone. Egli^
cammino
ne pose in
mezzo dicembre, quando
a
è orridissimo, incomincia a incessanti,
romper con piogge
con freddi stemperatissimi,
il
verno, che colà
a settimane^ continue
insofferibili
fino a’
paesani av-
paese poi, tutto selve, montagne, valli attraversate da torrenti che v’ingrossano a dismisura, e sfondate per restagni^ d’acque palustri e gran pantani; e certe pendici boscose, per vezzi
i
al
rigore del clima.
Il
venti da tramontana che 17. bisantini:
come ornamento 18.
molto
piccole rotelle d’oro,
usate
a Bisanzio.
ma... insieme: Ogni tante
file
di cor-
doncini monocolori si trova un cordoncino di due, uno viola e uno bianco,
insieme intrecciati. l’intreccio
il
bianco e
il
viola
dire che nelsi
alternano
con perfetta regolarità. 20. che aveano: che avessero. La mente direttrice, 1’ artefice supremo che plasma le meraviglie della natura, è Dio.
San Francesco Saverio, nato
Egli:
1.
di
Xavier
in
Navarra.
Fu
nel
tra
i
Loiola e Indie per venne chiamato {'Apostolo delle missionaria compiula sua grande attività (1506India e nell’ Estremo Oriente
primi
ta
Vuol
miracolo... sotto:
possono, smaltate di cosi duro
castello
formato 19.
vi
seguaci
di
S.
Ignazio
di
in
1552).
Il
compiuto viaggio qui descritto fu
nel 1550. poi settunane 2. a settimane: che durano e settimane. 3.
sfondate per rcstagni: guaste, stagni (Raimondi).
late dagli
ammol-
Antologia della letteratura italiana
744
%
ghiaccio, che sono piu le cadute che
i
passi che vi
fanno; oltre
si
al pe-
rimanere oppresso da alcune come travi di gelo (così ne scrive ha vedute)^ lunghe e grosse quanto un gran tronco d’antenna,
ricolo di
chi le
acque rapprese dal freddo e compigliate,^ il capo de’ passaggeri. Il santo apostolo, male in arnese di panni, sempre a piè e scalzo,"^ con su le spalle il suo fardello de’ paramenti da celebrare® e senza altro onde vivere che un sacchetto di riso abbrustiato e secco che Bernardo® porper
che,
piogge e
le
altre
crescono e pendon dagli arbori® sopra
tava, e per bere, la fredda
Or
acqua
quali e quanti fossero
delle surgenti.
disagi che in questa peregrinazione sof-
i
può almeno per conghiettura comprendere dal lungo tempo convenne spendervi intorno ché, andando pur a giornate intere
ferse, si
che
gli
con
e
:
la gagliardia di
quel passo che più
il
fervore della sua carità che
un viaggio d’un qualche due settimane, “ per la cruda stagione e per le orribili vie, due mesi vi consumò. Salire e scendere su e giù per montagne, aggrappandosi a mani e piedi su per greppi inaccessibili, non tanto perché sempre il richiedesse la via, quanto perché, non avendo altro condottiero che se medesimo, e non sapendola egli né alcun de’ compagni (oltre che le nevi si tenevan sotto nascosi i sentieri battuti), smarrito il cammino, forze della natura gli sumministravano, in
le
conveniva dalle punte de’ monti fare scoperta da lungi
gli
se v’era
come
o
rimettersi in istrada o città
castello
ove
e spiare
farsi
a pren-
derne lingua.^® Intanto, passar torrenti e stagni d’acque gelate e boschi e vie fangose
:
finché dove
il
sorprendeva
dore e spesse volte di pioggia,
la
notte, quivi, molle di su-
restava a gelare più che a dormire
si
un pugno
sereno, con solo quel ristoro che dissi, di cenare
al
stendersi sopra
e
Vero
un nudo
è ch’egli sentiva più
il
mettersi in
travi
4.
di
cammino
gelo:
stalattiti
di
e
tutto
ghiaccio.
compigliate: rimaste, ghiacciandosi, at-
5.
compagni che sappiamo che
patir de’
simo; perché per racconto di loro nel
di riso
sasso per letto.
taccate alle fronde.
stessi
arbori: alberi.
7.
sempre... scalzo: Quel paesaggio ghiac-
suo medesant’uomo,
insieme in orazione,^^ s’infiammava
dal re del Portogallo, mostrando cosi
suo
il
unito
6.
il il
zelo al
apostolico
francescano
10. conghiettura:
amore
come
intimamente
fosse
povertà.
della
congettura.
peggia l’eroismo apostolico del Santo, ingi-
in un... settimane: in un viaggio che migliore stagione avrebbe richiesto circa due settimane. Ma nota che il B. 1 ha chia-
gantito dalla dura lotta contro gli ostacoli
mato peregrinazione, sottolineandone
della natura.
gnificato religioso.
ciato
e
da
selvaggio è lo sfondo su cui cam-
da
la messa. Bernardo: Un suo accompagnatore. In un periodo che abbiamo omesso, il B. spiega come il Santo distribuisse ai piu bisognosi fra i giapponesi da 8.
celebrare:
9. abbrustiato:
lui
convertiti
celebrare
tostato.
una cospicua somma ricevuta
11.
in
’
il
si-
lungi: Guardava dalle cime monti per scoprire il cammino da te-
12. fare...
dei
nere. 13.
prenderne lingua: riprender
14. e
tutto...
orazione:
gando costantemente.
fiato.
camminava
pre-
La prosa barocca 745
volto di quel fuoco della divina carità,
nel
onde anche tutto ardeva con ciò, uscito di mentfc a se medesimo, con gli occhi in e l’anima in Dio andava senza avvedersene e senza punto sen-
nel cuore, e cielo
tirne dolore, co’ piè già gonfi dal freddo, attraverso delle spine e de’
bronchi e su per
le
acute schegge de’ sassi fuor di sentiero, dovunque
l’impeto dello spirito
che glie
il
stracciavari
la
portava, lasciando brani di vesta agli sterpi,
di dosso,
stampando ogni orma
e
che dalle garnbe e da’ piè ignudi e laceri
sangue
col
grondava. Cosi
gli
E
essi.
il-
luminassemi Iddio a veder quello ch’egli allora scorgeva e a sapere dalla contemplazione di qual obbiettivo venissero ad inondargli il cuore consolazioni tarlo colla
si
ciò fare veduta alcuna
me non
di
dove andava
veggio quat altra
ne’’
medesimo
col corpo.
e a por-
Ma
se
potea
cosa valevole a beatificargli lo spirito, per
di
ella
si
fosse
abissi delle cose future intromessolo, gli
condotti dal
medesimo
possenti a torlo di senso a se
anima tanto lungi
spirito
e dal
non
se
Iddio, dentro agli
se
mostrò quanti
medesimo
de’ suoi fratelli,
zelo che lui, doveano
tempi avvenire ricalcar quell’orme ch’egli imprimeva col sangue, sangue anch’essi ravvivarle ad imitazione sua e ad esempio degli
e col
avvenire.^® Io dico di quegli che fino a questo di, gittata a stento di 15. molti
anni
la
sementa
dell’
quella incolta e dura gentilità
predicazione
evangelica
“ giapponese,
nel
campo
di
per renderla piu
poscia
largamente feconda l’hanno innaffiata, e quinci, in avvenire l’innaffieranno col sangue: uccisi a strazio di non men tormentosi che strani martirii di croci, di catene, di lance, di fuoco lento, di veleno, d’acque gelate e di boglienti, e del crudelissimo supplicio della fossa, di che
abbiamo
l’impeto dello spirito; è di
carità,
quel regno.^^
scritto nella particolare istoria di
illuminato
dalla
il
luce
suo ardore divina.
Il
Santo si completa in questo periodo, nel quale il B. descrive l’estasi, la concentrazione spirituale, come condizione consueta della vita di lui. Gli sterpi che lacerano le vesti, il sangue che segue il cammino ti riconducono alla tipica sensibilità barocca, al gusto dell’ immagine drammatica e tormentata, volta a un effetto emotivo, che ritrovi nelle rappresentazioni di santi ritratto del
della pittura e della scultura del secolo.
16.
17.
si
possenti...
degli
potessi
eh’ io
la
in estasi.
avvenire;
avrebbero continuato 19. a stento...
vedere.
medesimo: che avevano
potenza di rapirlo 18.
veder: Volesse Iddio
illuminassemi...
illuminarmi,
la
dei
missionari
che
loro opera.
anni: per molti anni, con
grandi patimenti. chiamati, anti20. gentilità: gentili erano
camente,
i
pagani.
Storta 21. nella... regno: nella parte della
dedicata
al
Giappone.
La
letteratura fiorentina del tardo Seicento
L’insegnamento scientifico c metodologico di Galileo continua attraverso l’opera dei suoi discepoli, Vincenzo Viviani, Evangelista Torricelli, Benedetto
Castelli,
«cientiiìche
quali
Federico Cesi,
Marcello Malpighi c
raggruppati
altri,
accademie
in
^Accademia dn Uncciy fondata a Roma nel 1603 da Y Accademia del Cimento^ fondata a Firenze dal Viviani nel
1657 ^ l’Accademia napoletana degli Investiganti, fondata nel 1663. Esso, un significato culturale più vasto, che interessa anche la storia
però, ha
un gruppo
In
della letteratura.
di
letterati
e scienziati toscani del tardo
Seicento, a cui s’aggiungono aiKhe letterati puri e poeti, avvertiamo
marsi, sulle orme di quella che leiana, di
mento
un gusto nuovo e
letterario
e prenderà
il
La nuova
che
nome
si
vorremmo chiamare
la
for-
il
spiritualità
gali-
di nuovi ideali di cultura già vicini al movi-
svilupperà a partire dall’ ultimo decennio del secolo
di Arcadia.
cultura
sperimentale
induceva questi
cesco Redi e Lorenzo Magalotti sui quali
una maggiore attenzione
alla
ci
scrittori,
quali
Fran-
soffermeremo in particolare, a
realtà concreta, a
un nuovo senso
della cul-
tura e della vita, fondato su esigenze di chiarezza razionale e di fedeltà verità scientifica,
alla
scoperta e
il
anche se mancava in
sentimento di una
lotta
essi
intesa a
l’entusiasmo,
l’ardore
un rirmovamento
di
integrale
della cultura che costituiscono la grandezza dell’opera galileiana.
L’atteggiamento spirituale di questi riguarda lo
stile,
in
una
scrittori
si
esprime, per quel che
ricerca di semplicità nitida e concreta, di
un
in-
contro effettivo fra cose e parole, di organica razionalità. Essi giungono così
a un
distacco dal barocco inteso
come
enfasi e concettismo, bizzarra ricerca
Giovò a questo scopo anche il rinnovato studio incitamento a una decorosa schiettezza e misura.
di effetti e di meraviglia.
dei classici,
Francesco Redi Redi riuil componenti migliori della cultura fiorentina del suo tempo. Nacque ad Arezzo nel 1626 e fu, come il padre, protomedico dei granduchi di Toscana, Ferdinando II e Cosimo III. Mori a Pisa nel 1698. Ebbe uno spirito fine e garbato, dotato di un nativo buon senso, di una cordialità Naturalista, scienziato, medico, filosofo, letterato e poeta,
nisce in se
le
La
letteratura fiorentina del tardo Seicento
747
misurata e schietta, e visse per questo apprezzato dai granduchi e dalla da una stima affettuosa. Anche come medico godette di
corte, circondato
rinomanza europea; lo attestano a numerosi principi d’Europa.
i
Consulti medici, cioè
i
pareri che scrisse
Il Redi ebbe conoscenza notevole del greco c del latino, oltre che di molte lingue moderne, e della letteratura italiana dei primi secoli. Fu per questo chiamato a partecipare alla compilazione dd Vocabolario della
Crusca e nominato lettore di lingua toscana nello Studio fiorentino. Nello tempo, fu tra i promotori deW Accademia del Cimento^ che continuò la grande tradizione scientifica galileiana. È impossibile tracciare in stesso
una netta distinzione
lui
fra lo scienziato e
di naturalista appare in lui predominante.
scoperte riguardanti le
quali pose
i
lo
studio dei
il
anche
letterato,
se l’attività
Fondamentali furono alcune sue e della parassitologia, mediante
rettili
fondamenti della biologia sperimentale
e contribuì a con-
futare la teoria della generazione spontanea. Ricordiamo, fra
le
sue opere
scientifiche, le Osservazioni intorno alle vipere (1664), le Esperienze intorno
generazione degli insetti (1668) e numerosissime lettere nelle quali esponeva le proprie esperienze ad amici e protettori. Tutti questi scritti hanno una schiettezza limpida ed efficace e notevolissimi pregi letterari e di stile: la dimostrazione scientifica si esprime in essi in un linguaggio brio-
alla
so di conversazione semplice e al
tempo
stesso elegante.
Redi fu anche poeta: scrisse numerosi sonetti d’intonazione petrarchesca e stilnovistica, mostrandosi, anche qui, ormai distaccato, se pur non completamente, dal gusto barocco. La sua fama è, però, legata soprattutto al Bacco in Toscana, un ditirambo in onore del vino, al quale lavorò per Il
molti anni, scher2K)sa Per
il
aggiungendo ad esso anche eruditissime citazioni: un’opera ma lavorata con una tecnica raffinatissima.
nell’intonazione, testo,
seguiamo: Antologia della prosa
di L. Falqui, Firenze,
scientifica italiana del Seicento,
a cura
1943.
L’esperienza delle tartarughe questa una delle pagine più limpide della prosa scientifica del tardo espressioni nitide vi avverti un’attenzione lucida della mente tradotta in pur pacato e precise. Senti qui come la prosa rediana sia dominata da un vivo e e ne a perpetuo farsi suo nel realtà amore « dell’evidenza nell’esperienza, della
È
cento:
sua rivelazione all’intelligenza curiosa e attenta
».
(Binni).
cognizioni andava rintracciando per mio passatempo^ alcune ® fine questo ed a animali; intorno al cervello ed al moto degli quadi e più volte cavato il cervello a molte generazioni^ di volatili
Io
;
;
j
i
I. I
• I
per
mio passatempo: L’espressione
al
R.
dice la gioia pacata
:
ti
si
carattere equilibrato e sereno del
addice
ma
schietta che
accompagna
la
sua
osservazione
ziato. 2.
generazioni, generi.
di
scien
Antologia della letteratura italiana
748
drupcdi, ed osservatone
novembre,
di il
terrestri; e
un largo forame
fatto
cervello, rinettando
bene
mi venne pensiero di veder quel ad una di quelle, nel principio
eventi,^
gli
che succedesse nelle tartarughe
nel cranio, cavai pulitamente tutto
la cavità a
segno
tale
che non ve ne rimase
forame del cràavesse male veaggirava brancolando
né pure un minuzzolo.** Lasciando poscia scoperto nio, misi la tartaruga in libertà,
runo,
movea
si
ovunque
e
ed
come
essa,
camminava francamente,
e
se si
il
non
ho detto brancolando, perché dopo la perdita del cervello serrò subito gli occhi e non gli apri piu mai. La natura intanto, vera e sola medica dei mali, in capo a tre giorni con una nuova tela di carne copri e ben serrò il sopradetto largo forame del cranio, là dove mancava l’osso, e la tartaruga, non perdendo mai k forza del le
piacea;
camminar liberamente fino a mezzo maggio; morta, osservai
la
far ogni
a sua voglia e del sicché ella
campò
dove soleva
cavità
star
sei il
mesi
altro interi.
moto,
visse
Quando
fu
cervello, e la trovai netta
che di un piccolo e secco e nero grumetto di sangue. Son vissute ancora® altre molte tartarughe terrestri alle quali nella stessa maniera, ne’ mesi di novembre, di gennaio, di
e pulita e totalmente vota eccetto
marzo
cavai tutto quanto
cervello; con questa diffeil luogo e si aggiravano a lor piacimento; ed altre, ancorché vivessero lungo tempo senza cervello, nulla di meno non si mossero mai di luogo, ancorché facessero altri movimenti. E ho detto che vivessero lungo tempo; imperocché quelle che
febbraio e di
renza però, che alcune
camparono meno l’altre
si
moveano
dell’altre,
di
arrivarono a cinquanta giorni di vita, e
passarono molti e molti mesi senza morire.
tarughe
terrestri le sole
muoversi
di
Non
son sole
le tar-
ad aver questa virtù di viver lungamente e
luogo prive totalmente del cervello:
ma
di
ciò avviene an-
ho fatto la prova in molte non sieno cosi resistenti né di si lunga durata come sono le terrestri. Credo che ancora le tartarughe di mare possan lugamente vivere senza cervello, perché ad una di esse, che recatami da Portoferraio era stata lungamente fuor del mare e perciò molto acquacchiata e fievole,® feci cavar il cervello e campò più di sei
cora delle tartarughe di acqua dolce, e ne e molte di esse, ancorché elle
intere giornate.
Quando
cominciai a far queste osservazioni,
la
corte
di
Toscana
trattenevasi alle deliziose cacce deirAmbrogiana,”^ ed io del muoversi e d’ un COSI lungo vivere delle tartarughe senza cervello favellandone un giorno per ischerzo coU’illustrissimo signor marchese Cammillo Cop-
3.
gli
4.
un
purezza
eventi: della
litamente,
ma
conseguenze. minuzzolo: Osserva la lingua (forame, cavai pule
largo...
rinettando')
precisione
e
descrittiva
quella
che
pulitissi-
toglie
al-
r operazione 5.
6.
brutale. aspetto ogni ancora: anche. acquacchiata e fievole: fiacca e inde-
bolita. 7.
Ambrogiana: una
villa
dei Medici.
La
letteratura fiorentina del tardo Seicento
749
gentiluomo della camera del serenissimo Granduca, e con altri mi replicò esso signor marchese di ricordarsi d’ aver veduto molti anni addietro che le tartarughe sogliono lungamente vivere senza la testa, e che lo aveva osservato quando certi medici misteriosi ® (e forse poli,
signori,
della stessa scuola di certuni introdotti scherzosamente nelle
franzesi del famosissimo Molière),® per guarire
commedie una gran dama di una
certa sua infermità, tagliarono di netto la testa alle tartarughe, e face-
vano con gran misterio^® sulle reni della
stillar
subito tutto quel loro fréddo sangue
medesima dama,
e le testuggini poi senza testa conti-
nuarono a viver molti giorni. Volli chiarirmene; “ onde nello stesso mese di novembre fatto recidere il capo ad una grossa testuggine, lasciai che dalle tagliate vene del collo ne sgorgasse tutto quel freddo
potè sgorgarne, e
la
ma
si
coloritissimo sangue che
testuggine continuò a vivere per ventitré giornate;
veramente fosse viva, riconosceasi non già perché ella si muocome potean far quelle alle quali era stato cavato il
e che ella
vesse di luogo, cervello,
ma
steriori,
ella
bensì perché punta e stuzzicata ne’ piedi anteriori o po-
con gran forza
gli
tirava
indietro e
diversi
altri
moti
E
perché da qualcuno potea forse dubitarsi che quei moti fossero, per COSI dire, una forza o di intirizzamento o di molla “ e non
facea.
moti di un vivente, quindi è che per chiarir bene capo a quattro
altre
tartarughe e scolatone tutto
il
il
fatto,
tagliato
il
sangue, ne apersi
due dodici giorni dopo, e vidi chiaramente il cuore palpitante e vivo, moti del residuo del sangue che entrava ed usciva dal cuore; il qual sangue si rassomigliava nel colore ad una scolorita lavatura di carne o ad una linfa che avesse presa un poco di dilavata tininsieme co’
tura di rosso.
Sulla generazione di certi insetti tratto dairopera Esperienze intorno alla generazione Carlo Dati, nella quale il Redi descrive le sue minute esperienze volte a combattere l’idea della generazione spontanea degli insetti dalle carni in decomposizione, e a dimostrare che essi provengono da uova o da germi deposti in esse. Pasteur e Tyndall dimostreranno definitivamente, nel sec. XIX, quanto fosse erronea la dottrina combattuta qui dal Redi. Per lo stile, valgono le considerazioni premesse all’altro passo. Tuttavia qui la maggiore complessità dell’osservazione rende piu vivida la pagina.
Riportiamo un
degli insetti:
passo
Lettera a
medici misteriosi; Impostori e ciarlasecondo il R.; ma nota la misura c il garbo della sua ironia. li grande commediografo fran9. Molière cese (1622-1673) aveva satireggiato i medici « misteriosi » nella sua commedia 11 malato immaginario. 8.
tani,
:
10.
con gran misterio: Vedi
l’aria
sena e
irresistimisteriosa di questi ciarlatani, resa bilmente comica dall’assurdo medicamento.
11.
chiarirmene: sincerarmene. molla; movimenti, cioè, mec-
12. una...
canici
dei
vivente.
nervi,
non propri
di
un
essere
Antologia della letteratura italiana
750
Secondo
ch’io vi
comune opinione
c che gli
dissi,
antichi e
novelli
i
scrittori
del volgo voglion dire, ogni fracidume
^
corrotto e ogni sozzura di qualsisia altra cosa putrefatta ingenera
mini e
gli
produce; sicché volendo io rintracciarne
principio del
angui
d’
mese
di
giugno
ammazzare
feci
Esculapio s’appellano; e tosto che morte furono,
le vidi tutte
gamba
i
fin
vèr-
nel
quelle serpi che
tre di
le
misi in una
molto andò di tempo,
scatola aperta, acciocché quivi infracidassero;^ né
che
verità,
la
e la
di cadavere
vermi che avean figura di cono, e senza i quali vermi, attendendo andavano a momenti^ crescendo di grandezza;
ricoperte di
veruna, per quanto all’occhio appariva;
a divorar quelle carni,
da un giorno all’altro, secondo che potei osservare, crebbero ancora numero: onde, ancorché fossero tutti della stessa figura d’un cono, non erano però della stessa grandezza, essendo nati in piu e diversi
e
di
giorni.
