47 poesie 8804423900, 9788804423904


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47 poesie
 8804423900, 9788804423904

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ACHMATOV

47 PAESI

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ANNA

ByCOPI DIO) AZSHMATOVA

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I MITI

Poesia

Montale, 41 poesie Hikmet, 34 poesie d'amore Bukowski, 23 poesie Saffo Dickinson, 51 poesie Ungaretti, 37 poesze Hesse, 52 poesie

Machado, 26 poesie Kavafis, 53 poesie Leopardi, 17 poesie Whitman, O Capitano! Mio Capitano! — 19 poesie Majakovskij, 18 canti di libertà E.L. Masters, Spoon River — 56 poeste Quasimodo, 53 poesie Saba, 39 poesie Borges, 46 poesie Kerouac, San Francisco Blues — 71 poesie Neruda, Città, città di fuoco, resisti — 24 poesie

Lirici greci Bellezza, 40 poesie

Rimbaud, La stella piange — Poesie e prose liriche D'Annunzio, 27 poesie

Pessoa, L'enigma e le maschere — 44 poesie Achmatova, 47 poeste

Anna Achmatova

(pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko) è una delle voci più importanti della poesia russa del Novecento. Nata a Odessa nel 1889, è morta a Mosca nel 1966. Nel 1934 Gumilev, suo primo marito, viene fucilato per attività controrivoluzionaria

e molti dei suoi amici poeti finiscono nei gulag staliniani. Nel 1938 il suo unico figlio, Lev, viene imprigionato in attesa di condanna a morte. Ogni mattina, per diciassette mesi, la Acbmatova si reca davanti al carcere per avere sue notizie. Il poemetto Requiem nasce da questa tragica esperienza, condivisa con altre centinaia di madri. La sua poesia,

dapprima intima e sentimentale, si fa espressione di un intero popolo sofferente. Il regime ostacolò la pubblicazione dei suoi testi,

che vennero bollati di pessimismo nevrotico e di erotismo malato. Unica, tra i poeti della sua generazione, ad aver vissuto così a lungo, la Achmatova rappresenta la memoria e la sopravvivenza dello spirito della grande terra-madre russa.

ANNA ACHMATOVA

47 POESIE TRADUZIONE DI MICHELE COLUCCI E CARLO RICCIO

ARNOLDO MONDADORI EDITORE

Le traduzioni delle poesie da p. 7 a p. 40 e di p. 47 sono di Michele Colucci; le traduzioni delle poesie da p. 41 a p. 45 e da p. 48 a p. 66 sono di Carlo Riccio. © 1966 e 1992 Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino I edizione I Miti Poesia novembre 1996

Edizione su licenza

ISBN 88-04-42390-0 Questo volume è stato stampato presso Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Stabilimento Nuova Stampa - Cles (TN)

Stampato in Italia - Printed in Italy

Strinsi le mani sotto il velo oscuro...

«Perché oggi sei pallida?» Perché d’agra tristezza l’ho abbeverato fino ad ubriacarlo.

Come dimenticare? Uscì vacillando, sulla bocca una smorfia di dolore...

Corsi senza sfiorare la ringhiera, corsi dietro di lui fino al portone. Soffocando, gridai: «È stato tutto uno scherzo. Muoio se te ne vai». Lui sorrise calmo, crudele e mi disse: «Non startene al vento». 1911

Ho appreso a vivere semplice e saggia,

a guardare il cielo, a pregare Iddio, e a vagare a lungo innanzi sera, per fiaccare un’inutile angosce! Quando nel fosso freme la lappola e il sorbo giallo-rosso piega i grappoli, compongo versi colmi di allegria sulla vita caduca, caduca e bellissima Ritorno. Un gatto piumoso mi lecca il palmo, fa le fusa più amoroso,

e un fuoco vivido divampa al lago sulla torretta della segheria.

Solo di rado un grido di cicogna, volata fino al tetto, squarcia il silenzio E se tu busserai alla mia porta, mi sembra, non sentirò nemmeno. 1912

Mi perdonerai questi giorni di novembre? Sui canali della Nevà tremolano le luci. Poveri addobbi di un tragico autunno. Novembre 1913

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RISPOSTA

a Vasilij Alekseeviò Komarovskij

Quali strane parole mi ha portato la serena giornata di aprile. Lo sai, dentro di me era ancora viva l’orrenda settimana di passione. Non ascoltavo i suoni che fluivano per il limpido azzurro. Echeggiò sette giorni: ora un riso di bronzi, ora un pianto argentino.