Ma
i
minori, d’accordo co’
la carne, e lasciate intatte le sole e
scatola,
che
che io avea serrata,
pwDtessi
ritrovar
se
giammai
il
piu grandi, dopo d’aver consumati
^
nude
ossa, per
un
ne scapparon via
piccolo fóro della
quanti,
tutti
luogo dove nascosti
fossero:
si
senza per lo
si potessero aver avuto, di nuovo giugno misi in opra® tre altre delle medesime serpi; su le quali, passati che furono tre giorni, vidi vermicciuoli, che d’ora in ora andarono crescendo di numero e di grandezza, ma però tutti della stessa figura, ancorché non tutti dello stesso colore; il quale ne’ mag giori per di fuora era bianco, e ne’ minori pendeva® al carnicino. Finito che ebbero di mangiar quelle carni, cercavano ansiosamente ogni strada per potersene fuggire; ma avendo io benissimo serrate tutte le fessure, osservai che il giorno diciannove dello stesso mese alcuni de’
che, fatto piu curioso di vedere qual fine
il
di undici di
grandi e de’ piccoli cominciarono, quasi addormentatisi,"^ a farsi immobili; quindi raggrinzandosi in se medesimi, insensibilmente piglia-
rono una figura simile all’uovo, e il giorno ventuno si erano trasformati tutti in quella figura d’uovo, di color bianco da principio, poscia dorato, che a poco a poco diventò rossigno, e tale si conservò in alcune uova; ma in altre andando sempre oscurandosi, alla fine diventò come nero: e l’uova, tanto nere quanto rosse, arrivate a questo segno,® di molli e tènere che erano, diventarono di guscio duro e frangibile; onde si potrebbe dire che abbiano qualche somiglianza con quelle crisalidi,®
1.
2.
fracidume: putrefazione. si decomponessero.
infracidassero:
3. a
momenti:
di
momento
momento.
in
modo
4.
d’accordo co’:
5.
misi in opra: usai, per farne
allo
stesso
dei.
un nuovo
esperimento. 6.
pendeva: tendeva.
7.
quasi addormentatisi, ecc.
mi, espressa con precisione nitidissima, dietro la quale avverti l’acutezza dello sguardo del R., la sua passione scientifica e intellettuale. Veramente qui la natura diventa storia viva e avvincente. 8.
a
questo segno:
a
questo
punto del
loro sviluppo. :
Ha
qui
ini-
zio la descrizione della metamorfosi di ver-
9. crisàiidi:
do
è,
È
il
nome
dell’insetto
quan-
nello stadio intermedio della trasfor-
La
letteratura fiorentina del fardo Seicento
751
o aurèlie o ninfe che si
trasformano
chiamino,^® nelle quali per qualche tempo seta, ed altri simili insetti. Per lo
se le
bruchi,
i
bachi da
i
fattomi piu curioso osservatore, vidi che tra quell’uova rosse e
che,
queste nere v’era qualche differenza di figura; imperciocché, se ben pareva. che tutte, indifferentemente, composte fossero quasi di tanti anel-
congiunti insieme, nulla di
letti
meno
questi anelli erano piu scolpiti
e pili apparenti^ nelle nere che nelle rosse;
revano quasi
una o
lisce,
una
e in
delle estremità
piccola concavità,
certa
d’altri frutti,
quando sono
quali a prima vista pa-
le
non avevano, come
le nere,
non molto
dissimile a quella de’ limoni
staccati dal
gambo. Riposi quest’uova
se-
parate e distinte in alcuni vasi di vetro ben serrati con carta, e in capo
da ogni uovo di color rossigno, rompendo
agli otto giorni
guscio,
il
scappava fuora una mosca di color cenerógnola, torbida, sbalordita e, per COSI dire, abbozzata e non ben finita di farsi, con l’ale non ancor spiegate,
che poi nelfo spazio d’un
a spiegarsi,
si
mezzo quarto
d’ora cominciando
dilatavano alla giusta proporzione di quel corpicello, che
anch’esso in quel
tempo
s’era ridotto alla conveniente e naturale sim-
metria delle parti; e quasi tutto raffazzonatosi,^^ avendo lasciato quello
smorto colore
di cenere,
che impossibile parea
era vestito d’un verde vivissimo
si
vigliosamente brillante; e
corpo tutto èrasi
il
poter credere
il
Ma
e
mara-
cosi dilatato e cresciuto,
come
quel piccolo guscio
in
nacquero queste verdi mosche dopo gli otto giorni da quell’uova rossigne, da quell’altre uova poi di color nero penarono quattordici giornate a nascere certi grossi e neri mofosse
mai potuto
sconi
listati
razza
istessa la
capire.^”^
se
di bianco, e col ventre peloso e rosso nel fondo, di quella
quale vediamo giornalmente ronzare ne’ macelli e per
mal fatti non ispiegate, come avvenuto era a sopra ho mentovate.
le
case intorno alle carni morte; e allora che nacquero, erano
e
pigrissimi
al
moto,
e
coll’ali
quelle prime, verdi, che di
mazione, chiuso in un tegumento di colore dorato (donde il nome: chrusós, in greco significa « oro »). 10. che... chiamino: comunque si vogliano chiamare. 11. scolpiti: rilevati. 12.
la
bellezza
degli aggettivi, soprattutto dei primi due che rendono con grande efficacia quel lento e come torpido destarsi della nuova crea-
tura alla vita. trato
Lo
scienziato è tutto concen-
in quel suo sguardo,
sì
da vivere
il
miracolo nuovo della natura nella sua poetica
raffazzonatosi:
nanzi
al
dispiegatosi
in
armo-
il
cenere e
di
come un’
contrasto il
implicita
parea:
impossibile
contenuta,
lo
esultanza di-
improvviso della
fiorire
fra
verde colore vita.
L’ espressione è eppure, proprio
perché non necessaria alla descrizione accuratamente sciendfica, ti rivela l’entusiasmo con cui lo scrittore ha seguito il compimento della metamorfosi. 17. capire:
18.
stare.
penarono:
travaglio
nuova
suggestione.
14.
gioioso; è
estremamente
abbozzata: Nota
Vedi
15. vivissimo:
smorto colore
16.
apparenti: appariscenti.
13. torbida...
niosa figura.
Il
faticoso
nascita;
ma
verbo da
il
senso
del
accompagnò questa vedi come s’addice alla
che
mosconi. figura greve e torpida dei
Antologia della letteratura italiana
752
Lorenzo Magalotti Magalotti è una delle figure piu interessanti della sensibilità irree trascolorante nel presentimento di nuove forme, che è propria della fine del Seicento. Nacque a Roma nel 1637 da famiglia fiorentina, ma compì la sua formazione a Pisa, dove ebbe come maestri Marcello MalIl
quieta,
pighi e Vincenzo Viviani, discepoli di Galileo. Passato poi a Firenze, fu segretario dell’Accademia del Cimento, delle cui esperienze diede una
chiara e succinta relazione nei Saggi di naturali esperienze.
pur seriamente
coltivata,
non fu mai per
passione
lui
Ma
la scienza,
dominante, bensì
un mezzo per affinare le sue già squisite doti di sensibilità. « Filosofo morbido », fu detto, e cioè spirito aristocratico e sensitivo, dall’umore fantastico, « dilettante di sensazioni », come lo chiama il Sapegno. Eppure la sua pagina è piacevole, proprio per questa combinazione di lucidità intellettuale e di morbida e signorile eleganza. Divenuto gentiluomo del granduca, fu adoperato come diplomatico e viaggiò per gran parte dell’Eiuopa, evadendo cosi dall’atmosfera alquanto e, in genere, dell’Italia. Comoderne, tradusse opere di scrittori inglesi e francesi, e soprattutto osservò col suo sguardo lucido e intelligente e con tolleranza spregiudicata la vita europea che si andava, nell’ultimo trentennio del secolo, radicalmente rinnovando. Per questo ci fa già pensare
conformistica e provinciale della corte toscana
nobbe molte lingue, antiche
e
a quella vasta schiera di viaggiatori curiosi che, fra la fine del Seicento e
primo cinquantennio del Settecento, percorsero altri
continenti, studiando gli uomini,
i
le
il
strade d’Europa e degli
loro costumi e le loro istituzioni, e
contribuendo a fondare un nuovo spirito di tolleranza e comprensione fra i popoli, lontano dal fanatismo politico e ideologico che aveva caratterizzato l’età
del
dell’assolutismo.
Nel Magalotti noi avvertiamo piu che altro ansie e vaghi precorrimenti nuovo. Egli resta un uomo di fine secolo, legato da una parte alla fa-
scinazione sensoria e sensuale del marinismo, dall’altra alla lucida lezione galileiana di concretezza e chiarezza, con in più
che
ci
tere,
fa pensare alla sensibilità arcadica.
un genere particolarmente adatto
sintesi
o a complesse architetture,
ma
al
Le suo
una delicatezza
spirito,
non portato le
Lettere
odorose d’Europa e d’America dette volgarmente buccheri^
Lettere scientifiche ed erudite^
le
il
testo,
Bompiani, 1943.
le
Lettere familiari contro l’ateismo. Scrisse
anche poesie: un canzoniere amoroso, La donna immaginaria, e un rambo, la Madreselva, assai meno interessanti, comunque, delle prose. Per
let-
a vaste
a esprimere fuggevoli moti sensitivi
e a « lavorarli », con la sua prosa limpida e aggraziata. Ricordiamo sulle terre
di sentire
sue opere più vive sono
diti-
seguiamo: L. Magalotti, Lettere odorose, a cura di E. Falqui, MilanO;
La
letteratura fiorentina del tardo Seicento
753
L’odore dei « Buccheri » rafiìnatezze del Seicento vi fu una vera e propria frenesia per i proche ogni persona elegante cercava di fabbricare personalmente nuove essenze. Il M., filosofo alla moda, fu uno degli arbitri di questo gusto; fra l’al-
Fra
fumi,
le
SI
moda
tro, diffuse in Italia la
riempiti d’acqua, emettevano
Égli ebbe
un gusto
dei buccheri, vasi fatti di speciali terre odorose che,
un grato profumo.
raffinato e voluttuoso
degli odori:
l’esperienza olfattiva
diveniva per lui quasi una sublimazione dei sensi, dalla quale nascevano certe pagine di rarefatta purezza, anche se di una grazia un po’ morbida e sfatta. Qui
dà luogo bucchero che,
essa
alla al
profumi. La tenuità frivola dell’argomento
esalazioni e di
magia
della
vaghissima fantasia della terra primitiva, vista come un enorme primo contatto con l’acqua, effonde una sinfonia dolcissima di
dello
ma
lissima ironia,
una favola
in
stile,
stupita,
in certi punti dotata di
qua
un vero
e
là
in
virtù
temperata da una
sotti-
riscatta,
si
fascino poetico.
L’odore de’ Buccheri è il piu antico di tutti gli altri odori, non solamente degli artifiziali, ma de’ naturali ancora, non esclusone quelli
come la terra, secondo un gran Bucchero essa ancora, per tale forse raffigurata anche da Omero quando considerò il cielo adattatole intorno cosi perfettamente come una custodia di questo gioiello;^ e senza dubbio se Omero avesse scritto al tempo d’oggi si sarebbe avvisato di chiamare il cielo lo scarabbatolo di questo Bucchero.^ Come Bucchero dunque essendo la terra stata creata gemella col
dell’erbe e de’ fiori stessi, essendo cosi antico
che
la terra
^
medesima
è
non
cielo in quella perfettissima siccità elementare.'* nella quale ella
mai più
né sarà insino a che
stata,
non
ella
0.
è
riduca a quella calcina-
zione universale, ch’ella è per ricé/ere dall’ultimo fuoco desolatore;^ consideriamo quelle vergini zolle tutte piene di vita, tutte pretto seme"* quelle innumerabili spezie di cose che ne avevano a uscire, tutte
di
turgide
di
spirito
primo umore
fuori in erbe, in
fiori,
1.
secondo che: poiché.
2.
custodia... gioiello:
me una al
formatore,
la risoluzione di
il
in
che sòpito aspettava dall’effusione del quel prezioso magistero per dar subito
pomi, in gemme, in balsami, in aromi.® Conla
cielo è visto co-
custodia che aderisce perfettamente
gioiello che contiene; in questo caso, la
terra.
Bucchero: un elegante stipo che contiene la terra, enorme bucchero. È evidente, in questo primo periodo, il gusto elegante e divertito, e finemente ironico, col quale il M. lavora le sue immagini. 4. siccità elementare: primigenia aridità. 3.
lo scarabbatolo...
5.
calcinazione... desolatore:
Secondo una
antichissima credenza, la terra dovrebbe, alla
fine dei secoli, ardere tutta e restare
mota
e calcificata.
Anche qui opera
sul
im-
M.
suggestione dei poeti
classici,
pieno abbandono fantastico. 6. tutte pretto seme, ecc. terra primitiva,
ma
:
vissuta con
Arida era
la
recava in se ogni germe
sopito e di vita, anelante a uscire alla luce, pur proteso nell’attesa dell’acqua, dell umore
fecondatore. 7. la
risoluzione...
magistero:
L
acqua,
rigida disciogliendo quei germi chiusi in una di lievitare la terra e le consente fissità,
fa
la sua cail suo magistero, di innumerevoli pacità di artefice e creatrice
mettere in atto
forme. 8.
,
,
emettere dal dar... in aromi: dar fuori,
suo grembo
le cose.
Nota che
le
parole bai-
Antologia della letteratura italiana
754
sidcriamo adesso questa medesima terra, tutta irrorata da quei primi sudori deU’aria,® e successivamente bagnata da quell ’acque virginali de’ fonti e de’ fiumi: e dica a noi l’esperienza di quello che diviene l’aria
d’una camera per un bucchero nero inzuppato di acqua, e agli altri quello che potè mai divenire l’atmosfera terrestre ingombrata da que’ nuvoli d'esalazioni e d’aliti invisibili ma fortissimi, che, appastati “ da quelle glebe, se ne sciolsero in quel primo universale la ragione,^®
spegnimento
di questa calce ricchissima e misteriosa.
che gloria, che paradiso in terra e in
come per gradi
è sollevarci
-su
per
aria. Il
Che
fragranza,
piu che noi possiamo fare
poche spezie che abbiamo in
le
testa
d’odori di quest’andare,^* ascendendo, per cosi dire, di soavità in soavità
da quel primo regalo che ci fa la terra riarsa dal sollione come per allegrezza di vedersi promossa a fango dalle prime acque d’agosto, infine a quelle mirabili evaporazioni, che l’aria ambiente
spreme dalla
so-
stanza di quel bucchero nero imbevuto dall’acqua che ho detto di sopra.
Ma come
siamo qui abbiamo
per tutto
finito:
il
convenendoci
di più
lavorare con la fantasia; perché quello che fu allora siccome niuno lo senti,
niuno potè
cosi
lasciarcelo
nobbe in quella mattina fabile,
non che ignoto
E mi
della nascita
per verità era giusto che
con cui la terra ricosuo Creatore,^® rimanesse inefincenso,^"^
il
alle creature.
pare anche troppo, che in questo stato di corruttela universale
mondo,
del
E
scritto.
9. quel primo vergine e non più reparabile
rimanga remoto Occidente prima felicissima terra
in qualche ripostiglio del più
tuttavia intatta qualche piccola vena di quella
primigenia (che altro non dobbiamo credere che
sami e aromi concludono con un ritmo ascendente l’enumerazione: il profumo diviene la sintesi e la sublimazione della generazione infinita operata dalla terra.
sudori dell’aria:
le
piogge.
Ma
l’espres-
sione è conforme al tono mitico e primigenio di
questa
fantasia.
acque vergmali, più
Lo
stesso
dicasi
delle
inzuppare un bucchero nell’acqua, agli ragione può dire quello che avvenne quando la terra fu fecondata dall’acqua. 11. appastati: mescolati, ancora come pata di
altri la
sta densa.
spegnimento...
La
misteriosa:
calce
ricca e misteriosa è la terra, gravida di infiniti
e imprevedibili
germi
vitali.
L’imma-
gine è tratta da quella della calce viva che, spenta dall’acqua, esala un fumo, paragonato qui dal M. agli aromi che si effusero dalle 13.
che...
fare:
sottintendi:
per
avere
pasta dei no-
sensi dall’odore della terra bagnata prime piogge d’agosto a quello di un bucchero in una stanza. E ancora resteremo
e
coi
dalle
avere
allora
la
terra,
profumo che dovette e dovremo vagheg-
giarlo soltanto con la fantasia. 15.
promossa a fango: promossa, perché,
dopo l’arsura, questo fango un nuovo ciclo vitale. 16.
1’
17.
non
bile
aria
ambiente:
1’
più... incenso:
profumo. con cui... Creatore:
18.
è
aria
il
preludio di
della stanza.
non più rinnovaAltra grandiosa
immagine cosmica. Il profumo che la terra esala in quel suo primo mattino è come un riconoscimento, un inno di lode a Dio. remoto Occidente: le Ameri* donde venivano importati i buccheri.
19. del più
cose appena nate.
la
un’idea della primigenia fragranza. 14. di quest’andare: di questo genere. Per immaginare la fragranza d’allora non possiamo far altro che riandare con la memoria
lontani dall’ idea del
sotto.
10. dica... ragione: a noi l’esperienza fat-
12.
sia
che,
La
letteratura fiorentina del tardo Seicento
755 stri buccheri, più o meno ricca o soave, secondo che più o meno dilavata o spremuta) nella quale, più tosto la mente con l’immaginare, che l’odore col sentire, arrivi a libare qualche reliquia degli aliti che regna-
rono
nell’aria in quel
primo brevissimo
stato dell’innocenza degli ele-
menti.“ 20.
innocenza degli elementi:
vergine e nuovo, che è
la
vera,
Il
mondo
intima e
poetica nostalgia di questa pagina. Reliquia, vale« resto ».
La cultura
italiana nella
prima metà
del Settecento
Caratteri generali
Decadenza del Seicento,
o
ci
dia
il
dell’uomo. c
della
Per
civiltà
nuovo
loro
libro che
trovare italiana,
nella
una reazione a questa decadenza dobbiamo leggere le opere non di
letteratura civiltà,
della
cultura
letterati,
ma
(Campanella, Sarpi, Galileo), che vivono e soffrono
pensiero, ribellandosi all’assolutismo politico e ideologico. Si
tratta, però, di figure solitarie,
non
Manca
esprima l’anima complessa di una
senso di una libera avventura spirituale, di una nuova scoperta
di scienziati e filosofi il
nel Seicento.
della cultura italiana
un grande
il
cui pensiero, fatta eccezione per Galileo,
prestava a una diffusione vasta e immediata, e che, comunque, la
si
Controriforma fece immediatamente tacere. Molte delle loro opere, quelle che contenevano i germi più fecondi del pensiero moderno, furono pubblicate e diffuse fuori d’Italia, dove era possibile un libero dibattito d’idee: da noi, furono messe rigorosamente all’Indice. L’Italia perdeva il primato culturale che aveva avuto nei secoli precedenti, perdeva, anzi, il senso della vera cultura, che è libertà di pensiero e di critica e libero dialogo fra gli uomini. Questo fatto si riflette negativamente anche nella storia più propriamente letteraria: la grande poesia, infatti, presuppone intorno a sé una storia viva, una cultura che non sia statica e rinunciataria, ed è, anzi, intimamente legata alle grandi correnti del pensiero e della civiltà. Il limite della letteratura italiana del Seicento e ancora, in parte, del stato proprio quello di
essere nata
dalle
officine
primo Settecento,
dei retori,
è
tenendosi più
o meno lontana dalla realtà della vita morale e civile. Per un rinnovamento delle nostre lettere era quindi necessario un rinnovamento spirituale. Il Settecento rappresentò appunto questo per l’ Italia, in forma più limitata e aristocratica nella prima metà del secolo, in forma più impegnata e concreta nella seconda, l’età dell’ Illuminismo. Il
nuovo pensiero europeo.
la fine
Il
primo impulso rinnovatore
del Seicento, dalla Francia,
salutare fu, in questo periodo, la gliori, di
un decadimento italiano, che li dispose a un « primato » ormai del
rigettando l’illusione di
ci
venne, verso
più tardi, dall’Inghilterra. Soprattutto coscienza diffusa fra i nostri uomini mie,
raccogliere tutto
con umiltà,
inesistente.
Tinse-
La cultura
nella
italiana
gnamento
delle nazioni
loro frutti
i
prima metà del Settecento
757
europee piu progredite. Fra di esse avevano dato i fecondi del Rinascimento italiano, che di là ritorna vano a noi arricchiti e piu facili ad essere assorbiti proprio perché vicini alla nostra migliore tradizione, offuscata ma non spenta. Così, il metodo gali-
germi
pili
leiano, razionale e sperimentale, ritornava, in certo
limitato alle sole scienze esatte,
ma
modo, a noi, non piu esteso a ogni forma di conoscenza, nelle
e complesse sintesi filosofiche del francese Renato Descartes, detto, Cartesio (1596-1650), degli inglesi Francesco Bacone (1561-1626) e
vaste
fra noi,
Giovanni Locke- (1632-1704), e di altri fondatori della filosofia moderna. Come la nuova metodologia scientifica di Galileo, cosi la nuova filosofia non intende limitarsi alla conferma di verità precostituite, ma è libera ricerca, fondata sull’intelletto e sull’esperienza, creti
giunge via via
alla
che dall’esame dei
ogni principio d’autorità, e
la
continuo progresso e verifica di se filosofo
tal
il
che maggiormente ispirò
il
rinnovamento
della cultura italiana il
suo pensiero
potè godere di maggiore diffusione. Egli parte dal dubbio metodico
ogi)i
conoscenza
—e
trova la
— que-
che l’uomo deve avere dinanzi al reale e ad norma unica di certezza non più nell’autorità
ma
di maestri antichi e recenti,
sapere è
stesso.
fu Cartesio, anche perché, essendo egli sinceramente cattolico, sto è per lui l’atteggiamento
con-
modo
verità diviene libera conquista della ragione
individuale, discussione senza carceri né roghi, cpnsapevole che
Il
fatti
formulazione di leggi generali. Crolla in
nelle libere conclusioni della ragione.
rinnovamento italiano. Il significato e la portata rivoluzionaria della nuova filosofia appariranno nel corso della seconda metà del secolo, quando l’esaltazione della ragione, bene comune a tutti gli uomini, rivelerà la loro sostanziale uguaglianza e quindi il dovere e il diritto di tutti alla libertà, risolvendosi in una concreta esigenza di rinnovamento civile, politico e sociale. Ma nell’Italia del primo Settecento il cartesianesimo rimase un movimento Il
limitato al
campo
speculativo e culturale.
Il
rinnovamento
italiano fu inizial-
mente soprattutto letterario e si svolse in un ambito accademico, come vedremo parlando àeW Arcadia fu il ripudio del più tronfio marinismo, in nome di una poesia più ragionevole, espressione di più schietti sentimenti. Culturalmente, l’Arcadia fu intesa alla formulazione di una nuova estetica mode:
ratamente razionalista e a sistematici studi eruditi condotti con consapevole signiserietà d’intenti, ispirati a un senso più concreto dell’importanza e del ficato della cultura.
subordinaEstetica e poetica del primo Settecento. I razionalisti francesi « a vano rigorosamente la poesia alla ragione, chiamavano, anzi, la fantasia da italiana letteratura pazza di casa » e polemizzavano aspramente, con la gusto del corruzione della Tasso al Marino, ritenendola responsabile faux rt sentata dal barocco. « Evitons ces excès: laissons'à V Italie De tous ces un poeta cantava cosi sensy)\ lants Véclatante jolie: Tout doit tendre au bon Bou ours francese, il Boileau, e lo assecondavano altri teorici, quali il padre
Ne nella sua Manière de hien penser dans les ouvrages de l esprit. mo ti ita una polemica, fra gusto vecchio e nuovo, alla quale parteciparono n gc Manfredi, liani, fra i quali i bolognesi Giuseppe Orsi ed Eustachio
nacque
nere
i
creazione poetica nostri teorici accettano l’esigenza di sottoporre la
Antologia della letteratura italiana
758 a
norme
ma
razionali c universali,
cercano di contempcrarle con
i
diritti
intemperanze barocche, ma, accettando il miglior pensiero estetico secentesco, avvertono che la poesia non si esaurisce nella razionalità astratta e in una riproduzione del vero secondo fini morali o pedagogici. In genere, riescono a conciliare questa duplice esigenza mediante della fantasia: rigettano le
un
ritorno ai classici. Importanti, a questo proposito, furono gli scritti di
Tommaso
Ceva, di Ludovico Antonio Muratori, di Antonio Conti, e del cosentino Gian Vincenzo Gravina, uno dei fondatori òeW Arcadia^ autore di un importante trattato, la Ragion poetica (1708) in cui definiva la poesia
come
« scienza delle
umane
e divine cose, convertita in
immagine fantastica come maestro
e armoniosa », riprendendo la concezione classica del poeta di civiltà.
storici. Anche le numerose e accurate ricerche erudite primo Settecento rivelano l’esigenza fortemente sentita di un rinnovamento della cultura italiana, compiuto mediante l’esame delle nostre tradi-
Gli studi eruditi e
del
zioni e della civiltà europea. rosa,
Con
questi eruditi preparano
la
loro opera di ricerca scientifica rigo-
materiali per
i
una nuova
storiografia, fon-
data sull’esame della civiltà in tutti i suoi aspetti. Il maggiore di essi fu il Muratori, che studiamo a parte. Qui basti ricordare fra quelli che ebbero
prevalentemente
bergamasco Girolamo Tiraboschi (1731Quadrio {Della storia e della ragione d’ogni poesia 1739 Giovanni Maria Mazzucchelli, Scipione Maffei, che fu anche letterato, poeta, storico e ar-
interessi
1794), autore di
letterari,
una Storia
il
della letteratura italiana^ Francesco Saverio
cheologo.
A
parte va considerato Pietro Giannone, nato a Ischitella nel
1676 e scomunicato e perseguitato dalla Chiesa, nel 1748. Nelle sue opere storiche, la Istoria civile del regno di Napoli e il Triregno^ l’erudizione è messa al servizio di una polemica appassionata andecclesiastica, sostenitrice dei diritti dello Stato contro ogni ingerenza della Chiesa, aperta al sogno di un’umanità spiritualmente rinnovata e ritornata a un ideale stato di natura. L’ideologia del Giannone, e la sua stessa veemenza polemica sono già un chiaro presentimento della cultura dell’età
morto
a Torino,
in carcere,
illuministica.
Ludovico Antonio Muratori Nacque a Vignola, nel Modenese, l’anno 1672; nel 1695 fu ordinato sacerdote e fu chiamato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano come bibliotecario. Venne poi richiamato, nel 1700, a Modena, dagli Estensi, sempre come bibliotecario, e qui alternò gli studi assidui a un’esemplare vita sacerdotale,
nobili opere caritative e assistenziali. A Modena mori nel iJ$o. Persuaso della universalità del sapere, ebbe una erudizione vastissima e spa-
rivolta a
ziarne nei campi più disparati,
un rinnovamento
ma non mai
sterile
compiuta con chiarezza, ordine, scrupolo metodologia di Cartesio e di Galileo, all’esigenza,
ricerca,
e oziosa, bensì intesa a
culturale e a scopi di pubblica utilità*
Il
suo metodo di
scientifico,
cioè,
si
ispirò alla
di sottoporre ogni
.
cultura italiana nella prima metà del Settecento
La
conoscenza
al
759
vaglio della ragione, senza preconcetti, e a quella di un’ana-
fatti. Di qui gli venne anche la concezione e continuo progresso, che lo spinse a ripudiare il supino ossequio all’autorità degli « antichi » e a contrapporre ai pregiudizi lisi
concreta e sperimentale dei
del sapere
come sviluppo
acquisiti la scienza dei «
moderni
modo
libera e sperimentale. In tal
»,
sua copiosa opera di erudito preparò
i
la
materiali delle nuove sintesi di pen-
rilluminismo avrebbe operato nella seconda metà del secolo. Muratori scrisse opere notevoli di poetica e di critica letteraria quali primi disegni della Repubblica letteraria d’Italia (1704), Della perfetta
siero che Il
I
poesia italiana (1706), la Riflessione sopra il buon gusto (1708), le Osservazioni al Petrarca (1711). In esse si dichiara ostile al marinismo, alla sua rettorica reboante e ai giuochi oziosi dell’ingegnosità barocca, le
del razionalismo francese che
rigide conclusioni
del tutto la poesia alle
norme
della ragione.
afferma che
ma
sofiche,
nosceva
i
nismo,
la
il
della
fanfilo-
deW Arcadia,
sua mente guardava
affetti.
il
Tuttavia, mentre rico-
soprattutto quello di aver debellato pili
lontano:
puramente accademica, che non
fosse
valore
vero poetico va ricercato non in astratte norme
nell’animo dell’uomo e nei suoi
meriti
accoglie
Pur accogliendo una temperata
esigenza moralistica e^ razionalistica nell’arte, difende tasia e
ma non
intendeva subordinare
mari-
il
a una cultura, cioè, che non
ma
esaurisse nella lirica amorosa,
si
che, accanto alla poesia, coltivasse altri studi seri e profondi, e portasse a
un rinnovamento L’opera però
con
rico,
la
della società. pili
importante del Muratori fu quella di argomento
quale intese anche far
si
che
gli
sto-
Italiani prendessero coscienza
delia loro civiltà. Per questo concentrò le sue ricerche sull’età medioevale, un periodo malnoto e misconosciuto ai suoi tempi, avvertendo, e giustaesso, non nell’età romana, era l’origine della moderna nazione Cominciò nel 1708, quando, essendo sorta una contesa per il possesso di Comacchio fra la Santa Sede e gli Estensi, difese i diritti di questi, fondandosi sulla autorità dei documenti antichi, e prosegui poi con le An-
mente, che in italiana.
tichità estensi.
res
Ancor piu importante fu la pubblicazione dei Rerum italicarum scriptoopere lette(1723-1751), una grande raccolta di fonti storiche (cronache,
coigiuridiche, epigrafi, ecc.) dall’anno 500 al 1500, compiuta con la pubblici laborazione dei più valenti studiosi del tempo, traendo da archivi
rarie,
cui i e privati le più antiche testimonianze della nostra storia. L’opera, di annotata, Carducci promosse, nel 1900, la ristampa, riveduta, aumentata e Medioevo. Sfrutè ancora un sussidio fondamentale per gli storici del nostro
tando
materiale in essa raccolto,
il
il
Muratori compose 75 dissertazioni,
e
aspetti della vita
gl:
Antiquitates italicae medii aevi^ che illustravano tutti dell’Italia medioevale. L’ultima sua grande opera storica furono d’Italia
(1749),
narrazione anno per anno della
storia
italiana
dell’èra volgare al
1749. v età storiografia muratoriana anticipa già lo spirito dell ,
La non II
è più storia di guerre e
Muratori
osservato
maneggi
politici,
ripudia la « ragion di stato »
uno
storico
moderno,
il
:
ma
della civiltà
•
•
•
ummistica di un popo o. 11
i
quel che conta per ui, non è piu la natura e
Salvatorelli,
inizio
da
a
>
ru
Antologia della letteratura italiana
760
ma
tura del potere sovrano,
condizioni di vita, sotto questo potere e in
le
relazione con l’opera sua, della società c degli individui. In tutta
opera, continua è la
condanna
pubblica
utilità, la
sfoggio d’eloquenza,
remo
verità
la
—
ha
e nelle parole nostre
calma
Lo
Queste parole
Per
i
ma
stile
lui l’ideale a cui
lo Stato,
non
fa
con umiltà e fede il vero. « Se ameil Muratori comparirà negli scritti
—
lasciato scritto
una
deve tendere
è semplice e spoglio, proprio di chi
di chi serve
la
un disinteresse e una anche allora che ci perseguita l’errore e il danno l’immagine piena dell’uomo e dello scrittore. libertà sincera e prudente,
pensieri e di affetti,
di
falso ».
sono per
felicità
sua giustificazione.
sua
La pubblica
simpatia, umanitaria e cristiana, per gli umili e per gli oppressi.
e la
la
profonda
delle guerre e delle conquiste,
testi
ci
muratoriani occorre
Opere
all’edizione delle
risalire
varie,
in 36 volumi,
pubblicata ad Arezzo dal 1767 al 1780.
Esortazione a jun rinnovamento culturale C’è tutto
il
Muratori in queste pagine, con
sua fede nella progressività
la
e universalità del sapere, nella cultura strettamente legata alla vita e forza neces-
per
saria
il
rinnovamento
della società. Per questo,
mentre
rigetta
il
secentismo,
di cui denuncia l’ozio spirituale e morale, cagione di un’involuzione della civiltà
pone
anche nei confronti dell’Arcadia, di cui denuncia anche il limite e il pericolo: quello cioè di esaurirsi in una riforma puramente formale, in un vuoto accademismo letterario. La « repubblica letteraria italiana » che egli vagheggia, dovrebbe unire italiana, egli
avverte
al
il
si
in posizione critica
valore positivo,
culto del bello
il
e della vita italiana.
ma
culto del vero, e fare cosi risorgere la dignità della cultura Il
passo è tratto da 7 primi disegni della Repubblica
lette^
raria italiana.
Non
parrà forse buon consiglio
zione vostra a quanto
preparar con una satira^
il
ma
dee proporre;
si
1‘
atten-
pur bisogna cominciar con
qualche puntura a svegliar chi dorme. Perdonarete al desiderio di chi cerca il meglio e l’ottimo, se mi metterò a dir male di ciò che sola-
non
rnente è buono.^ In Italia
demia, anzi due, anzi
tre,^
c’è
oramai
e talvolta
città,
che non abbia un’acca-
ancora piu secondo
il
numero
grande o scarso degli studiosi. È assai glorioso cotesto nome d’accademia, e con esso intendiamo un’adunanza di letterati, che in certi giorni dell’anno, con uno o due ragionamenti sopra qualche materia, e con vari sonetti ed altri versi recitati esercitano il lor sapere e la lor vena.^ Ma si fatte accademie sapreste voi dirmi, a qual fine sieno insti1.
con una
satira:
cinge a svolgere, da
È
la critica
un punto
di
che
si
ac-
vista so-
letterario,
prattutto morale e di costume, contro ogni
timo
forma
turale.
di
cultura
letterario-accademica,
quindi anche contro
le
e
forme più oziose e
vacue del costume arcadico. 2. di ciò... buono: È l’Arcadia, che il M. apprezza in quanto ha migliorato il costume
liberandolo da certa vuota gon-
fiezza secentesca.
3.
», e cioè
anzi
tre:
Ma
egli
vagheggia un
una più radicale riforma Oltre
che
alle
antiche
« ot-
cul-
ac-
cademie che ancora sopravvivevano, allude alle numerose colonie dell’Arcadia. 4. vena: vena poetica.
La cultura
italiana
tuite,
qual profitto
tino?
Il
può
fine
può
che
dirsi
il
prima metà del Settecento
nella
alle
qual miglioramento
città,
alle lettere apporora in buona conscienza non
essere stato nobile;
ma
frutto corrisponda
all’intenzione.
Argomenti per
lo
piu assai leggieri, perché quasi sempre destinati a trattar de’ grandi affari d’amore.® Versi e poi versi; e, in una parola, solamente certe
I
S
la
sono
canore
bagattelle tutta
fatica
il
massiccio®
accademici
degli
si
delle nostre accademie. Sicché riduce ad andare a caccia di un
I
breve applauso e ad incantar per un’ora tatori.
Adunque non
pazienti orecchie degli ascol-
le
sarebbe gran temerità
il
dire che queste
adunanze
non possono sperare che questa di recare un transitorio diletto, e questo diletto medesimo, ove gli accademici sieno in disgrazia delle Muse,"^ vi si cerca bensì non rade volte, ma non vi si truova. Ora mi si dica, è egli da commendarsi ® cotanto la straordinaria cura d’innalzar riguardevoli imprese, di prendere nomi nuovi e di stabilir altra gloria
'
leggi
®
e far altre simili cose per dover poi solamente spacciare in pub-
j
blico alcuni versi forse dilettevoli e certamente poco utili al pubblico?
Questo è un voler usurpare ne’ quali è lodevole impresa
;
trattar
il
I
che
giurisdizione de’ giovanetti
la il
solamente quegli studi che
letterati
scolari,^®
gareggiar pubblicamente con poemi e
convengono
si
maturi facciano per professione
loro età.
alla
Ma
vadano
lo stesso mestiere e
I
accattando plausi con la sola poesia e con quattro versetti intonati da
'
loro all’ascoltatrice brigata, satirico,^^
'
ho gran paura che non
che non vogliano soffrirlo senza ridere
Ragion dunque vorrebbe: che
I
adunanze
coteste
lo possa digerire
uomini
gli
fossero piu utili e
riputazion degli accademici e
sode; e richiederebbe la
il
gravi.
bisogno delle
il
I
lettere
j
si
trattassero materie piu luminose e vi
ancor delle scienze e
fico
I
che quivi
ma
amore: Comincia qui la contro l’Arcadia più esteriore, cioè contro le pastorellerie e la svenevole poesia amorosa. Il M. vorrebbe una cultura più seria, e, diremmo oggi, più impegnata,
itto si riferisce
l’accenno
dagli
e
‘
non
le
r
evasione fantastica,
5.
;
:
;
^
f
1
!
de' grandi...
critica serrata
soltanto
rivolta
a forme
ma
di
raffinata
intesa a sviscerare e
approfondire i problemi che la realtà propone. 6. il massiccio; la produzione più importante.
!
7. 8. ‘
9.
in... Muse: poeti, cioè, mancati. commendarsi: lodarsi. innalzar... leggi: Allude agli stemmi
simbolici ,
I
i
mia
e
{imprese) propri
anche dell’Arcadia,
di alla
facesse traf-
Noi vorremmo pertanto le migliorate, noi le brameremmo non
dell’ arti erudite.
accademie non già sbandite,
I
si
ogni accadequale soprat-
inti
iscritti
ai
alle
nomi nuovi asnorme
leggi (le
in laatutarie del sodalizio furono dettate
no arcaico dal Gravina). ^
10. la
ria
11.
giurisdizione...
scolari:
1
^
attività
prodovrebbe essere più giustamente
degli studenti giovinera. satirico: il moralista, il
che osserva
costumi degli uomini. vorrebbe il M. che 12. materie... erudite: materie piu accademie trattassero anche metafora illuminare le menti (la
giudica acutamente
i
rie, atte a
metà del Setverrà consueta nella seconda stesso il secolo dei cento, che chiamerà se diffusione cioè, e della mi, della scoperta, uomini). Queste materie dia verità fra gli
Antologia della letteratura italiana
762
ma non
a pascer
in questi tempi,
che non
virtù che quella de’ fiori, bastanti a ricrear la vista
fame
la
de’
son poetici
letterati
massimamente
veri e
pari del secolo prossimo passato.^^ Farebbesi perciò mi-
al
glior uso delle nostre accademie,
seriamente e e per
e le scienze,
l’arti
quando in esse noi volessimo trattar non già per mendicar plausi leggieri
piacere al volgo degl’ignoranti,
E
benefizio delle lettere.
dano agl’ingegni avanzamento di
qùeste^^
d’Italia
felici
e
nel
ma
per profitto proprio e per
vero tacitamente
si
raccoman-
da loro cercano e in loro sperano
gloria. Già in alcune di queste celebri adunanze con piacere noi rimiriamo coltivati gli studi della poetica e trattate le regole della lingua italiana con vantaggio certamente dell’una e dell’altra. Più gloriosa fatica hanno impreso altre accademie trattando
dell’erudizione ecclesiastica, la filosofia sperimentale e morale, la geografia ed altri importantissimi argomenti.
Ma
questo lodevole studio di pochi dovrebbe ornai abbracciarsi da
una nobilissima gara
e svegliarsi
tutti
fra l’accademie italiane,
cui
il
fine fosse l’accrescimento delle scienze e dell’arti e la gloria della na-
Possiamo francamente affermare
zione.^®
col
consentimento ancora degli
reame delle lettere, allorché la fortuna della Grecia passò alla repubblica romana. Tornò ella stessa a divenirne la patria, quando la Grecia medesima nel secolo quindicesimo rimase preda alla crudeltà e all’ignoranza de’ Turchi.^"^ Allora fu che dalla nostra Italia di nuovo succiarono l’altre province dell’Europa dilatatosi oltre ai monti il vero sapor delle scienze; e il nostro lume formò poscia un giorno continuo alle lettere, che per più di due secoli dura con tanto credito degli ultimi tempi, non inferiori punto, anzi supeoltramontani, che
sono le
scienze e quelle che
le
arti
l’Italia
erudite,
l’economia; concrete e
le
quali alla
13. che... passato:
it
diritto,
come
società. I
nuovi tempi non sono
Seicento, a
il
un
culto ac« belle
cademico e ozioso delle cosiddette lettere »,
ma
seggio e
M. chiama
il
storia,
la
il
discipline fondate su ricerche
utili
piu rivolti,
fu
piu
alla
vasta
problematica
culturale a cui ha piu sopra alluso. le lettere, intese nella 14. queste:
acce-
zione più vasta di cultura. 15. Già in alcune, ecc.
Il M. riconosce obiettivamente che vi sono accademie più serie, che coltivano seri studi sull’ essenza della poesia, e sulla lingua italiana (in questo campo l’Arcadia raggiunse, invero, ri:
sultati
importanti
e
apprezzabili);
e
altre
che coltivano le discipline storiche, economiche, scientifiche. In realtà i migliori rappresentanti
dell’Arcadia
sentirono,
come d
il
M., l’esigenza rale profondo,
di un rinnovamento cultuponendo così le premesse del-
r Illuminismo. 16. la gloria della nazione: C’è già nel M. (anche le sue opere storiche lo attestano) un sentimento vivo della nazione italiana c della sua dignità, che costituisce un sicuro preannuncio del Risorgimento. 17. rimase... Turchi: Con la conquista, da parte dei Turchi, di Costantinopoli, ebbe fine r Impero Bizantino; i maggiori dotti e letterati greci
zarono 18. viltà.
la
il
Il
vennero in
Italia
dove
raffor-
corrente umanistica.
nostro lume: la nostra cultura e ciM. pensa con orgoglio al Rinasci-
mento, che
egli considera la stagione
più
ri-
gogliosa delle lettere italiane, e al magistero che allora l’Italia esercitò sull’Europa. 19. formò...
terrottamente.
continuo:
risplendette
inin-
La
cultura italiana nella prima metà del Settecento
riori in
molte cose agli antichi “
Ma
nel secolo antecedente
non
so come, lasciò rapirsi da altri popoli,
già
le lettere,
non
l’Italia
ma
il
bel pregio
della preminenza in alcuna parte delle lettere, e trascuratamente permise che altre nazioni piu fortunate, certo non piu ingegnose, le andassero avanti nel sentiero della gloria, ch’ella avea dianzi insegnato ad altrui. Non è già maraviglia che le scienze a guisa degl’imperi vadano gi-
rando e si trapiantino per varie province con varia fortuna. Questa trasmigrazion delle lettere è nota per mille esempi; e forse un giorno avverrà che l’Europa tutta ritorni al buio dell’ignoranza e che nel tempo stesso, o la sola Cina, o altre parti dell’Asia, o l’America stessa fioriscano per la coltura dell’arti e delle scienze. Ciò che può sembrare alquanto strano, si è il sapere che non guerre civili, non invasioni di barbari, non
mancanza di scuole o d’ingegni, non tirannia di regnanti, non altre pesti furono cagione che neh secolo precedente giacesse l’Italia alquanto dimenticata “ del suo valor negli studi. L’ozio ^ solo per avventura fu quel mostro che a poco a poco avvelenò le menti e le distolse dal faticoso cam-
mino
della virtù,
non lasciando luogo a quel
nobile rossore, a quella ge-
nerosa invidia, che dovea nascere nei nostri maggiori
al
le pro-
rimirar
campagne ^ vinte in fecondità dalle nostre vicine. Dobbiamo nulla di meno rallegrarci con esso noi, che da trenta anni in qua ^ una si perniziosa influenza sia in parte cessata, essendosi riscossi dal sonno primiero non pochi ingegni d’Italia e crescendo di giorno in prie
giorno l’ottimo gusto e l’amor della fatica in crescerà, ove s’impadronisca del nostro cuore
ove
davanti agli occhi
ci stia
il
o
profitto
un
essi.