Ed io, coprendomi il viso, quasi per un eterno abbandono, giacevo ed attendevo quella cosa che ancora non si chiamava tormento. Carskoe Selo, 1914

10

Translucido vetro di cieli deserti,

mole bianca della grande prigione, solenne canto di una processione lungo il Vélchov, luminoso di azzurro.

Il vento di settembre defolia una betulla, ulula e turbina fra i rami, e la città ricorda il suo destino:

qui regnò Marfa, qui regnò Arakééev. Novgorod, 1914

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Non è il tuo amore che domando. Si trova adesso in luogo conveniente. Stanne pur certo, lettere gelose non scriverò alla tua fidanzata. Però accetta dei saggi consigli: dalle da leggere i miei versi,

dalle da custodire i miei ritratti, sono così cortesi i fidanzati! e conta più per queste scioccherelle assaporare a fondo una vittoria che luminose parole di amicizia, e il ricordo dei primi, dolci giorni... Ma allorché con la diletta amica avrai vissuto spiccioli di gioia e all'anima già sazia d'improvviso tutto parrà un peso,

non accostarti alla mia notte trionfale. Non ti conosco. E in cosa potrei esserti di aiuto? Dalla felicità io non guarisco. 1914

12

Fosti la mia beata culla,

cupa città sul fiume minaccioso, e il maestoso letto nuziale su cui libravano corone i tuoi giovani serafini, città amata di un amore amaro. Tu, severa, tranquilla, brumosa,

eri il soglio delle mie preghiere, qui per primo comparve l’amato a mostrarmi una via luminosa, e qui la mia Musa dolorosa mi conduceva, come una cieca. 1914

13

Né mistero né dolore, né volontà sapiente del destino: sempre quell’incontrarci ci lasciava l'impressione di una lotta.

Ed io, indovinato dal mattino l’attimo del tuo arrivo,

percepivo nei palmi socchiusi il morso leggero di un tremito. Con dita arse gualcivo la variopinta tovaglia del tavolo... capivo fin da allora quanto è angusta questa terra. 1914 o 1915

14

a Nikolaj Vladimiroviè Nedobrovo

C'è nel contatto umano un limite fatale, non lo varca né amore né passione,

pur se in muto spavento si fondono le labbra e il cuore si dilacera d'amore. Perfino l'amicizia vi è impotente,

e anni d’alta, fiammeggiante gioia, quando libera è l’anima ed estranea allo struggersi lento del piacere. Chi cerca di raggiungerlo è folle, se lo tocca soffre una sorda pena... ora hai compreso perché il mio cuore non batte sotto la tua mano. 1915

15

Tutto me lo prometteva: la curva del cielo, velata e scarlatta,

un dolce sogno fatto a Natale, il vento di Pasqua dai mille suoni, e i rossi tralci di vite, e le cascate dei parchi,

e le due grandi libellule ferme sul recinto di ghisa rugginosa.

Ed io non potevo non credere che mi sarebbe stato amico,

quando salivo su erte montane per un ardente, sassoso sentiero. 1916

16

IN MEMORIA DEL 19 LUGLIO 1914

Invecchiammo di cent'anni, e accadde nel corso di un’ora sola:

la breve estate volgeva alla fine, fumava il corpo delle piane arate.

Di colpo la-quieta via si animò, volò un pianto, col suo suono argenteo... coprendo il volto, io supplicavo Dio di annientarmi prima del primo scontro.

Dalla memoria, come un peso vano, dileguò l’ombra di canti e passioni. Già deserta, l’Altissimo le impose

di farsi libro orrendo che annuncia l’uragano. 1916

17

Ah, tu pensavi che anch'io fossi una che si possa dimenticare e che si butti, pregando e piangendo, sotto gli zoccoli di un baio. O prenda a chiedere alle maghe radichette nell’acqua incantata, e ti invii il regalo terribile di un fazzoletto odoroso e fatale. Sii maledetto. Non sfiorerò con gemiti o sguardi l’anima dannata, ma ti giuro sul paradiso, sull’icona miracolosa e sull’ebbrezza delle nostre notti ardenti: mai più tornerò da te. 1921

18

Quando in un’ansia suicida

attendeva il popolo gli ospiti tedeschi, e lo spirito severo di Bisanzio si involava dalla Chiesa russa,

una voce mi giunse. Suadente mi chiamava, diceva: «Vieni qua,

lascia il paese sordo e peccatore, lascia la Russia per sempre. Io netterò dal sangue le tue mani, estirperò la nera onta dal cuore, coprirò con un nuovo nome

il dolore di sconfitte e offese». Ma calma e indifferente,

io mi tappai le orecchie con le mani, perché l’indegno discorso non profanasse l’anima dolente. 1917