Ma
questo vieppiù
virtuoso desio di gloria;
della Chiesa,^ o proprio, o de’
posteri; la riputazion dell’Italia, la beatitudine di chi
si
consacra allo
studio, non intesa se non da chi v’è dentro immerso; ^ la speranza di crescere in fortuna, che presto o tardi, o per una via o per altra, suole accadere ai veri e prudenti letterati, e molti altri somiglianti motivi ognun
può
de’ quali
essere agli
20. non... antichi:
ha un vero riorità
dei
rispetto,
Verso
ma
gli antichi
il
M.
riconosce la supe-
moderni, perché vede
come sviluppo
la
storia
22. dimenticata: 23. L’ozio, ecc.
nel
Seicento.
La decadenza
della vita
c della cultura italiana nel Seicento è ricon-
dotta dal
che
si
M.
al
vuoto morale delle coscienze,
rifletteva
lettuale, nella
nella scioperataggine
mancanza
creti, nella scarsa
intel-
di studi seri e con-
cura della riputazion del-
l’Italia.
24. le...
campagne:
la
da
il
trenta... in
im-
qua: Allude in pratica
trentennio del Seicento, che vide
nascita rapido declino del Marinismo e la dice la quale cooperò, come coM. in altra opera, a far si che molti
il
minciassero « a gustar...
dimentica, obliosa. :
25.
all’ ultimo
le belle
dell’Arcadia,
e progresso.
secolo antecedente:
21. nel
animi nostri bastevole incentivo per
cultura italiana.
sieri
la
bellezza dei pen-
». naturali e a lavorar sul vero
26. della Chiesa:
Si ricordi
che
il
M.
tu
acerdote esemplare.
immerso: È confessione 27. non intesa... ragione priitimamente autobiografica. La è
di questa beatitudine verità di cui il ttraverso lo studio, della profondamente la forza liberatnce.
la
enti
M.
.
Antologia della letteratura italiana
74
prese.
Ora
noi, che
appunto bramiamo
restituire in Italia
splendore, anzi illustrare maggiormente
le lettere,
il
loro
vorremmo
“ primo
potere de-
stare negl’ingegni tuttavia dormigliosi e accrescere coraggio e stimolo a
preghiamo tutti ad unir le forze loro in una gloriosissima gara, col proporre brevemente ciò che noi andiamo rivolgendo nella mente nostra per benefìzio comune.^ chi già veglia e corre; e però
Il
Barbarossa distrugge Milano
Ritroviamo, in questo passo degli Annali d’Italia, i nuovi criteri che inforla storiografìa del Muratori. Innanzitutto la documentazione scrupolosa, intesa alla spassionata ricerca del vero; ma essa non esclude l’acuto giudizio dei fatti. Protagonista della storia non è più il « principe », ma il popolo, supremo ideale politico non è la potenza, ma la « pubblica felicità ». Nella critica al Barbarossa sentiamo quella alla ragion di stato, « fiera turbatrice del riposo de’
mano
popoli », e la condanna recisa delle guerre di conquista, in nome di uno spirito umanitaristico e cristiano, che considera gloria vera la « pubblica felicità », garantita dalla pace e dalla ricerca dell’utile
comune
del popolo. Saranno
i
temi
centrali della storiografìa illuministica.
(1162) Famosissimo divenne quest’anno, perché in esso finalmente venne fatto all’imperador Federigo^ di vedere a’ suoi piedi il popolo di Milano e di potere sfogare contra della loro città il suo barbarico sdegno.^ Il guasto dato a tutti i contorni ^ di Milano avea privato di viveri quel valoroso popolo, né restava speranza né maniera di cavarne dai vicini,
perché
tutti all’incontro
l’illustre città.
rere;
ma
La
erano lor nemici e collegati per rovina di quel Piacenza avrebbe potuto o voluto soccor-
sola città di
v’era impedita dall’armi di Federigo, acquartierato apposta a
le strade e tagliar crudelmente la mano destra a chiunque era colto portante vettovaglia a Milano. Però si cominciò stranamente a penuriare ^ in essa città, e alla penuria tenne dietro una grave discordia tra i cittadini, cioè tra i padri e i figliuoli, i mariti e le mogli e i fratelli, gridando alcuni ché s’aveva a rendere la città ® ed altri sostenendo che no: laonde accadevano continue risse fra loro. Si aggiunse che
Lodi, che facea battere
28. loro: 29. per
È
riferito a lettere.
benefìzio
dei
lati
più moderni del pensiero del M. è la sua fede neirimportanza della cultura come strumento di sviluppo e progresso sociale, morale, civile. Il progetto di cui parla in
que-
righe è la proposta di una sola accademia e repubblica letteraria, rivolta a perfe-
ste
un
Federigo: il Barbarossa. barbarico sdegno: Barbaro, dunque, Federigo, mentre « valoroso » (come dice su1.
comune: Uno
2.
bito
dopo) è
l’antipatia
il
del
popolo milanese. Evidente
M. per
i
condottieri potenti
e prepotenti e la sua simpatia per
3. 4.
contorni Però...
: •
i
popoli.
dintorni
penuriare:
Perciò
si
cominciò
cercò concretamente, seppur senza riuscire,
ad avere estrema penuria di viveri. 5. a rendere la città: ad arrendersi e con-
di attuare.
segnare la
zionar le arti e le scienze-,
ideale che
città all’imperatore.
La
i
cultura italiana nella prima metà del Settecento
principali
®
765
formarono una segreta congiura di dar fine a tanti il sentimento accompagnato da minaccie di
guisa che prevalse
poneva
la resa e
fu preso
il
partito d’inviare a trattar di pace.
guai, in chi pro-
Iti gli
am-
basciatori a Lodi, proposero di spianare per onor dell’imperadore in sci luoghi le mura e le fosse della città. Federigo col parere de’ suoi principi
Comaschi ed altri popoli nemici di Milano, stette sua discrezione senza patto alcuno. Durissima parve tal il timore di peggio indusse i Milanesi ad accomodarsi al
e de’ Pavesi, Cremonesi, fisso in volerli a
condizione,
ma
fierissimo rovescio della lor fortuna. Pertanto nei
vennero a Lodi
i
primo giorno di marzo Amizone da
consoli di Milano, cioè Ottone Visconte,
Anseimo da Mandello, Anseimo dall’Orto, con altri; e spade nude in mano, siccome nobili, giurarono di fare quello che piacesse all’imperadore e che lo stesso giuramento si presterebbe da tutto Porta Romana, colle
il
loro popolo. Nella seguente mattina
vallo milanesi, che rassegnarono
comparvero trecento
a Federigo
le lor
soldati a ca-
bandiere e insieme
le
Nel martedì vennero circa mille fanti da Milano col che giurarono come i precedenti. Volle Federigo quattrocento spedì sei Tedeschi e sei Lombardi, fra i quali fu Acerbo Mo-
chiavi della città. carroccio,
ostaggi e
continuatore della storia cominciata da
rena,® allora podestà di Lodi,
Ottone suo padre, acciocché esigessero il giuramento di totale ubbidienza da tutto il popolo milanese. Andò Pimperadore a Pavia con tutta la corte e nel dì 19 d’esso
mese
di
marzo mandò ordine
in termine di otto giorni tutti
i
cittadini
la città
con quel che poteano portar
mevole
®
nar
la
ai consoli
milanesi che
maschi e femmine evacuassero
seco. Spettacolo
sommamente
lagri-
vedere lo sfortunato popolo piangente abbando-
fu nel dì 25 il cara patria co’ piccoli lor figliuoli, cogl’infermi e co’ lor fardelli,
portando quel poco che poterono e lasciando il resto in preda agli straAlcuni giorni prima, cioè nel dì 18, se n’era già partito l’arcivescovo Oberto coll’arciprete Milone, Caldino arcidiacono ed Alchisio cimeliarca,^® ed ito per trovar papa Alessandro, che tuttavia dimorava in nieri.
Genova. Chi potè se ne andò a Pavia, a Lodi, a Bergamo, a Como e ad altre città; ma l’infelice plebe “ si fermò fuori della citta ne moniVittore, steri di san Vincenzo, di san Celso, di san Dionisio e di san sperando pure che non fosse estinta affatto nel cuore dell’imperadore la clemenza e ch’egli, soddisfatto dell’ubbidienza, permetterebbe il ritorno
6.
i
principali:
i
cittadini
piu
ragguar-
devoli. 7.
rassegnarono: consegnarono.
Acerbo Morena: Ottone e Acerbo narrarono le vicende della Lombardia dal 1154 8.
al
1164. 9.
:
Spettacolo...
palpitare la
umanitaria tivo dei fatti. La sua moralità alle ingiustizie, c cristiana si ribella dinanzi agli umili in nome alle sofferenze inflitte un assurdo ideale di quello che gli appare il Manzoni. di potenza. Presenti, qui, delle sacre re10. cimcliarca conservatore
lagrimevole,
commozione
del
ecc.
:
Senti
M., nonostante
lo stile asciutto e pacato, di narratore ogget-
liquie.
di essa si appunta 11. l’infelice plebe: Su vita. M. che svolse, per tutta la
la pietà del
766
Antologia della letteratura italiana
Non
alle lor case.
poteva essere piu vana una
nel di seguente Federigo
accompagnato da
fatta lusinga.
si
tutti
Comparve
suoi principi e soldati,
i
e da’ Cremonesi, Pavesi, Novaresi, Lodigiani e Cremaschi, e da quei del ed, entrato in Milano, l’abbandonò all’avi-
Seprio e della Martesaha;
Nel sacco neppure alcun riguardo s’ebbe alle chiese. ...^^ Furono deputati i Cremonesi ad atterrare il sestiere di Porta Romana, dità militare.
i
Lodigiani a quel di porta Renza,
Novaresi a quel cina, e
Pavesi a quel di porta Ticinese,
i
di porta Vercellina,
Comaschi
i
a quel di porta
i
Coma-
popolo del Seprio e della Martesana a quello di Porta Nuova.
il
animò
L’odio e lo spirito della vendetta
si
forte questi popoli, che
si
Gran somma
di
diedero un’incredibil fretta alla rovina dell’infelice
città.
danaro aveano anche sborsato a Federigo per ottenerne la permissione. Il fuoco attaccato alle case ne distrusse buona parte; il resto fu diroccato a forza di martelli e picconi, ed anche in pochi giorni si vide smantellata la maggior parte delle mura... Nella domenica delle Palme assiste Federigo Augusto ai divini uffizii nella basilica di santo Ambrosio fuori della desolata città milanese e prese l’ulivo benedetto; e nello stesso giorno
Pavia. Celebrò
s’inviò a
egli in essa città la santa
Pasqua, col con-
corso della maggior parte dei vescovi, marchesi, conti ed d’Italia.
sero
i
Alla messa, e dopo
suddetti principi, e
i
la
messa, ad
un
altri
baroni
lauto convito, a cui
vescovi colla mitra, e
i
s’assi-
consoli delle città,
si
fece vedere colla corona in capo, insieme coll’Augusta Beatrice, giacché
due anni innanzi avea fatto proponimento di non portar più corona, se prima non soggiogava il popolo di Milano. Grande fu allora il giubilo e il
plauso del popolo di Pavia per
le
fortune dell’imperadore; e gli del suo
tori tedeschi si sciolgono in sonori elogi
costanza per aver sottomessa una
vedere
se gloria
si
riguardevol
tante belle fabbriche e
Ausonio quivi
un’intensa nella 12. 13.
memorie
conservavano.
nobilissima
e
Ricorda che
si
azione
caritativa.
precedente.
storiografia
Sono i Comuni alleatisi col Barbarossa. Omettiamo un passo nel quale il M.
racconta
come
il
Barbarossa ordinasse di di-
struggere Milano. 14. deputati:
16. s’inviò
vendetta:
i
a:
parti per.
La messa, la santa pasqua celebrata indegnamente, il lauto con17. Celebrò, ecc.
vito,
:
scrit-
della sua
resterebbe da
che fino
cristiano
a’
pena della ribellione
il
seppellir
tempi
di
dirocchino
si
r ostentazione della corona:
tutto
è
detto con apparente oggettività e pacatezza
eppure ogni parola è una condanna, dettata da uno spirito cristiano ben più autentico di quello di cui fa mostra di cronista,
Federico. 18.
incaricati.
Contro le rovinose comuni italiani il M., negli Annali, esprime una recisa condanna. 15. odio...
discordie fra
in
Ma
con distruggere e
città,
dell’ antichità,
Che
plebe era la grande assente
la
città.
un monarca
vera s’abbia a riputare per
portare l’eccidio ad un’intera insigne
gran valore e
si
sciolgono...
elogi:
tono diventa
Il
sarcastico. 19.
Ma
resterebbe, ecc.
:
Il
giudizio nega-
conclude in quell’affermazione bellissima e profonda, veramente eloquente proprio per la sua spoglia
tivo diventa ora esplicito, e
A mio
schiettezza:
fabbricano le
credere,
si
i
buoni principi
città e i cattivi le
distruggono.
nt
ve
La
cultura italiana
prima metà del Settecento
nella
767 tutte le mura ed ogni fortificazione, ciò cammina; “ ma poi tutto, chi può mai lodarlo e non attribuirlo piuttosto ad un genio barbarico? “ A mio credere, i buoni principi fabbricano le città e i cattivi le di-
struggono.
Giambattista Vico
tempo per
Isolato nel suo
la
grandezza
solitaria e originalissima del
suo
pensiero, che precorre molti sviluppi della
moderna filosofia, fu Giambattista condusse una vita oscura, resa difficile dalle
Nato a Napoli nel 1668, malferme condizioni di salute, da economica costantemente precaria, Vico.
agli studi e alla ricerca wdel vero. rica,
afflizioni
ma
Fu
domestiche, da una situazione
consacrata con fermezza incrollabile
Napoli della cattedra
titolare a
di reto-
poi regio storiografo. Pubblicò a sue spese la sua opera piu grande,
i
una Scienza Nuova d’intorno alla comune natura delle Nazioni, che passò quasi inosservata; una seconda edizione, completamente rifatta, vide la luce nel *30, una terza nel '44, pochi mesi dopo la sua morte. Fra le altre sue opere ricordiamo V Autobiografia e il De antiquissima Itaìorum sapientia. Il Vico fu contrario alla filosofia cartesiana e all’ interesse scientifico dominante allora nel pensiero filosofico. Oggetto delle sue meditazioni fu Principi di
l’uomo, colto zitutto
concretezza
nella
l’origine
del
diritto,
solvere questo problema,
chiamiamo
noi
antichissime:
si
Bibbia,
del
suo divenire
quindi
i
Nuova
Ricercò
umana,
innanper
e
ri-
volse allo studio dell’età remota e favolosa che
poemi omerici,
scienza » era, per
delle
tradizioni
mitologia greca e latina,
la
studio del linguaggio, nel quale egli avvertiva civiltà dei popoli. «
storico.
società
della
fondandolo sull’interpretazione
preistoria,
la
e
le
lo
tracce della storia e della
questo studio della tradizione,
lui,
ad esempio dei miti, visti non come forme fantasticamente arbitrarie, e neppure come espressione di una sapienza razionale e morale (cosi erano interpretati ai suoi tempi), ma come testimonianza di una primitiva intuizione del mondo elaborata dall’uomo, e nata dalla sua esperienza. Quella del Vico era
dunque
la
scoperta dell’intima unità di filologia (studio della parola, delle
testimonianze del passato, della storia umana) e Lx> studio
comparato
filosofia.
delle tradizioni dei vari popoli, gli
tezza che esistevano leggi comuni, sulle quali
si
dava
sviluppavano
la
la
cer-
loro sto-
Egli volle definire queste leggi, ritrovandone i principi modificazioni della nostra medesima mente umana », li senti,
ria e la loro civiltà.
« dentro
le
cioè, corrispondenti all’esperienza psicologica individuale.
rituale del singolo
no.
ciò
21.
ma
tutto
il
cammina: poi
resto,
tutto:
tutta
si
svolge su tre momenti,
è giustificabile.
ma la
che
città.
si
distrugga
il
Come
la vita
senso, la fantasia,
il
spi-
razio-
Non solo 22. genio barbarico: c è in tutto bara distruzione Io chiama cosi: sentimento patriottico. il passo un vivo
Antologia della letteratura italiana
y68
rispettivamente, Vinfanzia, nella quale predomina
cinto (caratterizzanti, vita
istintiva,
cinante),
o del senso, l’età
nella
cosi
storia
e
fantastica,
!
(
Vetà degli eroi, o della fantasia, che è prima forma di conoscenza umana, tutta sencioè poetica, del mondo) e Vetà degli uomini, o della
istintiva
dei miti (intesi
sitiva
la
immaginosa e fantastica, la maturità^ raziodeH’umanità, il Vico distingue Vetà degli dei^
fanciullezza^
la
e
barbarica,
come
la
quale trionfa la razionalità. Alle tre età corrispondono tre organizzazione politica (teocrazia, aristocrazia, repubblica popolare o monarchia) e tre modi diversi di concepire e vivere -la vita. Compiuto questo ciclo, ogni popolo ritorna alla primitiva barbarie e rivive progressivamente i tre momenti, con forze rinnovate e accresciute. La storia ragione,
forme
si
nella
di
configura cosi agli occhi del Vico
come una
serie
di
periodi ricorrenti,
di corsi e di ricorsi.
Questa concezione della storia, presa letteralmente, aveva in sé molti fantastici, ma conteneva anche alcune intuizioni fondamentali del pensiero moderno. In primo luogo lo storicismo, la concezione, cioè, della vita umana come divenire, nel quale ciascuna età ha un carattere necessario ed essenziale. Il Vico, poi, pensava che, mentre un’idea piena del mondo fisico e metafisico poteva averla solo Dio che l’aveva creato, l’uomo poteva avere una conoscenza certa solo del mondo storico, in quanto fatto da lui ed espressione della sua vita spirituale. La storia era dunque continua creazione di valori e di civiltà, alla quale tutti indistintamente cooperano (non soltanto pochi eletti, secondo la concezione rinascimentale); lo studio di essa coincideva con lo studio dell’uomo, dei caratteri della sua spiritualità, cioè senso, fantasia, ragione, dotato ciascuno di una propria autonomia e dignità. Importantissime le conseguenze di questa dottrina nel campo dell’estetica. Il Vico considerò la poesia non come espressione della realtà imperfetta dei sensi, da sottomettere, per questo, al rigoroso controllo della ragione, aspetti
ma come libera creazione della fantasia, concepita, a sua volta, non piu come la « pazza di casa » (secondo il razionalismo francese), ma come manifestazione essenziale della vita dello spirito, dominante in certi momenti della civiltà (l’età degli eroi) e, comunque, come forma spirituale autonoma, capace di dare all’uomo una conoscenza della realtà diversa da quella logica e razionale, ma non meno importante nella sua vita. Il Romanticismo e l’estetica
appassionata e immaginosa delle età eroiche
Per questo apprezzò particolarmente
un
l’espressione
non
Omero non
era persona reale,
greci, in
tastiosa
'
I
i
contemporanea svilupperanno questo principio, liberandolo dalla
caduca teoria dei corsi e dei ricorsi. Il Vico non considera piu la poesia puro diletto o esercitazione ingegnosa. Nella sua età, che vagheggiava una poesia discorsiva, capace di presentare con eleganza e garbo qualche utile verità, e disconobbe spesso i grandi poeti del passato, in nome di un ideale di misurato e razionale buon senso, « affermò la debolezza d’una poesia raziocinante e additò nella poesia bini).
'
quanto
di
essi
ma
singolo poeta,
ma
simbolo,
narravano cantando
ed «eroica». Allo stesso
modo
i
la
i
^
!
I
j
poesia per eccellenza » (Fu-
poemi omerici, di
]
un
«un
nei quali vide
intero popolo (per
lui.
carattere eroico d’uomini
h
e della sua età fan-
'
la loro storia »)
celebrò Dante,
il
«toscano Omero»,
cultura italiana nella prima metà del Settecento
La
769
poeta della « ritornata barbarie d’ Italia » (anche il Medioevo era, per il un’età « eroica », secondo la teoria dei corsi e dei ricorsi), apprezzando in lui non la dottrina e la teologia, come era stato fatto fino ai suoi il
Vico,
tempi,
ma
gante,
primitiva degli
l’intensità
non
antiarcadico,
ma
affetti
e delle passioni.
una poesia letterariamente
era quello di
quello di una poesia che esprimesse
umano. Anche
intuizioni dell’animo
suo ideale,
Il
elaborata ed
ele-
più profonde e universali questi principi saranno ripresi dal Role
manticismo, che esalterà il poeta come genio creatore, unico e irripetibile. Nonostante l’oscurità di molte sue pagine, che nasce anche dalla stessa originalità del suo pensiero, il Vico è scrittore potente. La sua prosa concisa e lapidaria, assume, nella rievocazione dell’umanità primitiva, un tono
un
epico,
solenne e sublime, « come quello
carattere, è stato detto, eroico,
che scaturisce da un’anima tutta presa dalla grandezza dei suoi pensieri e dei suoi sogni » (Sapegno). Per
il
testo,
Laterza,
Bari,
Alcune
((
seguiamo: Q. B. Vico, La scienza nuova seconda,
a cura di F. Nicolini,
1942.
degnila »
Degnità chiamò
11
Vico
gli
assiomi o principi
filosofici
della
ispiratori
sua
scienza nuova, perche degni di fede, indubitabili. In realtà questi principi, posti all’inizio del libro, ne rappresentano piuttosto le conclusioni. Ne presentiamo un
igruppo interessante storia, sia
Ideila
sia
perché
perché mette in luce i principi della concezione vichiana presenta le premesse e le intuizioni fondamentali della
ci
sua estetica.
I
(VII).
1
ijusi
jche
La
legislazione considera
l’uomo qual
è,
per farne buoni
nell’umana società; come della ferocia, dell’avarizia, dell’ambizione, sono gli tre vizi che portano a travverso ^ tutto il gener umano, ne mercatanzia e
^
la fortezza, l’opulenza e
Ì |fa
la milizia, la
l'ia
sapienza delle repubbliche; e di questi tre grandi
la corte,^ e si
«mente distruggerebbero l’umana generazione sopra
vizi,
quali certa-
i
terra,
la
ne fa
la
civile felicità.
ì
Questa degnità pruova esservi Provvedenza divina
)
luna divina mente
I.
che... travverso: che travolgono,
rivolgere 2.
al
fanno
male.
milizia... corte:
ferocia),
gono
la
classe dei guerrieri
a usare, per fini di bene, la nativa
quella dei commercianti (che vol-
comune), quella dei politici (che volgono 1’ ambizione ai fini propri della fondazione di un governo l’avidità a fini di utilità
civile).
I.
3, e si: 4.
j
ii(portati
^
e
che
ella
sia
tutti legislatrice, la quale delle passioni degli uomini
e in tal
modo
Provvedenza divina:
si
conseguono. Il
V.,
cattolico
e la consincero, crede nella Provvidenza, umane, garansidera immanente alle cose
storia; ma la zia di razionalità nella nostra a considerar a sua nuova scienza non è volta quella capacita di in sé, bensi attraverso
progresso e di nell’
evoluzione che ha
animo umano.
is’prrato
Antologìa della letteratura italiana
770 attenuti
®
vano
le solitudini,®
umana
in
per
alle loro private utilità,
dentro
stie
2 (XVII).
ne ha fatto
formaron
ordini
gli
per
civili
quali
gli
vi-
società.
parlari
I
volgari"^
debbon
degli antichi costumi de’ popoli, che si
quali viverebbono da fiere be-
le
esser
testimoni piu gravi®
i
celebrarono
si
®
tempo
nel
ch’essi
lingue.
le
3 (XXXII). Gli uomini ignoranti delle naturali cagioni che producon le cose,^° ove non le possono spiegare nemmeno per cose simili,^^ essi dànno alle cose la loro propia natura,^® come il volgo, per esemplo, dice la calamita esser innamorata del ferro.
Questa degnità è una
(XXXV). La
4
—
che
la
mente uma-
rovesci nell’ignoranza,^ essa
si
deH’universo d’intorno a tutto quello che ignora.^®
fa sé regola
l’efTetto
prima:
particella della
na, per la sua indififinita natura,^* ove
maraviglia è figliuola
dell’
ammirato è più grande, tanto più
ignoranza;
quanto
e
a proporzione cresce la
ma-
raviglia.
(XXXVI). La
5 il
6 (XXXVII).
5.
tutti attenuti
6. solitudini; 7.
Il
più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate
non
tutti intesi.
:
selve e deserti.
parlari
I
volgari:
Il
dal popolo. Tutto ciò che
polo,
linguaggio
usato
riferisce al
po-
più vicino all’umanità primitiva,
ha
si
duce
natura umana. testimonianze più linguaggio, per il V., conser-
alla originaria
gravi:
testimoni...
8.
autorevoli.
Il
successive
le tracce delle
forme della
ci-
Soprattutto interessante, in
tal
senso, gli ap-
il
sensi e dalla fantasia.
celebrarono:
10. le cose:
i
ove: quando.
12.
per... simili; le
praticarono.
La
17.
maraviglia...
ziocinio. Allo stesso
loro
zano, cioè,
umani.
Da
li
esperienza
interpretano alla luce psicologica,
umaniz-
la natura, dandole voci e sensi questa disposizione sono nati gli
antichi miti. 14. indiffinita
natura:
per
la
sua natura
nella
emozione non dal ra-
modo,
la
poesia è, per
V., prodotto della fantasia, e quindi prodelle età primitive,
che il
La
ancora
dell’
guardava
umanità fancon ingenuo
mondo. raziocinio;
fantasia...
trappone decisamente
la
poetica, al raziocinio,
o facoltà
pria del filosofo.
13. essi... natura:
crolli
ignoranza: La me-
nasce dall’ ignoranza,
poetica,
18.
trovando una somigliancause dei fenomeni cono-
ignoranza: quando
dalla quale deriva ogni
raviglia,
stupore
sciuti.
della
ove...
ciulla,
fenomeni.
ij.
za fra esse e
si
por-
comprendere
immediata esperienza.
pria
si
animali,
ma
16. fa... ignora: riguardo a tutte le cose che ignora, fa di sé regola dell’ universo; le commisura, cioè, alla sua vita e alla sua
dominata dai 9.
degli
ignoranza.
il
il
quella
fissità dell’ istinto,
mondo. 15.
linguaggio metaforico, espressione della « sapienza poetica » dei primi uomini, della loro primitiva concezione del mondo, pariva
come
immutabile
tata a uscir di sé, a cercare di
quindi della storia di un popolo.
e
viltà,
costretta,
nell’
carattere di più viva spontaneità e ci ricon-
va
quanto è più debole
fantasia tanto è più robusta
raziocinio.^®
ma
La
Il
fantasia,
logica, pro-
prima
for-
umano,
alla
fantasia è la
di conoscenza dello spirito
V. cono facoltà
segue poi, da essa distinta, quella razionale. In tal modo il V. riconosceva che la poesia è l’espressione di una facoltà spirituale propria ed autonoma, scoperta, questa, fondamentale per l’estetica moderna. quale
La cultura
italiana
nella
prima •.meta del Settecento
Uh
dare senso e passione/® ed è propietà \tra loro lontane, divisamente fon nimate tra mani e, trastullandosi, favellai i i che tutte hanno qualche persone vive. ^enni,^^ tutte seppelliscono
m
:
i
Questa degnità
ne app^ge e crude, si celebrano fanciullo, per natura, furono sublimi p consagrate solennità
mondo
del
7 (L).
Ne’
filologico-filosofica
fanciulli
vigorosissima
è
la
memoriS?^^^^
non è che memoria o
all’eccesso la fantasia, eh’ altro
'
posta.^
Questa degnità è
*1
che dovette formare
il
principio
che da que-
dell’evidenza “ dell’immagini’
primo mondo
’risca c
fanciullo.
‘erni
8 (LUI). Gli uomini prima sentono senz’avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con j
mente pura.“ Questa degnità è ’l principio delle sentenze poetiche,^ che sono formate con sensi di passioni e d’affetti, a differenza delle sentenze filosofiche, che si formano dalla riflessione con raziocini: onde queste piu s’appressano al vero quanto piu s’innalzano agli universali, e quelle sono piu certe quanto piu s’appropiano ^ a’ particolari. 9 (LIX). Gli uomini sfogano le grandi passioni dando ixome si sperimenta ne’ sommamente addolorati o allegri.
S
19. dare... passione: attribuire sensibilità e
sentimenti. 20. favellarvi: parlare
21. filologico-filosofìca
un dato
con esse. fondata sulla
sto-
:
tempo, sulla ragione. È il metodo del V., che sulla conoscenza storica fonda i principi ria, su
di fatto, e, nello stesso
della scienza dell’
uomo.
fantasia, furono, per natura, poeti.
limite
Il
V. consiste nell’avere localizzato in un solo momento della storia quello che è invece un momento ideale ed eterno dello spirito umano. Si può dire che ogni grande del
I
26. Gli uomini... pura: È una delle degnità più importanti, perché in essa il V. esprime il procedere della nostra mente nel suo svi-
luppo, simile
vamente
mondo, quando animo nuovo la realtà.
alle fasi
che egli vede successi-
svolgersi nella storia.
mento
dell’umano, nella forma del
sentenze poetiche: noi diremmo «indituizioni fantastiche » o poetiche. Ma il 27.
scorso vale per la poesia in generale. si ade28. s’ appropiano: si avvicinano,
guano. La
filosofia,
di
astratti,
concetti
dunque, è scienza valore
tasia
estende ad
ricevute
compone sioni
25.
dai
altri
sensi
la
fan-
oggetti le impressioni
{memoria
dilatata)
o
le
in varie maniere, creando impres-
nuove {memoria composta). è
’l
principio dell’evidenza:
serve a
immagini poetiche
dei primitivi.
è
di
nel
un sentimento
si
fonda
sul parti-
espresso in quella
anche la definita e concreta. Ma anch’essa un è certezza, sua una ha poesia
immagine
momento 29.
spiegare l’evidenza, l’intima e potente vita delle
colare,
si
universale,
applicano a ogni situazione con-
senso che
creta; la poesia, invece,
V,
senti-
spiegata.
zionalità
poeta riviva l’infanzia del
il
c’è
e dell’emozione poetica, infine la ra-
scopre con occhi e
24. ch’altro... composta: Per
Dapprima
sensazione priva di coscienza, poi la consapevolezza di ciò che si sente, e quindi
la
la nascita
ne aporuova: ci dimostra. 23. che gli uomini... poeti: Gli uomini primitivi, dotati di maggiore sensibilità e 22.
nel canto,^
conoscitivo.
dando
poesia nel canto: cantando. La come espressione di senti-
è sentita dal V.
menti profondi dell’ animo.
gno
e
appassionati e
come
biso-
Antologia della letteratura italiana
772
I principi del vivere civile
Troviamo in questo passo due principi fondamentali della Scienza Nuova’. p rimo è che conosce una cosa solo chi la fa e da ciò co nsegue che il vero oggetto del la filo sofia dev^ssere non il mondo della natura, ma quello della storia, fatto dalFuomo e quindi rltlesso della sua Micologia; il secondo è che il passaggio dalla ferinità primitiva airumanità o civiltà avvenne mediante la religioni, matrimoni, amministrazione fondazione di tre principali istituzioni della giustizia. La civiltà, dunque, per il Vico, coincide con la nascita della società. il
.
:
In
tal
prima da noi lonnon tramonta, può a patto alcuno chiamar in dub-
densa notte di tenebre ond’è coverta
tanissima antichità, apparisce questo di questa verità la quale
onde l
mondo
che questo
bio,^
se
non
ne possono, perché
si
vi rifletta,
certamente è stato fatto dagli uomini., i principi! dentro
quale, perché Iddio egli
il
um ana? Lo
medesima mente
dee recar meraviglia come
studiarono di conseguire
la
eterno, che
ne debbono, ritruovare
se
e modificazioni della nostra
que
si
civile’^ egli
lume
*
tutti
fece,
esso solo ne
seriosamente
mondo
scienza di questo
la
che, a chiun-
filosofi
i
ha
la
naturale, del
scienza; e trascu-
o sia mondo civile, del quale, perché l’avevano fatto gli uomini; ne potevano conseguire la scienza gli uomini.® Il quale stravagante effetto è provenuto da rarono di meditare su questo
mondo
delle nazioni,
quella miseria, la qual avvertimmo nelle Degnità, la quale,
restata
nata a sentire
le
immersa
®
mente umana;
della
e seppellita nel corpo, è naturalmente incli-
cose del corpo, e dee usare troppo sforzo e fatiga per
medesima, come l’occhio corporale che vede obbietti fuori di sé ed ha dello specchio bisogno per vedere intendere
se
Or, poiché questo
mondo
tutti
gli
se stesso..
di nazioni egli è stato fatto dagli uomini,
hanno con perpetuità convenuto
e tuttavia vi vediamo in quali cose convengono tutti gli uomini;’ perché tali cose ne potranno dare i principii universali ed eterni, quali devon essere d’ogni scienza,® sopra i
quali tutte sursero e tutte vi
Osserviamo 1. si
la quale... in
mondo
conservano in nazioni.®
dubbio: della quale non
può assolutamente 2.
si
tutte le nazioni cosi barbare
civile;
il
dubitare.
mondo
della storia, la
3. ritruovare...
uomo,
il
umana: Essendo
mondo
stato fat-
della storia reca in
dell’animo umano, è fatto a sua immagine e somiglianza. 4. Lo che... come: Se uno riflette su questo fatto, deve provare senz’altro meraviglia, considerando che i filosofi, ecc. sé
il
5.
mente umana, immersa com’
sigillo
del quale... uomini;
Secondo
il
V.
conosce veramente solo ciò che si fa. 6. Allude a una degnità che dice che
si
ze comuni a pi, cioè
i
uomini: quali siano
tutti gli
principi secondo
i
quali
si
usan-
le
uom^ini di tutti
i
tem-
svo'ge
la
le istituzioni
fonda-
mentali e necessarie allo sviluppo della
civiltà.
civiltà di tutti
8.
quali
. .
.
i
popoli e scienza
:
come devono
esser
quelli d’ogni scienza. 9.
quali
sopra le
i
quali... nazioni: fondandosi sui
singole nazioni sono sorte e
servano civilmente ordinate. la
è nella strut-
tura corporea, è portata a considerare le cose esterne piuttosto che quelle spirituali. 7. in quali...
civiltà.
to dall’
come umane,^® quantunque.
10.
umane:
civili.
si
con-
La
cultura italiana
prima metà del Settecento
nella
77 .^
per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fon questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche
date/^ custodire religione, ro
tutte
contraggono matrimoni
loro morti', né tra nazioni,
Jla
umane con
azioni
jnc
eà
e crude,
si
i
celebrano
più ricercate cerimonie e più consagrate solennità
:ht
la
solenni,^^ tutte seppelliscono
quantunque selvagge
Che per la degnità che « idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro, debbon avere un prin-
che religioni, matrimoni e seppoltured^
comune
cipio
tre
ste
di vero », dee essere stato dettato a tutte:
appo
cose incominciò
tutte
che da que-
Tumanità,^’^ e per ciò
si
debbano
)n*
santissimamente custodire da
tutte,
perché
’l
mondo non
s’infierisca c
ta,
si
nuovo.^® Perciò
rinselvi di
abbiamo
presi questi tre costumi eterni
jI>
ed universali per
tre
primi principii di questa Scienza.
ni,
/
Irò
JH-
Della metafisica poetica
r,tc
del
di'
Questa pagina resta viva nella memoria come un grande mito poetico. Gli uomini primitivi corrono, giganteschi e selvaggi, per la grande selva della terra. Poi, duecento anni dopo il Diluvio, ecco un crosciare improvviso e spaventoso di
sgomenti alzano gli occhi, vedono per la prima come un corpo gigantesco, che « volesse dir loro qualcosa », come loro « urlando e brontolando ». Cosi, dall’oscurità della barbarie primigenia, il Vico, con animo perturbato e commosso » vede emergere l’uomo, distinguersi dalle cose, fra le quali prima viveva indifferenziato, acquistare una miti. aurorale coscienza di sé e figurarsi il mondo a propria immagine, creando Nasce la prima conoscenza, tutta senso, fantasia e passione, che è, per il Vico, « sublime poesia », non quella scritta nei libri, ma quella eterna deH'anima, che rivivrà nei grandi cantori delle età eroiche (Omero e Dante), ma che ritorna anche nel fanciullo quando s’accende in lui la luce della coscienza. tuoni;
volta
ire
di
e
allora
i
« bestioni »
e lo configurano
cielo,
il
(
la;
di.
per
50
.
i
mi,
vi
in-
a
La sapienza poetica, che fu la prima sapienza della gentilità, ^ dovette incominciare da una metafisica,^ non ragionata ed astratta qual è questa
i
ue,
11. divisamente fondate; sorte separatamente, senza reciproche interferenze. va con osserviamo: «os12. custodire: serviamo che mantengono ». 13. solenni: come dirà poi, stretti con sacre
e solenni cerimonie. 14.
matrimoni
religioni,
no, per vivere
il
V.,
civile.
i
tre istituti
Il
concetto
e seppolture:
so-
fondamentali del sarà
riecheggiato
dal Foscolo nei Sepolcri. 15. degnità:
assioma; principio.
deve essere stato ispirato quanto segue; deve cioè essere un principio valido per tutti gli uomini quello che subito dopo enuncia. 17. appo... umanità: presso tutte le na16. dee... tutte;
a
co>
tutte
zioni la civiltà (contrapposta allo stato ani-
malesco degli uomini primitivi).
non...
18.
di
uomini a vivere
nuovo: allo
non ritornino
stato
selvaggio
gli
nelle
selve. 1. La sapienza... gentilità: La sapienza, cioè la cultura e la conoscenza del mondo degli uomini primitivi, non può essere, per
V., se non poetica, dato che allora l’umaquenità era tutta senso e fantasia, facoltà, essenzialmente poetiche. Quanto a. la ste, ebbe, gentilità (cioè ai popoli pagani) essa quella secondo il V., una storia diversa da diluvio, il del popolo ebraico; cadde, dopo il
in
uno
stato ferino,
avendo abbandonato
la
mantenerla, vera religione che sola poteva
dando un carattere sacro una forma di convivenza 2.
metafisica:
È
quella
al
matnmomo,
in
civile.
parte della
fi.o-
Antologia della letteratura italiana
774
ma
or degli addottrinati,*
ed immaginata quale dovett’essere di
sentita
primi uomini, siccome quelli ch’erano di niuno raziocinio e
tai
tutti
robusti sensi e vigorosissime fantasie, com’è stato nelle Degnità^ sta-
Questa fu
bilito.
propia poesia,® la qual in
la loro
loro connaturale (perch’erano di
di
tali sensi e
si
essi
fu una facultà
fatte fantasie natural-
da ignoranza di cagioni, la qual fu loro madre di che quelli, ignoranti di tutte le cose, fortemente ammiravano. Tal poesia incominciò in essi divina, perché nello
mente
forniti), nata
maraviglia di tutte
tempo
stesso
le cose,
immaginavano
ch’essi
le
cagioni delle cose che sentivano
ed ammiravano, essere dèi® (ed ora il confermiamo con gli americani,*^ i quali tutte lè cose che superano la loro picciola capacità dicono esser dèi; a’ quali aggiugniamo i germani antichi, abitatori presso il Mar Agghiacciato,® de' quali Tacito narra che dicevano d’udire la notte il Sole, che dall’occidente passava per mare nell’oriente, ed affermavano di vedere gli dèi : le quali rozzissime e semplicissime nazioni ci
danno
ad intendere molto piu di questi autori della gentilità,® de’ quali ora qui si ragiona); nello stesso tempo, diciamo, alle cose ammirate davano l’essere di sostanze dalla propia lor idea,^® ch’è appunto la natura de’ fanciulli, che osserviamo prendere tra mani cose inanimate e trastullarsi e favellarvi
come
fusser, quelle, persone vive.
In cotal guisa
primi uomini delle nazioni
i
del nascente gener
umano,
gentili,
come
dalla lor idea criavan essi le cose,^'
fanciulli
ma
con
però dal criare che fa Iddio: perocché Iddio, nel suo purissimo intendimento,^'^ conosce e, conoscendole, cria le cose; essi, per infinita differenza
che studia
sofia
cause e
le
le
ragioni ultime
delle cose; qui, praticamente, la teologia
o
scienza del divino. 3. addottrinati:
tini;
filosofi delle età colte.
Degnila: nei principi posti all’inizio àtWdL^ Scienza Nuova. Qui allude a quella che abbiamo riportato contrassegnandola col 4! nelle
n. 6. 5.
8.
Questa... poesia, ecc.
:
La
poesia è con-
naturata alle menti degli uomini primitivi, coincide con la loro psicologia, col loro
mo-
Mar
il
Agghiacciato: l’Oceano glaciale
uno dei maggiori storici laGermania parla delle popolazio-
artico. Tacito è
ni
nella
germaniche ancora semiselvagge
tempi. 9. molto...
gentilità:
comprendere molti
Ci permettono
pagani. 10. nello stesso... idea: mentre consideravano divinità le cose ignote e da loro ammirate, attribuivano a loro un’ essenza
religione
infatti
alle forze della
spinge a trasfigurare in termini fantastici e
Giove, ad
simile alla propria, cioè le
poetici ogni cosa.
ma
di
mito,
rappresentazione di mentalità primitive,
Non quella
si
tratta
che vive nel
fantastica, e,
della
propria
insieme, religiosa
della realtà.
riche,
americani le popolazioni delle Ameche vivevano ancofa allo stato pri-
mitivo
al
7. gli
:
tempo
La forma umana es., era il
umanizzavano e pagana dava natura:
fulmine.
Immaginavano le coimmagine e somiglianza È questa una sorta di creazione (che dopo il V. distingue dal creare che è
11. dalla lor... cose:
Tal poesia... dei: scritta,
di
uomini primitivi, progenit^i dei popoli gentili o
personificavano.
poesia
suoi
aspetti di questi
do di concepire e vedere il mondo. L’ignoranza delle cause che determinano i fenomeni fa si che questi uomini provino davanti a ciascuno di essi uno stupore che li
6.
ai
del V.
se
fatte
(idea).
subito
a
loro
proprio di Dio), in quanto solo ora le cose emergono dall’ indistinto e acquistano una vita e un significato per 1’ uomo. 12. purissimo intendimento: nella sua infinita
e assoluta capacità intellettuale.
,
e
La cultura
la
italiana
prima metà del Settecento
nella
loro robusta ignoranza,
fantasia,
facevano in forza
il
perch’era corpolentissima,
e,
una corpolentissima
facevano con una maravie tanta che perturbava all’eccesso essi medesimi
gliosa sublimità, tal
che fingendo
d’
775
il
creavano, onde furon detti « poeti», che lo stesso in
le si
Che sono gli tre lavori che deve fare la poegrande, cioè di ritruovàre favole sublimi confacenti all’intendimento
greco suona che « criatori sia
popolaresco,^® e che perturbi all’eccesso, per conseguir
il fine, ch’élla si ha volgo a virtuosamente operare,^^ com’essi l’insegnarono a se medesimi; lo che or ora si mostrerà. E di questa natura di cose umane restò eterna proprietà,^"^ spiegata con nobil espressione da Tacito: che vanamente gli uomini spaventati afingunt simtd cre-
proposto, d’insegnar
duntque
Con
».^® tali
nature
quando
gentilesca
mondo
il
dovettero ritruovar
si
— -dugento
primi autori^® dell’umanità
i
anni dopo
diluvio per lo resto del
il
Mesopotamia (perché tanto
e cento nella
tempo v’abbisognò
di
per ridursi la terra nello stato che, disseccata dall’umidore deH’univer-
innondazione, mandasse esalazioni secche, o sieno materie
sale
neH’aria ad ingenerarvisi
fulmini)
i
“
—
cielo
il
ignite,
finalmente folgorò,
tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi, come dovett’avvenire per introdursi nell’aria la prima volta un’impressione si violenta. Quivi pochi giganti che dovetter esser gli più robusti, ch’erano dispersi per gli boschi posti sull’alture de’ monti, siccome le fiere più robuste ivi hanno i loro covili, eglino,^ spaventati ed attoniti dal grand’effetto di che non sapevano
la
cagione, alzarono gli occhi ed avvertirono
corpolentissima fantasia; tale è perché rifugge dall’ astrazione
13.
tasia
propria dell’ intelletto, e dà
apparenza corporea e 14.
il
che è
concetti
ai
una
sensibile.
di
La sublimità va senso poetico. Le immagini fantaquesti uomini non rappresentano
immaginazione, ma una viva, che produce forti emozioni sul-
un capriccio realtà
l’animo;
è,
effettiva
di
dell’
potremmo
storia,
presa
mondo da
parte
dire,
poeta da vole verità
lui
E
per-
vagheggiato non costruisce
allegoriche
entro
quali
le
fa-
una
celare
razionale e morale scoperta dal suo
intelletto,
facevano... criatori:
intesa in stiche
fan-
la
cielo.^
il
ma
nuova, divina
crea e
una
spirituale
realtà
insieme umana, nella quale
egli stesso crede.