19

a Natal’ja Rykove

Tutto fu depredato, tradito, venduto, nera balenava l’ala della morte, tutto fu consumato da un’ansia famelica,

perché allora siamo sereni? Aromi di visciole attorno alla città spande di giorno un bosco incredibile, splende con nuove stelle di notte l’abisso dei cieli diafani di luglio, ed a sudice case in rovina si avvicina talmente il prodigio... che nessuno, nessuno conosce ma che abbiamo bramato per un secolo. 1921

20

Non sarai più tra i vivi,

non t’alzerai dalla neve. Ventotto colpi di baionetta, cinque di fucile. Ah, l’amara veste nuova

che all’amico cucivo. Ghiotta è la terra russa, ghiotta di sangue fresco. 1921

21

A MOLTI

Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato, il riflesso del vostro volto,

i vani palpiti di vane ali... fa lo stesso, sino alla fine io sto con voi.

Ecco perché amate così cùpidi me, nel mio peccato e nel mio male,

perché affidaste a me ciecamente il migliore dei vostri figli; perché nemmeno chiedeste di lui, mai, e la mia casa vuota per sempre

velaste di fumose lodi. E dicono: non ci si può fondere più strettamente, non si può amare più perdutamente...

Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo, come vuole la carne separarsi dall'anima, così io adesso voglio essere scordata. 1922

LA MOGLIE DI LOT Ora la moglie di Lot si voltò indietro a guardare e diventò una colonna di sale. Genesi, 19, 26.

E andava il giusto dietro il messo di Dio, enorme e radioso, sulla nera montagna, ma sonora parlava l’angoscia alla moglie: «Non è troppo tardi, puoi ancora scorgere le rosse torri della tua Sodoma natia,

la piazza ove cantavi, la corte ove filavi, le finestre vuote dell’alta dimora,

dove al caro marito partorivi i figli». Si volse, e serrati da una stretta mortale, non poterono i suoi occhi più guardare;

di sale si fece il corpo diafano, si strinsero alla terra gli agili piedi. Chi vorrà piangere questa donna? Non sembra forse la più lieve delle perdite? Il mio cuore solo non potrà mai scordare chi la vita dette per un unico sguardo. 1922-24

ULTIMO BRINDISI

Bevo a una casa distrutta,

alla mia vita sciagurata, a solitudini vissute in due e bevo anche a te:

all’inganno di labbra che tradirono, al morto gelo dei tuoi occhi, ad un mondo crudele e rozzo, ad un Dio che non ci ha salvato. 1934

24

IL POETA (a Boris Pasternak)

Eguagliato se stesso a un occhio equino, sbircia, guarda, vede, riconosce, ed ecco già come diamante fuso risplendono le pozze, il ghiaccio si strugge. Nella foschia viola pallido si acquetano cortili, banchine, travi, foglie, nubi, il fischio della vaporiera, lo scricchio di una scorza di anguria,

una timida mano in odorosa pelle di daino. Tintinna, tuona, stride, batte come risacca

e di colpo si tace: ciò vuol dire che cauto si addentra su aghi di conifere, per non spaurire il sonno leggero dello spazio. E ciò vuol dire che conta i granelli nelle spighe vuote, ciò vuol dire che al cippo di Dar’jal, maledetto e nero, è ritornato da qualche funerale. E arde di nuovo il languore di Mosca,

lontano tintinna un sonaglio mortale... chi si è perduto a due passi da casa,

dove la neve è alla cintola e tutto finisce? 25

Per aver confrontato il fumo a Laocoonte, e cantato il cardo del cimitero,

per aver riempito di un nuovo suono il mondo nel nuovo spazio di strofe riflesse ha avuto in premio un’eterna fanciullezza,

la perspicacia magnanima degli astri; la terra tutta è stata suo appannaggio,

ed egli l’ha divisa con tutti. 19 gennaio 1936

26

VORONEZ

a Osip Emil’evié Mandel'$tam

La città tutta è coperta di ghiaccio. Come sotto un vetro, alberi, muri, neve. Procedo sul cristallo timorosa,

così incerta è la corsa della slitta arabescata. Sopra il San Pietro di Voròne2 corvi,

pioppi e volta di un cielo verdechiaro, erosa ed appannata nel polline solare; sui pendii di una terra possente, vincitrice aleggia la battaglia di Kulìkovo. E, come coppe che si levino, i pioppi risuonano d’un tratto più sonori, quasi bevessero alla nostra gioia mille ospiti, in un banchetto nuziale.