17.
E
di...
Questa esperienza
proprietà:
originaria è rimasta elemento fondamenta. della psicologia dell’uomo. 18. fingunt... creduntque;
immaginano
c,
dello spirito
insieme, credono. Credono, cioè, come i porti primitivi, ai fantasmi creati dalla loro stessa
sto
fantasia.
possesso
del
umano. Indirettamente, in quemito degli uomini primitivi, il V. definisce l’essenza profonda della grande poesia. La parola poeta viene dal verbo greco poièin che significa fare, creare e anche comporre poesia. 15.
intendimento popolaresco:
la
capacità
d’ intendere del p>op>olo. 16. d’insegnar...
progenitori. 19. primi autori: esalazioni ca20. o sieno... fulmini: ossia di propaci di provocare bagliori nel cielo e
durre cosi i fulmini. 21. per introdursi: per
il
fatto che
operare:
Il
V.
sembra
22. eglino:
Come
dascalica della poesia, secondo la quale essa
dovrebbe essere rivolta
come
alla
virtù.
la
In
tradizionale concezione di-
realtà,
intro-
spesso avviene nel
questo pronome è pleonastico; c primitivi a giganti », gli uomini
qui accettare
si
dusse.
a istruire e a
però,
la
educare
supera.
Il
esseri giganteschi. il cielo:
23. ed avvertirono
V..
riferito
ai
concepiti
Prima senttvann
Antologia della letteratura italiana
776
che in
caso
tal
umana
natura della mente
la
come
Teffetto la sua natura,^ era, in tale stato,
d’uomini
brontolando, spiegavano
le
porta ch’ella attribuisca
al-
è detto nelle Degnila^ e la natura loro
si
robuste forze di corpo, che, urlando,
tutti
loro violentissime passioni;
un gran corpo animato, che per tal primo dio delle genti dette « maggiori
esser
si
finsero
il
cielo
aspetto chiamarono Giove,
il
che col fischio de’ fulmini
e col fragore de’ tuoni volesse loro dir qualche cosa.
In
[...]
divina,^ re e
tal
guisa
i
primi poeti teologi
si
finsero la
prima favola
piu grande di quante mai se ne finsero appresso, cioè Giove,
la
padre degli uomini e degli
dèi,
ed in atto di fulminante;
si
po-
polare, perturbante e insegnativa,^ ch’essi stessi, che sei finsero, sei cre-
con ispaventose religioni
dettero, e
il
temettero,
il
riverirono e l’osser-
varono.
L’Arcadia Al cauto rinnovamento della cultura e primo Settecento, è intimamente legata V Arcadia, la nuova accademia letteraria anelante a ristabilire il « buon gusto » nella poesia. Fu fondata il 5 ottobre 1690 da un gruppo di letterati e uomini Carattere e scopi dell' Arcadia. nel
della letteratura italiana
di cultura che si riunivano nella casa della regina Cristina di Svezia e avevano continuato a incontrarsi anche dopo la morte di lei (1689); vi erano, fra costoro, quegli scrittori toscani del tardo Seicento dei quali già ci siamo occupati, il Redi, il Menzini, il Filicaia, il Magalotti, e inoltre il Guidi, il Lemene, il Maggi. Più importanti, fra i fondatori, furono Gian Vincenzo Gravina, giurista, filosofo e letterato che dettò le leggi del nuovo sodalizio nel latino antico delle Dodici Tavole (ma ben presto se ne staccò insoddisfatto, in quanto propugnava un classicismo più austero e radicale) e l’abate maceratese Giovan Mario Crescimbeni, che fu il primo custode generale, o presidente, dell’Accademia. L’Arcadia ebbe il suo centro in Roma, ma si diffuse in tutta l’ Italia, dando vita a numerose sezioni o colonie, e anno-
verò fra
i
non
suoi scrittori
principi e sovrani, uniti in nel
comune amore per
la
solo letterati,
una
ma
scienziati,
giuristi e persino
ideale uguaglianza davanti alla cultura e
poesia, che della cultura a loro appariva
il
vertice
supremo. senz’ avvertire; ora
«
avvertono con animo come dice il V.
perturbato e commosso », in una degnità. 24.
attribuisca...
natura:
attribuisca
alle
cose esterne la sua stessa natura. 25.
maggiori
26.
la
:
antichissime.
prima favola divina: È
intuizione
della
divinità,
di
la
prima
un superiore
ordine del mondo in relazione al quale sforzeranno di dare un ordine sociale e
si
ci-
celebreranno nozze lefonderanno la moralità, il diritto, l’ amministrazione della giustizia, le cerimonie del culto. Per questo i poeti sono detti teologi. rj. popolare... insegnativa: comune o vile
alla
gittime,
loro vita:
seppelliranno i loro mord,
universale,
atta
a turbarli,
loro timore e riverenza divinità,
nei
a imprimere in
confronti della
e a insegnare loro le
vita civile.
norme
della
La
cultura italiana nella prima metà del Settecento
111
L’Arcadia ebbe anche un complicato e un po’ ridevole cerimoniale.
nome deU’accademia
fu quello della mitica regione della Grecia antica si dissero i soci, che adottarono pseudonimi della poesia pastorale, loro emblema fu la zampogna di Pan coronata d’alIl
abitata dai poeti-pastori, pastori
Gesù bambino, nato
protettore
loro,
fra
e ormai consunta finzione bucolica,
tica
di un’evasione dalla realtà, proprio di
pastori.
i
Si perpetuava cosi
sogno di un ritorno
il
una
l’an-
alla natura,
società colta e raffinata, ormai
decrepita e artificiosa anche nel suo desiderio di schiettezza e di semplicità. I primi arcadi ripresero Tantimarinismo del Chiabrera, del Testi e di altri Seicento. Alle stravaganze,
letterati del
al
turgore,
immagi-
bizzarrie
alle
nose e verbali dei poeti barocchi contrapposero un ideale di poesia semplice, fondata su una ragionata naturalezza di sentimenti e d’espressione, ritrovata attraverso l’adesione ai modelli classici e a quello petrarchesco. fu,
dapprima,
il
poeta più imitato,
ma
modi
prattutto alle situazioni e ai
in seguito gli Arcadi
dell’antica poesia
si
idillica.
Il
Petrarca
volsero so-
Il
paesaggio
tipico della poesia arcadica, ripetuto fino alla monotonia, è quello cosi bene
sintetizzato
dal
Momigliano
dove una campagna
irreale...
languori e gorgheggi,
dramma, riempiono
come
«
:
e il
un mondo
musicale,
una coppia umana tenore e
idillico
e svenevole,
tutta sospiri e
moine
c
soprano di un duetto di melo-
il
tutta la scena della vita ».
limite più appariscente della poesia arcadica è proprio qui, nella sua ricerca di un rinnovamento non spirituale, ma soltanto formale e letterario. Il
Alla rettorica
meraviglia,
della
Arcadi opposero
la
grandioso
tronfio
e
compiaciuto,
un manierismo
gli le-
È
stato detto, per questo, che qualcosa dell’ingegnosità nell’Arcadia, non foss’altro quell’estenuazione della parola
zioso e sdolcinato.
barocca perdura
del
rettorica del tenue, del delicato, di
non certo ignota all’ancor ammirato Marino, e la ricerca di una poesia « spiritosa » e « arguta », non umanamente impegnata. Valore positivo dell Arcadia. Tuttavia, pur entro questi limiti, l’Arcadia ebbe una sua funzióne positiva non trascurabile, anche a prescindere dalla nuova e più seria cultura che intorno ad essa si sviluppò e che abbiamo già esaminato. Nei confronti del barocco deteriore essa rappresentò 1 esigenza indi una poesia che esprimesse sentimenti più intimi, che fosse di nuovo in sonorità orecchiabile c cantabile,
centrata
sull’
il
avevano umanità schietta, di espressione limpida e non
nisti
di
ritorno ai classici, che i Marilezione ostentatamente e superficialmente rinnegato, alla loro
uomo. Fondamentale fu poi
artefatta,
che, alla fine,
i. primi tempi, finirà per prevalere sulle smancerie pseudo-pastora C con poetica tradizione L’Arcadia intese contemperare la nostra
passati
i
c nuove tendenze razionalistiche del pensiero europeo, col suo idea ragione, della presenza una poesia che fosse un sogno, come si disse, fatto in cr ma pur sempre un sogno, col suo fascino di gentilezza e di grazia, c c melodrammi questo le canzonette per musica dei nostri Arcadi e i Il vagheggiamento l’Europa. tutia per tastasio compirono un giro trionfale i
artefatte e ritorno alla natura, spogliato delle sue grazie seconda meta nella esprimerà, zate, proprio di una società aristocratica,
stesso di
un
dimensione secolo, r ideale di una società nuova e di una nuova
uma
e
Antologia della letteratura italiana
77 »
AU’Arcadia sono legati quasi tutti i nostri poeti del Settecento, anche che pur fu tanto lontano dalle svenevoli pastorellerie, anche quelli che furono intimamente partecipi dei nuovi ideali illuministici. Noi ora presenteremo però quelli piu vicini agli ideali e al gusto propriamente arcadico, da Giambattista Zappi a Paolo Rolli a Ludovico Savioli a Giovanni Meli l’Alfieri,
e Pietro Metastasio.
Giambattista Felice Zappi
Nacque *ad Imola nel 1667 e fu celebre avvocato e letterato famoso, poeta c declamatore. Sposò nel 1705 Faustina Maratti, che aveva conosciuto nelle tornate accademiche àtW Arcadia^ di cui era stato, nel 1690, uno dei quattordici fondatori. Scrisse
primo tomo
delle
Rime
numerosi componimenti che furono pubblicati nel degli Arcadi.
Inzuccheratissimo »
Mori nel
1719.
e, mettendolo in caricatura indubbiamente, la sua poesia abbonda di vézzi e leziosaggini, si da essere come il prototipo delle smancerose « pastorellerie » arcadiche. Vi avverti i modelli letterari della prima Arcadia: la poesia madrigalesca e per musica del Seicento (Chiabrera, Lemene, i classici latini e greci, Ovidio, soprattutto, e i poeti bucolici) e un vago, estenuato petrarchismo. Il migliore Zappi rappresenta con grazia tenue e maliziosa, anche se manierata, la commedia
«
lo
definì
il
Baretti,
:
dell’amore, vista nei suoi aspetti quotidiani, risolta in forme cantabili e in
melodrammatiche.
scenette
Per
seguiamo: Urici del Seicento e dell'Arcadia, a cura di C. Calcaterra,
testi,
i
cit.
In quell’età ch’io misurar solea
È uno
dei sonetti, pili aggraziali e misurati dello Zappi, uno, anche, dei
La prima quartina
svenevoli.
ma
pastorale;
poi
il
è chiaramente derivata dai
sonetto s’avviva, coglie la
modi
meno
dell’antica poesia
commedia quotidiana deH’amore,
melodrammatica. Di questa commedia la conclusione ripropone una delle situazioni antiche e sempre nuove, sorridente e, al tempo stesso, vagamente malinconica. tende
ai
modi
della rappresentazione
teatrale
In quell’età eh’ io misurar solea
me i’
col mio capro e amavo Glori, che
il
capro era maggiore,
’nsin
maraviglia e non donna a
Metro: sonetto (schema:
ABBA, ABBA,
CDC, DCD). 1-2. In quell’età...
ciullo era
il
poeta,
maggiore: Ancora fan-
quando
sorse in lui quel
da quell’ore
me
parea.
tenero sentimento d’amore. Il particolare del capro col quale si misurava spesso, nel suo infantile desiderio di crescere, ci riconduce alla tipica atmosfera arcadica e pastorale. 3. da queir ore: da quel tempo.
La cultura
italiana
nella
Un
di le dissi:
poiché tanto
ed
—
prima metà del Settecento
un
ella
—
—
Io t’amo,
e
779
disse
’l
il
®
core,
lingua non sapea;
la
mi
bacio diemmi, e
Pargoletto, ah
non
Ella d’altri s’accese, altri di io poi giunsi all’età
dicea:
che cosa è amore!
sai
—
lei;
ch’uom s’innamora,
l’età degl’infelici affanni miei.
Glori or
non io
mi
mi
sprezza, io l’amo insin d’allora:
questo
il
«Oh,
parca miglior
TI
commento
è
cari quei suoi smascolinati sonettini, pargoletti piccinini,
La
pieni d’Amorini! »
sfocia
mi
peggiore Zappi, lezioso e smanceroso.
quello del Baretti: tutti
costei,
ricordo di quel bacio ancora.
Sognai sul far delPalba, e
È
mio amor
ricorda del
si
ricerca
di
sentimenti
spontanei,
qui in un deteriore sentimentalismo, svenevole e
Sognai sul far
mi
dell’alba, e
semplici,
primitivi,
falso.
parea
ch’io era trasformato in cagnoletto.
Sognai ch’ai collo un vago laccio avea, e una striscia di neve in 8.
Era
un
in
Glori, di
—
petto.
al
Ninfe in un bel coro eletto: me prendea diletto;
io d’ella, ella di
dicea:
mezzo
ove sedea
praticello,
Seguia:
—
Gorri, Lesbino
—
Dove
ed
io correa.
ove sen gio
lasciasti,
—
Tirsi mio, Tirsi tuo? che fa, che fai?
— Son
Io già latrando e volea dir:
—
io.
M’accolse in grembo, in due pi^di m'alzai, inchinò
il
quando
volea baciarmi, io
suo bel labbro
5'6. e M disse... sapea: Il cuore disse « io t’amo », perché la lingua non avrebbe saputo formulare questa confessione. Pargoletto... amore: C’ è qui un sor-
al
labbro mio:
mi
svegliai.
CDC, DCD). 6.
coro eletto:
9.
Seguia:
scelta
schiera. ^
diceva
poi.
gio;
sen
n è
se
un sospiro. Anche le parole dori hanno una grazia esile e suggestiva.
andato.
anora: Quel bacio avuto da fanciullo non è un ricordo d’amore, ma è il ricordo dclPamore, di una prima esperienza
assunto
fai), stanca quei parallelismi {mio, tuo. fa. « arguzie » secentee svenevole ripresa di
incancellabile.
sche,
riso,
di
e insieme
14. io...
In
10. Tirsi: il
Arcadia,
nome
ricerca
di
di
Tirsi
lo
Zappi
Leucasio.
una semplicità
falsa
nale.
Metro: sonetto (schema:
AB AB, ABBA,
12. in
due
piedi
:
su due zampe.
avevn
Nota
e
ba-
,
Antologia della letteratura italiana
780
Paolo Rolli Insieme col Metastasio, fu
Nato
Roma
a
il
piu dotato fra
i
della
lirici
prima Arcadia.
nel 1687, fu scolaro del Gravina. Visse molti anni (1715-1744)
a Londra, dove fu maestro d’italiano presso la famiglia reale; tornato poi in Italia,
visse gli
ultimi anni a Todi, dove mori nel
traduttore, oltre che poeta originale:
Dante e
diffusero in tutta elegie e
nel
e
ad
altri
le
Fu
critico e
fu celebre, ai suoi
sue canzonette^ che musicate, cantate, imitate,
si
Europa; egli le raccolse, insieme agli endecasillabi alle componimenti, nelle Ritney pubblicate nel 1717 e ancora
*27.
Le
il
ma
Tasso dalle aspre censure del Voltaire,
il
tempi, soprattutto per
1765.
tradusse Milton, Shakespeare, e difese
danno un’imrrkagine viva del suo tempo, che, dice compiacque di vedersi specchiato nel suo vivere quotidiano insieme raggentilito e abbellito quasi in un nitido vetro entro una cornice poesie del Rolli ci
Fubini, «
dorata
».
Si
damine
le
si
muovono
in esse,
come
in
un
agile ritmo festoso di minuetto,
settecentesche, nelle loro acconciature preziose, nella loro grazia
civettuola e delicata, circondate
daU’ammirazione sospirosa dei
cavalieri
con
parrucca e spadino. Intorno a loro gravita tutta una vita gaia ed elegante: i vagheggiamenti, il passeggio lungo il corso e i cocchi doamori e le gioie del convito; oppure il praticello, il giardinetto ben pettinato e i duetti canori della finzione pastorale, anch’essa pervasa
gli
incontri,
rati,
i
teneri
galanteria. Non troviamo, in questa poesia, prosentimento o ardore di passioni: essa è lo specchio di una società raffinata e gaudente, dotata di una sensibilità acuta, ma composta nei gesti e nell’animo, rivolta a un piacere aristocratico, a vagheggiare, di sorridente e maliziosa
fondità di
nelle feste galanti
come
nella finzione pastorale,
un mondo gentile di sogno, di buon gusto.
sempre però moderato da una luce di razionalità e Per
i
testi,
seguiamo: Urici del Seicento e dell’Arcadia, a cura
Solitario bosco
Fu
di C. Calcaterra,
cit.
ombroso
Goethe fanmadre. L’argomento ricalca situazioni petrarchesche (solitudine e fantasie struggenti d’amore, il poeta che morrà di passione, la donna sulla sua tomba: pensa a Chiare, fresche e dolci acque), ma senza quella profondità di introspezione: qui il sentimento si stempera e trova conforto nel tenero, aggraziato languore, come sempre nella poesia àe\V Arcadia. Si direbbe che il motivo centrale sia il vagheggiamento del proprio morbido e sospiroso sentire. forse questa (ed è tuttora) la più celebre canzonetta del Rolli:
ciullo la sentiva cantare dalla
Solitario bosco
ombroso,
a te viene afflitto cor, Metro: canzonetta composta di otto quarLo schema della quartina
tine di ottonari.
è abab\ ni,
il
il
primo
secondo
e
il
il terzo verso sono piaquarto sdruccioli. Ne de-
e
La cultura
nella
italiana
prima metà del Settecento
7H1
per trovar qualche riposo fra
i
silenzi in quest’orror:
ogni oggetto ch’altrui piace,
me
per
più non è:
lieto
ho perduta
mia
la
pace,
son io stesso in odio a me.
La mia dite,
Ahi!
Fille,
il
mio
bel foco,
o piante, è forse qui? la
cerco in ogni loco;
e pur so ch’ella parti.
Quante
volte,
o fronde
grate,
vostr’ombra ne copri!
la
Corso d’ore si beate quantp rapido fuggi! Dite almeno, amiche fronde, se
il
mio ben più rivedrò: mi risponde,
ah! che l’eco
mi par che dica no. Sento un dolce mormorio: un sospir forse sarà; un sospir dell’ idol mio, che mi dice: tornerà. e
Aii!
eh’ è
il
tra quei sassi
il
suon del rio, che frange fresco umor,
non mormora ma piange mio dolor. Ma, se torna, vano e tardo ritorno, oh Dei! sarà;
e
per pietà del
il
ché pietoso su
un ritmo
riva
di
’l
il
dolce sguardo
mio cener
piangerà.
canto tenero e abbando-
vocare l’amata su quello sfondo 12. e
nato.
L’orrore è qui
quest’orror:
in
4.
bosco,
del
Tergersi
delle
immote o mosse dal vento, l’ombra
la
so-
fronde deser-
il
9.
mio
arcadica,
rivano
.
. .
foco
:
È
consueta metafora
donna defiamme amorose che ardono il
per indicare che dalla
le
o piante, ecc.
:
La cosa migliore
poesia è questo lucido vaneggiamento del poeta, il suo colloquio con le cose
della
mute, re,
di
il
trasalire
ruscello
:
All’oblioso
solitario.
illudersi
cuore,
perché lezzo per effondere la,
la
piena dolce c deli-
sentimento. difendevano dai ne- ci. Le fronde li loro coni cocenti del sole, durante
o
14 aggi
del di
cuore ad ogni rumofronda,
che
sembra
.
egni d’amore. 2atia
carezzevole
risoluto?
38. pugnasti: combattesti, gareggiasti. 46-47. vivo... appieno: vivo nel suo cuore e se egli
di lasciarmi...
risoluto.
ella
la
del do-
l’onore de-
concezione
ad accogliere con sim-
decisa a
le voci del
sottometterle
sentimento,
ma
impero della raNon cercano, dun-
all’
gione e della « dignità ». que, i p>ersonaggi una soluzione romantic.a ed eroica, ma stemperano il dramma in elegia, in teneri e dolci sospiri.
Una sola 54-56. Un solo... distrugge: espressione di teneri affetti da parte di Aristea distrugge gli sforzi
per seguire
la
che Mègacle compie
legge dell’ onore.
Antologia della letteratura italiana
7p8
Megacle.
Questo (morir mi
sento),
questo è l’ultimo addio. Aristea.
L’ultimo!
Numi!
Soccorretemi, o
freddo sudor mi bagna
60
parmi
volto; e
il
man m’opprima
ch’una gelida
Ingrato...
pie vacilla:
Il
core!
il
{S’appoggia ad un
Megacle.
Sento che
mancando
meno ne
mio
il
tronco').
valore
Piu che a partir dimoro,
va.
65
son capace.
Ardir. Vado, Aristea: rimanti in pace. Aristea.
Come!
m’abbandoni?
già
È
Megacle. separarsi
una
o cara.
forza,
volta.
E
Aristea.
parti...
E
Megacle.
parto
per non tornar piu mai. (/« atto di partire).
Aristea.
Senti.
Ah,
Dove
no...
vai?
A
Megacle.
spirar,
mio
70
tesoro,
lungi dagli occhi tuoi.
{Megacle parte moro.
Aristea.
Soccorso...
Megacle.
Misero me, che veggo!
io...
risoluto, poi si ferma).
{Sviene sopra un sasso).
Ah,
l’oppresse
bella Aristea,
Megacle
il
dolor!
non
è qui.
Che
parlo? Ella
Che
risolvo?
{Rivolgendosi indietro)
Cara mia speme,
avvilirti;
Non
ascolta
{tornando)
:
partirò. Sarai...
non m’ode. Avete, o stelle, piu sventure per me? No, questa sola mi restava a provar. Chi mi consiglia?
Che
fo? Partir? Sarebbe
Che giova?
crudeltà, tirannia. Restar?
Forse ad esserle sposo?
E
e l’amico tradito, e la
mia
mio
e l’onor
’l
lo soffrirebbe?
re
ingannato,
fede,
Almeno
Ah, che sarem di nuovo a quest’orrido passo! Ora è pietade Tesser crudele. Addio, mia vita; addio. partiam piu
66,
Ardir: Coraggio!
volta a se stesso,
tardi.
L’ esortazione è rimanti: rimani(ti).
77. Avete, o stelle, ecc.
:
ri-
Tipicamente me-
lodrammatico questo ti
culminanti,
ai
l’avverso destino.
rivolgersi, nei
Numi
o
momen-
alle stelle, cioè al-
La cultura
nella
italiana
prima metà del Settecento
prende
{le
la
799
mano
e la bacia)
mia perduta speranza. Il ctel ti renda piu felice di me. Deh! conservate questa bell’opra vostra, eterni Dei; e
di, ch’io
i
Licidal...
perderò, donate a
Dov’è
lei.
Licida! {Verso la scena).
mai.^^
SCENA X Licida e detti Intese
Licida. tutto Aristea?
Megacle.
Tutto. T’affretta, o prence; soccorri
h
tua sposa. {In atto di partire).
Ahimè! che miro!
Licida.
Che
fu?
Megacle. le
{A Megacle) Doglia improvvisa sensi. {Partendo come sopra) i
oppresse
E
Licida.
tu
mi
lasci?
Megacle.
Io vado...
{Tornando indietro) Deh, pensa ad Aristea. {Partendo) (Che dirà mai quando in sé tornerà! {Si ferma) Tutte ho presenti, tutte le smanie sue). Licida, ah! senti.
— —
Se cerca,
se dice:
— — —
L’amico dov’è? L’amico infelice,
rispondi,
—
mori.
Ah! no, SI gran duolo non darle per me :
rispondi,
ma
— Piangendo Che lasciare
loo-iii.
due scene,
parti.
il
suo bene, sempre,
cosi!
{Parte).
In questa arietta, culminano le
stempera in un canto tenero e abbandonato, caratterizzato da quel dolce fluttuare di sentimenti che è proprio del M. migliore. È una situae la loro tensione
si
—
abisso di pene
lasciarlo per
lasciarlo
solo:
zione psicologica che sembra ricercare 1 indefinito della musica come suo naturale compimento. Le ariette venivano cantate, ma questa ha una sua musica intima e auto-
noma anche
se
non viene
rivestita di note.
Antologia della letteratura italiana
8oo
deirArcadia del secondo Settecento
Lirici
Nella seconda metà del Settecento
vando
il
suo carattere
poesia dcH’Arcadia,
la
stilizzato, accoglie
nuove forme
pur conser-
di cultura e di sen-
Mettendo sempre più da parte la finzione pastorale, il gusto dei rivolge soprattutto in due direzioni, quella neoclassica e quella preromantica, a volte più o meno consapevolmente fuse nella stessa persona. L’Arcadia neoclassica prese l’avvio dagli scavi di Ercolano (1738-1765), che avevano messo in luce antiche pitture greco-romane raffinate e leggiadre, non lontane dal gusto settecentesco. Fu questo l’incentivo a concepire l’immagine di un classicismo ornamentale, in cui la mitologia diveniva puro sibilità.
poeti
si
pretesto a figurazioni
soffuse
di
una
limpida grazia, come un pannello deco-
compostezza la vita quomaniera furono le poesie di Ludovico Savioli, nelle quali all’elemento musicale della prima Arcadia si aggiunge il gusto di nitide immagini pittoriche. Questo poeta eserciterà una certa suggestione su un gruppo di lirici emiliani e sullo
rativo inteso a nobilitare in
tidiana delle classi aristocratiche.
luce di elegante
Esempio
tipico di questa
stesso Parini.
Verso un’Arcadia preromantica, più intimamente sentimentale e sognanorienteranno, con modi e sensibilità diverse, Jacopo Vittorelli, Aurelio de’ Giorgi Bertola, Giovanni Meli ed altri. Essi sentirono l’ideale arcadico fuori del cerimoniale raffinato e vagamente malizioso dei primi arcadi, come nostalgia di un vero ritorno alla natura e vagheggiarono la campagna come un rifugio, uno sfondo di natura bella e, insieme, primitiva, dove meglio te,
si
effondere
un
loro
mondo
di sentimenti schietti.
Ludovico Savioli Il
libro più celebre del Savioli, bolognese (1729-1804) fu gli
Amori
(pub-
1758 e, di nuovo, ampliato, nel 1765), un canzoniere amoroso composto di ventiquattro canzonette. In esso il rituale raffinato e mondano della vita elegante del secolo (avventure galanti, i salotti, il teatro, le danze,
blicato nel
il
passeggio, la villeggiatura), messa da parte la finzione pastorale, « prefeun tenue velo di grazie classicheggianti e riflettersi trasfi-
risce avvolgersi in
gurato nella serena gentilezza delle rievocazioni mitologiche » (Sapegno). Anche dove la mitologia manca ne rimane come il sentore: quell’eleganza armoniosa che allontana la scena quotidiana dalla realtà, le dà la forma di
un mito
aristocratico
Un mondo
ed elegante, un senso
di classica compostezza.
poetico tenue, gracile, quello del Savioli,
come puoi vedere
dove la mitologia è, come ha detto il Momigliano, una mitologia per le dame, leggiadra e ridotta a un complimento galante. Ma vedi anche come, nelle fluide quartine, la realtà di un incontro durante il passeggio sfumi in una tenera grazia. dalla poesia che riportiamo,
La cultura
italiana
nella
prima metà del Settecento
passeggio
Il
orma profonda
Già già sentendo all’aurec mano,
correan d’ Apollo
Me
®
passi incerti trassero
i
conduce
Pili
Romolo
alla città di
Dall’una parte
gli arbori
Tal
La
guardi e l’animo,
i
i
l’avvicinar d’un cocchio,
mi
a
“
cupid’occhio.
il
Sui pie’ m’arresto immobile; il
Metro; quartine
non rimati mati
secondo
il
e
il
sdruccioli c
settenari,
di
primo
il
e
piani e
terzo'
il
che s’adornò d’un facile
ri-
dotta
La poesia
si
una nitida immagine mitologica dio che guida glie
suoi
ai
il
:
apre con Apollo, il
carro solare, allenta
cavalli,
i
le bri-
quali corrono
verso
l'oceano. Siamo, cioè, al tramonto. 6.
altrui
donna
cammino:
la
Firenze
Romolo,
e,
È
via
la
che conduce da Bologna verso quindi, verso Roma {la citta di
V. 7).
9-12. Dall’una...
ingombra;
1’
la
le
diffìcile
cupid’ occhio
:
dei
ispiratrice
italiani,
pagine del
suoi libro,
arte.
bramoso
di
vedere
amata. 25-28. Sola... dea: I drappi serici sono i all’ interno del cocchio. Ma
cuscini di seta,
soprattutto osserva come, prima ancora che
poeta rievochi immagini d’ antichi miti, quella figura di donna, con la luminosa bel-
il
strada che altri (la
nel suo cocchio) percorrerà.
Saragozza
versi
che insegnano
quarto {abcb).
Già... oceano:
in
Amori. Maestre chiama 20.
1-4.
e inchi nomi
quel leggiadro viso,
Amor, di tua vittoria come vorrei lagnarmi
densa polvere
la
^
docili cavalli.
conquistator sorriso.
cocchio aureo trapassa,
che per
lucidi
i
cristalli:
Tosto m’appresso
addietro volgere
fece
ampi
l’auriga intende; e posano
quando improvviso scossemi e ratto
^
tolsero
le
bella intanto
percote
maestre carte;
sulle
Adon
denti d’ingorda fera.
scorrea difficil arte,
pascendo
^
Venere
sul suo carro
da poi che
gran padre Ovidio,
tua,
volto amabile,
forse scorrea Citerà,
per lungo tratto ingombra.
La
il
sen parere
l’opposte vesti nere.
devoto portico
l’altra
il
fean pel color contrario
piano suol fann’ombra,
al
bello
piu bello
pellegrino.
il
^
con maestà sedea tal che in quel punto apparvemi men donna assai, che dea.
cammino,
pel noto altrui
che
fervidi
i
all’oceano.
cavalli
lassa.
Sola sui drappi serici
briglie allentar la
e
8oi
Da una
par-
lezza del suo sorriso, assuma spontaneamente l’aspetto
d’una gioiosa divinità,
sia,
cioè,
innalzata oltre la sfera del quotidiano. che con32. 1’ opposte... nere; le vesti nere, trastando col candore del seno e del viso, lo
te della strada
rendevano piu luminoso
chiama devoto).
Venere go33-36. Venere... Citerà, ecc. il deva di speciale culto a Citerà. Adone è cingiovinetto da lei amato e ucciso da un
v’erano alti alberi; dall’altra il lungo porticato che conduce al santuario della Madonna di San Luca (per questo lo 13-14.
La tua...
arte:
Passeggiando,
il
poeta leggeva VArte d’amare {Ars amandi) di Ovidio,
poeta erotico latino, da
lui
tra-
e bello. :
geiosia. ghiale aizzatogli contro da Marte per di ventaglio. 3&. ocrcote; con un colpo
h' auriga è
il
cocchiere.
8o2
Antologia della letteratura italiana
Chi mai dovea
per lor bianchezza
resistere,
potendo, a tue bell’armi?
man
destra
Giove
baci miei
SI
fatte in
dt
®
Caria
Endimion stringea quando dal carro argenteo Diana a lui scendea.
stese.
si
cure pieno,
di
forse
cortese,
che mossa dalle Grazie a’
seno,
il
ove fissando allegrasi
In noi t’accrebbe imperio la
l
Risvegliator di zefiri
ventaglio avea la manca,
e
di
zìi
Quei
vaghi’ occhi
cerulei fi
onde
movea
solea percotere
lenti or rapidi
le
dolci note al core.
Come
arte apparia maestra;
quel ch’a
dell’Anglia
potrei ripetere
me
udir fu dato?
Dal novo foco
COSI le belle addestra.
O
f
scendevano
sei
Ne’ moti or lo Spettator
Amore;
frattanto
rette per lui
lieve la gota bianca.
man, che d’Ebe uguagliano
troppo era
il
insolito
cor turbato. Dai
N(
Giovanni Meli d'i
medico palermitano Giovanni Meli (1740-1815) l’Arcadia non fu elegante, ma intima vocazione. Nelle forme deU’idillio pastorale egli espresse un’autentica nostalgia per una vita semplice, vissuta in serena comunione con la natura. Il Meli accoglieva cosi il nuovo mito del ritorno alla natura e alla schiettezza del sentire che Gian Giacomo Rousseau andava allora diffondendo in Europa, invitando gli uomini a ritrovare una sponPer
il
un giuoco
,sti
ri
F:
taneità e innocenza primordiali.
L’Arcadia diventa dunque nel Meli il rimpianto di una radiosa nezza del mondo, di una. felicità perduta e pur sempre desiderata. Nel
giovidì
silen-
zio e nella pace della campagna l’anima si ritrova, la vita riprende a fluire limpida e armoniosa. Un nuovo empito sentimentale, una tenerezza strug-
un
gente,
libero espandersi d’affetti ravviva^ nella sua poesia, gli stilizzati
paesaggi d’Arcadia:
l’idillio
classico
rifiorisce,
si
anima
di
Quest’abbandono a una natura ritrovata pienamente, nel Meli, con la sua opera di illuminista, di piena e convinta. cultura che, negli
novamento
e nella vita,
scritti
società
della
potendo: anche
se
La
ne fosse stato ca-
che
si
di lui
mano
di
lei,
offerse al bacio del poeta, accrebbe su il
61-68.
dominio
d’ Amore.
O
ecc.
man,
sono paragonate, per di
bella
Ebe (dea
della
:
il
Le mani
della
donna
loro candore, al seno
giovinezza),
fissando
si
armonizza
uomo
cioè
di
e
mediante l’attuazione di una
e sociale.
pace. 49-52. In noi, ecc.:
una adesione
il
lu'
l’ìi
tui
partecipò al diffuso desiderio di rin-
mediante riforme
campo economico
vera giustizia nel
48.
tui
dii
ac(
quale Giove stesso dimentica ogni affanno e a quelle di Diana (dea della luna) quando discendeva dal cocchio lunare, di colore argenteo e le porgeva, nella Caria, al pastore Endimione di cui era innamorata. 71-72. rette... core: per merito d’Amore, le parole della donna scendevano dritte al cuore del poeta.
.
La
cultura italiana nella prima metà del Settecento
Ricordiamo, a questo proposito, fra
suoi
i
803
scritti, le Riflessioni sullo stato
Regno
di Sicilia intorno all agricoltura e alla pastorizia, in cui descrive, con accenti fieramente polemici, la misera vita dei contadini e dei
presente del
pastori siciliani,
®
poemetto incompiuto, in
il
c quello, in dialetto siciliano.
La
Don
italiano. Il trionfo della ragione,
Chisciotti e Sanciu Panza.
Meli è tutta scritta in dialetto siciliano {Buccolica, AnacreonQuesto però non significa che sia popolare neirintonazione e nel linguaggio. È, il suo,-un dialetto assurto a lingua letteraria, nobile e illustre, che unisce in un impasto personale e originalissimo le raffinate suglirica del
tiche e canzunetti).
n
gestioni della poesia e dello stile arcadico
con vivide
e
fresche espressioni
sentimentali.
Dameta
^
canta (Sti silenzi, sta virdura)
schietta e abbandonata alla bellezza della Su questo sfondo l’amore diventa sentimento primitivo e innocente.
Senti in quest'idillio un’adesione
natura.
Non
quella
è,
d’Arcadia,
ma
Meli,
del
l’evasione
nel
gracile
e
mondo
stilizzato
ritrovamento di un’intima comunione con
il
le
letterario
cose.
[u
le
Sti silenzi,
la
muntagni,
10
sti
'a
rha
a-
pri
e
sta virdura,
criatu la natura
li
arrobba
li
suspiri. li
porti
soi
apri tutti a lu dilettu
:
sulu è indigno di sta sorti
cori innamurati.
li
Li susurru di
ci
Ccà l’armuzza
vallati
sti
frunni,
cui
non chiudi amuri
in pettu;
^
I
lamentu,
sulu, è reu cui
l’ecu chi rispunni,
duru e immobili
di lu sciumi lu '
^
l’aria,
ma
tuttu spira sentimentu.
Dda lu
farfalla accussi
muggitu
di
li
lu stissu
pò guardari sta scena;
nun amari
è delittu insemi e pena.
vaga,
Donna
tori,
amuri
bella senza
^
l’innocenza chi vi appaga,
è
na rosa
fatta in eira,
^
tutti
parranu a lu
senza vezzi, senza uduri,
cori.
jj
nun vegeta né spira... Dimmi, forsi fa paura
Stu frischettu insinuanti chiudi
un gruppo
chi
di piaciri,
12
accarizza l’alma amanti
Metro: Quartine di ottonari a rima e
lo
nata {ahab). Riportiamo solo in parte to
di
dopo
alteril
can-
Dameta: omettiamo alcune quartine il
V.
28 e tutta
1
’
ultima parte.
c
li
II.
1-8. I primi 8 versi evocano il paesaggio pervaso d’ un’ intima vita, di una voce, si direbbe, che parla immediatamente al cuore
l’innocenza:
È
la
parola-chiave
componimento: innocenza
è
questa
del
imme-
tura, alle loro gioie semplici e native, quali
r incanto d’
del poeta.
**
a lu cori to severu
della
campagna
e
la
dolcezza
amore. 29.
Dimmi,
ancora ritrosa d’ amore.
ecc.: Si rivolge alla fanciulla, ad abbandonarsi alla gioia
H04
Antologia della letteratura italiana
un afTettu di natura, un amori finu e veru? Ah, mia cara pasturedda,
la
dei giusti ed immortali
11
si
chi
fattu
li
Mugghia
lu celu fa scappar!
strinci a
e
creati la natura
—
il
mormorio
sponde
— tutto
— per
flebile
ispira
i
si
— queste
Questi silenzi, questo verde
sé
so dispettu
l’aria, e a li
^
capanni
l’amatu oggettu
scorda di l’affanni...
montagne, queste
cuori innamorati.
—
Il
—
cime degli alberi
delle
piaciri
di
miseri di la vita.
lu pasturi a
e ch’avviva pri viaggiu
ha
Iddu dona a li suspiri ducizza chiù esquisita,
ed aspergi
bedda l’amuri fussi un mali? È l’amuri un puru raggiu
t’avvirrianu
^
luna, terra e mari.
sull,
vallate
—
li:
l’eco
l’aria,
sentimento (di commozione, d’incanto).
che
ri-
— Quella
— l’innocenza che dà un cuore. — Questa frescura carezzevole — racchiude un insieme piaceri — accarezza l’anima innamorata — — Qua l’anima ruba emettere dolci — solo è (animuccia) suo intimo — apre completamente indegno di questa sorte — chi non chiude nel suo petto amore; — solo è reo chi può guardare — duro e senza commozione questa scena; — ma lo non amare — è insieme delitto pena. — Una donna bella senza amore — una rosa cera — non ha bellezza né protuo fumo — non vegeta né respira. — Dimmi, forse paura — cuore severo — un conforme a natura — un amore profondo vero? — Ah, mia cara pastorella, — dei giusti e immor— t’avrebbero fatto bella — l’amore fosse un male? — È l’amore — e avviva nel loro cammuovere un puro raggio — che — dolcezza mino — luna, terra mare. — Esso dona — Mugghia piu squisita — asperge di piacere — miserie della pastore nella sua capanna — stringe a a suo dispetto — scorda d’ogni affanno. persona amata — e farfalla cosi
—
vaga
senso di pace
—
il
tutti
muggito dei parlano
vi
tori
al
di
e le
i
sospiri (le fa
1
al diletto:
stesso
e
e
è
fatta di
fa
al
affetto cosi
e
gli
se
tali
fa
il
cielo
ai sospiri
e
sole,
e
le
l’aria, e
la
vita.
sé
il
la
si
33-36. Ah... mali:
seguenti,
[
;
sospiri).
il
quartine
I
sussurro delle fronde
Anche
qui,
come
nelle
l’amore è rappresentato
come sentimento naturale e innocente.
e
quindi schietto
'
i
\
L’ Illuminismo
L’Illuminismo europeo
Caratteri
deW Illuminismo. Verso
piena maturazione e
che permeò di
si
la
metà del
diffuse in tutta l’Europa
Settecento, giunse alla sua
un nuovo movimento
spi-
ogni aspetto della vita e della cultura, rilluminismo. La nuova ideologia i cui centri d’irradiazione furono prima Tlnghilterra e i Paesi Bassi, poi la Francia, si sviluppò, a partire dal sec. XVII, dal razionalismo cartesiano e dal nuovo pensiero scientifico, e non rimase limitata alla meditazione di un numero ristretto di filosofi, ma anelò a diffondersi rituale,
se
fra vasti strati della popolazione, a ispirare e dirigere
ad
essere, cioè,
una forza
tare la luce della verità
un moto
reale di trasformazione e di progresso
(donde
la
:
di riforme, volle ripor-
parola Illuminismo) dove prima erano
le
tenebre dell’ignoranza e dell’errore.
Carattere fondamentale deirilluminismo fu la fede assoluta nella ragioncy concepita i
come sempre uguale
tempi, in tutti
i
e immutabile in tutti gli uomini, in tutti
popoli, unico elemento stabile di certezza di là dal variare
epoche e delle opinioni. Essa divenne l’unico criterio di verità, supcogni autorità c a ogni rivelazione. Gli illuministi rinunciarono, infatti, energicamente a ogni problema teologico c metafisico. Tutto ciò che è fuori della nostra esperienza sensibile era, secondo loro, precluso alla nostra conoscenza. Non volevano, quindi, ricercare le ragioni ultime della realtà, ma i modi del suo svolgimento, le leggi che presiedono alla vita del mondo fisico c del mondo morale, della natura delle
riore a
c della storia dell’uomo.
Con
questo loro atteggiamento,
sulla loro mentalità
aveva esercitato
essi il
rivelavano l’influsso profondo che scientifico, da Galileo
nuovo pensiero
soprattutto, formulando la legge della gravitazione unisembrava aver squarciato le tenebre da cui l’uomo era stato fino a quel momento avvolto « per rivelare la norma universale e immutabile, da cui sono rette tutte le cose, senza eccezione, nella terra c nei cicli » (Chabod). Il grande ideale illuministico era ora quello di trasportare il metodo matematico c scientifico in tutti i campi dello scibile, compreso lo studio dell’uomo c della sua vita. al
Newton. Questi
versale,
Antologia della letteratura italiana
So6
È
evidente, neiriUuminismo,
trabile,
ad
es.,
la letteratura),
una
tendenza materialistica, risconcome vedremo, anche
forte
nel Sensismo (una filosofìa che interessa,
che riduceva a un vario aggregarsi di sensazioni tutta
È
spirituale dell’uomo.
chiaro,
comunque, che
il
la vita
rifiuto della metafisica e di
ogni rivelazione, Tesaltazione assoluta della ragione individuale e della filosofia dovevano necessariamente condurre gli illuministi a una lotta a fondo contro
la
Chiesa, che essi affrontarono con violenza, accusando la religione di
fanatismo, irrazionalismo, superstizione. Al piu, essi accettavano una religione naturale,
conforme a ragione, che prese il nome Dio con l’ordine supremo della natura.
di
Deismo^ e tendeva a
identificare
Allo stesso
modo
vollero fondare criticamente
un
« diritto naturale »,
una
« morale naturale », conformi, cioè, alla vera natura dell’uomo e capaci di assicurargli l’utile e la felicità, stabilendo su nuove basi le forme di convi-
venza umana.