Ma nella stanza del poeta in disgrazia vegliano a turno la paura e la Musa. Ed una notte avanza che non conosce aurora. 1936

27

DANTE

Il mio bel San Giovanni. * Dante

Neppure dopo morto ritornò nella sua vecchia Firenze. Partendo non si volse indietro,

ed io a lui canto questo canto. Fiaccole, notte, ultimo abbraccio,

oltre la soglia, selvaggio il grido del destino. Le scagliò dall’inferno il suo anatema, non la poté scordare in paradiso. Ma scalzo, in panni da penitente e cero acceso, non passò mai

per la sua Firenze agognata, perfida, vile, attesa così a lungo... 1936

* In italiano nel testo.

28

IL SALICE

E il decrepito fascio degli alberi. Puskin

Io crebbi in un silenzio arabescato,

in un’ariosa stanza del nuovo secolo. Non mi era cara la voce dell’uomo, ma comprendevo quella del vento. Amavo la lappola e l’ortica, e più di ogni altro un salice d’argento. Riconoscente, lui visse con me la vita intera, alitando di sogni con i rami piangenti la mia insonnia.

Strana cosa, ora gli sopravvivo. Lì sporge il ceppo, e con voci estranee parlano di qualcosa gli altri salici sotto quel cielo, sotto il nostro cielo. Io taccio... come se fosse morto un fratello. 1940

29

PUSKIN

Chi sa che cosa è la gloria? A quale prezzo egli acquistò il diritto, la possibilità o la grazia, di scherzare su tutto, così savio e malizioso, misterioso tacere

e chiamare un piede piedino?... 1943

30

I VERSI

a Vladimir Narbut

Sono il succo delle insonnie,

il moccolo di storte candele, il primo colpo mattutino di centinaia di bianchi campanili... Sono il tiepido davanzale sotto una luna di

Cernìgov,

sono api, sono trifoglio, sono polvere, tenebre, afa. 1936-60

31

LIBERATA

Puro vento fa fremere l’abete, pura neve ricopre le campagne. Più non ode il passo del nemico,

riposa la mia terra. 1945

32

Ma io vi prevengo che vivo per l’ultima volta. Né come rondine, né come acero, né come giunco, né come stella, né come acqua sorgiva,

né come suono di campane turberò la gente,

e non visiterò i sogni altrui con un gemito insaziato. 1940

Da

Sono stata via settecento anni ma nulla è cambiato...

sempre la misericordia di Dio scende da vette incontestabili,

sempre gli stessi sempre così nera e lo stesso vento e lo stesso canto

cori di stelle e di acque, è la volta del cielo, sparpaglia semi, canta la madre.

È salda la mia dimora asiatica,

non bisogna preoccuparsi... Verrò ancora. Fiorisci, siepe,

sii colma, limpida vasca.

34

Settemilatre chilometri... non puoi sentire la madre chiamare,

nel fischio tremendo del vento polare, nella stretta delle intemperie, inselvatichisci, inferocisci: tu, adorato,

tu, ultimo e primo, tu, nostro.

Indifferente la primavera vaga sulla mia tomba di leningradese.

35

a Osip Emil’evié Mandel'itam

Mi chino su di loro, come su di una tazza,

non vi sono ascosi segni da vagliare: è la nera, tenera notizia della nostra insanguinata giovinezza. Un tempo io respirai la stessa aria, fui sullo stesso abisso nella notte,

in quella notte deserta e ferrea in cui inutilmente chiami, gridi. Oh, com'era acuto l’aroma di un garofano

sognato chissà quando laggiù: sono le Euridici che roteano,

è il toro che sulle onde mena Europa.

Sono le nostre ombre che balenano sulla Nevà, sulla Nevà, sulla Nevà,

è la Nevà che sciaborda ai gradini, è il tuo lasciapassare per l’immortalità. Sono le chiavi di un’abitazione della quale non resta più pietra... è la voce della lira segreta, ospite sui prati d’oltretomba. 1957

36

A BORIS PASTERNAK

1 Di nuovo, come Tamerlano, piomba l’autunno, c'è silenzio nelle viuzze dell’ Arbàt. Di là della stazione o della nebbia

la strada impraticabile nereggia. Eccola, ed è l’ultima! Anche la rabbia

si placa. Che il mondo sia sordo non importa... Vecchiezza possente del vangelo, e quel sospiro amarissimo del Gethsemani. 1957

37

Come un uccello mi risponderà l'eco. B. Pasternak

La voce irripetibile ieri è taciuta,

ci ha lasciato chi parlava alla macchia. Si è mutato nella spiga vivifica, nell’esile pioggia che aveva cantato. E tutti i fiori che esistono al mondo di fronte a questa morte sono sbocciati. Ma d’improvviso il silenzio è disceso su un pianeta dal nome modesto... Terra. 1° giugno 1960

38

NOI QUATTRO (Schizzi di Komarovo) Forse anche una flessuosa zingara è condannata

a tutte le sofferenze di Dante. O. Mandel’$tam

Tale io vedo il Vostro sembiante

e il Vostro sguardo. Ob, Musa del Pianto...

Ed io sono qui staccata da tutto,

da ogni bene terreno. Spirito custode di «codesto luogo» è diventato un ceppo silvestre. Siamo tutti per poco ospiti della vita, vivere è solo un’abitudine. Lungo le vie del cielo mi sembra di ascoltare il richiamo di due voci. Due? Ma verso il muro di levante, fra le macchie tenaci del lampone, c'è un ramo fresco e scuro di sambuco... È una lettera di Marina. 1961

39

B. Pasternak M. Cvetaeva

ALLA MEMORIA DI M. M. ZOSCENKO

Sto in ascolto, come al suono di voci lontane,

ma non c’è dintorno nulla, nessuno. E voi deponete il suo corpo in questa nera, buona terra. Né granito, né salici faranno ombra al suo cenere lieve,

soltanto i venti marini del golfo giungeranno volando, per piangerlo... Komarovo, 1958

40

A Michail Michailoviè Zoftenko

Come a una voce lontana presto ascolto, Ma intorno non c’è nulla, nessuno. In questa nera buona terra Voi deporrete il suo corpo. Né il granito né il salice piangente Faranno ombra al cenere leggero, Solo i venti marini dal golfo Per piangerlo accorreranno... Komarovo, 1958

41

pr

Parla lei:

Non c’è nessuno al mondo che più privo Sia di casa e d’asilo, nessuno. Io sono per te la voce del liuto In una diafana alba d’oltretomba. Penetrato nel mio ultimo sonno,

Imparerai a lottare con te stesso. Maledici di nuovo il cigolio del pozzo,

Il fruscio dei pini, il nero gracchiar delle cornacchie, La terra su cui poggiavo i piedi, La stella gialla nella mia finestra, Ciò che io fui e che sono divenuta,

E l’ora in cui ti dissi Che di vederti m’era parso in sogno. Anche nel fiato delle tue maledizioni Altre parole mi sembra d’udire,

Più avvincenti e inebrianti d’amplessi, Eppur tenere come la prima erba. Parla lui:

Fossi pure degli angeli più bella tre volte, Fossi pure sorella dei salici sull’altra riva,

42

Con il mio canto t’ucciderò,

Senza spargere in terra il tuo sangue. E non ti toccherà la mia mano, Senza gettarti uno sguardo cesserò d’amarti

E con il tuo gemito incredibile La brama infine appagherò. Quella che prima di me errò per il mondo, Più cruda del ghiaccio, più del fuoco focosa, Quella che anche adesso nell’etere si libra,

Tu da essa mi libererai. Si ode di lontano:

Accarezzando spaventi, offendi supplicando, Entri senza bussare. Tutto sarà con te piacere, Perfino lasciarsi.

Si spanda pure nella sorte nefasta La schiuma scarlatta, Ma risuoni come giuramento a te Perfino il tradimento... Di colei che conobbe il terrore e l’onore D’una vita d’oltretomba... Pronunciare il tuo nome ora per me E come morire. Canzonetta del cieco:

Non prenderti da te stessa per mano... Non condurti tu stessa oltre il fiume...

43

da REQUIEM 1935-1940

No, non sotto un cielo straniero,

non al riparo di ali straniere: io ero allora col mio popolo, là dove, per sventura, il mio popolo era. 1961

IN LUOGO DI PREFAZIONE

Negli anni terribili della ezòvicina! ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado. Una volta qualcuno mi «riconobbe». Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome, si ri-

scosse dal torpore che era caratteristico di noi tutti e mi domandò in un orecchio (lì tutti parlavano sussurrando): — Ma questo lei può descriverlo? E io dissi: — Posso.

Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto. Leningrado, 1° aprile 1957

IT] periodo in cui il commissario del popolo agli Interni fu Nikolaj Ivanovié Ezov, cioè dall’autunno del 1936 alla fine del 1938.

47

DEDICA

Davanti a questa pena s'incurvano i monti,

Non scorre il grande fiume, Ma tenaci sono i chiavistelli del carcere, E dietro ad essi le «tane dell’ergastolo» E una mortale angoscia. Per chi spiri il vento fresco, Per chi sia delizia il tramonto, Noi non sappiamo, siamo ovunque le stesse,

Sentiamo solo l’odioso strider delle chiavi E i passi pesanti dei soldati. Ci si alzava come a una messa mattutina, Si andava per la capitale abbandonata, Là ci s’incontrava, più inanimate dei morti,

Il sole più in basso e più nebbiosa la Neva, Ma la speranza canta sempre di lontano. La condanna... E subito sgorgano le lagrime, Ormai divisa da tutti,

Come se con dolore la vita dal cuore le strappassero. Come se con rozzezza la rovesciassero indietro,

Ma cammina... Barcolla... Sola... Dove sono ora le amiche occasionali Di questi due miei anni maledetti?

Che appare loro nella bufera siberiana, Che balugina nel disco lunare? A loro invio il mio saluto d’addio. Marzo 1940

48

Ti hanno portato via all'alba, Io ti venivo dietro, come a un funerale,

Nella stanza buia i bambini piangevano, Sull’altarino il cero sgocciolava. Sulle tue labbra il freddo dell’icona. Il sudore mortale sulla fronte... Non si scorda! Come le mogli degli strelizzi, ululerò Sotto le torri del Cremlino. 1935. Mosca (Kutaf'ja)

49

Placido scorre il placido Don, Gialla luna entra nella casa,

Entra col cappello sulle ventitré, Vede l'ombra la gialla luna. Questa donna è malata, Questa donna è sola,

Il marito nella tomba, il figlio in prigione. Pregate per me.

50

No, non sono io, è qualcun altro che soffre. Io non potrei esser così, ma quel che è successo

Neri drappi lo ricoprano, E portino via le lanterne... Notte.

DI

Diciassette mesi che grido, Ti chiamo a casa. Mi gettavo ai piedi del boia, Figlio mio e mio terrore. Tutto s'è confuso per sempre, E non riesco a capire

Ora chi sia belva e chi uomo, E se a lungo attenderò l’esecuzione. E solo fiori polverosi, e il tintinnio Del turibolo, e le tracce Chissà dove nel nulla. E diritto negli occhi mi fissa E una prossima morte minaccia L'enorme stella.

52

Lievi volano le settimane, Quel che è stato non capisco.

Come ti guardavano, figlio, Le notti bianche, in carcere,

Com'esse di nuovo guardano Con occhio ardente di sparviero, E della tua alta croce

E della morte parlano. 1939

53

LA SENTENZA

Ed è caduta la parola di pietra Sul mio petto ancor vivo. Non è nulla, vi ero preparata,

Ne verrò a capo in qualche modo. Ho molto da fare, oggi: Bisogna uccidere fino in fondo la memoria,

Bisogna che l’anima si pietrifichi, Bisogna di nuovo imparare a vivere, Se no... L’ardente stormire dell’estate, Come una festa oltre la finestra. Da tempo avevo presentito questo Giorno radioso e la casa vuota. 1939. Estate

54

EPILOGO

I Ho appreso come s’infossino ivolti, Come di sotto alle palpebre s’affacci la paura, Come dure pagine di scrittura cuneiforme Il dolore tracci sulle guance, Come i riccioli da cinerei e neri D'un tratto si facciano d’argento, Il sorriso appassisca sulle labbra rassegnate, E in un ghigno arido tremi lo spavento. E non per me sola prego, Ma per tutti coloro che erano con me, laggiù, Nel freddo spietato, nell’afa di luglio, Sotto la rossa muraglia abbacinata. II

S'è di nuovo avvicinata l’ora del suffragio. Vi vedo, vi ascolto, vi sento: E colei che fu a stento condotta allo spioncino,

E colei che non calpesta il suolo natale, E colei che, scrollando la bella testa, Disse: «Qui vengo, come a casa». 55

“i

Avrei voluto chiamare tutte per nome, Ma hanno portato via l’elenco, e non so come fare.