È
proprio qui che Tllluminismo assunse
e rivoluzionario. Esso
accorse che
si
le
il
suo tipico carattere riformistico
leggi e le istituzioni tradizionali, che
pure erano opera dell’uomo, non gli assicuravano la felicità, ma garantivano i privilegi ingiusti di pochi (re, nobili, clero) e la schiavitù, la miseria, l’ignoranza del popolo. Nacque allora un serrato processo al passato, alla storia, vista come un susseguirsi di errori, di violenze, di oppressione. Alcuni
uomini o
classi,
superstizione,
il
lasciando
il
popolo nell’ignoranza, diffondendo in esso avevano fondato
terrore dell’inferno e della loro potenza,
presente, tirannica disuguaglianza sociale.
dunque, di portare
Compito
la luce, criticando principi
la
la
della ragione era quello,
e istituzioni, diffondendo la
cultura e la verità, si che tutti gli uomini comprendessero che, per natura, erano uguali (in quanto partecipi tutti della ragione) e quindi liberi. « Libertà, uguaglianza, fraternità » è appunto il motto della Rivoluzione Francese che si apre con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Aspetto essenziale della cultura illuministica fu il suo carattere pratico e divulgativo, intimamente connesso alla fede che la diffusione dei lumi, cioè della verità fra masse il più possibile vaste, potesse avere una funzione
Tramontano
liberatrice nella società.
cosi la figura del filosofo e dello scien-
rigorosamente chiusi nella loro specializzazione e nel loro difficile linguaggio tecnico, ma anche quella del letterato umbratile e cortigiano,
ziato
volto a coltivare
una poesia che rappresentasse un’elegante evasione
fanta-
passatempo raffinato di una società aristocratica. La nuova letteratura è chiamata a combattere la comune battaglia per la diffusione del vero, per il suo trionfo fra gli uomini. stica,
lontana dai problemi vivi della realtà e fosse
Di
là,
infatti, dalla
presente battaglia contro
il
il
fanatismo,
il
pregiudizio
e l’errore, gli illuministi intravedevano una nuova aurora radiosa: della libertà e dell’uguaglianza avrebbe ricondotto
gli
secondo natura, cioè secondo ragione, e quindi alla vera fraternità che avrebbe accomunato i popoli, cosi come ora del vero già affratellava gli scrittori,
Ogni uomo sarebbe
cosi
i
filosofi,
i
felicità il
trionfo
le
vita
e a una
comune
pensatori di tutte
divenuto cittadino del mondo.
il
uomini a una
culto
nazioni.
L' Illuminismo
807
Illuministi inglesi e francesi I
primi fautori della nuova ideologia sorsero in Inghilterra. Giovanni col suo Saggio sull'intelletto untano^ diede inizio alla
Locke (1632-1704), empirica
visione
e
decisamente
concreta,
antiteologica
dell’animo umano, che verrà poi sviluppata dai Inoltre, nel il
Saggio del governo
civile
affermò
e
antimetafìsica,
Sensismo.
filosofi francesi del
il
diritto dei sudditi a limitare
potere sovrano. L’ideale di
una vasta diffusione
diede vita a numerosi giornali
della cultura c di
una
libera discussione
giornale comincia ora ad
assumere la grande importanza che ha nei nostri tempi), come lo Spectator di Addison, e il Rambler di Johnson. Un altro grande mito illuministico ispira il Robinson Crusoe di Daniele Defoe (1660-1731): quello di una primitiva felicità e innocenza dell’uomo, quando viveva in uno stato di natura, non corrotto dalle (il
false sovrastrutture sociali.
La Francia riprende un piu vivace Europa.
Fra
spunti e temi di pensiero dall’Inghilterra, dà loro
spirito* polemico e divulgativo,
illuministi
gli
francesi
una piu ampia
diffusione in
ricordiamo innanzitutto
il
Voltaire
(1694-1778), filosofo, storico, critico, poeta, la cui vita e la cui opera furono
una continua
battaglia contro ogni
nuovi principi. Fra sofico,
il
i
forma d’intolleranza per
suoi numerosissimi scritti ricordiamo
Trattato della tolleranza, Candido,
Il
il
il
trionfo dei
Dizionario
Secolo di Luigi
filo-
XIV. Im-
portantissima fu pure l’opera del Montesquieu, autore delle Lettere persiane satira delle istituzioni europee contenuta nelle immaginarie lettere di due immaginari persiani) e dello Spirito delle leggi, dove pone i fondamenti di un diritto naturale e conforme a ragione. Molti altri sarebbero da citare:
(una
basti però qui accennare a\V Enciclopedia,
pubblicata fra
il
1751 e
il
1772,
matematico Giovanni D’Alembert. Essa fu un grande repertorio ragionato, scritto in form^ di dizionario enciclopedico, di tutto lo scibile, riveduto criticamente secondo i nuovi principi. sotto la direzione dello scrittore Dionigi Diderot e del
’
Illuminismo Tendenze
e
preromanticismo
antilluministiche.
ma non
LTlluminismo è
l’aspetto piu
importante e
Quasi subito, al razionalismo e al materialismo trionfanti, si contrappongono correnti di sensibilità malinconica, che rivelano un senso di insofferenza, di sfiducia e di inappagamento nei conpiu vivo,
il
solo del Settecento.
fronti del « paradiso » della ragione.
Vi
indubbiamente, qualcosa di astratto e di limitato nelle teorie La natura, concepita come un meccanismo che segue leggi inesorabili, assorbiva in sé anche lo spirito umano, non veduto nella sua era,
illuministiche.
spontanea creatività, ma assoggettato anch’esso a un meccanismo di sensazioni, che avevano lo stesso carattere di necessità delle leggi di natura. libera e
La rinuncia
a
ogni metafisica non consentiva,
inoltre,
all’uomo di dare unn
Antologia della letteratura italiana
8o8
risposta a certi suoi essenziali interrogativi sul perché della sua vita c del
suo destino. Infine, riducendo l’anima
alla
sola
razionalità, gli
illuministi
mostravano un’eccessiva incomprensione di altre forme della vita spirituale (il sentimento, la fantasia, ccc.) che non minore importanza hanno nella nostra esistenza. Razionalizzando astrattamente ogni cosa, si perdeva di vista la complessità dell’uomo, della sua vita intima e della sua
storia,
si
giungeva a un livellamento negatore della personalità individuale. Colui che più potentemente espresse nella vita e nell’opera questa crisi dei valori illuministici fu il ginevrino Gian Giacomo Rousseau (1712-1778) che fu, contemporaneamente, uno dei più importanti collaboratori della Enciclopedia e autore del Contratto sociale^ nel quale, illuministicamente, sosteneva l’origine contrattualistica dello stato.
Anch’egli esalta
natura e pone Vio
la
umano
al
centro dell’universo.
Ma
per lui natura significa non più ragione^ bensì sentimento', in quest’ultimo
vede
egli
il
ma
carattere distintivo della personalità.
Non
—
considera
—
la
scienza
peggior male (« l’uomo che medita scrive è un animale depravato »); e ritiene che l’uomo possa conseguire la felicità non potenziando la ragione, ma abbandonandosi ai propri impulsi primitivi e istintivi. Tor-
un bene,
nare
il
alla natura, cioè a
uno
bontà e innocenza, alla sponsuo sogno: una mitica età nell’abbandono alle forze irrazionali,
stato primitivo di
taneità sorgiva del proprio sentire, questo è dell’oro ritrovata nella libertà
non
in Arcadia,
da ogni costrizione
Rousseau diveniva in sue Confessioni esaltava
tal
ma
il
sociale.
modo uno
dei padri del Romanticismo. Nelle
propria individualità eccezionale e irripetibile,
la
con un abbandono senza pudori; neWEmilio^ nella Nuova Eloisa esaltava sentimento, la passione, la libera creatività individuale. Nelle Fantasie d’un
il
un senso nuovo della natura, vergine e primipuò effondere liberamente il proprio sentimento d’intima comunione con lei.
viandante solitario esprimeva tiva,
in
nel cui seno l’uomo
una
sorta
Illuminismo e preromanticismo, Voltaire e Rousseau, sono due aspetti opposti e tuttavia concomitanti della seconda metà del Settecento, compresenti, spesso, nello stesso scrittore. Ad essi corrispondono, neH’ambito letterario, due modi diversi di concezione e di stile. In Voltaire abbiamo la frase breve, secca, nervosa,
ma
precisa, incisiva, carica di
un appassionato
e
pur chiaro fervore intellettuale; in Rousseau un periodare ampio, effusivo, musicalmente cadenzato, rivolto non tanto a provocare l’assenso dell’intelletto, quanto « ad affascinare la sensibilità, trasportando lo spirito in un’atmosfera indefinita di malinconia e di sogno » (Puppo).
L’Illuminismo italiano Caratteri generali. la
letteratura italiane
idee illuministiche.
gno dire
I
A
partire dalla seconda metà del Settecento, la cultura c furono intimamente rinnovate dalla diffusione delle
nostri scrittori più importanti sentirono infatti
il
il
biso-
con la cultura europea, di continuare e approfonmovimento iniziato timidamente dall’Arcadia; compresero che solo
di riprendere contatto
Ullluminismo
809
inserendosi nel circolo della nuova storia europea levarsi e partecipare al progresso
e
l’Italia
avrebbe potuto
risol-
alla civiltà.
Illuminismo significò da noi, in letteratura, soprattutto reazione al vuoto accademismo, al culto retorico di una tradizione un tempo gloriosa ma ormai isterilita; significò ricerca di cose, non pid soltanto di parole ornate, di una letteratura piu seriamente legata alla realtà. Non ci si deve stupire se, nel fervore polemico, i nuovi scrittori polemizzarono aspramente con la Arcadia, che pure aveva espresso l’esigenza di un rinnovamento. Combattendo contro di essa, gli Illuministi intendevano opporsi soprattutto alle pastorellerie, a una poesia d’evasione che si risolveva in forme frivole, lon-
nuovo
tane dal
ideale di
una
letteratura fondata su
un
serio
impegno
spiri-
tuale, morale, civile.
L’Illuminismo, da noi, non assunse, comunque, il tono accesamente polemico e rivoluzionario che ebbe in Francia. Senz’altro meno aspra fu la
polemica contro
la
Chiesa, attaccata solamente sul piano politico e giuridico,
dei suoi rapjporti, cioè, con lo stato, scrittori
a le
le
e
non su quello
religioso.
collaborarono prevalentemente coi sovrani « illuminati
un programma moderato giuridiche e
strutture
di riforme riguardanti l’agricoltura, sociali.
Anche
nel
il
I
nostri
aderendo commercio,
»,
campo puramente
letterario
correnti piu spinte di pensiero e di sensibilità vennero moderate e conci-
liate col scntimóito religioso e col culto della tradizione classica. Il classicismo continuò ad operare potentemente nella nostra letteratura, anche perché le esigenze da esso affermate di ordine, equilibrio e chiarezza espressiva
non discordavano 7
nuovi
dalla
nuova cultura razionalistica. Non è sempre facile, distinguere,
scrittori italiani.
nella nostra
letteratura illuministica, gli intellettuali piu seri dai mestieranti, dato che,
come sempre anche
la
avviene, accanto a
moda
nei caffè,
delle
sulle
il
un
autentico travaglio di pensiero, ci fu
idee, dibattute spesso, per snobismo, nei salotti,
gazzette. Giornalisti e poligrafi contribuirono,
una rinnovata atmosfera
comunque,
Fra questi ultimi veneziano Francesco Algarotti (1712-1764), dapprima letterato
anch’essi a costituire
ricordiamo
nuove
culturale.
di stretta osservanza arcadica, poi viaggiatore in Francia, Inghilterra, Russia,
Germania, infine divulgatore, brillante ma poco profondo, delle idee nuove. Fra le sue numerosissime scritture di vario argomento (lettere, poemi, saggi, dialoghi) ricordiamo il Newtonianismo per le dame, garbata opera di divulgazione scientifica, i Viaggi di Russia, descrizione arguta e spregiudicata di costume, le Lettere scientifiche ed erudite.
Anche la poesia collaborò alla divulgazione scientifica; numerosissimi furono i poemetti didascalici, scritti in gran parte in endecasillabi sciolti: basti qui ricordare Vlnvito a Lesbia Cidonia, nel quale Lorenzo Mascheroni (1750-1800) fingeva di guidare un’aristocratica signora a visitare l’orto botanico e i musei dell’università di Pavia. Spirito acuto e profondo e scrittore vivace fu
Ferdinando Galiani (1728-87)
di Chieti, che discusse criticamente l’ideologia illuministica, richiamandosi agli aspetti più importanti del pensiero della nostra tradizione.
nanza in Europa ebbero due suoi Dialo gues sur
le
commerce des
trattati di
hlés.
economia,
il
Vasta
riso-
Della moneta e
i
Antologia della letteratura italiana
Hio
Le nuove
idee s*afTermarono soprattutto a Napoli e a Milano, dove piu
decisa fu anche la politica di riforme seguita dai rispettivi governi. Impor-
tanza minore ebbero Torino e Firenze, che pure furono anch’essi centri cospicui di discussioni culturali, mentre Venezia, se pure continuò la sua
non partecipò
tradizione liberale nei confronti della diffusione delle idee, in
modo veramente
attivo al
illuministi napoletani ebbero
movimento. Gli
speculativo, un entusiasmo fervido ma un po’ anche con maggior impegno di collegarc le nuove tradizione italiana del pensiero. Quelli lombardi ebbero atteggia-
un atteggiamento nobilmente utopistico, e tentarono
idee alla
menti più
liberi
soprattutto
uno
mente
alle
e
spregiudicati nei confronti
della
nostra tradizione,
ma
più concreto, pratico e fattivo c collaborarono attivaesperienze di governo « illuminato », cioè alle riforme promosse spirito
dagli Austriaci.
Fra grilluministi napoletani esercitò una sorta di ideale e pratico magisugli altri l’abate Antonio Genovesi (1713-1769), autore di opere filosofiche ed economiche {Meditazioni sulla Religione e sulla Morale; Diceosina; Lezioni di commercio). Ricordiamo inoltre Gaetano Filangieri, autore dt\\2i Scienza dèlia legislazione^ Mario Pagano (1748-1799), autore, fra l’altro, stero
Del civile corso delle naPagano e il Russo furono fra ’9p, creata quando le armate
di un’opera in cui è evidente l’influsso vichiano. zioni,
Vincenzo Russo, Melchiorre
Delfico.
Il
animatori della Repubblica Partenopea del
gli
della Francia rivoluzionaria scesero in Italia, e
morirono da
eroi, giustiziati
dai Borboni.
Animatore del gruppo milanese fu il conte Pietro Verri, fondatore della Pugni » (1761), un’accademia dove si commentavano e discutevano le opere degli Illuministi inglesi e francesi, e del giornale II Caffè (1764-66), che affrontava argomenti letterari, economici, scientifici, con spi« Società dei
polemico e spregiudicato. Attorno a questo giornale gravitano
rito
i
Illuministi lombardi, Alessandro Verri, Cesare Beccaria, autore del
volumetto Dei
delitti e delle
pene, Giuseppe Colpani, l’istriano
migliori
famoso
Gian Rinaldo
Carli.
L’Illuminismo porta con sé anche una nuova dall’empirismo inglese e soprattutto dalla filosensistica del Condillac, che a lungo soggiornò in Italia, in qualità di
L’estetica
concezione sofia
del sensismo.
dell’arte, derivata
ministro alla corte di Parma. L’estetica del sensismo vide anche nell’arte e nella poesia un fatto strettamente legato all’esperienza sensibile, un mezzo per produrre sensazioni piacevoli. In sé e per sé, questa dottrina rischiava di abbassare l’arte al livello di
un
qualsiasi piacere materiale;
ma
i
Verri a Cesare Beccaria a Mario Pagano,
migliori teorici italiani, da Pietro si
sforzarono di definire
tere specifico del piacere estetico, distinguendolo dalle sensibilità,
affermando, ad
quali la noia,
il
es.,
che esso
ci libera
forme
il
inferiori
carat-
della
dai dolori confusi e indistinti,
tedio, la malinconia, e serve a
della nostra esistenza. Tuttavia, per questi teorici, sisteva tanto nell’indagare l’essenza della poesia,
darci il
un senso più pieno
vero problema non con-
quanto nel definirne
l’uti-
conseguentemente, propugnarono una poesia che rigettasse l’immaginazione astratta, le regole aride, gli schemi letterari con-
lità
e
il
significato. Essi,
L’Illuminismo rinnovasse
e
sunti
mondo
8ii
il
proprio
ritornando
contenuto,
all’osservazione
del
delle cose, dcirespcrienza, a un’analisi psicologica più ricca e varia.
avvennero in due direzioni, eppure spesso concomitanti. Da un lato essa rianimò l’ormai esangue classicismo arcadico, immettendovi l’esigenza di un contenuto più attuale, e, al tempo stesso, riconfermandone le leggi di ordine, armonia, evidenza e I
successivi sviluppi dell’estetica sensistica
diverse,
concretezza di rappresentazione, proprio per consentire alla poesia
un
influsso
più deciso sulla sensibilità del lettore. D’altro lato, col richiamo al senso interno, al senso esaltare a il
un
gusto in
della
all’interiorità
vita,
trasporto, l’entusiasmo,
il
e
attualità
del
sentire,
ad
fino
furore », la nuova estetica orientava
il
senso ormai chiaramente preromantico. Classicismo e razio-
nalismo, sensismo e preromanticismo s’intrecciano in maniera complessa in
quasi tutta
Cesare Beccaria
Il
seconda metà del Settecento.
la letteratura della
marchese
m
C esare
nomista, autore, fra
Beccaria, milanese
l’altro,
fu soprattutto
degli Elementi di
lezioni tenute alla Scuola Palatina di Milano,
come
rari,
economia
ma
un
eco-
politica, frutto delle
ebbe anche interessi
lette-
attestano le Ricerche sulla natura dello Stile, ispirate all’estetica
sensistica.
La sua opera più importante,
liano, è
saggio Dei delitti e delle pene^ che ebbe immediata diffusione e
il
rinomanza
il
in tutta Europa, e, soprattutto,
capolavoro deU’Illuminismo
grande
ita-
efficacia pratica.
L’opera affronta il problema della legislazione criminale con una modernità COSI risoluta, che apparve subito, com’era in effetti, violentemente rivoluzionaria. tortura,
Il
Beccaria afferma che
ancora usata,
ai
suoi
pena di morte è inuti le, assurda
la
tempi^
negli
la
come procedura
interrogatori
pene debbono essere miti, non intese a straziare il reo, con la minor crudeltà possibile, gli altri dal compiere gli stessi delitti. Egli rigetta il concetto della pena come vendetta (residuo della barbarie germanica medioevale) o come espiazione e purgazione del reo (secondo la sensibilità cristiana propria della teocrazia medioevale), ponennormale, e che
ma
le
a distogliere,
dosi COSI risolutamente contro tutta la giurisprudenza tradizionale. Pone, poi,
una netta distinzione lasciata
a Dio, e che,
delitto, c he
l
fra
il
cioè
da
la
punizione del quale deve essere
la morale e da un puntò di
interessa
a società deve cohSlderafé
giuri dico, applicando le leggi I
peccato,
comunque,
lei stabilite
e uguali
la
Di qui
libera associazione di individui, rivolta a
un
e
il
strettamente
pei^ tutti.
principi del Beccaria sono ispirati all’idea dello stato
come
religione,
vista
come
contratto,
fine di utilità
comune.
pena di morte e la sua illegalità, dato ch e nessuno, nelroriginario contratto sociale, può a^re affidati alla so cietà il diritt o di ucciderlo rMa di là da questo rigoroso utilitarismo, che si esprime attraverso deduzioni rigide e quasi matematiche, l’intima ispirazione dell’opera è morale e umanitaria. «Non vi è libertà afferma il Beccaria ogni qual volta le leggi permettono che, in alcuni eventi, r uomo ce ssi di egli
de duce
l’inutilità della
—
—
Antologia della letteratura italiana
8i2
es sere persona e diventi cosa »; in queste parole che afiFermano rinviolabilità, la sa ntità della
persona
uman a,
va ricercata l’ispirazione profonda dell’autore.
In questa nobilissima concezione, un giurislà moderno, Pietro Calamandrei, vede, giustamente, il più autentico titolo di gloria del Beccaria. « Solo
coirilluminismo
—
egli
afferma
—
lismo irreligioso, doveva affermarsi ..
nonostante
come una
uguaglianza umana e di solidarietà Cristianesimo alla civiltà Per
il
sociale,
la
sua apparenza di raziona-
religione laica questo senso di
che è l’immenso dono
fatto dal
».
seguiamo: Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, a cura di F. VenMilano-Napoli, 1956.
testo,
turi, Ricciardi,
Errori nella misura delle pene
Li-unica
«-fa. oriie
^
yì-
*' ' v>
cKchi d’un indifferente* esa minatore dei
veri
rapporti fra
uomini
c
U
primi sono rapporti d’ugnaglip ny^^TT •Jl sola necessi tà ha fatto nascere dall urto delle passioni e dalle opposi-
uomini, e tra uomini e Dio.
zioni degli interessi l'idea della
uman a;
giusti zia
l«//7//à
co
04t
m unej^
è la base dell^^
j
secondi sono rapporti di dif^nden za da
i
perfetto c creatore, che
è nserbato a sé solo
si
un Essere
diritto di essere Ic-
il
,^^slatore e giudice nel medesimo tempo, perché egli solo può esserlo ha stabUto pene eterne a chi disobbedisc e alla senza inconveniente.
^
sarà /l^m^toj che
qual
onnipotenza,
sua
oserà
che vorrà vendicare ì’esséfeche basta a
giustizia,
supplire se stesso
alla
divina
fT^a gravez za
de l pecca t o dipende dalla imperscrutabile malizia del cuorèTTOuesta da non può senza rivelazione sapersi. Come dunque da questa
esseri finiti
si prenderà norma per punire i delitti.'* Potrebbono in questo caso gli uomini punire quando Iddio perdona, e perdonare quando Iddio punisce. Se gli uomini jX)ssono essere in contraddizione coll’Onnipossente
nell’offenderlo, possono
y*imvmà ^/ («f
anche esserlo col punire mìa. 1viepk»t«