Per loro ho intessuto un’ampia coltre Di povere parole, che ho inteso da loro. Di loro mi rammento sempre e in ogni dove,

Di loro neppure in una nuova disgrazia mi scorderò, E se mi chiuderanno la bocca tormentata

Con cui grida un popolo di cento milioni, Che esse mi commemorino allo stesso modo

Alla vigilia del mio giorno di suffragio. E se un giorno in questo paese Pensassero di erigermi un monumento, Acconsento ad esser celebrata,

Ma solo a condizione di non porlo Né accanto al mare dov’io nacqui: Col mare l’ultimo legame è reciso, Né nel giardino dello zar presso il desiato ceppo, Dove l’ombra sconsolata mi cerca,

Ma qui, dove stetti per trecento ore

E dove non mi aprirono il chiavistello.

56

Perché anche nella beata morte temo Di dimenticare lo strepito delle nere «marusi», Di dimenticare come sbatteva l’odiosa porta E una vecchia ululava da bestia ferita.

E che dalle immobili palpebre di bronzo Come lagrime fluisca la neve disciolta E il colombo del carcere che tubi di lontano,

E placide per la Neva vadano le navi. 1940. Marzo

DI

da POEMA

SENZA EROE

Trittico 1940-1962

Deus conservat omnia.

(Motto sullo stemma della casa in cui abitavo quando cominciai a scrivere il poema)

DEDICA

A Vsèvolod Knjazev

...ma poi che a corto di carta son rimasta, Mi tocca scrivere sulla tua minuta.

Ed ecco l’altrui parola qui traluce E, come allora spruzzo di neve sulla mano,

Fidente e senza querimonie si discioglie. E d’Antinoo le ciglia scure Vedo a un tratto sollevate: e un verde fumo E folate di brezza familiari... È dunque il mare? No, non è che di rame di conifere Funereo ammasso, e nel ribollio di schiuma

Sempre più qui, più qui... la Marche funèbre... Chopin... 27 dicembre 1940. Notte. Casa delle Fontane

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INTRODUZIONE

DAL MILLENOVECENTOQUARANTA, COME DA UNA TORRE, OSSERVO TUTTO. COME SE DI NUOVO ADDIO DICESSI A CIÒ CUI DA TEMPO HO DETTO ADDIO, COME SE FATTAMI IL SEGNO DELLA CROCE SCENDESSI SOTTO BUIE VOLTE.

25 agosto 1941. Leningrado assediata

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EPILOGO T'amo, creazione di Pietro... Il cavaliere di bronzo

Rimanga vuoto codesto luogo... **%

E le mute piazze deserte in cui fino all'alba si giustiziava. Ànnenskij

La notte bianca del 24 giugno 1942. La città cosparsa di rovine. Dal-

la Stazione Marittima allo Smol’nyj si vede tutto come se fosse sul

palmo della mano. Qua e là finiscono di consumarsi i resti degli incendi. Nel Giardino Seremetev i tigli sono in fiore e un usignolo canta. Solo la finestra del secondo piano (di fronte alla quale sta un acero mutilato) è visibile e dietro di essa si spalanca il nero vuoto. Dalla parte di Kronitàdt rimbombano pezzi di grosso calibro. Ma in generale c'è calma. La voce dell’autrice, che si trova a settemila chilometri di distanza, proferisce:

ALLA MIA CITTÀ

Sotto il tetto della Casa delle Fontane Con la lanterna e il mazzo delle chiavi Un languore serale s’aggirava, E ai miei richiami un’eco lontana Turbava con risata inopportuna Il profondo letargo delle cose; E testimone d’ogni cosa al mondo Al tramonto ed all’alba 63

Nella stanza guardava il vecchio acero E, prevedendo il nostro distacco, Quasi chiedesse aiuto, mi tendeva

La nera mano rinsecchita. Rintronava la terra sotto i piedi E l’occhio della stella s'appuntava Sulla mia casa non ancora abbandonata,

E attendeva il segnale convenuto... Dev'essere lì — a Tobruk,

Dev'essere qui — dietro l’angolo. E tu che non sei né il primo né l’ultimo Oscuro ascoltatore di lucide fantasie, Quale vendetta mi prepari? Tu non berrai, porterai solo alle labbra

Quest’amarezza dal più profondo — La notizia del nostro distacco! Non posarmi la mano sulla testa, Si fermi pure il tempo per sempre

Sull’orologio che tu mi hai dato. La sfortuna non ci risparmierà E il cucùlo non farà più cucù Nei nostri boschi incendiati... Ma tu, che non divenisti la mia tomba, Sovversiva, in disgrazia, adorata, Sei impallidita, tramortita, ridotta al silenzio.

Fallace è il nostro distacco: Da te non posso esser separata, La mia ombra è sui tuoi muri,

Il mio riflesso nei canali, Il rumore dei passi nelle sale dell’Ermitage,

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Dove con me il mio amico vagava, E nel vecchio Vòlkovo Pole In cui posso liberamente singhiozzare

Sulla taciturnità delle fosse comuni. Tutto quel ch’è detto nella prima parte Sull’amore, il tradimento, la passione

Il verso libero s'è scrollato dalle ali. E sta la mia città «rivestita»... Pesanti sono le pietre tombali Sui tuoi occhi senza sonno. M°era parso che tu m’inseguissi, Tu che eri restata lì a morire Nel fulgore delle guglie, nel riflesso delle acque. Aspettasti invano le desiderate messaggere... Su di te c’è solo il girotondo Delle tue belle, le notti bianche.

Una parola gioiosa — a casa — A chiunque ora ignota, Tutti guardano da un’altrui finestra, Chi è a Ta$kènt, chi a New York,

L'atmosfera dell’esilio è amara Come un vino avvelenato. Chi di voi non m’avrebbe ammirata Quando nel ventre del pesce volante Mi salvai dalla caccia malvagia E sul bosco pieno di nemici Mi slanciai, come nella notte di Valpurga Una ch'è posseduta dal demonio? E ormai dritto davanti a me

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Si faceva di ghiaccio la Kama, E un tale: «Quo vadis?» mi disse,

Ma non avevo ancora mosso le labbra

Che con tunnel e ponti gli Urali Rimbombarono impazziti. E mi si aprì quella strada Per la quale tanti se n’erano andati,

Per la quale mio figlio fu portato via. Ed era lungo quel funereo cammino Nella quiete solenne e cristallina Della terra siberiana.

Dal paese ridotto in cenere, Afferrata da un terrore mortale,

Ma ben sapendo l’ora della vendetta, Gli occhi asciutti chini al suolo E torcendosi le mani, la Russia Davanti a me marciava verso oriente. Finito a Taskènt il 18 agosto 1942

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INDICE

Strinsi le mani sotto il velo oscuro Ho appreso a vivere semplice e saggia

Mi perdonerai questi giorni di novembre? Risposta Translucido vetro di cieli deserti Non è il tuo amore che domando Fosti la mia beata culla Né mistero né dolore C'è nel contatto umano un limite fatale Tutto me lo prometteva In memoria del 19 luglio 1914 Ab, tu pensavi che anch'io fossi una Quando in un’ansia suicida Tutto fu depredato, tradito, venduto Non sarai più tra i vivi A molti La moglie di Lot

Ultimo brindisi Il poeta (a Boris Pasternak) VoròneZ Dante

Il salice Puskin I versi

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Liberata Ma io vi prevengo che vivo Sono stata via settecento anni

Settemilatre chilometri Mi chino su di loro, come su di una tazza A Boris Pasternak 1 Di nuovo, come Tamerlano, piomba l'autunno

2 La voce irripetibile ieri è taciuta Noi quattro (Schizzi di Komarovo) Alla memoria di M. M. Z6$fenko Come a una voce lontana presto ascolto

Parla lei da REQUIEM (1935-1940)

47 48 49 50 51 52 De) 54 55

In luogo di prefazione Dedica Ti hanno portato via all'alba Placido scorre il placido Don No, non sono i0, è qualcun altro che soffre Diciassette mesi che grido Lievi volano le settimane La sentenza

Epilogo

da POEMA SENZA EROE (Trittico 1940-1962) 61 62 63

Dedica Introduzione Epilogo — Alla mia città

Oscar Mondadori Periodico bisettimanale: N. 2918 del 29/08/1996 Direttore responsabile: Ferruccio Parazzoli Registr. Trib. di Milano n. 49 del 28/2/1965 Spedizione abbonamento postale TR edit. Aut. n. 55715/2 del 4/3/1965 - Direz. PT Verona

ACHMATOVA lo sono

la vostra voce, il calore del vostro fiato, il riflesso del vostro volto,

i vani palpiti di vane ali... fa lo stesso, sino alla fine io sto con voi.

ISBN 88-04-42390-0

Art Director Federico Luci Progetto grafico di Giacomo Callo

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